Autumn Leaves ~ Writober 2019

di Ladyhawke83
(/viewuser.php?uid=149981)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** How to cage a Wolf ***
Capitolo 2: *** “You’ve cut your hair...” ***
Capitolo 3: *** Dreams and Regrets ***
Capitolo 4: *** Luce riflessa ***
Capitolo 5: *** Saldo come una roccia ***
Capitolo 6: *** Lupo bianco, lupo nero ***
Capitolo 7: *** Lone Wolf ***



Capitolo 1
*** How to cage a Wolf ***


Writober 1 ottobre

Prompt: missing moment

Fandom Ladyhawke 

 

How to cage a Wolf

 

“Vi insegnerò io, sciocchi, a catturare un lupo...” 

questo aveva detto il capitano Navarre rivolto a Philippe, mentre lo stringeva affettuosamente per il collo e le spalle, come a scusarsi di averlo ferito coi suoi artigli d’animale, mentre il povero ragazzo, poche ore prima, cercava solo di trarlo in salvo evitandogli di morire annegato nell’acqua gelida. 

Non era stato per niente facile, anzi, piuttosto rischioso sia per il ladruncolo che per il vecchio prete.

Avere a che fare con un lupo, seppur solo a metà, significava esser svelti e non indugiare, mai.

“Philippe attento! Chiudi, chiudi la gabbia! Presto!” Aveva gridato Imperius, non appena Isabeau si fu spostata dall’esca.

Il giovane Gaston aveva esitato, gli occhi fissi sul muso, le zanne, il ringhio arrabbiato di chi detesta stare in cattività, ed esitando aveva quasi rimediato un morso alla mano.

“Ah! Maledetta bestiaccia! Potevi staccarmi un dito!” Gridò Philippe, dimenticandosi con chi aveva a che fare...”

“Ragazzo! Non imprecare, e ricordati che il lupo sente... Navarre sente... vieni qui davanti al carro ora, dobbiamo affrettarci, abbiamo poche ore per raggiungere Aguillon, e dobbiamo arrivarci col favore della notte altrimenti...”

“Perdonatemi padre, e anche voi mia Signora... non intendevo mancare di rispetto al Capitano... è stato il dolore a far parlare la mia bocca...”

“Vieni qui piccolo topo, fammi vedere la mano...” disse Isabeau, girandosi la mano del ragazzo tra i palmi, scrutando il taglio in maniera acuta e precisa.

Philippe abbassò lo sguardo imbarazzato, mentre la donna gli fasciava il dorso con delle pezze di fortuna.

Non sembrava adirata con lui, penso solo molto preoccupata. E come darle torto? Stavano tornando ad Aguillon, là da dove era fuggita per non divenire la conquista di quel folle del vescovo, da sempre invaghito di lei, ossessionato in modo morboso e inquietante.

Il carro trainato dal muso Abraham si muoveva lento e dava parecchi scossoni su quella terra battuta e dissestata, quella età l’unica strada sicura che portava ad Aguillon, ve ne erano altre, ma non erano certo raccomandabili per un vecchio prete, una giovane contessa, un ladruncolo magrolino e un lupo imprevedibile in gabbia.

Navarre dal canto suo si comportò bene chiuso com’era nella gabbia, forse troppo piccola per un lupo della sua stazza, forse l’animale sentiva la vicinanza e la preoccupazione della sua amata e questo lo rendeva quieto, ma anche mesto, come se si fosse rassegnato.

“Separiamoci qui” disse ad un tratto Imperius, scorgendo le mura di Aguillon in lontananza, Flebili fiaccole illuminavano quel cielo freddo e opprimente.

“Oh! Ricordati: il vicolo cieco, sotto le mura, a nord” sussurrò Imperius.

“Sì, sì, vicolo cieco, mura a nord. Via, via, via, su.” Il ragazzo spronò Abraham e sparì nella nebbia della notte.

“Fate passare!” Gridò una delle guardie ai cancelli.

Siamo al punto di partenza, o Signore. Vorrei credere che c'è un significato più alto in tutto questo. Di certo ritornerebbe a tuo onore.” Pronunciò Philippe più per se stesso, che per Nostro Signore.

Isabeau guardò Imperius e poi abbassò lo sguardo sulle proprie mani, coperte dal lungo mantello color porpora.

“Se non dovessimo farcela? Se ci fermassero le guardie? Io... non posso separarmi da lui...”

“Non accadrà, il Signore mi ha parlato in sogno e io ho fiducia che andrà tutto bene, lascia parlare me e non mostrare il volto, se puoi...” Le consigliò Imperius, poco prima di varcare le porte di Aguillon.

Isabeau calcò la cappa sopra la testa e si ritrovò a recitare una preghiera silenziosa, come non faceva da tempo.

Imperius sospirò e spronò il mulo su per la salita, il carro cigolò, scricchiolò e il lupo emise un debole guaito, ridestandosi dal sonno.

Isabeau guardò in alto verso il torrione illuminato e difeso dagli arcieri del Vescovo, all’improvvisò si sentì invadere la bocca dal sapore amaro e infido della paura, si umettò le labbra nervosa.

Una guardia in livrea rossa e nera, venne verso di loro, con la spada a mezz’aria, la donna trattenne il fiato e strinse la mano di Imperius. Non le restava altro da fare, che fidarsi di colui che in passato li aveva traditi e ora stava cercando di fare ammenda.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** “You’ve cut your hair...” ***


Writober 2 ottobre

Prompt bacio 

Fandom Ladyhawke 

Parole 435
 

“You’ve cut your hair...”

 

 

“Oh, mio Dio...” aveva sussurrato Isabeau, mentre gli sfiorava il viso.

Navarre era come impietrito, la sua mente si rifiutava di credere che lei fosse vera, che fosse più reale e viva dei sogni che spesso lui faceva su di lei.

“Isabeau” che suono dolce aveva il suo nome, che benedizione era poterla chiamare di nuovo così e vederla sorridere commossa, le lacrime trattenute a stento.

Lei lo baciò e fu come ritrovarsi sapendo di essere stati quasi sul punto di perdersi. Navarre sentì lei che si aggrappava a lui, ma in realtà era lui ad aver bisogno di un appiglio saldo, ora che il suo cuore aveva ripreso a battere furiosamente nella cassa toracica, come a ricordargli che no, le labbra di lei non erano un miraggio.

Quel bacio era vero, meraviglioso, talmente tanto bramato da risultare doloroso.

Isabeau mosse le labbra timidamente, lasciando altri piccoli baci umidi sul suo viso e Navarre fu quasi sul punto di credere di essersi riguadagnato un posto in paradiso, o era il paradiso ed essere sceso in terra?

Sapore di pesca e profumo di fieno e lavanda, questa era quello che sentiva Navarre in quel momento.

La strinse a sé e poi quando lei si staccò e le loro iridi chiare e luminose si incontrarono, fu allora che il cavaliere, richiamando alla mente il viso di lei di due anni prima, si accorse di qualcosa di differente.

“I tuoi capelli...” Le sussurrò, sorpreso di non veder più la sua lunga chioma bionda ramata, di cui lui portava con sé una ciocca.

Lei sorrise, senza parlare e lui comprese il perché di quella strana acconciatura corta e disordinata.

La sopravvivenza in un mondo ostile richiede sacrifici, pensò.

“Ti amo” Le dichiarò stringendosela forte al petto, voleva baciarla ancora, più forte, più piano, più a lungo, da perdere il respiro e il senno.

“Isabeau” La chiamò di nuovo, per essere davvero sicuro che non sarebbe più volata via dalle sue braccia.

“Navarre” La voce di lei tremava come la sua, e Navarre fu certo che anche Isabeau provasse lo stesso sollievo, la stessa incertezza.

Lei si asciugò una fugace lacrima e non disse niente altro, non occorrevano parole, bastavano i loro gesti, i loro respiri, il loro esserci sotto i raggi del sole.

Aver resistito per anni separati, in una semivita fatta di silenzi, attese, speranze, rimpianti, sogni, questo faceva del loro amore qualcosa di grande, di puro, di perfetto.

Per i baci, e il resto, avrebbero avuto tutta la vita.

La maledizione era finita, spezzata, Navarre e Isabeau erano di nuovo liberi, finalmente liberi...

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Dreams and Regrets ***


Writober 3 ottobre

Prompt Lenzuola

Fandom Ladyhawke 

 

“Dreams and Regrets”

 

Da quanto tempo non dormiva in un giaciglio degno di tale nome? 

Isabeau non lo sapeva, dopo anni passati a passare la notte ovunque capitasse, o dovunque lei si trovasse, quando Navarre decideva di fermarsi, ora le sembrava strano essere sdraiata in un letto che non doveva esser stato usato da molti prima di lei.

Il piccolo topo aveva parlato con lei a lungo, quella sera, le aveva raccontato di Navarre, a suo modo, romanzando le parole e i pensieri del Capitano che, Isabeau lo sapeva, non si sarebbe mai espresso così come riferiva Philippe.

Lo aveva lasciato parlare, Isabeau, perché intuiva come sia il ragazzo, che lei stessa, avessero bisogno di quelle parole.

Aveva bisogno di credere in quel sogno romantico che Philippe andava raccontando, di affidarsi a qualcosa di più grande della sventura, di più forte dell’orribile maledizione di cui sia lei che Navarre erano stati vittime.

L’amore in fondo è una questione di profonda fiducia, di cieca dedizione, e Isabeau non avrebbe mai lasciato che Navarre proseguisse senza di lei, purtroppo non aveva fatto i conti con la possibilità di venir ferita, o di morire, o meglio, ci aveva pensato, ma aveva sempre deciso di accantonare quel pensiero spaventoso, doveva vivere: per sé e per lui.

Quella notte si era risvegliata nuda, confusa, ferita, tra le lenzuola e le coltri di un luogo apparentemente sconosciuto e la prima persona che aveva visto era stato Philippe, come sempre, ma il dolore sopra il seno e la freccia che ne spuntava fuori, poco sopra la spalla, le dicevano che era accaduto qualcosa di grave.

Imperius l’aveva curata e il giovane Gaston, che ormai lei considerava un amico, il suo unico amico, le aveva tenuto compagnia, rassicurandola sulle condizioni di Navarre.

