Harry Potter e la profezia perduta

di Daniel_The White
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'estate sta finendo ***
Capitolo 2: *** Ritorno in Inghilterra ***
Capitolo 3: *** L'udienza - 1° parte ***
Capitolo 4: *** L'udienza - 2° parte ***
Capitolo 5: *** Un gelato a Diagon Alley ***
Capitolo 6: *** Un pomeriggio di Quidditch ***
Capitolo 7: *** In viaggio per Hogwarts ***
Capitolo 8: *** Il Cappello Parlante ***
Capitolo 9: *** Storia e Pozioni ***
Capitolo 10: *** Percorsi ad ostacoli ***
Capitolo 11: *** Nuovi Progetti - 1° parte ***
Capitolo 12: *** Nuovi Progetti - 2° parte ***
Capitolo 13: *** Difficili domande ***
Capitolo 14: *** Thestral e Cardigan rosa ***
Capitolo 15: *** Allenamenti e tomi proibiti ***
Capitolo 16: *** Sangue e domande ***



Capitolo 1
*** L'estate sta finendo ***


Una fresca brezza proveniente dal mare stava rinfrescando quello che altrimenti poteva essere tranquillamente il giorno più caldo di quell’estate del 1995, almeno che gli abitanti della baia di Hamilton potessero ricordare. La giornata stava volgendo al termine quando la calura estiva sembrò essere mitigata tutta a un tratto da una rapida brezza che, nel giro di una mezz’ora, crebbe spingendosi dalla baia  fino a spazzare le colline sassose ed i rilievi circostanti.

In una radura lì vicino Daniel tirò un sospiro di sollievo, lasciandosi accarezzare dolcemente da quel vento che gli toglieva di dosso non solo la calura della giornata ma anche quella di una bella scarpinata con i suoi amici, Blaise e Rachel, che si erano addormentati accanto a lui. Daniel sospirò strappando una pagliuzza e mettendosela tra i denti, mentre si ributtava sul prato a guardare il cielo rosso della sera che ogni tanto era attraversato da qualche gabbiano particolarmente intraprendente.

Daniel Nighingale era un ragazzo alto, di corporatura media, dai capelli ribelli castano scuro e gli occhi color nocciola, che in quel momento teneva chiusi, assaporando il tepore della sera. Era felice. Nella semplicità di una giornata passata all’aria aperta con i suoi migliori amici. Il nuovo anno scolastico era ancora lontano e questo gli permetteva, come diceva sua madre, di fare lo stambecco sui sentieri più impervi, fino a sfinirsi di fatica. Ma a Daniel non gli importava, lui era fatto così e per niente al mondo avrebbe cambiato la sua vita. Da figlio unico i suoi due amici erano la cosa a cui teneva di più al mondo, dopo sua madre. Amava Hamilton Bay e la Nuova Zelanda e l’aveva visitata quasi tutti, zaino in spalla, cappello a tesa larga e pantaloncini sotto al ginocchio.

Girandosi un attimo di lato vide la mano leggermente paffuta di Rachel cercare nel sonno quella di Blaise; Daniel sorrise. I suoi amici erano già una coppia anche se nessuno dei due se ne era ancora accorto. Pur molto diversi di carattere si completavano spesso a vicenda ed anche nei momenti peggiori erano sempre stati vicini. Daniel provò un sentimento di invidia: sapeva bene che il carattere era forse il maggiore dei suoi problemi nel trovarsi una ragazza ma scacciò quei pensieri dalla mente mentre con gli occhi aperti fissava il volo di un gabbiano sopra di lui. Alle volte gli sarebbe piaciuto volare lassù con loro con la sua scopa, anche se sapeva che, se ci avesse anche solo lontanamente provato, sua madre l’avrebbe fatto dormire fuori all’addiaccio per minimo una settimana.

Dopo qualche minuto la stanchezza ebbe la meglio e Daniel scivolò lentamente in un sonno dapprima tranquillo ma che poi lo riportò indietro fino ad un ricordo che aveva cercato di dimenticare.

Il rumore di un tuono lo fece trasalire, sentì su di sé l’umida pioggia fredda ed il rumore di passi frettolosi, prima di rendersi conto di essere trasportato di peso da una figura alta e massiccia, ansimante. Rumore di molti altri passi echeggiavano attorno a lui. Si trovava in un giardino, tra due filari di siepi sotto un violento temporale. All’improvviso il rumore di qualcosa di pesante che si sgretolava alle sue spalle lo fece trasalire ed un lampo di luce verde lo spinse a guardare in altro dietro di lui. Il terrore lo colpì come cento stilettate al cuore mentre vedeva, sulla torre est di quella che un tempo aveva chiamato casa, una figura perdere lentamente l’equilibrio, un braccio proteso leggermente in avanti con la bacchetta che gli scivolava dalle mani al rallentatore e la schiena inarcata al contrario proprio quando un'altra figura alta torreggiava sopra di lui e lo spingeva giù dalla torre.

NOOOOO!!!!!  

Un urlo lancinante riportò Daniel nel mondo dei vivi. Sì alzò di scatto tanto da non vedere Blaise che gli scuoteva il braccio preoccupato e i due si tirarono un bella zuccata l’uno contro l’altro.

“Ahia!” gridarono all’unisono Daniel e Blaise.

“Che cavolo ti prende amico?” gli chiese il ragazzo alto e magro al suo fianco, massaggiarsi la fronte sotto la folta chioma di capelli corvini. “Sembravi come in coma. Non riuscivamo quasi a svegliarti...che ti succede?”

Daniel rimise a fuoco il mondo rimettendosi a sedere con la schiena diritta, massaggiandosi la fronte con la mano destra. Ancora aveva la vista annebbiata ed era madido di sudore, un sudore freddo, inusuale per quella calda sera d’estate.

“Era quel ricordo Blaise, ero in Inghilterra a casa mia quella maledetta notte, quando...quando...” disse Daniel recuperando piano piano le vista e sentendosi un tumulto dentro che gli si estendeva fino alla bocca amara impastata e che gli faceva salire il vomito in bocca. Erano ormai diversi anni che quell’incubo non lo tormentava più.

“Quel ricordo Daniel?” disse Rachel preoccupata porgendogli un fazzoletto per asciugarsi ed una bottiglietta d’acqua.

“Tieni” disse la ragazza sinceramente preoccupata.

“Erano tre anni che non pensavo più a quella maledetta notte di quando mio padre è stato ucciso” disse Daniel asciugandosi la fronte.

Quella sensazione di paura mista ad orrore che per diversi anni era riuscito a ricacciare indietro sembravano essere riemerse con forza dall’antro della sua mente, dove era riuscito dopo molti anni a confinarle; per troppo tempo si era svegliato nel cuore della notte urlando immaginandosi quel ghigno, il Signore Oscuro che uccideva suo padre e lo buttava giù dalla torre est, mente suo nonno e sua madre lo portavano, nell'infuriare della battaglia.

“Non preoccuparti amico” disse Blaise stringendogli la spalla. “Forza ti accompagniamo a casa stasera e no, non accetteremo un “no” come risposta” disse vedendo lo sguardo del tipo “non sono un bambino frignone” dell’amico.

Daniel fece per voltarsi quando Rachel gli lanciò uno sguardo determinato e capì di essere in trappola. Si maledisse in quel momento e sì odiò dentro di sé ancora un volta, dopo tanti anni non sopportava che i suoi amici stessero male per lui, per una cosa avvenuta molti anni prima, a migliaia di chilometri di distanza. Un ricordo su cui non era ancora riuscito a metterci una pietra sopra a quanto pare.

“Perché ancora?!” si chiese Daniel fra sé alzandosi in piedi e riafferrando con uno scatto iroso lo zaino per rimetterselo in spalla. Non riusciva a capire ciò che non andava in lui, perché non riusciva a chiudere i conti col passato. Rachel e Blaise sapevano bene ormai dopo tanti anni che non era il caso di riaffrontare l’argomento e Daniel li ringraziò di cuore per il loro silenzio: era stato fortunato a trovare due amici come loro.

Il profilo delle colline sassose si fece più dolce mentre il sole scompariva ormai sotto il profilo dell’orizzonte a pelo dell’acqua in lontananza sul mare quando il sentiero svoltò verso un cottage isolato sulla collina. Daniel sorrise dentro di sé, rivedendo la sua casa e scrollandosi di dosso i brutti ricordi di quel pomeriggio.

Arrivati al limitare del giardino recintato che confinava con un piccolo orto, la passione di sua madre Anne, Daniel vide gli alberi di pesche maturi ed estraendo la bacchetta fece volare tre pesche nelle sue mani, dandone una a Blaise ed una a Rachel. I due lo ringraziarono con lo sguardo e fu quella piccola merenda a togliere il peso di quanto era successo quel pomeriggio dallo stomaco di Daniel.

“E’ meglio lasciare il passato dove sta e concentrarsi sul presente” pensò, ricordando quanto gli aveva detto un volta Nino, uno dei più cari amici di suo padre, quello che più di tutti gli era stato vicino dopo i tragici eventi di dieci anni prima.  Daniel sorrise pensando a cosa avrebbe potuto dare per avere il suo senso dell’umorismo.

“Ehi amico, domani andiamo a farci una nuotata al largo della baia, che ne dici?” la voce di Blaise lo riscosse dai suoi pensieri.

Daniel sorrise annuendo. “Certo, portiamo anche le tavole? Non si sa mai...”

“Certamente, vediamo di andare un po’ al largo, fa schifo stare a riva. Non siamo turisti no?” disse Blaise,  dandogli il cinque.

“Certo che no, risposero gli altri due in coro, scoppiando un istante dopo tutti e tre a ridere.

“A domani allora” disse Daniel salutando i suoi amici “ e ragazzi....grazie”.

“Non dire niente” lo salutò Rachel con un sorriso. “A domani”.

Daniel vide le sagome dei suoi amici svoltare sul sentiero per continuare verso la baia, fino a scomparire alla sua vista, prima di spingere la pesante porta di legno ed entrare in casa.

“Sono tornato, mamma”

Non ricevendo alcuna risposta si avviò in cucina dove trova sua madre, una donna magra con volto affilato ma gentile e premuroso, che lo accolse con un sorriso, staccandosi dalla lettera che stava leggendo, vedendo Daniel che si versava un bicchiere di succo.

“Ne vuoi un po’?” chiese il ragazzo.

“No, non importa” disse la donna rimettendosi a leggere la lettera.

Daniel che quasi non l’aveva notata, vide che la lettera che stava leggendo sua madre era di pergamena spessa, e portava una filigrana dorata che si avvinghiava ad uno simbolo di una grande “M” color mogano con una bacchetta in mezzo, sormontata di una corona con le iniziali....“EIIR”.

Al notare quest’ultimo dettaglio Daniel quasi si strozzò col succo, mentre una sensazione di paura mista ad una grande rabbia sembrò avvamparlo come dal nulla.

“Che vogliono quelli del Ministero da noi?” chiese il ragazzo con un tremito nella voce, pregando Dio che la risposta non fosse quella che si era immaginato.

La donna staccò gli occhi dalla lettera, si tolse gli occhiali e con uno sguardo deciso squadrò Daniel. Poi fece per alzarsi dalla sedia con un sospiro ed in quel momento Daniel sapeva che i suoi peggiori timori si erano avverati.

“No...no...no...no....NO!” la rabbia che gli bruciava dentro esplose in tutta la sua forza mentre il bicchiere si infrangeva sul pavimento di cotto, andando in mille pezzi.

“Non ne hanno il diritto! Rispondigli di no! Io non ci torno....hai capito, NO!” disse Daniel mentre la sensazione di vomito gli risaliva in bocca.

“Daniel, lo sai, non è possibile...” disse la donna cercando di prenderli la mano ma Daniel si allontanò prontamente con un scatto rabbioso.

“Rendilo possibile, digli di no, che rinunciamo, che lo diano a qualcun altro quel maledetto posto, glielo regalo”. Poi un pensiero gli fece raggelare il sangue. “Aspetta ma...è in anticipo...se la lettera...allora...” farfugliò il ragazzo cercando sul tavolo la conferma di quello che il suo cervello non riusciva ad immaginare, o meglio che non voleva.

 Fu un istante quando guardando la posta sul tavolo Daniel vide un'altra busta più piccola, già aperta, sempre con simbolo della lettera precedente con una striscia nera in tralice, nell’angolo superiore destro. Quella visione gli diede conferma dei suoi peggiori timori.

“No....” emise con un sospiro mentre le lacrime gli salivano agli occhi. Poi, prima che sua madre potesse toccarlo o dire alcunché, Daniel si voltò e corse in camera sua sbattendo la porta con una forza tale da farla rimbombare in tutta casa.

“No, Dio fa che non sia vero” disse il ragazzo mentre con le unghie affondava nel cuscino, rigandolo di lacrime, scosso dai tremiti. Quante volte si era promesso che avrebbe trovato un modo per evitarlo, e ora, ancora una volta era arrivato troppo tardi. Era sempre in ritardo.

“Da sempre” disse una vocina nella sua testa, maledicendolo.

“Nonno...” sussurrò Daniel fra i singhiozzi abbandonandosi sul letto.

La sua vita sarebbe cambiata, da quel giorno in poi lo sapeva, ma prima di sprofondare in un sonno agitato il ragazzo sperò che fosse quello tutto un sogno e sperò che quando si sarebbe svegliato niente di tutto quello che era successo quel maledetto undici luglio sarebbe stato vero.

 

 

Note dell’autore. In questo primo capitolo, in termini di modifica al canon, introduco il ruolo dello Speaker del Wizengamot, una sorta di Presidente del Parlamento e della Corte, visto che il Wizengamot per i maghi svolge entrambe le funzioni. Il ruolo è ereditario per i Nightingale fin dalla sua creazione in Inghilterra dopo l’entrata in vigore dello Statuto di Segretezza del 1692.

 

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Capitolo 2
*** Ritorno in Inghilterra ***


Daniel si svegliò a notte fonda, gli occhi incrostati dal pianto della sera prima. Guardò l’orologio sul suo comodino, erano le quattro di notte ma ormai lui non aveva più sonno. Di colpo si ricordò di quanto accaduto e fu come se il mondo gli cadesse sulle spalle. Immerso in una miriade di pensieri si mise al riflettere sul letto, la schiena appoggiata contro l’armadio a muro e le gambe rannicchiate. Sentiva un freddo cane, benché fosse il 12 luglio e ci fossero venti gradi quella notte.

Sapeva che prima o poi il giorno in cui sarebbe dovuto tornare in Inghilterra sarebbe arrivato ma non doveva succedere prima del suo diciottesimo compleanno e si era dato del tempo per pensare ad una soluzione ma il fato l’aveva colto impreparato. Il suo destino, come tutti i primogeniti della sua famiglia, era di diventare Speaker, ovvero presidenti del Wizengamot, l’alta corte dei maghi nonché l’equivalente del parlamento dei Babbani. La carica era ereditaria in Inghilterra dall’entrata in vigore dello Statuto Internazionale di Segretezza del 1692, da quando Fenir Nightingale, suo avo, era stato chiamato a ricoprire il ruolo grazie alle sue eccezionali doti diplomatiche che avevano messo fine alla Terza Guerra Magica contro i Giganti; tale impresa gli era valsa la carica e la residenza di Merrist Wood, nel Surrey. Lo Speaker infatti doveva essere l’emblema dell’imparzialità, mantenere i rapporti col suo equivalente babbano e a fungere da mediatore nelle questioni che li interessavano.

Un ruolo che molti avrebbero trovato eccellente ma che era costato a molti della sua famiglia una morte prematura: in tempi recenti sia suo bisnonno Albert che suo padre Robert erano stati assassinati rispettivamente da Grindelwald e da Voldemort.

Daniel si strinse le gambe al petto: lui non voleva morire giovane, né voleva andarsene da casa sua in Nuova Zelanda, stava bene lì, aveva buoni amici, una buona scuola ed era sicuramente più felice di quanto lo fosse mai stato in Inghilterra nei suoi primi cinque anni di vita.

Ma sapeva di non avere scelta. Lui era l’ultimo della sua famiglia, figlio unico, non c’era nessun altro se non lui. Se avesse rinunciato la carica sarebbe stata abolita o probabilmente ci sarebbe voluto molto tempo per trovare un successore; questo Daniel non lo voleva: l’aveva promesso a suo padre la notte in cui l’aveva visto morire, prima di fuggire con sua madre.

“Cavolo, non ho via d’uscita” si maledisse Daniel, appoggiando la testa contro l’armadio. Il lento mormorio dei grilli che increspava il fruscio del vento fra gli alberi erano gli unici rumori che gli tenevano compagnia nel flusso dei suoi pensieri.

Inoltre se la lettera era già arrivata questo significava una cosa sola: suo nonno era morto. Daniel si diresse in cucina sperando che sua madre avesse lasciato entrambe le lettere del ministero sul tavolo, aveva bisogno di risposte. Sgattaiolando in punta di piedi nell’altra stanza con la bacchetta in mano, Daniel intravide le lettere sul tavolo.

Lumos” disse con un sussurro, sentendosi sulla sedia più vicina e prendendo la più piccola delle due. La scorse velocemente non volendo indugiare troppo sulle parole. A quanto pare suo nonno era morto di morte naturale all’età di 80 anni per un attacco di cuore nel sonno; secondo la lettera si era spento serenamente.

Daniel non poté fare in tempo a ricacciare una lacrima indietro prima che gli solcasse il viso. Non aveva avuto mai un gran rapporto con suo nonno, ma gli voleva bene e sapeva che il burbero mago, pur con tutti i suoi pregiudizi e le sue rigidità ne voleva molto anche a lui. Il funerale si sarebbe tenuto il giorno successivo nella chiesa di Merrist Wood, secondo le sue ultime disposizioni e Daniel sapeva che per quel giorno avrebbe dovuto dire addio alla sua vita. Lui sarebbe diventato Speaker una volta ottenuto il MAGO, fino ad allora sua madre era chiamata a ricoprire il seggio vacante.

Daniel si insultò in silenzio dandosi del miserabile, anche per lei non sarebbe stato facile: un conto era esercitare la professione di avvocato ad Hamilton Bay, un’altra cosa era il Wizengamot. Non temeva per la sua competenza ma perché si sarebbe trovata nell’occhio del ciclone, se le notizie che gli erano arrivate dall’Inghilterra erano vere.

Albus Silente in un intervista si poche settimane prima aveva annunciato il ritorno di Lord Voldemort, per poi essere smentito dal Ministro della Magia in persona. Sembrava un dannato casino agli occhi di Daniel e non avrebbe mai voluto mettere sua madre in prima linea ma non c’era niente che potesse fare.

“Come sempre, sei inutile” gli disse una voce malevola dentro di sé e lui dovette ammettere con rabbia che aveva ragione.

Posando la lettera, Daniel decise di tornare il camera sua e di mettersi ad ascoltare il suo walkman, sperando che un po’ di musica potesse distrarlo dalle ultime notizie. Non era passata che una mezz’ora quando vide un bagliore dalla porta aperta provenire dalla cucina; si tolse  immediatamente le cuffie e fece per alzarsi dal letto quando sentì una voce calma e profonda dire: “Oh, cielo, speriamo che funzioni...Signora Anne, Signorino Daniel?”.

Daniel si tolse immediatamente le cuffie e volò in cucina con un sorriso riconoscendo la faccia che torreggiava tra le fiamme del camino. Il volto apparteneva d un uomo vestito impeccabilmente, sulla sessantina con capelli grigi accuratamente tirati all’indietro e folte sopracciglia grigie anch’esse, un volto gentile e uno sguardo pronto dietro un paio di occhiali tondi, portati su di un naso leggermente schiacciato.

“Michael!” esclamò Daniel, contento di rivedere dopo anni il viso del maggiordomo di suo nonno. Il suo volto si distese in un sorriso misto a sorpresa.

“Oh cielo, Signorino Daniel, quanto è cresciuto! Mi dispiace non poterle stringerle la mano, conto di poterlo fare presto però.” concluse l’uomo con un leggero inchino della testa.

“Niente formalità Michael, ti prego” rispose Daniel. “Come va alla villa, cercavi mia madre? Ho paura che stia ancora dormendo, credo tu abbia sbagliato il fuso orario di qualche ora”. sopraggiunse con un sorriso.

Il maggiordomo sembrò guardare qualcosa verso il basso e poi esclamò sconcertato. “Oh cielo, sembra proprio che lei abbia ragione, mi dispiace per questa intrusione nel cuore della notte”.

“Non ti preoccupare, parliamo solo a voce bassa” riprese il ragazzo mentre il sorriso gli si spengeva nel volto. “Immagino tu sia qui per il nostro rientro di domani. Quand’è il funerale?” chiese sbattendo le palpebre due volte ed abbassando lo sguardo.

“Sì infatti, le porgo le mie più sincere condoglianze per la morte di suo nonno, signorino Daniel, era un grande mago e nessuno più di me sente la sua mancanza. Il funerale è stato fissato per domani sera alle 18 nella chiesa di Merrist Wood, in una cerimonia strettamente privata, quindi non dovrà preoccuparsi di niente. In ogni caso, quando sua madre sarà sveglia, la prego di farmi sapere l’ora del vostro rientro, così che tutto sia pronto ed impeccabile” disse il maggiordomo con tono professionale.

“Ti ringrazio Michael, dirò tutto a mamma appena si sveglierà, non temere” concluse Daniel riabbozzando un sorriso tirato.

“Perfetto signorino Daniel, non vedo l’ora di poterle stringerle la mano di persona, anche se avrei di gran lunga preferito circostanze più felici di queste. Sono a sua disposizione per qualsiasi cosa avesse bisogno.” concluse il maggiordomo con un altro inchino.

“Grazie Michael, ci vediamo domani, anzi, questo pomeriggio” disse Daniel guardando l’orologio.

“A presto, signorino Daniel” rispose l’altro prima di scomparire dal camino dopo un ennesimo inchino.

Daniel si sentiva già a disagio con le formalità del suo vecchio maggiordomo e si ricordò perché se ne stava bene ad Hamilton Bay: non c’era bisogno di queste cose, solo un po’ di gentilezza. Con un sospiro tornò in camera e appena toccò il letto il sonno lo colse all’improvviso, facendolo sprofondare come un sasso fra le braccia di Morfeo.

Il giorno successivo fu sua madre a svegliarlo ed il sole era già altro da un pezzo. “Svegliati dormiglione” disse Anne entrando e aprendo la finestra della camera.

“Forza devi fare colazione, sistemare le tue cose, poi salutare Blaise e Rachel e prepararti a partire. Coraggio c’è poco tempo, non è il caso di continuare a poltrire!” concluse la donna tirandogli giù di forza le coperte.

Eddai mamma!” esclamò Daniel rintontito prima di vedere l’ora, erano già le undici suonate. “Cazzo, quanto è tardi!” disse chiudendo la porta della stanza dietro alla madre e vestendosi in fretta.

Riemergendo come un tornado dalla sua stanza volò in cucina e, sbrigandosi a finire i cerali col latte, chiese a sua madre “Faffo veffono Rafef e Blafiel?” chiese con la bocca piena. Doveva assolutamente avere del tempo coi suoi amici, non poteva andarsene così su due piedi, senza nemmeno slautarli.

“Manda giù” disse Anne con uno scappellotto versandogli un bicchiere di succo d’arancia, saranno qui fra un’ora circa gli ho invitati per pranzo e mi aspetto che tu abbia preparato le tue cose per quell’ora” aggiunse guardandolo con uno sguardo penetrante che non ammetteva repliche.

Daniel annuì sbrigandosi a finire la colazione per poi chiudersi in camera e aprire la scaletta che portava alla soffitta da cui portò giù due grandi valige. Quando le apri vide che erano quelle piene di scompartimenti già fatti.

“Bene, ora mi serve solo la bacchetta” si disse mentre tirava fuori le sue cose dai cassetti. Passò una buona ora a preparare tutto e a ridurlo per farlo entrare nelle due valige. La cosa a cui teneva più di tutte, un proiettore con tanto di schermo lo ripose accuratamente in una scatolina di polistirolo, pregando che reggesse bene il viaggio.

Proprio quando mentalmente passava in rassegna tutte le sue cose sentì squillare il campanello e si precipitò fuori ad accogliere i suoi due amici. I loro sguardi dicevano tutto più di mille parole; anche se sapevano che quel giorno sarebbe arrivato non riuscirono a nascondere la tristezza per quanto stava per accadere.

“Ti verremo a trovare, quando non sarai a scuola” disse Blaise

“E non dimenticare di scrivere”, aggiunse Rachel coi lucciconi agli occhi.

“Mai” esclamò Daniel abbracciandoli entrambi. “Mi mancherete tantissimo” disse non celando una lacrima.

“Anche tu!” risposero in coro i due rispondendo all’abbraccio.

Il pranzo fu felice e gioioso, nonostante presto tutti dovessero sentire la mancanza gli uni degli altri. Anche Anne che esteriormente non dava nulla a vedere, internamente le dispiaceva strappare il figlio dalla piccola dimensione di felicità che si erano costruiti. Ed era ancor più spaventata da quanto stava accadendo in Inghilterra ma c'era poco da fare, anche lei aveva fatto una promessa a suo marito Robert, che non avrebbe mai infranto, altrimenti la sua morte sarebbe stata vana e questo lei non l’avrebbe mai permesso.

Nel primo pomeriggio i tre amici fecero una rapida passeggiata nei dintorni per togliersi di dosso il peso di quello che stava per succedere, anche se tutti sapevano che presto sarebbe giunta l’ora di salutarsi.

Fu la voce risoluta di Anne a far suonare la campana degli addii. “Forza Dan, è era di sbrigarsi” gli disse sua madre dalla finestra che dava sul giardino. “Non possiamo arrivare in ritardo”.

Daniel abbracciò per l’ultima volta Blaise e Rachel coi lucciconi agli occhi prima di salutarli ed entrare in casa. I bagagli erano tutti riuniti davanti al camino acceso e Anne stava aspettando il figlio con in mano il sacchetto della metropolvere.

“Sarà un viaggio un po’ brusco, non ne hai mai fatto uno di così lungo” disse la donna.

“Non preoccuparti mamma, andiamo” disse Daniel risoluto.

“Come è diverso da ieri!” pensò fra sé la donna sistemandogli il colletto prima di preparare il camino per il viaggio. Poi gli fece cenno di proseguire porgendogli un pizzico di polvere.

“Villa Nightingale. Surrey” disse Daniel a voce alta e mentre la vista della sua vecchia casa scompariva  ed un turbinio di fiamme lo inghiottiva;  si sentì tirato come da un aspirapolvere ed in quel momento il giovane mago pregò Dio con tutto il suo cuore di riuscire a cambiare vita senza cambiare se stesso. In quel momento si ricordò del film che aveva visto al cinema qualche settimana prima con Rachel e Blaise “Le ali della libertà” e sperò davvero di non finire chiuso in una prigione per il resto della sua vita.

 

 

Note dell’autore. In questa fanfiction saranno esplorate anche tematiche come la religione non trattate di proposito dalla Rowling nel canon originale. Nello specifico Daniel è cattolico. A differenza dell’Inghilterra, dove né il primo ministro né lo Speaker dei Comuni possono essere di un’altra religione che quella anglicana, nel 1902 tale similitudine col mondo babbano è stata cancellata dal Wizengamot, che ha garantito la neutralità più completa del Ministero nei confronti di qualsiasi fede professata.

 

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Capitolo 3
*** L'udienza - 1° parte ***


Daniel si svegliò presto quella mattina; erano le sette del dodici agosto e sua madre avrebbe presieduto la prima udienza del Wizengamot che aveva imputato niente poco di meno che il famoso Harry Potter. Daniel aveva sentito tante cose sul giovane mago ed era ansioso di incontrarlo, anche se avrebbe preferito non vederlo sul banco degli imputati. Da quanto aveva letto sembrava un tipo più che a posto, tuttavia qualcosa doveva essersi incrinato nei rapporti col Ministro Caramell, senza dubbio a seguito dell’incidente nel Torneo Tremaghi, che aveva portato alla morte di Cedric Diggory, avvolta ancora in un alone di mistero. Leggendo degli eventi sulla Gazzetta del Profeta si rimaneva con un pugno di mosche in mano e poi quella lotta tra il Ministro e Silente sul ritorno di Lord Voldemort sembrava assurda al giovane ragazzo. C’era qualcosa sotto, ne era sicuro. Dagli articoli del Profeta non sapeva a chi credere, decisamente incompleti, anche se insinuanti tanti dubbi su quanto fosse realmente accaduto.

Non avendo mai conosciuto nessuno delle parti di persona, Daniel voleva assistere come spettatore in galleria all’udienza, anche se il suo interesse principale era il giovane Harry. Leggendo di lui sulla Gazzetta del Profeta, sapeva che era stato circondato da un’aura di popolarità, anche se come carattere Harry appariva sempre molto schivo e questo interessava particolarmente Daniel, ci si rivedeva nel suo carattere e voleva studiarlo per vedere se poteva essere un buon amico in una scuola in cui non conosceva nessuno.

Appena sveglio il giovane recitò una preghiera per suo nonno e poi si recò in sala da pranzo dove già sua madre stava facendo colazione, leggendo la Gazzetta del Profeta del giorno. Appena Daniel entrò, lei sollevò lo sguardo e lo invitò a sedersi accanto a lei mentre Michael, il maggiordomo, gli servì la colazione.

“Grazie Michael” lo ringraziò il giovane, affondando il cucchiaio nella tazza di latte e cereali, poi vedendo la splendida torta di mele danti a sé si ricordò del progetto messo in ponte poco dopo il loro arrivo a Villa Nightingale. Si schiarì la voce e chiese al maggiordomo:

“Michael come stanno andando le cose con Goldey e gli altri elfi? Ci sono progressi?”

Il maggiordomo tirò fuori il fazzoletto da taschino, si asciugò leggermente la fronte e poi rispose: “Non di nuovi signorino Daniel, ho paura che ci vorrà ancora tempo prima che Goldey riesca a convincerli tutti, mi ha detto comunque che un gruppo dei più giovani sono quasi d’accordo, sono i più anziani i più restii, purtroppo, ma anche quelli con maggiore influenza”.

“E’ un peccato, se possibile vorrei convincerli tutti, sono parte di questa casa dopotutto” disse Daniel mentre si tagliava una fetta di torta.

“Daniel” esordì sua madre, “Io fra poco devo andare. Fai in fretta o faremo tardi, sempre che tu voglia venire, s’intende.” esclamò la donna con un sorriso in tralice: sapeva bene infatti che il figlio per niente al mondo si sarebbe perso il suo primo caso.

Ferto, affifo sufigo” disse il ragazzo quasi strozzandosi con la torta. Nel giro di cinque minuti aveva finito la colazione ed era volto in camera a cambiarsi.

Pochi minuti dopo era pronto ad uscire con sua madre; il giovane aveva uno sguardo interrogativo sul volto: “Ma non ti vesti...” disse con fare incerto squadrandola da capo a piedi.

“Ma no sciocco mi cambierò là, te lo immagini andare a giro con la parrucca e la gorgiera?!” esclamò Anne divertita. Detto questo fece un cenno a Michael che le passò un sacchetto di polvere volante.

“Bene, siamo pronti, non so quanto durerà l’udienza Michael, poi porto Daniel a fare spese per la scuola quindi non aspettarci per pranzo, va bene?” disse la donna rivolta al maggiordomo.

“Certo, signora” esclamò questi. “Vi aspetto nel pomeriggio e, buona fortuna per il suo primo caso.” disse inarcando un sopracciglio.

“Grazie, ho come la sensazione che ne avrò bisogno” riprese la donna prima di posizionarsi nel camino e pronunciare ad alta voce “Ministero della Magia. Atrio.” con un rapido risucchio ed una fiamma verde smeraldo la donna scomparve.

“Buona fortuna anche a lei signorino Daniel” esclamò il maggiordomo porgendo anche a lui il sacchetto con la polvere.

“Grazie Michael, ma come ti ho già detto venti volte, solo Daniel, per favore” esclamò il ragazzo mentre il maggiordomo gli lanciava un piccolo segno di evidente disapprovazione con la testa.

“E poi non è me che guarderanno oggi, no?” riprese mettendosi nel camino.

“Non tutti forse, ma stia all’erta mi raccomando” concluse il maggiordomo.

“Ministero della Magia. Atrio.” ripeté Daniel a sua volta prima di essere risucchiato nella metropolvere.

Quando le fiamme si diradarono e i suoi occhi tronarono a funzionare normalmente, Daniel si trovò in un lunghissimo salone antico, con pavimento di mogano ed il soffitto blu notte. Ai lati nelle pareti rivestite di legno più chiaro si aprivano tanti camini da cui maghi e streghe di ogni tipo andavano e venivano in maniera ordinata. Daniel seguì la madre con gli occhi voltati per vedere il più possibile, era uno spettacolo grandioso.

Fatti pochi passi la sua attenzione venne catturata dalla fontana nel mezzo del salone che raffigurava tute le creature magiche, anche se ovviamente la posizione centrale era occupata da un mago con la bacchetta puntata verso l’altro da cui zampillava una piccola cascata d’acqua, così come dalle altre creature, un centauro, un goblin, un elfo domestico ed una strega. Non poté fermarsi ad ammirare la statua che sua madre avanzò con passo deciso verso i banchi della sicurezza, così Daniel si promise di esaminarla meglio all’uscita: quel posto era magnifico, ancora più bello di come l’aveva immaginato.

Un mago dall’aria stanca si rivolse alla coppia borbottando un “Bacchetta”, così i due gli consegnarono le bacchette per quello che Daniel immaginava fosse un controllo di routine, cosa che venne confermata quando un piccolo nastro si allungò dal congegno in cui il mago aveva infilato la sua bacchetta e questi lesse: “undici pollici ed un quarto, anima in crine di unicorno, in uso da quattro anni, coretto?”

“Sì” rispose Daniel distratto da un gruppo di appunti a forma di areoplanino che gli avevano appena sfiorato l’orecchio.

Finito il controllo della sicurezza i due si avviarono più in fondo in una grande sala piena di ascensori. Presero il primo arrivato che a quanto pare faceva tutti i piani ed era bello pieno. Fu un viaggio piuttosto scomodo e Daniel sarebbe voluto scendere ad ogni piano ma uno sguardo eloquente di Anne gli fece capire quanto non fosse il caso. Finalmente, dopo quella che sembrò un eternità, la voce dell’ascensore esclamò “Primo livello. Uffici del Ministro della Magia e dello Speaker del Wizengamot”.

I due uscirono fuori e Anne lo guidò verso la porta sulla sinistra di un breve corridoio, su di essa era raffigurata una grande esse dorata. Affondando la mano sulla maniglia la serratura scattò e rivelò ai due uno splendido ufficio, ampio rivestito ai lati da molti ritratti, tutti dei suoi avi nella loro veste da cerimonia. Il pavimento era di acero rosso, mentre alle pareti vi erano due grandi arazzi, uno raffigurante la giustizia ed uno la temperanza; nel centro della stanza davanti ad una grande libreria a muro si trovava una grande scrivania di legno di castagno finemente lavorata.

Daniel non fece in tempo a squadrare la metà delle cose nell’ufficio quando un messaggio arrivò attraverso il canale delle comunicazioni fino a posarsi sulla grande scrivania, contemporaneamente si sentì un leggero bussare provenire da una porta laterale.

“Avanti, Wilkins” disse Anne mentre esaminava velocemente il messaggio appena giunto. “Ma cosa...?” le senti dire Daniel con voce colpita, mentre Wilkins, il fidato segretario di sua madre faceva il suo ingresso. Daniel sorrise contento che lei fosse riuscita a portarsi dietro quello che per sua stessa bocca era il membro più valido del suo ufficio di Hamilton Bay.  

Wilkins era un giovane mago di circa ventitré anni, giovane secondo molti ma lucido, sveglio e fedele, secondo sua madre che l’aveva promosso dopo soli due mesi dopo che era entrato nel suo ufficio; anche a Daniel, nelle poche volte in cui i due si erano incontrati aveva fatto una buona impressione. Wilkins era magrolino, di corporatura esile con una zazzera di capelli biondo sporco, un paio di occhiali squadrati sul naso leggermente appuntito.

“Signora, mi spiace informarla che l’ora dell’udienza è cambiata. Si deve vestire immediatamente, ho già pronto il fascicolo sul caso, potremo ripassarlo meglio in ascensore. Siamo in aula 10, nel vecchio tribunale” disse il giovane con fare affrettato.

Perché non ne sono stata informata ieri, Tom?” chiese Anne con fare interrogativo, poi continuò prima che l’altro potesse rispondere. “Lascia stare, ho come la sensazione che non sarà la prima delle sorprese di oggi. Poi si rivolse a Daniel:

“L’aula dieci, è al livello dieci, devi scendere al nove, girare a sinistra e alla fine di un corridoio a elle troverai delle scale che scendono, fermati al primo pianerottolo: la porta davanti è quella della galleria”. Conosceva bene quella vecchia aula di tribunale. “Coraggio vai” disse indicando al figlio la porta.

Daniel la salutò con un cenno della testa e si avviò di fretta verso l’ascensore. Ci vollero diversi minuti buoni per arrivare in fondo, non senza una buona calca di persone, nessuna delle quali sembrò comunque degnarlo di uno sguardo.

Arrivato al nono livello Daniel girò nel corridoio e trovò senza problemi la rampa, fermandosi su un pianerottolo di fronte ad una porta di legno. Spingendo la maniglia entrò in una loggia rialzata con diversi posti a sedere che dava su di una balaustra sotto la quale si apriva un emiciclo in pietra, illuminato neanche troppo bene dalla luce di numerose torce ad intervalli regolari.

Daniel non riuscì ad esaminare meglio la stanza che era ancora deserta: c’erano numerose panche in tutta l’aula, vuote.

Numerosi occhi si posarono su di lui una volta entrato. Daniel riconobbe dal tesserino sul petto l’inviato della Gazzetta del Profeta ma decise di non mantenere il contatto visivo, già il giornalista lo stava squadrando, mormorando qualcosa ad una piuma che scribacchiava velocemente su una pergamena. Ignorando i molti sguardi che diversi maghi gli avevano lanciato addosso fin da quando era entrato ed i mormorii che ne erano scaturiti, Daniel si mise a sedere. Passarono pochi minuti quando la porta d’ingresso che dava sulla parte inferiore della sala si spalancò lasciando entrare sua madre, vestita di tutto punto con gli abiti tradizionali da Giudice Capo, seguita dal Ministro della Magia, dai rispettivi assistenti, dedusse Daniel e dai membri della corte, tutti vestiti nei loro classici abiti neri.

Ci fu un brusio diffuso una volta che tutti ebbero preso posto, infatti ancora l’imputato e la sua difesa mancavano all’appello ed i minuti passavano. Daniel cercò di sporgersi più che poteva per vedere la parte bassa dell’aula, quando la porta accanto a lui si aprì lentamente con un leggero cigolio.

Ne emerse la figura di un ragazzo della sua età, snello, dalla carnagione molto chiara e capelli biondo platino portati all’indietro, con freddi occhi grigi e sguardo altezzoso. Il ragazzo era vestito elegantemente con un vestito verde scuro; avanzava lentamente nella stanza, zoppicando con la mano destra appoggiata ad un bastone nero con il manico perlaceo. Daniel lo guardò ipnotizzato per un istante prima di alzarsi e andargli incontro; nonostante stesse chiaramente zoppicando l’altro riusciva a mantenere un distacco che andava dalla punta dei suoi capelli fino alle sue estremità leggermente appuntite.

“Ciao, siediti pure al mio posto, io posso stare in piedi” gli disse Daniel indicandogli la sua sedia con un leggero sorriso.

Le iridi fredde si contrassero per un nanosecondo in un’espressione a metà fra lo sdegno e l’indagatore, come se l’altro le stesse studiando Daniel dalla testa ai piedi prima di rispondergli con voce gelida:

“Grazie, ce la faccio benissimo” disse a Daniel facendo per proseguire, distogliendo lo sguardo, ma l’altro riprese:

“Io posso stare tranquillamente in piedi...”

“Sei sordo?!” lo bloccò l’altro con gli occhi ancora più duri. “Ti ho detto di no!”.

E con queste parole andò a sistemarsi vicino alla balaustra, appoggiandosi lungo il muro.

Daniel si scrollò di dosso la sensazione di gelo che l’aveva colpito, pensando che se l’altro ragazzo era così arrogante da non ammettere la verità lui non si sarebbe immischiato oltre. Con questi pensieri si rimise a sedere proprio nell’istante in cui il rumore di una porta nella parte inferiore della sala lo fece sporgere in avanti, cercando di capire chi fosse appena entrato.

Vide un ragazzo non molto alto dall’incarnato leggermente scuro, con ribelli capelli neri che si guardava intorno con aria spaesata, boccheggiando. Non fece in tempo ad osservare meglio quello che doveva certamente essere Harry Potter che una  potente voce maschile risuonò nella aria.

“Sei in ritardo” disse, chiaramente indirizzata al ragazzo che era appena entrato, il quale, guardando in alto, rispose: “ Mi dispiace, io...io non sapevo che l’orario era stato cambiato”.

“Non per colpa del Wizengamot” ribatté la voce che Daniel identificò essere quella del ministro Caramell. “Ti è stato mandato un gufo questa mattina. Siediti al tuo posto”.

Il giovane moro si diresse verso la sedia con le catene ai braccioli che tentennarono leggermente appena lui si sedette, prima di levare il suo sguardo verso l’alto per osservare meglio le persone che gli sedevano di fronte, più in alto.

Daniel fu distratto da quella scena da un suono di un qualcosa di gomma che grattava il pavimento; alzò lo sguardo alla sua sinistra un istante prima di accorgersi che il giovane pallido davanti a lui si era sporto troppo verso la balaustra, allentando la presa sul bastone, che stava per scivolargli di mano e farlo cadere sulla caviglia chiaramente slogata.

Daniel reagì d’istinto e si alzò di scatto dalla sedia, riuscendo ad afferrare il braccio e la schiena del giovane prima che questo perdesse totalmente l’equilibrio, cascando all’indietro.

Al tatto Daniel poté sentire che l’altro era molto leggero e tremava leggermente per lo spavento, ma in un battito di ciglia, parve riprendere l’equilibrio e ricomporsi.

“Grazie...” disse l’altro con voce strascicata, a stento lasciava trasparire la paura del momento precedente, evitando il suo sguardo mentre si appoggiava con la mano sinistra al muro.

“Quella stramaledetta scopa di merda!” sbottò l’altro a bassa voce contro se stesso.

Daniel non capiva ma si affettò a lasciarlo, sentendo che chiaramente l’altro era a disagio nel contatto fisico, ma guardandolo fisso in faccia gli disse:

“Di niente ma ora siediti, non sei in grado di stare in piedi” gli ribatté Daniel sfoggiando il suo miglior tono risoluto. L’altro lo guardò per un istante poi abbozzò un leggero sorriso altezzoso prima di dirigersi verso la sedia.

“Prego” pensò con uno sbuffo Daniel andandosi ad appoggiare al muro accanto. La scena aveva fatto voltare diversi sguardi ma ben presto l’attenzione si rivolse nuovamente al Wizengamot.

“Molto bene” cominciò Caramell. “Dal momento che l’accusato è presente, finalmente, cominciamo. Sei pronto?” chiese, rivolto ad una figura di un giovane alto con la chioma rossa, seduto poco più in basso.

“Sissignore” rispose questi  con voce zelante, alzando lo sguardo oltre il Ministro.

“Draco Malfoy” la voce strascicata dell’altro ragazzo prese in contropiede Daniel che quasi ne aveva dimenticato la presenza, con l’attenzione tutta rivolta all’udienza. Appena voltatosi vide che una parte di gelo negli occhi dell’altro ragazzo se ne era andata e che il leggero sorriso che sembrava tingergli leggermente le labbra pallide sembrava sincero.

“Daniel Nightingale” disse  stringendogli la mano e ricambiando con un ampio sorriso quello dell’altro.

Appena Malfoy realizzò le sue parole un guizzo di interesse gli balenò negli occhi gelidi come un fulmine, ma la voce femminile che risuonò nella sala gli vece voltare entrambi verso lo scranno più alto.

 

Note dell’autore. Rispetto al canon originale sono stati modificati gli abiti del Wizengamot che sono di colore nero invece di quello viola descritto nei libri. Lo Speaker è vestino invece in modo più formale come i giudici inglesi babbani: parrucca, gorgiera bianca semplice che si biforca sul collo, tunica e calze nere, scarpe nere con fibbia.

 

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Capitolo 4
*** L'udienza - 2° parte ***


“Udienza disciplinare del dodici agosto” disse una voce femminile che fece alzare lo di colpo lo sguardo di Harry verso l’altro della sala. Non aveva mai visto quella donna vestita con una lunga veste nera, una parrucca color sabbia che le ricadeva fin sopra le spalle ed un collare bianco, diviso in due sul davanti, come aveva visto alcune volte in televisione quando suo zio Vernon vedeva i servizi di politica.

Sotto lo scranno del ministro, Percy cominciò subito a prendere appunti. La voce proseguì:

“Per violazioni commesse contro il Decreto per la Ragionevole Restrizione delle Arti magiche tra i Minorenni e lo Statuto internazionale  di Segretezza da Harry James Potter, residente al numero quattro di Privet Drive, Little Whinging, Surrey.

Di colpo la voce tacque facendo piombare la sala in un innaturale silenzio. Molti sguardi, notò Harry si rivolsero sullo scranno in alto, come se vi fosse qualcosa che non andava. La donna sembrava guardare in basso aspettandosi di vedere qualcosa che a quanto pare non riusciva a vedere. Sentì il suo sguardo su di sé per qualche secondo, prima che la sua voce riprendesse con tono interrogativo:

“Non possiamo procedere senza che l’imputato sia assistito da un suo Rappresentante per la Difesa” concluse rivolta poi ad Harry che sembrò leggere una nota di stupore quando i loro sguardi s’incrociarono.

“Signor Potter, dov’è il suo difensore?”

Harry non sapeva cosa rispondere: “Io...”

Una voce lo bloccò ancora prima che potesse continuare: “Signora Speaker il difensore dell’imputato è stato informato del cambio d’orario, non ho spiegazioni sul perché non si si sia presentato” intervenne Percy, controllando alcuni documenti che aveva sottomano con voce leziosa.

Seguirono istanti in cui rapidi borbottii si diffusero in tutta l’aula; Harry si sentì sprofondare nella sedia in quegli istanti di silenzio. Era solo e non sapeva chi potesse aiutarlo, il signor Wealsey era stato fermato all’ingresso, forse poteva chiedere alla donna di farsi difendere da lui. Fu in quell’ultimo istante che sentì la porta dell’aula spalancarsi ed una voce calma e profonda dire:

“Rappresentante per la Difesa: Albus Percival Wulfric Brian Silente”.

Harry voltò la testa di scatto così in fretta da farsi male al collo; la sagoma del Professor Silente che avanzava nell’aula, sfoggiando una lunga veste blu mezzanotte e un’espressione di calma perfetta, fecero sorgere in lui una sensazione di calore e di speranza nel petto che sembrarono dissolvere tutta la sua paura ed incertezze. Gli occhi dei membri del Wizengamot erano tutti su Silente; alcuni sembravano seccati, altri un po’ spaventati, altri, tuttavia, levarono la mano e salutarono in segno di benvenuto.

Harry fece per incrociare lo sguardo dell’anziano mago, ma Silente non guardava verso di lui, continuava a guardare in su, verso la donna e più in basso verso un Caramell in evidente stato di agitazione che parlottava fitto fitto con una strega che intravedeva a mala pena nella luce fioca della sala.

“Professor Silente, benvenuto” disse la donna con un cenno di saluto all’anziano mago che le rispose con un leggero inchino della testa.

“Ora che è qui possiamo procedere...Non vedo però una sedia per lei. Signor Weasley, se cortesemente...”

“Non c’è problema, non c’è problema, Madama Nightingale” disse Silente in tono amabile, estrasse la bacchetta, la agitò appena , e una soffice poltrona apparve dal nulla vicino ad Harry. Silente si sedette, unì le punte delle dita e guardò Caramell sopra di esse con un’educata curiosità, per poi spostare il suo sguardo sulla donna più in alto.

“Inquisitori...” continuò la donna schiarendosi la voce e riprendendo il foglio di pergamena posato poco prima.

“...Cornelius Oswald Caramell, Ministro della Magia; Amelia Susan  Bones, Direttore dell’ufficio Applicazione della Legge sulla Magia; Dolores Jane Umbridge, Sottosegretario Anziano del Ministero. Scrivano della Corte: Percy Ignatius Weasley.”

Fece una pausa e poi sollevando una mano esordì: “A lei la parola signor Ministro per la lettura delle accuse” dopo di che si sedette.

Caramel si alzò e, con un leggero inchino verso la donna, si voltò verso Harry. I loro sguardi si incrociarono per un istante e lui poté vedere che il solito tono indulgente degli anni precedenti era svanito e al suo posto vi era uno sguardo freddo e calcolatore. In quel momento Harry si voltò un'altra volta verso Silente ma l’anziano mago continuava a non degnarlo di uno sguardo, la sua attenzione rivolta verso Caramell. Una parte della sensazione di gioia di poco prima si spense nel cuore del ragazzo. “Perché mai Silente non incrociava il suo sguardo?”, si chiese il giovane Grifondoro.

“Le accuse sono le seguenti” cominciò Caramell, schiarendosi la voce: “Che consapevolmente, deliberatamente e in piena conoscenza dell’illegalità delle sue azioni, avendo ricevuto un precedente avvertimento scritto dal ministero della Magia per un’accusa analoga, l’imputato ha prodotto un incanto Patronus in una zona abitata da babbani, in presenza di un babbano, il due agosto alle ventuno e ventitré, ciò costituisce una violazione del Decreto per la Ragionevole Restrizione delle arti Magiche tra i Minorenni, 1875, Comma C, nonché all’articolo 13 dello Statuto di Segretezza della Confederazione Internazionale dei Maghi”.

“Lei è Harry James Potter e vive al numero  quattro di Privet Drive, Little Whinging, Surrey?” chiese Caramell, scrutando Harry torvo da sopra la pergamena.

“Sì” rispose Harry

“Lei ha evocato un Patronus, la sera del  due agosto?” chiese Caramell.

“Sì” disse Harry, “Ma...”

Sapendo che non le è permesso usare la magia al di fuori della scuola fino al raggiungimento dei diciassette anni?”

“Sì, ma...”

“Sapendo di trovarsi in una zona piena di babbani e per giunta in presenza di un babbano in quel momento?”

“Sì” disse Harry irato, “Ma l’ho usato solo perché stavamo...”

La strega alla destra di Caramel lo interruppe alzandosi e guardando Harry da dietro un monocolo, con voce tonante chiese:

“Hai prodotto un Patronus completamente formato?”

“Sì” rispose Harry, “perché...”

“E hai quindici anni?” continuo Madama Bones

“Sì, e...” rispose Harry

“L’hai imparato a scuola?”

Sì, il Professor Lupin me l’ha insegnato al terzo anno, perché...”

“Notevole...” esclamò madama Bones, fissandolo dall’alto, “Un vero Patronus alla sua età....davvero notevole” disse sedendosi.

Alcuni maghi e streghe attorno a lei borbottarono ma altri scossero il capo incupiti.

 “La questione non è quanto notevole sia stata la magia” disse Caramell con voce stizzita alzandosi mentre madama Bones si sedeva. “In effetti, più è impressionante peggio è direi, dal momento che il ragazzo l’ha compiuta davanti agli occhi di un babbano!”

Coloro che prima erano accigliati mormorarono in segno d’assenso ma fu la vista dell’ossequioso breve cenno di Percy che spinse Harry a parlare.

“L’ho fatto per i Dissennatori!” esclamò, prima che qualcuno potesse interromperlo di nuovo.

“Dissennatori?” chiese Madama Bones dopo un attimo, le folte sopracciglia tanto alzate che il suo monocolo parve sul punto di cadere. “Che cosa intendi dire, ragazzo?”

“Intendo dire c'erano due Dissennatori lungo il vicolo ed hanno aggredito me e mio cugino!”

“Ah,” disse Caramell di nuovo, con uno sgradevole sorriso allusivo mentre guardava tutto il Wizengamot, come se li invitasse a condividere uno scherzo.

“Sì. Sì, lo immaginavo che avremmo sentito qualcosa di questo genere.”

“Dissennatori a Little Whinging?” chiese Madama Bones, con un tono di enorme sorpresa. “Non capisco...”

“Davvero, Amelia?” disse Caramell, sempre con un sorrisetto compiaciuto. “Lascia che ti spieghi. Il ragazzo ci ha riflettuto molto e ha deciso che i Dissennatori avrebbero fornito una bella storiella come alibi, molto carina, davvero. I Babbani non possono vedere i Dissennatori,  vero, ragazzo? Decisamente conveniente, decisamente conveniente… in questo modo è solo la tua parola e non ci sono testimoni…”

“Non sto mentendo!” disse Harry con forza, sopra un'altra esplosione di borbottii della corte. Prima di poter continuare tuttavia fu interrotto di Madama Nightingale che si era appena alzata in piedi: “Ordine, Ordine, cari colleghi, vi prego” esclamò la donna ponendo rapidamente fine alla confusione.

