Red right hand 2

di Lamy_
(/viewuser.php?uid=351812)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il diavolo di Small Heath ***
Capitolo 2: *** Overdose di dolore ***
Capitolo 3: *** Da Belfast con furore ***
Capitolo 4: *** Fuoco e cenere ***
Capitolo 5: *** Nemici & amici ***
Capitolo 6: *** Cerbero ***
Capitolo 7: *** Nessuna salvezza ***
Capitolo 8: *** Il nobil giuoco (pt.I) ***
Capitolo 9: *** Il nobil giuoco (pt.II) ***
Capitolo 10: *** Questioni in sospeso ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Il diavolo di Small Heath ***


1. IL DIAVOLO DI SMALL HEATH

“I am stretched on your grave and I’ll be lie here forever.
[…]  calling out unto the earth
With tears hot and wild
For the loss of the girl that I love.”
(I am stretched on your grave, Kate Rusby)
 
Agosto 1916, Somme (Francia)
Amabel eseguì il consueto giro di visite intorno alle undici di sera per assicurarsi che i soldati stessero bene. Aveva medicato già un paio di ferite, aveva aiutato un soldato a coprirsi e un altro a bere. Si accinse a visitare il paziente ustionato per cambiargli le bende, quindi si sciacquò le mani e si infilò i guanti.  Il sergente Thomas Shelby aprì lentamente gli occhi quando lei lo scrollò per svegliarlo.
“Mi dispiace disturbarvi, ma devo cambiare le bende ora perché oggi pomeriggio non ho fatto in tempo.” Sussurrò Amabel per non svegliare anche gli altri. Tommy si mise seduto digrignando i denti per il dolore, era ricoverato da due settimane e la pelle era ancora infiammata.
“Come vi sentite? L’infermiera mi ha detto che stamattina lamentavate un terribile prurito.”
“Sembrava che la faccia mi andasse a fuoco.” Disse il soldato, la voce roca a causa del fumo che aveva inalato durante l’esplosione.
“Lo so che vi brucia molto la pelle, però dovete ricordare che purtroppo il processo di guarigione è lento. Adesso do un’occhiata per capire le vostre condizioni.”
Amabel con attenzione rimosse le bende che avvolgevano il volto del paziente, muoveva le mani come se si trattasse di un vaso di vetro da preservare. Quando l’ultima garza fu rimossa, la dottoressa trattenne il respiro. La pelle era ancora rossa, purulenta e gonfia. Gli occhi azzurri di Tommy spiccavano in mezzo alle vesciche.
“Sono così brutto?” chiese il soldato con un mezzo sorriso.
“Non siete brutto, siete ustionato. Presto avrò il piacere di vedere il vostro viso. La pelle è lesionata ma sta meglio rispetto a prima. La cura di farmaci sta funzionando.”
Tommy fu scosso da una fitta di dolore quando una lacrima scivolò sulla guancia lesa. Amabel si affrettò ad asciugarla prima che il dolore peggiorasse.
“Non potete piangere. Le lacrime sono salate e vi bruciano. Mi dispiace togliervi anche la possibilità di piangere.”
Amabel cercava di mantenere il sangue freddo ogni volta che svolgeva il suo lavoro, però quel paziente in particolare la faceva vacillare. Erano la sua voce mesta e i suoi occhi azzurri tristi a metterla in soggezione.
“Non è colpa vostra, dottoressa. E’ la guerra che mi ha distrutto.”
Il soldato sussultò quando Amabel gli applicò sul viso una generosa quantità di pomata all’aloe. La dottoressa era delicata ma sicura, spalmava la sostanza in modo da non farlo soffrire troppo. Disinfettò un paio di bende e le avvolse intorno alla testa del soldato per coprire le ustioni, poi si liberò dei guanti e si lavò le mani di nuovo.
“Vi lascio in pace. Riposate, mi raccomando.” Disse Amabel aiutando il soldato a rimettersi a letto. Le dita dell’uomo si serrarono attorno al polso della ragazza obbligandola a restare.
“Potete restare finchè non mi addormento? Vi prego.”
Amabel si sedette sulla sedia accanto al letto, si sfilò le scarpe e distese le gambe sulla coperta. Tirò fuori dalla tasca del camice un piccolo libro con la copertina di pelle rossa.
“Vi posso leggere una poesia, se volete. Di solito io mi addormento leggendo.”
Tommy sfiorò la caviglia della ragazza con la mano e sorrise.
“Non sono il tipo da poesie, ma va bene. Leggetemi le vostre poesie preferite.”
Amabel sfogliò il libro e selezionò le pagine contrassegnate da una piega all’angolo che segnalava i suoi versi favoriti.
“Questa è di Victor Hugo* , e recita: Poso il mio sguardo e la mia anima ovunque. Vorrei posare i miei baci sui tuoi capelli, sulla tua fronte, sui tuoi occhi, sulle tue labbra, ovunque le carezze abbiano libero accesso.”
“Romantica.” Ironizzò Tommy, facendo ridere la dottoressa.
“La prossima è di Goethe *: Da dove siamo nati? Dall’amore. Come saremmo perduti? Senza amore. Cosa ci aiuta a superarci? L’amore. Si può trovare anche l’amore? Con amore. Cosa abbrevia il pianto? L’amore. Cosa deve unirci sempre? L’amore.”
Tommy scorse il sorriso commosso della dottoressa mentre leggeva le poesie, sembrava risucchiata da quelle parole.
“Voi credete nell’amore, dottoressa?”
“Ci provo. – scherzò Amabel – Non so se credo nell’amore, non per il momento. Forse un giorno, quando incontrerò la persona giusta, ci crederò. E voi ci credete?”
“Un tempo ci credevo, poi l’amore è morto e ho smesso di crederci.”
Tommy stava pensando a Greta Jurossi, la sua ragazza, morta pochi mesi prima della partenza per il fronte. Tommy l’aveva assistita tutti i giorni mentre la malattia se la portava via, era rimasto con lei fino al suo ultimo respiro. La guerra gli era sembrata la giusta distrazione, sperava che i rumori degli spari e delle esplosioni avrebbero attutito i pensieri, invece non aveva fatto altro che cadere in un baratro di disperazione senza fine.
“Allora lasciate che io vi stuzzichi con una poesia di Hermann Hesse * che recita: Perché ti amo, di notte son venuto impetuoso e titubante e tu non mi potrai più dimenticare, l’anima tua son venuto a rubare. Ora lei è mia – del tutto mi appartiene nel male e nel bene, dal mio impetuoso e ardito amare nessun angelo ti potrà salvare.”
Tommy rivolse uno sguardo stanco alla dottoressa, il sonno stava per rapirlo.
“Un giorno, dottoressa, un diavolo ruberà la vostra anima e nessun angelo vi salverà.”
 
 
Birmingham, 1924, due settimane dopo (la morte di Grace)
Amabel anni addietro aveva letto diverse opere di Seneca ma, delle tante parole che avevano affollato la sua mente, sei in particolare le erano rimaste impresse: Viviamo tra cose destinate a morire.
E lei la conosceva fin troppo bene, la morte. L’aveva conosciuta per la prima volta quando sua madre, dando alla luce Diana, era morta a causa di complicazioni che i medici non erano stati in grado di arginare. L’aveva conosciuta in Francia, quando centinaia di soldati non tornavano dal campo di battaglia e cadevano a terra mettendo radici come gli alberi. Aveva seppellito talmente tanti soldati che a volte le pareva di essere un becchino anziché un dottore. Aveva incrociato la morte quando suo padre era venuto a mancare all’improvviso lasciando un vuoto immenso. E poi aveva conosciuto la morte solo due settimane prima quando il corpo Grace era stato freddo e privo di vita tra le braccia di Tommy. Amabel e Ada si erano offerte di organizzare il funerale, di comunicare la tragica notizia ai famigliari e di badare a Charlie. Era stata una giornata faticosa, fatta di lacrime, discorsi, piatti e bicchieri vuoti. Tommy dopo la messa era sparito, lontano da tutti e da tutto. Amabel se lo aspettava, ecco perché non lo aveva seguito e lo aveva lasciato libero di superare il dolore a modo suo. Tommy, però, non l’aveva più cercata nei successivi quindici giorni. Polly diceva che si era rifugiato in campagna per elaborare la perdita ma Amabel sapeva che, in realtà, lui stava meditando sulla vendetta. Fatto sta che non gli aveva messo pressione, non lo aveva contatto, non aveva più chiesto di lui. Era tornata a lavorare alla clinica insieme con Ada, anche se il pensiero di quello che era successo incombeva su di loro come una nuvola scura.
Quella sera Amabel era rincasata alle venti, aveva cenato e poi si era messa a letto con un libro a farle compagnia. Fuori pioveva a dirotto, sebbene fosse giugno inoltrato, le finestre erano chiuse e lei se ne stava sotto le coperte. Sussultò quando intorno alle ventidue qualcuno bussò alla porta. Non aspettava nessuno e, considerata l’ora tarda, si preoccupò. Scese in punta di piedi per sbirciare attraverso lo spioncino. Sospirò quando riconobbe Tommy.
“Thomas, stai bene? Entra, dai, fuori diluvia.”
Tommy entrò in casa a testa bassa, i capelli erano bagnati e i vestiti grondavano acqua sul pavimento. Era bianco come un cencio. Quello che attirò l’attenzione di Amabel fu una cesta che l’uomo reggeva in mano.
“Che succede, Thomas?”
“Dobbiamo parlare.” Disse lui, la voce fredda come la lama di un coltello. Amabel strabuzzò gli occhi quando Tommy poggiò la cesta sul tavolo della cucina e la scoperchiò. Il viso paffuto di Charlie spiccava in mezzo al lenzuolo azzurro che lo avvolgeva. Amabel d’istinto gli accarezzò la guancia e il bimbo in risposta arricciò il nasino.
“Ha la febbre? A me non sembra che la temperatura sia alta. Ha vomitato?” domandò Amabel, ritenendo che la ragione di quella visita improvvisa fosse di natura medica.
“No. – disse Tommy – Charlie sta bene. Sono qui per un’altra questione.”
Amabel si strinse nella vestaglia da camera come se volesse proteggersi da lui. Il modo in cui Tommy parlava e si muoveva trasudava una calma apparente, quella stessa che poi si sarebbe tramutata in tempesta.
“D’accordo. Di che si tratta?”
“Devi andartene da Birmingham.” disse Tommy guardandola in faccia senza ritegno.
“Come, scusa? Non capisco.”
“Ho detto che devi andartene da Birmingham. Domani non ti voglio trovare qui.”
Amabel si portò una mano al cuore come se le fosse esploso un proiettile nella gabbia toracica.
“Perché devo andarmene? La clinica …”
“Devi andartene perché te lo dico io. Inoltre, Charlie viene con te.”
Charlie emise un vagito come se volesse partecipare alla conversazione, e Amabel gli fece un mezzo sorriso. Era atroce che una creatura tanto innocente avesse già perso la madre.
“Spiegami che cosa succede, Thomas. Per favore.”
Tommy distolse lo sguardo, non riusciva nemmeno a guardarla senza sentirsi in colpa nei confronti di Grace. Se lui non avesse scelto Amabel, forse Grace sarebbe stata ancora viva e accanto a loro figlio.
“Abbiamo rintracciato Lena a Liverpool e domattina parto per andare a cercarla. Tu e Charlie dovete sparite per evitare che qualcuno venga a farvi del male. Non voglio essere vulnerabile, devo sapere che voi siete al sicuro per affrontare Lena e i suoi scagnozzi. Finn verrà con voi per accertarsi che state bene. Hai un posto dove andare?”
“Tu mi affidi la vita di tuo figlio per uccidere Lena? Hai perso il senno, Thomas.”
“Non sono qui per ascoltare le tue obiezioni. Nulla mi farà cambiare idea. Ho giurato di vendicare la morte di Grace e devo mantenere la promessa. Hai un posto dove andare?”
“Thomas …”
“Smettila di ripetere il mio nome. So come mi chiamo!” Disse Tommy bruscamente. Amabel deglutì per quello scatto di ira, e anche Charlie smise di muoversi nella cesta.
“Sì, ho un posto dove andare.” Disse infine, arrendendosi a quella richiesta. Se lui voleva farsi a pezzi, salvare Charlie era l’unica cosa sensata da fare.
Tommy frugò nella tasca della giacca, tirò fuori un malloppo di banconote tenute da un elastico e lo depose sul tavolo.
“Questi soldi vi basteranno per un bel po’, il tempo necessario per risolvere alcune questioni. Sarà tutto a mie spese. Non voglio sapere dove andate, è meglio che io ne sia all’oscuro nel caso in cui dovessero catturarmi.”
Amabel riconobbe in quella determinazione il soldato che Tommy era stato un tempo, calcolatore e persecutore di una folle causa.
“D’accordo.” Si limitò a dire lei, stanca di opporsi ad un uomo ferito.
“Finn verrà a prendervi alle otto con la roba di Charlie, dopodiché partirete senza perdere tempo. Entro le due di pomeriggio dovrete essere lontani da Birmingham.”
“E chi penserà alla clinica? L’abbiamo appena aperta.”
“Ci pensa Ada alla clinica. Tu devi solo pensare a restare al sicuro con Charlie.”
“Va bene.” disse Amabel, e intanto in lei montava una rabbia che avrebbe voluto sfogare con un urlo. Invece, per quieto vivere e per amore del piccolo Charlie, rimase zitta. Accettò i soldi e li conservò nella borsa, li avrebbe spesi solo se necessario e unicamente per il bambino. Tommy prese in braccio Charlie e gli accarezzò la testa, poi lo abbracciò forte.
“Ora devo andare. Charlie può restare con te stanotte?”
“Ma certo. Mi occupo io di lui.” Rispose Amabel, e Tommy le passò il bambino. Charlie si accoccolò con la guancia sul petto di Amabel, sembrava sereno nonostante tutto.
“Sei l’unica persona di cui mi fido, Bel.”
Lo sguardo di Amabel si addolcì e gli scostò una ciocca di capelli dal viso in modo da vedere i suoi occhi azzurri, tristi e avvelenati. Gli occhi di un soldato maledetto.
“Grazie per la fiducia, Thomas.”
“Ora devo proprio andare, Arthur e Michael mi aspettano.”
Tommy si avviò verso la porta ma Amabel lo agguantò per il bracco facendolo voltare.
“Hai ancora il mio fazzoletto?”
Tommy le mostrò il fazzoletto ricamato che conservava nella tasca.
“Lo porto sempre con me.”
Amabel lo abbracciò e Charlie, che stava in mezzo a loro, emise un suono simile a una risata.
“Sta attento, ti prego.”
Tommy si staccò con espressione sconvolta, detestava gli addii, sebbene fossero temporanei. Stava partendo per l’ennesima guerra, e poco importava che fosse in Francia o in chissà quale parte del mondo, incombeva su di lui il rischio di non ritornare.
“Vi amo.” Sussurrò Tommy, poi diede un bacio in fronte a Charlie e uno ad Amabel. La porta si chiuse alle sue spalle con un tonfo che riecheggiò in tutta la casa. Amabel strinse a sé il bambino.
“Andrà tutto bene, piccolino.”
Il diavolo di Small Heath era pronto per il sangue.
 
 
Una settimana dopo
Exmouth, nella contea di Devon, era una delle cittadine costiere più belle dell’Inghilterra. Amabel aveva ereditato dai suoi genitori una villetta con vista su Sandy Bay, la spiaggia principale della città. Da quando era bambina vi aveva trascorso le vacanze estive, anche dopo la morte della madre, e poi non ci aveva messo più piede da quando era partita per la guerra. Ecco perché ritrovarsi in quella grande casa ora le metteva una certa agitazione. Finn si era sistemato sul divano, mentre lei e Charlie dormivano nella camera padronale, e avevano lasciato una camera libera per l’arrivo di Evelyn, Diana e Bertha. Amabel aveva approfittato per passare del tempo insieme alla sua famiglia, per far svagare Finn e per fare divertire Charlie, sebbene fosse in costante pensiero per Thomas. Si era invischiato in una situazione pericolosa, una che lo avrebbe potuto uccidere, ma prima metteva fine a quella questione e prima c’era la speranza che tornasse tutto alla normalità.
“Sono arrivate!” strillò Finn dal piano di sotto. Amabel si riscosse da quei pensieri, prese Charlie e uscì in veranda. L’autista stava lasciando il vialetto mentre Finn aiutava le nuove arrivate con i bagagli.
“Finn!”
L’attimo dopo il ragazzo si trovava soffocato dalle braccia di Diana. Ricambiò l’abbraccio stando attento a dove metteva le mani, anche perché Bertha lo stava già fissando in cagnesco. La governante odiava quel ragazzo con tutta se stessa.
“Basta così. Vi siete abbracciati fin troppo!” si intromise la donna. Diana si staccò e rise, e Finn sentì il cuore guizzare a quel suono. La risata di Diana lo metteva sempre di buon umore.
“A Exmouth? Andiamo, Bel, potevi fare qualcosa di più che invitarci in questo posto dimenticato da tutti!”
Amabel avrebbe riconosciuto quella voce lamentosa tra mille: Evelyn, con un cappello esageratamente vistoso sul capo, saliva le scale a passo baldanzoso; era teatrale in ogni momento della sua vita.
“Ciao anche te, Evelyn. Già ti lagni? Speravo che mi dessi tregua almeno per un paio di ore.”
“Tregua? Non essere sciocca, è di me che stiamo parlando!”
Le due sorelle si abbracciarono tra le risate, felici di essere insieme. Diana si fiondò letteralmente tra le braccia di Amabel. Rise quando il piedino di Charlie per sbaglio le tirò un calcio sul naso.
“Lui è Charlie, vero? Salve, bel bambolotto!”
Charlie protese le braccia verso Diana con entusiasmo e si produsse in un risolino quando la ragazza lo prese in braccio. Amabel si premurò di aiutare Bertha con le valige, e la domestica si soffermò sul suo viso.
 “Signorina, vi vedo più magra del solito. Avete mangiato ultimamente?”
“Tranquilla, Bertha, sto bene. Sono solo stanca, le ultime due settimane mi hanno sfinito.”
“Posso immaginare. Ora vi occupate anche di un bambino che non è vostro figlio.” disse Bertha gettando un’occhiataccia a Charlie.
“E’ solo un bambino, lui non c’entra niente. Ha perso sua madre e suo padre neanche riesce a guardarlo senza stare male. Dobbiamo incolparlo per il solo fatto di essere nato?”
“Certo che no, signorina. Però ricordate che quel bambino è uno Shelby e lo sarà per sempre. Quelli della sua razza sono destinati a diventare criminali.”
Amabel guardò Charlie tra le braccia di Diana, così piccolo e indifeso, e le si inumidirono gli occhi. Charlie aveva il fato segnato sin dalla nascita, lo attendeva un futuro fatto di sangue e violenza, ma per ora era soltanto una dolce creatura da proteggere.
 
Finn era sopraffatto dalle emozioni tanto da non riuscire ad articolare una frase di senso compiuto. La sabbia si stendeva dorata sotto i suoi piedi, era calda e soffice. Il mare, una tavola azzurra scintillante, spingeva le onde a riva con un piacevole gorgoglio. Era la prima volta che vedeva il mare. Nessuno glielo aveva mai mostrato, nemmeno da bambino, e ora gli sembrava di nascere di nuovo.
“Finn, stai bene?”
La mano di Diana gli toccò la spalla per riportarlo alla realtà.
“Sto alla grande! Non avevo mai visto il mare. Non sapevo nemmeno che la sabbia fosse tanto bollente!”
L’entusiasmo del ragazzo fece sorridere Diana, che si rese conto di quanto fosse fortunata ad essere nata in una famiglia benestante. Gli Shelby, prima di arricchirsi dopo la guerra, avevano sempre vissuto nella miseria, col padre ubriacone e risucchiato da gioco e una povera madre malaticcia.
“L’acqua è ghiacciata in confronto alla sabbia. Vieni!”
Diana lo prese per mano e lo condusse a riva, dopodiché si tolse i sandali e immerse i piedi nell’acqua. Finn la imitò, sollevandosi i calzoni alle caviglie, e trasalì per il freddo che gli lambiva la pelle.
“Avevi ragione, è ghiacciata! Però è una bellissima sensazione!”
Diana intravedeva Amabel e Evelyn sedute su una delle panchine che costeggiavano la spiaggia, la prima cullava Charlie e la seconda leggeva una rivista di moda francese. Bertha era rimasta a casa a preparare il pranzo per il picnic che avevano programmato. Avevano deciso di pranzare nella pineta di Exmouth, un ampio spazio verde ben curato, e Diana già immaginava la felicità di Finn moltiplicarsi.
“Sì, è una sensazione migliore del fumo intossicante di Small Heath.”
Finn sorrise, i raggi del sole danzavano sul suo viso facendo risaltare le lentiggini spruzzate sulle guance. I capelli ricci eran ribelli, una ciocca gli cadeva davanti agli occhi e Diana gliela scostò con delicatezza. Il ragazzo arrossì, non era abituato a quelle attenzioni.
“Grazie.”
“Prego.” Disse la ragazza ridacchiando, era tenero quando si imbarazzava. Finn si mise ad osservare il cielo mentre Diana avanzava nell’acqua fino a bagnarsi le ginocchia. L’orlo del vestito rosa che indossava si bagnò scurendo la stoffa. I capelli erano lunghi e lisci sulle spalle, tendevano al castano chiaro, e svolazzavano intorno a lei come fossero fili colorati.
“Oggi sei molto carina.”
“Ti ringrazio, Finn. Tu sei sempre carino.”
“Ehm … no, sì … cioè, voglio dire che anche tu sei sempre carina. No, non sei carina. Tu sei bellissima, Diana.” Balbettò Finn a fatica, le gote arrossate erano in netto contrasto con il colletto bianco della camicia. Diana si morse l’interno della guancia per l’imbarazzo, nessun ragazzo le aveva mai fatto un simile complimento.
“Senti, Finn, riguardo a quello che mi hai confessato alla festa di inaugurazione …”
“No! – la interruppe il ragazzo – Non devi dire niente. Io mi sono dichiarato solo perché volevo che tu sapessi cosa provo per te, ma non è necessario che tu mi dica qualcosa. Non devo piacerti per forza come tu piaci a me.”
Diana allora gli mise le mani sulle spalle e Finn quasi si spaventò.
“Finn, tu mi piaci. Mi piaci più di un amico.”
“Oh, cazzo! – esclamò Finn, tappandosi la bocca l’attimo dopo – Volevo dire ‘accidenti!’. Sono un disastro, lo dice sempre Arthur.”
Diana rise, era esilarante come il ragazzo cercasse di nascondere le sue origini.
“Posso darti un bacio, Finn?”
Finn non ebbe il tempo di replicare perché le labbra di Diana gli avevano già schioccato un bacio sonoro sulla guancia. Aveva diciannove anni, molte ragazze a Small Heath avevano una cotta per lui, eppure quel semplice bacio gli aveva scombussolato il cervello.
“E’ stato un bel bacio.”
Quando Diana si issò sulle punte per parlargli all’orecchio, Finn avvampò.
“Quello non era un bacio vero. Le signorine perbene non baciano mai sulla bocca i gentiluomini.”
“Ma io non sono un gentiluomo.” Disse Finn, e Diana rise di nuovo.
“Questo vuol dire che i cattivi ragazzi baciano per primi le signorine perbene.”
“Vuoi che io ti baci?”
“Sei proprio un tonto, Finn!”
Diana si mise a correre, schizzandosi l’acqua sul vestito, e Finn la inseguì mentre le loro risate mi mescolavano alla calda brezza estiva. Si rincorsero fino alla panchina, dove iniziava una striscia d’erba ornata da piccoli fiori di camomilla, e si sedettero sulla panchina accanto a quella dove stavano Amabel e Evelyn.
“Bel, - incominciò Diana – Tra due giorni è il tuo compleanno, hai in mente qualcosa di speciale?”
Amabel, che stava allattando Charlie con il biberon, parve rifletterci.
“Non ci ho ancora pensato.”
“Quanti anni compi?” domandò Finn, e fu linciato dallo sguardo di Evelyn.
“Non si chiede l’età ad una donna. Voi zingari non le conoscete proprio le buone maniere!”
“Evelyn! – la rimproverò Diana – Comunque Bel compie ventotto anni.”
 Finn non sembrò essersi offeso, anzi fece spallucce.
“Tu mi insulti per colpa di Michael. Lui ti piaceva, eppure era uno zingaro come me.”
Evelyn spalancò la bocca con l’espressione di un leone che sta per azzannare la preda.
“A me piaceva chi? Quel’infido essere di tuo cugino non mi è mai piaciuto! E non nominare il nome di quella bestia immonda in mia presenza!”
Amabel si mise a ridere quando Evelyn si diresse a passo spedito verso il carretto dei gelati, impettita come suo solito.
“E’ sempre così esagerata!” si lamentò Diana, al che Finn e Amabel scoppiarono a ridere.
 
Due giorni dopo
“Tanti auguri a te! Tanti auguri a te! Tanti auguri, cara Amabel! Tanti auguri a te!”
Applausi e fischi risuonarono intorno ad Amabel, poi fu intrappolata in baci e abbracci.
“Grazie a tutti. E’ stato un bellissimo compleanno!” disse Amabel, dopodiché tagliò la crostata di mele che Bertha aveva preparato. Avevano trascorso la giornata in spiaggia, poi avevano fatto una passeggiata in città e infine avevano cenato in veranda per concludere i festeggiamenti. Evelyn e Diana le avevano regalato un paio di orecchini d’oro a forma di stella, accompagnati da un biglietto scritto da Finn. Amabel si era emozionata nel leggere la grafia disordinata del ragazzo, ma era tanto fiera dei suoi progressi nella scrittura. Bertha, dal canto suo, le aveva ricamato un nuovo fazzoletto di cotone bianco con le sue iniziali in rosso.
“Questo è da parte di Tommy. Lo ha comprato prima di andare a Liverpool.” Disse Finn poggiando un pacchettino blu sul tavolo. Amabel rimase interdetta, non si aspettava di certo un regalo da Tommy. Lo scartò con le mani tremanti e una certa agitazione nelle ossa. Trattenne le lacrime alla vista del libro ‘Il Profeta’, una raccolta di poesie scritte da Khalil Gibran. Alla prima pagina c’era una dedica: Del mio ardito e impetuoso amare nessun angelo ti potrà salvare. Buon compleanno, Bel. Con tutto l’amore, tuo Thomas.
“Il gangster ci sa fare con i regali.” Borbottò Evelyn beccandosi una gomitata da Diana. Amabel accarezzò la copertina del libro con la punta delle dita, quasi se lo immaginava Thomas chino sul foglio a scrivere la dedica. Lei conosceva fin troppo bene quelle parole, erano riprese da un passo della poesia ‘Perché ti amo’ di Hermann Hesse, una delle sue poesie preferite. Quel gesto aveva un significato che solo Amabel poteva capire perché era connesso alla Francia. D’istinto guardò Charlie, e nei suoi occhi azzurri riconobbe quelli del padre. Gli diede un bacino sul pancino e gli fece il solletico, e il bambino ridacchiò.
“Dovremmo andare a letto. Domani è domenica  e alle nove incomincia la messa.” Disse Bertha. La donna stava già raccogliendo i piatti e i bicchieri da lavare, e Diana e Finn l’aiutarono con le posate e i tovaglioli. Evelyn sgattaiolò in camera per evitare di dare una mano, detestava le faccende domestiche sin da bambina.
“Ci penso io alla spazzatura.” Disse Finn, e Bertha lo guardò con fare circospetto. Sospettava qualsiasi cosa il ragazzo dicesse o facesse.
“Mmh, vedi di comportarti bene.”
“Vengo con te!”
Diana lo prese a braccetto e lo trascinò lontano dalla domestica che lo trucidava con gli occhi. Amabel rise scuotendo la testa, Bertha non cambiava mai. Charlie sbadigliò un paio di volte e lei si sedette sulla sedia a dondolo collocata sulla veranda, in passato era appartenuta a sua nonna. Lo avvolse nella copertina bianca e se lo avvicinò al petto, laddove batteva il cuore. In qualità di pediatra sapeva che i bambini si addormentavano più facilmente ascoltando i battiti del cuore della mamma, e lei sperava che Charlie riuscisse ad addormentarsi anche tra le braccia di una donna estranea.
“Siete molto bella, signorina. Sareste una madre eccezionale.” Disse Bertha, e si asciugò gli occhi col grembiule. Amabel sorrise a Charlie e gli diede un leggero bacio sulla fronte.
“Hai sentito, signorino? Sembra proprio che noi due siamo una bella coppia.”
Bertha aggiustò la copertina del bambino in modo da coprirgli le spalle, alla fine anche lei stava cedendo alla sua dolcezza.
“Provate a cantargli una canzone. Vi ricordate quella che vi cantava vostra madre?”
“Sì.”
Bertha lasciò la veranda per darle un po’ di privacy, tornò in cucina per mettere in ordine e cimentarsi in qualche altro dolce per la colazione della domenica.
Amabel avvertì un profondo senso di tristezza invaderla, era come se un velo oscuro si fosse posato su di lei. Era accaduto troppo nell’anno passato, troppo sangue, troppa violenza, troppi morti, e tutto pesava sulle sue spalle come un macigno insormontabile. Le dita di Charlie si schiusero intorno ad una ciocca di capelli di Amabel, sembrava che sorridesse. Amabel prese a dondolarsi sulla sedia mentre canticchiava una vecchia filastrocca.
“Quattro stelline ho visto passare, quattro stelline sull’onda del mare. Una per me, una per te, una la vuole la figlia del re. La quarta stellina, il reuccio cattivo, grida e comanda che la vuole per sé. Ma la stellina si ferma a guardare, poi sorridendo si spegne nel mare *.”
 
Finn richiuse il bidone della spazzatura e si pulì le mani sui pantaloni. Diana stava ammirando il mare che si agitava in distanza, i raggi lunari si riflettevano sulla nera superficie in strisce argentate.
“E’ bellissimo. – disse Finn – A Birmingham ce la sogniamo una vista del genere!”
Diana si accorse che le mani di Finn erano bianche per quanto erano serrate intorno al corrimano delle scale.
“Finn, stai bene?”
“Io … io stavo pensando a quello che mi hai detto due giorni fa in spiaggia. Sul bacio, intendo.”
“E cosa hai pensato?”
“Io sono uno zingaro.”
Diana sussultò come se avesse ricevuto uno schiaffo in faccia. Finn non osava guardarla, restava concentrato sul corrimano.
“Questo cosa c’entra?”
“Evelyn non fa altro che ripeterlo. Dice che sono uno zingaro e criminale, non mi sopporta. Anche Bertha mi odia. Io non vado bene per una ragazza come te.”
“Una ragazza come me?! Finn, ma hai bevuto troppo?”
Diana cercò di avvicinarsi ma Finn indietreggiò, era arrabbiato.
“Tu fai parte dell’alta società, sei ricca, sei istruita e sei bellissima. Io non sono il tipo giusto per te. Forse ti piaccio perché ti attrae il mondo dei criminali, ma ti assicuro che è un brutto mondo.”
Prima che potesse scostarsi ancora, Diana lo agguantò per il colletto della camicia.
“Non hai capito niente, Finn. Tu mi piaci perché sei buono, sei dolce e sensibile. Non mi interessa delle tue origini o della tua famiglia, io conoscono il tuo cuore e so che sei un ragazzo fantastico. Sei vero, al contrario di quei palloni gonfiati dell’alta società.”
Allora successe che Finn baciò Diana. Dapprima la ragazza si irrigidì, poi si abbandonò al bacio. Fu un bacio lento, impacciato, tenero. Quando si staccarono, Finn l’abbracciò affondando il viso nei capelli profumati di Diana.
Dalla veranda Amabel osservava la scena, due ragazzi stavano scoprendo l’amore per la prima volta e lei sorrise divertita. Charlie, intanto, si era addormentato e il suono del suo respiro addolciva quella serata.
 
 
Salve a tutti!
Purtroppo per voi sono tornata con la seconda parte.
Come sempre la storia riprende per sommi capi la serie tv ma cambia gli eventi e la cronologia, e spero che non sia fonte di irritazione.
Ripartiamo dalla morte di Grace e proseguiamo tra le strade di Small Heath con una nuova minaccia che incombe sugli Shelby.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.
 
Ps. Le citazioni a inizio capitolo sono riprese dalla colonna sonora della serie tv.
 
*’A Juliette Drouet’, Victor Hugo.
* ‘Da dove siamo nati’, Goethe.
*‘Perché ti amo’, Hermann Hesse.
* E’ una nota filastrocca della buonanotte.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Overdose di dolore ***


2. OVERDOSE DI DOLORE

“Burn the witch, we know where you live. Red crosses in wooden doors.
And if you float you burn. Loose talk around tables.
 Abandon all reason. Avoid all eye contact.
Do not react.
Shoot the messengers.”
(Burn the witch, Radiohead)
 
Tre mesi dopo
Svegliarsi nel proprio letto era una sensazione meravigliosa, Amabel doveva ammetterlo. Era tornata a Birmingham da due giorni, dopo aver trascorso un fine settimana a Londra con le sorelle. A Exmouth aveva ricevuto una lettera da Michael in cui le veniva comunicata la possibilità di rientrare, al che lei e Finn avevano fatto i bagagli e si erano precipitati in treno. Ormai era Settembre, a breve Evelyn e Diana avrebbero ripreso le lezioni, e lei doveva occuparsi della clinica. Ada l’aveva chiamata la sera prima per ragguagliarla sui nuovi pazienti, sui nuovi assunti e sulle condizioni dell’edificio, ma Amabel voleva controllare di persona. Si stava spazzolando i capelli quando la porta della sua camera si spalancò e sbucò il viso rotondo di Jalia. Era una ragazza di origine africana,di diciotto anni, orfana. Amabel l’aveva scovata a mendicare nei pressi della chiesa e aveva deciso di mettersela in casa per impedire che qualche lenone la gettasse in strada per vendere il suo corpo. Jalia aveva preso il posto di Bertha, anche se non sapeva cucinare bene e non era molto svelta nelle faccende di casa, però era di compagnia.
“Padrona, vi ho portato la colazione.” Esordì la ragazza posando il vassoio sullo scrittoio.
“No, Jalia, non chiamarmi così. Non sono la tua padrona e tu non sei la mia schiava. Ti prego, chiamami Amabel.”
Amabel si abbottonò gli orecchini di perle ai lobi, si allacciò l’orologio al polso e indossò il soprabito.
“Andate a lavorare senza mangiare, signora?”
Jalia sussultò quando Amabel le accarezzò i ricci neri, era così poco abituata alla gentilezza che una semplice carezza la spaventava.
“Non ho tempo per la colazione, perdonami. Mangia tu per me, sei molto magra. Non aspettarmi per cena, tornerò tardi. Mi raccomando, chiudi la porta a chiave e non aprire a nessuno.”
“Certo, signora. Buona giornata.”
“Buona giornata anche a te.”
Amabel salì in macchina e si diresse verso la clinica attraverso i benestanti quartieri della città. Birmingham all’apparenza sembrava una città idilliaca, grandi parchi verdi, uccellini che cinguettavano, fresche fontane che zampillavano acqua tutto il giorno, risate di bambini che risuonavano nell’aria, eppure le tenebre inghiottivano la periferia come catrame che risucchia la terra. La clinica era ubicata in Mindelsohn Way, una zona piuttosto tranquilla, a pochi isolati dalla centrale di polizia. L’insegna dell’edificio riportava la sigla: Clinica Hamilton, un modo per sottolineare che era Amabel la direttrice, mentre Ada era la sua socia in affari e gestiva l’amministrazione. Sobbalzò sul sedile quando qualcuno picchiettò al finestrino.
“Bentornata, sfaticata.” La salutò Oliver, il camice bianco sulle spalle, gli occhiali sul naso. Amabel scese dall’auto per abbracciare l’amico, non lo aveva visto per tutta l’estate.
“Ciao, Olly. Ti sono mancata?”
“Certo che mi sei mancata! Questa città è noiosa, non ho amici con cui spettegolare.”
“Sono tornata e da oggi potremo spettegolare insieme. Allora, come sono andate le cose di recente? Ho odiato abbandonare la clinica per tre mesi.” Disse Amabel, e nel frattempo attraversava il parcheggio per raggiungere l’edificio.
“E’ andato tutto bene. Abbiamo un valido team di medici e infermieri che hanno svolto un lavoro eccellente. Tu, invece, ti sei divertita al mare? E come stanno le tue sorelline?”
“Stanno bene, sono le solite. Comunque sì, sono stata bene al mare, anche se le vacanze erano forzate.”
Oliver sapeva dei Peaky Blinders, degli affari sporchi degli Shelby e del coinvolgimento di Amabel; era stata Ada a raccontargli tutto.
“Sono contento che Tommy ti abbia allontanato dalla città, almeno ti sei riposata un poco. Non andavi in vacanza dai tempi della guerra.”
“Non mi piace andare in vacanza, il riposa aumenta la mia ansia. E smettila di psicanalizzarmi!”
Oliver rise alzando le mani in segno di resa, era evidente che stesse valutando il profilo psicologico dell’amica.
“Amabel!” esclamò una voce femminile, e l’attimo dopo Ada stava abbracciando Amabel.
“Ciao, Ada! Ti trovo in splendida forma!”
“Sì, ma sei tu quella abbronzata. Come sta Charlie? Non sono ancora andata a trovare Polly.”
Amabel, dopo essere tornata da Exmouth, aveva consegnato Charlie alle cure di Polly poiché era lei la persona più indicata per occuparsene. Doveva ammettere che il bambino le mancava molto, soprattutto quando si ritrovava sola nella sua casa enorme e il silenzio regnava sovrano.
“Lui sta bene. E’ cresciuto tanto, mangia tanto e dorme tanto. Ha anche imparato a gattonare!”
Ada abbozzò un sorriso triste, si era persa la crescita del nipote a causa della sua famiglia vendicativa.
“Siamo tutti grati per il tuo aiuto. Charlie è stato fortunato ad avere avuto te in questi mesi.”
“Io sono stata fortunata ad avere quell’adorabile bambino in giro per casa. E’ così dolce che stento a credere sia uno Shelby!” replicò Amabel ridendo. Anche Ada rise, consapevole che la dolcezza fosse un concetto estraneo ai membri della propria famiglia.
“Dai, stasera io e Oliver ti portiamo al Garrison per festeggiare il tuo ritorno. Che ne dici? Rivedrai quelle brutte facce dei Peaky Blinders.”
Amabel pensò a Tommy per un momento, non lo aveva né visto né sentito da quando era tornata, e sperava di trovarlo al pub quella sera.
“Dico che è una splendida idea. Ora vado nel mio ufficio, qualcuno dovrà pur lavorare in questa clinica!”
Si allontanò accompagnata dal suono delle risate di Oliver e Ada. Incontrò un paio di medici appena impiegati, una coppia di vecchie infermiere, e anche alcuni piccoli pazienti del reparto pediatrico. Quando si infilò il camice si sentì completa. Il suo ufficio era una piccola stanza al primo piano, dalle pareti azzurrine e arredata da semplici mobili bianchi, e molti disegni realizzati dai bambini che aveva curato erano appesi alla sua destra. Sulla scrivania campeggiavano una foto dei suoi genitori e una foto delle sue sorelle con Bertha.
“E’ permesso?” domandò una voce sulla soglia della porta. Amabel scattò in piedi quando riconobbe Emily Marshall, l’infermiera che aveva servito con lei a Verdun.
“Oh, Emily!”
Si abbracciarono con le lacrime agli occhi, erano otto anni che non si vedevano. Si erano scritte molte lettere, perlopiù auguri di buone feste, ma non avevano mai organizzato un appuntamento poiché l’infermiera era partita per l’America.
“Siete bellissima come sempre, dottoressa Hamilton. E avete una clinica tutta vostra!”
“Io? Sei tu quella bellissima! Beh, sì, ho una clinica mia dopo averla sognata per anni.”
Amabel tastò i capelli e il viso di Emily per assicurarsi che fosse lì, che non fosse un sogno, che fossero entrambe davvero vive.
“In città si mormora che la clinica sia stata un regalo di Thomas Shelby per voi.” Disse Emily, al che Amabel indietreggiò come se si fosse scottata col fuoco.
“Il mormorio è dovuto al fatto che Ada Thorne, la sorella del signor Shelby, è mia socia. Questa clinica non è un regalo, è una attività onesta che io e la vedova Thorne conduciamo insieme.”
“Thorne? Questo cognome mi dice qualcosa.”
“Sì. – confermò Amabel – Era il cognome di Freddie, il secondo del sergente Shelby. Entrambi erano parte della squadra degli scavatori di tunnel.”
Emily annuì, nessuno poteva scordare la fatica che gli scavatori facevano per ore e ore in spazi bui e angusti.
“La guerra non è stata facile per nessuno.”
“Già. Parlando di qualcosa di allegro, come mai sei qui?”
“Oliver non ve lo ha detto? Sono stata assunta nel reparto pediatrico. Lavoreremo di nuovo insieme!”
Le due donne si abbracciarono ancora, questa volta qualche lacrima era sfuggita.
“Sono davvero felice di averti di nuovo al mio fianco, Em. Allora, hai qualcosa per me?”
Emily le consegnò un plico di cartelle che fecero arricciare il naso di Amabel per la quantità di lavoro che l’attendeva.
“Quelle sono le cartelle dei pazienti recenti, e per ‘recenti’ si intendono quei pazienti che sono nostri clienti all’incirca da tre mesi. Controllatele con calma e, se avete bisogno di chiarimenti, vi basta chiamarmi.”
“Sei efficiente come al solito. Ti ringrazio.”
“Buon lavoro, dottoressa.” Disse Emily facendole l’occhiolino, al che Amabel ridacchiò salutandola con un cenno del capo. Rimasta da sola, si sedette e iniziò ad esaminare le cartelle.
Un’ora dopo si stava massaggiando gli occhi stanchi, non ne poteva più di leggere di malattie, infezioni e ossa rotte. Era sul punto di prendersi una pausa quando il nome di un paziente le balzò all’attenzione: Warren Emerson. Il documento riportava una serie di problemi: braccia fratturate, gamba rotta, setto nasale deviato e una grave infezione all’occhio sinistro. Il ricovero si datava alla notte dell’inaugurazione della clinica. Le sue condizioni erano la causa di una violenza inaudita e solo poche persone a Birmingham potevano ridurre un uomo in quel modo.
 
Ada aggrottò le sopracciglia quando vide Amabel attraversare il corridoio con un diavolo per capello.
“Amabel, va tutto bene?”
“Dov’è quel farabutto di tuo fratello?”
Ada si guardò intorno per essere certa che nessuno le ascoltasse.
“Quale dei tre?”
“Thomas. Voglio sapere dov’è Thomas. Mi ha dato il permesso di tornare ma non mi ha ancora contattato. Dove si trova?”
“Non pensavo che Tommy ti mancasse tanto.” Scherzò Ada, però Amabel non stava ridendo affatto.
“Tuo fratello ha fatto pestare a morte Warren Emerson, ovvero il mio ex fidanzato. Io devo parlare con lui perché capire che diamine gli è passato per la mente.”
“Tommy ordina ai suoi di pestare il tuo ex e tu ti chiedi la ragione? E’ la gelosia. Pura e semplice gelosia.”
“Quella pura e semplice gelosia rischiava di perforare il polmone di un uomo e ucciderlo.” Disse Amabel, fredda e risoluta. Ada abbassò lo sguardo con fare colpevole.
“Tommy non è tornato da Liverpool. Nessuno sa dove si trovi, nemmeno Polly. Arthur e Michael sono tornati da soli.”
“Tutto questo è sbagliato, Ada.”
Amabel abbandonò Ada in mezzo al corridoio per rifugiarsi in ufficio, con i sensi di colpa che la divoravano per quello che era successo.
 
