Una settimana e un giorno

di Menade Danzante
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Domenica - Lunedì ***
Capitolo 2: *** 2. Martedì - Mercoledì ***
Capitolo 3: *** 3. Giovedì ***
Capitolo 4: *** 4. Venerdì ***
Capitolo 5: *** 5. Sabato ***
Capitolo 6: *** 6. Domenica ***
Capitolo 7: *** 7. Lunedì ***



Capitolo 1
*** 1. Domenica - Lunedì ***


domenica

1. Domenica





Il pranzo al Ritz dura più del solito, ma né angelo né demone se ne curano: il mondo non è finito in una palla infuocata, è tornato più o meno tutto come prima e loro non sono stati squagliati – letteralmente – dai rispettivi dirigenti. Credono di potersi godere qualche ora in più al loro ristorante preferito senza temere ripercussioni di alcun genere. Che possano farlo a ragione non è chiaro, ma decidono di non fare troppe congetture: probabilmente è solo grazie all'Anticristo che possono degustare vini e smangiucchiare pesce pregiato, il loro contributo è stato infimo, ma nessuno dei due può negare il gravoso peso di essere stati coscienti del pericolo per undici anni e una settimana. Affogano il dubbio in un flûte di champagne.

Quando escono è tardi e la stanchezza dell'Apocalisse-mai-avvenuta si fa sentire mentre i lampioni cominciano ad illuminare le vie di Londra. Crowley si guarda intorno per qualche attimo, alla ricerca dell'automobile, ma poi ricorda che la Bentley è rimasta parcheggiata a Mayfair.

«Che palle» sbotta mentre stende il braccio per fermare un taxi.

Aziraphale è il primo a scendere, abbandonato davanti alla libreria. «Ci vediamo domani per un altro brindisi?» chiede, vagamente alticcio. Gli è comunque rimasta la lucidità per pensare che si sono ritrovati entrambi in condizioni ben peggiori dopo una sbronza e questo lo rassicura.

«Sicuro!» ribatte il demone, ugualmente sopra le righe. Più del solito, almeno.

L'angelo sventola una mano in direzione della macchina nera e si appresta a rientrare in libreria con uno schiocco di dita.

Rivedere tutti i suoi volumi è una gioia per l'angelo. Nota subito i libri di Richmal Crompton1. La parte più critica di sé è pronta a demolire l'idea di averli nel locale: stonano molto con le prime edizioni e con i volumi rilegati in pelle. Ma la gratitudine subentra in capo a qualche secondo: decide che era anche ora che il negozio si dotasse di una sezione per l'infanzia e la preadolescenza. Manderà un biglietto di ringraziamento ad Adam per il pensiero gentile: non vede onestamente l'ora di leggerli.

Ogni singolo muscolo del suo viso è atteggiato ad assecondare il sorriso felice e largo che gli increspa le labbra: tornare nel proprio ambiente naturale è un toccasana, soprattutto dopo averlo tragicamente perso nemmeno ventiquattro ore prima per colpa di una sfortunata coincidenza.

D'istinto, si volta per condividere con Crowley lo sguardo raggiante che gli anima le iridi, ma il demone non è con lui: è probabilmente già arrivato a casa sua e starà innaffiando le piante che gli ha fatto conoscere – con un certo astio, deve ammetterlo – la sera precedente.

Gli ci vuole poco per concentrarsi e tornare sobrio. «Che sciocco» si insulta ad alta voce sforzandosi di ridere e di ignorare l'improvviso senso di mancanza che gli ha riempito il petto.

Per rimediare al disagio si prepara una cioccolata calda.





Lunedì





È molto presto quando il telefono della libreria squilla. Aziraphale borbotta ingiurie nell'avvicinarsi alla cornetta. È pronto a lanciare moderati anatemi contro i folli clienti che credono che lui possa aprire il suo negozio di libri alle otto del mattino. Insomma, ma con chi credono di stare a parlare? Di certo non con Mr. A.Z. Fell.

«Temo proprio che siamo chiusi» annuncia, non cercando per niente di nascondere il tono piccato.

«Ah, quindi non hai niente da fare nemmeno oggi, angelo»

Il biondo si apre in un sorriso. «Crowley! Per ora pare di no, no. Hai qualcosa in mente?»

Non si rende conto di attendere la risposta con una certa trepidazione. Né si perde a classificare il sollievo che lo ha colto nel sentire la voce del demone.

«Può darsi. Hai già fatto colazione?»

Sì. «No, sono ancora digiuno. Perché?». Non si rifiuta mai una seconda colazione: è segno di cattivo gusto, Aziraphale ne è certissimo.

«Perché qui ha aperto da poco un locale specializzato in pasticceria francese. Ti interessa?»

L'angelo ha già l'acquolina in bocca, ma non vuole fare la figura del solito golosone.

«Le crêpe non saranno mai buone come a Parigi» rileva, infatti. Una mano, però, già corre al collo per controllare se il cravattino sia ben dritto, pronto per uscire.

«No, ma a Parigi non ti ci porto. Passo a prenderti tra dieci minuti?»

«A tra poco!»

Aziraphale si sistema il panciotto, infila il cappotto e attende che il campanello suoni.


È vero, le crêpe non sono buone come a Parigi, ma di sicuro non fanno schifo. Aziraphale le prova al cioccolato, alle mele, ai lamponi e alle fragole, mentre Crowley si limita ad accettare un triangolino di dolce al cioccolato che l'angelo decide di concedergli. Il biondo non sa proprio come faccia il demone a resistere al piacere del cibo, tuttavia è troppo concentrato a godersi il sapore delle fragole per potersi dedicare troppo a quella questione di secondaria importanza. Quando finisce anche quella ghiottoneria, si passa il tovagliolo agli angoli della bocca con il viso semplicemente estasiato. Lancia un'occhiata attonita alla porzione di tavolo del rosso, in cui solo una tazzina fa bella mostra di sé, per poi dichiarare che le sue crêpe preferite sono state le prime due. In risposta riceve solo una smorfia.

Aziraphale solleva la tazza di tè bianco che ha ordinato e se lo porta alle labbra. Anche quello è molto buono, dal gusto rotondo e rinfrescante, sufficientemente delicato da non coprire l'aroma fruttato delle ultime specialità della casa.

Inclina appena la testa, catturato dai macaron sul suo piatto: ne sono rimasti tre dai colori delicati. Opta infine per quello giallo al limone mentre il demone beve in un sorso solo il contenuto della tazzina.

Aziraphale scuote il capo, rassegnato. «Il caffè ha un sapore troppo forte» asserisce indicando con lo sguardo la porcellana ormai vuota di fronte a Crowley. «Non capisco proprio come tu faccia a berlo sempre quando mangiamo insieme»

Il demone muove la testa di lato: gli occhi sono coperti dalle lenti, ovviamente, ma la bocca si assottiglia come a dirgli che non è propriamente affare dell'angelo quello che il rosso decide di bere durante i pasti. Sarebbe anche una giusta osservazione, il biondo lo sa.

«Lo dicevo tanto per dire» precisa, un ultimo sguardo di disprezzo al caffè e un sorriso per il demone. Demone che non ribatte, ma annuisce soltanto prima di allungarsi sul tavolo a rubare il penultimo macaron alla vaniglia dal piatto di Aziraphale. Le iridi dell'angelo trasudano tradimento mentre Crowley ghigna e mangia il dolce in un sol boccone.

«Crowley! Era il mio macaron!»

«Così la prossima volta tieni la bocca chiusa» è la giustificazione.

Aziraphale non può fare a meno di guardarlo con indulgenza un altro po' per poi decidere che finire di sorseggiare il tè sia la scelta più saggia.


Quella sera Crowley non torna a Mayfair, ma resta con Aziraphale a sbronzarsi nel retrobottega della libreria.

L'angelo si rende ben presto conto che l'alcol gli dà la libertà di parlare male di Gabriel. E di Sandalphon. Con quest'ultimo ha sempre mantenuto un rapporto di facciata particolarmente evidente, almeno ai suoi occhi. Non ha mai digerito la condotta di quell'angelo, né gli ha perdonato Sodoma e Gomorra: è più facile non difenderlo. Con Gabriel è diverso, invece. È pur sempre il suo superiore dall'alba dei tempi – letteralmente. Di norma non si sente libero di parlare come vuole di lui, senza alcun freno e senza pentirsene subito dopo, ma l'inibizione lo abbandona dopo un paio di bottiglie di vino.

Strabuzza gli occhi e ride.

«Pornografia!» esclama, rivivendo per un momento l'episodio che lo ha fatto vergognare di essere un librario a Soho.

Crowley per poco non si strozza con il vino. «Hai bevuto davvero così tanto?!» domanda, allibito, gli occhi scoperti lucidi per l'alcol e la tosse che lo ha salvato dalla smaterializzazione immediata.

Aziraphale si rende conto di averlo detto ad alta voce e ride più forte. «Gabriel e Sandalphon hanno pensato di mime-... mitem-... O Cielo!... mimezza-... Oh! Di passare inosservati tra gli umani comprando... pornografia

Crowley sembra realizzare piano piano il significato della frase, e quando lo fa spalanca la bocca totalmente incredulo. Solo dopo scoppia a ridere battendosi una mano sulla coscia.

«Te lo giuro!» garantisce l'angelo riprendendo fiato. «L'hanno urlato in mezzo al negozio»

Quello fa piegare in due il demone sul divano accanto a lui. Il fatto che anche Crowley veda l'ironia dietro quella vicenda lo rincuora: Aziraphale si sente in diritto di ridere a sua volta del suo ex capo e di chiamarlo anche incompetente – ma questo solo nella sua mente.

Dà il tempo ad entrambi di riprendersi prima di rivelare un altro particolare succulento di quella assurda visita di qualche giorno prima.

«E poi Sandalphon ha detto che c'era puzza di malvagità qui» dice nascondendo il sorriso nel calice di vino e scuotendo il capo.

«Nella tua libreria?!». Crowley ha una mano sul petto ancora spossato dalle risate di poco prima. L'angelo lo vede socchiudere gli occhi serpentini per concentrarsi il più possibile nonostante gli effluvi dell'alcol.

Aziraphale fa la faccia serissima, preparando il colpo di scena che, lo sa, lascerà di nuovo il demone boccheggiante. «Proprio qui. E sai perché?». Crowley scuote la testa stupidamente. «Perché c'eri stato tu

I due scoppiano a ridere nello stesso momento e quando il calice del demone piomba a terra con un sonoro fracasso di vetro infranto decidono che hanno avuto una dose sufficiente di vino per la serata. Una volta tornato sobrio Aziraphale si procura un bicchiere d'acqua e osserva Crowley che ripara il danno procurato. Qualcosa è cambiato: il rosso ha sì fatto sparire l'alcol dal suo corpo, ma l'eccesso di ilarità di poco prima sembra totalmente sparito: il demone pare aver assunto un'espressione particolarmente seria e profonda, Aziraphale oserebbe dire preoccupata.

Fa per chiedergli il motivo di tale subitanea alterazione, ma la voce di Crowley lo precede.

«Anche tu l'avverti, dunque» dice con tono noncurante, senza guardare l'amico.

L'angelo è costretto a fare uno sforzo di concentrazione per ricordare esattamente le sue parole e per dedurre cosa possa essere andato storto nella loro comprensione. È il corpo del demone che gli dà la possibilità di capire: il rosso ora siede più composto, non invade il suo spazio e si è chiuso nelle spalle, rigido: cerca di tenersi lontano.

«Oh, veramente no» risponde Aziraphale con estrema sincerità, curandosi di non riportare alla luce il riferimento al presunto odore della malvagità.

Crowley incrocia gli occhi dell'altro con curiosità. «Un angelo dei due sta mentendo» ragiona, serio, ma senza cattiveria.

«Forse no» tenta il biondo con un mezzo sorriso diplomatico. «Sandalphon non sospettava della nostra collaborazione quando l'ha detto, perciò non aveva motivo di mentire per trarmi in inganno o per qualsiasi altra ragione». Fa una piccola pausa per essere certo che quelle parole arrivino al demone. «Siamo angeli tutti e due. È logico pensare che, come fa lui, anch'io abbia percepito la tua presunta... malvagità, ma deve essere stato così tanto tempo fa... Proprio non me lo ricordo, mio caro»

Crowley storce la bocca, poco soddisfatto, ma Aziraphale riprende con il sorriso sulle labbra: «Sai benissimo come la penso, perciò non dirò di nuovo che sei una brava persona»

Il demone alza gli occhi al cielo.

«Ti odio, angelo»

Aziraphale ride, intenerito, mentre il demone torna in una posa che gli è più consona.

Continuano a parlare del più e del meno fino alle sei del mattino, quando Crowley lascia la libreria e Aziraphale decide di aprire il negozio a quell'orario del tutto improbabile per confondere la clientela.










Note:

[1]: I libri che nello show Adam fa comparire sono la serie di libri per l'infanzia “Just William” di Richmal Crompton.

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Capitolo 2
*** 2. Martedì - Mercoledì ***


martedì

2. Martedì




Il martedì passa piuttosto tranquillo. Anche troppo, in effetti. L'affluenza in libreria è poca: Aziraphale ha visto solo un cliente verso mezzogiorno, che però ha visibilmente sbagliato locale. Si è anche arrabbiato quando l'angelo gli ha fatto notare di essere in un negozio di antiquariato, non in una di quelle moderne botteghe in cui vendono di tutto, anche penne e agende. Dopo quella spiacevole esperienza, l'angelo ha chiuso la libreria per motivi apparentemente imperscrutabili e l'ha riaperta nel tardo pomeriggio, giusto in tempo per ricevere le scortesi e moleste avances di un uomo evidentemente impazzito che ha osato proporre ad Aziraphale di vendere l'attività in favore di un nuovo bar nel quartiere. La richiesta ha così sconvolto l'angelo che ha deciso di appendere il cartello “Close” alla porta subito dopo aver cacciato quel tizio destinato all'Inferno.

Di Crowley nessuna traccia. Aziraphale ha cercato di non pensarci, ma in realtà ne è sconvolto, anche se non lo vuole ammettere nemmeno a sé stesso. È anche arrabbiato. Questo se lo dice, invece, mentre cammina avanti e indietro a mezzanotte tra le pile di libri sparse per il negozio. Dopo tutto quello che hanno passato, dopo tutto quello che hanno fatto l'uno per l'altro Crowley non può pensare di sparire per tutto il giorno, non con Inferno e Paradiso che hanno cercato di farli fuori appena due giorni prima. È inconcepibile, è un comportamento ingrato e fa stare male l'angelo più di quanto sia disposto ad accettare.

Aziraphale non ha idea di come affrontare questo. Non sa nemmeno cosa sia ciò che sta fronteggiando. Sa solo che non si sente completamente in pace con sé stesso e con il mondo e che neanche il grammofono che spande le note di Mozart nel locale riesce a distrarlo dall'evidente e pressante assenza del suo migliore amico.

Più volte fa per andare verso il telefono e chiamare Crowley per dirgliene quattro o alternativamente per invitarlo a bere, ma non riesce mai a compiere l'operazione fino in fondo. Arriva persino a giustificarlo: forse, anzi sicuramente il demone ha altro a cui pensare piuttosto che essere sempre nei paraggi della libreria e lui non ha il diritto di imporre la sua presenza, soprattutto non per trascinarlo nel suo negozio polveroso ad annoiarsi con lui. Sono ufficialmente disoccupati: il demone ha la piena facoltà di passare il suo nuovo tempo libero come vuole. Aziraphale vorrebbe tanto vederlo arrivare di sua spontanea volontà, appunto, con una solida motivazione che spieghi il suo ritardo.

Quando, però, la pendola segna l'una, Aziraphale sospira, ormai del tutto consapevole che il demone non si presenterà. Non deve pensarci più: si siede allo scrittoio, inforca gli occhiali di cui non ha bisogno e comincia a leggere uno dei suoi nuovi libri gentilmente offerti dall'Anticristo.

Quando il cielo si rischiara ha finito tutto la saga.





Mercoledì





Il mercoledì mattina è tetro e cupo: pioggia a Londra, troppi clienti che cercano riparo nella libreria sgocciolando ovunque e senza il minimo interesse per i libri. Pessima idea aprire quel giorno, davvero. Ha perso il conto di quante volte ha dovuto dire che quel particolare scaffale con l'alloro intagliato non ha merce in vendita, ma solo d'esposizione, o che quel libro là è davvero troppo delicato perché possa essere sfogliato senza guanti, o che no, non c'è proprio niente che lui possa fare per nominare il prezzo della prima edizione a stampa della Bibbia perché, anche quella come tutto il resto, è lì solo per essere ammirata.

È sul punto di dire che la libreria sta per chiudere quando vede il demone in mezzo alla folla. Improvvisamente il resto scompare e Aziraphale sente montare dentro di sé tutto il rancore covato durante la notte. Attende qualche secondo per far scemare la rabbia e per mettere di nuovo a fuoco tutti gli avventori della stanza, gli unici che possano impedirgli di cominciare a urlare senza ritegno. Quando si calma il demone è ancora distante e stranamente interessato alle raccolte di Sant'Agostino. Quello non è normale.

«Crowley!» esclama andandogli incontro, cercando di moderare il tono. «Non mi hai salutato»

Non voleva dirlo davvero, ma ormai il danno è fatto e non può rimangiarselo. Batte le palpebre per scacciare via la vergogna e attende una risposta.

Il rosso lo guarda attraverso le lenti, per un attimo interdetto. «Stavo cercando di tentare quello lì» e indica con la testa un uomo dietro di lui sulla cinquantina.

L'angelo ruota il capo e come per inerzia individua il malcapitato. Registra con un attimo di ritardo che il demone ha ritenuto opportuno fornire come giustificazione per la sua straripante mancanza di rispetto una tentazione. Le iridi del biondo schizzano di nuovo verso l'altro.

«Non nel mio negozio, Crowley!». Aziraphale è profondamente infastidito. «Non hai nemmeno bisogno di farlo, ma, se lo desideri tanto, fallo fuori da questa libreria! Anzi, sai che ti dico? Che la libreria è chiusa». Si volta verso i presenti, volutamente dando le spalle al demone, e alza la voce. «Signori, stiamo chiudendo. Siete pregati di uscire in fretta. Interrompete immediatamente tutte le vostre attività e recatevi fuori dalla libreria»

I potenziali non-acquirenti obbediscono più per la follia che traspare da quella richiesta che per altro. Quando tutti sono usciti, compreso l'uomo di cinquant'anni, Aziraphale guarda Crowley con furore e si rende conto che il demone ha un'espressione stralunata stampata in faccia.

