Penny Lane

di Fre Angel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II-No Reply ***
Capitolo 3: *** Capitolo III-I'm a Loser ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV -Strawberry Fields Forever ***
Capitolo 5: *** Capitolo V- All you need is love ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI - All My Loving ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII - The End ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Alle otto di mattina la casa è già avvolta nel silenzio. Agatha giocherella con le uova fritte impigliate tra i rebbi della forchetta. Rimarranno lì ancora a lungo, per poi scivolare nella pattumiera della cucina ed essere nascoste da dei fazzoletti bianchi di carta verso mezzogiorno.
Tiene ancora nascosta la notizia della gravidanza a Philip: ama suo marito con tutto il cuore, ma qualcosa la blocca. Non è la sua famiglia: i suoi genitori sarebbero contenti di diventare nonni, già non vedono l'ora a dir la verità. Di quattro figlie, lei è l'unica sposata, l'unica che ha abbandonato i sogni da adolescente per iniziare a comportarsi in maniera adulta. Agnes, la maggiore, ha deciso di intraprendere la carriera universitaria, ma al momento sembra più interessata all'uso dell'erba rispetto alla letteratura inglese. Rosemary, la seconda, gira l'Europa a bordo di quei famosi camioncini insieme a Serena, la quarta. ARAS. Le iniziali di tutte loro formano il nome del fiume che segnava il confine tra l'impero russo e quello persiano. Scelta presa non a caso, visto che loro padre è originario di Mosca e loro madre di Tehran. L'unione di queste due culture ha portato Agatha ad avere una pelle ambrata, dei capelli biondo miele e due occhi grigi, come il ghiaccio di sera.
Anche lei si era divertita nel corso della sua adolescenza, ma tende ad allontanare i ricordi degli anni passati, perché appartengono ad una ferita che fa ancora molto male.
Lasciare Liverpool è stata senza dubbio la svolta più tragica della sua vita. Le crollò il mondo ai suoi piedi quando suo padre le diede la notizia in modo categorico.
Ma non tutto il male viene per nuocere, e trovò subito il suo posto nella capitale inglese. Aveva cominciato a lavorare in un negozio di fiori, lo stesso dove aveva conosciuto Philip. Due settimane di corteggiamento, due anni di fidanzamento, ed ora sono sposati da sei settimane.
Scosta il piatto da sé, Philip è andato a lavoro già da mezz'ora, lei rimarrà da sola in casa fino al pomeriggio. Si alza lentamente, porta le stoviglie al lavandino e passa qualche secondo a guardare fuori la finestra la pioggia scendere sulle strade grigie di Londra. Avrebbe voglia di accendersi una sigaretta, ma la nausea ha la meglio e per stemperare il peso che ancora non ha trovato origine, decide di accendere la radio.
Un gesto impulsivo, non da lei. Ha una regola ferrea: mai accendere la radio dopo l'uscita di un album dei Beatles, perché si ritroverà le loro canzoni.
E la conferma di aver sbagliato le arriva dalle prime note intonate da Paul. Lei non può fare niente, se non cominciare a perdersi tra i suoi ricordi.

"In Penny Lane there is a barber showing photographs/ of every head he's had the pleasure to know/ and all the people that come and go/ stop and say hello."

«Sbrigatevi, pelandroni!»
«Sei l'unica persona al mondo che usa ancora la parola"pelandroni"» La prese in giro Paul.
«Solo perché voi siete gli unici ragazzi in tutto il mondo a meritarvi tale appellativo.» Agatha sorrise, e quel sorriso illuminò il suo volto e i suoi occhi grigi.
Starle accanto era una sfida, John e Paul lo sapevano bene. La primavera del 1958 aveva cambiato le loro vite: un'amicizia innocente si era trasformata rapidamente in qualcosa di più profondo. Sebbene fossero pronti alle relazioni già dalle scuole medie, nessuno dei tre avrebbe mai immaginato di potersi innamorare così tanto di due persone nello stesso momento.
L'estate li aveva uniti fisicamente, e nonostante sapessero che quel rapporto poteva essere considerato peccaminoso, decisero di portarlo avanti in gran segreto, perché era stupido privarsi della felicità che riuscivano a darsi.
Agatha si fermò davanti la vetrina di un barbiere, guardando le foto delle acconciature esposte. Si voltò verso i ragazzi, studiando i loro capelli.
«Sono troppo in disordine, dovete darvi un'aggiustata.» Senza dar loro modo di replicare, entrò dal barbiere, salutando in tono squillante il proprietario del negozio.

"On the corner is a banker with a motor car/ the little children laugh at him behind his back/ and the banker never wears a mac/ in the pouring rain/ very strange"

«Come puoi non esserti portato un ombrello, Johnny?»
«Non ne ho bisogno, mi piace camminare sotto la pioggia» John fece dei passi in avanti, lasciando Paul indietro assieme all'ombrello che stavano dividendo. Si ritrovò senza alcun riparo, restò fermo a braccia aperte e con la testa all'insù per godersi l'acqua fresca che gli bagnava il volto. Dei bambini che erano appena usciti da scuola lo guardavano ridendo, e lui fece loro un inchino, ricambiando i sorrisi.
Agatha lo rincorse e gli prestò il suo, lui le scoccò un bacio sulle labbra. La ragazza rimase di stucco, non avevano mai osato così tanto in pubblico. Ma la sua parte di sangue russo riusciva a farle mantenere la calma, mostrando un'apparente mancanza di emozioni. «Vuoi forse farti venire la febbre prima della partenza per Amburgo?» disse tutto d'un fiato, porgendogli l'ombrello. Andò sottobraccio a Paul per ripararsi dalla pioggia che stava diventando sempre più battente e posò la sua testa sulla spalla di lui. John li guardò per un attimo, poi si voltò dall'altra parte, cercando di nascondere la sua gelosia.

"Penny Lane is in my ears and in my eyes/There beneath the blue suburban skies I sit/and meanwhile back"

«Questa camera sa di sudore e muffa.»
«Non fare la mammina snob.» John si distese accanto ad Agatha, entrambi nudi.
«Ti manca solo Liverpool, ecco perché fai così.» Paul si mise su un fianco, baciandola dolcemente sulle labbra.
Lei dava le spalle a John, ma questa posizione non dispiacque al ragazzo. Le accarezzò i fianchi, poi le cosce e le natiche. La baciò sul collo e le morse il lobo dell'orecchio sinistro.
«Come può mancarmi Liverpool...» disse, allontanando leggermente Paul dalla sua bocca «se in questo momento è davanti ai miei occhi...» si volse di poco, per baciare anche le labbra di John «e anche sulle mie orecchie?»
I tre si sorrisero, poi ripresero ad amarsi per la seconda volta quella mattina.

"In Penny Lane there is a fireman with an hourglass/And in his pocket is a portrait of the Queen/He likes to keep his fire engine clean/It's a clean machine"

John e Agatha non riuscivano a smettere di ridere. Non sapevano neanche perché lo stessero facendo, non c'era motivo di essere così divertiti visto che l'episodio dell'incendio costò loro l'espulsione dalla Germania e il ritorno a Liverpool. Ma Paul raccontava quell'aneddoto con enfasi, mimando le fiamme che andavano alte verso il soffitto e mangiavano ogni centimetro di stoffa delle tende. Era impossibile rimanere seri.
Agatha bevve un sorso della sua birra e si guardò attorno, asciugandosi le lacrime che le risate avevano fatto uscire dai suoi occhi.
«Siete destinati a conquistare il mondo.» Paul si passò la lingua sulle labbra, il cambiamento di tono spiazzò completamente i due ragazzi. «Dico sul serio, avete un'energia pazzesca, ho visto come vi guardavano le ragazze ad Amburgo: sognavano di avervi.» I due si guardarono, arrossendo visibilmente. «E lo so che vi hanno avuti, non è un problema questo.» Bevve la birra stringendosi tra le braccia di Paul. Era chiaramente una bugia, ma sapeva che avrebbe dovuto lasciarli andare, prima o poi. Anche solo il pensiero la faceva sentire male. «Vi chiedo solo una cosa. Quando sarete famosi... non dimenticatemi.»
«Come potremmo dimenticarci di te?» chiese John mentre stava masticando una manciata di noccioline.
«Sono seria...»
Paul le baciò la testa. «Scriveremo tante canzoni su di te...»
«Sì, racconteremo dei cazzeggi a Penny Lane, nulla di più, siamo dei gentleman.» Tenne a precisare John.

"Penny Lane is in my ears and in my eyes/A four of fish and finger pies in summer/Meanwhile back"

L'estate può rendere soffocante anche una città come Liverpool, ma Paul e John sapevano come rimediare e trovare un po' di refrigerio: la casa dei nonni paterni di Agatha, situata nel Cheshire, dotata di una piscina nel giardino sul retro.
Era notte, ma avevano voglia di fare un bagno per rinfrescarsi prima di andare a dormire. Dentro casa erano rimaste le sorelle maggiori di Agatha che si intrattenevano con altri amici. Era una delle ultime notti prima del ritorno a Liverpool per l'autunno.
«Dai, Gathie, vieni anche tu.»
Rise nel vedere i due che facevano i pagliacci, dandosi fastidio con gli schizzi d'acqua. Si voltò verso la villetta, aveva paura che le sorelle potessero vederla. Nonostante li avesse presentati sempre come amici, le chiacchiere sul loro rapporto poco consono a dei ragazzi di sedici e diciotto anni cominciavano a farsi strada per il loro quartiere. Suo padre l'aveva redarguita più volte: lui non voleva che frequentasse ancora Lennon e McCartney. Le sorelle erano sempre state dalla sua parte e la coprivano volentieri con i genitori, ma se fossero venute a sapere la veridicità di certi pettegolezzi, avrebbero sicuramente appoggiato il padre. «Dite che il fish and chips mangiato a cena mi farà sentire male?» Ovviamente i due scossero la testa, e lei si tolse il vestito giallo e azzurro che lanciò a terra. I due fischiarono impazienti di averla in acqua. Rimase in reggiseno e mutande, ma John fu categorico: doveva togliersi tutto. Così fece.
Entrò lentamente, John la raggiunse alla scaletta, impaziente di prenderla per primo. La avvinghiò e la baciò, immobilizzandola tra il bordo vasca e il suo corpo.
Non era strano per lui fare così, e mentre Paul attendeva il suo turno guardando lussurioso il suo amico baciare la ragazza che amava, John cominciò a farla sua, bramando il suo corpo, infilando subito due dita dentro di lei.

"Behind the shelter in the middle of the roundabout/ A pretty nurse is selling poppies from a tray/ And though she feels as if she's in a play/She is anyway"

«Ripeti di nuovo perché devi indossare questo camice...»
Agatha sbuffò, scuotendo la testa mentre controllava i tulipani che stavano per sbocciare sul suo davanzale. «Per un progetto teatrale di scuola.»
I due risero di nuovo. «Vuoi diventare un'attrice?» la sfidò John.
Lei gli lanciò un cuscino del divano addosso. «No. Ma il professor Lingerberg mi ha costretto a partecipare, visto le mie numerose assenze.» Lanciò un'occhiataccia ai due, colpevoli di averla portata sulla cattiva strada.
«Fa bene, non sta bene marinare la scuola.» La prese in giro Paul, imitando un pessimo accento londinese, di dove era originario il professore.
«Vi mancherò questo pomeriggio?»
John scosse la testa e odorò la cute sua e di Paul. «Impossibile, sei sulla nostra pelle.»
«Sì, staresti con noi in ogni caso.» Annuì l'altro.
 

"In Penny Lane the barber shaves another custode/We see the banker sitting waiting for a trim/And then the fireman rushes in/From the pouring rain/Very strange"

I capelli ormai sono completamente piatti lungo il suo viso. La frangia, che aveva cercato di lasciare morbida per tutta la mattina mentre si preparava, è attaccata alla sua fronte e sembra non volersi spostare. Rimane ferma, immobile, anche quando ci passa una mano. Le dà fastidio, come le danno fastidio il cappotto e i pantaloni bagnati. L'acqua non ha evitato di entrare anche gli stivaletti e di inzupparle completamente anche le calze. Ogni passo è un'agonia, il freddo è tangibile anche dentro la sua pelle.
Si sente una stupida, una completa idiota. "Sono finiti i tempi in cui potevi fare gesti impulsivi, Gathie." Si sta ripetendo quella frase dal momento in cui ha messo piede dentro l'autobus, eppure non è riuscita a tornare indietro. Cosa la sta spingendo ad andare da loro? Si sente una completa idiota. È una completa idiota.
Gli amori adolescenziali non sopravvivono, non nel mondo reale, non se sono complicati come quello che ha vissuto lei. Nessuno ha mai avuto la conferma di ciò che sono stati. Giravano voci, è vero, ma hanno sempre fatto di tutto per farle tacere. Forse è per questo che vuole vederli: perché hanno fatto uscire "Penny Lane"? E perché con versi che può capire solo lei? Cosa vuole dimostrare andando davanti gli studi di Abbey Road? John e Paul appartengono al mondo, adesso hanno un'altra vita, lei stessa ha un'altra vita. È sposata, è incinta. Già, incinta. Che madre è quella che pensa ad andare a trovare degli uomini con cui ha condiviso il letto quasi dieci anni prima, piuttosto che rassettare casa e preparare la cena al marito?
Scende dall'autobus, ancora pochi metri e sarà arrivata agli studi. Ama ancora Philip? "Certo che sì", ma la risposta che si dà non riesce a convincerla sul serio. Perché ha attraversato metà Londra, allora? Tutto questo solo per una stupida canzone? Sorride ma le lacrime cominciano a scendere sul volto. Sono calde, si mescolano alla pioggia e fanno male. Non sa se sta male per il pianto, per la situazione o per tutto l'insieme. "Se piangi vuol dire che c'è qualcosa che non va..." una vocina dentro di sé prova a farsi spazio tra le altre che le assicurano che sta andando tutto bene, che è lì "solo per curiosità".
No, non è curiosità. Se fosse stata curiosa si sarebbe comprata le centinaia di riviste che parlano di loro, avrebbe preso i loro album, avrebbe visto o ascoltato le loro interviste. Agatha è forse l'unica donna al mondo ad aver sempre ignorato la carriera dei Beatles. Lei non è interessata a ciò che fanno. Vuole solo sapere se ancora pensano a lei. Ecco la reale motivazione che l'ha spinta ad uscire di casa ed affrontare un diluvio. Perché hanno scritto Penny Lane? Perché hanno raccontato la loro storia?
Accelera il passo e con fare deciso si passa una mano sul volto per togliersi le lacrime. La pioggia continua a bagnarla, ma va bene così.
Abbey Road. La schiera di ragazzine urlanti davanti gli studi è la prova tangibile che le conferma di aver raggiunto la sua destinazione. Hanno dei regali, dei cartelli. Urlano il nome di Ringo, di George, ma soprattutto urlano quelli di Paul e John.
Vorrebbe piangere, vorrebbe urlare, ma più di tutto vorrebbe tornare indietro nel tempo, a quando erano solo i suoi Paul e John.
Ritorna con la mente ai primi anni sessanta, quando la loro storia era giunta al termine, ma nessuno dei tre aveva il coraggio di ammetterlo.

