Undead World

di Lupoide
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Notti di caccia ***
Capitolo 3: *** Finalmente a casa ***
Capitolo 4: *** Una sit-com dell'orrore ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Undead world - capitolo 1



[Diario di Joy Gibbs]



Los Angeles, 11 settembre 2011



Caro diario,

oggi ricorre il decimo anniversario dell'attacco alle torri gemelle. È venuta a trovarmi mia madre, ed anche oggi ha pianto...pare non ce la faccia più a vedermi attaccata a tutti questi fili ed a questi schermi che emettono strani *beep*, inoltre oggi ricorre il decimo anniversario della morte di papà, che evidentemente riesce ancora a riempire di tristezza il cuore di mia madre. Ho 16 anni, per cui non ho molti ricordi di mio padre, nè del suo volto nè del suo sorriso di cui mamma continua a raccontarmi, inoltre ho trascorso più della metà della mia breve vita tra ospedali e cliniche, la mia esistenza è stata un continuo spostarsi, ho visto gli ospedali ed ho dormito nei letti degli ospedali di mezzo mondo...posso dire di essere una grande viaggiatrice ormai. Probabilmente i sedativi hanno intaccato il mio senso dell'umorismo, ma perlomeno riescono a tenere a bada quel dolore che continua a pulsarmi in corpo. È tornato il mal di testa. Vado a riposare ora.

Joy <3

16 settembre 2011



Ormai è un anno che staziono in questo letto che assomiglia ogni giorno di più ad una bara, sono affetta dalla nascita da uno strano di cui nessuno riesce ad indovinare l'origine e devo confessarti che ormai la rassegnazione regna sovrana nel mio cuore, ogni giorno vedo il sole entrare dalla mia finestra e Dio solo sa quanto mi manca il suo calore sulla pelle, quanto mi manchi l'odore della rugiada mattutina, quanto mi manchi casa mia... Ho ricevuto proprio quest'oggi la notizia che in Italia è stato riscontrato un caso che rassomiglia al mio, che i dottori sono riusciti ad isolare il virus ed a ricavarne un vaccino, quindi a breve è prevista per me una piccola "vacanza" italiana...ormai non riesco a vedere nulla oltre il domani, e questo mi appare comunque nero ed oscuro come una notte senza luna, eppure una speranza, un piccolo spiraglio di luce si apre in questo mio mondo che credevo ormai completamente buio.

Joy <3



Roma, 2 ottobre 2011



Finalmente sono arrivata in Italia, nella capitale ho potuto trascorrere 2 giorni fuori dall'ospedale prima di dover rientrare...sono riuscita vedere tutto il centro di questa magnifica città, ed ho lanciato un quarto di dollaro all'interno della fontana (di cui ora mi sfugge il nome) esprimendo il desiderio di poter guarire, so che la leggenda vuole che se vi butti un soldo tornerai un giorno in città, ma in fondo un piccolo desiderio potrà pur esaudirlo quell'antico monumento, in fondo è lì da tanto tempo che un po' di magia dovrà pur averla immagazzinata. Lo so...sono solo una stupida ragazzina, ma una speranza non può essere negata a nessuno no? Entro una settimana mi verrà somministrato il vaccino e saprò finalmente quale sarà la mia sorte...ho tanta paura e così tanta vita da vivere fuori da queste quattro grigie mura...non ho neanche ancora dato il mio primo bacio ed è una cosa che mi brucia particolarmente dentro perchè vedo attorno a me la forza dell'amore. Pazienti, infermieri e familiari che tutto il giorno mi circondano sembra completamente assorbiti e dediti a questo sentimento...chiedo solo di poterlo provare una volta prima di dover lasciare questa valle di lacrime :)

Ho tanta paura è vero...ma stavolta sono anche piuttosto fiduciosa...se esiste un Dio spero si riveli in questo momento...

Joy <3



5 ottobre 2011



Il mio corpo comincia a decadere, ancora un paio di giorni ed avrò il mio vaccino, ma intanto i capelli hanno cominciato a diradarsi ed i miei occhi, un tempo di un verde intenso, sono diventati ad un colore più simile ad un giallo che al mio colore naturale non è neanche parente alla lontana. Mi è stato tolto lo specchio dalla camera, poichè a detta dello psicanalista dell'ospedale, la visione della mia graduale mutazione potrebbe shockarmi ed accellerare quindi questo mio degrado fisico. Attorno a me vedo solo disperazione ma anche in queste acqua così scure si è fatto breccia come dal nulla un raggio di luce,da alcuni giorni il figlio del mio compagno di stanza si ferma molto spesso a parlare con me...si chiama Diego e si ferma addirittura dopo gli orari di visita per farmi un pochino di compagnia...credo di provare qualcosa per lui.

Joy <3



6 ottobre 2011



Oggi è tornato a trovarmi Diego, mentre il sig. Ravanelli (il mio vicino di letto) era a fare terapia in un altro reparto. È stato un incontro molto speciale...mi vergogno un po' a dirlo ma oggi prima di andare via quel ragazzo mi ha baciato!! Domani mi ha promesso che tornerà a trovarmi dopo che mi avranno somministrato il vaccino.

Per oggi chiudo prima poichè la felicità per quel piccolo gesto d'amore mi annebbia il cervello.

