Ossessione

di AthenaKira83
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Extra 1 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Sei un bugiardo!
Non è vero che dovevi lavorare fino a tardi.
Sono venuta a trovarti, ma l'ufficio è chiuso e tu non ci sei.
Non mi piace essere presa in giro.

Alec Lightwood allontanò il ricevitore dall'orecchio e, per un istante, fu tentato di scaraventarlo contro il muro. Fece un respiro profondo e cercò di scacciare l'irritazione che lo invadeva sempre quando le decisioni venivano prese senza consultarlo.
Alec era un tipo preciso, scrupoloso, metodico. Gli piaceva controllare le cose, pianificare tutto nei minimi dettagli e ponderare con largo anticipo ogni mossa, anche quella successiva.
In quel momento, però, niente stava andando come voleva. Era stato preso completamente in contropiede e, spiazzato, stava faticando non poco a tirarsi fuori da quella situazione che l'aveva investito come uno tsunami.
Con un altro sospiro esagerato svuotò i polmoni e si sforzò di tenere a bada la frustrazione che gli ribolliva nelle vene. Perdere il controllo non sarebbe servito a nulla. Non con la persona dall'altro capo del telefono, almeno. No, con lui doveva rimanere calmo, freddo, lucido. O non avrebbe avuto scampo e sarebbe rimasto schiacciato dalla sua ferrea volontà di piegarlo al suo volere.
"E cosa dovrei farmene di questa guardia del corpo?" ringhiò Alec, tamburellando, nervoso, le dita sul piano lucido della sua scrivania, sormontata da una montagna di fascicoli e fogli sparsi su tutta la superficie.
C'era una pila, al suo fianco, che pendeva pericolosamente verso destra e minacciava di franargli addosso da un momento all'altro. Quello, però, era l'ultimo dei suoi pensieri, anzi c'era una vocina, dentro di lui, che gli stava suggerendo che sarebbe stato meglio venire seppellito da tutte quelle scartoffie piuttosto che affrontare la catastrofe che stava avendo luogo. Diede un colpetto con l'indice alla pila, per raddrizzarla alla bell'e meglio, poi prese un matita per renderla ancora più stabile, ma con scarsi risultati. Dopo un lungo sospiro e un'occhiata critica, scrollò le spalle, decretando che non c'era il rischio di morire travolto da decine e decine di fogli, non per il momento almeno, e tornò quindi a concentrarsi sulla conversazione telefonica che gli stava irrimediabilmente rovinando quella domenica mattina.
"E' ridicolo." continuò, appallottolando con una mano un foglio scarabocchiato, gettandolo poi, con un gesto deciso, nel cestino ricolmo accanto alla sua gamba.
La voce profonda di Robert Lightwood risuonò dall'altro capo del ricevitore, calma. "Non è una guardia del corpo, Alec." lo corresse suo padre, tranquillo. "E' più un.. custode." specificò, dopo un momento di pausa "Sì, direi che è la definizione più calzante."
"Ahn-ahn. Certo, come no. E io sono il Presidente degli Stati Uniti!" lo schernì Alec, secco, roteando gli occhi a quella ridicola spiegazione.
Suo padre stava tentando di raggirarlo. Era un artista in questo. Solitamente usava questo trucchetto con il "nemico", ossia i suoi avversarsi politici, ma, se necessario, non si faceva alcuno scrupolo a sfruttarlo anche con i membri della propria famiglia, se questo significava raggiungere il proprio scopo. In quel momento, ad esempio, sperava di fregare Alec dando un'altra definizione a colui che, a tutti gli effetti, in realtà era un cane da guardia che ben presto avrebbe sconvolto la sua tranquilla vita di agente di viaggi. Lui, però, non ci cascava.
"Alec.." sospirò Robert. "Si assicurerà solamente che non ti succeda niente." spiegò con tono rassicurante.
"Davvero? E perché questo tizio non custodisce Jace o, meglio ancora, Izzy? Eh? Perché non va a rompere le scatole a lei?" chiese Alec, stizzito. "Sono certo che Izzy troverebbe la cosa estremamente eccitante e divertente, a differenza del sottoscritto!"
"Perché loro non hanno ricevuto minacce di morte."
"Ma quali minacce, per l'angelo!" ribatté Alec, alzando il tono di voce e sbuffando esasperato. "Stiamo parlando di una stupida e-mail, papà! Una soltanto! Ed era indirizzata a te, non a me!"
Suo padre esagerava. Sempre. Era il re indiscusso del dramma. Nessuno aveva la predisposizione a ingigantire ed enfatizzare qualcosa come Robert Lightwood e quella situazione ne era il classico esempio lampante.
Santo cielo, solo perché un tizio, con più di una rotella fuori posto, gli aveva inviato un'e-mail, in cui lasciava intendere che conosceva l'attività di Alec, sembrava che, di lì a poco, stesse per avere luogo l'Apocalisse e che i quattro cavalieri fossero pronti a squarciare il cielo con le loro armi da guerra e scendere sulla terra per seminare morte e distruzione.
"Alec, questo tipo di intimidazioni non vanno prese alla leggera." si giustificò Robert.
"Papà, apprezzo la tua preoccupazione per me, davvero, ma non sono più un bambino. So badare a me stesso! Senza contare che si è trattato sicuramente di un brutto scherzo e nulla di più!" rispose Alec con convinzione, evitando accuratamente di menzionare ciò che aveva trovato sopra la tastiera del suo PC.
Lei, infatti, era stata lì.
Alec si rigirò, tra le dita, uno dei suoi tanti biglietti da visita della sua agenzia di viaggi, Cacciatori di sogni. Questo, però, era diverso da tutti gli altri: nella parte immacolata, che si trovava sul retro del cartoncino, minacciose lettere, scritte con inchiostro rosso, marchiavano, enormi, lo spazio color avorio.
Non era firmato, ma Alec non aveva dubbi su chi fosse la mittente.
Lydia Monteverde gli aveva chiesto un appuntamento ogni giorno da quando era entrata la prima volta nel sua agenzia, due mesi addietro, per informazioni su una vacanza.
Era successo anche il giorno prima e, ancora una volta, Alec aveva rifiutato con educazione, adducendo l'ennesima scusa per non cenare con lei.
Trascurando il fatto che quella ragazza non era decisamente il suo tipo, visto che Alec preferiva tratti ben più mascolini, c'era qualcosa, nel suo comportamento, che l'aveva messo in allerta fin dal loro primo incontro e ora sapeva che il suo istinto non si era sbagliato: l'interesse di Lydia, nei suoi confronti, si stava trasformando in morbosa ossessione e Alec iniziava a sentirsi davvero a disagio per quella situazione.
Non era affatto preoccupato che gli potesse succedere qualcosa, no, questo no, ma era spiacevole doversi continuamente "difendere" da quegli attacchi indesiderati. Non gli era mai capitato di essere l'interesse amoroso di nessuno, non nel senso romantico del termine almeno, e di certo non aveva alcuna intenzione di iniziare a esserlo ora. Soprattutto se quelle attenzioni arrivavano da una ragazza, per l'angelo!
Incastrò la cornetta del telefono tra l'orecchio e la spalla e strinse le labbra in una lunga linea sottile, mentre rileggeva il messaggio delirante che aveva davanti, guardandosi poi nuovamente attorno, con uno strano senso di inquietudine. Come diavolo aveva fatto a entrare? La serratura era intatta e non c'era alcun segno di effrazione. Nulla era fuori posto e tutto sembrava come l'aveva lasciato il giorno prima, a parte il biglietto con le lettere scarlatte scritte a caratteri cubitali, che era stato incastrato tra i tasti della tastiera del suo computer. Il pensiero che quella donna potesse avere accesso al suo ufficio, in ogni momento, lo infastidì e turbò al tempo stesso.
Fissò, pensieroso, lo sguardo fuori dalla finestra, dove la vita trascorreva tranquilla, almeno rispetto a quanto stava succedendo dentro al suo ufficio. Un pallido sole domenicale accompagnava la giornata dei newyorkesi, che, carichi di sacchetti colorati e indaffarati a chiacchierare con il proprio accompagnatore o a parlare al telefono, affollavano il marciapiede al di là del vetro. Quell'usuale e pacifico tran-tran era in netto contrasto con l'atmosfera che stava respirando Alec, carica di tensione ed elettricità. Improvvisamente il moro desiderò essere lì fuori.
Il lungo silenzio dall'altra parte della linea ebbe il potere di riportarlo bruscamente al presente e di focalizzare la sua attenzione su ciò che stava accadendo in quel momento. Alec sapeva bene, infatti, che suo padre stava per passare all'attacco, ponderando con attenzione le prossime parole che gli avrebbe rivolto.
Robert Lightwood era un uomo che raramente agiva d'impulso: il suo autocontrollo era proverbiale e soppesava ogni parola prima di pronunciarla, stando sempre attento ai toni e ai contenuti delle proprie dichiarazioni. Anche per questo era uno dei favoriti, tra i vari candidati che si sarebbero contesi l'ambita poltrona al Senato alle prossime elezioni.
"Alec, chiunque ci sia dietro a questa faccenda, sa benissimo che il modo migliore per colpire me è colpire i miei cari." mormorò Robert, con un esagerato sospiro melodrammatico.
Alec irrigidì le dita attorno al biglietto da visita che aveva in mano, intuendo la nuova tattica dell'uomo: far leva sul suo senso di colpa. Era un comportamento sleale.. e così tipico di suo padre!
Non sapeva se Lydia c'entrasse qualcosa o meno, ma lo sconosciuto che aveva inviato l'e-mail a Robert non aveva rivolto nessuna reale minaccia ai suoi familiari, perciò Alec sapeva di non essere davvero in pericolo e trovava, quindi, assurda l'idea di vedersi affibbiare una guardia del corpo. Non ne aveva bisogno. Era un uomo, per l'angelo! Nel caso in cui ci fosse stato davvero un pazzo che l'aveva preso di mira, lui era capacissimo di badare a sé stesso. Era alto e ben piazzato e poteva stendere tranquillamente qualsiasi aggressore osasse anche solo avvicinarsi. Non era affatto la damigella in pericolo che suo padre si ostinava a pensare, dannazione!
Al contempo, però, c'era una parte di lui, quella diligente, quella che faceva sempre la cosa giusta, quella che metteva la famiglia prima di tutto, che non voleva assolutamente far preoccupare l'uomo dall'altro capo della cornetta, che già viveva un momento stressante, tra la gestione dell'azienda di famiglia, la corsa al Senato e le minacce dello sconosciuto.
Suo padre non era sempre stato un genitore affettuoso e presente nella vita dei propri figli. Votato al lavoro, aveva dedicato alla propria società e alla propria scalata politica molto più tempo e molte più energie di quelle che aveva riservato ad Alec e ai suoi fratelli, ma il ragazzo sapeva che, a modo suo, voleva loro bene e lo sentiva davvero preoccupato, forse memore di quanto successo dieci anni prima, quando uno sconosciuto aveva assassinato il membro più piccolo della famiglia Lightwood, Max.
Un'ondata di dolore minacciò di soffocare Alec, trascinandolo in un abisso buio e freddo. Nonostante fosse passato del tempo, quell'episodio l'aveva segnato nel profondo e, da quando non c'era più Max, il moro era cambiato. Non che prima fosse l'anima della festa ogni qual volta entrasse in una stanza, eh. No, lui non era mai stato come suo fratello Jace, che sembrava brillare di luce propria tanto era splendente, né tantomeno aveva il carisma e l'autostima di sua sorella Isabelle, che sembrava avere un enorme cartello lampeggiate sopra la testa con su scritto "Lo so! Lo so! Sono fantastica!", ma perlomeno riusciva a sorridere alle battute e a sostenere una conversazione che durasse più di due frasi fatte. Dopo la scomparsa di Max, invece, Alec si era chiuso in se stesso, diventando apatico. Per un certo periodo non gli era importato nulla di vivere e aveva addirittura sperato di raggiungere il fratellino, ovunque lui fosse. C'era voluto del tempo prima che, lentamente, riprendesse i contatti con la realtà e, anche se qualcuno (sua madre) riteneva che la sua non era comunque un qualcosa che si potesse definire vita, ma una sorta di ritiro, di sospensione, ad Alec non importava. Certo, gli dispiaceva moltissimo non riuscire a toglierle quello sguardo preoccupato ogni qual volta coglieva i suoi occhi posati su di lui, ma si sentiva impotente a cambiare quella situazione. E, a dirla tutta, non era neanche sicuro di volerlo fare.
Prese un respiro profondo e accantonò con forza tutti quei pensieri, riportando la sua attenzione al presente e sul fatto che aveva il forte sospetto che Robert stesse sfruttando, forse inconsapevolmente, la situazione in cui si trovavano in quel momento per cercare di essere il tipo di padre che avrebbe voluto e dovuto essere dieci anni prima.
Fin dall'infanzia, il loro rapporto era stato piuttosto anaffettivo e sbrigativo. A causa del suo lavoro, Robert non aveva mai avuto tempo di andare a vedere il piccolo Alec praticare il tiro con l'arco, il suo sport preferito in assoluto, o portarlo allo Yankee Stadium a vedere una partita di baseball della sua squadra del cuore, i New York Yankees. Non c'erano mai stati abbracci caldi o coccole prima di andare a dormire, né discorsi di incoraggiamento quando un compito non era andato come avrebbe voluto, nonostante il moro avesse studiato come un dannato. Per gran parte della sua vita, Alec aveva dovuto combattere per affermare la propria indipendenza e le proprie capacità. Suo padre aveva sempre preteso da lui dei risultati assurdamente alti e non si era mai fatto scrupolo di criticarlo aspramente ogni volta che il ragazzo non raggiungeva gli standard richiesti.
L'entrata nella fase adolescenziale aveva incrinato maggiormente quel fragile legame di sangue, che era peggiorato drasticamente dopo il coming out del moro, avvenuto a diciassette anni, ed era stato quasi del tutto reciso quando Alec aveva dichiarato, orgogliosamente, che non sarebbe entrato nell'azienda di famiglia nemmeno per tutto l'oro del mondo.
Per Robert era stata una mazzata tremenda scoprire che al suo primogenito non interessava minimamente entrare in società con lui e, soprattutto, che gli piacessero i maschi. No, era assolutamente fuori discussione che suo figlio, sangue del suo sangue, non solo non avrebbe mai garantito il proseguo della stirpe Lightwood, con numerosi nipoti maschi, ma sarebbe stato addirittura condannato alla dannazione eterna, ardendo nelle fiamme dell'inferno, a causa della sua condotta peccaminosa e immorale.
La tragedia familiare che li aveva colpiti, però, li aveva avvicinati come niente altro avrebbe potuto fare e, negli anni, la loro relazione era migliorata a tal punto che suo padre aveva iniziato a scherzare sul fatto che Alec fosse uno zitello impenitente e che sarebbe diventato un vecchio rugoso prima di vederlo in abito nuziale, accanto all'uomo della sua vita.
"Per favore, Alec." lo stava pregando Robert, con tono accorato. "Fallo per me. Fallo per tua madre."
Alec sospirò profondamente. Anche tirare in ballo sua madre era un'altra mossa sleale tipica di Robert. Suo padre sapeva benissimo, infatti, che il moro si sarebbe strappato il cuore dal petto per Maryse Lightwood e che non avrebbe mai fatto nulla (non intenzionalmente, almeno) che l'avrebbe fatta soffrire o preoccupare.
Sua madre era stata la sua più preziosa alleata, insieme a sua sorella Isabelle, nel delicato processo di scoperta del proprio orientamento sessuale, facendogli da scudo ogni qual volta Robert scagliava contro di lui tutta la propria frustrazione e Alec gliene sarebbe stato sempre grato per questo. Era stata Maryse la prima spalla su cui aveva pianto tutte le sue lacrime amare e disperate, quando aveva scoperto di essere gay, ed era stata sempre Maryse a spronarlo a non arrendersi alle prime difficoltà e a spingerlo a inseguire i suoi sogni e a essere felice. Se era l'uomo che era diventato, seppur apparentemente incompleto, lo doveva a lei.
"E va bene." concesse alla fine il moro, rassegnato, dopo un lungo momento. "Gli permetterò di venire con me al lavoro e dare un'occhiata veloce al mio appartamento, quando rientrerò, ma nulla di più. Non vivrà con me."
"Perché no?" chiese Robert, sorpreso. Non contento di averla appena spuntata sulla questione guardia del corpo, suo padre era già passato a un nuovo obiettivo. "Casa tua è grande abbastanza per entrambi! Ci sarebbe sicuramente spazio anche per lui e.."
Alec roteò gli occhi. "Papà!" lo bloccò. "Prima di tutto il mio appartamento non è affatto grande. Per l'angelo, ci sto a malapena io e.."
"Te l'ho sempre detto che posso aiutarti a prenderne uno più spazioso." lo interruppe Robert.
"Papà!" lo rimbeccò Alec, esasperato. "Per favore, non riapriamo questo vecchio discorso!"
"Ma Alec.."
L'appartamento di Alec era una delle tante battaglie che suo padre soleva intraprendere contro di lui. A Robert sarebbe piaciuto comprargli una casa enorme, sfarzosa, moderna, con un numero infinito di stanze e aggeggi tecnologici inutili. Il moro però aveva sempre rifiutato: a lui piacevano le sue quattro mura sgangherate, che sembravano stare su per miracolo, e il suo divano malconcio, pronto per la discarica.
"E, secondo.." continuò Alec, ignorando le proteste del padre. "..non permetterò a uno sconosciuto di gironzolare per casa mia o per la mia agenzia. Spaventerebbe i clienti!"
"Ma per favore!" ribattè suo padre, con uno sbuffo.
Anche la sua amata agenzia di viaggi, ereditata direttamente da nonna Phoebe Lightwood, era sempre stato uno motivo di disputa piuttosto "infuocato". Fin dalla sua nascita, infatti, Robert aveva dato per scontato che Alec, un giorno, avrebbe preso il suo posto nell'attività di famiglia, ma il moro aveva sempre avuto ben altre ambizioni. Il ragazzo, infatti, adorava il lavoro della nonna nell'aiutare le persone a realizzare il loro sogno di viaggiare e affiancarla, in quella particolare e magica missione, l'aveva coinvolto fin dall'infanzia, dove, alto come un soldo di cacio, si arrampicava sulla scrivania dell'anziana donna per rispondere al telefono e proporre le mete più esotiche che gli venivano in mente in quel momento.
"E comunque non è uno sconosciuto." continuò Robert. "Te l'ho detto, è il figlio di.."
"Di quel tuo vecchio compagno d'armi in Marina. Sì, lo so. Me l'avrai ripetuto almeno cinque volte."
"Si chiama Magnus, è un militare e dovrebbe arrivare domani mattina, alle otto in punto. Per favore, Alec, sii gentile con lui." lo esortò Robert, anche se quelle parole suonarono più come un ordine che un'accorata raccomandazione.
Alec inspirò bruscamente. "Io sono sempre gentile!" ribatté con prontezza, accigliandosi subito dopo, palesemente risentito, quando sentì dall'altra parte della linea la risata allegra di suo padre, malamente camuffata con un colpo di tosse. "Ehi! Ti stai prendendo gioco di me?"
"Oh, per l'angelo, ma guarda un po' che ore sono!" esclamò la voce divertita di Robert. "Ti devo proprio lasciare, figliolo. Ho un appuntamento urgente." chiosò furbescamente. "Io e tua madre non vediamo l'ora di vederti! Ci sentiamo presto! Ciao!"
"Cosa? No! Non abbiamo ancora fin.."
Si udì un clic, poi il segnale che la comunicazione era stata interrotta. Alec mormorò un verso strozzato, mentre fissava, attonito, la cornetta ormai muta.
Sospirò per la milionesima volta, poggiando la fronte sugli avambracci incrociati sopra la scrivania, e tentò di scacciare tutti i pensieri negativi su Lydia e sullo sconosciuto che, indirettamente, gli stava creando non poche seccature. Quella giornata era cominciata in modo davvero pessimo ed erano solo le nove di mattina.
Dopo un lungo momento di pace, il telefono iniziò a suonare nuovamente. Alec allungò stancamente una mano e si portò il ricevitore all'orecchio, senza neanche alzare la testa.
"Pronto?" rispose, con voce funebre.
Era così di cattivo umore che, nonostante fosse il giorno di chiusura, non si era nemmeno presentato con la solita frase di cortesia che usava sempre, meccanicamente, quando il telefono dell'agenzia squillava.
"Alec?" chiese, titubante, una voce familiare.
"Sì." confermò il ragazzo, con un tono che arrivava direttamente dall'oltretomba.
"Stai bene?"
"Ahn-ahn."
"Sicuro?"
"Sì."
"Uhm.. se lo dici tu. Comunque, per l'angelo, è da un'ora che cerco di chiamarti! Si può sapere che ci fai in ufficio?"
Alec sospirò, raddrizzandosi sulla poltrona e massaggiandosi il setto nasale. "Ciao, Iz."
"Ciao?" chiese Isabelle, sul piede di guerra. "Alec, perché sei lì?" ripeté nuovamente, con tono accusatorio.
"Sto solo sistemando alcune scartoffie e mettendo un po' a posto l'ufficio." si difese Alec, con un sospiro stanco.
Il moro sentì, in modo chiaro, la sorella minore sbuffare pesantemente. "Oh, Alec.. l'agenzia non andrà in rovina se ti prendi un giorno di riposo." lo ammonì dolcemente.
Alec sorrise. Isabelle Lightwood era fatta così: nonostante fosse il fratello maggiore, vivesse da solo da anni e decidesse della sua vita da molto di più, sua sorella si preoccupava per lui, sempre. Le crociate di Isabelle, contro lo stacanovismo fraterno, erano ormai diventate una prassi domenicale e la ragazza non mancava mai di assicurarsi che non si stancasse eccessivamente, rimproverandolo senza indugio quando lavorava troppo.
La quantità di lavoro che si stava accumulando sopra la scrivania di Alec, però, aumentava di giorno in giorno e, se non avesse approfittato del suo unico giorno libero, il moro sapeva che, di certo, tutte quelle pratiche non si sarebbero svolte da sole, ma, anzi, sarebbero diventate una pila imponente che sarebbe arrivata a sfiorare il soffitto. Toccava a lui portarle a termine.
E, d'altro canto, era anche giusto così. L'agenzia di viaggi era una sua responsabilità e, a differenza dei fratelli, non aveva alcuna vita sociale che lo aspettava dopo il lavoro: non aveva un fidanzato con cui passare il tempo né una moltitudine impressionante di amici con cui uscire o cose davvero interessanti da fare. Era un tipo solitario che amava la sua tranquilla routine, il suo lavoro, gli inviti a pranzo o a cena dei genitori e passare il tempo con i suoi fratelli. Una vita semplice, insomma.
Per amore di cronaca, andava detto che i fratelli avevano tentato, in più di un'occasione, di alleviare la sua solitudine, incoraggiandolo a uscire e organizzandogli qualche appuntamento galante, ma Alec oramai era diventato un vero esperto nel sviare tali inviti, anche perché, quelli in cui erano riusciti a incastrarlo, convincendolo a presentarsi, erano finiti tutti in modo disastroso.
Sua sorella diceva che era troppo esigente, che le sue aspettative per un semplice appuntamento spensierato erano troppo alte, ma lei non aveva mai avuto a che fare con quegli individui, per l'angelo! Non era colpa di Alec se quegli incontri erano finiti male: gli erano capitati i peggiori maschi in circolazione, santo cielo! Uno viveva ancora con la mamma, un altro aveva parlato a vanvera per tutta la sera, senza mai fermarsi o porgli qualche domanda per sapere qualcosa di più sul suo conto, e un altro ancora era più interessato all'aspetto dei propri capelli che a chiacchierare con lui. Il peggiore di tutti, però, era senza ombra di dubbio l'ultimo con cui avevano tentato di accasarlo: un biondino che aveva passato una mezz'ora buona ad annusarsi le ascelle, prima di schiaffargliene una in faccia e chiedergli, dubbioso, "Secondo te, puzza?". Alec ricordò di aver appoggiato la tazza del suo té caldo sul tavolo e, schifato, di essersi alzato e di essersene andato senza dire una parola.
Insomma, già era difficile essere gay, con tutto il pesante bagaglio che ne conseguiva, figurarsi se si sarebbe accontentato del primo idiota che quelle spine nel fianco gli spingevano a forza tra le braccia. Non era mica così disperato! Non aveva bisogno del loro intervento inopportuno e, il più delle volte, imbarazzante. Se voleva, sapeva trovarselo da solo un uomo, per l'angelo! Solo che, in quel momento, non sentiva tutta quella necessità di appiccicarsi a qualcuno, e rinunciare alla sua libertà, ecco.
"Avevi bisogno di qualcosa?" chiese alla sorella, per evitare la solita ramanzina che, era certo, sarebbe arrivata da lì a poco.
"Cosa? Oh, sì!" esclamò Isabelle. "Hai sentito Jace? Ho provato a contattarlo non so quante volte, ma è da ieri che mi sta evitando!"
"Non ti ha ancora fornito la lista, eh?" chiese Alec, con un sorriso che la sapeva lunga.
Jace era il loro fratello adottivo. Si sarebbe sposato tra un mese e Isabelle si era offerta di organizzare a lui e alla fidanzata, nonché segretaria di Alec, Clary Fairchild, una festa di fidanzamento per il sabato seguente. Peccato che il biondino, in due settimane, non avesse ancora fornito l'elenco dei suoi invitati a Isabelle, dando la colpa al suo lavoro di agente di polizia, che lo teneva impegnato costantemente ventiquattro ore su ventiquattro.
"Ho i fornitori che mi stanno con il fiato sul collo e non so più quale scusa inventarmi, per l'angelo!" sbraitò Isabelle, seccata. "Giuro che se non me la spedisce entro oggi lo strangolo, anche se è un agente di polizia!"
"Gli manderò un messaggio." promise Alec, ridacchiando, per poi tornare serio quando adocchiò nuovamente il biglietto di Lydia. "Ah, Iz, quando parli con Simon, gli accenni per cortesia che voglio installare un sistema d'allarme in ufficio?"
Il fidanzato di Isabelle, Simon Lewis, lavorava per una società di sicurezza e Alec era certo di potersi fidare di lui e della sua esperienza al fine di essere più discreto e veloce possibile nel montare l'antifurto.
"Un sistema d'allarme?" chiese Isabelle, sbalordita. "Ha a che fare con l'e-mail ricevuta da papà?"
Alec roteò gli occhi. "No e non voglio parlare di lui. Sai che mi ha imposto una guardia del corpo a causa di quella stupida e-mail?" si lagnò, stizzito. Il moro sentì chiaramente sua sorella inspirare bruscamente e poi emettere un singulto. Alec scostò la cornetta dall'orecchio per fissarla, quasi avesse potuto vedere Isabelle al suo posto, poi la riportò dov'era. "Stai.. stai ridendo?" le chiese, tra il sorpreso e l'offeso.
"Cosa? No!" esclamò Isabelle, lasciandosi scappare un verso stridulo.
"Non c'è niente da ridere!" ribatté Alec, indignato. "E' inaccettabile che papà vìoli la mia privacy in questa maniera, obbligandomi a ospitare un perfetto sconosciuto in casa mia!"
"Aspetta, dormirà da te?" chiese Isabelle, lasciando perdere ogni freno e ridendo apertamente. "Oh per l'angelo! Non vorrei essere nei suoi panni!"
"Scusa?" domandò Alec, sbalordito. "E con questo, cosa vorresti dire?"
"Oh, Alec, lo sai che ti voglio un bene dell'anima, sul serio, ma devi ammettere che non è facile interagire con te. Ti chiudi a riccio e mordi chiunque osi anche solo avvicinarsi a dieci metri dalla tua persona."
"Cosa? Ma non è vero! " si difese Alec, indignato.
"Quel poveretto patirà le pene dell'inferno." continuò Isabelle, allegra.
"Beh, nessuno lo obbliga a venire! Non ho bisogno di lui!"
Isabelle ridacchiò. "Quando dovrebbe arrivare?"
"Domani. Alle otto." rispose Alec, tetro.
"Voglio una sua foto!" pretese Isabelle, divertita.
"Cosa? No! Non gli farò alcuna foto!" protestò Alec, scandalizzato.
"Oh, vabbè! Tanto lo vedrò comunque!" dichiarò la ragazza, compiaciuta. "Ma, se non è per l'e-mail, perc.. aspetta! Non dirmi che lei è ritornata alla carica!"
Alec sospirò. Isabelle era l'unica, tra amici e parenti, a essere a conoscenza dell'esasperante ossessione che Lydia aveva per lui. L'aveva scoperto per puro caso, quando, un giorno in cui dovevano pranzare insieme, aveva notato gli appostamenti della bionda davanti alla sua agenzia di viaggi. Da quel momento, sua sorella non mancava mai di esternare tutta la sua preoccupazione per quella spinosa situazione ed era quindi del tutto inutile tentare di nasconderle il biglietto che aveva trovato quella mattina. Primo, perché sua sorella era dotata di un sesto senso che, in più di un'occasione, gli aveva fatto venire i brividi, ed era certissimo quindi che avrebbe fiutato la novità anche dalla cornetta del telefono, e, secondo, perché, una volta scoperto il tutto, si sarebbe di certo esibita in una sceneggiata epocale sul fatto di non essere stata messa al corrente dei nuovi sviluppi.
"Sì. Non so come, ma è entrata qui dentro e.."
"Aspetta! Aspetta! COSA??? E' entrata nella tua agenzia?" urlò Isabelle, spaccandogli un timpano.
"Iz, non serve gridare in questo modo." implorò Alec, massaggiandosi il padiglione auricolare.
"Sì, sì, scusa." tagliò corto Isabelle. "Come diavolo ha fatto quella tizia a entrare?" chiese, moderando il tono di voce.
"Non lo so. Ho controllato da cima a fondo, ma non ci sono segni di effrazione." rispose Alec, guardandosi attorno, per l'ennesima volta, alla ricerca della più minima traccia del passaggio della ragazza. "L'ufficio è a posto." la rassicurò. "Ha solo lasciato un biglietto."
"Un biglietto? Che tipo di biglietto?" chiese Isabelle, preoccupata.
Alec glielo lesse. "Non è niente di serio, comunque. Non preoccuparti." minimizzò, tentando di tranquillizzarla.
"Alec! Quella psicopatica ti perseguita da mesi! Ora è entrata nel tuo ufficio per lasciarti un messaggio minatorio e io non dovrei preoccuparmi?" berciò Isabelle, tornando ad alzare la voce. "Grazie a cielo da domani hai una guardia del corpo, ma la tua agenzia.. Ah, ma adesso ci penso io! Dirò a Simon di venire domani stesso!"
"Ma.." protestò Alec, debolmente. "Potrebbe già avere degli appuntamenti fissati. Sul serio, Iz, non è urgente e.."
"Domani mattina sarà lì!" ripeté Isabelle, con tono autoritario.
Alec sospirò. Non voleva farla preoccupare né tantomeno seccare Simon con qualcosa che, forse, non era davvero niente di serio, ma sapeva, però, che far ragionare Isabelle, quando si metteva in testa una cosa, era impossibile. Era identica a Robert! "Ti ringrazio." mormorò quindi, rassegnato.
"Ma ti pare! Ehi, ti va di venire a pranzo da noi, oggi?" gli propose, dolcemente. "Cucino io!"
Alec sbarrò gli occhi e iniziò a sudare freddo. "Cu-cucini tu?"
"Sì!" esclamò Isabelle, entusiasta. "Ho trovato questa ricetta su internet, per fare la pasta al forno, che è favolosa! Sembra davvero facile da preparare!"
"Beh.." rispose Alec, schiarendosi la gola. "Ho.. ehm.. credo.. beh.. sai.. volevo.." balbettò, alla ricerca spasmodica di una scusa qualsiasi.
Sua sorella era strepitosa in tutto, davvero, e Alec l'amava moltissimo, ma quella benedetta ragazza non sapeva distinguere il sale dallo zucchero e una volta era riuscita persino a bruciare una pentola con dentro della semplicissima acqua. Isabelle Lightwood era totalmente negata nell'arte culinaria e ora voleva preparargli la pasta al forno? No, Alec era troppo giovane per morire.
"Ho.. ecco.. non posso. No. Sai.. ehm.. uhm.. sì.. ecco.. ah! No, non posso! No, no! C'è questa gara di tiro con l'arco che comincia alle undici e non so davvero quando finirà. Ecco.. sì.. sai com'è.. ehm..sì, insomma.." Alec aveva sparato la prima cosa che gli era venuta in mente. Il tiro con l'arco era una delle sue più grandi passioni e, tutto sommato, non era poi così improbabile che andasse davvero ad assistere ad una gara. "Mi piacerebbe andare a vederla. Già. Sì, mi piacerebbe molto. Ecco. Quindi.. ehm.. non posso, no."
"Che peccato!" rispose Isabelle, dispiaciuta. "Però, ora che mi ci fai pensare, è meglio così!"
"P-perché?" indagò Alec, preoccupato.
"Beh, perché così possiamo cenare insieme una di queste sere. Con la tua guardia del corpo!" dichiarò Isabelle, prendendolo in contropiede.
"Una.. una di queste sere? Uhm.. non so.. forse.. sai.. uhm.. non credo che.. beh.. ecco.. ehm.. dobbiamo.. sì, insomma, dobbiamo vedere come va e.."
"Ah, sciocchezze! Vedrai che gustosa cenetta ti preparerà la tua sorellina!" gli assicurò Isabelle, tutta felice.
"Beh.. ecco.. Iz, non credo che.." esalò Alec, stringendo spasmodicamente il biglietto di Lydia.
"Ora ti devo lasciare! Ci sentiamo più tardi, ok? Ciao, fratellone."
"Ciao." mormorò Alec, piano, incapace di proferire un'altra parola.
Una spasimante ossessionata da lui, uno sconosciuto che lo minacciava indirettamente tramite e-mail, un cane da guardia pronto a stravolgergli la vita e ora l'invito di Isabelle. Perché Alec non era rimasto a letto quella mattina?

