Storia di una rosa rossa senza spine (e della fanciulla che la colse)

di seavsalt
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo I

Di come una giovane fanciulla trova una rosa rossa e non sa che farne

“Backbiting”

composer: Yutaka Minobe,

from Rule of Rose Original Soundtrack

Camminava con una certa fretta, facendo oscillare al vento i bianchi capelli corti fino alle spalle, mossi da qualche leggerissimo boccolo qua e là. Ripensava a quella mattina, quando con grande entusiasmo aveva indossato quel completo che tanto le donava, un paio di pantaloni neri, abbinati a una camicia bianca e un gilet scuro, ma soprattutto quando si era infilata la toga tanto ambita, una veste nera con i bordi rossi, lunghe e larghe maniche e una sorta di cappuccio che pendeva sulla schiena. Non era una toga particolare, non la caratterizzava niente di speciale, ma simboleggiava, per la ragazza, il raggiungimento di un obiettivo, l’avverarsi di un sogno tanto bramato sin dalla più tenera età: entrare nell’istituto più prestigioso di tutti, dove studiavano solo gli apprendisti più dotati, seguiti dagli insegnanti migliori. Quello che l’aveva sempre attirata più del resto, però, era il rettore dell’istituto, tanto brillante quanto eccentrico. Difatti egli aveva fatto ruotare l’intero programma di studi intorno a un tema molto originale e al tempo stesso oscuro. Si trattava della questione di incubi e sogni, due realtà in apparenza opposte, ma, dopo un’ulteriore studio più approfondito, si può notare come al contrario si completino l’un l’altra. Senza i primi non ci sarebbero i secondi e viceversa. Si era informata più del necessario, aveva letto tutti i saggi pubblicati dall’estroso rettore a riguardo; non erano di facile lettura, ma l’affascinavano e le conferivano una consapevolezza in più. Ed era con quella consapevolezza che in quel momento camminava a passo svelto sul selciato, senza correre, poiché non si trovava in effettivo ritardo, era semplicemente impaziente di giungere a destinazione, cantando sottovoce un allegro motivetto, una canzoncina che aveva sentito suonare spesso dal suo precettore di pianoforte. L’intera struttura era di una magnificenza pressoché indescrivibile a parole: l’architettura, squisitamente gotica - dopotutto era quella l’epoca in cui viveva - trovava un equilibrio e un’armonia perfetti, che davano all’enorme istituto un’apparenza maestosa, forse anche un po’ intimorente. Situata sulla sommità di una collina, la circondavano nient’altro che distese di erba non troppo alta, in mezzo alla quale spuntavano sporadiche rocce dalle forme bizzarre. Nell’insieme, tuttavia, quelle formazioni rocciose potevano apparire inquietanti, specialmente da lontano. Alla giovane non importava, le osservava con interesse e, curiosa, si chiedeva cosa avesse causato loro di assumere quelle apparenze. Il complesso dell’istituto era costituito da due edifici principali, molto simili tra loro, collegati da un ponte solido, con delle splendide arcate, che si sollevava al di sopra di una fenditura nella superficie del terreno, abbastanza profonda perché se qualcuno vi fosse caduto all’interno avrebbe potuto contare in una morte più che certa. La ragazza, tuttavia, non faceva caso nemmeno a questo. Dopo aver osservato a lungo il baratro, spostò lo sguardo su una torre che appoggiava in parte su un lato del ponte. Sulla cima, la torre si apriva in varie bifore, che permettevano di vedere lo spazio all’interno, una