Indiana Jones & Doctor Who And the Stolen Tardis

di Evola Who
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Welcome To Bedford ***
Capitolo 2: *** The Kidnapping ***
Capitolo 3: *** The fifth option ***
Capitolo 4: *** Archeologists Are Cool ***
Capitolo 5: *** The Big Blue Box ***
Capitolo 6: *** Time And Relative Dimension In Space. ***
Capitolo 7: *** “No.” ***
Capitolo 8: *** The Final Comfirmation Part I ***
Capitolo 9: *** Denny Vs Jones ***
Capitolo 10: *** The Final Comfirmation Part II ***
Capitolo 11: *** The Jounrney Of Another Adventure ***
Capitolo 12: *** Welcom To Dupain ***
Capitolo 13: *** Something Usually. ***
Capitolo 14: *** The Words Of The Doctor ***
Capitolo 15: *** The Strange History Of The Dupain Temple. ***
Capitolo 16: *** UNIT ***
Capitolo 17: *** Miss me? ***
Capitolo 18: *** River Song ***
Capitolo 19: *** It’s a trap! ***
Capitolo 20: *** Tribù ***
Capitolo 21: *** Haska ***
Capitolo 22: *** Sassic. ***
Capitolo 23: *** Secrets ***
Capitolo 24: *** Ignore all keep out signs, go througit Every locked doot, and qun towards any Form of danger that presents itelf. ***
Capitolo 25: *** Think Of H.G. Wells. ***
Capitolo 26: *** Fear. ***
Capitolo 27: *** Torture ***
Capitolo 28: *** Escape ***
Capitolo 29: *** “I will not leave you here!” ***
Capitolo 30: *** Vent and frustration ***
Capitolo 31: *** Explanations ***
Capitolo 32: *** The history of humanity, according to Danny ***
Capitolo 33: *** The story of Indy ***
Capitolo 34: *** La Suite ***
Capitolo 35: *** The rescue plan ***
Capitolo 36: *** Do they want a sacrifice? ***
Capitolo 37: *** The evil goddess ***
Capitolo 38: *** The Great Escape ***
Capitolo 39: *** Sexy ***
Capitolo 40: *** A moment of relaxation ***
Capitolo 41: *** Different and Equal ***
Capitolo 42: *** Song ***
Capitolo 43: *** Homecoming ***
Capitolo 44: *** Presents ***
Capitolo 45: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Welcome To Bedford ***


Indiana Jones & Doctor Who
And the Stolen Tardis
 

Capitolo 1
Welcome To Bedford.
 
 
Dopo la sua prima avventura nel New Jersey, il Dottore decise di portare di nuovo Denny in America, in uno stato e in un'epoca completamente diversi.
Quando il TARDIS fu atterrato, Denny uscì fuori, curiosa come sempre di sapere in quale bizzarro luogo l'avessero condotta il Dottore (o Sexy) questa volta.

Si guardò intorno, rimanendo sorpresa: il cielo era limpido ed il sole splendeva ma l'aria era fredda. Di fronte a lei c'era un enorme municipio bianco con tetto a punta e orologio, in perfetto stile Americano, ed una piccola distesa di erba verde con tre sentieri, delimitati da alti lampioni e piccoli cespugli, che conducevano ad un monumento nero.

Oltre i confini del parco, edifici vittoriani dai muri colorati ospitavano case e negozi. Non c'era molta gente in giro, giusto qualche passante e svariate macchine d’epoca parcheggiate.

“Dove siamo?”

“A Bedford!” disse il Dottore, uscendo dal TARDIS e indicando il cartellone posto accanto al sentiero (cosa che Denny non aveva notato):“Welcome to Bedford. A nice Place to live.” E sotto, in grassetto: “Please Drive Carefully!” .
“Bedford?” rispose lei guardandolo con aria confusa.

“Sì, Bedford. È una cittadina dello stato del Connecticut non molto lontana da New York.”

“Mai sentita.”

“Beh, è una piccola città di provincia, una di quelle che non si sentono molto in giro. Come tutti i pianeti su cui ti ho portato.” disse il Dottore mettendo il braccio intorno alla spalla dell'amica.

Denny indossava una felpa blu lacciata con sotto una maglia grigia, dei blue jeans scuri e degli scarponi di tela bianca, mentre il Signore del Tempo aveva
 
il suo solito completo: una giacca di tweed, pantaloni e scarpe scuri e camicia rosa con bretelle rosso accesso, in pendant con il suo adorato cravattino.

“E in che anno siamo?”

“Vediamo…” Iniziò ad annusare l’aria: “Siamo negli anni ’30. Più di preciso il 22 ottobre 1938.”

“1938?” rispose lei sorpresa.

“Già! In pieno autunno. Te lo immagini, Denny? Oramai siamo alla fine di un grande decennio: nuove emozioni, la nascita e il successo del jazz e del blues, i primi film con audio, le grande invenzioni...”

“La segregazione razziale, il protezionismo, il voto alle donne concesso solo
dieci anni fa, la violenza, i poliziotti corrotti e l’inizio di un confitto mondiale”. 

Il Dottore la guardò con aria inespressiva.

“Sai, dovresti essere un po’ più ottimista sulle cose.”

“Non è una questione di ottimismo o pessimismo, ma di fatti storici.”

“A volte i fatti storici sono così esagerati. Non puoi immaginare quante donne di varie etnie comparivano nell’antica Grecia!”

Denny sorrise divertita. Il Dottore aveva un modo tutto suo di raccontare la Storia, con il sorriso smagliante e sicuro di chi non può fare a meno di assistere.

“Ora che facciamo? Andiamo a New York a conoscere Howard Hughes?” propose lei.

L’alieno fece una smorfia: “Perché andare a New York quando tutte le scoperte più emozionati si trovano qui, in una minuscola cittadina di provincia?”

“O forse sei un po’ geloso di Hughes e della sua intelligenza.” disse l’amica con tono ironico.

“Ma figurati! Io gelo…” Un suono forte e molto familiare lo interruppe.

Entrambi si girarono verso la macchina del tempo che stava scomparendo pian piano sotto ai loro occhi.

“No, no, no!” disse lui lanciandosi in avanti.

Con occhi e bocca spalancati, Denny vide il Dottore barcollare nel punto esatto in cui il TARDIS si era smaterializzato. Sapeva quanto quella buffa

cabina blu significasse per lui. Poteva quasi sentire il suo dolore e la sua profonda malinconia.

“Dottore…” iniziò a dire lei, intimorita e preoccupata: “Dove è andato a finire?”

“Rapito!” rispose lui con tono fermo. “Il TARDIS è stato rubato!”

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Note:
Ecco! Dopo ben due anni dalla mia storia
crossover con il Dottore e i  presonaggi di
Star Wars, ritorna il mio presonaggio Denny, con Eleven e una
nuova avventura! :D
Stavolta, incoterando l Archeologo più famoso di tutti
i tempi? 
Si incoterando? Riuscirà ad trovare il Tardis?
E chi è stato ad rubalo?
Lo scoprirete, dei prossimi capitoli! ;)
Alla prossima!
Evola 


 

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Capitolo 2
*** The Kidnapping ***


Capitolo 2
The Kidnapping

 

 
“Cosa?” chiese Denny perplessa.

“Qualcuno o qualcosa è riuscito a rapire il Tardis!” rispose lui sconvolto, rivolto all'amica.

“E come?”

“Non lo so! Ma è successo!”

“Ne sei sicuro? Non è come le altre volte? Come è successo nel New Jersey?”

“No! Lì era diverso! C'ero io a bordo e si era bloccato il vortice del tempo! E ogni volta che partiva da sola, era per estrema emergenza! Ma questa volta, invece, è stata rapita!”

Il Dottore era agitato e appariva frenetico da come parlava e gesticolava. E Denny all'inizio cercò di calmarlo, ma poi fu investita (ancora una volta) dalle emozioni del Signore del Tempo, finendo per agitarsi a sua volta.

“Ma, ma... non hai un pulsante od un telecomando per riportare il Tardis indietro quando succedono queste cose?”

“Un pulsante o un telecomando?” ripeté, quasi inorridito da quelle parole. “È come dire che hai un telecomando da usare quando una macchina parte da sola in una discesa!”  

Denny sospirò e iniziò a riflettere, dicendo: “E non hai nemmeno qualcosa per sapere dove sia finito?”

Lo sguardo dell'alieno si illuminò di sorpresa, rispondendo sicuro: “Sì! Sì, ce l'ho!”. Prese una specie di “cerca persone”, ma grande come un moderno cellulare con dei piccoli tasti.

L'amica lo guardò incuriosita e impaziente di conoscere l'esito della sua ricerca. Quando si sentì un forte bip e gli occhi del Dottore si spalancarono di sorpresa, volle dire che era conclusa.

“Trovato!” annunciò, convinto e sorridente

“E dove si trova? In un altro tempo? O su un altro pianeta?”

“No, questa volta si trova nella nostra stessa linea temporale. Ovvero, nello stesso giorno, mese e anno in cui ci troviamo noi adesso!”

Denny era felice di queste parole e chiese: “Dove?”

“Non molto lontano da qui.”

“Ovvero?”

“In Canada!”

Lo sguardo di lei rimase perplesso e confuso per quella affermazione, mentre lui continuava a sorridere soddisfatto.

In Canada?”

“Più di preciso nel Canada Francese”

Denny rimase in silenzio, con gli occhi bassi e confusa da quella strana situazione in cui si erano venuti a trovare.

“E adesso?”

“Be', ci sediamo sopra una panchina e pensiamo ad una soluzione” propose il Dottore con tono calmo, come se niente fosse successo.

Ma Denny sospirò pazientemente mettendosi una mano sulla fronte per cercare di accettare quel fatto.
 

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Note:
Secondo e breve capitolo di questo 
crossover!
Chi ha rubato il Tardis? Perchè si trova
della Canada Francese? E sopratutto,
chi salverà i nostri eroi?
Lo scoprirete delle prossimi
capitoli! ;)
Grazie per la lettura e 
buon weekand!
Evola

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Capitolo 3
*** The fifth option ***


Capitolo 3
The fifth option
 

Denny e il Dottore erano seduti sopra una panchina di legno, nel centro del parco cittadino. Mostravano entrambi un'aria pensierosa e preoccupata. 

“Okay,” iniziò a dire la ragazza.

“Ricapitoliamo: siamo in una città americana di nome Bedford, stranamente simile alla versione anni ’30 di Hill Valley. Non abbiamo nemmeno un soldo, anche se ci troviamo in un'epoca dove, con un penny, potremmo permetterci un pranzo di lusso. E, per finire, il nostro unico mezzo di trasporto e di spostamento è stato rapito da non si sa chi o da cosa, e si trova in Canada!”

“Esatto!”

“E immagino che, chiunque abbia preso il Tardis, non lo userà certo per buoni scopi”.

“Già.”

Denny sospirò in maniera rassegnata, appoggiando le mani sulle guance ed i gomiti sulle ginocchia, chiedendo: “Ma perché mezzo universo ti odia?”

“Beh, che posso dire? Sono un uomo socievole. Un uomo socievole che parla e si imbatte contro le ingiustizie, per salvare l’universo” rispose l’alieno con tono stranamente normale, ma facendo un buffetto divertito all'amica.

“In fondo, è un'astronave - macchina del tempo. E, in pratica, sei l’unico in tutto l'universo a saperla pilotare. E so anche che lei è viva e sa difendersi da sola, quando serve.”

“Il Tardis non è solo questo” replicò il Dottore, guardando dritto di fronte a sé con aria inespressiva.

“È anche una grandissima fonte di energia, quasi illimitata. Ed è dotata di un'anima che, se usata in maniera sbagliata, potrebbe costituire un'arma talmente potente da distruggere interi pianeti o, addirittura, il tempo stesso. E, inoltre, costituisce una grande forma di nutrimento illimitato per molte razze aliene, soprattutto per quelle più antiche e spietate.”

“E chi potrebbe desiderate un potere simile, tanto da decidere rubarla?”

“Tutti! I Dalerk, i sotana, gli angeli piangenti... insomma, tutti gli esseri più malvagi che abbia mai incontrato” finì lui, con gli occhi bassi.   

Denny ascoltò tutto con attenzione e finì col preoccuparsi; ma, ormai, era talmente abituata a queste notizie catastrofiche che, dopo aver emesso un sospirò paziente, si limitò a commentare: “Grandioso.”

“Beh, ci è capito di peggio” ricordò il Dottore, guardandola con un mezzo sorriso.

L’amica lo ricambiò rispondendo: “Questo sempre.” Fece una breve risata.

“Ma come hanno fatto a rapire il Tardis appena atterrato?” domandò poi, un po’ confusa.

“Avranno captato le onde temporali quando siamo usciti del vortice del tempo e, seguendole, saranno riusciti a portarlo via.”

“E adesso? Che facciamo?”

“Dobbiamo andare lì e riprendercela, prima che facciano qualcosa di irreparabile.”

“Ma come?”

“Non lo so…”

Entrambi sospirarono, continuando a gettare occhiate distratte attorno a sé, mentre riflettevano.

“Beh, abbiamo quattro opzioni” iniziò ad elencare la ragazza.

“Prendere un autobus... o un aereo... o, magari, fare l’autostop per le strade americane fino al Canada, in puro stile ‘On The Road’. O, magari, prendere ‘in prestito’ una macchina e dei soldi per arrivare lì.”

Il Dottore non fu affatto convinto da quelle quattro opzioni e provò a pensare ad un'alternativa veramente valida a cui ricorrere, senza che, però, gli venisse in mente nulla di interessante.

Rassegnato, abbassò di nuovo la testa e fu allora che notò un giornale abbandonato accanto alla panchina. Dal titolo, doveva essere un quotidiano locale, ma ad attrarre la sua attenzione fu soprattutto un articolo sportivo; afferrò il giornale e lesse tra sé a sé

Il Marshall College ha battuto con successo la Columbia University per tre a zero.”

Il Signore del Tempo rimase perplesso da quel nome, Marshall College, un nome che aveva già sentito, che in qualche modo gli suonava familiare...

Alla fine ebbe un'intuizione e si ricordò improvvisamente di quel nome, pensando “Ma certo!”

Oppure!” esclamò, alzandosi di scatto in piedi, gurdando l'amica con tono sicuro e con sorriso in faccia: “Potremmo scegliere la quinta opzione!”

Denny ricambiò il suo sguardo con aria perplessa, dicendo: “Ovvero?”

“Chiedere aiuto al più grande avventuriero che sia mai esistito! Il più grande avventuriero di tutti i tempi” rispose con entusiasmo, posando il giornale sulla panchina.

“E quell'uomo si trova proprio qui! A Bedford! In questo tempo” Il suo sorriso diminuì leggermente. "Sempre, beninteso, che non sia impegnato in qualcuna delle sue pazzesche avventure..."

L’amica, che era ancora seduta, guardò il giornale, stranita e confusa per quelle parole, non riuscendo a capire che cosa lui stesse dicendo.

“Al Marshall College! Di corsa!” esclamò il Dottore, uscendo dal parco e dirigendosi verso destra lungo il marciapiede, per poi tornare subito sui suoi passi, dicendo: “No! È da questa parte.” 

Denny alzò gli occhi al cielo sospirando, si alzò dalla panchina e partì al suo inseguimento.



 

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Capitolo 4
*** Archeologists Are Cool ***


Capitolo 4
Archeologists Are Cool
 

Denny e il Dottore raggiunsero il campus dell'Università locale ed entrarono nell'edificio principale.

Il Signore del Tempo andava avanti con passo deciso, mentre la sua giovane amica gli stava accanto guardandosi intorno un po’ perplessa.

“Di preciso,” iniziò a dire lei, “dove staremmo andando?”

“In una classe” rispose il Dottore. “Nella classe dell'archeologo e avventuriero più famoso di tutti i tempi! O, almeno, del vostro pianeta.”

Denny rise divertita. “Un archeologo? Ti sei emozionato così tanto per un archeologo?”

Il Dottore la guardò perplessa, dicendo: “Beh, che cosa c’è di strano?”

“Il tuo piano per salvare l’unica macchina del tempo esistente nella galassia, che è anche la tua casa, consiste nel chiedere aiuto a un professore di archeologia universitario?”

“Lui non è un ‘archeologo universitario’! È il più grande esploratore e avventuriero mai esistito! E, poi, che cos'hai contro gli archeologi? Gli archeologi sono forti!”

“Una volta, in seconda elementare, siamo andanti in gita scolastica in un museo preistorico. E c'era un'archeologa. Era simpatica, ma non era forte. E poi, anche Ross di ‘Friends’ è un archeologo, ma non è per niente forte. Anzi, direi che è piuttosto sfortunato e, spesso, un po’ imbecille.” E fece una breve risata. Invece, il Dottore scosse la testa, un po’ divertito anche lui.

Continuarono a camminare, finché non si fermarono davanti ad una porta a vetri.

“Eccolo! È lui!” disse il Dottore tutto eccitato, guardando attraverso il vetro ed indicandolo con il dito.

Denny seguì il suo dito e osservò la classe: era composta in massima parte di presenze femminili che sembravano completamente ammaliate dalla sola presenza dell’insegnante, a cui rivolgevano occhiate trasognate; l'aula era pervasa da una religiosa e silente attenzione interrotta, di quando in quando, dal sospiro profondo di una qualche giovane innamorata.
 
Fu una scena abbastanza assurda per Denny, mentre il Dottore fissò l'insegnante che stava tenendo la lezione, sorridendo proprio come quelle ragazze.

 L'uomo con gli occhiali sottili e in giacca di tweed, in piedi davanti alla lavagna, continuava imperterrito la sua lezione, in apparenza senza rendersi per nulla conto di star inducendo nel suo uditorio reazioni che esulavano parecchio dall’argomento di cui stava trattando.

Anche quella era una cosa che Denny trovava parecchio strana.
“E tu vorresti chiedere aiuto a lui?” chiese, perplessa. “In fondo, è solo un semplice professore universitario.”

“Ma quello non è un ‘semplice professore universitario’!” ribatté il Dottore con sicurezza. “Lui è il famoso archeologo Henry Walton Jones, meglio conosciuto come Indiana Jones!” finì l’alieno, entusiasta.

Indiana Jones?” ripeté Denny confusa, guardandolo. “Ma non è una saga di tre film animati di Don Bluth e prodotti da Spielberg negli anni’80?”

“Sì, ma quei film sono stati tratti dai libri autobiografici delle sue avventure! Ma Henry Walton è esistito veramente e insegna proprio qui!”

"Quindi, l’Arca perduta, il Tempio maledetto e l’Ultima crociata sono fatti realmente accaduti?”

“Esatto.”

Denny lo esaminò con aria perplessa. Non si sarebbe mai aspettata che quel professore vestito di tweed potesse essere lo stesso avventuriero con la frusta e il capello che aveva visto in tv da bambina in quei film animati, che l'avevano sia fatta ridere sia terrorizzare.

“E, visto che a noi ci serve aiuto per la nostra spedizione, penso di potermi accontentare di chiedere una mano al più grande avventuriero di sempre!” continuò il Dottore, facendo un grande ed allegro sorriso.

“Ah. E io che pensavo che fossi andato da lui solo per il suo modo di vestire” rispose Denny, ironizzando sul fatto che vestissero allo stesso modo.

Il Dottore rimase perplesso per quelle parole, ma si sistemò il suo cravattino sotto lo sguardo divertito dell'amica.

In quel momento si accorsero che la porta dell'aula era semiaperta, così si avvicinarono un po’ di più, continuando a guardare attraverso il vetro e rimasero in silenzio ad ascoltare il resto della lezione.

“…la civiltà dei Maya, quindi, si stanziò nelle regioni dell’attuale Messico meridionale e dell’America centrale attorno al 2000 avanti Cristo, in un periodo in cui quelle terre, oggi quasi interamente ricoperte di floride e impenetrabili foreste, erano riarse e simili a savane. Tuttavia, fu solamente a partire dal 250 dopo Cristo che ebbe inizio quello che definiamo periodo classico, durante il quale i Maya diedero vita a grandi stati e cominciarono a fondare imponenti centri urbani.”

Il professore si interruppe per indicare la mappa del centro America che aveva sommariamente disegnato sulla lastra della lavagna; poi, con un gessetto, vi tracciò alcune frecce sui luoghi di maggior interesse.

“Come vedete, i Maya innalzarono numerose città. Quelle a cui, però, noi ci riferiamo sbrigativamente come a ‘città’, in realtà erano complessi centri religiosi, composti da grandi templi costruiti sulle sommità delle piramidi, dove si svolgevano le cerimonie - spesso accompagnate da sacrifici umani - per propiziarsi il favore degli dèi; nei giorni in cui non si celebravano riti, invece, i centri diventavano sede di imponenti mercati, dove venivano scambiati i prodotti della terra e dell’artigianato. La maggior parte della popolazione, infatti, viveva in piccole capanne di argilla e paglia ai margini dei campi coltivati a zucche, fagioli, mais e cacao, elemento molto prezioso, quest’ultimo, in quanto fungeva da moneta di scambio presso questo popolo che non conosceva il denaro.”

In quel preciso momento la campanella squillò e, prima che i pochi ragazzi e le numerose ragazze (tutte con uno sguardo perdutamente innamorato mentre lo fissavano negli occhi) cominciassero a sfilargli davanti per lasciare l’aula, alzò una mano e chiese: “Ci sono domande? No? Allora è tutto, per oggi. Ci vediamo giovedì.”

Denny e il Dottore, invece, si spostarono per far passare la mandria di ragazze e ragazzi che uscivano dall’aula.

“Molte ragazze, in quest’epoca, non potevano desiderare un lavoro o fare carriera senza essere giudicate. E loro frequentano un corso universitario solo perché l'insegnante è un belloccio” commentò Denny irritata, a bassa voce.

“Beh, non hanno tutti i torti. E, poi, non tutti hanno i tuoi stessi gusti, come baciare un bel ragazzo scozzese dai capelli rossi del diciottesimo secolo, o passare una bella serata con un giovane Bruce Springsteen” rispose il Dottore con ironia, sporgendosi verso di lei.

Denny sorrise divertita, rispondendo: “Almeno, io non ho sposato per sbaglio Marlyn Monroe.”

A quel punto il sorriso del Dottore svanì, facendo comparire al suo posto uno sguardo perplesso per quel ricordo, mentre un semplice: “Oh” gli usciva dalla bocca. A quella vista, la sua amica rise divertita.

Quando tutti i ragazzi e le ragazze ebbero terminato di uscire ed il professore fu rimasto da solo, il Dottore e Denny entrarono nell'aula.

“Professor Jones?” chiese il Dottore.

Lui si girò verso di loro, guardandoli da dietro gli occhiali, rispondendo: “Sì?”

A quel punto, Denny lo studiò meglio: non era molto giovane, poteva avere sui quarant'anni; di corporatura robusta, aveva lineamenti forti e zigomi scolpiti, piccoli occhi grigi nascosti dagli occhiali rotondi ed uno sguardo completamente inespressivo.
Capì subito perché molte ragazze potessero essere infatuate di lui, ma lei non ci vide tutto questo fascino.

“Salve, io sono il dottor John Smith" si presentò con un sorriso il Signore del Tempo. "Archeologo e docente dell'Università di Oxford.”

Indicò la ragazza. “E lei, invece, è la mia assistente, Denny Facchi.”

“Molto lieta di conoscerla” disse lei, con tono sicuro e con la mano tesa.

Il professore li guardò entrambi con aria stranita – probabilmente, a causa dei loro abiti - ma fece subito un mezzo sorriso, dicendo: “Molto lieto di conoscervi.” Strinse le mani ad entrambi.

“Facchi?” domandò poi, gurdando la ragazza. “Cognome del Sud Italia, giusto?”

“I miei sono originari della Calabria, da dove sono emigrati prima in Romagna en poi, a Londra” spiegò lei.

Henry annuì, poi guardò il Dottore, dicendo: “Professor Smith di Oxford, giusto?”

“Esatto.”

“E che cosa posso fare per voi?”

“Beh, prima di tutto, vorrei farle i complimenti per il suo cravattino. È veramente molto bello” rispose l’alieno con entusiasmo.

Sia il professore che Denny lo guardarono stupefatti per quella sua affermazione.

“Beh, grazie mille” rispose poi l'archeologo, un po’ incerto, toccando il suo cravattino. Non sapendo che altro fare, aggiunse: “Anche il suo è davvero molto bello.”

“Grazie” disse il Dottore sistemando il proprio, prima di rivolgere un'occhiata all'amica.

“Visto, Denny? Tutti amano i cravattini. I cravattini sono forti” finì soddisfatto.

Denny alzò gli occhi al cielo, rispondendo: “Il tuo problema non sono i cravattini, ma i fez.”

“Non è vero!” ribatté lui con sicurezza. “Anche i fez sono forti!”
“Sono ridicoli!”

Il Dottore sembrava sul punto di ribattere ancora, ma Jones lo interruppe, dicendo con tono paziente: “Comunque, che cosa posso fare per voi?”

Entrambi lo guardarono e l’alieno si ricompose, rispondendo: “Oh, certo. Vorremmo il suo aiuto.”

“Il mio aiuto? Per che cosa?”

“Per una spedizione.”

Jones fu alquanto incuriosito sia da quella frase sia da loro due. Incrociando le braccia, chiese: “Che genere di spedizione?”

“Possiamo parlare in un altro posto?” rispose il Dottore, con un sorriso vittorioso.

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Capitolo 5
*** The Big Blue Box ***


Capitolo 5
The Big Blue Box

 

Quando arrivarono allo studio del professor Jones, sia Denny sia il Dottore si guardarono intorno con curiosità.

Era uno ufficio molto elegante, arredato con scaffali pieni di libri e di oggetti antichi, una bellissima scrivania di legno lucido ed una finestra molto larga che offriva una bella vista su tutto il campus.

“Allora, che genere di spedizione si tratta, dottor Smith?” chiese il docente, sedendosi sulla sua elegante sedia dietro alla scrivana e invitando i suoi ospiti ad accomodarsi di fronte a lui.

“Oh, suvvia, bando alle formalità! Chiamami semplicemente Dottore” rispose lui, prendendo posto insieme a Denny.

“Dottore?” chiese Jones, confuso.

“Esatto. O Il Dottore” e rise divertito.

“A lui piace essere chiamato così” spiegò Denny, con un mezzo sorriso.

Jones li guardò stranito, prima di abbandonarsi ad una risata divertita a bocca chiusa.

E, questa volta, fu il turno dei due viaggiatori di rimanere confusi.

“C’è qualche problema?” chiese il Signore del Tempo.

“No, no. È solo che, una volta, mio padre mi raccontò un'assurda storia…” rispose l'archeologo con un ghigno divertito e continuò a spiegare.

Quando era giovane, a suo padre accadde un fatto singolare. Era appena uscito dalla biblioteca, a tarda sera, quando vide tre uomini dall'aria losca in un vicolo, con in mano una grande oggetto antico e luminoso; nel vederli, aveva pensato che fosse stato rubato.

Allora, volendo scoprire le loro intenzioni, si nascose in un cespuglio per origliare i loro discorsi. Purtroppo per lui, però, uno di quei tre gangster lo scoprì e lo portò dai suoi complici, che presero la decisione di ucciderlo. A quel punto, però, arrivò un tizio strano.

Era alto, con il cappotto, una lunga sciarpa colorata, grandi occhi, capelli scuri e un capello con la fodera. Senza scomporsi, il tizio trasformò i gangster in “esseri non identificati”, dicendo che quella era la loro forma; lo fece in apparenza senza utilizzare nessun tipo di arma e, dopo, gli offrì un pacchetto di caramelle per fargli passare la paura.

Esseri non bene identificati?” ripeté Denny perplessa, pur avendo già capito di che storia si trattasse.

“Ovvero extraterrestri. Alieni di un altro mondo. Diceva che erano grandi, simili a grosse vesciche nude, con le ventose sul corpo” rispose Jones con un sorriso malinconico, mentre fissava il ripiano della scrivania.

Ma sia Denny sia il Dottore conoscevano molto bene quella descrizione, perché avevano dovuto affrontare esseri simili ben più di una volta. Denny comprese al volo che, quel tizio strano, era proprio il Dottore.

“Dopodiché, quell'uomo riportò a casa mio padre facendolo viaggiare dentro ad una scatola blu che, al suo interno, sembrava molto più grande che da fuori.”

A quel punto, i due amici si scambiarono un'occhiata piena di preoccupazione, dato che erano venuti da lui proprio per chiedergli di aiutarli a cercare quella “grande scatola blu”.

“Da bambino adoravo quella storia. Ma il problema è che me la ripeteva ancora convinto anche dopo l’infanzia” finì Jones, con gli occhi bassi e l'aria inespressiva.

Denny comprese che parlare di suo padre era un enorme sforzo per lui. E lo capiva.

“Beh, può essere anche una storia reale” concluse il Dottore, cercando di allievare la tensione.

Jones alzò lo sguardo per guardarlo con aria inespressiva, ma con gli occhi parve fulminarlo dalla rabbia.

“Perché, lo si sa, ogni leggenda contiene un fondo di verità. Magari, il racconto di suo padre potrebbe essere vero, in parte.” E fece un sorriso a labbra chiuse.

Ma Jones non ricambiò il suo sorriso, anzi, questa volta gli lanciò un'occhiata visibilmente irritata.

Denny alzò gli occhi al cielo, lasciandosi andare ad un lungo sospiro. Si sentiva in imbarazzo per il suo amico e per il suo maldestro tentativo di far ridere l'archeologo – e, questo era quello che aveva capito lei - per averlo messo a disagio.

Il Dottore, notando la tensione ancora palpabile nell'aria, mantenne il suo sorriso, dicendo: “E, poi, suo padre è un grande ricercatore, noto e rispettato da tutta la comunità scientifica. A proposito, come sta?”

“Bene, credo. Sa una cosa? È sempre così occupato con le sue ricerche da non pensare che a quello, finendo per dimenticarsi di tutto il testo” rispose l’archeologo, con occhi bassi e con tono freddo.

A quel punto, Denny e l’alieno si scambiarono occhiate tese, capendo da quelle frasi distaccate e gelidi che non solo il professore non parlava più con suo padre da tanto tempo, ma non aveva nemmeno più con lui buon rapporto.

“Comunque” disse Jones, alzando lo sguardo verso di loro e cambiando rapidamente argomento, “avete detto che volete parlami di una ricerca?” e lì guardò incuriosito.

“Beh, è un argomento un po’ complicato da spiegare…” rispose il Dottore

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Capitolo 6
*** Time And Relative Dimension In Space. ***


Capitolo 6
Time And Relative Dimension In Space.

 
Il Dottore decise di raccontare una “mezza verità” sulla storia del Tardis, per poterlo convincere a partire con loro.

Spiegò, dunque, che l'Università di Oxford aveva studiato per anni appunti del Sedicesimo secolo inerenti un misterioso ed antichissimo oggetto di origine scontato, ma senza mai raggiungere una conclusione soddisfacente in proposito.

Solo di recente il Dottore, con l'aiuto di Denny, aveva scoperto la collocazione esatta di quell'oggetto, ovvero, Dupin in Canada; ed aveva pure scoperto che poteva avere origini più antiche della nascita della Terra.

“Quindi,” ricapitolò Jones, unendo le mani con aria pensosa, “mi state dicendo che i vostri ricercatori di Oxford hanno svolto ricerche basandosi su dei vecchi appunti, datati al Sedicesimo secolo, riguardanti un misterioso oggetto, di origine sconosciuta, che si troverebbe in Canada?”

“Esatto” rispose Denny.

“Beh, più di preciso nel Canada Francese. E, poi, li abbiamo scoperti e decifrati insieme” aggiunse il Dottore, indicando l’amica con il pollice.

“Sì, ma lui è la mente ed io il braccio.”

“A volte, però, lei diventa la mente ed io il braccio. Oppure diventa lei entrambe le cose.”

“Soprattutto quando combina un casino od un guaio quasi irreparabile.”

“Già” asserì il Dottore, sorridendo innocentemente, mentre l’amica sopirò con pazienza.

Jones lì guardò stranito, non riuscendo a capire bene né i loro discorsi né i loro atteggiamenti. Li trovava assurdi e surreali, proprio come quella storia della loro grande “scoperta”. Ma, riguardo a questo fatto, voleva saperne un po’ di più.

“E questa reliquia che cosa sarebbe, di preciso?”
I due amici si scambiarono occhiate perplesse ed un po’ preoccupate. Non sapevano che cosa rispondere a quella domanda, se rivelare la verità o continuare sulla falsa riga della mezza verità.

“Beh… è difficile da spiegare” ammise il Dottore, osservando l’archeologo.

"Diciamo che è una scatola” aggiunse Denny.“

 Jones sollevò le sopracciglia con aria sorpresa, sbottando: “Una scatola?”

“Sì. Una scatola che può leggere il tempo” rispose l’alieno.

“Praticamente, è un po' come il vaso di Pandora. Quello in cui la leggenda narra che gli déi racchiusero tutti i mali del mondo. In questo caso, invece, è una scatola tramite cui si può prevedere il tempo” continuò Denny.

“In che modo?” domandò secco Jones.

“Non lo sappiamo…” rispose Denny, incerta.

“Ma è quello che vogliamo scoprire” finì il Dottore, convinto.

Il professore continuò a guardali con il suo volto inespressivo, ma con occhi che riflettevano profondi dubbi, riflettendo attentamente su tutta quella storia.

“E avete dato un nome a questa ‘scatola’?”

Entrambi si guardarono un po’ incerti. Non sapevano quale potesse essere il vero nome della reliquia.

“Beh, nel corso dei secoli ha avuto nomi diversi. Ma noi abbiamo deciso di chiamarla…” disse il Dottore, con aria insicura.

“Tempo” continuò l’amica, notando lo sguardo impaziente del docente. “Tempo e Relativa Dimensione Interna allo Spazio.”

Il professor Jones fu alquanto confuso da quel nome, ripetendo piano: “Tempo e Relativa Dimensione Interna allo Spazio?

“È un nome provvisorio.” 

“Già. Ma esprime perfettamente il suo scopo. Forse, per fare prima, dovremmo usare le sue iniziali e chiamarlo con un acronimo” aggiunse il Dottore.

Entrambi si prodigarono in un'espressione che, nelle loro intenzioni, avrebbe dovuto apparire molto convincente. Ma l’archeologo li fissò con aria impaziente e dura, probabilmente sospettando che fossero due impostori o qualcosa di simile.

“Ed il mio ruolo, in tutto questo, quale sarebbe?”

“Beh, purtroppo i nostri colleghi studiosi non hanno molte esperienze sul campo, esattamente come noi due” spiegò il Dottore.

“Quindi, stiamo cercando un terzo membro per la nostra spedizione, qualcuno che sappia come muoversi in territori inesplorati e difficili da affrontare. E chi potrebbe essere, se non il miglior archeologo ed avventuriero d’America?” e sorrise con soddisfazione.

“E il Dottore mi ha detto che lei ha affrontato molti pericoli, durante i suoi viaggi. Sarebbe davvero di grande aiuto poter contare sulla sua esperienza, durante la nostra spedizione. Ci farebbe sentire un po’ più sicuri” aggiunse Denny con tono convinto, sperando di convincerlo ancora di più.

“E poi, sa come si dice: tre il un numero perfetto” terminò il Signore del Tempo, con una piccola risata.

Jones lo fissò con occhi inespressivi, per poi fare un mezzo sorriso divertito.

“Allora, ci sta?” chiese il Dottore, con la mano tesa in segno di conferma ed un grande sorriso stampato in faccia.

L’archeologo lo guardò con aria divertita, per poi rispondere con un'alzata di spalle: “No”, prima di abbassare lo sguardo ai vari fogli sparsi sulla sua scrivania, con tutta l'intenzione di non dedicare un minuto di più ai suoi due interlocutori.

Il sorriso del Dottore svanì di colpo, lasciandogli addosso un'aria triste, mentre Denny si sentì immediatamente indignata dal suo rifiuto e dal suo atteggiamento nei loro confronti (anche se, una parte di lei, si rendeva conto che non erano apparsi molto convincenti) guardandolo irritata.

Ma, soprattutto, si sentì preoccupata per il suo amico. Avrebbe fatto di tutto per convincerlo e doveva fermarlo nel caso avesse esagerato, spiegando che la situazione era molto più seria di quanto lui pensasse e che c'era in gioco l'esistenza del tempo stesso.

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Capitolo 7
*** “No.” ***


Capitolo 7
No.”
 

“Mi scusi, ma perché no?” chiese il Dottore, con tono calmo ma deluso.

“Perché ho cose molto più importanti da fare che andare fino in Canada per una truffa” rispose l'archeologo senza staccare gli occhi dai suoi fogli.

Il Signore del Tempo ci rimase ancora più male per quelle parole, abbassando lo sguardo con aria triste.
A quel punto Denny, stufa dell'atteggiamento di Jones e di quelle affermazioni offensive nei confronti del Dottore, lo guardò irritata e disse, con tono sicuro: “Lei come può pensare che sia una truffa?”

Jones sollevò gli occhi per guadarla.

“In fondo, non le abbiamo chiesto nulla in cambio, a parte il suo aiuto” si mise a braccia conserte ed a gambe accavallate, con aria di sfida e sicura di sé.
Il docente accettò la sfida. Appoggiò le mani unite a mo’ di pugno sulla scrivania e, guardandola negli occhi, rispose: “Beh, forse non sarà una truffa. Ma, probabilmente, voi due siete spie e mi volete incastrare o rapire per chissà quale folle piano.”

Entrambi furono decisamente confusi da quelle parole.

Spie? Noi?” sbottò Denny, con un sorrisetto divertito. “Questa è la cosa più stupida e paranoica che io abbia mai sentito.”

“Beh, signorina, per quanto possa sembrare strano, nella mia lunga carriera mi sono ficcato in diversi guai, così tanti da giustificare in pieno la mia ‘paranoia’. Mi creda.”  

“Posso immaginarlo…” rispose lei, lanciando uno sguardo fugace al Dottore e pensando: “In fondo, l’uomo di fronte a me è uno degli esseri più potenti dell'universo, con mezza galassia schierata contro di lui.”

“E comunque,” intervenne il Signore del Tempo, “noi non siamo né truffatori né spie. Ci guardi! Io sono solamente un giovane ragazzo prodigio che, grazie unicamente ai propri sforzi, ha ricevuto una cattedra come docente ad Oxford. Ma, lo so, sono anche un tipo stravagante e che fa cose strane, a volte anche un tantinello pazzo.”

Denny non poteva credere a quello che stava sentendo. Rossa in viso, distolse in fretta lo sguardo e si mise una mano sulla fronte, pensando: “Ti prego! Fermati! Fermati prima che ti uccida io!”

“E Denny…” continuò imperterrito il Dottore, indicando l’amica, “lei è una studentessa dalla grande intelligenza, sensibilità e molto più matura della media della sua età. Spesso, però, è anche isterica e permalosa, e soffre di attacchi di panico, di sbalzi di umore incontrollati e…”

A quel punto, Denny gli diede un calcio nello stinco per zittirlo e, mentre il Dottore gemeva per il dolore, sbottò: “Abbiamo capito!” E gli lanciò un'occhiata irritata.

“Visto? Permalosa” disse l’amico, mentre si massaggiava la parte dolorante.

Jones, per tutto il tempo, non disse nulla, limitandosi a guardarli con aria stranita per le loro chiacchiere, domandandosi mentalmente come mai fosse toccato proprio a lui di incontrare due simili personaggi.

“Di certo, non siamo delle spie russe comuniste o… aspetta, è ancora presto per dirlo?” finì il Dottore, riflettendo su quello che aveva appena detto, mentre Denny si sbatté la mano sulla fronte.

“Sentite” disse a quel punto l’archeologo, ricorrendo a tutta la sua calma ed alzandosi sulla sedia. “Non ho la minima idea di chi siate davvero e di che cosa stiate parlando e, soprattutto, non mi interessa della vostra ricerca.”

Lo sguardo del Dottore era colmo di delusione e di disperazione, perché stava davvero cominciando a temere di poter perdere la speranza di ritrovare il Tardis, ossia tutto quello che possedeva e aveva; nonché, probabilmente, la sua vera ed unica compagna di viaggio. La sola idea di perderla per sempre lo stava distruggendo.

Denny riusciva a percepire il suo dolore e non era affatto intenzionata a restarsene lì ferma a non fare niente.

“Perciò, vi pregerei di andarvene…”

“La pagheremo” lo interruppe la ragazza, con tono secco.

Jones rimase sorpreso per quelle parole e per il suo atteggiamento: era ancora a braccia conserte ed a gambe accavallate, aveva lo sguardo fisso ed un'aria inespressiva che, però, nascondeva un carattere combattivo e sempre pronto a controbattere. 