«Nel mio negozio! Cosa c'è di tentatore in una libreria, di grazia?»

«Niente» la risposta di Crowley è candida, a suo modo. «Non lo stavo tentando per rubare libri, se è questo che ti preoccupa, angelo»

Aziraphale sa che il demone non farebbe mai una cosa del genere, non a lui, ma sente ugualmente che qualcosa dentro di sé si rilassa. «Cosa gli hai fatto fare?». Il tono si mantiene rude a fatica per il sollievo.

«Perché credi che sia solo farina del mio sacco?» borbotta Crowley aggirandolo e sedendosi scompostamente allo scrittoio. «Gli ho detto di regalare un libro erotico al tipo a cui faceva gli occhi dolci ma che non sembrava troppo preso da lui. Gli ho assicurato che tutti rimorchiano così di questi tempi»

Lo sguardo contrariato di Aziraphale si distende suo malgrado. «Più che una tentazione sembra solo una figuraccia»

«Può darsi» considera serio il demone. «Sono fuori allenamento con le tentazioni delle anime singole. Mi muovo più in grande, di solito»

Aziraphale annuisce e si sistema il panciotto. Gli basta un attimo – il fugace sguardo alla stanza nel suo insieme che gli restituisce la visione del rosso tra le sue proprietà – e si ricorda di essere arrabbiato.

«Ieri hai fatto pratica? Mm?» butta lì con finta casualità, impegnandosi subito a sistemare un paio di libri spostati da mani incivili. Spera solo che la sua voce sia stata più pungente della domanda che è riuscito a formulare.

«Ieri? No, ieri ho dormito. Ma si può sapere che hai?». Crowley si è tolto gli occhiali e ora lo spia interrogativo con le sue iridi gialle.

«Dormire... Un'altra cosa di cui non hai bisogno» rileva Aziraphale con una punta di stizza. È grato di poter sfruttare un robusto scaffale di legno per nascondere il viso contratto dall'irritazione. Non può credere di essere stato piantato in asso per una dormita. Deve assolutamente farlo notare all'altro. Non può fargliela passare liscia: Aziraphale non è un giocattolo, non merita di essere messo da parte per una motivazione come quella.

Esce dall'ombra con la sua migliore espressione furibonda per rimproverarlo e...

Magari lo farà più tardi: Crowley sta riposizionando manualmente un volume di storia nella sezione giusta e non gli sembra il caso di disturbarlo proprio adesso con le sue rivendicazioni sulla dignità.

Scuote la testa e torna dietro allo scaffale, la rabbia che via via lo abbandona.

Stupido demone.

L'angelo dimentica definitivamente tutta la sua ira quando si concedono del brandy dopo aver riordinato il locale.



«Passeggiata? Che ne dici, angelo?» propone il demone di punto in bianco nel bel mezzo di una conversazione su quanto sia utile possedere un negozio e non venderne la merce.

«Sta ancora piovendo» fa titubante Aziraphale dopo un attimo di smarrimento per il repentino cambio di tema.

«Gli umani hanno inventato gli ombrelli»

Giusta osservazione.

Crowley ne materializza uno sufficientemente grande da riparare entrambi. Quando offre il braccio ad Aziraphale questi si dice che sia un gesto dettato esclusivamente dalla necessità di stare vicini per non essere bagnati dalla pioggia, ma è comunque contento di poterlo accettare. Si scambiano uno sguardo fugace e Aziraphale nota che Crowley non ha indossato le lenti scure per uscire, ma non glielo dice: nessuno lo guarderà in faccia, non con gli ombrelli a coprire la visuale ai passanti e soprattutto non con tutte le diavolerie che si vedono in giro al giorno d'oggi. Probabilmente un qualsiasi umano lo giudicherebbe non come un essere sovrannaturale, ma come un uomo troppo vecchio per indossare delle lenti a contatto colorate come quelle.

Una volta fuori l'angelo inala l'odore della pioggia con un sorriso felice che gli colora il viso mentre adocchia l'interno dei locali dove tutti sono accalcati per trovare riparo dal temporale. Niente coglie la sua attenzione in maniera particolare, ma quando arrivano davanti ad un pub Aziraphale tira il braccio del demone per farlo fermare.

«Non ti sembra familiare quello lì?» gli chiede, indicando con discrezione un uomo all'interno: dal riflesso della vetrata vede che Crowley si è piegato fin quasi a sfiorargli il viso con la guancia per osservare la traiettoria del dito dell'angelo.

«Mm... no?» fa il demone con una smorfia.

«Sicuro sicuro?»

Crowley torna in posizione eretta sbuffando un scocciato.

Aziraphale fa fatica a trattenere il sorriso prima di riprendere: «Tenti le persone e non te le ricordi qualche ora dopo la tentazione?»

Quando il demone, offeso, si slancia contro il vetro e si fa scudo con la mano libera per avere una visuale quanto più chiara dell'interno, l'ombrello scivola leggermente dalla sua presa e Aziraphale è costretto a chiudere le dita di Crowley a pugno con le sue per non rischiare di bagnarsi. Si ritira in fretta e si dedica subito ad osservare la reazione sconcertata del demone che riconosce il cinquantenne della libreria seduto ad un tavolo per due con il cliente di cui ricercava le attenzioni.

«Non è stata nemmeno una figuraccia, a quanto pare» rimarca Aziraphale con la voce rotta dal sorriso.

«Sta' zitto» ma Crowley sprizza imbarazzo quando torna a rivolgersi a lui. «Non vuol dire niente. La lussuria è un vizio capitale, se non te ne fossi accorto»

«Al contrario, ne sono molto consapevole» ribatte l'angioletto sfoderando il più innocente degli sguardi. «Non sapevo, piuttosto, che bere insieme fosse un atteggiamento lussurioso, anche perché se così fosse-» noi staremmo peccando di lussuria da millenni, ma Aziraphale è sufficientemente saggio da bloccarsi in tempo: non sa nemmeno come gli sia venuta in mente una cosa del genere. «Beh, se così fosse, ecco... tutti quanti sarebbero dei lussuriosi e questo non è oggettivamente possibile. Andiamo!»

Crowley alza un sopracciglio. «Io non parlo di tutti quanti!» sbotta, teatrale, allargando le braccia: la destra che regge l'ombrello scopre entrambi alle intemperie. «Parlo di loro due nello specifico e-»

«Oh, smettila di muoverti, Crowley!» esclama Aziraphale, afferrando l'avambraccio del demone per resistere all'impulso di strappargli l'aggeggio dalle mani. «Ammettilo: per oggi non hai assicurato nessuna anima all'Inferno...»

«Ma io non voglio assicurare anime, non ci lavoro più Laggiù» Crowley cerca di parlare sulle parole dell'angelo per provare la sua teoria sulla lussuria, ma Aziraphale è più testardo e nemmeno lo ascolta.

«... anzi, hai fatto trionfare l'amore!»

«Io che cosa?!» sibila il demone allibito, gli occhi gialli esposti e sgranati. «Rimangiatelo, adesso!»

«Non ci penso proprio, caro. È la verità: guarda». I due umani ridono e scherzano, si tengono per mano da un capo all'altro del tavolo. È così evidente che quel primo appuntamento stia andando meravigliosamente bene che Crowley rimane muto e incapace di controbattere.

«Suvvia, non ti demoralizzare» scherza Aziraphale, battendo una pacca sulla porzione della giacca di Crowley che la sua mano copre. «Sei sicuramente fuori allenamento, dico bene? La prossima volta andrà meglio»

Sente il demone irrigidirsi appena al contatto, ma le fessure verticali tornano a guardare i suoi occhi blu. Gli rifà il verso con una smorfia borbottando a mezza voce che tanto ha ragione lui, che Aziraphale non ha la minima idea di tutte le cose sconce che faranno quei due dopo quelle tenere effusioni in un pub: se l'avesse, continua, adesso arrossirebbe fino alla punta dei capelli.

L'angelo lo lascia fare e appena Crowley, per rinsaldare la morsa sull'ombrello, allontana il braccio dal corpo Aziraphale vi infila di nuovo il suo: questo definitivamente zittisce il demone che riprende a camminare in silenzio con l'angelo al fianco.



«Aspetta, Crowley»

Aziraphale riesce appena in tempo a fare un cenno al demone che è già entrato per metà nella Bentley prima di sparire all'interno della libreria. Ne esce poco dopo con qualcosa di nero tra le mani.

«I tuoi occhiali» spiega quando gli porge l'oggetto. «Li hai lasciati qui, prima»

«Oh» è tutto quello che esce dalla bocca del demone mentre li guarda con sospetto; fissa enigmatico l'angelo prima di riprenderli e indossarli. Annuisce un ringraziamento e Aziraphale, anche se non è contento di vedere di nuovo quelle lenti, esibisce un sorriso di cortesia.

«Ci si vede, angelo»

Aziraphale sente il petto tremare alla sola idea che potrebbero non vedersi l'indomani, ma non osa chiedere – non osa rischiare un no. China il capo in segno di saluto e osserva la Bentley sfrecciare sull'asfalto. Si decide a rientrare solo quando l'automobile è ormai fuori dal suo campo visivo: ora non piove più, non verrà assaltato dai clienti, ma non si sente comunque in vena di aprire la libreria.












Angolino di Menade Danzante:

Volevo ringraziare tutte le persone che hanno letto e/o recensito il primo capitolo, che hanno inserito la storia in una lista e che sono state incuriosite dall'inizio. Sono felicissima di questo e non posso che sperare di continuare a destare la vostra curiosità!
Dal prossimo capitolo i giorni saranno analizzati singolarmente: qui ho deciso di non farlo perché mi è servito questo “Martedì” di calma piatta per giocare con i punti più deboli del pov di Aziraphale, ma ho voluto subito alleggerire il tono con il Mercoledì meno angst.
Un abbraccio virtuale a tutti! :*

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Capitolo 3
*** 3. Giovedì ***


giovedì

3. Giovedì







L'angelo si è dimenticato di aprire il negozio. Quella non è una novità: capita spesso che faccia anche di tutto per dimenticare di aprire la libreria, ma quel giovedì ha semplicemente continuato ad ascoltare imperterrito Wagner dalle cinque fino alle dieci del mattino, ora in cui il telefono squilla e lo spaventa a morte – quasi. Dall'altra parte della linea Crowley lo prende in giro: è fuori dalla libreria a fissare le tapparelle all'entrata ben tirate dopo aver passato un buon quarto d'ora a fargli segni dalla finestra. Segni che, evidentemente, il biondo non ha colto.

«Perdonami, caro» lo saluta l'angelo appena sblocca la serratura del locale. «Non so dove ho la testa, a volte»

Crowley aggrotta la fronte individuando subito la fonte del suono che ora riproduce la morte di Isotta1, poi ghigna: «Non sapevo ti piacesse Wagner. È dei nostri pure lui, sai?»

Ad Aziraphale non risulta difficile crederlo: se per i Piani Alti il capolavoro intramontabile è Tutti insieme appassionatamente, può ben immaginare che le uniche note di Wagner accettate di buon grado Lassù siano quelle della Marcia Nuziale.

L'angelo si avvicina al grammofono per farlo tacere mentre rileva con finta casualità: «Oggi sei particolarmente mattiniero». Riceve solo una smorfia in risposta, come a dire che il demone non ci abbia fatto caso, ma Aziraphale è ugualmente contento: la preoccupazione che l'aveva colto il giorno prima è sparita del tutto ora che vede Crowley in mezzo ai suoi libri.

Il rosso si è già sistemato al tavolo circolare meno ingombro della libreria e si è sfilato gli occhiali. L'angelo lo osserva mentre li guarda sospettoso e per un attimo ha paura che li rimetta sul naso, ma questo non avviene: Crowley li abbandona definitivamente sulla copertina della prima edizione de Le avventure di Peter Pan e incrocia lo sguardo dell'altro sollevando un sopracciglio.

«Tè?» propone in fretta Aziraphale, sperando che questo perdoni la sua invadenza e giustifichi il sorriso che gli è spuntato sul viso. Il demone non fa domande e annuisce.

Aziraphale ha scoperto nel 1946 di non essere un autentico cultore della bevanda ambrata: gli piace, infatti, affogarci dentro due zollette di zucchero, ma sa di per certo che questa è pressoché un'eresia per i veri appassionati – o almeno per Orwell2 – e anche per gli indovini che predicono il futuro dai fondi del tè: per loro diventa un guaio distinguere le foglie dai granellini di zucchero sopravvissuti allo scioglimento. E crede proprio che abbiano ragione, visto che sta sperimentando proprio adesso lo stesso problema insormontabile: non è sicuro che la macchiolina chiara in alto a destra sul cerchio della ceramica sia una foglia.

«Ti scongiuro, Aziraphale: tutto, ma non la tasseomanzia» lo avverte Crowley dall'altro lato del tavolo, drasticamente attento ai movimenti dell'amico.

L'angelo alza di soprassalto gli occhi dalla tazza e fa il vago, anche se non perde l'occasione di rifilare al demone uno sguardo offeso.

«Come stanno le piante?» chiede per cambiare discorso mentre poggia la tazza sul piattino. Si rende subito conto di provare un reale interesse per le bellissime coinquiline dell'appartamento di Crowley e gli occhi gli si animano in fretta, il dubbio sullo zucchero già evaporato.

«Come sempre»

Aziraphale sorride. «Mi piacerebbe tanto rivederle» confessa del tutto inconsciamente. È il guizzo negli occhi di Crowley che gli dà un'idea di quello che ha detto. «Oh, ma non voglio essere d'intralcio» precisa subito dopo, tirandosi indietro contro lo schienale della sua sedia. Si maledice per aver già finito il suo tè: non ha niente da fare per salvarsi dall'imbarazzo e continuare a parlare non è mai il suo forte se comincia a sentire un calore prepotente sulle guance. Ha visto le piante solo in occasione dell'Apocalisse-che-non-è-stata, ma c'era qualcosa di diverso quella notte: la libreria era bruciata, loro erano sconvolti e c'era una profezia da decifrare. Non ha alcun diritto di piazzarsi a casa di Crowley in un giovedì qualunque. Non sa nemmeno perché l'abbia detto ad alta voce, onestamente, ma deve tirarsi fuori dai pasticci prima che l'altro decida di battere la ritirata e sparire: quello non potrebbe proprio sopportarlo, non di nuovo.

«Perché no?» dice Crowley e Aziraphale sgrana gli occhi. Il torace del rosso si muove al ritmo del corposo respiro che il demone prende. «Quando preferisci tu» aggiunge con una specie di indifferenza che l'angelo non considera autentica.

Aziraphale vorrebbe quasi fargli notare che è solo un giovedì casuale, che lui un posto dove passare le giornate ce l'ha di nuovo e che, volendo, ha tutta Londra – per non dire tutto l'Universo – a sua completa disposizione. Ma poi anche nei suoi pensieri prende forma lo stesso “Perché no?” che gli ha fornito il demone poco prima.

In fondo, che male c'è?, si dice. Sorride.

«Oh, be', Se la metti in questi termini... Oggi?»




«Sono sempre così rigogliose!» esclama Aziraphale guardando le piante radioso.

Crowley è appoggiato allo stipite della porta aperta della sala e fissa il biondo con qualcosa di particolare negli occhi. L'angelo sente il suo sguardo su di sé, ma decide che le ampie foglie verdi meritano più attenzione al momento.

«Come fai ad ottenere questi risultati?» chiede mentre accarezza la superficie di una pianta piccolina al centro del vaso. Improvvisamente qualcosa cambia: le foglie tremano all'unisono per un breve ma intenso attimo.

Aziraphale si raddrizza su, ritirando la mano. Aggrotta la fronte perplesso e si volta verso il demone.

«Ho fatto qualcosa di sbagliato?» domanda, pericolosamente preoccupato.

Il demone è pietrificato e allo stesso tempo minaccioso. Guarda ovunque tranne che verso Aziraphale mentre fa un cenno di diniego con la testa. L'angelo non sa onestamente cosa pensare, ma forse ha solo immaginato il tremore delle piante e potrebbe anche convincersene... solo che le foglie riprendono subito a muoversi quando Crowley cambia posizione contro la porta. Qualcosa non va.

«Non hai risposto, caro» rileva Aziraphale, parlando con lentezza, facendo lavorare in fretta il cervello per comprendere. «Come ottieni questi ottimi risultati con le piante?»

«Acqua»

«E...?»

«Beh... parole». Questo viene fuori come un'esalazione: Aziraphale segue il movimento del petto di Crowley mentre si inarca per poi ruotare quando il proprietario decide di rientrare nella sala.

Parole. «Sei sicuro?»

«Abbastanza, sì»

Le piante sono ora straordinariamente calme, rilassate: nemmeno la voce pacata di Aziraphale ha avuto lo stesso effetto su di loro qualche secondo prima, l'angelo ne è sicuro.

«In che senso abbastanza?» indaga, entrando nella sala con le mani giunte in grembo. Crowley è appoggiato al tavolo con le mani in tasca e le iridi nascoste dal gioco di luce che filtra dalla persiana.

«Per l'amor di Qualcuno, Aziraphale». Il demone si passa una mano sugli occhi e si volta verso l'angelo. «Dico loro che devono crescere bene, che non devono deludermi. Contento?»

Aziraphale non è contento per niente, ma deve procedere un passo alla volta.

«Giusto» concede prima di deglutire. «E questo glielo dici con amo-... calma o... no?». Incassa le due occhiatacce del demone e d'un tratto sa la risposta.

«Crowley!» esclama, l'espressione contrita e il nome dell'amico che suona come un rimprovero. Non è possibile. «Urli alle piante di crescere rigogliose e belle?»

«Ehi, non è colpa mia!» il demone scatta sulla difensiva, ma non abbandona la postazione. «Sono stupide, non capiscono! Serve disciplina!»

«Serve amore!». Aziraphale non può credere di dover spiegare queste cose. «E cortesia e tenerezza e comprensione. Non paura

Crowley è visibilmente schifato. «Sanno quello che è meglio per loro» asserisce con voce acuta.