Amabel mangiucchiava le noccioline distrattamente. Non era interessata alla conversazione che Oliver aveva intavolato con Ada, Finn e Isaiah. Quel pomeriggio aveva provato a contattare Warren, lo aveva chiamato a casa, lo aveva cercato all’università, e si era addirittura presentata sotto il suo balcone ma non aveva risposto nessuno. Alla fine Oliver l’aveva trascinata al Garrison contro la sua volontà e ora se ne stava seduta in un angolo a spiluccare nella ciotola di frutta secca. Di Arthur, Michael e Tommy non c’era traccia. Sembravano scomparsi nel nulla, persino Finn era all’oscuro su dove fossero i fratelli e il cugino.
“Dottoressa, sei di pessima compagnia!” la schernì Isaiah dandole una leggera gomitata. Amabel simulò un sorriso, poi tornò a chiudersi in se stessa. Sulle sue spalle gravavano la morte di Jacob e Dominic e il pestaggio di Warren. Era colpa sua e del suo coinvolgimento nei malaffari dei Peaky Blinders. Ingenuamente aveva sperato che Tommy non fosse il tipo d’uomo che picchia un ex fidanzato per marcare il territorio, invece si era proprio sbagliata.
“Terra chiama Amabel! Terra chiama Amabel!”
Oliver stava sventolando la mano davanti alla faccia di Amabel, che sbuffò.
“Sì, sì, sono qui. Che succede?”
“Che succede a te? Lo sai che sono uno studioso della psiche e che posso leggerti come fossi un libro, un bellissimo e intricato libro.” Disse Oliver accarezzandole la mano.
“Sto bene, Olly. E’ solo strano essere tornata in questo pub, con queste persone, dopo tutto quello che è successo soltanto tre mesi fa.”
“E’ strano essere in questo pub senza Tommy.” Replicò l’amico, al che Amabel sospirò.
“Non mi va di parlare di Tommy. Perché non canti? Questo pub ha bisogno di una voce angelica come la tua!”
Oliver era solito cantare e suonare il piano nelle serate che Amabel aveva soggiornato a casa sua a New York. Spesso aveva cantato per farla addormentare dopo un incubo, per consolarla, oppure per farla tornare a sorridere.
“Tu canti?! – si intromise Ada – Cantaci qualcosa, dai! Il Garrison non sente una bella voce da quando Grace è andata via.”
Oliver si alzò in piedi, si disfò nella giacca blu e si accorciò le maniche della camicia ai gomiti.
“Il mio pubblico ha qualche richiesta?”
“Canta la mia preferita.” Disse Amabel, e Oliver si inchinò accettando la richiesta. Amabel vide l’amico accordarsi con il responsabile del pub e, dopo qualche pressione, una coppia di ragazze lasciò all’uomo lo sgabello del pianoforte. Oliver prese posto, si sgranchì le dita e scoperchiò lo strumento. Tutti i clienti smisero di bere e di chiacchierare quando le prime note di una vecchia ballata scozzese riecheggiarono nel pub. Nel silenzio la voce di Oliver si levava come quella di un usignolo su un alto ramo.
“Speed bonnie boat, like a bird on the wing. Onward! The sailors cry! Carry the lad that’s born to be king over the sea to skye! Loud the winds howl, loud the waves roar, thunder clouds rend the air. Baffled our foe’s stand on the shore, follow they will not dare!”
Un uomo emerse dalla folla, i ricci capelli rossi erano un chiaro segno delle sue origini scozzesi. Si avvicinò ad Oliver per stringergli la mano, dopodiché incominciarono a cantare insieme.
“Though the waves leap, soft shall ye sleep and ocean’s a royal bed. Rocked in the deep, Flora will keep watch by your weary head. Many’s the lad fought on that day well the claymore could wield. When the night came, silently lay dead on Culloden’s field.”
Oliver d’un tratto afferrò un boccale di birra e lo sollevò come fosse una bandiera da issare alta nel cielo.
“Burned are our homes, exile and death, scatter the loyal men,yet, e’er the sword cool in the sheath, Charlie will come again.”
Un boato di applausi e fischi esplose nel Garrison, tutti avevano trovato quello spettacolo interessante. Oliver riceveva complimenti di qua e di là, sorrideva, stringeva mani, beveva alcol gratis. Amabel stava battendo i piedi e le mani, Ada strillava e Isaiah e Finn applaudivano come forsennati.
“Che canzone è?” domandò Finn.
“E’ una ballata popolare scozzese scritta nel 1884 da Sir Harold Boulton, ma la melodia risale agli ultimi anni del ‘700. Narra della fuga di Charles Edward Stuart dopo la sconfitta nella battaglia di Culloden. Fu aiutato dalla bella Flora a rifugiarsi sull’isola di Skye. Oliver l’ha imparata da un soldato scozzese che è rientrato in patria con me e il resto dell’unità medica.”
 
Amabel era appena rincasata, era stanca e assonnata. Appese il soprabito e la borsa all’ingresso, depositò la valigetta in cucina e si recò in camera propria. La camera di Jalia era aperta, la ragazza stava dormendo vestita e con la cuffia bianca ancora tra i capelli. Amabel la coprì in modo che non si raffreddasse, dopodiché chiuse la porta e spense la luce del corridoio. Stava per togliersi le scarpe quando suonò il campanello ripetute volte.
“Dottoressa! Dottoressa!” strava gridando qualcuno dalla strada. Sbirciando dalla finestra, Amabel intravide Curly che reggeva un uomo afflosciato per terra.
“Signora, ci sono due uomini alla porta.” Disse Jalia facendo irruzione nella stanza di Amabel, che si stava già precipitando al piano di sotto.
“Li conosco. Sono amici.”
Jalia aprì il pesante portone e l’uomo che Curly teneva per il braccio cadde sul tappeto. Era Tommy. Amabel si chinò per esaminarlo.
“Che è successo?”
“Non lo so. Un’ora fa Tommy è venuto a trovare i cavalli … ed era strano … poi è caduto nella paglia … io … io l’ho portato da voi.” Spiegò Curly, sebbene la sua spiegazione fosse poco dettagliata. Tommy presentava una respirazione lenta e superficiale, bava alla bocca, e il battito cardiaco era rallentato. Il suo viso era cianotico, così come le unghie, e le pupille erano a ‘’spillo’’.
“E’ in overdose.” Disse Amabel.
“Ah, ecco … forse sta male per colpa di questa.”
Curly mostrò alla dottoressa una bustina di carta contente piccole pillole biancastre.
“Idiota. – mormorò Amabel – Tommy ha ingerito eroina.”
“Come lo aiutiamo?” domandò Jalia sistemandosi la cuffietta tra i capelli. 
“Curly, metti Tommy sul divano in posizione laterale. Jalia, tu prepara una bacinella di acqua e sale da cucina. Io penso ai medicinali.”
Amabel scavò nello studio del padre in cerca di qualcosa che potesse aiutare Tommy a superare la crisi respiratoria e far svanire il colore cianotico. Recuperò un vecchio diario in cui il padre annotava le cure a cui aveva sottoposto i propri pazienti, uno di quelli che lei aveva studiato a fondo. La cura prevista per una crisi respiratoria consisteva nell’inalazione di miscele gassose ad elevato contenuto di ossigeno, ma in casa non disponevano di quell’attrezzatura. Altre terapie consigliate riguardavano antibiotici per la polmonite e broncodilatatori, oppure era consigliata la tracheotomia.
“Dottoressa! Tommy sta male!”
Amabel corse in soggiorno nel momento in cui Tommy stava vomitando, l’insufficienza respiratoria peggiorava in quanto ostacolata dal rigurgito.
“Eccomi, signora.” Disse Jalia, e mise a terra la bacinella.
“Adesso procederemo in questo modo: facciamo bere a Tommy l’acqua della bacinella in modo da espellere le pillole, poi pensiamo alla respirazione. Curly, mantienilo in questa posizione altrimenti rischia di soffocare. Jalia, tu gli dovrai tenere la bocca aperta mentre io gli faccio bere l’acqua.”
Curly tenne Tommy in posizione mentre Jalia gli spalancò la bocca, e Amabel versò la soluzione salina. Tommy fu scosso da tremori e convulsioni, la respirazione era più critica di prima e le pupille stavano diventando quasi del tutto bianche. Un minuto dopo vomitò tutto quello che aveva ingoiato, dall’alcol alle pillole di eroina, insieme a quel poco che aveva mangiato a colazione. Jalia era impressionata dall’azione miracolosa dell’acqua.
“Che cos’è quella roba?”
Amabel si spostò prima che il vomito le imbrattasse le scarpe, costavano troppo per essere rovinate da un gangster in overdose.
“E’ una lavanda gastrica. Nei casi di intossicazione si fa ricorso al cloruro di sodio che in pratica è il sale sodico, ossia il banale sale da cucina. In questo modo lo aiutiamo ad espellere la droga che ha ingerito.” 
Quando la lavanda esaurì l’effetto, Tommy sbarrò gli occhi rossi come se lo avessero sviscerato. Il suo stomaco era come una nave in mezzo ad una tempesta. Jalia gli pulì il mento col grembiule, attenta a non ostruire bocca e naso.
“E come curerete il resto?”
Tommy respirava a fatica, i suoi polmoni stavano cedendo e la pelle restava bluastra come prima. Amabel, contando i battiti, si rese conto che stavano rallentando sempre di più.
“Adesso ci dobbiamo occupare della crisi respiratoria e della cianosi, il che sarà spiacevole. Procuratemi un coltello, una penna, disinfettante e la mia valigetta.” 
Mentre Curly recuperava la valigetta, Jalia raccattò una penna e un coltello dalla lama affilata. Intanto Amabel si premurava di tenere Tommy sul fianco perché non si strozzasse.
“Ma che combini, Thomas?”
Tommy, in risposta, le afferrò la mano con forza e la guardò. Amabel si lasciò addolcire e gli scostò una ciocca di capelli dalla fronte imperlata di sudore.
“Tutto pronto, signora.” Annunciò Jalia.
“Bene. – disse Amabel – Ora devo eseguire una tracheotomia casalinga, devo letteralmente bucare la gola di Tommy e inserire la penna per farlo respirare, dopodiché gli somministrerò un broncodilatatore per la polmonite.”
Curly aggrottò le sopracciglia.
“Si tratta di polmonite?”
“No, ma per curare la cianosi gli appunti di mio padre suggeriscono di usare i medicinali per i bronchi. E’ un tentativo, purtroppo non ho mai fatto una cosa del genere prima.”
Amabel era una pediatra e i suoi pazienti di certo non usavano stupefacenti, e neanche in guerra si era confrontata con una situazione del genere. La sua strategia medica non si basava sull’overdose ma sulla cura dei singoli sintomi nella speranza che ogni pezzo alla fine risolvesse il grande puzzle.
“Vi serve una mano?” domandò Jalia, anche se la sua espressione spaventata era un chiaro segno che avrebbe fatto a meno.
“Tenetelo fermo, questo gli farà davvero male.”
Amabel sezionò la penna a sfera, mise da parte la cavità che conteneva l’inchiostro e la sfera metallica. Richiuse le due metà della penna creando una specie di bastoncino vuoto. Bagnò la trachea di Tommy con il disinfettante, sterilizzò anche il coltello e le proprie mani. Tommy stava per terminare l’ossigeno, i suoi polmoni non riuscivano a sopportare la crisi. Sebbene fosse vigile, Amabel si fece coraggio e praticò una incisione abbastanza profonda al livello della trachea. Il sangue le schizzò sulla camicetta ma lei lo ignorò, non c’era tempo da perdere. Inserì la penna nell’incisione e Tommy emise un rantolo, poi riprese a respirare regolarmente. Mosse le labbra per parlare ma non ne uscì parola.
“Non parlare. Pensa solo a respirare.” disse Amabel. Gli somministrò endovena un antibiotico per la bronchite per impedire alla cianosi di diffondersi. Curly si piegò sull’amico e gli controllò il respiro.
“Sta bene?”
“Non ancora. Ha bisogno di ossigeno, la penna è solo una soluzione temporanea. Dobbiamo chiamare Arthur. Curly, te ne occupi tu?”
“Certo, dottoressa.”
 
Un’ora dopo casa Hamilton fu invasa dagli Shelby. Polly e Ada stavano con Tommy, Finn spazzolava una confezione di dolcetti, Arthur fumava il sigaro e Michael aiutava Amabel ad azionare la bombola d’ossigeno che un paio di Peaky Blinders avevano rubato dal deposito dell’ospedale. Tommy stava meglio, il suo viso stava ritornando al colorito consueto, le pupille erano di nuovo normali e respirava bene, ma la sua mente era ancora annebbiata dalla droga.
“Grazie, Amabel. Gli hai salvato la vita.” Disse Polly tamponando la fronte di Tommy con acqua fredda. Amabel si sentiva a disagio in mezzo a loro, come un agnello in un branco di lupi.
“E’ il mio dovere. Sono un medico. Comunque, dovrebbe farsi visitare ed eventualmente ricoverare.”
“No. – obiettò Arthur – Col cazzo che Tommy va in qualche fottuto ospedale. Tu sei il medico dei Peaky Blinders, è una tua responsabilità.”
“Arthur ha ragione. – continuò Michael – Nessuno in città deve sapere che Tommy si fa di eroina e che ha avuto una crisi, altrimenti lo vedrebbero come un segno di debolezza.”
Amabel non aveva voglia di discutere, soprattutto non con due teste calde come Arthur e Michael.
“Va bene. Stanotte può restare a dormire qui, domani mattina vedremo come sta. Vi tengo aggiornati.”
 
 
L’indomani Amabel si svegliò alle prime luci dell’alba dopo una notte insonne. Scendeva in soggiorno ogni ora per accertarsi che Tommy respirasse ancora, tornava in camera e restava a fissare il soffitto. Si stava preparando il caffè da sola, Jalia stava ancora dormendo per via dello spavento della sera prima. La camicetta di Amabel era appesa alla sedia, ancora sporca sul davanti del sangue di Tommy, una sorta di promemoria delle ore precedenti. Udì un boato e accorse in soggiorno, trovando un Tommy che tentava di mettersi seduto sul divano.
“Non ti muovere! Tu devi restare sdraiato.”
“Ordini del medico, suppongo.” Replicò Tommy massaggiandosi le tempie.
“Ordini di una che non vuole ancora il tuo vomito sul tappeto. Sai quanto mi costerà smacchiarlo?!”
Amabel si sedette sul tavolino di legno di fronte al divano a sorseggiare il suo caffè. Il colorito di Tommy era piuttosto pallido ma tutto sommato il sangue affluiva alle guance, il respiro era migliorato e i suoi occhi erano tornati azzurri.
“Mi dispiace per ieri sera. E’ stata un’idea di Curly venire qui.”
“Sta zitto. Curly ha fatto bene, saresti morto entro mezz’ora. Come ti è venuto in mente di assumere eroina? Quelle compresse sono state sintetizzate da poco, potevano essere fatali in pochi secondi. Il processo di sintesi delle droghe va eseguito correttamente oppure il rischio di morte è certo.”
Amabel distolse lo sguardo, non riusciva a guardarlo senza pensare alla cartella di Warren. Tommy, invece, non staccava gli occhi da lei. Era abbronzata, con i capelli lunghi fino a metà schiena, e la sua solita espressione preoccupata.
“Gli incubi mi davano il tormento. Il ricordo di Grace, il pensiero di Charlie e di quello che è successo a Liverpool mi stavano uccidendo il cervello. Un tipo è passato per il canale mentre davo da mangiare ai cavalli e mi ha offerto le pillole. Ho pensato che fossero un buon metodo per mettere a tacere la mia fottuta testa.”
“Lo capisco che sei sconvolto da quello che è capitato a Grace, ma questo non giustifica il tuo comportamento. Io mi sono presa cura di tuo figlio per tre mesi! Charlie è stato con me e la mia famiglia quando un padre ce l’ha. Il problema è che tu non puoi guardare tuo figlio senza pensare a Grace, e questo ti manda in bestia. Lo sai che la droga non è un metodo permanente, che prima o poi torni alla realtà e stai peggio di prima.”
Tommy si sentì come se lei lo avesse colpito dritto in faccia con la canna di un fucile. Amabel aveva centrato l’obiettivo con una mira letale.
“Mi rimetterò in sesto, lo faccio sempre. E poi ci sarai tu al mio fianco.”
“No. Non ci sarò io al tuo fianco, Tommy.”
Tommy con orrore si accorse che Amabel per la prima volta lo stava chiamando ‘Tommy’ e non ‘Thomas’ come suo solito. Qualcosa di tremendo aveva spezzato il loro legame.
“Perché cazzo sono ‘Tommy’ per te? Che ti prende, Bel?”
Amabel abbandonò la tazza sul tavolino e si alzò, incapace di stare vicino a lui.
“Warren è stato pestato la sera dell’inaugurazione.”
“E la faccia spaccata di quel cazzone che c’entra con me?”
“Tu hai dato l’ordine di aggredirlo. Ti ricordi quella sera? Mi hai detto di aspettarti in camera tua e io, ingenua, l’ho fatto. Mentre io ti aspettavo, tu comandavi ai tuoi di picchiare Warren perché era venuto a Birmingham per me. La mia intuizione è giusta?”
Tommy inarcò il sopracciglio come faceva ogniqualvolta qualcosa lo irritasse. Amabel lo fissava come se fosse un accusato al banco dell’imputato, severa nella sua postura dritta.
“Hai ragione.”
Amabel sospirò, quasi credeva che lui avrebbe ritrattato, invece stava ammettendo le sue azioni con nonchalance.
“Perché lo hai fatto?”
“Perché quel dottorino del cazzo mi ha parlato nel modo sbagliato, e nessuno parla a Tommy Shelby in quel modo senza pagarne le conseguenze.”
“Chiamo Arthur e gli dico di venirti a prendere. Noi non abbiamo più niente da dirci.”
Tommy si mise in piedi, nonostante i lancinanti dolori che gli facevano digrignare i denti, e tese la mano verso Amabel, ma lei non si mosse.
“Bel, per favore, non lasciarmi proprio adesso.”
“Non cercarmi più, Tommy.”
 
Tommy si stava scolando l’ennesimo bicchiere di whiskey quando Polly lo chiamò in cucina per una riunione. All’appello mancava solo Ada che era andata in clinica per le solite mansioni.
“Perché cazzo state disturbando la mia convalescenza?”
Polly lo fulminò con un’occhiataccia e gli fece cenno di sedersi.
“Perché quella merda che hai ingerito ieri sera sta uccidendo i ragazzi di Small Heath.”
“Fino ad oggi si calcolano dieci morti.” Aggiunse Michael, che aveva studiato gli articoli di giornale per avere un quadro generale. Tommy si accese una sigaretta ma Polly gliela strappò dalla bocca.
“Amabel ha detto che non devi fumare, i tuoi polmoni sono ancora a corto di ossigeno. Vedi di non crepare come quei ragazzi, imbecille.”
“Sono qui, no? Questo vuol dire che quella merda non uccide necessariamente tutti.” Disse Tommy, e intanto si accendeva un’altra sigaretta.
“Tu sei vivo perché Amabel ti ha salvato il culo. Quella donna ha fatto un miracolo.” Disse Arthur lisciandosi i baffi. Tommy storse il naso alla menzione di Amabel, non accettava la loro separazione.
“La dottoressa non è più dalla nostra parte. Se la droga uccide, vuol dire che i morti aumenteranno e il cimitero non avrà più posto per i cadaveri.”
“Che vuol dire che non è più dalla nostra parte?” domandò Michael. Polly guardò i nipoti per poi imprecare.
“Voi teste di cazzo avete combinato qualcosa. Che cosa?”
“Ho ordinato che due dei nostri dessero una lezione al suo ex fidanzato, un certo Warren Emerson.”
“Stronzate! – disse Arthur – Non abbiamo sfiorato quello stronzetto nemmeno con un dito. Quando quella sera abbiamo raggiunto la pensione dove alloggia, non c’era. La proprietaria ha detto che se n’era andato poche ore prima.”
Tommy gli lanciò il pacco di sigarette e Arthur gli scagliò contro un cuscino.
“E me lo dici solo adesso? Cazzo, Arthur! Meno male che io ho un fottuto cervello che pensa anche per te!” 
“Stavo per dirtelo quando quella svizzera del cazzo ci ha fatto quel regalo di merda!”
Michael si prese qualche istante per riflettere, c’era qualcosa che stonava nel racconto dei cugini.
“Ma se non siamo stati noi, allora chi è stato?”
 
 
Salve a tutti!
Direi che le cose per Tommy non si sono messe bene. Chissà che cosa è successo davvero a Warren.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.
 
Ps. Le cure che Amabel presta a Tommy sono ricerche che io ho fatto su internet. Negli anni 20’ del ‘900 non c’erano medicinali contro l’overdose, perciò ho dovuto improvvisare un po’. Spero che gli studenti/esperti di medicina possano perdonarmi.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Da Belfast con furore ***


3. DA BELFAST CON FURORE

“Where the road is dark and the seed is sowed,
where the gun is cocked and bullet’s cold,
where the miles are marked in the blood and gold
I’ll meet you further on up the road.”
(Further on up the road, Johnny Cash)
 
Tre settimane dopo
Tommy fissava il soffitto ingiallito e consunto dagli anni, il silenzio invadeva la stanza. Non aveva dormito, era rimasto tutta la notte a guardare Charlie sonnecchiare nella culla accanto a lui. Il bambino ogni tanto sorrideva, e Tommy sorrideva con lui. Polly una volta glia aveva detto che i bambini sorridono nel sonno perché sognano gli angeli, ma Tommy non ci credeva. Anzi, lui non credeva più in molte cose. Non credeva nella giustizia, nella bontà, nella pace, e stava anche smettendo di credere nell’amore. Erano tre settimane che non vedeva Amabel, sembrava una eternità. Non si erano parlati, non si erano incrociati a Small Heath, e lei non aveva neanche chiesto informazioni sulla sua salute. Amabel lo aveva scacciato come si fa con i cani randagi, sporchi e spesso aggressivi. E lui era proprio così, sporco di sangue e dominato dalla violenza. Tommy era una pistola costantemente carica, pronta a sparare chiunque lo ostacolasse. La porta si spalancò e Polly entrò con le mani sui fianchi.
“Alza il culo, Tommy. E’ successo di nuovo.”
“Quanti?”
“Due ragazzi di Small Heath, i gemelli di Clay. Avevano solo diciassette anni.”
L’eroina che Tommy aveva assunto stava uccidendo sempre più persone. I morti aumentavano ogni giorno. Lui era vivo solo grazie all’intervento tempestivo di Amabel, altrimenti si sarebbe già trovato sotto terra affianco a Grace. Quando scese in cucina, Arthur e Michael avevano già stappato una bottiglia di whiskey. Finn mangiava i biscotti che Ada aveva comprato per la colazione, con tutta l’innocenza dei suoi diciannove anni.
“Ah, ecco il recluso. Finalmente sei uscito dalla tua cazzo di stanza.” esordì Arthur ridendo. Tommy sbuffò, prese un bicchiere dalla credenza e si versò una esagerata quantità di alcol.
“Chiudi quella fogna, Arthur. Non rompermi il cazzo alle sette di mattina.” 
“Esiste un orario per rompere il cazzo?!”
Tommy ignorò il fratello, non era in vena di scherzare.
“Qualcuno mi dice che cosa è successo o devo tirare ad indovinare?”
“L’eroina questa settimana ha ucciso una dozzina di persone in tutta Birmingham. Stamattina Charlie Strong ha trovato i figli di Clay morti lungo il canale. La droga è arrivata anche a Small Heath, Tommy.” Disse Michael, che fumava placidamente e sorseggiava il whiskey.
“Chi è che sta spacciando nel nostro quartiere senza il nostro permesso?” chiese Polly, i ricci lunghi sulle spalle, la sigaretta tra le dita.
“Forse qualche altra gang ha deciso di farci innervosire. Dovremmo fracassare qualche cazzo di pub!” disse Arthur. Tommy si accese una sigaretta nella speranza ci calmare i nervi, ma la nicotina non era d’aiuto.
“L’eroina è una nuova droga, mi sembra strano che le altre gang spaccino roba che non conoscono. Credo che in città qualche idiota voglia racimolare un po’ di soldi vendendo droga.”
“Beh, questo idiota sta decimando la città. Se i Peaky Blinders cominciano a fare uso di eroina, entro due settimane saremo a corto di uomini.” Gli fece notare Polly con il suo solito tono tagliente.
“Avvisiamo i nostri uomini di non comprare quella merda e di usare la solita roba. Nel frattempo mandiamo qualcuno a parlare con gli spacciatori per cercare di avere qualche informazione.” Disse Tommy. Arthur si scolò gli ultimi sorsi di whiskey dalla bottiglia e poi raccattò una nuova bottiglia dal frigo.
“E noi che facciamo? Ci grattiamo le palle?”
Tommy gli rivolse uno sguardo annoiato, le provocazioni del fratello non lo divertivano mai.
“Tu non sai nemmeno grattarti le palle, Arthur. Sta buono per una cazzo di volta.”
“Quanto cazzo sei depresso da quando la dottoressa ti ha piantato. Fatti una cazzo di vita, fratello.”
“Che cazzo hai detto?”
Polly scosse la testa per impedire ad Arthur di parlare ancora ma il nipote non le diede retta.
“Lo sappiamo tutti che tu e Amabel scopavate di nascosto, e adesso fai il depresso perché lei non te la dà più.”
Tommy, accecato dalla rabbia, sferrò un pugno in faccia al fratello. Arthur cadde dalla sedia con il naso sanguinante.
“Tommy, smettila!” lo rimproverò Polly. Tommy si scrollò di dosso le mani della zia e di Michael, e si massaggiò la mano.
“Non parlare mai più di Amabel in quel modo. Sono stato chiaro?”
“Vaffanculo, Tommy.” Grugnì Arthur attraverso i baffi sporchi di sangue.
 
Amabel arrivò in clinica puntuale come un orologio svizzero. Indossò il camice e iniziò subito il giro di visite nel proprio reparto, voleva conoscere tutti i bambini di sua competenza.
“Buongiorno, mia bella signorina.”
Amabel sorrise quando Oliver l’affiancò in corridoio.
“Buongiorno a te. Come procedono le tue visite?”
“Io non visito, io dialogo con le persone.” Replicò Oliver con un sorrisino. Amabel gli diede un buffetto sul braccio.
“In pratica ti impicci degli affari altrui.”
“Sì, è un modo carino per definire il lavoro di uno psicologo.”
Amabel si soffermò sul nome di una bambina, era pallida e tossiva. Stando alla sua cartella, era Stacey Adrian, dieci anni, affetta da pertosse.
“Accidenti, siete ovunque!”
“Parli da sola, amica mia?”
Amabel portò Oliver lontano dalla bambina per evitare orecchie indiscrete.
“Questa bambina è la figlia di John Adrian*, il capo della gang degli Cheapside Sloggers del quartiere di Cheapside.”
“Conosci tutti i gangster di Birmingham?”
“Ne conoscono uno e mi basta, fidati. Comunque, Adrian è il proprietario dei pub ad ovest della città ed è uno dei maggiori allibratori a Londra.”
“Dottoressa Hamilton.” La richiamò una infermiera, e Amabel si voltò.
“Dimmi.”
“C’è un signore che vi aspetta in giardino. Dice che ha urgente bisogno di colloquiare con voi.”
Amabel temeva che fosse Tommy, non era pronta a rivederlo, ma lui era troppo orgoglioso per parlarle.
“Arrivo.”
 
Amabel vide un uomo che passeggiava in giardino con le mani dietro la schiena. Era ben vestito, indossava il cappello che nascondeva una cascata di ricci biondi, e un prezioso orologio da taschino gli pendeva sul panciotto. L’uomo la riconobbe e sorrise, le labbra sottili erano sormontate da baffi biondi ben curati.
“Dottoressa Hamilton, è un piacere fare la vostra conoscenza.” Disse, e le baciò il dorso della mano. Amabel avvertì una strana agitazione serrarle lo stomaco.
“Sarebbe un piacere anche per me se sapessi il vostro nome.”
“Certo, perdonatemi. Il mio nome è Eugene Campbell, ispettore capo della polizia di Belfast.”
Amabel ritrasse la mano con uno scatto, quasi si fosse ustionata.
“Da Belfast, avete detto? Non capisco.”
“Sono stato inviato qui per indagare sugli omicidi di Dominic e Jacob Cavendish.”
“Credevo che il caso fosse stato archiviato.”
L’ispettore sorrise, i baffi mostrarono un canino d’oro affilato.
“Dottoressa, non siate ingenua. Un caso viene archiviato quando il colpevole viene arrestato. Non volete scoprire chi ha ucciso brutalmente vostro cognato?”
Amabel si guardò intorno alla ricerca di un volto amico che andasse in suo soccorso, ma non c’era nessuno nelle vicinanze.
“Jacob non era ancora mio cognato. Lo conoscevo molto poco, e anche mia sorella lo conosceva poco. Il loro fidanzamento era stato molto affrettato.”
“Ma la morte di un uomo resta un evento spiacevole a prescindere dal legame che avevate con lui.” Disse l’ispettore con tono pacato, un’aquila che tastava il terreno dove avrebbe colto la propria preda.
“Perché siete qui, ispettore Campbell?”
“Vorrei porvi qualche domanda, se non vi dispiace.”
Amabel si allarmò quando l’uomo tirò fuori dalla giacca un taccuino e una penna, voleva annotare ogni sua parola per poterla analizzare in seguito. Prese un bel respiro e si costrinse a calmarsi, doveva apparire serena all’esterno.
“Certamente.”
“Com’era il rapporto fra Jacob e vostra sorella?”
“Come quello di tutti i giovani innamorati, dolce e idilliaco.”
L’ispettore ridacchiò mentre scriveva e ogni tanto sollevava gli occhi sulla donna.
“Non litigavano mai? Anche nelle relazioni idilliache c’è del marciume.”
“Non hanno mai litigato. Evelyn e Jacob passavano poco tempo insieme perché lei studiava e lui lavorava con il padre.”
“A proposito di famiglia, siete voi la tutrice delle vostre sorelle?”
Amabel non si lasciò condizionare da quel cambio di argomento che mirava solo a confonderla, mantenne lo stesso tono di voce risoluto.
“Sì. Mio padre ha espressamente voluto che fossi io ad occuparmi delle mie sorelle, nonostante fossi lontana per lavoro.”
“Per lavoro, dite? Io ho qui un certificato medico che vi colloca in una clinica privata di New York tra il settembre e l’ottobre nel 1921. Vi è capitato qualcosa?”
“Siete venuto per indagare sulla morte dei Cavendish o per indagare sulla mia vita personale? Sappiate che non vi è correlazione tra le due cose.” Rispose Amabel con fare nervoso, al che l’ispettore ghignò.
“In città si mormora del vostro caratterino, ma non pensavo che le voci fossero tanto vere. Siete un bel tipetto, dottoressa. Quello che si vocifera su di voi è assai allettante.”
“Non mi interessa. E ora, con permesso, devo tornare a lavorare.”
Amabel stava per dargli le spalle quando la risata dell’ispettore la obbligò ad arrestarsi.
“Si vocifera che siate coinvolta negli affari sporchi dei Peaky Blinders, una gang di Small Heath. Inoltre, dai documenti emerge che il maggiore investitore della vostra clinica è proprio il signor Shelby, il leader dei Peaky Blinders.”
“Siccome non vi è chiaro, vi ribadisco che le chiacchiere sul mio conto non mi interessano. Se volete interrogarmi sui Cavendish, sarò ben disposta a rispondere nelle sedi opportune.”
Amabel rientrò in clinica con i tacchi che picchiavano sul lucido pavimento come chicchi di grandine. Aveva fretta ma non voleva che l’ispettore, ancora in giardino, comprendesse il suo disagio. Rintanatasi nel suo ufficio, chiuse la porta a chiave e dalla finestra osservò Campbell uscire dal cancello. Digitò un numero con le mani tremanti, non aveva altra scelta se non contattare l’unica persona che poteva aiutarla.
“Shelby Limited Company. Parla Lizzie Stark, la segretaria.”
“Lizzie, sono Amabel Hamilton. Devo parlare con Tommy immediatamente.”
“Tommy non vuole essere disturbato per nessuna ragione.”
“Digli che è importante, per favore.”
“Mi dispiace, Tommy non è qui.”
Amabel sbatté la cornetta al muro quando Lizzie riagganciò.
 
Tommy stava seduto alla sua scrivania al buio, con la porta chiusa e le persiane a coprire le finestre. Si rigirava tra le mani il fazzoletto di Amabel mentre fumava. Era a pezzi. La morte di Grace lo aveva prosciugato, e la vendetta su Lena non aveva sortito nessun effetto. Il buco al centro del petto era sempre più profondo. Perdere anche Amabel lo aveva destabilizzato. Non era lucido, non era in grado di pensare, non era più se stesso. Gli incubi sulla guerra erano tornati prepotenti, lo tenevano sveglio e con il respiro mozzato. Era schiavo della propria mente scombussolata.
“Arthur ha ragione sulla tua depressione.”
Polly entrò nell’ufficio portando con sé una ventata di odore di alcol.
“Non sono depresso.”
“Tu non stai bene, Tommy.”
Tommy nascose il fazzoletto nel cassetto e spense la sigaretta.
“Non è una novità. Perché sei qui? Non dirmi che è morto qualcun altro.”
Polly spalancò una finestra per rinfrescare la stanza satura di fumo e polvere, poi si sedette sulla scrivania e accarezzò la spalla del nipote.
“Sono qui perché tu hai il cuore spezzato. Lo so che tra te e Amabel era più che semplice sesso. Lo so che sei innamorato di lei.”
“Lei non la pensa così.” Disse Tommy socchiudendo gli occhi stanchi.
“Non è tutto bianco o nero, Tommy. Esiste una zona grigia dove vengono confinate tutte le incertezze.”
“Ti ricordi quando mi hai detto che dopo Grace ci sarebbe stata un’altra donna? Ecco, ti sbagliavi. Non poteva esserci nessuno dopo Grace perché Amabel era venuta prima di tutte. E’ dopo Amabel che non ci sarà nessun’altra.”
Polly non aveva mai visto Tommy così distrutto, era una persona diversa dall’uomo a capo di una gang di criminali. Quelle parole appartenevano al Tommy che era stato prima di partire per la guerra.
“Il duro Tommy Shelby ha davvero perso la testa, a quanto pare.”
“Lei è quella giusta. Malgrado tutto, è lei.”
Quella conversazione intima fu interrotta dalle urla di Lizzie. La porta si aprì e Amabel comparve sulla soglia con la rabbia stampata in faccia.
“Ma sei impazzito? Non puoi evitarmi quando ho bisogno di te!”
“Sei tu quella che non vuole avere niente a che fare con me.”
La sicurezza di Amabel scemò in un attimo, l’imbarazzò le attanagliò l’imboccatura dello stomaco. Polly ridacchiava sotto i baffi per quella scenetta patetica.
“A parte le nostre divergenze personali, abbiamo un problema che riguarda tutti noi. Un ispettore è venuto da Belfast per indagare sulla morte di Dominic e Jacob. E’ Eugene Campbell.”
L’espressione di Tommy si tramutò in shock, poi diventò furia.
“Campbell?! Quella famiglia del cazzo ci sta alle costole!”
“Sa cose di me che non dovrebbe sapere e che non attengono al caso.” Disse Amabel, mordendosi le labbra. Polly stava tremando, si era appoggiata alla scrivania con ambo le mani e respirava a fatica.
“Quel bastardo di Campbell non aveva figli. Chi è questo?”
“Quanto ci dobbiamo preoccupare?” Chiese Amabel. Tommy non osò guardarla, però la postura rigida delle spalle preannunciava la sua risposta.
“Ci dobbiamo preoccupare parecchio. Bel, vattene prima che qualcuno ti veda qui. Ci vediamo stasera al solito posto e ne parliamo.”
Amabel annuì e, con un ultimo sguardo a Tommy, lasciò l’ufficio.
 
Amabel era già arrivata quando Tommy accostò lungo il ciglio della strada.
“Sali. Ci facciamo un giro.”
La donna salì a bordo con riluttanza, non aveva voglia di stare tanto vicina a lui. Si mise a guardare fuori da finestrino mentre l’auto ripartiva. L’azzurro del cielo stava cedendo il passo al rosso del tramonto, presto sarebbe diventato nero. Faceva fresco, la brezza settembrina penetrava attraverso il soprabito di Amabel facendola rabbrividire.
“Ebbene, perché ci siamo incontrati qui?”
Tommy picchiettava le dita sullo sterzo, era nervoso e accigliato.
“Perché qualcuno in città si sarebbe accorto di noi. Se Campbell indaga sugli omicidi, di sicuro potrebbe spiarti. Vederci fuori città ci dà una minima occasione di privacy.”
“Campbell è pericoloso, l’ho avvertito come uno spillo nella pelle. Quell’uomo è a Birmingham per una ragione che esula dai Cavendish.”
Tommy frugò sui sedili posteriori e le diede una cartellina blu che proveniva dall’ufficio militare.
“Ho scoperto che Eugene è il nipote dell’ispettore Campbell che ci ha perseguitato anni fa. E’ il figlio del fratello. Faceva parte dell’aviazione inglese e ha servito durante la Guerra, poi è stato nominato ispettore capo a Belfast dopo la morte dello zio.”
Amabel lesse le informazioni su Eugene, aveva trentacinque anni, era scapolo ed era un soldato pluridecorato.
“Non mi aspettavo niente di diverso da un tipo come lui.”
“Oggi hai detto che lui sa cose di te che nessuno dovrebbe sapere. Che intendevi?”
Amabel si agitò sul sedile, non era un argomento di cui voleva parlare, specialmente con lui.
“Sono stata ricoverata per un po’ in una clinica privata dopo la guerra. Era Oliver a curarmi.”
Tommy si meravigliò del fatto che Amabel fosse stata curata in una clinica psichiatrica, lei che sembrava avere tutto sempre sotto controllo.
“Colpa della guerra?”
“E’ sempre colpa della guerra, Tommy.”
“Già. – convenne Tommy – Hai già interrogato le tue sorelle?”
“No, o almeno non ancora. Le ho chiamate per comunicare loro la notizia e hanno detto che nessuno le ha contattate. Ho detto loro che devono stare attente e che, nel caso in cui qualcuno le interroghi,  devono ripetere la versione che abbiamo accordato.”
“Saggia mossa.” Disse Tommy, e dovette reprimere un sorriso. Era in auto con la donna che amava a discutere di omicidi, non c’era niente da sorridere. Amabel appoggiò la testa contro il finestrino e sospirò, era esausta dopo quella sfiancante giornata.
“E’ qui per vendicare lo zio, vero?”
“Possibile. All’epoca abbiamo corrotto la polizia per evitare di incriminare Polly, e nessun colpevole è mai stato trovato. Il caso è decaduto senza fare scalpore.” Disse Tommy, e fermò l’auto a pochi metri da un ruscello.
“Scommetto che Eugene ha tutta l’intenzione di scoprire chi ha ammazzato lo zio. Inoltre, la morte dei Cavendish è una ferita ancora fresca per la città.”
Tommy smontò e fece cenno ad Amabel di seguirlo. Si addentrarono nella fitta boscaglia per raggiungere il ruscello che mormorava una placida cantilena. Amabel si abbassò a immergere la mano nell’acqua fredda, una sorta di ristorazione per il corpo e la mente.
“Lui lo sa che siamo stati noi ad uccidere i fratelli Cavendish. È questione di tempo prima che ci arresti.”
Tommy si passò la sigaretta sulle labbra prima di accenderla, sebbene i suoi polmoni faticassero a respirare bene.
“E’ ovvio che lo sa. Conosce i Peaky Blinders, sa quello che facciamo, e suo zio lo avrà di certo aggiornato mentre era a Birmingham. Per sbatterci dentro gli servono soltanto le prove.”
“Esistono prove di quello che abbiamo fatto?”
Amabel lanciò uno sguardo fugace a Tommy, che osservava la superficie del ruscello incresparsi al passaggio dei pesci.
“Tu non hai fatto niente, Bel. Io e Arthur abbiamo torturato e ucciso quei bastardi dei Cavendish. E Polly ha ucciso quel verme di Campbell.”
“Hai ucciso quei due anche per me, per salvare mia sorella, e perciò sono in debito con te.”
“L’ho fatto per vendicare John, questo è il motivo principale.”
Quando i loro sguardi si incrociarono, una scintilla scattò. Era un misto di rabbia, pentimento e passione. Loro si capivano anche senza parlare.
“Non vi lascerò affondare, Tommy. Io resterò al vostro fianco.”
“Mi avevi detto di non voler essere più cercata. Perché dovrei coinvolgerti nell’ennesimo casino dei Peaky Blinders?”
Amabel strappò un filo d’erba e lo attorcigliò in modo da creare una specie di anello. Lo mostrò ad un Tommy scettico.
“Perché non possiamo fare a meno di metterci nei guai insieme.”
Tommy inarcò il sopracciglio quando lei gli prese la mano e gli fece scivolare l’anello all’indice destro.
“Regalo economico. Mi aspettavo di più da una riccona.”
“Questa è la promessa che ti guarderò le spalle qualunque cosa accada. Anche se non stiamo insieme, siamo amici. Io ci tengo a te, Tommy.”
Tommy la strattonò per attirarla a sé, erano così vicini che riusciva a vedere le crepe del rossetto causato dalle labbra screpolate.
“Non posso essere tuo amico quando l’unica cosa a cui penso sono tutte le volte che ho baciato la tua bocca, che ho toccato il tuo corpo nudo, a tutte le volte che ti ho sentito gemere nel buio della nostra camera.”
Tommy le accarezzò la bocca con il pollice, un lento e sensuale movimento. Amabel deglutì, incapace di staccarsi.
“Non farlo, Tommy. Non incantarmi con le belle parole, non dopo quello che hai fatto a Warren.”
Tommy si scostò bruscamente, annoiato da quel riferimento.
“Ho ordinato ai miei di dare una lezione a quel fottuto dottorino? Sì. Me ne pento? No. Siamo stati noi? No. Quando i miei sono arrivati alla pensione di Warren, lui non c’era. Non siamo stati noi.”
“E allora chi è stato?”
“Non lo so.”
Amabel si produsse in una risata amara, era ridicola la giustificazione di Tommy.
“Certo, fingerò di crederci. Adesso devo tornare a casa.”
Tommy l’agguantò per il polso ma Amabel si liberò con uno strattone.
“Bel, ti prego, devi credermi.”
“Tu sei tossico. Sei come l’eroina, rovini tutto quello che tocchi. E io mi sono lasciata risucchiare nella tua spirale di violenza come una bandiera sbatacchiata al vento. Però sono stanca di essere una bandiera al vento, ora voglio mettere i piedi a terra.”
“E non pensi a me? Non pensi a come sto io senza di te? Cazzo, Bel, la mia testa è un fottuto inferno. Sento che sto per crollare e non posso dirlo a nessuno perché per loro sono soltanto Tommy Shelby – il gangster. Tu sei l’unica che mi vede per quello che sono. Tu vedi Thomas.”
Tommy aveva gli occhi lucidi di lacrime e rossi, il suo petto si alzava e abbassava con violenza, la rabbia gli scorreva nelle vene mescolandosi al sangue.
“Tommy …”
“No! Non tu, Bel! Non chiamarmi così. Ti supplico, guardami. Guarda Thomas. Il tuo Thomas. Ho bisogno di te. Ho fottutamente bisogno di te!”
Amabel non lo aveva mai visto tanto disperato, era fuori di sé. Il gangster era scomparso, davanti a lei c’era solo un uomo distrutto. Una scia del Thomas che era stato in passato.
“Ma io sono qui! Ti ho appena promesso che sarò al tuo fianco.”
“Hai promesso di restare al mio fianco in un cazzo di omicidio! Io ti voglio nella mia vita! Voglio svegliarmi la mattina e sapere che tu mi ami, che ci sarai tutti i giorni, che mi bacerai per consolarmi, che farai l’amore con me tutte le volte che ne avrai voglia. Non me ne faccio un cazzo di una amica!”
Tommy rimase ferito dal silenzio di Amabel, se ne stava ferma come una statua a guardare il ruscello per non guardare lui.
“Andiamo. Ti riporto alla tua auto.”
 
Amabel rincasò intorno alle otto di sera. Jalia l’attendeva in sala da pranzo con una gustosa cena a base di carne e verdure.
“Bentornata, signora. La cena è servita.”
“Grazie, Jalia. Ti prego, unisciti a me. Non voglio cenare da sola.”
La ragazza sbarrò gli occhi, di solito le cameriere mangiavano gli avanzi in cucina e non sedevano insieme al proprio datore di lavoro. Amabel, invece, ribaltava tutte quelle cerimonie discriminatorie.
“Grazie, signora.” Disse Jalia inzuppando il pane nella crema di patate. Amabel si sciolse i capelli e si massaggiò la testa.
“Chiamami ‘Amabel’, per favore. Sei mia amica, e gli amici si chiamano per nome.”
Amabel strinse la mano della ragazza in una presa ferrea, in fondo era solo una diciottenne in un paese straniero che aveva bisogno di essere accolta.
“Grazie, Amabel.”
“Dai, adesso mangiamo.”
Un’ora dopo Jalia lavava le stoviglie e Amabel le asciugava, mentre chiacchieravano di tutto e di più. Jalia le aveva raccontato del piccolo villaggio africano in cui era nata, della propria famiglia, di come era giunta in Inghilterra su un peschereccio e di come era finita in un orrido orfanotrofio.
“Voi mi avete salvato la vita, Amabel. Sarei finita per strada se voi non mi aveste presa in casa.”
“E sono davvero felice di averlo fatto. Ci sono troppe donne nella tua condizione, dovremmo fare qualcosa.”
“Non c’è soluzione alla cattiveria del mondo.”
Amabel stava per replicare quando suonò il campanello. Si augurò che nessun Shelby ferito sanguinasse ancora sul tappeto costoso del soggiorno. Davanti alla porta giaceva una busta bianca su cui c’era scritto il nome di Amabel. Quando esaminò il contenuto, fece cadere la busta per lo shock. Al suo interno c’erano un paio di boxer da uomo bianchi con due impronte di mani insanguinate sul didietro; appartenevano a Tommy. Sotto le impronte qualcuno aveva attaccato un biglietto scritto con la macchina da scrivere: io so.
 
