L'amico immaginario

di merryghostround
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Io pizzico di più ***
Capitolo 2: *** Il ronzio di un ricordo ***
Capitolo 3: *** L'inizio di tanti addii ***
Capitolo 4: *** Angeli ***



Capitolo 1
*** Io pizzico di più ***


Fantasia, il gatto giallo, stava annegando, intrappolato nella stanza.
Da quando la sua Sabrina, una bambina che adesso poteva avere trent'anni, l'aveva dimenticato, lui si era imposto di non interagire più con nessuno, trasformandosi così in una piccola carica elettrica la cui unica occupazione era quella di vagare per le menti e, ogni tanto, perfino per le strade. Potrebbe sembrare normale, poiché ogni volta che un amico immaginario viene abbandonato, il suo destino diventa automaticamente quello di errare trai sogni finché, prima o poi, il subconscio di un bambino non lo stringe avaramente a sé per il più puro dei motivi: il piccolo ha bisogno di compagnia. Ma ormai per Fantasia era diverso, lui si era stancato, e quando gli capitava di percepire la solitudine di un bambino si preoccupava subito di scappar via dal suo sogno e si rifugiava di corsa per strada, dove poteva esser visto solo a proprio piacimento, che per lui equivaleva ad essere mai. La sua fuga poneva fine al sogno, e ogni volta per Fantasia era come svegliarsi a sua volta, così quando il bambino si ritrovava a piangere solo nel suo lettino, lui correva per la strada senza rimorsi.
Quel giorno però qualcosa andò storto, il gatto si svegliò semplicemente così, annegando. E come se non bastasse, annegando in una stanza piccola, cubica e senza via d'uscita.
Ma non era solo, delle persone erano lì a fargli compagnia. Tra di esse vi era un uomo anziano e grasso, che confuso guardava l'orizzonte con aria stranita, sembrava quasi che pur trovandosi anch'egli richiuso in quella stanza dalle finestre sbarrate, riuscisse in qualche modo a guardare il nulla e a vedere al suo posto un altro luogo, forse un ricordo. Accanto a lui annegava una bambina con i capelli neri a caschetto e con indosso solo un costume da spiaggia. Soffocava a mezz'aria, sospesa, annaspando disperatamente con la lingua di fuori in cerca d'aria, gli occhi sul punto di schizzare via dalle orbite. Annegava come Fantasia, ma lei in vita aveva avuto dei polmoni, e l'eco di quella vita le faceva male, un male tremendo e incomprensibile. Fantasia non poteva provarlo, perché non aveva polmoni e mai li aveva avuti. Così mentre lei sputava acqua, lui si guardava intorno. Donne e uomini riempivano la stanza, tutti sospesi, tutti a galleggiare in un liquido che liquido non era.
L'unica figura che sembrava essere conscia della propria situazione era una bambina con i boccoli biondi e un vestito troppo largo, lo sguardo vitreo e curioso allo stesso tempo. Fu l'unica ad accorgersi di Fantasia, e non appena lo fece guizzò intontita verso di lui, gli prese la mano, e iniziò a fargli domande senza nemmeno aprir bocca. Fantasia non voleva ascoltarla, la stretta della bambina pizzicava, ma lui sapeva di essere in grado di pizzicare di più. Il gatto emetteva luce e fulmini, e non gradiva provare sulla propria pelle quello che lui faceva provare agli altri. Per ripicca strabuzzò gli occhi rossi e innondò l'acqua della sua carica elettrica, come bizzarra conseguenza i suoi "compagni", intrappolati lì come topi e inconsapevoli di esserlo (forse perché troppo occupati a morire ed esser morti), si illuminarono e iniziarono a tremare fino a distorcere la propria immagine, la bambina sorrise prima di illuminarsi anche lei. Fantasia emise un'altra carica e li vide compattarsi in una luce unica, che si direzionò sul tetto della stanza e scaricò nel lampadario rotto, come assorbita da esso, fino a sparire. Il liquido che non era liquido tornò aria, e Fantasia cadde a terra.
Sentì la bambina ridere.

