Historiae - Il viaggio fanstastico

di Saeko_san
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Pedro e Taishiro di Tabauni, nella Terra di Tsagumi ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Il morbo di Gerard ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Il Giorno della Civetta e le memorie del villaggio ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: Inizia l'avventura ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: La Terra del Mezzo ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6: Si parte per Pont-Ashby ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7: I reali, la ragazza e il drago ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8: Un aiuto inaspettato ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9: Fairy Oak ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10: Lillà dei Sentieri e il Nemico ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11: Guerra! e un inganno scoperto ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12: Venezia ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13: Nina e i suoi amici ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14: Xorax, la Sesta Luna ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15: Pedro, Taishiro e il camino ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16: Nuovi amici ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17: Voldemort ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18: Nella terra della magia ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19: I tre reali e il ritorno della quarta sorella ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20: Un aiuto da Aslan ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21: Eragon e Saphira ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22: Il salvataggio di Katrina e la sconfitta di Galbatorix ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23: Addio, Alagaësia! ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24: Alla ricerca del Mago ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25: Ged ed Estarriol ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26: La storia dell'Ombra ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27: Nihal e Sennar ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28: Racconti dell'ultimo giorno dell'estate ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29: L'ora della partenza è giunta ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30: Bilbo e Gandalf ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31: Frodo e l'Anello ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32: Un incontro con Samvise Gamgee ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33: Fantàsia ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34: L'Imperatrice ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35: Atreiu, Falcor e Bastian ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36: Sull'Isola che non c'è ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37: Peter Pan e i Bimbi Sperduti ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38: Il bosco di Wendy ***
Capitolo 39: *** Capitolo 39: Nella Terra di Nessuno ***
Capitolo 40: *** Capitolo 40: Tempo scaduto ***
Capitolo 41: *** Capitolo 41: Il Vagabondo delle Stelle ***
Capitolo 42: *** Capitolo 42: Cilortuv ***
Capitolo 43: *** Capitolo 43: Malina e il melograno della salvezza ***
Capitolo 44: *** Capitolo 44: La primavera di Tabauni ***
Capitolo 45: *** Capitolo 45: Addio malattia, benvenuta felicità ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Pedro e Taishiro di Tabauni, nella Terra di Tsagumi ***


A Pietro e Carla,
anche quando uno dei due ha passato il velo.
 
 
 
 
“Who are these coming to the sacrifice?
 
[…]
 
When old age shall this generation waste,
thou shalt remain, in midst of other woe
than ours, a friend to man, to whom thou sayst,
“Beauty is truth, truth beauty” – that is all
Ye know on earth, and all ye need to know”.
 
[John Keats, Ode to a Grecian Urn, 1819-1820]
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo 1:
Pedro e Taishiro di Tabauni, nella Terra di Tsagumi
 
Il racconto di un fantastico viaggio non ha sempre bisogno di un epico e fantastico inizio, di parole piene di fronzoli, di figure retoriche estremamente arzigogolate. Perciò, perché non cominciare con delle semplici presentazioni?
 
Pedro e Taishiro, i protagonisti di questo racconto, erano amici per la pelle sin dall’infanzia (le case delle loro famiglie erano situate l’una accanto all’altra e le loro due madri si conoscevano anch’esse sin da bambine), ma i due avevano due caratteri molto diversi, che difficilmente si sarebbe creduto sarebbero stati compatibili: Pedro era quel che si dice “un pezzo di pane”, gentile quasi con tutti, amante della tranquillità e della vita oziosa, della pace e della quiete, grande esperto di sieste pomeridiane sotto l’albero di turno e giochi di abilità e riflessione; disprezzava la fatica, la guerra, il troppo rumore; invece Taishiro era una ragazza vivace, una di quelle che sembravano non avere mai la testa a posto, a cui piacevano le avventure, l’esercizio fisico, l’informazione su tutto ciò che accadeva nel mondo; nel momento in cui l’aria si fosse fatta troppo calma, nel momento in cui tutto avesse taciuto, lei si sarebbe sentita estranea e inquieta nel mondo che la circondava.
Era proprio lei, grazie alla sua capacità di non far perdurare il silenzio, ad essere l'anima più movimentata del villaggio di Tabauni.
 
Parlando di quest’ultimo, bisogna dire che Tabauni era il villaggio-capitale del cantone Nord della Terra di Tsagumi; questa regione era suddivisa in quattro cantoni (Nord, Sud, Est, Ovest) amministrati appunto dai villaggi-capitale come Tabauni, dove sono nati i più importanti stregoni di quella terra sconosciuta; gli altri tre villaggi-capitale erano i seguenti: Batauni nel cantone Sud, Masauni nel cantone Est, Uamauni nel cantone Ovest.
Tabauni era anche il più eccentrico e particolare villaggio di Tsagumi (essendone anche sede del potere centrale, magico e spirituale), dove la gente cambiava umore in uno schiocco di dita, i bambini sceglievano la loro vita a dieci anni, i vecchi vivevano fino a duecento anni senza acciacchi di sorta e le donne mantenevano la loro bellezza fino alla modica età di ottant’anni. Vi racconterei anche di tutte le particolarità degli altri villaggi-capitale, ma ai fini della nostra storia risulterebbe un dilungamento noioso di un brodo primordiale di cui in questo momento non abbiamo bisogno.
 
Ma torniamo a Taishiro: una volta, quando la nostra protagonista aveva più o meno dieci anni (come già accennato, età fatidica per i giovani di Tabauni), i suoi genitori fecero visita allo stregone-capo del villaggio perché facesse non so quale incantesimo alla loro figlia, che dopo l’ennesima scappatella che l’aveva quasi portata al di fuori del villaggio, aveva rischiato persino di mandare a fuoco un intero banco di stoffe, appartenente ad un mercante prestigioso proveniente da Masauni; la loro volontà si articolava nel fatto che diventasse “calma e tranquilla” come il suo amico e compagno di giochi Pedro, ma lo stregone rispose, con un tono da bonzo inquieto:
                                                       
-Preservate il carattere di questa ragazza, perché Taishiro Mihira e Pedro Lahir affronteranno presto molte avventure all’infuori di questo paese-.
 
Dopodiché lo stregone si era ritirato all’interno della sua abitazione e non ne era più uscito per un paio di settimane, quasi intento a meditare egli stesso sulla profezia appena pronunciata.
Quello stregone, guardingo e solitario (cosa alquanto strana per uno stregone-capo), si chiamava Ryuso. Quando Baluard e Coira comunicarono la notizia a Taishiro, lei perse letteralmente la testa all'idea di una nuova avventura, anzi, all’idea di un’avventura vera e, dimenatasi dai suoi genitori che forse si stavano pentendo di aver comunicato una notizia così grandiosa alla figlia, corse a informare il suo amico Pedro, ma quest'ultimo ammutolì:
 
  -Non ho intenzione di uscire dalla Terra di Tsagumi, sai com'è il mio carattere, Taishiro. Non voglio andarmene e mai lo vorrò. La mia vita è qui-.
  -Allora da ora in poi ti trascinerò in tutte le avventure che farò- rispose Taishiro a tono.
 
Senza comprenderne le ragioni, avevano deciso in quel momento i loro destini.
La ragazzina mantenne la sua promessa: ogni volta che si presentava l'occasione, Taishiro coinvolgeva Pedro in tutto quel che faceva. Come quella volta che suo padre andò al cantone Ovest, nel villaggio-capitale di Uamauni, il più grande centro commerciale e marittimo di Tsagumi, per una commissione di idromele speziato, e ci volle portare la figlia: Taishiro decise di trascinare con sé Pedro e il padre del ragazzo acconsentì a mandarlo, meritandosi a pieno titolo le imprecazioni del figlio.
 
Intanto il tempo passava inesorabilmente, gli anni si susseguivano gli uni agli altri, le barbe dei vecchi si allungavano e ingrigivano, fino a quando i due ragazzi non si ritrovarono quasi maggiorenni; Taishiro aveva diciotto anni e Pedro diciassette[1]. Quello della maturità dei due ragazzi fu anche il periodo più critico per la Terra di Tsagumi e per il vicino Principato di Tukumi[2],  in quanto una nuova malattia epidemica, del tutto sconosciuta, si stava diffondendo per quelle terre e sterminava villaggi su villaggi, espandendosi da est. Questo male era stato perciò denominato con la dicitura di “Grande Malattia” e aveva qualcosa di veramente sospetto: il periodo in cui si diffuse, infatti, non era né un periodo che seguiva una guerra né un periodo di crisi economica. Non ne era stata la causa nemmeno il conflitto politico interno tra Principato di Tukumi e Terre di Kotobuni, che si erano sempre contesi il possesso della catene montuose di Karatone, che segnava il confine fra i due territori.
 
Molti dicevano che le cause fossero da ricercare in una punizione da parte degli antenati[3], che avrebbero ritenuto che gli uomini non si interessassero più di loro e della loro autorità; altri ancora dicevano che era colpa di una contesa magica tra grandi stregoni, sconosciuta al popolo ignorante in tema di magia.
Notizie false circolavano in ogni dove e ogni strega e stregone del circondario aveva un gran da fare con i medici che non sapevano più raccapezzarsi tra morti e indigenti.
 
Nessuno avrebbe mai pensato ad una vendetta che affondava le sue radici nei pregressi della gioventù di alcuni dei più importanti personaggi di quei territori.
Si dice che la vendetta sia un piatto da assaporare freddo; bene, possiamo dire che questo piatto fosse freddo di decenni, tanto da perdersi nei meandri della memoria, persino di chi non avrebbe mai dovuto dimenticare.




 
 

[1] L’età adulta nella Terra di Tsagumi si raggiunge a diciotto anni, mentre, per esempio, nel Principato di Tukumi essa è fissata a vent’anni.
[2] Il Principato di Tukumi si trova a sud della Terra di Tsagumi, mentre a est del principato si trovano le Terre di Kotobuni.
[3] Gli tsagumini non credono in vere e proprie divinità, ma sostengono che il mondo sia controllato dagli antenati fondatori della loro Terra, che ne decidono dunque il buono e il cattivo tempo.



















Note di Saeko:
Buonsalve a chiunque sia arrivato sino a qui! Questo capitolo funge da "prologo" di tutta la questione: abbiamo infatti la presentazione dei personaggi principali, dei luoghi di ambientazione e della big issue dell'azione, ovvero la "Grande Malattia", di cui ovviamente non parlerò adesso!
Alcune considerazioni sullo sviluppo della storia: come si sarà notato dall'introduzione, questo racconto è stato ideato dalla me undicenne nel lontano 2005 e si è concluso addirittura tre anni dopo, ovvero nel 2008; in seguito la storia è stata rimaneggiata e corretta innumerevoli volte negli anni, sino ad arrivare ad oggi, in cui per la prima volta la presento nel web e la dò in pasto a lettori che sono esclusi dal mio ambito familiare (sono ovviamente aperta alle critiche, purché costruttive); perciò vi chiedo scusa se in questo capitolo e nei prossimi a venire il registro a volte risulterà molto semplice o infantile, ma devo ammettere che è alquanto difficile adattare ad un registro linguistico adulto ciò che si è ideato da bambini.
Strutturalmente parlando, i primi capitoli saranno dedicati all'ambientazione originale dei personaggi da me inventati, che poi verranno catapultati nelle storie di cui avete avuto un accenno in descrizione (Harry Potter, Cronache del Mondo Emerso, Eragon et similia).
Per quanto concerne il titolo: "Historiae" perché si tratta di una serie di eventi e 'storie' che portano al viaggio 'epico e fantastico' nominato nelle prime righe (da qui "Il viaggio fantastico").
Infine, per quanto riguarda la scelta dei nomi originali, essi sono liberamente rielaborati da nomi presenti in altre opere letterarie, anche se non hanno nulla a che fare con queste (ad esempio, "Tsagumi" è rielaborato da "Tsugumi", romanzo di Banana Yoshimoto).
In accordo con i miei impegni lavorativi e accademici, spero vivamente di pubblicare aggiornamenti in maniera regolare.
Vi ringrazio se siete riusciti a sorbirvi anche questo piccolo riepilogo e spero di vedervi al prossimo capitolo.

Saeko's out!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Il morbo di Gerard ***


Capitolo 2:
Il morbo di Gerard
 
Abbiamo sin’ora parlato prettamente di Taishiro e del suo carattere impetuoso, così contrapposto a quello di Pedro; cosa ne è del loro aspetto?
Pedro era un ragazzo allampanato, alto, con i capelli corti e lisci, di un color biondo cenere, che risplendeva nelle giornate più assolate, e aveva gli occhi verdi come smeraldi; il viso era a tratti spigoloso ma nel suo complesso equilibrato; nonostante i suoi diciassette anni, ancora non si vedeva nemmeno un pelo di barba sulla sua pelle chiarissima. Taishiro, di carnagione olivastra, era minuta ma, rispetto all’amico, era tonica e agile, quasi muscolosa; portava i capelli neri come l’ebano lunghi sino alla zona lombare della schiena e i suoi occhi color nocciola risplendevano di luce propria.
 
Abbiamo nominato i genitori della ragazza, due calzolai piccoli e forzuti in stretti rapporti con gli impresari di Batauni, nel cantone Sud; Taishiro viveva con loro assieme ad un gatto rosso a tre code; fino a qui dunque ci si sarà chiesti: e la famiglia di Pedro? Il ragazzo era purtroppo orfano di madre e viveva solo con il padre, che invece faceva (come accennato in precedenza) il mercante di liquori ed era specializzato in partite di idromele speziato.
 
Il padre di Pedro si chiamava Gerard, un uomo dai capelli scuri e arruffati e gli occhi verdi (Pedro aveva ereditato il colore di capelli dalla madre); egli era piuttosto giovane quando i sintomi della Grande Malattia lo colpirono come un fulmine a ciel sereno.
Era il giorno dopo il solstizio d’estate e pioveva; Pedro era a casa di Taishiro a studiare per la preparazione del suo ultimo anno d’istruzione, prima dell’avvio dell’anno di formazione utile a scegliere la sua futura carriera, e Gerard stava leggendo il giornale delle 13:50[1]. Si era acceso la pipa e, mentre aspirava il buon sapore del tabacco, seduto sulla sua poltrona in soggiorno, sentì un dolore acuto all’addome e nello stesso momento un dolore terribile e lancinante si diramò per tutto il cranio, provocandogli degli spasmi incontrollabili; a causa di questi, tentò invano di alzarsi dalla poltrona per prendere un calmante, senza mai arrivare alla cassetta del pronto soccorso, poiché cadde con un tonfo sul pavimento. Davanti ai suoi occhi vedeva passare lampi d’ogni colore; gemeva così forte quasi da gridare. Il dolore era così intenso che smise di pensare lucidamente, dimenticò persino di avere un calmante di qualche genere in casa, per un attimo dimenticò addirittura di essere in casa. Come si poteva sopportare un dolore del genere?
Poi, come se nulla fosse, si calmò e riprese fiato; sentiva solamente un forte fischio all’orecchio sinistro. Ansimando, tentò di rimettersi sulla poltrona, per tornare presente a se stesso e chiamare il medico. Purtroppo, proprio quando era riuscito a rimettersi in piedi, con le gambe tremolanti, svenne, cadendo nuovamente a terra, mentre sui polsi e sul collo comparivano delle strane macchie blu.
 
Pedro tornò a casa verso le cinque del pomeriggio e trovò il padre a terra, privo di sensi e con i polsi e il collo quasi interamente bluastri.
Il ragazzo lasciò cadere per terra la borsa di filo e, mentre i libri caracollavano su loro stessi al suo interno, si precipitò dal padre, inginocchiandosi a terra e prendendogli la testa. Attorno al corpo di Gerard aleggiava un leggero olezzo molto sgradevole, un misto di uova andate a male e pesce affumicato; un odore assai insopportabile. Pedro tirò fuori da una tasca dei suoi calzoni un fazzoletto, se lo mise su bocca e naso, girò di schiena il padre e vide che sul suo volto erano comparse alcune bolle giallastre e gli occhi erano spalancati, le iridi verdi si erano fissate in qualche punto a lui ignoto.
Fa che sia ancora vivo” pensò ansioso e poi gli controllò il polso: nonostante fosse debole, il battito era presente e, ad un’occhiata più attenta, Pedro si accorse che il padre respirava ancora. Riuscì rimettere, con non poca fatica, l’uomo sulla sua poltrona e corse a chiamare Taishiro, che viveva nell’abitazione accanto alla sua; giunto lì, spalancò la porta della casa e, trovandola intenta a calzare le sue scarpe di tela, le spiegò in fretta e furia la situazione, visibilmente in preda al panico; Taishiro gli disse di chiamare il dottore, che certamente avrebbe saputo come fare. Ma certo, il dottore! Pedro, nella foga e nella paura, si era dimenticato che a Tabauni c’era il dottore-capo del cantone Nord, il migliore di tutti. Senza nemmeno salutare, uscì dalla casa dell’amica e corse da Matishia, il medico di Tabauni.
Intanto Taishiro, pensando che sarebbe potuto esser d’aiuto, visto che non tutti i mali si manifestano tramite macchie bluastre sui polsi e sul collo, andò a chiamare Ryuso, che abitava dall’altro lato del villaggio. Lo stregone non sembrava essere in casa, quando lei arrivò.
L’edificio si presentava all’esterno come una casa in legno vecchia e malandata, ma al suo interno tutto cambiava; lo stregone lasciava sempre la porta aperta, poiché essendo lo stregone-capo di un villaggio-capitale, chiunque poteva recarsi da lui in qualsiasi momento per richiederne l’aiuto, dagli apprendisti stregoni alle persone comuni, dagli uomini di potere ai semplici contadini.
A Taishiro quella casa era sempre piaciuta: sembrava il Negozio delle Spezie di Kitasuni[2], ma più grande, più profumato, più bello. La luce era fioca ma accogliente al suo interno e, sebbene da fuori fossero visibili finestre, coperte da tende blu e rosse, all’interno dell’abitazione non era possibile vedere il mondo fuori (tant’è che ci si poteva chiedere da dove arrivasse la luce), per cui, una volta entrati, sembrava di mettere piede in un altro universo.
Alle pareti erano appesi ninnoli, tappeti e arazzi d’ogni genere e colore, armi provenienti da ogni dove, dipinti tanto veri da sembrare delle porte su altri mondi (e forse lo erano). L’attenzione della ragazza fu attirata da un cristallo che mandava balugini verdi, blu e rossi, posto su un tavolino di legno scuro al centro del salotto (o quello che lei aveva sempre creduto essere il salotto – era difficile identificare la funzione delle stanze in quel luogo); in cima a questo cristallo v’era incastonato un anello d’oro, spesso e con delle strane incisioni. Taishiro, curiosa come una bambina di cinque anni, nonostante ormai fosse più che maggiorenne, lo toccò e una forte scossa le attraversò il corpo, lasciandola confusa. In quel momento dalla soglia di una camera comparsa d’improvviso (Taishiro era sicura di non averla vista, appena entrata), si affacciò Ryuso.
Lo stregone, che non aveva un singolo capello sulla testa, ma in compenso una folta barba nera a incorniciargli il viso, puntò i suoi occhi azzurri sull’ospite e, entrando nella stanza, la fece accomodare su un divano verde che si trovava vicino ad un arazzo blu, dal lato opposto della sala rispetto a dove si trovava il tavolino con il cristallo.
 
 -Non ti consiglio di toccare ancora quell’anello- disse, con fare accondiscendente -La prima era solo un avvertimento, ma la seconda scossa ti ucciderà-
 -Mi dispiace, non volevo, ma attirava la mia attenzione; ero curiosa di sapere cosa fosse e cosa significassero quelle strane incisioni. Sono in un’altra lingua, vero?- rispose la ragazza dopo essersi ripresa dallo shock.
 -Quante domande tutte insieme! La curiosità è una cosa buona ma bisogna fare attenzione a come si usa e cosa comporta, come la verità-.
 -Sì, certo- dissi lei di rimando, muovendo la mano vicino al suo volto, come a voler scacciare un brutto pensiero -Sono venuta per ...-.
 -Sei venuta per dirmi che Gerard, il padre di Pedro, si è sentito male; lo so. Stavo guardando la lastra di cristallo quando sei arrivata. Andiamo a casa del tuo amico a vedere cosa è successo-.
 
Aveva uno sguardo molto preoccupato che al tempo stesso tentava di infondere tranquillità, un atteggiamento che nei confronti di Taishiro funzionava più che bene. Sì, so che è una cosa quasi impossibile a vedersi, ma in quel momento lo sguardo di Ryuso si presentava esattamente così.                                           
Camminarono l’uno a fianco dell’altra. Taishiro approfittò del momento di calma per chiedere nuovamente:
 
 -Cosa volevano dire quelle incisioni sull’anello? Cosa fa? A cosa serve?-.
 
Sembrava ancora una bambina di cinque anni, quando faceva domande del genere; forse era la presenza dello stregone, e non solo la sua casa, a renderla così.
L’uomo fece una piccola risata, come fosse stato un ghigno, come se si aspettasse quelle domande.
 
 -Lo saprai a tempo debito, quando ci sarà anche Pedro e nell’istante giusto; ora non è il momento-.
 
Arrivarono a casa di Pedro che ormai si erano fatte le sei e mezzo e il sole, che aveva fatto capolino oltre le nuvole, dopo la giornata di pioggia, cominciava a gettarsi dietro i monti a ovest di Tabauni, che segnavano il confine tra il cantone Nord e il cantone Ovest. Pedro, ancora preso dall’emozione, si gettò praticamente tra le braccia di Taishiro.
 
 -Dove sei stata tutto questo tempo? Il dottore sta ancora visitando papà. Cominciavo a pensare che fosse successo qualcosa anche a te-.
 -Non ti preoccupare, Pedro, la tua amica era con me- disse Ryuso con semplicità, entrando in casa subito dopo.
 
Pedro lo guardò storto. Era stupito, un po’ per la sorpresa e un po’ per il disprezzo: la famiglia dei Lahir aveva sempre amato la vita tranquilla e pacata, senza problemi e pensieri, e, a detta loro, i maghi erano soliti rendere l’esistenza di chiunque quasi impossibile. Ecco perché suo padre non andava tanto d’accordo con Ryuso; molto spesso attaccavano briga nella piazza centrale del villaggio, la domenica, anche battibeccando sugli argomenti più stupidi. Il medico interruppe quel momento di disagio.
 
 -Gerard è stato contagiato dalla Grande Malattia; non so come sia possibile, poiché le ultime notizie di contagio riportano un focolaio al confine con il cantone Est, a Litouni. Al momento, per la sicurezza di Tabauni consiglio di isolarlo qui, per evitare problemi. Purtroppo non conosco nessun rimedio a questi sintomi sconosciuti, altrimenti avrei curato il paziente in un baleno-. Poi rivolgendosi a Ryuso, disse: -Dobbiamo cominciare a pensare di studiare il morbo, soprattutto dobbiamo recuperare altre notizie in merito ad ulteriori focolai scoppiati nelle vicinanze. Pensi tu ad avvertire gli altri stregoni?-.
 
Ryuso annuì gravemente, mentre Pedro sbiancava. Non voleva perdere suo padre, poiché aveva già perso la madre; Chihiro Lahir era morta per mano dei banditi provenienti dalle caverne dell’Ombra (nel punto più a nord del cantone Nord – scesero a Tabauni e la passarono in una notte e un giorno) e il marito non si era più risposato, avendola pianta per molto tempo. Tre anni prima di morire, Chihiro aveva dato alla luce Pedro. Mentre questi pensieri si affollavano nella mente del ragazzo, Matishia si congedò, rivolgendo a Ryuso una richiesta di allerta della popolazione, e lasciò soli lo stregone, la ragazza e il ragazzo.
Dopo un attimo di pausa, Taishiro abbracciò più forte l’amico per consolarlo; mentre lo lasciava riprendersi dallo spavento, le venne in mente una cosa: Ryuso era lo stregone-capo e quindi poteva certamente aiutarli a trovare una cura per la Grande Malattia e, mentre si divincolava dall’amico che non voleva lasciarla andare, glielo disse. Solo allora si accorsero entrambi che lo stregone se n’era andato.
Uscirono fuori cercarlo e lo trovarono a casa sua, che in quel momento sembrava invece una stamberga uggiolante, a causa del vento che si era alzato. Il tramonto stava per finire e nel cielo era comparsa la prima stella; le nuvole di quella uggiosa giornata erano ormai sparite. Entrarono in casa sua e lo trovarono a bere il tè. Scalpitarono e lo tormentarono perché li aiutasse, anzi, è più corretto dire che Taishiro scalpitò, mentre Pedro rimase appena in disparte, incerto se fidarsi o meno di quell’uomo così strano che litigava sempre con il padre.
Ma egli disse:
 
 -Vi dirò cosa fare dopo il Giorno della Civetta, ma fino ad allora non tormentatemi. La lastra di cristallo deve ancora indicarmi a dovere la direzione-.
 
I loro sguardi si rattristarono, mentre lo stregone, senza altra parola, svaniva dietro una tenda color porpora, che conduceva ad una delle tante stanze della sua dimora.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
[1] I giornali nella Terra di Tsagumi vengono pubblicati ogni tre ore a partire dalle ore 7:50 sino alle 22:50, per cui l’edizione che sta leggendo Gerard è la terza edizione della giornata; la particolarità di questi giornali è che vengono prodotti dalla forza magica che regola le leggi di Tsagumi e distribuiti direttamente davanti ad ogni porta di ogni casa presente nei villaggi e nei villaggi-capitale.
[2] Un piccolo villaggio, di secondaria importanza, nel cantone Ovest, tuttavia famoso per detenere il più alto numero di spezie provenienti non solo dalla Terra di Tsagumi, ma anche dalle regioni vicine.








 

Note di Saeko:
Buonasera a chiunque sia arrivato sin qui! Questo capitolo era inizialmente più corto, in quanto meno esplicativo. Gli eventi erano narrati nudi e crudi, non vi erano descrizioni di sorta, poiché nella mia testa di bambina tutta era enormemente ovvio e chiaro. Rileggendolo, mi sono resa conto che mancano le descrizioni fisiche dei personaggi; anche l’ambientazione della casa di Ryuso era appena accennata.
Spero che, almeno ora, quanto presente nella mia testa sia stato reso in maniera quanto meno intellegibile; nota particolare sull'anello: per citare Topolino "è un importante oggetto che ci servirà dopo".
Non ho molto altro da dire in merito; se avete domande o curiosità o critiche, vi aspetto nella sezione recensioni.
Buona serata e buon inizio settimana (purtroppo il lunedì arriva per tutti).
 
Saeko’s out!

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: Il Giorno della Civetta e le memorie del villaggio ***


Capitolo 3:
Il Giorno della Civetta e le memorie del villaggio
 
Il Giorno della Civetta cadeva l’ultimo giorno dell’estate ed era il giorno più importante dell’anno, a Tabauni come negli altri villaggi-capitale, perché gli abitanti ricordavano tutto quello che era successo durante la loro vita; era dunque un importante giornata dedicata alla memoria e al mantenimento vivo della storia.
A partire dal giorno precedente a questa importantissima ricorrenza, si riversavano nei quattro villaggi-capitale di Tsagumi tutti gli abitanti dei villaggi dei quattro cantoni; venivano quindi allestite vere e proprie tendopoli per permettere a tutte le persone accorse all’evento di sostare nelle capitali. Quel giorno, chissà perché, sembrava durare più degli altri e, forse, durava effettivamente più degli altri giorni. Ryuso affermava che ciò accadesse perché la loro terra era regolata dalla magia; nessuno gli dava mai credito e le persone dicevano che doveva trattarsi per forza di un antico volere degli antenati[1]; stranamente, nessuno si sognava mai di guardare un calendario segna-tempo[2], durante il Giorno della Civetta, giusto per verificare che effettivamente lo stregone non dicesse corbellerie. I festeggiamenti iniziavano la mattina all’alba, con il suono di una tromba; poi gli abitanti di Tabauni e i loro ospiti si alzavano e, quando uscivano dalle loro case, potevano ammirare decorazioni e festoni d’ogni genere, da quelli che producevano luci e suoni a quelli che avevano vita propria, colorare ogni singolo edificio e tenda sia dentro che fuori del villaggio. Si poteva avvertire, insieme al fruscio degli alberi, una melodia bassa, che diveniva man mano sempre più alta, finché non si potevano percepire anche le parole di una canzone:
 
 
                   L'ultimo giorno d'estate verrà
                   La festa più grande sarà
                   I colori e i fuochi
                   Gli stendardi e le luci
                   non son pochi
                   i ricordi alla luce verranno
                   e i presenti
                  la loro storia diranno

 
Questo ritornello si ripeteva per almeno una decina di volte, sino a che tutti i partecipanti all’evento del Giorno della Civetta non si erano sistemati nella piazza principale del villaggio-capitale; come apertura definitiva dell’evento, sulle note della canzone che aumentava di intensità, i bambini di cinque anni appartenenti al villaggio-capitale eseguivano un piccolo balletto di benvenuto agli astanti.
 
Anche Pedro e Taishiro avevano preso parte a quella piccola danza; Taishiro si era divertita tantissimo, ma Pedro non era riuscito a svagarsi, perché pensava che quel ballo fosse, oltre che inutile, troppo fuori tempo.
 
Dopo la musica, la canzone e la danza, si faceva colazione con uno splendido banchetto, le cui pietanze venivano servite in ciotole di legno levigato; queste ciotole avevano la facoltà di volare direttamente nelle mani dei partecipanti e si riempivano dei cibi di cui essi avevano più voglia in quel momento. Dopo questo ricco pasto, si andava nel tempio del villaggio, costruito sul limitare del suo perimetro nord[3], a ricordare i propri antenati, poi ci si spostava nuovamente nella piazza e ci si sedeva su cuscini color porpora, preparati apposta per l’occasione.
 
Iniziavano a ricordare sempre i più piccoli (almeno, quelli che sapevano parlare) fino all’ora di pranzo, che, a differenza della colazione, veniva servito ognuno a casa propria, da miriadi di piccole fatine brillanti e colorate. Dopo il pasto si tornava in piazza e ed erano gli adulti a parlare fino al tramonto, dopodiché ricordavano i ragazzi tra i tredici anni e i venticinque, fino all’ora di cena, che avveniva verso le dieci. Taishiro e Pedro parlavano delle loro memorie assieme poiché la maggior parte della loro vita l’avevano appunto trascorsa insieme (e non erano gli unici a farlo). Poi si cenava tutti assieme, nuovamente serviti da ciotole volanti che facevano comparire pietanze magnifiche e succulente al volere dei consumatori.
 
Infine, dopo la cena, erano gli anziani e gli stregoni a riportare alla luce le loro memorie. Fu proprio in questo momento, a Tabauni, che Ryuso prese da parte Pedro e Taishiro; il grande falò che illuminava i volti delle persone che ascoltavano quelle storie incredibili sino a notte fonda mandava balugini inquietanti, mentre i genitori di Taishiro confabulavano sul fatto che Ryuso avesse allontanato i ragazzi proprio in uno dei momenti più importanti del Giorno della Civetta.
 
Lo stregone li portò nella sua casa e li fece dormire lì, in una stanza piena di arazzi blu e verdi, in maniera tale che il giorno seguente fossero svegli e si sentissero riposati a dovere.
Quando il sonno lasciò il posto alla veglia, al mattino, Ryuso li fece mangiare in maniera parca e veloce (d’altronde, dopo tutto quello che avevano mangiato il giorno precedente, non avevano estremo bisogno di rimpinzarsi di cibo) e poi disse loro, dopo aver esordito dicendo di avere un rimedio per Gerard:
 
 -Ora vi darò il mio bastone da passeggio... ecco, prendete-.
 
Ryuso diede loro un bastone intagliato finemente, con un incavo sulla cima.
I due ragazzi si guardarono, indecisi se ridere o meno davanti ad un’affermazione così semplice e vaga.
 
 -Ma cosa dovremmo farci con questo bastone?! Non aiuterà di certo mio padre...- cominciò Pedro, dando voce ai pensieri di entrambi.
 -Ha ragione- disse Taishiro, che era rimasta un po’ delusa.
 -Invece ha torto- disse lo stregone, sbuffando sonoramente. Non capiva come quelle due teste vuote non vedessero un disegno in quello che stava facendo.
Ryuso, come tutti gli stregoni e le streghe di quella terra, non aveva più dimestichezza con la vita normale degli esseri umani, per cui non comprendeva più come fosse possibile che ciò che a lui sembrava ovvio, non lo fosse in realtà per chi non era avvezzo alla magia.
 
-Perché su questo bastone metterò l’anello magico con cui Taishiro si è presa la scossa il giorno in cui Gerard si è ammalato- aggiunse dopo un attimo di pausa.
 
Così dicendo, prese l’anello dal cristallo in cui era incastonato e lo mise senza altri preamboli nell’incavo del bastone, mentre il ragazzo guardava con occhi spalancati la propria amica; perché non gli aveva detto nulla di quello che aveva visto in quella casa? Vero era che quel giorno era sconvolto per ciò che era accaduto a suo padre, ancora chiuso in isolamento dentro casa sua (Pedro in quelle settimane aveva dormito a casa di Taishiro e solamente Matishia e lo stregone si erano recati a casa sua per monitorare Gerard), però avrebbe gradito essere ragguagliato su ciò che la ragazza aveva visto o su cosa si era detta con il mago. Ryuso si schiarì la gola e disse:
 
 -Ora imparate a memoria questa frase:
 
    “un anello per domarli, un anello per trovarli,
   un anello per ghermirli e nel buio incatenarli[4]”.
 
Questa frase vi servirà per andare da un mondo all’altro...-.
 -Ma cosa diamine dovremmo fare?- sbottò Pedro, irritato; non gli stava piacendo per niente la piega che quella storia stava prendendo. Odiava i maghi, li odiava proprio, con tutto quel loro fare misterioso.
 -Dovrete viaggiare da un mondo magico all’altro per trovare il frutto che servirà a guarire Gerard; ne ho parlato con Matishia e con gli altri stregoni e medici provenienti dai villaggi vicini a Tabauni; non ci sono cure tra quelle conosciute contro la Grande Malattia, e pare che dei focolai isolati si stiano accendendo anche negli altri cantoni. Alcune notizie esterne riportano di contagi anche nelle Terre di Kotobuni. L’unica speranza è questa cura di cui vi sto parlando: questo frutto è una leggenda, al momento, ma ci sono buone probabilità che si possa trovare in uno dei mondi di cui vi farò avere una lista-.
 
Pedro provò ancora una volta a fermare tutto quello che stava dicendo, che alle sue orecchie suonava sono come un discorso pieno di idiozie. Taishiro invece, con gli occhi illuminati di una luce nuova, pendeva dalle sue labbra, come se in quel momento non esistesse altro. Ryuso fermò Pedro con un gesto e proseguì.
 
-Alcuni studi ne riportano menzione come di un frutto miracoloso che compare e scompare a seconda delle necessità; poiché il nostro mondo è regolato da altre leggi magiche ed è un mondo dove, quando le cose avvengono, si riversano su altri mondi, ma non può accadere il contrario, è di grande importanza che voi riusciate nella missione-.
 
Pedro sbuffò ancora, ma non provò più a fermare lo stregone; forse complice il fatto che Taishiro gli aveva dato una gomitata ben assestata su un fianco.
 
-Ogni volta che pronuncerete la frase che vi ho insegnato- proseguì il loro interlocutore -Vi troverete in un mondo magico; ma per arrivarci dovrete partire dalla Terra del Mezzo, dove troverete la lista dei mondi magici-.
 -Ma come arriveremo alla Terra del Mezzo[5]? E’ lontanissima da qui, è oltre il mare!- dissero Pedro e Taishiro.
 -Vi ci manderò io con la mia magia. Dovete stare attenti a non parlare con nessuno, una volta lì, perché la Terra del Mezzo, come ben sapete è il luogo di interscambio tra i vari mondi. Quindi potrebbe essere pieno di gente onesta, ma potrebbe anche risultare il contrario, perciò fate attenzione! La vigilanza è tutto, in certi casi-.
 
I ragazzi alzarono gli occhi al cielo. Sembrava che ormai tutto fosse deciso. Pedro si stava chiedendo perché una responsabilità così grossa dovesse ricadere proprio su di lui e sulla sua amica; anche se in realtà, l’idea di salvare il padre lo stava spingendo ad accettare quanto Ryuso stava lasciando sulle loro spalle.
Una volta concluse queste decisioni, i ragazzi cominciarono a raccattare le loro cose e di andarsene di lì; Ryuso li fermò un attimo prima che varcassero la soglia:
 
-Ricordatevi del nome di Malina. Vi servirà, se le cose non dovessero andare come sperato-.
 
I due amici sospirarono ancora e uscirono. Fuori era già pomeriggio inoltrato e le rimanenze della festa del Giorno della Civetta erano già sparite da un pezzo; non c’era nulla da fare: la casa di Ryuso era davvero una porta per un universo parallelo.
 
Ryuso avvertì il villaggio della partenza dei due ragazzi e delle motivazioni del loro viaggio, dunque dell’importanza della missione. Ci furono ovvie polemiche da parte dei genitori di Taishiro, che non capivano perché la loro figlia dovesse gettarsi a capofitto in un’avventura dalla quale poteva non esserci ritorno, pur se fosse stato per salvare il padre di Pedro, Gerard, pur se loro fossero stati amici di famiglia; ovviamente essi erano preoccupati, erano pur sempre genitori, sebbene non si rendessero conto che ormai la loro figlia, essendo più che maggiorenne, era libera di scegliere qualsiasi cosa ritenesse giusta per se stessa.
 
 -Voglio aiutare Pedro, visto che è il mio migliore amico e Gerard è l’unica famiglia che gli è rimasta. Che male c’è?- rispose Taishiro, stizzita.
 -E’ da quando ti abbiamo detto che presto avresti avuto delle avventure che non fai che buttarti in cose pericolose. Anche sapendo di avere una possibilità, come pensate di aiutare il padre di Pedro, se passati i dieci anni e arrivati all’età della maturità non avete ancora dimostrato nessun potere magico con cui difendervi? E’ fuori discussione!- disse Coira, la madre di Taishiro, rossa in viso.
 
Si trovavano sul patio della casa dello stregone e attorno a loro vi erano anche gli abitanti del villaggio, accorsi per apprendere la notizia. Baluard, il padre della ragazza, era indeciso se intervenire o meno: la moglie sembrava una divinità infera, da quanto era arrabbiata.
 
 -Ma Pedro ha bisogno di me-.
 -Lasciate stare questa ragazza!- urlò Ryuso, con un tono rabbioso che nessuno gli aveva mai visto usare.
Tutti rimasero così stupiti tanto che Taishiro smise di scalciare, Coira lasciò il braccio della figlia e le cicale smisero di cantare.
 -Questa ragazza, ha scritto il destino- riprese Ryuso con più calma –Vivrà un viaggio fantastico assieme al suo amico Pedro e se glielo impedirete, Tabauni verrà messa a ferro e fuoco dalla Grande Magia, come dice la scrittura sacra di pietra, posta al centro del Mondo. Perché la vita di Tabauni, e degli altri villaggi della Terra di Tsagumi, dipende da questo. Inoltre, il rischio di contagio è enorme e, non essendoci cura alla Grande Malattia, questa è l’unica strada che abbiamo-.
 
Da quel momento non ci furono più problemi né discussioni di sorta.
Quando furono pronti per partire, un paio di settimane dopo, mentre Taishiro rassicurava nuovamente i genitori, che sembravano non volersi staccare da lei, Pedro chiese allo stregone:
 
 -Dove hai preso quella frase che ci serve per andare da un posto all’altro? Perché io l’ho già sentita da qualche parte-.
 
Era ovviamente una bugia bella e buona, visto che Pedro non leggeva libri di magia, men che mai conosceva altri maghi all’infuori di Ryuso; tuttavia, gli avrebbe fatto piacere sapere da dove proveniva tutto ciò che probabilmente lo stava mandando a morte.
 
 -L’ho ereditata da un mio vecchio conoscente cantastorie, tanto tempo fa. Il mio amico stregone Gandalf il Grigio era sempre con lui; gli rubai il ricordo dell’Anello sui c’erano incise quelle rune, ma non se ne accorse mai. Mi ci vollero tre anni per tradurre le rune e un altro anno per capirne il significato; altri due anni per riprodurlo e infondergli un nuovo potere magico. Alla fine guardai nella lastra di cristallo e vidi il vostro futuro-.
 -Il nostro futuro... ?- disse Pedro, facendo finta di non capire, anche se aveva capito benissimo.
 -Ma sì, il futuro tuo e di Taishiro-.
 
Aveva forse inteso ciò che Pedro non voleva nemmeno dire a se stesso?
 
-Allora- continuò Ryuso –Ho rimodellato la magia dell’Anello perché facesse quello che doveva fare. E così eccovi qua, pronti per partire per la più grande delle vostre avventure- concluse, con un sorriso sghembo.
 
Era questo il motivo per cui a Pedro non piacevano gli stregoni: mettevano in subbuglio la vita altrui in tutti i modi possibili e immaginabili.
Comunque il giorno della partenza, dopo che Pedro aveva lasciato alla cassetta della posta del padre delle lettere di commiato, nella speranza di rivederlo vivo al suo ritorno, i due amici si misero al centro della piazza, con in mano il bastone di Ryuso, che avevano deciso di chiamare “Ilv”[6].
Assieme ai genitori di Taishiro, erano venute poche altre persone: era una mattina di inizio autunno e si addensavano le prime nubi di stagione all’orizzonte.
Lo stregone si avvicinò a loro e pronunciò ad alta voce una frase incomprensibile, nella lingua che solo chi possedeva poteri magici poteva comprendere e parlare. Dopo che l’ultimo suono fu pronunciato, un lampo di colore viola, seguito un lampo di colore bianco illuminarono la piazza e poi venne il buio. I ragazzi chiusero gli occhi e si tennero per mano, mentre un sonno incantato scese su di loro.          

            
 
 

[1] Come si può ben notare, la gente di Tabauni (e in generale gli tsagumini) è ossessionata dagli antenati.
[2] Una specie di moderno orologio, apposto alle pareti di tutte le case degli tsagumini, in cui si segnava automaticamente giorno e ora a seconda del cambiare della luce durante la giornata.
[3] A Tabauni. Negli altri villaggi-capitale, i templi sono costruiti in corrispondenza degli altri tre punti cardinali; per cui a sud a Batauni (cantone Sud), a est a Masauni (cantone Est) e a ovest a Uamauni (cantone Ovest).
[4] NdA: so perfettamente che questi due versi provengono dalla Poesia dell’Anello de “Il Signore degli Anelli” di J.R.R. Tolkien; il suo utilizzo qui, così come quello dell’anello, sono puramente figurativi; DISCLAIMER: TUTTO CIO' CHE RIGUARDA "IL SIGNORE DEGLI ANELLI" DI J.R.R. TOLKIEN NON MI APPARTIENE.
[5] La Terra del Mezzo (da non confondere con la Terra di Mezzo narrata da Tolkien) è un luogo di interscambio tra i vari mondi magici; il suo nome gioca sulla parola “Mezzo” che è sia intesa con l’accezione di “metà”, quindi a metà tra i mondi, sia con l’accezione di “maniera”, quindi come mezzo e strumento effettivo di interscambio. Se ne parlerà meglio nel capitolo 5.
[6] Nella lingua arcaica di Tsagumi la parola “ilv” significa appunto “viaggio”.





















Note di Saeko:
Ed eccoci qui, dopo una settimana dalla pubblicazione del primo capitolo. Sono abbastanza soddisfatta della revisione di questo terzo capitolo, in cui ci si addentra di più nella storia. La difficoltà principale è consistita nel descrivere gli avvenimenti del Giorno della Civetta, in cui non avevo fatto altro che fare un enorme elenco delle cose che la gente se magnava a sbafo durante la festa; abbastanza noioso in effetti! Spero che il risultato sia abbastanza chiaro e più descrittivo degli effettivi avvenimenti e non solamente del cibo.
Se avete domande, chiarimenti o critiche, vi aspetto!
Buona serata a chiunque sia arrivato sino a qui.

Saeko's out!


 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4: Inizia l'avventura ***


Capitolo 4:
Inizia l’avventura
 
Quando Taishiro si svegliò, era buio, un’oscurità più nera di quella che li aveva avvolti al momento di cadere nel sonno incantato; accanto a se avvertì il corpo di Pedro, ancora privo di sensi. Cercò di svegliarlo, ma il ragazzo dormiva un sonno profondo e agitato.
Allora si guardò intorno: era ancora avvolta dalle tenebre ma per qualche strano motivo riusciva a distinguere distintamente i particolari del proprio corpo e quelli del corpo del suo compagno. Improvvisamente apparve un punto di luce all’orizzonte (si poteva intuire che esistesse un orizzonte dal fatto che la luce lasciava intravedere un linea bianca che si diramava ai suoi due lati). Taishiro allora afferrò il braccio dell’amico e, una volta passatoselo intorno al collo e tirato su Pedro, prese l’Ilv. Camminò (come si poteva camminare in un luogo che non aveva terreno, ma solo oscurità?) a fatica verso la luce, trascinando di passo in passo il corpo dell’amico, che aveva cominciato a sudare e mormorare cose indistinte. Ad un certo punto, con il fiatone che le opprimeva il petto, trovò dell’acqua ai suoi piedi, come se di fronte a lei ci fosse un lago. Lì vicino c’era un molo sgangherato con una semplice barca attraccata; non riusciva ancora a capire come potesse distinguere i dettagli delle cose che vedeva, in quel buio pesto così innaturale: era come se le cose che vedeva fossero illuminate appena di luce propria. Sistemò Pedro il più comodamente possibile sul fondo dell’imbarcazione e mise l’Ilv accanto a lui, sistemandosi poi a prua della barchetta.
Iniziò a remare.
 
Mentre la nostra eroina remava, il nostro eroe sognava. Pedro stava camminando in un vicolo cieco di Tabauni che conosceva molto bene, perché era lì che aveva conosciuto Taishiro; in quel sogno stava succedendo proprio come il loro primo incontro. Lui era scappato dal padre perché lo aveva sgridato per un cosa molto stupida, ovvero il fatto che lui voleva imparare a suonare uno strumento e il padre non era d’accordo. Ma lasciamo perdere quest’altra storia, ci sono cose più importanti da raccontare: dopo una furiosa litigata con Gerard, alla fine Pedro era fuggito di casa e si era rifugiato nel primo vicolo lontano dalla sua dimora e dal padre.
Ad un certo punto era apparsa una ragazzina con lunghi capelli scuri e gli occhi color nocciola, con un archetto e delle frecce giocattolo sulle spalle e vestita con una semplice casacca e dei calzoni, non con un vestito a gonna fiorata, come tutte le altre bambine di Tabauni solevano fare. Pedro conosceva quella piccola ragazza: era la sua vicina di casa, figlia degli amici dei suoi genitori, ma fino a quel momento non aveva mai avuto modo di parlare o giocare con lei; lui rimase imbambolato a fissarla, senza rendersi conto di essere arrossito in volto. Lei era scappata perché Enruic l’Altone, così lo chiamavano al villaggio, un bambino piuttosto alto e piazzato per la sua età, se l’era presa con la ragazzina perché era arrivata prima alla gara di corsa. Ma quando si era infiltrata in quel vicolo non poteva immaginare che ci fosse qualcuno e quando aveva visto Pedro aveva capito di aver messo in pericolo anche lui. Enruic aveva già rotto un paio di costole, spaccato una dozzina di denti e messo K.O. due ragazzini e una signora solo per raggiungere i bersagli della sua rabbia. Quindi Taishiro aveva preso per un braccio il bambino spaventato con gli occhi verdi che le stava davanti, senza pensarci due volte, e saltato il muro, costringendolo a fare lo stesso. Quando erano ormai al sicuro dalla furia di Enruic l’Altone si presentarono:
 
 -Io sono Taishiro Mihira e tu sei...?- iniziò la bambina.
 -Pedro Lahir; siamo vicini di casa. Ti stava inseguendo Enruic, grazie per avermi salvato- rispose Pedro, ancora tutto affannato per lo spavento.
 -Ah giusto! Sei il figlio dei signori Lahir. Chiunque vorrebbe essere salvato dall’Altone, anche a costo di perdere un dente. Sai, hai degli occhi davvero singolari: non credo che nella tua famiglia ci siano state molte persone con gli occhi verdi, visto che la maggior parte dei tuoi parenti hanno gli occhi azzurri-.
 -No, infatti. Solo il mio bis-nonno e la mia mamma avevano gli occhi verdi in famiglia-. Rispose di rimando Pedro, lusingato. Nessuno gli faceva mai dei complimenti. Quella bambina lo metteva a disagio.
 
Fu in questo punto che il ricordo divenne sogno, e poi incubo.
 
 -Comunque- continuò lui –Come mai sai tante cose su di me?-
 -Oh beh, sai... Le nostre madri erano amiche da bambine, lo sapevi? E poi, mio padre, Baluard, parla spesso con lo stregone Ryuso, che sa molte cose su Tabauni e così...- disse Taishiro, improvvisamente imbarazzata.
 
Sua madre Coira le aveva sempre detto di non parlare troppo o poteva rivelare cose che la gente non voleva farsi sentir dire, come per esempio il fatto che il padre di lei era in buoni rapporti con lo stregone del villaggio, con cui invece il padre di lui litigava spesso.
Comunque Pedro la scusò. Taishiro si sentì più sollevata e prese Pedro per mano. Lui diventò un po’ rosso, ma si controllò e iniziarono a correre.
Fin qui il sogno sembrò andare bene, sebbene ci fossero alcune incongruenze con quello che era successo nella realtà, ma mentre correvano, Taishiro inciampò e cadde rovinosamente a terra. Pedro cercò di tirarla su, ma comparve dal nulla Ryuso, che con tono grave gli disse:
 
 -Ricordati della tua missione, non perdere tempo con questa sgualdrinella da quattro soldi. Ricordati che la vita di Gerard è nelle tue mani- e, così come era arrivato, scomparve.
 
Allora Taishiro iniziò a piangere e a urlare, dicendo che lui le aveva mentito e che la considerava una sgualdrina pari alle ragazzine smorfiose che abitavano con loro al villaggio. Scoppiò un grande litigio. Entrambi piangevano e urlavano. Pedro era sconvolto: non aveva mai litigato con Taishiro, neanche in sogno; ma questo non era un sogno bensì un incubo creato dalla Grande Malattia, per indebolire i suoi nemici. Ad un tratto, infatti, Taishiro smise di piangere; mentre la sua pelle sfrigolava e diveniva livida, cominciò a contorcersi come un serpente, finché non divenne tale. Ora la sua amica aveva preso l’aspetto di un’enorme vipera color verde scuro, con due occhi rossi iniettati di sangue che avevano al centro una nera pupilla verticale e con due zanne avvelenate, di un colore tendente al giallo ocra. Pedro guardò inorridito quella che un volta era stata la sua amica, poi si voltò di scatto e corse, corse più veloce che poteva. Arrivò ad un dirupo e si fermò; ora erano tre le scelte: farsi avvelenare dalla vipera, gettarsi nel dirupo oppure provare ad uccidere il serpente. A parte il fatto che non se la sentiva di uccidere ciò che prima era stata la sua migliore amica, non aveva nessuna arma con sé che gli permettesse anche solo di ferire l’animale; però avrebbe volentieri evitato di farsi avvelenare dalla sua amica e diventare il suo pasto; non che gli andasse di buttarsi dal dirupo, poi. Però lo fece e la serpe si lanciò con lui. Urlò ancora e si svegliò di soprassalto, sempre gridando, finché una voce dolce non lo consolò.
Taishiro.
 
 -Che cosa stavi sognando per aver urlato così?!- chiese Taishiro dopo aver calmato l’amico. Pedro le raccontò tutto, andando avanti per un bel pezzo. Quando ebbe finito chiese, guardandosi attorno:
 -Dove siamo?-.
 -Non lo so- rispose Taishiro –So solo che dobbiamo seguire quella luce-.
 
Anche Pedro si voltò a guardare la luce e rimase lì a fissarla; chiese a se stesso come fosse possibile che, nonostante il buio e la fioca luminosità, lui e Taishiro potessero vedersi così nitidamente; si chiese anche che diamine ci facesse su una barca in mezzo all’acqua (Un mare? Un lago?). Quando la ragazza si stancò di remare, a causa dell’indolenzimento alle braccia, le diede il cambio.
Nel momento in cui Taishiro riprese in mano i remi, si erano ormai avvicinati al nucleo luminoso, che tuttavia non era cresciuto o aveva aumentato la propria intensità; era rimasto delle stesse dimensioni, solamente che ora era più vicino[1]; toccarono la luce con la punta della barca; quest’ultima iniziò a sfrecciare sul pelo dell’acqua una velocità inaudita, senza bisogno di remi o correnti, come se venisse risucchiata da una forza misteriosa e potentissima. La luce bianca mandò delle scintille blu elettrico, mentre la barca avanzava sempre più veloce. Dopodiché il fianco dell’imbarcazione sbatté contro qualcosa e Pedro andò fuori bordo assieme all’Ilv. Taishiro lasciò perdere i remi, con i quali stava armeggiando già da un po’, e seguì l’amico, gettandosi a capofitto verso l’amico. Viaggiò attraverso turbini immensi di colori ed immagini, perdendo quasi la cognizione del tempo e dello spazio, senza riuscire a vedere, in tutto quel connubio di sensazioni, Pedro. Dopo ci fu il suono di uno schiocco, o forse di uno sparo, era difficile dirlo, e Taishiro batté la testa da qualche parte, svenendo d’improvviso. Ovviamente non poteva sapere che il suo corpo era atterrato pesantemente a destinazione e che la sua testa aveva sbattuto contro il terreno, poiché la corsa attraverso il fascio di colori che l’aveva portata lì l’aveva frastornata a tal punto che non aveva visto la sua meta arrivare ad una velocità inaudita verso di lei. Si trovava accanto a Pedro, sotto un limpido cielo azzurro e un sole luminoso, sdraiata in modo scomposto su un bel prato verde, nella Terra del Mezzo.
 
 

[1] Immaginate la sensazione che vi darebbe avvicinarvi ad una parete con una porta che pensate essere in tre dimensioni, per poi scoprire che è un semplice cartonato rappresentante una semplice porta.












Note di Saeko:
Sono riuscita a pubblicare un nuovo capitolo in anticipo, rispetto a quanto avevo pronosticato! Purtroppo, come da un anno a questa parte, prevedo che la mia settimana sarà piuttosto lunga e faticosa, per cui non credo che riuscirò a pubblicare altro per un po': inoltre venerdì per me è giorno di una ricorrenza triste e dolorosa, per cui non so se riuscirò effettivamente a fare qualcosa.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che fin qua la storia vi stia interessando: è ovviamente rivolta principalmente ad un pubblico giovanissimo, ma non per questo non può essere fruibile anche per i più grandi.
Se aveste domande, critiche e (perché no) complimenti, vi aspetto nella sezione recensioni.
Detto ciò, bye bye, alla prossima.

Saeko's out!

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Capitolo 5
*** Capitolo 5: La Terra del Mezzo ***


Capitolo 5:
La Terra del Mezzo
 
Quando Taishiro riprese conoscenza, si trovava sotto le alte fronde di un albero, che riconobbe: una betulla in piena stagione primaverile, con le piccole foglie verdi danzanti al ritmo della brezza leggera che spirava in quel momento e le ombre delle stesse che si proiettavano sul tronco grigio e delicato.
 
 -Benvenuta nella Terra del Mezzo, dormigliona. Ce l’hai fatta a svegliarti. Mi hai fatto prendere un bello spavento; pensavo che lo schianto con il terreno ti avesse uccisa, invece eri solamente svenuta- disse una voce familiare, venata di un palpabile sollievo.
 
Era Pedro, che la guardava con i suoi pungenti occhi verdi, in attesa di una risposta; aveva le gote leggermente colorite. Con un sospiro, Taishiro si alzò a sedere e il suo stomaco brontolò rumorosamente: aveva fame ed era da un giorno e mezzo che non toccava cibo; un leggero dolore alla testa le offuscò la vista per un attimo.
Dopo che i due ragazzi ebbero fatto colazione con le provviste che avevano portato da Tabauni, Pedro le raccontò cos’era successo.
Quando era uscito fuori bordo, era stato scaraventato in un turbine di colori, lo stesso in cui si era ritrovata Taishiro. Poi aveva visto accanto a pochi centimetri dal suo corpo l’Ilv e lo aveva afferrato in fretta e furia, guidato dal puro e semplice istinto di sopravvivenza. Da quel momento il vortice di luci era andato diminuendo d’intensità e la velocità con cui cadeva si era attenuata, permettendogli di vedere l’entrata per la Terra del Mezzo.
Tutto ciò era avvenuto solo grazie al bastone magico. Dopo esser atterrato dolcemente sull’erba, si era guardato attorno e aveva visto tanti cuscini colorati, sopra ai quali tanta gente atterrava con grazia; a quanto pare Ryuso non aveva dato loro una postazione precisa.
Comunque, dopo che i suoi piedi ebbero toccato terra, lui si era spostato verso la betulla e Taishiro era caduta al suo posto, svenendo per il contraccolpo; allora Pedro aveva cercato di svegliarla, ma era stato inutile. Evitando di parlare con qualcuno, come aveva detto Ryuso, aveva preso in braccio Taishiro e l’aveva portata sotto quell’albero.
Quando ebbe finito il suo racconto, Pedro chiese:
 
 -E ora che si fa?-
 -Beh, da quello che ci ha detto Ryuso, dobbiamo trovare la lista dei luoghi magici. Ma non saprei dove cercare-
 -Neanche io- disse l’amico, sospirando.
 
Cominciarono a guardarsi intorno, incerti sul da farsi; che dovessero cercare fisicamente la lista in quel luogo? Oppure avrebbero dovuto chiedere a qualcuno? Erano convinti che lo stregone avrebbe anche potuto dar loro egli stesso la lista o come minimo istruirli meglio su come trovarla, dato che la immaginavano scritta su un fogliaccio con un po’ d’inchiostro; in ogni caso non riuscirono a trovare nulla, né tra i cespugli, né sotto le radici divelte di alcuni alberi; nemmeno attaccata alla corteccia della betulla; e figuriamoci se poteva magicamente trovarsi nella loro bisaccia. Mentre continuavano a cercare, notarono che la gente che atterrava sui cuscini si salutava e si parlava, come si faceva nella Terra di Tsagumi, quando si incontrava una carovana proveniente dal villaggio vicino a quello di partenza. Dunque, quando furono molto vicini a due donne, ne sentirono un brandello di conversazione:
 
 -...Ho sentito molto parlare della vecchia Kim, la strega della foresta della Terra del Mezzo, ma non so che cosa faccia- disse la prima, che si chiamava Gertrude.
 -Oh, io lo so!- disse la seconda, che si chiamava Guendalina. Aveva una voce molto acuta e stridente, di quelle insopportabili, che fanno sembrare le donne delle oche starnazzanti.
 -Davvero?! E cosa sai?-
 -So che è molto vecchia e che vive nella foresta da anni. Inoltre so anche che lei è un’ottima guaritrice, una delle migliori in circolazione, forse, e anche che è in comunicazione con tutti gli stregoni di tutti i mondi. Mi hanno detto che ultimamente, uno stregone le ha detto che avrebbe avuto visite da alcune persone, provenienti dalla terra di... ehm... non sono mai stata brava a ricordarmi i nomi difficili- disse Guendalina con una punta di imbarazzo.
 -Oh, ti verrà in mente, maledizione. Voglio sapere che terra è!- disse Gertrude, con voce burbera e mascolina.
 
Il pettegolezzo era troppo succulento per lasciarselo scappare.
 
 -Era qualcosa molto simile a... a Taugumi, Legumi, o forse era Tsugumi o qualcosa del genere-
 -Ma Tsugumi non esiste. Quella che tu intendi deve essere la Terra di Tsagumi-
 -Ecco, era proprio Tsagumi!-
 -Sai dove si trova questa Kim?- chiese Gertrude, ancora più curiosa.
 -Oh sì. Si trova dall’altra parte della foresta, poco prima dell’Erba Infinita, partendo proprio da questi cuscini. Ma lo sai che il suo nome è anche citato in un libro di erboristeria?- disse Guendalina
-Ma dai, non mi dire!-
-Eh già, proprio così! Sembra sia stata in grado di guarire dall’arteriosclerosi un povero piccione rosso di Belzebù con una fava piccante-
-Che cosa incredibile!-.
 
Siccome ai nostri due amici (e a noi con loro) non interessava il resto della conversazione da pollaio, sarà bene andare avanti con il racconto.
I due lasciarono sole le due donne e si infiltrarono nel folto degli alberi. Non avevano mai visto un sottobosco così pulito: non c’era neanche un foglia sul manto erboso e gli alberi sembravano finti, silenziosi e privi di vita. Non c’era nemmeno la presenza di un qualche animale. Quel silenzio di tomba metteva inquietudine, che si stendeva sulle spalle dei due ragazzi come un tetro sudario. Sembrava spettrale, nonostante ci fosse molta luce; era forse uno dei luoghi più luminosi e dai colori più sgargianti che avessero mai visto. Dopo all’incirca mezzogiorno, sentirono un rollio insolito, che non parve a nessuno dei due di aver mai sentito prima. Quando ebbero attraversato gli ultimi cespugli, sbucarono sulla cima di una cascata; magica, a quanto pare, perché non v’erano fiumi di sorta a farne avvertire la presenza; la cascata sembrava generarsi da appena un paio di metri dal dirupo; che si trattasse di un fiume invisibile? Di un incanto? Loro di certo non sapevano. Ciò che era certo era che quello fosse il punto più alto della foresta. Dietro di loro si estendeva tutto il piccolo bosco e si potevano scorgere anche il paio di cuscini da cui erano partiti Pedro e Taishiro; in lontananza erano visibili le altre postazioni e, forse, la betulla vicino alla quale i due amici erano arrivati. Davanti c’era invece l’Erba Infinita, quella nominata dalle due donne pettegole: era un’enorme distesa erbosa, senza alberi o case. Questo voleva dire che si trovavano dall’altra parte della foresta, ma della casa della strega Kim non v’era traccia.
Allora dov’era? Dopo aver bevuto un po’ d’acqua, attinta da un rivoletto lì accanto, si rilassarono e iniziarono a ragionare. La casa non poteva trovarsi giù, ai piedi della cascata, perché non v’era traccia di un fondo o di una riva. Non era nemmeno lì dov’erano loro, perché di case non se ne vedevano e la sporgenza, da cui magicamente partiva la cascata d’acqua, era troppo piccola per poterne anche solo contenerne mezza. All’interno della rupe, dietro al muro d’acqua, non poteva esserci alcuna abitazione, altrimenti lo sciabordio di falda sarebbe stato amplificato dalla cavità, quasi a sembrare un rombo di tuono. Mentre Pedro e Taishiro si spremevano le meningi, sulle loro teste cadde un gatto grigio; guardarono in alto e videro un comignolo svanire. Quindi la casa, come tutto lì intorno, doveva essere magica, ed era probabilmente sospesa a mezz’aria; i due amici si guardarono e scossero la testa, come a dire che non avrebbero mai compreso le regole magiche del loro stesso mondo.
Dovevano trovare il modo di raggiungere l’abitazione, nella speranza che fosse quella della strega Kim. Taishiro ebbe l’idea di lanciare delle pietre nella direzione in cui avevano visto sparire il comignolo e, anche se Pedro non era d’accordo, era l’unica soluzione; l’unica era attrarre l’attenzione in quella maniera. Dopo aver scagliato una decina di pietre, si aprì una porta di legno chiaro e vi apparve una vecchietta, tutta ricurva su se stessa, con i capelli, che una volta dovevano essere rossi, un po’ ingrigiti.
 
 -Chi siete voi, che lapidate la mia casa?- chiese
 -Siamo i due ragazzi mandati da Ryuso, Taishiro Mihira e Pedro Lahir- disse Taishiro –e non stavamo lapidando la tua casa!- aggiunse, indispettita.
 -Oh, siete i ragazzi mandati dal mio caro marito; prego entrate- disse Kim, buttando giù una scaletta di corda.
 
I due salirono stupiti. Ecco perché Ryuso spariva sempre dal villaggio, in inverno; eppure, come poteva essere un uomo giovane come Ryuso, essere sposato con una vecchina come quella donna?
Entrati in casa, notarono una piccola sala con un camino, un tavolo con quattro sedie e un’enorme poltrona a due posti; una piccola libreria era stipata vicino ad una porticina, che con molta probabilità conduceva alla stanza da letto della strega. Tutto era intagliato nel legno chiaro, che rifletteva la luce naturale proveniente dalle finestre alte e rettangolari che correvano per tutta la sala.
 
 -Vedo, dal vostro stupore, che Ryuso non vi ha mai parlato di me. Maledetto disgraziato. Non vuole parlare mai di me, per evitare polemiche-.
 
Qualcosa, nella sua voce, lasciava intendere dell’altro; i due amici, vista la natura spiccia della donna, non aggiunsero altro e la guardarono preparare una teiera, mentre un gatto a due code dal manto nero le passava la schiena incurvata vicino alla gamba.
 
 -Allora, scommetto che siete venuti per la lista-
 -Sì- risposero i giovani
 -Bene. Ve la darò; ma ad una condizione: dovete saper rispondere correttamente, secondo il mio giudizio e la vostra sincerità, a queste domande:
se doveste scegliere tra la vita senza un amico e la morte con un amico, cosa scegliereste? Se durante il vostro viaggio trovaste dei tesori e, per averli dovreste lasciare il vostro compagno d’avventure nella terra sperduta, cosa fareste: lascereste il vostro amico e partireste con il tesoro, oppure rinuncereste al tesoro e rimarreste col vostro compagno?
Ora rispondete, ma badate che siano le giuste risposte, e, che queste risposte, siano dettate dal cuore-.
 
Lo sguardo della strega era profondo e severo, illuminato dai suoi ardenti occhi viola, che creavano un contrasto vistoso con i suoi lunghi capelli grigi striati di rosso.
Quello che chiedeva Kim aveva colto leggermente di sorpresa i ragazzi, che non si aspettavano nessuna domanda o prova. Per di più, il fatto che la risposta dovesse essere giusta secondo il giudizio della strega, la sincerità dei ragazzi e la dovesse provenire dal loro cuore, era alquanto strano, se non quasi paradossale.
Tuttavia ci misero poco per pensarci e risposero insieme:
 
 -Alla prima rispondiamo preferiamo morire con l’amico e alla seconda preferiamo rimanere con l’amico-.
 -Bene, molto bene. Avete dato le giuste risposte. Ma sapete che non sono scontate? Il nostro mondo non è così puro e giusto come voi pensate-.
 
Ci fu un attimo di silenzio e Kim versò il tè in tre tazze che aveva preparato nel frattempo.
 
-Ora, Taishiro, vieni vicino a me-.
 
Taishiro si avvicinò timorosa alla vecchia, che le disse in un orecchio:
 
 -Devi giurarmi che qualunque cosa accada, rimarrai vicino al tuo amico-.
 -Lo giuro- disse Taishiro, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Che voce profonda, che ha” pensò la ragazza.
 -Ora avvicinati tu, Pedro-.
 
Il ragazzo si avvicinò cauto: in fondo era sempre una strega, la moglie di Ryuso, per di più! La sua sfiducia verso qualunque essere magico era sempre stata fervida, eppure la strega Kim aveva un ché di magnetico nel suo sguardo violaceo, che lo metteva in soggezione; la donna mise una mano a coppetta davanti alla bocca e sussurrò nel suo orecchio:
 -So che ami Taishiro, mio caro Pedro, si vede alla prima occhiata e l’unica a non accorgersene è proprio lei-.
 
Pedro, sorpreso, sospirò all’ultima constatazione.
Quant’era vero ciò che aveva appena detto!
 
-Perciò devi giurarmi che se la ami veramente non la deluderai mai e la proteggerai a dovere. E che terrai per te quello che ti ho detto-
 -Lo giuro- rispose Pedro, molto sicuro, mantenendo lo sguardo fermo. Taishiro era il suo unico punto fermo, era ovvio che non l’avrebbe mai delusa e che l’avrebbe sempre protetta.
 -Bene, ora so che posso affidare la lista in mani sicure-.
 
Nel dire ciò, il suo sguardo si era addolcito. Molto probabilmente quei due ragazzi le ricordavano lei e Ryuso i primi tempi di innamoramento. I tre bevvero il tè senza aggiungere altro, mentre la luce solare cambiava posizione all’interno della stanza in cui si trovavano.
Poi agitò la mano e comparve, sospeso nell’aria, un foglio d’oro con delle scritte d’argento; lo prese con delicatezza e lo consegnò ai due amici.
Era veramente fatto d’oro, il metallo era freddo al tatto, e le letterine d’argento sporgevano leggermente, fredde come la lamina su cui erano state vergate. Eppure era leggera, quella lamina d’oro magica, come un pezzo di carta. Pedro la pose all’interno della sua borsa con particolare cura.
 
 -Ora, quando uscirete dalla soglia della mia dimora- disse la strega -Troverete un paio di cavalli ad attendervi. Il maschio è bianco e si chiama Acum, mentre la femmina è nera e si chiama Whailida. Una volta montati a cavallo dovrete dirigervi verso l’Erba Infinita. Quando troverete davanti a voi una Luce Viola, che si presenta come un fascio di luce che parte dalla terra e squarcia il cielo, vorrà dire che sarete arrivati; puntatevi al suo centro il bastone con l’anello e urlate all’unisono la frase che vi ha certamente insegnato Ryuso; poi pronunciate  il nome del primo paese della lista e chiudete gli occhi. Buon Viaggio e partite con la mia benedizione- disse Kim, raccogliendo le tazze del tè e aprendo la porta di casa sua con un gesto della mano.
 
La scala di corda sospesa nel vuoto ricomparse magicamente e prima che Pedro e Taishiro potessero avvicinarsi, rientrò di corsa il gatto grigio che era caduto sulle loro teste proprio poco prima di individuare quella strana abitazione.

















Note di Saeko:
Buongiorno a chiunque sia arrivato sin qui e grazie. Questa volta ho pubblicato di sabato, poiché ieri è stata per me la giornata di una ricorrenza piuttosto triste e non ero molto in vena di scrivere, nonostante avessi più tempo. Non so se domani riuscirò ad aggiornare. Che ne pensate della storia sin qui?
Questo capitolo mi ha sempre divertito molto, soprattutto per la presenza delle due donne pettegole che Pedro e Taishiro incontrano (no comment sui nomi, avevo dodici anni e non sapevo cosa inventarmi; ho deciso di lasciare comunque Gertrude e Guendalina perché erano comunque poco utili alla trama e quindi ancora più divertenti).
Sperando di tornare presto, vi ringrazio ancora per essere arrivati sin qui e buon fine settimana.

Saeko's out!