Ora però voleva restare sola e così finse di dormire e quando Philippe la lasciò, ormai a notte fonda, Isabeau non riuscendo ad abbandonarsi davvero al sonno, si ritrovò, suo malgrado, con la mente a pensare a ben altre lenzuola, a ben altri luoghi.

***

 

Era appena arrivata ad Aguillon quando si era innamorata di lui, lei era giovane e bella, lui era forte e deciso. 

Era stato amore a prima vista.

Quando il Capitano delle guardie le regalava girasoli o le sfiorava le mani con le labbra, Isabeau arrossiva e fremeva, poi giunta nella casa dove viveva con suo zio Henri, si gettava sul proprio letto e sospirava, rigirandosi nelle candide lenzuola, ripensando a quei suoi occhi talmente chiari da sembrare grigi.

Avrebbe voluto sposarlo.

Sì, la giovane contessa decise che lo avrebbe sposato.

 

***

 

Non le era stato concesso nemmeno di sfiorarlo, come avrebbe mai potuto diventarne la sposa?

Isabeau, una volta sola, nella dimora diroccata di Imperius, si concesse di piangere. 

Le sue erano lacrime silenziose e amare di un cuore che ama ed è riamato, ma che non può conoscere la felicità e il piacere di un bacio, un abbraccio, una carezza, un cuore che può solo sognare e rimpiangere.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Luce riflessa ***


Writober 9 ottobre

Prompt bosco

Fandom Ladyhawke 

 

Luce riflessa 

 

In quei mesi aveva imparato cosa volesse dire vivere la notte e doversi nascondere spesso il più lontano possibile da esseri umani.

E quale nascondiglio migliore poteva esserci del fitto di un bosco?

La gente normale, i credenti, i contadini ed, in generale, chiunque tenesse alla propria vita e alla propria incolumità, si teneva ben lontana dalle selve e dalla vegetazione spontanea e inospitale che spesso separava un villaggio da un altro.

Ma Isabeau D’Anjou non era una persona comune, era una donna in fuga, una donna marchiata, maledetta, sulla quale gravava un destino avverso che lei non si era scelta, ma che era stato scelto da qualcun altro.

Non era sola nel bosco, certo, non lo era mai, persino nelle notti più buie, sapere, però, che il lupo, il suo Navarre, era sempre poco distante da lei certe volte non bastava a dissipare la paura e i pensieri inquieti.

Quella notte poi, faceva più freddo del solito, segno che l’autunno si stava avvicinando. Isabeau sollevò lo sguardo dalle radici su cui si era sistemata per riposare, chiuse gli occhi per un attimo, immaginandosi come dovevano essere belli i colori di quelle foglie alla luce del sole.

Della sua vita diurna, da rapace, lei non ricordava mai nulla, salvo forse qualche sensazione o frammento di coscienza, entrambi legati sempre al Capitano Navarre, ed ai luoghi dove egli decideva di portare lei e Goliath, il loro fedelissimo destriero.

Sospirò riempiendosi la vista di sfumature dai toni del blu e del grigio-argento delle foglie e degli alberi. 

Isabeau intravedeva il rosso e l’oro delle foglie caduche, ma poteva solo immaginarne la vividezza, poiché la luce della luna, essendo per sua natura luce riflessa,  non possedeva il dono di restituirle i colori bella loro interezza.

In un attimo di sconforto, Isabeau arrivò a chiedersi se anche lei, col tempo, non sarebbe diventata solo una luce riflessa del Capitano, l’astro lucente del suo cielo, troppo debole per poter essere significativa, ma abbastanza importante da non essere dimenticata.

Non voleva essere un peso per Navarre, lei lo amava, ma in quegli ultimi giorni trascorsi sentiva che il pensiero di poterlo perdere, o di metterlo in pericolo si faceva sempre più presente, facendole vivere quelle infinite notti con una certa inquietudine e angoscia.

Sospirò di nuovo, poi fu il cavallo a riscuoterla dai suoi pensieri.

“Buonasera Goliath. Ti ho agitato con la mia tristezza, vero?” Gli sussurrò lei, vicino alle orecchie, carezzandolo dolcemente.

Il cavallo, in risposta, mosse la coda e diede un colpetto col muso alla fanciulla, la quale sorrise, per poi tornare subito pensierosa. Sentiva che non ce l’avrebbe fatta ancora per molto a sopportare quella vita, quelle paure, quei dubbi. Per quanto Isabeau amasse Navarre, si rendeva perfettamente conto che la vita da fuggiasca non faceva per lei. 

Pregò il Signore di darle la forza di andare avanti, di vivere ancora altre notti solitarie, e difficili, come quella. 

Si ritrovò a pregare che qualcuno di buon cuore giungesse in loro aiuto, perché da soli, lo sapeva, non ce l’avrebbero fatta.

La natura non fa sconti a nessuno, ma il destino di lì a poco avrebbe preso una piega inaspettata per i due amanti in fuga, avrebbe bussato alle loro porte un’occasione irripetibile, e questa opportunità di riscatto. di ribellione, di riconquista di una felicità perduta, avrebbe avuto le sembianze di un giovane piccolo ladruncolo di nome Philipp Gaston, detto “il topo”.

Un topo molto speciale, che avrebbe permesso ad un falco ed un lupo, innamorati, di incontrarsi, finalmente.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Saldo come una roccia ***


Writober 1o ottobre

Prompt what if?

Fandom Ladyhawke 

Personaggi Isabeau-Philippe

Note OOC

 

“Saldo come una roccia”

 

Isabeau era scappata sotto la pioggia in sella a Goliath, dopo aver incontrato il cacciatore e visto tutte quelle pelli di lupo, ancora calde e sanguinanti appese al suoi carro degli orrori.

Aveva agito d’istinto, lasciando che il terrore le attanagliasse le viscere e la rabbia le ottenebrasse la mente.

Philippe aveva cercato di proteggerla con la spada del Capitano ben alzata davanti a sé, spingendola via da quell’uomo inquietante, che pareva essere uscito da un incubo, ma Isabeau non sarebbe mai rimasta inerme di fronte alla prospettiva di vedere la carcassa di un lupo nero tra le altre... aveva solo un pensiero in mente: Navarre.

A nulla erano valsi i tentativi di Gaston di riportarla indietro, la chiamava urlando il suo nome, mentre sentiva ancora l’eco delle risate del cacciatore in lontananza.

“Se oserai alzare una mano su di lei te la ritroverai per terra, vicino alla testa!” Gli aveva intimato Philippe spadone alla mano e quello aveva riso di lui, del suo tentativo di esser coraggioso, di proteggere lei, Isabeau.

Il modo in cui quell’uomo aveva calcato le sillabe scandendo il nome di Isabeau aveva fatto venire i brividi a Philippe, ma il piccolo ladro doveva esser forte.

“Che notte terribile” si disse Philippe mentre fuori infuriava un violento temporale, poi guardando nel punto dove lei era sparita in sella al cavallo, e chiamandola più volte senza ottenere nessuna risposta, scosse la testa disperato.

“Navarre mi ucciderà. Mi ucciderà...” si disse, trascinando la spada con sé sul sentiero del bosco, cercando di seguire le tracce di lei e di quell’orribile bracconiere.

 

***

 

Quando finalmente la trovò era zuppa da capo a piedi, tremava come una foglia e non riusciva a staccare gli occhi dalla tagliola per lupi, incastrato nella quale, c’era proprio il bracconiere che agonizzava cercando di liberarsi dalle lame di ferro che penetravano nelle carni e nella gola.

L’uomo rantolò, scalciò, emise una serie di suoni gutturali indecenti,  poi ci fu solo il silenzio, interrotto dai tuoni in lontananza. 

Era morto, Cezar, così si chiamava il cacciatore, era morto, e Isabeau non riusciva a smettere di guardarlo. 

La donna stringeva ancora in mano il pugnale col quale aveva cercato di difendere se stessa e il lupo, per impedire che quest’ultimo venisse catturato.

“Vieni, vieni Isabeau, andiamo via...” Le disse dolcemente Philippe spostandola per un braccio, lei lo guardò ma non lo vide neppure, aveva lo sguardo, spento, distante, sfinito.

E anche Philippe non è che si sentisse poi molto meglio, se non ci fosse stata la spada di Navarre a sostenerlo, si sarebbe accasciato a terra.

“Torniamo alla stalla, devi asciugarti, o ti ammalerai” Le disse premuroso Philippe e preoccupato di ciò che avrebbe potuto dire, o fare, il Capitano, l’indomani, venendo a sapere cosa era accaduto quella notte.

Isabeau non rispose, si lasciò condurre indietro insieme a Goliath, insensibile all’acqua, al freddo, alle parole di Philippe.

“Poteva morire Philippe, potevo non arrivare in tempo...” Isabeau parlò tutt’a un tratto, dopo che i due furono ritornati al caldo e all’asciutto, facendo sussultare il povero Philippe intento a cercare di levarsi tutta quell’acqua di dosso. 

Lui la guardò, Isabeau era sul punto di crollare, lo si vedeva benissimo e Philippe le si avvicinò, conscio per la prima volta dell’effettiva fragilità di quella donna bellissima, algida e riservata, quale era lei.

“È andato tutto bene, è finita ora...” Le disse il ragazzo cercando di calmare la sua evidente inquietudine.

“Non finirà mai... prima o poi moriremo, oppure ci cattureranno. Philippe, io non posso vivere pensando che lui non è al sicuro...” 

Isabeau parlava, ma in realtà aveva lo sguardo perso, vago, terrorizzato, come se uno dei suoi peggiori incubi si fosse materializzato quella notte stessa, sotto forma delle carcasse di poveri lupi innocenti.

Lui le sfiorò il braccio, incontrandone lo sguardo triste e provato.

“Per questo il Signore ha mandato me sul vostro cammino, Mia Signora, per proteggervi...” Dichiarò ingenuamente Philippe, che al suo ruolo di paladino credeva fermamente dopo l’incidente nel bosco.