Prima di continuare lanciò uno sguardo penetrante verso Harry che si sentì come trafitto da parte a parte.

“Tutto ciò è irrilevante signor Ministro, non sono i commenti personali che interessano a questa corte ma solo la ricostruzione dei fatti. La prego di astenersi da ora in poi da simili affermazioni che senza motivo mettono in dubbio la veridicità dell’imputato” disse la donna con tono aspro.

Il volto grassoccio di Caramell parve afflosciarsi e tingersi di una vago rossore dalla rabbia. Harry si sentì rincuorare da quella piccola scena, a quanto pare non era solo contro Caramell.

Questi scrutò la donna per un attimo e poi continuò abbassando leggermente la testa:

“Certamente Madama Speaker, mi perdoni. Ma dove sono le prove di quanto afferma il ragazzo?! Sono certo di poter affermare che nessun Dissennatore si trovasse a Little Whinging per ordine del Ministero la sera del due agosto scorso, ve ne sarebbe traccia nei registri, e quindi...”

“Questo non se i Dissennatori di questi tempi prendessero ordini da qualcuno che non è il Ministero della  Magia” intervenne Silente tranquillo. “Ti ho già esposto le mie opinioni in proposito, Cornelius”, intervenne Silente con voce calma.

“Sì, è vero”, rispose Caramell accalorandosi, “Ed io non ho ragione di credere che le tue opinioni siano altro che sciocchezze, Silente. I Dissennatori stanno al loro posto ad Azkaban e fanno tutto ciò che ordiniamo loro di fare. E poi non vi sono prove...” esclamò rosso in volto rivolgendo lo sguardo da una parte all’altra dell’aula “...che  vi fossero dei Dissennatori...”

“In effetti abbiamo un testimone della presenza dei Dissennatori in quel vicolo, oltre a Dudley Dursey, intendo, la signora Arabella Figg, vicina di casa dei signori Dursey”. disse Silente tranquillamente.

 A questa affermazione si levò un gran brusio da ogni parte dell’aula. Harry dal basso vide Madama Nightingale rialzarsi in piedi. “Ordine, colleghi, Ordine!”. Il brusio parve attenuarsi dopo qualche istante.

“Visto gli sviluppi la Corte chiama a testimoniare Arabella Figg, come test della Difesa”, concluse sedendosi e facendo un cenno verso Percy. 

A queste parole Percy si alzò immediatamente, corse giù dalla gradinata della giuria per la scalinata di pietra e passò frettolosamente davanti a Silente e a Harry senza degnarli di uno sguardo.

Un attimo dopo, Percy tonava, seguito dalla signora Figg. Sembrava più spaventata e più svitata che mai. Harry guardandola avrebbe voluto che si fosse cambiata le pantofole di feltro. Silente si alzò e cedette la sua poltrona alla Signora Figg, evocandone un’altra per sé.

“Nome completo?” chiese Madama Nightingale a voce alta, quando la signora Figg si fu appollaiata nervosamente sull’orlo della poltrona.

“Arabella Doreen Figg,” rispose la signora Figg con la sua voce tremula.

Madama Bones si alzò in piedi  guardando la signora Figg intensamente da dietro il suo monocolo dorato e con voce profonda le disse:

 “Signora Figg, non abbiamo alcuna traccia di maghi o streghe che abitino a Little Whinging, a parte Harry Potter. La situazione è sempre stata attentamente tenuta sotto controllo, dati… dati gli eventi del passato.”

“Sono una Maganò,” le rispose la Signora Figg. “Quindi non mi avete censita, vero?”

“Una Maganò, eh?” intervenne Caramel, scrutandola sospettoso. “Controlleremo. Lasci i dettagli della sua ascendenza al mio Assistente Weasley. Per inciso, i Maghinò sono in grado di vedere i Dissennatori?” aggiunse, guardando alla sua destra e alla sua sinistra.

“Sì che possiamo!” esclamò la signora Figg indignata.

La Madama Nightingale la guardò dall’altro e con un cenno della mano le chiese: “Molto bene, qual è la sua versione dei fatti?”

“Ero uscita per comprare del cibo per gatti al negozio all’angolo in fondo a Wisteria Walk, erano circa le nove, la sera del due agosto,” borbottò la signora Figg subito, come se avesse imparato a memoria quello che stava dicendo, “quando ho sentito un rumore nel vicolo che unisce Magnolia Crescent a Wisteria Walk. Mi sono avvicinata all’imbocco del vicolo ho visto dei Dissennatori che correvano...“

“Che correvano?” intervenne Madama Bones in tono aspro. “I Dissennatori non corrono, scivolano.”

“Era quello che intendevo dire,” aggiunse in fretta la signora Figg, e macchie rosse le apparvero sulle guance avvizzite. “Che scivolavano lungo il vicolo verso quelli che sembravano due ragazzi.”

“Che aspetto avevano?” chiese madama Bones, stringendo gli occhi tanto che l’orlo del monocolo scomparve nella carne.

“Beh, uno era molto grosso e l'altro molto magro...“

“No, no,” disse Madama Bones impaziente. “I Dissennatori… li descriva.”

“Oh,” mormorò la Signora Figg, mentre il rossore le si propagava al collo. “Erano grossi. Grossi e portavano il mantello.”

Harry provò una terribile sensazione di vuoto alla bocca dello stomaco. Qualunque cosa potesse dire la signora Figg, gli pareva che al massimo avesse visto un'immagine di un Dissennatore, e un'immagine non avrebbe mai potuto rivelare com'erano davvero quegli esseri: il modo strano di muoversi, aleggiando a qualche centimetro da terra; o il loro odore di putrefazione; o quel terribile rumore metallico che facevano quando risucchiavano l'aria tutto intorno…

Nella seconda fila, un mago tarchiato con i baffoni neri si chinò verso la vicina, una strega con i capelli crespi, per sussurrarle qualcosa all'orecchio. La strega fece un sorrisetto e annuì.

“Grossi, e portavano il mantello” ripeté Madama Bones gelida  “Capisco. Nient'altro?”

“Sì” disse la signora Figg. “Li ho sentiti. Tutto è diventato freddo, ed era una sera molto calda d'estate, sapete. E mi sono sentita… come se tutta la felicità fosse sparita dal mondo… e ho ricordato… cose terribili…”

La sua voce si spezzò e si spense.

Gli occhi di Madama Bones si dilatarono appena. Harry vide i segni rossi sotto il sopracciglio, dove il monocolo aveva scavato un solco.

“Che cos'hanno fatto i Dissennatori?” chiese, e Harry provò un moto di speranza.

“Hanno aggredito i ragazzi” disse la signora Figg con voce più forte e sicura, mentre il rossore le defluiva dal viso. “Uno di loro era caduto. L'altro indietreggiava, cercando di respingere il Dissennatore. Era Harry. Ha provato due volte ma ha fatto solo del vapore d'argento. Al terzo tentativo, ha prodotto un Patronus, che ha cacciato il primo Dissennatore, e poi, su esortazione di Harry, ha cacciato via il secondo da suo cugino. E questo… questo è quel che è successo” concluse la signora Figg debolmente.

Madama Bones guardò la signora Figg in silenzio. Caramell non la guardava affatto, ma giocherellava con le sue carte. Lo sguardo della Madama Nightingale era indecifrabile.

Infine ella si alzò e chiese in tono deciso: “Questo è ciò che ha visto, vero?”

“Questo è quel che è successo” ripeté la signora Figg.

“Molto bene” disse la Speaker. “Può andare”.

La signora Figg lanciò uno sguardo spaventato da Caramell a Silente a madama Nightingale , poi si alzò e stava per allontanarsi quando una gelida voce fece voltare Harry di scatto; il ragazzo si sentì mozzare il fiato, come se avesse appena sbattuto contro qualcosa di duro.

Lucius Malfoy era in piedi davanti a lui, il viso pallido e affilato che lasciava trasparire un ghigno appena accennato. L'ultima volta che aveva visto quei freddi occhi grigi era stato attraverso le fessure di un cappuccio da Mangiamorte, e l'ultima volta che aveva sentito la voce beffarda di quell'uomo era stato in un cupo cimitero, mentre Lord Voldemort lo torturava. Harry non riusciva a credere che Lucius Malfoy osasse guardarlo in faccia; non riusciva a credere che fosse lì, tra i membri della corte, per giunta!

“Perdonatemi, signora Figg, voi avete detto di essere una Maganò, corretto?” disse con una falsa accondiscendenza che Harry vide non si estendeva agli occhi gelidi.

“Sì signore, è esatto” rispose lei pallida, ravvicinandosi alla sedia da cui si era appena alzata.

“E allora, mia cara signora le chiedo...Perché ha testimoniato il falso di fronte a questa corte?!” esclamò Malfoy con un dito puntato verso di lei in segno d’accusa. Il sorriso maligno stampato sul volto si alimentava dagli occhi gelidi che sembravano bruciare di gioia.

Improvvisamente un borbottio concitato si levò da più parti, Harry si sentì afferrare da un senso di stupore, guardò velocemente prima Lucius Malfoy che se ne stava lì sogghignante, con una chiara espressione di malvagia soddisfazione stampata sul volto e poi Silente che sembrava improvvisamente serio, immobile con le mani appoggiate sul naso adunco, con un’espressione indecifrabile stampata sul volto.

“Ordine, colleghi. Ordine” intervenne la Speaker dall’alto alzando il tono della voce per sovrastare il crescente brusio che si levava ormai forte da ogni lato mentre molti dei membri del Wizengamot parlottavano concitatamente mentre aspettavano che Lucius Malfoy continuasse.

“Signor Malfoy” disse infine rivolgendosi alla figura più in basso alla sua destra. “Che prove ha a sostegno della sua affermazione?” chiese all’uomo sedendosi e guardandolo con estrema attenzione. Harry intravide una goccia di sudore scenderle dalla parrucca.

Lucius Malfoy si rivolse alla donna sullo scranno in alto e con un leggero cenno del capo disse “Perché mia signora, la qui presente Arabella Figg ha affermato di essere una Magonò ed io ho un documento, firmato da Archibald Frost, rispettato esimio medico e luminare di Fisiologia all’Ospedale San Mungo” disse interrompendosi e sollevando con enfasi teatrale un plico sigillato con la ceralacca, “...Che afferma, inequivocabilmente, di come i Maghinò non siano in grado di vedere molte delle creature magiche, tra cui, appunto i dissennatori” concluse posando il plico nuovamente sul banco.

“No, è vero” esclamò la signora Figg con un misto di paura ed isteria nella voce, guardando velocemente i banchi della corte per poi voltarsi verso il professor Silente, immobile nel suo scranno.

Harry si sentì sprofondare il cuore nel petto e guardò il professor Silente che però non accennava a muoversi dalla sua sedia, guardando con sguardo fermo ma indecifrabile il banco del signor Malfoy. Harry dal canto suo era spaventato per la prima volta; se l’accusa fosse stata confermata lui si sarebbe trovato in grossi guai e con lui il professor Silente. Si strinse nella sedia e guardò in alto, sperando in un miracolo che cambiasse le carte in tavola.

 “Ordine colleghi. Ho detto ORDINE!” disse la Speaker alzandosi e alzando al massimo il tono della voce. “Vi invito alla calma, altrimenti dovrò sospendere l’udienza!”

A questo parole molti si sedettero ma continuavano a borbottare concitatamente e far gesti verso il signor Malfoy. Dal canto suo Caramell, vide Harry con la coda dell’occhio, era raggiante e guardava Lucius Malfoy con malcelata ammirazione.    

“Vi prego, colleghi...Signor Malfoy” esordì dopo aver ripreso il controllo della situazione, con sguardo duro: “La invito a presentare tali documenti alla corte...Signor Weasley, cortesemente...” disse rivolta a Percy il quale si diresse velocemente al banco del Signor Malfoy per portare il plico ancora sigillato al banco dello Speaker.

Mentre la donna apriva il sigillo e cominciava ad esaminare i documenti Lucius Malfoy riprese a parlare rivolto all’aula. “La sua testimonianza è una beffa, un oltraggio a questa corte e mi chiedo...perché se la difesa è così certa di quanto accaduto, abbia ricorso a espedienti così meschini!”.

Di nuovo il brusio salì di un livello nell’aula; ormai tutti pendevano dalle labbra del signor Malfoy che con veemenza concluse: “Non sarà forse questa un'altra delle menzogne portate davanti a questa spettabile assemblea?! Un’altra delle SUE menzogne, professor Silente?!”.

A quel punto il brusio raggiunse un livello tale da far posare alla Speaker il plico per rialzarsi in piedi per invitare l’aula alla calma, anche se con molte difficoltà. Harry per la prima volta provò il terrore di non riuscire a cavarsela. Guardò prima il signor Malfoy che gli rivolse un compiaciuto sguardo glaciale, mal celando la propria euforia. Di nuovo Harry cercò lo sguardo del preside e fece per parlargli, ma Silente lo bloccò alzano una mano, non guardandolo in faccia. Harry sentì una strana rabbia montargli nel petto:

“Ma come?!” pensò “Perché Silente non dice nulla per difendersi? Per difendermi?! Non è possibile che sia vero quanto dice Lucius Malfoy, ma allora perché?!” il suo fluire di emozioni fu bloccato dalla figura dell’anziano mago che finalmente si alzò in piedi e schiarendosi la voce catalizzò su di sé l’attenzione di tutti, facendo ripiombare l’aula in uno stato di pericolosa calma.

Quando Silente parlò fu con un tono diretto e voce profonda, rivolto tanto a Lucius Malfoy, quanto a tutti maghi e streghe presenti nell’aula. “Né io né la mia testimone né Harry Potter hanno mai mentito a questa corte Lucius e lo studio a cui tu ti riferisci è limitato e ne posso citare altri a confutare la tua tesi ma non è questo il punto. Lo scopo di questo processo è valutare la veridicità di quanto avvenuto la sera del due agosto scorso. Un solo mago era presente sulla scena, Harry, appunto.” Silente fece una pausa e per la prima volta guardò Harry negli occhi. Questi vide per un segno di timore scintillare dietro i familiari occhiali a mezzaluna ed in lui la paura crebbe sempre di più.

“Se riesco ad uscire con la bacchetta da questo processo giuro che donerò mille galeoni al San Mungo!” giurò il ragazzo in cuor suo. Sentiva il cuore battere a mille, per la prima volta sentì davvero materializzarsi nella sua mente la possibilità di non poter più tornare ad Hogwarts ed il solo pensiero gli fece gelare il sangue.

 “Non vi sono prove che possiamo acquisire dalla scena di quanto sia accaduto” esordì il preside  “Ma per testimoniare la veridicità di quanto espresso fino a qui da Harry invito questa corte a permettere l‘uso del Veritaserum. So bene...” aggiunse prima che Caramell potesse interromperlo. “..che questa prova non è ammissibile nei processi per imputati minorenni ma numerosi pareri ben più competenti del mio in materia, hanno dimostrato la utilità per i maghi e le streghe non dotati di capacità rilevanti di Occlumanzia. E’ per questo che la difesa chiede l’ammissibilità di questa prova, l’unica in grado di far luce sulla veridicità della testimonianza, e fugare qualsiasi ipotesi di menzogna”.

Detto questo, senza aggiungere altro, l’anziano mago si rimise a sedere con lo sguardo rivolto alla presidenza, lo sguardo imperturbabile ed indecifrabile. La sala era sprofondata in un’attesa piena di trepidazione. Caramell confabulava sottovoce con una strega dalla faccia di rospo accanto a lui, vide Harry, Lucius Malfoy era intento a scambiare parole con un mago alla sua sinistra con sguardo interrogativo.

Harry alzò la testa verso lo scranno più alto. Non sapeva cosa pensare, aveva visto gli effetti del Veritaserum alla fine dell’anno scorso e non era affatto sicuro di volerli sperimentare di persona. Dopo qualche istante in cui la donna seduta in alto sembrò consultarsi con un giovane mago alla sua destra, si alzò nuovamente in piedi spezzando con la sua voce il silenzio dell’aula.

“La prova suggerita della difesa è da considerarsi inammissibile per il procedimento disciplinare qui in corso. Questo infatti non è un processo professor Silente, benché sia tenuto di fronte alla corte plenaria. Sono state sollevate pesanti accuse sulla test da lei fornita che saranno accuratamente vagliate in seguito” concluse la Speaker con lo sguardo che passava lentamente dal professor Silente al signor Malfoy prima di continuare lentamente rivolta verso tutti i membri della corte.

“Credo di poter affermare che questa corte ha ormai sentito le testimonianze di entrambe le parti nonché le principali obiezioni a tali testimonianze ed accuse. Detto questo sarei quindi procedere al voto finale”.

Detto questo la donna si interruppe per qualche secondo. Un mormorio generale di assenso si diffuse per tutta l’aula.

 Harry guardò Silente e Caramell, entrambi immobili  a studiarsi fra loro. Per la prima volta non sapeva cosa pensare: una parte di lui avrebbe voluto bere il Veritaserum ma in cuor suo sapeva di aver detto la verità e sperava che fosse stato evidente dalla sua testimonianza. Posando lo sguardo su una ancora mezza terrorizzata signora Figg Harry ne ebbe pietà in cuor suo; aveva fatto già abbastanza per lui, non le poteva chiedere di più. Harry sapeva che non era colpa sua; per la prima volta un potente sentimento di risentimento si sviluppò nel cuore di Harry verso Silente; era evidente che aveva fatto un passo falso, non considerando un eventualità che Malfoy senior era stato abile nello sfruttare e ora lui stava per pagarne le conseguenze.

“Coloro che sono per l'assoluzione dell'imputato da tutte le accuse dicano “Sì” , i contrari “No” chiese infine la voce tonante della Speaker.

La testa di Harry scattò in su. Un coro di voci che gridavano “Sì” e “No” invasero l’atmosfera della sala. Harry ebbe un tuffo al cuore, non riuscendo a capire qualche delle due parti avesse la meglio in quella confusione.

Qualche secondo dopo la voce di Madama Nightingale suonò forte nell’aria sopra tutte le altre, con quattro parole che, Harry si disse, si sarebbe ricordato per anni.

“Divisione, sgombrate la sala”.

 

 

Note dell’autore. L’udienza disciplinare di Harry non è un processo e come tale la massima pena che la corte può infliggere è l’espulsione da scuola ed eventuali pene coercitive e di riabilitazione, un po’ come i riformatori babbani, ma non la perdita della bacchetta. Il Veritaserum non è utilizzabile in un processo, questo perché i suoi effetti possono essere contrastati dall’Occlumanzia e dall’aver ingerito l’eventuale antidoto. L’uso di tale pozione è consentito solo ai processi minorili, non in caso di un’udienza disciplinare, per questo Anne rifiuta a Silente l’uso di questa prova.

Lucius fa parte del Wizengamot in quanto questo, nella mia fanfiction, è formato da ottantuno membri eletti, uno per contea inglese, scozzese, gallese e dell’Irlanda del Nord più trenta membri non eletti, uno per ogni famiglia purosangue con discendenza accertata (le sacre ventotto del saggio di Cantankerus Nott a cui sono state aggiunte la famiglia Nightingale e quella dei Potter;  tale numero trova fondamento legale nel trattato “Le sacre trenta” del figlio di Cantankerus, Edgar Nott del 1954 che si basa su testi antichi risalenti a prima ancora dell’entrata in vigore dello Statuto di Segretezza stesso). In totale sono 110 membri più lo Speaker, che non ha diritto di voto se non nel raro caso in cui l’assemblea si spacchi esattamente a metà.

In una votazione del Wizengamot, alla fine della discussione, lo Speaker pone la domanda finale, che può essere l’approvazione di una legge o l’assoluzione dell’imputato ed i membri devono rispondere “Sì” o “No” a voce alta, tutti assieme. Se chiaramente una delle due parti è in netta maggioranza i voti non vengono contati singolarmente e lo Spaeker annuncia direttamente l’esito della votazione; in caso contrario quest’ultimo chiama una “divisione” cioè una conta singola che i rappresentati eseguono dividendosi in due file e risalendo dal basso all’alto dell’aula, venendo quindi contati dallo scrivano di corte e dal segretario dello Speaker. Tradizionalmente la fila che sale a destra dello Speaker è quella dei favorevoli mentre quella alla sua sinistra, quella dei contrari.

A differenza del canon tutte queste famiglie hanno eredi ancora in vita; un solo scranno rimane vuoto, quello dei Potter visto che Harry non è ancora maggiorenne e non ha ancora conseguito i M.A.G.O. in almeno cinque discipline, le uniche due condizioni necessarie per occupare il proprio posto all’interno dell’assemblea. Se qualcuno avesse domande o dubbi in merito mi chieda pure.

 

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Capitolo 5
*** Un gelato a Diagon Alley ***


Daniel sembrò uscire da una specie di trance quando vide sua madre sedersi e avvicinare l’orecchio a Wilkins, in piedi sulla destra accanto al suo scranno, mentre questi le indicava alcuni passaggi probabilmente da usare nella scrittura del verdetto. La tensione sembrava scivolargli via lentamente mentre molte delle figure sedute in galleria cominciavano ad alzarsi e a lasciare la stanza; anche nell’aula sottostante diversi membri del Wizengamot avevano iniziato a abbandonare i loro posti sulle panche, alcuni parlottando fra loro, altri lanciando occhiate più o meno interessate al giovane Harry ancora immobile sulla sua sedia, altri, raccolti attorno al Ministro Caramell, sembravano riuniti a formare un piccolo consiglio.

“Se l’è cavata anche stavolta” disse una voce gelida dietro Daniel, facendolo girare con uno scatto che gli fece male al collo.

Draco Malfoy si era alzato e stava camminando lentamente verso la balaustra, un’espressione di disgusto stampata sul volto appuntito, gli occhi più gelidi di un pezzo di ghiaccio.

Daniel si alzò e si avvicinò velocemente a lui; chiaramente l’altro stava squadrando Harry con malcelato risentimento, mentre questi si alzava e finalmente si avviava verso la porta d’uscita. Osservando attentamente il viso del ragazzo, Daniel capì all’istante che non doveva scorrere buon sangue fra i due, qualcosa che andava oltre il fatto che questi se la fosse cavata per soli tre voti, vanificando l’intervento di quello che sicuramente era il padre del ragazzo che gli stava accanto.

“Tu credi davvero che fosse colpevole?” gli chiese Daniel per saggiare la sua ipotesi.

L’altro si girò verso di lui con un sorrisetto maligno stampato sul volto pallido. “Ovviamente!” gli rispose con determinazione, poi con un cenno di saluto cominciò a zoppicare verso la porta d’uscita. Daniel gli rispose e ritornò indietro per un attimo a guardare di sotto dalla balaustra, l’aula era chiaramente un vecchio tribunale probabilmente usato in passato per procedimenti ben più gravi.  Lo sguardo del ragazzo si fissò prima sulla sedia con le catene manette ai lati, poi verso sua madre che per ultima stava scendendo la scalinata di destra parlando fitto fitto con Wilkins, che stava prendendo velocemente appunti annuendo di tanto in tanto con la testa.

“Ti va un gelato da Florean Fortebraccio?” chiese una familiare voce strascicata alle sue spalle, facendolo voltare di scatto.

Daniel vide che lui e Draco Malfoy erano rimasti i soli nella stanza, il ragazzo in piedi appoggiato alla porta chiusa con lo stesso sorriso senza malizia di alcune decine di minuti prima. Un grande sorriso gli si materializzò sul volto a quelle parole.

“Certo, ma dov’è questa gelateria....Draco?” aggiunse con una nota di forte timore nella voce. Anche se non sapeva il perché, quel ragazzo dal viso affilato gli metteva uno strano senso di soggezione, o meglio, non sapeva come prenderlo...dalle poche parole scambiate prima si era reso contro che poteva passare da un freddo distacco aristocratico ad una timida gentilezza con una mezza parola. A Daniel sembrava di camminare in una cristalleria ma la voglia di farsi qualche amico prima di arrivare in quella scuola di cui conosceva per ora soltanto il nome “Hogwarts” e qualche vecchia storia ebbero la meglio sulla sua iniziale diffidenza, che fu spazzata via alle successive parole dell’altro.

“E’ vicina, Daniel, basta uscire dal ministero e percorrere tutta Diagon Alley, fin quasi in fondo”. disse Draco, col sorriso che gli si estendeva leggermente agli occhi.

Daniel scattò in avanti e gli aprì la porta per aiutarlo ad uscire: “D’accordo, andiamo, devo finire di comprare le ultime cose per la scuola ma posso farlo dopo con mia mamma. Anzi se vuoi te la presento, tanto la devo avvertire comunque.” riprese l’altro.

“Certo, volentieri, anche io devo avvisare mio padre, dovrebbe essere qui appena usciti” gli rispose l’altro uscendo lentamente dalla stanza con un sorrisetto.

I due percorsero in silenzio il corridoio che li separava dall’ingresso al nono livello, arrivati alla base della scalinata Daniel vide uno sguardo di impazienza misto a rabbia tingere le iridi grigie di Draco.

“Maledette scale...” disse come rivolto alla rampa di pietra che lo separava dal piano superiore. Prima che Daniel potesse offrirgli una mano l’altro aveva già puntato il bastone sul primo gradino e si era dato la spinta con la gamba buona per salire. Tutto sembrò andare per il meglio solo che, da ultimo, tentò naturalmente di bilanciarsi sull’altro piede che si piegò in un angolo strano, facendogli scappare un “Ahia!” prima di dondolare pericolosamente in avanti col peso del corpo.

Daniel reagì d’istinto e gli tirò indietro le spalle, facendogli riguadagnare l’equilibrio mentre con una mano gli prese il braccio per assicurarne la presa sul bastone. Ci fu uno scambio di sguardi dove una miriade di espressioni sembrarono passare negli occhi di Draco, ficnhé questi disse con un sospiro: “Grazie, a scendere non ho avuto grossi problemi ma a salire è ancora peggio!”.

“Beh non vedo molte altre soluzioni. Passami il bastone” disse rivolto all’altro porgendogli la mano. Draco lo guardò con uno sguardo di stupore misto a una smorfia cattiva. “Cosa?!” gli disse con tono minaccioso.

“Non ti serve e cadrai se lo usi per salire” gli disse Daniel porgendogli la mano sinistra, poi con sguardo deciso aggiunse: “L’unico modo è che ti appoggi a me, con la destra, così da salire senza scivolare”.

Draco sembrò valutare le sue opzioni e quanto gli aveva detto l’altro, poi con sguardo freddo e determinato rispose: “Non preoccuparti il bastone va benissi...” disse mentre teneva di superare il secondo gradino. Il piede nuovamente sovraccaricato gli cedette completamente, storcendosi sotto il suo peso ed il bastone gli scivolò via di mano, non riuscendo a fare presa sulla liscia pietra della scalinata. Draco ondeggiò di nuovo pericolosamente verso destra e di nuovo Daniel lo afferrò da dietro facendogli riguadagnare l’equilibrio un istante prima di cadere in avanti.

“Visto?!” gli Daniel l’altro serio. “Non riuscirai a salire, ti devi appoggiare a me. Arrivati su poi col bastone ce la farai da solo” aggiunse cercando di ignorare lo sguardo duro ed il lieve rossore che tinse le guance dell’altro.

Passarono un paio di secondi immobili dove Daniel pensò che Draco stesse cercando un modo per evitare di essere aiutato “Cavoli, mi sembra Blaise...” pensò il ragazzo mentalmente.

“E va bene” gli disse Draco con una nota di risentimento e di noia nella voce. “Tieni” concluse, dandogli il bastone. Daniel lo prese e afferrò immediatamente la mano destra del ragazzo che si irrigidì nel tentativo di trovare l’equilibrio. Dopo qualche secondo Daniel gli dette la spinta per salire il terzo gradino, stupendosi nel mentre di come l’altro fosse leggero. Così nel giro di qualche minuto i due riuscirono ad arrivare senza ulteriori problemi in cima alla rampa; Daniel porse nuovamente il bastone all’altro che si ricompose nel giro di un nanosecondo, ritrovando l’equilibrio e il distacco di prima.

“Grazie...” gli disse Draco.

“Di niente, figurati.” gli rispose l’altro. “Sei molto leggero, saresti un buon cercatore” concluse squadrandolo da capo ai piedi.

Tsk.” riprese Draco con una finta nota di stizza nella voce “Io SONO un OTTIMO cercatore. Serpeverde mi deve molte vittorie” disse con una grande nota d’orgoglio nella voce, rivolgendo all’altro un’occhiata da superiore.

Daniel ignorò il tono di superbia dell’altro e con un’espressione di sincero interesse gli chiese: “Sei il cercatore della tua casa?! Che bravo! Che scopa usi?” aggiunse con gli occhi che gli luccicavano, mentre svoltavano l’angolo reimmettendolsi nel lungo corridoio ad elle. Era un grande appassionato di Quidditch.

“Una Nimbus duemilauno” disse Draco con voce orgogliosa.

“Figo!” esclamò Daniel. Era uno degli ultimi modelli usciti, secondo solo alla Firebolt per velocità: una scopa perfetta per un cercatore.

“E da quanto...” la voce di Daniel si affievolì e si spense mentre il suo sguardo si posava sulle due figure poco più avanti. Anche Draco girò la testa e uno sguardo di timore misto a rispetto gli dipinse il volto nel vedere poco distante il padre parlare con la nuova Speaker.

“Come sa, signor Malfoy, la sentenza non può essere appellata ulteriormente, ma può star certo che farò luce sulla falsa testimonianza della signora Figg. Ha già dato istruzioni al signor Shacklebolt di condurre un interrogatorio preliminare ed un’indagine approfondita in materia. Sicuramente...” disse la donna interrompendosi poi di fronte a Daniel.

Il signor Malfoy si voltò leggermente ed un sorriso gli illuminò il volto, senza estendersi però agli occhi gelidi, alla vista del figlio e del ragazzo che gli camminava accanto:

"Draco, ti stavo cercando, ma vedo che sei già in buona compagnia. Chi è questo giovanotto?" chiese con interesse.

Draco non fece in tempo ad aprire bocca che Daniel porse la mano in direzione dell'uomo, dicendo: "Daniel Nightingale, piacere signor Malfoy".

Guardandolo mentre l'altro mago gli porgeva la mano guantata di nero e lui la stringeva, Daniel ebbe un leggero brivido lungo la schiena, non sapeva perché. Fu sua madre a riprendere il discorso, posando i suoi occhi fra Daniel e Draco:

"Questo è mio figlio, signor Malfoy e questo immagino sia il suo disse porgendo la mano a Draco, che la strinse con un leggero inchino della testa.

"Sei un ragazzo di buone maniere" aggiunse Anne, rivolta a Draco con un sorriso. " poi continuò rivolta al figlio:

"Daniel io avrò ancora un po' da fare in ufficio, perché non inizi a vedere ciò che ti serve per la scuola? Ci possiamo vedere alla Gringott fra un'ora circa" concluse guardando l'orologio.

"Certo mamma, non preoccuparti." le rispose Daniel sorridente. Poi si rivolse al signor Malfoy che lo stava squadrando dall'alto.

"Le dispiace se le rubo Draco per un gelato?" gli chiese mentre il volto di Lucius si schiudeva in un sorriso misto a trepidazione.

Daniel incrociò lo sguardo di Draco e si incupì all'improvviso. Gli era sembrato per un attimo che una traccia di paura avesse traversato gli occhi dell'altro per una frazione di secondo, anche se non ne capiva il perché.

Quando Draco parlò però non c'era traccia di timore nel suo sguardo solo, una nota d'impazienza: "Faremo presto, padre."

Lucius batté per due volte il nero bastone da passeggio che portava sul pavimento, prima di rispondere con un sorriso ancora più ampio:

"Ma certo, figlio mio. Io fra poco avrò una riunione importante. Troviamoci qui nell’atrio fra una mezz’ora."

Con un cenno della testa Draco annuì prima di salutare la Speaker e proseguire velocemente, quanto più la gamba gli permettesse, lungo il corridoio verso gli ascensori. Daniel, con un ultimo cenno d'intesa a sua madre cominciò a rincorrerlo, fino a raggiungerlo velocemente:

"Ehi, rallenta, che fretta hai?" disse Daniel affiancandolo, schivando due messaggi diretti verso il piano superiore.

"Voglio uscire, mi manca l'aria, tutto qui" rispose l'altro con sufficienza, senza degnarlo di uno sguardo.

Daniel rimase in silenzio per qualche istante ma arrivato agli ascensori chiese a Draco: "Sei sicuro non ci sia niente altro?".

L'altro si voltò verso di lui e con uno sguardo duro e con tono gelido gli disse: "Non c'è nulla che non vada te l'ho già detto!.”

Daniel rimase in silenzio fino alla gelateria, per Diagon Alley non pronunciò parola, lo sguardo basso che ogni tanto fissava il ragazzo accanto a lui. Proprio non riusciva a capirlo, Draco. Un attimo era freddo e disinteressato, poi si mostrava gentile, poi tornava ad essere orgoglioso ed infine si chiudeva in se stesso, mostrando più aculei di uno Schioppodo Sparacoda.

Guardando l'altro che entrava nella gelateria, reggendogli la porta per un nanosecondo, Daniel capì in cuor suo che per diventare suo amico avrebbe dovuto sudare sette camice; ma c'era qualcosa in quel ragazzo pallido che lo attirava, qualcosa di empatico, nonostante il suo carattere scostante, a cui non riusciva ancora a dare un nome.

La gelateria di Florian Fortebraccio era una vera magia per gli occhi, gusti dai più classici ai più esotici, cialde di ogni forma, granelle e coperture di ogni natura illuminavano un ambiente variopinto e pieno di maghi e streghe di tutte le età. Daniel raggiunse Draco di fronte alla grande vetrina dei gusti e si mise ad osservare tutte le opzioni; alcuni dei gusti non li conosceva neppure...ce ne era ad esempio uno grigio chiaro con dei piccoli semini scuri in rilievo che il suo compagno sembrava puntare con avidità.

Appena una giovane commessa sulla ventina si avvicinò a loro, Draco le chiese con tono deciso:

"Un cono medio, sesamo nero e menta".

Poi aggiunse rivolto a Daniel: "Tu cosa prendi?".

Il ragazzo che stava ancora leggendo gli ultimi gusti gli rispose, mentre l'altro prendeva il suo cono ed iniziava a leccarlo:

"Dunque...Anch'io un cono medio... liquirizia nera e  crema" disse Daniel avviandosi alla cassa.

Il cassiere era un mago sulla trentina, che appena vide il ragazzo avvicinarsi gli disse, facendo scattare il registratore di cassa:

"Due coni medi sono 12 falci" disse con un leggero sorriso.

"Aspetta Daniel..." lo raggiunse Draco col gelato che stava già iniziando lentamente a sciogliersi, cercando con la mano destra il suo portamonete in varie tasche del vestito verde.

"Lascia stare Draco", lo tranquillizzò l'altro aprendo il suo e allungando le monete al cassiere. "Ti sta colando la menta, attento."

L'altro ragazzo riprese a leccare il cono appena in tempo ed indicando un tavolino libero all'aperto disse a Daniel: "Sediamoci là".

I due si sistemarono su un lato del piccolo giardino esterno che dava su Diagon Alley; Draco fu il primo a rompere il silenzio:

"Grazie per il gelato, Daniel. Ho sentito da mio padre che sei tornato da poco dalla Nuova Zelanda, immagino verrai ad Hogwarts quest'anno".

"Certo!" rispose l'altro addentando un pezzo di crema. "Ad Aotearoa, la nostra scuola di magia, non avevamo case come da voi, sarà una cosa strana essere smistati".

"Davvero?!" chiese l'altro inarcando un ciglio per la sorpresa. "Beh, spero finirai a Serpeverde, avresti tanti buoni amici lì, fra cui me ovviamente!" aggiunse gonfiando leggermente il petto. Poi d'improvviso s'incupì:

"Sai che se finirai a Grifondoro, sarò costretto a toglierti il saluto, vero?" aggiunse con uno sguardo così torvo che a Daniel andò di traverso la saliva.

"Ma....cough...come mai tutto questo odio?" poi all'improvviso il suo cervello fece due più due e si ricordò del processo: "Non sarà mica per Harry Potter, vero? Che cosa c'è che non va tra voi?" chiese con sincero interesse.

Dall'espressione dura e dall'occhiataccia di Draco, capì di aver toccato un tasto delicato.

"Lascia stare quello stupido di uno Sfregiato! Non siamo mai andati d'accordo, fin dal primo anno" esclamò l'altro con le guance leggermente rosate e uno sguardo glacialmente infuocato. "Siamo nemici da sempre, lui e quel gruppo di sciocchi sudici mezzosangue!" concluse con odio.

Daniel lo guardò straniato. Mai ad Aotearoa aveva visto niente del genere. Parole come "mezzosangue" non venivano praticamente mai usate, e anche se le antipatie non erano infrequenti, percepiva che c'era molto di più fra Draco Malfoy ed Harry Potter.

"Non sono un tipo molto coraggioso, quindi non dovrei rischiare, no? aggiunse concentrandosi sul suo cono, ormai alla fine.

L'ira di Draco si spense rapidamente così come era scoppiata e quando gli parlò di nuovo fu con un tono tranquillo e amichevole: "Scusami, tu non sei stato quattro anni ad Hogwarts ma vedrai presto con i tuoi occhi, spero potremo essere amici" aggiunse con un leggero sorriso.

Daniel lo guardò negli occhi e rimase senza parole. Un turbine di emozioni gli si agitava dentro ma vedendo la sincerità nel volto dell'altro cercò di controllarsi più che poteva.

"Lo spero" disse, ricambiando lo sguardo. "Anzi ne sono certo, ad una sola condizione..." concluse specchiandosi negli occhi dell'altro. "Che tu non tradisca mai la mia fiducia e  mi accetti come sono, io prometto di fare lo stesso con te". concluse tendendogli la mano.

Dallo sguardo incerto di Draco, Daniel sperò in cuor suo che gli avrebbe stretto la mano; qualcosa in quei freddi occhi di ghiaccio gli ricordava se stesso prima di incontrare Blaise e Rachel e anche se il suo carattere era molto diverso da quello dell'altro, poteva percepire un senso di solitudine che gli era familiare.

Draco sembrò immerso nei suoi pensieri per qualche secondo prima di prendergli la mano e dire con voce bassa: "Andata, ma ad un unica condizione, che tu non ti intrometta mai fra me e Potter, mai, per nessun motivo".

Daniel gli strinse forte la mano, sentendo le dita fredde e sottili dell'altro tra le sue ed ebbe la sicurezza di essersi imbarcato in una bella sfida con Draco.

"Hai mai giocato a Quidditch, gli chiese questi con tono decisamente più rilassato.  

Il viso di Daniel si illuminò: "Certo! A Aotearoa abbiamo cinque squadre di Quidditch, io ho giocato per un anno nei "Blue Tornado", siamo arrivati secondi ma ce la siamo giocata bene, abbiamo perso per dieci punti, non me lo ricordare mi brucia ancora la sconfitta!" esclamò battendo un pugno sul tavolo.

Draco lo guardò con un sorrisetto amaro: "Ti capisco, Serpeverde è arrivata terza nell'ultimo campionato, uno schifo".

"Vabbè dai quest'anno vi dovete rifare allora" disse Daniel con fare incoraggiante, poi aggiunse, “Come funziona lo smistamento nelle case ad Hogwarts? Ho letto che viene fatto da una specie di cappello."

"Sì, c'è una specie di cappello parlante, te lo mettono in testa e lui ti smista a seconda di quanto tu rispecchi i valori di uno dei fondatori di Hogwarts; Serpeverde premia astuzia, lignaggio, essere pieni di risorse ed un certo odio per i Grifondoro come ti ho già spiegato." aggiunse gonfiando leggermente il petto.

Daniel rise. "Specialmente nei confronti di un certo Harry Potter, immagino" aggiunse con un ghigno.

"Soprattutto!" esclamò l'altro sgranocchiando l'ultimo pezzo di cialda. "Lui, quel traditore pezzente Weasley e quella mezzosangue della Granger" aggiunse con odio.

"Tu che ne pensi del ritorno di Tu-Sai-Chi? Silente sembra in aperto conflitto col Ministro Caramell.” disse Daniel cercando di cambiare argomento.

"Silente crede a Potter, l'anno scorso c'è stato un incidente alla fine del torneo Tremaghi e Potter era lì accanto al cadavere di Cedric Diggory, un Tassorosso, nonché il vero campione di Hogwarts. Per farla breve Potter sostiene di essere stato testimone del ritorno del Signore Oscuro, tutte sciocchezze secondo me. Il Ministero della Magia non ha trovato alcuna prova, per me si è inventato tutto." concluse con una smorfia di disgusto.

"Perché avrebbe dovuto fare qualcosa di simile, Draco? Non ha senso!"

"Per cercare attenzioni, non è la prima volta che lo fa. Manie da protagonismo da Grifondoro senza dubbio!”

Era evidente che Draco era adamantino nelle sue convinzioni e che non sembrava minimamente intenzionato a sentire repliche ma in questo caso Daniel decise di non darsi per vinto:

“Secondo me la cosa è molto più complicata di così, Draco, altrimenti la Gazzetta del Profeta non passerebbe tutto questo tempo a smentire false affermazioni se fossero del tutto infondate come dici”

Il Serpeverde stava per rispondere caparbio quando un rintocco in lontananza fece voltare Daniel. Erano già le 11; era passata più di un’ora. Anche Draco se ne accorse ed i due si alzarono immediatamente di scatto e con passo veloce si diressero verso il fondo della via. Draco si stava maledicendo e zoppicando più in fretta che poteva. Daniel era sicuro che dovesse fargli un male cane la gamba ma non si intromise, chiedendo soltanto:

“Com’è che ti sei storto la caviglia?”

“Questa? Solo una stupida caduta dalla scopa, niente di più” rispose l’altro in tono freddo e asciutto.

Erano arrivati al punto dove si sarebbero dovuti dividere; Diagon Alley si biforcava, a destra verso la Gringott mentre a sinistra andava verso il Ministero della Magia.

“Mi ha fatto molto piacere conoscerti Draco” disse Daniel porgendogli la mano in segno di saluto. Poi guardando la gamba dell’altro aggiunse. “Quando ti sei rimesso passa pure da me che giochiamo un po’ a Quidditch insieme, ti va?” gli chiese con un gran sorriso. Era da tanto che ton toccava una scopa. A Blaize e Rachel non piaceva giocare a Quidditch e un’intera estate era troppo lunga per un appassionato come Daniel.

Le guance di Draco si tinsero di un colorito rosa pallido ed un sorriso comparve sui suoi lineamenti glaciali: “Certo, mi farebbe molto piacere, appena questa cavolo di gamba guarisce”. gli disse l’altro stringendogli la mano e salutandolo.

“Bene, allora ti aspetto allora!” disse Daniel salutandolo con la mano e affrettandosi di corsa verso la Gringott. Draco rimase lì immobile per diversi secondi prima di riprendere il suo cammino, impassibile come al solito.

Arrivato di fronte all’entrata del Ministero vide suo padre che lo aspettava chiaramente spazientito con un’espressione dura dipinta sul volto. Quando lo raggiunse gli parlò fu con un tono duro ed infastidito: “Spero che questo tuo ritardo sia servito a qualche cosa almeno!” disse chiudendo con uno scatto della mano destra un costoso orologio da taschino d’oro con inciso sopra un serpente su di una grande emme.

Draco abbassò lo sguardo, non riuscendo a sostenere né lo sguardo del padre, né il vortice di emozioni che gli si aggrovigliava nel petto. Si sentiva la bocca amara quando rispose con un leggero tremito nella voce:

“Sì, mi ha invitato a casa sua. Credo...credo voglia essere mio amico”.

Lucius Malfoy a queste parole si avvicinò all’orecchio del figlio, l’espressione dura svanita e rimpiazzata da un ampio sorriso. “Perfetto figlio mio, ti sei comportato bene....ma ricorda è solo il primo passo”, disse dandogli una leggera pacca sulla spalla di approvazione.

Draco sentì un sentimento di odio mischiarsi ad una ferita nel petto che sembrava crescergli dentro; nonostante si trovasse in un atrio pieno di persone, si sentì, una volta di più, più solo che mai.

 

 

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Capitolo 6
*** Un pomeriggio di Quidditch ***


La luce alta del sole filtrava oltre le bianche tende dalla grande finestra della camera di Daniel, mentre questi si trovava a gambe incrociate sul suo letto a baldacchino, lo walkman buttato dietro, intento a parlare con volto raggiante a due volti familiari nel camino acceso davanti a sé.

“E così anche la storia dell’udienza è passata. Ma come sta andando laggiù ad Hamilton Bay? Ho sentito che l’altra notte c’è stata una tempesta che ha danneggiato gravemente il vecchio faro in cima alla collina. Immagino che anche Oak House sia andata...” aggiunse Daniel con un tono di tristezza nella voce.

“Ha subito parecchi danni ma ha retto. Che credi che costruisca mio padre, Daniel?!” disse Blaize con evidente risentimento nella voce ed un mezzo sguardo torvo. “Ci ha anche piazzato una bella runa di protezione che ha salvato l’area. Pensa che i nostri sono l’unico gruppo di quattro alberi ancora in piedi nel raggio di duecento metri.” concluse con evidente soddisfazione nella voce.

“Daniel ci dispiace ma non so se riusciremo a venire a trovarti prima dell’inizio della scuola” s’intromise Rachel con un’occhiata dispiaciuta verso l’amico. “Purtroppo la tempesta ha fatto molti danni e dobbiamo rimanere qui a dare una mano, ci dispiace”.

“Ah, non preoccuparti Rachel, lo capisco. Vorrei tanto poter tornare io....” aggiunse Daniel abbassando gli occhi su una mappa della costa di Hamilton Bay che aveva preso per localizzare la loro vecchia casa sull’albero; era un’istituzione per loro tre.

Un leggero bussare sulla porta fece alzare lo sguardo a Daniel che, posandosi sull’orologio, trasalì. “Cavolo sono già le tre!” aggiunse rimettendosi in piedi mentre Michael, il maggiordomo, apriva leggermente la porta.

“Signorino Daniel, il giovane signor Malfoy è arrivato. L’ho fatto accomodare nel salotto est. Le consiglio di sbrigarsi” aggiunse con tono preoccupato.

Daniel sistemò il walkman e le mappe alla buona e poi si rivolse al maggiordomo. “Arrivo subito Michael, grazie.” Questi richiuse la porta con un cenno della testa.

 Rivolgendo lo sguardo a Blaize e a Rachel che lo stavano guardando con aria interrogativa, disse: “Vi ricordate il ragazzo di cui vi avevo parlato all’udienza? Draco Malfoy? L’ho invitato a casa mia...ma mi ero scordato dell’ora. Scusatemi ragazzi devo scappare. Se vi va, possiamo rivederci domani...” aggiunse in piedi davanti al camino.

“D’accordo nessun problema” disse Rachel con un sorriso, non seguita però da Blaize che squadrò l’amico con sguardo preoccupato. “Stai attento Daniel, lo sai....no?” aggiunse sollevando il sopracciglio destro con sguardo eloquente.

“Sì, Blaise. Dai, non tutti sono Nathan Drake. Non posso chiudermi in casa solo perché qualcuno è figlio di qualcun altro brutto e cattivo. Di questo passo non conoscerò mai nessuno. Ti ho già promesso che starò attento...”

“Bene, allora divertiti. Mi auguro con tutto il cuore di sbagliarmi...”aggiunse Blaise con un sospiro amaro.

“A domani allora!” disse Daniel salutandoli un istante prima di afferrare la sua Tornado Nove ed imboccare la porta della camera per dirigersi verso l’ala est. Apprezzava la preoccupazione che Blaize aveva verso chiunque lui conoscesse e, se da una parte sapeva che l’amico lo faceva per il suo bene, alle volte era di un soffocante da esplodere.

Percorrendo velocemente i vari corridoi della grande villa Daniel cercò di evitare di incrociare lo sguardo di molti dei quadri alle pareti; non si era ancora abituato alla pompa e alla rigidità che trasparivano da ogni angolo di quella vecchia casa, men che meno allo sguardo di alcuni dei suoi avi. Giunto di fronte al portone del salone est emise un sospiro e aprì la porta.

Il salone est era ancora pieno di luce nonostante il pomeriggio inoltrato; i molti specchi alle pareti riflettevano la luce di quella bella giornata facendola riflettere su un mobilio color crema, insolitamente leggero nello stile di Villa Nightingale. Seduto su una delle tre poltroncine a lato di un grande divano color perla, stava il suo futuro compagno di scuola, vestito in nero ebano con un serpente in verde giada che gli percorreva tutto l’abito; stava chiaramente esaminando il soffitto della sala mentre la sua scopa, una Nimbus duemilauno, era posata al lato della sedia.

“Ti piace il dipinto sul soffitto?” chiese Daniel avanzando verso l’altro tendendogli la mano con un leggero sorriso.

“Oh” esclamò Draco colto alla sprovvista. Si ricompose e strinse la mano al ragazzo. “Sì molto…è molto strano” continuò poi con il naso appuntito rivolto verso l’alto “Sembrano come delle nuvole che nascondono una specie di città fra la neve”.

“Aspetta, l’avevo letto....Ah sì!” esclamò Daniel buttandosi a sedere sulla sedia accanto a quella di Draco con lo sguardo rivolto verso l’alto. “Se non ricordo male questo dipinto, dovrebbe essere la spianata di Krelyn, l’entrata della città di Ilnys.

Draco si girò verso Daniel con un’espressione di stupore mista a sarcasmo sul volto. “La città perduta? Non sapevo che i tuoi avi avessero la passione delle leggende.”

Daniel scrollò le spalle, alzandosi dalla sedia e si avviò verso la porta dall’altra parte della sala. “Un mito forse, affascinante da raccontare però non trovi? Ma basta storia, andiamo nel parco fuori? Abbiamo un volo da fare!” prendendo Draco per il polso.

“Ehi, piano! Lascami Daniel” esclamò l’altro esaminando meglio il dipinto.

“Guarda che se t’interessa ti presto un libro” disse ridendo l’altro.

“Non importa” disse Draco afferrando la scopa, posando finalmente lo sguardo sull’altro ragazzo: “In che ruolo giochi tu a Quidditch?” gli chiese con fare indagatore, squadrandolo dalla testa ai piedi, con lo sguardo che indugiava per un secondo sul manico di scopa.

“Portiere!” esclamò Daniel con orgoglio. “Non me la cavo neanche male, o almeno questo è quello che Steven Kelby mi diceva sempre”

“Chi?” chiese Draco.

Daniel fece un gesto con la mano “Lascia perdere, è il capitano della squadra di Quidditch in cui giocavo l’anno scorso. Scommetto che mi avrà già rimpiazzato a dovere.”

“Da quanto giochi a Quidditch come portiere?” gli chiese Draco mentre, seguendo Daniel, i due si facevano strada per i corridoi fino ad arrivare all’ingresso principale sul lato del parco.

“Quattro anni!” esclamò Daniel con orgoglio. “Tu invece da quanto da un cercatore?

“Quattro anch’io! Spero che quest’anno sia la volta buona per Serpeverde, dovremo impegnarci al massimo se vogliamo vincere il campionato!” affermò Draco con aria risoluta, uno sguardo di gelido fuoco negli occhi: da troppo tempo la coppa mancava alla sua casa.

Dopo qualche altra svolta i due ragazzi si trovarono di fronte al lungo corridoio che dava sull’esterno; il parco di villa Nightingale era un grande giardino all’inglese, un luogo perfetto per allenarsi sulle scope.

Daniel fermò Draco a metà del corridoio, mettendogli una mano sulla spalla destra: “In fondo, dopo l’entrata c’è su una piccola isola completamente piatta, un posto perfetto per allenarci, ti va di fare a chi arriva prima?” chiese con uno sguardo di sfida all’altro.

Draco lo guardò con aria di superiorità, inarcando un sopracciglio e dicendo: “Non c’è gusto senza una posta in gioco...”

“Cosa vorresti scommettere?” gli chiese Daniel divertito.

“Una domanda” rispose l’altro con un leggero ghigno.

“Cosa?” ribatté Daniel, certo di non aver capito bene.

“Chi vince potrà chiedere all’altro qualsiasi cosa, qualsiasi domanda sarà lecita. Ci stai?” disse Draco con sguardo serio e risoluto con la mano aperta verso Daniel.

L’altro rimase un attimo spiazzato ma poi, ricomponendosi con aria di sfida, gliela strinse dicendo: “Va bene, ci sto!”