«Oh, Crowley». Aziraphale ora è compassionevole e fa un passo avanti. «Tutti sanno quello che è meglio per loro quando vengono minacciati, no? Non significa che sia un trattamento giusto, non sei d'accordo?»

La faccia del demone esprime tutto il suo dissenso, ma ha la decenza di non ribattere. Questo fa sorridere l'angelo.

«Senti: ho un'idea». Attende che Crowley gli dia un segnale, ma niente. «Ecco, posso... Ti... Mi permetti di... ehm... provare un altro metodo?»

La bocca del demone si spalanca e le pupille si assottigliano. «Che vorresti dire?» chiede incredulo e irritato, ma questo non scoraggia del tutto l'angelo.

«Te lo farò vedere» sorride Aziraphale, gli occhi grandi che cercano una qualsiasi conferma di aver catturato l'attenzione dell'altro. «Se non ti piacerà, potrai sempre revocare il permesso»

Questo pare funzionare.

«Accomodati» sospira il demone derisorio con un gesto della mano rivolto alla sala.

Aziraphale sa che quello vuol dire che Crowley è pronto a scommettere sul suo fallimento, ma non trattiene nemmeno per un attimo l'euforia per avergli estorto un . «Torno subito»

«Dove vai? Ehi, angelo!», ma Aziraphale è già uscito di casa.




«Questa sarebbe la tua brillante idea?». Crowley è allibito, Aziraphale lo vede chiaramente nello sguardo incredulo dell'altro, ma finché lo lascia fare è tutto a posto, ne è sicuro.

«Sì. Vedrai, dammi una possibilità»

Il demone retrocede e l'angelo lo vede distintamente trattenere il respiro. Non dice niente e si fa meccanicamente da parte mentre Aziraphale fa apparire una poltrona al centro della stanza delle piante rivolta verso la sala. In mano stringe una copia di La dodicesima notte3, la prima edizione de I tre moschettieri e un paio di occhialini da lettura recuperati direttamente dalla libreria.

«Tu ci vedi benissimo» nota Crowley indicandoli. «Perché li usi?»

Aziraphale pensa che sia molto tenero da parte sua chiedere una cosa del genere. Per l'amor del Cielo, Crowley dorme solo per il gusto di farlo e chiede a lui il motivo dell'utilizzo degli occhiali da lettura?! Ma capisce che non è il momento di giocare con il fuoco. «Mi piacciono» dice semplicemente e questo chiude la discussione.

Si siede, indossa gli occhiali e apre il volume di Shakespeare. «Puoi rimanere, se lo desideri»

«Certo che posso rimanere se lo desidero: è casa mia», ma il demone se ne va e si stravacca sul suo trono in sala.

Aziraphale si schiarisce la gola e comincia a leggere con espressività e avendo cura di modificare la voce per sottolineare le differenze tra i personaggi. Di tanto in tanto alza la testa dal libro per assicurarsi che le piante siano attente e che siano protese verso di lui. Almeno non tremano e tanto basta. Finge di non notare che il demone lo guarda dall'altra stanza e non perde una parola della commedia, anche se ogni volta che se ne rende conto la sua voce si incrina per un attimo.

Normalmente leggere un testo teatrale è un'operazione relativamente veloce per Aziraphale, ma la sua interpretazione drammatica gli richiede quasi tre ore per far giungere al termine le disavventure di Viola e Sebastian.

«Piaciuto?» chiede alle piante, guardandosi intorno per fronteggiare il mare verde lucido che si è fatto sempre più vicino durante la lettura. Osserva le foglie tornare piano piano al loro posto, probabilmente consce della fine della pièce.

Aziraphale si alza, poggia occhiali e libro sulla poltrona e si avvicina titubante al muto demone che distoglie lo sguardo un secondo troppo tardi perché la sua dimostrazione di disinteresse possa essere credibile.

«Vuoi fare un'ispezione?» propone l'angelo, affabile. «Per vedere se ho fatto danni. Se non ti piace il risultato, finisce qui l'esperimento, te lo prometto»

Crowley annuisce stancamente e lo raggiunge. Aziraphale gli trotterella dietro mentre con occhio critico – davvero troppo critico – il demone osserva le piante e ne soppesa le foglie – che ora fremono appena. L'angelo spera di apparire sicuro di sé, ma in realtà si sente morire: da una parte non vuole imporsi sui modi di fare del demone, dall'altra è preoccupato per le piante e c'è una terza parte di sé, quella orgogliosa e poco angelica, che vorrebbe tanto un riconoscimento per quello che ha fatto con passione. Vorrebbe sentire un complimento da parte del demone, anche solo un gesto, un cenno... È così agitato che quando Crowley si ferma perché ha finito il giro non se ne accorge e gli sbatte contro. Fa per chiedere scusa, ma è il demone il primo a parlare.

«Niente danni»

È una voce sottile sottile quella che Aziraphale ascolta, ma è certo di quello che ha sentito.

«Oh» conviene, non sapendo cosa aggiungere. Dovrebbe essere Crowley a dire qualcosa, non lui, maledizione. «Bene»

Il demone annuisce e tira su con il naso. «Mm. Bene». Storna lo sguardo, l'imbarazzo che lo muove come un burattino. Ora anche l'angelo è completamente a disagio. Spera quasi che le piante possano dire la loro sulla faccenda, ma questo è troppo per dei vegetali.

È proprio quando perde le speranze che Crowley voglia aggiungere altro che viene sganciata la bomba.

«Puoi... Puoi rifarlo» dice il demone e sembra costargli una fatica tremenda. «Se ti va. Puoi rileggere loro qualcosa. Ogni tanto, non sempre»

Aziraphale impiega qualche secondo per processare quello che ha appena sentito. Quando finalmente lo fa sente tutta la tensione accumulata scivolare via e lasciare il posto a qualcosa di diverso, qualcosa che probabilmente ha provato con così tanta intensità solo ballando la gavotte: è felice.

Dice qualcosa che non sa nemmeno lui cosa sia e senza pensarci allaccia le braccia dietro la schiena del demone e lo stringe in un caloroso abbraccio, il viso che si nasconde nella camicia sbottonata di Crowley. Ha fatto qualcosa di buono per il suo migliore amico e il demone è contento, magari non quanto lui – sicuramente non quanto lui –, ma sembra aver apprezzato e questo fa sentire Aziraphale leggero, appassionato e immensamente temerario: nemmeno brandire la spada fiammeggiante di fronte a Satana gli ha dato la stessa scarica di energia lungo il corpo.

Si rende conto di quello che ha appena fatto solo quando sente distintamente una mano che gli tocca la spalla. È il modo di Crowley di rispondere all'abbraccio, deduce, perché dal demone non arriva altro, fortunatamente nemmeno un discreto tentativo di allontanarlo. Dura poco, ma è così nuovo per loro che Aziraphale teme sia rimasto premuto contro il corpo di Crowley per più tempo di quanto sia effettivamente lecito. Quando si separano il demone lo guarda, intenso, ma è pressoché indecifrabile.

«Non sempre» precisa il rosso dopo un secondo di confusione, un dito delicatamente appuntato sul petto di Aziraphale a mo' di avvertimento.

L'angelo sente il tocco del demone nonostante gli strati di stoffa che gli ricoprono il corpo e reprime il forte impulso di abbassare lo sguardo sull'indice di Crowley: non se la sente di aggiungere altro imbarazzo alla conversazione. Piuttosto, sceglie di annuire e di sorridere mentre il demone scuote la testa rassegnato e ritira il polpastrello.

«Direi di festeggiare! Andiamo a cena?» tenta Aziraphale ilare, lanciando uno sguardo alle finestre per avere un'idea dell'ora.

«Non c'è niente da festeggiare» borbotta Crowley, ma si avvia comunque all'uscita ancheggiando. Aziraphale ride: è dietro di lui con il cappotto ripiegato sul braccio e le piante non tremano in preda al panico da almeno quattro ore.




Solo quando la Bentley ferma la sua forsennata corsa davanti alla libreria a Soho Aziraphale, oltre a ringraziare il fatto di essere ancora tutto intero, si rende conto di aver lasciato i libri e gli occhiali a casa di Crowley. Non ha nemmeno smaterializzato la poltrona al centro della stanza, ma quando lo dice al demone, questi fa una smorfia per sottolineare l'assurdità di porsi problemi di quel genere dopo mezzanotte.

«Angelo, nessuno ruberà I tre moschettieri o le commedie di Shakespeare, posso assicurartelo» lo deride da dietro le lenti scure tornate al loro posto per l'uscita. «Alla poltrona posso pensare io, no? Rilassati»

Aziraphale non è sicuro che non esista anima viva desiderosa di rubare dei libri, ma non è quella la sua preoccupazione: è estremamente colpito dal fatto che a Crowley non sembri dare fastidio il fatto che qualcun altro abbia lasciato le sue cose nel suo appartamento.

«Avrò modo di riprendere tutto» butta lì, mostrando il più falso sorriso noncurante di cui sia mai stato capace.

Crowley lo guarda e c'è anche in lui qualcosa di affettato quando conferma: «Certo. Quando vuoi». Aziraphale si prende qualche secondo per capire cosa sia e alla fine arriva alla conclusione: il modo casuale di parlare. Ma forse è vero che dopo mezzanotte l'angelo comincia a interpretare fantasiosamente quello che esperisce.

«Sogni d'oro, caro» augura, tornando su un terreno meno sdrucciolevole delle sue assurde ipotesi.

Crowley aggrotta la fronte e toglie le mani dal volante con un gesto esasperato. «Che razza di saluto è da parte tua? Tu nemmeno dormi!»

«Beh, tu sì... Oh, andiamo, è cortese dirlo!»

La faccia del demone esprime tutti i suoi gusti divergenti in fatto di cortesia. «A domani, angelo»

Aziraphale scende dalla macchina con il sorriso che gli illumina il volto.











Note:

[1]: Aziraphale sta ascoltando “Tristan und Isolde” di Richard Wagner.

[2]: Il 12 gennaio 1946 George Orwell pubblica un articolo sul quotidiano Evening Standard in cui propone le undici regole per fare un tè perfetto. L'ultima di queste è proprio quella di bere il tè amaro, come la birra, perché lo zucchero ne distrugge il sapore.

[3]: Ho scelto questa commedia di Shakespeare tra le tante perché si ipotizza sia stata messa in scena per la prima volta il 6 gennaio 1601, che è l'anno in cui è stata ambientata la sequenza al Globe Theatre della serie. Crowley dice di preferire i lavori più divertenti di Shakespeare, perciò è credibile che abbia visto questa nello stesso anno di uscita di “Amleto”.

Angolino di Menade Danzante:
Anche stavolta ci tengo a ringraziare tutti coloro che stanno leggendo la storia! Siete preziosissimi e gentilissimi! :*
Spero tantissimo che anche questo aggiornamento non vi abbia deluso!
Alla prossima!

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Capitolo 4
*** 4. Venerdì ***


venerdì

4. Venerdì







Il venerdì inizia sorprendentemente bene. Aziraphale ha dovuto aprire la libreria di buon mattino senza fare troppe storie sull'eventuale afflusso di clienti perché sta aspettando da due settimane un venditore che sostiene di avere copie preziose e introvabili del secondo libro della Poetica di Aristotele1. Con tutta la storia dell'Apocalisse l'angelo aveva pensato di dover rinunciare a quella verifica, ma alla fine si era risolto tutto per il meglio e di lì a poco avrebbe avuto la possibilità di sondare la mercanzia con le proprie mani. Crowley, che è arrivato presto e si è piazzato allo scrittoio senza l'aria di volersene andare a breve, gli ha fatto notare che tutto ciò è impossibile e Aziraphale lo sa meglio di lui, ma è curioso di vedere cosa abbia inventato questo truffatore.

Le fantomatiche copie si rivelano, dopotutto, il buco nell'acqua che entrambi avevano previsto. Il testo è così male assemblato che solo un bambino privo delle più basilari nozioni di biblioteconomia potrebbe dare per buona l'ipotesi che siano manoscritti medievali ricopiati da chissà quale amanuense. A poco serve lo sproloquiare del tizio in giacca e cravatta sulla veridicità di quella scoperta: Aziraphale non ha più nemmeno intenzione di leggere quello che sapeva dall'inizio essere uno scempio, tanta è l'arroganza con cui viene presentato. È così arrabbiato con la supponenza del venditore riguardo alle teorie aristoteliche che vorrebbe quasi fargli notare che lui Aristotele l'ha conosciuto, solo che per adempiere a una missione di quel cattivone di Gabriel non è riuscito a entrare in possesso del libro.

È l'intervento di Crowley che li salva dalla seccatura: basta nominare una denuncia per frode e furto di identità che il malcapitato se ne va. Aziraphale non sa dire se funzioni proprio così il diritto britannico, ma certo non discute con il beneficio di non avere più quel ciarlatano tra i piedi.

Crowley ride in prossimità di una colonna e mormora un più che divertito: «Te l'avevo detto, ma tu hai voluto insistere»

Aziraphale è piccato, ma è costretto ad ammettere che se avesse ascoltato il demone avrebbe evitato un'ora di discussione inconcludente.

«Sai, potresti duplicare i libri per venderli». Crowley tira fuori l'idea all'improvviso, senza alcun nesso con Aristotele e cogliendo Aziraphale completamente alla sprovvista.

«Prego?»

«Tu non vendi i libri perché li vuoi tenere. Però puoi sempre miracolarne un altro identico e venderlo: a te rimane una copia – quella originale – e il cliente ne ha un'altra. Facile, no? Tieni alte le apparenze»

L'angelo socchiude gli occhi per qualche attimo, sconvolto: Crowley non ha tutti i torti. Anzi, non ne ha proprio nessuno, ma per sicurezza scava ancora un momento nella sua testa per cercare eventuali obiezioni. Più che altro, cerca un motivo, uno solo, per non averci pensato prima, ma quello, come le obiezioni, non arriva.

«Sì. Sì, suppongo che potrei farlo». Il suo viso è illuminato di gioia ed è così contento che il demone abbia pensato a questo che potrebbe abbracciarlo come ha fatto il giorno prima, ma qui avverte la complessità della situazione: dovrebbe attraversare la stanza, tanto per cominciare, e sperare in un qualche riflesso condizionato da parte dell'altro, ma non è pronto ad affrontare la possibile delusione che seguirà inevitabilmente al non trovare niente del genere tra le braccia di Crowley. Si limita dunque a lanciargli uno sguardo pieno di gratitudine e tenerezza, sguardo di fronte al quale il demone scopre gli incisivi in un gesto di derisione.

Il campanello sulla porta tintinna e Aziraphale è pronto a mettere in pratica il nuovo consiglio del rosso, ma quando inquadra il cliente deve fare di tutto per non scoppiare a ridere: è l'uomo che Crowley ha tentato due giorni prima e, da come il demone reagisce nel vederlo, ne ha la piena conferma. I due si scambiano un'occhiata silenziosa e vagamente infuriata da parte di Crowley, ma nessuno osa commentare.

L'uomo non impiega troppo tempo ad individuare Aziraphale, a cui riconosce il ruolo di proprietario del posto con un cenno cordiale del capo, ma quando vede Crowley tutto cambia.

«Lei!» esclama, al settimo cielo. L'angelo seppellisce la faccia in un tomo qualunque: è di vitale importanza che non rida. «Oh, lei è un angelo!»

Crowley è livido. «No, piuttosto il contrario» bercia, le braccia incrociate al petto.

L'uomo agita una mano come a scacciare una mosca e continua a guardarlo adorante. «Ha funzionato, sa?»

Il rosso è basito. Gli occhiali sono scivolati lungo il naso, ma non si cura di rimetterli a posto. «Cosa?» sibila.

«Il consiglio: ha funzionato. È presto, me ne rendo conto, ma sento che sta andando bene. È solo merito suo. Sa, quello è un vecchio collega che purtroppo è stato licenziato. Non ho mai avuto il coraggio di buttarmi, finché non ho deciso di seguire la sua bizzarra idea. Stiamo uscendo insieme!»

Aziraphale capisce in fretta che Crowley non ha intenzione di parlare per dire alcunché, perciò interviene con grazia nella conversazione.

«Oh sì, il mio amico è molto bravo in questo» assicura, lo sguardo del demone che diventa omicida al di sopra delle lenti mano a mano che le parole acquistano un senso. «Un profondo conoscitore dei sentimenti umani»

«Aziraphale» sibila quasi impercettibilmente Crowley.

«Non vergognartene!» lo rimbrotta l'angelo, godendosi la sfumatura rosata che ha imporporato le guance del demone. «Quello che fai è di grande aiuto per gli altri». Poi, rivolto al cliente, sente il dovere di aggiungere: «È un romanticone!»

L'uomo se ne va poco dopo e la reazione di Crowley non tarda. È in momenti come quelli che Aziraphale ricorda che ha l'anima del serpente in sé: vede il demone lanciare gli occhiali lontano, alzarsi di scatto e puntare verso di lui ed è come se attaccasse con movimenti sinuosi e affilati, letali e ineluttabili. Ma Aziraphale non indietreggia di un centimetro, per niente impressionato, e si ritrova le mani di Crowley avvinghiate intorno al suo colletto, il viso troppo vicino.

«Io non sono romantico» gli sibila direttamente sul naso, ancora rosso in volto. «Io sono un demone, tento le persone per lavoro e se ridici un'altra volta una stronzata come questa a qualcuno, io-»

Aziraphale fissa gli occhi gialli dell'altro in attesa che la minaccia venga formulata. Spera che questo avvenga il prima possibile, perché la presa del demone è forte ma la sua camicia no: vorrebbe riavere indietro i suoi abiti interi e non tutti spiegazzati ogni santa volta che fa un complimento all'amico, per l'amor del Cielo. Ma il demone sembra in difficoltà: dalle sue labbra non viene fuori nient'altro che un grugnito di frustrazione.

Aziraphale si sente particolarmente fortunato da tentare addirittura di incalzarlo: «Tu...?»

Niente. Crowley non aggiunge altro e rilassa appena i muscoli facciali.

«Capisco. Chiaro» lo sbeffeggia l'angelo con un sorriso prima di posizionare le sue mani su quelle di Crowley per liberare il colletto della camicia.

