Una settimana e un giorno di Menade Danzante (/viewuser.php?uid=289895)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Domenica - Lunedì ***
Capitolo 2: *** 2. Martedì - Mercoledì ***
Capitolo 3: *** 3. Giovedì ***
Capitolo 4: *** 4. Venerdì ***
Capitolo 5: *** 5. Sabato ***
Capitolo 6: *** 6. Domenica ***
Capitolo 7: *** 7. Lunedì ***
Capitolo 1 *** 1. Domenica - Lunedì ***
domenica
1. Domenica
Il pranzo al Ritz
dura più del solito,
ma né angelo né demone se ne curano: il mondo non
è finito in una
palla infuocata, è tornato più o meno tutto come prima e
loro non
sono stati squagliati – letteralmente – dai rispettivi
dirigenti.
Credono di potersi godere qualche ora in più al loro ristorante
preferito senza temere ripercussioni di alcun genere. Che possano
farlo a ragione non è chiaro, ma decidono di non fare troppe
congetture: probabilmente è solo grazie all'Anticristo che
possono
degustare vini e smangiucchiare pesce pregiato, il loro contributo
è stato infimo, ma nessuno dei due
può negare il gravoso peso di essere stati coscienti del
pericolo per undici anni e una settimana. Affogano il dubbio in un
flûte di champagne.
Quando escono è tardi e la stanchezza
dell'Apocalisse-mai-avvenuta si fa sentire mentre i lampioni
cominciano ad illuminare le vie di Londra. Crowley si guarda intorno
per qualche attimo, alla ricerca dell'automobile, ma poi ricorda che
la Bentley è rimasta parcheggiata a Mayfair.
«Che palle» sbotta mentre stende il
braccio per fermare un taxi.
Aziraphale è il primo a scendere,
abbandonato davanti alla libreria. «Ci vediamo domani per un altro
brindisi?» chiede, vagamente alticcio. Gli è comunque rimasta la
lucidità per pensare che si sono ritrovati entrambi in condizioni
ben peggiori dopo una sbronza e questo lo rassicura.
«Sicuro!» ribatte il demone,
ugualmente sopra le righe. Più del solito, almeno.
L'angelo sventola una mano in direzione
della macchina nera e si appresta a rientrare in libreria con uno
schiocco di dita.
Rivedere tutti i suoi volumi è una
gioia per l'angelo. Nota subito i libri di Richmal Crompton1.
La parte più critica di sé è pronta a demolire l'idea di averli
nel locale: stonano molto con le prime edizioni e con i volumi
rilegati in pelle. Ma la gratitudine subentra in capo a qualche
secondo: decide che era anche ora che il negozio si dotasse di una
sezione per l'infanzia e la preadolescenza. Manderà un biglietto di
ringraziamento ad Adam per il pensiero gentile: non vede onestamente
l'ora di leggerli.
Ogni singolo muscolo del suo viso è
atteggiato ad assecondare il sorriso felice e largo che gli increspa
le labbra: tornare nel proprio ambiente naturale è un toccasana,
soprattutto dopo averlo tragicamente perso nemmeno ventiquattro ore
prima per colpa di una sfortunata coincidenza.
D'istinto, si volta per condividere con
Crowley lo sguardo raggiante che gli anima le iridi, ma il demone non
è con lui: è probabilmente già arrivato a casa sua e starà
innaffiando le piante che gli ha fatto conoscere – con un certo
astio, deve ammetterlo – la sera precedente.
Gli ci vuole poco per concentrarsi e
tornare sobrio. «Che sciocco» si insulta ad alta voce sforzandosi
di ridere e di ignorare l'improvviso senso di mancanza che gli ha
riempito il petto.
Per rimediare al disagio si prepara una
cioccolata calda.
Lunedì
È molto presto quando il telefono
della libreria squilla. Aziraphale borbotta ingiurie nell'avvicinarsi
alla cornetta. È pronto a lanciare moderati anatemi contro i folli
clienti che credono che lui possa aprire il suo negozio di libri alle
otto del mattino. Insomma, ma con chi credono di stare a parlare? Di
certo non con Mr. A.Z. Fell.
«Temo proprio che siamo chiusi»
annuncia, non cercando per niente di nascondere il tono piccato.
«Ah, quindi non hai niente da fare
nemmeno oggi, angelo»
Il biondo si apre in un sorriso.
«Crowley! Per ora pare di no, no. Hai qualcosa in mente?»
Non si rende conto
di attendere la risposta con una certa trepidazione. Né si perde
a classificare il sollievo che lo ha colto nel sentire la voce del
demone.
«Può darsi. Hai già fatto
colazione?»
Sì. «No, sono ancora digiuno.
Perché?». Non si rifiuta mai una seconda colazione: è segno di
cattivo gusto, Aziraphale ne è certissimo.
«Perché qui ha aperto da poco un
locale specializzato in pasticceria francese. Ti interessa?»
L'angelo ha già l'acquolina in bocca,
ma non vuole fare la figura del solito golosone.
«Le crêpe
non saranno mai buone come a Parigi» rileva, infatti. Una mano,
però, già corre al collo per controllare se il cravattino sia ben
dritto, pronto per uscire.
«No, ma a Parigi non ti ci porto.
Passo a prenderti tra dieci minuti?»
«A tra poco!»
Aziraphale si sistema il panciotto,
infila il cappotto e attende che il campanello suoni.
È vero, le crêpe
non sono buone come a Parigi, ma di sicuro non fanno schifo.
Aziraphale le prova al cioccolato, alle mele, ai lamponi e alle
fragole, mentre Crowley si limita ad accettare un triangolino di
dolce al cioccolato che l'angelo decide di concedergli. Il biondo non
sa proprio come faccia il demone a resistere al piacere del cibo,
tuttavia è troppo concentrato a godersi il sapore delle fragole per
potersi dedicare troppo a quella questione di secondaria importanza.
Quando finisce anche quella ghiottoneria, si passa il tovagliolo agli
angoli della bocca con il viso semplicemente estasiato. Lancia
un'occhiata attonita alla porzione di tavolo del rosso, in cui solo
una tazzina fa bella mostra di sé, per poi dichiarare che le sue
crêpe preferite sono
state le prime due. In risposta riceve solo una smorfia.
Aziraphale solleva la tazza di tè
bianco che ha ordinato e se lo porta alle labbra. Anche quello è
molto buono, dal gusto rotondo e rinfrescante, sufficientemente
delicato da non coprire l'aroma fruttato delle ultime specialità
della casa.
Inclina appena la testa, catturato dai
macaron sul suo piatto: ne sono rimasti tre dai colori delicati.
Opta infine per quello giallo al limone mentre il demone beve in un
sorso solo il contenuto della tazzina.
Aziraphale scuote il capo, rassegnato.
«Il caffè ha un sapore troppo forte» asserisce indicando con lo
sguardo la porcellana ormai vuota di fronte a Crowley. «Non capisco
proprio come tu faccia a berlo sempre quando mangiamo insieme»
Il demone muove la testa di lato: gli
occhi sono coperti dalle lenti, ovviamente, ma la bocca si
assottiglia come a dirgli che non è propriamente affare
dell'angelo quello che il rosso decide di bere durante i pasti.
Sarebbe anche una giusta osservazione, il biondo lo sa.
«Lo dicevo tanto per dire» precisa,
un ultimo sguardo di disprezzo al caffè e un sorriso per il demone.
Demone che non ribatte, ma annuisce soltanto prima di allungarsi sul
tavolo a rubare il penultimo macaron alla vaniglia dal piatto di
Aziraphale. Le iridi dell'angelo trasudano tradimento mentre Crowley
ghigna e mangia il dolce in un sol boccone.
«Crowley! Era il mio
macaron!»
«Così la prossima volta tieni la
bocca chiusa» è la giustificazione.
Aziraphale non può fare a meno di
guardarlo con indulgenza un altro po' per poi decidere che finire di
sorseggiare il tè sia la scelta più saggia.
Quella sera Crowley non torna a
Mayfair, ma resta con Aziraphale a sbronzarsi nel retrobottega della
libreria.
L'angelo si rende ben presto conto che
l'alcol gli dà la libertà di parlare male di Gabriel. E di
Sandalphon. Con quest'ultimo ha sempre mantenuto un rapporto di
facciata particolarmente evidente, almeno ai suoi occhi. Non ha mai
digerito la condotta di quell'angelo, né gli ha perdonato Sodoma
e Gomorra: è più facile non difenderlo. Con Gabriel è diverso,
invece. È pur sempre il suo superiore dall'alba dei tempi –
letteralmente. Di norma non si sente libero di parlare come vuole di
lui, senza alcun freno e senza pentirsene subito dopo, ma
l'inibizione lo abbandona dopo un paio di bottiglie di vino.
Strabuzza gli occhi e ride.
«Pornografia!» esclama, rivivendo per
un momento l'episodio che lo ha fatto vergognare di essere un
librario a Soho.
Crowley per poco non si strozza con il
vino. «Hai bevuto davvero così tanto?!» domanda, allibito, gli
occhi scoperti lucidi per l'alcol e la tosse che lo ha salvato dalla
smaterializzazione immediata.
Aziraphale si rende conto di averlo
detto ad alta voce e ride più forte. «Gabriel e Sandalphon hanno
pensato di mime-... mitem-... O Cielo!... mimezza-... Oh! Di passare
inosservati tra gli umani comprando... pornografia!»
Crowley sembra realizzare piano piano
il significato della frase, e quando lo fa spalanca la bocca
totalmente incredulo. Solo dopo scoppia a ridere battendosi una mano
sulla coscia.
«Te lo giuro!» garantisce
l'angelo riprendendo fiato. «L'hanno urlato in mezzo al negozio»
Quello fa piegare in due il demone sul divano
accanto a lui. Il fatto che anche Crowley veda l'ironia dietro quella
vicenda lo rincuora: Aziraphale si sente in diritto di ridere a sua
volta del suo ex capo e di chiamarlo anche incompetente – ma questo
solo nella sua mente.
Dà il tempo ad entrambi di riprendersi
prima di rivelare un altro particolare succulento di quella assurda
visita di qualche giorno prima.
«E poi Sandalphon ha detto che c'era
puzza di malvagità qui» dice nascondendo il sorriso nel calice di
vino e scuotendo il capo.
«Nella tua libreria?!». Crowley ha
una mano sul petto ancora spossato dalle risate di poco prima.
L'angelo lo vede socchiudere gli occhi serpentini per concentrarsi il
più possibile nonostante gli effluvi dell'alcol.
Aziraphale fa la faccia serissima,
preparando il colpo di scena che, lo sa, lascerà di nuovo il demone
boccheggiante. «Proprio qui. E sai perché?». Crowley scuote la
testa stupidamente. «Perché c'eri stato tu!»
I due scoppiano a ridere nello stesso
momento e quando il calice del demone piomba a terra con un sonoro
fracasso di vetro infranto decidono che hanno avuto una dose
sufficiente di vino per la serata. Una volta tornato sobrio
Aziraphale si procura un bicchiere d'acqua e osserva Crowley che
ripara il danno procurato. Qualcosa è cambiato: il rosso ha sì fatto sparire
l'alcol dal suo corpo, ma l'eccesso di ilarità di poco prima sembra
totalmente sparito: il demone pare aver assunto un'espressione
particolarmente seria e profonda, Aziraphale oserebbe dire
preoccupata.
Fa per chiedergli il motivo di tale
subitanea alterazione, ma la voce di Crowley lo precede.
«Anche tu l'avverti, dunque» dice con
tono noncurante, senza guardare l'amico.
L'angelo è
costretto a fare uno sforzo
di concentrazione per ricordare esattamente le sue parole e per dedurre
cosa possa essere andato storto nella loro comprensione. È il
corpo del demone che gli dà la possibilità di capire: il
rosso ora
siede più composto, non invade il suo spazio e si è
chiuso nelle
spalle, rigido: cerca di tenersi lontano.
«Oh, veramente no» risponde
Aziraphale con estrema sincerità, curandosi di non riportare alla
luce il riferimento al presunto odore della malvagità.
Crowley incrocia gli occhi dell'altro
con curiosità. «Un angelo dei due sta mentendo» ragiona, serio, ma
senza cattiveria.
«Forse no» tenta il biondo con un
mezzo sorriso diplomatico. «Sandalphon non sospettava della nostra
collaborazione quando l'ha detto, perciò non aveva motivo di mentire
per trarmi in inganno o per qualsiasi altra ragione». Fa una piccola
pausa per essere certo che quelle parole arrivino al demone. «Siamo
angeli tutti e due. È logico pensare che, come fa lui, anch'io abbia
percepito la tua presunta... malvagità, ma deve essere stato
così tanto tempo fa... Proprio non me lo ricordo, mio caro»
Crowley storce la
bocca, poco soddisfatto, ma Aziraphale riprende con il sorriso sulle
labbra: «Sai benissimo come la penso, perciò non dirò di nuovo che
sei una brava persona»
Il demone alza gli
occhi al cielo.
«Ti odio, angelo»
Aziraphale ride,
intenerito, mentre il demone torna in una posa che gli è più
consona.
Continuano a
parlare del più e del meno fino alle sei del mattino, quando Crowley
lascia la libreria e Aziraphale decide di aprire il negozio a
quell'orario del tutto improbabile per confondere la clientela.
Note:
[1]: I libri che
nello show Adam fa comparire sono la serie di libri per l'infanzia
“Just William” di Richmal Crompton.
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Capitolo 2 *** 2. Martedì - Mercoledì ***
martedì
2. Martedì
Il martedì passa
piuttosto tranquillo. Anche troppo, in effetti. L'affluenza in
libreria è poca: Aziraphale ha visto solo un cliente verso
mezzogiorno, che però ha visibilmente sbagliato locale. Si è anche
arrabbiato quando l'angelo gli ha fatto notare di essere in un
negozio di antiquariato, non in una di quelle moderne botteghe in cui
vendono di tutto, anche penne e agende. Dopo quella spiacevole
esperienza, l'angelo ha chiuso la libreria per motivi apparentemente
imperscrutabili e l'ha riaperta nel tardo pomeriggio, giusto in tempo
per ricevere le scortesi e moleste avances di un uomo evidentemente
impazzito che ha osato proporre ad Aziraphale di vendere l'attività
in favore di un nuovo bar nel quartiere. La richiesta ha così
sconvolto l'angelo che ha deciso di appendere il cartello “Close”
alla porta subito dopo aver cacciato quel tizio destinato
all'Inferno.
Di Crowley nessuna
traccia. Aziraphale ha cercato di non pensarci, ma in realtà ne è
sconvolto, anche se non lo vuole ammettere nemmeno a sé stesso. È
anche arrabbiato. Questo se lo dice, invece, mentre cammina avanti e
indietro a mezzanotte tra le pile di libri sparse per il negozio.
Dopo tutto quello che hanno passato, dopo tutto quello che hanno
fatto l'uno per l'altro Crowley non può pensare di sparire per tutto
il giorno, non con Inferno e Paradiso che hanno cercato di farli
fuori appena due giorni prima. È inconcepibile, è un comportamento
ingrato e fa stare male l'angelo più di quanto sia disposto ad
accettare.
Aziraphale non ha
idea di come affrontare questo. Non sa nemmeno cosa sia ciò che sta
fronteggiando. Sa solo che non si sente completamente in pace con sé
stesso e con il mondo e che neanche il grammofono che spande le note
di Mozart nel locale riesce a distrarlo dall'evidente e pressante
assenza del suo migliore amico.
Più volte fa per
andare verso il telefono e chiamare Crowley per dirgliene quattro o
alternativamente per invitarlo a bere, ma non riesce mai a compiere
l'operazione fino in fondo. Arriva persino a giustificarlo: forse,
anzi sicuramente il demone ha altro a cui pensare piuttosto
che essere sempre nei paraggi della libreria e lui non ha il diritto
di imporre la sua presenza, soprattutto non per trascinarlo nel suo
negozio polveroso ad annoiarsi con lui. Sono ufficialmente
disoccupati: il demone ha la piena facoltà di passare il suo nuovo tempo
libero come vuole. Aziraphale vorrebbe tanto vederlo arrivare di sua
spontanea volontà, appunto, con una solida motivazione che spieghi
il suo ritardo.
Quando, però, la
pendola segna l'una, Aziraphale sospira, ormai del tutto consapevole
che il demone non si presenterà. Non deve pensarci più: si siede
allo scrittoio, inforca gli occhiali di cui non ha bisogno e comincia
a leggere uno dei suoi nuovi libri gentilmente offerti dall'Anticristo.
Quando il cielo si rischiara ha
finito tutto la saga.
Mercoledì
Il mercoledì
mattina è tetro e cupo: pioggia a Londra, troppi clienti che cercano
riparo nella libreria sgocciolando ovunque e senza il minimo
interesse per i libri. Pessima idea aprire quel giorno, davvero. Ha
perso il conto di quante volte ha dovuto dire che quel particolare
scaffale con l'alloro intagliato non ha merce in vendita, ma solo
d'esposizione, o che quel libro là è davvero troppo delicato
perché possa essere sfogliato senza guanti, o che no, non c'è
proprio niente che lui possa fare per nominare il prezzo della prima
edizione a stampa della Bibbia perché, anche quella come tutto il
resto, è lì solo per essere ammirata.
È sul punto di
dire che la libreria sta per chiudere quando vede il demone in mezzo
alla folla. Improvvisamente il resto scompare e Aziraphale sente
montare dentro di sé tutto il rancore covato durante la notte.
Attende qualche secondo per far scemare la rabbia e per mettere di
nuovo a fuoco tutti gli avventori della stanza, gli unici che possano
impedirgli di cominciare a urlare senza ritegno. Quando si calma il
demone è ancora distante e stranamente interessato alle raccolte di
Sant'Agostino. Quello non è normale.
«Crowley!»
esclama andandogli incontro, cercando di moderare il tono. «Non mi
hai salutato»
Non voleva dirlo
davvero, ma ormai il danno è fatto e non può rimangiarselo. Batte
le palpebre per scacciare via la vergogna e attende una risposta.
Il rosso lo guarda
attraverso le lenti, per un attimo interdetto. «Stavo cercando di
tentare quello lì» e indica con la testa un uomo dietro di lui
sulla cinquantina.
L'angelo ruota il
capo e come per inerzia individua il malcapitato. Registra con un
attimo di ritardo che il demone ha ritenuto opportuno fornire come
giustificazione per la sua straripante mancanza di rispetto una
tentazione. Le iridi del biondo schizzano di nuovo verso l'altro.
«Non nel mio
negozio, Crowley!». Aziraphale è profondamente infastidito. «Non
hai nemmeno bisogno di farlo, ma, se lo desideri tanto, fallo fuori
da questa libreria! Anzi, sai che ti dico? Che la libreria è
chiusa». Si volta verso i presenti, volutamente dando le spalle al
demone, e alza la voce. «Signori, stiamo chiudendo. Siete pregati di
uscire in fretta. Interrompete immediatamente tutte le vostre
attività e recatevi fuori dalla libreria»
I potenziali
non-acquirenti obbediscono più per la follia che traspare da quella
richiesta che per altro. Quando tutti sono usciti, compreso l'uomo di
cinquant'anni, Aziraphale guarda Crowley con furore e si rende conto
che il demone ha un'espressione stralunata stampata in faccia.