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Capitolo 6
*** Capitolo 6: Si parte per Pont-Ashby ***


Capitolo 6:
Si parte per Pont-Ashby
 
Quando Pedro e Taishiro furono scesi dalla scaletta in corda, questa si ritirò con un fruscio sinistro e la porta della casa della strega si chiuse con un leggero tonfo, scomparendo alla vista. I due ragazzi si fissarono per un attimo e fecero spallucce, guardandosi attorno per vedere dove fossero i cavalli di cui la vecchia Kim aveva parlato; i due animali si trovavano poco lontano dalla cascata magica, con le briglie legate al tronco di un albero; erano già stati sellati e caricati di bisacce con le vettovaglie per il viaggio. Acum e Whailida li guardarono avvicinarsi con interesse: il ragazzo si avvicinò con fare guardingo al cavallo bianco, mentre la ragazza andò sicura verso la cavalla nera. Acum si mostrò sereno e tranquillo quando Pedro lo montò, mentre Whailida sembrava restia a far salire Taishiro sul suo dorso, sbuffando pesantemente; la ragazza quindi la accarezzò sul muso e si fece annusare la mano per dimostrarle che poteva avere fiducia in lei. Una volta salita in groppa all’animale, partirono al trotto; dovettero scendere cautamente dalla roccia della cascata, ripida e impervia. Oltre a questo piccolo particolare della cascata, al bosco dietro e ai cuscini di arrivo, la Terra del Mezzo sembrava circondata dal nulla più assoluto, nonostante i nostri due amici sapessero che da qualche parte doveva esserci la costa e il mare (poiché la Terra stessa era raggiungibile da Tsagumi proprio via mare). Camminarono a lungo sull’infinito manto erboso, chiamato appunto l’Erba Infinita. Il paesaggio non cambiava mai, il sole era accecante e non c’erano nubi in cielo, neanche una; sembrava di trovarsi in un perenne mezzogiorno. Il silenzio era sempre più pesante. Per romperlo, Taishiro chiese:
 
 -Cosa ti ha chiesto la vecchia Kim?-.
 -Non te lo posso dire- rispose Pedro, arrossendo leggermente.          
 -Perché?-.
 -Perché le ho promesso di non dirti niente di quello che mi ha detto. Posso solo dirti che mi ha fatto giurare una cosa-.
 -Che cosa?-.
 -Non te lo dico-.
 -Dimmi che ti ha detto e io ti dico quel che ha detto a me-.
 -Che cosa ti ha detto?- .
 -Mi ha detto che qualunque cosa accada devo starti sempre vicina. Me l’ha fatto giurare-. Fece uno sguardo malizioso, come se quello fosse il segreto più grande del mondo.
-Ora dimmi cosa ha detto a te- aggiunse subito dopo.
 -No, nemmeno per sogno-.
 -Uffa! Sei ingiusto, mi hai ingannato. Perché non vuoi dirmelo?-.
Incrociò le braccia davanti al petto e gonfiò le guancie, come faceva quand’era bambina.
 -Perché la verità è un brutta bestia- disse lui, guardando altrove.
 
Frase stupida, frase molto stupida” pensò anche.
Che modo stupido di rispondere” pensò anche Taishiro.
 
 -E cosa ti avrà mai detto di così terribile?- chiese ancora lei.
 -Niente-.
 -Niente cosa? In che senso?-.
 -Nel senso che non mi ha detto niente di terribile-.
 -E allora cosa ti ha detto?-.
 -Niente che tu possa sapere-.
 -Perché stiamo continuando questa assurda conversazione, che era assurda prima che la iniziassimo e che è assurda anche adesso che la stiamo continuando?!-.
 -Cos’è, un nuovo scioglilingua?- disse Pedro.
 -No-.
 -No cosa?-.
 -Non lo so!-.
 -E quindi?-.
 -E quindi che ti ha detto Kim?-.
 -Ti ho gia detto che non posso dirtelo-.
 -Perché?-.

Pedro alzò gli occhi al cielo e sbuffò sonoramente.

 -Adesso ho capito... sei cocciuta come quella specie di coccio che ti porti sulle spalle e che tu chiami meramente testa. Se non te lo posso dire, non te lo posso dire. Punto e basta!-.
 -Adesso l’hai fatto tu lo scioglilingua-.
 -Sì, ma questo che c’entra?-.
 -E che ne so!-.
 -Senti, smettila di chiedermi che cosa mi ha detto Kim. D’accordo?-.
 -No, non va bene. Sarò cocciuta come dici tu, ma non sono d’accordo-.
 -E perché no?-.
 -Perché mi hai ingannato- singhiozzò, in maniera assurdamente falsa, Taishiro.
 -Non far finta di piangere, perché tanto non te lo dico comunque-.
 -Uffa, e perché? Lo sai che sono curiosa-.
 
I finti piagnistei erano finiti in fretta. Erano anni ormai che Pedro non ci cascava più, in quel piccolo trucco.
 
 -Lo so che sei curiosa, ma non te lo dico-.
 -Non mi dici cosa?-.
 -Come cosa?-.

Ci fu un attimo di silenzio imbarazzante.

 -Ti posso chiedere un’altra cosa?- disse la ragazza.
 -Sì-.
 -Di cosa stavamo parlando?-.
 -Lo sai che quasi non mi ricordo più?- disse Pedro.
 
Si guardarono per un attimo e poi scoppiarono a ridere. Era così che loro risolvevano le loro discussioni. Almeno, le risolvevano così per la maggior parte delle volte. Mentre ridevano la giovenca di Taishiro, Whailida, si fermò. Anche Acum si arrestò e nitrì sonoramente: davanti a loro c’era una luce di colore violaceo, un fascio di luce enorme, che dal terreno si irradiava sino al cielo, infinito. La stessa luce descritta da Kim, o almeno, speravano che fosse quella. Dovevano iniziare l’operazione. Entrambi presero l’Ilv a due mani, puntarono la punta del bastone al centro della luce e poi lessero sulla pergamena dorata il primo nome scritto con lettere d’argento; Taishiro pronunciò:
 
“un anello per domarli, un anello per trovarli,
un anello per ghermirli e nel buio incatenarli”.
 
Dopodiché urlarono:
-Ashby!- incerti se quella fosse la pronuncia reale o meno. Il suono del nome sembrò rimbombare sul terreno.
L’anello si illuminò di una luce di fuoco, la quale bruciava realmente come il fuoco; una sensazione molto simile a quella che li aveva risucchiati al loro arrivo nella Terra del Mezzo li arpionò all’ombelico e i due ragazzi e i due cavalli sparirono dal suolo dell’Erba Infinita.
Prima ci fu un fascio di luce di colore blu, poi uno verde e infine uno rosso. Allo scattare del terzo lampo, cavalli e ragazzi si trovarono all’ingresso di un sentiero che portava ad un piccolo borgo con tanto di castello arroccato; il cielo era terso e la temperatura fresca; la sensazione che li aveva attanagliati all’ombelico sparì.
Interessante” pensò Taishiro, sorridendo come un’ebete.
Si incamminarono cautamente. Poi, d’improvviso, dei sacchi di iuta calarono sulle loro teste, mentre ai cavalli venivano legate le zampe. Poi vennero trascinati di peso in una delle torri della Fortezza.            
 









Note di Saeko:
Innanzitutto, un piccolo DISCLAIMER: quanto riportato in questo capitolo e nei due successivi a questo, per quanto concerne l'ambientazione di Ashby e i futuri personaggi provenienti dalla serie di Lily Quench Spazzafuoco, non mi appartengono ma sono proprietà della scrittrice Natalie Jane Prior; il loro utilizzo ha il puro scopo di divertire il lettore e intrigare; di mio ci sono solamente i personaggi di Pedro e Tasishiro; se quanto verrà riportato nei prossimi capitoli vi piacerà, vi invito a leggere la serie di Lily Quench della Prior.
Riprendendo il discorso, vi ringrazio per essere arrivati sino a qui e spero che questo capitolo non vi abbia annoiato; sono consapevole del fatto che il dialogo riportato tra i due protagonisti risulti molto infantile per due ragazzi che dovrebbero avere 17 e 18 anni, tuttavia ricordo sempre ai lettori che quando scrissi questo capitolo avevo undici anni e che non potevo sapere quali discorsi facessero i diciottenni. Spero tuttavia che, nonostante la sua infantilità, vi abbia divertito leggerlo.
Sono aperta a critiche.
Per il momento vi saluto e vi auguro un buon fine settimana, se riesco pubblicherò qualcosa domenica. Bye!

Saeko's out!

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Capitolo 7
*** Capitolo 7: I reali, la ragazza e il drago ***


Capitolo 7:
I reali, la ragazza e il drago[1]
 
Il re guardò il suo servo dall’alto del suo trono, mentre l’uomo di fronte a lui sudava e tremava; aveva i capelli ormai grigi particolarmente arruffati, il viso leggermente paonazzo e i vestiti quasi stropicciati sulla sua corporatura tarchiata.
 
-Allora, Zukka, mi vuoi spiegare come sono fatti questi nuovi prigionieri?-.
 -Ma certo, Vostra Maestà- rispose il signor Zukka, passandosi un fazzoletto sotto il naso, per asciugare un poco di muco, dovuto al recente raffreddamento delle temperature. I suoi baffoni tremarono, mentre cercava di trattenere uno starnuto.
 -Sono due ragazzi, con un cavallo a testa. Un ragazzo ed una ragazza. Il ragazzo ha i capelli biondo cenere e gli occhi verdi, mentre la ragazza ha dei capelli lunghi color ebano, raccolti in una coda alta, e gli occhi color nocciola. Anche i cavalli sono un maschio e una femmina. Il maschio è bianco, mentre la femmina è nera. Alla ragazza ho trovato in tasca questo strano foglio d’orato in caratteri argentati, per noi illeggibili, e al ragazzo questa lettera su cui c’è scritto il vostro nome, sire. Tutti e due reggevano questo strano bastone intagliato con questo strano anello sopra-.
 
Mentre diceva tutto ciò, il signor Zukka mostrava sapientemente tutti gli oggetti da lui citati. Una situazione di quel genere, in pieno tempo di guerra, era veramente incresciosa: non ci volevano proprio due nuovi stranieri all’imbocco della città, per giunta con misteriosi oggetti al loro seguito. Il signor Zukka era certo che fosse un cattivo presagio.
 
 -Dammi la lettera- disse Re Lionel di Ashby.
 
La lettera faceva all’incirca[2] così:
 
Egregio Re Lionel di Ashby,

il mio nome è Ryuso e sono lo stregone-capo di Tabauni, della Terra di Tsagumi. I vostri ospiti non sono nemici, ma sono stati inviati dal sottoscritto per una missione di massima importanza: la ragazza si chiama Taishiro e il ragazzo si chiama Pedro. Ma torniamo a me: di sicuro conoscerà Kim, la strega della Terra del Mezzo, la famosa terra di interscambio che permette ai vari mondi e universi, diversi da quello in cui voi vivete, di collegarsi tra loro. La strega è mia moglie, ma non lo dica a nessuno. Kim conosce Shinault Fierfosco o Regina Drago (dato che è stata proprio lei a farla tornare a Pont-Ashby, anche se tutti la credono in maniera diversa, ma lasciamo stare questo piccolo argomento; chieda alla Regina Drago, se vi aggrada). I ragazzi che le ho mandato la aiuteranno anche con i vostri Reali problemi; in cambio vi chiedo di permettere loro di ricercare quanto devono per portare a termine la loro missione. Vi prego di liberarli se li avete imprigionati, prendendoli per nemici.
Con i miei ossequi alla vostra maestà,
            
                                                                                                                                                                                                                                               Ryuso
                                                                                                                                                                                                                                              Stregone capo del villaggio di Tabauni, nella Terra di Tsagumi
 
Lionel rimase molto stupito da quella missiva, che aveva qualcosa di sinistro; conosceva sì la strega Kim, ma era, nella loro terra, parte di una leggenda che raccontava di luoghi sperduti in cui una vecchia strega, di nome appunto Kim, traghettava le persone, avverando i loro desideri; che fosse davvero quella Kim che quel Ryuso millantava nella lettera? E che storia era mai, quella Shinault? Doveva risolvere quel mistero, per cui diede ordine di liberare i due ragazzi catturati quella mattina e di condurli alla sala Grande. Nel frattempo lo raggiunse Evangeline, la regina.
Prima che i ragazzi venissero portati a corte, nelle segrete giunsero dei servi, che li rivestirono con bellissimi abiti di seta pesante, visto l’arrivo dell’inverno, e con una cotta di maglia ciascuno. 
Una volta scortati nella sala Reale, furono fatti accomodare su piccoli cuscini di seta, proprio di fronte agli scranni reali, presso cui stavano seduti re e regina.
Re Lionel aveva un portamento piuttosto autorevole, indossava una corazza d’argento sopra le vesti e la corona gli cadeva di traverso sui riccioli rossi, come se fosse troppo grande per lui; la regina aveva invece un portamento molto regale, con i lunghi capelli neri legati in una treccia e gli occhi neri che brillavano, riflettendosi di tanto in tanto in quelli azzurri del suo consorte; anche lei indossava una corazza argentata. Il tutto dava da pensare che fossero pronti per una battaglia.
 
 -Come vi chiamate?- chiese il re, che però già conosceva la risposta.
Ci fu un attimo di pausa, in cui per una frazione di secondo i due protagonisti di questa storia si guardarono, cercando di capire se ciò che avevano udito fosse nella loro lingua o meno.
 -Io mi chiamo Pedro Lahir e lei è Taishiro Mihira, vostra maestà. Potremmo riavere la lista dei paesi e l’Ilv?- chiese prontamente Pedro. Alla fin fine, la domanda era comprensibile, quindi perché non rispondere?
 -L’Ilv?-.
 -Il bastone con l’anello- aggiunse Taishiro.
 -Che siano portati gli oggetti richiesti- acconsentì il re, accennando ad un sospiro.
 
Dopo che la servitù ebbe eseguito tutto come richiesto, la regina disse:
 
-Il vostro stregone-capo, Ryuso, ci ha spedito questa lettera; è stata trovata nella tasca della casacca del ragazzo. Ve la leggerò e vi chiedo di discuterne il contenuto con noi-.
 
Così dicendo prese la lettera dalle mani del marito e la lesse ad alta voce. Pedro rabbrividì al pensiero di averla avuta in tasca senza essersene accorto; come faceva quello stregone a rendergli la vita impossibile? Perché proprio lui doveva avere in tasca quella lettera? Per lui non era altro che l’ennesima scocciatura[3].
Mentre la regina leggeva, i due amici ebbero modo di osservare meglio i due reali: i loro volti erano decisamente provati; i capelli ricci del re, di un bel color carota acceso, erano scarmigliati, mentre le efelidi che gli ricoprivano il volto si erano ingrigite, come di quelle persone che non mangiano molto durante la giornata.
Gli occhi della regina erano sormontati da occhiaie e i suoi bei capelli neri, lisci come l’olio, erano spezzati e rovinati; sembravano effettivamente non stare a posto, pur legati nella treccia.
Erano giovani, eppure sembravano aver cent’anni, ad una seconda occhiata.
Appena finito di leggere quella missiva di Ryuso, li tempestarono di domande sul loro mondo, sulla loro missione, su come fossero giunti, su come la strega Kim fosse reale o potesse conoscere la loro Regina Drago (domanda, quest’ultima, che i due ragazzi non seppero comprendere e che dunque rimase senza risposta).
Taishiro e Pedro risposero per quanto potettero, senza scendere moltissimo nei particolari più specifici (erano pur sempre tsagumini e, si sa, gli tsagumini sanno essere molto poco espansivi con estranei per quanto riguarda ciò che concerne la loro vita).
 
 -Ora vi mostreremo i nostri problemi- disse Lionel, in sordina, una volta che fu certo di potersi fidare di loro.
 
Prese una mappa di Ashby e la distese su un tavolo che venne portato davanti a loro da una coppia di servi.
 
 -Da quando Ashby è tornato il paese che tutti conosciamo, ovvero un paese pacifico, Gordon, il Conte Nero, figlio del nostro più acerrimo nemico, è scomparso attraverso l’occhio di pietra. Dopo un anno appena, la nostra ultima Spazzafuoco ufficiale, Lily Quench Spazzafuoco, è finita dentro un altro occhio di pietra sull’isola di Skansey, dove è la sua casa. Lì abbiamo tutti rivisto Ursula Quench la Sferza Draghi e Gordon con le sue truppe, pronte per riconquistare Ashby. Ma alcune fonti ci hanno rivelato che Gordon è stato deposto e che un suo servo di nome Coniglio ha preso in mano la situazione. Le sue truppe stanno marciando verso di noi partendo dalla Selva Canterina. Si prospetta una brutta guerra- disse preoccupato il re che, mentre nominava questi luoghi dai nomi sibillini, li indicava su una mappa, confondendo i due amici.
 -Ma noi cosa dovremmo fare?- chiese Pedro, spaventatissimo all’idea di un conflitto.
 
Tutto stava accadendo troppo velocemente. Non capiva perché due sovrani di un regno di alto lignaggio avrebbero dovuto chiedere aiuto a due sconosciuti, per di più venuti da un paese che nemmeno conoscevano, per di più poco più che maggiorenni.
Essendo nato e cresciuto in tempo di pace, non si rendeva conto che, anche la più antica conoscenza che prometteva aiuto, era pur sempre un ottimo aiuto, in tempo di guerra.
 
 -La ragazza è molto robusta, potrebbe tirare con l’arco- disse Evangeline, soppesandoli con i suoi vispi occhi neri –Mentre il ragazzo potrebbe fare la spia, che ne dici, Lionel?-.
 -Dico che è un’ottima idea. Taishiro, giusto?- fece Lionel, indicando la ragazza, che annuì sommessamente.
 -Tu ti dovrai allenare con l’arco. O sai già tirare?-.
 -Non molto bene, signore- rispose lei, che aveva tirato con l’arco solo per gioco, da bambina.
 -Bene, provvederò che qualcuno di competente ti alleni in maniera adeguata. Pedro, tu invece dovrai allenarti a correre più veloce che puoi e dovrai imparare a schivare le lance. Avremo sì e no una settimana per prepararci alla battaglia, perciò inizieremo da subito-.
 -Aspetta, Lionel- fece Evangeline -Prima i ragazzi devono conoscere Lily, la Regina Drago e Cuorpius-.
 -Hai ragione, Evangeline. Sono le nostre piccole grandi punte di diamante-.
 
Così uscirono dalla reggia e, scendendo per una scalinata laterale che dava sul lato del castello opposto rispetto alla città, si avviarono verso i giardini di Ashby. Quando giunsero davanti al cancello poterono ammirare il nome (Liza Fiordaliso), scritto in grandi caratteri dalla foggia gentile, e lo splendido profumo dei fiori. Mentre entravano in maniera quasi sacrale, senza far troppo rumore, venne loro incontro una ragazza coi capelli rossi e il viso pieno di efelidi, quasi come il re; i capelli erano però più scuri, ed erano molto lunghi. Aveva due enormi occhi grigi.
 
 -Sono Lily Quench, piacere di conoscervi- disse, quando i Reali presentarono i loro ospiti.
 
D’improvviso si sentirono dei battiti d’ala sopra le loro teste. Dopo poco apparve un tozzo drago scarlatto e gigantesco, con delle minuscole ali attaccate alle spalle, tanto che veniva da chiedersi come facesse a volare, ed era capace di favella umana. Era la Regina Drago e si presentò subito, strizzando uno dei suoi grandi occhi gialli in direzione di Pedro, che fece invece uno sguardo inorridito. Poi venne un signore con i capelli neri striati di bianco, Cuorpius. Dopo la cena tutti insieme (e dopo tutte quelle presentazioni), Pedro e Taishiro si ritirarono negli appartamenti a loro assegnati, nell’ala ovest del castello. Parlarono a lungo e Pedro confessò i suoi timori e disse che non aveva la benché minima intenzione di combattere una guerra che non gli apparteneva e che, soprattutto, avrebbero dovuto cercare la cura per la Grande Malattia, visto che suo padre era in pericolo di vita. Invece Taishiro lo voleva eccome: voleva sentire il fremito del cuore prima della battaglia, voleva sentire l’odore di piombo che attraversava l’aria, voleva sentire il cozzare delle spade e voleva tirare con l’arco. Disse a Pedro di non temere, perché se non fossero stati in grado di affrontare quella sfida, Ryuso non avrebbe offerto il loro aiuto a persone sconosciute; per di più, era in cambio di libertà di movimento in quel territorio che nel momento corrente era solo ostile nei confronti di chiunque e, sicuramente, non avrebbero potuto cercare ciò che dovevano con tranquillità, se prima non avessero risolto la situazione. Mentre Taishiro si coricava dopo aver spento le candele, Pedro aveva solo la grande sensazione che lo stregone si stesse prendendo gioco di lui.
 
Due giorni dopo il loro arrivo ad Ashby, Taishiro imparò a tirare con l’arco, e divenne piuttosto brava grazie alla sua muscolatura; era anche portata, caso strano, per l’attesa prima della caccia; Pedro imparava a correre più veloce che poteva, a passare attraverso lance, pietre e ostacoli d’ogni genere, a nascondersi meglio che poteva e a diventare il più silenzioso possibile. Il suo passo felpato diventava, di giorno in giorno, addirittura migliore di quello di Taishiro.
Dopo due settimane, al contrario di ogni aspettativa, un messaggero portò la notizia che Coniglio e le sue truppe erano arrivati al confine e stavano avanzando; entro due giorni sarebbero stati lì.
 
E la guerra arrivò[4]. Coniglio era lì, più terribile e spietato che mai, nonostante il suo nome non fosse tra i più belli e i più spaventosi. Il suo era un cavallo bianco, pezzato in maniera strana, tanto da sembrare sporco, ed era l’unico individuo dell’esercito avversario ad avere una cavalcatura nobile: i suoi soldati montavano infatti dei semplici asini.
Iniziarono a combattere. Taishiro e il suo arco erano imbattibili. Pedro curava i feriti, fermando a fatica emorragie e steccando braccia e gambe, e, qualche volta, saliva sul dorso della Regina Drago assieme a Lily Quench e avvisava il re dei movimenti nemici. Svolgeva il suo lavoro molto bene.
 
 -Pedro- chiamò ad un certo punto la regina, all’alba del terzo giorno –Devi combattere con il tuo pugnale nella fiancata est. Hanno bisogno di qualcuno che li tenga occupati mentre circondano il plotone-.
 
Pedro andò, deglutendo spaventatissimo. Per qualche minuto se la cavò egregiamente, ma d’improvviso comparve un ragazzone enorme e piazzato, con una mazzafionda in mano ed in groppa a un asino, e lo buttò a terra, facendogli volare il pugnale di mano. Quando Pedro si rialzò, l’energumeno era a terra, trafitto da una freccia. Taishiro era venuta ad aiutarlo.
 

[1] Tutto ciò che viene riportato in questo capitolo, al di fuori dei personaggi di Pedro e Taishiro, è opera e proprietà di Natalie Jane Prior e gli eventi qui descritti prendono libera ispirazione dalla serie di Lily Quench, almeno sino al libro “Lily Quench e il tesoro di Mote Ely”.
[2] La lettera che si appresta a leggere Re Lionel è tradotta nella lingua di Ashby dallo tsagumino, che è una lingua piuttosto difficile e indecifrabile. I nostri due protagonisti riusciranno a comunicare nelle diverse lingue che si troveranno ad affrontare senza alcun problema poiché, a loro insaputa, la strega Kim ha fatto loro un incantesimo di adattamento grazie al quale la loro lingua risulterà comprensibile ai più e loro riusciranno a comprendere le lingue altrui.
[3] Si noti come Pedro sia ancora convinto che qualsiasi azione di stregoneria sia presagio di sventura, proprio a causa dell’educazione impostagli dalla famiglia.
[4] La grande guerra è qui raccontata dal punto di vista dei due amici, che svolgono un ruolo marginale nel conflitto, i cui protagonisti sono invece Lily Quench e la Regina Drago. Il conflitto qui riportato è di pura invenzione e non è raccontato nei libri della Prior.









Note di Saeko:
ed eccoci qui, in tempo in tempo per augurare a chi legge un buon inizio settimana. Siamo finalmente nel pieno della storia del primo mondo, ovvero quello inventato dalla Prior nella serie di Lily Quench; la storia fa parte di una saga per bambini che io lessi quando avevo all'incirca dieci anni e la storia mi colpì moltissimo; quando questo capitolo è stato scritto era uscito solamente il terzo libro (stiamo parlando all'incirca del 2002-2003) e io non ho più continuato l'approfondimento della storia, convintissima che "Lily Quench e il tesoro di Mote Ely" forse il terzo ed ultimo, per cui ho arrangiato un proseguimento che ovviamente non è quello ideato dalla scrittrice originale; i libri sono diventati pressoché introvabili e su internet difficilmente si trova una sinossi anche solo approssimata di come le avventure di Lily Quench siano proseguite; anzi, se qualcuno ne sa qualcosa, mi faccia sapere nelle recensioni.
Vi aspetto e spero di non avervi annoiato sino a qui. Ci si "legge" alla prossima.

Saeko's out!

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Capitolo 8
*** Capitolo 8: Un aiuto inaspettato ***


Capitolo 8:
Un aiuto inaspettato
 
La guerra continuò per altre due settimane e fu estenuante.
Durante quest’arco di tempo, che parve interminabile, l’esercito del re aveva ucciso un uomo importante: un vecchio amico di Coniglio, fautore della guerra e della conquista di Ashby. Coniglio chiese una tregua per le esequie dell’amico e dei suoi soldati, come mosso da un improvviso sentimento di pietà. Evangeline disse che avrebbero concesso un privilegio così grande, ovvero quello di seppellire i caduti, solo ed esclusivamente se quel diritto fosse stato permesso anche a loro. Così fu. Il re e la regina bruciarono i loro soldati in una uggiosa giornata di pioggia e la stessa cosa fece Coniglio.
Pire di cadaveri furono accese e le ceneri si sparsero in ogni luogo, come ai tempi in cui la fabbrica di occhielli mieteva ancora vittime.
Volute di fumo resero il cielo tanto opaco e triste che sembrava di trovarsi in un deserto.
Dopodiché ricominciarono la guerra più ferocemente di prima.
 
Le milizie reali non avevano più scorte, mentre gli avversari sembravano, stranamente, non finire mai; era come se Coniglio fosse riuscito a reclutare ogni singolo asino presente sulla faccia della terra per farlo cavalcare ai suoi guerrieri. Stavano perdendo. Ma ecco che, una sera, mentre la luna piena spuntava al margine del cielo di Ashby, comparve una figura scura e slanciata, sulla sommità della collina di punta, e dietro di questa una massa indescrivibile di draghi.
Tutti erano in allarme, vedendo la strana figura fare un cenno agli animali e discendere giù per la collina, in direzione dell’accampamento reale.
I draghi che si trovavano lì erano creature che solo la Regina Drago conosceva. Quando li vide e li riconobbe, nello sconcerto più generale, volò loro incontro con impeto di gioia e li abbracciò lungamente, uno per uno. Draghi di tempi passati e ormai remoti, che Shinault Fierfosco non avrebbe mai creduto di poter rivedere.
Lily non riusciva a capire chi fosse l’accompagnatore di quelle bellissime creature magiche, che si avvicinava con passo leggero e sicuro.
 
 -Che c’è, non mi riconosci più?- disse quello, quando le arrivò di fronte.
Voce arrogante, eppur di bambino.
Come fare a non riconoscerlo?
 -Gordon!- grido Lily con il cuore che traboccava di sollievo.
 
Era proprio Gordon, il figlio dell’ultimo Conte Nero, morto nel dirupo delle Montagne Nere che portava alla valle della Rovina dei Draghi. Essendo morto il padre, questo faceva di Gordon il nuovo Conte Nero e il re Lionel non riteneva una cosa buona e saggia ritrovarsi davanti quello che doveva essere il nemico giurato di Ashby durante una guerra dissanguante, con un esercito di draghi per di più.
 
 -Cosa sei venuto a fare qui, Conte Nero?- chiese brusco.
 -Sono venuto ad aiutarvi!- disse Gordon, togliendosi il cappuccio che gli copriva il capo e scoprendo i suoi bei capelli biondicci.
 -E perché hai portato un esercito di draghi?-.
 -Proprio per aiutarvi. Loro cacceranno via l’esercito di Coniglio. Dopo sarò io a ucciderlo con le mie stesse mani-.
 -Perché vuoi uccidere Coniglio?-.
 -Perché, quando eravamo a Mote Ely, mi ha soffiato il trono, mi ha deposto buttandomi nell’occhio di pietra. Non contento, mi anche rubato l’idea di invadere Ashby-.
 -Da dove vengono i draghi?-.
 -Vengono dal passato, e li ho cercati a lungo. La Regina Drago di un tempo mi ha accompagnato, dopo lunghe disquisizioni che non sto qui a raccontarvi, dai suoi amici e la maggior parte mi hanno seguito. Abbiamo passato l’occhio di pietra che si trova davanti a Mote Ely, perché non c’era nessuno, eccetto Zia Cassy e i suoi odiosissimi gatti-.
-E chi ci dice che, una volta sconfitto Coniglio, non tenterai di prenderti il trono di Ashby?- chiese Evangeline, ancora un poco restia.
 
Il Conte Nero fissò per un attimo Lily, soffermandosi sul rosso fuoco dei suoi capelli, che sembravano spenti dalla luce grigia del cielo.
E quello non era un grigio compatibile con quello dei suoi occhi, un grigio metallico e profondo, un grigio rassicurante a cui Gordon doveva tutta la sua vita.
 
-Non lo farei mai. Andrei contro la volontà di colei che una volta mi ha salvato-.
 
Re e Regina si fissarono un attimo e poi volsero lo sguardo a Lily, che aveva gli occhi accesi di una nuova luce e fissi su Gordon; le sue guancie piene di lentiggini erano colorite e un leggero sorriso le piegava le labbra.
Dietro di loro i draghi iniziarono a sputare piccole volute di fuoco, impazienti.
 
 -Bene, sei accettato- dissero Lionel ed Evangeline, dopo quell’attimo di silenzio e di riflessione. Sembrava che le loro menti lavorassero insieme, come se fossero state una sola.
-Ma se ci tradirai, ti uccideremo-. E così doveva essere per le loro lingue scattanti.
-Non ve ne pentirete- affermò il Conte, ghignando appena.
 
I draghi cacciarono via l’esercito di Coniglio, come se nulla fosse, come se fino a quel momento non fosse stato infinito e imbattibile, mentre il condottiero nemico combatteva con Gordon. Perse in partenza: Gordon, allenato dal tempo passato al di là dell’occhio di pietra, dopo due fendenti schivati, affondò la spada nel ventre del suo avversario. Così finì il misero pretendente al trono e si concluse quella misera guerra.
 
Ci fu una grande festa in onore dei combattenti morti, di Pedro e Taishiro, del Re e della Regina, dei draghi, di Lily, della Regina Drago e di Gordon, soprattutto. In quei giorni di permanenza, i nostri protagonisti cercarono anche notizie di qualche frutto con poteri taumaturgici, ma non trovarono nulla; il signor Cuorpius, assai esperto di pratiche curative, dopo aver ascoltato il caso del padre di Pedro, diede fondo alla sua biblioteca, pur di trovare la risposta, ma non ci riuscì; nessuna menzione di nessun frutto con poteri curativi miracolosi era presente in nessuno dei suoi libri.
A due mesi di distanza dal loro arrivo, i due amici capirono di aver finito le loro vicende con quel mondo: lo capirono dal fatto che l’Ilv sembrasse fremere al passare di ogni ora. In realtà Pedro e Taishiro non volevano andarsene, non dopo tutto ciò che avevano vissuto e dopo tutti i legami che avevano stretto, ma dovevano portare avanti la missione.
 
 -Dobbiamo trovare una Luce Viola- disse Taishiro, un giorno verso la fine del secondo mese di permanenza.
 -Altrimenti non potremmo andarcene- disse Pedro di rimando.
 -Calmi. Non abbiamo idea di dove possa esserci una luce viola- disse Evangeline, perplessa.
 -E soprattutto, che diamine è questa “luce viola”?- chiese Lily Quench, curiosa e confusa.
 
Dopo aver spiegato le proprie conoscenze e le proprie ragioni, le ricerche si indirizzarono verso la Luce Viola.
Per altri cinque giorni i due amici rimasero ad Ashby, osservando con invidia il nuovo rapporto di complicità instauratosi tra Gordon e Lily.
Il quinto giorno, Evangeline, Lionel, Pedro e Taishiro stavano facendo il punto della situazione: mancavano all’appello i luoghi della Selva Canterina e il confine ovest di Pont-Ashby.
In quel momento entrò nella Sala Grande del castello un contadino, che correva seguito da due guardie che tentavano di fermarlo.
 
 -Le loro maestà mi perdonino per la mia irruenza, ma c’è una luce viola al confine ovest di Pont-Ashby. Pensavo che fossero dei fuochi d’artificio non spenti ma quando mi sono avvicinato, ho visto che la luce squarciava il cielo. Potrebbero essere nemici- affermò nella sua ignoranza il pover’uomo, che li fissava con occhi pieni di spavento.
 -E’ la Luce che stavamo cercando- dissero concitati Pedro e Taishiro. Il contadino lì guardò senza capire.
 -Lily, accompagna i ragazzi alla luce e controlla che li porti dove devono andare- disse Lionel, con prontezza, quando la ragazza si alzò per accompagnare il contadino alla porta, seguita a ruota dalle due guardie, che si guardavano di sottecchi, anche loro incapaci di comprendere.
 -D’accordo- rispose Lily, annuendo.
 
I ragazzi sellarono i loro cavalli e Lily Quench li seguì con la Regina Drago. Una volta arrivati alla luce, Pedro e Taishiro abbracciarono la Spazzafuoco con veemenza e con la promessa di rivedersi presto (promessa che nessuno dei due ragazzi sapeva come avrebbe mantenuto). Dopodiché, dopo aver puntato l’Ilv al centro della Luce, Pedro pronunciò:
 
“un anello per domarli, un anello per trovarli,
un anello per ghermirli e nel buio incatenarli”.
 
Poi gridarono –Fairy Oak!-.
Non ebbero nemmeno il tempo d vedere Lily che faceva il segno di saluto degli Spazzafuoco. Un ultimo baluginio violaceo brillò sulla spada della ragazza, poi più nulla. Davanti a Lily Quench non c’era che terra.
Dall’altra parte i ragazzi avvertirono il solito senso sgradevole del risucchio all’ombelico, che li avrebbe portati in un’altra dimensione.
Ci furono dei fasci di luce di color verde foresta e dei fasci di luce azzurri come il cielo, e dopo il buio.






















Note di Saeko:
ed eccoci qui per questo nuovo capitolo in cui concludiamo le vicende dei nostri amici con il mondo di Lily Quench. Non ho molte cose da dire, se non che il capitolo è basato sul concetto degli occhi di pietra, che nella serie sono dei portali temporali che permettono a chi li attraversa di viaggiare attraverso le diverse epoche e che il tempo trascorso tra l'epoca di partenza e quella dell'occhio di pietra è indipendente dal resto; inoltre ogni occhio di pietra è disposto in luoghi diversi di Ashby e dintorni, perciò un occhio di pietra non può condurre a più epoche, ma ad una solamente.
Detto ciò, spero di aver descritto i particolari della guerra, per quanto breve, in maniera esaustiva. 
Vi ringrazio per essere arrivati sino a qui e vi aspetto, sperando di riuscire a pubblicare, domenica (oltre che nella sezione recensioni).
Un saluto e buon fine settimana.

Saeko's out!
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9: Fairy Oak ***


Capitolo 9:
Fairy Oak[1]
 
I ragazzi e i cavalli si trovarono di fronte un villaggio barricato.
Il cielo era plumbeo, tirava un forte vento autunnale, foglie marroni, arancioni e gialle volavano davanti ai loro occhi, infilandosi tra i loro capelli; le vesti che erano state date loro ad Ashby (che avevano visitato sempre in stagione fredda) erano fortunatamente abbastanza pesanti da proteggerli.
Le grandi porte d’accesso alle mura del villaggio erano totalmente chiuse da lastre lignee, infisse con chiodi di ferro, alcuni di essi arrugginiti. Molte parti delle mura erano invase da erbacce secche e rami di edera. Sembrava ci fosse appena stata una guerra e che quel luogo vivesse barricato da giorni. Taishiro, non sapendo cosa altro fare, bussò al portone, più grande, forse il principale, di legno scuro, possente come un gigante.
 
 -Chi è?- chiese una voce burbera.
 -Siamo due ragazzi venuti da lontano- disse Taishiro, il più vagamente possibile. In realtà, non sapeva neanche lei come rispondere ad una domanda tanto pura e semplice come “Chi è?”.
 -E chi mi dice che non siate il Nemico?- fece ancora l’altro, che, ascoltandolo meglio, sembrava un uomo sui quaranta, forse più, forse un po’ grassoccio.
 -Non lo so- rispose la ragazza, sempre sincera.
 -Allora dimostratemi che siete degni di fiducia e vi lascerò entrare- fece l’uomo dopo un attimo di riflettuto silenzio.
 -Pedro, guarda un po’ nelle tue tasche- disse Taishiro all’amico; se anche quella volta fosse stato in possesso di una lettera spedita da Ryuso, erano probabilmente a cavallo. Pedro obbedì e dentro una tasca, posta sotto la cotta di maglia che aveva ricevuto ad Ashby, trovò una lettera con il nome di un fiore: Lillà dei Sentieri.
Pedro la diede all’amica che urlò, per farsi sentire il più chiaramente possibile:
 -Abbiamo una lettera per una certa Lillà dei Sentieri-.
 
Il portone si aprì un poco e comparve un uomo grande e grosso (come ci si aspettava dal tono di voce), con piccoli occhi scuri e due folti baffoni marroni. Li scrutò con fare sospettoso attraverso la fessura della porta, poi la aprì di più, in modo da permettere il passaggio. Mentre prendeva le redini dei cavalli e li faceva incamminare per il villaggio, si guardava intorno e annusava l’aria, fissando il cielo, come in cerca di pericolo.
 
 -Come vi chiamate?- chiese.
 -Io sono Taishiro Mihira-.
 -E io sono Pedro Lahir-.
 -Io invece sono Duff Burdock, un amico di Lillà dei Sentieri, chiamata anche Tomelilla. Anche i vostri cavalli hanno un nome?-.
 -La cavalla nera si chiama Whailida e il cavallo bianco si chiama Acum-.
 -Che bastone è quello che tenete in mano, signorina?-.
 
Duff Burdock sembrava improvvisamente curioso; eppure, visto che gli occhi continuavano a saettare in continuazione da un ospite all’altra, era chiaro che non fosse tranquillo.
 
 -Si chiama Ilv ed è un bastone magico. È molto importante per i nostri spostamenti- rispose Pedro, al posto di Taishiro.
 
Era ancora indeciso se fidarsi di quella persona o meno e decise che già in quel momento la sua amica aveva detto troppo.
Duff Burdock fece uno strano verso di assenso e scortò i ragazzi.
Pedro pensò alla stranezza delle domande dei vari individui che incontravano e di come accettassero dopo poco le loro informazioni. A lui solo il fatto che un bastone fosse utile a degli spostamenti, senza specificarne la natura, sembrava già qualcosa di straordinario. Possibile che fossero talmente immersi nella magia da capire chi era nemico e chi no?
E lui e Taishiro?
In realtà il nostro amico non sapeva di essere immerso negli avvenimenti magici fino al collo, forse ancora di più della sua amica. E sebbene lui non trovasse qualcosa di accettabile nella magia, presto si sarebbe dovuto ricredere.
Arrivarono ad una casa in via degli Orchi Bassi (così c’era scritto su un cartello all’inizio della strada) e Duff bussò alla porta. Si affacciarono una ragazza dai lunghi capelli color del pane, una ragazza dai corti capelli color cannella e una fatina di luce.
 
 -Ciao, Duff- disse la prima –Chi sono i tuoi amici?-.
 -Ciao, Vaniglia. Non posso dirti chi sono i miei accompagnatori. La prima a saperlo deve essere Tomelilla e loro terranno la bocca chiusa fino ad allora-.
 
Sottolineò l’ultima frase con una certa enfasi, per far capire ai nostri due protagonisti di doversi tappare la bocca.
 
 -Non è giusto- piagnucolò la seconda –Da quando il Nemico ci ha attaccati, non possiamo sapere nulla-.
 -Piantala, Pervinca- disse la fatina, dandole un buffetto sulla guancia, che rimase brillante a causa della polvere di fata. Poi si voltò verso gli ospiti e disse: –Io sono Felì, la cui nome per intero è: Sefeliceiosaròdirvelovorrò-.
 -Felì, perché state così tanto tempo alla porta?- disse una donna dall’interno.
 -Mamma Dalia, puoi chiamare la strega Tomelilla, per piacere?- chiese Duff, entrando finalmente in casa. I due ragazzi rimasero sulla soglia, interdetti.
 -Ma certo- rispose Dalia.
 -Tomelilla non è in casa- disse un uomo –Non ti ricordi che oggi doveva essere dal sindaco?-.
 -È vero, che sbadato. Dovevo andare anche io lì. Grazie per avermelo ricordato, Cicero- disse Duff.
 
La porta si chiuse e il mago (perché di un mago si trattava) scortò i ragazzi fino alla casa del sindaco, verso il centro del villaggio; la cosa strana che i due ragazzi avevano notato, mentre attraversavano le vie, era che non ci fosse nessuno per le strade, per cui quel luogo risultava cupo, tetro, privo di vita. Eppure, visto il calore che li aveva accolti sulla soglia della casa di via degli Orchi Bassi, doveva essere abitato, di certo una volta pieno di frenesia.
 
 -Aspettate qui, vado a chiamare Tomelilla- disse Duff.
 
Entrò e li lasciò soli. Così i ragazzi, dopo uno sguardo sconcertato e stupito per la velocità con cui si erano svolti gli eventi, poterono assaporare la bellezza di Fairy Oak, nonostante il grigiume e il silenzio che li circondava. Le foglie degli alberi avevano tonalità brune e rossastre; l’autunno, come avevano potuto notare quando attendevano fuori dalle mura del villaggio, era già arrivato. Delle nuvole scure si erano addensate sul mare, visibile dal punto in cui si trovavano Pedro e Taishiro, e stavano arrivando. Questi colori tetri contrastavano con i colori sgargianti delle case.
Il portone si aprì e ne uscirono fuori Duff e una strega, probabilmente Tomelilla. Era molto bella, nonostante l’età, denotata dalle finissime rughe che intessevano una piccola ragnatela gentile sotto i suoi occhi; aveva i capelli bianchi ben raccolti, gli le pupille scure come l’ebano e un abito blu notte; portava un piccolo paio di occhiali argentati. Fecero le dovute presentazioni.
 
[1] Quanto descritto in questo capitolo prende libera ispirazione dalla serie di Fairy Oak di Elisabetta Gnone, creatrice anche di W.I.T.C.H. Gli eventi riportati in questo e nei due capitoli successivi comprendono la storia sino al libro “L’incanto del Buio”; il finale de “Il potere della luce” è stato liberamente reinterpretato.








Note di Saeko:
Buonsalve a chiunque sia arrivato a leggere sino a qui (di nuovo, sul rotto della cuffia del lunedì). Sono in pubblicazione proprio per il rotto della cuffia ed eccomi qui con un capitolo introduttivo sul mondo di Fairy Oak. Come si può notare, sto ripercorrendo, tramite questo racconto, storie fantasy che hanno costellato il mio passato di bambina lettrice e quelle che troverete man mano sono quelle alle quali sono sempre stata molto affezionata.
Inoltre, un piccolo appunto sulla struttra della storia: da qui in avanti potrete notare come la permanenza di Taishiro e Pedro sarà caratterizzata dal racconto diviso in tre capitoli per mondo magico: per cui ci saranno tre capitoli per Fairy Oak, tre capitoli per Harry Potter, per Eragon etc. (ovviamente non in quest'ordine).
Quando i nostri amici avranno terminato la loro missione, vi saranno dei capitoli conclusivi (probabilmente cinque, come i primi cinque capitoli che hanno caratterizzato la storia prima del loro arrivo ad Ashby).
Qualsiasi altra domanda o critica è ben accetta nella sezione recensioni.
Vi aspetto e buonanotte.

Saeko's out!

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Capitolo 10
*** Capitolo 10: Lillà dei Sentieri e il Nemico ***


Capitolo 10:
Lillà dei Sentieri e il Nemico
 
 -Salve, ragazzi, ben trovati. Io sono Lillà dei Sentieri, strega della luce, zia di Vaniglia e Pervinca Periwinkle- fece la donna, offrendo loro la mano. I due ragazzi si guardarono per un attimo, avvertendo la voce leggermente distorta (per effetto della magia operata dalla vecchia Kim, grazie alla quale erano in grado di comprendere la lingua della strega e lei era in grado di comprendere la loro).
 
 -Io sono Taishiro Mihira, figlia di Coira e Baluard Mihira-.
 -Io sono Pedro Lahir, figlio di Gerard e Chihiro Lahir. Siamo qui per…-.
 -Zitto. È scritto nella lettera- gli sussurrò Taishiro, tirandolo per una manica.
 -Avete dei nomi singolari- continuò Tomelilla, facendo quasi finta di nulla in merito alla strattonata della ragazza nei confronti del ragazzo, che pure era stata abbastanza evidente.
Non quanto quelli che ci sono qui” pensò la ragazza, con una punta di malizia.
 -Per non parlare degli abiti- aggiunse la strega, guardandoli dall’alto in basso. I due erano appunto rimasti in tenuta da guerra, anche quando la guerra a Pont-Ashby era ormai conclusa.
 –Comunque non ho ancora letto la tua lettera, e la leggerò in casa mia-.
 
Perché? Siamo arrivati fino a qui, cosa diamine ci voleva a leggerla qui?” pensò Pedro, che sempre di meno comprendeva il modo di fare dei maghi e delle streghe.
Così si avviarono verso casa Periwinkle, e passarono davanti ad una quercia, bella, grande, rigogliosa, ma soprattutto parlante. L’albero disse infatti:
 
 -Tooooooomelillaaaaaaaaaaaaaaa, chiiiiiiiiii soooonoooooooo iiii tuoooooi accompaaaaaaaaagnatooooooooooori?-.
 -Sono due persone venute da lontano, ma non ti posso dire chi essi siano-.
 -Peeeeeeerchè?-.
 -Perché è un segreto-.
 -Cheeeeeee Peccaaaaaaaato. Mi sareeeeeebbe tantoooooooo piaciuuuuuuuuto sapeeeeeerlooooo-.
 -Per fare un pettegolezzo?-.
 -Non un peeeeettegoooooolezzoooo, maaaa un sussurreeezzooooo-.
 -Un sussurrezzo è peggio di un pettegolezzo, Quercia, perché è sussurrato-.
 -Vaaaaaaa beeeeeeeene. Nooooon ditemi nieeeente se è un segreeeeeeto-.
 
Si allontanarono da Quercia[1] (che aveva invece lasciato i due ragazzi con un palmo di naso) e arrivarono a casa. Entrarono e Tomelilla chiamò Felì, la fatina. Esse scortarono i ragazzi i quella che loro chiamarono la “stanza degli incantesimi”. Attraversarono un corridoio lungo e molto buio. Felì era l’unica fonte di luce, in tutta quell’oscurità, così oscura da incutere timore; quella piccola luce illuminava il volto di Tomelilla, sorridente per lo stupore che quella piccola magia creava in chiunque si addentrasse nel corridoio. La strega contò ad alta voce venti passi e sbucarono in corridoio scavato nella roccia, con torce appese sulle pareti ad illuminarlo. Giunsero ad un porticina e ne varcarono la soglia. Davanti a loro c’erano dei banchi di scuola dove (come avrebbero scoperto presto i protagonisti) le nipoti di Tomelilla studiavano. La loro ospite si sedette sulla cattedra in fondo all’aula e lesse la lettera. Faceva all’incirca così:
 
Cara Lillà dei Sentieri,
con questa mia ti informo dei fatti che stanno accadendo: io sono Ryuso, della Terra di Tsagumi e i ragazzi che ti son venuti in contro sono Taishiro e Pedro e hanno una loro missione, più che pacifica, che consiste nel salvare la nostra terra da una malattia indicibile. Ti prego di trattarli bene e di non farli combattere perché sono appena usciti da una guerra sanguinosa e pericolosa, tanto quanto lo è la vostra in questo momento. Quando ti sarà possibile, ti prego di aiutarli a cercare un leggendario frutto di melograno con poteri curativi. In caso non doveste trovarlo (cosa molto probabile, come tu sai) ti prego di portarli ad una Luce Viola che apparirà al centro del vostro mare. Ti ringrazio se li hai presi con te e ti maledico se li hai imprigionati.
Saluti sinceri,
 
                                                                                             Ryuso
                                                   Stregone capo del villaggio di Tabauni, nella Terra di Tsagumi
 
Dopo aver letto la lettera, Tomelilla informò i ragazzi del suo contenuto e promise loro di non farli combattere.
 
 -Ma ci aiuterete comunque- disse –Dovrete assistere la mia fatina Felì ad accudire le mie nipoti, perché ho un cattivo sospetto-. A questo punto, la bella strega della luce li guardò interrogativamente.
 -Posso fidarmi di voi?- chiese con le pupille degli occhi che tremavano.
 -Ma certo, Tomelilla-.
 -Bene. Dovete sapere che prima che voi arrivaste stavamo e stiamo ancora combattendo una guerra contro Il Nemico. È un mago del buio, che diventò molto potente secoli e secoli fa, e che, dall’acquisizione della sua potenza, ha manifestato i suoi oscuri poteri ogni 21 giugno, e ciò avviene dall’alba dei tempi ogni duemila anni. Ma, mentre precedentemente si manifestava per poco tempo, andandosene quasi subito, portando solo piogge torrenziali e tempeste, distruggendo qualche albero indifeso, l’anno scorso è comparso di nuovo e da allora non se ne è più andato. Ci sta assediando da tanto tempo. Insomma questa guerra sembrava, fino all’altro ieri, non finire mai. Ma d’un tratto gli emissari del Nemico se ne sono andati e tutti siamo stati molto sollevati di questa evoluzione del conflitto; tutti tranne me: sono stata l’unica ad essermi accorta che mancava la mia Pervinca, la ragazzina con i capelli corti che sicuramente avrete visto entrando in casa. O almeno credevo di essere l’unica. Anche Grisam, il suo fidanzatino, e Vaniglia, la sorella, se ne sono accorti. Ma la sera della fine apparente del conflitto, la mia nipotina è tornata a casa; tutti l’hanno accolta con calore e sua sorella l’ha abbracciata con trasporto. Ma nei suoi occhi ho scorto il lume nero del Nemico. Ho comunicato i miei sospetti a Felì. Lei non ci ha voluto credere, ma ha tenuto per sé i miei timori, anche se continua a guardare Pervinca come se vedesse in lei la luce cattiva che continuo a vedere io. Per questo vi chiedo di aiutarmi, guardando le mie bambine e controllando che non escano dal villaggio. È l’unica cosa che vi chiedo, mentre portate avanti la vostra missione- concluse sospirando Tomelilla, tirandosi su gli occhialini, appena calati sul naso.
 -Non preoccupatevi, Tomelilla, terremo d’occhio Vaniglia e Pervinca senza che loro se ne accorgano- dissero all’unisono Pedro e Taishiro.
 
Peccato che così facendo, non troveremo il frutto per mio padre” pensò Pedro, abbattuto, visto che certamente badare a due ragazzine non avrebbe permesso loro di spostarsi molto, soprattutto mentre imperversava una guerra. Taishiro si accorse dello stato d’animo dell’amico, ma non disse nulla, perché anche lei aveva capito: non avrebbero portato avanti la loro missione, lì. Almeno, non in quel preciso istante. Lo schema già verificatosi ad Ashby stava avendo luogo anche a Fairy Oak.
Uscirono dalla stanza degli incantesimi e presero confidenza con Felì. La fatina disse loro che sarebbero rimasti in casa Periwinkle parecchio tempo, o almeno finché la guerra non sarebbe finita. Poi disse loro che sarebbero andati dalle bambine, per poterle tener d’occhio più da vicino.
 
 -Da quando son cresciute, mi è diventato difficile farmi dire anche il più piccolo segreto- si lamentò la piccola creatura magica.
 
Quando entrarono nella camera di Vaniglia e Pervinca, quest’ultima chiese:
 
 -Che vi ha detto la zia?-.
 -Non possiamo dirvelo, Vì, è segreto- intervenne subito Felì.
 
I due ragazzi non capirono bene perché la creatura magica l’avesse chiamata “Vì”: nella Terra di Tsagumi non esistono i diminutivi o i nomignoli, visto che si usa pronunciare il nome per intero. Già il fatto che Felì non fosse il vero nome della fatina o che Tomelilla fosse un soprannome di Lillà dei Sentieri creava in loro un forte disagio. Taishiro era prossima a dare voce a questi pensieri incongruenti, quando l’amico le sfiorò leggermente il braccio e parlò al suo posto.
 
 -Comunque non ci siamo ancora presentati- disse il ragazzo, porgendo la mano in direzione delle ragazzine –Io sono Pedro-.
 -E io sono Taishiro. Conosciamo gia i vostri nomi- disse la ragazza, sulla scia dell’amico, anticipando Vaniglia, pronta a presentarsi.
 -Bene, a che vogliamo giocare?- disse Pervinca, mettendosi a sedere su uno dei due letti e fissandoli con i suoi occhi vispi.
 -Pervinca, lo sai che dobbiamo fare i compiti- ribatté la sorella.
 -Ma a me non va-.
 -Non fa niente, perché neanche a me va, ma li dobbiamo fare per forza-.
 
Pervinca tentò quindi di prendere per i capelli la sorella, che però la schivò poco prima che la mano potesse raggiungerla. Quindi Vaniglia mandò in incantesimo alla gemella, che fu sobbalzata dall’altra parte del suo lettino. Una piccola luce illuminò la stanza, mentre un raggio buio rispondeva con forza eguale.
Mentre le ragazze combattevano Pedro, alquanto sbalordito, chiese:
 
 -Ma perché non le fermiamo?-.
 -Perché stanno facendo i compiti di magia. La consegna era: combattete contro una strega del buio se siete una strega della luce e contro una strega della luce se siete una strega del buio. Nel caso di Vì e Babù, essendo una strega del buio la prima e una strega della luce la seconda, tale consegna cade proprio a pennello; di questi tempi poi, è necessario saper combattere in ogni maniera possibile- disse Felì, aggravando leggermente il suo tono.
 -Chi è Babù?- chiese Taishiro, guardandosi attorno.
 -Oh, questa è una storia molto buffa- sghignazzò la fatina, fremendo tutta -Quando nacquero, la prima fu Pervinca, che nacque di notte. Poi venne Vaniglia, che nacque alla luce del giorno. La cosa buffa è che appena vide la sorella, Pervinca gridò << BABU’ >>. Non credo che fosse stato un complimento, ma da quel giorno Vaniglia viene soprannominata Babù[2]-.
 
I due amici si fissarono ancora increduli, tentando di dire qualcosa; questa cosa dei soprannomi li confondeva davvero. Ma non riuscirono a dare voce alle loro perplessità, poiché Felì volò verso l’armadio delle bambine e con un gesto della sua manina l’aprì. Tirò fuori un vestitino azzurro e viola, con tanti ricamini in tulle verdi, e lo consegnò a Taishiro. Con la sua magia lo fece diventare di due taglie più grande. Poi prese un completo con i calzoni e lo diede a Pedro. Da rosa lo fece diventare color mogano, con delle decorazioni in cuoio, e lo ingrandì.
Chiese loro di indossare le nuove vesti ed esclamò:
 
-Va bene che il nostro non è un periodo felice, ma qui non si combatte certo solo con la spada!-.
 
Disse loro che le cotte di maglia che i ragazzi indossavano sarebbero state fuse e usate dai paesani per fabbricare gli arnesi più disparati e le spade e l’arco e frecce sarebbero stati riutilizzati da coloro che non erano maghi e streghe, così da poter  affrontare il Nemico in maniera più adeguata.
 
[1] La Quercia in questione è l’elemento che ha dato il nome al villaggio di Fairy Oak (notizia tratta da “Il segreto delle gemelle” di Elisabetta Gnone).
[2] La storia così raccontata è contenuta nel capitolo 1 de “Il segreto delle gemelle” di Elisabetta Gnone.







Note di Saeko:
Ed eccoci di nuovo qui, non so se questo capitolo possa risultare stimolante o meno. Non sto passando un bel momento, né a casa né a lavoro, per cui ho usato la revisione di questo capitolo come valvola di sfogo di un periodo nero. 
Accetto critiche, se avete qualche curiosità vi aspetto nella sezione recensioni; per questa sera non mi sento di aggiungere altro.
Se tutto va bene, ci vedremo domenica (se mai ci sia davvero qualcuno a leggermi).
Grazie per essere arrivati sino a qui.

Saeko's out!

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Capitolo 11
*** Capitolo 11: Guerra! e un inganno scoperto ***


Capitolo 11:
Guerra! e un inganno scoperto
 
Il tempo a Fairy Oak diventava sempre più cupo e tempestoso e non passava un giorno in cui non piovesse almeno un’ora; c’era una gran frenesia in tutta la cittadinanza, che preparava armi e provviste per l’imminente arrivo del nemico. Mentre Tomelilla, Duff ed altri maghi del villaggio preparavano le loro case e le loro famiglie alla battaglia, Pedro e Taishiro tenevano d’occhio le ragazzine insieme a Felì, giocando con loro, vedendole studiare e preparare incantesimi sempre più complessi per ragazze della loro età, assistendo mamma Dalia nella cura della casa e papà Cicero nella preparazione degli attrezzi per la protezione della stessa; però, per la maggior parte del tempo, rimanevano chiusi in casa, a far tutto fuorché tutto, dunque non facevano niente; vista la poca calma che regnava nel villaggio e la pericolosità della situazione, non era nemmeno possibile andare alla ricerca del frutto magico per guarire dalla Grande Malattia. Vaniglia comunque non sembrava aver tanta voglia di uscire, almeno da quello che si evinceva dal suo volto perennemente cupo, cosa insolita per una strega della luce. Taishiro, dopo averla presa in disparte, le chiese:
 
 -Perché non vuoi uscire?-.
 -Io vorrei uscire, ma non con Vì-.
 -Perché?-.
 -Perché l’ultima volta che siamo uscite, lei si è allontanata verso il mare senza dirmi nulla. La stessa cosa è successa il giorno dopo, ma io l’ho seguita. Siamo arrivate nella grotta vicino alla spiaggia, proprio accanto allo strapiombo oltre il porto, e lei si è immersa nel buio. Io non volevo, però mi sono avvicinata un pochino ed  ho sentito tutto. Una voce roca stava dicendo: ‘Ora che ti sei unita a me posso distruggere il tuo villaggio e prenderlo sotto la mia ombra’, ma mia sorella ha risposto: ‘Non puoi. Mi sono unita a te proprio perché tu lasciassi stare il mio villaggio’ ‘Povera illusa. Il mio emissario lo ha detto solo per raggiungere lo scopo’. C’è stata una grande risata e io sono scappata, in lacrime. Quando è tornata, Vì aveva il viso scuro e quando mi ha guardata in faccia, ho visto un barlume nero nei suoi occhi-.
 -Allora Tomelilla aveva ragione. Pervinca si è davvero unita al Nemico- disse Pedro, che, avvicinatosi all’amica che aveva preso in disparte la piccola strega, aveva sentito tutto.
 -La zia già sospettava?!- fece la piccola, spalancando gli occhi e cominciando a giocherellare nervosa con i suoi lunghi capelli.
 -Sì, e ci ha dato il compito di controllarvi. Devi dire subito tutto a Tomelilla-.
 
Dopo un po’ di recalcitranza, Vaniglia accettò di rivelare tutto alla zia, nella speranza che potesse giovare alla sua sorellina.
Quando Tomelilla seppe di questo fatto, chiamò Pervinca alla cattedra della stanza degli incantesimi e parlò con lei a lungo. Pedro, Taishiro, Vaniglia e Felì aspettavano con impazienza fuori dalla stanza degli incantesimi, senza che però le due streghe ne venissero fuori; decisero quindi di uscire dal corridoio incantato e di aspettare in salotto, dove mangiarono i dolci del negozio “Le Delicatezze” che mamma Dalia aveva comprato per loro, ingozzandosi sino all’inverosimile per il nervosismo, e Cicero invece cercò di farli sorridere con un’imitazione di Duff, ma niente riusciva a distoglierli dall’ansia. In fondo anche i signori Periwinkle erano in ansia per la loro figlia, così si misero insieme a loro e aspettarono.                         
Dopo un pomeriggio che parve un’eternità, Tomelilla uscì dalla stanza degli incantesimi insieme a Pervinca e disse:
 
 -Insieme abbiamo trovato un modo per disfarci del Nemico. Pervinca mi ha detto che per il suo padrone la luce pura è come veleno, perché illuminerebbe un corpo che non ha e dunque scoprirebbe il segreto dei suoi poteri; inoltre, la fase finale della guerra avrà inizio esattamente stanotte. Mentre noi combatteremo, Pedro, Taishiro e le gemelle andranno nella grotta del nemico e Vaniglia e Pervinca uniranno i loro poteri per sconfiggere il Nemico. I ragazzi stranieri combatteranno e proteggeranno le bambine. Ora spiegherò tutto a Duff e al villaggio. Sarà meglio andare a prendere Shirley Poppy. Lei l’unica in grado di manifestare l’Unico Potere-.
 
Uscirono tutta dalla casa in via degli Orchi Bassi, avviandosi in direzioni diverse; i due amici e le due gemelle si avviarono assieme a Felì fuori da Fairy Oak, in direzione di una casa di campagna poco lontana da lì, ovvero la casa dei signori Poppy.
La figlia, Shirley, era una graziosa ragazzina, molto amica di Vaniglia, con gli occhi neri e una nuvola di capelli rossi e mossi. Aveva il viso paffuto e costellato di lentiggini. Era sempre accompagnata da un topo di nome Mr Berry, che mostrava la lingua blu a tutti, e un cane di nome Barolo. Ma quella volta, Shirley dovette lasciare i suoi amati animali a casa, perché quell’avvenura era troppo pericolosa per portarli con sé.
Dopo che tutto fu pronto per lo scontro, i ragazzi si avviarono verso la grotta e, per non essere visti, Vaniglia trasformò[1] gli altri e se stessa in animali. Lei diventò una farfalla, Pervinca una cicala, Pedro una mosca, Taishiro una libellula e Shirley un topolino bianco. L’Ilv, che i due amici avevano preferito non lasciare a casa Periwinkle, fu trasformato in un filo d’erba. Dopo esser arrivati all’entrata della grotta, Pervinca ritrasformò tutti in umani; i due amici rimasero spiacevolmente sorpresi da questa trasformazione, avvenuta così velocemente che le loro menti non ebbero il tempo di registrare il fatto che, per un attimo, fossero stati dei piccoli insetti.
Si addentrarono dentro l’antro naturale, mentre il mare ne lambiva la soglia; un forte odore di salsedine invase le loro narici e il suono delle onde rimbombava sulle pareti della caverna; un silenzio innaturale pervadeva quel luogo, mentre il buio sembrava quasi respirare.
Le tre ragazzine di Fairy Oak si portarono avanti, mentre Taishiro e Pedro rimanevano dietro di loro, non ben certi su cosa fare; avevano continuato a chiedersi come avrebbero fatto ad aiutarle e proteggerle, come Tomelilla aveva chiesto loro, se nessuno dei due possedeva poteri magici.
Le due streghe gemelle si alzarono in volo, seguite a ruota da Shirley; fu Vaniglia la prima a farsi avanti, evocando la potenza dei frangiflutti esterni alla grotta e mescolandoli alle radici che discendevano dal soffitto dell’antro, facendo crescere a dismisura entrambe le forze; Pervinca, tramite un fascio di energia che proveniva dalle sue mani, distruggeva ogni singola pietra che cadeva verso di loro, ogni singola foglia che volava nella spelonca e ogni singola goccia d’acqua evocata dalla sorella, trasformando tutto in piccoli aghi appuntiti, pronti a ferire. Shirley convogliava quelle due forze così contrapposte, facendo in modo che si sostenessero a vicenda; Pedro e Taishiro rimasero così frastornati da quell’incredibile spettacolo che si strinsero all’Ilv, sostenendosi con esso, incapaci di fare granché se non ammirare quanto avveniva davanti ai loro occhi.
Vaniglia fu tuttavia scaraventata via da una potenza immane. Sotto di loro c’era altra acqua, che attenuò la caduta della ragazzina. Quando Vaniglia venne scaraventata in acqua, la sorella gridò: -Babù!-.
 
 -Pedro, Taishiro- chiamò dunque con grande concitazione –Andate ad aiutare mia sorella, al Nemico ci penserò io!-.
Nella sua voce c’era solo una grande rabbia.
 -Ma non ce la farai-.
 -Invece sì! Questo è un conto in sospeso tra me e lui!-.
 
I ragazzi l’ascoltarono e andarono a recuperare Vaniglia, che annaspava nell’acqua; Shirley era già lì e stava tentando, con pochi risultati, di tirarla fuori.
La ragazzina era svenuta per l’impatto con la superficie fredda del liquido acquoso e la forza oscura del Nemico impediva di tirare fuori dall’acqua la piccola eroina.
Quella di Pervinca fu una battaglia tremenda ed estenuante, fatta di lampi e tuoni distruttivi, di flussi di energia inviati e rinviati al mittente e chi più ne ha più ne metta. Il Nemico era fortissimo, ma proprio quando Pervinca credeva di essere perduta, Vaniglia riprese i sensi e, compresa la situazione in cui imperversava la sorella, si alzò in volo, riuscendo a liberarsi da sola dalla morsa letale dell’acqua, e prese la sorella per mano; insieme, iniziarono a volteggiare davanti la massa oscura del Nemico, formando tanti cerchi concentrici. Uno dei tanti cerchi venne scelto diventò una circonferenza di luce. In quel momento anche Shirley si alzò in volo e si andò a mettere al centro di quel cerchio, come nel disegno che Vaniglia aveva fatto molto tempo prima su un vecchio foglio di carta, molto prima che Pedro e Taishiro giungessero a Fairy Oak. E così tutto divenne luce e con un solo grido il Nemico scomparve. Nessuno vide mai il suo corpo o conobbe mai il segreto del suo potere; semplicemente svanì, portando via con sé l’oscurità e l’odore di tempesta; tutto ciò accadde in maniera così repentina che quando la luce del sole inondò la grotta, i ragazzi al suo interno ne rimasero accecati.
Le ragazzine scesero in volo sulla sabbia, sciolte in lacrime di gioia per avercela fatta; i nostri due protagonisti non poterono far altro che congratularsi con loro. Inoltre, quando tornarono al villaggio, videro che non c’era stato alcuno scontro. Gli emissari del Nemico si erano autodistrutti dopo che il loro padrone era stato sconfitto. Le due sorelle e Shirley ebbero di che raccontare della loro avventura per settimane.
 
 -Tomelilla, siamo stati benissimo con voi e siamo stati lieti di avervi aiutati, ma ora dobbiamo andarcene- disse un giorno Taishiro, a tavola, mentre pranzavano; con loro e con la famiglia Periwinkle c’era anche Duff.
 -Tanto più che il frutto di guarigione non è stato trovato- aggiunse Pedro.
 
Era quasi passato un mese dalla sconfitta del Nemico, ormai era inverno pieno e la neve aveva già imbiancato il villaggio una volta; le ricerche del frutto leggendario non erano andate a buon termine.
 
 -E come ve ne andrete?- chiese Duff, che al contrario di Tomelilla non aveva avuto occasione di leggere la lettera inviata a Fairy Oak da Ryuso.
 -Attraverso una Luce Viola- rispose Pedro.
 
Sembrava una cosa talmente ovvia che nemmeno lui pensò a quanto la risposta potesse risultare strana a chi la ascoltava.
E così i due dovettero raccontare la storia della Luce Viola, per meglio permettere di comprenderne l’utilizzo e l’importanza a coloro che gli stavano attorno.
 
 -Sono sette giorni che facciamo setacciare il mare ma la vostra luce non è ancora comparsa- disse Lillà dei Sentieri, dopo una settimana, appunto.
 
Rimasero a Fairy Oak per altri cinque giorni, anche provando a cercare nuovamente un qualche frutto con poteri curativi, alternativo a quello leggendario, ma senza risultati; poi, un giorno, Grisam, il fidanzato di Pervinca e amico di famiglia, corse verso la casa dei Periwinkle. Bussò alla porta, ma capì che non c’era nessuno, perché nessuno rispose. Chiese ai vicini dov’erano ed essi risposero che si trovavano al faro di Aberdur.
Quando arrivò comunicò, tutto concitato:
 
 -Tomelilla, ho trovato la Luce Viola che mi avevate detto di cercare!-.
 
Aveva il fiatone e i capelli biondi  arruffati dalla corsa, mentre i suoi occhi verdi viaggiavano alla ricerca di quelli di Pervinca.
 
 -Benissimo. Pedro e Taishiro, potete tornare a casa- disse Tomelilla, con semplicità.
 -Ahimè. Purtroppo non torneremo a casa- disse Pedro.
 -Mi dispiace- disse Vaniglia, avvicinandosi ai suoi due amici stranieri e abbracciandoli con sincerità e comprensione.
 -Allora che il vostro viaggio si concluda bene e la mia benedizione vi accompagni- affermò l’anziana strega, con fervore.
 
Pedro le sorrise, pensando che non tutti i maghi e tutte le streghe dovevano essere necessariamente strani ed enigmatici come quell’antipatico di Ryuso.
Dopo i dovuti saluti e pianti delle due gemelle, che in realtà non volevano che i due ragazzi partissero, Grisam li accompagnò insieme ai loro cavalli (che sino a quel momento erano stati custoditi dal mastro ferraio del villaggio) fino al porto, dove presero una barca e si spostarono in mare aperto; gli animali non sembravano essere molto tranquilli all’interno dell’imbarcazione e sbuffavano senza ritegno. In un punto non definito del mare, comunque, c’era la Luce Viola che il ragazzo aveva avvistato e Grisam stette a guardare con curiosità i due amici che si preparavano.
I ragazzi puntarono l’Ilv al centro della luce (stranamente non affondò, visto che la luce poggiava la sua estremità inferiore sulla superficie dell’acqua) e Taishiro disse:
 
“un anello per domarli, un anello per trovarli,
un anello per ghermirli e nel buio incatenarli”.
 
Poi urlarono: -Venezia!-, anche qui insicuri se la loro pronuncia fosse quella giusta.
La luce risucchiò Pedro, Taishiro, Acum e Whailida, lasciando Grisam solo in mezzo al mare. Ci fu prima un fascio di luce violaceo, seguito uno color arancio, uno verde e uno blu, mentre la sgradevole sensazione di risucchio all’ombelico li attanagliava senza ritegno. Quando il lampo blu comparve, si trovarono alle porte di quella che doveva essere una città, situata all’interno di una laguna.
 