“Oh, Philippe sei gentile” disse lei con dolcezza, “ma dubito che tu possa fare molto contro le guardie del Vescovo e contro il Vescovo stesso...tu non sai di cosa è capace”

“Beh, credetemi, io che sono fuggito dalle prigioni di Aguillon, poco prima d’essere appeso per una forca, della magnanimità d’animo di Sua Grazia ne ho avuto più di un assaggio”

Isabeau sorrise, di nuovo, com’era bello vederla sorridere. Una finestra sul paradiso.

In un lampo Philippe si ricordò di un dettaglio.

“Aspettatemi qui, Mia Signora, vi ho promesso una coppa di buon vino ed è quello che avrete!” Annunciò Philippe euforico, e prima che lei potesse obiettare, il piccolo topo era già sgattaiolato all’esterno del fienile, verso la locanda.

“Se continua a bagnarsi così, si ammalerà...” disse Isabeau tra sé, quando fu finalmente sola, approfittando di quel momento per cambiarsi l’abito completamente zuppo d’acqua e di fango.

“Eccomi, Mia Signora, sto entrando...” La avvisò Philippe, prima di irrompere nel fienile con uno scaltro sorriso sul viso e reggendo tra le mani due boccali di caldo vino speziato.

“Perché mi guardate così Mia Signora? Li ho pagati i due boccali...” rimarcò Philippe volendo difendere la sua nuova e nobile condotta da ex ladruncolo, e vedendo che lei sembrava divertita.

“Scusami, ma sei così buffo!” Ammise Isabeau.

“Ammetto che ho ricevuto apprezzamenti migliori, ma lo prendo come un complimento, Mia Signora”

“Lo è... è passato molto tempo da quando cera ancora qualcuno che mi faceva sentire così, è da tanto che non ho più occasione di ridere...” 

In quel momento fu chiaro come non mai, a Philippe, quali fossero realmente le implicazioni di quella orribile maledizione. Non solo essere divisi da chi si ama, ma anche vivere nell’ombra, braccati, soli, senza nessun conforto se non quello della preghiera e della fede. 

Come doveva essere difficile per lei, come per Navarre, sopportare quella vita?

“Sono felice di avervi fatto ridere... ne volete?” Disse Gaston porgendole uno dei due boccali.

“È forte...” Ammise la donna facendo una smorfia di lieve disgusto, dopo che ebbe mandato giù la prima sorsata.

“Per una nottata come quella che abbiamo appena passato, credo vada più che bene” Le rispose Philippe senza pensare, poi si pentì subito di quelle parole.

“Perdonatemi non intendevo dire che dovete ubriacarvi...” si scusò il ladruncolo grattandosi la nuca imbarazzato.

“Lo so, lo avevo capito. Ora siediti qui accanto a me, non startene lì impilato come uno che vuol fuggire alla prima occasione...” gli chiese Isabeau indicando la paglia accanto a sé.

“Mia Signora... non vorrei davvero dare un motivo in più al Capitano per fare pensieri omicidi sulla mia persona...”

Lei rise di nuovo, Dio come era bella, forse era il vino a farlo sentire così, ma Philippe ebbe l’istinto fortissimo di saggiare quelle sue labbra rosse per vedere come era poi baciare un angelo. 

“Stai tranquillo, lui non è qui e tu hai adempiuto egregiamente a tuo compito di protettore.”

“Veramente avete fatto tutta da sola” Le ricordò Philippe provando un brivido al pensiero del cacciatore agonizzante con la testa incastrata in una di quelle orribili trappole per animali.

“Sì, ma tu non mi hai lasciato sola, te ne sono immensamente grata...” Gli disse in un sussurrò baciandolo, inaspettatamente, sulla guancia.

“Dovrei essere io a ringraziare voi per la vostra meravigliosa compagnia” iniziò a dire il giovane Gaston sentendosi agitato, per quella sua stretta vicinanza con Isabeau. Lei lo aveva sfiorato con le labbra su una guancia e lui sentiva il viso andare a fuoco, in quel punto.

Isabeau bevve un altro lungo sorso di vino, che scese rapido nella gola velando le sue iridi chiare, trasformando lo sguardo triste in languido e pericoloso.

“E se ti dessi un bacio Philippe? Un bacio vero?” Gli Domandò lei a bruciapelo.”

“Cosa? Come? Noi non... se lo venisse a sapere il Capitano mi ucciderebbe...” rispose Philippe, senza neanche quasi respirare tra una parola e l’altra, tanto era l’imbarazzo e l’eccitazione al pensiero delle labbra di lei sulle proprie.

“Tranquillo piccolo topo, era solo uno scherzo il mio, volevo solo vedere la tua reazione...” Isabeau rise, sembrava diversa, più rilassata, quasi felice. Era forse il vino ad averle fatto quell’effetto?

Sicuramente lo era, perché anche Philippe si sentiva la bocca impastata le gambe molli, eppure il pensiero di baciarla per davvero non lo aveva abbandonato, anche se aveva capito che quella di lei era stata solo una provocazione.

“Non c’è uomo al mondo che non si sentirebbe fortunato a ricevere un vostro bacio, non fraintendetemi, anche io lo desidero tanto, ma sono fedele al Capitano e a voi, non farei mai niente che possa ferirvi o rovinare il vostro amore...”

Lo sguardo di Isabeau si fece di nuovo triste, distante, lontano, perso in ricordi e tempi dove Philippe non poteva seguirla.

“Quanto può esser forte un amore senza una prova tangibile? Senza un contatto? Ho quasi dimenticato che sapore ha una carezza, un bacio...” Isabeau si alzò e il boccale rotolò a terra ormai vuoto.

“Perdonami Philippe, mi sono lasciata trasportare dalle emozioni. In fondo tu sei il primo essere umano con cui parlo davvero dopo mesi, anni di completa solitudine, dove il mio unico conforto era il vento e il mio confidente era Goliath”.

“Non vi dovete scusare, Mia Signora. Un giorno tutto questo finirà e voi potrete riabbracciare il Capitano...”

“Chiamami Isabeau...” gli chiese lei.

“Isabeau, andrà tutto bene” Le disse Philippe sfiorandole il viso stanco e provato, e ci credeva davvero.

“Lo spero Philippe, lo spero...”

Isabeau lo abbracciò di slancio e Philippe fu sorpreso quasi di più che se lei lo avesse baciato, si irrigidì e con molta fatica sollevò le braccia dai fianchi per ricambiare quella dolce stretta.

“Il Capitano Navarre farà di tutto per riavervi, ne sono sicuro. E anche io farò il mio possibile, so che il Signore vuole che provi la mia buona fede in questo...”

“Grazie Philippe...” le parole di Isabeau si persero nella tunica di Philippe e quel suo sussurrato “grazie” risuonò da qualche parte tra la spalla, il cuore e la mente del ladro, mentre il profumo di lei lo metteva a dura prova.

“Forse è meglio riposare, Mia Sig-... Isabeau” Le ricordò lui staccandosi gentilmente da lei, con un grande sforzo di volontà per non cadere in tentazione.

“Hai ragione. Buonanotte Philippe...” Gli disse lei coricandosi sulla paglia asciutta poco distante.

Il ragazzo starnutì violentemente, ma non disse nulla, pensava solo a Navarre e a lei.

Il Capitano mi ucciderà...

Si sentiva sfinito, sfiancato, frustrato. Aveva voglia di piangere Philippe, lei era a pochi passi da lui e non poteva sfiorarla, non doveva sfiorarla, nemmeno col pensiero. Eppure si era già spinto troppo in là quella maledetta notte.

“Isabeau... quello che hai detto prima, a proposito del bacio, era solo uno scherzo vero?” La voce di Philippe gli risuonò nelle orecchie tremula e nasale.

“Sì” Fu l’unica sillaba pronunciata da Isabeau e il piccolo topo seppe da quel suo modo di pronunciarla che no, non era stato un semplice tentativo di prenderlo in giro. 

Lei avrebbe voluto forse baciarlo per davvero, solo che quella era una cosa talmente assurda e sbagliata che non aveva senso, non aveva nessun senso.

Isabeau era del Capitano Navarre, e il Capitano era di Isabeau, si appartenevano e non c’era spazio per nessun altro, nessun dubbio, nessuna incertezza. Allora perché Philippe si sentì morire dentro col cuore che gli galoppava in gola?

Era finito in un incubo, ne era certo, quello era un incubo notturno e diurno, e lei era lì, bella e meravigliosamente forte per metterlo alla prova.

Ho capito il messaggio Signore, sarò fermo come una roccia e leale come una spada...” Ammise Philippe a se stesso, in un dialogo muto con Dio.

L’alba si avvicinava e con essa un nuovo giorno, Gaston si lasciò andare alla stanchezza, sognando di tornare ad Aguillon da uomo libero, libero e felice con Isabeau al fianco.

 

 

***

 

 

 

Note dell’autrice: eccomi qua, sono un po’ indecisa sulla riuscita di questa one shot.

Credo che i personaggi, Isabeau in particolare mi sia risultata un po’  OOC... E forse pure il povero Philippe Gaston.

Ho voluto immaginare cosa sarebbe successo quella notte se, in un momento di debolezza, Isabeau avesse confessato a Philippe la propria solitudine e difficoltà e lui, per tutta risposta avesse ceduto a quella attrazione che comunque penso che provi per lei e lo si capisce nel film, in più parti.

Ovviamente c’è solo un bacio, un quasi bacio, e delle parole intense.

Non avrei mai potuto separare Navarre da Isabeau per davvero.

Fatemi sapere che ne pensate di questa storia, se vi va’...

 

Ladyhawke83 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Lupo bianco, lupo nero ***


Storia partecipante al contest “My beloved villain” indetto da Dark Sider sul forum di EFP

 

Nome forum EFP / autore EFP: Ladyhawke 1983/ Ladyhawke83 

Titolo: Lupo bianco, lupo nero

Fandom: Ladyhawke 

Pacchetto scelto: Gollum/Smigol (Il Signore degli Anelli) 

Elementi del pacchetto utilizzati: Condizione, oggetto, stagione

Rating: giallo

Generi: fantasy, introspettivo

Avvertimenti: Soulmate AU! What if?

Note Autore: in fondo al testo.