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Capitolo 2
*** Il ronzio di un ricordo ***


L'eco di quella risata gli tormentava le orecchie, preferiva quasi i suoni ovattati dei gargarismi che quel pugno di morti morenti emetteva fino a poco prima agonizzando sott'acqua, mentre altri di loro restavano a guardare il vuoto. Se quel sottofondo non era meno fastidioso del silenzio tetro che vigeva ora nella stanza, lo era senz'altro del risolino infantile che ogni tanto ne causava la rottura.
Come se non bastasse, guardarsi intorno era inutile: la stanza non aveva porte, le finestre sbarrate erano impossibili da aprire, i mobili sembravano quasi di plastica, finti. Di minimamente rilevante c'era solo quello stupido lampadario rotto, ed essendo l'unica cosa sulla quale valesse un po' la pena interrogarsi, Fantasia si chiese se perlomeno avesse un interruttore. La risposta gli arrivò subito: come in anticipo sui pensieri del gatto, l'interruttore iniziò ad emettere un ronzio, suscitando una reazione istantanea da parte di Fantasia, che roteò il viso a mo' di gufo e lo puntò con un movimento meccanico.
Bzzz, bzzzz.
E Fantasia lì, immobile, a fissarlo. Le sue orecchie rizzate così come i suoi peli, e lo sguardo insospettito, carico di una furia omicida volta a un qualcosa che non era neanche umano, ma sembrava esserlo.
Dannazione, era solo uno stupidissimo interruttore, cosa aspettava a premerlo? Cosa c'era che non andava? Perché più passava il tempo più gli sembrava singhiozzasse?
Perché ora anche a lui veniva da piangere?
Non ne poteva più, andò a schiacciare quel maledetto pulsante.

Dapprima gli sembrò che non fosse accaduto niente, poi si voltò e la vide. La bambina con il costume da spiaggia era dietro di lui, non annegava più, lo guardava con gli occhi lucidi e gonfi di lacrime.
"Fantasia, perché mi hai lasciato annegare? Avevi detto che non mi avresti lasciato mai." gli disse.
Nella stanza non ronzava più niente, non rideva più nessuno.
Fantasia rimase sbigottito per un momento, guardò la bambina negli occhi e vide interminabili pomeriggi passati al suo fianco, a parlare dei rospi, del cioccolato bianco, delle nuvole, dei fumetti.
E in quel frangente gli passò per la testa una domanda ben più importante: "che fine fanno i miei bambini quando gli adulti li sostituiscono?".
Non riuscì a rispondere alla domanda della piccola.
"Perché non mi ricordavo più di te?", le chiese invece.
Come reazione lei scoppiò di nuovo a piangere.
E lui fece quello che gli riusciva meglio ma che da tempo si era rifiutato di fare: si fece scintillare il naso, e la fece ridere. Fu un movimento meccanico.

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Capitolo 3
*** L'inizio di tanti addii ***


Ed ecco che riprendeva anche l'altra risata, era così petulante da coprire quella della bambina con il costume da spiaggia, ma Fantasia era troppo felice per farci caso.
Non riusciva davvero a crederci, la bambina con il costume da spiaggia, la sua bambina, era finalmente lì con lui, e rideva! Come aveva potuto dimenticarla? Perché ricordava solo Sabrina? Doveva scoprirlo, a costo di farsi del male, e soprattutto a costo di farne ad altri. Era ben consapevole che l'unica in grado di dargli delle risposte era la sua bambina, ed era ancora più consapevole che quelle risposte le avrebbero fatto cessare di ridere. Ma Fantasia non aveva tempo per rimuginare sulla sofferenza della bambina, che alla fine si sommava alla sua, così le chiese a bruciapelo, come quando si strappa via un cerotto, "Anna, cos'è successo quando me ne sono andato?"
E lei, come previsto, tornò cupa e riabbassò lo sguardo, ma non gli diede il tempo di ripetere la domanda una seconda volta, al contrario rispose subito, anche se con la vocina un po' tremante.
"I pensieri non mi accompagnavano più, quando c'eri tu mi spingevano a galla facendomi il solletico... ma appena sei andato via hanno iniziato a diventare troppo pesanti, io provavo a nuotare con tutte le mie forze, ma scendevo sempre più giù. E alla fine hanno vinto loro."
Fantasia la guardò alzare lo sguardo e cercare i suoi occhi, come a chiedergli perché le fosse accaduto tutto questo. Mantenne il contatto visivo senza far trasparire un minimo di emozione.
Anna non aveva il coraggio di riaprire bocca, e Fantasia aveva bisogno di riflettere.
Stava iniziando a provare un inaspettato senso di colpa. Stava iniziando a realizzare quant'è fastidioso amare.
A questo punto non gli restava che ingoiare la pillola e buttare via quello scudo di orgoglio e apatia con cui aveva vissuto per tutta la sua vita, o perlomeno provare a sgretolarne un po' la superficie, e di solito si inizia con un "mi dispiace".
Lui quasi le soffiò con rabbia quelle due parole, "... Mi dispiace."
E quanto diamine gli fece male.
Perché sì, le aveva soffiate via con con rabbia, ma le aveva dette, e così facendo aveva finalmente ammesso a sé stesso che erano vere, che gli dispiaceva.
E aveva distrutto l'unica certezza della propria vita, perché se ti dispiace, non sei un amico immaginario.