"Gathie, non ti preoccupare se fai tardi, ti abbiamo dato un nome in codice, così la sicurezza ti farà entrare senza problemi."
"E quale sarebbe?" Chiese scocciata lei. La sicurezza? È solo un locale di Liverpool, a cosa poteva servire la sicurezza?
"Penny Lane."

Prende coraggio e si incammina verso la porta.
Suona. «Sono Penny Lane» dice decisa alla donna che le viene ad aprire. Lei la guarda basita, ma la fa accomodare in una specie di sala d'aspetto. Dà uno sguardo veloce alla folla davanti che chiede a gran voce di ricevere lo stesso trattamento della ragazza e richiude il portone.
Agatha si siede, visibilmente mortificata per aver bagnato la moquette all'ingresso e la stoffa della poltrona. Questo sembra non importare alla segretaria che dopo aver controllato dei fogli sparsi nel secondo cassetto della scrivania, la accompagna verso il vero e proprio studio di registrazione.
Ha il cuore a mille, si asciuga come può con un piccolo fazzoletto di stoffa con le sue iniziali ricamate sopra. Le gambe le tremano e non solo per il freddo e la pioggia che ha preso camminando a piedi fino a lì. È nervosa, ma l'ambiente è caldo, c'è un'energia forte, anche se al momento le due donne sono le uniche presenti. La segretaria si allontana dopo averle offerto del tè, che Agatha ha rifiutato. È troppo agitata, e in più le nausee mattutine non le permettono di mandare giù neanche i liquidi.
Accarezza gli strumenti, spera di risentire fisicamente anche il tocco di John e Paul, dei suoi ragazzi, in qualche modo. Se è vero che l'amore muove l'universo, dovrebbe avvertire una qualche forza davanti il basso di Paul. Ma non percepisce nulla. Probabilmente anche l'energia rinchiusa nel luogo dove hanno registrato "Penny Lane" non sa niente di ciò che è stato. Forse non era così importante. Forse la canzone è semplicemente dedicata alla loro zona. È soltanto un ricordo di Liverpool.
Passa mezz'ora, poi ne passa un'altra ancora.
Quando decide di tornarsene a casa, la porta finalmente si apre e il suo cuore manca un battito quando i suoi occhi incontrano nuovamente quelli di Paul.

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Capitolo 2
*** Capitolo II-No Reply ***


If I were you   
I’d realize that I               
Love you more 
Than any other guy      
And I’ll forgive 
The lies that I    
Hard before                      
When you gave me no reply

 
Paul. I suoi occhi grandi, le pupille che aumentano leggermente per metterla a fuoco. Non si sarebbe mai aspettato di vederla lì, proprio quel giorno. Lo aveva sperato a lungo, per anni aveva immaginato di incontrarla dopo ogni concerto, di leggere una sua lettera tra le migliaia che riceve quotidianamente; e proprio quando si è arreso alla certezza che mai sarebbe tornata, lei è davanti ai suoi occhi.
Ora che le parole di Penny Lane risuonano in ogni casa e in ogni negozio di Inghilterra, ora che i versi scritti da lui e John per dire definitivamente addio al ricordo di lei vengono canticchiati da migliaia di ragazzi, ora lei si è palesata e lui avverte del calore in fondo al petto: è la sensazione di essere di nuovo unicamente Paul, la stessa che prova quando gli altri vanno via e lui rimane da solo con John.      
 Agatha è rimasta ferma, immobile, senza alcun pensiero a tenerle la mente occupata. Poi Paul sorride.  Lei ritrova quel sorriso sincero, luminoso che lo fa apparire sempre più piccolo della sua reale età, e di rimando sorride anche lei, sentendosi di nuovo una ragazzina di Liverpool. Sembrano due adolescenti, il tempo si è come arrestato dentro gli studi di Abbey Road: non sono passati anni, solo pochi secondi dal loro ultimo incontro. Si avvicina a lei a grandi passi e lascia uscire l’energia del sedicenne rinchiuso nel corpo di un giovane adulto.
«Gathie!» è felice di vederla, non ci sono dubbi a riguardo. La stringe forte, le passa una mano su tutta la schiena, come per confortarla, per darle calore dopo la pioggia che l’ha infreddolita. Un gesto premuroso, tipico di Paul che da ottimo osservatore ha sempre saputo di cosa lei avesse più bisogno. Non ha più lo stesso odore che Agatha ricordava: ora sa di colonia pagata a caro prezzo mista a fumo di sigaretta.
«Sei zuppa, ma non eri tu quella che non voleva ci bagnassimo come pulcini?» sorride passandosi il pollice sulle labbra.
I ricordi del passato si affievoliscono e lei riesce a vederlo meglio, osserva i cambiamenti del tempo sul suo aspetto: è più robusto, più alto, è vestito in modo più eccentrico –camicia viola, sotto una giacca grigia e pantaloni bianchi leggermente larghi sulle caviglie- come la moda del momento impone di fare. Sul suo volto è presente un velo di peluria nera, non deve farsi la barba tutti i giorni. Questo incuriosisce Agatha che non ha mai avuto modo di confrontarsi con le versioni adulte di John e Paul. Che abitudini hanno ora? Quali sono i loro pensieri? Hanno ancora dei sogni che inseguono nonostante siano arrivati all’apice del successo già da parecchi anni?        
Avrebbe voglia di fargli tutte quelle domande, ma rimane in silenzio e quando si accorge di essere stata zitta per troppo tempo, si schiarisce la voce, cercando di non sembrare troppo impacciata. «Spero di non disturbarvi» non riesce a capire il perché si senta così intimidita: Paul è sul serio felice di vederla, lo sa, ma dopo due lustri lontani riesce ancora a riconoscere le espressioni sul suo volto? Sono ancora le stesse di una volta, o si sta dando false speranze?               
«Figurati se disturbi, è che…» si ferma, per la prima volta da quando è entrata lo vede imbarazzato. Si liscia i pantaloni, poi scuote la testa. “È ancora Paul, deve prima far ordine tra i suoi pensieri per poter parlare” pensa lei, e un po’ si rasserena. «Perché ci hai messo tutto questo tempo?»    
Eccola, la domanda che non avrebbe mai voluto sentire. Già. Perché tutto quel tempo? Non sa cosa rispondere, si agita, la mente cerca alla rinfusa tutte le scuse possibili, ma le vengono in mente solo frammenti del suo passato recente. “Non ho avuto tempo”, “il matrimonio è avvenuto così in fretta”, “la pioggia”…  poi dalla sua bocca esce la verità, quella che non ha mai ammesso ad alta voce: «Avevo paura». Paul ride, di nuovo. Si diverte? Lei incrocia le braccia al petto, sbuffando innervosita.
«Come hai potuto pensare a una cosa del genere?» Agatha scuote la testa, lo fissa senza capire, ma dallo sguardo che ha la ragazza, Paul sa che deve continuare a parlare. «Ci sono state volte in cui avevamo bisogno di te, altre in cui avremmo voluto condividere tutto questo con te» spalanca le braccia e Agatha osserva la sala di incisione. Si passa la lingua sulle labbra, incapace sul serio di credere a tutto ciò. Che c’entra lei con il loro successo? «Continui a ispirare la nostra musica» le risponde Paul, come se avesse ascoltato i pensieri dentro la sua testa. «Ti abbiamo cercata sempre quando tornavamo a Liverpool, i primi tempi. Passavamo davanti casa tua, ma non c’eri mai. Alcuni vicini ci hanno detto che ti eri trasferita a Londra, ma le tue sorelle non hanno voluto darci il tuo nuovo indirizzo, neanche il numero di telefono. Non abbiamo avuto mai il coraggio di fermare i tuoi genitori, è vero, ma sono sicuro che non ci avrebbero aiutato più di tanto».     
Ad Agatha comincia a girare la testa, avverte un senso di vuoto dovuto sia alla mancanza di cibo, sia alle dichiarazioni di Paul. Quanto tempo hanno perso? Perché le sorelle non le hanno mai detto nulla? Cosa sarebbe successo se una di loro avesse parlato? Ci sarebbe stato ancora Philip? O avrebbe trovato il coraggio di tornare da loro? Afferra lo schienale di una sedia lì vicino, la gira e si mette seduta, nauseata perché conosce la risposta a tutte quelle domande: non avrebbe mai sposato Philip e non avrebbe mai avuto in grembo il bambino che già ama più della sua stessa vita.       
«Tu non ne sapevi nulla?» le chiede Paul, probabilmente non per la prima volta, visto il tono di voce alto. Torna alla realtà e scuote la testa. «Sei stata la protagonista di molte canzoni, anche se non sempre ce ne siamo resi conto. Scriviamo di getto, poi quando proviamo per la duecentesima volta capita che io e John ci guardiamo e lì lo sappiamo: l’abbiamo scritta per te. Sei la nostra musa, ecco.»
«Non ho mai ascoltato le vostre canzoni. Cioè, solo Penny Lane, stamattina» Paul è visibilmente offeso da ciò, o forse solo perplesso. Non gli capita da tempo di avere davanti una persona che non conosce neanche una loro canzone. «Ascoltare le vostre canzoni, capire i riferimenti ad altre donne, mi avrebbe fatto male. Sono sempre stata contenta, anzi, orgogliosa del vostro successo, ma mi sono voluta allontanare il più possibile da questa Beatlemania. Non leggo neanche le notizie che vi riguardano, so qualcosa di sfuggita sull’India perché me ne hanno parlato Rosmary e Serena, ma non ho mai voluto approfondire sul serio.» Con la mano tremolante, Agatha sposta i capelli umidi dal suo volto. Paul non parla, sta assimilando tutte quelle informazioni. Non deve avergli fatto bene scoprire che i molti testi scritti per lei non sono mai arrivati a destinazione, probabilmente come a lei non ha fatto bene sapere che è stata cercata a lungo.
«E come sta John?» una domanda sciocca forse, ma che mette ancora più in difficoltà Paul, Agatha lo nota dal fatto che lui si sta grattando la testa. Poi la melodia di un fischio interrompe quel momento, e con le mani dentro le tasche dei pantaloni, entra nello studio George.        
«Agatha, ti ricordi di George, vero?» fa Paul, con lo stesso tono cordiale che aveva usato anni prima, la seconda volta che i due si erano visti.           
George le fa un cenno con la testa a mo’ di saluto e lei si ricorda di quanto la tranquillizzava il caldo abbraccio di quel ragazzo. Gli aveva affibbiato il soprannome “kitty” perché le ricordava il carattere di un gatto: freddo e distaccato all’inizio, dolce e affettuoso nei momenti in cui gli andava. Non avevano mai interagito molto, quasi mai parlato sul serio ma le piaceva stare vicino a lui, la sua positività riusciva a calmarla anche nelle lunghe notti caotiche di Amburgo.  
«Certo che mi ricordo di Kitty»
George sorride e arrossisce leggermente. Neanche adesso trova il coraggio di dire ad Agatha che non sopporta e non ha mai sopportato quel soprannome. Il suo silenzio mostra in realtà tutto il rispetto e l’amicizia che nutre per Paul e John. Aveva intuito fin dall’inizio che il rapporto tra i tre era più profondo di quanto facessero trasparire. Non aveva mai giudicato la loro relazione e non aveva mai voluto dare una sua opinione quando Agatha si allontanò dai due ragazzi: John non lo avrebbe neanche ascoltato, troppo preso a nascondersi dietro l’immagine dell’uomo che non soffre mai; con Paul avevano caratteri così diversi che avrebbero potuto anche discutere a lungo per questioni futili, così non gli era mai sembrato il caso rischiare un clima teso per un problema privato.            
Guardando Agatha negli occhi capisce immediatamente che è il caso di lasciarli soli. Sa che si è presentata senza avvertire nessuno dei due, o oggi non avrebbero provato. Pensa rapidamente che andando fuori lo studio può avvisare John in tempo. «Sto ancora dormendo, meglio se vado a farmi una tazza di tè. Mi ha fatto piacere rivederti, Gathie»
Lei annuisce. «Anche a me» dice totalmente sincera. «Credo di essermi persa il meglio di voi» aggiunge poi quando rimane sola con Paul.   
«Hai avuto il meglio di noi» Paul la corregge. «Vedi tutto questo? È fantastico, è vero. Non dobbiamo più preoccuparci dei conti a fine mese, se decidessimo di andare in tour avremmo a disposizione un intero piano negli alberghi più lussuosi, siamo invitati alle feste più divertenti e alla moda, ma non siamo più noi. Siamo i personaggi che abbiamo scelto di essere. Hai visto le fan lì fuori? Non adorano le nostre persone, adorano ciò che rappresentiamo. Tu hai conosciuto i veri noi.»               
«E ora siete molto diversi?»      
«Tra di noi no, ma andiamo in India quando iniziamo a perderci»           
Agatha lo guarda senza capire sul serio. Le sorelle le parlano ogni tanto di questo ritiro spirituale, ma il discorso viene sempre interrotto appena si pronunciano i nomi di John e Paul. Ha letto qualcosa di sfuggita nella sala di attesa del medico. Si porta una mano sulla pancia ancora piatta e il cuore le si stringe in un senso di rimorso. Che ci sta facendo lì? Sta iniziando ad avere ripensamenti sulla sua vita attuale, ma è decisamente troppo tardi per cercare una soluzione agli errori passati.                
E come se fosse uno scherzo dell’Universo, proprio in quel momento la porta si apre di nuovo, questa volta in maniera più brusca, come quando le persiane sbattono contro i vetri per segnalare l’avvicinarsi di una tempesta. E proprio come la furia di una bufera, entra John. Agatha si alza di scatto, spinta dall’istinto che le suggerisce di scappare. Ma John è più rapido di ogni suo impulso, o forse è lei che inconsciamente vuole farsi trascinare al largo dalla sua corrente e indietreggia rapidamente a ogni passo che lui fa verso di lei, fino a non poter andare più lontano, sconfitta dal muro.          
Succede tutto così rapidamente: le mani di John appoggiate alla parete che le permettono comunque la fuga ma che lei ignora, persa nei suoi occhi. Si fissano, lo sguardo di lui è severo, profondo, mostra un mondo che lei riesce ancora a capire, è lo stesso in cui si è persa tante volte ma che adesso è pieno di collera. John nutre rabbia nei suoi confronti, lo vede, e lui vuole che lei lo sappia. Il cuore le accelera in petto, vuole piangere, adesso vuole scappare, trema, ma le gambe sono pesanti, rimangono ferme, piantate sul pavimento.     
«Lei non sapeva nulla» Paul si avvicina sempre di più a John. Deve calmarlo, sa del rancore che nasconde, lo ha mostrato nelle parole di “No Reply”, quando l’ha immaginata vivere felice con chissà chi, quando le ha urlato che nessun altro l’avrebbe amata quanto lui.      
I nearly died” quante volte John ha avuto quella frase in testa, quando pensava ad Agatha. E quante volte avrebbe voluto vederla per urlargliela contro, ma lei si è sempre rifiutata di mostrarsi. È scappata da lui, ed è una ferita che non ha mai smesso di sanguinare.
«Nessuno in famiglia le ha detto nulla di tutte le volte che l’abbiamo cercata». John allenta la pressione nelle braccia, serra le labbra, il cuore rallenta il battito, riprende fiato, anche se non è ancora pronto a perdonarle per tutto il tempo in cui non c’è stata.            
«E non ha mai ascoltato una nostra canzone» John la guarda con sospetto, lo stesso sguardo che aveva avuto prima Paul. Probabilmente in testa gli ronzava anche il medesimo pensiero: tutto il mondo conosce le loro canzoni, tranne l’unica donna che avrebbe dovuto ascoltarle e capirle sul serio? Non ci crede.               
«Tranne Penny Lane, ecco perché è qui»           
John vede gli occhi di Agatha riempirsi di lacrime e come uno specchio si riempiono di lacrime anche i suoi. Poi le si avvicina. Petto contro petto, labbra contro labbra.