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


"Guardia del corpo?"
Ragnor Fell rivolse all'ex collega un'espressione costernata, prima di scoppiare a ridergli in faccia senza alcun ritegno.
Per quanto irritato, Magnus Bane non poté dargli torto. Se le loro posizioni fossero state invertite, anche lui si sarebbe sganasciato dalle risate.
Trangugiò l'ennesima sorsata del suo drink, fingendo di ignorare le canzonature dell'amico, e si appoggiò allo schienale del divanetto di vinile rosso, lasciando scivolare lo sguardo sugli altri clienti che affollavano il Taki's Diner.
Negli altri tavoli sedevano diverse coppie, mentre alcuni giovani, soli e con il bicchiere in mano, si spostavano da un gruppetto all'altro, cercando di attaccare bottone con qualche bella ragazza. Della musica jazz, che proveniva da un vecchio jukebox, si propagava piacevolmente per tutto il locale, permettendo ai clienti di chiacchierare tra di loro senza il bisogno di alzare la voce, mentre le cameriere, fasciate in minuscole minigonne di pelle nera e con gli ombelichi lasciati in bella vista da corti top di lycra rosso fiammante, ondeggiavano su vertiginosi tacchi a spillo e tenevano in bilico i vassoi colmi delle ordinazioni da consegnare ai tavoli.
Una bionda prosperosa gli fece l'occhiolino, mentre raccoglieva al volo il suo bicchiere ormai vuoto, e Magnus sorrise compiaciuto, sporgendosi poi leggermente, mentre la ragazza si allontanava, per guardarle il sedere tondo e ondeggiante. Diavolo, avrebbe dato non sapeva cosa per saggiarne la consistenza e passare qualche oretta in sua compagnia.
Tornò a far vagare lo sguardo per il locale e si soffermò sul barista moro che, chinato sul bancone, stava ascoltando, con sguardo attento, le ordinazioni di un paio di ragazze. Si leccò le labbra alla vista della muscolatura ben definita del petto, ingabbiata in una camicia nera, che ne accentuava le fattezze, con i primi tre bottoni slacciati. Magnus avrebbe scambiato volentieri due chiacchiere anche con lui, magari appartandosi nella stanzetta che i dipendenti del locale usavano per riporre le proprie cose, che si trovava dietro il bancone. Gli sarebbe piaciuto davvero molto sganciare il resto dei bottoni di quella camicia e liberare finalmente quella pelle tutta da leccare e da mordere.
La consapevolezza dei giorni d'inferno che lo attendevano, però, lo deprimeva al tal punto da inibire la sua consueta e sfacciata intraprendenza.
"Scusa, amico." riprese Ragnor, asciugandosi una lacrima e continuando a ridere. "Proprio non ce la faccio a smettere."
Magnus si incupì, riportando brevemente lo sguardo sull'altro. "Mi fa piacere che qualcuno trovi la cosa così divertente."
"Solo a te possono capitare situazioni del genere!" affermò l'ex collega, con gli occhi neri che scintillavano dal divertimento e riprendendo poi a ridere. "Setan ha colpito ancora!"
"Stai sicuro che questa è l'ultima volta che faccio loro un favore." borbottò Magnus, facendo cenno a una cameriera di portargli un altro drink e sorridendole poi, grato, quando la graziosa brunetta gli mise davanti un bicchiere colmo di liquido ambrato.
Poggiò il mento sul palmo della mano, mentre i suoi occhi si spostavano sull'ampia vetrata del locale che si affacciava sulla strada trafficata. Anche in quella gelida serata di febbraio, New York pullulava di turisti. Con le macchine fotografiche appese al collo e le guide turistiche in mano, decine e decine di visitatori percorrevano a passo rilassato le vie infinite della città, dirigendosi verso i luoghi d'interesse più o meno famosi, entrando nei negozi di souvenir, che erano aperti tutto l'anno, e sperimentando i molti ristoranti della zona che, come i proprietari dei bar, potevano contare su un flusso costante di clienti che non diminuiva mai.
Magnus adorava New York. Era cresciuto tra le sue strade colorate e brulicanti di vita, respirando a pieni polmoni gli odori e i profumi che ne impregnavano l'aria, godendosi la vita appieno. La sua amata città aveva tutto quello che si poteva desiderare: luci, colori, musica, feste, locali.
In altre circostanze, Magnus avrebbe passato in rassegna questi ultimi per tutta la sera, per poi concludere la nottata in compagnia di qualche newyorkese o turista compiacente (uomo o donna, per lui non faceva alcuna differenza), ma, dannazione a lui, aveva accettato di fare un favore a suo padre e ora si trovava praticamente condannato all'ergastolo.
Tutto era iniziato quella mattina, con la solita telefonata giornaliera da parte dei suoi genitori.
Ogni giorno suo padre Asmodeus lo chiamava, prima di iniziare la propria giornata di lavoro, per parlare del più e del meno, conversando col figlio di qualsiasi argomento gli veniva in mente. Era una specie di rito mattutino, una cosa loro che normalmente durava dai dieci ai quindici minuti di telefonata. Nulla di elaborato o complicato, insomma.
Magnus adorava quelle chiacchierate.. fino a quando non subentrava sua madre.
La pacchia finiva nell'esatto momento in cui la donna spintonava, senza tante cerimonie, il marito fino a quando non riusciva a fregargli la cornetta, o più semplicemente l'uomo gliela consegnava con un sospiro rassegnato, per poter parlare con il figlio.
Non ci sarebbe stato niente di male in tutto questo se, nel 99% delle chiamate, sua madre non avesse finito inesorabilmente col tentare di accasarlo con perfetti sconosciuti o con il figlio o la figlia di qualche collega del coniuge. 
Erano anni, infatti, che ci provava in tutte le salse e in tutte le maniere e, nonostante Magnus le avesse detto chiaramente, e fino allo sfinimento, di non voler frequentare nessuno in modo serio (figurarsi, quindi, se gli passava per l'anticamera del cervello anche solo ipotizzare di convolare a nozze con chicchessia), la donna non demordeva e continuava a scegliergli i partner più improbabili che trovava in giro.
Una volta gli aveva combinato un appuntamento con una fiorista, che Dewi trovava davvero carina e simpatica, e alla fine Magnus aveva scoperto che la donna non solo era sposata, ma era anche madre di quattro figli!
E voleva assolutamente dimenticare il giorno in cui gli aveva rimediato un chirurgo plastico che aveva avuto l'ardire di dire che il suo sedere non era perfetto e aveva insistito fino allo sfinimento per rifarglielo a un prezzo scontatissimo. Magnus l'aveva liquidato dopo neanche dieci minuti di conoscenza, mandandolo a quel paese.
Magnus sapeva che sua madre lo faceva perché lo amava e voleva esclusivamente la sua felicità, solo che quell'esasperante ossessione di vederlo sposato, che rasentava ormai la maniacalità, stava diventando snervante.
Magnus le voleva molto bene e si sarebbe buttato nel fuoco per quel concentrato di energia indonesiana alto appena un metro e sessanta, ma non era facile avere a che fare con lei.
Nonostante fosse coniugata a uno degli ammiragli della Marina militare statunitense più in vista, talmente importante da essersi guadagnato sul campo la temibile nomea di Principe dell'inferno, Dewi Maharani Bane non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, né ambiva a giocare alla moglie trofeo come invece accadeva a molte compagne dei colleghi del marito, che non si facevano problemi a sfoggiare le proprie consorti alle varie feste a cui partecipavano.
No, sua madre non era una bambola di plastica, muta e servizievole, ma una donna estremamente esplicita nell'esternare ciò che pensava e che voleva, dicendolo senza troppi giri di parole e aspettandosi che la gente agisse di conseguenza, soprattutto suo marito e suo figlio.
Logorroica e spumeggiante, Dewi aveva fatto dell'immischiarsi nei fatti personali altrui una vera e propria arte, in particolar modo se quei fatti riguardavano Magnus. Si "interessava" della vita di suo figlio, infatti, continuamente e costantemente, elargendo consigli non richiesti e mettendolo, il più delle volte, in situazioni estremamente imbarazzanti. Come quella volta, ad esempio, in cui si era sfiorato "l'incidente diplomatico" tra Indonesia e Stati Uniti, quando sua madre, nel tentativo di procacciargli un ghiotto appuntamento a tre, aveva letteralmente sequestrato i figli del generale Blackthorn, i gemelli Tiberius e Livia, attirandoli nel loft di Magnus e rinchiudendoli poi nella sua camera da letto purché non scappassero. Quando la ragazza aveva chiamato il padre, raccontando il fattaccio, e l'uomo era piombato come un carro armato nell'appartamento di Magnus, sradicando la porta di ingresso con un calcio poderoso (per la "gioia" di Magnus, che aveva letteralmente tirato giù tutti i santi del Paradiso con una sequela di insulti e parolacce degni del Guinness dei Primati), Dewi aveva sventolato una mano con noncuranza e si era giustificata asserendo che la chiave si era rotta nella toppa e che stava giusto-giusto cercando un fabbro nella rubrica del telefono, per liberare i due giovani malcapitati, prima che il generale combinasse un tale scompiglio. Asmodeus aveva dovuto usare tutta la sua arte oratoria per evitare che il generale e Magnus strozzassero la donna con le loro mani!
Eh già, non c'era mai un momento di pace con quella donna esigente, imprevedibile e leggermente prepotente, che Magnus aveva ribattezzato con affetto (senza che lei lo sapesse, ovviamente) Setan [ndr. Demone]. 
Grazie al cielo, oltre ai tratti somatici e al colore degli occhi, l'uomo aveva ereditato dalla donna anche il suo carattere spudorato e la sua incredibile faccia tosta, che gli permetteva di cadere sempre in piedi in ogni situazione.
I suoi amici gli avevano suggerito, in più di un'occasione, di affrontarla, di farle capire chiaramente e una volta per tutte che doveva smetterla di intromettersi nella sua vita, ma la facevano così facile loro! Era più probabile che, un giorno, l'inferno si ghiacciasse piuttosto che Dewi la smettesse con la sua ossessione nuziale.
In generale, Magnus non aveva niente di particolare contro il matrimonio, ma anche se il pensiero di passare tutta la vita da solo era desolante, non lo era abbastanza da fargli desiderare di legarsi a un uomo o a una donna solo per il bisogno di compagnia. O, peggio ancora, per compiacere sua madre!
Provava una miscela di sentimenti contrastanti quando sentiva parlare di marcia nuziale e compagnia bella ed era certo che tutto quello non facesse per lui. Non più, almeno.
Una volta ci era andato vicino, molto vicino. Troppo. Era successo quando era ancora un giovane, sciocco, sognatore che credeva di aver trovato l'amore vero in una bellissima francese dagli incantevoli occhi verdi. Per lei, era arrivato addirittura a inginocchiarsi sulla sabbia umida di una bellissima spiaggetta delle Maldive, sporcandosi i suoi meravigliosi e costosissimi pantaloni bianchi Armani, nuovi di zecca, pur di offrire il suo cuore e un anello comprato con i risparmi di una vita. Tutto ciò che aveva rimediato, però, era stato un bel calcio nel sedere e una vaga spiegazione che suonava più o meno con "Non sono ancora pronta a impegnarmi.", che l'aveva risvegliato bruscamente, facendolo scontrare con la dura realtà.
Non aveva più alcuna intenzione di ripetere un'esperienza simile. Aveva imparato la lezione.
Dopo quella rottura, si era chiesto spesso se le sue aspettative non fossero state un po' troppo alte, se quei brividi, quel batticuore incontrollato e quelle mani sudate di cui aveva sempre letto sui libri, o visto nei film romantici, non fossero tutta un'invenzione.
Con gli anni aveva imparato che le persone non erano interessate a lunghe storie d'amore, anzi non sapevano nemmeno bene cosa volessero. Nel suo caso, ad esempio, uscivano con lui solo per divertirsi e finora nessuno di quelli che aveva incontrato aveva mai pensato di instaurare un rapporto che andasse oltre il sesso. Avere una relazione, talmente importante da portare addirittura a percorrere la navata di una chiesa, quindi, era pura utopia e non rimaneva che svolazzare di fiore in fiore e godersi la vita.
Allo stato attuale, poi, non aveva il minimo desiderio di diventare l'appendice di qualcuno e di provvedere a ogni suo capriccio. Adorava la sua vita, la sua libertà e la possibilità di andare a letto con chi voleva, senza rendere conto a nessuno e senza alcun legame che gli incatenasse cuore e anima a un'unica persona.
Se mai avesse deciso di sposarsi (ed era un grosso, gigantesco, abnorme se) voleva farlo con qualcuno che riuscisse a metterlo letteralmente al tappeto, che lo facesse innamorare follemente e perdutamente, come mai gli era accaduto in vita sua. Dal momento che era certo che una persona del genere non esistesse, non sul pianeta Terra almeno, Magnus si sentiva relativamente sicuro dal cappio matrimoniale.
Tra l'altro, restare single non era di certo la cosa peggiore che gli potesse capitare! Poteva contare sulla sua magnifica avvenenza, sulla salute, sugli amici e su un buon lavoro. Non ci sarebbe stato niente di male, quindi, se non avesse incontrato la persona giusta e non avesse messo su famiglia, no?
Suo madre, però, sembrava non capirlo ed era sorda a ogni sua rimostranza.
"Tu spezzi il cuore di tua madre, Mags! Lo fai sanguinare!" gli aveva detto Dewi, neanche un mese prima, con una certa enfasi, portandosi la mano al petto e scuotendo piano la testa e confermando al figlio una volta di più, se mai ce ne fosse stato bisogno, che era la regina indiscussa e imbattibile del dramma.
"Mamma.." aveva sospirato Magnus, alzando gli occhi al cielo. "Lo sai che non è mia intenzione ferire te.. o papà!" precisò, allargando le braccia in un gesto esasperato. "Ma tu continui a ossessionarmi con questa storia che devo sposarmi e fare dei figli e io non sono pronto." E forse non lo sarebbe mai stato, aveva pensato, guardandosi bene dall'esternarlo a voce alta per non annientare definitamente le speranze di sua madre.
"Cosa significa che non sei pronto?" gli aveva chiesto Dewi, sgranando gli occhi, e facendosi il segno della croce più e più volte come se il figlio avesse appena bestemmiato. "Mags, quest'anno compi trentanove anni! Non stai ringiovanendo.. e nemmeno io! Se permetti, mi piacerebbe accompagnarti all'altare prima di diventare un vecchia rintronata che cammina a malapena con il bastone! Vorrei vederti sistemato prima di morire! E' chiedere troppo?" aveva domandato, con tono melodrammatico.
Agitare lo spettro della morte, per farlo sentire in colpa, era uno dei trucchetti preferiti di sua madre e poco importava che, in realtà, la donna avesse compiuto da poco i cinquantasei anni e che fosse sana come un pesce. Se le cose non andavano come voleva lei, la morte non poteva che essere vicina!
"Mamma, smettila! Non stai per morire!" aveva ribattuto Magnus, alzando per l'ennesima volta gli occhi al cielo. "Sì, ho trentotto anni e tu, alla mia età, avevi già un figlio maggiorenne, ma io sto bene così e devi smetterla di tentare di pilotare la mia vita! Forse un giorno incontrerò qualcuno.." aveva continuato, facendo spallucce. "..ma, in ogni caso, per il momento non voglio avere una relazione seria. Ci sono altre cose a cui voglio dedicarmi, prima di mettere su famiglia! Viaggiare, conoscere gente interessante, visitare posti che non ho mai visto, avere successo nel lavoro. Non sono pronto a sistemarmi. Non ancora, almeno, e sono felice così. Non è questo che conta?"
Dewi aveva sospirato profondamente e gli aveva preso le mani tra le proprie, stringendole. "Tutte cose molto belle, malaikatku [ndr. Angelo mio], davvero, ma nella vita nulla è più importante di avere un compagno e dei figli."
Magnus aveva scosso piano la testa e roteato gli occhi. "Ibu [ndr. Mamma], i tempi sono cambiati. Le persone non sentono più l'esigenza di giurarsi amore eterno in una chiesa e di avere una famiglia per sentirsi realizzate! Tu sei felice con papà, e questo è bellissimo, ma non è ciò che voglio io."
"Ahhh, voi giovani d'oggi!" aveva esclamato Dewi, mollando le mani del figlio con un gesto improvviso e gesticolando con le proprie con stizza. "Vi riempite la testa con tutti quei film e libri romantici, convincendovi che quella è la vita reale. Beh, Mags, non è così!" lo apostrofò, sventolandogli l'indice sotto il naso. "La vita vera è fatta di sacrificio, di cose belle, di cose che non sempre ci piacciono e anche di cose che ci fanno soffrire. Significa prendersi cura delle persone che si ama, assicurarsi che stiano bene e che abbiano tutto ciò di cui hanno bisogno."
Magnus aveva sorriso, dandole un buffetto sul naso. "Mamma, tu e papà siete fantastici. Non mi avete mai fatto mancare niente e non avrei potuto chiedere due genitori migliori, davvero. Però non puoi aspettarti che le mie scelte e i miei desideri siano identici ai tuoi. Non è giusto."
Dewi aveva emesso un brontolio di disappunto, sospirando pesantemente. "Neanche invecchiare da soli è giusto, malaikatku." aveva ribattuto, accarezzandogli una guancia con sguardo preoccupato.
Magnus le aveva baciato il palmo della mano. "Me la caverò, Ibu." le avevo sorriso dolcemente, facendole l'occhiolino.
Dopo quella conversazione, sua madre l'aveva lasciato respirare.. almeno fino a quella mattina!
Quella domenica di febbraio, infatti, la telefonata era proceduta normalmente e Magnus era rimasto addirittura sorpreso dal fatto che sua madre non avesse tentato di combinargli un appuntamento al buio, come faceva sempre. Se lo sentiva che era una cosa insolita, che qualcosa non andava, ma ingenuamente non aveva dato ascolto al suo sesto senso. Che grosso errore aveva commesso!
"Oh, Mags! Quasi dimenticavo.. tuo padre ha un favore da chiederti!" aveva detto Dewi, con noncuranza, quando si erano già salutati e il figlio stava quasi per riattaccare. "Vero, sayang [ndr. Tesoro]?"
Magnus aveva sentito suo padre mormorare un rassegnato "Dewi.. no!" e aveva alzato gli occhi al cielo, sorridendo. Si era sentito sollevato di essersi sbagliato sul fatto che sua madre fosse meno stramba del solito e si era preparato mentalmente a ricevere la solita e consueta tiritera. "Ok, di cosa ha bisogno?" aveva risposto, con un sorriso che la sapeva lunga, pronto a ribattere.
"Aspetta che metto in vivavoce, puteraku [ndr. Bambino mio]!" l'aveva avvisato sua madre.
"Dewi.. no!" aveva sussurrato nuovamente Asmodeus.
"Ma come no?!"
"Si arrabbierà!"
"Ohhh, sciocchezze!"
"Vuoi scommettere?"
"Non lo farà!"
"Ah-ahhh! Vedi che non vuoi scommettere?"
"Perché è una cosa sciocca."
"Ahn-ahn. E allora perché non glielo dici tu?" l'aveva sfidata Asmodeus, alzando appena il tono di voce.
"Perché è amico tuo, sayang! Gliel'hai promesso!"
Magnus aveva sentito chiaramente suo padre emettere un verso sdegnato. "Ma non è vero! L'hai fatto tu!" aveva ribattuto, sottovoce.
"Io.. tu.. E' stata fatta una promessa, no?" aveva tergiversato furbescamente Dewi.
"No, ma fate pure con comodo, eh." si era intromesso Magnus, tamburellando le dita sul bracciolo del divano su cui era seduto, mentre ascoltava il battibecco dei genitori. "Tanto non ho niente da fare." aveva borbottato, con uno sbuffo.
I genitori lo avevano ignorato, continuando a parlottare tra di loro, sempre più animatamente, fino a quando Magnus non si era schiarito rumorosamente la voce, tossendo più del dovuto. "Così, giusto per farvi sapere che sono ancora in linea e non vi ho sbattuto il telefono in faccia, come una persona con un po' più di amor proprio avrebbe invece già fatto da un pezzo!" aveva spiegato, spazientito.
"Avanti diglielo!" aveva insistito Dewi.
"No, fallo tu."
"No, tu."
"Demi surga [ndr. Per l'amor del cielo]! Dirmi cosa?" aveva chiesto Magnus, sbuffando sonoramente.
"Diglielo!" aveva sussurrato imperiosamente Dewi.
"Uff! E va bene! Glielo dico, glielo dico." aveva sospirato, rassegnato, Asmodeus. "Mags? Ecco, sì.. a proposito del gala a cui io e tua madre siamo stati ieri sera.."
"Sììì..?"
"Ho incontrato Robert, un mio ex collega."
"Ok." aveva ribattuto Magnus, cauto. "Ma, tanto per essere chiari, sappiate che non uscirò con nessuno dei suoi figli!"
Suo madre aveva sbuffato sonoramente, mentre il padre aveva ridacchiato, prima di continuare il suo racconto. "E' un caro amico, sai? Pensa, eravamo commilitoni nella stessa divisione e.. ti ho mai raccontato di quella volta che.."
"Ayaaaah [ndr. Papàààà]! Mi sta crescendo la barba! Arriva al punto!" aveva sbuffato Magnus.
"Beh, erano anni che non ci vedevamo e.. mi ha aggiornato sugli ultimi avvenimenti della sua vita."
"Ahn-ahn."
"Pensa, vorrebbe diventare Senatore!"
"Ahn-ahn."
"Mi ha parlato del suo lavoro."
"Ahn-ahn."
"Della sua famiglia."
"Ahn-ahn."
"Dei suoi figli."
"Ahn-ahn."
"E tua madre.. cioè io.." si era corretto Asmodeus, con un verso strozzato, dopo che la moglie gli aveva tirato una gomitata nel costato. "Io, gli ho parlato di te.. Già.. io.. D'altra parte, quale padre non inizierebbe a vantarsi del proprio figlio, nel bel mezzo di un'animata conversazione sulla difesa nazionale del proprio Paese?"
Magnus aveva ridacchiato. "La mia risposta è no." aveva poi risposto, con tono tranquillo.
"Mags!" era intervenuta sua madre, indignata. "Non sai neanche cosa sta per dire!"
"Sì che lo so. E ve l’ho detto, non uscirò.."
"..con uno dei suoi figli. Sì, hai già chiarito il concetto." aveva esclamato Dewi, con un sospiro esagerato. "Ma questa è una faccenda molto più grave e seria!"
"Davvero?" aveva risposto Magnus, con un tono poco convinto.
"Sì, davvero!" gli aveva fatto il verso sua madre.
"Comunque, in parole povere, tua madre si è vantata di te e.. ahio! La smetti?" aveva sussurrato Asmodeus.
"Raccontala bene!" aveva preteso la moglie.
Asmodeus aveva sospirato. "Gli ho raccontato di te, che sei il miglior militare che la Marina abbia mai potuto vantare tra le sue fila."
Magnus sorrise. "Ero un militare, ayah!" l'aveva corretto. "E non direi il migliore, vista la velocità con cui mi hanno silurato."
"Tzè! Solo perché quei quattro dementi, che hanno messo al comando, sono un branco di incompetenti con un grosso bastone conficcato nel sedere, bonekaku [ndr. Pulcino]!" aveva ribattuto acidamente Dewi, con prontezza, mentre Asmodeus concordava con un mormorio.
Magnus aveva riso apertamente, sentendo il cuore scaldarsi d’affetto per le due persone dall'altra parte della cornetta, "leggermente" di parte. Ma giusto un po'.
Arruolatosi nella Marina militare all'età di vent'anni, con la seria intenzione di seguire le orme paterne, Magnus aveva sempre saputo di non essere adatto a quello stile di vita rigido e inflessibile, che ti formava e, al tempo stesso, se non avevi un carattere tosto e volitivo, ti schiacciava a terra come un mozzicone di sigaretta. Fin da bambino, però, aveva sempre voluto essere come suo padre, forte e coraggioso, ed era riuscito a resistere per ben dieci anni a quella vita dura e stressante, toccando con mano ogni sorta di bruttura: dolore, angoscia, tristezza, disperazione. Non era stato facile, anzi, in più di un'occasione si era chiesto cosa stesse facendo e perché, ma aveva tenuto duro.
Poi tutto era finito quando l'avevano licenziato per aver disubbidito agli ordini dei suoi superiori, dopo una missione disastrosa.
Non si era mai pentito di quello che era successo, della sua decisione di ribellarsi. Mai, neanche per un secondo. Dopo otto anni, il tempo gli aveva dato ragione. La sua vita aveva preso una piega soddisfacente e gratificante e meno dolorosa a livello emotivo: aveva trovato lavoro come mistery client per un'importante catena di hotel di lusso.
Era il lavoro adatto a lui: gli piaceva da matti andare negli alberghi, ispezionare le camere e testare il servizio clienti. Sì, era dannatamente portato a farsi massaggiare da mani sapienti, a provare le varie Spa messe a disposizione per la clientela e a collaudare il servizio in camera che offriva l'hotel in cui soggiornava. Non sarebbe tornato indietro per tutto l'oro del mondo.
“Te l’ho dico io, Mags! Quei quattro pezzi di sterco.." aveva ripreso suo madre.
"Mamma, lascia perdere." aveva sorriso Magnus, scuotendo piano la testa. "E' stato meglio così." aveva asserito, convinto.
"Uff! Va bene! Va bene! Comunque ho accennato all'amico di tuo padre.. cioè.. tuo padre gli ha raccontato di che fantastico figlio abbiamo." aveva continuato Dewi, entusiasta. "Del cuore del nostro cuore, del sole del nostro sole.."
"Mamma, ti prego, smettila!" l'aveva interrotta Magnus, alzando gli occhi al cielo. "Arriva al dunque!"
Suo padre aveva sogghignato piano, prima di sganciare la bomba. "Tua madre gli ha promesso che avresti fatto da guardia del corpo a suo figlio." aveva esalato, tutto d'un fiato. "Ahio! Smettila di tirarmi pugni sul braccio!" si era poi lagnato, in direzione della moglie.
"Te lo meriti!" aveva sentenziato Dewi.
Magnus era rimasto in silenzio, allibito, per un lungo momento. "Tu.. voi.. COSAAA???" aveva sbraitato infine.
"Hai visto? Te l'avevo detto che si sarebbe arrabbiato!" aveva sussurrato Asmodeus, trionfante. "Te l'avevo detto! Te l'avevo detto!"
"Mags.." iniziò sua madre, con voce calma, ignorando il marito.
"No!" aveva tuonato Magnus.
"Mags.."
"N.O. No!"
"Magnus Bane!"
Quando sua madre usava il suo nome per intero non era mai un buon segno, ma Magnus era troppo arrabbiato per badarci. "Ho detto di no. E con questo, vi saluto."
"Per favore, Mags!" l'aveva pregato allora Dewi, con tono accorato. "E' un caro amico di tuo padre."
"Si può sapere cosa ti è saltato in mente?" era esploso Magnus. "Hai idea di quante agenzie offrono un servizio del genere? Perché diavolo gli hai fatto il mio nome?"
"Perché sei il migliore!" aveva risposto Dewi, senza indugio.
"Non mi interessa! La mia risposta è no!" aveva ripetuto Magnus, deciso.
"Mags.."
"No!" aveva detto Magnus, testardo. "E non ti ha minimamente sfiorata l'idea che potrei aver del lavoro da fare? Che potrei avere degli impegni?"
"Certo, ma visto che giusto ieri ci hai informato che per un po' sei libero da qualsiasi incarico.. è perfetto!" gli aveva ricordato Dewi, con una certa soddisfazione.
"No che non lo è!"
"Mags, lo so che tua madre avrebbe dovuto consigl.. ti ho detto di piantarla di darmi gomitate!" aveva ringhiato Asmodeus alla moglie. "Mags, purtroppo le minacce sono serie. Quel ragazzo è in pericolo!"
"Beh, non mi interessa! Ora chiami il tuo amico e lo informi che si deve rivolgere a qualcun altro."
"Magnus Bane!" aveva tuonato Dewi, alzando il tono di voce. "Da quando in qua sei diventato così cinico e insensibile?"
"Da quando mia madre mi scombina la vita obbligandomi a fare da babysitter a un moccioso!"
"Non è un moccioso, Mags. Ha ventotto anni." aveva precisato Asmodeus.
"Fa lo stesso. Il risultato non cambia. Sempre il babysitter devo fare!"
"Mags, quel povero uomo non dorme la notte per la preoccupazione di ritrovarsi il figlio assassinato!" aveva rincarato Dewi. "Se dovessi trovarmi nella sua situazione.. cielo, ne morirei!" aveva esclamato, con drammatica enfasi.
"Ma fammi il piacere!" aveva sbuffato Magnus. "Se è tanto preoccupato, perché non chiede a uno dei suoi scagnozzi di proteggere il suo moccioso? Eh? Perché? Se è vero che vuole fare il Senatore, significa che ha un entourage con i controfiocchi!" aveva sottolineato, irremovibile.
"Digli qualcosa!" aveva mormorato allora Dewi al marito.
"E cosa?"
"Qualsiasi cosa! Convincilo!"
"Convincerlo? Dewi, non so se tu ti sia mai resa conto che è tale e quale a te!"
"Ohhh, ma piantala!" aveva brontolato Dewi. "Mags.."
"NO!"
Dewi aveva sospirato pesantemente. "Sayang!" aveva allora insistito, rivolta al marito.
"Così poi tiene il muso solo a me? No!"
"Asmodeus Bane! Ora!"
"Tiranno.." aveva mormorato Asmodeus, rassegnato. "Per favore, Mags!" lo aveva allora pregato suo padre. "Non te lo chiederei se non fosse importante." aveva mormorato, con tono accorato. "Fallo per me. Ti prego, Magnus!"
Se sua madre usava il suo nome per intero per sgridarlo, suo padre lo utilizzava solo quando la situazione era davvero seria, al limite del drammatico. Magnus sapeva benissimo che quell'uomo non avrebbe più avuto un secondo di pace, nella sua vita, se lui non avesse accettato. Dewi avrebbe tartassato il marito da qui all'infinito, stressandogli l'anima per il resto dei suoi giorni, se Magnus non avesse detto sì!
"E va bene!" sospirò infine, rassegnato.
"Oh, tesoro, è fantastico!" aveva esultato Dewi, raggiante.
"Grazie, Mags." aveva risposto Asmodeus, con un tono chiaramente sollevato.
"Sì, sì. Prego, prego." aveva ribattuto Magnus, con il broncio. "Quando devo iniziare?"
Scoprire che non solo doveva presentarsi dal moccioso-non-moccioso l'indomani mattina, ma anche che avrebbe dovuto convivere con quel perfetto sconosciuto, era stato il colpo finale per il povero cuore di Magnus. Sua madre era certa di morire giovane, ma Magnus era altrettanto sicuro che sarebbe schiattato prima, se la donna avesse continuato a intromettersi nella sua vita in quella maniera!
Quel che era peggio, era che i suoi genitori pretendevano che si trasferisse, così, senza un minimo di organizzazione, quando sapevano benissimo che gli ci voleva un'infinità di tempo, per preparare la valigia, anche quando doveva partire solo per due giorni! Come potevano pretendere che riuscisse a decidere in meno di ventiquattro ore quale vestiti portarsi e quali no? Era impossibile!
"Vedila così: tuo madre smetterà di starti addosso con la storia del matrimonio almeno per un po'!" sorrise Ragnor, divertito, facendolo tornare al presente.
Magnus fece una smorfia, storcendo il naso. "Ci credi che l'altro giorno stavo cercando una sciarpa, che mi aveva fregato, in uno dei suoi cassetti e ho trovato una lista di possibili mogli e mariti per me? C'era Jonathan Morgenstern su quella lista, te ne rendi conto? Jonathan Morgenstern! Quel tizio è inquietante! E' un serial killer a piede libero!"
A Ragnor andò di traverso il drink che stava bevendo e iniziò a ridere e a tossire convulsamente.
Magnus lo guardò in cagnesco. "Demi Tuhan [ndr. Sant'Iddio]! Cosa crede? Che sia così disperato? Ho il mio orgoglio, cazzo!"
"Beh.. è che quell'idiota respira e quindi è un candidato come un altro!" rispose Ragnor, scrollando le spalle e continuando a ridacchiare.
"Non c'è niente da ridere." lo fulminò Magnus, imbronciato. "Gliel'ho già detto mille volte! Non voglio sposarmi! Non voglio! Non voglio! Non voglio!" ripeté, come un bambino che faceva i capricci. "Voglio solo rimorchiare e fare sesso. Chiedo forse troppo?"
"Forse dovresti provare a dirle di smetterla."
Magnus lo guardò, scettico. "Ancora con questa storia? Hai mai provato a dire di no a mia madre? Ma se è persino riuscita a convincermi a fare questa cazzata della guardia del corpo!" dichiarò, con enfasi. "E' un rullo compressore che passa e spiana tutto ciò che trova sul suo cammino! Non molla mai. Mai! Ti sta addosso fino allo sfinimento e alla fine ti ritrovi a dire di sì a qualunque cosa, pur di farla smettere!"
Ragnor scosse la testa, sorridendo. Non lo invidiava per niente. "Allora, quand’è che devi presentarti da questo tizio?" chiese, sorseggiando il suo bicchiere, nel tentativo di distrarre l'amico.
"Sono un uomo libero fino alle otto di domani mattina." rispose Magnus, cupo.
"Fantastico!" esclamò Ragnor, entusiasta. "Allora abbiamo tutta la notte per noi!"
"Non devi vederti con Raph?"
"No, lavora. Questa sera, amico mio, sono tutto tuo!" sorrise Ragnor, brindando nuovamente. "Ci diamo alla pazza gioia come ai bei vecchi tempi?"
Magnus lo fissò, sorridendo. In passato, quando erano in licenza entrambi, l'avevano fatto un sacco di volte, anche con gli altri compagni di divisione. Notti da sballo in cui si divertivano a passare al setaccio i locali di mezza città, facendo a gara a chi si portava a letto la ragazza o il ragazzo più sexy o a chi si sbronzava di più, aspettando poi, ubriachi, il sorgere del sole.
Era passata una vita dall'ultima volta che l'aveva fatto con l'ex collega. Più precisamente, loro due avevano smesso quando Ragnor si era accorto di essere innamorato cotto di un altro loro compagno di divisione, Raphael Santiago, ed era quindi diventato un fidanzato assennato e responsabile. Robe che, se non l'avesse visto con i propri occhi, Magnus avrebbe giurato che l'amico era stato sottoposto a qualche tipo di lobotomia.
"Allora, che ne dici?" chiese Ragnor, in attesa di una sua risposta, facendo balenare i denti bianchi in un sorriso malizioso.
Un sorriso luminoso danzò sulle labbra di Magnus. Perché no? Avrebbe avuto il piacere di conoscere la sua croce, di cui aveva già dimenticato il nome, solo la mattina successiva. Mancavano quindi ancora diverse ore allo scoccare del suo supplizio e quell'incarico non era uno di quelli per cui lui aveva bisogno di presentarsi lucido e concentrato.
"Sai, Ragnor, ogni tanto succede anche a te di avere delle buone idee." lo canzonò Magnus, alzando il bicchiere nella sua direzione per brindare.
 
