Lykaios

di Ilenia_DiBella
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1|Paure ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1|Paure ***


Correva più forte che poteva. Non riusciva a respirare e si fermò per prendere fiato. Si accasciò sul terreno umido per riflettere. Perchè stava correndo? E da chi stava scappando? Appoggiò la schiena al tronco di un robusto albero. I vestiti erano strappati, i suoi piedi nudi erano incrostati di fango e tra le dita vi erano vari fili d'erba. Sulla spalla nuda arrivò una gocciolina di un liquido caldo. Poi un'altra e un'altra ancora. Guardò la propria spalla, le goccioline non erano altro che un fluido vermiglio dall'odore ferroso. Si tastò la testa per capire dove si fosse ferita. Ma non trovò niente. Un'altra goccia di sangue le cadde addosso. Passò nuovamente una mano dietro la nuca, sulla fronte, sull'orecchio ma ancora non riuscì a capire da dove provenisse quel sangue. Osservò queste gocce rosse che s'infrangevano sulla pelle, dividendosi in altre piccole goccioline che schizzavano sul suo viso, mettendo in risalto la carnagione chiara. Alzò lo sguardo e capì che il sangue non proveniva dalle sue ferite, ma da quelle di un corpo nudo, impigliato in una ragnatela. Il rosso del sangue che colava da molte ferite, contrastava il pallore cadaverico della pelle dell'esile figura. Kassandra poteva scorgere solo la schiena, completamente tumefatta. Dalle forme delicate dei fianchi si poteva benissimo capire che era una donna. Uno scintillio sulla mano della donna attirò l'attenzione della ragazza, ma venne subito riposta altrove: un gigantesco ragno stava cominciando a tessere un filo attorno al corpo immobile. Kassandra sarebbe dovuta scappare, ma incuriosita rimase lì ad aspettare che il ragno girasse il cadavere per mostrarne il viso. L'aracnide si accorse della sua presenza e producendo un filo, cominciò a scendere dalla sua tela. La ragazza tentò di scappare e solo in quel momento si accorse di essersi appoggiata a un albero che apparteneva al grosso insetto. I propri capelli, di un nero luminoso, ora sudici e ricoperti da uno spesso strato di fango, erano attaccati a una grande ragnatela, e anche i suoi piedi erano incollati al tessuto setoso. Le zampe del gigantesco aracnide, pelose e sporche di sangue, urtarono la mano della donna rimasta lassù, un scintillio si fece strada tra i rami per poi cadere ai piedi di Kassandra. Guardò l'oggetto: era un anello di oro bianco e con lo stemma di una mezza luna. Quello era lo stesso anello che portava la madre di Kassandra. L'insetto era a una troppa poca distanza e Kassandra sentiva sul proprio viso, l'alito ferroso e pungente del ragno. I suoi otto occhietti rossi, anziché riflettere i suoi tratti delicati, riflettevano un viso dalla mascella pronunciata, e anziché riflettere i suoi due smeraldi, riflettevano due occhi color nocciola. Il viso era di un uomo che Kassandra conosceva fin troppo bene: suo padre. Un grido proveniente dall'alto le perforò i timpani. Alzò lo sguardo: sua madre da lassù gridava il nome della persona riflessa negli occhi dell'aracnide -Peter! Peter! Fermati!