Sbagli, bugie e frammenti di verità

di Mellololo
(/viewuser.php?uid=1038360)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Inaspettata richiesta di aiuto ***
Capitolo 2: *** 2. Caduco addio ***
Capitolo 3: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Inaspettata richiesta di aiuto ***


Quel giorno, il suo capo l'aveva trattenuta al lavoro fino a tarda sera: era solito imporle degli orari fuori mano, per una giovane donna della sua età. E non se ne preoccupava affatto.

Con una scusa qualsiasi, la convinceva che ci fosse una montagna di scartoffie da compilare e rinnovava la bugia circa ogni due ore, accorgendosi che la bionda aveva appena terminato il nuovo compito assegnatole.
E così le scartoffie sulla sua scrivania si moltiplicavano, senza una ragione ben precisa.

Il solo motivo che spiegasse tale meccanismo burocratico che si era costruito attorno a lei era il fatto che Mado fosse una dei pochi veterani, rimasti ancora in vita, di quello che era diventato una sorta di circolo ricreativo, dopo la morte di parecchi investigatori durante l'assalto all'Anteiku.

E la giovane aveva bene afferrato il concetto di responsabilità che le era stato affidato e gravava ogni giorno sulle sue spalle: un aiuto le avrebbe fatto piacere, certo. Ma chiederlo e ammettere le proprie debolezze richiedeva fin troppo tempo.
In fondo, lei non aveva nemmeno una famiglia a cui provvedere o altri impegni che fossero al centro dei suoi pensieri. Perciò, poteva lavorare quanto era necessario.

Decise, pertanto, di accettare con un sorriso anche l'ennesimo incarico garantitogli.
Quella volta, un po' più impossibile di tutti gli altri.
 
~•~
 
L'ufficio in cui si ritrovava ogni sera prima di congedarsi e potersene tornare a casa non era il suo, ma lo conosceva bene ugualmente.
Ci era entrata così tante volte, che era difficile che la sua memoria attenta non facesse il modo di fissare per bene in sé tutti i dettagli che lo caratterizzavano.

Il ritorno era una routine, oramai.

Due tocchi alla porta con la sua mano affusolata emettevano una sensazione dolce e quasi impossibile da udire.
Ma Arima riusciva a farlo, perché a quell'ora non poteva che essere la sua subordinata e nessun altro, a cercarlo e volergli parlare.

Permesso di entrare nella stanza accordato, i passi che la separavano, una volta aperta la porta, dalla scrivania dinanzi a cui sedeva il suo capo, non erano troppi.
Il suono prodotto dal tacco delle scarpe che si appoggiava al pavimento di legno e quello della biro nera tra le mani dell'albino erano gli unici udibili; i soli con il coraggio necessario per spezzare il silenzio della notte.

Dall'esterno, la luce ancora accesa di pochissimi uffici era possibile notare.

"Io ho finito. Se permetti, tornerei a casa, Arima."-proferì la donna, posizionatasi dinanzi la scrivania dell'uomo con il capo chino e intento a esaminare i fogli su cui giaceva il suo organo prensile e continuava a muoversi da destra verso sinistra. Tutto d'un tratto, l'investigatore alzò la testa a mezz'aria, per puntarla contro la sua ospite: gli occhi stanchi, lo sguardo quasi assente, i capelli corti scompigliati per via della mano che era solito portarsi sulla testa per grattarsela mentre lavorava, l'aria stordita che assumeva, indipendentemente dalla sua volontà, ogni volta, lo rendevano veramente poco credibile.
E anche in quel momento, la giovane dovette trattenere una risata. Non ci riuscì, se non muovendo il capo; rivolgendolo altrove.

La sua attenzione venne catturata da uno dei tanti Maneki Neko appoggiati sugli scaffali della immensa libreria. Ma quello che aveva subito notato lei, quella sera come tutte, era il più bello: le piaceva molto il gatto della fortuna sorridente e bianco di Arima; le ricordava il suo.

E il movimento per far tornare la testa dritta verso l'albino fu di una velocità unica. Egli, intanto, toltasi la minuta montatura chiara adagiata sul naso, affidò per un attimo le lenti al tavolo, per massaggiarsi un po' le tempie con le dita.
"A quel caso..."-incominciò la frase, e gli occhiali dapprima passarono alle mani, poi tornarono subito al loro posto, mentre gli occhi erano ancora socchiusi come durante il massaggio.
"...penserai tu, vero?"-domandò alla sua subordinata, schiudendo di colpo gli occhi e lanciandole uno sguardo severo al punto giusto.

Akira deglutì. Ma permise alla paura di essere un tratto evidente della sua espressione soltanto per poco. Poi, la mandò via.