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Note dell’autrice
Con questo capitolo svelo il motivo del perché ho preferito mettere OCC tra le note della storia: i genitori di Magnus sono liberamente ispirati ai miei (soprattutto Dewi) e ai lori tentativi di accasare me e i miei fratelli con il primo che passa ;-P
Ne approfitto per ringraziare chi ha letto il primo capitolo, chi l’ha commentato e chi ha inserito la storia tra le preferite, ricordate e seguite.
Grazie mille per la fiducia e spero che vi piaccia anche il secondo capitolo!
Un bacio e a presto! :-*

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Alle otto in punto di un gelido lunedì mattina, Alec Lightwood aprì la porta a un uomo dall'aspetto losco, con il viso serio e cupo, seminascosto da un grande paio di occhiali da sole scuri, e talmente alto che sembrava occupare quasi tutto il suo pianerottolo.
Alec lo squadrò dalla testa ai piedi, diffidente. Dunque era lui l'agente speciale della Marina incaricato di proteggerlo? Sul serio? No, doveva esserci di sicuro un errore.
"Che cosa vuole?" ringhiò il moro, guardingo, per nulla intenzionato a nascondere il proprio entusiasmo nell'aver aperto la porta a un probabile criminale.
L'uomo davanti a lui si accigliò e si portò una mano sulla fronte. "Può abbassare la voce, per cortesia?" mormorò, massaggiando la pelle liscia e senza neanche un'imperfezione.
"Ma.. non stavo urlando." ribatté Alec, abbandonando il tono aggressivo e fissandolo spaesato.
"Sì, invece. E continua a farlo." sospirò lo sconosciuto, strofinando gli occhi sotto le lenti scure. "Cominciamo davvero bene."
Alec sentì l'irritazione tornare a serpeggiargli lungo il corpo e strinse con forza la maniglia della porta, indeciso: era meglio sbattergliela in faccia così, a muso duro, o prima tirargli un calcio all'inguine, sperando di fargli davvero male, e poi chiudere la porta, barricandosi in casa? Lo sconosciuto era alto, questo era vero, ma Alec era più muscoloso e sarebbe stato un gioco da ragazzi piazzargli un calcio deciso nei testicoli.
Il nuovo arrivato fece schioccare il collo a destra e a sinistra, con un gemito che Alec catalogò come indecente, poi avanzò di un passo, avvicinandosi pericolosamente al moro, sfilandosi gli occhiali e sbattendo più volte le palpebre, come se la pallida luce del giorno gli desse fastidio.
Era davvero alto, addirittura più di Alec che superava abbondantemente il metro e ottanta, e il moro si ritrovò a dover alzare lo sguardo per guardarlo in volto: una rarità, visto che solitamente era lui a spiccare su tutti e a dover sempre abbassare la testa per parlare con il proprio interlocutore.
Lo sconosciuto aveva un fisico asciutto e longilineo e indossava un pesante giubbotto di pelle nera con le borchie, mentre le gambe chilometriche erano nascoste sotto un paio di jeans strettissimi che gli fasciavano le cosce come una seconda pelle. Alec non si fissò su quel particolare. Assolutamente no.
Aveva la pelle di una deliziosa sfumatura color caramello e i capelli neri, le cui punte erano colorate di un rosso sgargiante, erano tenuti su da una generosa dose di gel. A giudicare dalla quantità spropositata di orecchini, anelli, braccialetti e collane che aveva addosso, doveva avere un debole per quella chincaglieria.. oppure faceva il venditore ambulante di quella roba, a tempo perso, e la indossava come modello. Chi poteva dirlo con sicurezza?
Quando sollevò lo sguardo, dal suo attento e minuzioso esame, e lo portò all'altezza degli occhi, dal taglio orientale e dalle lunghe ciglia nere, Alec si ritrovò davanti le due iridi più straordinarie che avesse mai visto: un verde-dorato così intenso da lasciarlo quasi senza fiato e che, ne era certo, faceva strage di cuori un giorno sì e l'altro pure. Quegli occhi, che gli ricordavano nitidamente una prateria irlandese inondata dal sole, erano semplicemente bellissimi, nonostante ora lo stessero fissando appannati e iniettati di sangue, come se il proprietario di tale magnificenza fosse andato a dormire molto tardi. O non ci fosse andato per niente.
Alec sbatté le palpebre più e più volte. No, era impossibile che quell'individuo, a metà strada tra un Dio greco, sceso sulla terra per mandargli completamente in tilt gli ormoni, e un delinquente della peggior specie, fosse l'uomo mandato da suo padre. Magnus Bane era un efficiente e integerrimo agente speciale della Marina Militare, non un probabile sexy serial killer con la barba sfatta e i postumi di una sbronza colossale!
"Che cosa vuole?" ripeté Alec, assottigliando lo sguardo, sempre più sospettoso.
Per l'angelo, e se le minacce rivolte a suo padre non fossero state per niente uno scherzo e quel tizio era piombato lì per fargli del male o, peggio ancora, per rapirlo o ucciderlo? Era un uomo bellissimo, ok, ma questo non precludeva di certo che potesse anche essere un pericoloso sicario! Improvvisamente desiderò di aver controllato dallo spioncino, prima di spalancare con foga la porta, e soprattutto si maledisse di non aver chiesto a suo padre una foto del cane da guardia che avrebbe dovuto proteggerlo, giusto per assicurarsi che quel tizio davanti a lui fosse davvero chi dovesse essere.
"Bella domanda." rispose l'altro, interrompendo i pensieri frenetici e deliranti del moro, con una voce profonda e roca che mandò un lungo e inspiegabile brivido alla colonna vertebrale di Alec. "Al momento, vorrei un paio di aspirine, una stanza buia e.. trovarmi ovunque tranne che qui."
"Per l'angelo, che battuta spiritosa!" ironizzò Alec, portandosi una mano al petto e stringendo maggiormente il pomello della porta con l'altra. "Le suggerisco caldamente di cominciare dal suo ultimo desiderio, allora." e detto questo, chiuse l'uscio. O almeno ci provò, perché lo sconosciuto fu più lesto di lui e infilò un piede tra lo spigolo e lo stipite. Alec ridusse gli occhi a due fessure. "Se non toglie subito quel piede, giuro che glielo spezzo!"
L'altro non si mosse di un millimetro. "Ricominciamo daccapo. Le va?"
"No." rispose Alec, contrariato, tornando a spingere con più forza contro la porta.
"Mi sta facendo male."
"L'avevo avvertita, no?"
"Lei è.." iniziò l'uomo, bloccandosi subito dopo, aggrottando la fronte. Si grattò la barba trasandata con una mano ingioiellata, mentre con l'altra prendeva un foglietto dal taschino del giubbotto per leggerlo. "Lei è il signor Alexander Gideon Lightwood?"
Alec decise di ignorare categoricamente il nuovo brivido che gli diede quella voce non appena pronunciò il suo nome per intero. "Ma che bravo! Ha fatto i compiti!" borbottò, sarcastico. "Bene, ora che abbiamo appurato entrambi che conosce il mio nome, anche se ha dovuto fare lo sforzo di pensarci e recuperare poi un pezzo di carta quando avrebbe potuto tranquillamente evitarsi la fatica leggendolo sulla targhetta sopra al campanello.." lo schernì. "Vede? Proprio qui!" continuò, indicando con un dito il nome scritto in stampatello su una targhetta dorata. "Cosa stavo dicendo? Oh, sì! Ora che si è assicurato di avermi davanti, può anche togliersi dai piedi!" sibilò, appoggiandosi allo stipite della porta con tutto il proprio peso, riprovando a sbattergliela sul naso.
Era sicurissimo che sarebbe riuscito a chiudere fuori di casa quel pazzo psicopatico, ma, ancora una volta, l'altro lo stupì e Alec sentì improvvisamente la porta muoversi contro di lui. Quel dannato Ercole sbronzo, e sicuramente sotto steroidi, aveva posato una mano aperta sullo stipite, spingendolo per evitare che gli si chiudesse in faccia, e gli bastò fare un piccolissimo sforzo per schiudere la porta di qualche centimetro. Come poteva essere più forte di lui? imprecò Alec, mentalmente. Lui era decisamente più massiccio di quel corpo esile, dannazione!
"Tenga giù le mani dalla mia porta!" ordinò, perentorio.
"Mi chiamo Magnus Bane e.."
"Non mi interessa!" tuonò Alec, interrompendolo e ingaggiando una lotta con quel tizio.
"..mi manda suo padre."
Quella voce bassa e roca, a causa dello sforzo che lo sconosciuto stava compiendo per non farsi sbattere la porta sul naso, sembrò accarezzare Alec come una piuma, tanto che il suo corpo si irrigidì in risposta. Trasse un respiro profondo, per calmarsi, ma fu un errore colossale: il profumo dell'uomo, un odore intenso e speziato che Alec non riuscì a decifrare, lo avvolse e gli invase i polmoni in modo così violento che, preso alla sprovvista, diminuì inconsapevolmente la forza che stava imprimendo sul pezzo di legno che stava spingendo, con l'unico risultato che la porta, sotto la pressione del marine, si spalancò di botto e andò a sbattere con forza contro la parete laterale dell'ingresso.
Il rumore secco rimbombò nella testa ancora annebbiata di Magnus, arrivando quasi a ucciderlo. Si portò entrambe le mani alle tempie, massaggiandole nuovamente. "Sialan [ndr. Dannazione].." farfugliò, sofferente.
Alec lo fissò, torvo, ponderando l'intera situazione: quel tizio era ovviamente reduce da una sbornia epocale, non ispirava la benché minima fiducia, emanava pericolo da tutti i pori e aveva più l'aria di un drogato in astinenza che di un militare. Sì, ok, era anche attraente, sexy e con una voce dannatamente eccitante, e forse era addirittura l'uomo più bello che avesse mai incontrato in vita sua, ma non era assolutamente questo il punto! Il punto era che, per fare un piacere a suo padre, aveva ceduto a scatola chiusa alle sue insistenze, ma qualcosa gli diceva che, se avesse dato un'occhiata a quell'affascinante ubriacone ambulante prima di ingaggiarlo, Robert Lightwood non sarebbe stato così felice di saperlo solo con lui, ventiquattro ore su ventiquattro.
Prese un bel respiro e lo fissò con lo sguardo più truce che riuscì a fare. "Se ne vada." ordinò, senza mezzi termini.
Il bel viso di Magnus si accigliò. "Mi scusi, eh, ma guardi che sono qui per fare un piacere a suo padre!" comunicò. "Credevo che le avesse spiegato la situazione." mormorò, dubbioso.
"Oh, sì, l'ha fatto." confermò Alec, facendo spallucce. "Solo che non mi interessa!"
"In che senso non le interessa?" chiese Magnus, sempre più confuso.
"Senta." sospirò Alec, strizzandosi con forza la radice del naso. "E' tutto un grosso equivoco, davvero. Non ho bisogno di lei. Torni da dove è venuto."
"Oddio, magari potessi." esalò Magnus, alzando gli occhi al cielo ed entrando nell'appartamento senza tanti complimenti.
"Oh, ma prego! Si accomodi pure e faccia come se fosse a casa sua!" esclamò Alec, indispettito, con un ampio gesto delle braccia.
Magnus sorrise, procedendo nel guardarsi attorno, con blanda curiosità, e Alec seguì il suo sguardo.
L'appartamento era minuscolo, vecchiotto e composto da una piccola cucina, un soggiorno, due camere da letto, un bagno e un minuscolo balcone. L'impianto elettrico era stato rifatto di recente, ma il pavimento di legno scuro aveva bisogno di una buona levigata. Sulle pareti, colorate di una calda tinta ocra e con qualche crepa qua e là che il colore non era riuscito a coprire del tutto, erano appesi diversi quadri e qualche foto era stata posta sopra ai mobili in legno di mogano. Un divano in tessuto rosso carminio, che aveva visto giorni migliori, era piazzato davanti a un piccolo televisore e a un tappeto colorato e un po' sfilacciato, mentre una poltrona sbilenca, che sembrava sul punto di rompersi da un momento all'altro e su cui vi erano stati buttati dei vestiti alla rinfusa, era stata relegata sotto la finestra che dava sulla strada.
Alec adorava la sua casa, che era sua, solo sua, e che non voleva dividere con nessuno.. men che meno con uno strano individuo dalla dubbia sanità mentale!
"Lei vive davvero qui?" chiese Magnus, sorpreso, continuando a guardarsi attorno con aria esterrefatta.
"Sì. Ha qualche problema?" rispose Alec, piazzandosi le mani sui fianchi e irrigidendosi tutto per quel tono che sembrava un insulto.
"Il divano è orribile e qualsiasi commento sulla poltrona sarebbe sprecato." argomentò Magnus, spietato, senza nascondere una smorfia. "Forse se la facesse sparire, il salotto migliorerebbe, ma non ne sono affatto sicuro." continuò, tamburellando l'indice sul mento, come se stesse prendendo in seria considerazione l'idea di buttare la poltrona giù dalla finestra. "Uhm.. no. Sono certo che farebbe prima a bruciare tutto. O a trasferirsi." concluse, scrollando le spalle.
Alec strinse le dita, arpionando i propri fianchi, irritato. "Bene, ora che ha potuto esprimere la sua discutibile opinione sul mio appartamento, può anche.."
"Non c'è niente da discutere, signor Lightwood." lo interruppe Magnus, alzando un indice con fare saputello. "Mi creda quando le dico che il suo salotto è davvero brutto!" esclamò, scuotendo piano la testa. "Oh! E comunque, che le piaccia o meno, io da qui non me ne vado."
"Come osa? Il mio salotto non è affatto brutto!" replicò Alec, indignato. "E non mi piace per niente l'idea di averla qui!" continuò, stizzito.
"Sì, beh, se crede che al sottoscritto diverta l'idea di vivere in questo tugur.. ehm.. in questo appartamento.." si corresse, virgolettando l'ultima parola con le dita. "..si sbaglia di grosso, cocco!" ribatté Magnus, ironico.
"C-cocco?" balbettò Alec, scioccato. "Come si permette?" tuonò, subito dopo, ergendosi in tutta la sua altezza. "Ho un nome, maleducato che non è altro! Non sono il cocco di nessuno, io! Chiaro?" sottolineò con fervore.
Magnus sorrise, trovando adorabili le gote arrossate di indignazione del ragazzo. "Ah. Quando è così, allora le chiedo scusa." mormorò, alzando le mani in segno di resa.
"Vada a farsi fottere."
"Uhhh, siamo un po' volgari, non trova?" chiese Magnus, piegando la testa, con un sorriso sornione. "Senta, signor Lightwood, è bene che si ficchi in testa una cosa: per qualche tempo io e lei dovremo vivere sotto lo stesso tetto. Questo." aggiunse, indicando il soffitto. "Quindi veda di essere un po' più gentile."
L'espressione impertinente con cui l'uomo gli fece quel discorsetto, irritò Alec oltre ogni misura. "Guardi che.." iniziò, mentre l'altro gli rivolgeva uno sguardo e un sorriso paziente, quasi stesse ascoltando le lamentele di un bambino. "..chiamo mio padre!" esclamò, con enfasi.
"Faccia pure. E lo saluti da parte mia." rispose Magnus, scrollando le spalle e voltandosi per dirigersi verso il divano.
Alec strinse i pugni. "Anzi, sa una cosa? Chiamerò il suo superiore per lamentarmi del suo operato!" lo minacciò, annuendo convinto. "Già! Ahn-ahn! Può scommettere che lo farò! Come la mettiamo adesso? Eh?" domandò, sfrontato.
Magnus si accigliò, mentre con l'indice e il pollice alzava leggermente un angolo di un cuscino del divano, esaminandolo attentamente, come se si aspettasse di veder spuntare fuori, da un momento all'altro, qualche bestiaccia strana. "Cioè vuole chiamare i proprietari della Fairmont Hotels and Resorts?" chiese, sovrappensiero, continuando a ispezionare minuziosamente il resto del sofà. "Buona fortuna!" ridacchiò, con un sorriso canzonatorio, lasciandosi finalmente cadere tra i cuscini del divano e allungando le gambe davanti a sé.
Questa volta fu Alec a rimanere spaesato. "Fairmont Hotels and Resorts?" chiese, con aria smarrita.
Magnus annuì, aggiustando il sedere, sul cuscino su cui era seduto, con un cipiglio concentrato. "Lavoro per loro. Testo i loro hotel di lusso in giro per il mondo e.. Dio, come diavolo fa a stare seduto su una roba del genere?" chiese, continuando a dimenarsi per trovare la comodità desiderata.
"Ma.. ma mio padre mi ha detto che lei è un agente speciale della Marina Militare e.."
"Ex." rispose Magnus, distrattamente, alzandosi per sprimacciare con energia il cuscino. "Demi Tuhan, è pieno di bitorzoli questo coso!"
"Cosa?"
"Questo affare deve essere buttato! Ecco cosa!"
"Lasci in pace il mio cuscino!" ordinò Alec. "E.. che significa ex?"
"Sono un ex agente speciale, signor Lightwood." precisò Magnus, osservando con aria truce il cuscino che proprio non ne voleva sapere di collaborare e diventare un minimo più comodo. "Sul serio, come accidenti riesce a sedersi sopra a questa robaccia?" chiese, rivolgendogli un breve sguardo ammonitore, mentre si piantava le mani sui fianchi.
"Lei.. lei è un ex militare?" chiese Alec, ignorandolo e sbarrando gli occhi a quella scioccante notizia.
"Ahn-ahn." rispose Magnus, tranquillo, ributtandosi, poco convito, nuovamente sul divano. "Ho lasciato il servizio più di otto anni fa." spiegò, asciutto, sbuffando a più non posso per la scomodità del divano. "Santo cielo, è come sedersi per terra, su tanti piccoli sassi!" protestò, dimenando nuovamente il sedere.
Alec trattenne il fiato. Suo padre l'aveva ingannato, quindi! O, peggio ancora, non era a conoscenza della china presa da quell'individuo, che non era più un militare!
Cercò di pensare velocemente a un modo per liberarsi di quell'individuo, che si stava agitando sul suo divano come se avesse un ragno infilato nelle mutande. "Chiamo la polizia e la faccio arrestare!" lo minacciò a un tratto, serio.
Magnus interruppe lo scontro con il divano e sorrise, scuotendo la testa. "E con quale scusa? La guardia del corpo assunta da papino non mi piace? Crede davvero che verrebbero? Andiamo!" ridacchiò, muovendosi un altro po'. Con un sospiro rassegnato, si afflosciò sullo schienale e sbuffando a più non posso maledisse il divano, calandosi gli occhiali da sole sul naso e incrociando le braccia al petto.
Alec batté un piede a terra, indispettito oltre ogni dire, e decise quindi di passare alle maniere forti pur di sbarazzarsi di quell'individuo irritante. "Senta, delinquente da strapazzo, alzi immediatamente il culo dal mio divano e se ne vada o le garantisco che la sbatto fuori a calci. E non sarà affatto piacevole!"
Magnus abbassò leggermente gli occhiali sul naso, mentre un lento sorriso divertito nasceva sulle sue labbra. "Sono un ex militare, signor Lightwood, mentre lei è un semplice civile. Pensa davvero di riuscire a mettere in atto la sua minaccia?"
"Vada a farsi fottere!" sibilò nuovamente Alec, dopo un lungo momento, stringendo i pugni lungo i fianchi.
Magnus scosse la testa. "Signor Lightwood, sul serio, dovrebbe rivedere il suo linguaggio. E' troppo scurrile." lo apostrofò, con fare paternalistico, tornando a inforcare gli occhiali. "E, tanto per essere chiari, mi è stato affidato un incarico. Resterò qui fino a quando sarà necessario. Che lei lo voglia o no."

Alec stava misurando la stanza a grandi passi e in lungo e in largo, mentre, con il telefono incollato all'orecchio, sibilava come un serpente a sonagli contro lo sfortunato malcapitato che si trovava dall'altra parte della linea e che aveva avuto la iella di rispondere. Stava fumando dalla rabbia.
Però, pensò Magnus, sprofondato nello scomodo divano che gli stava martoriando le natiche e la schiena, con le braccia incrociate al petto e la testa leggermente piegata di lato, mentre lo guardava con interesse, non era niente male. Anzi, a dirla tutta, abbigliamento da barbone a parte, era molto più che niente male!
Alexander Gideon Lightwood era un bocconcino inaspettatamente appetitoso e.. non era decisamente un moccioso!
Non se ne era accorto subito, preso com'era dalla forte emicrania che gli aveva martellato la testa da quando si era svegliato quella mattina fino a dieci minuti prima, quando finalmente era riuscito a buttare giù due pastiglie, ma ora che finalmente il dolore si era attenuato e la nebbia nella sua mente si era diradata, vedeva tutto più chiaramente e.. Dio, cosa non avrebbe potuto fare a quel sedere tondo e perfetto e a quella bocca peccaminosa!
Dewi gli aveva descritto il figlio di Robert Lightwood come un ragazzo fragile e bisognoso di aiuto, e Magnus aveva pensato di dover fare da balia a un individuo gracilino e petulante, con il moccio al naso e terrorizzato dalla sua stessa ombra. Invece, a giudicare dallo "spettacolo" che si stava godendo in quel momento, il moro era tutto fuorché una damigella in pericolo!
Alexander viveva da solo in un orrendo appartamento in un tranquillo quartiere di Manhattan e fisicamente era poco più basso di lui, ma più muscoloso e con delle spalle ampie e larghe, a cui ci si sarebbe attaccato volentieri per interessanti attività verticali e, soprattutto, orizzontali. Aveva una delicata pelle color alabastro, lineamenti del viso che uno scultore avrebbe volentieri immortalato su un blocco di marmo e sfoggiava una folta e disordinata massa di capelli neri come l'inchiostro, in cui moriva la voglia di infilare le mani per saggiarne la consistenza. I fianchi snelli e le gambe lunghe erano fasciati da un paio di jeans logori e stracciati, che Magnus non avrebbe usato neanche per fare la cuccia a un cane randagio, e un maglione dal colore indecifrabile, ma che, tirando a indovinare, una volta doveva essere stato nero, e.. demi surga, era un buco quel sfilacciamento sulla spalla?
Magnus scosse la testa e alzò lo sguardo per osservare la parte più incredibile di quel ragazzo, ossia i suoi meravigliosi occhi, che erano di un blu talmente vivido e intenso da desiderare di annegarci dentro e che ti fulminavano e ti lasciavano stecchito a terra con un battito di ciglia.
C'era poco da dire: Alexander Lightwood era davvero bello. Aveva un pessimo carattere, una lingua affilata come un rasoio e si vestiva come un senzatetto, certo, ma era innegabilmente attraente e sexy e.. Dio, quel sedere l'avrebbe mandato al manicomio, ne era certo! Magnus continuava a fissarlo avidamente, immaginando scenari, uno più sconcio dell'altro, in cui riusciva a mettere le mani su tutto quel ben di Dio, mentre il ragazzo, completamente ignaro della direzione del suo sguardo, marciava da una parete all'altra del salotto.
"In riunione?" esclamò Alec. "No, senta, devo parlare con lui. Adesso. Per cortesia, me lo passi e.. sì! Sì, mi ha capito benissimo! Voglio parlare con lui! Ora!" pretese, alzando di poco il tono della voce. "Cosa significa che non può proprio passarmelo? Senta signor.. come diavolo si chiama?" sibilò, arrabbiato. "Perfetto. Senta, David, o me lo passa subito o giuro che entro mezzogiorno lei sarà disoccupato. Sono stato chiaro?" minacciò, gelido. Poi una pausa. "Sì, resto in linea. Grazie."
"E' inutile." provò a dire Magnus.
"Stia zitto. Nessuno ha chiesto il suo parere." lo apostrofò Alec, girandogli le spalle e dando inconsapevolmente all'altro nuovamente modo di guardargli il sedere.
"Alexander, non riuscirai a liberarti di me." lo avvertì Magnus, allungando le gambe sul tavolinetto davanti a lui.
Visto che avrebbero vissuto insieme per chissà quanto tempo, aveva deciso che tanto valeva entrare in confidenza fin da subito e passare direttamente a darsi del tu, perché mantenere un certo distacco, quando avrebbero dovuto condividere gli stessi spazi, sarebbe stato impossibile.
Alec si girò per guardarlo, fulminandolo con lo sguardo. "Tolga subito quei luridi stivali dal mio tavolino!" ringhiò, feroce. "E non mi chiami Alexander!"
Magnus alzò le mani. "Ok. Ok. Non ti scaldare. Alex, allora?"
"Per lei sono il signor Lightwood!" pretese Alec, tornando a voltarsi, in attesa di una risposta dall'altra parte della linea. Fece un salto e gridò, sorpreso, quando si sentì sfiorare la pelle sulla spalla. "C-cosa fa?!"
Magnus lo fissò a bocca aperta. "Per tutti i diavoli! E' davvero un buco!"
"C-cosa???"
"Il tuo maglione ha un buco!"
"Stia lontano da me!" strillò Alec, puntandogli l'indice contro e allontanandosi bruscamente da lui.
Magnus scosse piano la testa, esterrefatto, poi tornò a sprofondare tra i cuscini del divano. "Un barbone! Ho a che fare con un barbone!" borbottò, scioccato.
Alec gli lanciò un'occhiata omicida, alzando il dito medio e sventolandoglielo contro con tutta la rabbia che gli ribolliva in corpo.
Magnus ridacchiò davanti a quel gesto infantile e gli fece a sua volta la linguaccia. "Tanto per la cronaca, guarda che ci ho già provato anch'io a sganciarmi da questa situazione assurda, ma è stato inutile."
Alec aggrottò la fronte. "Ci ha provato anche lei?" chiese, abbassando la mano.
"Non penserai che mi stia divertendo, qui, vero?" chiese Magnus, alzando un sopracciglio e incrociando le braccia al petto.
Il pomeriggio prima, infatti, quando si era incontrato con suo padre per avere tutti i dettagli della "missione", Magnus aveva provato per più di un'ora a tirarsi fuori da quell'impegno, ma aveva fallito miseramente. Sua madre si era intromessa come suo solito ed era riuscita a impedirgli di scappare dalla città, con il primo aereo, per non fare più ritorno.
Alec lo guardò, sempre più confuso, e coprì con una mano il ricevitore del telefono. "Perché ha accettato di venire, allora?"
"Non ho accettato. Sono stato incastrato." precisò Magnus, intrecciando le mani dietro la testa.
"Incastrato?" ribatté Alec, incredulo.
"Fidati." lo rassicurò Magnus.
"E' proprio questo il punto. Io non mi fido. Di lei men che meno." scandì Alec, serissimo.
"Libero di farlo, ma sappi che, se avessi rifiutato l'incarico, sarebbe stata la mia fine. Capisci?" gli confidò l'uomo, con un sospiro, porgendo il labbro in un broncio infantile.
Alec lo fissò, impassibile. "Sta cercando di farmi pena? Sul serio?"
"Funziona?" gli chiese Magnus, con un sorriso malandrino, piegando la testa.
"No." rispose Alec, lapidario.
Magnus sospirò. "Andiamo, Alexander, non ti sembra di esag.."
"Le ho detto di non chiamarmi Alexander!" strillò Alec, esasperato. "Se proprio vuole essere poco professionale, mi chiami Alec." dichiarò, voltandogli poi le spalle, indispettito. "Sì? Pronto? Sì, sono ancora qui! Sì!" esclamò a un tratto, quando l'interlocutore ritornò da lui. "Come sarebbe a dire che non può proprio venire al telefono? Gli ha detto che sono suo figlio e.. Senta, David, lei.. Cosa? No! Non ho intenzione di prendere un appuntamento e.. Ohhh, lasci perdere, ok? Sì, sì, le ho detto di lasciare stare. Ci parlerò più tardi! Grazie e buona giornata." esalò, spazientito, chiudendo la conversazione e fissando, con palese ostilità, l'uomo che aveva preso residenza sul suo divano e che lo guardava di rimando con un enorme sorriso stampato sul volto.
"Che ne dici di ricominciare da zero?" gli chiese Magnus, alzandosi in piedi e porgendogli una mano. "Magnus Bane, piacere di conoscerti."
Alec incrociò le braccia al petto e fissò quella mano come se fosse un orribile mostro a tre teste.
"Andiamo, Alec, guarda che sarebbe molto più facile per entrambi se ti rassegnassi all'idea di avermi qui con te." lo sollecitò Magnus, con un sorriso.
"E se la pagassi il doppio di quanto le dà mio padre, per togliersi dai piedi?" chiese improvvisamente Alec, alzando lo sguardo e guardandolo speranzoso. "Giuro che non lo direi a nessuno! Lei potrebbe tornare alla sua vita di sempre e io alla mia."
Magnus lo guardò per un lungo momento, in silenzio, quasi stesse ponderando la proposta, e Alec rimase in trepidante attesa, con il fiato sospeso. Dopo un interminabile minuto, l'uomo scosse con decisione la testa. "Niente da fare. Noi due resteremo insieme fino a quando la faccenda delle e-mail minatorie non sarà sistemata."
Alec roteò gli occhi e sbuffò esasperato.
"Allora, che ne dici? Tregua?" propose Magnus, porgendogli nuovamente la mano.
Alec fissò di nuovo la mano tesa, mordicchiandosi il labbro inferiore, indeciso, valutando velocemente tutti i pro e i contro di quella situazione. Per il momento c'era ben poco che potesse fare e continuare a comportarsi come un bambino di cinque anni non sarebbe servito a niente, a parte rendersi ridicolo agli occhi dell'uomo davanti a lui. Dopo un lungo momento, sospirò, abbassò le spalle e, con aria rassegnata, gli porse la mano. "Tregua, ma a una condizione."
"Spara." rispose Magnus, stringendogli la mano.
"Non mi tenti." ironizzò Alec, con uno strano luccichio negli occhi, interrompendo il breve contatto che, incomprensibilmente, gli aveva fatto partire una scarica di adrenalina lungo tutto il corpo.
Magnus sorrise divertito. "Sai che cominci a piacermi?"
"Ohhh, stia zitto o potrei montarmi la testa!" rispose Alec, roteando gli occhi, con un accenno di sorriso storto sulle labbra. "Accetterò la sua presenza." riprese, poi, con tono ragionevole. "E le permetterò di venire a lavoro con me e seguirò tutti i consigli che mi darà per proteggermi. Durante il giorno."
"E di notte?"
"E di notte si toglie dai piedi." spiegò Alec, risoluto.
Magnus si massaggiò il mento, ponderando le parole dell'altro. "Sarei tentato, davvero, ma devi rivedere le tue condizioni."
"Perché?" chiese Alec, sbalordito. Gli sembrava un piano perfetto, per l'angelo! Perché quel rompiscatole non era d'accordo?
"Perché ho giurato di starti appiccicato come un francobollo fino a quando non sarai definitivamente al sicuro. Ed è esattamente quello che intendo fare."
"Ohhh, andiamo! Non è affatto necessario!" si lagnò Alec, allargando le braccia. "Non sono in pericolo!"
"Non faccio io le regole, dolcezza." sentenziò Magnus, scrollando le spalle.
"Non mi chiami dolcezza!" sbuffò Alec, spazientito. "Senta, questa casa è troppo piccola per due persone." spiegò poi, tentando di essere convincente. "Ci daremmo solo fastidio a vicenda!"
"Ho vissuto in condizioni peggiori." replicò Magnus, scrollando le spalle con un sorriso che la sapeva lunga.
"Non saprei dove farla dormire!" tentò, allora, Alec.
"Non hai due camere da letto?" chiese Magnus, con aria furba, inarcando un sopracciglio.
"No!" mentì spudoratamente Alec.
Magnus sorrise. "La camera degli ospiti andrà benissimo."
"Andrà bene per lei, ma non per me!" ribatté Alec, piazzandosi le mani sui fianchi.
"Pazienza. Il tuo parere, in questa faccenda, non conta."
"C-cosa?" esalò Alec, spalancando gli occhi, sorpreso. "Le ricordo che questa è casa mia!"
"Sì e io sono tuo ospite."
"Contro la mia volontà."
"Non è importante."
Alec sbuffò nuovamente esasperato. Era inamovibile, dannazione! "Detesto questa situazione." decretò, contrariato.
"E' una cosa che abbiamo in comune." affermò Magnus, scrollando le spalle e facendogli l'occhiolino. "Forse saremmo una buona squadra, se seppellissi l'ascia di guerra."
"Ne dubito fortemente!"
Magnus divenne serio. "Alec, credimi, sarei felicissimo di togliermi dai piedi.."
"E allora lo faccia, per la miseria!" gridò Alec, gettando la testa all'indietro per l'esasperazione.
"..ma ormai sono qui." continuò Magnus, ignorandolo e andando a sedersi di nuovo sul divano bitorzoluto. "E ci resterò per un bel po'. Rassegnati."

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Seduto dietro la sua scrivania, Alec cercò di ritrovare un po' di calma dopo quell'inizio di giornata decisamente turbolento.
Chiuse gli occhi e inspirò più e più volte nel tentativo di riacquistare la tranquillità perduta, senza tuttavia riuscirci. Era stanchissimo, per l'angelo! Magnus Bane riusciva a prosciugargli tutte le energie come niente e nessuno al mondo e sembrava quasi che quell'uomo fosse stato creato appositamente per farlo andare fuori di testa.
Anche prima di uscire di casa, ad esempio, era riuscito a bisticciare con quel prepotente che gli aveva soffiato dalle dita le chiavi della sua auto, con cui il moro si recava quotidianamente al lavoro, dichiarando compiaciuto "Guido io!".
Alec aveva sospirato pesantemente, trattenendosi dall'imprecare. "No, lei rimane qui a ripensare al suo comportamento infantile. Al mio ritorno, pretendo più professionalità!" si era limitato a sibilare, stizzito, con un tono che non ammetteva repliche.
Sfortunatamente, però, quel modo autoritario, che solitamente funzionava con chiunque si relazionasse con lui, sembrava non sortire alcun effetto sul suo cane da guardia, anzi sembrava quasi che l'altro avesse un lato curiosamente masochista e che trovasse estremamente divertente farlo arrabbiare e sentirsi apostrofare in malo modo.
Magnus, infatti, non si era scomposto minimamente al suo tono tagliente, anzi aveva sorriso ancora di più e aveva replicato "Niente da fare, tortellino, io vengo con te, ma, visto che ti innervosisci facilmente, sarò gentile e ti lascerò guidare.", lanciandogli nuovamente le chiavi e facendogli l'occhiolino.
"Ohhh, sono davvero onorato che lei mi permetta di guidare la mia macchina!" aveva ribattuto Alec, indispettito, soprassedendo sul nuovo soprannome, mentre Magnus faceva un inchino irriverente, indicando la porta di casa con un plateale gesto del braccio.
Per l'angelo, era così.. così.. molesto. Dio, era come una zanzara che continuava a ronzargli attorno senza dargli un attimo di tregua, punzecchiandolo continuamente e urtando i suoi nervi, già fortemente provati. Era sfiancante.
Come se tutto questo non bastasse, il suo cellulare non aveva smesso di trillare dalle otto di quella mattina, a causa dei continui messaggi da parte dei suoi fratelli che chiedevano maggiori dettagli sul nuovo arrivato. Prese il telefonino e, con uno sbuffo esasperato, tolse la suoneria per avere due secondi di pace.
No, non avrebbe mandato loro una foto di Magnus Bane, né si sarebbe lanciato in descrizioni fisiche, che nulla avevano a che fare con il rapporto professionale che lo legava a quel seccatore, e tantomeno gli passava per l'anticamera del cervello di indagare sull'orientamento sessuale di quel tipo e rivelare loro se era talmente bello da fare comunque un giro sulla sua "carrozzeria", con o senza il suo permesso, ficcandogli la lingua in bocca e le mani nelle mutande.
Quest'ultimo punto, poi, era sicuramente fuori discussione, visto che Alec non aveva alcuna intenzione di avvicinarsi fisicamente a quel bellimbusto ed era fermamente deciso a liberarsi di lui il prima possibile, pretendendo da suo padre una nuova guardia del corpo, se proprio insisteva ad affibbiargliene una, visto che quella attuale era assolutamente incompatibile con lui, oltre che insopportabile!
Quell'uomo ignorava platealmente le sue richieste, fingeva di non ascoltare le sue rimostranze e lo punzecchiava costantemente su tutto. Era un incubo, per l'angelo!
Un leggero bussare preannunciò l'arrivo di Clary, con la sua massa di ricci rosso fuoco che fece capolino da dietro la porta. "Alec? C'è qui Simon." gli annunciò, con un sorriso gentile.
"Grazie, Clary. Arrivo subito." comunicò Alec, con un leggero cenno della testa, prima di prendere un bel respiro profondo.
Si massaggiò lentamente le tempie, pressando la pelle in ampi cerchi concentrici, nella speranza che quel gesto lo calmasse a tal punto da uscire da quella stanza, anche se solo per il tempo necessario ad agguantare Simon e a trascinarlo nella sua "tana", e ignorare il suo logorroico cane da guardia, che aveva piazzato, senza tante cerimonie, a Clary non appena varcata la soglia dell'ufficio.
Già, perché, oltre a essere insopportabilmente bello, quell'uomo non stava zitto un secondo e cianciava del più e del meno, saltando da un argomento ad un altro con una velocità tale che ad Alec era venuto un gran mal di testa lungo il tragitto casa-lavoro in macchina!
Dopo l'ennesimo, lungo, respiro, raddrizzò le spalle, alzò il mento in segno di sfida e uscì a passo deciso dal suo ufficio proprio mentre Magnus stava dicendo, ai due cognati, "Fiorellino è così irascibile!".
Ecco, quella era un'altra cosa che lo mandava fuori dalla grazia di Dio. Erano appena le nove e mezza del mattino e quell'idiota era già riuscito ad appioppargli una decina di nomignoli, che definire ridicoli era riduttivo, e, nonostante le sue accese proteste, pareva non avere alcuna intenzione di smettere. Anzi, più i minuti passavano e più Magnus Bane riusciva a sciorinare soprannomi fantasiosi e incredibilmente imbarazzanti che solo la sua mente bacata poteva elaborare.
Prese in seria considerazione l'idea di fare un veloce dietrofront e mandare al diavolo tutto e tutti, ma sapeva di non poterlo fare.
Lydia si era rifatta viva.
Neanche quindici minuti prima, infatti, la ragazza non era entrata in agenzia, ma Alec l'aveva vista fare avanti e indietro sul marciapiede, quando era andato a consegnare dei documenti a Clary, fermandosi di tanto in tanto a guardare nella loro direzione, fino a quando il ragazzo non aveva indirizzato lo sguardo verso la vetrata e lei era riuscita a catturare il suo sguardo. Aveva voluto lanciargli un avvertimento? O addirittura una minaccia? Alec non lo sapeva, ma, qualunque cosa fosse, non poteva più aspettare. Il pensiero che penetrasse di nuovo nel suo ufficio lo turbava molto più di quanto non volesse ammettere. Aveva davvero bisogno di quel sistema d'allarme.
"Allora?" brontolò, con le mani sui fianchi, interrompendo il vivace brusio. "La smettiamo?"
Quel tono secco e autoritario, che aveva sempre zittito anche il più maleducato tra i suoi clienti, fece ammutolire all'istante i due cognati, ma, ancora una volta, sembrò non sortire alcun effetto su Magnus che alzò gli occhi su di lui, tranquillo, e lo fissò con un lento sorriso divertito che gli incurvava le labbra piene e seducenti.
Per l'angelo, cosa doveva fare con lui? Se lo insultava, gli sorrideva. Se gli urlava addosso, gli sorrideva. Se lo zittiva in modo brusco, gli sorrideva. Che razza di problema aveva quel tipo? Una paresi facciale?
"Simon." sbuffò, infastidito. "Per cortesia, puoi seguirmi?" chiese, indicando con un cenno della testa il suo ufficio.
"Signorsì, signore!" esclamò Simon, facendogli il saluto militare e facendo ridacchiare gli altri due.
"Ah. Ah. Ah." lo fulminò Alec, con il viso imbronciato. "Clary, hai fatto quella ricerca di cui ti ho parlato prima?"
"Ho trovato qualcosa, ma.."
"Per cortesia, puoi fare più in fretta? Mi serve con una certa urgenza, grazie." la interruppe Alec. "Quanto a lei.." commentò, in direzione di Magnus. "..le sarei grato se la smettesse di far perdere tempo alla mia segretaria." lo incenerì con lo sguardo, agguantando poi il cognato per un gomito e trascinandolo verso il suo ufficio.
"Sono nei guai?" sussurrò Magnus, accostandosi a Clary con un cipiglio curioso.
"Credo di sì." sorrise Clary, divertita, scrollando le spalle.
"FAIRCHILD! Al lavoro! Ora!" ringhiò Alec, voltando appena la testa.
Clary scattò come un soldatino e tornò dietro la sua scrivania, mentre Alec lanciava l'ennesima occhiata di fuoco a Magnus, che roteò gli occhi, ridacchiando, prima di soffiargli un bacio volante sulla punta delle dita, facendogli anche l'occhiolino.
Alec si trattenne per un soffio dal fargli un'infantile linguaccia e un inopportuno, ma sicuramente efficace, dito medio ed entrò nella sua stanza, chiudendo bruscamente la porta.
"Stai bene?" chiese Simon, inarcando un sopracciglio.
"Sì. Grazie." tagliò corto Alec.
Il cognato gli fece un largo sorriso e si protese verso di lui, eccitato, saltellando quasi sulla sedia. "Per tutti gli angeli, Alec! Bel colpo! Quell'uomo è bellissimo!" affermò, entusiasta, alzandosi lievemente per dargli un leggero pugno compiaciuto su una spalla.
"Cosa?" chiese Alec, spiazzato.
"Il tuo nuovo ragazzo! Magnus! E' davvero un bell'uomo!"
Ad Alec andò di traverso la saliva. "C-cosa?" esalò. "N-non è il mio ragazzo." replicò, indignato.
"Oh. Allora Izzy deve essersi sbagliata." commentò Simon, facendo spallucce.
"Certo che si è sbagliata, Simon!" si infervorò Alec, paonazzo. "E' la mia guardia del corpo, non il mio nuovo ragazzo!"
"Guardia del corpo?" chiese Simon, sbalordito.
"Lasciamo perdere." replicò Alec, pizzicandosi la radice del naso, mentre sentiva che gli stava per venire un'altra emicrania.
"Oh, per l'angelo! Avevo promesso a tua sorella che avrei fatto una foto a Magnus!" esclamò Simon, a gran voce. "Ti spiace se esco un attimo e.." iniziò e, senza continuare e attendere risposta, si alzò dalla sedia con il cellulare in mano per andare a compiere la sua missione.
"Simon!" lo bloccò Alec, inorridito. "A cuccia!" ordinò, indicando nuovamente la sedia con un gesto perentorio del dito.
"Ma Izzy vuole.."
"Simon.." lo interruppe Alec, esasperato, tornando a massaggiarsi le tempie. "Non mi interessa cosa vuole quella rompiscatole della tua ragazza che, per disgrazia divina, è anche mia sorella." brontolò, incrociando le braccia al petto. "Possiamo, per cortesia, passare direttamente al motivo per cui sei qui?"
"Uff. Va bene. Tanto gli farò la foto quando avremo finito qui." sorrise Simon, facendo spallucce, tornando a sedersi, mentre Alec gemeva sconfortato. "Allora, Izzy mi ha informato che hai bisogno di un sistema di sicurezza. Cosa è successo?" chiese, in tono professionale.
"Che cosa vuoi dire?" domandò il moro, alzando di scatto la testa verso il cognato.
"Beh, hai sempre odiato i sistemi d'allarme." rispose Simon, assottigliando lo sguardo. "Ricordo benissimo di quella volta che, durante una cena, mi hai accusato di mettere metaforicamente in prigione le persone! Immagino che debba essere successo qualcosa di grave per convincerti a installarne uno."
Alec lo fissò, sorpreso. Aveva sempre pensato che il cognato avesse troppo la testa tra le nuvole per badare a quello che diceva, ma a quanto pare l'aveva sottovalutato.
Si mordicchiò l'unghia del pollice, nervoso. Lavorare con Simon poteva rivelarsi più difficile del previsto, perché era un grandissimo chiacchierone e una sua battuta, seppur detta in modo innocente, avrebbe potuto scatenare un vero e proprio dramma. L'ultima cosa che voleva era che la sua famiglia venisse a conoscenza di Lydia e iniziasse a preoccuparsi per lui. Non ce n'era motivo, davvero. Già si sentiva in colpa che lo sapesse Izzy! Se anche gli altri avessero saputo delle minacce della bionda, non gli avrebbero più dato un momento di pace e suo padre gli avrebbe messo alle calcagna un branco di cani da guardia, anziché uno solo!
Tuttavia aveva bisogno dell'esperienza di Simon e della cura, quasi maniacale, che metteva nei dettagli del suo lavoro per liberarsi definitivamente (almeno sperava) di Lydia.
Decise, quindi, che doveva inventarsi una storia plausibile da raccontare al cognato e, all'occasione, anche al resto della famiglia: si sarebbe tenuto il sistema d'allarme solo fino a quando Lydia non si fosse stancata di lui, indirizzando le sue attenzioni ad altri uomini e facendolo finalmente tornare alla sua solita routine, e poi se ne sarebbe liberato.
"Beh, c'è stata una serie di furti qui nella zona." spiegò, sforzandosi di dare alla sua voce un tono credibile. "Ho lavorato davvero sodo per mantenere quest'attività al top e non voglio che entrino anche qui dentro, derubandomi. E' per questo che sono disposto a mettere da parte la mia avversione per i sistemi d'allarme." terminò, scrollando le spalle, soddisfatto di se stesso e battendosi il cinque mentalmente.
Simon piegò la testa, osservandolo come se stesse soppesando le sue parole e stesse decidendo se quello che gli aveva appena detto era la verità o una panzana colossale. Alec strinse le labbra in una linea sottile e sostenne il suo sguardo senza alcun tentennamento, obbligandosi a non agitarsi sulla sedia per non rivelare l’ansia che gli scorreva dentro.
"Ok." rispose Simon infine, scrollando le spalle e abboccando alla sua bugia. "Posso iniziare domani mattina e, intanto, do un'occhiata in giro per rendermi conto del lavoro da fare. Va bene?"
Alec annuì, intimamente sollevato. "Ho del lavoro urgente da sbrigare, però Clary è a tua disposizione. Non c'è molto da vedere, ma se hai bisogno di informazioni, o hai bisogno di qualcosa, puoi chiedere direttamente a lei."
"Ottimo." disse Simon, alzandosi dalla poltroncina. "Allora, ci vediamo dopo! Passo a salutarti prima di andare via."
Alec annuì, allungando una mano. "Grazie, Simon!"
"Figurati!" sorrise il castano, stringendogliela, uscendo poi dal suo ufficio e chiudendosi la porta alle proprie spalle.

