Raggi di Eclissi

di Ladyhawke83
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fuga da Aguillon ***
Capitolo 2: *** Il Capitano e il falco ***
Capitolo 3: *** Creatura nuda ***
Capitolo 4: *** Sopravvivere ***
Capitolo 5: *** Are you flesh?... ***
Capitolo 6: *** Mani ***
Capitolo 7: *** Una tragica storia ***
Capitolo 8: *** Lei non lo vuole ***
Capitolo 9: *** Everytime ***
Capitolo 10: *** I colori che non ricordo ***
Capitolo 11: *** Una piccola bugia ***
Capitolo 12: *** Può un lupo provare speranza? ***



Capitolo 1
*** Fuga da Aguillon ***


Prompt: Ladyhawke "La prima fuga dal carcere", suggeritomi ormai tempo fa (credo fosse luglio 2018) da “Kamy”... grazie cara, spero ti piaccia!

 

Fuga da Aguillon

 

Philippe Gaston era troppo giovane, decisamente troppo giovane per morire appeso a una forca.

Quella mattina le campane suonavano gli ormai conosciuti rintocchi, il cui ritmo cadenzato avvisava della funzione religiosa imminente. E dopo la messa, presieduta da Sua Grazia, il vescovo di Aguillon in persona, il ladruncolo che tutti ormai chiamavano “il topo” sapeva che le guardie in livrea rossa e nera sarebbero venute a prenderlo, per trascinarlo appena fuori dalle mura dove lo aspettavano quei corpi penzolanti come sacchi di iuta. La pelle livida, le teste abbandonate sul collo in modo innaturale, le vesti stracciate e indecorose e l’eco delle loro ultime suppliche, degli ultimi pietosi lamenti prima della fine. 

Tutti quei corpi appesi, di ladri o di che un tempo forse erano stati uomini erano lì per adempiere ad uno scopo ben preciso: dovevano fungere da monito per chiunque avesse osato sfidare, o infrangere le regole stabilite da Sua Grazia, il Vescovo, signore temporale e spirituale di tutta la città. Aguillon lo temeva, Roma stessa lo temeva, eppure nessun uomo aveva mai osato sfidarlo, tranne forse quel Cavaliere, quell’Etienne Navarre di cui lo stesso Philippe aveva sentito parlare dalle stesse guardie mentre le derubava.

Purtroppo quello era stato il suo ultimo furto, il giovane Gaston aveva fatto una mossa falsa, riponendo troppa fiducia nelle proprie abilità.

Alla fine era stato catturato, e messo in gabbia, insieme ad un vecchio deforme e folle, ma innocuo se si fingeva di dar credito alle sue stravaganti farneticazioni.

Era stato in quel frangente che aveva osservato i corpi degli impiccati, oltraggiati dai corvi e dalle intemperie, e aveva udito, suo malgrado, la conversazione tra le due guardie che lo avevano acciuffato e lo spingevano in malo modo sul selciato della piazza.

 

“Impossibile ti dico che possa essere ancora vivo...” diceva una.

“Tu non conosci il Capitano, quel Navarre non è un uomo comune. Sa sicuramente come non farsi trovare da Sua Grazia, non per niente era il migliore tra noi. Se ha deciso di fuggire, il Vescovo non lo troverà” Rispondeva sicura l’altra guardia, più bassa e più corpulenta della prima.

 

Da quel giorno erano passati mesi, e l’unico motivo per cui Philippe Gaston respirava ancora, marcendo dentro Quella cella umida, era perché passava delle informazioni alle Guardie, informazioni preziose che gli avevano fatto guadagnare tempo. Ma ora quel tempo era concluso, Sua Grazia aveva deciso che il prossimo ad essere giustiziato doveva essere lui, “il topo”.

Philippe pregò il Signore, cosa che non faceva mai e, una volta scassinata la piccola botola nella sua cella, vi si infilò dentro non sapendo minimamente cosa ci fosse dall’altra parte di quel cunicolo angusto e buio, ma morire tentando la fuga era sempre meglio che morire appeso, con una corda al collo.

Se c’era riuscito quel Navarre a fuggire dalle ire di Sua Grazia, e dalla città, allora poteva sperare di farcela anche lui ad evadere dalle prigioni di Aguillon.

Uscire dall'utero materno non è diverso. Oddio, che ricordo...(1)” fu il suo ultimo pensiero, quando, mentre si faceva largo nel fango e nella melma di quel passaggio sotterraneo, non precipitò alcuni metri più giù, finendo nell’acqua gelida di un torrente sotterraneo che sembrava correre lungo le gallerie abbandonate sotto il castello. L’acqua scorreva lenta e fredda, odorava di putrido, di umido e di libertà.

“Forza Philippe manca poco...” si disse il ladruncolo per farsi coraggio. Poi un’ondata di terrore lo attraversò facendolo tremare, ancor più dei brividi di freddo, quando fradicio com’era, abbarbicato su una sporgenza della roccia, coi piedi nudi, si vide venire incontro qualcosa, qualcosa che strisciava veloce, sotto il pelo di quell’acqua scura e malsana di quel torrente sotterraneo.

No, no, no, Dio, no, no. Signore, ti prometto che non ruberò mai più per tutta la vita, lo giuro. Ma il fatto è che... se tu non mi salvi come farò a provarti la mia buona fede? Se mi hai udito, questo appiglio sarà saldo come una roccia e questa cosa che mi viene incontro non sarà quello che penso. Se lo sarà, non te ne vorrò di certo, ma ne sarò molto deluso...”.

 

***

 

Note al testo: 

  1. le frasi in corsivo sono tratte direttamente dal film a Ladyhawke.

 

Note dell’autrice:

Eccomi con una piccola OS dedicata a “Ladyhawke”. 

Probabilmente sarà una raccolta di di storie ispirate a vari Prompt e situazioni legate a Ladyhawke. 

Questa è la prima dedicata a Philippe Gaston “il topo”, le altre che scriverò non lo so ancora.

Buona lettura!

Ladyhawke83

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Capitolo 2
*** Il Capitano e il falco ***


Prompt Ladyhawke: “Mi sento come un topo tra le fauci di un lupo e di un falco”

 

Il Capitano e il falco

 

Le campane di Aguillon suonarono ancora, quel giorno, ma stavolta il motivo era diverso da quello che anticipava la funzione. Erano i rintocchi d’allarme, un avvertimento per tutti i cittadini.

Navarre riconobbe subito quei rintocchi, li aveva già uditi tempo addietro, quando aveva preso la decisione più difficile: fuggire e lasciarsi tutto alle spalle.

Era stato folle e rischioso, ma certo ne era valsa la pena, tutto quello che aveva fatto per lei, valeva il prezzo da pagare.

“Qualcun altro è fuggito da Aguillon. Vedi Goliath? Non sono  il solo  allora...” disse più a se stesso, che al proprio destriero il Capitano Navarre, mentre da una collina, poco distante dalla città, in mezzo ai vigneti, osservava il panorama, attendendo il tramonto.

 

Philippe, da un giorno intero ormai, camminava senza sosta, dopo essere fuggito dalle prigioni, era fradicio, dopo essere precipitato nelle acque sotterranee, ed essere riemerso dal fossato del castello.

Nessuno lo aveva visto fuggire, anzi era anche riuscito a sottrarre a una guardia la scarsella, con la paga della giornata, senza che quella se ne accorgesse.

Lo so che ho promesso di non farlo più, Signore, ma so anche che tu sai quanto debole sia la mia volontà (1)” Si disse Philippe, per auto assolversi, nonostante avesse appunto promesso a Dio, in cambio della salvezza, di non rubare più.

I suoi piedi erano talmente freddi e impillaccherati, che il ragazzo iniziava ad aver paura che gli si staccassero dal corpo da un momento all’altro. Era inverno, quasi, sul sentiero che Gaston stava percorrendo c’era della neve mista a fango e ghiaccio, e lui più cercava di non tremare, più i denti cozzavano uno contro l’altro causandogli spasmi violenti.

Si stringeva le braccia al pezzo frizionando la pelle sotto quella inutile, e troppo logora, tunica di lino, nel tentativo di scacciare i brividi e scaldarsi.

Forza, Topo, non ti fermare. Non ce n'è ancora per molto, solo trecento miglia ed è fatta. Un buon pezzo di cavolo come lo cucinava la mia cara vecchia... I lupi... Oh, i lupi, oh, per pietà, i lupi no, eh...”.

La fame e gli ululati dei lupi si fecero sentire entrambi, mentre Philippe ripensando al cibo, cercava di placare i morsi del proprio stomaco vuoto da troppo tempo ormai.

L'agnello, che buono... Ma dove diavolo sono? Oh, l'agnello caldo, l'agnello caldo con un po' di salsa sopra, quella roba verde che la piccola Berta ci metteva su... Su, forza!”.

