Marmite

di Aaanatema
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***


 Capitolo Uno

Domenica,
 il primo giorno del resto delle loro vite

 

Come molti già sapranno, non succede nulla d’interessante la domenica. Solo che quella non era una domenica come tante altre, era il primo giorno dopo quella che sarebbe dovuta essere la fine del mondo, un giorno che non sarebbe dovuto esistere. 

Se Crowley socchiudeva gli occhi, riusciva ancora a vedere come il mondo sarebbe dovuto essere ridotto secondo la Profezia.

Assomigliava molto ad un remake di Sodoma e Gomorra. Solo esteso alla distruzione dell’intera razza umana. E molto molto più cruento.

In effetti anche un dipinto di Pollock rendeva l’idea.

Crowley stava osservando Azraphel portarsi lentamente l’ultimo sorso di champagne alle labbra, passarsi delicatamente la lingua sopra quello inferiore, con le palpebre calanti.

“Davvero ottimo” proclamò, il tovagliolo gentilmente picchiettato sul mento. 

“Se lo dici tu” asserì l’altro, ingollando l’intera flûte in un sol sorso. Si pulì la bocca con il dorso della mano e allungò le gambe sotto il tavolo, incrociando le braccia. Il Ritz risplendeva attorno a loro, li circonda e metteva in risalto come il palcoscenico fa con i propri attori.

Gli avvenimenti delle ultime ore, dell’ultima settimana, che diavolo, degli ultimi undici anni sono inconcepibili. Per non parlare della quantità di tempo che Azraphel e Crowley avevano passato in reciproca compagnia. Ora potrebbero quasi dire che è diventato piacevole.

“Ti...” sussurrò Azraphel, improvvisamente incerto, tanto che abbassò lo sguardo e picchiettò un dito sul tavolo. Il gesto non passò inosservato agli occhi di Crowley, che sollevò un sopracciglio. Azraphel inspirò velocemente ed espirando chiese: “Ti andrebbe di continuare la nostra serata alla mia libreria?”

Crowley rise e si spostò gli occhiali sopra la testa. Si guardò il polso, l’orologio segnava le 11 p.m. “Siamo festaioli stasera, eh angelo?” lo prese in giro bonariamente, con un sorriso storto. 

“Non vedo quale occasione sia più adatta per essere tale” rispose Azraphel, leggermente indispettito. Crowley quasi lo immaginò arruffare le penne delle proprie ali bianche.

Sospirando si alzò.

“Vieni?” chiese Crowley, ancheggiando mollemente verso l’uscita. Azraphel fece per far materializzare delle banconote per pagare il conto, ma si accorse che erano già sul tavolo. “Angelo?” lo richiamò Crowley, e lui si affrettò a seguirlo.

La Bentley era parcheggiata proprio di fronte all’uscita, come se per miracolo si fosse liberato un posto proprio nel momento del loro arrivo. Azraphel prese posto sul lato del passeggero proprio nell’istante in cui Crowley premeva il piede con forza disumana sull’acceleratore.

“Ma insomma, Crowley!” si lamentò Azraphel, mentre chiudeva con difficoltà la portiera. “Che fretta c’è?”

“Che motivo avrei di nonfarlo?” chiese Crowley di rimando, lasciando andare il volante per cercare una cassetta. Le gomme stridevano sul cemento e qualcuno gli lanciò qualche blando insulto. “Dove diavolo è finita...?”

“Cosa per Dio?” urlò Azraphel, tenendo con fare timoroso il volante della Bentley, come se al contatto di qualcosa di vagamente angelico potesse prendere fuoco. Non che quel pezzo d’epoca non ci avesse fatto l’abitudine, ormai. 

Azraphel non aveva un gran bel rapporto con la guida. Il suo problema era che passava troppo tempo ad osservare il paesaggio, da qui la sua predilezione per i mezzi pubblici.

“La cassetta dei Queen” disse ribaltando il contenuto del portaoggetti.

“Questa?” chiese Azraphel, facendola materializzare all’interno della propria mano.

“Non c’è gusto così, angelo” borbottò Crowley, riprendendo il controllo del volante.

“Ascolti qualcos’altro, di tanto in tanto?” chiese Azraphel, guardandolo con biasimo.

“Se ti riferisci a Beethoven e Brahms sai bene quali versioni possiedo...”

“Beethoven non era male inI Want to Break Free, lo ammetto” concesse Azraphel, e in quel momento partì la medesima canzone.

 

You're so self satisfied I don't need you

I've got to break free

God knows, God knows I want to break free

 

“Non è buffo il fatto che uno dei tuoi gruppi preferiti faccia così spesso il nome di Dio?” domandò Azraphel con aria curiosa.

“Prima di conoscerti pensavo che gli angeli non dovessero essere curiosi” lo riprese Crowley, beandosi del lieve imbarazzo che imporporò le guance dell’altro. “Comunque non ho mai avuto un brutto rapporto col Grande Capo. In realtà, stavo solo facendo una passeggiata di sotto, quando... be’, lo sai. Non che io sia fatto per eseguire gli ordini. Di qualsiasi parte. Però quando sei dannato ci fai l’abitudine, e avendo perso tutto puoi goderti qualsiasi vizio” e con questo, dopo un breve ma pesante silenzio, arrestò l’auto, che ebbe un colpo di frusta. Crowley senza batter ciglio mise una mano sul petto di Azraphel, che a causa del rinculo stava per sbattere contro il cruscotto.

“G-grazie” balbettò Azraphel, fissando Crowley scendere dall’auto. 

Mentre entravano nella libreria, Freddie Mercury intonava:

 

I've fallen in love

I've fallen in love for the first time

And this time I know it's for real

I've fallen in love, yeah

God knows, God knows I've fallen in love

It's strange but it's true, yeah

 

Entrambi, inutile dirlo, assorbirono quelle parole cercando di non darci troppo bado.

 

 

 

“E queste?” domandò Azraphel, meravigliato. Sul tavolino sul retro della propria libreria erano comparse tre dozzine di bottiglie di Château Lafitte 1793.

“Dici che non bastano?” chiese Crowley, gli occhiali leggermente calati sul naso che mostravano le pupille gialle, la mani calcate nelle tasche dei jeans attillati. 