"E così, Sigmund, installi impianti di sicurezza." esclamò Magnus, mettendosi in posa per il selfie che il cognato di Alec gli aveva chiesto di fare, manco fosse un fan in presenza di un vip.
"Simon. Mi chiamo Simon." rispose il castano, distratto, mentre digitava velocemente sul suo cellulare. "E, sì, installo antifurti e telecamere di sicurezza." confermò, prima di sorridere soddisfatto al messaggio appena ricevuto, iniziando poi ad aggirarsi per l'agenzia in compagnia di Clary, prendendo nota dei possibili posti dove piazzare le telecamere.
L’ex militare non poteva di certo dirsi sorpreso per l'iniziativa presa dal moro: Robert Lightwood era stato vittima di e-mail minatorie e trovava quindi logico che il ragazzo si attivasse per difendere il suo posto di lavoro. Quello che proprio non riusciva a inquadrare era perché rifiutasse così categoricamente la sua presenza. Ok, non avevano iniziato quella collaborazione nel migliore dei modi, e forse (ma solo forse, sia chiaro) Magnus si divertiva un po’ troppo a stuzzicarlo, perché adorava vedere le sue guancie assumere una deliziosa tinta color ciliegia quando si imbarazzava e stizziva allo stesso tempo, ma la testardaggine dell’agente di viaggi nel non volerlo al suo fianco era davvero esagerata.
Ciondolò sul posto, con le mani nelle tasche posteriori dei jeans, seguendo con lo sguardo il castano che prendeva nota di ogni minimo dettaglio di quel posto. A differenza dell'appartamento del moro, l'agenzia di viaggi Cacciatori di sogni trasudava eleganza e buongusto: non era molto grande, ma era accogliente e lo spazio a disposizione era stato suddiviso in modo da dare ad Alec la giusta privacy quando doveva accogliere i propri clienti, creando un ufficio confortevole ed efficiente che si trovava in fondo ad un piccolo corridoio. C'era anche un salottino, presidiato dalla postazione di Clary, che fungeva da sala d'attesa e che aveva dei comodi divanetti in pelle nera su cui torreggiavano vari espositori, pieni zeppi di cataloghi e riviste di viaggi.
Era un bel posticino, ammise Magnus, osservando il tutto ed era così diverso da quell'obbrobrio che Alec si ostinava a chiamare "casa"! Come poteva essere il proprietario di quel posto la stessa persona che viveva in un appartamento con le crepe sui muri?
L'uomo incrociò le braccia al petto e si tamburellò il mento con un dito, pensoso. Forse il ragazzo soffriva di bipolarismo? Magari era anche per quello che era così aggressivo con lui! Si appuntò mentalmente di chiedere a suo padre, così da poter gestire al meglio quella situazione problematica, perché di certo non voleva rischiare di finire con un coltello conficcato nella gola, mentre stava dormendo, solo perché sua madre si era erroneamente messa in testa che quel ragazzo fosse un cucciolo di panda che andava protetto a ogni costo!
"Ok, Clary, qui ho finito." affermò Simon, al termine del breve tour, interrompendo il flusso di pensieri dell'ex militare. "Domani mattina arriverò con la mia squadra per cominciare i lavori di installazione."
"Fantastico!" esclamò la ragazza, visibilmente sollevata, congiungendo le mani al petto. "Sono così contenta che tu sia arrivato Magnus." confessò, posandogli una mano sul braccio e regalandogli un caldo sorriso. "E con un sistema d'allarme mi sentirò ancora meglio."
"Davvero?" le chiese Magnus, curioso. "Perché?"
Clary si avvicinò ai due, con fare cospiratorio, arricciando l'indice perché si abbassassero al suo livello. "E' arrivato un messaggio minatorio." bisbigliò, lanciando un'occhiata alla porta di Alec per controllare che non si aprisse proprio in quel momento.
"Un messaggio minatorio?" mormorò Magnus, alzando un sopracciglio.
Clary annuì. "Non ho idea di chi sia la mittente, ma non mi piace per niente l'idea che entri qui e soprattutto che lasci certi tipi di messaggi ad Alec! Nessuno si deve permettere di minacciare mio cognato!" affermò, con tono deciso, piantandosi le mani sui fianchi e scuotendo energicamente la testa.
Magnus si raddrizzò, sovrappensiero. Una ragazza che lasciava messaggi minatori? Perché il moro non gliene aveva parlato? Era per questo che aveva deciso di installare il sistema d'allarme nell'agenzia? L'ex militare ipotizzò che dovesse essere una cosa seria se Alec si era attivato per quella situazione anziché per le e-mail minacciose ricevute da Robert Lightwood.
"Alec non lo sa, ma stavo depositando nella nostra cassaforte l'assegno di un nostro cliente e ho trovato il messaggio." continuò Clary, in un sussurro.
"E cosa c'era scritto?" bisbigliò Simon, rapito, pendendo dalle labbra dell'amica.
Clary guardò brevemente di nuovo verso la porta chiusa dell'ufficio di Alec. "Volete che ve lo faccia vedere?"
Magnus e Simon si trovarono ad annuire contemporaneamente e fissarono Clary che digitava la combinazione della cassaforte e ne estraeva il biglietto incriminato, consegnandolo poi a Magnus, mentre Simon gli si accostava per leggere le parole impresse nel cartoncino.
La minaccia era chiara: Alec si era rifiutato di uscire con una donna e lei era arrivata a controllare se lui le avesse detto la verità o meno. E ora era arrabbiata.
"Quando è stato lasciato questo messaggio?" interrogò Magnus.
Avrebbe tanto voluto prendere le eventuali impronte digitali e mandarle ad analizzare, giusto per essere sicuro di non avere a che fare con qualche pazza criminale già nota agli investigatori, ma dal modo in cui Clary aveva maneggiato il pezzo di carta, sapeva che erano andate perse del tutto.
La rossa si strinse nelle spalle. "Sabato, quando ho terminato il lavoro, non c'era nella cassaforte, ne sono sicura. Credo sia entrata sabato sera, dopo l'orario di chiusura, o ieri, ma non ne ho la certezza."
"Ha rubato qualcosa?"
Clary scosse la testa. "Ho controllato, ma non credo manchi niente. Non di importante, almeno." replicò, stringendosi nuovamente nelle spalle. "Credo abbia solo lasciato il biglietto ad Alec."
"Hai notato niente di strano nei giorni scorsi, prima di questo messaggio? Qualche telefonata bizzarra? Una cliente fin troppo particolare?"
Clary scosse nuovamente la testa. "Il solito via vai, le solite e-mail di prenotazione e telefonate da parte dei nostri fornitori o di compagnie aeree. Niente di insolito."
Magnus si massaggiò il mento, pensieroso. Oltre alle e-mail inviate al padre, Alec doveva preoccuparsi anche di una stalker che lo perseguitava. Forse poteva non essere nulla di serio, ma qualcosa gli diceva che non era così, soprattutto considerando che la sconosciuta era penetrata illegalmente in quell'ufficio per lasciare un messaggio intimidatorio.
Quella situazione non gli piaceva per niente.

Chino sui suoi fascicoli, Alec alzò la testa solo quando Simon andò a salutarlo. Dopo pochi minuti spinse indietro la sedia e uscì dall'ufficio, sgranchendosi il collo e stiracchiando in alto le braccia, mentre si dirigeva verso il distributore di bevande per farsi un tè caldo.
"Oh, Alec!" lo chiamò Clary, quando si accorse della sua presenza. "Simon mi ha informato che verrà con la sua squadra questo pomeriggio e che già entro questa sera il sistema d'allarme sarà funzionante."
Alec aggrottò la fronte, sorpreso. "Questa sera? Ma aveva detto che l'avrebbe installato domani. Come mai tutta questa fretta?"
Clary arrossì di botto, guardando poi Magnus, come se stesse cercando il suo aiuto.
"Ok. Che sta succedendo?" chiese Alec, spazientito, dopo aver seguito quello scambio di sguardi.
"Beh.. sai com'è.. non si è mai troppo sicuri a questo mondo e.."
"Clary.." la interruppe Alec, con una mano sul fianco e con uno sguardo ammonitore.
"Per evitare un'altra effrazione."
"Effrazione?" domandò Alec, sgranando gli occhi.
Clary guardò nuovamente Magnus, che annuì, come per infonderle coraggio. "Ho trovato il biglietto minatorio nella cassaforte e l'ho fatto leggere a Magnus e a Simon." esalò la ragazza, tutto d'un fiato.
Alec boccheggiò per un attimo, incapace di formulare un pensiero coerente. Poi scosse la testa, imponendosi di ricomporsi. "Capisco." replicò, asciutto.
"Scusa! Scusa! Scusa! Non volevo ficcanasare, lo giuro, ma era nella cassaforte e l'ho letto prima di rendermi conto di cosa si trattasse e.."
Alec alzò una mano per interromperla. "Clary, è tutto a posto. Davvero. Anzi, sono io che mi scuso per averti fatta preoccupare." la rassicurò, sorridendo dolcemente.
"Oh, Alec!" esclamò la ragazza, scattando in piedi e correndo ad abbracciarlo. "Perché non me ne hai parlato prima? Jace e Izzy lo sanno?"
"Di cosa?" chiese Alec, ricambiando l'abbraccio, mentre fingeva di non capire.
"Della stalker!" esclamò Clary, con foga.
Alec roteò gli occhi. "Non è una stalker." affermò, per rassicurarla. "Si tratta sicuramente di uno scherzo di cattivo gusto. Tutto qua."
"Eh, già. Tutto qua. E' solo uno scherzo di cattivo gusto." mormorò Magnus, seduto sopra la scrivania di Clary con le lunghe gambe accavallate, tutto intento a limarsi un'unghia e a parlare da solo. "Il fatto che abbia deciso di installare un sistema d'allarme, non c'entra niente con l'effrazione. Già." commentò, con una smorfia eloquente.
Alec lo fulminò con lo sguardo. "Qualche problema?"
Magnus alzò la testa e lo fissò, sostenendo l'occhiataccia truce che l'altro gli stava lanciando. "Hai chiamato la polizia?" gli chiese, a bruciapelo.
"Di sicuro non l'hai detto a Jace." brontolò Clary, con le mani sui fianchi. "Altrimenti mi avrebbe già messo al corrente di tutto!"
Alec roteò di nuovo gli occhi. "Smettetela! Tutto ciò non è affatto necessario. Non è niente di serio." replicò, determinato, mentre la sua guardia del corpo alzava un sopracciglio, guardandolo con aria scettica.
In realtà Alec aveva chiamato la centrale di polizia già quella domenica, giusto per togliersi il pensiero, e l'ufficiale con il quale aveva parlato l'aveva informato che avrebbe potuto sporgere una denuncia per molestie ed effrazione. Il moro, però, trovava davvero esagerato quel consiglio e sperava che il sistema d'allarme sarebbe bastato a far desistere la sua ammiratrice indesiderata. Si rifiutava categoricamente di pensare che la cosa fosse più seria di così.
"Alec.." tentò nuovamente Clary, visibilmente preoccupata.
"E' tutto a posto. Davvero." le sorrise Alec, dandole un paio di buffetti rassicuranti sulla testa, come se fosse un cagnolino. "Ora devo uscire. Chiamami se hai bisogno di qualcosa."
Clary sospirò, scuotendo con rassegnazione la testa, mentre il cognato usciva dall'agenzia, sempre con la sua guardia del corpo alle calcagna, per consegnare dei biglietti aerei a una coppia di anziani, che doveva partire dopo pochi giorni per la Norvegia, e per visitare diverse aziende che Alec sperava sarebbero divenute presto suoi clienti fissi.