Si fece coraggio e dopo aver passato la notte all’addiaccio, il giovane ladruncolo, soprannominato “il topo”, giunse ad una locanda sperduta in mezzo alle colline e filari di ulivi a perdita d’occhio.

La prima cosa che fece Philippe, dopo aver mostrato le monete sonanti - rubate -, fu ordinare un boccale di vino all’Oste della taverna, anzi ordinò che fosse servito da bere a tutti gli avventori, voleva fare un brindisi in grande stile.

Uno di questi signori seduto ad un tavolo, con voce grave, ma curiosa, domandò al giovane a cosa si dovesse tale brindisi, e fu così che Philippe si tradì con le sue stesse mani, peccando di troppa incoscienza.

Brindiamo ad un tipo speciale, amico mio, uno che è stato nelle prigioni di Aguillon ed è sopravvissuto per raccontarlo.” Asserì Philippe tutto soddisfatto, senza rendersi conto del pericolo imminente.

Allora brindi a me, giovanotto. Io ho visto quelle prigioni... Non ci sono stato da prigioniero... Se fossi rimasto nel bosco avresti avuto migliore sorte, Gaston.” L’uomo che aveva parlato si scoprì il mantello rivelando la livrea rossa e nera delle guardie del Vescovo.

Il viso era affilato e occhi scuri e crudeli osservavano Gaston, quasi con indifferenza, come se “il topo” fosse appunto solo quello, un qualcosa senza valore, al pari di una formica da schiacciare.

Quell’uomo dai colori scuri, come scura era la sua anima, rispondeva al nome di Marquet, ed era da tempo il braccio destro, nonché l’uomo più fidato di Sua Grazia.

Philippe cercò di difendersi in tutti in modi, saltando di qua e di là come una cavalletta, arrampicandosi sull’intelaiatura della vite, poi fu circondato e fu costretto con un balzo a saltare giù. 

Ormai prossimo alla morte, mentre la spada di Marquet sulla sua testa e Gaston implorava a Dio, un sibilo di freccia squarciò l’aria, andando a colpire di striscio il braccio di Marquet, che con dolore fece cadere l’arma a terra.

“Tu via” fece il cavaliere rivolto a Philippe, poi, dopo aver gettato via la propria balestra, fronteggiò senza esitazione Marquet con la propria spada. In fondo lui, una volta, era stato il suo Capitano, Marquet non poteva ignorarlo, anche se sembrava fin troppo beffardo nei modi.

Uno dei miei uomini mi ha detto che eri tornato. Volevo tagliargli la gola per aver mentito, poiché non ti credevo tanto stupido.”

Dalle parole di Marquet trapelava tutto il disprezzo e l’astio che quell’uomo provava verso il cavaliere, l’ex Capitano delle guardie, dai capelli color del grano e occhi azzurri e fieri.

“Navarre...” pensò tra sé Philippe terrorizzato, mentre cercava di fuggire da lì, salendo in groppa a delle puledre, senza successo.

L’idea che Gaston si era erroneamente costruito di Navarre, era che egli fosse un uomo fole, senza scrupoli, dalla forza sovrumana e con strane forze che orbitavano intorno a lui.

Si diceva che il Capitano parlasse con i lupi, che fosse come uno di loro, una bestia feroce e tradita. E che, in tutto questo, il bellissimo falco che era con lui, non lo abbandonasse mai. Si diceva, altresì, che Navarre ne fosse perdutamente innamorato, che fosse fuggito proprio perché era folle d’amore.

Strane dicerie e voci misteriose di cui Philippe non voleva fare parte, per questo quando vide che Navarre lo stava inseguendo a cavallo del proprio stallone nero, si mise a correre ancora di più. Non voleva essere preso. Era appena evaso dalle prigioni di Aguillon e non aveva nessuna intenzione di finire tra le grinfie di un cavaliere errante e folle.

Ovviamente tutto ciò che Philippe credeva di sapere sul conto dell’ex Capitano delle guardie era sbagliato, frutto di invidie, paura ed ignoranza. 

Quando Navarre lo prese portandolo via con sé, di fatto salvandolo dalle guardie e dall’ira di Marquet, Philippe non riuscì a fare a meno di pensare di essere di nuovo in trappola, senza sapere come ne sarebbe uscito quella volta.

“Mi sento come un topo tra le fauci di un lupo e di un falco...” pensò tra sé, mentre Navarre lo portava lontano, attraverso sentieri e boschi ignoti, verso un futuro incerto e complicato.

 

 

***

 

 

Note al testo:

  1. Tutte le frasi in corsivo sono citazioni letterali dal film Ladyhawke, e come tali non mi appartengono, e i cui diritti sono riservati. Sono state utilizzate senza fini di lucro.

 

Note dell’autrice: 

eccomi qua con la seconda OS dedicata a Philippe e al Prompt che trovate in alto, prima del testo. 

Come sempre ringrazio Kamy per il Prompt e le idee, e auguro a tutti buona lettura.

Ladyhawke83

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Capitolo 3
*** Creatura nuda ***


Storia partecipante al contest "Tante navi per una palma" indetto da GiuniaPalma sul forum di EFP




Creatura Nuda

 

 

Sogno una città

fiorire intorno a me

e torno libera

spogliata di ogni falsità

E ci sei anche tu

per non mentire più

creatura nuda come me

Nuda

vedresti me con gli occhi miei

 

(Valentina Giovagnini - Creatura nuda)

 

Isabeau non aveva ancora ben realizzato cosa fosse capitato effettivamente ad entrambi. Aveva passato le ultime ore, prima dell’alba, a chiamare il suo amato Navarre.

Lo aveva cercato in lungo ed in largo, stretta nell’ampio mantello di lui, senza capire che, in realtà, il bel cavaliere dagli occhi azzurri era proprio ad un passo da lei.

Un lupo, un alquanto docile lupo, dal manto nerissimo e dagli occhi dello stesso colore dell’ex Capitano delle guardie la fissa in attesa, ora quello era l’aspetto del suo amato: Etienne Navarre.

Ella non si era nemmeno resa conto di non esser sola, troppo sconvolta da quelle che erano, a tutti gli effetti, le conseguenze nefaste della maledizione lanciata su di loro, da Sua Grazia, il Vescovo di Aguillon.

Alla fine il sole giunse per Isabeau e con esso piume artigli ed un occhio formidabile, oltre che l’oblio della vita da essere umano, almeno fino al tramonto successivo, così come aveva sancito il patto maledetto.

Fu così che Imperius assistette, per la prima volta, alla trasformazione della bella Isabeau, da donna a falco, e rimase impietrito, sconvolto da tanta bellezza e crudeltà insieme. Non riusciva a distogliere lo sguardo da lei e da quel suo mutarsi continuo e doloroso.

Imperius continuava a ripetere tra sé e sé una preghiera al Signore, come se pregare potesse assolverlo dal peccato che aveva commesso. Era colpevole, lo sapeva, solo lo aveva compreso troppo tardi, e solo nel momento in cui il troppo vino, che aveva in corpo, aveva lasciato spazio alla razionalità ed alla lucida consapevolezza.

Era stato proprio lui, un vecchio e debole ubriacone a scatenare l’ira e la folle gelosia d’amore di Sua Grazia nei confronti di Navarre e Isabeau.

Navarre si ritrovò umano e smarrito, con accanto il bellissimo falco che lanciava piccoli gridolini di tristezza e disperazione, era solo. Aveva fallito nel proteggerla, o forse non aveva saputo amarla abbastanza da non esporla a quel pericolo. Fatto stava che in quel momento, nel cuore del cavaliere, un sentimento pulsava, sovrastando tutti gli altri, persino la paura e lo sgomento: la vendetta.

Il Capitano riusciva a pensare convulsamente solo al modo in cui potersi vendicare di quel folle, quel malato d’amore, quel vescovo figlio del demonio, che aveva distrutto le loro vite e lordato il loro futuro, suo e di Isabeau, tramutando una timida e nascente promessa di felicità, in un tragico destino.

 

“...Finché il sole sorgerà e tramonterà... finché ci saranno il giorno e la notte... per tutto il tempo che sarà loro concesso di vivere...”

 

A Navarre risuonarono ancora e ancora, nella mente, le parole di quel dannato che si spacciava per servo del Signore.

“Maledetto...” imprecò, mentre stringeva le redini di Goliath e il bellissimo falco volteggiava sopra la sua testa emettendo strida laceranti.

Navarre avrebbe inseguito Sua Grazia e, giurandolo sulla propria spada, lo avrebbe ucciso prima che potesse rientrare in Aguillon. A Non gli importava delle conseguenze di un simile atto, se avesse dovuto bruciare tra le fiamme dell’inferno, come il più vile degli assassini, allora avrebbe trascinato Sua Grazia, il Vescovo, con sé.

Strinse il guanto sull’elsa della propria spada e partì al galoppo, non curandosi del mulo e del carro del vecchio Imperius, poco distante dal sentiero battuto.

