Zapam'yataty. Ricordi di una dipendenza

di linea_carmensita94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


zapam'yataty
Ricordi di una dipendenza
 
 


Cap.1
Giugno, 1988.
 


La mia bocca sta sanguinando, mi sono quasi staccata la lingua a morsi da quanto sto male: sudo freddo, tremo, avverto un forte formicolio nelle braccia e nelle gambe, inoltre la mia vescica si è svuotata per la seconda volta.
Sono legata in questo materasso sporco dei miei bisogni da non so quanto tempo; so solo che di punto in bianco, quei pezzi di merda degli infermieri hanno smesso di darmi i farmaci e adesso sono in ruota …
 
Voglio bere, mi serve della vodka!
 
Provo a distrarmi osservando le pareti della mia stanza, sono logorate dall’umidità, perdono pezzi di intonaco e gli angoli delle mura sono pieni di muffa; la sua puzza si mescola a quella dei miei escrementi.
 
Voglio bere, mi serve della vodka!
 
Mi manca la voce da quanto ho urlato ma non è venuto nessuno. Per la prima volta dopo tanto tempo, ho paura e so che nessuno verrà ad aiutarmi.
 
Il mio Dimitri non verrà ad aiutarmi …
 
Topi. Una marea di topi corre in direzione del mio letto. Il cuore mi batte all’impazzata e mi dimeno, prigioniera di quattro lacci di cuoio che mi tengono legata a questo lurido materasso, provo a gridare di nuovo ma sputo sangue.
 
Voglio bere, mi serve della vodka!
 
Chiudo gli occhi e giro la testa di lato, pregando che quei maledetti topi spariscano!
Dopo qualche interminabile minuto, riapro gli occhi: i topi sono spariti, al loro posto ci sono sette tizi con maschere antigas e grembiuli di piombo intorno al mio letto.
Non è possibile, voi siete morti uno ad uno! Non potete essere qui.
Sento una fitta dolorosa al petto, non riesco a respirare. La mia vista si è annebbiata di colpo, non vedo niente …
Se fosse la fine, non me ne dispiaccio: la mia esistenza è inutile e troppo dolorosa per continuare.
 
Avrei solo voluto bere un ultimo di bicchiere di vodka.



 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Cap. 2
Settembre 1986.
 


«Eccoci arrivati. Questo è il suo appartamento, signora Kochanov. »

La voce della signora Borisevic mi rimbomba nelle orecchie come un suono fastidioso. La mia mente è persa nel vuoto, tutto ciò che mi circonda mi è indifferente da quando ho dato il mio addio a mio marito Dimitri.

« Signora? Mi ha sentito? » mi richiama la mia interlocutrice.

Sobbalzo appena e guardo l’anziana donna minuta di fronte a me. Lei non può capire ciò che sto provando in questo momento; so cosa pensa, quello che pensano tutti: questa donna proviene da Pripjat’e il suo defunto marito era un liquidatore di Cernobyl, sarà sicuro parlarle così vicino?   
Tutti gli sfollati sono visti come degli appestati da tutta la nazione, giornali  e riviste fanno a gara per scrivere le cose più terrificanti su di noi, sulla nostra terra avvelenata, sugli eroi caduti e sui presunti colpevoli.
Da quando ho perso mio marito, sono chiusa in me stessa e sono diventata silenziosa. La mia anima è incapace di contenere l’enormità di ciò che è accaduto, della mia perdita, del mio dolore …
Senza dire niente, entro con passi lenti dentro la mia nuova casa: il soggiorno e la cucina sono uniti, al centro c’è un piccolo corridoio che porta alla camera da letto. L’arredamento è minimale e tutte le pareti sono rivestite da una orribile carta da parati rosa e gialla.
Appoggio le mie due valige per terra e mi affretto ad aprire la finestra della cucina, non sopporto questo cattivo odore di chiuso.
La signora Borisevic si avvicina al tavolino del soggiorno con in mano le chiavi della casa.

« Tornerò alla fine del mese per riscuotere l’affitto. » detto ciò, lascia le chiavi nel tavolo e si congeda in silenzio.