Con affetto

Joy <3



Come riportato dai veri media nei giorni immediatamente successivi, Roma fu riconosciuta come focolaio iniziale di un'infezione che in poche settimane riuscì addirittura a oltrepassare l'oceano espandendosi in tempo record in tutto il mondo. Prima che le comunicazioni alle grandi masse venissero interrotte, fu trasmessa un'immagine di Diego, identificato come paziente zero.

 

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Capitolo 2
*** Notti di caccia ***


Undead world - capitolo 1
Note dell'autore : la storia ancora non prende piede e questo capitolo è uno dei più corti che io abbia mai scritto, ma abbiate pazienza ed io cercherò di impegnarmi di più in questa storia.

24 maggio 2014

La città era completamente deserta mentre il nero asfalto sfrecciava sotto la sua Hornet 600, un modello vecchio e rumoroso, un lusso che si era permesso circa 2 anni fa intravedendola abbandonata in una stazione di servizio. Ne erano già passati 3 da quando l'infezione si era diffusa su scala mondiale e mentre il vento gli accarezzava dolcemente il volto egli ripercorreva la stessa strada che nell'ultimo mese lo aveva sempre riportato a casa. La sua definizione di casa si era notevolmente ridimensionata negli ultimi anni, ridotto a nomade ed a rifugiarsi in enormi centri commerciali abbandonati, dove rimaneva assieme al resto della sua "famiglia allargata" solo per poche settimane prima di cambiare residenza.

Stava facendo ritorno dopo una lunga nottata di caccia, ma un irrefrenabile desiderio gli attanagliò le interiora. quel giorno il ragazzo compiva 23 anni, poteva pur concedersi un piccolo lusso. Freki accostò accanto ad un locale che portava ancora l'insegna recante la scritta "Tabacchi e valori bollati" spenta e scolorita, mise il cavalletto alla moto ed estrasse da sotto il suo giubbotto da motociclista una 9 mm oppurtanamente modificata con un silenziatore. I suo jeans coloriti e strappati lasciavano entrare una leggera brezza che gli ricordò come l'estate ormai fosse alle porte e come ancora una volta si era vestito in maniera poco adeguata ad una nottata di caccia.
Con la pistola spianata entrò lentamente in quella che un tempo era una tabaccheria, cercando di poggiare delicatamente ogni passo sul pavimento in modo da non emettere rumore, si guardò a lungo intorno cercando una piccola latta recante la scritta "Zippo". Quando i suoi occhi finalmente ne trovarono una si diresse, con passi fermi  ed accuratamente scelti a fare il minor rumore possibile, verso di essa. Se la ritrovò tra le mani in meno di un minuto, e continuò a rimirarla ed a rigirarla sorridente. Ne prese poi altre 2 e le ficcò in borsa a forza, cercando poi altri tipi di tabacco. Aveva già razziato diverse volte quel posto, e credeva che ormai non vi fosse rimasto nulla, quando trovò una stecca di sigarette nello stanzino dietro il bancone fu una vera sorpresa per lui ed i suoi occhi brillarono finchè non si fermarono all'ingresso del locale. 5 figure lo fissavano barcollanti, avanzano con passo malfermo verso di lui.

Fece un rapido calcolo, all'interno della sua K100 Dynamic c'era un intero caricatore da 15 colpi, ma sapeva di non poter emettere nessun tipo di rumore se non avesse voluto attirarne altri. Per questo motivo prese un'altra lattina di benzina ed un accendino Zippo che trovò tra l'oggestica per fumatori esposta nella vetrina di fronte a lui.
Aveva ancora una decina di secondi prima che quelle creature lo raggiungessero, quindi tirò fuori una sigaretta e se la cacciò tra le labbra per poi accenderla, il sapore di tabacco gli era mancato negli ultimi giorni e si dedicò circa un paio di secondi per goderlo al meglio prima di far scattare di nuovo la molla del coperchio dello Zippo e di accenderlo, poi puntò la bocchetta della latta di benzina precisamente in mezzo alla fiamma e fece fuoco, in tutti i sensi...
Una delle figure prese immediatamente fuoco e cominciò a dimenarsi e ad urlare di quello che forse una volta il suo cervello percepiva come dolore ma che in realtà ora si era trasformato in semplice e puro panico. Freki colse quel momento e cominciò a sfrecciare tra le braccia tese che cercavano di afferrarlo, e quando uno di quegli esseri gli si parò davanti egli indirizzò il getto di benzina dritto nella sua bocca aperta facendo contorcere anche lui. Continuò a correre forsennatamente verso l'uscita. Quando il vento gli baciò il volto egli salì velocemente sulla sua moto e accellerò bruscamente verso casa.
Mentre l'asfalto scorreva sotto di lui, egli levò un braccio verso il cielo e lanciò un urlo liberatorio, anche quella sera egli sarebbe tornato alla Tana.