“Millesettecentonovantatré... perché questo anno mi suona familiare?” 

Azraphel lo stava fissando palesemente confuso. 

“Be’, l’anno del Terrore, ti dovevo un pranzo, bla bla bla”, cercò di minimizzare Crowley, stappando con malagrazia una delle bottiglie.

Crowley non accennò al fatto che quell’anno non fosse semplicemente di passaggio ma che si fosse recato lì apposta per lui, né tantomeno al fatto che a volte, raramente, quando si sentiva un po’ solo cercava il punto di concentrazione del Male più alto nella speranza che Azraphel fosse nei paraggi per sistemare le cose. Non accennò nemmeno a quanto gli crei soddisfazione essere la persona su cui l’angelo possa contare. Al tempo, quando gli aveva detto che era andato in Francia solo per mangiare delle crêpes l’aveva trovato così ingenuo. E adesso, a ripensarci, prova quasi un senso di tenerezza. Quasi. 

Oh, Dio... Cioè, Satana, si sta rammollendo.

“Che cosa sentimental... gentile da parte tua” si corresse Azraphel senza riuscire a mascherare la sorpresa.

“Non lo dire” minacciò sottilmente Crowley, bevendo un sorso di vino direttamente dalla bottiglia.

“Ecco, questo lo era un po’ meno” commentò Azraphel, facendo comparire due calici di vetro. Ne porse uno a Crowley, il quale lo scansò con un gesto del mano.

Azraphel schioccò le dita e una musica si spanse nell’aria. Solo diversi bicchieri, o, nel caso di Crowley, un paio di bottiglie dopo, Azraphel ebbe il coraggio di fargli la domanda che lo stava assillando nell’ultima ora.

“Te lo ricordi? Com’era essere un angelo intendo.”

Crowley divenne rigido, anche se solo per un secondo. Ingollò le ultime gocce d’alcol con la punta della lingua e scagliò la bottiglia in un angolo lontano. Il rumore fece sobbalzare l’angelo sulla propria sedia, tant’è che quasi si pentì di avergli posto tale domanda.

Crowley sprofondò nel proprio posto, e cercò con qualche grugnito, in mezzo a tutta quella confusione mentale, di far emergere ricordi di... quanto? Sei miliardi di anni prima? 

Quando ripensa a quel periodo della propria vita, (non che lui ci ripensi, sia chiaro), la prima cosa che gli viene in mente è il colore bianco. Ovviamente.

C’era una luce accecante lassù. Ricordava quanto gli fosse difficile eseguire anche il più insulso comando, come gli bruciasse dover chinare la testa di fronte ad un superiore che non ascoltava le sue idee. Per quanto si sforzasse non riusciva a ricordare se lui e Azraphel si fossero mai incontrati. Non che gli angeli si preoccupassero di tali sottigliezze, c’erano i pezzi grossi come Gabriel e Uriel che tutti conoscevano, ma per il resto quando incontravano altri angeli si sorridevano cordialmente e ognuno andava per la propria strada. E probabilmente, Azraphel se ne stava da qualche parte per i fatti suoi ad eseguire diligentemente i propri doveri.

Ricordava le proprie ali bianche. Quelle gli piacevano, gli davano un certo stile. 

Ricordava quando era iniziata La Guerra. Quando era nata la fazione del Male. 

Ciò che Crowley aveva sempre detestato di entrambe le fazioni di cui aveva fatto parte, era che entrambe avevano aspettative nei suoi confronti, e al primo cenno di diversità rispetto al resto del gruppo, erano pronti a spazzarti via come se nulla fosse. Ed entrambi sapevano che era infinitamente stupido credere che Bene e Male fossero distinti come i colori con i quali si distinguevano, nero e bianco. I diavoli da cui era composto l’Inferno erano stati angeli, la definizione del Bene. E quale forza del Bene, quale dichiarava di essere il Paradiso, avrebbe preso parte così facilmente ad una guerra nei confronti di coloro che fino a poco prima erano stati i propri simili?

Prima di questo, Crowley si era sporto, giusto una sbirciatina, si era detto... aveva visto angeli fare ognuno quello che desideravano, e nel momento che il dubbio si era acceso dentro di lui, l’ombra di Gabriel l’aveva sovrastato, i suoi occhi viola più severi che mai. Quel giorno aveva provato la paura più profonda della sua intera esistenza, e mentre precipitava,  le sue ali avevano preso fuoco, bruciavano dolorosamente, e così il resto del suo corpo si era rivestito di fuliggine. 

Per un unico, prolungato e sofferto secondo si era lasciato andare ad un grido di dolore e si era sentito perduto, rinnegato da Chi aveva cercato di servire, solo. Così dannatamente solo. 

E poi si era alzato con eleganza dal cratere che aveva formato con la propria caduta, una serie di lingue di fuoco aveva lambito ciò che rimaneva delle proprie vesti e lo aveva avvolto in un manto nero. Quando aveva rialzato il capo, i suoi occhi, una volta marroni, erano gialli, quelli di un serpente. 

“Sì, lo ricordo” affermò Crowley, reclinando la testa all’indietro. Sentiva una lieve tristezza, ma durò un solo secondo. “Sono sempre bravo in quello che faccio.”

Dopo la Caduta Crowley si era rifiutato di possedere la benché minima cosa di colore bianco. Alla fine il nero era il suo colore, e con lo sporco che regnava all’Inferno qualcosa di bianco si sarebbe imbrattato ad ogni colloquio con i propri superiori.

“Lo sai come la penso in merito” disse solo Azraphel, sedendosi al suo fianco. Crowley fu tentato di fare qualche battuta sdegnosa, ribellarsi all’empatia che sentiva essersi creata fra lui e Azraphel, ma lui gli poggiò impacciatamente, quasi in modo meccanico, una mano sulla spalla. La picchiettò un paio di volte, e poi, visibilmente imbarazzato, prese altro vino per entrambi.

“E tu? Hai mai avuto paura di Cadere?” gli chiese Crowley, con tono di voce forzatamente casuale. Se non sapesse quanto ingenuo l’angelo possa essere penserebbe che se ne sia accorto.

“Sì, ma questo prima di vedere alcuni lati... spiacevoli, diciamo, di quella che era la mia fazione” rispose, e sembra incredibilmente sicuro di quello che sta dicendo.

