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di Daleko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Depressione ***
Capitolo 2: *** Ansia ***
Capitolo 3: *** Disturbo Ossessivo Compulsivo ***
Capitolo 4: *** Schizofrenia ***



Capitolo 1
*** Depressione ***



 
depressióne s. f. – 
in psichiatria, modificazione del tono del sentimento in senso malinconico
(tedio e pessimismo diffuso, distacco dagli abituali interessi,
svalutazione delle proprie capacità psichiche e fisiche, ecc.)
 

 



Il termometro si ostina a segnare un grado al di sotto dello zero. Lo punzecchi, tenendoti l'unghia dell'indice con il polpastrello del pollice e facendola scattare contro il vetro; nonostante il tintinnio, e il vago dolore al dito intirizzito dal freddo, il liquido non sembra variare la sua posizione.
Meno uno, quindi. Hai le ciglia imperlate e i capelli bagnati dalla neve, ma non cerchi riparo dalla silenziosa nevicata che sta dipingendo il paesaggio. Appoggiato come sei, con i gomiti sulla ringhiera e le mani penzoloni nel vuoto, ti senti troppo stanco anche solo per drizzare la schiena. I tuoi occhi scivolano sulla strada sottostante, con le auto distanti quel che sembrano chilometri e solo una vaga foschia a tenerti a galla. Il poetico fascino delle città, pensi pigramente. I palazzi sono così sviluppati che puoi vedere gli uccelli cagare dall'alto.
Le lucine colorate tutt'intorno continuano a reclamare la tua attenzione. Con la stessa vitalità che vorresti avere tu, lampeggiano e cambiano colore per diletto di chissà chi, e per festeggiare chissà cosa. L'inverno è freddo, è smunto e privo di significato, come le restanti stagioni.

Ci sono meno auto, per strada. Mezzanotte è passata da un pezzo, pensi distrattamente. Il traffico ha ceduto il posto a qualche semaforo fisso sul giallo, la luna è nascosta dalle nubi che ricoprono il cielo d'un vago grigiore, e tu non riesci a ricordare perché ti trovi sul balcone senza le tue sigarette, lasciate a marcire sul comodino. Potresti tornare dentro a prenderle, ma per farlo dovresti muoverti e ti senti così stanco, maledizione, così stanco.
Il capo scende ciondoloni sui polsi intrecciati. Un po' tremi, ma ti ostini a non tornare in posizione eretta. Hai un materasso comodo, in camera, dove potresti stenderti e riposare. L'idea ti alletterebbe, forse, se il letto vuoto non fosse freddo come l'aria lì fuori. Ti andrebbe anche solo l'idea di tornare in casa, se solo non avessi paura di riempirti del rumore del frigo.
Se, se, se. Tutta la tua vita costruita intorno ai "se" che ti stringono il petto ogni volta che cedi alla tentazione di non drogarti, di lasciare la tua mente libera. Una forsennata corsa all'indietro, una ricerca della felicità in primordiali ricordi che non sei nemmeno sicuro di aver mai vissuto. Se solo avessi trovato un lavoro diverso. Se solo avessi studiato qualcosa di diverso. Se solo l'avessi sposata. Se solo l'avessi mai davvero amata. Se solo a cinque anni non avessi perso il tuo cane. Se solo non fossi mai nato.
Come uno schiaffo, il pensiero definitivo ti riscuote con un brivido di gelo. Non è quel meno uno, illuminato dalla luce del salotto alle tue spalle, che ti fa tremare come un agnellino appena nato. No, quello che ti scuote le membra è il pensiero viscido e carnivoro che continui a formulare ogni notte prima di andare a dormire, ogni volta che ti rigiri insonne su quel materasso troppo largo, con le lenzuola attorcigliate alle ginocchia sudate. "Se solo non fossi mai nato", ripeti fra te vergognandotene subito dopo. Finalmente rialzi il capo, drizzi la schiena, ti riprometti di fare qualcosa di nuovo per migliorare la tua vita, dal mattino dopo. Magari da lunedì, al massimo fra una settimana. Ti vergogni di nuovo, sai di star mentendo a te stesso. Rifuggi ancora una volta l'idea di essere malato, di avere un problema più serio di un po' di pigrizia e sana malinconia. Non sei malato, è questa dannata aria natalizia, pensi. Ricordi di aver letto da qualche parte che in periodo di festività invernali il tasso di suicidio nazionale triplica. Scacci velocemente quel ricordo dalla mente, inumidendo la bocca arida con un fiocco di neve. Riconosci ancora un pensiero pericoloso quando ne formuli uno, e quello aveva l'aria di un problema troncato sul nascere. Pensare alla morte dovrebbe agitarti, perché non ti agita? Non riesci a sentire il batticuore che ti aspetteresti. Guardi giù, oltre la ringhiera, verso le auto e gli sporadici passanti. Non senti niente, niente. Neanche questo riesce a smuoverti in qualche modo.
D'improvviso avverti il peso della giornata, dell'anno quasi terminato, di tutti quelli accumulati sulle spalle, e ti sembra di non avere la forza necessaria per sopportarlo. Il letto pare trovarsi in un altro continente, e di punto in bianco anche solo spegnere la luce in salotto è diventata un'attività troppo impegnativa per il te attuale. Per un momento hai l'impulso di gettarti dalla ringhiera, di scoprire cosa provano gli uccelli a cagare in volo; poi rientri, pensi che probabilmente ti infilerai sotto le coperte con ancora i jeans indosso, e per scendere a compromessi giuri per l'indomani di chiamare almeno tua madre. Forse.
Se solo non ti sentissi così maledettamente stanco.