"Sissignore."-fu la risposta della bionda, le cui mani erano incrociate sulla parte finale del ventre. Un inchino cortese, ed era già dinanzi la porta, pronta per andarsene.
"Arrivederci."-salutò, ma non ricevette alcun suono di rimando. Soltanto quando superò l'uscio della porta ed era pronta a chiuderla, puntato lo sguardo sul suo capo, l'investigatrice si accorse che quello non aveva mai smesso di guardarla con un sorriso a fior di labbra che gli illuminava il volto.
"Grazie."-fu la parola che pose fine ad un discorso flemmatico, come i tanti consumati in quel posto.

Grazie.

Era la millesima volta che la ringraziava di obbedirlo in quel modo così pacato e costante. E per merito della sua correttezza, Akira si era guadagnata fiducia e stima un po' da parte di tutti, alla CCG.
Ma era davvero così stanca di continuare a lottare con tanta caparbia, mentre gli altri si prendevano il merito delle sue conquiste.

Era così sola, oramai.
 
~•~
 
Quel Ghoul è una novità tra gli archivi della CCG. Ma non è stato così difficile, per lui, farsi notare ai nostri occhi. È un assassino, e non uccide per sola fame. Credo che brami di vedere gli uomini stesi al suolo.
Le parole di Arima le risuonavano nella testa: l'ultimo caso che l'albino le aveva affidato non riusciva proprio a scordarselo.
Nemmeno per un attimo, quel mostro evadeva dai suoi pensieri. Anzi, anche a casa, il lavoro era la sola cosa che la impegnasse a tempo pieno.

Si udì un tintinnio di chiavi e il debole scricchiolio di una porta che si apriva, mentre il buio era calato da un pezzo su uno dei quartieri più rinomati della città.
Akira non abitava lì; quella era la casa dei suoi genitori. Ma il suo piccolo appartamento, situato in mezzo al nulla, tra abitazioni oramai vuote e gente poco raccomandabile, era diventato troppo costoso per lei. E non valeva la pena di pagare così tanto, per poche stanze e urla anonime che, all'improvviso, spezzavano il silenzio della notte.

S'era, pertanto, avvalsa dei sacrifici che i genitori avevano fatto quando erano ancora in vita, e si era impossessata della casa in cui aveva trascorso l'infanzia: quell'abitazione era molto capiente.
Non che gli servisse più spazio, ma, in quelle quattro mura, era come rivivere il suo passato. E questo le stava bene.

Non le ci volle molto, inoltre, per abituarsi.
E in poco tempo era riuscita a riempire il vuoto che prima quelle stanze sfoggiavano con le sue cose, rimpiazzato ciò che non era di suo gradimento, e sistemato negli armadi i vestiti del padre: non aveva avuto il coraggio, invece, di buttare anche quelli.

Una volta aperto il maestoso portone, rivolse il suo sguardo in terra. E Maris Stella era lì, come sempre, ad aspettarla.
Sbrigate le faccende in cucina e preparata una piccola cena per sé, raggiunse il piano di sopra, dove erano situate le camere da letto.

Si spogliò in fretta, perché non vedeva l'ora di andare a dormire. Brividi le percorsero effimeramente la schiena, quando si ritrovò nuda delle sue vesti.
Un veloce sguardo alla finestra chiusa, e si accorse che aveva iniziato a piovere: non poté fare a meno di pensare a quello.

Si infilò nella doccia e lasciò che l'acqua calda la riscaldasse e che le gocce le rigassero il corpo e l'animo.
Ti sembrerà strano, ma le sue prede sono esclusivamente giovani innamorati. Li coglie di sorpresa in casa, e li uccide senza divorarli.
Spero davvero che ti venga in mente un piano.

Assieme all'acqua, scorrevano anche le preoccupazioni inerenti al lavoro e al nuovo caso affibbiatole.

Come sempre, poi, si sentiva osservata.

Si sentiva spiata anche mentre si lavava: era davvero possibile?

Ma nemmeno il pensiero che qualcuno stesse tramando alle sue spalle, riuscì ad impedire alle lacrime della donna di confondersi con le altre stille.
 
~•~
 
Dopo un po' di tempo, la bionda uscì dal bagno.

Fece un giro per casa, mentre lasciava d'ovunque andava un odore di buono e pulito. Un misto di lavanda e rosa invase dolcemente l'aria. E mentre si muoveva per le stanze vuote, la sola veste che copriva gran parte del suo corpo nudo era un accappatoio bianco, che si sposava perfettamente con la carnagione chiara dell'investigatrice.