Crowley lo fissò per un secondo, poi si mise in piedi e percorse i vari scaffali della libreria.

“Cosa stai facendo?” chiese Azraphel, confuso.

“Cerco della pornografia, come ti aveva chiesto Gabriel” rispose, prendendo un paio di volumi. “‘Nostradamus’, arrapante!”

“Perché mai dovrei avere dei volumi pornografici!?” esclamò sconvolto.

“Curiosità? Collezionismo? Non hai nessuna copia del Kamasutra originale autografato dal Sultano-Non-So-Che?”

“Un angelo non ha niente a che vedere con il sesso!” 

“Potrei dirti un sacco di cose che fanno gli umani. Anche quelli che vanno in Paradiso” affermò Crowley, girandosi verso di lui con un leggero ondeggiare, forse, e dico forse, era un po’ ubriaco. “Sai, sesso. Sono cose normali. Le api, i fiori...”

“So bene come funziona!” Ora Azraphel sembrava più offeso che imbarazzato.

“Non mi dirai che hai provato, vero?” disse Crowley, facendogli l’occhiolino.

“Certo che no, perché mai... Ah, tu sì?”

“Sembri piuttosto curioso, angelo” lo prese in giro Crowley, ma non c’era malizia nella sua voce. “Comunque, non sarei il demone che sono oggi se non mi fossi prestato a qualsiasi tipo di vizio. Una volta per condannare un’anima agli inferi bastava sconsacrare una vergine prima del matrimonio. Non ti sembra incredibilmente sessista?”

“Solo per lavoro?” gli chiese Azraphel. Non sapeva se provava disgusto o... sollievo. 

“Be’, scelgo con cura il mio abbigliamento, mi piace tenere addosso tutto. E umani sudati che ti si appiccicano addosso... Bleah” fece una smorfia Crowley. “Eppure gli umani ne sono ossessionati.”

Azraphel si sedette e finì il contenuto del proprio calice, riempiendolo nuovamente e ripetendo l’operazione un paio di volte.

“Ho letto che le mantidi religiose durante l’accoppiamento mangiano il partner” affermò, allentandosi il cravattino.

“Devono essere incredibilmente intelligenti, seppur con un cervello così piccolo” considerò Crowley, prendendo anche lui un sorso dalla bottiglia. 

“Perché?”

“Be’, gli esseri umani il più delle volte restano intrappolati in matrimoni infelici, da cui tradimenti e... puf! Inferno” elencò annoiato, “sicuro che il matrimonio sia stata una vostra invenzione?”

“Sì. Così come la vostra musica gospel ha giocato a nostro favore.”

“Com’è possibile che qualcuno sopporti quella musica? Ma andiamo! Era un piano praticamente perfetto!”

“Potrei aver dato una piccola spinta io affinché cominciassero a cantare in Chiesa” ammise Azraphel.

“No!”

“Stavamo perdendo fedeli, adesso sono tutti praticamente atei” si giustificò. 

“Non sei poi così santo, mi stupisci angelo” gli disse Crowley, togliendosi con un gesto la giacca di pelle. “Come può non aver ancora preso fuoco questa libreria, con il caldo e l’umidità che c’è qui dentro?”

“Puoi chiamarlo un miracolo” affermò sicuro Azraphel. 

I due si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere per alcuni minuti. 

“Ti ricordi quella volta all’Inquisizione Spagnola?” chiese Azraphel, quando le bottiglie vuote cominciarono ad essere più di quelle piene.

Crowley fa finta di non ricordare a cosa si riferisce. “I meriti che mi sono preso, intendi?”

“Pensavo più a quando stavi per essere arrostito sul rogo” sottolineò Azraphel. 

 

Crowley non era mai andato per il sottile nel corso dei secoli, ed uno dei suoi passatempi era far sentire inetti gli esseri umani che aveva attorno.

Così un giorno un villaggio nel quale aveva alloggiato aveva deciso di trasformarlo in barbecue. Lui aveva raggiunto la pira fischiettando allegramente, indossando un largo cappello nero. Non che immaginasse quanti miti sarebbero nati da quell’unico, stupido gesto. Quando avevano appiccato il rogo, lui era stato sul punto di spaventare i contadini con le sue espressioni demoniache, ma il tempo si era fermato e un personaggio vestito di bianco gli era comparso davanti agli occhi.

“Crowley, che stai facendo?” era sopraggiunto Azraphel.

“Stavo cercando di dare spettacolo” aveva detto Crowley, “c’è qualche vero satanista qui in mezzo, ma si maschera piuttosto bene. Ti spiacerebbe slegarmi?” 

“Sono venuto a salvarti la vita.”

“Intendi l’involucro umano che indosso” aveva puntualizzato il demone.

“Avresti ricevuto un richiamo” aveva replicato Azraphel, confuso dalla mancanza di un ringraziamento.

“Non so come sarei sopravvissuto a tanto” aveva detto ironicamente Crowley, solo che Azraphel non l’aveva capito.

“Non c’è di che, caro” aveva detto Azraphel con un leggero inchino del capo. “Ti andrebbe un boccale di birra?”

Quella era stata una delle poche volte in cui Crowley aveva avuto bisogno di aiuto. Per così dire. Azraphel era sempre stato presente. Crowley l’aveva salvato molte più volte, comunque.

 

“Sì, perché?” confermò Crowley, nel presente.

“È la volta in cui ho capito che avrei provato una sorta di dispiacere a dover far a meno della tua compagnia” disse Azraphel, e Crowley fu sicuro che dicesse questo a causa dell’alcol. Da quante ore stavano bevendo ormai? Che ore si erano fatte?

Controlla. Sono le 5:45 del mattino.

“Per via del nostro Accordo, s’intende. Chissà chi avrebbero mandato al tuo posto” precisò Azraphel, e Crowley decise di non contestarlo. 

“Non oso immaginarlo. Sicuramente Hastur. Non avresti retto di stargli vicino a causa del suo odore, figuriamoci farci un qualche patto.”

Si abbandonarono un secondo alla musica del giradischi. Pensieri consistenti sembrano fluttuare davanti ai loro occhi, ma sono troppo distratti per coglierli.

“Crowley?” lo chiamò Azraphel, una mano sotto il mento.

“Sì?”