«Maledetto angelo» blatera il demone tra i denti prima di tornare ad una distanza consona senza riuscire a guardare l'altro negli occhi. Questo colpisce Aziraphale. È abituato a vedere Crowley irritato, ha anche familiarità con il suo modo di esternare la rabbia tanto da non averne paura, ma non è avvezzo a non sentire le sue minacce per intero, a meno che qualcuno non lo interrompa. Qualcosa non va, Aziraphale lo avverte, ma è una sensazione che gli sfugge. Prova a catalogarla mentre si sistema gli abiti sgualciti dalle dita affusolate di Crowley, ma non ci riesce. Potrebbe anche sbagliarsi, ma sa che chiedere se sia tutto a posto non porterebbe a niente: il demone non è il tipo da confessarsi così, questo in seimila anni l'ha capito bene.

L'angelo si tiene impegnato per qualche minuto, gironzolando per la libreria come sempre e lanciando fugaci occhiate al demone. Sembra quasi normale, ma Aziraphale può vedere le spalle più rigide del solito e la bocca tesa in una linea sottile.

Il biondo è quasi certo di non essere la fonte del problema, ma mentre scrive su un cartoncino – finalmente – le righe di ringraziamento che si era riproposto di inviare ad Adam non è poi così sicuro di niente. Finisce di compilare il bigliettino, lo imbusta e schiocca le dita, spedendolo a Tadfield senza la seccatura dei corrieri.

«Crowley?» apostrofa, incerto. Quando il demone alza finalmente gli occhi su di lui, Aziraphale si concede un sospiro di sollievo: non lanciano lampi d'ira. Tutto bene?, vorrebbe chiedere ad alta voce, ma le parole gli muoiono in gola. No, Crowley non risponderebbe mai, è inutile porre la domanda.

L'angelo si umetta le labbra, piuttosto, e afferra il cappotto, deciso a scacciare la tensione alle loro spalle.

«È ora di pranzo e ho un certo languorino. Mi fai compagnia?»

Le sopracciglia del demone si alzano, ma Crowley non fa storie, anzi annuisce: si rimette in piedi e con una sventolata di mano recupera le lenti scure, pronto per uscire. 



Di ritorno dal pranzo che ha cancellato tutte le ombre della mattinata l'angelo non protesta quando Crowley non svolta per lasciarlo alla libreria, ma continua verso Mayfair. Si chiede solo se lo stia facendo per l'abitudine di passare del tempo insieme, non importa dove, o perché non voglia tenere le sue cose nell'appartamento e lo stia riportando lì per recuperarle. Il dubbio gli impedisce di rilassarsi contro il sedile e in qualche modo Crowley lo percepisce.

«Posso tornare indietro, se vuoi» gli fa notare, piano, concentrato sulla strada mentre la Bentley sfreccia a una velocità sempre improbabile per il centro di Londra.

«No, va benissimo» rassicura Aziraphale. «Così posso anche togliere il disturbo di ieri». È meglio che sia lui a intavolare l'argomento, si dice, così Crowley non potrà accusarlo del tutto di essere uno sfacciato profittatore della pazienza altrui.

Si scambiano un lungo sguardo ed è un bene che la Bentley abbia volontà propria, in un certo senso, e riesca a destreggiarsi nel traffico senza farli morire e senza uccidere i pedoni.

«Nessun disturbo» dice infine Crowley, tornando a guardare la strada.

«Oh»

Quando entrano nell'appartamento il demone si toglie gli occhiali e Aziraphale lancia prontamente uno sguardo alle piante: sono splendide come sempre. Il suo esperimento del giorno prima non ha causato alcun danno nemmeno dopo ventiquattro ore. Questo è positivo.

La poltrona è ancora lì, al centro della stanza. Crowley avrebbe potuto farla sparire, ma non l'ha fatto. È un sintomo di pigrizia o davvero vuole farlo continuare con le letture? L'angelo prova a infondere la domanda nel suo sguardo e Crowley rotea gli occhi al cielo prima di annuire. Il buonsenso dice ad Aziraphale che dovrebbe accertarsi del significato di quel gesto: gli esseri umani hanno modi ambigui di comunicare, di parlare con il corpo, e non sono rari i fraintendimenti. Però gli piace il sì come risposta a quella sua particolare domanda e dunque decreta il successo della conversazione con un sorriso largo e sincero.

Bevono un bicchiere di vino in silenzio, appoggiati al tavolo, mentre Aziraphale guarda la sala con attenzione.

«Questo è... autentico?» chiede di punto in bianco, puntando il calice verso la Gioconda.

Crowley sorride in modo provocante e si avvicina guardingo, come sul punto di rivelare un segreto. «Direttamente dalle mani del genio, angelo» dice, il tono basso colorato di orgoglio.

Aziraphale ha gli occhi sgranati per quella conferma e, in parte, per l'invidia: dov'era lui quando Leonardo regalava a Crowley uno dei suoi disegni preparatori?!

«C'è una cassaforte dietro» precisa Crowley e al biondo pare che l'euforia sia sparita completamente dalle sue parole.

«Perché mai avresti bisogno di una cassaforte?»

Il demone lo guarda con intensità. «Per l'acqua santa»

L'angelo rileva che non c'è malizia nella voce del rosso, nemmeno rancore, né delusione o disprezzo. Poggia il bicchiere sul piano del tavolo senza staccare gli occhi da quelli di Crowley e sente di avere la gola secca. Realizza che l'assenza di tutte quelle emozioni nel demone lo turba più di quanto avrebbe fatto la loro presenza. Aziraphale vorrebbe vederlo arrabbiato, furibondo, vorrebbe sentirlo urlare perché forse così sarebbe più facile per lui gestire il dispiacere e affrontare il disperato egoismo che non gli ha fatto vedere le vere intenzioni del demone in tempo, prima della rottura. Ma Crowley sembra stranamente pacifico e apatico. Questo, contro ogni previsione, fa male all'angelo: il demone si è rassegnato alla sua ottusità, evidentemente, e non considera più quel rifiuto ricevuto nel 1862 come uno degli atti più vergognosi che il biondo abbia mai compiuto in vita sua, soprattutto nei confronti del suo migliore amico.

Aziraphale non può fare a meno di sospirare.

«Mi dispiace tanto di non aver capito»

«No, no, angelo, lascia stare» comincia Crowley, muovendo velocemente la mano in un gesto di noncuranza, ma Aziraphale non è dello stesso parere: improvvisamente non vuole vivere altri giorni senza aver chiarito agli occhi di Crowley le sue colpe e i suoi malintesi. Hanno evitato l'argomento la notte dell'Apocalisse per l'urgenza di salvarsi la vita, si sono ripromessi che ne avrebbero parlato, un giorno, ma l'angelo non è sicuro che ci sarà mai un momento in cui entrambi si sentiranno abbastanza pronti da porre a tema la questione. Anzi, ne è completamente sicuro, ma quello non cambia i fatti: sente che prima o poi dovranno fare i conti con il litigio di più di centocinquanta anni prima. Tanto vale farlo adesso.

Aziraphale ferma la mano del demone tra le sue in una muta preghiera di farlo continuare. Il rosso ha un fremito, ma alla fine non si ritira né smette di fissarlo, la mascella contratta. L'angelo si chiede per un attimo se il demone non si sia pentito di aver intavolato la discussione con tutta quella disinvoltura, ma decide di accantonare quel problema: ora non è più importante.

«Io... Io ho pensato che fosse per te, per toglierti la vita se fossimo stati scoperti» confessa l'angelo. «Non volevo esserne responsabile, Crowley»

Il demone sbuffa un grugnito e deglutisce. Conoscendolo, l'angelo crede di sapere cosa stia passando per la mente dell'altro: probabilmente ora vorrebbe vomitargli addosso quel rancore di cui Aziraphale ha sentito la mancanza poco prima. Sarebbe pronto a capire una reazione del genere: l'angelo non gli ha dimostrato fiducia, non ha capito quanto la vita sia cara al demone e che mai egli avrebbe potuto davvero prendere in considerazione l'idea di porvi fine autonomamente.

Si aspetta di essere insultato, ma quando finalmente Crowley parla non esce fuori nessuna ingiuria: solo una voce piatta che, Aziraphale lo sa, gli costa uno sforzo immane per rimanere tale.

«Ma qualcosa è cambiato» dice il demone, le pupille sottili. L'angelo annuisce piano, debole. «Cosa?»

«Le variabili». La risposta giunge veloce perché Aziraphale ci ha pensato così tanto nel 1967 che sa perfettamente cosa l'abbia spinto a fare quella follia. «Avevi messo su un furto nel mio quartiere, l'ho saputo e ho capito che eri in potenziale pericolo. Ti fidi a tal punto degli umani? Be', io no, non tanto da far loro maneggiare intorno a me qualcosa che cancellerebbe la mia stessa essenza». Il demone non interrompe il contatto visivo, lo ascolta con molta attenzione. «Quando sai che accadrà qualcosa e non fai niente per impedirlo, sei responsabile anche tu in un certo senso, no?». Aziraphale si costringe a fare un mezzo sorriso mentre abbassa lo sguardo e lascia una carezza sul dorso della mano di Crowley: sente che il respiro gli trema e deve riprendere momentaneamente il controllo del suo involucro umano senza che il giallo brillante delle iridi del demone indaghi le sue reazioni. Inspira a pieni polmoni prima di continuare, la testa ancora bassa: «Tra la responsabilità di non essere intervenuto in tempo per salvarti e la responsabilità di procurarti l'arma letale senza farti correre rischi superflui ho scelto questa. E ho scelto di fidarmi perché... perché non mi avresti mai chiesto di ucciderti... Non l'avresti chiesto a me, no?». Quando rialza gli occhi questi sono lucidi e arrossati, ma Aziraphale non vuole piangere: sorride un po' di più. «Ho fatto la scelta giusta, a quanto pare»

Crowley sorride per la prima volta da quando il biondo ha iniziato a parlare. «Ti rendi conto che avresti potuto semplicemente chiedermelo meglio, eh?» sottolinea, a metà tra la derisione e lo sbigottimento più totale.

Aziraphale annuisce. «Non ero sicuro di voler sapere la risposta, però»

Il demone scuote la testa, sconcertato, le labbra piegate in un ghigno.

«Certo, caro, se tu ti fossi spiegato bene...» puntualizza l'angelo poco dopo a mezza voce.

«Ah! Questa, poi: adesso è colpa mia?!». Crowley sobbalza indignato e Aziraphale sente la mano che stringe tra le sue fare pressione per uscire dalla morsa nella necessità impellente di gesticolare il disappunto del suo proprietario, ma l'angelo non molla la presa.

«La colpa è... condivisa» corregge il tiro, pacificatore. Il petto del demone si inarca mentre pondera la questione con la fronte corrugata dal risentimento.

«Mm» è tutto quello che dice, ma il suo viso si addolcisce e, finalmente, restituisce la stretta di mano. L'angelo non ha idea di cosa significhi, ma preferisce non indagare e limitarsi a ricevere il contatto con rinnovata gioia. Sente che un grosso peso è appena scivolato via dalle sue spalle, un peso che si era concesso il lusso di dimenticare e che ora non c'è più. Aziraphale non è mai stato così felice di avvertire un vuoto dentro di sé e non è mai stato così contento di vedere il sollievo negli occhi del demone.

«Adesso è vuota, dunque» nota dopo qualche attimo di silenzio per rasserenare l'atmosfera. «La cassaforte»

«Sì, ma se vuoi darmi un altro thermos...»

«Crowley!» esclama l'angelo, mollando la mano del demone per esprimere tutta la sua indignazione per quella richiesta inappropriata, ma il rosso non fa altro che ridere sardonico, come se quello fosse un argomento su cui scherzare così alla leggera. Aziraphale, però, decide saggiamente di non farglielo notare. «E comunque sentiamo: qual è il numero di sicurezza della cassaforte di un demone? Seicentosessantasei?!»

Crowley emette un verso gutturale prima di replicare: «Sul serio? Mi stai chiedendo la combinazione che la apre? Se te la dico non sarà più sicura»

«Saprai chi sarà venuto a derubarti, però» ragiona l'angelo riprendendo il calice di vino e sollevandolo a mezz'aria con un sorriso compiaciuto per aver tirato fuori un'argomentazione straordinariamente inattaccabile. Fa roteare il liquido cremisi perdendosi nell'ipnotico vortice per un attimo, per poi tornare a guardare Crowley.

«È davvero seicentosessantasei?» tenta di nuovo.

«Ma che-! No!» sbotta il demone. «Troppo banale... Senza stile»

Aziraphale è costretto a concordare con un cenno affermativo del capo. Crowley distoglie lo sguardo e infila le mani in tasca, ma l'angelo non smette di fissarlo. Quando il demone incrocia di nuovo i suoi occhi reclina la testa disperato.

Si arrende con un sospiro. «Quattro, zero, zero, quattro2. Sei soddisfatto, adesso

Aziraphale si porta il bicchiere alla bocca ma non beve: resta immobile con un dubbio martellante nella testa.

Possibile? Non lo sa con certezza, ma spera tanto di sì. Decide che per ora non vuole sapere il perché di tutta quell'aspettativa.

Finge di non aver colto nessun tipo di riferimento e aggrotta la fronte. «Non troppo demoniaco per i miei gusti. Cos'è?»

Il demone lo guarda sbieco. «Sei veramente un piccolo bastardo. Lo sai»

«Giuro di no»

Crowley lo squadra ghignante, ammaliato. «Attento a quello che giuri, angelo: Qualcuno potrebbe arrabbiarsi Lassù»

Peggio di così, pensa Aziraphale, ma non se lo lascia sfuggire. Così come non si lascia sfuggire l'entusiasmo: prima vuole sentirglielo dire.

«Incredibile» commenta Crowley, le mani che affondano nelle tasche con più foga di prima, ma c'è un tenue sorriso a increspargli le labbra che scalda il petto dell'angelo: sta per cedere.

«È l'anno in cui mi sono-» il demone fa una piccola pausa, dà un'occhiata al biondo e riformula, «- ci siamo trasferiti permanentemente sulla Terra»

Romantico.

Solo adesso Aziraphale affoga il sorriso trionfante nel vino. 



«Puoi restare» gli ha detto Crowley con tutta la noncuranza di cui è stato capace. «Per la notte, intendo. È tardi. Ma se vuoi ti riporto in libreria. Fa' come vuoi, a me non cambia niente»

Di tanto in tanto quella frase si insinua nei pensieri di Aziraphale quando legge di Milady3 alle piante. Fortunatamente può vantare secoli di allenamento nella lettura perché quella distrazione non gli impedisca di continuare a parlare alle foglie verdi e attente con la stessa fluidità di sempre. Il demone è dall'altra parte della sala, oltre la porta, ad ascoltare le disavventure dei moschettieri.

«È buffo che tu lo chieda adesso, caro. Stavo pensando che potrei... se per te non è troppo presto... leggere di nuovo qualcosa a quelle meraviglie di là»

«Oh no, non di nuovo. Andiamo!»

Ma alla fine gli ha dato il suo permesso e Aziraphale si è sistemato gli occhiali sul naso, ha preso posto in poltrona e ha iniziato la lettura. Ha detto a Crowley di farlo smettere in qualsiasi momento: non vuole recare disturbo al padrone di casa o uno shock alle piante, ma è la luce naturale che filtra dalle finestre a ricordare ad Aziraphale di fermarsi.

Lancia un'occhiata a Crowley e scopre che non è più seduto sul trono, ma si trova sulla soglia della sala con un vaporizzatore in mano.

«Da quanto sei lì? Avrei potuto evocare una sedia per te. Beh, avresti potuto anche tu...»

«Sto bene» assicura il demone con una smorfia.

«Vuoi controllare le piante?»

Crowley annuisce brevemente. «Devo innaffiarle»

Aziraphale sorride e si toglie di mezzo. Alla sua proposta di far sparire la poltrona per agevolare l'operazione il demone è categorico: sciocchezze, può restare dov'è.

L'angelo lo osserva mentre con perizia si prende cura delle foglie, controllandole meticolosamente ed emettendo sibili sinistri di tanto in tanto. Le piante non si scompongono troppo, anche se quando il demone soffia il suo rimprovero fremono brevemente.

La scena è così rilassata agli occhi di Aziraphale che per contrasto gli torna in mente l'assurda minaccia incompleta che il demone gli ha fornito appena il giorno prima. Si chiede come sia stato possibile vedere Crowley così a disagio nella sua libreria, ma ancora una volta non se la sente di porre la domanda ad alta voce e rovinare il momento. In più splende il sole al di là delle finestre: sarebbe un peccato sprecare una giornata così promettente con un probabile litigio e Aziraphale non può permetterselo. Sarebbe molto meglio impiegarla in altro modo, si dice, e mentre il pensiero prende forma nella sua mente gli spunta un sorriso sulle labbra.

«Che c'è?» chiede Crowley, inquisitorio, il vaporizzatore per piante puntato contro Aziraphale come un'arma. Se possibile, il sorriso dell'angelo si fa più largo.

«Facciamo un picnic?»










Note:

[1]: Il secondo libro della Poetica di Aristotele è un mistero per la critica: si è ipotizzato che fosse sulla commedia in opposizione al primo, che invece affronta la tragedia, ma attualmente è messa in dubbio la sua stessa esistenza.
[2]: È la combinazione che viene usata nel libro. Nella serie non credo che venga mai specificato apertamente, ma dato il motivo del libro non ho pensato nemmeno per un attimo di scegliere un'altra combinazione.
[3]: Milady è un personaggio de I tre moschettieri.






Angolino di Menade Danzante:

Ancora mille grazie a tutti coloro che stanno seguendo gli sviluppi della storia! Spero tanto che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento.
Alla prossima con il picnic e non solo! ;)
Baci baci!

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Capitolo 5
*** 5. Sabato ***


sabato

5. Sabato







Non sono stati gli unici ad aver avuto la brillante idea, ma St. James's Park è abbastanza grande per tutti. Più o meno. Niente che un miracolo non risolva, in ogni caso.

«Li hai fatti andare via, Crowley?» chiede Aziraphale indignato nel vedere una coppia di mezza età allontanarsi in fretta verso un quadrato di prato qualche metro più in là all'ombra di un albero.