Era quasi mezzogiorno quando il moro tornò ad ammettere l'esistenza dell'uomo che camminava di fianco a lui. Fino a quel momento, infatti, aveva evitato di rivolgergli la parola e aveva fatto finta di essere completamente solo, nel tentativo di mantenere una certa distanza tra lui e l'uomo incaricato di proteggerlo.
Certo, non che fosse stata un'impresa facile, visto che, come sua abitudine, Magnus non aveva smesso di parlare neanche per un minuto, ciarlando del più e del meno e indicandogli, entusiasta, le vetrine piene zeppe di vestiti che vedevano, mentre procedevano lungo il marciapiede affollato. Per l'angelo, era come avere a che fare con Jace e Izzy, ma al quadrato!
Alec sospirò: si stava comportando in modo infantile, lo sapeva, ma non aveva proprio idea di cosa dirgli, senza rischiare di risultare sgradevole o cadere in imbarazzanti silenzi dopo poche parole, buttate là a caso.
Lui non era bravo in queste cose. Negli anni era diventato un vero esperto nell'evitare le domande personali e canalizzare l'attenzione del suo interlocutore sui propri interessi anziché sulla vita privata del moro. Ad esempio, se la cavava egregiamente a parlare di viaggi, portare avanti trattative od offrire pranzi di lavoro, ma quando la barriera professionale cadeva e si trattava di conversare normalmente, con perfetti estranei, si trasformava: balbettava, arrossiva, mormorava parole a vanvera e senza senso. E se si trattava di persone con cui non aveva alcuna particolare affinità, la situazione peggiorava: pur di dissimulare il fastidio che provava in loro compagnia, diventava un disastro ambulante. In un caso, o nell'altro, il risultato finale era che si sentiva sempre enormemente a disagio, cosa che odiava tantissimo, quindi tentava di evitare come la peste di trovarsi in situazioni del genere.
"Hai fame?" chiese ad un tratto Magnus, interrompendo il proprio flusso inesauribile di parole e fermandosi davanti a un ristorante dall'insegna colorata.
La guardia del corpo sorrise quando il moro alzò gli occhi al cielo e fece spallucce, sventolando una mano che poteva significare tutto e niente. Ridacchiò: con Alec Lightwood si poteva essere sicuri di non correre il rischio di sentirsi scoppiare la testa per le troppe chiacchiere. Forse più di qualcuno sarebbe stato felice di questo, ma a Magnus piaceva parlare ed era una qualità che apprezzava anche nei suoi interlocutori. Poco male, comunque: avrebbe parlato lui per entrambi, come stava già facendo da quando era arrivato.
"Entriamo, tartufino?" chiese quindi ad Alec, che sbuffò forte e gli lanciò un'occhiata assassina.
Magnus rise di gusto, ignorò il muso lungo dell'altro e lo acchiappò per un braccio, conducendolo con entusiasmo all'interno del ristorante, che era carino e illuminato da una luce soffusa, con tanti séparé dalle varie fogge e dai vari colori.
Una giovane cameriera li scortò a un tavolo e portò loro il menù, tornando, un attimo dopo, con un cestino pieno di pane. Alec notò la sua guardia del corpo ricambiare il sorriso timido della ragazza con uno molto più ampio e sfacciato, che la fece arrossire come un peperone e sventolare il viso con una mano mentre si allontanava per raccogliere l'ordinazione di una coppia a un altro tavolo.
"Si distrae facilmente, vedo." mormorò il moro, misteriosamente indispettito da quello scambio, sfogliando con finto interesse il menù che aveva in mano.
"Non ero distratto." rispose Magnus, con un sorriso scaltro.
Alec roteò gli occhi. "Certo, come no. Sono curioso di capire come riesce a guardare quanto sculetta quella ragazza e al tempo stesso proteggermi." lo sfidò, con voce piatta, senza alzare lo sguardo.
Magnus gli prese il menù di mano e lo posò sul tavolo, sporgendosi poi verso di lui e fissandolo intensamente. "Mi è piaciuto il suo sorriso." spiegò, con tono significativo. "Sai com'è.. non ne vedo uno vero da quando sono arrivato, se escludiamo Clary e Stuart."
"Non sapevo che fossi obbligato a sorriderle." ribatté Alec, piccato, guardandolo a sua volta. "Forse dovrebbe fare la guardia del corpo a un dentista." continuò, sarcastico. "E chi diamine è Stuart?" domandò infine, allargando le braccia, esasperato.
Magnus fece per ribattere, ma poi, con un sospiro rassegnato, ci rinunciò, sicuro che, qualsiasi cosa avesse detto, il moro si sarebbe comunque irritato. Scosse la testa e restituì il menù ad Alec, appoggiando poi il mento sul palmo della mano e guardando fuori dalla vetrata le macchine che passavano sulla strada, senza più dire niente.
La cameriera tornò per le ordinazioni e, una volta che se n'era andata, il moro si alzò. "Vado in bagno." annunciò. "Per l'angelo, posso andarci da solo! Non è necessario che mi segua anche lì!" esclamò, con un'evidente smorfia di disappunto, quando vide che anche Magnus aveva accennato a muoversi.
"Cinque minuti." rispose la guardia del corpo. "Poi vengo a prenderti. Che tu abbia rimesso Alec junior nelle mutande o meno." dichiarò, con un sorriso ironico ed eloquente.
Alec inspirò bruscamente e arrossì di botto. Si voltò di scatto e marciò verso la toilette, borbottando a denti stretti. Per l'angelo, quell'uomo era davvero insopportabile, volgare, sfacciato e senza il minimo senso del pudore!
Si lavò le mani e si sciacquò il viso, guardandosi poi allo specchio con la solita desolazione che lo invadeva ogni qual volta incontrava il proprio riflesso. Con quella faccia da cane bastonato e quella carnagione color mozzarella scaduta non avrebbe mai attirato l'attenzione di nessuno, a differenza della cameriera che, con un semplice sorriso, era riuscita a destare quella di Magnus. Non che lui volesse suscitare l'interesse di quell'idiota, sia chiaro, ma, per l'angelo, era deprimente rendersi conto che lui, al massimo, poteva aspirare a disperati in cerca di compagnia o a ubriaconi che si erano già scolati una bottiglia o due.
Con un sospirò sconsolato, uscì dal bagno e andò a sbattere contro una montagna di muscoli con addosso una camicia a scacchi di flanella e un berretto da baseball.
Una mano nerboruta si appoggiò bruscamente al petto di Alec e lo spinse con forza all'indietro, mentre una zaffata di alito fetido lo investiva. "Guarda dove cammini, stronzo."
Dita maschili si strinsero attorno al polso dell'aggressore, ma prima che Magnus potesse fare altro, Alec passò al contrattacco con una furia alimentata da una lunga mattinata di collera e frustrazione. Strinse gli occhi, lanciò uno sguardo omicida allo sconosciuto e, senza pensarci due volte, fece partire una tremenda ginocchiata in direzione del suo inguine. L'aggressore gridò per il dolore e la sorpresa e il moro rincarò la dose con un pugno nello stomaco.
"Posso cavarmela benissimo da solo." sibilò Alec, con il respiro accelerato, rivolgendosi poi a Magnus. "Quando avrò bisogno del suo aiuto, stia pur certo che la chiamerò." dichiarò, camminando impettito verso il loro tavolo.
Magnus alzò un sopracciglio, sorpreso, poi prese per il bavero l'aggressore ansimante e lo squadrò con un sorriso divertito. "Hai sentito? Se non ti comporti bene, ti lascio nelle sue grinfie." lo minacciò, lasciandolo andare malamente e seguendo poi Alec.
Improvvisamente desiderò avere un mitra con sé, anziché la sua solita pistola, che teneva nascosta sotto il giubbotto di pelle. Con un caratterino del genere, sicuramente portato all'esasperazione anche a causa della sua presenza, era certo che Alec si sarebbe fatto più di un nemico prima che quella storia fosse terminata. D'altra parte, però, non poteva fare a meno di ammirare il suo stile: gli mancava la diplomazia, certo, ma aveva fegato.
Quando tornò al loro tavolo, Alec stava assaggiando la sua insalata.
Il moro sollevò lo sguardo su di lui e parlò con tono calmo. "Mi dispiace di essere stato scortese." si scusò, sospirando pesantemente.
Magnus si sedette e versò della salsa sulla bistecca che aveva ordinato. "Non è la prima volta.. e sospetto che non sarà neanche l'ultima." commentò, scrollando le spalle con un sorriso ironico.
Alec lasciò cadere la forchetta con un gesto indignato. "Mi sta dando del maleducato?"
Magnus rimise a posto la bottiglia di salsa e ridacchiò. "Forse."
"Guardi che sono una persona educatissima. Io. E' lei quello fastidioso e irritante."
Magnus sospirò profondamente: la fragilissima, tacita, tregua che si era instaurata quando si era seduto per mangiare era già andata a farsi benedire. "Ok, senti, Alec.." iniziò, posando a sua volta la forchetta. "So che non ti piaccio e che detesti con tutte le tue forze avermi attorno.."
Alec annuì con vigore, guardandolo corrucciato.
"..ma mi è stato affidato il compito di proteggerti e, modestia a parte, sono bravo in questo." continuò Magnus, alzando il sopracciglio in modo eloquente.
"Non ho bisogno di essere protetto." ripeté, per l'ennesima volta, Alec. Gli sembrava di essere un disco rotto che suona sempre la stessa canzone.
Magnus piegò la testa e sorrise. "Forse, ma visto che tuo padre non è della stessa idea.." rispose, mentre l'altro roteava platealmente gli occhi. "Che ne dici di lasciarmi fare il mio lavoro?"
Alec incrociò le braccia al petto e fissò, imbronciato, un punto imprecisato oltre la vetrata del locale.
"Alec, sono un ex soldato. Se necessario, sono anche in grado di uccidere una persona, qualora non avessi altra scelta. Sono stato addestrato a farlo in qualunque momento e in ogni situazione." gli rivelò Magnus, serio. "E tu? Sapresti fare una cosa così estrema, pur di salvarti la vita?"
Alec riportò l'attenzione sulla sua guardia del corpo e sbarrò gli occhi. "Per l'angelo! Non le pare di stare esagerando? Non.."
"Come pensavo." lo interruppe Magnus, bevendo un sorso di vino. "Io, invece, posso farlo senza pensarci due volte. Posso quindi azzardarmi a chiederti un po' di rispetto? Non voglio che tu mi consideri superiore a te e neanche un tuo amico, se è troppo difficile da accettare, ma gradirei che cercassi di apprezzare la mia capacità di fare qualcosa che tu, invece, non sai fare, specie se consideriamo che questo può salvare il tuo bel sedere tondo e perfetto." continuò, facendogli allegramente l'occhiolino. "Sono fermamente convinto che sarebbe davvero un peccato se gli capitasse qualcosa."
"Il mio sedere non ha bisogno di essere salvato da nessuno! Da lei men che meno!" replicò Alec, scandalizzato, mentre il viso gli andava a fuoco.
Magnus ridacchiò, tagliandosi un pezzo della sua bistecca. "Sai, dovresti smetterla con questo atteggiamento negativo." commentò, puntandogli la forchetta contro. "Immagino che serva a tenere a distanza le persone, ma con me non è necessario. Non devi temere un'intimità fisica o emotiva con il sottoscritto. Ti sto vicino solo per ragioni di sicurezza." spiegò, tranquillo. "Rilassati!"
"Ohhh, ma stia zitto." abbaiò Alec, massacrando la sua insalata con la forchetta.
Magnus sospirò, scuotendo piano la testa, e fece come gli era stato ordinato, mordendosi la lingua ogni qual volta gli veniva spontaneo aprire bocca e intavolare una conversazione.
Finirono di mangiare in silenzio e quando terminarono, Alec finse di tornare alla toilette, mentre, in realtà, approfittò del momento in cui Magnus andò a pagare il conto per uscire dal ristorante. Non voleva davvero scappare, ma l'idea di dare una piccola lezione a quell'uomo arrogante, dimostrandogli che non era in pericolo come si ostinava a pensare suo padre, era una tentazione troppo forte per non essere ascoltata.
Fuori l'aria era fredda e pungente e Alec respirò a pieni polmoni, prima di rischiare di soffocare quando una mano brutale gli tappò la bocca, mentre l'altra lo afferrava per la vita.
"Abbiamo un conto in sospeso, stronzetto." sibilò l'uomo con cui si era scontrato fuori dal bagno.
La sorpresa si mischiò ad una paura latente che gli corse lungo la schiena. La mano sulla bocca gli impediva di urlare, ma Alec tentò di divincolarsi con tutte le sue forze. L'uomo che l'aveva afferrato, però, gli puntò una pistola alla schiena e gli intimò di smetterla di agitarsi, trascinandolo poi verso il vicolo dietro il ristorante, in cui Alec vide altri due sconosciuti che li stavano aspettavano.
Alec pestò i piedi e si dimenò ancora più forte, prima di trovarsi disteso a terra, accanto all'uomo che l'aveva aggredito, mentre nell'aria risuonavano tonfi e grida soffocate.
Il moro vide uno dei compari dell'aggressore descrivere un arco per aria e atterrare sui bidoni pieni e ammaccati che si trovavano sul retro del ristorante. Il terzo uomo, invece, gridava come un ossesso, tenendosi una gamba piegata in modo innaturale.
Una mano sollevò Alec, aiutandolo a rimettersi in piedi e il ragazzo riconobbe subito il tocco di Magnus.
"Muoviti." ordinò l'uomo, secco, trascinandolo fuori dal vicolo e riportandolo nuovamente sul marciapiede che dava sulla strada trafficata. Fermò un taxi, con un gesto imperioso del braccio e, senza tante cerimonie, lo spinse dentro, sibilando un perentorio e gelido "Sali!".
Alec provò a dire qualcosa, ma l'occhiata folle e omicida che gli lanciò Magnus gli fece chiudere bruscamente la bocca.
L'uomo gli rivolse la parola solo quando il taxi li scaricò davanti all'agenzia. "Non so se tu sia sordo o senza un briciolo di cervello." sibilò Magnus, arrabbiato, ficcandosi le mani, tremanti di rabbia, nelle tasche dei jeans e guardando fisso davanti a sé la vetrata dell'agenzia Cacciatori di sogni.
"Signor Bane.. mi dispiace." iniziò Alec, consapevole che il suo era stato un gesto davvero avventato e stupido.
Magnus alzò l'indice per interromperlo. "Taci! Non voglio sentire le tue scuse, soprattutto perché non sono sincere."
"Certo che lo sono!" si difese Alec.
Magnus lo squadrò con occhi glaciali. "Provaci un'altra volta, moccioso, e giuro che te ne pentirai amaramente."
"Non osi minacciarmi!" lo attaccò Alec, alzando la voce.
Magnus lo fissò, sorpreso. "Sei serio?" gli chiese, allibito. "Sei palesemente dalla parte del torto e hai anche il coraggio di urlami contro?"
Alec fece una smorfia infastidita e poi lo lasciò là, marciando impettito verso la porta della sua agenzia.
Magnus fissò la schiena del ragazzo a bocca aperta, incredulo. Gli aveva appena letteralmente salvato il culo e l'altro lo trattava come se fosse colpa sua se si era ritrovato in quella situazione.
Strinse i pugni e respirò profondamente, nel tentativo di non farsi venire una crisi isterica. Al diavolo Alec! Al diavolo sua madre che l'aveva incastrato in quella situazione! Al diavolo tutto e tutti!
Chiuse gli occhi e, prima di seguire il moro, si impose di calmarsi, vista la voglia impellente di strozzarlo con le proprie mani.
Quando finalmente il suo cuore tornò a battere normalmente, alzò lo sguardo e fissò, cupo, l'agenzia: Alec pensava di aver chiuso la faccenda, ma non era così. Ohhh no! Gli avrebbe lasciato credere che la storia finiva lì, ma, alla prossima occasione, non sarebbe stato così magnanimo.
Era ora che l'agente di viaggi si ficcasse in quella bella testolina chi era la persona che comandava.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Silenzioso come un gatto, Alec percorse il soggiorno in punta di piedi, dirigendosi verso la porta d'ingresso, con la complicità della luna che, filtrando attraverso le tende sottili, illuminava fiocamente la stanza e gli facilitava la fuga. Non che ne avesse bisogno, comunque, visto che conosceva casa sua come le sue tasche e avrebbe potuto percorrerla anche a occhi chiusi!
Quando passò davanti alla porta della camera degli ospiti, che in quel momento era occupata dalla sua indesiderata guardia del corpo, strinse con forza il mazzo di chiavi che teneva in una mano, per non farle tintinnare, e trattenne il respiro per non farsi scappare neanche il più minimo singulto.
Il cuore gli batteva nel petto come un tamburo, minacciando di esplodere, ma Alec non ci badò e continuò a muoversi, furtivo, sentendosi come un carcerato in procinto di evadere dalla prigione di massima sicurezza in cui era stato rinchiuso.
Oltrepassata la soglia del "demonio", sorrise, euforico: stava per farla sotto al naso di un ex Marine. Di nuovo.
Certo, la prima volta non era andata esattamente come aveva previsto e Magnus era dovuto accorrere in suo aiuto, salvandogli letteralmente il culo, ma erano dettagli.
Ora era certo che non avrebbe fallito, anche se non era mai uscito di nascosto. Gli esperti in quella particolare attività, infatti, erano sempre stati Isabelle e Jace, che sgattaiolavano fuori di casa, in piena notte, con disarmante facilità e destrezza, per incontrarsi con i loro amici o i loro fidanzatini di quel tempo. Anche i suoi compagni di scuola si erano vantati spesso di fare lo stesso, mentre lui, quella ragazzata, non si era mai neppure sognato di compierla. Alec era sempre stato il ragazzo con la testa sulle spalle, quello assennato, quello obbediente, quello rispettoso delle regole. Quello noioso.
Finalmente, però, era arrivato anche per lui il momento di scappare alla chetichella, nonostante i suoi ventotto anni suonati che gli garantivano il sacrosanto diritto di non chiedere a nessuno il permesso di uscire di casa, e, ironicamente, doveva ringraziare proprio quel piantagrane che si era barricato abusivamente nella sua camera degli ospiti per questo! A causa delle sue restrizioni, infatti, gli aveva servito su un piatto d'argento quella bravata adolescenziale che Alec non avrebbe mai pensato di compiere.
Dopo quella che gli parve un'eternità, riuscì finalmente a raggiungere la porta: girò lentamente la maniglia fino a quando non sentì lo scatto della serratura, che riecheggiò come una fucilata nel silenzio assordante che regnava nell'appartamento, facendogli schizzare il cuore in gola.
Trattenne bruscamente il fiato e aguzzò le orecchie alla ricerca del più piccolo rumore. Quando, dopo un lungo e interminabile momento, non sentì nulla, tirò un sospiro di sollievo e girò il pomello per aprire la porta: il cigolio che ne seguì gli procurò un altro piccolo infarto, ma neanche stavolta arrivarono suoni dalla camera degli ospiti.
Sgusciò lentamente fuori dall'appartamento, girandosi per chiudere piano la porta dietro di sè ed il debole clic, che ne seguì, lo inorgoglì. Stava migliorando! Un'altra fuga "proibita" o due e non avrebbe più prodotto alcun suono, ne era certo.
Si girò nuovamente, pronto a scendere la rampa di scale che l'avrebbe condotto verso la libertà, ma, contro ogni previsione, andò a sbattere contro qualcosa di duro, simile a un muro.
L'urlo acuto e perforante, che risuonò nell'aria fredda del pianerottolo, trapanò il cervello di Magnus, tramortendolo. Si disse che fu per questo, solo e unicamente per questo, che non riuscì a parare la potente ginocchiata all'inguine che seguì il grido. Non c'era altra spiegazione!
La guardia del corpo boccheggiò, oltraggiata, ma Alec, per niente soddisfatto del primo attacco, gli sganciò un pugno micidiale all'altezza dello stomaco che, oltre a coglierlo nuovamente di sorpresa, gli svuotò completamente i polmoni di tutta l'aria che aveva in corpo.
Magnus tossì ripetutamente, inspirando ed espirando con fatica, e improvvisamente capì cosa aveva provato il tizio con la camicia di flanella con cui Alec si era scontrato al ristorante: il ragazzino non solo era davvero capace di difendersi, ma era anche riuscito ad assestargli due colpi notevoli che l'avevano spiazzato completamente, nonostante fosse un ex Marine esperto. E il peggio era che non aveva ancora finito!
Il moro, infatti, stava per colpirlo nuovamente e questa volta, a subire danni ingenti, sarebbe stato il suo splendido volto! Per sua fortuna, l'istinto di sopravvivenza che albergava in lui ebbe la meglio sull'effetto sorpresa e riuscì a evitare al suo naso di finire maciullato dal letale pugno dell'altro.
Afferrò, per un soffio, il colpo diretto verso il suo viso, poi strinse il pugno e torse il braccio del ragazzo dietro la schiena. "Alec.." iniziò a dire, tentando di imprimere un tono calmo e tranquillo alla propria voce agitata. L'altro, però, lo ignorò, riuscì a divincolarsi dalla sua presa con uno strattone e pestò violentemente l'alluce del suo piede, facendolo imprecare sonoramente. "Porca puttana, Alec! Smettila! Sono io!" gracchiò, cercando convulsamente il pulsante che accendeva le varie luci posizionate nell'edificio, che illuminavano le scale, e trovandolo solo dopo un'altra gomitata nel costato da parte del moro.
Alec respirava pesantemente quando si voltò per fissarlo. "Tu?" esalò, sgranando gli occhioni blu.
Magnus prese un altro paio di bei respiri profondi, portandosi una mano allo stomaco. "Sì. Quindi vedi di darti una calm.."
"Fottiti!" sibilò Alec, facendo partire un altro gancio.
Magnus irrigidì i muscoli, preparandosi al colpo: nonostante il pugno si fosse scontrato contro una superficie dura come il marmo, facendo meno danni del primo, l'uomo riuscì comunque a sentire l'impatto. Quel ragazzino aveva davvero una discreta forza fisica! Diavolo, con un addestramente adeguato, sarebbe potuto diventare un magnifico Marine!
Gli afferrò nuovamente il polso, strattonandolo verso di sé e ingabbiandolo in una morsa d'acciaio. "Fiorellino, ti assicuro che non è nel mio stile essere manesco, quando non è necessario, ma prova a rifarlo e giuro che ricambierò il favore!" lo minacciò, serio.
"Mi lasci!" ordinò Alec, inviperito.
"E tu tieni a posto le mani." brontolò Magnus.
Per tutta risposta, Alec gli tirò un calcio secco sugli stinchi che lo fece imprecare nuovamente. Magnus sospirò, ammettendo, a malincuore, che era colpa sua: non era una stata una mossa intelligente lanciare all'esagitato agente di viaggi la sfida di colpirlo nuovamente.
"Smettila di agitarti o.. sarà peggio per te!" bleffò nuovamente, mentre l'altro gli si dimenava contro come un'anguilla.
"Mi lasci andare, pazzo stramboide che non è altro! Mi lasci!" ordinò Alec, tentando di divincolarsi con tutte le sue forze. Per l'angelo, era come sperare di avere la meglio contro una montagna! Di cosa era fatto quel dannato psicopatico? Cosa nascondevano i ridicoli e colorati abiti che indossava sempre? Granito? Agalmatolite?
Il moro si dimenò con più forza, strusciando il proprio corpo contro quello dell'altro, fino a quando non si bloccò improvvisamente, scioccato. Lui e Magnus si fissarono per un lungo attimo negli occhi, stupefatti, abbassando poi contemporaneamente lo sguardo verso l'inguine dell'ex marine.
"P-per l'a-angelo.." balbettò Alec. "Co-cos'è quello?" domandò scandalizzato, mentre il viso gli diventava viola per l'imbarazzo.
"Un pene eccitato." spiegò Magnus, conciso, mentre un sorriso divertito gli danzava sulle labbra.
Se possibile, Alec avvampò ancora di più e fece un vistoso salto all'indietro, spalancando gli occhi che, per la sorpresa, sembravano due pozze oceaniche.
Il sorriso di Magnus si fece più ampio. "Ti avevo avvertito, tesoro. Ora, se non fai il bravo bambino, ti tiro giù i pantaloni e ti sculaccio!" minacciò, piantandosi le mani sui fianchi con un cipiglio che sperava fosse serio abbastanza da incutere il giusto timore nell'altro.
Alec si appiattì contro il muro. "S-stia lontano da me! Pervertito!"
Magnus gettò la testa all'indietro e rise di gusto. "Stai tranquillo, Fiorellino. Sarò anche bisessuale.." gli rivelò. "..ma ti assicuro che non ho alcuna intenzione di toccarti."
"Ah, davvero?" ribatté Alec, indignato e inspiegabilmente risentito per quel commento lapidario. "Beh, allora.. allora lo dica anche a lui!" berciò, puntando l'indice verso l'inguine di Magnus.
"Se non ti dimeni addosso a me, sta sicuro che non succederà più." rispose l'uomo, con un largo sorriso.
"Bene."
"Bene."
Alec prese una serie di respiri profondi, ravvivandosi i capelli con un gesto della mano, e tentò di ricomporsi. "Cosa.. cosa diavolo ci fa lei qui?"
Magnus roteò gli occhi. "Potrei farti la stessa domanda, pasticcino. A quanto pare, la lezione di oggi pomeriggio non è servita a niente, eh? Si può sapere dove credi di andare?" chiese, incrociando le braccia al petto e guardandolo con espressione severa.
"Non sono affari suoi, signor Bane."
"La smetti di darmi del lei?"
"Non siamo amici, signor Bane, quindi mi rivolgo a lei nel modo più professionale possibile! A differenza sua, non do confidenza al primo che passa."
Magnus sbuffò quietamente, sistemandosi il maglione che gli si era sollevato durante il corpo a corpo col ragazzo. "Ti stavo aspettando."
"Cosa?" chiese Alec, distratto dagli obliqui dell'uomo che stavano sparendo sotto il maglione che stava tornando al proprio posto.
"Mi hai chiesto cosa ci faccio qui, no? Ti stavo aspettando."
Alec alzò di scatto lo sguardo, spalancando gli occhi. "Mi ha sentito?"
Magnus scosse piano la testa, con un sorriso divertito: nonostante avesse cercato di non fare rumore, il moro era stato delicato come un elefante in una cristalleria fin da quando aveva iniziato a muoversi nella sua camera.
Forse in altre circostanze, e con qualcuno che non era un Marine addestrato a dormire con occhio solo, la sua fuga avrebbe potuto avere successo, ma per uno come Magnus, che era stato allenato a svegliarsi da un sonno profondo ed essere immediatamente lucido, dote che gli aveva salvato la vita in più di un'occasione, era stato un gioco da ragazzi beccarlo in flagrante. Una volta imparati i suoni di sottofondo dell'appartamento e di ciò che lo circondava, infatti, quando aveva avvertito un fruscio diverso da quello che la sua mente aveva registrato, aveva capito immediatamente che Alec si era alzato dal letto, sentendolo poi vestirsi e lasciare la sua camera, per dirigersi verso il soggiorno.
"Sì, ti ho sentito." rispose, facendo spallucce, senza dilungarsi nei dettagli. Non poteva certo rivelargli che era saltato fuori dalla finestra, era sceso di corsa giù per la scala antincendio, aveva fatto il giro del palazzo e aveva aspettato il fuggitivo fuori dal suo appartamento, no?
"Per l'angelo, che cos'ha? Un udito bionico?" domandò Alec, guardandolo torvo.
"Più che altro allenato." precisò Magnus, sorridendogli e massaggiandosi piano lo stomaco ammaccato.
Alec notò il gesto. "Le ho fatto male?" chiese, mentre lo sguardo si illuminava di speranza.
"Mi hai solo colto di sorpresa." rispose Magnus, facendogli la linguaccia.
"Sì, come no." ghignò Alec, compiaciuto, massaggiandosi a sua volta il polso che l'altro gli aveva stretto.
"Tu stai bene, invece?" gli chiese Magnus, ironico, con un cenno della testa.
"Perfettamente, grazie." rispose Alec, alzando il mento in modo altezzoso, per poi aggirarlo e iniziare a scendere le scale che portavano al piano terra.
"Mi fa piacere." replicò Magnus, avviandosi anche lui e tenendosi a qualche passo di distanza, giusto lo spazio necessario per godersi lo spettacolo del fantastico sedere dell'altro che ondeggiava in modo peccaminoso. Era stato sincero quando aveva detto che non aveva alcuna intenzione di insidiarlo, ma questo non significava di certo che non potesse gustarsi l'occhio, no? E lo spettacolo era davvero notevole, anche se era ingabbiato in un paio di logori jeans neri.
Oltre a quelli, Alec indossava un informe maglione di lana spessa dello stesso colore e un pesante giubbotto, anch'esso nero. Magnus spostò lo sguardo sugli anfibi che il moro portava: era un miracolo che quelle calzature non gli avessero fracassato qualche osso, vista la violenza che il ragazzo aveva usato quando gliene aveva calato uno sull'alluce, senza alcuna pietà!
"C'è qualche motivo particolare per cui ti sei travestito come un topo d'appartamento?" chiese l'uomo, tanto per fare un po' di conversazione, riportando lo sguardo sul sedere dell'altro e tirandosi su la cerniera del suo giubbotto per ripararsi dal freddo. "Non lo sai che il total black è terribilmente noioso?"
Alec si voltò appena verso di lui, adocchiando velocemente il maglione fucsia dell'uomo sparire dietro alla cerniera che stava chiudendo. "Allora non è affatto aggiornato, come pensa. Il look Diabolik è parecchio in voga ultimamente."
Il tono graffiante fece sorridere Magnus. "E ce l'hai anche tu un nome d'arte? Chessò.. il micetto notturno?"
"Non pensavo che voi Marine foste così spiritosi."
"Hai visto? Si impara sempre qualcosa di nuovo." rispose Magnus, allegro.
"Bene. Visto che la lezione è terminata, può anche tornare indietro." esclamò Alec, voltandosi appena per fulminarlo con lo sguardo.
Magnus annullò la distanza che li separava e gli si affiancò. "Zuccherino, te l'ho già detto e ridetto: io vado dove vai tu!"
"E io non la voglio! E la smetta con questi stupidi soprannomi!"
"E' un problema tuo, non mio." rispose Magnus, scrollando le spalle. "E i miei soprannomi non sono affatto stupidi! Ti si addicono, mio piccolo Calimero sempre imbronciato!"
Alec si arrestò sotto la luce di un lampione, fissandolo mortalmente serio. "Non ho bisogno di una guardia del corpo. Se lo ficchi in testa."
Magnus piegò la testa e si concesse qualche istante per studiarlo attentamente: Alec Lightwood, oltre ad essere bellissimo e intelligente, era anche testardo da morire, scattava per un nonnulla e arrossiva come una scolaretta liceale a ogni minima allusione sessuale. Allo stesso tempo, però, era anche maledettamente schietto, aveva una lingua affilata pronta a colpire alla minima provocazione e non aveva nessuna remora a usare mani e piedi quando si trattava di menare qualcuno. Sì, forse poteva avere ragione quando asseriva di essere in grado di cavarsela da solo, o perlomeno il suo corpo ammaccato la pensava così, ma ormai aveva dato la parola ai propri genitori e a Robert Lightwood che si sarebbe preso cura del moccioso ed era intenzionato a mantenere quella promessa.