 

***

Storia partecipante al Writober 2019 indetto da fanwriter.it

Giorno 14 ottobre

Prompt soulmate

Fandom Ladyhawke 

 

 

Lupo bianco, lupo nero

 

 

Sua Grazia, il Vescovo di Aguillon, era stato esiliato in quella cittadina lontana dalla civiltà, lontana dal prestigio, lontana dalla possibilità di comandare. Nel periodo in cui era stato vicario a Roma aveva, diciamo così, calcato un po’ la mano, utilizzando metodi un po’ troppo coercitivi, per assoggettare le persone al suo volere, e per eradicare definitivamente quella piaga dell’anima gemella.

Sua Grazia non credeva in una simile fandonia, anime destinate a incontrarsi, ma che si possono riconoscere grazie ad un segno, un disegno nascosto, celato ai più, ma non alla persona predestinata

Era fatto così, era un uomo forte, che non si arrestava davanti a niente e a nessuno. La vocazione verso Dio era solo un pretesto per acquisire maggiore rispettabilità e levare di mezzo chi gli era di intralcio, soprattutto separare le persone predestinate e cercare di convertirle a nuovo ordine.

Quando l’operato meschino e truce del Vescovo, si venne a sapere, Sua Grazia per poco non venne scomunicato e per evitare ciò, accettò il trasferimento ad Aguillon, una località sperduta e insignificante situata da qualche parte nella Francia meridionale, che brulicava di gente ignorante e superstiziosa, più che altro contadini che credevano a ogni cosa e per i quali un peto di un maiale equivaleva al respiro del diavolo.

 

***

 

“Manca ancora molto Imperius?” Chiese sua Grazia, con fare annoiato al suo sottoposto, padre Imperius, un vecchio prete che era legato al suo superiore da più di un vincolo religioso.

“No, Sua Grazia, dovremmo quasi esserci. Rispose lugubre Imperius, guardando fuori da quella sgangherata carrozza in cui viaggiavano.

“Per favore chiudi quelle tende, o ad Aguillon ci arriveremo su un carro da morto!” Lo richiamò Sua Grazia che non ne poteva più di quel viaggio interminabile fatto di scossoni, cigolamenti vari, scricchiolii di legno e umido e pioggia da tutte le parti.

“Spero almeno che abbiamo predisposto una degna sistemazione...” esordì Sua Grazia pensando ai bagagli e a poter riposare dopo tanto tempo su un letto vero.

“Signore, sono contadini non trogloditi...” lo corresse Imperius fregandosi l’avambraccio, là dove c’era il tatuaggio ormai sbiadito che segnava la sua appartenenza alla donna della sua vita: Anna.

Peccato che Anna ormai fosse viva solo nei suoi ricordi e che, di lei e del bambino che portava in grembo, non restasse altro che terra e fiori, là dove l’aveva seppellita. 

“Pensi ancora a lei? Non dovresti. Sai che alla fine ti ho fatto un favore. Se tu fossi fuggito con lei e avessi rinnegato la tua fede in Dio, ora saresti certamente peggio di come stai ora.” Il Vescovo parlava senza curarsi che l’altro lo ascoltasse davvero, come se avesse interesse solo ad ascoltare che suono avesse la propria voce, non a dialogare davvero.

“Sarà come dite, ma lei era mia, io ero suo...”

“Questa cosa delle anime gemelle è ridicola e tu lo sai. È un affronto alla potenza e alla misericordia di nostro Signore. Come può un tatuaggio, o un segno sulla pelle sancire l’appartenenza di un’anima ad un’altra? Noi siamo anime di Dio, e solo lui può disporre di noi e del nostro amore.” 

Il discorso di Sua Grazia pareva molto sensato, molto fedele, molto religioso, eppure celava al di sotto un non detto fatto di rabbia, invidia e bisogno di controllare ogni cosa, persino le persone.

Il Vescovo aveva tentato in ogni modo di scardinare quella piaga delle anime gemelle, se le persone non potevano trovarsi, toccarsi, innamorarsi, allora sarebbe stato più facile sottometterle, soggiogarle, piegarle al volere di Dio, che poi non era altro che il volere di Sua Grazia.

Se, disgraziatamente qualcuno riusciva a sfuggire alla maglia stretta dell’inquisizione, della sua personale caccia all’amore, come fosse una caccia alle streghe, allora il prelato minacciava di far male all’uno o all’altro dei due, se non avessero eseguito ogni suo desiderio, o ordine.

“Eccoci” disse, finalmente, arrestandosi, uno dei cavalieri delle guardie in livrea rossa e nera che scortava il carro che trasportava il Vescovo e padre Imperius.

“Aguillon vi da’ il benvenuto” disse un altro cavaliere con un sorriso falso e un fare fin troppo ossequioso.

“Come ti chiami?” Domandò gelido il Vescovo all’indirizzo del cavaliere vestito di bianco, su un cavallo del medesimo colore.

“Sono Marquet, vostra Grazia e sono lieto di servirvi” fece l’altro profondendosi in un lieve inchino, mentre con le labbra sfiorava l’anello di rubino alla mano di sua Grazia, in segno di deferenza.

“Conducimi alle mie stanze, Marquet e assicurati che i bagagli siano trattati con riguardo. Nessuno deve aprirli senza un mio comando...” ordinò il Vescovo, incamminandosi verso la cattedrale della cittadina.

“Ah... assicurati che anche il prete abbia un posto dove stare.” Si ricordò poi accennando a Imperius che aspettava appena fuori dalla carrozza.

“Sono meno importante dei bagagli di Sua Grazia, beh c’era da aspettarselo no? Quell’uomo non pensa ad altri che a se stesso, del resto...” Parlò sottovoce, Imperius, per non farsi sentire, accompagnato da un’altra guarda nell’ala ovest vicino alla maestosa cattedrale.

 

***

 

Sul finire del giorno Sua Grazia, si era comodamente sistemato nelle più grandi stanze del castello signorile, luminose, riscaldate da ampi camini e affrescate con bellissimi soggetti.

Eppure sul suo viso era calata un’ombra scura, grigia, uno sguardo sottile e distaccato il suo, mentre apriva i bauli, tutto ciò non prometteva nulla di buono per la cittadina di Aguillon.

Il cielo plumbeo della sera si riempì di nubi, minacciando tempesta, e l’aria si fece pesante e umida.

L’uomo dallo sguardo glaciale sfogliava alcuni fogli, in realtà scarti di pergamena, su cui scritti e poi cancellati parecchi nomi.

Quei documenti facevano parte della sua lista segreta, anzi delle sue liste segrete. La prima conteneva un elenco piuttosto ampio delle persone uccise, incarcerate o minacciate e le relative “anime gemelle” da trovare, uccidere o “convertire; la seconda lista, più breve, conteneva i nomi di tutte le persone assoldate per quella sorta di epurazione silenziosa, ma massiccia, con il relativo compenso dovuto per il lavoro svolto.

Il Vescovo certo da solo non avrebbe mai potuto perseguire i suoi perfidi scopi, ogni strategia che si rispetti prevede degli alleati e molte risorse per mettere a tacere qualsiasi ansito della coscienza o anche il più piccolo pensiero di ribellione o tradimento.

La volontà di Sua Grazia andava ben oltre qualsiasi immaginazione, egli non solo voleva comandare sulle gente ed averne le vite in pugno, ma desiderava ardentemente debellare da ogni angolo della terra, quell’intestazione purulenta, quella peste silenziosa che tutti chiamavano “il richiamo delle anime gemelle”, o “il segno del cuore”, o ancora “il braccio dell’amore”.

Come uomo e come religioso non poteva sopportare che esistesse una forza superiore a quella di Dio, o alla paura della morte, capace di unire due persone per sempre. L’amore era una cosa ridicola ed inutile per sua Grazia, una malattia dell’anima e del corpo da sradicare con ogni mezzo, persino con la tortura.

Questo il Vescovo pensava tra sé, mentre rileggeva i conti, maneggiando nervosamente con le dita l’anello col rubato che portava alla mano destra.

“Non importa se mi hanno cacciato, se pensano che il mio disegno divino sia folle, li farò ricredere, e lo faranno a tal punto, da farmi rientrare in Roma con tutti gli onori...” disse a se stesso Sua Grazia, con voce affilata e fredda come l’acciaio di una lama.

Quello che il nuovo Signore di Aguillon non sapeva era che di lì a poco, un sogno, in una notte qualsiasi che precede l’alba tardo- invernale, avrebbe cambiato per sempre le sue prospettive e le sue ossessioni.

 

***

 

Si risvegliò madido di sudore, le vesti candide appiccicate alla pelle e le coltri gettate di lato perché troppo soffocanti.

“Mio Signore, perdonatemi, è giunto il Cavaliere per l’assegnazione...”.

La voce era quella di Marquet, servile come sempre negli ultimi tre mesi, ma che nascondeva una ferocia e una comprensibile indignazione, dal momento che lui stesso non era stato scelto.

A sua Grazia non sfuggì quella nota di disprezzo nella voce del suo sottoposto, ma decise di non curarsene, anzi se possibile arroventò metaforicamente ancora di più il coltello per girarlo nella ferita aperta dell’uomo che gli stava di fronte.

“Ottimo, finalmente una buona notizia è finalmente qualcuno di cui potrò sicuramente fidarmi...” 

L’ultima frase era rivolta implicitamente a Marquet, era vero, di lui il Vescovo non si fidava, non ciecamente, così come nessuno si fiderebbe di una belva addomesticata, ma di fondo aggressiva e subdola.

Questo era Marquet. Una bestia selvatica non del tutto domata e Sua Grazia non poteva permettersi di affidare proprio a lui il ruolo del Capitano delle guardie, non se pensava che quella lealtà e quel compito avrebbe potuto ritorcersi contro di lui, il religioso non aveva nessuna intenzione di ritrovarsi con la gola squarciata per un capriccio di potere e di ricchezza di uomo troppo becero per credere nella inviolabilità della sua posizione, o nel castigo eterno.

No, la scelta del suo più fidato uomo doveva ricadere su qualcuno di moralmente ineccepibile, che fosse forte contro i nemici, ma non brutale, capace di sguainare una spada senza per forza versare più sangue di quanto fosse necessario. E quello l’uomo era appena giunto da terra straniera, portandosi dietro parecchie dicerie e imprese gloriose, il corpo provato, ma non lo spirito e nemmeno la fede.