Nel calore che si era creato e aleggiava tra l'asciugamano che la avvolgeva e la sua pelle, si sentiva al sicuro e stava bene.
Ma la folata di vento gelido che la colpì all'improvviso, raggiunta la sua camera, la fece tremare tutta: quando si affrettò e corse a chiuderla, non si ricordò di aver lasciato la finestra aperta.

Un po' perplessa per tale arcano, uno sbadiglio che proprio non riuscì a evitare le fece ricordare tutta la stanchezza che aveva accumulato quel giorno.
Quindi, la donna decise di lasciare il resto all'indomani e incolpò di quel momento di distrazione la spossatezza dovuta agli impegni lavorativi. Indossò la camicia da notte, quando sul letto notò una lettera.

Si sedette all'estremità del materasso e prese tra le mani il foglio di carta di cui proprio non ricordava la provenienza: quella calligrafia, i contenuti che trapelavano dalle righe del messaggio potevano voler dire una cosa soltanto.

Potevano voler indicare una persona soltanto.

Compreso quanto c'era da comprendere, l'investigatrice si affacciò alla finestra. Liberatasi delle tendine, diede un'occhiata alla strada, ai passanti e alle auto ancora in giro, nonostante il maltempo: allora, aveva finalmente deciso di cercarla.

Rabbrividì pensando a com'era diventato il suo vecchio collega. Si infilò tra le coperte, ma non poté far a meno di far notare a se stessa che non importava quanto ne avesse paura;

lei aveva bisogno di lui.
~•~
 
"Cosa vuoi?"-fu l'unica cosa che l'investigatrice ebbe il coraggio di chiedergli, raggiunto il luogo menzionato nella lettera ricevuta. In realtà, avrebbe voluto domandargli tante altre cose.

Se stava bene o aveva sofferto, magari.

Nella sua testa suonava tutto più facile, ma l'emozione del momento la distolse da ogni cosa che aveva pianificato: allora, avevano ragione.

Era vivo.

Vivo davvero.

"Te."-rispose secco il Ghoul, senza guardare la sua interlocutrice in volto e provocandole un sobbalzo. Da quando era arrivata, non si era degnato di rivolgerle uno sguardo: lei aveva paura; ma non era la sola.
E sebbene la donna non riuscisse a scrutargli gli occhi, la sua nuova immagine le era perfettamente chiara: i lunghi capelli bianchi, gli stracci neri con cui aveva coperto parte della testa e della chioma disordinata e tutto il corpo esile lo rendevano diverso dal solito. Un po' più temibile, forse.

"Insomma, che tu sia salva."-si corresse egli dopo un po', con la stessa tranquillità di prima. Poi, alzò finalmente il capo. Dinanzi a sé, la bionda era immobile e rigida: lo sapeva, ne era sicura; lui l'avrebbe uccisa, un giorno.
Mentre lei voleva soltanto salvarlo.

E accettò ugualmente l'aiuto che il Ghoul le aveva promesso nella lettera, non soltanto perché ne avesse necessariamente bisogno.

Ma perché, in fondo, anche lei voleva solamente lui.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2. Caduco addio ***


1.

La luce soffusa che non riusciva ad illuminare nemmeno i loro visi, e i respiri affannosi che si mischiavano con l'aria della notte come un fiume che scorre e scorre, fino a sfociare nell'oceano.

I movimenti compiuti in quella stanza erano così lenti e deboli che il materasso sul quale giacevano non emetteva alcun suono udibile. Lei distesa supina sotto di lui, che la guardava con un visibile sorriso beffardo. Gli occhi rosa socchiusi e le labbra che ogni tanto si storcevano in una smorfia, le mani che ad un tratto partivano all'attacco come a voler dare una sberla al Ghoul, ma che poi ritornavano al loro posto, sul cuscino, a stringere le lenzuola bianche: quando glielo aveva proposto la prima volta, avrebbe voluto ucciderlo. Poi ci pensò bene, e quello era l'unico modo per cavarsela assieme e guadagnarsi il successo; la promozione.

Erano lì lì per fare l'amore. O, forse, era semplice accanimento nei confronti del corpo dell'altro.

Ma non c'era bisogno di saperlo per certo, per continuare.

L'albino sistemava, ogni tanto, tra i denti una porzione della pelle della donna, senza farle troppo male, mentre lei lo lasciava fare. 
Per quasi dieci minuti quei due andarono avanti in quel modo, in silenzio. Poi, qualcosa cambiò.

"Come facevi a sapere di questo caso?"-la labile voce dell'investigatrice era spezzata da gemiti e affanni. Nella mente del Ghoul, intanto, soltanto un pensiero riusciva a sopraffare gli altri: davvero bastava così poco, per farle venire le lacrime agli occhi e le guance rosse? Seidou non riusciva proprio a credere che gli era stata concessa la possibilità di ridurre in quel modo la persona più forte che conosceva sin da bambino, senza doversi nemmeno impegnare più di tanto. 
In fondo, erano solo baci per un uomo;

ma per una donna cosa rappresentavano quelle effusioni?