Il Dottore la guardò sorpreso, fiero e felice di avere un'amica vera e sincera come lei.

“Ovviamente, le nostre ricerche ed i nostri studi sono finanziati dall'Università. E, quindi, possiamo pagarle una piccola percentuale.”

“Quanto?”

“Mille all'andata e mille al ritorno. Più la fama della scoperta.”

Jones fece un mezzo sorriso cinico, rispondendo: “Crede davvero che faccia questo lavoro solo per fortuna e gloria?”

“Non lo so. Ma, quando ho detto che la pagheremo, ha voluto sapere subito il prezzo.”

Adesso fu il turno di Denny do fare un mezzo sorriso vittorioso, mentre Jones le rivolse uno sguardo irritato e sconfitto.

Ma quello era solo l’inizio di una lunga ed estenuante discussione…

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Capitolo 8
*** The Final Comfirmation Part I ***


Capitolo 9
The Final Comfirmation Part I
 
Denny e il Dottore si incamminarono lungo uno dei corridoi del College dopo essere usciti dallo studio di Jones con un'espressione soddisfatta stampata sul volto.

“Beh, alla fine non è stata così complicata” affermò l’alieno. “È stato abbastanza ragionevole”

Abbastanza ragionevole?”  ripeté Denny, perplessa. “Ma se è stato burbero e scontrose con noi. Soprattutto con te.”

“Sì, ma ciò che conta è che alla fine l’abbiamo convinto. Anzi, tu l’hai convinto.” Le rivolse un sorriso luminoso. “Grazie.”

“Figurati” rispose lei, ricambiando il sorriso. “In fondo, dovevo provarci, almeno per te. E sperando che l’aiuto di quell'archeologo sia veramente utile per noi." Fece una pausa, poi la ragazza domandò: "Ma ora, che cosa facciamo? Dobbiamo trovare un alloggio, dei vestiti e tutto quello che ci serve per la spedizione, no?”

“Oh, giusto” rispose l’alieno, un po' perplesso: “E… non hai niente in tasca?”

Lei le controllò e tirò fuori una banconota: “Ho solo dieci sterline. E non so quanto possano valere in dollari, in questo decennio.”

“Beh, possiamo trovare altri soldi. No?” disse il Dottore convinto, per poi guardare l’amica con aria confusa e aggiungere: “E… tu sai dove potreemmo trovarli?”

Denny alzò gli occhi al cielo, sospirando ormai rassegnata.

In quel momento, un uomo ormai sulla mezza età, leggermente robusto, il volto paffuto, i capelli scuri e ordinati tirati all'indietro e elegantemente vestito con un completo nero passò accanto a loro, ma sentendo il loro ultimo dialogo girò la testa verso di loro con aria perplessa e parve rimanerlo ancora di più vedendo il loro strano abbigliamento.

Li guardò allontanarsi finché girarono l'angolo del corriodio e non si videro più, poi riprese a camminare con aria confusa, domandandosi da dove fossero usciti due simili personaggi.

Quando arrivò alla porta dello studio di Jones, bussò, attese l'invito del professore ed entrò.

Trovò l’amico in piedi davanti alla sua libreria, con in mano un atlante. Jones alzò velocemente lo sguardo alla porta, dicendo: “Ah, Marcus, qual buon vento ti porta qui? Un’altra reliquia da recuperare?”

L’uomo rise, rispondendo mentre chiudeva la porta: “No, no. Questa volta è solo una piccola visita di cortesia.” E sorrise.

Marcus Brody, archeologo, ricercatore e curatore del museo ma, soprattutto, il più vecchio amico di Henry Jones.

Il docente sorrise, senza staccare gli occhi dal libro.
Marcus, invece, dopo un momento di incertezza, disse: “Senti, Indy. Non se sia il caso di dirtelo, magari non è nulla di importante. Ma, quando stavo vendendo qui, ho incrociato un ragazzo e una ragazza che stavano facendo un discorso su come trovare del denaro…” e iniziò a descriverli: un ragazzo alto e magro con i capelli corti vestito simile a lui, e una ragazza bassa, più giovane e vestita di blu.

“E sembrava che fossero usciti dal tuo ufficio” terminò.

“Sì, infatti è così” confermò Jones.

Marcus rimase basito dalla sua affermazione e chiese subito: “Ma chi erano?”

“Un decente di Oxford e la sua assistente che cercavano disperatamente il mio aiuto…” raccontò la storia della loro ricerca e del motivo per cui lo avevano contattato.

“E tu hai accettato?” chiese l’amico.

“Certo che ho accettato” rispose Indy, con indifferenza. “Erano venuti dall’Inghilterra apposta per il mio aiuto.” E fece un ghigno cinico.

Ma Marcus non ci trovò niente di divertente, rispondendo a tono: “Indy, ma sei impazzito?!”
Questa volta, il professore alzò lo sguardo confuso per guardarlo in faccia.

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Capitolo 9
*** Denny Vs Jones ***


Capitolo 8
Denny Vs Jones
 
 
I due continuarono a fissarsi con aria di sfida, senza che nessuno si decidesse a cedere per primo.

“Mi ascolti” continuò lei. “A noi non interessa affatto se ci crede o no. E, di certo, non siamo truffatori, spie o ladri pronti a rapirla per chiedere un riscatto. Ma il Dottore si è dedicato tutta la vita a questa ricerca e non si fermerà mai; andrà avanti con il suo obiettivo, a costo della sua stessa vita!”

Il Signore del Tempo la guardò con stupore per quelle sue parole, capendo che Denny stava facendo riferimento alle esperienze che avevano vissuto insieme durante i loro viaggi, pieni di pericoli e di grandi emozioni. Ma, soprattutto, l'obiettivo della ragazza era quello di convincere a tutti i costi il professor Jones a venire con loro, del che era molto grato alla sua amica.

“E, per mesi e mesi, si è concentrato solo sulla decifrazione di quel codice! E io cercavo in ogni modo di fermalo, ricordandogli di continuo che doveva riposarsi e riprendere fiato, nonché cercando di fargli capire che la vita continua anche fuori dal suo studio!”

Jones fu alquanto colpito dalla sua tenacia e dalle sue parole. Pur non volendolo ammettere, capiva perfettamente la situazione di frustrazione che aveva provato lei, perché ci era passato in prima persona con suo padre, anche se fallendo.

“E, ora che siamo finalmente così vicini alla meta, e che il Dottore ha insistito così tanto per venire da lei a chiederle aiuto, lei ci volta le spalle così, per delle sue sciocche paranoie?!”

Danny fece una pausa, saettando dagli occhi, prima di ricominciare.

“Se fosse per me non mi importerebbe nulla, ma è il Dottore che vuole la sua esperienza sul campo, dicendo che sarebbe stato una grande risorsa per noi. E, se ci capitasse qualcosa di pericoloso... mi creda, io sono molto preoccupata per la sua incolumità! Ha passato mesi e mesi rinchiuso in una stanza per dedicarsi a quella ricerca e ora vorrebbe buttarsi all'avventura quasi senza pensarci. E, glielo dico, mi sentirei davvero più sicura se potesse avere al proprio fianco una persona esperta come lei, per aiutarlo e per cercare di fermarlo ogni volta che sarà sul punto di fare qualcosa di completamente folle. Perché lo farà, ne sono certa!”

“Confermo” aggiunse il Dottore, alzando un poco il braccio.

“Quindi, o lei persiste con la sua idea di crederò solo quando lo vedrò, oppure noi rischieremo la nostra vita organizzando
questa spedizione da soli! La scelta è sua, dottor Jones.” E gli lanciò un'occhiata severa che lui ricambiò.

L'archeologo fece un lungo sospiro profondo, tenendo la testa bassa mentre rifletteva attentamente su cosa fare o rispondere….

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Capitolo 10
*** The Final Comfirmation Part II ***


Capitolo 10
The Final Comfirmation Part II
 

“Hai la più pallida idea di che razza di storia assurda ti abbiano rifilato?” domandò Marcus, preoccupato.

“Un oggetto misterioso, più antico della stessa umanità, attraverso il quale si può leggere il tempo, e che si troverebbe in Canada?”

“Canada Francese, per essere più precisi” confermò Jones, chiudendo il libro e rimettendolo a posto.

“E poi, come si chiama? Tempo Relativo…”

“Tempo e Relativa Dimensione Interna allo Spazio” finì l’archeologo, sapendo che l’amico non si sarebbe ricordato il nome completo.

“Ed è una cosa impossibile!” sbottò Marcus, un po’ irritato.

“Una volta delimitato l’impossibile, ciò che rimane, per quanto improbabile, deve essere la verità.”

“Non provare a cavartela citando Sherlock Holmes!”

Indy alzò gli occhi al cielo con aria paziente, mentre l’amico continuò a parlare con tono allarmato: “Ti rendi conto di quello che stai facendo? Stai andando in Canada per un reperto mai sentito prima. Quei due potrebbero essere delle spie o dei malintenzionati.”

“Credermi, hanno dimostrato ampiamente di non esserlo: troppo emotivi e stupidi per essere dei malintenzionati.” E ripensò all'incontro di prima. “E poi, di che cosa ti preoccupi? Siamo archeologi, cercare reperti è il nostro lavoro.”

“Sì, ma basandoci su assunti credibili che abbiamo raggiunto tramite lo studio e il confronto, insomma avendo dei fatti in mano. Noi siamo cercatori di concrete testimonianze del passato, non di un oggetto mai sentito nominare che avrebbe il ‘potere’ di leggere il tempo! Qui si parla di poter conoscere il futuro! Ti rendi conto?!”

“Lo so. E credimi, anche io ho parecchi dubbi riguardo questa ‘reliquia’. Ma quel Dottore mi sembrava davvero disperato, voleva veramente il mio aiuto. E la sua assistente era così decisa a convincermi da farmi persino irritare per costringermi a dire di sì” spiegò Jones, girandosi verso l’amico. “E voglio proprio vedere fin dove sono disposti ad arrivare per quell'oggetto.”

Marcus comprese le sue intenzioni, dicendo: “Adesso ho capito. Tu non vuoi trovare quell’oggetto e studiarlo, anche perché sei convinto che non esista affatto. Tu vuoi studiare quei due. Non è vero?”

Jones lo guardò facendo finta di non capire, mentre l’amico continuò, con sempre maggiore convinzione: “Tu hai trovato qualcosa di veramente interessante in quei due, al punto di decidere di partire con loro.” Terminò la frase con un sorrisetto ironico e soddisfatto.

“Non puoi davvero capire quello che ho visto in quei due” spiegò Jones. “Quel tipo, il Dottore, ha qualcosa di strano. Dal suo aspetto sembrerebbe giovane e con un carattere abbastanza infantile. Ma i suoi occhi... in quegli occhi c'è qualcosa di solito, come se fossero più antichi del resto del suo corpo. Come se, a dispetto del suo fisico da ragazzo, avesse già vissuto una lunga vita.” Si portò la mano sotto il mento, riflettendo su quelle parole.

“E la ragazza?”

“Una ragazzina autoritaria, scontrosa, insolente e che non si fa certo alcun tipo di problema a sfidarmi.”

“Mi ricorda un certo ragazzino che conoscevo…”
Jones osservò il sorriso divertito dell’amico, capendo subito che si stesse riferendo a lui.

“Però, c’è un’altra cosa insolita” continuò l'archeologo.

“I loro comportamenti e i loro gesti sono davvero singolari, quasi come se venissero da un’altra epoca. Inoltre, sono realmente convinti di poter portare a termine la loro scoperta, come se avessero già visto ciò che vogliono trovare. E io voglio assolutamente sapere che cosa accidenti sia questo Tempo E Relativa Dimensione Interna Allo Spazio. Voglio scoprire se esiste o meno, a costo di essere truffato o peggio!”

Si girò di nuovo verso la sua fornitissima libreria, accarezzando i dorsi dei numerosi volumi alla ricerca di un altro libro.

Marcus sorrise della sua determinazione e della sua voglia di compiere nuove scoperte insolite, seppure assurde e surreali.

“Dottore, che strano nome…” iniziò a dire l’amico, con un sorriso nostalgico. “Come quello della storia che raccontava spesso tuo padre.”

Indy fermò la mano; non si voltò, ma la sua espressione diventò improvvisamente cupa.

“Che una sera uscì dalla biblioteca, si incamminò lungo un parco a tarda sera e si imbatté in alcuni gangster che, in realtà, erano degli alieni. Com'è che li chiamava?”

“Zygon” rispose prontamente l’archeologo, sempre senza guardarlo.

“Ah, sì! Zygon! E poi diceva sempre che venne salvato da uno strano tipo, un uomo con sciarpa e cappello, che li fece scomparire nel nulla, per poi offrirgli, come se nulla fosse successo, delle caramelle…”

Jelly Babies” continuò Indy. “E poi lo avrebbe fatto entrare nella sua macchina magica, per riportarlo a casa da mia madre. E ripeteva sempre che quello era stato uno dei giorni più indimenticabili della sua vita.” E guardò in basso, pensoso.

“Già. E anche quel tizio si chiamava Dottore. Era davvero una bella storia.”

“Vero. Peccato solo che me la raccontasse in continuazione anche dopo i dieci anni, quando ormai ero un po' troppo cresciuto per le favolette della buonanotte.”

Il sorriso di Marcus scomparve pian piano e, al suo posto, comparve uno sguardo malinconico e triste. Sapeva bene quanto fosse complicato il rapporto tra Indy e suo padre, e si sentì in colpa per aver tirato in ballo quella storia. Era dispiaciuto per entrambi e, un giorno o l'altro, gli sarebbe piaciuto vederli riconciliarsi.

“Comunque" ricominciò a parlare Indy, "questo professore che è venuto da me si chiama John Smith, ma vuole essere chiamato Dottore per qualche suo strampalato motivo. Non c'entra proprio nulla con quella stupida storia di mio padre, per il semplice motivo che quella non è vera.”

“Già, però è anche vero che, nel corso della storia, si sono sviluppate numerose leggende narranti di un uomo che si chiama Dottore, sempre munito di un oggetto magico che porta sempre con sé” aggiunse l’amico, con tono riflessivo.

“Sì, ma sono soltanto leggende. Siamo archeologi, noi, e dobbiamo attenerci ai fatti storici per effettuare eventuali scoperte. Non possiamo perderci dietro a delle leggende e a delle supposizioni prive di fondamento” rispose duramente Jones, poi si girò verso di lui ed aggiunse: “E tu non credi nella reliquia che può leggere il tempo ma poi mi vieni a raccontare queste cose?”

Marcus rimase davvero di sasso. Non per quelle sue parole fredde, bensì per il suo sguardo duro e irritato. Di certo, era stato causato da quel ricordo di suo padre. Abbassò lo sguardo con aria dispiaciuta, rispondendo: “Già, hai ragione. Che sciocco che sono s raccontarti queste cose… Ti chiedo scusa, sto diventando un po' troppo vecchio e a volte non so bene ciò che dico...”

Jones ritornò alla sua libreria, rimanendo zitto e tornando a concentrarsi su quella potenziale nuova scoperta, togliendosi del tutto dalla mente quello sciocco racconto di suo padre.
 

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Capitolo 11
*** The Jounrney Of Another Adventure ***


Capitolo 11
The Jounrney Of Another
Adventure
 
Il giorno seguente, i due viaggiatori del tempo in incognito si fecero trovare a casa di Indy di prima mattina.

Erano pronti per partire: per prima cosa si recarono ad una pista d'atterraggio privata vicina a New York, dove c'era ad aspettarli un pilota amico del professore, che con il suo aeroplano da trasporto li condusse fino in Canada.

Adesso erano a bordo di un vecchio furgone cassonato, percorrendo strade desolate in direzione della cittadina Dupain, nella regione del Quèbec.

Denny era seduta a gambe incrociate e il Dottore le stava accanto con le gambe nella stessa posizione. Entrambi tenevano la testa rivolta verso l'alto, a guardare il cielo grigio e nuvoloso e gli alberi ricoperti dai classici colori dell’autunn, con le loro foglie gialle, marrone, rosse e arancioni, con ancora qualche spruzzata di verde; una leggera aria fredda accarezzava loro le guance. 

“Cavolo, quanto mi è mancato l’autunno, mi sembrano passati secoli dall’ultima volta che siamo andati in un posto del genere in questa stagione” disse Denny, entusiasta.

“È vero. In quest'ultimo periodo ci siamo concentrati soprattutto su posti decisamente esotici. E so che tu, invece, ami moltissimo l’autunno e l'inverno, mentre non ti piace il caldo.”

“Non è che non mi piace. Lo odio profondamente il caldo" rispose la ragazza, abbassando poi lo sguardo per vedere l’amico e continuare: “Insomma, c'è a chi piace sudare e soffocare dal caldo e dall’umidità.”

“Beh, a me piace il caldo” replicò il Dottore, ricambiando il suo sguardo.

“Solo perché tu non senti né il caldo né il freddo.”

“Sì. Ed è proprio per questo che adoro tutte le stagioni!” finì l'alieno, sorridendo.

Denny lo guardò paziente, per poi ridere divertita delle sue parole. Anche il Signore del Tempo rise insieme a lei.
Indy, invece, era appoggiato in fondo al cassone, davanti a loro, con le gambe tese, e stava osservando quella scenetta con perplessità e con un po’ di noia.

“Questo non è il vostro primo viaggio insieme?” chiese, abbastanza sorpreso.

“Oh, no. Ne abbiamo fatti parecchi! Solo che, in quest'ultimo periodo, siamo andati molto spesso in Asia e in Oriente” rispose Denny.

“Già, ed alcuni di questi viaggi si sono rivelati un'esperienza molto rischiosa” aggiunse il Dottore.

“Per causa sua.”

“Per causa mia!” risero di nuovo insieme.

A quel punto, l’archeologo sollevò gli occhi, paziente, e lasciando perdere. Ma poi, non potendo più trattenersi, pose la domanda per lui più importante: “Ma, quando arriveremo a Dupain, sapete da dove dovremo iniziare le nostre ricerche?”

Sia Denny sia il Dottore si guardarono un po’ perplessi per quella domanda. Il Signore del Tempo disponeva di un dispositivo che gli permetteva di tracciare il Tarids e che poteva dirgli esattamente dove si trovasse.

“Beh, non sappiamo di preciso dove, ma grossomodo conosciamo la strada da seguire” rispose l’alieno, un po’ incerto.

“Quando saremo arrivati ci metteremo al lavoro e sapremo di certo dove andare! Intanto, però, godiamoci il viaggio.” E sorrise.

Denny lo ricambiò ma, se fosse stata in lui, avrebbe spiegato meglio. A quel punto, infatti, non solo i sospetti di Indy sul Dottore aumentarono, ma l'archeologo rinunciò anche a capirlo. Sospirò e girò la testa dall'altra parte.

“E lo sapete come ci possiamo godere meglio il viaggio?” continuò il Dottore, guardando i suoi compagni. “Con un po’ di musica!”

Denny rise divertita, esclamando: “E come? Non abbiamo né una radio né uno strumento con noi.”

“Questo lo dici tu…” Il Signore Del Tempo porto la mano alla tasca interna della sua giacca e tirò fuori un'armonica a bocca argentata e luccicante.

L’amica rimase a bocca aperta, mentre Indy rimase stupito per quella scena. Non si sarebbe aspettato una cosa del genere da parte di lui. Ma, soprattutto, era colpito della felicità della ragazza.

“La mia armonica! Pensavo di averla dimenticata!” gli prese lo strumento con aria entusiasta.

“Infatti, ma l’ho presa prima di uscire, sperando in un momento del genere” sorrise il Dottore.

Denny, che non riusciva più a smettere di sorridere, domandò: “E che cosa vorresti sentire?”

“Tutto quello che vuoi.”

A quel punto, la ragazza si portò l’armonica alle labbra e cominciò a trarne una melodia dal suono dolce e romantico. Lo fece per breve tempo, però, perché poi iniziò a cantare:
Riprese a suonare l’armonica con la stessa melodia dolce di prima, ma più a lungo, per poi ricominciare a cantare:
You ain't a beauty, but hey you're alright Oh and that's alright with me.”

Continuò a cantare ancora qualche strofa, finché il Dottore non si aggiunse a lei, cantando in un modo un po’ più alto ed esagerato, per poi mettersi a ridere e a scherzare.

In quanto a Indy, li guardò con aria ancora più stranita di prima, sempre più sorpreso sia dal loro atteggiamento sia dal loro rapporto, che non era quello classico tra “alunna e insegnante” a cui era abituato lui. Non avrebbe saputo come definirlo. Sembravano molto legati ed i loro gesti erano di puro affetto, spontaneo e sincero. Dentro di sé, l’archeologo provò anche una certa fitta di invidia per loro.

Quando ebbero finito di ridere, Denny continuò a suonare l’armonica, facendone uscire una melodia tra il blues ed il folk.

“Comunque" disse il professore, volgendosi verso di lei, “sei abbastanza brava con quell'armonica.”

La ragazza smise di suonare per guardarlo con aria sorpresa. Non si sarebbe aspettata quelle parole, soprattutto non da lui. Fece un accenno di sorriso, rispondendo con tono gentile: “Beh, grazie.”

“Chi ti ha insegnato a suonare?”

Rimase zitta per qualche istante davanti a quella domanda – come fece pure il Dottore - perché, di certo, non avrebbe potuto dire la verità, ossia che aveva avuto come maestri sia John Lennon, che aveva conosciuto a Liverpool quando era ancora un adolescente che frequentava le scuole superiori, sia Bob Dylan, che aveva incontrato dopo un concerto a Londra, subito dopo aver sventato un'invasione aliena da parte di esseri costituiti solamente da suoni.

Così, decise di dire una mezza verità: "È stato prima un amico in Inghilterra e, poi, un musicista americano.” E sorrise convinta, annuendo per sottolineare meglio quelle parole.

Indy non trovò alcunché di strano in quella risposta e lanciò un'occhiata al Dottore che sorrideva.

“So anche suonare un po’ la chitarra” aggiunse Denny.

"ma dovrei lavorarci un po' di più..."

L’archeologo rise, dicendo: “Sai? Anche io, una volta, suonavo.”

Entrambi rimasero sorpresi, chiedendo: “Davvero?”

“Già. Suonavo il sax in una piccola band jazz in un locale, quando ci lavoravo da giovane a Chicago.”

Denny e il Dottore rimasero stupefatti. Di certo, non si sarebbero aspettati che un uomo come lui, tutto d'un pezzo, concentrato soltanto sull'archeologia e sulle continue avventure, potesser aver trovato tempo per suonare uno strumento.

“Eravamo bravi" riprese a raccontare Jones. "Il pubblico ci apprezzava e ci divertivamo davvero un mondo.”

Sorrise nostalgico, ricordando quei momenti e girando la testa dall’altra parte. “Poi, un giorno, dopo aver finito uno spettacolo, un idiota si avvicinò a me, prese la mia custodia del sax dicendo: ‘te lo prendo in prestito’ e non si fece mai più vivo.” Assunse un'espressione irritata, mentre aggiungeva: “Avrei dovuto dargli un pugno.”

I due amici si scambiarono un'occhiata sorpresa per quel racconto, senza rispondere.

Quel momento un po’ teso, tuttavia, fu interrotto dal forte suono di una locomotiva.

I due viaggiatori si guardarono divertiti e la giovane iniziò a cantare: No, she won't take the train”

Il Dottore si aggiunse: “No, she won't take the train”
Indy si girò di nuovo verso di loro, guardandoli mentre entrambi battevano le mani a tempo sulle ginocchia, cantando insieme: “No, she won't take the train. No, she won't take the train. No, she won't take the train!”
Per poi ridere insieme, prima che lei iniziasse a suonare un'altra volta l’armonica.

L’archeologo, se possibile, era sempre più perplesso per quei suoi due strani compagni di viaggio.

Non aveva mai conosciuto gente del genere, e Jones era comunque un uomo che poteva vantare un lungo curriculum di stranezze viste in giro per il mondo.

Erano strani, eccentrici e, probabilmente, folli – specialmente il Dottore - però, aveva anche la sensazione di potersi fidare di loro. Quel loro comportamento li rendeva simpatici e, in qualche modo, effondeva sicurezza, nonché qualcosa di intangibie, come se provenissero da un altro pianeta.

Aveva deciso di sfruttare questa spedizione sia per scoprire la verità riguardo quella “scatola” sia per scoprire un po’ di più su di loro. Una parte di sé, naturalmente, gli diceva di farsi gli affari suoi e di non indagare troppo, che è sempre uno dei modi migliori per vivere più a lungo.

Ma la parte più impulsiva del suo spirito sembrava quasi dirgli: "In fondo, se anche scoprissi qualcosa di più su di loro, che cosa potrebbe mai succedere?"

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Capitolo 12
*** Welcom To Dupain ***


Capitolo 12
Welcom To Dupain
 
 
Quando, finalmente, il furgone si fermò, tutti e tre scesero dal cassone e poterono sgranchirsi un po' le gambe.

Denny posò i piedi a terra e guardò meglio i suoi nuovi vestiti: indossava dei pantaloni di cotone color marrone chiaro, lunghi stivali neri di cuoio, una giacca di pelle nera con un'imbottitura di pelliccia bianca, una sciarpa color perla avvolta attorno al collo e una camicia blu; su una spalla, potava una piccola tracolla con dentro tutto il necessario per la spedizione.

Avevano comprato tutto con quelle dieci sterline, cambiate in dollari in banca. E, grazie a quel denaro, erano anche riusciti a trovare una stanza in un piccolo hotel.

Quando si era vista cosi per la prima volta, con quegli abiti si era sentita un po’ più sicura di sé, sentendosi quasi come un'aviatrice coraggiosa, proprio come Amelia Heart, ed era partita per la loro missione.

Anche Jones si era cambiato per l’occasione: indossava dei pantaloni e camicia color beige, una giacca di pelle parecchio sgualcita, delle scarpe scure, una tracolla attorno al collo, una cintura con tanto di fondina con pistola ed una frusta e, sulla testa, indossava un capello marrone scuro con una fascia nera che gli girava attorno. Questa volta era senza occhiali – a differenza di Denny.

Sembrava molto diverso dal giorno prima, come se il professore ben vestito e curato non ci fosse più e al suo posto ci fosse un uomo duro e abituato all’azione. In quel momento, Denny capì perché molte delle sue studentesse si fossero prese una cotta per lui – sempre che lo avessero mai visto in quella tenuta: sembrava davvero un uomo affascinate e interessante, con un po’ di mistero.
Ma Denny – pur ammettendo tutto questo - trovava che non facesse per lei.

Certo, se avesse avuto una ventina d'anni di meno ci avrebbe fatto anche lei un pensierino, ma ora c'era una cosa molto più importante da fare e su cui concentrarsi.

Il Dottore, invece, aveva gli stessi abiti di sempre, anche se, ad un certo punto, dalla tasca interna della giacca prese il suo fez rosso acceso e se lo mise in testa, con grande disappunto della sua amica.

“Lo devi mettere per forza?” chiese lei, a braccia conserte.

“Certo. In fondo, questa sarà una grande avventura!" rispose lui. "E il mio fez è davvero adatto in questa occasione. Giusto, Indy?” e si girò verso di lui.

“Io non ne voglio sapere niente” tagliò corto lui, paziente.

Denny era rimasta perplessa per quel nome: trovava davvero strano che preferisse farsi chiamare Indiana  – o Indy - piuttosto che Henry o professor Jones, e si chiedeva il perché di quella scelta.

“Comunque,” continuò il Dottore, guardando l’amica, “i fez sono forti!” e si sistemò meglio l’adorato capello con un sorriso gioioso, mentre sia lei sia Indy alzarono gli occhi al cielo.

“Eccoci qua!” annunciò una voce maschile.

L'uomo che aveva parlato uscì dall'auto e si avvicinò a loro tre: era un uomo sui trent'anni, di altezza media, con una folta barba rossica e i capelli dello stesso colore tutti arruffati, in parte nascosti da un berretto da caccia. Indossava dei pantaloni scuri, lunghi stivali neri e un giubbotto verde scuro. Era Raymond Leroy, il ranger della città.

Li aveva presi con sé alla pista di atterraggio del Quebec, dopo il viaggio di quasi cinque ore a bordo dell'aereo dell'amico di Jones – durante il quale Denny e il Dottore avevano dormicchiato quasi sempre - e li aveva portati alla cittadina.

“Benvenuti a Dupain!” annunciò con un sorriso, indicando il villaggio: era un piccolo paese di case di legno, distanziate tra di loro e non troppo grandi, interamente circondato dai boschi.

Denny sorrise per quella scena, che le ricordò certi borghi di montagna dell'Italia, facendola sorridere per la nostalgia.

“Venite, vi porto al mio quartier generale" disse Raymond, iniziando a camminare.

I due viaggiatori lo seguirono subito, mentre Indy, prima di incamminarsi a sua volta lungo la salita, sbottò: “Non si può andare in macchina?”

“Lei non è un tipo da montagna, professor Jones?” domandò il ranger, divertito.

“Diciamo che preferisco altri ambienti” commentò l'archeologo, un po’ irritato.

“A me, invece, piace! Deve essere un piccolo angolo di paradiso” si aggiunse il Signore del Tempo, sincero.

“Sì, in estate è una delle cittadine più fresche del Quèbec. C’è gente che arriva da Toronto per passarci le vacanze.”

Denny e il Dottore furono contenti di apprendere questa notizia, mentre Indy rimase indifferente.

“Comunque, la ringrazio per averci portati fin qui” disse Denny

“Per me è stato un piacere" rispose il ranger. "Sapete, è davvero raro che degli studenti vengano fin qui. Di solito, vanno a Toronto o in altre città più grandi. Ma è un vero piacere che degli archeologi siano venuti fin qui per una spedizione.”
Dopo una breve pausa, riprese a dire: “E sono lieto di aiutarvi in qualche modo. Anche se, ad essere sincero, non so bene quanto potrei esservi d'aiuto, né che cosa speriate di trovare in questo luogo, in cui non sono mai vissute antiche civiltà, all'infuori di qualche tribù di indiani.”

“Me lo sto chiedendo anche io” pensò Indy, evitando di esprimere a voce il proprio sarcasmo.

Adesso, però, l'archeologo voleva seriamente cominciare a capire dove stessero andando e, soprattutto, che cosa stessero cercando di preciso.

“A noi servirebbe soltanto vedere la mappa di questo posto e poter raggiungere il punto più alto del circondario” rispose il Dottore.

Denny non aveva capito che cosa volesse fare, se stesse improvvisando o se avesse in mente un piano ben elaborato. Ma, in entrambi i casi, sperava di riuscire a trovare in fretta il Tardis e che Indy non iniziasse a perdere seriamente la pazienza con loro due.

Rimasero in silenzio durante tutto il tragitto, almeno finché la ragazza, che aveva continuato a guardarsi attorno ed aveva notato una cosa a dir poco bizzarra, domandò: “Ma dove sono gli abitanti?”

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Capitolo 13
*** Something Usually. ***


Capitolo 14
Something Usually.
 

Infine, arrivarono alla sede dei ranger, sopra una collina isolata da dove si poteva vedere tutto il villaggio dall’alto.

Erano tre casette di legno scuro, poste una accanto all'altra, con davanti un’asta su cui sventolava la bandiera canadese. E, dietro di esse, si stendeva l’immenso bosco, che si perdeva lungo tutto il versante della montagna.

“Il mio ufficio è il primo capanno” indicò il ranger.

“E il resto della squadra?” domandò il Dottore.

Raymond stava per rispondere ma, improvvisamente, si immobilizzò e guardò in basso, con aria triste, e tutti capirono il perché di quel silenzio.

“Oh, vuol dire che…”

“Sì. Spariti anche loro. Senza dirmi niente o lasciarmi qualche informazione. E non riesco a contattarli in nessun modo. Sono da solo.”

I tre viaggiatori rimasero in silenzio, cercando di capire. Ma, l’unico che veramente potesse capirlo era il Dottore, che conosceva realmente la solitudine.

Il silenzio, però, fu improvvisamente interrotto dallo squillo di un telefono che arriva dal cottage. Raymond alzò la testa, si scusò e corse dentro a rispondere.

Quando furono rimasti soli, Indy andò dritto verso il Dottore, il dito sollevato con aria irritata, sbottando: “Okay, ora basta con le storielle! Pretendo una vera spiegazione sul perché siamo qui e su che cosa dobbiamo davvero cercare, e dove.” E si appoggiò le mani sui fianchi in attesa di una spiegazione.

L’alieno ci pensò qualche istante e cercò di spiegare: “Beh, Il Tempo e Relativa Dimensione Interna Allo Spazio si trova in un posto parecchio insolito. E, probabilmente, si troverà qui…”

Continuò a perdere tempo con chiacchere confuse, certo che sarebbe riuscito a persuadere l'archeologo da fare ulteriori domande scomode, mentre Denny iniziò a guardarsi intorno, camminando verso il bosco.

Doveva cercare qualcosa di strano, anche se non sapeva bene che cosa. Ma poteva essere una cosa sia insolita sia ovvia. Quindi, prestò bene attenzione a tutto quello che vedeva.

Non si era ancora allontanata molto dall'accampamento, senza nemmeno entrare dentro alla foresta, quando notò qualcosa che appariva decisamente insolito.

“Ragazzi,” disse lei, voltandosi verso Indy e l’alieno – che erano a pochi metri da lei. “Credo di aver trovato qualcosa.”

Jones gettò un'ultima occhiata in tralice al Dottore - che, con quelle sue chiacchiere, non gli aveva spiegato assolutamente nulla - e insieme la raggiunsero, seguendo poi il suo sguardo verso l'alto, rimanendo confusi.

“Lo vedete anche voi quello che vedo io, oppure me lo sto immaginando?” chiese la ragazza, sarcastica per il loro improvviso ed inaspettato silenzio.

“Un tempio Maya" constatò il Dottore, sorpreso.

“No, non può essere!” grugnì Indy, impaziente.

Non era mai stato più confuso e perplesso davanti a qualcosa in tutta la sua vita. E lui, di cose strane ed assurde, ne aveva veramente tante da raccontare.

Denny e il Dottore si scambiarono occhiate preoccupate, capendo che il Tardis era lì. Anche se, quello, era soltanto il primo passo di una scoperta molto più grande. E, con ogni probabilità, molto rischiosa e pericolosa…

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Capitolo 14
*** The Words Of The Doctor ***


Capitolo 13
The Words Of The Doctor
 

Dopo quelle parole, tutti si guardarono attorno, volgendo lo sguardo lungo le piccole strade e tra le piazze della città, rendendosi così conto che, in giro, non c'era nessuno, se non qualche anziano.

“È vero, dove sono tutti?” chiese Jones, leggermente stranito.

Si fermarono e il ranger li guardò con aria perplessa, rispondendo: “Beh, in estate è molto fresco, ma durante l’inverno qui è molto freddo e rigido. Le nevicate sono abbondanti ed è molto riscorso restare qui. E, ovviamente, anche il rischio di tormente e di valanghe è molto alto. Perciò, già as inizio novembre molte famiglie vanno ad alloggiare ad Agrestè, per sicurezza. Ma, in effetti, non è mai capitato che molti se ne vadano subito, già a metà ottobre, tutti in una volta…”

I tre rimasero sorpresi da quell'ultima frase.
“Che vorrebbe dire ‘tutti in una volta’?” domandò Denny.

“Beh, vuol dire che un giorno erano tutti qui e il giorno dopo non c'era più nessuno. Come se fossero spariti tutti nel nulla" spiegò, perplesso.

“Davvero?” chiese il Dottore.

“Già, un po’ come se fossero andati via in una sola notte, tutti insieme. Come se avessero seguito una musica ipnotica in stile ‘pifferaio magico’.” Raymond fece una risata nervosa.

“E lei non trova tutto questo un po’ troppo strano?” chiese Indy, sospettoso.

Il ranger si sentì un po’ imbarazzato per quella situazione, ma cercò di tenere testa all'archeologo, rispondendo: “Beh, che cosa potevo fare? Sì, l’ho trovato strano che fossero andati tutti via, così. Così, ai pochi che sono rimasti, ho fatto qualche domanda, in cerca di informazioni. Ma sembra che nessuno abbia notato niente di insolito, e non sembrano nemmeno preoccupati. Così, non ho indagato molto. Anche se ero dispiaciuto…”

e guardò in basso con aria malinconica, prima di continuare: “Io e la mia squadra siamo le uniche autorità di questa città e, prima che i cittadini partissero all'improvviso, noi abbiamo sempre dato una mano per le partenze. Questo è un piccolo villaggio, dove tutti si conoscono e ci consideriamo una grande famiglia… ma, in questo caso, non ho potuto fare niente.”

Raymond appariva davvero triste per quello che era successo e si sentiva veramente impotente ed in colpa.

Denny e il Dottore lo capirono perfettamente, e si sentirono dispiaciuti per lui.

“Non si preoccupi,” disse l’alieno, avvicinandoglisi e parlando con tono gentile.

“Non poteva fare niente, qualsiasi cosa sia successa. Ma vedrà che troveremo la risposta e la soluzione per sistemare le cose.” E fece un sorriso sincero e gentile, come solo lui riusciva a fare, mettendo una mano sulla spalla del ranger in segno di conforto.

Raymond ricambiò il suo sguardo, compiaciuto sia per le sue parole sia per il suo gesto di effetto. Ma era ancora perplesso: “Lei crede veramente che se ne siano andati tutti via nel giro di una notte?”

“Probabilmente ma, in ogni caso, lo scopriremo” rispose, convinto.

“Comunque, apprezziamo davvero molto la sua preoccupazione per i suoi concitaddini.”

“Morirei per questa città. Gli devo tutto quello che ho e che sono. Se sono diventato l’uomo che sono oggi è solo grazie a questo posto ed ai suoi abitanti, e ne vado fiero” rispose il ranger, convinto e serio.

“Ci avrei scommesso.”

Raymond ricambiò il sorriso, apprezzando le sue parole e quel piccolo ma grande gesto di conforto nei suoi confronti.

“La ringrazio, Dottore.”

Denny era intenerita da quella scena. Come il Dottore sapeva dare motivazioni e conforto agli altri, senza chiedere nulla in cambio, non c'era proprio nessuno. Riusciva a portare un po’ di felicità alle persone con pochi e semplici gesti, facendo sentire qualsiasi persona la più importante di sempre. E, di questo, l’amica era molto grata.

Indy, invece, osservò tutta quella scena con aria perplessa, facendosi un sacco di domande dentro la testa: perché il ranger di questa città non sapeva niente sulla “scomparsa” dei suoi abitanti? Che cosa nascondeva veramente questo piccolo villaggio? Ma, soprattutto, che cosa sperava di ottenere il Dottore, con quelle frasi e con quei gesti così gentili nei suoi confronti?

Per quanto ne sapevano loro, in fondo, avrebbe potuto essere addirittura lui stesso la causa di quel mistero – anche se non avrebbe saputo dire come - ma il Dottore sembrava davvero convinto della sua storia e della sua buonafede.

Tutto questo era strano e, quindi, l'archeologo non poteva non chiedersi chi fosse veramente quello strano tizio con il cravattino e il fez, sospettando che lui – e con lui anche Denny - sapessero più cose di quante ne avesse dette. E questa cosa, ad Indy, non piacque per niente.

Quando ebbero ripreso a camminare, Denny si avvicinò al Dottore, sussurrando: “Pensi che la spedizione di questa gente sia in qualche maniera collegata al rapimento del Tardis?”

“Sì. Ne sono certo" rispose lui con lo stesso tono basso, con aria inespressiva, sebbene nei suoi occhi ci fosse una certa durezza. Era uno sguardo che Denny conosceva bene e che non le piacque per niente, perché non prometteva mai nulla di buono.

“Ma chi potrebbe mai rapire una macchina del tempo ed un migliaio di persone da una cittadina?”

Era confusa, non capiva il collegamento tra queste due cose, né avrebbe saputo dire chi avrebbe potuto mai fare una cosa del genere; la sua unica certezza, adesso, era di aspettarsi grossi guai da tutto ciò.

“Non lo so. E non mi piace non saperlo” rispose duro il Signore del Tempo, con aria irritata.

Denny si preoccupò per quelle parole. Conosceva fin troppo bene la determinazione folle del Dottore. Se lui non sapeva qualcosa, pure la più futile, doveva scoprirla a qualsiasi costo.

E, in quel momento, sarebbe stato molto difficile fermarlo: lui doveva in qualche modo scoprire tutta la verità, per la sua incolumità, per la sopravvienza di entrambi e del tempo stesso.

Era in mezzo ad una situazione veramente tesa, con Indy che perdeva la pazienza ad ogni passo e lo sconforto quasi palpabile di Raymond.