Tommy si era defilato in camera dopo aver dato il bacio della buonanotte a Charlie, che avrebbe dormito a casa di Ada e Karl. Trangugiò una bottiglia intera di whiskey, fumò tre pacchetti di sigarette, e si accasciò in un angolo. Tastò nel cassetto in cerca della pipa e dell’oppio, ma non ne fece usò. La parete opposta, quella a cui era appeso un quadretto, sembrava restringersi. Il rumore delle pale che cozzano riempivano la stanza.
Tommy spalancò gli occhi boccheggiando. Si era addormentato e gli incubi avevano invaso i suoi sogni. Non erano le pale a cozzare, bensì qualcuno che bussava alla porta. La casa era immersa nel buio, Michael e Arthur erano tornati a casa, così come Ada, e Finn russava sul divano ancora vestito. Polly stava dietro la porta con la pistola sguainata.
“Che succede, Pol?”
“Non lo so. Un tizio ha lasciato qualcosa fuori.”
Aperta la porta, ai piedi di Tommy si presentò una busta bianca. Rovistò all’interno e ne estrasse un reggiseno bianco ricamato. Sulle coppe c’erano due impronte di mani insanguinate. Al gancio dell’indumento era attaccato un biglietto scritto con la macchina da scrivere: io so. Polly si sporse oltre la spalla del nipote e aggrottò le sopracciglia.
“Tommy, di chi è questo reggiseno?”
“E’ di Amabel.”
“Ne sei sicuro?”
“E’ il suo.”
“E il sangue di chi è?”
Tommy ignorò la zia, si precipitò in cucina e compose il numero di casa Hamilton.
“Pronto?”
Emise un sospiro sollevato nell’udire la voce di Amabel.
“Dimmi che stai bene.”
“Presumo che anche tu abbia ricevuto quel macabro regalo. Comunque, io sto bene. Di chi è quel sangue?”
“Penso che sia sangue animale. Scommetto che è stato l’ispettore a farci questo regalo del cazzo. E’ un avvertimento, lui sa che cosa abbiamo fatto.”
“Ci stanerà come fossimo topi di fogna.” Disse Amabel, e Tommy annuì anche se lei non poteva vederlo.
“Ascolta, domani sera incontriamoci al solito posto per una riunione di famiglia. Dobbiamo escogitare un piano per coprire le nostre tracce.”
“D’accordo. A domani, Tommy.”
“A domani, Amabel.”
 
Salve a tutti!
Beh, questo ispettore ha appena messo una grossa quantità di sale su ferite ancora fresche.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.
 
*John Adrian è un gangster realmente esistito; a capo dei Cheapside Sloggers, operava a Birmingham negli stessi anni dei Peaky Blinders.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Fuoco e cenere ***


4. FUOCO E CENERE

“Can’t fight the dawn
Can’t ride the storm
Can’t carry on without you anymore.”
(Alone in the dark, Will Cookson)
 
Tommy si unì agli altri per la colazione. Bicchieri di whiskey e tazze di the erano disseminate sul tavolo della cucina. Il fumo invadeva la piccola stanza contorcendosi in scie bianche nell’aria.
“Tommy, dobbiamo darti una bella notizia.” Esordì Polly sorridendo. Tommy, sebbene non fosse dell’umore per una sorpresa, si sforzò di ascoltare.
“Sarebbe?”
Arthur si alzò in piedi e sollevò il bicchiere, sorrideva raggiante.
“Io e Linda stiamo per diventare genitori!”
“Congratulazioni, fratello.” Disse Tommy dando una pacca sulla spalla del maggiore.
“Il figlio di Arthur nascerà già con i baffi.” Scherzò Finn, che si era spazzolato un piatto di biscotti alla cannella. Tutti scoppiarono a ridere, incluso Tommy. Arthur diede uno scappellotto a Finn e poi tornò a bere.
“Che ne sai tu dei baffi? Non hai nemmeno la barba, cazzo!”
“Lasciate in pace il bambino di casa.” Disse Polly scompigliando i capelli di Finn, che si scostò con uno scatto.
“Il bambino di casa è Michael, lo sappiamo tutti.” Replicò Arthur indicando il cugino con un cenno del capo. Michael fece roteare gli occhi al cielo quando la madre gli accarezzò le spalle, detestava essere additato come il piccolo del gruppo. Tommy, appoggiato al piano del lavandino, stava fumando immerso nei pensieri.
“Polly vi ha detto che è successo ieri notte?”
“Ti riferisci al reggiseno della dottoressa che ti sei ritrovato tra le mani?” rise Arthur, al che Tommy lo trucidò con lo sguardo.
“Non è il momento per fare il coglione. Sapete che il nuovo ispettore indaga sulla morte dei Cavendish, e quello di ieri è un chiaro segno che lui sa che siamo stati noi.”
“Non ha le prove. – disse Michael – Di cosa ci preoccupiamo?”
“Uno così le prove se le inventa e ci sbatte tutti in galera senza battere ciglio.” Disse Polly.
“Esatto. – convenne Tommy – Quello ci incarcera senza nemmeno un giusto processo. Se collega i Cavendish al John e ad Evelyn, siamo fottuti. L’ispettore sa cose che nessuno dovrebbe sapere, me lo ha detto Amabel.”
“Certo, e noi ci fidiamo della bella dottoressa perché tu hai fatto un giro nelle sue mutandine!” disse Arthur, dopodiché versò il whiskey nel the e si portò la tazza alle labbra. Tommy gli colpì il braccio con il piedi e la bevanda cadde sui pantaloni di Arthur.
“Stai diventando una vera rottura di palle, fratello. Smettila di parlare di Amabel in quel modo. Tra me e lei non c’è mai stato niente, siamo solo complici in un cazzo di duplice omicidio.”
Polly lanciò uno sguardo a Tommy, che evitò di guardarla, e si rattristò al pensiero che il nipote fosse di nuovo solo.
“E come ci muoviamo?” chiese Michael. Tommy si scolò l’ultimo goccio di whiskey e si accese un’altra sigaretta.
“Per il momento non faremo niente che possa attirare l’attenzione della polizia. Voi continuate a cercare lo stronzo che spaccia l’eroina. Io penso all’ispettore. Se solo uno di voi combina un fottuto disastro, gli trancio le palle. Sono stato chiaro?”
“Cristallino.” Rispose Finn.
 
Amabel fissava distrattamente il muro del suo ufficio, sembrava che l’azzurro delle pareti fosse tutto quello su cui riusciva a concentrarsi. Era ancora scossa dal contenuto della busta e dal biglietto minaccioso per non pensarci. Doveva essere davvero diabolico chi aveva messo in atto quella manovra. Certo lei era in parte colpevole della morte dei Cavendish, e forse meritava quel trattamento, ma questo non le impediva di essere preoccupata. Sperava solo che chiunque fosse non arrivasse alle sue sorelle. Sussultò quando si accorse di Oliver alla porta. Era stravolto.
“Olly, che succede?”
“C’è una bomba nel magazzino dei medicinali.”
“Stai scherzando?!”
“Vieni a vedere con i tuoi occhi.”
Oliver la guidò al primo piano, nel magazzino destinato alle medicine, e spostò uno scatolone di garze. Un ordigno giaceva per terra, simile ad un lungo tubo, e sul pavimento c’era una scritta col gesso: Boom!
“Chi diamine farebbe esplodere una clinica piena di bambini?”
“Amabel, che facciamo? Potrebbe esplodere da un momento all’altro.”
Amabel si massaggiò le tempie mentre rifletteva sul da farsi. Con molta probabilità l’ordigno era connesso alla busta che aveva ricevuto la notte precedente.
“Dobbiamo evacuare la clinica. Tu avvisa l’ospedale centrale di Birmingham che gli stiamo mandando dei pazienti, io faccio un annuncio all’altoparlante.”
“Va bene.”
I due si separarono, Oliver andò nel suo ufficio per recuperare l’agenda con i numeri di emergenza e Amabel raggiunse la sala elettrica dell’edificio. Azionò l’altoparlante e si schiarì la voce per risultare risoluta.
“Attenzione a tutti i dipendenti e ai pazienti. Parla la direttrice Amabel Hamilton. E’ stato rinvenuto un ordigno esplosivo nel magazzino dei medicinali. Non vi è certezza che esploda ma, per la sicurezza di tutti voi, verrà messo in atto il protocollo di evacuazione. I malati più gravi saranno trasferiti nell’ospedale centrale della città, invece gli altri saranno distribuiti nel migliore dei modi. Vi prego di mantenere la calma e di prestare ascolto alle indicazioni del personale. Grazie.”
In pochi minuti si diramò il panico nella clinica. I pazienti strillavano in preda alla paura, alcuni correvano, altri erano bloccati a letto. Gli infermieri e i medici tentavano di placare l’isteria invano. Amabel intravide Ada aiutare una coppia di genitori a trasportare la barella del figlio verso l’ascensore.
“Ada! Ada!”
La donna affidò la famiglia ad una infermiera e andò incontro all’amica.
“Una bomba, sul serio? L’esplosione causerebbe una strage. Ci sono più di trecento persone nella clinica, e quasi tutti sono bambini!”
“La bomba mira proprio ad una carneficina. Ci stanno prendendo di mira, Ada.”
Un rumore distrasse le due donne. Una barella si era rovesciata e una bambina era caduta, rompendosi il braccio.
“Amabel, vieni qui!” strillò Oliver, che stava già soccorrendo la bambina.
“Dammi la cravatta, Olly. Dobbiamo fasciare il braccio alla buona, non c’è tempo.”
Amabel avvolse la cravatta intorno al braccio lesionato della bambina in modo che non si muovesse, dopodiché l’accompagnò fuori senza la barella.
“Gli aiuti dall’ospedale sono qui.” disse Ada sbirciando fuori dalla finestra.
“Bene. – disse Amabel – Ada, pensaci tu a negoziare con l’ospedale. Io e Olly cerchiamo di far uscire più gente possibile.”
I venti minuti successivi ricordarono ad Amabel la guerra. La clinica era precipitata nel caos, chi urlava, chi piangeva, chi zoppicava per salvarsi. Oliver prendeva in braccio quattro bambini alla volta; Emily spingeva fuori i pazienti in carrozzella e sulle stampelle; Amabel si occupava dei bambini intubati insieme agli altri medici. Ada saliva e scendeva per recuperare i pazienti che per qualche ragione rallentavano.
“Dottoressa, venite qui!” la richiamò una infermiera.
“Che c’è?”
Amabel trattenne il respiro quando l’infermiera le indicò un secondo ordigno attaccato sotto il letto di Stacey Adrian.
“Aiuta gli altri, qui ci penso io.” disse la dottoressa, e l’infermiera corse in soccorso di altri bambini di quel reparto. Oliver entrò nella stanza con il viso arrossato per la fatica.
“Sono tutti fuori, sia pazienti sia genitori. Dobbiamo evacuare solo noi del personale.”
Amabel lo spinse in corridoio perché Stacey non avvertisse il pericolo.
“Io non posso uscire. Qualcuno ha messo una bomba  anche sotto il letto di Stacey.”
“Pensi sia un guerra tra gang?”
“Potrebbe. – disse Amabel – Ascoltami bene: esci di qui e chiama Tommy, è l’unico esperto di ordigni che può essere utile, soprattutto quando in ballo c’è la vita della figlia di un gangster.”
“Dovrei lasciare te e una bambina da sole in una clinica che potrebbe esplodere a momenti? Non ci penso neanche!” disse Oliver stringendo le mani dell’amica.
“Devi lasciarci per cercare aiuto. Per favore, Olly, va via. Non posso abbandonare una bambina, è una mia paziente ed è mia responsabilità. L’intera clinica è una mia responsabilità. Se dovesse saltare in aria, io sarò l’unica qui dentro. Adesso va’ e porta qui Tommy il prima possibile.”
Oliver, sebbene riluttante, sapeva che Amabel aveva ragione. Le strizzò le mani in segno di saluto, poi le baciò la fronte.
“Resta viva. Ci vediamo dopo.”
“Sì, ci vediamo dopo. Ora va via, Olly.”
Dopo che Oliver fu uscito, Amabel tastò l’allarme anti-incendio per barricare la struttura. Porte, finestre e uscite di sicurezza furono serrate da pesanti cancelli che avrebbero dovuto contenere le fiamme, anche se in quel caso avevano creato una prigione.
 
Lizzie stava appuntando gli impegni di Tommy sull’agenda quando il telefono dell’ufficio squillò.
“Shelby Company Limited. Parla Lizzie Stark.”
“Il mio nome è Oliver Ross e sono un medico della clinica Hamilton. Dovete dire al signor Shelby che c’è una bomba alla clinica e che Amabel è rimasta dentro. Fate presto!”
Lizzie appese la cornetta e irruppe nell’ufficio di Tommy, incurante della riunione in corso con la famiglia Lee. Tommy sbuffò, e gettò con rabbia il mozzicone nel posacenere.
“Che vuoi, Lizzie? Ti avevo detto di non disturbarmi.”
“Ha appena chiamato un certo Oliver Ross sostenendo che c’è una bomba alla clinica. Inoltre, Amabel è all’interno dell’edificio.”
Tommy impiegò due minuti per elaborare la notizia, dopodiché recuperò la pistola e indossò la giacca per coprire l’arma.
“Lizzie, chiudi l’ufficio, convoca gli altri alla clinica e dì ad Arthur di portarmi la valigia della Francia.”
I due uomini dei Lee salirono in auto con Tommy, erano un supporto in più nel caso in cui avessero dovuto trattene i poliziotti. Raggiunsero la clinica in una decina di minuti, infrangendo una miriade di leggi del codice stradale e ignorando gli insulti dei pedoni. La folla di pazienti e personale medico si accalcava in strada. I medici cercavano di garantire assistenza a tutti, le ambulanze dell’ospedale trasportavano i pazienti più gravi, ma molti erano costretti a restare e ad essere curati seduta stante. Tommy intravide Oliver alle prese con una donna anziana sulle stampelle.
“Oliver!”
“Tommy, finalmente!”
“Dov’è Bel?”
“E’ rimasta dentro con una bambina a cui hanno piazzato una bomba sotto il letto. In pratica c’è una bomba nel magazzino dei medicinali e una nel reparto pediatrico.” Spiegò Oliver, e passò ad aiutare un bambino di tre anni con una brutta febbre.
“E’ tipico di Bel. – disse Tommy – Come entro nella clinica?”
“Non puoi.” Disse una voce familiare alle sue spalle. Era Ada, l’espressione allarmata e un piccolo graffio sulla guancia destra.
“Che vuol dire che non posso?”
“Il sistema di sicurezza della clinica è all’avanguardia. In caso di pericolo l’edifico viene sigillato dall’interno da cancelli impedendo a chiunque di entrare o uscire. Amabel e la bambina sono bloccate fino a quando il pericolo non è scampato.”
“Col cazzo che lascio Bel là dentro!” sbraitò Tommy. Aveva il terrore di perdere Amabel come era successo con Grace, con la differenza che questa volta non avrebbe superato il dolore della perdita. Ricordò a se stesso di essere stato a capo degli scavatori, che la risoluzione era racchiusa nella sua mente da soldato.
“Aspettiamo i pompieri e la polizia?” chiese Oliver.
“No, non c’è abbastanza tempo. Entro io. Mi serve la planimetria dell’edificio, una torcia e una pala.”
Tommy si tolse la giacca e il panciotto, si liberò della camicia e si sistemò la pistola alla caviglia. Ada riconobbe la determinazione nel suo atteggiamento.
“Che vuoi fare, Tommy?”
“Birmingham è stata costruita su una serie di tunnel, perciò c’è di sicuro un tunnel sotterraneo che permette di accedere alla clinica.”
Oliver, che aveva studiato il profilo psicologico di Tommy dai referti medici, rimase stupito dalle sue intenzioni.
“Sei disposto ad attraversare un tunnel per lei?”
Prima che Tommy potesse rispondere una decina di auto invasero la strada. Era John Adrian con tutti i suoi uomini al seguito. Adrian avanzava puntando la pistola contro Tommy.
“Tommy Shelby, figlio di puttana!”
“Adrian, che ci fai qui? Non è il tuo territorio.”
“Mia figlia Stacey è una paziente. A quanto pare, è rimasta dentro.”
Tommy capì perché Amabel avesse chiamato lui prima della polizia, c’entravano le gang ed era un affare personale. In quel momento arrivarono anche i Peaky Blinders guidati da Arthur e Michael.
“Che cazzo sta succedendo?” domandò Arthur lisciandosi i baffi. Un uomo di Adrian gli puntò la pistola contro.
“Stiamo calmi. – suggerì Tommy – Siamo tutti qui per la stessa ragione: salvare chi è rimasto nella clinica. Ci sono Stacey e la nostra dottoressa.”
“Questa è una manovra del cazzo per soffiarmi le corse a Londra, vero? Voi sporchi zingari siete capaci di tutto.” disse John Adrian, poi sputò sulle scarpe di Tommy.
“Brutto pezzo di mer …” Arthur tentò di buttarsi addosso ad Adrian ma Michael lo trattenne per non peggiorare la situazione. Tommy si impose di rimanere calmo, non era la giusta occasione per uno scontro tra bande, non quando c’erano in gioco delle vite.
“Farei davvero esplodere la mia clinica? Dovrei essere molto stupido e tu lo sai che non lo sono.”
Adrian gli spinse la pistola contro la tempia ma Tommy non si mosse di un millimetro, era stoico come una statua.
“Proprio perché non sei stupido so che potresti far saltare la tua clinica del cazzo. E poi lì dentro c’è mia figlia, potrebbe essere un modo per ricattarmi. Voi zingari avete il sangue pazzo.”
“Non ammazzerei mai una bambina, a prescindere dalla sua famiglia del cazzo. Io devo entrare in quella fottuta clinica adesso.”
Adrian caricò la pistola e fece scattare la sicura, solo il grilletto lo separava da uno sparo.
“Perché dovrei crederti? Sarebbe più facile per te lasciar morire mia figlia.”
“Perché in quella fottuta clinica c’è la donna che amo!” urlò Tommy con tutto il fiato che aveva in corpo. Adrian abbassò subito l’arma, così come i suoi uomini, e anche i Peaky Blinders abbassarono pistole e fucili. Il gangster lo fissò per qualche istante, valutando se le sue parole fossero vere o false, ma in fondo non aveva nessuna certezza; non gli restava che fidarsi di lui.
“Entra.” Disse Adrian.
“Ti restituirò tua figlia sana e salva.”
“Lo spero per te, zingaro.”
Tommy frugò nella valigia che gli aveva portato Arthur, un vecchio bagaglio che si trascinava dietro dalla Francia, e raccattò gli utensili da scavatore. Una torcia, una pala, una picca, e una corda. Ada sopraggiunse con la planimetria dell’edificio e le istruzioni per disattivare la corrente interrompendo il barricamento.
“Tommy, ecco a te.”
“C’è una galleria già scavata sotto quel tombino. Dovrò scavare solo due metri di tunnel, i metri che conducono dalla galleria alla dispensa della clinica.”
Arthur e Michael scardinarono il tombino segnato dalla planimetria e gettarono una monetina per misurare la profondità; erano circa quindici metri.
“Buona fortuna, fratello.” Disse Arthur dando una pacca sulla spalla di Tommy.
“Mi servirà.”
Tommy si calò nel tombino e atterrò nell’acqua putrida della fogna. Accese la torcia, un topo gli slittò tra i piedi squittendo in preda alla paura.
“Topi del cazzo.”
Si introdusse nella galleria sinistra che, stando alla planimetria, era collegata alla clinica. Ricacciò indietro il trauma della guerra, si fece coraggio e proseguì.
 
“Andrà tutto bene, Stacey. Presto qualcuno verrà a salvarci.”
La bambina si era rannicchiata contro il petto di Amabel, tremava come una foglia. Tossiva e spesso sembrava perdere i sensi, e di ora in ora i sintomi della pertosse peggioravano. Il trattamento prevedeva la somministrazione di antibiotici che avrebbero impiegato all’incirca dodici ore per dare i primi esiti positivi.
“Mio padre verrà a prendermi.” Disse Stacey, i capelli biondi erano incollati alla fronte per il sudore.
“Sì, il tuo papà verrà a prenderti.”
Amabel sperava davvero che qualcuno le andasse a salvare il prima possibile perché Stacey senza le cure adatte non avrebbe superato la notte. La bambina fece scattare la testa in direzione del corridoio con lo sguardo terrorizzato.
“Che cos’è stato?”
Un rumore sottile proveniva dal fondo del corridoio, come se qualcuno stesse martellando qualcosa. Amabel afferrò un’asta porta-flebo e uscì dalla stanza in punta di piedi, pronta a colpire chiunque fosse. Probabilmente chi aveva piazzato le bombe era rimasto bloccato insieme a loro. Udì dei passi concitati camminare nella sua direzione, allora si appostò dietro la parete e serrò le dita intorno all’asta. Quando lo sconosciuto fu vicino all’angolo, Amabel lo colpì alla testa con forza.
“Ma che cazzo!”
Tommy era caduto in ginocchio con un taglio al sopracciglio destro che sanguinava copiosamente.
“Thomas, per l’amore del cielo! Tirati su!”
Amabel lo aiutò a rimettersi in piedi e lo portò nella stanza di Stacey per medicarlo. La bambina si nascose sotto le coperte per la paura.
“Tranquilla, piccola. Lui è un amico. E’ qui per aiutarci.” La rassicurò la dottoressa. Tommy si sedette su una brandina, imprecando a bassa voce per il dolore, e chiuse l’occhio un paio di volte per essere certo di vederci bene. La sua vista era aggravata da quando non usava più gli occhi da vista.
“Dovevi proprio colpirmi con un’asta di alluminio?”
Tommy strinse i denti quando Amabel gli pulì il taglio con un pezzo di cotone imbevuto di disinfettante.
“Beh, scusa se degli strani rumori mi hanno messo in agitazione!”
“Almeno so che ti sai difendere da sola.” Disse lui, e trattenne il respiro quando un ampio cerotto gli fu applicato sulla ferita. Amabel d’istinto gli accarezzò gli zigomi quasi a voler avere la certezza che lui fosse reale.
“Me la cavo piuttosto bene con le aste di alluminio! Come sei entrato? La clinica è sigillata.”
“Sono sceso in un tunnel che conduce alla clinica, ho scavato un paio di metri e ho manomesso la porta della dispensa.”
Amabel non sapeva che dire, le parole si erano cementificate in gola.
“Tu hai la fobia dei tunnel. Hai davvero scavato per entrare? Oh, Thomas …”
“Mi hai chiamato ‘Thomas’, devi essere davvero colpita.” Scherzò Tommy, e sorrise.
“E’ proprio così che si sarebbe comportato il mio Thomas.” Replicò lei, un rossore diffuso sulle gote. Era la prima volta che si parlavano senza insultarsi o urlare. Era la prima volta dopo quattro mesi che Bel e Thomas parlavano davvero.
“Voi due sieste sposati?” domandò una curiosa Stacey, ancora semi-nascosta dalle coperte.
Amabel e Tommy si voltarono verso la bambina con una bizzarra confusione stampata in faccia.
“Noi sposati? – fece Amabel – Non resisteremmo un giorno!”
“Oppure sì.” commentò Tommy. Amabel, imbarazzata dalla piega del discorso, tornò a concentrarsi sul vero problema.
“Ora abbiamo altro a cui pensare. Dà un’occhiata sotto il letto di Stacey.”
Tommy si accorse subito che la bomba era artigianale, preparata in casa con pochi materiali, e che al massimo avrebbe fatto esplodere solo il letto dove stava la bambina.
“Se Stacey si alza dal letto, la bomba esplode. E’ tarata sul suo peso.”
Amabel capì che l’unico modo per non innescare l’esplosione era tenere Stacey a letto.
“E come la tiriamo fuori? Non possiamo lasciarla così. E’ assurdo! Viene piazzata una bomba sotto il letto della figlia di un gangster nella clinica di un altro gangster.”
“Non è casuale, Bel. E’ stato pianificato. Qualcuno vuole rompere l’equilibrio tra i Peaky Blinders e i Cheapside Sloggers.”
Amabel adocchiò Stacey, che stava giocando con l’orlo del lenzuolo, e sentì il cuore accartocciarsi. Non era giusto che una bambina soffrisse per le colpe del padre.
“Stanno mettendo gli Shelby contro gli Adrian. Perché?” 
“Non lo so. – disse Tommy – Prima John Adrian mi ha chiesto se la bomba fosse una mia idea per ricattarlo e ottenere le corse a Londra. Io non ho mai mirato agli ippodromi della capitale, quindi non so perché lui pensi una cosa del genere.”
“Forse qualche altra gang trarrebbe vantaggio dal vostro conflitto.” Ipotizzò Amabel, e Tommy dovette ammettere che era una teoria plausibile.
“Rimandiamo a dopo i ragionamenti. Ora dobbiamo trovare un modo per uscire vivi. Fammi vedere l’altra bomba.”
“Vieni con me nel magazzino. Stacey, non muoverti, torniamo subito.”
La prima cosa che Tommy notò fu che la porta del magazzino non era stata scassinata, né tantomeno la toppa era stata intaccata, e questo gli faceva pensare che la bomba era stata piazzata dall’interno. La seconda cosa che attirò la sua attenzione fu la bomba stessa.
“Bel, qualcuno che lavora qui è un ex soldato?”
“Non lo so. Non mi occupo io delle assunzioni, soprattutto non dopo che sono stata in vacanza forzata per tutta l’estate. Perché?”
“Perché questo è un siluro Bangalore. E’ un congegno che innesca un’esplosione a distanza che è stato ideato proprio dall’Armata del Regno Unito. E’ capace di aprire varchi di quindici metri di lunghezza. Se esplodesse, causerebbe il crollo dell’intera clinica.”
“E’ stato usato nella Guerra, vero? Ecco perché pensi che si tratti di un ex soldato.” Disse Amabel. Tommy annuì.
“Già. Ma per quale motivo un ex soldato dovrebbe far saltare in aria una clinica?”
“Ormai ho smesso di capire la gente, di solito fa quello che gli pare senza razionalità alcuna. Allora, puoi disinnescarla?”
“Vuoi sapere la cosa divertente, Bel?”
“Cioè?”
Tommy sollevò il tubo che componeva la bomba e la fece piombare a terra. Amabel trasalì aspettandosi che di lì a poco la piccola stanza andasse a fuoco. Invece, con sua grande sorpresa, non accadde nulla.
“Il siluro non era innescato. Mancano i fili per attivare l’esplosione. E’ una finta bomba.”
“Perché quella vera è stata messa sotto il letto di Stacey. E’ lei l’obiettivo.” Disse Amabel chiudendosi la porta del magazzino alle spalle. Tommy camminava al suo fianco e illuminava il corridoio buio con la torcia.
“Se non salviamo Stacey, Adrian ci ammazzerà tutti quanti.”
“E’ davvero una questione tra gang. So che Kimber ha assoldato dei soldati tra i suoi uomini.”
Tommy rallentò il passo e la guardò col sopracciglio inarcato.
“Come diavolo fai a sapere queste cose?”
“Al Garrison gli uomini ubriachi hanno la chiacchiera facile.”
“Tu non ci dovresti nemmeno andare al Garrison!” ribatté Tommy, e aprì la porta per lei come un vero gentiluomo. Aveva il collo sporco di sangue, le mani erano lerce di sporcizia e le unghie erano spezzate. Era stanco, sembrava non dormisse da giorni, i suoi occhi azzurri erano messi in risalto da due mezze lune nere dovute all’insonnia.
“Io faccio quello che mi pare. Se voglio andare al Garrison, ci vado!”
“Oh, lo so. Sei testarda come un dannato mulo!”
Amabel roteò gli occhi e sbuffò, Tommy non accantonava mai quel suo prepotente atteggiamento protettivo.
“Grazie per il complimento. Ebbene, come intendi salvare Stacey?”
Quando tornarono nella camera di Stacey, la bambina era scossa da forti colpi di tosse. Amabel di premurò di asciugarle la fronte con un panno di cotone e di misurarle i battiti. Tommy comprese dallo sguardo della dottoressa che avevano i minuti contati.
“Quanto pesa Stacey? Forse riusciamo a sostituire il suo peso con qualcosa.”
“Trentadue chili e mezzo.” Rispose Amabel leggendo l’informazione dalla cartella della paziente.
“Avete qualcosa che possa avere lo stesso peso? Se Stacey si alza dal letto, noi sostituiamo il peso prima che la bomba esploda.”
“Le cassette dell’acqua potrebbero andare bene? Una pesa circa dieci chili. Le trovi in mensa.”
“Va bene. – disse Tommy – Voi restate qui, io vado a prendere le casse.”
Stacey era molto pallida, sudava freddo e la sua tosse peggiorava. Amabel le sistemò una coperta sulle spalle e le fece indossare i calzini e le pantofole.
“Presto sarà tutto finito, piccolina. Andrà tutto bene.”
“Bel, vieni qui!” gridò Tommy dal fondo del corridoio. Amabel corse da lui perché il modo in cui l’aveva richiamata era preoccupante.
“Che succede?”
Tommy le fece segno di avvicinarsi alla cucina, e Amabel trattenne un conato di vomito a stento. C’erano due mani mozzate sul pavimento, inzuppate in una pozza di sangue. C’era un biglietto sulla cappa che recitava: io so!
“Lo sa, Bel. Qualcuno sa quello che abbiamo fatto e adesso si diverte a tormentarci.”
“Il regalino di ieri sera, le bombe e le mani sono collegati?”
“Può darsi. Non credo che l’ispettore Campbell arrivi a tanto. Certo, ci detesta e sospetta di noi, ma resta un poliziotto e non farebbe un gioco del genere.”
Amabel avrebbe voluto spalancare la finestra e far entrare aria fresca per stemperare quel tanfo di sangue disseminato in cucina, ma si limitò a indietreggiare con disgusto.
“Allora è una guerra tra gang? Qualcuno sta cercando di togliere il potere a te e ad Adrian?”
“Forse.” Disse Tommy spostando una mano con la punta della scarpa. Il moncone tracciò una striscia rossa sulle mattonelle bianche.
“Non abbiamo tempo di discuterne in questo momento. Dobbiamo uscire da qui.”
Amabel aiutò Tommy a trasportare le casse di acqua nella stanza di Stacey. La dottoressa notò che Tommy stava sudando, la sua fronte era imperlata e anche il colletto della camicia. Stava respirando a fondo e gli pulsava la carotide. Era visibilmente agitato. I ricordi della guerra lo stavano divorando ma lui teneva duro per lei e la bambina.
“Thomas.”
“Sì?”
Fu allora che Amabel lo baciò. Tommy le strinse i fianchi approfondendo il contatto. Dopo quattro lunghi mesi si toccavano di nuovo, ed era come se la luce avesse rischiarato il mondo. Era un bacio amaro, simile ad un addio, ma era anche ricolmo di dolcezza.
“Nel caso dovessimo morire nei prossimi minuti.”
“Hai poca fiducia in me, dottoressa.” Rise Tommy, e Amabel lo baciò ancora. Avrebbe voluto baciare tutti i rari sorrisi di Tommy.
“Thomas, io …”
“Shh, non dirlo. Dimmelo quando saremo quando saremo fuori da questo posto del cazzo.”
“Va bene.”
Tommy le diede un bacio a stampo sulla bocca e uno sulla fronte, poi le baciò il dorso di entrambe le mani.
“Siete sposati, avevo ragione!” esclamò Stacey battendo le mani.
“Magari un giorno.” Disse Tommy spingendo una cassa di acqua vicino al letto. Amabel sbiancò e si portò una mano al petto, sembrava che il cuore pompasse il doppio.
“Ehm, non è l’occasione per scherzare. Stacey, dovrai ascoltarmi attentamente. Tommy dovrà disporre le cassette sul letto e tu, pian piano, dovrai lasciargli lo spazio necessario. Ti tengo io le mani.”
Stacey si impaurì, non era una bambina coraggiosa, era la cocca di papà ed era stata cresciuta in una campana di vetro.
“Ho paura, dottoressa.”
“Non devi. Ci sono io con te. Il dottor Ross ti ha raccontato la favole della principessa guerriera che batte il drago?”
“Sì.”
“Beh, tu dovrai essere quella principessa. Puoi farcela, Stacey. Fidati di me.”
“Sei una bellissima e coraggiosa principessa.” Disse Tommy per incitarla. Stacey si fece forza e iniziò a muoversi con l’aiuto di Amabel mentre Tommy faceva scorrere lentamente le cassette d’acqua sul letto. Non appena il peso della bambina fu bilanciato, Amabel la tirò giù dal letto. Uno scatto risuonò secco nel silenzio della stanza.
“Correte!” gridò Tommy. Prese in braccio Stacey e corse verso il tunnel che aveva scavato con Amabel dietro di lui. La galleria era buia poiché Tommy aveva dimenticato la lanterna in clinica, perciò dovettero procedere a tentoni.
“Bel, ci sei?”
“Sì. – mormorò Amabel – Ma le mie scarpe si stanno ribellando a questa acqua putrida in cui camminiamo.”
Stacey rise, e la tensione si allentò, avvinghiando le esili braccia al collo di Tommy. Uno scossone rimbombò nella galleria facendo tremare le pareti e il suolo. Amabel si appiattì contro la parete e Tommy si piegò sulle ginocchia.
“La bomba è esplosa.”
Amabel gli diede un pugno sulla spalla, anche se al buio poteva aver mirato alle costole.
“Aspetta, tu lo sapevi? Sapevi che sarebbe esplosa?!”
“Io ero quello che in Francia piazzava le bombe, direi che sono un esperto. Sapevo che sarebbe esplosa anche se avessimo bilanciato il peso di Stacey. Il mezzo chilo è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.”
“E perché non me lo hai detto?!”
Tommy sentì le mani di Stacey sul collo che si aggrappavano alle sue spalle come se fosse uno scoglio sicuro, e il suo pensiero volò al piccolo Charlie.
“Perché sapevo che avresti avuto una reazione esagerata.”
Amabel odiava quando Tommy prevedeva ogni sua mossa, odiava essere un libro aperto per lui.
“Mi devi un paio di scarpe e un’ala della clinica, Shelby.”
“Tutto quello che vuoi, tesoro. Ti do tutto quello che vuoi.”
 
Amabel tracannò una bottiglia d’acqua in pochi secondi. Era assetata, stanca e sporca. Tommy stava spiegando ad Arthur e a Michael quello che era successo, bombe e mani incluse. John Adrian abbracciava Stacey riempiendola di baci. Gli uomini del boss scortarono la bambina all’ospedale centrale di Birmingham per la cura della pertosse. Tutti i pazienti avevano trovato una collocazione nelle sedi ospedaliere della città.
“Che cosa mi stavi per dire poco fa?”
Amabel si girò sorridente verso Tommy.
“Non stavo per dirti nulla. Era solo un momento critico.”
“Farò finta di crederci.”
L’attimo dopo Tommy si chinò a baciarla e Amabel, dimenticando la loro separazione, gli allacciò le braccia al collo.
 
Salve a tutti!
Ohw, Tommy ha attraversato un tunnel per Amabel. Se questo non è amore!
Qualcuno a Birmingham sta facendo il cattivo, chissà chi è.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Nemici & amici ***


5. NEMICI & AMICI

“There is no peace here,
war is never cheap, dear.
Love will never meet here, it just gets sold for parts.
You cannot fight it, all world denies it.
Open up your eyelids, let your demons run.”
(Beat the devil’s tattoo, Black Rebel Motorcycle Club)
 
Una settimana dopo
Amabel aveva riaperto lo studio di suo padre a Small Heath per assistere i bambini, poiché la clinica era in via di ristrutturazione. La bomba sotto il letto di Stacey aveva distrutto il reparto pediatrico e Tommy aveva messo i suoi uomini a lavorare perché l’edificio fosse presto agibile. Nel frattempo i pazienti erano stati dislocati negli altri ospedali e il personale era stato obbligato alle ferie. Quella mattina, quando si era ritrovata nel quartiere, aveva scorto due figure infagottate sulle scale dello studio. Erano una ragazzina e un bambino di circa un anno.
“Siete voi la dottoressa?” aveva chiesto la ragazzina con voce sottile. Era scalza, la pianta dei piedi era nera e cosparsa di graffi sanguinanti.
“Sì, sono io. Entriamo, fuori fa freddo.”
Erano le otto del mattino e la frescura pungolava le ossa, pertanto Amabel ospitò i due arrivati. Il bambino dormiva, aveva il viso sporco e anche lui era scalzo.
“Grazie.”
Amabel la fece accomodare sul lettino dello studio e le versò un bicchiere di acqua che la ragazzina svuotò in una manciata di sorsate.
“Come vi chiamate?”
“Io sono Mary e lui è mio figlio James.”
“Quanti anni hai?”
“Io ho sedici anni. Siamo scappati da mio suocero.”
Mary iniziò a piangere e Amabel le passò un braccio intorno alle spalle per consolarla.
“Va tutto bene, Mary. Raccontami che cosa è successo.”
“Mio marito Paul è morto per colpa di una nuova droga qualche mese fa, e da allora mio suocero è impazzito per il dolore. Paul aveva solo diciassette anni, era un bravo ragazzo. Mio suocero non voleva vedere né me né James, perciò ci ha rinchiusi nella stalla in mezzo agli animali e a stento ci faceva mangiare. Ieri sera era ubriaco marcio e ha lasciato il cancello aperto, così sono scappata e ho corso fino a Birmingham. I Lee mi hanno detto che a Small Heath avrei trovato una dottoressa che mi avrebbe aiutato.”
Mary si accasciò contro la spalla di Amabel, scossa dai singhiozzi, le lacrime cadevano copiose sulle guance nere di sporcizia. Amabel cercò di non piangere, doveva mostrarsi forte per loro.
“E’ vero che posso aiutarti. Dimmi, tuo suocero ti ha mai fatto del male?”
“No. – rispose Mary – Io e James gli ricordavamo Paul e ha preferito toglierci dalla sua vista. Non mi ha mai fatto del male. Verrà a cercarci?”
“Non lo permetterò. Prometto di prendermi cura di te e di James.”
Mary sobbalzò quando qualcuno bussò alla porta e si strinse James al petto.
“Resta qui.”
Amabel afferrò il tagliacarte dalla scrivania e si avvicinò alla porta a passo felpato. Si rilassò intravedendo il profilo di Tommy nello spioncino.
“Thomas, come mai qui?”
Tommy notò gli occhi lucidi della donna, poi notò il tagliacarte.
“E’ successo qualcosa? Sei sconvolta.”
Amabel sbirciò a destra e a sinistra per sicurezza e trascinò Tommy dentro. Lo guidò nello studio, e una macchia nera era nascosta tra l’armadietto delle medicine e la parete.
“Mary, vieni fuori. E’ un mio amico.”
La ragazza sbucò dal nascondiglio improvvisato, la sua espressione era una maschera di terrore. James si era svegliato e si guardava intorno con fare smarrito.
“Adesso raccogli anche i randagi? Bel, stai esagerando.” Disse Tommy, le mani in tasca, la sigaretta all’angolo della bocca. Bel lo trucidò con lo sguardo.
“Io raccolgo chi ha bisogno di aiuto, razza di imbecille.”
Tommy ignorò l’insulto, gli avevano detto cose ben peggiori. Amabel risultava gentile anche quando lo insultava, forse era la sua voce gentile che accompagnava teneramente anche le offese.
“Giusto, tu fai sempre quello che ti pare nel mio quartiere.”
“Non fare il boss con me, Shelby. Non funziona. Ora ascolta la sua storia, c’è qualcosa di familiare.”
Tommy si sedette sulla scrivania e si accese la sigaretta ma Amabel gliela strappò di mano e la pestò. Tommy avrebbe voluto ridere ma si limitò ad abbozzare un sorriso.
“Sentiamo questa storia.”
Mary fece un profondo respiro prima di rivivere quei mesi di sofferenza.
“Mio marito Paul è morto a soli diciassette anni per colpa di una nuova droga qualche mese fa. Mio suocero ha rinchiuso me e mio figlio nella stalla senza cibo e acqua.”
“Una nuova droga. – ripeté Amabel – Hai idea di quale fosse?”
“Erano delle pillole, piccole e bianche. Paul stava malissimo. Non respirava, era blu, e aveva la bava alla bocca.” Disse Mary, e si asciugò altre lacrime salate. James si mise a piangere e Amabel gli accarezzò la guancia scarna, incurante delle malattie che il bambino aveva potuto contrarre.
“Eroina. – disse Tommy – E’ la nuova droga che sta ammazzando parecchia gente. Quanti mesi fa è morto tuo marito?”
“Sei mesi fa, a marzo. James aveva solo due mesi.”
Tommy si rabbuiò per quella nuova informazione. I suoi calcoli erano errati.
“Bel, devo parlarti in privato.”
Si spostarono nella saletta d’ingresso, dove erano presenti una decina di sedie, e la porta dello studio fu chiusa.
“Che c’è, Thomas?”
“Credevo che l’eroina fosse arrivata a Birmingham a fine maggio, ma a quanto pare circolava già da marzo. Qualcuno spaccia quella merda da mesi uccidendo le persone senza scrupoli. E’ un mercato ampio, che ha avuto del tempo per svilupparsi e che ormai è inarrestabile.”
“C’è dell’altro, vero? Te lo leggo in faccia.” disse Amabel, preoccupata dall’espressione accigliata dell’uomo.
“La biancheria, le bombe, le mani, sono tutti un modo per farci sapere che lo spacciatore di eroina ha intenzione di espandere il proprio impero. Questo bastardo sa quello che abbiamo fatto ai Cavendish e ci ricatta, e ha anche ricattato John Adrian con la bomba sotto il letto di Stacey. Ci sta sfidando.”
“Hai idea di chi possa essere?”
“No, ma spero che Adrian lo sappia. Ero venuto qui a questo proposito: Adrian ha invitato me e te a fare colazione nella sua villa per ringraziarci di aver salvato sua figlia.”
Amabel aggrottò le sopracciglia, allibita da quell’invito.
“E noi ci andiamo?”
“Certo. Adesso abbiamo bisogno di avere Adrian dalla nostra parte. Te la senti di essere invischiata in questa faccenda? Negli ultimi tempi sembrava che ti fossi estraniata dai Peaky Blinders.” Disse Tommy guardandola negli occhi. Amabel sostenne il suo sguardo con la solita audacia.
“Io non sono più un membro dei Peaky Blinders e non lavoro per te. Io sono solo il medico della clinica che finanzi di tasca tua.”
Tommy avanzò facendo incollare i loro corpi e si mise a giocare con una ciocca dei capelli castani.
“Ah, sì? Io speravo che tu fossi qualcosa in più.”
“Io non ti ho ancora perdonato per la questione di Warren, Thomas.”
“Che donna difficile! E anche per questo che mi fai impazzire.”
Amabel indietreggiò con un sorriso divertito dipinto sulle labbra coperte da un velo di rossetto rosso.
“Sei davvero un pessimo corteggiatore, Shelby.”
“Non ti sto corteggiando. Io so già di averti, è solo che non riesco a prenderti.”
“E non ci riuscirai ancora per un po’.”
Tommy stava per ribattere quando Mary sbucò dallo studio.
“Scusate, ma James ha fame. Non mangiamo da una settimana.”
Amabel pensò alla colazione a cui stava per presenziare, ricca di ogni delizia, e si sentì in colpa.
“Ti accompagno a casa mia dove una ragazza si prenderà cura di voi. Potrete mangiare, lavarvi e prendere i miei vestiti.”
“Non possiamo, dottoressa. Voi siete una donna perbene e io non posso approfittare.”
“Io sono tutto tranne che una donna perbene. Ti prego, Mary, lasciati aiutare. Sei venuta da me  per questo e io farò tutto il possibile.”
Mary si gettò piangente tra le braccia di Amabel, che la strinse forte. Tommy in quel frangente capì perché era perdutamente innamorato di Amabel. Lei era sempre disposta aiutare tutti senza alcuna distinzione, si metteva anche in pericolo per gli altri, e non chiedeva mai niente in cambio. E in quel momento abbracciava una ragazza sporca, che emanava cattivo odore, probabilmente malata, come se fosse un fiore da proteggere.
“Bel, dobbiamo andare. Li lasciamo a casa tua strada facendo.”
 