«Nel mio
negozio! Cosa c'è di tentatore in una libreria, di grazia?»
«Niente» la
risposta di Crowley è candida, a suo modo. «Non lo stavo tentando
per rubare libri, se è questo che ti preoccupa, angelo»
Aziraphale sa che
il demone non farebbe mai una cosa del genere, non a lui, ma sente
ugualmente che qualcosa dentro di sé si rilassa. «Cosa gli hai
fatto fare?». Il tono si mantiene rude a fatica per il sollievo.
«Perché credi che
sia solo farina del mio sacco?» borbotta Crowley aggirandolo e
sedendosi scompostamente allo scrittoio. «Gli ho detto di regalare
un libro erotico al tipo a cui faceva gli occhi dolci ma che non
sembrava troppo preso da lui. Gli ho assicurato che tutti rimorchiano
così di questi tempi»
Lo sguardo
contrariato di Aziraphale si distende suo malgrado. «Più che una
tentazione sembra solo una figuraccia»
«Può darsi»
considera serio il demone. «Sono fuori allenamento con le tentazioni
delle anime singole. Mi muovo più in grande, di solito»
Aziraphale
annuisce
e si sistema il panciotto. Gli basta un attimo – il fugace
sguardo alla stanza nel suo insieme che gli restituisce la visione del
rosso tra
le sue proprietà – e si ricorda di essere arrabbiato.
«Ieri hai fatto
pratica? Mm?» butta lì con finta casualità, impegnandosi subito a
sistemare un paio di libri spostati da mani incivili. Spera solo che
la sua voce sia stata più pungente della domanda che è riuscito a
formulare.
«Ieri? No, ieri ho
dormito. Ma si può sapere che hai?». Crowley si è tolto gli
occhiali e ora lo spia interrogativo con le sue iridi gialle.
«Dormire...
Un'altra cosa di cui non hai bisogno» rileva Aziraphale con una
punta di stizza. È grato di poter sfruttare un robusto scaffale di
legno per nascondere il viso contratto dall'irritazione. Non può
credere di essere stato piantato in asso per una dormita. Deve
assolutamente farlo notare all'altro. Non può fargliela
passare liscia: Aziraphale non è un giocattolo, non merita di essere
messo da parte per una motivazione come quella.
Esce dall'ombra con
la sua migliore espressione furibonda per rimproverarlo e...
Magari lo farà più
tardi: Crowley sta riposizionando manualmente un volume di storia
nella sezione giusta e non gli sembra il caso di disturbarlo proprio
adesso con le sue rivendicazioni sulla dignità.
Scuote la testa e
torna dietro allo scaffale, la rabbia che via via lo abbandona.
Stupido demone.
L'angelo dimentica
definitivamente tutta la sua ira quando si concedono del brandy dopo
aver riordinato il locale.
«Passeggiata? Che
ne dici, angelo?» propone il demone di punto in bianco nel bel mezzo
di una conversazione su quanto sia utile possedere un negozio e non
venderne la merce.
«Sta ancora
piovendo» fa titubante Aziraphale dopo un attimo di smarrimento per
il repentino cambio di tema.
«Gli umani hanno
inventato gli ombrelli»
Giusta
osservazione.
Crowley ne
materializza uno sufficientemente grande da riparare entrambi. Quando
offre il braccio ad Aziraphale questi si dice che sia un gesto
dettato esclusivamente dalla necessità di stare vicini per non
essere bagnati dalla pioggia, ma è comunque contento di poterlo
accettare. Si scambiano uno sguardo fugace e Aziraphale nota che
Crowley non ha indossato le lenti scure per uscire, ma non glielo
dice: nessuno lo guarderà in faccia, non con gli ombrelli a coprire
la visuale ai passanti e soprattutto non con tutte le diavolerie che
si vedono in giro al giorno d'oggi. Probabilmente un qualsiasi umano
lo giudicherebbe non come un essere sovrannaturale, ma come un uomo
troppo vecchio per indossare delle lenti a contatto colorate come
quelle.
Una volta fuori
l'angelo inala l'odore della pioggia con un sorriso felice che gli
colora il viso mentre adocchia l'interno dei locali dove tutti sono
accalcati per trovare riparo dal temporale. Niente coglie la sua
attenzione in maniera particolare, ma quando arrivano davanti ad un
pub Aziraphale tira il braccio del demone per farlo fermare.
«Non ti sembra
familiare quello lì?» gli chiede, indicando con discrezione un uomo
all'interno: dal riflesso della vetrata vede che Crowley si è
piegato fin quasi a sfiorargli il viso con la guancia per osservare
la traiettoria del dito dell'angelo.
«Mm... no?» fa il
demone con una smorfia.
«Sicuro sicuro?»
Crowley torna in
posizione eretta sbuffando un sì scocciato.
Aziraphale fa
fatica a trattenere il sorriso prima di riprendere: «Tenti le
persone e non te le ricordi qualche ora dopo la tentazione?»
Quando il demone,
offeso, si slancia contro il vetro e si fa scudo con la mano libera
per avere una visuale quanto più chiara dell'interno, l'ombrello
scivola leggermente dalla sua presa e Aziraphale è costretto a
chiudere le dita di Crowley a pugno con le sue per non rischiare di
bagnarsi. Si ritira in fretta e si dedica subito ad osservare la
reazione sconcertata del demone che riconosce il cinquantenne della
libreria seduto ad un tavolo per due con il cliente di cui ricercava
le attenzioni.
«Non è stata
nemmeno una figuraccia, a quanto pare» rimarca Aziraphale con la
voce rotta dal sorriso.
«Sta' zitto» ma
Crowley sprizza imbarazzo quando torna a rivolgersi a lui. «Non vuol
dire niente. La lussuria è un vizio capitale, se non te ne fossi
accorto»
«Al contrario, ne
sono molto consapevole» ribatte l'angioletto sfoderando il più
innocente degli sguardi. «Non sapevo, piuttosto, che bere insieme
fosse un atteggiamento lussurioso, anche perché se così fosse-»
noi staremmo peccando di lussuria da millenni, ma Aziraphale è
sufficientemente saggio da bloccarsi in tempo: non sa nemmeno come
gli sia venuta in mente una cosa del genere. «Beh, se così fosse,
ecco... tutti quanti sarebbero dei lussuriosi e questo non è
oggettivamente possibile. Andiamo!»
Crowley alza un
sopracciglio. «Io non parlo di tutti quanti!» sbotta, teatrale,
allargando le braccia: la destra che regge l'ombrello scopre entrambi
alle intemperie. «Parlo di loro due nello specifico e-»
«Oh, smettila di
muoverti, Crowley!» esclama Aziraphale, afferrando l'avambraccio del
demone per resistere all'impulso di strappargli l'aggeggio dalle
mani. «Ammettilo: per oggi non hai assicurato nessuna anima
all'Inferno...»
«Ma io non voglio
assicurare anime, non ci lavoro più Laggiù» Crowley cerca di
parlare sulle parole dell'angelo per provare la sua teoria sulla
lussuria, ma Aziraphale è più testardo e nemmeno lo ascolta.
«... anzi, hai
fatto trionfare l'amore!»
«Io che cosa?!»
sibila il demone allibito, gli occhi gialli esposti e sgranati.
«Rimangiatelo, adesso!»
«Non ci penso
proprio, caro. È la verità: guarda». I due umani ridono e
scherzano, si tengono per mano da un capo all'altro del tavolo. È
così evidente che quel primo appuntamento stia andando
meravigliosamente bene che Crowley rimane muto e incapace di
controbattere.
«Suvvia, non ti
demoralizzare» scherza Aziraphale, battendo una pacca sulla porzione
della giacca di Crowley che la sua mano copre. «Sei sicuramente
fuori allenamento, dico bene? La prossima volta andrà meglio»
Sente il demone
irrigidirsi appena al contatto, ma le fessure verticali tornano a
guardare i suoi occhi blu. Gli rifà il verso con una smorfia
borbottando a mezza voce che tanto ha ragione lui, che Aziraphale non
ha la minima idea di tutte le cose sconce che faranno quei due
dopo quelle tenere effusioni in un pub: se l'avesse, continua, adesso
arrossirebbe fino alla punta dei capelli.
L'angelo lo lascia fare e
appena Crowley, per rinsaldare la morsa sull'ombrello, allontana il
braccio dal corpo Aziraphale vi infila di nuovo il suo: questo
definitivamente zittisce il demone che riprende a camminare in
silenzio con l'angelo al fianco.
«Aspetta, Crowley»
Aziraphale riesce
appena in tempo a fare un cenno al demone che è già entrato per
metà nella Bentley prima di sparire all'interno della libreria. Ne
esce poco dopo con qualcosa di nero tra le mani.
«I tuoi occhiali»
spiega quando gli porge l'oggetto. «Li hai lasciati qui, prima»
«Oh»
è tutto
quello che esce dalla bocca del demone mentre li guarda con sospetto;
fissa enigmatico l'angelo prima di riprenderli e indossarli.
Annuisce un ringraziamento e Aziraphale, anche se non è contento
di
vedere di nuovo quelle lenti, esibisce un sorriso di cortesia.
«Ci si vede,
angelo»
Aziraphale sente il
petto tremare alla sola idea che potrebbero non vedersi l'indomani,
ma non osa chiedere – non osa rischiare un no.
China il capo
in segno di saluto e osserva la Bentley sfrecciare sull'asfalto. Si
decide a rientrare solo quando l'automobile è ormai fuori dal
suo campo visivo: ora non piove più, non verrà assaltato
dai clienti, ma
non si sente comunque in vena di aprire la libreria.
Angolino di
Menade Danzante:
Volevo ringraziare
tutte le persone che hanno letto e/o recensito il primo capitolo, che
hanno inserito la storia in una lista e che sono state incuriosite
dall'inizio. Sono felicissima di questo e non posso che sperare di
continuare a destare la vostra curiosità!
Dal prossimo
capitolo i giorni saranno analizzati singolarmente: qui ho deciso di
non farlo perché mi è servito questo “Martedì” di calma piatta
per giocare con i punti più deboli del pov di Aziraphale, ma ho
voluto subito alleggerire il tono con il Mercoledì meno angst.
Un abbraccio
virtuale a tutti! :*
|
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Capitolo 3 *** 3. Giovedì ***
giovedì
3. Giovedì
L'angelo si è
dimenticato di aprire il negozio. Quella non è una novità: capita
spesso che faccia anche di tutto per dimenticare di aprire la
libreria, ma quel giovedì ha semplicemente continuato ad ascoltare
imperterrito Wagner dalle cinque fino alle dieci del mattino, ora in
cui il telefono squilla e lo spaventa a morte – quasi. Dall'altra
parte della linea Crowley lo prende in giro: è fuori dalla libreria
a fissare le tapparelle all'entrata ben tirate dopo aver passato un
buon quarto d'ora a fargli segni dalla finestra. Segni che,
evidentemente, il biondo non ha colto.
«Perdonami, caro»
lo saluta l'angelo appena sblocca la serratura del locale. «Non so
dove ho la testa, a volte»
Crowley aggrotta la
fronte individuando subito la fonte del suono che ora riproduce la
morte di Isotta1, poi ghigna: «Non sapevo ti piacesse
Wagner. È dei nostri pure lui, sai?»
Ad Aziraphale non
risulta difficile crederlo: se per i Piani Alti il capolavoro
intramontabile è Tutti insieme appassionatamente, può ben
immaginare che le uniche note di Wagner accettate di buon grado Lassù
siano quelle della Marcia Nuziale.
L'angelo si
avvicina al grammofono per farlo tacere mentre rileva con finta
casualità: «Oggi sei particolarmente mattiniero». Riceve solo una
smorfia in risposta, come a dire che il demone non ci abbia fatto
caso, ma Aziraphale è ugualmente contento: la preoccupazione che
l'aveva colto il giorno prima è sparita del tutto ora che vede
Crowley in mezzo ai suoi libri.
Il rosso si è già
sistemato al tavolo circolare meno ingombro della libreria e si è
sfilato gli occhiali. L'angelo lo osserva mentre li guarda sospettoso
e per un attimo ha paura che li rimetta sul naso, ma questo non
avviene: Crowley li abbandona definitivamente sulla copertina della
prima edizione de Le avventure di Peter Pan e incrocia lo
sguardo dell'altro sollevando un sopracciglio.
«Tè?» propone in
fretta Aziraphale, sperando che questo perdoni la sua invadenza e
giustifichi il sorriso che gli è spuntato sul viso. Il demone non fa
domande e annuisce.
Aziraphale ha
scoperto nel 1946 di non essere un autentico cultore della bevanda
ambrata: gli piace, infatti, affogarci dentro due zollette di
zucchero, ma sa di per certo che questa è pressoché un'eresia per i
veri appassionati – o almeno per Orwell2 – e anche per
gli indovini che predicono il futuro dai fondi del tè: per loro
diventa un guaio distinguere le foglie dai granellini di zucchero
sopravvissuti allo scioglimento. E crede proprio che abbiano ragione,
visto che sta sperimentando proprio adesso lo stesso problema
insormontabile: non è sicuro che la macchiolina chiara in alto a
destra sul cerchio della ceramica sia una foglia.
«Ti scongiuro,
Aziraphale: tutto, ma non la tasseomanzia» lo avverte
Crowley dall'altro lato del tavolo, drasticamente attento ai
movimenti dell'amico.
L'angelo alza di
soprassalto gli occhi dalla tazza e fa il vago, anche se non perde
l'occasione di rifilare al demone uno sguardo offeso.
«Come stanno le
piante?» chiede per cambiare discorso mentre poggia la tazza sul
piattino. Si rende subito conto di provare un reale interesse per le
bellissime coinquiline dell'appartamento di Crowley e gli occhi gli
si animano in fretta, il dubbio sullo zucchero già evaporato.
«Come sempre»
Aziraphale sorride.
«Mi piacerebbe tanto rivederle» confessa del tutto inconsciamente.
È il guizzo negli occhi di Crowley che gli dà un'idea di quello che
ha detto. «Oh, ma non voglio essere d'intralcio» precisa subito
dopo, tirandosi indietro contro lo schienale della sua sedia. Si
maledice per aver già finito il suo tè: non ha niente da fare per
salvarsi dall'imbarazzo e continuare a parlare non è mai il suo
forte se comincia a sentire un calore prepotente sulle guance. Ha
visto le piante solo in occasione dell'Apocalisse-che-non-è-stata, ma
c'era qualcosa di diverso quella notte: la libreria era bruciata,
loro erano sconvolti e c'era una profezia da decifrare. Non ha alcun
diritto di piazzarsi a casa di Crowley in un giovedì qualunque. Non
sa nemmeno perché l'abbia detto ad alta voce, onestamente, ma deve
tirarsi fuori dai pasticci prima che l'altro decida di battere la
ritirata e sparire: quello non potrebbe proprio sopportarlo, non di
nuovo.
«Perché no?»
dice Crowley e Aziraphale sgrana gli occhi. Il torace del rosso si
muove al ritmo del corposo respiro che il demone prende.
«Quando preferisci tu» aggiunge con una specie di indifferenza che
l'angelo non considera autentica.
Aziraphale vorrebbe
quasi fargli notare che è solo un giovedì casuale, che lui un posto
dove passare le giornate ce l'ha di nuovo e che, volendo, ha tutta
Londra – per non dire tutto l'Universo – a sua completa
disposizione. Ma poi anche nei suoi pensieri prende forma lo stesso
“Perché no?” che gli ha fornito il demone poco prima.
In fondo, che
male c'è?, si dice. Sorride.
«Oh, be', Se la metti in questi termini... Oggi?»
«Sono sempre così
rigogliose!» esclama Aziraphale guardando le piante radioso.
Crowley è
appoggiato allo stipite della porta aperta della sala e fissa il
biondo con qualcosa di particolare negli occhi. L'angelo sente il suo
sguardo su di sé, ma decide che le ampie foglie verdi meritano più
attenzione al momento.
«Come fai ad
ottenere questi risultati?» chiede mentre accarezza la superficie di
una pianta piccolina al centro del vaso. Improvvisamente qualcosa
cambia: le foglie tremano all'unisono per un breve ma intenso attimo.
Aziraphale si
raddrizza su, ritirando la mano. Aggrotta la fronte perplesso e si
volta verso il demone.
«Ho fatto qualcosa
di sbagliato?» domanda, pericolosamente preoccupato.
Il demone è
pietrificato e allo stesso tempo minaccioso. Guarda ovunque tranne
che verso Aziraphale mentre fa un cenno di diniego con la testa.
L'angelo non sa onestamente cosa pensare, ma forse ha solo immaginato
il tremore delle piante e potrebbe anche convincersene... solo che le
foglie riprendono subito a muoversi quando Crowley cambia posizione
contro la porta. Qualcosa non va.
«Non hai risposto,
caro» rileva Aziraphale, parlando con lentezza, facendo lavorare in
fretta il cervello per comprendere. «Come ottieni questi ottimi
risultati con le piante?»
«Acqua»
«E...?»
«Beh... parole».
Questo viene fuori come un'esalazione: Aziraphale segue il movimento
del petto di Crowley mentre si inarca per poi ruotare quando il
proprietario decide di rientrare nella sala.
Parole. «Sei
sicuro?»
«Abbastanza, sì»
Le piante sono ora
straordinariamente calme, rilassate: nemmeno la voce pacata di
Aziraphale ha avuto lo stesso effetto su di loro qualche secondo
prima, l'angelo ne è sicuro.
«In che senso
abbastanza?» indaga, entrando nella sala con le mani giunte
in grembo. Crowley è appoggiato al tavolo con le mani in tasca e le
iridi nascoste dal gioco di luce che filtra dalla persiana.
«Per l'amor di
Qualcuno, Aziraphale». Il demone si passa una mano sugli occhi e si
volta verso l'angelo. «Dico loro che devono crescere bene, che non
devono deludermi. Contento?»
Aziraphale non è
contento per niente, ma deve procedere un passo alla volta.
«Giusto» concede
prima di deglutire. «E questo glielo dici con amo-... calma
o... no?». Incassa le due occhiatacce del demone e d'un
tratto sa la risposta.
«Crowley!»
esclama, l'espressione contrita e il nome dell'amico che suona come
un rimprovero. Non è possibile. «Urli alle piante di crescere
rigogliose e belle?»
«Ehi, non è colpa
mia!» il demone scatta sulla difensiva, ma non abbandona la
postazione. «Sono stupide, non capiscono! Serve disciplina!»
«Serve amore!».
Aziraphale non può credere di dover spiegare queste cose. «E
cortesia e tenerezza e comprensione. Non paura!»