A quel punto sospirò rassegnata, sperando che non stessero andando incontro a nulla di troppo rischioso... anche se ne dubitava fortemente.

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Capitolo 15
*** The Strange History Of The Dupain Temple. ***


Capitolo 15
The Strange History Of The Dupain Temple.
 

Il tempio si trovava in alto, a chilometri e chilometri di distanza da loro, in mezzo agli alberi al termine di una tortuosa salita, ma si poteva vedere ugualmente la sua parte superiore, che sembrava davverso simile, quasi identica, a quella della piramide di Kukulkan, solo un po’ più alta e maestosa.

Tutti e tre rimasero così sconvolti da quella scoperta da non riuscire a staccarne gli occhi di dosso.

“Ehm, pensavo che i Maya vivessero solo nel Centro America” disse Denny, rompendo il silenzio.

“Infatti è così!” rispose Indy convinto, indicando il tempio.

“Questo tempio non può essere vero! I Maya non hanno mai vissuto nel Canada Francese!”

“E, invece, sì!” affermò una voce maschile ormai nota.

Si girarono e videro Raymond avvicinarsi a loro con aria soddisfatta.

“Questo è il tempio Maya di Dupian! Fu scoperto dal fondatore della nostra città, nel 1790.” Lo guardò con aria fiera. “È considerata l’ottava meraviglia del mondo!”

Indy gli si avvicinò con il dito alzato, sbottando: “Non ci credo! Sono un archeologo, ho viaggiato e studiato per tutto il mondo e sono più che certo che non ci siano mai stati i Maya in Canada o in altre zone, al di fuori dell'America centrale!”

“Capisco il suo scetticismo, professor Jones, ma questo tempio è reale quanto autentico! È lì da millenni e ci abitano pure gli ultimi discendenti della tribù che fu scoperta dal nostro fondatore. Questo tempio è stato dichiarato patrimonio mondiale e noi ne siamo molti fieri. Quindi, con tutto il mio rispetto, signor Jones, lei si sbaglia” disse con convinzione il ranger, mettendosi le mani sui fianchi.

Indy lo guardò in segno di sfida: odiava che qualcuno dubitasse della sua sconfinata preparazione accademica. Stava per controbattere ancora, ma Denny si mise in mezzo, chiedendo con tono calmo: “E ci sono delle documentazioni o delle prove, su questo tempio?”

Raymond e Indy la guardarono, perplessi da quella sua richiesta. L’archeologo la osservò irritato, sia perché si era messa in mezzo, sia perché pretendeva di vedere delle “prove” riguardo quel fantomatico tempio, come se potessero esistere davvero.

“Vorreste vedere le documentazione scritta da Gaston Dupan e tutti i documenti realizzati durante i vari studi che si sono succeduti nel corso dei decenni?” chiese il ranger, sospettoso.

“Sì, esatto” rispose Denny.

“Per saperne di più e per poter studiare meglio la situazione” sottolineò il Dottore. “Insomma, noi siamo archeologi e il nostro compito è quello di riscoprire cose antiche.” E finì con un sorriso.

L’amica alzò gli occhi al cielo, ignorando l’ultima affermazione, mentre Indy gli scoccò un'occhiata infuriata.

“E, poi, così, potremmo convincere anche il nostro scettico collega” aggiunse.

Dopo questa uscita, il vero archeologo cominciò a provare dentro un vero e proprio odio nei suoi confronti.
 Raymond ci pensò qualche istante, ma infine acconsentì, facendoli entrare nel suo rifugio e permettendo loro di vedere le varie documentazioni, che erano raccolte dentro alcuni faldoni disposti in bell'ordine sopra una scaffalatura.

Tra il 1789 e il 1790, dopo la fine della guerra di indipendenza, i colonizzatori francesi erano giunti in Canada. E l’esploratore parigino, Ageston Dupain, era arrivato in quella zona e vi aveva fondato la città che portava il suo nome. Ma, durante la costruzione del villaggio, Ageston e i suoi compagni fecero un sopralluogo nel bosco, dove prima trovarono una piccola tribù di indagini e, poi, il tempio, scoprendo con stupore che era identico a quelli eretti dalla civiltà Maya che, però, per come avevano sentito raccontare, non si sarebbero mai mossi dal Centro America.

Dopo aver svolto alcune indagini dentro al tempio, decisero di convivere pacificamente con i membri della tribù e, da allora, le due comunità vissero in pace una accanto all'altra.
Denny, il Dottore e Indy lessero i documenti stando in piedi attorno alla scrivania del ranger.

“Quindi,” riassunse l’archeologo, con le mani appoggiate sopra la scrivania, “nel Diciottesimo Secolo il fondatore della vostra città ha scoperto questo antico tempio, con tanto di tribù che vi viveva accanto, ma ha deciso di non interferire in alcuna maniera con i selvaggi, senza imporre le proprie tradizioni o religione come avrebbe fatto ogni colonizzatore dell’epoca?” il suo viso era sospettoso e scettico mentre guardava il ranger.

“Sì. Ed è scritto nero su bianco, con tanto di data. Quindi, è vero” rispose lui, sicuro.

Jones lo fissò con aria irritata, mentre i due viaggiatori del tempo si scambiarono sguardi preoccupati fra di loro.

“D'accordo, stammi a sentire, non mi interessa niente di quello che c’è scritto qui. Quel tempio non può esistere, punto!” indicò la finestra con il dito. “Qualsiasi cosa sia, non è di certo un antico tempio Maya! Altrimenti, se ci fosse davvero stata una scoperta archeologica di tale portata, sarebbe tutto scritto sui libri di storia, ne sarebbero state fatte numerose pubblicazioni, e io stesso ne sarei certamente a conoscenza. Quindi, mi dispiace di doverla deludere, ma qualsiasi cosa sia quell'affare, è un falso!” Il suo tono era duro e deciso, sempre più pronto a far valere le proprie ragioni.

“Mi dispiace che lei non ne sia convinto e che non mi creda neppure con tanto di prove sotto al naso. Ma, se lei non ha mai sentito nulla di questa storia, allora vuol dire, molto semplicemente, che non sta facendo bene il suo lavoro!”

Indy stava per rispondere a tono ma, questa volta, fu il Dottore a mettersi in mezzo, domandando: “Ma ha detto che ci sono ancora dei discendenti dei Maya, in quel tempio?”

Il professore e il ranger lo guardarono.

“Quindi, in quella zona, c’è ancora una tribù, giusto?”

“Certo, i discendenti della stessa gente scoperta da Dupan” rispose il ranger.

“E si può andare lì?”

Indy rimase confuso da quella domanda. Non capiva che cosa avesse in mente o se credesse davvero a tutta quella storia assurda. E, poi, perché voleva andare proprio lì? Non dovevano cercare la “scatola del tempo”?

“Mi dispiace, ma non posso permettervi di andare fin lì” rispose Raymond

L'archeologo parve divertito da quell'affermazione, dicendo con ironia: “Certo. Un po’ conveniente come risposta. Lei non crede? Dire che qualcosa esiste e, poi, quando si crede una prova concreta, impedire di verificarla.”

A quel punto, fu Denny a lanciargli uno sguardo arrabbiato, che lui ricambiò subito.

Il Dottore fece gesto al ranger di lasciar correre, dicendo: “E perché no?”

“Non abbiamo mai più avuto contatti diretti con loro, dopo la scoperta di Dupan. Quindi, sono completamente isolati dal mondo esterno e permettere a tre persone di andare fin lì sarebbe troppo rischioso per tutti. Abbiamo deciso di impedire ogni contatto con loro, per evitare scontri o anche di peggio” spiegò Raymond, con tono grave e serio.

Si percepiva chiaramante che era davvero preoccupato per l'incolumità di quelle presone. E, così, si meritò il rispetto del Dottore.

“Capisco la situazione. Ma noi dobbiamo per forza andare lì” spiegò l’alieno, con tono calmo. “Noi stiamo cercando una cosa dal valore storico inestimabile. E credo proprio che sia lì. Ed è molto, ma molto importante, per noi, riuscire a trovarla nel minor tempo possibile. Quindi, la prego, ci permetta di andare al tempio.” Il Dottore stava realmente supplicando il ranger perché desse il suo consenso a farli salire sulla montagna, fino a quel luogo misterioso.

Questo lo rese ancora più strano agli occhi di Indy che, ormai, non faceva quasi più caso alle sue “stranezze”.
Ma ciò che continuava a colpirlo di più era la sua assistente Denny: non lo riprendeva mai, non discuteva mai con lui, sembrava pendere dalle sue labbra, prendendo per oro colato ogni sua parola, e si scambiavano continui sguardi complici tra di loro. Sembrava proprio che loro due si fidassero ciecamente di se stessi, mentre non provassero una grande fiducia nei suoi confronti. Indiana Jones, dunque, capì che sia lei sia il suo “professore” - o qualunque cosa fosse realmente - sapevano molto di più di quello che sostenevano.

 Raymond guardò in basso, sospirando con aria dispiaciuta, dicendo: “Mi dispiace, Dottore. Capisco perfettamente che questa ricerca sia molto importante per voi. Ma non posso farlo.” Alzò lo sguardo e continuò: “È per una questione di sicurezza. La tribù non ha mai avuto dei contatti con il mondo esterno e non credo proprio che accetteranno amichevolmente degli sconosciuti sui loro territori. Non posso affatto permettere che andiate lì mettendo a rischio la vostra incolumità.”

Denny e il Dottore lo capirono, ma continuavano ad essere colpito per la scomparsa dei suoi compaesani. Indy, invece, alzò gli occhi al cielo, cominciando a pensare ad un piano per andare fin làssù senza l’aiuto del ranger.

Ma il Dottore, dalla tasca interna della sua giacca tirò fuori la sua carta psichica, dicendo: “Non avrei voluto dirlo, ma penso che sia l’unico modo che la convincerà: io e la mia assistente siamo due agenti della UNIT.” E gli mostrò la carta, passandogliela davanti al viso.

Denny si girò guardando con aria stupita, mentre Indy, incredulò, esclamò: “Che cosa?!”

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Capitolo 16
*** UNIT ***


Capitolo 16
UNIT
 

“Agenti della UNIT?” ripeté il ranger, spalancando gli occhi per leggere il “distintivo” del Dottore.

United Nations Intelligence Taskforce” spiegò il Dottore sicuro, rimettendo a posto la carta psichica.

“È un'unità militare inglese segreta per la protezione sia del paese che del mondo” aggiunse Denny, improvvisando una spiegazione insieme al Dottore e cercando di essere il più convincente possibile.

“E noi, con l’aiuto del professor Jones” continuò il Dottore, “stiamo tentando rintracciare un antichisimo, e potenzialmente pericoloso, reperto che la UNIT sta cercando da anni. E, ora, siamo certi che sia lì. Come le ho già spiegato, è una scoperta molto importante per l’umanità.”

Indy ascoltò tutto con attenzione, non capendo più niente riguardo a questo strano uomo. E si disse che, dopo, avrebbe preteso molte spiegazione da parte loro.

Raymond rimase sorpreso da quelle parole, che però bastarono a convincerlo, dato che disse: “D’accordo! Vi autorizzo ad andare lì.”

Svolse sul tavolo la mappa del bosco e indicò il tratto più facile da seguire e meno rischioso per loro. Raymond propose di accompagnarli, ma il Dottore gli disse di no, che dovevano andare solo loro tre.

Tuttavia, offrendo il suo aiuto, era stato molto importante e fondamentale sia per loro che l’umanità stessa. Una frase molto incoraggiante per lui.

Il Dottore prese la mappa con il tragitto per il tempio e, salutato il ranger, si incamminarono fuori dall'ufficio. Mentre entravano nel bosco, Indy sbottò, frustrato: “Okay, che cosa accidenti è, questa storia della UNIT?!”

Si fermò con le mani sui fianchi e l'aria decisamente arrabbiata, aggiungendo: “E perché diavolo non me l’avete detto prima, quando vi siete presentati nel mio ufficio?”

I due si guardarono e lo fissarono con aria perplessa. Denny non sapeva che cosa rispondere, ma il Dottore – come al solito - improvvisò:
“Perché, in verità, non sono un vero agente della UNIT. In realtà, ero solo un loro consulente…”

Raccontò che, prima di dedicarsi all'insegnamento, era stato consulente storico e scientifico di questa organizzazione militare segreta, aiutando i suoi membri nelle loro ricerche e nelle loro scoperte. Ma non aveva mai veramente fatto parte de loro sistema militare. E, dopo uno scontro verbale con il capo, abbondò la UNIT e si dedicò all’insegnamento.

“Ma mi sono tenuto il distintivo per poterlo sfruttare in ‘occasioni’ come questa” finì, con un sorriso soddisfatto dipinto in volto.

“E perché non ne ho mai sentito parlare?” chiese Jones, dubbioso.

“Perché è una organizzazione militare davvero molto segreta. Ed è molto complesso riuscire ad esservi anmessi. E, ovviamente, non posso raccontare di più, ho già detto fin troppo.”

Indy gli lanciò un'occhiata irritata, rispondendo: “Certo, ovviamente.
Iniziò a camminare in mezzo al bosco e loro si affrettarono a seguirlo a passo svelto.

Denny sospirò pazientemente, camminando accanto al Dottore a una certa distanza dall'archeologo, bisbigliando così che Jones non potesse sentire: “Consulente della UNIT?”

“Beh, è una mezza verità. La UNIT è un'organizzazione segreta militare, ma che protegge il mondo dagli alieni. Ed è vero che sono stato anche consulente per loro, per un po’ di tempo. Ed è altrettanto vero che non ho mai provato le loro tattiche militari.”

“Però, non ti hanno ‘eletto’ presidente del mondo?”

“Sì, ma solo per estrema emergenza. E, poi, non mi piace molto vantarmi.”

Denny rise divertita, mente il Dottore continuò a camminare con la mappa in mano.

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Capitolo 17
*** Miss me? ***


Capitolo 17
Miss me?
 

Seguirono un lunga salita che si inerpicava in direzione del tempio, il Dottore in testa con in mano la mappa, Indy e Danny alle sue spalle, uno accanto all'altra.

Rimasero in silenzio per qualche minuto, finché Denny non notò lo sguardo infuriato di Indy e gli disse: “Non sei abituato ai boschi?, facendo un sorriso ironico.

L’archeologo captò il suo sarcasmo e rispose: “Che posso farci? Sono più abituato ai deserti aridi o alle foreste umide.”
La giovane rise divertita dal suo atteggiamento irritato e burbero.

“Tu, piuttosto, come fai a fidarti di lui?” e con il dito indicò il Dottore, che non stava ascoltando.

“So che, a prima vista, è un po’ stravagante e un po’ folle. Ma è un brav’uomo. E gli affiderei la mia stessa vita. Credimi” spiegò Denny.

“Ma perché?” chiese lui, perplesso. “Da quanto tempo lo conosci? Che cosa avete fatto prima di questa impresa? Ma, soprattutto, voi due sapete molto più di quello che mi avete detto, riguardo a quella scatola. Non è vero?”

Denny non sapeva che cosa rispondere, se fosse ora di dire tutta la verità o no. Stava per decidersi a rispondere, quando non sentì qualcosa che strisciava per terra, facendo prendere quasi un colpo all'archeologo, che compì un balzo e cacciò un urlo.

Sia la ragazza che l’alieno si fermarono preoccupati per lo spavento di Jones.

“Che cos'è successo?” chiese il Dottore.

“Un serpente è strisciato sulle mie scarpe” rispose l’archeologo, a denti stretti.

La ragazza guardò in basso, notando un piccolo e sottile rettile dalla pelle verdastra che strisciava via, allontanandosi dalle gambe di Indiana.

Denny rise divertita, rispondendo: “Ti sei preso un colpo per una piccola vipera?” continuò a ridere. “Tu, grande, grosso e uomo di avventura, ti fai spaventata da una cosa così innocua?”

Innocua?!” ripeté Indy, rivolgendole uno sguardo delirante.

“Lo sai quante sono velenose, le vipere?! E sì, odio a morte i serpenti! Non posso nemmeno vederli! E tu dovresti odiarli più di me!”

“Ma per favore!” rispose lei, un po’ sfacciata. “Non ho mai avuto paura di serpenti, ragni o insetti in generale.”

Si appoggiò le mani sui fianchi e continuò: “E poi, una volta, mia madre, tagliando l'erba in campagna, uccise una vipera per sbaglio. Allora fece vedere a me ed a mio fratello il corpo morto, con tutte le budella di fuori.” E sorrise a quel ricordo.
Indy la guardò stranito, rispondendo: “Lo sai? Penso che anche tu sia folle, ragazzina!”

“Non sei né il primo né l’ultimo a dirlo. Ma non chiamarmi ragazzina!” ribatté, convinta.

“Lo farò quando tu imparerai ad essere meno insolente con me, ragazzina!”

Denny gli lanciò una occhiata furiosa, alzò il dito e urlò: “Hey! Io…”

“Ragazzi, ragazzi, ragazzi!” si mise in mezzo il Dottore, frapponendosi tra loro con la mappa sotto il braccio.

“Non litigate. In fondo, tutti abbiamo delle fobie un po’ strane, ma non c’è affatto bisogno di litigare per…” Non finì la frase, perché uno sparo che risuonò improvviso colpì il suo fez, facendoglielo volare via dalla testa.

I due compagni si presero un serio spavento, mentre Indy tirò velocemente fuori il suo revolver dalla fondina, gettando occhiate guardinghe in ogni direzione.

“Dottore? Chi ha sparato?” chiese Denny preoccupata, mettendosi vicino a lui e guardandosi intorno con inquietudine.

“Non lo so” rispose lui, con tono fermo.

Tutti guardarono in giro, finché non sentirono una voce femminile: “Ciao, dolcezza.” E lo disse con un tono dolce.
Si voltarono e, davanti a loro, videro che c'era una donna, che sembrava quasi comparsa dal nulla.

Era alta, con un fisico formoso e pieno, ma il viso era sottile, con labbra rosse ed occhi piccoli e blu. I capelli ricchi e biondi di lunghezza media le ricadevano sulle spalle e, in mano, stringeva una pistola fumate.

“River!” esclamò il Dottore stupito, con gli occhi spalancati.
“Ti sono mancata?”

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Capitolo 18
*** River Song ***


Capitolo 18
River Song

River risistemò la sua pistola nella fondina che teneva legata ai pantaloni e, con aria soddisfatta, si appoggiò le mani sui i fianchi. Era vestita con una pesante giacca di pelle bianca, con dei pantaloni neri aderenti e con lunghi stivali marroni.

A prima vista, Indy le diede sui trentatré o trentacinque anni.

Denny sorrise di gioia, esclamando: “River! Che bello rivederti!” e corse ad abbracciarla.

“Ciao, Denny! Anche io sono molto contenta di rivederti!” si sciolsero dall'abbraccio e aggiunse: “Allora? Sempre accanto al Dottore per toglierlo dai guai?”

“Sì, signora.”

“Brava ragazza!” E risero.

Dopo, River guardò il Signore del Tempo sorridendo e lui ricambiò, dicendo:” Ciao, River. Ti trovo bene.”

“E tu sei sempre il solito. Compreso quello stupido fez!”

“Hey! I fez non sono stupidi! Sono molto forti!”

“Sì, talmente tanto che te l'ho dovuto togliere con un colpo di pistola!” fece un sorriso cinico, mentre il Dottore si mise a braccia conserte, girandosi dall’altra parte e sbuffando sonoramente.

“A proposito, vi chiedo scusa per quello sparo. Ma, quando ti ho visto con quel coso in testa, ho voluto fare un favore all’umanità.”

“Credimi, mi ha fatto un enorme favore!” disse Denny e risero insieme.

Indy osservò tutta la scena con aria confusa. Più andava avanti con questa avventura e sempre meno riusciva a capirci qualcosa.

Prima il Dottore, poi la scatola del tempo, dopo il tempo e dopo ancora la UNIT e, adesso, la comparsa di questa strana donna sbucata dal nulla, che pareva proprio conoscere i suoi compagni di viaggio. E, ora, si stava inevitabilmente chiedendo che cosa ci facesse lì.

“Oh! Vedo che siete in compagnia” disse River, volgendo la sua attenzione verso Jones.

“Già,” rispose il Dottore “River, lui è…”

Ma l'archeologo lo interruppe, facendo un passo avanti e presentandosi da solo: “Professor Henry Walton Jones. Più noto come Indiana Jones.” Sorrise, tenendole la mano che lei strinse, dicendo: “Io sono la dottoressa River Song, archeologa.”

Indy all'inizio la squadrò ma poi, ammettendo con se stesso che quella era una donna molta affascinante e attraente, sorrise e strinse un po' più forte la sua mano, dicendo: “È un piacere conoscerla, dottoressa Song. Ma, la prego, mi chiami pure Indy.”

“Allora, lei puoi chiamarmi solo River” replicò lei, con un sorriso.

Denny, notando il sorriso da “marpione” di Jones, alzò gli occhi al cielo, disgustata, e ripensò a tutte quelle studentesse che puntavano gli occhi innamorati su di lui, nemmeno fosse stato uno scultoreo dio greco sceso in terra.

Speriamo che non sia come Hank Moondy” pensò, paziente.

“Ho sempre ammirato il suo lavoro, anzi devo proprio ammettere che è stata un po’ la mia fonte di ispirazione, durante le mie spedizioni” stava intanto dicendo River con tono gentile.

Indy, davvero affascinato da lei, rispose con un mezzo sorriso sicuro: “La ringrazio, del resto questo lavoro è la mia grande passione. E, sinceramente, non saprei fare altro.” Scosse la testa. “Comunque, mi fa davvero piacere vedere più donne sul campo. Sono sempre stato favorevole a vedere donne in azione.”

“La ringrazio. Ma, purtroppo per lei, sono felicemente sposata.”

Il sorriso di River diventò più sicuro e fiero, mentre quello di Indy si spense lentamente, lasciando spazio a un'espressione mista di confusione e delusione. Infine, con voce un po' più roca di prima, chiese: “E chi è il fortunato?”

“Beh, lui ancora non lo sa.” Rivolse un sorriso divertito all'indirizzo del Dottore, che fece un'espressione confusa.

“Forza, andiamo, la strada è ancora lunga" sentenziò poi, iniziando a camminare.

Il Dottore la seguì e, subito, si accodò anche Denny, con un sorriso divertito mentre ripensava al rifiuto simpatico che la sua amica aveva opposto a Indy; in quanto a Jones, sempre più confuso da quella situazione, decise di smetterla di farsi domande e iniziò a seguirli a sua volta, rassegnato.

“Allora, River, come mai sei qui?”  

“È una storia un po’ buffa” rispose lei, iniziando a raccontare: era giunta lì il giorno prima ed aveva preso alloggio in un albergo fuori da Dupain; ma, avendo ricevuto un segnale dal suo “orologio”, era salita fin qui, aspettandosi la loro presenza.

“E come mai eri già qua?” domandò Denny.

“Beh, dopo la prigione, avevo bisogno di una piccola vacanza in un luogo isolato.”

“In prigione?” chiese Indy. “E come mai era in prigione?”

“Omicidio.”

“Omicidio?”

“Già. Ma deve ancora avvenire. Quindi, a ben pensarci, è come se non fosse affatto successo.”

L’archeologo fece finta di capire, chiedendo: “E come sei evasa?”

“Con il tuo rossetto?” domandò Denny.

“Già, ci cascano sempre!” rise River, divertita.
“Una volta mi hai promesso di farmelo provare. Ma quando?”

“Lo proverai al momento giusto, te lo prometto. E, poi, non eri a favore del viso lasciato al naturale?”

“E continuo ad esserlo... ma, con uno rossetto del genere, potrei fare un'eccezione!”

“Furba!”

“Secondo te, non lo è mai stata?” insinuò il Dottore, ironicamente, e il trio rise sonoramente.

Indy, ormai, non faceva quasi più caso ai loro discorsi. Tutto quello che contava, adesso, era riuscire ad entrare in quel tempio e cercare quella scatola. Ma, a questo punto, cominciava seriamente a chiedersi se la sua presenza fosse ancora utile, in quella stranissima spedizione. Tuttavia, più andavano avanti e più si chiedeva chi fossero veramente quei tre.

Beh, che cosa può andare di peggio di così?” pensò Indy, paziente.

 



 

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Capitolo 19
*** It’s a trap! ***


Capitolo 19
It’s a trap!
 
Più andavano avanti e più il tempio diventava visibile in tutta la sua maestosa bellezza, sebbene fosse ancora parecchio lontano.

“Pensi che sarà pericoloso?” chiese Denny al Dottore.

“Il ranger ci ha detto che ci sono degli indigeni e che non sono molto ‘amichevoli’ con gli estranei” le ricordò lui.

“Per me, qui, non c’è nessuno e il ranger ci ha raccontato delle frottole” rispose Indy, aspramente.

“Lo scopriremo quando saremo lì. Ma, intanto, stiamo attenti, più ci avviciniamo e più c’è il rischio di trovare…” Il Signore del Tempo non finì le frase, per via di un urlo improvviso di Denny, che era caduta in pieno dentro una rete, che si era sollevata sopra un albero.

Tutti rimasero sopresi e un po’ spaventati da quella scena.

“...delle trappole…” finì il Dottore, guardando l’amica che si agitava dentro alla rete.

“Denny! Tutto okay?” chiese River, preoccupata.

“Sì, tutto okay!” rispose lei, sarcastica.

“Non agitarti! Potresti restare impigliata!” disse il Dottore.

“Uno: sono già impigliata qui dentro!” rispose la ragazza, irritata. “E due: sto solo cercando di prendere il mio coltellino svizzero!" Con qualche fatica, dalla borsa tirò fuori un piccolo coltello a serramanico e lo aprì, tagliando la rete davanti a lei con aria paziente.

“Non dovresti tagliare la corda sopra di te?” chiese Indy.

“Per poi cadere come un sacco di patate? No, grazie! Faccio prima ad aprire la rete a mo’ di finestra. Cadendo con meno dolore e con più classe possibile!”
replicò Denny, tagliando a fatica. Poi borbottò: “Sono finita dentro una trappola in puro stile Hannah e Barbera o alla Loonytoons!”

Lui sopirò rassegnato, dicendo: “Fai come ti pare. Ma, se c’è una trappola qui, ce ne saranno altre qui intorno.”

“Allora la tribù deve essere più vicina del previsto” aggiunse River, iniziando a guardarsi attorno.

“E, se è stata attivata una delle loro trappole, vuol dire che presto arriveran…” intervenne il Dottore, camminando in tondo, ma prima che potesse finire la frase finì in un'altra trappola: una corda gli si legò attorno alla caviglia e si ritrovò in alto, appeso a testa in giù. “...no” terminò di dire il Dottore, con aria stupita.

Gli altri tre lo guardarono con aria paziente.

“A quanto pare, la situazione si è capovolta” commentò Denny, guardando la scena con aria paziente. “Sai? Per essere l’uomo più intelligente della galassia, a volte sei davvero un grande idiota!”

“Allora, in questo caso, avrò più sangue al cervello!” rispose il Dottore, riuscendo a sorridendo e a ridere persino in quella posizione.

River si aggiunse alla sua risata, ma Indy, ormai, era veramente stufo di quei discorsi.

“E meno male che sei stato tu a dire che ci sarebbero state altre trappole, qui intorno! E, allora, che fai? Cammini in tondo!” sbottò l’amica, infastidita e con tono tagliente.

“Volevo solo controllare la zona" si giustificò il Dottore. "E, poi,appena tu ti sarai liberata potrete usare il tuo coltello per aiutarmi, se River e Indy non ne hanno un altro."

“O, magari, River potrebbe sparare alla corda come ha fatto con il fez!”

“Andiamo, Denny! Non te la prendere così tanto.”

“Non me lo sto prendendo! È solo che mi sembra assurdo di essere finita in una trappola in stile ‘Mamma ho perso l’aereo’!”

“Beh, ci è capitato di peggio! Ti ricordi quando siamo finiti in quella trappola subacquea?”

“Non me la far ricordare!” e continuarono a discutere animatamente.

River seguì la scena divertita e addolcita, mentre Indy sempre più confuso, al punto di non sapere proprio più che cosa pensare.

“Ma, loro due, fanno sempre così?” chiese ad alta voce, rivolto alla donna.

“Sì, è il loro modo per dimostrarsi affetto. Ed è un po’ divertente per gli altri” rispose lei, sorridendo.

Fece un sospiro paziente e rassegnato. 
Dopo qualche minuto, il Dottore era ancora appeso a testa in giù, mentre Denny era quasi riuscita a liberarsi dalla rete.

Ma, in quel momento, sentirono una voce maschile che ordinò: “Alt!

Indy e River si voltarono di scatto con le pistole bene in vista, mentre Denny saltò a terra con aria spaventata insieme al Dottore che, finalmente, era riuscito a sua volta a sbarazzarsi della corda che lo teneva imprigionato.

“Non ci posso credere…” mormorò Indy, con gli occhi spalancati per lo stupore.

“Io ci crederei, se fossi in te. Almeno un po’” rispose River.

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Capitolo 20
*** Tribù ***


 

Capitolo 20
Tribù


 
Davanti a loro, c'erano tre indigeni che, a giudicare dai tratti del volto, dall'aspetto fisico e dal modo di vestire, dovevano avere chiare origini Maya: indossavano una gonna di lino con sopra ricamati dei complessi ghirigori a forma di X  dagli inserti blu. Dai lobi gli pendevano orecchini a cerchio, mentre vari braccialetti gli ornavano i polsi e avevano delle line rosse verticali disegnate sui lati delle braccia ed una posizionata in mezzo agli occhi.  

Il gruppetto si trovò con delle lance puntate verso di sé e i tre indigeni, con la loro aria dura, davano proprio l'impressione di essere pronti a scagliarle.

Denny fu molto confusa da quella visione e non seppe che cosa dire, mentre i due archeologi continuavano a tenere le pistole puntante verso i loro aggressori.

“Chi siete voi?” chiese uno di loro, con tono serio.

“Chi siete voi, invece!” rispose Indy, parlando con lo stesso tono.

“Noi non accettiamo estranei nel nostro territorio!" replicò l'indigeno. "Quindi, andatene via o vi cacceremo noi!”

La tensione era palpabile e, su tutti, scese un silenzio teso. I due studiosi non abbassarono di un solo centimetro le armi e la guardia, e neppure gli indigeni diedero segno di voler arretrare. Ma il Dottore interruppe tutto, dicendo: “Lo sappiamo!”

Tutti si girarono verso di lui, gli indagini lo osservarono sempre senza abbassare le armi ma, adesso, un po’ confusi.
“Salve! Io sono il Dottore, e loro i miei amici" fece le presentazioni, senza mostrare alcuna paura.

"E non vogliamo farvi nulla di male!”Lanciò uno sguardo ai suoi compagni, continuando: “Vero, ragazzi?”

Capirono subito che gli stava ordinando di abbassare le pistole e, dunque, lo fecero, lentamente e con un po’ di riluttanza da parte di Indy.

“Visto? Siamo innocui” finì il Dottore, sorridendo.

“Ora, so che non siamo ‘stati gentili’ con voi, entrando senza permesso nel vostro territorio. Ma siamo venuti qui per scoprire il vostro tempio e per cercare qualcosa di molto, molto importate per noi. E questo ve lo può confermare la persona di cui io mi fidi di più al mondoe in tutto l'universo, ossia l’unica persona che non vi abbia puntato niente addosso, cioè la mia amica Denny.”

L’amica si girò verso di lui con aria confusa, esclamando: “Cosa?”

“Lei potrà parlare con tutta onestà delle nostre intenzioni" continuò il Dottore. "Non è vero?”

L’amica sembrava preoccupata, mentre Indy e River si guardarono perplessi, pur lasciandolo fare.

“Sì. Giusto.”

Il Dottore le fece un gesto con la testa, invitandola ad andare verso gli indigeni. Così Denny sistemò l’asticella degli occhiali sopra il naso, camminando a testa alta e con le braccia leggermente alzate, come in segno di resa. Ma il Signore del Tempo le fece segno di abbassarle e lei obbedì.

“Ehm… salve” disse lei con aria incerta, quando si fu trovata al loro cospetto, mentre loro la squadravano con occhi freddi e viso inespressivo.

Si sentiva intimorita, ma si fece coraggio, stringendo i pugni e dicendo con sicurezza: “Il Dottore ha ragione. Noi non vogliamo né farvi del male né combattere contro di voi. Vogliamo solo andare verso il tempio a cercare un antichissimo e potente oggetto, che se cadesse nelle mani sbagliate potrebbe essere pericoloso e distruggere tutto. Comprese le vostre vite e quelle dei vostri cari.”

I tre si guardarono preoccupati tra di loro, mentre Indy non capì se stesse mentendo apposta per riuscire a convincerli oppure se stesse dicendo la verità. Ormai, non riusciva più nemmeno a comprendere se questa faccenda fosse reale o soltanto uno strano sogno.

“Perciò, vogliamo andare dentro il vostro tempio e conoscere le persone che comandano la vostro tribù, e che liberiate il mio amico” e, con la testa, indicò il Dottore, che era caduto dall'albero ma aveva ancora le gambe legate.

Alla fine, senza dire nulla, i tre guerrieri liberarono il Dottore dai lacci che ancora gli impedivano di muoversi e, con la testa, indicarono di seguirli.

La squadra fu stupita che avessero accettato di portarli verso il loro villaggio, ma decisero di approfittare della situazione e di seguirli. I primi due Maya aprivano il piccolo corteo mentre il terzo era alle loro spalle.

“Allora, Dottore?” chiese Indy, avvicinandosi all’alieno.

“Qual è il piano?”

“Andare dentro il tempio e cercare l’oggetto.”

“Ma come?”

“Per ora non lo so. Ma improvviseremo!”

“Dottore, non si può improvvisare sempre! Soprattutto in un momento come questo!”

“Beh, fino ad ora abbiamo fatto sempre così. E ha sempre funzionato!” e sorrise con viva soddisfazione.

L'archeologo avrebbe voluto controbattere, ma non lo fece, capendo che sarebbe stato del tutto inutile, fiato sprecato. Però, in fondo, doveva anche riconoscere che aveva ragione: fino a questo momento aveva sempre funzionato e, inoltre, stavano andando proprio verso il luogo che intendevano raggiungere.

Ma aveva una brutta sensazione…

 

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Capitolo 21
*** Haska ***


Capitolo 21
Haska
 

Quando erano ormai giunti in prossimità del tempio, Indy cercò di chiedere alle guardie che li stavano scortando che tribù fossero, da quanto tempo vivevano lì e come si chiamasse il “capo”. Ma loro non risposero e, così, ci rinunciò.

“Tipi vivaci” commentò sarcastica Denny.

“C’è qualcosa che non va” affermò l’archeologo. “Non mi sembra qualcosa di reale.”

“Lo so” rispose il Dottore, sicuro.

Indy si girò di scatto verso di lui, sorpreso da quella affermazione.

“Ma, almeno, stiamo andando lì e, una volta a destinazione, scopriremo che cosa sono realmente.”

“Ragazzi…” li chiamò Denny, guardandosi attorno con gli occhi spalancati e pieni di sorpresa e meraviglia. 

Infatti, anche loro iniziarono a guardarsi intorno e notarono che c'erano delle persone: erano i membri di tutta la tribù, uomini, donne e bambini, vestiti in maniera simile, con dei gonnellini di cotone e con buona parte della pelle scoperta, nonostante il rigido e freddo clima autunnale.

Tutti osservavano stupiti quei quattro estrani, bisbigliando tra di loro, e le due file di persone sia alla loro destra che alla loro sinistra erano lunghe fino all'entrata del tempio.

“Dottore, non so se mi piaccia ‘questa cosa” disse Denny, a bassa voce.

 “Nemmeno a me” rispose Indy duramente, lanciando occhiate nervose tutto attorno.

“Ovviamente, c’è qualcosa che non va” aggiunse River.

“Devono essere sotto un effetto psichico. Non ci sono altre spiegazioni.”

“Lo so” rispose l’alieno, guardingo. “Ma facciamo finta di crederci e di non essere intimoriti da nulla, scopriamo chi sono, prendiamo il più in fretta possibile il Tardis e finiamola con questa follia!”

“Pensi che siano pericolosi?” domandò Denny, incerta.

“Non lo so. Ma, perlomeno, spero che siano meno spietati dei Dalek.”

Indy ascoltò tutto, confuso da quelle frasi: “effetto psichico”, “Tardis”, “Dalek”... ma che diavolo stavano dicendo?! Ma, almeno, erano d'accordo con lui nel pensare che tutto questo fosse una farsa. E, dunque, voleva vedere fin dove sarebbero arrivati.

Si fermarono dinnanzi all'entrata del tempio; i tre guardiano si misero di fronte alla porta e uno di loro iniziò a dire a voce alta: “La sacerdotessa Haska arriverà davanti a voi. Portatele rispetto, od ogni forma di ribellione nei suoi confronti sarà severamente punita.”

Il gruppo si scambiò occhiate preoccupate, mentre il resto della tribù rimase fissa in un silenzio teso.

Pochi minuti più tardi, le tre guardie batterono le lance sulla terra davanti al tempo e, dalla porta spalancata, uscì una donna: era alta, slanciata, con lunghi capelli corvini che le cadevano fino alla schiena, dalla pelle scura, truccata in maniera uguale alle sue guardie; indossava una lunga gonna bianca con disegni blu e due serperti incrociati sul davanti a forma di x, una mantellina rossa che le copriva il petto, una collana e orecchini d’oro.

Teneva le mani appoggiate alle braccia ornate con due braccialetti verdi, aveva i piedi calzati in sottili sandali marroni e, sulla testa, portava un grande copricapo dorato ornato da delle piume rosse.

I membri della tribù, con la sola esclusione delle sue guardie, si inchinarono di fronte a lei, mentre Denny e Indy rimasero davvero colpiti da quella maestosa donna. Ma River il Dottore non abbassarono nemmeno per un solo istante la guardia.

“Benvenuti,” disse lei, con tono gentile e con un sorriso cordiale. “Io sono la sacerdotessa Haska, custode dell'antico tempio Sassic. E sono davvero lieta di fare la vostra conoscenza."

Jones e la giovane ragazza erano sempre più sopresi. Non si aspettavano certo una gentilezza del genere da parte di quella gente, soprattutto dopo tutto gli avvertimenti del ranger e dopo essere finiti in quelle trappole.

Ma il Signore del Tempo e l’archeologa si guardarono perplessi e sospettosi, soprattutto per il sorriso cordiale della sacerdotessa.
 

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Capitolo 22
*** Sassic. ***


Capitolo 22
Sassic.
 



“Sassic?” ripeté Denny a bassa voce.

“Significa luce in lingua Maya” tradusse subito Indy, dando prova della sua sconfinata conoscenza di qualsiasi lingua morta.

“Mi dispiace molto per le trappole e per l'accoglienza poco calorosa della mia gente. Ma noi siamo molto prudenti per la nostra sicurezza e, soprattutto, per la nostra casa” disse la sacerdotessa, indicando il tempio.

“Ma so che voi siete delle persone di cui possiamo fidarci. Quindi, che siate i benvenuti nel nostra villaggio.”

“E come può dire che siamo delle ‘brave persone’?” domandò il Dottore, scettico.

“Perché ce l’ha detto la luce.”

“La luce?” chiese Denny confusa.

“La nostra dea, la dea Sassic.”

“Giusto. La dea maya Sassic” approvò il Dottore, facendo finta di capire. “E, dunque, questa dea si mostra?”

La sacerdotessa non rispose, ma sorrise sicura, come a confermare la sua domanda.

I quattro furono confusi da quel silenzio inaspettato, finché non udirono un lungo suono, che si propagò molto forte nell'aria, ed uno dei membri della tribù indicò in indicò in alto, urlando a squarciagola: “LA DEA SASSIC!”

Tutti e quattro sollevarono lo guardo in alto, con gli occhi spalancati: sulla cima del tempio brillava una forte luce bluastra che lampeggiava a intermittenza.

La tribù si inginocchiò di fronte a quella luce e Haska si girò a contemplarla con le braccia alzate in modo teatrale, dicendo ad alta voce: “La grande dea Sassic sta parlando con noi! Ella dice che la profezia si sta per avverare! E, molto presto, saremo una grande civiltà tecnologica e moderna! E la gente avrà rispetto di noi, come la nostra tribù ha sempre meritato! Lunga vita alla dea Sassic!

Lunga vita a Sassic!” ripeté la gente in coro.

“Okay, ora questa cosa sta diventando veramente peggio di quanto pensassi!” brontolò Indy, guardandosi attorno, preoccupato da tutta quella follia. 

“Dottore, quella luce e quel suono sono quelli…” disse Denny, tesa per quella scena che ricordava la cerimonia di una qualche setta malvagia, avvicinandosi a lui.