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Capitolo 3
*** Finalmente a casa ***


Da via di Portonaccio svoltò su via di Casalbertone, l’aria gli scompigliava i capelli e tagliava la faccia mentre sfrecciava per la strada. Quando passò vicino al vecchio parco notò quanti corpi senza vita si accalcavano sotto la chiesa e tutt’attorno al vecchio chiosco che faceva da bar della piazza. I vecchi giochi del parco giacevano ormai riversi a terra da mesi e subito gli venne in mente una domanda che non si era mai posto, esistevano ancora bambini in quel mondo? Esisteva ancora qualcuno che avrebbe giocato con quelle vecchie altalene del parco? Per tutta risposta aprì il gas e accelerò. Non appena sentirono il rumore prodotto dalla marmitta della moto, tutti i corpi che si lamentavano attorno al chiosco voltarono il loro sguardo spento e senza vita nella sua direzione. In meno di un minuto si ritrovò a svoltare a destra e vide stagliarsi su di lui il centro commerciale di Casalbertone. Sopra il tetto vide 3 figure familiari imbracciare un fucile e puntare verso l’esterno dell’edificio, solo allora si cacciò pollice e indice in bocca ed emise un lungo e stridulo fischio udibile sin da lontano. Fu allora che i tre fucili all’unisono cominciarono a sparare verso l’ingresso del centro commerciale abbattendo una dopo l’altra le figure che assediavano la porta, in meno di un paio di minuti Freki vide la porta principale aprirsi mentre tutt’attorno all’area d’ingresso i corpi giacevano in un avanzato stadio di decomposizione. Salì sulla rampa per i disabili e si portò con tutto il mezzo all’interno del centro commerciale mentre due ragazze dietro di lui richiudevano immediatamente le porte.

L’enorme supermercato sulla sinistra gli diede il benvenuto mentre le ragazze gli si avvicinarono per rivolgergli alcune domande.

- Sei stato morso? – chiese la ragazza alla sua sinistra, capelli biondo cenere, occhi azzurri come il mare d’inverno e occhiali dalla montatura rotonda ad incorniciarli.

- No, Mary.

- Quanti ce ne sono per le strade? – chiese l’altra ragazza alla sua destra, capelli corvini e scuri come una notte senza luna, occhi verdi come smeraldi incastonati nella candida pelle madreperlacea.

Erano così diverse che tutti rimanevano stupiti quando confessavano di essere sorelle, l’unica cosa che le accomunava era l’altezza, entrambe sul 1,65 m.

- Ce ne sono tantissimi come al solito, Juls.

Tra le due Marilena era la più apprensiva e subito si prodigò per aiutarlo a togliersi la giacca, alzandogli subito la maglia perlustrando la sua pelle centimetro per centimetro.

- Lo sai che odio quando lo fai…

- E tu sai che devo farlo invece. Bene…sei sano come un pesce. Bentornato a casa Fre.

- Grazie Mary! – nel dirlo le stampò un bacio sulla fronte e la ragazza lo strinse forte a sé.

- Ci hai fatto preoccupare stavolta, sei stato via tantissimo. – li interruppe Giulia sorridendo.

- Non volevo farvi preoccupare Juls, diciamo che volevo trovare qualcosa di speciale. – gli rispose schioccando un rumoroso bacio sulla fronte anche a lei mentre rovistava contemporaneamente con la mano destra l’interno dello zaino che portava sulle spalle. Quando tirò fuori la stecca di sigarette la ragazza la accolse con un enorme sorriso. Subito allungò la mano per farla sua ma Freki la ritrasse immediatamente.

- Ah ah, sono per tutti. All’interno ci sono 10 pacchetti e noi siamo in 7 di cui 5 fumatori…

- Quando hai finito con i problemi di matematica puoi darmi i miei due pacchetti e lasciarmi in pace?

- Certo…- ridendo le allungò due pacchetti di sigarette Lucky Strike e le schioccò un altro bacio sulla fronte accolto da un abbraccio e un altro dei suoi enormi sorrisi. Adorava vederle sorridere.

Si diresse a grandi falcate verso la zona del bar dove trovò Muninn da sola seduta a un tavolino. L’odore forte di sambuca nell’aria e la bottiglia poggiata di fronte a lei lasciavano poco scampo alla fantasia.

- C’è un goccio anche per me?

- Certamente…lo sai che abbiamo abolito il concetto di proprietà da che siamo entrati qui dentro…

- Beh sì ma la domanda mi sembrava d’obbligo visto che vi vedo spesso insieme…

- Di chi parli?

- Di te e la bottiglia naturalmente.

Un sorrisetto beffardo affiorò sulle labbra della ragazza. Era alta poco più di un metro e settanta, aveva lunghi capelli rossi e ricci che le coprivano le spalle fino ad arrivare a metà della schiena e gli occhi color nocciola ma di una sfumatura più chiara quasi tendente al caramello. Era pallida come se non avesse mai visto il sole e una sua particolarità era che portava sempre qualcosa di rosso addosso. Quel giorno indossava un lungo vestito rosso con lo spacco laterale che lasciava scoperte per metà le candide e lunghe gambe accavallate sotto il tavolino.

- Prendi un bicchiere e siediti Fre.

- Sono tutto tuo – le rispose con un pizzico di malizia nel tono come spesso usavano fare i due. Sembravano trovarci gusto nello stuzzicarsi a vicenda ed erano consapevoli di piacersi ma tra loro non era mai successo nulla. Non ancora almeno.

Poggiò due pacchetti di sigarette sul tavolino e si versò un po’ di sambuca in una tazzina di caffè.

- Quanto lusso stasera. – disse lei sorridendo e guardandolo dritto negli occhi.

- Solo il meglio per noi. – alzò il bicchierino per augurarle un po’ di salute e poi mandò giù l’alcool tutto d’un fiato. – Tra quanto tocca il turno di guardia?