Quel vecchio monaco ubriaco avrebbe pagato anche lui i propri peccati, ne era sicuro, ma adesso la priorità di Navarre era di affrontare Sua Grazia prima dell’imbrunire, non aveva più molto tempo.

La temuta notte, la seconda dopo l’avverarsi della maledizione, la prima della sua semivita arrivò, e Isabeau si ritrovò nuda e sola.

“Navarre? Goliath?” Chiamava ripetutamente lei.

La fanciulla sembrava fuori di sé, sconvolta e spaventata a tal punto da non riuscire a smettere di tremare.

“Navarre vuole tornare ad Aguillon per uccidere Sua Grazia...” disse una voce, emergendo dal buio di quella notte fredda e ostile.

“Imperius... che cosa volete? Che cosa ci fate qui?” Domandò la fanciulla cercando di coprire le proprie nudità.

Il vecchio Monaco non la guardava, anche se non era sicuro di esser così saldo da non cadere in tentazione. Quella donna era pur sempre la contessa D’Anjou, la bellissima dama di Aguillon colei di cui tutti erano innamorati, fin dal primo istante che mise piede in Aguillon, eppure solo Navarre era riuscito a conquistarla, ma gli altri non avevano smesso di trovarla la più bella creatura che fosse mai esistita sulla faccia della terra...

“Se ti stai chiedendo perché Navarre non mi ha ucciso per avervi tradito è perché è troppo accecato dall’odio verso sua Grazia e io... io vorrei solo implorare il suo e il tuo perdono...” disse contrito Imperius alla bella dama.

“Voi ci avete tradito? Siete stato voi?” Chiese Isabeau, che si rese conto solo in quel momento da quale bocca il vescovo fosse venuto a conoscenza dell’amore segreto che legava lei al Capitano delle guardie.

Lui lo sa?” Insistette lei, con voce decisa, seppur con sguardo spaventato.

Il vecchio non le rispose, gli bastò abbassare lo sguardo per farle capire che sì, Navarre sapeva, e che lui, Imperius, avrebbe dato qualsiasi cosa per poter tornare indietro e non commettere quella leggerezza di confessare ogni cosa al suo superiore.

“Lascia che ti aiuti, Isabeau...” disse Imperius avvicinandosi a lei, sempre tenendo lo sguardo basso per non posare i suoi occhi da peccatore su quella meravigliosa creatura nuda, che era Isabeau.

“Non abbiamo bisogno del vostro aiuto Padre, avete fatto già abbastanza, non credete?” Rispose la donna, strappando nervosamente dalle mani del vecchio Monaco il mantello color porpora che egli le stava porgendo.

La nota cinica nella voce di Isabeau non le si addiceva per niente, ma Imperius si disse che doveva essere ancora troppo sconvolta e turbata, nonché adirata, per potersi fidare di lui: un vecchio ubriacone che invece di proteggerli li aveva gettati in pasto ad un demonio ammantato di bianco e oro.

“Voglio solo portati al sicuro verso Gabrosch. Là troverai qualcuno che possa ospitarti. Non è bene che una donna vaghi da sola la notte...” cercò di tranquillizzarla Imperius, ma Isabeau scattò in piedi come fosse stata morsa da un qualche insetto.

“Io non sono sola, Imperius” rispose con sguardo di ghiaccio Isabeau, mentre un ululato basso e lacerante riempiva l’aria circostante.

Il lupo dal manto nero non era lontano...

Navarre non era lontano...

Sempre insieme, eternamente divisi... così ha proferito Sua Grazia, lo rammentate Padre?” Gli disse Isabeau, sempre più fredda e scostante, mentre con il mantello di Navarre cercava inutilmente di coprirsi le gambe e le caviglie scoperte.

“Isabeau... io voglio solo proteggerti, credimi” disse Imperius cercando di sfiorarle una spalla.

Che il signore mi perdoni... pensò Imperius, mentre un pensiero tutt’altro che lucido e casto gli attraversò la mente.

“Avreste dovuto pensarci prima” lo ammutolì Isabeau schivando quel suo tocco, dirigendosi malferma sulle gambe verso il carro non lontano da lì.

Isabeau detestava Imperius, si era fidata di quel prete, lo credeva un vecchio amico, come lo era stato di suo zio, il conte D’Anjou, morto nelle crociate, che iddio l’abbia in gloria, ella lo credeva fidato ed innocuo.

Invece li aveva traditi, nella maniera peggiore possibile, e ora se ne stava lì, con finta afflizione dipinta sul viso, mentre la fissava con una certa lussuria malcelata negli occhi.

“Accetterò il vostro aiuto, Imperius, solo perché non ho altra scelta, ma ad una condizione: dopo che mi avrete lasciato al sicuro entro le mura di Gabrosh, non voglio più che le nostre strade si incrocino, né la mia, né quella di Navarre... Non voglio più sentire parlare di voi”

“Come desideri Isabeau... sappi che, senza nessun aiuto esterno, non vi sarà facile per voi, sfuggire alle ire di Sua Grazia... Da uomo e donna a metà siete vulnerabili... io potrei...” cercò di farla ragionare Imperius, ma Isabeau lo bloccò, impedendogli di finire quel pensiero e gli lanciò uno sguardo deciso, che non ammetteva repliche, in realtà, Isabeau desiderava solamente allontanarsi da quel luogo tetro e ostile e poter rimare sola con se stessa per poter piangere tutte le lacrime del suo amore perduto per sempre...

“Navarre saprà come fare e, se dovessimo fallire, almeno saremo insieme...” rispose Isabeau cercando di convincere prima di tutto sé stessa con quelle parole.

La fanciulla si sistemò sul carro e si chiuse il pesante mantello tutto intorno, aggiungendoci una coperta che aveva portato Imperius, per proteggersi dal freddo e da occhi indiscreti.

Imperius strinse le redini di Abraham e, con uno schioccò sonoro, che riverberò in tutto il bosco, fece muovere lo scricchiolante carretto.

“Spero che un giorno tu e Navarre riuscirete a perdonarmi...” disse Imperius quasi in sussurro, facendo scivolare senza alcuna malizia la propria mano su quella di Isabeau che ella teneva in grembo.

“Solo il tempo lo dirà... il tempo e Nostro Signore, tutto è in mano sua ora...” rispose Isabeau ritraendo la mano e facendo vagare lo sguardo ai filari di alberi che costeggiavano l’accidentato sentiero che portava a Gabrosh. La luna che filtrava qua e là timida e flebile, faceva sembrare tutto più nero e cupo.

Isabeau si voltò di lato, appena in tempo per scorgere il luccichio di uno sguardo chiaro, una sagoma scura e veloce sui loro passi, zampe possenti, calda pelliccia, passi felpati e sicuri.

Espirò sollevata, Navarre li stava seguendo, Isabeau non avrebbe mai potuto neanche immaginare di restare sola senza di lui, nemmeno un istante di più, non importava in quale forma lui le fosse accanto, lupo o uomo, lo avrebbe amato, e protetto comunque, fino alla fine dei suoi giorni.

 

 

***

Dedicato alla memoria di Rutger Hauer (1944 - 2019),

l’unico e solo Capitano Navarre...

Never forget you

 

***

In memoria della cantante Valentina Giovagnini (1980-2009), la tua splendida voce mancherà sempre...

 

***

 

Note dell’autrice:

questa One Shot partecipa alla #SummerBingoChallenge, indetta dal gruppo Facebook Hurt/Confort Italia - fanfiction e fanart.

Prompt/ numero 76, nudo, Ladyhawke: la prima volta che Isabeau si trasforma da falco in donna è sconvolta perché senza abiti e senza il suo amato; Imperius le viene in aiuto (anche se l'aiuto da parte sua non è bene accetto).

Spero di aver fatto bene, è la prima volta che scrivo una hurt/comfort. Ho anche il dubbio di non essere stata molto IC coi personaggi, ma ci ho provato.

Buona lettura

Ladyhawke83

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Capitolo 4
*** Sopravvivere ***


Sopravvivere 

 

 

Essere costretti a non potersi più vedere, né sentire, né toccare, era già straziante di per sé, ma ora oltre allo smarrimento, alla collera, alla paura, alla straziante semi-esistenza a cui erano stati destinati dalla maledizione, si aggiungeva un problema più spinoso ed urgente: come sopravvivere in quelle condizioni?

Se per il capitano Navarre ciò poteva risultare più facile, in quanto lui restava umano per tutto il tempo del giorno, dal sorgere al tramontare del sole, per Isabeau non poteva certo dirsi altrettanto.

Lei era donna solo al giungere della sera, e poi della notte, tutto quindi per lei era più difficile e impervio.

Sola, con l’unica compagnia del fedele Goliath e del proprio coltello, la contessa D’Anjou, dopo aver sperimentato l’ebbrezza dell’altitudine e la magnificenza dei cieli diurni, come falco, ora si ritrovava nella notte, sotto una pallida luna, a non sapere come vestirsi, né come cibarsi, né tantomeno dove dormire.