"Solo se tu ti ficchi in testa che, in questa storia, non hai alcuna voce in capitolo."
"Come os.."
"Ora.." lo interruppe Magnus, posandogli l'indice sulle labbra per zittirlo. "..possiamo starcene fermi qui a discutere oppure continuare a farlo mentre camminiamo. Decidi tu." concesse, scrollando le spalle.
Alec si tolse, con stizza, quella mano di dosso e riprese a camminare. "Io riesco a fare due cose contemporaneamente. Lei?"
Magnus rise, divertito. "So che non mi crederai, pasticcino, ma cominci davvero a starmi simpatico." rivelò, facendogli l'occhiolino e dandogli una poderosa pacca sul sedere, prima di proseguire nel cammino.
Alec avvampò, scioccato. Come aveva osato quel pervertito toccarlo?
Prese un respiro profondo, strinse i pugni e si impose di ignorare quel seccatore e la bruciante sensazione di calore che gli si era propagata per tutto il corpo, incendiandogli le vene. Nonostante il tocco del dito di Magnus, sulla sua bocca, era stato davvero fugace, le sue labbra continuavano ad andare a fuoco nel punto in cui era avvenuto il contatto e questo lo indispettiva non poco. Neanche ricordava quando era stata l'ultima volta che aveva avuto una reazione tale.. per l'angelo, era quasi certo di non averla mai provata prima e questo lo preoccupava moltissimo. Camminò, quindi, guardando dritto davanti a sé, ben attento a non voltarsi, neanche per sbaglio, verso quell'irritante stramboide da strapazzo, per non rischiare di mostrargli il proprio turbamento.
Completamente ignaro dei pensieri del moro, Magnus scollò momentaneamente gli occhi dal sedere di Alec per guardarsi attorno e tentare di capire dove era diretto il ragazzo.
Le strade brulicavano di gente, nonostante fosse mezzanotte passata, ma, d'altro canto, New York era la città che non dorme mai e Magnus l'adorava anche per questo. Gli piaceva il momento in cui il giorno cedeva il passo alla notte, permettendo così alla miriade di luci sfavillanti e multicolori di sprigionarsi in tutta la loro potenza, o quando vedeva gente mai incontrata prima che parlava le lingue più disparate del mondo, vestendo abiti dalle fogge più strane alle più semplici e spartane. Persone che rientravano a casa, dopo un turno massacrante di lavoro, o uomini e donne pronti a continuare la loro serata dopo essere già stati in uno o più locali.
Magnus respirò profondamente quella frenetica attività notturna, felice. Gli era mancata così tanto quando era nell'esercito!
"Dove stiamo andando di bello?" chiese al moro, che marciava tutto impettito davanti a lui. Quando gli rispose solo il silenzio, il suo sorriso si fece più ampio. "Uuuh! Il trattamento del silenzio, eh? Ok, non è un problema. Converserò io per entrambi, come sempre." comunicò, allegro. "Sai che questo fine settimana c'è la Fashion Week? Mi piacerebbe molto andare a vedere la sfilata di Ralph Lauren. Pensi che ci sia la minima possibilità che tu e il tuo magnifico sedere decidiate di accompagnarmi? Sai.."
"Vado a fare due passi, va bene?" lo interruppe Alec, stizzito, rispondendo alla domanda fatta dall'uomo prima che iniziasse a parlare come un treno. "Lei, invece.."
"Orsacchiotto, te l'ho già detto.." lo bloccò Magnus. "..io vado dove vai tu. Sono la tua ombra, baby!" dichiarò, compiaciuto.
"Le ombre non parlano." borbottò Alec, rivolgendogli una brevissima occhiata. "E giuro che se non la pianta con questi soprannomi le stacco la lingua!"
"Violento.. Eccitante!" mormorò Magnus, con un sorriso malizioso e scuotendosi tutto come se un brivido gli fosse serpeggiato lungo la schiena. "Potrei anche stare zitto, Brontolo, ma in questo modo non diventeremo mai amici, non trovi?"
Amici. Se si escludevano i suoi fratelli, Alec non ne aveva molti e quelli di cui si fidava ciecamente si contavano sulle dita di una mano, non erano sinuosi ragazzi alti un metro e novanta e, soprattutto, non gli facevano venire la pelle d'oca quando gli sfioravano le labbra con un dito.
Alec aveva speso la maggior parte della sua vita sui libri, a studiare, anziché socializzare o a crearsi delle amicizie. Non era mai stato un ragazzo espansivo e, alle chiacchiere davanti a un gelato o a un'uscita in compagnia, preferiva di gran lunga la lettura di un buon libro. Era sempre stato il secchione della classe, quello che prendeva i voti più alti, quello che, al college, passava tutti i fine settimana rinchiuso in biblioteca a studiare, anziché uscire a divertirsi.
Era andato avanti così anche all'università, fino a scivolare nella monotonia che era la sua vita in quel momento, ma si diceva sempre che, tutto sommato, era meglio di quello che avevano certi suoi coetanei, già impegnati a conquistare la futura seconda o terza moglie o a lottare per ottenere la custodia dei figli o a sudare sette giorni su sette per mantenere una linea invidiabile che avrebbe permesso loro di conquistare l'ennesima "vittima". Non invidiava nessuno di loro e, in un certo senso, si sentiva addirittura fortunato a non avere a che fare costantemente con battaglie feroci per l'assegno di mantenimento o avvocati spietati che gli giravano attorno come avvoltoi. Sì, c'era anche quella piccola sensazione di insoddisfazione che ogni tanto lo assaliva, nei giorni in cui si sentiva più stanco del solito, e che lo faceva sentire solo, incompleto, ma la soffocava buttandosi a capofitto nel lavoro.
"Le ho già detto che non la voglio come amico."
"Perché no?"
Alec si bloccò, rifilandogli un'occhiata glaciale. "Preferisco crepare, piuttosto che avere un amico come lei." sibilò, maligno, prima di mordersi la lingua, pentito di tanta aggressività.
Aveva detto una cattiveria, ne era consapevole, ma era reduce da una giornata davvero impegnativa ed era sfinito! Quel giorno era successo di tutto e di più! Era arrivato Magnus, Lydia si divertiva ad appostarsi fuori dalla sua agenzia e a lanciargli occhiate inquietanti, era stato aggredito e infine Jace era venuto a conoscenza del messaggio minatorio e quel pomeriggio, come se tutto quello che gli era successo fin da quando si era svegliato quel giorno non fosse già sufficiente a sconvolgere la sua vita tranquilla, il biondo poliziotto e il loro cognato avevano deciso di trasformare la sua bellissima agenzia in un rave party per drogati, spargendo polverina bianca ovunque per identificare ogni possibile impronta digitale che riuscivano a trovare in giro per l'ufficio! E infine, come la classica ciliegina sulla torta, Alec aveva dovuto vedersela anche con sua sorella Isabelle, che aveva continuato a tormentarlo con messaggini idioti in cui elogiava la bellezza di Magnus e continuava a chiedergli se per caso non avesse voglia di rapirlo e chiudersi in una stanzetta con lui per del sesso selvaggio.
Solitamente riusciva a contenere l'irritazione e a non rispondere male a nessuno, nonostante avesse passato il colmo della misura da un pezzo, ma la parlantina senza sosta di Magnus gli faceva venire il mal di testa e lui non riusciva a ragionare lucidamente, finendo con l'essere un maleducato di proporzioni epiche.
E lui non era così. Non lo era mai stato, per l'angelo! Sì, era chiuso e scontroso, e il più delle volte era brusco e forse troppo tagliente, ma non si era mai reputato una cattiva persona, mentre a "causa" di quell'uomo irritante si ritrovava a sputare veleno a destra e a manca ogni qual volta che apriva bocca. Era destabilizzante.
"Senta.." sospirò, cercando di essere un po' più gentile. "..non ho bisogno di una scorta e non ho bisogno della sua compagnia. Perché non se ne torna a casa sua e ci vediamo domani?"
"Ha mai funzionato con le altre persone?" chiese Magnus, infilando le mani nelle tasche posteriori dei jeans e piegando la testa per osservarlo con curiosità.
"Cosa?"
"Questo tono da maestrina dalla penna rossa. Gli uomini che frequenti ci cascano? Piegano la testa al tuo volere, esaudendo ogni tuo desiderio?"
Alec sbarrò gli occhi. "Io non.."
"Cosa?"
"Non sono affari suoi." ribatté Alec, assottigliando lo sguardo, con tono sostenuto.
"Sono solo curioso." rispose Magnus, facendo spallucce.
"No, lei è solo un grandissimo impiccione." ribatté Alec, voltandogli le spalle.
Magnus rise, divertito, e Alec tornò a fissarlo pensoso. Per l'angelo, perché il suo sarcasmo maleducato, che era sempre risultato infallibile con le persone che trovava sgradevoli, facendole scappare a gambe levate, non riuscivano a scalfire minimamente quell'uomo? Cosa doveva fare, per fargli saltare la mosca al naso, a parte mettersi in situazioni idiote e pericolose?
Non aveva passato neanche un giorno in sua compagnia, ma, non per la prima volta, si ritrovò a pensare che Magnus era diverso da qualsiasi altra persona avesse mai incontrato in vita sua e questo lo preoccupava molto più di quanto volesse ammettere. Quell'uomo era una novità inaspettata e totalmente imprevedibile. Era pericoloso.
Irrigidì la schiena e si rimise in cammino, meditabondo, tornando a guardare dritto davanti a sé, mentre l'altro riprendeva a seguirlo con passo tranquillo e le mani nelle tasche del giubbotto.
La strada si fece mano a mano meno trafficata e nei condomini, che passavano via lungo il loro tragitto, le luci provenienti dalle varie finestre iniziavano a spegnersi. Alec usciva spesso a camminare la sera, per farsi scivolare di dosso la pesantezza della giornata, e nelle sue passeggiate solitarie capitava spesso che si chiedesse cosa accadeva dietro a quelle finestre, che tipo di persone ci vivessero: era come uno spettatore della vita altrui e trovava affascinante osservare la quotidianità di quei sconosciuti. A volte, però, quando sentiva il pianto di un bambino o la risata squillante di una donna, si ritrovava a desiderare qualcuno che aspettasse anche lui a casa, qualcuno con cui parlare, qualcuno da abbracciare, qualcuno.. da amare.
Sì, quella sera qualcuno con lui c'era, ma per le ragioni sbagliate e Alec non aveva mai agognato tanto la solitudine come in quel momento.
"Lo fai spesso?" chiese ad un tratto Magnus, interrompendo i suoi pensieri.
Alec sospirò, alzando gli occhi al cielo. "Cosa?"
"Uscire di casa, la notte, per andare in giro."
"Sì." rispose Alec, scrollando le spalle con noncuranza.
"Non è molto sicuro, sai?" affermò Magnus, osservando la zona non propriamente illuminata che stavano attraversando. Da quando erano usciti dal palazzo non aveva smesso un secondo di guardarsi attorno con discrezione, pronto a neutralizzare ogni eventuale nemico fosse saltato fuori.
Alec sbuffò, alzando nuovamente gli occhi al cielo. "Non sono un bambino, signor Bane."
"Sì, zuccherino, l'ho notato." mormorò Magnus, fissando, con un ampio sorriso, il sedere ondeggiante del ragazzo. "E sono pronto a scommettere che lo noteranno anche tutti i malintenzionati che girano a quest'ora in quartieri come questo." sottolineò, a voce più alta.
Alec si bloccò di colpo e Magnus rischiò di andargli addosso.
"Per l'angelo!" esclamò il moro, battendo un pugno sul palmo aperto della mano. "Ecco cosa mi sono dimenticato di prendere prima di uscire di casa! La mia mazza da baseball!"
"Mazza da baseball?" chiese Magnus, aggrottando la fronte.
"Quella che mi porto sempre dietro per scoraggiare eventuali criminali pronti a rapinarmi o ad approfittarsi di me!" rispose Alec, con tono ovvio. "Di solito la faccio roteare, così sono sicuro che nessuno si avvicini a me." gli confidò, abbassando la voce con fare cospiratorio. "E' una seccatura quando fracasso il naso di un passante qualunque, ma, ehi, la sicurezza prima di tutto!" spiegò poi, piegando la testa ed alzando le mani.
Magnus lo fissò per un lungo momento, confuso, poi realizzò la battuta ironica e rise di gusto.
Alec roteò gli occhi, mentre un accenno di sorriso gli solleticava le labbra. "So difendermi." affermò nuovamente, con sicurezza, riprendendo a camminare.
"Sì, l'ho notato, passerotto." replicò Magnus, massaggiandosi nuovamente lo stomaco.
"Ohhh, andiamo! Sono sicuro di non averle poi fatto così male." commentò Alec, voltandosi appena per guardarlo.
"Hai un bel pugno." si complimentò Alec.
"Grazie. E so fare anche di peggio." ammiccò, con leggerezza, guardandogli l'inguine per una frazione di secondo.
Magnus si portò le mani sulla patta dei pantaloni. "Sì, ho notato anche questo!"
Un sorriso storto nacque sul viso di Alec. "Gliel'ho detto che posso fare a meno di una guardia del corpo."
"Sì, beh, può anche darsi che sia vero." concesse Magnus, scrollando le spalle. "Ma un agente speciale della Marina magari, e sottolineo magari, conosce qualche trucchetto in più di quelli che già conosci tu. Non trovi?" domandò, sporgendosi verso di lui con uno sguardo furbo e le mani dietro la schiena.
Alec scosse la testa con un sospiro ed alzò gli occhi al cielo, riprendendo a camminare. "Se lo dice lei."
"Oh.Mio.Dio! Hai appena indirettamente ammesso che ho ragione e che potrei tornarti utile?" chiese Magnus, con un sorriso luminoso, tornando a corrergli dietro. "Ora sì che ho paura." scherzò, guardandosi attorno e fingendo di rabbrividire.
"Stia zitto." mormorò Alec, leggermente divertito.
Magnus ridacchiò. "Come mai non prendi l'auto per spostarti? O un taxi? Sarebbe più comodo, no?" domandò, dopo un po', affiancandolo.
"Mi piace camminare. Mi rilassa."
"E percorri sempre la stessa strada?"
"Sì."
"E' un'abitudine, quindi." mormorò Magnus, pensieroso, massaggiandosi il mento.
"Sì. Direi di sì."
"Potrebbe essere pericoloso." commentò l'uomo, sventolandogli l'indice contro. "Uscire tutte le sere, fare la stessa strada.. Se qualcuno ti stesse stalkerando, saprebbe dove e quando trovarti. Da solo. Ci hai mai pensato?"
Alec scrollò le spalle. "Non c'è nessuno che mi sta alle calcagna, a parte lei, signor Bane, quindi non ho niente di cui preoccuparmi."
"Non puoi saperlo con sicurezza. Alla mittente del biglietto minatorio non ci pensi?"
Alec sbuffò. "Si è trattato solo di un brutto scherzo, signor Bane. E poi sono sicuro che me ne accorgerei se qualcuno mi stesse seguendo."
"Hai dei poteri magici?" gli chiese Magnus, scettico.
"No, ma.." ammise Alec.
"Se non hai dei poteri magici allora non puoi esserne sicuro al cento per cento. Giusto?" lo interruppe Magnus, assottigliando lo sguardo.
Alec roteò gli occhi. "Giusto." concesse, scrollando le spalle.
"Visto? Non era così difficile." rispose Magnus, con un sorriso luminoso.
"Che cosa?"
"Ammettere che hai bisogno di aiuto." replicò l'uomo con aria compiaciuta.
"Non ho detto questo." ribattè Alec, facendogli la linguaccia. "Ho solo ammesso di non avere la certezza che qualcuno mi stia pedinando o meno. Il mio istinto, però, mi dice che non c'è nessuno nascosto nell'ombra."
"Davvero? E saresti disposto a rischiare la tua vita per una cosa di cui non ne sei neanche certo?"
Alec gettò la testa all'indietro e sbuffò, esasperato. Poi tornò a guardarlo. "C'è lei a proteggermi, no?"
Magnus annuì.
"Quindi non corro nessun pericolo." commentò il moro, alzando un sopracciglio.
"Finché ci sono io, no di certo." ribattè Magnus, gonfiando il petto.
Alec tornò a guardare davanti a sè, tornando serio. "Mio padre è preoccupato. E' per questo che ho accettato una guardia del corpo. Solo ed unicamente per questo." rivelò, piano. "Ma non ho bisogno di lei né di nessun altro. Ho imparato da tempo a badare a me stesso."
"Abbiamo una cosa in comune, allora, coniglietto." affermò Magnus, sorridendo, osservando di sottecchi l'altro, che aveva ripreso a camminare con aria assorta.
Erano arrivati sulla riva di un fiume e Alec procedeva adagio, la lunga falcata delle gambe chilometriche era rilassata, lo sguardo perso in lontananza, verso l'acqua scura.
Incrociarono una coppietta di innamorati, intenta a baciarsi, e un uomo che stava portando a passeggio il cane, poi non ci fu nessun altro. Solo loro due, soli, e lo sciabordio lento e placido dell'acqua davanti a loro.
Alec si guardò attorno, poi tornò a fissare il fiume.
"Cerchi qualcosa?" gli chiese Magnus, curioso, guardandosi attorno anche lui.
"No." rispose Alec, asciutto. Non voleva ammettere che, in fondo in fondo, si era fatto suggestionare dalle parole dell'altro e aveva voluto sincerarsi che, a parte loro due, non c'era davvero nessun altro lì.
Magnus si dondolò sui talloni. "Come mai vieni qui?" volle sapere, curioso.
"Mi piace l'acqua. Mi rilassa." spiegò Alec, stringendosi nelle spalle e sedendosi sulla riva, con lo sguardo perso in lontananza.
Magnus si sedette a qualche passo da lui, posando il mento su una mano e osservando con interesse il moro: suo malgrado, e nonostante il comportamento scostante dell'altro, l'ex Marine si trovava ad essere affascinato da quel ragazzo.
Era completamente diverso dall'idea che si era fatto di lui quando sua madre l'aveva incastrato in quell'incarico: si era aspettato di dover fare da balia ad un viziato figlio di papà, ma aveva scoperto che non era affatto così.
Da quel che sapeva, la famiglia Lightwood era ricca. Molto ricca. Schifosamente ricca. Nonostante questo, però, Alec indossava anfibi neri, logori e consunti, maglioni con i buchi, jeans che avevano visto giorni migliori, un giubbotto nero a cui mancavano due bottoni ed era dannatamente certo che i suoi capelli neanche sapessero cosa fosse un parrucchiere, limitandosi ad essere spuntati di tanto in tanto da un semplice barbiere.
Per tutti i diavoli, perché quel ragazzo non faceva vita mondana, sfoggiando vestiti esclusivi dal taglio impeccabile? Perché non guidava una Ferrari o una Maserati al posto del catorcio che aveva l'ardire di chiamare macchina? Perché non frequentava l'alta società, andando a feste esclusive, facendosi fotografare con il vip del momento?
Alec Lightwood era un vero mistero e Magnus era davvero intenzionato a svelarlo.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Il mattino seguente, quando entrò in cucina per fare colazione, Magnus notò che non c'erano sacchetti di biscotti o scatole di cereali sulla tovaglia a scacchi bianchi e rossi che ricopriva la tavola né la minima traccia di zucchero sul ripiano di marmo scuro o fette di pane in cassetta che abbrustolivano nel tostapane. Niente.
Biascicò un assonnato buongiorno, grattandosi distrattamente la pancia, e, corrucciato, andò ad aprire il frigorifero di acciaio, guardandoci dentro. "Non hai la pancetta?"
"No." rispose Alec, mentre rigirava, con un certo impegno, un cucchiaino di miele nel tè.
Mescolare era semplice e sicuro. Già. Non implicava bere la sua solita bevanda mattutina e rischiare di strozzarsi alla vista del corpo nudo dell'uomo appena arrivato in cucina!
Magnus, infatti, era comparso con solo un paio di mutande nere attillate, che lasciavano ben poco spazio all'immaginazione, e null'altro addosso e per poco Alec aveva rischiato seriamente di soffocare con il tè. La cosa peggiore, però, era che, dopo il quasi suicidio, si era ritrovato a fissare imbambolato, e con un'isolita cupidigia e bramosia negli occhi, la pelle dell'ex Marine, una distesa di caramello salato tutto da leccare e toccare, per un tempo indecentemente lungo prima di obbligarsi a distogliere lo sguardo.
"Uova?" continuò Magnus, piegandosi per trovare qualcosa da mettere sotto ai denti.
"No." esalò Alec, con gli occhi puntati sul sedere granitico dell'altro, messo spudoratamente in risalto dalle mutande strette. Non stava sbavando eh, sia chiaro. Stava solo ammirando, con occhi clinico, un bel sedere. Tutto qua.
Magnus si raddrizzò in tutta la sua altezza, chiuse il frigorifero e si girò a guardarlo con un sopracciglio alzato. "C'è qualcosa di commestibile in questa casa?"
Alec gli porse qualcosa di tondo e bianchiccio che aveva la consistenza del cartone.
"Cos'è?" chiese Magnus, guardingo, rigirandosi tra le mani quella roba.
"Una galletta di riso." rispose Alec, tranquillo.
"Una.. una che?"
"Una galletta di riso. Può metterci sopra un po' di confettura light alla fragola." suggerì Alec, facendo scivolare, verso l'altro, il vasetto. "Oppure ci sono delle barrette ai cereali in quel pensile e uno yogurt bianco magro in frigo, nascosto dietro il cespo di insalata."
Magnus lo fissò, inorridito. "Tu.. tu mangi questa roba?"
"Fa bene alla salute." rispose Alec, annuendo convinto.
"Ti prego, dimmi che non sei uno di quei svitati salutisti tutto centrifughe e insalate." disse Magnus, sbarrando gli occhioni verdi-dorati.
Alec sorrise tra sé e sé. "Si sveglia sempre così di malumore la mattina?" chiese, squadrandolo dall'alto in basso.
L'uomo aveva i capelli sparati in tutte le direzioni e non si era tolto del tutto la matita nera sugli occhi del giorno prima, che ora era vistosamente sbavata. Nonostante questo, Magnus Bane era una statua greca vivente ed era spettacolare anche di primo mattino. Dannazione.
Magnus lo guardò, assottigliando lo sguardo. "Ha parlato raggio di sole." borbottò, ironico, stropicciandosi poi il viso con un sonoro sospiro.
Lo sguardo di Alec cadde sui poderosi pettorali granitici che guizzarono a causa di quel movimento e si leccò inconsapevolmente le labbra, prima di abbassare gli occhi sul suo tè, dandosi dell'idiota.
"Potrebbe andare a vestirsi, per cortesia?" commentò, a bassa voce.
Magnus si liberò il viso dalle mani, abbassò lo sguardo e si diede un'occhiata. "Ti sto eccitando, polpettina?" chiese, ammiccando, con un sorriso malandrino.
Alec fece una smorfia infastidita. "Sa che sta dimostrando solo una grandissima immaturità, vero?" sviò, arrossendo.
Magnus ridacchiò, gonfiando il petto in modo plateale e compiaciuto, poi si voltò per passare in rassegna tutti gli elettrodomestici allineati sul ripiano della cucina: c'erano un tostapane, un frullatore, uno spremiagrumi, una centrifuga, un microonde. Stop.
"Do-dov'è la caffettiera?" balbettò, con voce strozzata, voltandosi di scatto verso l'altro.
"Non ce l'ho." rispose Alec, tranquillo, sorseggiando il suo tè. "Non mi piace il caffè."
Magnus lo fissò con gli occhi fuori dalle orbite, paralizzato. "Stai.. stai scherzando, vero?"
"Se vuole, ho preparato il tè." ribattè Alec, indicandogli un pentolino d'acciaio sopra ai fornelli.
Magnus fissò con ostilità la scura brodaglia giallognola e la annusò con una smorfia di disgusto: era inodore, ma dall'aspetto sembrava pipì.
"E' tè verde." spiegò Alec, roteando gli occhi e nascondendo un sorriso dietro la tazza che stava bevendo.
"Come diamine fai a carburare al mattino senza una buona tazza di caffè?" gli chiese l'uomo, allargando le braccia esasperato.
"Semplice. Mi sveglio, mi alzo, mi lavo, faccio colazione, mi vesto ed esco." rispose Alec, asciutto.
"Sì.. e sei uno zombie per tutto il resto della giornata!"
"Che esagerazione!" lo contraddisse il moro, sventolando una mano. "La caffeina è un forte eccitante che danneggia il sistema nervoso. Lo sapeva?" domandò con tono saputello.
Magnus sbuffò. "Scommetto che non bevi neanche alcolici o birra." esclamò, squadrandolo con un certa disapprovazione.
"A colazione?" chiese Alec, con un sorrisetto ironico, alzando un sopracciglio.
"Ah. Ah. Ah." ribattè Magnus. "Ti piace avere sempre l'ultima parola, eh?" ghignò, appoggiandosi al piano cucina e incrociando le braccia al petto.
"Sempre." replicò Alec, contento, continuando a sorseggiare placidamente il suo tè, intimamente divertito da quel battibecco.
La prima notte di convivenza, tutto sommato, non era andata male, ma il suo appartamento era davvero troppo piccolo per ospitare due adulti. Lui era abituato a gironzolare per i suoi limitati spazi, da solo, mentre Magnus sembrava occuparli tutti, non solo fisicamente, e la sua presenza era qualcosa di tangibile anche quando non ce l'aveva davanti.
Poco prima, infatti, Alec era passato davanti al bagno e aveva sentito lo scroscio della doccia provenire da dietro la porta: avrebbe potuto non farci caso e tirare dritto, invece si era fermato di botto, iniziando a immaginarsi il corpo statuario di Magnus sotto il potente getto di acqua calda, avvolto solo da una nuvola di vapore, mentre le sue dita lunghe e affusolate insaponavano sapientemente la pelle caramellata del petto.
Tutto ciò era ridicolo. Primo perché quell'uomo non era affatto il suo tipo (troppo estroverso, troppo chiacchierone, troppo.. troppo!) e, secondo, perché quel giorno se ne sarebbe andato.
La notte prima, infatti, quando erano rientrati dalla passeggiata notturna, aveva provato davanti allo specchio, per una buona mezz'ora, una conversazione che voleva fare con suo padre per disfarsi della sua guardia del corpo. C'era voluto del tempo per trovare le parole adatte, ma alla fine gli sembrava davvero un discorso convincente ed era certo, quindi, che quel giorno sarebbe riuscito finalmente a sbarazzarsi dell'ex Marine.
Si accorse che Magnus gli si era seduto di fronte e lo stava fissando, mentre tamburellava senza sosta le dita sul tavolo.
"Che c'è?" chiese Alec, sbattendo le palpebre e ritornando in sé.
Magnus sospirò pesantemente. "Ok, tortina al cioccolato, sono ospite in questa casa e farò lo sforzo di adeguarmi a tutte le tue insensate regole." concesse, alzando le mani in segno di resa. "Ma senza il caffè io non carburo e ne ho davvero bisogno la mattina!" dichiarò, serio.
Alec si strinse nelle spalle. "Qui a due passi, c'è un Lightwood's coffee bar se le interessa."
Il viso di Magnus si illuminò tutto. "Davvero? Certo che mi interessa, diavolo!" esclamò, entusiasta, battendo le mani e saltando in piedi di slancio. "Oh.. aspetta! E' la catena di bar che appartiene alla tua famiglia, non è vero?" gli chiese, subito dopo, interessato.
Ecco, ci siamo! pensò Alec, sconsolato, non appena Magnus pronunciò quella frase, che aveva sentito ormai mille volte. In generale, infatti, alle feste che i suoi genitori solevano dare nella grande villa dei Lightwood, il moro veniva trattato come se fosse trasparente, ma, non appena scoprivano chi era, si ritrovava magicamente al centro dell'attenzione, con uomini e donne che tentavano di sedurlo nei modi più disparati. Qualcuno era arrivato addirittura a chiedere la sua mano, pur di mettere le mani sul patrimonio della sua famiglia!
Ormai era allenato, quindi, e riusciva a leggere, negli occhi di questi approfittatori, l'esatto momento in cui si facevano mentalmente il calcolo di quanto poteva ammontare il suo conto in banca, stabilendo se valesse la pena o meno farsi avanti e provarci con lui.
"Diavolo! Possiedi una catena di bar e non bevi caffè?" gli chiese invece Magnus, portandosi una mano alla bocca, sconvolto, guardandolo con occhi sgranati.
Alec si strinse nelle spalle. "Non c'entro niente con quei locali. Non ci ho neanche mai messo piede."
"Oh, mio Dio! Neanche come cliente?" domandò Magnus, sempre più sbalordito.
Alec scosse la testa.
"Ma sei reale? Sì?" chiese Magnus, con enfasi, toccandogli lievemente una spalla con la punta dell'indice.
Alec si trattenne dal fargli una linguaccia.
Magnus scosse la testa, incapace di credere a quanto gli aveva appena rivelato il moro. "Diavolo, se un mio parente possedesse una caffetteria, sarei lì, ogni giorno, a rimpinzarmi di ciambelle glassate e a bere ettolitri di caffè! Cazzo, me lo inietterei direttamente in vena, se fosse possibile!" esclamò, con aria sognante.
Alec alzò un sopracciglio, sorpreso, quando vide l'altro dirigersi verso la propria camera da letto. "Tutto qui quello che ha da dire?"
Magnus si fermò sull'uscio della porta, accigliandosi. "Perché? Che cosa ti aspettavi?"
"Beh, non so.." tergiversò Alec, spiazzato. Non voleva ammettere ad alta voce di essere piacevolmente colpito dal fatto che Magnus non rientrasse nella categoria degli avvoltoi che solitamente giravano attorno alla sua famiglia. "E' che.. insomma.. di solito le persone vogliono sempre sapere quanto sono ricco e.. beh.. ecco.. sì, insomma, mi rivolgono la parola solo per avere qualcosa in cambio e.."
"Tesoro, prima di tutto, so già quanto sei ricco." lo interruppe Magnus, divertito. "E, secondo, se anche non ne fossi a conoscenza, non sono di certo affari miei, no?" concluse, facendogli l'occhiolino, prima di entrare in camera sua.
Alec rimase imbambolato con il cucchiaino in mano, del tutto spiazzato da quell'affermazione. Fin'ora, ad esclusione dei suoi amici, aveva conosciuto solo persone che non si facevano alcuno scrupolo a passare sopra ai suoi sentimenti pur di arrivare al suo portafoglio. Magnus, invece, ancora una volta si dimostrava diverso da qualsiasi individuo avesse mai conosciuto.
Dopo una buona mezz'ora, truccato e con i capelli domati da una generosa dose di gel, l'ex Marine uscì saltellando dalla sua stanza, abbottonandosi i jeans ed infilandosi, in un equilibrio precario, gli stivali neri ai piedi. "Ok, coniglietto, esco un attimo e torno subito. Tu non muoverti e non aprire a nessuno, va bene?" si raccomandò, indossando il giubbotto di pelle e tastandosi le tasche dei jeans per assicurarsi di avere il portafoglio con sé.
"Signor Bane, le ricordo che non ho cinque anni!" sbuffò Alec, alzandosi dalla sedia e roteando gli occhi.
Magnus sfoderò un sorriso divertito. "Sai, micetto, sono sicuro che dopo un buon caffè quel broncio adorabile abbandonerà il tuo viso." dichiarò convinto, puntandogli l'indice contro. "A tra poco!" lo salutò, soffiandogli un bacio e sventolando una mano.
Alec arrossì come un pomodoro, acchiappando, per un soffio, la tazza che, sfuggitagli momentaneamente dalle dita, rischiò di frantumarsi al suolo.