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Capitolo 3
*** Capitolo III-I'm a Loser ***


Baciandola, lei non avrebbe visto i suoi occhi. Non avrebbe letto dentro il suo sguardo tutte le parole d’amore, odio, rancore e sofferenza che ha scritto e cantato per lei. Vorrebbe smetterla, fare finta di niente, prendere la chitarra, accordarla e chiedere a Paul: “Allora, da cosa cominciamo?”.    
Al diavolo le prove, al diavolo il suo passato. Ha voglia di farla sua, anche con Paul. Quanto le è mancata. Le dita arrivano ad accarezzarle il collo, ma è solo per orgoglio se si ferma. Amor proprio o alterigia? Fierezza o vigliaccheria? Difficile capirlo, soprattutto con la lingua dentro la bocca di Agatha. Dio, quanto ha sognato quei baci. Si stacca da lei, manda giù la saliva. La vede sentirsi colpevole, “e fa bene” si dice nella testa.               
«Sei sposata» ha visto l’anello d’oro sull’anulare sinistro subito, appena entrato in sala.            
«Sì»      
John si volta. Con uno scatto di ira fa cadere il tavolino. I fogli con gli spartiti che per tutta la notte precedente hanno provato, modificato e perfezionato fino alla nausea, volano per pochi secondi, fino a posarsi scompostamente sul legno del pavimento. Paul tenta di avvicinarsi a lui, ma lo sguardo glaciale del compagno lo blocca.           
Agatha non vuole parlare, conosce John e sa che è impaurito dalle emozioni che non può controllare. Per lui sono come un terremoto con l’unico intento di farlo crollare, prima o poi. È meglio rimanere fermi, immobili, per concedergli ciò di cui ha bisogno: tempo. Lei l’ha sempre capito, lei sa quando è il momento di lasciarlo stare, lei ha sempre aspettato che i suoi demoni interni si placassero.    
Le voci nella testa di John glielo ripetono sempre: “Lei sa, Paul sa.” Loro sanno come fare. Si accovaccia a terra, con la testa tra le mani. Ora ha bisogno di zittirle. Non vuole perdonarla, non è ancora tempo.        
«Perché sei qui?» non lo chiede con gentilezza, è impassibile, forse ironico, di certo spaventato.          
«Voglio sapere il perché di Penny Lane»            
John sospira, le labbra si distendono in una smorfia quasi ironica. “Ora lei vorrebbe sapere il perché di una canzone, e magari dovrei anche dirglielo. Che si fotta”.      
Ci pensa Paul a prendere la parola. «Ti volevamo dire addio»   
John si passa la lingua sulle labbra fini, seccato.  «E adesso sei qui. Noi volevamo dirti addio, e tu sei qui. Non ti volevamo» Allarga le braccia. “Come le piattole prese da una puttana” ma non esprime quel pensiero. «Non fai mai ciò che dovresti fare. Sei rimasta la solita bambina viziata che ha un giocattolo, poi lo lascia stare quando si stufa, e poi lo rivuole quando è troppo tardi»   
Agatha comincia ad agitarsi, cosciente di non meritarsi tutto ciò. Sì, è sparita, ma ha vissuto con la consapevolezza di essere stata dimenticata, abbandonata, buttata in un angolo dei loro ricordi. «Io non potevo sapere…»           
«No, infatti! Tu non sai!» John avanza verso di lei. Passi calmi, tono calmo. «Tu hai preferito mollare tutto, perché? Perché te l’ha detto tuo padre? Perché quel grassone ti aveva messo in testa che non potevi vivere una vita nel lusso?» La guarda senza dimostrarle nessun tipo di emozione, ed è questo che la ferisce.              
«Non me ne è mai fregato nulla del lusso, lo sai»           
John rimane in silenzio, certo che lo sa. Deve solo farla soffrire quanto soffre lui. «Siediti su quella sedia»        
Agatha ubbidisce, tanto sa che non può fare nient’altro che assecondarlo.       
John prende la chitarra acustica. «Che c’è, vuoi farle una serenata ora?» Paul cerca di sdrammatizzare, John gli sorride bonariamente, ma quando guarda in direzione di Agatha, il sorriso diventa cinico. Ci sarà una canzone in arrivo, ma non sarà piacevole: sarà un castigo e ne sono tutti consapevoli. Paul si mette dietro di lei con fare protettivo; le mani sulle spalle, sperando così di confortarla.    
John rialza il tavolino e si appoggia su di esso, davanti ai due. La chitarra comodamente posata sulla coscia destra. La guarda, chiude gli occhi solo un attimo prima di iniziare a cantare.

I’m a loser/I’m a loser/And I’m not what I appear to be”         

Paul sospira, conosce bene la canzone, ovviamente. Agatha ha il cuore in gola. Non sa in che anno sia stata pubblicata, né se sia stata effettivamente pubblicata. Può solo continuare ad ascoltare.

Of all the love I have won or have lost/There is one love I should never crossed/She was a girl in a milion, my friend/I should have known she would win in the end”                

Agatha scuote la testa, lei non sente di aver vinto. John continua, il ritmo sempre più incalzante, così distante dal significato di quelle parole ma così vicino al suo carattere che nasconde la sofferenza dietro una maschera piena di spocchia.

I’m a loser/And I lost someone who’s near to me/I’m a loser/And I’m not what I appear to be”           

Paul abbandona la sala per lasciarli soli. Il battito del cuore di Agatha aumenta, così come il suo respiro. La punizione continua e per quanto lei vorrebbe andare via, rimane seduta. Pensa, in un certo senso, di meritarsela.

Although I laugh and I act like a clown/Beneath this mask I am wearing a frown/My tears are falling like a rain from the sky/Is it for her or myself that I cry?

Le parole denudano John lasciandolo con l’anima scoperta. Ha pianto per ciò che hanno vissuto, perché lei è andata via. Si è sempre comportato come se nulla fosse, nonostante si sia sempre tormentato per quella storia finita. Anche Agatha piange, abbassa lo sguardo per non farsi vedere, ma dopo il ritornello John dice: «Guardami». È un ordine. Muove la testa al ritmo della chitarra, sembra divertirsi, appagato dal senso di colpevolezza della ragazza.

What I have done to deserve such a fate?/I realize I have left it too late/And so it’s true, pride comes before a fall/I’m telling you so that you won’t lose all”   

Agatha ne ha abbastanza, si alza. John posa la chitarra sulla sedia, lasciando la canzone inconclusa. Non gli importa: ha colpito nel segno. Le ha mostrato tutto il rancore: il cerotto messo sopra una ferita profonda e ancora sanguinante. Va avanti perché finge, non vuole chiudere quella ferita, almeno non con le sue mani. Se c’è una persona che può cicatrizzarla, quella è Agatha. Ha un bisogno fisico ed emotivo di lei, ora più di prima. E non gli importa della vita che fanno tutti e tre adesso, lui la vuole.

 «È inutile che mi segui, ok, ho capito: sono stata una stronza che vi ha ferito mortalmente ed è grazie a me se oggi non riuscite più ad amare, anche se la compagnia femminile di certo non vi manca…»          
«No. Sei quella che continuiamo ad amare, anche se stronza lo sei»     
Agatha abbassa le spalle, arresa, vinta. Si avvicina a John, accarezzandogli la guancia. È totalmente mutato rispetto a qualche minuto prima: ora appare indifeso, quasi piccolo, nonostante i tredici centimetri che ha in più rispetto a lei.   
È il John tornato calmo, nei suoi occhi ritrova il motivo per cui rimaneva salda nella scelta di vivere una storia d’amore a tre a fine anni cinquanta. C’è un sentimento che si risveglia, amore? Probabilmente solo nostalgia della propria gioventù.
«Io pensavo non mi voleste più…»        
«Questo perché non ti sei fidata di noi»             
«Io non appartengo al vostro mondo»
«Esatto. Tu appartieni a noi»    
«Ormai è troppo tardi»               
«Hai ragione. Vattene» John sorride dopo la sua battuta. È sereno, lo rivelano i suoi occhi.       
«Sono  incinta»               
È la prima volta che lo dice ad alta voce. E la prima persona a cui lo dice, è anche l’ultima che avrebbe dovuto saperlo.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV -Strawberry Fields Forever ***


Due mesi dopo

Non sa cosa sia più straziante tra il silenzio ininterrotto, la mancanza di quello che sarebbe potuto essere, il crollo improvviso di ogni sua certezza, o, più semplicemente, la consapevolezza della fine di un sentimento d’amore incondizionato.               
La felicità che aveva provato quando scoprì di aspettare un bambino l’aveva portata a scalare le vette più alte dei suoi umori, le era sembrato quasi di toccare l’Universo e di scoprirne ogni sua forma. Non si era mai sentita così nel corso della sua vita. Felicità, amore, serenità, senso di pacatezza, euforia… era tutto un insieme di emozioni positive, un arcobaleno di gioia. Arcobaleno. La parola giusta: l’arcobaleno è un’illusione ottica, un qualcosa di astratto ed effimero che dura poco, il tempo di osservarlo, di apprezzarlo, poi svanisce. Proprio come la sua gravidanza.        

Inizia a piangere forte, non le importa, tanto è a casa da sola. Philip si trova a lavoro e anche se distrutto interiormente, esteriormente non lascia trasparire nessun rammarico. Deve essere più facile per gli uomini: loro non portano una vita dentro, non la sentono crescere, non cambiano dal momento del concepimento. Agatha si sente incompleta, ha perso una parte di sé, un dono che ha sognato di stringere tra le sue braccia ogni notte e ogni giorno.

Si morde le labbra fino a farle sanguinare, alza lo sguardo ma vede tutto opaco, non ha neanche la forza di mettere a fuoco l’ambiente circostante. Rimane a letto, non si alza, non le interessa sistemare la casa e suo marito non fa obiezioni. Ma quanto durerà? Per quanto la lascerà trascinarsi tra i giorni che passano uguali e apatici? La riprenderà al volo o la lascerà sprofondare nell’aspirale dell’oblio?