[1] Le streghe della luce possono solamente creare e trasformare, non possono distruggere o disfare un incantesimo da loro creato, cosa che invece possono fare le streghe del buio; per questo in questa storia, è Vaniglia a trasformare tutti in animali e Pervinca a riportarli alla loro forma umana.









Note di Saeko:
Sono riuscita anche stasera a pubblicare, non sembra quasi vero. Con questo capitolo si conclude la piccola parentesi dei nostri due amici a Fairy Oak; ho cercato di dare una conclusione quanto più simile e coerente con quanto avviene ne "Il potere della luce" di Elisabetta Gnone (come sempre, tengo a sottolineare che quanto non concerne Pedro e Taishiro non mi appartiere, ma è invece opera di Elisabetta Gnone), adattandolo alla presenza dei miei due protagonisti all'interno della storia.
So che il capitolo può sembrare molto veloce, ma dovevo fare in modo di concludere la vicenda entro questo capitolo, rendendo le descrizioni il più fluide poossibile; spero che comunque sia risultato piacevole alla lettura.
Per stasera stacco qui e vi avverto che la prossima settimana pubblicherò o solo di sabato o solo di domenica, a causa di un impegno familiare.
Buona notte a tutti!

Saeko's out!

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Capitolo 12
*** Capitolo 12: Venezia ***


Capitolo 12:
Venezia
 
La città davanti ai nostri due amici era invasa dall’acqua, letteralmente. Le abitazioni erano strane, alte, a più piani, come i ragazzi non le avevano mai viste, alcune erano a vetri, altre erano in muratura, costruite sopra a degli “isolotti” (Pedro e Taishiro non avrebbero saputo come altro chiamarli), collegati tra loro con ponti e ponticelli. Gli edifici erano grandi, con elaborate guglie e negozi chiusi all’interno di essi da vetri. In ogni edificio c’erano tante finestrelle con balconcini minuscoli, chiuse da persiane color verde bottiglia. Su alcuni davanzali, privi di balconcino, erano appesi grossi vasi rettangolari pieni di fiori colorati. Cose che i due amici non avevano mai visto nella loro vita e di cui non sospettavano nemmeno l’esistenza; probabilmente nemmeno immaginavano che dietro ogni finestra si nascondesse in realtà una casa intera; ogni isolotto era separato da canali, in cui passavano barche dalle forme assai strane, con un omino che le spostava tramite un bastone: avrebbero scoperto più tardi che il nome di quelle imbarcazioni era “gondole”; altre barche, che noi avremmo visto come semplici battelli a motore, per loro risultavano essere mossi da qualche stregoneria. La città era frenetica, piena di persone, che quasi non sembravano far caso ai due ragazzi al seguito di due cavalli comparsi nel mezzo del nulla vicino alla stazione del treno. Il cielo era vagamente plumbeo e la temperatura fredda, il sole velato da qualche nuvola, così come era stato a Fairy Oak al loro arrivo. Pedro e Taishiro, stringendosi come potevano nei leggeri vestiti che avevano ricevuto a Fairy Oak (nonostante fosse inverno pieno quando i due protagonisti avevano lasciato il villaggio della Quercia Incantata, il freddo non era pungente e umido come lo era in quella laguna, per cui i vestiti che indossavano, perfetti per resistere al freddo mite del villaggio, non erano adatti a proteggerli in maniera adeguata dall’arrabbiato gelo di Venezia), montarono sui loro rispettivi cavalli, storditi quanto i loro padroni dalla stranezza del luogo, e cominciarono ad addentrarsi per i vicoli della città di Venezia. Ma non sapevano dove andare, in verità. Si ritrovarono per due o tre volte in vicolo cieco; alla quarta volta la ragazza si inalberò.
 
 -Pedro, perché non controlli se c’è una lettera nella tua tasca?- chiese dunque Taishiro, cominciando a giocherellare con le decorazioni del suo abito.
 -Può darsi. Ora guardo- disse lui, ancora tutto preso dalla complessità dei palazzi che li circondavano.
 
Frugò nella tasca dei suoi pantaloni e ne uscì fuori una busta di carta verde brillante, con una scritta rossa e blu. Era leggerissima. L’indirizzo era scritto a caratteri cubitali sul retro della busta:
 
NINA DE NOBILI
VILLA ESPASIA
VENEZIA
 
Si guardarono interrogativi e, dopo un’alzatina di spalle, si incamminarono. Quando una guardia giurata, in divisa blu con degli schinieri dorati ai piedi, passò davanti a loro, chiesero dove si trovasse villa Espasia.
 
 -Girate per due volte a sinistra e poi a destra, dopodiché andate diritti. C’è la fermata di un traghetto. Prendetelo, in due minuti sarete arrivati alla Giudecca. Non potete sbagliare perché, da quella fermata, la linea è una sola. Una volta arrivati,  prendete la prima a sinistra. All’ultima svoltate a destra. Vi troverete davanti a Villa Espasia- rispose quello, guardandoli in modo strano.
 
In quella città non si usavano cavalli da molto tempo, perché quei ragazzi vagavano alla cieca sopra a quegli splendidi animali? E soprattutto i vestiti erano molto, anzi troppo leggeri, soprattutto per il mese di novembre, che quell’anno si presentava assai rigido nella loro regione; ci si sarebbe aspettati che circolassero almeno con un cappotto e un ombrello. Eppure l’uomo non fece domande; d’altronde avevano chiesto dove si trovasse Villa Espasia e quel luogo non era altro che un ricettacolo di strani avvenimenti, che nessuno nella Giudecca sapeva spiegarsi.
Quindi perché chiedersi che qualcuno di altrettanto strano cercasse quel luogo così pieno di mistero?
I ragazzi seguirono quanto era stato detto loro alla lettera, senza stranamente sbagliare una virgola delle indicazioni particolareggiate che aveva dato la guardia, quasi stupiti che nessuno li avesse portati a destinazione tramite la magia; si stupirono ancora di più quando le persone si fecero largo per far salire due cavalli sul battello senza batter ciglio.
Arrivando a destinazione, si trovarono davanti ad una villa meravigliosa e grandissima: le mura erano bianche e finestre cinquecentesche decoravano alte e imponenti le facciate; il tetto era di un rosso pastello, piuttosto particolare. Suonarono il campanello e il cancello si aprì. Alla porta apparve una signora dai lineamenti strani, molto diversi da quelli della guardia; noi, di qui, l’avremmo definita “russa” ma che diamine potevano saperne loro che l’etnia di appartenenza era diversa da quella della guardia? E soprattutto, che sulla nostra Terra esistono ben cinque continenti e che la Russia ne occupa ben due? Ma lasciamo stare e andiamo avanti con la descrizione. La signora era un po’ in carne, gli occhi erano piccoli e cerulei e i capelli erano mossi, corti e color miele.
 
 -Desiderate?- disse, con un accento molto marcato.
 -Vorremmo vedere la signorina Nina- dissero i due, senza alcun preambolo.










Note di Saeko:
Un breve capitolo per un breve saluto. Questa settimana sono stata molto impegnata e oggi in particolare ho avuto un piacevole incontro di famiglia con un cugino a me caro, per cui non avevo molto tempo per approfondire di più.
Questo capitolo è da considerare come introduttivo alle avventure che i nostri amici vivranno insieme a Nina De Nobili, protagonista della serie di romanzi "La Bambina della Sesta Luna", una storia che da bambina ho adorato e ho letto e riletto più volte (la serie di cui parlo è di proprietà di Moony Witcher, vi invito caldamente a leggerla); inoltre sono stata a Venezia diverse volte ed è una città che amo, per cui sono molto affezionata a questi capitoli (vista anche la grave situazione che sta passando la città in questo momento).
Avrete notato una certa continuità del tempo metereologico ai passaggi da un mondo all'altro; tutto ciò serve a rendere la continuità temporale anche con il momento in cui i ragazzi sono partiti da Tabauni. Il tempo scorre certamente in maniera diversa tra un mondo e l'altro ma spesso il tempo metereologico viene influenzato da quello di un altro mondo e viceversa.
Nonostante la brevità, spero abbiate apprezzato questo capitolo.
Buona domenica e a presto.

Saeko's out!

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Capitolo 13
*** Capitolo 13: Nina e i suoi amici ***


Capitolo 13:
Nina e i suoi amici[1]
 
 -Meringa, chi è alla porta?- disse una voce femminile e cristallina da dietro le spalle della signora vestita da cameriera.
 -Ci sono due ragazzi che ti vogliono vedere- rispose l’altra, sempre con l’accento straniero particolarmente marcato.
Quando alla porta si affacciò Nina, una ragazza dai lunghi capelli castani e gli occhi blu come l’oceano, chiese:
 -Chi siete? Che cosa volete? Ho molto da fare- disse scorbutica, fissandoli dall’alto in basso.
 
Pedro e Taishiro si guardarono un attimo, colti alla sprovvista: capivano che vedersi piombare sulla soglia di casa due sconosciuti che stanno cercandoti senza molto preavviso non fosse tra le migliori delle aspettative, tuttavia, nei precedenti viaggi non erano stati certo trattati in maniera tanto sgarbata.
 
 -Abbiamo una lettera per te- disse allora la ragazza, fissando i suoi occhi scuri in quelli azzurri della loro futura ospite.
 -Datemela, la leggerò qui-. Le sue mani erano veloci e nervose, in alcuni punti piene di calli e polveri dai colori strani.
 
La lettera riportava il seguente testo, piuttosto lapidario rispetto ai precedenti:
 
Nina De Nobili,
sono Ryuso, uno stregone di una terra lontana, al di là della tua conoscenza. Sono un lontano conoscente di tuo nonno Misha, ci siamo conosciuti tempo addietro, anche se forse difficilmente lui si ricorderà di me. Quelli che vedi davanti a te sono Pedro e Taishiro, hanno un’importante missione, che saranno loro a spiegarti. Ti chiedo di presentarli ai tuoi amici e di portarli sulla Sesta Luna, Xorax. Ho già chiesto a chi di dovere il permesso di farli arrivare lassù ed ha accettato. Questo è indispensabile per il loro viaggio.
Volare per credere,
                                                                                                                Ryuso
Stregone capo del villaggio di Tabauni, nella Terra di Tsagumi
 
 
La ragazza guardò allora gli sconosciuti davanti a lei, registrandone per la prima volta la forma dei volti, i loro vestiti e il fatto che fossero accompagnati da due cavalli. Meringa, la sua tata, rimaneva in attesa, indecisa sul da farsi; la ragazzina le disse di parlare con il giardiniere per far custodire i due animali in un luogo sicuro e coperto nella tenuta. Mentre la tata si indaffarava a mettersi un cappotto, la padrona di casa di rivolgeva di nuovo ai nostri protagonisti, sospirando.
 
 -Ho letto la lettera. Entrate- fece allora Nina, con fare assorto, forse a causa della lettera letta; nella testa della ragazzina si affollavano mille pensieri, tra tutti quello più importante: uno stregone che conosceva suo nonno?
 
Entrarono nella villa. Era meravigliosa ed enorme, tanto da far tenere la testa ribaltata all’indietro ai nostri due amici per poter osservare tutto. Passarono per la Sala del Doge, che era una stanza senza finestre con una libreria con migliaia di libri (nemmeno Ryuso ne possedeva così tanti, nella sua stamberga), poi su per l’Angolo delle Rose, una stanza dove si mangiava, per la Sala degli Aranci, una specie di soggiorno; poi salirono altre scale e arrivarono ad una porta blu. Entrarono nella stanza di Nina. Le pareti erano totalmente dipinte sulle sfumature del turchese e del blu; era bellissima, nonostante il disordine che regnava sovrano. Prima di farli accomodare, Nina decise che gli abiti che indossavano non erano adatti al clima umido di quel periodo; sembravano fatti per un inverno mite e secco, al sicuro da piogge e nuvoloni (quale era l’inverno a Fairy Oak, dopo la sconfitta del Nemico). Raccolse dal suo armadio degli abiti un po’ vecchiotti, appartenuti ai suoi genitori, ma che sarebbero calzati a pennello per i due ragazzi, che sembravano decisamente più grandi di lei, appena dodicenne.
 
 -Allora, la lettera dice che voi dovete conoscere i miei amici e che dovete venire con me sulla Sesta Luna. Forse vi devo far preparare qualche pozione alchemica-.
 -Alchemica?- disse Pedro sconcertato. Non aveva mai sentito quella parola.
 -Sta parlando dell’Alchimia, Pedro. È una magia fatta di pozioni- disse Taishiro; aveva sentito parlare di quella sorta di magia da Ryuso, una volta.
 -Wow-.
 -Mondo che vai, magia che trovi-.
 -Scusate se vi interrompo, ma non so che pozione dovete preparare. Anzi, non so nemmeno se dovrete farne una. Chiederò al Libro-.
 
I due si guardarono sconcertati: chiedere al Libro? Ovvero? Quel mondo, in quel preciso istante, sembrava il più strano che avessero visitato sino a quel momento; in confronto a quanto avevano visto e sentito in poche ore a Venezia, la grande battaglia di Ashby e la visione dei draghi riportati da Gordon o la magia sprigionata dalle piccole gemelle, Vaniglia e Pervinca, a Fairy Oak erano quasi nella norma di Tsagumi.
Mentre ancora Pedro e Taishiro si fissavano allibiti, Nina aveva già cominciato ad uscire dalla sua cameretta: li accompagnò davanti ad una porta, che si trovava in una stanza con il letto a baldacchino, bianca e senza maniglie. Nina tirò fuori, da una tasca della salopette di jeans che portava indosso, una sfera di cristallo con una pallina argentata al centro e la infilò in un incavo che si trovava al posto della maniglia. La porta si aprì quasi per magia.
 
 -Devo chiedervi di non toccare nulla- disse, frettolosa.
 
Lo sguardo di quella ragazza era molto schivo e Nina stava ben attenta a non incontrare gli occhi dei suoi ospiti. Un poco fastidioso come atteggiamento, in effetti.
Andò vicino ad un tavolo su cui erano posate delle ampolle piene di strani liquidi, sacchetti con dentro tanta roba altrettanto strana, delle fiale piene di sostanze cremose e delle ciotole piene di gemme e pietre preziose. Al centro del tavolo c’era un libro aperto su una pagina bianca, tanto bianca da sembrare liquida. Nina appoggiò su quel foglio la sua mano destra che aveva una voglia a forma di stellina, rossa come una fragola, segno del suo destino, e chiese:
 
 -Libro, questi due ragazzi devono fare qualche pozione alchemica?-
 
E magicamente il libro rispose, con una voce profonda e lettere cangianti sulla pagina:
 
Certo che sì, una pozione devono preparare
ma tu già la sai fare
 
E’ una pozione già usata
il tuo gatto l’ha assaggiata
 
Non è una cosa grama
TALCO MOSSO si chiama
 
Tu già sai quali sono i tempi
preparatela senza incidenti
 
 -Perfetto di nuovo quella pozione. Ummm... vediamo. Fiore l’aveva scritta su un foglio-.
 
La cercò e in poco tempo la trovò. Non sembrava per nulla sorpresa di quanto le era stato detto, né pareva chiedersi il motivo per cui i due ragazzi dovessero preparare il talco mosso; si fidava ciecamente di quel libro, mentre i due tsagumini rimanevano con un palmo di naso. La ricetta recitava così:
 
Mescolare due etti di Panna Ridente
Con un pizzico di Anice Sapiente
Aggiungere sei gocce di Sangue Mortis
E tre cucchiai di Sale Fortis
Per 2 ore e 3 secondi bollirà
E alla fine la formula si creerà.
 
Nina lasciò la ricetta del Talco Mosso[2] in mano a Taishiro e chiese a Pedro di seguirla. Gli mise tra le braccia un sacchetto di iuta, una boccetta piena di sferette bianche, un’ampolla con un liquido color sangue all’interno e una ciotola con una polverina simile a sale, ma più fine. Taishiro eseguì la ricetta alla lettera e quando la pozione fu pronta era diventata una crema densa e pastosa, di colore verde. Poi Nina chiese al Libro:
 
 -E ora cosa dobbiamo fare?-.
 
Ora a Pedro dovete dare
La Pozione con cui avete a che fare
 
Lui mangiarla dovrà
Per esser guarito dal male che ha
 
Egli non ha la forza di proseguir il viaggio
Lui desidera tornare al suo villaggio
 
Ma il Talco Mosso lo aiuterà
Dateglielo e la forza di continuare avrà
 
Alle parole del Libro, il ragazzo divenne rosso in viso e abbassò lo sguardo; perché doveva essere arrivato sino a lì per farsi pungere nell’orgoglio da un odioso oggetto parlante? L’amica l’abbracciò, nel tentativo di consolarlo, consapevole che quel male effettivo se lo trascinava da quella notte nella reggia di Ashby, prima dell’inizio dell’allenamento per la guerra; sapeva che il fatto di non mettersi subito a cercare il frutto per la guarigione del padre lo metteva in ansia più di ogni altra cosa.
Pedro mangiò il Talco Mosso, riluttante. Avrebbe preferito che il Libro avesse detto tutto tranne che lui aveva nostalgia di casa.
 
 -Non ti preoccupare- disse Taishiro –Anche a me manca Tabauni e sono preoccupata per la Grande Malattia. Non ti devi vergognare. Pensavo che questa avventura non mi avrebbe mai fatto pensare a casa, anche se siamo appena all’inizio della lista-.
 -Già, ma tu volevi intraprendere questo viaggio, io no, sebbene servisse a salvare la vita di mio padre. Avrei voluto rimanere a casa con papà e curarlo, ma l’unico modo per curarlo era ascoltare Ryuso e venire con te-.
 
Dopo questo non disse più nulla per un po’ su Tabauni e sul padre, perché il Talco Mosso aveva iniziato a fare effetto. 
La loro ospite li aveva ascoltati, capendo per sommi capi quale fosse la missione citata nella lettera dello stregone Ryuso.
Nel frattempo, aveva parlato con il Libro. Le aveva detto di portarli nell’Acqueo Profundis senza indugi. Infilò una mano in tasca e afferrò una chiave a forma di stella; la osservò, pensando a quando aveva fatto entrare per la prima volta i suoi amici, in quella sala. Si inginocchiò su una botola su cui era riprodotta la stella della chiave. Pronunciò la formula “Quos Bi Los” e mise la chiave nella serratura. La botola si aprì con semplicità. Dopo aver fatto cenno ai due stranieri, scesero le scale ed entrarono in un  carrello che si trovava su una rotaia che si allungava in una piccola galleria sotterranea; il carrello partì automaticamente ed arrivarono fino alla fine del binario, frenando d’improvviso e facendo cigolare tutto il meccanismo. Nina estrasse dalla tasca un anello e lo mise su una roccia. Entrava perfettamente nella forma scavata sulla superficie di quest’ultima. La porta di pietra si aprì ed entrarono in un laboratorio sotto la laguna. Una voce metallica li salutò. Pedro si chiese come facessero gli abiti della ragazzina ad avere così tante tasche e soprattutto come lei possedesse così tante chiavi.
 
 -Ciao, Nina. Chi xono i tuoi nuovi amici?- chiese una voce metallica dall’altra parte della sala.
 -Sono due ragazzi venuti da un mondo lontano. Lo stregone del loro villaggio conosce nonno Misha. Si chiamano Pedro e Taishiro, Max- disse lei, sempre con quel suo fare sbrigativo.
 -Salve, buon androide- disse Pedro.
 
Tutti lo guardarono stupiti, soprattutto Taishiro. Nemmeno lei sapeva che Max fosse un androide, figuriamoci Pedro. Eppure lui lo sapeva perché una volta aveva sentito Ryuso parlare di persone di metallo che lavoravano in laboratori, create dall’uomo per meglio servire ai suoi scopi; queste persone di metallo erano chiamati appunto “androidi”. Ryuso ne aveva discusso giusto qualche anno prima alla festa del Giorno della Civetta, mentre rimembrava un antico viaggio (Pedro non sapeva che quell’antico viaggio ricordato dallo stregone del suo villaggio aveva proprio a che fare con il nonno di Nina de Nobili; ma questa è un’altra storia, non divaghiamo). Nel frattempo arrivarono anche altri amici di Nina, i cui nomi erano Cesco, Fiore, Roxy, Dodo.
Si presentarono. Non starò qui a farvi sapere quello che si dissero ma posso descrivervi i quattro ragazzi:
Cesco era un vivace e ingegnoso ragazzo, con i capelli castani, pettinati “a spazzola”, gli occhi scuri e sul naso portava degli occhiali di forma rettangolare; Fiore era una ragazza un po’ bassina, con capelli corti e neri, lisci e lucidi, patita di musica classica; Roxy era invece una ragazza dai capelli biondi e mossi, con gli occhi verdi, sempre alla moda e dalla risposta sempre pronta; infine, Dodo, un ragazzo alto dai capelli rossi e un po’ balbuziente, il più timido dei quattro. 
E Nina era, ovviamente, il cervello del gruppo.
 

[1] Gli avvenimenti riportati in questo e nel capitolo successivo sono da porsi subito dopo “Nina e l’Occhio segreto di Atlantide” e prima di “Nina e il Numero Aureo”, per cui Karkon (cattivo della storia) non è stato ancora liberato e il Numero Aureo non è ancora stato spezzato (vi consiglio di andare a leggere la serie della Bambina della Sesta Luna, di Moony Witcher).
[2] La poesia riportata sulla ricetta del Talco Mosso è tratta direttamente dal libro “Nina, la Bambina della Sesta Luna” di Moony Witcher. Le altre filastrocche recitate dal Libro magico sono inventate da chi scrive.
 






Note di Saeko:
Buonsalve-salvino a tutti coloro che sono arrivati sino a qui: dopo una lunghissima settimana, in cui ogni giorno mi è sembrato lungo un mese, finalmente mi rilasso un attimo, ritirando fuori parte di una storia che da bambina ho amato. La storia dell'Alchimia di Nina  e della Sesta Luna mi ha sempre affascinata; se c'è qui qualche piccola vecchia fan, si faccia sentire.
Vi avverto, nel prossimo capitolo non ci saranno guerre o battaglie, come è stato per le due saghe precedenti. I need relax, so let's relax; d'altronde anche Pedro e Taishiro ne hanno inconsciamente bisogno.
Detto ciò, dovrei riuscire a farmi viva domenica. Buonanotte e magiate le verdure.

Saeko's out!

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Capitolo 14
*** Capitolo 14: Xorax, la Sesta Luna ***


Capitolo 14:
Xorax, la Sesta Luna
 
 
I quattro amici della loro ospite li squadrarono, riconoscendo alcuni vecchi abiti sformati dei genitori di Nina: Pedro indossava un vecchio paio di jeans chiari, un grosso maglione rosso e dei mocassini di colore marrone chiaro, mentre Taishiro aveva dei pantaloni in velluto nero, un maglione verde acqua e degli stivaletti, anch’essi neri; sembravano essersi vestiti in fretta e furia e il gruppo di amici immaginò che fosse stato a causa della ragazzina dagli occhi blu, che non dava molto spazio a spiegazioni di sorta.
 
 -Ciao- salutò Cesco, dopo le rapide presentazioni –Nina ci aveva chiamati per alcuni affari, oggi- disse, a mo’ di spiegazione per i due nuovi arrivati. Poi si rivolse a Nina:
 -Quando siamo arrivati in camera tua non c’era nessuno allora siamo andati al laboratorio. La porta era chiusa come al solito. Così ti abbiamo chiamato, ma non hai risposto, quindi abbiamo pensato che tu fossi nell’Acqueo Profundis. Abbiamo unito i nostri Taldom Lux e la porta si è aperta. Abbiamo visto che la botola non era chiusa. Siamo scesi nel carrello e vi abbiamo raggiunti-.
 -Bene- disse Nina –Ora che avete conosciuto i miei amici dobbiamo andare su Xorax. Lo diceva la lettera di Ryuso-.
 -E chi sarebbe questo Ryuso?- chiese Roxy, guardandoli curiosa. Da almeno dieci minuti stava fissando Pedro in maniera alquanto insistente.
 -È lo stregone del nostro villaggio- rispose Taishiro, fulminandola.
 
In realtà, a Roxy interessavano assai i gli abiti che indossavano; in particolare il maglione rosso che indossava Pedro, che la ragazzina aveva sempre visto abbandonato nell’armadio dell’amica e che avrebbe sempre voluto riadattare secondo la moda del momento, data la sua fissa estrema per le cose vintage e kitsch, oltre che di moda. Ma questo Taishiro non poteva saperlo e riteneva che le attenzioni della ragazzina nei confronti del suo amico fossero inopportune.
 
 -Beh, allora dovete partire. Xtò impoxtando le coordinate per andare xulla Xesta Luna- disse ad un certo punto Max[1], interrompendo il silenzio che si era venuto a creare.
 -Ciao, Cesco-. Nina, addolcitasi nello sguardo e nei modi, salutò il suo fidanzatino con un veloce bacio sulle labbra. Poi salutò i suoi amici, mentre Cesco rideva come un ebete.
 -Comunque il tempo non passerà mentre siamo su Xorax- informò Nina.
 
Pedro e Taishiro si scambiarono uno sguardo ancora una volta stupito; erano frastornati, visto che in poche ore avevano raggiunto un altro mondo, erano stati accolti in maniera brusca e veloce, avevano conosciuto molte persone in pochi minuti e ora un androide stava impostando delle coordinate per andare chissà dove. I due non avevano nemmeno la forza di chiedere cosa fosse effettivamente Xorax; non sapevano che stavano per partire per un altro pianeta.
Max impostò la procedura sul computer, enorme. Pedro e Taishiro non avevano mai visto una macchina del genere. Infilò un dente di drago nella fessura e scrisse le coordinate che apparvero sullo schermo. Nina si sedette su un trono di cristallo, posto all’interno di una cabina in vetro accanto alla macchina che faceva un rumore infernale, mentre Pedro e Taishiro si sedettero sui braccioli. Lui da una parte, lei dall’altra. Salutarono brevemente gli amici di Nina, che si strinsero accanto a Max; partirono.
Ci fu un turbine di colori e si ritrovarono circondati di stelle: stavano navigando nello spazio alla velocità della luce. Pedro e Taishiro non avevano mai visto le stelle da così vicino. Erano bellissime. Mentre viaggiavano, si guardarono per un attimo e si sorrisero, spontaneamente; quando se ne accorsero, sussultarono e voltarono lo sguardo altrove, arrossendo leggermente. Subito dopo entrarono nella galassia di Alchimidia, come disse loro Nina, piena di pianeti coloratissimi. Poi il trono di vetro individuò un pianeta al centro della galassia. Era verde e luminoso. Intorno aveva molte lune e molti soli. Atterrarono.
Pedro e Taishiro non avevano mai visto una cosa del genere. Quello sì, che era un mondo magico. I piedi sfioravano a malapena il terreno e intorno a loro c’erano colline di pietre preziose, animali dalle strane forme e piante che non si trovavano sulla Terra. Ma quando cercarono di parlare non uscì alcun suono dalle loro bocche. Il pensiero di Nina li raggiunse.
 
Mi sono dimenticata di dirvi che su Xorax conta solo il pensiero” affermò, con un tono di voce molto più soave di quello che produceva tramite le sue corde vocali, sulla Terra.
Incredibile” rispose Taishiro “Il suono dei nostri pensieri è estremamente diverso da quello che produciamo con le nostre voci”. La sua voce era molto leggera.
Già” disse Pedro “Hai proprio ragione” con voce profonda.
 
Il ragazzo guardava l’amica volteggiare sul terreno di quello strano posto, illuminata da una luce candida che contrastava con i suoi capelli scuri, liberi e mossi da quella che probabilmente era una leggera brezza; tutto attorno a loro sembrava etereo, silenzioso, cauto; la vita sembrava scorrere lentamente.
 
Certo che ha ragione. Questa ragazza è acuta, proprio come la mia piccola Nina” disse una voce di un vecchio che veniva verso di loro. Era fatto interamente di luce.
“Nonno!” disse Nina, con tono estremamente esaltato. “Ragazzi, vi presento mio nonno Misha”.
Piacere, signore” dissero i due ragazzi, con molto rispetto nei propri pensieri.
Vorrei presentarvi” continuò Misha “Alcuni miei colleghi alchimisti”.
 
Lo sguardo dell’alchimista di luce era sereno e dolce. Ma i suoi modi di fare erano frettolosi, come se qualcuno potesse sgridarlo per la sua lentezza. Proprio lo stesso atteggiamento della nipote, senza neanche una virgola fuori posto.
Non aveva nemmeno fatto cenno al fatto che Ryuso lo conosceva; era come se già sapesse tutto, come se già sapesse che sarebbero arrivati; la sensazione che dava era la stessa che dava Ryuso, quando accoglieva le persone del villaggio come se già avesse parlato con loro e sapesse dei loro problemi; un atteggiamento che a Tsagumi risultava particolarmente fastidioso ma pieno di mistero; su Xorax, questo fatto sembrava sano e giusto, tant’è che nemmeno Pedro ebbe nulla da ridire sull’atteggiamento.
Altre due anime di luce si avvicinarono al piccolo gruppo, sorridendo serene.
 
“Questi sono Tadino de Giordis e Birian Birov” li presentò l’alchimista.
 
Questi due nuovi personaggi invece, rispetto al vecchio Misha, avevano uno sguardo acceso dall’emozione e la luce dei loro occhi brillava come se fosse una stella. Pedro e Taishiro erano le prime persone vive che venivano da altri mondi, totalmente diversi dall’universo alchemico e ordinario che loro conoscevano.
Poi una voce femminile parlò. Un’enorme figura di luce, le cui uniche fattezze umane erano il naso, gli occhi rosa perla e la bocca bianca, si materializzò davanti a loro.
 
Io invece sono Eterea, la Grande Madre Alchimista” si presentò, come se nulla fosse.
 
Forse per il semplice fatto che ella era la matrona protettrice di quel pianeta, il bisogno di presentarsi e di parlare ai nuovi venuti si era fatto forte, facendola comparire quasi dal nulla.
Cominciò a comunicare con Pedro e Taishiro, senza alcun preambolo.
 
Vi attende un viaggio lunghissimo. Esplorerete mondi che mai avreste immaginato di vedere, mondi più immaginifici del nostro, e li aiuterete, cercando ovunque il frutto della salvezza, come avete già fatto”.
Qui non vi è il frutto della salvezza? Quello per cui siamo partiti?” chiese Taishiro, rendendo la sua voce più acuta. Pedro fremette a quella domanda, quasi impaziente di conoscerne la risposta.
Ahimè, no, mia cara. Xorax purtroppo, pur contando i migliori alchimisti e guaritori di tutta Alchimidia tra i suoi abitanti, non possiede le capacità per creare dal nulla un frutto utile a guarire un morbo di nuova generazione” fu la sua risposta, intristita dalla situazione.
Arriveremo alla fine?” chiese Pedro, che pensava al padre, ormai troppo lontano e in perenne pericolo di vita.
Certo. Dopo tante traversie, complotti e pericoli, ci arriverete. Ma non pensate di far tanto presto. Ci sono cose che vanno affrettate ed altre no, ogni cosa ha il suo giusto tempo. Vi consiglio di non lasciarvi mai ingannare dal male, che si acquatta nell’ombra della più innocente delle dimore. Se succedesse, mettereste tutti i mondi magici in pericolo, prima ancora del padre di Pedro; una volta arrivati alla fine del vostro viaggio, avrete probabilmente trovato il frutto della salvezza e, perché no, avrete anche capito il senso della vita. Sappiate che arriverà un momento in cui sarete perduti. Non scoraggiatevi; piuttosto aspettatevi l’aiuto di Ryuso”.
Ryuso?” disse Taishiro, sorpresa.
 
Possibile che quello stregone fosse conosciuto dappertutto? Poteva ammettere che lo conoscesse Misha, che per di più non aveva nemmeno menzionato il suo nome, ma addirittura la Grande Madre Alchimista di un pianeta che lei conosceva solo da mezz’ora?
 
Certo, lui vi vede anche adesso, che siete qui tra noi, sulla sua lastra di cristallo e può anche sentirvi”.
 
Vi fu un attimo di silenzio, in cui i nostri due eroi ascoltarono il respiro di Xorax ingrandirsi intorno a loro e avvolgerli; sembrava loro che davvero qualcuno li stesse osservando e, forse, proteggendo. Si sentirono in pace con l’universo e più sicuri di quello che stavano facendo.
 
Ora è il momento di salutarvi. Voi due dovete tornare sulla Terra” disse Eterea, sorridendo.
 
Queste furono le parole di congedo di Eterea, la Grande madre Alchimista. Così come era comparsa, svanì in un simpatico sbuffo di luce. Misha, Tadino e Birian salutarono Nina, Pedro e Taishiro. Pedro e Taishiro volevano continuare a visitare Xorax, ma Nina spiegò che era il momento di tornare.
La ragazzina era rimasta in silenzio per tutto il tempo, assorta nelle sue sensazioni contrastanti.
 

[1] L’androide Max parla con una voce metallica, tanto che le sibilanti producono il suono di una “x”; i suoi discorsi sono riportati in questa grafia anche all’interno dei libri di Moony Witcher.











Note di Saeko:
In questo capitolo ho voluto sfruttare il luogo calmante della Sesta Luna per rassicurare i nostri amici, che ovviamente provano una certa ansia per il ritardo che il viaggio nei vari mondi sta portando alla loro missione; prometto che nei prossimi ci saranno più riferimenti a ciò che sta accadendo a Tsagumi.
Ci tengo a ricordare che questo racconto è stato scritto da una me undicenne e che, anche ricorreggendolo, alcune parti saranno e rimarranno per ovvie ragioni anche molto infantili, per cui immagino che i destinatari principali di questo racconto non possano che essere bambini; ritengo tuttavia che, se scritto bene, può essere fruibile anche ad un pubblico adulto, e ricordargli che anche loro sono stati bambini.
Se siete arrivati fino a questo punto, vi ringrazio molto e vi aspetto la prossima settimana.
Buona domenica.

Saeko's out!

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Capitolo 15
*** Capitolo 15: Pedro, Taishiro e il camino ***


Capitolo 15:
Pedro, Taishiro ed il camino
 
I due amici rimasero a Villa Espasia per una settimana ancora. Si rilassarono il più possibile, partecipando alle allegre scorribande di Nina e i suoi amici.
Dopotutto, erano reduci di due guerre e il loro viaggio era cominciato da appena tre o, forse, quattro mesi, avevano bisogno di una piccola pausa. I loro ospiti li portarono a vedere le statue di marmo rosa che una volta erano state Karkon Ca’ d’ Oro, i suoi due androidi (Alvise e Barbessa) e il suo assistente Visciolo, esseri malvagi che avevano minacciato il benessere di Alchimidia tempo addietro. Andarono a palazzo Ca’ d’ Oro e videro che le stanze buie e tetre dell’oscuro alchimista era divenute colorate e allegre, perché trasformate dalla fantasia dei bambini. Visitarono l’isola Clemente, piena di gatti e con una casupola che accoglieva questi ultimi. Girovagarono per Venezia e visitarono Piazza San Marco; i due amici erano decisamente impressionati da quella città che pareva galleggiare sull’acqua, dallo strano accento con cui i veneziani parlavano, dagli edifici e dalle chiese che videro. Poi fecero altre pozioni alchemiche, tentando di creare artificialmente un frutto benefico (esperimento che andò fallito, ovviamente) e nuotarono nella laguna, sebbene facesse molto freddo. Eppure, attraverso uno speciale unguento da spalmare sul corpo, era possibile nuotare in quelle acque, anche in autunno più che inoltrato. Interagirono con Max e la sua Andora (la compagna dell’androide, androide lei stessa) e anche con gli oggetti parlanti presenti nell’Acqueo Profundis. Non tornarono più su Xorax, ma erano consapevoli che grazie alla visita da loro compiuta giorni addietro, sarebbero stati in grado di proseguire la loro missione. Conobbero i genitori di Nina e quelli dei suoi amici. Familiarizzarono con Ljuba (Meringa) e con Carlo Bernotti, il giardiniere; ma arrivò il momento di lasciarsi. Chiesero a Nina di aiutarli a cercare la Luce Viola per continuare la loro avventura. L’Ilv fremeva forte accanto all’entrata della camera della giovane alchimista.
 
 -Nina, devi aiutarci. Dobbiamo continuare la nostra ricerca. Il padre di Pedro ha bisogno di noi- la supplicò Taishiro.
 -Taishiro, aspetta- la interruppe Pedro, d’improvviso, come rimembrando fatti accaduti secoli prima.
–Ti ricordi che Ryuso ci aveva detto che dopo aver esplorato un mondo avremmo dovuto cercare un camino magico?-.
 -No, quando ce l’ha detto?-.
Il ragazzo socchiuse leggermente gli occhi.
-La sera prima di partire-.
-Forse l’ha detto a te. Io non me lo ricordo!- disse lei, quasi con stizza; ricordava perfettamente la serata prima di partire, che avevano passato assieme a preparare tutto per il viaggio; quando gli avrebbe parlato Ryuso?
 -Beh, forse dovete usare il mio- disse Nina, spalancando i grandi occhi azzurri.
 
Negli ultimi giorni sembrava molto più socievole rispetto alle loro prime ore di conoscenza.
Andarono nel laboratorio. Guardarono nel camino e... sorpresa delle sorprese, c’era la fatidica Luce Viola all’interno della canna fumaria. Cominciarono l’operazione, salutando con un bacio sulla guancia la piccola Nina; la ringraziarono per la grande ospitalità e per gli abiti di lana (nonostante fossero di seconda mano) che lei aveva loro fornito. Dunque puntarono l’Ilv al centro del camino e lessero il nome dalla lista magica, che Taishiro aveva tenuto sotto il maglione, a stretto contatto con la propria pelle. Poi Pedro disse:
 
“un anello per domarli, un anello per trovarli,
un anello per ghermirli e nel buio incatenarli”,
 
dopodiché urlarono: -Inghilterra, Hogwarts!-.
 
Prima che il camino li risucchiasse arrivarono, sfondando la porta del laboratorio, come se fosse fossero stati richiamati da un fischio inesistente, Acum e Whailida, i loro due cavalli, che erano stati accuditi, durante la loro permanenza a Venezia, da Carlo Bernotti nel giardino di Villa Espasia. I ragazzi presero le briglie come se niente fosse, come se per sette giorni non si fossero dimenticati di loro, e poi sparirono, attanagliati dalla consueta sensazione di risucchio all’ombelico. Ci fu un raggio di un blu folgorante, uno arancione come il tramonto, uno rosso come il sangue, uno verde e chiarissimo, uno ceruleo come il cielo, uno nero e oscuro e infine uno bianco, puro come un diamante.
Si ritrovarono all’interno di un altro camino, in quello che sembrava essere l’androne di un castello[1]. Erano avvolti da un fuoco smeraldino, che però non bruciava né la loro pelle né i loro abiti. Quando uscirono furono intercettati da un vecchio storpio e zoppo accompagnato da un gatto color polvere, tutto pelle e ossa.
 
-Chi siete?- chiese, con una voce grezza.
-Ecco, noi siamo...-. Taishiro non sapeva bene come spiegare la presenza di due ragazzi e due cavalli all’interno del camino di un castello.
 
Immagino sia una cosa piuttosto strana da vedere” pensò, trattenendo un risolino spontaneo.
 
-Scometto che siete matricole di Grifondoro che hanno provato una qualche strana magia insieme a quello zotico di Hagrid e avete trasformato due vostri compagni in cavalli. Sempre così, voi!- sbottò quello, sputacchiando e tossendo mentre parlava.
 
I due ragazzi rimasero in silenzio, senza capire nulla di quello che il vecchio diceva, ovviamente.
Cosa diamine è Grifondoro? Perché un grifone dovrebbe essere d’oro? E che c’entriamo noi con un grifone d’oro?” pensò Pedro, più confuso che mai.
 
 -Venite con me. Lasciate i vostri compagni qui. Vi porterò nell’ufficio della preside, così vedrà lei cosa fare- disse, sorridendo malevolo.
 
Mentre camminavano dietro al vecchiardo arrancante, Taishiro disse a Pedro:
 
 -Pedro, vedi se hai una lettera in tasca-.
 
Dalla tasca di Pedro uscì fuori una busta di pergamena, molto pesante, con il nome “Minerva McGrannitt” scritto con inchiostro verde.
 
 -Per caso, la vostra preside si chiama Minerva McGranitt?- chiese Pedro.
 -Certo che sì, sciocchi; ne parlate come se non fosse mai stati ad Hogwarts. Io sono Argus Gazza, il custode, accidenti! E lei è la mia gatta, Mrs Purr. Ma questo voi già lo sapete, quindi smettetela di prendermi in giro come se fossi nato ieri-.
 
Gazza era un uomo scorbutico e di poche parole, che appena aveva visto quei ragazzi vestiti con delle vesti babbane e per di più coloratissime, in compagnia di due cavalli, aveva pensato bene di agire. I due amici non gli fecero più domande.   
Dopo aver attraversato corridoi e salito scale illuminate da fiaccole appese ai muri, arrivarono davanti alla statua di un grifone d’oro. Era molto bella e maestosa.
Allora esistono davvero grifoni d’oro!” pensò ancora Pedro, prendendo uno dei più grossi granchi della sua vita e confondendosi ancor di più le idee.
 
 -Locomotor- pronunciò Gazza e il grifone si spostò lasciando davanti a loro una scala a chiocciola, che il piccolo gruppo di apprestò a salire.
 
Entrarono in un ufficio, enorme, dall’andamento circolare, disposto su due piani; alle pareti v’erano alambicchi di ogni sorta e ogni singolo muro era tappezzato di libri, che sembravano venire addosso ai due ragazzi, per quanti erano. Al centro c’era una cattedra, possente e piena di scartoffie, dietro la quale era seduta una donna vestita da una grossa tunica con mantello color verde smeraldo e un cappello appuntino e in velluto, color verde bottiglia; sul naso portava un paio di occhiali dai lati appuntiti e una sottile ragnatela di rughe le circondava gli occhi cerulei e le labbra sottili. Doveva essere una strega.
Sulle pareti circolari della stanza erano appesi diversi quadri, rappresentati uomini di diverse età, alcuni molto anziani, altri molto giovani; Taishiro fece passare gli occhi in particolare su due dipinti: uno rappresentava un uomo in vesti e cappello appuntito color porpora, una lunga barba e lunghi capelli bianchi, occhi grigi e due occhialini dalle lenti a mezzaluna, mentre l’altro rappresentava un uomo piuttosto giovane, dal volto allungato e appuntito, capelli neri e lisci e lucidi (tanto da sembrare quasi unti) e occhi neri come pece, come le vesti che indossava. La cosa che stupì la ragazza più d’ogni altra fu che entrambi gli uomini dipinti sembrarono voltare il volto verso di loro, mentre entravano nell’ufficio.
 
 -Professoressa McGranitt, ho trovato questi due ragazzi nel camino d’entrata e ... ah, vedo che è già occupata- si interruppe con una specie di ghigno represso, perché c’era un giovane uomo seduto davanti alla preside.
 -Non importa, signor Gazza. Prenda altre sedie e lasci gli stranieri qui con noi-.
 -Signora, i ragazzi erano in compagnia di cavalli. Temo che abbiano trasformato dei loro compagni con so quale magia-.
 -E immagino che lei, da bravo custode, li abbia già portati da Hagrid, vero, signor Gazza? Fermo restando che non siano alunni, ovviamente, ma questo potremmo verificarlo in seguito, credo- disse la donna che Gazza aveva chiamato McGranitt, soffermandosi a fissare l’uomo con il gatto in braccio da oltre i suoi occhiali appuntiti.
 
Gazza la guardò un pochino storta, facendosi al tempo stesso piccolo piccolo, ma eseguì quando gli era stato sottilmente ordinato. Intanto i due amici fissavano l’uomo seduto lì di fronte. Dal viso, s’intuiva che era diventato adulto da poco, forse aveva poco più di vent’anni, forse trenta al massimo. Aveva capelli neri e arruffati, di quelli che non stanno mai a posto. Poi aveva dei bellissimi occhi verde chiaro, con un espressione da bambino cresciuto troppo in fretta: profondi. Un paio di occhiali rotondi, e una cicatrice a forma di saetta, rossa, come di chi ha appena combattuto ed è stato ferito. Era il famoso Harry Potter, sfuggito al Signore Oscuro, per ben sette volte. Ormai Harry era un Auror da quasi nove anni e lavorava per il Ministero della Magia. Ma questo Pedro e Taishiro non potevano saperlo. Non sapevano nemmeno che quell’individuo che all’apparenza sembrava un ragazzo, aveva tre figli, di cui uno nato da pochissimo, e una moglie. E non potevano nemmeno sapere, i nostri protagonisti, che il suo acerrimo nemico, Lord Voldemort, nonostante tutti i loro sforzi, non era stato ancora stato sconfitto[2]; pareva essere tornato, senza che si sapesse come, si aggirava nell’ombra con una minaccia oscura; si manifestava come un’ombra spettrale, un monito che ricordava che il male poteva nascondersi ovunque, minacciando anche chi non aveva mai conosciuto minaccia.
 
 -Allora ditemi- il silenzio fu rotto dalla preside, che scrutava i due nuovi arrivati al di sopra dei suoi occhiali appuntiti –Cosa ci facevate nel camino della nostra scuola?-.
 -Beh, è una cosa lunga da spiegare, e probabilmente diventerà sempre più lunga man mano che andiamo avanti- disse Pedro, con fare enigmatico, che tanto enigmatico non voleva essere.
 -Sì, è meglio che legga la lettera che abbiamo per lei- disse Taishiro.
Ecco la lettera:
 
Egregia Professoressa McGranitt,
Sono un vecchio stregone della Terra di Tsagumi, che il professor Silente ha visitato in sogno anni orsono: Ryuso. I ragazzi che ha davanti sono Pedro e Taishiro, vengono dalla mia terra. Essi la aiuteranno nella lotta contro l’Oscuro Signore. La prego di non far loro del male e di non far troppe domande, poiché hanno davanti a loro tutta una missione piena di domande. Il padre di Pedro è stato colpito dalla Grande Malattia. Temo, ahimè, che dovranno viaggiare attraverso molti mondi prima di trovare la cura, tuttavia spero che lei sia in grado di aiutarli anche in questo. Affidi loro un incarico semplice, che lasci del tempo per poter trovare un importante frutto.
Vostro,
 
                                                                                                                Ryuso 
Stregone capo del villaggio di Tabauni, nella Terra di Tsagumi
 
La McGranitt parlò con loro e rilesse la lettera ad alta voce.
Poi si rivolse ai quadri nella stanza, che voltarono le loro teste proprio in direzione della donna, lasciando Pedro e Taishiro con un palmo di naso; allora quella che Taishiro aveva avuto non era stata un’impressione: i dipinti si erano mossi davvero al loro ingresso! In particolare, la strega si rivolse ai due dipinti dei due uomini che Taishiro aveva notato, ovvero il vecchio signore con i capelli bianchi e gli occhialini a mezzaluna e l’uomo dai capelli e dagli occhi neri e melliflui. I due non erano altro che gli ultimi due presidi di Hogwarts prima di Minerva McGranitt, ovvero Albus Silente e Severus Piton.
 
-Albus, Severus credete che i due ragazzi possano essere utili nella situazione attuale?-.
-Probabilmente, Minerva- convenne l’uomo anziano.
-Con una minaccia come quella che l’Oscuro Signore può rappresentare, qualsiasi aiuto è ben accetto, io credo- fece l’altro, con un tono di voce piuttosto viscido.
-D’altronde, ancora non sappiamo come il ritorno di Voldemort sia stato possibile, visto che i suoi simulacri di immortalità, ovvero gli horcrux, sono stati distrutti- continuò Silente, gettando un fugace sguardo in direzione di Harry Potter.
-Io continuo a credere che sia un residuo di magia oscura che ha lasciato un semplice simulacro, Albus. Potente, sicuramente, dato che proveniente dalla magia oscura del Signore Oscuro, ma pur sempre un simulacro- gli rispose Piton, che sembrava aver tremato di rabbia, non appena l’altro ex preside aveva gettato lo sguardo sul Ragazzo-che-è-sopravvissuto[3].
-Ho capito, miei signori- disse la preside, con un sospiro. Poi voltò il capo verso i suoi ospiti e aggiunse:
-Ora dobbiamo trovare l’incarico. E la soluzione è proprio vicino a voi. Aiuterete il signor Potter nelle sue modeste mansioni di Auror- sorrise di sottecchi, mentre pronunciava queste parole.
 -Potete andare- aggiunse poi, congedandoli.
 
Molto strana e molto lapidaria, come donna, questa professoressa McGranitt.
Taishiro guardò Pedro e Pedro guardò Taishiro, entrambi con un’espressione interrogativa. Poi guardarono Harry, che ricambiò lo sguardo. I tre si alzarono e uscirono.
 
 -Tu chi sei?- disse Pedro, con occhi grandi e interrogativi, come se avesse dimenticato improvvisamente il nome del ragazzo.
Anzi, no.
Lo aveva veramente dimenticato.
 -Harry Potter- rispose Harry, senza curarsi troppo della domanda.
 -E quindi voi venite da un altro mondo?- chiese invece curioso, osservandoli dall’alto in basso, come altri prima di lui avevano fatto.
 -Sì.- risposero i due amici in coro.




 
 

[1] Da qui in poi inizieranno riferimenti inerenti alla storia di Harry Potter, di J.K. Rowling.
[2] La storia viene qui ripresa nove anni dopo l’ultima Grande Guerra Magica combattuta a Hogwarts, a seguito della quale Voldemort è stato definitivamente sconfitto. Quando questa parte di racconto è stata ideata, l’ultimo libro uscito era “Harry Potter e l’Ordine della Fenice”, per cui molti avvenimenti non erano presenti e la rielaborazione della storia era avvenuta intuendo quello che poteva accadere. Quello che si legge qui è un riadattamento della storia originale per esigenze letterarie, per cui Voldemort esiste ancora, ma solamente sotto forma di simulacro, in grado di intendere e di volere e soprattutto di poter fare magie.
[3] Uno dei tanti modi con cui ci si riferiva ad Harry Potter subito dopo la scomparsa di Lord Voldemort e la morte dei coniugi Potter.









Note di Saeko:
Questa parte è stata e sarà la più difficile da adattare alla storia di Pedro e Taishiro, poiché all'epoca della prima scrittura la saga di Harry Potter non si era ancora conclusa. Probabilmente ci sarà qualcosa di incoerente in ciò che ho scritto e in ciò che scriverò e se c'è qualche HP fan over here, probabilmente penserà che io abbia scritto delle blasfemie e soprattutto che abbia fatto degli errori temporali pazzeschi; ne sono consapevole, ma ho tentato un riadattamento tra la fine della guerra contro Voldemort e il timeskip a 19 anni dopo, in cui ho immaginato un wild simulacrum di Voldemort che respawna a caso dieci anni prima del timeskip, subito dopo la nascita di Albus Severus (mi piace l'idea di un qualche attachment tra la storia di Voldemort e l'ultimo figlio di Harry).
Per cui, sono apertissima a critiche (purché rimangano sempre costruttive) e, se vi va, vi aspetto al prossimo capitolo.

Saeko's out!

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Capitolo 16
*** Capitolo 16: Nuovi amici ***


Capitolo 16:
Nuovi amici
 
 -Per quale assurdo motivo allora, indossate abiti babbani?- volle sapere ancora il mago occhialuto.
 -Babbani?- chiese Taishiro. Che diavolo di parola era mai quella?
 -Persone senza poteri magici- si affrettò a spiegare Harry, quasi comprendendo il loro spaesamento.
 
Ricordava ancora quando lui, a soli undici anni, aveva scoperto di essere un mago.
Un bel colpo, proprio.
I due continuavano a fissarlo, mentre lui, con molta sicurezza, imboccava un corridoio dopo l’altro, dirigendosi chissà dove.
 
 -Allora? Volete rispondere alla mia domanda?- fece, un po’ intestardito.
 
Fu Pedro a spiegare da dove venissero e a raccontare una piccola parte della loro storia, quella che riguardava appunto il luogo di provenienza dei loro vestiti, Venezia.
 
 -Ah, ho sentito parlare di quella città!- esclamò allora lui, come riportando alla memoria conoscenze lontane.
 -So che si trova in Italia-.
 
La frase rimase lì, in sospeso. Quei due, poverini, non sapevano nemmeno cosa fosse l’Italia (meno che mai l’Inghilterra, nominata accanto al nome di Hogwarts nella lista magica), dato che non possedevano nemmeno il concetto di nazione.
Fu così che i tre strinsero un piccolo legame tra di loro.
 
 -Vi voglio far conoscere i miei migliori amici, nonché membri della mia famiglia- disse Harry, sorridendo.
 -Non vedo l’ora- disse Pedro, sorridendogli appena.
 -Già, anche io. Senti Harry, tu vivi qui?- chiese Taishiro.
 -No. Io venivo qui per studiare. Per il resto stavo con i miei odiosissimi zii: i Dursley. Non avevo altra scelta, almeno non sino a che non sono diventato maggiorenne, visto che i miei genitori sono stati uccisi da Voldemort, quando avevo appena un anno. Ho avuto l’occasione di andare a vivere con il mio padrino, ma poi è stato ucciso da una mangiamorte di Voldemort, che, ho scoperto in seguito, era sua cugina. La mia battaglia contro quell’essere pareva essersi conclusa nove anni fa, e invece…- concluse l’uomo, lasciando la frase a metà; i due amici non compresero i particolari, ma capirono che c’era una qualche emozione grave e negativa che il mago covava dentro di sé.
 -Mi dispiace- disse Pedro –Comunque, che cosa studiavi qui?-.
 -Magia-.
 -Davvero?!- disse Taishiro.
 
Era su di giri. Adorava la magia e il fatto che si potesse studiare, il solo pensiero che fosse una materia la galvanizzava.
 
 -Sì. Beh, ora che ci penso io sono venuto qui perché la professoressa McGranitt ci ha comunicato che il simulacro di Voldemort potrebbe essere nelle vicinanze; anche il Ministero della Magia è sicuro che potrebbe attaccare qui, perché qui è il luogo in cui è morto definitivamente, sebbene le apparizioni degli ultimi mesi siano avvenute principalmente in Albania-.
I due amici erano prossimi a chiedere cosa fosse l’Albania, quando Harry aggiunse: -Era necessario che ci fossi io, così come i miei due amici, Ron ed Hermione-.
 -Perché?- fecero i due amici, in coro.
 -Perché siamo tutti e tre Auror, sposati e con dei figli. Mia moglie, la sorella di Ron, sarebbe dovuta venire con me, solo che nessuno sarebbe rimasto ad occuparsi dei figli di Ron ed Hermione-.
 -Tu hai dei figli?- Pedro fece tanto d’occhi.
 -Già, sono tre. E Ginny, mia moglie appunto, è rimasta a casa con loro e i miei nipoti- concluse Harry, con uno sguardo malinconico. Doveva esser davvero triste e pesante, tornare a combattere quando era di tacito accordo che tutto fosse finito.
 -Che cos’è un Auror?- chiese Taishiro, per allentare un po’ la presa emotiva sul mago.
 -Un cacciatore di maghi oscuri- rispose l’altro, un po’ troppo lapidario.
 -Quindi devi catturare Voldemort anche per lavoro- convenne Pedro, cercando di mettersi sulla stessa linea di conversazione di Taishiro.
 -Sì, diciamo di sì. Per di più, il fatto più eclatante è che era già morto. Sarebbe meglio catturarlo per capire come sia possibile che, anche dopo aver distrutto tutti i suoi horcrux e aver distrutto lui stesso, lui sia ancora vivo, se è effettivamente vivo. Se invece si tratta di un semplice simulacro, come è possibile che agisca, pensi, parli come Voldemort?- concluse Harry, facendo brillare i suoi begli occhi verdi.
 -Fantastico. Ma perché è un nemico così importante per te?-.
 
Anche Taishiro aveva appena dimenticato cosa Harry aveva raccontato poco prima. Il problema era che l’aria di Hogwarts, intrisa di magia accademica, era pesante e annebbiava la mente semplice dei due ragazzi, che avevano avuto contatti con la magia sin da quando erano nati, questo è vero, ma non direttamente e non in un luogo così concentrato di arti magiche.
Ma anche questa volta l’Auror non se ne curò e rispose come se niente fosse.
 
 -Perché, quando avevo solo un anno, lui ha ucciso i miei genitori. Poi ha puntato la bacchetta su di me per uccidermi, ma io sono sopravvissuto. O ecco, siamo arrivati alla torre dei Grifondoro. Era la mia casa d’appartenenza, quando ero studente qui. Accidenti, ma qual è la parola d’ordine?- chiese, passandosi una mano tra i capelli neri.
 
Ah, quindi è una casa d’appartenenza, questo Grifondoro” pensò ancora Pedro, illuminandosi. Non ci volle molto per rabbuiarsi di nuovo; bastò il seguente pensiero: “Che diavolo è una casa d’appartenenza, in questo posto?
 
 -Se non lo sai tu, caro, non lo posso certo sapere io- disse il quadro davanti a loro, interrompendo il filo dei pensieri del ragazzo. Ritraeva una signora grassa vestita con un abito color avorio, le labbra pittate di rosso e i capelli acconciati come una donna del Cinquecento inglese (anche se, come ormai immaginerete, Pedro e Taishiro non sapevano nemmeno cosa fosse, il Cinquecento, visto che a Tabauni non vi è un conteggio dei periodi storici come lo intendiamo noi).
 
 -Senta, Signora Grassa, lo so che sa la parola d’ordine. Me la può dire?- si spazientì Harry.
 -No. Dal mio quadro vedo che sei Harry Potter, ma potresti anche essere un mangiamorte travestito-.
 -I mangiamorte non esistono quasi più!- si lamentò ancora l’Auror, alzando gli occhi al cielo.
 -Harry, eccoti qua- disse una donna, dai lunghi capelli mossi e castani, raccolti in una morbida coda. Era Hermione.   
 -Hermione, meno male che sei arrivata tu! Non ricordo la parola d’ordine, il Prefetto di quest’anno l’ha detta una volta sola-.
 -Lupus in fabula- disse la donna, sorridendo con aria furba, mentre il quadro si spostava per lasciarli passare.
 
Poi si voltò a guardare Pedro e Taishiro e chiese:
 -Chi sono i tuoi accompagnatori?-.
 -Te lo spiego dentro-.
 
Passarono attraverso il tunnel sul retro del quadro. La sala di ritrovo pullulava di ragazzi dagli undici ai diciassette anni. Quando entrarono tutti salutarono Harry ed Hermione. Un uomo alto, dai capelli rossi e con la faccia piena di lentiggini andò verso di loro.
 
 -Harry, Hermione- sull’ultimo nome usò un tono più dolce -Chi sono questi ragazzi?- chiese poi, squadrando Pedro e Taishiro dall’alto in basso, con l’aria diffidente.
 -È quello che ho chiesto a Harry un minuto fa, ma non mi ha voluto rispondere- disse Hermione, fulminando il marito con lo sguardo.
 -Scusa. Io comunque sono Ron- disse lui, e sorrise ai ragazzi.
 -Io sono Taishiro, figlia di Coira e Baluard Mihira-.
 -Ed io sono Pedro, figlio di Chihiro e Gerard Lahir-.
 -Bene, e da dove venite?- chiese Ron, che era rimasto stupito da quella bislacca presentazione. Non sapeva che nella Terra di Tsagumi è considerato segno di educazione, presentarsi con i propri patronimici.
 -Dalla Terra di Tsagumi- rispose la ragazza.
 -E dov’è?-.
 -Ron, se tu avessi studiato i libri di Geografia Antica lo sapresti- sbuffò Hermione, come se studiare libri di Geografia Antica fosse la cosa più naturale e logica del mondo.
 -Beh, non li ho letti, perciò vorrei saperlo- la rimbeccò lui, fissando i suoi occhi chiari in quelli scuri di lei.
 
L’Auror di nome Ron Weasley stava arrossendo in maniera assai vistosa. Parlarono al trio della loro terra e della loro missione. Raccontarono loro di Gerard e della Grande Malattia. Narrarono anche le avventure già vissute.
 
 -Quindi dovete viaggiare per altri mondi magici, fino a che non avrete trovato il frutto magico. Dopo, se non avrete trovato questo frutto nei mondi magici esistenti, dovrete cercare la cura che vi verrà data in un mondo leggendario e tornare nel vostro mondo per salvare tuo padre- disse infine Ron, facendo un sintetico riepilogo della storia.
 -Esatto- rispose Taishiro, annuendo.
-Oh, miseriaccia! E perché non andate direttamente nel mondo leggendario?-.
-Perché forse, se è leggendario, è più probabile che non esista, Ron- disse Harry, ridendo.
 
Detto questo, Harry se ne andò nel suo vecchio dormitorio insieme a Ron, seguiti a ruota da Pedro. Hermione invece portò Taishiro in quello femminile; per l’occasione di ospitare i tre eroi di guerra, era stata preparata in ciascuna delle due sezioni del dormitorio una stanza separata dagli studenti, con esattamente tre letti nel lato maschile e due in quello femminile, come se ci si aspettasse l’arrivo dei due tsagumini da un momento all’altro. I letti erano a baldacchino, coperti da tendaggi rossi e oro, che riprendevano i motivi di un leone rampante dorato, già visto nella sala comune.
Una volta entrate parlarono del viaggio e della loro vita. Hermione le raccontò dei suoi due figli, un maschio e una femmina, i cui nomi erano Hugo e Rose; le descrisse anche i suoi nipoti, i figli di Harry: due maschi e una femmina; il più grande era James, la seconda era Lily e il terzo, il più piccolino, nato da pochissimo, Albus Severus. Inoltre, la famiglia Potter-Weasley accudiva anche un altro bambino, figlio di due maghi amici di famiglia, morti nell’ultima battaglia contro Voldemort; il nome del bimbo era Teddy, Teddy Lupin. Taishiro invece, dopo tutte queste immagini di una famiglia felice e stretta da un legame d’amore indissolubile, confessò di non essere sicura di ciò che provava per Pedro, a livello emotivo e sentimentale, ma quando pensava a lui, lo faceva sempre in termini di amico, e nulla di più.
Anche gli uomini si raccontarono parecchie cose, anche se fu per lo più Ron a parlare; Harry e Pedro rimasero spesso in silenzio, chiusi nei loro pensieri, lasciando parlare il rosso e ridendo delle sue battute.
Entrambe le parti si addormentarono infatti molto tardi. Ma non Pedro, che pensava al suo avvenire, e si chiedeva se avrebbero davvero concluso bene la missione. Pensava a suo padre e i dubbi che il viaggio su Xorax era riuscito a dissipare si ripresentarono più forti che mai. Si domandava se fosse ancora vivo, se soffrisse tanto. Lo avrebbe mai rivisto? Non lo sapeva. E poi rifletteva su ciò che gli aveva detto Kim. Prima o poi avrebbe dovuto dire a Taishiro che l’amava. Ma come? Questo era il grande problema. E se poi l’avesse rifiutato? E se poi gli avesse detto che potevano essere solo amici? Lui non avrebbe retto alla delusione e, d’altronde, aveva timore di mettere fine ad un rapporto costruito nel tempo, con fatica e tenacia. Non riusciva a immaginarsi come un semplice amico di Taishiro, dopo averle detto che l’amava, così come non riusciva a immaginare una vita senza di lei al suo fianco. Poi, pensò a Ryuso. Lo malediceva per averlo, in poche parole, gettato in quell’avventura, ma lo ringraziava per il medesimo motivo; non si era ma sentito così vivo. Infine, c’era la Grande Malattia, la causa di tutto; improvvisamente voleva sapere come fosse nata, se si fosse espansa oltre Tabauni; ricordava che il dottor Matishia parlava di focolai appena a est o forse nelle Terre di Kotobuni, non ricordava più.
E poi c’erano tutti i malvagi nemici degli altri mondi; perché ormai Pedro aveva capito che nella loro ricerca avrebbero incontrato tantissimi impedimenti, prima di poter trovare ciò che cercavano e che questi impedimenti sarebbero stati probabilmente i nemici di coloro che avrebbero potuto aiutarli a trovare la cura alla Grande Malattia. Sarebbero riusciti a sconfiggerli? E se fossero morti, dove sarebbero andate le loro anime? E che fine avrebbero fatto i loro corpi? Sarebbero tornati a Tabauni? Sarebbero arrivati a Kim, nella Terra del Mezzo? O sarebbero rimasti lì, nel luogo della loro fine? Non seppe mai darsi una risposta, anche ad avventura conclusa. Si addormentò con questi dubbi, senza sicurezza e senza conforto.
 









Note di Saeko:
Allora, rileggendo e correggendo questo capitolo, mi sono resa conto di quanto alcuni dialoghi possano sembrare infantili (perché nella realtà lo sono). Ho cercato di adattarli ad un pubblico più adulto, ma non credo di esserci riuscita alla grande; inoltre, so che questa babbanata del simulacro di Voldemort pare non stare in piedi, ma vi chiedo di prenderla per buona, nel prossimo capitolo né spiegherò qualcosa. Vi ricordo che la storia è ovviamente vissuta dal punto di vista di Pedro e Taishiro, che non comprendono appieno tutte le dinamiche del mondo che li circonda, quindi anche quando qualcosa risulta poco chiaro, è in parte un risultato voluto per creare il senso di spaesamento che i due amici provano nell'adattarsi al nuovo mondo che visitano.
Infine, vi lascio qui il mio link a Wattpad: https://www.wattpad.com/user/VeronicaSaeko
Ho deciso di pubblicare la storia anche lì, quando sarà conclusa qui su Efp; se vi va di passare a lasciare un follow siete i benvenuti.
E nulla, auguro un buon inizio settimana a chiunque mi abbia sopportata sino a qui.

Saeko's out!
 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17: Voldemort ***


Capitolo 17:
Voldemort
 
Pedro e Taishiro passarono molto tempo ad Hogwarts, almeno un mese. Seguirono alcune lezioni di Incantesimi, Trasfigurazione, Pozioni, Difesa Contro le Arti Oscure, Erbologia, Cura delle Creature Magiche; studiarono nella grande biblioteca della scuola, cercando di capire se in quel mondo esistesse un frutto magico in grado di guarire i mali della Grande Malattia; capirono che si trovavano in realtà nello stesso mondo in cui si erano ritrovati a Venezia, a casa di Nina, solamente in un altro “regno”[1], per cui era alquanto improbabile che trovassero qualcosa di utile in merito alla loro ricerca. Scoprirono tuttavia che esisteva menzione della loro Terra in libri che Hermione aveva citato e che si parlava, in quei libri, di “un luogo che ha in sé tutte le caratteristiche delle terre magiche conosciute, in cui ogni necessità è realtà”; Taishiro annotò questa citazione in un angolo del foglio dorato della lista dei luoghi magici, che portava sempre con sé. Impararono a diffidare di Gazza, che aveva sempre Mrs Purr alle calcagna e che ne approfittava sempre per mettere in punizione qualcuno, colpevole o meno di qualche scorreria innocente.
E poi impararono a giocare a Quidditch. Era un gioco di squadra fantastico, poiché dovevano volare, e per farlo dovevano cavalcare delle scope, ma non scope normali, di quelle con la raffia tutta spelacchiata e invecchiata dalla polvere; erano scope eleganti, lisce, lucide, con i rami finali tutti nuovi, di un bel color castagno. Pedro era bravo come cacciatore, vista l’abilità innata che aveva nello scappare dagli avversari con la Pluffa sottobraccio (la palla principale utilizzata nel gioco), mentre Taishiro era un’abile cercatrice, incredibilmente paziente e acuta di vista, nel cercare la palla vincente, veloce e leggera, minuscola: il boccino d’oro. Riusciva a prenderlo dopo appena dieci minuti dalla sua liberazione, facendo finire la partire con centocinquanta punti di guadagno per la sua squadra, che dunque vinceva quasi sempre. Era bravissima e Pedro si trovò spesso a pensare che fosse bellissima, con la divisa da gioco del Grifondoro, di un bel rosso fiammante, così fulgido che sembrava prender fuoco con i suoi capelli. Ma non poté giocare a lungo da cercatrice perché Harry, vista la sua abilità, ma anche la sua età, non riusciva a giocare da buon cacciatore. Si allenavano così per gusto, in attesa di qualcosa che sembrava troppo grande, per esser combattuto in una volta sola.
Un’ombra s’avvicinava, sempre di più.
Ogni giorno facevano visita all’edificio Auror del Ministero, colleghi di Harry, Ron ed Hermione, arrivavano miriadi di gufi con tutte lettere indirizzate alla preside; si respirava un’aria pesante, notizie sconcertanti di scomparse di ragazzi babbani giungevano a cascata.
Nella scuola cominciarono a succedere cose strane.
Ad esempio, Neville Paciock, professore di Erbologia ad Hogwarts e amico del trio di Auror, ebbe uno shock anafilattico dovuto al morso di quella sembrava essere stata una vipera che si aggirava per la serra delle mandragore, proprio mentre lui le stava delicatamente interrando dopo averle travasate, vipera che mai era stata  ritrovata; Harry ricominciò a fare sogni strani, proprio come al suo quinto anno di studi: sognava i suoi genitori e Sirius (il suo adorato padrino), Voldemort assieme a Codaliscia, il suo fidato braccio destro e tanti, tantissimi serpenti; Hermione cominciò ad avere dei sospetti su cose che non avevano senso e ricominciò a passare giornate intere in biblioteca, come aveva sempre fatto durante i suoi anni da studentessa; Ron non capì un bel niente, come suo solito, e la McGranitt fece ispezionare per ben due volte la scuola, come suo solito.
La notte si dormiva poco e male per paura degli attacchi dei servitori dell’Oscuro Signore, nonostante il professor Vitious e la professoressa McGranitt si fossero ingegnati con i loro incantesimi per mantenere la scuola al sicuro, più al sicuro dell’ultima guerra che aveva avuto luogo in quel castello.
Una notte però Harry, Ron, Hermione, Pedro e Taishiro non presero nemmeno sonno; si recarono nella Sala Comune dei Grifondoro d’istinto, consapevoli che avrebbero trovato gli altri nello stesso momento e nello stesso luogo.
 