"Se ti faccio male, stringi la mia mano."-le ordinò, afferrando la mano della donna e facendole capire che non avrebbe mai risposto alla sua domanda.

Forse, perché lui stesso non sapeva quello che stava facendo.

"Perché?"-a sua volta, tagliò corto la donna mantenendo ancora gli occhi socchiusi.

"Perché mi stai aiutando?"-finita la frase, non si sa come, Mado trovò finalmente il coraggio di guardare in faccia colui che era ad un palmo dal suo viso. Non le stava facendo male; non ancora, almeno. Ma fino a quando avrebbe mantenuto quella calma? I suoi occhi le fecero capire che sarebbe stato ancora per poco: da quant'è che non si guardavano da così vicino?

Forse, non l'avevano mai fatto.

Da bambini, si diedero un bacio. Ma fu per una volta soltanto, sulla guancia e sotto costrizione della maestra che li aveva sentiti litigare.
Quella era una situazione ben diversa; molto più intima. Eppure, anche in quel momento continuavano ad odiarsi, a guardarsi in cagnesco: avrebbero riso, se non fossero stati loro a viverla quella bizzarra circostanza.

"Guarda che a trarre benefici da questa situazione sarò solamente io."-fu l'unica risposta che decise di offrirgli lui, per tentare di calmarla. Poi, le afferrò i polsi.
Ovviamente, con quella poca eleganza ottenne l'effetto contrario di quello sperato, ma poco importava: non era mai stato un tipo galante.

"Posso?"-osò chiederle, lanciando un effimero sguardo più in basso.

"Provaci e ti uccido."

~•~

"Se ho capito bene, addossano tutto il lavoro sulle tue spalle."-le sussurrò all'orecchio, attorcigliando col dito una ciocca bionda dei suoi capelli: erano così morbidi; e nella posizione in cui si trovavano in quel momento, il petto di lei tra le sue braccia, entrambi sdraiati sullo stesso fianco, Seidou avrebbe potuto perfino divorarla quella chioma. Se solo avesse voluto, insomma.

"Tu non ne sai niente."-inveì la donna glaciale, scostando la testa e allontanandosi dall'uomo dietro di lei. Ma quello la afferrò nuovamente; stavolta, un po' più forte.

"Sicura?"

"Muori."-disse infine, alzandosi in fretta dal letto su cui era rimasto soltanto il Ghoul. Egli, invece, fece spallucce. Ma fingeva soltanto di non aver capito cosa avesse infastidito così tanto l'investigatrice da costringerla a quella scelta.

"Eppure, dovremmo spingerci un po' oltre se vogliamo che quel tip-"

Un tonfo, mille vetri in terra;

una figura scura con viso coperto e due occhi rossi che producevano la sola luce, pronta a spezzare la monotonia che aveva regnato fino a quell'istante nella stanza, si era decisa a fare la tanto attesa comparsa.

~•~

Era successo tutto così in fretta: lei aveva avuto soltanto il tempo di portarsi le mani dinanzi agli occhi come per scudo. 
E quando si sentì più sicura, li riaprì nuovamente per farsi strada in ciò che era accaduto sotto il suo naso, ma a cui si era rifiutata di assistere.

Tenne il viso coperto per pochissimi minuti; forse, secondi. Ma gli sembrò un'eternità quel tempo al buio. Aveva avuto persino paura per lui, in quegli attimi. Perché sicuramente il Ghoul non se ne sarebbe stato con le mani in mano come aveva fatto lei, dinanzi a quell'assassino.

Ne era sicura.

Riaperti gli occhi, infatti, fu proprio come ella aveva predetto: il sangue della donna che si era intrufolata nella sua stanza da letto per attaccarli, era un po' ovunque. 
A quanto pare, quella non aveva fatto nemmeno in tempo a colpirlo, che Takizawa l'aveva già messa al tappeto.

"C-come..."-riuscì a malapena a balbettare l'investigatrice: vedere il letto e la sua intera camera ricoperta di sangue doveva essere stato un incubo. Intanto, l'albino era tutto intero; sdraiato sul letto con gli occhi socchiusi e le braccia conserte, come se non fosse successo niente.

Come se non avesse compiuto un impresa eccezionale e salvato la sua nemica.

"Il mio lavoro è finito, giusto?"-chiese sorridendo maliziosamente, perché già era a conoscenza della risposta alla domanda fatta per solo scrupolo.