-. La pelle, dalla bocca all'occhio sinistro, era completamente lacerata, i capelli erano appiccicati gli uni agli altri da una sostanza verde. La donna aveva gli occhi cuciti e sulle guance, o almeno su quel che ne rimaneva, vi erano i rivoli di sangue secco colati dai piccoli buchi delle cuciture. Il ragno di colpo si trasformò in un lupo e si avventò contro la sua nuova preda, più giovane, un bocciolo ancora chiuso, una frutto ancora acerbo. Kassandra chiuse gli occhi e istintivamente mise le braccia sopra la testa per proteggersi, urlando disperatamente aiuto. Di scatto, e involontariamente, aprì gli occhi con una violenza tale da strapparsi le palpebre. Il cuore le pulsava e sentiva i battiti tuonarle nelle orecchie, il respiro frenetico pian piano andava a calmarsi. Si sedette e si passò le mani sudaticce sul collo contratto, facendo una lieve pressione per massaggiare e sciogliere i muscoli. Nella stanza accanto, delle grida sovrastavano deboli pianti. Gli stessi pianti e le stesse grida che ogni mattina le davano il buongiorno. I colpevoli dei suoi orribili incubi. Nonostante fosse cessato tutto, le urla del padre e i flebili singhiozzi della madre continuavano imperterriti a rimbombarle nel cranio. Si alzò, passò davanti allo specchio noncurante delle gigantesche occhiaie che le contornavano i suoi grandi laghi verdi, segnati dalle costanti poche ore di sonno. Si mise le mani alle orecchie e scosse la testa violentemente per far uscire gli sbraiti che non volevano sentirne di uscire e abbandonare la sua testa. Si mise seduta vicino la finestra per intravedere, da dietro le fronde del salice, il mare, che rifletteva il colore arancio del tramonto e le increspature bianche modellate dalla forza del vento del Pacifico. Kassandra viveva in un piccola villetta a pochi passi dalla spiaggia, assieme alla madre, Aleksandra, proprietaria di un negozio di libri, e assieme al padre, Peter, agente immobiliare, tossico dipendente, alcolizzato e infine spacciatore di droghe pesanti. "Beh, devo essere proprio orgogliosa di mio padre... quante cose fa contemporaneamente, Di solito erano le donne ad essere multitasking" pensò. Quando fu sicura che quei rumori e quelle grida della stanza accanto, per quella mattina non le avrebbero più dato fastidio, fece un sospiro di sollievo, ma i suoi occhi verde smeraldo erano ancora persi nel mare cristallino della baia di San Francisco. In lontananza si vedeva il Golden Bridge, dipinto di quel rosso sbiadito dal sole e dalla salsedine. Il brontolio della sua pancia fu seguito dallo sbattere della porta d'ingresso. Guardò l'orologio del suo cellulare che segnava le sei. Uscì dalla sua stanza con addosso una maglietta azzurrina un po' umida per il sudore. Bussò alla porta della camera dei suoi genitori e aprì con una mano tremolante. I suoi occhi vagarono per la stanza e un lampo di tristezza le incupì gli occhi: la madre rannicchiata su sé stessa sotto le leggere lenzuola bianche, le ciocche bionde che ricadevano irregolari sul viso imperlato di sudore, il segno ancora rosso di una mano stampata sulla sua guancia e gli occhi umidi color ghiaccio, contornati da lunghe ciglia ornate da alcune piccole lacrime che scintillavano alla poca luce che entrava fiocamente dalla persiana. La madre si girò dall'altro lato e in un sussurro le disse di andare a fare colazione poichè l'avrebbe raggiunta fra pochi minuti. Con gli occhi bassi, Kassandra chiuse lentamente la porta della camera e si diresse in cucina scendendo le scale. Afferrò una mela così lucida da riflettere la sua immagine sulla buccia rossa, ne staccò un pezzo con un morso. Ancora una volta, quegli occhi verdi si persero nel mare ambrato, i battiti delle ciglia erano un tutt'uno con l'infrangersi delle onde sulla spiaggia. Aprì la finestra e la leggera brezza mattutina le scompigliò i capelli neri e le s'insinuò nelle narici. Inspirando l'aria ricca di salsedine osservò le foglie del salice piangente danzare lentamente con il vento tiepido. Si sciacquò le mani dopo aver buttato il torsolo della mela ed entrò nella sua camera. Si sedette alla sua piccola scrivania e cominciò a fare un piccolo schizzetto in bianco e