Se Philip fosse stato John o Paul, lei non sarebbe mai rimasta sola, ha questa certezza. Ce l’ha perché non l’hanno mai lasciata. Alla notizia della gravidanza John aveva reagito mandandola via con freddezza. Paul l’aveva abbracciata, si era congratulato con lei e le aveva detto che avrebbe potuto contare su di lui in qualsiasi momento, chiamandolo a casa o agli studi. Lei non ne aveva mai approfittato, fino a qualche settimana fa, quando rimasta da sola per la prima volta dall’uscita dell’ospedale, gli aveva telefonato in lacrime. Lui si era presentato alla sua porta mezz’ora dopo, con John.

E puntuali come ogni giorno, alle 10:00 bussano alla sua porta. Lei la lascia aperta, perché non le è mai andato di alzarsi, ma loro le danno sempre la possibilità di farlo bussando. Non resistono molto fuori, anche se completamente imbacuccati, hanno paura di essere riconosciuti, quindi entrano dopo poco meno di un minuto. Philip lo sa, i vicini non sono così invadenti, ma Agatha non riesce a nascondergli niente. Così gli ha parlato di John, di Paul e del loro passato. Ha omesso di parlargli dei sentimenti che ancora provano, ma solo perché nessuno dei tre lo ha mai fatto veramente, e dopo un aborto è più difficile intraprendere qualsiasi tipo di discorso.

«Ha ordinato il servizio in camera?» John fa capolino dalla porta, Agatha rimane sdraiata, non riesce neanche a sedersi. Lui entra lo stesso, seguito da Paul.             
Vorrebbero piangere insieme a lei, ma devono dimostrarsi più forti: sono uomini, e sono il suo sostegno. Iniziare la chiacchierata è la cosa più difficile da fare: ogni parola sembra stupida, insignificante, quasi scomposta. Così solitamente iniziano a parlare del tempo, di quello che faranno durante la giornata. La invitano sempre in sala di registrazione, ma lei rifiuta.
«Hai mangiato qualcosa?» chiede Paul mentre apre la finestra per far cambiare l’aria in camera da letto.
«Un’insalata ieri sera.»
«È un po’ poco…»          
«Perché? Chi dovrei sfamare?»              
«Te stessa» le risponde severo John.   
Paul gli lancia un’occhiata di ammonizione, ma lui alza le spalle. «Non mi scuserò per quello che ho detto»
Guarda verso Agatha. «Hai deciso di lasciarti morire? Ciò che ti è successo è devastante e nessuno potrà mai capirti, ma devi andare avanti, puoi riprovarci» non sa neanche lui come sia stato possibile pronunciare quelle parole senza avere un attacco di gelosia nell’immaginarla a letto con suo marito, forse l’amore supera le barriere mentali di chi lo prova. «o puoi anche non farlo, basta che mangi»

Agatha non si vergogna di piangere davanti a loro, non è di certo la prima volta. Chiude gli occhi, ha pianto così tanto che le lacrime bruciano sulla pelle. È così stanca che non si sforza neanche di trattenerle, o di farle uscire: hanno il pieno controllo di andare dove vogliono. Paul si siede sul letto e le accarezza i capelli.
«Possiamo prepararti qualcosa se vuoi»             
Lei scuote la testa. Si sente completamente inutile, loro vengono lì ogni giorno per supportarla, darle una mano e lei li mortifica in questo modo.         
«Avrai altre possibilità, non devi mollare» Paul le bacia lo zigomo sinistro e lei si sente un po’ meglio.
 
UN MESE DOPO

 
I sentimenti sono come l’acqua: possono rimanere calmi ma creare correnti invisibili al nostro conscio, fino a diventare delle tempeste. E spesso, come ci sono state onde alte tre o quattro metri, così tutto ritorna alla normalità. Un giorno Agatha ha apprezzato il debole sole di maggio entrare dalla finestra, restando a osservare il cielo senza muoversi dal letto. Un altro ha sorpreso Philip con una semplice frase: “lasciami la finestra aperta”. Un altro ancora ha atteso John e Paul seduta sulla poltrona accanto l’armadio. E sedersi a quella poltrona era già stata una vittoria: l’aveva comprata in previsione delle notti passate in bianco ad allattare o riaddormentare suo figlio. Aveva accarezzato il tessuto chiudendo gli occhi, e un giorno riuscì persino a sorridere.

Ora sta cucinando il pranzo, anche se sono appena le 10 del mattino. Non sa spiegarsi cosa l’abbia spinta a scendere in cucina e rimettersi ai fornelli, forse solo la voglia di ricominciare.            
John e Paul bussano come al solito, ma lei non va ad aprire, vuole sorprenderli. Aprono la porta e parlano tra di loro, sicuramente di lavoro visto che in realtà è solo Paul a tenere vivo il discorso.   
«Buongiorno» dice ad alta voce poco prima che prendano le scale.       
«Buongiorno» risponde Paul, con un sorriso luminoso.               
John si avvicina ai fornelli, respirando l’odore di scouse che gli ricorda l’infanzia. «Non è un po’ troppo presto?»           
«È per voi, così ve lo portate in studio»               
«Siamo tornati al liceo?»            
Paul dà una pacca sul petto di John. «Non starlo a sentire, grazie Gathie.»        
Lei abbassa la fiamma del fornello, mette il coperchio sulla padella e si volta. «Veramente grazie a voi»             
«Non ti avremmo mai lasciata sola, nonostante tutto»
E forse quello era il momento di affrontare il loro passato, per potere affrontare il futuro.       
«Se avessi saputo…»    
«Non iniziare. È inutile pensare a questo. Ci siamo ritrovati, no?» la rincuora Paul.        
Agatha annuisce.           
«C’è troppa tensione»                
John tira fuori dei piccoli pezzettini di carta dalla tasca dei pantaloni. Paul sa molto bene cosa siano, Agatha lo immagina solamente. Rosemary e Serena, le sue sorelle, le hanno parlato dell’LSD e di come questo le aiuti con i loro problemi, a “mettersi in contatto con l’intero universo.”     
John nota che Agatha tiene gli occhi fissi sui foglietti che sta spezzando. «Hai mai provato?»   
Lei scuote la testa.         
«È arrivato il momento»             

Le hanno spiegato fin dei minimi dettagli cosa fare: liberare la mente, rilassarsi, pensare che tutto sarebbe andato bene, poi prendere il piccolo cartoncino quadrato e farlo sciogliere sulla lingua. Avrebbe iniziato il viaggio più bello della sua vita: quello mentale, nei meandri della sua anima e della sua psiche. Accanto a lei avrebbe avuto John, a guidarla attraverso le molteplici allucinazioni. Paul sarebbe rimasto vigile, nel caso si fossero messi in pericolo.           
Sono passati venti minuti, ma nulla sembra essere cambiato nella mente di Agatha. John le prende la mano, si siedono a terra, lui chiude gli occhi e in un sussurro le dice che tutto sta iniziando. Lei lo imita, chiude gli occhi e si lascia guidare dalla sua voce.           
«Siamo a casa, Gathie. Siamo piccoli, non abbiamo problemi» 
Solo nella mente di John inizia a suonare una canzone che lui conosce bene, ma come in una sorta di telepatia, Agatha ne avverte tutte le sensazioni e le emozioni.

Let me take you down/’Cause I’m going to Strawberry Fields/Nothing is real/And nothing to get hung about/Strawberry Fields forever

Lei lo vede: il cancello rosso si apre lentamente e dopo anni rientra nel giardino dell’orfanotrofio a Woolton, dove John la portava nei pomeriggi senza pioggia. Lì aveva passato la sua infanzia e la sua adolescenza. Non sempre era felice di andarci, avrebbero dovuto studiare, ma adesso quelle sue angosce si placano, quei problemi sono lontani, non sono più suoi. Appartengono ad Agatha ragazzina, così come i problemi dell’Agatha adulta non apparteranno più all’Agatha anziana. Si sente divisa in tre: passato, presente, futuro si fondono e dal triangolo delle tre Agatha, diventa un cerchio dove Agatha bambina rincorre la versione adulta, la versione adulta rincorre quella anziana e l’anziana torna a essere Agatha bambina. Nulla è reale, eppure lei può toccare i colori dei fiori nel prato a Strawberry Fields. Tocca il verde dell’erba alta, tocca il marrone della terra bagnata. Ed è felice, senza alcuna preoccupazione.

Living is easy with eyes closed/Misunderstanding all you see/It’s getting hard to be someone/But it all works out/It doesn’t matter much to me.

Agatha si ritrova allo specchio, faccia a faccia con se stessa e con tutto ciò che prova. Ansia, felicità, panico, amore, tranquillità… ogni sentimento esce luminoso dal centro del suo petto e ne percepisce l’odore. Il suo volto è tondo, bianco, ricorda quasi la luna. Al centro della fronte si sta formando un altro occhio, ed esso non guarda attraverso i cinque sensi. La trasporta indietro e poi in avanti, in un’altalena di emozioni e ricordi. Quando da bambina si immaginava madre, quando da ragazza si immaginava per sempre con John e Paul. Piange, ma il terzo occhio le parla e le dice di non piangere. Non importa. Non può trasformarsi in qualcosa che non è e non può affliggersi per una scelta fatta. Può vivere come desidera, può fare ciò che vuole.

Let me take you down/’Cause I’m going to Strawberry Fields/Nothing is real/And nothing to get hung about/Strawberry Fields forever

Balla con Agatha bambina, si diverte, a loro si uniscono le sorelle ed è ancora più felice. Poi arrivano i genitori e portano un bagaglio di doveri e aspettative. Ogni valigia ha una sua etichetta: matrimonio, casa, famiglia. Lei non vuole prenderle, lei vuole rimanere a giocare, a divertirsi. Ma i genitori si avvicinano sempre più, sono seri, autoritari. Dietro a loro, John e Paul le tendono la mano. Rimane ferma, ha paura, cosa deve fare? Quale potrebbe essere la reazione dei genitori? Ma è Agatha bambina a parlare, con la voce di Agatha anziana: “Fai ciò che ti dice l’occhio”. La paura la abbandona passo dopo passo, e lei si unisce a John e Paul.

No one I think is in my tree/I mean it must be high or low/That is you can’t, you know, tune in/But it’s all right/That is I think it’s not too bad.

Con loro sta bene, anche se si allontanano e si avvicinano con la stessa velocità dell’altalena delle sue emozioni. Poi appare Philip, lei lo ama, ma non è lo stesso amore di John e Paul. È un sentimento che sa di stabilità, di fermezza e tranquillità. Non ha sfumature, John e Paul sono il suo tutto, Philip è solo suo marito. E il terzo occhio le chiede: “Cos’è per te più importante?”. “Vivere la vita” risponde. “E cosa vuol dire vivere la vita?” chiede Agatha anziana. Ma non serve rispondere, perché già sa la risposta. “Cosa vuoi raccontare ai tuoi nipoti?” domanda ancora Agatha anziana. “L’amore.” E continua a camminare con John e Paul.

Let me take you down/’Cause I’m going to Strawberry Fields/Nothing is real/And nothing to get hung about/Strawberry Fields forever

Rivede Liverpool, Amburgo, ancora Liverpool. Li segue anche in posti che non ha mai visto: vede l’America, l’India, Parigi… riconosce posti che non ha mai visitato, respira odori che non ha mai annusato, assapora gusti che non ha mai assaggiato, tocca oggetti di materiali che non conosce. Riscopre sentimenti che non ha mai provato.

Always, no sometimes, I think it’s me/But you know I know when it’s a dream/I think a “no”, I mean a “yes”/But it’s all wrong/That is I think I disagree

Ora Agatha è sola, del tutto sola. Senza le altre due Agatha, senza tutte le persone che hanno fatto parte della sua vita. È sola con se stessa e si sente perduta. Sa che deve prendere una decisione. Si forma un sentiero nel bosco, guarda indietro e vede tutto quello che è stato. Guarda attorno e vede tutto quello che è. Guarda davanti e vede quello che sarà. Ed è lì che Agatha anziana le tende la mano.

Let me take you down/’Cause I’m going to Strawberry Fields/Nothing is real/And nothing to get hung about/Strawberry Fields forever

Non sa quanto tempo sia passato, sa solo che ha molta sete e che il sole è alto nel cielo. John e Paul parlano, ridono, la guardano.
«Allora? Vieni con noi a Parigi?»             
Dovrebbe essere confusa, Parigi? Chi ha parlato di Parigi? Si tocca la testa, si sente reale ma non abbastanza reale come prima.  
«Sì»      
Non sa neanche lei il perché di quella risposta, sa solo che deve essere un sì.

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Capitolo 5
*** Capitolo V- All you need is love ***


Se solo Philip non fosse stato così accondiscendente, se solo le avesse impedito di partire facendo la minima storia, se solo lei gli avesse mentito, parlando di un viaggio in solitudine, forse si sarebbe sentita meno in colpa. Invece era stata sincera: aveva ritrovato la voglia di vivere, ma ancora non era pronta a farlo sul serio. Voleva cambiare aria, non guardare i vestitini già comprati, non incontrare gli sguardi dei vicini pieni di compassione e dispiacere. Gli aveva chiesto ancora qualche giorno, una settimana, forse due, a Parigi. Con John e Paul. “Loro hanno un intero piano prenotato, ovviamente non staremo nella stessa stanza. Stanza, poi, sono praticamente appartamenti. In più devono lavorare a una nuova canzone, è importante. Forse non ci vedremo neanche tutti i giorni. Io ho solo bisogno di tornare a essere me stessa, non una madre mancata. Lì non dovrò rispondere alle domande di chi mi chiede come va, anzi, non dovrò neanche sentire l’inglese. Nuova lingua, nuova aria, nuovo tutto. Solo per due settimane, al massimo.” Philip si era chiuso in un silenzio di tre giorni, ma poi aveva acconsentito. Che gli uomini stessero davvero imparando ad ascoltare le donne? Se solo avesse pronunciato una cattiveria, o una parola di gelosia, però, lei ora si sarebbe sentita meno in colpa.
Era stata sincera, pensava davvero a tutte quelle parole dette, pienamente convinta che non si sarebbero mai visti, che il lavoro per i due sarebbe venuto prima. Si figurava intere mattine passate per Parigi da sola, tra musei e bistrot, con pomeriggi di passeggiate, per tornare in albergo solo la sera all’ora di cena. Una cena che avrebbe consumato davanti alla televisione, perché i due sarebbero stati ancora immersi nel lavoro. In un certo senso i primi due giorni erano davvero andati così.