sorta di terrazza vuota. Quello era probabilmente l’unico dettaglio che andava a disturbare i sensi della giovane studentessa, alla quale quell’interno appariva fin troppo vuoto, come se mancasse qualcosa. Ben presto fu davanti all’enorme e massiccio portone in legno attraverso il quale si accedeva al primo dei due edifici: quello che comprendeva gli appartamenti studenteschi, le biblioteche pubbliche, le mense e altre strutture non adibite prettamente allo studio. Alberelli piuttosto spogli affiancavano quella facciata del gigantesco edificio, sopra di essi gracchiavano dei corvi, animali tipici di quel luogo. L’altro edificio, invece, conteneva tutte le aule di studio, le aule magne, le biblioteche private, consultabili solo ed esclusivamente dagli insegnanti o in via del tutto eccezionale da studenti con permessi speciali. Inoltre all’interno di esso si trovavano i dormitori dei professori e, ultima ma non meno importante, gli appartamenti privati del rettore, che si vociferava contenessero altre biblioteche contenenti i libri più rari a cui solo lui poteva accedere, oltre a presentare un’ampia terrazza panoramica, ben visibile dall’esterno, decorata da giardini e grandiosi archi rampanti. La ragazza era estremamente estasiata a quella vista, avrebbe dato di tutto per poter mettere anche solo un piede nelle stanze private del rettore. Fantasticava su come potevano essere all’interno, consapevole che non le avrebbe mai viste, tanto da non fare caso alla fitta calca di studenti in cui si trovava, ammassati attorno a una bacheca dalle dimensioni esagerate, eppure non abbastanza affinché tutti potessero leggere ciò che vi era scritto senza problemi. La giovane si guardava intorno, ammirava lo splendido edificio finalmente dall’interno, alzando gli occhi verso il soffitto, dominato da lampadari immensi su cui erano accese almeno un miliardo di candele, per poi posare lo sguardo sulle lunghe e larghe rampe di scale in marmo, i cui gradini erano ricoperti con tappeti finemente decorati, che salivano verso i piani superiori, troppi per essere contati. Finalmente fu il suo turno di leggere sulla bacheca, dove erano scritti i nomi di tutti gli studenti appena entrati accanto al numero di stanza nella quale avrebbero dovuto soggiornare e al piano in cui essa si trovava. Tra di essi figurava anche il nome della giovane, che a stento riusciva a distinguere le lettere segnate su una pergamena. Eppure, accanto ad esso, non c’era alcun numero, né indicante la stanza né il piano, ma erano scritte solo due parole in inchiostro nero:“rosa rossa”. Si guardò intorno, confusa e intrigata al tempo stesso, tuttavia nessuno sembrò notare né la sua espressione né la riga del suo nome sulla bacheca, completamente diversa dagli altri. Mano a mano tutti gli studenti si dileguarono, lasciandola lì, sola, davanti alla bacheca, a osservare quelle parole compulsivamente. Soltanto il sentirsi toccare la spalla dalla mano di un inserviente la destò, obbligandola a voltarsi. Con un gesto egli le fece cenno di avvicinarsi a lui e di seguirlo, mentre si incamminava nella direzione opposta a quella in cui si erano diretti tutti gli studenti, ossia una delle numerose aule magne dell’edificio. La giovane titubò un momento, per poi camminare verso di lui prima con passo lento e cauto, poi sempre più veloce, per evitare che la lasciasse indietro, sola in mezzo a quegli ampi spazi.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo II