Trovare riparo in un fienile, o in una locanda era fuori discussione, almeno finché Navarre non li avesse condotti abbastanza lontano da Aguillon, dalla minaccia sempre incombente, e inquietante, dell’ulteriore vendetta di Sua Grazia, il Vescovo che li aveva maledetti.

La prospettiva di finire catturata e di nuovo nelle grinfie di quel folle era qualcosa che spaventava Isabeau quasi quanto la morte, ma se non avesse trovato una soluzione in fretta non sarebbe sopravvissuta a lungo nei boschi e senza protezione, se non quella data dal suo amato sotto forma di lupo.

“Dobbiamo trovare un modo per aiutarci, per sopravvivere a questo destino infausto insieme, Navarre...” Disse lei debolmente accarezzando la folta pelliccia dell’animale nero e docile accoccolato accanto ai suoi piedi.

Se qualcuno avesse potuto vederla, ella poteva ancora sembrare come una graziosa dama dipinta in un quadro.

Peccato che fosse una donna in fuga, braccata, inseguita, bramata, umiliata, e che quello accanto a lei non fosse un banale cane da compagnia, ma un lupo nero, feroce, brutale, inconsapevole.

Navarre non le avrebbe mai fatto del male, questo Isabeau lo sapeva, ma cominciava a temere per la sua sicurezza e anche la propria.

“Non capisci ciò che dico, vero?” Chiese lei, più a se stessa, che al lupo che riposava tranquillo accanto alla dama.

“Troverò un modo, ma per questa sera non posso accendere un falò per cuocere la carne, purtroppo dovrai cenare da solo. Non posso mangiare questa lepre così com’è...” sospirò Isabeau, alludendo alla preda che Navarre gentilmente le aveva portato, posandogliela vicino ai piedi, ancora sanguinante e con occhio vitreo e terrorizzato.

“Suppongo mi ci dovrò abituare, vero?” sorrise lei mesta, mentre faceva vagare lo sguardo sulle stelle in cielo.

Niente sarebbe più stato come prima, come ad Aguillon. 

Niente più passeggiate alla luce del sole, niente più preghiere nella cattedrale, né balli, né canti... Isabeau si rese conto solo in quel momento che non avrebbe più rivisto il volto del suo amato Navarre, se non forse per quei brevi istanti, tra il sorgere il calar del sole. 

E se si fosse un giorno dimenticata del colore dei suoi occhi, del suono duro, ma melodioso della sua voce?

Per fortuna poteva sentirne ancora l’odore. I suoi abiti, il suo pesante mantello aveva il suo profumo e lei se lo strinse addosso, cercando di dormire almeno un po’.

“Mi avviserai se c’è pericolo, non è vero?” Chiese la fanciulla al lupo, senza ottenere risposta.

Aveva freddo, l’abito che indossava era quello di seta, cangiante dal viola al turchese, era di tessuto e colore preziosissimi, fatto fare apposta per lei, su misura. Con quell’abito sognare di sposare il suo Navarre, sotto un cielo terso e luminoso, in un giorno di festa.

Ora, invece, si ritrovava ad odiarlo quel bel vestito che sembrava uscito da una fiaba. Era scomodo per muoversi nel sottobosco, si impigliava ovunque e non riparava dal freddo o dalle ferite o escoriazioni.

Raccolse il lembo che le cadeva ai piedi e se lo rimboccò. 

Doveva trovarsi altri abiti, quello era l’unico che aveva e per una donna in fuga come lei non era adatto, persino per cavalcare Goliath le dava qualche problema.

Con questi pensieri si addormentò, sognando ancora una volta quella notte, e l’orribile maledizione lanciata su di loro. Isabeau non riusciva a togliersi dalla mente e dal cuore il senso di colpa.

Se avesse accettato le lusinghe di Sua Grazia, avrebbe vissuto una vita terribile ed infelice, ma avrebbe risparmiato quell’infausto destino al suo amato Navarre.

Un suo cenno, un suo sì, avrebbero potuto davvero mutare il corso degli eventi?

Era inutile chiederselo, in fondo ora le cose stavano così, e l’unica cosa a cui doveva pensare era sopravvivere, lo doveva al Capitano e a se stessa.

 

***

 

Isabeau si risvegliò la notte seguente, in un luogo differente, ma trovò agganciata alla sella di Goliath una scarsella che non aveva notato in precedenza.

“Buonasera Goliath” lo salutò lei dolcemente, accarezzando il collo dello stallone, “vediamo cosa ha lasciato lui per noi...”.

Con sua grande sorpresa vide che Navarre aveva pensato a lei, possibile che avesse capito ciò che Isabeau gli aveva detto, quando era lupo, la notte prima?

Emozionata e tremante, Isabeau, tirò fuori dalla sacca di pelle una tunica bianca, di lino spesso, grezzo, ma resistente, e dei panni da gamba (1) muniti di cintura con occhielli per fissarli.

La donna pensò a come sarebbe sembrata vestita così, da uomo, accompagnata da un lupo, mentre vagava tra i boschi in cerca di selvaggina da cacciare: una strega, ecco cosa sarebbe parsa, non certo come la figlia di un conte.

Insieme agli abiti modesti, ma puliti, Isabeau ci trovò la cosa forse più importante di tutte, il necessario per accendere un fuoco.

C’era tutto: l’acciarino, le esche secche e alcune pietre focaie di piccole dimensioni.

Lei pregò di ricordarsi come si faceva ad appiccare un fuoco, mentre si cambiava d’abito, poi quando fu pronta, piroettò su se stessa in un guizzo di vanità residua, domandando al destriero di Navarre: “Goliath, allora, come sto bene così?”. 

L’animale per tutta risposta Sbuffó e nitrii sonoramente.

“Lo prendo per un sì...” Isabeau si sentiva sciocca a parlare con il cavallo, ma erano giorni che non scambiava una parola con nessuno ed il silenzio, insieme alla notte ostile, rischiavano di farla impazzire.

Quando Isabeau, finalmente, riuscì a far partire una scintilla sulle esche, quasi gridò dalla gioia, non era stato per niente facile come se lo ricordava, o forse la differenza stava tutta nel modo: un conto è accendere un fuoco domestico, un altro è avviarlo e mantenerlo all’aperto.

La raggiunse, di lì a poco, Navarre, con una lepre nelle fauci insanguinate che, come tutte le altre volte, depose accanto all’amata, quasi come fosse un dono, un regalo prezioso.

“Grazie...” disse Isabeau, riferendosi sia alla preda catturata, che ai vestiti e al resto che lui aveva procurato in giornata.

“...Peccato che tu non possa portarmi qualche raggio di sole” Gli disse lei, accarezzandogli il muso dolcemente, per poi adoperarsi a pulire e a cuocere la piccola carcassa, tutto pelo, muscoli e ossicini.

“Perdonami” disse Isabeau alla lepre, sottovoce, prima di cucinarla. Levò una breve preghiera a Nostro Signore e, una volta che furono entrambi sazi, lupo e dama, si rivolse ancora al cielo, questa volta nuvoloso e carico di pioggia.

Il lupo sonnecchiava, ma uggiolò, muovendo le zampe posteriori e la coda in maniera agitata, quando vide lei estrarre nuovamente il proprio coltello dal fodero.

 

***

 

La mattina seguente Navarre trovò accanto alle braci, quasi estinte, una treccia, una piuma e una pezza di tessuto con incise delle lettere.

Sulle prime non capì, era ancora confuso e frastornato, nonché dolorante dalla trasformazione da lupo in umano, poi mise a fuoco quegli oggetti, riconoscendone la provenienza: Isabeau.

Lei aveva lasciato quelle cose per lui. 

Il cavaliere prese con mano tremanti la lunga ciocca di capelli intrecciati, erano biondi, dello stesso colore del grano, con sfumature ramate del sole al tramonto, erano i suoi (2).

Isabeau si era tagliata i lunghi e bellissimi capelli per farne una treccia per lui, come ricordo, come monito, come promessa.

Navarre se li portò al viso, li sfiorò, ne respiro il profumo, imprimendoselo nella mente, era come se lei fosse ancora lì con lui. Il falco emise uno stridio acuto che lo riportò alla dolorosa realtà.

Era solo, con l’unica compagnia del rapace e di Goliath. 

L’ex Capitano delle guardie si disse che avrebbe messo fine a quella maledizione, ad ogni costo, anche a quello di uccidere Sua Grazia.

Sulla pezza di tessuto, che Navarre notò solo più tardi, Navarre vide una scritta, cercò a fatica di decifrarne il massaggio, ma gli parve di leggere un “grazie” ed un “ti amo” tra le altre lettere. 

Purtroppo egli non aveva mai imparato molto bene a leggere e a scrivere (3) a differenza di Isabeau, istruita fin da bambina nella scrittura e nelle arti.

Navarre era un soldato, un Cavaliere certo, ma pur sempre un combattente, e per chi impugna le armi, non occorre chissà quale istruzione.