«Ho offerto loro una possibilità migliore, angelo» spiega il demone. «Vedi? C'è un bambino che piange perché si è fatto male. Signore e signora possono consolarlo, no? Possono fare del bene. Dovresti essere felice per tutti loro»

«Certo. Perché il tuo era un gesto altruistico, dico bene? Non cercavi proprio il loro posto assolato, giusto?»

«Giusto»

Aziraphale considera le opzioni: a tutti gli effetti la coppia sta risollevando l'animo del bambino dalle ginocchia sbucciate con una barretta di cioccolata. In fin dei conti, Crowley non ha cacciato nessuno dal parco: ha solo ridistribuito la terra. Gli lancia un'occhiataccia per principio e si siede sul plaid colorato trovato nel retrobottega della libreria quella mattina stessa.

Comincia ad apparecchiare l'insolita tavola mentre il demone si stende al sole togliendosi gli occhiali. La sua intera figura è rilassata mentre accoglie il calore della giornata e l'angelo non ricorda altri momenti in cui l'ha visto così pacifico e beato: quello che vede gli dà la conferma di aver fatto bene a proporre quell'uscita che si erano ripromessi da... beh, dagli anni Sessanta. Pensa che dovrebbero farlo più spesso.

Crowley sposta leggermente il viso di lato, verso l'angelo, e mugugna qualcosa che probabilmente è solo un verso di piacere senza senso.

«Serpente» lo rimbecca Aziraphale.

Gli angoli della bocca del rosso si sollevano verso l'alto e gli occhi scattano a guardarlo. «Vecchie abitudini, angelo»

Aziraphale sorride e spinge verso di lui un piattino di frutta e sandwich insieme ad un caffè miracolosamente fumante. Per sé sceglie di svitare il thermos con il tè verde e si impossessa di un tramezzino ben imbottito di formaggio e funghi.

«Pensi che durerà?» chiede d'improvviso Crowley.

«La bella giornata? Spero di sì. Si sta così bene»

Crowley si issa sul gomito, prende una fragola e se la mangia. «Pensavo più a...» fa un gesto con la mano che comprende loro, il cestino, il plaid...

Aziraphale termina di masticare il boccone, perplesso. «Noi?» prova, cercando di nascondere il tremore della voce.

Il demone sgrana gli occhi, ma non nega. «Pensi che la tregua durerà molto?»

L'angelo lo guarda serio: non è passata nemmeno una settimana da quando è stato lui a chiederlo al demone, ma l'argomento è già tornato ad offuscare il loro tempo insieme.

Crowley non è spaventato, Aziraphale se ne rendo conto: è solo lievemente preoccupato. Se l'angelo scava dentro di sé, è sicuro di trovare lo stesso sentimento di velata inquietudine. Se ripensa agli ultimi giorni, Aziraphale ha difficoltà a immaginare che qualcuno possa volere di nuovo tutto il caos che ha preceduto l'Apocalisse. È disoccupato solo da lunedì, ma sente di essersi già abituato molto bene a quella nuova routine che non prevede le missioni per conto di Gabriel e i rischi dell'Accordo con Crowley. C'è il demone, poi, con lui e l'angelo si è abituato anche a questo: si è abituato ad averlo intorno più spesso, più vicino, più partecipe. Doveva rischiare di perdere tutto quello che ha sempre avuto per comprendere quanto fosse importante quell'amicizia per lui, e ora che l'ha capito sa con certezza che non vuole che tutto questo gli venga tolto.

Il suo viso deve esprimere tutto questo perché il demone fa una smorfia prima di dire: «Lascia stare, dimentica quello che ho detto»

Aziraphale si riscuote, fornendo un piccolo sorriso all'altro. «Non posso sapere la risposta, caro, ma spero tanto che non si riorganizzino più»

Il demone annuisce prima di afferrare la tazzina che l'angelo gli aveva porto.

«Come mai me lo hai chiesto?» chiede Aziraphale, tornando alla conversazione.

«Ci hanno catturati qui. Sapevano dove trovarci, siamo prevedibili». Crowley mangia un chicco d'uva e torna a sdraiarsi. «Mi è solo tornato in mente, angelo. Tutto qui»

Aziraphale pondera la questione per un attimo. «Ci avrebbero trovati comunque: era il loro obiettivo, dopotutto»

Crowley annuisce. «Hai ragione». Il tono è dimesso, il viso neutro. Ad Aziraphale sembra di aver già visto quello sguardo undici anni prima, in libreria. Allora il demone era quasi disperato: solo l'appoggio dell'angelo al piano anti-Armageddon lo aveva fatto sorridere di nuovo, vittorioso. Ora, però, Aziraphale non ha nessuna promessa da offrire.

L'angelo sospira, mettendo da parte il piattino. Si toglie il cappotto e lo piega con estrema cura per poi posizionarlo accanto alla testa di Crowley, il quale non perde di vista nemmeno per un attimo la preparazione di quello che sembra un cuscino a tutti gli effetti. Aziraphale lo raggiunge a terra e pigia la testa sul cappotto con un'occhiata apprensiva: sa benissimo che se ne pentirà e che il suo soprabito sarà spiegazzato come non mai, ma decide che potrà miracolare via i segni più tardi.

«Ecco fatto» commenta, la fronte corrugata mentre cerca di stendere le membra il più comodamente possibile, sollevando il bacino per tirare il panciotto in modo che non gli dia fastidio sulla schiena. Quando realizza di essersi mosso abbastanza senza migliorare i risultati, capisce che preferisce di gran lunga essere in piedi o seduto. Ma tant'è.

Si volta per incrociare lo sguardo del demone, ancora fisso su di lui, curioso ed esterrefatto.

«Be', saremo insieme, in ogni caso. Dalla nostra parte» dice Aziraphale, cercando di suonare incoraggiante. Quello è un dato di fatto, per l'angelo: saranno insieme ad affrontarli, non importa quando, non importa come. Sa bene di cosa siano capaci Inferno e Paradiso, ma loro li hanno già sconfitti una volta contro ogni previsione: potranno farlo di nuovo se saranno ancora uniti. «È positivo, non credi?»

I lineamenti di Crowley si addolciscono e gli offrono un sorriso sghembo.

L'angelo sente che timidamente le dita di Crowley sfiorano le sue sulla coperta. Si irrigidisce per un attimo, sorpreso, credendo che sia un errore o uno spasmo dei loro corpi mortali, ma poi solleva la mano lentamente fino a farla intersecare con quella dell'altro, che non protesta e, anzi, gli rende più facile il compito. All'improvviso pensa di potersi abituare anche alla nuova posizione.



È sera inoltrata quando tornano nell'appartamento di Crowley.

«Cosa fai di solito?» si informa Aziraphale mentre poggia il cappotto perfettamente stirato sulla sua poltrona, un saluto veloce alle piante che ricambiano gentilmente con un inchino.

Il demone scrolla le spalle. «Niente di particolare. Perché?»

«Guardi spesso il monitor?»

Crowley non prova nemmeno a trattenersi dal roteare gli occhi al cielo. «Televisione, Aziraphale. E comunque sì, la guardo spesso»

«Io mai» fornisce il biondo, invece, fissando lo schermo nero con sguardo valutativo, come se si aspettasse di veder spuntare a caratteri luminescenti un motivo abbastanza buono per interessarsi a quell'attività.

«Ci scommetto, angelo! Mi sorprende che tu abbia un telefono in quella tua libreria»

Aziraphale gli dedica un'occhiata risentita. «Che male c'è? Non sono interessato alle... nuove tecnologie»

«Ma se è del secolo scorso!»

«Questa qui decisamente no»

Crowley scuote la testa ghignando. «Non mangia i libri. Dovresti provarla. Magari scopri che ti piace anche questa, oltre agli occhialini da lettura e al cibo»

Aziraphale non sa se indignarsi per le derisioni nemmeno tanto velate o se accogliere un consiglio che, non può ignorarlo, ha senso.

«Forse hai ragione» concede alla fine, il viso tirato in una maschera di irritazione. «Guardiamo la televisione»

«Adesso?»

«Hai altro da fare?»

Crowley ci pensa un attimo primo di negare. «Accomodati». Schiocca le dita e compare un divano bianco di fronte allo schermo. Esegue di nuovo il gesto e stavolta lo specchio nero si illumina.

Il demone si siede per primo, le ginocchia divaricate e le braccia invadenti sullo schienale. Quando Aziraphale si avvicina Crowley si preoccupa solo di accostare le gambe per fargli posto e l'angelo non si scompone quando sente il fantasma di una mano accanto alla sua spalla sinistra. Con un movimento elegante della destra il biondo fa apparire una coperta sulle loro gambe.

«Che diavolo è?» esclama Crowley con evidente schifo, momentaneamente distratto dalla scelta del canale.

«È confortevole»

«No che non lo è»

«È divertente». Aziraphale sorride. Per sottolineare il concetto materializza un cuscino soffice – solo per sé, stavolta – che sistema sulle sue cosce. Il demone reclina la testa in preda alla disperazione, ma desiste dal commentare ulteriormente. Continua a schioccare le dita per cambiare canale fino a quando è lo stesso Aziraphale che insiste per vedere una replica di un gioco televisivo che nessuno dei due ha mai visto.

«Chi risponde correttamente a più domande vince?» si informa l'angelo, improvvisamente rapito dalle dinamiche del gioco. Non coglie l'occhiata divertita del demone.

«Come in tutti i giochi»

«Tu sai le risposte?»

«Non mi interessano, non vinco niente io»

«Ma è-»

«Se dici un'altra volta divertente giuro che vado a dormire, angelo»

Aziraphale richiude la bocca con espressione colpevole e torna a guardare la TV.

Il silenzio non dura tanto: l'angelo comincia a commentare il gioco in modo assiduo dopo appena cinque minuti fino alla fine della puntata. Crowley cambia canale, un film. Aziraphale non sta zitto nemmeno a quel punto. Condivide ad alta voce tutte le osservazioni che gli vengono in mente, principalmente rivolto verso lo schermo. Di tanto in tanto si gira verso Crowley, ma solo quando ritiene di aver detto qualcosa su cui il demone dovrebbe commentare a sua volta. Generalmente lo trova a guardarlo, stupito e ammirato, tuttavia molto attento a quello che l'angelo dice.

Solo quando il film finisce Crowley spegne il televisore con un gesto: l'unica fonte di luce è il chiarore della notte che filtra dalla finestra. Il demone ruota il busto verso Aziraphale, il viso ghignante e soddisfatto. «Ti è piaciuto»

«Mm» prende tempo l'angelo: non vuole dargliela subito vinta. Ma alla fine è costretto a cedere: «È stato... piacevole»

«Ma non mi dire»

«Oh, smettila». Aziraphale guarda ostinatamente lo schermo stringendosi il cuscino al petto.

«D'accordo», ma il tono è mellifluo.

«Non ho mai detto che la tecnologia sia malvagia, Crowley» ribatte piccato. «Questa reazione è davvero esagerata»

Il demone gli rifà il verso, divertito. Fa apparire una bottiglia di vino e due calici con uno schiocco di dita. «Forza: alle nuove esperienze»

Aziraphale sbuffa, ma fa tintinnare il suo calice con quello di Crowley con un mezzo sorriso. «Alle nuove esperienze»

È al sesto bicchiere che all'angelo si palesa un problema a cui non ha pensato più per tutto il giorno ma che adesso, con l'ostinazione che solo l'alcol può dargli, gli sembra così imprescindibile da non poter essere ignorato oltre. «Posso farti una domanda?» chiede.

«Mm?». Crowley deglutisce e si volta verso di lui.

«Perché ieri non hai completato la minaccia?»

«Come, prego?»

«Quando ti ho detto che sei romantico, in libreria. Hai detto che non ti devo chiamare così, ma non hai finito la frase»

Aziraphale, nonostante la mente annebbiata, non ha difficoltà a percepire il braccio di Crowley che scivola via sullo schienale, che si allontana da lui e ha subito la sensazione di aver posto una domanda inappropriata.

«E non sei contento?» ride il demone. «Preferisci le minacce?»

«No» Aziraphale aggrotta la fronte, cercando le parole per essere delicato. «È solo che... non è da te»

Crowley sbuffa stancamente. «È vero» concede annuendo. Con la particolare angolazione in cui si trova, Aziraphale vede gli zigomi del demone sollevarsi un po' e deduce che stia assottigliando le palpebre per concentrarsi. Per un lungo momento l'unico suono che occupa il silenzio è l'acuta nota che si spande quando il rosso passa l'indice sull'orlo del bicchiere. L'ambiente e l'atmosfera sono così ovattati che Aziraphale si costringe a tornare sobrio per non cadere nell'ipnosi di quella melodia malinconica: ha bisogno di essere lucido.

Osserva il livello della bottiglia a terra alzarsi mano a mano che torna in sé. Crowley, dal canto suo, non fa la stessa cosa. Si dondola sul divano prima di alzarsi di scatto e raggiungere il tavolo sghignazzando ubriaco. Si appoggia al trono dando le spalle ad Aziraphale, mentre questi non osa avvicinarsi né muovere alcun muscolo neanche per respirare.

«È da Gabriel». Crowley ride di nuovo ma non c'è allegria nella sua voce e nemmeno nella sua postura: rigida, tesa, forse tremante. «Minacciarti, dico. Gabriel ti minaccia e pure io»

Aziraphale ritrova la forza di deglutire e di sbattere le palpebre. Che diavolo sta dicendo Crowley? Che cosa c'entra l'Arcangelo con lui, con loro e con quello che è successo il giorno prima? La sua mente arranca per trovare una risposta a tutti quegli interrogativi, ma senza risultati.

«Cosa stai-?» comincia, confuso ed esitante, ma Crowley lo blocca prima ancora che possa finire la frase.

«Dico...» inizia, ma un granello di polvere sul piano del tavolo lo distrae un momento: deve scacciarlo via con la mano prima di riprendere: «Dico che io non voglio essere come Gabriel»

Quello non ha il minimo senso. «Crowley, tu non sei Gabriel. Di che stai parlando?»

Aziraphale non è sicuro di essere riuscito a nascondere il panico nella voce, ma lo stato di ebbrezza in cui versa il demone gli permette di non curarsene.

«Io mi rifiuto di essere come lui» continua il rosso più deciso, ma seguendo un ordine logico tutto suo con il tono strascicato di prima. La mano che ha spazzato via la polvere si stringe saldamente attorno al braccio del trono fino a farsi sbiancare le nocche.

«Tu non lo sei già» lo rassicura l'angelo, incapace di dire altro. Non ha senso, tutto quello che dice Crowley non ha senso. «Come ti viene in mente?»

Il demone gli lancia un'occhiata liquida al di sopra della spalla e l'angelo si sente mancare il fiato. Vorrebbe allontanare le ombre che non conosce ma che legge nei suoi occhi con la stessa facilità con cui ha materializzato la coperta che ancora gli riscalda le gambe, ma non sa come fare.

«Angelo» mormora Crowley e ad Aziraphale sembra supplichevole. È in quel momento che il biondo sa di essere pronto a compiere qualsiasi miracolo pur di cancellare tutte le preoccupazioni del demone. Ma quando Crowley parla di nuovo si sente sprofondare.

«Ti avrebbero ucciso con le fiamme dell'Inferno»

Aziraphale sgrana gli occhi: è la prima volta che il demone parla di quello che è accaduto in Paradiso quasi una settimana prima. Persino al Ritz aveva glissato quando l'argomento era inevitabilmente tornato a galla. Aveva divagato e aveva proposto un brindisi alla furbizia e alla genialità con cui avevano condotto la loro messinscena. L'angelo l'aveva lasciato fare, comprensivo, e non aveva più riaperto il discorso.

Il modo in cui Crowley lo sta affrontando ora, però, è un pugno nello stomaco: Aziraphale conosce già la punizione alla quale l'avrebbero sottoposto, ma c'è qualcosa nell'atteggiamento del demone che esprime un dolore disperato, un dolore che l'angelo per sé non prova. Non sa dire se Crowley sia sotto shock o meno, ma di certo è ancora estremamente provato da quello che ha subìto.

«Bruciato vivo, angelo» rimarca, ridendo poi di un riso amaro e terribile.

«Non molto diverso dalla condanna per te» rileva Aziraphale, condiscendente e accennando a un sorriso a metà per nascondere il tremore che lo ha colto in tutto il corpo.

Crowley si fa serio e si volta, fronteggiando apertamente l'angelo mentre prende un sorso di vino. «Cazzo, no: è una cosa che da noi ti aspetti»

Non solo, pare, pensa l'angelo, ma non riesce a dirlo perché il demone parla ancora.

«Gabriel mi ha ordinato di morire in fretta» rivela Crowley, ancora ridendo. «E di smetterla di dire stronzate»

Aziraphale sente un brivido lungo la schiena che lo fa raggelare. Ma quello che più lo colpisce non è Gabriel, né il suo atteggiamento: è il demone. Non vuole credere a quello che sta ascoltando, non vuole credere che Crowley abbia sopportato quel fardello per tutti quei giorni senza dirgli niente, senza metterlo al corrente del suo dolore.

Ha il tempo di chiedersi cosa abbia prodotto un cambiamento, cosa l'abbia spinto ad aprirsi ora. Forse può trovare una risposta soddisfacente nel buio, in quel mantello di oscurità in cui parlare e confessarsi senza vergogna è facile perché la notte manterrà il segreto.

«Mi dispiace» fornisce l'angelo, la voce che trema mentre Crowley fa una smorfia. «È tutto passato»

Il demone non ride più: è furente, arrabbiato, terrorizzato. «Ti avrebbero ammazzato senza rimorso e tra le minacce». Lo dichiara con foga, slanciandosi in avanti per sottolineare la gravità della situazione, come se Aziraphale non stesse comprendendo il significato di quello che gli viene detto. «Io-»

«Non sei come lui, non dirlo» lo anticipa l'angelo con gli occhi lucidi di lacrime: non vuole sentirglielo dire, non di nuovo, mai più. «Tu sei buono, Crowley!»

È pronto a essere spinto contro il divano o la parete, se necessario: non gli importa, perché il demone ha bisogno di aiuto e questo è tutto quello che Aziraphale sente di potergli dare al momento.

Il demone è come bloccato, non fa nulla se non fissarlo sbigottito e allo stesso tempo ottenebrato dall'alcol. Aziraphale considera rapidamente la possibilità di mettersi in piedi e di andare più vicino, ma il suo corpo sembra non rispondergli, troppo provato dalle emozioni che vive.