Dal canto suo, la donna annuì meccanicamente, ancora incredula. 
Così, lui si alzò; era pronto per andarsene.

"Credo che tu abbia bisogno di questa."-ammise il Ghoul, prima di affidare alle mani affusolate della bionda un pezzo di carta. Le sue, invece, erano insanguinate; la bocca di lei, probabilmente secca, ancora leggermente aperta dinanzi a quello spettacolo.

"Buona fortuna."-la salutò, e se ne andò.

Ma non per sempre.

Intanto, il viso di Akira non si era abbassato per analizzare ciò che le era stato donato e giaceva sui palmi congiunti delle sue mani. 
Il suo sguardo, infatti, contemplava ancora il cadavere della donna castana seduta in terra, con la schiena appoggiata alla parete della sua stanza: pensò che se non fosse stato per gli occhi rossi sfoderati contro di loro prima, quel mostro l'avrebbe scambiato per un umana.

~•~

"Complimenti."-le sorrise Arima, con l'aria stanca di chi non dorme come si deve da giorni.

In poco tempo, a casa sua erano arrivate diversi colleghi e macchine della polizia avevano circondato l'isolato, transennato un po' di tutto.
Il cadavere della donna era già stato portato via, per fortuna. E quel caso, grazie alla foto donatagli dall'albino, poteva dirsi chiuso.

Ma lei ancora non riusciva a parlare, a spiegarsi quello che era successo; a trovare un senso a quell'insieme di peccati che facevano parte del lavoro:

insomma, lei aveva ucciso.

Non direttamente, certo. Eppure, non aveva fatto niente per impedire ad un mostro di farne a pezzi un altro. 
Anzi, si era ordinata di non prendere parte ad un compito che in realtà spettava soltanto a lei.
E nonostante avesse sfruttato un nemico per vincere, aveva vinto e ne stava incassando i meriti.

In fondo, il suo lavoro era completamente sbagliato: gli investigatori odiavano i Ghoul e a loro era affidato il solo compito di ucciderli. Ma, nel frattempo, erano anche costretti a studiarli, a passare giorno e notte a pensarli; a vedere quelle creature vivere e poi morire.

Erano costretti ad amarli e a volerne sempre più sentir parlare; ad esserne circondati.

"Grazie."

Obbligati a mentire persino a se stessi, pur di averla vinta sugli aborti di un mondo imperfetto che comprende anche chi crede di potersi distinguere.

~•~

Microscopiche gocce di pioggia continuavano, imperterrite, a scagliarsi con prepotenza sui tetti delle case e sugli ombrelli delle persone in giro per le strade della città. Ogni tanto, qualche labile raggio di sole riusciva a sfuggire alle nuvole grigie in cielo. Poi, tornava tutto come prima.

Ma neanche il temporale più funesto fa paura, quando si è sdraiati sul comodo sofà della propria abitazione, al caldo dinanzi al caminetto, e le voci della gente in televisione coprono i rumori di fuori.
Anzi, una pioggia torrenziale è la scusa perfetta per prendersi una giornata di riposo e restarsene a casa a vegetare per tutta la giornata:

qualunque collega disposto ad inchinarsi dinanzi alla bravura dimostrata per la risoluzione di uno dei casi più difficili, da tempo tra le scartoffie della CCG, avrebbe ammesso che quella pausa Mado se l'era meritata.

Qualsiasi investigatore con un briciolo di capacità di rassegnazione, si sarebbe congratulato con la sua efficienza e l'energia sfoderata ogni giorno a lavoro.
Qualunque persona in gamba avrebbe promosso una simile eccellenza e qualsiasi capo avrebbe concesso più libertà ad un'agente così capace.

E, difatti, l'investigatrice le ricompense le aveva ottenute eccome.

Peccato che non se le meritava affatto tutte quelle smancerie.

Ma, nonostante tutto, si godeva i benefici che ogni bugia che si rispetti comporta. 
E se ne stava sdraiata sul comodo divano in pelle, a non lasciarsi sfuggire una sola parola dalla signorina alta e slanciata che, con voce particolarmente stentorea per l'aspetto sfoggiato, informava tutti coloro in ascolto delle notizie della giornata.

Gli occhi erano fissi sullo schermo del televisore e la luce artificiale prodotta da quell'apparecchio illuminava il viso della bionda. La mano scivolava lentamente sul pelo grigio del gatto disteso accanto a lei. 
Tutte le finestre erano chiuse e pesanti tende colorate cadevano morbidamente sui vetri bianchi: era giorno, ma in quella casa non era mai stato così buio.