I due ragazzi si posizionarono sulle scope, tendo gli occhi l’uno sull’atro. Daniel poteva sentire lo sguardo magnetico di Draco su di sé e si sentì a disagio per un attimo di troppo. All’improvviso l’altro dette un colpo di gambe e partì in velocità. Daniel si maledisse lanciandosi all’inseguimento.

Usciti all’aria aperta, il sole del pomeriggio illuminò i volti dei due ragazzi; Draco era in testa ma Daniel gli stava alle costole. I due si tenevano bassi, schivando i rami degli alberi; Daniel cercò più volte di driblare Draco, cercando un passaggio più veloce fra le chiome dei sempreverdi ma per poco non riusciva mai a superarlo, gli era incollato dietro ma l’altro era sempre di un soffio più veloce di lui. Fu così che, dopo un inseguimento di diversi minuti, Draco toccò per primo terra sull’isola che si trovava al centro del parco di villa Nightingale. Squadrandola dal basso effettivamente il giovane Serpeverde notò subito che questa sembrava quasi un campo da Quidditch regolamentare, con tanto di anelli e tutto. Nel centro del campo si trovava un forziere con quello che Draco immaginò essere l’occorrente per giocare.

“Ho vinto!” esclamò Draco con un sorriso compiaciuto guardando con soddisfazione malcelata lo sguardo incredulo di Daniel.

“Sei veloce, cavolo se sei veloce…” esclamò l’altro ancoro non capacitandosi di essere stato battuto in casa sua. L’amico volava davvero bene, in più squadrandolo ora poteva vedere, come nei sotterranei del Ministero qualche giorno prima, che l’altro era estremamente leggero, una caratteristica che gli donava un’agilità davvero eccezionale.

 Draco lo squadrò con aria pensosa, poi dopo qualche secondo gli chiese: “Vorresti essere un Serpeverde a scuola?”

Daniel si sentì in imbarazzo a quella domanda anche se non sapeva il perché. Sentiva lo sguardo dell’altro su di sé, era uno sguardo strano, indagatore, ma al tempo stesso sincero. Daniel capì che le parole che avrebbe pronunciato sarebbero state molto importanti per la loro amicizia. Rimanendo in silenzio per qualche istante mille pensieri gli invasero il cervello, mille possibilità ma alla fine un ricordo sgombrò il campo da tutto il resto.

“Sì, certo. Non mi dispiacerebbe affatto ma…”

Draco lo interruppe con voce dura: “Non ti ho chiesto un’opinione!”

A queste parole Daniel lo guardò stupito. Lo sguardo dell’altro sembrò addolcirsi un po’, mentre il respiro si faceva più pacato. “Scusami. Non so se sai come funziona lo smistamento” continuò con un tremito nella voce.

“So che c’è una specie di cappello che assegna gli studenti alle quatto case…” gli rispose Daniel.

“Esatto…sai…ecco…” il tono di Draco si fece incerto e le sue guance parvero tingersi di un lieve rossore. “Il cappello tiene molto in considerazione quello che gli dici.”

Daniel parve non capire il senso di quelle parole, poi qualcosa scattò nel suo cervello, e si sentì profondamente in imbarazzo, allontanando subito lo sguardo dall’amico, sentì le sue guance avvampare.

“D’accordo…” disse quasi farfugliando.

Quello che successe dopo durò una frazione di secondo; Daniel pensò di avere avuto un’allucinazione ma qualcosa in lui gli disse che non era così: per un attimo Draco gli aveva sorriso. Non era un ghigno, né una smorfia, ma un vero sorriso, come non aveva mai visto fin dal momento in cui l’aveva conosciuto. Per una piccolissima frazione di secondo qualcosa nell’altro era cambiato, per un brevissimo istante aveva visto qualcosa di più in quel ragazzo dai mille pregiudizi, qualcosa che gli fece pensare che forse c’era moltissimo altro ancora dell’amico che non conosceva.

Ma qualcosa in lui capì che non era quello il momento di andare oltre; così rapidamente lo sguardo di Draco era tornato quello di sempre, solo con un leggero rossore residuo sulle guance. Qualcosa in lui gli disse che era meglio tornare a volare.

“Ti va di fare qualche lancio?” disse passando all’altro la palla più grande di quelle contenute nel forziere ai loro piedi, una pluffa rossa di dimensioni regolamentari.

Draco la guardò per un attimo poi con rinnovata aria di sfida disse a Daniel: “Perché no, vediamo come te la cavi come portiere!”

I due passarono una mezz’ora buona a giocare con sfida degna di due avversari; per quanto Draco cercava di tirare angolato o di sorprendere l’amico, facendo tiri diretti, a effetto o cercando di usare tattiche a sorpresa, questi gli si trovava sempre davanti nel momento giusto, pronto a deviare il colpo verso gli anelli.

Alla fine, chiaramente affaticato, Draco decise di smetterla di tirare. “Sei più bravo di quanto pensassi! Nemmeno quel diavolo di Baston era così bravo!” aggiunse con un rancore mal celato nella voce.

“E chi sarebbe?” gli chiese Daniel con un sorrisetto compiaciuto. Gli era piaciuto da matti prendersi la sua rivincita.

Ahh…la scia stare, era il portiere di Grifondoro, ma ormai ha finito di starci tra i piedi.”

“Ti va di tornare?” chiese l’altro tenendo la scopa ferma dopo una forte raffica di vento. Guardando l’orizzonte, il tempo stava cambiando velocemente e dai nuvoloni in rapido avvicinamento, stava arrivando un bell’acquazzone.

Draco si girò un attimo con un’espressione di dolore, toccandosi il piede destro. “Sì è meglio tornare, devo aver fato un movimento stupido nell’ultima azione”

“Ti fa ancora male?” gli chiese Daniel stupito, mentre, lasciata l’isola, avevano ripreso la strada di ritorno per villa Nightingale. “Non è niente”, riprese Draco con fare sbrigativo, accelerando la cosa e superando l’altro.

Daniel sapeva che quella era la fine della conversazione, ma c’era qualcosa che lo turbava. Quando Draco si era toccato la caviglia aveva chiaramente visto un ematoma profondo come una striscia. Non sapeva ancora come l’amico si era fatto male ma era sicuro su una cosa, stava quasi sicuramente mentendo sulla storia della caduta dalla scopa.

 

 

Note dell’autore. Chiedo scusa a tutti per la mia lunga assenza. Purtroppo non ero mai soddisfatto di questo capitolo. L’ho scritto, cancellato e riscritto tante volte. Spero davvero che superato questo scoglio di poter tornare ad un aggiornamento più regolare della fanfiction.

 

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Capitolo 7
*** In viaggio per Hogwarts ***


Erano le dieci e trentadue di quella mattina, il primo di settembre del 1995, quando Daniel, sua madre Anne e Michael Frost, arrivarono al parcheggio due della stazione di King’s Cross. Daniel, guardando con impazienza e per l’ennesima volta l’orologio, non aspettò nemmeno che il maggiordomo spegnesse il motore della loro macchina prima di aprire lo sportello dal suo lato e scendere in gran fretta.

“Cavoli, siamo in ritardo!” esclamò il ragazzo, facendo scattare la serratura del portabagagli.

“Signorino Daniel” esclamò Michael, con apprensione, tirando il freno a mano.  “Aspetti, vengo ad aiutarla col baule, non ce la farà mai da solo” aggiunse guardando il ragazzo dallo specchietto retrovisore.

Anne, scese anche lei e raggiunse il figlio che cercava invano di tirare su dal portabagagli il suo baule di scuola. Guardandolo dall’altro con sguardo severo, prendendolo per la spalla destra gli disse:

“Daniel, lascialo subito, aspetta Michael! C’è ancora mezz’ora buona, cerca di mantenere la calma.”

“Ma come, il treno parte alle undici, non sappiamo ancora dove sia questo binario nove e tre quarti ed io dovrei fare con calma?” le rispose Daniel con apprensione, tentando invano di sollevare la parte destra del baule.

“Ti ho già ripetuto più di una volta che so dov’è il binario, mi sono fatta fare una mappa da Wilkins” riprese la donna cercando qualcosa nel suo cappotto beige. “Ecco…” aggiunse rivolta al figlio, mostrandogli un biglietto con uno schema della stazione e diverse frecce colorate. “Come vedi l’entrata è fra il binario nove e il dieci, esattamente nel mezzo del terzo muretto dal fondo.” aggiunse con un sorriso, mentre Daniel osservava la perfetta riproduzione dell’interno della stazione di Kings Cross che la madre gli stava mostrando. Non c’era dubbio che una delle doti di Wilkins fosse la sua abilità con la matita; Daniel arrossì al pensiero di come sarebbe venuta se lo schema l’avesse dovuto disegnare lui.

“Ora frena gli ippogrifi!” aggiunse con fare perentorio mentre Michael arrivava dal lato sinistro. Con un cenno della testa ad Anne l’uomo gli disse: “Signorino Daniel, mi aiuti, lo prenda dall’altro lato, ecco da sotto, in due dovremmo farcela.”

Daniel si riscosse dai suoi pensieri e cacciò il biglietto in tasca, cercando di inserire la mano sulla sinistra del baule per fare leva: “Ok, ci sono Michael”.

“Perfetto signorino, ecco, ora sollevi!” disse il maggiordomo, facendo presa sul lato destro, sollevando con fatica il baule e poggiandolo poi su un carrello inutilizzato che Anne aveva recuperato nel giro di qualche secondo.

“Uff!” riprese Daniel massaggiandosi le mani rosse per lo sforzo. “Che fatica! Compatisco i babbani che devono sempre viaggiare in questo modo!” aggiunse riprendendo fiato.

“Ci sono modi peggiori, glielo assicuro, signorino Daniel, gli rispose Michael pensieroso come ricordando un lontano ricordo, poi scosse la testa porgendogli poi la mano in segno di saluto.

“Ma come?!” disse Daniel sbigottito, “Tu non vieni al binario?”

“Mi dispiace ma la sosta qui è limitata a dieci minuti e lei ci metterà sicuramente di più” concluse il maggiordomo con un filo di tristezza nella voce, rimettendosi apposto il nodo della cravatta.

Daniel gli strinse forte la mano, ricacciando indietro un profondo senso di tristezza che quasi gli fece salire le lacrime ali occhi, si era affezionato molto a Michael il quel breve periodo, il maggiordomo con i suoi modi gentili, cordiali e le sue molte abilità era diventato una figura cui aveva fatto molto in fretta ad abituarsi e ora gli dispiaceva non poterlo vedere scomparire dai finestrini del treno.

Intuendo il tumulto negli occhi di Daniel, Michael posò sopra la sua l’altra mano dicendogli: “Si ricordi quello di cui abbiamo parlato nell’ultimo allenamento, abbia fiducia in se stesso e vedrà che passerà un magnifico anno scolastico.”

Daniel sentì un’ondata di gratitudine salirgli agli occhi ma per fortuna sua madre, guardando l’orologio, lo riscosse dalle sue emozioni dicendogli: “Daniel dobbiamo andare…”.

Il ragazzo si costrinse a prendere il comando del carrello e seguì sua madre oltre le grandi porte della stazione, senza voltarsi indietro.

Appena entrato nel grande salone antistante i binari, vide molti altri ragazzi, con un carrello e un baule come il suo, affrettarsi verso la banchina principale dove si aprivano tutti i binari; il cuore gli si sollevò pensando che molto probabilmente quelli erano i suoi futuri compagni di scuola.

Accelerando il passo, si trovò immerso tra le molte persone che affollavano la stazione quella mattina; seguendo sua madre, che sembrava aver memorizzato lo schema di Wilkins, arrivò infine alla banchina che separava il binario nove dal dieci. Passando oltre molti altri bambini e ragazzi Daniel si diresse deciso verso il terzo muretto dal fondo, aspettandosi di sentire qualcosa all’impatto con il muro, ma non successe niente del genere, semplicemente si rese conto che questo era solo un’illusione e sentì solo un leggero formicolio dietro la nuca mentre lo attraversava.

Superata la barriera, la scena che gli si parò dall’altra parte gli riempì il cuore di gioia. Davanti a lui stava un grande treno rosso, classico nei lineamenti come quelli che i babbani non usavano più, con mille sbuffi di vapore che uscivano da una locomotiva posta molto in avanti rispetto a dove si trovava; attorno a lui moltissimi ragazzi e ragazze di tutte le età, accompagnati dalle loro famiglie, stavano salendo o sistemando i bauli a bordo del treno.

Anne sembrò controllare con la testa rivolta verso l’alto il cartello sul binario che recitava “Binario 9 e ¾ -Espresso per Hogwarts, ore 11”; con un sorriso si rivolse al figlio: “Bene, ce l’abbiamo fatta!” esclamò.

Daniel avrebbe voluto avere cento occhi in quel momento, era letteralmente rapito da quel brillare di colori esaltati dal sole che penetrava alto dalla vetrata sopra di lui, avrebbe voluto perdersi tra la folla, ma la voce della madre lo riportò con i piedi per terra: “Daniel forza, Sali. Tra cinque minuti il treno partirà, sbrigati a salire”.

Dopo aver detto questo, tirò fuori la bacchetta e mormorando un incantesimo di levitazione fece arrivare il baule del figlio poco oltre il pianerottolo della penultima carrozza. Poi rivolta a Daniel controllò un’ultima volta l’orologio, ma lui l’aveva già stretta in un abbraccio.

“Mi mancherai”, disse scoccandole un rapido bacio e poi volando come una saetta su per la scaletta della carrozza e scomparendo alla vista. Anne gli rispose mentalmente ma fu contenta del fischio del capotreno.

Anche se normalmente non era una donna che lasciava trasparire in pubblico le sue emozioni, un sospiro lasciò uscire tutta la gioia ma anche, il timore e l’apprensione che si era tenuta dentro in quei giorni, celandola al figlio. Vedendo gli altri ragazzi lasciare in fretta le loro famiglie sperò con tutta se stessa che i timori di Silente e l’incidente dell’anno scorso fossero ciò che il Ministro sosteneva, anche se una parte del suo cuore si fece pensante come non mai nel petto, vedendo il treno lasciare lentamente la stazione.

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Daniel avanzò lentamente lungo il vagone numero sette, col baule alle spalle, controllando i vari scompartimenti, ma questi sembravano essere tutti pieni. Visto il turbinio di emozioni di quella mattina, avrebbe tanto voluto trovare un vagone senza molta gente; fu proprio mentre era immerso in questi pensieri che vide alla fine della carrozza un ultimo scompartimento quasi vuoto se non per una ragazza che stava leggendo un giornale, con un’aria sognante dipinta sul volto mentre fogliava le pagine. La ragazza aveva un non so che di strano e non era per la bacchetta infilata dietro l’orecchio sinistro o la collana di foglie variopinte che portava, c’era qualcosa nel suo sguardo che la facevano sembrare strana agli occhi di Daniel. Fu all’improvviso che lei sollevò lo sguardo dalla pagina del giornale che stava leggendo e i suoi grandi e sporgenti occhi color grigio-azzurro incrociarono quelli verdi di Daniel. Il ragazzo arrossì leggermente prima di aprire la porta dello scompartimento e chiederle:

“Scusami, il vagone è tutto pieno, posso sedermi qui?”

La ragazza annuì rimettendosi a leggere il giornale, senza proferire parola. Daniel entrò, chiudendosi la porta alle spalle e sistemò il suo baule sotto il posto vicino al finestrino, sul sedile opposto. Il suo sguardò vagò da prima sul paesaggio campestre fuori dal finestrino, avevano chiaramente lasciato Londra, per poi posarsi di nuovo su quella strana ragazza. Osservandola di sfuggita, Daniel poté notare i suoi lunghi capelli color biondo sporco, lunghi fino alla vita scenderle su un soprabito rosa che le copriva tutto il corpo tranne che per le braccia e per il collo da cui spuntavano un semplice vestito lungo bianco con alcuni ricami floreali. Daniel distolse lo sguardo rapidamente, non volendo sembrare scortese, poi fece un sospiro, prendendo fiato con l’intento di presentarsi, quando la ragazza all’improvviso sollevò di nuovo lo sguardo dal giornale dicendogli, con tono sognante:

“Tu sei Daniel Nightingale.”

Le parole sembrarono morire in gola a Daniel mentre la osservava ora con uno sguardo stupito; se avesse potuto vedersi, si sarebbe accorto di avere a bocca aperta dalla meraviglia.

“Scusami…” disse dopo qualche secondo di silenzio in cui riuscì a stento a ricomporsi. “Come sai il mio nome?”

“E’ scritto sul tuo baule” gli rispose la ragazza abbassando il giornale. Poi sorrise al suo rinnovato stupore porgendogli la mano destra: “Io mi chiamo Luna Lovegood, piacere di conoscerti.”

Daniel le strinse la mano e un brivido gli percorse il braccio: la pelle della ragazza al contatto era fredda ma morbida, una contraddizione. Più la osservava e più ne era meravigliato.

“Piacere mio, Luna” disse infine.

“Non ti ho mai visto a scuola” continuò la ragazza. “Di che casa sei?”

“No, mi sono trasferito dalla Nuova Zelanda in Inghilterra quest’anno, non sono mai stato ad Hogwarts” le rispose Daniel.

Uno sguardo di rinnovato interesse brillò negli occhi della ragazza che piegò il giornale e lo posò con cura sul sedile accanto. “Non devi preoccuparti della tua casa, ogni casa è bella a modo suo.” disse Luna, stupendo un’altra volta Daniel; era quasi incredibile che ai suoi occhi i suoi pensieri fossero così trasparenti.

“Tu in che casa sei?” le chiese Daniel

Corvonero” rispose lei. “Un ingegno smisurato per il mago è dono grato” aggiunse.

Alle orecchie di Daniel sembrò una sorta di citazione da qualcosa che non conosceva. Fece per chiederle da dove venisse, quando, come poco prima, la risposta della ragazza precorse la sua domanda.

“E’ il motto di Priscilla Corvonero” disse Luna allo sguardo interrogativo di Daniel.

La conversazione parve di nuovo morire nel vuoto. Luna riprese il giornale in mano e per diversi minuti, mentre Daniel osservava il paesaggio fuori dal finestrino farsi più scuro e il tempo volgersi al brutto, sembrò immersa nella lettura, quando ad un certo punto, come dal nulla iniziò a cantare:

 

“Home is behind, the world ahead,

And there are many paths to tread

Through shadows to the edge of night,

Until the stars are all alight.

Mist and twilight, cloud and shade,

Away shall fade! Away shall fade!”

 

Daniel la ascoltò cantare come irretito, Luna aveva una voce splendida, eterea, distante. Conosceva bene la canzone, era un passo de “Il Signore degli Anelli”. Alla fine di quella melodia Daniel si sentì improvvisamente nostalgico della sua casa a Hamilton Bay, non sapeva perché ma quella melodia aveva risvegliato in lui un profondo senso di nostalgia della Nuova Zelanda.

“Non sapevo conoscessi Tolkien” disse Daniel, sinceramente colpito.

Luna sollevò lo sguardo dal giornale ancora una volta sorridendogli. “Mi piace leggere e quando vado a caccia di foglie nella foresta vicino a casa mia, mi vengono sempre in mente alcune canzoni di quel libro”.

Daniel fece per risponderle, quando il rumore di due oggetti sordi lasciati cadere poco oltre la porta dello scompartimento, li fece voltare entrambi. Dall’altra parte si trovavano due ragazzi magri,  non molto alti con i capelli castano chiari mossi, quasi identici. Agli occhi di Daniel sembravano chiaramente fratelli, il maggiore portava una macchina fotografica a tracolla, mentre l’altro una specie di fisarmonica nella tasca destra; avevano entrambi un’aria chiaramene sopreccitata, come se fossero sul punto di fare un grande scoop. Con un movimento della mano il maggiore aprì la porta dello scompartimento e portando l’altra sulla nuca, con un sorriso imbarazzato chiese loro:

“Ehm, scusateci, ci sarebbero mica due posti liberi?”

Daniel incrociò lo sguardo di Luna e disse rapidamente: “Certo, nessun problema, ci siamo solo noi due” disse alzandosi per dare una mano ai due ragazzi con i loro bauli.

“Colin Canon” si presentò il ragazzo più grande con un gran sorriso, poi indicando verso l’altro ragazzo disse “E questo è mio fratello Dennis”. L’altro fece un cenno di saluto ad entrambi con entrambe le mani.

Daniel fece per rispondere al saluto e presentarsi a sua volta, quando i due, scambiandosi un’occhiata piena di eccitazione, esclamarono: “ Tu sei Daniel Nightingale!”. Detto questo, gli porsero tutti e due la mano insieme; il ragazzo non sapeva cosa pensare, non era abituato alla celebrità.

“Piacere di conoscervi” disse stringendola, prima Colin e poi a Denis, “Ma non credo di avervi mai incontrato prima.”

I due salutarono Luna con un rapido movimento della mano e un “Ciao, Luna” detto all’unisono, a cui la ragazza rispose con un sorriso e un “Ciao Colin, Ciao Dennis” pronunciato nel suo tranquillo tono sognante, prima di scomparire nuovamente col volto dietro il giornale.

I due rivolsero lo sguardo verso Daniel, ma prima di continuare si scambiarono un’occhiata imbarazzata: “Beh, eri sulla gazzetta del profeta della scorsa settimana” esordì il maggiore.

“Davvero? Non ne avevo idea.“ esclamò Daniel, ripensando però in quel momento alla strana assenza del giornale la scorsa settimana a Villa Nightingale. Lì per lì non ci aveva fatto molto caso, ma ora ci doveva essere chiaramente qualcosa nell’articolo sua madre non aveva voluto che leggesse.

“Beh, spero non vi siate fatti una brutta opinione…” disse Daniel sinceramente imbarazzato.

“No, non preoccuparti gli rispose Dennis “E’ da quest’estate che, secondo nostro padre, c’è qualcosa di strano in alcuni articoli del Profeta e poi a noi non importa”.

Girandosi per bloccare il baule nella rastrelliera in la fisarmonica gli cadde di tasca con un piccolo tonfo. Daniel la raccolse subito, anticipando di un secondo il ragazzo con ora un’espressione preoccupata sul volto:

“Cavoli!” esclamò Dennis riprendendola in mano e facendo rapidamente due scale a salire e scendere.

Daniel, ascoltando, pensò che quella fisarmonica avesse un bellissimo suono, molto più vario di qualsiasi altra che avesse mai ascoltato.

“Menomale non si è rotta” disse Dennis.

“Voi in che casa siete?” chiese Daniel rimettendosi a sedere accanto ai due fratelli Canon.

“Io sono un Grifondoro!” esclamò Colin, visibilmente orgoglioso dandosi un pugno sul petto.

“Io ancora non lo so, ma spero di essere un Grifondoro anch’io” esclamò Dennis, passando rapidamente dal pensieroso al suo solito tono eccitato.

“Tu invece Daniel?” chiese Colin interessato, togliendosi la macchina fotografica dal collo e posandola sul seggiolino accanto.

“Io ancora non lo so, figuratevi che fino a un mese fa vivevo in Nuova Zelanda” rispose Daniel con una punta di nostalgia nella voce.

“Allora farai lo smistamento con noi del primo anno?” intervenne Dennis “Figo!”

“Daniel cercò conferma nello sguardo di Luna che sembrò annuirgli con un leggero sorriso, incrociando il suo sguardo.

“Penso sia la prima volta che capiti da quando sono ad Hogwarts” intervenne Colin pensieroso. “Comunque se vieni dalla Nuova Zelanda, devi aver visto il Parco del Togagiro! Cavoli, avessi avuto la mia macchina fotografica quella volta!” esclamò Colin, riprendendo fra le mani quello che doveva considerare come un suo piccolo tesoro.

“Deduco che tu sia un appassionato di fotografia!” disse Daniel con un sorriso.

Dennis si portò una mano fra i capelli.

“Certo che sì” esclamò Colin gonfiando il petto. “Purtroppo non è una passione molto ben vista fra i maghi…” aggiunse con un filo di tristezza.

“Questo perché mio fratello ha la sgradevole abitudine di scattare foto a destra e a manca, scordandosi di chiedere in permesso ai suoi soggetti…” intervenne Dennis con un lamento carico di frustrazione.

“Non è vero Dennis!” disse Colin arrossendo sulle guance “E’ che l’inquadratura è questione di attimi, non posso perdere il mio tempo a chiacchierare!” esclamò, poi rivolto a Daniel continuò: “Pensa che sono addirittura riuscito a fabbricare una lampadina per migliorare le foto notturne, se vuoi ti mostro qualche scatto!” aggiunse pieno di speranza.

Daniel sorrise all’eccitazione di Colin. “Certo, fammi vedere”

Colin raggiante aprì il suo baule sfilando un libro pesante che si mise sulle gambe. Anche Luna parve interessata alla cosa e, dopo aver piegato in quattro il giornale, si sporse in avanti sul sedile e gli chiese: “Ti dispiace?”

Colin scosse la testa “No affatto, guarda pure” le disse con un gran sorriso.

Appena aperto il libro, Daniel non poté fare a meno la bellezza di alcuni scatti, alcuni dei quali dovevano essere stati molti difficili da ottenere. Ce ne era uno in particolare dove il ragazzo aveva ripreso da vicino un grande daino bianco, che ancora sembrava muoversi nell’aria notturna piena di stelle di quella che sembrava essere una serata estiva in un paesaggio montano.

“E’ bellissima” commentò Luna allungando la mano per toccarla, quasi a volerne sentire le sensazioni che sembravano trasparirne.

Colin raggiante spiegò: Qui eravamo in vacanza in Svizzera, nella valle ai piedi del Pizzo Bernina nelle Alpi Retiche, un posto meraviglioso.”

“Già era quella volta che eravamo stati alla sagra delle salsicce di Pontresina” aggiunse Dennis ricordando quella vacanza.

“Già”, aggiunse Colin scoccando al fratello uno sguardo di rimprovero che arrossì leggermente distogliendo lo sguardo.

“Che cosa è successo a Pontresina?” chiese Luna interessata.

“Beh ecco….” Disse Dennis “Avevo mangiato talmente tanto quella sera che Colin se n’è andato da solo a fare questo scatto. Mi è dispiaciuto un po’ ma non rimpiango di aver scelto le salsicce!” aggiunse.

Daniel, Luna e Colin lo seguirono in una grande risata. Fu in quel momento che la porta dello scompartimento si aprì e Daniel riconobbe la figura di Draco Malfoy accanto a due ragazzi che non conosceva, più grandi di lui con espressione minacciosa stampata sul volto.

Daniel percepì subito che la presenza di Draco e dei suoi amici non era gradita ai fratelli Canon che subito s’irrigidirono mormorando qualcosa velocemente fra di loro. Luna invece rimase impassibile, con la sua espressione sognante come fissare un punto oltre loro tre.

“Eccoti Daniel” esordì Draco con un leggero sorriso che subito si tramutò in una smorfia vedendo i suoi compagni di scompartimento. “Vieni, ci sono altri miei amici che sono impazienti di conoscerti, abbiamo uno scompartimento del vagone quattro. Questi sono Tiger e Goyle” concluse con noncuranza indicando le due figure accanto a lui.

A giudicare dall’espressione stupida dipinta sui volti dei due ragazzi, Daniel si chiese se avessero capito che Draco stesse effettivamente parlando con lui.

“Draco, ora non posso, siamo nel mezzo di un discorso, ma se volete accomodarvi…” fece Daniel, indicando i posti liberi accanto a Luna, noncurante dell’espressioni di disgusto dei fratelli Canon e dello sguardo glaciale che gli lanciò Draco a quell’affermazione.

“Non ho tempo da perdere con degli stupidi Grifondoro in cerca di qualcuno da idolatrare e da una lunatica immersa nel suo mondo immaginario!” disse Draco irato, ricomponendosi un istante dopo in un sorriso mellifluo rivolto solo a Daniel:

“Scoprirai presto ad Hogwarts che alcuni maghi e streghe sono migliori di altri, non vorrai perdere tempo con le persone sbagliate, giusto?” disse Draco facendogli cenno di seguirlo e voltandosi quasi per uscire.

“No.”

Il suono cristallino della voce di Daniel fece voltare di scatto Draco. Il giovane serpeverde aveva un’espressione stupita e irata sul volto.

“Sono io che scelgo i miei amici, se manchi loro di rispetto, tornatene dai tuoi.” Disse Daniel con i pugni chiusi dalla rabbia. L’atteggiamento di Draco aveva superato il limite; aveva sentito molti dei suoi discorsi con pazienza quell’estate ma ora che li vedeva rivolti a persone accanto a lui, persone simpatiche che nulla avevano fatto a suo avviso per meritare commenti simili, un profondo senso di rabbia gli salì nel cuore.

Colin e Dennis soffocarono una risatina di scherno.

Draco li gelò con lo sguardo poi rivolto a Daniel gli disse: “Ti consiglio di misurare meglio le parole.” Tiger e Goyle fecero suonare le loro nocche minacciosamente, come dei veri e propri bulli. Draco tuttavia li bloccò con un cenno della mano, l’espressione di rabbia ancora presente nei suoi occhi di ghiaccio.

“Rifletti su quello che ti ho detto, prima o poi dovrai decidere chi vuoi come amici”. Detto questo girò i tacchi e uscì, seguito dalle sue due guardie del corpo.

“Cavoli ragazzi, che bullo quel Malfoy!” esclamò Dennis con una smorfia, richiudendo la porta dello scompartimento. “Ma come l’hai conosciuto quello?” gli fece eco Colin. Daniel sospirò gettando uno sguardo sul cielo tempestoso fuori dal finestrino prima di rispondere.

“E’ una lunga storia…”

 

 

 

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Capitolo 8
*** Il Cappello Parlante ***


Daniel si schiarì la gola, concludendo il lungo discorso del suo primo incontro con Draco Malfoy; aveva tenuto per sé alcuni dettagli, avvertendo chiaramente l’ostilità dei fratelli Canon per il biondo Serpeverde, chiaramente motivata a quanto pare da altri eventi che nel passato dovevano aver lasciato un brutto segno nei due. Se Daniel aveva capito qualcosa da quelle ore di viaggio era che, fra le quattro case di Hogwarts, Grifondoro e Serpeverde erano acerrimi rivali e che Serpeverde godeva di una fama oscura, anche se a Daniel la cosa sembrava molto generalizzata.

“E questo è tutto.” disse

 “Non ti fidare di Malfoy” concluse Colin, il volto scurito da un’espressione insolitamente seria. “E’ un bullo, pensa che a me lo scorso anno ha rotto il progetto su cui io e mio fratello avevamo lavorato per mesi, solo per capriccio e perché eravamo più giovani. Lui è un codardo che sfrutta i muscoli di altri per le sue spacconate.”

A queste parole Daniel si voltò nuovamente a guardare fuori dal finestrino. Il buio della sera aveva ormai inondato l’atmosfera esterna mentre nel treno si erano accese le luci. Non doveva mancare molto a destinazione, si disse riflettendo Daniel, amareggiato dalla scena di qualche ora prima e dai commenti che ne erano seguiti. Aveva coltivato una speranza di amicizia con Draco, ma la scena a cui aveva assistito gli dava ora un profondo senso di amarezza che gli riapriva una vecchia ferita, una che aveva lavorato a lungo con Blaise e Rachel per richiudere.

“Siamo in arrivo alla stazione di Hogsmade” disse una voce maschile provenire da sopra di loro, amplificata magicamente. “Tempo previsto dieci minuti”.

“E’ l’ora di cambiarsi” intervenne Dennis facendosi aiutare dal fratello più alto a prendere il baule. Daniel stava per offrire una mano a Luna, il cui bagaglio era sistemato accanto al suo, quando la giovane strega lanciò un perfetto incantesimo di levitazione sul suo e quello del ragazzo, facendoli scendere dolcemente davanti a loro.

“Grazie comunque” aggiunse con un tono sognante all’espressione stupita di Daniel, prima di aprirlo per prendere la cravatta e la sua uniforme bordata di blu e nero con gli stemmi di Corvonero.

Daniel fece per risponderle ma le parole gli morirono in gola. Ancora una volta i suoi pensieri erano stati letti come un libro aperto, più il tempo passava e più rimaneva stupito dall’empatia di Luna; la ragazza gli sembrava molto gentile anche se lo colpiva per un senso di stranezza che gli dava quasi i brividi.

Infilandosi il suo mantello e sistemandosi la cravatta Daniel pensò a quale delle quattro case sarebbe stato presto assegnato; un misto di paura e nervosismo gli salì addosso.

Decidendo di cambiare argomento per non pensarci troppo su, chiese a Colin: “A cosa stavate lavorando tu e Dennis?”

I due Grifondoro lo guardarono con un gran sorriso, poi si scambiarono uno sguardo d’intesa. Dennis sembrava incerto sul da farsi ma l’espressione del fratello parve tranquillizzarlo, rivolgendosi poi a Daniel gli disse: “Stavamo lavorando su un’idea di proiettore magico”.

Vedendo l’espressione interrogativa dell’altro ragazzo Colin intervenne: “Non so se hai mai visto quello che i babbani chiamano “Cinema”, è semplicemente meraviglioso!” disse con espressione estasiata, la testa e il cuore che sembravano fluttuare per aria.

Daniel gli sorrise: “Sì, sono stato diverse volte nei cinema babbani. E’ davvero strabiliante a volte quello che riescono a fare senza bacchetta.” Aggiunse, condividendo la passione di Colin.

 Colin lo guardò con un sorriso così ampio che gli sembrò stesse quasi di esplodere di felicità ed entusiasmo: “Infatti!!! Ma sai quanti maghi non hanno ancora mai visto un film!? E pensa, già le nostre foto sono molto più avanzate delle loro, le foto babbane non si muovono. Pensa a cosa potremmo fare col cinema!!!”

“Certo, ancora dobbiamo lavorarci molto” intervenne Dennis cercando di smorzare leggermente l’entusiasmo del fratello, rimettendosi a sedere e sistemandosi la cravatta rossa e oro.

“Pensa a cosa potremmo fare come maghi!” continuò Colin infervorato come non mai “Pellicole in tre…”, il fratello lo stoppò con treno insolitamente brusco: “Ehi, fratellone, ti sei dimenticato del nostro patto?! Niente spoiler fino a che non avremo finito!” disse alzandosi in piedi e puntando un dito contro il fratello che alzò le mani in segno di resa. “Hai ragione, scusa fratellino”.

Poi rivolto a Daniel continuò: “Scusami ma ancora abbiamo tanto da lavorarci” disse con tono imbarazzato, grattandosi il retro della nuca.

“Beh, buona fortuna allora.” aggiunse Daniel leggermente deluso; gli sarebbe davvero piaciuto saperne di più. I fratelli Canon dovevano certamente essere babbani di nascita pensò; non molti maghi avrebbero cercato di rielaborare un’idea babbana, ma il loro progetto gli interessava davvero, era davvero una grade idea se fossero riusciti a farla funzionare.

“Beh forse può servirvi una mano ragazzi” intervenne Luna colmando il silenzio imbarazzato che si era venuto a creare.

Tutti e tre si volsero a guardarla, mentre si sistemava la bacchetta di nuovo dietro all’orecchio destro, rimettendosi a sedere e infilando il giornale nel baule: “L’essenza dell’ingegno è l’unità nella varietà.” disse canticchiando mentre dondolava le gambe avanti e indietro a ritmo di musica.

Colin scambiò un’occhiata con Dennis che si alzò per sussurrargli qualcosa all’orecchio, a cui l’altro rispose con un altro lungo bisbiglio. Poi i due tirarono fuori dai rispettivi bagagli due piccoli cubi fatti da tanti quadrati colorati tutti diversi, Colin li prese e si rivolse a Luna e Daniel con un sorriso: “Tenete, vediamo come ve la cavate. Voi sembrate tipi a posto e mi voglio fidare, ma tante volte mi sono dovuto ricomprare la mia macchina fotografica perché mi veniva rubata, appesa in posti strani, e non sto parlando solo di Serpeverde” aggiunse rivolto a Luna. “Se riuscirete a sistemare i cubi in modo che ogni faccia abbia solo un colore, allora potremmo farvi entrare nel nostro piccolo progetto." Ah, altra cosa, non parlatene con nessuno, abbiamo speso la paghetta di un anno per rincominciare dopo che quel cretino di Malfoy ce lo ha spedito in mille pezzi”.

Il treno prese a rallentare e questo pose fine alla conversazione. Daniel si mise il piccolo cubo in tasca e così fece anche Luna. Tutti e quattro presero le loro cose e si avviarono nel corridoio del treno, ora invaso di una miriade di studenti, tutti in divisa, con dietro i loro bauli, gufi e manici di scopa, che, in fila, si dirigevano verso l’uscita della carrozza. Daniel, Colin, Dennis e Luna furono gli ultimi a scendere; fuori c’era un’aria fresca e umida, pioviscolava ancora leggermente mentre il profumo di abeti sembrava spandersi da un sentiero poco distante il grande marciapiede del binario uno della stazione.

Nel brusio della sera una voce femminile saettò nell’aria: “Quelli del primo anno in fila da questa parte, per favore! Tutti quelli del primo anno da me!”

Una lanterna avanzava dondolando verso Daniel ed il folto gruppo di studenti, rivelando una strega dal mento prominente, un severo taglio di capelli ed il mantello marrone bordato di verde. Daniel sentì il brusio dietro di lui e Luna avvicinandosi all’orecchio di Daniel parve intuire la sua sorpresa:

“E’ la professoressa Caporal, l’abbiamo avuta come supplente di Cura delle Creature Magiche l’anno scorso.”

“E il professore di solito chi sarebbe?” chiese Daniel spostandosi con Dennis e Colin, verso il sentiero dall’altra parte del binario, poco oltre la loro posizione. Una vera e propria folla di studenti sembrava lentamente incanalarsi da quella parte; chiaramente la strada per Hogwarts doveva essere per di là.

Hagrid!” rispose Colin, sorridendo. “E’ un mezzogigante, un tipo divertente” aggiunse.

Daniel frenò la propria curiosità con altre domande e tranquillamente assaporò l’aria della sera. Era molto diversa da quella a cui era abituato, ma una sensazione di elettricità gli saettò nello stomaco.

Dopo diversi minuti di spintoni Daniel e gli altri si ritrovarono in un’ampia area, dove erano parcheggiate una miriade di carrozze trainate dalle creature che assomigliavano vagamente dei cavalli. Avvicinandosi a una di esse Daniel poté notare come le loro figure fossero scheletriche, con un non so che di rettile, con manti neri, occhi senza pupille bianchi e sgranati in teste di drago. Dal garrese poi spuntavano ali nere come di cuoio; nel complesso avevano un aspetto misterioso e sinistro.

Colin fu il primo a salire, non facendo minimamente caso a quelle strane creature. Facendo come se non esistessero, aprì il portabagagli sul retro e ci mise dentro il suo baule, poi aprì la portiera e fece per entrare quando, vedendo l’espressione stupida di Daniel si fermò di colpo:

“C’è qualcosa che non va?” gli chiese.

“No, niente" disse il ragazzo scuotendosi da quella strana vista. Dopo aver caricato il suo baule, fece per entrare nella carrozza, quando, per poco, voltandosi, non sbatté contro una ragazza che sembrava essersi materializzata dal nulla.

“Cavolo!” disse Daniel quasi inciampando. L’altra fu però abbastanza veloce da afferrarlo per il braccio ed evitare uno scontro che li avrebbe portati entrambi lunghi distesi per terra.

“Scusami” gli disse con voce preoccupata, lasciandolo.

Daniel sollevò la testa: la ragazza che gli si parava davanti era abbastanza bassina, aveva un volto ovale e paffuto, uno sguardo dolce e lunghi capelli rossi che le ricadevano lisci sulle spalle. I suoi occhi castani emanavano una sincera preoccupazione per l’accaduto.

“No, è colpa mia” disse Daniel riprendendo l’equilibrio. “Non ti avevo minimamente vista”. Poi gli porse la mano: “Io sono Daniel Nightingale”.

La ragazza la prese e, con delicatezza che tradiva ancora un po’ di paura, gliela strinse dicendo con voce dolce ed abbozzando un sorriso: “Io sono Susan Bones, quinto anno di Tassorosso. Molto piacere, Daniel.”

“Piacere mio, Susan” disse Daniel prima di vedere con la coda dell’occhio i due strani cavalli davanti alla carrozza sbuffare e alzare gli zoccoli da terra; a quanto pare sarebbero partiti da lì a poco.

“Salite, ragazzi” dissero all’unisono i fratelli Canon che si erano già sistemati a bordo.

Daniel, aiutando Susan e Luna salì appena in tempo poco prima che la porta della carrozza si richiudesse da sola e, assieme a tutte le altre, iniziasse a muoversi lentamente verso il sentiero che saliva sulla collina soprastante.

Ci volle poco tempo a superare la zona coperta dagli alberi prima di scorgere, oltre un grande lago al centro della valle che le carrozze costeggiavano sulla destra, un’enorme sagoma in lontananza; un enorme castello si ergeva sulla sommità, con una parte a picco sul lago. Daniel non aveva mai visto niente di simile, il castello era immenso, pieno di luci, con quattro torri svettanti nell’atmosfera notturna da cui faceva a stento capolino la luna quella sera.

Daniel si girò sentendo un lungo sospiro alla sua destra. Susan era accanto a lui guardando fuori dal finestrino con aria incantata. Sentendosi osservata, voltò lo sguardo sorridendo:

“E’ sempre bello tornare a Hogwarts, non è vero Daniel?”

Lui d’altra parte era ancora incantato ma una voce sognante, seguita da un inaspettato quanto abbagliante flash, lo riportò alla realtà. Stordito, si stropicciò gli occhi, cercando di rimettere a fuoco la scena.

“Daniel viene dalla Nuova Zelanda, Susan, è il suo primo anno a Hogwarts.” disse Luna.

“Davvero? Allora sei tu, il nuovo studente di cui parlava mia zia, avevo sentito qualcosa.” Poi squadrando il ragazzo accanto a lei con rinnovato interesse gli chiese:

“Com’è la scuola da voi? Anche voi siete nelle sponde di un lago?”

“No” rispose Daniel. Anche Colin la guardava interessato, come aspettandosi un pezzo della sua storia.

“Aotearoa, la nostra scuola, è costruita sul fondo di una valle fra le montagne, non abbiamo un lago ma un fiume. E’ un bel castello, imponente, ma niente di paragonabile a questo. Però” disse staccandosi dall’immagine che diventava sempre più grande man mano che la carrozza saliva per la collina, “E’ immersa in una valle dove a volte le nuvole scendono basse che sembra quasi di poterle toccare” concluse con un filo di nostalgia.

“Wow!” esclamo Colin.

“Eh, già. Sono sicuro che ti piacerebbe fare delle foto.”

Il ragazzo posò la macchina fotografica che stava accuratamente controllando. Dennis si sporse leggermente dal finestrino:

“Mi ricordo l’anno scorso quando c’ero anch’io laggiù” disse indicando a Daniel le sagome di tanti piccoli puntini luminosi che si stagliavano nello specchio d’acqua, molto sotto di loro. Erano ancora quasi sulla riva opposta vicino alla stazione Hogsmeade.

“Quelli del primo anno arrivano in barca attraverso il lago…Mi ricordo ancora di essermi sporto troppo e in un minuto dopo stavo nell’acqua gelata quando una specie di tentacolo mi ha preso e riportato a bordo. E’ stato fighissimo!” aggiunse con un sorrisone.

Daniel si chiese come facesse ad essere così entusiasta per essere finito quasi assiderato.

“Quindi immagino che non sappia ancore quale sia la tua casa.” intervenne Susan con sguardo interrogativo.

“No, infatti” le rispose Daniel, sentendo montare la preoccupazione.

Mentre sorpassavano dei pilastri con sopra dei cinghiali alati, il ragazzo si chiese in quale sarebbe stata. Aveva conosciuto ottimi potenziali amici di ogni casa ma in cuor suo temeva che i rapporti si potessero incrinare una volta assegnato ad una piuttosto che un’altra, in particolar modo capì per la prima volta la paura per essere assegnato a Serpeverde. Anche se durante l’estate aveva letto un libro da cui aveva trovato la storia di Salazar Serpeverde misteriosa ed intrigante, capì in quel momento il perché godeva di una scarsa fama fra la maggior parte delle persone che aveva incontrato; se la maggior parte erano come Malfoy, Tiger e Goyle, davano davvero una brutta impressione.

“Chissà chi sarà il nuovo insegnate di Difesa Contro le Arti Oscure?” disse Luna con tono sognante, mentre con le mani girava velocemente il cubo colorato datogli da Colin, rompendo il silenzio ed il flusso dei timori di Daniel.

“Secondo mia zia, Silente quest’anno ha fatto davvero fatica ma credo che alla fine abbia trovato un mago americano, Keydes o qualcosa del genere, ne parlava qualche giorno fa con un’amica, mentre facevamo compere a Diagon Alley.” disse Susan, stringendo gli occhi e grattandosi la guancia destra, cercando di ricordare.

“Cavoli, non abbiamo mai avuto un insegnante da oltre oceano. Chissà che tipo è?” intervenne Colin rivolto a Susan.

“Mia zia mi ha detto che lavorava in qualche ufficio del Ministero della Magia statunitense, non ricordo dove però. Ah, ed è inglese comunque.” aggiunse sorridendo a Colin e guardando con interesse la sua macchina fotografica.

“Hai fatto dei begli scatti quest’estate?” gli chiese con interesse.

“Vuoi dare un’occhiata?” esclamò Colin entusiasta. “Guarda qui.” le disse passandole la macchina fotografica. “Vedi quel rettangolo nero al centro? Toccalo con la bacchetta”.

Appena Susan toccò il riquadro, comparve una piccola immagine di un cervo sul pendio di una ripida collina. Susan era sbalordita. “Come hai fatto?” chiese a Colin.

“Io e Dennis ci abbiamo messo una settimana di lavoro. E’ un incantesimo di trasfigurazione, c’è una piccola linguetta che conduce direttamente nella camera oscura dove è il rullino, quando lo tocchi l’incantesimo tramuta i sali d’argento in un’immagine a colori.”

“Siete davvero bravi!” esclamò Susan con sincera ammirazione.

“Ah, figurati” dissero i fratelli Canon insieme, arrossendo.

“Comunque…” continuò Susan, cambiando argomento “Luna, non so, hai trovato poi l’ametista grigia?” disse con gli occhi pieni di speranza.

Luna smise di girare le facce del cubo datogli da Colin e con un sorriso cominciò a cercare nella grande borsa che aveva a tracolla “Sì, l’ho trovata, vediamo….”

“Grande, Luna!” esclamò Susan al settimo cielo battendo le mani e rivolgendo alla ragazza un gran sorriso. Poi rivolta agli altri aggiunse con un leggero imbarazzo: “Scusate, sono sempre stata appassionata di pietre fin da piccola e quando Luna mi ha detto che sarebbe andata in vacanza in Cornovaglia non ho saputo resistere. Sapete, l’ametista grigia si trova solo in alcune valli della Cornovaglia è molto rara”.

“Ecco qua!” disse Luna, estraendo dalla borsa una piccola pietra delle dimensioni di un sasso, grigia con riflessi viola, accuratamente levigata e porgendola all’amica.

“Sì, è proprio lei!” disse Susan con occhi grandi come bottoni.

Daniel si sporse in avanti per vederla meglio. Era davvero molto bella. Aveva trovato tante varietà di ametiste nelle sue lunghe camminate estive ma quella che stringeva Susan era davvero molto particolare. Fu il rallentare della carrozza a fargli distogliere lo sguardo fuori dal finestrino; erano arrivati in uno spiazzo verde di fronte ad un’imponente scala di pietra che portava ad un grande portone di quercia riccamente lavorato, L’imponenza del castello fece ancor più impressione a Daniel così da vicino, oltre il portale si doveva estendere una sala rettangolare, sulla cui destra ce ne doveva essere un’ancora più grande, riccamente illuminata ed ornata con grandi vetrate da cui filtrava la luce.

“Siamo arrivati!” disse Colin rivolto a Daniel con un sorriso. “Ufficialmente, benvenuto a Hogwarts” gli disse, aprendo la porta della carrozza e scendendo la breve scaletta.

L’aria esterna era fredda e pungente, Daniel scese cercando di richiudere la bocca che gli si era aperta ancora una volta dallo stupore.

“Magnifico, vero?” gli disse Susan dalla sua destra mentre aiutava Luna a scendere.

“E’ dir poco” aggiunse Daniel cercando di ricomporsi.

“Ricordo ancora l’emozione del primo anno” disse Colin con gli occhi chiusi per un attimo, mentre inspirava l’aria fresca della sera. “Avrò finito dieci rullini, scattavo foto a qualunque cosa”.

“Saliamo?” chiese Susan indicando la crescente folla di studenti che aveva già cominciato a salire la scalinata.

Con una buona dose di pazienza i cinque ragazzi varcarono il portone d’ingresso, trovandosi in una grande sala sulla cui destra si apriva un grandissimo salone; molti studenti stavano già prendendo posto ai propri tavoli, salutando e ritrovando gli amici di tanti anni. L’atmosfera era carica di gioia e di trepidante attesa.

Daniel rimase molto colpito dalla prima vista della Sala Grande; era immensa, sembrava quasi un’enorme cattedrale. I quattro tavoli delle case si allungavano tutto attorno: erano apparecchiati con piatti e calici d’oro che scintillavano alla luce di migliaia di candele che volavano sospese a mezz’aria mentre un cielo carico di nubi decorava magicamente la volta della sala che sembrava non avere fine.

Stava quasi per mettere un primo passo all’interno quando sentì una mano scheletrica afferrarlo per la spalla ed una voce bassa e inquietante dire: “Nightingale, giusto?”

Daniel si voltò mentre i suoi amici, di qualche passo avanti a lui, si girarono un istante più tardi. Il ragazzo capì dalle loro espressioni che la sagoma del vecchio che gli stava ora davanti doveva essere di qualcuno di non particolarmente amato fra gli studenti. L’uomo sembrava sulla cinquantina, stempiato con i capelli marroni poco curati, una barba appena accennata su di un viso scavato e decisamente poco amichevole. Vestito di una vecchia tenuta di cuoio, nella mano destra teneva una lanterna accesa che cigolava con fare sinistro mentre una gatta con grandi occhi gialli, la pelliccia color polvere e il corpo scheletrico gli miagolava accanto con lo sguardo rivolto verso Daniel.

“Sì?” disse questi con sorpresa.

“Io sono Argus Gazza, il custode. Seguimi.” disse con fare sbrigativo ma in un tono che non ammetteva repliche. Daniel si sentì assalire improvvisamente da un forte timore. Fu l’espressione di Dennis con i pollici alzati in particolar modo a dargli coraggio. Con un breve “ci vediamo dopo” si separò a malincuore dagli altri seguendo il vecchio guardiano oltre la porta di sinistra, trovandosi ora in una stanza che dava su una rampa di scale laterali.

Daniel si guardò attorno, la stanza era deserta.

“Aspetta qui. Nel giro di qualche minuto arriverà la Professoressa McGranitt con quelli del primo anno. Ah, non vedo l’ora di avere carne fresca!” aggiunse con un ghigno malevolo richiudendosi poi la porta alle spalle con un tonfo che echeggiò nella piccola sala.

Daniel si guardò attorno incerto, mille dubbi gli si affollarono nella mente. Non fece in tempo però a ragionare troppo su uno in particolare che la pesante porta dal lato opposto si aprì ed una strega alta, sulla sessantina, magra dall’aspetto severo con capelli corvini portati stretti in una crocchia, lo squadrò salendo la scalinata con al seguito un nutrito gruppo di giovani studenti. Un mormorio diffuso si alzo da diverse parti; Daniel vide chiaramente un paio di ragazzine del primo anno scambiarsi un’occhiata complice e parlottare animatamente dopo avere incrociato per un attimo il suo sguardo.

“Il signor Nightingale, presumo” disse la strega una volta arrivata a pochi passi da Daniel, in cima alla scalinata. Questi annuì, cercò di risponderle ma le parole gli morirono in gola.

“Io sono la professoressa McGranitt, la sua insegnante di trasfigurazione” disse accennando un sorriso.

“Piacere…” le rispose Daniel con la voce piccola piccola. Si sentiva più teso di una corda di violino in quel momento.

“Appena entrati nella Sala Grande, mi segua e rimanga con gli studenti del primo anno, per la cerimonia dello smistamento.”

Dopo un cenno con la testa la professoressa McGranitt lo superò e Daniel si ritrovò immerso tra una schiera di ragazzini. Superate le doppie porte si ritrovò immerso nell’atmosfera che aveva intravisto poco prima; i quattro lunghi tavoli delle case erano ora completamente gremiti di studenti che si giravano tutti nella loro direzione mano a mano che procedevano dal fondo della sala verso il tavolo degli insegnanti, posto in orizzontale all’estremità opposta. Daniel non poté fare a meno di notare quattro grandi clessidre poste in fondo sulla destra, ed uno sgabello posto proprio prima dei tre gradini che davano accesso alla zona riservata ai professori.