 -Non riesco a dormire- disse Ron, uscendosene con la cosa più ovvia, come al solito. Forse Ron era un uomo che tendeva a fare troppe cose “come al solito”.
 -Io temo quasi il sonno. La cicatrice mi fa più male appena provo a chiudere gli occhi- disse Harry, con un sguardo a metà tra il preoccupato e il serio.
Per quasi nove anni il vecchio segno che Voldemort gli aveva lasciato sulla fronte non aveva più doluto come in quel momento.
 -Io sono confusa- affermò invece Hermione, mentre Ron spalancava la bocca. Non accadeva mai che Hermione fosse confusa. –Non riesco seriamente a capire come Voldemort sia potuto tornare, se ogni horcrux era stato eliminato; non capisco come possa esistere un simulacro che riporta l’essere di Voldemort in tutto e per tutto, nonostante egli sia certamente morto- concluse, lasciandosi coccolare dall’abbraccio del marito.
 -Io ho paura dei mangiamorte- disse Pedro, serio. Sebbene non fossero stati individuati ancora dalla suddetta inaspettata ricomparsa di Voldemort (anzi, erano stati fermati parecchi fanatici, tuttavia innocui) gliene avevano raccontate troppe, in quei giorni, sul buio periodo in cui i mangiamorte, servitori del Signore Oscuro, avevano la facoltà di decidere della vita di una persona.
 -Io invece ho la bruttissima sensazione che succederà qualcosa di pericoloso, stanotte- disse Taishiro, avvicinandosi al suo amico e afferrandolo per la manica del lungo mantello nero della divisa dismessa che gli era stata fornita da Hogwarts; sembrava più un gesto per far forza a lei, piuttosto che al compagno d’avventure.
 -La ragazzina straniera ha visto giusto- disse una voce penetrante, d’improvviso, negli angoli bui della Sala Comune. La voce era sinistra, pareva quasi falsata da un microfono inesistente (caratteristica particolare, se si calcola che gli apparecchi elettronici non funzionano, ad Hogwarts).
 -Chi sei?- gridò Harry, anche se aveva già capito. Estrasse la bacchetta quasi di soppiatto, pronto all’attacco, e la nascose con nonchalance dietro la schiena.
 -Sono un persona che conosci molto bene, Harry Potter- enfasi pesante, sul cognome -Qualcuno che hai sconfitto per ben sette volte di seguito-.
 -Voldemort- sussurrò Hermione. Taishiro la guardò di sfuggita e vide che sia lei che Ron avevano estratto le bacchette, proprio come Harry. Un leggero barlume spuntò dalla bacchetta di Hermione, dirigendosi sino alle porte dei dormitori: Taishiro non poteva saperlo, ma la strega aveva posto, tramite un incantesimo non verbale, un sigillo di protezione alle porte, per salvaguardare i ragazzi che vi riposavano oltre.
 -Esatto, giovane Mezzosangue-. Lei rimase interdetta, come se quel nome le desse fastidio; in realtà le pareva strano che il mago (o il simulacro di esso) non si fosse accorto di ciò che la donna aveva appena fatto, considerato che in vita, Voldemort era stato un potente legilimens[2], secondo solamente a Silente.
 -Cosa vuoi?-.
 -Che domanda sciocca, Harry. Tu dovresti sapere meglio di me cosa voglio. Io voglio la tua distruzione-.
 -Harry, ti copro le spalle- sussurrò Ron, avvicinandosi all’amico, pronto.
 -Che sorpresa, Weasley. Ora facciamo i coraggiosi?-. Lord Voldemort aveva ascoltato tutto.
 -Sì, lasciaci stare- disse Pedro, con improvviso impeto.
 
Non si era reso conto di essere senz’armi?
Taishiro lo fulminò con lo sguardo, notando subito dopo il fatto che l’amico si era silenziosamente avvicinato al punto in cui avevano lasciato l’Ilv. L’allenamento ad Ashby era servito sul serio.
 
 -Invece no, ragazzino- tuonò ancora il nemico, uscendo allo scoperto.
 
Pelle bianchissima, quasi fluorescente, che non si scaldava nemmeno alla luce del camino. Nessun capello sulla testa, naso schiacciato oltre ogni limite, quasi da risultare inesistente; occhi vitrei, iniettati di sangue, un’unica tunica nera come la pece ad avvolgerlo come un sudario oscuro; lunghe dita affusolate reggevano una bacchetta color onice. Ma qualcosa non quadrava: il mago oscuro sembrava una proiezione olografica su una parete, non pareva avere un corpo fisico; era etereo, inesistente. La forza magica che una volta avrebbe portato in ginocchio chiunque si trovasse al suo cospetto sembrava essere svanita.
 
 -Ci si rivede, Harry?-. Sorriso agghiacciante.
 -Come diavolo hai fatto?- sussurrò l’Auror, fissando i suoi occhi verdi in quelli del nemico, senza paura. Aveva già affrontato la morte una volta, perché aver timore di essa?
 -Non mi pare che siamo qui per dolci chiacchierate, giusto?-. Fretta, nella voce subdola e acuta.
 -E allora usciamo al di fuori di qui- disse Ron, facendosi avanti.
 
La priorità era non mettere in pericolo gli studenti, in quel momento.
 
 -Ma certo, tanto avrò tutto il tempo di prendermi questa scuola- ghignò Voldemort maligno.
 
Fece finta di aggirarsi per la stanza, in contemplazione, quando si voltò d’improvviso e si avvicinò a grande velocità ad Harry, alzando il dito indice della mano destra, verso la fronte avversaria, come volesse toccare la cicatrice a forma di fulmine che ben conosceva. Harry, diversamente dal passato, non contrasse nemmeno un muscolo, sebbene un dolore atroce, a quel gesto, gli avesse perforato il cervello. Il suo avversario fece un’espressione contrita e infastidita.
Inoltre, Harry si accorse di un particolare: eccetto il dolore, non aveva avvertito nessun dito fisico poggiarglisi sulla fronte. Qualcosa decisamente non quadrava.
 
Poi il simulacro si allontanò e sorrise, dicendo: -C’è uno spareggio. Tu hai i tuoi amici, Potter, io non ho nessuno-.
 -Non farmi ridere, Voldemort- rispose l’uomo, contraendo la mascella.
 -Hai ragione, caro piccolo “bambino che è sopravvissuto”.  Ti farò piangere-.
 
Detto ciò, s’avvicinò alla finestra che dava sulla vista del Lago Nero nel parco di Hogwarts e la frantumò di colpo, buttandosi a capofitto giù dal castello.
I nostri eroi s’affacciarono e lo videro planare sul soffice prato verde, illuminato leggermente dalla luna in ultimo quarto che splendeva nel cielo.
 
 -Coraggio, Harry Potter!- gridò lui, usando un incantesimo amplificatore.
 -Vieni giù. Combattiamo davanti ad un pubblico, questa volta-.
 
Tutti le luci del castello s’accesero insieme, mentre gli avversari di Voldemort lo seguivano a ruota tramite l’incantesimo del volo, mentre Pedro e Taishiro rimanevano affacciati dalla finestra rotta della Sala Comune di Grifondoro, ad osservare una battaglia che per loro era impossibile da sostenere.
Ricordare tutti gli incantesimi pronunciati quella notte fu uno sforzo che i nostri due protagonisti non furono mai in grado di compiere e i discorsi che i quattro avversari si scambiarono nel combattimento furono presto dimenticati.
Una cosa è certa: d’improvviso Ron venne sbaragliato ad una ventina di metri dal luogo dello scontro, ferito gravemente ad una gamba, mentre Hermione cadeva svenuta ai piedi degli ultimi due rimasti, Harry Potter e Lord Voldemort.
Altre battute che questa volta i due amici non riuscirono a captare, urlate com’erano al vento improbo che aveva cominciato ad ululare. Un raggio verde partì dalla bacchetta di Voldemort, uno argentato da quella di Harry: quando i due incantesimi si scontrarono, una terribile esplosione bianca avvolse il parco, la scuola, la foresta e il lago. La luce scomparve, mentre la notte lasciava il passo al giorno e il sole innalzava i suoi timidi raggi.
Al centro della piazzola, c’era solo Harry, in piedi, ansimante.
Di Voldemort, neanche l’ombra.
 
Ron fu curato ed Hermione risvegliata. Si tentò di capire come si potesse essere creata una proiezione del Voldemort vivente, quando egli era in realtà morto; l’unica cosa che si comprese fu che il simulacro altro non potesse essere un residuo della magia oscura del potente mago che, seppur deceduto, tanto aveva influenzato quei luoghi, che dunque ne avevano conservato una memoria talmente fulgida da risultare reale.
E nel frattempo i due nostri amici cercavano, come ormai di consuetudine, la Luce Viola; ma non riuscirono a trovarla. Arrivò dunque il momento di partire (Ron ed Hermione, una volta guariti, si erano praticamente volatilizzati per andare a recuperare i propri figli, mentre Harry era rimasto ad Hogwarts per sistemare alcune cose di ordinaria amministrazione) e decisero di andare a casa della famiglia Potter, dove una strega di nome Ginny Weasley-Potter con tre bambini a suo carico, aspettava il ritorno dell’uomo di casa. Pedro e Taishiro erano abbastanza stanchi di cercare, sebbene la loro avventura non fosse ancora finita. Mentre erano in viaggio, sul treno che portava fino al binario 9 e ¾ di King’s Cross, a Londra, spuntò la Luce Viola proprio nella cabina che condividevano con Harry, ma poi questa svanì. Appariva e si volatilizzava, a intermittenza e in luoghi diversi. I tre la seguirono fino al vagone-stalla (non vi ho detto che Acum e Whailida erano stadi accuditi da Hagrid, l’insegnante di Cura delle Creature Magiche, nonché guardiacaccia di Hogwarts). La Luce si fermò proprio davanti ai due animali, che sembravano improvvisamente pronti alla partenza. I ragazzi ne presero le briglie e iniziarono l’operazione, salutando Harry con un cenno degli occhi.


 
 
[1] Per i due era alquanto difficile far entrare nella loro testa il concetto di “nazione”.
[2] Mago in grado di penetrare nella mente altrui.








Note di Saeko:
e in questo capitolo spieghiamo questo fantomatico ritorno di Voldemort, che non è un vero e proprio ritorno, ovviamente. Mi ha divertita cercare di riportare i characters della Rowling, dando però un impronta personale; Harry Potter è qualcosa che molti della mia generazione, nel bene e nel male, si portano nel cuore e seppur azzardato, spero che questo mia adattamento alla storia di Pedro e Taishiro sia piaciuto.
Accetto sempre critiche e, beh, arrivederci alla prossima.

Saeko's out!

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Capitolo 18
*** Capitolo 18: Nella terra della magia ***


Capitolo 18:
Nella terra della magia
 
 
Taishiro e Pedro, traballando leggermente a causa di un paio di scossoni della locomotiva, gridarono: -Narnia!- dopo aver puntato l’Ilv al centro della Luce Viola e pronunciato la solita formula:
 
“un anello per domarli, un anello per trovarli,
un anello per ghermirli a nel buio incatenarli”.
 
La luce risucchiò i cavalli e i ragazzi, lasciando Harry solo e basito; il mondo era veramente troppo pieno di magia, forse troppa, e lui avrebbe avuto qualcosa di più da raccontare alla moglie e ai figli.
I ragazzi furono avvolti da una luce nera (bell’ossimoro eh, “luce nera”), una luce di colore arancio come un tramonto sull’orizzonte che taglia in due il cielo e il mare, un lampo rosso e un baluginio verde acqua, molto intenso, che fu seguito da un leggero profumo, piacevole e inebriante: per Taishiro aveva l’odore della selva che si trovava accanto al villaggio di Tabauni; per Pedro invece era l’odore della minestra calda e del prato appena tagliato, come quello dell’unico giardino di Tabauni, presente nella casa del governatore del villaggio. Comunque, finite le luci e i profumi, si ritrovarono in un bosco circondato da monti; era appena sorto il sole. Accanto a loro c’era un lampione acceso, nonostante fosse quasi giorno, ed era in metallo nero, alto, con la camera che incorporava la luce in vetro trasparente; c’era anche della neve sciolta che denotava il fatto che l’inverno stesse lasciando il posto alla primavera. Le pesanti tuniche nere di Hogwarts che indossavano sembrarono improvvisamente delle zavorre e i due ragazzi tentarono il più possibile di arrotolarsele per non sudare. Si alzarono e camminarono avanti, finché avanti a loro intravidero una lontana spiaggia e dunque il mare. Dopo aver avanzato a piedi per un bel po’, salirono su Acum e Whailida, che non sembravano affatto stanchi in quel luogo, anzi: il loro aspetto era il più vitale che avessero mai avuto. Cavalcarono in mezzo agli alberi per tutta la mattina, quasi in religioso silenzio, per non turbare la quiete di quel luogo, finché all’ora di pranzo non furono raggiunti da una scorta di cavalieri e di fauni.
 
 -Chi siete, figli di Adamo?- chiese brusco quello che doveva essere il capitano della scorta, vista la bardatura che si portava addosso.
 
Era un centauro dai lunghi capelli neri, gli occhi scuri e la cavalcatura bruna. La leggera distorsione che i due amici avvertivano normalmente quando parlavano per la prima volta con i nuovi abitanti di un nuovo mondo non sembrava esistere in quel luogo; la voce del centauro era cristallina e limpida come non mai.
 
 -Siamo forestieri venuti da molto lontano- disse Taishiro, parlando per la prima volta in quella giornata –Chiediamo di presentarci ai vostri sovrani...-.
 -Re Peter il Magnifico, la Regina Susan la Bella, Re Edmund il Giusto e la Regina Lucy la Gaia- disse prontamente Pedro che aveva letto i nomi sulla solita lettera, trovata tra le pieghe della divisa di Hogwarts.
 -Da dove venite e come vi chiamate?- fu chiesto ancora.
 -Veniamo da Tabauni, nella Terra di Tsagumi e i nostri nomi sono Pedro Lahir e Taishiro Mihira- rispose Pedro.
 -E voi come vi chiamate?- chiese Taishiro, rianimandosi di curiosità, spinta dalla frenesia improvvisa dell’amico.
 -Io sono il Capitano Omnicum, accompagnato dal nipote del nobile fauno Tumnus, Elmiun, e la scorta che mi accompagna porta il nome di “Leone Rosso”. Per quale motivo conoscete i nomi dei nostri illustri sovrani?- volle sapere ancora il centauro, battendo uno zoccolo a terra.
 -Li conosciamo perché abbiamo una lettera per loro-.
 -E di cosa parla questa lettera?- chiese Omnicum il centauro.
 -Non possiamo dirvelo in quanto nemmeno noi ne conosciamo il contenuto; i primi a leggerla devono essere i vostri sovrani-.
 -Bene, allora vi porteremo da loro- disse Elmiun, scuotendo le piccole corna caprine, che molto bellamente spuntavano dai suoi riccioli d’oro.
 
La scorta attorniò i due ragazzi e fece loro strada fino al mare. Mentre trottavano a passo di marcia, Pedro si accorse che Taishiro guardava con una nuova luce negli occhi il nuovo mondo. Un misto di curiosità, di voglia avventura e di felicità. Le ombre comparse nel suo sguardo mentre si trovavano sul treno, seduti accanto a Harry, erano svanite. Era questo che più ammirava della sua amica; la sua misteriosità e la pace interiore che trovava quando era in una foresta la rendevano bellissima anche con i capelli spettinati e i vestiti che non era solita portare. La tunica di Hogwarts le conferiva un aspetto intellettuale cui Pedro non era abituato. Un volta raggiunta la spiaggia, i ragazzi poterono ammirare uno splendido palazzo, arroccato sulle pareti di uno strapiombo sul mare. Era il palazzo di Cair Paravel, la dimora dei sovrani di Narnia. Quando entrarono, furono accolti dagli squilli di alcune trombe, da due castori e da un altro centauro. Erano il Signore e la Signora Castoro e Oreius, il primo Capitano di quella che poi sarebbe stata la scorta “Leone Rosso”.
Questi ultimi separarono i ragazzi dai loro cavalli, ordinando a Elmiun di portarli nella scuderia reale e Omnicum salutò i ragazzi, accennando con il capo ad un flebile inchino.             












Note di Saeko:
buonsalve a chiunque sia giunto alla fine di questo breve capitolo che, come si sarà notato, è di semplice transizione per trasportarci direttamente nel mondo di C.S. Lewis e delle sue Cronache di Narnia, altro fantasy della mia infanzia a cui sono particolarmente affezionata.
Spero che questi e i seguenti due capitoli possano appassionarvi come Narnia ha appassionato me (sempre che a qualcuno interessi).
Anyway, vi auguro una nuova settimana e se vi va, vi aspetto nella sezione recensioni.

Saeko's out!

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Capitolo 19
*** Capitolo 19: I tre reali e il ritorno della quarta sorella ***


Capitolo 19:
I tre reali e il ritorno della quarta sorella
 
Nella sala c’erano solo tre sovrani dei quattro che Pedro e Taishiro si aspettavano: Re Peter, Re Edmund e la Regina Lucy. Re Peter, possente e massiccio, aveva i capelli biondi, una leggera barba dorata e gli occhi azzurri, mentre la sua veste era drappeggiata con un velluto rosso e rifiniture dorate, mentre al fianco portava una portentosa spada con l’elsa ritraente una testa di leone, con due rubini al posto degli occhi; Re Edmund, alto e slanciato, aveva i capelli corvini, era completamente sbarbato di fresco e gli occhi scuri rilucevano come tizzoni alla luce delle torce della sala e portava una veste azzurra e rifinita in argento, con una spada al fianco simile a quella del fratello, ma argentata e con l’elsa leonina con due zaffiri al posto degli occhi; la Regina Lucy, donna minuta e aggraziata, aveva lisci e lunghi capelli castani e occhi azzurri, come quelli del fratello più grande; portava un abito color panna, con ricami d’oro e d’argento e al fianco aveva una piccola daga, argentata e anch’essa con la testa leonina e due topazi gialli al posto degli occhi.
Come Pedro e Tasihiro conoscessero i loro nomi solo guardandoli seduti sui loro troni, rimase un mistero per tutti; era come se qualcosa al di sopra delle loro esistenze glielo avesse suggerito e la cosa strana fu che anche i tre sovrani erano già a conoscenza dei loro nomi, senza che nessuno glieli avesse comunicati. Era come se quei tre avessero già visto Pedro e Taishiro da qualche parte, ma non sapevano spiegarsene il motivo.
In tutto ciò, dov’era Susan? Il trono posto tra Re Peter e Re Edmund era vuoto. I nostri due amici lo chiesero ai tre sovrani.
 
 -La Regina Susan è rimasta nel nostro mondo- rispose Edmund, abbassando lo sguardo a terra, in uno slancio di umanità che non era quella tipica di un re, ma di un ragazzino che si apprestava a crescere –Purtroppo non credeva più in Narnia-.
 -E così è rimasta a casa- continuò Lucy, carezzando la mano del fratello con la propria –Persino i nostri genitori sono riusciti a venire qui, e non sapevano niente di Narnia. Lei sapeva tutto eppure, poiché aveva perso la speranza di un ritorno in questo mondo, non è tornata con noi. Tuttavia è stata lei stessa a salvare Edmund quando un nano della Strega Bianca lo stava per colpire durante la Battaglia d’Inverno, uccidendolo con una sua freccia. Lei fu il motivo della guerra tra Calormen e Narnia, alleatasi alla Terra di Archen. Il principe Rabadash il Ridicolo la voleva in sposa ma lei rifiutò categoricamente. E potrei raccontarvi tante di quelle storie che non basterebbero mille e una notte per tenervi occupati- concluse la Regina, sospirando affranta.
 -Il problema- disse Pedro, passandosi nervosamente una mano tra i capelli -È che abbiamo una lettera per tutti e quattro-.
 -Esatto- concordò Taishiro, annuendo.
 -Beh, prima di tutto diteci da dove venite, Pedro e Taishiro- disse Peter, il più austero di tutti. I suoi capelli biondi si confondevano con l’oro della sua corona, tanto erano splendenti.
 -La nostra casa è la Terra di Tsagumi e noi veniamo dal villaggio-capitale di Tabauni- rispose la ragazza per entrambi. Non sembrò stupirsi del fatto che Re Peter conoscesse i loro nomi.
 -Bene, fate leggere la lettera a noi tre e poi vedremo cosa fare per Susan-.
La lettera recitava quanto segue:
 
Illustrissimo Re Peter il Magnifico, Esimio Re Edmund il Giusto, Carissima Regina Lucy la Gaia,
io sono Ryuso, lo stregone del villaggio di Tabauni, il luogo d’origine di Pedro e Taishiro, i due ragazzi che probabilmente, in questo momento, son di fronte a voi. So che la regina Susan è rimasta nel mondo vostro. I due ragazzi che si trovano davanti a voi sono lì proprio per aiutarvi. Dovrete mandarli nel mondo vostro per convincere Susan a tornare a Narnia, però deve esserne convinta e deve crederci altrimenti non tornerà mai più nella sua vera casa.
In cambio di questo aiuto, vi chiedo un piccolo favore: permettete ai due ragazzi di visitare il vostro mondo. Ne hanno bisogno per cercare un particolare frutto magico, che servirà ad aiutare il nostro paese.
 
Grazie.
Egregi saluti,
 
                                                                                                                Ryuso
Stregone capo del villaggio di Tabauni, nella Terra di Tsagumi
 
I sovrani fecero leggere la lettera ai due ragazzi e così decisero di partire subito. Ma prima dovevano trovare un varco per la Terra. Dove dovevano guardare? I tre fratelli non ricordavano come erano arrivati a Narnia la prima volta; proprio come non lo avevano ricordati secoli prima, quando tornarono casualmente sulla Terra.
 
 -Come siete arrivati a Narnia?- chiese Lucy, osservando i due ospiti con un sorriso benevolo.
 -Beh, con il nostro bastone- rispose Pedro, alzando le spalle.
 -Non ci pensi nemmeno, Re Edmund- disse Taishiro, cogliendo l’occhiata di Edmund che diceva chiaramente: potremmo usare il bastone, ordunque.
 -Siamo già stati nel vostro mondo- continuò la ragazza, passandosi le mani tra i capelli scuri, nel tentativo di legarli con un fermaglio trovato nelle pieghe della tunica di Hogwarts –Non possiamo tornare nello stesso mondo per due volte-.
 -Un momento- intervenne Peter –Voi avete raccontato di esservi ritrovati vicino ad un lampione, giusto?-.
 -Giusto-.
 -Ora che mi ricordo, noi, la prima volta che siamo venuti a Narnia siamo passati per l’armadio del professor Kirke!- affermò raggiante, e sembrò splendere realmente come il sole.
 -Già, è vero, me ne ero dimenticata!- disse Lucy, battendosi una mano sulla fronte.
 
Dopo questa discussione, i sovrani, i ragazzi e la scorta che aveva accompagnato questi ultimi a Cair Paravel si avviarono al famoso lampione. Quando arrivarono Re Peter disse:
 
 -Omnicum, tu e la scorta tornate a palazzo. Il tempo sulla Terra dei Figli di Adamo trascorre diversamente da quello di Narnia, perciò, una volta varcata la soglia di quell’armadio, qui potrebbe passare un solo secondo e lì dieci o, addirittura, cento anni, o viceversa. È per questo che noi tre lasciamo a te, a Elmiun e ai Signori Castoro il comando del regno finché non torneremo o finché non sarà un altro Pevensie a farlo-.
 -Sì, vostra maestà- disse Omnicum e lui, con la sua scorta, cominciarono ad avviarsi a Cair Paravel, in posa più che diligente, pronti ad assolvere il compito a loro affidato.
 
I reali e i due ragazzi si avviarono verso una serie di cespugli nascosti nella penombra, ad appena un paio di metri dal lampione e cominciarono a farsi largo tra i rami degli arbusti; man mano le foglie diventarono peli una marea di pellicce impregnate dall’odore di naftalina stantia. Le attraversarono, fino a quando la Regina Lucy non pose una mano sull’anta dell’armadio e i cinque si ritrovarono catapultati nella Stanza Vuota, che ospitava quel mobile sontuoso, intarsiato dal disegno di alberi  e foglie. Dalla finestra accanto all’armadio proveniva una luce fioca e opaca e i vetri erano bagnati da una pioggia leggera.
Lì, vicino alla porta, seduta sui gradini che conducevano all’uscita, c’era una donna molto giovane e bella, che piangeva sommessamente, torcendosi le mani. I tre fratelli la riconobbero come la loro sorella Susan.
 
 -Susan...- mormorò Lucy, avanzando un passo incerto verso di lei.
 
La donna si voltò.
 
 -Lucy? Sei veramente tu? Edmund, Peter siete voi?-.
 
Li guardava come se fossero fantasmi, poiché essi avevano lo stesso aspetto di quando erano ragazzi e non l’aspetto sfarzoso che possedevano poco prima di attraversare l’armadio.
 
 -Sì- risposero tutti e tre insieme. Susan sembrò non fare caso alla presenza di Pedro e Taishiro.
 -Ma voi siete morti insieme alla mamma e al papà. Forse sono morta anche io?- fece lei, passandosi una mano sulla guancia bagnata di lacrime.
 -No, Susan. Noi veniamo da Narnia- disse Edmund, inginocchiandosi al suo livello.
 -Narnia... scommetto che anche il professore e la signora Polly sono a Narnia-.
 -Esatto, Susan- disse Peter –Vieni anche tu con noi-. Le porse una mano, fiducioso.
 -No. Non posso, perché io non credo più a Narnia, Peter. Nemmeno tu ci credevi più. Solo Edmund e Lucy hanno continuato a... -.
 
A quel punto si intromisero Pedro e Taishiro, che avevano pensato ad una piccola messa in scena.
 
 -Salve a voi, Regina Susan- disse Pedro, improvvisando come mai in vita sua.
 -Regina?!-.
 -Certo, Regina- fece Taishiro, sulla scia interpretativa dell’amico –Voi siete la Regina di Narnia-.
 -Oh, se sono la Regina di Narnia, vuol dire che sono morta e che sto raggiungendo la mia famiglia- convenne Susan, spostando lo sguardo triste e affranto a terra.
 -E non vi piacerebbe? Pensate, stare con i vostri fratelli e i vostri genitori nel mondo che avete esplorato da bambini- intervenne Pedro, lasciando cadere quella frase con molta nonchalance ai piedi della Regina.
 
La donna spalancò i suoi enormi occhi verdi e sorrise, persa nei ricordi. Guardò i tre fratelli e sospirò.
 
 -Beh, in effetti, mi piacerebbe rivedere la mia famiglia. Da quando quel treno si è schiantato, io sono rimasta sola. Nulla mi ha consolato, né gli uomini, né il lavoro. Nulla-.
 -Bene- disse Pedro –Allora potreste tornare con noi a Narnia, vostra maestà-.
 
I tre fratelli rimasero un attimo con il fiato sospeso, sperando che la piccola recita dei loro due ospiti funzionasse. Ma sembrò non fare effetto.
 
 -No, perché io non credo più a Narnia, sono un’adulta e ho un lavoro da portare avanti-.
 
Risposta categorica: cocciuta, sua maestà!
 
 -Allora sarà ora che torni a crederci- intervenne Lucy, mettendo le mani sui fianchi come la bambina che sembrava –Non ti ricordi di Aslan?- la rimbeccò.
 -Aslan, il magnifico leone di Narnia- convenne ancora lei, al ricordo di cotale creatura.
 -Se non credi in Narnia, non credi in lui- le disse la sorella, facendole la linguaccia.
 -Questo non è assolutamente vero. Io credo in Aslan-. Lo sguardo della donna sembrò farsi furibondo.
 -Allora credi in Narnia-.
 
Una nuova luce, piena di speranza, accese gli occhi di Susan.
 
 -Verrò con voi. Voglio rivedere Aslan, e i miei genitori, e Narnia e voglio tornare ad essere Regina- aggiunse alla fine, con una punta di malizia.
 
Così dicendo i cinque presero Susan con loro e passarono di nuovo attraverso l’armadio; le loro risate di bambini tornarono ad essere le voci profonde di adulti di quando avevano attraversato l’armadio e Susan sembrò assumere un aspetto più regale, una volta rientrata nella terra che tanto l’aveva segnata da bambina. Quando arrivarono a Narnia videro che era trascorso lo stesso lasso di tempo tra un mondo e l’altro, perché nella strada per il palazzo di Cair Paravel incontrarono la scorta del Leone Rosso.







Note di Saeko:
salve salvino vicino! Ok a parte questa uscita alla Ned Flanders, mi presento stasera a 5 giorni dal Natale con un nuovo capitolo su Narnia; mi ha sempre affascinato il fatto che Lewis avesse deciso alla fine del settimo libro di far tornare tutti quanti a Narnia, eccetto Susan e ho sempre immaginato come sarebbe stato bello per lei tornare a credere in qualcosa che faceva parte della sua infanzia.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che la storia sino a qui vi stia appassionando; ringrazio chiunque mi stia leggendo e, beh, ci vediamo domenica!

Saeko's out!

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Capitolo 20
*** Capitolo 20: Un aiuto da Aslan ***


Capitolo 20:
Un aiuto da Aslan
 
Il ritorno di Susan, anzi della Regina Susan, a Narnia fu festeggiato con una grande festa in suo onore; venne vestita con un abito regale drappeggiato di velluto verde e ricamato di ornamenti color rame, mentre sul suo fianco comparve una piccola daga, come quella della sorella, ma con l’elsa in rame e due smeraldi incastonati al posto degli occhi della figura leonina rappresentata sull’arma.
Alla festa c’erano tutti i familiari dei sovrani, i loro amici e tutti i sudditi del regno; la festa durò quattro giorni e quattro notti e la voce del ritorno dell’antica regina si sparse per tutto il regno.
Pedro e Taishiro rimasero un altro mese in quel paese magico, ma in quel mese il grande leone Aslan, di cui tanto i quattro reali e la loro famiglia parlavano e che era venerato in tutta quella terra come fosse una divinità, non comparve mai. E in quel mese esplorarono in lungo e in largo Narnia, da cima a fondo, ma non trovarono il frutto che tanto cercavano. Quando era in procinto di cominciare il loro secondo mese di permanenza a Narnia e l’unica alternativa rimasta era di tornare ai confini del mondo, dove Re Edmund e la Regina Lucy e il loro cugino Eustachio erano stati con il principe Caspian tempo addietro, dopo che ogni angolo del regno era stato esplorato alla ricerca del frutto magico e della Luce Viola, i quattro sovrani e i nostri due amici si erano riuniti nella sala della tavola rotonda di Cair Paravel e stavano discutendo su come proseguire; Pedro chiese:
 
 -Re Peter, Re Edmund conoscete qualche altra tecnica per portarci in un altro mondo?-.
 -Purtroppo no- risposero all’unisono i due re, guardandosi un attimo di sfuggita.
 -Aspettate un momento- intervenne Lucy –Non vi ricordate la seconda volta che venimmo a Narnia tutti insieme?-.
 -No- disse Susan, sincera.
 -Io neanche mi ricordo- le fece eco Edmund.
 -Che cosa è successo, a parte l’ascesa al trono di Caspian?!?- chiese Peter.
 -Proprio quello. Quando il principe Caspian salì al trono, i seguaci di suo zio Miraz furono spediti attraverso una porta in un'altra epoca del nostro mondo da Aslan e noi fummo rispediti nella nostra epoca. Forse se provassimo a chiamare Aslan e gli chiedessimo di costruire una porta come quella, facendo in modo di trasferire i nostri amici in mondi diversi piuttosto che nelle diverse epoche del nostro, la cosa si risolverebbe-.
 
Taishiro e Pedro si guardarono indecisi; d’altronde quel grande leone, che quasi pareva una figura mitologica, non si era mai visto, per cui i due ragazzi avevano poca fiducia nel piano proposto dalla giovane regina.
 
 -Hai ragione, piccola cara Lucy- disse una voce inaspettata, con un tono dolce e profondo.
 
La stanza venne inondata subito da un profumo dolcissimo, di diversa intensità per ognuno dei presenti che l’avvertiva. Dietro di loro c’era Aslan, bello, fulgido e possente, con l’enorme criniera dorata che illuminava la stanza e gli occhi di smeraldo che brillavano in tanta lucentezza. Susan e Lucy scoppiarono in lacrime e corsero ad abbracciare il Grande Leone, felici. Peter ed Edmund si contenerono riguardo alle lacrime, ma corsero anche loro ad abbracciare il vero eroe di Narnia, la figura tanto narrata e rappresentata nel palazzo di Cair Paravel e in ogni dove nel regno. Era tanto che non si faceva vedere e i quattro sovrani non credevano ai loro occhi. Vedere i quattro fratelli accanto all’animale dava un’idea ben precisa delle sue dimensioni: sebbene i quattro fossero più che adulti, il leone li superava di una spanna e mezzo in altezza.
 
 -Ciò che Lucy ha detto è una cosa giusta. Ma non avremmo bisogno del portale che costruii a quell’epoca- disse il Leone, ancora una volta con una voce profonda e imponente.
 -No?!- disse Pedro.
 
Non era sorpreso o altro, semplicemente non stava capendo nulla di ciò che stava avvenendo (d’altronde, non accadeva tutti i giorni di parlare con un leone). Tutta colpa di quell’odore perfetto e inebriante che sembrava permeare ogni sua piccola particella somatica.
 
 -No. Basterà il vostro bastone magico. Vedete, io farò comparire la Luce Viola davanti all’armadio da dove sono sbucati i nostri quattro re e voi applicherete la solita procedura-.
 -Ma come fa a sapere...- incominciò a dire Taishiro, ma Susan la bloccò con uno sguardo penetrante; poi Edmund si avvicinò e le disse nell’orecchio:
 -Aslan, di solito, sa sempre tutto. Alcune volte rivelava di conoscere delle cose del nostro mondo che a noi erano ignote, perciò è inutile chiedere come faccia a saperlo-.
 
Le sorrise annuendo, mentre i suoi folti capelli neri gli ricadevano in morbidi riccioli sulla fronte.
Detto questo Peter, che aveva ascoltato la piccola conversazione tra Edmund e Taishiro, mandò a chiamare Elmiun e gli disse di portare i cavalli dei loro ospiti. Acum e Whailida vennero consegnati ai loro rispettivi padroni completamente vestiti con le selle ricamante in seta purpurea di Narnia. Anche Pedro e Taishiro erano vestiti sontuosamente, secondo la moda del paese della magia. Aslan, i reali e i ragazzi si incamminarono di nuovo verso l’Armadio. Una volta giunti, il leone sentenziò:
 
 -Bene, siamo arrivati. Pedro, Taishiro, venite assieme ai vostri cavalli-.
 
I due ragazzi si avvicinarono timorosi al Grande Leone. Aslan fece comparire con una zampata al terreno ancora pieno di nevischio la Luce Viola proprio davanti a loro, vicino al lampione. I nostri due amici salutarono i quattro fratelli, che li avevano seguiti apposta per dir loro addio, e cominciarono l’operazione. Presero l’Ilv e lo puntarono al centro della Luce; Taishiro pronunciò:
 
“un anello per domarli, un anelli per trovarli,
un anello per ghermirli e nel buio incatenarli”.
 
Dopo gridarono ad alta voce: -Alagaësia!-; presero le redini dei propri cavali e vennero risucchiati dal vortice magico di luce, mentre i quattro sovrani e il grande leone venivano investiti da una forte luce accecante; quando questa sparì, i quattro fratelli si guardarono e sospirarono, pronti a tornare al castello.
Di Aslan, nemmeno l’ombra.












Note di Saeko:
con questo breve capitolo concludo anche la storia della permanenza dei nostri due amici a Narnia; mi sarebbe piaciuto parlarne un po' di più, ma è anche vero che nel frattempo, a Tabauni la Grande Malattia imperversa e il viaggio deve cominciare a velocizzarsi; tuttavia, non potevo concludere senza descrivere almeno una volta la bellezza di Aslan, che spero si sia colta (quando ne lessi da bambina ne "Le Cronache di Narnia" di C.S. Lewis ne rimasi affascinata).
Annuncio a chi stia seguendo la storia che il 25 dicembre, la mattina di Natale, pubblicherò un capitolo extra e che per la fine dell'anno sarò arrivata alla pubblicazione di metà dell'opera; so brace yourselves, things are about to get busy!
Detto ciò, buon tutto a chiunque mi abbia sopportata sino a qui, non vi ingozzate troppo e mangiate qualche verdura.

Saeko's out!

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Capitolo 21
*** Capitolo 21: Eragon e Saphira ***


Capitolo 21:
Eragon e Saphira
 
Vi fu un lampo di colore azzurro, un lampo rosso, uno nero (questa storia è piena di ossimori interessanti, nevvero?), uno dorato e infine una luce color verde bottiglia (assai strano, debbo dire), e Pedro e Taishiro si trovarono, di nuovo, in un campo di guerra. Il terreno era arido, secco e ingiallito, e bruciava come il sole. Qua e là c’erano tende di soldati ormai sfiniti e al centro del campo c’era una tenda più grossa: lì doveva probabilmente esserci il comandante. Dietro un masso gigantesco c’era una tenda grande quasi quanto quella del comandante. E poi, con stupore di entrambi, i nostri due amici, guardandosi ancora attorno, si erano accorti erano di essere atterrati vicino ad un drago. Pedro e Taishiro avevano già visto dei draghi nel corso del loro viaggio, (la Regina Drago ad Ashby, ad esempio) ma questo era grandissimo, slanciato e color zaffiro. Aveva due enormi occhi blu, le squame erano lucide e quasi argentee, a seconda della luce. Il corpo sinuoso si snodava per almeno dieci metri di lunghezza, avvolgendo un piccolo giaciglio situato accanto al suo ventre. Seduto su questo giaciglio stava un ragazzo, dai capelli bruni e gli occhi chiari. Sia il drago sia il ragazzo stavano guardando  Pedro e Taishiro con molta sorpresa.
 
 -Chi siete?- chiese brusco il ragazzo.
 -Siamo Pedro e Taishiro della Terra di Tsagumi- rispose Pedro, impaurito.
 
Quel ragazzo aveva uno sguardo duro, che non doveva addirsi per nulla alla sua presunta giovane età.
 
 -Siete spie del nemico? Siete spie di Galbatorix?-.
 
Eh, sì, sempre così, in tempo di guerra. Sempre sul chi va là.
 
 -Non sappiamo neanche chi sia, questo Galbatorix- rispose Taishiro, anch’essa in modo brusco, tanto per ripagare la crudezza del ragazzo.
 -Saphira dice di portarvi immediatamente da Arya, e credo proprio che abbia ragione-.
 -Chi è Saphira?- chiese Taishiro, guardandosi attorno. Non c’era nessun altro, nelle vicinanze.
 -Saphira è la dragonessa che vi trovate davanti hai vostri occhi-.
 -E può parlare?-.
 -Può parlare attraverso la mente-.
 
Pedro, involontariamente, mise una mano dentro un tasca e tastò una lettera. La tirò fuori dalla saccoccia cucita e ricamata dell’elegante abito che aveva ricevuto a Narnia e la guardò: la busta era rossa, con la scritta del destinatario in oro. Ma certo, si era dimenticato che aveva sempre una lettera nelle proprie tasche. Lesse il nome vergato in oro e chiese:
 
 -Chi è Eragon?-.
 -Sono io- rispose il ragazzo sconosciuto.
 
Pedro gli consegnò la lettera ed Eragon lesse:
 
Eragon,
io sono Ryuso, stregone-capo del villaggio di Tabauni, da dove vengono i ragazzi che sono davanti a te. So che tu e la tua dragonessa Saphira siete in guerra contro Galbatorix (sì, so benissimo chi è Galbatorix). I ragazzi ti aiuteranno. Ti chiedo in cambio di aiutarli nella loro missione.
Che la tua spada resti affilata,
                                                                                                                Ryuso
Stregone capo del villaggio di Tabauni, nella Terra di Tsagumi
 
 
Eragon rilesse la breve lettera che quel Ryuso gli aveva spedito. “Stregone alquanto bizzarro, ma chi diavolo è?” pensò, mentre Saphira, nella sua testa, annuiva energicamente.
Decise dunque di portarli da Lady Nansuada, la regina dei Varden, la popolazione sotto la montagna, nucleo di ribelli contro il potere dei Cavalieri di Drago, da Arya, la rappresentante degli elfi e figlia della regina Islanzadi, regina elfica, da Orik, il rappresentante dei nani, da re Orrin, il re del Surda (la regione che sembrava un enorme deserto sulla quale erano atterrati, luogo di Alagaesia dove risiedeva il potere degli umani), dal Du Vrangr Gata, il gruppo di  stregoni dei Varden e fece conoscere loro Roran, l’unico familiare di Eragon rimasto in vita; erano cugini, ma si presentarono come se fossero fratelli; non dissero ai due amici il motivo di quest’atteggiamento.
Eragon spiegò loro come stavano le cose in quel posto chiamato le Pianure Ardenti: li si era appena svolta una battaglia tra l’esercito di Galbatorix e quello dei Varden e avevano vinto i Varden; a stento, ma avevano vinto. Un aiuto era stato dato anche dagli abitanti di Carvahall, il villaggio raso al suolo luogo di provenienza di Eragon e Roran, la cui gente era stata costretta a fuggire dai Ra’zac, creature più animali che umane, creature di Galbatorix. Ora che avevano sconfitto l’esercito del nemico, la Grande Tenda fece il punto della situazione. Eragon fece leggere la breve missiva di Ryuso a Nansuada, che disse, rivolgendosi direttamente agli ospiti:
 
 -Allora, il vostro stregone-capo Ryuso dice che ci dovete dare una mano. Avete già combattuto, prima di adesso?- fece la regina, pratica.
 
Una ragazzina a capo di un popolo, ecco cosa sembrava.
 
 -Sì- risposero i due, annuendo.
 -Cosa sapete fare?-.
 -Io so tirare con l’arco- rispose Taishiro, pronta.
 -Io so combattere col pugnale e schivare i colpi nemici per portare i messaggi. Inoltre so qualcosa delle arti mediche- disse Pedro.
 -Non sapete usare la magia?-.
 -Un pochino. Abbiamo imparato qualcosa ad Hogwarts-.
 -Cos’è Hogwarts?- chiese Saphira attraverso Eragon
 -È un’accademia di magia-.
 -Bene. Che cosa sapete fare con la magia?-.
 
Pratica, la regina dei Varden, molto pratica.
 
 -Poche cose. Giusto qualche piccolo incantesimo che possa bloccare il nemico per un po’ e degli incantesimi di levitazione per piccoli oggetti-.
 -Sapete schermare la mente?- chiese Orik, il rappresentante dei nani.
 -Cosa vuol dire?- chiese Pedro. Aveva la faccia di uno che ha stampato un grosso interrogativo sulla fronte.
 -Vuol dire se sapete proteggere i vostri pensieri dalla mente altrui- rispose un membro del Du Vrangr Gata.
 -Veramente, nessuno ha mai attaccato la nostra mente- disse Taishiro.
 -Allora faremo così: Taishiro starà con gli arcieri e non si dovrà allontanare da lì, per nessuna ragione al mondo; sarò io stessa a dare l’ordine contrario, in caso. Pedro porterà i messaggi da una parte all’altra del campo. Però entrambi dovrete imparare a schermare la mente. Eragon, insegnerai loro come si fa, d’accordo?- disse Lady Nansuada tutto d’un fiato, guardando infine Eragon in volto.
 -Sì, Lady Nansuada- rispose lui, abbassando il capo, in maniera riverente.
 -Bene. Tu, Saphira e i due ragazzi potete andare. Dopo Arya ti raggiungerà per aiutarti con l’insegnamento. Abbiamo poco tempo. Le truppe di Galbatorix potrebbero attaccare da un giorno all’altro; c’è anche il pericolo che l’Imperatore stesso scenda in battaglia insieme a Murtagh. Abbiamo veramente poco tempo. Inizia subito, Eragon-.
 
 -Allora, schermare la mente è abbastanza facile- disse Eragon mentre camminavano verso il suo giaciglio.
 
Saphira li seguiva e tutti, nel campo, si voltavano a guardare lei e il suo Cavaliere, al loro passaggio.
 
–Bisogna solo vedere quanto tempo  siete disposti a mantenere nascosti i vostri pensieri- aggiunse ancora il ragazzo.
 
Arrivati al giaciglio, Saphira si sdraiò in maniera comoda, alzò un’ala per coprirli a mo di tenda e guardò il suo piccolo amico insegnare ai due ragazzi stranieri come schermare la mente.
 
 -Ora vi farò sentire com’è la sensazione di quando una persona vi sfiora con la mente con il proprio pensiero-.
 
Eragon provò a toccare la coscienza della ragazza, ma improvvisamente scoprì di non poter entrare nei suoi pensieri. Si trovò davanti ad una barriera mentale molto robusta. Continuò a cercare di abbatterla in tutti i modi; sul volto di Taishiro non c’era la minima traccia di sforzo. Pedro guardava con attenzione la scena: Taishiro, seduta sulle ginocchia, guardava fisso Eragon negli occhi; Eragon, dal canto suo, cominciava ad avere la faccia contratta per lo sforzo. Pedro non aveva mai visto Taishiro così concentrata. Improvvisamente gli occhi della sua amica si distaccarono da quelli di Eragon e il viso di quest’ultimo torno rilassato. Il giovane si passò una mano sul viso e sospirò.
 
 -La prossima volta avvertimi che sei in grado di fare una cosa del genere, sprecheremmo meno tempo-.
 -Beh, l’ho sempre fatto ma non sapevo che si trattasse di  “schermare la mente”-.
 -Qualsiasi stregone di Galbatorix avrebbe difficoltà a guardare nella tua testa. Ora proviamo con Pedro-.
 
Pedro voleva dimostrarsi bravo quanto Taishiro, così cercò in qualche modo di schermare la sua mente, ma ovviamente non sapeva come si facesse. Quando meno se lo aspettava, sentì un fastidioso ronzio dentro la testa e capì che Eragon stava ascoltando i suoi pensieri. Quel contatto durò appena dieci secondi poi svanì.
 
 -Allora, Pedro. Ora ti insegnerò come schermare la mente. Taishiro ascolta anche tu, perché a quel che ho visto, puoi schermare la tua mente solo quando guardi negli occhi una persona-.
 
La ragazza rizzò la schiena in segno di ascolto.
 
 -Per formare una barriera mentale bisogna concentrarsi su una cosa in particolare e pensare solo a quella. Provate a concentrare tutti i vostri pensieri su un oggetto soltanto e, se il pensiero sarà abbastanza forte, io vedrò solo quello su cui voi avete concentrato i vostri pensieri. State pronti-. 
 
Pedro decise di concentrarsi sul ricamo che aveva sulla giubba che aveva ricevuto a Narnia, d’un bel colore rosso acceso, mentre Taishiro chiuse gli occhi e provò a concentrarsi sul ricordo degli occhi di Eragon. Senti subito la coscienza di Eragon prima sfiorarla e poi attaccarla; la sua barriera era troppo debole. Poi Eragon spostò la sua attenzione su Pedro e scoprì davanti a sé, come barriera, il volto di Taishiro; Pedro aveva provato a concentrarsi sul ricamo, ma non c’era riuscito perché l’immagine di Taishiro, concentrata e impassibile, continuava a venirgli davanti agli occhi. Eragon non riuscì a vedere ciò che Pedro pensava realmente, però sentì una voce che gli diceva: “Non dire niente a Taishiro”. Quando il Cavaliere dei Draghi allentò l’attacco disse:
 
 -Molto bene, Pedro, se continuerai a concentrarti sempre e solo su quella cosa nessuno vedrà mai i tuoi pensieri. Taishiro, non puoi concentrarti solo su un ricordo perché è una barriera troppo semplice, da bambini; per di più, il ricordo è un pensiero volubile soggetto ai cambiamenti dell’inconscio, non puoi pensare che uno anche appena sotto il tuo livello non veda i tuoi pensieri; ti devi concentrare su qualcosa di reale-.
 
-Ehm-ehm- disse una voce, dall’altra parte della membrana dell’ala di Saphira.
 
La dragonessa richiuse leggermente l’ala, facendo passare una donna alta, longilinea in tenuta da battaglia, con lunghi capelli corvini e due profondi occhi verdi, scuri come le fronde di una foresta; le orecchie appuntite la denotarono come appartenente alla popolazione elfica: era Arya, la figlia della regina Islanzadi. Alla vista dell’elfa, Eragon drizzò la schiena come un vero maestro.
 
 -Allora Eragon, come procede l’insegnamento?-.
 -Abbastanza bene. Grazie, Arya. In realtà, i due ragazzi sapevano schermare la mente un pochino ma non sapevano cosa fosse o come riuscissero a farlo. È un bene che tu sia qui, così mi aiuterai-.
 -D’accordo- disse Arya, leggermente fredda, senza aggiungere alcuna emozione al suo volto –Io insegnerò alla ragazza e tu al ragazzo-.
 -Sì-.
 
Dopo aver detto questo, Arya prese da parte Taishiro e controllò le sue capacità.
Invece, Eragon, dopo un’ultima occhiata sognante all’elfa, si girò ed incominciò a far allenare Pedro a schermare la mente. Proseguirono con l’allenamento per tutta la mattina e tutto il pomeriggio, fino all’ora della cena, che per loro avvenne al di fuori della Grande Tenda. Quando il pasto fu servito, Lady Nansuada chiese:
 
 -Pedro, Taishiro, come è andato l’addestramento? Avete imparato a schermare la mente?-.
 -Sì- risposero Pedro e Taishiro, guardandosi di sottecchi.
 -Penso che, se il nemico ci attaccasse questa notte stessa- intervenne Eragon –Sarebbero quasi pronti-.
 -Giusto quasi- gli fece eco Arya, ad uno sguardo della Regina.
 
Poi i due ragazzi conobbero Angela l’erborista. Era una specie di maga che una volta abitava a Teirm, città affacciata sul mare e che aveva alle spalle la Grande Dorsale, la catena dei monti principali di Alagaesia. Infine, parlarono con il cugino di Eragon, Roran.
 
 -Come hai fatto a portare attraverso l’enorme viaggio che hai affrontato a farti seguire dal tuo intero villaggio?- chiese Taishiro, incuriosita dalle voci che giravano nel campo, circa la storia singolare di quel ragazzo.
 -Perché i Ra’zac hanno rapito la mia futura sposa, Katrina. E poi quei maledetti mostri avrebbero abbattuto il nostro villaggio con tutte le loro forze per avermi-.
 -Cosa sono i Ra’zac?-.
 -Sono creature quasi umane, con il viso e il corpo deforme. Al posto della bocca hanno un enorme becco che fanno schioccare quando parlano. Cavalcano delle creature alate molto simili ai draghi, tranne per il fatto che in realtà sono i genitori dei Ra’zac e si chiamano Pupe- rispose Eragon, metodico, che aveva sentito un brandello della loro conversazione.
 -Ehi, l’ora del coprifuoco è scattata- disse un soldato –Lady Arya, Lady Nansuada vuole parlare con lei-.
 -Arrivo-.
 
Eragon e Saphira salutarono i due amici e si allontanarono di nuovo verso il giaciglio di Eragon. Roran augurò la buonanotte. Pedro e Taishiro si rifugiarono in una tenda che era stata loro assegnata e vicino alla quale erano stati legati Acum e Whailida, poco lontano dal Cavaliere dei Draghi e dalla sua compagna; a turno, si cambiarono d’abito: i vestiti di Narnia non erano affatto adatti a quel campo di battaglia, per cui indossarono degli abiti più comodi su cui posero delle cotte di maglia in ferro; adagiarono l’Ilv accanto al loro giaciglio e tentarono di addormentarsi, non senza difficoltà: era la prima volta che dormivano nello stesso luogo dopo tanto tempo, dato che sia ad Hogwarts che a Narnia avevano riposato in dormitori e stanze separate. Un leggero velo di imbarazzo aleggiava sopra di loro, sebbene non fosse la prima notte che passavano dormendo assieme, dato che era una cosa che a Tabauni avevano fatto spesso, soprattutto quando l’uno rimaneva a cena a casa dell’altra. Pedro sospirò.
 
-Credi che arriveremo alla fine della nostra missione?- chiese Taishiro, nel buio.
-Dobbiamo. Altrimenti mio padre morirà e forse non avremmo nemmeno una casa in cui tornare- rispose il ragazzo.
-Lo so. È che a volte mi prende il timore di rimanere per sempre bloccata in uno dei luoghi che visitiamo, senza via di fuga-.
-Pensi che non sia la stessa paura che attanaglia anche me?-.
 
Il ragazzo si voltò verso l’amica, di cui distingueva appena le forme nel buio della piccola tenda e, preso da uno slancio di coraggio, le prese la mano e la strinse.
 
-Sono certo che troveremo un modo, qualora dovesse accadere. Ne abbiamo parlato anche altre volte, eppure non è cambiato molto. Stiamo imparando tanto e credo che finché rimarremo insieme, supereremmo qualsiasi problema-.
 
La ragazza trattenne un attimo il respiro, ricambiò la stretta delle dita dell’amico e poi commentò:
 
-Speriamo solo che questo dannato posto non sia troppo esteso, altrimenti alla fine della guerra ci vorrà un’infinità per trovare la cura della Grande Malattia-.
 
Pedro si lasciò sfuggire una risata nervosa, per poi aggiungere: -Potremmo sempre sfruttare le ali di Saphira-.
 
Anche Taishiro si lasciò andare ad una risata nervosa e si rilassò; si addormentò poco dopo e così fece Pedro, facendosi cullare dal respiro di lei, un’ancora di salvezza in quel luogo desolato e ostile.
















Note di Saeko:
E con questo capitolo più lungo del solito, auguro un buon Natale a chiunque sia attivo su Efp e abbia avuto la forza di leggere sino a qui. Siamo giunti finalmente ad un racconto in cui la mia infanzia si è lentamente trasformata in adolescenza: Il Ciclo dell'Eredità di Christopher Paolini, libri dei quali sono sempre stata innamorata e che mi hanno accompagnata sino al mio ingresso al liceo.
Voglio tuttavia fare un appunto: gli eventi che qui riguarderanno le interazioni di Pedro e Taishiro con Eragon e il suo mondo, prendono vita appena alla fine di "Eldest", poiché quando scrissi questi capitoli non era ancora uscito "Brisingr" e anzi c'era il dubbio che la serie di romanzi di fermasse a tre volumi o continuasse con il quarto; per cui tutto quanto avvenuto nel terzo libro e soprattutto in "Inheritance" non verrà considerato. Vi chiedo di considerarlo un finale alternativo agli eventi di "Eldest", sperando che ve ne piaccia la mia reinterpretazione.
E infine, un po' di intimità tra questi due poveri protagonisti che porelli, so sempre troppo presi da azioni importanti da non poter parlare nemmeno tra di loro.
Venerdì e domenica dovrei pubblicare gli ultimi due capitoli dell'anno e se ci riuscirò, sarò arrivata a circa metà pubblicazione della storia. SO bring it on and wait for the best!
Ancora buon Natale e niente, oggi vi do il permesso di abboffarvi.

Saeko's out!
 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22: Il salvataggio di Katrina e la sconfitta di Galbatorix ***


Capitolo 22:
Il salvataggio di Katrina e la sconfitta di Galbatorix[1]
 
Taishiro si svegliò all’improvviso nel cuore della notte. Pedro dormiva sereno accanto a lei, ancora con la mano stretta nella sua. Non riusciva a capire cosa l’avesse svegliata; all’inizio aveva pensato ad un incubo ma poi, ripercorrendo la strada dei ricordi del suo sogno, capì che non era stato un incubo, poiché non ne aveva fatti; immaginò che potesse essere stato un rumore ad averla svegliata, un fruscio, qualcosa che potesse averla disturbata: sì, si avvicinava molto ad un rumore, come un ronzio, sordo, continuo. Si chiese perché quel rumore non avesse svegliato anche Pedro e si accorse dunque che c’era qualcuno che stava cercando di sfiorare la sua coscienza.
Svegliò immediatamente l’amico, che assonnato aveva risposto –Che c’è?-, e dopo che l’amica gli aveva spiegato tutto e che lui si era reso conto che effettivamente qualcosa stava tentando di sfiorare anche la sua coscienza, si alzò e insieme corsero da Eragon e Saphira. Arrivati al loro giaciglio, li videro svegli e chiesero:
 
 -Anche voi svegli?- chiesero, visibilmente agitati.
 -Ci siamo accorti entrambi che qualcuno cercava di entrare nelle nostre menti. Andiamo ad avvertire Nansuada- disse frettoloso il ragazzo, raccattando i suoi pochi oggetti e legandosi la spada al fianco.
 -Veniamo con voi-.
 
Dopo aver svegliato la regina dei Varden e messo in allerta tutto il campo, si preparano a quello che doveva essere certamente un attacco; sellarono Acum e Whailida, indossarono delle pesanti armature, si posero un elmo sulla testa; a Pedro venne consegnata una daga, a Taishiro un arco e delle frecce. Pedro era di nuovo spaventato, come se non fosse mai andato in guerra, eppure non aveva dimenticato com’era o cosa doveva fare: se lo ricordava benissimo. Ma forse era proprio questo ad agitarlo: il ricordo della guerra per la riconquista di Ashby metteva ancora i brividi. Dalla sua cavalcatura, Taishiro si sporse verso di lui e, allungando la mano, strinse la sua; anche lei aveva paura. Non era come quella prima battaglia, nemmeno lei desiderava più combattere. Aveva capito che il trovarsi mescolati negli affari di altri mondi rallentava la loro missione e li metteva semmai di fronte ad un pericolo ancora più grande. Lo sguardo dei due amici era fisso sull’orizzonte. Quell’attesa era snervante; perché non attaccavano subito?
I Varden sembravano pronti a tutto pur di vincere quella guerra, ma i loro volti erano pallidi e smunti; gli abitanti del villaggio di Carvahall, giunti dal nord in quella terra del sud, erano spaventati; anche i bambini avevano delle armi in mano; i nani, fieri nelle loro armature, erano molto adirati perché i soldati di Galbatorix avevano ucciso il loro re; gli Urgali, bestioni giganteschi e sanguinari, dalla pelle grigia e gli occhi piccoli, erano pronti; volevano la morte di Galbatorix, così sarebbero stati liberi dal suo controllo; i maghi del Du Vrangr Gata avevano ancora più paura degli altri perché non sapevano molto sulla magia, in realtà; Arya era in piedi, fiera con la sua arma in mano, desiderosa di combattere; Angela, accanto all’Elfa, cercava di mostrarsi fiera quanto lei; il gatto mannaro di Angela, Solembum, si era trasformato in un ragazzino dai capelli corvini e dai denti aguzzi e teneva in mano un piccolo pugnale; Eragon, a cavallo di Saphira, era pronto a scontrarsi con suo fratello Murtagh, sangue del suo sangue, figlio di Morzan, che si era alleato a Galbatorix; per questo Eragon preferiva pensare che Roran fosse suo fratello, per rinnegare il suo legame di sangue con colui che aveva aiutato un uomo a distruggere il suo mondo e l’Ordine dei Cavalieri dei Draghi; Saphira, che stava per scontrarsi con Castigo, il drago di Murtagh, doveva prepararsi per uno scontro in volo. D’improvviso sentirono delle urla provenire dal campo nemico: Angela aveva di nuovo messo del veleno nei loro piatti e nelle loro borracce dell’acqua; da quando era iniziata la guerra nelle Pianure Ardenti lo faceva quasi tutte le notti, eppure non serviva a niente, perché le armate nemiche sembravano avere un’infinità di soldati.
Dall’altra parte del campo i soldati si preparano, schierandosi. Cominciarono a marciare, poi a correre; i Varden fecero lo stesso. Lo scontro fu più duro di quello che avevano subìto due giorni prima. Murtagh stavolta non si premurò di nascondersi, ma attaccò subito Eragon. Roran, Pedro, Taishiro e Arya, dopo aver lanciato i primi fendenti contro l’armata nemica, avevano lasciato le loro cavalcature (Acum e Whailida erano velocemente tornati verso il lato sicuro del campo) e si erano velocemente nascosti sotto il ventre della dragonessa, issandosi come meglio potevano sulle sue squame. Nansuada sapeva che c’erano delle spie dal suo lato del campo, così aveva rivelato a tutti le posizioni sul campo di battaglia delle quattro persone che ora lottavano per rimanere attaccati al ventre di Saphira, in maniera che eventuali sicari convergessero verso direzioni diverse. Eragon doveva cercare di distrarre Murtagh, così che i suoi amici e suo cugino potessero passare inosservati; si erano già camuffati da spie di Galbatorix, così che nessuno avrebbe fatto caso se loro fossero andati dalla parte opposta dei soldati.
 
 “Ricordatevi” disse Arya con il proprio pensiero, toccando appena le coscienze dei suoi compagni, anche se avrebbe potuto tranquillamente gridare senza premurarsi d’esser sentita: il clangore delle armi e i ruggiti degli animali erano tanto possenti che avrebbero potuto coprire qualsiasi voce.
 “Appena Eragon ci darà il segnale con la sfera di fuoco, ognuno di noi lascerà il ventre di Saphira e andrà verso il campo opposto”.
 
A questa frase gli altri tre risposero con un cenno di capo appena percettibile. In quel momento Eragon lanciò una sfera di fuoco con la magia verso Murtagh. I quattro si lasciarono cadere, cercando di atterrare il meno rovinosamente possibile sul terreno, e corsero verso l’accampamento nemico. Riuscirono a passare oltre Castigo, impegnato a tentare di ferire Saphira come meglio poteva, e i soldati, senza che nessuno li fermasse; la battaglia era iniziata ormai. Il campo dell’Imperatore era vuoto.
Apparentemente.
Dopo essere entrati in quasi tutte le tende, si trovarono di fronte ad una tenda nera come il carbone; ne uscì la sola coppia di Ra’zac rimasta nel campo, che si rivelò essere quella che aveva dato la caccia a Roran e agli abitanti di Carvahall negli scorsi mesi addietro.
 
 -Finalmente ci reincontriamo, Roran- disse il primo Ra’zac, con la voce acuta, seguita da uno schiocco, probabilmente proveniente dal becco che avevano al posto della bocca.
 -Ti stavamo aspettando- disse il secondo –Notiamo che ti sei portato anche un paio di amici dietro e la principessa degli elfi-.
 
Quei sibili con cui i Ra’zac comunicavano con gli umani erano terrificanti. Taishiro strinse la mano di Pedro, di nuovo; il ragazzo, però, in quel momento sembrava stranamente calmo.
 
 -Il re sapeva che saresti venuto a salvare la tua amata, ma non avrebbe mai sperato di avere anche la preziosa figlia di Islanzadi-.
 -Lo faremo contento- fece lei, sorridendo ammaliante.
 
Roran aveva il viso rosso di rabbia. Per riprendersi Katrina avrebbe dovuto uccidere quelle bestie. Non che avesse paura di ucciderle, ma un Ra’zac sembra quasi sempre indistruttibile; inoltre, gli era sfuggito per mesi, scampando a morte certa; trovarseli davanti non faceva altro che aumentare la sua tensione.
Le creature stavano per sfoderare le lame, avvicinandosi vertiginosamente, ma Roran fu più svelto, con un movimento lesto estrasse dalla sua cintura il suo martello da fabbro (che tanto gli aveva valso il nome di “Fortemartello”) e lo batté sul cranio del primo Ra’zac mentre Pedro gli infilava la daga dritto nel cuore. Arya e Taishiro, che avevano già incoccato una freccia nei loro archi prima di incontrare quelle bestie umanoidi, istintivamente, puntarono i loro dardi al cuore del secondo mostro e lo uccisero. Roran aveva tratto insegnamento dai continui attacchi dei Ra’zac e aveva studiato quindi alla perfezione come distruggerli velocemente.
Dopo aver scavalcato i corpi delle due creature, entrarono nella tenda. Katrina era incatenata su dei pali di legno. Roran corse da lei pieno di felicità. Certo, la ragazza era incosciente e ferita alla tempia, come testimoniava un rivolo di sangue secco che era scorso lungo il suo volto, i polsi erano viola a causa del troppo tempo passato in catene, gli abiti insanguinati e stracciati sembravano aderire al suo corpo magro come un sudario, ma lui era felice. Aveva di nuovo la sua amata sposa. Gli altri lo aiutarono a liberarla.
 
Eragon non riusciva più a respingere gli attacchi del fratello e Saphira era ferita gravemente alla zampa anteriore sinistra. Il morso che le aveva dato Castigo era penetrato in profondità. Dove erano finiti Roran, Arya, Pedro e Taishiro? Erano riusciti a salvare Katrina?
Quando la spia di Lady Nansuada aveva annunciato che in una tenda di Ra’zac c’era una ragazza incatenata, lui aveva capito subito che si trattava di Katrina. Così, col permesso della regina di Varden, avevano progettato il piano per salvare la futura sposa del cugino. Ma perché non stavano tornando? Era forse successo qualcosa? Doveva andare a vedere e voleva smettere di combattere con il fratello perché non ce la faceva più; la battaglia non stava avvenendo solamente sul campo, ma anche nelle loro menti. Orik, il comandante dei nani, arrivò giusto in tempo: lui, insieme a un piccolissima parte dell’esercito dei nani e al Du Vrangr Gata, si avventarono su Castigo e fecero in modo che non potesse volare; Saphira spiccò dunque il volo in un batter d’occhio e in due minuti era già al campo di Galbatorix.
Eragon scese dal dorso della sua dragonessa e andò alla ricerca della tenda dei Ra’zac. Era pronto a combatterli, se necessario. Saphira lo seguiva. “Non ti preoccupare, sono sicura che Roran sta bene e che anche gli altri stanno bene. C’era Arya con loro e non può essere successo nulla di negativo se non per i Ra’zac” gli disse, con la sua voce profonda e possente, cercando di rassicurarlo.
“Lo spero, rispose Eragon nervoso. La dragonessa voleva tranquillizzare il suo giovane Cavaliere, ma anche se stessa. Si era affezionata a Roran, nonostante questi fosse ancora diffidente ad aprirle la mente.
Arrivati alla tenda nera, videro due Ra’zac morti, uno con il cranio spaccato e un foro nel petto e l’altro con due frecce nel cuore. Eragon entrò con un sospiro di sollievo e vide Roran che stringeva una smunta Katrina priva di sensi, mentre Arya e i nostri due amici la liberavano dalle catene.
 
 -È viva?- chiese incerto il Cavaliere dei Draghi.
 -Sì. Priva di sensi, ma viva- rispose Taishiro.
 
Hai visto? Te l’avevo detto. C’è stato pericolo solo per i Ra’zac, disse Saphira a Eragon. “Sì, sono stati bravi, disse il ragazzo, sollevato nel vedere il cugino felice e Katrina viva.
 
 -I Ra’zac le hanno somministrato una specie di sostanza come quella che avevano somministrato a me, ma non è velenosa. Non hanno voluto mettere a rischio la sua vita in modo che Galbatorix, una volta che ci avesse presi, ci avrebbe uccisi insieme. Tutti noi eccetto te e Saphira- disse Arya, una volta che Pedro e Taishiro ebbero finito di liberare la ragazza dalle catene e che questa venisse presa in braccio da Roran, che la strinse a sé.
 -Hai capito, Eragon, Katrina è viva e ora la porteremo dai guaritori dei Varden per risvegliarla-.
 
Dopo che Roran ebbe pronunciato queste parole, da fuori venne un grande ruggito da parte di Saphira, e subito dopo un getto di fuoco finì sulla tenda. Fortunatamente, sia Eragon che Arya erano pronti a qualsiasi attacco, quindi dopo aver sentito il ruggito della dragonessa, avevano innalzato delle barriere magiche intorno a loro e ai loro compagni e si erano salvati, mentre al di fuori delle barriere, ciò che rimaneva della tenda bruciava alla velocità della luce. Murtagh e Castigo li avevano raggiunti fuggendo dai nani che venivano verso di loro. Il drago rosso aveva le narici che ancora fumavano. “Accidenti, proprio ora!” pensò il Cavaliere.
Stupido drago pestifero, ti farò fuori in due secondi!” pensò Saphira, più combattiva che mai.
 
 -Eragon, io e te non abbiamo ancora finito, perciò sali sul tuo drago e combatti- gridò Murtagh.
 -Io ti chiedo ancora, invece, come hai fatto a passare dalla parte di Galbatorix dopo tutto quello che ti ha fatto-.
 -Te l’ho detto: Galbatorix vuole ripristinare l’ordine dei Cavalieri dei Draghi. Vieni anche tu con me, unisciti a noi-.
 
Stava tentando uno stratagemma che Eragon ben conosceva.
 
 -Nemmeno per sogno- rispose infatti, sperando in qualche strano modo di poterla chiudere lì.
 -Fai male, giovane Cavaliere- disse una voce estranea al discorso.
 
Come non detto.
I due fratelli si voltarono e videro un gigantesco dragone nero atterrare vicino a loro, con una leggiadria che non ci si aspetterebbe mai dal nemico; le sue squame, scure come l’ebano e dure come il marmo, rilucevano nella poca luce polverosa del campo. Era Shruikan, il drago di Galbatorix (ovvero il drago che Galbatorix aveva rubato all’Ordine dei Cavalieri dei Draghi) ed era dunque stato l’imperatore a parlare. Scese dal suo drago e si avvicinò ad Eragon, ghignando sommessamente. Dimostrava circa quarant'anni, aveva la pelle abbronzata ma fragile, le spalle larghe e robuste e la vita stretta; i capelli scuri erano leggermente radi sulla testa e gli occhi erano scuri. Subito disceso dalla sua cavalcatura, cercò di attaccare il suo giovane nemico con la mente. Eragon aveva appena fatto in tempo ad alzare le proprie barriere mentali.
 
 -Bene, noto che il tuo tentativo di proteggerti è piuttosto repentino, Eragon. Potresti diventare più forte di me, Murtagh e gli Elfi messi insieme, se ti unissi alla mia persona. Purtroppo non posso ucciderti e poi prendermi la tua dragonessa, perché essa morirebbe subito dopo di te. Vedi, ragazzo io voglio ripristinare l’ordine dei Cavalieri e ho bisogno di entrambi-.
 -Sì?!? E perché dunque, se il vecchio lo hai distrutto?-.
 -Il Vecchio Ordine sarebbe andato comunque a rotoli. I vecchi Cavalieri e i loro draghi erano diventati egoisti, pensavano solo a loro stessi. Avevano incominciato a distruggere i villaggi pur di divertirsi ed erano diventati delle marionette in mano agli Elfi-.
 
Mentre l’imperatore pronunciava queste parole, continuava ad attaccare Eragon con metà della sua mente e aveva bloccato le altre persone che erano lì con l’altra metà.
Non cedere, Eragon!” fu l’ultimo pensiero cosciente che Arya rivolse al giovane Cavaliere dei Draghi.
Pedro sentì come se il sonno trascurato nell’ultimo periodo fosse arrivato tutto insieme, proprio in quel momento. Era però consapevole di ciò che accadeva intorno a lui. Era consapevole che Galbatorix stava attaccando Eragon con la sua mente per convertirlo a lui. Era consapevole che Shruikan aveva catturato Saphira sotto le sue zampe e non la lasciava libera. Voleva gridare a Eragon di cercare di attaccare Galbatorix, ma non riusciva a muovere un muscolo. Improvvisamente sentì un urlo da parte di Taishiro. Galbatorix, inconsciamente, le stava facendo del male; doveva liberarsi dalla strana sensazione che lo avvolgeva, doveva salvare la sua amica.
Improvvisamente le sue barriere mentali si innalzarono. Capì che poteva muoversi. Galbatorix non si era accorto che non aveva più controllo su di lui, visto che cercava di distruggere in tutti i  modi le barriere mentali di Eragon; senza accorgersene, l’imperatore aveva addormentato anche i tre draghi e Murtagh. Cercando di fare meno rumore possibile, svegliò i suoi alleati dalla trance, intimando loro di non far rumore. Nel frattempo, Galbatorix, aveva continuato a parlare a Eragon del nuovo regno che voleva costruire. Il ragazzo era allo stremo delle forze; non riusciva più a tenere innalzate le barriere mentali; stava per dire “Accetto di unirmi a te” a quell’uomo che, stranamente, cominciava a tessere un discorso invitante, le cui parole cominciavano a risultare tutto, fuorché insensate. Ma in quello stesso frangente Katrina si era svegliata e alla vista dei tre draghi addormentati aveva urlato.
L’attenzione di Galbatorix era stata distolta. A quel punto il “gruppo di salvataggio” ne approfittò e tutti ferirono l’imperatore con le loro armi, tutti insieme, nello stesso momento; Eragon invece affondò la sua spada dritta nel cuore di Galbatorix. L’uomo non reagì né gridò. Sul suo volto si dipinse solo un’espressione di pura e semplice sorpresa. Così morì il grande imperatore impazzito che aveva sottomesso Alagaësia.
Si concluse un’era lunga decenni, in quel solo istante.
 