- Tra poco meno di un’ora è il nostro turno.

- Bene allora vado a stendermi una mezz’ora prima dell’inizio. Mi chiami tu per il cambio?

- Devo dedurne che non cerchi compagnia ora.

- Chiamami tra poco, e non bere troppo…ti voglio lucida per la guardia.

- Sì signor capitano! – si portò la mano alla fronte in un saluto militare facendogli l’eco mentre lui si dirigeva verso il vecchio negozio di materassi.

- …ti voglio lucida per la guardia…

Nella notte fonda la casa era immersa nel silenzio. Freki era ancora sveglio davanti al suo computer ad ascoltare dischi di vecchi gruppi degli anni 80 e mentre One for the Vine gli faceva da sottofondo il ragazzo si divertiva a girovagare per l’universo di internet acquisendo informazioni random sul gruppo stesso fino a passare alla mitologia norrena. La musica faceva da materiale isolante per il mondo esterno che cercava di entrare in lui e lo distraeva dalla colpa di essere ancora in piedi a quell’ora. I suoi dormivano già da un pezzo due stanze più in là mentre la sorellina sua vicina probabilmente stava facendo le stesse identiche cose, magari cambiava solo il brano che faceva da sottofondo. Trovò strano, navigando, quante volte fosse riuscito a incappare in articoli che parlavano di casi di cannibalismo accaduti nella stessa giornata in diversi punti del mondo, incuriosito cominciò una lunga ricerca che lo tenne sveglio ancora per un’ora intento a sfogliare articoli su articoli. L’unica cosa che riuscì a comprendere che il primo episodio era accaduto proprio a Roma, al policlinico Umberto I. La cosa gli sembrò irreale poiché l’ospedale non era molto distante da casa sua. In fondo dal Pigneto a Viale Regina Margherita non ci volevano più di 20 minuti di tram. Solo allora avvertì l’impellente bisogno di urinare. Uscì dalla camere ispezionando il corridoio che portava prima alla camera della sorella, poi al bagno e infine al salone con l’angolo cottura che divideva la camera dai suoi dalle loro. Vide la luce che filtrava da sotto la porta del bagno quindi bussò delicatamente.

- Occupato – rispose la voce della madre dall’altro lato della porta. Era già capitato altre volte che Freki si innervosisse pensando che la genitrice avesse una sorta di talento nel sentire quando aveva bisogno del bagno e riuscire a occuparlo in quel preciso momento.

Voltandosi notò un’ombra nel buio del salone che una volta messa fuoco riconobbe nella figura paterna.

Ansante e immobile al centro del salone aveva lo sguardo rivolto verso di lui ma non si muoveva di un solo centimetro come se fosse in attesa di qualcosa.

- Papà…devo solo andare al bagno…poi mi metto a letto…

Nessuna risposta.

- Dai non essere arrabbiato…devo usare solo un minuto il bagno…

Ancora nessuna risposta, sconsolato Freki tornò sui suoi passi dirigendosi verso la camera con l’idea di dover trattenere i suoi bisogni fisiologici fino al mattino seguente. Lo sciacquone lo immobilizzò, un barlume di luce si vedeva in fondo al tunnel e magari sarebbe riuscito anche a pisciare se sua madre si fosse mossa.  Dopo pochi secondi la donna uscì dal bagno lasciando la luce accesa.

- E’ tutto tuo – disse ammiccante verso il figlio.

Fu allora che il padre scattò trovando il corpo della moglie sulla strada per arrivare a quello del figlio. Poi la  luce che fuoriusciva dalla porta si tinse di scarlatto quando il padre cercò la gola della consorte strappandone un lembo di pelle e diversi vasi sanguinei. Il sangue arterioso in un attimo zampillò fuori dalla ferita insozzando le pareti e creando una pozza sotto il corpo della madre. Evidentemente non sazio del trofeo che ora portava tra i denti, il padre continuò ad affondare morsi nella carne materna strappando brandelli che poi masticava rumorosamente.

- No…no…sto sognando non è possibile…

Si ritrovò proiettato in una corsa versa la sua camera da letto quasi inciampando nelle ciabatte che portava ai piedi. Diede due colpi alla porta della sorella mentre le prime lacrime piene di rabbia gli solcavano il viso.

- Geri corri! Esci dalla finestra! Papà ha dato di matto! Papà ha dato di matto!

Si chiuse nella sua camera mentre il padre era troppo intento a consumare la sua preda a terra in una pozza di sangue. Si cambiò in un attimo mettendosi un paio di jeans e le sue consuete scarpe da ginnastica, ammucchiò poi in meno di un minuto biancheria pulita e pochi vestiti che trovò sparsi nella camera spingendoli a forza nella sacca da calcio che teneva sempre vuota ai piedi del letto.

Abitavano al primo piano per cui poggiò il piede sulla finestra e guardò giù provando solo in quel momento la nausea delle vertigini. Non era un gran salto questo è vero, ma pur sempre 4 m rimanevano per cui si fece coraggio soltanto nel momento in cui cominciò a sentir picchiare i pugni del padre contro la porta.

- Ok…1…2…

La prima asse della porta cedette permettendo al padre di infilare un intero braccio nella camera per poi guardare all’interno e rantolare in direzione del figlio.