Sullo sgabello era posto un grande cappello da mago, logoro con molti rattoppi in più punti ed un lungo strappo vicino al bordo. L’atmosfera era di trepidante attesa; Daniel incrociò lo sguardo di Colin che gli agitava la mano in segno di saluto, ovviamente pieno di eccitazione, anche se il ragazzo non capiva per cosa. Poi all’improvviso lo strappo del cappello si spalancò ed il Capello Parlante prese a cantare:

 

Un tempo, quand'ero assai nuovo berretto

e Hogwarts neonata acquistava rispetto,

i gran fondatori del nobil maniero

sortivan tra loro un patto sincero:

divisi giammai, uniti in eterno

per crescere in spirito sano e fraterno

la scuola di maghi migliori del mondo,

per dare ad ognuno un sapere profondo.

'Insieme insegnare, vicini restare!'

Il motto riuscì i quattro amici a legare;

perché mai vi fu sodalizio più vero”

che tra Tassorosso e il fier Corvonero,

e tra Serpeverde e messer Grifondoro

l'unione era salda, l'affetto un ristoro.

Ma poi cosa accadde, cosa andò storto

per rendere a tale amicizia gran torto?

Io c'ero e ahimè qui vi posso narrare

com'è che il legame finì per errare.

Fu che Serpeverde così proclamò:

“Di antico lignaggio studenti vorrò”.

E il fier Corvonero si disse sicuro:

“Io stimerò sol l'intelletto più puro”.

E poi Grifondoro: “Darò gran vantaggio

a chi compie imprese di vero coraggio”.

E ancor Tassorosso: “Sarà l'uguaglianza

del mio insegnamento la vera sostanza”.

Fu scarso il conflitto all'inizio, perché

ciascuno dei quattro aveva per sé

un luogo in cui solo i pupilli ospitare,

e a loro soltanto la scienza insegnare.

Così Serpeverde prescelse diletti

di nobile sangue, in astuzia provetti,

e chi mente acuta e sensibile aveva

dal fier Corvonero ricetta otteneva,

e i più coraggiosi, i più audaci, i più fieri

con ser Grifondoro marciavano alteri,

e poi Tassorosso i restanti accettava,

si, Tosca la buona a sé li chiamava.

Allora le Case vivevano in pace,

il patto era saldo, il ricordo a noi piace.

E Hogwarts cresceva in intatta armonia,

e a lungo, per anni, regnò l'allegria.

Ma poi la discordia tra noi s' insinuò

e i nostri difetti maligna sfruttò.

Le Case che con profondissimo ardore

reggevano alto di Hogwarts l'onore

mutarono in fiere nemiche giurate,

e si fronteggiaron, d'orgoglio malate.

Sembrò che la scuola dovesse crollare,

amico ed amico volevan lottare.

E infine quel tetro mattino si alzò

che Sal Serpeverde di qui se ne andò.

La disputa ardente tra gli altri cessava

ma le Case divise purtroppo lasciava,

furon mai più solidali da che

i lor fondatori rimasero in tre.

E adesso il Cappello Parlante vi appella

e certo sapete qual è la novella

che a voi tutti annunciare dovrò:

ma si, nelle Case io vi smisterò.

Però questa volta é un anno speciale,

vi dico qualcosa ch'è senza l'uguale:

e dunque, vi prego, attenti ascoltate

e del mio messaggio tesoro ora fate.

Mi spiace dividervi, ma è mio dovere:

eppure una cosa pavento sapere.

Non so se sia utile voi separare:

la fine che temo potrà avvicinare.

Scrutate i pericoli, i segni leggete,

la storia v'insegna, su, non ripetete

l'errore commesso nel nostro passato.

Adesso su Hogwarts sinistro è calato

un grande pericolo, un cupo nemico

l'assedia da fuori, pericolo antico.

Uniti e compatti resister dobbiamo

se il crollo di Hogwarts veder non vogliamo.

Io qui ve l'ho detto, avvertiti vi ho...

e lo Smistamento or comincerò.

 

Il Cappello tornò immobile; scoppiò un applauso, anche se inframezzato da borbottii e sussurri provenienti da ogni parte. Daniel guardava la scena con crescente tensione e non solo per le parole della canzone; ora che il momento era arrivato si chiese davvero in che casa il Cappello l’avrebbe smistato ed una crescente paura crebbe in lui. Se di una cosa era certo, non era tanto una casa piuttosto che un’altra quanto di non perdere l’inizio di amicizia con Colin, Dennis, Luna e Susan. In quel momento più che mai si sentì solo, quasi come quel giorno di quattro anni prima ad Aotearoa e sperò con tutte le sue forze che il suo primo anno a Hogwarts fosse decisamente migliore di quello nella sua vecchia scuola.

La professoressa McGranitt fulminò gli studenti con lo sguardo e il brusio cessò di colpo; dopo un ultimo sguardo accigliato che percorse tutti e quattro i tavoli, la strega abbassò gli occhi sulla lunga pergamena che aveva in mano e pronunciò a voce alta e chiara il primo nome della lista:

“Abercrombie, Euan

Un bambino davanti a lui avanzò con espressione terrorizzata barcollando verso lo sgabello, la professoressa gli mise il Cappello in testa e per un istante ci fu un silenzio trepidante di attesa fino a quando lo strappo vicino al bordo si aprì e urlò:

“Grifondoro!”

Il tavolo dei Grifondoro scoppiò in un lungo applauso mentre Euan si avvicinò con passo incerto al tavolo sedendosi, rosso in volto per così tanta attenzione.

La scena si ripeté molte altre volte. Daniel scrutò i tavoli nell’attesa; riconobbe il tavolo di Serpeverde ed incrociò un attimo lo sguardo di Draco prima che questi si mettesse a parlare con una ragazza con neri capelli a caschetto alla sua destra. Nessuna emozione parve trasparire dal suo viso, Daniel si chiese in cuor suo se avrebbe mai avuto un’occasione riparlare da solo col giovane Serpeverde. Guardando oltre, accanto a Colin e Dennis (che gli rivolsero due pollici alzati in segno d’incoraggiamento), poco più avanti riconobbe Harry Potter seduto fra un ragazzo alto e magro con i capelli rossi ed una ragazza con i capelli castani mossi; i loro sguardi s’incrociarono per un attimo e Daniel sentì come un brivido percorrergli la schiena fino a che una voce severa lo riportò con l’attenzione rivolta al Cappello.

“Nightingale, Daniel”

Un leggero mormorio si levò nella sala, stroncato subito dopo da un altro sguardo accigliato della professoressa McGranitt. L’ultima cosa che Daniel vide prima di voltarsi e sedersi sullo sgabello fu una strega bassa e tarchiata vestita di un vaporoso cardigan rosa, scambiare poche veloci parole col professor Silente, che, con la testa leggermente inarcata a sinistra guardava la scena con interesse. Poco dopo sentì sulla testa il peso del Cappello e quasi contemporaneamente una vocina all’orecchio:

“Ehm…Complicato, davvero. Un cervello davvero niente male, desiderio di grandi cose ma anche una grande paura…dunque, dove posso metterti…?”

Daniel non riuscì a pensare a niente in quel momento, si sentiva come attraversato da una mano invisibile che poteva frugare liberamente fra tutti i suoi ricordi, non gli piaceva affatto la sensazione.

“Ah ecco!” continuò la vocina come se avesse scoperto qualcosa “Interessante sì, forse il più grande desiderio di tutti, beh ragazzo mio se è così allora meglio…TASSOROSSO!”

Il tavolo all’estremità sinistra della sala scoppiò in un fragoroso applauso. Daniel si tolse il Cappello ancora mezzo stordito e si avviò con passo vacillante verso il tavolo dei Tassorosso. Riconoscendo il volto familiare di Susan, si avviò verso di lei che gli sorrideva al settimo cielo, ancora battendo forte le mani. Un ragazzo si era alzato in piedi accanto a lei e gli porse la mano con un gran sorriso; era un tipo alto, con i capelli castano-biondi portati a caschetto, lunghi sul collo, occhi marrone chiaro ed un naso piuttosto accentuato. Quando gli parlò, fu con una voce bassa e calda:

“Complimenti, io sono Ernest Macmillan, ma puoi chiamarmi Ernie, a nome di tutta la nostra casa, benvenuto”. Detto questo, gli strinse forte la mano.

Daniel gli rispose con un gran sorriso stringendola a sua volta. Appena lasciata la mano di Ernie, che, Daniel vide, portava una spilla particolare sopra lo stemma di Tassorosso, Susan gli fece cenno di accomodarsi accanto a lei.

“Benvenuto”, le disse la ragazza mentre la professoressa McGranitt riprendeva lo smistamento gettando un’occhiata torva al tavolo di Tassorosso, la voce di Susan si abbassò di un tono:

“Grazie” le chiese Daniel con un gran sorriso. Non sapeva perché ma la sua felicità era contagiosa. Susan continuò: “Questi sono i miei amici, Hannah e Justin” disse indicando una ragazza con i capelli castani chiari lisci che le ricadevano sulle spalle e la fronte pronunciata ed un ragazzo alto con la mascella molto pronunciata.

Daniel strinse loro la mano, poi riprese a seguire lo smistamento, guardandosi di tanto in tanto attorno. Ripensando all’atmosfera che emanava dai suoi compagni di casa e ricordando un po’ della storia di Tassorosso Daniel fu contento della sua nuova casa. Tutte le sue paure di poco prima sembravano dissolte dal calore che irradiava dall’atmosfera attorno a lui. Fu quando Rose Zeller fu smistata a Tassorosso che, dopo un lungo applauso, lo sguardo di Daniel si fissò sull’alta figura del loro preside, il professor Silente.

Questi, schiarendosi la voce, si alzò e con le braccia aperte e lo sguardo come se desiderasse abbracciare virtualmente tutta la sala disse:

“Ai nuovi arrivati…benvenuti! Ai nostri vecchi amici…bentornati! C’è un tempo per i discorsi, ma non è questo. Dateci dentro!”

Ci fu una grande risata di approvazione ed uno scoppio di applausi mentre Silente sedette con garbo gettandosi la lunga barba sulla spalla, per tenerla lontana dal piatto: il cibo apparve dal nulla riempiendo i cinque tavoli di arrosti, pasticci, piatti di verdure, pane, salse e boccali di succo di zucca.

Fu prendendo un vassoio di coscette di pollo passategli da Justin, seduto di fronte a lui, che nel “grazie” che gli disse era riassunta tutta la gioia che Daniel provava in quel momento: un anno era appena cominciato e lui non vedeva l’ora di assaporarne ogni singolo attimo.

 

Note dell’autore. Ecco qua, siamo arrivati a Hogwarts. Ho deciso di interrompere qui la prima serata perché altrimenti sarebbe venuto un capitolo decisamente troppo lungo. Spero vi piaccia. Alcuni personaggi canonici non protagonisti nella saga, come avrete visto, acquisiranno un ruolo importante nella fanfiction. Come sempre cercherò di mantenere al minimo il fattore OOC ma indubbiamente ci saranno delle modifiche o per meglio dire, dei notevoli sviluppi di personaggi poco conosciuti.

 

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Capitolo 9
*** Storia e Pozioni ***


Erano le nove passate quando Luna fu svegliata da un bubbolio ed un rumore di qualcosa che sembrava sbattere e grattare poco distante. La ragazza si tirò su dal letto, i capelli biondi tutti arruffati da una lunga notte di sonno. Mettendo a fuoco la stanza vide che le sue compagne erano già tutte scese a colazione, il che di per sé era una cosa normale visto che non l’aspettavano mai. Cercando di ricordare, mentre poggiava i piedi sul pavimento di pietra della torre ovest, Luna per la prima volta ebbe difficoltà a farsi tornare in mente i sogni della notte appena passata, solo di una cosa era certa: erano stati molto più strani del solito.

Da seduta sul letto vide che il rumore proveniva da un gufo che cercava con insistenza di entrare dalla vetrata chiusa poco distante; la ragazza scese dal letto, s’infilò la vestaglia e si diresse saltellando verso la finestra facendola scattare; il pennuto entrò subito e lasciò cadere una lettera sul letto accanto a quello di Luna sulla destra, prima di tornare da dove era venuto, probabilmente diretto alla voliera del castello.

“Una lettera per Marietta…” pensò Luna prima di guardare l’orologio. Distogliendosi dai suoi pensieri si ricordò dell’orario delle lezioni di quella mattina e un sorriso le si materializzò sul volto. Finalmente avrebbe conosciuto uno dei tre nuovi professori, se non ricordava male, il professor Costa, il nuovo docente di Storia della Magia. Luna, vestendosi, si chiese cosa mai avesse convinto il professor Ruf a lasciare la sua cattedra, visto che nemmeno la morte c’era riuscita, ma qualsiasi fosse stata la ragione lei era ben lieta di questo cambiamento.

Tra questi e mille altre idee per la testa si affrettò a vestirsi, prendere la borsa con i libri, sistemarsi e scendere velocemente a colazione; non avrebbe avuto troppo tempo ma forse almeno un bicchiere di succo di zucca sarebbe riuscita a berlo prima dell’inizio delle lezioni.

Fu proprio quando con un ultimo saltello aveva finito di scendere la grande scalinata ovest, svoltando l’angolo per entrare in Sala Grande, che il suo fluire di pensieri ed il leggero canticchiare furono interrotti bruscamente quando un ragazzo la prese in pieno uscendo trafelato dalla sala. Luna non fece in tempo nemmeno a dire una parola che si ritrovò di colpo per terra, la cartella di lato ed immersa in una miriade di fogli di pergamena che le ricadevano lentamente addosso. La ragazza si tolse gli occhiali allegati all’edizione del Cavillo di quel mese per rimettere a fuoco la scena, il tono sognante sparito ed un gran mal di testa che si faceva largo per la botta presa. Di fronte a lei, ancora incredulo per l’accaduto, si trovava un ragazzo del suo stesso anno, bassino, di corporatura esile con due grandi occhi azzurri e capelli biondo dorato leggermente arruffati che incorniciavano un viso ovale. Il moto di risentimento di Luna scomparve totalmente nel riconoscere davanti a se l'unico amico che avesse mai auto a Hogwarts in cinque anni, Galen Brannis.

Galen si affrettò a rialzarsi e a porgerle la mano, rosso in volto e profondamente imbarazzato, incurante degli sguardi e dei numerosi commenti e ammiccamenti che gli studenti attorno a loro si scambiavano guardandoli e girando al largo dalla miriade di fogli che avevano attorno.

Scu...Scu…scusami Luna. Non ti avevo vista” disse aiutandola e porgendole la cartella. “Che casino che ho…ho combinato!”

“Lascia stare, Galen” disse la ragazza rialzandosi. Guardandoli meglio vide che si trattava di appunti di storia; probabilmente Galen doveva essersi svegliato presto per andare in biblioteca prima della lezione che avrebbero avuto di lì a poco; a Storia della Magia, infatti, Corvonero e Tassorosso erano assieme.

“Sei stato in biblioteca?” gli chiese porgendogli una decina di fogli mentre il ragazzo ancora rosso in volto li sistemava nella sua cartella.

“Sì, finalmente sembra che abbiamo un pro…professore di storia della magia decente e vo…voglio fare una buona impressione. Anzi…” proseguì sentendo il pesante rintocco del grande orologio della torre nord “siamo qua…quasi in ritardo Luna. Hai tut…tutto? Andiamo!” le disse illuminandosi in volto.

Luna gli sorrise e lasciando perdere i gorgoglii del suo stomaco s’incamminò con sguardo sognante verso la scalinata nord, dove al primo piano si trovava l’aula di Storia della Magia. Camminando velocemente notò un gruppetto di ragazze del primo anno guardare il suo amico con aria sognante, poi una di loro sembrò confabulare qualcosa fitto fitto e dopo qualche istante poté vedere il gruppetto allontanarsi con sguardi molto diversi da quelli di prima; se in un primo tempo dimostravano interesse e ammirazione, i secondi erano molto meno lusinghieri.

Luna accelerò il passo con Galen che la seguiva con lo sguardo rivolto verso il pavimento; chiaramente il ragazzo doveva aver sentito qualcosa di quello che avevano detto le ragazze poco distanti. Luna sospirò ed il suo cipiglio si fece stranamente duro mentre fissava il gruppetto svoltare a destra verso est: se c’era una cosa che odiava era vedere Galen in quello stato, ed al primo giorno di lezioni per giunta.

“Lasciale perdere, Galen. Non sanno nemmeno di cosa stanno parlando” disse sfregando leggermente la mano contro quella dell’amico. Questi non disse nulla, continuando a guardare il pavimento con gli occhi bassi.

I due svoltarono infine verso sinistra trovandosi di fronte alla porta della classe 4F, ancora aperta con un grande un brusio che proveniva dall’interno. Entrando i due si diressero verso l’ultimo banco libero, in fondo accanto ad una delle tre grandi finestre laterali da cui si vedevano il parco sul retro ed in lontananza il campo di Quidditch.

“Com’è andata l’estate, Galen?” chiese la ragazza all’amico che stava guardando avidamente fuori dalla finestra, rivolto ad un punto imprecisato nel panorama. Alla voce di Luna sembrò come trasalire e voltandosi col respiro corto, come chi fosse stato svegliato da un sogno ad occhi aperti, le rispose:

“Bene, sono sta...stato con i miei a Los Angeles…una cit…città strana.” Le rispose con lo sguardo rivolto verso il soffitto a cassettoni dell’aula. Luna non fece in tempo a continuare che di nuovo gli occhi del ragazzo si erano spostati fuori dalla finestra. Interessata la ragazza si sporse in avanti per vedere meglio; all’inizio non riuscì ad afferrare il concetto di uno dei molti silenzi di Galen a cui si era ormai abituata, ma poi le si accese come una lampadina.

“Ehi, quest’anno ci puoi riprovare no? Hai sentito il Professor Silente? Se non mi sbaglio alla squadra di Tassorosso manca un portiere…”

“E un ce…cercatore.” concluse Galen con uno scintillio negli occhi. “Ma non…non lo so...” aggiunse tirando fuori il libro di Storia della Magia e sprofondandoci dentro con la testa.

Luna, che conosceva bene le abitudini bislacche di Galen, lo prese per un braccio e facendosi improvvisamente seria gli disse ad un centimetro dal volto: “ No, sai….Basta con questo tono da autocommiserazione. Sei bravo, ti ho visto volare un paio di volte a casa mia e non permetto a nessun altro di dire il contrario. Anzi…” disse con un sorriso, togliendosi la sua collana fatta di tappi di burrobirra e porgendola all’amico: “Portatela dietro ai provini, ok?”

Galen la fissò per qualche istante incredulo, sapeva bene quanto Luna tenesse alla sua collana; all’improvviso gli occhi gli si fecero lucidi mentre prendendola, mormorò un flebile “grazie” infilandosela al collo, incurante degli sguardi e dei mormorii dei due Corvonero seduti al banco di fronte.

Luna sentì la rabbia salirle di nuovo in gola, ma prima che potesse dire alcunché la porta della stanza si chiuse con un rumore secco ed una voce potente risuonò verso di loro come una frusta, richiamando l’attenzione di tutti verso la cima dell’aula.

“Buongiorno a tutti”.

Dalla porta era entrato un uomo non molto alto, robusto, vestito di un lungo mantello nero a collo alto, da cui traspariva, visto i bottoni parzialmente slacciati, un bel vestito verde smeraldo con finiture ed un panciotto argentato riccamente lavorato. L’uomo aveva un volto largo, due penetranti occhi neri ed i capelli portati leggermente all’indietro, pettinati con grande cura.

“Buongiorno, professor Costa” risposero tutti in coro gli studenti.

L’uomo avanzò verso la cattedra, poi si bloccò come a metà strada rivolgendo uno sguardo di stupore all’intera classe. Poi con calma si diresse verso il primo banco sulla sinistra, occupato, Luna si sporse per vedere meglio, da due studentesse di Tassorosso.

“Signorina Macavoy, dico bene?” disse con voce profonda, per essere sentito chiaramente in tutta la classe.

Quella che Luna riconobbe come Heidi Macavoy, una ragazza alta con i capelli portati in due lunghe trecce, sembrò essere colta alla sprovvista.

“Sì, professore?” disse stupita.

“Non le sembra che manchi qualcosa?” aggiunse l’uomo con un sorriso più pronunciato.

La ragazza sembrò rimanere senza parole, non riuscendo a formulare una risposta. Il professore non parve però perdersi d’animo, avvicinandosi al banco successivo:

“E a lei signorina O'Flaherty?” disse guardando la giovane Tassorosso che assunse un colorito rosso pomodoro, chiaramente anche lei presa in controtempo da quella domanda.

Un leggero brusio iniziò a sollevarsi dai banchi più distanti, mentre gli istanti di silenzio passavano.  Il professor Costa tuttavia parve non udirli, anzi, lasciati i banchi davanti si avviò spedito verso il fondo dell’aula, guardandosi attorno fino ad arrivare di fronte a dove sedevano Luna e Galen.

“Signor Brannis, dico bene?” disse sempre accennando un leggero sorriso.

Galen alzò gli occhi con un leggero rossore sulle guance ma sostenne lo sguardo dell’uomo. “Mi dica, secondo lei, da quando sono entrato non è mancato nulla?”

Per un secondo Luna ebbe timore che Galen potesse sciogliersi sotto lo sguardo penetrante dell’uomo; tuttavia con suo grande stupore l’amico rispose, cercando di scandire bene le parole:

“Non ci sia…siamo alzati qua…quando è entrato in aula, pro…professore” disse Galen con un tremito nella voce.

“Esatto!” disse il professore illuminandosi in volto. “Finalmente qualcuno che se n’è accorto!” disse con tono gioviale ritornando verso la cima dell’aula; Luna tirò un sospiro di sollievo, Galen accanto a lei stava leggermente tremando per l’emozione.

“Come ha detto giustamente il signor Brannis io mi aspetto che voi vi alziate all’inizio e alla fine della lezione e mi salutiate come io saluto voi. Non ha senso imparare la storia quando ci siamo scordati delle buone maniere, non credete?” disse sedendosi dietro alla cattedra fra lo stupore generale.

“Molto bene, aprite il libro a pagina 342. Oggi parleremo della Prima ribellione dei Goblin.”

Luna tirò fuori la sua piuma e Galen fece altrettanto. La ragazza sorrise con sguardo sognante all’amico che pareva ora molto più tranquillo di qualche istante prima. Da vicino aveva avuto un’impressione genuina del professor Costa, non aveva fatto quella strana domanda per mettere Galen o qualcun altro in difficoltà, era piuttosto….sì, se il suo sesto senso non la ingannava, era semplicemente il suo modo di insegnare.  Più lo osservava e più se sembrava un tipo interessante.

Con un colpetto di tosse il professor Costa si avvicinò alla grande lavagna e cominciò:

“Come ricorderete nel 1692 la Confederazione Internazionale dei Maghi, riunita a Parigi adottò lo Statuto Internazionale di Segretezza della Magia a maggioranza qualificata, questo portò alla nascita dei vari Ministeri della Magia nazionali. In particolar modo nella clausola 73 viene chiaramente enunciato che, “Ciascun ente governativo magico sarà responsabile dell'occultamento, la cura e il controllo di tutti gli animali, gli esseri di qualsiasi razza e genere e gli spiriti magici viventi entro i confini del suo territorio. Se una di queste creature dovesse danneggiare la comunità Babbana o attirarne l'attenzione, l'ente governativo della nazione in causa sarà sottoposto a misure disciplinari da parte della Confederazione Internazionale dei Maghi”. Questo portò molte specie del mondo magico per la prima volta sotto il diretto controllo di un organismo politico nazionale umano.”

Il rumore di penne parve continuare ancora per qualche secondo. Il professor Costa si interruppe segnando alla lavagna la data del 1692 e cerchiandola due volte prima di rivolgersi all’aula.

“Ora, secondo voi…” esordì camminando nuovamente fra i banchi, con lo sguardo che saettava da uno all’altro, con il gessetto ancora saldamente nella mano destra.

“Perché i Goblin sono stati i primi a cercare di ribellarsi allo Statuto di Segretezza?”

Dopo qualche secondo Luna vide quattro mani alzarsi nell’aula; Galen accanto a lei posò la penna sul banco e iniziò a grattarsi la tempia destra, come per riordinare le idee.

“Sì, signor Finch?” disse il professore indicando un Corvonero robusto con una zazzera di capelli corvini ed un naso molto pronunciato, seduto in terza fila:

“Per la persecuzione di Ug l'Inaffidabile, il loro leader”

“Corretto, Signor Finch, cinque punti a Corvonero, ma incompleto. La circolazione dell’oro dei Lepricani a cui lei si riferisce fu solo la truffa che fece scatenare la rivolta. Io vi chiedo…qual era la motivazione di fondo? Cos’è che i goblin temevano più di ogni altra cosa da parte dei maghi e streghe inglesi? Ricordate siamo nel 1692.”

Dopo qualche secondo due mani si alzarono contemporaneamente, una vide Luna di un ragazzo di Corvonero, Gabriel Frost, mentre l’altra era quella di Galen. Luna guardò stupita l’amico; era la prima volta che si esponeva a rispondere ad una domanda di un qualsiasi corso da quando aveva memoria.

“Sì, signor Frost” la voce del professor Costa, fece tornare la ragazza a guardarlo mentre si avvicinava verso il lato opposto al loro, verso la metà dell’aula.

“Per non perdere la loro libertà” disse il ragazzo con voce insicura.

“Corretto, cinque punti per Corvonero. Ma ancora incompleta come risposta” disse il professore rivolgendo un cenno col gessetto a Gabriel prima di riavvicinarsi al fondo dell’aula, chiaramente attirato dalla mano alzata di Galen.

“Sì, signor Brannis?”

“Pe…per non per…perdere il loro o…oro?”

 Il volto del professor Costa parve illuminarsi di nuovo per una frazione di secondo mentre col gessetto indicava Galen con decisone.

“Precisamente, bravo Brannis, dieci punti a Tassorosso” disse prima di ritornare indietro verso la lavagna. “Signori non dimentichiamoci che l’abilità di fabbri e di economisti goblin ancora oggi è in moltissimi casi inarrivata. Immaginate cosa potesse significare nel 1692 l’istituzione di un controllo sulle varie specie magiche da parte di maghi e streghe. I Goblin attaccarono Hogsmeade perché proprio sotto i nostri piedi all’epoca erano custodite le riserve auree inglesi! Rischiarono tutto con un attacco preventivo.”

“Ecco…” disse rimettendosi a sedere e riprendendo in mano il libro di testo. Pagina 393, terzo paragrafo…”

Luna guardò con stupore l’amico mettersi a scrivere freneticamente su un foglio di pergamena; nei suoi occhi brillava un interesse che non aveva mai visto prima di allora. Con un sorriso pieno di gioia si mise anche lei a scrivere gli appunti della lezione…decisamente con c’erano paragoni col professor Ruf.

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Con la testa che ancora cercava di far ordine sui mille pensieri che il suo recente incontro con Cho gli aveva provocato, Harry superò la porta del sotterraneo di Piton che si aprì cigolando minacciosamente. Entrò in classe dietro a Ron e Hermione e li seguì al solito banco in fondo, dove sedette ignorando il loro continuo battibecco. Era dal primo anno che seguivano pozioni insieme ai Serpeverde e questo non migliorava mai il suo umore, un’occhiata acida della Parkinson gli ricordò ancora una volta, se mai se lo fosse scordato, che non era il benvenuto là sotto.

Non ebbe tempo di elaborare una strategia di risposta che l’ingresso di Piton pose fine al leggero chiacchiericcio che si era sviluppato in attesa dell’inizio della lezione. L’attenzione di Harry stavolta però, più che dall’entrata in classe del suo insegnante meno amato, fu colta di sorpresa dalla vista di madama Umbridge che, sfoderando ancora una volta il suo vaporoso cardigan rosa shocking, seguì l’ingresso in aula del loro professore di Pozioni.

“Seduti” disse Piton con voce fredda.

Non ci fu bisogno di richiamare nessuno all'ordine: nel momento in cui la classe aveva sentito la porta chiudersi, ogni irrequietezza si era placata. La sola presenza di Piton bastava ad assicurare il silenzio.

“Prima di cominciare la lezione, voglio che sappiate che madama Umbridge, quale Osservatrice del Ministero, mi ha chiesto il permesso di assistere alla lezione di oggi. Confido che farete del vostro meglio per dimostrarvi tutti quanti all’altezza delle sue aspettative.” concluse con uno sguardo che non ammetteva repliche.

Harry poté vedere per un attimo una nota d’impazienza nella figura di solito fredda ed imperscrutabile di Piton ma non ebbe modo di esaminarla meglio visto che madama Umbridge prese la parola e con un leggero inchino disse:

“La ringrazio professor Piton per le sue parole di benvenuto.” Poi il suo sguardo si posò sulla classe, esaminandoli uno alla volta, mentre il loro insegnante di pozioni riprese a parlare; Harry si accorse chiaramente che il suo sorriso si spense quando incrociò il suo sguardo per qualche istante prima di proseguire oltre.

“Oggi prepareremo una pozione che viene richiesta spesso al G.U.F.O.: la Bevanda della Pace, una pozione che calma l'ansia e placa l'agitazione. Attenti: se esagerate con gli ingredienti infliggerete al bevitore un sonno pesante e qualche volta irreversibile, quindi dovete prestare molta attenzione”. Alla sinistra di Harry, Hermione si mise un po' più diritta, ostentando la massima concentrazione.

“Questa fa parte di una categoria di pozioni avanzate che non sarete in grado di preparare da soli; vi chiedo quindi di dividervi a coppie e di lavorare secondo le istruzioni scritte alla lavagna (e vi apparvero). “Troverete tutto quello che occorre” agitò la bacchetta, “nell'armadio” (la porta dell'armadio si spalancò). Avete due minuti per formare le coppie.”

Detto questo si sedette dietro la scrivania in cima all’aula mentre un rumore di sedie ed un crescente chiacchiericcio seguiva gli studenti che cercavano di divedersi nel più breve tempo possibile; Harry si avvicinò a Ron che annuì con un sorriso, mentre Hermione aveva già fatto coppia con Neville e gli parlava fitto fitto come a ricordargli le istruzioni; il giovane Grifondoro sembrava pendere dalle sue labbra con uno sguardo di profonda ammirazione.

Proprio quando i primi studenti si stavano avviando verso l’armadio per iniziare, la voce di Madama Umbridge si levò nell’aula. “Ehm, ehm…Non credo che così vada bene.” disse schiarendosi la voce, con uno sguardo costernato a metà fra il dispiacimento e la delusione.

“Avete sentito il mio discorso di ieri sera e il messaggio dei fondatori di questa nobile scuola attraverso il Cappello Parlante, ma a quanto pare non ci avete riflettuto abbastanza, non è vero?” disse mentre tutti si bloccavano sul posto e molti sguardi spaesati cercavano una spiegazione a quello di cui la Umbridge stava parlando; anche Piton, Harry vide dal fondo dell’aula, aveva alzato un sopracciglio in segno di sorpresa, pur non proferendo parola per quell’interruzione.

“A quanto pare il termine “cooperazione” non vi è chiaro e questo dimostra ancora una volta a necessità della mia presenza qui; il Ministero considera questo un punto fondamentale della vostra istruzione, voi dovete cooperare gli uni con gli altri, così come Hogwarts e Ministero devono camminare fianco a fianco per creare le streghe e di maghi di domani”.

S’interruppe un istante abbracciando con lo sguardo tutti gli studenti come ad aspettarsi una risposta di qualche tipo; Harry sentì che c’era qualcosa che non andava nel tono lezioso con cui si stava rivolgendo loro mentre il suo sguardo si posò di nuovo su di lui mentre avanzava verso il banco alla sua destra, dove Malfoy e Nott la guardavano con uno sguardo interrogativo da dietro il loro calderone.

“Credo che dovremmo partire dalle basi.” concluse la donna con tono di costernazione. Poi rivolgendosi a Theodore Nott disse: “Signor Nott, cortesemente, potrebbe scambiarsi di posto col signor Potter?”

Un brusio parve scoppiare da ogni lato mentre tutti sembravano chiedersi cosa stesse succedendo. Harry dal canto suo era rimasto fulminato, non riusciva ancora a capire il motivo di quel cambio di posto….avrebbe dovuto preparare una pozione di quella difficoltà con…Malfoy?”

Anche dal canto suo, Harry poté vedere, Malfoy era diventato bianco dallo stupore ed aveva assunto un’espressione di puro disgusto, come se stesse trattando di uno scherzo di pessimo gusto, di quelli che non fanno ridere.

Dopo un istante che parve dilatarsi all’infinito nella mente di Harry, vide Nott alzarsi e venire lentamente verso il suo banco. Incrociando lo sguardo inorridito di Ron, Harry sospirò e si alzò a sua volta; non c’era niente che potesse fare per evitare quel supplizio. L’Umbridge era stata fin troppo chiara la sera prima durante il banchetto inaugurale: in quanto Osservatrice del Ministero aveva il potere di prendere provvedimenti per modificare tutti quei comportamenti che non riteneva essere in linea con la disciplina scolastica approvata dal Ministero col decreto didattico numero ventidue.

Passando di fianco a Nott i loro sguardi si incrociarono per un istante ed Harry vide un’espressione di beffarda curiosità stampata sul volto del Serpeverde anche se non riuscì a spiegarsene il motivo; mentre si avvicinava alla sua destinazione, poteva vedere chiaramente l’espressione di disprezzo che traspariva dal volto di Malfoy; anche lui sembrava inorridito dalla prospettiva di dover collaborare col suo più acerrimo rivale.

Una volta sedutosi accanto a lui, Harry poté sentire bene una fortissima elettricità statica; che cosa cercasse di fare la Umbridge con quella trovata era ancora un mistero ma non gli piaceva affatto. Tuttavia la donna in questione aveva ora stampato un sorriso compiaciuto sul volto quando riprese a parlare:

“Ottimo, Signor Potter, signor Malfoy. E ora tutti voi altri. Ogni Grifondoro scelga un compagno o una compagna Serpeverde per il compito di oggi. Coraggio, su…Cosa aspettate?!” disse con impazienza tornando verso la cattedra e sedendosi accanto ad un Piton con stampata in volto un’espressione imperscrutabile.

Un rumore di sedie ed un brusio pieno di fastidio ed impazienza si diffuse a macchia d’olio nell’aula; chiaramente nessuno aveva minimamente pensato ad uno sviluppo del genere della lezione. Ci vollero cinque minuti buoni prima che le coppie venissero formate e parecchi interventi di Madama Umbridge per richiamare gli studenti all’ordine e sbrogliare gli ultimi accoppiamenti.

Nel mezzo al brusio Harry sentì Malfoy dirgli a voce bassa con astio: “Non ti provare a rovinarmi la media in Pozioni, Sfregiato, o te la farò pagare!”

“Sai cosa me ne frega della tua media, Furetto!” rispose Harry guardandolo in cagnesco.

“Bene!” esclamò madama Umbridge ritornando a passo svelto verso la cattedra, guardando la classe con un evidente sguardo di soddisfazione. “Cominciate!” concluse sedendosi accanto a Piton e tirando fuori la sua copia della Gazzetta del Profeta.

Tra lo sconcerto generale Harry iniziò ad esaminare la lista degli ingredienti e a ricopiarli con calma sul proprio quaderno quando la voce di Malfoy lo costrinse a voltarsi in avanti; il giovane Serpeverde era già di ritorno dall’armadio con due piccoli piatti da bilancia in mano con sopra alcuni degli ingredienti necessari per la pozione:

“Se ti aspetti che prenda tutto io, ti sbagli di grosso Potter. A te la radice di elleboro la pietra di luna e le ali di scarabeo, muoviti” disse con uno sguardo acido.

Harry stava quasi per rispondergli ma con lo sguardo incrociò il viso di rospo dell’Umbridge che lo guardava con insolito interesse e decise di ricacciarsi gli insulti che gli salivano dallo stomaco giù in gola. Con uno sguardo furente si diresse all’armadio dove altri studenti stavano pesando e raccogliendo il necessario per preparare la pozione. Dopo qualche minuto Harry riuscì a raccogliere tutto il necessario su un piccolo vassoio e si diresse indietro alla sua postazione di lavoro; Malfoy stava già preparando la fiamma mentre ripassava con sguardo attento il procedimento che Harry aveva trascritto sul quaderno. Il suo sguardo si posò per un istante sul volto del giovane Serpeverde e prima che questi alzasse gli occhi, sentendo la vista di Harry su di sé, rimase colpito dall’osservare i lineamenti del ragazzo, era la prima volta in cui lo vedeva calmo, concentrato quasi….sereno.

In una frazione di un secondo tuttavia Malfoy, accorgendosi del ritorno di Harry verso il loro calderone, alzò lo sguardo e tutto ciò scomparve dal suo volto che riprese l’espressione di disgusto che il giovane Grifondoro conosceva fin troppo bene e che ricambiava sempre di buon grado.

“Bene, te la sei presa comoda Potter” disse guardandolo posare sul banco la seconda metà degli ingredienti.

“Perché non te li prendi da solo la prossima volta?!” rispose Harry con astio.

“Credimi Potter, non ci sarà una prossima volta. Fosse stato per me, non ci sarebbe nemmeno questa prima.” aggiunse Malfoy con uno sguardo di gelido distacco.

“Iniziamo!” tagliò corto Harry, riguardando gli appunti presi.

Proprio come Harry aveva immaginato, Piton non avrebbe potuto assegnare una pozione più complicata e insidiosa. Gli ingredienti dovevano essere aggiunti nel calderone nell'ordine e nella quantità esatti; l'intruglio doveva essere mescolato per un preciso numero di volte, prima in senso orario, poi antiorario; il calore della fiamma sul quale sobbolliva doveva essere abbassato esattamente al livello giusto per un determinato numero di minuti prima di aggiungere l'ingrediente finale.

Incredibilmente lui e Malfoy erano riusciti a non tagliarsi i polsi l’un l’altro nella prima mezz’ora di lavoro e questo poteva trattarsi già di un mezzo miracolo; seguendo le istruzioni Harry vide che era arrivato il momento di “aggiungere l’elleboro a filo, mescolando tre volte a destra e tre a sinistra, mantenendo il calore della fiamma stabile”.

“Bene Potter, ora mentre tu ti occupi della fiamma io aggiungo l’elleboro…” esordì Malfoy rileggendo le istruzioni.

Harry ne ebbe abbastanza del suo tono da “maestro di pozioni” e con uno sbuffo gli rispose: “Perché non ti occupi tu di regolare la fiamma e non lo fai aggiungere a me l’elleboro?!”

Malfoy lo guardò con sguardo duro e con un sibilo gli disse, cercando di tenere la voce bassa: “Perché se non te ne sei accorto io sono molto più bravo di te in Pozioni, Sfregiato. Se sbagli ad aggiungere lo sciroppo di elleboro rischiamo più danni della grandine…”

“E da quando tu saresti un asso delle pozioni, Malfoy? Forse solo perché Piton è l’insegnante?” gli rispose Harry furioso a voce un po’ troppo alta.

“Ci sono problemi signor Potter?” esordì l’Umbridge sollevando lo sguardo da dietro il giornale con un’espressione di sincero interesse.

“No, professoressa.” Rispose Harry con sguardo preoccupato.

Gli occhi della strega vagarono fino ad incrociare quelli di Malfoy che scosse il capo in segno di risposta. Soddisfatta riprese a leggere un articolo che a quanto pare trovava estremamente interessante.

“Basta Potter, o ci metterai nei guai tutti e due.” gli disse Malfoy con un sibilo scocciato.

Harry stava per rispondergli quando l’altro alzò gli occhi al cielo e con sguardo di ghiaccio gli disse prima che Harry potesse proferire parola:

“E va bene. Te la senti? D’accordo, lo controllo io il fuoco, bada a seguire alla lettera le istruzioni o ti mangio la testa e tutta l’aria vuota che ci si trova dentro.” concluse prendendo in mano l’attizzatoio e piegandosi verso la base del calderone.

Harry emise un sospiro profondo, cercando di scaricare tutta la tensione che stava accumulando “Dio quanto è difficile lavorare con Malfoy!” si disse mentalmente prima di prendere con una mano il lungo mestolo di legno e con l’altra il piccolo flacone dell’elleboro. Dopo qualche istante sentì il rumore regolare dell’attizzatoio e quindi, dopo aver riletto le istruzioni un’altra volta, Harry cominciò a versare molto lentamente lo sciroppo, mescolando lentamente in senso orario.

La pozione sembrò virare leggermente, assumendo un colore argenteo. Harry iniziò a girare lentamente in senso antiorario quando il suo sguardo venne attirato dalla sagoma di Malfoy inginocchiata alla base del calderone; aveva stampato sul volto la stessa espressione tranquilla di poco tempo prima. Harry notò anche che quel giorno non aveva messo gel sui suoi capelli che quindi avevano un volume quasi sconosciuto ai suoi occhi; così piegato poi poteva persino vedere dove la prima vertebra affiorava sulla sua pelle chiarissima poco sotto il colletto della camicia, ora leggermente allentato.

Fu un inaspettato gorgoglio a far uscire Harry da quella specie di trance; la pozione stava ribollendo all’interno del calderone e prima che il giovane Grifondoro potesse accorgersi del suo errore, iniziò ad attaccarsi si bordi del calderone fino a uscire in copiosi fiotti.

“Che diavolo stai combinando Potter?!” disse Malfoy tirandosi su di scatto e osservando la scena inorridito. “No!!! Non ha mischiato la pozione in senso antiorario, stupido pezzo di…”

Fu questione di un istante e tutta l’area della classe attorno a loro fu invasa da un liquido verdastro gorgogliante. Tutti si voltarono a guardarli mente i due cercarono di allontanarsi il più possibile dal loro calderone, non sapendo come rimediare al disastro.

Fu Piton che, vedendo la scena in lontananza, scattò su dalla sedia e si precipitò alla loro postazione, gelandoli entrambi con lo sguardo prima di tirare fuori la bacchetta:

“Venenum evanesco!”

Il liquido gorgogliante sparì di colpo come se non fosse mai esistito, lasciando i due ragazzi ai lati opposti del loro calderone con un’espressione di stupore stampata sui volti. Gli altri studenti dal canto loro stavano mormorando concitati; Harry vide chiaramente Pansy Parkinson confabulare con Theodore Nott mentre Hermione e Ron cercavano di incrociare invano lo sguardo di Harry.

“Cos’avete combinato?” disse Piton gelido con lo sguardo che vagava dall’uno all’altro.

“E’ stato Potter!” esordì subito Malfoy additando Harry con rabbia.

Harry non fece in tempo a ribattere che uno strano quanto insolito “Ehm, ehm…” risuonò nel sotterraneo facendo voltare tutti verso la sua proprietaria; madama Umbridge avanzava lentamente verso la scena con un’espressione di costernazione stampata sul volto.

“Mei cari ragazzi, così proprio non va.” Si fermo per un istante facendo un inchino verso Piton, basito che qualcuno avesse osato interromperlo.

“Non entrerò nel merito della valutazione di questo disastro ma posso suggerirle professore un adeguato compito per l’insufficiente prova che abbiamo visto?”

Senza spettare che Piton proferisse parola l’Umbridge continuò: “Che questi due ragazzi si ritrovino qui domani sera per ripetere la prova, fino ad ottenere un esito soddisfacente?” concluse con un sorriso mellifluo.

Piton sembrò valutare la questione per un istante. Harry tuttavia ne aveva avuto abbastanza: “Non è colpa mia madama Umbridge! E’…” ma fu bloccato dal severo sguardo del professore di pozioni che alzò di colpo la mano destra mentre la bocca gli si arricciò per un attimo.

“Sono d’accordo. Potter, Malfoy, presentatevi nel mio ufficio domani sera alle nove.” Poi voltandosi si accorse degli sguardi e dei mormorii degli altri studenti attorno a sé.

“Forse qualcuno vuole far loro compagnia?! Dovreste essere tutti quasi nel momento conclusivo, chiunque combinerà un pasticcio del genere, incorrerà molto di più che nel mio disappunto!” con queste parole si allontanò dal calderone vuoto di Harry e Draco per tornare dietro la cattedra. Il brusio cessò di colpo.

Harry non credeva alle proprie orecchie; lo sguardo assassino di Malfoy tuttavia lo riportò alla realtà: il giovane Serpeverde non proferì parola, dandogli la schiena e rimettendosi seduto al suo banco ma se gli occhi avessero potuto uccidere, Harry era sicuro che sarebbe stato già trafitto da mille lame.

Con l’animo pesante si avviò verso il suo banco, dove Ron cerò di incrociare il suo sguardo. Harry si fece sprofondare sulla sedia; non aveva voglia di parlare con nessuno in quel momento. Con gli occhi rivolti alle volte scure del sotterraneo pensò che se doveva giudicare quell’anno dalla prima lezione che aveva avuto, poteva senz’altro affermare che era iniziato veramente…ma veramente da schifo.

 

 

Note dell’autore. Ecco qua il secondo giorno di scuola visto da due prospettive diverse. Spero vi piaccia. Marietta Edgecombe, nella mia fiction sarà dello stesso anno di Luna. Il ruolo della Umbridge parte come semplice osservatore disciplinare, visto che nella mia continuity Silente è riuscito a trovare un valido candidato per la cattedra di Difesa Contro le Arti Oscure. Il suo carattere sarà più subdolo del personaggio creato dalla Rowling anche se indubbiamente altrettanto negativo.

 

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Capitolo 10
*** Percorsi ad ostacoli ***


Daniel infilò per la terza volta il suo cucchiaio nel latte coi cereali quella mattina, cercando di trangugiare a forza il terzo boccone nel giro di cinque minuti. Justin che sedeva accanto a lui si voltò verso il compagno che la sera prima aveva dimostrato decisamente più appetito e, dopo aver ingoiato a fatica un bel pezzo di torta al cioccolato, gli disse, battendosi il petto per lo sforzo:

“Che, ehm, che è Dan? E’ cinque minuti che stai girando attorno a quei cereali e non hai toccato nemmeno un pezzo di torta. Che succede, ti è rimasto sullo stomaco il banchetto di ieri sera?” aggiunse con un sorriso scherzoso.

Daniel sorrise a Justin, posando il cucchiaio nuovamente tra i suoi cereali e scuotendosi dai pensieri di quella mattina:

“No, anzi era tutto buonissimo, solo che stamani non ho appetito” aggiunse guardando l’orologio sopra il camino centrale della Sala Grande: erano le 8:45. Mancavano ancora cinque ore esatte al fatidico momento.

Dall’altra parte Susan, smise di parlare con Hannah delle lezioni di quella mattina e si volse verso il ragazzo per osservarlo meglio; questi arrossì sotto lo sguardo dell’amica.

Dopo qualche secondo di imbarazzato silenzio la ragazza guardò fisso negli occhi Daniel con espressione interrogativa, poi alzando gli occhi al cielo, disse:

“E’ per le prove di Quidditch, non è vero?”

Daniel la guardò stupito: “E’ così ovvio?” le chiese con un sospiro, guardando di nuovo l’orologio con impazienza. Erano le 8.46.

“Abbastanza” aggiunse lei con tono stanco. “Ti ho visto ieri sera, eri rimasto quasi l’unico in sala comune”.

“Perché tutta questa tensione Dan?” chiese Justin con aria interrogativa, versandosi altro succo di zucca “Ad Aotearoa non mi avevi detto che giocavi già nella squadra del tuo dormitorio come portiere?”

“Davvero?” intervenne Hannah con sguardo colpito “E avete vinto molti campionati?” aggiunse, imburrandosi la fetta di pane che si era appena messa nel piatto.

“Quello dell’anno scorso, a dire il vero” disse Daniel con imbarazzo.

“Cavoli allora devi proprio partecipare alle selezioni” disse la voce tranquilla e pacata d Ernie provenire dalla destra di Justin; il giovane era appena arrivato in Sala Grande per la colazione. “E’ da troppo tempo che Tassorosso non vince la Coppa di Quidditch!” aggiunse con amarezza prendendosi degli scones e della marmellata di pesche dal vassoio di fronte.

“Proprio” gli fece eco Justin. “Da quando sono ad Hogwarts non abbiamo mai vinto niente” confermò con rassegnazione nella voce. “Forse abbiamo proprio bisogno di energie nuove, dopotutto!” esclamo battendo un pugno sul tavolo.

Un gruppo di Tassorosso immersi in una fitta conversazione più avanti girarono la testa nella loro direzione, fu allora che Daniel lo vide: un ragazzo alto, dai capelli biondo sporco, torace e mani larghe, con uno sguardo duro stampato sul volto. Quando i suoi occhi incrociarono quelli di Daniel questi capì subito che doveva trattarsi del capitano della squadra di Quidditch di Tassorosso. L’aveva visto la sera prima tardi, di spalle mentre affiggeva l’annuncio per la ricerca di un nuovo portiere e di un nuovo cercatore nella bacheca della sala comune; aveva uno sguardo severo, ben oltre gli anni che dimostrava.

Il contatto visivo durò solo pochi istanti poi si rimise a parlare con i due ragazzi e le due ragazze, riuniti accanto a lui, due sulla panca, due dall’altro lato del tavolo.

Justin fu il primo a rompere il ghiaccio, sembrava infatti che tutti loro fossero stati gelati dallo sguardo di quel ragazzo, che all’incirca doveva avere un anno più di loro.

“Quello è Zacharias Smith, il capitano della nostra squadra di Quidditch.” Gli confermò Justin a voce bassa.

“Non invidio affatto la sua posizione” intervenne Ernie. “Dalla morte di Cedric si è trovato un peso enorme sulle spalle. Ha sempre avuto un carattere chiuso…E ora deve anche trovare un suo sostituto, non invidio davvero chi farà i provini come cercatore.”

“Perché?” chiese Daniel. Aveva sentito dell’incidente al torneo Tremaghi dell’anno prima ma le versioni finali della storia cambiavano radicalmente a seconda di che le raccontava.

Ernie lo guardò con aria triste, prima di rispondergli: “Perché Cedric Diggory era un eccellente capitano oltre che un bravissimo cercatore. Lui e Zacharias erano molto legati, come amici intendo. Doverlo sostituire sarà dura per lui.”

Poi con un sorrisetto amaro aggiunse: “So che può sembrare cupo e scorbutico alle volte ma è un buon giocatore ed è giusto. Non ti devi preoccupare Daniel, fa del tuo meglio, è l’unica cosa che interessa a Zach in questo momento. Già riuscire a tenere unita la squadra è dura ora come ora.”

Daniel sospirò ma il suono della campanella lo riscosse da tutti i suoi pensieri. Anche gli altri si sbrigarono a finire in fretta le rispettive colazioni. Quella mattina avevano tre ore di Difesa contro le Arti Oscure e avrebbero conosciuto il loro nuovo insegnante, il professor Steven Keynes.

Daniel cercò di mangiare più che poté della sua ciotola di cereali ma alla fine lo stomaco gli si chiuse del tutto. Posò il cucchiaio e prese in mano la sua cartella proprio mentre Susan, Ernie, Justin ed Hannah cominciarono ad alzarsi dalle panche; fu allora che il piccolo cubo di Rubik gli cadde per terra; fu Hannah a raccoglierlo.

“Che cos’è questo?” chiese con interesse porgendolo a Daniel.

“E’ un enigma Hannah, me lo ha dato Colin Canon, l’altra sera” disse rificcandolo in borsa.

“Ancora a scattare foto, quel Grifondoro eh? E che gli serve questo piccolo cubo colorato?” chiese la ragazza stupita.

“Niente, è una storia lunga. Diciamo che è un enigma, devo girarlo per far sì che ogni colore stia su una faccia ma è molto più dura di quanto pensassi” ammise Daniel con un pizzico di frustrazione nella voce. Ci aveva passato un’ora la sera prima, steso nel suo letto a baldacchino prima di addormentarsi, ma era ben lontano da fare reali progressi.

La ragazza emise un piccolo sbuffo. Nel giro di qualche istante tutti e cinque erano in piedi mentre lasciavano la Sala Grande diretti al primo piano dell’ala est, dove si trovava l’aula di Difesa Contro le Arti Oscure. Daniel si era già ambientato perfettamente a Tassorosso; gli piaceva la sua nuova casa e aveva trovato quattro amici con cui andava molto d’accordo. Gli mancava un po’ Luna, non aveva più avuto occasione di parlarci dalla prima sera ad Hogwarts, mentre non vedeva l’ora di conoscere il famoso Harry Potter, ma quello sarebbe avvenuto molto presto: Tassorosso e Grifondoro seguivano infatti assieme proprio Difesa contro le Arti Oscure.

Arrivati nell’aula Daniel vide che già diversi studenti erano seduti ai rispettivi banchi, mentre il professor Keynes era già arrivato. Sedeva tranquillamente dietro la cattedra intento a scrivere una lettera, alzando lo sguardo una volta ogni tanto per salutare sorridendo i gruppi di studenti che stavano lentamente riemipiendo l’aula.