Crowley è
visibilmente schifato. «Sanno quello che è meglio per loro»
asserisce con voce acuta.
«Oh, Crowley».
Aziraphale ora è compassionevole e fa un passo avanti. «Tutti sanno
quello che è meglio per loro quando vengono minacciati, no?
Non significa che sia un trattamento giusto, non sei d'accordo?»
La faccia del
demone esprime tutto il suo dissenso, ma ha la decenza di non
ribattere. Questo fa sorridere l'angelo.
«Senti: ho
un'idea». Attende che Crowley gli dia un segnale, ma niente. «Ecco,
posso... Ti... Mi permetti di... ehm... provare un altro
metodo?»
La bocca del demone
si spalanca e le pupille si assottigliano. «Che vorresti dire?»
chiede incredulo e irritato, ma questo non scoraggia del tutto
l'angelo.
«Te lo farò
vedere» sorride Aziraphale, gli occhi grandi che cercano una
qualsiasi conferma di aver catturato l'attenzione dell'altro. «Se
non ti piacerà, potrai sempre revocare il permesso»
Questo pare
funzionare.
«Accomodati»
sospira il demone derisorio con un gesto della mano rivolto alla
sala.
Aziraphale sa che
quello vuol dire che Crowley è pronto a scommettere sul suo
fallimento, ma non trattiene nemmeno per un attimo l'euforia per
avergli estorto un sì. «Torno subito»
«Dove vai? Ehi,
angelo!», ma Aziraphale è già uscito di casa.
«Questa sarebbe
la tua brillante idea?». Crowley è allibito, Aziraphale lo vede
chiaramente nello sguardo incredulo dell'altro, ma finché lo lascia
fare è tutto a posto, ne è sicuro.
«Sì. Vedrai,
dammi una possibilità»
Il demone retrocede
e l'angelo lo vede distintamente trattenere il respiro. Non dice
niente e si fa meccanicamente da parte mentre Aziraphale fa apparire
una poltrona al centro della stanza delle piante rivolta verso la
sala. In mano stringe una copia di La dodicesima notte3,
la prima edizione de I tre moschettieri e un paio di
occhialini da lettura recuperati direttamente dalla libreria.
«Tu ci vedi
benissimo» nota Crowley indicandoli. «Perché li usi?»
Aziraphale pensa
che sia molto tenero da parte sua chiedere una cosa del genere. Per
l'amor del Cielo, Crowley dorme solo per il gusto di farlo e
chiede a lui il motivo dell'utilizzo degli occhiali da
lettura?! Ma capisce che non è il momento di giocare con il fuoco.
«Mi piacciono» dice semplicemente e questo chiude la discussione.
Si siede, indossa
gli occhiali e apre il volume di Shakespeare. «Puoi rimanere, se lo
desideri»
«Certo che posso
rimanere se lo desidero: è casa mia», ma il demone se ne va
e si stravacca sul suo trono in sala.
Aziraphale si
schiarisce la gola e comincia a leggere con espressività e avendo
cura di modificare la voce per sottolineare le differenze tra i
personaggi. Di tanto in tanto alza la testa dal libro per assicurarsi
che le piante siano attente e che siano protese verso di lui. Almeno
non tremano e tanto basta. Finge di non notare che il demone lo
guarda dall'altra stanza e non perde una parola della commedia, anche
se ogni volta che se ne rende conto la sua voce si incrina per un
attimo.
Normalmente leggere
un testo teatrale è un'operazione relativamente veloce per
Aziraphale, ma la sua interpretazione drammatica gli richiede quasi
tre ore per far giungere al termine le disavventure di Viola e
Sebastian.
«Piaciuto?»
chiede alle piante, guardandosi intorno per fronteggiare il mare
verde lucido che si è fatto sempre più vicino durante la lettura.
Osserva le foglie tornare piano piano al loro posto, probabilmente
consce della fine della pièce.
Aziraphale si alza,
poggia occhiali e libro sulla poltrona e si avvicina titubante al
muto demone che distoglie lo sguardo un secondo troppo tardi perché
la sua dimostrazione di disinteresse possa essere credibile.
«Vuoi fare
un'ispezione?» propone l'angelo, affabile. «Per vedere se ho fatto
danni. Se non ti piace il risultato, finisce qui l'esperimento, te lo
prometto»
Crowley annuisce
stancamente e lo raggiunge. Aziraphale gli trotterella dietro mentre
con occhio critico – davvero troppo critico – il demone osserva
le piante e ne soppesa le foglie – che ora fremono appena. L'angelo
spera di apparire sicuro di sé, ma in realtà si sente morire: da
una parte non vuole imporsi sui modi di fare del demone, dall'altra è
preoccupato per le piante e c'è una terza parte di sé, quella
orgogliosa e poco angelica, che vorrebbe tanto un riconoscimento per
quello che ha fatto con passione. Vorrebbe sentire un complimento da
parte del demone, anche solo un gesto, un cenno... È così agitato
che quando Crowley si ferma perché ha finito il giro non se ne
accorge e gli sbatte contro. Fa per chiedere scusa, ma è il demone
il primo a parlare.
«Niente danni»
È una voce sottile
sottile quella che Aziraphale ascolta, ma è certo di quello che ha
sentito.
«Oh» conviene,
non sapendo cosa aggiungere. Dovrebbe essere Crowley a dire qualcosa,
non lui, maledizione. «Bene»
Il demone annuisce
e tira su con il naso. «Mm. Bene». Storna lo sguardo, l'imbarazzo
che lo muove come un burattino. Ora anche l'angelo è completamente a
disagio. Spera quasi che le piante possano dire la loro sulla
faccenda, ma questo è troppo per dei vegetali.
È proprio quando
perde le speranze che Crowley voglia aggiungere altro che viene
sganciata la bomba.
«Puoi... Puoi
rifarlo» dice il demone e sembra costargli una fatica tremenda. «Se
ti va. Puoi rileggere loro qualcosa. Ogni tanto, non sempre»
Aziraphale impiega
qualche secondo per processare quello che ha appena sentito. Quando
finalmente lo fa sente tutta la tensione accumulata scivolare via e
lasciare il posto a qualcosa di diverso, qualcosa che probabilmente
ha provato con così tanta intensità solo ballando la gavotte: è
felice.
Dice qualcosa che
non sa nemmeno lui cosa sia e senza pensarci allaccia le braccia
dietro la schiena del demone e lo stringe in un caloroso abbraccio,
il viso che si nasconde nella camicia sbottonata di Crowley. Ha fatto
qualcosa di buono per il suo migliore amico e il demone è contento,
magari non quanto lui – sicuramente non quanto lui –, ma
sembra aver apprezzato e questo fa sentire Aziraphale leggero,
appassionato e immensamente temerario: nemmeno brandire la spada
fiammeggiante di fronte a Satana gli ha dato la stessa scarica di
energia lungo il corpo.
Si rende conto di
quello che ha appena fatto solo quando sente distintamente una mano
che gli tocca la spalla. È il modo di Crowley di rispondere
all'abbraccio, deduce, perché dal demone non arriva altro,
fortunatamente nemmeno un discreto tentativo di allontanarlo. Dura
poco, ma è così nuovo per loro che Aziraphale teme sia rimasto
premuto contro il corpo di Crowley per più tempo di quanto sia
effettivamente lecito. Quando si separano il demone lo guarda,
intenso, ma è pressoché indecifrabile.
«Non sempre»
precisa il rosso dopo un secondo di confusione, un dito delicatamente
appuntato sul petto di Aziraphale a mo' di avvertimento.
L'angelo sente il
tocco del demone nonostante gli strati di stoffa che gli ricoprono il
corpo e reprime il forte impulso di abbassare lo sguardo sull'indice
di Crowley: non se la sente di aggiungere altro imbarazzo alla
conversazione. Piuttosto, sceglie di annuire e di sorridere mentre
il demone scuote la testa rassegnato e ritira il polpastrello.
«Direi di
festeggiare! Andiamo a cena?» tenta Aziraphale ilare, lanciando uno
sguardo alle finestre per avere un'idea dell'ora.
«Non c'è niente
da festeggiare» borbotta Crowley, ma si avvia comunque all'uscita
ancheggiando. Aziraphale ride: è dietro di lui con il cappotto ripiegato
sul braccio e le piante non tremano in preda al panico da almeno
quattro ore.
Solo quando la
Bentley ferma la sua forsennata corsa davanti alla libreria a Soho
Aziraphale, oltre a ringraziare il fatto di essere ancora tutto
intero, si rende conto di aver lasciato i libri e gli occhiali a casa
di Crowley. Non ha nemmeno smaterializzato la poltrona al centro
della stanza, ma quando lo dice al demone, questi fa una smorfia per
sottolineare l'assurdità di porsi problemi di quel genere dopo
mezzanotte.
«Angelo, nessuno
ruberà I tre moschettieri o le commedie di Shakespeare, posso
assicurartelo» lo deride da dietro le lenti scure tornate al loro
posto per l'uscita. «Alla poltrona posso pensare io, no? Rilassati»
Aziraphale non è
sicuro che non esista anima viva desiderosa di rubare dei libri, ma
non è quella la sua preoccupazione: è estremamente colpito dal
fatto che a Crowley non sembri dare fastidio il fatto che qualcun
altro abbia lasciato le sue cose nel suo appartamento.
«Avrò modo di
riprendere tutto» butta lì, mostrando il più falso sorriso
noncurante di cui sia mai stato capace.
Crowley lo guarda e
c'è anche in lui qualcosa di affettato quando conferma: «Certo.
Quando vuoi». Aziraphale si prende qualche secondo per capire cosa
sia e alla fine arriva alla conclusione: il modo casuale di parlare.
Ma forse è vero che dopo mezzanotte l'angelo comincia a interpretare
fantasiosamente quello che esperisce.
«Sogni d'oro,
caro» augura, tornando su un terreno meno sdrucciolevole delle sue assurde ipotesi.
Crowley aggrotta la
fronte e toglie le mani dal volante con un gesto esasperato. «Che
razza di saluto è da parte tua? Tu nemmeno dormi!»
«Beh, tu sì...
Oh, andiamo, è cortese dirlo!»
La faccia del
demone esprime tutti i suoi gusti divergenti in fatto di cortesia. «A
domani, angelo»
Aziraphale scende
dalla macchina con il sorriso che gli illumina il volto.
Note:
[1]: Aziraphale sta
ascoltando “Tristan und Isolde” di Richard Wagner.
[2]: Il 12 gennaio
1946 George Orwell pubblica un articolo sul quotidiano Evening
Standard in cui propone le undici regole per fare un tè
perfetto. L'ultima di queste è proprio quella di bere il tè amaro,
come la birra, perché lo zucchero ne distrugge il sapore.
[3]: Ho scelto
questa commedia di Shakespeare tra le tante perché si ipotizza sia
stata messa in scena per la prima volta il 6 gennaio 1601, che è
l'anno in cui è stata ambientata la sequenza al Globe Theatre della
serie. Crowley dice di preferire i lavori più divertenti di
Shakespeare, perciò è credibile che abbia visto questa nello stesso
anno di uscita di “Amleto”.
Angolino di Menade Danzante:
Anche stavolta ci tengo a ringraziare tutti coloro che stanno leggendo la storia! Siete preziosissimi e gentilissimi! :*
Spero tantissimo che anche questo aggiornamento non vi abbia deluso!
Alla prossima!
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Capitolo 4 *** 4. Venerdì ***
venerdì
4. Venerdì
Il venerdì inizia
sorprendentemente bene. Aziraphale ha dovuto aprire la libreria di
buon mattino senza fare troppe storie sull'eventuale afflusso di
clienti perché sta aspettando da due settimane un venditore che
sostiene di avere copie preziose e introvabili del secondo libro
della Poetica di Aristotele1. Con tutta la storia
dell'Apocalisse l'angelo aveva pensato di dover rinunciare a quella
verifica, ma alla fine si era risolto tutto per il meglio e di lì a
poco avrebbe avuto la possibilità di sondare la mercanzia con le
proprie mani. Crowley, che è arrivato presto e si è piazzato allo
scrittoio senza l'aria di volersene andare a breve, gli ha fatto
notare che tutto ciò è impossibile e Aziraphale lo sa meglio di lui, ma è
curioso di vedere cosa abbia inventato questo truffatore.
Le fantomatiche
copie si rivelano, dopotutto, il buco nell'acqua che entrambi avevano
previsto. Il testo è così male assemblato che solo un bambino privo
delle più basilari nozioni di biblioteconomia potrebbe dare per
buona l'ipotesi che siano manoscritti medievali ricopiati da chissà
quale amanuense. A poco serve lo sproloquiare del tizio in giacca e
cravatta sulla veridicità di quella scoperta: Aziraphale non ha più
nemmeno intenzione di leggere quello che sapeva dall'inizio essere
uno scempio, tanta è l'arroganza con cui viene presentato. È così
arrabbiato con la supponenza del venditore riguardo alle teorie
aristoteliche che vorrebbe quasi fargli notare che lui Aristotele
l'ha conosciuto, solo che per adempiere a una missione di quel
cattivone di Gabriel non è riuscito a entrare in possesso del
libro.
È l'intervento di
Crowley che li salva dalla seccatura: basta nominare una denuncia per
frode e furto di identità che il malcapitato se ne va. Aziraphale
non sa dire se funzioni proprio così il diritto britannico, ma certo
non discute con il beneficio di non avere più quel ciarlatano tra i
piedi.
Crowley ride in
prossimità di una colonna e mormora un più che divertito: «Te
l'avevo detto, ma tu hai voluto insistere»
Aziraphale è
piccato, ma è costretto ad ammettere che se avesse ascoltato il
demone avrebbe evitato un'ora di discussione inconcludente.
«Sai, potresti
duplicare i libri per venderli». Crowley tira fuori l'idea
all'improvviso, senza alcun nesso con Aristotele e cogliendo
Aziraphale completamente alla sprovvista.
«Prego?»
«Tu non vendi i
libri perché li vuoi tenere. Però puoi sempre miracolarne un altro
identico e venderlo: a te rimane una copia – quella originale – e
il cliente ne ha un'altra. Facile, no? Tieni alte le apparenze»
L'angelo socchiude
gli occhi per qualche attimo, sconvolto: Crowley non ha tutti i
torti. Anzi, non ne ha proprio nessuno, ma per sicurezza scava ancora
un momento nella sua testa per cercare eventuali obiezioni. Più che
altro, cerca un motivo, uno solo, per non averci pensato
prima, ma quello, come le obiezioni, non arriva.
«Sì. Sì,
suppongo che potrei farlo». Il suo viso è illuminato di gioia ed è
così contento che il demone abbia pensato a questo che potrebbe
abbracciarlo come ha fatto il giorno prima, ma qui avverte la
complessità della situazione: dovrebbe attraversare la stanza, tanto
per cominciare, e sperare in un qualche riflesso condizionato da
parte dell'altro, ma non è pronto ad affrontare la possibile
delusione che seguirà inevitabilmente al non trovare niente del
genere tra le braccia di Crowley. Si limita dunque a lanciargli uno
sguardo pieno di gratitudine e tenerezza, sguardo di fronte al quale
il demone scopre gli incisivi in un gesto di derisione.
Il campanello sulla
porta tintinna e Aziraphale è pronto a mettere in pratica il nuovo
consiglio del rosso, ma quando inquadra il cliente deve fare di tutto
per non scoppiare a ridere: è l'uomo che Crowley ha tentato due
giorni prima e, da come il demone reagisce nel vederlo, ne ha la
piena conferma. I due si scambiano un'occhiata silenziosa e vagamente
infuriata da parte di Crowley, ma nessuno osa commentare.
L'uomo non impiega
troppo tempo ad individuare Aziraphale, a cui riconosce il ruolo di
proprietario del posto con un cenno cordiale del capo, ma quando vede
Crowley tutto cambia.
«Lei!» esclama,
al settimo cielo. L'angelo seppellisce la faccia in un tomo
qualunque: è di vitale importanza che non rida. «Oh, lei è un
angelo!»
Crowley è livido.
«No, piuttosto il contrario» bercia, le braccia incrociate al
petto.
L'uomo agita una
mano come a scacciare una mosca e continua a guardarlo adorante. «Ha
funzionato, sa?»
Il rosso è basito.
Gli occhiali sono scivolati lungo il naso, ma non si cura di
rimetterli a posto. «Cosa?» sibila.
«Il consiglio: ha
funzionato. È presto, me ne rendo conto, ma sento che sta andando
bene. È solo merito suo. Sa, quello è un vecchio collega che
purtroppo è stato licenziato. Non ho mai avuto il coraggio di
buttarmi, finché non ho deciso di seguire la sua bizzarra idea.
Stiamo uscendo insieme!»
Aziraphale capisce
in fretta che Crowley non ha intenzione di parlare per dire alcunché,
perciò interviene con grazia nella conversazione.
«Oh sì, il mio
amico è molto bravo in questo» assicura, lo sguardo del demone che
diventa omicida al di sopra delle lenti mano a mano che le parole
acquistano un senso. «Un profondo conoscitore dei sentimenti umani»
«Aziraphale»
sibila quasi impercettibilmente Crowley.
«Non
vergognartene!» lo rimbrotta l'angelo, godendosi la sfumatura rosata
che ha imporporato le guance del demone. «Quello che fai è di
grande aiuto per gli altri». Poi, rivolto al cliente, sente il
dovere di aggiungere: «È un romanticone!»
L'uomo se ne va
poco dopo e la reazione di Crowley non tarda. È in momenti come
quelli che Aziraphale ricorda che ha l'anima del serpente in sé:
vede il demone lanciare gli occhiali lontano, alzarsi di
scatto e puntare verso di lui ed è come se attaccasse con movimenti
sinuosi e affilati, letali e ineluttabili. Ma Aziraphale non
indietreggia di un centimetro, per niente impressionato, e si ritrova
le mani di Crowley avvinghiate intorno al suo colletto, il viso
troppo vicino.
«Io non sono
romantico» gli sibila direttamente sul naso, ancora rosso in volto.
«Io sono un demone, tento le persone per lavoro e se ridici un'altra
volta una stronzata come questa a qualcuno, io-»
Aziraphale fissa
gli occhi gialli dell'altro in attesa che la minaccia venga
formulata. Spera che questo avvenga il prima possibile, perché la
presa del demone è forte ma la sua camicia no: vorrebbe riavere
indietro i suoi abiti interi e non tutti spiegazzati ogni santa volta
che fa un complimento all'amico, per l'amor del Cielo. Ma il demone
sembra in difficoltà: dalle sue labbra non viene fuori nient'altro
che un grugnito di frustrazione.
Aziraphale si sente
particolarmente fortunato da tentare addirittura di incalzarlo:
«Tu...?»
Niente. Crowley non
aggiunge altro e rilassa appena i muscoli facciali.
«Capisco. Chiaro»
lo sbeffeggia l'angelo con un sorriso prima di posizionare le sue
mani su quelle di Crowley per liberare il colletto della camicia.