Quell’uomo, quel cavaliere dal fisico possente e dalla cavalcatura impressionante, coi suoi biondi capelli e i penetranti occhi azzurri, colori assai rari in quella parte d’Europa, rispondeva al nome di Etienne Navarre.

Ed eccolo lì, Navarre, nella piazza antistante la cattedrale, appena smontato dal cavallo, ancora recalcitrante, portamento fiero, impassibile, ma con una certa reverenza nello sguardo.

“Sua Grazia... è un onore per me essere chiamato al vostro servizio”. Disse Navarre con sincerità e la voce fu profonda e ferma, tanto che Sua Grazia ebbe un brivido, una strana mescolanza di ammirazione e inquietudine, un sinistro presagio.

“Navarre voi servirete me, come servireste Dio, ne sono certo. Da quest’oggi sarete il Capitano delle mie guardie. Mi aspetto da voi fedeltà al massimo grado, obbedienza e discrezione” Annunciò il Vescovo deciso, lanciando uno sguardo in tralice a Marquet, il quale sembrava piuttosto infastidito, per non dire indignato dal fatto di non essere stato scelto per il ruolo di Capitano.

“Ed è ciò che avrete, Mio Signore.” Furono le uniche parole di Navarre, prima che si congedasse dal Vescovo, facendosi accompagnare da Francesco ai suoi alloggi.

“Quell’uomo non mi piace, Vostra Grazia” Ammise senza peli sulla lingua Marquet, storcendo la bocca in un’ Espressione sprezzante.

Neanche a me. Avrebbe voluto rispondere l’altro, che invece disse solamente: “Non è a te che deve piacere, è a me che ha prestato giuramento...”.

Eppure, eppure Sua Grazia non era tranquillo. Una sensazione spiacevole serpeggiava sotto la sua pelle, qualcosa che lo faceva stare istintivamente all’erta davanti a quello sconosciuto di nome Navarre. Non era esattamente qualcosa che si potesse spiegare, ma di certo era abbastanza per far desiderare al Vescovo di tenere quell’uomo dalla propria parte e mai come nemico. A questo pensiero, il braccio di Sua Grazia iniziò a prudere, e una lieve sensazione di bruciore si diffuse sulla sua pelle diafana, là dove era comparso il “segno”, là dove prima non c’era stato mai nulla se non epidermide, muscoli, nervi e ossa, ora c’era una prova. Una prova inconfutabile che anche lui, il vescovo di Roma prima, e di Aguillon poi, era rimasto vittima di quell’odiosa quanto incredibile forma di contagio: il segno delle anime gemelle.

 

***

 

Tutto era cominciato alcune settimane prima, sul finire dell’inverno, quando dopo una notte tormentosa, e un sogno alquanto strano persino per i canini di Sua Grazia, egli si era ridestato con il panico addosso e con esso era comparso anche il simbolo, il marchio, l’orrore che aveva cercato per anni di estirpare, ora faceva bella mostra di sé sul suo braccio. 

Questo stava a significare, purtroppo, o per fortuna, che anche lui faceva parte di quella cosa chiamata “anime gemelle”. Oramai il segno era sparso, il sogno era confuso, ma abbastanza nitido da capirne il senso, ora mancava solo da trovare l’altro pezzo, l’anima mancante, colei che avrebbe dovuto completarlo, colmarlo d’amore, desiderarlo per tutto il resto della sua vita.

Che pensiero folle, orribile e nello stesso tempo attraente.

Sua Grazia non si era mai innamorato in vita sua, mai aveva pensato alle donne come ad un qualcosa che potesse in qualche modo servirgli, di cui potesse averne un qualche bisogno che andasse oltre alle primarie necessità, alla deferenza, e al timore, con cui di solito esse gli si approcciavano.

Il sogno, ricorrente ormai, parlava chiaro però: una donna sarebbe arrivata, ma c’erano dettagli oscuri, confusi, c’era un lupo, c’era il bianco, c’era il nero e, cosa più importante, per quanto si concentrasse, il vescovo non riusciva mai a vedere la donna in volto.

Sua Grazia però, in virtù dell’esperienza acquisita nella sua personale crociata contro i “gemellati”, aveva capito una cosa: quando l’anima affine si palesa è impossibile non riconoscerla, non avvertirla, non sentirsene immediatamente attratti, come lo è la Luna alla Terra.

Una delle tante notti in cui quel sogno si ripeteva, Sua Grazia aveva osato chiedere a quella figura ancora senza volto, dalle fattezze femminile: “Tu sei vera o sei uno spirito?”.

Ella, nel sogno, aveva risposto con una voce melodiosa e dolcissima, come fosse quella di un angelo: “Io sono Dolore.” (1)

Cosa volesse dire quella parola, il Vescovo non lo aveva ancora capito, ma la sua incrollabile fiducia in se stesso e nel suo potere, non gli faceva dubitare che presto o tardi l’avrebbe scoperto, o magari udito proprio dalle labbra di quella creatura onirica.

 

***

 

“Come stanno andando gli addestramenti, Marquet? Lo straniero si comporta bene?”. La voce di Sua Grazia suonava annoiata, prima di interesse, di colore. Lo straniero a cui si riferiva altri non era che Etienne Navarre, che in quelle settimane aveva dato più volte prova del proprio valore come Cavaliere e come Capitano, senza alcuna ostentazione.

“Certo, Vostra Grazia, i vostri uomini ed io non potevamo chiedere una guida migliore...”

Al Vescovo non sfuggì affatto la nota di disprezzo e di sarcasmo nella voce di Marquet, solo che decise di ignorarla.provava una malsana soddisfazione a mettere gli uomini gli uni contro gli altri, in uno scontro di forza, volontà e ambizione, e il tutto solo per conquistarsi brandelli della sua attenzione e della sua benevolenza.

Essere tra i favoriti del Vescovo di Aguillon, significava mettersi al riparo da spiacevoli conseguenze, la peggiore delle quali era penzolare dalla forca per futili motivi.

Nessuno, però, poteva dirsi davvero al sicuro, non con Sua Grazia, un uomo potente, malvagio e volitivo come un gatto selvatico.

Navarre non sarebbe stato per sempre il favorito, non per molto ancora...

Marquet era venuto a conoscenza di qualcosa sul biondo straniero, qualcosa che Sua Grazia ignorava, ma che sarebbe stato felice di sapere. 

La guardia aveva un asso nella manica, un vantaggio su Navarre, che gli avrebbe fatto guadagnare stima presso il Vescovo,  chissà forse anche rispetto...

“Volevo solo informarvi che il Capitano è uno dei marchiati, Vostra Grazia...”

“Come?” Il Vescovo si alzò di scatto dallo scranno producendo un tintinnio metallico e un fruscio delle ampie vesti.

“Etienne Navarre porta il segno: è un gemellato, Mio Signore...” Disse sottovoce Marquet, intimidito dalla ferocia trattenuta di Sua Grazia e dalla sua repentina reazione.

“Come lo sai, Marquet? Ne sei certo?”

Ora Sua Grazia parlava con voce fredda, distante, aveva ritrovato la maschera di compostezza che sempre lo distingueva.

“Ho i miei informatori, Vostra Grazia, poi quel prete, Imperius, ha confermato il resto...” Rispose laconico Marquet, quasi che la cosa non fosse degna di nota.

“Il segno, Marquet, dimmi il segno del Capitano...” incalzò sempre con voce fredda e micidiale il Vescovo, era impossibile mentirgli.

“Un lupo, Mio Signore, un lupo.”

Un lupo.

Il Vescovo ebbe un tuffo al cuore, il braccio su cui era impresso il proprio inconfessabile segreto bruciava. 

Era forse possibile? 

Di tutti i segni, i marchi possibili, perché proprio un falco e perché sia lui, che Navarre, condividevano lo stesso simbolo? 

Destino? Menzogna? Orribile scherzo?

Sua Grazia si riscosse dai cupi pensieri e da quell’enigma indecifrabile e congedò bruscamente il suo sottoposto, il quale eseguì mezzo inchino svogliato e lo lasciò solo nella grande stanza affrescata.

Nessuno sapeva che un segno era comparso sul suo corpo, e ora questo, un altro uomo con lo stesso simbolo. Ma questo era impossibile, Sua Grazia lo sapeva meglio di chiunque altro, avendo dato la caccia per anni a decine di anime gemelle, sparse per mezza Europa e nessuna, nessuna aveva mai avuto segni identici, segni affini sì, segni che risuonavano all’avvicinarsi dell’altra metà anche, ma identici mai... Due uomini con lo stesso segno, per il Vescovo voleva dire solo una cosa: che ci sarebbe stata un’unica donna e non era detto che scegliesse lui.

 

***

 

Isabeau D’Anjou arrivò ad Aguillon nella tarda primavera di quell’anno, il 1236, anno di Nostro Signore, accompagnata dallo zio, il conte D’Anjou, il fratello minore del padre di lei, morto in una Crociata in terra Santa.

La fanciulla non aveva avuto molta scelta, la famiglia dopo la morte del padre era caduta in disgrazia, sua madre era morta poco dopo la notizia della dipartita del marito e sua sorella minore era stata mandata in un concento.

Isabeau non avrebbe mai voluto seguire suo zio, lo detestava, né detestava i modi, la violenza, l’ignoranza, il vizio dell’alcool, ma non aveva alcun potere decisionale, non finché non si fosse sposata.

Quindi le rimaneva l’unica scelta possibile, se voleva evitare di finire i propri giorni in convento: seguire suo zio in Aguillon e sperare di rifarsi una vita lì, magari una casa, una famiglia, sempre che suo zio le avrebbe permesso di sposarsi per amore, cosa di cui lei dubitava fortemente. Isabeau era una donna giovane, sapeva di essere bella e intelligente, anche se non se ne vantava, perché sapeva che vantarsi è peccato. Sentiva di essere destinata a grandi cose, e non certo a finire sposa di un vecchio ricco e bavoso.

Come giunse in città, lei e suo zio furono accolti, o per meglio dire, scortati, dalle guardie di Sua Grazia, incaricate di controllare le intenzioni di chiunque entrasse o uscisse dai confini di Aguillon.