Daniel lo osservò meglio dopo essersi seduto assieme a Justin in un banco proprio sotto il teschio dell’enorme drago appeso al soffitto della grande stanza; era un uomo magro e alto, stempiato con due occhi color nocciola penetranti, lunghe mani affusolate e un ampio sorriso che gli illuminava il volto.

Dopo qualche minuto la campanella suonò di nuovo, il professor Keynes posò la piuma e alzandosi in piedi chiuse di scatto la porta prima di mettersi di fronte alla cattedra.

“Benvenuti a tutti!” disse allargando le braccia con un grandissimo sorriso. “Io mi chiamo Steven Keynes e sarò il vostro nuovo professore di Difesa contro le Arti Oscure.” Dopo una breve pausa continuò camminando lentamente da una parte all’altra dell’aula. “Ho visto che l’insegnamento di questa materia è stato molto frammentato in questi anni, ciò nonostante sono convinto che tutti i miei predecessori siano stati più che all’altezza. A questo proposito però voglio dirvi che intendo fare una verifica la prossima lezione, cioè mercoledì prossimo, per vedere a che livello siete come classe.”

Un brusio si levò da più parti a quest’affermazione, nessuno si sarebbe mai aspettato una verifica così presto; Daniel si disse mentalmente che doveva trovare qualcuno con cui allenarsi. Voltandosi verso Justin i loro occhi si incrociarono e i due si sorrisero; a quanto pare avevano avuto la stessa idea.

“Non prendetelo come un esame, non voglio darvi un voto.” proseguì il professor Keynes sentendo il palpabile nervosismo provocato dalla sua precedente affermazione.

“Servirà a voi e me per capire a che livello siete anche in vista della preparazione per i G.U.F.O. di fine anno. In ogni caso passiamo alla prima lezione del quinto anno; quest’oggi vi insegnerò l’Incantesimo Scudo.” riprese avvicinandosi alla cattedra.

“Ecco aprite il libro a pagina 34. Cortesemente signor Weasley….”disse rivolto ad un Grifondoro che Daniel non conosceva, “legga il primo paragrafo.”

Gli occhi del giovane Tassorosso si spostarono velocemente dal giovane ragazzo alto con una folta chioma di capelli rossi e un mare di lentiggini seduto due banchi dietro di lui, alla sagoma del piccolo ragazzo alla sua destra; Daniel riconobbe subito la saetta sulla sua fronte.

“Il sortilegio scudo è il principale incantesimo di difesa contro fatture ed incantamenti minori e medi. Benché incapace di respingere le maledizioni senza perdono è in grado di bloccare e respingere incantesimi diretti contro il suo utilizzatore. Fattori fondamentali, oltre alla corretta esecuzione del movimento di polso ed avambraccio indicati in figura 2 e 3, è la concentrazione occhio-mano del suo utilizzatore ed il suo livello di concentrazione. Tali aspetti sono in grado di influenzare non solo l’ampiezza dell’incantesimo ma la potenza delle fatture respinte.”

Daniel concentrò la sua attenzione sul libro davanti a sé. Il movimento sembrava abbastanza complicato stando alle figure e ancora di più perché doveva essere effettuato molto velocemente.

“Può bastare così Signor Waesley” lo interruppe il professor Keynes. “Quest’incantesimo è particolarmente utile ma è anche difficile nella sua rapida esecuzione. Di per se genera uno scudo invisibile ma la sue esistenza viene manifestata quando l’incantesimo diretto contro di esso colpisce il bersaglio.” spiegò con calma.

“Ora…” continuò. “Signor Weasley, può raggiungermi davanti alla cattedra?”

Il giovane Grifondoro si alzò e leggermente rosso in volto con un piccolo mormorio che Daniel non riuscì a decifrare, si incamminò verso la cattedra, le spalle leggermente incurvate in avanti. Quando arrivò accanto al professore, questi gli rivolse un sorriso e gli disse con voce alta, così che tutti potessero sentirlo chiaramente: “Signor Weasley, sia così gentile da colpirmi con un incantesimo di disarmo, l’Expelliarmus, tanto per intenderci. Voi altri state attenti ai miei movimenti.” concluse allontanandosi di qualche passo dal loro compagno.

Daniel posò la piuma che usava per prendere appunti e si concentrò sulla scena. Accadde tutto in un attimo: il tempo che Weasley pronunciasse l’Expelliarmus, un bagliore argenteo sembrò rivestire l’intera figura del professor Keynes che con voce squillante disse “Protego!”; rapidamente rilanciò indietro l’incantesimo, facendo sfuggire la bacchetta dalla mano del Grifondoro. Tutti sembrarono notevolmente impressionati dalla scena; accanto a lui Justin gli disse a voce bassa:

“A stento sembra essersi spostato!”

“Già” gli rispose Daniel sinceramente colpito.

Nel frattempo il professor Keynes fece cenno a Weasley di tornare al suo posto. “Come avete visto il tempismo è tutto. Il segreto sta in questo movimento, ve lo rallento così che possiate vederlo meglio.”

Daniel capì ora le due figure del libro: il movimento partiva dal basso e disegnava una specie di otto in diagonale ma più lungo da una parte, leggermente inclinato, prima di concludersi sempre verso il basso.

“Ora.” esordì il professor Keynes. Voglio che formiate delle coppie. Un Grifondoro ed un Tassorosso. Vi eserciterete nell’incantesimo scudo e contemporaneamente nell’incantesimo di disarmo, da quel che ho visto ci sono margini di miglioramento.”

A queste parole tutti si alzarono dai propri banchi e con un rapido gesto il professor Keynes sgombrò l’aula, muovendoli contro le quattro pareti, lasciando l’ampia sala quasi completamente vuota. Daniel si guardò attorno in cerca di qualcuno con cui fare coppia. Si avvicinò alla fine ad una ragazza dai lunghi folti capelli castani, aveva un volto ovale leggermente allungato sul mento, due caldi occhi color nocciola da cui trasparivo intelligenza e determinazione; a quanto pare era ancora spaiata.

Daniel le si avvicinò d lato e con un leggero colpetto di tosse attirò la sua attenzione, prima di darle la mano in segno di saluto: “Daniel Nightingale” le disse leggermente imbarazzato. “Ti va di allenarci insieme?” proseguì grattandosi la guancia.

“La ragazza sembrò squadrarlo da capo a piedi poi il suo volto si illuminò di un’evidente curiosità. Gli prese la mano e disse: “Io sono Hermione Granger, certo che mi va. Inizio io Daniel a provare il sortilegio scudo e tu cerchi di colpirmi ok?” gli chiese con un sorriso.

“Certo!” rispose Daniel. Contento di vedere ancora qualche volta quello strano movimento prima di tentare di replicarlo.

Dopo qualche minuto, formate le coppie, il professor Keynes li divise in due file e diede il via all’esercitazione. Un mare di “Expelliarmus” si levò dal lato sinistro, compreso quello di Daniel a cui seguì un coro di “Protego” dal lato destro. I risultati furono dei più variegati: alcuni non riuscirono a lanciare correttamente l’incantesimo di disarmo e quasi nessuno riuscì a rispedirlo indietro al mittente; un solo incantesimo ebbe successo: quello lanciato da Harry Potter.

Daniel dal canto suo vide la bacchetta di Hermione volare via e uno sbuffo della ragazza che si chinò per riprenderla; era profondamente contrariata dal suo fallimento e sembrava con la mente al lavoro per riuscire a capire cosa fosse andato storto.

Dopo qualche secondo avvenne la stessa cosa a ruoli invertiti; Daniel vide chiaramente l’incantesimo di Hermione partire ma sentì nello stesso istante in cui pronunciava la parola “Protego” che qualcosa era andato storto: il suo movimento era stato spezzato ed infatti la bacchetta gli volò via di mano.

“Perfetto, fermi tutti!” intervenne il professor Keynes a voce alta dalla cima dell’aula.

“Ho visto tanti errori ragazzi, anche sull’incantesimo di disarmo, purtroppo. L’errore più comune sul sortilegio scudo è la mancanza di fluidità nel movimento. Guardate me, il colpo verso il basso di ritorno deve essere secco e fluido, non dovete incartarvi col vostro avambraccio.” detto questo mostrò a tutti di nuovo il movimento corretto da fare, prima di proseguire.

“Ora riprendete a provare. Io passerò fra voi a correggervi. Ricordate, dovete sentire energia in voi quando abbassate la bacchetta alla fine. Dovete essere concentrati, come se vi portaste davanti uno scudo vero.”

Con queste parole il professor Keynes si avvicinò alla prima coppia per vedere come se la cavavano; dal canto suo lui e Hermione ripresero a provare fra di loro. Una volta la giovane Grifondoro ebbe successo e a Daniel saltò via la bacchetta dalla mano; tuttavia al turno dopo non riuscì a replicare il suo iniziale successo. Daniel dal canto suo era sempre bloccato. C’era qualcosa nel movimento che faceva che non andava ma non riusciva a capire cosa.

Dopo molti minuti e numerose prove andate male Daniel vide la figura del professor Keynes avvicinarsi senza dire una parola, mettendosi fra di loro, leggermente fuori dalla loro traiettoria. Dopo qualche scambio di incantesimi il professore fece loro cenno di abbassare le bacchette:

“Signorina Granger deve portare avanti la gamba destra se si muove durante l’esecuzione dell’incantesimo e deve spezzare il movimento alla fine, mentre lei signor Nightingale deve ruotare il braccio verso sinistra prima di chiudere l’otto, altrimenti il movimento non sarà mai fluido, riprovate.” disse infine con un sorriso, proseguendo oltre.

Passarono diversi minuti di altrettanti fallimenti prima che Hermione riuscisse a replicare il successo che aveva ottenuto con una certa costanza. Daniel dal canto suo ottenne il suo primo ben più tardi, quasi alla fine dell’esercitazione.

Dopo circa un’ora di prove il professor Kynes intervenne: “Bene credo che per ora possa bastare.” gli incantesimi cessarono quasi immediatamente.

“Come prima prova non c’è male. Come avrete visto vi ho solo dato dei consigli per capire cosa non andasse nei vostri movimenti, ma ancora dovete provare tanto prima di padroneggiare l’incantesimi. Vi consiglio di praticarlo molto nei prossimi giorni, riflettendo sul libro di testo e sui miei consigli. Ricordate per riuscire in questa materia vi dovete esercitare tanto, per cui mi aspetto di vedere dei risultati alla lezione di giovedì. Vi consiglio di mantenere le coppie che avete formato anche per le esercitazioni. Cercate di esaminare l’uno i movimenti dell’altro.” concluse un sorriso ed uno sguardo determinato pieno di aspettative che li abbracciò tutti.

Daniel ed Hermione si scambiarono uno sguardo ed un cenno d’intesa.

Dopo qualche secondo di silenzio, continuò: “Bene, ed ora finiamo il capitolo del libro da cui imparerete che esistono molte varianti di questo incantesimo” con un rapido gesto tutti i banchi tornarono ai loro posti originari.

“Signor Potter” disse il professor Nightingale con un sorriso. “può continuare a leggere da dove aveva finito il signor Weasley, per favore?” concluse sedendosi dietro la cattedra ed incrociando la punta delle mani, con lo sguardo che si muoveva velocemente da un banco all’altro.

“E’ diverso da tutti gli insegnanti che abbiamo avuto questo è certo” gli disse piano Justin non appena Harry ebbe iniziato a leggere.

“Ed è un bene?” chiese Daniel insicuro.

Justin sbuffò con un leggero sorrisetto: “Beh direi, considerando la fine che hanno fatto quelli prima”.

Daniel si ricordò all’istante che in effetti, negli ultimi quattro anni, quella di Difesa era stata effettivamente una cattedra parecchio sfortunata a Hogwarts; in quel momento tuttavia la sua attenzione era stata catturata dall’orologio sul lato sinistro dell’aula.

Mancavano tre ore esatte ai provini di Quidditch.

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“Dan, muoviti stanno per iniziare!”

L’urlo di Justin gli arrivò attutito da oltre la porta del bagno degli spogliatoi. Guardando la sua pallida sagoma allo specchio, gli occhi bordati da un pesante strato di trucco nero, la forma del naso quasi completamente cancellata ed il fard nero a sottolineare il suo setto, Daniel si sentì finalmente pronto. Con un’ultima occhiata allo specchio aprì la porta dello spogliatoio con in mano la sua Comet 290, pronto nella sua divisa da portiere. Era il momento della verità; guardò Justin che girando la testa fece un passo all’indietro, colto alla sprovvista dall’aspetto dell’amico.

“E’ così che intenderesti affrontare il provino? Mascherato da…scheletro?” disse guardandolo da capo a piedi, con aria a metà fra il dubbioso e l’orripilato.

“Certamente!” esclamò Daniel che ancora non capiva come fosse possibile scendere in campo, così senza alcun tipo di pittura sul volto. Era inconcepibile. Ci aveva messo un’ora la prima volta che il signor Frechett lo aveva obbligato a trovare un avatar per il suo ruolo. In quel momento Aotearoa gli mancò più che mai e ancor di più i suoi compagni di squadra.

Justin lo prese per la mano tirandolo. “Bah, secondo me sei tutto matto ma non importa. Forza è quasi il tuo momento, Michael Crowe dovrebbe finire da un momento all’altro.”

Daniel seguì velocemente l’amico, uscendo dallo spogliatoio verso le gradinate nella parte centrale del campo, attorno a cui si era radunato un piccolo gruppo di studenti di Tassorosso. Susan impallidì quando vide Justin e Daniel salire gli ultimi gradini verso di loro.

“Ma come ti sei conciato, Daniel?” esclamò la ragazza guardando l’amico di tre quarti, incredula. “Sembri uno, uno….”

“Scheletro!” esclamò Daniel sorridendo. I suoi denti bianchi risaltarono contro le labbra nero pece alla luce del primo pomeriggio. Gli altri studenti di Tassorosso riuniti per assistere alle selezioni dettero un’occhiata incredula a Daniel mentre si metteva a sedere in attesa del suo turno per entrare in campo. Dalle gradinate poteva vedere Michael Crowe fra gli anelli, mentre Zacharias Smith, Erik Cadwallader e Heidi Macavoy tentavano un ennesimo assalto alla sua porta che si risolse con una bella parata.

“Se la cava bene” esclamò Justin con lo sguardo rivolto vero l’alto.

“Sì, è vero, ma non tiene d’occhio abbastanza i battitori” disse Daniel con il naso rivolto all’insù, respirando a pieni polmoni la brezza pomeridiana. Cavoli quanto gli era mancato il Quidditch.

Un istante più tardi, Anthony Rickett, il battitore destro, spedì un bolide ben assestato contro Crowe che non riuscì a vederlo se non all’ultimo. Tento di sterzare per evitarlo ma inutilmente, venendo preso allo stomaco e disarcionato.

Daniel lo vide cadere lentamente sulla sabbia dell’area di rigore con dietro la sua scopa, una splendida Nimbus Duemila. Un coro di “Nooo…” preoccupati si materializzò d’un tratto sugli spalti attorno a loro ma lo sguardo di Daniel era fisso su Rickett. Aveva fatto davvero un’ottima giocata: Si era fatto praticamente lanciare addosso il bolide da Maxine O'Flaherty, la battitrice di sinistra, e con un colpo di mazza l’aveva deviato sul portiere.

Guardando in basso vide Crowe rialzarsi e rimontare in sella alla scopa per riprendere la sua posizione; dopo un altro paio di azioni Zacharias fischiò due volte nel suo fischietto da capitano, decretando la fine del provino. Vide un breve scambio di battute tra lui e Crowe e poi quest’ultimo volare verso gli spogliatoi con aria soddisfatta.

“Secondo voi com’è andata?” chiese Justin rivolta a Susan ed Ernie.

“Non male, ma non è detta l’ultima parola” disse Ernie guardando in alto. Un fischio prolungato si levò dall’alto del campo.

“Forza Daniel, facci vedere quello che sai fare. Bel trucco a proposito” gli disse con un sorriso.

“Grazie!” esclamò Daniel prima di alzarsi in volo, diretto verso gli anelli a destra del campo; il resto della squadra sembrava attenderlo nella metà campo di destra. Sentendo il vento tra i capelli appena staccatosi da terra e i suoi amici ridursi a delle piccole sagome tra gli spalti Daniel inspirò profondamente. Non si era mai sentito così felice da molti mesi. Dio come gli era mancato il Quidditch!

Arrivò nel mezzo degli anelli, di fronte ai tre cacciatori, mentre dietro di loro stavano i due battitori. Al centro del piccolo capannello stava Zacharias Smith, il capitano che sollevò un sopracciglio alla vista di Daniel:

“Ehi Nightingale, che hai fatto alla faccia? Questa è una squadra di Quidditch non una mascherata. Cos’è, fai il morto?!” disse con tono duro.

Daniel non si scompose, se lo era aspettato dopotutto. Aveva letto che quella che per lui era una tradizione in Europa non era per niente diffusa, anzi, come gli confermava il capitano davanti a lui, chiaramente disapprovata.

“Da noi è usanza che ognuno si dipinga il volto prima di entrare in campo, è un’usanza degli antichi Maori, è una nostra tradizione, Smith. E a quanto ne so non viola nessuna regola” gli rispose Daniel guardandolo fisso negli occhi. Daniel ricordò che nessuno ad Aotearoa avrebbe anche solo pensato di giocare, così…nudo.

Zacharias Smith sembrò sul punto di esplodere ma Cadwallader gli si avvicinò e gli sussurrò qualcosa nell’orecchio. L’espressione di Zacharias parve distendersi un attimo ed un sorrisetto beffardo gli apparve sul volto.

“Bene, mi è stato detto che a quanto pare hai ragione. Non c’è nessuna regola contro giocare mascherati da….scheletro.” disse con evidente disprezzo. “Vediamo come te la cavi con i tiri in velocità. Erik, Heidi. Due, uno a testa.” disse facendo segno al ragazzo alto e robusto che gli si era avvicinato e alla ragazza con le lunghe treccine bionde e gli occhi azzurri alla sua sinistra. I due con un cenno del capo si diressero indietro verso la metà campo, mentre Zacharias ed i battitori indietreggiarono fino a portarsi a bordocampo così da poter vedere la meglio l’area di rigore.

Daniel osservò la scena ed iniziò a volare in cerchio sugli anelli. I suoi avversari si passarono la pluffa un paio di volte, compiendo spirali ed avvitamenti fino a che la ragazza terminò l’ultima uscendo in linea retta alla massima velocità dirigendosi verso l’area di rigore; all’ultimo cambiò direzione puntando verso l’anello di destra. Daniel sterzò all’ultimo colto in controvolo con la sua Comet e si fiondò a coprire l’anello proprio mentre Heidi Macavoy lanciò la pluffa a tutta velocità; il tempo parve dilatarsi mentre il ragazzo diede massima potenza in avanti tendendosi con la mano sinistra alla scopa e con la destra piegandosi di lato. Per una frazione di secondo riuscì a toccare la pluffa e a darle un colpo di lato sufficiente per deviarla sul bordo dell’anello che risuonò con una sonora vibrazione per il colpo ricevuto.

Il rumore e un grido provenire dagli spalti fecero capire a Daniel di essere riuscito a parare il rigore; riprendendo stabilità con tutte e due le mani il giovane sterzò mentre Heidi lo sorpassò oltre gli anelli e, recuperata la pluffa, tornò indietro passandola al suo compagno. Il ragazzo si diresse in alto, ben oltre la sommità delle alte torri del pubblico poi, di colpo scese a quarantacinque gradi in picchiata, diretto verso l’anello centrale. Daniel non si fece trovare impreparato, aveva già visto quella tattica la “Picchiata Remsey”, che di solito mirava all’anello più alto e così fu. Rimanendo basso aspettò il lancio, tenendo gli occhi su Cadwallader e gettandosi in alto all’ultimo, bloccando il tiro con entrambe le mani.

Due rapidi fischi provenienti dal suo lato sinistro fecero voltare il ragazzo verso Zacharias Smith, Maxine O'Flaherty e Anthony Rickett che avanzavano velocemente verso la sua posizione.

“Ma bene, a quanto pare c’è del talento sotto quelle ossa” disse Zacharias con un’espressione a metà fra lo stupito e lo sprezzante. “Vediamo come te la cavi in dieci minuti di partita. Ragazzi!” urlò rivolto agli altri. Vediamo di mostrargli come giochiamo noi Tassorosso!” disse con un ultimo sguardo verso Daniel volando a zig zag con gli altri verso metà campo.

Questi osservò la squadra riunirsi al centro, chiaramente Zacharias stava dando istruzioni agli altri sulle tattiche da adottare, si disse Daniel, cercando di aguzzare la vista al meglio. Quelli che seguirono furono dieci minuti intensi di azioni, botte e bolidi da ogni lato; Rickett e O'Flaherty erano dei battitori implacabili, più di una volta il ragazzo fu costretto a schivare all’ultimo colpi precisi e ben mirati. Anche le tattiche dei tre cacciatori lo tennero impegnato;  Smith giocava bene, di astuzia a chiudere gli schemi rapidi dei suoi due compagni con potenza e precisione.

Daniel fece del suo meglio, subendo un paio di gol in un assalto feroce ed implacabile; alla fine aveva un gran fiatone. Si sentiva decisamente fuori forma rispetto alla sua ultima partita, maledicendosi per non essere riuscito a far pratica quell’estate. Il duplice suono del fischietto di Zacharias arrivò infine a segnare la fine del suo provino. Non doveva essere andato troppo male, Erik Cadwallader e Heidi Macavoy avevano il fiatone ed un’espressione incredula sul volto mentre Maxine O'Flaherty e Anthony Rickett parlottavano animatamente indicandolo con le mazze.

“Bene Daniel, può bastare.” concluse alla fine Zacharias con l’accenno di un leggero sorriso che scomparve in una frazione di secondo. “Aspettami in tribuna dopo la selezione dei cercatori, ti devo parlare.”

Detto ciò fece cenno a tutti i compagni di squadra di riunirsi attorno a lui a metà campo; Daniel li vide parlare animatamente mentre si dirigeva con la scopa verso il basso, verso le tribune dove lo stavano aspettando Justin, Ernie e Susan. Daniel atterrò alla base della gradinata, con la scopa in mano si diresse in su per riunirsi ai suoi amici che gli fecero segno di salire con tre grandi sorrisi; a quanto pare non aveva fatto poi così schifo, si disse rincuorato.

Salendo la scalinata interna alla torre che confinava col blocco degli spogliatoi Daniel vide che c’erano quattro ragazzi in cima alla scala proprio all’uscita della gradinata, tutti e quattro vestiti con l’uniforme da Quidditch di Tassorosso, tre erano riuniti in un gruppetto mentre un quarto, un tipo bassino con capelli biondo-castano gli dava la schiena mentre si dondolava sulla porta.

“Scusami” gli disse Daniel per superarlo e salire sulla gradinata; riusciva già a vedere il volto entusiasta di Susan poco oltre, mentre gli veniva incontro.

Fu quando il ragazzo si voltò che il cuore di Daniel mancò un battito. Era sicuramente più giovane di lui, un tipo mingherlino con un volto leggermente ovale, sopracciglia dorate ed il più bel paio di brillanti occhi azzurri che avesse mai visto. Emanava un’espressione di serenità che Daniel quasi perse il contatto col mondo esterno per un lungo attimo; fu quando i loro occhi si incontrarono ed il giovane Tassorosso fece un balzo indietro, come spaventato da Daniel così conciato che questi si maledisse e al tempo stesso fu enormemente grato per il suo travestimento; maledetto per aver provocato nell’altro paura ma grato del fatto che la sua maschera da Quidditch celasse la fortissima sensazione di calore che gli infiammò il viso come se il fuoco di un drago gli fosse passato ad un centimetro dalla faccia.

Scu…Scusami” disse il ragazzino con tono mortificato, indietreggiando per lasciargli spazio. Daniel avrebbe voluto dirgli qualcosa, che non importava, anzi che era lui a doversi scusare per essergli piombato così alle spalle, ma le parole morirono in gola ben prima di arrivagli sulle labbra; si sentiva la bocca impastata e riarsa, le mani fredde come due pezzi di ghiaccio sotto i guanti da portiere, le gambe inteccherite ed il cuore battergli forte.

Fu Susan a rompere l’incantesimo prendendolo per mano, seguita da Justin ed Ernie. Daniel si sentiva come imbambolato, le sue orecchie sentivano parte dei complimenti e della gioia dei suoi compagni per la sua esibizione di poco prima ma i suoi occhi erano fissi sulla sagoma di quel ragazzo che non conosceva che, all’avvicinarsi dei suoi amici, era corso su per le gradinate, andandosi a sedere in alto, il più lontano possibile da loro quattro. Furono le parole di Ernie a riportarlo alla realtà.

“Daniel, Daniel ma mi stai ascoltando?” disse passandogli una mano davanti agli occhi mentre Susan lo lasciò andare un po’ preoccupata.

“Sì, sì, certo.” disse il ragazzo distogliendo lo sguardo e fissando il suo compagno di casa.

“Cavoli Daniel, te la sei cavata davvero bene!  Non avevo mai visto delle parate così!” esclamò Susan piena di eccitazione. Gli occhi le scintillavano come galeoni.

Daniel arrossì, grattandosi istintivamente la nuca.

“Proprio!” intervenne Ernie con un sorriso. “Nemmeno Herbert Fleet ne avrebbe prese così tante. La prima è stata una parata fantastica!”

“Secondo me hai il posto assicurato!” esclamò Justin dandogli una forte pacca sulle spalle. “Non credo che abbiamo mai avuto un portiere così, almeno non da quando sono ad Hogwarts!”

Daniel sentì un forte calore al volto estendersi in ogni direzione. “Non esagerare Justin, non sono così bravo…” gli rispose Daniel.

“Come no?! Le hai prese quasi tutte Dan!” esclamò Justin con il tono di un tifoso sfegatato ed un gran sorriso che metteva in evidenza gli incisivi leggermente sporgenti.

“Chissà come andranno le selezioni per i cercatori…” disse Daniel cercando di cambiare argomento, non si sentiva a suo agio in mezzo a tutti questi complimenti, andandosi a sedere con gli altri sulle gradinante in basso.

“Beh, non invidio nessuno dei candidati” esclamò Ernie con un’espressione seria, guardando in alto. Dopo un istante il fischio di Zacharias sentenziò l’inizio della selezione. Tutti e quattro guardarono in alto mentre un ragazzo alto e magro, con grandi orecchie a sventola e una zazzera di capelli neri volò in su, verso il centro del campo.

Ernie aveva ragione, Tom Roberts, così si chiamava il primo candidato, fu messo da subito ai ferri corti da Zacharias. La prima prova consisteva nell’eseguire una serie di finte per ingannare i tiri precisi di Anthony e Maxine, molti dei quali raggiunsero il loro obiettivo con una sorprendente facilità. Già al secondo turno Tom perdeva sangue dal naso. Poi arrivarono i cambi di direzione, le piroette e  le finte, alcune delle quali Daniel notò, particolarmente difficili.

“Certo che lo sta massacrando” disse Justin inghiottendo con ansia mentre vedeva Tom evitare per un soffio il contatto disastroso col suolo dopo una picchiata quasi a novanta gradi.

“Sì, ma fare il cercatore è forse il ruolo più complicato di tutti, quindi….oh cavolo!” esclamò Ernie indicando la figura dell’aspirante cercatore sbattere con la scopa urtando per errore l’anello più basso della porta di destra. Daniel si mise la mano sugli occhi mentre vedeva il compagno di casa andare in testacoda e atterrare rovinosamente nella sabbia sotto gli anelli; il duplice fischio di Zacharias indicò la fine del suo provino.

Nei minuti di pausa in cui Tom fu aiutato a rialzarsi e accompagnato in infermeria da Anthony e Maxine, Daniel vide che Zacharias era estremamente nervoso; faceva giri rapidi del campo alternati a lunghe pause in cui stava fermo mentre con le mani sembrava valutare diverse traiettorie e angolazioni. A Daniel ricordò molto Caleb Green, il capitano dei Kiwiana, anche lui era uno spirito inquieto ma anche il miglior giocatore di tutta la scuola.

“Tocca al secondo, Timothy Flinch.” la voce di Justin riportò Daniel con lo sguardo fisso sul campo; tutta la squadra era di nuovo al completo. La prima fase del provino andò decisamente meglio del precedente, Tim era molto bravo ad evitare bolidi ed ostacoli, tuttavia nella seconda il ragazzo commise diversi errori di traiettoria, pur riuscendo a rimanere in sella nei momenti più difficili.

“Tim sembra volare bene” disse Susan con lo sguardo rivolto verso l’altro, i lunghi capelli rossi che le ricadevano sulle spalle. In quel momento, ad un fischio di Zacharias, venne liberato il boccino d’oro; si entrava nell’ultima fase del provino.

“E’ vero” risposero in coro Justin ed Ernie.

“Ma è anche molto prevedibile…” aggiunse Daniel guardandolo con attenzione.

“Che vuoi dire?” chiese Justin con espressione interrogativa.

“Usa traiettorie molto lineari, quindi facilmente intercettabili.”

Seguirono dei lunghi minuti di silenzio dove tutti guardarono Timothy che cercava di volare per individuare il boccino, schivando al contempo i due bolidi.

“Beh, ma fin ora non ha avuto problemi” intervenne Ernie a Daniel.

“Sì, ma ora deve cercare il boccino e le sue difese caleranno, secondo me” gli rispose questi.

Fu qualche istante dopo che un bel colpo diretto di Maxine lo disarcionò quasi. Tutti loro tennero il fiato sospeso quando Tim fece un doppio avvitamento riguadagnando all’ultimo l’equilibrio.

“Ma come fai?” gli chiese stupito Justin

“Tattiche di Quidditch, volume 1 di Pauro Cooper” gli rispose l’amico con un sorriso. “Pensa che al secondo anno ce lo siamo dovuti studiare tutti.”

“Wow, non credevo nemmeno esistesse un libro del genere”

“Esiste eccome! Non hai idea di quanto sia importante la tattica nel Quidditch. Ad esempio tu credi che io abbia fatto delle parate eccezionali prima ma se leggi il libro vedrai che conoscendo una buona dose delle tattiche usate dai cacciatori è più facile fare il portiere, molto più facile.”

“Non ci credo” disse Justin piccato. “Il Quidditch è passione e istinto, se non sei bravo nessun libro te lo farà mai diventare.”

“Certo, ma saresti stupito dal leggere i resoconti di alcuni campionati di Quidditch. Alle volte la tattica gioca davvero un grande peso nelle partite.”

Un doppio fischio proveniente dall’alto li fece voltare entrambi, ponendo fine alla loro discussione. Timothy, per evitare un bolide a quanto pare era finito fuori dai confini del campo. Era un chiaro fallo e quanto pare Zacharias aveva deciso di far finire qui il provino.

“Chi è il terzo?” chiese Daniel incuriosito.

“Un ragazzo del secondo anno, Malcom Price” gli rispose Ernie.

Daniel si voltò in tempo per vedere un ragazzo bassino ma ben piazzato, con lunghi capelli neri, spalle larghe e occhi verdi salire in alto verso il centro del campo.

Dopo qualche istante Zacharias fischiò di nuovo e ripartì la prima fase delle selezioni, quella delle finte.

Daniel seguì con lo sguardo Malcom per qualche istante ma vide subito che il ragazzo non volava molto bene, aveva una presa insicura e prese subito due bolidi in pieno stomaco e quasi lo fecero cadere di schianto, riprendendosi all’ultimo. Distogliendo lo sguardo vide il ragazzino di poco prima seduto sulla scalinata più alta dietro di loro, i suoi brillanti occhi azzurri rivolti verso di lui. Daniel si sentì nuovamente avvampare.

La sensazione durò un istante visto che il duplice fischio di Zacharias li fece distogliere ad entrambi lo sguardo. Daniel sentì la sensazione di freddo alle mani lasciarlo rapidamente così come era venuta; osservando la scena vide che Malcom Price era pieno di lividi da bolide; in quei pochi istanti doveva essere stato preso peggio di un puntaspilli; il naso gli sanguinava copiosamente mentre il ragazzo si allontanava dal campo verso le gradinate con la manica della divisa a coprirsi il volto.

“Beh, è durato poco!” esclamò Justin annoiato. “Che schifo…” continuò con lo sguardo basso.

“Proprio…” gli fece eco Ernie. “Qui mancavano proprio le basi del volo” esclamò il ragazzo portandosi la mano destra alla testa.

“Beh, ne è rimasto solo un altro…” gli fece eco Susan, coprendo l’ennesimo fischio di Zacharias.

“Non ci credo, è Galen Brannis” disse Justin mettendosi il viso fra le mani “Proprio lui ci mancava…”

Daniel saettò con gli occhi dal volto dell’amico alla sagoma del ragazzo mingherlino che non conosceva, improvvisamente molto interessato alla conversazione. “Tu lo conosci?”

“Sì. Se ne sta sempre sulle sue, è un tipo strano. Balbetta di continuo e….E’ stato coinvolto in un incidente familiare diversi anni fa. Qualcosa di sinistro….” aggiunse Justin con sguardo cupo.

Daniel sentì improvvisamente il cuore stringersi.

“Sì, è stato l’incidente col tagliacarte, mi ricordo di quella notizia” disse Ernie inserendosi nella conversazione.

Susan guardò i due con sguardo di rimprovero. “Non ci sono prove che sia stato lui a causare quell’incidente. Il fratello è morto perché era un teppista e un criminale. Mi si gela il sangue a pensare uno come Galen, fratello di un brutto ceffo come Niell Brannis” esclamò la ragazza scuotendo la testa. 

“E tu credi davvero alla storia dell’incidente? Secondo me Galen si era fumato qualcosa di serio. Non vedi che ancora delle volte ti guarda con sguardo vacuo e assente in sala Grande, sembra in un altro mondo. Mi da i brividi…” disse Justin

“Ma che dici? Credi anche tu alle voci messe in giro da quella deficiente della Parkinson? Galen non avrebbe mai fatto uso di strane sostanze e mi fa schifo che tu possa anche solo pensare un qualcosa del genere di un tuo compagno di casa!” disse Susan a voce alta, chiaramente molto arrabbiata. Daniel si girò verso di lei; l’espressione dolce era svanita, il suo sguardo era duro e infuocato, come se Justin avesse toccato un brutto tasto.

Il ragazzo si voltò verso di lei ed indietreggiò di un passo. “Beh, Susan, non si sa mai, magari è vero. Alla fine i pezzi tornerebbero, no?” disse il ragazzo tenendo il punto.

“Certo…” abbaiò Susan con rabbia “E anche in mille altri modi per quanto ne sappiamo.” detto questo la ragazza si voltò verso Ernie e Daniel, ammutoliti di fronte a quella scena. “Me ne ritorno in sala comune, ne ho avuto abbastanza di Quidditch per oggi.” detto questo si voltò e se ne andò attraverso la rampa di scale, scomparendo alla vista.

Daniel era ammutolito, non aveva mai visto Susan così. Fu Justin a rompere quel silenzio imbarazzato. “Beh, faccia un po’ come vuole!” disse con uno sbuffo di rabbia.

Daniel guardò Ernie che gli fece uno sguardo eloquente di attesa; capendo il messaggio si rese conto che quello doveva essere un tasto delicato e decise di ricacciarsi indietro le mille domande che gli frullavano in testa su quello che era venuto a sapere, risollevando lo sguardo verso il centro del campo.

Il respiro gli si mozzò nel vedere che Galen era arrivato all’ultima fase dei provini; aveva il segno di un paio di botte da bolide in faccia, un occhio gli si stava leggermente gonfiando mentre una guancia aveva più di un graffio. Una volta liberato il boccino d’oro la squadra iniziò una simulazione di un incontro, divisi a metà, mentre Zacharias volava tenendo d’occhio l’aspirante cercatore. Era strano vedere la squadra di Tassorosso così messa ma senza dubbio serviva a creare una specie di simulazione di una partita.

“Beh, non se la cava male come l’ultima volta” disse Ernie dopo qualche minuto.

“No, credo di no” gli rispose Daniel con il naso rivolto all’insù. Galen non volava affatto male, era bravo nelle finte, un po’ meno a volare senza mani e nei cambi di direzione repentini; anche se a decine di metri di distanza percepiva un’insicurezza latente nel ragazzino.

“Pfui!” esclamò Justin che se ne stava a guardare più la squadra giocare che il provino per il cercatore. Daniel capì che ci doveva essere stato qualcosa fra i due in passato anche se non aveva idea di cosa potesse essere. A quanto pare doveva essere stato qualcosa che aveva coinvolto anche Susan.

“Ci aveva già provato?” chiese Daniel ad Ernie.

“Oh, sì. Al terzo anno, ma Cedric era stato molto più bravo, in più si vedeva già che aveva la sicurezza ed il carisma di un capitano”.

Il volto dell’amico parve illuminarsi mentre pronunciava queste parole.

Daniel capì da quel commento così come da diversi brandelli di conversazioni sentite in sala comune che Cedric Diggory doveva essere stato una vera celebrità a Tassorosso; da qui anche la maggiore incredulità che serpeggiava nei confronti di Harry Potter e del suo racconto sul ritorno di Voldemort. Daniel sentiva che Tassorosso, forse solo dopo Serpeverde era la casa che in generale nutriva meno simpatia per il giovane Grifondoro. In quel momento ripensò alle parole del Cappello Parlante: era davvero un macello trovare il dritto in tutta quella situazione.

“Ehi ragazzi, guardate là!” esclamò Ernie all’improvviso rivolto a lui e Justin, indicando un punto in alto nel campo. Daniel voltò la testa in tempo per vedere la sagoma piccola di Galen mentre questi si allungava col braccio verso un piccolo scintillio che proveniva da poco distante; il cuore di Daniel perse un battito.

Quello che avvenne dopo si svolse in un arco di pochi secondi; proprio mentre il giovane cercatore si allungava sulla scopa, cerando di tenerla stabile in una picchiata a quarantacinque gradi, un colpo di bolide di Maxine gli prese in pieno il braccio sinistro proprio mentre questo sembrava serrarsi sulla piccola sfera dorata davanti a lui; Galen fu colto di sorpresa e non fece in tempo ad evitare il colpo che lo prese in pieno facendogli piegare il braccio in maniera innaturale. Il ragazzo urlò forte, aggrappandosi alla scopa e perdendo quota verso il suolo, sbandando.

“Cavolo, si schianterà!” esclamò Justin con paura nella voce

Daniel si alzò di scatto afferrando il suo manico di scopa, sporgendosi dal parapetto. Fu Zacharias ad accorgersi dell’incidente e, precipitandosi verso il basso in picchiata, riuscì ad affiancarsi al ragazzino e a correggerne con difficoltà la rotta, proprio un istante prima che questi colpisse rovinosamente il suolo. Zacharias riuscì a rimanere in sella ed ad atterrare alla meno peggio mentre Galen non riuscì a frenare del tutto ma ebbe la prontezza di sfilarsi dal manico di scopa e a rotolare d’istinto sul manto erboso del terreno del campo attutendo di molto il colpo.

La scopa venne sbalzata via dall’urto ma l’attenzione di tutti era rivolta al giovane aspirante cercatore. Tutta la squadra si precipitò verso Galen, immobile, steso di pancia sul manto erboso. Per un secondo Daniel si sentì freddo come un pezzo di ghiaccio, Zacharias lo rialzò in piedi quasi come se si trattasse di una piuma, mentre Maxine, bianca in volto come un lenzuolo, arrivò vicino a Zacharias.

Guardando meglio da bordo campo Daniel si accorse che Galen respirava ancora, era bianco come un pezzo di marmo, tremava come una foglia, mentre teneva il braccio destro stretto a sé; se gli occhi non lo ingannavano se lo doveva essere fratturato, pensò Daniel d’istinto.

Mentre Antony e Heidi lo accompagnavano lentamente fuori dal campo la rabbia di Zacharias esplose su Maxine come una tempesta.

“Cosa credevi di fare, non ti ho mai detto di rompergli un braccio, Max! Ci penseranno i battitori avversari a quello! Come faccio a vedere se è un buon candidato se me lo infortuni a inizio stagione, EH?!”

Daniel non riuscì ad udire la risposta della ragazza ma dall’espressione di terrore sulla faccia era profondamente dispiaciuta per l’accaduto. Farfugliava qualcosa basita ma ancora una volta l’ira di Zacharias le esplose addosso fulminea.

“Non mi interessa, vatti a scusare con lui in infermeria! Voi altri riunione straordinaria nel mio ufficio fra un’ora!”

Con queste parole Daniel vide la squadra rompere le righe e dirigersi verso gli spogliatoi. Scendendo le scale della tribuna con dietro Justin ed Ernie che discutevano animatamente di quello che era appena accaduto, Daniel era perso nei suoi pensieri che oscillavano fra la preoccupazione per le condizioni di Galen e l’apprensione per sapere il risultato del suo provino.

Arrivati in fondo alla torre, vicino agli spogliatoi, Daniel vide Zacharias venirgli incontro a lunghe falcate, con la sua Nimbus stretta nella mano destra. Il suo sguardo ancora pieno di rabbia parve addolcirsi leggermente alla vista di Daniel.

“Nightingale, vieni seguimi, dobbiamo parlare”. Detto questo si avviò verso l’altro blocco oltre gli spogliatoi. Daniel lo seguì lanciando uno sguardo a Justin ed Ernie che gli fecero un cenno di saluto e di incoraggiamento prima di prendere la strada che conduceva indietro al castello.

Daniel seguì da lontano Zacharias finché questi non arrivò ad un blocco dove, su un atrio comune, si aprivano quattro portoni con i simboli delle varie case, probabilmente, si disse Daniel, gli uffici dei capitani.

Zacharias tirò fuori un portachiavi dorato e fece scattare la serratura con un rapido giro della mano. Seguendolo all’interno Daniel vide una stanza completamente tappezzata di stendardi neri ed oro con i simboli di Tassorosso, diversi armadi ai lati, una bacheca con foto d’epoca di incontri di Quidditch e numerosi piccoli ritratti e stemmi alle pareti. Zacharias gli fece cenno di sedersi su una sedia davanti alla scrivania nel centro della stanza, mentre con un rapido gesto della bacchetta accese il fuoco nel camino poco distante.

“Anche questa ci voleva…” esordì più a se stesso che a Daniel.

Il ragazzo rimase silenzioso in piedi davanti alla sedia, vedendo l’altro togliersi i guanti di protezione e massaggiandosi il polso destro. Daniel vide che era rosso fuoco, probabilmente doveva aver preso una botta nel frenare la caduta di Galen.

“Ah, non è niente!” esclamò Zacharias allo sguardo del compagno. Poi all’improvviso gli porse la mano accennando una smorfia, Daniel intuì fosse il suo miglior tentativo di sorridere in quel momento; istintivamente gliela strinse…aveva una stretta ferrea, dura.

“Benvenuto nella squadra Nightingale!”

Daniel rimase imbambolato per un attimo poi, registrando le parole dell’altro, un gran sorriso gli si aprì sul volto. Ce l’aveva fatta.

“Beh, non credere il lavoro difficile comincia ora!” abbaiò Smith puntando la bacchetta contro un calendario appeso al muro. “Mancano ancora quasi tre mesi alla partita con Corvonero ma dobbiamo allenarci duramente se vogliamo avere una possibilità di batterli. Sono una squadra davvero tosta e ben affiatata.” disse Zacharias battendo il pungo sul tavolo.

“Sono pronto, Zacharias! Dimmi da dove dobbiamo cominciare!” gli rispose Daniel guardandolo negli occhi, determinato come non mai.

“Questo è lo spirito giusto! Puoi chiamarmi Zach. Beh da dove cominciare…dalle sessioni di allenamento. Dobbiamo organizzare un programma intenso. Fin ora ci allenavamo due volte a settimana ma…”

“Solo?!” esclamò Daniel inorridito. “Dove giocavo io ci allenavamo a giorni alterni e quando il campo non era disponibile facevamo allenamenti paralleli!”

“Davvero?!” esclamò Zach interessato.

“Certamente! Ci sono molti sport babbani che hanno delle similitudini con particolari ruoli del Quidditch. Quando non potevamo volare ad Aotearoa io come portiere mi esercitavo spesso a calcio.”

“Interessante, Daniel…” disse Zach, riflettendo fra sé. Poi guardando il ragazzo negli occhi fece un sospiro e gli disse:

“Ti ho visto oggi, il primo tiro, come hai fatto a pararlo? Eri praticamente spiazzato…”

“E’ una tattica” gli rispose Daniel sorridendo. “Noi la chiamiamo whaowiri

“Che?” esclamò l’altro con incredulità.

E’ Maori. Per farla breve ho visto che all’inizio della sua corsa d’attacco puntava con la scopa verso sinistra così sono rimasto all’ultimo sull’anello centrale, quando poi aveva preso velocità e aveva cambiato traiettoria, sono scattato di lato. E’ stato un azzardo ma sapendo dove avrebbe voluto colpire, sono riuscito a buttarmi appena in tempo…”

“E hai deviato la pluffa sul bordo dell’anello…” continuò Zach.

“Beh, sì.” ammise Daniel. “Ci sono arrivato a pelo comunque.”

“Interessante Daniel, ora devo sbrigare alcune cose, troviamoci qui fra un’ora per la prima riunione della squadra.” disse Zacharias alzandosi e dirigendosi verso il camino.

“Va bene. Ottimo. Volevo fare un salto in infermeria per vedere come sta Galen.” aggiunse Daniel.

“Beh, spero per lui si rimetta presto.” disse Zach scaldandosi accanto al fuoco. “E’ il nostro nuovo Cercatore e alla prossima riunione lo voglio qui, anzi, visto che vai in infermeria vai a dirglielo di persona.” aggiunse abbozzando nuovamente un sorriso che celava una smorfia.

“Ecco un altro giorno che non avrei mai pensato di vedere…” disse il ragazzo con voce bassa al limite dell’udibile.

Daniel indietreggiò col cuore colmo di gioia. Richiusosi la porta alle spalle si cambiò, lavandosi velocemente la faccia e le mani nello spogliatoio. Quando uscì un vento forte si era levato all’improvviso; doveva raccontare i nuovi sviluppi ai suoi amici ma in quel momento una flebile ma incessante paura gli si insinuò nella mente mentre avanzava sul sentiero per il castello.

“Come mai aveva provato quelle strani sensazioni alla vista di Galen? Perché era così timido nei suoi confronti? Cosa c’era di strano nel suo passato? Sarebbe riuscito a farselo amico?

Quest’ultima domanda era quella che spaventava Daniel più di tutte. Se possibile però vi era un altro pensiero che addirittura lo terrorizzava nel profondo. Una paura che da tempo era riuscita a sopire, grazie soprattutto all’aiuto di Rachel e Blaise. Solo un'altra volta in vita sua si era sentito in quello stato: due anni prima con Nathan Drake. Ed era finita davvero male…

 

 

Note dell’autore. Mi ci è voluto particolarmente tanto a scrivere questo capitolo. Inizialmente lo volevo dividere ma alla fine credo stia meglio così, anche se è molto lungo. Ho modificato alcuni aspetti e luoghi del Quidditch rispetto al canon, come gli uffici dei capitani e altri dettagli comunque non fondamentali.

 

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Capitolo 11
*** Nuovi Progetti - 1° parte ***


Daniel percorse lentamente il lungo corridoio est che portava alle scale per il primo piano, contando il numero dei suoi passi con insolita attenzione, perso nel turbinio dei suoi pensieri. Alzando la testa vide aprirsi sulla sua sinistra un arco con una scalinata che saliva oltre un piccolo pianerottolo.

Svoltando e percorrendo i primi gradini, Daniel notò anche che i quadri di quest’ala dovevano essere probabilmente di medici del passato; ne riconobbe avanzando uno che doveva essere di Dilys Derwent, una delle guaritrici più famose della storia del Mondo Magico, nonché preside di Hogwarts, si disse osservando gli abiti di cui era vestita e incrociandone brevemente lo sguardo prima che questa sparisse di punto in bianco dalla cornice.

Daniel rimase un attimo sorpreso da ciò ma non fece in tempo a porsi molte domande che i suoi occhi colsero la scritta in cima alla doppia porta situata all’estremità della scalinata, sentendo nuovamente un groppo formarglisi in gola: era arrivato all’entrata dell’infermeria. Aprendo lentamente la doppia porta che dava accesso a quell’ala del castello, Daniel vide un piccolo corridoio che si apriva su una grande camerata, molto lunga, piena di letti bianchi disposti ad intervalli regolari sui due lati; anche il pavimento era formato da lunghi lastroni di pietra chiari mentre le larghe arcate gotiche erano fatte di una pietra scura tendente al marrone, colore che continuava nei lunghi lampadari sul soffitto.

Il cuore di Daniel mancò un battito nel vedere l’esile sagoma di Galen Brannis distesa sul secondo letto sulla destra, il ragazzo stava chiaramente dormendo, il volto posato all’ingiù sul collo, sorretto da tre cuscini; al braccio destro aveva una specie di tutore che glielo bloccava ad angolo retto. Il giovane Tassorosso non fece in tempo a fare che pochi passi in avanti, quando il rumore di una sagoma alle sue spalle lo fece voltare all’improvviso: davanti a lui si stagliava una strega alta con i capelli grigi raccolti e coperti da un lungo velo bianco che le ricadeva sulle spalle, l’uniforme rossa scura e bianca con uno strano appunto sul petto assomigliante ad una fiala ed un'espressione determinata e preoccupata al tempo stesso sul volto.

La donna lo squadrò un attimo prima di rivolgergli la parola, nella mano destra stringeva una bottiglia perlacea, con uno scheletro in rilevo nella parte superiore:

“Non puoi parlargli, se è questo che vuoi.”

“Ma…”esordì Daniel cercando di spiegare.

“Niente “ma”, signor Nightingale, il Quidditch può aspettare” lo bloccò la donna con sguardo deciso. “Ha avuto una brutta frattura al braccio ed è un bene che si sia addormentato. Se vuole fargli una visita, non ho niente in contrario ma non lo svegli, lo farebbe solo soffrire inutilmente.”

Daniel annuì, zittendosi di colpo.

L’espressione della donna parve distendersi un po’. Tirando fuori la bacchetta, pronunciò poche parole ed una sedia di legno apparve accanto a lei.

“Può usare questa, se vuole” disse. Poi con un leggero sorriso s’incamminò nell’ufficio a sinistra accostando leggermente la porta di legno ma lasciando parte dell’anta aperta.

Daniel gettò un occhio alla targhetta su di essa che recava la scritta “Poppy Chips”.

Madama Chips non era sinceramente una strega da contrariare, si disse Daniel alzando la sedia mentre i suoi passi riecheggiavano nella grande camerata. Arrivato infine a destinazione, si sedette alla sinistra del letto di Galen, notando subito che questi era immerso in un sonno disturbato probabilmente da qualcosa; ogni tanto muoveva la testa da un lato all’altro del cuscino mentre con la mano sinistra sembrava voler prendere un oggetto invisibile, grattando ad intervalli regolari la superfice del lenzuolo.

Daniel si mise a fissarlo con aria interrogativa, vedendo i lineamenti del viso contrarsi leggermente, probabilmente doveva trovarsi nel mezzo di un sogno di grande intensità. Gli occhi del giovane Tassorosso caddero sulla mano sinistra del suo compagno di casa, che giaceva ora a palmo aperto vicino a lui, notando un piccolo punto grigio al centro. Senza pensarci Daniel allungò la mano incuriosito, prendendo quella più piccola del ragazzo; al tatto la pelle era liscia ma c’era un leggero ispessimento al centro del palmo.

In una frazione di secondo qualcosa sembrò accadere dentro il sogno di Galen. Improvvisamente Daniel sentì la sua mano tremare forte come in uno spasmo incontrollato che tradiva una grande paura. La testa del ragazzo iniziò a muoversi freneticamente da una parte all’altra mentre dei piccoli frammenti di frasi iniziarono ad uscirgli dalla bocca.

“La…lasciami, non ho fatto…”

“Che vuoi fa…fare con quel co…colt…coltello?”

“NOOO!”  

Daniel non ci capiva niente ma non ebbe il tempo di pensare che d’un tratto Galen si svegliò di soprassalto, la fronte sudata ed un’espressione di puro terrore sul volto. La mano sinistra gli era scattata via come una frusta da quella di Daniel, di cui non sembrava nemmeno essersi accorto, mentre se le portava sotto lo sterno ad aprirsi leggermente il pigiama abbottonato, come per controllare qualcosa.

Ci volle qualche secondo, capì Daniel, perché Galen si rendesse conto di avere sognato. Nel contatto delle sue dita col petto apparentemente illeso, il ragazzo sembrò uscire dal sogno; aveva ancora il respiro affannato, era bianco cadaverico e con la mano destra che gli tremava.

“Ehi…” gli disse piano Daniel toccandogli il braccio, con tono rassicurante. Non sapeva cosa Galen avesse sognato, ma aveva ben conosciuto nel suo passato dei bruschi risvegli simili.