 
 

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Capitolo 2
*** Ansia ***



 
ànsia s. f. – 
Stato di agitazione, di forte apprensione, dovuto a timore, incertezza, attesa di qualcosa.
 

 



I capelli sembrano essere accettabili, per quanto tu riesca a vedere; ne saresti più sicura se il vetro del finestrino non fosse così sporco. Attivi lo schermo del cellulare, fissi l'orario, lo spegni di nuovo per guardare sottecchi il tuo riflesso. Sì, i capelli sono accettabili. Passi distrattamente una mano fra le ciocche scure, poi volgi nervosamente lo sguardo intorno. Nessuno ti sta guardando, puoi tornare a respirare con calma.
Se solo lui si accorgesse della tua presenza, lo vedrebbe anche lui quanto la tua pettinatura è ordinata. Anche il trucco, stranamente, ti è riuscito bene quest'oggi. Gli lanci un altro sguardo, timida e col cuore in gola; lui continua a occuparsi del suo smartphone, auricolari alle orecchie e spalle curve. È così carino, pensi, e le guance ti si imporporano con violenza. Il cuore riprende a battere con forza mentre ti tocchi una guancia e cominci a sudare. Hai il deodorante addosso, hai una camicetta leggera, va tutto bene, ti ripeti come un mantra.

Ma lui ti guarda o no? Gli scocchi un'altra occhiata impaurita. No, non ti guarda. Attivi il bluetooth con le mani tremanti, cerchi il suo dispositivo nella lista di quelli vicini, ma non lo trovi. Disattivi il bluetooth, apri i tuoi profili social e cerchi negli ultimi tag per posizione; lui non c'è. Hai le labbra secche, continui a mordertele martoriandone la carne. Lo guardi di nuovo e questa volta lui se ne accorge, alzando i suoi occhi chiari nella tua direzione. Sembra annoiato, sembra distratto, le costole ti dolgono dalla corsa forsennata del tuo cuore, ti viene da vomitare mentre distogli lo sguardo con fin troppa foga. Hai gli occhi lucidi, vorresti solo raggomitolarti e piangere, nasconderti perfino, mentre senti la tua faccia avvampare.
Il treno si ferma, manca ancora qualche fermata alla tua destinazione. Volgi lo sguardo nella sua direzione, non sapendo bene cosa sperare, e con un tuffo al cuore lo vedi alzarsi. No!, pensi. Si dirige verso le porte aperte e tu lo fagociti con lo sguardo, inspiri con forza nel tentativo di emettere un fiato, uno qualunque che possa indurlo a voltarsi, a guardarti, a fermarsi, a ricordarti; ma le gambe ti tremano, le braccia sono fiacche, e puoi solo restare impotente a guardarlo andar via.