[1] Quanto raccontato in questo capitolo è una reinterpretazione di quanto successo dopo “Eldest” di Christopher Paolini. All’epoca della prima stesura del capitolo, gli unici due volumi usciti del Ciclo dell’Eredità erano appunto “Eragon” ed “Eldest” e non si sapeva ancora se Paolini avrebbe concluso la saga con tre o quattro libri. Perciò quanto riportato in “Brisingr” e “Inheritance” non verrà considerato. La battaglia qui descritta avrà luogo solamente due giorni dopo quella che conclude il volume secondo del Ciclo, per cui SPOILER Galbatorix non è ancora stato visto fisicamente (ciò accadrà solo in “Inheritance”), Roran e Katrina ancora non sono sposati e Katrina ancora non aspetta, Eragon è ancora molto inesperto nelle arti magiche, poiché non ha ancora completato il suo addestramento (che avverrà a Ellésmera) e non sa ancora tutto di sua madre Selena, se non che è la stessa donna che ha dato alla luce Murtagh, per cui crede di essere anche lui figlio di Morzan (quando invece in “Brisingr” viene rivelato che il suo vero padre è un altro – Brom – e che dunque lui e Murtagh sono semplicemente fratellastri). La battaglia qui descritta si ritiene conclusiva della saga.























Note di Saeko:
Et voilà, eccomi qua, come già anticipato il giorno di Natale. Non ho molto da aggiungere a questo capitolo, poiché ho già detto molto di ciò che avrei voluto comunicare nella nota a piè di pagina del capitolo; posso aggiungere che revisionare e correggere e ampliare quanto già avevo scritto è stato molto complicato per questo capitolo, rispetto a molti altri, proprio a causa della complessità della storia di Paolini e dei diversi omissis ai quali sono stata costretta a causa della precocità rispetto alla conclusione di quando avevo scritto questo capitolo quasi 15 anni fa.
Vi comunico inoltre che, qualora leggeste da smart devices questa storia, per una migliore fruizione, da domani e ogni 28 del mese, pubblicherò su Wattpad (domani caricherò online i primi dieci capitoli di questa storia, per cui se volete, vi lascio qui di seguito il link per arrivare alla mia pagine e, perché no, seguirmi:

https://www.wattpad.com/user/VeronicaSaeko

Detto ciò, buon tutto a chiunque mi legga, vado a gustarmi una buona cioccolata calda.

Saeko's out!
 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23: Addio, Alagaësia! ***


Capitolo 23:
Addio, Alagaësia!
 
Galbatorix era morto. Il suo corpo, attraversato dalle molte ferite appena inferte, era inerme, lì davanti a loro, nella polvere, senza vita. Tutti guardavano stupiti la scena. Galbatorix, il grande imperatore che aveva sottomesso l’intera Alagaësia, era morto per una distrazione. La cosa più strana era certamente che non avesse provato a reagire.
Shruikan aveva lasciato andare Saphira ed era stato il primo a distogliere lo sguardo dall’uomo disteso a terra: non lo riconosceva. Per lui non significava niente; quell’uomo aveva ucciso il suo cavaliere quando era solo un cucciolo e l’aveva sottomesso a lui, aveva per cui vissuto gli ultimi decenni alla stregua di uno schiavo, la mente perennemente circondata da catene mentali, senza poter piangere né interiorizzare la morte del suo cavaliere. Saphira, che avvertiva il profluvio di pensieri provenire dall’animale, per la prima volta da quando lo aveva visto, si avvicinò a lui e strofinò il proprio muso coriaceo su quello dell’ormai ex avversario, probabilmente cercando di confortarlo con parole che solo i draghi conoscevano. Eragon, ora che Galbatorix era morto, aveva smesso di fissarlo e stava guardando Murtagh e Castigo. Entrambi sembravano completamente estraniati da ciò che stava succedendo. Murtagh si girò verso Eragon e gli chiese:
 
 -Cosa è successo, Eragon?-.
 -In che senso?-.
 -Come ha fatto Galbatorix a morire? Come sono arrivato qui? E come mai mi trovo in sella ad un drago? L’unica cosa che mi ricordo è che i Gemelli ci attaccavano e uccidevano Ajihad-.
 
Aveva la faccia di uno che si è appena svegliato da un coma lungo, traumatico.
 
 -Beh, i Gemelli ti hanno catturato e Galbatorix ti ha sottomesso a lui; evidentemente, conosceva il tuo vero nome. Poi ti ha messo davanti ad un uovo e questo si è schiuso. Hai chiamato il cucciolo di drago Castigo. Sei un Cavaliere. Galbatorix, come puoi vedere, è morto-.
 -Io sono un Cavaliere? Questo è il mio Drago?-.
 -Sì-.
 -È incredibile-.
 -Senti, Murtagh- disse Arya ad un tratto, come prendendo la palla al balzo –Visto che tu non sembri ricordare nemmeno ciò che hai appreso da Galbatorix, ti chiederei di unirti a noi verso il ritorno nella Du Wendelwarden e di diventare Cavaliere attraverso l’insegnamento millenario degli Elfi-.
 -Non so se posso esserne all’altezza- fece il giovane uomo, incerto.
 -Chiedilo al tuo drago, dunque-.
 
Eragon fissava l’elfa con un’espressione estremamente melanconica. Erano vicini fisicamente, eppure sembravano essere lontani miglia e miglia.
 
 -Per lui va bene- fece Murtagh, deglutendo.
 
Era probabilmente ancora scosso dal fatto di possedere un legame così profondo con l’animale che stava cavalcando.
 
 -Allora ne discuteremo poi con Lady Nansuada-.
 
Taishiro fissava ancora il corpo di Galbatorix. Alcune domande si stavano affollando nella sua testa. Ora che quell’uomo era morto, nella battaglia centrale che cosa stava succedendo?
 
Già, che cosa era successo nel campo di battaglia? Bene, vediamo. Innanzi tutto tutti gli stregoni nemici erano morti, a causa del legame profondo che la loro mente aveva instaurato con quella dell’imperatore. Alcuni soldati si erano fermati nel bel mezzo del lancio di fendenti e urli spaventosi e si erano comportati nello stesso modo di Murtagh, alcuni finendo uccisi senza reazione sotto i colpi dell’esercito ribelle, mentre alcuni Urgali si erano fermati, guardandosi un attimo attorno, e avevano iniziato a uccidersi a vicenda, riconoscendosi tra loro come di clan nemici. I Varden ne avevano approfittato per fare prigionieri tutti i nemici rimasti.
 
Era giunta ormai la sera e Pedro e Taishiro stavano raccontando a Nansuada come era morto Galbatorix. Nella tenda c’erano Arya, Roran, Eragon, Murtagh, il capo degli Urgali, Orik, Orrin, Solembum, Angela ed Elva, la bimba maledetta per sbaglio da Eragon. Tutti ascoltavano la storia. Tutt’intorno alla Grande Tenda v’erano festeggiamenti d’ogni sorta per la vittoria da parte dei Varden. Quando il racconto fu terminato, Nansuada disse:
 
 -Bene, abbiamo finalmente vinto. La maggior parte del popolo di Alagaësia non sa nemmeno che c’è stata un battaglia qui. Dobbiamo raggiungere Uru^baen, la capitale, per ripristinare seriamente l’Ordine dei Cavalieri. Se siete tutti quanti in accordo con me, prenderò il comando del governo io in vece dei due Cavalieri, che si addestreranno a Ellésmera. Re Orrin continuerà a governare il Surda e i Nani potranno uscire allo scoperto senza problemi, se lo vorranno. La stessa cosa sarà per gli Elfi. Ripeto, sempre se vogliate farlo. Gli Urgali non verranno braccati a patto che non attacchino i villaggi umani e rimangano all’interno delle loro terre di confine-.
 
Fece una pausa strategica, guardando con occhi vispi i suoi commensali. Le occhiaie non sminuivano di certo il suo portamento fiero.
 
-Credo che sarebbe conveniente per la stabilità del regno che un rappresentante di ogni popolo presente in questa tenda faccia parte del tuo consiglio- intervenne Angela l’erborista.
 
Gli astanti convennero che fosse una buona idea, per evitare l’accentramento del potere nelle mani di uno solo. Quando si furono accordati con i rispetti capi su chi mandare come rappresentante all’interno del consiglio, Lady Nansuada si rivolse al giovane Cavaliere dei Draghi:
 
 -Ora, Eragon, tu porterai con te Elva a Ellésmera per liberarla dalla maledizione che le hai inflitto, quando avrai appreso il modo. Dobbiamo trovare un impiego per Shruikan. Chiamatelo-.
 
Il drago nero era rimasto tutto solo in un angolo del campo, perché non sapeva cosa fare. Era un drago senza Cavaliere. Quasi stentava a fidarsi degli umani. Non riusciva a capire il suo ruolo nel mondo; era strano che non fosse morto, eppure non si sentiva nemmeno vivo. Che fare? Quando Castigo lo chiamò, si alzò subito e raggiunse la tenda.
Lui e la (ormai) Regina Nansuada discussero molto (con la mente, ovviamente) e alla fine fu deciso che Shruikan avrebbe assistito la regina dei Varden come se lei fosse stata il suo Cavaliere.
Quando questa tavola rotonda psichica fu finita, la notte era già calata da tempo.
 
 -Bene. Ora che abbiamo sistemato queste faccende è il momento di trovare il modo di far continuare il viaggio ai nostri due amici venuti da lontano-.
 
Come si può ben notare, i nostri amici si guardarono bene dal dire lo scopo della loro missione, in questo caso. Non era molto saggio avventurarsi in un mondo appena ricostituitosi, dopo gravi problemi interni, sia politici che economici.
Per di più, qualcosa diceva loro che il frutto non si poteva trovare in quel luogo così eterogeneo; l’Ilv, che i due ragazzi avevano recuperato dalla loro tenda non appena rientrati dal campo delle truppe imperiali, tremava, come quella volta ad Ashby, quando stava comunicando loro che il tempo delle ricerche in quel mondo era finito. Ci sarebbero voluti anni per visitare tutta Alagaësia, a guardare bene la cartina distesa sul tavolo della Grande Tenda.
E loro non ne avevano, di anni a disposizione.
 
 -Come avete fatto ad arrivare qui?- chiese Orik, fissandoli dal basso della sua statura.
 -Beh, da qualche parte dovrebbe comparire una Luce Viola che...- cominciò a dire Pedro, quando un grido nella notte li fece sobbalzare tutti.
 -Lady Nansuada, Lady Nansuada!- gridò un soldato, con il volto probabilmente arrossato dall’alcol e dallo spavento, irrompendo nella tenda.
 -Cosa succede?-.
 -Una luce viola è appena apparsa sulle rive del fiume Jiet!-.
 -E’ la nostra luce!- dissero all’unisono Pedro e Taishiro.
 
Il sollievo dei due era grande. Se la luce viola era comparsa prima che loro iniziassero a cercare il frutto, in concomitanza con il tremolio dell’Ilv, voleva dire davvero che non avevano più niente a che fare con quei luoghi.
 
 -Allora andate- disse Nansuada –E fate buon viaggio. Sappiate che vi saremo sempre grati per l’aiuto che ci avete dato. Lunga sia la vostra vittoria e breve diventi la vostra missione-.
 
Ho dei dubbi, riguardo a quest’ultima affermazione” pensò Pedro, sconsolato. Non si accorse del risolino trattenuto di Eragon, che aveva sentito il suo pensiero forte e chiaro.
 
-Eragon, Saphira, volete accompagnare i nostri amici fin lì?- concluse infine Nansuada.
 -Sì-.
 
Ai due ragazzi vennero portati i loro due cavalli, Acum e Whailida. Anche loro, per quel poco che avevano combattuto in quella guerra, avevano ricevuto alcune ferite sui fianchi, prontamente curate dai guaritori dei Varden. Ora se ne vedevano a malapena le cicatrici.
Una volta arrivati a destinazione, dopo una notte e un giorno di cammino, che li aveva portati alla notte successiva, senza nemmeno dormire, videro la Luce Viola ergersi sulla sponda del fiume. Eragon disse:
 
 -Bene, amici, le nostre strade stanno per dividersi. Vi auguro che il vostro viaggio continui bene e si concluda per il meglio e vi ringrazio anch’io per l’aiuto che ci avete dato-.
 -Di nulla- risposero i ragazzi sorridendo al Cavaliere, che non aveva mai sorriso in maniera aperta fino a quel momento.
 
Saphira, per salutarli in maniera consona, diede delle piccole musate sulle guance dei ragazzi, con orrore dei cavalli che invece nitrirono spaventati.
I due iniziarono l’operazione. Puntarono l’Ilv al centro della Luce e Pedro disse:
 
“un anello per domarli, un anello per trovarli,
un anello per ghermirli e nel buio incatenarli”.
 
Poi sia lui che Taishiro gridarono: -Isola di Gont!- e la luce li risucchiò, con quella sgradevole sensazione all’ombelico che ormai era diventata la normalità per entrambi.
Mentre venivano trasportati, sentirono Eragon che gridava:
 
 -Che le vostre spade restino affilate!-.
 -Così come la tua!- provarono a rispondere i ragazzi ma non furono del tutto sicuri che il giovane cavaliere li avesse sentiti.
 
Ci fu un solo fascio di luce vermiglio, luminoso e abbagliante, e si ritrovarono sulla spiaggia di una strana isola.
Il mare scorreva sotto i loro corpi, stesi sulla battigia, bagnando le vesti sotto le pesanti armature; Acum e Whailida si erano già allontanati dall’acqua e li aspettavano vicino ad un tronco riverso nella sabbia, a qualche metro da loro. Il rumore delle onde li accolse come un suono nostalgico, come la voce di un anziano che rivolge sonori buffetti sulle guance dei suoi nipoti.






















Note di Saeko:
e con questo capitolo, che è certamente l'ultimo dell'anno 2019, vi annuncio ufficialmente di essere arrivata a metà della storia e beh, non ho molto altro da aggiungere. Ieri ho pubblicato i primi dieci capitoli di questo racconto su Wattpad, se vi va di dare un'occhiata, il mio nick è VeronicaSaeko.
Se non sarò sfinita il primo giorno dell'anno, forse aggiornerò questa storia mercoledì; intanto vi auguro un buon e se capita a qualcuno, vi aspetto nella sezione recensioni.

Saeko's out!

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Capitolo 24
*** Capitolo 24: Alla ricerca del Mago ***


Capitolo 24:
Alla ricerca del Mago
 
I due si alzarono storditi e a fatica, visto che l’acqua marina aveva inzuppato le loro vesti, rendendole più pesanti sotto le loro armature metalliche. Il viaggio, questa volta, era stato strano. Mentre la luce vermiglia li avvolgeva e la consueta sensazione si risucchio all’ombelico attanagliava i loro addomi, avevano sentito una specie di essere viscido e scuro che passava accanto a loro. Pedro pensava che solo lui avesse percepito quell’avvenimento e Taishiro anche, quindi nessuno dei due disse nulla in merito, ma rimasero con una sensazione poco piacevole addosso, tanto da far accapponare le loro pelli.
Dopo essersi asciugati alla bell’e meglio ed essersi allontanati dalla spiaggia in groppa alle loro due cavalcature, arrivarono ad un villaggio di pescatori. Taishiro chiese a un pescatore di passaggio se quella su cui si trovavano fosse l’isola di Gont[1]. L’uomo annuì. Allora Pedro si mise una mano in tasca e tastò una lettera. Ancora non riusciva a capire come Ryuso riuscisse a fargli avere quelle missive e perché proprio a lui, invece che a Taishiro. Comunque lesse il nome del destinatario e chiese:
 
 -Per caso si trovano qui il Mago Sparviere e il suo amico Vetch?-.
 -No, non si trovano più qui. Essi si trovano ora all’isola di Iffish, la casa del sommo Vetch, stranieri. Sono i maggiori arcimaghi dei Dieci Ontani-.
 -Come possiamo arrivare a Iffish, signor pescatore?- chiese ancora Pedro, cercando di mostrarsi il più gentile possibile.
 -Beh, semplice: con una nave diretta all’isola. Guardate, c’è ne è una del vecchio Jas che parte tra dieci minuti, ma forse siete ancora in tempo per imbarcarvi-.
 
I ragazzi si congedarono dal vecchio, che continuava a guardarli con diffidenza e sorpresa. Le armature dell’ Alagaësia erano molto vistose, forse ancora di più dei soffici vestiti tipici della moda di Narnia. Pedro e Taishiro guidarono Acum e Whailida nella direzione opposta rispetto al pescatore e trottarono fino alla nave indicata dal vecchio. Riuscirono appena in tempo chiedere al capitano se potevano salire. Anche lui li guardò in modo strano; Taishiro chiese se potevano avere altre vesti, ma il capitano rispose che non avevano vesti di ricambio perché il viaggio da Gont a Iffish era piuttosto breve, vista la vicinanza delle due isole.
 
 -Il capitano aveva detto la verità- disse Pedro mentre scendeva dall’imbarcazione, una volta giunti a destinazione –Ci abbiamo messo pochissimo. Solo un’ora-.
 -Già- disse Taishiro, bianca come un lenzuolo.
 
Non si sentiva molto bene. Erano stati solo un’ora su quell’aggeggio galleggiante, ma lo stomaco di Taishiro non aveva retto alle scosse. Negli scorsi viaggi non avevano avuto bisogno di andare per mare, tranne forse a Fairy Oak, quando avevano preso la barchetta con Grisham per arrivare alla Luce Viola, che però si trovava a pochi metri dalla costa, e a Venezia, ma lì si trattava solo di cinque minuti di viaggio. Nessuno sapeva che Taishiro soffriva il mal di mare, lei inclusa, dato che nella Terra di Tsagumi non aveva mai avuto la necessità di spostarsi per mare. I due amici vagarono per Iffish; l’isola era molto popolata, molto di più rispetto a Gont, o almeno così sembrava, vista la gente che c’era al mercato. Pedro e Taishiro venivano guardati dall’alto in basso, a causa delle loro armature. Allora decisero di fermarsi davanti a una bancarella stracolma di stoffe e chiesero dei vestiti normali; il venditore chiese con fare circospetto se avessero i soldi per pagarseli; i due, dopo aver frugato bene nelle tasche fecero cenno di no. Il venditore allora disse che, se avessero voluto, avrebbero potuto barattare le armature con dei semplici vestiti di iuta, delle scarpe in tela, delle bisacce di filo e dei giubbini di stoffa rossa, e dunque i due amici accettarono. Chiesero di un posto dove potersi cambiare e l’uomo li fece mettere dietro un velo che sembrava coprire un retrobottega inesistente, e i due si cambiarono uno alla volta. Prima di andarsene, Taishiro chiese:
 
 -Senta, scusi, vorremo chiederle: per caso conosce il Mago Sparviere?-.
 -Ma certo- rispose il venditore, tirando un sospiro di sollievo, vedendo i due stranieri vestiti in maniera che lui riteneva normale.
 -Certo che lo conosco. È un grande amico del Sommo Vetch, che in questo momento lo sta ospitando in casa sua-.
 -Può dirci dove si trova la casa del Sommo Vetch, per favore?- fece Pedro.
 -Sì. Percorrete tutta la via del mercato. Arrivati alla fine svoltate a sinistra e andate dritti. Dopo due chilometri girate a destra e risalite la collina e poi scendete dall’altra parte. La casa del Sommo Vetch si trova dopo la grande casa a destra-.
 -Grazie-.
 
Taishiro montò subito a cavallo, mentre Pedro preferì camminare a fianco di Acum. Era tanto che non camminava, da quando erano partiti dalla Terra del Mezzo. Da quel momento avevano quasi sempre cavalcato e le gambe gli dolevano da tempo immemore.
Taishiro invece continuava a stupirsi di come riuscissero a parlare una grande vastità di lingue, ognuna di un luogo diverso, senza averle mai studiate. Era sicura che, in qualche strano modo, Ryuso fosse riuscito a operare un incantesimo tale da rendere entrambi multilingue (non avevano ancora idea che fosse stata la vecchia Kim a operare quell’incantesimo).
Dopo aver superato la grande casa alla loro destra, si trovarono davanti a una dimora con un’insegna su cui c’era intagliato: “Casa del Sommo Vetch” e poi, sotto, scritto con un carboncino: “e del Mago Sparviere”. I ragazzi bussarono alla porta e ad aprirgli fu una donna giovane, molto bella, con i capelli neri e gli occhi grigi. I due chiesero di Vetch e Sparviere e la ragazza disse di attendere. Poi li chiamò, dicendo di entrare. La casa era semplice e spoglia, per essere quella di un mago, pensò subito Taishiro, ricordando la casa di Ryuso; ma non fece in tempo a guardarsi troppo attorno, perché i due furono subito presentati ai padroni di casa. Sparviere era piuttosto giovane, quasi della stessa età della ragazza che li aveva fatti entrare, con due occhi scuri e profondi e i capelli biondi. Aveva molti sfregi sul volto. Vetch invece era alto, più anziano di Sparviere, con due occhi blu acceso e i capelli neri come quelli della ragazza. Entrambi i maghi erano vestiti con delle tuniche rosso scuro e un mantello indaco. Pedro consegnò la lettera ai maghi. I due la aprirono e la lessero. La lettera diceva:
 
Salve, Mago Sparviere e Sommo Vetch,
io sono Ryuso, un mago, esattamente come voi. Nessuna persona del mio villaggio lo sa, ma io ho studiato all’isola di Roke, e forse non ve ne siete accorti ma ho studiato assieme a voi. Sono il cugino di terzo grado dell’odioso Jasper. I ragazzi che avete davanti vengono dal mio villaggio, Tabauni, e sono lì con voi per conoscere la storia dell’Ombra, vissuta dal Mago Sparviere. Vi prego di raccontargliela. Una volta fatto ciò, se potete, aiutateli a trovare il leggendario frutto magico, nominato all’interno degli antichi testi medici che ci fecero studiare nei nostri anni da novizi.
Cordiali saluti,
                                                                                                                Ryuso
Stregone capo del villaggio di Tabauni, nella Terra di Tsagumi
 
 
I due maghi, dopo aver letto la lettera, la rilessero a Pedro e Taishiro. Poi presentarono la ragazza. Si chiamava Yarrow ed era la sorella minore di Vetch.



 
 
[1] L’ambientazione è quella dell’Isola di Gont, luogo del Mareterra di Ursula K. Le Guin descritto ne “Il mago” del 1968. Tutto quanto raccontato in questo capitolo e nei due che seguiranno è riferito solo a questa opera in particolare e non considera altri cicli narrativi dell’Earthsea.







Note di Saeko:
quale modo migliore di salutare l'arrivo del 2020 se non con un nuovo capitolo che scavalca la metà della storia? Ci troviamo nel mondo del Mareterra della Le Guin, il cuo racconto mi affascinò tantissimo quando lo lessi, ben 12 anni fa (ero ancora alle medie e venni in possesso del libro quasi casualmente, poichè mi era stato regalato da una ragazza proveniente dalla classe accanto alla mia). Non avendo purtroppo più approfondito, non ho mai letto i racconti successivi, per cui non sono certa se le ambientazioni che ho descritto o se la storia dell'Ombra di cui parlerò nel prossimo capitolo siano abbastanza fedeli; spero vivamene di sì, in ogni caso accetto critiche e correzioni.
Con questo, auguro a chi mi segue un sereno inizio, devo dire che il mio non è stato malaccio (spero che sia certamente più fruttuoso del 2019).
Eddaje che se beccamo venerdì.

Saeko's out!



 

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Capitolo 25
*** Capitolo 25: Ged ed Estarriol ***


Capitolo 25:
Ged ed Estarriol
 
 -Allora siete dei discepoli del cugino di Jasper, Ryuso?- chiese Vetch, mentre Yarrow rientrava, dopo aver portato i cavalli nella stalla.
 -Non proprio discepoli- rispose Pedro, mentre i due maghi prendevano posto su due piccole poltrone al centro della stanza.
 -Allora come mai siete qui per comprendere la storia dell’Ombra?- chiese ancora Sparviere, scrutandoli.
 -Noi siamo qui perché il padre di Pedro sta male. In realtà non sappiamo perché dobbiamo apprendere la storia dell’Ombra. Non sapevamo nemmeno che ce ne fosse una. In realtà dovremmo trovare un frutto con poteri taumaturgici...- cominciò a dire Taishiro, indecisa se sedersi a terra o meno.
 
Sembrava un interrogatorio bello e buono e rimanere in piedi davanti a quei due non aiutava certamente a sentirsi a proprio agio. Avvertì Pedro deglutire in maniera nervosa, mentre poteva sentire chiaramente lo sguardo pungente della sorella minore del Sommo Vetch, appoggiata ora allo stipite della porta d’entrata, perforarle la nuca.
 
 -Di cosa è malato tuo padre?- l’interruppe Vetch, che sapeva già di quale frutto si trattasse.
 -Lo ha colpito la Grande Malattia-.
 -Oh, mi dispiace. Devo essere sincero, non è la prima volta che sento parlare di una malattia chiamata in questo modo, ma non credo si sia mai abbattuta su queste terre. Una volta, una grande pestilenza chiamata Malattia dei Mari colpiva tutte le isole del Mareterra. Ogni anno morivano circa 25 uomini e 25 donne a isola- disse Vetch.
 -Vetch, senti per parlare dell’Ombra preferirei che non ci fossero orecchie indiscrete come quelle delle guardie del Re dei Dieci Ontani- disse il suo amico, gettando prima uno sguardo alle finestre, ormai inondate della luce del tramonto e poi alla ragazza alle spalle dei nostri due protagonisti.
 -Sì, Sparviere, hai ragione-.
 
Allora  Yarrow dunque si spostò dalla sua posizione e si recò verso l’uscio di una stanza vicino alle finestre e si chinò a terra, aprendo silenziosamente una botola, le cui scale nascoste portavano in una stanza segreta che si trovava sotto il pavimento dell’abitazione. Scendendo, la luce naturale scomparve agli occhi di Pedro e Taishiro, per essere sostituita da una innaturale luce bluastra. Allora videro che la vera casa dei due maghi era là sotto. Era praticamente uguale a quella di Ryuso: c’era un miscuglio di profumi di erbe aromatiche e pozioni; c’erano cianfrusaglie ovunque, arazzi coloratissimi appesi alle pareti, armi e quadri a incorniciare gli arazzi stessi; in un angolo v’erano due bastoni intagliati come quello di Ryuso, ma non avevano l’incavo per metterci un anello.
Sparviere chiuse la botola sopra le loro teste con un “clic” e qualsiasi rumore proveniente dall’esterno scomparve; aveva isolato il luogo sotterraneo dal resto del mondo.
Yarrow si avvicinò a quella che pareva essere una cucina (impossibile esserne sicuri al cento per cento, vista la quantità immane di materiale presente sul bancone), spostò qualche cianfrusaglia, scoprendo un piccolo incavo con delle braci ardenti e, preso bricco e acqua, preparò un tè. I maghi e i ragazzi si misero seduti attorno al tavolo che si trovava al centro della stanza, che sembrava trovarsi in corrispondenza delle due poltrone poste al centro della stanza del piano superiore.
I nostri due amici sembravano più tranquilli, seduti attorno al tavolo, piuttosto che in piedi, come se fossero sotto accusa.
 
 -Come mai parliamo qui sotto?- chiese Pedro, guardandosi attorno, comunque con un leggero moto di stizza.
 
Gli sembrava effettivamente strano che i maghi abitassero in un luogo pulito come quello al piano superiore e vedere tutta quell’accozzaglia di oggetti e intrugli non metteva sicurezza al suo povero animo sereno. Il ricordo della casa di Ryuso e dei sentimenti contrastanti che causava in lui non aiutavano la situazione.
Taishiro, come suo solito, sembrava perfettamente inserita nel suo mondo.
 
 -Il re dei Dieci Ontani...- cominciò Sparviere.
 -Cosa sono i Dieci Ontani?-.
 -Sono l’isola di Gont, Iffish, Roke, Hosk, Ensmer, l’isola di Serd, Pendor, Osskil, Enlade e la Somma Isola, ovviamente- rispose Yarrow, mentre posava il vassoio con il tè e le tazze sul tavolo e si sedeva a far loro compagnia.
 -Comunque, per farla breve, il re dei Dieci Ontani voleva che io e Vetch diventassimo i sommi stregoni della Somma Isola, ma noi volevamo rimanere a Iffish e così abbiamo rifiutato. Il re si è infuriato e, testardo com’è, ha deciso di scoprire in tutti i modi cosa facciamo e perché abbiamo deciso di rimanere proprio a Iffish, quando l’incarico sulla Somma Isola, seppur pieno di responsabilità, sarebbe stato più prestigioso; gli è difficile capire che rimaniamo qui per una questione affettiva e perché non ci interessa per nulla il prestigio di quei palloni gonfiati- concluse Sparviere, facendo una smorfia piuttosto infastidita.
 -Allora- aggiunse Vetch, ghignando leggermente –Egli ha ingaggiato delle spie e per controllare noi ha fatto passare la notizia che fossero guardie. Abbiamo dovuto trasferire tutte le nostre cose qui sotto perché sono venuti già tre volte a ispezionare la nostra casa, senza motivo apparente alcuno-.
 -Bene, ora io e Sparviere dobbiamo raccontarvi la storia dell’Ombra- continuò ancora il mago -Ma per farlo, poiché abbiamo posto questo nostro ricordo sotto la protezione di un incantesimo, cosicché nessuno possa cercare o ricordare nulla dell’Ombra, dobbiamo rivelarvi i nostri nomi, quelli veri, che ci controllano: io sono Estarriol-.
 -E io sono Ged- disse Sparviere, annuendo con gravità.
 
I ragazzi conoscevano questa cosa dei nomi, proprio perché in Alagaësia vigeva la stessa regola, ma credevano che fosse una caratteristica relegata a quel mondo; evidentemente non era così.
 
 -Anche Ryuso non è un vero nome- aggiunse Vetch.
 -Qual è dunque?- chiese Taishiro, ancora più attenta di prima.
 -Ve lo diremo, ma poi faremo un incantesimo che ve lo farà dimenticare. Ryuso si chiama Falco-.
 
I due ragazzi non riuscirono nemmeno a registrare il nome nelle loro teste, che i due maghi pronunciarono due parole incomprensibili e quell’informazione si cancellò dalla loro memoria; non riuscivano nemmeno a riportare alla mente i due veri nomi appena sentiti dai due maghi.
Ancora non capisco, sinceramente, a che scopo dir loro i nomi o quello di Ryuso, se poi li avrebbero dimenticati; forse i nomi attivavano l’incantesimo di sblocco del sigillo sul ricordo della storia dell’Ombra? Può darsi. Ma d’altronde i maghi son tutti strani e vengono guidati da istinti che le persone normali a volte non comprendono.
 
 -Allora, la nostra storia comincia quando eravamo a Roke e studiavamo per diventare stregoni...-.
























Note di Saeko:
questa sera, probabilmente quando ormai vi siete seduti a tavola, vi lascio un capitolo breve ma intenso sull'introduzione alla storia dei due maghi, che tornerà utile nei prossimi capitoli per l'avventura dei nostri due amici. Ero particolarmente ispirata, spero che quanto avete letto vi sia piaciuto.
Grazie a chiunque mi sopporti, visto lo spam esagerato che faccio su twitter per quello che riguarda questa storia.
Buona cena, dovrei riuscire a riaggiornare lunedì (brace yourselves for the Befana's coming).

Saeko's out!

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Capitolo 26
*** Capitolo 26: La storia dell'Ombra ***


Capitolo 26:
La storia dell’Ombra
 
 -...un giorno, venne nell’accademia di Roke una Lady molto bella e graziosa, la Lady di O, principessa della somma Isola di un altro arcipelago, ma a quel tempo, visto che eravamo giovani e ingenui, la consideravamo una dea. Jasper, quello che voi avete sentito essere il cugino di Ryuso, era un nostro coetaneo, un ragazzo dall’aspetto e dall’atteggiamento odioso; si avvicinò, dopo che il maestro dei Canti aveva appena finito di recitare il “Poema del Re Giovane” alla Lady di O e le disse qualcosa all’orecchio, che nessuno capì. Poi la bella signora invitò Jasper all’alloggio che aveva ricevuto sull’isola ed egli rispose che ci sarebbe andato, quando avesse completato gli studi, per servirla- cominciò Vetch.
 
A seguito dell’incantesimo operato su Pedro e Taishiro, erano tornati ad usare i nomi con cui si erano presentati, piuttosto che i nomi di Ged ed Estarriol, che evidentemente servivano a sciogliere il sigillo.
 
 -Io ne fui molto invidioso- disse il Mago Sparviere –Amavo molto il viso di quella donna e quando Jasper riuscì a far colpo su di lei sentii la bile salirmi su per la bocca dello stomaco. Ero sicuro che Jasper avesse mentito su chissà che cosa per avere un invito dalla Lady di O, ed ero convinto che lui non l’avrebbe resa felice. Cosa di cui probabilmente non sarei stato mai capace nemmeno io, che venivo da una terra povera come quella dell’isola di Gont-.
 -Sì- continuò Vetch –Sparviere era molto invidioso di Jasper e della sua fortuna con le donne. Lo era stato sin dal primo momento in cui si erano conosciuti. Comunque, ogni anno, all’arrivo della primavera, all’isola di Roke si teneva una grande festa. A quella festa partecipammo noi e Jasper (e probabilmente anche Ryuso, poiché molti dei parenti di Jasper erano giunti per partecipare all’evento) con sottobraccio la Lady di O. Sparviere si era allenato a fare una magia molto potente, che avrebbe potuto ucciderlo se eseguito nella maniera sbagliata, per impressionare la bellissima Lady...-.
 -Ricordo che era molto bella quella sera. Indossava una veste blu turchese, con dei fiori e delle farfalle disegnate con la porpora sul tessuto. I suoi capelli erano raccolti in una crocchia d’argento e indossava di bracciali oro e una collana di brina verde cristallizzata...-.
 -Sì Sparviere, ma non ci interessa, visto che stiamo parlando dell’Ombra-.
 
Yarrow aveva guardato il mago Sparviere in maniera molto strana ed eloquente, mentre costui descriveva la Lady di O con tale dovizia di particolari, ma non disse nulla; tentò di nascondere il rossore nascondendo il viso dietro la tazza di tè che stava bevendo.
Taishiro e Pedro ascoltavano la storia rapiti. Erano strano sentir parlare di eventi a cui probabilmente aveva partecipato anche Ryuso in prima persona.
 
-Il nostro Sparviere era riuscito a recuperare la gemma di Havnor. Aveva creato una luminaria di stelline fatue e ne aveva fatta scendere una su Jasper. Quest’ultimo con freddezza e con fare irrequieto la prese e la spense; poi insultò Sparviere chiamandolo “bambino”-.
 -Disse esattamente: “Andiamo, Vetch, lasciamo gli apprendisti ai loro giocattoli”. Si credeva di essere chissà chi solo perché aveva più anni di me ed era già diventato stregone-.
 -Esattamente. Allora Sparviere lo sfidò; io mi misi subito fra i due per impedire il duello, ma questo non impedì a Sparviere di attaccare. Si trasformò in un falcone e poi emise un grido. Poi tornò l’uomo di allora. I due si spostarono al Poggio di Roke e Jasper chiese a Sparviere di invocare lo spirito di un defunto; cosa che Sparviere stupidamente fece. Chiamò Elfarran, la bella signora della “Ballata di Enlade”. Lo spirito venne. Ma la sua magia gli si rivoltò contro e lo spettro di Elfarran si trasformò, diventando una strana ombra informe, che lo attaccò. Ne uscì vivo solo grazie all’intervento Arcimago Nemmerle, che all’epoca guidava l’accademia. Aveva sconfitto l’Ombra con la punta del suo bastone magico e spedì Sparviere dal Maestro Erborista perché si facesse curare. Poi chiamò il Maestro delle Evocazioni che rimase sul Poggio tutta la notte, ma l’Ombra non tornò. Se Sparviere fosse morto quella notte l’Ombra avrebbe utilizzato il suo corpo come sua porta per invadere il mondo. Ma il mio amico visse. Purtroppo non si poteva dire lo stesso per l’Arcimago, che per salvarlo aveva utilizzato tutti i suoi poteri. Pensate tutti i poteri che può possedere un uomo nei suoi limiti e concentrateli nella punta di un bastone. Pensate quanto potesse essere forte l’Arcimago. I nove maestri di Roke si riunirono nel Boschetto Immanente dove fu sepolto Nemmerle; dopo una nave partì per recuperare il nuovo Arcimago di Roke, appena designato dal Gran Consiglio, sostituto di Nemmerle: Gensher. Appena arrivato prese Sparviere da parte e gli disse che non sarebbe partito da Roke come lui gli aveva chiesto, perché l’Ombra che aveva scatenato lo avrebbe rintracciato immediatamente e lo avrebbe posseduto. Allora non sarebbe più stato un uomo, bensì un gebbeth, una marionetta che esegue la volontà dell’Ombra-.
 
Vetch fece una pausa, finendo l’ultimo sorso di tè. Sparviere era rimasto in ascolto, felice che fosse l’amico a parlare al suo posto. Ricordare quel tratto del suo passato, che tanto lo aveva perseguitato, non era mai piacevole, motivo per cui avevano apposto un sigillo multiplo alla storia, così da non poterla raccontare a meno che non fossero presenti entrambi.
Il sommo mago riprese subito dopo:
 
-Sparviere rimase a Roke e completò i suoi studi e prese il diploma di stregone a pieni voti. Dopo quel momento Gensher non aveva più potere decisionale su di lui, che quindi lasciò l’isola. Io ero andato via da un pezzo e già lavoravo come stregone, ma mi sarebbe piaciuto assistere alla consegna del suo diploma. Ma prima di andarmene dissi al mio amico che lo avrei aspettato all’Orizzonte Est, quando fosse stato libero-.
 -Io vedevo quella libertà molto lontana. Pensavo che il Sommo Gensher mi avrebbe trattenuto a Roke anche dopo essermi guadagnato il bastone-.
 -Ma non fu così...-.
 
Il racconto venne interrotto da un forte chiasso che veniva dalla parte “falsa” della casa. Le guardie del Re dei Dieci Ontani erano entrate. I due Maghi dissero di rimanere in silenzio. Sparviere, Vetch e Yarrow si avvicinarono a Pedro e Taishiro, e i due maghi crearono una specie di azzurrino scudo protettivo. Poi tutte le cianfrusaglie che c’erano li attorno diventarono invisibili e prive di consistenza. Improvvisamente la botola sopra le loro teste si aprì e le guardie scesero sulla piccola scaletta di legno che tempo prima avevano sceso loro. Dopo che i due arcimaghi ebbero creato un contatto mentale tra loro, per evitare che i due ospiti facessero cose insensate, Pedro chiese a Vetch perché le guardie non li avevano visti. Lui gli rispose che aveva fatto in modo che lo scudo li rendesse invisibili, anche se li avrebbero potuti sentire, nel momento in cui avessero parlato. Dopo che le guardie ebbero ispezionato anche lì sotto, se ne andarono mormorando; pareva che anche questa volta sarebbero dovute tornare dal Re a mani vuote.
Vetch fece ritornare tutto alla normalità e riprese il racconto. Pedro e Taishiro non si perdevano alcun particolare, come quando Ryuso raccontava della magia nella festa d’Inverno a Tabauni.
 
 -Allora dove eravamo rimasti? Ah, sì. Sparviere lasciò l’isola e venne subito chiamato dall’isola di Pendor: avevano bisogno di un mago abbastanza pazzo che avesse il coraggio di scacciare via il Drago che viveva lì. Sparviere salpò sulla prima nave in partenza e arrivò a Pendor. Dopo aver bloccato il Drago, dicendo di sapere il suo nome (cosa vera, tra l’altro), gli abitanti dell’isola gli chiesero di restare lì con lui, ma Sparviere rifiutò. Dopo la sconfitta del Drago, l’Ombra deforme di Elfarran, che Sparviere chiamava con l’appellativo di “Cosa”, era ricomparsa, e lui doveva andarsene subito. Vagò per mari sulla sua piccola barchetta arrivando a tutte le isole dei Dieci Ontani. Un giorno la sua barca toccò la spiaggia di Iffish. Qui incontrò Yarrow e rivide me. Io, che avevo perso le speranze di rivederlo all’Orizzonte Est, lo ritrovai a casa mia, nella mia terra e per giunta in compagnia della mia sorella minore. Parlammo dei vecchi tempi e lui mi raccontò la prima parte della storia che vi ho raccontato io. Il suo volto era smunto, sfregiato e l’espressione era stanca. Era fuggito dall’Ombra varie volte prima di giungere a Iffish. Ma una determinazione incontenibile era dipinta sul suo volto. Le sue parole esatte furono: “Adesso basta. È ora  che la preda diventi il predatore e il predatore diventi la preda”. Senza esitazioni mi salutò e salutò Yarrow e salì sulla sua piccola barca. Dopo due giorni e due notti avvistò l’Ombra, in mare aperto. Ella scappò via, paurosa del nuovo Sparviere. Lui la inseguì fino ai confini del mondo. Senza che lui se ne accorgesse, lo avevo seguito e avevo visto anche io l’Ombra. Prima di raggiungere i confini del mondo, la Cosa aveva attaccato il mio amico e collega e per poco non era riuscita nell’intento di terminarlo. Fortunatamente lo aiutai, nonostante la paura che provavo nei confronti della Cosa. Giunti ai confini del mondo combattemmo l’uno affianco all’atro e vincemmo. L’Ombra tornò da dove era venuta, oppure rimase lì oppure semplicemente scomparve, fatto sta che ora non esiste più in queste terre-.

La frase rimase sospesa, come a dover lasciare intendere altro. Di cosa si trattasse, era difficile dirlo, ma Pedro e Taishiro ebbero la netta sensazione che avesse a che fare con la Grande Malattia; tuttavia venne difficile ad entrambi chiedere altro, visto come i loro tre ospiti erano rimasti ammutoliti dopo la fine del racconto. Vetch aveva raccontato quella storia come se l’avesse raccontata un bardo di corte, ma con più vigore, perché lui stesso l’aveva vissuta.











Note di Saeko:
e dopo questo wall of text sulla storia dell'Ombra (che è poi la storia di Ged-Sparviere), siamo in conclusione del tempo trascorso da Pedro e Taishiro nel Mareterra. Sarà utile ai nostri due protagonisti per sconfiggere la grande malattia? Vi aspetto prossimamente e, se vi va, nella sezione recensioni.
Buona Befana e attenti alle carie!

Saeko's out!

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Capitolo 27
*** Capitolo 27: Nihal e Sennar ***


Capitolo 27:
Nihal e Sennar
 
Pedro e Taishiro ringraziarono i due maghi e fecero per congedarsi, poiché dovevano cercare la cura per la Grande Malattia, ma i due padroni di casa dissero che quel frutto leggendario era stato cercato da loro stessi in lungo e in largo in quella terra, ma non era stato trovato.
Avevano persino tentato di ricrearlo a casa loro, vista la profonda conoscenza della magia, ma senza risultato; c’era solo una vecchia leggenda che riportava di un melograno i cui frutti avevano poteri taumaturgici, ma quell’albero era scomparso qualche centinaio di anni prima.
Non rimaneva loro che cercare la Luce Viola.
Yarrow decise di accompagnarli. Voleva vedere quella Luce Viola di cui i loro ospiti tanto parlavano, voleva vedere come facessero a viaggiare da un mondo all’altro, tanto era stato affascinante il discorso che i due forestieri avevano riportato riguardo alla loro avventura. In realtà le sarebbe piaciuto molto andare con loro, ma il suo posto era lì con suo fratello e con Sparviere, soprattutto. Forse, se avesse visto cosa fosse successo, lo avrebbe raccontato ai due maghi e forse avrebbero fatto delle ricerche cosicché anche ai loro bastoni magici fosse data la possibilità di viaggiare da un mondo all’altro, esattamente come Pedro e Taishiro.
I tre girarono per tutta l’isola ma quando scese la sera, la Luce Viola non era ancora comparsa. Passarono tre giorni in questo modo, sempre con Yarrow ad accompagnarli.
All’alba del quarto giorno di permanenza a Iffish, la Luce apparve sulla collina principale dell’isola; fu avvistata da un lattaio che si era appena svegliato per andare a mungere le sue capre. L’uomo, spaventato (pensava fosse qualche trucco del Sommo Mago del Re), era corso subito a casa di Sparviere e Vetch.
I due maghi svegliarono Yarrow, Taishiro e Pedro e questa volta andarono con loro.
I nostri due protagonisti presero Whailida e Acum dalla stalla, li caricarono con le loro borse e le vettovaglie che i due maghi avevano fornito loro e si recarono presso Luce. Quando furono arrivati, iniziarono l’operazione, senza quasi dar spiegazione né del come né del perché.
Salutarono Sparviere e Vetch, Yarrow li abbracciò.
Puntarono l’Ilv al centro della Luce Viola e Taishiro disse:
 
“un anello per trovarli, un anello per domarli,
un anello per ghermirli e nel buio incatenarli”.
 
Poi insieme gridarono: -Mondo Emerso!-. Le due parole sembrarono rimbalzare sulla collina e la terra tremò sotto i loro piedi.
La Luce risucchiò Pedro, Taishiro, Whailida e Acum. Ad un certo punto la magia sembrò fermarsi a metà: anche Yarrow stava per essere risucchiata. Due occhi gialli, quasi dalla parvenza felina, si formarono nella Luce e fissarono la ragazza, interrogativi; sembravano chiedere alla ragazza se anche lei volesse partire, come se avesse avvertire il forte desiderio di avventura che proveniva da lei. Yarrow sussurrò:
 
 -Sì, mi piacerebbe venire, ma questa è la mia casa; non posso lasciarla-.
 
Gli occhi si chiusero in un unico cenno di assenso. Improvvisamente la terra riprese a tremare sotto i piedi delle persone. Ci fu un lampo azzurro come il mare, un bagliore verde, seguito subito da una luce arancione e infine un lampo viola chiarissimo e Pedro e Taishiro vennero presi definitivamente dalla luce, svanendo alla vista dei maghi di Iffish.
La sensazione all’ombelico era talmente forte che parve quasi strappare le loro membra e, per paura di venire mandati in due mondi diversi, i ragazzi si presero le mani, Taishiro tenne ben saldo l’Ilv e Pedro si legò stretto le cinghie dei cavalli al polso.
Atterrarono in un luogo desolato in maniera assai pesante, ai piedi di quella che un volta doveva essere stata una torre altissima, ma che adesso era ridotta alle ceneri. Si potevano riconoscere solamente alcune basi e delle divisioni; doveva essere stata una città-torre, di quelle enormi del cantone sud della Terra di Tsagumi; entrambi ne avevano sentito parlare da Ryuso. Sentirono dei passi muoversi dietro di loro e si voltarono: c’erano un uomo appoggiato ad un vecchio bastone, che si trascinava una gamba, una donna dai capelli blu vestita da guerriero e al loro seguito un drago verde dagli occhi rossi, gigantesco.
 
 -Chi va là?- chiese la donna, portando immediatamente la mano all’elsa della spada che le pendeva su un fianco.
 -Siamo due ragazzi e...- incominciò Taishiro.
 -...e siamo qui per consegnare una lettera a Nihal della Terra del vento e Sennar della Terra del Mare- continuò prontamente Pedro, che aveva trovato la solita lettera in tasca e aveva letto i nomi dei destinatari.
 -Siamo noi- disse l’uomo con il bastone, con voce brusca.
 
Pedro consegnò la lettera. La donna si avvicinò e il drago sbuffò. Ora che la guardava meglio, Pedro aveva notato che aveva gli occhi viola. Era bellissima. Aveva il portamento da guerriero e uno sguardo così profondo, da sembrare un pozzo profondo metri e metri; in qualche modo gli ricordava Taishiro. Anche lei aveva un portamento che non era quello di una donna e possedeva uno sguardo desideroso di andare avanti con ogni forza, senza fermarsi mai, uno sguardo capace di trasmettere mille e mille emozioni. Solo che nello sguardo della donna che gli stava davanti c’era qualcosa che aveva già visto: qualcosa di familiare, che aveva notato nello sguardo da ragazzino cresciuto troppo in fretta del mago di Hogwarts, Harry Potter. Ma c’era qualcosa che aveva identificato come un passato di sofferenze e disperazione, in quella che doveva essere la loro nuova ospite.
Dopo aver fissato la lettera senza aprirla, l’uomo disse:
 
 -È meglio se andiamo a casa e... se chiamiamo anche Ido-.
 -Va bene- disse la donna dai capelli blu, montando in groppa al suo drago. Senza un’altra parola, si alzò in volo e se ne andò.
 -Bene, mentre Nihal va a chiamare Ido e Vesa, noi andiamo a casa mia. Lì c’è anche Aires; è venuta a trovarci dalla Terra del Fuoco. Chissà se Soana è tornata dal bosco...-.
 
La faccia di Sennar era pacifica e dava l’idea di chi è in pace con se stesso, o quasi. Come quei vecchietti che stanno seduti sulle poltrone accanto ai camini e ammiccano benevoli ai loro nipoti, che attendono frementi una nuova storia.
Eppure quell’uomo era tutt’altro che vecchio. Doveva essere poco più grande di Pedro e Taishiro.
Arrivarono in una casetta al limitare di un bosco, poco rigoglioso e quasi, sembrava, eroso dalle fiamme. In quel momento venne loro incontro una donna che usciva da un groviglio di piante rinsecchite e quasi acerbe. Solo qualche piccolo ciuffo verde sembrava dar l’idea di una qualche vita che scorreva al loro interno.
 
 -Ciao, Soana. Hai trovato quello che cercavi?- chiese l’uomo dai capelli rossi.
 -Sì, la Lacrima si trovava proprio dove una volta c’era il Padre della Foresta. Chi sono i tuoi accompagnatori?-.
 -Non lo so. Ci sono comparsi davanti, come caduti all’improvviso dal cielo, con una lettera per me e Nihal. Adesso lei è andata a chiamare Ido e Vesa-.
 -Ecco dov’era finito il mio vecchio amico mago con una gamba senza funzione!- esclamò un’altra donna affacciata sulla porta della casa.
 -Ciao, Aires, pirata dei miei stivali-.
 -Del tuo stivale vorrai dire, perché quella gamba che ti è rimasta appesa per miracolo non si muove più, a meno che tu non abbia fatto qualche magia-.
 -Ma voi due vi chiamate sempre così?- chiese una voce maschile, che sembrava provenire dall’alto.
 
Le persone che si trovavano lì alzarono le teste. Sopra di loro c’era due draghi: quello verde di Nihal e un drago vermiglio; atterrarono con un’eleganza maestosa accanto alla casa e i loro due padrone discesero dalle loro groppe con altrettanto elegante agilità.
Il cavaliere del secondo drago era la metà, in altezza, di un uomo normale e infatti Taishiro non riusciva a capire cosa fosse, per quanto lo guardasse dall’alto in basso, in attesa di spiegazioni. Nihal legò i cavalli dei ragazzi a un recinto che si trovava da un lato della casa, in maniera molto pratica e silenziosa, poi entrarono.
Fecero le presentazioni. La donna che era uscita dal bosco si chiamava Soana, ed era una maga ex-consigliere del Consiglio dei Maghi della Terra del Sole, che ora studiava le proprietà delle erbe e delle Lacrime rimaste nella Foresta della Terra del Vento dopo la sua quasi totale distruzione. Aveva i capelli castani, striati di grigio ed era alta e snella. Aveva gli occhi del colore scuro dei capelli.
La donna che si era affacciata alla porta si chiamava Aires ed era stata un pirata dei mari del nord, una volta, poi era venuta sulla terra ferma aiutare Sennar e Nihal nella sconfitta del Tiranno, l’usurpatore del periodo di guerra appena finito. Aveva i capelli corvini e gli occhi neri, che potevano sembrare due gorghi, di quelli che si formano in mare aperto, due maelstrom di piccole proporzioni, anche se non avevano nulla a che vedere con lo sguardo di Nihal. Era stata nominata regina della Terra del Fuoco, dopo che lei e i suoi ribelli avevano vinto contro le fila del Tiranno.
Poi l’uomo a metà era in realtà uno gnomo e si chiamava Ido. Era il Supremo Generale dell’Ordine dei Cavalieri Di Drago. Il suo drago rosso si chiamava Vesa. Ido era senza l’occhio sinistro, la cui palpebra chiusa era attraversata da una profonda cicatrice; i suoi lunghi capelli di confondevano con quelli della sua barba, i cui ciuffi scuri erano legati in trecce finissime; infine gli occhi scuri gli davano la parvenza di uno sguardo da furetto.
Poi c’era Sennar, che era un mago, consigliere della Terra del Vento, carica politica detenuta da Soana, prima di lui. La gamba destra era stata ferita gravemente in uno scontro e non più rispondeva agli input nervosi del suo cervello, ma, per un magro e consolatorio destino, non gli era stata amputata. Aveva i capelli rossi e gli occhi azzurri.
Nihal era un Cavaliere di Drago. Era l’ultima dei mezzelfi, ecco perché aveva i capelli blu e gli occhi viola. Il suo drago verde si chiamava Oarf. Dal collo di Nihal pendeva un talismano tondo con delle pietre di tutti i colori, poste attorno ad un occhio di vetro, dal colore cangiante. Da quel talismano dipendeva la vita della mezzelfo.
I due ragazzi, dai brevi racconti dei loro ospiti, riuscirono a capire che quella terra, chiamata Mondo Emerso, era composto di otto terre disposte in maniera quasi circolare intorno ad una nona terra, che era stata la sede di un nemico appena sconfitto, detto appunto Tiranno[1]. La guerra era finita da qualche mese e ciò che rimaneva dell’Ordine dei Cavalieri di Drago (molto simile a quello esistente in Alagaësia, in effetti) si stava riorganizzando in una nuova élite.
Dopo che tutti si furono presentati anche Pedro e Taishiro raccontarono la loro storia, ma non il perché del loro viaggio. Come aveva detto Ryuso prima che partissero, ci voleva prudenza e la base di quella torre bruciata non ispirava molta sicurezza.
Erano cambiati molto da quando erano atterrati a Pont-Ashby, a quanto possiamo notare; anche se, come vedremo subito, questa eccessiva prudenza sarà del tutto inutile, nei momenti che ora andrete a leggere.
Si sedettero tutti davanti ad un camino, acceso per l’occasione.
Nihal e Sennar aprirono la lettera e la lessero ad alta voce:
 
Carissimi Nihal e Sennar,
io sono Ryuso, uno stregone di una terra a voi lontana e sconosciuta, chiamata Terra di Tsagumi. Il villaggio dove io vivo e dove vivono i ragazzi che stanno di fronte a voi è un villaggio-capitale e si chiama Tabauni. La storia di questi ragazzi è molto lunga e, siccome non voglio dilungarmi in fatti che non mi riguardano, arriverò subito al punto. Il padre di Pedro (il ragazzo) è stato contagiato in qualche modo dalla Grande Malattia. Per voi sarebbe un po’ come la febbre rossa, solo che la Grande Malattia ha un corpo e una mente, e la vittima non sanguina in quella maniera assai copiosa. I ragazzi sono partiti per visitare tutti i mondi magici, in maniera tale da poter trovare un frutto dai poteri curativi, fino ad arrivare ad un mondo nuovo, leggendario che viene spesso fantasticato dalle grandi menti, se mai il frutto da loro ricercato non dovesse trovarsi nei mondi reali. Nel nuovo mondo potrebbero incontrare Malina, una strega che potrebbe avere il frutto per guarire il padre di Pedro. Sempre che questa ragazza e il luogo in cui vive esistano sul serio. Attraversare tutti i mondi magici significa passare anche per il vostro dunque, capirete bene il motivo di una tal repentina visita.
Voglio ora che recapitiate un messaggio a Pedro e Taishiro (la ragazza): Gerard peggiora sempre di più e, nei pochi momenti in cui è cosciente, chiede notizie del figlio. Noi gli rispondiamo che sta bene e che per la sua sicurezza si trova a casa della sua amica Taishiro. Baluard e Coira chiedono di comunicare alla figlia in una delle mie lettere che gli manca tanto e che non vedono l’ora che ritorni a casa. Altre persone sono state contagiate, tra cui Enruic l’Altone. Tutto il villaggio è in subbuglio e altri villaggi nostri vicini cominciano ad accusare i primi casi della Malattia, mentre nelle Terre di Kotobuni e nel vicino Principato di Tukumi i focolai sembrano essere per il momento arginati. Io spero in cuor mio che i ragazzi partiti per la missione stiano bene e stiano capendo il motivo per cui tutto ciò accade.
Così mi congedo da voi,
Nihal e Sennar.
                                                                                                                Ryuso
Stregone capo del villaggio di Tabauni, nella Terra di Tsagumi
 
Silenzio. Nessuno disse una sola parola. Taishiro si sentiva in colpa per aver lasciato i genitori soli senza un briciolo di speranza, senza aver chiesto loro scusa per aver bisticciato al momento della partenza. Avrebbe voluto dirgli che anche a lei loro mancavano tanto e avrebbe voluto far sapere che stava bene.
Pedro era preoccupato: suo padre peggiorava, i villaggi vicini stavano accusando il contagio e persino le Terre vicine erano in difficoltà. Dovevano sbrigarsi a finire quel viaggio. Non sapeva neanche che giorno fosse; aveva perso il conto dopo essere stati a Fairy Oak.
 
 -Che giorno è oggi?- chiese, dunque.
Fu Nihal a rispondergli –Oggi è il penultimo giorno dell’estate-.
 
Il giorno prima dell’ultimo giorno dell’estate; l’indomani, se il conto dei giorni in quel mondo fosse stato lo stesso che nella Terra di Tsagumi, sarebbe stato un anno che lui e Taishiro avevano deciso di intraprendere il viaggio, anzi un anno da quando Ryuso aveva comunicato loro la necessità di partire. Ma soprattutto sarebbe stato il Giorno della Civetta a Tabauni; il giorno più importante nella loro Terra, perché si ricordava, secondo una particolare ritualità, tutto ciò che era successo durante le vite di coloro che vivevano nel villaggio, fino al momento del racconto. A Pedro tornò in mente tutta la piazza decorata da Ryuso, i profumi di quel giorno di festa, il grande falò che veniva acceso al centro della piazza (che poi era il centro del villaggio), la grande cena che aveva luogo sempre lì, le risate che si facevano lui e la sua amica quando ripetevano ciò che ricordavano i bambini, quello stupido balletto fatto dai bambini di cinque anni. Chissà se quell’anno con la loro partenza e con la Grande Malattia alle porte ci sarebbe stato, con tutte quelle persone che stavano male.
 
 -Che ne dite se preparo la cena?- la voce di Soana interruppe il suo filo di pensieri.
 -Direi che va bene- disse Ido.
 -Già. Senti Soana- disse Aires, sorridendo maliziosa –Vedi di preparare un pasto degno della regina della Terra Del Fuoco, mi raccomando!-.
 -Non incominciare a vantarti, tu- disse Sennar –Sei stata nominata Regina della Terra del Fuoco solo due giorni fa-.
 
Il mago e la regina iniziarono a battibeccare e l’atmosfera si scaldò subito: tra Soana che armeggiava in cucina, Sennar e Aires che litigavano e Ido e Nihal che ridevano, Pedro e Taishiro si rilassarono.
Mangiarono un’ottima zuppa di fagiano e chiesero molte cose ai ragazzi, ma la loro risposta fu:
 
 -Vi diremo tutto domani-.
 -Perché?- chiese Soana.
 -Perché domani nel nostro villaggio c’è una festività importante: è infatti il Giorno della Civetta, dove tutti gli abitanti del villaggio ricordano tutto ciò che è successo nella loro vita- rispose Taishiro.
 -Che festività strana- disse Aires.
 -... e noi ne approfitteremo per dirvi tutto dei nostri viaggi e della nostra vita- concluse Pedro.
 
A fine pasto tutti si diedero la buona notte e Nihal accompagnò Pedro e Taishiro nella stalla, l’unico luogo libero della casa dove poter ricavare un giaciglio per la notte.
 
 -Mi dispiace non potervi dare di più, ma la stalla è l’unica “camera” ancora libera- si scusò infatti la padrona di casa, che si torceva le mani dall’imbarazzo.
 
Sembrava una bambina alle prese con una piccola malefatta, non un guerriero fatto e finito.
 
 -Non fa niente- disse Pedro, sorridendole.
 -Andrà benissimo- fece Taishiro, per confermare ciò che il suo amico aveva appena detto.
 

[1] Ci troviamo alla fine de “Il talismano del Potere” di Licia Troisi, che conclude la prima trilogia delle Cronache del Mondo Emerso, per cui gli eventi narrati nelle Guerre del Mondo Emerso e nelle Leggende del Mondo Emerso non sono ancora avvenuti e Nihal e Sennar non hanno ancora lasciato la Terra del Vento.



















Note di Saeko:
oh well, a me sembra passata un'infinità da quanto ho aggiornato e invece sono passati solamente 4 giorni. Queste distorsioni temporali in cui 4 giorni sembrano 4 settimane mi uccidono. Anyway, eccoci con un capitolo lungo e complesso, in cui entriamo nel fulcro della mia adolescenza fantasy, ovvero il mondo di Licia Troisi, con cui io sto in fissa tutt'ora che ho passato i vent'anni, quindi non sono più tanto adolescente da un pezzo.
Spero di rendere al meglio i personaggi di Licia-sama e beh che dire? Nella storia è passato un anno dall'inizio di tutto, quindi cosa penseranno Pedro e Taishiro? Saranno in grado di tirare le fila della loro avventura sino a qui?
Se a qualcuno interessa scoprirlo, vi aspetto nel prossimo capitolo e, in caso, nella sezione recensioni. Spero che i vostri rientri a scuola/università/lavoro non siano stati traumatici tanto quanto il mio.
Notte e, si spera, a domenica.

Saeko's out!

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Capitolo 28
*** Capitolo 28: Racconti dell'ultimo giorno dell'estate ***


Capitolo 28:
Racconti dell’ultimo giorno dell’estate
 
Pedro si svegliò la mattina presto, come era solito fare l’ultimo giorno dell’estate. C’era un’afa terribile. Il giorno prima non l’avevano avvertita perché il sole era già tramontato e una leggera brezza aveva cominciato a spirare al loro arrivo alla casa di Nihal e Sennar. Taishiro non c’era, il giaciglio accanto al suo era vuoto. Si doveva esser già svegliata, si alzò quindi anche lui; decise di fare una passeggiata. In fondo era presto e di sicuro Nihal e gli altri ospiti stavano ancora dormendo. Si addentrò nell’unica parte di bosco che sembrava aver mantenuto un minimo di rigogliosità.
Camminò per un po’, osservando la natura. Gli alberi sembravano muoversi da soli, senza vento, come per farsi aria, quasi soffrissero il caldo, quasi il fatto che fossero così secchi li rendesse ancor più insofferenti a quel clima arido.
Arrivò in una radura circondata dal bosco, che sembrava voler sopravvivere solo in quel punto; davanti ad un grosso albero dal tronco scuro, semi-carbonizzato, c’era un pietra bianca levigata e su quella pietra stava seduta la sua amica, Taishiro. Aveva gli occhi chiusi, le spalle rivolte all’albero, le gambe incrociate e le mani poggiate saldamente sulle ginocchia. Era vestita in modo diverso, quasi da guerriera. Aveva un paio di brache lunghe fino al ginocchio, color castagno, con degli strani simboli d’oro. Una camicetta scura, ben chiusa da bottoni neri, senza maniche, che riportava le stesse decorazioni dei pantaloni. I lunghi capelli scuri erano sciolti, probabilmente le scendevano sinuosi oltre la schiena; solo la frangia era tirata indietro da una fascia di stoffa marrone. I pantaloni erano tenuti sulla vita da un cinturone in pelle con una borchia ovale e al centro una pietra arancione, a cui era stato fissato un pugnale, anch’esso di bella fattura, d’argento, con un dragone nero sull’elsa.
Era bellissima. Sembrava ancora più fiera del solito. Le casacche di iuta e i gilet rossi che aveva indossato sull’isola di Iffish per vestirsi non c’erano più. Chissà doveva aveva trovato quei vestiti. E poi lui e Taishiro erano amici da tanto, eppure non sapeva che lei la mattina meditasse. Se la immaginò meditare con la cotta di maglia in ferro di Ashby, o con i vestiti colorati in seta pesante che avevano ricevuto a Fairy Oak, o con i vestiti dei genitori di Nina a Venezia, o con la tunica da strega che le avevano dato ad Hogwarts, o i vestiti di seta e il mantello verde che aveva ricevuto nel palazzo di Cair Paravel, a Narnia, o con l’armatura ingombrante di Alagaesia, o infine con le casacche di iuta di Iffish...
In quel preciso istante Taishiro aprì gli occhi e si trovò ad incrociare la sguardo dell’amico. Non sembrava spaventata, ma colta di sorpresa. Occhi scuri che si mescolarono al verde dello sguardo alleato. Da quanto tempo era lì Pedro? E perché era rimasto a fissarla? Si alzò in piedi, discendendo dalla pietra e si avvicinò all’amico. Sembrava spaventato, con l’aria di chi è stato colto con le mani nel sacco.
 
 -Che ci fai qui?- chiese con lo sguardo duro, più di quel che avrebbe voluto.
 -Beh, mi sono svegliato e tu non c’eri. Di sicuro in casa stanno tutti dormendo e così sono venuto a fare una passeggiata nel bosco e sono sbucato qua- rispose Pedro, sulla difensiva.
 -E perché non mi hai chiamata subito?-.
 -Perché mi stavo chiedendo cosa ci facessi qui e dove avessi preso quei vestiti. Non mi avevi mai detto che la mattina meditavi- aggiunse poi, come a evitare il vero motivo per il quale era rimasto a fissarla per una buona decina di minuti senza far nulla.
 
Lo sguardo di Taishiro s’addolcì.
 
 -Non te l’ho mai detto perché so come sei fatto tu, che ti piace la tranquillità, e credevo mi avresti schernita se ti avessi detto che la mattina sono in grado di trovare una tale calma da poter meditare, ma per me è l’unico modo che ho per trovare l’energia che mi accompagna per tutta la giornata-.
 
Pedro scoppiò a ridere. Era vero, ora che ci pensava. Non avrebbe mai creduto possibile che una scalmanata come Taishiro trovasse l’energia nella meditazione mattutina. Anche Taishiro cominciò a ridere e sembrava non dovessero smettere più. Dopo che le risate si furono consumate Taishiro disse:
 
 -Troverai dei vestiti simili ai miei all’entrata nella stalla con un biglietto da parte di Aires, che dice che vestiti con i vestiti di Iffish sembriamo degli schiavi della Terra delle Rocce e che, quindi, ci lascia delle vesti pulite-.
 
Concluse questa frase con il sorriso sulle labbra. Era tanto tempo con rideva così con Pedro e quella risata l’aveva riportata indietro di secoli.
Dunque si voltò e si diresse verso la casa. Pedro la seguì. Taishiro era felice, poiché avevano avuto finalmente un momento di intimità, proprio come quando erano a Tabauni, come quando erano bambini.
Arrivarono alla stalla e Pedro trovò i vestiti e il biglietto. Chiese a Taishiro di aspettare fuori e si cambiò. Il suo completo era più semplice di quello di Taishiro ma altrettanto bello. Era di un verde scuro molto simile a quello delle poche foglie fiorenti della Foresta. La camicia aveva un solo grande ricamo: il busto di un drago d’argento. La testa era ricamata sulla spalla destra, poi sul petto c’era ricamato il corpo quasi per intero, con le grandi ali spalancate. Un’ala attraversava tutto l’addome, l’altra invece finiva dietro la schiena. Le brache erano dello stesso colore della camicia e il disegno del drago continuava: l’ultimo angolo dell’ala che si trovava sull’addome finiva lì, sul fianco della gamba destra, il resto del corpo arrivava dietro la schiena, sotto l’ala sinistra, e la coda si attorcigliava sulle gambe, per finire sulla caviglia della gamba sinistra.
Quando Pedro si fu finito di cambiare e fu uscito, Taishiro rimase stupita dalla fattura delle vesti dell’amico: era vestito proprio bene. Pedro arrossì e chiese subito a Taishiro dove lasciare i vecchi vestiti. Taishiro gli disse di lasciarli lì all’ingresso, dove li aveva lasciati lei.
 
 -Ma tu non hai trovato il pugnale?- fece poi la ragazza, osservando meglio la cintola del ragazzo.
 -Quale pugnale?-.
 -Quello come il mio!-.
 -No, non mi pare-.
 -Strano, io l’ho trovato accanto alla lettera di Aires-.
 -Io no-.
 -Non è che magari ce l’hai in qualche tasca e non te ne sei accorto?-.
 -Non lo so- rispose lui, alzando le spalle, inebetito.
 -Beh, guardaci magari-.
 
Pedro lo fece, ma il pugnale non c’era. Poi si ricordò che mentre si vestiva aveva sentito il frusciare di qualcosa che scivolava e poi un rumore metallico sulla paglia, che li per lì aveva interpretato come il rumore dello zoccolo di Acum (i due cavalli erano stati fatti entrare per la notte nella stalla), che, muovendosi sul pavimento di legno, aveva raggiunto il suo orecchio.
 
 -Aspetta qui- disse a Taishiro e rientrò nella stalla.
 
Trovò il pugnale sul fondo del suo giaciglio. Era simile a quello di Taishiro, solo che era d’oro e sull’elsa non era a forma di drago, bensì a forma d’aquila, anch’essa nera come il drago di Taishiro.
Uscì fuori e mostrò il pugnale a Taishiro. Lei lo guardò bene e disse:
 
 -La tua aquila ha gli occhi rossi, mentre il mio drago li ha verdi-.
 
Era vero. Ricordando la complementarietà delle armi e delle vesti dei sovrani di Narnia, gli occhi dell’elsa del suo pugnale erano sostituiti da due rubini mentre su quella di Taishiro da due smeraldi; le loro vesti e le loro nuove armi avevano qualcosa di incredibilmente eloquente, tanto erano un richiamo l’uno dell’altra.
 