L’espressione dell’altro ed il movimento repentino del braccio gli fecero capire però che qualcosa non andava. Lo sguardo di Galen quando lo incrociò era stravolto, quasi al limite della follia. Per un lungo istante Daniel ebbe paura; sì paura che Galen potesse aggredirlo come un animale ferito da qualcosa che lui non poteva vedere.

Con incredibile rapidità, un battito di ciglia, l’espressione era sparita. Davanti a lui c’era un ragazzo con l’aria timida ed impaurita, lo stesso che aveva conosciuto sul campo di Quidditch.

“E…Ehi…” gli rispose ansimante, mettendolo a fuoco per la prima volta.

Daniel sentì una repentina sensazione di calore salirgli alle guance. Per un lungo istante le parole gli morirono in gola mentre il suo sguardo si perdeva tra i lineamenti del volto dell’altro. Fu un rumore di passi dietro di loro a riportare bruscamente Daniel alla realtà.

Il ragazzo si voltò appena in tempo per vedere la sagoma di Madama Chips avvicinarsi con passo svelto e con espressione preoccupata e adirata al tempo stesso. Daniel seppe nel momento in cui i loro sguardi s’incrociarono che si era cacciato nei guai.

“Cosa le avevo detto, signor Nightingale?!” esordì la strega ergendosi in tutta la sua altezza.

“Ma non sono stato…” cominciò Daniel tentando di spiegare.

“Non mi interessa. Come le ho già detto il Quidditch può aspettare. Il signor Brannis ha bisogno di assoluto riposo!”

“Ahia” disse Galen toccandosi il braccio destro con un’espressione di dolore sul volto.

“Visto?!” continuò madama Chips con sguardo severo rivolta a Daniel: “La visita è finita. Se ne vada immediatamente, signor Nightingale”.

Daniel si alzò, guardando la strega che controllava con apprensione il braccio del ragazzo. In una frazione di secondo lo sguardo di Galen s’incrociò al suo ed una lampadina parve accendersi nella testa di quest’ultimo:

“Com’è an…andato il mio pro…provino?” chiese a Daniel con evidente apprensione e trepidazione.

Daniel stava per rispondergli quando lo sguardo duro di Madama Chips li sorprese entrambi:

“Ho detto FUORI, signor Nightingale! O devo chiamare il signor Gazza!”

Daniel a malincuore distolse gli occhi da Galen e si avviò verso la porta col cuore pesante. Si voltò un attimo prima di uscire dalla grande camerata per vedere Galen che tentava di ignorare il dolore al braccio mentre Madama Chips ci stava applicando una pomata, voltata di spalle.

In quell’istante Daniel ebbe un’idea; voltatosi, uscì a gambe levate dall’infermeria. Corse giù dalle scale, diretto al piano terra, superò rapidamente il bivio per la Sala Grande e prese il corridoio che portava alle cucine. Trovò subito l’angolo lontano dalla vista, dove erano impilati alcuni barili che nascondevano l’entrata alla sala comune di Tassorosso.

Due minuti dopo eccolo riuscire e fare rapidamente la strada al contrario con un aeroplanino di carta ed un piccolo specchio portatile fra le mani. Sperò in cuor suo di non aver perso il tocco. Si sentiva addosso una grande energia.

Arrivato alle doppie porte dell’infermeria notò con sollievo che la porta non era stata chiusa da madama Chips; aiutandosi con lo specchietto vide che l’ingresso della grande camerata era libero ma si accorse, inarcandolo maggiormente di lato, che la porta dell’ufficio era aperta, segno che non avrebbe potuto passare senza essere visto. Cercò di abbassarsi per osservare il letto di Galen; una volta individuatolo, vide che il suo compagno di casa era sveglio, con un’espressione corrucciata sul volto.

Daniel cercò di mettersi dall’angolazione migliore possibile e poi con la bacchetta toccò velocemente l’aeroplanino di carta pronunciando: “Protrahe volatum”.

Una breve aura azzurra sembrò uscire dalla sua bacchetta prima di scomparire apparentemente nel nulla. Con un grande respiro Daniel leccò le ali dell’areoplanino e prendendo due passi di rincorsa lo lanciò verso l’alto. Il piccolo pezzo di carta superò agilmente l’ingresso ed entrò nella grande camerata puntando sul letto di Galen; fu all’ultimo che iniziò a perdere quota improvvisamente, ma fu allora che, invece di cadere verso il basso, prolungò in una planata che lo condusse fino a picchiare sulla guancia destra di Galen.

Il ragazzo fu colto di sorpresa ed emise un piccolo gridolino, prima di accorgersi di cosa lo avesse colpito. Daniel si ritrasse dietro il muro, appena in tempo per sfuggire allo sguardo indagatore di madama Chips che si era affacciata all’improvviso dal suo ufficio. Non vedendo niente la strega si diresse verso l’entrata della grande camerata; per fortuna Galen ebbe la prontezza di ficcare l’aeroplanino sotto le coperte appena in tempo, fingendo di dormire. Volgendo lo sguardo madama Chips emise un piccolo sbuffo prima di rimettersi al lavoro dietro alla sua scrivania.

Daniel non ebbe il coraggio di riaffacciarsi, attendendo in silenzio una qualche sorta di messaggio segreto dall’infermeria. I secondi passavano lentamente, il ragazzo chiuse gli occhi appiattendosi contro la colonna dietro cui si era nascosto. Fu dopo quasi un minuto di trepidante attesa che Daniel sentì un rumore leggero provenire dall’infermeria. Avvicinandosi all’entrata, usando il piccolo specchio cercò di ritrovare il letto di Galen. Il cuore gli saltò un battito quando vide il volto del ragazzino solcato da due lunghi rivoli di lacrime, con la mano sinistra teneva stretto il pezzo di carta mentre con l’altra si stringeva forte al petto il tutore con un gran sorriso stampato sul volto. Daniel ebbe l’impressione di incontrarne per un secondo gli occhi lucidi prima che lo specchietto gli cadesse di mano all’improvviso.

Con un sobbalzo il ragazzo tentò di ricomporsi afferrando i cocci e precipitandosi giù dalle scale solo per andare dritto dritto a sbattere contro Colin Canon che aveva appena imboccato il corridoio. I due si ritrovarono sul freddo pavimento di pietra del pianerottolo. Fu Colin il primo dei due a riprendersi dalla botta.

Ahio!” esclamò rimettendosi in piedi a fatica, guardando Daniel accanto a lui ancora mezzo frastornato. “E’ questo il modo di scendere dalle scale, Dan?!” disse con aria contrariata.

Lo sguardo gli si bloccò vedendo l’espressione dell’amico, il tono arrabbiato sparì completamente dalla voce. “Tutto bene?” disse tendendogli una mano per rimettersi in piedi.

“Sì, certo” rispose Daniel tirandosi su. “Scusa Co…” il giovane Tassorosso non fece in tempo a finire la frase che si rese conto di avere gli occhi lucidi. Con la manica dell’uniforme si asciugò i lucciconi ricomponendosi.

Colin scosse la testa prima di proseguire. “Ti stavo cercando, Dan”.

A quelle parole l’attenzione di Daniel si focalizzò sul Grifondoro. “Dimmi….” disse con un sorriso.

“Seguimi...è giunto in momento di mostrarti qualcosa di molto importante” disse l’altro con un sorriso che gli si estendeva per metà viso.

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Luna percorse a brevi passi il tratto in cui il sentiero che dal castello portava al limitare della Foresta Proibita, oltre la capanna di Hagrid, si addentrava tra gli alberi, perdendosi nel manto di erba e foglie che segnavano l’inizio della boscaglia.

Poco più avanti la ragazza scorse una radura a lei familiare, facendo pochi passi oltre, a piedi scalzi, sentì le piccole vibrazioni che ben conosceva. Prima ancora di riuscire a vedere l’oscura sagoma dragonide che sorvolò l’area dove gli alberi erano ancora radi, Luna avvertì la presenza dei Thestral. Ciò che la colpì nell’avanzare sul manto di foglie, scorgendone una piccola famigliola poco più avanti, sul limitare di una grande pozza intenta a bere lentamente, fu una presenza che non si sarebbe mai aspettata di trovare.

La ragazza s’incuriosì nel vedere nascosto dietro un basso cespuglio poco oltre la sagoma di un ragazzo. Era alto con i capelli castano scuri mossi, portava un grande quaderno e sembrava scribacchiarci qualcosa sopra con un carboncino; osservando meglio l’uniforme del ragazzo, col cappuccio calato dietro, vide che si trattava di un Serpeverde.

Scandendo verso la radura, la ragazza s’inserì nella scena lateralmente. Il primo ad avvertire la sua presenza fu un cucciolo solitario di Thestral che riposava al limitare degli alberi della radura; stirandosi sulle gambe si diresse verso la ragazza rapidamente emettendo un suono stridulo. Arrivato a pochi passi da lei, la fissò con i grandi occhi scuri sporgenti come in attesa di qualcosa. Luna sorrise e, cercando nella borsa che portava a tracolla, ne tirò fuori una coppia di ali di pollo che aveva accuratamente avvolto in un fazzoletto di carta. Il cucciolo lanciò un altro piccolo grido stridulo avvicinandosi timidamente di qualche altro passo.

Luna prese le ali e gliele tirò davanti con un sorriso. Con un appetito vorace nel giro di un secondo il cucciolo le stava già divorando, spolpandole col piccolo becco aguzzo. Luna osservò la scena immersa in una profonda tranquillità. Riesaminando lentamente i ricordi di quella mattina si sentì sollevata del fatto che Galen se la fosse cavata solo con un braccio rotto. Aveva osservato il suo provino dal lato nord degli spalti, praticamente invisibile agli altri studenti. Aveva tenuto le dita incrociate per l’amico, osservandolo con trepidazione per tutto il tempo ed a stento era riuscita a trattenersi nel corrergli incontro quando il ragazzo era precipitato per terra. In compenso era stata la prima ad andarlo a trovare in infermeria. In realtà da quanto aveva capito nello sfogo isterico dell’amico, il braccio rotto era forse il minore dei problemi. La ragazza sospirò sperando in un miracolo; sapeva bene che Zacharias non aveva stima di lui, sperò solo che gli desse una chance per entrare in squadra visto che stavolta, se non fosse stato per il bolide, avrebbe fatto un provino quasi perfetto; i due avevano volato per decine di ore quell’estate.

Un pensiero che però gli stava ronzando nella mente che non riusciva a togliersi. Qualcosa dentro di lei le diceva che c’era qualcos’altro che turbava Galen. Era come una sensazione, aveva provato a cercare conferma nelle parole dell’amico, abbandonando presto il suo proposito visto la condizione di shock emotivo in cui si trovava. Era meglio provare a riaffrontare il discorso dopo qualche ora di sonno. La ragazza incrociò le dita, chiudendo per un attimo gli occhi. Un rumore di passi dietro di lei la fece tornare alla realtà; voltandosi vide che il ragazzo che non conosceva le si era avvicinato.

“Non hai freddo ai piedi?” le chiese porgendole una mano per aiutarla a rialzarsi.

Luna indugiò qualche attimo prima di prenderla. Il ragazzo non sembrava avere cattive intenzioni, era solo dubbio quello che leggeva nei suoi occhi marroni.

“No, per niente. Anzi, alle volte ho più freddo con le scarpe che senza, specialmente a lezione.” disse la ragazza prendendola e ritrovandosi in piedi in un istante; il ragazzo l’aveva praticamente quasi sollevata col braccio.

“Davvero?!” le chiese l’altro con sguardo interrogativo.

Luna gli sorrise. “Beh, non tutti i geloni dipendono dalla temperatura del pavimento, no?”

Il ragazzo la guardò alzando un sopracciglio poi qualcosa nel suo sguardo sembrò scattare e le rispose accennando un mezzo sorriso: “No…direi di no”.

“E’ la prima volta che vieni in questa radura? Non ti avevo mai visto prima….” le chiese Luna, lasciandolo. Le guance dell’altro si colorirono leggermente, non accorgendosi di averle tenuto la mano decisamente più a lungo del dovuto. 

“No, è la prima volta. Non sapevo che i Thestral vivessero qua.” le rispose l’altro, guardando la scena davanti a loro.

Un lungo silenzio cadde fra i due.

“Stavi disegnando poco fa?” gli chiese infine la ragazza indicando la borsa a tracolla.

Il ragazzo alzò il sopracciglio destro, sorpreso, poi le rispose: “Sì, mi rilassa alle volte. ” Con lo sguardo il giovane Serpeverde squadrò tutta la radura, apparentemente in cerca di qualcosa, passarono diversi secondi prima che le rivolgesse nuovamente la parola:

“Non c’è modo di arrivare dall’altro lato senza metterli in allarme!” sibilò fra i denti rivolto a se stesso più che alla ragazza.

Luna esaminò la radura in silenzio, poi gli toccò la mano destra, facendogli riportare lo sguardo su di sé. “C’è un modo.” disse accennando un sorriso. “Solo dovrai essere molto silenzioso”.

“Sarò un’ombra!” disse l’altro con sguardo determinato, sorpreso dalla frase della ragazza.

Distogliendo lo sguardo Luna emise un sospiro poi gli disse. “Togliti le scarpe.”

“Cosa?!” rispose l’altro.

“Togliti le scarpe.” riprese lei con tono sognante.

“E perché dovrei?” intervenne il ragazzo guardandola a metà fra lo stupito e l’incredulo.

“Perché sei troppo pesante. Ti farai sicuramente scoprire” gli disse la ragazza.

Il giovane Serpeverde sembrò valutare attentamente la scena poi con uno sbuffo le disse: “ E va bene”.

Sfilandosi lentamente le scarpe ed i calzini toccò con i piedi il terreno del bosco ed una smorfia gli attraversò il viso.

“Perfetto” le disse Luna sorridendogli. “Ora fai molto piano”.

Con queste parole la ragazza si spostò lentamente da un cespuglio ad un altro. Dando il tempo al ragazzo, decisamente meno agile e furtivo di lei di starle dietro. Riuscì anche ad ingannare un Thestral che si era avvicinato pericolosamente al loro cespuglio, quando il ragazzo aveva sbagliato la capriola, riuscendosi a nascondersi all’ultimo secondo ma con un fruscio di foglie fin troppo evidente. Luna non si perse d’animo e, prendendo la bacchetta sistemata dietro l’orecchio sinistro, pronunciò a bassissima voce, con un colpo di polso: “ Lepus advola”.

All’improvviso una lepre comparve magicamente dalla sua bacchetta, diretta a più non posso verso l’estremità opposta della radura. Il Thestral che si stava avvicinando perse attenzione per il loro cespuglio e si lanciò all’inseguimento, facendo tirare a entrambi un sospiro di sollievo.

“Scusami…” le disse il ragazzo con tono basso.

Luna non lo sentì quasi, facendo un altro balzo verso il penultimo cespuglio. Dopo qualche minuto i due erano giunti a destinazione, proprio dietro la famigliola di Thestral che nel frattempo si era messa comodamente a sedere al centro della radura, ignara della loro presenza.

Luna osservò il Serpeverde tirare fuori il blocco da disegno ed il carboncino. Osservando da vicino lo schizzo che il ragazzo stava buttando giù, Luna rimase colpita dalla sua abilità con la matita. Anche lei non se la cavava male ma il ragazzo era un talento nato. Ogni tanto ne leccava la lunghezza, stringendo lentamente gli occhi per poi rimettersi a disegnare.  Nel giro di una decina di minuti l’intera scena aveva preso forma con un dettaglio impressionante. Luna squadrò meglio il volto del ragazzo. Non l’aveva mai visto prima ma se il suo sesto senso non si sbagliava doveva essere di uno o due anni più grande di lei; non sembrava far parte di vari gruppetti di bulletti che ogni tanto le nascondevano le cose, vedendolo così da vicino sembrava un tipo solitario.

“Fatto” disse piano il ragazzo finendo di mettere gli ultimi tratti di ombreggiatura alla grande quercia sulla destra della radura. Alzando lo sguardo vide gli occhi di Luna che lo guardavano e le sue guance si colorarono nuovamente di un leggero color rosa.

Passandosi una mano nella folta chioma di capelli mossi, parve ricomporsi e, accennando un sorriso, vedendo la collana di foglie che la ragazza portava al collo, le disse:

“Bella, chi te l’ha….”

Non fece in tempo a finire la frase che il rumore del fruscio d’ali di due gufi irruppe nella radura con i loro versi tipici. Rilevando l’intrusione, i Thestral si dispersero rapidamente addentrandosi maggiormente nella foresta e scomparendo alla vista.

Luna vide i due pennuti fare un largo giro di perlustrazione per poi puntare sul loro cespuglio, facendo cadere loro addosso due buste abbastanza pesanti prima di tornare da dove erano venuti, probabilmente la voliera del castello.

Fu il ragazzo il primo a rimettersi in piedi ed osservare meglio il plico. “Che strano, dev’essere una consegna speciale, e dal Ministero della Magia per giunta.” esclamò con stupore guardando il sigillo di ceralacca inciso sul retro. Luna prese fra le mani la sua con aria dubbiosa.

“Theodore Nott” disse la voce del ragazzo all’improvviso, facendole distogliere lo sguardo. Il giovane Serpeverde le stava porgendo la mano con un sorriso appena accennato.

Luna si stupì della formalità del ragazzo, ma non disse nulla. Osservò la sua mano per un attimo prima di prenderla; aveva una mano che era il doppio della sua quasi, osservò la ragazza, mentre gliela stringeva con singolare delicatezza.

“Luna Lovegood” le rispose con gli occhi bulbosi ancora più in fuori del normale. Una strana sensazione di formicolio allo stomaco si era impadronita di lei.

Theodore, lasciandole andare la mano, spezzò il sigillo aprendo la busta, tirandone fuori una decina di fogli. I grandi caratteri che decoravano l’intestazione del primo foglio fecero aggrottare la fronte ad entrambi.

“Sono….” cominciò Theodore

“…Guai” concluse Luna.

 

Note dell’autore. Ecco qua la prima parte di un lungo capitolo. Stavolta ho preferito dividerlo per facilità di lettura e anche per separare meglio le parti relative ai vari personaggi. Su Theodore Nott l’ho praticamente creato da zero, spero vi piaccia. Le uniformi di Hagwarts in questa continuity hanno un cappuccio sul retro, bordato con i colori della casa di appartenenza. Il cappello da mago/strega viene usato solo quando fa freddo o in occasioni formali.

 

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Capitolo 12
*** Nuovi Progetti - 2° parte ***


Harry si fermò alla fine della lunga scalinata che portava all’ingresso del sotterraneo in cui si trovava l’aula di pozioni. Ron e Hermione, prima di salutarlo pochi minuti prima in sala comune, gli avevano fatto un grande “in bocca al lupo” per la punizione in cui si era cacciato; la ragazza in particolar modo gli aveva suggerito di stare attento ed ignorare totalmente Malfoy facendo come se non esistesse. A questa affermazione aveva scambiato con Ron uno sguardo eloquente, ma aveva fatto in tempo a mordersi la lingua; sapeva che l’amica lo aveva detto per il suo bene ma, mentre i suoi passi echeggiavano per il corridoio ad elle che, continuando a scendere, lo portava verso la sua destinazione, pensò che sarebbe stato più facile chiedere all’acqua di non essere bagnata che a lui di non scontrarsi con Malfoy. 

Arrivato di fronte all’aula di pozioni vide che Malfoy era già lì, si trovava a lato della porta che dava accesso al sotterraneo, assorto a guardare il soffitto con aria assente. Harry si stupì di vederlo così, tranquillo quasi, senza il suo classico ghigno beffardo o lo sguardo glaciale, sembrava stesse pensando a qualcosa di molto distante.

Il suo arrivo però cambiò drasticamente la scena nel giro di pochi secondi; il riecheggiare dei suoi passi mise in allerta il giovane Serpeverde che, messo a fuoco il suo eterno rivale, gli rivolse uno sguardo carico di astio, a cui l’altro era ben abituato. Un sorrisetto gli comparve dal nulla sul volto, non estendendosi però agli occhi grigi:

“Era ora, Potter. Sei in ritardo.”

“Che ci fai qui fuori? Se sono davvero così in ritardo potevi essere già entrato senza di me” gli rispose Harry adombrandosi sul volto.

L’altro lo gelò con lo sguardo: “Se pensi che sia per farti una cortesia ti sbagli, come sempre. Il professor Piton sta parlando con madama Umbridge, dobbiamo aspettare qui fuori fino a che…”

Le sue parole furono interrotte dal cigolio della porta del sotterraneo di pozioni che si aprì lentamente, rivelando la figura bassa della Umbridge, vestita dello stesso vaporoso cardigan rosa che aveva indossato la prima sera ad Hogwarts. Quando Harry incontrò il suo sguardo l’espressione seria che aveva sul volto lasciò all’istante il posto ad un sorriso lezioso, i suoi grandi occhi da rospo saettarono velocemente su di lui ed un attimo dopo su Malfoy, di cui non si era accorta.

“Signor Potter, Signor Malfoy, bene. Siete qui per la vostra punizione immagino. Mi aspetto che abbiate imparato la lezione e che farete del vostro meglio questa volta. Il Ministro ed io ci aspettiamo che tutti gli studenti di Hogwarts siano in grado di cooperare nel raggiungimento dei propri obiettivi accademici.”

Una pausa carica di stupore calò fra i due ragazzi e la strega, ma prima che uno dei due potesse proferire parola, la strega continuò:

“Ho già parlato col professor Piton. Se non riuscirete stasera ad arrivare ad un risultato decente, sarete in punizione per una settimana intera. Nessuna eccezione, per nessun motivo. Credo che un bel ripasso del programma sia necessario in quel caso. Temo proprio.”

“Ma madama Umbridge…”intervenne Draco, Harry si rese contro con evidente preoccupazione nella voce: “Questa settimana ricominciano gli allenamenti di Quidditch e io…”

L’Umbridge alzò la mano mentre il suo sorriso si estendeva ancora di più sul suo largo volto: “Beh, Signor Malfoy.” esordì con un luccichio negli occhi, la sua voce si fece più decisa assumendo un tono pratico: “Credo proprio che in questo caso sia il Quidditch a dover aspettare. Per entrambi, ovviamente”.

A queste parole Harry si sentì gelare il sangue. Angelina lo avrebbe stritolato se avesse mancato il primo allenamento della stagione; la ragazza voleva la squadra al completo per i provini del nuovo portiere. “Ma…” provò ad intervenire il ragazzo.

“Nessun “ma”, Signor Potter” intervenne la Umbridge guardando Harry fisso negli occhi con il suo rinnovato sorriso lezioso. “Questa è la vostra punizione, dopotutto dipende solo da voi decidere quanto durerà.” disse la strega. “Ed ora vi lascio nelle abili mani del professor Piton. Una volta finito vi chiederei la cortesia di prendere i due plichi che ho lasciato per voi sulla cattedra e di farmeli riavere quanto prima. Buona serata.” Con queste parole la Umbridge si allontanò nel corridoio superano Harry e non degnando i due ragazzi di un altro sguardo, lasciandoli entrambi totalmente spiazzati.

Fu l’apparizione sulla soglia della torreggiante figura di Piton che li riportò alla realtà:

“Signor Potter, Signor Malfoy. Entrate.”

A queste parole Harry si risvegliò dall’orrida prospettiva in cui era sprofondato e seguì Malfoy all’interno dell’aula. Con un’occhiata al suo professore meno amato vide che qualcosa lo rendeva particolarmente di cattivo umore quella sera e sembrava essere qualcosa di slegato rispetto alla loro punizione. Mettendo a fuoco le basse luci del sotterraneo di pozioni, Harry vide che una sola postazione di lavoro era accesa, quella centrale dell’ultima fila, la più distante dalla cattedra.

“Avete sentito madama Umbridge. Sapete dove sono gli ingredienti e sapete cosa dovete fare. Cominciate!” disse rivolto ad entrambi per poi andarsi a sedere dietro la cattedra.

Harry col cuore pesante seguì Malfoy dietro il calderone e tirò fuori il suo quaderno e i suoi strumenti. Draco stava già rileggendo le istruzioni della pozione quando i loro sguardi s’incrociarono. Harry avvertì chiaramente impazienza e timore nel suo sguardo e si disse in cuor suo che per la prima volta condivideva la preoccupazione del suo acerrimo rivale.

“Potter, gli ingredienti” sibilò il giovane Serpeverde attizzando il fuoco alla base del calderone e regolando la valvola dell’acqua, la base della Pozione della Pace.

Harry lo fulminò con gli occhi. “Se ti aspetti che faccia il tuo mulo da soma, Malfoy, ti sbagli di grosso” gli disse spazientito, con la rabbia che gli saliva al cervello. Cavolo quanto odiava l’abitudine di Malfoy nel comandare tutti a bacchetta! Era uno dei suoi lati del carattere più odiosi!

Draco lo fulminò con uno sguardo glaciale, mentre le sue guance si tingevano di un colore rosato e l’espressione del volto preannunciava il solito insulto tagliente a cui Harry era abituato fin troppo bene. All’improvviso però qualcosa cambiò nell’espressione di Malfoy, cosa che colpì il giovane Grifondoro non poco alla sprovvista. Invece di rispondergli per le rime, si era come costretto a chiudere gli occhi ed emettere un profondo respiro di diversi secondi. Quando riaprì gli occhi, le sue guance erano tornate del loro classico colorito pallido mentre l’astio sembrava essergli scomparso dal viso.

“Potter…” esordì il ragazzo con fatica, abbassando la voce, quasi misurando ogni singola sillaba che gli usciva di bocca.

“Dobbiamo riuscire a preparare questa pozione, stasera. Converrai con me che la prospettiva di passare qui tutte le prossime serate della settimana non piaccia né a me né a te, dico bene?”

“Certo, capitan ovvio.” gli rispose Harry ancora spazientito.

“E allora, forse dovremmo sotterrare l’ascia di guerra per una sera.” disse Draco molto lentamente, come se quelle parole gli costassero un enorme autocontrollo.

Harry lo guardò stupito, cercando di soppesare le sue alternative. Non trovando via d’uscita, dopo qualche secondo di silenzio sibilò a denti stretti, scuotendo la testa:

“Credo che tu abbia ragione…Per stavolta”.

Harry si meravigliò con se stesso per aver pronunciato quelle parole. Era da più di quattro anni ormai che non aveva mai una sola volta pensato a poter dire a Malfoy una cosa del genere.

Malfoy lo guardò dritto negli occhi ed Harry si sentì improvvisamente a disagio, per un motivo che non riusciva a spiegarsi.

“Bene.” disse Draco dopo un lungo sospiro, indicando il suo libro di pozioni: “Abbiamo bisogno della pietra di luna in polvere, due rametti di biancospino, delle giunchiglie strombazzanti, un po’ d’infuso di tiglio, tre fiori di valeriana e…una fiala di sciroppo di elleboro”.

A queste parole Harry evitò accuratamente il suo sguardo. Non aveva ancora capito cosa gli era preso il giorno prima, del perché si era imbambolato sul più bello ad osservarlo. Aveva passato tre ore a pensarci e ripensarci la sera prima, disteso insonne nel suo letto a baldacchino ma senza il minimo risultato.

“Ora, io prendo la pietra di luna in polvere, il biancospino, e l’elleboro…” continuò Malfoy evitando a sua volta lo sguardo di Harry.

“ Ed io prendo le giunchiglie, il tiglio e la valeriana.” disse Harry. Alzatosi poi in piedi di colpo si diresse a passo svelto verso la cima dell’aula, senza aspettare che il compagno lo seguisse. Arrivato all’armadio alla destra della cattedra, ignorando il fugace sguardo di Piton, identificò presto tutto quello gli occorreva, prendendo tutto velocemente.

Voltandosi di colpo per tornare verso il banco non si accorse che Malfoy gli era praticamente alle spalle e per poco non andò dritto a sbatterci contro, beccandosi un’occhiataccia furente da parte del giovane Serpeverde, che d’istinto, aveva fatto un piccolo balzo di lato per evitarlo.

“Guarda dove vai…” gli disse con un sibilo.

Harry lo ignorò dirigendosi alla loro postazione di lavoro. Mentre posava gli ingredienti sul banco le mani gli tremavano di un’agitazione rabbiosa che non aveva mai provato fino a quel momento. Cercando di concentrarsi sulla pozione Harry si rilesse un’altra volta tutti i passaggi per esser certo di non sbagliare niente stavolta.

Malfoy lo raggiunse dopo qualche istante con il resto degli ingredienti e si misero all’opera. Per la mezz’ora successiva i due lavorarono fianco a fianco, senza bisogno di alcuna parola, alle volte non incrociando nemmeno gli sguardi. Fu al momento però di iniziare a mescolare girando il contenuto della pozione ed aggiustando simultaneamente la fiamma che per forza maggiore i due dovettero prestarsi attenzione.

“Bene Potter, siamo quasi al punto in cui dobbiamo aggiungere l’elleboro. Vedi di…stare attento stavolta.” esordì Draco con una pausa che suonò molto strana ad Harry.

“Beh, tu vedi di fare la tua parte e vedrai che non sbaglierò stavolta.” gli rispose Harry.

“Potter, vuoi dirmi di fidarmi di te nel momento più importante?” continuò Draco incredulo.

“Beh, non credo che regolare la fiamma sia così banale…” gli disse Harry accennando all’attizzatoio ai loro piedi.

Il giovane Serpeverde sembrò valutare un attimo le due opzioni, rimanendo in silenzio per un istante, poi scuotendo la testa disse: “Eh va bene. Vedrò di fidarmi di te Potter. Sbaglia stavolta e pregherai di non essere mai nato.”

Con queste parole Malfoy prese l’attizzatoio e passò ad Harry il lungo mestolo di legno. I due si scambiarono un’occhiata di evidente sfida prima di iniziare l’ultima fase.

Harry iniziò a mescolare lentamente la pozione, prima a sinistra e poi due volte a destra. Con un ultimo mezzo giro a sinistra, dette una veloce occhiata a Malfoy che stava tenendo stabile la fiamma e prese il contagocce per aggiungere cinque gocce di elleboro. Il tempo gli parve dilatarsi enormemente mentre lentissimamente dopo aver aggiunto ogni goccia cambiava senso di mescolio.

Passarono lunghi minuti di trepidante attesa fino a che la pozione cambiò di colore virando infine verso l’argento perlaceo. Fu a quel punto che Harry lanciò un’occhiata di soddisfazione malcelata a Malfoy che lasciando l’attizzatoio si alzò precipitandosi a vedere la consistenza della pozione.

Un leggero sorriso gli increspò le labbra ed il cuore di Harry si fece improvvisamente più leggero; ce l’avevano fatta. Dopo qualche decina di secondi Piton si alzò da dietro la cattedra, prese due fiale dall’armadio a lato della cattedra e si diresse verso il loro banco con aria severa. Gettando uno sguardo alla pozione si limitò a prendere un paio di pinze ed a raccogliere due campioni di pozione. Il cuore di Harry perse un battito quado vide gli occhi del suo professore meno amato illuminarsi un attimo; in tutti quegli anni non aveva mai visto un’emozione che non fosse il disprezzo in quello sguardo quando gli si avvicinavano.

“Molto bene.” esordì posando le fiale sul banco. “Siete riusciti a rimediare al disastro di ieri. Provatene gli effetti.” concluse con un’espressione indecifrabile stampata sul volto. “Poi potete andare”. Detto ciò Harry vide, si riavviò verso la cattedra per rimettersi a scrivere attentamente. Harry era sbalordito; quello che aveva sentito era forse la cosa più simile ad un complimento che Piton gli avesse mai detto in cinque anni e francamente non se lo sarebbe minimamente aspettato.

Malfoy lo riportò alla realtà afferrando la fiala e trangugiandone di colpo il contenuto. Harry prese la sua e fece lo stesso. All’improvviso, non aveva fatto in tempo a mandare giù l’ultimo sorso che la sua mente parve come distendersi. Era un effetto mai provato prima, si sentiva la testa come leggera ed al tempo stesso avvertiva un profondo senso di pace, qualcosa che non si sarebbe mai sognato di provare mai nel sotterraneo di Piton. Girando poi la testa vide Malfoy con un’espressione calma e distesa, come non aveva mai visto. Era come quell’attimo del giorno prima ma ancora più evidente; non vi era traccia di malizia nelle iridi argentate, così come di astio, odio o risentimento di alcun tipo quando i loro sguardi s’incrociarono.

“Bel lavoro, Potter” disse all’improvviso questi dandogli la mano e sorridendo.

“Anche il tuo, Malfoy” rispose Harry d’istinto, senza pensare, rispondendo al sorriso. Si sentì improvvisamente pieno di gioia quando le loro mani si strinsero.

Quando si lasciarono, Harry provò una ventata di emozioni scorrergli dentro. Non ebbe il tempo di riflettere però che il giovane Serpeverde, raccolte le sue cose, lo salutò con un cenno del volto prima di dirigersi verso la porta d’uscita. Anche Harry fece lo stesso, la testa piena d’ovatta, come non riuscendo a connettere ciò che aveva appena fatto o il turbinio di emozioni e di felicità che gli era esploso nel petto.

“Potter, Malfoy…Non dimenticate le buste di Madama Umbridge” la voce di Piton lo riportò alla realtà mentre vide due grandi buste posate sul lato strano della scrivania. Lo sguardo del professore di Piton era annoiato, quasi infastidito si disse Harry, mentre prese la sua e passò l’altra a Malfoy.

Uscendo dall’aula vide il suo compagno di punizione allontanarsi a passo spedito, poi all’improvviso bloccarsi. Voltandosi vide lo stesso sorriso di un momento prima stampato sul suo volto prima di aprire la bocca e con un lieve rossore sulle guance dire a voce bassa:

“Ciao, Harry”.

“Ciao Draco” gli rispose lui d’istinto.

L’altro si girò di colpo e riprese quello che sembrava un passo di marcia prima di sparire da una porta laterale del corridoio ad elle che portava al sotterraneo di Piton.

Harry rimase lì bloccato per diversi minuti, come inebetito con un sorriso stampato sul volto. Quando la sua testa si rimise in moto, fu come uscire da uno stato di trance; prese a salire nella lunga strada verso la torre di Grifondoro. Ad ogni rampa, Harry sentì la testa farsi più pesante e si costrinse a rimettere a fuoco ciò che era successo nei dieci minuti precedenti. Ancora era tutto strano, ma nel suo cervello si fece improvvisamente largo la sensazione di una nota stonata.

Fu solo quando, entrando nella sala comune semideserta che Harry iniziò a rendersi conto di ciò che era successo; sedendosi su una delle poltroncine accanto al fuoco e buttando il plico che teneva in mano sul divanetto accanto, il giovane Grifondoro prese a guardare le fiamme nel caminetto. Ron e Hermione non c’erano ed egli fu grato di ciò. Mentre si prendeva la testa fra le mani, ciò che era avvenuto nel sotterraneo gli cadde addosso come un gigantesco masso; non poteva credere a quello che era accaduto: di aver fatto i complimenti a Malfoy, di avergli stretto la mano, di avergli sorriso e addirittura chiamato per nome…quasi come se fosse…un amico.

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Daniel seguì Colin per le lunghe scalinate e corridoi che portavano ai piani più alti del castello. Per più di una volta in quel lungo viaggio tentò di strappare informazioni al Grifondoro su quale fosse la loro effettiva destinazione ma riuscì ad ottenere solo una breve risposta prima che l’amico lo squadrasse con sguardo incredibilmente serio e gli dicesse sottovoce, indicandogli con occhi di fuoco di fare silenzio:

“E’ un segreto, devi fidarti di me e non fare domande.”

Daniel si sentì molto strano ma decise di fidarsi di Colin e si ricacciò dentro le domande che gli erano sorte in quella lunga scarpinata che stavano facendo. Era strano vedere Colin così serio e guardingo.

“Come se stesse nascondendo un segreto da un milione di galeoni” pensò dentro di se all’ennesimo cambio di direzione e l’ennesima scalinata verso l’alto. Proprio quando la sua curiosità stava per tradire Daniel con una nuova domanda, Colin si fermò di colpo a metà di un lungo corridoio; erano al settimo piano.

Daniel osservò il grande arazzo appeso sul muro; raffigurava una scena in tre parti. Nella prima, un mago vestito in modo molto eccentrico aveva appena scoperto quello che sembrava un accampamento di Troll delle Colline e sembrava al settimo cielo per questo; al seguito aveva un mulo soverchiato sacche e piccoli bauli di vari colori. Nella seconda scena il protagonista sembrava cercare d’insegnare la danza ai Troll che inaspettatamente sembravano indugiare in quella follia. Nella terza si vedevano scene di bastonamenti ripetuti sul protagonista quando, Daniel si disse, qualcosa doveva essere andato storto, alcuni troll erano franati su alti, non stando in equilibrio provocando una gigantesca rissa. Daniel represse un risolino quando vide il titolo del grande arazzo, ricamato nella parte bassa in posizione centrale: Barnaba il Babbeo bastonato dai Troll.

Colin sembrò ignorare l’arazzo e con un colpetto di tosse attirò l’attenzione di Daniel.

“Siamo arrivati” disse con tono serio. “Devi promettermi una cosa Dan, da amico ad amico, devi giurare che mai rivelerai l’esistenza di quello che vedrai d’ora in poi.”

Daniel guardò l’amico incredulo. Tutta quella segretezza non solo non gli sembrava affatto tipica di un Grifondoro, figurarsi di un tipo generalmente eccitato ed iperattivo come Colin Canon.

“Ma cosa…” esordì Daniel, solo per essere bloccato da Colin che gli toccò la mano destra.

“Giura….è importante.” gli disse Colin guardandolo negli occhi.

Daniel si sentiva stranamente a disagio ma finora Colin si era dimostrato un buon amico e si disse meritava un gesto di fiducia, probabilmente si disse, tutta quella segretezza era per evitare di essere sabotati come gli era capitato l’anno prima per colpa di Malfoy.

“Malfoy…” disse Daniel dentro di sé. Chissà cosa stava facendo Draco in quel momento. Si sentiva a disagio per il loro ultimo incontro e si ripromise di cercare di riparlarci alla prima occasione buona.  

“D’accordo, Colin. Giuro di non rivelare nulla di quello che vedrò, a nessuno” disse, ponendo l’accento sull’ultima parte della frase.

A queste parole Colin cambiò improvvisamente espressione, riacquistando il suo tono amichevole e pieno di energia.

“Bene, ottimo. Allora Dan…” cominciò schiarendosi la gola e guardando se il corridoio era sgombro.  “Tu resta fermo qui, non muoverti mi raccomando.” concluse.

Detto questo Colin iniziò ad allontanarsi da lui come per proseguire oltre verso sinistra, fatti una decina di passi però si volto indietro con la fronte corrugata. Superatolo nell’altra direzione improvvisamente Colin si voltò di nuovo e ripeté quest’ andirivieni per altre due volte, sotto lo sguardo attonito di Daniel che cominciò a chiedersi se il giovane Grifondoro non avesse per caso battuto la testa di colpo.

Stava per pronunciare una parola che all’improvviso, girandosi verso Colin, adesso fermo accanto a lui, vide che qualcosa era comparso nel muro, immediatamente sotto l’arazzo: una porta.

“ Ma che diavolo…?!” disse Daniel massaggiandosi gli occhi incredulo.

“Sta tranquillo non è un’allucinazione. Seguimi, una volta dentro ti spiegherò tutto” disse Colin prima di varcare la porta e lasciandola mezzo socchiusa per l’amico che lo seguì a ruota.

 “Wow!” esclamò Daniel appena entrato. Si trovava in un’ampia sala rettangolare con un grande telo bianco ad un’estremità, molte piccole poltroncine imbottite erano appoggiate contro i due lunghi muri lunghi laterali, mentre nel centro su due grandi tavoli si trovavano rispettivamente quello che sembrava un proiettore cinematografico babbano mezzo smontato e una piccola scatola quadrata metallica su cui erano presenti numerosi bottoni e rotelle colorate che Daniel non aveva mai visto; l’intera stanza sembrava un prototipo di una piccola sala cinematografica.

“Incredibile, vero?” gli disse Colin con gli occhi grandi come galeoni, ammirando il suo più grande tesoro.

“Direi…” rispose Daniel esterrefatto. Nemmeno nei suoi sogni più incredibili avrebbe mai immaginato che i fratelli Canon si fossero imbarcati in qualcosa di così grande.

“C’è voluta tutta l’estate per arrivare a questo punto…” gli disse Colin facendogli cenno di avvicinarsi al proiettore mezzo smontato. “Ma ne sta valendo la pena…” aggiunse con un sospiro di soddisfazione.

“Cavolo Colin, ma come avete fatto a comprare tutte queste cose, saranno costate una fortuna!” disse Daniel incredulo, guardandosi attorno.

“Beh sì, ci sono voluti tutti i risparmi miei e di Denis per i componenti necessari per il proiettore ed il mixer ma non abbiamo comprato di certo tutto quello che vedi in questa stanza!” disse Colin.

“E allora…” fece per ribattere Daniel.

“C’era già tutto in questa stanza. Non so ancora perché. Abbiamo trovato questa stanza per caso, dopo l’incidente con quello scemo di Malfoy, e dentro c’era già tutto quello che vedi. E’ sempre stato tutto qui!” aggiunse all’espressione dubbiosa del giovane Tassorosso.

“Vuoi dirmi che ad Hogwarts c’era già una sala cinematografica Colin?” gli rispose Daniel sempre più incredulo.

“Beh, potrai non crederci ma è così.” asserì il Grifondoro con un candore disarmante. “Tutto quello che vedi era già qui, non so per quale motivo questa stanza è nascosta da qualche incantesimo e può essere trovata solo se si desidera ardentemente un luogo dove lavorare, ed un giorno spero proiettare, un film”.

“E’ per questo che prima sei passato davanti all’arazzo tre volte avanti e indietro?” chiese l’amico, guardandosi attorno ancora scettico.

“Esatto, da quanto abbiamo capito io e Dennis, questo è l’unico modo di far comparire la porta d’ingresso.”

Daniel istintivamente sentì qualcosa battergli contro il fianco nella tasca del mantello ed istintivamente allungò la mano per tirare fuori il suo cubo di Rubrik. Poi con aria interrogativa chiese a Colin:

“Come mai mi stai mostrando tutto questo se ancora non sono stato capace di risolverlo?” chiese con una punta di vergona nella voce. Ci aveva lavorato su diverso tempo da quando Colin glielo aveva dato ma senza grandi risultati, purtroppo.

“L’obiettivo di quel cubo non era certo risolverlo.” gli disse Colin con un sorriso, facendogli cenno di avvicinarsi al tavolo dove lui aveva preso ad armeggiare con un paio di pinze ed una piccola rotella metallica.

Con un rumore inaspettato Daniel sentì la porta dietro di se aprirsi e Denis Canon entrare rapidamente seguito a ruota da Luna Lovegood, talmente assorta che sembrava aver seguito il minore dei Canon quasi per caso.

“Luna…” la salutò il giovane Tassorosso con un cenno della mano, avvicinandosi.

“Daniel Nightingale…è da un po’ che non ci vediamo” aggiunse Luna mettendolo a fuoco dopo aver dato una lunga occhiata in giro per la stanza.

“I Gorgosprizzi ti hanno confuso vedo…” disse la ragazza fissando curiosa la testa di Daniel inarcando la testa leggermente di lato, come ad osservare un punto che Daniel non riusciva a vedere. Di nuovo il ragazzo si sentì come trapassato dallo sguardo della ragazza, era la sensazione strana che aveva provato sull’espresso per Hogwarts.

Daniel distolse lo sguardo quando vide il piccolo cubo che la ragazza stringeva nella mano destra ed il suo cuore perse un battito.

“Sei riuscita a risolverlo!” esclamò incredulo il ragazzo.

La ragazza sembrò prestare poca attenzione all’esclamazione di Daniel, invece girando la testa improvvisamente dall’altra parte aggiunse: “Sì, i Gorgosprizzi ti hanno davvero conciato male” esordì, poi la sua espressione si schiuse in un leggero sorriso: “Sei perdonato…” aggiunse.

“Sì, beh, non riesco a crederci nemmeno io.” Intervenne Denis mentre il fratello smise di avvitare una rotella del proiettore ad un bullone laterale e fissò la mano di Luna, rimanendo sbigottito.

“Comunque, ora che siamo tutti e quattro qui, direi che possiamo iniziare” aggiunse il minore dei Canon.

“Beh…” esordì Daniel staccando gli occhi dal cubo di Luna. “Immagino che stiate cercando di costruire una specie di….cinema.” disse Daniel indicando i due tavoli pieni di componenti smontate.

“Esatto!” intervenne Colin con un sorriso così grande che ci si sarebbe potuta entrare tutta la sua macchina fotografica dentro. “Avete mai pensato a cosa potremmo realizzare come maghi di quest’invenzione babbana? Non fraintendetemi è già grandiosa così com’è!” disse con espressione di sognante eccitazione.

“Potremmo realizzare un cinema come nessuno ha mai visto!” intervenne Denis condividendo tutta l’eccitazione del fratello. “Pensate, i maghi non sanno niente di tutto ciò. A stento conoscono la fotografia ma ignorano cosa potremmo realizzare con tutto questo!”

Daniel si fermò a pensare per un attimo. Effettivamente Colin e Denis non avevano tutti i torti; molti dei suoi compagni non sapevano niente di molte invenzioni babbane ed era altrettanto vero che i maghi, anche in Nuova Zelanda, vivendo separati dai babbani, non consideravano molto la tecnologia. Effettivamente la prospettiva di creare con la magia un cinema completamente in tre dimensioni era fantastica. Non ci aveva mai pensato in questi termini.

“Carina come idea, mi piace!” aggiunse Luna avvicinandosi al proiettore davanti a Colin per osservarlo più da vicino; i suoi grandi occhi sporgenti si concentrarono sul foro dove si sarebbero dovute trovare le lenti. “Esattamente cosa possiamo fare io e Daniel per aiutarvi?” chiese.

“Beh, ci sono diversi problemi nel far diventare questo sogno realtà, la costruzione meccanica del proiettore…” esordì Colin

“E del mixer per il sonoro….” intervenne Denis

“…visto che i progetti babbani sono non difficili da capire, di più e ancor più importante la ricerca di una fonte di energia.” disse Colin adombrandosi in volto.

“Cosa intendi con una fonte di energia?” chiese Daniel incuriosito.

“Beh, non so se lo sapete, ma i macchinari dei babbani non funzionano ad Hogwarts.”

“Per via delle protezioni magiche della scuola” intervenne Luna.

“Esatto” intervenne Colin con un cenno di assenso. “Gli incantesimi a protezione del castello rendono impossibile il funzionamento di congegni babbani di qualsiasi natura. Non sappiamo come, ma è così.”

“E come pensate di superare la cosa?” chiese Daniel.

“Beh ancora non lo sappiamo con certezza…” disse Colin.

“La pista più promettente però riguarda il libro “Conoscenza e potere. Studi non canonici di magia applicata” di Herbert Von Hoenfels” disse Denis prendendo un libro da sotto il tavolo con sopra i vari pezzi del mixer.

Daniel e Luna gli si avvicinarono incuriositi; anche Colin smise di lavorare al proiettore e si unì a loro.

“Dov’era….ecco qui.” Disse Denis svogliando le pagine di un libro molto vecchio e sdrucito in più punti.

“Questo è una delle poche copie esistenti di “Magia applicata” di Albert Pell, dio lo abbia in gloria.” Esordì Denis alzando gli occhi al cielo.

“Amen, fratello” gli fece eco Colin sedendosi son loro attorno al banco di lavoro. Vedendo gli sguardi persi di Daniel e Luna si affrettò a precisare:

“E’ uno dei pochissimi maghi che hanno davvero esplorato gli studi di babbanologia ad un livello avanzato. E’ stato un mago morto circa quarant’anni fa che ha analizzato tutti i più comuni fenomeni tecnologici babbani dal punto dei vista dei maghi. E’ la nostra bibbia da quando siamo nati praticamente.”

“Cavoli se ne sapete, effettivamente noi maghi sappiamo poco delle invenzioni babbane, sarà forse che dopo lo statuto di Segretezza abbiamo sempre vissuto separati o quasi…” disse il giovane Tassorosso pensando a voce alta.

“Esatto Daniel!” esclamò Colin raggiante. “Vedi praticamente nessun mago ha studiato a fondo i babbani quanto Pell ma il libro è molto scarno quando si vanno a trattare fenomeni eccessivamente complessi, come alimentare un proiettore in un campo d’incantesimi che in qualche modo interferisce con l’elettricità”.

“Elettricità…” disse Luna intervenendo per la prima volta nella conversazione. Fino a quel momento la ragazza era stata in silenzio ad osservare attentamente i vari pezzi del mixer smontato sul banco di Denis.

“Come quella dei fulmini? E’ così che i babbani fanno funzionare i loro macchinari?” chiese incuriosita.

“Sì, esatto.” le rispose Denis raggiante. “E’ difficile da spiegare…. In ogni caso se v’interessa davvero aiutarci dovremmo recuperare un libro dalla sezione proibita.” Concluse il ragazzo abbassando la voce, come temendo di essere sentito da orecchie invisibili.

“Conoscenza e potere.” E’ un libro di un mago tedesco che viene citato dallo stesso Pell. Tuttavia Hoenfels è stato anche un mago oscuro tedesco d’inizio secolo…per questo il libro si trova nella sezione proibita.”

“Ferma, ferma, ferma…” intervenne Daniel spiazzato. “Come può servirvi un libro di arti oscure per le ricerche su come alimentare un proiettore? Non ha senso.”

“E qui ti sbagli, Dan.” gli disse Colin con un’occhiata leggermente contrariata. “Hoenfels non è stato sempre un mago oscuro, anzi, è stato uno dei primi seguaci di Grindelwald e prima di diventarlo è stato un grande sperimentatore. Se Pell lo cita esplicitamente nel capitolo sugli studi sull’elettricità è la migliore pista che abbiamo.” concluse il giovane Grifondoro con l’aria di chi non ammetteva repliche.

Daniel era basito, mai avrebbe pensato che i fratelli Canon avessero raccolto così tante informazioni su un argomento del quale in generale non aveva mai sentito parlare ma che certamente gli suonava assai affascinante e cioè il rapporto fra tecnologia e magia. Tuttavia un contro era l’interesse che quel pomeriggio gli stava riservando, un’altra cosa la prospettiva di intrufolarsi in biblioteca sotto lo sguardo onnipresente di Madama Prince.

“A parte tutto…” continuò Colin vedendo l’esitazione di Daniel, “per ora abbiamo molto da fare a tentare di assemblare il proiettore ed il mixer, queste istruzioni babbane sono davvero complicate, ci servirebbe una mano per venirne a capo…” disse rivolto a Luna.

 La ragazza lo guardò con aria sognante per qualche istante poi gli disse: “Potete contare su di me, ragazzi, anche per entrare in biblioteca, sarà una bella avventura.” disse con una punta di eccitazione nella voce che spiazzò completamente Daniel. Il ragazzo non fece in tempo a riprendersi che vide che tutti gli sguardi si erano concentrati su di lui in attesa di una sua risposta.

Il ragazzo fece per riflettere un attimo. La cosa gli interessava molto, era un progetto che lo affascinava ma nutriva seri dubbi sul rubare un libro dalla sezione proibita. Tuttavia dopo un lungo istante d’esitazione il giovane Tassorosso decise di cedere.

“Va bene, contate anche me…per tutto” si affettò ad aggiungere. Sapeva di stare per cacciarsi nei guai ma qualcosa d’irrazionale in lui ebbe la meglio in quel momento.

“Evvai!” esclamarono all’unisono i fratelli Canon, eccitatissimi. Anche Luna gli sorrise, dandogli un colpetto sulla spalla. Il ragazzo sentì una buffa sensazione di formicolio allo stomaco a quel contatto.

“Questo richiede un brindisi!” esclamò Colin, iniziando a rovistare sotto il suo banco e tirandone fuori dopo alcuni secondi una burrobirra e quattro vasetti di vetro, apparentemente ex contenitori di chiodi e componenti elettronici.

“Purtroppo non abbiamo bicchieri, ma li abbiamo lavati due volte.” disse Denis porgendone uno a tutti. Daniel prese il suo e vide che aveva una “DA” scritta sopra a pennarello nero; “Niente male per un progetto segreto” pensò.

“A noi…” esordì Colin gonfiandosi il petto. Poi guardando le lettere scritte sul suo bicchiere disse: “I CO”

“DE” gli fece eco Dennis alzandosi in piedi così velocemente che per poco mezza burrobirra non gli colò sul banco.

“LU” proseguì Luna divertita come non mai. Daniel si stupì nel vederla sorridente…completamente.