Per il ripetersi del suo stupido lavoro aveva fatto del male a molti, e adesso nulla aveva senso. Perché far dimenticare a qualcuno cosa significa essere bambino? Non riusciva a capire come un tempo sembrava quasi provarci gusto.
Funzionava così: il bambino annegava e Fantasia era finalmente libero di cambiarlo e collezionare una nuova esperienza. Non era né giusto né sbagliato, né una cosa sulla quale bisognava interrogarsi, era semplicemente il suo ruolo nell'universo.
Per lui era come mangiare un piatto di carne e dimenticarsi che una volta era un maiale, un maiale con gli occhi neri e vispi, che scodinzola come un cane quando gli si fa festa.
Se non era lui a soffrire, perché smettere? La carne è buona. E comunque è solo carne, nulla di più.
Toccava il fuoco perché ne era affascinato, e a bruciarsi era un suo bambino, che comunque era solo un bambino, nulla di più.
È il mantra di tutti gli amici immaginari: divertiti e fai divertire, ma alla fine vai via. E Fantasia aveva iniziato a capire solo ora che per loro alla fine è normale dimenticasi dei propri bambini, e che Sabrina era stata solo un incidente di percorso. E non dimenticano perché qualcuno fa loro un torto rubando dei ricordi preziosi, dimenticano perché per loro quei ricordi sono privi di importanza. Non hanno un'anima né una coscienza che permetta loro di provare nostalgia o senso di colpa, si limitano semplicemente a svolgere un servizio, e questo consente loro di andare avanti. Fantasia invece aveva smesso di andare avanti e non era più riuscito a integrarsi. Stava diventando vegetariano, non riusciva a dimenticare gli occhi vispi del maiale.
E per di più, come se un presente privo di scopo e dimora non fosse abbastanza da sopportare, ora a tormentarlo si era aggiunto anche un passato pieno di colpe che prima non lo erano.
E a causare tutto era stato il pasticcio fatto da una bimbetta con gli occhi vispi. Ma come?
Sabrina l'aveva fatto scottare, gli aveva lasciato il pelo macchiato da un tizzone ardente, e l'odore del fumo addosso. E ora, per colpa sua, i bambini non erano più fuoco con cui giocare.
Ora tutti i bambini bruciavano da morire.