Poi uno, due, tre, quattro… bicchieri di vino, una leggerezza ritrovata, le chiacchierate sull’India che la affascinavano, che la facevano sentire importante, meritevole di sapere i segreti più occulti della mente umana, l’avevano fatta cedere. Era già chiaro dalla prima notte che nessuno dei tre aveva voglia di separarsi, neanche per andare a dormire. Le due del mattino erano diventate l’alba, l’alba un intero giorno senza forze ed energie. Ben presto si resero conto che l’unico modo che avevano per stare bene, era lasciarsi andare. Abbandonarsi al flusso del momento, non avere alcun appiglio, alcuna barriera, alcun senso del dovere. L’identità che muore e rinasce come essere, come sensazione. In ogni bacio dato, in ogni mano che affonda sulla pelle solo per ricordarsi del corpo, quell’appiglio che permette di comprendere il piacere, il dolore, e oltrepassare il confine che separa i due amanti. Piacere e dolore. Lussuria e castità. Due concetti che non possono esistere senza l’altro. Due poli dell’amore.
 
L’amore che scopre se stesso, che si interroga su cosa è, cosa fa provare. Se solo Philip le avesse negato il viaggio, lei non si sarebbe abbandonata così tanto agli orgasmi, avrebbe avuto paura del suo giudice severo. Ma lui aveva acconsentito, nessuna pena per i suoi errori, nessuna condanna a frenarle la lingua sulle due differenti pelli. Le aveva dato fiducia e lei lo stava ripagato con il tradimento vero e proprio. Non solo di tre corpi che si uniscono, ma dell’amore incondizionato. Perché lei, lo sa, ama incondizionatamente sia John che Paul ed è ricambiata allo stesso modo. Solo loro tre, come se fossero gli unici abitanti dell’intero pianeta. E il sentirsi in colpa è per il non sentirsi in colpa. Per non negarsi quell'amore, per non toccare mai il fondo della mediocrità. Con loro non c'è senso del dovere, vergogna o alcun impedimento. Con loro è sempre stata libera ed è questo concetto di libertà che le fa provare un amore così intenso che non ha bisogno di parole. In quella stanza, anche adesso, ci sono solo tre anime che sanno perfettamente ciò che stanno facendo. Tre anime che hanno interrotto il cammino dello spazio-tempo. Tre anime che amandosi si fondono, si riconoscono nell’altro. Tre anime che non hanno mai avuto bisogno di parlare per descrivere ciò che sono.

Il loro non è mai stato un incontro casuale, tanto per… senza di loro lei non si sarebbe mai messa in dubbio, sarebbe stata come un soldato che esegue gli ordini imposti. Casa e famiglia, se ti riesce anche un lavoro. Questo, per tutta la vita. Avrebbe rivissuto quella dei genitori. Senza di loro, lei non avrebbe mai avuto il coraggio. Non è mai stata come le sorelle, forte, indipendente. Lei ha sempre avuto bisogno di qualcuno. John e Paul sono i suoi specchi. Il primo ribelle, impulsivo, che fa quello che vuole e se ne frega degli altri. Il secondo più dolce, accogliente. Colui che cerca di unire gli opposti, anche se spesso non li comprende. Agatha è l’unione dei due.

E senza di lei, loro non sarebbero stati i Beatles. Loro non avrebbero messo le emozioni nei testi. Sarebbero stati solo versi vuoti, con una bella melodia. Avrebbero avuto forse qualche mese di successo, nulla di più. Senza di lei, loro non avrebbero saputo neanche cosa fosse l’amore. Non si sarebbero mai chiesti per chi cambiare, per chi essere migliori. Eppure, l’orgoglio ha ancora la meglio. Quando sotto la doccia, completamente soli, mandano via sapori, umori, desideri e impulsi, cercano di ignorare anche i dubbi, le insicurezze, fintamente certi che la razionalità non serva. Quando escono dalla doccia cercano di non guardarsi allo specchio. Tre persone diverse, con lo stesso modo di affrontare il proprio interno: ignorandolo.

Se Agatha si guardasse allo specchio, vedrebbe una donna senza audacia, sola, immatura. Una persona che non ha abbastanza volontà per scegliere sul serio, per capire quali obiettivi mandare avanti. Certo che ha scelto Philip, dietro quella bontà, quel pensiero di comprenderla, c’è un uomo inetto quanto lei. Un uomo che ha paura di affermarsi su di lei, che non saprebbe come gestire una lite. Si è scelta un uomo così: sottomesso, quieto, che le dice sempre di sì, perché è facile.

Se John si guardasse riflesso negli occhi di Agatha, scoprirebbe di come lei riesca a denudare anche la sua anima. È l’unica donna che lo ha visto piangere, che sa di sua madre, del dolore provato fin da bambino. John è un codice che Agatha e Paul sanno decifrare, un enigma di cui loro hanno la soluzione ma che lasciano insoluto proprio perché lo amano, perché deve essere lui a risolvere se stesso. John sa perfettamente che non potrà mai essere Johnny per nessun altro al mondo. Chiunque verrà, chiunque ci sarà, vedrà solo il Lennon. Quando Agatha lo spoglia, quando Paul lo bacia sulla schiena, a ogni loro movimento, John costruisce una barriera per il resto del mondo. Solo loro due possono entrare, solo a loro è concesso tale privilegio. Se John avesse il coraggio di guardarsi allo specchio, vedrebbe un mostro. Il mostro che sa che diventerà quando quell’amore si esaurirà.

Paul, il più riflessivo, quello che sembra avere sempre le risposte in tasca, è probabilmente l’unico che pensa di guardarsi allo specchio. Se la racconta. Come ha sempre fatto. John e Agatha lo sanno, ma solo il primo lo lascia trasparire, ogni volta che discutono per la finta maturità di Paul. Se Paul si guardasse davvero dentro, vedrebbe che l’amore segreto che prova per i due sta creando una dipendenza in lui. Non riesce a rimanere solo, e quando è costretto dagli eventi, chiama una donna a caso, sempre diversa, per non dover affrontare i suoi pensieri. Alla luce del sole ha Jane, ma neanche lei gli basta.

Sono loro i diversi? Quanti uomini, quante donne, sono nella loro stessa situazione? Quanti veri amori sono nascosti da una facciata di normalità, perché la società non capirebbe?

Agatha si mette a sedere. Le lenzuola bianche sono del tutto stropicciate, avvolte in una matassa senza senso. Prova a scioglierla, a stirarla, con una frustrazione tale da fare rumore e svegliare John. Tutto inutile, lui apre lentamente gli occhi, ancora impastati dal sonno. Scruta i raggi del sole alla finestra. Non guarda subito l’ora, vuole prima indovinarla nella sua mente. Studia l’intensità della luce, la testa che pulsa per il bisogno di altre tre ore di sonno. “Sono le undici”, si dice e sorride quando nota di aver sbagliato solo di cinque minuti. Ora il suo sguardo mette a fuoco i particolari della stanza, si mette seduto sul bordo del letto, stiracchiandosi. Tutto dura qualche attimo, perché Agatha è ancora alle prese con il lenzuolo.
«È inutile, se l’altra metà sta sotto le chiappe di Paul.» si pettina i capelli arruffati con la mano destra, si alza dal letto grattandosi la coscia e cercando tra gli avanzi della cena qualcosa da mangiare.
Agatha rinuncia al lavoro, osservandolo. Rimane incantata a guardare il suo corpo avvolto dalla luce del giorno. Forse è più magro rispetto a quando era un ragazzino, sicuramente, però, è più forte. Chissà se loro hanno notato le sue smagliature, i suoi chili in più, la cellulite.     
John si gira, un dolce secco dalle ore passate all’aria tra le labbra. «Prenoto la colazione, vuoi qualcosa?»
«Fai tu.» risponde senza un vero e proprio tono.
«Caffè e pancakes.» bofonchia con la bocca sul cuscino Paul, alzando una mano, come se non si fosse capito da chi provenisse l’ordine.

Pochi secondi di chiamata dopo, John si rimette sdraiato a letto. Non c’è bisogno di rivestirsi, i camerieri sanno che non devono entrare finché occupano la stanza. Essere ricchi e famosi ha i suoi vantaggi: possono fare ciò che vogliono, senza subirsi prediche. Nel contratto che hanno stipulato al momento della registrazione, sono scritte dettagliatamente le conseguenze di un’eventuale fuga di notizie. Solo il direttore dell’albergo e pochi addetti sanno chi realmente alloggia tra quelle mura. Il resto non sa e non deve sapere. Quando escono, si camuffano con occhiali da sole scuri e cappello. Nessuno fa domande, perché di certo non sono gli unici personaggi famosi a comportarsi così. Ogni volta che ordinano qualcosa in stanza, l’arrivo è annunciato da un colpo di nocche sulla porta di legno. Loro si avvicinano dopo cinque minuti, quando il cameriere è sicuramente andato via. Chissà quante volte quel povero ragazzo si sarà dovuto sentire: “Quando andate all’ultimo piano, fermate il carrello e andate via subito. Se notate qualcosa, non fate domande e tacete.” E chissà con quali minacce, forse il licenziamento.
 
Comunque, non sono problemi suoi. John mette le braccia dietro la testa, sospira grato per tutto ciò che ha. Paul sembra essersi alzato veramente solo in quel momento. È a pancia in sotto, allunga i muscoli di schiena e gambe per riprendere a far circolare il sangue, come se si fosse fermato durante la notte.
I due cominciano a parlare di lavoro, di accordi, di nuove idee, di parole da cambiare. Agatha è ancora silenziosa, John se ne è accorto, ma la lascia fare. Anche se guarda fisso Paul, la sua vista periferica è vigile su di lei. Si connette a lei, la sente solo pensierosa. Per la prima volta è certo di non essere il colpevole. L’ha trattata bene, con educazione e rispetto. Non le ha mai risposto male, non le ha impedito di fare qualcosa. Il suo cuore manca un battito: è l'unica donna a farle quest'effetto. Persino a Cynthia non ha mai riservato questo trattamento.

Paul è come un bambino alla vista del cioccolato, forse perché è sempre terribilmente affamato quando si sveglia. John versa del succo sul suo bicchiere, e fa lo stesso per Agatha.
«Sei bellissima, stamattina.» le dice, mentre le avvicina il piatto con uova e bacon.
Lei arrossisce, l’occhio che cade sulla data del giornale che ogni mattino l’albergo mette a disposizione dei loro ospiti. «Manca una settimana, poi torneremo a Londra.»
«Non me ne parlare. Abbiamo solo mezza canzone pronta. Non è per farti pressioni, Johnny, ma staremo in mondovisione, dobbiamo avere qualcosa di grandioso entro dopodomani.»
«Sì.» Risponde lui laconico. «Vuoi venire con noi?» fa voltandosi verso lei. «Ormai avrai visto Parigi cinque volte, non ti sei stufata?»
Agatha sorride intimidita, non le piace parlare male di nessuno, neanche delle città. «Beh, non è Londra, questo è certo.»

Lo studio è semplicemente un’altra suite sullo stesso corridoio. Non è comunicante con le loro stanze, così da avere effettivamente la sensazione di dividere il loro piccolo nido d’amore, con il lavoro. Il clima è leggero, come in una sorta di gita di classe. C’è una spensieratezza negli animi di tutti, soprattutto in quello di Agatha, che non deve più fingere di essere qualcuno che non è. Per Philip si prepara e trucca fin dal mattino, perché una moglie deve essere sempre presentabile. Con John e Paul, invece, lei è struccata. Ben vestita, sempre pettinata, ma struccata. E a loro non importa.

Negli ultimi giorni è andata in studio con loro, ha assaporato la vita che avrebbe avuto se avesse scelto diversamente. Li ha incitati, è stata ad ascoltare i loro dubbi e nelle discussioni è rimasta neutrale, senza aver mai preso le parti di qualcuno in particolare. A sera, da tradizione, li ha amati con tutta se stessa.
Ora ha appena finito ascoltare l’ultima versione della canzone, quella definitiva.
«È meravigliosa, sul serio. È così… complicata, ma orecchiabile.»
«Davvero la trovi complicata?» le domanda Paul.
Lei annuisce, leggermente turbata per non averla compresa da subito.
«Vedi, Gathie,» le spiega Paul «viviamo sempre con la paura di sbagliare, ma non c’è niente di sbagliato. Qualsiasi decisione, l’abbiamo già presa. Se seguiamo quel flusso che è l’amore, è impossibile sbagliare…»
«Anche se io tornerò da Philip?»
«Tu lo ami?» alla domanda di John, lei scuote la testa.
«Non quanto amo voi.»
«E perché tornerai da lui?»
Agatha si fa piccola, alza le spalle e abbassa lo sguardo. «È più facile.»

It’s easy.