Resto da sola con i miei dannati pensieri. Come farò, adesso? Fino a poco tempo fa, ero così felice: ero la moglie di un operaio che amavo alla follia! Eravamo inseparabili, facevamo un sacco di progetti per il futuro nonostante l’incidente alla centrale, lo sfollamento. Dovevamo ricominciare da capo proprio qui, a Kiev. Avevamo ritrovato entrambi un lavoro, stavamo mettendo i soldi da parte per comprare una casa più grande, per poter mettere su la famiglia che tanto desideravamo!
E poi è arrivata la chiamata: doveva andare a Cernobyl insieme a un gruppo di  compagni  per ripulire il tetto del reattore numero 4 dalla graffite. Solo 90 secondi di tempo per buttare la graffite nelle macerie del reattore.
Prima di terminare, cadde in mezzo a quel miscuglio di macerie e graffite e rimase con il piede destro incastrato tra di essi; nel tentativo di liberarsi, ruppe lo stivale e rimase ferito.
Dopo qualche giorno, Dimitri tornò a casa e da quel momento ebbe inizio il nostro calvario: Le escrescenze nerastre, la perdita dei capelli, i vasi che gli scoppiavano di continuo, i pezzi di pelle e carne viva che si staccavano ogni giorno dal suo corpo; cosa non abbiamo visto io e il mio povero Dimitri in quei suoi ultimi venti giorni!
Gridava giorno e notte dal dolore, tutti i medici che contattavo si rifiutavano di visitarlo appena scoprivano che Dimitri era “ uno di Cernobyl ”. Grazie al consiglio di alcune donne che avevano vissuto la mia stessa situazione, avevo trovato un diversivo per alleviare le sue sofferenze: con la siringa, gli iniettavo un intera bottiglia di vodka e lui si assopiva, ma quel trucco non durò a lungo a causa delle sue vene disintegrate. Fu allora che i parenti cercarono di convincermi a farlo ricoverare in un centro speciale per quelli come Dimitri; persino mio marito, ancora cosciente, insistette perché non voleva essere un peso per me. Oh, come poteva pensare una cosa così orribile? Io vivevo per lui, non lo avrei mai lasciato da solo.
Eppure riuscì a convincermi. Avrei fatto qualunque cosa pur di poterlo salvare e nonostante le sue condizioni disperate, io non volevo rassegnarmi a l’idea di perderlo.

Dimitri trascorse gli ultimi dieci giorni della sua vita in quella struttura ed io andavo sempre a trovarlo. Ogni giorno era un supplizio per entrambi: Dimitri perse la vista, andava di corpo venticinque volte al giorno fino a defecare muco mischiato a sangue, la sua pelle cambiava colore ogni giorno, il collo e il mento non c’erano più. Andando contro il parere delle infermiere, continuavo a starli vicino, a riempirlo di baci.  

Poi il vuoto … la mia mente ha rimosso i suoi ultimi istanti e il funerale. Sono stata costretta a vendere la nostra casa per poter pagare tutti i conti arretrati. La mia famiglia abita lontano, non se la passano bene nemmeno loro mentre la famiglia di Dimitri non mi ha mai accettata, non potrei mai contare su di loro! Così, adesso sono sola. Tutto ciò che mi resta sono solo i ricordi.

Sospiro mentre osservo la bottiglia di vodka che la signora Borisevic mi ha lasciato come regalo di benvenuto.
Senza nemmeno prendere un bicchiere, apro la bottiglia e mando giù un lungo sorso.
Per il mio Dimitri, era sollievo. Può esserlo anche per me.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Cap. 3
Fine Aprile 1988
 

Apro gli occhi: un forte dolore alla schiena e un emicrania allucinante mi sorprendono come una bastonata improvvisa. Ho un leggero brivido e mi accorgo di avere addosso solo un paio di mutande bianche e la vestaglia da notte verde tra le mani.
Un insopportabile odore di chiuso invade le mie narici, così cerco di mettermi in piedi per aprire la finestra ma le ginocchia mi abbandonano di colpo; riesco ad aggrapparmi a un  angolo del letto e solo in quel momento realizzo di aver dormito sul pavimento della mia camera.