A interrompere i suoi pensieri fu il silenzio.
Anna aveva già alzato lo sguardo, e non sembrava spaventata. Ma lo guardava con quei sui occhi gonfi di lacrime.
A questo punto Fantasia glielo doveva: doveva graffiare di più il suo ridicolo scudo. Trasformò il suo "mi dispiace" in qualcosa di più concreto.
"Non era mia intenzione lasciarti, all'epoca pensavo di poterti illudere senza mai pagarne le conseguenze, perché non era possibile che restassi: ero solo un bugiardo presuntuoso. Avrei dovuto lasciare che tu mi ricordassi, e invece me ne sono andato lasciandoci entrambi incapaci di farlo. Non volevo ammettere di volerti bene, perché gli amici immaginari svolgono solo un servizio: nessuno di loro prova vero affetto. Ma io ci sono riuscito, anche se solo adesso, e questa cosa mi fa sentire debole. Sono troppo simile a te, e allora pensavo di non volerlo essere. E anche se adesso sono di nuovo qui, so già di dovermene andare... e so anche che hai paura, ma devi sapere che se non posso restare è proprio perché tu non hai più bisogno di me, anche se pensi di averne. E ti prometto che non annegherai più, a patto che tu mi prometta una cosa: non ti dimenticare mai dei rospi, del cioccolato bianco, delle nuvole e dei fumetti."
Era il turno di Fantasia di rispondere a una domanda scomoda.
"Ma se poi i pensieri diventano troppo pesanti?", chiese Anna, più confusa e dubbiosa che mai.
Lui però era stato un amico immaginario competente, e di rimando le sorrise illuminandosi le vibrisse con delle piccole scariche elettriche.
"Oh, non lo faranno, i rospi non possono farti altro che il solletico."
E Anna sorrise come non aveva sorriso da anni.
Sorrise nel suo ospizio, mentre riposava in una poltroncina, sua figlia le stava porgendo i vecchi disegni che aveva trovato in casa, erano tantissimi, tutti suoi, conservati in un album di raccolta: raffiguravano la sua famiglia, una casetta stilizzata, nuvole dalle forme più svariate, il barboncino di sua zia, e poi ce n'era uno con lei bambina, in spiaggia, con i suoi capelli a caschetto, che teneva per mano un gatto giallo.
Non si sentiva così leggera da tempo, e non avrebbe più dimenticato cosa si provava.

Fantasia invece aveva appena iniziato. Era pronto a dire addio a tutti, a rimediare ad ogni errore commesso, ed era soprattutto pronto a cercare Sabrina, la bambina che non aveva mai dimenticato. Sabrina che voleva diventare una scrittrice, che ci teneva così tanto, che l'avrebbe tenuto con sè nei propri racconti, perché senza di lui non avrebbe mai potuto scrivere, immaginare, creare, anche da adulta. Avevano l'uno bisogno dell'altra. E Fantasia doveva scoprire perché questa volta era stata lei a sparire, e non lui.
Si sentiva così infantile ad ammetterlo a sé stesso. Lui, che non aveva nemmeno un'anima, si sentiva abbandonato e tradito da una bambina. Per quanto ridicolo si reputasse doveva almeno scoprire il perché di quell'abbandono.
Si sentiva come uno dei suo bambini.
Anna già non c'era più, era sparita in un sorriso. E lui era di nuovo solo nella stanza, con la risata della bambina con i boccoli a ricordargli che doveva schiacciare di nuovo l'interruttore. Molte altre volte.

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Capitolo 4
*** Angeli ***


Aveva ripetuto "mi dispiace" almeno un migliaio di volte. Talvolta anche ad adulti ormai morti da tanto, incapaci perciò di riportare in vita il proprio bambino interiore, ma desiderosi di riconciliarsi con quell'amico dimenticato. Di sentirsi bambini un'ultima volta.
Era strano per Fantasia guardare quei volti rugosi, gli anziani non erano proprio di sua competenza. Non sapeva come comportarsi con loro, gli veniva faticoso anche solo reggere lo sguardo. Parlava lui, ma sentiva che avrebbe fatto meglio ad ascoltare. E spiegava, e chiedeva scusa.
Come risposta gli anziani gli chiedevano se fosse un angelo.
Per Fantasia gli angeli erano loro.
Gli piaceva giocare col loro mondo come un medium gioca con quello esoterico, ma in fin dei conti non ne sapeva proprio nulla. E tutte le persone che non riusciva a inserire nel suo "quadro" della situazione erano angeli. Chissà se esistono, poi, ma se esistono sono decisamente loro: strani, rugosi e lenti. Increduli solo sé davanti a lui. Angeli.

Lo faceva sentire importante rendere felici gli angeli. I suoi bambini forse erano annegati, ma quegli uomini ormai non avevano bisogno di gambine veloci e giochetti luminosi per dimostrare che in fondo la loro purezza era ancora viva. Il loro viaggio era andato avanti con un bambino pressato in consapevolezza e realismo, e loro ridevano dei vecchi racconti di Fantasia come modo per ricordarlo. Provavano rispetto per quel bambino, e tanta nostalgia.

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