nero. Una donna slanciata dalle curve piene, capelli e occhi chiari, che teneva per mano un uomo dai capelli scuri in giacca e cravatta che guardava la donna sorridendo; accanto alla coppia, per terra, in primo piano, vi era una fede nuziale che rifletteva il viso dell'uomo ma anziché rispecchiare la sua espressione sorridente, Kassandra ne aveva disegnata una diabolica. Cosa ancora più inquietante, era la bella donna che, con una mano, si stava cucendo le labbra. Erano ancora le sette quando la donna del disegno, dai capelli biondo chiaro, zigomi alti e gli occhi azzurro ghiaccio e leggermente sfilati, entrò nella sua stanza -Kassy, sto andando al negozio, chiamami se hai bisogno e vedi che quest'oggi mi arriveranno dei nuovi pacchi, quindi... non aspettarmi per pranzo. Ti voglio bene-. Kassandra coprendo il disegno con un braccio, sorrise malinconicamente ed accarezzò la guancia della madre con il pollice, d'altronde era l'unico dito che non aveva usato per sfumare il carboncino. -Sei riuscita a portare avanti questo matrimonio per lunghi diciotto anni. Sei una grande. Vorrei tanto esser forte come te- la madre sorrise con occhi bassi e, dopo che le ebbe schioccato un bacio ricco di affetto sulla guancia, uscì e chiuse la porta della stanza. Kassy alzò il braccio e imprecò sottovoce quando vide che i contorni del disegno erano sbavati ed il braccio sporco di carboncino. Si alzò dalla sedia, delusa, e si diresse verso il suo armadio per cambiarsi. Mentre si sfilava i pantaloncini del pigiama, non si era accorta che gli occhi sfocati della donna nel disegno, la stavano guardando come se stessero nascondendo qualcosa, qualcosa di grande, qualcosa che le avrebbe cambiato radicalmente la vita.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Madre e padre russi, Aleksandra Marie Volk, o almeno così diceva di chiamarsi, era sempre stata una donna combattiva e testarda. Ma quei pochi anni di calvario l'avevano resa debole e ipersensibile. All'età di vent'anni conobbe Peter Jacob Mitchell, ragazzo di cinque anni più grande di lei, pieno di vita, capelli di un marrone cioccolato, occhi più scuri dell'ebano, mascella possente e fisico atletico, un ragazzo bello, giovane e innamorato. Aleksandra aprì un negozio di libri, Peter invece aprì un'agenzia immobiliare tutta sua. Passò un anno e durante una passeggiata serale sul lungo mare, Peter s'inginocchiò sulla sabbia umida e, con occhi luminosi, le aveva chiesto di sposarlo. Dopo un mese di preparativi erano uno legato all'altra dalle fedi nuziali e divennero quindi il signor e la signora Mitchell. Un mese dopo Aleksandra scoprì di essere incinta. Nacque così Kassandra Megan Mitchell, una bellissima bambina dai capelli di un nero corvino, occhi di un verde smeraldo e labbra candide e rosee. Totalmente diversa dal padre e dalla madre. Kassandra, crescendo, diventava sempre più bella, combattiva e testarda: un fuoco furente che illumina le tenebre. Peter aveva sempre notato qualcosa che non andava nel comportamento della moglie riguardo la figlia, fin quando, dopo due anni dalla nascita di Kassandra, Aleksandra gli disse parte della verità, che gli bastò per cominciare ad ubriacarsi e a frequentare cattive compagnie. Qualche tempo più tardi, Aleksandra scoprì, nella valigetta ventiquattro ore del marito, chili di cocaina. Avevano litigato spesso ed era sempre finita con percosse e abusi da parte di lui, ubriaco e strafatto e, nonostante lei avesse più di un modo per difendersi, Aleksandra non aveva mai reagito, perché l'aveva sempre presa come una sorta di punizione. Non aveva mai attribuito la colpa al marito: era soltanto lei che aveva causato il tutto. Se