«Maledetto
angelo» blatera il demone tra i denti prima di tornare ad una
distanza consona senza riuscire a guardare l'altro negli occhi.
Questo colpisce Aziraphale. È abituato a vedere Crowley irritato, ha
anche familiarità con il suo modo di esternare la rabbia tanto da
non averne paura, ma non è avvezzo a non sentire le sue minacce per
intero, a meno che qualcuno non lo interrompa. Qualcosa non va,
Aziraphale lo avverte, ma è una sensazione che gli sfugge. Prova a
catalogarla mentre si sistema gli abiti sgualciti dalle dita
affusolate di Crowley, ma non ci riesce. Potrebbe anche sbagliarsi,
ma sa che chiedere se sia tutto a posto non porterebbe a niente: il
demone non è il tipo da confessarsi così, questo in seimila anni
l'ha capito bene.
L'angelo si tiene
impegnato per qualche minuto, gironzolando per la libreria come
sempre e lanciando fugaci occhiate al demone. Sembra quasi normale,
ma Aziraphale può vedere le spalle più rigide del solito e la bocca
tesa in una linea sottile.
Il biondo è quasi
certo di non essere la fonte del problema, ma mentre scrive su un cartoncino –
finalmente – le righe di ringraziamento che si era riproposto di inviare ad Adam
non è poi così sicuro di niente. Finisce di compilare il
bigliettino, lo imbusta e schiocca le dita, spedendolo a Tadfield
senza la seccatura dei corrieri.
«Crowley?»
apostrofa, incerto. Quando il demone alza finalmente gli occhi su di
lui, Aziraphale si concede un sospiro di sollievo: non lanciano lampi
d'ira. Tutto bene?, vorrebbe chiedere ad alta voce, ma le
parole gli muoiono in gola. No, Crowley non risponderebbe mai, è
inutile porre la domanda.
L'angelo si umetta
le labbra, piuttosto, e afferra il cappotto, deciso a scacciare la
tensione alle loro spalle.
«È ora di pranzo
e ho un certo languorino. Mi fai compagnia?»
Le sopracciglia del
demone si alzano, ma Crowley non fa storie, anzi annuisce: si rimette
in piedi e con una sventolata di mano recupera le lenti scure, pronto
per uscire.
Di ritorno dal
pranzo che ha cancellato tutte le ombre della mattinata l'angelo non
protesta quando Crowley non svolta per lasciarlo alla libreria, ma
continua verso Mayfair. Si chiede solo se lo stia facendo per
l'abitudine di passare del tempo insieme, non importa dove, o perché
non voglia tenere le sue cose nell'appartamento e lo stia riportando
lì per recuperarle. Il dubbio gli impedisce di rilassarsi contro il
sedile e in qualche modo Crowley lo percepisce.
«Posso tornare
indietro, se vuoi» gli fa notare, piano, concentrato sulla strada
mentre la Bentley sfreccia a una velocità sempre improbabile per il
centro di Londra.
«No, va benissimo»
rassicura Aziraphale. «Così posso anche togliere il disturbo di
ieri». È meglio che sia lui a intavolare l'argomento, si dice, così
Crowley non potrà accusarlo del tutto di essere uno sfacciato
profittatore della pazienza altrui.
Si scambiano un
lungo sguardo ed è un bene che la Bentley abbia volontà propria, in
un certo senso, e riesca a destreggiarsi nel traffico senza farli
morire e senza uccidere i pedoni.
«Nessun disturbo»
dice infine Crowley, tornando a guardare la strada.
«Oh»
Quando entrano
nell'appartamento il demone si toglie gli occhiali e Aziraphale
lancia prontamente uno sguardo alle piante: sono splendide come
sempre. Il suo esperimento del giorno prima non ha causato alcun
danno nemmeno dopo ventiquattro ore. Questo è positivo.
La poltrona è
ancora lì, al centro della stanza. Crowley avrebbe potuto farla
sparire, ma non l'ha fatto. È un sintomo di pigrizia o davvero vuole
farlo continuare con le letture? L'angelo prova a infondere la
domanda nel suo sguardo e Crowley rotea gli occhi al cielo prima di
annuire. Il buonsenso dice ad Aziraphale che dovrebbe accertarsi del
significato di quel gesto: gli esseri umani hanno modi ambigui di
comunicare, di parlare con il corpo, e non sono rari i
fraintendimenti. Però gli piace il sì come risposta a quella sua
particolare domanda e dunque decreta il successo della conversazione
con un sorriso largo e sincero.
Bevono un bicchiere
di vino in silenzio, appoggiati al tavolo, mentre Aziraphale guarda
la sala con attenzione.
«Questo è...
autentico?» chiede di punto in bianco, puntando il calice
verso la Gioconda.
Crowley sorride in
modo provocante e si avvicina guardingo, come sul punto di rivelare
un segreto. «Direttamente dalle mani del genio, angelo» dice, il
tono basso colorato di orgoglio.
Aziraphale ha gli
occhi sgranati per quella conferma e, in parte, per l'invidia:
dov'era lui quando Leonardo regalava a Crowley uno dei suoi disegni
preparatori?!
«C'è una
cassaforte dietro» precisa Crowley e al biondo pare che l'euforia
sia sparita completamente dalle sue parole.
«Perché mai
avresti bisogno di una cassaforte?»
Il demone lo guarda
con intensità. «Per l'acqua santa»
L'angelo rileva che
non c'è malizia nella voce del rosso, nemmeno rancore, né delusione
o disprezzo. Poggia il bicchiere sul piano del tavolo senza staccare
gli occhi da quelli di Crowley e sente di avere la gola secca.
Realizza che l'assenza di tutte quelle emozioni nel demone lo turba
più di quanto avrebbe fatto la loro presenza. Aziraphale vorrebbe
vederlo arrabbiato, furibondo, vorrebbe sentirlo urlare perché forse
così sarebbe più facile per lui gestire il dispiacere e affrontare
il disperato egoismo che non gli ha fatto vedere le vere intenzioni
del demone in tempo, prima della rottura. Ma Crowley sembra
stranamente pacifico e apatico. Questo, contro ogni previsione, fa
male all'angelo: il demone si è rassegnato alla sua ottusità,
evidentemente, e non considera più quel rifiuto ricevuto nel 1862
come uno degli atti più vergognosi che il biondo abbia mai compiuto
in vita sua, soprattutto nei confronti del suo migliore amico.
Aziraphale non può
fare a meno di sospirare.
«Mi dispiace tanto di
non aver capito»
«No, no, angelo,
lascia stare» comincia Crowley, muovendo velocemente la mano in un
gesto di noncuranza, ma Aziraphale non è dello stesso parere:
improvvisamente non vuole vivere altri giorni senza aver chiarito
agli occhi di Crowley le sue colpe e i suoi malintesi. Hanno evitato
l'argomento la notte dell'Apocalisse per l'urgenza di salvarsi la
vita, si sono ripromessi che ne avrebbero parlato, un giorno, ma
l'angelo non è sicuro che ci sarà mai un momento in cui entrambi si
sentiranno abbastanza pronti da porre a tema la questione. Anzi, ne è
completamente sicuro, ma quello non cambia i fatti: sente che prima o
poi dovranno fare i conti con il litigio di più di centocinquanta
anni prima. Tanto vale farlo adesso.
Aziraphale ferma la
mano del demone tra le sue in una muta preghiera di farlo continuare.
Il rosso ha un fremito, ma alla fine non si ritira né smette di
fissarlo, la mascella contratta. L'angelo si chiede per un attimo se
il demone non si sia pentito di aver intavolato la discussione con
tutta quella disinvoltura, ma decide di accantonare quel problema:
ora non è più importante.
«Io... Io ho
pensato che fosse per te, per toglierti la vita se fossimo stati
scoperti» confessa l'angelo. «Non volevo esserne responsabile,
Crowley»
Il demone sbuffa un
grugnito e deglutisce. Conoscendolo, l'angelo crede di sapere cosa
stia passando per la mente dell'altro: probabilmente ora vorrebbe
vomitargli addosso quel rancore di cui Aziraphale ha sentito la
mancanza poco prima. Sarebbe pronto a capire una reazione del genere:
l'angelo non gli ha dimostrato fiducia, non ha capito quanto la
vita sia cara al demone e che mai egli avrebbe potuto davvero
prendere in considerazione l'idea di porvi fine autonomamente.
Si aspetta di
essere insultato, ma quando finalmente Crowley parla non esce fuori
nessuna ingiuria: solo una voce piatta che, Aziraphale lo sa, gli
costa uno sforzo immane per rimanere tale.
«Ma qualcosa è
cambiato» dice il demone, le pupille sottili. L'angelo annuisce
piano, debole. «Cosa?»
«Le variabili».
La risposta giunge veloce perché Aziraphale ci ha pensato così
tanto nel 1967 che sa perfettamente cosa l'abbia spinto a fare quella
follia. «Avevi messo su un furto nel mio quartiere, l'ho saputo e ho
capito che eri in potenziale pericolo. Ti fidi a tal punto degli
umani? Be', io no, non tanto da far loro maneggiare intorno a me
qualcosa che cancellerebbe la mia stessa essenza». Il demone non
interrompe il contatto visivo, lo ascolta con molta attenzione.
«Quando sai che accadrà qualcosa e non fai niente per impedirlo,
sei responsabile anche tu in un certo senso, no?». Aziraphale si
costringe a fare un mezzo sorriso mentre abbassa lo sguardo e lascia
una carezza sul dorso della mano di Crowley: sente che il respiro gli
trema e deve riprendere momentaneamente il controllo del suo
involucro umano senza che il giallo brillante delle iridi del demone
indaghi le sue reazioni. Inspira a pieni polmoni prima di continuare,
la testa ancora bassa: «Tra la responsabilità di non essere
intervenuto in tempo per salvarti e la responsabilità di procurarti
l'arma letale senza farti correre rischi superflui ho scelto questa.
E ho scelto di fidarmi perché... perché non mi avresti mai chiesto
di ucciderti... Non l'avresti chiesto a me, no?». Quando
rialza gli occhi questi sono lucidi e arrossati, ma Aziraphale non
vuole piangere: sorride un po' di più. «Ho fatto la scelta giusta,
a quanto pare»
Crowley sorride per
la prima volta da quando il biondo ha iniziato a parlare. «Ti rendi
conto che avresti potuto semplicemente chiedermelo meglio, eh?»
sottolinea, a metà tra la derisione e lo sbigottimento più totale.
Aziraphale
annuisce. «Non ero sicuro di voler sapere la risposta, però»
Il demone scuote la
testa, sconcertato, le labbra piegate in un ghigno.
«Certo, caro, se tu ti
fossi spiegato bene...» puntualizza l'angelo poco dopo a mezza
voce.
«Ah! Questa, poi:
adesso è colpa mia?!». Crowley sobbalza indignato e Aziraphale
sente la mano che stringe tra le sue fare pressione per uscire dalla
morsa nella necessità impellente di gesticolare il disappunto del
suo proprietario, ma l'angelo non molla la presa.
«La colpa è...
condivisa» corregge il tiro, pacificatore. Il petto del demone si
inarca mentre pondera la questione con la fronte corrugata dal
risentimento.
«Mm» è tutto
quello che dice, ma il suo viso si addolcisce e, finalmente,
restituisce la stretta di mano. L'angelo non ha idea di cosa
significhi, ma preferisce non indagare e limitarsi a ricevere il
contatto con rinnovata gioia. Sente che un grosso peso è appena
scivolato via dalle sue spalle, un peso che si era concesso il lusso
di dimenticare e che ora non c'è più. Aziraphale non è mai stato
così felice di avvertire un vuoto dentro di sé e non è mai stato
così contento di vedere il sollievo negli occhi del demone.
«Adesso è vuota,
dunque» nota dopo qualche attimo di silenzio per rasserenare
l'atmosfera. «La cassaforte»
«Sì, ma se vuoi
darmi un altro thermos...»
«Crowley!»
esclama l'angelo, mollando la mano del demone per esprimere tutta la
sua indignazione per quella richiesta inappropriata, ma il rosso non
fa altro che ridere sardonico, come se quello fosse un argomento su
cui scherzare così alla leggera. Aziraphale, però, decide
saggiamente di non farglielo notare. «E comunque sentiamo: qual è
il numero di sicurezza della cassaforte di un demone?
Seicentosessantasei?!»
Crowley emette un
verso gutturale prima di replicare: «Sul serio? Mi stai chiedendo la
combinazione che la apre? Se te la dico non sarà più sicura»
«Saprai chi sarà
venuto a derubarti, però» ragiona l'angelo riprendendo il calice di
vino e sollevandolo a mezz'aria con un sorriso compiaciuto per aver
tirato fuori un'argomentazione straordinariamente inattaccabile. Fa
roteare il liquido cremisi perdendosi nell'ipnotico vortice per un
attimo, per poi tornare a guardare Crowley.
«È davvero
seicentosessantasei?» tenta di nuovo.
«Ma che-! No!»
sbotta il demone. «Troppo banale... Senza stile»
Aziraphale è
costretto a concordare con un cenno affermativo del capo. Crowley
distoglie lo sguardo e infila le mani in tasca, ma l'angelo non
smette di fissarlo. Quando il demone incrocia di nuovo i suoi occhi
reclina la testa disperato.
Si
arrende con un sospiro. «Quattro, zero, zero, quattro2.
Sei soddisfatto, adesso?»
Aziraphale si porta
il bicchiere alla bocca ma non beve: resta immobile con un dubbio
martellante nella testa.
Possibile?
Non lo sa con certezza, ma spera tanto di sì. Decide che per
ora non vuole sapere il perché di tutta quell'aspettativa.
Finge di non aver
colto nessun tipo di riferimento e aggrotta la fronte. «Non troppo
demoniaco per i miei gusti. Cos'è?»
Il demone lo guarda
sbieco. «Sei veramente un piccolo bastardo. Lo sai»
«Giuro di no»
Crowley lo squadra ghignante, ammaliato. «Attento a quello che giuri, angelo: Qualcuno
potrebbe arrabbiarsi Lassù»
Peggio di così,
pensa Aziraphale, ma non se lo lascia sfuggire. Così come non si
lascia sfuggire l'entusiasmo: prima vuole sentirglielo dire.
«Incredibile»
commenta Crowley, le mani che affondano nelle tasche con più foga di
prima, ma c'è un tenue sorriso a increspargli le labbra che scalda
il petto dell'angelo: sta per cedere.
«È l'anno in cui
mi sono-» il demone fa una piccola pausa, dà un'occhiata al biondo
e riformula, «- ci siamo trasferiti permanentemente sulla
Terra»
Romantico.
Solo adesso
Aziraphale affoga il sorriso trionfante nel vino.
«Puoi restare»
gli ha detto Crowley con tutta la noncuranza di cui è stato
capace. «Per la notte, intendo. È tardi. Ma se vuoi ti riporto
in libreria. Fa' come vuoi, a me non cambia niente»
Di tanto in tanto
quella frase si insinua nei pensieri di Aziraphale quando legge di
Milady3 alle piante. Fortunatamente può vantare secoli di
allenamento nella lettura perché quella distrazione non gli
impedisca di continuare a parlare alle foglie verdi e attente con la
stessa fluidità di sempre. Il demone è dall'altra parte della sala,
oltre la porta, ad ascoltare le disavventure dei moschettieri.
«È buffo che tu lo chieda adesso,
caro. Stavo pensando che potrei... se per te non è troppo presto...
leggere di nuovo qualcosa a quelle meraviglie di là»
«Oh no, non di nuovo. Andiamo!»
Ma alla fine gli ha
dato il suo permesso e Aziraphale si è sistemato gli occhiali sul
naso, ha preso posto in poltrona e ha iniziato la lettura. Ha detto a
Crowley di farlo smettere in qualsiasi momento: non vuole recare
disturbo al padrone di casa o uno shock alle piante, ma è la luce
naturale che filtra dalle finestre a ricordare ad Aziraphale di
fermarsi.
Lancia un'occhiata
a Crowley e scopre che non è più seduto sul trono, ma si trova
sulla soglia della sala con un vaporizzatore in mano.
«Da quanto sei lì?
Avrei potuto evocare una sedia per te. Beh, avresti potuto anche
tu...»
«Sto bene»
assicura il demone con una smorfia.
«Vuoi controllare
le piante?»
Crowley annuisce
brevemente. «Devo innaffiarle»
Aziraphale sorride
e si toglie di mezzo. Alla sua proposta di far sparire la poltrona
per agevolare l'operazione il demone è categorico: sciocchezze, può
restare dov'è.
L'angelo lo osserva
mentre con perizia si prende cura delle foglie, controllandole
meticolosamente ed emettendo sibili sinistri di tanto in tanto. Le
piante non si scompongono troppo, anche se quando il demone soffia il suo rimprovero fremono brevemente.
La scena è così
rilassata agli occhi di Aziraphale che per contrasto gli torna in
mente l'assurda minaccia incompleta che il demone gli ha fornito
appena il giorno prima. Si chiede come sia stato possibile vedere
Crowley così a disagio nella sua libreria, ma ancora una volta non
se la sente di porre la domanda ad alta voce e rovinare il momento.
In più splende il sole al di là delle finestre: sarebbe un peccato
sprecare una giornata così promettente con un probabile litigio e
Aziraphale non può permetterselo. Sarebbe molto meglio impiegarla in altro
modo, si dice, e mentre il pensiero prende forma nella sua mente gli
spunta un sorriso sulle labbra.
«Che c'è?» chiede
Crowley, inquisitorio, il vaporizzatore per piante puntato contro
Aziraphale come un'arma. Se possibile, il sorriso dell'angelo si fa
più largo.
«Facciamo un
picnic?»
Note:
[1]: Il secondo
libro della Poetica di Aristotele è un mistero per la
critica: si è ipotizzato che fosse sulla commedia in opposizione al
primo, che invece affronta la tragedia, ma attualmente è messa in
dubbio la sua stessa esistenza.
[2]: È la
combinazione che viene usata nel libro. Nella serie non credo che
venga mai specificato apertamente, ma dato il motivo del libro non ho
pensato nemmeno per un attimo di scegliere un'altra combinazione.
[3]: Milady è un
personaggio de I tre moschettieri.
Angolino
di Menade Danzante:
Ancora
mille grazie a tutti coloro che stanno seguendo gli sviluppi della
storia! Spero tanto che anche questo capitolo sia stato di vostro
gradimento.
Alla
prossima con il picnic e non solo! ;)
Baci baci!
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Capitolo 5 *** 5. Sabato ***
sabato
5. Sabato
Non sono stati gli
unici ad aver avuto la brillante idea, ma St. James's Park è
abbastanza grande per tutti. Più o meno. Niente che un miracolo non
risolva, in ogni caso.
«Li hai fatti
andare via, Crowley?» chiede Aziraphale indignato nel vedere una
coppia di mezza età allontanarsi in fretta verso un quadrato di
prato qualche metro più in là all'ombra di un albero.