- 3!

Saltò giù ricordando gli insegnamenti del maestro di judo e quando atterrò a terra si produsse in una capriola che attutì il colpo lasciandolo illeso e gonfio d’adrenalina. Guardò verso l’alto e vide la finestra della sorella aperta con la luce accesa ma non riusciva a capire se fosse già saltata giù o meno perché , guardandosi intorno, vide che non c’era traccia di lei nei dintorni.

- GERIIIIIII!

Cominciò a urlare in direzione della finestra.

- GERIIIIII!

 

La candida mano di Muninn lo strappò dalle braccia tormentate del sonno mentre gli stava scostando delicatamente i capelli dal viso. Era in un bagno di sudore e sentiva la sensazione di secco sulle guance dove subito portò la mano per capire cos’era. Abbozzò un sorriso e uno sbuffo poi si lasciò andare sul comodo letto matrimoniale che una volta era in vendita in quel negozio per soli 199,99 €.

- Piangevi nel sonno… -gli disse la ragazza in un sorriso quasi materno.

- E tu ti stavi godendo la scena immagino…

- Mi fai più cinica di quello che sono…

- Con quel vestito avresti potuto citare Jessica Rabbit. Quanto manca al turno?

- Poco meno di un quarto d’ora…abbiamo giusto il tempo di una sigaretta insieme…

Dal nulla tirò fuori un portacenere poggiandolo sul letto poi si cacciò una sigaretta tra le labbra e ne offrì una a Freki tirandola fuori per metà dal pacchetto. Fece una smorfia e accettò l’invito prendendo lo zippo che aveva in tasca.

- Non lo lasci mai quello vero?

- No…era di mio padre – rispose rimirando l’accendino nella sua mano.

- Non mi hai mai raccontato della tua famiglia sai?

- Beh non c’è molto da dire…non eravamo come la famiglia della mulino bianco ma neanche come gli Addams…

- Cosa gli è successo?

- Quello che è successo a tutti…ti ricordi i primi erranti? Quelli subito dopo il focolaio iniziale?

- Beh sì…

- Ti ricordi che sputavano sangue rilasciando nell’aria il virus?

- Sì…

- Beh pare che il nostro sistema immunitario fosse in grado di battere il ceppo aereo ed evitare il contagio di massa…ma questo naturalmente non valeva per vecchi, bambini e malati…mio padre era cardiopatico e diabetico, insomma non aveva un sistema immunitario sufficientemente forte da contrastare il virus così fu uno dei primi infetti a pochi giorni dal paziente 0.

- Oh…mi dispiace…

- Sono passati 3 anni ormai e non c’è notte che io non sogni la notte in cui l’ho visto uccidere mia madre…

- Oh mio Dio…

- Oh no non c’era e non ci sarà nessun Dio…

   

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Capitolo 4
*** Una sit-com dell'orrore ***


La Tana era il loro rifugio, il loro posto sicuro, l’unico angolo di purgatorio in un mondo che attualmente bruciava come l’inferno. Per questo Freki ci teneva veramente tanto a mantenere un clima disteso e felice all’interno del centro commerciale. Più volte aveva fatto presente a tutti gli altri che ormai costituivano una piccola comunità, seppur formata da solo undici elementi e che pertanto erano tenuti tutti a creare un ambiente sereno evitando discussioni o liti per motivi banali. Non aveva mai imposto a nessuno di loro le sue scelte o le sue regole, eppure tutti lo trattavano come fosse il loro capo, probabilmente per via della sua attitudine da leader silenzioso e amichevole. Aveva sempre la battuta pronta per stemperare gli animi durante una discussione e appena riusciva a liberarsi da tutti gli impegni che la gestione della Tana, mutualmente assegnatagli, gli riservava, dedicava sempre del tempo agli altri, anche solo per rinfrancare l’umore dei suoi coinquilini visto che la situazione in cui vivevano portava molte volte sull’orlo del baratro della depressione.

 

Per quanto ne sapevano, potevano essere gli ultimi superstiti della razza umana in circolo, braccati ogni volta che uscivano dal loro rifugio dov’erano continuamente sotto assedio. Lo stress derivante da una condizione del genere esercitava una pressione tale sul sistema nervoso umano da portare molto spesso tutti ai limiti di una crisi di nervi, e lui lo sapeva bene.

Aveva visto tante persone negli ultimi anni entrare e uscire da quel rifugio sicuro, persone che lui aveva trovato durante le sue ronde di caccia, persone che erano riuscite a fargli pervenire un messaggio di aiuto tramite i mezzi più disparati, persone sfuggite alla follia che dilagava per le strade e che volevano sentirsi meno sole.

 

Ma lo stato di cattività non è adatto all’uomo, pertanto capitava spesso che le stesse persone poi decidessero di lasciare la Tana in cerca di una cura o di un posto migliore dove piantare la tenda, senza contare quelli che aveva visto morire durante i turni di caccia o quelli di guardia. Non gli sarebbero bastate le dita di tutti i presenti per contare gli amici che aveva dovuto seppellire.

 

Questa era solo una parte delle cicatrici che nascondeva dietro al suo sorriso il Malincomico.