lei non avesse commesso quello sbaglio, sarebbero ancora una famiglia felice. Se solo fosse riuscita ad essere più forte e più matura. Certo, non sarebbe nata Kassandra, ma avrebbero ancora festeggiato felicemente i diciotto anni di matrimonio e non con rancore e sensi di colpa. Aleksandra si risvegliò dai ricordi nel sentire il clacson della macchina dietro, che la intimava a passare finché il semaforo fosse ancora verde. Arrivata al negozio diede un sguardo alla spiaggia dorata e brutti ricordi si insinuarono veloci nella sua mente. Angosciata si mise una mano sulla fronte e con l'altra fece poi quel gesto per allontanare i pensieri, lo stesso che si fa quando si cacciano le mosche. Parcheggiò l'auto sul retro, scese dalla macchina, frugò nella borsa e cercò qualcosa che al tatto fosse freddo. Nel prendere le chiavi, urtò con il gomito un uomo che stava passando lentamente dietro di lei e le caddero a terra con un fragoroso suono metallico. Si piegò per prenderle ma l'uomo fu più veloce di lei. Le lunghe dita di lui indugiarono sul palmo morbido di Aleksandra quando le porse le chiavi recuperate. Lei alzò lo sguardo: era un uomo alto più di un metro e ottanta, un cappello nero con la visiera metteva in ombra quasi metà della faccia, inoltre vi erano gli occhiali da sole che impedivano a Aleksandra di poterlo guardare negli occhi, ma un sorriso smagliante aveva fatto arrossire la donna. Lei sorrise incantata da quell'uomo affascinante -Grazie, è stato veramente gentile, mi perdoni per averle dato una gomitata nello stomaco. Non l'avevo vista.- Ma nel momento in cui l'uomo si tolse le lenti scure che gli coprivano gli occhi, mostrando due iridi verde smeraldo, con pagliuzze verde chiaro, un forte senso di angoscia crebbe nel cuore di Aleksandra. Lo stupore le fece schiudere la bocca e la paura le fece venire la pelle d'oca. -Non sei cambiata affatto Accalia- le disse con il suo sorriso ammaliante mostrando denti bianchissimi. -Ma tu... tu eri morto... tu... eri morto!- l'uomo sorrise vedendola sgranare gli occhi e la prese dai polsi -Beh, lo avresti voluto... forse. Ma invece eccomi qui. Perché non mi chiedi come sto? Dopo che... - l'uomo si abbassò lo scollo della maglietta mostrando una grossa cicatrice nel punto esatto dove era situato il cuore - ...mi ficcasti quel pugnale dritto al cuore. Sai, non sei stata molto gentile Accalia, almeno, non dopo quello che avevamo fatto. Poco coerente direi, Accalia-. Aleksandra sibilò a denti stretti -Non chiamarmi con il mio secondo nome! Solo chi è degno può chiamarmi in quel modo, dovresti sempre tenere a mente il nostro codice d'onore! E te la sei meritata quella pugnalata! Non capisco come... IO TI HO VISTO MORIRE SOTTO I MIEI OCCHI! Come, come può essere? Come fai ad essere ancora vivo? E come hai fatto a trovarmi?- La zittì -Shhhh, non ti agitare. Avevo sospettato del cambio di identità. Anzi, ne ero certo, cosa troppo ovvia. Aleksandra Marie Volk. Suona bene, già. Dà quel tocco francese, cultura che tu ami tanto. Ma ormai eravamo tutti abituati al lunghissimo Aleksandra Accalia Petrovna Volkov. Davvero, non c'era bisogno che cambiassi anche la tua identità per quello che è successo. Ti perdono. Tutto apposto! Stai tranquilla... solo... voglio sentire, ancora una volta, il tuo modo di pronunciare il mio nome. Avanti! Dillo! Filtiarn! Dillo con lo stesso tono dolce di quando stavamo assieme o meglio, diciassette anni fa, sulla spiaggia dorata, proprio di fronte questo negozio... -rise indicando il mare a qualche decina di metri da loro - ...l'ultima volta che ci siamo visti, poco prima che tu mi pugnalassi, lo dicesti ansimando. GRIDASTI IL