“Credo di essere un po’ ubriaco” ammise Azraphel con un sorriso celeste, che gli fece sorgere delle fossette agli angoli degli occhi.

Crowley sorrise. “Hai un letto?”

“No, io... non dormo. Non mi serve” affermò sicuro.

“Certo che non ci serve, così come mangiare sushi, bere fino a svenire, cosa che stai per fare, per inciso, ma le compiamo comunque.”

Azraphel mugugnò qualcosa, la testa pesante. Quanto lo capiranno gli esseri umani che i dinosauri non sono altro che uno scherzo? Questo era ciò che lo assillava al momento.

Crowley sospirò e fa comparire un letto singolo. “La prossima volta facciamo da me” gli disse tranquillo. “Ora: fa’ evaporare un po’ di alcol, da bravo.”

Azraphel annuì e con un piccolo brivido tornò lucido. Felicemente brillo, ma lucido.

“Mi ero dimenticato di darti una cosa” disse Crowley, facendo comparire nella propria mano un libro bruciato in più punti. 

“Cos’è?” chiese Azraphel, improvvisamente nel pieno delle proprie facoltà, alzatosi in piedi.

“È ‘Le Belle e Accurate Profezie di Agnes Nutter’. Avevo fatto un salto a Tadfield e ho visto Anatema che provava a dargli fuoco” spiegò, porgendoglielo.

“Che tempismo, Crowley, e che bel pensiero!” esclamò Azraphel e di slancio lo abbracciò.

Prese a sfogliare il volume, ignaro delle nuove profezie che vi sono all’interno.

“Una cosa da niente... chiamalo un piccolo miracolo demoniaco” bofonchiò Crowley, imbarazzato. 

“Fermati per la notte” propose Azraphel.

“Non devi aprire presto domattina?”

“Sì, be’, fra un paio d’ore. Gli esseri umani non dormono un paio d’ore al massimo?” chiese confuso.

“No, ho delle cose da fare. Cose importanti. Cose” si giustificò cercando di suonare sicuro. “Ci vediamo.”

“Okay, pip-pip” disse Azraphel soprappensiero.

Crowley alzò gli occhi al cielo e lo salutò con la mano.

Salito sulla Bentley, guidò nelle ultime ore di buio. In quel momento, senza che se ne rendesse conto, una piccola lettera A prese forma all’interno del suo anulare destro. La stessa cosa, con la differenza che la lettera era una C, succedeva ad Azraphel, chino sul proprio nuovo volume da collezione.

 

 

 

 

N.d.A. Allora, eccoci qui. Ho finito la serie in un giorno una settimana fa, munita di Amazon Prime mi sono fatta recapitare il libro, ho cercato delle fanfiction e mi sono messa all’opera per conto mio. Questa sarà una sorta di Soulmate!Au. Per chi già conosce il genere, ho intenzione di fare dei cambiamenti e per chi non lo conosce spero che si capisca tutto nel prossimo capitolo. Non so ancora quanto sarà lunga, prevedo un massimo di 3 capitoli. 

Che dire... spero tanto che vi sia piaciuto questo primo capitolo e di ritrovarvi al prossimo ^-^

 

Alcune note di questo capitolo:

-Nella scena finale Anatema brucia il libro delle profezie di Agnes, ho pensato che sarebbe stato bello giocare sul fatto che fosse stato salvato da Crowley come regalo da fare ad Azraphel 

-“pip-pip” è un’espressione colloquiale inglese che nel doppiaggio italiano è stato tradotto con “baci baci”. Personalmente l’ho trovata adorabile in inglese originale

-“Marmite” è una crema salata spalmabile ottenuta dagli scarti di lavorazione di lievito di birra; è una delle merende più diffuse fra i bambini inglesi. La ragione per cui è stata scelto come titolo di questa storia verrà spiegato prossimamente 

 

See ya asap *-*

Perla

 

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo Due ***


Capitolo due

Lunedì, 
il giorno del dolce 


Una delle caratteristiche di un demone era la mancanza di sentimenti. Nel corso dei secoli, soprattutto considerando che Crowley era stato un angelo e aveva conosciuto la pace e l’amore incondizionato, si era sempre trovato in difficoltà con questa definizione. Dopo la Caduta aveva sentito distanti da sé queste sensazioni che prima costruivano la sua quotidianità, e si era avvicinato a scherzi sardonici, rabbia e risentimento. Solo che a differenza dei concittadini al Piano di Sotto, i sentimenti angelici non erano scomparsi. Si limitava ad ignorarli. 

Ma mentre guidava diligentemente sulla via del ritorno, la musica a palla in macchina, Crowley si sentiva un po’ confuso. Non sapeva definire con precisione nemmeno lui di cosa si trattasse, e con un verso stizzito alzò il volume fino a sovrastare il peso dei propri pensieri. Non che fosse questa gran fatica, con tutto l’alcol che aveva ancora in corpo. Arrivato a casa decise di andare a dormire, e ancora vestito si gettò a letto, dormendo in uno stato di sonno profondo senza sogni. 

 

 

Al suo risveglio si sentiva tutto indolenzito, e a buon ragione, i pantaloni di pelle non erano certo l’ideale per dormire. Gli girava un po’ la testa, ma nulla per cui fosse necessario (o per cui avesse voglia) intervenire. A volte nel sonno si trasformava in serpente, questo perché spesso non controllava le proprie azioni ed era di gran lunga più comodo. Non in questo caso, comunque. 

Dirigendosi verso la scrivania e lanciando uno sguardo ammonitore alle piante che tremarono al suo passaggio, si rese conto che la spia rossa del telefono lampeggiava segnalando che qualcuno aveva lasciato un messaggio. 

“Ma che razza di ora è?” borbottò fra se e se, stropicciandosi gli occhi con un sibilo. Si accorse che erano già le quattro di pomeriggio, ma non se ne stupì granché. Era in grado di dormire anche per giorni, secoli, se lo desiderava. 

Tutto considerato si era svegliato relativamente presto, in effetti. E perché mai, poi? 

Ciò che lo aspettava era l’eternità, senza scopo, senza dover rendere conto a nessuno, giornate fatte di...

