1.
La
luce soffusa che non riusciva ad illuminare nemmeno i loro visi, e i
respiri affannosi che si mischiavano con l'aria della notte come un
fiume che scorre e scorre, fino a sfociare nell'oceano.
I
movimenti compiuti in quella stanza erano così lenti e deboli
che il materasso sul quale giacevano non emetteva alcun suono udibile.
Lei distesa supina sotto di lui, che la guardava con un visibile
sorriso beffardo. Gli occhi rosa socchiusi e le labbra che ogni tanto
si storcevano in una smorfia, le mani che ad un tratto partivano
all'attacco come a voler dare una sberla al Ghoul, ma che poi
ritornavano al loro posto, sul cuscino, a stringere le lenzuola
bianche: quando glielo aveva proposto la prima volta, avrebbe voluto
ucciderlo. Poi ci pensò bene, e quello era l'unico modo per
cavarsela assieme e guadagnarsi il successo; la promozione.
Erano lì lì per fare l'amore. O, forse, era semplice accanimento nei confronti del corpo dell'altro.
Ma non c'era bisogno di saperlo per certo, per continuare.
L'albino
sistemava, ogni tanto, tra i denti una porzione della pelle della
donna, senza farle troppo male, mentre lei lo lasciava fare.
Per quasi dieci minuti quei due andarono avanti in quel modo, in silenzio. Poi, qualcosa cambiò.
"Come facevi
a sapere di questo caso?"-la labile voce dell'investigatrice era
spezzata da gemiti e affanni. Nella mente del Ghoul, intanto, soltanto
un pensiero riusciva a sopraffare gli altri: davvero bastava
così poco, per farle venire le lacrime agli occhi e le guance
rosse? Seidou non riusciva proprio a credere che gli era stata concessa
la possibilità di ridurre in quel modo la persona più
forte che conosceva sin da bambino, senza doversi nemmeno impegnare
più di tanto.
In fondo, erano solo baci per un uomo;
ma per una donna cosa rappresentavano quelle effusioni?
"Se
ti faccio male, stringi la mia mano."-le ordinò, afferrando la
mano della donna e facendole capire che non avrebbe mai risposto alla
sua domanda.
Forse, perché lui stesso non sapeva quello che stava facendo.
"Perché?"-a sua volta, tagliò corto la donna mantenendo ancora gli occhi socchiusi.
"Perché mi
stai aiutando?"-finita la frase, non si sa come, Mado trovò
finalmente il coraggio di guardare in faccia colui che era ad un palmo
dal suo viso. Non le stava facendo male; non ancora, almeno. Ma
fino a quando avrebbe mantenuto quella calma? I suoi occhi le fecero
capire che sarebbe stato ancora per poco: da quant'è che non si
guardavano da così vicino?
Forse, non l'avevano mai fatto.
Da
bambini, si diedero un bacio. Ma fu per una volta soltanto, sulla
guancia e sotto costrizione della maestra che li aveva sentiti litigare.
Quella era una situazione ben diversa; molto più intima.
Eppure, anche in quel momento continuavano ad odiarsi, a guardarsi in
cagnesco: avrebbero riso, se non fossero stati loro a viverla quella
bizzarra circostanza.
"Guarda
che a trarre benefici da questa situazione sarò solamente
io."-fu l'unica risposta che decise di offrirgli lui, per tentare di
calmarla. Poi, le afferrò i polsi.
Ovviamente, con quella poca eleganza ottenne l'effetto contrario di
quello sperato, ma poco importava: non era mai stato un tipo galante.
"Posso?"-osò chiederle, lanciando un effimero sguardo più in basso.
"Provaci e ti uccido."
~•~
"Se ho capito bene, addossano tutto il lavoro sulle tue spalle."-le
sussurrò all'orecchio, attorcigliando col dito una ciocca bionda
dei suoi capelli: erano così morbidi; e nella posizione in cui
si trovavano in quel momento, il petto di lei tra le sue braccia,
entrambi sdraiati sullo stesso fianco, Seidou avrebbe potuto perfino
divorarla quella chioma. Se solo avesse voluto, insomma.
"Tu
non ne sai niente."-inveì la donna glaciale, scostando la testa
e allontanandosi dall'uomo dietro di lei. Ma quello la afferrò
nuovamente; stavolta, un po' più forte.
"Sicura?"
"Muori."-disse infine, alzandosi in fretta dal letto su cui era rimasto soltanto il Ghoul. Egli, invece, fece spallucce. Ma
fingeva soltanto di non aver capito cosa avesse infastidito così
tanto l'investigatrice da costringerla a quella scelta.