Per sguainare la spada e colpire un nemico occorre velocità, strategia e una buona dose di fortuna, non serve a niente la filosofia...”. Così gli aveva detto l’amico Francesco (4), quando da giovani, si allenavano di scudo, di lancia e di scherma, per diventare Cavalieri.

Navarre, però, davanti a quella calligrafia così fine e precisa, pensando alla mano che aveva impugnato la penna per scrivergli quelle poche parole ebbe un tuffo al cuore.

Quanto avrebbe voluto anche lui, poter esser degno di lei. Degno in un senso più ampio. Aveva conquistato il suo cuore con lo sguardo e le abilità da Cavaliere, ma ora, ora che erano entrambi legati e spezzati insieme, sarebbe stato capace di proteggerla, di sopravvivere fino a poterla stringere di nuovo fra le braccia?

Non lo sapeva, si affidò a Dio e spronando Goliath, col sole già alto nel cielo, riprese il cammino verso il loro futuro incerto.

 

***

 

Note al testo:

  1. panni da gamba: termine utilizzato per definire i pantaloni nel medioevo.
  2. Ci sono alcune scene della battaglia finale, dove Navarre ha legato al braccio poi, e prima nell’elmo, un abito e dei capelli biondi, lunghi. Ho immaginato fossero cose che gli aveva lasciato lei, nei due anni in cui hanno vissuto la loro vita insieme, ma separati, per colpa della maledizione. Se ricordate alla fine, nel film, Navarre guarda Isabeau e dice: “I tuoi capelli”, come a indicare che non se la ricordava in quel modo, coi capelli così corti, quindi Isabeau li ha tagliati.
  3. Ho immaginato che ci fosse questa lieve disparità fra i due, sia per istruzione, che per esperienze vissute, in fondo nel medioevo non erano in molti a conoscere la scrittura, spero non sia troppo OOC, ma al momento non ho trovato nulla in merito e ho pensato potessero scambiarsi brevi messaggi in questo modo.
  4. Francesco è un personaggio secondario, che compare nel film,  amico di Navarre e che Navarre trafigge per sbaglio con la propria spada, per colpa di Marquet.

 

 

Note dell’autrice:

Una nuova, breve, OS su indicazione di Nattini1 per la #SummerBingoChallenge, indetta dal gruppo Facebook Hurt/Confort Italia - fanfiction e fanart.

Prompt/ numero 50 autosufficienza: Navarre e Isabeau iniziano la loro vita a metà, lei falco di giorno e lui lupo di notte; la sfida è procacciarsi il cibo e sfamarsi a vicenda, lasciare all'altro abiti asciutti ecc...

Spero di aver soddisfatto i criteri e le aspettative.

Come sempre, buona lettura!

Ladyhawke83

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Capitolo 5
*** Are you flesh?... ***


Are you flesh?...

 

Philippe entrò di soppiatto nella stanza di quella vecchia Rocca diroccato, certo chiamarla Rocca era un complimento, dato che ovunque voltasse lo sguardo c’erano più buchi e rattoppi, che pietre solide, ma tant’è, lì era il luogo dove Navarre aveva detto di portare il falco e il piccolo ladruncolo aveva obbedito.

Seguire gli ordini del capitano era una cosa, stare fuori dai guai un’altra, e così Philippe, disobbedendo a Imperius più per curiosità che per cattiveria, era entrato scostando il portone cigolante, non aspettandosi certo di vedere lei...

Isabeau era là, bellissima, sofferente, nuda, coperta solo da coltri di stoffa e pelliccia, con il dardo di freccia che faceva bella mostra di sé,  conficcato sotto la spalla e proprio sopra il seno sinistro, nello stesso medesimo punto dove era stato ferito il falco, lo che Philippe  Gaston, ore prima, aveva dato per spacciato, davanti al Capitano Navarre.

“Il topo” cominciava a capire cosa legasse quei due, la bella Isabeau e il tenebroso Navarre, e quali fossero i tasselli misteriosi della storia in cui si era imbattuto.

Era senza parole il giovane Gaston, quasi balbettò quando le chiese: “Ma tu sei vera, o sei uno spirito?”

“Sono dolore” aveva risposto lei, voltando il viso per nascondere una lacrima fugace.

 

[word 208 - Prompt: “Ma tu sei vera, o sei uno spirito?”]

 

***

 

Philippe imbarazzato e sconvolto fece per andarsene, uscendo dalla stanza, quando lei lo fermò con parole flebili, quasi impercettibili.

Resta con me...” gli chiese lei, e poi subito aggiunse: “Navarre... Navarre sta...” e si bloccò per una fitta di dolore, causata dalla freccia ancora prepotentemente conficcata nella carne.

“Sta bene, molto bene, mia signora. C'è stata una tremenda battaglia. Navarre ha lottato come un leone. Il falco, il falco è stato colpito. Lo sai, non è vero?”

“Sì” Fu l’unica risposta di Isabeau, piena di malinconia, nostalgia, rimpianto...

I due furono interrotti da Imperius, il quale, col respiro affannato di chi ha urgenza di fare, irruppe nella stanza: aveva con sé le erbe medicamentose per estrarre la freccia e curare la ferita di Isabeau.

“Ma come... Ora va' fuori. Fuori. Fuori, e questa volta restaci.” Gli Intimò il vecchio e al piccolo topo non restò altro da fare che aspettare, e pregare.

 

[word 152 - Prompt: resta con me]

 

 

***

 

Nota dell’autrice:

Questa storia partecipa alla challenge "IT'S JUST A QUICK PRICK" CHALLENGE! Indetta dal gruppo Facebook Hurt/Confort Italia - fanfiction e fanart.

 

 

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Capitolo 6
*** Mani ***


Mani

 

“Le loro mani potevano solo sfiorarsi senza toccarsi realmente...”

Questa era la loro condanna, ma rappresentava anche il flebile lume della speranza. Finché Isabeau e Navarre potevano vedersi, e quasi sfiorarsi, al sorgere ed al calar del sole, questo voleva dire che erano ancora vivi, entrambi.

Sì, perché nella loro semivita da animali e da umani, ciascuno di loro due, quando si trasformava in un falco, o un lupo, non aveva memoria del giorno trascorso e nemmeno della notte, quindi non poteva sapere se all’altro era successo qualcosa di irreparabile.

Isabeau era spesso in pena per Navarre, lei era sola a vagare nei boschi, ma non era per sé che temeva, ma, anzi, per l’incolumità del Capitano.

Era Navarre che si trovava spesso a rischiare di pagare il prezzo più alto per la loro solitudine e condanna. Egli doveva viaggiare di giorno, solo di giorno, costretto dalle circostanze ad incontrare persone, poco importava se fossero essi poveracci, o locandieri, o viandanti: il cavaliere non poteva essere sempre certo delle loro buone intenzioni, ed il rischio stava tutto lì, nel non sapere.

Certi figuri avrebbero avuto tutta la convenienza di aggredirlo, di portargli via spada e cavallo, o peggio. Avrebbero potuto, dietro compenso, vendere informazioni utili su di lui, le quali avrebbero sicuramente raggiunto le orecchie del vescovo di Aguillon e del nuovo capitano della guardia. 

Navarre in quei due anni si era spinto molto lontano dalla città governata da Sua Grazia, sapendo di aver il suo fiato sul collo. Lo aveva fatto per salvaguardare lei e loro, ma poi, senza motivo apparente, era ritornato sui suoi passi e Isabeau, risvegliandosi dall’incubi di piume e geti da falco, si ritrovava sempre più vicina ad Aguillon, ed i paesaggi iniziavano ad assumere contorni sempre più dolorosamente familiari.

La fanciulla si chiedeva sempre se la notte successiva lo avrebbe ritrovato al suo fianco, preoccupata di non udire più il suo lamento, inconfondibile, nella notte.

Il pensiero delle loro mani e di quel non riuscire a sfiorarsi, non ancora, era angosciante, e confortante, al tempo stesso. 

Quel pensiero, quel breve istante concesso loro dalla maledizione, fatto di luce e buio, piume leggere e pelliccia nera, era ciò che teneva in vita il loro amore, era la linfa vitale di ogni loro gesto, azione, volontà.

Senza quello tutto sarebbe stato perduto.

Non avrebbe avuto senso vivere braccati, se non ci fosse stato  ancora qualcosa per cui lottare, e le mani, le loro mani, tese ad incontrarsi, senza mai riuscire a toccarsi davvero, erano quel qualcosa. Avrebbero serbato il coraggio nel cuore e rimandato la resa fino alla fine, per tutto il tempo che sarebbe stato loro concesso di vivere...

 

***

 

[word 444 - Prompt: “Le loro mani potevano solo sfiorarsi senza toccarsi realmente”]

 

 

Note dell’autrice:

Questa storia partecipa alla challenge "IT'S JUST A QUICK PRICK" CHALLENGE! Indetta dal gruppo Facebook Hurt/Confort Italia - fanfiction e fanart

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Capitolo 7
*** Una tragica storia ***


 

Una tragica storia

 

 

Philippe aveva da poco scoperto, grazie alla confessione di Imperius, la verità su quei due.