Sono ancora in ginocchio, aggrappata a  l’angolo del materasso e mi rendo conto che è quasi sera. Quante ore ho dormito? Perché ho dormito per terra? Non ricordo proprio niente … non so nemmeno che giorno è oggi!
Cerco di nuovo di rimettermi in piedi e per fortuna riesco a rimettermi dritta nonostante il tremendo capogiro che ne segue. A passi lenti, mi avvicino al soggiorno restando appiccicata alle pareti immersa nel buio della sera. Raggiungo l’interruttore e accendo la luce del soggiorno. La luce mi acceca di colpo e la mia emicrania si fa sempre più fastidiosa, per non parlare della nausea.
Il soggiorno, il corridoio e la cucina sono un disastro! Ci sono frammenti di cocci sul pavimento, spazzatura arretrata, avanzi di pane con lardo e alcune bottiglie di vodka vuote. Il divano è macchiato di vomito, i vetri delle finestre hanno un fitto strato di polvere come i pochi mobili di casa che mi sono rimasti … ma di tutta questa confusione, ciò che più mi tocca è la foto del mio matrimonio per terra in mezzo a quelle bottiglie vuote. La raccolgo e la guardo con profonda malinconia ripensando a quella felicità perduta.

Cosa è rimasto di quella Lilija sorridente e piena di sogni?  
Osservo quella vecchia Me con l’abito bianco, i capelli corvini raccolti in un intreccio elaborato, gli occhi azzurri pieni di vita, la faccia marcata ,la pelle bianca pulita, il corpo slanciato e con poche forme.
Adesso sono solo una donna grassa e trasandata  con i capelli crespi,  lo sguardo pitturato e vuoto. Inoltre, è da qualche giorno che ho la vescica infiammata e non riesco più a mangiare come si deve: qualunque cosa mangio, la vomito subito! Dovrò farmi visitare dal medico uno di questi giorni.
Mi rimetto la vestaglia addosso e controllo se in frigo ho ancora delle bottiglie di vodka; ho bisogno di bere, così mi annullo e non penso più al mio dolore incessante.
Per fortuna, ne ho ancora due! Devo assolutamente comprarne delle altre, queste mi basterà a malapena per la notte. Guardo l’orologio e mi accorgo che sono passate le venti: adesso il super mercato è chiuso. Afferro la mia borsa appesa a l’appendi abiti, cerco con urgenza il mio borsello e controllo quanti soldi mi sono rimasti. Maledizione! Non ho niente.

Qualcuno bussa alla porta. Senza curarmi della sporcizia e del disordine che regnano, vado ad aprire. Sbuffo nel constatare che si tratta della signora Borisevic.
« Cosa desidera? » le chiedo cercando di contenere la mia scocciatura. Dopo tutto, questa donna mi da un tetto dove poter sopravvivere.
« Sa che giorno è oggi? » mi chiede guardandomi torva.
« Domenica … »
« è Giovedì!  »
 Cosa? Ho saltato un quattro giorni di lavoro e nessuno mi ha cercata, come può essere?!
« è in ritardo di otto giorni con il pagamento dell’affitto e l’altro giorno ho scoperto per puro caso che è stata licenziata per essersi presentata completamente ubriaca in fabbrica. Ho cercato di essere indulgente e ho provato a cercarla in diverse occasioni, ma da quello che vedo  …  » lascia la frase in sospeso osservando l’interno del mio appartamento « I vicini sono venuti da me a lamentarsi del baccano che hanno sentito in questa casa negli ultimi giorni! » continua riuscendo a malapena a contenere la rabbia.
Non so cosa dire, non ricordo nulla ne del mio licenziamento, ne di essermi rinchiusa in casa per così tanti giorni … tanto meno mi ricordavo dell’affitto da pagare! È come se la signora Borisevic mi avesse tirato una secchiata di acqua fredda addosso: non ho soldi, ho appena scoperto di essere senza lavoro e la mia affittuaria vuole essere pagata.
« Mi … mi dispiace per questa situazione. Ho passato un momento difficile ma le prometto che troverò i soldi per l’affitto, riprenderò il mio lavoro, farò … »
 « Signora Kochanov, non è solo un problema di soldi: è da troppo tempo che va avanti questa storia delle sbronze e io non posso più tollerare un simile comportamento! »
Improvvisamente, due uomini in camice bianco si materializzano dietro la signora Borisevic.
« Che diavolo significa? » le chiedo con voce tremante e un brutto presentimento che cresce.
« è per il suo bene, loro possono aiutarla. »