"Eppure, dovremmo spingerci un po' oltre se vogliamo che quel tip-"
Un tonfo, mille vetri in terra;
una
figura scura con viso coperto e due occhi rossi che producevano la sola
luce, pronta a spezzare la monotonia che aveva regnato fino a
quell'istante nella stanza, si era decisa a fare la tanto attesa
comparsa.
~•~
Era
successo tutto così in fretta: lei aveva avuto soltanto il tempo
di portarsi le mani dinanzi agli occhi come per scudo.
E quando si sentì più sicura, li riaprì nuovamente
per farsi strada in ciò che era accaduto sotto il suo naso, ma a
cui si era rifiutata di assistere.
Tenne il viso coperto per pochissimi minuti; forse, secondi. Ma gli sembrò un'eternità quel tempo al buio. Aveva avuto persino paura per lui,
in quegli attimi. Perché sicuramente il Ghoul non se ne sarebbe
stato con le mani in mano come aveva fatto lei, dinanzi a
quell'assassino.
Ne era sicura.
Riaperti
gli occhi, infatti, fu proprio come ella aveva predetto: il sangue
della donna che si era intrufolata nella sua stanza da letto per
attaccarli, era un po' ovunque.
A quanto pare, quella non aveva fatto nemmeno in tempo a colpirlo, che Takizawa l'aveva già messa al tappeto.
"C-come..."-riuscì
a malapena a balbettare l'investigatrice: vedere il letto e la sua
intera camera ricoperta di sangue doveva essere stato un incubo.
Intanto, l'albino era tutto intero; sdraiato sul letto con gli occhi
socchiusi e le braccia conserte, come se non fosse successo niente.
Come se non avesse compiuto un impresa eccezionale e salvato la sua nemica.
"Il
mio lavoro è finito, giusto?"-chiese sorridendo maliziosamente,
perché già era a conoscenza della risposta alla domanda
fatta per solo scrupolo.
Dal canto suo, la donna annuì meccanicamente, ancora incredula.
Così, lui si alzò; era pronto per andarsene.
"Credo
che tu abbia bisogno di questa."-ammise il Ghoul, prima di affidare
alle mani affusolate della bionda un pezzo di carta. Le sue, invece,
erano insanguinate; la bocca di lei, probabilmente secca, ancora
leggermente aperta dinanzi a quello spettacolo.
"Buona fortuna."-la salutò, e se ne andò.
Ma non per sempre.
Intanto,
il viso di Akira non si era abbassato per analizzare ciò che le
era stato donato e giaceva sui palmi congiunti delle sue mani.
Il suo sguardo, infatti, contemplava ancora il cadavere della donna
castana seduta in terra, con la schiena appoggiata alla parete della
sua stanza: pensò che se non fosse stato per gli occhi rossi
sfoderati contro di loro prima, quel mostro l'avrebbe scambiato per un
umana.
~•~
"Complimenti."-le sorrise Arima, con l'aria stanca di chi non dorme come si deve da giorni.
In
poco tempo, a casa sua erano arrivate diversi colleghi e macchine della
polizia avevano circondato l'isolato, transennato un po' di tutto.
Il cadavere della donna era già stato portato via, per fortuna.
E quel caso, grazie alla foto donatagli dall'albino, poteva dirsi
chiuso.
Ma
lei ancora non riusciva a parlare, a spiegarsi quello che era successo;
a trovare un senso a quell'insieme di peccati che facevano parte del
lavoro:
insomma, lei aveva ucciso.
Non direttamente, certo. Eppure, non aveva fatto niente per impedire ad un mostro di farne a pezzi un altro.
Anzi, si era ordinata di non prendere parte ad un compito che in realtà spettava soltanto a lei.
E nonostante avesse sfruttato un nemico per vincere, aveva vinto e ne stava incassando i meriti.
In
fondo, il suo lavoro era completamente sbagliato: gli investigatori
odiavano i Ghoul e a loro era affidato il solo compito di ucciderli.
Ma, nel frattempo, erano anche costretti a studiarli, a passare giorno
e notte a pensarli; a vedere quelle creature vivere e poi morire.
Erano costretti ad amarli e a volerne sempre più sentir parlare; ad esserne circondati.
"Grazie."
Obbligati
a mentire persino a se stessi, pur di averla vinta sugli aborti di un
mondo imperfetto che comprende anche chi crede di potersi distinguere.