 

Così lo aveva soprannominato Muninn quando erano lontani da orecchie indiscrete. Aveva sempre avuto il talento di riuscire a leggergli dentro, di captare quella malinconia che costantemente lo accompagnava in ogni suo gesto e che agli altri riusciva a nascondere dietro battute e alle moine che riservava per ognuno dei suoi.

 

Poteva darla a bere a tutti ma non a Mun la Cinica, quello invece era il soprannome che lui le aveva affibbiato così da poterle rispondere quando, raramente, si ritrovavano soli. Le aveva sempre tenuto nascosto il fatto che lui riuscisse a sua volta a vedere il velo della malinconia della rossa, come se gli spettri del loro vissuto potessero guardarsi vicendevolmente negli occhi e talvolta arrivare persino a tenersi per mano.

 

Scrollò la testa prima di alzarsi dal letto così da riuscire a togliersi quel momento di dosso.

 

Era ora di raggiungere gli altri sul tetto e finalmente dar loro il cambio.

 

Aveva organizzato tutto meticolosamente suddividendo la giornata in sei parti da quattro ore ciascuna e, ad ognuna, aveva assegnato tre persone per monitorare la situazione dal tetto e tenere d’occhio le immediate vicinanze del centro commerciale così da poter garantire sempre la sicurezza della Tana e tenere l’attenzione dei suoi compagni sempre alta.

 

La Caccia invece era un altro paio di maniche.

 

Era stato accusato più volte da Muninn di sessismo e cameratismo per questo ma lui non transigeva sul fatto che a uscire in cerca di scorte fossero soltanto gli uomini del gruppo. Fosse dipeso da lui in realtà se ne sarebbe occupato sempre da solo ma gli altri lo avevano più volte messo in mezzo e, a turno, avevano cercato di arginare la sua mania del controllo.

Così si erano spartiti i giorni da passar fuori in cerca di provviste di qualsiasi tipo, specialmente quelle alimentari che non bastavano mai.

 

Insediarsi nel centro commerciale era stata un’idea di Freki che sin da piccolo aveva avuto una vera e propria fissa per la sopravvivenza, tanto da predisporre un accurato piano in caso di situazioni analoghe a quella che stavano vivendo.

Il primo step prevedeva un isolamento completo a mo di quarantena nel box auto interrato di proprietà dei genitori, la spessa serranda metallica e il fatto che fosse due piani sotto strada lo rendevano il miglior luogo dove passare i primi giorni dell’epidemia e lui aveva sapientemente nascosto all’interno dell’armadio alcune provviste così da poterci trascorrere all’interno almeno un paio di settimane, senza tralasciare un fornelletto a gas da campeggio così da poter scaldare le razioni.

Una volta passato il periodo di isolamento il suo primo pensiero era stato quello di procurarsi un mezzo per spostarsi agilmente tra le varie automobili ferme in mezzo alla strada e da qui l’idea della moto, faceva troppo rumore e attirava l’attenzione dei dormienti per i suoi gusti ma era molto utile per tagliare la corda velocemente passando tra i vari rottami dei veicoli abbandonati.

Grazie al suo elaborato piano per la sopravvivenza era riuscito a organizzarsi subito dopo aver avuto la notizia del contagio così da mettersi in salvo e barricarsi all’interno del centro commerciale.

 

Ad oggi potevano vantare una situazione ai limiti dell’agio nella Tana ed era una cosa di cui Freki andava molto fiero essendone stato il principale fautore.

 

Scrollò nuovamente la testa come a ribadire ai suoi pensieri di lasciarlo in pace, non era il momento di auto-celebrarsi.

 

Si portò le mani alle tempie massaggiandole lentamente, era un gesto rituale prima di qualsiasi mansione che dovesse svolgere, aumentava la sua concentrazione focalizzandola su quello che doveva fare piuttosto che fare voli pindarici nei ricordi che spesso lo tormentavano.

 

Scattò in piedi battendo le mani così da darsi la carica necessaria per il turno di guardia che lo attendeva.

 

Si infilò nuovamente il giubbotto di pelle, cominciava a fare fresco, la primavera tardava il suo consueto appuntamento e il freddo ancora pizzicava la pelle e il cuore di ognuno di loro.

 

 

 

Prima di salire sul tetto e incontrare Muninn e Pitbull lì, Freki fece un giro di ricognizione tra tutti i negozi per sincerarsi delle condizioni di ogni singolo elemento del gruppo. Passando davanti il vecchio negozio di elettronica vide Axel seduto ad un tavolino con la testa tra le mani sicuramente intento nella progettazione di chissà che cosa per migliorare la qualità della vita nella Tana. Passò avanti senza fermarsi ma limitandosi a scuotere la testa sorridendogli seppure fosse passato inosservato.

Proseguendo passò davanti alla vetrina del negozio di videogiochi dove vide Pencil, in canottiera e mutande nel bel mezzo di una partita a Guitar Hero, indossava delle cuffie bluetooth e si muoveva a tempo con la canzone che stava eseguendo con la chitarra/controller mentre una sigaretta accesa in bocca rischiava di far cadere la propria cenere da un secondo all’altro rimanendo miracolosamente attaccata.

Freki si portò una mano alle tempie massaggiandosele leggermente per cercare di togliersi di dosso la rabbia che gli stava montando dentro. Come al solito Pencil stava dando fondo alle loro riserve di energia elettrica incurante dei bisogni degli altri, ormai aveva perso il conto di tutte le volte che glielo aveva fatto presente e di quante volte aveva ricevuto una risata e un’alzata di spalle come risposta. “Se devo morire in mezzo a questa merda allora lo farò facendo ciò che voglio” era un po’ un mantra del Pencil che continuava a ripeterlo ogni volta che gli si presentava l’occasione.