Il Ghoul che già da alcuni anni ha fatto strage di innocenti è stato finalmente catturato. Si tratta di una donna sulla ventina, che da un po' di tempo a questa parte ha operato sempre allo stesso modo, per uccidere le sue prede. Pur essendo una creatura che si nutre esclusivamente di carne umana, infatti, sembra che non abbia mai divorato le vittime assalite. Anzi, i loro corpi sono sempre stati ritrovati rigorosamente intatti, ma coperti di vistose e profonde ferite da taglio che hanno causato la morte di diversi uomini. 
Può confermalo, investigatore Arima?

E quando la donna dai corti capelli rossi passò la parola ad un uomo dall'aspetto decisamente familiare, la bionda aguzzò immediatamente lo sguardo. Poi sorrise debolmente, nel riconoscere l'ospite del programma che stava seguendo in televisione.

Proprio così. 
Addirittura, i tagli sono riconducibili alla Kagune del Ghoul. Ma non si sarebbero dimostrati letali per la vita di una persona, se questa avesse ricevuto delle cure mediche immediate. Il problema è che i delitti portati a termine da quella donna avvenivano in luoghi chiusi e i corpi, ormai privi di vita delle sue vittime, venivano rinvenuti dai familiari o dagli amici di quelle persone, preoccupati per la loro scomparsa, sempre troppo tardi.

La telecamera tornò ad inquadrare la giornalista di prima, che annuì fingendo interesse. Seguì uno scambio di sorrisi cortesi.

Sbaglio, signor Arima, o voleva concludere ringraziando una sua collega il cui impegno si è dimostrato cruciale per il corretto svolgimento delle indagini?

Ma in poco tempo, il volto di Arima occupava già tutto lo schermo. Inutile dire che alle parole pronunciate dalla donna in televisione, la bionda sgranò gli occhi e trasalì così visibilmente, che il gatto che prima le sedeva accanto scese dal divano e le si allontanò spaventato.

Esattamente. Il nome dell'investigatrice in questione è Akira Mad-.

Di colpo, il televisore si spense: evidentemente, era saltata la corrente per via del temporale.

Ma la bionda non ne rimase affatto delusa.

Nel frattempo, non c'erano più le voci di estranei a colmare l'insopportabile silenzio che comportano le bugie e la sua coscienza iniziava a parlare per lei, mentre una feroce folata di vento, ad un tratto, fece sbattere l'unica finestra rimasta aperta per sbaglio.

~•~

La pioggia era cessata, e finalmente era riuscita ad uscire di casa. Il luogo raggiunto era proprio quello menzionato nell'ennesimo foglio stropicciato, trovato nella cassetta della posta:

quel mostro era in ritardo.

E lo aspettò così tanto, che ebbe il tempo di formulare un lungo discorso di senso compiuto. Eppure, quando se lo ritrovò dinanzi, non rinvenne il coraggio di scusarsi o di ringraziarlo; ma si scordò di ogni premura che si era imposta di condividere con lui, convinta che se le meritasse pienamente.

"Alla fine, ti hanno promossa."-ammise l'albino sorridendo. Ma nel suo sorriso c'era un non so che di finto e costruito; o, forse, nostalgico.

Il viso le si abbassò indipendentemente dalla sua volontà. E dinanzi al gesto che non si sarebbe mai aspettato da parte della sua vecchia collega, Takizawa rimase di stucco.

"Perché?"-fu la sola cosa che lei riuscì a dire.

L'albino, intanto, non poteva scrutargli né il volto piegato né lo sguardo rivolto in terra.
Ma giurò di aver scorto del mero pentimento nella sua voce. 
E la posizione che aveva assunto in quel momento, per lui, valeva più di qualunque scusa, o qualsiasi ringraziamento in grado di sostituirla:

in fondo, Akira era una bugiarda; una traditrice.

Ma lui, in tutta la sua vita, non era mai stato da meno; un perdente con il solo desiderio di ricompense.

"Perché mi hai aiutata?"-chiese la donna disperata, alzando di colpo il viso e puntandolo contro il Ghoul. Ai margini degli occhi lucidi nemmeno una lacrima.
E a quelle parole l'albino fu costretto a lasciarsi sfuggire una risata: sicuramente, scorgere per la prima volta della confusione, nei delicati tratti del viso, sempre immobili e impegnati a celare la verità, della donna, gli fece provare un senso di intima soddisfazione così immenso e indescrivibile, da non riuscire ad essere celato con tanta semplicità.

L'investigatrice intanto deglutì, dinanzi a quella risata quasi isterica.

Fino a quando non si accorse di non riuscire più a toccare il suolo con i piedi. E la vista del braccio del suo nemico teso verso di lei e il suo collo, imprigionato dalle dita della mano destra dell'uomo, la spaventò non poco: era stato così veloce, da coglierla impreparata.