Il Vescovo voleva essere certo che nessuno attentasse alla sua vita,  dato che la lista dei nemici era lunga, però faceva passare quel rigido controllo come un fattore necessario per la sicurezza di tutti gli abitanti di Aguillon, non solo la sua.

Isabeau si sentì intimorita da tutte quelle guardie armate, tanti fanti e tanti cavalieri come non ne aveva mai visti nella regione da cui proveniva la sua famiglia.

Colui che, però, concentrò tutta la sua attenzione, fu il Cavaliere in testa allo schieramento, quello a cui tutti gli altri, meno uno, si rivolgevano chiamandolo “Capitaine”, con una nota di rispetto e soggezione nella voce.

Il segno sotto la clavicola sinistra di Isabeau cominciò a formicolare e le si diffuse un leggero calore in tutto il suo corpo, nonché, ne fu certa anche senza vedersi, un certo rossore sul viso, quando il Capitano si tolse l’elfo smontando da cavallo per presentarsi a lei e a suo zio.

Era il volto più bello che avesse mai visto, o forse era perché non aveva mai visto un uomo “così” prima di quel momento.

Tutto in lui emanava sicurezza, forza, calore, e luce.

Una luce che lo comprendeva, circondandolo e Isabeau dovette sbattere le ciglia più volte per esser sicura che quello che stava vedendo non fosse altro un’abbaglio del sole.

Il Capitano emanava una luce, sembrava che nessun altro oltre lei potesse vederla, e Isabeau se ne sentì subito attratta, come una corrente che non può smettere di seguire il suo percorso.

Istintivamente si portò la mano alla spalla là dove il segno non smetteva di pulsare dolcemente come un richiamo e qualcosa, quando lui parlò, risuonò in lei.

Quell’uomo con quel viso austero e occhi sempre attenti e vigili era forse la sua anima gemella?

“Il mio nome è Etienne Navarre, Mia Signora, e in qualità di Capitano delle Guardie di Sua Grazia il Vescovo, vi do il benvenuto nella città di Aguillon...”

La fanciulla sorrise, Navarre le si era rivolto direttamente  scavalcando suo zio, il quale, Isabeau poteva sentirlo, fu preda di una silenziosa indignazione per esser stato volutamente ignorato dal cavaliere in livrea rossa e nera.

“Non ci siamo ancora presentati, Capitano... Io sono il conte Henri D’Anjou, e questa è mia nipote, Isabeau D’Anjou...” Si intromise suo zio, rompendo per un attimo l’incantesimo in cui era piombata lei, dall’istante in cui aveva incrociato lo sguardo limpido di lui.

Isabeau...” ripeté lui come se il nome di lei fosse una parola sacra, una di quelle da pronunciare con parsimonia e assoluta riverenza.

Navarre si dovette costringere a staccare gli occhi da quell’incantevole creatura, la quale gli aveva fatto dimenticare il tempo e lo spazio, nonché le persone che aveva attorno. Parlando al conte, lo zio di lei, ripeté meccanicamente: “venite, da questa parte, vi mostrerò la casa che Sua Grazia ha deciso di concedervi...”

Sì, perché tutto in Aguillon doveva passare al vaglio critico, inflessibile e insindacabile di Sua Grazia, persino i matrimoni, le nascite e le morti, per quanto suonasse assurdo ciò.

Isabeau chinò il capo e seguì suo zio e i soldati, verso la sua nuova vita e la sua nuova casa.

Ella si sentiva confusa disorientata, ma non smetteva di scorgere quella luce aleggiare tutto intorno al Capitano Navarre e il suo giovane cuore di ragazza, per quanto fosse provato, triste e disincantato, aveva ricominciato a sperare.

 

***

 

Sua Grazia, dall’alto della torre dell’imponente castello, osservava il corteo dei suoi soldati passare. Ad un tratto il suo sguardo annoiato fu catturato da una massa di capelli biondo-ramati raccolti in una treccia morbida e sfatta. La donna a cui appartenevano stava cercando di lottare senza successo con il vento che le faceva volare via il cappuccio e le scompigliava l’acconciatura.

Che strano quel vento caldo, come scaturito dal nulla e intensificato dall’arrivo di lei.

Che fosse un segno?

Il Vescovo continuò a fissare il punto dove prima aveva scorto la sconosciuta e i suoi lunghi capelli, e si sentì come se qualcosa si fosse incuneato dentro di lui, tra il cuore e la mente.

E se fosse stata proprio lei la donna del suo sogno ricorrente? 

L’impossibile che diventa possibile, un’anima che ne trova un’altra in mezzo ad un mare di esistenze grigie insignificanti?

Sua Grazia si chiese se Isabeau potesse davvero essere la sua metà, la sua anima gemella. In fondo, il suo cuore ghiacciato e quasi sempre impassibile, alla vista di lei aveva sussultato, ed egli si era convinto che quello poteva essere il principio di qualcosa di più grande, una scintilla d’amore.

Amore... peccato che il Vescovo non fosse capace di amare.

Quello che provò per lei in quell’istante, e in quelli successivi, non era amore, no, ma qualcosa di ben più perverso e pericoloso.

Per il momento tutto fu messo a tacere sotto la forza e la luce attraente e potente di quell’unica parola “Amore”.

Sua Grazia si era “innamorato” di Isabeau, perché lei era la donna misteriosa del suo sogno ricorrente, doveva esserlo e lui, per confermarlo, avrebbe scoperto quale fosse il suo marchio, e trovato la corrispondenza col proprio.

 

***

 

Imperius si trascinò stanco dentro la Chiesa, accasciandosi su una delle panche di legno, nel punto più lontano dall’altare, dove di solito nessuno lo avrebbe importunato se fosse caduto preda del sonno in seguito all’ubriachezza.

Quel giorno non era ubriaco, non troppo almeno, solo quel tanto che bastava ad offuscargli la mente e a tener lontano il ricordo della sua Anna, la sua anima gemella.

Si passò una mano sul segno ormai sbiadito, tranciato, inutile. Ora era solo un doloroso promemoria di un futuro radioso che non si sarebbe mai più realizzato.

Un’anima perduta, ecco cos’era Imperius.

Come si può anche solo pensare di sopravvivere quando la propria metà del cuore muore?

Anna era morta. 

Lui viveva.

Era ingiusto, terribile, inconcepibile.

“Le hai consegnate? Lei cosa ti ha detto?” Disse in un sussurro impaziente Sua Grazia, facendo sussultare il prete, che non si era accorto dell’ingresso del Vescovo nella Chiesa.

“Non le ha volute nemmeno aprire...” disse senza enfasi Imperius, mostrandogli le ultime lettere che Sua Grazia si era tanto premurato di scrivere e di far recapitare alla bella contessa D’Anjou.

“Non ti ha detto altro?” Incalzò il Vescovo, stringendo con forza il bastone cerimoniale.

“No.” E nella mente di Imperius comparve a tradimento l’immagine del volto di Anna: giovane, fiero, occhi azzurri, pelle di porcellana e labbra lievemente imbronciate.

Il prete si costrinse a tornare al presente scacciando i ricordi.

Una cosa era chiara ormai: Isabeau era innamorata, ma non di Sua Grazia, la donna, infatti, se ne teneva debitamente a distanza percependo l’aura malvagia e sinistra.

Impossibile non notare l’interesse morboso da un lato e il netto e cortese diniego dall’altro.

“Come osa rifiutare le mie lettere, le mie poesie... Come osa rifiutare me?” Ringhiò Sua Grazia, sentendosi ribollire dentro la sgradevole sensazione del fallimento, il frantumarsi di un’illusione che si infrange sullo scoglio della dura realtà.

Il vescovo di Aguillon non ci era abituato, non lo avrebbe mai accettato.

“Chi?” Domandò solo Sua Grazia. “Chi è lui?” 

Imperius si alzò e fece per congedarsi.

“Tu lo sai, non è vero? Lei te lo ha confidato...” Lo bloccò Sua Grazia con il solo tono della voce. 

Aveva gli occhi trasfigurati dalla rabbia e tutto il corpo esprimeva collera, l’anello di rubino che portava al dito emise un bagliore sinistro. 

Non era un buon segno.

“Imperius, parla. Ora. Dimmi il suo nome, così che io possa spedirlo all’inferno...” Ordinò Sua Grazia e il monaco vide avvicinarsi al viso  la pietra rossa del gioiello dal quale sua Grazia non si separava mai e, d’improvviso, sentì la propria volontà venir meno, sostituita da un impellente necessità di far uscire quelle parole, quel nome, anche se tutto doveva rimanere segreto.

Era pericoloso rivelare ad un uomo potente e folle come Sua Grazia un segreto così. Dargli in pasto un amore perfetto e purissimo, fatto di due giovani anime meravigliose e splendenti, due metà della stessa mela (2)...

Eppure Imperius, suo malgrado, si ritrovò a confessare al suo superiore ciò che non avrebbe mai voluto dire.

Il patto segreto dei due amanti, dalla dama e del cavaliere.

Il vecchio era stato soggiogato, obbligato dallo strano potere oscuro del Vescovo, tramite quell’anello.

Il Capitano Navarre...” biascicò Imperius, odiandosi mentre la lingua tradiva il suo giuramento.

“Isabeau si è innamorata di Etienne Navarre” sputò fuori, a fatica, Imperius desiderando morire di vergogna, per non esser riuscito ad opporsi a quell’estorsione.

In seguito il monaco avrebbe giurato di aver agito da ubriaco, ma la verità era ben diversa: nessuno avrebbe potuto sottrarsi alla volontà di Sua Grazia e nemmeno ai suoi poteri, terreni o non.

 

***

 

Fin da quel loro primo sguardo, entrambi avevano avvertito quella sensazione, quello sfarfallio e, anche se inconsapevolmente, sia Navarre che Isabeau, avevano iniziato a cercarsi e a volersi senza sapere esattamente il perché.

Come tutti in quella parte di mondo, anche il Capitano e la dama conoscevano la teoria delle anime gemelle: persone destinate a stare insieme tutta la vita, che si riconoscono tra loro grazie ad un “segno”. Ma saperlo è una cosa, crederci nella pratica è un’altra.

Eppure, quando i loro reciproci sguardi collisero, tutti e due ebbero l’istinto di toccarsi, stringersi e non lasciarsi andare più. 