«Ho offerto loro
una possibilità migliore, angelo» spiega il demone. «Vedi? C'è un
bambino che piange perché si è fatto male. Signore e signora
possono consolarlo, no? Possono fare del bene. Dovresti essere felice
per tutti loro»
«Certo. Perché il
tuo era un gesto altruistico, dico bene? Non cercavi proprio il loro
posto assolato, giusto?»
«Giusto»
Aziraphale
considera le opzioni: a tutti gli effetti la coppia sta risollevando
l'animo del bambino dalle ginocchia sbucciate con una barretta di
cioccolata. In fin dei conti, Crowley non ha cacciato nessuno dal
parco: ha solo ridistribuito la terra. Gli lancia un'occhiataccia per
principio e si siede sul plaid colorato trovato nel retrobottega
della libreria quella mattina stessa.
Comincia ad
apparecchiare l'insolita tavola mentre il demone si stende al sole
togliendosi gli occhiali. La sua intera figura è rilassata mentre
accoglie il calore della giornata e l'angelo non ricorda altri
momenti in cui l'ha visto così pacifico e beato: quello che vede gli
dà la conferma di aver fatto bene a proporre quell'uscita che si
erano ripromessi da... beh, dagli anni Sessanta. Pensa che dovrebbero
farlo più spesso.
Crowley sposta
leggermente il viso di lato, verso l'angelo, e mugugna qualcosa che
probabilmente è solo un verso di piacere senza senso.
«Serpente» lo
rimbecca Aziraphale.
Gli angoli della
bocca del rosso si sollevano verso l'alto e gli occhi scattano a
guardarlo. «Vecchie abitudini, angelo»
Aziraphale sorride
e spinge verso di lui un piattino di frutta e sandwich insieme ad un
caffè miracolosamente fumante. Per sé sceglie di svitare il thermos
con il tè verde e si impossessa di un tramezzino ben imbottito di
formaggio e funghi.
«Pensi che
durerà?» chiede d'improvviso Crowley.
«La bella
giornata? Spero di sì. Si sta così bene»
Crowley si issa sul
gomito, prende una fragola e se la mangia. «Pensavo più a...» fa
un gesto con la mano che comprende loro, il cestino, il plaid...
Aziraphale termina
di masticare il boccone, perplesso. «Noi?» prova, cercando di
nascondere il tremore della voce.
Il demone sgrana
gli occhi, ma non nega. «Pensi che la tregua durerà molto?»
L'angelo lo guarda
serio: non è passata nemmeno una settimana da quando è stato lui a
chiederlo al demone, ma l'argomento è già tornato ad offuscare il
loro tempo insieme.
Crowley non è
spaventato, Aziraphale se ne rendo conto: è solo lievemente
preoccupato. Se l'angelo scava dentro di sé, è sicuro di trovare lo
stesso sentimento di velata inquietudine. Se ripensa agli ultimi
giorni, Aziraphale ha difficoltà a immaginare che qualcuno possa
volere di nuovo tutto il caos che ha preceduto l'Apocalisse. È
disoccupato solo da lunedì, ma sente di essersi già abituato molto
bene a quella nuova routine che non prevede le missioni per conto di
Gabriel e i rischi dell'Accordo con Crowley. C'è il demone, poi, con
lui e l'angelo si è abituato anche a questo: si è abituato ad
averlo intorno più spesso, più vicino, più partecipe. Doveva
rischiare di perdere tutto quello che ha sempre avuto per comprendere
quanto fosse importante quell'amicizia per lui, e ora che l'ha capito
sa con certezza che non vuole che tutto questo gli venga tolto.
Il suo viso deve
esprimere tutto questo perché il demone fa una smorfia prima di
dire: «Lascia stare, dimentica quello che ho detto»
Aziraphale si
riscuote, fornendo un piccolo sorriso all'altro. «Non posso sapere
la risposta, caro, ma spero tanto che non si riorganizzino più»
Il demone annuisce
prima di afferrare la tazzina che l'angelo gli aveva porto.
«Come mai me lo
hai chiesto?» chiede Aziraphale, tornando alla conversazione.
«Ci hanno
catturati qui. Sapevano dove trovarci, siamo prevedibili». Crowley
mangia un chicco d'uva e torna a sdraiarsi. «Mi è solo tornato in
mente, angelo. Tutto qui»
Aziraphale pondera
la questione per un attimo. «Ci avrebbero trovati comunque: era il
loro obiettivo, dopotutto»
Crowley annuisce.
«Hai ragione». Il tono è dimesso, il viso neutro. Ad Aziraphale
sembra di aver già visto quello sguardo undici anni prima, in
libreria. Allora il demone era quasi disperato: solo l'appoggio
dell'angelo al piano anti-Armageddon lo aveva fatto sorridere di
nuovo, vittorioso. Ora, però, Aziraphale non ha nessuna promessa da
offrire.
L'angelo sospira,
mettendo da parte il piattino. Si toglie il cappotto e lo piega con
estrema cura per poi posizionarlo accanto alla testa di Crowley, il
quale non perde di vista nemmeno per un attimo la preparazione di
quello che sembra un cuscino a tutti gli effetti. Aziraphale lo
raggiunge a terra e pigia la testa sul cappotto con un'occhiata
apprensiva: sa benissimo che se ne pentirà e che il suo soprabito
sarà spiegazzato come non mai, ma decide che potrà miracolare via i
segni più tardi.
«Ecco fatto»
commenta, la fronte corrugata mentre cerca di stendere le membra il
più comodamente possibile, sollevando il bacino per tirare il
panciotto in modo che non gli dia fastidio sulla schiena. Quando
realizza di essersi mosso abbastanza senza migliorare i risultati,
capisce che preferisce di gran lunga essere in piedi o seduto. Ma
tant'è.
Si volta per
incrociare lo sguardo del demone, ancora fisso su di lui, curioso ed
esterrefatto.
«Be', saremo
insieme, in ogni caso. Dalla nostra parte» dice Aziraphale, cercando
di suonare incoraggiante. Quello è un dato di fatto, per l'angelo:
saranno insieme ad affrontarli, non importa quando, non importa come.
Sa bene di cosa siano capaci Inferno e Paradiso, ma loro li hanno già
sconfitti una volta contro ogni previsione: potranno farlo di nuovo
se saranno ancora uniti. «È positivo, non credi?»
I lineamenti di
Crowley si addolciscono e gli offrono un sorriso sghembo.
L'angelo sente che
timidamente le dita di Crowley sfiorano le sue sulla coperta. Si
irrigidisce per un attimo, sorpreso, credendo che sia un errore o uno
spasmo dei loro corpi mortali, ma poi solleva la mano lentamente fino
a farla intersecare con quella dell'altro, che non protesta e, anzi,
gli rende più facile il compito. All'improvviso pensa di potersi
abituare anche alla nuova posizione.
È sera inoltrata
quando tornano nell'appartamento di Crowley.
«Cosa fai di
solito?» si informa Aziraphale mentre poggia il cappotto
perfettamente stirato sulla sua poltrona, un saluto veloce alle
piante che ricambiano gentilmente con un inchino.
Il demone scrolla
le spalle. «Niente di particolare. Perché?»
«Guardi spesso il monitor?»
Crowley non prova
nemmeno a trattenersi dal roteare gli occhi al cielo. «Televisione, Aziraphale. E comunque sì, la guardo spesso»
«Io mai» fornisce il biondo, invece, fissando lo schermo
nero con sguardo valutativo, come se si aspettasse di veder spuntare
a caratteri luminescenti un motivo abbastanza buono per interessarsi
a quell'attività.
«Ci scommetto,
angelo! Mi sorprende che tu abbia un telefono in quella tua libreria»
Aziraphale gli
dedica un'occhiata risentita. «Che male c'è? Non sono interessato
alle... nuove tecnologie»
«Ma se è del
secolo scorso!»
«Questa qui
decisamente no»
Crowley scuote la
testa ghignando. «Non mangia i libri. Dovresti provarla. Magari
scopri che ti piace anche questa, oltre agli occhialini da lettura e al
cibo»
Aziraphale non sa
se indignarsi per le derisioni nemmeno tanto velate o se accogliere
un consiglio che, non può ignorarlo, ha senso.
«Forse hai
ragione» concede alla fine, il viso tirato in una maschera di
irritazione. «Guardiamo la televisione»
«Adesso?»
«Hai altro da
fare?»
Crowley ci pensa un
attimo primo di negare. «Accomodati». Schiocca le dita e compare un
divano bianco di fronte allo schermo. Esegue di nuovo il gesto e
stavolta lo specchio nero si illumina.
Il demone si siede
per primo, le ginocchia divaricate e le braccia invadenti sullo
schienale. Quando Aziraphale si avvicina Crowley si preoccupa solo di
accostare le gambe per fargli posto e l'angelo non si scompone quando
sente il fantasma di una mano accanto alla sua spalla sinistra. Con
un movimento elegante della destra il biondo fa apparire una coperta
sulle loro gambe.
«Che diavolo è?»
esclama Crowley con evidente schifo, momentaneamente distratto dalla
scelta del canale.
«È confortevole»
«No che non lo è»
«È divertente».
Aziraphale sorride. Per sottolineare il concetto materializza un
cuscino soffice – solo per sé, stavolta – che sistema sulle sue
cosce. Il demone reclina la testa in preda alla disperazione, ma
desiste dal commentare ulteriormente. Continua a schioccare le dita
per cambiare canale fino a quando è lo stesso Aziraphale che insiste
per vedere una replica di un gioco televisivo che nessuno dei due ha
mai visto.
«Chi risponde
correttamente a più domande vince?» si informa l'angelo,
improvvisamente rapito dalle dinamiche del gioco. Non coglie
l'occhiata divertita del demone.
«Come in tutti i
giochi»
«Tu sai le
risposte?»
«Non mi
interessano, non vinco niente io»
«Ma è-»
«Se dici un'altra
volta divertente giuro che vado a dormire, angelo»
Aziraphale richiude
la bocca con espressione colpevole e torna a guardare la TV.
Il silenzio non
dura tanto: l'angelo comincia a commentare il gioco in modo assiduo
dopo appena cinque minuti fino alla fine della puntata. Crowley
cambia canale, un film. Aziraphale non sta zitto nemmeno a quel
punto. Condivide ad alta voce tutte le osservazioni che gli vengono
in mente, principalmente rivolto verso lo schermo. Di tanto in tanto
si gira verso Crowley, ma solo quando ritiene di aver detto qualcosa
su cui il demone dovrebbe commentare a sua volta. Generalmente lo
trova a guardarlo, stupito e ammirato, tuttavia molto attento a
quello che l'angelo dice.
Solo quando il film
finisce Crowley spegne il televisore con un gesto: l'unica fonte di
luce è il chiarore della notte che filtra dalla finestra. Il demone
ruota il busto verso Aziraphale, il viso ghignante e soddisfatto. «Ti
è piaciuto»
«Mm» prende tempo
l'angelo: non vuole dargliela subito vinta. Ma alla fine è costretto
a cedere: «È stato... piacevole»
«Ma non mi dire»
«Oh, smettila».
Aziraphale guarda ostinatamente lo schermo stringendosi il cuscino al
petto.
«D'accordo», ma
il tono è mellifluo.
«Non ho mai detto
che la tecnologia sia malvagia, Crowley» ribatte piccato. «Questa
reazione è davvero esagerata»
Il demone gli rifà
il verso, divertito. Fa apparire una bottiglia di vino e due calici
con uno schiocco di dita. «Forza: alle nuove esperienze»
Aziraphale sbuffa,
ma fa tintinnare il suo calice con quello di Crowley con un mezzo
sorriso. «Alle nuove esperienze»
È al sesto
bicchiere che all'angelo si palesa un problema a cui non ha pensato
più per tutto il giorno ma che adesso, con l'ostinazione che solo l'alcol può dargli, gli sembra così
imprescindibile da non poter essere ignorato oltre. «Posso farti una
domanda?» chiede.
«Mm?». Crowley
deglutisce e si volta verso di lui.
«Perché ieri non
hai completato la minaccia?»
«Come, prego?»
«Quando ti ho
detto che sei romantico, in libreria. Hai detto che non ti devo
chiamare così, ma non hai finito la frase»
Aziraphale,
nonostante la mente annebbiata, non ha difficoltà a percepire
il braccio di Crowley che scivola via sullo schienale, che si
allontana da lui e ha subito la sensazione di aver posto una domanda
inappropriata.
«E non sei
contento?» ride il demone. «Preferisci le minacce?»
«No» Aziraphale
aggrotta la fronte, cercando le parole per essere delicato. «È solo
che... non è da te»
Crowley sbuffa
stancamente. «È vero» concede annuendo. Con la particolare
angolazione in cui si trova, Aziraphale vede gli zigomi del demone
sollevarsi un po' e deduce che stia assottigliando le palpebre per
concentrarsi. Per un lungo momento l'unico suono che occupa il
silenzio è l'acuta nota che si spande quando il rosso passa l'indice
sull'orlo del bicchiere. L'ambiente e l'atmosfera sono così ovattati
che Aziraphale si costringe a tornare sobrio per non cadere
nell'ipnosi di quella melodia malinconica: ha bisogno di essere
lucido.
Osserva il livello
della bottiglia a terra alzarsi mano a mano che torna in sé.
Crowley, dal canto suo, non fa la stessa cosa. Si dondola sul divano
prima di alzarsi di scatto e raggiungere il tavolo sghignazzando
ubriaco. Si appoggia al trono dando le spalle ad Aziraphale, mentre
questi non osa avvicinarsi né muovere alcun muscolo neanche per
respirare.
«È da Gabriel».
Crowley ride di nuovo ma non c'è allegria nella sua voce e nemmeno
nella sua postura: rigida, tesa, forse tremante. «Minacciarti, dico.
Gabriel ti minaccia e pure io»
Aziraphale ritrova
la forza di deglutire e di sbattere le palpebre. Che diavolo sta
dicendo Crowley? Che cosa c'entra l'Arcangelo con lui, con loro e con
quello che è successo il giorno prima? La sua mente arranca per
trovare una risposta a tutti quegli interrogativi, ma senza
risultati.
«Cosa stai-?»
comincia, confuso ed esitante, ma Crowley lo blocca prima ancora che
possa finire la frase.
«Dico...» inizia,
ma un granello di polvere sul piano del tavolo lo distrae un momento:
deve scacciarlo via con la mano prima di riprendere: «Dico che io
non voglio essere come Gabriel»
Quello non ha il
minimo senso. «Crowley, tu non sei Gabriel. Di che stai
parlando?»
Aziraphale non è
sicuro di essere riuscito a nascondere il panico nella voce, ma lo
stato di ebbrezza in cui versa il demone gli permette di non
curarsene.
«Io mi rifiuto di
essere come lui» continua il rosso più deciso, ma seguendo un
ordine logico tutto suo con il tono strascicato di prima. La mano che
ha spazzato via la polvere si stringe saldamente attorno al braccio
del trono fino a farsi sbiancare le nocche.
«Tu non lo sei
già» lo rassicura l'angelo, incapace di dire altro. Non ha senso,
tutto quello che dice Crowley non ha senso. «Come ti viene in
mente?»
Il demone gli
lancia un'occhiata liquida al di sopra della spalla e l'angelo si
sente mancare il fiato. Vorrebbe allontanare le ombre che non conosce
ma che legge nei suoi occhi con la stessa facilità con cui ha
materializzato la coperta che ancora gli riscalda le gambe, ma non sa
come fare.
«Angelo» mormora
Crowley e ad Aziraphale sembra supplichevole. È in quel momento che
il biondo sa di essere pronto a compiere qualsiasi miracolo pur di
cancellare tutte le preoccupazioni del demone. Ma quando Crowley
parla di nuovo si sente sprofondare.
«Ti avrebbero
ucciso con le fiamme dell'Inferno»
Aziraphale sgrana
gli occhi: è la prima volta che il demone parla di quello che è
accaduto in Paradiso quasi una settimana prima. Persino al Ritz aveva
glissato quando l'argomento era inevitabilmente tornato a galla.
Aveva divagato e aveva proposto un brindisi alla furbizia e alla
genialità con cui avevano condotto la loro messinscena. L'angelo
l'aveva lasciato fare, comprensivo, e non aveva più riaperto il
discorso.
Il modo in cui
Crowley lo sta affrontando ora, però, è un pugno nello stomaco:
Aziraphale conosce già la punizione alla quale l'avrebbero
sottoposto, ma c'è qualcosa nell'atteggiamento del demone che
esprime un dolore disperato, un dolore che l'angelo per sé non
prova. Non sa dire se Crowley sia sotto shock o meno, ma di certo è
ancora estremamente provato da quello che ha subìto.
«Bruciato vivo,
angelo» rimarca, ridendo poi di un riso amaro e terribile.
«Non molto diverso
dalla condanna per te» rileva Aziraphale, condiscendente e
accennando a un sorriso a metà per nascondere il tremore che lo ha
colto in tutto il corpo.
Crowley si fa serio
e si volta, fronteggiando apertamente l'angelo mentre prende un sorso
di vino. «Cazzo, no: è una cosa che da noi ti aspetti»
Non solo, pare,
pensa l'angelo, ma non riesce a dirlo perché il demone parla ancora.
«Gabriel mi ha ordinato di morire in fretta» rivela Crowley, ancora ridendo. «E di
smetterla di dire stronzate»
Aziraphale sente un
brivido lungo la schiena che lo fa raggelare. Ma quello che più lo
colpisce non è Gabriel, né il suo atteggiamento: è il demone. Non
vuole credere a quello che sta ascoltando, non vuole credere che
Crowley abbia sopportato quel fardello per tutti quei giorni senza
dirgli niente, senza metterlo al corrente del suo dolore.
Ha il tempo di
chiedersi cosa abbia prodotto un cambiamento, cosa l'abbia spinto ad
aprirsi ora. Forse può trovare una risposta soddisfacente nel buio,
in quel mantello di oscurità in cui parlare e confessarsi senza
vergogna è facile perché la notte manterrà il segreto.
«Mi dispiace»
fornisce l'angelo, la voce che trema mentre Crowley fa una smorfia.
«È tutto passato»
Il demone non ride
più: è furente, arrabbiato, terrorizzato. «Ti avrebbero ammazzato
senza rimorso e tra le minacce». Lo dichiara con foga, slanciandosi
in avanti per sottolineare la gravità della situazione, come se
Aziraphale non stesse comprendendo il significato di quello che gli
viene detto. «Io-»
«Non sei come lui,
non dirlo» lo anticipa l'angelo con gli occhi lucidi di lacrime: non
vuole sentirglielo dire, non di nuovo, mai più. «Tu sei buono,
Crowley!»
È pronto a essere
spinto contro il divano o la parete, se necessario: non gli importa,
perché il demone ha bisogno di aiuto e questo è tutto quello che
Aziraphale sente di potergli dare al momento.
Il
demone è come
bloccato, non fa nulla se non fissarlo sbigottito e allo stesso tempo
ottenebrato dall'alcol. Aziraphale considera rapidamente la
possibilità di mettersi in piedi e di andare più vicino,
ma il suo
corpo sembra non rispondergli, troppo provato dalle emozioni che
vive.