La villa di John Adrian era una delle più grandi e sontuose di tutta Birmingham. Michael aprì lo sportello per far scendere Amabel, mentre Tommy e Arthur venivano perquisiti. Il maggiordomo li condusse nella sala principale attraverso il giardino. Era un enorme spazio verde decorato da svariate specie di fiori, aiuole, e un gazebo nei pressi di una fontana.
“Questo cazzo di posto è grande quanto Small Heath.” Sussurrò Arthur lisciandosi i baffi.
“Adrian è decisamente più ricco di noi.” Disse Michael, il lungo cappotto che quasi toccata terra. Tommy si voltò a guardare Amabel per un secondo, dopodiché distolse lo sguardo.
“Non parlare come tuo solito, Bel. Adrian non è come noi.”
“Quale sarebbe il solito modo in cui parlo?”
“Shh.” Le disse Tommy portandosi un dito alle labbra per simulare il silenzio. Il maggiordomo si fermò, batté le mani e due camerieri si prodigarono per prendere cappotti e cappelli degli ospiti.
“Prego. Il signor Adrian vi attende per la colazione.”
Quando entrarono nella sala, Amabel si stupì dell’abbondante tavolata. C’erano dolci di ogni tipo, croissant, succhi di frutta, e anche qualche stucchino salato. John Adrian stava in piedi al capo del tavolo con le braccia spalancate.
“Signori Shelby, signor Gray e signorina Hamilton, è un piacere avervi in casa mia. Sedetevi e servitevi pure.”
Amabel capitò in mezzo ad Arthur e a Tommy, veniva schiacciata dal loro odore di alcol e tabacco. Tommy le versò il the in una lavorata tazza di the e gliela cacciò in mano perché la bevesse, sebbene non amasse la bevanda. Era un gesto di cortesia nei confronti del padrone di casa.
“Allora, dottoressa, vi piace il the?” domandò Adrian, i baffi grigi erano perfettamente curati.
“Sì. – mentì Amabel – E’ squisito. Vi ringrazio. Come sta Stacey?”
Adrian immerse il cucchiaino nella marmellata di ciliegie e la spalmò su una fetta di panne, appariva troppo calmo per essere seduto con i propri nemici.
“Sta meglio grazie a voi. E’ ricoverata a Londra al momento, ho preferito essere prudente dopo quanto accaduto nella vostra clinica.”
“Mi fa piacere.” Disse Amabel, e avvertì gli occhi inquisitori di Adrian su di sé.
“Perché siamo qui, Adrian? Non credo che tu voglia ringraziarci con una colazione.” Disse Tommy sorseggiando il suo the.
“Certo che no. Voi siete gli zingari bastardi di Small Heath, nessuno vi inviterebbe al proprio tavolo.”
“Ci inviti per prenderci per il culo? E’ una mossa del cazzo!” ruggì Arthur. Adrian rise ripulendosi la bocca dalle briciole. Due grandi anelli in oro luccicavano alle sue mani.
“Non vi insulto, dico solo le cose come stanno. Però è anche vero che Tommy e la dottoressa hanno salvato mia figlia, pertanto oggi l’astio può essere messo da parte.”
Amabel sentì Tommy irrigidirsi, le sue spalle si erano ingobbite sotto l’elegante giacca.
“Siamo qui perché vuoi qualcosa. Di cosa si tratta?”
“Quel bastardo che ha messo la bomba sotto il letto di Stacey mi ha spedito una lettera. Ecco, leggete.”
Michael prese la lettera, la scartò e la lesse ad alta voce.
“Signor Adrian, permettetemi di scusarmi per aver spaventato voi e la piccola Stacey. E mi scuso anche per aver distrutto la clinica della dottoressa Hamilton e del signor Shelby. Per dimostrare il mio dispiacere e per rimediare all’accaduto, invito voi e gli Shelby alle corse che si terranno sabato mattina alle ore dieci al Sandown Park di Londra. Vi aspetto con ansia. Cordiali Saluti.”
“E’ una fottuta trappola.” Asserì Arthur, che nel frattempo aveva spazzolato un piatto di dolci al rum.
“Tu che ne pensi?” domandò Tommy rivolgendosi ad Amabel. John Adrian rise.
“Chiedi il parere ad una donna? Voi zingari siete proprio strani.”
Amabel inarcò il sopracciglio in segno sprezzante.
“Signor Adrian, non vedo perché un uomo non possa chiedere il parere di una donna. Il problema di questa società patriarcale e maschilista è il timore che le donne, qualora venga loro riconosciuto il giusto valore, siano superiori degli uomini.”
Michael e Arthur si misero a ridacchiare per l’espressione confusa di Adrian, pareva che qualcuno gli avesse appena detto che gli alieni esistono. Tommy, invece, rivolse uno sguardo fiero alla dottoressa.
“Ebbene, –  disse Adrian – qual è la vostra opinione?”
“E’ una trappola come ha ben detto Arthur. Credo che sia un diversivo per distrarvi mentre questo tizio ignoto combina il vero guaio da qualche parte.”
“Ultimamente di guai ne stanno capitando troppi.” Commentò Tommy. Stava fumando una sigaretta con lo sguardo accigliato. John Adrian poggiò i gomiti sul tavolo con le labbra contratte in una smorfia.
“Di che parli?”
“C’è qualcuno che spaccia eroina in pillole ammazzando chiunque la assuma. Solo negli ultimi tempi sono morte più di trenta persone.” Spiegò Tommy, e si toccò la gola nel punto in cui Amabel aveva praticato la tracheotomia.
“Sei tu che spacci quella merda?” chiese Arthur, al che Adrian si mise a ridere.
“Io non spaccio, la droga è una pessima fonte di guadagno. Siete voi a spacciarla?”
“No. – disse Michael – La droga è una rogna che richiama l’attenzione della polizia.”
“Allora dobbiamo ipotizzare che lo spacciatore sia lo stesso uomo che ha piazzato le bombe alla clinica.” Aggiunse Amabel, beccandosi un’occhiata di rimprovero da Tommy.
“Qualcuno sta cercando di fregarci il potere.” Disse Adrian. Tommy annuì, spense la sigaretta e ne accese un’altra.
“Esatto. Questo stronzo si sta guadagnando il territorio con l’eroina, ma per avere il potere deve liberarsi delle gang più ricche, ossia i Cheapside Sloggers e i Peaky Blinders. Ha minacciato me e la dottoressa di rivelare un nostro segreto, ha messo una bomba alla clinica per minacciare Stacey e adesso ci vuole far cadere in trappola alle corse.”
Adrian mandò giù un sorso di the diluito con il gin, gli anelli d’oro accompagnavano ogni suo gesto.
“Che segreto lega una donna dell’altra società ad un criminale dei bassi fondi?”
“Noi stiamo insieme da un anno.” Confessò Tommy, era stranamente sereno per uno che aveva appena ammesso di essere innamorato.
“Non è mai stato un segreto.” Borbottò Arthur, e Michael ghignò. Adrian si passò le dita sul mento con fare meditabondo.
“Questo pezzo di merda minaccia la tua donna, minaccia mia figlia e poi ci invita per una corsa di cavalli del cazzo. Si sta mettendo davvero d’impegno.”
“Andiamo alle corse per conoscere questo stronzo? Potremmo dargli una bella lezione.” Propose Arthur tirando su col naso, abitudine causata dall’assunzione di droga. Tommy e Adrian si scambiarono uno sguardo di intesa. Forse i capi delle gang comunicavano per via telepatica, pensò Amabel.
“Andiamo.” Annunciò Tommy, e un’ombra diavolesca gli attraversò il volto.
 
 “Tu non verrai con noi.” Ribadì Tommy per l’ennesima volta. Amabel sbuffò e incrociò le braccia al petto come una bambina indispettita. Si trovavano a casa di Tommy per parlare in privato dell’incontro con Adrian. La servitù era stata licenziata tre mesi fa e Charlie era con Polly, perciò erano soli.
“Smettila di impormi divieti, Thomas. Io so badare  a me stessa!”
“Lo so, ma l’invito non richiede la tua presenza. Se tu venissi, potresti far saltare i piani.”
Tommy bevve un sorso di whiskey sedendosi sul divano, mentre Amabel restava in piedi con il broncio stampato in faccia.
“D’accordo! Andate da anche senza di me, però ti avverto che te ne pentirai. Io sono sempre utile.”
“Sì, viva sei decisamente utile.”
Amabel allora si rese conto che Tommy non la voleva alle corse per paura di perderla come era successo con Grace.
“Almeno posso passare la giornata con Charlie? Potrei portare lui e James al parco.”
“Certo che puoi.” Disse Tommy facendosi scappare un sorriso. Amabel gli fece la linguaccia, si infilò il soprabito e recuperò la borsa.
“Bene. E’ tardi, sarà meglio che torni a casa. Mi dai un passaggio o devo prendere un taxi?”
“Resta qui stanotte.” Disse lui, e roteava il bicchiere facendo vorticare il whiskey.
“Non mi sembra una buona idea restare per la notte. Qualcuno potrebbe vederci.”
“Bel, tutti già lo sanno che stiamo insieme. Un tizio è addirittura entrato nelle nostre case, ha rubato la nostra biancheria intima e ci ha minacciato. John Adrian e i suoi uomini lo sanno. Tutti i pazienti fuori dalla clinica lo sanno. Che senso ha nascondersi?”
“Non erano questi i patti. Ora la mia famiglia diventa un bersaglio.” Gli ricordò Amabel.
“Va bene. – disse Tommy, annoiato – Va via. Buonanotte.”
“Cerca di capirmi, Thomas.”
Tommy si alzò per riempirsi il bicchiere, scuoteva la testa perché lo infastidivano tutte quelle remore.
“Non c’è proprio un cazzo da capire. E’ semplice: o stai con me oppure no. Non ci sono vie di mezzo. Sapevamo che c’era il rischio di essere scoperti, nonostante le precauzioni. Sono Tommy Shelby, io non mi nascondo come un cazzo di topo di fogna! Lo sai quello che provo per te, quello che voglio per noi, perciò sta a te decidere. Però sappi che, se adesso esci da quella porta, non entrerai più. E non mettere in mezzo la tua famiglia, la nostra reputazione e quel cazzone di Warren. Pensa solo a noi. Se te ne vai, tra di noi è finita.”
Amabel si morse le labbra, frustrata da quell’ultimatum. I suoi sentimenti per Tommy erano contrastanti, erano un mix di amore e odio, paura ed eccitazione, pericolo e pace. Erano quel tipo di sentimenti che ti spezzano ma ti riportano in vita al tempo stesso. E lui era lì, in piedi, a bere whiskey in maniche di camicia. I suoi occhi azzurri, accattivanti come sempre, erano severi. Era successo, quasi come se la previsione si fosse avverata: un diavolo aveva rubato l’anima di Amabel e nessun angelo l’avrebbe salvata.
“Resto.”
Tommy sollevò il bicchiere a mo’ di brindisi e tracannò l’ultimo sorso in un colpo solo.
“Grazie.”
La dottoressa si tolse il soprabito, abbandonò la borsa sul mobile dell’ingresso e si liberò delle scarpe.
“Prego. Ho fame, hai qualcosa da mangiare in questa reggia desolata?”
“L’acqua vale?”
“Per l’amore del cielo, Shelby! Hai almeno della farina?”
“Forse. Non lo so, non sono il tipo che fa la spesa.”
“Ma non mi dire!”
 
Alla fine Amabel con farina e acqua aveva impastato una focaccia improvvisata e aveva condito un’insalata a base di lattuga e carote. Tommy, appostato contro il frigo, la osservava mentre cucinava.
“Tu cucini, è inquietante.”
Amabel tirò fuori dal forno la teglia e impiattò la focaccia, tagliandola in due parti.
“Visto? Sono umana anche io. Quando non devo salvarti la vita, trovo il tempo di vivere come una persona normale!”
“Tu non saresti normale in nessun caso, Hamilton.”
La donna si bloccò mentre preparava l’insalata, con le mani coperte dai guantoni da cucina.
“Ti sembro strana?”
Tommy scoppiò a ridere, una risata di cuore, una di quelle che di rado si lasciava sfuggire.
“Tu come la definisci una donna che guida, che salva ogni anima che si presenta alla sua porta, che si immischia negli affari loschi delle gang e che sfida gli uomini come fossero fantocci di paglia? Io non ti ritengo affatto normale. Tu sei semplicemente straordinaria, Bel.”
Amabel abbassò il mento per non mostrare il rossore delle guance. Tommy riusciva sempre a metterla a disagio.
“Anche tu sei straordinario quando non sei Tommy – Shelby – il – re – di – Birmingham!”
“Tu ha deciso di rischiarare stasera, eh.”
L’attimo dopo Amabel stava scorrazzando in cucina con Tommy che la inseguiva. Si rincorsero in soggiorno, di nuovo in cucina e poi nello studio. Tommy la braccò contro la parete. I loro corpi erano incollati, entrambi ridevano a crepapelle.
Amabel gli cinse il collo e lo baciò. Tommy chiuse gli occhi per godersi quel momento di pace. Era un bacio lento, fatto di lontananza, stanchezza, disperazione e tanta voglia di ritrovarsi. Tommy affondò il viso nel collo di Amabel, e quasi parve che piangesse. Lei lo cullò come fosse un bambino da tranquillizzare.
“Il mio Thomas.” Sussurrò accarezzandogli i capelli. Tommy avvolse le braccia intorno alla vita della dottoressa, era la sua roccia.
“Il tuo Thomas.”
Amabel lo prese per mano e lo trascinò in camera da letto. Lasciò che Tommy si accoccolasse sul suo petto, e lui si mise ad ascoltare i battiti del suo cuore. Ormai si era spogliato dei panni da gangster, ora era solo un uomo stanco che aveva bisogno di ristoro.
“Non avrei dovuto ordinare il pestaggio di Warren, anche se alla fine non siamo stati noi. E’ stato un gesto stupido dettato dalla gelosia. Avevo paura che tu tornassi insieme a lui.”
“Non importa più. Dimentichiamo tutto quello che è successo negli ultimi quattro mesi. Ricominciamo da capo.”
Tommy sollevò la testa e annuì, poi le sfiorò le labbra con l’indice.
“Posso baciarti?”
“Sì.”
Si baciarono con trasporto, questa volta con una nuova leggerezza nel cuore. Tommy fece scivolare la mano sul fianco di Amabel fino alla coscia, era un tocco deciso ma anche accorto.
“Ti voglio, Bel.”
Amabel in risposta gli baciò la guancia, dopodiché gli sbottonò la camicia bottone dopo bottone. Fece scorrere le unghie lungo il petto muscolo di Tommy, l’addome, e poi lungo le braccia fino a stringergli le mani. Tommy abbassò la zip della gonna e le sfilò la camicetta, poi studiò il suo corpo semi-nudo. Le baciò il collo, succhiando piano, mordicchiando la pelle sopra la vena pulsante. Amabel annaspava a quelle attenzioni perché lui era l’unico in grado di farle provare quelle sensazioni. Dedicarono i momenti successivi a spogliarsi del tutto, a ridacchiare, a baciarsi. Tommy si scostò il giusto per guardare Amabel negli occhi.
“Ti amo.”
“Ti amo anche io, Thomas. Tanto.”
Il sorriso di Tommy morì sulle labbra di Amabel. I loro corpi erano un groviglio, le lenzuola erano sfatte, i loro occhi si cercavano. Amabel ribaltò le posizioni ritrovandosi sopra e Tommy, che amava quella sua intraprendenza, ghignò con malizia.
“Ah, la brava ragazza sa il fatto suo.”
Lei rise, e si chinò a stampargli un bacio sul petto, proprio sopra il cuore.
“E’ colpa tua. Sei tu che hai corrotto questa brava ragazza.”
“Il diavolo è arrivato, principessa.” Sussurrò Tommy sulle sue labbra, poi la attirò in un bacio impetuoso. Quando i loro corpi si fusero, l’intensità del bacio aumentò. Tommy con le mani sui fianchi di Amabel si univa a lei ad ogni spinta. Nella camera riecheggiavano i loro gemiti che man mano crescevano mentre il piacere dilagava. Amabel affondò le unghie nelle spalle di Tommy, che soffocò un gemito rauco contro la spalla della donna.
“Bel … oh, ancora.”
Quando Amabel affondò ancora le unghie nella sua carne, Tommy ansimò e fece scontrare bruscamente i loro bacini. Poche altre spinte e insieme raggiunsero l’apice, un piacere caldo e sensuale li travolse.
 
“Sei una discreta cuoca.” Disse Tommy scrollandosi le briciole dalle mani. Alla fine la fame aveva prevalso e avevano deciso di consumare la cena a letto. Erano le due del mattino. La città era silenziosa fuori dalle mura, e loro si godevano quel momento intimo. Amabel staccò un pezzo di focaccia e la mangiò, era insipida ma il sapore era piuttosto gradevole.
“Ti ringrazio per il mezzo complimento.”
Era seduta tra le gambe di Tommy, con la schiena poggiata al suo petto, e addosso portava la sua camicia. Tommy le rubò un pezzetto di focaccia dal piatto, sebbene lei protestò, e tastò il comodino in cerca delle sigarette. Se ne mise una in bocca senza accenderla.
“Mi sei mancata.” Disse, e incominciò a baciarle il collo. Lui, sotto le coperte, era nudo e Amabel sentiva ogni singolo muscolo contro la schiena.
“Scommetto che sei andato a letto con qualche bella ragazza di Liverpool.”
Tommy le aprì un poco la camicia e le accarezzò il seno destro con la punta delle dita, facendola rabbrividire.
“Non ho fatto sesso con nessuna. Non sono il tipo che tradisce la propria donna.”
Amabel si girò verso di lui e gli afferrò il mento perché la guardasse in faccia.
“Lo giuri?”
“Te lo giuro. Non posso andare a letto con le altre quando nella mia testa ci sei solo tu.”
“Ruffiano!”
Amabel trasalì quando Tommy le afferrò l’interno coscia con forza, senza però farle male, e le parlò all’orecchio.
“Oh, Bel. Il modo in cui fai l’amore mi fa diventare pazzo. Sai essere animalesca e dolce al tempo stesso. Il modo in cui mi tocchi, come muovi i fianchi, e i tuoi gemiti sono la mia droga. Hai gli occhi liquidi, hai le guance arrossate e le labbra gonfie per i baci. Mi fai provare un piacere paradisiaco.”
La dottoressa spalancò gli occhi quando Tommy si alzò in tutta la sua nudità, carne bianca segnata da cicatrici, e si stiracchiò.
“Thomas …”
“Vieni a fare il bagno con me.”
 
Oliver si svegliò mentre Isaiah si stava rivestendo. Il ragazzo era agitato, era chiaro che andasse di fretta. Doveva lasciare quella casa prima dell’alba, prima che qualcuno lo vedesse.
“Vai già via?” domandò Oliver con voce roca, era ancora assonnato. Isaiah si mise alla ricerca dei suoi pantaloni tra i vestiti disseminati sul pavimento.
“Lo sai che non posso restare.”
“Mi piacerebbe che almeno per una volta tu restassi.”
“Olly, non rompere il cazzo con le tue fantasia da checca.”
Oliver sospirò, era triste essere trattato sempre come un emarginato. Lui e Isaiah andavano a letto insieme da qualche mese. Si erano conosciuti la sera dell’inaugurazione della clinica, avevano bevuto e parlato, e a fine serata era chiaro a entrambi che c’era un certo feeling. Ecco perché si erano incontrati una settimana dopo fuori città per un semplice pranzo da amici che poi si era trasformato in una nottata di sesso. Da allora si frequentavano di nascosto perché Isaiah era uno dei Peaky Blinders e non poteva permettersi il lusso di amare un uomo, altrimenti sarebbe stato additato e cacciato dalla gang. Neanche Finn, che era il suo migliore amico, sapeva che fosse omosessuale. In realtà, Isaiah aveva ammesso a se stesso la verità solo dopo aver conosciuto Oliver, prima aveva sempre mascherato il suo interesse per gli uomini.
“Non c’è bisogno di essere offensivo. So benissimo che devi sgattaiolare prima che qualcuno ci scopra.”
Isaiah smise di vestirsi e si stese sul letto, posando il mento sul petto di Oliver.
“Ci ammazzano se ci scoprono. Lo sai che tutti detestano gli omosessuali, ci reputano dei fottuti malati e pensano che le botte siano una cura. Non voglio vederti morto in un angolo di Small Heath.”
Oliver passò le mani tra i capelli crespi del ragazzo, erano ruvidi al tatto. Isaiah era giovane, dieci anni più piccolo di lui, eppure era il più coraggioso tra i due.
“Hai ragione. Perdona le mie fantasie da checca.”
“Adoro le tue fantasie da checca.” Disse Isaiah, poi si sporse per baciarlo. Oliver sorrise nel bacio, approfondendo il contatto con la lingua.
“Meno male che il sesso tra di noi è strepitoso, altrimenti dovrei a calci nel culo per il modo in cui mi insulti.”
Isaiah rise, era bello quando lasciava trasparire i suoi vent’anni con un sorriso.
“Perché prendermi a calci quando puoi prendermi su questo letto per tutta la notte?”
Oliver gli scoccò un bacio sulle labbra carnose e lo fece stendere sotto di sé, il suo corpo massiccio ricopriva quello più esile del ragazzo.
“E’ un invito?”
“Ti do venti minuti, dopodiché dovrò andarmene.”
“Venti minuti basteranno, amore mio.”
E mentre loro due stavano insieme in quel letto, qualcuno in strada gli osservava e meditava una punizione.
 
Salve a tutti!
A quanto pare, Tommy è sceso a patti con Adrian per far fronte alla minaccia.
Inoltre, sembra che i piccioncini abbiano ufficialmente fatto pace.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Cerbero ***


6. CERBERO

“But if you come, and all the flowers are dying
And I am dead, as dead I well may be
You’ll come and find the place where I am lying
And kneel and say an ‘Ave’ there for me.”
(Danny Boy, Johnny Cash)
 
Amabel scese in soggiorno dopo un bagno caldo ed essersi cambiata i vestiti. Circa un’ora prima Tommy l’aveva riaccompagnata a casa, le aveva raccomandato di stare attenta, infine l’aveva salutata con un bacio sulla fronte ed era svanito in fondo alla strada.
“Buongiorno, signora. Vi aspettavamo per la colazione.” Disse Jalia, che aveva appena versato il the nelle tazze. Mary stava aiutando James a mangiare un biscotto. Amabel si chinò sul piccolo per baciargli la guancia.
“Ciao, James. Grazie per avermi aspettato.”
Jalia le offrì una tazza fumante di caffè, e Amabel si godette la bevanda con la calma che nelle mattine precedenti era mancata.
“Dottoressa, io e James lasceremo casa vostra oggi.” disse Mary, che sembrava aver riacquistato un poco di colore.
“Perché andate via così presto? Questa casa è enorme, ci sono molte camere, e a Jalia farebbe piacer un po’ di compagnia dato che lavoro tutto il giorno.”
“In questo modo approfitto della vostra gentilezza. Non è giusto.”
Amabel strinse la mano di Mary, le ricordava la stessa ingenuità dipinta degli occhi di Diana.
“Tu e James potete restare quanto volete. Non state approfittando, sono io che metto a vostra disposizione la mia casa senza volere niente in cambio. La vita è stata crudele con te e tuo figlio, e io voglio solo che vi sentiate al sicuro. Se vuoi ripagarmi, potresti aiutare Jalia con le faccende di casa.”
“Sì, sono brava in cucina. Posso cucinare per voi!” esclamò Mary con le lacrime agli occhi. Jalia sorrise, contenta di avere qualcuno in casa a farle compagnia.
“Allora preparo una stanza.”
“Assolutamente sì.” confermò Amabel, poi scompigliò i capelli di James e gli accarezzò la manina. Il bambino scese dalle gambe della madre e sollevò le braccia verso la dottoressa, che lo sollevò in un abbraccio.
“Gli piacete molto. Sareste una madre eccellente.” Disse Mary sorridendo a James. Amabel rise per smorzare l’imbarazzo dovuto a quel complimento. La maternità era un argomento che la metteva in crisi.
“Ragazze, avete programmi per stamattina? Ho una mezza idea.”
“Io sono libera.” Disse Mary.
“Anche io. – aggiunse Jalia – Che avete in mente?”
“Andiamo a sistemarci i capelli nel salone di una mia paziente. Possiamo tagliarci e tingerci i capelli gratis. Che ve ne pare?”
Prima che Mary potesse rifiutare, Jalia annuì per entrambe.
“E’ una splendida idea, signora!”
 
A Londra faceva freddo, il cielo grigio era solcato da grossi nuvoloni neri che si spostavano pigramente. Sandown Park pullulava di gente, fantini, camerieri, seguaci delle corse, e allibratori. Dopo aver pagato un giro di bevute, John Adrian aveva invitato gli Shelby a sedersi presso il proprio palchetto. Tommy si guardava intorno mentre fumava l’ennesima sigaretta. Michael era andato a scommettere sul cavallo consigliatogli da Adrian, uno di quelli che gestiva lui, e Arthur stava perlustrando l’area insieme a due dei Peaky Blinders.
“Ti devo parlare di una cosa, Shelby.” Esordì Adrian, la pipa in bocca, le mani in tasca.
“Allora parla.”
“Se questo stronzo che spaccia l’eroina vuole fregarci, è meglio unire le forze. E il mezzo per unire due famiglie potenti come le nostre è il matrimonio. Mia nipote Clara ha compiuto diciotto anni il mese scorso, è carina, ben educata, ed è disponibile.”
Tommy scrollò la cenere come se potesse scrollarsi di dosso anche Adrian, peccato che l’uomo rimanesse sulla panca a sorseggiare uno scotch ghiacciato.
“Io non ho intenzione di sposare tua nipote.”
Adrian rise scuotendo la testa.
“Non parlavo di te, Tommy. Sarebbe ottimale se mia nipote sposasse tuo cugino Michael. Sono giovani, in salute, e il loro matrimonio potrebbe portare vantaggi ad entrambe le famiglie.”
“Dovresti discuterne con Michael, è la sua vita che vuoi rovinare.” Replicò Tommy con stizza.
“Addirittura starei rovinando la vita di un ragazzo? Non farmi ridere. Voi zingari avete rovinato più vite di quanto non abbiamo fatto un cazzo di matrimonio. Se fosse possibile, io chiederei la mano della tua bella dottoressa.”
Tommy pestò la sigaretta sotto la scarpa con una furia tale da far ridere Adrian.
“La tua bocca di merda non deve nominare Amabel. Lei è fuori da qualsiasi contratto perché è mia.”
“Ancora non capisco perché una donna perbene stia con un fottuto zingaro.” Disse Adrian, e il sorriso divertito non accennava a scomparire.
“Perché ce l’abbiamo grosso e le signore lo apprezzano.” Intervenne Arthur, sbucando alle spalle dei due uomini. Tommy abbozzò un sorriso, poi si accese un’altra sigaretta.
“Che dire, noi zingari ci sappiamo fare. Comunque, devi proporre la questione direttamente a Michael.”
“Lo farò. – disse Adrian – La sapete l’ultima stronzata che hanno combinato i cinesi ? Pare che un americano li abbia pagati per farsi pestare. Non ci sono più i valori di una volta!”
Tommy aggrottò le sopracciglia, qualcosa non stava andando nel verso giusto.
“Un americano ha pagato i cinesi per farsi pestare?”
“Sì. Pare che fosse un dottore dell’Università.”
“E’ quel dottorino del cazzo?” chiese Arthur, e Tommy annuì piano.
“Può darsi. Dov’è Michael?”
Come se fosse stato evocato, Michael stava risalendo la gradinata di corsa. Recava in mano la lista dei cavalli e dei fantini che a momenti avrebbero gareggiato.
“Tommy, leggi il nome del cavallo col numero 178.”
Arthur si sporse oltre la spalla del fratello e, adocchiando il cavallo, arricciò le labbra.
“Il cavallo si chiama ‘Bel-Thomas’. Ma che cazzo!”
“Qualcosa non va.” Commentò Michael, le guance arrossate dalla corsa. Tommy ripensò alle parole di Amabel riguardo alla trappola: le corse erano solo un diversivo per distrarli dal grande colpo.
“Cazzo! L’obiettivo è Bel! Le corse erano un modo per allontanarci da Birmingham mentre quel pezzo di merda si occupa di lei. Torniamo in città ora!”
 
Amabel, Jalia e Mary uscirono dal salone soddisfatte del risultato. La dottoressa si era tagliata i capelli fino alla base del collo e sulla fronte cadeva una frangetta liscia, sembrava molto più giovane. Jalia aveva tagliato via tutti i ricci neri rovinati e Mary si era accorciata i capelli fino alle spalle e li aveva tinti. James, invece, aveva ottenuto una manciata di caramelle al limone in regalo.
“Grazie mille per la bella mattinata.” Disse Mary, e Amabel le passò un braccio sulle spalle.
“E’ stato un piacere. E grazie a voi per essere state con me. Quanto siete belle!”
Jalia sorrise e strinse la mano della dottoressa, e si sentì davvero bella per la prima volta in diciotto anni.
“Chi di voi è Amabel Hamilton?”
Amabel si voltò e il sorriso abbandonò le sue labbra. Due agenti di polizia con i manganelli sguainati stavano alle sue spalle.
“Sono io. Che succede?”
Uno degli agenti la strattonò e le tirò le braccia dietro la schiena, dopodiché l’ammanettò.
“Amabel Hamilton, vi dichiaro in arresto per aver partecipato ad un incontro comunista illegale.”
“No, lasciate andare!” strillò Jalia, ma il secondo agente la spinse bruscamente a terra.
“Non toccate le ragazze! – disse Amabel – Avanti, portatemi via.”
“Dottoressa!” gridò Mary mentre Amabel veniva caricata in auto. Nel frattempo James si era messo a piangere.
 
Amabel fu scortata nell’ufficio dell’ispettore capo e scaricata malamente sulla sedia. Fu legata ai braccioli per mezzo delle manette. Dovette attendere un’ora prima che l’ispettore Campbell si facesse vivo.
“Buongiorno, dottoressa. Avrei preferito vedervi in altre circostanze.”
L’uomo si tolse il cappello, si pettinò i ciuffi disordinati e si lisciò i baffi biondi. Tutto in lui era calma apparente, quasi teatrale.
“Perché diamine sono stata arrestata? Voglio una spiegazione.”
L’ispettore si sedette sulla scrivania in modo da stare più vicino a lei, al che Amabel strascinò la sedia sul pavimento per indietreggiare.
“Ma certo. Ebbene, alcuni testimoni vi collocano alla BSA due giorni fa. E’ vero?”
“Sono stata chiamata alla fabbrica perché uno degli operai stava male. Quindi sì, due giorni fa mi trovato alla BSA, ma non vedo perché dovrebbe essere un crimine.”
“Voi sostenete di essere stata chiamata per una emergenza medica, però i testimoni non confermano la vostra versione dei fatti.”
Amabel era confusa e avvilita, non capiva perché quei fantomatici testimoni avrebbero dovuto mentire.
“Vi assicuro che un uomo stava soffocando a causa di una crisi respiratoria per aver assunto eroina in pillole. I vostri testimoni stanno mentendo.”
Campbell si alzò per frugare nel cassetto della scrivania e tirò fuori un paio di libri.
“Questi libri sono gli stessi che voi un paio di settimane fa avete richiesto in biblioteca. Sono libri sul comunismo. Siete una seguace del partito rosso?”
“Ho richiesto quei libri perché mi piace essere informata. Trovo interessanti alcuni punti proposti dal comunismo, ma questo non fa di me una seguace infervorata né tantomeno una criminale.”
“Tre settimane fa una testimone afferma di avervi vista partecipare ad un’assemblea di donne insieme ad Ada Thorne. E’ così?”
Amabel si agitò sulla sedia, ferendosi i polsi con le manette, e sospirò.
“Sì, è così.”
“Quindi voi siete una di quelle donne che si lasciano plagiare da questi moderni movimenti femministi?”
“Perché mi fate queste domande? Lo so che state cercando di incastrarmi.”
Campbell si picchiò le mani sulle ginocchia con finta espressione ferita.
“Vi sbagliate, dottoressa. Io cerco solo la verità. Due giorni fa alla BSA è avvenuto un incontro illegale tra i sostenitori del comunismo e voi eravate là per prendervi parte, poiché non c’era nessun uomo da soccorrere.”
“Era organizzato. – disse Amabel – Avete inscenato il malore di quell’uomo per collocarmi nel momento in cui si svolgeva l’incontro dei comunisti per incolparmi.”
“Non è questo che fa la polizia.” La corresse Campbell. Amabel rise.
“E’ questo quello che fa un uomo per vendicare lo zio.”
Il viso dell’ispettore si tramutò in una maschera di rabbia, era stato pungolato nel vivo.
“Che avete detto?”
“Non siate sorpreso, ispettore. Lo so che siete il nipote di Chester Campbell, ammazzato a Birmingham durante le corse da uno sconosciuto. E so anche che il colpevole non è mai stato trovato.”
“Il colpevole è uno di quegli sporchi zingari che voi frequentate!”
“Forse sì, forse no. Magari vostro zio non ha pagato la droga e lo spacciatore lo ha eliminato.”
“Mio zio era un uomo rispettabile! Non faceva uso di quella robaccia!” sbraitò Campbell, e la sua fasulla calma si stava sgretolando. Amabel doveva colpirlo fino a farlo cedere.
“Oh, si dicevano molte cose di vostro zio, ed erano tutte negative.”
L’ispettore le afferrò il mento con forza, i segni delle dita sulle guance sarebbero stati visibili, e digrignò i denti.
“Tu, lurida puttana, non devi parlare di mio zio!”
“Ah, ecco. E’ così che quel porco pervertito di vostro zio trattava le donne!” replicò Amabel, sorridendo. L’ispettore, mosso dalla collera, fece rovesciare la sedia sul pavimento. Amabel picchiò la testa sulle mattonelle e la vista le si appannò per un momento.
“Hai oltrepassato un confine che ti porterà alla morte, dottoressa.”
“Spero di non vedere la tua faccia quando morirò.”
Campbell sollevò la sedia, e Amabel trattenne un conato di vomito, per poi tirarle i capelli.
“Io le conosco quelle come te. Fate le principesse nelle vostre belle case da riccone, vi ritenete le migliori del mondo, e vi fate scopare dal primo schifoso che passa per sentirvi vive.”
Amabel si mise a ridere, sebbene il dolore alla testa, e sputò in faccia all’uomo.
“E io conosco quelli come te. Fate i gradassi solo con i deboli perché non avete il coraggio di affrontare i forti. Vi reputate i signori del mondo solo perché avete una posizione di rilievo nella società, fingente di essere uomini dotati di grande moralità. E poi, quando nessuno vi vede, sgusciate nei vicoli lerci della città in cerca di donne che possano soddisfare il vostro fragile ego.”
L’ispettore la schiaffeggiò talmente forte che Amabel perse un orecchio, graffiandole il lobo. Il labbro spaccato sanguinava.
“Hai la lingua troppo lunga. Questo può essere pericoloso per una donna.”
“Che cosa vuoi da me? Mi hai portato qui per un motivo.”
“Sei qui perché tu e gli Shelby avete ucciso i Cavendish.” Rispose l’ispettore pulendosi le mani dal sangue. Amabel fece scricchiolare le ossa del collo nella speranza di alleviare il dolore, ma era tutto inutile.
“Hai le prove?”
“Ho interrogato i domestici dei Cavendish, e mi hanno detto che Jacob picchiava tua sorella. Una sera anche Dominic ha alzato le mani su di lei. Nello stesso periodo il tuo studio a Small Heath diventa territorio dei Peaky Blinders, loro ti proteggevano e tu li medicavi. Inoltre, è stata prenotata una camera per due a nome di Tommy all’Athenaeum Club di Londra, il club di cui la tua famiglia era membro da anni. Suppongo che tu e Tommy siate diventati amanti e che lui abbia ucciso i Cavendish per te.”
Amabel, benché sorpresa, si limitò a sorridere strafottente.
“Che bella storiella. Peccato che io e Tommy non siamo amanti e che lui non prende ordini da nessuno, soprattutto non da me.”
“Qui ti sbagli. – ribatté Campbell – Tu e Tommy vi frequentate da un annetto. Io lavoro sul caso dei Cavendish dal giorno del loro funerale. Sono arrivato a Birmingham di nascosto, ho studiato la città, i suoi criminali e i territori delle bande, e sono arrivato agli Shelby. Ho seguito i Peaky Blinders, ho controllato le loro attività, tutti quelli a loro collegati. Una notte ho seguito Tommy fuori città, in una villa in campagna, e ho visto te. Ho visto attraverso la finestra che facevate sesso. Sono anche entrato in casa, ho ascoltato i vostri gemiti e le vostre confidenze. E’ stato allora che ho capito che eravate complici. Nei mesi successivi la mia teoria si è rafforzata ed ha avuto conferma dopo l’apertura della clinica.”
“Quindi hai acquisito le prove entrando illegalmente nella proprietà privata di un uomo rispettabile? Ahia, ispettore, hai commesso un errore.”
“Definisci uno come Tommy Shelby ‘rispettabile’? Quello è il peggio che questa città abbia mai dato alla luce. Lui e la sua gente dovrebbero crepare!” disse l’ispettore, era più irritato di prima.
“Certamente Tommy è più rispettabile di te.”
Campbell rise, i baffi erano perfettamente in ordine. Si tolse la giacca e si arrotolò le maniche della camicia ai gomiti, dopodiché prese il tagliacarte dalla scrivania. Si avvicinò ad Amabel e le puntò l’oggetto alla gola, causando la fuoriuscita di qualche stilla di sangue.
“Considerami come il guardiano  delle porte dell’inferno. Immaginami come Cerbero, il mostro a tre teste che ingoia i peccatori e li rigetta tra le fiamme. Io brucerò te e Tommy Shelby senza pietà alcuna.”
“Io e Tommy abbiamo già vissuto l’inferno in Francia, non ci spaventano le tue misere minacce.”
“Non sfidarmi, dottoressa.”
“Perché no? Scommetto che vorresti farmi quello che tuo zio ha fatto a Polly Gray. Sei un lurido bastardo come lui. Sei un uomo senza palle!”
Il sorriso di Amabel si distorse quando l’ispettore le diede un pugno nello stomaco.
“Amabel Hamilton, sei in stato di fermo per oltraggio a pubblico ufficiale, associazione a bande criminali e per aver supportato le sommosse comuniste. Agenti!”
I due agenti, che l’avevano prelevata poche ore prima, la costrinsero ad alzarsi e le incatenarono anche le caviglie.
“Cosa ne facciamo di lei, signore?”
“Incarcerate la dottoressa Hamilton insieme ai suoi compagni comunisti.”
Amabel faticava a camminare con le caviglie e i polsi ammanettati, pertanto i due agenti la strattonavano di qua e di là in direzione delle celle. I sotterranei della centrale di polizia erano spazi vasti, dotati di numerose celle, e pregne di una puzza terribile. Uno degli agenti aprì la cancellata e l’altro scaraventò Amabel all’interno. La donna cadde a terra e, essendo legata, dovette strisciare nello sporco per mettersi seduta.
“Buona permanenza, troietta.” Disse uno degli agenti, chiuse la cella e risalì al piano superiore insieme al collega.
“Dottoressa!”
Amabel intravide un viso magro e scuro sporsi oltre le sbarre laterali. Era Benjamin, uno degli operai della BSA. Un mese fa sua moglie aveva partorito una coppia di gemelle grazie all’aiuto di Amabel.
“Ben?! Che ci fai qui?”
“Stamattina la polizia ha fatto una retata in fabbrica e ha arrestato tutti gli uomini sospettati di essere comunisti. I poliziotti hanno messo in giro la voce che i comunisti stanno spacciando l’eroina in pillole che uccide la gente.”
“E’ tutta una farsa. – spiegò Amabel – C’è qualcosa che bolle in pentola, ma non riesco a capire cosa. Eroina, bombe, minacce, arresti. Sono tutti eventi inspiegabili.”
Ben allungò il braccio attraverso le sbarre e le toccò la spalla a mo’ di consolazione.
“Il signor Shelby vi farà uscire, state tranquilla.”
“Non è così facile, Ben. Questi vogliono incastrarci per qualcosa che non abbiamo commesso. Ti ricordi che l’altro ieri sono venuta alla BSA per una chiamata urgente?”
“Sì. Norman stava male perché si era drogato con l’eroina e il capo reparto ha chiamato voi. Perché dovrei dimenticarlo?”
Amabel sgusciò più vicino a Ben, e le ginocchia ormai sbucciate stavano perdendo sangue.
“Io credo che i poliziotti abbiano ucciso Norman. Sono stata arrestata con l’accusa di aver aderito al partito comunista perché alcuni testimoni dicono di avermi vista all’incontro che si è tenuto due giorni fa in fabbrica.”
“Non è possibile. –obiettò Ben – Voi siete andata via due ore prima che l’incontro iniziasse. Oh, hanno ucciso Norman per evitare che potesse scagionarvi. Dottoressa, siete in trappola.”
“Lo so. E non uscirò viva da questo posto, ne sono certa.”
Ben si passò le mani unte di grasso tra i capelli, doveva essere stato arrestato mentre lavorava.
“Cosa avete intenzione di fare?”
Amabel aveva escogitato un piano, era folle e la riuscita non era assicurata, ma doveva pur tentare. Doveva uscire dalla centrale prima che l’ispettore le facesse sul serio del male.
“Devo attirare la loro attenzione.”
 
L’ispettore stava placidamente fumando quando vide un gruppo di agenti correre verso le prigioni. Si fiondò in corridoio con espressione accigliata.
“Che sta succedendo?”
“La dottoressa si è liberata, signore.”
Campbell si precipitò nei sotterranei abbaiando l’ordine di contenere il tumulto. Amabel si era rotta il polso per liberarsi dalle manette e con la spilla che portava attaccata alla camicetta tentava di aprire le manette alle caviglie.
“Ispettore, sentivo la tua mancanza.” Disse la donna sorridendo. Era sporca di sangue secco sulla bocca e sulle ginocchia, l’osso del polso era fuori sede.
“Agenti, prelevate la signorina Hamilton e portatela nel mio ufficio. Ho bisogno di scambiare qualche chiacchiera con lei in privato.”
Amabel lesse negli occhi di Campbell una furia velenosa, un marciume che si diffondeva nella carne e nelle ossa. Era lo sguardo di una bestia in procinto di sbranare la propria preda. Mentre veniva trascinata su per le scale da un agente, si scostò di colpo e fece un passo indietro. Cadde nel vuoto. Ruzzolò sui gradini fino a raggiungere il pavimento. La caduta si arrestò quando il corpo andò a sbattere contro la cella di Ben. L’uomo, che era d’accordo con la dottoressa, mise in moto il piano.
“Chiamate aiuto! Chiamate aiuto! La signorina non respira più!”
 
Amabel si risvegliò con un atroce dolore diffuso in tutto il corpo. La prima cosa che vide fu un soffitto bianco, e poi annusò un nauseante odore di sangue. Mettendo a fuoco, si rese conto di essere stata spostata nell’infermeria della centrale. Fuori dalla porta scorgeva le silhouette di un poliziotto che piantonava la stanza. Provò a muoversi ma le caviglie e il polso sinistro erano ancora ammanettati. Il polso destro, quello rotto per liberarsi, era stato fasciato malamente. Una flebo endovena distillava goccia dopo goccia un barbiturico utilizzato come sonnifero per il trattamento dell’insonnia. La stavano drogando per tenerla a bada, era uno strumento per controllarla. Doveva scappare prima che accadesse il peggio. Allungò la mano per chiudere il beccuccio della flebo, interrompendo la somministrazione del barbiturico, e si strappò l’ago dal braccio. Le girava la testa, era confusa ed assonnata, ma si fece forza per resistere. Usò l’ago sporco di sangue per aprire le manette al polso sinistro. Le manette caddero a terra con un forte clangore e attirò l’attenzione dell’agente di guardia. Questi entrò per assicurarsi che la paziente fosse ancora incosciente e, quando notò che Amabel si era liberata, si affrettò ad agguantarla per il polso.
“Sta buona, dottoressa! Non andrai da nessuna parte!”
“Lasciami!”
Amabel era combattuta tra la voglia di addormentarsi e la voglia di fuggire, e per fortuna scelse la seconda. Le sue sorelle avevano bisogno di lei, non poteva abbandonarle.
“Sei drogata, non riusciresti a fare un passo senza crollare.” Disse il poliziotto serrando la presa sul suo braccio. Amabel afferrò la cassetta del pronto soccorso che giaceva sul comodino e colpì l’agente alla testa. L’uomo si portò le dita alla tempia sanguinante e imprecò, mentre Amabel lo colpiva una seconda volta. L’agente ricadde sulle ginocchia, stordito dal dolore, e lei si liberò anche le caviglie con l’ago. Sebbene fosse scalza, camminò verso la porta per uscire. Urlò quando il poliziotto le piombò addosso facendola atterrare sul pavimento.
“La gattina ha le unghie.” Sibilò l’agente, e la sua mano scivolò verso la fondina della pistola. Amabel sapeva che non avrebbe esitato a spararle, in fondo Campbell voleva ferire Tommy e la sua morte sarebbe stato un ottimo vantaggio per l’ispettore. Fece come le aveva insegnato mesi prima Arthur: diede una ginocchiata all’inguine dell’agente, poi gli tirò una gomitata in faccia. La pistola scivolò sotto il letto. L’agente era piegato in due dal dolore, il volto era una maschera di sofferenza. Amabel si rimise in piedi a fatica e zoppicò fino alla porta, impugnando il pomello. Stava per aprire quando l’agente le saltò ancora addosso facendole sbattere la testa contro lo spigolo della scrivania. Amabel perse i sensi per qualche istante. Tossì per sputare il sangue che aveva ingerito.
“Brutta stronza!”
La mano dell’agente stava per sganciarle un pugno quando Amabel, con un ultimo briciolo di forze, gli diede una testata che gli ruppe il naso. Raccattò una siringa dalla scrivania e la piantò nel collo del poliziotto, che svenne poco dopo.
 