«Non vi sentite traditi da me? Non pensate che io sia una scema...»
John la guarda dritto negli occhi e la interrompe. « Chi ti ha detto che la persona che scegli è quella che ami di più? Chi ti ha detto che ci sia qualcuno che ami di più?»
Lei rimane in silenzio, non sa cosa dire. John che le fa queste domande, è quasi surreale. Una persona gelosa e possessiva come lui, come può dirle ciò?
«Sai perché ti lascerò andare?» continua senza lasciarle il tempo di cercare eventuali risposte. «Perché è l’unica cosa che posso fare. Tu non ami Philip. Tu ami la vita che solo Philip può darti. Ami avere una famiglia, i pranzi delle domeniche, le recite dei bambini, queste cazzate qui.»
Gli occhi grigi di Agatha sono come un lago ghiacciato che piano piano si scioglie all’arrivo della primavera. John le ha detto ciò che non ha mai avuto il coraggio di ammettere. Non ha mai lottato tra l’amore che prova per John e Paul, e suo marito. Ha sempre e solo lottato tra l’ammettere e il non ammettere che John e Paul non le daranno mai la vita che desidera. 
«E noi amiamo te, ecco perché ci sta bene tornare a Londra, divisi.» Aggiunge Paul.     
In un attimo Agatha capisce la severità dei suoi genitori, i segreti taciuti delle sorelle. Tutti loro la amano, sanno ciò che lei ha sempre voluto. Rimanere in quella situazione avrebbe voluto dire che una delle due parti avrebbe dovuto rinunciare al proprio sogno, al proprio destino. Sarebbe stato giusto? L’amore vuole davvero rinunce? La società l'ha cresciuta con la credenza che bisogna sempre scegliere, che per realizzare un sogno bisogna per forza lasciare andare qualcosa di valore. E se non fosse così? Se potesse avere tutto?
«Quindi vi va bene farla finita?» chiede con un filo di voce.
«Ma non essere ridicola!» sbotta John alzandosi dalla sedia. «Tra noi non esiste la parole fine.»
 
"There's nothing you can do that can't be done/Nothing you can sing that can't be sung/Nothing you can say, but you can learn how to play the game/It's easy/Nothing you can make that can't be made
No one you can save that can't be saved/Nothing you can do, but you can learn how to be you in time/It's easy."
 
Quel 25 giugno 1967 Agatha, come trecentocinquantamila persone in tutto il mondo, è davanti alla televisione, tra le braccia di Philip. Riesce a trattenere a stento l’emozione che nonostante il caldo dell’estate si fa viva dandole dei brividi lungo le braccia e le gambe. Ora le parole che lei aveva ascoltato per prima sono per tutti. Nei prossimi giorni, e chissà per quanto altro tempo, tutti le canteranno. Alcuni scriveranno “All you need is love” sui muri delle città, su dei fogli sparsi per la casa. Gli innamorati se le dedicheranno, altri sogneranno di poterle dire a qualcuno.
 
"All you need is love/All you need is love/All you need is love, love/Love is all you need."

Nelle promesse che si sono fatti ci saranno altri viaggi a Parigi, altre notti per amarsi, e altri giorni per scrivere del loro amore. Lei negherà al mondo i nomi di chi veramente ama, ma non negherà mai a se stessa il sogno di diventare madre. Agatha, John e Paul non sono nati per condividere insieme la loro vita, ma questo non significa soffrire continuando a ignorarsi per il resto dei loro giorni.
Agatha sorride mentre chiunque nello studio televisivo intona il ritornello. Le parole sono semplici, facili, tutte le conoscono già a memoria. Nessuno, però, saprà mai il vero significato dell’inno francese all’inizio del brano. Si volta verso Philip, sta sentendo, non ascoltando. No, neanche lui, l’unico che potrebbe avere dei dubbi, saprà mai.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI - All My Loving ***


Autunno 1980

Si dice che anche nella relazione più affiatata e passionale, la voglia fisica si esaurisca, prima o poi. Che con l’avvento delle responsabilità, dei bambini, dell’età… il tutto sia confinato nell’abitudine di svegliarsi al mattino e addormentarsi alla sera con accanto sempre la stessa persona. Che all’inizio quella persona la vediamo come una grazia piovuta dal cielo, ma che poi si arriva a quarant’anni senza riconoscere chi abbiamo accanto, o peggio: senza riconoscere noi stessi. A un certo punto abbiamo il volto serio, come quelle foto di fine Ottocento, e che se la bocca sorride, gli occhi non rispondono allo stesso comando. Ci si guarda allo specchio solo per pochi secondi, per sfuggire alla domanda: “Ma che sto facendo?”. Ci vediamo nelle foto senza riconoscerci. La vita, insomma, prima o poi, ci crolla addosso e ci sveglia, prendendoci a schiaffi.
È così per tutti? Probabilmente no. Chi ha vissuto sempre nel presente, con la consapevolezza di sé, fa errori, ma non ha mai rimpianti. Sa riconoscere negli altri se stesso, sa rimediare, perdonare e perdonarsi. Ma forse tutto ciò è prerogativa degli artisti, o delle persone spirituali. Arte e spiritualità sono un po’ la stessa cosa, così, con un lavoro su se stessi, si può arrivare a quarant’anni riconoscendosi.        
Forse Agatha è più spirituale che artista, ma se è vero che l’arte è in ogni cosa, è anche nell’essere madre. Non è semplice saper organizzare le giornate dei bambini, averli impegnati, anche se fuori piove o fa troppo freddo per farli uscire. Fortunatamente Maxima, Alexander e Constantine sono tranquilli, anche abbastanza studiosi. Di primo impatto nulla del carattere dei tre sembra essere suo. Ricordano molto Philip: diligenti, rigorosi, forse con poco slancio d’entusiasmo. A volte si chiede se sia colpa sua, se risentano delle due settimane l’anno in cui lei parte per Roma  per “interesse spirituale”, che solo per tre persone vuol dire: per vivere l’amore.
Ha letto da qualche parte, forse in uno dei romanzi gialli che ama leggere, che per tenere un segreto nascosto il più a lungo possibile bisogna metterlo alla luce del sole. Secondo alcune filosofie, è così che fa Dio con l’essere umano: Dio è in ogni cosa visibile e invisibile, per questo gli uomini non riescono ad afferrarlo veramente, e quando lo fanno, dopo pochi attimi, sfugge di nuovo al loro intelletto.          
Tenere il loro amore segreto è stato facile, quando hanno cominciato a ragionare in questo senso. John e Paul vivono quotidianamente nella sua casa, assieme a Philip, nei nomi che hanno scelto per i bambini. Nomi che ricordano Roma e che Philip ha accolto di buon grado per la storia che hanno dietro. Avrebbe forse preferito nomi inglesi, dello stesso impatto? Nessuno può dirlo, come nessuno può dire cosa gli passi davvero per la testa. John e Paul hanno frequentato a lungo la loro casa, fino allo scioglimento del gruppo. Philip è stato a contatto anche con Linda, Cynthia, George, Ringo, persino Yoko. Ma non è mai sembrato particolarmente entusiasta di ciò. Eppure non si è mai lamentato.      
Lui ha solo voluto pensare al mantenimento della famiglia, a dare abiti nuovi per ogni stagione, una casa solida, ad aggiustare o rimpiazzare qualsiasi cosa si rompesse. Philip ha insegnato ai figli ad andare in bicicletta, ha costruito per loro una casa sull’albero, li ha portati in vacanza, quello è bastato, ha la coscienza pulita. È un buon padre e un marito impeccabile, che non ha mai fatto mancare nulla alla moglie e di certo abbastanza moderno da farla viaggiare da sola e farle nutrire così altri interessi. “Agatha viene da una famiglia internazionale, è normale aspiri a conoscere nuove culture. Ma tranquilli, non diventerà cattolica.” Si è giustificato così con i suoi colleghi e sua madre, dalla quale va con i bambini quando, ogni autunno, Agatha parte per Roma. Una madre terrorizzata dal fatto che la nuora possa convertire se stessa e i nipoti. Come se il cattolicesimo fosse un virus letale.

Autunno 1967

Fuori piove da ore e probabilmente pioverà per altrettante ore. “Anche una città solare come Roma ha i suoi giorni no”, pensa Agatha portandosi sulla punta del naso una foglia autunnale raccolta da Villa Borghese il giorno prima. Non c’è più stata una Parigi, città meravigliosa e rispettabile… ma non è Roma. Non che a Roma i due siano sconosciuti, anzi, ma nessun italiano si aspetta di vederli girare per le vie del centro. Sembra quasi che ai romani non interessi lo status sociale, o con chi stiano parlando. O semplicemente, hanno visto così tanti personaggi famosi, da Giulio Cesare ai Beatles, che ormai non ci fanno più caso. Con cappello e occhiali scuri, hanno girato indisturbati nelle ore buie del pomeriggio e della sera, e se anche qualcuno li ha riconosciuti, non lo ha dato a vedere.
Forse agli italiani interessa più il fatto che una donna se ne vada in giro con due uomini, perché le uniche occhiate incuriosite, sono state rivolte proprio a lei. Ma comunque tutti hanno avuto il buon senso di non criticare, o così crede lei. In effetti, come può sapere i commenti che le sono stati fatti? Non conosce l’italiano, oltre il “buonasera” e “buongiorno”.           
Roma dà loro più libertà rispetto a Parigi, ma entrambe le città mantengono il loro segreto. Anche a Roma l’albergo non divulga i loro veri nomi, e i camerieri lasciano gli ordini dietro la porta, annunciati a colpi con le nocche.      
Agatha sospira pensando a tutto ciò, stringendosi il braccio di Paul attorno al petto, lui le bacia il collo. Seduti sopra il mobile posto leggermente sotto al davanzale della finestra, lei sta osservando i sampietrini bagnati, lui il cielo grigio, eppure più luminoso rispetto a quello di Londra. Lei si volta e lo guarda, solo allora Paul abbassa lo sguardo. In quei pochi secondi prima del bacio, Agatha assapora la vera felicità, quella sensazione che rende tangibile anche l’aria e che ti fa pensare: “Sono nata per vivere proprio questo momento”. Chissà quanti altri hanno la fortuna di assaporare questa consapevolezza. 

Primavera 1968

Le lacrime agli occhi e un sorriso che non accenna a spegnersi, così, da non sa quanto tempo. Agatha ha sul suo braccio destro una creaturina rosa, che si è appena calmata dal lungo pianto estenuante di chi ha utilizzato tutte le sue forze per arrivare in questo mondo. La piccola non riesce a tenere gli occhi aperti, e quando lo fa, incontrano quelli della madre, Agatha rivive quella sensazione di felicità dell’autunno precedente. Per accarezzarle l’intera guancia, bastano due dita e questo fa stringere il cuore all’interno del suo petto. Per ora esistono solo lei e la sua bambina ancora senza nome. Le dà un bacio sulla fronte e poi la affida all’infermiera per il primo bagnetto.       
«Come si chiama questa meraviglia?» Le chiede gentilmente.      
John le ha promesso che sarà un’ottima madre, ma lei non ci crede molto. Ha passato l’intera gravidanza ad avere dubbi sul suo ruolo, su quello che era giusto o non giusto fare.   

«Tu non ti senti mai in colpa per Cynthia, o Julian?» Ricorda ancora come John posò la chitarra a terra dopo quella domanda. Si voltò senza guardarla, sistemando dei fogli. Rimase in silenzio così tanto che Agatha continuò, quasi giustificandosi. «Dicono che questi anni siano facili per i giovani, non si rendono conto di quanto sia complicato. Abbiamo la libertà di scegliere, per questo che è così difficile…»
John diede un colpo al tavolo, e questo fece zittire Agatha. «Sì. Mi sento in colpa.» Si girò verso di lei, con quello sguardo arreso, perché a lei di certo non poteva mentire. «E quando mi ci sento ti maledico, ecco perché cerco di non farlo mai.» 
«Perché mi maledici?» non c’era nessuna accusa nella sua domanda, solo curiosità. Per questo John l’ha sempre amata: non si è mai sentito giudicato.         
John si avvicinò, inginocchiandosi, per poterla guardare negli occhi. La gravidanza a poche settimane dal termine le aveva conferito un posto d’onore in una poltrona degli studi di Abbey Road.
«A volte, quando vedo che ti accarezzi la pancia, o che parli con George e Ringo sui possibili nomi, mi viene questo flash dove il bambino è mio, o di Paul, e lo cresciamo insieme. Penso che se fossimo stati di un’altra epoca, o di un altro pianeta, sarebbe stato possibile e probabilmente avremmo già una miriade di marmocchi. Allora poi ricordo che se ci fossi sempre stata, non mi sarei mai sposato e non ci sarebbe stato nessun Julien, per questo ti maledico. Mi fai sognare una vita più bella, dove mio figlio non è stato neanche concepito.»      
Agatha era rimasta senza fiato, John l’ha sempre guardata negli occhi, parlando in modo lento, il tono di voce basso, come suo solito. «A proposito,» fa John alzandosi e tornando col sorriso «Chiamalo Maximus, Maxima, se femmina, o comunque qualcosa del genere. Ha la madre migliore che può avere, il nome non deve essere mediocre.»
  

«Allora?» sembra che l’infermiera non si sia mai mossa da lì.       
«Maxima.» sorride Agatha, poi chiude gli occhi per riprendersi dalla fatica del primo parto.