“Sì, lo so” rispose il Signore del Tempo con tono fermo e con gli occhi sempre rivolti in alto.

“E temo che questa ‘profezia’ sia collegata a noi” aggiunse River.

“Collegata?” ripeté Jones, girandosi di scatto verso la donna confusa. “In che senso collegata?”

Quando il suono e la luce svanirono, tutti si alzarono e la sacerdotessa si girò verso il suo popolo, dicendo ad alta voce: “E la dea ha portato questi quattro stranieri coraggiosi per aiutarci a realizzare il nostro scopo, quindi sono degni di entrare nella casa della dea.”

Alla fine, il popolo iniziò ad applaudire e ad urlare acclamazioni rivolte al gruppo di “eroi”, che si avviò per entrare nl tempio, insieme alla sacerdotessa, questa volta senza guardie. Tutto questo era veramente inquinatane per i quattro compagni d'avventura.

Ma, giunti a questo punto, non potevano più tornare indietro, bensì dovevano andare avanti a qualunque costo.

“Dottore?” chiese Denny a bassa voce, sporgendosi verso di lui. “Sarò strana io, ma… avrei preferito molto di più imbattermi in una nave piena di Dalek assassini, piuttosto che in una strana setta di fanatici sbucata fuori dal nulla.”

“E lo sai qual è la cosa ancora più strana?”  mormorò lui, guardandola. “Lo preferirei anche io.”

Il suo volto era teso, preoccupato e cupo. E, da quel segnale, Denny capì che le cose, per loro, non si stavano mettendo affatto bene…

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Capitolo 23
*** Secrets ***


Capitolo 23
 
 
 
 
 
 
 
Secrets
 
 

Erano all'interno del tempio, e percorrevano un lungo corridoio le cui pareti erano ricoperte di graffiti e di geroglifici in lingua maya, mentre a intervalli regolari erano appese delle torce accese per far luce.

“Incredibile” mormorò Indy, osservando con attenzione le pareti. “Questi disegni e queste scritture sono perfettamente identiche a quelle che si potrebbero trovare in un vero tempio Maya del Messico.”

“Perché questo è un tempio Maya” sottolineò la sacerdotessa, che camminava davanti a loro aprendo la strada.

Jones le lanciò un'occhiataccia. “Ah, sì?" sbottò.

"Eppure mi sembra davvero strano, considerato che i Maya erano stanziati nell'America centrale.”

“Sì, ma noi apparteniamo ad una tribù di esploratori e di commerciarti” rispose lei.

“I nostri antenati furono colpiti da una lunga carestia: i raccolti non crescevano, le terre si erano fatte aride e la popolazione stava morendo di fame. E nemmeno compiere sacrifici agli dèi sembrava più bastare a sistemare quella situazione disperata. Così, decisero di costruire delle piccole ed agili imbarcazioni per viaggiare verso un nuovo mondo, ossia quello che voi chiamate Canada. Ci stabilimmo qui secoli fa e la dea della luce predisse il nostro grande futuro.”

Fece una breve pausa, poi riprese a parlare, in tono quasi spiritato.

“Ci disse che quattro sconosciuti venuti da lontano sarebbero stati scelti per realizzare la grande volontà del nostro popolo, tramutandolo nella più grande e progredita civiltà moderna di sempre.”

Il gruppo fu decisamente stranito da quelle parole. Infatti, Indy sbottò: “Per me, si è inventata tutto di sana pianta.”

“Lo penso anche io” aggiunse River.

“Siete solo non credenti. Questa profezia si sta avverando... e sapete il perché? Vi sto portando da lei” rispose la sacerdotessa, fermandosi e girandosi a guardarli, con le mani incrociate dietro la schiena e un sorriso soddisfatto dipinto in volto.

Da lei?” domandò Denny, confusa.

“Dalla dea Sassic” rispose lei.

“Cosa?!” quasi urlò Indy, incredulo. “Vuol farci credere che ci porterà dalla vostra ‘dea della luce’?” Fece una breve risata, mentre il Signore del Tempo, River e Denny si lanciarono delle occhiate complici, capendo che la donna li stava portando davanti al Tardis.

“Dea Sassic" rispose Haska. "E sì, perché questo è il solo modo per far avverare la profezia.”

La sacerdotessa volse di nuovo le spalle e ricominciò a camminare, ordinando, con il suo tono dolce ma fermo: “Quindi, seguitemi. La casa della dea è ancora lunga da percorrere.”

Si girarono anche loro, mentre Indy iniziò a dire, con tono irritato e sollevando il dito con fare ammonitore: “Senta, io sono un archeologo! Ho studiato molto accuratamente la cultura dei Maya per parecchi anni, e posso affermare con estrema certezza che non sono mai stati né dei grandi viaggiatori né grandi navigatori. E, anche se lo fossero stati, di certo non sarebbero mai arrivati fino alla ragione di Quèbec! Quindi, posso dire con sicurezza che tutto questo è un falso!”

“Oh, capisco. Lei pensa di conoscere tutto e tutti solo perché ha studiato e, di conseguenza, deve accettare sole le cose razionali e scartare a priori quelle che le sembrano irrazionali. Giusto?”

Indy inarcò un sopracciglio, con aria confusa.

“In fondo io, la mia tribù, la mia gente che avete vestito, quegli uomini, quelle donne e quei bambini, non siamo forse reali? Allora, se per lei questo non è reale, dove saremmo in questo momento? Dentro ad una stella? Oppure in un sogno?” Voltò la testa verso di lui con un mezzo sorriso.

Jones ci pensò, ma non rispose. Continuava a non essere persuaso, però, e la guardò senza abbassare la concentrazione.

“Però, capisco i suoi dubbi. E credo che anche lei abbia gli stessi dubbi. Vero, Dottore?” Haska girò lo sguardo verso il Signore del Tempo.

Il gruppo rimase davvero sorpreso. Come faceva a conoscere il suo nome? Infatti, l’alieno lo chiese subito e Haska rispose con molta sicurezza: “Per il suo aspetto e per il suo atteggiamento, sicuro e autoritario. Ma, allo stesso tempo, rassicurante e affabile. Come ogni buon dottore dovrebbe essere. Giusto?” e gli sorrise.

Tutti si guardarono perplessi, provando un'inquietante sensazione nei confronti di questa donna misteriosa.

“Giusto, proprio così" replicò il Dottore, con tono calmo e ricambiando il sorriso, per poi rimanersene in silenzio per tutto il resto del tragitto, senza però riuscire a celare la propria aria tesa e preoccupata.

Nel cuore di Denny stava crescendo una inquietante sensazione di panico, mentre camminavano lungo quei corridoi che sembravano non avere mai fine.

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Capitolo 24
*** Ignore all keep out signs, go througit Every locked doot, and qun towards any Form of danger that presents itelf. ***


Capitolo 24

Ignore all keep out signs, go througit
Every locked doot, and qun towards any
Form of danger that presents itelf.

 

Mentre continuavano a camminare per raggiungere la “dea”, Denny si guardò intorno e notò una cosa abbastanza insolita: una fessura in un muro, ma una fessura alta e larga, quasi simile ad una porta. Era completamente buia e si trovava in mezzo ad un corridoio.

Incuriosita, si fermò davanti a quella fessura, mentre gli altri continuarono ad andare avanti senza accorgersi della sua assenza. Guardò meglio e capì subito che quella era una specie di entrata – o di uscita - per qualcosa. Ma per che cosa?

Denny si guardò intorno, non vide nessuno e così, fattasi coraggio, prese la torcia dalla borsa, la accese e andò dentro.

Camminò adagio in quel lungo corridoio tetro e, alla fioca luce della sua torcia, vide muri spogli e grigi, molto differenti da quelli decorati di disegni e di scritte antiche che si trovavano lungo la strada principale.

Toccò i muri e, con sua somma sorpresa, notò una cosa ancora più insolita. La parete era fredda e liscia, con sottili fessure e bulloni.

Metallo?” si chiese Denny perplessa, parlando tra tra sé e sé.

Era confusa, di certo non c'erano pareti di questo tipo, nei templi antichi.

Ma, allora, dove si trovavano veramente? Forse, Indiana Jones non aveva avuto tutti i torti, a dubitare dell'autenticità di quel luogo...

Camminò dritto dii fronte a sé finché non sentì qualcosa, una specie di rumore. Rimase ferma in quel punto, spaventata da quel suono: pensava che qualcuno - o qualcosa - la stesse seguendo ma, quando non sentì più nulla, si tranquillizzò, pensando che fosse stata solamente una sua sensazione, e iniziò a camminare di nuovo, questa volta a passo svelto, con il corpo teso e il battito cardiaco accelerato, mentre il respiro le si faceva sempre più affannoso.

Provava una strana sensazione di inquietudine, come se fosse convinta di essere osservata.

Aveva paura che ci fossero delle guardie o peggio.

Ma non voleva neppure guardarsi alle spalle, per timore di ciò che avrebbe potuto vedre e pensando che, così, avrebbe potuto continuare a convincere il proprio cervello che non ci fosse proprio nessuno, lì con lei. Voleva soltanto raggiungere la fine di quel corridoio, che sembrava davvero infinito, e stava comiciando a detestare quel buio inquietante, aspettandosi che, prima o poi, potesse sbucare qualcuno, emettendo urla peggiori di quelle che si sentono di solito nei film horror.

Ma, comunque, riusciva a mantenere la calma, sebbene fosse parecchio tesa. Si convinse di essere davvero da sola, che tutto fosse frutto della sua immaginazione. Almeno, finché non sentì qualcosa alle sue spalle, che la fece spaventare a morte e le fece fare un balzo dalla paura. Un uomo camminava alle sue spalle, con passi pesanti.

 Ma non urlò, anzi diede una gomitata al corpo dietro di lei, sentendo subito i gemiti di dolore dello sconosciuto. Poi, con la poca luce dalla torcia, vide che si era piegato, così gli diede un'altra gomitata sulla schiena, abbastanza forte da farlo cadere in terra, e gli appoggiò un piede su uno dei fianchi.

Denny, con il fiato corto, puntò la torcia sul voto dell'uomo e rimase stupita: “Indy” mormorò.

“Sì” rispose lui irritato, sempre a bassa voce. "Potresti, per favore, togliere il tuo piede dalla mia schiena?”

“Solo se mi chiedi scusa per avermi spaventata in quel modo!” rispose lei, con lo stesso tono.

Indy fu decisamente innervosito da questa proposta, ma sospirò con pazienza e brontolò: “E va bene. Ti chiedo scusa!”

Denny sorrise gioiosa e vittoriosa, tolse il piede e Indy si alzò in piedi.

“Si può sapere che cosa ti ha preso?!” disse l’archeologo, guardandola furioso e parlando a bassa voce, sollevando il dito verso di lei.

“Hey!” ribatté lei, alzando a sua volta il dito. “Lo sai che non si deve mai prendere la gente dietro alle spalle?! Soprattutto, in una stanza buia come questa?!”

Jones notò l'espressione tesa dei suoi occhi spalancati, il suo fiato corto e la mano sudata stretta sulla torca.

“Non dirmi che hai paura del buio?” chiese, con un ghigno divertito e con le braccia incociate.

“Sì, ho paura del buio! Okay!” ammise la ragazza, guardandolo dritto negli occhi. “Ho paura del buio, lo odio! E so anche che, a novantanove anni suonati, dormirò ancora con la luce accesa e non me ne vergognerò affatto!”

Indy fece una piccola risata divertita, dicendo con sarcasmo: “E poi hai il coraggio di dire che la mia paura dei serpenti è infantile!”

“Lo è, infatti!” rispose la ragazza, ma con tono più calmo, iniziando a camminare subito inseguita da lui.

“La mia paura non deriva da traumi infantili come la paura dei mostri o dell’uomo nero. Ma ho paura della sensazione di essere osservata quando penso di essere sola e non riesco davvero a sapere se nella stanza ci sia qualcuno, fino a che non accendo la luca sperando che non ci sia veramente nessuno!”

Indy le camminò accanto,ascoltandola con aria confusa.

“E, poi, da bambina, mi sono alzata di notte per andare in bagno e ho sbattuto contro lo spigolo di un vecchio mobile. E mi sono fatta così male che ho ancora la cicatrice sotto l’occhio!” e fece un sospiro paziente.

“Lo sai, a volte penso che tu sia un po’ melodrammatica” grugnì Jones. “Come una buona inglese amante del teatro che si rispetti.”

“Comunque, che cosa ci fai qui?” chiese lei, un po’ irritata.

“Ti ho visto allontanare dal gruppoed entrare in questo corridoio e ti ho seguito.”

“Non avresti dovuto.”

“Da come mi hai ‘accolto’ avrei dovuto darti retta.” E si massaggiò la parte bassa della schiena, mentre la ragazza rideva sotto i baffi. “Piuttosto, perché sei entrata qui?”

“Una fessura grande come una porta in mezzo ad un corridoio in un tempio; e, in più, con i muri di metallo. Non ci vuole una laurea in archeologia per capire che questo non è un vero tempio Maya.”

“Certo, questa è una vera ‘prova’ che sia un falso. In fondo, io sono solo uno sciocco archeologo con tanto di laurea che lo sostiene fin dall’inizio!”

Denny alzò gli occhi al cielo con aria paziente.

“Comunque, mi hai sorpreso” ammise Indy, con tono sincero.

La ragazza girò la testa verso di lui con aria sorpresa, fermandosi.“Davvero?”

Non si aspettava un complimento da lui, perché da quando si erano incontranti si era dimostrato sempre e solo burbero. Anzi, pensò dovesse essere davvero raro che, un uomo come lui, si profondesse in complimenti con chicchessia.

“Certo. Non ti sei messe ad urlare o a gridare dallo spavento. Anzi, ti sei difesa abbastanza bene.” E fece un sorriso.

Denny lo ricambiò, dicendo: “Beh, grazie. In fondo, nel corso dei miei viaggi con il Dottore ho imparato un po’ l’autodifesa.” Con un sorrisetto, pensò: “Arti marziali, difesa ordinaria, allenamento militare e alieno…”

“E, poi, mettermi ad urlare in un lungo corridoio di metallo, in un posto strano come questo, non credo che sarebbe stata una cosa molto geniale. Per chi mi hai preso?”

“Beh, una che potesse avere paura di come la…” Indy non finì la frase, perché notò lo sguardo irritato di lei.

“Non importa” concluse l’archeologo, riprendendo a camminare.

“Comunque, perché sei entrata qui?”

“Per vedere che cosa ci fosse dentro.”

“Una motivazione molto complessa” commentò sarcastico Indy.

“È quello che avrebbe fatto il Dottore, con la mia stessa motivazione. In fondo, se vuoi essere come lui, devi solo ignorare i cartelli di divieto, passare tutte le porte chiuse e correre verso ogni pericolo che si presenterà.” E rise.

“Da quanto tempo viaggi con lui?” chiese lui, perplesso.

“Talmente tanto da farmi influenzare da lui” rispose, divertita.

“Allora, ti piace veramente la sua materia.”

“Di certo, non lo seguo solo perché è carino.”

Indy captò in silenzio la sua frecciatina, rivolta alle studentesse che frequentavano le sue lezioni, mentre Denny rise divertita.

Pochi minuti dopo, si fermarono davanti ad un’altra entrata. Ma, questa volta, era completamente di metallo, ed il suo interno era ancora più buio.

I due si scambiarono sguardi stupiti ed entrarono.

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Capitolo 25
*** Think Of H.G. Wells. ***


Capitolo 25
Think Of H.G. Wells.
 
 
Denny puntò la torcia tutt'attorno, notando che la stanza era enorme e piena di tubi, schermi e cavi che penzolavano dal soffitto e ingombravano per il pavimento.

Indy seguì quel fascio luminoso senza riuscire a credere ai propri occhi.

“Dove siamo?”

La ragazza non rispose, anche se credeva di capito dove fossero capitati. Fece ruotare ancora la torcia e, vicino alla porta, individuò una specie di interruttore.

Vi si avvicinò e, dopo averlo osservato guardinga per qualche istante, lo premette, facendo accendere una luce che illuminò per intero il luogo in cui si trovavano. E, quello spettacolo, lasciò entrambi a bocca aperta.

Era una stanza con tre schermi giganti accesi, una console, due sedie rosse e, tutto intorno, vari altri macchinari rovinati, sovrastati da cumuli di cavi pendenti, mentre il pavimento era quasi interamente ricoperto di tubi polverosi e sporchi.

Indy rimase quasi sconvolto e completamente confuso da ciò che stava vedendo. Non si era mai imbattuto in nulla di simile in tutta la sua vita.

“Ma che cavolo è tutta questa roba?”

Un'astronave” rispose Denny, tranquilla ma con aria preoccupata, mentre rimetteva a posto la torcia elettrica dentro la sua tracolla. “E, a giudicare dalle condizioni in cui si trova, ha avuto un atterraggio molto brusco.”

“Aspetta, ‘astronave’? ‘atterraggio’? Di che cosa diavolo stai parlando?!” urlò Jones “Ma, soprattutto... tu! Come sai tutte queste cose?!”

Si appoggiò le braccia sui fianchi, in attesa di risposte che voleva conoscere subito.

Denny capì che doveva spiegare qualcosa, almeno che cosa fosse questa stanza, pur sapendo che sarebbe stato strano e molto complesso per lui da accettare, quindi sospirò e iniziò a dire: “Okay, ascoltami attentamente. So che sarà molto, molto ma molto difficile da credere, ma noi siamo già stati dentro ad una nave speziale. Più di preciso, nella sala di pilotaggio.”

Nave spaziale?" ripeté Indy, sempre più irritato. "In che senso, una ‘nave spaziale’?!”

La ragazza pensò a qualche riferimento che potesse aiutarla a farsi capire meglio ma, tutto quello che le venne in mente, non esisteva ancora, in quel decennio. Alla fine, però, le venne un'idea ed esclamò: “Come in ‘La guerra dei mondi’!”

La guerra dei mondi?” ripeté Indy, confuso.

“Sì. Il romanzo di H.G. Wells! Quello in cui degli extraterrestri invadono la Terra con le loro astronavi!”

“Aspetta, stai parlando di quel racconto che, pochi giorni fa, Orson Welles ha narrato alla radio, facendo credere che stesse accadendo realmente un'invasione aliena, gettando nel panico mezza popolazione?” 

“Sì! Proprio quello! Ho pensato anche ad altri romanzi del genere, tipo ‘La macchina del tempo’ o il romanzo francese ‘Viaggio sulla luna’, ma quello mi è sembrato il più appropriato e calzante, come esempio!”

Indy ci rifletté per qualche istante, per poi dire: “Quindi, mi stai dicendo che... siamo dentro ad una navicella… aliena?”

“Esatto. Ma, più di preciso, siamo nella cabina di pilotaggio.”

“Quindi, secondo te, l’intero tempio…” iniziò l’archeologo, comprendendo la situazione ma non riuscendo a trovare le parole esatte per poterla descrivere.

“È un'astronave” finì Denny per lui.

Jones rimase a bocca aperta, con gli occhi spalcanti e la testa bassa. Tutto questo andava ben oltre la sua conoscenza, perché, se questo tempio non era possibile, questa nuova scoperta andava addirittura a toccare i confini dell'impossibile.

“Ti sei incantato? Perfetto. Così, almeno, non dirai di nuovo ‘non è possibile’!” sbottò Denny, sarcastica, andando adagio in direzione dei monitor.

Erano tre, uno a fianco all'altro. Ma solo uno era accesso.

Filtro di precessione: stabile” vi era scritto, in caratteri cubitali.

“Dunque, abbiamo ragione. Stanno davvero usando un filtro di precessione!” disse la giovane viaggiatrice fra sé a sé.

“Allora, se tutta questa… cosa è reale, significa che anche quello che state cercando è alieno” continuò Indy, con tono più calmo, avvicinandosi a lei.

“Già” rispose secca, guardando in basso e pensando a quella situazione.

“In fondo se è così antica, di certo è aliena e… non toccare!” con la coda dell’occhio, vide che l’archeologo era stato quasi sul punto di premere qualche pulsante. Ma, per fortuna, riuscì a fermalo in tempo.

Il professore abbassò il braccio dalla console, mentre Denny continuò: “Non. Toccare. Niente! Non sappiamo che cosa siano quei comandi o a che cosa servano. Potresti premere il pulsante per far partire la nave, oppure quello dell'autodistruzione! Perciò, frena la curiosità e mani in tasca!”

Mani in tasca?” ripeté Indy, divertito dallo sfoggio di “autorità” della ragazza.

Si lasciò andare in una breve risata, mentre Denny alzò gli occhi al cielo sospirando e facendo finta di non averlo sentito.

“E, poi, che cosa ne sapete voi, di tutta questa roba? Tu, il Dottore e quell’altra siete forse degli studiosi di ‘ufologia’?”
Denny si mise a braccia conserte e fece un ghigno divertito.

“Okay, per prima cosa, questa è una nave spaziale e non un ‘ufo’. In secondo luogo, non si chiama ‘quell’altra’, bensì River. E, come archeologo, è decisamente molto più simpatica di te. E, terzo: sì, noi ‘studiamo’ queste cose. So che potrà sembrare una cosa da pazzi, per uno come te, ma, in fondo, ci sei dentro anche tu e puoi rendertene conto di persona. Quindi…”

“Perciò, tu e il Dottore... voglio dire... siete anche voi degli alieni? Come tutta la tribù?” domandò Jones.

Questa volta non c'era traccia di sarcasmo, nel tono della sua voce, e non c'era più alcun cenno dei suoi soliti mezzi sorrisi. Anzi, in questo momento, Jones appariva proprio come una persona seria e dal tono piatto.

Il volto di Denny cambiò improvvisamente: da uno sguardo divertito, si tramutò in una faccia inespressiva e dagli occhi bassi, quasi temesse che lui potesse leggervi dentro la verità.

“Beh, a questo punto, è ora di digli la verità” pensò.

“No. Solo il Dottore.”

Indy rimase incredulo nell'udire quelle parole.

“Ascolta, noi…” iniziò a spiegare la ragazza, ma due voci la interruppero, urlando “FERMI!” 

Entrambi si voltarono di scatto verso l'entrata: c'erano due guardie, le stesse che li avevano scortati fino all'entrata del tempio. Ma, questa volta, mostravano un'aria truce e tenevano le lance puntate minacciosamente in avanti, nella loro direzione.

Entrambi, inizialmente, si spaventarono, ma poi furono pronti a reagire: Indy, per istinto, prese il sua revolver dalla fondina e con il braccio sinistro bloccò Denny dietro di sé, in segno di protezione. Ma nemmeno lei si fece perdere dal panico. Guardò per terra e, notando una lunga asta di metallo, la raccolse e assunse una posizione di difesa.

“Voi non siete autorizzati a restare qui” disse uno dei guardiani, con tono piatto e monotono, mentre si avvicinavano ai due viaggatori.

“Io vi consiglio di non avvicinarvi” ordinò Indy, con tono secco e sicuro.

“E perché mai?”

L’archeologo, senza aspettare altro, iniziò a sparare sui due Maya. Denny chiuse gli occhi sia per il suono assordante degli spari sia per non vedere quella scena, a cui avrebbe preferito non assistere.

Non appena non sentì più niente, riaprì gli occhi e rimase sconvolta da ciò che vide.

Le due guardie erano ancora in piedi, senza né una striscia di sangue né segni visibili di spari. Tutti i bossoli dei proiettili erano a terra, inutili.

I due rimasero a bocca aperta per quella scena, soprattutto Indy, che non sapeva che cosa pensare e che, per un istante, abbassò lo sguardo meravigliato a scrutare il suo revolver, incredulo.

Le due guardie fecero un ghigno cattivo e si avvicinarono ancora di più, con le lance sempre puntate contro di loro.

“Okay, piano B!” disse Jones sicuro.

Si allontanò di qualche passo da Denny, srotolò la frusta e, con un colpo secco e deciso, la saettò in direzione dei due Maya, avvolgendola perfettamente attorno alle lance e, poi, dando un forte colpo all'indietro per cercare di strappargliele dalle mani, ma non ci riuscì. Anzi, più tirava e più faticava come non mai, rimanendo quasi spaventato.

Le guardie si scambiarono altri due sorrisi cattivi, agitarono all'indietro le lance e sia la frusta che Indy furono trascinati verso di loro. E, non appena l’archeologo fu in mezzo a loro, il primo con la lancia lo bastonò sotto la schiena, costringendolo ad abbassarsi, mentre il secondo gli conficcò la freccia sotto le spalle.

Tuttavia, anziché aprirgli una ferita, la punta della lancia gli diede delle scosse elettriche, molto forti e dolorose.

Indy urlò di dolore, mentre Denny rimase immobile, terrorizzata, gridando il suo nome. Così, riuscì a raccogliere sufficiente coraggio per correre verso di loro, con l'asta alzata e pronta a colpire.

Ma uno di loro, sollevato un braccio, riuscì ad afferrare l'asta e a bloccarla quasi a mezz’aria, prima ancora che lei avesse avuto modo di colpire.

Lo fece senza neppure bisogno di girarsi e di vedere, adoperando soltanto i suoi riflessi. Piegò in due parti il robusto metallo e, quando Denny si piegò a causa dell'urto, il secondo Maya puntò la sua lancia contro la sua schiena, dandole una forte scossa.

Denny urlò di dolore, crollando sulle ginocchia, dolorante, e subito dopo il primo le diede una fortissima bastonata sulla schiena, facendola cadere a terra accanto a Jones.

I due eroi sconfitti alzarono lo sguardo verso i loro aguzzini, che avevano ancora un ghigno perfido sulla faccia e che continuavano a tenergli puntate addosso le loro strane lance.

“Questi non sono umani. Vero?” domandò Indy, con un tono a metà tra il sarcasmo e lo spavento.

“No! Per niente!” rispose lei con la voce che tremava per il dolore e per il dolore.

Ora, oltre che temere per la propria vita, ebbero paura anche per quello che sarebbe potuto essere di River e del Dottore.

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Capitolo 26
*** Fear. ***


Capitolo 26
Fear.
 


Intanto, Haska, River e il Dottore erano ormai quasi arrivati alla cima del tempio. I due viaggatori del tempo si erano già accorti da qualche minuto dell'assenza di Indy e di Denny, ma fecero finta di niente, sperando che avessero semplicemente notato qualcosa di interessante e che stessero bene.

“Eccoci qua!” annunciò Haska. Con le braccia alzate, aggiunse: “Qui risiede la nostra dea Sacial!”

I due entrarono in una sala di pietra e videro il Tardis, posto proprio in mezzo alla stanza, con la sua lampada accesa, in segno che cercava di partire.

“Il Tardis!” esclamò il Dottore, sconvolto e con gli occhi spalancati.

Corse vero di lei, ma sbatté addosso ad una parete elettrica, che gli provocò una scossa leggera ma ugualmente parecchio dolorosa.

Si allontanò di scatto, rimanendo confuso davanti alla sua più grande amica di sempre, così vicina eppure irraggiungibile. Anche River si avvicinò al Tardis, ma con cautela, alzando la mano e toccando una parete invisibile che rendeva impossibile proseguire oltre.

“Scudo elettrico” constatò, con tono fermo.

“Già. Così la vostra macchina non potrà andare da nessuna parte” disse Haska divertita, mostrando un sorriso sadico che nulla aveva a che vedere con le espressioni mistiche che aveva mantenuto fino a quel momento.

River e il Dottore si volsero a guardarla con aria inespressiva.

“E, allora, immagino che questo non sia un vero tempio” disse l'archeologo spaziale, senza mostrare alcuna traccia di paura o di smarrimento.

“Proprio così. E voi, invece, avrete capito benissimo che conosco la verità su voi due e sulle vostre identità: il Signore del Tempo e la famosissima archeologa River Song. Credevo che fosse in prigione. Omicidio. Giusto?”

I due non risposero, senza distogliere lo sguardo dalla sacerdotessa -  o, comunque, da quello che era in realtà - e senza mai abbassare la guardia.

“Mah, immagino che non sia ancora avvenuto. I misteri del tempo.” si rispose Haska da sola.

“Libera il Tardis!” ordinò l’alieno, seccamente.

“Adesso!” aggiunse River, afferrando la sua pistola e puntandola minacciosamente verso il nemico.

Ma Haska non parve affatto spaventata da quella reazione, anzi, a giudicare dal suo sorrisetto spietato, sembrò persino divertita.

“Abbassa quello sciocco giocattolo, dottoressa Song” disse infatti, con la voce impastata di sarcasmo. “Non mi farebbe niente. Probabilmente scoprirete molto presto il perché.”

Entrambi i viaggiatori del tempo si scambiarono occhiate perplesse e il Dottore chiese: “Chi siete e come avete rubato il Tardis?”

La sacerdotessa avanzò verso di loro, dicendo: “È stato facile trovare il segnale della tua nave, durante l’atterraggio. E la nostra astronave si è collegato alla vostra nave per portarla fin qui, tramutandola nella nostra ‘dea della luce’.” E sorrise quando fu davanti a loro.

“Per farci che cosa?” chiese River.

“Soprattutto, da quanto tempo siete qui?” aggiunse il Dottore.

Haska non si fece affatto pregare e raccontò il suo arrivo: la sua nave si era schiantata sulla Terra a seguito di un violento scontro con un'astronave nemica.

Aveva perso buona parte del suo equipaggio, ed erano sopravvissuti solo lei ed altri due. La prima cosa che fecero fu mimetizzare la nave, cercando di renderla meno visibile, camuffandola nella sua attuale forma.

Avevano studiato brevemente tutta la storia del pianeta Terra e, alla fine, aveva scelto di dare alla nave la forma di un tempio maya del Messico, perché gli era sembrata la scelta migliore.

Avevano anche creato delle finte storie e documentazioni del tempio, per convincere qualsiasi curioso che loro fossero dei veri discendenti dei Maya. Tutto questo, in due giorni.

In due giorni?” chiese River, sorpresa.

“Beh, in due giorni si possono fare un mucchio di cose" minimizzò Haska. "Anche in cinque minuti soltanto, giusto, Dottore?”

Il Signore del Tempo non rispose. La guardò con aria inespressiva, per poi ricominciare a meditare sulla storia che aveva appena sentito e rimanerne alquanto confuso.

“Aspetta... hai detto che tutto il vostro equipaggio è morto a parte tu e altri due. Allora, chi è tutta la gente che abbiamo visto fuori?”

“Indovina?” chiese lei, mostrando un ghigno divertito.
Sia River che il Signore del Tempo ci pensarono.

Se tutto l’equipaggio era morto, quella gente da dove sbucava? Avevano notato almeno un centinaio di persone o, forse, anche di più.

Pensarono a tutte le probabilità, finché River disse di scatto: “La cittadina di Dupain.”

Il Dottore girò la testa verso di lei con aria stupita, mentre River aggiungeva: “Quando sono arrivata, non c'era quasi nessuno in quel villaggio.”

L’alieno si ricordò delle parole del ranger riguardo la “partenza improvvisa” dei suoi cittadini. E, finalmente, capì.

“Avete rapito e manipolato gli abitanti di Dupain! Facendo loro credere di essere parte di una storica tribù di indigeni Maya!”

“Sia di aspetto che di mente" confermò Haska.

"In fondo, questi umani sono così facili da manipolare.” E rise, per poi guardare il Tardis con aria soddisfatta, mettendosi le mani dietro la schiena.

“E, grazie a loro, al Tardis ed a voi, passo finalmente realizzare il vero obiettivo della mia specie.”

“E quale sarebbe?” chiese il Dottore con tono duro.

Haska stava cominciando a spiegare, ma un suono elettrico cominciò a risuonare nella sala, interrompendola. La sacerdotessa alzò il braccio e, sul suo braccialetto, toccò un tasto, chiedendo: “Sì?”

“Baronessa, abbiamo due prigionieri.”

River e il Dottore si guardarono terrorizzati, capendo subito di chi si trattasse.

“Mostratemeli” rispose Haska con tono freddo.

Davanti a loro, comparve uno schermo olografico, in cui si videro Denny e Indy inginocchiati con le mani dietro alla schiena, probabilmente ammanettati.

Non erano certo messi bene: Jones si stava agitando, nel vano tentativo di liberarsi le mani, senza più cappello in testa e un'espressione furiosa sul viso; la ragazza, invece, aveva la testa bassa, aria inespressiva, capelli scompigliati e senza sciarpa. Inoltre, c'erano due guardie armate ai lati dei due prigionieri.

L’amica alzò lo sguardo, urlando: “Dottore!”

“Denny!” urlò di rimando il Signore del Tempo, preoccupato.

Dottore? River?” si aggiunse Indy, sollevando lo sguardo perplesso. “Come faccio a vedervi?” aggiunse, guardandosi attorno.

“Come state?” chiese l’alieno, terrorizzato.

Beh, ne ho passate di peggio” replicò l'archeologo, con sarcasmo.

Solo qualche bastonata e scossa elettrica da parte delle lance!” spiegò Denny. "Nulla di che, in fondo."

Beh, è bello vedere che avete voglia di scherzare anche in questi momenti” disse l’alieno con un sorriso triste, che Denny ricambiò subito.

Era sempre bello ridere, anche nei momenti più tragici. In fondo, era un modo per esorcizzare le paure e riuscire ad avere la forza per continuare ad andare avanti, con la speranza che le cose potessero aggiustarsi o che una soluzione inaspettata si palesasse all'improvviso.

Ad un certo punto, Denny notò il Tardis alle spalle del Dottore e urlò il suo nome.

Anche Indy lo vide e rimase senza parole, ad occhi spalancati e bocca aperta. Come poteva essere che una cosa così assurda come una cabina blu, identica a decine d'altre che si potevano vedere a Londra, potesse essere in realtà un oggetto tanto prezioso e importante? Ma, ormai, erano talmente tante le stranezze a cui stava assistendo che nulla più avrebbe potuto sorprenderlo.

“Me l'ero immaginato diverso” si limitò a constatare a bassa voce.

I nemici, il Dottore e River non udirono le sue parole, ma Denny sì, rimanendo sorpresa, e pensando alla sua affermazione si domandò: “Che cosa intendeva dire?” e lo guardò con sospetto.

“Che bella riunione di famiglia. Anche se con un po’ troppa melassa” disse la baronessa, cinica.

L’alieno restò fermo con aria preoccupata, guardando i suoi amici in pericolo. River, invece, si voltò verso l’uscita della sala e spiccò una corsa per riuscire a guadagnarla.

Haska, però, si girò svelta verso di lei, le afferrò un braccio e, da dietro la schiena, prese una corta lancia, che le conficcò tra le spalle, sprigionandone una forte scossa elettrica.

I tre amici urlarono terrorizzati il suo nome, mentre lei cadeva terra, priva di sensi.

“Bene” disse Haska, rimettendo a posto la sua corta lancia, con aria inespressiva ma con tono decisamente gelido.

“Adesso, basta giocare. È ora di mettere in atto il mio piano!”

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Capitolo 27
*** Torture ***


Capitolo 27
Torture
 

“Okay! Ora basta!” urlò Indy, infuriato per tutta questa situazione.

“Chi siete? Da dove venite?! Che razza di intenzione avete? Che diavolo volete fare, con tutto questo?”

Haska lo guardò qualche secondo, rispondendo poi con tono calmo: “Ha ragione, è giunta l’ora di mostrare chi siamo.”

Mostrare?” ripeté l’archeologo tra sé e sé, senza capire.

In pochi instanti, la giovane ragazza Maya dai capelli scuri, dai vestiti tradizionali e dal viso serio si tramutò in una creatura alta e imponente, con la pelle verdastra, vestita con un completo interamente nere, la testa completamente pelata e una specie di membrana tra dita sulle mani; i suoi occhi rimasero gli stessi, ovvero neri scuro, mentre a giudicare dal suo corpo snello si poteva palesemente intuire che fosse una femmina.

Indy e Denny rimasero impressionati dalla sua trasformazione, ma restarono ancora più sconvolti da quella dei due guerrieri, che mutarono proprio di fronte a loro: divennero praticamente uguali alla sacerdotessa, solo con un corpo molto più robusto e maschile. Al posto delle lance impugnavano adesso due aste nere dalla cui estremità superiore si irroravano fasci elettrici.

Entrambi ne furono decisamente terrorizzati, ma Indy riuscì ugualmente a raccogliere abbastanza coraggio da sbottare: “Insomma, chi diavolo siete?!”

“Noi siamo l’antica razza guerriera mutaforma Silulen. Siamo orgogliosi delle nostre origini e fieri combattenti. E siamo qui per la nostra rivincita” rispose la baronessa.

Rivincita?” disse Denny, perplessa.

Rivincita?” ripeté Indy, confuso.

“Silulen, razza rettiliana mutaforma” ricordò il Dottore, dando prova delle sue sconfinate conoscenze e fissando Haska con sommo disprezzo. “Antica razza guerriera, sanguinaria, violenta e devastatrice di tutti i pianeti conquistati.”

“Beh, se vuoi conquistare pianeti, e avere sempre più potere, devi essere per forza di cose crudele e inflessibile. Certo, non si può conquistare interi pianeti con la gentilezza”
replicò lei, guardando il Dottore con aria divertita, mentre l’alieno la fissò con odio.

“E io sono la baronessa e comandante dell'esercito dei Silulen, Haska Smon” si presentò con aria fiera.

Fece una pausa, con gli occhi che saettavano sul Dottore sguardi assetati di vendetta, poi riprese a parlare.

“E noi siamo qui per la nostra rivincita contro i Signori del Tempo!” Questa volta, fu lei a guardarlo con disprezzo “E, stavolta, vinceremo noi!” Si guardarono con sfida.

Denny fissò confusa l’alieno mutaforma, esclamando: “ ‘Rivincita contro i Signori del Tempo’? Che cosa sta dicendo, Dottore?”

L’amico guardò in basso con aria inespressiva, senza rispondere, e fu Haska a spiegare la situazione.

Secoli prima, i Silulen cercarono di conquistare Galifiny, ma i Signori Del Tempo risposero all'attacco, distruggendo una flotta intera.

I Silulen, allora, giurarono di vendicarsi contro di loro, e ripeterono quel giuramento quando il pianeta natale dei loro nemici fu completamente distrutto dalla guerra del tempo, perché erano certi che, almeno uno di loro, fosse sopravvissuto, e non avrebbero avuto pace finché non avessero schiacciato anche quell'ultimo rappresentante della razza dei loro rivali.

“Infatti, ecco il Dottore, l’ultimo Signore del Tempo. Qui, davanti a me, insieme all’ultimo Tardis ed ai suoi amici.” La baronessa osservò i suoi prigionieri, insieme soddisfatta e rabbiosa.

“Ma" continuò freddamente, "mi dispiace che la sua razza sia stata estinta ed il suo pianeta distrutto, mi spiace davvero tanto.”

L’alieno alzò lo sguardo, fissandola senza capire.
“Mi dispiace perché avrei voluto partecipare io stessa alla vostra distruzione, potervi vedere da vicino mentre soffrivate nell'annientamento totale!” Fece un ghigno cattivo, ma il Dottore non rispose a quella provocazione.

Denny, invece, la guardò con odio e avrebbe desiderato essere lì, a combattere sia verbalmente che fisicamente.

“E quale sarebbe la vostra rivincita? Conquistare il mondo?” chiese Indy, irritato.

“Cielo, no!” rispose lei, guardandolo. “Non mi interessa nulla di impadronirmi di questo pianeta, che è appena di livello cinque. Non vale la pena nemmeno di distruggerlo, figuriamoci addirittura perdere tempo per conquistarlo!” e fece una smorfia di disgusto.

“No" riprese a dire, "noi vogliamo il potere del Tardis, la sua anima, e ripartire con la nostra nave da guerra, facendola manovrare ai nostri prigionieri, per conquistare l’universo intero con la leggendaria e inimitata tecnologia dei Signori del Tempo.” Guardò il Dottore. “Ma mi servono le conoscenze di almeno uno di loro, per poter realizzare il mio piano.”

“Allora ti consiglio di uccidermi qui e subito" ribatté lui, senza alcun timore, fissandola dritto negli occhi. "Perché non otterrai niente da me."

“Oh, mi piacerebbe. Credimi, mi piacerebbe davvero tanto uccidere con le mie stesse mani l’ultimo Galiferiano vivente. Ma, purtroppo, mi occorre la tua conoscenza sul Taridis. Questo, quindi, vuol dire che mi servi vivo!”

Si fissarono con odio per alcuni secondi carichi di tensione, poi lei aprì nuovamente la bocca.
“Ma so come indurti a parlare, a rivelarmi ogni cosa. Devi metterti in ginocchio.”

Ma il Dottore non rispose né si mosse. Haska, allora, prese il suo pugnale, lo puntò contro la schiena del Signore del Tempo ed urlò, furibonda: “Ho detto in ginocchio!”