(Fece partire il messaggio lasciato in segreteria)  

 

“Crowley! Sei già sveglio?... Ah, no, era la segreteria” 

 

La voce era passata da eccitata, a confusa e poi delusa. Crowley alzò gli occhi al cielo, succedeva sempre così quando non gli rispondeva.

 

“Volevo solo ringraziarti, ancora, sai, per il bellissimo regalo. Sto leggendo così tanto che praticamente non ci vedo! Oh, ho solo lasciato spenta la luce.... (click in sottofondo) Comunque, un cliente o un postino ha fatto scivolare sotto la mia porta l’annuncio di uno spettacolo al Globe, danno “Amleto”! L’ho trovato divertente e...e mi ha fatto pensare a te... (Breve pausa) dato che è tuo il merito della sua popolarità. Comunque sto farneticando. Sarebbe carino... fare qualcosa, non per forza il Theatre. Solo, qualcosa. Comunque. Ciao, Crowley. Ah, sono Azraphel. Non che ti telefoni qualcun altro, credo.”

 

Crowley si ritrovò a sorridere alzando gli occhi al cielo. A quanto pare lo aspettavano giornate fatte di cene al Ritz, spettacoli teatrali e sbronze colossali nel retro di una polverosa libreria. Non sembrava tanto male. E poi, se era riuscito ad abituarsi alla dannazione eterna, di certo poteva abituarsi a questo. Stupido, imbarazzato, tenero, angelo. 

Aspetta.

Riesaminò quel pensiero nella propria testa. 

Stupido? Sì, decisamente.

Imbarazzato? Evidente.

Tenero? Senza alcun dubbio. Tenero? 

Questi erano i pensieri che gli frullavano per la testa? Cominciò a chiedersi se il vino della sera prima non fosse acido o drogato o chissà cos’altro. Ma sapeva con triste certezza che se così fosse stato se ne sarebbe accorto.

Fece per portarsi una mano al viso e si accorse di essere sporco sull’anulare. 

Lo sfregò prima distrattamente e poi sempre con maggior forza, finché non si rese conto che non era sporco.

Sembrava... una parola. 

Erano otto lettere, simili ad un tatuaggio leggermente in rilievo e rossastre, simili ad una cicatrice in via di guarigione.

Barcollò un attimo, nel momento in cui con orrore si rese conto che la parola in questione era Azraphel.

 

 

 

 

In quello stesso momento, Azraphel si trovava nella propria libreria e cercava di scoraggiare un cliente che sembrava piuttosto intenzionato a non uscire da lì senza aver concluso un acquisto. Per l’esattezza, continuava ad orbitare attorno al manoscritto originale di “Harry Potter e la Pietra Filosofale”, a cui Azraphel si era particolarmente affezionato. Be’, se doveva essere completamente onesto con se stesso, aveva raccolto ciascuno di quei libri con un certo affetto e gli doleva ogni volta, quando dopo quattro o cinque decenni, si trovava costretto a sacrificarne uno per mantenere la copertura della libreria. Dopo si consolava andando a fare quello che gli umani avrebbero definito “shopping compulsivo” nelle librerie più prestigiose e mangiando il cibo più prelibato ed esotico che riuscisse a trovare nei paraggi. 

Ogni tanto, quella mattina, il suo sguardo correva al telefono, sentiva un rumore e sperava (spesso immaginava) che si mettesse a squillare. 

“Scusi, quanto viene questo libro?” gli chiese l’uomo di prima, un quarantenne interamente vestito di tweed e con i capelli brizzolati. Sembrava un professore.

Azraphel dovette impedirsi di alzare gli occhi al cielo per il fastidio nel vedere che aveva fra le mani la copia autografata da J. K. Rowling.

“Purtroppo questo libro è già prenotato” disse Azraphel togliendo con un gesto deciso il libro dalle mani dell’uomo e facendo comparire un foglietto con la scritta Da ritirare martedì e mostrandoglielo.

Lui si tirò gli occhiali sulla punta del naso e strabuzzò gli occhi. “Io... mi scusi. Sono sicuro di non averlo visto prima.”

Azraphel sorrise accondiscendente. “Non si preoccupi, ho un’altra copia in magazzino”, e ne fece comparire una da una libreria nei paraggi con una rilegatura che lui reputava piuttosto carina.

“Questa non è firmata” disse stizzito l’uomo, prendendo il libro fra le mani con aria che parve quasi disgustata.

“E non è nemmeno prenotata” sottolineò Azraphel con un sorriso appena un po’ sadico. Non poté impedirsi di pensare che Crowley sarebbe stato piuttosto fiero di quel sorriso in quel momento se avesse potuto vederlo. Si chiese quante altre cose avesse acquisito per una sorta di osmosi col demone nel corso dei millenni.

Per dir la verità, non poté impedirsi di pensare a Crowley, semplicemente. 

A malapena si accorse che l’uomo spiacevole di prima usciva insoddisfatto dal suo negozio. 

Si rese conto che Crowley non era una nuova costante dei suoi pensieri. Non era qualcosa di pressante ed oppressivo che gli riempiva le giornate, ma qualcosa di più fugace e profondo al tempo stesso. Qualcosa da cui era riuscito a distrarsi nell’ultimo decennio perché aveva impiegato anima e corpo in quella che credeva fosse l’unica speranza di impedire una guerra che avrebbe distrutto la Terra per come la conosceva, lavorando a stretto contatto con... Crowley. Ma prima di questo c’erano stati pensieri qua e là durante la giornata, mentre prendeva un tè in un banale bar in periferia o assaggiava qualcosa di mai provato prima o quando si imbatteva in qualcosa di malvagio probabilmente escogitato da lui. “Chissà cosa starà facendo in questo momento”, si domandava. “Chissà cosa mangia, se sta bene, se ancora gli serve l’acqua santa.”