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Cap. 4.
Aprile 1987


Un altro pantalone da sistemare con la macchina da cucire e ho finito anche oggi! Non ne posso più di restare seduta in questa sedia scomoda. Prendo la mia borraccia e mi riempio la tazza portatile con la vodka, la quinta tazza della giornata.
Durante le ore lavorative, cerco sempre di controllarmi considerando che non posso permettermi colpi di sonno con la macchina da cucire in azione; però è più forte di me, ho bisogno della vodka come fosse ossigeno perché mi aiuta a non pensare, a non ricordare …

Oggi è il 26 Aprile, è già passato un anno da l’incidente di Cernobyl. Ieri sera, Gorbacev diceva parole rassicuranti sulle opere di bonifica fatte dai volontari in televisione. A me non importa più niente! So che non tornerò mai più a Pripjat, non passerò più le Domeniche mattina con Dimitri ad aiutare suo padre a raccogliere le patate nel campo, non pranzeremo  più insieme con le conserve e i salumi nei pressi del fiume Pripjat durante le nostre scampagnate, non avrò mai la mia casa grande, la mia famiglia, i figli e i nipotini … Dimitri non invecchierà con me.
Avevo spento il televisore, scolato  una bottiglia e mezzo di vodka e mi ero addormentata nel divano, stringendo la foto del mio matrimonio sul petto, ingoiando le mie lacrime.

Dopo Cernobyl, ho scoperto che tanta gente ha trovato conforto nella vodka; si dice che ti protegga dalle radiazioni. A me, mi aiuta a vivere un giorno alla volta: quelle poche amicizie che avevo creato a Kiev, sono sparite perché nessuno è in grado di comprendere la mia sofferenza, alcuni colleghi di lavoro hanno persino provato a corteggiarmi ma la sola idea di dividere la mia esistenza con un uomo che non sia mio marito, mi è inaccettabile! 
Solo la vodka non mi abbandona!  
Quando non lavoro, riparo i vestiti di qualche vicino in cambio di una bottiglia di vodka; tra i “ compagni “ vale il sistema del baratto, specialmente in questi tempi di crisi.  
 
°°°°°°°°°°°°°


Appena rientrata, mi reco subito verso il frigorifero per poter bere in santa pace, senza freni.
Non c’è vodka in frigo, non può essere! Ieri pomeriggio, avevo comprato quattro bottiglie, come ho fatto a finirle in così poco tempo?!
Prendo la mia borsa e controllo se mi è rimasta della vodka nella borraccia. Niente!
Inizio a grattarmi la testa con fare ansioso e cerco di calmarmi. Se non ricordo male, dovrebbe passare Vadik a ritirare la sua giacca di pelle e mi porterà due bottiglie di vodka come ringraziamento.

Bussano alla porta, deve essere lui. Corro trafelante e appena apro, osservo il biondo gigante ben piazzato sulla soglia come fosse un’ apparizione.
« Buonasera, Lilija. È pronta la giacca? » mi chiede con un tono tutt’altro che amichevole. A dire il vero, non è mai stato un simpaticone.
« Eccola.  » gli rispondo mentre gli consegno la giacca ben piegata.
Osserva accuratamente la giacca con fare contrariato « Dovrei darti due bottiglie di vodka per questo? Non ne meriti nemmeno una! »
« Lo strappo era profondo, il mio è stato un lavoro di precisione, considerando il materiale! Non puoi fare il pidocchioso! »  gli urlo contro.
« Vai al diavolo! » replica voltandosi in direzione della porta ma io mi butto ai suoi piedi in ginocchio.
« No! Ti prego, Vadik. Cosa posso fare per quelle due bottiglie?! Mi servono! » lo supplico in preda a una crisi di nervi.
Vadik si guarda intorno e il suo sguardo si sofferma su un mobile vicino al divano « Dammi quel orologio da polso e ti darò tre bottiglie di vodka. » risponde impassibile.
Mi si gela il sangue, vuole prendersi l’orologio da polso del mio Dimitri! Quello era un regalo della sua famiglia quando concluse il servizio militare. Non posso darglielo … però mi darebbe tre bottiglie di vodka ed io ne ho bisogno.
« Allora? le vuoi o no le tue bottiglie?! » mi incalza con aria impaziente.
Mi rimetto in piedi. Con le lacrime agli occhi e il passo tremante, prendo l’orologio e lo porgo a Vadik.
 