~•~
Microscopiche
gocce di pioggia continuavano, imperterrite, a scagliarsi con
prepotenza sui tetti delle case e sugli ombrelli delle persone in giro
per le strade della città. Ogni tanto, qualche labile raggio di
sole riusciva a sfuggire alle nuvole grigie in cielo. Poi, tornava
tutto come prima.
Ma
neanche il temporale più funesto fa paura, quando si è
sdraiati sul comodo sofà della propria abitazione, al caldo
dinanzi al caminetto, e le voci della gente in televisione coprono i
rumori di fuori.
Anzi, una pioggia torrenziale è la scusa perfetta per prendersi
una giornata di riposo e restarsene a casa a vegetare per tutta la
giornata:
qualunque
collega disposto ad inchinarsi dinanzi alla bravura dimostrata per la
risoluzione di uno dei casi più difficili, da tempo tra le
scartoffie della CCG, avrebbe ammesso che quella pausa Mado se l'era
meritata.
Qualsiasi
investigatore con un briciolo di capacità di rassegnazione, si
sarebbe congratulato con la sua efficienza e l'energia sfoderata ogni
giorno a lavoro.
Qualunque persona in gamba avrebbe promosso una simile eccellenza e
qualsiasi capo avrebbe concesso più libertà ad un'agente
così capace.
E, difatti, l'investigatrice le ricompense le aveva ottenute eccome.
Peccato che non se le meritava affatto tutte quelle smancerie.
Ma, nonostante tutto, si godeva i benefici che ogni bugia che si rispetti comporta.
E se ne stava sdraiata sul comodo divano in pelle, a non lasciarsi
sfuggire una sola parola dalla signorina alta e slanciata che, con voce
particolarmente stentorea per l'aspetto sfoggiato, informava tutti
coloro in ascolto delle notizie della giornata.
Gli
occhi erano fissi sullo schermo del televisore e la luce artificiale
prodotta da quell'apparecchio illuminava il viso della bionda. La mano
scivolava lentamente sul pelo grigio del gatto disteso accanto a lei.
Tutte le finestre erano chiuse e pesanti tende colorate cadevano
morbidamente sui vetri bianchi: era giorno, ma in quella casa non era
mai stato così buio.
Il
Ghoul che già da alcuni anni ha fatto strage di innocenti
è stato finalmente catturato. Si tratta di una donna sulla
ventina, che da un po' di tempo a questa parte ha operato sempre allo
stesso modo, per uccidere le sue prede. Pur essendo una creatura che si
nutre esclusivamente di carne umana, infatti, sembra che non abbia mai
divorato le vittime assalite. Anzi, i loro corpi sono sempre stati
ritrovati rigorosamente intatti, ma coperti di vistose e profonde
ferite da taglio che hanno causato la morte di diversi uomini.
Può confermalo, investigatore Arima?
E
quando la donna dai corti capelli rossi passò la parola ad un
uomo dall'aspetto decisamente familiare, la bionda aguzzò
immediatamente lo sguardo. Poi sorrise debolmente, nel riconoscere
l'ospite del programma che stava seguendo in televisione.
Proprio così.
Addirittura, i tagli sono riconducibili alla Kagune del
Ghoul. Ma non si sarebbero dimostrati letali per la vita di una
persona, se questa avesse ricevuto delle cure mediche immediate. Il
problema è che i delitti portati a termine da quella donna
avvenivano in luoghi chiusi e i corpi, ormai privi di vita delle sue
vittime, venivano rinvenuti dai familiari o dagli amici di quelle
persone, preoccupati per la loro scomparsa, sempre troppo tardi.
La
telecamera tornò ad inquadrare la giornalista di prima, che
annuì fingendo interesse. Seguì uno scambio di sorrisi
cortesi.
Sbaglio,
signor Arima, o voleva concludere ringraziando una sua collega il cui
impegno si è dimostrato cruciale per il corretto svolgimento
delle indagini?
Ma
in poco tempo, il volto di Arima occupava già tutto lo schermo.
Inutile dire che alle parole pronunciate dalla donna in televisione, la
bionda sgranò gli occhi e trasalì così
visibilmente, che il gatto che prima le sedeva accanto scese dal divano
e le si allontanò spaventato.
Esattamente. Il nome dell'investigatrice in questione è Akira Mad-.
Di colpo, il televisore si spense: evidentemente, era saltata la corrente per via del temporale.
Ma la bionda non ne rimase affatto delusa.
Nel
frattempo, non c'erano più le voci di estranei a colmare
l'insopportabile silenzio che comportano le bugie e la sua coscienza
iniziava a parlare per lei, mentre una feroce folata di vento, ad un
tratto, fece sbattere l'unica finestra rimasta aperta per sbaglio.