“DA” esclamò Daniel cercando di suonare convinto. “Codeluda…che nome schifoso…pensò Daniel ma se lo tenne per sé. Non voleva rovinare l’atmosfera. Per un secondo gli tornò n mente un vecchio ricordo di Aotearoa ma il ragazzo lo ricacciò indietro con forza.

Con tutte le sue forze si costrinse a guardare solo al momento davanti a sé. Si stava mettendo in un bel guaio, ne era sicuro. Magari lui, Colin, Denis e Luna sarebbero diventati un giorno i primi cineasti del mondo magico, ma prima di allora, qualcosa gli disse dentro di sé, ne sarebbero dovute succedere delle belle.

 

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Capitolo 13
*** Difficili domande ***


Luna superò saltellando la statua di Gunhilda di Gorsemoor, la collana di tappi di burrobirra che le solleticava dolcemente il collo, diretta verso l’estremità opposta del corridoio est del terzo piano, con diverse domande che le frullavano per la testa.

La sera prima aveva aperto lo strano plico che le era piovuto addosso nella radura in cui avena conosciuto Theodore Nott, ancora non capiva il perché di quel lunghissimo questionario che vi aveva trovato all’interno. Ad una prima lettura le era sembrato che inaspettatamente al ministero avessero una valanga di domande da porre ad una quattordicenne come lei, ma scorrendo la lunga lista un pensiero strano le si era materializzato in testa; non sapeva perché ma c’era qualcosa d’inusuale in quella lista infinita. Luna non sapeva se erano gli avvertimenti di suo padre sui ripetuti complotti al ministero che le avevano fatto materializzare in testa questo pensiero, ma certamente anche lei aveva sentito puzza di bruciato, anche se non sapeva ancora spiegarsi il perché; era un enigma intrigante quasi quanto quello del cubo di Rubik.

Fu la vista di Galen a riportarla con lo sguardo fisso sul corridoio; il ragazzo era da solo e si guardava ogni tanto attorno con fare strano ci fosse un impalpabile pericolo che potesse aggredirlo di colpo, uscendo come un basilisco dalle pareti di pietra. La giovane Corvonero lo osservò per qualche istante, poi appurato che non ci fosse nessuno pronto a giocargli qualche brutto scherzo, gli si avvicinò e con voce sognante gli disse:

“Ciao Galen, come stai?”

Il ragazzo a queste parole fece un balzo all’indietro e per poco non sbatté la testa sulla mano destra della statua della vecchia guaritrice. Guardandosi poi davanti, la sua espressione ansiosa e guardinga si allentò alla vista dell’amica.

“Ciao Lu…Luna, che pa…paura non ti a…avevo vi…vista!” disse il ragazzo con le guance che si coloravano di un leggero colorito rosato.

“Che succede Galen, mi sembri particolarmente agitato, c’è qualcosa che non va?” chiese la ragazza con fare preoccupato, toccandogli il braccio destro. Non era mai un buon segno quando l’amico balbettava così tanto.

Al contatto il ragazzo si lasciò sfuggire un leggero lamento di dolore.

“Scusami…” disse Luna mortificata. “Ti fa ancora male?”

“No, so…solo a str…stringe…stringerlo ma mada…madama Chips mi ha de…detto che sa…sarebbe stato no…normale per qualche gio…giorno.” disse Galen arrossendo e abbassando lo sguardo, una smorfia di disappunto dipinta sul volto.

Luna non disse niente. Sapeva che quel pomeriggio c’era la prima riunione al completo della squadra di Tassorosso e probabilmente Galen doveva essere un fascio di nervi al pensiero di dover affrontare il suo primo allenamento con il braccio principale ancora indolenzito.

“Stavo per dimenticarmi…” le disse Galen porgendole la collana di tappi di burrobirra che gli aveva prestato per il suo provino come cercatore.

Luna gli fissò per una frazione di secondo la mano aperta, poi con un sorriso gli allungò sopra una della sue a chiudergli il palmo a pugno. Galen la guardò stupito.

“E’ tua. Ti ha portato fortuna e sono convita che continuerà a farlo” disse, sorridendogli. In quel momento la campanella li fece voltare entrambi; avevano pochi minuti per raggiungere l’aula di Antiche Rune, prima dell’inizio della lezione.

I due si guardarono negli occhi per un istante, un lampo saettò nei loro sguardi prima che i due pronunciassero assieme le stesse parole, prima di fiondarsi a capofitto verso l’estremità opposta del corridoio: “Chi arriva per ultimo è un troll balbuziente!”

Galen e Luna varcarono assieme la porta dell’aula, il fiato corto dopo la lunga corsa, attirando su di loro molti degli sguardi dei presenti. Luna tuttavia distolse subito l’attenzione da due ragazze che stavano mormorando qualcosa con gli sguardi rivolti verso di lei. L’aula era sistemata in modo molto differente da come se la ricordava; i banchi erano stati spostati sul fondo della stanza lasciando un grande spazio vuoto di fronte alla cattedra, anch’essa messa in cima; i vari studenti si trovavano ognuno nei pressi di una runa, replicata ad intervalli regolari sul pavimento.

“Luna Lovegood e Galen Brannis, suppongo?”

Luna portò l’attenzione sulla parete dell’aula dietro di sé per vedere una donna bassa e mingherlina, sulla trentina, sguardo acuto dietro un paio di grandi occhiali che la facevano assomigliare stranamente ad una civetta, i capelli neri portati all’indietro in una piccola coda.

“Sì” risposero in coro i due.

“Io sono la professoressa Sarah Ginsburg” disse la strega, squadrandoli con interesse. A Luna piacque immediatamente lo sguardo della donna di fronte a sé, sembrava dolce e determinato al tempo stesso, pareva stare pensando a una miriade di cose nella frazione di qualche secondo. Le ricordò molto due occhi che non vedeva più da molto tempo e a questo pensiero Luna si sentì molto triste.

“Prego, posizionatevi ognuno su una postazione libera” disse indicando loro due rune rimaste libere all’estremità sinistra dell’aula, accanto ad una delle grandi finestre sul lato ovest. Pochi istanti dopo la campanella suonò nuovamente.

Galen dire a Luna una cosa, ma il suono della campanella gli ricacciò un balbettio in gola; la giovane Corvonero portò lo sguardo dal volto dell’amico alla professoressa Ginsburg che si era andata a sistemare davanti alla cattedra.

“Buongiorno a tutti e benvenuti ad un altro anno di Antiche Rune. Il mio nome è Sarah Ginsburg e da quest’anno sarà la vostra nuova insegnante.”

Un mormorio di assenso si diffuse per tutta l’aula per qualche attimo, prima che la donna parlasse di nuovo.

“Le antiche rune sono come uno scavo nel passato; una lingua che per secoli i maghi hanno tentato di studiare comprendendo concetti spesso espressi secondo una logica antica. Tuttavia fino a pochi anni fa eravamo riusciti solo a comprendere alcuni concetti, ancor meno a metterli in pratica.

“Vuol dire che le rune sono come un alfabeto?” chiese una ragazza con i boccoli rossi in prima fila che Luna non riconobbe.

“Sì, in un certo senso, Diana.” le rispose la donna accennando un sorriso.

“Vedete voi avete sempre studiato le antiche rune, come parole di una lingua perduta, meglio ancora ideogrammi se siete familiari con lingue orientali come cinese e giapponese.”

Molti si scambiarono mormorii dubbiosi.

“Ora…” esordì la professoressa nuovamente. “Quello che avete sotto i vostri piedi è la runa che simboleggia il fuoco: Ifrit. Voglio che vi esercitiate a pronunciare questa parola, scandendo bene le vocali e, nel contempo, cercando con la bacchetta di ricalcare il disegno ai vostri piedi. Più precisi sarete e maggiore sarà l’invocazione che otterrete.”

Un lento inizio di movimenti di bacchette riempì la stanza. Luna dal canto suo cercò di concentrarsi al meglio prima di provare a ricopiare lo strano simbolo che aveva ai piedi. Mentre pronunciava la parola “Ifrit”, tuttavia, la ragazza si sentì strana; nel petto per un istante le si era materializzato un forte sentimento dirompente, come uno scoppio. Questo d’istinto lasciò il posto subito dopo a brutti ricordi, tanto che la ragazza abbassò d’istinto la bacchetta.

“Tutto bene , Luna?” le chiese Galen alla sua destra, vedendo l’espressione triste dell’amica.

“No, non è niente” disse Luna riguadagnando il suo classico tono sognante. Fu allora che la professoressa Ginsburg parlò di nuovo a voce alta.

“Basta così, ragazzi. Ascoltatemi tutti. Vedo che avete molta pratica da fare ma dovete ricordare che oltre alla precisone del movimento dovete scandire bene la pronuncia se volte sperare di invocare anche la più tenue fiamma.”

Fece una pausa in cui molti si scambiarono sguardi interrogativi, Galene e Luna compresi.

“Dovete inoltre sapere che le rune reagiscono fortemente allo stato emotivo di chi le usa. Permettetemi di mostrarvi.”

In una frazione di secondo la donna con estrema velocità saettò arcate veloci e precise con la bacchetta pronunciando l’invocazione con un grido potente, molto in contrasto con il tono calmo e pacato usato fino a quel momento. In un lampo un grande fascio di fiamme si sprigionarono dalla sua bacchetta e congiungendosi con un disco proveniente dai suoi piedi l’avvolsero per un’istante quasi a prendere forma prima di dileguarsi nel nulla, di colpo.

L’atmosfera nell’aula era tesa più di una corda di violino. Una ragazza davanti a loro spezzò l’incantesimo pronunciando un sonoro “Wow” provocando una leggera risata che spazzò via la sensazione di stupore mista ad un pizzico di paura che sembrava aveva contagiato tutti. Luna dal canto suo non aveva mai visto niente del genere prima d’ora.

 “Quello che avete visto è la corretta pronuncia della runa del fuoco. Ora, cosa avete notato di diverso rispetto ai vostri tentativi?” disse la professoressa camminando tra di loro lentamente con sguardo attento.

“La velocità” disse un Corvonero qualche fila davanti a quella di Luna.

“Non è la cosa principale, Arthur” gli rispose la donna accennando ad un sorriso. “In realtà voi potreste eseguire il movimento con estrema lentezza ed ottenere lo stesso risultato”.

“La precisione dei movimenti” intervenne una Tassorosso dietro di loro.

“Giusto Jane, ma non solo” le rispose la donna.

“Il cambio nella sua voce” intervenne Luna

La professoressa Ginsburg si voltò verso la giovane Corvonero. Anche se molte fila davanti a lei sembrava averla sentita benissimo.

“Esatto, Luna.” le disse avvicinandosi.

La ragazza ne rimase molto colpita, sembrava come se riuscisse a percepire un’emozione di vivido interesse nei suoi confronti provenire dalla professoressa.

“Ora, per favore prendete posto ai vostri banchi e tirate fuori Antiche Rune – Livello base e passiamo alla parte teorica di Ifrit, la runa del fuoco. Pronunciate queste parole la donna con un rapido gesto della bacchetta riportò i banchi al loro posto, ridando all’aula il classico aspetto di sempre.

Luna sedendosi scambiò uno sguardo con Galen mentre entrambi aprivano i loro libri al capitolo indicato; tutti e due erano molto impressionati da quello che avevano visto. La ragazza dal canto suo si chiese dentro di sé come fosse possibile che una materia che era sempre stata più come lo studio di una lingua morta si fosse dimostrata di colpo, tramite la professoressa Gisburg, come una lingua vera, capace di magie potenti anche se difficili da padroneggiare.

“Se…Secondo te co…cosa è suc…successo alla pro…professoressa Babblig?” chiese sottovoce Galen a Luna, con evidente sguardo sorpreso rivolto alla sua compagna di banco. La ragazza si prese un secondo per riflettere: era chiaro che il pensionamento della professoressa Babbling doveva aver a che fare col cambio di passo con cui venivano insegnate ora le Antiche Rune, ma cosa potesse aver provocato un tale cambiamento, era la vera domanda a cui non sapeva dare una risposta. Sul Cavillo non le era mai capitato di leggere niente di strano o inusuale sulle antiche rune nell’ultimo anno e quindi si trovava senza molto su cui riflettere.

“Come potete leggere al primo capitolo, le rune sono un alfabeto che a differenza di singole lettere è composto da parole. Ognuna di queste parole è associata ad un simbolo chiamato runa, lo studio di come si legge una runa è chiamato fonetica runica ed è ciò che ha permesso di decodificare come i vari segmenti che compongono una runa siano in realtà suoni fonetici interconnessi; per farvela semplice una runa nella sua rappresentazione porta in sé due informazioni, come deve essere pronunciata, la fonetica appunto, e come deve essere eseguita in termini di movimenti della bacchetta.”

“Ma  le emozioni allora perché sono importanti?” intervenne una giovane Corvonero.

Perché, Hanna…”, disse la donna rivolta ad una ragazza seduta due banchi alla sinistra di Galen, “E’ stato visto che rune diverse rispondono a stati emotivi diversi. In parole povere eseguire la runa del fuoco in condizioni di completa tranquillità emotiva non ha lo stesso risultato che eseguirla nel caso di una profonda passione ad esempio. Questo tuttavia non è argomento del corso fino al sesto anno, essendo una parte molto avanzata.”

Con un leggero cenno della testa la professoressa continuò: “Il motivo per cui, fino a pochi anni fa, lo studio delle antiche rune si esplicasse in un approccio prevalentemente teorico, era perché non sapevamo come leggere le rune, o meglio, sapevamo soltanto la fonetica. E’ stata la scoperta in Siria della Stele di Homs, una tavola di granito in cui alle rune indicate come simbolo, erano associati simboli fonetici e altri che ne indicavano l’esecuzione che gli studiosi sono stati in grado di decifrare completamente il linguaggio runico.”

La penna di Luna aveva già riempito parecchie una pagina buona dall’inizio della lezione e la ragazza smise un attimo di prendere appunti, sentendo un leggero fastidio al polso. Guardando alla sinistra Galen vide che anche l’amico stava scrivendo tutto interessato. La ragazza sorrise contenta che quella strana prima lezione di antiche rune, fosse riuscita a distogliere la mente dell’amico, ameno per un’ora dal pensiero del primo allenamento di Quidditch della stagione.

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Daniel si dette un’ultima passata di tintura bianca sulle dita della mano destra osservando come i sottili tratti neri sulle nocche sottolineavano ancora di più le articolazioni. Con un’ultima occhiata nello specchio dello spogliatoio vide su di se lo sguardo ancora incredulo di Heidi Macavoy:

“Ma come fai ad avere la pazienza di conciarti così ogni volta, Nightingale? E perché poi, non riuscirò mai a capirlo.” disse la ragazza scuotendo la testa, avvicinandoglisi da dietro.

Daniel incrociò per un istante lo sguardo di Galen che lo osservava dalla panca più in fondo ed anche quella volta fu contendo di essersi ripassato più volte lo strato di tintura nera sul volto. Facendo un sospiro e cercando di controllare il picco di tensione che gli era appena salito dentro,  disse, rivolto alla compagna:

 “E’ come indossare un abito Macavoy, un abito che ti piace talmente tanto portare che riesce ad infonderti qualcosa di magico ogni volta!” disse il ragazzo guardandola dritto negli occhi, sfidando il suo malcelato scetticismo.

“Finché farai delle parate come l’ultima volta per me ti puoi anche vestire da Babbo Natale e  portarti pure le renne se vuoi, Daniel” intervenne Anthony Rickett, con una mano posata sul retro della folta chioma di capelli rosso fuoco  e l’altra che stringeva la mazza da battitore posata sulla spalla destra.

Maxine e Erik dietro di loro scoppiarono in una sonora risata mentre la porta dell’ufficio del capitano si apriva, facendo entrare la sagoma alta e slanciata di Zacharias Smith; il ragazzo teneva in mano la scopa e con l’altra una serie di fogli di pergamena. Al suo ingresso tutti si voltarono verso di lui tacendo immediatamente, vedendo lo sguardo di fuoco nei suoi occhi.

Posati i fogli sulla panca centrale in mezzo agli spogliatoi, il ragazzo si schiarì la voce:

“Bene, siamo di nuovo una squadra.” disse squadrando tutti i suoi compagni.

Daniel vide il suo sguardo indugiare un istante di più sull’esile sagoma di Galen. Daniel percepì all’istante una nota di disagiò nel suo sguardo, prima che Zacharias continuasse.

“Quest’anno ci saranno diversi cambiamenti e non parlo solo dei due nuovi membri della squadra. Ho passato tutta l’estate a studiare un nuovo programma di allenamenti e con l’aiuto di qualche lettura recente l’ho perfezionato al meglio. Dunque:

“I Cacciatori” disse rivolto a Erik e Heidi. “Noi dobbiamo lavorare sui retropassaggi e sui passaggi in generale. Dobbiamo diventare molto più abili a passarci la pluffa. Troppo spesso veniamo placcati e non sempre riusciamo a vincere i contrasti specie in inferiorità numerica. Dobbiamo diventare più agili, anche a scapito della velocità dell’azione, almeno all’inizio. Dobbiamo farla ballare fra di noi quella pluffa così da mettere in difficoltà sia i battitori che i cacciatori avversari. Oltre a questo dobbiamo imparare a passare indietro e ancora di più a farlo alla cieca.”

“Come?” intervenne Heidi, incredula.

“Semplicemente facendolo. Dobbiamo studiare sempre la nostra posizione nel campo, questo sarà un altro punto su cui dobbiamo lavorare tutti, dobbiamo sempre aver chiaro dove si trovano gli altri compagni di squadra. Meno azioni in solitaria e più squadra. Per i retropassaggi, se uno di noi tre si trovasse in evidente difficoltà deve passare la palla confidando sul fatto di avere il coda, ma esattamente in coda, un altro di noi.

Heidi e Maxine si scambiarono uno sguardo dubbioso, ma rimasero entrambe in silenzio.

Per i battitori invece…Antony e Maxine per voi ho studiato un allenamento per migliorare la mira e controllare meglio la direzione dei bolidi, oltre a questo dobbiamo iniziare a sperimentare un vostro ruolo in supporto ai cacciatori.

A queste parole Antony intervenne: “Ma Zach, noi non possiamo toccare la pluffa.”

“Lo so!” Disse Zacharias fulminandolo. “Non sto parlando di prendere la pluffa con le mani perché sarebbe fallo ma nessuna regola vieta che la prendiate col retro della scopa. Certo mi rendo conto che dovremmo lavorare tanto sulla precisone ma ci sono alcune mosse che vi possono aiutare e possono far sì che quando non scagliate bolidi sugli avversari possiate seguire l’azione e supportare i cacciatori. Ah, una cosa mi sono scordato sui cacciatori…” disse il ragazzo riprendendo uno dei fogli appena scorsi. Sarebbe una buona idea che nel caso di perdita della pluffa ci sia sempre un cacciatore leggermente più indietro per dare supporto al portiere nel caso l’azione si ribaltasse all’improvviso. Per questo dobbiamo cercare di volare sfalsati come ai vertici di un triangolo invertito. Dovremo lavorare parecchio sulle formazioni anche.

Erik Cadwallader alzò gli occhi al cielo a quest’affermazione. Daniel dal canto suo capì che Zacharias aveva letto il libro di Cooper ma si chiese se effettivamente sarebbero riusciti a rivoluzionare così la squadra nel giro di alcuni mesi trovandosi solo due volte a settimana. Quello che il capitano stava sciorinando era un programma intensissimo di allenamento anche per degli aspiranti professionisti.

“Per il portiere.”

A queste parole l’attenzione di Daniel si focalizzò ancora di più sul suo capitano. “Devi lavorare sulle prese e gli appoggi agli anelli. Inoltre visto che stai indietro devi cercare di controllare l’azione da dietro e nel caso chiamare i vari giocatori se vedi un possibile ribaltamento di fronte.”

Daniel fece mente locale. Aveva iniziato l’anno precedente ad Aotearoa a lavorare sulle prese ed erano dannatamente difficili. Ciò nonostante davano al portiere una mobilità straordinaria fra gli anelli. Praticamente doveva sfruttare le braccia e le gambe per fare forza sugli anelli per aumentare le ripartenze e le spinte, oltre che le prese per ribaltarsi anche di 180 gradi.

“Ok, Zacharias.” disse Daniel d’istinto. Sarebbe stata dura ma aveva già qualche idea in mente.

“Ed infine il cercatore.” Disse Zacharias posando lo sguardo su Galen. Questi sembrò farsi piccolo piccolo, quasi come a voler scomparire nell’armadietto dietro di lui. A Daniel fece una gran tenerezza.

“Tu devi lavorare sulla vista e gli scatti come se non ci fosse un domani. Oltre a questo devi come il portiere tenere d’occhio l’azione; la priorità rimane il boccino ma non voglio vedere il cercatore fermo a guardare nel vuoto quando i propri compagni rompono la formazione o si devono riorganizzare per bloccare un controvolo.”

“O…O…Ok” disse Galen inghiottendo.

“Ed ora la cosa più importante di tutte….” disse Zacharias posando i fogli e guardandogli negli occhi uno per uno, serio. “Come vi sarete accorti questo programma di allenamento è ambizioso, non possiamo più limitarci a due allenamenti a settimana se vogliamo avere qualche possibilità di vincere la coppa. Per questo dobbiamo allenarci tutti i giorni.

Un mormorio si levò da ogni parte a quest’affermazione. Heidi e Antony sembravano i più contrari e pronti a dire qualcosa quando Zacharias li bloccò alzando la mano destra.

“So bene che vi sto chiedendo molto  e non intendo dire che dovremo allenarci per quattro ore tutti i giorni. A parte la domenica però, oltre gli allenamenti sul campo che passeranno da due a tre, vi saranno allenamenti paralleli a terra. Ho avuto delle idee su alcuni sport babbani che ci possono aiutare a sviluppare capacità che ci possono tornare assai utili tornati in sella. Ma più importante ancora è che dobbiamo lavorare come una squadra. E se non siamo e non ci sentiamo come una vera squadra non possiamo pensare di avere una qualche possibilità.”

Il ragazzo fece una pausa prima di continuare. Daniel vide che si era accorto del clima di quasi rivoluzione che avevano molti dei suoi compagni. Lui dal canto suo era abituato ad un programma di allenamenti simile ad Aotearoa ma a quanto pare non era lo stesso caso ad Hogwarts.

“So che molti di voi mi considerano pazzo e se potessi vi assicuro che non sarei qui.”

A queste parole lo spogliatoio sembrò sprofondare in un silenzio di tomba. Mazine e Antony avevano abbassato lo sguardo e si fissavano i piedi, Erik e Heidi guardavano due punti vuoti sul muro con sguardi triste, mentre Galen si era seduto e si era preso il volto tra le mani, chiudendo gli occhi. Daniel sentì un improvviso moto d’amicizia nei confronti del giovane cercatore. Anche se non lo conosceva bene sapeva che era un ragazzo molto timido che per di più aveva preso il posto di colui che era stata una legenda nello spogliatoio della squadra di Tassorosso; poteva solo vagamente immaginare la pressione che il quel momento gravava su di lui e su Zacharias. 

“Ciò nonostante sono qui. E vi dico che se c’è una cosa che ho imparato è che il Quidditch è un gioco di squadra e qui c’è una squadra da rifondare, sia sul piano d’allenamento sia su quello umano, è per questo che vi chiedo tempo.

“D’accordo.” Rispose Heidi, quasi il lacrime alzando lo sguardo si Zacharias, che le accennò un sorriso.

Un coro di assenso, si levò da ogni parte. Daniel si incupì nel vedere come il clima fosse mutato all’improvviso nel giro di qualche istante. Dando a Zacharias e agli altri il suo assenso si chiese davvero quale punto di riferimento fosse stato Cedric Diggorry per riuscire ad ispirare una tale lealtà ed abnegazione anche da morto; doveva essere stato sicuramente un grande Tassorosso, pensò in cuor suo.

“Molto bene” disse Zacharias con gli occhi lucidi, un sorriso stirato dipinto sul volto e la mascella squadrata vagamente incerta. “Oggi iniziamo con un allenamento generico per riprendere confidenza con le scope e tattiche di base” disse, afferrando la scopa e facendo cenno agli altri di seguirlo.

Daniel prese la scopa e, avvicinandosi a Maxine, le chiese:

“In che rapporti era Zacharias con Cedric?” Daniel sapeva di star ponendo una domanda scomoda ma cera qualcosa nello sguardo del capitano che gli faceva intuire che lui fra tutti i Tassorosso avesse perso più di tutti dalla sciagura dell’anno appena passato.

Maxine lo guardò storto, poi il suo sguardo si fece serio e limpido, quando vide negli occhi del ragazzo solo della sincerità: “Era il suo migliore amico”.

 

Nota dell’autore

Rieccomi qua. Dopo una lunghissima assenza che purtroppo mi ha fatto andare a passo di lumaca sono riuscito finalmente ad aggiornare. Mi dispiace molto di quest’assenza ma ho avuto diversi cambiamenti nella vita reale che non mi hanno permesso di dedicarmi alla scrittura, me ne rammarico. In questi mesi ho avuto il modo di rileggere la serie di HP e ha avuto una miriade di nuovi spunti. Detto questo spero che questo capitolo vi piaccia e vi prometto che per postare il prossimo sarò decisamente più veloce.

 

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Capitolo 14
*** Thestral e Cardigan rosa ***


Daniel si alzò abbastanza presto quella mattina di metà ottobre, guardando fuori dalla finestra vide che la giornata stava mettendosi al brutto, nuvoloni neri si stagliavano all’orizzonte, con un vento forte che spirava da ovest. Distogliendo lo sguardo dall’erba spianata dal vento, si ricordò che quel giorno c’era un allenamento di Quidditch, ciò significava che si sarebbe dovuto impegnare al massimo per vedere se le prime settimane del nuovo regime di Zacharias stessero dando qualche frutto. Personalmente vedeva diversi buoni risultati ma sarebbe stato il campo a parlare come sempre.

Vestitosi, vide il suo questionario del ministero sul comodino accanto al letto, dove l'aveva buttato la sera prima. Daniel l’aveva ricontrollato da cima a fondo ed era pronto a consegnarlo a madama Umbridge. Un brivido gli percorse la schiena; lo sguardo zuccheroso che sembrava avere la strega non gli piaceva a pelle, ancora di meno l’insistenza che aveva dimostrato in particolar modo nei suoi confronti, nel chiedergli, due volte quella settimana, se l’avesse finito. Benché la donna si dimostrasse sempre gentile, aveva chiaramente percepito una chiara impazienza che gli piaceva ben poco.

Prendendolo in mano quella mattina con un sospiro, il ragazzo lo rimise nella spessa carta del plico con cui gli era arrivato, ripromettendosi di passare dall’ufficio della Umbridge prima della lezione di Difesa contro le Arti Oscure. Lo sguardo del ragazzo si alzò verso il cielo a quel pensiero; il giorno dopo ci sarebbe stata una verifica e doveva incontrarsi quel pomeriggio con Hermione Granger. La Grifondoro era praticamente diventata la sua compagna di esercizi Difesa, visto che il Prof. Keynes aveva detto loro di mantenere le stesse coppie usate per imparare il sortilegio scudo per tutto il corso dell’anno. In quelle settimane Daniel la stava conoscendo meglio: era certamente una ragazza brillante, più brava di lui in molti degli incantesimi che avevano provato, un’ottima compagna di studi e bravissima a spiegare.

Scendendo in sala comune vide che Justin, Susan, Ernie ed Hanna lo stavano aspettando; una grande sensazione di calore gli si accese nel petto alla vista degli amici.

“Ehi Daniel, ancora con quello stupido questionario? Che aspetti a liberartene?” gli disse Justin dandogli un piccolo colpetto sulla spalla a mo’ di buongiorno.

“Justin?!” gli disse Susan in tono di disapprovazione, rivolgendo poi a Daniel uno dei suoi grandi sorrisi.

“Che ho detto di male?!” chiese questi rivolgendosi alla ragazza con sguardo innocente.

Questa gli si rivolse con tono insolitamente serio. “Non dovresti prenderlo così alla leggera, so che sembra una cavolata ma mia zia mi ha detto di compilarlo con molta cura. Sembra che l’intero dipartimento di Istruzione Magica sia in fermento nelle ultime settimane.”

“Davvero?!” chiese Daniel molto interessato.

“Sì” continuò Susan con fare segreto, abbassando la voce così che solo loro cinque potessero sentirla: “A quanto pare c’è qualcosa che bolle in pentola anche se mia zia non ha voluto dirmi nulla di più”.

“Beh, qualunque cosa sia qualcosa mi dice che ha a che fare con madama Umbridge” intervenne Hanna con un espressione sgradevole dipinta sul volto.

“Sì, non hai visto le immagini dei gatti che ha appeso nel suo ufficio su una tappezzeria rosa, non so se faccia più schifo o sia più inquietante” disse Justin simulando un brivido.

“Tua zia sa niente su che tipo sia?” chiese Daniel rivolto a Susan.

“Oh, è il Sottosegretario Anziano del ministero, in poche parole la vice di Caramell” disse Susan.

“Cioè vuoi dire che Caramell ha mandato qui ha Hogwarts la sua vice per un’osservazione accurata degli standard qualitativi di insegnamento?!” disse Hanna, riprendendo le parole pronunciate durante il discorso di inizio anno dalla strega. La sua espressione incredula fece riflettere Daniel, mentre salivano le scale verso l’ala ovest del primo piano.

“Non credete che possa entrarci in qualche modo Potter?” disse Justin sollevando l’attenzione di tutti.

“Potrebbe…” rispose Hanna annuendo, seguita da un mormorio di assenso da parte degli altri.

Svoltando nell’ala ovest  si trovarono di fronte ad un lungo corridoio ad elle a metà del quale vi era un’antica porta di un legno scuro; Daniel alzando gli occhi vide che vi era stata recentemente incisa una scritta riccamente elaborata che recitava “Dolores J. Umbridge – Osservatrice”.

Facendosi coraggio Daniel bussò due volte alla porta, buttando fuori l’aria dai polmoni; non sapeva perché ma quella mera formalità gli instillava parecchia tensione.

“Entrate pure” gli rispose una voce zuccherosa dall’altro lato della porta.

Varcando la soglia e richiudendosi la porta alle spalle dopo un’ultima occhiata ai suoi amici, Daniel venne abbagliato dalle innumerevoli tonalità di rosa che invadevano la stanza. Dietro una scrivania elaborata, completamente ricoperta da centrini e merletti, con una grande lampada sulla destra, sedeva madama Umbridge, alle cui spalle vi era una lunga serie di piatti, raffiguranti gattini di tutte le specie possibili, si disse il ragazzo.

Questa, alzatasi al suo ingresso l’aveva salutato con un grande sorriso: “Prego, signor Nightingale si accomodi, sono felice che abbia terminato il questionario.” Disse la donna, indicandogli la sedia di fronte la scrivania, anch’essa piena di merletti e trine sotto una vaporosa imbottitura rosa-orchidea.

Il giovane Tassorosso rimase spiazzato a queste parole; dopotutto si era aspettato qualche parole di convenevoli ma niente di più, certo non di passare più di qualche manciata di secondi in quell’ufficio così strano ed in compagnia di una donna che trovava sempre più inquietante ogni secondo di più che la conosceva. Tuttavia dopo qualche istante, l’educazione ebbe la meglio ed il ragazzo si accomodò sulla sedia, proprio mentre la donna estraeva il suo questionario dalla busta, sempre guardandolo con un espressione sorridente.

“Bene, signor Nightingale. Questo lo leggerò con calma dopo. Le volevo chiedere…Che ne pensa di Hogwarts fino ad ora? Dopotutto io e lei siamo nuovi qua dentro. Lei finora che impressione ha avuto?”

Daniel rimase sorpreso dalle parole della strega, sembravano sincere ma d’altra parte, ora da vicino vedeva meglio, il suo sorriso non si estendeva completamente agli occhi, che rimanevano vigili e attenti ad ogni suo minimo movimento. Cercando di essere sincero ma al tempo stesso diplomatico, il ragazzo le rispose:

“Beh, finora l’ho trovata una buona scuola, dico davvero. Ho trovato molto interessanti le lezioni di Difesa contro le Arti Oscure e quelle di Pozioni, in particolare.”

Il sorriso della donna parve ampliarsi a quelle parole: “Bene, sono sicuramente convinta che il professor Piton ed il Professor Keynes siano contenti di aver suscitato una così buona impressione su di lei fin da subito.”

“Beh, sono due maghi molto diversi, il professor Piton è molto severo e criptico, ma ha una tecnica davvero rimarchevole, anche se ammetto non è facile da seguire alle volte.”

Daniel si ricordò all’improvviso la lezione della settimana scorsa dove i Tassorosso erano insieme ai Serpeverde, nella preparazione della Pozione Calmante. Aveva visto Malfoy, al banco accanto al suo, che stava per aggiungere la terza manciata di foglie di valeriana senza prima averle sminuzzate e pestate a dovere. L’aveva bloccato istintivamente con la mano, afferrandogli il polso ed i loro sguardi si erano incrociati per un attimo, prima che il giovane Serpeverde, si scrollasse dalla presa, guardandolo con uno sguardo glaciale prima di osservare le sue mani. I suoi occhi cinerei per un istante avevano tradito una grande sorpresa, prima che il ragazzo si voltasse di scatto, senza dire niente e non incrociasse più lo sguardo di Daniel per tutta le lezione. Questi aveva tirato un grande sospiro di tristezza; dall’incidente sul treno non era più riuscito a parlare civilmente con Draco Malfoy ed una parte di lui si dispiaceva di non esser riuscito a superare il loro litigio.

All’improvviso Daniel sentì una mano toccargli il braccio destro e, riprendendosi dal silenzio in cui aveva lasciato cadere la conversazione, vide che madama Umbridge lo stava osservando con tono quasi materno.

“Non si deve preoccupare, Signor Nightingale, sono convinta che troverà le parole per capire il signor Malfoy”. Disse la donna stringendogli braccio, per un istante.

Daniel rimase sconcertato a quelle parole, letteralmente folgorato: “Ma come….?” Gli scappò di bocca, prima di riuscire a riprendere il controllo della sua emotività.

La donna si alzò, ergendosi in tutta la sua altezza. Pur non essendo molta, il suo sguardo ora era deciso e determinato, oltre che simpatetico.

“Oh, Signor Nightingale, lei non deve scordarsi che la prima regola di una buona Osservatrice è saper osservare, non crede? Le voci corrono, e saper ascoltare, è altrettanto importante, così come una buona dose di empatia.”

Di fronte allo sguardo sbarrato ed incredulo di Daniel la donna continuò, dopo un leggero risolino:

“Lei è quasi come un libro aperto per me, ma sono contenta di trovarci sani principi ed un vero desiderio di cooperazione fra le case, mi creda.” disse più seria ora, la strega, sedendosi e sorseggiando una tazza di te.

“Vede signor Nightingale, dalle poche settimane che sono qui devo riconoscere che nulla è cambiato rispetto a quando molti anni fa, io stessa frequentavo questa scuola. Rivalità e preferenze malcelate rovinano un sano spirito di appartenenza, sia da parte degli studenti che degli insegnanti e questo ha provocato rivalità fra le case che superano quel sano senso di competizione dove tutti sono spinti a migliorare. Serpeverde e Grifondoro sono sempre ai ferri corti, il signor Potter ed il signor Malfoy in particolare ma non solo loro. So per certa di decine, anzi centinaia di casi in cui questo è stato tollerato, financo incoraggiato, ahimè, anche dallo stesso corpo insegnati e questo francamente, è inaccettabile.” Con queste parole la strega posò la tazza di te nuovamente sulla scrivania; ogni traccia di sorriso era svanita dal suo volto.

“Io mi aspetto da tutti voi collaborazione con me e col Ministero che rappresento affinché tutto questo abbia fine al più presto.”

“Certamente, madama Umbridge” disse Daniel profondamente colpito. Non credeva che una donna come lei potesse tenere davvero ad una cosa simile come l’unità fra le case; per la prima volta il ragazzo sentì un moto di stima nascergli dentro per la strega, cosa che fino a qualche minuto fa non avrebbe mai creduto possibile.

“Bene, sono contenta di questa sua risoluzione, signor Nightingale” le disse con un sorriso la donna. “Le chiedo quindi quello che ho chiesto ai suoi compagni che si sono seduti sulla sedia prima di lei, e cioè che porti alla mia attenzione tutti quegli episodi di malcelata preferenza o di assurda rivalità di cui le ho parlato. Ci tengo ad assicurarle il più completo anonimato, non le chiederei mai di spiare nessuno, ma in questa scuola per troppo tempo si è dimenticata l’uguaglianza ed il rispetto delle regole, è ora di porvi rimedio, seriamente.”

Daniel tacque a queste parole, nella sua testa stava valutando quello che la donna le stava chiedendo.

Di nuovo il suo fluire di pensieri fu interrotto da un altro tocco della Umbridge, stavolta sul polso: “Può, andare signor Nightingale. Sono certa che farà la cosa giusta.” concluse la strega con un sorriso.

Il giovane Tassorosso si alzò ed era quasi sul punto di prendere il mano la maniglia, quando le parole della donna lo fecero voltare di scatto: “Per il signor Malfoy, provi a sorprenderlo.”

“Come?”

“Noi Serpeverde siamo essere introversi e distaccati alle volte, cerchi qualcosa che lo sorprenda, magari, qualcosa di cui ha bisogno ma che non si aspetta di ricevere.”

“Ma come faccio a…” le rispose il ragazzo, per venire interrotto sul nascere da una leggera alzata di mano ed uno zuccheroso sorriso della donna.

“Questo sta a lei, se davvero tiene al suo proposito, sono certo che troverà il modo, stia attento ai dettagli e vedrà. Buona giornata Signor Nightingale.” Concluse la donna e con un cenno della bacchetta aprì la porta dell’ufficio, facendo capire a Daniel che la loro conversazione era terminata.

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Harry, lasciandosi alle spalle la capanna di Hagrid, si avviò verso un sentiero che portava al limitare delle ultime propaggini della foresta proibita; quel pomeriggio aveva voglia di stare un po’ da solo, dopo l’ennesima litigata con Seamus aveva deciso di lasciarsi alle spalle il castello per qualche ora, non avendo lezione né allenamenti quel pomeriggio per due ore. Sapeva che vagare ai confini della foresta poteva causargli guai se Gazza se ne fosse accorto ma francamente non gli importava molto in quel momento; fra la crescente sfiducia di alcuni dei suoi compagni di casa e il casino emotivo che gli aveva provocato l’incidente con Malfoy alla lezione di pozioni di qualche settimana prima, aveva bisogno di prendersi un po’ di tempo per stare con se stesso, calmare un po’ la rabbia che in quei giorni sempre più spesso gli saliva al cervello e tentare di riflettere un po’.

Immerso in questi pensieri, Harry si rese conto di essere arrivato al limitare di una radura dove gli alti alberi si facevano più radi e la quasi assenza di sottobosco gli permetteva di vedere diverse di quelle strane creature che aveva visto tirare le carrozze il primo giorno che era tornato ad Hogwarts. In mezzo alla radura Harry vide la sagoma della strana amica di Ginny, Luna Lovegood, mentre ne accarezzava uno sulla testa; nonostante la mole della creatura superasse di molto quella della ragazza, questa non ne aveva il minimo timore, anzi, Harry poté notare che lo trattava con estrema dolcezza. Arrivato a pochi metri da lei, le stava per rivolgere la parola, quando fu Luna a parlagli per prima, con tono sognante:

“Ciao, Harry Potter”

Il ragazzo rimase sorpreso dal fatto che la giovane Corvonero si fosse accorta di lui, ciò nonostante la sua attenzione fu catturata dal fatto di come la ragazza non indossasse scarpe, era completamente a piedi nudi, e quel pomeriggio non faceva esattamente caldo.

“I tuoi piedi…non hai freddo?” le chiese.

La ragazza gli rivolse un sorriso sognante, come se in quel momento si trovasse lì ma anche a centomila chilometri di distanza.

“No, non particolarmente. Per sfortuna tutte le mie scarpe sono misteriosamente sparite. Sospetto che i Nargilli ne siano responsabili.”

Harry rimase sbigottito alla risposta, avendo quasi timore di chiederle cosa fossero i Nargilli, decise quindi di focalizzarsi sulla creatura davanti a loro, che, rialzata la testa, si stava dirigendo più internamente nella radura, verso un gruppo di suoi simili, le ali da pipistrello raggrinzite sul corpo equino.

“Che cosa sono?” le chiese contento di poterne sapere di più di quegli strani animali che fino a quell’anno non aveva mai visto ad Hogwarts.

“Si chiamano Thestral. Sono alquanto innocui in effetti, ma la genti li evita perché sono un po’…” gli rispose Luna, aspettandosi che lui finisse la frase.

“Brutti…?”

“Sì, suppongo che sia così.” Disse la ragazza facendo qualche passo, in direzione di un cucciolo che stava dirigendosi nella loro direzione; Harry la seguì.

“Ma perché gli altri non li vedono?” le chiese

“Possono essere visti solo da chi ha visto la morte” rispose lei con serenità.

Harry rimase di sasso a quella risposta. Tuttavia dopo qualche istante la sua curiosità ebbe la meglio:

“Quindi anche tu hai visto qualcuno morire?”

“Mia mamma” disse la ragazza incrociandogli lo sguardo. Harry si sentì improvvisamente in imbarazzo per averle fatto una domanda così personale.

“Era una strega straordinaria, ma le piaceva fare esperimenti ed un giorno uno è andato male…avevo nove anni”.

“Mi dispiace” disse Harry, visibilmente imbarazzato e dispiaciuto.

“E’ stato terribile…io mi sento ancora molto triste quando ci penso ma…ho papà.”

Nel parlare Harry si rese conto di essere arrivato praticamente davanti al cucciolo di Thestral; Luna iniziò a cercare qualcosa nella borsa. Il ragazzo per un istante si fermò a pensare e si rese conto che magicamente tutte le cattive emozioni che covava dentro qualche minuto prima erano come svanite…avvertiva un senso di calma completa, qualcosa che non provava ormai da molto tempo.

“Ti crediamo tutti e due a proposito” disse la ragazza facendolo voltare proprio mentre lei tirava fuori una mela dalla borsa e l’avvicinava al muso del cucciolo. Harry fu colto alla sprovvista da quest’affermazione ma non fece in tempo ad intervenire che Luna continuò:

“Colui-che-non-deve-essere-nominato è tornato, tu l’hai affrontato ma il ministero non l’ha accettato e cospira contro di te e Silente credendovi dei ciarlatani” concluse lei.

“Grazie” le rispose Harry, con un vero sentimento di gratitudine nella voce. Era la prima a dimostragli la sua fiducia per gli eventi accaduti alla fine dell’anno scorso, non considerando Hermione, Ron ed il membri dell’Ordine.

“Pare che siate gli unici a credermi” le rispose il ragazzo, sentendo crescere nuovamente nel petto la forte sensazione d’odio per coloro che lo additavano come un bugiardo.

“Non penso che sia vero. Ma forse è così che lui vuole farti sentire.” gli disse Luna

“Che cosa intendi?” le chiese stupito Harry. Osservando Luna vide che aveva rimesso in bocca la mela che il piccolo di Thestral non aveva toccato e stava cercando qualcos’altro.

“Beh, se io fossi Tu-sai-chi, vorrei che ti sentissi tagliato fuori da tutti gli altri. Perché se tu sei da solo, non sei poi una grande minaccia, no?”

Harry sentì di nuovo la calma riempirgli il cuore, ed un leggero sorriso gli increspò le labbra per un istante. “Non ci avevo mai pensato” le disse.

Luna sorridendogli di rimando tirò fuori un pezzo di carne cruda e la avvicinò al muso del piccolo Thestral e questi subito gliela strappò di mano, ingollandosela con avidità, prima emettere un suono stridulo di approvazione.

“Beh, alle volte i pensieri più semplici sono i più importanti.” Dopo qualche secondo la ragazza tirò fuori dalla borsa una piccola pallina, per metà argentata e per metà blu con una stella nel mezzo e la porse ad Harry.

“Prendila, ho la sensazione che ti possa servire di tanto in tanto.” disse la ragazza.

“G…grazie” disse Harry.

“Stringila più forte che puoi quando qualcosa va male e senti di stare per scoppiare, vedrai ti aiuterà.” Le disse la ragazza mettendogliela in mano. Harry tremò a quel breve contato fisico. La mano di Luna era fredda al tatto ma inspiegabilmente un profondo tepore gli invase la mano, assieme nuovamente alla sensazione di calma e pace che aveva provato poco prima.

Il ragazzo non fece in tempo a farsi domande che, dopo un’occhiata al suo piccolo orologio da polso la ragazzo, la salutò, girandosi per lasciare la radura.

“Scusami ha fatto tardi, devo andare a vedere un allenamento di Quidditch, ci vediamo, Harry Potter.” Gli disse prima di voltarsi e salutarlo con un cenno della mano, prima di lasciare la radura saltellando velocemente in direzione del castello.

Harry si ritrovò ancora più sbigottito di prima. Metà di quello che era accaduto in quella radura non aveva senso ma incamminandosi indietro Harry non poté fare a meno di chiedersi come avesse fatto Luna a donargli quella profonda sensazione di calma che ancora gli albergava nel petto in cui fino a pochi minuti prima un turbinio di forti emozioni lo strattonavano da ogni parte non dandogli pace. Con questi pensieri, decise di tornare indietro anche lui, si sarebbe steso un po’ vicino al lago prima di prepararsi all’allenamento di Quidditch di quel pomeriggio. Angelina voleva provare una nuova tecnica, la Presa rovesciata del Bradipo e a quanto aveva letto era una mossa parecchio avanzata; avrebbe avuto bisogno di tutta la concentrazione necessaria.

 

Nota dell’autore

Rieccomi qua. Dopo un’ altra lunghissima assenza. Dovete scusarmi davvero ma purtroppo tra la carenza di idee, la mania di perfezionismo ed il poco tempo a disposizione i tempi di stesura di questo capitolo si sono allungati a dismisura. Cercherò di essere un po’ più rapido in futuro.

 

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Capitolo 15
*** Allenamenti e tomi proibiti ***


Al fischio di Zacharias, dopo i giri e gli esercizi di riscaldamento, Daniel andò a posizionarsi coi suoi compagni di squadra a semicerchio al centro del campo, per ascoltare il programma di allenamento di quel pomeriggio:

“Allora…” esordì Zacharias con tono deciso, “l’allenamento di oggi sarà sui giri ad elica ripetuti che vi ho spiegato alla fine della scorsa volta; anche se serviranno principalmente a noi cacciatori, voglio e che tutti li imparino e li sappiano fare”, disse indugiando con lo sguardo su Maxine, Anthony e Galen. 

“A voi battitori possono tornare utili per evitare i bolidi avversari, anche nella loro variante più difficile, quella dei cerchi della morte che però vi spiegherò più avanti.” Anthony e Maxine, gli risposero, annuendo con sguardo concentrato.

“A te, Brannis possono servire sia per seminare i bolidi che per sorprendere il cercatore avversario nella sfida per acchiappare il boccino. Da oggi in avanti dimentica la corsa lineare l’uno di fianco all’altro: tu non hai il fisico per sperare di far deviare un tuo avversario dalla sua traiettoria.” Disse guardando il ragazzo con aria seria, col tono di chi sta enunciando la più ovvia delle verità.

A queste parole, lo sguardo di Galen si fece incerto e le sue guance assunsero un colore rosa acceso.

“Ma sei veloce e hai un’ottima agilità” continuò Zacharias “Quindi devi sviluppare un approccio diverso, l’inizio del quale è: MAI VOLARE IN LINEA RETTA!” disse praticamente urlando, cogliendo alla sprovvista gli altri, Daniel, compreso.

“Quando ti avvicini al boccino, ma anche quando voli normalmente per infastidire l’altro cercatore, vola sempre a elica. Questo ti aiuterà a disorientarlo, rompendogli il campo visivo, obbligandolo a rallentare. “Ora…” disse distogliendo lo sguardo da Glaen e rivolgendolo a tutta la squadra “…Inizieremo a provare noi Cacciatori, Malcolm tu volerai con un passo d’elica largo, Heidi, tu una via di mezzo mentre io volerò stretto; ricordiamo anche di provare la strategia orizzontale, voglio vedere come viene. Anthony e Maxine voi cercherete di ostacolarci, adottando la tecnica che preferite, così potrete darmi un giudizio obiettivo con gli occhi di un ipotetico avversario…” poi si rivolse a Daniel osservandolo con sguardo di sfida: “E tu, Osso Mascherato, cerca di fare del tuo peggio!”.

Prima di dargli il tempo di rispondere Zacharias fischiò l’inizio e Daniel andò a sistemarsi nell’area di porta, osservando le palle venivano liberate. Mentre i cacciatori andavano verso l’aria di rigore opposta, il giovane portiere, vide Anthony e Maxine che gli si posizionavano diversi metri più avanti, pronti ad ostacolare l’azione avversaria.

Osservando la corsa d’attacco partire dal fondo, il ragazzo indugiò qualche attimo, poi quando gli avversari superarono la metà campo, vide la sua difesa avanzare verso i cercatori che si muovevano su tre traiettorie molto simili ad elica, così da risultare al contempo molto vicini ma assai difficili da intercettare senza commettere fallo. Anthony e Maxine si diressero su Zacharias, che aveva la pluffa, e Malcolm che gli volava assai vicino attorno. Proprio in quell’istante lo schema saltò di colpo; con una tattica repentina i tre si divisero a triangolo: Zacharias si diresse verso Anthony ma dopo aver passato la palla a Heidi che, superando Maxine, la ripassò a Malcolm che entrò nell’aria di porta sparato dall’alto, pronto a colpire l’anello centrale.

Il ragazzo volando in picchiata lanciò la pluffa più forte che poté, ma Daniel, che l’aveva seguito con la coda dell’occhio, riuscì ad intervenire a pugno chiuso, per un soffio, deviando la palla appena fuori l’anello, recuperando l’equilibrio a fatica.

“NOOO!” esclamò Malcolm, chiaramente deluso, riprendendo quota ed andando a disporsi a cerchio di fronte all’area di rigore con tutti i suoi compagni, al fischio di Zacharias.

“Mal, abbiamo appena iniziato…” tentò di calmarlo Heidi.

“Non capisco…come DIAVOLO hai fatto a pararla Daniel?!” disse il ragazzo incredulo, riprendendo a stento la calma.

“Beh, eri libero e hai tentato il colpo sull’anello più alto per sfruttare al massimo la forza…” esordì il ragazzo, ma Zacharias lo interruppe.

“Mal, non ti sei accorto che io ero pochi metri dietro di te ma più in basso; se invece di tirare mi avessi passato indietro la pluffa, e fossi uscito immediatamente dall’area di rigore, avrei potuto segnare facilmente sull’anello più basso e lì Daniel non sarebbe potuto riuscire ad arrivare.” concluse il capitano, prima di rivolgersi al portiere: “Fortuna Osso? O l’avevi capito?”

“Fortuna, credo.” rispose Daniel annuendo.

Ahh…che due bolidi!” esclamò Malcolm sistemandosi i capelli che il vento gli aveva sospinto davanti alla faccia.

Gli altri esplosero in una risata che alleggerì la tensione che si era venuta a creare.

“Bene, ragazzi, riproviamo, stavolta cerchiamo di vedere quell’altra tattica di uscita e per questa ricordatevi di aspettare leggermente di più prima di uscire dalla formazione, è fondamentale dividersi proprio all’ultimo.”

L’allenamento andò avanti così per un'altra quarantina di minuti buoni, ad ogni azione Daniel vedeva che gli assalti dei tre cacciatori diventavano più precisi e coordinati, riuscendo alle volte anche ad ingannarlo e segnare. All’improvviso, proprio quando stava iniziando ad avvertire i primi segni di stanchezza Zacharias fischiò e tutti si riposizionarono al centro del campo. Anche Galen che fino a quel momento aveva volato in solitaria, li raggiunse, andandosi a posizionare alla sua destra.

“Bene, sono contento di come abbiamo giocato fin ora. Heidi, ricorda di aspettare ancora un secondo prima di uscire dalla formazione Malcolm, prova quella mezza inversione di cui ti avevo parlato, può essere molto utile per ingannare il portiere.”

Malcolm ed Heidi annuirono alle parole di Zacharias.

“Bene, ed ora iniziamo l’allenamento specifico per il cercatore.”

A queste parole Galen arrossì leggermente, grattandosi la nuca, mentre Daniel non riusciva a capire cosa avesse in mente Zach.

“Ora Heidi, Malcolm, uno di voi giocherà come falso cercatore, seguirà cioè Galen da una distanza medio-corta e quando individuerà il boccino, voglio che uno di voi simuli in tutto e per tutto una corsa d’attacco, solo uno però, l’altro invece si deve disimpegnare; in altre parole tu Galen dovrai ballargli attorno e puntare come sempre sul boccino, sono stato chiaro?”

Daniel rifletté un attimo sulla strategia, gli sembrava davvero molto rischiosa.