Era stato quell’ultimo pensiero, il secolo precedente, a spingerlo a recuperarne una quantità sufficiente per riempire un thermos con decorazioni tartan e a farsi comparire nell’auto dell’altro. Checché se ne dicesse, anche lui aveva un che di drammatico e sapeva fare delle grandi entrate ad effetto. Comunque, se ci rifletteva, sapeva che ciò che lo aveva spinto a tradire quello che riteneva il suo Codice, la sua morale, la sua fazione angelica, era stata la pura, banale, semplice, voglia di vederlo dopo quelli che erano stati pochi decenni. E sapeva altresì che ciò che lo aveva bloccato fino a quel momento dal procurargli l’acqua santa era la paura concreta che in un futuro potesse davvero utilizzarla. Se ci pensava, lui e Crowley avevano finito per incontrarsi sempre più spesso, da quella prima volta nell’Eden. A volte era stato dopo diverse centinaia di anni, poi erano diventati decenni e... adesso? Adesso dopo poche ore dall’ultima volta che l’aveva visto gli lasciava un messaggio in segreteria chiedendogli di uscire con lo stesso bisogno impellente che avrebbe avuto se non si fossero visti per millenni. 

Si sentì molto stupido in quel momento e per un attimo, mentre calcolava che erano già passate diverse ore da quando gli aveva lasciato quel messaggio in segreteria, desiderò poter tornare indietro nel tempo e impedirsi di farlo. Otto ore, per la precisione.

Si odiò ancora di più nel realizzare di essere a conoscenza di questo particolare e di starsi chiedendo se Crowley lo avesse già sentito.

Poi, proprio quando stava per precipitare in un tunnel di autocommiserazione che sarebbe finito in un ristorante giapponese in cui avrebbe approfittato di quello spaventoso all you can eat, il telefono squillò. Saltando su dalla sedia sulla quale si era seduto, si prese un momento per ricomporsi e rispose.

“Crowley?” chiese, cercando di nascondere il proprio entusiasmo misto a sorpresa.

“In genere non si risponde ‘pronto’?” scherzò di rimando l’altro, ed Azraphel lo immaginò appoggiato con una mano al tavolo nel suo studio, una gamba sopra l’altra a picchiettare il piede per terra, gli occhiali calati o abbandonati da qualche parte e i capelli arruffati dopo essersi alzato dal letto e...

“Ehilà, angelo?” lo scosse Crowley dai suoi pensieri.

“S-sì, ci sono” deglutì Azraphel. “A cosa devo questa lieta telefonata?” chiese cercando di tornare in sé.

“Ma come, non mi avevi chiesto di uscire?” ribatté Crowley e Azraphel avrebbe preferito essere esorcizzato una seconda volta dal Sergente Shadwell piuttosto che affrontare l’imbarazzo che stava provando in quel momento. 

“Io... sì. Quindi verrai? O preferisci fare qualcos’altro? Perché ci sarebbero altre cose che potremmo fare o altri posti-“ buttò fuori Azraphel velocemente.

“Angelo, il Globe va bene. Magari in tua compagnia saprò godermi Shakespeare come non ho saputo fare l’ultima volta” scherzò Crowley, ed Azraphel si sentì immensamente più leggero e a suo agio.

“Insomma, Crowley! Shakespeare era un genio, e non dubito affatto che anche senza il tuo aiuto avrebbe fatto molta strada” affermò Azraphel, infervorandosi come sapeva fare solo con le cause che gli stavano davvero a cuore. 

“Dici che aver fatto apprezzare ‘Almeto’ e averlo salvato ben due volte dalla peste non abbiano minimamente influito sulla sua carriera professionale?” disse Crowley in risposta, suonando piuttosto canzonatorio.

“Be’, se la metti in questo modo...” cercò di ritrattare Azraphel, senza trovare nulla da dire. 

“Quindi a che ora stasera?” 

“Lo spettacolo inizia alle 9” rispose Azraphel, ben sapendo cosa avrebbe chiesto Crowley in risposta.

“Soliti posti?” 

“Sì, certo” rispose.

“Come sei abitudinario, angelo” disse Crowley, e per un attimo sembrò un tono quasi affettuoso. Ma ovviamente, nell’istante in cui questo pensiero gli balenò in testa, Crowley tornò ad essere il demone di sempre e senza dargli il tempo di rispondere al saluto, riattaccò.

 

 

 

Quello che non sapeva, troppo distratto per accorgersene, era che così come era successo al suo amico, il nome di Crowley si stava formando, lentamente, sul suo dito, passando dal rosso leggero di una cicatrice ad un color pece.

 

 

 

Più tardi, Crowley si stava provando dei vestiti. Era una cosa normale, per lui, così attento a seguire la moda del tempo che viveva, ma non poteva ignorare che quella sera stesse prestando particolare cura alla scelta del proprio abbigliamento. 

Finì per indossare una camicia nera dal colletto coreano e dei jeans neri, con i suoi soliti stivali in pelle. E poi fece comparire un anello da mettere sopra il nome di Azraphel. Non sapeva di cosa si trattasse, ma passato il momento di stupore iniziale aveva deciso di non comunicare la notizia all’angelo e di vedere come si sarebbero evolute le cose. Per quel che ne sapeva, poteva trattarsi di un crudele scherzo d’addio da parte dell’Inferno, o solo qualcosa che avevano usato per mettere in chiaro che adesso apparteneva ad una propria fazione, di cui faceva parte anche un altro membro. 

Si pettinò i capelli all’indietro ed indossati gli occhiali, raggiunse la Bentley e guidò fino alla libreria di Azraphel, che stava uscendo il quell’esatto momento. 

“Sali” disse Crowley a mo’ di saluto, gli occhiali leggermente calati e un braccio a penzoloni fuori dal finestrino. 

“Pensavo di andare a piedi” rispose Azraphel, fissando dritto davanti a se, fingendo una compostezza che sapeva per certo di non possedere. 

“Non salirai nemmeno se ti farò scegliere la musica?” chiese Crowley, con un sorriso mefistofelico, già certo che questo lo avrebbe fatto cedere. 

E infatti Azraphel puntò lo sguardo su di lui per un secondo fingendosi disinteressato per poi giocare velocemente con le mani in grembo. 

“Allora? Ho il cd dei Queen proprio qui-“ lo stuzzicò Crowley, al che l’altro cedette e salì in auto.

“Čaikovskij” disse Azraphel appena salito in macchina, “l’originale. Non l’ultima cassetta rimasta in questa macchina per più di tre settimane e che si è trasformata in una variazione del tema di Another One Bites the Dust. Insisto.”

Crowley roteò gli occhi con area plateale. “Va bene” assentì stizzito. 

Azraphel estrasse una cassetta dalla tasca della giacca, e Crowley notò che le sue vesti, come al solito, erano così bianche da risplendere al buio.