Il Signore del Tempo gridò di dolore per la scossa, cadendo a terra. Denny urlò il suo nome con tono terrorizzato, mentre Indy guardò la scena spaventato e preoccupato sia per lui che per gli altri. Voleva fare assolutamente qualcosa ma, in quel momento, si sentiva impotente e inutile. Quindi, non poteva far altro che assistere a tutta la scena e niente altro.

“Sai una cosa, Dottore? Le torture siluleane sono molto più psicologiche che fisiche. Perciò, sarà molto divertente vedere la tua resa, quando la tua amica piangerà mentre la fulminiamo.”

Cosa?!” alzò la testa di scatto, spaventato da quelle parole, mentre la giovane perse un battito cardiaco per la paura.

“Ma tranqullo, non morirà, non ancora, almeno. Però, la vedrai urlare, senza però poterla sentire.”

Il Dottore non parve darle ascolto, mentre i due amici si guardarono confusi da quelle parole.

“Procedete” ordinò Haska, girando lo sguardo verso il Dottore per osservarne tutte le reazioni.

Denny si spaventò implorando che non lo facessero, ma la guardia accanto a lei iniziò a fulminarla senza pietà puntandole la lancia contro la schiena.

L’alieno guardò la scena con aria devastata. Denny, con gli occhi chiusi, urlava, ma l’audio era muto, quindi poteva soltanto vedere la sua espressione di sofferenza e di dolore. Indy cercò di divincolarsi per poterla aiutare e mettere fine a ciò che stava succedendo, ma la guardia che gli stava accanto gli diede una bastonata sulla schiena, costringendolo a restare a terra.

Haska, invece, guardò il volto del Signore del Tempo e, con un sorriso perfido, disse: “Hai capito qual è la vera tortura, Dottore? Consiste nell'assistere al dolore e alle sofferenze inaudite dei tuoi amici, senza poter sentire le loro grida... e tu sei costretto a rimanere impotente davanti a tutto questo. Ma tu puoi fermare le mie guardie, puoi interrompere i loro patimenti... puoi farlo quando vuoi, basta che mi riveli il segreto della tua nave.”

Il Dottore fece un profondo respiro: voleva urlare davanti a questa sofferenza, voleva fermarla, non poteva più vedere la sua più grande amica soffrire in quel modo sotto ai suoi occhi, proprio lui che avrebbe dovuto proteggerla. Ma, preso coraggio, la guardò con aria sicura di sé, rispondendo: “Preferirei che tu mi uccidessi, piuttosto che dirtelo. E lascia stare i miei amici, loro non c'entrano niente.”

Il viso di Haska si incupì di fronte a quella risposta. Si girò verso allo schermo in cui si vedeva Denny e urlò: “Più forte!”

Anche se non si poteva udire nulla per la mancanza dell’audio, si capì perfettamente che la guardia la fulminò ancora più forte. E lo si poteva capire da come la ragazza iniziò ad agitarsi e a contorcersi sempre di più, con le lacrime che le scendevano copiose dagli occhi.

Il Dottore, disperato e impotente, urlò ancora il suo nome.  E la baronessa sorrise ancora più sadica davanti ad un simile spettacolo. Fece un leggero cenno con la testa verso ai suoi soldati, che smisero subito di torturarla.

Denny crollò a terra e tornò ad udirsi l’audio, trasettendo i suoi singhiozzi disperati. E, davanti a quella scena, sentendola piangere e non potendo essere lì a darle conforto, il Dottore si distrusse il cuore, sentendosi terribilmente in colpa.

“Allora? Stai piangendo di paura o di dolore?” chiese sadica la baronessa, ridendo nel vedere Denny in quelle condizioni.

Ma la ragazza si alzò, rimettendosi seduta sulle gnocchie, con il fiato corto, e lentamente sollevò lo sguardo verso la mutaforma.

Indy rimase davvero molto colpito dalla sua determinazione e dalla forza che riusciva ancora a dimostrare anche dopo aver subito quella tortura. Non se lo sarebbe mai aspettato da lei. Il Dottore, invece, fece un breve sorriso di sollievo vedendo la sua amica combattiva come sempre, anche in quella situazione tanto drammatica.

Haska rimase impassibile di fronte a quella scena, ma dentro di sé fu costretta ad ammettere che non avrebbe dovuto sottovalutare così tanto la compagnia del Dottore.

Il viso di Denny era furioso e, con le guance bagnate dalle lacrime, guardò dritta la baronessa, dicendo con tono fermo: “Ammetto che sto piangendo di dolore. Ma non certo per paura, perché conosco la furia del Dottore. E so che, se lo fai arrabbiare e prendi o ferisci qualcosa che gli è caro e prezioso, come il Tardis, i suoi amici o l’universo, ti fermerà a qualsiasi costo, sarà disposto a portare l’inferno a terra, pur di fermarti. Quindi credo che, quella a cui convenga avere paura, sia proprio tu.” E finì con un mezzo sorriso di vittoria.

Haska ricambiò il suo sguardo con aria furiosa, rispondendo: “Allora, se tu ti fidi così tanto di lui, non avrai problemi ad essere il mio sacrificio umano.”

I prigionieri rimasero sconvolti dalle sue parole.
“Se il Dottore non mi darà niente altro l'alba, la ‘profezia’ della dea Sassic si compirà. Con quattro estranei offerti come sacrifici a lei. Perché, in realtà, sono tre spiriti malvagi reincarnati.

“Una strega bionda…” e guardò River, che stava lentamente riacquistando i sensi.

“Un pazzo folle che vuole distruggere il nostro popolo” e fissò il Dottore.

“Un ladro e assassino pronto a saccheggiare le nostre case e ad uccidere i nostri bambini.” lanciò un'occhiata ad Indy.

Infine, rivolse l’ultima occhiata più furiosa verso Denny: “E, infine, la reincarnazione umana della più malvagia delle dee, venuta ad uccidere sia me sia la nostra amata dea Sassic. E tu, per questo motivo, sarai la prima ad essere sacrificata. Oh, non vedo l’ora di strapaprti il cuore dal petto, tagliare la tua preziosa gola con un coltello da sacrifici umani e vedere i tuoi occhi perdere la scintilla della vita di fronte a me! E, quando il Dottore sarà solo e senza più speranze, mi dirà come funziona il Tardis. Visto che non avrà più nessuno con cui viaggiare.” Terminò con un ghigno ancora più sadico e maligno di prima, come se fosse pronta ad uccidere a sangue freddo.

Si sarebbe aspettata che il viso della ragazza apparisse paralizzato dalla paura. Ma, invece, rimase inespressiva, con gli occhi dritti nei suoi e rispose: “Potrai concepire tutti i folli piani che desideri. Ma perderai, proprio come tutti gli altri.”

Haska cominciò ad insospettirsi per la sua insolenza nei suoi confronti, guardandola con puro odio e, insieme, frustrata per non essere riuscita a farla soffrire ed a spaventarla, come avrebbe voluto.

“Fulminatela ancora una volta!” gracchiò verso le sue guardie.

Denny ricevette un'altra scossa dietro la schiena. Questa volta, si udì chiaramente il suo urlo straziante, che lanciò un momento prima di cadere a terra agonizzante.

Sia River che il Dottore urlarono distrutti il suo nome.

“Portateli in prigione! Anche i loro inutili e sciocchi giocattoli che loro chiamano ‘armi’.

“Sì, baronessa” risposero in coro i due Silulen, chiudendo lo schermo olografico.

“Non preoccupatevi. Vi metterò tutti insieme nella stessa cella, così potrete trascorrere insieme gli ultimi istanti delle vostre vite” disse Haska, girandosi verso l’alieno e l’archeologa.

“Ma, ricordati,” continuò, avvicinandosi al Dottore che era ancora in ginocchio, “tu puoi fermare tutto questo quando vuoi. Basta solo rivelarmi i segreti e la funzione della tua preziosa nave.” E sorrise.

“Come ti ho già detto, piuttosto che dirtelo preferisco essere ucciso” replicò lui, sfidandola con lo sguardo.

L’espressione di Haska diventò ancora più infuriata, mentre rispondeva: “In questo caso, spero che ti piacerà vedere i tuoi amici morire uno a uno per causa tua!”
 

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Capitolo 28
*** Escape ***


 Capitolo 28
Escape



River e il Dottore furono rinchiusi dentro ad una cella, piccola grossomodo come una stanza da letto e illuminata soltanto da tre torce appese alle pareti. Le sbarre erano di metallo, anche se, in realtà, sembravano essere di un materiale ancora più antico e sconosciuto.

In un angolo, Indy sosteneva Denny tenendole un braccio intorno alla vita, come se non riuscisse a stare in piedi da sola.

Infatti, quando entrambi entrarono, la ragazza scivolò a terra, mettendosi seduta con la schiena appoggiatala muro.

River e il Dottore si precipitarono da lei e le si inginocchiarono accanto per vedere come stesse, mentre Indy osservò la scena in piedi; una delle guardie, invece, gli lanciò le loro borse, la frusta e il revolver dell'archeologo.

“Avevo anche un cappello!” pensò, con una certa stizza.

“Denny! Come stai?” chiese il Signore del Tempo, preoccupato per la sua compagna.

Non so… debole…”

La ragazza aveva un'espressione devastata: teneva lo sguardo basso con gli occhi fissi a terra, aveva il fiato corto, gli occhiali abbassati sul naso e i capelli completamente spettinati.

Indy avrebbe avuto molte domande da rivolgere a loro tre, soprattutto per sapere se avessero un piano per potersi tirare fuori da quella situazione. Ma anche lui, in quel momento, era parecchio preoccupato per lei, dopo aver sentito le sue urla strazianti e i suoi singhiozzi.

Da come erano cupi gli occhi del Dottore, poi, si capiva che lui era veramente terrorizzato per lei, quindi fargli domande in questo momento sarebbe stato del tutto inutile.

Tuttavia, avendola vista rialzarsi e tener testa a quel modo ad un essere ripugnante come Haska, l'archeologo non poteva che essere ammirato dalla sua determinazione e dal suo coraggio.

Così, si inginocchiò al suo fianco insieme a River e al Dottore, anche se sembrò che solo loro si accorsero della sua presenza.

“Tu, Indy? Stai bene?” chiese l’archeologa, voltandosi verso di lui.

“Sì, qualche bastonata a scossa. Ma ho subito cose ben peggiori” minimizzò lui, quasi con indifferenza.

“Sai qual è la cosa più strana? Anche noi” rispose il Dottore, tastando il polso dell'amica per rilevarne il battito.

Ormai, dopo tutto quello a cui aveva visto e assistito, Indy non fece più caso alle sue parole.

“Il battito del cuore è veloce, mentre il fiato è abbastanza corto” constatò il Dottore, preoccupato.

“Sto… sto morendo?” chiese Denny, a bassa voce.

“No, no, no!” la rassicurò il Dottore, mettendole le mani sulle guance in segno di conforto. “Sei solo un po’ debole. Tutte quelle scosse che hai ricevuto ti hanno un po' indebolito il corpo, ma non stai affatto morendo, è solo come se avessi un calo di pressione o un attacco di panico.”

Veramente… gli attacchi di panico… non mi fanno sentire… così debole…” rispose lei, con tono piatto.

“Non sforzarti, se fai fatica a parlare…” sussurrò River, prendendole la mano per darle un po' di calore.

Indy chiese a bassa voce se sarebbe riuscita a riprendersi. Il Dottore rispose di sì, ma sarebbe stato meglio se fossero riusciti a fare qualcosa per aiutarla a riprendersi un po' più in fretta.

Per fortuna, River tolse dalla tasca della propria giacca un piccolo astuccio nero, lo aprì e ne trasse una fiala colma di un liquido bluastro.

Jones, l’alieno e Denny rimasero confusi, chiedendo che cosa fosse quella fiala.

“Bevi, tutto in un sorso.”

“E che cosa sarebbe?” chiese ancora Indy, dubbioso da quel liquido.

“In breve? Un misto di vitamine, proteine e altri componenti... insomma, una bevanda energetica” rispose River.

“Bevanda energetica?” ripeté, perplesso.

“Come mai vai in giro con quelle fiale?” domandò l’alieno.

“Perché rende anche immuni a parecchi veleni. E, durante alcuni dei miei ultimi viaggi, ho imparato a non partire mai senza.”

La donna cercò di aiutare l’amica a bere, visto che le mani di lei tremavano così forte da non riuscire a stringere la fiala. Ma, quando la giovane ebbe bevuto tutto il liquido, fece una faccia schifata per il sapore estremamente amaro del mediciale e, per un momento, parve scordare tutti gli altri suoi patimenti.

“Lo so. Non ha un buon sapore... ma, credimi, nel giro di pochi minuti riuscirai a ritornare più forte che mai” le disse River, sorridendo in maniera incoraggiante.

Infatti, dopo soltanto pochi istanti, Denny iniziò a respirare in modo molto più regolare, rassicurando l’intera squadra.

“Okay,” disse a quel punto Indy, incrociando le braccia sul petto e assumendo un'aria piuttosto corrucciata.

“Devo ancora capire questa faccenda degli alieni, di essere dentro ad un'astronave e tutto il resto. Ma da quanto tempo sono qui? Ed è vero che hanno un ‘esercito’?”

River, allora, gli ripeté la storia del piano di Haska, di come la sua nave fosse precipitata sulla Terra facendo morire quasi tutto l’equipaggio e di come avesse creato il tempio, manipolando la mente e il fisico dei cittadini di Dupain.

“Cosa?!” sbottò Indy quando lei ebbe terminato di raccontare, ancora più confuso di prima.

“Allora avevamo ragione” disse Denny, rialzandosi con un po’ di fatica: “La scomparsa di quelle persone è davvero collegata al tempio.”

“Solo che tutti credevano che fosse lì da tanto tempo, insieme alla tribù che vi viveva accanto” aggiunse il Dottore.

"Invece, si tratta solamente di un effetto psichico e di una serie di documenti falsificati a buona posta per ingannare chiunque."

“Chiunque a parte me" precisò l'archeologo. "E adesso?” domandò poi. “Che facciamo? Se hai un piano, spero che non sia ‘improvvisato’!” e, con il dito, indicò l’alieno in segno ammonitore.

“Potremmo scappare” propose Denny, ormai ripresa del tutto, sistemandosi meglio gli occhiali con il dito medio.

“No, la serratura è troppo elaborata e complessa, persino per il cacciavite sonico” rispose il Signore del Tempo.

“E scappare adesso, comunque, vorrebbe più che altro dire suicidarsi” aggiunse River, con tono cupo.

“E, anche se volessimo, non potremmo scappare. Il Tardis si trova qui, nella parte più alta del tempio, ma è protetto da uno scudo invisibile e, finché non capiamo come disattivarlo, non potremo fare nulla!” rispose il Dottore, gesticolando nervosamente.

“Quindi? Non abbiamo un piano?” chiese Indy, guardandoli.

Nessuno rispose, ed Indy capì che era un silenzio che confermava quella sua domanda. Tutti, dunque, sospirarono, ormai rassegnati a dover rimanere dentro a quella cella.

Finché, ad un certo punto, Indy iniziò a ripensare a tutto quello che aveva visto e che era successo in quelle ultime e frenetiche ore e gli venne un'illuminazione.

 “La cabina di pilotaggio!” esclamò.

Gli altri tre lo guardarono e Denny capì.

“Giusto!" approvò, andandogli accanto. "La cabina di pilotaggio!”

I due spiegarono brevemente la loro scoperta della sala di pilotaggio e di tutto ciò che vi avevano veduto all'interno.

“Allora, se quella stanza controlla l’effetto psichico, dovrebbe controllare anche il muro invisibile attorno al Tardis!” disse il Dottore, con tono pieno di entusiasmo.

Denny si sentì più sollevata, dicendo: “Esatto! E se riuscissimo a distruggere i controlli, non solo libereremmo il Tardis, ma anche tutta la gente priogioniera ritornerebbe nomale e con la propria memoria!”

“E il tempio non esisterebbe più, cosi come le finte notizie create riguardo ad esso!” concluse il Dottore, ed entrambi sorrisero.

River li guardò con molta dolcezza, contenta che fossero tornati a stare bene ed a ragionare all'unisono come sempre, e Indy non poté far altro che sentirsi sollevato per avere un piano, che li avrebbe strappati da quell'apatia forzata. Quindi, domandò: “Allora, come potremo fare a distruggere la console?”

Il Dottore si guardò intorno e vide il manipolatore del vortice di River, che gli fece venire un'idea.

Si avvicinò a Denny e ad Indy, rimanendo davanti a loro, e disse: “Ragazzi, voi due andrete fuori da qui, mentre io e River resteremo dentro.”

Entrambi furono alquanto confusi da quelle parole, e risposero in coro: “Che cosa?!”

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Capitolo 29
*** “I will not leave you here!” ***



Capitolo 29
“I will not leave you here!”
 

“Come puoi dirmi una cosa del genere!” sbottò Denny, infastidita. “Noi dovremmo uscire da qui mentre tu e River dovrete restare in una cella!”

“E, poi, come faremo ad uscire da qui?” si aggiunse Indy.

“Con il mio manipolatore del vortice” rispose River, mostrando un piccolo oggetto che teneva legato attorno al polso: in apparenza, sembrava un orologio agganciato ad un cinturino di cuoio marrone scuro, ma sopra non vi era alcun tipo di lancette.

River lo aprì e Indy rimase confuso da ciò che vide al suo interno: vi era una specie di molla grigia con una piccola luce blu nel centro.

“E quello che cosa sarebbe?” domandò l'archeologo, confuso.

“In pratica, è come…” cercò di spiegare il Dottore, per fargli capire.

“In pratica, se te lo metti attorno al polso, scrivi dove vorresti andare e ti porta subito lì” aggiunse River.

“Esatto! Come il teletrasporto!” finì il Dottore, per poi chiedere a bassa voce a Denny se la serie “Star Trek” esistesse già in quel periodo, ma l’amica non rispose.

“Allora, perché non la usiamo tutti insieme?” chiese invece la giovane.

“Perché possiamo sfruttare questa situazione a nostro vantaggio, contro di loro.”

Il Dottore spiegò rapidamente il suo piano: anche se gli alieni nemici ancora non lo sapevano, lui e River erano le uniche due persone, nell'intero universo, in grado di pilotare il Tardis; per questo motivo, non potevano ucciderli, altrimenti non avrebbero mai potuto scoprire i segreti dell’ultima nave/macchina del tempo galifinana.

Tuttavia, avevano minacciato sia Denny sia Indy di volerli sacrificare, e non c'era da escludere che potessero mettere realmente in atto le loro intenzioni.

Però, se loro due fossero scappati, non avrebbero avuto più niente a propria disposizione per poterli minacciare e non sarebbero riusciti ad estorcergli nessuna informazione.

“Ma se, invece, minacciassero di uccidere le persone che hanno manipolato?” domandò Denny, preoccupata.

“Quelle persone gli occorrono per far muovere la nave, quindi non credo che gli convenga ucciderle, esattamente come non gli conviene uccidere noi” rispose l’alieno, sicuro.

“Sì, ma se anche riuscissimo ad uscire da qui? Che cosa dovremmo fare?”

“Ascoltatemi,” disse River, togliendosi il manipolatore del vortice. “Vi porterà all'hotel dove alloggio, e lì troverete la chiave della mia camera, ovvero la numero zero, zero, uno. Nella stanza, c’è un borsone pieno di oggetti che potrebbero esservi utile, che per vari motivi non ho portato con me quando sono salita al tempio. Però, vi saranno senza dubbio utili.” Mentre parlava, aveva allacciato il manipolatore attorno al polso della ragazza.

“E che cosa c’è in quel borsone?” chiese Indy.

“Cose utili” rispose lei, vaga.

Scrisse le coordinate e spiegò a Jones di mettere la mano dentro al vortice sul polso di Denny, perché quello era l'unico modo per andarsene da lì.

Indy, con un po’ di diffidenza, osservò il manipolatore, ma vi appoggiò la mano proprio come aveva spiegato River.

“Quindi mi stai chiedendo di andare  in un hotel fuori da Dupain, mentre voi due volete rimanere in una cella con una rettiliana sociopatica?”

“Denny, questo è l’unico modo per salvare noi, il Tardis, questa gente e l’universo intero” spiegò il Dottore, abbassandosi alla sua altezza e posandole le mani sulle spalle, guardandola con occhi che infondevano calma, tranquillità e sicurezza.

“E voglio anche che tu e Indy siate al sicuro, che elaboriate un piano efficace e che vi riposiate un po’, perché ne avete molto bisogno.”

“Ma io non voglio abbandonavi! Possiamo mandare solo Indy! Se è davvero così intelligente, capirà perfettamente che cosa deve fare, no?” rispose lei.

Indy la guardò confuso, chiedendosi se lo stesse velatamente insultando o meno.

“Sì, certo, ma non conosce nulla, di queste cose. E scommetto che ha da fare un sacco di domande su di me, alle quali solo tu puoi rispondere.”

“Ma… non…”

“Denny, ascoltami” ripeté il Dottore con tono sicuro, guardandola dritto negli occhi

“Io mi fido di te, come tu ti fidi di me. E so che tornerai a salvarci tutti con un elaboratissimo piano, di quelli che solo tu sai tirare fuori.” Fece un piccolo sorriso sicuro. “E, poi, non ti dimenticare che hai il più grande archeologo di tutti i tempi con te. Insieme, sarete una squadra invincibile.”

Guardò Indy, aggiungendo: “E, Indy, mi raccomando... so che lei ha un carattere un po’ imprevedibile, ma è anche molto brava ad organizzare piani e riesce sempre a cavarsela dai guai, quindi dalle retta e lavorate insieme.”

L’archeologo fu colpito da quelle parole, capendo l’affetto sincero che sentiva per lei e di quanto la stimasse, proprio come lei stimava lui.

“D’accordo” rispose lui.

“Grazie,” replicò l’alieno sorridendo, per poi tornare a guardare l’amica: “Okay?”

Denny sopirò, dicendo: “Okay.” Dopo un attimo di esitazione, ricambiò il sorriso.

“River, prenditi cura di lui. E cercate di non morire prima dell'alba.”

La donna rise, dicendo: “Va bene. Te lo prometto.”
Controllò per l'ultima volta che il manipolatore fosse sistemato a dovere e indicò loro dove premere per poter partire.

I due diedero la conferma che erano pronti.
“Mi raccomando” ripeté ancora una volta Denny, preoccupata.

“Tranquilla, ce la caveremo.” E le rivolse un sorriso incoraggiante.

Il Dottore le passò il cacciavite sonico e la carta psichica, aggiungendo, con un sorriso: “E che cosa diciamo, in questi casi?”

La ragazza ricambiò il sorriso, rispondendo: “Geronimo.”

Premette il tasto e lei e Indy scomparvero immediatamente davanti agli occhi di River e del Dottore, che restarono fissi a osservare il punto in cui erano svaniti con aria preoccupata.

“Vedrai che se la caveranno" lo tranquillizzò River, posandogli una mano sulla spalla in segno di conforto.

“Lo so” rispose l’alieno, convinto.

Ma non poteva fare a meno di sentirsi in ansia per lei, proprio come Denny non riusciva a non preoccuparsi per loro.

 

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Capitolo 30
*** Vent and frustration ***


 Capitolo 30
Vent and frustration


Indy e Denny furono teletrasporti fuori dalla cella e si ritrovarono in un altro luogo, entrambi nella stessa identica posizione di prima: il braccio di Denny era alzato sul petto e la mano di Indy attorno al manipolatore del vortice.

Entrambi cercarono di riprendersi dal teletrasporto, ma fu ugualmente difficile rimanere dritti e in piedi. L’archeologo, quando staccò la mano dal polso della ragazza, si guardò attorno e notò l’ingresso di un viale alberato.

In fondo al viale c'era un'enorme villa in mezzo ai boschi, un edificio a due piani costruito in legno scuro, con il tetto rosso scuro, le finestre con i davanzali e le ante color avorio e, sopra all'ingresso, un'incisione che recitava: “The New Paris Hotel.” E, in lontananza, si sentiva il rumore scroscinate e rilassante di una cascata.

Jones rimase a bocca aperta, ormai non sapeva più neppure lui a che cosa credere: alieni, un tempio finto, mutaforma, guerra, torture e teletrasporto... ce n'era abbastanza per prendere tutte le sue certezze e buttarle via!

“Okay,” disse, cerando di mantenersi calmo e guardando Denny –che non si era ancora girata verso l’albergo.

“In questo viaggio ho accettato di tutto: vi ho portato qui, vi ho seguito, avete ignorato le mie parole e mi avete buttato dentro ad una storia di astronavi e di invasioni di extraterrestri!”

Ormai, Indy iniziava a perdere seriamente la pazienza. La indicò con il dito, continuando a parlare: “E ho capito  perfettamente che voi due non siete affatto un professore di Oxford e la sua assistente! Soprattutto, dopo tutto quello che mi avete detto di quell'essere schifoso! Quindi, mi spieghi una buona volta chi siete e da dove venite?!”

Denny non si girò verso di lui né si curò di rispondergli. Aveva il viso contratto da una smorfia e gli occhi lucidi, finché non cominciò a singhiozzare a testa bassa.

Jones non capì bene perché stesse piangendo: probabilmente era preoccupata per il Dottore e per River, che erano rimasti dentro all'astronave, prigionieri di quella schifezza extraterrestre, e temeva che potesse torturarli come aveva fatto con loro due.

L’archeologo sbuffò guardando in basso, sentendosi in colpa per il tono aggressivo con cui le aveva parlato: in fondo, a differenza di lui, aveva ricevuto le scosse più pesanti ed era davvero traumatizzata.

Indy le mise una mano sulla spalla in segno di conforto e lasciando che si sfogasse per un po’.
Dopo un paio di minuti, Denny smise di piangere.

“Andiamo” le sussurrò Indy, con tono calmo.

“Probabilmente, questo è l’hotel in cui alloggia River.”

Denny alzò la testa, asciugandosi le lacrime e tirando su con il naso; dopo un ultimo momento di esitazione, rispose: “Okay.”

Così, entrambi si incamminarono verso l'albergo, uno accanto all'altra.

“Mi sembra l’albergo di ‘Twin Peaks’” disse lei, guardando l'edificio e la sua posizione in mezzo ai boschi e ascoltando il rumore delle cascate.

“Di cosa?”

“Non importa, lascia perdere…”

 

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Capitolo 31
*** Explanations ***


Capitolo 31
Explanations
 

Denny e Indy sedettero al bancone del bar/ristorante dell'albergo. Era un locale arredato in maniera rustica, con il pavimento di legno, anche se non mancava qualche decorazione in stile Rococò.

In fondo al bancone, appoggiata ad una delle pareti, una piccola radio rivestita in legno trasmetteva le note struggenti di una canzone malinconica:

 
“...I went down to St. James Infirmary
Saw my baby there
She was stretched out on a long white table
So cold, so sweet, so fair*…”
 
Denny ordinò una piccola bottiglia di Coca-Cola, mentre Indy prese un bicchiere di whisky liscio, facendosi poi lasciare la bottiglia.

“Non ti sembra un po’ inopportuno bere una bevanda gasata in una situazione del genere?” chiese l'archeologo, abbassando per un momento il suo bicchiere.

“E a te non sembra un po’ inopportuno bere alcool in una situazione del genere?" chiese lei di rimando, volgendosi a guardarlo.

“Dopo tutto quello che ho visto, mi serve qualcosa di forte per ‘metabolizzare’” rispose Jones, con tono quasi indifferente, bevendo un altro sorso dal suo bicchiere.

“E io, dopo tutto quello che ho subito, ho bisogno di zuccheri per andare avanti. Visto che odio l’alcol, esattamente come odio l’amaro, l’aspro e il piccante” ripeté lei, bevendo.

"Bisogna imparare ad assaggiare e ad apprezzare di tutto, nella vita" la redarguì Indy. "Non si sa mai..."

Rimasero in silenzio, con aria meditabonda.
Si erano tolti le giacche, rimanendo in camicia, Denny con la sua camicia blu dalle maniche arrotolate fino ai gomiti, e Indy con la sua camicia un po’ stropicciata color beige.

Continuando a bere lentamente un goccio di whisky dopo l'altro, Jones la osservò attentamente, rimanendone veramente molto colpito.

Denny, infatti, non aveva l’aria sconvolta o distrutta, come si sarebbe immaginato di vedere in una ragazza traumatizzata, anzi, al contrario, sembrava parecchio tranquilla: mentre con una mano stringeva la bottiglia, con l'altro braccio si era appoggiata al banco, sorreggendosi con la mano la testa e facendosi passare di quando in quando le dita tra i capelli.
Aveva un'aria sicura e serena, quasi fosse sul punto di trovare una soluzione ai loro problemi.

Indy, però, era ancora piuttosto preoccupato per lei, quindi domandò: “Stai bene?”

“Sì, sì. Sto bene.”

“Sei sicura?” chiese ancora Indy, non del tutto convinto dalle sue parole. “Dal momento che hai visto una donna trasformarsi in una specie di schifosa lucertola e hai subito delle torture con il serio rischio di morire... beh, mi aspettavo che fossi un po’…”

Traumatizzata?” finì lei, girandosi verso di lui.

“Già…”

“Beh, che tu mi creda o no, ho visto e subito cose ben peggiori di questa.” Bevve un sorso della sua bibita. “Tu, invece? Stai bene?”

Indy rimase sorpreso: non pensava che lei potesse essere preoccupata per lui – visto che, fin dall'inizio, non erano mai andati molto d’accordo - ma questo, in un certo senso, gli fece piacere e lo apprezzò molto, visto che lui stesso si stava preoccupando per Denny.

“Sì, sto bene” la rassicurò. “In fondo, come ho già detto, anche io ne ho avuto e subite di peggio.” E bevve un lungo sorso dal suo bicchiere.

“Lo immagino” rispose Denny, ripensando al secondo film animato di “Indiana Jones”.

“Sai, ho avuto colpi di fulmine ben più peggiori di quelli che ci hanno fatto assaggiare i nostri amici rettili” aggiunse Indy, con una breve risata a cui fece eco anche quella di Denny.

Rimasero ancora qualche istante in silenzio, fissando il bancone con aria meditabonda, finché Jones decise che doveva approfittare di questa situazione per capirci qualcosa di più.

“Quindi, quando hai detto che il Dottore è un alieno, non mentivi, giusto?”

“Giusto.”

“E, allora, immagino che anche quello che ha detto Haska su di lui sia vero. Che lui è un Signore del Tempo, che il suo pianeta non esiste più…” continuò a ricordare, sempre più confuso.

“I Signori del Tempo sono la specie a cui appartiene il Dottore. E il loro pianeta, Gallifiny, è stato distrutto dalla Grande Guerra del Tempo” rispose Denny, con aria sempre più malinconica.

“E, in quella guerra, tutti i Signori del Tempo si sono ‘estinti’?” chiese Indy, ricordando il resto della storia di Haska.

“Già. E lui è l’ultimo Signore del Tempo sopravvissutto” rispose la ragazza, guardando in basso. “Condannato a viaggiare per l’Universo, da solo e per sempre.” Finì di parlare con aria davvero triste, bevendo un altro sorso di bibita.

“Ma non c’è stato proprio nessun sopravvissuto, oltre a lui?” chiese Indy. “Nessun altro Signore o Signora del Tempo?”

Denny fece una breve risata per la parola “Signora del Tempo”, per poi ritornare seria: “No, te l'ho detto, solo lui. Gli unici scampati al disastro sono stati i loro nemici, i Dalker, la peggior razza aliena, la più malvagia mai esistita.” E si incupì.

Indy non seppe che cosa replicare, ormai tutto quello che poteva fare era accettare tutto questo e basta, senza porsi troppi quesiti. Almeno, aveva finalmente scoperto la risposta alla domanda: “Siamo soli nell’universo?”.

Del resto, ricercare reperti e risolvere misteri era il suo lavoro, anche se a volte ciò che faceva esulava un po' dalla sua materia primaria, ossia l'archeologia.

Continuò a bere e a guardare la ragazza con aria confusa, chiedendo: “E tu? Sei anche tu di una specie aliena, ultima della tua specie?”

Denny girò la testa verso di lui e rise divertita, sia per le sue parole sia per la sua espressione seria. Smise soltanto quando lo vide confuso da quella sua risata.

“No, no” rispose, dandosi un contegno. “Certo che no. Sono umana del pianeta Terra al cento per cento, proprio come te. Sono una diciottenne di Londra con origini Italiane. Solo che arrivo dal Ventunesimo secolo.”

Ventunesimo secolo?...!” ribatté Indy, sconvolto.

“Già!” continuò lei, con tono calmo. “Provengo dal 2017. E dovrei nascere fra sessant’anni, suppergiù. Ma, in questo momento, non sono ancora nati nemmeno i miei genitori!”

L’archeologo la fissò con gli occhi spalancati e con la bocca semiaperta. “Ventunesimo secolo” pensò, sconvolto: non riusciva neppure ad immaginare come sarebbe stata la sua vita di lì a dieci anni, figurarsi il mondo fra quasi un secolo.

“Quindi, tu e il Dottore…” riassunse perplesso, cercando di capire la situazione.

“Viaggiamo nel tempo” concluse lei, sorridendo.
La faccia di Indy si fece ancora più incredula, quasi sconvolta: finì il resto del suo drink in un sorso solo, mentre Denny raccontò brevemente di come si fossero conosciuti lei e il Dottore.
Il loro primo incontro era avvenuto a scuola, durante un'invasione degli Zaygo; lei lo aveva aiutato a fermare quel tentativo di invasione e lui, in cambio, le aveva proposto di portarla con sé, nel tempo e nello spazio.

Nel tempo e dello spazio?” ripeté Indy, sempre più stupito.

“In pratica, possiamo vedere lo spazio, esplorando i pianeti più remoti e conoscendo tante e differenti razze aliene, e poi viaggiare nel tempo, spostandoci a piacimento tra il futuro e il passato” rispose lei, sorridendo.

“E com'è viaggiare con lui?”

“Incredibile” ripeté lei, sorridente. “Vedere lo spazio, esplorare nuovi mondi e scoprire sia il passato che il futuro, ricavandone una conoscenza a dir poco illimitata. E viaggiare, o meglio, correre accanto a lui, è l'esperienza più bella che potessi mai desiderare. E sono davvero felice di avere lui, accanto a me, come migliore amico.” E finì la sua Coca-Cola.

Indy non poté che essere affascinato dalle sue parole, ammettendo che, con ogni probabilità, lui non avrebbe mai potuto vivere esperienze ed emozioni simili. Proprio lui, il più grande archeologo e avventuriero di tutti tempi - almeno, a sentire il Dottore che, però, doveva intendersene parecchio, in materia.

“E da quanto tempo viaggi con lui?” chiese, incuriosito.

“Da un po’. All'inizio, sono partita e non avrei più voluto tornare indietro. Poi, però, mi sono ricordata che, mentre io viaggiavo nel tempo, combattendo contro gli alieni e contribuendo a salvare l’Universo…. a Londra avevo una casa, dei genitori, un fratello, una sorella, la scuola... in pratica, la mia vita. Così, ho deciso di fermami ed andare avanti con la mia vita. Ma, ogni tanto, ho ancora desiderio di viaggiare con lui, quindi il Dottore viene a prendermi e partiamo.” Sollevò lo sguardo, sospirando.

Jones restò davvero impressionato da quelle parole, soprattutto dalla passione con cui le pronunciava; di certo, Denny e il Dottore erano legati da un fortissimo e saldo legame d'amicizia, di cui nessuno avrebbe mai potuto dubitare. E lui se n'era reso conto nel momento della partenza dalla cella, quando lei aveva pianto all'idea di abbandonarlo.

“E com'era la tua vita, prima di incontrare il Dottore?”

“Normale. Con alti e bassi, certo, ma normale.”
Raccontò in breve le sue passioni, che andavano dalla scrittura alla lettura, dai film alla musica; poi, passò a parlare del rapporto un po’ contrastante che aveva con i genitori e con i fratelli e quello complesso che aveva con la scuola.

“Cavolo” commentò Indy.

“Già. Quindi, puoi anche capire perché continui a viaggiare insieme a lui, anche se mi sono dovuta fermare un po’?” concluse lei ironicamente.

Restarono in silenzio ancora per qualche istante, poi Indy non riuscì più a trattenere una domanda che, già da qualche istante, lo stava seriamente tormentando.

“E… come sarà il futuro? Come sarà il Ventunesimo secolo?” chiese.

Non sapeva bene neppure lui perché lo avesse chiesto, forse per curiosità o forse solo per vedere come Denny gli avrebbe risposto. Ma, in fondo, era davvero curioso di saperlo.
La ragazza sollevò gli occhi, riflettendoci.

“Complesso” rispose. “Terribilmente complesso. Ma non tanto perché la vita sarà più complessa rispetto al passato - cioè, un po' anche per questo - ma, soprattutto, perché le generazioni nate prima della mia epoca hanno fatto in maniera di rendere molto difficile la strada per arrivare al futuro da dove provengo io.”

“E me lo puoi descrivere, questo futuro complesso?”

“Beh, potrei. Ma non potrei spiegarti tutto nei minimi dettagli, perché bisogna evitare che il futuro possa cambiare in un modo diverso e irrisolvibile. Come non posso dirti, per esempio, che fra meno di un anno inizierà un secondo conflitto mondiale.”

“Cosa?!” esclamò Indy, sconvolto.

“Ops… spoiler…” rise Denny a bassa voce, con un certo nervosismo. “Fai finta che non te l’abbia mai detto…”

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Note:
Canzone alla radio:
"
St. James Infirmary - Remastered" di Louis Armstrong


 

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Capitolo 32
*** The history of humanity, according to Danny ***


Capitolo 32
The history of humanity,
according to Danny

 

Dopo essersi schiarita le idee, Denny iniziò a raccontare la storia di come sarebbe andato il mondo nei successivi ottant'anni.

Iniziò col dire che ci sarebbe stato un secondo grande conflitto mondiale, devastante e terribilmente violento, in cui sarebbero morti milioni di innocenti, mentre ai sopravvissuti sarebbe rimasta addosso un'indelebile cicatrice emotiva.

Dopo quel conflitto, però, ci sarebbe stato un grande boom economico, in cui molti avrebbero avuto successo ed avrebbero goduto di una grande tranquillità, anche se sotto lo spettro di una “guerra fredda” tra le due più grandi nazioni, una guerra che avrebbe visto il suo confine fisico in un muro che avrebbe tagliato in due metà l'Europa. Ma, in realtà, quello sarebbe stato soltanto un lunghissimo litigio, mai veramente combattuto, soltanto per dimostrare quale delle due potenze fosse la più avanzata: e avrebbe, inoltre, portato a sviluppare in pochissimo tempo tecnologie molto utili e fino a quel momento inconcepibili.

Inoltre, in quegli anni ci sarebbero state molte rivoluzioni ed innovazioni di vario tipo: sulla moda, sulla tecnologia, sulla musica, sul cinema... piccole e grandi scoperte avrebbero cambiato del tutto il modo di guardare al mondo.

Molte persone, poi, sarebbero scese in campo per reclamare i loro giusti diritti da troppo tempo negati, e sarebbero emersi dei leader che avrebbero combattuto molto tenacemente per questo, a volte anche a costo della propria libertà. E non ci sarebbero state solo proteste, ma anche una grande rivoluzione pacifica in cui ragazzi e ragazze avrebbero condiviso modi di vivere e di concepire la vita molto differenti dal passato.

Cose normalissime per Denny, infatti - normalissime nel suo presente, almeno - lo sarebbero diventate proprio grazie a quei ragazzi, che avrebbero dovuto scontrarsi con moralisti che li avrebbero ritenuti anormali e sbagliati in ogni singolo proponimento.
Ma loro avrebbero combattuto sorridendo sia per i loro diritti sia per esprimere la loro contrarietà ad un sistema che avrebbe sempre cercato di controllarli e di conformali; e, questa loro grande rivoluzione, che avrebbe cambiato la faccia del Novecento, non sarebbe passata attraverso le armi, bensì attraverso la letteratura e, soprattutto, la musica.

Questi giovani avrebbero continuato a protestare a lungo, contro il sistema e contro tutte le guerre, fino a quando il loro messaggio sarebbe finalmente passato, facendo presa sulle coscienze. A quel punto, però, anche le ribellioni sarebbero cessate e sarebbe arrivato il momento del riflusso, in cui sempre meno persone avrebbero continuato ad interessarsi della vita pubblica, per cercare, invece, soddisfazione nella sfera privata.