Crowley è scosso da un tremito e Aziraphale spia sospettoso la bottiglia: sta tornando piena allo stesso ritmo con cui il demone torna sobrio. L'angelo si sente avvampare, improvvisamente colto dalla consapevolezza di essere di nuovo davanti a una persona lucida e pienamente consapevole di sé: ha paura di ascoltare di nuovo quelle insensatezze dalla bocca di un uomo che ha riacquistato il totale controllo della mente e del corpo

«No, angelo, non lo sono» nega Crowley, torvo. «Io sono-»

«Non sei Gabriel, non lo sei mai stato!» dice, perentorio e acuto, ma di nuovo non gli importa, nemmeno adesso che l'amico può sicuramente notarlo. Aziraphale non può sopportare di sentirlo mentre si riferisce a sé stesso con il nome di demone con lo stesso odio e lo stesso disprezzo che hanno zampillato finora nelle sue parole. L'angelo ha passato secoli a ricordargli le loro differenze: non vuole che cominci anche Crowley con questa storia, non adesso che il più lento dei due ha compreso i propri sbagli e le proprie colpe.

Passano attimi di profondo silenzio in cui Aziraphale non sa assolutamente cosa dire o fare; nemmeno si accorge di aver chiuso le mani a pugno intorno alla stoffa dei pantaloni. Si concede di prendere un bel respiro solo quando Crowley scuote la testa e si mette di nuovo a sedere sul divano facendo sparire il bicchiere. Il demone è più lontano di prima e sembra stanco mentre si passa una mano sugli occhi sospirando.

«Ieri non volevo dirti di stare zitto e non volevo minacciarti, angelo» spiega Crowley, come per mettere in evidenza il filo rosso che ha condotto il suo sfogo alcolico. «Non veramente»

«Ma certo, Crowley, lo so». Aziraphale è accorato per l'urgenza di farlo sapere al demone. «Non significa niente, caro. Tu non sei come lui. Gabriel è... è... un'altra cosa»

Vorrebbe tanto bestemmiare il nome dell'Arcangelo, ma sta sperimentando la libertà da troppo poco tempo perché questo gli risulti possibile ora.

Crowley apre due dita e sbircia con le iridi gialle la faccia imbarazzata di Aziraphale prima di ghignare.

«Dovrei chiederti scusa, suppongo» fa il demone, piano.

«Per cosa?»

Crowley agita la mano libera. «Per ieri e per questo. Non dovevo farlo»

I movimenti che Aziraphale compie per guardare frontalmente il demone sul divano sono così repentini e infervorati da far sembrare quasi che l'angelo salti sui cuscini nel tentativo di divertirsi invece che di apparire in qualche modo minaccioso.

«Crowley, caro, dici una quantità impressionante di assurdità questa sera» annuncia, serio e intransigente. «Del tutto impressionante»

Il rosso sbuffa e per un lungo momento nessuno parla, ma i pensieri nella testa di Aziraphale urlano così forte da non fargli notare l'assenza di rumori nella stanza. L'angelo si permette di sfruttare quella calma che, lo sa, il demone non interromperà mai di sua spontanea volontà, per analizzare quello che è successo e tutte le implicazioni delle parole sconnesse di Crowley. Si stupisce dell'improvvisa egoistica ondata di calore che lo travolge per il demone che gli siede di fianco. Certo, da una parte è infelice per l'esperienza che il rosso ha dovuto subire per salvarlo, ma allo stesso tempo è estremamente compiaciuto dal fatto che il demone abbia rinunciato a insultarlo, anche se solo secondo le regole di quel rapporto tutto loro, per non ricordargli il trattamento che gli Arcangeli gli hanno sempre riservato e per non essere paragonato a loro. È un piacere egoistico, esclusivo, e Aziraphale ne ha d'un tratto paura: in quanto angelo non ha mai avuto il permesso di sperimentare il gusto dell'egoismo, ma non sa come altro chiamare quel calore nel petto che gli è spuntato nel venire a conoscenza dello stato d'animo di Crowley, del pensiero tenero che il demone gli ha riservato nel tentativo di preservarlo dalla tristezza e dalla sottomissione durate seimila anni.

«Ti ringrazio» dice alla fine, le guance rosse nascoste dal buio della notte. Crowley scosta la mano dagli occhi e lo guarda interrogativo e incredulo. «Per avermelo detto» precisa Aziraphale, deglutendo a fatica. «Sono contento che tu l'abbia fatto»

Il demone lo guarda per un po' completamente immobile e indecifrabile. Poi annuisce in silenzio e sistema il braccio lungo lo schienale del divano, fino a sfiorare appena con le dita la spalla dell'angelo per poi adagiare la mano sull'imbottitura dei cuscini.

Aziraphale non si muove subito: fa fatica a processare quello che sente e quello che vede, quel muto invito ad andare più vicino, ad accorciare le distanze per suggellare l'ennesimo chiarimento e quella fitta allo stomaco che l'ha colto senza preavviso. Aspetta di respirare a fondo per tre volte prima di capire di non avere alcuna risposta razionale in serbo per l'occasione. Non gli resta che muoversi e lentamente scivolare verso Crowley trascinando con sé la coperta, fedele alleata della notte in grado di difenderlo dalla sua stessa confusione.

«Quella resta lì» ammonisce il demone severo quando Aziraphale gli fa segno di avvicinare le ginocchia perché lui possa coprirle.

«Non fare il difficile, caro»

Crowley grugnisce il suo dissenso, ma accavalla le gambe senza ulteriori storie e l'angelo gli sorride grato prima di appoggiare la testa sul suo braccio.

Il rosso schiocca le dita e accende la TV: quando il sole sorge li trova ancora nella stessa posizione.








Angolino di Menade Danzante:
Piccola precisazione sullo sfogo di Crowley. Questo segue il filo logico già avviato in "Ride Home", ma non è necessario averla letta per capire quello che è il mio pensiero: la serie ci ha fatto vedere un Crowley molto furente in Paradiso, al momento della quasi-esecuzione, come se non si fosse aspettato un trattamento del genere da parte della fazione celeste, come se fosse incredulo e non completamente calato nel personaggio dell'angelo. Aziraphale, al contrario, è molto più spigliato e sin da subito a suo agio nei panni di Crowley: sa benissimo quello che sta per succedere e agisce già preparato per l'occasione perché sciogliere un traditore nell'acqua santa è qualcosa che effettivamente l'Inferno farebbe, è prevedibile. In "Ride Home" angelo e demone arrivano alla conclusione di scambiarsi i corpi per salvare Crowley, non necessariamente entrambi, e qui confermo la stessa linea di ragionamento: Crowley sta faticando più di Aziraphale ad elaborare l'accaduto perché non avevano immaginato una punizione del genere da parte del Paradiso.
Spero che il tutto vi risulti credibile e che il capitolo un po' angst vi sia piaciuto!
Ringrazio di cuore tutti coloro che seguono, leggono, recensiscono e mi trasmettono entusiasmo e positività! <3
Alla prossima! :*

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Capitolo 6
*** 6. Domenica ***


domenica

6. Domenica







La domenica è sonnacchiosa e tinta di nuvole. Nessuno dei due ha voglia di uscire, nemmeno per una passeggiata al parco per dare da mangiare alle anatre. Aziraphale è in piedi davanti alla finestra spalancata della sala con le mani giunte dietro la schiena – per aprire le imposte stabilmente l'angelo ha impiegato un'ora del suo tempo, argomentando contro il demone riguardo a quanto sia piacevole sentire un po' di fresco in casa. Sospetta che Crowley gliel'abbia data vinta esclusivamente per farlo tacere, ma è comunque fiero di sé: è difficile ascoltare qualcos'altro al di là del traffico londinese, ma di sicuro adesso può provare ad avvertire gli uccelli che cantano senza doverli solo immaginare. Inala a pieni polmoni ed è praticamente certo che allo smog sia mescolato un lieve sentore di pioggia. Incantevole.

«Come credi che se la stiano passando a Tadfield?» chiede di punto in bianco quando percepisce la presenza di Crowley nella stanza.

«Come sempre» è la risposta disinteressata del demone. «Che vuoi che succeda a Tadfield?»

La fine del mondo?, ma Aziraphale si limita a lanciare al rosso un'occhiata eloquente.

«Dico davvero» continua Crowley. «L'Anticristo ha vinto, non vuole ucciderci tutti. Direi che vada più che bene, in effetti»

«Non intendevo questo» precisa l'angelo, registrando comunque la verità di quelle parole con sollievo. «Intendevo più qualcosa sulla vita quotidiana»

«Del tipo: come tornare alla normalità quando hai rischiato di provocare la morte del pianeta?»

Aziraphale ride brevemente. «Sì, più o meno»

Crowley scrolla le spalle. «Come noi. Con meno vino, magari». L'angelo annuisce, tornando a guardare fuori con un sorriso. Il demone gli si fa di fianco, le mani in tasca e il viso contratto per il chiarore arrogante del sole che filtra tra le nuvole.

«Sai,» riprende Aziraphale, «credo che dovremmo invitare la ragazza americana di tanto in tanto. E il suo ragazzo, naturalmente»

Crowley si scosta come colpito da uno schiaffo. «La ragazza del libro?! Ma perché?»

«Perché ne ha passate tante nella vita: è cresciuta con l'idea di dover salvare il mondo dalla minaccia dell'Anticristo». La risposta di Aziraphale suona naturale e scontata: lui ha letto tutte le note del libro di Agnes Nutter, sa quello che ci si aspettava dalla giovane. «Può essere utile per lei parlarne. Siamo sicuramente qualificati per affrontare l'argomento»

Il demone si guarda intorno, perplesso, come aspettandosi di vedere la giovane americana saltare fuori da un momento all'altro e prendere posto sul divano, invadendo il loro spazio.

«Se lo ritieni proprio necessario» borbotta alla fine, disgustato.

«Oh, davvero?» fa Aziraphale, un'ottava più in alto del normale. «Ma a te fa piacere?»

Crowley si stringe nelle spalle. «Sì, d'accordo» concede con un sospiro.

Aziraphale approfitta del momento per buttare lì un altro nome: «E anche Madame Tracy, che te ne pare?»

«Hai pensato anche a un tè con Morte o lui l'hai lasciato fuori dal circolo delle conoscenze? “Scusi, non sapevamo come contattarla e nel dubbio abbiamo sacrificato un umano. Verrebbe a pranzo domani?”»

L'angelo gli riserva uno sguardo di duro rimprovero, ma non dice niente. Come al solito, il sarcasmo del demone è tagliente ma estremamente accurato.

La luce naturale sembra andare via all'improvviso e in lontananza un tuono ne sottolinea l'assenza.

«Adesso che non abbiamo più delle missioni, propriamente parlando, sarebbe bello averne davvero uno, di circolo delle conoscenze. Non trovi?»

Aziraphale è genuinamente curioso di osservare la reazione di Crowley a quelle sue parole: non sa davvero cosa aspettarsi. Il demone lo guarda con sospetto per un momento, ma poi la sua espressione si rilassa. «Possiamo provare»

Il plurale scalda il petto di Aziraphale in un lampo. Non può fare altro che annuire.




Anche quel giorno l'angelo legge alle piante, ma c'è qualcosa di diverso: Crowley l'ha seguito nella stanza e si è accomodato sull'ampio bracciolo della poltrona. A nulla è servita la proposta di Aziraphale di far apparire una sedia tutta per lui: il demone non ne ha voluto sapere.

Spesso l'angelo alza gli occhi dal libro per scrutare il comportamento del rosso. Lo trova o a spiare le piante o a seguire la lettura con gli occhi. Quando Aziraphale alza la voce o cambia tono per impersonare meglio il personaggio, però, Crowley guarda lui e scuote la testa, divertito. Quando questo accade, l'angelo trova un po' più complicato tornare a leggere ad alta voce, ma almeno nota che le piante non perdono una parola: sono sempre protese verso di loro, senza paura e con il pigmento più brillante che mai.

Ogni tanto, però, le occhiatacce del demone scoraggiano le foglie. Aziraphale si accorge dei velati rimproveri perché le sente fremere per alcuni intensi secondi prima che la sua voce sia di nuovo l'unico suono nell'appartamento. Al quinto tremore l'angelo posa la mancina sulla coscia del demone accanto a sé prima di fissarlo negli occhi con sguardo severo.

«Caro, così non è possibile» gli fa notare. Crowley ha la faccia tosta di mostrarsi del tutto sorpreso da quel rimbrotto. «Le stai spaventando»

«Non è vero». Il demone sembra esserne pienamente convinto. «Sono loro che spaventano me. Sono invadenti»

«Sono attente»

Crowley fa una smorfia di derisione.

«Chiedi scusa» intima Aziraphale.

Il demone impiega un attimo prima di annuire. «Ti ho distratto, angelo, non dovevo»

«Oh, non c'è di che» sorride il biondo. «Ma non è per me. Devi chiedere scusa a loro»

Crowley sgrana gli occhi. «Penso di aver capito male»

«Niente affatto. Sei stato scortese»

La bocca del demone è una linea pericolosamente sottile. Ad Aziraphale sembra che anche le piante siano sospese in attesa della risposta.

«Scusate». La risposta arriva a denti stretti, con un gesto derisorio verso le foglie. Per rimarcare l'indignazione, Crowley allontana la gamba con uno strattone, si alza e si dirige verso il suo trono. Aziraphale lo osserva mentre si siede con teatrale superbia e ostenta tutto il disappunto e la collera di cui è capace. L'angelo sa che non gli rivolgerà più l'attenzione per tutto il resto della sessione di lettura, ma almeno ha la consapevolezza di essere riuscito a vendicare le altre abitanti della casa.

«Gli passerà» rassicura le foglie, ancora innaturalmente immobili, prima di riprendere a leggere.




Al borbottio sommesso di un esperto di gorilla in televisione e allo scrosciante temporale si aggiunge il grattare della ceramica che si fa strada sul piano del tavolo. Aziraphale sta manipolando la tazza dal divano mentre Crowley si mostra del tutto indifferente al processo, come se non si accorgesse di nulla. Ma il demone è costretto a manifestare una qualche reazione quando il suo gomito viene picchiettato da un manico particolarmente insistente. L'angelo trattiene il sorriso nel sentirlo grugnire. Con uno schiocco di dita Crowley pone fine al miracolo di Aziraphale e osserva il contenuto della tazza.

«Cioccolata calda» fornisce il biondo. «La tua è al caffè. Corretta al brandy»

Il demone alza un sopracciglio e finalmente incontra i suoi occhi. «Sembra quasi che abbia vinto io, angelo» riflette sardonico mentre calcia una gamba contro il braccio del trono per fronteggiare Aziraphale e si apre in un sorriso di scherno.

«Non direi. Io ho la panna» ribatte l'angelo con tono definitivo.

Bevono in silenzio le rispettive bevande per qualche minuto, la tensione delle ore precedenti dimenticata nel bagliore di un lampo e nell'etologia delle grandi scimmie. Il biondo si complimenta con sé stesso per aver avuto quel guizzo di genialità che l'ha spinto a rintracciare la cucina del demone e ad armeggiare con i fornelli e con qualche miracolo qui e là.

Mentre bevono Aziraphale non può fare a meno di notare che Crowley tiene in mano la tazza come se fosse un bicchiere con qualcosa di esclusivamente alcolico all'interno: non stringe le mani a coppa intorno alla ceramica per riscaldarsi o per dare la giusta estetica all'atto di bere una cioccolata calda. No: Crowley è sfrontato come sempre, con le dita che toccano il contenitore il meno possibile, troppo vicine all'orlo e decisamente fuori dalla portata del manico. Questo fa sorridere l'angelo senza preavviso.

«D'accordo, questo tuo giochino con le piante ti ha fatto ridere abbastanza per oggi» fa il demone, fraintendo la reazione, ma non sembra rancoroso e Aziraphale non sa come dirgli quello che gli è passato per la mente senza risultare idiota: si limita a non confermare e a non negare la deduzione del rosso.

«Adesso mi diverto io. Ti sembra giusto, angelo?»

L'espressione del demone allarma vagamente Aziraphale, ma il biondo si rende conto di non avere argomentazioni contrarie sufficientemente probanti da coprirgli le spalle. Annuisce avendo la studiata cura di sospirare.

«Bene. Un obbligo per un obbligo, allora». L'angelo sente un brivido infido lungo la schiena. «Mi hai costretto a fare una cosa che non mi piace fare, quindi tu farai una cosa che sicuramente non ti piace fare». Aziraphale ha dimenticato di battere le palpebre e continua a tenere gli occhi spalancati più a lungo di quanto un umano possa mai sognarsi di fare. Si chiede se il demone lo stia tentando nel senso proprio del termine, ma non ha nemmeno il tempo di finire la formulazione della domanda nella sua testa che la doccia fredda arriva: «Ceneremo con cibo da asporto consegnato in un cartone unto e maleodorante maneggiato da mani che hanno toccato tante cose non igieniche prima di quello»

«Non penso proprio!» esclama Aziraphale, scattando in piedi impettito e offeso. «Crowley, come puoi chiedermi una cosa simile?». È esterrefatto: tradito alle spalle dal suo migliore amico, dal demone che ha pranzato con lui così tante volte da sapere che all'angelo non può piacere quella cosa che gli umani fanno. Ma il ghigno di Crowley non desiste: gli rimane stampato in faccia e raggiunge persino le iridi gialle che ora gli lampeggiano contro sfumature di vittoriosa ripicca.

«Oh, andiamo! Ti ho preparato la cioccolata!» aggiunge dunque, come se quello risolvesse la questione. Un'ammissione di colpa per una cioccolata calda: più che equo, per l'amor del Cielo!

Ma Crowley ha già materializzato un volantino plastificato, alzato la cornetta del telefono e digitato il numero della pizzeria più vicina all'appartamento. Completamente impotente, l'angelo ascolta la voce del demone che ordina e che fissa l'orario per la consegna del cibo.

«Questo è scandaloso» sentenzia Aziraphale quando il ricevitore torna al suo posto. «Davvero scandaloso. Non sarà mai come il cibo dei ristoranti. È oltraggioso. Non mangerò mai quella roba, sappilo!»