MIO NOME DI PIACERE PRIMA CHE.... - Aleksandra non stette più ad ascoltare e si perse nell'oblio dei suoi ricordi: La scia di baci caldi lasciati leggeri sul proprio collo la faceva impazzire. La barba di due giorni strofinava sulla sua pelle candida, dandole una sensazione di piacere. Le dita callose di Filtiarn percorrevano dolcemente e con una estenuante lentezza i suoi seni pieni e le curve dolci dei fianchi. Il vento trasportava via gli ansimi e i gemiti. I due si invocavano a vicenda, si chiamavano con una passione mai vista. Le onde del mare che si frastagliavano irregolari sulla spiaggia e sugli scogli accompagnavano la danza della coppia. Aleksandra però, non aveva perso tutta la sua lucidità. Ancora una parte di lei sapeva cosa fosse la cosa giusta da fare, però voleva godersi quegli ultimi momenti con il suo amato. Dopo che lui si poggiò sui seni morbidi, lei lo cullò dolcemente con la dolcezza dei suoi baci, i suoi ultimi baci, fino a farlo addormentare, si tirò su senza svegliarlo e guardando la luna riflessa nel mare si rivestì silenziosamente. Estrasse, avvolto in un fazzoletto di seta, un piccolo pugnale dalla lama d'argento che Fangluin le aveva dato. Su essa si poteva vedere il sangue bianco di fenice. Il coltello scintillava alla fioca luce della luna che illuminava due piccole perle che rigavano lentamente il volto di Aleksandra. Guardò Filtiarn riposare sereno, i capelli scuri gli ricadevano irregolari sul viso e danzavano assieme al vento. Aleksandra si mise in ginocchio davanti a lui e lo guardò con gli occhi carichi di lacrime. Si avvicinò al suo viso e lasciò un lieve bacio sulle labbra morbide di lui. Strinse saldamente l'impugnatura in avorio del pugnale e alzò le braccia in direzione del cuore di Filtiarn. Le mani cominciarono a tremare. Le lacrime continuavano a rigarle il volto e una di esse cadde sulla palpebra del dormiente, che si svegliò dal suo sonno e aprì pigramente gli occhi. "Ora o mai più" si disse Aleksandra; abbassò violentemente le braccia verso il petto di Filtiarn. Lei, in quella frazione di secondo, cercò di non guardare l'espressione di angoscia, l'espressione di chi ha capito di esser stato tradito. Il coltello affondò con violenza nel petto dell'uomo. Aleksandra si alzò velocemente da terra, si mise una mano sulla bocca e cominciò a singhiozzare. Non avrebbe mai averlo voluto fare, ma era per evitare altre morti. Era la cosa giusta da fare. Filtiarn gridava per il fortissimo bruciore che non solo l'argento della lama gli provocava, ma anche il sangue di fenice che fungeva da antidoto per prosciugare quel terzo di sangue che lo rendeva così forte e così irrimediabilmente cattivo. Aleksandra cercò di non ascoltare quelle grida. E quando finalmente cessarono, dei lamenti, molto più strazianti delle prime, presero il loro posto. Piano piano le forze stavano abbandonando il suo corpo. Lei si avvicinò e si buttò sulla sabbia. Gli accarezzò la guancia mentre le sue lacrime ricadevano per terra senza alcun suono. Gli sussurrò parole di scuse e parole di chi, aveva messo la salvezza di tutti prima dell'amore ingiustificato verso quell'uomo. Ma le sussurrò troppo piano per far sì che il ragazzo sentisse. Filtiarn le diede un ultimo sguardo privo di espressione prima di muovere lentamente la mano verso quella di Aleksandra. La strinse leggermente con le sue ultime forze e dopo aver preso il suo ultimo respiro... la sua anima svanì nel vento. Grida di una donna distrutta sovrastavano il rombo delle onde. Una figura scura si avvicinava lentamente ma lei aveva la vista appannata per le lacrime e non gli diede molta importanza e non diede neanche molta importanza neanche che quell'improvvisa stanchezza, pensando fosse dovuta dovuta allo sforzo fatto. Filtiarn sbraitò e fece sussultare Aleksandra -TI HO DETTO DILLO!NON FARMI ARRABBIARE ACCALIA! DILLO! FILTIARN! FILTIARN!