 -Allora, ancora lì fuori siete?-.
 
Una voce roca li sorprese. Era Ido che si era affacciato alla porta.
I due amici si riscossero ed entrarono subito, senza guardarsi negli occhi. La tavola era imbandita e la colazione aspettava solamente loro.
 
 -Vedo che avete trovato la vostra nuova roba- disse Aires, ammiccando nella direzione degli stranieri.
 -Sì- risposero all’unisono i due amici, riconoscenti alla regina del dono, che ai loro occhi risultava essere il più bello che avessero mai ricevuto.
Tutti si accorsero subito dei doni che aveva fatto Aires e ne rimasero stupiti; i nostri due protagonisti ricevettero subito dei complimenti e altrettanti ne ricevette Aires.
 
 -Essere Regina ha i suoi vantaggi-.
 -Ma come facevi a sapere che sarebbero arrivati ospiti?-.
 -Dunque, c’è una gnoma alla corte di Assa che ha il dono della preveggenza, e mi aveva predetto che nei giorni in cui mi sarei recata presso la Terra del Vento, in visita ai leggendari Nihal e Sennar, sarebbero arrivati due ospiti in missione per un viaggio misterioso e che avrebbero bisogno di nuovi vestiti e di armi-.
 -E da quanto credi alle veggenti?- chiese Sennar, sempre con un tono canzonatorio.
 
La regina, che nelle movenze e negli atteggiamenti sembrava tutto, fuorché una regina, gli diede una piccola spinta sulla spalla e scoppiò in una risata sguaiata; sembrava proprio uno scaricatore di porto.
 
 -Forte- commentò Pedro, mentre cominciava ad avventarsi sul pane appena sfornato che stava proprio al centro della tavola.
 -Sentite- li interruppe Ido –Non dovevate raccontarci le vostre memorie, visto che oggi è il Giorno della Civetta?-.
 
I due ragazzi annuirono vigorosamente e poi iniziarono a raccontare, mentre mangiavano; avevano la netta sensazione che il giorno lì, nel Mondo Emerso, non sarebbe stato più lungo, come a Tabauni, per cui meglio cominciare durante il pasto. Raccontarono della loro infanzia a Tabauni, della malattia di Gerard, di Ryuso e del Giorno della Civetta e dell’Ilv.
 
 -Che cos’è l’Ilv?- chiese Soana, con un’espressione piuttosto interessata.
 -È il bastone che ci permette di viaggiare da un mondo all’altro, Ryuso un anno fa fece un incantesimo per renderlo attivo- rispose prontamente Pedro.
 -A proposito, dov’è?- chiese Taishiro, rendendosi conto solo in quel momento della sua assenza.
 -Quel bastone con quello strano anello sopra? L’ho assicurato alla sella del cavallo bianco- disse Nihal, spostandosi dalla fronte una lunga ciocca di capelli blu.
 -Bene- fece la ragazza, ricomponendosi.
 
Come abbiamo fatto a non accorgercene ieri sera prima di coricarci?” pensò Pedro. Lanciò uno sguardo a Taishiro, come se potesse ascoltare il suo pensiero; lei gli sorrise di sbieco e alzò le spalle.
I due ripresero le fila della loro storia. Raccontarono della loro partenza, della Terra del Mezzo, della loro prima guerra ad Ashby, delle gemelle di Fairy Oak, e di Venezia e di Nina, degli alchimisti della Sesta luna, Xorax. Poi di Hogwarts e del loro sporadico apprendimento delle basi della magia, del simulacro di Voldemort e di Harry Potter, raccontarono della bellissima Narnia e del recupero della regina Susan. Narrarono del grande leone Aslan e della sua magia, di Alagaësia, di Eragon e Saphira, di Galbatorix e Murtagh e Castigo, poi di Katrina e della fretta dell’Ilv di farli partire senza cercare il frutto per la Grande Malattia, dell’isola di Gont, di Sparviere e Vetch, della storia dell’Ombra e di Yarrow, fino arrivare al mondo Emerso e alla mattina che avevano appena passato.
Finito il racconto era ormai ora di pranzo, per cui i due amici constatarono che effettivamente il tempo scorreva normalmente in quel posto, nonostante fosse il Giorno della Civetta. Stavolta fu Aires a preparare il pasto. Cucinò un ottimo intruglio di verdure e farina che lei chiamava Zelda. Poi anche gli altri raccontarono cosa era successo alle loro piccole, misere eppure enormi e nobili vite. La prima a parlare fu appunto la regina Aires. Raccontò del viaggio con Sennar fino al Mondo Sommerso, di alcune sue scorribande piratesche avvenute prima di quell’evento, del suo viaggio sulla terra ferma, dell’acquedotto della Terra del Fuoco, degli schiavi, della resistenza contro il Tiranno, della battaglia e del suo incoronamento a Regina della Terra del Fuoco.
Poi fu Soana a parlare. Parlò della sua vita con Sennar ancora apprendista mago, della venuta di Nihal, della frontiera e della guerra, della sua partenza in cerca di Reis, la sua vecchia maestra, il suo ritrovamento, la richiesta della vecchia gnoma di vedere Nihal e la sua riluttanza a mandare la nipote da lei.
Dopo fu il turno di Ido. Raccontò della sua infanzia, di Dola, del Tiranno e delle sue truppe, del suo ravvedimento, della guerra contro il Tiranno, della perdita dell’occhio e di Deinoforo e di come l’avesse sconfitto.
Poi Nihal prese la parola. Anche lei raccontò della sua infanzia, di suo padre Livon, fratello di Soana, di Fen, della sua scelta di diventare Cavaliere, del precedente Generale Raven, di come le permise di entrare in accademia combattendo contro dieci uomini addestrati in Accademia, di Oarf e della costruzione del rapporto con il suo drago, di Ido, della sua licenza e di Eleusi e Jona, della sua investitura, del ritorno di Sennar dal Mondo Sommerso, del lungo viaggio che intrapresero assieme a Laio, della sua morte e di Vrăsta il Fammin, dell’incontro con Aires, del santuario nella Terra delle Rocce, di Phos e del Padre della Foresta e della sconfitta del Tiranno.
Per ultimo parlò Sennar. Raccontò all’incirca le stesse cose che aveva riferito Nihal, anche se parlò più approfonditamente del suo viaggio nel Mondo Sommerso e della sua cattura da parte del Tiranno, di come Aster fosse entrato nella sua testa e della sua morte.
Quando anche lui finì era ormai sera inoltrata e il fuoco crepitava nel camino. Tutti i presenti si resero conto di quanto era stato strano rivivere le proprie avventure, eppure di quanto fosse utile ricordare, di quanto quei racconti aggiungessero qualcosa in più rispetto a ciò che avevano vissuto. Forse un po’ riuscivano a comprendere perché per la terra di provenienza di quei due piccoli stranieri fosse una ricorrenza tanto importante.
Ido preparò la cena (una semplice zuppa di fagioli rossi) e subito dopo Nihal e Sennar chiesero un attimo di silenzio.
 
 -Dobbiamo comunicarvi una cosa importante- iniziò Sennar.
 
Silenzio. Semplice silenzio d’attesa.
 
 -Come sapete io e Nihal abbiamo sempre desiderato andare a vivere nelle Terre Ignote, lasciare il Mondo Emerso, respirare aria diversa...-.
 -No, non può essere vero- lo interruppe subito Ido.
 -Invece sì, Ido- disse Nihal, illuminandosi in un debole sorriso –Ci sentiamo ancora in gabbia qui-.
 -Sennar, non vorrai partire davvero- disse Soana –Tu sei un consigliere, il più importante di tutti, per di più sei un eroe di guerra e non puoi lasciare un posto vuoto in quel Consiglio. Sei l’unico con la testa a posto, lì dentro-.
 -Proprio per questo tu mi sostituirai- disse Sennar, allungando la mano verso la sua antica maestra e carezzandole dolcemente le nocche.
 -E così il mio vecchio amico mago vuole lasciarmi sola. Pensavo che sarebbe venuto a farmi visita durante il mio mandato di regina- protestò Aires, stavolta visibilmente scossa, nonostante il solito tono canzonatorio della battuta.
 -Vorrei poter dire una cosa- s’intromise Taishiro, sussurrando appena.
 
Tuttavia, i presenti nella stanza si zittirono. Sia lei che Pedro non avevano posto in quella conversazione, eppure Taishiro aveva osato dire qualcosa. Pedro la tirò per un braccio, ma lei non ci fece caso e continuò a parlare, con un leggero vigore:
 
 -Secondo me, Nihal e Sennar hanno diritto di partire. Da quel che hanno raccontato hanno vissuto sin troppe sofferenze e anche se hanno dei compiti in questo Mondo, sentono che non ne fanno più parte, perché si sta ricostruendo e le cose che hanno visto e fatto non vi appartengono più-.
 -Grazie, Taishiro- disse Nihal, riconoscente alla ragazza straniera, con cui, in qualche modo, si sentiva affine.
 
Da quel momento nessuno disse nulla. Fu di tacito accordo che Sennar e Nihal sarebbero partiti. Annunciarono la data: entro due giorni avrebbero lasciato il Mondo Emerso.
 




























Note di Saeko:
approfitto di una piccola pausa dallo studio per aggiornare. Siamo in un punto della storia a cui io tengo molto, in generale perché sono innamorata di Nihal e Sennar e della loro storia, nello specifico perché da questo capitolo in poi Pedro e Taishiro cominciano ad avvicinarsi sentimentalmente; il capitolo è stato scritto che io ero solo una bambina, per cui gli unici interessamenti amorosi dell'epoca dipendevano dalla mia infantilità e ne potevo descrivere alcuni solamente perché ne avevo letto nei libri per ragazzi. Ovviamente sono cresciuta, ho imparato che l'amore cresce e si evolve in molti sensi, ma ho deciso di lasciare questo principio di interessamento tra i nostri due protagonisti con quel leggero velo infantile che già aveva al momento della prima stesura.
Infine una nota sulla notizia che Sennar e Nihal danno della loro partenza: ho sempre immaginato il momento in cui gli eroi leggendari del Mondo Emerso che sconfissero il Tiranno lasciano la loro terra come un momento di religioso silenzio, senza dare a nessuno la notizia, se non ai loro cari (di fatto, la Troisi nei libri seguenti non riporta chissà quale annunciazione della loro partenza, per quanto immagino che una volta divulgatasi la notizia, ci sia stato parecchio tumulto in tutto il Mondo Emerso).
Detto ciò, ringrazio chiunque sia arrivato a sopportarmi sino a qui e vi auguro una buona domenica.

Saeko's out!

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Capitolo 29
*** Capitolo 29: L'ora della partenza è giunta ***


Capitolo 29:
L’ora della partenza è giunta
 
Arrivò dunque il momento della partenza dei due eroi leggendari. Pedro e Taishiro non avevano accennato nulla riguardo la loro partenza, ma cominciarono a cercare nei dintorni di quella landa desolata, con passeggiate brevi, la Luce Viola. La sera prima della partenza di Nihal e Sennar spiegarono la situazione, che, come al solito, sembrava non volersi sbloccare.
 
 -Signori, anche noi dovremmo partire- iniziò Pedro, un po’ a testa bassa, giocherellando con io cibo che aveva nel piatto.
 -Ci lasciate anche voi?- chiese Soana, puntando lo sguardo intristito verso di lui.
 -Dobbiamo- sovvenne Taishiro, avvicinandosi immediatamente al suo compagno.
 -Perché?- chiese Ido.
 -Dobbiamo continuare il nostro viaggio, altrimenti il padre di Pedro e altre persone del nostro e di altri villaggi moriranno- continuò Taishiro, sospirando rumorosamente.
 -Quando partirete?-.
 -Quando avremmo trovato la Luce Viola di cui vi abbiamo parlato-.
 
Soana non aveva saputo aiutarli; non era a conoscenza notizie di frutti dai poteri taumaturgici specifici, dato che per loro era stato un miracolo scampare dalla febbre rossa, per cui era difficile trovare cure per una malattia sconosciuta come la Grande Malattia.
Del frutto magico, dunque, non s’era vista traccia.
 
Giunse la mattina dopo. Oarf era pronto. Le provviste e tutti i pochi effetti personali di Nihal e Sennar erano stati caricati. Pochi saluti per smorzare il dolore. Qualche abbraccio per evitare le lacrime. Nihal continuava a toccarsi nervosamente una ciocca di capelli, incapace di guardare chicchessia; Sennar le pose un braccio attorno alle spalle, le sussurrò qualcosa in un orecchio e lei sorrise; sembrò rilassarsi e fece dunque un nuovo giro di saluti, forse consapevole che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui avrebbe rivisto Ido e Soana. Prima di partire Sennar disse a Ido:
 
 -Manteniamoci in contatto attraverso la magia. Quando Pedro e Taishiro partiranno, avvertiteci-.
 -D’accordo- convenne lo gnomo, passandosi una mano tra le trecce della barba.
 -La casa è a tua disposizione, Soana, anzi è a disposizione di tutti e tre- disse Nihal guardando la Regina, la Maga e il Cavaliere.
 
Il drago verde iniziò ad alzarsi in volo, le sue squame rilucevano sotto il sole cocente, mandando balugini verdastri. Prima che prendesse una quota più alta Sennar gridò ad Ido:
 
 -Ah, dimenticavo, Ido!- lo gnomo alzò lo sguardo verso la figura a lui tanto cara, che nel frattempo diventava sempre più piccola -Sarai sempre un bravo maestro per tutti, come lo sei stato per Nihal e per me!-.
 
Ido sorrise mesto. Non sapeva che quelle parole non le avrebbe più dimenticate e che avrebbero continuato a fare ritorno per sempre nella sua vita.
 
Trascorsero sette giorni. E la Luce Viola non si faceva vedere; Pedro e Taishiro cominciavano a preoccuparsi. L’Ilv aveva cominciato a fremere nel momento in cui avevano provato a suggerire l’idea che il frutto potesse trovarsi nelle Terre Ignote, esattamente dove si stavano recando Nihal e Sennar, per cui capirono che ormai la loro permanenza nel Mondo Emerso era terminata; una sera il bastone magico s’illuminò di una luce violetta. In seguito, la sera successiva, Aires tornò a casa correndo, con il fiatone, dicendo che la Luce Viola era comparsa dall’altra parte della Foresta. I due ragazzi capirono al volo, presero in fretta le loro cose e uscirono fuori, da Whailida e Acum.
 
 -Aspettate- gridò Soana –Ci mettereste troppo andando a cavallo. Dovete andare in groppa a Vesa insieme a Ido-.
 
Le prime luci dell’alba si intravedevano al confine nord del paese.
 
 -Ma non possiamo lasciarli qui. Ci serviranno di sicuro per il resto del viaggio- protestò Pedro.
 -Vesa potrà portare i due cavalli con le sue zampe, ma dovremo fare loro un incantesimo per calmarli- disse Ido.
 
Soana si avvicinò ai due animali e fece loro un incantesimo che li addormentò dolcemente e disse che si sarebbero svegliati appena toccato il suolo della fine della foresta.
Così partirono.
Pedro e Taishiro erano eccitatissimi all’idea di cavalcare un drago e Vesa, rassicuratosi presso il suo padrone, si lasciò montare quasi docile, mentre con delicatezza afferrava le vere cavalcature dei suoi due nuovi ospiti di dorso. I protagonisti videro la casa scivolare via sotto il suono del battito delle ali del drago scarlatto. Videro la conca e la pietra bianca dove Taishiro la mattina meditava e arrivarono alla fine della foresta, desolata quanto la prateria che la circondava. Vesa pose i cavalli a terra, che, toccato il suolo stepposo con gli zoccoli, si svegliarono subito e nitrirono spaventati. Poi atterrò con leggiadria disarmante, per un animale della sua stazza, e fece scendere i nostri due amici.
La Luce Viola era lì davanti a loro. Salutarono Ido e poi puntarono l’Ilv al centro della luce. Pedro pronunciò la solita formula:
 
“un anello per domarli, un anello per trovarli,
un anello per ghermirli e nel buio incatenarli”.
 
Poi insieme gridarono –Terra degli Elfi!-. L’urlo si attutì subito finché non diventò un lieve sussurro tra gli alberi poco distanti da loro. La luce li risucchiò piano, quasi a rallentatore, questa volta, e i ragazzi videro ciò che accadeva attorno a loro per la prima volta: Vesa che ruggiva e gli alberi che venivano scossi, come alla mercé di un forte vento improvviso; Ido che tirava fuori delle pietre e le accendeva con una luce blu. Poi il buio. Buio pesto. Scuro come se fossero stati trasportati improvvisamente sotto terra. In quel tunnel d’oscurità comparve una luce grigia, opaca, smorta che poi diventò sempre più bianca e chiara e la velocità a cui viaggiavano aumentò. Poi uno schianto sordo, la sensazione del corpo che si schiaccia contro una superficie e di nuovo il buio.
 









Note di Saeko:
un capitolo breve per una breve dipartita; la partenza di Nihal e Sennar deve essere stata dolorosa, sia per chi partiva che per chi rimaneva nel Mondo Emerso ed essendo che tutti e cinque i protagonisti sono particolarmente testardi, difficilmente si sarebbero salutati in modo plateale.
So That's it; Pedro e Taishiro stanno per entrare in un mondo che mai avrebbero potuto immaginare di vedere.
Grazie a chiunque sia arrivato sino a qui. So che stasera non è il massimo, ma ehi, hope you liked it anyway.

Saeko's out!

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Capitolo 30
*** Capitolo 30: Bilbo e Gandalf ***


Capitolo 30:
Bilbo e Gandalf
 
Pedro e Taishiro si risvegliarono contemporaneamente, coricati su dei giacigli di paglia, foglie e coperte (troppo comodi per essere dei semplici giacigli di paglia e foglie), aprendo gli occhi nello stesso momento, trovandosi a guardarsi e a perdersi l’una nello sguardo dell’altro; erano stesi su un pavimento di legno. Si misero a sedere con un’espressione molto confusa. I vestiti del Mondo Emerso erano piegati e posti lì accanto a loro, ma in quel momento indossavano vesti diverse. Pedro era abbigliato con una tunica bianca che gli arrivava alle ginocchia e aperta sul davanti e sotto ad essa con un completo di pantaloni e casacca rossi e castani. Aveva il suo pugnale con l’aquila appeso alla cintola. Taishiro invece indossava una gonna verde chiaro che le arrivava alle ginocchia, con sotto delle brache aderenti verde scuro. Poi indossava un corpetto di stoffa e sopra un poncio verde smeraldo con degli strani simboli bianchi disegnati sopra. Anche lei aveva il pugnale assicurato al fianco. Entrambi erano scalzi. Pedro era riluttante a lasciare i suoi vecchi vestiti perché lo facevano sentire sicuro, eppure quelli che indossava erano più morbidi e confortevoli. Taishiro invece si sentiva a proprio agio, anche se nemmeno lei voleva abbandonare l’abbigliamento del Mondo Emerso.
Si incamminò per la “stanza” e si accorse che il pavimento di legno era issato sopra un albero e che le foglie e i rami fungevano da parete protettiva dal mondo esterno. Mentre faceva quest’osservazione, l’amico si mise la mano in tasca in cerca della lettera. Non la trovò. Preso da un leggero panico, si mise a frugare nei vecchi abiti e trovò una busta di piccolo formato e molto leggera, della consistenza di una foglia.
Sopra riportava vergata in oro i nomi dei destinatari: “Bilbo e Frodo Baggings e Gandalf il Bianco”. La mostrò a Taishiro. Decisero di scendere dall’albero. Trovarono una semplice scala di corde affissa al fusto della pianta per scendere. Una volta a terra i due ragazzi riguardarono intorno. Si sentivano strani. Da quando si erano svegliati avevano detto sì e no una decina di parole. Taishiro posò la schiena contro il tronco della albero, si lasciò cadere seduta a terra e iniziò a meditare. Pedro la osservò, indeciso sul da farsi, con una punta di desiderio, che non faceva altro che fargli battere il cuore con un rumore sordo e abbondante, che gli pulsava nelle orecchie; temeva che il suono potesse sentirsi anche al di fuori del suo petto, che anche Taishiro potesse sentirlo. Avrebbe voluto baciarla. Si sedette accanto a lei. Poi i dubbi che l’avevano assalito ad Hogwarts gli attanagliarono di sorpresa il cuore. Decise che non gli importava. Si mise di fronte a lei e la fissò ancora; si chiedeva se lo avesse sentito muoversi nervoso accanto a lei. Era bellissima. Ancora più bella di quando l’aveva vista meditare per la prima volta, nella foresta della Terra del Vento, nel Mondo Emerso, con i capelli che le scendevano liberi sulle spalle e le lambivano la fronte. Taishiro aprì gli occhi all’improvviso. I due amici si fissarono ancora, come se si fossero appena svegliati. Poi il coraggio di Pedro venne meno e non riuscì più a sostenere lo sguardo indagatore e profondo della ragazza.
 
 -Che cosa c’è?- chiese Taishiro, che invece non se ne lasciava sfuggire una.
 -Niente- rispose Pedro, arrossendo visibilmente. Egli strinse le mani sulla lettera che teneva in grembo.
 -Ne sei sicuro?-.
 -Sì-.
 -Perché mi stavi fissando?- insisté ancora lei.
 -Nessun motivo in particolare. Cercavo di vedere se eri cambiata-.
 -Perché?-.
 -Perché non riesco ancora a credere che tu mediti la mattina-.
 
Taishiro scoppiò in una sonora risata. Pedro era in grado di farla sorridere anche nei momenti più imbarazzanti. In particolare, quella era anche una risata di sollievo. Per un attimo aveva temuto che Pedro fosse posseduto da un qualche spirito maligno. E poi quella vicinanza vertiginosa che c’era tra il suo viso e quello del suo amico l’aveva fatta trasalire.
Il vento soffiò tra le fronde degli alberi e portò la risata cristallina di Taishiro altrove. La trasportò non poco lontano da lì, in un’altra stanza-albero. Lì si trovava Gandalf, il mago di quel luogo già troppo magico di suo[1].
 
Pedro e Taishiro decisero di incamminarsi alla ricerca di Gandalf, Bilbo e Frodo, i tre sconosciuti destinatari della lettera che aveva trovato Pedro. Camminarono per molto tempo, stranamente senza provare fastidio nello spostarsi a piedi nudi, e dalla mattina arrivarono all’ora di pranzo, e iniziarono a sentire i morsi della fame. Era da quando erano partiti dalla Foresta della Terra del Vento che non mangiavano. Eppure, nonostante si trovassero in un fitto intrico d’alberi, non avevano visto animali o piante di sottobosco. Sembrava di trovarsi nella Terra del Mezzo, il posto di interscambio tra i luoghi magici, però gli alberi erano più grandi, secolari e scuri. Uno strano fruscio incuriosì i due ragazzi. Sembrava provenire da un albero che pareva essere il più grande di tutti. Il fruscio diventò ben presto una melodia. Sul tronco c’era una scaletta simile a quella che avevano trovato sul loro albero. Si guardarono, annuendo, e poi la salirono. Sopra la stanza c’era una festa. C’erano tante persone che danzavano, uomini e donne con le orecchie a punta e il passo talmente leggero da non sembrare nemmeno reali; ogni passo di danza era una folata di vento, un battito di ciglia, una piuma che cade al suolo.
In fondo all’enorme sala, stavano due uomini che sembravano più bassi degli altri, nonostante uno dei due fosse molto vecchio; questi indossavano vesti di diversa fattura rispetto a quella degli individui danzanti attorno a loro e, cosa assai strana, i piedi scalzi erano ricoperti di una folta peluria che li facevano sembrare più grandi del dovuto. Da una parte stava un anziano tutto vestito di bianco, con un grosso bastone, bianco anch’esso, tra le braccia. Quando la musica cessò, l’anziano vestito di bianco alzò la mano e disse:
 
 -Benvenuti, figli del cielo. Vi siete svegliati, finalmente-.
 
Pedro e Taishiro rimasero stupiti. Il vecchio si era rivolto proprio a loro. Tutti i presenti, che avevano appena finito di danzare, li guardavano pieni di curiosità. Taishiro li guardò meglio. Non solo le loro orecchie erano a punta, ma i visi avevano dei lineamenti eterei, i capelli di tutti quelli che li circondavano erano chiari, così come i loro occhi. -Sono elfi!- mormorò eccitata a Pedro. Lui rispose con un borbottio sorpreso.
Quando furono vicini al vecchio, Pedro prese la lettera e gliela porse. Il vecchio disse:
 
 -Bilbo, Frodo, venite che questa lettera è anche per voi-.
 
I due uomini più piccoli, di cui uno era l’unico ad avere una capigliatura scura, si avvicinarono a Gandalf, perché di lui si trattava. Pedro era curioso di capire cosa fossero. Erano troppo piccoli per essere umani (Taishiro superava il più giovane di una spanna), non erano nani perché erano più alti e non erano elfi; nemmeno gnomi, a quel che sembrava, dato che le fattezze erano totalmente dissimili da quelle della stirpe di Ido, ad esempio. Sembravano dei bambini con le sembianze degli adulti.
Gandalf aprì la lettera e la lesse in silenzio, così come Frodo e Bilbo. Era scritta con le rune e tradotta suonava più o meno così:
 
Eccelsi Bilbo e Gandalf,
sono Ryuso, il mago che era con voi quando la nave partì dai Porti Grigi. Sono anche il mago che, durante il viaggio per la Terra degli Elfi, parlò con Frodo e si fece raccontare la storia dell’Anello. Gli rubai dalla mente l’esatta copia del mistico oggetto e lo riprodussi nella Terra degli Elfi. Vorrei scusarmi con Frodo per avergli causato un tale torto, ma era necessario. Ora quella copia si trova sul bastone che portano i due ragazzi. Serve a loro per viaggiare attraverso i diversi luoghi magici; al contrario di quello che era il precedente Anello, questo non ha una sua vera e propria volontà, solo un antico istinto, innocuo. Devono arrivare alla vera Terra della Magia e trovare la melagrana che salverà il padre del ragazzo dalla morte, poiché a mio avviso il grande Gandalf, nonostante le infinite ricerche, non sia riuscito a trovare il frutto appena menzionato; qualora così non fosse, chiedo al Mago Bianco di fornire ai ragazzi quanto conosce del frutto della salvezza. Vi chiedo di far visitare loro la bellissima Terra degli Elfi e poi di farli parlare con Samvise Gamgee, lui saprà dare le indicazioni che servono.
Saluti sinceri e magici,                                                                                                                   
 
Ryuso
Stregone capo del villaggio di Tabauni, nella Terra di Tsagumi
 
Il mago bianco disse subito i propositi di Ryuso descritti nella lettera; i due amici si guardarono e fecero spallucce: Ryuso sapeva essere criptico e illogico, nelle sue lettere, e ancora entrambi facevano fatica a comprendere come i destinatari delle sue varie missive non si facessero nemmeno una domanda su chi fossero loro o su quanto fosse sospettoso che due sconosciuti con una missiva altrettanto sospettosa giungessero nei momenti meno opportuni.
Il Mago Bianco chiese a Frodo di fargli visitare quella terra. Gandalf era un mago sorridente e di poche parole, eppure aveva un che di rassicurante, almeno secondo Taishiro. Per Pedro, invece, era troppo taciturno e misterioso. Si era trovato più a suo agio con Soana, che era diretta, glaciale, simpatica e schietta.
Anche Bilbo voleva accompagnare i due stranieri, ma Gandalf si rifiutò categoricamente. Bilbo era troppo vecchio, aveva centotrentatré anni ed era già tanto che riuscisse a ballare alla velocità degli elfi. E poi il mago non voleva che alla vista del finto Anello in lui si risvegliasse qualcosa di losco.
Frodo, Pedro e Taishiro scesero dall’albero, mentre la festa riprendeva sopra di loro.
Forse vi chiederete quale potesse essere l’arcano motivo per cui Gandalf avesse lasciato allo hobbit l’onere di accompagnare i due amici per quelle terre, piuttosto che ad un elfo, che sicuramente conosceva molto meglio quei luoghi; tale motivo risiede nel fatto che Frodo aveva bisogno di un tuffo in un passato che per troppo tempo aveva dimenticato (oltre al fatto che avesse acquistato una certa dimestichezza con la regione abitata dagli elfi).
 
 -Avete mai visto una terra del genere?- chiese Frodo, come per cavarli d’impaccio dal silenzio che li avvolgeva.
 -No. Cioè in un certo senso sì- disse Pedro incerto. Il ricordo della foresta della Terra del Mezzo gli sembrava così remoto e così vicino al tempo stesso. Fu Taishiro a venirgli incontro.
 -Il sottobosco era proprio così: pulito e senza una sola foglia. Ma gli alberi erano più slanciati, giovani, fini. E c’era molta più luce. Qui invece gli alberi hanno tronchi giganteschi e le loro chiome coprono il cielo quasi interamente-.
 -Beh- disse Frodo, passandosi una mano tra i capelli riccioluti e scuri –Questa è solo la foresta. A nord ci sono montagne altissime che spariscono oltre le nuvole, dove è sempre brutto tempo e nessuno ne ha mai visto le cime. A sud invece c’è il mare, l’oceano e più in là La Terra di Mezzo-.
 -La Terra di Mezzo? Cioè, la Terra del Mezzo? Il luogo di interscambio tra tutti i mondi magici?- chiese Pedro, incredulo
 -Quella che dite voi è una specie di “sala d’attesa”. Quella di cui parlo io invece è un specie di grande regno di un grande continente del quale non si conoscono le dimensioni. Io sono nato in una di quelle regioni—.
 
Ci fu un attimo di silenzio. Nella mente di Taishiro balenò una domanda.
 
 -Cosa sei?- chiese a Frodo, senza tanti fronzoli.
 -In che senso?- fece l’altro, senza capire.s o. avrebbe lbero e iniziò a meditare. e. ggera.
onfortevoli. ra. arrone.
 -Nel senso che... ecco... non sei umano, non sei elfo né mezzelfo, nano, drago, gnomo, fammin o bambino. E Bilbo ha centotrentatré anni ed è basso quanto te!-.
 -Avete presente di cosa sia uno hobbit?-.
 -No- disse Pedro, passandosi una mano tra i capelli.
 
Che diavolo poteva mai essere?
 
 -Beh, in questo momento ne avete uno davanti. Io sono uno hobbit. Alcuni ci chiamano anche la “gente piccola”-.
 -E che cosa sarebbe di preciso, dunque, uno hobbit?-.
 -Una specie di ometto basso la cui altezza non arriva neanche a un metro. L’altezza massima per quelli della mia specie e di un metro e dieci-.
 
La conversazione si chiuse lì. Ovunque andassero, i due amici incontravano creature sempre diverse.
Frodo fece vedere loro l’albero dove dormivano lui e Bilbo, dove dormivano l’elfo Legolas e il nano Gimli, l’unico nano ammesso nella Terra degli Elfi, amici di Frodo, dove dormiva la bellissima Elfa Galadriel e dove dormivano altri elfi che lui conosceva.
Arrivarono alla sera al loro albero. Frodo disse loro che per riconoscerlo avevano dipinto sul tronco un carattere elfico con del bianco che significava “Stranieri”.  Pedro e Taishiro salirono sulla scala di corde congedandosi da Frodo. I vestiti del Mondo Emerso non c’erano più. Taishiro sguainò il suo pugnale dal fodero sontuoso. Il dragone nero che era stato disegnato sull’elsa sembrava cupo come lei. Gli smeraldi posti nel luogo degli occhi della creatura sembravano tristi anch’essi. Lei aveva nostalgia di casa. Pedro le si avvicinò, facendo il meno rumore possibile.
 
 -Che cos’hai?- chiese.
 -Mi manca Tabauni-.
 -Anche a me manca-.
 -Mi chiedo cosa possano provare mia madre e mio padre, al pensiero che la loro figlia si trova a leghe e leghe da loro, in universi totalmente diversi-.
 -Anch’io mi chiedo cosa stia provando mio padre, in questo momento. A cosa pensi, quanto soffra, se si ricordi di me nei momenti in cui è sveglio. Se riconosce chi gli sta intorno-.
 -Non hai paura?-.
 -Paura di cosa?-.
 -Che tu non riesca ad arrivare in tempo per salvare Gerard, oppure che tu muoia prima di trovare il frutto-.
 -Sì, ho paura. Ma è proprio quella paura che mi spinge ad andare avanti- affermò lui, guardandola ancora negli occhi. Le passò un braccio attorno alle spalle.
 -Io temo che questo viaggio non finirà mai e che noi continueremo a viaggiare senza mai trovare la cura alla Grande Malattia e che non potremmo più tornare a casa-. Lei pose la testa nell’incavo del suo collo e si lasciò cullare un po’.
 -Guarda che la lista che ci ha dato Kim ha una fine. Prima o poi torneremo a casa-.
-Ho anche paura di morire-.
 
A quel punto Taishiro iniziò a singhiozzare in silenzio. Pedro era stupito. Taishiro, la sua amica che non aveva mai paura di nulla, che si era buttata nella missione prima di lui, che aveva sempre avuto la certezza di qualsiasi cosa facesse, aveva paura e ora piangeva. Piangeva lacrime adulte, con singhiozzi strozzati, piangeva quelle lacrime cui i bambini lasciano libero sfogo, mentre gli adulti le trattengono, ferendo il loro animo fin nel profondo.
Lui le si avvicinò ancora di più e la strinse totalmente a sé. Lei continuò a piangere, ma smise di singhiozzare. Pian piano si calmò.
Nessuno dei due si era accorto che un piccolo elfo aveva portato loro la cena e l’Ilv, poggiandoli delicatamente sul pavimento della stanza-albero.



 
 

[1] Siamo qui molto dopo la fine de “Il ritorno del Re”, ultimo libro della saga de Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien; Bilbo, Frodo e Gandalf si sono ormai stabiliti nella Terra degli Elfi.














Note di Saeko:
e anche questa domenica sono riuscita ad aggiornare; per me è quasi diventato un rituale, correggere e scrivere questo racconto, che mi fa tornare indietro nel passato. Siamo nella Terra degli Elfi e dedicherei questo capitolo a Christopher Tolkien, venuto a mancare lo scorso giovedì; so che le descrizioni non potranno mai essere immaginifiche come quelle del padre e che probabilmente il mio inserimento di Pedro e Taishiro nel mondo degli Signore degli Anelli possa risultare sconclusionato e privo di senso, ma continuare a parlarne è uno dei tanti modi per mantenerne viva la memoria.
Stiamo pian piano raggiungendo la crescita caratteriale dei due protagonisti; credo che si possa notare, almeno un po' visto che quando ho scritto questo capitolo erano passati ben due anni dall'inizio, dal capitolo uno di questa storia.
Se a qualcuno va, vi aspetto nella sezione recensioni. A presto!

Saeko's out!

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Capitolo 31
*** Capitolo 31: Frodo e l'Anello ***


Capitolo 31:
Frodo e l’Anello
 
Rimasero abbracciati e Pedro cullò l’amica sino a che non si furono addormentati entrambi; non era la prima volta che accadeva, da bambini lo avevano fatto spesso, eppure c’era una nuova sensazione nei loro cuori, qualcosa di più del semplice sentimento d’affetto che li aveva legati sino a quel momento.
Il mattino seguente Frodo venne a svegliarli di buon’ora. Vide i due ragazzi abbracciati, la cena lasciata in disparte e si sentì assolutamente fuori posto, come se stesse invadendo la loro intimità. Poi si accorse che gli occhi della ragazza era gonfi di pianto; doveva evidentemente essere successo qualcosa. Spostò il suo sguardo verso il tronco dell’albero e vide un bastone molto bello, intagliato ad arte, con intarsi lungo tutto il fusto, sicuramente più artistici del bastone magico di Gandalf, e sulla sua cima era incastonato un anello. Si avvicinò ad osservarlo meglio. Era L’Anello, l’Unico, lo stesso Anello di Sauron. Come era possibile? Aveva visto quando Gollum era caduto dal dirupo verso la lava bollente, portandosi via il suo dito con l’Anello; si fissò la mano mancante di un dito e sussultò ancora, mentre si voltava a guardare nuovamente il piccolo cerchio d’oro sulla cima del bastone. Si accorse però che qualcosa era diverso, molto diverso dalla sensazione data dall’Anello, dalla sensazione che ricordava di aver provato per tutta la durata in cui quel malefico oggetto era rimasto appeso al suo collo, come un fardello piccolo ma enorme da portare.
L’hobbit deglutì; la sensazione che quell’oggetto gli dava era tutt’altro che negativa. Scosse la testa, si voltò e decise di svegliare i due ragazzi, che ancora assonnati chiesero da mangiare. Era dalla mattina precedente che non mangiavano.
 
 -Veramente, ieri sera vi è stata portata la cena-.
 -Quando?- chiese Pedro, stropicciandosi vistosamente gli occhi.
 -All’incirca mezz’ora dopo che io vi ho lasciati qui sotto- risposte Frodo, sorridendo appena.
 -Ah, non ce ne siamo accorti. Forse ci eravamo già addormentati- disse Taishiro con fare vago ed evasivo.
 
Ci fu un attimo di silenzio, vistosamente imbarazzato per tutti e tre. Mantenendo lo sguardo basso, i ragazzi decisero di addentare qualcosa dal vassoio della sera precedente
 
 -Sapete, sono molto belli i vostri pugnali. Posso vederli?-. Anche il tono dello hobbit sembrava leggermente evasivo.
 -Certo-.
 
I due ragazzi estrassero i pugnali dai loro foderi e li mostrano a Frodo. La lama era tagliente, brillava alla luce del sole come un gioiello, era dura come il mithril, il metallo che sembrava argento e che era indistruttibile, metallo lavorato dalla più antica arte dei nani. Eppure quella lama era nera e trasparente al tempo stesso, quasi fosse fatta di vetro. Che materiale era? I ragazzi dissero che si trattava di cristallo nero, il materiale più duro e resistente di tutto il Mondo Emerso. L’elsa del pugnale di Taishiro era d’argento e c’era un bassorilievo di un dragone nero, anch’esso assai lucente, al posto degli occhi del drago c’erano due smeraldi. Poi spostò la sguardo su quello di Pedro; la lama era uguale a quella del pugnale dell’amica, ma l’elsa e l’impugnatura erano diverse. Era d’oro e al posto del drago era stata riprodotta un’aquila che spiccava il volo. Al posto degli occhi v’erano due rubini.
 
 -Sono bellissimi- si lasciò sfuggire, poi.
 
Difficilmente aveva visto cose di fattura così bella, a meno che non fosse prodotta dagli elfi. Mentre mangiavano, Pedro lasciò correre lo sguardo sulla stanza-albero e vide l’Ilv.
 
 -Dove avete trovato l’Ilv?- chiese.
 -Che cosa è l’Ilv?- disse il loro nuovo compagno, mentre li guardava mangiare.
 -Il nostro bastone- disse indicandolo.
 -Era accanto a voi e ai vostri cavalli quando siete caduti dal cielo. Oggi andremo a trovare i vostri animali e poi ci spingeremo verso le montagne-.
 
Cercò, lo hobbit, di non incontrare lo sguardo dei due stranieri, come se temesse che potessero capire il tumulto che la vista di quell’antico gioiello posto sulla cima dell’Ilv aveva scatenato all’interno del suo animo.
Dunque Frodo si alzò e i due ragazzi fecero lo stesso. Scesero la scala di corda e si incamminarono per il bosco.
 
Taishiro aveva portato con sé l’Ilv. Il pugnale le pendeva dal fianco e la gonna verde svolazzava silenziosa mentre camminava, come se avesse vita propria. Avanzavano in fila indiana. Frodo avanti, Taishiro al centro e Pedro per ultimo. Continuava a guardare Taishiro e a pensare alla mattina che si erano svegliati in quel posto fantastico e strano. Dove avrebbe mai trovato il coraggio di dirle ciò che provava, ciò che ormai era diventato troppo grande per poter essere contenuto nel petto a vita? Era una cosa che sembrava impossibile; ogni volta che i suoi occhi verdi fissavano quelli scuri di lei, egli si sentiva sprofondare.
Come farò?” pensava sempre più in preda ad un panico interiore, tutto suo, infinito. Già si immaginava lei che lo guardava con compassione e dolcezza, come solo lei sapeva fare, ma che gli diceva che voleva solo essere sua amica, di non aver interesse per cose di quel genere. Eppure nello stesso tempo si immaginava una grande cerimonia di matrimonio come quelle che aveva visto fare a Tabauni al momento dell’unione tra due innamorati. Ringraziava che non fossero in un universo in cui le persone comunicavano solamente tramite pensiero (come su Xorax) e che nessuno attorno a lui fosse un abile legilimens, altrimenti sarebbe stato spacciato.
Taishiro, da parte sua, si sentiva osservata. Era sicura che Pedro la stesse fissando e i capelli sciolti sulla schiena servivano poco a nascondere quella sgradevole sensazione. Perché ultimamente il suo amico si comportava in modo così strano? Non se ne capacitava, eppure era sicura che non fosse posseduto da spiriti d’alcun genere. Voleva bene al suo compagno, ma cominciava a sentirsi a disagio quando lui accorciava le distanze fino a farle diventare sin troppo vertiginose. Ultimamente le batteva più forte il cuore, tanto da rimbombarle nelle orecchie, quando Pedro era accanto a lei. Quando l’amico l’aveva vista per la prima volta meditare si era sentita tremendamente in imbarazzo e invece il ragazzo si era messo a ridere e lei si era sentita sollevata; la mattina precedente, quando Pedro si era avvicinato così tanto al suo volto, si era sentita fremere in tutte le membra, mentre un brivido le attraversava veloce la spina dorsale, e allora aveva aperto gli occhi; quando quella notte avevano dormito abbracciati si era invece sentita al sicuro, protetta. Faceva difficoltà a comprendere che tipo di sentimento stesse sviluppando, ma di una cosa era certa: andava ben oltre la pura e semplice amicizia.
 
Arrivarono da Acum e Whailida, le cui briglie erano state assicurate ai piedi di un albero, attorno al quale stavano appoggiate diverse sbarre, a cui erano legate altre cavalcature. I due animali stati trattati benissimo, forse nel modo migliore che ci si potesse aspettare per loro, da quando quel viaggio era iniziato: avevano il pelo lucido, che rifletteva alla perfezione i pochi raggi di luce soffusa che penetravano le foglie degli alberi sopra di loro, e cibo a volontà. Sembravano felici e riposati da tutte le loro fatiche e dai viaggi continui da un mondo all’altro, come se quello fosse realmente il loro luogo d’appartenenza. Dopo che li ebbero salutati insieme agli elfi che li accudivano, sorridenti e leggiadri come i giorni precedenti, i tre si incamminarono verso le montagne. A metà mattinata arrivarono alle loro pendici e si fermarono, osservando l’imponenza di quei massicci. La camminata non era stata faticosa, però dovevano prendere fiato e coraggio, per poterle scalare.
 
 -Noi arriveremo poco più in alto di qui- disse Frodo –Poi verranno le Aquile a prenderci, ci porteranno ai loro nidi e ammireremo la vista della Terra degli Elfi dall’alto-.
 -Ma cosa c’è oltre le montagne?- chiese Taishiro, osservando dubbiosa le nubi sopra di lei, che coprivano alla perfezione la cima dei monti più alti.
 -Nessuno lo sa con certezza. Tutti quelli che sono andati oltre di esse, non sono più ritornati e alcuni dicono che ci sia un dirupo oltre il monte Fandulos[1], l’ultimo monte prima dell’ignoto-.
 
Si alzarono e iniziarono a scalare la prima montagna, la più piccola. Si chiamava Liada, come aveva detto Frodo ai due ragazzi.
Arrivarono ad un piccolo spiazzo sulla Liada verso l’ora di pranzo e attesero che le Aquile li venissero a prendere. Quando arrivarono, Pedro era un po’ riluttante a salire sul dorso di una di queste. Aveva il timore di cadere nel vuoto. Quando aveva montato un drago come Vesa, c’erano Ido e Taishiro assieme a lui, non era solo.
 
 -Se volete- disse l’Aquila, quasi intuendo il motivo della riluttanza del giovane –Posso reggere più di un ragazzo, se la tua amica è leggera come te-.
 
E così fecero. Taishiro montò dietro a Pedro e lo abbracciò cingendolo in vita. I cuori di entrambi i ragazzi battevano all’impazzata, senza che fossero in grado di comunicare apertamente tra loro. I rapaci si alzarono in volo e arrivarono ai loro nidi sul monte Morwek. Una volta arrivati, mangiarono dell’ottima cacciagione offerta dalle Aquile stesse, padrone di quei massici. Poi si affacciarono dal nido e videro il più bel panorama della loro vita. Davanti a loro c’era tutta la foresta e si vedevano le “stanze” sugli alberi. Poi intravidero la spiaggia nascosta dagli alberi e infine il mare; il sole si stava avviando davanti a loro verso il tramonto (il loro pranzo era stato in pratica un banchetto ed era durato fino al primo pomeriggio). Pedro e Taishiro erano molto vicini; quel paesaggio era incantevole.
 
 -Senti ancora nostalgia di casa?- chiese Pedro all’amica, passandosi una mano tra i capelli.
 -Sì, la sento sempre-.
 -Anche io. Eppure sono contento- affermò dunque lui, arrossendo forse per il sole che li avvolgeva nei suoi ultimi raggi, forse per il fatto d’esser emozionato e basta.
 -Perché?-.
 -Perché non credo che a casa potremmo mai beneficiare di una vista così bella-. Sospirò, trattenendo a stento l’emozione.
 -No, in effetti no. Anche io sono contenta- convenne lei.
 
Detto questo Taishiro appoggiò la testa sulla spalla di Pedro. Il ragazzo diventò ancor più rosso in viso ma non disse nulla. Taishiro aveva capito che Pedro non era un semplice amico; il sentimento che avvertiva doveva essere amore, forse lo aveva sempre amato, e non se n’era mai resa conto, aveva sempre ignorato qualsiasi sensazione di infatua mento provata per il ragazzo, perché egli era sempre stato la sua famiglia, una presenza costante, un fratello; eppure, proprio la sua presenza costante, lo rendeva come l’indizio nascosto di un indovinello, senza il quale è impossibile venirne a capo.
Entrambi si sorrisero a vicenda, senza guardarsi e tenendo gli occhi fissi sul panorama davanti a loro, come se nessuno dei due fosse consapevole dell’espressione dell’altro. Intanto Frodo osservava la scena in silenzio e pensava al suo amico Sam. Chissà se Rosie, il pomeriggio prima del loro matrimonio, aveva agito come Taishiro in quel momento. Un nodo si formò alla bocca del suo stomaco, al pensiero di un amico che non vedeva ormai da più di vent’anni.



 
 
[1] I nomi delle catene montuose sono qui completamente inventati e la loro descrizione, così come quella del nido delle Aquile, non ha nulla a che vedere con quanto descritto da J.R.R. Tolkien nei suoi testi.











Note di Saeko:
et voilà. Mi sembra passata un'infinità dalla scorsa domenica, la settimana è stata piena e forse da qualche parte vedo la luce in fondo al tunnel dei miei problemi, ma sinceramente non voglio cantar vittoria prima di aver effettivamente vinto, per cui lasciamo stare questo discorso.
Siamo in momento cruciale della storia, per quanto possa sembrare privo di senso l'aver visitato la Terra degli Elfi quando i due protagonisti si trovano nell'emergenza di dover trovare al più presto la cura per una piaga che pare stia dando non pochi problemi a Tabauni e all'intera Terra di Tsagumi. Ma Ryuso non fa mai fare nulla senza uno scopo (anche se fin'ora così non sembra), a chi sia giunto sino a qui chiedo di aver pazienza.
Inoltre, avevo necessità di approfondire il rapporto tra Taishiro e Pedro, che diventerà sempre più awkward da qui in poi; e mi piaceva l'idea di rendere Taishiro un po' oblivious rispetto all'intera faccenda.
Beh, per essere arrivati sin qui, arigatou-gozaimasu!
 
Saeko's out!

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Capitolo 32
*** Capitolo 32: Un incontro con Samvise Gamgee ***


Capitolo 32:
Un incontro con Samvise Gamgee
 
Quella sera i due amici cenarono con i tre destinatari della loro lettera, Bilbo, Frodo e Gandalf, assieme ad alcune delle più importanti personalità del popolo della Terra degli Elfi ovvero Legolas Verdefoglia, la Dama Galadriel, il signore di Lórien e infine l’antico re di Gran Burrone, re Elrond.
 
 -Dunque, figli degli uomini, come vi è sembrata la nostra terra?- chiese Galadriel, dall’alto della sua immane bellezza, tanto fulgida che il suo viso sembrava emanare luce propria.
 -Molto bella- disse Pedro, abbassando gli occhi sul suo piatto, incapace di sostenere lo sguardo dell’elfa.
 
La mente del ragazzo era talmente assente da non riuscire a registrare nemmeno cosa fosse stato messo dentro al suo piatto.
 
 -Stupenda!- disse invece Taishiro, sorridendo e osservando di sottecchi l’amico, chiedendosi come mai, al momento di rivolgersi alla bella Galadriel, egli abbassava lo sguardo. Si chiedeva come mai fosse così assente, per cui si rabbuiò, senza aggiungere altro alla sua esclamazione.
Nonostante tutti gli sforzi che fecero, Bilbo e gli altri convitati non riuscirono a cavar loro di bocca molto altro. Pedro e Taishiro non si sentivano molto in vena di parlare, comunque: entrambi erano immersi completamente nei loro pensieri. Lei pensava alla sua scoperta di provare un sentimento estremamente profondo per il suo amico. Lui a un modo per farle capire ciò che provava senza sentirsi rifiutato.
 
 -Ordunque, mie cari amici, che vi prende stasera?- chiese Gandalf, accennando un piccolo risolino beffardo.
 -Esatto, sembravate molto più loquaci quando vi ho visto la prima volta- aggiunse Bilbo, tossicchiando.
 
L’anziano hobbit ridacchiava di sottecchi mentre addentava la pietanza con un vigore alquanto strano per una persona di centotrentatré anni; Frodo fece uno strano verso imbarazzato, nel tentativo di distogliere, senza riuscirci, l’attenzione dai due ospiti.
I ragazzi arrossirono, sorrisero ma non dissero nulla. I presenti cominciarono perciò a parlare tra di loro d’altro, per rendere più interessante quella cena, e i due amici continuarono a mangiare silenziosi, persi in un altro universo. Da dove nasceva quell’improvviso imbarazzo, che si era insinuato bellamente tra i loro rapporti?
 
 -Domani- disse re Elrond, riportando l’attenzione su di loro –Dovrete prendere una nave che vi porti nella Terra di Mezzo-.
 -Per quale motivo?-.
 -Per poter parlare con il mio amico Sam, come richiesto dalla lettera che il vostro stregone ha spedito assieme a voi, e io vi seguirò nella traversata- rispose Frodo.
 
Ecco fatto” pensò Pedro “Non ho altra via d’uscita se non dirglielo stasera. Domani partiremo su una nave e non avremo molte occasioni per poter stare da soli e parlare. Poi di sicuro nella Terra di Mezzo apparirà la Luce Viola e dovremo ripartire alla volta di un altro mondo, quindi è meglio...”.
 
 -Pedro! Vuoi rimanere lì, per caso?- lo rimbeccò Taishiro.
 
Si erano infatti tutti alzati, la cena era finita e lui non se n’era accorto.
 
 -Arrivo-.
 
Salutarono i loro commensali, scesero dal grande albero sopra il quale avevano desinato e arrivarono alla loro stanza-albero. Salirono la scaletta di corde, accompagnandosi con dei gesti che riprendevano la loro ritualità quotidiana, come lo sfiorarsi leggermente le mani al poggiarle sulla corda o l’aiutarsi a vicenda a salire. Qualcuno aveva messo a posto i loro giacigli; la ragazza mise l’Ilv appoggiato sul tronco.
 
 -Taishiro, devo dirti una cosa-.
 -Cosa?-.
 -Dunque... ecco, io... volevo dirti...-.
 
Aveva qualcosa di già sentito, una conversazione del genere.
 
 -Che cosa volevi dirmi?-.
 -Ti volevo dire... ti volevo dire...-.
 
Come quando camminavano sull’Erba Infinita, alla ricerca della prima Luce Viola.
 
 -Sì?-.
 -Ti volevo dire se ti è piaciuto il dessert di stasera-.
 
Pedro deglutì. Taishiro si rabbuiò.
 
 -Ah sì, era molto buono-.
 
Anche Taishiro deglutì.
 
 -Sì, a me sono piaciuti molto quei fruttini di bosco verdi che c’erano sopra alla crema bianca, ma non so come si chiamano-.
 -Potevi chiederlo a Frodo, visto che ti è piaciuta così tanto, no?- disse lei, con un moto di stizza.
 -Non mi è venuto in mente-.
 
Sbuffarono entrambi.
Silenzio.
 
 -Taishiro?-.
 -Sì, che c’è?-.
 -Sei arrabbiata con me?-.
 -No. E perché dovrei?-.
 -Non lo so-.
 
No. Lei non era arrabbiata; semplicemente era delusa. Pensava che Pedro le stesse per dire qualcosa di importante, qualcosa di necessario e forte persino per lui, magari che l’amava, vista l’esitazione che aveva avuto all’inizio del discorso.
 
Non c’era riuscito. Non era riuscito a dirle che l’amava. E se ne era uscito con la stupidaggine del secolo. Perché? Perché non ci era riuscito? Non gli sarebbe più capitata un’altra occasione e se l’era lasciata sfuggire! Aveva voglia di abbracciarla. Si avvicinò a lei e le cinse le spalle.
 
 -Che c’è?- disse Taishiro scontrosa, cercando di allontanare le mani di lui dalle sue spalle, spostandosi i capelli da dietro la schiena a davanti al petto.
 -Tu sei arrabbiata con me-.
 -E chi te lo dice?-.
 -Il tuo tono di voce. Perché sei arrabbiata?-.
 -Non so, forse perché pensavo che mi dovessi dire chissà che e invece te ne sei uscito con: “Ti è piaciuto il dessert?”-.
 -“...di stasera?”-.
 
Un risolino trattenuto.
 
 -Non fare lo sciocco, mi hai fatto preoccupare-.
 -Scusami. Solo che nel momento di dirtela, mi sono dimenticato la cosa che ti dovevo dire e così ho detto la prima cosa che mi è venuta in mente-.
 -Va bene. Lasciamo stare-.
 
Ricambiò l’abbracciò dell’amico.
 
La mattina dopo si svegliarono presto. Un piccolo elfo era sotto il loro albero per dar loro la colazione. Non ebbero nemmeno il tempo di mangiare tranquilli, perché arrivò Frodo e disse loro che la nave sarebbe salpata da lì a due ore. Così gustarono il loro pasto mentre camminavano.
Quando arrivarono alla spiaggia videro un enorme nave pronta ad salpare. A Taishiro tornò in mente quell’ora terribile passata a vomitare mentre erano sulla nave che li avrebbe portati a Iffish.
Comunicò subito a Frodo il fatto che soffriva il mal di mare.
 
 -Chiedi a Gandalf o alla Dama, forse possono fare qualcosa-.
 
Taishiro fece come gli aveva detto e sia Gandalf che Galadriel la aiutarono. Gandalf fece un incantesimo per aiutarla a calmare il senso di nausea all’inizio del viaggio mentre la Dama Elfica le diede una boccetta con del liquido azzurro dentro, che l’avrebbe aiutata a evitare i contati di vomito durante la traversata.
Salparono subito dopo. Il viaggio per mare durò due settimane, durante le quali Taishiro aveva preso molto spesso il liquido di Galadriel (che ciononostante non era finito). All'inizio della terza settimana avvistarono terra e dopo due giorni attraccarono ai Porti Grigi. Da lì Frodo trovò dei cavalli, che prese in prestito ad un signorotto di lì, e galopparono fino alla Contea, la regione in cui era nato lo hobbit.
 
Arrivarono a Hobbiville tre settimane e tre giorni dopo la loro partenza dalla Terra degli Elfi.
Subito Frodo ritrovò persone e cose a lui care, l’aria che respirava era proprio quella della sua infanzia passata accanto a Bilbo, ma più di tutti voleva incontrare Sam, il suo giardiniere, il suo amico, il suo compagno di sempre, l’unico di cui si fidava, oltre al proprio zio.
I due tsagumini rimasero incantati dalla città degli hobbit, composta di prati verdi, casine piccole piccole adornate di fiori e colori, campi di zucche, stalle abitate da asini, un piccolo stagno dove stavano un paio di pescatori; la gente era come Frodo, ma vestita in maniera più colorata. Mentre passavano tra le piccole stradine e sentieri della cittadina, gli abitanti si voltavano a guardare gli stranieri e cominciavano a sussurrare nemmeno tanto a voce bassa che “Maledizione, sono in arrivo altri stranieri, non portano mai niente di buono, ricordi Bilbo Baggins? Tra l’altro quell’hobbit è strambo, lo abbiamo già visto? Siamo sicuri sia di Hobbiville? Somiglia maledettamente a Frodo Baggins”.
Le malelingue e i pettegolezzi e la diffidenza erano una cosa normale per delle persone che difficilmente hanno conosciuto qualcosa di diverso nella loro vita oltre al coltivare la terra e costruirsi una famiglia in un luogo in cui si conoscevano tutti per cui, seppure Pedro e Taishiro non gradirono i commenti che sentivano bisbigliare al popolo piccolo, Frodo non parve curarsene e andò dritto per la sua strada.
Giunsero in via Saccoforino ed egli riconobbe Casa Baggins, appena sotto una collina, con una bella porta tonda di legno d’acero e del finestre piccole e tonde. Arrivò con Pedro e Taishiro davanti alla porta e bussò. Dentro all’abitazione risuonò un debole “Arrivo” e pochi istanti dopo la porta si aprì.
Comparve uno hobbit che pareva molto stanco e triste, come schiacciato da mille pensieri, cosa strana per uno degli hobbit di Hobbiville, sempre allegri e spensierati, ma appena vide Frodo si esibì in un largo sorriso, forse un po’ troppo trasognante.
 
 -Padron Frodo- soggiunse –Siete proprio voi?-.
 -Ma certo, Sam- affermò di rimando l’altro, sorridendo e spalancando i suoi occhi azzurri.
 -Prego entrate, Padrone. Chi sono i ragazzi che vi accompagnano?-.
 
Taishiro e Pedro dovettero abbassare leggermente la testa, per evitare di sbattere sul soffitto; la casa era costruita ovviamente a misura di hobbit e la loro altezza si rese improvvisamente palese, quando vi entrarono.
 
 -Smettila di chiamarmi padrone, Sam, non sei più il figlio del giardiniere di famiglia da anni. Loro sono Pedro e Taishiro e tra poco ti racconterò la loro storia. Ma prima dimmi, dove sono Rosie e Elanor? Voglio vederle—.
 
Il volto di Sam si fece nuovamente grigio.
 
 -Ahimè, Padron Frodo, la mia Rosie se ne è andata da questa terra un anno fa ed Elanor è andata a vivere con il suo amato-.
 -Oh, quanto mi dispiace per Rosie- si rattristì Frodo.
 -Già, ma ditemi di voi e dei vostri amici-.
 
Così Frodo raccontò al suo amico cosa aveva fatto quando era partito e la storia dei nostri amici (non sto qui raccontarvela ancora. Oramai conosciamo a memoria la solfa).
 
 -Come sta il signor Bilbo?-.
 -Molto bene. Nella Terra degli Elfi riesce a stare più sveglio che qui-.
 -Volete rimanere un po’ qui con me?-.
 -Ma certo Sam, ma quando comparirà la Luce Viola per portare via i ragazzi me ne dovrò andare. In quel caso ti chiedo di venire con me nella Terra degli Elfi. Ti avevo detto che tutti i Portatori dell’Anello dovevano andarsene da questa terra no?-.
 
A Sam si illuminarono gli occhi e accettò subito, memore di una così importante promessa, memore del fatto che anche lui, per poco, era stato un Portatore dell’Anello.
Pedro e Taishiro rimasero nella Contea per un mese esatto.
Chiesero a Sam se sapeva qualcosa riguardo ad un leggendario frutto dai poteri taumaturgici, che non si trovava in nessun mondo. Sam rispose di aver letto in un libro, una volta, di uno speciale albero di melograno, i cui frutti avevano poteri straordinari; ma questi frutti non erano reperibili da nessuna parte e i pochi che ne avevano usufruito erano morti troppo presto per raccontarne. Era per questo che veniva considerato leggendario.
Ora i due amici avevano una minima idea di cosa cercare.
La Luce comparve infine nella Vecchia Foresta e fu avvistata da Grassotto Bolgeri, un antico vicino, che venne ad avvertire subito Sam. Si misero in marcia e due giorni dopo furono al varco della Vecchia Foresta. Sam aveva lasciato il suo Gaffiere, ormai anziano e malandato, a vivere a Casa  Baggins, con la speranza che un giorno la figlia Elanor e la sua famiglia prendesse il suo posto nell’abitazione sotto la collina, ed era partito con Frodo.
I ragazzi fecero la solita procedura, dopo aver salutato con le migliori felicitazioni i loro due amici, tenendo stretti i loro cavalli e gridando: -Fantàsia!-.
La luce li risucchiò via mentre salutavano ancora Frodo e Sam.



















Note di Saeko:
oggi sono riuscita a finire il programma di un esame che ho tra due settimane e ne ho approfittato per portarmi avanti qui. La nostra parabola è in procinto di concludersi (mancano più o meno una dozzina di capitoli) e mi piaceva l'idea di ricollegare un po' di cose e di far in modo che Sam e Frodo si reincontrassero, dopo un periodo tanto lungo in cui sono stati separati; l'idea che tutti i Portatori dell'Anello salpassero poi dai Porti Grigi e che alla fine de "Il ritorno del Re" questo non fosse valso per Sam mi aveva spezzato il cuore, e ho sempre pensato che fosse una sorta di finale aperto, in cui un giorno Sam avrebbe raggiunto il suo migliore amico al di là del mare.
Io spero che chiunque sia arrivato fin qui trovi qualcosa di sensato in ciò che scrivo e che, almeno un po', sia intrattenuto.
Ne approfitto per ringraziare camillavaamare per aver inserito questa storia tra le storie ricordate (credo sia avvenuto un po' di tempo fa, ma mi è sovvenuta ora l'occasione di ringraziarla).
Buona domenica, folks.

Saeko's out!
 

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Capitolo 33
*** Capitolo 33: Fantàsia ***


Capitolo 33:
Fantàsia
 
Un intenso raggio di luce verde e azzurro inondò l’atmosfera, avvolgendo i due compagni, che si videro comparire davanti agli occhi delle immagini, che scorrevano come se fossero state messe su una pellicola (per quanto nessuno avesse la benché minima concezione di cosa significhi “pellicola”): un ragazzo che galoppava su di un bellissimo cavallo bianco, un enorme specie di serpentone bianco con un muso ferino, che volava nel cielo scuro della notte, poi nello spazio tanti meteoriti e improvvisamente un palazzo in mezzo alle stelle, una ragazza dal viso gentile e dal portamento regale con gli occhi celesti, e infine una specie di stemma composto di tanti serpenti intrecciati. I ragazzi rimasero abbagliati da quest’ultima immagine, che li inghiottì nella propria luce. Lo stemma scomparve seguito da un raggio di luce tenue.
Caddero insieme ai loro cavalli in un enorme prato verde e sconfinato; il sole era appena sorto e i suoi raggi bagnavano tutto di una luce soffice e dorata; davanti a loro c’era il palazzo sontuoso che avevano visto immerso nelle stelle in una delle immagini di poco prima, bianco, fulgido, altissimo.
Si incamminarono verso di esso. Fecero molta strada, camminando a passo sostenuto, tant’è che si fece ora di pranzo quando si fermarono per riposarsi un attimo, eppure il palazzo non sembrava essersi avvicinato di un millimetro. Si accomodarono sul prato, mentre i cavalli iniziavano a brucare, e mangiarono un po’ di pan di via preso nella Terra degli Elfi, che avevano portato insieme alle provviste nei loro fardelli. Dopodiché ripresero a camminare, ma anche a metà del pomeriggio non successe nulla; il palazzo non si avvicinava, la distanza da esso non si accorciava, ma il sole si spostava inesorabile.
Si fermarono di nuovo.
 
 -Secondo te perché non riusciamo a raggiungere il palazzo?- chiese Pedro all’amica, che si stava passando una mano tra i lunghi capelli, nel tentativo di districarli.
 -Non lo so. Sembra come una specie di illusione-.
 -Già. Ma un’illusione molto credibile-.
 -Perché?-.
 -Perché da stamattina a ora, l’ombra del palazzo si è allungata-.
 -È vero-.
 -Come risolviamo quest’enigma, adesso?-.
 -Non ne ho la benché minima idea-.
 
Taishiro spostò lo sguardo verso Whailida e sospirò.
                                                  
 -Ehi, Whailida, se tu potessi parlare ci diresti cosa fare magari, vero?-.
 -Ma certo- disse una voce roca.
 -Perché mi hai risposto, Pedro?-.
 -Io non ho detto niente- rispose lui, che nel frattempo si era messo ad osservare il cielo, come se attendesse qualche indizio da lì.
 -Non è vero-.
 -E invece sì- disse ancora lui, fissandola negli occhi.
 -Ti dico che non è così!-.
 -E allora chi ha parlato?-.
 
I ragazzi si guardarono un attimo negli occhi e poi si voltarono a guardare i cavalli. Whailida li fissò e poi mosse i suoi labbroni da cavallo dicendo:
 
 -Sì, sono stata io parlare. Che c’è, adesso non c’è più libertà di parola?-.
 -Tu parli?- dissero i due amici sbigottiti.
 
Gli occhi dell’animale erano sempre gli stessi, eppure le labbra si muovevano come se fossero state umane.
 
 -Certo che parla. Anche io parlo- disse Acum, sbuffando a mo’ di gesto impaziente.
 -Ma come fate?-.
 -Questa terra si chiama Fantàsia ed è grazie alla fantasìa che le cose succedono qui- disse la giumenta, battendo uno zoccolo a terra con vigore.
 -Taishiro, ma che per caso stavi immaginando che i nostri cavali potessero parlare?- chiese il ragazzo all’amica, come illuminandosi improvvisamente.
 -Sì, lo stavo pensando per poter trovare una soluzione al nostro problema-.
 
I due incominciarono a fare ogni tipo di domanda ai due animali, ma man mano che parlavano si faceva più tardi, il cielo diventava più scuro e si allontanavano dalla risoluzione del loro “problema”.
Il sole tramontò presto e il buio calò. I due ragazzi smisero di parlare con i cavalli e volsero i loro sguardi verso il palazzo: non avevano risolto nulla di nulla. E una piccola luce s’accese sulla finestra più alta di quella che, ormai erano sicuri, doveva essere una reggia.
Decisero di dormire.
Il mattino dopo, una volta consumato un pasto leggero e brucata un po’ d’erba, iniziarono tutti e quattro subito parlando del famoso problema.
 
 -Beh, c’è di sicuro una barriera tra noi e il palazzo- disse Pedro, battendosi il dito indice della mano destra sul mento.
 -Già, ma che tipo di barriera?- chiese Taishiro, stropicciandosi gli occhi.
 -Non lo so, ovviamente-.
 -Allora vediamo: noi parliamo perché voi lo avete immaginato- disse Acum –Quindi forse quella barriera sparirà se voi lo pensate-.
 
La creatura scosse la testa e la criniera lo seguì nel suo movimento.
 
 -Perché solo loro lo devono pensare, Acum?- disse Whailida, stizzita.
 
La sua voce aveva un che di isterico, oltre che di roco, per essere quella di un animale “femminile”.
 
–Ci siamo anche noi, quindi ci concentreremo tutti assieme!-.
 
Così fecero. I cavalli unirono le loro code ai ragazzi, che si erano presi per mano (non senza arrossire almeno un poco) e avevano nell’altra le briglie dei cavalli. Tennero chiusi gli occhi per tanto tempo e quando li riaprirono si ritrovarono davanti al castello e Pedro e Taishiro avevano un piede sul primo scalino del palazzo. La camminata che avevano fatto il giorno prima li aveva portati alla loro meta; probabilmente, se avessero continuato a camminare, si sarebbero ritrovati all’interno della struttura.
Il cielo non era limpido come il giorno prima, poiché c’erano dei nuvoloni carichi di pioggia ad oscurarlo. Gocce grandi come palloni iniziarono a cadere mentre salivano la scalinata e proprio mentre erano davanti alla porta scese il diluvio. Entrarono in fretta e furia, sorpresi di trovare il grande uscio accessibile, chiudendosi le ante dell’entrata alle spalle. I cavalli rimasero accanto al portone, mentre Pedro e Taishiro iniziarono ad avventurarsi per il palazzo. Le mura interne erano bianche come quelle esterne, ma meno luminose. Arrivarono davanti ad una scala che si diramava in altre scalette che portavano in altre stanze; si stupirono di come non ci fosse nessuno nel palazzo, di come nessuno fosse venuto ad accoglierli, di come nessuno si fosse reso conto della presenza di stranieri all’interno della reggia. Decisero di salire e di scegliere a caso. Entrarono in una stanza, vuota, posta a sinistra della prima scalinata che avevano scelto. Era coperta di tappeti di tutti i colori e piccole finestrelle senza vetri lasciavano intravedere la tempesta. Poi entrarono in un’altra stanza che aveva un enorme letto tondo, sul quale stava seduta una ragazza. Era la stessa della visione: con i capelli biondi e gli occhi azzurri, vestita di bianco e con un diadema di perle adagiato sul capo e che le ricadeva sulla fronte.
Era il primo essere vivente che incontravano in quel luogo bislacco.












Note di Saeko:
oggi sono incredibilmente in anticipo sulla mia tabella di marcia, per cui eccomi qui. La Fantàsia di cui si parla qui è quella de "La Storia Infinita" di Michael Ende, anche se le descrizioni sono molto fedeli più al film, che a quanto scritto nel libro; così come l'utilizzo dei nomi, di cui ho preferito utilizzare la versione cinematografica rispetto a quella letteraria; questo per una questione molto semplice, ovvero il fatto che il mio primo approccio alla storia di Ende è stato attraverso il film, piuttosto che attraverso il romanzo.
Spero che vi piaccia la mia versione.
Ho pubblicato il 28/01 altri dieci capitoli di questo racconto su Wattpad (il link: https://www.wattpad.com/832450775-historiae-il-viaggio-fantastico-capitolo-11-guerra) dal cap. 11 al 20; ringrazio Maximi29 per aver recensito i primi due capitoli.

Saeko's out!
 

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Capitolo 34
*** Capitolo 34: L'Imperatrice ***


Capitolo 34:
L’Imperatrice
 
La ragazza li guardò e sorrise. Sembrava che stesse aspettando qualcuno, forse proprio loro; si sistemò meglio sul letto, ma il suo volto rimase impassibile.
 