Sollevata a mezz'aria com'era si sentiva impotente: la presa sulla sua pelle diventava sempre più decisa, e quella morsa le stava facendo seccare la gola.

"Cosa hai detto? Non ho sentito bene."

"P-per...c-ché..."

L'albino rise ancora; stavolta in modo più contenuto. Poi, accorciò la distanza che lo separava dalla bionda, senza allentare la stretta con la quale era in grado di dominarla.

"Cosa?"-le sussurrò all'orecchio, sorridendo con malizia. Fino a quando si rese conto che se fosse andato avanti in quel modo, tra le sue dita, la donna sarebbe morta, dato che vide i suoi occhi iniziare a socchiudersi.

Perciò, lasciò andare il suo collo.

E il vederla atterrare a terra in modo così scomposto, lo fece ridere per l'ennesima volta.

Poi, si voltò e fece per andarsene.

Ma bastarono solo pochi minuti, e l'investigatrice aveva recuperato il minimo delle forze necessarie per parlare.

"Perché mi hai aiutata?"-inveì con tutta la rabbia che aveva in corpo, ma le parole erano uscite dalla sua bocca strozzate. Come se ancora quella mano fosse a stringerle il collo. 
Ripeté quella frase più e più volte. Ad ogni ripetizione, ci metteva più energia. 
Ma alla decima, si accasciò al suolo disperata.

Vederla arrendersi in quel modo fece smuovere qualcosa in quell'animo nero come la pece, che ad un tratto smise di avanzare nella direzione opposta a quella in cui si trovava la bionda e si fermò, per poi voltarsi.

Sorrise ancora una volta.

Ma, allora, si trattò di un sorriso semplice e sincero; forse il primo della sua vita e di quella giornata.

"Perché se proprio al mondo deve esistere una persona che può ucciderti, quella ho bisogno di essere io."-confessò e se ne andò.

Quella volta quasi per sempre.

Mentre Akira, soddisfatta, sorrise debolmente, ancora nella medesima posizione di prima; ancora sdraiata in terra, a mangiare un po' di terriccio bagnato.


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Epilogo ***


1.

Il viso triste contemplava ancora quella fotografia: era inutile, non riusciva a pensare ad altro.

Nemmeno il debole scricchiolio della porta che si apriva riuscì a distoglierla da quei due volti sorridenti e dai residui delle righe scritte in corsivo e con la penna cancellabile. Tanto che quando si ritrovò Arima accanto a lei, non si spaventò minimamente. Come se fosse normale ritrovarselo in ogni dove, e anche nel bagno delle donne.

E soltanto dopo un po', si accorse del riflesso del viso dell'uomo, accanto al suo nello specchio. 
Così, si girò a guardarlo con gli occhi spenti di chi ha appena perso una persona cara.

"Pensi ancora a quella?"-chiese l'albino, facendo un cenno col capo e indicando la foto che la bionda stringeva tra le mani.

A quella domanda, Akira sorrise: come poteva pensare ancora alla storia di quel mostro?

"È una storia triste."-ammise l'investigatore, per poi ricambiare quel gesto e incurvare debolmente le labbra. La donna annuì.

"Perdere la persona con la quale si ha scelto di condividere la propria vita, e giurare di impedire a chiunque altro di provare lo stesso sentimento."

Mentre parlava, l'investigatrice scorse negli occhi del suo capo un velo di malinconia. Poi, prese a specchiarsi nuovamente nello specchio e continuò a osservare il suo viso grazie a quello strumento.
Ma, ad un tratto, qualcosa nel tono dell'albino cambiò e un'espressione seria prese il posto di una più sincera.

"Ma non pensarci troppo. Dopotutto, era soltanto un egoista."-proferì, prima di incamminarsi verso l'uscita di un luogo in cui, in una situazione diversa, non avrebbe potuto recarsi.

Per svariati minuti, il suono dei suoi passi spezzò il silenzio creatosi.

"In fondo, questo la rende un po' più simile a noi. Giusto?"-disse la bionda di rimando, con un sorriso a trentadue denti, ma colmo di tristezza: gli occhi socchiusi gli conferivano un aspetto ancora più sconsolato.

E nemmeno Akira sapeva più cosa stava dicendo.

Una lacrima gli aveva persino rigato la guancia, e lei non si era preoccupata di trattenerla per non sembrare una sciocca.

~•~

Minuscoli fiocchi di neve continuavano a cadere sulla città e a tingerla di un bianco puro e immacolato.

Sotto l'ombrello, un po' meno candida, passeggiava lei.