Autunno 1980

In uno sguardo fugace allo specchio, Agatha vede tutta la sua vita scorrerle davanti. Ultimamente sta diventando più malinconica, non sa il perché. Forse sua madre ha ragione: più passa il tempo, e più l’approssimarsi dell’inverno mette malinconia. Disfa la valigia e sente di doversi sedere a terra, per un mancamento. “È l’ultima volta”. Una voce nella sua testa sembra ammonirla, come se preannunciasse qualcosa di tragico.           
John e Paul entrano arrivano dal salottino della suite, la vedono con la testa sul pavimento, e si precipitano da lei preoccupati.        
«Che hai?» Paul l’aiuta a sedersi almeno sul letto.  
«Non lo so, mi gira la testa…»        
John apre la finestra, e arriva subito una ventata d’aria fresca. Questa volta non piove, a Roma c’è una splendida giornata di sole.  
«Forse è meglio se non usciamo, stasera.» La rassicura Paul.        
«Già, mi chiedo cosa potremmo mai fare tutto il giorno in stanza.» John li guarda malizioso, la risata di Paul, quella genuina, quasi infantile, fa sentire subito meglio Agatha.          
«E se questa fosse l’ultima volta, per noi?» rivolge quella domanda per cercare una risposta che la rassicuri.        
John e Paul si guardano per un attimo, ma distolgono subito lo sguardo. Si sono chiariti dopo gli anni lontani, ma si sentono ancora idioti ogni volta che ci pensano. Quanto hanno perso l’uno dell’altro, solo per orgoglio? E quanto è stata colpa di uno, quanto dell’altro? Si sono odiati, insultati, hanno portato rancore, eppure mai hanno smesso di amarsi. È stata Agatha a farli riunire, senza mai mettere pressioni a John o Paul. E da quando sono tornati a rivedersi, da quella primavera del ’74, effettivamente non hanno mai parlato del fatto che potrebbe riaccadere una nuova rottura tra loro. Eppure sembra così lontana come ipotesi, ora che John ha deciso di tornare a fare musica dopo anni di silenzio discografico; ora che è meno dipendente dal suo rapporto con Yoko.      
«Possiamo solo vivere il presente, tesoro.» 
«Già, “Tomorrow never knows”.»   
Agatha sorride, già. Nessuno può conoscere il futuro, meglio non pensarci.         

Inverno 1974

Agatha bussa alla porta della stanza di John, attendendo il laconico “entra”. È buio, l’odore di fumo è così stantio che lei deve tapparsi il naso per poter avanzare verso di lui. Ma prima di sedersi sul letto, apre la finestra, senza distogliere la tenda. John ha bisogno del buio. Sa di avere una sorta di privilegio: è l’unica che può vederlo in quel modo. Non è stato, infatti, lui a chiamarla, ma Yoko. I periodi depressivi di John si ripetono come le stagioni durante l’anno, e proprio come quel susseguirsi, nessuno può farci molto. Come arrivano, vanno via. Così come Cynthia, anche Yoko ha imparato a conviverci, ma quella volta è diverso. I processi, la stampa insistente, il governo americano contro, la rottura con Paul… Questa volta solo Yoko non basta.         
Agatha non sa se le è mai piaciuta la seconda moglie di John, forse semplicemente non riesce a comprenderla. Con Cynthia e Linda è semplice, sono molto simili a lei, riescono ad amare senza alcuna condizione, neanche quella della fedeltà. Tra le tre non c’è mai stata gelosia, meno che mai rivalità. Con Yoko è del tutto diverso. Sembra volere il controllo assoluto su John, eppure, quando glielo si concede, sa mettersi da parte, lasciandolo libero. Yoko è un enigma come John, ma che non è compito di Agatha risolvere.       
Si avvicina accanto a John, sdraiato a petto in giù, la guancia destra sul cuscino e uno sguardo perso verso il vuoto. Agatha gli accarezza i capelli, li sente unti, chissà da quanto non si lava.    
«Gathie.» dice con un filo di voce.   
«Sh.» si inginocchia davanti a lui, lo bacia sullo zigomo sinistro che sente bagnato.                        
John chiude gli occhi, addormentandosi.
Dopo due ore Agatha ha ripulito quel che poteva della stanza, scostando un po’ di più la tenda e facendo entrare una leggera luce del giorno. John si sveglia del tutto, ma gli ci vuole del tempo prima di capire che la donna che vede davanti ai suoi occhi è reale. Come può Agatha trovarsi lì, a New York, a fine febbraio?           
«Che ci fai qui?» si accende una sigaretta e butta il fumo nella sua direzione, studiandola.   
«Mi ha chiamata Yoko.» Il tono è freddo, tale e quale a quello utilizzato da John.           
Lui già spegne la sigaretta, si porta le mani sulla testa.       
«Che cosa sto facendo?»      
Agatha abbandona ogni resistenza, si avvicina e gli bacia la testa. «È tutto ok, Johnny.»           
Sentendo quel nomignolo, dopo anni, anche John lascia andare ogni ostilità e piange contro il petto morbido di Agatha, come non faceva da tempo. A lei non serve sapere cosa ha, cosa vuole tirare fuori, lo comprende. John ha passato gli ultimi quattro anni in una spirale ininterrotta di progetti, entusiasmo per il nuovo. Si è detto di stare bene, di non aver bisogno di nulla al di fuori di se stesso, ma in realtà ha avuto una dipendenza ben più forte di quella per le droghe: la dipendenza verso una persona. E in questa continua sete di amore, ha smesso di sentire gli unici due che con il loro amore lo hanno sempre lasciato libero di agire. Non ha mai avuto dei fili con Agatha e Paul, eppure per questo ha avuto paura. Paura della libertà.  
«Non mi merito di averti.»   
Agatha scuote la testa, cominciando a piangere. Non riesce a rispondere, quindi lo stringe di più a sé. Conosce quel dolore, sa da dove nasce. Dal sentirsi rifiutato, dall’essere cresciuto con la zia che mai l’ha capito, da un padre che l’ha abbandonato, dall’avere all’interno del suo inconscio la consapevolezza che sua madre è morta mentre stava andando a trovarlo. Pensa di non meritarsi l’amore. 
Gli bacia la testa, poi la fronte, e in ogni bacio Agatha capisce quanto sia stata dura per John accettare l’amore per lei, ma soprattutto per Paul: un uomo. Quanto sia stata dura per John essere un padre, fare il padre. Come può sentirsi un adulto che fin dall’infanzia sa di non essere voluto da chi dovrebbe amarlo a prescindere? Per John l’amore è abbandonare la persona, e la dipendenza da qualcuno è solo un modo per ferirsi, perché la sofferenza, la miseria, è ciò che pensa di meritare davvero.       
«Ascoltami.» lo guarda fisso negli occhi, ora privi di sfida, della scintilla della vita. Dio, quanto le fa male al cuore tutto ciò. Lo guarda e si sente morire per la sofferenza che lui ha patito senza mai esprimerla. «Tu mi meriti, e meriti tutto l’amore che io e Paul ti possiamo dare.»         
«Vi ho perso.»           
«No, amore mio.» da quanto non pronunciava quelle parole davanti a lui? Da così tanto tempo che sembrano essere state pronunciate per la prima volta. «Non ci hai mai persi.»   

Autunno 1977

Cosa fa grande una persona? Di certo il suo comportamento, la rettitudine, la gentilezza. Ma il vero rispetto lo si dà a chi mette da parte l’orgoglio, anche solo per un attimo. Agatha si innamora sempre di più dei suoi due uomini, quando li vede baciarsi, stringersi, accarezzarsi. E dire che il mondo fuori da quella stanza regala medaglie a uomini che uccidono altri uomini, e il manicomio a uomini che amano altri uomini. A volte si distacca, semplicemente per guardarli, accrescendo il suo amore.
Durante il liceo pensava fosse frutto dell’adolescenza che fa impazzire o semplicemente ribellare. Gli anni distanti sono stati quasi la conferma che ciò non poteva resistere, poi l’incontro da adulti, il riprendersi per ricominciare, e continuare ad amarsi. Forse era solo la negazione del tempo che è destinato a passare, o la pazzia delle rock star. Lo scioglimento dei Beatles e la divisione per altri quattro anni le hanno quasi fatto credere che era tutta illusione, che il rapporto era malato proprio come la società lo avrebbe etichettato. Eppure, alla soglia dei quarant’anni, con nuove famiglie, nuove responsabilità e nuovi interessi, eccoli di nuovo lì: semplicemente ad amarsi.
E come si ama di più quando si scopre che chi hai davanti ha lottato contro i suoi stessi demoni, accettando l’oscurità e mettendo da parte l’arroganza che ci fa credere superiori, che ci spinge a mentire a noi stessi, a farci credere che non abbiamo bisogno di chi ci ha fatti soffrire, che siamo migliori.           
Paul fa sdraiare John sul letto, continuando a baciarlo. Cinge con un braccio la vita più rotonda di Agatha, che li guarda, ancora persa nei sentimenti che prova per loro. Forse per alcuni fuori da quella stanza sono meno uomini perché si stanno amando, perché in un attimo l’uno è dentro l’altro e godono entrambi dei loro corpi. Ma lei, da dentro, sta guardando due uomini che hanno scelto l’amore sopra ogni altra cosa. Quanti possono dire la stessa cosa?

9 dicembre 1980

Close your eyes and I’ll kiss you/Tomorrow I’ll miss you/Remember I’ll always be true/And then while I’m away, I’ll write home everyday/and I’ll send all my loving to you.”
«Johnny?!» Agatha è sorpresa dalla canzone che lui sta canticchiando «Perché stai cantando tu questa canzone e non Paul?»    
John la prende per mano e la fa girare con una piroetta. Quando lei torna a guardarlo, ha quindici anni. Le stringe la mano che lei tiene sul suo petto, come la scena del loro primo bacio. E infatti la bacia, lei sente le ginocchia tremare, avverte le prime calze acquistate con i suoi risparmi, e la gonna che le stringe la vita, messa per fare bella figura davanti a lui, ma che non la lascia respirare. Non pensava di riuscire a rimorchiare proprio il ragazzo più ribelle della zona, eppure l’ha baciata. «Che c’è, Gathie? Non sei mai stata una nostra fan, e ora sai chi canta quale canzone?»         
Agatha ride, annuendo. Poi John torna ad avere quarant’anni, è serio.      
«Ci vediamo.» fa un occhiolino, poi un inchino e sparisce.

Agatha rimane sola, infreddolita. Apre gli occhi. Guarda in direzione della sveglia, le 04:16 del mattino. Era solo un sogno, ma quell’ci vediamo le ha provocato un senso di nausea, di peso sul petto. Si alza stando ben attenta a non svegliare Philip, e riavverte lo stesso capogiro. “L’ultima volta”. Di nuovo quella sensazione, che vuol dire? Indossa la vestaglia, si alza dal letto ma è come se lei non fosse dentro il suo corpo. Chissà chi è che l’ha spinta verso il soggiorno, chi è che le ha dato l’idea di accendere la radio, in attesa.
È surreale”, pensa. “Ogni stazione radiofonica attiva trasmette solo i Beatles.” Il cuore accelera i battiti, sente di dover gridare, di chiedere aiuto, ma non riesce a emettere alcun suono. Avrebbe voglia di acqua, di sostegno, ma ancora, rimane impietrita. Si accorge di stare piangendo, e forse per i singhiozzi sveglia Alexander, lo vede sulla soglia della porta, un ometto di dieci anni preoccupato per la madre.  
«Tutto ok, mamma?»
«Sto bene, tesoro. Ho fatto solo un brutto sogno, capita anche ai grandi.»
Il bambino si avvicina alla madre, accoccolandosi sulle sue gambe, come se fosse di nuovo piccolo. «Allora resto con te finché non ti riaddormenti.»  
Agatha accarezza i capelli del piccolo Alex che fortunatamente sprofonda subito nel sonno. Sorride, grata per la sua dolcezza. Allunga la mano per spegnere la radio, quando una voce seria riprende il collegamento da uno studio. Agatha si blocca. 
«Purtroppo ci sono giunti aggiornamenti da New York.» Agatha sbarra gli occhi. New York? Aggiornamenti? I Beatles? Purtroppo… «John Lennon è appena deceduto.»

Philip si è offerto di preparare la colazione ai bambini, lei è rimasta seduta sul divano per tutto il tempo. Ha finto un po’ di febbre e quando ha avuto del tempo per rimanere sola con marito, ha tirato fuori quelle lacrime che mai avrebbe pensato di versare. Forse è stata la prima volta in cui Philip l’ha sostenuta davvero, abbracciandola nel silenzio. Poi ha pronunciato quelle parole: “Ti accompagno da Paul.”
Ad aprirle la porta, nell’alba londinese, è stata Linda. Maxima, Alexander e Constantine anche se assonnati, sembravano delusi dal non potere giocare con i loro amici, i figli di Paul. Non sanno nulla, Philip sta ripartendo per portarli a scuola. Loro in fondo non conoscono così bene John, non è come Paul, una specie di zio… “Non conoscevano”, “non era”, Agatha riformula quelle parole e piange di nuovo, di fronte a Linda. La fa accomodare allo studio di Paul, rimangono lì in silenzio. Linda le accarezza i capelli e le asciuga il viso. È proprio come Paul: fredda ma dolcissima.      
«Non credo che questo sia il luogo più adatto, per te, ora.»
Agatha scuote leggermente la testa, non è il momento di sentirsi l’esclusa solo perché non ufficialmente riconosciuta, ha bisogno di Paul, ma non ha neanche le forze per dirle tutto ciò.        
«Voglio dire…» Linda sembra leggerle i pensieri. «Che Paul è agli studi di Abbey Road, dovresti stare lì, con lui.»     
Linda le sorride per un attimo e poi la bacia sulla guancia, chissà cosa pensa. Una morte così improvvisa, senza un vero perché. Deve essere dura per tutti, forse deve sentirsi un po’ come Philip: vedono la persona che amano soffrire e non possono farci nulla.           
«Ti accompagno io, dopo che ho salutato i bambini.»        
Linda esce dallo studio, e Agatha si sente di nuovo da sola, infreddolita.