I giovani avrebbero cercato soltanto sicurezza e tranquillità, ma avrebbero anche trovato rifugio ed evasione da un mondo che sarebbe sembrato loro troppo omologato nelle droghe, che sarebbero divenute il vero cancro del secolo, insieme a una malattia terribile che, mietendo vittime numerose, sarebbe parsa incurabile. E, alla ricerca di un capro espiatorio, si sarebbe ingiustamente addebitata l'origine e la colpa di questa malattia a coloro che sarebbero stati considerati diversi, anormali.

Però, alla fine, quel muro che era stato eretto per segnare il confine tra le due potenze che si contendevano il primato sul mondo sarebbe stato abbattuto e, da quelle macerie, sarebbe spirato un vento di libertà e di cambiamento che avrebbe dato avvio ad una nuova generazione, forse più cinica e disillusa delle precedenti ma anche animata dalla grande voglia di urlare con voce arrabbiata, finché qualcuno non le avesse dato retta, perché essa si sarebbe resa conto di come il mondo fosse sull'orlo di un nuovo abisso ed avrebbe fatto di tutto per evitarlo.

E, poi, ci sarebbero state altre rivoluzioni, altri cambiamenti, altre tragedie, che sarebbero continuate per sempre, e che soltanto i figli del futuro avrebbero potuto conoscere.

Denny terminò di parlare con un lungo sospiro e sorrise.

Indy ascoltò tutto con attenzione, rimanendo molto affascinato da quelle parole e cercando di immaginarsi tutto ciò che stava sentendo, ma fece parecchia fatica a farlo.

E non ti ho detto nemmeno tutto” aggiunse lei.

“E, secondo te, vivrò abbastanza a lungo per vedere tutto questo?”

“Non lo so. Ma, se accadrà, promettimi una cosa.”

"Quello che vuoi."

Denny gli puntò il dito addosso con aria seria e continuò: “Se vivrai per vedere tutto questo, ripensa a quello che ti ho detto e ricordati di non giudicare mai tutte le generazioni che verranno, né per quello che faranno né per quello che diranno. Anzi, cerca di capirli e, se per te le loro scelte saranno giuste, combatti insieme a loro. Abbi sempre una grande apertura mentale, d’accordo?”

Jones ascoltò con attenzione, turbato da ciò che lei gli stava chiedendo di promettere, ma sentì di potersi fidare di Denny. In fondo, quella ragazza proveniva dal futuro e, di conseguenza, pur essendo così giovane, sapeva tantissime cose che lui, invece, ignorava.

“D’accordo, te lo prometto” la rassicurò, ricambiando il sorriso.

“Grande” rispose la ragazza, soddisfatta e con accento divertito. “Già mi immagino di vederti, un vecchio brontolone ma con una grande apertura mentale su tutte le cose.”

Entrambi risero, godendosi quel momento di spensieratezza, prima di tornare ad affrontare il loro problema.

“E, allora, se ho ben capito, voi immagino che viaggiate a bordo della sua astronave e macchina del tempo, quella che siamo venuti a cercare qui.”

“Il Tarids...” confermò Denny.

“Ossia, il ‘Tempo e Relativa Dimensione Interna Allo Spazio’" capì Indy. “La scatola blu” aggiunse, con una risata.

“Già. Non sono mai stata molto brava ad inventarmi nomi sul momento, e nemmeno il Dottore” disse lei, divertita. "Così, quando siamo venuti da te, ti ho detto il nome vero per fare prima."

Poi, ricordandosi le parole pronunciate dall'archeologo quando aveva visto il Tardis per la prima volta, quando erano stati presi, le sorse un dubbio.

“Indy?”

“Sì?”

“Quando hai visto il Tarids, hai detto che ‘era diverso’. In che senso?”

L’archeologo fissò il pavimento con aria triste, cercando di nascondere quel sentimento dietro la sua solita maschera inespressiva.

“Perché mio padre me l’ha aveva descritto in un modo diverso.”

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Capitolo 33
*** The story of Indy ***


Capitolo 33
The story of Indy


 

Denny, in un primo momento, rimase perplessa per quell'affermazione ma, poi, si ricordò che Jones, nel suo ufficio, le aveva raccontato la storia di come suo padre avesse conosciuto il Dottore, convinto però che fosse una storia assurda.

“Quando mio padre era giovane, rimaneva sempre in biblioteca fino a tardi. A volte, rimaneva lì anche dopo l’orario di chiusura perché aiutava il bibliotecario…” iniziò a raccontare Indy, a testa bassa e occhi tristi.

Lei ascoltò con attenzione, guardandolo.
“Un giorno uscì dalla biblioteca un po' più tardi del solito, ormai a notte inoltrata. Prese un sentiero isolato, una scorciatoia che lo avrebbe portato fino a casa. Ma, quella volta, si imbatté in due tizi in completo e molto robusti, nascosti dietro a dei cespugli, che parlavano di un oggetto che sarebbe stato indispensabile per il loro scopo. Incuriosito, aguzzò lo sguardo e notò che, uno dei due, teneva in mano una strana statuetta d’oro; subito, penso che quell'oggetto fosse stato rubato da un qualche museo e, anche se non è mai stato un grande uomo di azione…”

Jones continuò a raccontare. Suo padre, senza paura, andò ad affrontarli, ma loro non si fecero intimorire e lo minacciarono putandogli contro le loro pistole; a quel punto, ormai, il padre di Indy sembrava veramente spacciato. Ma, proprio in quel momento, si fece avanti un tizio davvero strano: era alto, con un lungo cappotto scuro, una sciarpa colorata legata intorno al collo e lasciata cadere fino a terra e, in testa, un capello a tese larghe marrone.
Quell'uomo sembrava avere un'aria da folle: capelli lunghi e ricci nero scuro, viso allungato ed enormi occhi a palla chiari.

Sbucò all'improvviso dal folto degli alberi del parco, si mise a parlare con quei presunti gangster in tono calmo, come se non stesse succedendo niente di troppo pericoloso, e loro, per spaventarlo, si trasformarono in due creature alte almeno due metri, nude, con il corpo ricoperto di ventose.

“Gli
zagor
” disse Denny.

Indy si girò a guardarla con aria sorpresa.

“Sono gli stessi che hanno invaso la mia scuola tramutandosi in bidelli e insegnanti” spiegò lei, in risposta al suo sguardo interrogativo.

L’archeologo capì e, annuendo, continuò a raccontare: suo padre fu sconvolto e confuso da quella scena, ma non riuscì a fuggire, perché in lui prevalsero il senso del dovere e la curiosità: voleva recuperare quella statua, conoscere quel tizio con la sciarpa lunga e scoprire che cosa stesse succedendo.

Quegli esseri lo minacciarono, ma lo sconosciuto non si fece affatto spaventare; anzi, da una tasca del suo cappotto prese una specie di accetta appuntita e gliela puntò contro, colpendoli e costringendoli a far cadere a terra la statuetta. Subito dopo, entrambi quei mostri scomparvero, come se non fossero mai esistiti.

A quel punto, il tizio raccolse la statua e si avvicinò al padre di Indy, presentandosi come il Dottore. Spiegò che quella non era una statua qualsiasi, bensì una forma di energia molto potente che serviva per far patire la loro nave madre.

Lo studioso, anche se ancora parecchio confuso, gli fu molto grato e lo ringraziò, e l’alieno prese un pacchetto di caramelle di nome “Jolly bebis” per offrirgliene una.
Dopo lo accompagnò alla sua astronave.

Era una cabina telefonica, larga e bassa, color blu accesso. Ma, dentro, era molto più grande di come apparisse all'esterno. Nel centro di una stanza completamente bianca e piena di aperture vi era uno strano oggetto, quasi una sorta di pilastro, che saliva fino al soffitto. Il Dottore raccontò che quella era la sua astronave/macchina del tempo, dotata di stanze infinite.

Lo riportò a casa da sua moglie; il padre di Indy avrebbe voluto farlo entrare, ma il Dottore delicinò gentilmente l'invito, salutandolo e andandosene dopo un grande addio, regalandogli la statuetta d’oro aliena.

“E mi ha sempre detto che quello fu il giorno più bello della sua vita” finì Indy.

“Perché venne salvato da un gentiluomo stravagante?”

“No. Perché, quando rientrò in casa quella stessa notte, mia madre gli disse di essere incinta.”

Denny rimase sorpresa, ma anche addolcita da quel racconto.

“E me l'ha sempre raccontato, da quando ne ho memoria. All’inizio ci credevo, pensavo che fosse proprio una bella avventura.” E fece un breve sospiro, che svanì subito dopo.

“Ma, quando una storia te la raccontano per la millesima volta, anche dopo l’infanzia... be', cominci a pensare che sia un matto.”

“Come nel film Big Fish’” pensò Denny, triste.

Indy fece un lungo sospiro, osservando il bicchiere vuoto. Denny, invece, intuì qualcosa da quella storia.

“Non hai un buon rapporto con tuo padre.”

“No, infatti. Non voglio nemmeno chiamarmi come lui” rispose l’archeologo, freddamente.

Denny rifletté su quelle parole. “Aspetta, vuol dire che il tuo nome completo sarebbe Henry Wolton Jones, Jr.?”

“Esatto.”

“E, quindi, hai deciso di farti chiamare Indy per evitare che la gente ti chiamasse come lui?”

Lui non rispose, ma capì lo stesso che era così, e lo trovò strano. E chiese gentilmente il perché di questa scelta.

“Mio padre si è sempre occupato soltanto del suo lavoro. Anche quando mia madre morì.” E i suoi occhi diventarono ancora più malinconici di prima. 

“Si è sempre e solo preoccupato delle sue ricerche, e si è dimenticato di avere un figlio. È come se mi avesse abbandonato.” Adesso, la sua espressone diventò di rabbia.

“Un giorno mi sono stufato, ho litigato con lui e sono andato via di casa, ho viaggiato per il modo da solo… per poi arruolarmi come soldato durante la Grande Guerra, anche se ero davvero giovanissimo. Infine, mi sono laureato e ho cominciato ad insegnare.”

“E, da quel giorno, non hai più parlato con tuo padre?”

“Perché?” chiese lui bruscamente, girandosi a guardarla. “Pensi forse che abbia sbagliato?”
“Certo!”

Indy lo scrutò, irritato da quelle parole, rispondendo: “Proprio tu vorresti giudicarmi! Tu, che sei scappata da una famiglia per andare via col primo pazzo con una cabina per viaggiare nel tempo!”

“Sì! Ma poi sono tornata per restare con loro!” ribatté a tono, senza staccare gli occhi dai suoi.

Entrambi si sfidarono con lo sguardo, convinti di aver ragione.

“È vero, i miei genitori sono fin troppo protettivi a causa delle ansie che ho provato di continuo nel corso della mia vita. E sì, sono anche un po’ troppo oppressivi. Ma gli voglio bene lo stesso, più ancora che ai miei fratelli. E, anche se ne fossi costretta, non riuscirei mai a tagliare i ponti con loro. Perché, pur con tutti i loro difetti ed errori, io gli voglio bene lo stesso. E, se ho deciso di viaggiare con lui, non è solo per vedere il tempo e lo spazio, ma perché il Dottore mi fa sentire veramente speciale. E non è affatto poco, per una che non ha mai avuto dei veri amici. E lui è troppo importante per dirgli addio” continuò, con aria convinta, ma con gli occhi lucidi.

Denny fece una breve pausa, poi riprese, in tono più delicato: “Non conosco tuo padre. Ma, secondo me, è sbagliato ignorare del tutto una persona così importante per la tua vita. Un giorno ti potresti pentire per questa scelta. Perché è vero, i genitori non sono perfetti, ma anche noi figli abbiamo le nostre colpe.” E fece un mezzo sorriso.

Indy guardò in basso con aria indecifrabile, meditando su quelle parole. Quando si udì risuonare il cucù dell'orologio sopra al bancone entrambi alzarono la testa per vedere l’ora: erano le 9.30.

Rimasero entrambi stupiti che fosse già così tardi, per loro. Dovevano essere rimasti chiusi veramente tanto, in quel tempio.

“Dobbiamo andare” annunciò Indy, alzandosi. Si infilò la sua giacca, buttò un dollaro canadese sul banco e, insieme, si incamminarono verso la reception.

“Dobbiamo prendere la chiave della camera di River” disse Denny, continuando a camminare mentre si infilava di nuovo la giacca.

“Ma come?” chiese Indy. “Se chiediamo la chiave, di certo il portiere non ce la darà senza qualche domanda."

“Non preoccuparti, ho un piano” rispose Denny, infilando le mani nelle tasche, mentre un sorriso beffardo le si allargava sul volto.

 

 

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Capitolo 34
*** La Suite ***


Capitolo 34
La Suite
 

Arrivarono davanti alla reception. Dietro al banco era seduto un uomo anziano in livrea, con baffetti bianchi e la testa quasi pelata coperta da un cappello.

Denny fece suonare il campanellino per richiamare la sua attenzione e lui si girò con aria compassata, dicendo: “Si?”

“Salve” salutò Indy, con tono gentile. “Vorremmo la chiave della stanza numero zero, uno, uno.”

“Mi dispiace, ma quella stanza è già occupata” rispose l'uomo.

“Dalla dottoressa River Song. Lo sappiamo” aggiunse Denny.

“Adesso la dottoressa non c’è, quindi non posso nemmeno chiamarla per dirle che ci sono due persone che vorrebbero parlare con lei.”

“Ma noi dobbiamo andare nella sua camera” insistette Indy.

“E per quale ragione?” chiese il portiere, sospettoso.

L’archeologo non seppe che cosa aggiungere, ma Denny rispose con sicurezza: “Polizia di Toronto.” E, dalla tasca, tirò fuori la carta psichica, che gli mise proprio davanti agli occhi.

Indy fu alquanto confuso da quelle false informazioni, ma cercò di non darlo a vedere. Tuttavia, diede una breve occhiata al “distintivo” di Denny, chiedendosi da dove l’avesse preso.

“Cosa?” disse sconvolto il portinaio.

“Abbiamo un mandato di arresto per la dottoressa River Song. Per rapina e omicidio” continuò Denny, rimettendo a posto la carta psichica.

“Ma… ma vi ho già detto che adesso non c’è. È andata via stamattina.”

“Lo sappiamo. Ma la stiamo seguendo in incognito da tempo. E, ora, vogliamo arrestarla, prendendola di sorpresa nella sua stanza quando arriverà. Ma, se lei non ci aiuterà, saremo costretti ad accusarla di intralcio alla giustizia e arrestarla.”

L’uomo fu sconvolto e spaventato da quella rivelazione.
“Vuole dire che, quella bella donna bionda e gentile, è in realtà un'assassina? Buon Dio. Non si sa più di chi fidarsi, al giorno d'oggi.” E guardò in basso, scuotendo il capo con rassegnazione.

“Lo so, a volte sono le persone più insospettabili a fare le cose peggiori" rincarò la dose Indy. “Quindi, ci dia quella chiave, per favore. E ci avverta quando arriverà.”

“Sì, certo. Ecco la chiave della sua stanza.”

Gli porse una copia della chiave, spiegando che la suite era all’ultimo piano e che avrebbero potuto prendere l'ascensore per raggiungerla.

Denny lo ringraziò ed entrambi entrarono nell'ascensore
Polizia di Toronto?” chiese Indy, quando le porte si furono richiuse ed ebbero cominciato a salire.

“Beh, dire che siamo colleghi era troppo banale e ci saremmo dovuti perdere in troppo chiacchiere. Dire che siamo due poliziotti è stato molto più facile e veloce.” rispose Denny, sorridendo.

Jones alzò gli occhi al cielo, paziente.

“Ma dove hai preso quel distintivo?”

“Non è un distintivo. È la carta psichica del Dottore.”

L’archeologo la guardò stranito, ma lei spiegò, tirando fuori dalla tasca ciò di cui stavano parlando: “È la carta psichica del Dottore. In pratica, ti fa vedere tutto ciò che chi la tiene in mano vuole farti credere. Come, per esempio, il distintivo della polizia.” Sorrise. “Oppure, delle parole come queste.”

Aprì la carta psichica e gliela mise davanti agli occhi.
“Leggi.”

“‘Scemo chi legge’.”

Denny rise divertita, mentre Indy alzò nuovamente gli occhi, sospirando paziente.

“Non so più quante volte l’ho fatto. Ma mi fa sempre ridere! Un classico” ammise la ragazza, sbellicandosi dalle risate.

Quando arrivarono all’ultimo piano, trovarono con molta facilità la porta della stanza 011.

Denny aprì la porta, entrarono e rimasero stupiti.

Si ritrovarono in un'enorme suite con il pavimento di legno e le pareti ricoperte da tappezzeria bianca; nel centro vi era un grande letto matrimoniale con le lenzuola rosse, sotto il quale c'era un teppeto dello stesso colore; ai suoi lati vi erano due comodini di legno, ai suoi piedi una cassa bianca; su un lato della stanza si apriva una grande finestra, con le tende color avorio, mentre sul fondo c'era un tolette con tanto di sgabello; da una porta aperta si potevano intravedere gli interni un salottino.

“Wow” esclamò Denny, guardarsi attorno stupefatta.

“Di certo, la dottoressa non si accontenta di poco” sottolineò Indy ironicamente, chiudendo la porta.

“Okay, River ha detto che c'è una borsa nella sua stanza, ma non ha detto dove.”

Entrambi si guardarono attorno, ma non videro alcun borsone in nessun angolo della stanza. Dopo qualche minuto di esitazione, però, trovarono una soluzione.

“La cassa banca!” dissero insieme, correndo verso al piccolo mobile.

Denny si inginocchiò per aprirlo e Indy le si mise al fianco; una volta sollevato il coperchio, videro un enorme borsone nero da palestra, che la ragazza sollevò con una certa fatica per via del peso, per poi appoggiarlo sul pavimento, dove lo aprì, rivelando i numerosi oggetti che conteneva.

“Che roba è?” chiese Indy, confuso.

Allungò la mano per prendere qualcosa, ma la ragazza glielo impedì, dicendo: “Non toccare niente!”

Con precauzione, Denny infilò la mano dentro la borsa e ne tirò fuori una pistola, molto simile a quelle di ordinanza utilizzate dalla polizia, solo più piccola e con dei piccoli bordi blu acceso sulla canna.

Indy ne rimase sconvolto, non aveva mai visto nulla del genere. “Ma che diavolo è?" esclamò. "Un'arma aliena?”

“No, una del futuro” rispose lei, senza staccare gli occhi dalla pistola.

La posò per terra e tirò fuori altre due pistole uguali.
“La vostra amica si porta davvero solo lo stretto necessario” commentò ironicamente l’archeologo.

“Al contrario del Dottore” aggiunse Denny.

Tirò fuori due specie di calamite grandi come palle da baseball, con un grosso bottone al centro, ma piatte e lisce sul retro. Le appoggiò a terra accanto alle pistole, prima di prenderne altre due.

“E queste che cosa sarebbero?”

“Calamite elettriche” rispose lei. “In pratica, le puoi attaccare ad ogni superficie metallica e, con un telecomando…” tirò fuori un piccolo oggetto argentato munito di display, “...si imposta un time, che le fa poi esplodere con una forte scossa elettrica, distruggendo tutto in meno di un secondo.” E lo mise accanto alle quattro calamite.

“Anche queste sono armi futuristiche?”

“No. Queste sono aliene.”

Indy era veramente molto stupito e, con curiosità, continuò a guardare le bombe calamitiche, chiedendo: “Vuoi forse dire che esplodono con l'elettricità?”

“Esatto, ma l’ho visto fare solo una volta. E non mi ricordo nemmeno di che razza fossero gli alieni che le hanno inventate.”

“E tu e il Dottore usate questa roba?”

“No, solo River. Il Dottore non usa armi e io sono con lui.”
“Cosa? Non usate armi?” ripeté l’archeologo con tono ironico, facendo un mezzo sorriso.

Denny lo fissò con aria irritata per quelle parole, sbottando: “Hai forse qualcosa da ridire?”

“Niente” rispose lui, con aria quasi indifferente. “È solo che mi hai raccontato che vi trovate sempre in mezzo ai pericoli spaziali, e adesso scopro che non siete neppure armati. Io non potrei mai viaggiare senza il mio revolver e lui si porta soltanto un fez!” Fece una mezza risata.

Denny gli lanciò un'occhiataccia arrabbiata, rispondendo in tono duro: “Il Dottore ha visto e vissuto una guerra così orribile che nessuno di noi potrebbe mai neppure immaginare.

E non hai idea di quanti morti abbia visto dopo aver perso il suo pianeta e il suo popolo. E, ora, è condannato a vivere da solo e in eterno, vedendo tutte le persone a lui più care andarsene via per sempre senza che lui possa fare nulla per impedirlo.” Il suo tono si fece via via più aggressivo.

“E adesso, quindi, vuole salvare chiunque ne abbia veramente bisogno, anche se sa bene di non poter salvare tutti. A volte ha dovuto compiere scelte terribili, che lo hanno costretto a dover sacrificare degli innocenti… ma ha sempre continuato a credere nel bene delle persone…”

Guardò in basso con aria inespressiva e continuò, con tono più calmo: “Ma vuole lo stesso provarci e riesce sempre in ciò che tenta. E io sono con lui, perché ha ragione nel sostenere che la violenza non porta mia niente di buono. E, se uccidessi qualcuno, perderei l’ultimo frammento della mia sanità mentale…”

Si sedette in terra, appoggiando il mento alla ginocchia e abbracciandosi le gambe, con gli occhi bassi e l’aria triste.

Indy si sentì un po’ imbarazzato per quelle parole, pentendosi di averli presi in giro.

“Penserai che siamo dei codardi” continuò lei. “Ma, in fondo, la paura ci aiuta a riflettere sul modo migliore per risolvere i problemi. E, poi, tra essere coraggiosi ed essere stupidi non cambia molto, solo che a dire a qualcuno che è coraggioso si è più gentili.” E fece una breve ristata. “Ma noi non siamo dei duri come te. E credo che non lo saremo mai.”

Jones fece un lungo sospiro, si sedette per terra accanto a lei, incrociando le gambe, e disse: “Beh, forse sarò un duro, è vero. Ma, di certo, cerco di essere un folle buono, come il Dottore. E mi piacerebbe anche poter essere determinato, comprensivo, forte e sensibile come te.”

Denny alzò la testa di scatto, guardandolo sorpresa dalle sue parole. Indy sorrideva ma, questa volta, in maniera sincera, senza alcuna traccia di sarcasmo o di cinismo.
“Ma dai! Non sono così ‘forte’ come sembro” rispose la ragazza, girando la testa dall'altra parte.

“Beh, di certo non ho mai visto qualcuno rialzarsi tanto prontamente, dopo aver ricevuto torture di quel genere, piangendo di dolore eppure riuscendo ugualmente a tenere la testa alta di fronte a un essere come quella.”

La ragazza fece un mezzo sorriso ma non rispose.

“Se quello non è un modo per dimostrarsi forti e combattivi, non saprei come altro chiamarlo. E scommetto che è viaggiando con il Dottore che hai assunto un carattere del genere.”

Denny rise, rispondendo: “No, non con il Dottore, ma con un brutto inizio di adolescenza, con tre anni di lotta con me stessa e con varie e nuove esperienze, che mi hanno portato ad essere come sono.” Lo guardò sorridendo e aggiunse: “Ma, anche tu hai un carattere forte.”

“Diciamo che ho avuto una giovinezza ‘abbastanza’
complessa, fino a farmi diventare l'uomo che sono oggi.”
“Chi l'avrebbe mai detto.”

Entrambi risero divertiti, per poi rimanere di nuovo zitti per qualche istante.

Denny, ad un certo punto, controllò se ci fosse qualcos’altro dentro alla borsa e trovò un pezzo di carta su cui era segnata una lista.

“Che cosa c'è scritto?”

Bombe calamite, tars al basca e rossetto ipnotico” lesse Denny.

Tars al basca?”

“Il tars è una specie di pistola elettrica, ovvero…” spiegò la ragazza, pensando a come continuare “Hai presente le scariche elettriche con cui ci hanno torturato? Ecco, è la stessa cosa, però ridotta ad una semplice pistola.”

“E che cosa sarebbe il basca?”

“Ehm… una specie di polietere.”

Indy non comprese e non volle neppure approfondire, chiedendosi invece che cose potesse un “rossetto ipnotico” .

Meno male che non pare ci siano armi mortali” pensò, con un sospiro di sollievo.

L'archeolgo si alzò, dicendo: “Okay, adesso abbiamo delle armi e qualcosa da fare per quella… nave.”

“Ma non abbiamo ancora un piano” gli ricordò Denny. “Il sacrificio è previsto all'alba. Di sicuro non uccideranno né River né il Dottore, perché di certo troveranno un modo per fargli perdere tempo, ma noi non possiamo tornare fin là a piedi e rientrare nel tempio come se niente fosse.”
Jones la guardò, preoccupato per i suoi occhi stanchi e arrossati e per la sua aria spossata. Ripensò alle parole di River, che aveva detto: “Riprendetevi e riposatevi per domani.”

Penso che faremo meglio a rifletterne domani, prima dell'alba, con più calma e con la mente lucida” propose, con tono calmo.

“Cosa?!” replicò Denny sconcertata, guardandolo fisso.

“Come potremmo ‘riposarci’ proprio adesso? Non abbiamo un vero piano e non sappiamo neppure con precisione dove ci troviamo e quanto ci vorrà a tornare al tempio. E, mentre noi siamo qui in una suite, loro sono chiusi in una cella, dentro ad un'astronave convertita in tempio da una folle Silullana!” Si fermò un attimo, poi ricominciò a dire: "E..." ma l'archeologo prese la parola.

“Denny, Denny, Denny!” la interruppe infatti Indy, poggiandole le mani sulle spalle e parlando con tono calmo. “Ascoltami.”

La ragazza lo guardò con aria inespressiva, tenendo le braccia conserte.

“Senti, lo so che sei molto preoccupata per loro. E lo sono anche io, devi credermi. Ma entrambi abbiamo avuto delle giornate molto lunghe. Abbiamo subito parecchie difficoltà e, in quanto a me, ho scoperto cose che, forse, sarebbe stato meglio non sapere…” e guardò in basso.

Denny capì che, forse, a Indy sarebbe servito parecchio per  riuscire a digerire tutta questa storia degli alieni e dei viaggi nel tempo.

“Ma, adesso, dobbiamo prenderci un momento per riprendere fiato, prima di ributtarci di nuovo in quella situazione" continuò a dire l'archeologo.

Lei fece un lungo sospiro paziente, capendo che Indy aveva ragione. Soprattutto, sapeva che era esattamente ciò che avrebbe fatto il Dottore.

“D’accordo?”

“D’accordo.”

“Perfetto.”

Le diede una pacca sulla spalle in segno di incoraggiamento.

“E, poi, posso provare a scoprire in quale parte del Quèbec siamo, e quanto siamo distanti dal tempio
aggiunse Indy, appoggiandosi le mani sui fianchi.

“Okay. Io metto le armi e le bombe nella mia borsa e…. rifletto su qualcosa…”

“D’accordo.”

Così, Indy uscì della camera, lasciando Denny da sola. Mezz’ora dopo, ritornò con tutte le risposte e una piccola mappa della zona.

Trovò Denny sdraiata sul letto, con le mani sopra al cuscino, con ancora gli occhiali sul viso, anche se si era sfilata la giacca, che adesso era appoggiata sulla cassapanca, e si era tolta gli stivali, che si trovavano in un angolo sul pavimento.

Per la prima volta, Jones la guardò come se fosse una ragazzina normale e si sentì un poco intenerito.

Si avvicinò e, con delicatezza, le tose gli occhiali, appoggiandoli sul comodino; poi le tirò la coperta rossa fino alle spalle, e si sollevò, lasciando accesa la luce nel ricordarsi della sua paura del buio.

Continuò a guardarla ancora per qualche secondo, sospirò di sollievo e andò nel soggiorno della camera, spegnendo la luce e sperando che quel divano fosse abbastanza comodo per potersi riposare almeno per qualche ora.

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Capitolo 35
*** The rescue plan ***


Capitolo 35
The rescue plan
 


Ore dopo, mentre era ancora buio, Denny e Indy, rivestiti in fretta e portando con sé la borsa con le armi, lasciarono la loro stanza e uscirono dall'albergo.

“Okay. Quanto dista il tempio da qui?” chiese Denny, ancora un po’ assonata.

“Seconda questa mappa, Dupain è a sud-ovest, in quella direzione,” rispose Indy, indicando con il braccio verso sinistra e osservando la piccola mappa che teneva aperta in mano, “e il tempio si trova a circa il doppio della distanza che c'è da qui fino alla città.” Chiuse la mappa e la rimise nella sua borsa con aria abbastanza irritata.

“E ora?”

“Non lo so. Dovremmo chiamare il ranger, farci riportare al suo rifugio e, da lì, proseguire a piedi.”

“Ma non credo che abbiamo tempo per fare tutta quella strada prima dell’alba. E poi non possiamo ritornare lì a piedi, ci prenderebbero di nuovo. Questa volta dobbiamo coglierli di sorpresa!”

“Ma come?”

I due ci pensarono per qualche istante, finché Indy non guardò in alto, in direzione dei boschi e gli venne un'idea.

Indicò il versante del monte ed esclamò: “In queste zone di montagne, capitano spesso degli incendi dolosi nei boschi.”

“E vengono spenti quasi sempre per via aerea...”  aggiunse Denny, capendo la sua intenzione.

Si guardarono senza aggiungere altro, scambiandosi dei sorrisi di complicità.

Dieci minuti dopo, raggiunsero con una macchina presa a prestito una caserma dei pompieri che sorgeva non lontana dell’albergo e, con la carta psichica, convinsero il comandante a permettergli di usare l’aeroplano con la sua scusa di dover cercare River Song per poterla arrestare.

E l'uomo non solo gli porse le chiavi del veicolo, ma gli augurò anche buona fortuna. Loro lo ringraziarono, perché sapevano bene che ne avevano davveri bisogno.

“Sai, Denny, c’è ancora una cosa che non ho capito,” disse Jones, mentre si incamminavano a passo svelto verso l'hangar dietro alla caserma dei pompieri.

“Che cosa?” rispose lei.

“Noi siamo nella regione di Quèbec, ovvero nel Canada Francese.”

“E allora?”

Indy si fermò. La guardò con aria perplessa, dicendo: “Beh, questa è una colonia francese. E, quindi, la loro seconda lingua ufficiale è il francese.”

“E quindi?

Denny fece un sorriso cinico, capendo perfettamente la confusione di Indy. Ma lui non sembrava in vena di scherzare: “Quindi, o tutti parlano inglese in un modo perfetto e io non lo sapevo, oppure sto parlando in francese inconsapevolmente.”

“Diciamo entrambe le cose.”

Denny spiegò che il Tardis poteva tradurre ogni lingua, di qualsiasi civiltà. E poteva farlo persino a distanza.

“Quindi è per questo che capivo ciò che dicevano i membri della finta tribù?”

“Esatto.”

A quel punto, chiarito l'enigma, ripresero a camminare.

“Infatti, ogni volta che in classe avevo il test di francese o di spagnolo, chiedevo al Dottore di restare il più vicino possibile alla mia scuola” continuò la ragazza.

“E io che ho perso tempo a imparare più di venti lingue, compreso il latino” commentò sarcasticamente l’archeologo, facendola ridere.

Quando entrarono nell'hangar, restarono stupiti per quello che vi trovarono, un aeroplano rosso acceso con due posti, senza il tettuccio.

“Wow” esclamò la ragazza, sorpresa   

“Sei mai salita sopra ad uno di questi?” chiese Indy, avvicinandosi al veicolo.

“No, ma ho guidato macchine volanti, moto volanti, una nave spaziale, anche se per breve tempo, giusto per farla uscire da un campo di asteroidi, un galeone spagnolo e un sottomarino.”

“Un sottomarino?” ripeté Indy, con un sopracciglio alzato e l'aria confusa.

“Già. Però, sono stata in varie navi spaziali e in navicelle tutte diverse.” E sorrise.

Indy non poté fare a meno di sorridere a sua volta, prima di salire al posto del pilota; Denny, invece, si posizionò in quello dietro.

“Okay, ma tu sai pilotare un aereo?" domandò Denny

“Pilotare, sì” rispose Indy, iniziando ad accendere il motore. “Atterrare, no.”

Denny pensò a quella risposta per qualche istante; infine, rendendosi conto con spavento di quello che lui le aveva appena detto, quasi urlò: “Che cosa?!”

Intanto, senza badarle, Indy fece avanzare l'aeroplano fuori dall'hangar, per poi iniziare a decollare verso il cielo, che ormai stava cominciando a tingersi dei colori dell'alba.

“Ma sai come fare a raggiungere il tempio, da qui?” domandò lei, guadando in basso e stupendosi per quanto sembrasse piccolo il bosco, visto da lassù.

“Certo, ho guardato la cartina, ricordi? Fra pochi minuti passeremo sopra a Dupain.”

Infatti, pochi minuti dopo, videro il villaggio, che sembrava una piccola miniatura in scala. Videro le case tutte attaccate, il campanile della chiesa e il rifugio dei ranger.

Non poterono fare a meno di sorridere davanti a quel maestoso panorama.

Furono in vista del finto tempio quando il sole era quasi alto.

“Ecco!” disse Denny, indicando con il braccio.

“L’ho visto!” rispose Indy. “Il problema è se ci hanno visto loro.”

“Beh, da qui non si vede nulla che si muova” rispose lei, guardando in basso. “Ma, se fanno un sacrificio, di certo saranno tutti dentro.”

“Allora, se dobbiamo coglierli di sorpresa, atterreremo sul tetto!”

Denny lo guardò con aria spaventata, non perché dovessero scendere proprio sul tetto – del resto, l’idea di “prenderli di sorpresa” era sua - ma al pensiero che stessero atterrando, considerato che, prima, l'archeologo aveva ammesso di non essere capace di farlo.

Così si allacciò per bene la cintura, strinse le mani sotto il sedile e spalancò gli occhi per il terrore.

“Ci siamo!” disse Indy, mentre si dirigeva in picchiata sul tetto, il vento che gli soffiava sul volto e l'edificio che si avvicinava pericolosamente sotto di loro.

Tenendosi stretta, con il cuore che batteva forte, Denny chiuse gli occhi e iniziò ad urlare per lo spavento.

Quando l'aereo si fermò bruscamente, Denny aprì gli occhi e scoprì con vera sorpresa che erano atterrati indenni. Trasse un lungo sospiro di sollievo e si slacciò la cintura.

“Allora, com'è stato il viaggio?” chiese Indy ironicamente, girandosi verso di lei.

Denny cercò di mantenere la calma, sorrise nervosamente e rispose: “Sai? Ho pilotato e guidato un sacco di cose. E non sono nemmeno una grande ‘pilota’. E il Dottore, a volte, pilota il Tardis come se fosse ubriaco di vodka. E lì non vedi dove stia andando. Ma non sono mai stata spaventata di morire dentro ad un veicolo come adesso. Perciò…”

Gli si avvicinò, lo afferrò per il colletto della camicia, lo tirò verso di sé e, con aria minacciosa, gridò: “Invece di imparare le lingue morte, impara a far atterrare un aereo, prima che qualcuno muoia schiantato per causa tua!” quindi lo lasciò andare e cominciò a scendere dall'aeroplano.

Indy era rimasto senza parole. Era la prima volta che gli capitava di vederla arrabbiata - e, di donne infuriate con lui, ne aveva viste veramente tante - così rispose, sconvolto: “Il Dottore aveva ragione. Hai un carattere piuttosto ‘difficile’.” E uscì anche lui dall'aereo.

“E te ne sei accorto solo adesso?” rispose lei.

A quel punto, Indy pensò fosse meglio non aggiungere altro.

Erano entrambi in piedi sopra il tetto dell'astronave convertita in tempio, ma non sapevano come entrarci.

“Adesso?” chiese Indy.

Denny guardò a terra, riflettendo sul da farsi, per poi ricordarsi del cacciavite sonico che il Dottore le aveva messo nella tasca della giacca. Lo prese, si inginocchio a terra e lo puntò contro il pavimento, facendo accendere la luce verde mentre emetteva il suo caratteristico suono elettrico.

“Che diavolo stai facendo?”

“Cerco qualche entrata o qualche botola per riuscire ad andare dentro.”

“Con quello?”

“È il cacciavite sonico” spiegò Denny, fiera: “Apre qualsiasi cosa. A parte il legno.” E fece una risata divertita, anche se quel particolare era vero.

Cacciavite sonico…” borbottò Indy, sorpreso. “Come quello di cui mi raccontò mio padre. Ma, dalle sue descrizioni, era diverso.”

“Beh, si vede che lo cambia dopo ogni rigenerazione. Sai com'è, no? ‘Corpo nuovo, cacciavite nuovo!’.”

Indy fece un mezzo sorriso divertito e non rispose. Dopo un minuto buono, Denny riuscì ad aprire qualcosa, una botola abbastanza grande per permettere il passaggio di una persona, che si trovava in mezzo al tetto.

Entrambi rimasero sbalorditi e si avvicinarono per vedere che cosa ci fosse dentro, ma il vano era completamente buio.

Denny prese la torcia dalla sua tracolla, la accese e puntò il fascio luminoso verso l'interno, scoprendo così che era molto profondo e con le pareti di metallo.

Guardarono stupiti per cercare di capire la profondità.

“Secondo te, dove porta?”

“Non lo so” rispose lei, confusa, rimettendo a posto il cacciavite sonico nella sua tasca e la torcia nella borsa “Spero almeno che non vada dritta nella sala del sacrificio.”

Oramai il sole era parecchio alto nel cielo e, con ogni probabilità, il folle piano di Haska era già in atto, sebbene senza le due pedine principali.

“Chi scende per primo?” chiese Denny, alzando lo sguardo.

Indy ci rifletté un istante e la guardò: si sarebbe aspettato che il suo viso nascondesse a malapena la paura di scendere in una botola buia e scura. Ma il viso di Denny appariva sicuro e determinato, in attesa di una sua risposta.

“Vado prima io” propose Indy. Poi, aspettare la risposta, si appoggiò a terra e saltò dentro.
Denny, invece, si sedette sul bordo della botola e rimase immobile per alcuni secondi.

Alla fine, però, dopo aver fatto un lungo sospiro di incoraggiamento, gridò: “Geromino!” e saltò dentro.

Scivolò dentro cercando di non urlare, ma chiuse gli occhi per la tensione e aspettando soltato di raggiungere la fine di quel tunnel il più presto possibile. Finalmente si fermò e urtò duramente contro qualcosa, sentendo un gemito.

“Indy?” chiese lei, speranzosa.

“Sì…” bofonchiò l’archeologo, un po’ dolorante.

Denny sospirò di sollievo e gli chiese se stesse bene.

“Sì. Ma, di preciso, che posto dovrebbe essere, questo?” disse lui, un po’ irritato.

La ragazza, che aveva le gambe sulla pancia di Indy, cercò di spostarsi, ma non ci riuscì, perché lo spazio era davvero ristretto. Anche lui era quasi impossibilitato a muoversi, ancora più di lei, essendo più alto.

“Credo che siamo in un condotto dell’aria” replicò lei, prendendo la torcia e accendendola.

“Un condotto per l’aria?”

“Beh, anche gli alieni hanno bisogno di cambiare l'aria alle loro astronavi.”

“Va be', meglio essere bloccati dentro un condotto dell’aria, piuttosto che dentro a quello della spazzatura.”

La ragazza fece un breve risata, per poi domandò se avesse notato un altro passaggio o qualche fessura.

Indy rispose che c'era una fessura che, a quel che avevo capito, doveva essere l'apertura di una botola; ma era bloccata ed aveva invano cercato di aprirla.

“Allora, prova con questo.” Denny gli passò il cacciavite sonico.

“E che cosa dovrei farci?”

“È il cacciavite sonico del Dottore che, come ti ho detto prima, può aprire qualsiasi cosa, tranne il legno.”

“Perché ‘tranne il legno’?”

Denny fece spallucce, limitandosi a dire: “Perché il legno non è sonico” come se fosse stata la cosa più ovvia del mondo.

Indy fece finta di capire e la ragazza gli spiegò brevemente come funzionasse, così l’archeologo puntò il cacciavite agli angoli della fessura, svitando le varie viti; alla fine, diede una gomitata all'oggetto e lo fece cadere di sotto, per poi scendere con abilità. Alla fine, aiutò anche Danny a raggiungerlo.

“Se c’è qualcosa che odio di essere bassa, è scendere dai posti alti!” disse lei, paziente.

“Almeno siamo usciti da lì” rispose con soddisfazione l'archeologo, lanciando in aria il cacciavite sonico e riprendendolo al volo, per poi riconsegnarlo a Denny.