Crowley è scosso
da un tremito e Aziraphale spia sospettoso la bottiglia: sta tornando
piena allo stesso ritmo con cui il demone torna sobrio. L'angelo si
sente avvampare, improvvisamente colto dalla consapevolezza di essere
di nuovo davanti a una persona lucida e pienamente consapevole di sé:
ha paura di ascoltare di nuovo quelle insensatezze dalla bocca di un
uomo che ha riacquistato il totale controllo della mente e del corpo
«No, angelo, non
lo sono» nega Crowley, torvo. «Io sono-»
«Non sei Gabriel,
non lo sei mai stato!» dice, perentorio e acuto, ma di nuovo non gli
importa, nemmeno adesso che l'amico può sicuramente notarlo.
Aziraphale non può sopportare di sentirlo mentre si riferisce a sé
stesso con il nome di demone con lo stesso odio e lo stesso
disprezzo che hanno zampillato finora nelle sue parole. L'angelo ha
passato secoli a ricordargli le loro differenze: non vuole che
cominci anche Crowley con questa storia, non adesso che il più lento
dei due ha compreso i propri sbagli e le proprie colpe.
Passano attimi di
profondo silenzio in cui Aziraphale non sa assolutamente cosa dire o
fare; nemmeno si accorge di aver chiuso le mani a pugno intorno alla
stoffa dei pantaloni. Si concede di prendere un bel respiro solo
quando Crowley scuote la testa e si mette di nuovo a sedere sul
divano facendo sparire il bicchiere. Il demone è più lontano di
prima e sembra stanco mentre si passa una mano sugli occhi
sospirando.
«Ieri non volevo
dirti di stare zitto e non volevo minacciarti, angelo» spiega
Crowley, come per mettere in evidenza il filo rosso che ha condotto
il suo sfogo alcolico. «Non veramente»
«Ma certo,
Crowley, lo so». Aziraphale è accorato per l'urgenza di farlo
sapere al demone. «Non significa niente, caro. Tu non sei come lui.
Gabriel è... è... un'altra cosa»
Vorrebbe tanto
bestemmiare il nome dell'Arcangelo, ma sta sperimentando la libertà
da troppo poco tempo perché questo gli risulti possibile ora.
Crowley apre due
dita e sbircia con le iridi gialle la faccia imbarazzata di
Aziraphale prima di ghignare.
«Dovrei chiederti
scusa, suppongo» fa il demone, piano.
«Per cosa?»
Crowley agita la
mano libera. «Per ieri e per questo. Non dovevo farlo»
I movimenti che
Aziraphale compie per guardare frontalmente il demone sul divano sono
così repentini e infervorati da far sembrare quasi che l'angelo
salti sui cuscini nel tentativo di divertirsi invece che di apparire
in qualche modo minaccioso.
«Crowley, caro,
dici una quantità impressionante di assurdità questa sera»
annuncia, serio e intransigente. «Del tutto impressionante»
Il rosso sbuffa e
per un lungo momento nessuno parla, ma i pensieri nella testa di
Aziraphale urlano così forte da non fargli notare l'assenza di
rumori nella stanza. L'angelo si permette di sfruttare quella calma
che, lo sa, il demone non interromperà mai di sua spontanea volontà,
per analizzare quello che è successo e tutte le implicazioni delle
parole sconnesse di Crowley. Si stupisce dell'improvvisa egoistica
ondata di calore che lo travolge per il demone che gli siede di
fianco. Certo, da una parte è infelice per l'esperienza che il rosso
ha dovuto subire per salvarlo, ma allo stesso tempo è estremamente
compiaciuto dal fatto che il demone abbia rinunciato a insultarlo,
anche se solo secondo le regole di quel rapporto tutto loro, per non ricordargli il trattamento che gli Arcangeli gli
hanno sempre riservato e per non essere paragonato a loro. È un
piacere egoistico, esclusivo, e Aziraphale ne ha d'un tratto paura:
in quanto angelo non ha mai avuto il permesso di sperimentare il
gusto dell'egoismo, ma non sa come altro chiamare quel calore nel
petto che gli è spuntato nel venire a conoscenza dello stato d'animo
di Crowley, del pensiero tenero che il demone gli ha riservato nel
tentativo di preservarlo dalla tristezza e dalla sottomissione durate
seimila anni.
«Ti ringrazio»
dice alla fine, le guance rosse nascoste dal buio della notte.
Crowley scosta la mano dagli occhi e lo guarda interrogativo e
incredulo. «Per avermelo detto» precisa Aziraphale, deglutendo a
fatica. «Sono contento che tu l'abbia fatto»
Il demone lo guarda
per un po' completamente immobile e indecifrabile. Poi annuisce in
silenzio e sistema il braccio lungo lo schienale del divano, fino a
sfiorare appena con le dita la spalla dell'angelo per poi adagiare la
mano sull'imbottitura dei cuscini.
Aziraphale
non si
muove subito: fa fatica a processare quello che sente e quello che
vede, quel muto invito ad andare più vicino, ad accorciare le
distanze per suggellare l'ennesimo chiarimento e quella fitta allo
stomaco che l'ha colto senza preavviso. Aspetta di respirare a fondo
per tre volte prima di capire di non avere alcuna risposta razionale
in serbo per l'occasione. Non gli resta che muoversi e lentamente
scivolare verso Crowley trascinando con sé la coperta, fedele
alleata della notte in grado di difenderlo dalla sua stessa confusione.
«Quella resta lì»
ammonisce il demone severo quando Aziraphale gli fa segno di
avvicinare le ginocchia perché lui possa coprirle.
«Non fare il
difficile, caro»
Crowley grugnisce
il suo dissenso, ma accavalla le gambe senza ulteriori storie e
l'angelo gli sorride grato prima di appoggiare la testa sul suo
braccio.
Il rosso schiocca
le dita e accende la TV: quando il sole sorge li trova ancora nella
stessa posizione.
Angolino di Menade Danzante:
Piccola precisazione sullo sfogo di Crowley. Questo segue il filo
logico già avviato in "Ride Home", ma non è necessario
averla letta per capire quello che è il mio pensiero: la serie
ci ha fatto vedere un Crowley molto furente in Paradiso, al momento
della quasi-esecuzione, come se non si fosse aspettato un trattamento
del genere da parte della fazione celeste, come se fosse incredulo e
non completamente calato nel personaggio dell'angelo. Aziraphale, al
contrario, è molto più spigliato e sin da subito a suo
agio nei panni di Crowley: sa benissimo quello che sta per succedere e
agisce già preparato per l'occasione perché sciogliere un
traditore nell'acqua santa è qualcosa che effettivamente
l'Inferno farebbe, è prevedibile. In "Ride Home" angelo e demone
arrivano alla conclusione di scambiarsi i corpi per salvare Crowley,
non necessariamente entrambi, e qui confermo la stessa linea di
ragionamento: Crowley sta faticando più di Aziraphale ad
elaborare l'accaduto perché non avevano immaginato una
punizione del genere da parte del Paradiso.
Spero che il tutto vi risulti credibile e che il capitolo un po' angst vi sia piaciuto!
Ringrazio di cuore tutti coloro che seguono, leggono, recensiscono e mi trasmettono entusiasmo e positività! <3
Alla prossima! :*
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Capitolo 6 *** 6. Domenica ***
domenica
6. Domenica
La domenica è
sonnacchiosa e tinta di nuvole. Nessuno dei due ha voglia di uscire,
nemmeno per una passeggiata al parco per dare da mangiare alle
anatre. Aziraphale è in piedi davanti alla finestra spalancata della
sala con le mani giunte dietro la schiena – per aprire le imposte
stabilmente l'angelo ha impiegato un'ora del suo tempo, argomentando
contro il demone riguardo a quanto sia piacevole sentire un po' di
fresco in casa. Sospetta che Crowley gliel'abbia data vinta
esclusivamente per farlo tacere, ma è comunque fiero di sé: è
difficile ascoltare qualcos'altro al di là del traffico londinese,
ma di sicuro adesso può provare ad avvertire gli uccelli che cantano
senza doverli solo immaginare. Inala a pieni polmoni ed è
praticamente certo che allo smog sia mescolato un lieve sentore di
pioggia. Incantevole.
«Come credi che se
la stiano passando a Tadfield?» chiede di punto in bianco quando
percepisce la presenza di Crowley nella stanza.
«Come sempre» è
la risposta disinteressata del demone. «Che vuoi che succeda a
Tadfield?»
La fine del
mondo?, ma Aziraphale si limita a lanciare al rosso un'occhiata
eloquente.
«Dico davvero»
continua Crowley. «L'Anticristo ha vinto, non vuole ucciderci tutti.
Direi che vada più che bene, in effetti»
«Non intendevo
questo» precisa l'angelo, registrando comunque la verità di quelle
parole con sollievo. «Intendevo più qualcosa sulla vita quotidiana»
«Del tipo: come
tornare alla normalità quando hai rischiato di provocare la morte
del pianeta?»
Aziraphale ride
brevemente. «Sì, più o meno»
Crowley scrolla le
spalle. «Come noi. Con meno vino, magari». L'angelo annuisce,
tornando a guardare fuori con un sorriso. Il demone gli si fa di
fianco, le mani in tasca e il viso contratto per il chiarore
arrogante del sole che filtra tra le nuvole.
«Sai,» riprende
Aziraphale, «credo che dovremmo invitare la ragazza americana di
tanto in tanto. E il suo ragazzo, naturalmente»
Crowley si scosta
come colpito da uno schiaffo. «La ragazza del libro?! Ma perché?»
«Perché ne ha
passate tante nella vita: è cresciuta con l'idea di dover salvare il
mondo dalla minaccia dell'Anticristo». La risposta di Aziraphale
suona naturale e scontata: lui ha letto tutte le note del libro di
Agnes Nutter, sa quello che ci si aspettava dalla giovane.
«Può essere utile per lei parlarne. Siamo sicuramente qualificati
per affrontare l'argomento»
Il demone si guarda
intorno, perplesso, come aspettandosi di vedere la giovane americana
saltare fuori da un momento all'altro e prendere posto sul divano,
invadendo il loro spazio.
«Se lo ritieni
proprio necessario» borbotta alla fine, disgustato.
«Oh, davvero?» fa
Aziraphale, un'ottava più in alto del normale. «Ma a te fa
piacere?»
Crowley si stringe
nelle spalle. «Sì, d'accordo» concede con un sospiro.
Aziraphale
approfitta del momento per buttare lì un altro nome: «E anche
Madame Tracy, che te ne pare?»
«Hai pensato anche
a un tè con Morte o lui l'hai lasciato fuori dal circolo delle
conoscenze? “Scusi, non sapevamo come contattarla e nel dubbio
abbiamo sacrificato un umano. Verrebbe a pranzo domani?”»
L'angelo gli
riserva uno sguardo di duro rimprovero, ma non dice niente. Come al
solito, il sarcasmo del demone è tagliente ma estremamente accurato.
La luce naturale
sembra andare via all'improvviso e in lontananza un tuono ne
sottolinea l'assenza.
«Adesso che non
abbiamo più delle missioni, propriamente parlando, sarebbe bello
averne davvero uno, di circolo delle conoscenze. Non trovi?»
Aziraphale è
genuinamente curioso di osservare la reazione di Crowley a quelle sue
parole: non sa davvero cosa aspettarsi. Il demone lo guarda con
sospetto per un momento, ma poi la sua espressione si rilassa.
«Possiamo provare»
Il plurale scalda
il petto di Aziraphale in un lampo. Non può fare altro che annuire.
Anche quel giorno
l'angelo legge alle piante, ma c'è qualcosa di diverso: Crowley l'ha
seguito nella stanza e si è accomodato sull'ampio bracciolo della
poltrona. A nulla è servita la proposta di Aziraphale di far
apparire una sedia tutta per lui: il demone non ne ha voluto sapere.
Spesso l'angelo
alza gli occhi dal libro per scrutare il comportamento del rosso. Lo
trova o a spiare le piante o a seguire la lettura con gli occhi.
Quando Aziraphale alza la voce o cambia tono per impersonare meglio
il personaggio, però, Crowley guarda lui e scuote la testa,
divertito. Quando questo accade, l'angelo trova un po' più
complicato tornare a leggere ad alta voce, ma almeno nota che le
piante non perdono una parola: sono sempre protese verso di loro,
senza paura e con il pigmento più brillante che mai.
Ogni tanto, però,
le occhiatacce del demone scoraggiano le foglie. Aziraphale si
accorge dei velati rimproveri perché le sente fremere per alcuni
intensi secondi prima che la sua voce sia di nuovo l'unico suono
nell'appartamento. Al quinto tremore l'angelo posa la mancina sulla
coscia del demone accanto a sé prima di fissarlo negli occhi con
sguardo severo.
«Caro, così non è
possibile» gli fa notare. Crowley ha la faccia tosta di mostrarsi
del tutto sorpreso da quel rimbrotto. «Le stai spaventando»
«Non è vero». Il
demone sembra esserne pienamente convinto. «Sono loro che spaventano
me. Sono invadenti»
«Sono attente»
Crowley fa una
smorfia di derisione.
«Chiedi scusa»
intima Aziraphale.
Il demone impiega
un attimo prima di annuire. «Ti ho distratto, angelo, non dovevo»
«Oh, non c'è di
che» sorride il biondo. «Ma non è per me. Devi chiedere scusa a
loro»
Crowley sgrana gli
occhi. «Penso di aver capito male»
«Niente affatto.
Sei stato scortese»
La bocca del demone
è una linea pericolosamente sottile. Ad Aziraphale sembra che anche
le piante siano sospese in attesa della risposta.
«Scusate».
La risposta arriva a denti stretti, con un gesto derisorio verso le
foglie. Per rimarcare l'indignazione, Crowley allontana la gamba con
uno strattone, si alza e si dirige verso il suo trono. Aziraphale lo
osserva mentre si siede con teatrale superbia e ostenta tutto il
disappunto e la collera di cui è capace. L'angelo sa che non gli
rivolgerà più l'attenzione per tutto il resto della sessione di
lettura, ma almeno ha la consapevolezza di essere riuscito a
vendicare le altre abitanti della casa.
«Gli passerà»
rassicura le foglie, ancora innaturalmente immobili, prima di
riprendere a leggere.
Al borbottio
sommesso di un esperto di gorilla in televisione e allo scrosciante
temporale si aggiunge il grattare della ceramica che si fa strada sul
piano del tavolo. Aziraphale sta manipolando la tazza dal divano
mentre Crowley si mostra del tutto indifferente al processo, come se
non si accorgesse di nulla. Ma il demone è costretto a manifestare
una qualche reazione quando il suo gomito viene picchiettato da un
manico particolarmente insistente. L'angelo trattiene il sorriso nel
sentirlo grugnire. Con uno schiocco di dita Crowley pone fine al
miracolo di Aziraphale e osserva il contenuto della tazza.
«Cioccolata calda»
fornisce il biondo. «La tua è al caffè. Corretta al brandy»
Il demone alza un
sopracciglio e finalmente incontra i suoi occhi. «Sembra quasi che
abbia vinto io, angelo» riflette sardonico mentre calcia una gamba
contro il braccio del trono per fronteggiare Aziraphale e si apre in
un sorriso di scherno.
«Non direi. Io ho
la panna» ribatte l'angelo con tono definitivo.
Bevono in silenzio
le rispettive bevande per qualche minuto, la tensione delle ore
precedenti dimenticata nel bagliore di un lampo e nell'etologia delle
grandi scimmie. Il biondo si complimenta con sé stesso per aver
avuto quel guizzo di genialità che l'ha spinto a rintracciare la
cucina del demone e ad armeggiare con i fornelli e con qualche
miracolo qui e là.
Mentre bevono
Aziraphale non può fare a meno di notare che Crowley tiene in mano
la tazza come se fosse un bicchiere con qualcosa di esclusivamente
alcolico all'interno: non stringe le mani a coppa intorno alla
ceramica per riscaldarsi o per dare la giusta estetica all'atto di
bere una cioccolata calda. No: Crowley è sfrontato come sempre, con
le dita che toccano il contenitore il meno possibile, troppo vicine
all'orlo e decisamente fuori dalla portata del manico. Questo fa
sorridere l'angelo senza preavviso.
«D'accordo, questo
tuo giochino con le piante ti ha fatto ridere abbastanza per
oggi» fa il demone, fraintendo la reazione, ma non sembra rancoroso
e Aziraphale non sa come dirgli quello che gli è passato per la
mente senza risultare idiota: si limita a non confermare e a non
negare la deduzione del rosso.
«Adesso mi diverto
io. Ti sembra giusto, angelo?»
L'espressione del
demone allarma vagamente Aziraphale, ma il biondo si rende conto di
non avere argomentazioni contrarie sufficientemente probanti da
coprirgli le spalle. Annuisce avendo la studiata cura di sospirare.
«Bene. Un obbligo
per un obbligo, allora». L'angelo sente un brivido infido lungo la
schiena. «Mi hai costretto a fare una cosa che non mi piace fare,
quindi tu farai una cosa che sicuramente non ti piace fare».
Aziraphale ha dimenticato di battere le palpebre e continua a tenere
gli occhi spalancati più a lungo di quanto un umano possa mai
sognarsi di fare. Si chiede se il demone lo stia tentando nel senso
proprio del termine, ma non ha nemmeno il tempo di finire la
formulazione della domanda nella sua testa che la doccia fredda
arriva: «Ceneremo con cibo da asporto consegnato in un cartone unto
e maleodorante maneggiato da mani che hanno toccato tante cose non
igieniche prima di quello»
«Non penso
proprio!» esclama Aziraphale, scattando in piedi impettito e offeso.
«Crowley, come puoi chiedermi una cosa simile?». È esterrefatto:
tradito alle spalle dal suo migliore amico, dal demone che ha
pranzato con lui così tante volte da sapere che all'angelo non può
piacere quella cosa che gli umani fanno. Ma il ghigno di Crowley non
desiste: gli rimane stampato in faccia e raggiunge persino le iridi
gialle che ora gli lampeggiano contro sfumature di vittoriosa
ripicca.
«Oh, andiamo! Ti
ho preparato la cioccolata!» aggiunge dunque, come se quello
risolvesse la questione. Un'ammissione di colpa per una cioccolata
calda: più che equo, per l'amor del Cielo!
Ma Crowley ha già
materializzato un volantino plastificato, alzato la cornetta del
telefono e digitato il numero della pizzeria più vicina
all'appartamento. Completamente impotente, l'angelo ascolta la voce
del demone che ordina e che fissa l'orario per la consegna del cibo.
«Questo è
scandaloso» sentenzia Aziraphale quando il ricevitore torna al suo
posto. «Davvero scandaloso. Non sarà mai come il cibo dei
ristoranti. È oltraggioso. Non mangerò mai quella roba, sappilo!»