Quando arriva allo studio, Paul è seduto a terra, le gambe sdraiate, la schiena poggiata al muro. Una bottiglia di un liquore costoso nella mano sinistra. Della musica avvolge l’atmosfera, ma non serve poi a molto, se non a tentare, invano, di sopprimere i pensieri. Guarda Agatha, ma quasi non la vede.         
«Avremmo dovuto fare tanto, aspettavamo il momento giusto per tornare a lavorare insieme…»    
Agatha si siede accanto, Paul le prende la mano stringendogliela. È stato raro, per lei, vedere Paul piangere, ma ora lo sta facendo. Agatha non ha mai smesso. Paul nasconde la sua testa tra la spalla e il collo di lei.        
Come può essere la vita dopo John? La sera precedente, come ogni sera, lo aveva sentito. Era pomeriggio a New York e lui doveva andare a lavorare a un album. E adesso non avrebbe più potuto sentire la sua voce, i suoi ammonimenti, i suoi consigli, il suo amore. Non ci sarebbe stata un’altra Roma. E quasi la sua adolescenza le sembra sparire, come se fosse stata vissuta da un’altra persona e lei la stesse vedendo sullo schermo di un cinema.          
Agatha accarezza i capelli spettinati di Paul, come ore prima aveva fatto con Alex, ignara del dolore che avrebbe dovuto affrontare.
Solo nel pomeriggio, dopo qualche bottiglia scolata insieme, Paul riesce a parlare sul serio. «Sai cosa mi fa più rabbia? Che sia andato via così, ucciso.»          
Agatha chiude gli occhi, deve trovare il coraggio di rispondere, ma soprattutto di accettare il fatto che John non ci sia più. Sente le palpebre pesante, come la sua testa, la sua bocca, e ogni muscolo del corpo. Le fa male respirare, parlare, ma deve. «Mi sono alzata alle 4:16.» Spiega lentamente. «Avevo sognato il nostro primo bacio, e prima lui mi stava cantando “All my loving”.»        Paul sorride.  
«Ti amo profondamente, lo sai. Ma mi sento come se avessi perso tutto.»
Paul la stringe, assaporando il profumo dei suoi capelli. «Non mi hai perso.» La rassicura. «Non abbiamo perso neanche John. Non realmente.»    
Agatha lo guarda negli occhi, si ricorda dei viaggi in India e dell’idea delle vite precedenti.     
Una specie di sciamano aveva detto a John e Paul che erano destinati ad amarsi in eterno, assieme a una terza persona, una donna. Facevano parte della stessa scintilla. Capita raramente, ma quando accade, le persone non possono fare altro che amarsi, nonostante l’illusione della lontananza, o della morte.       
«Per altre mille vite.» si sussurrano a vicenda, fronte contro fronte.

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Capitolo 7
*** Capitolo VII - The End ***


Are you going to be in my dreams tonight?
 
Dei suoi trip da LSD, Agatha ricorda ormai molto poco, giusto che le scene si succedevano ogni volta che cambiavano i pensieri. Era stato proprio George una volta a suggerirle di iniziare a meditare subito dopo aver preso la pasticca, in modo tale che potesse iniziare il suo viaggio interiore senza problemi creati dalla mente. Ascoltò quel consiglio, e in effetti si rivelò estremamente saggio, ebbe la prima esperienza tranquilla, senza sensi che si confondevano tra loro e senza preoccupazioni che prepotenti la rimproveravano.        
Mai come in quegli ultimi mesi, però, è grata per il consiglio di George. La meditazione l’ha aiutata tantissimo ad accettare il processo della morte lenta del suo corpo. Il più delle volte medita la mattina, quando è da sola e quando è più incline ad andare nel passato. Non che abbia rimpianti, ma vuole godersi tutto della vita, anche il momento della sua morte. Paul le ha detto che una delle fortune di George è stata proprio questa, privilegio che invece non ha potuto avere John.                 
John.  
Chissà se ci sarà lui ad attenderla. Di nuovo, torna a concentrarsi sulla luce bianca immaginata al centro della testa. Non deve vagare neanche nel futuro, per quanto assurdo possa sembrare, pensare all’aldilà per lei è davvero il futuro immediato.
Apre gli occhi, oggi non si sente in vena neanche di meditare. Guarda fuori dalla finestra, il cielo è bianco, probabilmente nevicherà. Non sa che giorno è, ma sa che è quasi Natale, perché Halloween è passato da un bel po’. Lucrezia, l’infermiera di origine italiana del giorno, le aveva raccontato della sua festa in costume, e di come si fosse sentita un pesce fuori dall’acqua, perché in Italia la gente non è così fredda come a Londra, e come darle torto?
Guarda l’orologio, le 11:45, Ora Lucrezia è in cucina per preparare un pranzo che Agatha non finirà. Quanto le dispiace, cucina benissimo, eppure ormai proprio non riesce a mandare giù niente. Le infermiere lo sanno, e non cercano più di incoraggiarla. Solitamente le accarezzano i capelli e le dicono: “Almeno avrai più fame domani”.            
Alle 12:00 esatte, Lucrezia entra in stanza con il vassoio. Cammina lentamente, per non far cadere la zuppa dentro il piatto. Posa il tutto sul tavolino vicino al letto e aiuta Agatha a tirarsi su. La avvicina al piatto, e come sempre dopo due cucchiai, Agatha getta la spugna.         
«Non preoccuparti.» le fa l’italiana, e poi le dà un bacio sulla fronte. Agatha, da buona inglese, non è mai stata amante del contatto fisico, ma questa volta le fa un grande bene. «Ora riposati.»
L’infermiera le fa i soliti passaggi: controlla che sia asciutta e le fa dei massaggi per evitare le piaghe da decubito. Mezz’oretta dopo, Agatha è di nuovo sola, chiude gli occhi e si addormenta.

Agatha chiude la porta della stanza di Stuart.        
«Vi ho cercati ovunque!»     
John si volta, scuro in volto, almeno così le pare, visto che l’unica luce proviene dai lampioni fuori. Agatha ha timore di chiedere cosa sia successo, anche se lo può immaginare. Sono mesi che la loro amicizia è diventata un ostacolo, come se un enorme masso si fosse piantato lì in mezzo e non volesse saperne di spostarsi.     
«Dimmi cosa provi per me, e cosa provi per lui.»   
Agatha guarda in direzione di Paul, che sembra essere rassegnato. Poi torna a guardare John. Ringrazia se stessa per aver bevuto così tanta birra a quella festa. Non arriverà mai il momento in cui sarà pronta per ammetterlo, tanto vale farlo adesso.           
«Sono innamorata. Di entrambi.» un momento di pausa, dove i tre respiri si fanno pesanti, ma si uniscono in sincrono. «E non mi potete chiedere di scegliere, perché tanto non lo farò.» “Perché tanto so che anche per voi è così.” Avrebbe voluto dire, ma sarebbe un azzardo che non ha il coraggio di compiere.          
«Credo sia meglio uscire da qui, godiamoci la festa, oppure no, domani ne riparleremo con più calma…» Paul non può reagire come vorrebbe, la paura è tanta. Vorrebbe stringere Agatha tra le braccia, dirle che è ricambiata e che sa cosa prova, perché anche lui non può scegliere.               
 

«Aspetta, non è il momento.»           
Sogni e ricordi si mescolano, ma quella voce interrompe qualsiasi cosa fosse stata. Eppure Agatha è così stanca, ancora non vuole svegliarsi.«No. Ne parleremo qui, ora.»          
«Ha ragione Paul, meglio se ne parliamo domani, anzi, meglio se non ne parliamo mai più.»   
«Cosa vuoi dire?»     
«Voglio dire, Paul, che è inutile parlare di qualcosa che non volete affrontare voi per primi. Io sono stata sincera, e voi? Cosa provate per me, e cosa provate tra di voi?»           
«Non è la stessa cosa…» John guarda Agatha con sicurezza.       
«Ah, no? Perché non vi state tormentando da mesi su un amore impossibile? Su un amore che avreste voglia di gridare al mondo, non perché vi freghi qualcosa di sbandierarlo, ma perché sperate che il mondo vi ignori?» 
Quel silenzio è solo l’ammissione muta dei due alle parole della ragazza.
«Appunto. Non mi prendo il ruolo della stronza, della donna puttana che non vuole scegliere tra due persone, così che possiate scaricarvi la coscienza, e possiate tornare alla vostra musica. Per cosa, poi? Fare finta di essere solo amici? Sapete cosa? Io posso abbandonare questa stanza, scendere giù e cominciare a ignorarvi. Vi dimenticherete di me tra due, tre anni massimo. Ma voi? Voi starete sempre insieme. Voi non potrete ignorarvi, perché siete qui per fare musica, insieme, voi…»       
Le parole di Agatha sono veramente dure, ma John ha notato solo una cosa: la sua sicurezza nel loro futuro così incerto. Lei non ha mai avuto dubbi sul gruppo musicale, sul vivere di suonando, e soprattutto sulla collaborazione Lennon-McCartney. È per questa sicurezza che lei gli ha dato, se si volta verso Paul e comincia a baciarlo.   

«Devi aspettarlo.»     
“Perché? Tanto non verrà.” Risponde Agatha alla voce.
I tre sono in silenzio, muti. Sanno che c’è bisogno di parlare, ma non sanno come intraprendere il discorso. Non sono andati a scuola, così casa di Paul è totalmente a loro disposizione. Accade fin troppo spesso, in realtà, ma oggi la mancanza di note suonate e cantate, crea un’atmosfera tesa, quasi cupa.      
Forse non è stata una buona idea incontrarsi, ma abitando nella stessa città e avendo una band insieme, sarebbe stato inevitabile.
«Quello che è successo sabato sera, e poi ieri…» Agatha si blocca. Si morde le labbra, ancora gonfie e leggermente doloranti. Le manca la pelle su quasi tutto il labbro inferiore per i morsi che si è fatta dare da John e Paul.     
«Vogliamo dimenticarlo?» chiede John.     
«Tu vuoi farlo?» Incalza Paul.         
I due si guardano senza parlare, lo sguardo fisso, danno l’idea di due gatti che si sfidano per il territorio. Solo che non esiste alcun territorio da conquistare.  

Love you/Love you/Love you/Love you…

«Ti amo.»      
Agatha apre lentamente gli occhi, la stanza è ancora offuscata dalla vista che tarda nel mettere a fuoco oggetti e persone. Sente una mano stringere la sua, poi nota la figura accanto al letto.         
«Paul?»          
Lui annuisce, passandole gli occhiali da vista.        
«Quando ti ho sentita al telefono, tre giorni fa, mi sei sembrata distante. Poi hai saltato una chiamata, il giorno dopo, e ho avuto paura, sai, come con John… non ti perdo improvvisamente, chiaro? Sono qui, e resto qui. A ripeterti che ti ho amata dal primo giorno che ti ho vista e non ho mai smesso…»   Agatha sorride, stringe più che può la mano di Paul. «Ti amo anch’io.»
Pochi secondi di silenzio. In quei secondi di silenzio, Agatha ripercorre la sua prima volta con John e Paul, quel sabato appena passato.           
Non credeva che John avesse sul serio il coraggio di baciare Paul, né che Paul ricambiasse senza alcuna esitazione. Era rimasta a guardarli, come estasiata, come quando li vede suonare. Quando loro si sono staccati, lei è come tornata in sé.   
John ha una paura fottuta, da adesso cambia ogni cosa nella sua vita. È così anche per Paul, rimasto fermo immobile, chiedendosi cosa gli fosse passato per il cervello per ricambiare quel gesto.          
«Va tutto bene, ragazzi.» Agatha spinge la scrivania verso la porta, in modo da bloccarla per eventuali disturbatori. Non vuole interruzioni, sa quanto sono scossi, ed effettivamente è un po’ colpa sua.    
Quando ha finito, si siede sulla scrivania, cercando di mettere in ordine le idee. Cosa può dire? Cosa può fare? Ma in realtà è frastornata, vorrebbe rivedere un altro bacio, vorrebbe partecipare a un altro bacio.        
Paul si volta verso Agatha, la vede più bella, se fosse possibile. Quando si avvicina a lei, Agatha sorride, non opponendo alcuna resistenza alla camicetta che viene sbottonata. Paul le scopre il petto, baciandole il seno destro, mentre il sinistro è tutto per John.       
Non è la prima volta di nessuno dei tre, eppure le sensazioni sono del tutto sconosciute, perché esplorano sfumature dell’amore occulte.    
 

Sono pochi i momenti in cui si riprende, ma in tutti, Paul è sempre presente. A volte è sdraiato accanto a lei, altre è seduto sulla poltrona, perché ha fatto avvicinare i figli, o i nipoti di Agatha. Lei non ha più la sensazione del tempo che scorre, forse per questa sera neanche le porteranno la cena, probabilmente tutti sanno che per lei non ci sarà più una nuova alba.         
John le mette la mano sotto la gonna, poi le sposta le mutande e le infila due dita dentro la vagina bagnata. Agatha si lascia andare, avanza di poco e manda la schiena indietro, appoggiandola alla porta. La testa sbatte contro il legno, ma il cervello non deve aver mandato nessun impulso di dolore al corpo, troppo preso dall’eccitazione del momento.
Paul la bacia sul collo, per poi spostarsi dietro John. Gli alza la maglietta, gli bacia la schiena. John rallenta i movimenti delle dita, per godersi, invece, quelle sensazioni del tutto nuove. Agatha apre gli occhi, non vuole perdersi nulla. Dalla sua posizione può solo vedere il volto di John, gli occhi che fanno fatica a chiudersi e far sì che lui si lasci andare del tutto. Così lo aiuta, si avvicina alle sue labbra, le bacia, le morde, cerca la sua lingua. Gli sbottona i pantaloni, per toccare il suo pene, ma trova già la mano di Paul.  


«Hey Gathie, ti stavo aspettando!»  
Agatha si guarda prima le sue mani, hanno la pelle liscia e le unghie tutte mangiate, come quando aveva quindici anni. Alza lo sguardo verso quella voce che le stava dicendo di aspettare ancora un po’, e vede John, proprio come lo aveva conosciuto. Gli va incontro, e lo abbraccia. Può sentire la sua pelle, il suo corpo, il suo profumo, tutto il suo essere.  
«È bello rivederti.» Appoggia la testa sul suo petto.
«Per me è bello riabbracciarti.» Risponde John.
And in the end, the love you take/is equal to the love you make.

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