Isaiah fumava in compagnia di due clienti del Garrison. Il pub era pieno e lui aveva preferito uscire a prendere una boccata d’aria. Avrebbe incontrato Oliver due ore dopo, il tempo necessario perché il medico finisse il turno di lavoro. Erano le otto di sera, faceva freddo e probabilmente sarebbe venuto a piovere.
“Ma che cazzo …” disse uno dei ragazzi che bevevano con lui. Voltandosi, Isaiah vide una figura zoppicare a piedi nudi al centro della strada. Di colpo la figura si accasciò al suolo come un fiore morto. Quando Isaiah si avvicinò, capì che era Amabel.
“Dottoressa!”
Amabel era scalza, indossava solo una camicetta di cotone e non portava il soprabito. Era ghiacciata e pallida, le sue labbra erano blu. Gambe e braccia riportavano numerosi lividi e graffi, anche il viso era tumefatto e sanguinante. Sembrava che un leone l’avesse quasi sbranata. La coprì col proprio cappotto e la prese in braccio con molta attenzione, non voleva procurarle altro dolore. Si incamminò verso casa di Polly.
 
“Non me fotte un cazzo se Kimber fa storie perché invadiamo il suo territorio! Dobbiamo trovare Amabel prima dell’alba!”
Polly non ne poteva più delle urla di Tommy, andava avanti così da tutto il giorno, da quando era tornato da Londra. Stando al racconto di Jalia, Amabel era stata arrestata ma in centrale non risultava presente. Tommy aveva perso la testa. Aveva addirittura preso a pugni uno dei suoi uomini senza motivo. Perdere Amabel era un’opzione non contemplata. Finn, che aveva il compito di sorvegliare casa Hamilton, era sparito dopo aver preso il treno per Londra di nascosto.
Quando il campanello suonò, Ada schizzò in piedi per andare ad aprire. Era Isaiah che reggeva Amabel.
“Tommy! Tommy, vieni subito!”
Tommy sbiancò nel costatare le condizioni di Amabel. La prelevò dalle braccia di Isaiah per stringerla a sé. Era fredda come un cadavere.
“Che cosa cazzo è successo?” domandò Arthur.
“Non lo so. Barcollava nei pressi del Garrison. E’ svenuta, mi sono accorto che era lei e l’ho portata da voi.”
“Portiamola in clinica.” Disse Ada, che era terrorizzata da quella situazione. Tommy, senza infilarsi la giacca e il cappotto, uscì di casa come una furia.
 
Finn aspettava alla stazione di Londra che Diana lo andasse a prendere. Si erano scambiati diverse lettere nei mesi di lontananza fino a mettersi d’accordo per trascorrere una settimana insieme. Evelyn si trovava fuori città per una gita con l’università e Bertha era in ritiro spirituale con la chiesa, pertanto la casa era vuota.
“Finn!”
I due ragazzi si corsero incontro e si abbracciarono stretti. Diana lo baciò senza perdere tempo. Finn arrossì e tossì, non era abituato ad avere una ragazza. Perché sì, Diana era la sua ragazza.
“Andiamo a casa, qui si gela.”
Un taxi li accompagnò a casa, una piccola villetta nel centro della capitale, e fu lei a pagare. Finn fu grato per il calore interno che lo ristorava dopo un lungo viaggio in treno. Sapeva che al suo ritorno Tommy lo avrebbe rimproverato, e probabilmente gli avrebbe tirato qualche ceffone, ma per ora non voleva preoccuparsene.
“Sono così contenta che tu sia qui!” esclamò Diana abbracciandolo. Finn sorrise per il suo entusiasmo, in fondo a Birmingham nessuno sembrava felice di averlo tra i piedi.
“Ah, sì? Scommetto che qualche idiota della tua scuola ti fa la corte.”
Diana rise per la gelosia di Finn, non gli si addiceva, era buffo.
“Io accetto la corte solo da te, Finn Shelby. E sì, quelli della mia scuola sono devi veri idioti.”
“Ti ho portato un regalo. Spero ti piaccia.”
Finn le offrì un piccolo sacchetto di iuta col collo circondato da un fiocco rosa. Diana ci frugò dentro e, quando scoprì il regalo, fece un sorriso a trentadue denti. Era una collana ornata da un pendente a forma di farfalla con le ali tempestate di piccoli brillantini rossi.
“Finn, questa collana ti sarà costata una fortuna! Questi sono rubini veri?”
“In realtà non l’ho pagata. Ada voleva buttarla e io l’ho salvata in tempo. Era molto carina, pensavo che potesse piacerti. Il rosso è un colore che ti dona.”
Diana lo afferrò per il bavero della giacca e lo baciò, stringendo la collana tra le dita. Finn fece scivolare le mani intorno ai suoi fianchi per approfondire il contatto. Era un bacio lento e dolce, quel tipo che condivide una coppia di giovani innamorati.
“Grazie, Finn. E’ stupenda.”
La ragazza gli diede le spalle e lui le appuntò la collana al collo, poi le stampò un bacio sulla guancia.
“Tu sei stupenda.”
Diana rise ancora, era come miele per le orecchie del ragazzo.
“Vieni, mangiamo qualcosa. Bertha ha preparato una torta al cioccolato.”
I due divorarono la torta tra risate e chiacchiere, il fuoco del camino proiettava le loro ombre sul pavimento. Si distesero sul divano, Diana con la testa posata sul petto di Finn, e osservavano le fiamme rischiarare il salotto.
 “Perché Bertha mi odia?” chiese lui, spezzando il silenzio. Diana affondò la guancia contro la sua camicia inalando il suo odore di fumo e cioccolato.
“Perché ti reputa una fonte di perdizione. E’ una donna molto religiosa, conosce a memoria la Bibbia e va a messa ogni domenica. La sua morale è influenzata dalla religione. Odia te e tutti quelli come te, criminali senza scrupoli.”
“Io non sono un criminale.” Obiettò Finn.
“Ma la tua è una famiglia di criminali. Comunque a me non interessa il giudizio di Bertha. Tu non sei come i tuoi fratelli. Se tu lasciassi Birmingham, sono sicura che la tua vita cambierebbe in meglio.”
Lasciare Birmingham era un’ipotesi a cui Finn non aveva mai pensato. Mai si era immaginato di abbandonare la famiglia e gli affari in favore di una vita onesta.
“Io non posso lasciare la mia città. Sono il più piccolo e un giorno gli affari passeranno nelle mie mani.”
Diana gli scostò un riccio dalla fronte e gli accarezzò il naso.
“Tu puoi fare tutto quello che vuoi, Finn Shelby. Devi solo credere in te stesso.”
 
Salve a tutti!
Questo è un capitolo particolarmente speciale per me. Immaginarlo e scriverlo è stato difficile perché mi sono immedesimata in Amabel, ho dovuto provare la sua stessa paura e la sua stessa voglia di sopravvivere, e quasi mi veniva da piangere. La violenza sulle donne è, purtroppo, una piaga che miete vittime e non ci riflettiamo mai abbastanza. Certo, questa è una storia di fantasia, ma quello che Polly, Evelyn e Amabel hanno vissuto – botte, minacce, violenza – sono gli orrori che ogni giorni migliaia di donne vivono (e anche di peggio) e nella maggior parte dei casi non si salvano. Non voglio avere la pretesa di insegnare qualcosa con questo capitolo di fantasia, ma vi invito a riflettere sulle nostre sorelle che soffrono per mano di uomini brutali senza scrupoli. Soprattutto, da donna a donna, vi invito a fare attenzione agli uomini – padri, fratelli, amici, fidanzati – che vi circondano perché la violenza fisica e psicologica va combattuta.
Scusatemi per la lunga digressione aldilà della storia.
 
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Nessuna salvezza ***


7. NESSUNA SALVEZZA
“I was born in the desert. I’v been down for years.
Jesus, come closer. I think my time is near.
[..] I’ve laid with the devil, cursed god above, forsaken heaven
to bring you, my love.”
(To bring you, my love; PJ Harvey)
 
‘Se la nuvola è macchiata, è in arrivo una brutta giornata’, era un proverbio che la madre di Polly ripeteva ogni volta che un nuvolone grigio galleggiava in cielo. Quella mattina Tommy si era presentato a casa della zia intorno alle sette pregandola di seguirlo. Polly aveva terminato il the con tutta calma, irritando Tommy, si era vestita con altrettanta calma e intorno alle nove erano usciti.
“Dove stiamo andando?” domandò la donna sbirciando dal finestrino dell’auto.
“Presto lo vedrai.”
Tommy era visibilmente stanco, non aveva dormito per stare accanto ad Amabel in ospedale, e tutto ciò che aveva ingerito erano stati due bicchieri di whiskey al Garrison.
“Oggi sarà una brutta giornata, è scritto nelle nuvole.”
Tommy inarcò il sopracciglio, la cenere della sigaretta gli cadeva sulle scarpe costose.
“Cos’altro è scritto nelle nuvole?”
“Non sempre riesco a leggere quello che c’è scritto. Come sta Amabel?”
“E’ ancora incosciente. Oliver dice che ha riportato un grave trauma cranico e che la perdita di sensi è normale. Nelle prossime ore dovrebbe risvegliarsi.”
Polly si accese una sigaretta e aprì il finestrino per buttare fuori il fumo. Il paesaggio scorreva davanti ai suoi occhi come uno scomposto schizzo di verde e marrone.
“E tu come stai? Ieri sembravi un pazzo.”
“Starò bene quando Amabel si sveglierà, fino ad allora ho solo voglia di farla pagare a chi l’ha ridotta così.” Disse Tommy, risoluto come sempre.
“Non puoi farla pagare a Campbell facilmente. Adesso che Amabel gli è sfuggita starà in guardia. Si aspetta un attacco da parte nostra.”
Polly si allarmò quando Tommy non rispose, era troppo tranquillo dopo quello che era successo.
“Ho un’idea, Pol.”
“Cazzo. – mormorò Polly – Ora sì che sono preoccupata.”
“Campbell non se l’aspetta questa mossa. Dobbiamo eliminarlo prima che crei seri problemi. L’arresto di Amabel e le torture erano solo l’inizio. Il bastardo ha in mente qualcosa di più grosso.” Disse Tommy, e svoltò a destra verso l’aperta campagna. Polly vedeva solo alberi, pecore e pastori, e infiniti spazi verdi.
“Cosa hai intenzione di fare con Finn? Ha disobbedito ai tuoi ordini ed è scappato a Londra dalla sua fidanzatina. Lo picchierai quando tornerà?”
“Aveva un compito solo: dare un’occhiata ad Amabel, ma ha preferito andare a Londra e se n’è fregato dei miei ordini. Sì, dovrei picchiare quell’imbecille, ma non lo farò. Amabel mi odierebbe se torcessi un capello a Finn.”
“Certo che le sorelle Hamilton hanno scombussolato i piccoli cervelli dei fratelli Shelby.” Disse Polly, le labbra arricciate in una smorfia di disgusto. Tommy la ignorò, non era in vena di scherzare.
“Finn e Diana non posso stare insieme.”
“Questo lo dici tu? Non essere ridicolo, Tommy. Neanche tu e Amabel dovreste stare insieme, eppure vi ritrovate sempre alla fine. Finn non è come te e Arthur, e questo lo sai. Lui è fragile, sensibile, dolce, e Diana sta facendo emergere il ragazzo che dovrebbe essere. Finn ha solo diciannove anni, è ancora un bambino. Non ha l’anima sporca come te. Lui può essere ancora salvato.”
Tommy trucidò la zia con uno sguardo.
“Nessuna salvezza per quelli come noi.”
 
Polly si ritrovò davanti ad una grande casa nel mezzo del nulla. La città distava due ore e non c’erano altre case nei dintorni, solo sterminati campi di grano e un ruscello in lontananza.
“Perché diamine siamo qui?”
“Entra e lo scoprirai.”
Tommy si fece da parte per farla accomodare, sebbene la zia fosse sospettosa.
“Tommy, sei tu?” disse una voce femminile dal marcato accento straniero. Polly udì passi concitati sulle scale e, voltandosi, rimase a bocca aperta. La voce apparteneva a Lena Meyer.
“Sei un coglione, Thomas.” Disse Polly, e colpì il nipote al braccio con la borsetta.
“Fammi spiegare.”
“No. Vaffanculo! Come ti viene in mente di tenerla con te?”
Polly si incamminò verso l’uscita ma Tommy le tagliò la strada.
“Lasciami parlare, per favore. Non è come pensi.”
“Ah, no? – fece Polly – Immagino che Amabel non sappia che vai a letto con una assassina.”
“Ti prego, ascolta tuo nipote.” Intervenne Lena, e Polly la guardò in tralice.
“Ti ho dato il permesso di parlare? Non mi sembra. Tieni quella bocca chiusa!”
“Pol, per favore.” La supplicò Tommy.
“Hai due minuti per convincermi a non spararle in faccia.”
Tommy si accertò che nessuno li avesse seguiti, dopodiché chiuse la porta a chiave e tornò in salotto. Polly stava in piedi, lontana da Lena, con espressione irritata.
“Allora? Parla. Ti resta un minuto.”
“Non è stata Lena ad uccidere Grace. E’ stato suo fratello.”
“E’ vero. – disse Lena – Noah aveva fatto testamento e aveva ordinato che, in caso fosse morto per mano degli Shelby, i suoi uomini fidati avrebbero dovuto uccidere la moglie di Tommy. Noah non aveva capito che Amabel e Tommy stessero insieme, perciò i suoi uomini hanno ucciso Grace perché è la madre del figlio di Tommy e ritenevano che fossero sposati. L’obiettivo doveva essere Amabel.”
“E tu ci credi?” disse Polly rivolgendosi a Tommy.
“Sì, ho visto il testamento. Quando sono arrivato a Liverpool, c’erano gli uomini di Noah che mi aspettavano. C’è stata una sparatoria, loro sono morti e noi abbiamo perso un paio di uomini. Restava in vita l’avvocato Walsh, l’unico che poteva sapere dove fosse Lena, e l’ho rintracciato. Arrivati a casa sua, lo abbiamo trovato morto. Si era suicidato per mantenere il segreto di Noah. Nello scantinato ho trovato Lena legata e imbavagliata, era tenuta prigioniera dalla morte di Noah. E’ stata lei a mostrarmi il testamento e a raccontarmi la verità, perciò l’ho risparmiata.”
“E perché l’hai portata a Birmingham? Non sei mai stato il tipo che fa l’elemosina.”
Lena sbuffò per le offese di Polly, ma la donna rispose con un ringhio rabbioso.
“Perché non sapeva dove andare. L’avvocato le aveva congelato i conti e aveva donato le proprietà dei Meyer alla banca, quindi ho pensato di portarla con me in caso di bisogno.”
“I tuoi fratelli lo sanno che lei è qui?”
“No. – ammise Tommy – Li ho rimandati a casa dopo la sparatoria. Solo io sono rimasto a Liverpool per cercare Lena, e solo io so che lei è viva. Arthur, Finn e Michael pensano che lei sia morta per mano mia.”
Polly si sedette e trafficò nella borsetta alla ricerca di una sigaretta, sperava che il fumo annebbiasse la visuale su Lena.
“Continuo a non capire perché sia qui. Sei incinta di Tommy?”
Lena sgranò gli occhi e scosse la testa.
“No! Io e lui non siamo mai andati a letto. A quanto pare lui è fedele alla sua donna.”
“Fedele ma stupido. Irrimediabilmente stupido.” Disse Polly, e gettò il fumo in faccia a Tommy.
“Ascolta la mia idea e poi giudica.”
“Sono tutta orecchi.”
Tommy si sedette di fronte alla zia, si accese una sigaretta e se la sistemò all’angolo della bocca.
“Lena può esserci utile in questo periodo. Può distrarre Campbell dando la possibilità ad Amabel di riprendersi e raccontarci cosa è successo. Quando lei starà bene e sapremo cosa vuole l’ispettore, in quel momento faremo la nostra mossa per togliercelo dalle palle.”
Polly parve rifletterci, lanciando occhiate furtive al nipote e alla svedese.
“Perché lo stai dicendo a me e non ai tuoi uomini?”
“Perché ho bisogno di una mente lucida come la tua. Arthur non è fatto per gestire certi accordi, Finn è fuori gioco e Michael è impegnato a contrattare con John Adrian. Lo sai che per certe faccende posso affidarmi solo a te.” disse Tommy puntando gli occhi azzurri in quelli della donna. Erano gli stessi occhi di sua madre, grandi e accattivanti, ma anche pieni di speranza.
“Va bene. – accettò Polly – In fondo, una donna è sempre il motivo per cui un uomo perde la testa. Come dico sempre, gli uomini e i loro uccelli non smettono mai di stupirmi *(cit. Polly).”
“Parole sante.” Borbottò Lena, e Polly le riservò uno sguardo infastidito.
“Ci sarà molto da fare per renderti una signorina perbene che possa attirare l’attenzione di Campbell.”
“Dovrò essere come Amabel? Gentile, raffinata, e pudica?”
“Tu non ti avvicineresti ad Amabel neanche con un cazzo di incantesimo!” ribatté Polly.
“Io torno a Birmingham per vedere come sta Amabel. Voi due fate le brave e cercate di non ammazzarvi, abbiamo già troppi cadaveri di cui occuparci.” Disse Tommy. Quando montò in auto, scorse Polly e Lena discutere in soggiorno. Sua zia non si smentiva mai.
 
Michael si sedette sugli scalini dello studio Hamilton dopo aver fatto ritorno dall’incontro con John Adrian. Il gangster dei Cheapside Sloggers gli aveva proposto di sposare la nipote Clara per sancire un’alleanza tra gli Adrian e gli Shelby. La guerra tra le due bande dopo quanto era successo a Stacey era sul punto di scoppiare, e la pace dipendeva da Michael. Clara era una bella ragazza di diciotto anni, abbastanza istruita e dal carattere mite ma Michael non aveva mai pensato al matrimonio combinato. Aveva avuto svariate ragazze, ma nessuna lo aveva colpito al punto da fargli immaginare di sistemarsi. L’unica per cui aveva provato a comportarsi bene era Evelyn, però si trattava di una farsa e alla fine era ricaduto nelle vecchie abitudini.
“Signore, vi sentite bene? Signore?”
Michael sbatté le palpebre per tornare alla realtà. Una ragazza gli sventolava la mano davanti agli occhi. Era scura di pelle, voluminosi riccioli neri erano tenuti da una cuffia bianca, e due grandi occhi marroni lo guardavano smarriti. Aveva la sensazione di averla già vista.
“Sto bene. Noi ci conosciamo?”
“Io sono la domestica della dottoressa Hamilton. Però lei dice che sono sua amica.”
“Tipico di Amabel. – disse Michael – Perché sei qui? Small Heath è un brutto quartiere per quelle come te.”
“Quelle come me?” domandò Jalia, offesa da quel commento.
Michael si rese conto delle gaffe e si passò una mano sul viso, erano solo le dieci del mattino e lui era sfinito.
“Scusami, oggi non so quello che dico.”
“Allora state zitto. Dire che sono una poco di buono non è cortese.” Lo rimproverò la ragazza, e Michael ridacchiò.
“Amabel ti ha insegnato a rispondere a tono. Beh, sì, quelle come te di solito vendono il proprio corpo. Tu sei stata salvata.”
“Ho avuto la fortuna di incontrare la dottoressa, ma questo non mi salva del tutto. Le mie sorelle, quelle come me, vengono sfruttate in ogni modo e nessuno fa niente per aiutarle. Signore, nessuno di noi si salva.”
Michael riconobbe un fondo di verità nelle parole della ragazza. Lui stesso non poteva più salvarsi da quando aveva messo piede in casa Shelby. Allungò una mano verso Jalia.
“Io mi chiamo Michael Gray.”
Jalia si stupì che un uomo del suo calibro si abbassasse a tanto per una cameriera. Si fece coraggio e gli strinse la mano.
“Io sono Jalia.”
 
Diana si svegliò con il suono cantilenante della pioggia. Londra era avviluppata da un temporale che sarebbe durato tutto il week-end. Finn russava, i capelli spettinati e la bocca aperta. Era carino anche quando dormiva, pensava la ragazza. Si alzò piano per andare in cucina a preparare la colazione, the e qualche toast col burro. In punta di piedi raggiunse la propria camera, si fece un bagno caldo e si rivestì. Quando scese in salotto, Finn stava sbadigliando.
“Buongiorno, dormiglione.”
Finn sorrise quando Diana gli stampò un bacio sulla guancia. A casa sua i risvegli erano bruschi, zia Polly irrompeva in camera spalancando le finestre per far arieggiare le stanze e si metteva a urlare.
“Buongiorno a te. Profumi di vaniglia.”
“E’ il bagnoschiuma di Evelyn, lo uso anche se lei odia che si tocchino le sue cose.”
Diana servì le due tazzine e i toast su un vassoio di argento riccamente decorato, e Finn si domandò quanto valesse venduto sottobanco; doveva valere parecchio.
“Io ti farei toccare tutto.”
La ragazza arrossì a quelle parole, non era il modo di parlare ad una signorina.
“Finn! Modera il linguaggio!”
“Scusami. – biasciò lui – Io volevo dire che tu puoi toccare la mia roba quando ti pare perché io non mi arrabbio.”
Diana sorseggiò il the per bagnarsi la gola secca.
“Tu non sai proprio come conversare con una signorina.”
Finn si grattò la nuca nell’imbarazzo totale, sembrava uno scolaro ripreso dalla maestra.
“Scusami.”
“Smettila di scusarti. Mi piaci anche perché dici sempre quello che pensi.” Disse Diana sorridendo. Finn si inginocchiò ai suoi piedi e le afferrò le mani per posarvi un bacio sul dorso.
“Quindi posso dire che sei la mia ragazza ad alta voce?”
“Assolutamente sì.”
Diana gli diede un bacio a stampo ma Finn, che era felice come non mai, ingaggiò un bacio passionale. La ragazza sussultò quando lui le mise le mani sui fianchi, era un gesto audace.
“F-finn.”
“Sì, sì, sono andato troppo oltre. Mi dispiace.”
Diana di colpo si era oscurata in viso, non era da lei perdere la sua solita allegria.
“Io non sono pronta per … ehm … essere in intimità con un ragazzo. Bertha mi dice che devo aspettare dopo il matrimonio.”
“Oh, vuoi fare sesso dopo il matrimonio perché te lo dice Bertha?”
“Non solo. – disse Diana – C’è un codice che noi donne dell’alta società siamo tenute a rispettare. Si può fare sesso per la prima volta solo col proprio marito. Zia Camille ci ripeteva che lo scopo di una donna è compiacere il marito e avere figli.”
“Tua zia dice un sacco di stronzate. Se un marito ama davvero la propria moglie, non la tratta come una schiava.”
“Non è così facile per le donne, Finn. Noi siamo costrette a comportarci in un determinato modo altrimenti la società ci giudica e ci isola.”
Finn lo sapeva che una signorina dabbene doveva assumere un comportamento rispettoso, ma non era giusto che le donne fossero sottoposte a questo strazio.
“Tu devi ispirarti ad Amabel. Tua sorella è libera, è coraggiosa, fa quello che le pare anche se va contro la società. Diana, tu non sei fatta per seguire le regole di quella gente del cazzo. Tu sei migliore di loro.”
“Sei gentile.” Disse la ragazza stringendo la prese sulle mani di Finn.
“Non lo dico perché adesso voglio convincerti a fare sesso con me. Se e quando lo vorrai, lo faremo. Ma te lo dico perché è quello che penso. Se io ho imparato a leggere e a scrivere, tu puoi fregartene delle regole.”
Diana si chinò e lo baciò per ringraziarlo. Finn trasalì quando Diana prese le sue mani e se le portò ai fianchi.
“Diana …”
“Shh, va bene. Solo … ecco … non muovere le mani più in basso.”
“Promesso.”
Tornarono a baciarsi, e questa volta con nuove consapevolezze che accompagnavano il loro giovane amore.
 
Arthur camminava spedito nei corridoi della clinica come se fosse il re del mondo. Certo doveva ammettere che la dose di oppio che aveva inalato poco prima era un buon incentivo ad atteggiarsi in quella maniera. Infermieri e medici si scansavano al suo passaggio, spaventati da tanta spavalderia. Davanti a lui c’era il dottor Ross che li stava accompagnando nella stanza di Amabel. La sera prima Tommy aveva lasciato due uomini armati fino ai denti a sorvegliare la paziente, ma era giunto il momento di dare il cambio. Ecco perché affianco ad un Arthur che si pavoneggiava camminava  un Isaiah mezzo addormentato.
“Vuoi sapere una cosa, Isaiah?” esordì Arthur lisciandosi i baffi in quel modo che irritava tutti.
“Dimmi.”
“Si mormora che il dottor Ross sia una checca. Fuori dal Garrison lo hanno visto baciarsi con un ragazzo. Non ci sono più gli uomini veri di una volta!” *
Isaiah deglutì e abbozzò un sorriso, anche se stava tremando per la paura di essere scoperto.
“Prego. – disse Oliver – Questa è la stanza di Amabel. E’ ancora priva di conoscenza e riposa, perciò fate silenzio.”
In quel momento il corridoio si fece buio. Un vivace vocio serpeggiò fra le mura. Arthur tirò su col naso e si lisciò di nuovo i baffi.
“Che cazzo è successo?”
“E’ saltata la corrente. E’ colpa del maltempo. Scendo a riparare il guasto.” Disse Oliver, e si avviò verso la sala che gestiva la corrente.
“Va ad aiutarlo.” Ordinò Arthur ad Isaiah, che storse le labbra.
“Io non aiuto una checca del cazzo!”
Anche nel buio, il ragazzo avvertì Oliver trattenere il respiro. Arthur ghignò ed entrò nella stanza, inciampando contro il letto e imprecando. Prima che Isaiah lo seguisse, Oliver lo afferrò per il braccio.
“Ascoltami bene, ragazzino. Solo perché ti vergogni di chi sei e ti nascondi, non hai il diritto di insultare gli altri. Questo ti rende il carnefice di te stesso.”
“Non so di che parli. E lasciami!”
Oliver mollò la presa con espressione ferita, era avvilente che Isaiah lo denigrasse a tal punto.
“Io e te abbiamo chiuso, Isaiah. E’ finita.”
“Non è mai cominciata.” Replicò il ragazzo con tono velenoso. Oliver gli diede le spalle, incapace di sopportare ancora quei soprusi, e si allontanò a passo svelto.
 
Lizzie stava leggendo il quotidiano quando dalla porta fece il suo ingresso l’ispettore Campbell. La luce non era ancora tornata e la fiammella della candela illumina il profilo tagliente dell’uomo.
“Buongiorno, signorina. Voi siete una parente della dottoressa Hamilton?”
“Sono un’amica. Perché siete qui?”
Lizzie lo sapeva di dover stare attenta all’ispettore, Polly l’aveva avvisata proprio quella mattina per sicurezza.
“Sono qui perché la direzione della clinica ha richiesto il mio intervento. Le ferite e i traumi riportati dalla signorina Hamilton sono gravi e fanno pensare ad un’aggressione violenta.” Disse l’uomo, e intanto si guardava attorno con una certa ansia. Lizzie si avvicinò al letto come a voler difendere Amabel.
“Beh, come potete vedere voi stesso non è possibile interrogare la dottoressa.”
Lizzie sospirò di sollievo quando Oliver entrò nella stanza con la nuova soluzione di sali minerali da somministrare alla paziente.
“Chi siete? E chi vi ha dato il permesso di entrare?”
“Sono l’ispettore capo Campbell. Indago sull’aggressione ai danni della signorina Hamilton.”
“Aggressione, dite? – fece Oliver – Supponevamo che la signorina fosse caduta dalle scale. E’ così che ci ha riferito poco prima di perdere i sensi. Per caso c’è stata una denuncia di aggressione?”
Campbell si morse il labbro, la sua recita stava sviando dal copione che aveva stabilito.
“Nessuna denuncia. La direzione mi ha convocato …”
“Impossibile. – obiettò Oliver – La direzione è gestita da Ada Thorne e da me, e nessuno dei due vi ha convocato. Che succede, ispettore?”
“La centrale deve aver inteso male la richiesta di intervento. Se dite che la dottoressa è solo caduta, io vi credo, ma è meglio esserne certi. Vorrei attendere che si risvegli.”
Oliver e Lizzie si scambiarono un’occhiata loquace.
“Certo. Ma, stando al protocollo, dovete attendere fuori dalla stanza.”
“Bene.” disse l’ispettore e, dopo un ultimo sguardo ad Amabel, si sedette in sala d’attesa.
Oliver cambiò la flebo e ne regolò il flusso, dopodiché controllo i battiti del cuore e gli occhi di Amabel. Sebbene fosse uno psicologo, lavorare nella clinica era una buona scuola di medicina.
“Come sta?” domandò Lizzie.
“Sta meglio. Potrebbe risvegliarsi nelle prossime ore. E’ stata fortunata, nonostante tutto. Tu resta con lei, io mi assicuro che l’ispettore non entri.”
Lizzie annuì, poi prese posto accanto al letto e tornò a leggere.
 
Tommy arrivò in clinica intorno alle otto di sera. Birmingham era prigioniera del temporale che non dava tregua da ore. Le strade erano allagate, la corrente era saltata in molte zone, e il traffico lo aveva costretto a camminare a piedi. Aveva lasciato l’ufficio nelle mani di Michael dopo una faticosa giornata tra affari legali e illegali, era stanco ma la voglia di vedere Amabel era troppo forte. Lizzie gli aveva comunicato che Amabel si era svegliata e che l’avrebbero sottoposta a numerosi esami per testare le sue condizioni. Alla reception fu richiamato da Ada.
“Tommy, di sopra c’è Campbell. E’ qui da stamattina per interrogare Amabel. Dice che si tratta di una aggressione violenta. Non gli abbiamo detto che sappiamo che è stata arrestata.”
“Ci penso io. Lizzie è con Amabel?”
“Sì. – confermò Ada – Ci sono anche Polly e Oliver con lei, mentre Arthur e Isaiah cercano in qualche modo di sorvegliare il corridoio.”
“Grazie.”
Tommy abbracciò brevemente la sorella e si accinse a salire due piani di scale, dal momento che l’ascensore era fuori uso. Quando imboccò il corridoio, vide Campbell affacciato alla finestra a fumare la pipa.
“Ispettore.”
L’uomo si voltò e sorrise, sembrava davvero contento che il gangster fosse arrivato.
“Signor Shelby, buonasera. Siete qui per la vostra amante?”
“Sono qui per la mia socia. Come voi saprete, sono io che finanzio la clinica della dottoressa Hamilton.”
“Esatto! – disse l’ispettore – E perché mai un uomo come vorrei avrebbe regalato una clinica ad una dottoressa?”
Tommy si mise alla finestra, tirò fuori lo scatolino delle sigarette e ne estrasse una per fumarla.
“Perché la dottoressa mi ha salvato la vita in Francia, ma sono sicuro che voi già sappiate che io e lei abbiamo servito insieme in guerra.”
“Lo so, ma mi stupisce lo stesso che le abbiate donato un intero edifico per ringraziarla.”
“Le vostre insinuazioni sono ridicole. Avanti, ispettore, non ci girate intorno e fate le domande giuste.” Disse Tommy sorridendo appena. Anche Campbell sorrise, quasi aspettasse quel momento da una vita.
“Nel maggio dell’anno scorso voi e la signorina Hamilton avete ucciso i fratelli Cavendish?”
“No. Perché avremmo dovuto?”
“Perché i Cavendish hanno abusato di Evelyn Hamilton. Voi e la dottoressa siete molto intimi, inutile negarlo, e scommetto che voi li abbiate uccisi per lei.”
Campbell camminava avanti e indietro con le mani dietro la schiena come suo zio, e Tommy aveva solo voglia di scaraventarlo giù dalla finestra. Invece sorrise di nuovo.
“Avete una fantasia invidiabile. Ammesso che io abbia ucciso i Cavendish, voi che prove avete? Il fatto che io e la dottoressa siamo intimi non vuol dire che siamo complici in omicidio.”
Campbell aggrottò la fronte alle contestazioni di Tommy, sembrava che avesse una risposta per ogni accusa. Decise allora di azzardare con una carta diversa.
“Io l’ho vista la dottoressa, sapete. E’ una bella donna, ma è ancora più bella quando è nuda.”
Tommy fece cadere la sigaretta e terra e avanzò minacciosamente di un passo, ma Campbell non arretrò.
“Spiate le donne, ispettore? Vi eccita vederle perché non sapete toccarle?”
“Oh, non le donne in generale. Io ho spiato la vostra donna in particolare. I fianchi larghi, le cosce morbide, i seni rotondi. E’ senza dubbio bellissima.”
“Tu. – disse Tommy – Tu non hai la minima idea del dolore che potrei farti provare. Io ti taglio le palle e te le faccio mangiare, ispettore. Io ti pugnalo fino a quando non ti dissangui, e mentre ti dissangui mi faccio ingoiare candeggina. Non sfidarmi.”
Campbell rise quando Tommy lo sbatté contro la parete.
“Siete irascibile, signor Shelby. Ditemi, avete ucciso Grace per poter stare con la dottoressa?”
Tommy stava per sferrare un pugno quando le scarpe di Polly picchiarono sul pavimento lucido.
“Non ora, Tommy. Non è il luogo adatto.” Gli suggerì la zia. Tommy, consapevole che avesse ragione, lasciò andare l’ispettore dopo averlo sbattuto ancora contro il muro.
“Non vivrai fino alla prossima luna piena, ispettore.”
 
Amabel fu investita dal dolore non appena aprì gli occhi. Sentiva la testa pulsare, le dolevano braccia e gambe e aveva la sensazione che la pelle andasse a fuoco. Era in clinica, in una stanza singola, ed era quasi tutto buio. Scorse molti visi, quelli di Lizzie e Oliver, quello di Ada e Polly, e poi quello di Tommy.
“Ehi, bentornata.” Sussurrò Tommy accarezzandole la mano. Amabel sorrise ma il dolore al labbro la obbligò a trattenersi.
“Ciao.”
“Usciamo, su. Diamo loro qualche minuto.” Disse Polly, e trascinò fuori dalla stanza tutti i visitatori. Tommy si sedette sul letto e le scostò la frangetta dagli occhi.
“Hai cambiato look. Mi piace, ti sta bene questo taglio.”
“Per essere arrestata mi serviva un look nuovo.”
Tommy rise, e sentì la tensione sciogliersi un poco.
“Come ti senti?”
“Potrei stare decisamente meglio, ma almeno sono viva. Mi daresti dell’acqua?”
“Certamente.”
Tommy le versò l’acqua e l’aiutò a bere tenendole la testa sollevata.
 “Grazie. Come stanno Jalia, Mary e James? Erano con me quando sono stata arrestata.”
“Stanno bene, tranquilla. Ci sono due uomini a casa tua che li proteggono.”
Amabel sorrise e il labbro prese a sanguinare, al che Tommy la ripulì con una garza presa dal comodino. Era pallida, l’occhio destro era nero, il labbro e il sopracciglio sinistro erano spaccati. Inoltre, aveva il polso destro rotto e il sinistro lussato, due costole leggermente inclinante e braccia e gambe coperte di lividi.
“Devo essere proprio brutta se mi guardi così.” Scherzò lei. Tommy scosse la testa, abbozzò un sorriso e le accarezzò la guancia graffiata.
“Sei bella come sempre, anzi di più.”
“Farò finta di crederci. Ebbene, cosa devi dirmi? Hai la faccia di uno che sta per dirmi una cosa orribile.”
“Che cos’è successo alla centrale? Raccontarmi tutto senza tralasciare niente. Ho bisogno di sapere .”
“Lo vuoi sapere solo per incolparti. Tu non c’eri mentre mi arrestavano, quindi ti senti in colpa e vuoi un ulteriore motivo per odiarti. Non farti del male, Thomas.”
Tommy ricacciò le lacrime, non poteva piangere davanti a lei che era la vera vittima. Si abbassò a baciarle delicatamente le labbra, un leggero sfioramento per farle capire che lui era al suo fianco.
“Mi odio per un’infinità di ragioni, ma questa è una delle peggiori. Io non c’ero quando tu avevi bisogno di me. Me lo avevi detto che andare alle corse era un diversivo …”
Amabel interruppe il suo flusso di parole mettendogli un dito sulle labbra.
“Sta zitto, Shelby. Non è colpa tua, è colpa di Campbell. E’ lui. E’ sempre stato lui.”
Due colpi alla porta fecero saettare gli occhi di Tommy all’orologio nel taschino.
“Ne parliamo dopo. Adesso dovrai fare una cosa per me, Bel.”
“Che stai combinando?”
“Warren è in combutta con Campbell. Michael ha scoperto che l’ispettore paga l’affitto per Warren. Adesso devi reggere il gioco ad Oliver.”
Amabel agguantò la mano di Tommy e la strinse forte; era spaventata.
“No, no, non lasciarmi sola.”
“Non ti lascio. Mi nascondo in bagno, ma sarò comunque con te.”
Amabel lasciò andare la sua mano con qualche timore, allora Tommy le diede un bacio sulla fronte e uno sulla guancia. Dopo che Tommy si fu sistemato in bagno, Amabel si fece coraggio.
“Avanti.”
Sulla soglia comparve Oliver, sorrideva e aveva gli occhi che luccicavano. Era stato così in pensiero per lei che il suo risveglio lo faceva emozionare.
“Bentornata, amica mia. C’è una visita per te.”
Amabel captò un segnale da parte di Oliver, un movimento delle dita che avevano inventato anni prima per comunicare segretamente. Capì che lui e Tommy erano d’accordo.
“Va bene.”
Inarcò le sopracciglia quando Warren entrò in camera con un mazzo di rose bianche.
“Ciao, Amabel.”
“Warren.”
L’uomo depose le rose sul comodino e si sedette vicino a lei, era avvolto da una calma insolita per uno solitamente ansiogeno come lui.
“Sono venuto a trovarti non appena Oliver mi ha chiamato. Ricordi cosa ti è capitato?”
Fu allora che Oliver puntò i suoi occhi da psicologo su Warren, sperava che una minima crepa nella sua parete di bugie lo rendesse colpevole.
“Non ricordo molto. Ero uscita di casa, stavo scendendo le scale e …. E poi il buio. Il ricordo successivo è il risveglio il clinica. Non ho ricordi della caduta.”
“E’ possibile. – si intromise Oliver – Il trauma cranico in alcuni casi causa la perdita di memoria, ma questo è risaputo in ambito medico.”
Warren annuì, sebbene fosse poco convinto.
“Lo so, sono un medico anche io. La memoria potrebbe tornare da un momento all’altro, fa attenzione.”
Amabel ebbe l’impressione che quella fosse una minaccia velata, un tacito avvertimento a fare attenzione a quello che avrebbe ricordato.
“Per ora è tutto buio. Quando e se ricorderò qualcosa, lo dirò all’ispettore Campbell. E’ stato gentile da parte sua venire qui per informarsi sulla mia salute. E’ un brav’uomo.”
“Bisogna sempre avere fiducia nella legge. Perseguire idee sovversive non è mai un bene.” disse Warren, la mano destra che strizzava il ginocchio. Amabel era troppo esausta per sopportare altro, pertanto socchiuse gli occhi.
“Sono stanca. Se non ti dispiace, vorrei riposare.”
“Posso rimanere con te.” disse Warren, ma Oliver scorse la maniglia della porta del bagno muoversi. Era Tommy che rifiutava la proposta di Warren.
“Non è necessario. C’è tutta una clinica che si occupa di lei. Sono io che la notte dormo in stanza con lei.”
Warren era sdegnato dall’atteggiamento protettivo di Oliver, però fece finta di nulla e si alzò.
“Spero che Amabel sia in buone mani.”
Quando Warren uscì, Amabel scoppiò a piangere. Era talmente sopraffatta da tutti gli eventi che non riusciva più a tenersi tutto dentro.
“Warren è implicato. Era teso, troppo calmo in apparenza, e insisteva troppo sui ricordi e sulla fiducia nella polizia. Il suo comportamento lo ha tradito.” Disse Oliver.
Tommy abbracciò Bel e le baciò la testa.
“Va tutto bene, Bel. Ci sono io con te. Non ti lascerò più.”
 
 
Salve a tutti!
Warren alla fine si è rivelato uno dei peggiori. E chissà cos’altro ha in mente.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.
 
*Ovviamente siamo negli anni ’20, capite che l’omosessualità era malvista.
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Il nobil giuoco (pt.I) ***


8. IL NOBIL GIUOCO (PT.I)

“The boy I love is up in the gallery,
the boy I love is looking now at me,
there he is, can’t you see, waving his handkerchief
as merry as a robin that sings on a tree […].”
(The boy I love is up in the gallery, Nelly Power)
 
Una settimana dopo
Ada pettinò i capelli di Amabel e li appuntò sulla nuca con un fermaglio, era brava a sciogliere i nodi senza arrecare troppo dolore. Amabel era stata dimessa quella mattina, poteva lasciare la clinica in quanto si sarebbe potuta prendere cura di se stessa a casa.
“Grazie, Ada. Con questi polsi malconci non posso fare niente per almeno un mese.”
“E’ un piacere aiutare un’amica. Vieni, ti abbottono il cappotto.”
Quando uscirono dal bagno, Amabel sorrise nel vedere Tommy entrare.
“Che ci fai qui?”
Tommy le baciò la guancia e le mise un braccio intorno alle spalle.
“Sono venuto a prenderti. Dobbiamo parlare di una cosa.”
“C’è sempre qualcosa che bolle in pentola nella famiglia Shelby. Il mondo va costantemente a fuoco.” Disse Ada, che stava chiudendo la valigia dell’amica. Amabel si sedette, era ancora debilitata, e bevve un sorso d’acqua.
“Di cosa dobbiamo parlare? Ti ho raccontato quello che è successo alla centrale.”
“Io vado. – disse Ada – Ci sentiamo più tardi. Buon ritorno a casa, Amabel.”
Le due amiche si abbracciarono, dopodiché Ada si chiuse la porta alle spalle. Tommy si sedette di fronte ad Amabel e le mise le mani sulle spalle, un modo per rassicurarla.
“Non devi avere paura di niente, Bel. Io sono qui con te.”
“Lascia perdere le belle parole. Di cosa dobbiamo parlare?”
“Ho un piano per liberarci di Campbell. In realtà l’ho già messo in atto una settimana fa, ma per completarlo ho bisogno della tua collaborazione.”
Amabel si rabbuiò, ogni volta che si parlava di collaborare con i Peaky Blinders finiva nei guai con la legge.
“Deciderò solo dopo aver saputo i dettagli del piano.”
“Per ora non devi conoscere il piano. Ti serve solo sapere che non tornerai a casa, bensì ti porterò fuori città in una delle mie proprietà.”
“Perché?”
“Perché Campbell ti spia da mesi, segue ogni tua mossa. Se torni a casa, farà piantonare casa tua in attesa di un tuo errore. Non sei al sicuro dopo l’arresto. Io devo proteggerti ad ogni costo.”
“Campbell si insospettirà se ce ne andiamo. Oppure hai pensato anche a questa eventualità?”
Amabel sbuffò quando Tommy annuì. Doveva aspettarselo da uno stratega come lui che avesse la soluzione al problema.
“Ho assunto due persone che somigliano a noi due per illudere l’ispettore che siamo a Birmingham. La ragazza che finge di essere te non uscirà di casa perché tu sei in convalescenza e devi restare a letto per circa un mese.”
“Odio il modo in cui curi i particolari.” Disse lei, e Tommy fece spallucce.
“Sono sempre un passo avanti agli altri. Inoltre, Campbell sarà distratto da una donna mentre noi saremo via.”
“Chi è la poverina?”
Tommy deglutì, era arrivato il momento di confessare il suo segreto anche ad Amabel.
“E’ Lena.”
Amabel sgranò gli occhi e gli diede un pugno sul braccio.
“Tu, Thomas Shelby, hai molte cose da confessarmi!”
“Ti dirò tutto mentre siamo in viaggio. Dobbiamo andarcene prima che Campbell possa capire lo scambio di persone.”
“Andiamo.”
 