 
 

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Capitolo 3
*** Disturbo Ossessivo Compulsivo ***



 
ossessivo compulsivo, disturbo s. m. – 
Disturbo di personalità caratterizzato dalla presenza di idee, pensieri, impulsi o immagini ricorrenti e da comportamenti ripetitivi [...] messi in atto in risposta a un'ossessione, [...] allo scopo di neutralizzare o prevenire qualche disagio, qualche evento o situazione temuti.

 

 
Uno. Due. Tre. Quattro.
Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque.
Uno... Due... Tre...
Continui a toccare le gambe della sedia con la punta destra delle scarpe. Prima a destra, poi a sinistra, in punti diversi del legno.
Devi alzarti e andare a lavoro, quindi (sei sette otto nove dieci) non puoi perdere troppo tempo. Fai solo il necessario, solo quello che va fatto, e quando riesci a placare l'urgenza del tocco finalmente ti alzi dal divano. Ti dirigi verso il bagno, non pesti le fughe delle mattonelle, ti aggrappi allo stipite destro della porta con una mano e all'immediato ti blocchi, portando la sinistra dall'altro lato e restando fermo, a mo' di Cristo Redentore. Le unghie graffiano sul legno per qualche secondo di troppo. Devi lavarti, sei già in ritardo rispetto (uno due tre quattro) il tuo solito orario. Finisci di muovere le dita in modo speculare, con la corretta dose di attenzione a entrambi i lati e quando, finalmente, l'urgenza termina di nuovo, riesci a entrare nella stanza.
Non è colpa tua, pensi. È il calore che ti costringe a muoverti in quel modo, a fare quelle cose. È il tuo corpo che ne ha bisogno, che ha prurito all'anima e lo scaccia così, toccando e contando le cose, facendoti piangere dalla frustrazione quando dovresti fare altro. Devi farlo. Non sai cosa potrebbe accadere se tu non lo facessi e dopotutto farlo ti fa stare bene, no? Proprio come grattarsi la schiena con una maglia di lana.

Un'infinità di ticchettii e manipolazioni dopo arrivi in ufficio. Hai dovuto accendere e spegnere l'auto sette volte, poi hai ticchettato sul finestrino per altre venti. Sei stressato, oggi, le cose vanno peggio. Ricacci indietro le lacrime mentre sali le scale, tre scalini su e uno scalino indietro (destra sinistra destra destra destra sinistra destra), arrivi al piano e tiri dritto, non pestare le fughe! Ti siedi alla tua scrivania, accendi il computer. Hai un sacco di lavoro arretrato da fare, sistemi la sedia più avanti, più indietro, più avanti, più indietro, più avanti e alla fine ti concentri sul lavoro da completare, battendo al computer i documenti richiesti dal tuo superiore. Il computer è una macchina infernale, pensi fra te e te. Devi toccare troppppppa qaqaqaqa roba che non è 


in alcun modo speculare. Non puoi di certo portare il documento al tuo


capo con un sacc,--c---c---ccczzzzo di errori dovuti alla compulsione di toccare quel preciso pulsante e+
e
e
e nell'esatto momento in cui lo dice il tuo pruritottttrrrtet interiore, no?


Tocchi un po' i lato dello schermo, provando a calmarti. Va tutto bene, non accadrà nulla di male. Devi solo smettere di farlo. Devi solo smettere di farlo. Devi solo smettere di farlo. Smettila di toccare quel dannato schermo. Smettila di toccare quel dannato schermo. Smettila di toca
ca
ca
ca
ca
ca

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Capitolo 4
*** Schizofrenia ***



 
schizofrenìa s. f. – 
Malattia mentale caratterizzata da dissociazione della personalità
e delle altre attività psichiche fondamentali: presenta delirio,
allucinazione, disordine percettivo, ideativo o del comportamento.
 