Entrò a passo spedito nel negozio e con un solo movimento spense lo schermo 58 pollici e la console di gioco.

- Ehi ehi ehi… - cominciò Pencil togliendosi le cuffie e facendo finalmente cadere la cenere a terra.

- Quante volte ti ho detto che rischi di farci rimanere tutti al buio?

- Oh ma andiamo bello, stavo per battere il record con Trough the fire and flames...ti rendi conto di quanto sia difficile quella canzone? Sono un sacco di note da acchiappare tutte insieme.

- N-O! Se mentre sto facendo la doccia dovessero esaurirsi le batterie dell’impianto ti verrò a fare il culo personalmente!

- Dai bello, solo un’altra partita – mentre diceva questo si buttò in ginocchio a mani giunte davanti a lui – cosa vuoi che faccia? Vuoi che ti succhi l’uccello per una partita?

- Smettila Pencil, ti ho detto di no...piuttosto passa da Juls e Mary, sono rientrato poco fa da una Caccia e sono riuscito a riportare un paio di bottiglie di vodka.

Lo sguardo del ragazzo in ginocchio si fece immediatamente serio mentre si alzava in piedi evidentemente interessato all’alcool.

- Ti avrei succhiato l’uccello per una partita a Guitar Hero...ti rendi conto in che mondo di merda viviamo ora? - disse sorridendo prima di lasciare Freki da solo nel vecchio negozio di videogiochi.

Si grattò la nuca espirando e inspirando rumorosamente poi un sorriso tornò ad illuminargli il volto.

- Coglione… - si limitò a dire prima di proseguire il giro.

 

Dopo i primi mesi passati all’interno della Tana, Freki avanzò l’idea che ognuno di loro prendesse un negozio e lo adibisse a proprio spazio personale, come fosse la propria camera all’interno di un appartamento. Tutto questo era diventato quasi necessario nel momento in cui la convivenza si era rivelata più dura di quanto pensasse anche in una situazione critica come quella che stavano vivendo. Così durante il giorno, sempre in funzione dei turni di guardia, ognuno aveva uno spazio suo dove star per conto proprio ed evitare invasioni della privacy da parte degli altri, per poi riunirsi al Refettorio per i pasti o al Dormitorio per dormire.

Quella era l’unica regola ferrea che aveva imposto agli altri prima di dividersi, i momenti di maggiore vulnerabilità andavano passati insieme. Così il bar del centro commerciale e il vecchio negozio di materassi erano diventati due spazi comuni, il primo unendo i tavoli era stato trasformato in una piccola mensa comune, il secondo invece era stato diviso con delle tende appese al soffitto con il fine di creare due zone, una dove dormivano i ragazzi e una dove stavano le ragazze invece.

L’altro ambiente che aveva ricevuto questa divisione per sessi era il vecchio spogliatoio per dipendenti del centro commerciale, il loro bagno comune praticamente, che già di suo presentava una costruzione in due ali, una femminile e una maschile.

La vita nella Tana era cambiata migliorando notevolmente quando si erano divisi così, le liti erano sempre più rare e ognuno aveva il proprio spazio dove raccogliere i suoi pensieri e lasciar libere le proprie emozioni, il tutto facilitato dalla presente delle vetrine che lasciavano vedere la maggior parte delle cose che vi succedevano all’interno creando contribuendo a creare comunque un collettivo dai singoli. Più volte era successo che Freki scoprisse qualcuno dei suoi a piangere scosso da ciò che li stava circondando e potesse entrare a dare supporto o una spalla ai suoi compagni.

 

D’altronde era il suo motto, citando il famoso dottor Jack Shepard in Lost: Si vive insieme, si muore soli.

 

 

***

 

 

Quando salì sul tetto non vi trovò soltanto Muninn e Pitbull, con loro c’erano anche Chika e Axel. Rivolse immediatamente un gigantesco sorriso alla giovanissima ragazza, l’ultima entrata nel gruppo. Si era unita a loro da neanche 10 giorni dopo essere stata trovata asserragliata all’interno di una scuola, i segni della malnutrizione e dell’abbandono erano ancora molto evidenti sul suo corpo e sul suo spirito. Parlava poco, probabilmente di suo era già molto timida prima che il mondo crollasse in preda agli infetti e sicuramente l’apocalisse non aveva migliorato la situazione, anzi l’aveva resa quasi completamente asociale e schiva.

 

La cosa che faceva sorridere di più Freki era la facilità con cui arrossiva quando le veniva rivolta la parola.

 

Non sapevano ancora come avesse fatto a sopravvivere così a lungo da sola e lei si rifiuta ineluttabilmente di parlarne. Quando le veniva posta la domanda sembrava cadere in una sorta di baratro, gli occhi smettevano di guizzare e si fissavano irremovibilmente su un punto mentre con la mente ripercorreva chissà quanti ricordi dolorosi. Eppure aveva ancora quel barlume di innocenza e gioia di vivere che le si accendeva nello sguardo.