Non che da solo, il topo, non fosse già riuscito ad intuire che doveva pur esserci qualcosa di magico, mistico e misterioso, che legasse a doppio filo la vita del Capitano Navarre e quella della bella signora Isabeau, solo che gli mancavano alcuni tasselli, alcune parti confuse.

Quei vuoti, quelle parti poco chiare, le aveva spiegate, riempite il vecchio monaco Imperius, sciogliendosi la lingua ed alleggerendosi il cuore, grazie ad un falò, una notte stellata, e molto, molto vino speziato.

Ora che il giovane Gaston sapeva la verità sul triste destino dei due amanti e sulla maledizione che gravava su di loro, non poteva far altro che domandarsi cosa avrebbe potuto fare per loro, e se era giusto che facesse qualcosa.

Intromettersi ancora di più nelle loro vite significava per, Philippe, rischiare molto, comportarsi come mai aveva fatto prima, mettendo la felicità degli altri prima della propria.

 

...Ti sei imbattuto in una tragica storia, Philippe. E ora, che tu lo voglia o no, sei perduto in essa, come tutti noi...

 

Aveva detto Imperius, la notte che era appena trascorsa, lasciando intendere che qualunque cosa scelta avesse fatto il giovane, di lì in avanti, niente sarebbe stato più lo stesso.

Philippe era un ladro sì, un orfano pure, un dimenticato da Dio, ma certo non era un codardo, ormai aveva preso a cuore la storia tormentata dei due, e d’altra parte si rendeva perfettamente conto di essere l’unico tramite tra lui e lei, l’unico amico, l’unico di cui entrambi potessero fidarsi.

Per questo il ragazzo aveva deciso, alla fine, di partire col Capitano Navarre, invece di restare col vecchio alla Rocca.

“Allora tu e lady falco andrete verso Aguillon?” Aveva chiesto Philippe a Navarre, mentre cercava di stargli al passo, mentre quest’ultimo spronava Goliath.

“Lady falco?” Domandò il cavaliere, quasi sorridendo, più al rapace che al giovane Gaston.

“Sì” confermò Navarre deciso.

“Beh, si dà il caso che anch'io stia andando in quella direzione” disse  Philippe ormai convinto, poi tornò verso Imperius e gli fece cenno di seguirli a distanza.

La mente del topo già stava elaborando un suo piano strategico per convincere il Capitano ad attendere quei tre giorni per entrare in Aguillon e affrontare Sua Grazia il Vescovo.

“Ma se il vecchio dice il vero su come far finire la maledizione, se tu e Isabeau poteste affrontare il Vescovo insieme, da uomo e donna...” provò a dire Philippe, il quale in cuor suo stava cominciando a credere alla predizione di una notte senza il giorno e un giorno senza la notte, da parte di Imperius, se fosse stato tutto vero, ciò avrebbe spezzato per sempre le loro invisibili e dolorose catene.

“Non dirlo mai più, né a me, né a lei, capito?” Fu la risposta secca e dura di Navarre, il quale non Ammise repliche e, per il resto del viaggio,  costrinse Philippe ad un silenzio carico di pensieri.

Quando il Capitano prima del tramonto affidò il falco a Philippe, lo apostrofò come lady falco, e il ragazzo fu intimamente orgoglioso di averle dato quel soprannome, anche se in quel momento si sentiva nervoso al pensiero di rivedere la bella Isabeau dopo il calar del sole.

Cosa gli avrebbe detto lei?

Come si sarebbe giustificato lui?

Era forse in collera con lui?

In fondo Philippe l’aveva lasciata cadere giù da una torre, non era riuscito a tenerla, e se non fosse stato per l’alba, coi suoi raggi solari salvifici, lei sarebbe morta di sicuro, cadendo al suolo.

Al pensiero ebbe un brivido, poi si riscosse, e vedendo il cielo scuro e piovoso, capì che doveva trovare al più presto degli abiti per lei, perché, di lì a poco, Isabeau non sarebbe più stata quel bellissimo falco sul trespolo, ma bensì una bellissima donna, il cui sguardo lo aveva già stregato da tempo.

 

***

 

Quando rientrò nel fienile, la seconda volta, dopo aver lasciato gli abiti per lei, Philippe la trovò che carezzava e sussurrava parole dolci a Goliath, il cavallo del Capitano.

Isabeau gli chiese di Navarre e Philippe, come suo solito, non riuscì a dire solo ciò che il Capitano gli aveva detto di riferire, ma infarcì le cose dandoci un tocco di romanticismo malinconico.

Lei ovviamente riconobbe che quelle non potevano essere parole di Navarre, ma rise comunque e fu grata di avere la compagnia di qualcuno che fosse umano, dopo tante notti passate in solitudine, sola con Goliath e con il lupo.

“No, non giurare... dimmi solo se è vero che lui ci riporterà ad Aguillon?” Chiese lei a Philippe, il quale annuì, mentre lei non parve molto entusiasta al pensiero di ritornare là da dove erano fuggiti. Quella non era più casa sua e il pensiero che qualcosa potesse andar male, o che Sua Grazia potesse mettere le sue luride mani su di lei, la faceva rabbrividire di angoscia.

Philippe allora la convinse ad uscire per bere una coppa di vino alla vicina taverna, le disse che avrebbe potuto ascoltare buona musica e ballare magari. Quando il ragazzo lo disse, sul suo volto si era dipinto un enorme e genuino sorriso.

Il piccolo topo avrebbe fatto di tutto per vederla felice, per proteggerla... il Capitano era un uomo fortunato.

Isabeau sembrò prendere coraggio e proprio allora furono raggiunti, nel fienile, da della musica, una specie di saltarello.

“Balliamo mia Signora?” Chiese Philippe allungano la mano e il braccio verso di lei.

“Non so, non lo faccio da tanto tempo...” disse lei, e a Gaston parve quasi di scorgere un lieve imbarazzo sulle sue gote.

“Prova, è facile... uno, due, tre...” disse lui, mentre la faceva volteggiare tenendole una mano sul fianco.

Isabeau rideva, rideva e ballava e Philippe pensò, ancora una volta, che non aveva mai visto niente di più bello in vita sua.

Quella donna pareva un sogno, un angelo e lui provò uno strano dolore dietro lo sterno a pensare a quale grande fortuna e amore legava lei al Capitano Navarre.

Il giovane Philippe che, per quella sera si era assunto il ruolo di protettore di Lady Falco, pregò il Signore affinché anche lui un giorno potesse trovare un amore così grande, così bello e così puro, da resistere a tutto, persino ad una maledizione terribile.

Lui forse non aveva tutto quel coraggio, perché ci vuole coraggio ad amarsi senza potersi realmente sfiorare ma, dalla sua parte, aveva di certo un animo forte e un’indole generosa, e poi era, o non era, fuggito dalle prigioni di Aguillon?

Philippe Gaston era riuscito in un’impresa che tutti ritenevano impossibile, quindi sarebbe riuscito di certo a trovare il cuore giusto da conquistare, al costo di scassinarne la porta...

 

***

 

[word 1118 - Prompt: Personaggio A è stato maledetto, personaggio B si occupa di lui]

 

 

Note al testo:

 

Questa storia partecipa alla challenge "IT'S JUST A QUICK PRICK" CHALLENGE! Indetta dal gruppo Facebook Hurt/Confort Italia - fanfiction e fanart.

Spero di essere riuscita a centrare il Prompt. 

Certo c’è poco Hurricanes- confort, ma non sono molto brava in queste cose...

Buona lettura 

Ladyhawke83

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Capitolo 8
*** Lei non lo vuole ***


Questa storia partecipa al gioco “biscotto della fortuna”, indetto dal gruppo Facebook Hurt-confort Italia fanfiction e fanart.

 

Lei non lo vuole

 

Imperius prese il falco dal guanto di Navarre, tremava, per quanto avesse fiducia nel disegno di Nostro Signore non era sicuro che tutto sarebbe andato per il meglio, ma dovevano pur tentare.

“Se la funzione finirà pacificamente sentirai le campane suonare a lungo. E così tu capirai che ho fallito.”

“Ma Isabeau?”

“Io... ti prego, toglile la vita. E fallo... fallo subito.” Disse Navarre cupo in volto.

“Io non posso farlo.” Temporeggiò Imperius.

“Sì che puoi. Io te ne prego. Crudeltà sarebbe condannarla per sempre ad una semivita, e lei non lo vuole.” Gli ricordò Navarre.

“Hai mai pensato che questo era il disegno di Dio fin dall'inizio?”

Imperius riluttante afferrò il coltello del Capitano e  si avviò lontano col falco pigolante e spaventato sul braccio.