E tutto questo andava ben oltre la semplice attrazione tra due sconosciuti, era evidente. Era stato come veder manifestarsi un filo, invisibile ad altri, che li univa da sempre, e che li avrebbe uniti per sempre.

“Dovremo stare più attenti...” Isabeau teneva lo sguardo basso, e pensieroso, mentre pronunciava quelle parole verso Navarre.

“Qualcuno sospetta di noi? Tuo zio ti ha detto qualcosa?” Le domandò Navarre preoccupato, arrestandosi per guardarla negli occhi.

Da qualche tempo ormai, quando erano soli, lei e Navarre, avevano smesso di usare la formalità del “voi”, per parlarsi, anche se Isabeau trovava ancora difficile riferirsi in quel modo al Capitano, nonostante lui l’avesse pregata di farlo, a lei sembrava troppo intimo l’uso del “tu”, a volte ne arrossiva pure al pensiero.

“No, mio zio no, ma credo che i tuoi compagni d’arme abbiano intuito qualcosa...” soppesò lei, indecisa se palesare o no i propri dubbi al riguardo.

“Se ti riferisci a Francesco, sappi che non direbbe mai niente. Noi siamo molto più che amici, ci lega il sangue anche se non siamo fratelli... a lui devo la mia vita...” Ammise Navarre serio.

“Non è di Francesco che ho paura, ma di Marquet... Quell’uomo non mi piace. C’è qualcosa nel suo sguardo, qualcosa di malevolo...” Isabeau riuscì a dire la verità, nonostante sapesse l’effetto che faceva quel nome su Navarre.

“Sua Grazia, poi... insiste a farmi recapitare delle lettere, delle poesie. Cerca di fermarmi dopo la funzione e io non so più come fare per rifiutare le sue attenzioni... padre Imperius, ogni volta, mi osserva come se si aspettasse un mio cenno, ma io non posso assolutamente accettare il corteggiamento di un uomo spregevole come Sua Grazia...” ammise Isabeau, ancor più preoccupata, mentre Navarre aveva ripreso a camminare sul sentiero, costeggiando il campo di girasoli, quasi maturi, tenendole la mano nella propria.

“Imperius sa come fare, mi fido del suo giudizio, lui è vicino a Sua Grazia, ma proprio perché sa con chi ha a che fare, ci proteggerà” 

La fiducia di Navarre e Isabeau nel vecchio prete sarebbe stata presto smentita, ma questo gli amanti non potevano immaginarlo.

“Io ti amo... non resisto più così, a fare tutto come se fossimo due fuorilegge. Non possiamo sposarci e basta?” Sbottò Isabeau, che quel giorno si sentiva particolarmente irrequieta e vulnerabile.

“Anche ti amo, mio sole. Ma dobbiamo aspettare, dobbiamo avere anche il benestare di tuo zio e della mia famiglia ricordi?” Senza quelli, Sua Grazia non acconsentirà mai a sposarci... e poi ricordati...” le sussurrò lui, posandole una mano sopra la spalla, vicino al segno di lei, un bellissimo falco di colore scuro, quasi nero, “noi siamo anime affini, gemelle, destinate e niente nell’intero cosmo potrà dividerci. Noi staremo insieme per sempre...”

Navarre lo disse con gioia e con una tale fiducia nella voce che Isabeau non osò contraddirlo, né accennò ai cattivi presagi che aveva da giorni.

Lui le sollevò il mento e la baciò, mentre il meriggio volgeva al termine. Si erano già baciati altre volte, ma quel bacio aveva in sé qualcosa di diverso.

Le loro labbra si sfiorarono, le bocche si cercarono bramose, dopo la lunga attesa e le mani corsero frementi ad accarezzare la pelle, il viso e i capelli dell’altro, come per imprimere nella mente ogni dettaglio, ogni sfumatura, ogni sensazione.

Sembrava un bacio di addio, eppure non avrebbe dovuto esserlo.

Qualcosa nell’animo di Isabeau si strinse e lei avvertì delle ombre offuscare la luce del bel cavaliere che le aveva rubato il cuore.

“Non voglio lasciarti Navarre. Non voglio tornare, non stanotte...” glielo disse, Isabeau lo pregò stringendosi al suo petto e ricambiando il suo abbraccio, sapeva di cuoio di ferro e di qualcos’altro.

“Restiamo insieme stanotte...” era una proposta azzardata, impossibile, folle.

Non potevano semplicemente passare la notte insieme e sperare che ciò non avesse conseguenze, in un’epoca come quella, l’unica cosa conveniente da fare era agire come da consuetudine.

Chiedere il benestare alle famiglie, al Vescovo, sposarsi, trovare una casa e allora, solo allora, dormire nello stesso letto e sotto lo stesso tetto da marito e moglie.

Fare diversamente significava cadere in disgrazia e perdere qualsiasi onore o titolo, e non faceva nessuna differenza che loro due fossero o meno destinati. Avrebbero dovuto seguire le regole e Navarre lo sapeva e per di più egli era in una posizione difficile.

Non era un nobile come Isabeau e non aveva grosse risorse, se si escludeva la paga e gli agi consentiti, in quanto Capitano delle guardie del Vescovo di Aguillon.

“Amore mio, lo vorrei tanto, ma sai che sarebbe rischioso è indecoroso farlo ora. Non ti chiedo di aspettare molto, solo qualche luna e poi potremo sposarci e stare sempre insieme...”.

“Vorrei non fosse così difficile starti lontano... Il mio cuore dormirà fino a che non ti rivedrà ancora...” Gli disse lei accarezzandogli una guancia.

“Anche il mio, Isabeau, anche il mio. Sembra destarsi solo quando è accanto al tuo, mi sento davvero vivo solo quando posso sentire la tua mano sopra la mia...” Le confessò Navarre, mentre prendeva le briglie di Goliath per riportarli ad Aguillon.

“Tu sei la mia luce nell’oscurità, non dimenticarlo mai” Gli disse Isabeau guardando il sole tramontare dietro l’orizzonte.

“E tu sei come una meravigliosa Alba m dopo una notte priva di stelle e di speranze. La luce che ho visto in te quel primo giorno, mi ha guidato fino a qui”

“È lo stesso per me, Navarre... solo che non sopporto di dovermi sempre separare da te, quando l’unica cosa che vorrei è non farlo”.

“Lo so.” Rispose Navarre e sospirò scorgendo in lontananza il borgo di Aguillon, incendiato dalle ultime luci del sole che su riflettevano sui muri e sulle case della città.

 

***

 

Sua Grazia aveva passato le ultime ore a consumare le mattonelle delle proprie stanze camminando su e giù, nel tentativo di calmare la collera e di trovare una qualche spiegazione per quel bieco scherzo del destino.

“Io mi sono fidato di lui ed è così che mi ripaga? Che sia maledetto!” Lei era mia, doveva essere mia, il lupo, il falco io li ho visti in sogno... Isabeau era destinata a me e a me solo. Come ha osato Navarre intromettersi?”

Il vescovo parlava ad alta voce quasi delirando per la rabbia.

Era un uomo potente, uno abituato ad ottenere tutto e anche di più, gli era sempre bastato uno sguardo, un ordine, invece con a Isabeau tutto era andato storto.

Non solo lei lo aveva rifiutato, rinnegando il legame con il segno, ma aveva anche scelto qualcuno di indegno: il Capitano Navarre. 

Lo straniero dai biondi capelli e l’accento arrotolato e musicale.

Sua Grazia non aveva mai creduto a quella fandonia dell’amore vero, delle anime gemelle, delle persone predestinate, poi era arrivato quel segno, il sogno ricorrente e lei, lei nella sua bellezza perfetta, fine, quasi impossibile da credere.

E lui aveva ceduto.

Ci aveva creduto, aveva cominciato a desiderarla ancor prima di capire che ciò che lo animava non era amore, ma ossessione, follia.

Lui non lo aveva capito, accecato dal bisogno, lei sì è si era sempre negata, per poi gettarsi tra le braccia della sua guardia, il suo uomo più fidato, con la complicità del vecchio prete, che lo aveva tradito per la seconda volta.

“È intollerabile, inammissibile, ignobile!” Ringhiò Sua Grazia battendo il bastone per terra.

Se non posso averla io nessun altro la avrà...” giurò torcendosi la pelle e graffiandola nel tentare di cancellare quel segno, quel lupo bianco che segnava la sua sorte e la sua anima, e decise che avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere per separarli, non importa dove sarebbero fuggiti, la sua collera li avrebbe raggiunti e puniti.

 

***

 

Francesco andò incontro altro trafelato e con il volto stravolto dall’angoscia.

“Fuggite! Fuggite! Sua Grazia ha saputo di voi e ora lui e Marquet vi stanno cercando. Se tornate ad Aguillon adesso, sarà la fine!” Gridò l’amico di Navarre,=senza neanche smontare da cavallo.

Il Capitano gli andò vicino e chiese solo: “dove?”

“Andate a Nord, verso Gabrosh, cercate Serge, è un vecchio amico di famiglia, vi aiuterà. Ditegli che vi mando io, ma fate presto. Andate. Ora!” Ordinò tutto concitato Francesco e Isabeau guardò Navarre con occhi spaventati.

“Grazie, ti devo la vita ancora una volta, amico mio!” Disse Navarre facendo ruotare Goliath per dirigersi verso Gabrosh.

“Navarre, non possiamo andare via così.. come faremo?” Domandò Isabeau, sentendosi letteralmente mancare l’aria nei polmoni.

“Meglio lontani, ma vivi, che ad Aguillon e morti, o peggio.. stai tranquilla ci penserò io a te, in fondo sono un cavaliere no?” Le promise il Capitano Navarre e sulle ultime parole cercò di sorridere per smorzare la crescente tensione e paura per sé stesso e per lei.

Purtroppo per loro, la maledizione li raggiunse e fu implacabile.

Sua Grazia, per punirli, aveva evocato terribili e oscuri poteri e dall’anello di rubino, unito al suo sangue e alla potenza del luogo sacro in cui il vescovo  si trovava, si manifestò un potente incantesimo, un maleficio infernale, una condanna perpetua per quei due sventurati che avevano osato amarsi ignorando il volere del vescovo.