 

In poche parole Freki la adorava, non c’era momento in cui non la cercasse con lo sguardo in maniera da poterle offrire protezione, anche dalle parole dure e sgraziate di Pitbull o dalle occhiate lussuriose che le riservava Pencil.

 

Le si avvicinò lentamente in maniera da entrare nel suo campo visivo e farsi notificare come una presenza sicura, aveva le braccia incrociate sotto il seno piccolo e grazioso, un’espressione assorta mentre si mordicchiava un’unghia e le spalle leggermente contratte in modo da combattere il freddo che sicuramente stava patendo in quel momento. Senza dire una parola, Freki si sfilò la giacca e gliela posò sulle spalle, poi le cinse le spalle con un braccio.

Un abbraccio spontaneo, il calore del suo corpo le sarebbe stato trasmesso dall’indumento che le aveva poggiato addosso ma fu l’affetto contenuto in quel piccolo gesto di premura a riaprirle il sorriso.

 

- Fa freschetto stasera… - le sussurrò nell’orecchio facendola voltare verso di lui, dopodiché, una volta certo del contatto visivo, le fece l’occhiolino e la strinse un po’ di più prima di accovacciarsi vicino a Pitbull che si trovava come al solito sdraiato a terra e con il fucile montato sul treppiedi che volgeva verso l’orizzonte.

 

- Com’è la nottata? - chiese assestando una pacca sulla spalla del Guardiano.

 

- Piuttosto tranquilla, c’è un cazzo di branco che orbita attorno alla piazza ma per il momento non sembrano interessati a noi. - asserì Pitbull raddrizzandosi lentamente fino a riportarsi in una posizione eretta. Mentre faceva questo, Freki distinse nettamente il suono delle ossa che scrocchiavano e scricchiolavano dando prova delle ore che aveva passato in quella posizione.

 

- Bel concerto di nacchere, vatti a riposare. Qui ci pensiamo io e Muninn adesso.

 

Pit sorrise e annuì in risposta mentre cercava di fare un po’ di stretching e, magari, riprendere almeno parzialmente una mobilità decente, poi ricambiò la pacca sulla spalla e scomparve dietro la porta che l’avrebbe portato al Dormitorio.

 

In quel momento Axel gli si avvicinò con le braccia conserte e fissando l’orizzonte disse:

 

- Fre...ho parlato con Muninn…

 

- Tu? Parlato? Addirittura?

 

Un sorriso gli si aprì sul volto mentre scrutava nel buio.

 

- Sì, addirittura. Vuole che ti faccia un po’ di pressione affinché possa uscire anche lei in Caccia.

 

- Mmm…

 

- Siamo stanchi e tu in particolar modo, dobbiamo dare a tutti la possibilità di darci una mano.

 

- Se sei arrivato addirittura tu a parlarmene sembra che la cosa sia più seria di quanto immaginassi, forse mi conviene veramente valutare la cosa…

 

- Cerchiamo solo di dare una mano, ognuno come può e Mun non è una sprovveduta. Sa muoversi per le strade di Roma almeno quanto te, sa difendersi dai contagiati e sa dove rimediare provviste, in fondo lo sai anche tu che per lei non costituiscono una grande minaccia. Potrebbe aiutarci veramente…

 

- Facciamo così, domani la porterò con me quando uscirò per la Caccia e vedrò come si comporta...anzi ti dirò di più, invece della Hornet prenderemo il Doblò così che possa venire anche Chika con noi...le farà bene uscire un po’.

 

Axel si girò verso l’amico guardandolo con fare interrogativo.

 

- Dico...cosa ti è successo, Freki? Sei così razionale questa sera…

 

- Nostalgia credo...il fatto di rendermi conto quanto siamo mortali? Può essere...o forse sarà semplicemente che stasera in fondo mi sono divertito mentre ero in giro...però se devo scommettere su qualcosa direi che è perché Mun mi ha talmente rotto le palle su questa storia che non ho più voglia di dire di no…

 

- Wow…sono quasi offesa – si intromise tra loro senza alcun riguardo, quasi facendoli saltare dallo spavento, tipico comportamento della rossa.

 

- E io quasi stufo, domani usciremo in tre, al massimo avremo due paia di braccia in più per portare provviste.

 

- Ehi, Axel, hai sentito il capo? Domani mi porta a cena fuori, dovrei sentirmi lusingata secondo te?

 

- Oddio, si porta anche la piccola appresso...sarà più una gita di famiglia. Una sorta di week end al lago ma senza lago...e senza week end. - le rispose l’uomo alzando un sopracciglio per sottolineare la sagacia della battuta appena fatta.

 

Come suo solito Chika arrossì sentendo la parola “piccola” accostata a lei, nutriva una profonda stima per Axel e forse ne subiva un po’ il fascino, cercò di nascondere il rossore portandosi i capelli

a coprire il volto.

 

Dall’esterno sembrava il classico quadro da sit-com americana di cui loro erano i protagonisti che, per una serie di strane coincidenze, si trovano a dividere lo stesso appartamento. Solo che qui la vita di tutti quanti era costantemente a rischio, la disperazione all’ordine del giorno e questi brevi intermezzi di serenità erano l’unica cosa che tenesse la loro sanità su un livello di normalità.

 

Nessuno di loro avrebbe potuto presagire cosa avrebbero dovuto affrontare di lì in capo a pochi giorni.

 

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