 -Salve, stranieri. Chi siete?- chiese lei, con voce incredibilmente bella.
 -Siamo Pedro e Taishiro, due ragazzi venuti da un terra lontana- rispose Taishiro, incantata da quella voce così incredibilmente splendida, dimenticando le buone maniera della Terra di Tsagumi.
 -Siamo qui per consegnare un lettera all’Imperatrice- disse Pedro, riscuotendo l’amica dalla sua espressione abbagliata.
 -Sono io l’Imperatrice- affermò la ragazza, annuendo impercettibilmente.
 
Il ragazzo si rigirò una lettera dalla forma di una gemma e lucente come un stella tra le mani (se l’era trovata poco prima di salire le scale all’interno della tasca dei pantaloni che portava) e la porse alla giovane, che sembrava avere molti meno anni di lui e della sua compagna messi insieme.
L’Imperatrice aprì la busta con delicatezza e lesse la lettera scritta con inchiostro oro e rosso:
 
Salute a voi, Imperatrice della Torre d’Avorio[1],
Vi starete chiedendo perché sulla busta ci sia scritto solamente “Imperatrice”, chi vi stia scrivendo e soprattutto chi siano i due giovani che vi stanno davanti.
Andiamo in ordine. Ho scritto solo Imperatrice perché sarete voi a presentare la Torre d’Avorio, voi stessa e la vostra terra ai due ragazzi. Io sono Ryuso, un mago che nacque proprio a Fantàsia. Ora vivo lontano, ma il punto è un altro: Pedro e Taishiro sono partiti alla volta di tutti i mondi magici per guarire il padre di Pedro (il ragazzo). Insegnate loro a viaggiare con la fantasìa e mostragli il nostro mondo, se potete mostrategli la via per la cura.
Grazie,
 
                                                                                                                Ryuso
Stregone capo del villaggio di Tabauni, nella Terra di Tsagumi
 
P.S. Quando io nacqui vostra nonna era appena morta e vostra madre era salita al trono.
 
-Bene, ora che sono al corrente dei fatti che vi concernono, vi farò conoscere alcuni personaggi che hanno contribuito alla nostra storia- disse, dopo un momento di silenzio.
 
Li condusse via dalla sua camera attraverso le altre stanze del palazzo, muovendosi con sicurezza in quegli antri che parevano essere gli uni uguali agli altri. Passarono attraverso una stanza piena di sculture rappresentanti molte strane creature, in una stanza che non aveva alcuni tipo di mobile ma solo quadri, disegni, mosaici sul pavimento e sul soffitto uno specchio. Rappresentavano tutti paesaggi stupendi, un ragazzo a cavallo, tante nubi cariche di pioggia, le creature più strane che i due amici potessero mai immaginare, molto più strane di quelle viste nella stanza delle sculture, molte ragazze simili all’Imperatrice ma con alcune caratteristiche diverse, l’Imperatrice stessa e poi una grotta dall’entrata buia e profonda in cui era possibile riconoscere un grosso cane nero con gli occhi verdi che mostrava i denti.
Usciti da quella stanza ritornarono davanti al portone dove i cavalli li aspettavano.
La ragazza parlò con loro senza stupirsi che fossero capaci di favella umana e li accompagnarono alle stalle. Lì c’era un ragazzo con capelli scuri che indossava una casacca color ocra e dei pantaloni di pelle nera, il quale stava curando un altro cavallo bianco. Il ragazzo si chiamava Atreiu e il cavallo Artax.




 
 

[1] La Torre d’Avorio è quella descritta da Micheal Ende nel suo “La Storia Infinita”, ma tutti riferimenti riportati in questo e nel prossimo capitolo sono da intendere come provenienti dall’adattamento cinematografico (soprattutto per quanto concerne i nomi).

















Note di Saeko:
il capitolo di oggi è maledettamente breve, lo so, ma sto studiando come una matta, per un esame che avrò tra una settimana e mezzo; il prossimo dovrebbe essere più lungo ed è facile che non pubblicherò venerdì prossimo ma sabato, tenendo quindi due giorni di pubblicazione attaccati (già so che il prossimo weekend sarà pieno); non che a qualcuno interessi qualcosa, è più una cosa per me, visto che mancano una decina di capitoli circa e voglio finire entro metà marzo.
Coooomunque, grazie per essere giunti sino a qui, vi aspetto nella sezione recensioni, qualora siate interessati a farmi avere la vostra opinione.
Io me do, alla prossima settimana!

Saeko's out!

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Capitolo 35
*** Capitolo 35: Atreiu, Falcor e Bastian ***


Capitolo 35:
Atreiu, Falcor e Bastian
 
L’imperatrice si avvicinò al ragazzo, che si voltò di scatto e disse:
 
 -Vostra Maestà! Cosa ci fate qui?-. Gli occhi, scuri come i suoi capelli, si aprirono di sorpresa improvvisa.
 -Sono venuta ad accompagnare i cavalli di due stranieri, Atreiu. Il mago del loro villaggio è nato qui e...-.
 
E l’imperatrice gli raccontò tutta la storia, partendo dai tempi lontani, quando sua nonna stava per morire e Ryuso stava per venire al mondo.
 
 -Ora- continuò, sorridendo con un sorriso che solo una ragazza bella come lei sarebbe stata in grado di fare –Che sai tutta la verità ti prego di accompagnarli per le terre di Fantàsia e di far conoscere loro il fortunadrago e il bambino umano-.
 
Atreiu s’inchinò davanti alla sua Imperatrice, salutò Artax con un buffetto sul muso e uno zuccherino offerto di sottobanco e li portò fuori dalle stalle. Si ritrovarono nell’immensa distesa di prateria dove erano atterrati. La tempesta si era esaurita e il sole rischiarava quel luogo, facendo brillare le gocce di pioggia ferme sul palazzo e sull’erba, in maniera tale che tutto sembrasse ricoperto da una finissima polvere d’oro. Taishiro, dopo averlo guardato per bene, si era accorta che era il ragazzo a cavallo della visione. Era molto bello, giovane ed era già una specie di cavaliere, tanto da essere degno dei riguardi e della confidenza dell’Imperatrice. Aveva dei begli occhi e poi...
 
 -Taishiro?- Pedro la stava chiamando, posandole una mano sulla spalla.
 -Sì? Dimmi!- disse lui, sobbalzando.
 
Pedro le si avvicinò all’orecchio e le sussurrò:
 
 -Per quale motivo stavi fissando Atreiu?-.
 
La sua voce portava un pizzico di gelosia nel tono confidenziale.
 
 -Ti sei accorto che è lo stesso ragazzo a cavallo della visione?-.
 -Sì-.
 -Per quello lo fissavo-.
 
Come se fosse sufficiente come scusa da addurre ad un ragazzo innamorato.
 
 -Ne sei sicura?-.
 -Certo, perché?- disse lei arrossendo di colpo, forse intuendo qualcosa che non voleva spiegare nemmeno a se stessa.
 -Perché, secondo me, t’interessano tipi come lui-.
 -Non è vero- sussurrò ancora lei, infuriandosi, questa volta.
 
Lo stava solo ammirando, ciò non voleva mica dire che le piacesse!
 
 -Ah no? E allora spiegami perché lo fissavi sognante!-.
 -Non ero sognante!-.
 -Invece sì- disse Pedro.
 
Era arrabbiato anch’egli. Era sicuro che Taishiro potesse provare attrazione per Atreiu, visto che desiderava per sé lo sguardo di ammirazione che la ragazza aveva rivolto al giovane cavaliere, ed era dunque geloso.
 
 -Ti dico di no-.
 -Dammi un motivo-.
 -Perché a me...- poi si bloccò, mordendosi la lingua.
 -Perché a te..?-.
 -Perché a me non interessa nessuno!-.
 
Aveva alzato un poco di più la voce e Atreiu li aveva fissati con la coda dell’occhio.
Cosa mai avranno da confabulare quei due?” pensò il cavaliere di Artax.
 
 -D’accordo- fece Pedro, accondiscendente.
 
Si era accorto del mezzo sguardo di Atreiu e non voleva attirare troppo l’attenzione.
Rimasero in silenzio. Taishiro stava per farsi sfuggire di bocca cosa provava per Pedro, proprio davanti a lui; Pedro invece si stava pentendo di non esserci riuscito quando erano ancora nella Terra degli Elfi.
 
Arrivarono in un grande bosco e vi si addentrarono. Ad un certo punto fermarono i propri piedi e videro un enorme specie di serpentone argenteo con un muso canino e gentile, che sonnecchiava.
 
 -Falcor!- lo chiamò Atreiu, sorridendo in sua direzione.
 
La bestia aprì un occhio, nero come la pece, ma dolce, su quel faccione da cane.
 
 -Buon pomeriggio, Atreiu. Come mai da queste parti?-.
 
La sua voce era calda e profonda, dal tono protettivo e imponente.
 
 -Dovremmo far visitare a questi due stranieri la terra di Fantàsia- e si spostò, mostrandogli Pedro e Taishiro, così incantati da quella creatura da rimanere con la bocca spalancata.
 -Salve. Io sono Falcor, un fortunadrago e voi?- fece lui, sorridendo amichevole.
 -Io sono Pedro-.
 -E io Taishiro-.
 
Si erano di nuovo dimenticati le buone maniere di Tabauni nella Terra di Tsagumi. Quel luogo era strano, impregnato di una magia diversa da quella affrontata sino a quel momento, ma molto simile a quella del loro mondo; la familiarità con quello che li circondava era talmente forte da disorientarli.

 -Bene. Potreste gentilmente chiudere le vostre bocche piene di stupore?- chiese Falcor, facendo l’occhiolino.
 
I due ragazzi chiusero le labbra di scatto e contemporaneamente, tanto da suscitare le risa di Atreiu e Falcor.
 
 -Senta, scusi- disse Pedro all’animali, riscossosi dall’imbarazzo –Mi perdoni se sono un pochino impertinente ma... che cos’è un fortunadrago?-.
 -Oh, ma è molto semplice!- rise.
 
Un’altra risata bonaria, ma dal timbro più profondo.
 
 -È un drago che porta fortuna e che può viaggiare per tutti i regni del mondo. E ora basta con le chiacchiere! Dobbiamo o non dobbiamo visitare questo nostro mondo?-.
 
Un attimo dopo erano tutti e tre saliti sulla groppa del fortunadrago. Atreiu stava davanti, a lui si reggeva Pedro e Taishiro si stringeva a Pedro.
Anche stavolta i due amici si erano imbarazzati l’un l’altro, come era accaduto quando erano saliti sul dorso delle aquile nella Terra degli Elfi, ma avevano cercato di non darlo a vedere. Atreiu non si era accorto più di niente, tuttavia Falcor li aveva guardati in maniera eloquente.
 
Dall’alto i ragazzi videro tante cose. La Foresta da dove erano partiti, la Grande Prateria e il Palazzo dell’Imperatrice di Fantàsia. E ancora luoghi nuovi, tutti da scoprire. Passarono sopra una grande palude piena di nebbia.
 
 -Quelle sono le Paludi della Tristezza- spiegò Atreiu –Si chiamano così perché chiunque vi entri viene sopraffatto dai pensieri più tristi che ha nella mente e allora si lascia affogare. Io vi sono entrato e ho perso il mio cavallo Artax, lì dentro-.
 -E come l’hai ritrovato?- chiese Taishiro, ricordando che Artax stava comodamente sistemato nella stalla della Torre d’Avorio.
 -Non l’ho ritrovato. È stato lui a tornare da me-.
 
Quella frase enigmatica lasciò Taishiro un po’ perplessa. Successivamente sorvolarono una specie di deserto dove si trovava un Piccola Caverna dove vivevano due piccoli maghi, due personcine così piccole da essere la miniatura degli hobbit. Entrambi erano molto anziani, o almeno così lasciavano intendere le fitte costellazioni di rughe sui loro volti e sulle loro mani: lui era studioso-inventore, mentre la moglie era molto brava con pozioni ed intrugli. I due ragazzi trovarono subito simpatici quei due vecchietti, che sembravano odiarsi e amarsi al tempo stesso.
 
 -Sai Atreiu- disse il vecchio, dopo qualche mezz’ora di chiacchierata con i due nuovi ospiti –I tuoi amici sono molto simpatici-.
 -Grazie-.
 -Non so se è arrivata a palazzo, ma ti avevo spedito una lettera con un piccione viaggiatore-.
 
Il discorso era cambiato in quattro e quattr’otto.
 
 -No. Mi dispiace. Non è arrivata-.
 -Lo sapevo- s’intromise la moglie –Te l’ho detto che dovevi mandarla con quella tua invenzione del teletrasporto invece che con un ottuso piccione viaggiatore-.
 -Tu non ti impicciare, donna, e prepara i tuoi soliti intrugli-.
 
La donna, per tutta risposta, fece un gestaccio e disse al marito dove doveva andare.
 
 -Comunque, cosa volevi dirmi?-.
 -Ho guardato lontano con il mio telescopio e ho visto delle strane perturbazioni molto simili a quelle del Nulla, ma più scure, più lente a formarsi e più piccole. Molte volte al centro di queste nubi compare la figura di un uomo completamente nera con due occhi blu elettrico e una pupilla normale bianca e una verticale gialla. Volete vedere?-.
 
Accompagnò Atreiu e i ragazzi sul suo telescopio e, dopo averlo puntato verso un punto nero in lontananza che appena si vedeva nel cielo, disse loro di guardare. Sia Atreiu che Pedro apparvero molto spaventati dopo aver osservato dentro la lente di quel piccolo telescopio, fatto a misura dell’omino. Timorosa di ciò che avrebbe visto, Taishiro si avvicinò molto lentamente all’obbiettivo. Questo fu ciò che vide: una grossa nube grigia che balenava di tuoni e lampi e al suo centro una figura. Era un uomo piuttosto alto, con la pelle nera come la pece, non se ne distingueva il volto, neanche un lineamento, e la veste nera si confondeva con il resto del corpo. Le uniche cose che si potevano vedere chiaramente erano gli occhi e la bocca, aperta in un orribile ghigno cattivo. In quella bocca si vedevano le nuvole lampeggiare, come se la figura fosse in due semplici dimensioni. E gli occhi erano proprio come il vecchio le aveva descritti: blu elettrico con la pupilla destra tonda e bianca mentre quella sinistra verticale e gialla. Taishiro spostò un pochino il telescopio verso il basso e vide degli strani puntini neri che si muovevano. Cercò di avvicinare un po’ di più l’obiettivo: erano cavallette, cavallette nere come la pece, come la figura umanoide posta sopra di loro. Taishiro si ritrasse, inciampò e finì addosso a  Pedro, che la sorresse per evitare che cadesse a terra.
 
 -Cosa hai visto, ragazza?- chiese il vecchio, sistemandosi al meglio gli occhialetti sul suo nasone adunco.
 -Quello che ha detto lei, però anche altre cose-.
 -Cosa?-.
 -L’uomo ha sorriso- disse Pedro, intercedendo per la sua compagna.
 -Lo hai visto anche tu?- chiese Taishiro, voltandosi a guardarlo, spaventata.
 -Sì, e ho visto anche delle cavallette nere sotto di lui-.
 -Tu, Atreiu, le hai viste?-.
 -No- rispose lui, sincero e sinceramente impressionato.
 -Neanche ho mai visto questi elementi. Ma ho fatto delle ricerche. Venite- disse il vecchio, ancor più serio di quando si erano avvicinati al telescopio.
 
Tornarono alla caverna e il vecchio inventore prese un grosso tomo impolverato. Lo aprì proprio a metà.
 
 -Ecco qui. Alla voce Perturbazioni Pericolose c’è la spiegazione del Nulla, che io e il vostro mentore Atreiu, così come tutta Fantàsia, conosciamo bene; grandi dèi se è stato spaventoso vederne la potenza distruttiva!- affermò tremando –Ma c’è anche la descrizione, poco più sotto, di ciò che avete appena visto: “...Quando nel cielo, anche in lontananza, compare un punto nero come la pece ci si chiede cosa sia. Visto con il telescopio il punto nero risulta una grande nube grigia piena di lampi e tuoni. Al suo centro compare una figura nera di un uomo con occhi blu elettrico, la pupilla destra tonda e bianca e quella sinistra verticale e gialla. Le persone normali non vedono altro ma le Persone Elette vedono anche un ghigno malefico sul volto dell’uomo e cavallette nere come la pece sotto la nube. Questo tipo di perturbazione è molto pericolosa solo quando gli Eletti vedono il ghigno e gli insetti. Gli Eletti devono assolutamente allontanarsi dal luogo di avvistamento per l’incolumità delle persone che vi vivono”. Dopo aver letto queste cose ho cercato le Persone Elette e le ho trovate menzionate in questo libricino di favole per bambini-.
 
Prese un altro libro, molto piccolo e molto fino e lo aprì alla prima pagina. Il titolo recitava, vergato in caratteri verdi: “La Grande Malattia e le Persone Elette”.
 
 -Qui dice che le Persone Elette vengono da una lontana terra al di fuori del nostro universo e la Grande Malattia, descritta a grande linee come la visione di prima, li cerca e spedisce le sue cavallette contro queste Persone in modo che si ammalino di un morbo molto doloroso che lascia in stato di incoscienza o semi-incoscienza. Chiunque delle Persone Elette cerchi di contraddire questa Grande Malattia viene ucciso a colpi di ascia dai suoi emissari dalla forma più varia e i loro corpi spediti nella Terra di Nessuno. Nella nostra terra questa favola, che esiste da più o meno un centinaio di anni, viene utilizzata per spaventare i bambini in modo che non vengano trasformati nelle Persone Elette e si comportino bene-.
 
Il vecchio fece una pausa e, quando riprese a parlare, la sua voce era più che spaventata.
 
 -Ma mai e poi mai avrei pensato che fosse tutto vero-.
 -Dovete andarvene- disse la moglie, ponendo le mani sui fianchi, con fare risoluto.
 
Si era avvicinata al capannello creatosi attorno al marito, nel momento in cui erano tornati nella grotta per leggere quei libri.
 
 -Sì, avete ragione- convennero i due amici, guardandosi a malapena negli occhi.
 -Io andrò a riferire tutto all’imperatrice, mentre Falcor vi accompagnerà da Bastian. Lui possiede l’Aurin e la Grande Malattia non vi colpirà- disse Atreiu.
 
Lui e i ragazzi montarono in  groppa al fortunadrago di corsa, senza quasi salutare i due omini anziani che li avevano accolti nel deserto, e Falcor li riportò alla Foresta dove li attendeva Artax. Il ragazzo e il cavallo partirono alla volta del palazzo, Falcor portò i due amici da Bastian, volando più in alto delle nubi, dei monti, del cielo, muovendosi ad una velocità spaventosa. Quel bambino viveva in una città chiamata Chicago, nel mondo degli uomini (che Pedro e Taishiro avevano già visitato), lontanissimo da quello di Fantàsia, eppure vicino e affine. Si ritrovarono a volare tra enormi foreste di palazzi altissimi che Pedro e Taishiro non avevano mai visto, né a Venezia né in Inghilterra. Arrivarono a quella che doveva essere la periferia e Falcor atterrò davanti ad una bella casetta. Nel giardino c’era un bambino di circa undici anni che stava giocando con un pallone. Alzò lo sguardo e sorrise alla vista del fortunadrago. Poi il suo sguardo si posò sui ragazzi.
 
 -Chi siete?- chiese, grattandosi la punta del naso.
 
I ragazzi si presentarono e gli raccontarono in fretta e furia la loro storia fino a quel momento e poi gli chiesero dell’Aurin. Il bambino tirò fuori da sotto la maglietta rossa che indossava il gioiello che Pedro e Taishiro avevano visto mentre arrivavano a Fantàsia. Mentre sfioravano il grosso ciondolo di serpenti intrecciati, comparve davanti a loro la Luce Viola. Dovevano andarsene? Di già? Senza aver conosciuto la storia di Bastian? Senza aver chiesto a nessuno della melagrana con cui guarire il padre di Pedro? Proprio ora che sapevano cosa cercare?
 
 -Proprio così- disse Falcor, come se avesse percepito le loro domande –La Luce compare di solito quando la vostra missione è finita. Adesso è comparsa per salvare la vita a voi e alle persone del nostro mondo. Dovete andare-.
 
I ragazzi annuirono tremanti, improvvisamente coscienti dell’immediato pericolo e fecero la solita procedura, ma prima di gridare il nome si fermarono.
 
 -Mancano i nostri cavalli- disse Taishiro, ricordandosi le loro cavalcature, che li avevano accompagnati ovunque fossero andati.
 -Basta che li chiamiate con il loro nome e loro compariranno davanti a voi- disse il fortunadrago, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
 -Acum- chiamò Pedro ad alta voce.
 -Whailida- chiamò Taishiro ad alta voce.
 
I due cavalli comparvero all’istante, dal nulla, lasciando il piccolo Bastian attonito. I due amici non ebbero tempo di stupirsi; sentivano nelle loro teste uno strano ticchettio di un orologio, come di qualcosa di inesorabile, come il tempo che scade.
 
 -Dunque, dove siete stati?- chiese Whailida, nitrendo infastidita.
 -Come siamo arrivati qui?- chiese Acum, spaesato, muovendo nervoso le orecchie e la coda.
 -Non c’è tempo per parlare ora- disse Falcor –Ricordate di stare sempre vicini voi due, Pedro e Taishiro. Il vostro nemico cercherà di sicuro di dividervi per indebolirvi. Non dubitate mai l’uno dell’altra. Ora andate- concluse, ammiccando un’ultima volta in direzione dei nostri protagonisti.
 
I due gridarono: -Isola che non c’è!-, rimettendo al sicuro la lista magica che Kim aveva loro consegnato, e la Luce li risucchiò via assieme ai cavalli.
Una volta spariti, l’improvviso tremore che aveva avvertito Bastian al loro arrivo scomparve e l’Aurin smise di bruciare (cosa che aveva cominciato a fare dalla comparsa della strana luce viola proprio nel mezzo del proprio giardino).
Poco dopo comparve sul vialetto di casa il padre, vestito di tutto punto, che lo salutò con un buffetto sulla guancia e si avviò verso casa, facendo dondolare nella mano sinistra la sua ventiquattrore. Non si accorse minimante della presenza di Falcor o del fatto che poco prima del suo arrivo ci fosse stato un enorme fascio di luce viola proprio vicino casa sua; la fantasia non funzionava per gli adulti.
Bastian salutò il suo amico fortunadrago, chiedendosi se il tremore che aveva avvertito con l’arrivo di quei due strani ragazzi fosse simile a quello del Nulla che divorava ogni cosa al suo passaggio. Mentre Falcor tornava a Fantàsia, Bastian scosse la testa, abbandonò il pensiero e riprese a giocare con il pallone.


























Note di Saeko:
wow, credo che questo sia il capitolo più lungo scritto sin'ora! E come poteva essere altrimenti, visto che ci troviamo a Fantàsia, la terra di provenienza di Ryuso? E' un capitolo importante anche perché introduco il concetto della Grande Malattia non solo come un morbo, ma anche e soprattutto come una persona! E lo sconvolgimento dato dal pericolo è tale che questo è il secondo capitolo (dopo quello conclusivo sulla saga di Eragon) che non segue il solito percorso della storia che ho strutturato per gli altri capitoli. Siamo ormai agli sgoccioli, dopo di questo mancano solamente dieci capitoli, per cui, here we are.
Credevo di non riuscire a pubblicare oggi, ma sono riuscita a lavorare e studiare e, poiché non sono dovuta partire come tutti i weekend per andare fuori città, ho potuto aggiornare.
Credo che questo sia uno dei capitoli più criticabili e, essendo il più lungo, anche uno di quelli di cui mi sento meno sicura; ricordo che al tempo della prima stesura, quando mi venne l'idea di inserire la spiegazione di cosa fosse la Grande Malattia proprio in questo punto, ero sovreccitata perché mi sembrava di aver trovato l'idea del secolo. Beh, sono pronta ad eventuali linciaggi in sezione recensioni.
For now, bye, have a good night time.

Saeko's out!
 

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Capitolo 36
*** Capitolo 36: Sull'Isola che non c'è ***


Capitolo 36:
Sull’Isola che non c’è
 
Ci fu un solo raggio di luce questa volta: bianco e puro, accompagnato dalla sensazione del vento che soffia sul viso. I due amici si ritrovarono su una spiaggia dalla sabbia bianchissima e finissima; come era già avvenuto sull’isola di Iffish, le onde del mare sulla battigia lambivano i loro vestiti, che erano rimasti gli stessi che erano stati dati loro nella Terra degli Elfi; erano stati talmente poco a Fantàsia che non c’era stato tempo fisico di cambiarsi. Le uniche cose che avevano ricevuto erano state delle mantelle di flanella rossa per proteggerli dall’eventuale ritorno della tempesta che li aveva accolti al loro arrivo alla Torre d’Avorio. Ora tutte le loro vesti erano nuovamente zuppe d’acqua salata; inoltre il clima era caldo e umido, l’aria era quasi irrespirabile, per cui i ragazzi si liberarono di quelle due mantelle di flanella rossa; Pedro si liberò anche della casacca rossastra, strappò le maniche della tunica bianca e strappò i propri pantaloni castani sino al ginocchio, mentre Taishiro si disfò della gonna e del poncho, rimanendo con il solo corpetto di stoffa e i pantaloni verde scuro, che strappò anche lei all’altezza delle ginocchia. Si tolsero le scarpe. Ammucchiarono le stoffe rimaste lontano dalla riva, salvando solamente le mantelle di flanella rossa e le calzature e si avvicinarono ai loro animali: i cavalli infatti erano arrivati nel frattempo all’inizio di una foresta affacciata sulla spiaggia e stavano brucando dell’erba proprio all’inizio del sottobosco.
Pedro si avvicinò ad Acum e gli chiese:
 
 -Allora, Acum, va tutto bene?-.
 
Il cavallo lo guardò con un’aria supplichevole, ma non rispose.
 
 -Perché non parli Acum? Whailida, digli qualcosa!-, esclamò allora il ragazzo, sicuro che la cavalla avrebbe rimbeccato il compagno a dovere.
 -Non credo che i nostri cavalli parleranno ancora- affermò Taishiro, un po’ intristita.
 -In che senso?-.
 -Ora non siamo più a Fantàsia e forse non hanno più la facoltà di parlare-.
 
Pedro si rabbuiò e passò una mano nella criniera della sua cavalcatura.
 
 -È vero. Hai ragione-.
 
La consapevolezza di quella notizia non lo rallegrava affatto.
 
 -Chissà dove siamo finiti questa volta!- fece Taishiro, per cambiar discorso e atmosfera.
 -Sulla lista c’era scritto “Isola che non c’è”- disse Pedro traendo nuovamente fuori la pergamena di tasca.
 -Ma non può esistere un’isola che non c’è!- replicò la ragazza, pensando al suono di quello strano ossimoro.
 
Pedro però era rimasto impietrito guardando il foglio dorato che teneva in mano, tremante.
 
 -Pedro, che succede?-.
 -Questo è l’ultimo luogo-.
 -Cosa?-.
 -Questo è l’ultimo luogo segnato sulla lista-.
 -Sul serio?-.
 -Sì-.
 -Ma non abbiamo ancora trovato il rimedio per tuo padre!- esclamò preoccupata la ragazza.
 -Lo so-.
 
Lo sguardo di lui cominciava a rasentare la disperazione, affiancata alla sorpresa.
Una gocciolina di sudore freddo gli colò dalla tempia verso il collo.
 
 -E quindi?-.
 -E quindi non lo so. Forse dovremmo portare a termine una missione qui e poi Ryuso verrà a prenderci-.
 -Tu dici?-.
 -Può darsi-.
 -Ce l’hai la lettera?-.
 -Sì- risposte lui, mettendosi ancora una mano tasca delle sue brache e tastando una busta.
 
Lesse il nome sulla carta, bianca come la neve.
 
 -È per un certo Peter Pan-.
 
Nel frattempo prese la sua mantella e la stese sul dorso di Acum, assicurandola alla parte posteriore della sella, mentre Taishiro faceva la stessa cosa con Whailida, nella speranza che si asciugassero; entrambi legarono le stringhe delle loro calzature sulle chiusure delle loro borse. Non sapevano quanto tempo sarebbero rimasti lì o dove li avrebbe portati in seguito il loro viaggio, per cui era necessario assicurarsi la possibilità di proteggersi da un eventuale luogo freddo.
 
 -Dobbiamo cercarlo- disse Taishiro, togliendosi poi un po’ di sabbia umida che le era rimasta attaccata alle vesti.
 
Stava sudando moltissimo anche lei, e non solo per il caldo umido. Ciò che rimaneva degli abiti che indossavano, fatti per risultare comodi in un luogo di montagna e per la frescura secca di un bosco, non era per nulla adatto a quel clima così stranamente umido, per trovarsi sulla riva di un’isola nel mezzo del mare, sebbene si fossero spogliati della maggior parte di essi.
 
 -D’accordo-.
 
I due, dopo aver controllato di avere ancora qualche provvista nelle sacche assicurate alle selle, montarono sui cavalli e si addentrarono in quel bosco. Era tutto così strano lì. Il cielo sembrava dipinto e le nuvole somigliavano a grossi batuffoli di cotone, illuminati di rosa quando un raggio di sole li toccava. Persino le foglie degli alberi sembravano finte.
Arrivarono in una radura coperta di edera e si guardarono in torno. Su una di quelle strane nuvole intravidero un puntino nero. Dopo qualche istante quel puntino si alzò, mostrando la figura minuta di un ragazzo. La figura volò verso di loro il più velocemente possibile. Era proprio un ragazzo, con i capelli ricci e biondi, vestito di una maglia e dei pantaloni verdi, fatti di foglie e stoffa cuciti assieme, completati da un cappello a punta verde e una piuma rossa su di un lato di esso; era scalzo, esattamente come loro in quel momento[1].
Ad accompagnarlo c’era una piccola fatina. A Taishiro vennero in mente subito le fate di Fairy Oak, ma questa era molto diversa da loro. Era più piccola e meno luminosa. Il suo corpo non era fatto di luce, ma era un normale corpicino in carne e ossa. Aveva i capelli biondi e non fatti di rugiada. A farla brillare c’erano le sue ali belle e tipiche di una fata e una strana polverina d’oro cosparsa su tutta la superficie della sua pelle. Il suo vestito era un piccolino intreccio di foglie sempreverdi.
Il ragazzo che accompagnava sapeva volare, eppure non aveva ali. Egli li scrutò con fare circospetto prima di parlare e chiedere:
 
 -Chi siete?-.





 

[1] La figura di Peter Pan è qui presentata come un mix di quella del cartone animato della Disney (1953) e quello del film del 2003.





















Note di Saeko:
mi mancano pochi giorni al primo esame che do dopo quasi due anni dall'ultimo affrontato, eppure eccomi qui. Anche se a nessuno interessa molto, è un modo come un altro per me per sentirmi di nuovo viva e me stessa. Siamo finalmente arrivati all'ultimo luogo della lista consegnata dalla vecchia Kim ai nostri due protagonistiPer sapere cosa accadrà, stay tuned al prossimo venerdì, che è pure San Valentino, io non dovrò studiare e sarò molto più felice di scrivere, yay!

Saeko's out!

 

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Capitolo 37
*** Capitolo 37: Peter Pan e i Bimbi Sperduti ***


Capitolo 37:
Peter pan e i Bimbi Sperduti
 
 -I nostri nomi sono Taishiro e Pedro, siamo due ragazzi venuti da una terra molto molto lontana per compiere un viaggio altrettanto lungo, pericoloso e importante- disse Taishiro, introducendo tanto se stessa quanto il suo amico –Ma diteci, voi chi siete?-.
 -Io sono Peter Pan e lei è Campanellino- disse il ragazzo, indicando la fatina.
 -Abbiamo una lettera per te- disse Pedro, risoluto.
 
Sentiva che non c’era altro tempo da perdere, visto che quello era l'ultimo luogo sulla lista data loro dalla strega Kim.
Peter prese la lettera. La aprì e la guardò molto attentamente. Poi si rivolse ai ragazzi con fare un po’ spaesato e disse loro:
 
 -Io non so leggere-.
 -Davvero non sai leggere?- fecero loro, spalancando gli occhi e la bocca, pieni di sorpresa.
 -Io sono cresciuto su quest’isola e da queste parti gli unici ad avere dei libri sono i pirati. E poi i loro libri parlano di pesca e di furti, non saprei che farmene-.
 -Allora leggerò io per te- disse Taishiro, prendendo al volo l’occasione.
 
Prese il foglio dalle mani di Peter e lesse ad alta voce:
 
Peter Pan,
So che non sai leggere ma in qualche modo il messaggio di questa lettera ti verrà letto. Io sono uno stregone di nome Ryuso e i ragazzi che avrai certamente incontrato si chiamano Pedro e Taishiro. I due devono adempiere alla loro missione e quindi ti prego di far vedere loro alcuni luoghi della tua isola, loro sapranno cosa cercare. Grazie. Ora ho un messaggio per i ragazzi: dovete fare in fretta nella ricerca del frutto magico in questo mondo, perché le cose a Tabauni e nell'intera Terra di Tsagumi peggiorano. Gerard sta sempre peggio, lo stato di incoscienza è diventato perenne, Matishia stesso e io rischiamo di essere contagiati e non riusciamo a fermare la Grande Malattia in nessun modo; l'intero villaggio è stato messo in quarantena, così come gli altri villaggi-capitale; tutte le comunicazioni con l'esterno, anche magiche, sono interrotte (l'unica ancora rimasta è questa lettera, che sarà probabilmente l'ultima che invierò). Purtroppo abbiamo constatato che il rimedio al morbo non si trova in nessuno dei luoghi magici da voi visitati e, a meno che di non aver fortuna con quest'ultimo mondo, difficilmente lo troverete sull'Isola che non c'è; ormai la "magia del viaggio di Tsagumi" è stata attivata e va completata. Una volta che avrete finito con l’Isola che non c’è, provando in ogni caso a cercare il frutto magico, comparirà per l’ultima volta la Luce Viola, in caso non l’abbiate trovato, come temiamo. Questa volta puntate semplicemente l’Ilv al suo centro e verrete trasportati nella Terra del Mezzo. Io sarò lì ad attendervi per ragionare sul da farsi.
Vostro, il più preoccupato possibile,
                                                                                                               Ryuso
Stregone capo del villaggio di Tabauni, nella terra di Tsagumi
 
P.S. Lasciate i cavalli lì dove siete. Dopo che vi sarete allontanati, torneranno autonomamente da Kim.
 
Taishiro tacque. Pedro le si avvicinò e la abbracciò. In realtà non voleva far vedere che stava trattenendo a stento le lacrime. La ragazza invece piangeva e singhiozzava apertamente. Peter Pan capì al volo la situazione disastrata ed evidentemente difficile per i due ragazzi stranieri.
 
 -Forza ragazzi, non vi preoccupate. Andrà tutto bene. Vi presenterò i miei compagni e vi farò visitare un luogo solo, così potrete continuare la vostra missione, ma vi prego non piangete!-.
 
Campanellino sussurrava indignata. Volò sopra i ragazzi e fece cadere sulle loro teste la sua polverina d’oro. I due smisero di piangere e si guardarono. Arrossirono e si separarono dall’abbraccio e seguirono Peter Pan. Lasciarono i cavalli, prendendo le loro borse, in cui misero le due mantelle di flanella rossa che avevano messo ad asciugare sui dorsi degli animali; si rimisero le scarpe di tela, ormai asciutte, e diedero delle ultime carezze sui musi dei loro compagni equini. Acum e Whailida li guardarono in modo strano, come se avessero capito la gravità della situazione, mentre si allontanavano nel folto della foresta. Dopodiché i due ragazzi si voltarono verso il loro nuovo anfitrione, che cominciò a guidarli dal lato opposto della foresta, fluttuando appena sopra le loro teste. Camminando, Pedro chiese a Peter:
 
 -Come fai a volare?-.
 -In che senso?-.
 -Come fai a volare senza ali?-.
 -Beh, basta crederlo!-.
 -Cioè, basta che io voglia volare e mi sollevo?-.
 -Sì, scemo, lo stai già facendo!- gli gridò Taishiro dal basso.
 
Era proprio vero. Pedro era arrivato al livello di Peter e volava come lui; Campanellino fluttuava improvvisamente felice in mezzo ai due ragazzi, facendo delle linguacce scherzose al suo amico Peter Pan. Pedro si voltò verso Taishiro e disse:
 
 -Vieni anche tu-.
 -Io non sono capace-.
 -Come sarebbe a dire che non sei capace? Ma basta che tu lo voglia e vedrai che volerai!-.
 -Appunto, io non lo voglio!-.
 
Pedro si voltò verso Peter, gli fece un cenno con la testa, e scese da lei. La ragazza aveva la faccia scura.
 
 -Sei ancora in pensiero?-.
 -Sì-.
 -Allora ti porterò io sulle mie spalle-.
 -No, non  ti preoccupare. Io vi seguirò a piedi-.
 -Ma così ci metteremo tantissimo. Campanellino vi ha ricoperto di polvere dorata proprio allo scopo di farvi volare e accorciare i tempi- si lamentò Peter.
 
La fatina gli stava tirando un orecchio e gridando qualcosa nella sua strana lingua sconosciuta. La fatina era ora incredibilmente arrabbiata.
Bisogna considerare che le fatine di questo mondo, poiché sono così piccole, hanno spazio per una sola emozione alla volta[1], non come le fatine di Fairy Oak, più eteree ma certamente più complesse.
 
 -Già. E poi io non voglio che ti perdi la bellezza di volare-.
 
A quel punto Taishiro acconsentì alla richiesta e salì sulle spalle dell’amico. Si sollevarono e per un attimo Taishiro si dimenticò di tutto. Era sulle spalle del ragazzo che aveva capito di amare e stavano volando. Guardò sotto di loro e vide che si stavano allontanando sempre di più dal punto in cui avevano incontrato il ragazzo ed erano un pochino più in alto di Peter Pan e Campanellino.
 
 -Come mai siamo saliti così in alto?- chiese.
 -Perché tu possa dimenticare per un attimo la nostra missione. Anzi perché entrambi la dimentichiamo-.
 -Grazie- disse Taishiro, appoggiando la testa sulla spalla di Pedro.
 -E di cosa?-.
 -Di tutto. Ti voglio bene-.
 
Pedro arrossì.
 
 -Anche io-.
 
Ad un certo punto Peter lì chiamò dal basso. Pedro e Taishiro lo raggiunsero e lui gli mostrò un vecchio tronco d’albero cavo. Smise di librarsi e cadde su uno scivolo costruito all’interno dell’albero. Campanellino lo seguì. Pedro lasciò delicatamente la sua amica sul bordo dello scivolo; si guardarono per un attimo, prima che lei sparisse al suo interno.
Pedro fece lo stesso, urlando come un bambino su una giostra, tanto era divertente e lungo quello scivolo di legno.
All’interno dell’albero c’erano tanti ragazzini festanti, poco più piccoli di Peter Pan che chiesero subito al ragazzo:
 
 -Chi sono, Peter? E chi è lei? Una nuova ragazza che ci racconterà le favole?-.
 -No. Loro sono qui per compiere una missione e noi dovremmo aiutarli. Voi intanto andate nel bosco di Wendy e aspettatemi lì. Io gli farò vedere l’isola dall’alto-.
 
Quando i bambini se ne furono andati, obbedienti e sorridenti, Peter si rivolse a loro:
 
 -Non posso raccontarvi tutto quanto perché non abbiamo evidentemente tempo. Vi basti sapere che Wendy è stata la prima ragazza della mia età a venire su quest’isola. Io mi sono innamorato di lei e lei di me, ma doveva tornare a casa e diventare grande. Vedete, chiunque rimanga qui non cresce, non diventa adulto, rimane per sempre bambino. Poi arrivò Jane, sua figlia. Anche lei dovette tornare a casa ma non prima di aver cacciato definitivamente i pirati da qui. Il bosco nel quale vi ho trovato è dove avevamo costruito la casa di Wendy. Ora dobbiamo andare. Venite-.
 
Pedro prese in braccio Taishiro e risalirono il tronco dell’albero. Peter li portò molto in alto, fino ad arrivare alle nuvole, dove li fece sedere tranquillamente. Le nuvole, soffici più dei cuscini, li reggevano perfettamente.
 
 -Lì- disse indicando una piccola baia –C’è la Baia delle Sirene; lì invece ci sono gli indiani: gente simpatica sì, ma troppo possessivi per quanto riguarda i territori. Lì invece c’è il posto dove una volta c’era la nave dei pirati- e indicò un posto un po’ al largo. Continuò per un bel pezzo senza fermarsi mai e spiegò loro tutto ciò che riguardava ogni singolo posto dell'isola. Poi chiese loro:
 
 -Quale vi piacerebbe vedere da più vicino?-
 
Si guardarono e poi, come se potessero comunicare telepaticamente, risposero all’unisono:
 
 -La Baia delle Sirene-.
 
Planarono dunque fin lì, con il vento che sferzava loro il viso. Le sirene si voltarono a guardarli e salutarono molto allegramente Peter, ma alla vista di Pedro iniziarono a cantare: un canto bello e melodico alle orecchie di Pedro, che girò la testa e, dimentico di tutto, si avvicinò a loro. Vedeva il volto di una sirena, dai capelli e dagli occhi blu, particolarmente vicino e sentiva l’odore della salsedine pizzicargli il naso. Poi qualcosa lo prese per i capelli, tirandolo indietro, e una mano lo schiaffeggiò.
 
Quando si riebbe, il ragazzo era sdraiato su uno scoglio poco lontano dalla baia, ancora stordito. Accanto a lui c’era Taishiro, che lo guardava arrabbiata. Si ricordò del momento in cui si stava avvicinando alle sirene, ma null'altro, per cui gli era difficile capire il motivo della sua rabbia.
 
 -Che c’è, Taishiro?-.
 -Che c’è? Hai anche il coraggio di chiedermelo?- si alzò indignata e cercò d’allontanarsi da lui.
 -Taishiro, aspetta!- urlò, ma fu tutto inutile.
 
Vide la schiena della ragazza ostentatamente girata, la vide sedersi sul bordo di un altro scoglio e guardare lontano.
 
 -Ma cosa è successo?- sussurrò tra sé e sé.
 -Stavi per baciare una sirena- rispose una voce.
 
Pedro si girò e vide Peter Pan, seduto a gambe incrociate ma fluttuante nell'aria, lucidare il suo pugnale.
 
 -Stavo per baciare una sirena?-.
 -Sì. La ragazza ha fatto di tutto per svegliarti. Alla fine ti ha preso il volto tra le mani e ti ha dato uno schiaffo. Peccato che subito abbiate cominciato a precipitare. Se non ci fossi stato io, sareste finiti entrambi spiaccicati sugli scogli-.
 
Pedro si alzò di scatto, comprendendo la gravità della situazione, e andò verso la direzione di Taishiro. Doveva avvicinarsi, doveva scusarsi. Era ancora seduta sulla punta dello scoglio e piangeva in silenzio. Pedro le si avvicinò e la abbracciò, stringendola a sé il più possibile. Ma lei non ricambiò l’abbraccio come faceva sempre. Anzi, si irrigidì, anche se continuò a piangere.
 
 -Mi dispiace- disse lui.
 
Silenzio.
 
 -Mi dispiace per ciò che ho fatto. Non sapevo quello che facevo, il canto della sirena mi ha annebbiato la vista-.
 
Ancora silenzio.
 
 -Taishiro, per favore, parlami-.
 -E perché dovrei?-.
 
Finalmente una risposta.
 
 -Perché noi due siamo amici e abbiamo sempre risolto le nostre discussioni parlando-.
 -Non c’è niente da risolvere-.
 -Come sarebbe che non c’è niente da risolvere? Io stavo per baciare una sirena. Evidentemente a te ha dato fastidio perché mi hai preso a schiaffi e dopo sei andata via, scoppiando in lacrime. Ora io sono qui per scusarmi-.
 
Pausa, sospiro.
 
 -E per dirti la cosa più importante della mia vita-.
 -E cioè?-.
 -Prima dimmi se accetti le mie scuse-.
 -Sì. Le accetto-.
 
La rigidità di lei si era sciolta un po’.
 
 -Ti ricordi cosa ci ha detto Falcor prima di arrivare su quest’isola? Di rimanere sempre uniti?-.
 -Sì-.
 -E ti ricordi cosa ti fece promettere Kim?-.
 -Sì-.
 -A me fece promettere la stessa cosa, più o meno, anche se c’era dell’altro. E ti ricordi la sera prima che partissimo con Frodo per la Terra di Mezzo? Quando ti ho detto che volevo dirti una cosa importante e poi ho detto la stupidaggine più colossale che potessi mai inventarmi?-.
 -Sì- rispose ancora lei, con un piccolo sorriso.
 -Ora mi sono ricordato cosa volevo dirti. Anzi l’ho sempre saputo e non l’ho mai dimenticato, semplicemente ero troppo codardo per potertelo dire, perché avevo paura che potesse rovinare la nostra amicizia, un rapporto che abbiamo costruito assieme per tanti anni, e non volevo perderla-.
 
Silenzio. Silenzio vuoto eppure pieno di significato. L’esitazione di lui. La comprensione di lei.
 
 -Io ti amo-.
 
Taishiro rimase spiazzata, dunque, non sapeva che dire. Voleva rispondergli eppure era come pietrificata, cosciente del fatto che tutto ciò non poteva che essere vero. Pedro la stringeva forte e sospirava tra i suoi capelli lunghi, che non aveva più legato dopo il viaggio nel Mondo Emerso. Lei ricambiò la stretta e sussurrò qualcosa:
 
 -Anche io ti amo-.
 
Entrambi sorrisero, con i volti immersi nella pelle dell’altro, incapaci di guardarsi negli occhi, incapaci di aggiungere altro, eppur consapevoli della scelta appena compiuta.
 


 
 

[1] Dal film di Peter Pan del 2003.






















Note di Saeko:
e dunque alla fine siamo arrivati a sta confessione di Pedro e Taishiro; so di averla trascinata per le lunghe e che il momento fluffy qui descritto forse non si sposa bene con la tensione che la lettera di Ryuso ha creato; mi rendo anche conto che la resa della confessione non sia di quelle più poetiche o profonde, la me del 2008 non sapeva minimante cosa volesse dire effettivamente amare qualcuno, per cui la descrizione era stata fatta con le mie poche conoscenze in merito. Negli anni ho tentato di aggiustarla, ma essendo questo un racconto adatto anche ai bambini, ho deciso di non renderlo più adulto di quello che già non fosse. Quindi niente, io vado a rintanarmi tra i miei odiati estratti conto e riprendo a lavorare, bye.

Saeko's out!

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Capitolo 38
*** Capitolo 38: Il bosco di Wendy ***


Capitolo 38:
Il bosco di Wendy
 
Quando presero coraggio per guardarsi di nuovo negli occhi, sospirarono e decisero di muoversi, tornando da Peter tenendosi per mano. Non sapevano esattamente cosa gli avrebbero detto, per poter spiegare la scenata di pochi minuti prima, che era qualcosa che li metteva talmente in imbarazzo, tanto da far in modo che risultassero entrambi estremamente rossi in viso. Ma il loro ospite non fece domande, quasi comprendendo la situazione, e loro non diedero spiegazioni. Si alzarono in volo, senza aggiungere molte parole; questa volta anche Taishiro ci riuscì, sorridendo di sottecchi a Pedro e continuando a tenerlo per mano. Peter si sentiva estremamente a disagio a vederli così, ma pensò che dovessero aver appena risolto un conflitto interiore che perdurava da diverso tempo; il bambino aveva ragione, ovviamente, ma i due non diedero la soddisfazione di una spiegazione, per cui rimasero silenziosi, mentre l’isola scorreva sotto di loro.
Il sole stava cominciando a tramontare e una luce dorata cominciava a inondare l’isola.
Ritornarono nel bosco di Wendy. Trovarono i Bimbi Sperduti ad aspettarli davanti ad una piccola capannella.
 
 -Come mai ci avete messo così tanto?- chiese uno.
 -Ho fatto vedere loro la Baia delle Sirene- rispose Peter, come a spiegare eloquentemente tutto quanto.
 -Senti, Peter- lo chiamò un altro.
 -Sì?-.
 -Ci siamo permessi si pulire un pochino la casa perché era piena di polvere, foglie e animaletti e il tappeto di edera era secco. Così l’abbiamo spostata un pochino dal luogo in cui si trovava, per farle prendere più luce. La foto di Wendy, la sua spada, il cappello di John, e le piume di Micheal sono tutte ai loro posti-.
 -Anche il ditale di Wendy e il bottone di Jane?-.
 -Sì-.
 -Benissimo, Pennino-.
 -Ora, questo è il bosco di Wendy- disse rivolgendosi a Pedro e Taishiro –Ma voi vi starete chiedendo chi è questa Wendy. Dunque, come vi ho già detto, lei è stata la prima e ultima ragazza per cui ho provato un sentimento simile all’amore. Lei se ne andò non poco tempo fa per diventare adulta. Ma prima sconfiggemmo Uncino e lei mi diede il mio primo e unico bacio. Io continuai ad andare a trovarla, per sentire le sue storie e un paio di volte tornò a volare sull’Isola che non c’è. Dopo arrivò qui la figlia, Jane, rapita dal cugino di Uncino: Hook. Ma io e Jane riuscimmo a cacciare anche loro. Ora non ci sono più i pirati su quest’isola[1]-.
 -Ehm... Peter...?- lo chiamò un bambino grassottello.
 -Sì, Flautino?-.
 -Ehm... volevo dirti che prima con Piumino stavamo scrutando il mare a largo con il cannocchiale e abbiamo visto una nave di pirati, molto simile a quella di Hook; stanno tornando-.
 
La cosa non sembrò stupire il ragazzo più di tanto.
 
 -Quanto è distante la nave?-.
 -Ora è solo un puntino-.
 
Peter Pan sospirò, puntando lo sguardo a terra.
 
 -Sto diventando stanco. Non riesco più a divertirmi-.
 -Forse hai bisogno di rivedere Wendy un’ultima volta- azzardò Taishiro.
 
Peter la guardò un po’ di sottecchi, con uno sguardo interrogativo, come quello dei bambini che cercano di comprendere un sentimento provato da un adulto.
 
 -Magari è lei ogni volta a ridarti la carica, nonostante diventi sempre più adulta-.
 -Sì, forse hai ragione. Dovrei andare a trovarla. Forse vedrei anche Jane. L’ultima volta era incinta. Diceva che avrebbe chiamato sua figlia Moira-.
 
In quel momento ci fu un rumore assordante, come un rombo di tuono, che fece tremare anche la terra sotto i loro piedi; la piccola capannella di Wendy, che i Bimbi Sperduti avevano sistemato con tanta premura, sembrò sull’orlo di disfarsi. La Luce Viola comparve proprio al centro del cerchio che Peter, i ragazzi e i Bimbi Sperduti avevano formato sedendosi a terra, davanti all’entrata della Capanna di Wendy. Dunque non c’era nemmeno il tempo di provare a cercarla, quella dannata melagrana. Campanellino cadde dalla spalla di Peter. I ragazzi si guardarono.
 
 -Andate- disse Peter –O il tempo scadrà-.
 
Pedro e Taishiro annuirono e puntarono l’Ilv al centro della Luce e svanirono senza dire nulla, né un paese né una frase. Peter e i suoi amici rimasero sconcertati dalla velocità con la quale era scomparsi. L’ultima luce del giorno sembrava volerli salutare, mentre il sole svaniva dietro l’enorme vulcano situato al centro dell’Isola. Due stelle, a nord, cominciarono a brillare; “seconda stella a destra, poi dritto sino al mattino” pensò Peter.
 
 -Beh, buona fortuna, Pedro e Taishiro- disse poi rivolto più a se stesso, in realtà, che non ai due ragazzi appena scomparsi.
 
Poi si rivolse ai Bimbi.
 
 -Io partirò per andare a trovare Wendy. Pennino!-.
 -Sì, Peter?-.
 -Dì a Rufio che lui prenderà il comando finché non ci sarò-.
 
Detto questo spiccò il volo e andò via dall’Isola che non c’è, inconsapevole che sarebbe passato molto tempo prima che riuscisse a rivedere la sua casa; volò verso il suo futuro, dove non sarebbe più stato soltanto un bambino.



 
 

[1] La storia qui raccontata da Peter Pan è una mescolanza del film del 2003, del secondo cartone animato di Peter Pan (del 2002), dove appunto il ragazzo incontra la figlia di Wendy, Jane e la storia qui è ambientata prima che Peter torni di nuovo nella terra degli uomini, dove incontrerà la nipote di Wendy, ovvero Moira (presente nel film con Robin Williams, “Hook: Capitano Uncino” del 1991). Per ovvie ragioni per cui la trama dei tre film non è continuativa, ho dovuto adattare alcune notizie, inventandomi un cugino di Uncino, Hook, che sarà quello che il Peter Pan adulto (interpretato da Robin Williams nel ’91) sconfiggerà prima di tornare a casa con i suoi figli, lasciando per sempre l’Isola che non c’è.









Note di Saeko:
pubblicando oggi mi sono resa conto che venerdì era San Valentino e ho pubblicato un capitolo estremamente romantico, quanto posso essere oblivious? Comunque ecco qui, alla fine dell'avventura dei mondi! E' vero che non ho ancora spiegato moltissimo sulla Grande Malattia, ma bring it on, explanation are coming soon! (se a qualcuno interessa).
Comunque ho la febbre, quindi se questo capitolo risulta un po' delirante non vogliatemene, non ci sto capendo nulla nemmeno io. Oss!

Saeko's out!

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Capitolo 39
*** Capitolo 39: Nella Terra di Nessuno ***


Capitolo 39:
Nella Terra di Nessuno.
 
Pedro e Taishiro si stavano tenendo ancora per mano quando furono risucchiati dal solito vortice della Luce Viola; avvertirono la sgradevole sensazione all’ombelico ancora una volta, mentre un turbine di luci e colori li investiva con forza inaudita. Le mani libere le tenevano ben salde sull’Ilv, nel timore di vederselo scaraventar via dalla forte corrente della magia. Ma mentre viaggiavano, il bastone magico sparì in ogni caso, la corrente di colori e luci s’interruppe e loro si ritrovarono in una terra arida e grigia, senza sole o acqua, con il cielo plumbeo, con qualche albero nero come il carbone.
 
Ryuso stava guardando nella lastra di cristallo: i ragazzi avevano lasciato l’Isola che non c’è e ora stavano viaggiando, il turbine di colori avrebbe dovuto portarli alla Terra del Mezzo. Tuttavia, ad un certo punto l’Ilv scomparve dalle dalle loro mani e le luci attorno a loro sembrarono impazzire. Avvertì il tonfo di qualcosa che cadeva alle sue spalle. Si voltò in preda al panico e il suo dubbio fu subito accertato: era il bastone magico ad esser appena ritornato a lui. Come era  stato possibile? Senza quello, Pedro e Taishiro non sarebbero potuti tornare a casa, non avrebbero avuto la possibilità di spostarsi in nessuna dimensione. Ryuso guardò di nuovo nella lastra: all’inizio vide solo nebbia bianca e fitta; poi questa si diradò e mostrò i due ragazzi in una landa a loro sconosciuta e buia, ma non estranea allo stregone di Tabauni. Quella era la Terra di Nessuno, dove qualunque stregone malintenzionato poteva trasportare i suoi nemici per poterli uccidere senza che di loro ne rimanesse traccia; erano in pochi a conoscere quel luogo, nella Terra di Tsagumi e appartenevano quasi tutti alla sua famiglia; l’unico a conoscere quel posto al di fuori del suo lignaggio era uno stregone suo nemico, di cui non sentiva parlare da tanto tempo. Improvvisamente Ryuso collegò le stranezze della Grande Malattia alla quantità di anni da cui non sentiva parlare del suo vecchio antagonista e capì di aver fatto un madornale errore di considerazione.  
 
I due compagni erano ancora storditi, a causa del grande colpo ricevuto nella caduta sul terreno. La landa desolata dove si trovavano incuteva timore.
 
 -Secondo te dove ci troviamo?- chiese Pedro
 -Non lo so. Ma non credo che questa sia la dimensione che intendeva Ryuso- rispose Taishiro.
 
Sentiva che qualcosa doveva essere andato storto.
 
 -E allora dove ci troviamo?-.
 
I due si guardarono attorno, nel vano tentativo di capire la loro ubicazione. Poi Taishiro si lasciò sfuggire un gemito spaventato e si avvicinò a Pedro, afferrandogli il braccio con una presa poderosa e salda, ma con mani tremanti di terrore.
 
 -Cosa c’è, Taishiro?- chiese allarmato.
 -Guarda lì!- rispose indicando l’orizzonte.
 
Voltandosi, Pedro capì perché era spaventata. Non c’era bisogno di telescopi di alcun genere per vedere quello che avevano davanti agli occhi. L’immagine della Grande Malattia si stagliava nitida e completa davanti a loro.
 
 -Molto bene- disse una voce ultraterrena, che sembrò rimbalzare da una parte all’altra di quel mondo, riverberandosi sul terreno, incontrando forse qualche barriera invisibile –Finalmente sono riuscito a prendervi. È un anno e poco più che mi sfuggite-.
 -Cosa vuoi da noi?- chiese Pedro, cercando di portare Taishiro dietro la sua schiena, forse per poterla proteggere.
 -Vi voglio tutti morti-.
 -Perché?-.
 -Dovrei dirvelo?-.
 -E perché no?- disse Pedro con fare sfacciato.
 
A quel punto, non v’era più nulla da perdere.
 
 -Non sarei tenuto a dirvelo, ma tanto morirete e non avete posto dove rifugiarvi-.
 
Strabuzzò gli occhi e sorrise; azioni che risultavano estremamente innaturali, fatte da quell’essere.
 
 -Una volta anche io ero uno tsagumino e precisamente appartenevo al villaggio di Telem, sempre nel cantone Nord di Tsagumi, ma più lontano da Tabauni. Ero giovane ma i miei occhi, ereditati da mia madre, proveniente dalle terre oltre le caverne dell’Ombra, incutevano timore a tutti. Non avevo amici né parenti e la gente mi allontanava per la mia diversirà. Io sapevo solo che uno stregone aveva trasformato la mia bellissima madre perché ella non voleva sposarlo, essendo innamorata di mio padre. Ma dopo che l’ebbe trasformata, mio padre rimase con lei giusto il tempo di scoprire di averla messa incinta e scappare via con un’altra donna. Decisi di diventare uno stregone, così avrei potuto scovare quel vigliacco di mio padre che aveva osato abbandonare mia madre. Con il tempo scoprii che la donna con la quale scappò mio padre e lo stregone innamorato di mia madre erano entrambi originari del villaggio-capitale che si trovava all’estremo nord della terra di Tsagumi, chiamato Tabauni, proprio vicino alle terre delle caverne dell’Ombra. Lo stregone veniva dal mondo di Fantàsia ed era il bis-nonno di Ryuso. Scovai mio padre a Tia, un villaggio a sud-ovest di Tabauni. Oramai aveva i capelli bianchi, come anche la sua donna. Avevano avuto un figlio che quando arrivai io aveva 14 anni e stava studiando ach’egli per diventare uno stregone. Li uccisi tutti, senza remore. Il ragazzino cercò di proteggere se stesso e i genitori ma non ci riuscì. Nel frattempo mia madre morì. Poi mi recai a Tabauni. Scoprii che il bis-nonno di Ryuso era morto di vecchiaia e il giovane figlio aveva preso il suo posto come stregone-capo del villaggio e aveva una moglie e un figlio, il padre di Ryuso. Eliminai subito moglie e marito. Ma il piccolo mi sfuggì. Era molto potente per avere solo tre anni e aveva eretto attorno a sé una barriera, così salda e decisa, che mi fu impossibile distruggerla, nonostante fossi rimasto appostato avanti alle porte del villaggio; la barriera fu talmente forte da immagazzinare tutte le case di Tabauni, senza permettermi di entrare. Decisi di tornare un giorno per sterminarli tutti. Così iniziai a mettere appunto una malattia magica che avrebbe colpito chi volevo io, una malattia con la quale avrei dominato il mondo intero e vendicato la mia povera madre. Ci misi dieci anni a mettere a punto il mio progetto, ma alla fine ci riuscii. Dovevo testarla. La iniziai a scatenare su cinque villaggi vicini a Telem-.
 -Ma come è possibile che nessuno si sia accorto di nulla? Che è stata sin’ora tutta opera tua?- chiese Taishiro, stringendosi ancora di più al corpo di Pedro.
 -Ho i miei metodi, stupida-.
 -Non chiamarla stupida- disse Pedro, digrignando i denti.
 -Silenzio. Non sono tanto stupido da ripresentarmi nel mio villaggio dopo aver ucciso mio padre e la sua famiglia davanti all’intera popolazione di Tia. Mi sono reso invisibile e con la mia magia resi invisibile la casa dove ero nato. Comunque dopo averla testata, scatenai la mia malattia in altri tre villaggi a est e in uno a ovest; per non destare ulteriori sospetti, feci altre prove al di fuori di Tsagumi, nel principato di Tukumi e persino nelle Terre di Kotobuni; riuscii con alcuni tentativi fallimentari anche in altri mondi, dove tuttaviala malattia non prendeva la forma che volevo io. La gente si spaventò tanto che la chiamò la Grande Malattia. Anche a Fantàsia, il luogo dove il padre di Ryuso si era rifugiato dopo la mia scomparsa, si iniziò a usare il mio nome, per spaventare i bambini che si comportavano male-.
 
La figura demoniaca di fronte a loro sembrò sospirare, persa nei ricordi.
 
-“Grande Malattia”. Che nome sciocco. Alla fine la scatenai contro Tia, il villaggio vicino a Tabauni. Il padre di Ryuso, anche se ormai vecchio, aveva capito che ero io a fare quelle cose. Avevo anche scoperto che per un po’ di tempo era vissuto a Fantàsia ed era lì che aveva trovato moglie. Era lì che era nato Ryuso. Sapeva che li stavo cercando. Così eresse una barriera attorno a Tabauni. Dovetti cessare con la mia strage e aspettare. Intanto Ryuso venne mandato a Roke, isola dei Dieci Ontani, a studiare stregoneria, in modo da poter essere protetto da un suo cugino di terzo grado. E quando tornò a Tabauni, andò a trovare il padre, il quale gli disse che se voleva avere una relazione con una donna doveva averla al di fuori della Terra di Tsagumi e Ryuso riuscì anche in questo, proprio come v’era riuscito il padre, che aveva fatto partorire sua moglie nella terra di Fantàsia. Ma non riuscii mai a scoprire dove si trovasse la moglie di Ryuso-.
 -Come fai ha sapere che ha una moglie?-.
 -Le barriere magiche permettono di sentire. Però il vecchio Mar, il padre del vostro Ryuso, ne aveva eretta una intorno alla propria casa così che io non potessi ascoltare nulla delle conversazioni che avvenivano in famiglia. Però una notte d’inverno vidi Ryuso correre verso casa gridando che aveva trovato una moglie. Comunque assistei, nello stesso periodo, alla nascita di due bimbi: un maschio e una femmina. Ryuso aveva preso parte alla nascita, aiutando il medico del villaggio, e aveva fatto un incantesimo per proteggerli. Il mago stava già progettando un modo per sconfiggermi. Mar infatti, che era morto una settimana prima della nascita dei bambini, aveva detto a Ryuso di aver trovato un frutto per sconfiggere il mio morbo, ma non sapeva in quale mondo magico di quelli di cui era a conoscenza si trovasse. Così Ryuso fece l’incantesimo. E i ragazzi, che guarda caso siete proprio voi, che fossero diventati amici o meno, erano predestinati. Fortunatamente Ryuso si era talmente impegnato nella risoluzione dei mondi da dimenticarsi della barriera protettiva. Essa si dissolse un anno fa. Non potendo attaccare i ragazzi direttamente, attaccai il padre del ragazzo. Così sarebbe rimasto solo, avendo già perso la madre. Purtroppo isolarono subito il padre per evitare un contagio. Per un po’ non potei più attaccare perché Ryuso aveva rialzato e rafforzato la barriera magica. Poi in autunno voi due ragazzi siete partiti e Ryuso dovette spendere tante energie dalla barriera per riuscire a trasferirvi nella Terra del Mezzo. Io ne approfittai per attaccare altre persone, altri villaggi, facendo in modo che il morbo si diffondesse per la maggior parte del territorio. Poi decisi di occuparmi di voi. Riuscii a mandarvi al Lago Nero degli Incubi. Sfortunatamente tu, ragazza, sei riuscita a svegliarti subito. Vi ho cercati tutte le volte che eravate in procinto di cambiare mondo, che quello stupido bastone magico vi trasferiva in un nuovo universo. Purtroppo non sapevo in quali mondi sareste andati la volta dopo, il vostro itinerario era imperscrutabile. Così ho continuato ad attaccare le persone di Tabauni, che sicuramente vi avrebbero messo una qualche pressione. Con la barriera indebolita potevo attaccarle un paio per volta, invece che in massa, però non mi scoraggiavo. Alla fine decisi di comparire alle porte del regno di Fantàsia e aspettare lì la venuta dei ragazzi. Vi ho visti una settimana fa e sono riuscito anche a intravedere che l’Isola che non c’è sarebbe stato il vostro ultimo mondo, così ho atteso, e alla fine, eccovi qua- aggiunse con un ghigno spaventoso.
 


























Note di Saeko:
ed eccoci qui, finalmente fuori dalla magia dei mondi e al mega spiegone su come si è formata la Grande Malattia. Particolarmente loquace questo stregone, come tutti i cattivi che si rispettino. Mi rendo conto che il suo racconto è un wall of text di informazioni e alla prima stesura era talmente pieno di horror vacui che questo capitolo sembrava un puro e semplifce flusso di coscienza, senza arte né parte. Siamo agli ultimi momenti clou della storia, tra poco sarà finito tutto e io non saprò più cosa fare, perché questa è effettivamente l'ultima stesura di una storia che sono anni che leggo, rileggo e correggo e ricorreggo.
Anyway, io me do, ci si becca domenica.
Bye!

Saeko's out!

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Capitolo 40
*** Capitolo 40: Tempo scaduto ***


Capitolo 40:
Tempo scaduto
 
-Noi fuggiremo- disse con voce tremante Taishiro, indietreggiando e trascinandosi dietro Pedro, che le strinse nuovamente la mano.
 
Iniziarono a correre il più velocemente possibile, senza voltarsi indietro.
 
 -Pensate davvero di sfuggirmi semplicemente correndo? Poveri illusi- rise di gusto la Grande Malattia.
 -Emissari, a me!- urlò quindi.
 
Dal nulla comparvero esseri umanoidi vestiti di nero dalla testa ai piedi e mostri di ogni forma e specie, che si lanciarono subito alla caccia dei due ragazzi. I due, correndo sino allo stremo delle forze, si ritrovarono sull’orlo di un burrone, di cui non era possibile vedere il fondo, nero com’era. Era lo stesso del sogno fatto da Pedro tempo addietro, quando erano al Lago Nero degli Incubi, prima di giungere alla Terra del Mezzo. Si gettarono dal ciglio senza esitare. I mostri che avevano facoltà di volare li seguirono con in groppa gli Emissari.
 
Intanto Ryuso, che aveva visto e seguito tutto dalla sua lastra di cristallo, cercò di raggiungere i ragazzi. Lasciò detto al dottore Matishia cosa andava a fare e di non temere, poiché, dal momento che la Grande Malattia era troppo presa dal far fuori quei due ragazzi, anche se la barriera del villaggio si fosse abbassata del tutto, non si sarebbero ammalate altre persone. Poi chiamando a sé tutte le sue energie magiche, creò un collegamento con la Terra di Nessuno ed evocò la Luce Viola all’interno della sua stamberga. Puntò l’Ilv al suo centro e pronunciò:
 
“un anello per domarli, un anello per trovarli,
un anello per ghermirli e nel buio incatenarli”.
 
 e poi gridò: -Terra di Nessuno!-.
 
Non successe tuttavia nulla. Cosa doveva fare? Cosa aveva dimenticato? Qualcosa lo graffiò e una goccia di sangue colò dal suo dito sull’Ilv. Venne risucchiato e iniziò anche lui il suo viaggio. La Terra di Nessuno aveva chiesto e ottenuto il suo tributo di sangue.
 
Pedro e Taishiro finirono nell’acqua gelata di un torrente che evidentemente scorreva ai piedi della gola. Si tenevano ancora per mano, senza lasciarsi mai. Aggrappandosi ad una roccia, uscirono fuori dall’acqua e del terreno franò davanti a loro; usando quelle macerie come supporto, tentarono l’inizio di una scalata verso l’uscita del dirupo, ma i nemici erano ormai giunti. Un grosso lampo carico di elettricità li sfiorò e loro caddero dalla parete franata. Ma qualcosa frenò improvvisamente la loro caduta. La Grande Malattia stava attenuando la forza della loro discesa, e li trasse dall’impaccio di finire schiantati contro le rocce.
 
 -Perché ci hai salvato?- chiese Taishiro, che comunque non aveva quasi più fiato in corpo, tanta era la fatica di fuggire.
 -Perché voglio vedere la luce della vita abbandonare i vostri occhi quando vi ucciderò-.
 
Ryuso atterrò nello stesso luogo dove erano atterrati i ragazzi. Iniziò a correre nella direzione del canyon verso cui i due erano fuggiti. “Sto arrivando, ragazzi. Resistete” pensò concitato. Ma quando giunse sul posto, era già troppo tardi.
 
La Grande Malattia aprì la bocca per pronunciare un incantesimo mortale.
 
 -Aspetta!- gridò Pedro.
 
Taishiro tirò il braccio del suo amico.
 
 -Che cosa vuoi ancora, ragazzino?-.
 -Voglio sapere il tuo vero nome-.
 -Vuoi sapere il mio vero nome?-.
 -Sì-.
 -Ma il mio nome è quasi impossibile da pronunciare-.
 -Appunto, quasi impossibile. Dimmelo- e intanto lasciò la mano di Taishiro e la strinse, traendola a sé dopo aver posato una mano sul suo fianco.
 
La ragazza non capiva cosa stesse facendo l’amico.
 
 -Visto che è probabilmente il tuo ultimo desiderio, ti accontenterò: il mio nome è Shrrakenn. E ora che la morte vi prenda entrambi!-.
 
Nell’attimo precedente al momento in cui Shrrakenn avrebbe pronunciato quell’incantesimo, Pedro pensò intensamente a Taishiro e al suo villaggio. Strinse ancora più forte la presa sulla persona che amava di più, più della sua stessa vita. Avvertì Taishiro ricambiare la presa e la ragazza pose una mano sul fianco del ragazzo, stringendolo e posando la testa sulla sua spalla.
Shrrakenn. Noi non moriremo veramente. Continueremo a vivere. Finiremo in un mondo dove qualcuno prima o poi verrà a prenderci. Noi non moriremo veramente” pensò Pedro con tutta la forza che la sua volontà e il suo coraggio erano in grado di donargli.
La Grande Malattia lanciò l’incantesimo.
 