 


Lo sai che è lui, cazzo. Sì, sì che è lui. Lo senti, lo avverti quando si avvicina, lo sai che ti sta fissando, ti sta guardando sbilenco e non puoi distogliere lo sguardo NONONO altrimenti lui torna a fissarti. Quando tu guardi altrove ecco che torna a controllarti, a fissare tutte le tue mosse, a memorizzarle, a trovare nuovi modi per farti del male. Chiudi le mani in due pugni sofferenti, vorresti mostrare un ghigno alla spia che si finge un passante qualunque ma poi sai che LORO ti porterebbero via, e tu non vuoi essere portato via. Affretti il passo, fermandoti e fingendo di dover allacciare una scarpa finché la spia non è sparita dietro l'angolo. Sarà andata a far rapporto, sì, ai suoi SUPERIORI, a LORO. Sono tutti così, fanno TUTTI parte del Grande Complotto. Non avresti dovuto scoprirlo ma l'hai scoperto e adesso (provi a non pensarci perché sai che possono leggere nella tua mente, oh Dio, oh Dio, cosa faranno se si accorgeranno che stai pensando al Grande Complotto?) vogliono UCCIDERTI, sissignore, farti sparire e far sparire tutte le prove che hai meticolosamente raccolto. Farabutti! Criminali! Il cuore si esibisce in una capriola nello scorgere una signora in attesa del verde, accanto alle strisce pedonali. Ti sta seguendo, ti aspettava perché sapeva che avresti scelto il percorso del venerdì invece del percorso del martedì. Invertire i giorni non è bastato a confonderli abbastanza, sono troppo furbi! Troppo potenti! Cominci a sudare, ti guardi freneticamente intorno. Vedi qualche auto rossa? Oh Dio, oh Dio, ce n'è una parcheggiata fuori alla tabaccheria. Alla fine l'hanno fatto, sono venuti a PRENDERTI!
Mentre cambi repentinamente strada, destro sinistro destro sinistro destro sinistro, fissando i volti che ti circondano con panico febbrile, tasti distrattamente la tasca destra della giacca. Ti accorgi di avere ancora le medicine che tua sorella, una di LORO, ha provato a propinarti. Disgustato e spaventato infili una mano in tasca, tiri fuori la scatolina (è così che ti CONTROLLANO I PENSIERI!) e la scagli con orrore dall'altro lato della strada. Una donna ti guarda con sincero sconcerto sul volto... sincero? Chi può dire cosa sia sincero? NONONO è una di LORO, è sconcertata perché hai dimostrato di conoscere il loro PIANO DI CONTROLLO MENTALE. 
Torna a casa, muoviti, torna a casa. Destrosinistrodestrosinistrodestrosinistro devi correre, devi andar veloce. Non voltarti, non guardarti attorno, copriti la testa, la faccia, le spalle. Non guardarli, se li guardi potrebbero UCCIDERTI. Non toccarli, evitali. Evita LORO. Evita tutti. Arrivi a casa, chiudi la porta alle tue spalle, giri la chiave nella serratura finché non può più muoversi verso destra e allora vi tiri davanti un mobiletto. Sei quasi salvo. Sei quasi al sicuro. Mi stai ancora ascoltando? Io sono la voce buona, io sono la voce che ti mette al sicuro da LORO, la voce che ti avvisa. Fidati di me, striscia sui gomiti al di sotto delle finestre. Non importa che gli scuri siano chiusi, non importa che tutto sia ricoperto di fogli importantissimi e fogli meno importanti. Resta basso, resta a terra, infilati sotto al letto. Tendi le orecchie... Fidati di me. Stanno venendo a prenderti. Stanno venendo LORO. E sono tutti contro di te.

 
 
 

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