Di come un saggio uomo le mostra la via da intraprendere

“Via Purifico”

composer: Nobuo Uematsu,

from Final Fantasy X HD Remaster Original Soundtrack

Con sua grande sorpresa, l’inserviente dell’istituto la portò a superare quel ponte smisurato che aveva osservato dal basso fino a qualche momento prima. La giovane seguì quell’uomo per minuti interminabili, che le apparvero come ore, mentre l’aria piuttosto fresca che si percepiva a quell’altezza abbastanza elevata le sferzava il volto. Il cielo cominciava a cambiare colore, da un arancione tipico del tramonto a un blu scuro, che caratterizza la notte, con una luna che appariva timidamente sulla volta celeste, dai bordi ancora sfumati. Finalmente arrivarono dall’altra parte del ponte, dove li aspettava un’entrata enorme, conformemente a tutto il resto degli elementi che componevano l’architettura dell’istituto, i quali apparivano sempre esagerati nelle loro dimensioni. I corridoi dell’altro edificio erano immensamente ampi e lunghi, le pareti continuamente tappezzate di dipinti raffiguranti l’istituto oppure ritratti di persone apparentemente importanti, probabilmente professori o studenti rinomati. La giovane si voltava in continuazione da una parte e dall’altra, rimanendo a bocca aperta per ogni singolo dettaglio che riusciva a vedere, mentre l’uomo davanti a lei camminava a passo spedito, senza emozionarsi troppo; doveva essere di certo abituato a quell’ambiente, ormai. Salirono un numero indefinito di scale che non sembravano aver fine, ma che continuavano a salire verso l’alto, dove si trovavano i piani più reconditi di tutto l’istituto. La ragazza saliva quei gradini con il cuore che le batteva forte, faceva scorrere la mano sui corrimano di marmo pregiato, domandandosi tra sé e sé dove sarebbe andata a finire - se mai quel percorso avesse avuto un termine. Eppure, proprio quando cominciava a dubitare di poter arrivare a destinazione, qualunque essa fosse, ecco che le scalinate finirono e l’uomo imboccò un ulteriore corridoio, molto probabilmente l’ultimo; infatti, l’inserviente si fermò di fronte a un’ampia, ma breve gradinata, che portava ad un portone raffinatamente intarsiato, con le maniglie del color dell’oro, terminanti in volute. Egli si voltò verso di lei, guardandola in modo piuttosto assente ed indicandole, tramite un movimento del braccio, di salire e procedere senza di lui. Il modo migliore per sapere cosa ci sarebbe stato oltre quella porta e soddisfare così la propria curiosità era proprio quello di aprirla e verificarlo di persona. Nondimeno, la giovane percepiva una certa inquietudine, un qualcosa che le impediva di salire serenamente quei gradini. Non c’era modo di tornare indietro, ormai, perciò lo avrebbe fatto comunque, volente o nolente. E poi, in ogni caso, la propria caratteristica curiosità sopraffaceva l’ansia e il timore, sensazioni che potevano essere, dopotutto, anche infondate. Girò le maniglie con cautela, quasi avendo paura di rovinarle tanto erano benfatte, e, non appena una delle due ante si aprì, la giovane venne a momenti accecata dall’intenso bagliore di una luce dorata che proveniva direttamente dall’interno della stanza in cui stava mettendo piede. Si portò istintivamente le braccia davanti agli occhi, a proteggerla da quel forte bagliore, il quale si dileguò poco tempo dopo. La ragazza si scoprì il volto lentamente, permettendo al proprio sguardo di vedere gradualmente cosa si celava all’interno di quella stanza: le appariva come immensa, infinita, esageratamente di più rispetto a tutto ciò che aveva visto fino ad allora. Le pareti erano curve, formando un ambiente circolare terminante in una cupola da cui pendeva un gigantesco lampadario, ma erano estremamente particolari, in quanto si trovavano ad essere costituite esclusivamente da librerie altissime, mastodontiche, ricolme di libri tanto da non lasciare nemmeno un piccolo spazio vuoto. Il pavimento in cui la giovane poggiava i piedi era più simile a un largo ponte che procedeva in una salita verso il centro della stanza, dove si estendeva in una piattaforma circolare ed immensa, dalla quale partivano una quantità indefinibile di scale a chiocciola sia verso l’alto che verso il basso, tutto apparentemente sospeso sul nulla, in un caos architettonico completamente