“E che cosa, dopotutto, è la morte? E’ solo una cessazione dalla vita mortale. E’ solo la fine di un corso stabilito. La locanda ristoratrice dopo un viaggio faticoso. La fine di una vita di preoccupazioni e problemi. E, se felice, l’inizio di una vita di felicità immortale.”
Erano le parole che Diana stava leggendo a Finn mentre stavano sdraiati sul letto, l’uno nelle braccia dell’altro. Pioveva a dirotto, il cielo era grigio, e le coperte erano un rifugio invitante. Era il loro ultimo giorno insieme e volevano approfittare di ogni momento.
“Che libro è?” domandò Finn, affondando il naso nel collo della ragazza.
“Si intitola ‘Clarissa’, scritto da Samuel Richardson. E’ la tragica storia di una eroina che lotta per conservare la propria libertà, ma il desiderio di possesso di un uomo la costringe ad uccidersi. E’ uno dei libri preferiti di Amabel. Lo leggeva a me e ad Evelyn quando eravamo bambine, voleva che prendessimo esempio dal coraggio di Clarissa. La lotta per le donne è fondamentale.”
“Clarissa era proprio una tipa tosta.”
Diana scoppiò a ridere e depose il libro sul comodino, poi si girò verso di lui e gli pizzicò il naso.
“Finn, tu sei davvero adorabile. Dai, scegli un libro e leggi qualcosa.”
Finn spulciò la libreria piena di libri di ogni genere, sbirciò le copertine, e infine scelse un libro dalla copertina azzurra decorata dal disegno di una nave, era ‘La ballata del vecchio marinaio’ di Samuel Taylor Coleridge . C’era un pezzo di stoffa blu incastrata tra le pagine, e Finn lesse quel passo.
“E una sorgente d’amore scaturì dal mio cuore, e istint … istan …”
“Istintivamente.” Lo aiutò Diana.
“Istintivamente. – ripeté lui – li benedissi. Certo il mio buon Santo ebbe allora pietà di me, e io inconsciamente li benedissi.”
Finn arrossì quando Diana batté le mani per complimentarsi riguardo alla lettura.
“Bravissimo! Hai fatto dei grandi progressi nella lettura anche senza di me.”
“Grazie. Ma che significa?”
La ragazza lo invitò a tornare a letto e si accoccolò sul suo petto, intrecciando le loro dita.
“In questa parte si fa riferimento alla maledizione della Vita-in- Morte che costringe il marinaio a una settimana di sofferenza e solitudine. Le parole che hai letto riguardano il momento in cui il marinaio, dopo i sette giorni, resta ammaliato dalla vista dei serpenti marini e prega. Dio si impietosisce e interrompe la maledizioni, liberandolo dalla sofferenza.”
“Tu conosci tutti questi libri?”
“Mio padre e Amabel ci leggevano tantissimi libri, anche due al giorno. Secondo loro leggere e conoscere sono due armi potenti.” Spiegò Diana, e Finn le sistemò una treccia sul cuscino.
“Le nostre famiglie sono diverse. Per i miei fratelli contano solo armi vere con cui ferire la gente.”
“Siamo un po’ come Romero e Giulietta!”
Finn non capiva perché Diana ridacchiasse, non aveva senso quello che diceva.
“Io non li conosco Romeo e Giulietta. Vengono a scuola con te?”
Diana smise di ridere e si fece scura in viso, così si alzò e prese un altro libro. Mostrò a Finn la copertina che raffigurava un ragazzo sotto un balcone che tendeva la mano ad una ragazza.
“Sono loro Romeo e Giulietta, i personaggi di una tragedia di William Shakespeare. Amabel dice che è una storia scontata e banale ma a me piace molto.”
“Perché ti piace tanto?” domandò Finn mettendosi seduto. Diana era talmente bella mentre parlava di libri che tutta la sua attenzione era focalizzata su di lei.
“E’ la storia di due famiglie di Verona contrapposte, i Montecchi e i Capuleti, e che si odiano da sempre. La situazione peggiora quando Romeo dei Montecchi e Giulietta dei Capuleti si innamorano, inasprendo così i conflitti fra le due famiglie. Giulietta è obbligata a sposare un altro uomo ma il suo amore per Romeo è troppo forte, perciò beve una pozione che la farà sembrare morta per due giorni, il tempo necessario per sfuggire al matrimonio combinato. Romeo, venendo a sapere che la sua amata è morta, accorre da lei e si uccide per disperazione. Poco dopo, però, Giulietta si sveglia e vede che il suo amore è morto. Decide di trafiggersi col pugnale di Romeo per unirsi con lui in eterno. Nella morte nessuno li separerà e il loro amore vivrà in eterno.”
Fin rimase senza parole, la bocca dischiusa in un chiaro atto di sorpresa. Non aveva mai sentito una storia del genere, di solito a Small Heath si raccontavano avventure di guerra e bordelli, ma quella era una novità.
“Che cosa triste. Loro volevano solo amarsi, non facevano del male a nessuno.”
“L’amore vero richiede sempre un sacrificio, Finn.”
“Sì, ma che schifo!” commentò il ragazzo, le sopracciglia corrugate. Diana aprì il libro al secondo atto, scena seconda, quando a parlare è Romeo.
“Con le ali dell’amore ho volato oltre le mura, perché non si possono mettere limiti all’amore e ciò che amor vuole amore osa.”
“Io sono innamorato di te, Diana.”
Finn si tappò la bocca l’attimo dopo, sebbene fosse troppo tardi per rimangiarsi le parole. Diana fece cadere il libro per terra, scioccata da quella confessione. Non era affatto preparata.
Evelyn le aveva consigliato di sbattere le ciglia in questi momenti, mentre Amabel le aveva sempre suggerito di rispondere con sincerità senza stupidi indugi.
“Anche io. Cioè, sì, ehm ….”
Finn la prese per i fianchi e la baciò con una tale intensità che gli tremò il cuore.
“Volevo dire che anche io sono innamorata di te.” mormorò Diana con un sorriso.
 
 
Amabel non capiva per quale motivo fosse finita a Bakewell nella contea del Derbyshire, noto per l’omonima torta. Era un paesino caratteristico risalente al XII secolo, immerso nel verde e lambito da uno splendido fiume. Tommy aveva affittato uno dei cottage che dava sul fiume, dotato di due sole stanze e isolato dagli altri.
“Perché siamo qui? E’ uno dei paesini più sperduti d’Inghilterra.”
“Appunto. – disse Tommy – Dobbiamo restate lontani da Birmingham il più possibile.”
“Io ancora non capisco quale possa essere il tuo piano. Dovremo restare qui per un mese? Nel frattempo Campbell avrà raccolto altre prove contro di noi.” Disse Amabel massaggiandosi il polso dolorante. Tommy parcheggiò di fianco al cottage, spense il motore ma non si mosse.
“Bel, devi capire che la tua salute è più importante di qualsiasi cosa. Ti sei buttata giù dalle scale, direi che un mese di riposo te lo sei meritato.”
“Parlate di questa cosa come se fossi diventata matta all’improvviso! Mi sono buttata giù dalle scale perché avevo paura.”
Tommy rimase interdetto da quell’ammissione perché lei non sembrava avere paura di niente. Le prese dolcemente le mani e le passò i pollici sui polsi bendati.
“Di cosa avevi paura?”
“Che Campbell facesse quello che suo zio ha fatto a Polly. Andiamo, Tommy, sono una donna e gli uomini costituiscono una minaccia per me. Campbell era talmente furioso che temevo mi avrebbe … aggredita sessualmente. Nessuno crede ad una donna che accusa un poliziotto di violenza.”
Amabel aveva gli occhi umidi, una lacrima scivolò sulla guancia e Tommy la raccolse.
“Lui ti ha fatto qualcosa? Ti ha toccato in qualche modo?”
“No! Non è successo. Mi sono buttata proprio per evitare che lui mi facesse del male. Mi ha solo picchiato.”
“E ha commesso un grave errore. Io gli farò pagare caro ogni fottuto dito che ti ha messo addosso!”
Amabel accennò un sorriso, era stanca di minacce e violenza. Voleva solo un po’ di pace.
“Lo so. Adesso entriamo, ho bisogno di stendermi.”
Tommy aprì la porta, prese i bagagli e poi aiutò Amabel a mettersi a letto. Il piano era appena stato innescato.
 
Isaiah salutò Linda e tornò sulla strada per il Garrison. Erano le dieci di sera e Arthur era già ubriaco marcio, perciò lo aveva accompagnato a casa per evitare eventi spiacevoli. Quando entrò nel locale, notò subito che Oliver era in compagnia di Lizzie e Ada. Dopo lo screzio in clinica della settimana prima non si erano più visti, e sentirlo ridere era una delle cose migliori che gli erano capitate in quei giorni. Finn era a Londra e Michael era indaffarato con John Adrian, pertanto il massimo divertimento di Isaiah era fare da balia ad Arthur.
“Ehi, Isaiah! Ti offro da bere!” disse una ragazza, Sarah, che lavorava come filatrice nel quartiere. Isaiah accettò il boccale di birra e lo tracannò in poche sorsate, un modo per non guardare l’oggetto del suo desiderio.
“Americano, cantaci una delle tue canzoni!” strillò la cameriera che girava tra i tavoli come una trottola. Oliver scosse la testa, il viso rosso per l’imbarazzo, mentre Lizzie e Ada lo spingevano verso il pianoforte. Isaiah sollevò lo sguardo su Oliver e gli sorrise, ma il dottore non ricambiò. Prese posto sullo sgabello, stiracchiò le dita e poi incominciò a suonare.
“Young man fair, young man free …”
La canzone si interruppe a causa di un’esplosione di vetri. Due uomini avevano rotto i loro boccali disseminando birra dappertutto. Uno di loro mise una mano sulla spalla di Oliver esercitando un’eccessiva pressione.
“Allora, dottore, è vero che sei una checca?”
Ada lanciò un’occhiata ad Isaiah, l’unico dei Peaky Blinders presente quella sera, ma il ragazzo era pietrificato. Oliver era sotto la protezione degli Shelby, ma temeva che qualcuno li avesse scoperti e preferiva tenersi lontano dai guai.
“Signori, per favore, non è il momento.” Disse Oliver mantenendo un tono gentile. L’uomo, ubriaco marcio, gli sferrò un pugno che lo fece cadere dallo sgabello. L’altro gli tirò un calcio allo stomaco. Erano Dave e Darren Miller, ex tirapiedi di Sabini.
“Smettetela! – si intromise Ada – Questo pub appartiene ai Peaky Blinders. Voi non siete i benvenuti.”
“Uh, che paura!” scherzò Dave. Fu allora che Isaiah, che temeva di più l’ira di Tommy, si fece avanti.
“Su, stronzi, uscite dal pub. Non vi conviene mettervi contro i Peaky Blinders.”
“E dov’è mister Shelby stasera? Si starà scopando la sua bella dottoressa in qualche fottuto buco del vostro quartiere schifoso!” disse Darren, e diede un altro calcio ad Oliver. Il dottore stava a terra agonizzante, il naso spaccato e le mani sullo stomaco. Ada e Lizzie tentarono di soccorrerlo ma Dave tagliò loro la strada, bloccandole al tavolo.  Isaiah tirò fuori la pistola e la puntò alla nuca di Darren.
“Se non lasciate il pub entro dieci secondi, ti buco questa fottuta testa con un proiettile.”
“Colpisci alle spalle, ragazzino? Evidentemente ti piace prendere le persone da dietro, come nel caso del tuo amichetto.”
“Che cazzo hai detto?” domandò Isaiah caricando l’arma. Darren scoppiò a ridere, la puzza di birra lo seguiva come un mantello.
“Lo sanno tutti che ti fai fottere da questa checca. Tuo padre deve essere deluso di avere un figlio mezzo uomo.”
“Questa checca, come la chiami tu, è più uomo di te e di tutti quegli stronzi che si definiscono uomini!” strillò Ada portandosi le mani sui fianchi. Impettita e irriverente, erano queste le caratteristiche che zia Polly aveva sempre riconosciuto in sua nipote. Dave fece un passo verso di lei con un sorriso squallido.
“Tu sei la troietta dei comunisti, vero? In giro si dice che fai le orge con tutto il partito.”
“Sarà che i comunisti sono più bravi di te a letto!” replicò Ada.
“Adesso basta. – riprese Isaiah – Andatevene. Subito.”
Darren si girò e fece spallucce, sembrava poco più sobrio di prima.
“Dì a Tommy Shelby e alla sua puttanella che il nostro amico ai piani alti sa che cosa hanno fatto.”
“Ciao, signorine.” Disse Dave salutando Ada e Lizzie con la mano.
I due uomini lasciarono il Garrison svanendo del buio di Small Heath. 
 
Erano le otto di sera quando Amabel decise che un bagno caldo sarebbe stato un buon modo per sciogliere i muscoli indolenziti. Aveva trascorso il pomeriggio a leggere, mentre Tommy aveva confabulato al telefono con Polly e Arthur, e poi aveva ammirato alcune barche di pescatori slittare sulla superficie del fiume. Si affacciò in cucina e vide Tommy che leggeva il giornale, il suo volto era appena illuminato da una fiammella. La corrente non era collegata, perciò il cottage era pieno di candele sistemate a destra e a sinistra per rischiarare gli ambienti.
“Perché non indossi gli occhiali? Il tuo occhio continuo ad avere lo spasmo, a breve la tua vista peggiorerà.”
“Allora mi consolerò con il whiskey.” Rispose Tommy senza alzare lo sguardo. Era irritante il modo in cui non venisse mai colto di sorpresa, sapeva sempre come si muovevano gli altri.
“Sei davvero cocciuto, Shelby.”
“Lo so. Ti serve qualcosa?”
“Sì. Ho voglia di un bagno caldo ma con i polsi rotti non riesco ad aprire la manopola della vasca. Inoltre, dovresti anche aiutarmi a spogliarmi.”
Tommy richiuse il giornale e la guardò con le sopracciglia inarcate.
“Finalmente una richiesta ragionevole.”
“Non in quel senso! Per la miseria!”
Amabel arricciò il naso quando Tommy si mise ridere, a volte sapeva essere davvero infantile.
“Ti aiuto in tutti i sensi che vuoi. Vieni, dai.”
Dieci minuti dopo il vapore aveva inondato il bagno, la vasca era circondata da candele e sul lavandino pendeva un asciugamano. Amabel aveva raccattato i propri oggetti – sapone, spazzola e pigiama – mentre Tommy l’aspettava in bagno.
“Sono pronta. Fa attenzione ai cerotti e alle costole, per favore.”
“Tranquilla, non ti farò male. Promesso.”
Amabel odiava trovarsi nei panni del paziente dopo che per anni aveva sempre vestito i panni del medico. Odiava che qualcuno si prendesse cura di lei come se non ne fosse più capace.
Tommy aveva visto centinai di ferite, tagli e fori di proiettili senza battere ciglio, eppure la vista del corpo martoriato di Amabel era difficile da digerire. Le sbottonò il cardigan con attenzione, i lividi sulle braccia erano come macchie di colore su una tela, ma non erano affatto artistici. Quando le tolse la canottiera, notò le costole poco sporgenti e altri lividi e graffi.
“Oh, Bel …” sussurrò con voce affranta, quasi provasse lui stesso quel dolore. Amabel scosse la testa e sorrise, basta pensieri tristi.
“Ehi, sto bene. Sono solo un po’ ammaccata.”
La donna rabbrividì quando Tommy sfiorò un livido sulla pancia con la punta delle dita.
“Scusa.”
“No, non ti preoccupare. Presto spariranno e tornerò a sembrare una persona normale.”
Tommy le abbassò la zip della gonna e fece ruzzolare a terra l’indumento, e ai suoi occhi si presentarono altri lividi rossi e violacei e un lungo taglio sulla coscia destra. Amabel sgranò gli occhi nel vedere Tommy inginocchiarsi, poi trattene il respiro quando lui le baciò i lividi sulle cosce.
“Ahia.” Disse lei, e Tommy si staccò immediatamente.
“Tu non meriti tutto questo.”
“E’ successo ed è passato. Non è colpa tua, Thomas. Siamo in questo guaio insieme. L’acqua si sta raffreddando.” Disse lei ridacchiando. Tommy terminò di spogliarla in fretta, cercando di tenere gli occhi puntati sul viso della donna, e l’aiutò ad entrare nella vasca. Amabel sospirò di sollievo quando il calore dell’acqua le percorse il corpo dolorante. Tenne i polsi sui bordi della vasca per non bagnare le fasciature.
“Tommy, potresti lavarmi i capelli? Se non ti dispiace.”
“Lo faccio con piacere.” Rispose lui, e riempì un piccolo recipiente di latta per bagnarle i capelli. Si versò un poco di shampoo sui palmi e iniziò a insaponarle i capelli. Era decisamente maldestro, ma faceva del suo meglio.
“Hai mai pensato di abbandonare gli affari illegali e diventare parrucchiere? Sei piuttosto bravo.” Disse Amabel con un sorriso divertito. Tommy le risciacquò i capelli un paio di volte per essere sicuro che lo shampoo fosse stato rimosso del tutto.
“Quando e se deciderò di abbandonare i Peaky Blinders, potrei seguire il tuo consiglio.”
Tommy si sedette per terra accanto alla vasca e si mise a sfiorare la superficie dell’acqua osservandone le increspature. Al di sotto il corpo nudo di Amabel era coperto da un velo di schiuma.
“Qual è il piano?” chiese Amabel, e si sporse di poco oltre il bordo per farsi più vicino. Tommy ne approfittò per darle un bacio a stampo sulle labbra.
“Hai presente il gioco degli scacchi?”
“Sì. I ricconi dell’alta società giocano tutti a scacchi E’ chiamato anche ‘il nobil giuoco’.”
Amabel ridacchiò quando Tommy le diede un secondo bacio.
“E’ quello il mio piano: adattare le regole degli scacchi al nostro gioco. Il pezzo più importante, sia negli scacchi sia nel nostro caso, è la regina. La strategia di Campbell è identica a quella di suo zio, entrambi hanno sempre puntato sulla regina. Grace, Polly, tu, siete le regine del gioco. Campbell e lo zio hanno fatto scacco matto ogni volta che la regina era da sola, quando gli altri pezzi non potevano difenderla. Grace era smarrita quando ha accettato il lavoro sotto copertura; Polly era disperata quando ha dovuto trovare un modo per far uscire Michael di prigione; e tu eri sola quando io ero alle corse. Loro isolano la regina dal resto perché sanno di poter vincere. Il problema è che la regina in poche mosse elimina gli avversari e fa scacco matto, ed è su questo fattore che si basa la mia strategia.”
Amabel era affascinata dal ragionamento di Tommy, arguto e accattivante, studiato nei minimi dettagli.
“E come pensi di sfruttare la regina?”
“Non è ancora il momento per muovere la regina. Per ora mi limito a spostare le altre pedine in modo da fare scacco matto quando il gioco sarà quasi giunto alla fine.”
Tommy le accarezzò la clavicola scoperta. Amabel, però, si ritrasse.
“Perché non hai ucciso Lena? Hai lasciato Charlie per vendicarti.”
“Perché lei era solo un’altra vittima di Noah. Quello stronzo aveva lasciato scritto nel testamento di uccidere mia moglie nel caso in cui lui fosse morto. Avrebbero dovuto uccidere te, ma hanno pensato che Grace fosse mia moglie perché avevamo avuto un figlio. Ho portato Lena con me di nascosto perché sapeva che prima o poi mi sarebbe tornata utile. Infatti, è lei la prima pedina che ho mosso per distrarre Campbell.”
“Oh, fantastico, anche gli svizzeri mi volevano morta!” esclamò Amabel, allibita. Tommy si accese una sigaretta e reclinò la testa sul bordo della vasca.
“Non importa più. Restiamo concentrati sui nostri attuali problemi.”
“Va bene. Allora, come intendi usarmi nel tuo piano?”
“Ne parleremo più avanti quando ti sarai ripresa. Hai bisogno di riposare ancora un po’.”
Trascorsero i venti minuti successivi in silenzio, lui a fumare e lei a mollo nell’acqua. Le preoccupazioni appesantivano l’atmosfera, sembrava che il pericolo potesse balzare fuori da qualsiasi angolo della casa e attaccarli quando meno se lo aspettavano.
“Puoi chiudere gli occhi, per favore?”
Tommy inarcò il sopracciglio, a stento tratteneva un ghigno.
“Sul serio? Ho visto il tuo corpo nudo troppe volte perché tu possa vergognarti adesso.”
“Chiudi quegli occhi prima che te li cavi dal cranio, Shelby!” lo rimproverò lei. Tommy sollevò l’asciugamano e chiuse gli occhi, poi lo avvolse intorno al corpo della donna.
“Ho il permesso di guardarti o devo fare una richiesta scritta?”
“Puoi guardare.”
Amabel d’improvviso si ritrovò davanti allo specchio intrappolata tra le braccia di Tommy. Il riflesso rimandava l’immagine di una coppia come tante altre, eppure tra di loro serpeggiava il veleno di Birmingham. Tommy le baciò il collo un paio di volte facendola sorridere.
“Hai bisogno di altro?”
“Dovresti pettinarmi i capelli e aiutarmi a vestirmi.”
“Agli ordini, mia signora.”
“Thomas …” disse lei in tono pentito, lo sguardo fisso sulle mattonelle.
“Non mi dispiace aiutarti. Ogni tanto anche tu meriti che qualcuno si prenda cura di te.”
“Grazie.”
Amabel si sedette sul letto e Tommy le pettinò le punte sciogliendo i nodi, era una bizzarra sensazione piacevole. Lui non era il tipo che si dava a gesti affettivi di quel tipo, tendeva a vivere i sentimenti in modo freddo e calcolatore, ma Amabel gli suscitava un’insolita dolcezza che non aveva mai conosciuto prima. Tommy depose il pettine nella custodia, qualcosa aveva spezzato quel clima sereno. La schiena di Amabel era cosparsa di lividi, piccoli e grandi, violacei e verdognoli; era una vista che gli faceva venire il voltastomaco.
“Dimmi che c’è qualcosa che posso fare per te.”
Amabel si voltò con espressione confusa, il rapido cambiamento di Tommy era preoccupante.
“Di che parli?”
Tommy le toccò le spalle come se si trattasse di un vaso prezioso in procinto di frantumarsi.
“Devo fare qualcosa per alleviare il tuo dolore, oppure impazzisco.”
“Thomas, basta. Io sto bene. Sono soltanto lividi, è una normale condizione medica.”
“Non stai bene! Hai entrambi i polsi spezzati perché ti sei tolta delle fottute manette! Cazzo, Bel, sei ricoperta di ematomi! Non è normale!” sbraitò Tommy, dando sfogo alle sue ansie.
“Lo so che non sto bene! Però piangermi addosso non è un’opzione contemplata!”
Tommy scaraventò una candela contro la parete, e la fiammella si estinse in un baleno.
“Thomas!”
Tommy la ignorò e uscì dalla stanza, doveva stare da solo per scaricare la rabbia.
 
Amabel inciampò in uno dei rami che costellavano il giardino del cottage. Imprecò a bassa voce e scacciò il legnetto col piede. La lanterna che reggeva precariamente con i gomiti illuminava il tragitto di ciottoli dal cottage all riva del fiume. Tommy stava seduto su una barca attraccata ad un ceppo, fumava e sorseggiava whiskey direttamente dalla bottiglia.
“Hai intenzione di deprimerti per tutto il tempo? La malata tra i due sono io.”
Tommy alzò gli occhi su di lei e scosse la testa, quella donna alle volte lo irritava. Agguantò la lanterna prima che cadesse e la poggiò sul fondo della barca, poi con un cenno del capo la invitò a sedersi. Amabel, che si era caricata in spalla una coperta, se la sistemò intorno alle spalle per ripararsi dalla fredda brezza di ottobre.
“Vuoi sapere perché io e Warren ci siamo lasciati?”
Tommy smise di fumare, quell’argomento era un’esca a cui lui voleva abboccare da tempo. Amabel era sempre stata riservata al riguardo, quasi volesse dimenticarsi dell’esistenza di Warren, e parlarne era un grande segno di fiducia.
“Sì.”
“Quando la guerra è finita, il mio team era stato mandato a New York per una valutazione fisica e psicologica. Ed è stato allora che ho conosciuto Warren e Oliver. Ho deciso di restare a New York per specializzarmi in pediatria, ho diviso l’appartamento con Oliver e ho iniziato ad uscire con Warren. Dopo un anno di frequentazione mi ha chiesto di sposarlo e io ho accettato, in fondo stavamo bene insieme e New York mi piaceva. Durante i preparativi del matrimonio, mentre provavo l’abito in un atelier, sono svenuta. E’ stato allora che ho scoperto di essere incinta. Ero al secondo mese di gravidanza. Certo, le mestruazioni si erano interrotte ma davo la colpa al trauma causato dalla guerra, invece mi sbagliato. Io e Warren abbiamo affrettato i preparativi perché volevamo sposarci prima che il bambino nascesse. Era domenica mattina quando un forte dolore addominale mi ha provocato una emorragia. Quando sono arrivata in ospedale, sono stata ricoverata d’urgenza. Era un aborto spontaneo. Dopo quattro mesi avevo perso il mio bambino. Sono stata male, così male da tentare il suicidio con un mix di pillole. Purtroppo ero ancora viva ma dentro di me ero morta, e Oliver mi ha consigliato una casa di cura psichiatrica. Ho lasciato Warren, ho annullato il matrimonio, ho mentito alle mie sorelle dicendo loro che avrei fatto un viaggio in Austria. Dopo un anno mi sono ristabilita, il mio corpo e la mia mente sono tornati in salute. Ho ripreso a lavorare, ho viaggiato per il mondo, ho assistito donne che avevano abortito. Ecco perché sono così ossessionata dal voler aiutare gli altri, soprattutto i bambini. Perdere il mio bambino mi ha fatto capire che nella vita potevo rendermi utile e sostenere chiunque fosse in difficoltà. I polsi rotti, i lividi, le minacce di Campbell sono nulla in confronto al dolore che ho vissuto quando ho perso mio figlio. Queste ferite non sono un valido motivo per lamentarsi. L’Inferno mi ha divorato e mi ha risputato su questa terra perché ho la forza per sopravvivere. Tu, come me, sei un sopravvissuto che ogni giorno lotta per se stesso e la propria famiglia. Mai arrendersi.”
“Bel …”
Tommy non sapeva che dire, era un racconto troppo tragico perché qualche stupida parola potesse consolarla. Amabel fece spallucce e rise, una risata amara.
“Quando Warren venne in ospedale dopo l’accaduto, mi disse che era colpa mia perché le mie ovaie sono putride.  Oggi la cosa mi fa molto ridere.”
Tommy, invece, non rideva affatto.
“Potrai avere ancora figli?”
“Non lo so. I medici dicono di sì, ma Oliver è convinto che io sia frenata da un trauma emotivo. Io non ho più pensato alla possibilità di diventare madre perché credevo che dopo Warren non mi sarei più innamorata.”
“E’ cambiato qualcosa adesso?”
Amabel distolse lo sguardo lucido di lacrime, l’acqua del fiume strisciava sotto la luce come una pozza di catrame. Avrebbe voluto essere risucchiata.
“Ho conosciuto te e mi sono innamorata per la prima volta nella mia vita.”
Tommy le circondò il collo con la mano e la baciò, assaporando le sue labbra senza incidere sul taglio. Si baciarono piano, con amore, e un pizzico di paura.
“Sei forte, Bel.”
“Vorrei che fosse vero, ma sono ancora troppo fragile. Entriamo, fa freddo.”
 
Amabel odiava dormire supina, di solito dormiva sul fianco, e il soffitto ingiallito non era una bella visuale. Sbuffò per l’ennesima volta.
“Bel, smettila.”
“Non riesco a dormire in questa posizione!”
Tommy si passò le mani tra i capelli e si mise seduto per guardarla meglio. Sembrava una bambina con quel broncio che le piegava le labbra.
“Conta le pecorelle, magari ti addormenti.”
“Nah, le pecorelle sono passate di moda.”
Amabel scoppiò a ridere per l’occhiata torva che le lanciò Tommy.
“Charlie è più maturo di te, diamine.”
“Non ne ho dubbi. E’ colpa delle costole e dei polsi che non possono muovere. Su, Shelby, trova una soluzione!”
“Come vuoi.”
Amabel sobbalzò quando Tommy le sollevò la camicia da notte per curvarsi a baciarle le cosce.
“Thomas! Che stai facendo?!”
“Ti faccio rilassare per facilitarti il sonno.”
“E ti sembra questa la maniera?” disse lei, gli occhi spalancati, le gote arrossate.
“Sta zitta, Bel.”
Tommy spostava le labbra con cura, attento a non farle male, e baciava la pelle calda segnata da macchie scure mentre con le mani le stringeva appena i fianchi. Amabel voleva afferrare le lenzuola nei pugni ma non poteva per via dei polsi, perciò si fece sfuggire un gemito. Quella notte proseguì tra carezze di fuoco e baci famelici, fino a quando non si addormentarono l’uno nelle braccia dell’altro.
 
 
Salve a tutti!
Abbiamo scoperto il grande – e tragico – segreto di Amabel. E nel frattempo la loro strategia è stata messa in atto, ora non bisogna che attendere.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Il nobil giuoco (pt.II) ***


9. IL NOBIL GIUOCO (PT.II)

“Now, if I were a duchess and had a lot of money,
I’d give it to the boy that’s going to marry me.
But I haven’t got a penny, so we’ll live on love and kisses,
and be just as happy as the birds on the tree.”
(The boy I love is up in the gallery, Nelly Power)
 
Due giorni dopo
Amabel si svegliò nel cottage silenzioso e vuoto. Le coperte dall’altro lato erano sfatte e le lenzuola erano fredde, inoltre i vestiti sulla sedia non c’erano più. Tommy doveva essere uscito presto per raggiungere l’ufficio postale del paesino a ritirare la posta da Birmingham. Lentamente, e in maniera assai maldestra, si lavò e si vestì. Andò in cucina per preparare the e sandwich, e la piccola stanza era già appestata dall’odore di sigaretta. La porta si spalancò mentre lei sorseggiava la bevanda calda. Tommy aveva la giacca e i capelli bagnati. Fuori un brutto temporale anneriva il cielo.
“Buongiorno, Thomas.”
“Bel.” la salutò Tommy, e le diede un bacio veloce sulla guancia. La donna si affrettò ad accendere il caminetto perché lui si asciugasse.
“Vieni vicino al fuoco, non vorrei che prendessi il raffreddore o una polmonite.”
Tommy si tolse la giacca e le scarpe, si sedette davanti al caminetto e allungò le mani per scaldarsi. Amabel gli offrì una tazza di the, che lui accettò volentieri, e si sedette accanto a lui.
“Diamine, in questo paesino fa un cazzo di freddo.”
“Sai com’è, la prigionia è una faccenda scomoda.”
“Non siamo prigionieri. Siamo qui per elaborare la mossa finale del nostro piano.” Replicò Tommy con il suo solito tono autoritario.
“Ricevuto, capo. Cosa ti hanno mandato da Birmingham?”
Tommy le mostrò un plico di lettere, documenti di ogni genere, scontrini, e ricevute della lavanderia.
“Michael e Finn hanno rovistato in casa di Campbell mentre lui veniva distratto da Lena. Questo è quello che hanno trovato e ricopiato per evitare che l’ispettore notasse la mancanza delle carte. La scrittura di Finn è tremenda, quasi illeggibile.”
“Cercheremo di venirne a capo.” Disse lei sbirciando i documenti. Tommy si portò una sigaretta alle labbra e l’accese, sebbene il filtro si inumidì per via delle mani bagnate.
“Arthur ha fatto quattro chiacchiere con i cinesi. E’ sicuro che Warren li ha pagati per farsi pestare. Immagino che fosse una mossa per farti allontanare da me.”
“Warren deve aver iniziato a collaborare con Campbell quando ha capito che io e te stiamo ancora insieme.”
“Esatto. – disse Tommy – E’ stato Warren a dire a Campbell del tuo ricovero in clinica dopo … beh, dopo che hai perso tuo figlio.”
Amabel sorvolò su quel commento, non voleva che i ricordi la trascinassero di nuovo a fondo.
“Quindi adesso Warren è da considerare un nemico.”
 “Sì, ma possiamo comunque sfruttarlo a nostro vantaggio. Lui non sa che noi siamo a conoscenza della sua combutta con Campbell, perciò possiamo cavarne fuori qualcosa.”
Tommy scrollò la cenere nella tazzina sotto lo sguardo ammonitore di Amabel, non era saggio rovinare un antico servizio da the.
“Va bene. Adesso diamo un’occhiata a queste carte per avere un’idea di quello che Campbell ha in mente.”
“Per questo mi servirà un goccio di whiskey.” Disse Tommy, e recuperò una bottiglia dalla credenza. Buttò giù un sorso pieno, richiuse il tappo e tornò a sedersi. Amabel, incredula, lo osservava come se avesse appena visto un cavallo con una parrucca da clown.
“Uomo dalle bizzarre abitudini.”
Tommy ghignò, era sempre piacevole quando lei si accorgeva di ogni suo gesto.
“Tu come stai?”
“Abbastanza bene. Le costole stanno tornando al loro posto, i lividi stanno scomparendo e i polsi stanno migliorando. Ho bisogno di fare fisioterapia per riattivare le capacità dei polsi ma posso farcela. Entro un mese starò benino.”
Tommy d’istinto le mise un braccio intorno alle spalle e le baciò la fronte.
“Sei una roccia, Bel.”
Amabel sentiva fin sotto la pelle che in lui c’era qualcosa di insolito, sembrava che mantenesse un qualche segreto.
“E tu hai qualcosa da dirmi? Hai una strana faccia.”
Tommy si scostò e annuì, non poteva trattenere a lungo quella informazione.
“Ada mi ha spedito una lettera nella quale mi comunica un evento spiacevole: l’altra sera due uomini hanno aggredito Oliver al Garrison prendendolo a calci e a pugni. Ada e Isaiah si prendono cura di lui.”
“Come … è successo … io …. Come sta?”
“Oliver sta bene. Ha solo un occhio nero e un ematoma esteso sull’addome. Lo hanno tenuto in clinica sotto osservazione per due giorni, dopodiché lo hanno mandato a casa con una prognosi di due settimane.”
Amabel strinse le mani talmente forte intorno allo schienale della sedia che i polsi le inviarono una scarica di dolore. Si allontanò massaggiandosi le ossa lesionate.
“Bel, sta attenta!”
Tommy le prese le mani e le baciò i polsi, poi l’abbracciò.
“E’ opera di Campbell. Noi dobbiamo sbarazzarci di lui, Thomas.”
“Lo so. Ed è quello che faremo.”
Presero posto sul piccolo divano di fronte al caminetto accesso per esaminare le carte arrivate da Birmingham. Amabel faceva fatica a leggere la grafia di Finn, sembrava arte astratta, mentre la lettura di Tommy filava liscia grazie alla scrittura ordinata di Michael.
“Che c’è scritto qui? Ladra?”
Tommy si sporse per leggere, anche se tutto ciò che vedeva erano linee informi.
“Cazzo. – mormorò – Finn scrive peggio di Charlie Strong! Sì, pare sia ‘’ladra.”
Amabel aggrottò le sopracciglia nella più totale confusione.
“Che indizio inutile.”
“Immagino che si tratti di un caso a cui Campbell ha lavorato.” Spiegò Tommy, però la donna non parve soddisfatta.
“Se lo dici tu. Comunque, queste carte sono inutili: sono solo scontrini, biglietti del treno, conti bancari e tasse pagate. Non c’è nulla di rilevante.”
“Questo, invece, è il libro paga di Campbell. Quel bastardo corrompe l’intero distretto di polizia.” Disse Tommy mostrandole i nomi riportati sul foglio.
“Se Campbell paga i poliziotti, voi Peaky Blinders come fate a proteggervi dalla legge?”
“Bella domanda. Campbell ti ha detto di essere arrivato in città due giorni dopo la morte dei Cavendish, perciò è da un anno che paga i poliziotti. Ecco perché nessuno è intervenuto quando l’eroina ha iniziato a uccidere le persone.”
Un brivido attraversò la colonna vertebrale di Amabel, il discorso di Tommy seguiva uno spaventoso filo logico.
“E’ stato Campbell a portare la droga in città.”
“Già. – disse Tommy – Avevamo ipotizzato che lo spacciatore dovesse essere uno ricco per potersi permettere l’eroina in pillole, e Campbell è ricco abbastanza da poterlo fare. Quello stronzo ha ammazzato più di trenta persone con quella droga di merda.”
“Aspetta un attimo, Thomas. Campbell ha acquistato l’eroina e l’ha portata a Birmingham, ma qualcun altro deve averla distribuita. Dobbiamo trovare lo spacciatore.”
“Hai ragione. Mando una lettera ad Arthur perché faccia altre ricerche sullo spacciatore.”
“Buona idea.”
Tommy indossò la giacca e raccattò l’ombrello, poi diede un bacio a stampo ad Amabel.
“Torno presto.”
“Ti aspetto qui.” 
 
Tre settimane dopo
Jalia passeggiava tra le bancarelle del mercato in cerca di mele rosse. Poco prima era passata a casa di Oliver Ross per portargli un cesto di dolciumi, un gesto di cortesia che Amabel avrebbe approvato. La dottoressa mancava da Birmingham da circa più due settimane, era chissà dove insieme al signor Shelby, indaffarati nell’elaborazione di un piano che li liberasse dall’ispettore Campbell. A casa Hamilton gironzolava un’attrice che somigliava ad Amabel per ingannare la polizia; tutto sommato era una ragazza a modo, per sua fortuna. Jalia, distratta dai pensieri, andò a sbattere contro qualcosa e rovesciò a terra le buste. Aveva mirato dritto contro un lampione.
“Accidenti, che botta!” esclamò una voce divertita. Attraverso la vita appannata scorse il viso di Michael Gray. Il ragazzo si era chinato a raccogliere la spesa, ignaro di sporcarsi i pantaloni costosi sulla strada lercia.
“Non è necessario che mi aiutiate, signore.”
“Invece sì. La tua testa dura ha colpito forte il lampione.”
“Ho la testa dura? Non c’è bisogno di offendere!” disse la ragazza, indignata. Michael si mise a ridere per l’irriverenza della cameriera.
“Non era un’offesa. E’ una specie di modo di dire. Stavo scherzando.”
“Ah, sì, certo. Scusatemi, signor Gray.”
Jalia sussultò quando Michael le sfiorò il punto dolorante sulla fronte.
“Ti verrà un brutto bernoccolo. Ti accompagno a casa, dai. Amabel si arrabbierebbe se sapesse che ho lasciato la sua amica da sola con la fronte ammaccata.”
Jalia si lisciò le pieghe della giacca, un vecchio indumento di Evelyn, e si aggiustò la cuffietta bianca tra i riccioli neri.
“Vi ringrazio, signore. Datemi le buste.”
“Ci penso io alle buste. Su, dammi il braccio.”
Michael le diede il braccio e Jalia, con qualche timore, allacciò il proprio. Mentre loro camminavano a braccetto in mezzo al mercato, la gente li fissava come fossero due criminali. del resto, non era sconveniente che un gentiluomo passeggiasse con una cameriera in pieno giorno.
“Sapete quando tornerà la dottoressa Hamilton? Si sente la sua mancanza.” Disse Jalia, e in automatico strinse le dita intorno al braccio di Michael.
“Spero presto. La situazione sta peggiorando.”
“In che senso?”
Michael si guardò intorno per essere sicuro che fossero lontani da occhi indiscreti, poi avvicinò le labbra all’orecchio della ragazza.
“C’è qualcosa che non va con John Adrian.”
“Posso esservi utile in qualche modo?” domandò Jalia a bassa voce.
“Sarebbe troppo se ti chiedessi di venire con me a frugare a casa di Adrian?”
“Se questo riporterà la dottoressa a casa, allora verrò con voi.”
 
Michael e Jalia attesero per più di due ore che John Adrian lasciasse la sua abitazione. L’uomo era agitato, gesticolava e abbaiava ordini. Quando l’auto partì a tutto gas fuori dal cancello, Michael trascinò Jalia verso la porta che dal giardino conduceva alla cucina.
“Se entriamo da qui non incontreremo problemi. Le guardie sono tutte appostate all’ingresso.”
“E voi come lo sapete?”
“Tommy è uno che vuole sapere tutto dei nemici, quindi ha chiesto a me e a Finn di fare una pianta di questa casa. Abbiamo studiato la planimetria, orari delle guardie e armi che usano.”
“Complimenti!” disse Jalia ridacchiando. Aveva una risata cristallina che fece sorridere anche Michael.
“Devi essere sempre ben informato quando fai affari sporchi.”
Michael stava per mettere piede in cucina quando Jalia lo strattonò e gli indicò il corridoio.
“Ascoltate. Qualcuno sta piangendo.”
Effettivamente le mura riflettevano l’eco di singhiozzi e colpi di tosse; provenivano dal salotto. Michael e Jalia si avvicinano a passo felpato e, con immensa sorpresa, videro una ragazza bionda che piangeva a dirotto. Era Clara, la promessa sposa di Michael.
“Clara!”
La ragazza sobbalzò e sgranò gli occhi arrossati dalle lacrime.
“Michael … che ci fai qui?”
Jalia si premurò di asciugare le guance di Clara con un fazzoletto che Amabel le aveva regalato mesi prima.
“Perché state piangendo, signorina?”
“Qualcuno ha rapito mia cugina Stacey. Poco fa mio zio ha ricevuto una chiamata ed è uscito di corsa sbraitando di attaccare immediatamente.”
“Perché qualcuno dovrebbe rapire Stacey?” domandò Michael, dando un’occhiata al corridoio con fare circospetto.
“Non lo so. Io … ho sentito mio zio parlare con qualcuno di Londra e di una possibile soluzione al problema.”
“Ma a Londra gli affari di tuo zio non arrivano.” Disse Michael, e qualcosa gli frullava nel cervello. Jalia versò un bicchiere di acqua e fece bere Clara per calmarla.
“C’è un’altra cosa che vi devo dire.” Disse Clara, e non smetteva di piagnucolare. Jalia si sedette accanto a lei per rassicurarla.
“Potete dirci tutto, signorina. Non vi preoccupate.”
“Mio zio ha allontanato di casa la tata di Stacey qualche tempo fa. Si chiama Mary e ha un figlio di nome James.”
Michael fece cadere la sigaretta a terra per la sorpresa.
“Mary non è la ragazza che Amabel ospita in casa?”
“Sì. – affermò Jalia – E suo figlio si chiama James. Se Mary è la tata di vostra cugina, per quale motivo finge di essere una povera sventurata?”
“Per spiarci.” Concluse Michael. Clara annuì, e riprese a singhiozzare.
“Mi dispiace, Michael. Avrei voluto dirtelo ma mio zio mi ha tenuto chiusa in casa per giorni.”
“Mary deve aver già spifferato al padre che la ragazza a casa Hamilton non è Amabel.” Disse Michael. Jalia si portò una mano sul cuore che batteva all’impazzata.
“Però nessuno sa dove si trovino la dottoressa e il signor Shelby.”
 “Oppure sì. Dobbiamo avvisare Tommy prima che sia troppo tardi.”
 
Polly aveva un brutto presentimento che la tormentava da quando si era svegliata. Karl, il figlio di Ada, e Charlie erano sotto la supervisione di Linda, pertanto a preoccuparla  non erano i bambini. C’era qualcosa di oscuro che sgusciava come un serpente velenoso tra le strade di Small Heath. Arrivata in chiesa, doveva aveva appuntamento con Lena, entrò e si fece il segno della croce. Qualcosa attirò subito la sua attenzione: una figura stava ricurva su un banchetto, sembrava pregasse in ginocchio.
“Non è un buon momento per gli scherzi, Signore.” Sussurrò Polly tra sé, e avanzò verso la prima fila. Toccò la spalla della figura ma quella non si mosse, quindi la spostò indietro. Represse un urlo quando riconobbe Lena. Era morta. La bava alla bocca e le pupille dilatate erano chiari segni di overdose.
“Cazzo!”
Corse via dalla chiesa a gambe levate, non voleva che qualcuno riconducesse la morte di Lena ai Peaky Blinders. Mentre scappava si imbatté in Arthur.
“Ohi, Pol! Fa attenzione!”
“Abbiamo un cazzo di problema! Lena è morta. Qualcuno l’ha uccisa.”
“Merda! Questa non ci voleva. E’ stato quel bastardo di Campbell. Ha scoperto tutto.”
Polly si incamminò verso casa con Arthur al seguito, dovevano togliersi dalla strada al più presto.
“Pensi che Tommy e Amabel siano in pericolo?”
“Forse.”
Non appena tornarono a casa, Polly si ritrovò il soggiorno invaso da Finn, Michael, Jalia e Clara. Arthur imprecò a bassa voce e si lisciò i baffi.
“Che cazzo sta succedendo?”
Polly si accorse dello sguardo stravolto di Finn, doveva aver pianto. Era pallido, tremava, e le sue mani erano sporche di sangue.
“Finn, tesoro, che cosa hai fatto alle mani?”
Finn si accasciò contro di lei e si mise a piangere. Polly lo abbracciò forte baciandogli la fronte.
“Isaiah …”
Arthur diede una spallata a Michael per farlo parlare.
“Allora? Isaiah cosa?”
“E’ morto. Isaiah è morto.” disse Michael, e cadde seduto sulla sedia. Jalia gli massaggiò le spalle per consolarlo. Polly, che aveva visto Isaiah crescere come fosse uno dei suoi nipoti, permise alle lacrime di sfogarsi.
“Come è successo?”
Finn si staccò dalle braccia della zia e si appoggiò al tavolo, gli tremavano le gambe per il dolore.
“Gli hanno tagliato le mani e lo hanno lasciato a dissanguarsi. Sono andato a casa di Oliver perché volevo chiedere a Isaiah di venire come a fare domande sullo spacciatore. Quando sono arrivato, però, Oliver e Ada non c’erano e Isaiah era steso in una pozza di sangue.”
Arthur afferrò il fratello minore prima che cadesse a terra.
“Calmati, Finn. Calmati.”
Polly sbatté le mani sul tavolo attirando l’attenzione di tutti.
“Quei bastardi si sono messi contro le persone sbagliate.”
“E adesso che facciamo?” domandò Michael, la mano sul gomito di Jalia.
“Adesso, – disse Polly – andiamo a cercare Tommy, Amabel e Ada. Li portiamo a casa.”
 