-. Scosse violentemente Aleksandra e lei ringhiò mostrando i denti che si stavano deformando. -Oh lupacchiotta, non mi pare il caso di trasformarti qui, anche perché sai benissimo che sono molto più forte di te-. Senza neanche accorgersene, si ritrovò schiacciata contro la porta dai pettorali massicci di lui, con i polsi bloccati dalla presa ben salda e il suo seno era pressato contro il vetro freddo della porta del negozio. Il petto dell'uomo, premuto sulla schiena, saliva e scendeva e Aleksandra rabbrividì quando il fiato caldo di lui gli accarezzò dolcemente la guancia, spostandole un ricciolo biondo cenere che si ribellava a essere contenuto nella coda. -Diciassette lunghi anni dall'ultima volta che ci incontrammo come sta tua figlia Kassandra Megan Mitchell? O dovrei dire nostra figlia. Sai... le avrei dato un secondo nome diverso, non da umana. L'avrei chiamata... l'avremmo chiamata Kassandra Hel Lykaios. Hel: regina degli inferi, che dissemina morte e distruzione, d'altronde come suo fratello Fenris, è un ...- le stava sussurrando in un ringhio con disprezzo, ma Aleksandra lo interruppe -Non so di cosa tu stia parlando. E lasciami andare o... o...-. Gli occhi di lei mutarono: la pupilla era attorniata da un cerchio argenteo e nei suoi occhi azzurri, le venature più scure si stavano colorando di un rosso vivo, la mascella stava diventando più pronunciata, lui la interruppe -O cosa? Chiamerai il tuo maritino pucci pucci? Mi fai ridere, sei patetica. Ah, mi è venuto un dubbio... ti ricordi cosa hai fatto a Fenris? A nostro figlio Apollon Fenris Lykaios vero? Dai tuoi occhi vedo che ricordi bene come lo hai ucciso! Non eri una buona madre, non sei una buona madre e non lo sarai sempre, Accalia! Per giunta, oltre ad aver ucciso il mio bambino, mi hai abbandonato e poi hai conosciuto Peter Jacob Mitchell. Un umano, che si è sposato con una... DIO! Come si fa a sposarsi con un umano! E come se non bastasse, quando ci rincontrammo, quando ti misi incinta, hai cercato di uccidermi. Oh Accalia!Questa non è la donna che conoscevo- Le sue labbra accarezzarono il lobo delicato di lei. Aleksandra inspirò bruscamente e una scintilla di divertimento si accese negli occhi verdi dell'uomo, ma dei passi in lontananza lo misero in allerta. -Ci vedremo lupacchiotta-. Di colpo, il peso che le pressava lo sterno svanì e prese una grossa boccata d'aria, si voltò ma non vide nulla. -È tornato- Aveva sussurrato carica di odio al cellulare, prima di riprendere tremolante le chiavi che le erano nuovamente cadute a terra, e si morse il labbro per trattenere le lacrime amare. Aleksandra sperava fosse un incubo, ma non lo era affatto, purtroppo era la realtà . ~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~ Kassandra leggeva sul letto, con le gambe accavallate e si perdeva nei mondi mistici della mitologia greca. Da piccola aveva sempre sognato di essere una musa ed esser apprezzata da tutti. Fare il bagno in un lago ogni notte per poi specchiarsi nella luna, perdendosi nei contorni dei piccoli crateri per dimenticare la vita infelice. Suo papà non era mai stato un buon padre con lei, anzi non era neanche un buon 'estraneo': non la degnava neanche di uno sguardo. Si dicevano l'essenziale, o almeno, era solo Kassandra che parlava anche se con molto timore: "la cena sarà pronta tra poco", "Mamma deve ancora arrivare", "Hai ricevuto una telefonata". Kassandra aveva molta paura di lui: spesso aveva