Aziraphale ha
mangiato tutta la sua pizza margherita, la metà della sua porzione
di patatine fritte e una lattina intera di Coca-Cola. Si è lamentato
durante tutto il processo, sostenendo buoni motivi per non mangiare
quel tipo di cibo e assecondando uno slancio salutista di cui la sua
natura eterea non ha mai dovuto realmente preoccuparsi. In realtà ha
apprezzato sia la cena che la gentilezza del demone: ha infatti
scoperto che Crowley avrebbe potuto esagerare con i gusti e gli
ingredienti della sua pizza, ma non ha voluto rischiare di turbare
troppo il palato dell'angelo. Il demone ha ruttato il suo totale
dissenso sulla sua presunta bontà d'animo, ma niente di più.
Aziraphale ha anche avuto l'impressione che l'altro fosse piuttosto
compiaciuto quando l'ha visto leccarsi via l'unto dalle dita e solo
dopo prendere un tovagliolo.
Finiscono di
piluccare qualche patatina sul divano guardando una replica di Cuori
senza età1 su insistenza di Crowley. Il demone
si sforza di convincere Aziaraphale che Blanche sia il personaggio
migliore della serie, ma l'angelo non è d'accordo: Rose ha
conquistato la sua simpatia e non è intenzionato a sentire repliche
a riguardo. Quando la puntata finisce, con uno schiocco di dita
Crowley spegne il televisore mentre Aziraphale si preoccupa di
accendere una luce calda che irradi la stanza.
«Ti manca solo una
dormita, angelo» ridacchia Crowley dopo attimi di rilassato
silenzio.
«Prego?»
Il demone prende un
sorso di Sprite direttamente dalla lattina. «Che schifo» commenta,
guardando l'involucro come se la sua percezione fosse colpa
dell'alluminio. «Quanto zucchero c'è qua dentro?». Poi torna a
guardare Aziraphale. «Dicevo: ti manca solo una dormita»
«M-hm» fa
l'angelo, sperando che la sua faccia esprima tutto il suo
smarrimento. Ma dal demone non giungono precisazioni. «In che senso,
caro?»
Crowley sta
cercando di leggere le percentuali degli ingredienti della sua
bibita, ma la fa sparire con ancora la fronte corrugata per la
concentrazione. «Nella tua collezione di nuove esperienze»
«Ah. Beh, non
sarebbe totalmente nuova: ho dormito qualche volta»
Le sopracciglia
arcuate del demone sono inequivocabili: qualche volta in più
di seimila anni non è decisamente abbastanza né tollerabile.
«Esistono modi diversi di riposarsi» si giustifica il biondo sulla
difensiva. «Dormire è poco piacevole per me. Mi inquieta non essere
cosciente per ore». Soprattutto adesso, vorrebbe aggiungere,
ma tiene per sé il pensiero.
«Giusto» mormora
Crowley con l'aria di chi, per quanto si sforzi, non riesce a
mettersi nei panni di un'altra persona.
«Perché a te
piace?»
Crowley inarca il
petto prima di sbuffare un sospiro. «Mi piace e basta, suppongo».
Aziraphale annuisce: la risposta è scarna, ma non è differente da
quella che darebbe lui se qualcuno gli chiedesse il senso del suo
nutrirsi di cibo raffinato.
«E forse il corpo
umano ne trae qualche beneficio» aggiunge il demone, scettico. «Ma
non lo faccio per quello». Il rosso fa una pausa. «Non essere
coscienti per qualche ora o qualche giorno o... beh, un secolo, non è
male a volte»
Passano attimi di
silenzio nei quali Aziraphale considera profondamente il caso. Alla
fine parla: «Potrei riprovare. Una notte contro l'eternità non mi
farà male, dopotutto. Non credi?»
Crowley si muove
contro lo schienale del divano per guardarlo meglio. Inclina un poco
la testa prima di esprimersi: «Non hai detto che non sei tranquillo
se non sei vigile?». Aziraphale sente di colpo caldo dalle parti del
petto: è felice di non scorgere nelle parole del demone alcuna
traccia di malizia.
«Corretto. È solo
che è... beh, è irrazionale. Non ha senso». Si guarda le mani
vagamente in imbarazzo.
«Non devi farlo
per forza». La voce di Crowley è particolarmente soffice al
momento. «L'ho detto solo per dire. Non faceva parte del gioco»
Aziraphale torna a
guardarlo negli occhi. «Oh, lo so». Gli sorride per rassicurarlo.
«Bene» mormora
Crowley, uno sguardo strano che l'angelo non riesce a definire, ma da
cui è positivamente colpito. Forse è riuscito a stupirlo e questo
gli dà motivo di essere orgoglioso di sé, anche se non sa
spiegarsene il perché. Il sentimento è così travolgente che scatta
in piedi pieno di energia e guarda Crowley dall'alto in basso con
euforia.
«Facciamolo!»
«Ti capita mai di
sognare?»
Al bisbiglio appena
accennato dell'angelo corrisponde un grugnito del demone.
«Aziraphale,
quando una persona dorme non parla». Il suo tono di voce è normale.
«Non sto ancora
dormendo»
«Sì, me ne sono
accorto. Non dormirai mai se continui a parlare con me»
Rumore di lenzuola
e stoffa: Crowley si muove nel letto ma Aziraphale non ha idea di
cosa faccia perché la camera è quasi completamente al buio, ad
eccezione del poco chiarore proveniente dalla finestra accanto al
materasso. Lui è disteso immobile a pancia in su da mezz'ora con le
coperte tirate fino al collo e le braccia sulle lenzuola nere. Almeno
il letto è di gran lunga più comodo del prato di St. James's Park e
la posizione gli risulta più accettabile del giorno prima.
«Ho capito»
continua a bisbigliare, come se temesse di disturbare il demone.
«Però non hai risposto alla domanda»
Crowley sbuffa una
risata contro il cuscino. Altro rumore di stoffa. «A volte sì,
angelo. Contento? Ora possiamo dormire?»
La voce è arrivata
più vicina di prima e Aziraphale deduce che il demone si sia voltato
verso il suo lato del letto. Prova a girare il volto in quella
direzione, ma continua a non vedere nulla: il cielo, reduce dal
tempaccio, è troppo nuvoloso e non illumina quasi niente.
«Sogni cose
belle?»
«Per amor di
Qualcuno»
Il biondo sente uno
schiocco e improvvisamente è accecato dalla luce. Assottiglia le
palpebre e si ritrova faccia a faccia con il demone. Deglutisce a
vuoto per un attimo, consapevole di essere di nuovo preda
dell'imbarazzo con cui si è arrampicato su quel letto dopo essersi
materializzato addosso un pigiama color crema. La sua unica
consolazione era stata vedere anche sul viso del demone in maglietta
e pantaloni neri lo stesso rossore che aveva acceso le sue guance.
Si erano rassicurati a vicenda – è solo un esperimento, il
divano è scomodo, la poltrona nemmeno per scherzo, il pavimento è
devastante per la schiena e sul tavolo c'è il mappamondo, non si può
fare –, ma niente aveva cambiato la realtà dei fatti: si erano
sdraiati nello stesso letto a nemmeno un metro di distanza l'uno
dall'altro. Il buio ha aiutato Aziraphale a non pensarci, ma ora che
una sfera di luce li illumina gli risulta difficile non notare
l'evidenza di un demone dai capelli rossi disteso su un fianco
accanto a lui.
«Allora,»
comincia Crowley in tono pratico, «devi deciderti: vuoi dormire o
no?»
L'angelo si
schiarisce la gola. «Sì, ma voglio essere consapevole: è da tanto
tempo che non lo faccio. Che c'è di sbagliato?»
Crowley alza gli
occhi al cielo. «Non puoi decidere a priori di sognare o no. Né se
sarà un bel sogno o un incubo. Accadono, questo è quanto»
Aziraphale non è
felice della risposta, ma almeno è contento che ne abbia ricevuta
una.
«Prossima domanda»
rilancia il demone.
«Non ne ho altre
per ora»
«Bugiardo»
L'accusa lo
ferisce, ma è costretto a incassare il colpo senza fiatare. Vorrebbe
porre ulteriori quesiti sui sogni, sulle sensazioni che provocano e
sugli incubi. Vorrebbe ammettere di avere una certa paura di sognare,
oltre che di rimanere incosciente fino al mattino, ma non gli sembra
il caso di mostrarsi infantile.
«Se non vuoi,
puoi-»
«-andarmene quando
voglio, sì». Crowley deve averglielo detto almeno quattro volte da
quando hanno lasciato la sala, ma ora lo vede esitare nel dare il
proprio assenso.
«Questo o... O
puoi rimanere qui a leggere» butta lì, non togliendogli le iridi da
serpente di dosso. «Se ti fa piacere»
Aziraphale vorrebbe
tanto spegnere la luce, ma le dita non rispondono e non riesce a
schioccarle. Si limita a guardare di rimando il demone, il respiro
bloccato in gola e la mente che vortica per mettere insieme i
tasselli del puzzle. Tasselli tra cui è costretto ad annoverare
l'immediato miscuglio di sollievo e trepidazione che lo ha colto del
tutto impreparato.
«Grazie» soffia
alla fine, lo scheletro di un sorriso sulle labbra. Crowley fa
sparire la sfera di luce e Aziraphale gliene è infinitamente grato.
Si posiziona su un fianco a sua volta, cercando di scrutare
l'espressione del demone, ma nemmeno quando i suoi occhi si sono
abituati nuovamente all'oscurità riesce a delineare i dettagli della
figura dell'altro.
«Che cosa hai
paura di sognare, angelo?»
La voce di Crowley
è così inaspettata dopo i suoi rimproveri che Aziraphale si ritrova
a sobbalzare.
L'Inferno,
pensa, ma non ha il coraggio di dirlo. È passata una settimana da
quando si è finto Crowley e ha fatto un bagno nell'acqua santa ai
Piani Bassi, ma, nonostante l'esito positivo dell'operazione, non ne
conserva ricordi piacevoli al di là dell'aver fatto miracolare a
Michael un asciugamano. Quando è sveglio e pienamente cosciente di
sé sa di poter razionalizzare l'evento e sa di poterci ridere su, ma
non è altrettanto sicuro che ciò avvenga anche durante il sonno.
Può un sogno trasmettere la stessa claustrofobia che gli ha
trasmesso l'Inferno? Può sentirne di nuovo l'odore? Può vedere i
demoni ammassati contro il vetro che un momento battono le mani e
quello dopo lo fissano con terrore e raccapriccio perché non sanno
spiegare il prodigio di un diavolo che non si scioglie nell'acqua
santa?
Aziraphale non lo
sa, ma non ha intenzione di chiederlo a Crowley, non dopo aver
compreso che anche il demone sta facendo i conti con il proprio
dolore, con un'altra condanna a morte, la sua: non ha il
diritto di addossargli anche il suo fardello.
Si accorge di aver
involontariamente adagiato la mano nello spazio vuoto tra sé e il
demone solo quando quest'ultimo vi poggia sopra la propria.
Aziraphale sussulta per la sorpresa, ma non disdegna il contatto
fisico. Anzi, è pronto a giurare che non avrebbe potuto desiderare
di meglio.
«Posso svegliarti
se ti agiti nel sonno» mormora Crowley.
«Te ne sarei
grato» assicura il biondo, stringendo le dita del demone con
dolcezza.
«Dormi, angelo»
Aziraphale ricambia
con una carezza e si concede di chiudere gli occhi per la prima volta
da quando si è infilato sotto le coperte. Non passa molto tempo
quando finalmente scivola nel sonno.
Note:
[1]: Cuori senza
età è il titolo italiano di “The Golden Girls” che
nel libro Crowley adora e considera uno dei migliori show sulla
piazza. Blanche e Rose sono due delle quattro protagoniste.
Angolino di Menade Danzante:
Di nuovo, a costo di essere ripetitiva, grazie a chi legge, segue,
inserisce la storia in una lista e recensisce! Non posso che sperare
che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento e che io abbia
mantenuto i personaggi IC.
Ci vediamo la prossima settimana con l'ultimo aggiornamento di questa piccola avventura! Sigh.
Baci baci!
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Capitolo 7 *** 7. Lunedì ***
lunedì
7. Lunedì
Quando Crowley lo sveglia le loro mani sono ancora
intrecciate e Aziraphale mugugna qualcosa contro il cuscino, cercando
di coprirsi gli occhi dal chiarore che lo acceca.
«Sei impossibile» sente ridere il demone. «Prima fai
lo snob e ti rifiuti di dormire se non “qualche volta”,
poi non riesci a staccarti dal letto»
Aziraphale continua a parlare contro il morbido
guanciale: in rapida successione implora per altri cinque minuti di
relax e nega quanto affermato dal rosso senza accorgersi della
contraddizione.
«Non hai cinque minuti, Aziraphale» lo scuote Crowley.
«Devi lavorare, o qualunque cosa tu faccia dentro quella libreria»
Passano istanti di silenzio in cui Aziraphale riprende
coscienza del mondo e della situazione in cui si trova. È felice di
avere la faccia premuta contro la stoffa perché sa di essere
arrossito al pensiero di aver dormito nel letto di Crowley. Aspetta
qualche secondo per respirare con calma e finalmente apre gli occhi,
sistemandosi meglio sul materasso per mettere a fuoco la figura del
demone accanto a sé.
«Mi sono agitato?» si informa subito mentre passa il
palmo della mano libera sugli occhi per sforzarsi di non richiuderli
e riprendere a sonnecchiare: deve darsi veramente un contegno.
«No, sei stato bravo» si complimenta Crowley.
Aziraphale sorride spontaneamente, contento di non aver disturbato e
di aver superato la prova. «Ma a giudicare dal tempo che ti ci vuole
per tornare tra i vivi, avrei dovuto lottare per tirarti fuori dagli
incubi, angelo»
Il biondo nasconde il volto dietro l'avambraccio, preda
dell'imbarazzo, ma non può fare a meno di ridere.
«Hai qualcosa da dire? Esperienza promossa?» chiede
Crowley con fare scientifico senza far trasparire altre emozioni di
sorta. Aziraphale ci pensa su un attimo prima di annuire.
«Credo che sia stato piacevole. Non come leggere un
libro, ma penso che potrei rifarlo». Non precisa che potrebbe
ripetere quell'attività solo con qualcuno intorno a sé pronto a
consolarlo nell'eventualità di un sogno orribile: forse il demone
già lo sa.
Crowley allarga un sorriso allegro e stringe la mano
dell'angelo che tiene nella sua.
«Forza, alzati. Ti porto in libreria»
Aziraphale
sta sperimentando con successo la tattica
suggerita da Crowley qualche giorno prima: duplicare il libro
richiesto e venderlo – o regalarlo – agli acquirenti. Non
sempre
ha la forza di farsi pagare: non ha bisogno di soldi e quello gli
sembra a tutti gli effetti un furto. Però c'è anche
l'altro lato
della medaglia: che stia forse truffando il fisco con questo suo
particolare modo di fare? Deve ammettere che dall'Ottocento è
stato
importunato con le tasse solo cinque volte, ma questo soltanto
perché è
personalmente intervenuto con un miracolo per avere la finanza ben
lontana dal suo negozio o apparentemente smemorata su qualsiasi cosa
riguardante l'A.Z.Fell&Co. Non è felice della situazione, ma
ha
la sensazione che fare le cose davvero per bene, al di là del
tenere
i pochi conti ben in ordine sul vecchio computer della libreria1,
comporterebbe la necessità di girovagare per il mondo di tanto in
tanto per non destare sospetti circa il suo scarso invecchiamento e
l'assenza di un qualunque straccio di burocrazia terrestre da
mostrare in duplice copia su carta bollata e tutto il resto.
Per sentirsi meno in colpa regala le copie piuttosto che
venderle, con buona pace dell'editoria e con grande sollievo da parte
dei lettori. Quando dona il quarto libro della mattinata ad una
ragazza con gli occhi pieni di lacrime per la gratitudine si chiede
se quello non sia il primo passo per mandare in rovina tutto il
sistema economico dell'industria libraria.
Il campanello sulla porta lo fa ridestare dai suoi
pensieri: Crowley, sparito da quando lo ha convinto a parcheggiare la
Bentley in un posto che non recasse l'allarmante presenza del divieto
di sorta, ha una scatola dai colori pastello in mano e si dirige
verso di lui con le anche che proprio non riescono a rimanere in
asse.
«Hai fatto piangere una cliente?» gli chiede perplesso
e curioso poggiando l'involucro sul tavolo più vicino.
«O Cielo! Piangeva?». Aziraphale si porta una mano al
petto, il viso contratto dal dispiacere. «Cielo, non volevo proprio.
Le ho solo regalato una prima edizione di Tempi difficili,
devi credermi!». Strabuzza appena gli occhi prima di precisare:
«Beh, una copia»
Crowley ha gli occhiali, ma Aziraphale è certo che stia
roteando gli occhi. L'angelo lo osserva appoggiarsi al piano di legno
e incrociare le braccia al petto. «Avevo ragione, allora: un
miracolino e siete felici tutti e due. Lo manifestate in maniera
strana, ma lascio l'attività di giudicare a qualcun altro, eh?»
L'angelo annuisce, poi punta l'indice verso la scatola.
«Posso?»
«Mm? Ah, sì»
Aziraphale non è certo che la noncuranza di Crowley sia
autentica, ma sceglie saggiamente di non infierire. Solleva il
coperchio e le iridi blu si perdono nei cioccolatini variegati che
quel pacchetto contiene2.
«Oh!» esclama, guardando Crowley con un sorriso
estasiato. «Non era necessario, davvero!»
«O-ho! Puoi buttarli se non ti vanno»
«Non ho detto questo...». Aziraphale agguanta con fare
protettivo la scatola e ruota leggermente il busto perché non sia
alla portata della mano di Crowley. Il demone scuote la testa e
sospira, ma l'angelo vede chiaramente il fantasma di un sorriso che
gli increspa le labbra.
«A cosa devo il pensiero?» domanda poi, curioso. Non è
sicuro di dove stia guardando il rosso, ma non crede che stia
cercando i suoi occhi. Lo vede sporgere il labbro inferiore e alzare
le spalle. Aziraphale ha la chiara impressione di non poter
considerare quella come un'ammissione di indifferenza e piuttosto
preferisce non darle alcun nome. Posa una mano sull'avambraccio del
demone e stringe appena. «Ti ringrazio, caro» fornisce prima di
infilarsi in bocca un cioccolatino alla nocciola e di tornare ai suoi
libri.
Il rosso si accomoda senza eleganza su una sedia e solo
di tanto in tanto cammina per il negozio curiosando tra la merce o
origliando senza discrezione stralci di conversazioni dei clienti.
Quando fa così Aziraphale cerca di riportarlo all'ordine con le
occhiatacce, ma Crowley non ne è minimamente intimorito.