Amabel si soffiò via dal viso una ciocca di capelli. Col tizzone spinse alcuni pezzi di legno nel fuoco affinché bruciassero per emanare calore. Ai suoi piedi giacevano le carte arrivate da Birmingham, a metà pomeriggio si era stufata e le aveva accantonate. Tommy era andato fuori città per chiamare Arthur, perciò Amabel si era dedicata alla lettura. Il fuoco divampò quando fu avvolto dal vento che entrava dalla porta aperta. Tommy scrollò l’ombrello e lo gettò malamente a terra, dopodiché si mise davanti al camino per scaldarsi.
“Stai leggendo?”
“Sì. E’ il libro di poesie che mi hai regalato per il compleanno. Polly me lo ha portato in clinica quando ero ricoverata.”
Tommy si posizionò accanto a lei sotto la coperta, la schiena contro il divano e i piedi rivolti al camino.
“Leggimi qualcosa.”
“Questa è una delle citazioni che preferisco: ‘A volte un uomo cerca un tesoro in luoghi lontani, e non si accorge che esso è già in suo possesso’.”
“Quanta saggezza.”
Amabel richiuse il libro e lo depose sul divano, poi rivolse un sorriso divertito a Tommy.
“Ovvio, era un poeta!”
“Parli troppo, Bel.”
Le loro labbra si incontrarono in un bacio impetuoso e disordinato, quasi lo stessero aspettando da secoli. Tommy si posizionò tra le sue gambe e appoggiò il mento sulla sua pancia, mentre con le mani le accarezza i fianchi. Amabel, dal canto suo, muoveva le dita tra le ciocche corvine di Tommy in modo da farlo rilassare.
“Hai parlato con Arthur?”
“No. Non c’è al pub, né da Polly né tantomeno a casa sua. Forse sono usciti a caccia di informazioni. Ora più che mai abbiamo bisogno di sapere.”
Amabel ridacchiò quando Tommy le sfiorò la pancia con la punta del naso provocandole il solletico.
“A proposito, penso di aver decifrato la scrittura di Finn. Non c’è scritto ‘ladra’ ma ‘Londra’. Forse Campbell è andato a Londra e quei biglietti ferroviari ne sono la prova.”
“C’è qualcosa di più complesso sotto. Qualcosa che non riusciamo a capire.” Disse Tommy, e diede un bacio sul polso ingessato della donna. Amabel in risposta gli accarezzò la nuca con le unghie.
“Non riusciamo a capire perché ci mancano tutti gli elementi. Quello che abbiamo è esiguo: Warren si fa pestare dai cinesi, Campbell compra la droga ma a distribuirla è uno spacciatore anonimo, Warren e Campbell diventano complici per farti fuori. Io comincio a credere che non abbiamo la minima idea dell’intero quadro.”
“E ricordiamoci che Campbell ha avuto il coraggio di mettere una cazzo di bomba sotto il letto di una bambina.” disse Tommy scuotendo la testa per l’incredulità. Fu allora che una lampadina si accese nella mente di Amabel.
“La bomba, Thomas! E’ stata messa sotto il letto di Stacey Adrian perché Campbell voleva scatenare una guerra tra gang.”
“Sì, però abbiamo trovato un accordo con John Adrian.”
“E da quando i gangster rispettano gli accordi? Tu hai sparato in testa a Billy Kimber dopo esserti proposto come suo socio.”
Tommy si grattò il mento con fare meditabondo, in fondo il ragionamento di Amabel era piuttosto sensato.
“Tu credi che Adrian possa essere d’accordo con Campbell?”
“Potrebbe. Campbell tiene sotto scacco tutta la polizia di Birmingham, immagino che sottomettere un boss non sia così difficile.”
“Soprattutto quando metti una bomba sotto il letto della figlia di un boss.”
“Esatto. – disse Amabel – Forse la bomba era una sorta di minaccia a cui Adrian ha dovuto cedere. Se ci pensi bene, Campbell potrebbe incriminare Adrian per il solo fatto che è un allibratore.”
“Quindi Adrian potrebbe essere in combutta con Campbell per proteggere i propri affari. Ma che c’entra la droga?”
Amabel si mise seduta, ma Tommy non si mosse e posò le testa sul grembo della donna.
“Era un’assicurazione. Se Campbell non fosse riuscito ad arrestarvi, sperava che l’eroina vi avrebbe ucciso. Tu hai rischiato di morire per colpa di quella roba. Quella sera Campbell avrebbe avuto una parte della sua vendetta.”
“Però tu mi hai salvato.” Sottolineò Tommy con tono perentorio. Amabel si rattristò all’improvviso.
“Saresti potuto morire da un momento all’altro tra le mie braccia. Rischiavo di perderti in pochi secondi per colpa di una stupida vendetta.”
Tommy le prese il viso a coppa e le stampò un bacio sulle labbra.
“Sono qui. Sono vivo soltanto grazie a te. Non mi perderai perché tu mi salverai sempre.”
“Oh, Thomas …”
“Sei la mia luce, Bel.”
Amabel gli circondò il collo con le braccia, attenta ai polsi, e lo attirò in un bacio passionale. Tommy le infilò le mani tra i capelli per approfondire il contatto, per averla tutta per sé. Perché se c’era una cosa a cui non avrebbe mai rinunciato, era la sua Bel. Un boato li costrinse a separarsi. La porta del cottage era andata distrutta, i pezzi di legno erano sparsi dappertutto come foglie morte. Sulla soglia John Adrian sorrideva compiaciuto.
“Buonasera, piccioncini. Carino il vostro nido d’amore.”
Tommy scattò in piedi e gli puntò contro la pistola, ma fu distratto dalle urla di Amabel. Un uomo l’aveva agguantata per le braccia sollevandola da terra.
“Che cazzo vuoi, Adrian?”
“Voglio che tu e la troietta veniate con me di vostra spontanea volontà.”
“Crepa!” strillò Amabel, e tentava invano di divincolarsi. Adrian rise, e fece roteare in aria il bastone dal pomello a forma di aquila.
“Presto sarete voi a crepare!”
Un altro uomo colpì Tommy alla testa con il calcio della pistola e, quando perse i sensi, se lo caricò in spalla. Tommy e Amabel furono gettati malamente nel retro di un camion, ebbe così inizio un viaggio che durò tutta la notte.
 
Arthur smontò dall’auto con una furia che, se avesse potuto, avrebbe raso al suolo Bakewell. La porta del cottage era stata fatta a pezzi, ridotta ad un mucchietto di legno disseminato dappertutto, e sul pavimento c’erano poche gocce di sangue. Però era vuoto. Michael si portò le mani fra i capelli a quella vista.
“Che cazzo è successo?”
“Hanno preso Tommy e Amabel. Quegli stronzi ci stanno prendendo per il culo!”
Polly ispezionò la stanza con cura, forse c’era qualche traccia utile. Sua madre da bambina la chiamava ‘segugio’ per la sua capacità di fiutare gli odori come un cane addestrato. Annusò l’aria. Storse il naso per il tanfo che le invadeva le narici.
“La sentite questa puzza? E’ quella prodotta dallo zuccherificio a ovest di Birmingham.”
“A ovest c’è il territorio dei Cheapside Sloggers.” Disse Arthur tirandosi indietro i capelli. L’adrenalina causata dalla droga stava svanendo, perciò avrebbe dovuto ricorrere ad un’altra dose per reggere quella nottata che si prospettava lunga. Michael si sedette sul divano come se un macigno gli pesasse sulle spalle.
“Adrian ha preso Tommy e Amabel. Ha senso, dopo che ha fatto infiltrare Mary a casa Hamilton. Sapeva che loro si sarebbero nascosti qui.”
“Quei pezzi di merda ce l’hanno fatta sotto al naso. Chissà cos’altro hanno in mente.” Rifletté Polly.
“Come li troviamo?”
Polly si mise a camminare tra le macerie della porta, le mani dietro la schiena, gli occhi fissi sul pavimento. Ora il comando era nelle sue mani.
“Di certo Adrian li avrà nascosti in una delle sue tante proprietà. Mandiamo i nostri uomini a controllare i depositi dentro e fuori Birmingham, prima o poi qualcuno li troverà. Sono convinta che quel bastardo abbia rapito anche la nostra Ada e Oliver, e che abbia ucciso Isaiah.”
Arthur annuì, nei suoi baluginò una scintilla di follia.
“Come li vuoi quelle merde?”
“Morti. – sentenziò Polly – Li voglio morti.”
 
Tommy riaprì gli occhi circa un paio di ore dopo. Sentiva la testa pesante e dolorante, quasi lo avessero preso a bastonate. L’attimo dopo ricordò di essere stato effettivamente preso a bastonate.
“Bel?” mormorò con voce rauca e ansiosa.
“Sono qui. Non muoverti, hai preso una brutta botta.”
Tommy mise a fuoco Amabel, che stava rannicchiata in un angolo. Erano in movimento e, data la grandezza dello spazio in cui erano stipati, viaggiavano in un camion.
“Stai bene? Ti hanno fatto del male?”
“Sto bene. Siamo in viaggio da almeno due ore ormai. Sai dove stiamo andando?”
Tommy strisciò fino a lei e si sistemò contro la parete del veicolo.
“No.”
“Fammi controllare la testa, su.”
Amabel doveva ammettere che il colpo era stato violento tanto da causare la fuoriuscita di sangue. Tommy digrignò i denti quando le dita della donna gli sfiorarono la ferita.
“E’ pessima la situazione?”
“Parecchio. Il trauma cranico peggiorerà nelle prossime ore. Potresti perdere ancora i sensi da un momento all’altro.”
“Tu sei una dottoressa in gamba, so che riuscirai a tenermi sveglio.”
“Posso provarci. Per prima cosa devo marginare la fuoriuscita del sangue in modo da alleggerire il dolore.”
“Come hai intenzione di farlo?”
“Mi servono le maniche della tua camicia. Riesci a strapparla? Io con i polsi non posso fare molto.”
Tommy sfruttò il briciolo di forza rimanente e strappò le maniche, dopodiché la consegnò ad Amabel. La dottoressa avvolse i pezzi di stoffa intorno alla testa per arrestare il sangue e incastrò i lembi per non far sciogliere l’improvvisata fasciatura.
“Ecco fatto. Il sangue si fermerà grazie alla stretta delle maniche, però ciò non toglie che il trauma cranico resta ed è grave.”
Tommy si voltò e fece incastrare le loro dita, lerce di sangue e terra.
“Tu pensa a tenermi sveglio, eh? Non posso svenire.”
“Sì, sì, va bene.”
 
Salve a tutti!
Che dire, sembra che il piano di Tommy sia crollato come un castello di sabbia.
Chissà quale verità si nasconde dietro il grande mistero.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Questioni in sospeso ***


10. QUESTIONI IN SOSPESO

“And we all went to heaven in a little row boat
There was nothing to fear
And nothing to doubt.”
(Pyramind Song, Radiohead)
 
 Amabel fu scaraventata su un pavimento lurido, appiccicoso di una sostanza scura. L’ambiente puzzava di olio per macchine. Si trovavano in un grande edificio abbandonato, con i vetri rotti e senza porte. Era l’alba, avevano viaggiato per tutta la notte senza sapere quale fosse la meta. Anche adesso che si erano fermati, non avevano idea di dove fossero.
“Maledizione!” borbottò Amabel, piegata in due sul pavimento.
“Che succede, Bel?”
Tommy, con le mani legate da una corda, l’aiutò a rimettersi seduta. Il polso destro della donna era floscio come un fiore calpestato.
“Si è rotto di nuovo il polso a causa dell’impatto col pavimento.”
“Mi dispiace. Non meriti tutto questo.” Disse lui, affranto.
“Lo sai che in questa storia sono coinvolta quanto te. Abbiamo ucciso insieme i Cavendish.”
“No. Io e Arthur abbiamo ucciso i Cavendish per vendicare nostro fratello John ! Tu eri ignara di tutto.”
Amabel sospirò, era stanca e dolorante, e i rimorsi di Tommy non era piacevoli.
“Però io non ho mosso un dito quando me lo hai confessato. Avrei dovuto denunciarvi, invece sono stata zitta e mi sono resa complice del reato. Non capisci, Thomas? Noi siamo uguali. Anche se non ho tagliato io le mani ai Cavendish, ho comunque partecipato alla loro morte. E sai la cosa peggiore? Io non me ne pento. Erano due viziatelli che pensavo di avere il mondo ai loro piedi e di trattare gli altri come fosse immondizia. Come posso sentirmi il colpa se due mostri del genere sono morti? Io volevo salvare mia sorella, e così è stato.”
Tommy la guardò, era sporca di terra sulle guance e i suoi occhi erano rossi per la polvere, ma era luminosa come suo solito.
“Noi non siamo uguali. Non provare pentimento per la morte di quegli stronzi non ti rende una bestia simile a me. Ti rende semplicemente umana.”
“Beh, stranamente tu sei la bestia più umana che io conosca.” Disse Amabel posando la testa sulla spalla di Tommy. Proprio come otto anni prima in Francia, si davano forza a vicenda.
 
Oliver aveva affrontato la morte dei genitori, quella dei soldati suoi amici e quella di molti pazienti. Aveva affrontato il lutto con una serenità che derivava dalla vicinanza alla fede. Era stato sempre religioso, anche se da bambino la madre lo corrompeva con una caramella per andare in chiesa, ma la guerra aveva stravolto ogni sua convinzione avvicinandolo alla fede più che mai. Tutte quelle morti erano collegate da un fattore comune: lui non le aveva viste. Non aveva testimoniato a nessuna di quelle tragedie, era sempre arrivato alla fine, quando la persona in questione era già in pace. Ecco perché non sapeva come avrebbe superato la morte di Isaiah. Lo aveva visto morire ammazzato brutalmente davanti agli occhi. Isaiah, il ragazzo giovane di cui si era invaghito, non c’era più. Non c’era più per colpa di una vita che lo aveva divorato in una spirale di violenza da cui nessuno poteva fare ritorno.
“Oliver, smettila.” Disse Ada dandogli un calcio alla caviglia. Oliver si passò le mani fra i capelli, gli occhi umidi, le labbra tremolanti.
“Come riesci a sopportare tutto questo?”
“E’ la speranza che mi tiene in vita. Ho perso mia madre, mio marito, mio fratello, però non perderò anche mio figlio. Sopporto tutto questo solo per Karl. La mia famiglia è un fottuto disastro, lo è sempre stata, ma è tutto quello che ho.”
“Isaiah non meritava di morire. Avevo solo venti anni!”
“Lo so! – replicò Ada – Pensi che io sia abituata a vedere i miei amici morire? La vita da queste parti è dura, Oliver. O impari a convivere con il dolore e la morte, oppure non ne esci vivo.”
La porta si aprì riversando una luce tanto intensa da abbagliare i loro occhi che per ore erano stati al buio. Due uomini li prelevarono per condurli in una seconda stanza, più grande e più infestata dal tanfo. La prima cosa che Oliver vide erano due ombre inginocchiate al centro della stanza, entrambe incappucciate e con le mani legate.
“Restate fermi e zitti. Se parlate o vi muovete, vi pianto un proiettile nel cervello.” Ordinò uno dei due uomini, e l’attimo dopo copriva le teste di Oliver e di Ada con i cappucci.
Seguì a quell’ordine un rumore di passi lenti, calcolati, quasi teatrali.
“Ben ritrovati.” Disse una voce maschile, divertita; era John Adrian. Comandò al suo uomo di togliere i cappucci alla coppia che attendeva da più tempo: Tommy e Amabel. Tommy aveva la testa avvolta in pezze bianche chiazzate di sangue ed era pallido, mentre Amabel aveva i capelli spettinati e l’osso del polso piegato in una strana angolazione.
“Adrian, sei un fottuto bastardo.” Disse Tommy con rabbia. Amabel, al suo fianco, scorse una seconda coppia a pochi metri da loro.
“Chi sono loro?”
“Oh, intendi i nostri amici? Scopriamolo!”
Tommy sgranò gli occhi quando il volto di Ada comparve sotto il cappuccio.
“Ada! Stai bene?”
“Sì, sto bene. Isaiah è morto.” disse Ada singhiozzando. Quando Adrian svelò l’identità dell’altro uomo, Amabel scattò in avanti ma fu trattenuta dalle catene.
“Olly! Guardami!”
Oliver la guardò, e bastò un secondo perché Amabel capisse che Isaiah era morto per davvero.
“Perché loro sono qui?” domandò Amabel ad Adrian. Questi si era accomodato su una vecchia sedia a sorseggiare uno scotch.
“Sono qui come garanzia. Prenderli in ostaggio mi assicura che voi due non farete sciocchezze per liberarvi.”
Amabel scosse la testa, era davvero furiosa.
“Tu sei malato.”
“Hai sempre avuto un caratteraccio, mia adorata. Questo ti costerà caro!” esclamò un’altra voce maschile marcata dall’accento americano. Dall’ingresso entrò Warren, completo elegante e sorriso soddisfatto.
“Ci mancava il dottorino, cazzo.” Disse Tommy alzando gli occhi al cielo. Warren rise, si avvicinò ad Amabel e le accarezzò il collo.
“Non sono qui per te, Tommy. Non sei il mio tipo.”
“Non la toccare, o giuro che ti spezzerò le dita quando mi leverò queste fottute corde.” Lo minacciò Tommy, ma Warren si limitò a ridere ancora.
“Sta a cuccia. – disse Adrian – Abbiamo ancora molte questioni da discutere.”
“Credevo che fossimo alleati. Hai permesso a tua nipote di sposare mio cugino. Che cosa è cambiato?”
John Adrian stava per rispondere quando Amabel lo anticipò.
“Te lo spiego io cos’è cambiato, Thomas. L’ispettore Campbell ha convinto Adrian a suggellare una finta alleanza per avvicinarsi a te ed eliminarti. Correggimi se sbaglio.”
 “La dottoressa ha ragione. Campbell ha messo la bomba sotto il letto di Stacey per spronarmi a fare un accordo con lui. Abbiamo inscenato una fasulla guerra tra gang per distogliere l’attenzione dal vero intento.” Disse Adrian, ed era calmo come se parlasse del meteo.
“Fatto sta che non stiamo capendo un cazzo.” Disse Tommy, esausto di girare intorno al fulcro della questione. Adrian rise, sembrava davvero che quella situazione lo divertisse.
“Adesso ti verrà spiegato tutto. Io, Campbell e Warren abbiamo un motivo per odiarti. Campbell ti odia perché hai ucciso suo zio; Warren ti odia perché gli hai rubato la fidanzata; e io ti odio perché mi hai portato via mia moglie. Tutti e tre ti vogliamo punire perché ci hai privato di qualcuno.”
“Io e Warren non stiamo insieme da anni! Questa è una stupidaggine colossale!” sbraitò Amabel gesticolando come poteva, e il polso le scaricò una fitta di dolore.
“Oh, come liquidi in fretta il nostro amore.” Disse Warren toccando una spalla della donna.
Tommy, invece, guardava il pavimento con sguardo colpevole. La sfrontatezza di pochi minuti prima era scomparsa lasciando spazio ad una espressione di dolore.
“Non nominare tua moglie ancora. Non ne sei degno.”
Adrian, mosso dalla collera, schiaffeggiò Tommy tanto forte da spaccargli il labbro.
“Louise. La mia dolce Louise non era degna di entrambi.”
“Di che stai parlando?” si intromise Amabel, curiosa come sempre. Adrian tornò a sedersi, fiaccato d’un colpo, e si asciugò il sudore sulla fronte col fazzoletto.
“Mia moglie Louise mi tradiva con Tommy. Louise era la migliore amica di Greta Jurossi, il primo amore di Tommy. Quando Greta è morta, Louise e Tommy erano uniti dal dolore per la perdita. Negli anni avvenire si sono incontrati più e più volte andando a letto.”
“Non è vero! – obiettò Tommy – Non avrei mai fatto una cosa del genere a Greta!”
Amabel era stravolta da quanto stava succedendo perché ancora una volta era capitata nel mezzo di una guerra che non la riguardava.
“Qual è la tua versione dei fatti, Thomas?”
“Dopo che Greta è morta, mi sono arruolato e per due anni ho combattuto in Francia. Al mio ritorno Louise è venuta a farmi visita per annunciarmi che si era sposata con Adrian. Sapevo che Adrian era un criminale e glielo dissi, ma lei non voleva capire ragione. Siamo rimasti amici, ogni mese ci incontravamo al cimitero per depositare i fiori sulla tomba di Greta. Dopo un anno, però, ho smesso di andarci perché Louise mi ricordava troppo Greta e mi faceva soffrire. Louise ha cercato di contattarmi ma io mi sono sempre fatto negare. L’ho rivista soltanto al suo funerale, in una bara, morta. Lei era come una sorella per me e per Greta, perciò non sono mai andato a letto con lei.”
Ada e Amabel si scambiarono un’occhiata fugace, un modo per intendere quanto fossero sconvolte da quella storia. Tommy aveva mantenuto segreti i suoi incontri con Louise per anni, facendo credere a tutti di aver dimenticato Greta subito dopo la guerra.
“Louise era innamorata di te.” disse John Adrian, la voce incrinata. Gli occhi di Tommy luccicarono, eppure ricacciò indietro le lacrime.
“Non lo sapevo.”
“Neanche Greta ti amava come ti amava Louise. Quando hai smesso di incontrarla, è caduta in depressione. Si sentiva sola, smarrita, senza via d’uscita. Detestava tutto e tutti, persino me e nostra figlia. Si è lasciata andare giorno dopo giorno, ha smesso di dormire, di mangiare e di bere. Alla fine ha anche smesso di respirare. Si è tolta la vita il giorno del nostro decimo anniversario di matrimonio. L’amore che provava per te era più forte di qualsiasi cosa, anche più della voglia di vivere. Hai distrutto Louise, proprio come hai distrutto Grace e come distruggerai Amabel. Tu uccidi tutto quello che tocchi, Tommy Shelby. Sei maledetto.”
Amabel vide Tommy poggiare la testa sul pavimento per soffocare le urla. Il dolore fisico si mescolava a quello psicologico in un mix spaventoso.
“Campbell ha scoperto che Louise era innamorata di Tommy e questo gli ha permesso di minacciare la vita di tua figlia per convincerti ad essere suo alleato.”
“Sì. – confermò Adrian – Quando Stacey è uscita illesa dalla clinica, Campbell mi ha contatto e mi ha chiesto di unirmi a lui nella sua vendetta contro Tommy. L’invito alle corse a Londra è stato scritto da uno dei miei uomini, era un modo per allontanare gli Shelby da Birmingham affinché l’ispettore potesse arrestate la dottoressa. Pensavo che i Peaky Blinders avrebbero abboccato alla guerra tra gang, ma non è stato così. Mi sono tirato indietro dopo che ho saputo che la dottoressa era finita in ospedale, ma Campbell ha rapito Stacey e mi obbliga a restare.”
Amabel nel profondo capiva le ragioni di Adrian: vendicare la moglie e recuperare la figlia erano due ottimi motivi per avercela con Tommy. Allora rivolse la sua attenzione verso Warren, tutto impomatato alle sue spalle.
“E tu, Warren? Come ti inserisci in tutto questo?”
“Tommy ha mandato i suoi uomini a pestarmi la sera dell’inaugurazione della clinica, lo sai? Quando i Peaky Blinders sono arrivati, io mi sono nascosto nella camera di fronte alla mia e mi sono salvato. E’ stata quella sera stessa che mi sono recato nel quartiere cinese per farmi pestare. Pensavo che, una volta saputo quello che Tommy mi aveva fatto, tu saresti tornata da me. Le cose non sono andate come previsto, perciò Campbell mi ha avvicinato con la promessa di vendetta contro Tommy. Campbell ha comprato l’eroina in polvere e io l’ho spacciata. Speravamo che Tommy morisse, o perlomeno che morissero quelli del suo quartiere e che la gente per questo si scatenasse contro i Peaky Blinders.”
“Sei proprio uno stronzo.” Disse Tommy sputando sulle scarpe di Warren.   
“Suppongo che Campbell abbia fatto il resto.” Disse Amabel.
Warren sorrise in maniera perfida.
“Oh, lui ha fatto molto di più.”
 
Polly studiava la pianta della città che Michael aveva recuperato dagli uffici del municipio. Arthur aveva cerchiato alcune delle proprietà di John Adrian disseminate in tutta Birmingham.
“Abbiamo controllato gli edifici di Adrian ad ovest ma non abbiamo trovato niente. Ho mandato altri uomini a sud, dove quello stronzo possiede delle ville. Non sappiamo quali siano tutte le sue proprietà, alcune sono del tutto sconosciute.” Spiegò Arthur, l’alito che sapeva del whiskey che si era scolato nelle ore precedenti.
“Non sappiamo dove cercare.” Disse Michael cacciando il fumo bianco dalle labbra. Polly contorse la bocca in una smorfia di fastidio.
“Notizie di Ada? Qualcuno è riuscito a trovarla?”
“No. – disse Arthur – E’ probabile che lei si trovi insieme a Tommy e ad Amabel a questo punto.”
“Per tenere in ostaggio tre persone ha bisogno di uno spazio grande e isolato, dove nessuno può sentirli gridare.” Disse Polly, e si accese una sigaretta per allentare i nervi tesi. Arthur bevve un goccio di alcol dalla sua fiaschetta personale, poi si ripulì il mento con la mano.
“Hai descritto tutti i fottuti edifici abbandonati di Birmingham! Dobbiamo restringere il campo oppure arriveremo in tempo per ritrovarli morti stecchiti.”
“Avrei un’idea.” Disse Jalia sollevando la mano come una scolara che chiede il permesso alla maestra di parlare. Polly la guardò in tralice, non capiva la sua presenza durante i loro sporchi affari, ma poteva essere utile e quindi annuì.
“Parla.”
“Forse Clara potrebbe farci una lista delle proprietà di suo zio in modo da restringere il campo, come dice il signor Arthur.”
“E’ una buona idea.” Disse Michael, e si beccò un’occhiataccia dalla madre.
“Non avevo dubbi che la considerassi una buona idea. Beh, ragazza, che aspetti? Va a parlare con Clara e cavale fuori tutte le informazioni che potrebbero tornarci utili.”
“Io vado con lei.” Si propose Michael, ma Polly lo trattenne per la manica della giacca.
“Tu ci servi qui. Sarà Finn ad accompagnarla, almeno tuo cugino si distrae un po’.”
Finn si limitò ad annuire, dopodiché fece segno a Jalia di seguirlo al piano di sopra, dove era stata sistemata Clara. La riunione fu interrotta da ripetuti colpi alla porta. Quando Arthur aprì, sulla soglia comparve Charlie Strong che mordicchiava uno stuzzicadenti. Al suo fianco, come sempre, c’era Curly.
“Abbiamo saputo il nome dello spacciatore dai cinesi. Certo, abbiamo bruciato un paio di bancarelle, ma alla fine quelle morte facce gialle hanno collaborato.” Disse zio Charlie buttandosi a sedere sulla poltrona. Polly incrociò le braccia al petto e inarcò il sopracciglio.
“Hai intenzione di dircelo oppure devo prenderti le palle a bastonate?”
Arthur si mise a ridere, benché non fosse l’occasione giusta, però c’era da ammettere che l’alcol e la droga rendevano il tutto più sopportabile. Charlie rise, quella donna era peggio di un uomo.
“Lo spacciatore si chiama Warren Emerson. Lo conoscete?”
“E’ l’ex fidanzato di Amabel.”
“Stiamo davvero dicendo che quel fottuto dottorino è il complice di Campbell e di Adrian?” domandò Michael, sbigottito.
“Già. – disse Polly – Nessuno avrebbe mai sospettato di un ricco dottore americano all’apparenza ingenuo. Quello stronzetto ha saputo fare il suo gioco.”
Jalia quasi inciampò quando superò l’ultimo scalino, e Finn l’agguantò per il gomito per evitarle una brutta caduta.
“Ci sono tre edifici che Adrian ha comprato il mese scorso nell’area della vecchia stazione.”
“La vecchia stazione è enorme. Si tratta di un’area troppo vasta da perlustrare. Non ce la faremo mai.” Disse zio Charlie scuotendo la testa.
“Non possiamo abbandonare Tommy. Lui non lo farebbe con noi.” Aggiunse Curly, le mani che si muovevano in modo convulso.
“Curly ha ragione. Tommy può essere il più grande bastardo del mondo, ma verrebbe a prenderci anche all’inferno.” Disse Finn. Polly guardò prima Arthur e poi Michael, era un palese codice d’avvio.
“Ribaltiamo quella fottuta stazione da cima a fondo.”
 
Amabel trattene un lamento quando un uomo di Adrian l’afferrò per il polso rotto per rimetterla in ginocchio. Avevano trascorso le due ore precedenti incappucciati e seduti a terra, poi la porta si era aperta ed era entrato qualcuno. La donna sbatté le palpebre infastidite dalla luce solare e, con immenso disgustoso, notò che Campbell parlottava con Warren e Adrian.
“Bel, controlla Tommy!” gridò Ada, i capelli arruffati sulla fronte. Tommy, malamente inginocchiato, faticava a tenere gli occhi aperti. Era pallido e sudato, e le maniche di camicia intorno alla testa erano sporche di sangue fresco.
“Ehi, guardami. Thomas! Guardami! Non chiudere gli occhi. Resta concentrato su di me!”
Tommy si sforzò di guardarla ma era debole, perciò gli si chiudevano sempre di più gli occhi; presto sarebbe svenuto, o peggio sarebbe morto.
“Liberatemi i polsi! Devo aiutarlo.” Disse Amabel, e puntò lo sguardo su Warren.
“Oh, io dico che sta benone.” scherzò John Adrian.
“E io dico che sta male. Warren, per l’amor del cielo, sei un medico! Lo sai che potrebbe collassare da un momento all’altro! Io devo aiutarlo, altrimenti non resterà vivo a lungo perché voi lo torturiate!”
“Beh, se la metti così …. Liberatela!” disse Campbell, sorridente come non mai. Libera dalle corde, Amabel si fiondò su Tommy per esaminare la reattività dei suoi occhi. Era ancora lucido e vigile per fortuna.
“Non svenire, Thomas. Ti prego. Ho bisogno di te.”
“Ce la posso fare.” Ribatté Tommy abbozzando un mezzo sorriso. Amabel con il polso più sano e i denti si strappò una manica della camicetta per tamponare il sangue che colava lungo il collo di Tommy.
“Dobbiamo andarcene il prima possibile. Questi hanno intenzione di ucciderci non appena ne avranno l’occasione.”
“Hai qualcosa in mente?”
“Posso improvvisare qualcosa. Tu reggimi il gioco, d’accordo?”
“D’accordo.”
Amabel di colpo si sentì trascinare sul pavimento lurido per i capelli, quasi temeva che qualche ciocca si fosse staccata. Era Campbell che l’aveva portata al centro, tra Tommy e Ada e Oliver.
“Allora, dato che sei quella intelligente della combriccola, voglio scambiare quattro chiacchiere con te.”
“Per dirmi cosa? Sappiamo già tutto. Tu hai mandato a me e a Thomas la biancheria intima come minaccia; tu hai comprato la droga e l’hai fatta spacciare a Warren con la speranza di una rivolta contro gli Shelby; tu hai piazzato le bombe nella mia clinica per avere Adrian dalla tua parte. Io ti conosco, Eugene Campbell.”
“Uh, ma come sei brava.”
Campbell dapprima sorrise, poi le tirò uno schiaffo che le face girare il viso. Amabel, anziché mostrarsi debole, ghignò.
“Però c’è un dettaglio fondamentale che hai tralasciato: come ho fatto a scoprire che avete ucciso i Cavendish senza prove? Insomma, non avete lasciato nessuna traccia utile. Il fatto che siete stati in guerra insieme, che siete amanti, che avete trascorso un weekend a Londra non erano prove valide. Tra l’altro, non ho mai avuto la possibilità di interrogare la servitù dei Cavendish.”
Amabel smise di ridere, la sua espressione si fece scura. Lei e Tommy avevano sempre avuto ragioni: non c’erano prove che i colpevoli fossero loro. Poi, come se il suo cervello funzionasse per la prima volta, realizzò un pensiero abominevole.
“Londra è il dettaglio mancante. Il biglietto che abbiamo trovato a casa tua fa riferimento ad un viaggio nella capitale. Tu hai interrogato la mia famiglia. Anzi, nello specifico hai parlato con Evelyn, l’unica che sapeva come erano andate le cose per figlio e per segno.”
Warren si coprì la bocca spalancata per la sorpresa, non si aspettava quel risvolto. Tommy colse quella frattura e sperò che potessero sfruttarla a loro vantaggio.
“Sei davvero intelligente.” Disse Campbell sorridendo. Amabel si sforzò di restare indifferente, di non palesare quanto fosse amareggiata.
“Ma non sono impreparata, sai. Evelyn è l’anello debole, lo sapevo, e non mi stupisce che abbia spifferato tutto. E’ una ragazza fragile che si lascia facilmente condizionare, soprattutto dagli uomini.”
Campbell si sedette davanti a lei, la punta delle sue scarpe lucidate sfiorava il mento di Amabel. Era in una posizione di potere.
“Ha cantato come un uccellino! Mi ha raccontato tutto senza remore. E’ una ragazza incredibilmente stupida. Io lo so che Arthur e Tommy hanno ucciso di Cavendish per vendicare il fratello. So che tu non c’entri niente, anche perché non eri presente in quel momento e non ci sono prove concrete del tuo coinvolgimento.”
“Ha l’aria di un fottuto accordo.” Intervenne Tommy, il sangue gli imbrattava le tempie facendo risaltare l’azzurro degli occhi.
“Un accordo che alla dottoressa conviene accettare.” Aggiunse John Adrian, posto alle spalle dell’ispettore. Amabel fece rimbalzare gli occhi tra Campbell e Adrian.
“Perché mi conviene? Non so nemmeno di che si tratta.”
“Perché, – incominciò Campbell – c’è in ballo la vita di una bambina. Se tu accetti la mia proposta, Stacey tornerà a casa sana e salva. Se rifiuti, Stacey e tutti voi morirete.”
“Quale sarebbe la proposta?”
“Tu dovrai accusare la famiglia Shelby di traffico di eroina e degli omicidi di mio zio, dei Cavendish, di Lena Meyer e di Isaiah. Inoltre, dovrai testimoniare contro di loro in tribunale. Tu fai questo e io lascio andare te e Stacey immediatamente.”
Amabel guardò Oliver per una frazione di secondo, e l’amico strizzò l’occhio destro. Nel loro linguaggio in codice significava: dice la verità.
“Perché sei arrivato a tanto? Potevi farmi questa proposta mesi fa, invece hai preferito giocare con noi al topo e al gatto. Cosa c’è di tanto perverso nella tua mente?”
L’ispettore le toccò la gola con la punta della scarpa fino ad arrivare al cuore, laddove poggiò il tacco.
“Perché quelli come voi, tu e gli Shelby, avete vissuto la guerra e non vi fate certo spaventare da un banale ispettore di Belfast. Mi serviva il pieno controllo su di voi. Le minacce, la droga, l’arresto, la morte dei vostri amici, erano un mezzo necessario per innescare la giusta reazione. Perché voi, dottoressa cara, reagite solo quando venite messi all’angolo. Vi volevo disperati e disposti a tutto.”
Amabel si prese un momento per osservare la disposizione della stanza: Tommy alla sua destra, Ada e Oliver alla sinistra, Campbell di fronte, Warren e Adrian intorno a lei. Ricordò le parole di Tommy: l’obiettivo è isolare la regina. Tutte quelle persone ruotavano intorno a lei come su una scacchiera. Si voltò verso Tommy con una nuova determinazione.
“Mi dispiace, Thomas. Abbiamo passato dei bei momenti insieme, ma la mia famiglia viene prima di tutto.”
“No, Bel! Non farlo! Non fidarti!”
“Ebbene, accetti?” domandò Campbell, il sorriso superbo sotto i baffi.
“Accetto. – disse Amabel – Ora libera Stacey e riportami a casa.”
Amabel stava per alzarsi quando Adrian le puntò la pistola alla testa.
“Io non credo ad una sola parola di questa stronza. Sta mentendo!”
“Lo so che mente. E’ così divertente il modo in cui cerca di salvare la situazione.” Disse Campbell ridendo. Anche Amabel scoppiò a ridere all’improvviso.
“Sai la cosa davvero divertente, Eugene? E’ che sei un pessimo giocatore di scacchi.”
“Eugene!”
Campbell si voltò e vide Tommy che premeva un frammento di legno contro la gola di Warren. Tommy sorrideva, benché fosse pallido ed esausto.
“Hai ragione, sai? Amabel è davvero intelligente. Mentre mi fasciava la testa, mi ha infilato in tasca questo pezzo di legno con cui sono riuscito a tagliare le corde mentre lei ti distraeva con le chiacchiere.”
“Se lo uccidi, io sparo alla testa della tua fottuta fidanzata!” ribatté Adrian, e Amabel avvertì la punta della pistola sulla nuca.
Poi accadde l’imprevisto. La porta dell’edifico esplose, la luce penetrò con prepotenza nella stanza, si udì un grido.
“State giù!”
Amabel si abbassò e Tommy fece lo stesso portandosi con sé Warren. Oliver abbracciò Ada per proteggerla. Una pioggia di proiettili si abbatté su di loro come un temporale violento. I Peaky Blinders e alcuni membri della famiglia Lee sparavano a tutto spiano con le loro armi nuove di zecca e potenziate. Un proiettile bucò la testa di Adrian e il sangue schizzò sulla faccia di Amabel quando il corpo dell’uomo cadde a terra. Campbell strisciava per terra nel tentativo di salvarsi ma Tommy gattonò per raggiungerlo.
“Tu non vai da nessuna parte, stronzo.”
Tommy prese il posacenere in cui Adrian aveva scrollato la cenere della sigaretta, la strinse in ambedue le mani e caricò. Colpì Campbell alla schiena più e più volte, il sangue zampillava dappertutto mescolandosi alla cenere. Quando l’ispettore fu in fin di vita, Tommy si fece consegnare la pistola da Arthur e si alzò.
“Thomas, no!”
Amabel gli bloccò il braccio prima che sparasse. Tommy neanche la guardava, era fisso su Campbell che soffocava nel proprio sangue.
“Perché no?”
“Se lo uccidi, ne verranno altri. Qualcuno presto si accorgerà che ogni ispettore che mette piede a Birmingham ne esce in una bara.”
Tommy lasciò andare la pistola e il posacenere, era troppo stanco per controbattere. Prima che Amabel potesse emettere un suono, Campbell si ritrovò un proiettile nel cuore. Arthur camminò verso l’ispettore a passo baldanzoso, si abbassò e gli sputò in faccia.
“Questo era per Isaiah.”
Amabel socchiuse gli occhi e sospirò, mentre Tommy fissava il corpo dell’ispettore con una serenità d’animo rinnovata.
“E’ finita, Bel. Andiamo.”
 
Un’ora dopo Amabel ebbe il permesso di lasciare la clinica, dopo aver ricevuto le cure necessarie. Le avevano messo i punti sul sopracciglio, le avevano applicato ai polsi nuovi tutori e le avevano disinfettato piccoli tagli qua e là. Ada e Oliver erano stati dimessi pochi minuti prima, nessuno dei due riportava gravi ferite se non qualche livido. Tommy era l’unico ricoverato per via del trauma cranico, tant’è che era stato sistemato in una camera al suo arrivo. Amabel stava andando da lui quando in corridoio vide Polly, Finn e Jalia in attesa che la visita serale terminasse. Arthur e Michael erano rimasti alla vecchia stazione per ripulire tutto. Warren alla fine aveva deciso di costituirsi, perciò a quell’ora era probabile che fosse già in carcere. Non avrebbe scontato molti anni ma almeno i morti per colpa dell’eroina avrebbero avuto giustizia.
“Dottoressa!” esclamò Jalia correndo incontro ad Amabel. Le due si abbracciarono come se non si vedessero da anni.
“Jalia, così non mi fai respirare.”
“Scusatemi. E’ che sono felice di rivedervi. Sono stata molto in pensiero per voi.”
Amabel si accorse che qualcosa non andava dall’espressione di Polly, troppo seria per una il cui nipote era vivo. Anche Jalia sembrava triste.
“Che succede? Avete delle brutte facce. Thomas sta bene?”
“Sì, lui sta bene. Tranquilla.”
Amabel si preoccupò ancora di più quando fu avvicinata da Oliver, che era appena uscito dalla sala delle medicazioni. Il modo in cui pronunciò il suo nome fece tremare il cuore della donna.
“Amabel.”
“Che succede, Olly? Ditemi la verità. Si tratta di Thomas? E’ in coma? Io devo saperlo!”
“Calmati.” Disse Oliver accarezzandole gli zigomi con i pollici. Amabel scoppiò a piangere senza sapere perché, ma qualcosa dentro di lei sembrava sgretolarsi e prodursi in lacrime.
“Che cosa è successo?”
Polly, notando quanto fossero tutti sconvolti dagli avvenimenti recenti, scansò Oliver e prese le mani di Amabel.
“Adesso ti darò una spiacevole notizia e tu devi promettermi che manterrai il sangue freddo ad ogni costo.”
“Sì, sì, lo prometto.”
Polly prese un respiro, quasi si preparasse a chissà quale lotta, e rafforzò la stretta sulle mani di Amabel.
“Poche ore fa Diana ha chiamato per comunicare che Bertha ha avuto un collasso polmonare.”
“Ma sta bene? A Londra ci sono ottimi medici che poss …”
“Bertha è morta.”
Amabel sentì il respiro mozzarsi. Rivide per un istante gli occhi di Bertha, verdi e consumati dall’età ma sempre gentili. L’ultima cosa che vide prima di svenire furono le lacrime di Jalia. Poi il buio.
 