Aziraphale ha mangiato tutta la sua pizza margherita, la metà della sua porzione di patatine fritte e una lattina intera di Coca-Cola. Si è lamentato durante tutto il processo, sostenendo buoni motivi per non mangiare quel tipo di cibo e assecondando uno slancio salutista di cui la sua natura eterea non ha mai dovuto realmente preoccuparsi. In realtà ha apprezzato sia la cena che la gentilezza del demone: ha infatti scoperto che Crowley avrebbe potuto esagerare con i gusti e gli ingredienti della sua pizza, ma non ha voluto rischiare di turbare troppo il palato dell'angelo. Il demone ha ruttato il suo totale dissenso sulla sua presunta bontà d'animo, ma niente di più. Aziraphale ha anche avuto l'impressione che l'altro fosse piuttosto compiaciuto quando l'ha visto leccarsi via l'unto dalle dita e solo dopo prendere un tovagliolo.

Finiscono di piluccare qualche patatina sul divano guardando una replica di Cuori senza età1 su insistenza di Crowley. Il demone si sforza di convincere Aziaraphale che Blanche sia il personaggio migliore della serie, ma l'angelo non è d'accordo: Rose ha conquistato la sua simpatia e non è intenzionato a sentire repliche a riguardo. Quando la puntata finisce, con uno schiocco di dita Crowley spegne il televisore mentre Aziraphale si preoccupa di accendere una luce calda che irradi la stanza.

«Ti manca solo una dormita, angelo» ridacchia Crowley dopo attimi di rilassato silenzio.

«Prego?»

Il demone prende un sorso di Sprite direttamente dalla lattina. «Che schifo» commenta, guardando l'involucro come se la sua percezione fosse colpa dell'alluminio. «Quanto zucchero c'è qua dentro?». Poi torna a guardare Aziraphale. «Dicevo: ti manca solo una dormita»

«M-hm» fa l'angelo, sperando che la sua faccia esprima tutto il suo smarrimento. Ma dal demone non giungono precisazioni. «In che senso, caro?»

Crowley sta cercando di leggere le percentuali degli ingredienti della sua bibita, ma la fa sparire con ancora la fronte corrugata per la concentrazione. «Nella tua collezione di nuove esperienze»

«Ah. Beh, non sarebbe totalmente nuova: ho dormito qualche volta»

Le sopracciglia arcuate del demone sono inequivocabili: qualche volta in più di seimila anni non è decisamente abbastanza né tollerabile. «Esistono modi diversi di riposarsi» si giustifica il biondo sulla difensiva. «Dormire è poco piacevole per me. Mi inquieta non essere cosciente per ore». Soprattutto adesso, vorrebbe aggiungere, ma tiene per sé il pensiero.

«Giusto» mormora Crowley con l'aria di chi, per quanto si sforzi, non riesce a mettersi nei panni di un'altra persona.

«Perché a te piace?»

Crowley inarca il petto prima di sbuffare un sospiro. «Mi piace e basta, suppongo». Aziraphale annuisce: la risposta è scarna, ma non è differente da quella che darebbe lui se qualcuno gli chiedesse il senso del suo nutrirsi di cibo raffinato.

«E forse il corpo umano ne trae qualche beneficio» aggiunge il demone, scettico. «Ma non lo faccio per quello». Il rosso fa una pausa. «Non essere coscienti per qualche ora o qualche giorno o... beh, un secolo, non è male a volte»

Passano attimi di silenzio nei quali Aziraphale considera profondamente il caso. Alla fine parla: «Potrei riprovare. Una notte contro l'eternità non mi farà male, dopotutto. Non credi?»

Crowley si muove contro lo schienale del divano per guardarlo meglio. Inclina un poco la testa prima di esprimersi: «Non hai detto che non sei tranquillo se non sei vigile?». Aziraphale sente di colpo caldo dalle parti del petto: è felice di non scorgere nelle parole del demone alcuna traccia di malizia.

«Corretto. È solo che è... beh, è irrazionale. Non ha senso». Si guarda le mani vagamente in imbarazzo.

«Non devi farlo per forza». La voce di Crowley è particolarmente soffice al momento. «L'ho detto solo per dire. Non faceva parte del gioco»

Aziraphale torna a guardarlo negli occhi. «Oh, lo so». Gli sorride per rassicurarlo.

«Bene» mormora Crowley, uno sguardo strano che l'angelo non riesce a definire, ma da cui è positivamente colpito. Forse è riuscito a stupirlo e questo gli dà motivo di essere orgoglioso di sé, anche se non sa spiegarsene il perché. Il sentimento è così travolgente che scatta in piedi pieno di energia e guarda Crowley dall'alto in basso con euforia.

«Facciamolo!»




«Ti capita mai di sognare?»

Al bisbiglio appena accennato dell'angelo corrisponde un grugnito del demone.

«Aziraphale, quando una persona dorme non parla». Il suo tono di voce è normale.

«Non sto ancora dormendo»

«Sì, me ne sono accorto. Non dormirai mai se continui a parlare con me»

Rumore di lenzuola e stoffa: Crowley si muove nel letto ma Aziraphale non ha idea di cosa faccia perché la camera è quasi completamente al buio, ad eccezione del poco chiarore proveniente dalla finestra accanto al materasso. Lui è disteso immobile a pancia in su da mezz'ora con le coperte tirate fino al collo e le braccia sulle lenzuola nere. Almeno il letto è di gran lunga più comodo del prato di St. James's Park e la posizione gli risulta più accettabile del giorno prima.

«Ho capito» continua a bisbigliare, come se temesse di disturbare il demone. «Però non hai risposto alla domanda»

Crowley sbuffa una risata contro il cuscino. Altro rumore di stoffa. «A volte sì, angelo. Contento? Ora possiamo dormire?»

La voce è arrivata più vicina di prima e Aziraphale deduce che il demone si sia voltato verso il suo lato del letto. Prova a girare il volto in quella direzione, ma continua a non vedere nulla: il cielo, reduce dal tempaccio, è troppo nuvoloso e non illumina quasi niente.

«Sogni cose belle?»

«Per amor di Qualcuno»

Il biondo sente uno schiocco e improvvisamente è accecato dalla luce. Assottiglia le palpebre e si ritrova faccia a faccia con il demone. Deglutisce a vuoto per un attimo, consapevole di essere di nuovo preda dell'imbarazzo con cui si è arrampicato su quel letto dopo essersi materializzato addosso un pigiama color crema. La sua unica consolazione era stata vedere anche sul viso del demone in maglietta e pantaloni neri lo stesso rossore che aveva acceso le sue guance. Si erano rassicurati a vicenda – è solo un esperimento, il divano è scomodo, la poltrona nemmeno per scherzo, il pavimento è devastante per la schiena e sul tavolo c'è il mappamondo, non si può fare –, ma niente aveva cambiato la realtà dei fatti: si erano sdraiati nello stesso letto a nemmeno un metro di distanza l'uno dall'altro. Il buio ha aiutato Aziraphale a non pensarci, ma ora che una sfera di luce li illumina gli risulta difficile non notare l'evidenza di un demone dai capelli rossi disteso su un fianco accanto a lui.

«Allora,» comincia Crowley in tono pratico, «devi deciderti: vuoi dormire o no?»

L'angelo si schiarisce la gola. «Sì, ma voglio essere consapevole: è da tanto tempo che non lo faccio. Che c'è di sbagliato?»

Crowley alza gli occhi al cielo. «Non puoi decidere a priori di sognare o no. Né se sarà un bel sogno o un incubo. Accadono, questo è quanto»

Aziraphale non è felice della risposta, ma almeno è contento che ne abbia ricevuta una.

«Prossima domanda» rilancia il demone.

«Non ne ho altre per ora»

«Bugiardo»

L'accusa lo ferisce, ma è costretto a incassare il colpo senza fiatare. Vorrebbe porre ulteriori quesiti sui sogni, sulle sensazioni che provocano e sugli incubi. Vorrebbe ammettere di avere una certa paura di sognare, oltre che di rimanere incosciente fino al mattino, ma non gli sembra il caso di mostrarsi infantile.

«Se non vuoi, puoi-»

«-andarmene quando voglio, sì». Crowley deve averglielo detto almeno quattro volte da quando hanno lasciato la sala, ma ora lo vede esitare nel dare il proprio assenso.

«Questo o... O puoi rimanere qui a leggere» butta lì, non togliendogli le iridi da serpente di dosso. «Se ti fa piacere»

Aziraphale vorrebbe tanto spegnere la luce, ma le dita non rispondono e non riesce a schioccarle. Si limita a guardare di rimando il demone, il respiro bloccato in gola e la mente che vortica per mettere insieme i tasselli del puzzle. Tasselli tra cui è costretto ad annoverare l'immediato miscuglio di sollievo e trepidazione che lo ha colto del tutto impreparato.

«Grazie» soffia alla fine, lo scheletro di un sorriso sulle labbra. Crowley fa sparire la sfera di luce e Aziraphale gliene è infinitamente grato. Si posiziona su un fianco a sua volta, cercando di scrutare l'espressione del demone, ma nemmeno quando i suoi occhi si sono abituati nuovamente all'oscurità riesce a delineare i dettagli della figura dell'altro.

«Che cosa hai paura di sognare, angelo?»

La voce di Crowley è così inaspettata dopo i suoi rimproveri che Aziraphale si ritrova a sobbalzare.

L'Inferno, pensa, ma non ha il coraggio di dirlo. È passata una settimana da quando si è finto Crowley e ha fatto un bagno nell'acqua santa ai Piani Bassi, ma, nonostante l'esito positivo dell'operazione, non ne conserva ricordi piacevoli al di là dell'aver fatto miracolare a Michael un asciugamano. Quando è sveglio e pienamente cosciente di sé sa di poter razionalizzare l'evento e sa di poterci ridere su, ma non è altrettanto sicuro che ciò avvenga anche durante il sonno. Può un sogno trasmettere la stessa claustrofobia che gli ha trasmesso l'Inferno? Può sentirne di nuovo l'odore? Può vedere i demoni ammassati contro il vetro che un momento battono le mani e quello dopo lo fissano con terrore e raccapriccio perché non sanno spiegare il prodigio di un diavolo che non si scioglie nell'acqua santa?

Aziraphale non lo sa, ma non ha intenzione di chiederlo a Crowley, non dopo aver compreso che anche il demone sta facendo i conti con il proprio dolore, con un'altra condanna a morte, la sua: non ha il diritto di addossargli anche il suo fardello.

Si accorge di aver involontariamente adagiato la mano nello spazio vuoto tra sé e il demone solo quando quest'ultimo vi poggia sopra la propria. Aziraphale sussulta per la sorpresa, ma non disdegna il contatto fisico. Anzi, è pronto a giurare che non avrebbe potuto desiderare di meglio.

«Posso svegliarti se ti agiti nel sonno» mormora Crowley.

«Te ne sarei grato» assicura il biondo, stringendo le dita del demone con dolcezza.

«Dormi, angelo»

Aziraphale ricambia con una carezza e si concede di chiudere gli occhi per la prima volta da quando si è infilato sotto le coperte. Non passa molto tempo quando finalmente scivola nel sonno.














Note:

[1]: Cuori senza età è il titolo italiano di “The Golden Girls” che nel libro Crowley adora e considera uno dei migliori show sulla piazza. Blanche e Rose sono due delle quattro protagoniste.






Angolino di Menade Danzante:
Di nuovo, a costo di essere ripetitiva, grazie a chi legge, segue, inserisce la storia in una lista e recensisce! Non posso che sperare che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento e che io abbia mantenuto i personaggi IC.
Ci vediamo la prossima settimana con l'ultimo aggiornamento di questa piccola avventura! Sigh.
Baci baci!

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Capitolo 7
*** 7. Lunedì ***


lunedì

7. Lunedì






Quando Crowley lo sveglia le loro mani sono ancora intrecciate e Aziraphale mugugna qualcosa contro il cuscino, cercando di coprirsi gli occhi dal chiarore che lo acceca.

«Sei impossibile» sente ridere il demone. «Prima fai lo snob e ti rifiuti di dormire se non “qualche volta”, poi non riesci a staccarti dal letto»

Aziraphale continua a parlare contro il morbido guanciale: in rapida successione implora per altri cinque minuti di relax e nega quanto affermato dal rosso senza accorgersi della contraddizione.

«Non hai cinque minuti, Aziraphale» lo scuote Crowley. «Devi lavorare, o qualunque cosa tu faccia dentro quella libreria»

Passano istanti di silenzio in cui Aziraphale riprende coscienza del mondo e della situazione in cui si trova. È felice di avere la faccia premuta contro la stoffa perché sa di essere arrossito al pensiero di aver dormito nel letto di Crowley. Aspetta qualche secondo per respirare con calma e finalmente apre gli occhi, sistemandosi meglio sul materasso per mettere a fuoco la figura del demone accanto a sé.

«Mi sono agitato?» si informa subito mentre passa il palmo della mano libera sugli occhi per sforzarsi di non richiuderli e riprendere a sonnecchiare: deve darsi veramente un contegno.

«No, sei stato bravo» si complimenta Crowley. Aziraphale sorride spontaneamente, contento di non aver disturbato e di aver superato la prova. «Ma a giudicare dal tempo che ti ci vuole per tornare tra i vivi, avrei dovuto lottare per tirarti fuori dagli incubi, angelo»

Il biondo nasconde il volto dietro l'avambraccio, preda dell'imbarazzo, ma non può fare a meno di ridere.

«Hai qualcosa da dire? Esperienza promossa?» chiede Crowley con fare scientifico senza far trasparire altre emozioni di sorta. Aziraphale ci pensa su un attimo prima di annuire.

«Credo che sia stato piacevole. Non come leggere un libro, ma penso che potrei rifarlo». Non precisa che potrebbe ripetere quell'attività solo con qualcuno intorno a sé pronto a consolarlo nell'eventualità di un sogno orribile: forse il demone già lo sa.

Crowley allarga un sorriso allegro e stringe la mano dell'angelo che tiene nella sua.

«Forza, alzati. Ti porto in libreria»



Aziraphale sta sperimentando con successo la tattica suggerita da Crowley qualche giorno prima: duplicare il libro richiesto e venderlo – o regalarlo – agli acquirenti. Non sempre ha la forza di farsi pagare: non ha bisogno di soldi e quello gli sembra a tutti gli effetti un furto. Però c'è anche l'altro lato della medaglia: che stia forse truffando il fisco con questo suo particolare modo di fare? Deve ammettere che dall'Ottocento è stato importunato con le tasse solo cinque volte, ma questo soltanto perché è personalmente intervenuto con un miracolo per avere la finanza ben lontana dal suo negozio o apparentemente smemorata su qualsiasi cosa riguardante l'A.Z.Fell&Co. Non è felice della situazione, ma ha la sensazione che fare le cose davvero per bene, al di là del tenere i pochi conti ben in ordine sul vecchio computer della libreria1, comporterebbe la necessità di girovagare per il mondo di tanto in tanto per non destare sospetti circa il suo scarso invecchiamento e l'assenza di un qualunque straccio di burocrazia terrestre da mostrare in duplice copia su carta bollata e tutto il resto.

Per sentirsi meno in colpa regala le copie piuttosto che venderle, con buona pace dell'editoria e con grande sollievo da parte dei lettori. Quando dona il quarto libro della mattinata ad una ragazza con gli occhi pieni di lacrime per la gratitudine si chiede se quello non sia il primo passo per mandare in rovina tutto il sistema economico dell'industria libraria.

Il campanello sulla porta lo fa ridestare dai suoi pensieri: Crowley, sparito da quando lo ha convinto a parcheggiare la Bentley in un posto che non recasse l'allarmante presenza del divieto di sorta, ha una scatola dai colori pastello in mano e si dirige verso di lui con le anche che proprio non riescono a rimanere in asse.

«Hai fatto piangere una cliente?» gli chiede perplesso e curioso poggiando l'involucro sul tavolo più vicino.

«O Cielo! Piangeva?». Aziraphale si porta una mano al petto, il viso contratto dal dispiacere. «Cielo, non volevo proprio. Le ho solo regalato una prima edizione di Tempi difficili, devi credermi!». Strabuzza appena gli occhi prima di precisare: «Beh, una copia»

Crowley ha gli occhiali, ma Aziraphale è certo che stia roteando gli occhi. L'angelo lo osserva appoggiarsi al piano di legno e incrociare le braccia al petto. «Avevo ragione, allora: un miracolino e siete felici tutti e due. Lo manifestate in maniera strana, ma lascio l'attività di giudicare a qualcun altro, eh?»

L'angelo annuisce, poi punta l'indice verso la scatola. «Posso?»

«Mm? Ah, sì»

Aziraphale non è certo che la noncuranza di Crowley sia autentica, ma sceglie saggiamente di non infierire. Solleva il coperchio e le iridi blu si perdono nei cioccolatini variegati che quel pacchetto contiene2.

«Oh!» esclama, guardando Crowley con un sorriso estasiato. «Non era necessario, davvero!»

«O-ho! Puoi buttarli se non ti vanno»

«Non ho detto questo...». Aziraphale agguanta con fare protettivo la scatola e ruota leggermente il busto perché non sia alla portata della mano di Crowley. Il demone scuote la testa e sospira, ma l'angelo vede chiaramente il fantasma di un sorriso che gli increspa le labbra.

«A cosa devo il pensiero?» domanda poi, curioso. Non è sicuro di dove stia guardando il rosso, ma non crede che stia cercando i suoi occhi. Lo vede sporgere il labbro inferiore e alzare le spalle. Aziraphale ha la chiara impressione di non poter considerare quella come un'ammissione di indifferenza e piuttosto preferisce non darle alcun nome. Posa una mano sull'avambraccio del demone e stringe appena. «Ti ringrazio, caro» fornisce prima di infilarsi in bocca un cioccolatino alla nocciola e di tornare ai suoi libri.

Il rosso si accomoda senza eleganza su una sedia e solo di tanto in tanto cammina per il negozio curiosando tra la merce o origliando senza discrezione stralci di conversazioni dei clienti. Quando fa così Aziraphale cerca di riportarlo all'ordine con le occhiatacce, ma Crowley non ne è minimamente intimorito.

Temendo un'altra tentazione all'interno della sua libreria, l'angelo approfitta della richiesta di un giovane ragazzo per passare tra gli scaffali accanto a Crowley e rifilargli una gomitata sul braccio. Il rosso ridacchia e gli rifà il verso, ma decide di allontanarsi dal trio di adolescenti che sta organizzando uno scherzo a un quarto membro assente del gruppo di amici.