fuori dal mondo, dove non se ne poteva distinguere ad occhio nudo il fondo, tanto era alto e profondo. Tutto l’ambiente possedeva questo sfolgorio dorato, al quale la giovane non riusciva a trovare una spiegazione, limitandosi ad osservare esterrefatta, accompagnata da una melodia suonata al pianoforte che trasmetteva una sensazione enigmatica, ma, a suo modo, accogliente e rilassante. Avanzò fino ad arrivare al centro della stanza, dove un uomo sedeva a suonare proprio quello strumento da cui proveniva la musica, che la ragazza si mise ad ascoltare con attenzione, socchiudendo le palpebre e lasciandosi trasportare da quella magica sensazione. Il musicista le dava le spalle e non era minimamente intenzionato a voltarsi per guardare la studentessa, continuava a premere i tasti in avorio del pianoforte con trasporto. La giovane si destò da quella sorta di torpore che l’aveva colta, riprendendo a guardarsi intorno e notando che dall’altra estremità della piattaforma partiva un altro ponte, il quale continuava a salire fino a raggiungere un’ulteriore piattaforma, stavolta rettangolare, che appoggiava uno dei due lati maggiori alla parete-libreria. Su di essa un altro uomo sedeva a una grande scrivania in legno di mogano, anche questa intagliata, sopra la quale si trovavano una lampada - dall’utilità pressoché dubbia - e delle alte pile di libri, in mezzo alle quali egli era completamente immerso nella lettura di uno spesso tomo. Fu l’unico a notare la presenza della giovane, tant’è che alzò il naso dalle pagine per guardarla. Improvvisamente si alzò in piedi, prelevando un libro non eccessivamente spesso da una delle pile, prima di dirigersi verso di lei, con passo solenne. Il suo volto era leggermente solcato da rughe e su di esso spiccavano due iridi azzurre, mentre a incorniciarlo erano dei ciuffi mossi e neri, un po’ spettinati. Il suo sguardo tradiva tracce di un certo turbamento sconosciuto alla studentessa. Tuttavia, ciò che era più curioso in lui, era la toga che indossava: simile alla propria, ma molto più elaborata e dai dettagli in un rosso più scuro e meno vivido. Fu proprio osservando i suoi abiti accademici che la ragazza si rese conto di chi si trovava davanti. I suoi occhi brillavano di ammirazione, nel mentre l’esimio rettore dell’istituto avanzava verso di lei, fino a giungerle davanti. Le porse il libro che aveva preso poco prima, con un sorriso a metà tra l’inquietante e il compiaciuto. La giovane lo ricevette tra le piccole e candide mani con un’espressione cortese ed entusiasta: il volume era rilegato in pelle scura, finemente lavorata e sembrava essere piuttosto antico. Sulla copertina apparivano quattro rose rosse, una per ogni angolo, mentre al centro spiccava il titolo, le cui lettere dorate rilucevano in modo analogo a tutto il resto di ciò che si trovava all’interno della stanza. Il libro era intitolato così: “Storia di una rosa rossa senza spine”. Il nome dell’autore, curiosamente, era assente. La giovane lo osservò per qualche minuto, prima di alzare lo sguardo sul rettore; eppure, accadde un evento sconcertante. L’uomo non era più dove la ragazza lo aveva lasciato pochissimi momenti prima, né si trovava in qualunque altro luogo della stanza, ormai accertata come il suo studio privato, a cui apparentemente avevano accesso soltanto lei e il pianista, il quale stava ancora suonando la sua melodia, che si faceva sempre più lenta e tranquilla. Passando lo sguardo su ogni singolo angolo del luogo, la studentessa non potè fare a meno di notare una poltrona al centro della stanza, non troppo distante dal nero pianoforte. Era una poltrona particolare, in quanto, oltre ad avere una graziosa imbottitura rossa e dei manici sagomati in modo simile alle maniglie della porta dello studio, oscillava proprio come quelle sedie a dondolo che la ragazza aveva già visto nella propria stessa abitazione. Non sapendo bene come comportarsi e ritrovandosi quel libro in mano decise di sedersi su di essa, appoggiandosi delicatamente allo schienale, facendo ondeggiare le gambe che, troppo corte per quella poltrona, le impedivano di toccare terra. Aprì il volume con dolcezza, sfogliandone attentamente le pagine sottili e quasi ingiallite, poi iniziò a far scorrere gli occhi sulle prime parole del prologo.