Ryuso arrivò al bordo del dirupo e vide la Grande Malattia urlare un incantesimo mortale.
 
 -No!- gridò.
 
La Grande Malattia eseguì dunque la magia, puntando la mano destra verso di loro. Prima che quest’ultima li toccasse, Pedro urlò a gran voce: -Shrrakenn!-.
Una luce rossa attraversò i loro corpi, che caddero a terra, morti.























Note di Saeko:
questo capitolo, seppur breve, è particolarmente concitato. Ero particolarmente emozionata al tempo della prima stesura, perché era la prima volta che decidevo della morte dei miei personaggi e non sapevo se sarei stata in grado di gestirli. Tutt'ora credo di avere delle serie difficoltà in merito e mi rendo conto che, nonostante il mega spiegone dato dalla Grande Malattia nel capitolo precedente, something's off. Spero di recuperare con eventuali altri spiegoni che farò nei prossimi capitoli, perché vi annuncio che ne mancano esattamente 5 alla conclusione di questa storia; la prossima settimana inoltre pubblicherò solo di domenica, quindi questo sarà l'ultimo capitolo di febbraio su Efp, anche se, avvicinandosi il 28 del mese, pubblicherò altri dieci capitoli di questa long sul mio account Wattpad.
Ringrazio chiunque sia arrivato sin qui e, se mai deciderà di leggermi, lascio un piccolo ringraziamento a Nexys, una mia carissima amica che stasera è tornata a pubblicare (se state in fissa con Project-K, fate un salto).
Anyway, ci si becca tra una settimana.

Saeko's out!

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Capitolo 41
*** Capitolo 41: Il Vagabondo delle Stelle ***


Capitolo 41:
Il Vagabondo delle Stelle
 
Ryuso scese dall’alto, accecato dalla rabbia. Arrivò sulla Grande Malattia e gli prese il collo tra le mani e strinse, strinse, finché il volto dell’assassino, da nero, non diventò stranamente blu. Una mano fredda si appoggiò sul suo petto, un’enorme forza magica fece pressione e Ryuso fu respinto e scaraventato in aria, dove rimase, in attesa che il mago oscuro lo raggiungesse alla sua altezza. I due stregoni iniziarono a combattere, muovendo le mani e gridando parole arcane. Ryuso schivò un paio di fasci di luce rossa, che identificavano gli incantesimi mortali, e fece cadere dei massi evocati dal vicino burrone sugli Emissari del nemico, che nel frattempo stavano tentando di attaccarlo da più direzioni. Una volta fermati, Ryuso eresse una barriera magica tra lui e il suo avversario e i suoi seguaci, impedendo che il loro scontro potesse venire interrotto ulteriormente.
Approfittando della distrazione della Grande Malattia, dovuta alla momentanea comparsa della barriera, lo stregone di Tabauni lanciò a sua volta un incantesimo mortale.
La Grande Malattia lo schivò ed evocò delle schegge di vetro che lanciò a tutta forza verso Ryuso, che divenne improvvisamente invisibile; le schegge gli passarono attraverso e si schiantarono sulla barriera magica, polverizzandosi. Nel momento in cui lo stregone stava tornando visibile, Shrrakenn si gettò verso di lui, con le mani che lanciavano raggi incandescenti, ma lo tsagumino fu veloce e si spostò a passo lampo, trovandosi alle spalle della Grande Malattia e lanciò, senza gridarlo, un’altra maledizione mortale; il fascio di luce rossa attraversò l’avversario senza che quest’ultimo nemmeno se ne accorgesse.
Il corpo del nemico cadde a terra dall’altezza a cui si trovavano, accasciandosi innaturalmente al suolo, come avevano fatto in precedenza quelli di Pedro e Taishiro.
Le nuvole nere, gli insetti e gli Emissari svanirono in sol colpo, lasciando un’unica landa desolata ma improvvisamente illuminata da una luce fioca e grigia. Al posto della Grande Malattia c’era solamente uno scheletro. Bianco e lucido, come il reperto di un museo.
Poco lontano dal luogo della battaglia era possibile vedere i corpi dei ragazzi, che si tenevano ancora per mano.
Lo stregone, ansimante e con le lacrime agli occhi, si avvicinò, incerto sul da farsi; poi un piccolo particolare attirò la sua attenzione: qualcosa di fulgido e luminoso sembrava essere appoggiato sul petto di Pedro e, quando Ryuso si avvicinò, risultò essere un biglietto d’oro scritto in caratteri d’argento.
Le lettere riportavano la dicitura “per Ryuso”; era un biglietto molto breve dove Pedro spiegava cosa aveva fatto prima di morire; esso terminava con la parola vivi.
Aveva appreso la storia dei nomi e dell’Ombra nell’Isola di Gont e se era ricordato di quanto il vero nome di una persona potesse controllare gli eventi magici; persino in Alagaësia, per quanto fossero stati poco, avevano imparato che la conoscenza di un vero nome di un oggetto o di una persona poteva determinarne il destino e il suo utilizzo vincolante.
Quindi erano morti in quel mondo desolato della Terra di Nessuno, ma erano probabilmente vivi in un altro. Ma quale?
Ryuso si adagiò a terra, sedendosi poco lontano dai cadaveri dei ragazzi, stringendo in mano il piccolo biglietto lasciato da Pedro.
Una luce azzurrina avvolse improvvisamente Taishiro e Pedro e i due corpi scomparvero; lo scheletro della Grande Malattia era ancora dove si era accasciato poco dopo essere stato sconfitto.
Allora lo stregone-capo di Tabauni si ricordò di una leggenda che spesso gli veniva raccontata da suo padre Mar, all’inizio della sua carriera di stregone:
 
 -Esiste un piccolo mondo separato dal resto, dove i puri di cuore si salvano dalla morte- diceva sempre, durante le sue lezioni.
 -Questo mondo è amministrato da dei maghi chiamati Vagabondi delle Stelle. Questi maghi, come me e te, portano coloro che vi giungono nel posto che devono raggiungere, che solitamente è il luogo della morte-.
 -È come se fosse il luogo di interscambio che conosciamo noi? La Terra del Mezzo? E come si fa ad arrivarci?- chiedeva sempre, mentre componeva le prime parole di incantesimi che inventava lui stesso.
 -Con la fantasia, Ryuso- rispondeva sempre il padre.
 
E Ryuso immaginò e fantasticò, sognando delle stelle.
 
Taishiro aprì gli occhi. Cos’era successo? Pedro l’aveva stretta a sé posandole una mano sul fianco, invitandola a fare lo stesso; non capiva perché si fosse fatto dire dalla Grande Malattia il suo vero nome e non capiva perché l’avesse gridato prima di morire. In quel momento stava stringendo la sua mano, lui aveva gli occhi chiusi e non aveva la benché minima idea di dove si trovassero. Cercò di svegliarlo.
 
 -Pedro- chiamò dolcemente. Esitò un attimo, prima di aggiungere: –Amore, svegliati-.
 
Pedro aprì gli occhi. Guardò Taishiro e sorrise.
 
 -Siamo morti?-.
 -Credo di sì. Però è strano: guarda dove ci troviamo-.
 
Guardandosi attorno, notarono di trovarsi sospesi in un cielo dove ogni angolo era coperto di stelle lucenti. Loro fluttuavano in mezzo a quell’oceano di luce; non esisteva un solo punto di quel posto in cui fosse buio, eppure l’atmosfera era opaca. Alcuni agglomerati di stelle si muovevano, come se fossero dei corpi in carne ed ossa, sembravano avere una forma quasi umanoide.
Invece i loro corpi erano eterei, semi-trasparenti e i colori dei loro vestiti erano sbiaditi.
 
 -Se questo è il paradiso, penso che sia bellissimo- disse Pedro.
 -Già. Ma credo che a lungo andare potrebbe essere anche noioso- disse invece Taishiro, con il suo solito carattere movimentato e vivace, che non accettava mai per nulla la monotonia.
 -Hai ragione, Taishiro- disse una voce.
 
Uno dei tanti corpi stellati che vagavano in quel cielo si avvicinò a loro. Riconobbero i lineamenti di Ryuso, il loro ormai amato stregone: la barba era un impenetrabile intreccio di piccole luci, mentre i penetranti occhi azzurri erano sostituiti da due enormi punti luce di colore biancastro; la testa, che a Tabauni era priva di capelli, era l’unico punto privo di qualsiasi “stella”.
 
 -Ryuso- pronunciarono all’unisono.
 -Sì. Ma qui sono conosciuto come il Vagabondo delle Stelle numero 7- sorridendo.
 
Raccontò ciò che sapeva sui Vagabondi delle Stelle, di quanti fossero, di come aveva ucciso la Grande Malattia e di ciò che aveva fatto Pedro, su come quel mondo funzionasse.
 
 -Ciò vuol dire che siamo vivi?- chiese Taishiro.
 -Non esattamente. Quando arriverete nel nuovo mondo sarete completamente vivi. E potrete continuare la vostra missione-.
 -Pedro, ci hai salvati. Ti ricordi che una volta ti dissi che ti saresti fatto valere?-.
 
La risata cristallina di Taishiro sembrò riscuotere uno dei Vagabondi, che nel frattempo s’era accostato ad un’anima opaca comparsa poco lontano da loro.
 
 -Sì, me lo ricordo- affermò lui, facendole segno d’abbassare la voce.
 -Già, ma se tu, Taishiro- continuò Ryuso –Non ti fossi fidata ciecamente di Pedro, nonostante fossi spaventata, e non avessi affrontato assieme a lui la Morte a testa alta, ora non sareste qui-.
 
Taishiro abbracciò Pedro con trasporto, felice di poter avere ancora un’occasione simile.
 
-Volete continuare la vostra missione?- chiese Ryuso, ponendo le mani stellate sulle loro spalle.

Per quanto il nemico fosse stato sconfitto, i sintomi erano presenti e il morbo persisteva, per cui c'era necessità di finire quanto cominciato. Accanto a loro comparse l’Ilv, più reale che mai, e i due ragazzi si sentirono nuovamente forti e vigorosi.
 
 -Certo- disse subito Taishiro, facendo brillare i suoi occhi d’emozione.
 -Io voglio salvare mio padre e Tsagumi!- aggiunse Pedro, con la voce più convinta che aveva.
 -Allora chiudete gli occhi e non pensate ad altro. Non conosco con esattezza l’ubicazione del luogo in cui andrete, poiché il Cielo dei Vagabondi delle Stelle è al di là della realtà, ma avrete nuovamente l’Ilv, per cui quando il viaggio sarà concluso, potrete usarlo per tornare a casa-.
 
I ragazzi sorrisero e si presero nuovamente per mano, mentre Pedro stringeva saldamente con quella libera il bastone del mago. Ryuso sorrise a sua volta e pronunciò le parole magiche che traghettavano le anime al di là del Cielo, verso una destinazione di cui nemmeno lui conosceva l’esistenza.





















Note di Saeko:
zan-zan-zaan-zaaaaaaaaan! Sono tornata questa mattina dalla Germania e, per quanto fossi cotta e stracotta, questo capitolo aspettava da un po' di essere corretto e dunque eccomi qui. L'avventura è ad un punto cruciale, la Grande Malattia è sconfitta, ma non i suoi sintomi e le persone infette hanno comunque bisogno della cura. Probabilmente quanto ho scritto sin'ora non ha senso e la battaglia contro la Grande Malattia non è un granché. Eppure un escamotage dovevo trovarlo e mi sembrava funzionasse abbastanza per la storia. Accetto critiche, as always.
Io me ne torno a dormire, ci si vede venerdì.

Saeko's out!
 

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Capitolo 42
*** Capitolo 42: Cilortuv ***


Capitolo 42:
Cilortuv
 
Pedro aprì gli occhi lentamente, quasi con fatica. Fu accecato dalla luce del sole che splendeva alto nel cielo limpido, azzurro e privo di nuvole. Si alzò a sedere; era comodamente sdraiato su un soffice manto di erica, e poco più lontano c’era Taishiro, sdraiata invece su un manto d’erba. Più in là, nel cielo, c’erano delle nuvole cariche di pioggia, una cosa molto diversa dal cielo presente sulla sua testa. Loro si trovavano accanto all’entrata di un bosco. All’orizzonte si poteva notare il mare e sotto le nubi c’era un lago contornato di fiori. Poco prima del mare c’erano delle alte scogliere e il cielo era nuovamente limpido.
 
 -Taishiro, Taishiro svegliati!-.
 
Il luogo in cui si trovavano era incredibilmente vasto e ampio e variegato, tanto che la sua amata doveva assolutamente vederlo.
 
 -Cosa succede?- disse, aprendo anche lei lentamente gli occhi.
 -Dobbiamo essere nel mondo di cui parlava Ryuso, o almeno credo- le comunicò Pedro.
 -Davvero?-.
 -Guardati attorno-.
 
Taishiro lo fece e rimase a bocca aperta.
 
 -Ma è bellissimo qui!-.
 -Già- disse lui con un sorriso radioso.
 
Si guardò nelle tasche ormai rovinate delle brache che portava per recuperare la lista dei vari mondi che avevano visitato. Il foglio dorato sembrava risplendere di luce propria; su un lato del foglio vergato in argento, era possibile riconoscere la calligrafia della sua compagna, che riportava le parole “un luogo che ha in sé tutte le caratteristiche delle terre magiche conosciute, in cui ogni necessità è realtà”, che ricordava di averle visto ricopiare da un libro di geografia antica che stava leggendo nella biblioteca di Hogwarts. Erano probabilmente giunti in quel luogo misterioso, ma come si chiamava quella terra? Taishiro si avvicinò a lui e osservò la lista che teneva in mano, notando immediatamente qualcosa di nuovo, che a Pedro era sfuggito: in fondo alla lista, sotto al nome dell’Isola che non c’è, ne era comparso un altro, non vergato in argento, come i precedenti nomi, ma in rame.
I caratteri erano scritti con una calligrafia assai minuta, molto diversa da quella dei nomi precedenti e riportava due parole: “Cilortuv” e “Malina”.
 
 -Cosa vorranno dire queste due parole?- fece Taishiro, passandosi una mano trai i capelli.
 -Non so bene, ma sembrano entrambi due nomi-.
 -Credo che il primo sia il nome del luogo in cui ci troviamo- fece ancora la ragazza –Se noti, la parola “Malina” è scritta con lettere molto più piccole, rispetto a “Cilortuv”, che invece sembra avere la grandezza delle parole vergate in argento-.
-Quindi probabilmente “Cilortuv” è il nome del luogo, mentre “Malina” dovrebbe essere riferito ad altro-.
 
Il ragazzo si sfregò una tempia, pensando, mentre l’amica appoggiava il mento sopra la sua spalla.
 
 -“Malina” sembra il nome di una donna- fece poi Pedro.
 -Penso che dovremo cercarla per il frutto, allora- convenne Taishiro.
 
Ricordavano a malapena le raccomandazioni che Ryuso aveva fatto loro il giorno prima della loro partenza ed erano successe così tante cose che avevano quasi dimenticato di quel nome, nominato dallo stregone poco prima che lasciassero Tabauni.
Tuttavia il nome non sembrava del tutto sconosciuto ai due, che convennero di essere sulla strada giusta.
 
 -Andiamoci subito- disse Taishiro dunque, balzando in piedi.
 
Pedro non fece lo stesso.
 
 -Che ti succede?- chiese allora lei.
 -Riposiamoci un pochino-.
 -Come?-.
 -È un anno e più che non facciamo che correre a destra e a manca. Noi siamo (quasi) morti, Ryuso ha ucciso la Grande Malattia. Tabauni non può peggiorare ancora. Riposiamoci- disse ancora, lasciandosi andare ad un sospiro.
 
Taishiro si sedette dunque accanto a lui, e poggiò nuovamente la testa sulla sua spalla. Sorrisero ancora. È interessante notare come non facessero altro che sorridere, in quei momenti.
 
 -Ti ricordi quando eravamo sugli scogli della Baia delle Sirene?- chiese Pedro.
 -Sì-.
 -Io mi sento felice come in quel momento, adesso-.
 -Perché?-.
 -Perché ti ho accanto, perché ormai abbiamo completato la nostra missione e mio padre guarirà e con lui tutto il villaggio-.
 -Anche io sono felice-.
 -Vuoi rimanere con me per sempre?- chiese lui.
 
Nel loro villaggio-capitale, così come in tutta la Terra di Tsagumi, quella frase sanciva il fidanzamento ufficiale di due innamorati. Ma Pedro non intendeva solo quello e Taishiro lo intuì.
 
 -Vorrebbe dire sposarti?-.
 -Sì-.
 -Sì, lo voglio-.
 
Taishiro lo osservò con lo sguardo più dolce che potesse avere. I loro occhi si incontrarono, come se fossero gli elementi di una pozione magica pronti a fondersi insieme. Pedro avvicinò pian piano il suo volto al suo. Posò le sue labbra sulle sue. Rimase così per un po’, poi si staccò. Taishiro si avvicinò ancora di più e lo baciò teneramente. In quel bacio si dissero tutto ciò che avevano taciuto per anni. E finalmente furono davvero felici.
 
Pedro e Taishiro decisero di esplorare quella nuova terra, incredibilmente diversa ad ogni passo che facevano: ogni centimetro che si percorreva era infatti differente dal primo. Alzandosi dall’entrata bosco scoprirono che il manto di edera era esteso solo al suo perimetro, come nell’Isola che non c’è. Dopo c’era solo erba, come nella Terra del Mezzo, dove avevano camminato sull’Erba Infinita. Solo che qui l’erba non era infinta, anzi; il lago somigliava moltissimo al Lago Nero di Hogwarts, le montagne che si trovavano dietro il bosco erano uguali a quelle della Terra degli Elfi. Sulla scogliera c’era un vecchio castello diroccato. Sembrava proprio quello di Cair Paravel, a Narnia. Tra gli scogli poi c’era una specie di cava con dell’acqua ai suoi lati fermata da lastre di vetro, tanto da sembrare l’Acqueo Profundis, il laboratorio di Nina de Nobili a Venezia che ospitava l’androide Max; dall’altra parte della scogliera c’era un faro uguale a quello di Fairy Oak, il faro di Aberdur. C’erano anche delle lande deserte dove faceva un caldo afoso; lì sembrava di essere nella Terra del Vento, nel Mondo Emerso. La pioggia e la nebbia che si trovavano sopra il lago sembravano quelle delle Paludi della Tristezza a Fantàsia.
I fiori intorno al lago invece sembravano quelli del giardino di Ashby, il Liza Fiordaliso. E poi c’erano dei campi dove la temperatura era più alta che altrve, dove vivevano alcuni draghi: quel posto somigliava alle Pianure Ardenti, dove avevano incontrato Eragon, Saphira e combattuto contro Galbatorix per salvare la terra di Alagaesia e Katrina, la promessa sposa di Roran, il cugino di Eragon. Era la terra più bella che avessero mai visto, ma c’era un piccolo problema: non riuscivano a trovare un qualsiasi posto dove potesse trovarsi Malina, la donna il cui nome era scritto in rame accanto al nome di Cilortuv sulla lista dei paesi che i ragazzi avevano.
In quella prima giornata di esplorazioni, non sembrava ci fosse una sola creatura vivente in quella terra, a parte loro due: non un animale, non una persona. Solo piante e resti di edifici più o meno simili a luoghi che avevano già visto nel loro viaggio. Che fine avevano fatto gli abitanti di Cilortuv?
Dove avrebbero potuto trovare Malina?
La sera iniziò a fare freddo. Visto che c’era un aspetto proveniente da qualsiasi mondo avessero visitato e i climi erano sempre i più diversi, la sera si incontravano tutti e davano origine a venti freddi di bassa pressione. Pedro e Taishiro provarono ad aprire la porta del faro, ma erano chiusa a chiave, così si videro costretti ad accamparsi nel castello diroccato. Trovarono un po’ di legna da ardere nel bosco vicino e accesero un fuoco. Quella notte dormirono abbracciati e sotto una vecchia coperta che avevano trovato in una vecchia cassa di legno, stringendosi nelle mantelle di flanella rossa che avevano ricevuto a Fantàsia. La coperta era trapuntata e aveva ricamate delle stelle. Taishiro sapeva che non poteva essere possibile che fosse stato Ryuso a mandargliela, ma sembrava quasi fatta a posta per essere trovata da loro.
 
Il giorno dopo pioveva. Anzi, a dir la verità, imperversava una bufera.
E non solo sulla scogliera: a perdita d’occhio, in tutta la terra di Cilortuv c’era la tempesta. Pedro e Taishiro dovettero rifugiarsi ancora di più nel castello diroccato per non bagnarsi. Non appena la furia del diluvio s’attenuò un attimo, decisero di nascondersi in quello che sembrava l’Acqueo Profundis; qui trovarono un’altra cassa di legno, con all’interno una serie di vecchie vesti in pelle marrone e mantelli neri in velluto; i due ragazzi decisero che appena il tempo fosse migliorato, avrebbero pensato a lavarsi e a cambiarsi con i nuovi vestiti che avevano trovato, dato che sembravano esserci effetti della loro taglia.
Il mare pareva aver preso vita propria, tanto era agitato. Attraverso lo spesso vetro, Pedro e Taishiro vedevano le onde andare avanti e indietro, senza mai fermarsi. Lì riuscirono a stare al caldo e riparati dall’acqua. Piovve per tutto il giorno. Quella sera, a mezzanotte e mezzo, la tempesta si calmò e i due ragazzi riuscirono ad addormentarsi in maniera decente. Fino a quel momento il sibilo del vento era stato troppo forte perché potessero riuscirci.
Il mattino dopo invece sorse un bel sole dappertutto e il tempo sembrava essere caldo e mite. Solo all’orizzonte si vedeva qualche nuvola, residua del giorno prima. I due ragazzi decisero di uscire allo scoperto, portandosi con loro gli abiti trovati in quello che sembrava l’Acqueo Profundis. Si recarono presso il Lago Nero e a turno fecero il bagno, rimanendo voltati di spalle ogni volta che l’altro era in acqua. Per quanto si fossero dichiarati, l’imbarazzo era ancora troppo forte perché potessero vedersi senza vesti.
Entrambi indossarono gli stessi abiti: dei pantaloni in pelle e una casacca in lino bianca con una cintura stretta in vita, a tenerla insieme con i pantaloni, degli stivali di camoscio e il mantello di velluto nero sopra le spalle; assicurarono le loro bisacce sulle spalle e lasciarono i loro vecchi abiti sulla riva; Pedro si assicurò la lista dei paesi che avevano visitato sotto la maglia, mentre Taishiro prendeva l’Ilv.
Si misero dunque nuovamente alla ricerca di Malina.
Nessuno dei due si era accorto di non aver provato nemmeno una singola volta i morsi della fame, almeno sino a quel momento.
 
 -Come possiamo fare?- chiese Taishiro, ravvivandosi i capelli ormai indomiti con una mano.
 -Dunque, vediamo- disse Pedro –Abbiamo cercato in tutti luoghi possibili di questo posto e non l’abbiamo trovata-.
 
Rifletté.
Silenzio.
Silenzio.
Silenzio.
 
 -No, non so come fare- concluse infine sconsolato.
 -Pensa se qui ci fossero dei luoghi impossibili- disse Taishiro, per dar forza e convinzione a lui e a se stessa, ma spremendosi inutilmente anche lei le meningi.
 -Hai ragione. È lì che dobbiamo cercare!-.
 -Ma guarda che io scherzavo-.
 -Ma dove possiamo trovare dei luoghi impossibili?- continuò Pedro come se non avesse sentito Taishiro.
 -Pedro...-.
 -Forse funziona come a Fantàsia, dobbiamo solo immaginare e poi...-.
 -Pedro!-.
 -Sì, che c’è?-.
 
Forse cominciava a capire come fosse stato per l’amico, cercare di seguirla e farla ragionare, quando lei non ascoltava e faceva congetture assurde su eventualità assai improbabili. Come aveva fatto a sopportarla per tutti quegli anni?
 
 -Ascolta. Forse potrebbe anche essere vero ciò che ho detto, ma io stavo scherzando-.
 -Però dallo scherzo possiamo ricavare la soluzione del problema-.
 
Stava ridacchiando come se fosse stato pazzo. Ma Taishiro fu comunque accondiscendente.
 
 -E come?-.
 -Forse possiamo vedere ai confini del mondo-.
 -E come facciamo?-.
 
Pedro rifletté.
 
 -Beh, quando eravamo nella Terra degli Elfi, Frodo ci aveva spiegato che oltre le montagne nessuno era mai andato, e che quelli che ci avevano provato non avevano fatto mai ritorno. E queste montagne somigliano proprio a quelle della Terra degli Elfi- disse indicandole.
 
Taishiro lo guardò incredula e pensierosa.
 
 -Dai, le abbiamo provate tutte. Tutt’al più troveremo il vuoto e torneremo indietro. Dai!- la incoraggiò il ragazzo.
 -Va bene-.
 
Si presero per mano, camminarono fino alle pendici e, una volta lì, iniziarono la scalata. Arrivarono su quello che sembrava il simile del monte Liada, il più piccolo di tutta la catena. Si riposarono; la giornata era quasi finita.
 
 -Come faremo ad arrivare al monte Morwek?- chiese Pedro, sicuro che ce ne fosse uno esattamente uguale a quello della Terra degli Elfi.
 -La scorsa volta ci avevano portato le Aquile- rispose Taishiro.
 -Forse per chiamarle basterà un fischio, come aveva fatto Frodo- continuò.
 
Pedro quindi fischiò, con tutto il fiato che aveva in gola. Dopo pochi minuti sentirono un sbatter d’ali sopra le loro teste. Un’aquila era venuta a prenderli. Non parlava come quella della Terra degli Elfi, ma li fece accomodare sul proprio dorso con molta gentilezza. Si alzò in volo e in cinque minuti giunse al nido su un monte, che i ragazzi riconobbero come il simile del monte Morwek. Lì c’erano altre aquile e nessuna di loro parlava. Venne loro in contro un giovane aquilotto che fece loro cenno di seguirlo. L’animale li portò davanti alla porta di una capanna. Emise un verso stridulo e attese. La porta si aprì e comparve un elfo. Non era né vecchio né giovane, i suoi capelli erano chiarissimi e gli occhi erano grigi, tuttavia non aveva la stessa espressione benevola e tranquilla e tuttavia enigmatica degli elfi fino ad allora incontrati. Vestiva con una vecchia tunica strappata che veniva certamente dalla Terra degli Elfi, vista la foggia elaborata; era stata rattoppata con foglie, rami e piume di aquila.
 
 -Cosa volete?- chiese scontroso.
 
Non sembrava essere intenzionato a dare peso al fatto che forse quei due ragazzi erano i primi esseri umani che vedeva dopo anni passati in solitudine.
 
 -Noi siamo dei viaggiatori che hanno bisogno di andare oltre il monte Fandulos- disse Taishiro.
 -Oltre il monte Fandulos, hai detto?-.
 
Rise a quest’affermazione.
Poi li squadrò di nuovo, dall’alto in basso.
 
 -Oltre il monte Fandulos non si può andare-.
 -Perché?- chiese Pedro, sgranando gli occhi.
 -Entrate- disse l’elfo, con voce sommessa e fattosi improvvisamente serio.
 
Fuori si era fatto buio e il vento aveva cominciato ad ululare.















Note di Saeko:
mi sembra passata un'infinità da domenica, ultima volta in cui ho pubblicato. Il capitolo è un po' melenso, forse caotico. Al momento della prima stesura era un incredibile wall of text di descrizioni che sballotavano Taishiro e Pedro di qua e di là per la terra di Cilortuv, senza un vero e proprio scopo. Anyway, se cercate le prime menzioni di Malina, le trovate certamente nel capitolo 3 di questa storia; inizialmente avevo disseminato l'intero racconto di riferimenti a lei e persino la strega Kim ne parlava; ho deciso tuttavia di fare un cut off del personaggio e di presentarlo solamente ora alla fine, lasciando l'unica menzione ad inizio del racconto: il mondo di Cilortuv, per quanto fosse nell'aria che già si conoscesse come minimo la sua esistenza, per quanto non la sua ubicazione, è molto simile all'Isola che non c'è, anche se in sé contiene caratteristiche di più universi magici, per cui ho deciso di lasciarlo come chicca finale, così come i suoi "abitanti" tra cui appunto Malina. Nel prossimo capitolo la conosceremo, quindi aspettatemi per domenica.
Se a qualcuno interessa o lo trova più comodo per leggere, venerdì 28 febbraio ho aggiornato la storia anche sul mio account Wattpad (link: https://www.wattpad.com/story/209871367-historiae-il-viaggio-fantastico ).
Buon fine settimana, folks.

Saeko's out!
 

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Capitolo 43
*** Capitolo 43: Malina e il melograno della salvezza ***


Capitolo 43:
Malina e il melograno della salvezza
 
I ragazzi entrarono. Non sembrava proprio la casa di un elfo. Era piena di attrezzi da pesca, piume e archi. C’erano delle grandi bocce d’acqua e alcune piccole boccette di strani liquidi di tutti i colori. L’elfo, dopo aver acceso alcune candele, visto che stava calando il buio, li invitò a sedersi a terra assieme a lui.
 
 -Come vi chiamate?- chiese Taishiro.
 -Randolas è il mio nome-.
 -Perché dite che non si può andare oltre il monte Fandulos?-.
 -Perché io ci ho provato innumerevoli volte e non ci sono mai riuscito. Vedete, io vengo dalla Terra degli Elfi. Lì, almeno qualche secolo fa, avevano tutti paura di attraversare il monte Fandulos[1]. Così un bel giorno, io e i miei compagni Alberiel, Nithièl, Màralas e Runolis decidemmo di dimostrare che il monte si poteva attraversare e che oltre esso ci sarebbe stato un luogo incredibile, che sarebbe potuto appartenere per sempre al reame degli Elfi, a partire dalla Seconda Era in poi. Sei aquilotti del monte Morwek ci vollero accompagnare. Noi eravamo cinque ma un’altra aquila, una femmina volle unirsi a noi e disse che voleva essere cavalcata da me. Il suo nome era Konda. Così io cavalcai la bella Konda, un’aquila tutta bianca con tre piume d’oro ad adornarle il collo. L’aquilotto che vi ha accompagnato da me è suo nipote-.
 -Ma perché il suo manto è di colore castano scuro, con una macchia bianca sulla testa e tre piume d’oro?- chiese Pedro.
 -Perché la madre si è accoppiata con un’altra aquila di questo luogo-.
 
L’elfo strabuzzò gli occhi con sorpresa, come se non potesse credere che i due ragazzi non sapessero come funzionasse la genetica. I due non si scomposero e rimasero in attesa che il loro ospite continuasse con il racconto; sembravano abituati a quel genere di cose. Randolas non aveva idea che ascoltare storie altrui era ciò che i due stranieri avevano fatto per un anno e più della loro vita, sino a quel momento.
Rimanendo un po’ sulle sue, l’elfo riprese a parlare:   
 
 -Comunque partimmo e volammo per due giorni e due notti. All’alba del terzo giorno arrivammo sul monte Fandulos. Lì il maltempo era presente anche sulle basse quote. Lo oltrepassammo e ci ritrovammo sempre sulle nostre montagne. Non capivamo. Man mano che scendevamo di quota, notavamo gli stessi monti conosciuti al di là del monte Fandulos, come se ci trovassimo dall’altro lato di uno specchio. Arrivammo qui, sullo stesso punto dei nidi delle Aquile, ma da questa parte non v’erano nidi di alcun genere. Io e Nithièl decidemmo di andare a controllare meglio quello che doveva essere il monte Fandulos. Arrivammo sulla valle del monte, dove stava piovendo. C’era una capanna e davanti alla porta c’era un melograno dorato. L’albero produceva una specie di barriera e la pioggia non riusciva a passare oltre, lasciandolo asciutto e rigoglioso. Bussammo alla porta. Da dentro una voce femminile ci disse di entrare. Una volta dentro, una donna bellissima, con lunghi capelli corvini e due occhi neri e profondi come pozzi ci offrì del tè. Ci chiese chi fossimo e noi le raccontammo la nostra storia. Ci disse che una volta che avessimo attraversato il monte, non saremmo più potuti tornare indietro. Lei ci aveva provato un paio di volte ma non c’era riuscita. Così aveva costruito la sua casetta lì e fatto crescere il seme di melograno che si era portata dietro da un regno oltre la Terra degli Elfi-.
 -Quale regno? Questa donna è umana?- chiese Taishiro.
 -Non siamo riusciti a capirlo nemmeno noi. Lei è certamente una donna umana, ma oltre la Terra degli Elfi c’è il mare e poi la Terra di Mezzo e lei asseriva di non provenire da nessuna di queste. Non idea di quale sia il suo regno- convenne l’elfo.
 
Poi proseguì con il racconto, schiarendosi la voce:
 
 -La ringraziammo e volammo più veloci del vento per dare la notizia agli altri. Nessuno di noi le credeva, per cui provammo diverse volte a passare oltre il monte Fandulos, ma senza risultato. Màralas e Runolis allora decisero di costruire una nave per provare ad andare per mare; forse sarebbero giunti in una nuova Terra di Mezzo, la terra dei nostri avi. Ci misero un mese, ma alla fine la nave era pronta. Runolis andò dalla ragazza del monte insieme a Nithièl per chiederle dove potevano trovare una ciurma. La ragazza disse che avrebbe trasformato alcuni dei frutti del suo albero in uomini di fiducia e che al giorno della partenza li avrebbero aspettati sulla spiaggia. E mantenne la parola. Cinque giorni dopo, all’alba, l’equipaggio era lì ad aspettare Màralas e Runolis. Ci salutammo con un abbraccio e li vedemmo salpare mentre il sole saliva sempre di più. Le aquile che li avevano accompagnati li seguirono per un pezzo sul mare, finchè non scomparvero all’orizzonte. E così rimanemmo io, Alberiel e Nithièl-.
 
L’elfo fece una pausa, sospirando. Per Pedro e Taishiro era l’elfo più atipico che avessero mai incontrato; sia quando erano stati nella Terra degli Elfi che in Alagaësia, nessun elfo con cui avevano avuto a che fare aveva mai mostrato molto le proprie emozioni; Randolas invece non faceva altro che perdersi nei suoi sentimenti, mentre ricordava l’incredibile avventura che lo aveva portato sino a lì. Era come se non aspettasse altro che qualcuno a cui raccontare la sua vita.
 
-Non ho nemmeno idea di che fine abbiano fatto Màralas e Runolis; nessuna lettera mi è stata mandata, per farmi sapere della loro sorte. Penso che abbiano finito i loro giorni in mare.
Decidemmo noi tre, ad ogni modo, di esplorare il mondo che ci si presentava davanti. Visitammo il castello diroccato sulla scogliera, le lande dei draghi, il lago dei fiori, la foresta, e la spiaggia. Ma non trovammo un solo abitante, eccetto draghi, pesci, qualche uccello e un orso. Arrivò l’inverno e Alberiel si ammalò. Lui era il più anziano della compagnia che partì per andare oltre il monte Fandulos. Non sapevamo come curarlo, le nostre arti non bastarono; il male che aveva sembrava far parte solo di questo mondo. Allora Nithièl disse che avrebbe provato a chiedere alla dama del monte. Così partì sul dorso della sua aquila e per quattro giorni non lo vidi e non lo sentii. Al tramonto del quarto giorno tornò con una melagrana e disse che quella fanciulla gli aveva dato quel frutto da far mangiare ad Alberiel. Dopo che Alberiel se ne fu nutrito, il malanno che lo teneva costretto al giaciglio da quasi un mese gli passò e tornò a essere quello di sempre. Purtroppo era successo qualcosa a Nithièl quando era andato dalla fanciulla da solo. Glielo avevo letto negli occhi nel momento in cui era tornato. Ogni volta che toccava a lui il turno di andare a prendere del cibo, tornava sempre più smagrito e smunto. Un giorno gli chiesi cosa aveva e lui mi disse: “Mi sono innamorato. Quella fanciulla del monte deve essere mia. Quando sono andato da lei per Alberiel sono stato così bene. Pensa, ho assaggiato una delle sue melegrane per essere sicuro che non fosse un trucco e ho scoperto che erano dolcissime. Sono quasi sempre tornato da lei e ho passato momenti bellissimi. Pensa che per la prima volta mi sento amato da una donna”. Il povero Nithil aveva mangiato uno dei suoi frutti magici e, essendo sempre stato sfortunato in amore, doveva essere stato ammaliato da quella donna. Per un anno però non si spostò mai dalla capanna perché doveva riprendere il suo aspetto, perché era dimagrito a tal punto da non riuscire più a camminare. Quando si fu ripreso disse che avrebbe sposato la dama del monte, sebbene essa fosse donna e non elfa, e disse anche che sarebbe andato a chiederglielo. Per una settimana non tornò. All’inizio della seconda settimana tornò con la sua aquila e con la fanciulla, tutta vestita di bianco. Si sposarono proprio qui e fu Alberiel ad unirli in matrimonio secondo i dettami della cultura elfica. Subito dopo la cerimonia, Nithièl volò via con la sua sposa e non tornò più. Un giorno decisi di andarlo a trovare. La dama del monte mi aprì alla porta e mi invitò ad entrare. Mi disse che il marito era molto malato e che  neanche lei, con i suoi frutti e con le sue arti magiche, riusciva a guarirlo. Scostò le tende di tulle di un letto e vidi il mio amico bianco in volto. Mi riconobbe appena, ma mi disse che nonostante la malattia era felice perché aveva accanto una donna che lo curava. Io e la dama del monte uscimmo fuori dalla casa e lei mi disse: “Nithièl purtroppo si è ammalato perché, quando venne qui per prendere un frutto per il vostro compagno, ne rubò un altro e lo assaggiò. Quei frutti non devono assolutamente essere mangiati da una persona non ammalata. Me lo disse quando ho provato dargli un frutto per guarirlo. Ha urlato quando lo ho aperto.” Mi chiese se potesse prendere un goccia del mio sangue per completare una pozione-esperimento per guarire il marito. Io mi punsi con una spina di alcuni rovi che erano cresciuti nello spiazzo della casa e feci cadere una goccia del mio sangue nel palmo di lei. Mi disse che mi avrebbe mandato una missiva per dirmi se avesse funzionato o meno-.
 
Randolas fece un’altra pausa e sembrò sul punto di scoppiare in lacrime. Taishiro e Pedro lo ascoltavano rapiti, senza essere in grado di spiccicare una parola. Come si cura qualcuno che è totalmente perso nei ricordi e nelle perdite del passato?
 
 -Non funzionò. Mi mandò un pezzo di pergamena più o meno una settimana dopo quell’incontro, dicendomi che Nithièl era morto. Mi disse che avrebbe voluto un funerale, ma il suo corpo era svanito dopo aver esalato l’ultimo respiro. Mi disse anche che Nithièl mi salutava e che il mio sangue lo aveva rinvigorito nella sua ultima settimana di vita. Così rimanemmo solo io e Alberiel. Tre anni dopo la morte di Nithièl, Alberiel uscì di notte. Aveva preso questa strana abitudine da quando era morto il nostro amico. La mattina non lo vidi nel suo giaciglio, così andai a cercarlo. Trovai il suo cadavere vicino ad una caverna. Aveva segni di morsi ovunque. Dalla caverna uscì l’orso che avevamo avvistato la prima volta che avevamo esplorato questo posto. Capii in un attimo che era stata la bestia a uccidere il mio ultimo compagno e, estratta la spada che portavo al  mio fianco, trafissi l’orso senza pietà. Noi elfi in realtà non dobbiamo né possiamo uccidere gli animali, poiché sono nostri compagni e perché viviamo in totale comunione con la natura. Ma in quel momento ero accecato dalla rabbia e da quando sono arrivato in questo luogo così strano, la mia indole è cambiata. Per la prima volta in vita mia avevo agito di impulsività. Anzi, per la seconda. La prima volta è stato quando, con i miei compagni, avevo deciso di venire qui. Bruciai il corpo dell’orso e pregai. Celebrai il funerale di Alberiel da solo. E vivo da solo da decenni, sebbene questi anni non siano niente in confronto ai due secoli passati qui. Ancora mi sento strano a pensare che Nithièl se n’è andato in poco meno di due settimane, che Màralas e Runolis sono svaniti al di là del mare e che Alberiel è morto ucciso da un orso; sono due secoli che non ho notizie della Terra degli Elfi. Le aquile dei miei compagni fuggirono oltre il mare dopo la morte di Alberiel. Rimasero solo Konda e l’aquilotto che portava i bagagli a farmi compagnia-.
 -Che storia triste- si lasciò sfuggire Taishiro.
 -Davvero- convenne Pedro.
 -Sarà anche triste, ma è la mia storia. E ora, come vi ho raccontato, non si può andare oltre il monte Fandulos. Cosa intendete fare?- chiese Randolas.
 -Avete mai scoperto il nome della dama del monte?-.
 -No. È tanto tempo che ci conosciamo ma non le ho mai chiesto come si chiami in realtà. Forse Nithièl lo aveva scoperto, ma non me lo disse mai. Ora che ci penso, è un sacco di tempo che non vedo più la dama del monte-.
 -Potreste accompagnarci da lei?- chiese Pedro, mentre si torceva un poco le mani dal nervosismo.
 -Ma certo-.
 
Decisero di passare la parte restante della notte riposando nella capanna dell’elfo e il mattino seguente si alzarono alle prime luci dell’alba. Caricarono i pochi bagagli di Randolas e quelli dei ragazzi sull’aquilotto, nipote dell’aquila bianca. I due tsagumini chiesero all’elfo perché anche lui portasse dei bagagli; Randolas rispose che sentiva che forse era giunto il momento di tornare a casa. Il vecchio elfo salì su Konda, l’aquilotto si affiancò alla nonna e fece un verso in direzione della madre, mentre un’altra aquila marrone si affiancava a loro e permetteva ai ragazzi di salirle in groppa. Gli animali spalancarono le ali e spiccarono il volo.
 
Per due giorni volarono su quei monti. Al tramonto del secondo giorno arrivarono alla casa descritta da Randolas, nella valle poco prima delle pendici del monte Fandulos. Atterrarono e bussarono alla porta che si aprì quasi subito. Comparve una donna dalla pelle scura, con i capelli neri e lunghi, striati ormai di grigio, e occhi profondi e neri come l’ebano; indossava un abito costituito da una tunica bianca coperta da uno scialle color porpora, mentre la frangia era tirata indietro da una fascia per capelli dorata. La donna riconobbe Randolas e lo abbracciò.
 
 -Amico mio, sei tornato a trovarmi!-.
 -Chiedo scusa per la mancanza, mia dama-.
 -Chi sono i tuoi accompagnatori?-.
 
Gli occhi della donna erano volati immediatamente sui due ragazzi, avvertendo qualcosa che li concerneva.
 
 -Sono...-.
 -No, aspetta non dirmi niente. Sarete stanchi per il viaggio. Ho ancora qualche cosa della cena e poi dovete riposare. Mi direte tutto domani-.
I tre dormirono nella sua casa quella notte e solo l’elfo mangiò, poiché i due stranieri non avvertivano la fame. Il giorno dopo, Randolas raccontò tutto alla dama del monte e Pedro e Taishiro fecero lo stesso.
 
 -Chiedo scusa- disse Taishiro, dopo che ebbero raccontato tutto ciò che la riguardava –Ma voi come vi chiamate?-.
 -Il mio nome è Malina-.
 -Ma siete la persona che stavamo cercando!- esclamò Pedro, finalmente accertando le sue ipotesi.
 -Cosa?- disse Randolas.
 
I due amici, dopo aver raccontato velocemente la motivazione del loro viaggio e rammentato per sommi capi come erano giunti sin lì, spiegarono ciò che avevano scoperto leggendo la lista dei nomi dei paesi che avevano con loro, tanto che la mostrarono alla donna. E Malina disse loro che avrebbero potuto prendere tutti i frutti che avessero voluto. Poi si rivolse a Randolas.
 
 -Ho visto che sei venuto qui con le aquile del primo viaggio e la loro ultima prole. Hai intenzione di riprovare a tornare nella Terra degli Elfi?-.
 -Sì, mia dama-.
 -Oh, avanti, chiamami con il mio nome!-.
 -Malina. Voglio riprovarci. Sento che questa volta ci riuscirò-.
 -E hai ragione di crederlo, mio amico Randolas. Quando questi ragazzi ripartiranno per tornare alla loro terra, il varco con la Terra degli Elfi si aprirà. Ma solo per dieci minuti, quindi non indugiare-.
 -Malina, torna con me-.
 -No, non posso-.
 -Ma hai detto che hai provato a tornare tante volte a casa e non ci sei riuscita-.
 -Era mia madre che veniva dal Regno oltre la Terra degli Elfi. Mio padre invece era un umano che veniva da oltre il mare. Purtroppo mio padre morì quando ero piccolina e non avendo mai sentito parlare della sua terra, perciò ho sempre preferito cercare il luogo dove voleva tornare mia madre. Io, in realtà, sono nata qui e questa è casa mia; ho imparato le arti magiche in questa terra, da sola, imparando tutto ciò che potevo imparare dai sussurri della natura-.
 -Ma non avrai un’altra occasione del genere-.
 -Lo so-.
 
Gli occhi scuri della donna brillarono enigmatici, mentre si sistemava al meglio la ciocca di un capello dietro l’orecchio.
 
 -E allora perché non vuoi venire?-.
 -Randolas, qui i miei genitori si sono incontrati, qui mio padre è morto a causa dell’orso che tu hai ucciso, qui mia madre è morta di vecchiaia, crescendomi, qui ho incontrato e qui è morto mio marito. Ed è qui che io voglio morire-.
 -Ma, Malina...-.
 -No, Randolas. Non verrò. Ma sappi che conserverò per sempre il ricordo della nostra amicizia- e così dicendo, Malina abbracciò l’elfo.
 
Poi fece segno ai ragazzi di seguirla fuori. Una volta davanti alla porta Malina raccolse una melagrana e la porse a Pedro dicendo:
 -Questa è la melagrana della salvezza. Devi farla mangiare a tuo padre, il primo contagiato. Ora, voi mi avete riferito che nonostante l’isolamento quasi tutto il villaggio è stato contagiato-.
 -Sì-.
 -Bene, dovete conservare un solo seme di melagrana. Una volta tolto dalla buccia il seme diventerà subito un altro frutto. Datelo al secondo contagiato, conservando l’ultimo seme. E così via, così discorrendo. Dovete chiedere sempre chi è contagiato subito dopo. Deve esserci la precedenza numerica. Ricordatevelo sempre, anche quando dovrete guarire coloro che si trovano al di fuori del vostro villaggio-.
 
Dopo che ebbe fornito i ragazzi di una quarantina di frutti, che una volta staccati dai rami, ricrescevano istantaneamente, chiamò Ranfolas e gli disse di portare i ragazzi sulla cima del monte Fandulos. Lì avrebbe evocato per la penultima volta la Luce Viola. I ragazzi dovevano passarci in mezzo stringendo entrambi l’Ilv. Subito dopo si sarebbe aperto un varco per tornare alla Terra degli Elfi.
 
 -Sei sicura di non voler venire?- chiese di nuovo Randolas a Malina, per l’ultima volta.
 -Sì, amico mio- e si abbracciarono ancora una volta.
 
Poi Randolas, Pedro e Taishiro salirono sui dorsi delle aquile e si alzarono in volo. Arrivarono alla cima del monte Fandulos, dove già brillava la Luce Viola, in attesa che i nostri due protagonisti arrivassero. I ragazzi scesero dall’aquila, strinsero l’Ilv entrambi, salutarono Randolas e passarono in mezzo alla Luce. Mentre svanivano, una forte corrente si aprì al di là del monte. Ranfolas gettò un ultimo sguardo alla casetta a valle. “Giuro che una volta dall’altra parte, farò di tutto per venirti a prendere” pensò e attraversò il varco con un sorriso malinconico; il varco si chiuse alle sue spalle e lui tornò nel bosco della Terra degli Elfi, da cui duecento anni prima era partito con la sua compagnia; non conosceva gli eventi che avevano attanagliato la sua terra e la Terra di Mezzo. Decise che non avrebbe continuato come all’inizio del suo viaggio.
No.
Avrebbe iniziato da capo.




 
[1] Randolas è un elfo proveniente da un epoca ancora mitica e molto antica rispetto agli eventi tenutisi durante il racconto della storia de “Il Signore degli Anelli” di J.R.R. Tolkien.












 


Note di Saeko:
e finalmente siamo giunti alla cura del morbo indotto dalla Grande Malattia! Mancano solamente due capitoli alla conclusione della storia, per cui immagino di concludere per la prossima domenica. Non pensavo sinceramente che avrei visto la fine di questa pubblicazione, e invece manca solamente una settimana!
Mi rendo conto che quanto riportato qui in merito agli archi cronologici del Signore degli Anelli potrebbe risultare molto discostante dalla realtà creata da Tolkien (e non solo dal punto di vista dei nomi dei personaggi o dei luoghi) per cui vi chiedo di prendere quanto scritto in questo capitolo come una libera interpretazione di quanto già raccontato nelle opere di Tolkien.
E dunque nulla, spero che qualcuno che abbia letto questo racconto sino a qui si sia per lo meno divertito, per cui vi aspetto il prossimo venerdì con il penultimo capitolo. Sono sempre aperta a critiche, in quel caso vi aspetto nella sezione recensioni.
Buon inizio settimana, un pensiero a tutti coloro che sono rimasti bloccati nelle zone rosse a causa del coronavirus. Passerà anche questa, may the force be with you!
Saeko's out!



 

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Capitolo 44
*** Capitolo 44: La primavera di Tabauni ***


Capitolo 44:
La primavera di Tabauni
 
Pedro e Taishiro si ritrovarono nel posto che aveva dato inizio al loro viaggio: a piedi sull’Erba Infinita, nella Terra del Mezzo. Erano arrivati poco lontani dalla casa della strega Kim e il cielo era illuminato dal sole caldo e ed era terso come non mai, forse più di quando erano partiti. Decisero di andare a trovare la strega, anche perché non sapevano come tornare a Tabauni. Si arrampicarono sulla parete di roccia della cascata che si trovava sotto la casa della strega. Taishiro scivolò, mettendo un piede in fallo su una pietra bagnata. Pedro l’afferrò saldamente, prima che potesse cadere.
 
 -Grazie-.
 -E di cosa?-.
 
Si sorrisero, arrossendo leggermente imbarazzati. Arrivarono sotto al punto in cui doveva trovarsi la casa. C’erano alcuni gatti che miagolavano, con il muso rivolto verso l’alto.
 
 -E se invece dei sassi questa volta usassimo i gatti?- chiese Taishiro, sistemandosi meglio il mantello di velluto nero reperito a Cilortuv.
 -E come facciamo? Ci mettiamo a lanciare gatti?- disse Pedro, sorpreso e incredulo.
 
Taishiro gli spiegò ciò che aveva in mente e Pedro si trovò d’accordo: era proprio una buona idea. Allora Taishiro, riportando alla memoria il poco che aveva imparato ad Hogwarts, pronunciò un incantesimo di levitazione, stendendo il dito indice della mano destra a mo’ di bacchetta.
 
 -Wingardium Leviosa- disse con voce decisa, roteando il polso in senso orario e puntando il dito contro un gatto nero e bianco. Pedro invece cercò di toccare la coscienza del gatto con la mente, come aveva imparato assieme ad Eragon e Arya nelle Pianure Ardenti. Prima lo calmò e poi gli ordinò di grattare la porta invisibile e chiamare più che poteva la padrona. Una volta che il gatto arrivò ad una certa altezza, iniziò a grattare una porta invisibile, che comunque, al tocco delle unghie feline, produceva lo stesso rumore di una normalissima porta di legno. Dopo poco comparve ai ragazzi la casetta con tanto di comignolo. La porta si aprì e il gatto entrò dentro. Una vecchia era sulla soglia e fissava i due nuovi venuti con stupore e commozione. Gettò una scaletta di corde e disse semplicemente:
 
 -Salite-.
 
I ragazzi si guardarono alzando le spalle e salirono. Una volta dentro la casa, Kim ebbe una specie di sussulto. Sembrava che trattenesse le lacrime.
 
 -Sono contenta che siate tornati- disse infine –Temevo che non vi avrei più rivisti-.
 -Ora siamo tornati- disse Pedro, rivolgendole un sorriso amichevole.
 -E con il frutto della salvezza. Anzi, con più d’uno- completò Taishiro indicando la sacca rigonfia che Pedro portava sulle spalle.
 -In quella sacca avete davvero il “frutto della salvezza”?- chiese Kim, allargandosi in un sorriso di gioia.
 -Sì. Perché ce lo chiedi?-.
 -Perché tutte le streghe che si rispettino conoscono la leggenda del frutto della salvezza e di Malina, anche se nessuno è riuscito mai ad arrivare al luogo ove risiedesse la strega sempregiovane; nessuno è mai riuscito a comprendere se Malina fosse una leggenda o meno o quale tipo di frutto fosse il frutto della salvezza-.
 -Allora noi lo abbiamo scoperto- disse Taishiro, annuendo.
 
Pensò al fatto che Malina non fosse proprio giovanissima, visti le sporadiche ciocche capelli grigi che si mescolavano a quelli neri e le rughe che cominciavano a formarsi sul suo volto. Forse, stava cominciando a lasciarsi invecchiare di sua spontanea volontà.
 
 -Ora sedetevi e raccontatemi tutta la vostra avventura, mentre preparo il tè- disse Kim.
 
Tre bollitori di tè e due ciotole di biscotti alla cannella dopo, i ragazzi finirono di raccontare e pensavano che per un po’ non avrebbero più bevuto tè o mangiato biscotti.
 
 -Ora penso che abbiate l’urgenza di tornare a casa- affermò Kim, portandosi dietro l’orecchio una ciocca di capelli rossastra.
 -Sì- risposero all’unisono i due ragazzi.
 -Molto bene, allora. Prendetevi per mano e chiudete gli occhi. Pensate ad Acum e Whailida, i vostri due cavalli. Tra un poco vi ritroverete a cavalcare verso l’entrata di Tabauni-.
 
I ragazzi fecero come detto loro e non avvertirono nulla: né una sensazione di risucchio all’ombelico, né uno spostamento d’aria. Sembrava che Kim li stesse fissando e si stesse prendendo gioco di loro.
 
 -Ora potete aprire gli occhi- affermò poi la voce di Kim.
 
I ragazzi spalancarono le palpebre. Erano sui loro cavalli (non si erano nemmeno accorti di essere stati trasportati sulle loro groppe) e stavano avvicinandosi a Tabauni. La strega Kim era con loro, su un cavallo color miele. Era passato un anno e mezzo circa dalla loro partenza e in quel momento a Tabauni si stava avvicinando la primavera. Il freddo inverno volava via da quelle terre, lasciando dietro di sé il profumo dei fiori e la freschezza dell’aria mite. Pedro adorava la primavera di Tabauni.
 
 -Come mai sei qui con noi?- chiese Taishiro a Kim, osservando la strega e i bagagli posati sulla groppa del cavallo assieme a lei.
 
Improvvisamente non sembrava più vecchia come l’avevano incontrata. Le rughe erano sparite dal volto, i capelli erano tornati di un bel rosso vivo. Gli occhi chiari brillavano di una nuova luce; i ragazzi strabuzzarono gli occhi, esterrefatti. La strega doveva avere la stessa età di Ryuso ed evidentemente il fatto che fosse stata una vecchia fino a poco prima doveva essere un camuffamento ad ulteriore protezione dal nemico.
 
 -La Grande Malattia è distrutta. Ora non ho più motivo di nascondere né il mio aspetto, né la mia locazione. Ho trasferito per magia le mie cose più pesanti a casa di Ryuso. Questa volta non mi impedirà di vivere con lui!-.
 
Una donna che si riprendeva la sua vita e il suo amore, ecco cos’era.
Entrarono nel villaggio. Una figura scura corse loro incontro: era Ryuso. Sembrava malato e smunto, la barba era sfatta, ma lui felice. Li raggiunse, si fermò e li guardò con le lacrime che gli scivolavano sulle guance.
 
 -Ce l’avete fatta-.
 
Si vedeva lontano un miglio l’incredulità mista a felicità, sul volto di quell’uomo, di quello stregone invecchiato di secoli in poco più di un anno.
 
 -Sì, ma adesso non c’è tempo- disse Taishiro e Pedro gli spiegò velocemente la faccenda del frutto.
 
Ryuso prese la sacca con le melagrane e corse a riferire a Matishia, il dottore.
In poco meno di quattro giorni tutti gli abitanti del villaggio furono guariti e ristabiliti completamente; in due settimane riuscirono a far reperire le melagrane al resto della Terra di Tsagumi, in quattro la cura arrivò nel Principato di Tukumi e nelle Terre di Kotobuni.
Era quasi la fine delle idi di primavera e decisero di festeggiare l’impresa dei due ragazzi. Più in là con gli anni, il giorno delle idi a Tabauni divenne il giorno della Festa della Guarigione, in memoria di ciò che fecero Pedro e Taishiro, festeggiati in tutta la Terra di Tsagumi. Le effigi dei loro pugnali, l’aquila e il drago, divennero il simbolo di Tabauni e la loro avventura, quella di Pedro e Taishiro, divenne leggenda.
 
Ma ciò accadde solo qualche secolo dopo la loro morte.
 
Il padre di Pedro, finalmente in grado di rimanere cosciente, di parlare lucidamente e di stare saldamente sulle sue gambe, la sera della festa, che fu più gloriosa del Giorno della Civetta, dichiarò che si sarebbe ubriacato a dovere per la prima volta in vita sua, pur di festeggiare il figlio.
 
 -No, padre, ti prego. Sei appena guarito e vuoi subito farti del male- disse Pedro, con un sguardo assai preoccupato; tutti scoppiarono a ridere e la festa si animò ancor di più.
 
Festeggiarono fino a notte fonda. Ad un certo punto Taishiro prese Pedro per un braccio e lo trascinò con sé in un punto riparato da orecchie indiscrete.
 
 -Dimmi tutto, dolcezza- disse Pedro, mezzo brillo, ma altrettanto lucido.
 -Ti rendi conto che noi due non abbiamo festeggiato il nostro compleanno per un anno?-.
 -È vero-.
 -Domani è il giorno del tuo compleanno!-.
 -Hai ragione, giusto-.
 
Rideva in maniera poco controllata, mentre parlavano.
 
 -Se ne ricorderanno?-. Taishiro invece era così cosciente di quello che diceva che aveva la sensazione che il ragazzo non la stesse ascoltando.
 -Penso di sì. E di te si ricorderanno? Si ricorderanno che il primo giorno dell’estate fai venti anni?-.
 -Sì, credo di sì. Ti rendi conto che non abbiamo festeggiato i tuoi diciotto anni?-.
 -Sì, ma non importa-.
 -Come non importa?! Quando li ho festeggiati io mi dicesti che anche tu volevi una bella festa per il passaggio all’età adulta!-.
 -Già. Ma ora non è poi così importante, almeno non adesso. Ora ho il più bel regalo del villaggio!-.
 -E cioè?-.
 -Te-.
 
Le scoccò un bel bacio a stampo sulle labbra, ridendo.
Taishiro sorrise. Si baciarono ancora, imparando cosa significasse appartenersi l’uno all’altro tramite il gesto di un semplice bacio.
 
















Note di Saeko:
in questa prima settimana di quarantena in tutta Italia, io pubblico il penultimo capitolo di questa storia, in cui tutti sono ormai felici e guariti dal morbo.
Spero davvero possa accadere anche per noi, il prima possibile.

Saeko's out!

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Capitolo 45
*** Capitolo 45: Addio malattia, benvenuta felicità ***


Capitolo 45:
Addio malattia, benvenuta felicità
     
Il giorno dopo la festa, mentre il frutto della salvezza veniva fatto circolare per tutta la Terra di Tsagumi, in modo da poter portare la cura dalla Grande Malattia ovunque, Pedro si svegliò nel suo letto, a casa sua. Aprendo gli occhi, fissò il soffitto di legno della sua stanza, mentre una tenue luce biancastra veniva dalla finestra; il sole si era appena alzato e la sua luce rendeva tutto nella stanza leggermente etereo. I fumi dell’alcol del giorno prima avevano avuto uno strano effetto su di lui, per cui la stanza sembrò ruotare attorno al suo letto; gli ci volle un minuto di più per ristabilire l’equilibrio.
Per un attimo pensò che tutto quello che era successo in quell’ultimo anno e mezzo fosse stato un sogno.
Se così fosse stato, aveva ancora diciassette anni ed entro una settimana sarebbe arrivata la festa del Giorno della Civetta. Uscì fuori dalla sua stanza e ricordò che in realtà quel giorno era il giorno del suo compleanno, il giorno dopo il loro ritorno a Tabauni: vide ancora la tavolata della festa della sera prima fuori dalla finestra, proprio davanti a casa sua – che si trovava accanto a quella di Taishiro, motivo per cui si era deciso di rendere il vicolo ove si affacciavano le loro abitazioni come centro dei festeggiamenti.
Quel giorno compiva diciannove anni.
Aveva trovato il padre Gerard seduto sulla poltrona di legno del loro portico, la mattina di quel giorno così irreale eppure così vero.
 
 -Auguri, figlio mio- aveva detto Gerard, sorridendo attraverso i fumi della sua pipa.
 -Grazie, padre-.
 -No. Sono io a doverti ringraziare. È tutto il villaggio a doverti rendere onore. E così tutta la Terra di Tsagumi. Grazie, a te e a Taishiro. E oggi compi diciannove anni. Giuro che quando ero malato, in quei pochi momenti di lucidità che il morbo mi concedeva, pensavo che sarei morto prima di veder arrivare questo giorno. Oggi festeggeremo non solo i tuoi diciannove anni, ma anche i tuoi diciotto e il tuo passaggio all’età adulta-.
 
Pedro aveva abbracciato forte il padre. Finalmente si sentiva a casa.
 
Quella giornata fu una delle più felici che visse fino a quel momento, inconsapevole che ne avrebbe vissute altrettante altre. Avevano festeggiato tutto il giorno e, dopo il tramonto, lui e Taishiro avevano fatto una passeggiata per il bosco che affiancava il villaggio-capitale a sud. C’era la luna piena quella sera.
Quel mattino in cui si era svegliato credendo che tutto fosse stato un sogno, sembrava passato in un attimo.
I due ragazzi non avrebbero potuto tenere nascosto a lungo alle loro famiglie ciò che era successo tra loro durante il viaggio. Certo, avevano raccontato mille e altre volte la storia del loro viaggio, ma non avevano detto niente di loro; almeno sino a quando Taishiro compì vent’anni.
Pedro quella mattina pensò di dirlo al padre. E nello stesso momento, Taishiro si svegliò e ritenne opportuno anche lei di informare la famiglia sulla sua situazione sentimentale; fino ad allora nessuno (tranne forse Ryuso) si era accorto del profondo cambiamento avvenuto nella relazione dei due, poiché erano sempre stati assieme sin da bambini e, agli occhi di tutti, il loro comportamento non era poi tanto cambiato da quando erano partiti.
Un anno dopo il loro ritorno a Tabauni, si sposarono. Fu una cerimonia deliziosa, la loro, e tutti si divertirono come non mai, mangiarono abbondantemente, come se fosse stato il Giorno della Civetta e celebrarono la nuova unione con grandi speranze. Alla sera decisero di spostarsi da sguardi indiscreti e tornarono nel bosco. Lì parlarono a lungo del loro futuro insieme.
Decisero che un viaggio di nozze era d’obbligo, e, siccome uno solo non ne era bastato, furono d’accordo che le loro nozze sarebbero state festeggiate viaggiando attraverso i mondi magici già visitati per incontrare nuovamente tutti i loro amici e salutare tutte le persone che avevano aiutato.
Il mattino seguente lo comunicarono a Ryuso, che, insieme a Kim, rifece l’incantesimo dell’Ilv e li spedì direttamente nella Terra del Mezzo, sul cuscino di andata verso Ashby, il primo universo che avevano visitato. Così viaggiarono di nuovo e vissero altre fantastiche avventure, rivedendo lietamente tutti i loro amici e incontrandone di nuovi. Ma non solo. Scovarono altri luoghi magici e misteriosi, tutti da scoprire e da aiutare. E tutti oltre il mare della terra di Cilortuv.
Ma questa... Beh, cos’è questa?
Questa è un’altra storia.                                   
  
 
 
 
 
 
Fine




 

























Postfazione e ringraziamenti di Saeko_san
 
Quando per la prima volta ho avuto l’idea di creare una storia che potesse unire assieme tutti i romanzi fantasy dei quali ero appassionata, avevo dieci anni; scrissi la prima bozza di ciò che avete letto sin’ora su una vecchia macchina da scrivere che avevo per caso trovato nell’ufficio dei miei genitori e che stranamente era ancora funzionante.

La bozza prevedeva due ragazzi, un maschio e una femmina, amici per la pelle (già al momento dell’ideazione, i due ragazzi portavano il nome di Pedro e Taishiro, anche se il cognome del ragazzo era Spunk e non Lahir), che all’improvviso decidevano di viaggiare attraverso tutti i mondi magici sino a trovare il mondo “finale”, quello che potesse raccogliere le caratteristiche di tutti gli universi di cui ero innamorata da bambina; il nome di questo luogo fantastico lo creai quella sera, sul momento, mettendo insieme tutte le lettere non presenti come iniziali delle varie realtà che avevo considerato, per cui venne fuori la parola “Cilortuv”. Il titolo della bozza – e quindi del successivo manoscritto – in quel momento era solamente Il viaggio fantastico.

Questa bozza rimase senza sviluppo per quasi un anno, quando decisi di aggiungere un elemento scatenante che potesse giustificare il viaggio improvviso dei due protagonisti: fu così che mi venne in mente di creare la “Grande Malattia”, che nella prima stesura del racconto era solo ed esclusivamente un virus potentissimo che richiedeva una cura particolare non presente nel villaggio di partenza (all’epoca si parlava di un solo villaggio, non di un’intera “nazione”).

Scrissi la storia per quasi due anni, poi, dopo aver compiuto dodici anni, mi stufai e non buttai giù nemmeno una parola per quasi un intero anno; all’epoca molte delle saghe da me cominciate (tra cui Harry Potter) non si erano ancora concluse, per cui molti particolari li inventai di sana pianta – d’altronde, cos’altro può fare una ragazzina delle medie con una scarsa capacità stilistica, se non inventare? -, fino a quando esaurii l’ispirazione e il documento rimase incompleto sul mio portatile (di quelli vecchi, grossi, che facevano un sacco di rumore solo ad accenderli). Solo dopo aver compiuto tredici anni, l’ispirazione mi tornò in un pomeriggio verso la fine dell’estate, mentre ero rifugiata nella casa in montagna della mia famiglia e il sole stava tramontando: da quel momento, sino ai due mesi successivi, non feci altro che scrivere, trasformando la Grande Malattia in un mago potentissimo e creando la bozza finale del mondo della Terra di Tsagumi. Conclusi il racconto che avevo cominciato l’ultimo anno delle medie da un paio di mesi e mi apprestavo a cominciare la preparare l’esame di terza media.

Per qualche tempo, la storia così com’era rimase sepolta in una cartella del mio vecchio pc, per poi essere trasferita su diverse chiavette usb ogni volta che il computer (vecchio come non mai) aveva dei gravi malfunzionamenti. Quando ormai il mio primo pc mi abbandonò e trasferii tutti i miei file su uno nuovo di zecca, erano passati due anni dalla conclusione del racconto e avevo ormai cominciato il ginnasio; rileggendolo, mi resi conto che avrei cambiato molte cose, a partire dal titolo, che cambiai drasticamente in Historiae – visti i miei studi classici-, inserii un’introduzione (che tuttavia non ho intenzione di replicare) e corressi molti errori, di battitura e stilistici, fatti durante il mio primo periodo in cui il mio modo di scrivere era decisamente acerbo e infantile; ho ricorretto negli anni almeno altre tre volte il racconto, aggiungendo descrizioni di paesaggi, togliendone altre, inserendo descrizioni di emozioni (che inizialmente davo spesso per scontate), modificando alcune parti per meglio adattarle alle storie dei romanzi, che nel frattempo avevano concluso le loro saghe; non sono tuttavia riuscita mai ad eliminare del tutto quella patina infantile che la storia aveva, proprio perché scritta da un’undicenne che non sapeva dove fossero di casa le focalizzazioni e le descrizioni visive dei personaggi.

Nel frattempo ho scoperto altre realtà, che la porta di internet mi ha reso accessibili in qualsiasi momento: anime, manga, film, videogiochi in misura minore, erano finalmente alla mia portata, tutti i giorni. Da adolescente ho scoperto diversi siti e forum in cui venivano pubblicate storie originali e fan fiction (opere basate su opere già esistenti), fino a quando non mi sono imbattuta su Efp a diciassette anni e da allora non me ne sono più separata; ho scritto tantissimo da poco prima della maturità sino al primo anno di università, per la maggior parte fan fiction ispirate a manga, mentre i miei racconti originali rimanevano dimenticati in cartelle nascoste, o quasi: ero infatti molto restia a pubblicare ciò che avevo scritto quando altro non ero che una bambina ed ero gelosa di ciò che avevo creato.

Poi è arrivato un altro blocco dello scrittore, dovuto inizialmente alla scrittura di due tesi di laurea, attraversato da due importanti e dolorosissime perdite avvenute nella mia famiglia a pochi anni di distanza le une dalle altre: mio nonno e mia madre.

Sono finalmente arrivata al momento in cui ho deciso di rivivere ciò che ero e che mi aveva portato a sviluppare il mio amore per la scrittura; ho ripreso in mano questo piccolo romanzo, ho fuso i due titoli, dando vita a Historiae – Il viaggio fantastico e revisionato, corretto e modificato per l’ultima volta questo pezzo del mio passato, decidendo di darlo in pasto al mondo del web, anche per porre fine ad un’avventura che va avanti da quasi quattordici anni.

Questo testo è sia un “viaggio fantastico” che una raccolta di “storie” per cui, per la prima volta dopo anni, sono soddisfatta anche del titolo; mi rendo conto che l’opera non è ancora perfetta e probabilmente non lo sarà mai, ma per la prima volta mi sento soddisfatta delle conclusioni che ne ho tratto.

Ringrazio chiunque mi abbia letto sin qui, ringrazio i miei genitori, il mio compagno e soprattutto i miei nonni, a cui è dedicato il racconto: quando lo scrissi erano entrambi in vita, ora c’è solo mia nonna - lei ha letto questa storia e le sue svariate evoluzioni assieme al marito per anni; eppure, anche se mio nonno ha ormai passato il velo – come Sirius Black nel Ministero della Magia –, sento che mi osserva assieme a mia madre e che entrambi sono fieri di quanto sto facendo con me stessa.

Non potevo trovare conclusione più adatta di questa; spero che tutto ciò abbia un senso e che in qualche modo abbia fatto perdere il lettore nei meandri della mia fantasia, spesso contorta ma fonte di ispirazione per molti ambiti della mia vita.

Grazie per aver creduto.

 
 



 
 



 

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