«Bravo» concede Aziraphale mentre duplica Delitto e castigo con circospezione. Osserva meglio quello che ha tra le mani e si fa sfuggire un sorriso.

«Non leggo Dostoevskij da un po'» considera ad alta voce, senza guardare Crowley. «Credo proprio che lo porterò a casa. Potrei leggerlo questa sera, che ne pensi?»

Per un attimo gli sembra che il tempo si sia fermato, ma quando alza la testa si rende conto che non è solo un'impressione: i clienti sono pietrificati e l'aria è innaturalmente immobile.

Non ha bisogno di voltarsi verso Crowley per sentirsi sprofondare: la verità di quello che ha detto gli si palesa in un lampo di assurda consapevolezza.

Istintivamente si allontana dal demone di un passo: sa che Crowley ha colto prima di lui quello che ha detto senza nemmeno pensarci troppo.

«Cioè, io... ecco, non... quello che volevo dire è-» balbetta in modo sconclusionato mentre il suo cervello si impegna per terminare almeno una delle frasi che ha iniziato.

Ma la sua mente è impigliata in un unico pensiero: quando ha cominciato a pensare all'appartamento di Crowley come a casa? Non lo sa, né lo crede possibile, ma l'ammissione è uscita spontanea, del tutto incontrollata e, peggio, sincera.

Respira a pieni polmoni per scacciare la spiacevole sensazione di paura che gli sta attanagliando il petto. Sa da dove viene quel timore e lo può quasi chiamare per nome. Ha paura del significato della parola casa per lui, ha paura ora che l'ha detta ad alta voce e soprattutto ha paura dell'effetto che possa avere su Crowley. Teme il rifiuto, teme che il demone precisi la necessità di non fraintendere tutto quello che è successo: teme che gli spieghi che gli ha permesso di tenere le sue cose nell'appartamento per pura comodità, non per affetto.

All'improvviso Aziraphale capisce che quello non è un timore: quella è una certezza. Vede chiaramente le immagini del loro confronto passargli nella mente, come in uno di quei film che il demone gli ha fatto vedere, ma che ora è disponibile in anteprima solo per lui. Vede Crowely che gli dice tutto quello e anche di più: lo può ascoltare forte e chiaro mentre gli comunica che nell'ultima settimana non ci sono stati progressi di alcun tipo e che l'esperienza dell'Apocalisse non li ha cambiati nemmeno un po', non ha modificato niente nel loro rapporto, nella loro intimità, nel loro modo di comprendersi e di aprirsi l'uno con l'altro.

Vigliaccamente spera che il tempo torni a scorrere subito, che lo salvi dall'inevitabile delusione a cui è destinato. Ma Crowley non sembra propenso a rimetterlo in moto: è praticamente immobile e solo il cadenzato gonfiarsi del suo petto suggerisce ad Aziraphale che lui non sia bloccato insieme agli altri avventori della libreria. È per questo che quando il demone emette suoni articolati l'angelo trattiene il fiato.

«Va bene»

Non ha idea di quanto tempo siano stati in silenzio, ma quando la voce di Crowley gli solletica le orecchie Aziraphale ha la sensazione di aver vissuto un secolo in ibernazione: sente un calore travolgente che lo fa avvampare.

«Come, scusa?» chiede, incredulo, la voce spezzata ridotta a un pigolio allarmato. È evidente che non abbia sentito bene: il demone lo deve rifiutare, il suo copione nella testa dell'angelo è chiarissimo e non ha alcun permesso dalla regia di improvvisare. Deve attenersi alle regole, punto e basta.

Crowley si schiarisce la gola e si stringe nelle spalle, le mani in tasca. «Ho detto che va bene. Puoi portare il libro a... a casa»

Aziraphale si rende conto che il tempo è tornato a fluire perché la pacata confusione del negozio torna a disturbarlo.

Crowley ha improvvisato la sua battuta. Ha osato contravvenire alle direttive tecniche e Aziraphale non sa se essere indispettito o sollevato da quel cambio di programma.

«Oh. Bene» dice alla fine. «Grazie»

Non riesce a sorridere, né a capire perché abbia ringraziato Crowley. Fa dietrofront e torna dal ragazzo con entrambe le copie del libro, cercando di dedicarsi alla sua attività senza farsi prendere dal panico.

«Ecco a lei» conclude la vendita con la voce che trema.

Lancia uno sguardo preoccupato al vecchio orologio che tiene nel locale: non è sicuro di poter finire il turno in quelle condizioni.



Nel pomeriggio Crowley e Aziraphale non riescono a rimanere soli a lungo. C'è sempre almeno un cliente nel locale insieme a loro e l'angelo non sa se considerarlo una benedizione o meno. Una cosa è certa: il demone non si tiene mai troppo distante da lui e gli gravita intorno mantenendo tuttavia un rispettoso distacco. Gli sta dando la possibilità di ritrattare, Aziraphale lo sa e questo gli riscalda sfacciatamente il volto ogni volta che ci pensa.

Il rosso di tanto in tanto fissa Delitto e castigo con un'inclinazione terribile delle sopracciglia, come se cercasse di inchiodarlo al tavolo per timore di vederlo sparire da un momento all'altro. Aziraphale l'ha colto sul fatto un paio di volte e, se di primo acchito non ha avuto la prontezza di agire, la seconda volta ha accarezzato il libro: non cambio idea. Avrebbe voluto dirglielo verbalmente, ma un cliente lo ha distratto e l'angelo ha potuto solo godere del sussulto che il corpo di Crowley ha accusato nel recepire il messaggio.

Ci sono altre cose che vorrebbe dirgli, cose che fatica anche a pensare e ad ammettere a sé stesso, ma quelle non sa nemmeno metterle in parole e non ci indugia più di tanto. Vorrebbe ringraziarlo ancora, veramente e senza balbettare, senza esitare. Vorrebbe sapere quando le cose siano davvero cambiate, ma non crede che tornare indietro di una settimana basti, e nemmeno di undici anni. Ma la sua mente non riesce a seguire un filo logico, non con quello che è accaduto prima e con il sangue che gli rimbomba nelle orecchie.

È un acquirente particolarmente difficile da accontentare che fa capire ad Aziraphale che deve chiudere il negozio per il resto della giornata. D'altronde quando lo accompagna all'uscita sono quasi le quattro del pomeriggio: quello è stato probabilmente il giorno più prolifico per la libreria da quando l'ha aperta.

«Posso offrirti un po' di whisky?» chiede a Crowley, impacciato, come se per loro fosse una cosa nuova.

Il demone allarga le braccia con ovvietà. Bevono in tranquillità un paio di bicchieri ciascuno, ma nessuno dei due parla di cose più cogenti di qualche commento sui clienti del giorno.

«Oggi non piove» nota Aziraphale dopo un po'.

«Oggi sei particolarmente acuto, angelo»

Il biondo ignora il commento e prosegue. «Facciamo un giro al parco prima di cena? Vuoi?»

Crowley annuisce e si alza pigiando le mani sulle ginocchia. Aziraphale afferra il cappotto, il libro di Dostoevskij e la scatola di cioccolatini cercando di non badare alle mani che tremano.

«Quelli mandali a casa» propone Crowley con voce strozzata, ma visto che l'angelo si è imbambolato al solo sentire la parola casa per la terza volta in un giorno fa da solo: schiocca le dita e Aziraphale realizza che libro e cioccolatini sono arrivati sani e salvi sul tavolo della sala dell'appartamento del demone.

«Giusto»

Si osservano per un attimo, fanno entrambi per parlare ma nessuno dice una sola parola. Poi il rosso tira su con il naso e fa un cenno verso la porta. «Forza, andiamo»


Aziraphale compra un ghiacciolo alla fragola che miracolosamente non gli si scioglie sulle dita. Può goderselo in tutta tranquillità mentre Crowley lancia pane alle anatre. L'angelo capisce che c'è quasi uno schema nel lancio del demone: non tira verso la terra o l'acqua, ma punta specificamente al becco. Sospetta che sia per far loro un dispetto, ma non ha il cuore di confermarlo.

«Hanno le orecchie, comunque» dice all'improvviso, sciogliendo in bocca l'ultimo pezzo di ghiacciolo. Fa sparire il bastoncino scrollando la mano mentre il demone lo guarda dubbioso.

«Di che diavolo parli?»

«Delle anatre. Hanno le orecchie. Beh, non si vedono, però ci sono»

Crowley lo osserva come se si fosse trasformato in un'anatra a sua volta. «OK...?»

«Ti interessava a fine Ottocento» spiega Aziraphale con un mezzo sorriso. «L'ho letto per caso in un libro, ma non credo di avertelo mai detto». Preferisce non dirgli di averlo cercato appositamente. Di fatto, non si era aspettato davvero di trovare quell'informazione, quindi quella che ha rivelato è una mezza verità a tutti gli effetti.

Il demone apre la bocca in un muto “Oh” e annuisce senza dire niente.

Rimangono ancora un po', più vicini del solito, a godersi il fresco di St. James's Park.

«Facciamo al Ritz?» chiede Crowley reclinando appena la testa. Aziraphale annuisce, piegando le labbra verso l'alto.

Il demone si alza e tende il corpo per stiracchiarsi, poi fa ricadere lo sguardo sull'angelo, ancora seduto sulla panchina e con gli occhi fissi su di lui.

«Allora? Non vieni?»

Aziraphale lo guarda di colpo stranito e scopre di sentirsi irritato. Non è giusto che, dopo quello che il demone ha fatto nella mattinata, lo possa sollecitare in quel modo come se niente fosse. Crowley non aveva alcun diritto di uscire dai binari che l'angelo aveva prefissato, mandando a monte tutto, compresa la studiata e intelligente reazione di Aziraphale: il biondo avrebbe solo dovuto scusarsi per l'invadenza e dire qualche parola complessa e carica di significati come lapsus e sarebbe finita lì. Invece no: Crowley ha dovuto improvvisare, ha dovuto sorprenderlo. Dopo seimila anni, il demone lo ha colto completamente impreparato e gli ha rifilato l'inaspettato: gli ha detto che può considerare il suo appartamento come casa sua.

No, si corregge mentalmente. Come casa nostra.

Basta quel cambio di direzione per sentire di nuovo lo stesso calore che lo ha colto nei giorni precedenti e che lo ha lasciato spiazzato per la sua intensità. Ne avverte l'egoismo tutto umano, così lontano dall'incondizionato amore degli angeli per il Creato, e ne ha paura, ma allo stesso tempo non desidera allontanarlo da sé, non desidera liberarsene. È un egoismo che lo appaga e lo sfianca insieme, che ha bisogno di alimentarsi e che, realizza, trova in Crowley il suo carburante.

Si accorge di star sorridendo solo perché il demone aggrotta la fronte, ma l'angelo non sente quello che gli viene detto. Aziraphale sorride perché, ora che l'ha capito, è tutto così ovvio che fa fatica a credere di non essere arrivato prima a quelle conclusioni, di aver avuto bisogno di un ennesimo ragionamento per far quadrare ogni cosa, dai pensieri alle sensazioni, dai gesti alle parole.

Si chiede nuovamente da quanto tempo sia cambiato tutto per lui, ma si accorge che non ha importanza: ora è risolutamente consapevole del presente, di sé e di Crowley, e l'euforia è così prorompente che potrebbe farlo scoppiare da un momento all'altro.

Aziraphale non pensa quando si alza, rigido, ma con gli occhi che brillano. Non pensa nemmeno quando prende un grosso respiro e agisce d'istinto, in fretta, prima di avere il tempo di pentirsene: afferra il colletto della giacca del demone e lo tira giù per premere le labbra contro le sue.

Il contatto è breve, l'angelo si stacca immediatamente e fa qualche passo indietro. Crowley, dal canto suo, si sfila gli occhiali e fissa l'angelo con tanto d'occhi, la bocca spalancata in un urlo che non ha trovato la via giusta per uscire.

Il cervello del biondo sembra riattivarsi in un secondo: Aziraphale sente montare dentro di sé stralci del panico che lo ha colto in libreria, ora perfettamente conscio di quello che ha osato fare. Questa volta, però, non ha nessun copione da seguire, Crowley non ha battute da recitare e potrebbe davvero fare qualsiasi cosa, potrebbe persino accusarlo di aver compiuto un gesto infinitamente stupido e superficiale.

Contro ogni previsione, però, Crowley non gli chiede se sia impazzito, né gli urla contro che per il vezzo sentimentale di un angelo da strapazzo come lui sono stati mandati in frantumi seimila anni di una bellissima amicizia. No. Crowley ride. Ride e ad Aziraphale sembra felice. L'angelo è sorpreso, non ha idea di cosa quello significhi. Non sa nemmeno se il demone si aspetti che lui dica qualcosa.

«Crowley?» lo chiama debolmente, interrogativo, quasi preoccupato. È così che fanno gli umani? È sicuro di no. Che lo stia prendendo in giro?

Il demone continua a sorridere come un serpente, stupefatto.

«Crowley, tutto bene?». Aziraphale si vede costretto a chiederglielo perché sente di essere del tutto sfuggito al controllo della situazione da ore, ormai, se non da giorni.

«Non lo so» risponde sinceramente l'altro, ora più calmo. «Il ghiacciolo era stregato?»

«N-No...» fa Aziraphale, perplesso. «Era... Era buonissimo»

Perché stanno parlando di ghiaccioli?

«Le anatre, allora» riprova il demone. «Qualcosa che ha a che fare con loro? No? Sei sicuro, Aziraphale? Perché io non ho fatto niente, non ti ho tentato, hai fatto tutto-»

«... da solo?» conclude titubante l'angelo più per un riflesso condizionato che per il vero significato di quelle parole. A questo arriva con qualche secondo di ritardo e soltanto perché Crowley ha smesso di ridere ed è semplicemente basito. Aziraphale vorrebbe scoccargli un'occhiata di puro trionfo: anche lui può ancora sorprendere il demone dopo seimila di conoscenza, a quanto pare. Ma non gli sembra il caso, visto che Crowley ha lasciato cadere a terra gli occhiali e ha di nuovo spalancato la bocca senza mostrare alcuna intenzione di richiuderla.

«È così?» chiede dopo qualche attimo. «Hai voluto farlo?»

Aziraphale sente di avere le guance in fiamme, ma si costringe ad annuire subito: non c'è molto su cui riflettere, d'altronde.

«E...?» prosegue Crowley, indirizzandogli uno sguardo inquisitore.

«E cosa?» fa l'angelo vagamente spazientito: è già difficile di per sé anche senza le sciocche e inappropriate domande del demone. Sarebbe più semplice se collaborasse.

Crowley annaspa per cercare le parole adatte. «Ed è tutto a posto? Ripensamenti?»

Aziraphale si tormenta l'anello al mignolo prima di negare velocemente con il capo. «Per i ripensamenti». Che sia tutto a posto è un mistero bello e buono. Gli gira la testa, tanto per cominciare, e sente una fitta allo stomaco che vorrebbe far andar via, ma forse non ha senso dirlo ad alta voce.

«Va bene» butta fuori Crowley, incredulo.

Aziraphale vorrebbe avvicinarsi per mollargli uno schiaffo in pieno viso. «Va bene?» ripete, la voce acuta. «Solo questo? È tutto ciò che hai da dire? Va bene?». Non è certo di cosa debba dire Crowley a tutti gli effetti, ma quello gli sembra veramente inappropriato, riduttivo e probabilmente offensivo. Ma il demone sorride e Aziraphale dimentica il fastidio.

«Angelo» mormora il rosso e il nomignolo esce fuori con l'aria di essere un rimprovero. Crowley chiude la distanza tra di loro ed esita prima di sfiorare appena con le dita la guancia di Aziraphale, delicato e impaurito, fragile e incredulo come se adesso dovesse inchiodare lui al terreno e non più Delitto e castigo.

«Non cambio idea» soffia l'angelo: stavolta non ci sono più i clienti a impedirgli di dirglielo apertamente. Sente i polpastrelli del demone che tremano contro il suo viso e si chiede indistintamente come sia possibile per lui essere ancora lì dov'è, fermo e immobile sotto il tocco del demone.

Negli occhi scintillanti da serpente legge una muta richiesta, una preghiera che dopo le precisazioni di Aziraphale è totalmente superflua, ma forse è per questo che l'angelo sente il proprio affetto imporporargli la base del collo con una sfumatura più accesa.

Annuisce piano e Crowley ride direttamente sulle sue labbra.


«Al mondo»

«Al mondo»

I calici del Ritz tintinnano la loro nota tremula e tornano al loro posto una volta svuotati per metà.

Le dita di Crowley e quelle di Aziraphale si sfiorano sul tavolo, ma nessuno dei due osa ritrarsi, nemmeno quando un tremito li scuote nello stesso momento.

Si guardano negli occhi e si sorridono: ora sanno con ineffabile certezza che ogni volta che brindano al mondo, in realtà ammettono di amarsi3.





FINE





Note:

[1]: Ci viene detto nel libro che Aziraphale fa i conti al computer e che la finanza si è presentata al negozio cinque volte perché sospettosa riguardo ai conti troppo esatti.
[2]: Nello script book Crowley porta i cioccolatini ad Aziraphale il giorno dell'inaugurazione della libreria. Ci hanno derubati di questa scena nella serie, così la riscrivo IO (l'originale non ha prezzo, sigh, sorry). La nota è per rendere palese il richiamo.
[3]: Semi-cit. tratta da “La storia fantastica”. L'originale è «Quel giorno si accorse con stupore che tutte le volte che lui le diceva “Ai tuoi ordini”, in realtà voleva dirle “Ti amo”».






Angolino di Menade Danzante:
Eccoci qua! Questa long è giunta al termine con questo Lunedì introspettivo, fluffoso e spero nello spirito dei personaggi.
Ringrazio tutti coloro che hanno seguito, letto, inserito la storia in una lista e commentato capitolo dopo capitolo. Davvero, mi ha fatto immensamente piacere e sono felicissima di tutte le parole che mi avete lasciato. Spero che il finale vi abbia soddisfatto e che sia stato di vostro gradimento!
Ringrazio, infine, anche chi vorrà leggerla in futuro!
Un bacione a tutti e alla prossima! <3

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