“Ringrazia i Signori del Tempo e la loro tecnologia!” replicò lei divertita, rimettendolo nella borsa.

Iniziarono a guardarsi intorno e scoprirono di essere stati fortunati: erano ritornati nella sala di pilotaggio della nave.

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Capitolo 36
*** Do they want a sacrifice? ***


Capitolo 36
Do they want a sacrifice?
 

“Wow! Questo sì che è fortuna!” commentò, Denny un po’ divertita.

“Sì, un po’ troppa fortuna” aggiunse Indy, dubbioso. “Le armi” disse subito, mostrandosi parecchio serio.

La ragazza non se lo fece ripetere e afferrò dalla borsa due teaser; uno lo tenne per sé e l'altro lo passò al compagno.

Si incamminarono verso la consolle, ma non poterono compiere molti passi, perché presto risuonarono delle voci che gridarono: “Fermi!”

Si girarono di colpo e videro le due guardie Sillulane, ritornate in versione umana.

Restarono fermi a guardali e, mentre i mutaforma si avvicinavano con aria minacciosa, Indy afferrò il teaser e riuscì a colpirne uno al primo colpo, stordendolo con una scossa elettrica blu, che lo fece crollare a terra.

Denny fece la stessa cosa, approfittando della confusione del suo compagno per stordirlo a sua volta con un vero colpo da maestro.

“Bel colpo!” approvò Indy, soddisfatto, infilando la pistola nella cintura, dietro alla schiena. “Per essere una che non vuole uccidere, hai una buona mira."

“Pensi che sia la prima volta che uso un’arma da difesa?” rispose lei, guardandolo con un sorriso soddisfatto e rimettendo il teaser in borsa.

“Quindi non sono morti?” chiese lui, perplesso. 

“No. Te l’ho detto, questo è un teaser. Questo tipo di armi raramente uccidono. E sono certa che adesso si sitando facendo un bel sonnellino.”

“E per quanto tempo ‘dormiranno’?”

“Beh, di preciso non saprei dirlo, ma comunque abbastanza a lungo da permetterci di andarcene via da qui insieme al Dottore, River e il Tardis.”

Denny prese dalla borsa le bombe magnetiche e le passò a Indy, dicendogli di metterle sulla console, e ne prese altre due per sé.

Così, attaccarono le calaminte in punti differenti della console, compreso il grande pulsante rosso che vi era sopra. E, dopo, la viaggiatrice del tempo afferrò il telecomando delle bombe e posizionò il timer.

“Okay. Le bombe sono attive. Quando premerò il pulsante del telecomando, il timer partirà, ma quando arriverà a zero noi saremo già al sicuro, lontani da qui.”

“E che cosa succederà alla nave, quando le bombe si attiveranno?” chiese Indy, perplesso, tenendo le mani sui fianchi.

“Nel migliore dei casi? Tutti i comandi della nave si distruggeranno e, contemporaneamente, inizierà a collassare su se stessa.”

“E nel peggiori dei casi?”

“Esploderà, disintegrandosi completamente.”

Indy fece un lungo sospiro e ghignò, rispondendo: “Sei fortunata che ci sono abituato, a queste cose.”

“Credimi: penso di aver fatto l'abitudine a cose ben peggiori” aggiunse la ragazza.

Indy sollevò lo sguardo verso lo schermo e notò delle cose insolite. Uno schermo mostrava la finta tribù – almeno cinquecento persone o anche di più - radunata di fronte al tempio; erano tutti in piedi e sembravano acclamare qualcosa, ma i filmati erano senza audio e non si capiva bene che cosa stessero facendo.

Sul secondo schermo c'era la scritta che aveva visto la prima volta, mentre quello centrale mostrava qualcosa di ancora più insolito.

“Denny, guarda!” disse Indy, indicando lo schermo.

Lei alzò lo sguardo osservando le immagini con aria spaventa: la baronessa Haska, ritornata ad assumere le sue sembianze umane da sacerdotessa, si trovava davanti a River e al Dottore, entrambi in ginocchio, uno accanto all’altra con le mani legate e con aspetto parecchio stanco Sembrava che la sacerdotessa stesse dicendo qualcosa, con il volto illuminato dalla luce accesa del Tardis che, però, non era visibile sullo schermo.

L’aliena aveva le braccia sollevate e le mani occupate: quella destra stringeva il suo scettro, mentre nella sinistra teneva una lancia con il manico di legno e la punta d’oro, parecchio affilata.

I due compagni d'avventura guardarono scena molto preoccupati, con gli occhi spalancati e le bocche semiaperte.
“Che stanno facendo?” chiese Denny, timorosa.

“Sembra che stiano compiendo una specie di rituale” rispose l’archeologo, guardando confuso la scena. “Un rituale sacrificale.”

“Ma non può ucciderli!” gridò Denny, spaventata.

“Loro sono gli unici che sappiano pilotare il Tardis, e inoltre ciascuno di loro conosce preziosi segreti e dettagli diversi. Quindi, mantenerli in vita sarebbe un doppio vantaggio per lei, come ci ha spiegato River! Tutto questo non ha senso!”
“Forse, tramite il sacrificio, sperare di evocare qualcosa, come una dea maligna…”

Indy guardò Denny, mentre lei non riuscì mai a staccare lo sguardo dallo schermo.

“Dea della luce… sacrificio… quattro estranei… dea maligna…” pensò Denny, guardando le bombe. All'improvviso, le venne un'illuminazione “Indy! So come possiamo salvarli!”

“Come?” chiese lui, incuriosito.

“Vogliono un sacrificio umano? Beh, lo avranno!” e sorrise con molta convinzione.

Indy la fissò confuso, sentendosi crescere dentro un senso di inquietudine: qualsiasi cosa avesse in mente la ragazza, era certo che gli avrebbe portato un sacco di guai.

“E tu sarai il mio addetto alle ‘quinte’” continuò lei, sorridente.

L’archeologo la guardò confuso, con un sopracciglio alzato, poi fissò le bombe e il telecomando e iniziò a capire…

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Capitolo 37
*** The evil goddess ***


Capitolo 37
The evil goddess
 

“Io ti evoco, dea nera dell'oscurità!” urlò Haska, tendendo le braccia verso la luce bluastra.

“Evoco la tua forma umana! Affronta la tua morte per la nostra dea della luce, per salvare la vita a queste due giovani anime confuse.” E, con lo scettro, indicò il Dottore e River, che la guardarono con aria inespressiva.

“Quindi mostrati a noi! Oppure noi saremo costretti ad uccidere queste anime per la nostra salvezza, per riceverla dalla nostra misericordiosa dea.”

“Volgiti a noi e…”

Una voce interruppe il suo discorso, urlando: “SONO QUI, SACERDOTESSA HASKA!”

La tribù, sconcertata, si girò verso l'entrata del tempio: era Denny, a pugni chiusi, senza la giacca, con la camicia azzurra, le maniche arrotolate fino ai gomiti e i capelli tirati dietro alle spalle, senza borsa, il viso duro.

Le persone iniziarono a mormorare tra di loro, mentre Haska rimase davvero stupita della sua presenza, ma anche soddisfatta e convinta che il suo piano sarebbe andato a buon fine. Il Dottore e River, invece, si guardarono preoccupati, pensando alla stessa cosa: Dov'è finito Indy?

“Sono l'incarnazione umana della dea oscura. Sono pronta a morire con dignità per unirmi alla dea Iscal” iniziò a dire Denny con tono basso e sicuro, rivolta verso la baronessa.

Gli occhi di tutti i presenti erano puntati verso di lei, mentre Haska sorrise soddisfatta, sfoggiando un sorriso malefico.

“Quindi mi sacrifico a te, grande sacerdotessa Haska. Per il bene della luce.”

Arrivò fino all'altare sacrificale, dove era ferma la mutaforma compiaciuta.

“Bene, grande dea oscura, sono felice che tu abbia accettato la tua fine per il bene del nostro popolo.” E indicò teatralmente le persone con il braccio libero.

“A meno che tu non decida di liberare queste due povere anime... sarebbe un grande ‘peso’ doverle sacrificare perché tu ti sei sottratta…” con lo scettro indicò River e il Dottore legati.

Denny lanciò loro un breve e veloce occhiata, notando che entrambi avevano il viso parecchio preoccupato, quasi terrorizzato. Avrebbe voluto dirgli di non spaventarsi, che tutto sarebbe andato bene, ma non poteva, perché altrimenti avrebbe rovinato il piano.

Si girò di nuovo verso la mutaforma e rispose con fermezza: “No.”

“Voglio essere sacrificata alla dea benevole della luce, per salvare me e il nostro popolo dalle grinfie delle tenebre.”

Haska fece un ghigno ancora più malvagio, dicendo: “Bene, allora sdraiati sull'altare e accogli nel tuo petto l’antico pugnale di Silullen.” Da dietro la schiena estrasse un pugnale d'argento con il manico rosso, che appoggiò sopra l'altare di pietra.

“Con piacere,” rispose Denny con un mezzo sorriso. “Ma, prima…”

Si girò verso il popolo tenendo la testa rivolta verso e l'alto e gridando con tutto il fiato che aveva in corpo: “Indy! Adesso!”

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Capitolo 38
*** The Great Escape ***


Capitolo 38
The Great Escape


 

Tutti rimasero confusi, guardandosi intorno con aria perplessa.

“Cosa?!” urlò Haska seguendo verso l'alto lo sguardo di Denny.

E, in quello stesso momento, si sentì risuonare un forte rumore elettrico che fece trasalire tutti, compresa la stessa mutaforme.

Denny approfittò dell’attimo di distrazione dell'aliena per spingerla a terra, strapparle di mano lo scettro e puntarglielo sulla spalla, dandole subito una forte scossa.

Non appena quella ebbe perduto i sensi, corse da River e dal Dottore gridando i loro nomi e, con il cacciavite sonico, li liberò dalle catene.

“Denny!” esclamò il Dottore, alzandosi e abbracciandola.

“Stai bene?” le chiese poi sollevato, dopo che l'ebbe lasciata andare.

“Sì, sto bene! E voi?” rispose lei con lo stesso tono.
“Sì, stiamo bene” la rassicurò River. “Ma dov'è Indy?”

“E che cosa era quel suono?” aggiunse il Dottore, guardandosi attorno.

Denny spiegò velocemente tutto il piano che aveva ideato: dopo aver messo le bombe magnetiche sulla console dei comandi della navicella, lei si sarebbe “offerta” come sacrificio umano, mentre Indy si sarebbe nascosto nei pressi della “sala del trono”; poi, quando lei gli avesse dato il suo segnale, avrebbe premuto il pulsante del telecomando per attivare le bombe e, a quel punto, avrebbero avuto cinque minuti di tempo prima che tutte e quattro si innescassero definitivamente e le bombe iniziassero a distruggere i primi comandi.

Oh, Denny! Fantastica Denny!” disse il Dottore soddisfatto, con un sorriso gioioso stampato sul volto.

“Lo so, ma senza Indy non sarei mai riuscita ad arrivare fin qui” ammise Denny, ricambiando il sorriso.

“Guadate!” disse River all'improvviso, indicando la folla. Si girarono entrambi e restarono con gli occhi spalancati.

La tribù aveva iniziato a mutare in maniera rapida e chiaramente percettibile finché, nel giro di pochissimi minuti, tutti quanti tornarono ad acquisire il loro vero aspetto: uomini, donne, bambini e anziani dalla pelle bianca, capelli tra il rosso chiaro e scuro, barbe e vestiti pesanti per gli uomini e abiti lunghi e capelli raccolti in trecce per le donne.

Tutti si guardarono attorno confusi, mentre anche la stanza iniziava a cambiare, passando dal marrone scuro delle pareti del tempio all'argento del metallo dell'astronave Silliana; e, ovviamente, quella trasformazione inaspettata li gettò nel panico.
Il Dottore si mise davanti a loro, urlando il più forte possibile: “ASCOLTATEMI TUTTI!”

Tutti i presenti si voltarono verso di lui e cominciano ad ascoltare le sue parole: “Voi siete i cittadini della stupenda Dupen! Il vostro ranger è molto preoccupato per voi! Quindi, uscite subito da qui, corrette dritti lungo la discesa e, quando qualcuno vi chiederà dove siete stati, rispondete soltanto che ‘ è stato un brutto sogno’!”

Fece una pausa per guardarli, poi riprese a parlare.

“Quindi, corrette subito fuori da qui, in una fila ordinate e, soprattutto, senza farvi prendere dal panico!”

Non appena il Dottore ebbe finito il suo discorso, i cittadini iniziarono subito a correre impauriti e urlanti verso l'uscita, scomparendo nel giro di nemmeno un minuto.

“E meno male che hai detto ‘niente panico’” commentò Denny, sarcastica.

Ormai erano rimasti da soli e il finto tempio si era rivelato per quello che era in realtà: un'astronave grande e vuota, illuminata da una luce bluastra al neon, accompagnata da un forte suono elettrico che si propagava nell'aria. E, dietro di loro, c'era il Tardis.

“Sexy!” urlò in preda alla gioia il Signore del Tempo, abbracciando la macchina senza che ci fosse più nessuna rete elettrica invisibile ad impedirgli di raggiungerla.

“Oh, sexy! Quanto mi sei mancata! Ti prometto che, da adesso in avanti, nessun ti rapirà mai più. Promesso!” e restò fermo a tenerla abbracciata.

Denny e River si guardarono negli occhi divertite.

“Dovremmo per caso essere gelose?” chiese la ragazza.

“No. Tanto non avremmo mai avuto alcuna speranza, contro di lei” rispose River divertita, prima che entrambe scoppiassero a ridere.

Quando sentirono un forte scossa far tremare tutta la stanza, però, ricominciarono a preoccuparsi.

“Dottore, mi sa che l’astronave sta per crollarci tutta addosso!” gridò Denny, allarmata.

“No!" replicò lui, alzando gli occhi e volgendo uno sguardo tutto attorno. "È molto peggio: sta decollando per autodistruggersi dello spazio!”

“Cosa?!”

“Forza! Tutti dentro!”

Il Signore del Tempo aprì la porta e River corse dentro insieme a lui, mentre Denny si guardò attorno alla ricerca di Jones, apparendo molto preoccupata per la sua assenza: “INDY! IN QUALUNQUE POSTO TU TI SIA NASCOSTO, LASCIALO SUBITO E VIENI DENTRO ALLA CABINA TELEFONICA BLU, ALTRIMENTI MORIRAI, PERCHÈ QUESTO AFFARE STA PER ESPLODERE IN MEZZO ALLO SPAZIO!”

Detto questo, la ragazza corse a sua volta verso la macchina del tempio, ma avvertì una forte e improvvisa scossa dietro la schiena, che la fece urlare di dolore. Era Haska.

“Denny!” gridò il Dottore, avviandosi verso di lei insieme a River.
“Non avvicinatevi!”

Haska teneva la ragazza con il braccio destro stretto attorno al collo, mentre con quello sinistro minacciò i due viaggiatori con il coltello affilato destinato al sacrificio. Aveva ripreso la sua forma originale di rettile mutaforma, con aria infuriata e occhi iniettati di odio.

“Se dovrò morire senza i miei schiavi, e senza il Tardis, almeno avrò il mio sacrificio umano!” Alzò il braccio in alto, pronta a colpirla in pieno petto, urlando: “Morirai per la furia di Haska! Stupida insulsa ragazzina!”

Era davvero sul punto di pugnalarla, ignorando del tutto le urla disperate del Dottore, mentre River cercava di tenerlo fermo per evitare che si scontrasse con lei.

Ma a un certo punto la mano della rettiliana si bloccò, ritrovandosi il polso legato da una frusta marrone che la teneva ferma a mezz’aria, tirandola all'indietro.

“Non lo farai!” ordinò una voce dura.

La rettiliana rimase ferma, stringendo ancora più saldamente il suo ostaggio, mentre River e il Dottore videro Indy con la frusta in mano.

“Lei non è né stupida né insulsa e, soprattutto, non è una ragazzina!”

Indy aveva gli occhi stretti e il viso serio, contratto in una smorfia rabbiosa, e la frusta saldamente tra le mani. Haska lo guardò con furia e i due viaggiatori del tempo sorrisero di sollievo.

“E questa ragazzina sa anche difendersi!”

Con una mossa fulminea, Denny riuscì a liberarsi della sua stretta, dandole una gomitata nello stomaco; la nemica gemette di dolore, tirando la frusta con così tanta forza da costringere l’archeologo a lasciare la presa; l'impugnatura saettò in avanti e fece una piroetta sopra le loro teste, cadendo poi a terra.

Denny raccolse il suo scettro elettrico e, come già aveva fatto prima, la fulminò sulla spalla, facendole perdere un'altra volta i sensi.

“Così, siamo pari!” disse arrabbiata, gettando lontano lo scettro e il pugnale, per poi mettersi a correre verso al gruppo.

“Dottore, abbiamo meno di sessanta secondi prima che la bombe esplodano” disse Indy concitato, guardando il display del telecomando.

“Non esploderà, è stata attivata l’autodistruzione: la nave partirà verso lo spazio e soltanto quando sarà in orbita si distruggerà!” spiegò il Dottore.

“Almeno, per una volta, non esploderà sul posto” aggiunse River con sarcasmo.

“Ma... e loro?” chiese Denny, indicando Haska.

“Andate…” rispose lei debolmente.

Tutti la guardarono rimanendo stupiti, perché adesso sembrava diversa: il corpo abbandonato sul pavimento, la testa alzata con fatica, il viso distrutto e la voce debole.

“Ci avete sconfitti… e noi accettiamo la sconfitta... e con essa la morte. E sono lieta di morire con la mia nave…” E, per la prima volta, fece un vero sorriso, un sorriso malinconico e sincero.

Tutti rimasero stupiti nel sentire quelle parole pronunciate proprio da lei, così profonde e sincere.

“Ma…” cercò di dire il Dottore dispiaciuto, facendo segno di volersi avvicinare a lei.

“Lasciatemi qui!”

L’alieno si fermò di colpo.

“Come ha detto la sua amica: ‘siamo pari'. Voi avete vinto e noi abbiamo perso. Ma noi non possiamo convivere con una sconfitta così grande, perché sarebbe peggio di qualsiasi condanna a morte. Perciò, voglio morire con il mio equipaggio, in mezzo allo spazio, dentro alla nostra casa…”  E guardò in basso con un sorriso triste.

Denny e il Dottore provarono vivo dispiacere e pietà nei suoi confronti. River guardò in basso, con aria inespressiva, mentre Indy sembrò davvero confuso per la situazione che si era creata e per quelle parole.

Dopo tutto quello che era successo, si chiedeva come potessero provare “dispiacere” per un essere come lei.

“Ma sono soddisfatta per aver sfidato l’ultimo Signore del Tempo e per essere quasi riuscita a sconfiggerlo.” Alzò la testa, con un sorriso e con gli occhi lucidi.

“Dottore, trenta secondi…”

“Andate.”

“Ma…”

“Andate!” urlò Haska. “Altrimenti, la mia morte sarebbe inutile!”

Il gruppo la guardò ancora per qualche momento, finché Indy, che non vedeva l'ora di tagliare la corda, ricordò che avevano a disposizione meno di venti secondi prima che la nave decollasse.

Così il Dottore urlò a tutti di sbrigarsi a entrare nel Tardis.
River e il Dottore si precipitarono subito all'interno, mentre Denny afferrò la mano di Indy e lo trascinò dentro.

Non appena furono tutti dentro e la porta fu richiusa alle loro spalle, Jones si guardò intornò con gli occhi spalancati e la bocca aperta.

“È decisamente diverso da come mio padre me lo aveva descritto.” 
 

 

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Capitolo 39
*** Sexy ***


Capitolo 39
Sexy
 

All’interno del Tardis, praticamente nulla era simile a ciò che il vecchio Jones aveva descritto tante volte al figlio –tranne per il fatto che all'interno fosse molto più grande di come apparisse all'esterno: infatti, non era affatto bianco lucente, quasi del tutto privo di arredamento e con una grande console con sopra un lungo tubo che conteneva una sfera.

Al contrario, era una gigantesca stanza di un arancione acceso, da cui si dipartivano numerose scale che conducevano ad altrettante porte; la console marrone scuro e il tubo cilindrico c'erano, ma attorno ad essi erano disposti dei sedili imbottiti. Inoltre, c'erano anche “le cose tonde” tutto attorno alla stanza.

River e il Dottore stavano trafficando con i comandi della consolle, mentre Denny si era fermata al loro fianco.

“Indy, quando tempo ci rimane?” chiese la ragazza, guardandolo.

Lui, tutto preso dalla contemplazione di quel luogo meraviglioso, non udì la domanda, ma quando lei lo ebbe interpellato per la seconda volta, Jones guardò il telecomando e rispose: “Meno di dieci secondi.”

“Okay! Motori?” chiese il Dottore a River.

“Accesi.”

“Coordinate?”

“Inserite.”

“Freno a mano?”

“Abbassato”

Il Dottore la guardò divertito per la sua affermazione, poi tirò una leva e gridò: “Tirato!” con un sorriso vittoriosa, mentre la donna alzò gli occhi al cielo con pazienza, facendo scoppiare a ridere Denny.

Indy, invece, rimase fermo vicino all'ingresso, con gli occhi spalancati per la sorpresa, senza smettere neppure per un istante di gettare tutto attorno occhiate meravigliate e ammirate.

Non solo era appena entrato in una stanza che, dall'interno, appariva molto più grande che all'esterno, bensì si trovava a bordo di un'astronave/macchina del tempo a dir poco incredibile. Ed era lo stesso luogo che suo padre aveva visitato prima di lui, quello che lui aveva sempre creduto fosse solamente una storia assurda che si era inventato per raccontargliela quando era bambino.

Nel momento stesso in cui l’alieno abbassò una leva, sentì risuonare un forte suono che non sarebbe riuscito a descrivere.

“Dove stiamo andando?” chiese Denny.

“Fuori, per vedere l’astronave” rispose l’amico, per poi alzare la stessa leva, facendo udire lo stesso suono di prima.

Quando si udì soltanto il silenzio, Indy rimase confuso.
“Siamo atterranti?” chiese.

“Sì. Siamo atterrati” confermò River, mentre tutti e quattro si dirigevano a passo svelto verso l’uscita.

Uscino dal Tardis e si ritrovarono nei boschi che ricoprivano le alture attorno a Dupain, da dove poterono ammirare lo spettacolo dell’astronave in decollo, che si sollevò nel cielo fino a quando divenne sempre più difficile da vedere.

Il gruppo osservò la scena senza parlare, con gli occhi fissi nel blu. Ad un certo punto, videro qualcosa volare lentamente verso di loro, cadendo esattamente ai piedi di Indy. Era il cappello marrone dell'archeologo, che lo raccolse e se lo mise in testa con parecchia soddisfazione.

“Dottore?” ruppe il silenzio Denny, senza mai staccare gli occhi dall'astronave, ormai quasi ridotta a un puntino lontano.

“Sì?”

“So che può sembrare un po’ ridicolo ma, dopo tutto quello che è successo, sai che cosa mi è venuto in mente?”

“Che cosa?”

“La sigla di ‘Ducktales’!”

L’alieno si girò verso di lei con aria dubbiosa.

“Sì. La sigla della serie animata ‘Ducktales’” continuò Denny, con un gran sorriso. Quasi subito, iniziò a canticchiarla:
 
“Life is like a hurricane, here in Duck - burg
Race cars, lasers, aeroplanes it's a, duck - blur!”
 
Anche il Dottore sorrise e iniziò a canticchiare insieme a lei, e dopo qualche istante al coretto un po' stonato si aggiunse anche River.

Indy, perplesso, li osservò mentre canticchiavano quel motivetto che lui non aveva mai sentito prima e, quando tutti e tre scoppiarono a ridere con felicità, non riuscì a fare a meno di unirsi a loro.

“E ora che cosa facciamo?” chiese Denny.

“Beh, dovremmo assicurarci che gli abitanti di Dupain stiano bene e aiutare il ranger a spiegare loro che cosa sia successo…” rispose il Signore del Tempo.

“Di questa faccenda me ne occupo io” disse River, convinta.

“Ne sei sicura?” chiese l’amica.

“Sì, voi avete andate pure, avete già fatto molto. Io, invece, vorrei dare una mano al ranger e poi ritornare alla mia cella.” E fece un sorriso sicuro.

“Ma, River…”

“Tranqullo, Dottore, non ci metterò molto. Promesso.”
I due viaggiatori del tempo si scambiarono dei sorrisi sicuri.

“Allora, ti servirà questo” disse Denny, togliendosi di tasca il manipolatore del vortice e consegnandolo alla sua vera proprietaria.

“Grazie” rispose lei, prendendolo e rimettendoselo al polso, per poi stringerla in un abbraccio.

“È stato bello rivederti, River.”

“Anche per me, Denny.”

Rimasero abbracciate a lungo, finché River la lasciò andare e, guardandola negli occhi, aggiunse: “Mi raccomando, sii sempre la solita combattiva e proteggi il Dottore dalla sua stessa impulsività.”

La giovane rise divertita, dicendo: “Lo farò.”

Si scambiarono un ultimo sorriso e la donna andò davanti ad Indy. “Professor Jones, è stato davvero un grande onore lavorare con lei.”

Indy ricambiò il sorriso che lei gli aveva rivolto, rispondendo: “Anche per me, dottoressa Song.”

Si strinsero le mani, senza smettere di sorridersi, poi lei si avvicinò al suo viso e gli sussurrò in un orecchio, in maniera che soltanto Jones potesse sentirla: “Sa? Se non fossi sposata, avrei fatto un piccolo pensierino su di lei.”

Indy fu alquanto sorpreso da quelle parole, tanto che non seppe che cosa risponderle, limitandosi a farle un occhiolino complice. Si scambiarono un ultimo sguardo d'intesa, poi River andò dall'alieno.

“È stato bello combattere nuovamente insieme a te. E spero di rivederti il più presto possibile.”

“Lo spero anch'io.”

Si guardarono con aria dolce, finché River si avvicinò al suo viso, baciandolo piano sulla guancia e aggiungendo a bassa voce: “Ciao, dolcezza.”

Il Dottore sorrise, mentre lei si allontanò, lanciò un'ultima occhiata di saluto a tutto il gruppo, schiacciò un tasto del manipolatore e scomparve davanti ai loro occhi.

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Capitolo 40
*** A moment of relaxation ***


Capitolo 40
A moment of relaxation
 

Dopo i saluti di River, il trio ritornò dentro al Tarids.

Il Dottore lo mise in moto, mentre Indy iniziò a gironzolare attorno alla console, stando attento a non toccare niente ma guardando tutto incuriosito, mentre Denny si mise a sedere sul sedile imbottito con aria stanca.

Per un po' rimasero tutti in silenzio, finché la ragazza si ricordò una cosa. “L’aeroplano dei pompieri!" esclamò, battendosi una mano sulla fronte. "È rimasto sopra il tetto della nave dei Silulleani.”

“Beh, vorrà dire che ci daranno per dispersi” rispose Indy, senza staccare gli occhi meravigliati dalla console.

Denny fece spallucce e chiuse gli occhi, appoggiando i gomiti sulle cosce e le mani sulle guance. Sospirò per la stanchezza.

“Ora dove andiamo?” chiese l’archeologo, guardando l’alieno.

“Se vuole, possiamo ritornare subito alla sua università.”

“Io vorrei solo andare in un bel posto e rilassarci un po’” soggiunse Denny.

In quel momento, il Tardis iniziò ad atterrare emettendo il suo solito suono, sorprendendoli tutti e tre.

“Siamo già arrivati?” chiese Jones, confuso.

“A me sembra un po’ troppo presto” rispose la ragazza.

“Beh, andiamo fuori a vedere” propose il Dottore, avviandosi verso l'uscita.

I due lo seguirono e uscirono insieme. Denny e il Dottore furono subito felici del panorama che si trovarono di fronte, mentre Indy non riuscì a crederci.

Erano davanti a un grande e maestoso lago, con un'alta montagna rocciosa che svettava in lontananza dietro di loro, oltre delle coline verdi. Il cielo era blu e limpido, il sole alto e il vento soffiava leggero e profumato.

“Dove… dove siamo?” chiese Jones, guardando il Dottore.

“Nelle Highlands! In Scozia” rispose Denny, felice.

“Già, più di preciso,” continuò il Dottore, facendo un lungo respiro profondo, “a giudicare dall’aria fresca della primavera, siamo nel XVIII secolo. Più di preciso, nel 1750.”

“Siamo nella Scozia del Settecento?!” esclamò Indy, sconvolto.

“Sì. E siamo anche vicino alla città di Alness.”

“Quella che abbiamo salvato da quei robot camuffati che volevano manipolare tutti gli abitanti?” chiese subito la
ragazza, entusiasta.

“Esatto! Dove c’è anche Jamie.”

La ragazza rise e rientrò del Tardis, dicendo: “Vado subito a cambiarmi! Spero che tu abbia qualcosa per lisciarmi i capelli.”

Il Dottore la seguì, rispondendo: “Ma stai così bene, con quei capelli.”

“Ma se manca poco per avere la stessa acconciatura di ‘La moglie di Frankenstein’!”

“Eppure, lei aveva capelli così unici!”

Indy ignorò la loro discussione, che sentiva in lontananza. Continuava ad ammirare quel paesaggio maestoso, così immensamente lontano da casa e da tutto ciò che conosceva.

Dentro di sé, provava una bella sensazione di sollievo e di calma. Era la prima volta che gli capitava, da quando aveva incontrato quei due strampalati viaggiatori.

Anche se, doveva riconoscerlo, era finito in una situazione ancora più strana di quella che si era appena conclusa. Ma, almeno, questi era un posto sicuro. Sorrise, ma fu un sorriso breve, perché dopo qualche istante si mise a pensare a suo padre.

A interrompere le sue riflessioni fuono Denny e il Dottore, che lo raggiunsero, dicendogli che, se li avesse seguiti, gli avrebbero mostrato il centro abitato.

Dopo venti minuti a piedi, arrivarono al villaggio, e subito un bambino gridò a tutti gli abitanti che i loro salvatori erano di ritorno.

Denny e il Dottore ricambiarono i loro saluti e sorrisi, mentre Indy, restando un po' in disparte, guardò tutta la scena con una certa confusione.

Quando si fermarono nella piazza  centrale della cittadina, furono raggiunti dal capo villaggio, John Aclos, che indossava il kilt con i colori del suo clan. Era basso, stempiato, ma con delle grandi basette grigie, ed era accompagnato dalla moglie, alta e parecchio larga. Entrambi salutarono i loro salvatori e il loro nuovo amico con grande gioia.

Poco dopo, arrivò anche un giovane ragazzo, alto, atletico, di bell'aspetto, con i capelli mossi e rossi e gli occhi blu; era vestito con il kilt, una camicia e un gilè.

Abbracciò Denny con molta felicità. Anzi, fu talmente contento di vederla che, stringendola, la sollevò da terra, facendola scoppiare a ridere.

“E… quello chi sarebbe?” chiese Indy a bassa voce, rivolgendosi al Dottore.

“Oh. Quello è Jamie. Il taglialegna del posto. Il primo bacio di Denny” rispose con un sorriso, parlando anche lui a bassa voce.

“Ah. Ed è stata la ‘prima volta’ anche su qualcos’altro?” chiese Jones, notando gli occhi ammiccanti e i sorrisi un po’ maliziosi che si scambiarono i due giovani.

“In che senso?”

L’archeologo lo guardò confuso. Ma, presto, capì che l’essere più antico dell’universo, riguardo certe questioni, era parecchio ingenuo. Fece un cenno di diniego con la mano.

“Non importa…”

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Capitolo 41
*** Different and Equal ***


Capitolo 41
Different and Equal
 

Si fece sera e gli abitanti del villaggio organizzarono una festa in onore dei loro visitatori nella locanda del paese: uomini e donne si riunirono per ballare e bere insieme con allegria.

Denny e il Dottore erano al centro del locale, intenti a dimenarsi in balli di gruppo insieme al Capo villaggio e a sua moglie, che continuava a guadare il Signore del Tempo con aria ammiccante.

Denny si era cambiata: adesso indossava una camicia femminile a maniche lunghe a sbuffo, che lasciava le spalle scoperte, un bustino nero di pelle, una gonna a baldacchino a motivi scozzesi, delle calze nere e avvolgenti e un paio di stivaletti bassi dello stesso colore.

L’archeologo, invece, era seduto in disparte a un tavolo in fondo alla locanda, da solo, bevendo un boccale di birra e tenendo la testa bassa. Non si era cambiato e portava i soliti vestiti mezzo squarciati e il suo capello in testa.

Aveva l’aria inespressiva, ma ogni tanto alzava lo sguardo verso i suoi amici, intenti a ballare e a divertirsi al suono della musica, anche se sembrava non vederli.
Dopo qualche minuto, una voce lo richiamò: “Ehilà, professore!”

Indy alzò lo sguardo e guardò il Signore del Tempo che gli si avvicinava e gli si sedeva accanto.

“Che ci fai qui, tutto solo? Perché non vieni a ballare con noi? Credo che qualcuno ne sarebbe davvero felice.”

Con la testa, accennò a un piccolo gruppo di ragazze che, dall'altro capo della stanza, guardavano Indy con occhi dolci.

“Grazie. Ma ora non ho tanta voglia di ballare. E, poi, conosco fin troppo bene la ‘salute’ delle persone del XVIII secolo. Quindi…” e bevve un lungo sorso di birra.

“Beh, un ballo non ti farebbe certo ammalare! Inoltre, dopo tutto quello che hai fatto, ti meriti di divertirti un po’.”

“Sicuro? Non penso di aver fatto molto, dopotutto.”

“Sei stato sempre accanto a noi in una storia a cui non credevi, ci hai aiutati e hai sostenuto Denny in una situazione difficile. Hai lavorato insieme a noi e te ne sono grato.”

“Beh, hai detto che c'era un lavoro da fare insieme e l’abbiamo fatto” fu la brusca risposta, prima che l'archeologo si chiudesse di nuovo nel suo ostinato silenzio.

Il Dottore rimase confuso da quella scena muta da parte di Indy.

“C’è qualcosa che non va?” chiese l’alieno, un po’ preoccupato.

“Lei ha conosciuto mio padre. Non è vero?” chiese di scatto l'archeologo, guardandolo negli occhi.

Il Signore del Tempo rimase stupito dalla schiettezza di Indy. Fece un lungo sospiro, rispondendo: “Sì. Ho conosciuto Il professor Jones tanti anni fa. All'epoca, come dire, avevo un altro ‘aspetto’…

“Lo so. Denny me l'ha già spiegato” tagliò corto Indy.

“E, allora, immagino che tu conosca già la storia.”

“Già. Anzi, la conosco talmente tanto che c'è stato un periodo un cui avrei voluto strangolarlo, dato che me la raccontava fino a sfinirmi.”

Il Dottore fece un breve risata. Ma Indy no.

“Però, volevo chiederti una cosa” disse Jones, con tono serioso. “Tu hai chiesto a Denny di venire con te nei tuoi viaggi, giusto?”

L’alieno parve confuso per quella domanda “Sì. Perché?”

“Hai fatto quella stessa richiesta anche a lui?”

Il Dottore, in un primo momento, fu ancora più confuso da queste parole, ma presto ne capì il motivo. Sospirò e rispose “Sì. L’ho chiesto anche a tuo padre, se desiderasse venire con me per viaggiare nel tempo e nello spazio. Però, mi ha detto di no…”

Indy lo guardò con aria sorpresa: suo padre non aveva mai parlato di questo particolare e non riusciva proprio ad immaginare quel vecchio topo di biblioteca a viaggiare a bordo di una macchina del tempo in compagnia di un extraterrestre.

“Perché glielo hai chiesto? E perché ti ha detto di no?”

“Beh, quando l’ho incontrato, mi ero rigenerato da poco.
Poi, ho dovuto lasciare la mia grande amica Sarah Jane…”

Raccontò che, in quel periodo, viaggiava da solo, perché stava cercando di fermare una nave Zagor.

Quella sera, uscendo dal Tardis, vide in lontananza il giovane Henry minacciato fa due mutaforma, che tenevano in mano la fonte di energia della loro nave.
Dopo essere intervenuto per salvarlo, gli fece vedere il Tardis, spiegandogli che la sua macchina straordinaria poteva viaggiare nel tempo e nello spazio.

Quando gli aveva chiesto dove volesse andare, la sua risposta era stata davvero inaspettata.

“Voleva soltanto andare a casa. Voleva ritornare da sua moglie.”

Indy era stupito. Non per le sue parole, dato che conosceva già questa storia fin troppo bene. Bensì era stupito dello sguardo dell'alieno: teneva gli occhi bassi, quasi cercasse di nascondere un’aria triste. Come se non avesse mai ricevuto prima quel tipo di risposta.

“Insomma, gli dissi che quella era una vera macchina del tempo. E, considerato che era uno studioso, credevo sarebbe stato davvero entusiasta all'idea di avere la possibilità di incontrare personalmente i più grandi personaggi storici del passato: gli invasori barbarici, gli antichi Faraoni egizi, il vero Odino.
Ma no, non gli interessava: lui voleva soltanto ritornare a casa da sua moglie. E fu esattamente quello che fece.
Vidi tuo padre correre da lei – lo stava aspettando fuori dalla porta di casa, molto preoccupata per il suo insolito ritardo - e abbracciarla. In quel momento, mi sentii molto felice per loro.
Tuo padre mi presentò e tua madre fu molto gentile con me, stringendomi la mano e invitandomi a cena per ringraziarmi. Ma io declinai l'invito, dicendo di essere molto occupato, così li lasciai soli e me ne andai.”

“Hai riportato mio padre da mia madre, hai rifiutato un invito a cena e te ne sei andato?” ricapitolò Indy.

“Sì. E ho sempre pensato che, limitarmi a riportarlo a casa, sia stata una delle scelte più giuste e felici della mia lunga vita.” Fece un sorriso sincero. “E, pur avendoli visti insieme per pocìs brevi istanti, ho capito che erano una vera coppia, molto unita. Due persone che si sarebbero amate per sempre.”

Guardò Indy, terminando: “Sei stato un figlio davvero fortunato ad avere dei genitori come loro.”

“Già, peccato che mia madre se ne sia andata via troppo presto, e che mio padre si sia talmente chiuso in se stesso e nel suo lavoro da dimenticare del tutto di aver un figlio” commentò Jones, finendo la sua birra tutto in un fiato per cercare di non far notare troppo la sua aria irritata.

Il Dottore comprese il significato delle sue parole e si sentì dispiaciuto per lui.

“Comunque, io penso che tuo padre ti voglia bene. Anche se ti ha trascurato, non vuol dire per forza che ti abbia dimenticato.”

Jones lo guardò con un certo stupore, ma preferì non rispondere e si limitò a guardare il fondo del boccale vuoto.

Tutti e due rimasero in silenzio, ripensando a tutti quei ricordi.

“Ehi, ragazzi!” esclamò Denny all'improvviso, avvicinandosi al loro tavolo saltellando e parlando con tono allegro.

I due uomini alzarono la testa di scatto e ritornarono alla realtà.

“Che ci fate qui tutti e due, soli soletti? E cosa sono quei musi lunghi?”

Il Dottore si alzò e ritornò subito allegro, ritrovando immediatamente il suo solito sorriso smagliante, come se avesse già dimenticato tutto ciò che si erano appena detti.

Indy, invece, rimase seduto a guardarli.

“E tu che cosa sei venuta a fare, qui, con questi due ragazzacci musoni?” rispose l’alieno con ironia, facendola ridere.

“Te ne sei andato così all’improvviso che la moglie del capo ci è rimasto male. E, poi, adesso Jamie sta ballando con le sue cugine.”

E, con un cenno della testa, indicò il centro del locale, dove il giovane stava ballando con una delle due ragazze che, poco prima, stavano facendo gli occhi dolci all'archeologo.

“A quanto pare, sembravano tristi per qualcosa e Jamie, allora, per tirarle su di morale, le ha invitate a ballare.”

Indy e il Dottore si scambiarono delle fugaci occhiate, capendo immediatamente il perché della loro tristezza.

“Ma, comunque, venite a ballare! Dai, Indy, i balli di gruppo scozzesi sono molto divertenti da fare!” Gli si avvicinò, afferrandogli il braccio e scuotendoglielo fino a costringerlo ad alzarsi.

“È vero! E poi, per essere tutti dei semplici pescatori, taglialegna, fabbri, pastori, casalinghe e donne imprenditrici di se stesse, hanno tutti un ottimo senso del ritmo!” aggiunse l’alieno, estatico.

Indy, imbarazzato per quella proposta, cercò di declinare l'invito. Disse che gli dispiaceva, ma non era in grado di ballare e, soprattutto, non si intendeva molto di vecchi balli di gruppo scozzesi.