Heidi fu la prima a parlare, dopo aver capito esattamente cosa proponeva Zacharias: “Ma Zach è una pazzia, se in velocità Galen o uno di noi si spaventasse per paura di una collisione, andremo tutti a sbattere per terra.”

Zacharias sospirò, prima di risponderle “Lo so, Heidi, ma se Galen e noi riusciamo a non cedere alla paura e ci manteniamo su due traiettorie diverse, andrà benissimo. Il cercatore avversario non si aspetterà mai una “pazzia” del genere, se manteniamo i nervi saldi, sarà estremamente svantaggiato e probabilmente in una partita vera, devierà dalle sua traiettoria, rendendo estremamente facile a Galen prendere il boccino”. Poi rivolto ad Anthony e Maxine, disse: “Voi dovete continuare a fare il vostro lavoro di battitori, per questa prova però useremo un solo bolide.”

I due annuirono, anche se dalle loro espressioni, erano molto dubbiosi circa quello che avevano appena sentito.

Zacharias si rivolse da ultimo a Galen, che sudava freddo. “Non ti devi spaventare, ti ho tenuto d’occhio prima, voli molto bene ad elica, semplicemente continua a fare quello che hai sempre fatto e gira attorno al tuo avversario, tieni gli occhi sul boccino. Bene, in posizione.”

Daniel vide Galen deglutire al fischio di Zacharias e agì d’istinto, prendendo da sotto gli abiti una piccola fiaschetta e avvicinandosi al giovane cercatore:

“E…ehi Galen, bevi questa. Ti aiuterà” disse cercando di non arrossire troppo quando i loro sguardi s’incrociarono. Daniel si maledì in cuor suo, tutto l’allenamento che aveva fatto per non fare la figura del deficiente e per mostrare distacco e sicurezza si erano sgretolati di fronte ad un impaurito sguardo dagli occhi azzurri. Per giunta le parole gli erano uscite con un balbettio, sperò in cuor suo che l’altro non le avesse preso come una presa in giro, niente era più lontano dalle sue intenzioni.

Daniel vide Galen guardare la fiaschetta e poi osservarlo con gli occhi pieni di dubbio, incerto se fidarsi o meno; poi allungò la mano e di scatto la prese, aprendola velocissimamente e buttandone giù il contenuto in un soffio, talmente era agitato.

“Ehi, piano, così ti strozzi!” disse Daniel preoccupato, vedendo l’altro tossire forte, cercando di riempirsi i polmoni con dell’aria. “Gra…grazie” gli disse Galen, prima di restituirgli la fiaschetta; fu in quel momento che le loro mani si sfiorarono, Daniel sentì una vampata di calore così forte che dovette mettersi d’istinto le mani sulla faccia, mentre vide l’altro guardarlo con sguardo interrogativo.

“In…in bocca al...lupo” disse Daniel facendosi violenza e staccandosi dallo sguardo di Galen ed andando a riprendere il suo posto fra gli anelli. Il ragazzo non vide minimamente che Maxine che gli si era avvicinata proprio un momento prima del fischio d’inizio di Zacharias:

“Ehi, va tutto bene Dan?”

“Oh…” rispose Daniel voltando lo sguardo e tentando di ricomporsi “Sì, tutto ok.”

“Che c’era in quella fiaschetta?” gli chiese la ragazza

“Oh, solo una pozione calmante. Avevo come l’impressione che ne avesse bisogno.”

“Secondo te come andrà a finire?” le chiese Maxine, incerta.

“Beh, spero sia un successo, perché altrimenti rischiano di finire tutti in infermeria…”

“Ah, non me lo dire. Ma tu non conosci Zach…quando si mette in testa qualcosa cosa possiamo fare….?” Disse sollevando lo sguardo al fischio del capitano.

“Pregare…” rispose Daniel più a se stesso, vedendola volare via verso il bolide che Anthony le aveva deviato contro.

Al fischio di Zacharias, Daniel osservò Galen riprendere la ricerca del boccino con Malcolm e Heidi che gli volavano nelle vicinanze per tenerlo d’occhio; per qualche minuto la cosa procedette in maniera infruttuosa con i due che ogni tanto gli volvano attorno per disturbarlo ma sempre al debita distanza. All’improvviso, in un’azione di rientro verso la metà del campo, dopo un lungo semicerchio verso la parte destra, Galen accelerò di colpo, partendo all’inseguimento del boccino e la formazione scattò: Malcolm si disimpegnò mentre Heidi, più vicina, affiancò Galen. Questi reagì d’istinto iniziando a ruotare ad elica mantenendo una traiettoria molto allungata, infastidendo la ragazza che a sua volta deviò dalla sua corsa, descrivendo due ampie anse, prima di riprendere il controllo. La corsa divenne sempre più frenetica, con Heidi che tentava di sbilanciare Galen, tentando anche di intercettarlo fisicamente ma col giovane cercatore che, all’ultimo, girava stretto su se stesso evitando il corpo della ragazza. Seguì un’azione nei pressi della sua area dove i due arrivarono così vicini quasi a sfiorarsi e Daniel temette il peggio. Per fortuna Galen ruotò nuovamente in velocità, sfiorando l’anello mediano ed obbligando Heidi dalla sua traiettoria; tuttavia ciò gli fece perdere per un istante velocità. Questa deviazione lo portò ad alzarsi sopra la traiettoria del boccino; fu immediata la reazione del giovane cercatore, evitando il rientro di Heidi verso di sé ed appiattendosi sulla scopa, riuscì ad accelerare, stavolta in linea retta e dopo una breve curva stretta verso metà campo, ad afferrare la piccola palla dorata ad una velocità a dir poco impressionante.

Daniel non credeva ai suoi occhi mentre Galen teneva alto il boccino e sorrideva felice; aveva assistito ad un’azione davvero fantastica. Non fece in tempo a complimentarsi col giovane cercatore quando Zacharias gli volò accanto e gli dette una pacca sulla spalla che il ragazzo non si aspettava.

“Bravissimo, Galen!” poi si rivolse ad Heidi che gli raggiungeva poco distante, con lo sguardo raggiante, nonostante la sconfitta.

“Ottimo lavoro, Heidi.” Disse il capitano annuendo soddisfatto alle sue parole. “Vedi devi avere più fiducia in me.”

La ragazza non fece in tempo a rispondergli che Anthony e Maxine gli rubarono le parole:

“Non è che non si fida….” disse il primo

“E’ che alle volte ti crede un pazzo ” concluse la seconda.

Daniel si avvicinò alla scena, tanto da sentire la risposta di Zacharias. Il capitano aveva uno sguardo profondamente divertito, cosa che Daniel non si sarebbe mai aspettato, anzi a pensarci bene non glielo aveva mai visto addosso.

“Beh, chi è più pazzo: il pazzo o i pazzi che lo seguono?!”

Seguì una risata generale che coinvolse tutta la squadra. Daniel si sentì davvero contento per Galen; non era stato un periodo affatto facile per il ragazzo sul campo ed era contento che si fosse guadagnato finalmente il suo primo risultato personale riconosciuto da tutti.

“Bene, per oggi direi che possiamo chiuderla qui.” disse Zacharias dopo aver riacquisito il suo più classico tono burbero e deciso, che secondo Daniel meglio gli si addiceva. “Tutti sotto le docce”.

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Daniel cercò di fare il più piano possibile per non svegliare Justin ed Ernie e gli altri compagni di stanza mentre sgattaiolava il più silenziosamente possibile dal dormitorio maschile del quinto anno; era mezzanotte passata ed il ragazzo non si stupì nel vedere che tutti i suoi compagni erano immersi in un sonno profondo, quella sera. Percorrendo la scalinata a esse Daniel arrivò nella sala comune, deserta, tranne che per la presenza di uno studente accasciato sui libri e le pergamene davanti a sé, con il volto e le braccia distese sul tavolo. Il ragazzo si stupì che qualcuno fosse ancora lì a quell’ora ed il cuore gli mancò un battito quando riconobbe Galen, avvicinandosi meglio furtivamente: il ragazzo era profondamente addormentato. Daniel fece per superarlo quando vide che il ragazzo più giovane tremava leggermente, decise quindi di prendere il mantello che aveva buttato sulla poltrona accanto e di posarglielo delicatamente sulle spalle. Nel chiuderglielo leggermente sul collo, Daniel si sentì avvampare e d’istinto si ritrasse in fretta, cercando di non inciampare su alcuni libri sparsi sul pavimento. Allontanandosi dalla sala comune e prendendo il corridoio che l’avrebbe portato ai barili d’entrata, il ragazzo si chiese ancora una volta cosa gli stesse capitando; lui che aveva avuto la fortuna di ambientarsi bene ed in fretta a Tassorosso, non riusciva a sostenere uno sguardo su quel misterioso ragazzo. Si sentiva più cotto di una braciola di manzo tutte le volte che i loro sguardi si incrociavano e non riusciva a scambiare con lui più di qualche parola farfugliata prima di avvampare.

“Merlino, che casino!” penso Daniel imboccando il corridoio verso la Sala d’Ingresso, per poi proseguire verso il terzo piano.

Appena presa la prima rampa di scale Daniel sentì delle voci provenire alla sua destra, dall’altro lato della grande sala. Istintivamente si gettò dietro la statua dell’architetto di Hogwarts, mormorando poi con la bacchetta rivolta verso di sé:

Diluo!”

In quell’istante la porta d’entrata al corridoio dei sotterranei si aprì e Daniel fu molto sorpreso di vedervi uscire Draco Malfoy, da solo per giunta. In quei giorni era difficile vederlo senza Tiger e Goyle, più degli scagnozzi che degli amici, aveva pensato Daniel. Quella sera Draco sembrava essere invece da solo e si guardava attorno con aria guardinga, cosa strana visto che come prefetto di Serpeverde non aveva molti problemi a girare il castello di notte.

Il giovane Tassorosso, lo seguì tenendosi a debita distanza e lo osservò salire verso il corridoio che portava al secondo piano, da lì le loro strade si dividevano. Era strano vedere dipinta su di volto di solito sicuro e spavaldo un’espressione di impazienza mista a paura.

Draco Malfoy era un altro ragazzo che Daniel non riusciva a capire, le prime volte che si erano incontrati gli aveva fatto una buona impressione, certo era aristocratico e un po’ freddo, ma si era dimostrato un buon ascoltatore, calmo, posato e lucido, un eccellente giocatore di scacchi, nelle due volte in cui gli aveva fatto visita quell’estate, e anche un gran nuotatore, al contrario di lui che odiava l’acqua. L’incantesimo si era spezzato una volta sull’espresso per Hogwarts, mostrandogli un volto del Serpeverde che gettava una brutta luce su di lui. Daniel tuttavia non aveva ancora perso del tutto le speranze e vedendolo scomparire nell’ombra del corridoio si ripromise di seguire il consiglio di Madama Umbridge, appena ne avrebbe avuto l’occasione, la cosa difficile era trovare qualcosa che potesse stupirlo, più facile a dirsi che a farsi.

Il viaggio verso l’ingresso della biblioteca non gli riservò altre sorprese, notò all’entrata del corridoio del terzo piano la figura di Gazza, il guardiano con la sua inseparabile gatta, ma si bloccò subito, ben felice della distanza che li separava. Ancora una volta l’incantesimo lo protesse a dovere, e dopo qualche decina di secondi la coppia proseguì verso i piani più alti, lasciandogli libero accesso.

Appoggiando la mano ad uno dei due grandi pomelli del portone della biblioteca Daniel notò che la porta era già aperta, segno che qualcuno l’aveva preceduto. Entrando vide i due fratelli Canon che parlottavano fra di loro a voce bassa, mente Luna era seduta su di una sedia poco distante da loro, ad esaminare con aria sognante un piccolo foglio di pergamena tutto piegato. Al suo ingresso Colin girò lo sguardo dalla sua parte, non vedendolo, mentre Luna gli fece un cenno con la mano destra; la sua aria sognante era perfetta in quell’atmosfera piena di libri immersi nella penombra, pensò Daniel.

“Daniel!”, esclamò Colin a voce bassa, vedendolo per la prima volta ed avvicinandosi “Che hai combinato? Sei tutto...”

“…Sfuocato” concluse il fratello più piccolo, girandogli attorno, sinceramente colpito, esaminandolo come un interessante campione di tecnologia aliena.

“L’incanto diluente” disse Luna dandogli un leggero colpetto sulla spalla destra, annullando l’incantesimo e rendendo il giovane Tassorosso di nuovo perfettamente visibile. I due Canon la guardarono stupiti.

“Rende più evanescenti ed attenua i suoni.” concluse la ragazza, facendo arrossire Daniel.

“Va bene, andiamo avanti, ma una sera di queste ce lo devi far vedere Daniel, disse piano Denis, ci potrebbe tornare molto utile.”

“Quando vuoi Denis, non è niente di particolare, davvero” disse il ragazzo chiudendo la fila. Il breve tragitto che li separava dall’ingresso del reparto proibito fu tranquillo e silenzioso, con i grandi scaffali che si illuminavano alla luce della lanterna schermata di Colin.

“Bene” disse questi una volta giunto alla porta d’ottone che si apriva nella cancellata che separava la sezione proibita dal resto della biblioteca. “Ora vediamo…” continuò il ragazzo estraendo la sua bacchetta e puntandola sulla serratura, proprio sotto la maniglia “Alohomora

Il rumore del metallo che scattava fece illuminare lo sguardo di Colin e degli altri. “Ottimo, il primo ostacolo è superato. Ora..” continuò facendo per entrare al di là della porta ma inaspettatamente Luna lo bloccò tirandolo per il mantello e facendolo quasi cadere all’indietro.

“Ehi, ma che ti prende?” esclamarono all’unisono Colin e Denis. Anche Daniel non capì il perché di quel gesto fino a quando Luna, con espressione insolitamente seria, puntò la bacchetta contro la grande lastra di pietra oltre la porta. “E’ una trappola”.

“Cosa?!” disse Denis incredulo

“Guardate bene, al di là della porta c’è una grande lastra di pietra, unica ed estremamente grande, mentre per tutta la biblioteca vi sono pietre rettangolari, piuttosto comuni. Inoltre è particolarmente lucida come pietra, secondo me c’è qualcosa che non va” concluse la ragazza avvicinandosi e mettendosi in ginocchio accucciata accanto al bordo.

 “Ci sarebbe una sorta di allarme?” chiese Colin incredulo, a quella visione.

“Sì, esatto.” Disse Luna mettendosi ad osservare da vicino la sottilissima fuga che separava la pietra dal profilo a t ottonato dell’ingresso.

 “Questa lastra ha un incavo sotto la fuga, se ti avvicini puoi vedere che continua sotto la pietra.” proseguì Luna sempre in ginocchio.

Daniel rimase molto stupito dall’acume della ragazza. Abituato sempre a vederla sognante, quasi distaccata dal mondo, gli faceva impressione osservare la sua lucidità e la sua grande capacità di osservazione. 

“E quindi?” intervenne Denis

“C’è un meccanismo che reagisce al peso, per cui se proviamo a passarci sopra è probabile che facciamo scattare un allarme.” Rispose Luna, guardandosi attorno, oltre l’ingresso della sezione proibita.

“La superiamo  con un incantesimo di levitazione, allora!” esclamò Colin battendo il pugno sulla mano destra. “Potremmo levitare su una sedia e superare la lastra senza camminarci sopra” concluse deciso, rivolto agli altri.

Gli altri annuirono e recuperarono ciascuno una sedia da una delle postazioni di lettura poco distante; uno dopo l’altro lanciarono a turno l’incantesimo di levitazione e raggiunsero senza problemi l’altra estremità della lastra, atterrando poco oltre.

“Ed il secondo ostacolo è superato, siamo dentro” esclamò Colin soddisfatto.

“Ora, in che sezione è conservato il libro che stiamo cercando?” chiese Daniel

“Oh, lo dovremmo trovare alla “H” di “Hoenfels” credo, dopotutto la catalogazione dovrebbe essere la stessa di quella usata nel resto della biblioteca; madama Pince sa essere maniacalmente precisa ed ordinata.” gli rispose Colin facendosi strada verso la metà della sezione.

“Come procedono gli allenamenti?” disse Luna, rivolta verso Daniel. Il ragazzo fece un mezzo salto quando questa gli toccò la spalla. Si era imbambolato davanti ad un alto scaffale, messo non perpendicolare alle grandi pareti della sala, ma appoggiato fra due finestre.

Voltandosi verso la ragazza, Daniel vide che aveva riacquisito il suo classico tono di voce sognante, ma non si accorse come i suoi occhi fossero più sporgenti del solito in quel momento.

“Bene, Zacharias ci fa sudare sette camicie ma ne sta valendo la pena, secondo me” rispose Daniel col cuore gonfio d’orgoglio.

“Bene, perché vedo Galen sempre più magro e teso. Credevo che qualcosa non andasse con gli allenamenti ma a quanto pare non è così” disse la ragazza con una profonda nota di sollievo nella voce.

Luna lo guardò con la testa inclinata sulla sinistra, i grandi occhi più sporgenti del solito, fece una pausa in cui Daniel si sentì come trapassato da parte a parte.

“C’è niente che vuoi dirmi, Daniel?” disse Luna

Il ragazzo si sentì a disagio a quella domanda, anche senza nessun motivo apparente.

“No, pe…perché?” gli rispose il ragazzo con un leggero balbettio, arrossendo leggermente.

“Vedo…” disse Luna sorridendo, superandolo a saltelli, diretta verso il fratelli Canon, poco oltre. A metà strada tuttavia, si bloccò, voltandosi di scatto verso il giovane Tassorosso, rimasto indietro imbambolato.

“La balbuzie sta diventando contagiosa.” Gli disse sfoggiando un sorriso sognante. Poi, senza aspettarsi una risposta dal ragazzo, si andò ad affiancare a Colin.

Il rossore sulle guance di Daniel aumentò esponenzialmente e lui fu enormemente grato all’oscurità in quel momento.  Per cercare di sbollire la cosa il ragazzo si voltò ad osservare il punto sullo scaffale che aveva precedentemente attirato la sua attenzione.

Il giovane Tassorosso rimase per circa un minuto ad osservare tutto lo scaffale. C’era qualcosa di strano: ogni ripiano conteneva volumi senza un ordine alfabetico o di altra sorta; poteva vedere Paxton accanto a Graham e Morton di fronte a lui, ad altezza occhi. Un libro attirò subito la sua attenzione, aveva la copertina verde scuro con scritte perlacee annerite dal tempo ma sulla costola si poteva ancora riconoscere una esse, disegnata chiaramente come il serpente, simbolo di Serpeverde. Daniel prese il libro in mano e sentì una sensazione di gelo infiltrarglisi sotto la pelle, come se il libro fosse ghiacciato; di scatto lasciò andare il tomo e la sensazione se ne andò velocemente come era arrivata, lasciandolo sbigottito. Guardando la pagina a cui si era aperto il libro, Daniel riconobbe quella che doveva essere la sala comune di Serpeverde. C’era tuttavia qualcosa di strano in quel disegno, era molto più ricco di particolari, decori magici ed elementi architettonici che mancavano in qualsiasi altra rappresentazione lui avesse mai visto.  Le parole a voce decisamente troppo alta di Denis lo fecero voltare e raggiungere rapidamente gli altri, abbandonando il libro aperto sul tavolo.

“Colin, Luna, di qua, Hackney, Hadlee, da qui comincia la “H”!” disse Denis con trepidazione.

“Grande Denis, vediamo, qui no, arriviamo fino a Hailey...” disse Colin esaminando lo scaffale e spostandosi al successivo.

“Nemmeno qui” intervenne Denis “questo arriva vino a Hayes”.

“Qui” disse Luna poco oltre, dallo scaffale accanto. “questo termina con Home. Dovrebbe essere qui.” Aggiunse alzando lo sguardo sui livelli più alti.

“Lumos” disse Colin puntando la bacchetta in alto e scorrendo rapidamente i nomi. “Herberstein, Hochberg, Holnstein…”

“Holstein-Rendsburg…dove è?!” esclamò Denis “Aspetta, torna indietro con la luce Colin”

Il giovane Grifondoro guardò in alto con ancora più attenzione, esaminando in lungo ed in largo lo scaffale; del libro di von Hoenfels tuttavia non riusciva a trovare traccia.

“Dove cavolo è?!” disse Denis rileggendo per la terza volta il ripiano illuminato. Una punta di terrore traspariva ora dalla sua voce.

“Ne so quanto te, fratellino” disse Colin incredulo, provando ad esaminare con Lumos il ripiano sotto e quello sopra ma senza successo.

“Guardate lì!” disse Luna tirando fuori la sua bacchetta e muovendo la mano di Colin fino ad illuminare i volumi di Hochberg e Holnstein.

“Che vuoi dire Luna? io non vedo niente lassù, ci siamo passati tre volte su quello scaffale, forse è stato cambiato di posto o qualcuno l’ha preso in prestito.” disse Colin.

“Non credo”, disse con sicurezza la giovane Corvonero. “Se contate ci sono ventiquattro libri su ogni mensola dello scaffale, solo sul quel ripiano lì ce ne sono ventitré, non vi pare strano?” aggiunse giocando con i tappi della collana di burrobirra che aveva al collo.

“E’ vero!” disse Daniel che stava ricontando i libri sullo scaffale. Era effettivamente strana una coincidenza simile, anche se ciò non spiegava dove si trovasse il libro che stavano cercando.

“Beh, ma lì non c’è. Chi se ne importa di quanti sono.” Disse Denis incredulo, come se stessero perdendo tempo su un particolare insignificante.

“Revelio” disse la ragazza puntando la bacchetta sullo scaffale illuminato da Colin. Per un istante non accadde niente, poi come se i libri si comprimessero leggermente, l’uno accanto all’altro, emerse dapprima uno spazio vuoto, infine riempito da un nuovo volume.

Sulla costola una scritta in avorio su una copertina marrone scuro recitava: “Conoscenza e potere. Studi non canonici di magia applicata” di Herbert Von Hoenfels.

“Sei un genio, Luna!” disse Colin con un sorriso che gli riempiva il volto raggiante.

 “Di più!” gli fece eco Denis.

“Wingardium Leviosa” pronuncio Daniel, felice per l’amica. Era brutto notare come Luna fosse molto spesso guardata male quando non presa apertamente in giro per il suo stile ma da quello che aveva visto la sua abilità deduttiva non era inferiore a quella di Hermione Granger. Il ragazzo sorrise mentre il libro volava lentamente sul banco di fronte a loro, Luna ed Hermione erano agli antipodi come ragazze, l’una l’opposto dell’altra. Mentre si allenava assieme per l’incantesimo scudo, Daniel aveva potuto apprezzare la logica e razionale mente di una ragazza brillante come poche, Luna dal canto suo era imprevedibile, ma non meno capace.

“Perfetto” disse Colin prendendo in mano il libro con le attenzioni e le premure rivolte ad una reliquia. “Abbiamo finito qui. Non è stato facile ma è la prima vittoria dei Codeluda!”

Sììì!” risposero in coro gli altri, dandosi il cinque insieme.

“Ok non mi sembra il caso di tentare ancora la fortuna stasera, abbiamo quello per cui siamo venuto. Andiamocene!” disse Colin con gli occhi grandi come galeoni.

I quattro si riavvicinarono alle loro sedie e uno dopo l’altro superarono l’ingresso del reparto proibito. Daniel fu l’ultimo a chiudere la fila, passando dallo scaffale di prima notò nuovamente il libro aperto poco prima e con rapido movimento della mano se lo ficcò sotto il mantello. Era rischioso ma quello che aveva visto in quell’illustrazione meritava un approfondimento. Senza contare il fatto che se un giorno voleva sorprendere Draco, non era male avere qualche informazione in più sulla sua casa.

Arrivati senza colpo ferire alla porta d’ingresso della biblioteca Colin si rivolse agli altri e disse: “Bene, per stasera abbiamo finito, direi di vederci domani pomeriggio per esaminare tutti assieme questo fantastico libro!” aggiunse con tono d’adorazione.

Daniel scosse la testa: “Domani ho gli allenamenti di Quidditch, possiamo fare domani l’altro?”

“Sì, così anche noi avremmo più tempo par avere un idea di cosa effettivamente contenga, prima di parlarne tutti insieme” disse Denis.

“Va bene” disse Colin leggermente irritato. Per ora questo libro lo terremo al quartier generale. Io e Denis saremo lì a studiarlo quando non saremo a lezione, se volete fare un salto siete i benvenuti. Buonanotte a tutti!”

“Buonanotte” risposero tutti prima di prendere strade diverse, Colin e Denis girarono subito a sinistra verso la torre di Grifondoro, mentre Luna e Daniel si diressero a sinistra.

“Niente male, stasera” disse Daniel sorridendo a Luna, immersa nei suoi pensieri, con la testa chissà dove.

“Grazie Daniel Nightingale” disse la ragazza uscendo da una specie di trance. “Posso chiederti un favore?” aggiunse.

“Certo, dimmi” disse Daniel

“Tieni d’occhio Galen, per favore. Da quanto ne so il vostro capitano ha organizzato un programma piuttosto duro di allenamenti e Galen non ha una resistenza infinita, te ne sarai accorto anche tu.” disse Luna

“Certo” rispose Daniel “Per ora non credo che abbia avuto mai problemi, anzi ma lo terrò d’occhio se questo ti può far stare più tranquilla”

“Sì, grazie. Galen è il tipo che strafà quando si fissa per una cosa. Lo conosco.”

“Vi conoscete da molto?” chiese il ragazzo.

“Oh, sì” rispose Luna sorridendo. “Da quando avevamo sei anni. Mia madre era una grande amica di quella di Galen, si erano conosciute ad Hogwarts, sai?”

“Davvero?!”chiese Daniel, desideroso come non mai che la ragazza continuasse a parlare.

“Oh, sì. E’ stato il mio primo amico. Prima di…”

Daniel fece per aprire bocca quando Luna continuò, sorridendo. “Una domanda per un’altra volta. Per favore tienilo d’occhio e…dagli una mano se puoi, ok?” disse la ragazza con tono dolce.

“Va bene…”disse Daniel ricacciandosi tante domande in gola.

“Buonanotte Daniel, e grazie” gli disse Luna salutandolo prima di salire per la scala ovest verso la torre di Corvonero. Il ragazzo dal canto suo non ebbe problemi nel percorrere indietro la strada verso la sala comune di Tassorosso; una volta entrato, vide che Galen era andato a letto ma aveva dimenticato un quaderno sul tavolo. Daniel lo prese in mano e non seppe resistere alla tentazione di sfogliarlo. Dentro c’erano degli schizzi di molte piante della serra di erbologia, tutte accuratamente dettagliate, per ogni pianta erano elencate le proprietà e l’uso nelle pozioni. I disegni erano davvero molto ben fatti. Daniel si stupì molto, non avrebbe mai pensato che Galen fosse un appassionato di piante o pozioni. Continuando a sfogliare il quaderno il ragazzo vide un intruso: un disegno a doppia pagina raffigurava il Quidditch con tutta la squadra di Tassorosso in aria, ogni viso ed espressione erano riprodotte in maniera incredibilmente dettagliata.

Il ragazzo decise di portarsi il quaderno dietro e si ripromise di restituirlo al suo legittimo proprietario la mattina dopo a colazione. Quella notte dormì davvero pochissimo.

 

Nota dell’autore

Rieccomi qua. Dopo un’ altra lunghissima assenza. Dovete scusarmi  per questa lunghissima assenza ma purtroppo sia il tempo per scrivere mi si è drasticamente ridotto negli ultimi mesi. Cercherò di essere un po’ più rapido in futuro, mi dispiace davvero.

 

 

 

 

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Capitolo 16
*** Sangue e domande ***


Madama Umbridge sedeva tranquillamente dietro la sua scrivania esaminando i risultati degli ultimi test di valutazione che le erano arrivati. I dati raccolti iniziavano a farsi interessanti agli occhi della strega la quale stava scrivendosi un appunto, intenzionata ad avere una parola in privato con i tre nuovi membri del corpo docente, per valutare alcune sue mosse, quando udì qualcuno bussare alla porta.

“Prego, entrate pure.” disse la strega alzando lo sguardo, finendo di scrivere l’appunto.

La porta si aprì poco dopo rivelando la figura della professoressa McGranitt, la donna era vestita in abiti verde smeraldo e portava con sé alcuni fogli di pergamena, accuratamente raccolti con fasce di doppio nastro a formare un faldone.

“Buonasera, Dolores” disse la donna salutando l’altra con un cenno del capo e mettendosi dall’altro lato della sua scrivania.

“Buonasera, Minerva” disse questa sfoggiando un sorriso di cortesia, non rivelando il turbinio di emozioni che le aveva suscitato vedere il faldone che l’altra teneva in mano. Con tono cortese, disse:

“Prego, accomodati. Desideri una tazza di tè?”

“No, grazie. Sto bene così” le rispose la direttrice della casa di Grifondoro con sguardo duro. Era chiaro che le due streghe non si amassero particolarmente a pelle. Dolores poteva comprendere tale riluttanza, ma doveva cercare di far breccia nell’esercito che Silente si era creato in tutti quegli anni se voleva portare a casa un qualche risultato, e valeva la pena lanciare i primi dadi con la sua numero due.

“Va bene. Suppongo che questi siano i fascicoli riguardanti il signor Potter, giusto?”

“Sì esatto. Sono tutti i documenti conservati ad Hogwarts su Harry Potter, anche se non capisco il bisogno che possa avere il Ministro di averli, considerando che sono gli stessi in suo possesso.”

Dolores sorriso vedendo come le informazioni della donna non fossero aggiornate. Si prese il tempo di bere un altro sorso di tè, prima di rispondere:

“Non è Cornelius che li vuole, ma Madama Bones”

“Continuo a non capire perché visto che le decisoni prese dal preside su questo argomento hanno sempre avuto il benestare del Ministro.” la rimbeccò Minerva, accigliata.

“Beh, in realtà non è stata direttamente madama Bones a chiedere questi documenti.” disse Dolores, prendendo il faldone e mettendolo in un cassetto della propria scrivania e chiudendolo a chiave.

“E chi allora?”

“Madama Nightingale” concluse la donna notando con piacere, l’espressione di sorpresa della strega davanti a lei.

“Non capisco perché la Speaker…” esordì Minerva ma Dolores la bloccò subito, aspettandosi una simile domanda.

“Beh in qualità di presidente del Wizengamot ha facoltà di richiedere documentazioni ai vari uffici per verificare che nessuna legge sia stata violata e credo che voglia vederci chiaro su alcune scelte del Preside.”

Vedendo le labbra assottigliate della donna, segno di evidente malcelato nervosismo, Dolores decise di lanciare il suo primo amo.

“Andiamo Minerva, io la conosco, lei per prima ha lavorato diversi anni fa al ministero nello stesso dipartimento di Madama Bones, sotto la direzione di Elphinstone Urquart, famoso per la sua intransigenza ed il suo scrupoloso attaccamento alle legge. So che lei ha avuto numerosi riconoscimenti prestigiosi per aver seguito le sue orme, dimostrando un paragonabile zelo. E lei mi vuol dire che non ha mai trovato eccentriche alcune decisioni di Silente riguardo al ragazzo?”

Minerva cercò di controllare al meglio il turbinio di emozioni che provava in quel momento e di rispondere prontamente alle accuse che la donna gli stava rivolgendo, anche se indirettamente.

“Credo che questa sia una domanda che dovrebbe porre al preside direttamente.”

“Non sarò io a farlo Minerva, io sto solo eseguendo disposizioni dell’Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia. Ma se posso chiederglielo, lei davvero non ha mai nutrito dubbi su alcune decisioni di Silente riguardanti il signor Potter? Facciamo solo un esempio, lei crede davvero sia stato saggio averlo fatto crescere con i suoi zii materni? Da quanto ho scoperto i babbani in questione sono fanatici nella loro negazione di qualsiasi tipo di magia e che hanno cresciuto il giovane Potter non solo nella completa ignoranza del nostro mondo ma in un ripostiglio del sottoscala della loro casa, facendogli patire persino la fame e trattandolo peggio di un servo, lei questo lo sapeva?”

Minerva guardò Dolores profondamente colpita dalle sue parole. Sapeva che gli zii di Harry erano una brutta specie di babbani, ottusi e poco empatici, ma non sapeva che si fossero spinti fino a quel punto. Non sapeva se credere alle parole della strega davanti a sé ma osservandola dritta negli occhi non vedeva traccia di menzogne. Tuttavia si stava accorgendo dove Dolores voleva portarla, quindi cercò di calmarsi prima di rispondere posata:

“No, non lo sapevo. So comunque che il preside non avrebbe preso una decisione così alla leggera. So per certo che l’ha fatto per proteggere il giovane Harry. Esiste una potente magia che lo protegge da qualsiasi attacco in quella casa, una magia data dal sacrificio di sua madre Lily Evans.”

Dolores sorrise ammorbidendo ulteriormente la voce prima di risponderle: “E anche se così fosse lei crede veramente che Potter non sarebbe potuto essere adeguatamente protetto in una casa di un auror ad esempio? O che la protezione del Ministero non potesse essere sufficiente contro i seguaci di un signore oscuro sconfitto ed i suoi seguaci dispersi o rinchiusi ad Azkaban? E se qualcuno l’avesse attirato il giovane Potter fuori di casa, magari con l’ausilio della maledizione imperius su un babbano?? 

La donna fece una pausa prima di continuare, non lasciando trasparire alcuna emozione. Poteva vedere di aver smosso qualcosa nella freddezza granitica della strega davanti a sé.

“Io e lei non siamo mai stati madri ma personalmente non condannerei ad una simile vita nemmeno il figlio del mio peggior nemico, dopotutto capisco meglio ora la tendenza di Potter a inventare storie incredibili.”

“Non sono qui per commentare simili affermazioni” rispose dura Minerva.

Dolores sospirò, sollevando un’altra obiezione. “Bene, e che mi dice di quanto successo il primo anno di scuola del signor Potter? A quanto ho saputo lui e suoi due compagni, Ronald Weasley ed Hermione Granger, si sono lanciati nel recupero della pietra filosofale che era custodita qui ad Hogwarts pensando che fosse in pericolo, dico bene?”

“Sì, è esatto” disse Minerva, non comprendendo dove volesse andare a parare l’altra strega, rivangando qualcosa di ben quattro anni prima.

“Bene, da quanto ne so anche lei aveva contribuito alla difesa della pietra con un enigma a forma di scacchiera magica. E non era il solo. Nessuno di voi professori ha pensato a mettere un allarme ad una delle porte fra le varie stanze? Che ne so, quando uno risolveva o falliva il vostro enigma voi potevate facilmente esserne informati. In questo modo non solo potevate sapere subito che qualche studente stava per accedere alle prove ma avreste avuto il tempo di intervenire e fermarli o quantomeno correre in loro aiuto.”

“No, l’obiettivo degli enigmi era quello di bloccare eventuali intrusi. Non abbiamo mai pensato che degli studenti potessero passare il Cerbero a guardia della botola nel corridoio del terzo piano.” Disse la strega maledicendosi, in evidente difficoltà.

“E a quanto mi risulta il signor Potter è stato attirato in una trappola che per poco non gli è stata fatale. Dopotutto se lui non avesse inseguito il defunto professor Raptor la pietra sarebbe rimasta nello specchio delle Emarb, considerato che non sarebbe mai stato capace di trovarla, visto il suo desiderio spasmodico di averla, dico bene?”

“Come le ho detto prima….”

“Aspetti Minerva e non contenti di ciò, invece di punirlo per aver messo in pericolo la sicurezza della scuola e del nostro mondo se ma un seguace di Lei-sa-chi avesse messo le mani su un artefatto del genere, infrangendo per inciso una dozzine di regole della scuola, Silente ha pensato bene di premiarlo, ma non solo lui, tutti coloro che, inconsapevolmente ci mancherebbe altro, hanno compito un’impresa del genere. Cioè, si rende conto della follia? E questo ha fatto sì che Serpeverde perdesse la Coppa delle Case, conquistata col sudore e col rispetto delle regole oltre che con l’impegno per le gesta inconsapevoli ma potenzialmente disastrose di quattro undicenni. Non so se mi segue…” concluse la strega allargando le braccia e guardandola come ad affermare la più banale delle ovvietà.

Minerva in cuor suo si accorse per la prima volta del punto della collega. Tuttavia decise di rispedire le accuse al mittente, il modo era semplice in quel caso.

“Se ricordo bene in tale occasione Dolores, fu proprio il Ministro della Magia a perdonare il giovane Harry, affermando che era solo un ragazzino e quindi non poteva essere considerato colpevole.

Dolores si accigliò di colpo, perdendo completamente la nota zuccherosa della voce e sfoggiandone invece una dura e corrucciata:

“E mi duole dire che non avrebbe dovuto farlo, ma tutto questo è ormai finito. Ricordi bene Minerva e lo ricordi al suo pupillo che non godrà più di alcuno sconto d’ora in avanti. Per troppo tempo si è considerato ed ha agito al di sopra delle regole e delle leggi del nostro mondo.”

“E’ solo un ragazzo Dolores, non può essere…”

“E invece , Minerva. E’ proprio questo il punto. Questo lassismo che vedo gocciolare da ogni lato, sta corrodendo ingranaggi centenari e non mi riferisco solo al signor Potter e alle sue bugie…” esordì la strega irata, battendo un pungo sul tavolo.

“Non ho intenzione di commentare simili affermazioni Dolores, disse la McGranitt alzandosi. Quella conversazione era finita per quanto la riguardava.

“No, infatti” concluse Dolores con un sospiro, alzandosi a sua volta. “Non voglio farti perdere altro tempo, grazie per il fascicolo.”

“Di nulla.” disse la McGranitt voltandosi e uscendo dall’ufficio. Dolores sospirò corrucciata. La questione era più grave del previsto, doveva finire il suo lavoro il più in fretta possibile e sentire prima di tutto il professor Costa; quell’uomo era la sua miglior pista.

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Harry si svegliò di soprassalto, madido di sudore nel suo letto con la cicatrice che gli bruciava da morire.

“AHI!” disse a voce alta, guardandosi attorno immediatamente. Nessuno del suoi compagni di stanza si era svegliato per fortuna, poteva sentire chiaramente il russare di Ron alla sua destra ed il respiro pensante di Seamus alla sua sinistra. Guardandosi attorno vide il bagliore perlaceo della luna farsi strada dalla finestra poco lontano, illuminando debolmente il centro della torre.

Poco a poco il dolore stava svanendo ma Harry poteva ancora percepire le sensazioni del suo sogno di poco prima; Voldemort, ovunque egli fosse, doveva essere in preda all’ira, era qualcosa che ormai si ripeteva da diverse notti. Non volendo tentare di rimettersi a dormire in preda ad una forte sensazione di malessere allo stomaco ed un forte mal di testa, il ragazzo decise di scendere dal letto; aveva bisogno di una boccata d’aria fresca e di schiarirsi le idee, da solo. Con questi pensieri prese il mantello dell’invisibilità e se lo ficcò addosso, sparendo alla vista. Facendo molta attenzione a non far rumore uscì dal dormitorio e prese a camminare senza una meta precisa, vagando fra i corridoi del castello.

Ripensando a quello che stava accadendo quelle notti, si immaginava come Voldemort stesse cercando qualcosa probabilmente, dopotutto Sirius se l’era lasciato sfuggire l’ultima volta a Grimmauld Place “Qualcosa che non aveva l’ultima volta” , gli fecero eco nella mente le parole del suo padrino. Harry non aveva idea di cosa potesse essere ma di sicuro erano sorti dei problemi. Per quanto fosse doloroso passare così le notti il giovane Grifondoro aveva scartato a priori l’idea di parlarne con qualcuno, almeno per il momento. Anche a Ron e Hermione non aveva detto nulla, non voleva che si preoccupassero per lui più di quanto avevano già fatto quell’estate.

Appena voltato l’angolo si ritrovò di fronte ad un piccolo corridoio in cui non era mai stato prima, doveva trovarsi da qualche parte al terzo piano ma in un’ala del castello a lui sconosciuta. Fatti i primi passi al suo interno il giovane Grifondoro fu attirato da il suono di ante di legno che venivano sbattute. Addentrandosi lentamente per vedere la fonte di quel rumore, al riparo sotto il mantello, vide la figura di Draco Malfoy in un aula, che stava osservando un vecchio armadio all’apparenza vuoto, controllandone l’interno come se si aspettasse di trovarci qualcosa dentro.

Alla luce della lanterna dell’altro vide come il volto del Serpeverde mostrasse evidenti segni di stanchezza e di impazienza mentre procedeva ad aprire un altro armadio dal lato opposto dell’aula, sbattendone subito le ante, poco dopo.

“Dannazione!” esclamò l’altro passandosi una mano fra i capelli, stranamente non impomatati come al solito.

Harry vide l’altro prendere un foglio di pergamena in mano e scriverci qualcosa sopra con un carboncino velocemente, prima di ripiegarlo e rificcarselo sotto il mantello, procedendo rapidamente nella sua direzione, per uscire dall’aula. Il giovane Grifondoro si scostò di qualche passo da dove si trovava, verso sinistra della porta, per non farsi notare, rimanendo appiattito lungo il muro del corridoio.

Malfoy uscendo guardò nuovamente la mappa che aveva in mano, rimanendo quasi sulla porta. Grazie alla luce della lanterna Harry poté intravedere meglio di cosa si trattasse: era uno schizzo di quell’ala del castello, al terzo piano, con disegnate tutte la aule dove si intravedevano vari punti segnati con una x disegnata a carboncino. Osservando Draco mentre si guardava attorno spaesato, Harry si chiese cosa stesse cercando così insistentemente a quell’ora; certo essendo un prefetto poteva vagare per il castello la notte ma era molto distante dai sotterranei di Serpeverde.

Vedendo Draco proseguire per qualche passo nella direzione opposta a lui Harry tirò un sospiro di sollievo. Fu in quel momento che l’altro si bloccò come colpito da un fulmine; non si girò subito ma Harry avvertì chiaramente come l’altro stesse respirando a pieni polmoni l’aria notturna. Girandosi indietro il giovane Serpeverde si avvicinò pericolosamente alla sua posizione. Harry trattenne il respiro non muovendo un muscolo, cercando si diventare tutt’uno con il muro. Malfoy gli arrivò quasi davanti, prima di tirare evidentemente su col naso appuntito a pochi passi da lui.

“Limone, cardamomo e menta…” udì Harry percependo la voce dell’altro, flebile come un sospiro, rivolta chiaramente a se stesso. A quelle parole si maledisse; quella mattina si era messo qualche goccia di profumo che Hermione gli aveva regalato per il suo compleanno, gli piaceva particolarmente, nonostante non fosse mai stato un tipo che amasse quel genere di cose.

Malfoy avanzò a due passi dalla sua posizione, tirando fuori la bacchetta.

“Lumos!” pronunciò rivolto verso di lui.

Harry chiuse gli occhi rimanendo abbagliato ma non facendo un singolo rumore, nonostante gli mancasse quasi il respiro. Erano talmente vicini che ci sarebbe bastato pochissimo a tradire la sua posizione e l’ultima cosa che voleva era che Malfoy lo trovasse in quel momento.

Dopo qualche secondo di sbigottimento Malfoy dissolse l’incantesimo, sbuffò leggermente e si avvicinò di un altro passo. I due erano praticamente a pochi centimetri l’uno dall’altro. Harry sentì il cuore battergli forte, sentì il profumo di acqua di colonia addosso a Malfoy, prima che questi distogliesse improvvisamente lo sguardo con una smorfia.

“Sto impazzendo…” disse rivolto a se stesso proseguendo nella direzione opposta ad Harry, entrando nell’aula successiva e scomparendovi all’interno.

Il giovane Grifondoro dal canto suo deglutì, ricomponendosi, contento della fortuna insperata che aveva avuto: sarebbe bastato che Malfoy allungasse la mano di pochi centimetri, perché lo avesse scoperto. Doveva stare più attento.

Harry tuttavia decise di non darsi per vinto e di continuare ad osservare Malfoy da lontano; stava chiaramente cercando qualcosa, ma cosa?

Avvicinandosi all’ingresso dell’aula successiva, vide l’altro lanciare l’incantesimo di apertura su di un armadio posizionato al lato della cattedra ed aprirlo di colpo, per poi sbattere l’anta ed imprecare con sguardo misto di disperazione e rabbia. Fu quello più di ogni altra cosa a far varcare la soglia dell’aula ad Harry; non aveva mai visto Malfoy da solo e mai impaurito; lo sguardo di poco prima, prima che l’altro si prendesse la testa tra le mani singhiozzando, era di paura.

“Di che cosa poteva aver mai paura Malfoy?” si chiese Harry fra sé e sé. Certo suo padre era un mangiamorte ma era sicuro che mai avrebbe messo in mezzo suo figlio ad un età come la loro. Dopotutto, se Voldemort aveva un piano da portare avanti, era pieno di seguaci pronti a servirlo.

“A meno che quello che stia cercando non si trovi ad Hogwarts” gli sussurrò una vocina nella testa mentre continuava ad osservare l’altro, dall’altra estremità della sala, tenendosi stavolta a debita distanza. A questo Harry non aveva mai pensato prima; era certo che qualsiasi cosa Voldemort volesse fosse nascosta da qualche parte ma non ad Hogwarts, tuttavia non poteva davvero scartare quest’eventualità.

Con questi pensieri Harry seguì Malfoy per un’altra ora buona mentre maniacalmente cercava qualcosa nelle varie aule del corridoio del terzo piano, senza successo. La stanchezza infine prese il sopravvento ed Harry decise di lasciar perdere per quella sera, aveva seguito Malfoy abbastanza. Fu in quel momento che l’altro con passo incerto si appoggiò un attimo con la schiena alla balaustra della scalinata che saliva verso il piano successivo, di fronte a loro, respirando affannosamente. Harry osservò il corpo di Draco afflosciarsi lentamente a terra mentre questi sembrava essere svenuto per la stanchezza.

Harry si bloccò per un attimo, da una parte quella era l’occasione per esaminare meglio il foglio che l’altro si portava dietro, un’occasione che non si poteva lasciar sfuggire ora che il Serpeverde era privo di sensi, anche se significava uscire dal riparo del mantello dell’invisibilità. Il giovane Grifondoro valutò per un secondo le sue opzioni e decise infine di tentare; esponendosi si avvicinò a Malfoy che respirava lentamente, profondamente addormentato, cercano di individuare la tasca del mantello dove gli aveva visto mettere il foglio di pergamena poco prima.

Proprio in quell’istante tuttavia Harry sentì un rumore di pietra che scorreva e con orrore vide che la scalinata di fronte a sé stava cominciando a cambiare direzione, facendo retrarre all’interno del muro la balaustra contro cui era appoggiato a peso morto il giovane Serpeverde. Harry agì d’istinto: uscendo completamente dal mantello dell’invisibilità, tirò Malfoy per le gambe facendogli battere una bella zuccata sul pavimento del pianerottolo ma evitandogli una caduta nel vuoto di diversi metri. Ansimando cercò di rimettersi in piedi e fu allora che vide un rivolo di sangue provenire dal retro della testa di Draco.

Ad Harry si gelò il sangue nelle vene, inginocchiandosi accanto al Serpeverde vide che aveva una ferita aperta alla base della testa. D’istinto prese un lembo della sua uniforme, lo raddoppiò, tentando di tamponarla, inzuppandosi la manica, ma riuscendo nel suo intento. Guardandosi attorno in cerca d’aiuto, Harry vide una piccola luce alla fine dall’ombra del corridoio dietro di sé.

“AIUTO!” urlò Harry in preda al panico, sentendo il calore del sangue misto al profumo di acqua di colonia di Draco.

Nel men che non si dica la piccola luce avanzò rapida verso di lui, rivelando la sagoma corpulenta del professor Costa, il nuovo insegnante di Storia della Magia.

Cos’è successo qui!?” disse l’uomo rivolto ad Harry, fiondandosi su Draco, con la bacchetta in mano.

Prima che questi potesse rispondere, Harry vide l’uomo, allontanargli il braccio con un colpo secco e puntare la bacchetta sulla ferita di Draco dicendo, in un tono cantilenante, per tre volte:

“Vulnera Sanentur”

Harry rimase immobile accanto al professore mentre con sollievo vedeva il flusso del sangue alla base della testa di Draco fermarsi dapprima e poi invertire il suo flusso, fino a cicatrizzarsi. Senza dire una parola o degnarlo di uno sguardo il professor Costa, toccò il polso di Draco e poi il collo. La sua espressione quindi si distese e sembrò vedere Harry per la prima volta.

“Seguimi Potter!” gli ordinò con sguardo severo, mentre con un movimento della bacchetta sollevò il corpo di Draco a mezz’aria orizzontalmente e avviandosi spedito dall’altra parte del corridoio. Harry non osò contraddirlo e gli caracollò dietro, l’uomo infatti era estremamente veloce per la sua corporatura.

Il loro percorso terminò alle porte dell’infermeria dove ad Harry fu ordinato di aspettare fuori. Il giovane Grifondoro si era disteso contro la parete di pietra accanto all’ingresso dell’infermeria aspettando notizie ed il ritorno del professor Costa. Smaltendo lentamente la tensione di quello stupido incidente si augurò che niente di irreparabile fosse successo a Draco; tanto stupido era stato quell’incidente che Harry si maledisse più volte per la sua scarsa prontezza di riflessi. 

Dopo quelle che erano sembrate ore, Il professore di Storia della Magia spuntò inaspettatamente alle sue spalle, sorprendendo Harry che si aspettava di vederlo uscire dalla porta principale dell’infermeria.

“Seguimi nel mio ufficio, Potter.” gli disse con espressione severa. Harry non proferì parola seguendo l’uomo per i corridoi del castello fino ad arrivare ad una porta di mogano, che il professore aprì facendogli cenno d’entrare.

“So già cos’è successo stasera, Potter” gli disse il professor Costa, alzando la mano proprio nel momento in cui Harry stava per iniziare a parlare. “Siediti. So che è stato un incidente”. disse l’uomo sedendosi pesantemente sulla poltroncina davanti a lui.

“Davvero?!” disse Harry incredulo, riuscendo a proferire la prima parola nel giro di due ore.

“Sì, e so anche che se non fosse stato per te, probabilmente il signor Malfoy si sarebbe ferito molto più gravemente, questa sera.” disse con espressione seria.

 “E lei come…?” inizio Harry

“Potter suvvia, ne saprò di magia un po’ più di lei, non crede?”

Harry si zittì arrossendo d’imbarazzo.

“Non mi sarei mai aspettato un simile gesto da parte sua.” disse l’uomo prendendo un sigaro da una scatola in un cassetto della scrivania. “Vista la sua rivalità col signor Malfoy…intendo” concluse accendendoselo con un fiammifero.

“Non l’ho mai odiato a morte, professore” disse Harry quasi sincero.

L’uomo sorrise appoggiando il sigaro su un posacenere accanto. “Beh, ho i miei dubbi in proposito. Io sono ad Hogwarts da poco ma so già molto sulla vostra inimicizia. Eh beh, un Grifondoro che rischia la propria vita per un Serpeverde questo non l’avevo mai visto fino a qualche ora fa.”

“Beh, non credo…” esordì Harry, imbarazzato per un simile commento.

“Cosa?! Lei sa, signor Potter, che se avesse calcolato male i tempi il peso del signor Malfoy avrebbe rischiato di trascinare anche lei oltre il pianerottolo, facendovi fare un volo di parecchi metri, probabilmente fatale?”

Harry non sapeva cosa rispondere. Non ci aveva davvero pensato, aveva agito d’istinto. Gli era sembrata la cosa giusta da fare.

“Il signor Malfoy si riprenderà presto. Non le chiederò cosa ci faceva fuori dal suo dormitorio a quest’ora della notte perché so che questi sono momenti difficili per lei.” aggiunse, riprendendo in mano il sigaro.

Harry provò un insolito moto di gratitudine per quel professore che non conosceva che da qualche mese. Era un tipo singolare davvero.

“Quello che le chiedo è di fare attenzione e di non abusare delle sue…risorse.” disse indicandogli il mantello dell’invisibilità, accuratamente ripiegato su un tavolino in un angolo della stanza.

Harry lo guardò sbalordito.

“Può andare signor Potter. Il suo dormitorio l’aspetta. Cerchi di fare tesoro di quanto accaduto stasera.” concluse l’uomo aprendo un libro davanti a sé.

Harry si alzò senza dire nulla, prendendo il mantello dell’invisibilità e rimettendoselo addosso. Non capiva a cosa si riferisse l’uomo con quell’ultimo commento ma dal tono usato dal professor Costa la conversazione era chiaramente finita.

Il viaggio di ritorno alla torre di Grifondoro avvenne senza intoppi. Harry non riuscì a reggere alla stanchezza appena entrò nel suo comodo letto a baldacchino. Quella notte dormì un sonno molto agitato; il mattino dopo non ricordava nulla, solo l’odore di sangue misto ad acqua di colonia.

 

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