“Prologo

C’era una volta una bambina che, annoiata, un pomeriggio decise di andare a fare un giro nel bosco vicino alla sua casa. Era tutta sola, ma non aveva paura, camminava tranquilla tra gli alberi alti e tra i fitti cespugli. In poco tempo, però, si perse, non riuscendo più a ritrovare la strada di casa. Non si perse d’animo, anzi continuò a camminare, senza risultati. Ad un certo punto, si ritrovò davanti delle mura e, percorrendole, giunse fino ad un grande cancello di ferro. La piccola sbirciò tra le sbarre e vide una grandissima villa, preceduta da un enorme giardino. Allora pensò che forse là dentro poteva esserci qualcuno in grado di aiutarla. Spingendo leggermente il cancello, questo si aprì e la bambina corse subito in mezzo alle siepi. Giunse al centro del cortile, dove si trovava una fontana maestosa, ma, purtroppo, essa non funzionava e l’acqua stagnante all’interno della vasca aveva assunto un colore verdognolo. La bambina si chiese perché e, guardando meglio oltre le siepi, dove si stagliava la struttura della casa, notò che il muro cadeva a pezzi, così come il tetto, le finestre erano rotte e nessuna luce era accesa: molto probabilmente era stata abbandonata da molto, ma la piccola non se n’era accorta. Tornò sui suoi passi, ma, non appena si voltò indietro, vide un cespuglio di rose rosse che non aveva notato prima. Corse verso di esse, perché erano i suoi fiori preferiti, ma presto si accorse che tutte le rose erano appassite. Tutte, tranne una: la colse, attenta a non pungersi con le spine, ma proprio allora si accorse che quella rosa non ne aveva.

Capitolo 1

La bambina era molto sorpresa, ma anche felice, di aver trovato la prima rosa rossa senza spine che avesse mai visto. Doveva essere una rosa speciale, forse magica, dopotutto era l’unica a non essere appassita. La piccola sorrideva, tenendo in mano il fiore, e decise di portarselo a casa. Tuttavia, non appena fece qualche passo verso l’uscita, una voce la fermò e le domandò gentilmente di voltarsi. Ella fece come le era stato chiesto e si trovò davanti un uomo piuttosto anziano, vestito da maggiordomo. < Ti sei persa, piccola? > si preoccupò il maggiordomo. La bambina non rispose, ma annuì scuotendo la testa. < Vieni con me > le disse < ti porterò dentro questa grande casa. Il padrone è un uomo molto gentile e ti aiuterà a trovare la strada di casa >. La piccola non credeva alle proprie orecchie: finalmente qualcuno che poteva aiutarla! Senza lasciare la rosa, seguì il maggiordomo, che la portò dentro alla villa, che a quanto pare non era abbandonata. All’interno c’erano tantissime cose preziose: candelabri d’oro, enormi dipinti, tappeti pregiati. Camminarono attraverso tanti corridoi di quel tipo e la bambina fu senza parole. Non sembrava proprio la stessa casa che aveva visto dal giardino, anzi, era come se fosse tornata al suo antico splendore. Eppure, quando era entrata, la facciata non era diversa, perciò non doveva esserselo immaginata. Il maggiordomo la condusse di fronte ad una porta e le disse di entrare senza paura. La bambina entrò e vide un bellissimo spettacolo: la stanza in cui si trovava era un grande studio, in cui si trovavano tantissime librerie piene di volumi di ogni tipo. Al centro, un uomo che sedeva dietro una grande scrivania di legno, alzò la testa dal libro che stava leggendo e la incoraggiò a farsi più avanti. < Ti sei persa, non è vero? Io sono il padrone di questa villa e posso aiutarti > le disse, alzandosi dalla sedia. < Prima dovrai farmi un favore però. Ti va? > le chiese, sorridendo. La bambina sorrise di rimando e scosse la testa per annuire. < Molto bene. Tutto ciò che devi fare è portare quella rosa nel luogo in cui i sogni e gli incubi si mescolano assieme. Se lo farai, io ti aiuterò >. La bambina fu molto confusa dalle parole del padrone di casa, ma non c’era tempo per chiedergli cosa volesse dire. Strinse la rosa rossa al petto e si precipitò fuori dallo studio, alla ricerca di quel luogo strano.”

Il primo capitolo, che terminò in un lasso di tempo né troppo breve né troppo lungo, terminava in questo modo, lasciando la giovane, ironicamente, sulle spine. Tuttavia le palpebre cominciavano a farsi pesanti, costringendola a interrompere la lettura. Appoggiò la testa allo schienale, stringendo il libro al proprio petto amorevolmente e chiudendo definitivamente gli occhi, mentre le ultime, nostalgiche note della melodia suonata dal pianista la cullavano verso un sonno profondo. Chissà perché quel racconto le ricordava qualcosa…

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