~•~
La
pioggia era cessata, e finalmente era riuscita ad uscire di casa. Il
luogo raggiunto era proprio quello menzionato nell'ennesimo foglio
stropicciato, trovato nella cassetta della posta:
quel mostro era in ritardo.
E
lo aspettò così tanto, che ebbe il tempo di formulare un
lungo discorso di senso compiuto. Eppure, quando se lo ritrovò
dinanzi, non rinvenne il coraggio di scusarsi o di ringraziarlo; ma si
scordò di ogni premura che si era imposta di condividere con
lui, convinta che se le meritasse pienamente.
"Alla fine, ti hanno promossa."-ammise l'albino sorridendo. Ma nel suo sorriso c'era un non so che di finto e costruito; o, forse, nostalgico.
Il
viso le si abbassò indipendentemente dalla sua volontà. E
dinanzi al gesto che non si sarebbe mai aspettato da parte della sua
vecchia collega, Takizawa rimase di stucco.
"Perché?"-fu la sola cosa che lei riuscì a dire.
L'albino, intanto, non poteva scrutargli né il volto piegato né lo sguardo rivolto in terra.
Ma giurò di aver scorto del mero pentimento nella sua voce.
E la posizione che aveva assunto in quel momento, per lui, valeva
più di qualunque scusa, o qualsiasi ringraziamento in grado di
sostituirla:
in fondo, Akira era una bugiarda; una traditrice.
Ma lui, in tutta la sua vita, non era mai stato da meno; un perdente con il solo desiderio di ricompense.
"Perché mi hai aiutata?"-chiese
la donna disperata, alzando di colpo il viso e puntandolo contro il
Ghoul. Ai margini degli occhi lucidi nemmeno una lacrima.
E a quelle parole l'albino fu costretto a lasciarsi sfuggire una
risata: sicuramente, scorgere per la prima volta della confusione, nei
delicati tratti del viso, sempre immobili e impegnati a celare la
verità, della donna, gli fece provare un senso di intima
soddisfazione così immenso e indescrivibile, da non riuscire ad
essere celato con tanta semplicità.
L'investigatrice intanto deglutì, dinanzi a quella risata quasi isterica.
Fino
a quando non si accorse di non riuscire più a toccare il suolo
con i piedi. E la vista del braccio del suo nemico teso verso di lei e
il suo collo, imprigionato dalle dita della mano destra dell'uomo, la
spaventò non poco: era stato così veloce, da coglierla impreparata.
Sollevata
a mezz'aria com'era si sentiva impotente: la presa sulla sua pelle
diventava sempre più decisa, e quella morsa le stava facendo
seccare la gola.
"Cosa hai detto? Non ho sentito bene."
"P-per...c-ché..."
L'albino
rise ancora; stavolta in modo più contenuto. Poi,
accorciò la distanza che lo separava dalla bionda, senza
allentare la stretta con la quale era in grado di dominarla.
"Cosa?"-le
sussurrò all'orecchio, sorridendo con malizia. Fino a quando si
rese conto che se fosse andato avanti in quel modo, tra le sue dita, la
donna sarebbe morta, dato che vide i suoi occhi iniziare a socchiudersi.
Perciò, lasciò andare il suo collo.
E il vederla atterrare a terra in modo così scomposto, lo fece ridere per l'ennesima volta.
Poi, si voltò e fece per andarsene.
Ma bastarono solo pochi minuti, e l'investigatrice aveva recuperato il minimo delle forze necessarie per parlare.
"Perché mi hai aiutata?"-inveì
con tutta la rabbia che aveva in corpo, ma le parole erano uscite dalla
sua bocca strozzate. Come se ancora quella mano fosse a stringerle il
collo.
Ripeté quella frase più e più volte. Ad ogni ripetizione, ci metteva più energia.
Ma alla decima, si accasciò al suolo disperata.
Vederla
arrendersi in quel modo fece smuovere qualcosa in quell'animo nero come
la pece, che ad un tratto smise di avanzare nella direzione opposta a
quella in cui si trovava la bionda e si fermò, per poi voltarsi.
Sorrise ancora una volta.
Ma, allora, si trattò di un sorriso semplice e sincero; forse il primo della sua vita e di quella giornata.
"Perché
se proprio al mondo deve esistere una persona che può ucciderti,
quella ho bisogno di essere io."-confessò e se ne andò.
Quella volta quasi per sempre.
Mentre
Akira, soddisfatta, sorrise debolmente, ancora nella medesima posizione
di prima; ancora sdraiata in terra, a mangiare un po' di terriccio
bagnato.
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