“Ti guiderò io!” propose Denny, tranquilla. “Vedrai, ti divertirai!”

Jones guardò il suo sorriso, come se fosse la prima volta che lo vedeva: era diverso, non era il sorriso sarcastico, nervoso o malinconico che aveva imparato a vedere sul viso della sua giovane amica.

Era un sorriso vero, di pura gioia. Era come quelli che Denny scambiava spesso con il Dottore. Solo che, questa volta, era rivolto a lui.

Non poté che sentirsi davvero felice e sereno per lei e, nel suo cuore, dovette persino ammettere che era molto carina, quando sorrideva in questa maniera.

Fece un cenno di assenso, indicò per un attimo verso il centro della sala e disse: “D’accordo, lo faccio. Ma solo se mi guidi tu con i passi e non mi fai ballare con la moglie del capo villaggio.”

“D’accordo” rispose lei con una risata, mentre insieme raggiungevano l'improvvisata pista da ballo.

“Ehi!” replicò il Dottore, indignato, tallonandoli da vicino.

“Mary è una gran signora! Molto affettuosa e di grande fascino."

Il trio iniziò a ballare insieme agli abitanti del villaggio e, “purtroppo” per lui, a Indy capitò di dover ballare proprio con Mary.

Dopo un po’, Jamie salì in piedi sopra il bancone e, fatto un cenno per fermare la musica e attirare l'attenzione, annunciò a tutti il ritorno del Dottore e di lady Denny, che questa volta erano arrivati con il loro nuovo amico Indy.

Adesso avrebbero dovuto mantenere la loro promessa, ossia cantare una canzone del “nuovo mondo”, se fossero ritornati nel loro villaggio.
Era ciò che aveva promesso Lady Danny.

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Capitolo 42
*** Song ***


Capitolo 42
Song
 

Denny e Indy erano fermi sulla piazza del villaggio con aria tesa, mentre Jamie, accanto alla ragazza, disse: “D'accordo, mentre aspettate che il Dottore arrivi con i vostri strumenti, vado a dire a tutti di radunarsi qui con noi.” E sorrise.

“Sì, ma… aspetta ancora un po’. Okay?” rispose lei, nervosa.

“Va tutto bene?” chiese preoccupato il ragazzo, prendendole delicatamente le mani tra le proprie.

“Si, certo. Va tutto bene. Sono solo un po’ nervosa. È la prima volta che facciamo una cosa del genere. Tutto qui.”

“Non ti devi preoccupare di nulla, my lady” disse Jamie, con un sorriso dolce e rassicurante.

“Vedrai che la vostra piccola esibizione andrà bene.” E le diede un piccolo bacio sulla fronte, per poi allontanarsi fiducioso.

My lady?” ripeté Indy sarcasticamente, quando furono da soli.

Lei non rispose, limitandosi a lanciargli un'occhiata gelida.

Jones chiese che cosa fosse quella storia della “canzone del nuovo mondo” e Denny spiegò che si trattava di una promessa fatta la prima volta che erano venuti qui, mentre lei e Jamie chiacchieravano del più e del meno: lei aveva finito per rivelargli la sua passione per la musica del nuovo mondo – ovvero il rock americano - e aveva anche ammesso di saper suonare qualcosa.

Lo scozzese ne era rimasto stupito e le aveva chiesto se potesse suonare qualcosa per lui, ma la ragazza aveva risposto che lo avrebbe fatto per tutto il villaggio, insieme al Dottore, quando fossero ritornati.

“Sul serio lo hai promesso?” domandò Indy.

“Non sapevo che sarei ritornata davvero!” si giustificò.

“Era uno dei primi viaggi e non sapevo che lo avrei rivisto o che lui si sarebbe ricordato della promessa.” E sospirò.

L’archeologo alzò gli occhi al cielo con pazienza, dicendo: “E quindi ora che facciamo?”

“Facciamo come ha detto il Dottore… lui verrà qui con il Tardis e tutta l'attrezzatura e ci organizzeremo.”

Denny, in realtà, non fu molto convinta delle sue stesse parole, e tantomeno riuscì a convincere Indy; però, dato che non avevano scelta, non poterono fare altro che aspettare.

Alla fine sentirono il rumore del Tardis che che compariva davanti a loro, e subito dopo il Dottore si affacciò alla dicendo: “Okay! È tutto a posto!”

Uscì trasportando due amplificatori accesi, ma senza che ci fossero fili o cavi. La ragazza e l’archeologo rimasero confusi a quella vista, ma non riuscirono a parlare con l’alieno, che tornò dentro velocemente e uscì di nuovo con una tastiera sotto braccio.

Denny cercò di chiamarlo, ma la risposta del suo amico fu solo: “Non ora” e rientrò per la terza volta dentro la macchina, uscendone poi spingendo un lungo carrello con sopra una batteria completa, che posizionò davanti alla fontana.

“Quella è una batteria?” domandò Indy, sbigottito, indicandola.

“Già! E la suonerò io!”

“Che cosa?” esclamò Denny, stupita.

“Sì, da giovane suonavo uno strumento” confessò il Dottore, nostalgico.

“La batteria?”

“No, il flauto.”

Indy e Denny alzarono gli occhi al cielo, increduli, mentre l’alieno continuò a parlare, facendosi trasportare dai ricordi della sua giovinezza: “Aaah… mi ricordo ancora quando andavo in giro suonando il mio flauto. Quando incontravo qualche altro musicista, facevo anche dei duetti.”

Gli amici lo guardarono con un po’ di imbarazzo per quella frase un po’ dubbiosa.

“Ma… che cosa potremmo suonare con una batteria, una tastiera e un'armonica?” domandò la ragazza, perplessa, tirando fuori lo strumento della tasca della gonna.

“Beh, tu poi suonare quella armonica, oppure questa.”

Il Dottore, da dietro la porta del Tardis, tirò fuori una chitarra elettrica color giallo chiaro, liscia e con il manico di legno chiaro.

Denny rimase a bocca aperta, mentre Indy si avvicinò per guardarla più da vicino.

“Questa è…” disse lei, stupefatta.

“Una Fender Esquire originale!” finì il Dottore.

La ragazza la prese con delicatezza – dopo essersi messa l'armonica in tasca - e si passò la tracolla intorno alla spalla, sorridendo.

“Mio dio. Sembra quella di Bruce nei primi anni di carriera.”

“Beh… diciamo che è quella originale.” E l’alieno ammiccò.

Denny alzò lo sguardo e il suo sorriso svanì pian piano, lasciando spazio a un'espressione preoccupata. Sbatté le palpebre un paio di volte ed esclamò: “Cosa?”
Jones, incuriosito, ascoltò tutto con attenzione.

“Beh… è una storia abbastanza divertente…” rispose il Dottore con un sorriso teso.

Senza farsi pregare, raccontò tutto, e alla fine Denny riassunse, con tono calmo ma con l’aria particolarmente tesa: “Ricapitoliamo, sei andato nel New Jersey del 1972, mentre lui stava registrando il suo primo album, gli ha chiesto di prendere in prestito la SUA chitarra, con la scusa di dover fare un ‘provino’ musicale a me, e l'hai portata nella Scozia del diciottesimo secolo?”

“Esatto!”

Il Dottore aveva l’aria serena, come se fosse tutto normale, mentre Denny appariva parecchio preoccupata.

“Oh, quasi dimenticavo! Mi ha raccomandato di salutarti e di farti un in bocca al lupo per il provino. Voleva addirittura venire a vederti, ma gli ho detto di no. Ah, anche detto che gli piacerebbe rivederti per poter ‘finire quello che abbiamo iniziato’. Ma, forse, era ironico.”

Denny arrossì per quelle parole e guardò in basso con fare vergognoso.

“Come mai? E chi è questo Bruce?” chiese Indy, incuriosito e divertito.

“Non sono affaracci tuoi!” rispose lei irritata, girandosi a guardarlo di scatto.

L’archeologo rise cinicamente, mentre il Dottore rimase confuso dalla reazione esagerata dell'amica.

Denny iniziò ad accordare la chitarra, finché Jones fece notare una cosa che non le piacque: “Un momento, non penserai mica che io abbia intenzione di partecipare a questo ‘spettacolo’.”

“Beh, veramente, avrei uno strumento anche per te…”
L’alieno sorrise, mentre Jones e l’amica si scambiarono sguardi perplessi. Ritornò dentro il Tardis e ne uscì trasportando una vecchia valigetta argentata con parecchie macchie scure sul metallo, tenendola sulle braccia davanti al petto; la aprì di scatto, mostrandone il contenuto, e Indy rimase senza parole.

“Un Sax!” esclamò, prendendo lo strumento in mano con aria stupefatta.

Un sax? Mi sembra un po’ piccolo” commentò Denny.
Infatti, era un sassofono, giallo lucente, ma piccolo come una trombetta.

“Stai scherzando? Quando ero più giovane, era uno dei migliori strumenti per fare Jazz!” rispose l’archeologo, entusiasta.

Ne trasse per un breve instante un suono dolce, per poi mettersi a ridere, commentando divertito: “Sembra proprio quello che avevo da giovane.”

“Perché è quello.”

Indy alzò la testa di scatto, dicendo sconvolto: “Cosa?!”

“Cosa?!” ripeté l’amica.

L’alieno continuò a sorridere felice di fronte al loro sconcerto.

“No, non è possibile...” si convinse Jones, cercando di essere realistico: “Suonavo il sax da giovane, negli anni ’20, quando lavoravo come cameriere a Chicago. Un giorno entrò un tizio strambo, con la giacca di tweed, il cravattino rosso e un ciuffo alto…” guardò verso il Dottore e il suo abbigliamento, rendendosi conto con sgomento che si trattava della stessa persona, e continuò, balbettando: “E mi... disse…”

“ ‘Me lo potresti prestare per un momento’?” finì alieno.

Indy gli lanciò un'occhiata arrabbiata, mentre Denny alzò gli occhi al cielo, capendo tutto. “Sei andato negli anni '20 del Novecento, per prendere il sax originale dal giovane Indy e riportarlo all'‘attuale’ Indy.”

“Esatto!”

L’amica sospirò, per niente sorpresa dal quell'atteggiamento –ormai, aveva perso il conto delle volte in cui il Dottore si era comportato in quella maniera stravagante - ma il professore fu decisamente meno comprensibile, sbottando: “Hai rubato il mio sax!”

“Veramente, te l’ho appena riportato” si giustificò il Dottore, con un sorriso teso.

“Sì! Ma dopo più di dieci anni!”

“Dieci anni per te" sottolineò l'alieno. "Ma per me, invece, sono stati pochi istanti solamente. Come per la chitarra. Buffo come si può misurare il tempo, vero?” e fece una risata nervosa.

“Dovrei darti un pugno dritto in faccia, per questo!”
Il Dottore fece una risata, pensando che stesse scherzando. Ma Indy, al contrario, era tutt’altro che divertito.

“Dai,” intervenne Denny, con tono paziente. “Ora che te l’ha ridato e che vi siete chiariti, che ne direste di iniziare a suonare qualcosa?" E sorrise.

Indy lanciò un'ultima occhiata al vetriolo al Dottore, quindi si volse verso la ragazza e rispose: “Va bene. Ma che cosa volete suonare, di preciso?”

“Oooh… questa qui” rispose l’alieno, tirando fuori dalla tasca della giacca uno spartito musicale e una bacchetta, con cui attaccò il foglio al bordo del sax.
L’archeologo osservò lo spartito con attenzione e lesse il titolo: “‘Tundercrack’?”

Denny udendo quel nome rimase sorpresa.

“Mai sentita” commentò Indy.

“Io sì” disse la ragazza, sorridendo, per poi trasformare il suo sguardo in un'espressione perplessa, borbottando: “Io… non so se riuscirò a suonarla.”

“Come no?” chiese il Dottore, posandole la mano sulla spalla per rassicurarla: “Insomma, gli insegnamenti di Hendrix, Harrison e Sue? Te li sei già dimenticati?” e sorrise rassicurante.

Denny ricambiò il sorriso e si sentì subito sollevata. “E poi, ho anche la sua chitarra!” e rise divertita.

“Cominciamo?” chiese l’alieno, con sicurezza.

“Oh, sì!” ripeté lei convinta, attaccando lo strumento all'amplificatore.

Indy, pur alquanto dubbioso, si sitemò meglio lo strumento tra le mani e si avvicinò il bocchino alle labbra; una parte di lui, in fondo, era felice di partecipare a quel concerto improvvisato.

“Allora, cominciamo!” rispose il Dottore, battendo le mani con gioia.

In pochi minuti, attorno a loro si radunarono tutti gli abitanti del villaggio, chiamati da Jamie, pronti ad ascoltare la canzone.

Prima di iniziare, il Dottore chiese alla gente se ci fosse qualcuno, tra di loro, che sapesse suonare l’organo.

Alzò la mano un giovane sacrestano della chiesa, che si mise davanti alla tastiere, mentre il Dottore gli spiegò brevemente la canzone, lo spartito e come dovesse fare.

Dopo pochi minuti, furono tutti pronti.

“Okay, uno… due… tre… e uno due tre quattro!”

La ragazza suonò i primi accordi con la chitarra, sorridendo, senza mai staccare gli occhi dallo strumento. E sia gli abitanti del villaggio che Indy rimasero molto colpiti dal suo modo naturale di suonare quella musica, e il Dottore sorrise, fiero di lei.
Dopo attaccò l'organista, che seguì lo spartito suonando un movimento in stile funk.

Thundercrack” iniziò a cantare la ragazza, alzando lo sguardo in alto, e il Dottore inizò a suonare la batteria.
 
“baby's back
This time she'll tell me how she really feels
Bring me down to her lightning shack
You can watch my partner reelin'.”
 
La voce di Denny non era molto intonata, ma a loro non importava, e lei cantava con un grande sorriso disegnato sulle labbra, finché il Dottore aggiunse:

 “She moves up, she moves back

Poi continuò da sola:
 
“Out on the floor there just is no one cleaner
She does this thing she calls the ‘Jump back Jack’.”
 
E saltò sul posto.
 
She's got the heart of a ballerina”
 
A questo punto compì una piccola piroetta sul posto.
Indy non riusciva più a trattenere il riso e anche lui si stava divertendo parecchio: gli piaceva davvero molto quella canzone e cominciava a sentire voglia di poter iniziare a suonare.
 
She's straight from the Bronx
Hung off the line
She slips, she slides, she shops, she bops, she bumps, she grinds
Even them dance hall hacks
From the west side of the tracks
Move in close to catch her timing”
 
“She moves up, she moves back”
 
Cantarono in coro insieme al Dottore.
 
“Out on the floor there just is no one cleaner
She does this thing she calls theJump Back Jack’.”
 
Dopo questo pezzo saltarono sul posto.
 
She's got the heart of a ballerina”
 
Denny fece una seconda piccola piroetta.
 
Il Dottore fece un segno ad Indy, invitandolo a cominciare a suonare, nell'esatto momento in cui Denny cantava:
 
She ain't no little girl, she aint got no curls
Her hair ain't brown and her eyes ain't either”
 
Per poi ripetere in coro insieme a tutti gli abitanti del villaggio:
 
Round and round and round and round”
 
Denny riprese a cantare da sola,fissando Jamie e scambiando insieme a lui degli sguardi maliziosi.
 
Dance with me partner
Dance with me partner
Dance with me partner”
 
 
“Vai, Indy!” urlò Denny indicandolo, e l'archeologo, senza farselo ripetere, eseguì un fantastico assolo di sax, seguendo lo spartito attaccato allo strumento, mentre la folla, battendo le mani a tempo, continuava a cantare le parole dalla cantante.

Anche se il suono non era molto forte come lei si era immaginata, la ragazza apprezzò moltissimo il talento di Jones, notando che seguiva fedelmente la canzone.

“Allora, non è solo bravo a cercare i tesori ed a essere burbero!” pensò Denny, divertita.

Diede inizio al suo assolo di chitarra, con una concentrazione massima e senza mai staccare gli occhi dallo strumento. Indy, sempre più coinvolto, continuò ad accompagnarla con il sax insieme alla batteria e alla tastiera.

La cantante e il sassofonista si scambiarono due sguardi divertiti e Indy si avvicinò a lei, mettendosi schiena contro schiena e continuando a suonare.

Il Dottore osservò quella scena senza mai smettere di suonare, pensando alle foto promozionali dell'album “Born to Run” e ridendo divertito.

Durante l’assolo, Denny decise di improvvisare, quindi smise di suonare la chitarra e, tolta dalla tasca della gonna l’armonica, continuò con quella l’assolo, lasciando sorpresi tutti i presenti, che erano sempre più entusiasti per quella “strana musica del nuovo mondo”.

Alla fine dell'assolo, Denny ritornò al centro, mise subito a posto l'armonica e riprese a cantare: “Thundercrack”

Il Dottore smise di suonare e le fece eco con voce profonda: “baby's back”, facendo ridere l’amica.

Ricominciò subito a suonare, mentre lei andava avanti a cantare il resto della canzone, saltando sul posto mentre diceva: “‘Jump Back Jack.” Compì l'ennesima piroetta e, dopo aver urlato: “She's got the heart of a ballerina” scambiò altri sguardi maliziosi con Jamie.
Il brano terminò con un altro grande assolo di sax di Indy.

Dopo la canzone, tutti – compreso il sagrestano -  si inchinarono al pubblico, ridendo per i grandi applausi della gente e scambiandosi occhiate diverite tra loro.
“Sei brava a cantare e a suonare” riconobbe Indy, avvicinandisi a Denny e complimentandosi con un sorriso.

“Anche tu sei bravo con il sax” rispose lei, ricambiando il sorriso.

“Beh, non era proprio jazz, ma è stato divertente.”

“Allora, spero che vivrai abbastanza a lungo per ascoltarlo.” E risero.

“Oppure, potresti venire con noi nel futuro e sentirlo in qualche concerto” aggiunse il Dottore, mettendosi in mezzo a loro due. “Tanto, devo comunque andarci per restituire la chitarra.” E tutti e tre risero con divertimento.

Quando il pubblico ebbe finito di applaudire e di fare i complimenti stava ormai albeggiando, e molti fecero ritornoalle proprie case o ai propri mestieri. Indy aiutò il Dottore a rimettere a posto strumenti e amplificatori dentro il Tardis.

Solo più tardi, quando ogni cosa fu sistemata, si accorsero che Denny non era con loro. Il Dottore si ricordò di averla vista allontanarsi con Jamie, ma lo disse senza troppo preoccupazione.

Ma Indy ne fu invece preoccupato - visto che non gli erano affatto sfuggiti gli sguardi ammiccanti che si erano scambiati per tutta la sera - e, quindi, andò a cercali. E pochi minuti più tardi, trovò i due ragazzi nel vicolo dietro la taverna, che si scambiavano lunghi baci.

Indy, imbarazzato, si nascose dietro al muro. Voleva dire qualcosa, ma capì quale fosse il rapporto di quei due e che il solo motivo per cui avevano fatto quello spettacolo era per mantenere una promessa che si erano scambiati.

Così, camminando guardingo perché non lo notassero, li lasciò da soli e ritornò dal Dottore, raccontando che Denny li avrebbe raggiunti presto.

Sorrise, sentendosi felice per loro.

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Capitolo 43
*** Homecoming ***


Capitolo 43
Homecoming
 

Il Tardis si materializzò nell'ufficio di Indy al Marshall College. Indy ne uscì con già indosso gli abiti che usava quando insegnava - giacca di tweed, occhiali rotondi e cravattino - e il suo inseparabile cappello stretto in mano.

Si appoggiò alla scrivania, inondata dai raggi del sole riflessi attraverso le finestre. Subito dietro di lui, sbucarono Denny e il Dottore.

“Bene, sono ritornato nel mio studio” constatò Indy, appoggiandosi al bordo della scrivania.

“Già” disse Denny

“Esattamente com'era quando siamo partiti due giorni fa” continuò il Dottore.

L’archeologo rimase stupito nell'apprendere che fossero passati soltanto due giorni da quel viaggio. Gli sembrava di aver passato molto più tempo in quell'avventura nel Canada Francese e in quella “gita fuori programma” in Scozia.

Ma fece una risata tra sé e sé, rispedendo: “Due giorni…” e i due viaggiatori del tempo si aggiunsero alla sua risata.

“Bene” disse alla fine il Signore del Tempo, battendo le mani: “Vado a restituire la chitarra al futuro Boss. Denny, vuoi venire con me?”

“Forse, è meglio che aspetti qui. Ma salutamelo e digli che il provino è andato bene.” E sorrise.

“Oh, okay. Tra due minuti sarò di ritorno.”

“Una volta, hai detto la stessa identica cosa, e ci hai impiegato due settimane” lo punzecchiò la ragazza, guardandolo con aria paziente.

“Questa volta saranno veramente due o cinque minuti” rispose il Dottore, con un sorriso rassicurante. Salutò velocemente sia lei che l’archeologo e ripartì con il Tardis.

Quando la macchina scomparve davanti ai loro occhi, Jones e Indy rimasero da soli. La ragazza fece un lungo sospirò rassicurante e si mise a braccia conserte. E il professore abbassò la testa, sentendosi un po' stanco ma nello stesso tempo soddisfatto, come appariva lei.

“Allora? Dopo che il Dottore sarà tornato, che cosa farete? Viaggerete ancora senza una precisa destinazione?”
domandò Indy, un po’ sarcastico.

“Beh, veramente dovrei ritornare a casa per iscrivermi all'università.”

“Oh!” esclamò stupito. “E che corsi vorresti frequentare?”
“Sceneggiatura, scrittura e storia del cinema.”

“Fantastico. Vorresti scrivere un film o un libro sulle tue avventure?”

“Probabilmente, ma solo quando smetterò di viaggiare con lui.”

E, in quel momento, il sorriso di Denny svanì pian piano, lasciando spazio a uno sguardo inespressivo; puntò lo sguardo in basso e un silenzio teso scese tra di loro.
Anche il sorriso di Jones svanì, capendo il suo silenzio.

“Quindi sei consapevole che non potrai viaggiare con lui per sempre.”

“Sì” commentò piatta “Esattamente come tu sai che non potrai viaggiare per tutta la vita per il mondo alla ricerca di reperti antichi. Sarai più stanco, con gli acciacchi dell'età e tutto il resto.”

“Vero. Sono consapevole del tempo che scorre. Sono un archeologo, in fondo, il tempo che scorre è il mio mestiere. Ma è una cosa che ci accomuna tutti, e sì, lo so, un giorno invecchierò e smetterò di viaggiare per il mondo e dovrò rassegnarmi ad accettarlo. Ma tu, invece, pensi di riuscire ad accettare il fatto che, un giorno, non potrai più viaggiare con lui?”

Denny non rispose subito. Fece un lungo sospiro, prima di ammettere: “No.” Non riuscì ad alzare lo sguardo da terra: “Insomma, sono consapevole che un giorno dovrò digli addio. Ma sarà quasi impossibile ed estremamente doloroso. E non saprò davvero come fare a ritornare alla mia vita normale dopo aver vissuto esperienze del genere.”

A quel punto alzò lo sguardo, dicendo con tono più nervoso: “Insomma, hai visto quello che abbiamo fatto? Hai visto come abbiamo salvato un intero villaggio dalla schiavitù di alieni mutaforma, facendo partire una nave spaziale trasformata in un finto tempio maya. E dopo abbiamo suonato una canzone rock-blues nella Scozia del diciottesimo secolo! E, in poche parole, è stato fantastico!”

Sorrise per un breve momento, per poi tornare a farsi catturare dalla sua aria malinconica.

“Un giorno non potrò più farlo: niente più viaggi nel tempo, niente più scoperte di altri pianeti e di razze nuove. E con tutta la conoscenza che ho acquisito in questi anni, come potrei anche solo immaginarmi di ritornare alla mia vita normale, come se nulla fosse? Soprattutto, non so come potrei dire addio al mio unico, migliore amico.” Guardò in basso. “Come potrei dire consapevolmente no a tutto questo?”

Indy comprese il suo turbamento; era facile per lui, che viaggiava da molto tempo, comprendere il suo dramma, e quindi cercò di confortarla: “Sai…”

Denny alzò lo sguardo per ascoltarlo.

“Faccio questo lavoro da ormai fin troppo tempo. Anzi, viaggio per il mondo fin da quando ero piccolo. E se ho imparato qualcosa da tutti questi viaggi, è che non sono gli anni a cambiarti, ma i chilometri.”

La ragazza rimase sorpresa da quelle parole.

“Vedi, secondo me, eri una ragazzina intelligente, sensibile e astuta, prima di metterti a viaggiare con un folle all'interno di una cabina del telefono.”

Lei rise e Indy fu sollevato di vederla sorridere, quindi continuò con più serenità: “E, sempre secondo me, grazie a questi viaggi, sei diventata ancora più intelligente, sensibile, astuta, e anche più sicura e combattiva di quanto già fossi. E sono convinto che lo diventerai ancora di più.”

“Beh, veramente, ero sicura, combattiva e forte anche prima di conoscere il Dottore. Ma sì, tutti questi viaggi mi hanno fatto crescere ancora di più” disse lei, ridendo.

“E, da quello che mi hai raccontato, sono sicuro che imparerai molte altre cose, scoprendo la versione migliore di te.”

“Però, ci sono certe cose che non ho ancora imparato.”

L’archeologo alzò uno sopracciglio, chiedendo: “Che cosa?”

“Beh, non sono mai riuscita a sbarazzarmi della mia testardaggine, sono ancora permalosa - forse, anche più di prima -  ho ancora qualche sbalzo d’umore improvviso, non sono riuscita a controllare la mia aggressività…” finì di parlare ridendo insieme ad Indy.

“E non sono mai nemmeno riuscita ad innamorami” aggiunse dopo un attimo di esitazione, con un sorriso.

Jones smise di ridere e restò sorpreso dall'ultima affermazione, guardandola con stupore.

“Che cosa? Non ti sei mai innamorata, durante i tuoi viaggi? E con Jamie, allora? O con quel Bruce?”

“Sono solo infatuazioni passeggere” rispose lei, facendo spallucce. “Come potrei innamorami davvero di Jamie? L'ho baciato, è vero, ma non sono andata oltre questo. Ed è meglio così...  Secondo te, potrebbe funzionare una relazione tra un ragazzo del diciottesimo secolo e una ragazza del ventunesimo?" Denny atteggiò il volto a un'espressione molto eloquente. "Onestamente, io non credo.”

Il professore comprese ciò che intendeva dire e guardò in basso senza rispondere.

“E, poi, ho incontrato i miei musicisti preferiti quando erano giovani e prima che diventassero famosi. Ma, nella mia epoca, potrebbero essere i miei nonni, per non parlare dei ragazzi che ho conosciuto nel futuro o su altri pianeti…” E non poté fare a meno di ripensare a Raoul.

“Quindi, anche se è difficile, ho imparato che non mi devo innamorare durante questi viaggi. Perché, altrimenti, ne soffrirei tantissimo. E l'ultima cosa che voglio è dover soffrire pure per amore.”

Denny fece un lungo sospiro, senza aggiungere niente, con aria inespressiva.

“Capisco” replicò l’archeologo “In fondo, fai molto bene a darti questi limiti. Io, invece, non riesco a farlo. Non posso evitare di innamorami.”

Non puoi o non vuoi?” chiese Denny, sospettosa, con un mezzo sorriso.

 “Beh… è complesso” rispose lui, vago. Fece una strana espressione e azzardò: “Quindi immagino che non potrai nemmeno innamorarti del Dottore.”

Lei rise divertita, esclamando, come se l’archeologo stesse scherzando: “No! Mai pensato nemmeno per un istante, da quando lo conosco. Insomma, l’hai visto? È troppo… tutto. Pure per me. E poi, detta tra noi, mille anni di differenza potrebbero essere un po’ tanti. Qualcuno potrebbe sussurrare che sto con lui solo per soldi.” Ed entrambi risero.

“Ma, forse, è meglio così” ammise infine lei, con tono un po’ triste.

“Forse, è la scelta più giusta.”

Indy le si avvicinò, le posò le mani sulle spalle e la guardò negli occhi, parlando con tono rassicurante. “Non so quanto continuerai ancora a viaggiare con lui. Ma ricordarti: ogni viaggio che farai, ogni cosa che imparerai - compreso tutto ciò che imparerai su te stessa... quando tutto questo sarà finito, continuerai ad andare avanti con la tua vita, ma con una versione migliore di te stessa. E non ti dimenticherai mai tutto quello che hai visto, imparato e conosciuto. Riuscirai a vivere con più serenità, in ogni momento. Credimi.”

Jones sorrise, con un sorriso rassicurante, quasi paterno. Era raro vederlo in quel modo. E lei lo ricambiò, sentendosi un po’ malinconica al pensiero di dire addio al Dottore per sempre, pensando a quello avrebbe portato dentro di sé per il resto della vita.

“Sai? Preferisco di più quando fai l'insegnante, che l’archeologo avventuriero.”

“Perché?”

“Sei più rassicurante e più umano, e sai dire le cose giuste. E, poi, mi piace questo tuo look alla Clark Kent.”

“Allora, potresti assistere alle mie lezioni.”

“Così, sarei la prima studentessa ad ascoltarti seriamente per quello che dici, senza farti gli occhi dolci?”
Risero entrambi.

“Comunque, grazie, professor Jones.”

“Di nulla, signorina Facchi.”

Indy le diede una pacca sulla spalla e ritornò ad appoggiarsi al bordo della sua scrivania.

“Ma tu? Che cosa hai imparato, durante questa lunga e strana avventura?” chiese lei, incuriosita, desiderosa di saperne di più e impaziente di conoscere la sua risposta.

Indy non rispose subito, riflettendo sull'incontro con il Signore del Tempo e ripensando al racconto che gli aveva sempre fatto suo padre al riguardo, nonché ciò che aveva scoperto su quella sera di tanti anni prima parlando con il Dottore. Quella parte, però, preferì tenersela per sé.

“Beh, innanzitutto che gli extraterrestri esistono davvero, così come le loro astronavi; poi che i viaggi nel tempo sono plausibili; che mio padre ha avuto sempre ragione e io torto a non dargli retta... e che sono ancora forte con il sax”
Aggrottò la fronte e continuò.

“Ma, soprattutto, ho capito che devo imparare ad avere la mente aperta per capire le prossime generazioni e che non dovrò farmi prendere dal panico per quello che succederà nei prossimi decenni. Perché ne usciremo sempre. Non tutte le volte a testa alta, magari anche un bel po' ammaccati, ma ne usciremo.” E sorrise.

 E lei si sentì fiera di lui.

“Peccato solo che non potrò mai dirlo a nessuno. Altrimenti, mi chiuderebbero in un manicomio.”

“Il prezzo della conoscenza illimitata.”

Si scambiarono altri sorrisi divertiti.

“Ma ti devo ringraziare per questo.”

“Di nulla.”

Indy la guardò con aria serena. In quell'istante capì che, in quegli ultimi due giorni insieme, si era davvero affezionato a lei. Forse era stato colpito dal suo carattere e da come gli teneva testa. Era una ragazza molto combattiva, che sapeva organizzarsi molto bene nei momenti più critici, ma che, al medesimo tempo, nascondeva una profonda sensibilità.

Tutto questo la rendeva un po’ come la sorella minore che non aveva mai avuto. Era bello immaginarsi una sorellina fatta della sua stessa pasta, magari con un carattere meno scorbutico del suo, per proteggersi a vincenda durante le loro avventure. Non riuscì a trattenere un sorriso.

Poi gli venne in mente un'altra somiglianza: a Marion, la giovane archeologa che aveva conosciuto più di dieci anni prima. Con quei capelli scuri, il viso rotondo e un po’ infantile, il carattere irascibile, combattivo ma insieme anche dolce e sentimentale. L'unica, forse, che si fosse davvero innamorata di lui per quello che era e non per come appariva. Una ragazza che gli mancava molto.

Cercò di cambiare argomento, quindi si girò verso la sua scrivania, e a quel punto gli venne un'idea. Sorrise, dicendo: “Voglio darti una cosa…” 

Denny allargò gli occhi, sorpresa.

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Capitolo 44
*** Presents ***


Capitolo 44
Presents
 

Indy prese la custodia del sax, la aprì e glielo porse. “Tieni.”

Denny rimase perplessa, dicendo: “Cosa?”

“Così avrai un ricordo di me.” E sorrise sicuro.

“Ma non posso accettarlo” titubò Denny, preoccupata.

“Insomma, hai dovuto aspettare più di dieci anni, prima che il Dottore te lo riportasse, e ora vuoi darlo via?”

“Beh, ma non lo sto dando al primo venuto. Lo sto dando a te. Io non avrei più tempo per suonare come una volta. Ma tu, invece, sì. E, secondo me, imparerai in fretta.” Sorrise, con le braccia incrociate.

Denny guardò lo strumento sorridendo, poi cercò di suonarlo un po’, traendone qualche nota stonata. Entrambi risero divertiti, e lei lo ringraziò.

Guardando il sax, Denny ebbe un'idea: tirò fuori la sua armonica e la diede al archeologo. Indy la prese con stupore, mentre lei diceva: “Siccome non hai il tempo di suonare il sax, forse ne avrai un po' per l'armonica. In fondo, ti sarà di compagnia durante i tuoi viaggi.”

L’archeologo, insieme sorpreso e felice, si portò lo strumento alla bocca e iniziò a suonare.

“Così, ti ricorderai di noi.”

Jones la guardò ringraziandola. Si fissarono negli occhi sorridendo, e Indy andò avanti a suonare finché la porta non si aprì e una voce esclamò: “Fatto!”

Indy smise di suonare e  tutti e due si voltarono sorridendo verso l'alieno.

Il Dottore spiegò che il Tardis era sul prato davanti all'Università e che aveva restituito la chitarra a Bruce, il quale salutava Denny con tutto il cuore. Notò subito gli strumenti tra le loro mani e chiese il perché di quello scambio.

Entrambi spiegarono il motivo di quei regali, un gesto che il Dottore apprezzò veramente molto. Alla fine, disse che era venuto il momento di salutarsi.

“Allora" disse Jones, avvicinandosi all'alieno, “è stato un vero piacere conoscerti.”

“Anche per me.”

Si scambiarono un sorriso e si strinsero le mani. L'archeologo guardò Denny, scambiando gli ultimi dolci e silenziosi sorrisi, e alla fine si strinsero in un lungo abbraccio.

“È stato bello conoscerti, Indy” disse lei, con dolcezza.

“Anche per me, Denny. E spero di rivederti, un giorno.”

“Anche io.”

Sperando che quelle parole fossero vere e potessero realizzarsi, si guardarono per un'ultima volta.

I due viaggiatori uscirono dal suo ufficio e quando, dopo pochi istanti, udì il suono del Tardis fuori dalla finestra, Indiana Jones fece un sorriso.

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Capitolo 45
*** Epilogo ***


Epilogo
 

Indy si sedette alla poltrona dietro la sua scrivana, e proprio in quel momento qualcuno bussò alla porta.

“Avanti.”

 Entrò Marcus, un po’ sorpreso. “Ah, Indy! Allora sei già arrivato!”

“Beh, non ti avevo detto nulla di preciso riguardo a quando sarei ritornato” commentò l’archeologo, guardandolo.

“Vero, però ero certo che saresti tornato vivo, nonostante tutto. Come sempre” rispose ironicamente l'amico, ridendo. “Allora? Com'è andata in Canada?” chiese poi, accomodandosi sulla sedia davanti alla sua scrivania.

“Beh… si è scoperto che era tutto un falso. E tutta quella storia... una presa in giro. Non c'era nulla di vero. Quei due sono scappati il secondo giorno, lasciandomi da solo, e io ne ho approfittato per godermi un po’ il Canada.”

Marcus, divertito dal quel racconto, fece un'allegra risata, dicendo: “Davvero? Sono scappati?”

Indy allargò le braccia. “Che voi che ti dica? Forse avevano paura che li denunciassi. Oppure, resisi conto della cantonata che avevano preso, avranno preferito svignarsela, piuttosto che affrontare la vergogna di dover ammettere di essere due illusi privi di qualsiasi preparazione."

Fece una piccola risata piena di sarcasmo, aggiungendo: "Ma, in fondo, che cosa mi dovevo aspettare? Un vero tempio Maya in Canada? Ridicolo, suvvia!"

 “Almeno, ti sei fatto una breve vacanza.”

Jones osservò l'amico. Avrebbe tanto voluto raccontare a Marcus la verità riguardo quell'avventura. Ma, se solo avesse accennato alla storia degli alieni, alla sua conoscenza di come sarebbe stato il futuro e al fatto di aver suonato una canzone blues nella Scozia del diciottesimo secolo, il direttore del museo sarebbe stato il primo a preoccupassi seriamente della sua sanità mentale. Forse sarebbe stato molto meglio non dirgli nulla.

“Comunque, un po’ mi dispiace. Per te, intendo." disse Marcus, tornando serio. "In fondo, dopo aver sentito quel nome - ‘Il Dottore’ - non si poteva non pensare alla storia di quel Dottore.”

Indy guardò in basso senza dire niente, riflettendo sul racconto del Signore del Tempo, e su quello che gli aveva rivelato riguardo suo padre.

“Una storia assurda” commentò.

“Comunque, era molto interessante. Attaccato da giganteschi alieni rosa e salvato da un uomo che viaggiava a bordo di una scatola blu più grande all'interno rispetto all'esterno.”

“Si vede che la fantasia non gli mancava.”

Marcus rise brevemente, poi rimasero entrambi in silenzio, con le labbra atteggiate a un sorriso nostalgico.

Indy pensò ancora a suo padre, ricordando i discorsi del Dottore e di Denny. Questo fece anche riaffiorare i bei momenti che aveva trascorso con lui. E, così, gli sovvenne anche un vecchio ricordo di quando era un giovane ragazzino arruolato negli scout.

“Marcus ”chiamò seriamente.

Il curatore alzò lo sguardo. “Sì?”

“Credo di aver bisogno del tuo aiuto. L'ho rimandato troppo a lungo. Voglio portare a termine la ricerca della croce d’oro di Coronado.”

Indy si alzò dalla scrivania, poggiandovi le mani sopra, mentre l’amico lo guardò con aria confusa.

 
***
 
Il Dottore stava pilotando e Denny gli era a fianco.

“Allora? Come ti è parsa questa seconda avventura in America?” chiese l’alieno.

“Beh, meno pericoloso del solito” rispose lei, facendo finta di pensare, per poi ritornare seria. “Però, mi dispiace per Haska. Insomma, era giusto lasciarla morire così?”

Il Dottore non sorrise, guardando in basso con aria inespressiva. “Beh, loro hanno preferito morire, piuttosto che vivere in un mondo che non era più il loro. E chi eravamo noi per impedirlo?”

Denny non rispose, ma non fu convinta di quella spiegazione e iniziò a preoccuparsi per lui.

“Comunque, non è stato bello conoscere e vivere un'esperienza simile con il più grande avventuriero di sempre?” chiese il Dottore, alzando la testa verso di lei e sorridendo.

L’amica fece un sorriso, dicendo: “È stato fantastico. Pensavo che fosse solo un burbero irascibile che voleva sempre avere ragione su tutto. Ma si è rivelato essere davvero un grande esploratore e, soprattutto, una grande persona. Ed ha accettato molto più facilmente di quanto avrei potuto credere il fatto degli alieni.”

Il Dottore rise e l’amica continuò: “Poi, è stato divertente suonare con lui. E credo che, d'ora in poi, avrà una grande apertura mentale.” E sorrise sicura.

“E tu come lo sai?”

“Lo so e basta. Già me lo immagino: un uomo d'azione, burbero e spesso irritato con tutti, ma capace di rispettare le nuove generazioni.”

L’alieno sorrise per le sue parole e per quello che Denny era riuscita a fare di buono per lui.

“Ma, secondo te, lo rivedremo ancora?” chiese Denny, speranzosa.

“Non lo so. Ma sai come si dice. Le vie del tempo sono infinite.”

Si sorrisero sicuri per quelle parole, senza mai smettere di guardarsi.

“Pronta per una nuova avventura?”

“Ovvio.

Misero le mani sulla leva e insieme la abbassarono, accompagnati dal magico suono del Tardis.



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Note:
E finalmete, dopo tanto tempo,
siamo arrivati alla fine di questa
lunga avventura... 
Rigrazio a tutti quelli che sono
arrivati fin qui e che hanno amato
questa storia.
Spero che questa storia vi sia davvero
piacuto.
E devo fare un ENORME
GRAZIE al più grande fan di
Indiana Jones.
IndianaJones25.
Che ha coretto questa storia e che senza
di lui, non potrei mai pubblicarla.
Perciò, grazie con tutto il cuore!
Alla prossima avventura!
Evola

 

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