 

“... Isabeau e Navarre sempre insieme, eternamente divisi, finché il sole tramonterà e sorgerà, finché esisteranno il giorno e la notte, lei sarà un falco nel cielo diurno, e lui un lupo nel bosco notturno... Per tutto il tempo che sarà loro concesso di vivere, i loro segni d’amore, saranno la loro condanna...”

 

Queste furono le parole funeste di sua Grazia, la maledizione fu lanciata e ricadde inesorabile sugli amanti in fuga in quella tiepida notte di fine maggio.

Non fu il loro amore a condannarli, ma la fiducia mal riposta e la follia di un uomo malvagio incapace di provare qualsiasi sentimento.

Tutto si compì nel tempo di un battito d’ali, il destino si accanì su di loro, mentre Navarre urlava e si contorceva dal dolore, trasformandosi in un lupo nero,  come in un incubo. 

Un lupo identico a quello che il cavaliere aveva inciso sull’avambraccio e che gli aveva permesso di trovare lei, fra tante altre anime.

Isabeau pianse e gridò, accasciandosi a terra accanto a Goliath e vicina a quel lupo che sentiva essere Navarre, il suo amore, ma non lo era del tutto.

L’animale non le fece male, non la aggredì, si limitò a guardarla e poi a fuggire, con un lamento straziante, nel bosco.

Isabeau tremante e sconvolta, parve udire la voce del vescovo che risuonava tra gli alberi...  “Nessun uomo ti avrà...

Forse era stato soltanto il frusciare del vento a confonderla, ma lei toccandosi il segno, seppe che quel falco che aveva disegnato sulla pelle ben presto sarebbe diventato la sua realtà, la sua punizione, il futuro a metà, senza Navarre e con Navarre.

Sempre insieme, eternamente divisi...

 

***

 

Note al testo:

 

  1. Entrambe le frasi riportare qui appartengono al film e, nonostante la risposta “io sono dolore” sia di Isabeau, la domanda qui non la pone Philippe, ma il Vescovo nel sogno.
  2. Le due metà della stessa mela è un riferimento esplicito al mito delle due metà descritto nel Simposio di Platone: “Un tempo gli uomini erano esseri perfetti, non mancavano di nulla e non v’era la distinzione tra uomini e donne. Ma Zeus, invidioso di tale perfezione, li spaccò in due: da allora ognuno di noi è in perenne ricerca della propria metà, trovando la quale torna all’antica perfezione…” E così Zeus: “lo credo che abbiamo un mezzo per far sì che la specie umana sopravviva e allo stesso tempo che rinunci alla propria arroganza: dobbiamo renderli più deboli. Adesso io taglierò ciascuno di essi in due, così ciascuna delle due parti sarà più debole. Ne avremo anche un altro vantaggio, che il loro numero sarà più grande. Essi si muoveranno dritti su due gambe, ma se si mostreranno ancora arroganti e non vorranno stare tranquilli, ebbene io li taglierò ancora in due, in modo che andranno su una gamba sola, come nel gioco degli otri.” E da qui la nascita del mito delle anime gemelle: alla ricerca perenne che qualcuno possa completarci nei difetti e nelle profondità e ritrovarci specchio di se stessi negli altri.

 

Note dell’autrice:

 

Questa storia doveva essere breve, perché all’inizio era stata pensata per partecipare al Writober, per il giorno 14 ottobre, con il Prompt Soulmate AU! Poi ho deciso di farla partecipare anche al contest “My beloved villain” indetto da Dark Sider sul forum di EFP, e così è diventato un progetto un po’ più corposo, una oneshot che supera le 6000 parole...

Devo ammettere che è il mio primo tentativo di scrivere una Soulmate e, per quanto riguarda la stesura e l’aderenza al canone di “Ladyhawke”, la cosa mi ha fatto sudare parecchio.

Spero di essere riuscita a combinare entrambe le cose: aderenza al pacchetto richiesto dal contest e sviluppo del Prompt specifico del writober.

Dedico questa storia, come quasi la totalità delle altre su Ladyhawke, a mio marito: il mio tutto, la mia metà per davvero.

Oggi, giorno 5 novembre 2019, sono esattamente diciotto anni che siamo insieme, ovvero la metà esatta della nostra vita trascorsa.

È proprio il caso di parafrasare “Ladyhawke”, senza la parte finale del famoso motto... 

Sempre insieme...

Buona lettura.

Ladyhawke83

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Lone Wolf ***


Questa storia partecipa al Writober 2019, indetto da fanwriter.it con il 19 ottobre, Prompt lupo solitario 

Questa storia è stata scritta per l’iniziativa  WordWar indetta dal gruppo facebook Il Giardino di Efp, sulla sfida di Celtica: “ Sfido Ladyhawke83 a chi per prima scriverà una drabble/flash nel fandom di Ladyhawke, a condizione che sia  what if o AU.”

 

 

Lone Wolf

 

Le campane suonarono a lungo nella cattedrale di Aguillon, nonostante Navarre avesse tentato in tutti i modi di impedire ai campanari di farle cantare. Il coltello aveva colpito il primo, ma non aveva fermato il secondo che, tirando quella fune collegata alle campane, aveva decretato la morte di Isabeau.

“Imperius... fallo alla svelta...” aveva sussurrato Navarre, con sguardo angosciato, sentendo il cuore andare in frantumi.

Il cavaliere, ormai, non aveva più nulla da perdere, si voltò e si diresse verso Sua Grazia, il vescovo di Aguillon, incrociando lo sguardo, e il corpo, ormai senza vita, di Marquet, mentre sopra le loro testa dalla vetrata del rosone centrale, andata in frantumi, si consumava l’eclissi, quel tanto agognato giorno senza la notte e notte senza il giorno. Peccato che quel segno divino, che avrebbe dovuto liberare lui e Isabeau, dalla maledizione di cui erano rimasti vittima, fosse arrivato troppo tardi.

Navarre, con la morte nel cuore ed una rabbia cieca nel petto, arrivò a pochi passi da Sua Grazia inchiodandolo sul posto con il solo sguardo, carico d’odio e di rassegnazione.

“Se uccidi me, Navarre, la maledizione durerà in eterno. Non pensi a Isabeau?” La voce del vescovo era velenosa è sottile, perfida, nonostante lui stesse cercando di ripararsi dalla furia di Navarre, arretrando mentre stringeva il bastone cerimoniale davanti a sé, a fargli da scudo.

“Isabeau... è morta. Sì, maledetto, vattene all'inferno.”

Navarre sollevò la spada e colpì impietoso senza esitazione il corpo di Sua Grazia, che cadde a terra con un rantolo, mentre il sangue macchiava il suo abito immacolato.

Nessuna voce venne a fermarlo, nessuno osò levare un guanto, od una spada su di lui, in fondo Navarre era pur sempre stato il Capitano di quelle guardie che ora lo guardavano con rispetto e timore, non osando fermarlo.

Tutti erano sollevati di essersi liberati della minaccia costante e del dispotismo di Sua Grazia, ma nessuno osava ammetterlo.

Sulla porta della navata, Navarre incrociò lo sguardo triste di Philippe e quello disperato di Imperius, colui che aveva fisicamente levato un coltello sul povero falco, di fatto mettendo fine alla semivita di Isabeau.

“Navarre io... ti prego perdonami...” sbiascicò il vecchio con voce rotta e occhi gonfi di lacrime amare, guardandosi le mani e restituendo la lama al legittimo proprietario.

“Hai mai pensato che, forse, questo era il disegno di Dio fin dall'inizio? Hai fatto ciò che ti ho chiesto... sono io che dovrei chiedere perdono a te e a Dio, per non aver avuto abbastanza fede e coraggio per sperare...” La voce di Navarre appariva loro lontana, come se egli si fosse chiuso al mondo e alla vita. Il Capitano respirava ancora, ma di certo non viveva più.”

“Mio Signore, fatemi restare con voi. Io posso aiutarvi, proteggervi...” azzardò Philippe, molto angustiato per la sorte del Capitano.

“No, Philippe. Tu hai già fatto tanto per noi, ed è giusto che io ti lasci libero.. poi vorrei restare solo, ve ne prego... Attenderò la morte attraversando i giorni e le notti come Dio vorrà...” Le ultime parole di Navarre furono rivolte ad entrambi, sia al topo che al Monaco, prima che il Cavaliere salisse in groppa a Goliath e sparisse dalla loro visuale.

 

***

 

La maledizione non cessò quel giorno, con l’eclissi e la morte del vescovo di Aguillon, almeno non per Etienne Navarre...

Del tenebroso cavaliere si persero le tracce, anche se di notte, si diceva, che spesso nel dintorni di Aguillon si sentisse un ululato straziante e qualcuno, i più temerari, giuravano di aver visto un lupo nero, un lupo solitario aggirarsi per le campagne della città. 

Inoltre, ad ogni anniversario passato dal giorno della morte di Sua Grazia e della venuta dell’eclissi, le donne di Aguillon trovavano, al pozzo comune, dei fiori di girasole che, solo in pochi sapevano, essere i fiori preferiti della compianta contessa Isabeau D’Anjou, il cui corpo fu trovato senza vita, proprio il giorno dell’eclissi.

Nessuno in Aguillon ne parlò mai più apertamente, ma la triste storia della dama e del cavaliere, il racconto del loro amore travagliato, e del loro tragico destino, divenne una struggente ballata, la quale viene ancora oggi narrata ai bambini e alle fanciulle e ai fanciulli di ogni età.

 

Il falco e il lupo, sempre insieme, eternamente divisi... finché non rimase che un solo cuore, quello del lupo, senza più lacrime da versare, solo dolore...

 

***

 

[727 words]

 

 

Note dell’autrice: 

Eccomi qui, di nuovo in questo Fandom, sì lo so, sto diventando noiosa e monotematica, ma devo ringraziare Celtica e la bella iniziativa della pagina Facebook del Giardino di Efp, se mi ritrovo a scrivere di nuovo su Ladyhawke.

Stavolta i toni sono volutamente cupi e drammatici essendo una What if?, poi ho voluto unirci anche il Prompt del writober 2019, “lupo solitario” ed ecco qua il risultato.

Buona lettura!

Ladyhawke83

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3862726