Sto così male da volere che qualcuno mi uccida all’istante.
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Cap. 5
Maggio 1988
 

« Merda! Il governo ci ha tolto fondi, come diavolo mi compro da mangiare?!  »
Zoja, uno dei pochi infermieri di questa struttura, impreca contro i politici mentre cambia le mie lenzuola.
Io ho le braccia incrociate al petto e sento un prurito insopportabile, vorrei staccarmi la pelle di dosso. Piango per questo dolore incessante.
« Ho bisogno di bere. Dammi un bicchiere di vodka, ti prego.  » lo supplico piangendo senza ritegno.
« Smettila di piagnucolare! Tu sei malata, non puoi bere!  » mi risponde con disprezzo.
« Ma senza la vodka, sto male! Dammi solo un bicchierino, ti giuro che non lo dirò a nessuno.  »
Zoja si volta di scatto e strattona il braccio sinistro così tanto da farmi cadere.
« Sei senza lavoro, non hai nessuno e inoltre hai un rene, il fegato e la vescica compromessi. Hai barattato quasi tutti i tuoi averi per delle bottiglie di vodka e ti sei ricoperta di vergogna! Non lo capisci che la vodka ti ha rovinato la vita?! Anzi, sai che ti dico? Tu sei solo una gran perdita di tempo per noi! »  urla strattonando sempre di più il mio braccio.
« Io vengo da Cernobyl!! » grido sperando che mi lasci.
Zoja cambia espressione e mi molla subito. Guarda con orrore la sua mano e senza dire niente, scappa dalla mia stanza.
 
 
°°°°°°°°°°°°°
 

Massaggio il livido vistoso che ho sul braccio sinistro; Zoja è solo un povero frustrato!
Sono seduta sul materasso con le gambe ben strette al petto.  Questa stanza è piccola e puzza  di chiuso, non lo sopporto!  
Gli psicofarmaci  hanno cominciato a fare effetto.
Sono rinchiusa in questo posto da due settimane, vivo in mezzo ai drogati, ai pazzi! Ho paura di queste persone e ho paura degli infermieri: questi ultimi sono così bruschi, urlano, insultano i pazienti.
Non sono altro che un rifiuto di questa maledetta società e non so perché ancora respiro. A cosa vale la mia sopravvivenza?
 Senza la vodka, non esisto …

Ho perso tutto ciò che avevo di più caro e  nessuno piangerà per me quando arriverà il mio momento, non mi resta che aspettare!

Provengo da una famiglia dove regnava la disciplina militare ma c’era poco amore … poi, Dimitri è entrato nella mia vita ed è riuscito a riempirla di gioia e affetto. Ma ormai è tutto finito, è inutile rivangare …
Mi metto in piedi, mi avvicino con calma al muro dove c’è la finestra chiusa a chiave. Mordo violentemente il pollice sinistro e inizio a scrivere con il mio sangue. Voglio lasciare qualcosa di me in questo luogo deprimente …
 

Lilija Kochanov, 25 anni.
Cittadina di Pripjat, vedova di un liquidatore di Cernobyl.
Muoio senza terra, senza famiglia e senza fede.
 
 
 

Note: le vicende narrate in questa minilong sono ispirate al libro “ Preghiera per Cernobyl “ di Svjatlana Aleksievic. Verso gli ultimi anni ( anche dopo ) dell’Unione Sovietica, a causa dell’esplosione della centrale nucleare di Cernobyl, della crisi economica, del forzato sfollamento delle persone che vivevano nelle zone ad alta contaminazione, si creò un clima di depressione e fatalismo che portò all’aumento della tossicodipendenza, dell’alcolismo  e non solo. Ho scelto di pubblicare i ricordi in ordine mischiato di proposito.
Per quanto riguardo l’ospedale psichiatrico, mi sono ispirata a un fatto di cronaca realmente accaduto in Ucraina.
Il titolo della storia significa “ricordi” in ucraino 

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