Non poteva accettare che quella di metter fine alla vita di Isabeau, fosse l’unica soluzione possibile: Lei e Navarre meritavano di esser felici, di nuovo insieme, dopotutto.

 

 

[word 157]

 

 

Note dell’autrice:

Il compito assegnato dal biscotto è: scrivere una storia di 100 parole circa a tema Hurt-confort su cui normalmente non scriverei.

Nel mio caso i temi più difficili per me da trattare sono l’omicidio/suicidio assistito.

Ci ho provato con i personaggi di Ladyhawke, su suggerimento di un’utente del gruppo.

Buona lettura

Ladyhawke83

 

 

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Capitolo 9
*** Everytime ***


Storia scritta per @Kamy

Partecipa all’iniziativa: “Writing Challenge - Spotify wrapped 2022”

Personaggio assegnato: Isabeau (Fandom Ladyhawke)

Brano: “Everytime” Loreen (numero 45)

Rating: verde

Words: 563

 

 

***

 

Everytime

 

You're here,you're here but I'm still alone

I say goodbye to your shadow

 

 

Era stata una scelta sofferta, ma ben ponderata. Isabeau non riusciva più a sopportare quel destino, quella semivita, la sua unica colpa era stata quella di aver amato troppo, e perdutamente, il Capitano delle guardie di Sua Grazia, Etienne Navarre.

Lo amava ancora, non avrebbe mai smesso di amarlo, ma non avrebbe sopportato un altro giorno, un’altra notte, senza conforto, senza speranza, senza futuro.

“Siete sicura, Mia Signora?” Le aveva chiesto di nuovo Philippe. Il bambino ragazzo non riusciva a credere che lei, proprio lei, dopo tutto quello che aveva sopportato in quella vita da falco e da donna baciata solo dalla luna, decidesse di arrendersi, e per di più in maniera così crudele e vile verso il Capitano.

“Philippe, cerca di capire... io... non posso, non posso più restare, non così”. Aveva esalato Isabeau, condensando le parole in una nuvola di vapore in quella notte fredda e senza stelle.

“Ma se ve ne andate ora, lui vi inseguirà, vi cercherà, vi amerà ancora più disperatamente di prima”. Le ricordò dolosamente Philippe.

 

 

Like a moon you pull me to the shore

But I can't be ocean anymore

I can't I can't but you don't know

How I feel so I gotta go...

 

 

“Lo so, proprio per questo devo lasciarlo, ma tu, tu mio caro Philippe, nostro unico e grande amico, dovrai restargli vicino, prenderti cura di lui”. Disse Isabeau stringendo le mani di Philippe Gaston, in una muta preghiera.

“Ma... lui... lui non capirà. Il Capitano ne morirà, se voi lo abbandonate”.

Philippe provo un vero senso di angoscia e di dolore al pensiero di quello che avrebbe fatto Navarre al suo risveglio, il piccolo topo sperò che l’alba non giungesse mai a rischiarare quella notte assurda.

“Io non lo abbandono, mai potrei, piccolo topo, vorrei solo liberarlo, come libera vorrei essere io, se non posso sciogliere la maledizione, almeno posso sciogliere il nodo che lega troppo strette le nostre anime dannate”.

“Isabeau ti prego, non farlo... non ora che io credo nel vostro amore...” tentò un’ultima volta Philippe.

“Ti prego Philippe. Lasciami andare, credi ai sogni Philippe?”

Lui annuì.

“Ma dai sogni prima o poi ci si sveglia... Andiamo padre, vi prego”.

Imperius rispose al cenno di Isabeau e spronò Abraham, e l’asino mosse le orecchie, sbuffò e di malavoglia mise uno zoccolo davanti all’altro, pestando il terreno umido e scuro.

“Che il Signore abbia misericordia di noi”. Disse Imperius mentre si allontanava nella nebbia della notte con Isabeau. Il ragazzo rimase solo con le ombre, i rimpianti e gli ululati del lupo Navarre in lontananza.

Il nuovo giorno sarebbe presto arrivato e con lui un’amara verità: Isabeau se ne era andata e, con lei, ogni speranza di redenzione per lui e d’amore per quei due sventurati amanti.

“Ho tentato Padre, e ho fallito... ho fallito ogni volta. Non merito il perdono. Io sono, e rimarrò per sempre, un ladruncolo senza valore...” disse fra sé Philippe, raccogliendo la spada di Navarre e le poche cose che Isabeau e Imperius gli avevano lasciato.

“Navarre mi ucciderà... mi ucciderà...” si disperò Philippe, e di colpo si rese conto di aver perso ogni cosa, ogni briciolo di luce e onore che aveva avuto fino a quel momento.

Senza salvare il loro amore, lui non era niente, non era più niente.

 

 

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Capitolo 10
*** I colori che non ricordo ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it

Prompt: Aurora

 

I colori che non ricordo 

 

Isabeau si era abituata a quella vita, a quelle ore fatte per lo più di grigi, neri e blu scuri.

Aveva imparato presto, Isabeau,  a cavarsela di notte, costringendo i suoi occhi a vedere oltre il buio, oltre la paura, oltre i rumori della foresta.

Lasciando che le sue orecchie imprimessero nella memoria ogni singola variazione di passo, stridio, scricchiolio o verso di animale notturno. 

D’altra parte doveva pure cacciare, ma doveva anche essere meno visibile possibile e non solo per la fauna notturna, ma anche per certi ceffi che a volte popolavano i villaggi al limitare delle foreste.

Certo Isabeau in realtà non era sola, non lo era mai stata: con lei c’era sempre un lupo, quel lupo, il suo amato Etienne Navarre.

Sotto la possente creatura dal manto nero batteva pur sempre il cuore di un cavaliere, di un Capitano, il cuore dell’uomo che amava e che era spezzato.

Lei lo poteva udire il suo dolore, lo riconosceva nel latrato disperato che lui lanciava al cielo ogni notte, ma se lo sentiva nelle viscere, poiché era il suo stesso dolore, lo stesso fardello condiviso che si palesava ogni mattina al sorgere dell’aurora.

Isabeau aveva dimenticato i colori dell’aurora, Quando il cielo iniziava a tingersi di rosa, arancione, rosso ecco che iniziava l'aurora, la tanto temuta aurora, quando il sole si mostrava all'orizzonte, per Isabeau era già iniziata la trasformazione: la maledizione non lasciava scampo, le belle mani si trasformavano in artigli, la pelle in impalpabili piume e penne, e gli occhi, quei suoi occhi con cui tanto ardeva di rivedere il cielo e l’azzurro delle iridi di Navarre, si trasformavano in perfetti strumenti per la caccia e per il volo.

Da donna a falco in un batter di ciglia, giorno dopo giorno, notte dopo notte.

Si diceva che i falchi potessero vedere nitidamente qualcosa o qualcuno a molta distanza e Isabeau pensava che fosse vero, poiché nella sua semivita di falco non aveva mai mancato di sapere dove fosse Navarre: lo percepiva e lo vedeva, ma non come donna, ma solo come rapace, e quando, finita l’aurora, sorgeva il sole e lui giungeva a reclamare lei, Isabeau poteva solo rispondergli con acuti stridii e svolazzando le penne. Dai suoi occhi di falco non poteva far scendere nemmeno una lacrima, non poteva ricambiare quell’azzurro tanto caldo dello sguardo del Capitano in contrasto coi gialli e arancioni del cielo del mattino. Ogni notte Isabeau attendeva l’aurora, sperando di poterlo scorgere tra i raggi del sole, in quell’unico breve istante che era rimasto loro, nonostante maledizione inflitta da sua grazia. 

E ogni levar del sole, puntualmente, si ritrovava a detestare l’aurora e quell’azzurro del cielo sconfinato che non avrebbe mai potuto eguagliare il calore dello sguardo di Navarre, come era lontano ormai il ricordo di quando ancora le loro mani potevano sfiorarsi liberamente e le loro voci potevano scandire i loro nomi, senza vergogna e senza paura.

Ora c’era solo l’aurora e un altro giorno…

 

***

 

[words 509]

 

Note dell’autrice: eccomi di nuovo in questo Fandom, il mio Fandom di elezione, il luogo dove mi sento a casa.

Quest’anno il writober 2023 ha una lista tutta dedicata al Cielo, e io non potevo non sfruttarla per tornare a scrivere di Ladyhawke e di Navarre e Isabeau. Alcuni prompt, come questo dell’aurora, li trovo perfetti per la loro storia.

Buona lettura 

Ladyhawke83 

 

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Capitolo 11
*** Una piccola bugia ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

 

Prompt: ora blu/4 ottobre

 

Una piccola bugia

 

Philippe era stato cacciato fuori da Imperius in malo modo. Il monaco aveva chiuso i battenti di legno quasi sulla sua faccia, senza dare alcuna spiegazione al ragazzo.