scatti d'ira per via della droga che lo rendevano sempre irascibile, nervoso. In pratica, Kassandra aveva paura che potesse farle lo stesso male che faceva a sua mamma, "Magari è un pensiero egoista, ma devo salvaguardarmi, e l'unico modo... è stargli il più lontano possibile" erano questi i pensieri di Kassandra, pensieri di pura "autoconservazione" . Così li definiva. Mille perché le riempivano la testa da farla esplodere, ma potevano racchiudersi in tre domande: sua madre come faceva ad amarlo ancora nonostante tutto? Come mai non lo aveva ancora denunciato? Che aveva fatto sua madre di così grave da meritarsi tutto questo? Peter non era mai stata una buona persona, non era mai stato un buon padre: sempre a drogarsi o a ubriacarsi. Si alzava la mattina presto, spesso picchiava sua madre senza un motivo preciso, probabilmente perché era in astinenza, poi usciva da casa per andare a lavorare: era un agente immobiliare, vendeva case, spesso a chi già si drogava, un lavoro perfetto per coprire il traffico illecito. Ritornava poi la sera, come se tutto fosse tranquillo e quando era l'ora di cena si sedeva a tavola con un sorriso stanco. Il telefono le squillò distraendo la sua immaginazione. -Synn che c'è? Stavo leggendo... - piagnucolò come se stesse perdendo attimi di vita preziosi -Kassy la devi finire di fare la secchiona, non esci mai da casa, l'estate sta per finire, la scuola sta per cominciare ed io non ti ho mai visto andare in discoteca!- sbuffò l'amica dall'altro capo del telefono. -Lo sai cosa pensa mia madre delle discoteche, alcool, droga, stupri...- stava rispondendo Kassandra ma l'amica la interruppe -Ma se stai descrivendo tuo padre!-. Di colpo calò il silenzio. -Scusa, scusa, perdonami, non intendevo quello. Cioè sì, ma non era mia intenzione dirlo...- -Ma l'hai fatto- la interruppe Kassandra prima di chiudere la telefonata. Prese il libro e lo lanciò sulla parete. A seguire del tonfo procurato dalla caduta del libro, pianti e singhiozzi risuonarono nella stanza. Una scintilla viola carica di rancore le pulsò negli occhi verdi. I suoi occhi avevano sempre avuto la particolarità di cambiar colore, non solo in base al tempo atmosferico, ma anche in base agli stati d'animo. Aprì la finestra, fece un piccolo salto e atterrò su uno dei rami del salice affrettandosi a trovare un appiglio che le permettesse di non cadere. Aggrappandosi a uno dei rami si sedette e lì si addormentò cullata dal tiepido vento estivo. Un leggero solletico le fece arricciare il naso. Aprì gli occhi infastidita e vide due occhi azzurri che la fissavano. -SYNNOVEA!- gridò sobbalzando. L'amica sorrise e continuò a solleticarle la punta del naso con una foglia. -Come sei salita qui?- le disse sorpresa. La porta di casa era chiusa e il salice era molto alto. Un'alzata di spalle fu la semplice risposta della ragazza bionda con gli occhi azzurri. Kassandra si alzò, andando a sbattere contro uno dei rami, tra il dolore e il divertimento, fece un salto e raggiunse la finestra. Synnovea la seguì -Senti mi dispiace per quello che ho detto. A volte... sai che non filtro i miei pensieri-. Kassandra annuì con un flebile sorriso, accettando le scuse dell'amica. Il brontolio della sua pancia fece ridere Synnovea. -Hai mangiato? Sono le tre passate!- . -Cosa? Quanto ho dormito? Erano le dodici e mezzo circa quando mi hai chiamata- quasi urlò Kassandra. -Andiamo allora, offro io...- Synnovea la afferrò per un braccio ma poi la squadrò da capo a piedi -...ehm aspetta forse dovresti cambiarti- le disse infilando il dito dentro il buco della maglietta azzurra sporca di erba.

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