Temendo un'altra tentazione all'interno della sua
libreria, l'angelo approfitta della richiesta di un giovane ragazzo
per passare tra gli scaffali accanto a Crowley e rifilargli una
gomitata sul braccio. Il rosso ridacchia e gli rifà il verso, ma
decide di allontanarsi dal trio di adolescenti che sta organizzando uno scherzo a
un quarto membro assente del gruppo di amici.
«Bravo» concede Aziraphale mentre duplica Delitto e
castigo con circospezione. Osserva meglio quello che ha tra le
mani e si fa sfuggire un sorriso.
«Non leggo Dostoevskij da un po'» considera ad alta
voce, senza guardare Crowley. «Credo proprio che lo porterò a casa.
Potrei leggerlo questa sera, che ne pensi?»
Per un attimo gli sembra che il tempo si sia fermato, ma
quando alza la testa si rende conto che non è solo un'impressione: i
clienti sono pietrificati e l'aria è innaturalmente immobile.
Non ha bisogno di voltarsi verso Crowley per sentirsi
sprofondare: la verità di quello che ha detto gli si palesa in un
lampo di assurda consapevolezza.
Istintivamente si allontana dal demone di un passo: sa
che Crowley ha colto prima di lui quello che ha detto senza nemmeno
pensarci troppo.
«Cioè, io... ecco, non... quello che volevo dire è-»
balbetta in modo sconclusionato mentre il suo cervello si impegna per
terminare almeno una delle frasi che ha iniziato.
Ma la sua mente è impigliata in un unico pensiero:
quando ha cominciato a pensare all'appartamento di Crowley
come a casa? Non lo sa, né lo crede possibile, ma
l'ammissione è uscita spontanea, del tutto incontrollata e, peggio,
sincera.
Respira a pieni polmoni per scacciare la spiacevole
sensazione di paura che gli sta attanagliando il petto. Sa da dove
viene quel timore e lo può quasi chiamare per nome. Ha paura del
significato della parola casa per lui, ha paura ora che l'ha
detta ad alta voce e soprattutto ha paura dell'effetto che possa
avere su Crowley. Teme il rifiuto, teme che il demone precisi la
necessità di non fraintendere tutto quello che è successo: teme che
gli spieghi che gli ha permesso di tenere le sue cose
nell'appartamento per pura comodità, non per affetto.
All'improvviso Aziraphale capisce che quello non è un
timore: quella è una certezza.
Vede chiaramente le immagini
del loro confronto passargli nella mente, come in uno di quei film che
il demone gli ha fatto vedere, ma che ora è disponibile
in anteprima solo per lui. Vede Crowely che gli dice tutto quello e
anche di più: lo può ascoltare forte e chiaro mentre gli
comunica
che nell'ultima settimana non ci sono stati progressi di alcun tipo e
che l'esperienza dell'Apocalisse non li ha cambiati nemmeno un po',
non ha modificato niente nel loro rapporto, nella loro intimità,
nel
loro modo di comprendersi e di aprirsi l'uno con l'altro.
Vigliaccamente spera che il tempo torni a scorrere
subito, che lo salvi dall'inevitabile delusione a cui è destinato.
Ma Crowley non sembra propenso a rimetterlo in moto: è praticamente
immobile e solo il cadenzato gonfiarsi del suo petto suggerisce ad
Aziraphale che lui non sia bloccato insieme agli altri avventori
della libreria. È per questo che quando il demone emette suoni
articolati l'angelo trattiene il fiato.
«Va bene»
Non ha idea di quanto tempo siano stati in silenzio, ma
quando la voce di Crowley gli solletica le orecchie Aziraphale ha la
sensazione di aver vissuto un secolo in ibernazione: sente un calore
travolgente che lo fa avvampare.
«Come, scusa?» chiede, incredulo, la voce spezzata
ridotta a un pigolio allarmato. È evidente che non abbia
sentito bene: il demone lo deve rifiutare, il suo copione
nella testa dell'angelo è chiarissimo e non ha alcun permesso dalla
regia di improvvisare. Deve attenersi alle regole, punto e basta.
Crowley si schiarisce la gola e si stringe nelle spalle,
le mani in tasca. «Ho detto che va bene. Puoi portare il libro a...
a casa»
Aziraphale si rende conto che il tempo è tornato a
fluire perché la pacata confusione del negozio torna a disturbarlo.
Crowley ha improvvisato la sua battuta. Ha osato
contravvenire alle direttive tecniche e Aziraphale non sa se essere
indispettito o sollevato da quel cambio di programma.
«Oh. Bene» dice alla fine. «Grazie»
Non riesce a sorridere, né a capire perché abbia
ringraziato Crowley. Fa dietrofront e torna dal ragazzo con entrambe
le copie del libro, cercando di dedicarsi alla sua attività senza
farsi prendere dal panico.
«Ecco a lei» conclude la vendita con la voce che
trema.
Lancia uno sguardo preoccupato al vecchio orologio che
tiene nel locale: non è sicuro di poter finire il turno in quelle
condizioni.
Nel pomeriggio Crowley e Aziraphale non riescono a
rimanere soli a lungo. C'è sempre almeno un cliente nel locale
insieme a loro e l'angelo non sa se considerarlo una benedizione o
meno. Una cosa è certa: il demone non si tiene mai troppo distante
da lui e gli gravita intorno mantenendo tuttavia un rispettoso
distacco. Gli sta dando la possibilità di ritrattare, Aziraphale lo
sa e questo gli riscalda sfacciatamente il volto ogni volta che ci
pensa.
Il rosso di tanto in tanto fissa Delitto e castigo
con un'inclinazione terribile delle sopracciglia, come se cercasse di
inchiodarlo al tavolo per timore di vederlo sparire da un momento
all'altro. Aziraphale l'ha colto sul fatto un paio di volte e, se di
primo acchito non ha avuto la prontezza di agire, la seconda volta ha
accarezzato il libro: non cambio idea. Avrebbe voluto
dirglielo verbalmente, ma un cliente lo ha distratto e l'angelo ha
potuto solo godere del sussulto che il corpo di Crowley ha accusato
nel recepire il messaggio.
Ci sono altre cose che vorrebbe dirgli, cose che fatica
anche a pensare e ad ammettere a sé stesso, ma quelle non sa nemmeno
metterle in parole e non ci indugia più di tanto. Vorrebbe
ringraziarlo ancora, veramente e senza balbettare, senza esitare.
Vorrebbe sapere quando le cose siano davvero cambiate, ma non crede
che tornare indietro di una settimana basti, e nemmeno di undici
anni. Ma la sua mente non riesce a seguire un filo logico, non con
quello che è accaduto prima e con il sangue che gli rimbomba nelle
orecchie.
È un acquirente particolarmente difficile da
accontentare che fa capire ad Aziraphale che deve chiudere il negozio
per il resto della giornata. D'altronde quando lo accompagna
all'uscita sono quasi le quattro del pomeriggio: quello è stato
probabilmente il giorno più prolifico per la libreria da quando l'ha
aperta.
«Posso offrirti un po' di whisky?» chiede a Crowley,
impacciato, come se per loro fosse una cosa nuova.
Il demone allarga le braccia con ovvietà. Bevono in
tranquillità un paio di bicchieri ciascuno, ma nessuno dei due parla
di cose più cogenti di qualche commento sui clienti del giorno.
«Oggi non piove» nota Aziraphale dopo un po'.
«Oggi sei particolarmente acuto, angelo»
Il biondo ignora il commento e prosegue. «Facciamo un
giro al parco prima di cena? Vuoi?»
Crowley annuisce e si alza pigiando le mani sulle
ginocchia. Aziraphale afferra il cappotto, il libro di Dostoevskij e
la scatola di cioccolatini cercando di non badare alle mani che
tremano.
«Quelli mandali a casa» propone Crowley con voce
strozzata, ma visto che l'angelo si è imbambolato al solo sentire la
parola casa per la terza volta in un giorno fa da solo:
schiocca le dita e Aziraphale realizza che libro e cioccolatini sono
arrivati sani e salvi sul tavolo della sala dell'appartamento del
demone.
«Giusto»
Si osservano per un attimo, fanno entrambi per parlare
ma nessuno dice una sola parola. Poi il rosso tira su con il naso e
fa un cenno verso la porta. «Forza, andiamo»
Aziraphale compra un ghiacciolo alla fragola che
miracolosamente non gli si scioglie sulle dita. Può goderselo in
tutta tranquillità mentre Crowley lancia pane alle anatre. L'angelo
capisce che c'è quasi uno schema nel lancio del demone: non tira
verso la terra o l'acqua, ma punta specificamente al becco. Sospetta
che sia per far loro un dispetto, ma non ha il cuore di confermarlo.
«Hanno le orecchie, comunque» dice all'improvviso,
sciogliendo in bocca l'ultimo pezzo di ghiacciolo. Fa sparire il
bastoncino scrollando la mano mentre il demone lo guarda dubbioso.
«Di che diavolo parli?»
«Delle anatre. Hanno le orecchie. Beh, non si vedono,
però ci sono»
Crowley lo osserva come se si fosse trasformato in
un'anatra a sua volta. «OK...?»
«Ti interessava a fine Ottocento» spiega Aziraphale
con un mezzo sorriso. «L'ho letto per caso in un libro, ma non credo
di avertelo mai detto». Preferisce non dirgli di averlo cercato
appositamente. Di fatto, non si era aspettato davvero di trovare
quell'informazione, quindi quella che ha rivelato è una mezza verità
a tutti gli effetti.
Il demone apre la bocca in un muto “Oh” e annuisce
senza dire niente.
Rimangono ancora un po', più vicini del solito, a
godersi il fresco di St. James's Park.
«Facciamo al Ritz?» chiede Crowley reclinando appena
la testa. Aziraphale annuisce, piegando le labbra verso l'alto.
Il demone si alza e tende il corpo per stiracchiarsi,
poi fa ricadere lo sguardo sull'angelo, ancora seduto sulla panchina
e con gli occhi fissi su di lui.
«Allora? Non vieni?»
Aziraphale lo guarda di colpo stranito e scopre di
sentirsi irritato. Non è giusto che, dopo quello che il demone ha
fatto nella mattinata, lo possa sollecitare in quel modo come se
niente fosse. Crowley non aveva alcun diritto di uscire dai binari
che l'angelo aveva prefissato, mandando a monte tutto, compresa la
studiata e intelligente reazione di Aziraphale: il biondo avrebbe
solo dovuto scusarsi per l'invadenza e dire qualche parola complessa
e carica di significati come lapsus e sarebbe finita lì.
Invece no: Crowley ha dovuto improvvisare, ha dovuto
sorprenderlo. Dopo seimila anni, il demone lo ha colto completamente
impreparato e gli ha rifilato l'inaspettato: gli ha detto che può
considerare il suo appartamento come casa sua.
No, si corregge mentalmente. Come casa nostra.
Basta quel cambio di direzione per sentire di nuovo lo
stesso calore che lo ha colto nei giorni precedenti e che lo ha lasciato
spiazzato per la sua intensità. Ne avverte l'egoismo tutto umano,
così lontano dall'incondizionato amore degli angeli per il Creato, e
ne ha paura, ma allo stesso tempo non desidera allontanarlo da sé,
non desidera liberarsene. È un egoismo che lo appaga e lo sfianca
insieme, che ha bisogno di alimentarsi e che, realizza, trova in Crowley il suo
carburante.
Si accorge di star sorridendo solo perché il demone
aggrotta la fronte, ma l'angelo non sente quello che gli viene detto.
Aziraphale sorride perché, ora che l'ha capito, è tutto così ovvio che fa fatica a
credere di non essere arrivato prima a quelle conclusioni, di aver
avuto bisogno di un ennesimo ragionamento per far quadrare ogni cosa,
dai pensieri alle sensazioni, dai gesti alle parole.
Si chiede nuovamente da quanto tempo sia cambiato
tutto
per lui, ma si accorge che non ha importanza: ora è
risolutamente
consapevole del presente, di sé e di Crowley, e l'euforia
è così prorompente che potrebbe farlo scoppiare da un
momento all'altro.
Aziraphale non pensa quando si alza, rigido, ma con gli
occhi che brillano. Non pensa nemmeno quando prende un grosso respiro
e agisce d'istinto, in fretta, prima di avere il tempo di pentirsene:
afferra il colletto della giacca del demone e lo tira giù per
premere le labbra contro le sue.
Il contatto è breve, l'angelo si stacca immediatamente
e fa qualche passo indietro. Crowley, dal canto suo, si sfila gli
occhiali e fissa l'angelo con tanto d'occhi, la bocca spalancata in
un urlo che non ha trovato la via giusta per uscire.
Il cervello del biondo sembra riattivarsi in un secondo:
Aziraphale sente montare dentro di sé stralci del panico che lo ha colto in
libreria, ora perfettamente conscio di quello che ha osato fare.
Questa volta, però, non ha nessun copione da seguire, Crowley non ha
battute da recitare e potrebbe davvero fare qualsiasi cosa, potrebbe
persino accusarlo di aver compiuto un gesto infinitamente stupido e
superficiale.
Contro ogni previsione, però, Crowley non gli chiede se
sia impazzito, né gli urla contro che per il vezzo sentimentale di un
angelo da strapazzo come lui sono stati mandati in frantumi seimila
anni di una bellissima amicizia. No. Crowley ride. Ride e ad
Aziraphale sembra felice. L'angelo è sorpreso, non ha idea di
cosa quello significhi. Non sa nemmeno se il demone si aspetti che
lui dica qualcosa.
«Crowley?» lo chiama debolmente, interrogativo, quasi
preoccupato. È così che fanno gli umani? È sicuro di no. Che lo
stia prendendo in giro?
Il demone continua a sorridere come un serpente,
stupefatto.
«Crowley, tutto bene?». Aziraphale si vede costretto a
chiederglielo perché sente di essere del tutto sfuggito al controllo
della situazione da ore, ormai, se non da giorni.
«Non lo so» risponde sinceramente l'altro, ora più
calmo. «Il ghiacciolo era stregato?»
«N-No...» fa Aziraphale, perplesso. «Era... Era buonissimo»
Perché stanno parlando di ghiaccioli?
«Le anatre, allora» riprova il demone. «Qualcosa che
ha a che fare con loro? No? Sei sicuro, Aziraphale? Perché io non ho
fatto niente, non ti ho tentato, hai fatto tutto-»
«... da solo?» conclude titubante l'angelo più per un
riflesso condizionato che per il vero significato di quelle parole. A
questo arriva con qualche secondo di ritardo e soltanto perché
Crowley ha smesso di ridere ed è semplicemente basito. Aziraphale
vorrebbe scoccargli un'occhiata di puro trionfo: anche lui può
ancora sorprendere il demone dopo seimila di conoscenza, a quanto
pare. Ma non gli sembra il caso, visto che Crowley ha lasciato cadere
a terra gli occhiali e ha di nuovo spalancato la bocca senza mostrare
alcuna intenzione di richiuderla.
«È così?» chiede dopo qualche attimo. «Hai voluto
farlo?»
Aziraphale sente di avere le guance in fiamme, ma si
costringe ad annuire subito: non c'è molto su cui riflettere,
d'altronde.
«E...?» prosegue Crowley, indirizzandogli uno sguardo
inquisitore.
«E cosa?» fa l'angelo vagamente spazientito: è
già difficile di per sé anche senza le sciocche e inappropriate
domande del demone. Sarebbe più semplice se collaborasse.
Crowley annaspa per cercare le parole adatte. «Ed è
tutto a posto? Ripensamenti?»
Aziraphale si tormenta l'anello al mignolo prima di
negare velocemente con il capo. «Per i ripensamenti». Che sia tutto
a posto è un mistero bello e buono. Gli gira la testa, tanto per
cominciare, e sente una fitta allo stomaco che vorrebbe far andar
via, ma forse non ha senso dirlo ad alta voce.
«Va bene» butta fuori Crowley, incredulo.
Aziraphale vorrebbe avvicinarsi per mollargli uno
schiaffo in pieno viso. «Va bene?» ripete, la voce acuta. «Solo questo? È
tutto ciò che hai da dire? Va bene?». Non è certo di cosa
debba dire Crowley a tutti gli effetti, ma quello gli sembra
veramente inappropriato, riduttivo e probabilmente offensivo. Ma il
demone sorride e Aziraphale dimentica il fastidio.
«Angelo» mormora il rosso e il nomignolo esce fuori
con l'aria di essere un rimprovero. Crowley chiude la distanza tra di
loro ed esita prima di sfiorare appena con le dita la guancia di
Aziraphale, delicato e impaurito, fragile e incredulo come se adesso
dovesse inchiodare lui al terreno e non più Delitto e castigo.
«Non cambio idea» soffia l'angelo:
stavolta non ci sono più i clienti a impedirgli di dirglielo
apertamente. Sente i
polpastrelli del demone che tremano contro il suo viso e si chiede
indistintamente come sia possibile per lui essere ancora lì
dov'è,
fermo e immobile sotto il tocco del demone.
Negli occhi scintillanti da serpente legge una muta
richiesta, una preghiera che dopo le precisazioni di Aziraphale è
totalmente superflua, ma forse è per questo che l'angelo sente il
proprio affetto imporporargli la base del collo con una sfumatura più
accesa.
Annuisce piano e Crowley ride direttamente sulle sue
labbra.
«Al mondo»
«Al mondo»
I calici del Ritz tintinnano la loro nota tremula e
tornano al loro posto una volta svuotati per metà.
Le dita di Crowley e quelle di Aziraphale si sfiorano
sul tavolo, ma nessuno dei due osa ritrarsi, nemmeno quando un
tremito li scuote nello stesso momento.
Si guardano negli occhi e si sorridono: ora sanno con
ineffabile certezza che ogni volta che brindano al mondo, in realtà
ammettono di amarsi3.
FINE
Note:
[1]: Ci viene detto nel libro che Aziraphale fa i conti
al computer e che la finanza si è presentata al negozio cinque volte
perché sospettosa riguardo ai conti troppo esatti.
[2]: Nello script book Crowley porta i cioccolatini ad
Aziraphale il giorno dell'inaugurazione della libreria. Ci hanno
derubati di questa scena nella serie, così la riscrivo IO
(l'originale non ha prezzo, sigh, sorry). La nota è per rendere
palese il richiamo.
[3]: Semi-cit. tratta da “La storia fantastica”.
L'originale è «Quel giorno si accorse con stupore che tutte le
volte che lui le diceva “Ai tuoi ordini”, in realtà voleva dirle
“Ti amo”».
Angolino di Menade Danzante:
Eccoci qua! Questa long è giunta al termine con questo
Lunedì introspettivo, fluffoso e spero nello spirito dei
personaggi.
Ringrazio tutti coloro che hanno seguito, letto, inserito la storia in
una lista e commentato capitolo dopo capitolo. Davvero, mi ha fatto
immensamente piacere e sono felicissima di tutte le parole che mi avete
lasciato. Spero che il finale vi abbia soddisfatto e che sia stato di
vostro gradimento!
Ringrazio, infine, anche chi vorrà leggerla in futuro!
Un bacione a tutti e alla prossima! <3
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