Eppure lei era lì, bellissima in tutta la sua essenza di donna,  la donna di cui spesso parlava Navarre, era reale, non un sogno, non era più il falco ferito e spaventato che lo aveva morso, ma al suo posto Philippe aveva trovato gli occhi di lei, quell’azzurro quasi indaco delle iridi, la pelle liscia e pallida, la sua voce, un dolce sussurro carico di preoccupazione quando gli aveva domandato di lui, del Capitano Navarre.

Non c’erano dubbi, non poteva essere che lei, Isabeau, ma allora perché il falco, e perché mai Navarre lo aveva minacciato di togliergli la vita se non avesse salvato la bestiola?

Possibile che il rapace e la fanciulla fossero in qualche modo collegati?

Philippe era confuso, guardò fuori, mentre attendeva che padre Imperius si occupasse della ferita di Isabeau, non si poteva negare: il panorama intorno a quel castello diroccato era magnifico.

I monti e le vallate, illuminate dall’ultima luce del crepuscolo, che rendeva tutto più scuro di quanto non fosse, ammantando le colline di infinite sfumature di blu e di grigio. Ciò che il topo vedeva, per la prima volta nella sua vita, poiché non aveva mai avuto modo di viaggiare molto lontano dalla città di Sua Grazia, Aguillon, rappresentava per lui l’emblema della potenza della natura, della vastità del creato in confronto alle misere vite umane, Philippe si sentì una piccolissima pagliuzza insignificante in confronto a tutto l’orizzonte del cielo e della terra.

Il grido di dolore di Isabeau e il conseguente ululato del lupo al cielo fecero scattare qualcosa dentro Philippe. Un’ancestrale timore di quelle forze magiche e misteriose che gli gravavano attorno da quando aveva incontrato Navarre e Isabeau, ma anche un barlume di comprensione.

Philippe Gaston, che da sempre si considerava un inutile piccolo ladro senza onore né famiglia, cominciò a pensare di poter fare qualcosa di grande, di poter cambiare le sorti se le proprie, almeno quelle del Capitano e di Isabeau.

E ne ebbe la conferma quando alla luce e al calore del fuoco, Imperius gli raccontò la sventurata storia dei due amanti maledetti.

Provò dolore rabbia e pena nell’immaginare Isabeau e Navarre come falco e lupo, in una semivita perenne, separati dalla luce degli astri che si succedono nel cielo giorno e notte.

Lei era la donna più bella che avesse mai visto e lui, l’uomo più coraggioso e leale che si potesse avere come compagno d’armi.

“Ti sei imbattuto in una tragica storia, Philippe Gaston e ora, che tu lo voglia oppure no, sei perduto in Essa, come tutti noi…”

Philippe versò una lacrima silenziosa, poi fissò il cielo scuro, di quella strana notte, prima di decidersi a tornare da Isabeau, per raccontarle di Navarre, per farle sognare l’amore come Philippe se lo immaginava e come voleva fosse fra loro.

Se non potevano stare insieme, ci avrebbe pensato lui a far da tramite, avrebbe creato una speranza, una scintilla di gioia solo per loro. Una piccola bugia che avrebbe illuminato le lunghe notti di Isabeau e del lupo, e dato refie alle faticose giornate a cavallo di Navarre.

Il “piccolo topo” ancora non era certo che la maledizione si potesse spezzare, anche se il vecchio Imperius ne sembrava così certo, avendo avuto una rivelazione in sogno, ma Philippe sapeva che da quel momento in poi avrebbe fatto di tutto per perseguire quel risultato, se poteva essere qualcosa di più di un ladruncolo qualsiasi perché non tentare?

E perché non farlo, se il fine era la felicità di quei due sventurati?

Il Signore gli avrebbe di certo perdonato delle piccole menzogne dette, se fatto per scopi più alti. E cosa poteva esserci di più alto e importante dell’amore vero?

In fondo, Philippe lo sapeva, gli erano sempre piaciute le favole a lieto fine.

***

[657 words]

 

Nota dell’autrice: eccomi, con writober per il 4 ottobre. Non potevo non sfruttare questo prompt di nuovo per Ladyhawke… lo trovo perfetto, e stavolta ho voluto lasciare spazio ai pensieri di Philippe Gaston.

Buona lettura!

Ladyhawke83 

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Capitolo 12
*** Può un lupo provare speranza? ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

 Prompt: crepuscolo/5 ottobre

 

***

 

Questa storia partecipa alla challenge a scadenza:"componi il puzzle”,
del gruppo Facebook “prompts are the way~”

1) "Magari un giorno l'universo accoglierà
la mia richiesta e ci riporterà vicino"

2) Speranza 

3)Un tramonto sul lago, la brezza che accarezza il viso
e una musica in lontananza che risveglia i ricordi

 

 

Può un lupo provare speranza?

 

Navarre guardò nuovamente il cielo tinto delle consuete sfumature dorate, rossastre, violacee del crepuscolo e pensò che quel loro piano non poteva funzionare, ma era l’unico che avevano, o l’unico nel quale almeno due di loro riponevano fiducia.

Philippe e il vecchio Imperius negli occhi avevano la scintilla della speranza, la fede nel destino, come se credessero davvero che il Signore, Dio, con il quale spesso Philippe dialogava senza aver risposta, avrebbe concesso a Isabeau e Navarre l’opportunità di spezzare la maledizione, di essere di nuovo vicini, non solo come falco e uomo, lupo e donna, ma come esseri umani entrambi.

Il sole stava per tramontare definitivamente e il Capitano Navarre sospirò, aveva spiegato loro come catturare un lupo e si augurava che quel trucco funzionasse anche su di lui, sulla sua forma animale, ma sapeva anche che quello poteva essere l’ultimo giorno da essere umano. Se tutto fosse fallito, Navarre sarebbe stato catturato, in forma di lupo, e tenuto per sempre in gabbia a soffrire per lei che non sarebbe mai più stata libera, nelle grinfie di Sua Grazia.

Ricontrollò per l’ultima volta la trappola, il lago circondato dal ghiaccio che rifletteva luci rosate e calde, l’orizzonte delle montagne innevate dietro di sé e si sedette sulla coperta fredda e sgualcita ad attendere.

Poco distante Imperius e Philippe stavano canticchiando una melodia, una ballata che Navarre conosceva bene. L’aveva ascoltata tante volte ad Aguillon, quando era Capitano della guardia di Sua Grazia il Vescovo, e doveva stare a controllare gli ingressi della cittadella, mentre Sua Grazia organizzava banchetti per i nobili della zona, pensando di poter racimolare ulteriori ricchezze, strizzando i suoi signori con ulteriori tasse e minacce non troppo velate alla loro integrità personale.

Ed era stato in uno di questi ritrovi, in una serata qualunque che Navarre aveva ballato con lei, con la contessa Isabeau D’Anjou.

Ricordava il tocco di lei, il suo sorriso timido, come se fosse successo il solo giorno prima, e non ormai anni addietro.

Non lo aveva ammesso apertamente con nessuno di loro, ma lei gli mancava da morire.

Quell’istante in cui, quella stessa mattina all’alba, aveva quasi toccato la sua mano lo aveva distrutto, aveva riaperto una vecchia ferita sul suo cuore, aveva aperto una breccia nella scorza dura di Navarre.

Sarebbe riuscito a ricordarsi la giusta tonalità di azzurro dei suoi occhi quando l’avrebbe rivista nuovamente, oppure gli sarebbero sembrati meravigliosi, ma estranei?

E lei, quella notte, come avrebbe superato la paura di entrare ad Aguillon da sola, soltanto con l’aiuto di un vecchio monaco, un asino con un carretto e di un giovane ladruncolo che credeva più nell’amore vero che nelle sue stesse promesse.

L’ultima cosa che udirono le orecchie umane di Navarre furono le parole di Philippe a Imperius: “Padre credete davvero che tutto andrà bene? Che Sua Grazia non ci ucciderà?”.

“Figliolo, Dio, Nostro Signore mi ha mostrato un segno. Bisogna avere fede… e poi lei, Isabeau quella semivita non la vuole, e forse, nemmeno Navarre…”.

Poi la notte del Capitano fu solamente buio, luci, calore corporeo, odori famigliari e sconosciuti, concitazione, paura, ma soprattutto speranza.

Un lupo può provare speranza?

Forse un lupo no, ma un uomo sì, soprattutto se crede fortemente che prima o poi l’universo e il destino lo ricongiungeranno alla sua anima gemella troppo a lungo aspettata.

 

***

 

[622 words]

 

Note dell’autrice: eccomi qui, con la storia per il writober, giorno 5 ottobre. Questa storia, però, partecipa anche ad un’altra challenge, con dei prompt che ben si prestavano a parlare di nuovo di un piccolo frammento di Ladyhawke.

Ho pensato di scrivere dal punto di vista di Navarre, poco prima di essere catturato come lupo e portato dentro ad Aguillon per attaccare Sua Grazia nel cuore della sua fortezza.

Buona lettura!

Ladyhawke83 

 

 

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