Era appena uscita dal suo studio, e aveva deciso di spendere un po' del suo tempo fuori, al gelo: erano passati quattro mesi dalla discussione meno piacevole che avevano mai avuto.

Quattro mesi, e ancora quell'idiota non si era fatto vedere.

Aveva promesso, giurato di ucciderla.

Eppure, non aveva ancora portato a termine la sua prima mossa.

Ma non aveva importanza: lei lo avrebbe aspettato.

Avrebbe atteso con ansia il momento in cui sarebbe tornato per ucciderla e mettere fine alla monotonia in cui oramai si era trasformata la sua immeritatamente longeva esistenza: combattere i Ghoul, fare carriera non gli erano mai importati.

L'unica cosa che la rendeva felice di essere stata costretta a scegliere la vita alla CCG erano i suoi colleghi.

Anche essi, spariti per sempre.

Tutto: aveva perso tutto.

Prima sua madre, poi suo padre e, infine, Amon.

Era stata davvero così crudele da meritarsi la solitudine in cui viveva?

Forse, lo era stata senza accorgersene.

Ma non aveva importanza.

Nulla aveva più importanza.

E proprio per questo, tutto doveva finire.

La sua flaccida vita doveva giungere al termine.

Ecco, perché l'avrebbe aspettato.

In fondo, lei voleva tutto di lui; il suo corpo e la sua mente.

Lui, invece, voleva soltanto la sua testa.

Insomma, se lo erano detto apertamente.

Mentendosi, per l'ennesima volta.

E lo avrebbe aspettato tutta la vita, se ce ne fosse stato bisogno.

Lo avrebbe aspettato con la foto che lui stesso aveva scippato alla vittima del loro complotto.

La foto dei due giovani con le gote rosse, gli occhi lucidi e i nasi così vicini da lambirsi; le labbra desiderose di quelle dell'altro.

La foto di due giovani incappucciati per bene, avvolti da sciarpe di lana colorate e indumenti caldi.

"Ti amo. E semmai dovessi perderti, perderei me stessa e il controllo. Tradirei i miei principi e tutti, pur di ritrovare il brivido che provavo con te."

Queste erano le parole che costituivano la dedica riportata sul retro della foto, custodita nella tasca del giubbotto di pelle della donna che aveva cercato di ucciderli, scambiandoli per una vera coppia.

Eppure, erano così dannatamente incatenati, da fili invisibili ma spessi e inestricabili, quei due che, dopotutto, quel Ghoul non si era sbagliato più di tanto nel definirli un qualcosa che esiste soltanto se esistono entrambi.

Infondo, nella vita si commettono tanti errori. Delle volte, si ha persino ragione nel difendersi a spada tratta.

Durante gli anni in cui respirano con le proprie narici, le persone collezionano più sbagli che esalano respiri.

Questo perché siamo tutti così impulsivi e forti; tutti, con una ragione per vivere e un obbiettivo da raggiungere, prima di morire.
Tutti così convinti di essere diversi, speciali, quando invece siamo così dannatamente simili.

Viviamo ed esistiamo per un motivo che è soltanto nostro, e dimora nel cuore lontano e all'oscuro da tutto e da tutti. Ma mille altri lottano per soddisfare le loro intenzioni, esattamente come ci apprestiamo a farlo noi, tentando il tutto per tutto.

Mille altri, proprio come noi, si aggrappano ad una realtà; terrena o trascendente che sia. E ciascuno di noi crede ciecamente in qualcosa o in qualcuno, di cui ha necessariamente bisogno per andare avanti.

E mettersi nei panni degli altri è estremamente difficile, nonostante la somiglianza che ci lega sia irrimediabilmente evidente. Rinunciare al proprio orgoglio, per ascoltare cosa narra quello del prossimo è così irreparabilmente lontano dalla realtà umana. E noi stessi siamo così stolti e sbagliati da non poter giudicare chi ci sta vicino.

Eppure, se esistiamo, ci sarà un motivo.

La nostra stessa presenza vorrà pur dire qualcosa; dovrà pur possedere un briciolo di importanza o valore.

E così come noi, anche i nostri sbagli, le bugie e i frammenti di verità che decidiamo di condividere con chi ci sta accanto significheranno pur qualcosa per gli altri e per noi stessi.

Questo perché è tutto così poco sobrio e giusto. 
Questo mondo così complesso, e noi così sciocchi; inermi pedine che i sentimenti sono in grado di manovrare a proprio piacimento, senza troppa difficoltà.

Pedine che decidono di impegnarsi in innumerevoli fatiche presenti, ma che, con una facilità impressionante, vengono distratte da sconfinati pezzi di un passato vissuto e di un futuro ancora sconosciuto che fa, comunque, tanta paura.


Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3701919