Una volta fatto finalmente il pieno di caffeina, Magnus si sentiva pronto ad affrontare una nuova giornata in compagnia di Alec sprizzo gioia da tutti i pori Lightwood.
Nonostante si conoscessero da appena ventiquattro ore, aveva già capito che trovava estremamente divertente stuzzicarlo e portarlo fin quasi sull'orlo dell'esasperazione: provava un piacere perverso quando il moro alzava quegli incredibili occhi blu su di lui e lo guardava con una luce omicida nello sguardo. Era eccitante. E masochista, certo, ma non riusciva proprio a farne a meno.
Sorrise, tra sé e sé, e piantò gli occhi su quella che era diventata la sua visuale preferita in assoluto, ossia il sedere sodo di Alec, seguendolo fin dentro all'agenzia: proprio come il giorno prima, il ragazzo andò a rinchiudersi nel suo ufficio, mentre Magnus rimase in compagnia di Clary, pronto a un altra giornata di pettegolezzi sul moro e sulla sua famiglia.
La mattinata, tutto sommato, passò tranquillamente. Poi, arrivò l'ora del pranzo.
Alle dodici e trenta in punto, la porta dell'agenzia si spalancò con foga: su tacchi a spillo vertiginosi, nonostante New York, in quei giorni, sfiorasse gli zero gradi, fece il suo plateale ingresso un'esuberante Isabelle Lightwood, che salutò con un radioso sorriso sia Alec che Clary, prima di passare a scandagliare l'ufficio con lo sguardo. Il moro si irrigidì all'istante, ben consapevole cosa (o meglio chi) stesse cercando la sorella!
Quando finalmente gli occhi neri della ragazza trovarono ciò che stavano cercando, un sorriso luminoso spuntò sulle sue labbra e squadrò Magnus dalla testa ai piedi. "Finalmente ci conosciamo! Ciao! Sono Isabelle Lightwood, la sorella di Alec." si presentò, senza alcuna remora, agguantando la mano dell'uomo e stringendola con energia.
Magnus la fissò interdetto per un secondo, poi sorrise, divertito, di fronte a tanta impetuosità. "Magnus Bane. E' davvero un piacere conoscerti, Isabelle."
"Izzy! Cosa ci fai qui?" si intromise Alec, affannato, frapponendosi tra i due.
Isabelle si piazzò le mani sui fianchi, fissandolo severa. "Fratellone, se avessi dovuto aspettare che me lo presentassi tu, sarei morta di vecchiaia!" brontolò, scuotendo la testa con fare paternalistico.
"Ma è arrivato ieri!" replicò Alec, indignato.
"Sì, sì, come vuoi!" ribattè Isabelle, liquidando quel discorso con uno sventolìo della mano. "Allora, siamo pronti ad andare?" domandò poi, entusiasta.
"Andare? Andare dove?" chiese Alec, visibilmente preoccupato.
"A pranzo, no?" ribattè la ragazza, tranquilla, sporgendosi oltre il fratello per tornare a fissare Magnus. "Sei sicuro di essere una guardia del corpo? Sei troppo bello per fare il gorilla!" dichiarò, guardandolo dall'alto in basso con palese ammirazione.
"Ti ringrazio, dolcezza." sorrise Magnus, compiaciuto.
"Izzy!" sbuffò Alec, schioccando le dita per riportare l'attenzione della sorella su di lui. "Io non vado da nessuna parte! Ho una pratica da conclud.."
"Sciocchezze!" lo interruppe Isabelle, sbrigativa. "E' ora di pranzo, quindi andiamo a mangiare."
"Io sono pronta." esclamò Clary, sorridente, alzandosi dalla sedia. "Jace e Simon ci stanno aspettando!"
Alec si girò velocemente verso la cognato, con uno sguardo tradito. "Tu! Tu sapevi di questa improvvisata e non mi hai detto niente?"
"Ohhh, smettila! Le ho mandato un messaggio neanche venti minuti fa! Come faceva ad avvisarti, se avevi un cliente in ufficio?" si intromise Isabelle, in soccorso della rossa. "Ora, chiarito questo, prendi il giubbotto ed andiamo! Offre Jace!" dichiarò, con un sorriso astuto, facendogli l'occhiolino.
Appoggiato alla scrivania di Clary, con le braccia incrociate al petto, Magnus osservò Alec: poteva giurare di riuscire a sentire il suo sangue ribollirgli nelle vene, mentre le guance si arrossavano indispettite. Era certo che avrebbe tanto voluto rifilare una rispostaccia alla sorella, ma intuiva che sarebbe stato del tutto inutile: Isabelle era un bel peperino e di certo non si sarebbe lasciata smontare dalle scuse che le avrebbe rifilato il fratello.
L'uomo vide le spalle di Alec abbassarsi leggermente e, con aria sconfitta, il ragazzo esalò un "E va bene.." con la stessa verve di un condannato a morte e provò un'ondata di simpatia per lui. Con il carattere schivo e taciturno che si ritrovava, non doveva essere affatto facile gestire due fratelli iperattivi e logorroici come Isabelle e Jace, che aveva conosciuto il giorno precedente.
Quando i quattro uscirono dall'ufficio, si divisero in due macchine. Alec salì sulla sua vecchissima e sgangherata Ford LTD, di un pallidissimo color celestino chiaro, che, proprio come l'agenzia di viaggi, aveva ereditato dalla nonna e che lo lasciava a piedi una settimana sì e l'altra pure. Represse un sorriso alla faccia inorridita di Magnus, che si era reso conto che sarebbe dovuto salire nuovamente su quel catorcio malconcio.
Una volta preso posto sul sedile del conducente, sbuffò esasperato e alzò gli occhi al cielo. "Oh, per l'amor del cielo! La vuole smettere? Le garantisco che non sta per esplodere!" gridò alla sua guardia del corpo, che stava controllando minuziosamente la vettura con espressione assorta. Accese la macchina e il motore tossì e sputacchiò penosamente, assomigliando pericolosamente a un vecchio che tenta di liberarsi del proprio catarro.
Magnus alzò gli occhi dal paraurti e fece una faccia schifata. Si abbassò al livello del finestrino e, scettico, chiese "Ne nei sicuro?"
"Giuro che, se non si muove a salire, la lascio qui!" lo avvertì Alec, indispettito.
Magnus roteò gli occhi prima di andare a sedersi sul lato passeggeri. "Sei davvero scorbutico." borbottò, incrociando le braccia al petto e fissando dritto davanti a sé.
"Stia zitto." lo apostrofò Alec, pigiando sull'acceleratore.
La macchina fece un vistoso balzo in avanti, poi tossì un'altra volta e, finalmente, dopo un lungo e sinistro sibilo, iniziò ad avanzare lentamente e con una certa difficoltà lungo la strada.
"Che Dio mi aiuti.." mormorò Magnus, muovendosi a disagio sullo scomodo sedile in pelle.
"Cosa ha detto?" chiese Alec, glaciale, voltando brevemente il viso verso l'altro.
"Niente. Guida." replicò Magnus, giocherellando con l'imbottitura che usciva da un piccolo buco del sedile per impedirsi di farsi il segno della croce.
Pochi minuti dopo apparve, sul lato della strada, il ristorante scelto da Isabelle e Alec entrò nel parcheggio che si trovava davanti all'edificio.
Magnus slacciò la cintura e tirò giù il parasole per controllare trucco e pettinatura. Sistemò il pesante eyeliner nero sugli occhi, che si era sbavato leggermente, e ravvivò, con un gesto veloce ed esperto, i capelli che si stavano afflosciando. Con quel look era sicuramente meglio evitare di fare una sfilata sul Red Carpet, ma per un pranzo tranquillo poteva andare. Diede una veloce ripassata di lucidalabbra e, con la coda dell'occhio, notò il moro guardarlo. "Che c'è?"
Alec roteò gli occhi, di fronte a cotanta vanità, e slacciò anche lui la cintura. "Niente." ribattè, scrollando le spalle.
Fece per aprire la portiera, ma Magnus lo bloccò, posandogli una mano sul braccio. L'aveva fatto anche quella mattina, quando erano arrivati davanti all'agenzia, e, proprio come poche ore prima, Alec si divincolò nuovamente, irritato.
"La smette?" chiese il moro, stizzito.
Magnus lo studiò un attimo, poi replicò con calma "Faccio il giro e ti apro io."
Alec fece una smorfia indispettita. "Assolutamente no! Le ho permesso questa idiozia quando siamo arrivati a lavoro, ma ora basta! Le mie gambe funzionano benissimo."
"Tesoro, le tue bellissime gambe funzioneranno anche bene.." rispose Magnus, lanciando una lunga occhiata agli arti fasciati da pantaloni dozzinali e spiegazzati, sforzandosi di trattenere un sorriso. "..ma non ti allontanerai più da me. Non voglio che si ripeta quello che è successo ieri!" esclamò, sibillino.
Alec alzò gli occhi al cielo, esasperato. "Per l'angelo, sto solo scendendo dalla macchina!"
"Non mi interessa." tagliò corto Magnus. "Smettila di discutere e aspetta lì."
Alec incrociò le braccia al petto, furente, sia per quel tono autoritario sia per il modo in cui era stato trattato, e attese che l'altro facesse il giro della macchina e gli aprisse la portiera.
"Andiamo, Fiorellino?" chiese Magnus, tendendogli una mano per aiutarlo a scendere.
Alec lo ignorò, scendendo da solo e marciando verso il ristorante, borbottando come una caffettiera.
Magnus sorrise e si affrettò a raggiungerlo, guidandolo poi verso il tavolo dove gli altri li stavano già aspettando. Gli posò una mano sulla schiena, all'altezza dei reni, e Alec sentì distintamente il calore che emanava il corpo accanto a suo. Si staccò bruscamente perché lo disturbava davvero molto il pensiero di quanto quella vicinanza riuscisse a turbarlo.
Quando arrivarono al tavolo, sua sorella stava sogghignando e si era accostata a Clary per sussurrarle qualcosa all'orecchio. Anche la ragazza dai capelli rossi guardò verso di lui, sorridendo, per poi tornare a complottare nuovamente con Isabelle.
Alec sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Stava succedendo qualcosa. Non aveva idea di cosa potesse essere, ma le occhiatine che quelle due comari gli stavano lanciando non gli piacevano neanche un po'! Si sedette e aprì il menù, anche se non aveva molta fame in quel momento, e ci si nascose dietro fino a quando il cameriere non venne al loro tavolo per prendere tutte le ordinazioni.
Magnus, nel frattempo, stava subendo un vero e proprio interrogatorio di terzo grado da parte di Isabelle, che non aveva perso tempo e l'aveva bersagliato di domande personali e non.
"Allora, come è andata la prima notte di convivenza?" stava chiedendo la mora, sporgendosi verso l'uomo e appoggiando una mano sul suo braccio con uno sguardo fin troppo adorante.
Cos'era tutta quella confidenza? Si erano conosciuti cinque minuti fa!
"Possiamo parlare d'altro, per favore?" brontolò Alec, intromettendosi. "Ad esempio, come stanno andando i preparativi per la festa di fidanzamento? Eh?" domandò, rivolgendosi al fratello, sperando di indirizzare la conversazione su un argomento più neutrale.
Jace alzò di scatto la testa dallo schermo del suo cellulare e scosse, con energia, l'indice in segno di diniego. "Oh no, fratello! Stavamo parlando di te." replicò astutamente.
"Non le hai ancora consegnato la lista, vero?" domandò Alec, con un sorriso sibillino.
"Racconta della prima notte di convivenza." ribattè Jace, con un sorriso mellifluo.
"Racconta della tua lista." ritorse Alec, battagliero.
Jace assottigliò lo sguardo e sostenne quello del fratello per un lungo momento. "Ok, visto che non vuoi svelarci cosa avete combinato voi due sporcaccioni questa notte, perché non mi racconti della tizia che è entrata nel tuo ufficio?" sviò Jace, furbo. "Perché non mi hai detto niente?"
Alec alzò gli occhi al cielo. "Perché, appunto, non è niente!"
"Come puoi considerarla una cosa da nulla?" esclamò il biondo, accigliandosi. "Non è normale che quella tizia sia entrata nella tua agenzia e ti abbia lasciato quel messaggio minatorio, eh!"
Alec sospirò pesantemente.
"Come si chiama? Cosa sai di lei? E' chiaro che ti conosce!"
Alec alzò nuovamente gli occhi al cielo e sbuffò. Queste erano proprio il tipo di domande che avrebbe tanto voluto evitare. "Ha detto di chiamarsi Lydia. Due mesi fa è venuta nel mio ufficio per informarsi su una crociera in Europa e abbiamo chiacchierato per circa un'ora, poi se n'è andata. Fine." spiegò, conciso.
"Due mesi fa? Ti tormenta da allora?" chiese Jace, sbalordito. "E non l'hai detto a nessuno?"
"Io lo sapevo." affermò Isabelle, tranquilla, sorseggiando il suo bicchiere di vino.
"Cooosa? Tu lo sapevi e non mi hai detto niente?" la accusò Jace, con sguardo tradito.
Isabelle si strinse nelle spalle. "Mi ha fatto promettere di non dirlo!"
"Come potete avermi tenuto all'oscuro di tutto? Eh?" si offese Jace, guardando alternativamente i fratelli. "Sono un poliziotto, per l'angelo! Avrei potuto risolvere la situazione tempestivamente!"
"Guarda che gli avevo consigliato di confidarsi e di non sottovalutare la cosa, ma.." tentò di difendersi Isabelle, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
"Beh, guarda come è andata a finire! Quella pazza lo sta tormentando!" esclamò Jace, infervorato. Nessuno doveva permettersi di toccare la sua famiglia, in special modo i suoi fratelli. Scoprire che uno di loro era oggetto di minacce, da ben due mesi, lo innervosiva non poco.
Alec sbuffò. "Smettetela. Non mi sta tormentando! E' solo un po' insistente. Tutto qui."
"Ha prenotato?" si intromise inaspettatamente Magnus, con voce calma.
"Cosa?" chiese Alec, accigliandosi, voltandosi verso di lui.
"Hai detto che è venuta nella tua agenzia per una crociera in Europa. L'ha prenotata?" chiese Magnus, posando il mento su una mano.
"No, ma non significa niente. Può capitare che i clienti vengano nel mio ufficio per informarsi sui prezzi o semplicemente per avere delucidazioni varie sui viaggi che desiderano fare." rispose Alec, scrollando le spalle.
"E' stato allora che ti ha chiesto di uscire?"
Alec scosse la testa. "No, l'ha fatto quando sono uscito dall'agenzia, all'ora di chiusura. Me la sono ritrovata davanti e mi ha chiesto un appuntamento."
"Ma lo sa che sei gay?" si intromise Jace, inarcando un sopracciglio, perplesso.
Alec annuì. "Gliel'ho detto, ma mi ha risposto che voleva solo uscire a bere qualcosa insieme. Qualcosa, però, nel suo atteggiamento mi ha messo sulla difensiva."
"Cioè?" chiese Jace.
"Beh, è stata davvero insistente. Troppo. Non voleva proprio accettare un rifiuto e.. no niente." si bloccò Alec, facendo spallucce, piluccando un po' di pane.
"Cosa?" chiese Magnus, facendosi più attento.
"E' una sciocchezza." rispose Alec, sventolando una mano. "Quando ha insistito per la cena, mi ha detto che aveva notato che non avevo neanche pranzato quel giorno."
"Sapeva che non avevi pranzato." ripeté Magnus, serio. "E questa per te è una sciocchezza?"
"Sì, perché.." Alec si interruppe, giusto il tempo che il cameriere servisse le loro ordinazioni e se ne andasse. "E' una sciocchezza, perché lo è. Ok?"
"Io lo trovo piuttosto inquietante, a dire la verità." sottolineò Simon, masticando un pezzo della sua bistecca. "Quella tizia ti ha spiato, bello!"
Alec sospirò. "E va bene. Forse è inquietante, ma quando alla fine sono riuscito a farla desistere, ho pensato che avesse finalmente capito che non mi interessava uscire con lei."
"E invece?" chiese Clary, addentando la sua pasta.
"Invece è tornata il giorno dopo, e quello dopo, e quello dopo ancora. Una volta è venuta quando tu sei uscita per pranzo, un'altra quando sei andata al bar per una breve pausa."
"Come se sapesse, ogni volta, quando ti avrebbe trovato solo." mormorò Magnus, cupo. "E la cosa è andata avanti per molto?"
Alec scosse la testa. "Isabelle ha iniziato a venire in ufficio più spesso."
"Ah! Ecco perché sei quasi sempre lì all'ora di pranzo." esclamò Clary, sorpresa.
Isabelle sorrise, compiaciuta. "Già, ma, sia chiaro, lo faccio anche perché mi piace passare il tempo con il mio fratellone.. oltre che tenere alla larga quella pazza psicopatica!" asserì con determinazione.
Alec le sorrise dolcemente e le strinse una mano, ringraziandola con lo sguardo.
"E' probabile che la situazione peggiorerà, Alec." comunicò Magnus, serio.
"Oh, ma per favore! Sono sicuro che si stancherà presto di me!" replicò Alec, roteando gli occhi.
Tutti si scambiarono una rapida occhiata, ma nessuno fece commenti. Continuarono il loro pasto, poi Jace prese il suo cellulare, ci trafficò un attimo e si rivolse ad Alec.
"Dimmi il cognome di questa donna e il suo indirizzo. Voglio fare un controllo su di lei."
"Il cognome è Monteverde, ma non ho il suo indirizzo." rispose Alec, spingendo da parte quel che restava del suo piatto. Quell'argomento gli aveva tolto completamente il poco appetito che aveva.
Magnus sbuffò. "Ovvio. Sia mai che tu ti sia preoccupato di chiederglielo." esclamò, reprimendo una smorfia di disappunto.
"Sta scherzando, vero?" lo fulminò Alec. "Per l'angelo, non c'era nessun motivo perché glielo chiedessi! Nessuno! Era venuta solo per delle informazioni." si giustificò, iniziando a indispettirsi.
"Che aspetto ha?" si intromise Jace, ignorando il battibecco, mentre digitava l'informazione precedente sul suo telefonino.
"Capelli biondi, occhi verdi. E' alta più o meno un metro e settanta e ha un fisico slanciato. E' una bella ragazza. Potrebbe avere la mia età."
"Non ci aiuta molto." mormorò il fratello, pensieroso. "Ha qualche segno particolare?"
Alec scosse la testa.
"Sai che mestiere fa? O dove lavora?"
Alec scosse nuovamente la testa.
"Hai idea di come possa conoscere così bene le tue mosse?"
Alec negò nuovamente.
"Alec, la maggior parte della gente pensa che questo tipo di molestie accada solo alle celebrità, ma può succedere a chiunque." gli spiegò Jace, con cautela. "Questa situazione potrebbe diventare pericolosa. Per favore, non sottovalutarla."
"Dio, Jace, non ti sembra di farne una tragedia di proporzioni mondiali?" rispose Alec, scettico. "Cosa potrebbe fare? Tentare di rapirmi? Sono il doppio di lei, per l'angelo!"
Jace scrollò le spalle. "Ti sto solo dicendo di non sottovalutarla. Nel mio lavoro ne ho viste talmente tante che non posso non preoccuparmi per questa situazione!"
Alec sospirò profondamente. Ecco perché si sarebbe tagliato una mano piuttosto che informare la sua famiglia sull'insistenza morbosa di Lydia: ora, oltre a Isabelle, c'erano altre tre persone preoccupate per lui ed era certo che, a breve, anche i suoi genitori ne sarebbero venuti a conoscenza. Era una cosa che avrebbe voluto tanto evitare, ma aveva fallito miseramente.
"Alec, devi renderti conto che, forse, l'allarme, da solo, potrebbe non bastare." lo informò Jace, piano.
Quando anche gli altri convennero con il poliziotto, Alec alzò gli occhi al cielo. Quella conversazione era l'apoteosi dell'esagerazione! Anche se era rimasto turbato dall'intrusione Lydia nel suo ufficio, la ragazza era un topolino, rispetto a lui. Come poteva fargli del male? Andiamo, era ridicolo!
"Credo sia meglio installare un sistema di sicurezza anche nel tuo appartamento." comunicò Magnus, pensieroso, massaggiandosi il mento.
Alec sgranò gli occhi, stupito. "Cosa? No!" protestò, con veemenza.
"Alec, hai preso in considerazione che quella donna potrebbe presentarsi anche a casa tua?" gli chiese la sua guardia del corpo, piegando la testa.
Alec si morse il labbro inferiore. "Beh, no, ma.." rispose, incerto.
"Posso venire domani stesso ad installarti l'antifurto." propose Simon, entusiasta.
"No! Non mi serve nessun sistema d'allarme!" esclamò Alec, agitando le mani.
"Alec, è per la tua sicurezza." lo informò Magnus, con tono calmo.
Alec strinse i pugni. "C'è lei a proteggermi, no? E, in ogni caso, so badare a me stesso." ripeté, per l'ennesima volta, con tono deciso.
"Alec.." sospirò Magnus, inalando a fondo per impedirsi di perdere la pazienza. Non avrebbe ottenuto nulla, se l'avesse fatto.
"Stia zitto! So quel che dico!" ringhiò Alec, bevendo tutto d'un fiato il suo bicchiere d'acqua.
Trovava assurdo che Lydia si presentasse alla sua porta. Era impossibile e, di conseguenza, non aveva alcun bisogno di un aggeggio infernale, pronto a scattare a ogni minima bazzecola, nel suo piccolo e confortevole appartamentino. Assolutamente e categoricamente no! Aveva già un cane da guardia insopportabile tra i piedi che gli bastava e avanzava!
Quando riposò il bicchiere sul tavolo, sentì distintamente Isabelle mormorare a Clary "Noti anche tu le scintille? Uhm?", con la rossa che ridacchiava, bisbigliando "Sì, c'è una certa elettricità!".
Alec alzò di scatto la testa e le guardò, accigliandosi. Di cosa stavano parlando quelle due? Quali scintille? Quale elettricità? Assottigliò lo sguardo: aveva un brutto presentimento. Doveva assolutamente bloccare qualsiasi cosa stessero complottando quelle due. Subito!
"Allora, Jace, hai portato la lista dei tuoi invitati per il ricevimento?" chiese con nonchalance.
Jace iniziò a tossire, mentre Isabelle, come previsto, dirottò repentinamente la sua attenzione sul biondo fratello. "Già, Jace, mi hai portato quella dannata lista?" domandò la mora, tamburellando le dita sul tavolo.
Il poliziotto roteò gli occhi ed estrasse dalla tasca un foglio di carta stropicciato, che porse alla sorella. "Per chi mi avete preso? Eh? Eccoti i miei invitati, sorellina." sorrise, compiaciuto.
Con grande sollievo di Alec, il discorso si spostò dalla sua spinosa situazione al matrimonio del fratello e sui preparativi per la festa di fidanzamento, permettendogli finalmente di tornare a respirare normalmente.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Alec tamburellò senza sosta le dita sul volante della sua auto. Era in ritardo. Jace lo avrebbe ucciso, se prima non lo avesse fatto suo padre.
Aveva dovuto aspettare i comodi della sua guardia del corpo per due ore, due fottutissime ore, prima che finalmente fosse pronto. Per l'angelo, nemmeno Isabelle ci metteva tanto a prepararsi quando doveva uscire!
"La smetti?" borbottò Magnus, seduto accanto a lui, mentre si aggiustava i polsini della camicia. "Mi rendi nervoso."
Alec gli lanciò un'occhiata omicida, pronto a sputare una rispostaccia tagliente, ma, proprio come quando l'aveva visto uscire dalla camera degli ospiti, il tutto scemò in un battito di ciglia. Il mondo, a volte, era davvero ingiusto: la sua irritante, indisponente, insopportabile guardia del corpo sembrava appena uscita da una rivista patinata di alta moda e Alec stava letteralmente sbavando. Magnus indossava uno smoking nero, che gli modellava le forme del corpo come una seconda pelle, i capelli erano perfettamente curati e tenuti su da una generosa dose di gel e il trucco smokey eyes donava al suo sguardo un aspetto estremamente sexy. Era semplicemente bellissimo. Dannazione.
Magnus si voltò per guardarlo a sua volta, inarcando un sopracciglio in una muta domanda, e finalmente il moro si riscosse e riuscì a ricordarsi chi era, dove si trovava e perché era fondamentale riportare la sua attenzione sulla strada.
"Se lei fosse stato pronto un'ora fa, non saremmo così in ritardo! Avrei dovuto essere a casa dei miei già da un pezzo, per l'angelo!" sbottò, stringendo con forza le dita attorno al volante.
"Ma è solo una festicciola di famiglia! Se anche tardi qualche minuto, non credo che ti fucileranno, no?"
Alec per poco non scoppiò a ridere di gusto. "Festicciola di famiglia? Crede sul serio che sarà una semplice rimpatriata?" chiese, con un ghigno sardonico. "Dio, come si vede che non conosce i miei!"
"Che vuoi dire?" domandò Magnus, piegando la testa, curioso.
"Signor Bane, quando danno una festa, i Lightwood invitano mezzo mondo! Ci sarà tutta New York, come minimo!" spiegò il moro.
Alec voleva bene ai suoi genitori, davvero, ma detestava con tutte le sue forze quegli ipocriti ricevimenti e ci andava sempre malvolentieri. Odiava essere costretto a imbastire insulse conversazioni con persone antipatiche che non avrebbe rivisto fino alla prossima, inevitabile festa, o sorridere quando era stanco morto, e tutto quello che voleva fare era andare a casa e dormire, o, ancora, chiacchierare a tavola con emeriti sconosciuti che non erano minimamente interessati a quello che aveva da dire. Lo aveva fatto centinaia di volte, ma era sicuro che non ci avrebbe mai fatto l'abitudine.
"Vede, anche se in teoria dovrebbe essere una cosa privata, che riguarda solo la mia famiglia, per mio padre non è altro che l'ennesima, ottima, occasione di "vendersi" per raccogliere fondi per la sua campagna elettorale, visto che è candidato al Senato." rivelò, sicuro. "Ci saranno sicuramente giornalisti, telecamere e, ovviamente, le persone che più contano nell'alta società newyorkese!"
Alec ricordava bene tutte le innumerevoli e noiose serate formali a cui, fin da bambino, era stato costretto a partecipare con i suoi fratelli. Suo padre pretendeva sempre che si vestissero eleganti e poi li obbligava a presenziare a quelle feste, anche se si trattava di una breve apparizione. Lui e i suoi fratelli erano stati addestrati a leziosi salamelecchi e a fingere di sorridere per qualsiasi cosa gli veniva loro detta, al fine di raffigurare un delizioso quadretto di famiglia felice e perfetto davanti agli ospiti. Una volta finita la farsa, venivano rispediti nelle loro stanze a cenare su un vassoio, con la tata di turno.
Perfino le feste di compleanno erano occasioni d'oro per concludere qualche vantaggioso contratto! Alec non ricordava una sola festa in cui gli invitati erano concentrati unicamente sul festeggiato, ma rammentava perfettamente che, mentre i bambini venivano intrattenuti da clown professionisti, suo padre trattava fusioni e accordi con grossi magnati dell'industria.
E quella sera, seppur l'occasione era diversa dal solito, l'atmosfera sarebbe stata la stessa.
"Una cosa da niente, insomma." esclamò Magnus, ridacchiando. "Allora vedi che ho fatto bene a mettermi in tiro?" dichiarò, aggiustandosi il nodo della cravatta e facendogli l'occhiolino.
Alec scosse la testa, sorridendo appena, svoltando poi verso sinistra e oltrepassando un grande cancello in ferro battuto, su cui spiccava, su entrambi i battenti, una L gigantesca: erano arrivati. Percorsero un lungo viale alberato, illuminato appena da tenui lampioni che donavano all'ambiente circostante un aspetto spettrale: i rami secchi delle querce secolari, infatti, sembravano lunghe dita scheletriche che parevano protendersi verso la macchina con l'intento di bloccare la sua avanzata.
"Suggestivo." mormorò Magnus, guardando fissò davanti a sè e intravedendo, in lontananza, le luci dell'immensa villa dei Lightwood.
"E aspetti di vedere l'interno della casa." ghignò Alec, divertito.
"Non sto nella pelle." sorrise Magnus, sistemandosi meglio sullo scomodo sedile. "Però scommetto che già questo viale era sufficiente a scoraggiare i tuoi spasimanti ai tempi della scuola."
"Quelli dei miei fratelli." confermò Alec, asciutto.
Magnus si voltò a guardarlo, incredulo, inarcando un sopracciglio. "Mi vuoi dire che tu non hai mai avuto un fidanzatino alle scuole superiori?"
"No." rispose Alec, conciso, scrollando le spalle con finta indifferenza.
In realtà, quell'argomento lo metteva estremamente a disagio e sperava che Magnus dirottasse la sua inesauribile parlantina su altri argomenti. Speranza vana, ovviamente.
"Oh, ma dai!" esclamò, infatti, la guardia del corpo, dandogli una pacca sul braccio con il dorso della mano. "E' impossibile che nessuno ti facesse il filo e... CAZZO! FRENA!"
Alec pigiò con forza il pedale del freno e la macchina si arrestò di colpo: il suo corpo venne sbalzato in avanti, ma la cintura lo trattenne e lo fece ricadere all'indietro. "Per l'angelo! Si può sapere che cosa diavolo le prende, adesso?" chiese, agitato.
Magnus lo ignorò, slacciandosi la cintura di sicurezza e guardando con attenzione una donna che, completamente immobile, si trovava sul ciglio della strada davanti a loro. Fino a pochi secondi prima, invece, era esattamente al centro della carreggiata e per quel motivo aveva gridato ad Alec di fermarsi.
La sconosciuta aveva lunghi capelli ricci e castani, che le incorniciavano un volto pallido, e un vestito bianco che le arrivava fino ai piedi. Gli occhi verdi erano spalancati e li fissavano insistentemente.
Alec la guardò brevemente, poi, senza scomporsi, disse a Magnus "Andiamo via."
Magnus si girò di scatto verso di lui, allibito. "Cosa? No! Non possiamo lasciarla qui!" dichiarò, aprendo la portiera e scendendo dall'auto.
"Signor Bane..."
Magnus lo ignorò e si rivolse alla donna. "Buonasera signora. Sono Magnus Bane, mentre lui è Alec Lightwood." si presentò, sorridendo, indicando poi il moro dentro l'auto. "Ha bisogno di un passaggio?"
La donna gli rivolse un sorriso appena accennato e ondeggiò, come se fosse mossa dal vento. Illuminata dai fari della macchina di Alec, che sembravano trapassare quel corpo esile, sollevò una mano per ravvivarsi i capelli e poi fissò Magnus con uno sguardo talmente intenso che l'uomo sentì rizzarsi all'istante i capelli alla base della nuca e un brivido gelido corrergli lungo la schiena.
La donna aprì la bocca è iniziò a parlare, ma la guardia del corpo non udì nulla. Le labbra continuavano a formulare parole che non riuscivano a raggiungere le orecchie di Magnus e quando finalmente si rese conto che lui non poteva sentirla, il suo viso si intristì.
Paralizzato davanti alla macchina, Magnus continuava ad assistere a quella scena surreale e a non capire cosa stava succedendo.
Alec scese dall'auto e si avvicinò all'altro. "Signor Bane, andiamo." ripetè piano, impassibile.
Magnus, però, non riusciva a staccare gli occhi dalla figura femminile davanti a lui. "La... la vedi anche tu, vero?"
"Sì." sopirò Alec.
Magnus osservò la sconosciuta ancora per qualche secondo, poi la sua immagine iniziò a svanire piano piano, fino a scomparire del tutto.
L'ex Marine aveva affrontato colpi di fucile e di mitra, bombe di ogni tipo e mine antiuomo, pericoli inimmaginabili e situazioni molto più spaventose di quelle in cui si trovava la maggior parte della gente, ma non si era mai ritrovato faccia a faccia con un fantasma, al buio, in una fredda notte d'inverno, su un viale dall'aspetto lugubre. Per la prima volta in vita sua, fu davvero felice di non essere solo.
Alec aveva detto di averla vista, quindi non se l'era sognato né era improvvisamente impazzito. Scosse la testa, per schiarirsi la mente, poi si girò verso il moro, che era ritornato in macchina e si comportava come se non fosse successo nulla. Anzi, ripensandoci, il ragazzo non aveva avuto alcuna reazione inconsulta quando gli aveva indicato la sconosciuta e si era comportato come se l'avesse già vista, in passato.
"Chi... chi diavolo era quella?" chiese, allibito, indicando con il pollice il vuoto dietro di sè, prima di tornare in auto.
"Barbara Pangborn." rispose Alec, calmo.
"La conosci?" chiese Magnus, sempre più sbalordito.
"E' una mia antenata." confermò Alec, annuendo. "E' morta più di centocinquanta anni fa su questo stesso viale."
Magnus lo fissò a bocca aperta. Di tutti gli incarichi che gli avevano affidato, questo era di sicuro il più assurdo e strampalato! Il suo protetto lo sopportava a malapena e aveva una stalker che si intrufolava nella sua agenzia quando non c'era nessuno, doveva proteggerlo da uno sconosciuto che si divertiva a mandare e-mail minatorie a suo padre e, ciliegina sulla torta, ora doveva avere a che fare anche con i fantasmi! Diavolo, di questo passo sarebbe uscito fuori di testa prima che tutto quel casino fosse finito!
Una volta entrati nella villa, Alec vide che tutto era esattamente con se l'era immaginato: la casa era pervasa da una piacevole musica di sottofondo, tenuta a volume rigorosamente basso per non disturbare la conversazione, e una ventina di domestici si muoveva discreta tra gli ospiti, offrendo champagne e tartine con salmone o caviale. C'erano persone che sostavano ai piedi dell'ampia e maestosa scalinata circolare che conduceva ai piani superiori, molte chiacchieravano nella grande sala dove era stato allestito il ricevimento, altre si erano accomodate nel salottino, godendosi il calore di un caminetto acceso, e altre ancora si erano spinte in una sala dove troneggiava un pianoforte suonato da un musicista, ingaggiato per l'occasione, che li intratteneva con opere di Mozart e Beethoven.
Alec fece cenno a Magnus di seguirlo, mentre si dirigeva nel salone e sorrideva alle persone che incrociava.
La guardia del corpo emise un debole fischio. "Non stavi scherzando. C'è il pienone qua dentro." sussurrò nell'orecchio del moro, provocandogli un'improvvisa scarica elettrica di piacere.
Alec deglutì a vuoto. "Gliel'avevo detto." bisbigliò, con le guance arrossate. "Le feste dei Lightwood non sono mai eventi per pochi intimi."
Magnus sorrise, acchiappandogli la mano e posandosela sul braccio. Avevano stabilito che, per non dare troppe spiegazioni che avrebbero portato solo domande su domande da parte dei più curiosi, la guardia del corpo, per quella sera, sarebbe stata presentata come cavaliere del moro.
Alec arrossì a quel contatto e non mancò di notare gli sguardi invidiosi di molte signore che incrociarono lungo il loro cammino. Effettivamente, Magnus in smoking era una visione paradisiaca e il moro non si stupì affatto che stesse mietendo innumerevoli vittime tra le ospiti della festa.
Si arrestarono per qualche istante sulla soglia dell'enorme salone dagli alti soffitti e disseminato di ritratti di famiglia: anche lì trovarono una moltitudine di persone. Alcune ballavano, altre erano accomodate ai tavoli disposti lungo il perimetro della sala e Magnus, guardandosi rapidamente attorno, decretò che dovevano esserci almeno un centinaio di uomini e donne là dentro.
"Li conosci tutti?" chiese l'uomo, a bassa voce.
"Oddio no." rispose Alec, con un sorriso appena accennato, conducendo l'uomo dentro la sala.
Magnus si arrestò di colpo, sbarrando gli occhi e girandosi velocemente, trascinandosi dietro il moro.
"Ma cos..." esalò Alec, stupito.
"Tipregotipregotiprego, dimmi che quello laggiù non è il generale Blackthorn!" bisbigliò Magnus, chiudendo gli occhi con forza.
Alec aggrottò la fronte, poi, con discrezione, lanciò un'occhiata dietro le loro spalle. "Sì, è il generale Blackthorn. Lo conosce?" chiese, dopo un attimo di silenzio.
Magnus si schiarì la voce e sistemò il nodo della cravatta. "In un certo senso. Mia madre ha tentato di accasarmi con la figlia."
"Davvero?" chiese Alec, inarcando un sopracciglio.
Magnus annuì. "E con il figlio." mormorò. "Mi aveva organizzato un appuntamento a tre." Il labbro di Alec tremò e la guardia del corpo gli lanciò una finta occhiata ammonitrice. "Non osare ridere! E' stato parecchio imbarazzante. E quell'uomo mi ha anche distrutto la porta di casa per "salvare" i suoi figli." gli confidò, gesticolando le virgolette.
Alec nascose una risata dietro il pugno e Magnus sorrise a sua volta: era così raro vedere gli angoli di quella splendida bocca arricciarsi all'insù!
"Sua madre lo fa spesso?"
"Cosa? Organizzarmi appuntamenti?" chiese Magnus, con una smorfia.
Alec annuì, divertito.
"Più spesso di quanto sia legalmente consentito." brontolò l'uomo.
"Devo preoccuparmi?" chiese Alec, con un sorriso storto.
"Beh, considerando che è stata lei ad incastrarmi in questo incarico... sì, direi che faresti bene ad avere gli incubi." gli confidò Magnus, canzonandolo.
Alec alzò un sopracciglio, sorpreso. "Sua madre? No! E' stato mio padre a..."
Magnus scosse la testa. "Tesoro, tuo padre era solo preoccupato per te. E' mia madre che si è messa in mezzo!" rivelò.
Alec boccheggiò, oltraggiato. Non bastava che tutta la sua famiglia lo trattasse come un poppante! No! Ora ci si metteva pure una signora mai vista prima!
"Ok, cerbiattino, che facciamo adesso?" chiese Magnus, intuendo il tumulto interiore dell'altro e decidendo saggiamente di cambiare discorso. "Andiamo a salutare i festeggiati? Ci baciamo appassionatamente davanti a tutti, dando un po' di scandalo?"
Alec roteò gli occhi. "No, prima di tutto andiamo a salutare mio padre." rispose, indicando, con un cenno del mento, un uomo che gli somigliava parecchio e che si trovava sul lato opposto della sala, mentre era impegnato a discutere con uno sconosciuto.
Anziché elargire sorrisi a destra e a manca, che solitamente sfoggiava per favorire la sua raccolta fondi, in quel momento Robert Lightwood aveva uno sguardo cupo e tempestoso ed era chiaro che si stesse sforzando di controllare il tono di voce. Brutto segno.
Il ragazzo non aveva idea di chi fosse l'interlocutore del padre, ma non significava niente, visto che non ricordava mai i volti e i nomi delle persone che gli venivano presentate in quelle circostanze.
"Non mi interessa." stava ringhiando Robert, quando Alec e Magnus si avvicinarono.
"Signor Lightwood, le assicuro..." iniziò lo sconosciuto, venendo però interrotto dall'altro con un gesto imperioso della mano.
"Non intendo ascoltare oltre." esclamò Robert, brusco. "La mia famiglia non si piegherà mai a nessun genere di minaccia. Sono stato chiaro?" sibilò, abbassando il tono di voce, che non si fece per questo meno imperiosa.
"Signor Lightwood..." riprovò lo sconosciuto, agguantandogli un braccio.
Prima che Alec potesse raggiungere suo padre, e chiedergli cosa diavolo stesse succedendo, Magnus lo bloccò. "Resta qui, coniglietto." disse, posandogli una mano sulla spalla, prima di avvicinarsi ai due uomini che stavano discutendo. "Ha bisogno di aiuto, signore?" chiese, fissando serio l'interlocutore di Robert Lightwood e togliendo la sua mano di dosso dall'altro.
Robert alzò un sopracciglio, quasi fosse sorpreso per quell'intervento, poi sorrise. "No, grazie. Qui abbiamo finito. Dico bene, signore?"
L'altro trattenne bruscamente il respiro, poi rispose con un cenno secco del capo.
"Bene. Grazie di essere venuto. Mi dispiace che debba lasciarci così presto." ghignò Robert, alzando una mano. Dopo pochi secondi, due energumeni, dall'aria tutt'altro che amichevole, apparvero al fianco dello sconosciuto. "Per cortesia, accompagnate il signore alla porta."
"Sì, signor Lightwood." mormorò una delle guardie del corpo. "Prego, signore, da questa parte..." comunicò poi allo sconosciuto, che aveva un'aria piuttosto contrariata.
Quando finalmente l'ospite se ne andò, Alec si fece finalmente avanti. "Papà! Che succede?"
Robert si concesse qualche secondo per ricomporsi, prima di ritrovare il sorriso affabile di sempre. "Ciao Alec! E' bello rivederti!" disse, salutandolo con una serie di pacche sulle braccia, girandosi poi verso Magnus. "E tu devi essere Magnus." sorrise raggiante, porgendogli la mano. "E' davvero un piacere conoscerti, finalmente! Asmodeus mi ha parlato tanto di te!"
"Davvero? Avrei giurato che a farlo fosse stata mia madre." ridacchiò Magnus, stringendogli la mano. "Piacere mio, signor Lightwood."
Robert rise. "Sì, diciamo che anche la deliziosa signora Bane è stata piuttosto esaustiva nel raccontare le tue prodezze." esclamò, divertito. "E' un vero peccato che i tuoi non siano potuti venire questa sera. Avrei potuto ascoltare altre fantastiche storie sul tuo cont..."
"Sì, sì, sì!" si intromise Alec, sventolando una mano. "Magnus è fantastico e bla, bla, bla. Ora che vi siete presentati... papà, si può sapere che diavolo sta succedendo qui?"
"Lo scusi." rispose Robert, affiancandosi a Magnus con fare cospiratorio. "Mio figlio, a volte, è fin troppo brusco."
"Io non sono brusco!" si indignò Alec, imbronciato, incrociando le braccia al petto.
Robert sorrise e si rivolse nuovamente a Magnus. "Ti ringrazio per essere intervenuto, poco fa."
"Dovere, signore" rispose Magnus, con un cenno della testa.
"Quando avete finito con queste smancerie, gradirei delle spiegazioni, papà."
Robert sospirò pesantemente. "Alec, per favore, per oggi ne ho avuto abbastanza di discussioni. E, inoltre, siamo qui per festeggiare Jace e Clary."
"Oh, ma per favore! Jace non conosce nemmeno la metà di tutte queste persone!"
"Nondimeno, è la sua festa di fidanzamento." l'ammonì Robert.
"Ma papà..."
"Un malavitoso sbruffoncello crede di poter alzare la voce con me, ricattandomi, ma l'ho rimesso al suo posto. Tutto qui." lo informò Robert, sventolando la mano con indifferenza.
"Un malavitoso?!"
"Abbassa la voce, Alec!" lo ammonì suo padre, con sguardo severo. Poi, per evitare che il figlio continuasse a tormentarlo con quella storia, si rivolse a Magnus. "Balla con mio figlio, ragazzo." ordinò imperioso.
Magnus alzò un sopracciglio, prima di ghignare un divertito "Signorsì, signore. Con molto piacere."
"Cosa?" chiese Alec, stupito, guardando prima uno e poi l'altro. "No! Aspetti! Signor Bane, si fermi!" sibilò Alec, invano, mentre veniva trascinato in pista dalla sua guardia del corpo.
"Tesoro, so che adori avere l'ultima parola, ma, per questa volta, lascia perdere. Dai retta a me! Tuo padre non ti dirà altro. Non ora almeno. E continuare a discutere non porterà a niente." disse Magnus, usando quanta più diplomazia possibile. "Dai, balla con me."
Alec si irrigidì. "Io non ballo." ringhiò, piantandolo in mezzo alla pista.
Magnus piegò leggermente la testa e la scosse piano, ridacchiando divertito, poi acchiappò un flûte che un gentile cameriere gli aveva offerto e iniziò a gironzolare per la sala, guardando e ascoltando gli ospiti che ridevano e chiacchieravano intorno a lui. Gli amici di Jace, riconoscibili dalla divisa di ordinanza, erano quasi tutti degli ufficiali di polizia e quelli di Clary provenivano per la maggior parte dal corso d'arte che la ragazza frequentava ogni venerdì sera. Tutti gli altri erano emeriti sconosciuti.
Salutò i festeggiati e chiacchierò amabilmente con loro e con Isabelle e Simon, poi si presentò a Maryse Lightwood, che lo guardò con una strana luce negli occhi, che l'uomo non seppe decifrare, e infine tornò a vagare per la sala, fermandosi poi ad ascoltare, con un certo interesse, il padrone di casa che, su richiesta di un'invitata, stava raccontando ad un gruppo di ospiti la triste storia di Barbara Pangborn, il fantasma di villa Lightwood.
Intorno a lui c'erano coppie che ballavano, mentre altri invitati, riuniti in piccoli gruppi, chiacchieravano sommessamente di affari o di frivolezze varie. Queste persone sembravano divertirsi molto. Tutte, tranne una, troppo impegnata ad assicurarsi che tutto procedesse correttamente.
Magnus guardò Alec mentre si aggirava tra gli invitati con grazia innata e una disinvoltura che non dimostrava spesso. Stava salutando e stringendo mani un po' ovunque, trattava con la stessa cordialità e cortesia sia gli amici che gli estranei e per tutti aveva un sorriso gentile e qualche parola cordiale. Oltre a intrattenere gli ospiti, però, stava anche ben attento a controllare il lavoro di baristi e camerieri e apparentemente era ignaro degli sguardi di ammirazione che si posavano su di lui, da parte di donne e uomini che lo stavano letteralmente spogliando con gli occhi.
D'altro canto, Magnus non poteva che dar loro ragione. Molto probabilmente c'era lo zampino di Isabelle, dietro tutto ciò, ma quella sera Alec era semplicemente splendido. Abbandonati gli abiti da barbone, il ragazzo indossava un completo blu scuro con una camicia bianca, inamidata perfettamente, e una cravatta di seta jacquard che gli donavano un aspetto divino e che avevano portato Magnus a posare avidamente gli occhi su di lui più spesso di quanto credesse, fantasticando su cosa ci fosse sotto quella giacca che gli carezzava i fianchi a ogni movimento.
Era bellissimo. Ed estremamente arrabbiato con lui.
Erano giorni che, per quanto gli fosse possibile, Alec concentrava tutte le sue energie per evitarlo o per ignorare la sua esistenza. Non che Magnus glielo lasciasse fare, sia chiaro, e continuava a stuzzicarlo a ogni occasione, ma non era simpatico essere considerato alla stregua di una pulce fastidiosa.
La situazione peggiorava ulteriormente quando il moro parlava con il padre. Aveva provato a sbarazzarsi di lui chiamando ogni giorno Robert Lightwood, ma l'uomo si era sempre fatto negare e, dopo quelle chiamate, lo sguardo blu di Alec diventava talmente intenso e infuocato che sembrava sempre che fosse lì lì per staccargli la testa a morsi.
Magnus sapeva che non potevano continuare così, quindi decise che era ora di proporre al ragazzo una tregua. E quale occasione migliore di una festa, con una moltitudine spropositata di gente, in cui il moro non poteva permettersi di fare scenate?
Lasciò al ragazzo un'abbondante mezz'ora per permettergli di sbollire l'irritazione nei suoi confronti, mentre lui continuava a rivolgere sorrisi a ogni persona che incontrava e a rispondere alle domande dei più curiosi su chi fosse e perché si trovasse lì, poi passò all'attacco.
Posò il suo bicchiere, ormai vuoto, sul vassoio di un cameriere che stava passando lì accanto e si diresse lentamente, ma con passo sicuro, verso Alec, che si era fermato a chiacchierare con alcuni ospiti.
Sorrise e porse la mano all'uomo dai capelli neri di fronte al ragazzo. "Magnus Bane, molto piacere." si presentò, senza preamboli.
Alec fece appena in tempo a lanciargli un'occhiata fulminea e seccata, prima che l'uomo con cui stava parlando stringesse la mano della guardia del corpo, dopo un attimo di incertezza. "Maxwell Trueblood." si presentò. "E questa è mia moglie Shelly."
"Onorato di fare la vostra conoscenza." esclamò Magnus, baciando il dorso della mano della donna, facendola arrossire vistosamente. "Trueblood, eh? Devo dedurre che siete imparentati con Alec."
"Siamo gli zii." precisò l'uomo, rivolgendo al nipote un sorriso affettuoso.
"Mentre lei è...?" chiese la donna, che, con discrezione, si sventolò il viso accaldato.
Magnus le rivolse un sorriso abbagliante. "Sono l'accompagnatore di Alec, per questa sera." spiegò. "Mi auguro che vogliate perdonare la mia intromissione, ma speravo di convincere Alec a ballare con me."
Gli zii del moro ridacchiarono.
"Alec non balla. Lo conosco da quando è nato e nessuno è mai riuscito a convincerlo a fare due passi di fila! Nemmeno Isabelle che, da piccola, imbastiva i suoi spettacolini natalizi per intrattenere tutta la famiglia." gli confidò Maxwell.
Magnus sentì distintamente Alec irrigidirsi al suo fianco e notò, di sottecchi, che le sue guance si erano tinte di rosso.
"Zio Max..." brontolò il giovane.
"Ma forse, con questo bel giovanotto, il nostro Alec potrebbe fare un piccolo sforzo, no?" lo interruppe Shelly Trueblood, con un sorriso malizioso. "In fondo, è la festa giusta per lanciarsi in pista. Non trovi, caro?" continuò, punzecchiando il braccio del nipote con l'indice.
Alec sbarrò gli occhi. "Cosa? No!" esclamò, inorridito.
"Concordo con voi, signora." asserì Magnus, con un ampio sorriso. "Volete scusarci?" continuò, con un inchino elegante.
"Ma certamente, caro." replicò la donna, facendo praticamente le fusa all'uomo e spintonando, senza il minimo senso del pudore, il ragazzo verso l'altro. "Vai a ballare con il tuo bel cavaliere, Alec. Su. Discuteremo lunedì del nostro viaggio in Egitto." terminò, compiaciuta.
A Magnus non sfuggì la scintilla bellicosa negli occhi del ragazzo e si augurò che le sue certezze, sul fatto che Alec fosse troppo ben educato per fare scenate in pubblico, fossero azzeccate o era dannatamente certo che i suoi testicoli rischiavano di passare un gran brutto momento.
"Egitto?" gli chiese, con nonchalance, mentre lo guidava verso la pista da ballo. "E' una bellissima meta, davvero. Ci sono stato una volta, in missione, e..."
Alec lo ignorò, voltandogli le spalle, e, invece che verso la pista, si diresse al buffet. Magnus colse al volo il messaggio che il ragazzo aveva voluto lanciargli, ma non si fece scoraggiare minimamente dall'atteggiamento dell'altro.
Lo seguì, riempiendo il proprio piatto di prelibatezze, mentre Alec caricava il suo senza criterio, prendendo le prime cose che gli capitavano a tiro.
"Significa che non ballerai con me, passerotto?" lo provocò Magnus, mentre il ragazzo si dirigeva verso un tavolo vuoto, continuando a ignorarlo, e offrendogli l'incantevole vista del suo sedere, che ondeggiava più del solito mentre marciava con passo spedito.
Alec posò con eccessiva forza il piatto sul tavolo e fissò Magnus con sguardo gelido. "Lei che ne dice?" sibilò, sedendosi di peso su una sedia vuota.
Magnus ridacchiò, andando poi a sedersi di fianco a lui. "Eddai, gattino, non fare così."
Alec fissò duramente davanti a sè, poi posò in modo brusco la forchetta sul tavolo. "Chi le ha dato il permesso di interrompere la conversazione che stavo avendo con i miei zii?" sibilò, stizzito. "E' stato parecchio maleducato, sa?"
Magnus piegò la testa, guardandolo a sua volta. "Mi dispiace, zuccherino! Non avevo idea che fosse una cosa così importante."
"E' questo il problema. Lei non pensa." mormorò Alec, arrabbiato. "E voglio che la smetta con questi soprannomi ridicoli."
"Oh, ma dai! I miei soprannomi non sono ridicoli. Ti si addicono tutti, tigrotto!" sorrise Magnus, prima di venire fulminato da un'occhiataccia dell'altro. "Uff... ok! Prometto di limitarmi, Fior... ehm... Alec." si corresse, quando ricevette un calcio sul piede.
Alec iniziò a giocherellare con la sua insalata. "E la deve smettere di prendere decisioni senza consultarmi. Non mi piacciono i suoi metodi! Voglio che lei parli con me, anziché agire alle mie spalle." continuò, con tono deciso.
"Quando ho agito alle tue spalle, di grazia?" chiese Magnus, sorpreso, mentre addentava uno stuzzichino.
"Non mi tratti come se fossi stupido, signor Bane." lo fulminò Alec, stizzito. "So benissimo che ha chiesto a Simon di venire a installare quel dannato antifurto anche a casa mia!"
"Dio, pulcino, non ti sembra di essere un filino paranoico?" chiese Magnus, divertito. "E, comunque, mi stai dicendo che se ti informassi di tutte le mie mosse, in anticipo, tu non faresti discussioni?"
"Non le darò mai tutto questo vantaggio." rispose Alec, sostenuto.
"Ecco, vedi?" ridacchiò, mettendo in bocca un bocconcino di carne e masticando con aria pensierosa, come se stesse scegliendo le prossime parole con cura. "Ok, prometto che limiterò i soprannomi e smetterò con le mie azioni "sconsiderate"." acconsentì infine, alzando poi l'indice. "Ma..."
"Ma?"
"Ma a una condizione."
"Quale?" chiese Alec, con un sospiro stanco.
"Che tu mi chiami Magnus. Basta darmi del lei." pretese Magnus, guardando poi il piatto del moro. "Non mangi?"
Alec posò la forchetta. "Niente da fare. Come le ho già detto, signor Bane, non siamo amici e non intendo scendere a un livello tale di confidenza." rispose, altezzoso.
Magnus roteò gli occhi e, finito il suo piatto, si servì allegramente di quello che l'altro aveva lasciato nel suo. "Sai, cerbiattino, ti ho solo chiesto di darmi del tu, mica di venire a letto con me." commentò, ammiccando e leccandosi le labbra, in modo deliberatamente lento.
Le guance di Alec si arrossarono istantaneamente, ma era troppo indignato per preoccuparsene. "Le ho detto di smetterla con questi stupidi soprannomi."
"La smetto se accetti la mia condizione, altrimenti non vale, caramellina appetitosa." replicò Magnus, con un sorriso astuto, azzannando un altro stuzzichino. "Anche se, in cuor mio, spero tu mi dica di no, perché ho trovato un nuovo soprannome con cui appellarti: Kallìpygos!"
"Kallì... che?" chiese Alec, allarmato.
Magnus annuì vigorosamente. "E' uno degli aggettivi con cui viene definita Afrodite, la dea della bellezza." spiegò, sporgendosi verso di lui e guardandolo intensamente, mentre gli faceva scorrere lentamente l'indice sul dorso della mano. "Significa che hai un sedere da urlo." mormorò, con voce roca.
Alec divenne viola. "La smetta immediatamente." sibilò, ritirando la mano e tirandogli un violento calcio negli stinchi, mentre lanciava occhiate preoccupate attorno a loro, nella speranza che nessuno li stesse osservando o stesse ascoltando quella conversazione.
"Preferisci sedere granitico?" chiese Magnus, con un sorriso divertito, massaggiandosi la gamba dolorante. "O sedere marmoreo? Anche bel culet..."
"Piantala, Magnus!" ringhiò Alec, con il viso che gli andava a fuoco.
Magnus fece un enorme sorriso. "Visto? Non era così difficile, Alec."
Per tutta risposta, Alec gli tirò un altro calcio secco negli stinchi.
"Ma la smetti di essere così manesco?"
"Se tu la smetti di essere così imbecille!"
"Sposati. Sembrate dannatamente sposati voi due." esclamò allegramente Isabelle, spuntando alle loro spalle.
Alec le lanciò un'occhiata omicida. "Che vuoi?"
Isabelle scosse piano la testa. "Per l'angelo, Magnus, devi assolutamente darti da fare con il sesso coniugale o mio fratello rischia di diventare una vecchia zitella acida e in astinenza."
"ISABELLE!" esalò Alec, ormai prossimo all'infarto.
Magnus rise di gusto. "Cosa possiamo fare per te, mia adorabile signorina Lightwood?" chiese, andando in soccorso del ragazzo.
Alec lanciò a entrambi un'occhiataccia. Si conoscevano da poco tempo, ma quei due avevano legato subito e non perdevano occasione di fare comunella contro il moro, il che era piuttosto sfiancante. Già era impegnativo avere a che fare con Isabelle e Jace, quando si alleavano contro di lui... con Magnus, la situazione era diventata praticamente ingestibile!
"Volevo chiederti di far ballare mio fratello." sorrise dolcemente la ragazza. "I miei zii mi avevano detto che avevi promesso di farlo, ma non vi vedo in pista e il deejay la vuole affollata! Voi due non potete assolutamente mancare."
"Io.non.ballo." ringhiò Alec, con impeto, incrociando le braccia al petto.
Ma che era preso a tutti, quella sera? Perché avevano questa fissa odiosa che dovesse ballare con la sua guardia del corpo? Lui non ballava. Punto.
"Ohhh, ma dai! Il deejay sta per suonare una canzone sdolcinata che Clary vuole dedicare a Jace. E' un lento! Non dovrai neanche muoverti tanto."
"No." replicò Alec, irremovibile.
Isabelle lo fissò per un lungo momento, con le mani sui fianchi, poi si volse di scatto verso Magnus, abbassandosi verso di lui con fare cospiratorio. "Ti ho già raccontato di quella volta che abbiamo beccato Alec mentre pomiciava senza ritegno nella volante di Jace?" chiese, con naturalezza. "Aveva le mani dentro i pantal..."
"ISABELLE!" urlò ancora il moro, ormai completamente violaceo. "Smettila subito!"
Magnus si lasciò andare a una risata fragorosa, poi si alzò e porse una mano ad Alec. "Coraggio, zuccherino, andiamo." sorrise, incoraggiante. "A meno che tu non voglia che mi racconti tutti i tuoi segreti più sordidi."
Alec lanciò uno sguardo da serial killer a entrambi, poi si rese conto che non c'era alcun modo si salvarsi da quella situazione, visto quanto stronza poteva essere sua sorella, quando ci si metteva, quindi abbassò le spalle e, sconfitto, afferrò la mano di Magnus, lasciandosi condurre docilmente verso la pista da ballo.
Alzò lo sguardo irritato sulla sua guardia del corpo, che ignorò il suo umore e l'attirò a sé, abbacinandolo con un sorriso che gli addolcì i tratti del volto e gli illuminò gli occhi verde-oro. L'uomo gli prese una mano nella propria e posò l'altra sulla sua schiena, avvicinandolo di più al suo corpo e iniziando a muoversi lentamente. Le calde note di un sassofono, che iniziarono a risuonare nella sala, penetrarono subdolamente nella mente di Alec, oscurando la sua razionalità e acutizzando i suoi sensi: poteva sentire distintamente i muscoli duri come la roccia sotto la camicia candida di Magnus, il tessuto della giacca accarezzargli il mento, il profumo di sandalo, che avvolgeva costantemente la pelle caramellata dell'uomo, penetrargli le narici, il respiro caldo dell'altro solleticargli una guancia.
Un'improvvisa e inspiegabile vampata di calore gli incendiò le vene. Gli sarebbe bastato un movimento piccolissimo perché le loro bocche si sfiorassero e... Per l'angelo, a cosa diavolo stava pensando? si chiese, bloccandosi sul colpo e irrigidendosi tutto. Magnus Bane era la sua guardia del corpo! Niente di più, niente di meno. Cosa gli saltava in mente di fantasticare su di lui?
Magnus lo fissò accigliato per un breve istante, poi sorrise e, nonostante i pensieri tumultuosi che gli vorticavano per la testa, Alec non riuscì a impedirsi di guardarlo con occhi smarriti quando l'altro lo lasciò andare lentamente, una volta che la musica cessò.
L'ex Marine indietreggiò di un passo e gli fece segno di tornare al tavolo, dandogli un buffetto sul naso, e Alec si ritrovò a incamminarsi come un automa e con gambe malferme verso la direzione che l'altro gli aveva indicato, mentre la sua guardia del corpo gli teneva una mano alla base della schiena. Per l'angelo, sembrava quasi che si fosse appena svegliato da un sogno e non fosse ancora completamente in sé!
Magnus fece appena in tempo a scostare una sedia per lui e a farlo sedere, poggiandogli dolcemente le mani sulle spalle per guidarlo, prima che fossero raggiunti dalla fornitrice che aveva allestito il buffet.
"Oh. Maia. Ciao!" la salutò Alec, con voce incerta. Poi prese un bel respiro e impose al proprio corpo e alla propria mente di tornare normali. "Jace e Clary mi hanno confidato che sei stata strepitosa e che intendono affidarti anche il ricevimento di nozze." affermò, con un sorriso.
Maia Roberts sorrise, compiaciuta. "Grazie! Sono contenta che sia andato tutto bene!" dichiarò, consegnando poi al ragazzo una busta.
"Che cos'è?"
"Spero dei complimenti per la festa." rispose la ragazza, sorridendo. "Qualcuno mi ha detto di consegnartela, mentre preparavamo i tavoli. Scusami, avrei dovuto dartela prima, ma sono stata piuttosto occupata." si scusò.
"Nessun problema, davvero." le sorrise Alec, gentile, aprendo la busta.
Maia salutò entrambi, mentre il moro era intento a leggere il biglietto che aveva appena estratto.