Salve a tutti!
A Birmingham sembra tornata la pace, ma Amabel deve affrontare un grande dolore adesso.
Ho inserito una piccola parte sul passato di Tommy (Louise e Greta) perché non se ne parla abbastanza nella serie. Notate bene che Louise non esiste nella serie, è una mia invenzione.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Epilogo ***


11. EPILOGO

“Come lay me down
Come heal me now
Come take this crown.
[…]  I’ll wait up until you’re home, dear.
I’ll shine a light in the dark.
Don’t leave me alone here among the stars.”
(Alone in the dark, Will Cookson)
 
Due giorni dopo
Faceva particolarmente freddo quella mattina a Birmingham. Il vento frusciava tra i cipressi come se le anime dei defunti camminassero tra le tombe senza farsi vedere. Al cimitero stava avendo luogo il funerale di Bertha, ed era forse per questo che faceva freddo. Amabel era esausta sia fisicamente sia mentalmente. Teneva tra le braccia Diana che piangeva e tremava, sembrava una bambina impaurita. Poca gente era presente alla funzione: Tommy, Finn e Michael, Ada e Jalia. Zia Camille aveva spedito ad Amabel un mazzo di fiori e un biglietto di condoglianze, entrambi erano finiti nella spazzatura pochi minuti dopo il loro arrivo. Oliver aveva annunciato il suo ritorno a New York dopo la morte di Isaiah, aveva bisogno di riprendersi prima di impegnarsi di nuovo nel lavoro.
 Evelyn, invece, non si era ancora fatta vedere.
“Qualcuno vuole dire qualcosa?” domandò il prete chiudendo il libro delle omelie. Amabel annuì e, lasciando Diana alle braccia di Finn, prese una rosa bianca e la depositò sulla bara.
“E’ surreale essere qui oggi. Non pensavo che questo giorno sarebbe mai arrivato. Bertha è stata la nostra governante per trenta anni, ha cresciuto me e le mie sorelle e si è presa cura di nostro padre quando io ero in guerra. Quando nostra madre è morta, Bertha è riuscita a lenire quel dolore perché lei per noi era una seconda madre. Se non ci fosse stata lei, noi saremmo state tre ragazze tristi a vita. Anche dopo la dipartita di nostro padre, Bertha è stata il perno della nostra famiglia. A quella donna avrei affidato la mia vita senza pensarci due volte. Abbiamo avuto i nostri contrasti, è vero, ma tornavano sempre più unite di prima. Bertha ha asciugato ogni nostra lacrima, ha contribuito ad ogni nostro sorriso, ha curato le nostre ginocchia sbucciate, ci ha preparato i nostri piatti preferiti, e soprattutto è stata al nostro fianco nei momenti peggiori. Ero convinta che non sarebbe mai morta. Pensavo che fosse come gli angeli, eterei ed eterni, eppure oggi siamo qui riuniti per il suo funerale. Io …”
E qui Amabel fu interrotta dalle lacrime. Di solito non piangeva mai, ma proprio non riusciva a trattenersi. Diana si accoccolò contro il petto di Finn per singhiozzare.
“Io sono grata per aver avuto l’opportunità di trascorrere parte della mia vita insieme a lei. E malgrado non sarà presente nelle nostre vite, il suo ricordo vivrà per sempre nei nostri cuori. A Bertha, lontana ma mai dimenticata.”
Dopo che Tommy lasciò cadere la rosa sulla bara, Amabel crollò tra le sue braccia. Lui non disse niente per calmarla, era necessario vivere appieno quel dolore per poter superare. Solo il giorno prima aveva partecipato al funerale di Isaiah, aveva consolato Jeremiah e sua moglie, e aveva anche tenuto la mano sulla spalla di Finn per supportarlo.
“Patetico.” Mormorò Ada mentre si sistemava la sciarpa per ripararsi dal freddo. Il suo commento era riferito all’arrivo di Evelyn. La ragazza a passo spedito raggiunse il gruppo, i capelli biondi svolazzavano intorno a lei come tentacoli. Era troppo serena per una che aveva appena perso una persona cara.
“Oh, avete già finito. Vorrei dire due parole: addio, Bertha.”
Michael e Jalia si scambiarono un’occhiata fugace per l’assurdo comportamento della ragazza. Diana si staccò da Finn solo per colpire il braccio della sorella.
“Sei seria? E’ tutto quello che hai da dire?”
“Sì. Era la nostra governante, non nostra madre. Certo è un peccato, ma morto un papa se ne fa un altro.” Rispose Evelyn sorridendo, sembrava quasi felice di quel funerale. Amabel sollevò gli occhi rossi di pianto su Evelyn come se volesse schiaffeggiarla con lo sguardo.
“Oggi non sono in vena delle tue stronzate, Evelyn. Puoi anche andartene e portare con te quella tua stupida aria da bambina viziata.”
Tommy rimase interdetto dall’uso di quella parola – ‘stronzate’ – poiché non era certo il modo in cui Amabel parlava, ma ciò dimostrava quanto fosse sofferente.
“Noto con disappunto che voi siete liberi e che Campbell è sparito dalla circolazione. A quanto pare la mia testimonianza è servita a ben poco.” Disse Evelyn, le mani sui fianchi, le labbra increspate in un mezzo sorriso. Amabel, furiosa, afferrò la sorella per il bavero della giacca.
“Evito di sputarti in faccia solo perché siamo ad un funerale. Torna a Londra, Evelyn. Il tuo posto non è qui.”
“Andiamo, Amabel.” Si intromise Ada. Spinse Amabel lontano da Evelyn e l’accompagnò all’auto. Diana non degnò la sorella di uno sguardo, si strinse a Finn e lasciò il cimitero. Michael e Jalia li seguirono in silenzio. Solo Tommy si prese un minuto per restare con Evelyn.
“Secondo me tu hai in mente qualcosa. Hai la tipica espressione di chi sta per sfidare il mondo intero.”
Evelyn fece spallucce, era tranquilla come pochi minuti prima.
“Forse perché so di vincere la sfida.”
Tommy si portò una sigaretta alla bocca, l’accese e poi spense il fiammifero sul soprabito costoso della ragazza. Evelyn si ritrasse con disgustoso.
“Se ferisci Amabel in qualche modo, ti taglio le mani come ho fatto ai Cavendish.”
“E’ una minaccia, signor Shelby?”
“E’ piuttosto un avvertimento, signorina Hamilton.”
 
Due mesi dopo
Amabel passeggiava tra le strade di Birmingham in compagnia di Diana, avvolte dalla neve e dalle luci che illuminavano la città. Era la vigilia di Natale e avevano deciso di trascorrere insieme le vacanze per recuperare quel pizzico di normalità e gioia che era venuto a mancare dopo la scomparsa di Bertha. Erano uscite presto per andare a fare compere, una delle loro attività preferite.
“Che cosa hai intenzione di regalare a Finn?” domandò Amabel osservando i bambini giocare con le palle di neve.
“Vorrei regalargli qualcosa di sensazionale. Mi ha detto che la sua famiglia non ha mai festeggiato il Natale come si deve, anche dopo che sono diventati ricchi. Gli affari non si fermano neanche durante le vacanze!”
“Gli Shelby non si prendono mai una pausa.” Disse Amabel. Passando davanti ad una vetrina, Diana si bloccò e indicò un oggetto aldilà del vetro.
“Quello è perfetto per Finn!”
Si trattava di un diario rilegato in pelle marrone che si chiudeva con una sorta di lucchetto.
“Un diario? Non capisco.”
“Così Finn potrà allenarsi nella scrittura e migliorare la sua orribile grafia. Magari alla prima pagina potrei scrivere una frase carina che leggerà ogni volta che aprirà il diario!” disse Diana con entusiasmo. Amabel sorrise per l’innocenza della diciassettenne, quella stessa dote che lei aveva perso in Francia anni addietro.
“E’ una splendida idea. Vada per il diario!”
Dopo aver acquistato il regalo per Finn, le sorelle optarono per una cioccolata calda e qualche pasticcino caldo nella migliore pasticceria della città. Amabel si alzò dalla sedia non appena Tommy entrò nel locale.
“Signore.” Le salutò Tommy, e diede un bacio sulla guancia ad Amabel. Con lui c’era anche Charlie, con le gote rosse per il freddo e gli occhi azzurri che risaltavano. Amabel baciò la manina del piccolo e lo prese in braccio.
“Posso giocare con Charlie nella neve?”
“Vai pure.” Acconsentì Tommy. Amabel sorrise nel vedere Diana e Charlie assemblare un improvvisato pupazzo di neve.
“Devo darti una cosa, Thomas. Consideralo il mio regalo di Natale.”
La donna dalla borsa estrasse una cartella clinica e la mise sul tavolo, al che Tommy sospirò. La paziente in questione era Louise Adrian.
“Che c’è nella cartella?”
“La verità. – disse Amabel – John Adrian ha detto che Louise si è lasciata morire per colpa tua, però non è così. Ho richiesto la sua cartella in ospedale e ho scoperto la reale causa di morte: è stata uccisa dalla pertosse. La malattia ha causato il deperimento, la disidratazione, l’insonnia e infine la morte. Adrian ti ha mentito solo per farti stare peggio. Non hai nessuna colpa per la morte di Louise.”
Tommy si massaggiò le tempie che pulsavano come un secondo cuore. Quella notizia era ciò di cui aveva bisogno per chiudere per sempre il capitolo di Greta e Louise. Si era sentito talmente in colpa che gli incubi erano peggiorati, ma quella cartella era la prova che poteva liberarsi di alcuni demoni.
“Grazie, Bel.”
“Prego. Ah, paghi tu la colazione? Ho dimenticato il portafogli a casa.” Scherzò la donna, e Tommy ridacchiò.
“Ci penso io, finta sbadata. Avete programmi per stasera? Vorrei invitare te, Diana e Jalia a casa di Polly per la cena della vigilia.”
“Finn ha detto a Diana che non siete soliti festeggiare il Natale.”
“Quest’anno abbiamo bisogno di credere in qualcosa dopo tutto quello che abbiamo affrontato. Non ti obbligo a venire, però sarebbe bello se tu sedessi al tavolo con noi in famiglia.”
Amabel si rabbuiò alla menzione sulla famiglia, specie perché quello era il primo Natale senza Bertha e senza Evelyn. La ragazza aveva deciso di restare a Londra per festeggiare con le sue amiche, aveva preso le distanze e Amabel glielo aveva permesso. In fondo, era colpa di Evelyn se lei era stata arrestata e torturata, se Lena e Isaiah erano morti, se Oliver era distrutto. Da quella storia solo Clara ne era uscita illesa: aveva ottenuto la custodia di Stacey, aveva annullato le nozze con Michael e si godeva le ricchezze dello zio defunto. Quanto a Mary, Amabel l’aveva perdonata e l’aveva aiutata a trovare un lavoro e una casa per James. Tutti i personaggi di quella tragedia avevano cercato di sopravvivere in un modo o nell’altro.
“Sì, accetto l’invito. Sono sicura che a Diana farà piacere.”
Tommy le sistemò la frangetta in modo che avesse la visuale libera, poi le accarezzò la guancia.
“A stasera.”
 
Amabel non ne poteva più di mangiare, la sua pancia non era così piena da settimane. Polly aveva cucinato quasi per un intero quartiere grazie all’aiuto di Lizzie e Linda. Arthur si era scolato la maggior parte del vino, ecco perché si era messo a raccontare vecchie storie di famiglia.
“Sentite questa! Questa riguarda Tommy! E’ davvero spassosa!”
Tommy si grattò la nuca in ansia per quello che il fratello stava per raccontare, pertanto si accese una sigaretta per dissimulare l’imbarazzo.
“Sta attento a ciò che dici, Arthur.”
“Ohi! – esclamò Arthur, ubriaco marcio – Ci pensa Arthur! Allora, Tommy e John si intrufolavano sempre al Garrison per rubare il whiskey. Una vigilia di natale di sedici anni fa John faceva da palo e Tommy entrava nel bar, mentre io sorvegliavo la strada. Le luci del Garrison si sono accese e siamo scappati di corsa, ma Tommy per fortuna aveva preso la bottiglia. Ci siamo nascosti nella soffitta di questa casa per bere. C’era qualcosa di strano in quel whiskey, l’abbiamo notato al primo sorso. Dopo poco abbiamo capito che non era alcol ma acqua! Tommy a sedici anni non aveva distinto l’acqua dal whiskey! Ci siamo fatti delle grasse risate fino all’alba. La migliore vigilia di natale della mia vita!”
Tutti scoppiarono a ridere, anche Charlie senza capire bene, e Tommy tentò di nascondere la faccia. Amabel si strozzò con l’acqua per le risate e tossì per respirare regolarmente.
“Oh, ma allora sei stato anche tu un ingenuo ragazzino.”
“Non me lo ricordavo neanche quell’episodio.” Disse Tommy, ma il suo sorrido divertito la diceva lunga. Amabel d’istinto gli stampò un bacio sulla guancia.
“Sei un pessimo bugiardo, Shelby.”
“Che schifo!” esclamò Finn dal nulla, guardando in direzione di Linda. Sotto di lei c’era dell’acqua ammassata. Amabel scattò in piedi come se una molla l’avesse tirata su.
“Si sono rotte le acque! Ci aspettavamo che il bambino nascesse tra due settimane, ma sembra che abbia anticipato il momento.”
Linda stava già sudando, respirava come le avevano insegnato in clinica e si appoggiò ad Arthur.
“Che facciamo?”
“Adesso ti facciamo partorire! I miei polsi sono ancora in via di guarigione, perciò ho bisogno di Lizzie, Polly, Ada e Jalia. Mi serve acqua calda, asciugamani, garze, disinfettante o alcol di qualsiasi genere. Forza, forza!”
Lizzie e Ada aiutarono Linda a salire di sopra, mentre Jalia e Polly raccoglievano l’occorrente in giro per casa. Amabel si legò i capelli con l’aiuto di Diana, si infilò i guanti che portava sempre nella borsetta, e raggiunse le altre donne di sopra.
Arthur strofinò le mani, scrollò le spalle e fece scricchiolare il collo; stava per diventare padre e l’adrenalina era a mille.
“Direi che possiamo aprire quella bottiglia di champagne che abbiamo rubato durante l’attacco al locale di Sabini. Mio figlio sta per nascere!”
Intanto che loro festeggiavano, Tommy si mise a fumare alla finestra. Le stelle baluginavano nel cielo, il panorama non era mai stato tanto limpido a Small Heath.
“Tommy, posso parlarti?”
Diana, con due fiocchi rossi tra i lunghi capelli castani, aveva l’espressione intimorita di un cerbiatto accecato dai fari.
“Certo. Prendi la giacca, facciamo due passi.”
Il freddo era secco, punzecchiava i loro volti come fossero aghi di ghiaccio, e la neve era bianca e dura sotto le scarpe.
“Volevo parlarti di Finn.” Esordì Diana, le mani in tasca, gli occhi bassi.
“Sì, immaginavo. Per questo preferisco parlarne fuori. E’ successo qualcosa? Finn è stato sgarbato con te?”
“Cosa? No! No, lui è sempre gentile con me. E’ davvero un bravo ragazzo. Quello che voglio dirti è proprio questo: Finn non appartiene al vostro mondo. Potrà esserci nato, ma non fa per lui. E’ un ragazzo sensibile e fragile.”
Tommy gettò la sigaretta a terra e la pestò, facendo sobbalzare Diana.
“Che stai cercando di dirmi, Diana?”
“Io vorrei che Finn venisse a Londra con me. Amabel mi ha trovato una nuova governante, la signora Miles, ma io devo ancora farci l’abitudine. E poi, Evelyn è andata via di casa e io mi sento sola. Sarebbe bello se Finn vivesse con me, farebbe bene a entrambi. La morte di Isaiah lo ha molto sconvolto, forse allontanarsi da Birmingham potrebbe fargli bene.”
Diana si aspettava che Tommy le urlasse contro, invece si limitò a ghignare.
“Tu e Amabel avete proprio lo stesso sangue. Sapevo che me lo avresti chiesto.”
Tommy inarcò il sopracciglio quando Diana gli mise una mano sulla spalla, un gesto fin troppo audace per una ragazzina che negozia con un uomo.
“Io lo so che un giorno Finn dovrà ereditare le vostre attività, però è anche giusto che abbia una seconda opzione. E’ ancora giovane, non conosce la guerra come te e Arthur, e può fare grandi cose. Finn può essere ancora salvato.”
“Io non decido per Finn. Ormai è grande abbastanza da poter scegliere da solo. Dovremmo chiederlo a lui.”
Tommy invitò Diana a rientrale, le tenne la porta aperta e addirittura l’aiutò a togliersi il cappotto. Michael e Arthur stavano tracannando tutto lo champagne tra le risate, mentre Finn sedeva in cucina con lo sguardo perso nel vuoto; avrebbe voluto che Isaiah fosse lì con lui.
“Finn. – lo richiamò Tommy – Ti piacerebbe trasferirti a Londra con Diana?”
Finn spalancò la bocca e strabuzzò gli occhi, pareva che avesse smesso di respirare.
“C-come? A Londra con Diana?”
“Sì, è quello che ho detto. Insomma, ti piacerebbe o no?”
Diana guardò Finn speranzosa, era importante quella domanda. Il ragazzo, però, fissava il fratello con insistenza.
“Sì, mi piacerebbe eccome. Ma … ma tu me lo lasceresti fare? Dici sempre che nessuno sotto il tuo controllo lascia Small Heath. La famiglia prima di tutto, giusto?”
Arthur e Tommy si misero a ridere causando a Finn un profondo imbarazzo. Era umiliante essere deriso davanti alla propria ragazza.
“Presto Amabel e Diana faranno parte della famiglia, perciò puoi lasciare Small Heath se vuoi.” Disse Tommy, enigmatico nelle sue parole. Finn si alzò e, senza degnare Diana di uno sguardo, si avviò all’uscita.
“Non voglio andare a Londra. Voglio restare a Birmingham.”
Diana sentì il proprio cuore spezzarsi, e temette che agli lo avessero sentito.
 
Linda abbracciava suo figlio con le lacrime agli occhi. Arthur aveva fatto irruzione nella stanza al primo vagito, con l’odore di champagne che gli impregnava i baffi. Amabel ricordò di aver vissuto più o meno lo stesso momento quando era nato Charlie.
“Come vuoi chiamarlo?”
“Billy. Billy* Shelby!” annunciò Arthur sollevando il bambino come fosse un trofeo.
 Ada e Lizzie accerchiarono il nuovo nato tra moine e bacini. Jalia scese di sotto a dare la notizia al resto della famiglia. Amabel si isolò per sciacquarsi per bene le mani.
“Tu sei furba.” Disse Polly passandole l’asciugamano.
“A cosa ti riferisci?”
“Tommy mi ha detto che gli hai mostrato la cartella di Louise. Pare che sia morta di pertosse. Sappiamo entrambe che è una bugia. Louise si è suicidata perché amava Tommy ma non poteva averlo.”
Amabel si bloccò, l’acqua rossa di sangue che gocciolava nel lavandino, e si assicurò che gli altri non ascoltassero.
“Sì, ho mentito. Ho falsificato la cartella per illudere Thomas che non sia colpa sua.”
“Perché?”
“Perché tuo nipote non ha bisogno di un altro motivo per odiarsi. Ha fin troppi demoni che lo assillano, e uno in meno è da considerare una vittoria.”
Polly ammirava la determinazione di Amabel, sempre pronta a difendere Tommy, anche a costo di manipolare una cartella medica.
“Tu saresti una mia degna erede, sai. Tu, Amabel, hai le doti necessarie per mandare avanti questa famiglia come faccio io.”
“Non credo, Polly. Tu hai una forza da leonessa che io non avrò mai.”
Polly le scompigliò la frangetta con un sorriso sornione.
“Tu sei una rondine, mia cara. Leggiadra, elegante e, se necessario, spietata.”
 
Cinque mesi dopo
Era una soleggiata domenica di maggio, una di quelle in cui il cielo e limpido e gli uccellini cinguettano in allegria. Amabel, distesa sul telo, ascoltava il rumore delle onde contro gli scogli ad occhi chiusi. Era una sensazione di piacevole serenità. In lontananza la spiaggia di Exmouth si stendeva per chilometri e chilometri di sabbia dorata. Era fortunata a poter osservare il mare congiungersi con il cielo all’orizzonte. A riva Tommy e Charlie giocavano con la sabbia bagnata nel tentativo di costruire un castello.
“Dottoressa, abbiamo bisogno delle tue capacità per rianimare questa torre!” gridò Tommy, e Amabel rise per il mucchio di sabbia sopra cui si era seduto Charlie. Mancavano due settimane all’inizio di giugno, la brezza estiva già si faceva sentire e i gabbiani sorvolavano la spiaggia in cerca di cibo. Lì c’era una pace che a Birmingham non ci sarebbe mai stata.
“Bel!” strillò Charlie avvolgendo le braccia intorno alle ginocchia della donna. Ormai aveva un anno e mezzo, camminava e pronunciava le prime parole. La prima in assoluto era stata ‘Polly’ poiché aveva trascorso la maggior parte di tempo con la zia, poi aveva detto ‘papà’ e infine aveva imparato a dire ‘Bel’; inutile nascondere che Amabel si era commossa la prima volta che il bambino l’aveva chiamata per nome, era stato difficile trattenere le lacrime.
“Ah, questo bel bambino me lo mangio tutto!”
Amabel prese Charlie tra le braccia e lo tempestò di baci su tutto il viso mentre gli faceva il solletico. La risata del piccolo era talmente cristallina che fece ridere anche Tommy. Era sempre bello vedere Amabel e Charlie interagire.
“Papà non se lo merita un bacio?”
Charlie si arrampicò su Tommy e gli diede un bacino impacciato sulla guancia, dopodiché si accucciò con la guancia contro il suo petto.
“Come sono belli gli uomini della famiglia Shelby.” Disse Amabel ridacchiando. Era talmente bella che Tommy si sporse per baciarle a stampo le labbra.
“Questi due uomini vogliono farti una domanda.”
“Di che si tratta?”
Tommy estrasse dal taschino della camicia un piccolo oggetto che nascose nella mano di Charlie. Quando la mano paffuta del bambino si aprì, Amabel vide un anello d’oro sormontato da una piccola pietra di smeraldo.
“Amabel Hamilton, vuoi passare il resto della tua vita con noi?”
Il sorriso di Amabel si spense. Di colpo si era fatta triste. Erano successe tante cose brutte nei mesi precedenti che le cose belle venivano oscurate.
“Thomas, io non credo che sia un buon momento.”
“Io volevo chiederti di diventare mia moglie già a Natale, ma ho aspettato perché tu stavi soffrendo per la scomparsa di Bertha e la rottura con Evelyn. Però adesso devo chiedertelo sennò impazzisco a tenerlo dentro. Perché ti spaventa tanto?”
“Perché temo che in questo momento non possa funzionare un matrimonio tra di noi.”
Tommy si infilò l’anello in tasca con fare nervoso, quel rifiuto non era stato contemplato. Sistemò Charlie sulla sabbia in modo che tornasse a giocare.
“Quindi tra di noi funziona solo quando scopiamo di nascosto? Non credevo che ti vergognassi di stare con me.”
“Io non ho detto questo! – ribatté lei – Non mi vergogno di amarti e di stare con te. E non ridurre la nostra storia ad una spregevole avventura di solo sesso!”
“Ah, non è solo sesso tra di noi? Che scoperta! Ero convinto che tra di noi le cose normali non funzionassero!”
Charlie si bloccò con le mani immerse nella sabbia per via delle urla del padre. Amabel gli accarezzò i capelli per tranquillizzarlo.
“Non mi sento pronta ad accettare. Devo ancora elaborare una marea di cose che mi sono successe. Ho bisogno di un attimo di respiro. In pochi giorni ho perso la mia seconda madre, mia sorella ha prelevato la sua eredità ed è andata a vivere da sola, e il mio migliore amico non vuole vedermi. Inoltre, non so nemmeno se potrò darti un figlio. Devo raccogliere i pezzi che sono andati perduti. Ti prego, Thomas.”
Tommy non riusciva a resistere quando Amabel usava quel tono disperato, gli sembrava di peggiorare il suo stato d’animo. Era giusto concederle del tempo per pensare.
“Non voglio sposarti per avere un figlio! Voglio sposarti perché sono innamorato di te.”
“Dammi tempo, Thomas. Ti supplico.”
“Va bene. Quando sarai pronta, mi darai la tua risposta.”
Amabel lo abbracciò forte affondando il viso nella curva del collo, e Tommy la strinse a sua volta.
“Thomas, io …”
“Lo so.”   
 
Tre mesi dopo
Diana salutò le sue amiche con un rapido abbraccio, era ora di cena e doveva tornare a casa. Faceva ritorno da un pomeriggio trascorso al parco a mangiare gelato e spettegolare, ed era decisamente stanca. Varcata la porta, trovò la signora Miles intenta a imbandire la tavola. Era una donna minuta, con i capelli grigi legati in uno chignon di trecce, due occhi scuri e una bocca sempre tesa in un sorriso gentile.
“Buonasera, signora Miles.”
“Buonasera e bentornata, signorina. Vi siete divertita?” chiese la donna riponendo un terzo bicchiere sul tavolo.
“Sì. Perché un terzo bicchiere? Evelyn è tornata?”
“Vostra sorella non è tornata. Mi dispiace, signorina. In compenso, credo che il nostro ospite per voi sia una gradita sorpresa. Vi aspetta in salotto.”
Diana corse in salotto, il cuore che batteva per l’agitazione, e la sua speranza era che fosse Amabel la sorpresa. Voleva passare del tempo con l’unica sorella che le era rimasta. Quando i suoi occhi incontrarono quelli di Finn, fece un passo indietro.
“Diana, aspetta. Per favore!”
“Che ci fai tu qui? Sei stato molto chiaro mesi fa sulla tua permanenza a Londra.”
Finn recava in mano un mazzo di margherite, gli stessi fiori che le aveva regalato come primo pegno d’amore, e gli abbandonò sul divano per avvicinarsi a lei.
“Ho cambiato idea. Sono stato uno stupido a rinunciare, ma allora ero confuso e arrabbiato per quello che era successo al mio migliore amico. Adesso sono più lucido. Io non voglio finire come Giulietta e Romeo.”
Diana si portò le mani al cuore e schiuse le labbra per l’incredulità.
“Come, scusa?!”
“Beh, Giulietta e Romeo prima si sono separati e poi sono morti. Io non voglio perderti adesso che ti ho trovato.”
“Finn, hai bevuto?”
Finn scavò nelle tasche dei pantaloni e ne tirò fuori un bigliettino stropicciato. Lo srotolò e lo lesse ad alta voce.
“D’ora in avanti chiamami ‘Amore’, ed io sarò per te non più Romeo, perché mi avrai così ribattezzato. Così ha detto Romeo a Giulietta, e si sono innamorati. Cioè, io non mi chiamo Romeo … però, ecco … tu … ehm … mi sono perso. Cazzo!”
Diana scoppiò a ridere per la faccia rossa d’imbarazzo di Finn. Gli gettò le braccia al collo per abbracciarlo.
“Finn Shelby, tu sei adorabile!”
“Grazie. Non volevo dire le parolacce.”
“Resti davvero con me a Londra?”
“Resto davvero.”
Diana si issò sulle punte e lo baciò, al che Finn avvertì i battiti del cuore accelerare a dismisura. La sua nuova vita aveva inizio con quel bacio.
“A cena, ragazzi!”
 
Tommy fumava, e guardava la gente impegnata in un intenso via – vai. Faceva caldo ma il cielo di Birmingham era carico di nuvoloni oscuri che avrebbero dato vita ad un tremendo temporale. Sorrise automaticamente quando vide Amabel scendere la scalinata della clinica. Indossava un vestitino azzurro che metteva in risalto le sue forme, ed era bella come sempre. I polsi erano guariti dopo un’intensa riabilitazione e i lividi, macchie che oscuravano la sua pelle con estremo dolore, erano scomparsi; era tornata la donna di sempre.
“Dottoressa Hamilton, ce l’avete un momento per questo povero uomo malato?”
Amabel gli riservò un sorriso felino e, dopo essersi avvicinata, lo afferrò per la cravatta e lo baciò.
“Ho sempre tempo per voi, signor Shelby. Quali sono i sintomi della vostra malattia?”
Tommy l’attirò in un bacio passionale, e l’uno sorrise sulle labbra dell’altro.
“Avverto terribilmente la mancanza della donna che amo. Quella donna lavora troppo e ha poco tempo per me.”
“Oh, ma è una malattia mortale! Avete bisogno di cure immediate.” Disse Amabel, e lo prese per mano guidandolo fino alla macchina.
“Avete voi la cura adatta ai miei malanni, dottoressa?”
Tommy rabbrividì quando Amabel gli parlò all’orecchio sfiorandogli il lobo.
“Ci penso io a voi, signor Shelby.”
Decisero di andare a casa di Tommy a cenare, dove potevano stare da soli poiché Charlie si trovava a Londra con Ada e Karl. Come al solito la credenza era vuota, perciò alla fine si erano dovuti arrangiare con quel poco che c’era. Verso le nove si ritrovarono seduti sul divano a chiacchierare.
“Ho un affare da proporti.” Esordì Amabel, con le gambe distese su quelle di Tommy.
Tommy teneva la testa reclinata sullo schienale del divano e fumava.
“E sarebbe?”
“Tu mi lasci entrare nella Shelby Company Limited e io ti sposo.”
Tommy si mise a ridere così forte da far tremolare il whiskey nella mano destra.
“Non è un affare negoziabile. Mi sento costretto a rifiutare, dottoressa.”
Amabel si alzò in piedi e si portò le mani sui fianchi, una maestra in procinto di rimproverare lo scolaro.
“Allora io rifiuto di sposarti.”
Era seria, fin troppo, e Tommy aggrottò le sopracciglia.
“Che ti prende, Bel? Stai farneticando.”
“Tre mesi fa mi hai chiesto di sposarti e io ho detto che non mi sentivo pronta, difatti in questi mesi ci ho riflettuto. Sono giunta alla conclusione che non sarò mai una moglie come le altre. Non ti aspetterò sveglia fino a che non rientri per poi rimproverarti per il ritardo. Non baderò alla casa come una brava massaia. Non farò la brava mammina tutta chiesa e bambini, se mai ne avremo. Non rinuncerò al mio lavoro e ad aiutare gli altri. Non potrai estromettermi dagli affari dei Peaky Blinders.”
Tommy, adesso irritato da quel comportamento, spense la sigaretta affogandola nel whiskey, quasi potesse affogare la sua stessa rabbia.
“Mi pare che tu ci abbia riflettuto anche troppo bene. Non mi aspetto che tu sia una brava e ubbidiente mogliettina, so che per principio non posso prenderlo da te che sei una donna indipendente e fiera. Però non capisco perché tu voglia entrare nella società.”
“Perché voglio far parte della tua vita in tutto e per tutto. Se ci sposassimo, ci sarebbe l’alta probabilità che tu mi escluda dagli affari pericolosi per proteggermi. E, se non conoscono ogni aspetto della tua vita, come posso essere tua moglie?”
Amabel era sicura che il matrimonio avrebbe acuito il senso di protezione di Tommy, che le avrebbe nascosto qualsiasi attività illegale, che l’avrebbe tagliata fuori dalla famiglia.
“Se queste sono le condizioni, io non ti voglio più sposare. Non ho intenzione di metterti in costante pericolo solo perché sei mia moglie!”
“Ecco! – replicò Amabel – Lo sapevo che avresti reagito così! Il problema è che tu non sei pronto per il matrimonio!”
Tommy la trucidò con lo sguardo, avrebbe potuto frantumarla solo con il ghiaccio nei suoi occhi.
“Mi stai sfidando? Non essere stupida, Bel.”
“E tu non essere codardo, Tommy.”
Amabel gli diede uno spintone, e lui in risposta le bloccò le braccia dietro la schiena.
“Adesso sono Tommy? Quando la principessina si arrabbia, cambia tono. Come sei suscettibile.”
“Fammi entrare in società e io ti sposo.”
“No.”
I loro corpi erano così vicini che i loro petti si toccavano. Si guardavano come se stessero per scatenare una guerra.
“Quindi va bene trascinarmi nei tuoi casini fino a quando scopiamo di nascosto, ma poi mi escludi quando le cose si fanno serie.”
“Se ti lascio entrare nella società, sarai ufficialmente nei casini fino al collo.”
Amabel tentò di divincolarsi ma la presa di Tommy era ferrea e non le lasciava scampo.
“Io sono già nei casini fino al collo. Mi hanno minacciato, mi hanno arrestato, mi sono rotta i polsi per liberarmi, sono stata rapita e tenuta in ostaggio, eppure non facevo parte della società. Io sono diventata un bersaglio nel momento in cui due anni fa ti ho stretto la mano affidandoti il mio studio.”
“Non posso.”
“Andiamo, Tommy, lo sai che ho ragione. Io voglio stare al tuo fianco nella buona e nella cattiva sorte, ma devi lasciarmelo fare.”
Tommy la spinse contro la parete e mollò la presa sulle braccia, però in compenso la bloccò al muro tenendola per i fianchi.
“Perché?”
“Perché ogni re ha bisogno di una regina. E la regina è il pezzo più importante del gioco, me lo hai detto tu stesso.” Sussurrò Amabel a pochi centimetri dalle sua labbra. Tommy non era più in gradi di resistere, ogni opposizione risultava vana dinnanzi alla determinazione di quella donna. Era umiliante la facilità con cui Amabel riusciva a sottometterlo ad ogni richiesta. Proprio come un re che si inginocchia davanti alla sua regina.
“Va bene. Dammi il tempo di preparare quei fottuti documenti in modo che tra un paio di giorni tu possa firmarli.”
Amabel sorrise trionfante, quindi gli stampò un bacio sulla guancia.
“Bravo il mio soldatino.”
Tommy, che aveva colto ogni singola provocazione, infilò le mani sotto la gonna della dottoressa per accarezzarle le cosce.
“Sei stata una bambina cattiva, Amabel Hamilton. Penso che tu debba essere rimessa in riga.”
Amabel si allontanò da lui con uno scatto agile, e la sua risata riecheggiò in tutta la stanza.
“Che aspetti, Thomas Shelby? Vieni a prendermi.”
 
Quando Tommy entrò in camera, notò che Amabel se ne stava sdraiata sul letto a guardare il soffitto. Stava ancora ridacchiando. La camera era semi-buia, solo i raggi lunari danzavano sul pavimento rischiarando l’ambiente. Tommy si sdraiò accanto a lei reggendosi su un gomito.
“Davvero vuoi sposarmi?”
“Forse.”
“Nonostante tutto?”
La donna si mise su un fianco e annuì, i suoi occhi erano sorridenti.
“Nonostante tutto.”
Tommy si chinò a baciarla, aveva voluto farlo per tutta la sera e adesso era come togliersi un peso dal cuore. Amabel lo attirò in un bacio famelico, fatto di labbra morse e sorrisi.
“Tu mi sorprendi sempre, Bel.”
“Sono una donna piena di sorprese!”
Amabel lo spinse sul materasso e si mise a cavalcioni, dopodiché iniziò a sbottonargli la camicia. Tommy si lasciò spogliare con tutta calma, ammirando ogni gesto della donna che amava con un ghigno malizioso.
“Lo sai che sarò il tuo Thomas finchè morte non ci separi?”
Amabel sorrise, e con le dita tracciò i tatuaggi di Tommy sul petto e sulla spalla; erano i ricordi di una guerra che non era ancora finita.
“Lo so. E non vedo l’ora di averti tutto per me per sempre.”
Tommy fece risalire le mani dai polsi di Amabel alla camicetta, che fu tolta con facilità, e passò ad accarezzarle le spalle e la schiena. Le sganciò il reggiseno e lo fece cadere per terra, incurante dei vestiti che presto avrebbero ricoperto il pavimento. Amabel non ebbe l’impulso di coprirsi il seno nudo perché, se c’era una persona capace di farla sentire desiderata, era Tommy.
“Pertanto, signorina Hamilton, vuoi sposarmi?” chiese Tommy, e intanto con i polpastrelli tracciava il profilo dei seni della donna. Amabel scosse la testa con una risata compiaciuta.
“Signor Shelby, tu fammi firmare quei documenti e dopo ti do la mia risposta.”
“Tu proprio non hai intenzione di darmi tregua, vero?”
Tommy si mise seduto contro la testiera del letto e Amabel si sistemò meglio su di lui, e con le mani continuavano a giocare l’uno sulla pelle dell’altro.
“Nessuna tregua per te, Thomas. Solo duro lavoro.”
“Vediamo se stanotte riesco a convincerti a darmi una risposta.” Disse lui, e le posò un bacio nel solco in mezzo ai seni. Amabel sospirò per il calore delle labbra di Tommy che si muovevano decise su di lui.
“Dovrai impegnarti al massimo.”
“Oh, mia cara, io do sempre il massimo.”
La risata di Amabel fu interrotta dalle labbra di Tommy in un bacio vorace. Gli ultimi indumenti finirono accanto agli altri per terra nei minuti successivi. Tommy portò Amabel sotto di sé e si posizionò tra le sue gambe senza smettere di baciarla. Amabel, dal canto suo, gli avvinghiò le gambe intorno ai fianchi e le braccia intorno al collo per attirarlo a sé.
Tommy sospirò quando Amabel fece scorrere le unghie lungo la sua schiena, era una piacevole tortura. Si curvò a baciarle il collo, le clavicole, scendendo a posare le labbra sui seni, e infine baciandole la pancia.
“Quindi mi sposi?” le sussurrò sulla bocca, poi le morse il labbro inferiore. Amabel rise e scosse la testa, mentre con le dita sfiorava le cicatrici sulla schiena di Tommy.
“No. Dovrai essere più persuasivo, mio caro.”
Tommy adorava quel suo fare provocatorio, perciò le stampò un bacio sulle labbra ancora increspate in un sorriso.
“Io ti amo.”
Amabel vide negli occhi azzurri di Tommy un barlume di gioia, così insolito per lui che si mostrava quasi sempre stoico, e gli accarezzò gli zigomi con i pollici.
“Ti amo anche io, Thomas.”
Dopodiché ripresero a baciarsi e spogliarsi anche dell’intimo in modo che non ci fossero più barriere. Amabel, mossa da una inconsueta intraprendenza, fece stendere Tommy di schiena e tornò a cavalcioni su di lei.
“Alla principessina piacciono le posizioni di potere.” Disse Tommy pizzicandole i fianchi.
“Sai com’è una donna dell’alta società, adora stare al di sopra di tutti ed essere ammirata.” Ribatté lei facendo scivolare le mani sul petto muscolo di Tommy.
“Ti piace sottomettermi, eh?”
Amabel si abbassò a baciargli le labbra per poi proseguire verso l’addome.
“Tu ami essere sottomesso da me, Thomas.”
Tommy si lasciò scappare un ghigno divertito, e d’istinto le accarezzò la spina dorsale con l’indice.
“Penso che tu sia l’unica persona al mondo che possa sottomettere Tommy Shelby.”
“E lo faccio in un modo estremamente piacevole.” Disse Amabel, e gli depositò un bacio sulla parte sinistra dove batteva il cuore.
“Mi mandi fuori di testa, Bel.”
Dopo una serie di altri baci passionali e mani che si rincorrevano, Amabel iniziò a muoversi e Tommy ad accompagnare ogni suo movimento. Ben presto la camera si riempì di gemiti e sussurri. Il loro era un abbraccio caldo e sensuale, un mezzo per dimenticarsi dei problemi e perdersi nella pace. Ad ogni spinta l’intensità del piacere aumentava, gli ansimi si accrescevano, e le loro labbra erano sempre più avide di baci.
“Mi sposi?” domandò Tommy per l’ennesima volta. Le sue braccia erano avvolte intorno al corpo caldo di Amabel, che rise di nuovo.
“Dovrai fare di meglio per convincermi.”
“Ogni tuo desiderio è un ordine.”
Tommy l’afferrò per i fianchi e la portò sotto il proprio corpo, e lei non si oppose. Anzi, Amabel colse l’occasione per serrare le gambe intorno al suo bacino per annullare ogni centimetro di distanza.
Tommy prese le mani di Amabel e fece intrecciare le loro dita in una presa salda, e nel frattempo le spinte procuravano straordinarie ondate di piacere. Tutta la frenesia del desiderio raggiunse il culmine dilagando in un delizioso appagamento. Tommy, con il respiro accelerato, strinse a sé Amabel e le baciò la tempia.
“Adesso mi sposi?”
Amabel si produsse in una risatina e affondò la guancia nel petto di Tommy. Quella domanda si librò nell’aria senza ottenere una risposta.
 
Una settimana dopo
Quella domenica mattina Tommy si svegliò alle sei come faceva da quando era adolescente. La prima cosa che i suoi occhi videro fu la figura di Amabel che dormiva serenamente. I capelli castani erano sparsi sul cuscino, respirava piano e le ciglia tremolavano. Era così bella che allungò una mano per scostarle la frangetta dalla fronte. Si alzò senza fare troppo rumore per scendere in cucina. Mentre attraversava il corridoio, sbirciò nella stanza di Charlie e notò che il bambino era sveglio. 
“Ehilà, piccoletto.”
Lo prese in braccio e gli baciò la guancia, e il bambino si accoccolò sulla sua spalla. Recuperò alcuni fogli dalla valigetta che giaceva sul divano, poi andò in cucina per preparare la colazione. Charlie, seduto sul marmo della cucina, sgranocchiava un biscotto.
“Facciamo una sorpresa a Bel, che ne dici?”
“Bel! Sì!”
Dopo aver organizzato un piccolo vassoio, Tommy ritornò di sopra con Charlie che sgambettava davanti a lui. Tommy lasciò il vassoio sul comodino e aiutò il figlio a salire sul letto, dopodiché si sedette al suo posto. Charlie scrollò Amabel ma, non ricevendo nessuna reazione, guardò il padre con occhi tristi.
“Dalle un bacino. Riprova, dai.”
Charlie allora scoccò un bacio sonoro sulla guancia di Amabel, che sbatté le palpebre un paio di volte.
“Bel!” esultò il bambino con la felicità impressa in viso. Amabel, sebbene ancora intontita dal sonno, si mise seduta e abbracciò il piccolo. Charlie si rannicchiò contro di lei sotto le coperte. Tommy non poté fare altro che sorridere, quella vista era la migliore della sua vita.
“Buongiorno, Thomas.” Mormorò Amabel accarezzando la mano di Tommy.
“Buongiorno a te. Io e Charlie abbiamo preparato la colazione: una tazza di caffè e biscotti alla cannella per te.”
“Oh, ma come siete carini con me. Grazie!”
Tommy dispose il vassoio sul letto e offrì ad Amabel la tazza di fumante caffè, mentre diede a Charlie il biberon di latte. Il bambino si sedette sulle gambe di Amabel e bevve la sua colazione con tutta la serenità dei suoi quasi due anni. Tommy mangiucchiò un paio di biscotti guardando i suoi grandi amori abbracciati.
“Fuori piove, tipico di Birmingham. Hai programmi per oggi?”
“Oggi è domenica, niente programmi. Hai in mente qualcosa, Thomas?”
“Ada ci ha invitato a pranzo a casa sua per festeggiare il tuo ingresso ufficiale in famiglia.”
A quell’annuncio Amabel abbandonò la tazza sul comodino nella totale confusione.
“In che senso?”
Tommy le consegnò un plico di documenti, circa una decina di fogli che riportavano in alto il logo della Shelby Company Limited.
“Devi apporre la firma sull’ultimo foglio per entrare nella società a tutti gli effetti.”
“Davvero? Io credevo che la tua famiglia si sarebbe opposta.”
Effettivamente Tommy aveva faticato per convincere Arthur ad accettare Amabel come membro dei Peaky Blinders. Il fratello maggiore sosteneva che la dottoressa influenzava le scelte di Tommy in mono negativo, ma zia Polly era intervenuta a favore di Amabel e Arthur era stato costretto a cedere.
“La mia famiglia ti adora. Allora, mettiamo questa firma?”
“Assolutamente sì.”
Tommy raccattò una penna dallo scrittoio e Amabel appose la firma, suggellando la sua entrata in famiglia.
“Ora che fai parte dei Peaky Blinders e sei coinvolta negli affari, ho bisogno del tuo aiuto.”
“Che cosa ti serve?”
Charlie intanto si rotolava in mezzo a loro ridendo senza alcun motivo.
“Voglio ripulirmi.” Disse Tommy, e Amabel corrugò la fronte.
“Non ho capito.”
“Voglio ripulirmi, Bel. Pian piano voglio tirarmi fuori dagli affari illegali, smetterla con le scommesse e con le corse, smetterla con i pub e con le armi. Voglio essere un uomo degno di te e di Charlie, della nostra nuova famiglia. Per farlo ho intenzione di entrare nel Parlamento di Londra. In questo modo avrò la possibilità di stringere nuove alleanze che mi permetteranno di piantarla con la vita criminale.”
Amabel era sbigottita, non aveva mai ipotizzato che Tommy un giorno avesse potuto confessare la volontà di ripulirsi.
“Ehm … sì, va bene. Come posso aiutarti?”
“Richard Linus è il capo del partito laburista di Birmingham, e so che era molto amico di tuo padre. Se tu lo convincessi ad accettarmi nel partito, io mi candiderei per il Parlamento.”
Amabel guardò prima Tommy e poi Charlie, entrambi avevano bisogno che la violenza dei Peaky Blinders non facesse più parte delle loro vite.
“Domattina andrò a parlare con Linus. Ce la faremo.”
“Bene. Ma ora è giunto il momento che aspetto da mesi.”
Amabel nascose il viso nelle mani quando Tommy mise in mano a Charlie un anello d’oro con uno smeraldo al centro.
“Thomas …”
Tommy si inginocchiò sul letto e Charlie spalancò la manina, l’anello riluceva sotto i timidi raggi del sole offuscati dalle nuvole.
“Amabel Hamilton, vuoi passare il resto della tua vita con me e Charlie?”
“Sì, con tutto il mio cuore.”
Tommy le infilò l’anello al dito, poi la trascinò in un bacio emozionato e carico di sentimenti. Charlie avvolse le esili braccia intorno alla vita della donna e lei gli baciò la testa.
“Sei mio per sempre, Thomas.”
“Bel, io sono tuo da sempre.”
 
 
Un’auto nera si parcheggiò davanti alla sontuosa villa. Il maggiordomo si affrettò ad aprire la portiera alla signora. Evelyn Hamilton era tornata a casa subito dopo il matrimonio, avrebbe trascorso la luna di miele nella grigia Birmingham. Suo marito, Robert ‘Bobby’ Kimber, le baciò il dorso della mano e la invitò nella loro nuova casa.
“Sai una cosa, Bobby? Sono davvero contenta di essere tornata.”
“E sarai ancora più contenta quando farò di te la regina di questa città.”
Tommy Shelby si era appena guadagnato un nuovo nemico.
 
 
Salve a tutti!
Per ora Tommy e Amabel hanno avuto il lieto fine, ma sembra proprio che Evelyn sia sul piede di guerra.
Per scoprire come andrà a finire dovete aspettare per la terza parte della storia.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
GRAZIE di cuore per aver seguito la storia.
Alla prossima.
Un bacio.
 
*Penso che il figlio di Arthur si chiami William e che Billy sia il diminutivo.
 
Ps. Il figlio di Billy Kimber è una mia invenzione.

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3853258