“Aspetta, ma te lo eri programmato?” chiese Crowley, distogliendo lo sguardo dalla guida e premendo sull’acceleratore.

Azraphel sorrise soddisfatto mentre la musica riempiva la Bentley. “Mi chiedi ogni volta che andiamo a teatro di accompagnarmi, la prima volta che accetto il passaggio credo di poter decidere un piccolo insignificante dettaglio.” E con questo lo guardò, le braccia conserte e un’aria di sfida.

“Sei subdolo, angelo. Mi piace” disse prendendo una curva all’ultimo secondo, e mentre si trovavano avvolti un una cacofonia di clacson e normalmente Azraphel si sarebbe aggrappato al cruscotto inveendo contro la sua pessima guida, Crowley lo sorprese a ridere sguaiatamente e si prese un secondo per guardarlo, mentre col finestrino abbassato una folata di vento gli scompigliava i capelli. 

Con un suono stridente parcheggiò in un posto a pochi metri dal Globe, dove lo spettacolo era già iniziato.

“Non pensavo fossimo in ritardo!” esordì Azraphel, camminando velocemente. 

“Forse, se non avessi voluto a tutti i costi finire di sentire Danza de los cisnes non saremmo arrivati in ritardo” ribatté sibillino Crowley, camminando tranquillamente con le mani calcate nelle tasche dei pantaloni.

“Era davvero troppo bella per interromperla, e non fingere che non ti sia piaciuta” lo accusò Azraphel, quando furono di fronte al teatro.

“Diciamo che non mi ha completamente disgustato”, concesse l’altro. 

E con uno schiocco di dita, erano lì: sul tetto del Globe. Durante la ristrutturazione, avevano inserito una piccola nicchia, invisibile agli altri, da dove potevano osservare lo spettacolo nella sua interezza o ignorarlo completamente. All’inizio Azraphel era stato contrario alla cosa, ma abituatosi a quel piccolo lusso smise di fare obiezioni. E così, con le gambe penzoloni, si ritrovarono a guardare “Amleto”, dopo che dettagli erano stati cambiati, gli attori migliorati, le attrici donne inserite nel cast. In effetti, Azraphel aveva sempre provato una forte tenerezza nei confronti di Ophelia, pazza di amore per Amleto, l’uomo che aveva ucciso suo padre e che nell’apprenderlo aveva perso il lume della ragione, lasciandosi lentamente trasportare sul fondale di un fiume ed annegare. Diverso tempo dopo, quando John Everett Millais l’aveva dipinta, gli si era quasi spezzato il cuore.

“Essere, o non essere, questo è il dilemma”recitava un attore dai folti boccoli dorati, qualche metro più in basso.

“Siamo arrivati davvero tardi” gemette Azraphel, calcolando a che punto del dramma fossero da quell’iconica battuta.

“Al tempo davvero ti piaceva questa cosa?” domandò Crowley, scettico, il viso appoggiato sul palmo della mano. “O è stato solo un atto di pietà nei confronti di quel povero malcapitato di Will?” 

Sulle prime Azraphel fu sul punto di zittirlo, ma dopo aver riflettuto che ovunque andassero finivano sempre col chiacchierare, si risparmiò la fatica di opporsi a quello che era un avvenimento prevedibilmente abituale.

“No, mi piacciono i drammi umani. E l’approccio che Shakespeare ha avuto nei confronti della morte in ‘Amleto’ mi ha colpito molto, perché ancora adesso gli esseri umani la temono. E qui è la liberazione, un sonno profondo e sereno...” rifletté.

“Secondo te perché ne sono così ossessionati? Voglio dire, le loro religioni gli dicono già cosa c’è dopo.”

“Sì, ma ora che i tempi si sono evoluti gli uomini sono più vicini alla scienza, a ciò che possono vedere e testare. Probabilmente se lo guardano sotto una chiara di lettura critica, la religione non sembra altro che un romanzo fantasy. È come se qualcuno ti avesse chiesto di credere alla Terra di Mezzo e agli Hobbit... certo, il libro c’è, ma è stato un uomo a scriverlo. Cosa rende quel racconto affidabile? E poi, la sfida umana sta proprio in questo: la possibilità di scegliere, una prova da superare.” 

Crowley si tolse gli occhiali e i suoi occhi gialli risplendettero nella notte. “Sei particolarmente loquace stasera” osservò. 

Azraphel si rese conto che era l’agitazione a farlo agire a quel modo. Gli capitava di frequente in sua compagnia e questo lo faceva sempre sentire un completo idiota, ma per quanto cercasse di impedirselo, non ci riusciva. 

“E tu particolarmente silenzioso” disse in risposta.

Crowley non gli toglieva gli occhi di dosso, ed il suo sguardo era così intenso che quasi non riusciva a sostenerlo. “Sto solo ascoltando, volevo provare qualcosa di nuovo” scherzò, anche se il suo tono di voce non rispecchiava la frase che aveva appena detto. 

“Be’, in questo caso... c’è qualcosa di cui gradiresti sentirmi blaterare?” chiese Azraphel, sentendosi improvvisamente a proprio agio. Quello che aveva sempre apprezzato della compagnia di Crowley era il fatto di poter essere se stesso con lui. Non era un angelo a cui render conto o in confronto a cui sentirsi giudicato, ma nemmeno il demone spietato che la sua fazione avrebbe voluto fargli credere che fosse. Crowley era come lui. Profondamente buono, una bontà pura e piena che cercava di tener celata anche a se stesso ma che finiva sempre con l’avere il sopravvento. 

“Preferiresti essere umano?” gli chiese, lasciandolo spiazzato.

“Io...” disse, riflettendoci. “No. Mi piace la mia vita, il modo in cui sono andate le cose, le cose che ho visto e fatto. Ma forse devo dire che non conosco nessuna realtà all’infuori di questa e che pertanto la mia opinione non è oggettiva.”

“A me sarebbe piaciuto, credo. Più di quello che avevo fino al decennio scorso, comunque. Non mi piaceva l’idea di essere parte di un enorme marchingegno e non aver nessuna voce in capitolo, in nessuna decisione. Però sono piuttosto soddisfatto di quello che ho adesso. Libero arbitrio e poteri. Una combinazione perfetta” osservò convinto, dando uno sguardo allo spettacolo che sotto procedeva indisturbato ed ignorato. Dopotutto, non avevano nemmeno pagato il biglietto.

“Ho portato una cosa, angelo” esordì Crowley, facendo comparire un cestino di vimini nella mano. “Se vuoi saperlo, in questa cesta per un breve tempo ha soggiornato l’Anticristo.”

“Adam” lo corresse Azraphel, alzando gli occhi al cielo. “Cos’hai qui?” chiese rovistando nella cesta e trovandovi vino, pane, un vasetto di marmite ed un coltellino.

“Un picnic?” domandò, incredulo.

“Me ne devi uno dal millenovecentosessantasette, angelo” ammiccò Crowley, facendogli l’occhiolino.

Azraphel ricordava quel momento. 

Ma chissà, forse un giorno potremo...non so, fare un pic-nic. Cenare al Ritz… 

“Abbiamo avuto già diverse cene al Ritz, mi sembrava arrivato il momento per qualcosa di più informale” asserì sminuendo la cosa con un gesto della mano e prendendo una fetta di pane. 

Azraphel stappò una bottiglia e versò un bicchiere per ciascuno. Poi, guardando all’interno della cesta e accorgendosi che l’aveva riempita interamente di vino se non per un paio di pagnotte di pane, osservò: “Sei stato generoso con le dosi.”

Crowley sorrise e si limitò a scuotere le spalle. “Credo solo che tu dia il meglio di te dopo un paio di bottiglie.”

L’angelo non poteva dirsi d’accordo, però il vino era davvero buono, tant’è che guardando lo spettacolo in basso ne finirono un’accettabile quantità.

Poi Azraphel si accorse che Crowley portava un anello nero che non gli aveva mai visto prima, ma fu presto distolto dal movimento delle mani dell’altro che svitavano il barattolo di marmite e ne spalmavano una dose generosa sulla fetta di pane, per poi passargliela. Ripeté l’azione e ne addentò un morso generoso.

“Non fare quella faccia, ho portato pure i bicchieri” sottolineò Crowley, scuotendo la testa con fare esasperato. 

“Non era così che lo avevo immaginato” puntualizzò Azraphel, mangiando un pezzo del dolce. 

Crowley inarcò il sopracciglio. “E come lo avevi immaginato, di grazia?”

“Be’”, Azraphel si mise con la schiena appoggiata alla nicchia, la sua gamba sfiorò quella dell’altro. Forse avrebbe dovuto spostarla per educazione, ma non lo fece. “Più umano. A St. James Park, probabilmente. Le anatre in un angolo, dar loro informazioni false... un gelato.”

“Sei incontentabile” disse Crowley, dandogli una lieve spinta scherzosa. “Nulla toglie che potremo fare anche quello, comunque” osservò, finendo ciò che rimaneva della fetta di pane e infilandosi un dito in bocca trovandolo sporco.

“Sei pieno di briciole” rise Azraphel, togliendogliene un po’ dalle guance, mentre Crowley sorrideva sotto i suoi polpastrelli. Ed è in quel momento che come sono iniziate, le risate finiscono. 

Azraphel guarda Crowley dritto negli occhi, e lo sguardo che il demone gli lancia in risposta è così intenso da farlo arrossire leggermente. Le sue pupille sono così dilatate da coprire quasi interamente l’iride gialla. Poi Azraphel abbassa lo sguardo, e Crowley è convinto che sia per stemperare la strana tensione che sente essersi creata nell’aria, ma invece di guardare per terra o giù allo spettacolo, Azraphel guarda le sue labbra con aria attonita. 

“Per Dio” esala Crowley come un sibilo di frustrazione, prendendogli il viso fra le mani e baciandolo. 

Azraphel emette un piccolo verso, ma dopo un secondo le sue mani sono nei capelli dell’altro, lo tengono stretto, e con tutt’altro che il fare impacciato che si sarebbe aspettato, gli infila la lingua in bocca. Crowley ansima, lo prende per il davanti della camicia e inclina la testa, sente il sapore della marmite mangiata poco prima, il profumo di Azraphel, il modo in cui si muove sotto le sue mani, le sue labbra morbide contro le sue e si chiede perché diavolo hanno aspettato così tanto per farlo.

È un bacio caldo, rude e bagnato, frettoloso, approssimativo. Il fiato dell’altro gli rinfresca il viso, si chiede fino a che punto possa essere arrossito, ma in quel momento nient’altro conta, c’è solo quel bacio, quei denti, quelle mani che si infilano sotto i vestiti e premono con forza la pelle... 

“Vai troppo veloce per me, Crowley” esala Azraphel, le guance arrossate e i capelli scompigliati, la camicia stropicciata. Crowley ricorda quando glielo disse nel 1967 e pensa che avrebbe dovuto fare quello che ha fatto adesso anche allora. 

“Sta’ zitto” ansima Crowley in risposta, e lo bacia di nuovo. Da quel momento, stranamente, nessun’altra protesta uscì più dalla bocca di Azraphel.

 

 

 

 

Quello che entrambi ignoravano era che, sul libro delle ‘Belle e Accurate Profezie di Agnes Nutter’ alla pagina a cui Azraphel l’aveva abbandonato aperto nella sua libreria, si potessero leggere le seguenti parole: 

 

 

    Quando il mondo rotolerà verso un drappo di tessuto, e il bianco si mischierà al nero, e il rosso al bianco e il rosso al blu, allora e solo allora le parole più antiche verranno svelate e rese visibili.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NdA:

Eccoci qui, mi sono accorta che dall’ultimo aggiornamento è passato un mese   o_O

Cercherò di rimediare col prossimo capitolo, che dovrebbe essere l’ultimo. A proposito, come forse avrete notato ho cambiato il rating e sto considerando che potrebbe cambiare ancora.

Comunque, spero che questo capitolo vi sia piaciuto, un po’ d’introspezione sul personaggio di Azraphel mi sembrava dovuta dopo lo scorso capitolo *-*

Spero di aver mantenuto i personaggi IC perché è una cosa a cui tengo molto.

Grazie di aver letto e di aver recensito lo scorso capito e questo (in anticipo) *-*

ci sentiamo al prossimo capitolo ^-^

 

-Aaanatema 

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