Quando tuo fratello si sarà sposato, puoi dire a tua sorella di cominciare a programmare anche il nostro matrimonio.
Ti chiamo non appena avrò deciso la data.
A presto, tua L.


Alec trattenne il fiato e fissò, sorpreso, le parole sul foglio. Non era mai uscito con quella ragazza, aveva rifiutato categoricamente ogni sua proposta per un appuntamento... e ora lei programmava il loro matrimonio? Assurdo!
Alzò lo sguardo su Magnus, il quale capì all'istante che qualcosa non andava. Il moro gli consegnò il biglietto senza dire una parola e attese che la sua guardia del corpo lo leggesse.
Magnus lo guardò, alzando un sopracciglio. Non disse nulla, ma il suo sguardo era eloquente.
"Ok, ammetto che quella ragazza non ha tutte le rotelle a posto." concesse il ragazzo, incrociando le braccia al petto.
Magnus sospirò, trattenendo un'imprecazione. "Alec, so che sei contrario, ma è ora che tu permetta a Simon di installare l'allarme anche a casa tua." iniziò, mentre scrutava brevemente la sala alla ricerca di una donna bionda. Era come cercare un ago in un pagliaio. Poi ricordò che Maia aveva ricevuto quella busta ore prima, quindi Lydia doveva essere già andata via da un pezzo. "Non è uno scherzo di cattivo gusto, Fiorellino. E' una cosa seria! Devi iniziare a prendere tutte le precauzioni possibili." continuò, tornando a guardare il ragazzo.
"Ma..."
"Niente ma." lo interruppe Magnus, scuotendo la testa. "Alec, quella ragazza non sta bene con la testa!"
"Dove vai?" chiese il moro, allarmato, quando vide l'altro spingere indietro la propria sedia.
"Torno subito." gli rispose l'uomo, dandogli una leggera pacca sulla spalla. "Voglio solo dare il biglietto a Jace. Potrebbe trovare delle impronte e controllarle nel database."
"No! Aspetta!" lo bloccò Alec, afferrandolo per un braccio.
"Senti, Alec, sono stato accondiscendete e ho assecondato tutte le tue stramberie, ma ora si fa a modo mio!" dichiarò Magnus, serio. "Basta discutere!"
Alec indurì lo sguardo e si alzò per fronteggiarlo. "Piantala con questo atteggiamento da G.I. Joe!" sbottò, irritato. "Non siamo nell'esercito!"
"Scusa?" ribattè Magnus, incredulo.
"Hai capito benissimo." rispose Alec, sventolando una mano. "E non sto affatto discutendo la tua decisione di dare il biglietto a mio fratello."
"Davvero? E allora, perché..."
Alec sospirò pesantemente. "Voglio solo che tu lo faccia più tardi."
"Cosa? Perché?" chiese Magnus, aggrottando la fronte.
"E' la serata di Jace e Clary. Non voglio rovinargliela con la storia del biglietto! Le impronte possono aspettare fino a domani."
"Alec..." sospirò Magnus, pizzicandosi la radice del naso.
"Domani mattina." insistette Alec. "Per favore, Magnus. Prometto che farò tutto quello che mi dirai di fare, se eviterai di rovinare questa serata. D'accordo?"
Magnus rimase in silenzio per un attimo, osservandolo. L'idea di rimandare non gli piaceva affatto, ma sapeva che Alec non avrebbe mai ceduto, il che non gli lasciava molta scelta a riguardo.
"E va bene. Domani mattina." concesse alla fine, scuotendo piano la testa quando vide l'altro rivolgergli un sorriso storto soddisfatto.
Ancora una volta Alec Lightwood l'aveva avuta vinta.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Magnus sentì Alec sbuffare per la milionesima volta, nel giro di mezz'ora, non appena gli sfuggì di mano il cacciavite che stava utilizzando.
L'uomo aveva deciso di cambiare la serratura della porta d'ingresso dell'appartamento e di controllare tutti i fermi delle finestre, nonostante il parere del padrone di casa che, con le sue continue intromissioni, ebbe da ridire praticamente su tutto.
Magnus gli ricordò del messaggio ricevuto la sera precedente e che tutto quello che stava facendo rientrava nelle sue mansioni per assicurarsi che non gli capitasse nulla di male, nonostante sapesse perfettamente che una serratura nuova non avrebbe fatto granché per fermare chiunque avesse avuto in mente di entrare in quella casa. Il balcone, infatti, era facilmente raggiungibile da quello adiacente, che apparteneva all'anziana vicina di casa di Alec (assente quella settimana perché era in visita alla sorella), poi c'erano le finestre, che avevano lastre sottili e di vetro comune e per cui sarebbe bastata una sassata per infrangerle, e infine le finestre delle camere da letto davano sulla scala antincendio, a cui si poteva accedere con estrema facilità. Alec era praticamente una preda facile per qualunque criminale, figurarsi per la pazza che si era invaghita di lui!
Lì non era al sicuro e, se fosse dipeso da lui, avrebbe trasferito il ragazzo altrove, in un posto segreto e difficilmente accessibile per chiunque, ma si tenne quelle considerazioni per sé. Era sicurissimo, infatti, che Alec si sarebbe opposto fermamente a quella proposta, rifiutandosi categoricamente di lasciare il suo appartamento. Era davvero testardo.
E con un corpo mozzafiato... gli sussurrò una vocina nella sua testa.
Eh... quello stava diventando un problema. Magnus sospirò e ripensò a quando, la sera prima, durante quel ballo lento che il moro gli aveva concesso di malavoglia, c'era mancato davvero poco che si impossessasse delle sue labbra.
Nella grande sala, la moltitudine di persone presente al ricevimento continuava a chiacchierare e a ballare attorno a loro, ma Magnus, con Alec tra le sue braccia, aveva avuto l'impressione di essere loro due soli e, stringendolo un po' più forte a sé, aveva avvertito il battito deciso del suo cuore contro il suo petto e il piacevole contatto di quelle lunghe gambe che si strofinavano contro le sue a ogni passo di danza. Il completo che il ragazzo indossava gli stava come un guanto e metteva in risalto le curve del suo fisico, definendone ogni dettaglio. I capelli era stati domati con pettine e fon, ma Magnus aveva sentito l'impellente desiderio di scompigliarglieli, affondando le mani in quella massa scura e facendoli scivolare tra le dita. Il profumo del moro gli aveva riempito le narici per tutto il tempo che erano stati sulla pista da ballo e l'uomo aveva scoperto con stupore che il corpo dell'altro si adattava perfettamente al suo abbraccio, come se Alec fosse stato modellato apposta per lui. Aveva dovuto compiere uno sforzo sovraumano per non cedere alla tentazione di assaltare la sua bocca, lì, davanti a tutti. L'impulso era stato talmente forte da fargli quasi fisicamente male e aveva dovuto obbligarsi a lasciare andare il ragazzo, prima di commettere un gesto del tutto sconsiderato e inappropriato.
"Datti una calmata, Magnus!" borbottò a mezza voce, tra sé e sé. "E' di sicuro l'astinenza a farti questo effetto! Non c'è altra spiegazione."
Effettivamente non si concedeva del sano e salutare sesso da un numero imprecisato di giorni ormai e i suoi ormoni erano in piena ribellione, a tal punto che persino un orsacchiotto burbero e taciturno come Alec era diventato più che stuzzicante per il suo appetito sessuale! Sì, era sicuramente questo l'unico motivo per cui ora più lo guardava e più lo trovava sexy nonostante continuasse a indossare le sue solite, orribili, felpe scolorite e sdrucite.
Continuando a borbottare, uscì in terrazza e fece scorrere la mano sulla balaustra, girando appena il volto quando sentì Alec discutere animatamente con Simon, che era arrivato una decina di minuti prima per installare l'antifurto, circa una telecamera che il castano voleva piazzare sul pianerottolo di casa. Fece vagare lo sguardo sul minuscolo balcone dell'appartamento e si soffermò a guardare due piccole fioriere, in cui dalla terra cominciavano a spuntare dei virgulti verdi. Si era chiesto fin dal primo giorno che tipo di fiori potesse mai piantare uno schivo agente di viaggi. Non gli sembrava proprio il tipo da pollice verde.
"Tulipani." disse un'allegra voce arrochita.
Magnus alzò la testa di scatto, trovandosi faccia a faccia con una sorridente signora di una certa età. Una nuvola di capelli grigi e stopposi circondava un viso magro e incartapecorito, su cui spiccavano due vispi occhi nocciola, pieni di curiosità. Le mani ossute stringevano la balaustra del balcone su cui era appoggiata e la donna rivolse a Magnus un sorriso sdentato. Era l'anziana vicina di Alec.
"Scusi?"
"Tulipani. Alec, ha piantato dei tulipani. Sa, giovanotto, glieli ho regalati io personalmente, dopo il mio viaggio in Olanda. Sissignore." lo informò la donna, con entusiasmo. "Sa che non ci volevo neanche andare? Ma poi mia sorella mi ha detto Molly... oh, io sono Molly, caro!" si presentò, porgendogli una mano rinsecchita.
Magnus gliela strinse, con un sorriso. "Magnus Bane. Piacere di conoscerla, signora."
"Ah! Che giovanotto di belle maniere!" osservò la donna, con gli occhi che brillavano. "Una rarità, di questi tempi!" si complimentò. "Magnus, hai detto? E' davvero bel nome! Ti si addice, caro." continuò, sorridendo e annuendo con convinzione. "Ah! Cosa stavo dicendo?" disse, subito dopo, meditabonda, battendosi l'indice sul mento con lo sguardo perso verso l'orizzonte. "Oh, sì! Mia sorella mi ha detto Molly! Quando ci ricapita di andare a vedere il quartiere a luci rosse? Dobbiamo approfittarne! e così abbiamo fatto sa!"
"Quartiere a luci rosse?" ridacchiò Magnus, appoggiandosi alla balaustra e guardando l'anziana con genuino interesse.
Molly annuì energicamente. "Alec, quel tesoro di ragazzo, ci ha organizzato l'intero viaggio ad Amsterdam! Lo sa che nelle vetrine di quel quartiere ci sono solo ragazze? E noi che pensavamo di veder ballare qualche bel giovanotto in perizoma." sospirò sconsolata, scuotendo piano la testa. "Lei balla, caro?" chiese improvvisamente, squadrandolo dall'alto in basso con interesse.
Magnus annuì, mentre il sorriso gli diventava sempre più ampio. "Non in una vetrina ad Amsterdam, però." replicò, facendole l'occhiolino.
La donna rise. "E' davvero un peccato. Faresti affaroni, caro." asserì, convinta. "Comunque... lei è il nuovo ragazzo di Alec?" gli domandò subito dopo, a bruciapelo. "E' la prima volta che la vedo! Sa, sono stata una settimana in visita da mia sorella e sono tornata solo ieri sera!"
Magnus scosse la testa. "Sono un suo amico." mentì. Non poteva di certo rivelare a quella simpatica vecchietta che, in realtà, era la sua guardia del corpo! "Sarò suo ospite per qualche tempo."
Il viso dell'anziana si illuminò tutto. "Un amico, eh?" ghignò, divertita.
"Ehm... sì, signora." confermò Magnus, perplesso.
"Ah! Voi giovanotti moderni! Ai miei tempi, lo chiamavamo amante quando la storia non era ancora ufficializzata." puntualizzò l'anziana, gracchiando una risata allegra.
Magnus coprì una risata con un colpo di tosse. "Siamo davvero solo amici."
"Certo, giovanotto. Certo." annuì l'anziana, roteando gli occhi. "Beh, in effetti gli ci voleva proprio. Un amico, intendo." precisò poi, sorridendo. "E' sempre così solo. E non fa affatto bene stare da soli, lo sa? Uno comincia a parlare con se stesso perché non ha nessuno e così la gente comincia a pensare che hai perso qualche rotella." continuò, con enfasi, scuotendo la testa. "Quando hai la mia età, è diverso. E' normale essere un po' strambi, se lo aspettano tutti. E poi, in fondo, ti torna comodo no? Se sei una vecchia rimbambita, tutto ti è permesso. Non trovi, caro?" rise con gusto.
"Beh... ecco..."
"Ehhh, ma quando si è giovani..." proseguì imperterrita l'anziana, scuotendo nuovamente la testa. "Sai dove va a finire un giovanotto che parla con la voce nella sua testa? Al manicomio! Ecco dove! E Alec è troppo speciale per andare in manicomio. Non trovi, caro?" gli chiese Molly, sbattendo le ciglia.
Magnus si ritrovò ad annuire. "Sì, signora."
"Io gliel'ho sempre detto che deve trovarsi un bravo ragazzo e... Perché a lui piacciono i ragazzi! Lo sapevi, caro?"
Magnus annuì di nuovo.
"Ecco, sì, a lui piacciono i ragazzi e io gli ho sempre detto che deve darsi alla pazza gioia, godersi la vita! Vivere, santo cielo!" continuò l'anziana, alzando le braccia la cielo. "A quanto pare mi ha dato ascolto... finalmente!" concluse, compiaciuta, squadrando nuovamente Magnus dalla testa ai piedi con uno sguardo carico di ammirazione. "Mi raccomando, caro, prenditi cura di lui. E' così dolce e gentile! Un vero tesoro di ragazzo!" si raccomandò, facendogli pat-pat sul dorso della mano.
Magnus alzò un sopracciglio. Dolce e gentile? Stava davvero parlando di Alec non parlarmi, non toccarmi, stammi alla larga! Lightwood? "Sì, signora." annuì comunque, dandole corda.
"Bene! Ora torno ad occuparmi delle mie faccende." esclamò Molly, battendo una mano sulla balaustra. "A presto, caro!" sorrise.
"Arrivederci, signora." la salutò Magnus, prima di lasciarsi andare a una risata divertita, non appena la donna sparì dentro casa.
Scosse la testa, tornando anche lui nell'appartamento. Si arrestò sulla porta e vide Alec ancora seduto al tavolo della cucina a sfogliare una miriade di carte, le stesse che stava leggendo prima dell'arrivo di Simon. Stava palesemente ignorando sia Magnus che il cognato e alzava lo sguardo da quei fogli solo per lanciare loro occhiate truci di tanto in tanto, quando riteneva che stessero facendo troppo rumore per i suoi gusti.
Magnus scosse la testa, divertito, ritrovandosi a ripensare alle parole dell'anziana vicina di casa: il moro passava molto tempo da solo e non aveva alcuna relazione sentimentale. Di primo acchito, visto come lo trattava, alla guardia del corpo non riusciva difficile immaginare il perché: Alec era una persona chiusa, introversa, che si isolava volutamente dal mondo e forse era proprio quella sua rigida compostezza a impedire agli uomini di accorgersi di lui, ma, carattere spinoso a parte, era davvero strano che non avesse almeno uno spasimante. Ok, forse non era il classico ragazzo a cui bastava uno schiocco di dita per avere tutti ai suoi piedi e la sua era più una bellezza sfuggente, quasi difficile da cogliere se non lo si guardava attentamente, e, sì, si nascondeva in abiti dal colore spento o di dubbio gusto, aveva movenze sempre calme e misurate e passava i giorni a occhi bassi, guardando per terra piuttosto che mostrare al mondo le sue straordinarie iridi blu, ma, se si andava oltre il muro volutamente creato dal giovane, se ci si sforzava di andare oltre l'apparenza, ci si trovava davanti a un ragazzo dal fascino disarmante. La sua era una bellezza che nasceva dalla sua forza interiore e dalla sua spiccata intelligenza, non dal guscio di un'anima vuota.
Per Magnus era inconcepibile che nessuno si accorgesse di quanto fosse incantevole Alec Lightwood.

Il telefono sopra la scrivania della sua camera squillò a lungo, prima che Alec si decidesse finalmente ad alzare la cornetta. Si era spostato nella sua stanza e stava lavorando da ore, ormai: aveva la schiena a pezzi e gli occhi gli bruciavano, ma gli mancava poco per terminare il tutto e non voleva andarsene a letto prima di aver finito di leggere almeno quello che aveva tra le mani.
"Pronto?" esclamò, distratto, mentre esaminava attentamente il bilancio del mese precedente dell'agenzia.
"Non starai mica lavorando, vero?" esordì una voce maschile, con una lieve nota di disappunto.
Alec roteò gli occhi e sorrise. "Ciao, Hodge." lo salutò, tornando ad analizzare i fogli davanti a lui.
Il braccio destro di Robert Lightwood, Hodge Starkweather, emise un lungo sospiro. "Alec, sono quasi le nove di sera. Dovresti essere sul divano a guardare la tv o a leggere un buon libro, anziché ancora a lavoro."
"Ho quasi finito."
"Alec..."
"Come stai?" chiese Alec, per sviare il discorso.
"Sto bene, grazie. Tu, piuttosto... Alec, sul serio, devi smetterla di trascurarti in questa maniera. Non è salutare. Non sei tuo padre e..."
"Ho quasi finito." ripeté Alec, interrompendolo. "Oh! A proposito di mio padre, devo assolutamente parlare con lui!"
Un altro lungo sospiro fece capolino dall'altra parte della linea.
"Smettila di sospirare!" brontolò Alec, ben consapevole che il socio di suo padre fosse a conoscenza dell'incresciosa condizione in cui si trovava. "Non sei tu a dover sopportare l'invadenza di uno sconosciuto!" berciò, massaggiandosi le palpebre.
Era stanco, ma non solo a causa della lunga giornata di lavoro. La presenza di Magnus, che girava più del solito per il suo appartamento, l'aveva tenuto sulle spine per tutto il tempo. Anche se la guardia del corpo aveva cercato di essere il più silenzioso possibile, la sua presenza era impossibile da ignorare, specie quando si piegava a novanta gradi e metteva in evidenza quel fondoschiena da Dio greco, e quella consapevolezza gli aveva fatto perdere la concentrazione in più di un'occasione. Era riuscito a fare sì e no metà del lavoro che solitamente concludeva in molto meno tempo.
"Alec..."
"Oh, no! No! Non provare a sminuire l'intera situazione! Non te lo permetto!" blaterò il moro, alzando un indice per interromperlo, come se ce l'avesse di fronte. "Quell'uomo è... è... è dispotico, arrogante e pretende di dirmi cosa fare e come farlo! Ed è sfacciato. Terribilmente sfacciato! Non hai idea di cosa..."
"Alec..." riprovò Hodge, interrompendo il fiume di parole indignate del ragazzo.
Alec strinse la cornetta del telefono tra le mani, sentendo l'irritazione farsi prepotentemente strada in lui. "No!" ripeté Alec, ignorandolo. "Dovete smetterla di trattarmi come un bambino! Sono stato bravo per una settimana, sopportando tutto questo, ma ora ne ho abbastanza! Non mi serve una guard..."
"E' arrivata un'altra e-mail." lo interruppe Hodge, con tono grave.
Alec chiuse la bocca e sentì lo stomaco aggrovigliarsi. "Un'altra? Ancora? Ed è... come la prima?" chiese, la gola che improvvisamente si seccava.
"Più o meno."
La prima e-mail ricevuta da suo padre conteneva un messaggio breve, ma che andava dritto al punto: Ti tengo d'occhio, Cacciatore. Una frase che poteva avere mille significati, mille spiegazioni, ma che per un uomo come Robert Lightwood, politicamente impegnato in una dura campagna elettorale, significava solo una cosa: quel Cacciatore era un chiaro riferimento all'agenzia di viaggi di Alec. Qualcuno aveva osato minacciarlo prendendo di mira suo figlio e ciò era inaccettabile.
Alec aveva sempre opposto un netto rifiuto a questa convinzione, ma aveva dovuto constatare, con amarezza, che suo padre non sapeva che farsene della sua opinione, vista la velocità supersonica con cui gli aveva appioppato Magnus.
La polizia, nel frattempo, aveva addirittura aperto un'indagine, ma non era affatto facile rintracciare il mittente anonimo di quella e-mail e questo faceva preoccupare ancora di più Robert. Lo sconosciuto sapeva il fatto suo e non era affatto uno sprovveduto.
"Cosa ha scritto, questa volta?"
Hodge esitò. "Solo quattro parole. Ti farò soffrire, Cacciatore."
Alec inspirò bruscamente. Ok, il primo messaggio poteva anche essere considerato uno scherzo di cattivo gusto, ma questo era decisamente più inquietante.
"Qualcuno ha rivendicato il messaggio?"
"No, proprio come per la prima e-mail, il testo riportava solo la minaccia e nessuna firma."
"E papà come l'ha presa?"
"Come puoi immaginare." confidò Hodge, abbassando il tono di voce. "E' pronto a smuovere mari e monti pur di risalire all'autore del messaggio. E' furioso, frustrato..."
"E spaventato, immagino."
"Lo conosci, Alec. Non ha paura per sé stesso, ma..."
"Per me? Oh, andiamo! Non sono in pericolo." sbuffò Alec. "Quante volte ve lo devo dire che sto bene e..."
"Alec, non devi sottovalutare..."
"Perché me lo state dicendo tutti?" lo interruppe Alec, stizzito.
"Perché non stai prendendo seriamente queste minacce." lo accusò Hodge.
Alec boccheggiò. "Non le prendo sul serio perché non sono rivolte a me, dannazione!" ribatté, battendo in modo frustrato la mano sul tavolo.
Hodge sospirò nuovamente. "Tuo padre mi ha chiesto di chiamarti per assicurarmi che la tua guardia del corpo sia lì con te."
Alec gettò la testa all'indietro, posandola sulla sedia girevole, e chiuse gli occhi. "Assicurarlo che mi sta talmente attaccato che, a momenti, viene in bagno con me."
Una risata allegra proruppe dalla cornetta.
"Guarda che non era una battuta!" brontolò il moro, con una smorfia infastidita.
"Oh, ma dai. Non può andare così male, no?" domandò Hodge, divertito, ma anche un po' sorpreso.
Sentire Alec lamentarsi era un evento più unico che raro. Il ragazzo lo faceva di rado e accettava tutto quello che la vita gli riservava senza mai fiatare. Sbuffava se non era d'accordo, si impuntava quando riteneva che quel determinato modo di agire non era corretto, ma non era mai stato uno che si lagnava in modo petulante. Affrontava i propri problemi in silenzio, risolvendoli con decisione e determinazione, senza perdersi in scuse inutili. Ascoltare quelle recriminazioni, quindi, era davvero una novità.
"Hodge, per l'angelo, mi aspetto davvero che, prima o poi, quell'uomo venga a fare pipì con me!" si sfogò Alec. "E questo non va affatto bene. Non è normale, capisci? Non mi lascia fare niente, se non c'è anche lui. Sai che mi obbliga ad aspettare in macchina? Già! Vuole aprirmi lui la portiera..."
"Galante." mormorò Hodge.
"...perché si è messo in testa che... cosa?" si bloccò Alec, scioccato. "Ohhh no! Non pensarlo nemmeno, sai? No! Non è affatto galante, Hodge! No! E' un gesto autoritario e prepotente." continuò, sentendo poi l'altro ridacchiare. "Non c'è niente da ridere." lo rimbeccò, stizzito.
"Vorrei parlargli. Me lo passi, per cortesia?"
"Perché?" chiese Alec, sospettoso. "Non ne vedo il motivo."
"Per favore. E' importante."
Alec sbuffò e, con uno sforzo enorme, si alzò dalla propria postazione e andò in salotto, dove Magnus stava facendo zapping con il telecomando, tranquillamente spaparanzato sul suo divano. A malincuore passò il cordless all'uomo, che lo osservò con un sopracciglio alzato.
"Il socio di mio padre. Vuole parlarti." mormorò, conciso, prima di dirigersi verso il balcone.
Osservò il via vai di gente che camminava sotto di lui, stringendo le labbra in una lunga linea sottile, assorto. Si era costruito una vita in quel posto, così come la voleva. Lì poteva essere se stesso, tutti lo conoscevano semplicemente come Alec, agente di viaggi, e non come Alexander Gideon Lightwood, rampollo di una delle famiglie più potenti e influenti di tutta New York. Aveva studiato con impegno per ottenere tutto ciò, per raggiungere i piccoli e grandi traguardi che gli erano valsi la stima e il rispetto di colleghi e clienti. Lì, Alec era libero.
Ora, però, tutto il suo mondo rischiava di frantumarsi sotto le minacce di uno sconosciuto psicopatico che si divertiva a lanciare addosso a suo padre frecciatine velenose che, di rimbalzo, colpivano anche lui e gli stravolgevano la vita. Non era affatto giusto.
Il nuovo messaggio lo fece pensare. Fino a quel momento era dannatamente convinto di non essere in pericolo e che fosse tutto un brutto scherzo, ma adesso, forse...
"Il socio di tuo padre è preoccupato per te." disse Magnus, alle sue spalle.
"Non è il solo. A quanto pare sono tutti in pensiero per me." mormorò Alec, continuando a guardare sotto di sé, con le braccia incrociate al petto.
Alcune persone si muovevano svelte, altre con più calma. C'era chi si aggiustava meglio la sciarpa che aveva sul collo, chi si tirava su il colletto del giubbotto per affrontare il freddo gelido che imperversava in quella stagione. Due bambini stavano tirando la mano dei propri genitori, per condurli a vedere chissà cosa, mentre una coppia di innamorati camminava tranquilla, mano nella mano, fermandosi di tanto in tanto a darsi un bacio, e c'era anche una donna che gesticolava, inviperita, verso il proprio compagno, reo di aver dimenticato chissà quale ricorrenza. Alec li invidiava tutti. Loro non avevano a che fare con minacce sconosciute o uomini prevaricanti dagli spettacolari occhi color verde-oro.
"E tu? Sei preoccupato?" domandò Magnus, in un sussurro.
Alec si voltò, per guardarlo. "Ho quasi ventinove anni, Magnus. Sono un uomo adulto da un bel pezzo ormai, eppure vengo trattato come un bambino che deve essere protetto dalla brutture del mondo." spiegò, con un sospiro. "So che lo fanno perché mi vogliono bene, ma..."
"Non hai risposto alla mia domanda." gli fece notare Magnus, in tono gentile.
Alec scrollò le spalle. "Non sono preoccupato per me. Sono preoccupato per mio padre e per la mia famiglia. Tutti si sono messi in testa che quei messaggi siano indirettamente rivolti a me, ma se non fosse così? Se fosse un trucco per sviare l'attenzione dal vero obiettivo di quel criminale, ossia far del male a mio padre?" mormorò, teso, stringendosi le braccia attorno al corpo. "Sai, vorrei fosse solo un brutto sogno, vorrei che bastasse chiudere gli occhi per un momento per far sparire tutto. So che è un atteggiamento da codardi, ma..."
"Codardo? Tu? Ma se non vuoi neanche una guardia del corpo che ti protegga." lo smentì prontamente Magnus, spintonandogli gentilmente una spalla con la propria.
Alec gli fece un sorriso storto. "Eppure eccoti ancora qui."
"Sono la tua ombra, baby." confermò Magnus, dandogli un buffetto sul naso, e ridacchiando quando vide la smorfia di disappunto nascere sul viso di Alec per il nomignolo appena pronunciato. "Ti va una cioccolata calda?" gli chiese, con un sorriso.
Alec gli regalò un altro sorriso storto e annuì, seguendolo fino in cucina.
Magnus tirò fuori dal frigo una bottiglia di vino e la posò sul tavolo.
"Ma non mi avevi offerto una cioccolata calda?" ridacchiò Alec.
"Infatti. Tu ti bevi la cioccolata e io un po' di buon liquido che c'è in questa bella bottiglia." sorrise Magnus, alzando il vino. "Ne vuoi un po'?"
Alec ponderò l'offerta. Beveva raramente, ma forse un bicchiere non gli avrebbe fatto male, anzi, forse l'avrebbe aiutato a rilassarsi. Per quanto il nuovo biglietto di Lydia e il nuovo messaggio minatorio l'avessero turbato, il vero motivo del suo nervosismo era la costante presenza di Magnus e ciò che gli aveva fatto provare durante il lento alla festa di fidanzamento. Con il suo metro e novanta di prorompente sensualità, quell'uomo metteva costantemente a dura prova le emozioni di Alec, che già erano sufficientemente sotto pressione.
Con un movimento fluido, Magnus versò il vino in due calici e ne passò uno al ragazzo seduto di fronte a lui. "Stai bene?" gli chiese, sorseggiando poi il liquido scuro.
Alec annuì distrattamente, rigirandosi il bicchiere tra le dita, più silenzioso e tranquillo del solito, osservando poi, per diversi minuti, l'altro che armeggiava con un pentolino e con il latte per preparargli la sua cioccolata calda.
"Magnus..." iniziò, fermandosi poi per un lungo momento. "Secondo te, lo sconosciuto delle e-mail sa dove abito?"
"Non mi sento di escluderlo a priori." rispose Magnus, mescolando la cioccolata. "Ma, più che per lo sconosciuto, io mi preoccuperei di Lydia." confessò dopo qualche minuto. "E' un pericolo molto più reale."
Alec alzò lo sguardo, sorpreso, appoggiando le braccia conserte sopra la tavola. "Lydia? Sul serio?"
"Il messaggio che hai ricevuto ieri sera non è uno scherzo." replicò Magnus. "Lei ti vuole ed è stanca di giocare."
"Oh, andiamo..."
"Alec, quella ragazza non è razionale e non c'è modo di sapere quale sarà la sua prossima mossa."
Alec roteò gli occhi. "Per l'angelo, sei sempre il solito esagerato."
"So che non sei affatto convinto del pericolo che stai correndo, ma non devi sottovalutarla solo perché è una donna."
Alec fece spallucce. "E' che... ok, mi ha lasciato quel messaggio inquietante alla festa e, appena l'ho letto, ammetto che ne sono rimasto sorpreso, ma... Andiamo! Cosa potrebbe mai farmi?"
"Spararti?" buttò lì Magnus, con tranquillità, passandogli una tazza ricolma di cioccolata calda.
Alec spalancò gli occhi. "Dici sul serio?" chiese, prima di bere.
"Ecco, vedi? La stai sottovalutando. Se a minacciarti fosse un uomo, scommetto che non saresti così tranquillo."
"Mi stai dando del sessista?" chiese Alec, sbalordito, posando la tazza sul tavolo ed esibendo due vistosi baffi di cioccolata.
Magnus nascose il suo sorriso divertito dietro il proprio bicchiere. "Un po'." ammise.
"Non sono sessista!" brontolò Alec, indignato.
"Davvero?" ritorse Magnus, alzando un sopracciglio e allungandosi verso di lui per pulirgli gli angoli della bocca.
"Ohhh, sta zitto." borbottò Alec, arrossendo e allontanando la mano dell'altro, prima di tornare a trangugiare un altro lungo sorso della sua bevanda calda.
"Tesoro, ti consiglio di farle capire chiaramente che la vuoi fuori dalla tua vita."
"Come?" chiese il moro, dubbioso. "E non chiamarmi tesoro." gli intimò, puntandogli l'indice contro.
Magnus gli fece un'allegra linguaccia. "Beh, potresti cominciare con una denuncia e richiedere un ordine restrittivo." gli rispose poi.
"E questo la terrà lontana?"
Magnus rimase in silenzio, facendo ondeggiare il proprio bicchiere. "Potrebbe indurla a decidere che non vale la pena di rischiare la galera." asserì, dopo un lungo momento, alzando lo sguardo per guardarlo. "Ma potrebbe anche farla infuriare. I molestatori si interessano di rado a un banale pezzo di carta che intima loro di tenersi lontani dalla propria vittima."
Alec drizzò la schiena. "Ma se la denuncia non serve a nulla, che senso ha sporgerla?"
"Ai fini legali, la polizia avrà qualcosa su di lei, che potrà poi utilizzare per fermarla, qualora dovesse seguirti o stazionare fuori dal tuo ufficio o dalla tua casa. Con il tempo, poi, potrebbero anche arrestarla."
"Con il tempo?" chiese Alec, aggrottando la fronte. "Questa faccenda potrebbe continuare per settimane?"
Magnus non replicò, lasciando intendere che, in realtà, quella situazione avrebbe potuto protrarsi anche per mesi, se non addirittura per anni. "Per il momento ho solo cambiato la serratura, ma secondo me dovresti comprare un nuovo portoncino d'ingresso e mettere dei fermi più solidi alle finestre." rispose invece, prendendo un altro sorso di vino. "Anche sostituire i vetri non sarebbe una cattiva idea. Potremmo mettere del vetro infrangibile... o delle sbarre di ferro."
"Cosa? No! Niente sbarre! Non sono in prigione!"
"Alec non sarai un carcerato." gli fece gentilmente notare Magnus. "Sarai al sicuro."
"Sì... e senza un soldo." replicò Alec, secco. "Non credo proprio che tutti questi lavori siano economici!"
"Potresti chiedere un prestito a tuo padre."
"Ma neanche per sogno!" esclamò Alec, con enfasi.
Magnus gli rivolse un sorriso gentile. "Ok, allora posso aiutarti io." lo rassicurò. "Conosco la gente giusta che potrebbe fare tutto questo lavoraccio a un prezzo stracciato."
"Sei molto gentile, ma devo declinare la tua offerta." lo ringraziò Alec.
Magnus incrociò le braccia al petto. "Andiamo, Alec! Pagheresti solo il materiale! Prometto che non ti metterò le sbarre sulle finestre, ma tutto il resto ti serve!"
Alec sbuffò, alzando gli occhi al cielo. "E va bene." concesse alla fine. "Grazie." mormorò poi, rivolgendogli un sorriso storto.
Magnus fece tintinnare il suo bicchiere con la tazza del moro e sorrise. "Prego, passerotto." replicò, ridendo per l'evidente smorfia di disappunto per l'ennesimo soprannome. L'uomo prese poi un blocchetto per appunti. "Ok, il sistema d'allarme è a posto." iniziò, spuntando un'annotazione. "Ora, come ti dicevo, servono porte nuove e vetri infrangibili."
"Perché devo cambiare la porta di ingresso?" chiese Alec, perplesso, allungando il collo per vedere cosa stava scrivendo l'altro.
"Perché quella attuale è vuota e può essere sfondata con estrema facilità. Dovresti sostituire anche quella della tua camera." spiegò Magnus, calmo.
"Quella della mia camera?" chiese Alec, sbalordito.
"Alec, se qualcuno entra in casa, devi essere in grado di barricarti in una stanza sicura, fino all'arrivo dei rinforzi. La tua camera ha anche il telefono, da cui puoi chiamare aiuto, quindi è perfetta."
"Ma c'è l'antifurto!"
Magnus si pizzicò la radice del naso. "Mi dici quando pensi di iniziare a considerare questa faccenda come una cosa seria?" gli chiese, in tono grave. "Quando Lydia si presenterà con un'arma carica?"
"Ma per favore!"
"Alec, vi siete incontrati due mesi fa e ieri è passata dal chiederti semplicemente di uscire a pianificare il vostro matrimonio! Non sta bene con la testa, te ne rendi conto? Cosa farà il mese prossimo? Deciderà che, se non puoi essere suo, non lo sarai di nessun altro? Perché guarda che può succedere eh!"
"Non potrebbe essere solo tutto un grosso scherzo di cattivo gusto?" arrischiò Alec, speranzoso.
Magnus scosse la testa. "No, non credo lo consideri uno scherzo. Prima ho chiamato Jace e..."
"Jace? Perché hai chiamato mio fratello?"
"Ha inserito il nome di Lydia nel computer, per vedere se scopriva qualcosa. Quella ragazza avrebbe potuto essere già schedata e non sarebbe stato male sapere con chi abbiamo a che fare!"
"E..."
"E, per il momento, niente." sospirò Magnus.
"Beh, ma... non c'è la possibilità che si stanchi e che indirizzi le sue attenzioni verso altri uomini?"
Magnus scosse nuovamente la testa. "E' una possibilità molto remota e non starebbe organizzando il vostro matrimonio se non avesse intenzioni serie."
Alec fissò imbronciato la sua tazza. "Non mi piace quello che mi stai dicendo."
"Mi dispiace, tesoro."
Alec sospirò. "E' che... non capisco. Lydia sembra davvero una ragazza normalissima."
"E' spesso così." annuì Magnus. "E' il loro modo di pensare e di agire che non va, non il loro aspetto."
"Sì, ma Lydia potrebbe essere tranquillamente il sogno di ogni ragazzo. E' bella, è bionda, ha gli occhi azzurri, è spiritosa... insomma... ti giuro che non sembra proprio la pazza squinternata che traspare dai biglietti!"
Magnus scrollò le spalle. "Prova ad immaginare una bellissima macchina sportiva. La carrozzeria è lucida, perfetta, senza la minima ammaccatura. Il motore, però, è marcio. Lydia, e le persone come lei, sono così."
Alec finì la sua cioccolata, rimuginando su quanto gli aveva appena detto Magnus. Nonostante le sue parole, i biglietti e tutto il resto, non riusciva davvero a farsi una ragione che quella minuta ragazza, dal sorriso gentile, potesse fargli del male e, a differenza della sua guardia del corpo, Alec trovava molto più reale la minaccia dello sconosciuto che tormentava suo padre. Questo sì che lo preoccupava.
Sbadigliò vistosamente, stanco per la lunga giornata, poi appoggiò il mento sulle braccia incrociate sopra al tavolo, fissando Magnus, che continuava a prendere appunti sul suo block notes.
Le dita lunghe e affusolate sembravano danzare sul foglio. Spostò lo sguardo sulla mano, risalendo lungo il braccio, per poi finire sul viso: osservò, con un certo interesse, la linea elegante e dritta del naso e gli occhi verde-oro, focalizzati su quanto stava scrivendo. Il capo era leggermente inclinato e un accenno di lingua gli spuntava dalle labbra piene e rosee. L'accenno di barba, che di solito portava tutti i giorni, era sparito per lasciare spazio ad una pelle liscia e invitante, su cui spiccavano i contorni netti della mascella, tutta da mordere e baciare.
"Faccio una telefonata." lo informò Magnus.
"Mh-mh..." fu tutto quello che riuscì a rispondere il moro.
Le palpebre avevano iniziato a farsi pesanti e, mentre Magnus parlava al telefono, Alec sentì che faceva sempre più fatica a rimanere lucido.
Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dalla voce profonda della sua guardia del corpo. E' davvero bella... pensò, assonnato.
L'ultima cosa di cui fu conscio fu sentire le braccia possenti della sua guardia del corpo avvolgerlo e sollevarlo dalla sedia, poi Morfeo lo accolse nel suo abbraccio.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Magnus sapeva bene che l'ultima e-mail ricevuta da Robert Lightwood preoccupava Alec molto più di quanto desse a vedere.
Il moro fingeva indifferenza, ma i suoi occhioni blu, di solito limpidi e battaglieri, rivelavano ansia e turbamento e la presenza di una guardia del corpo sembrava non bastare a tranquillizzarlo. Durante le loro oramai abituali passeggiate serali, infatti, Alec era sempre all'erta e si guardava attorno più spesso del solito, come se temesse un attacco da un momento all'altro.
I giorni passavano e Magnus era costretto a stare lì, a osservare il moro che diventava via via sempre più teso.
Per la prima volta in vita sua, l'ex Marine si sentiva del tutto inutile, impotente. Solitamente non aveva dubbi: si prefiggeva un obiettivo e si impegnava al massimo per realizzarlo. Questa volta, però, il nemico era un'ombra impalpabile, che si muoveva senza lasciare tracce e si nutriva della paura che riusciva a suscitare con delle semplici e-mail.
E c'era anche la questione della mitomane. Lydia Monteverde non risultava schedata in nessun database delle forze di polizia, anzi non risultava proprio in nessuna banca dati! Purtroppo per loro non aveva mai infranto la legge, quindi rintracciarla era praticamente impossibile e poteva agire indisturbata, proprio come lo sconosciuto delle e-mail.
In tutto ciò, di buono, c'era che Alec non aveva alcuna intenzione di darla vinta a nessuno dei due. Nonostante i nervi scoperti, andava avanti con la sua vita come se niente fosse, rifiutandosi di ascoltare Magnus quando gli suggeriva di non allontanarsi troppo da casa o dall'ufficio.
La guardia del corpo aveva provato a proporgli, in più di un'occasione, di andare via da lì, nascondersi in qualche posto sperduto, almeno fino a quando non avrebbero preso uno dei due, ma Alec aveva rifiutato categoricamente quella soluzione e questo rendeva il suo compito di proteggerlo ancora più difficile di quanto già non fosse. Come poteva difenderlo da qualcosa che non riusciva a vedere e che, quindi, non poteva né colpire né fermare?
Era una situazione davvero frustrante e non aiutava il fatto di essere intrappolato in quel minuscolo appartamento con il ragazzo più cocciuto e testardo che avesse mai conosciuto. E per il quale stava prendendo una sbandata epocale.
Si riempì una tazza di caffè, con la macchinetta che si era appositamente comprato per affrontare ogni nuova giornata in compagnia del moro, e guardò fuori dalla porta finestra che dava sul terrazzino: una coltre di nubi minacciose oscurava il cielo newyorkese in quel pomeriggio domenicale e, in lontananza, si sentiva il brontolio di un tuono. Era una giornata tetra, proprio come il suo umore.
Con un sospiro, bevve un sorso della sua bevanda, maledicendo l'intera situazione. Alec lo stava spingendo oltre il punto di non ritorno e, quel che era peggio, ci stava riuscendo senza il minimo sforzo.
Ogni sera si coricava nel letto a una piazza nella camera degli ospiti e ogni notte giaceva sveglio, per ore, ad ascoltare ogni minimo rumore che proveniva dalla stanza adiacente. La parete che divideva le due camere, infatti, era così sottile da permettere all'ex Marine di sentire tutto... ed era una vera e propria tortura fisica e mentale!
Lo sentiva respirare, sentiva i suoi sospiri o quando tratteneva il fiato mentre stava sognando chissà che cosa, sentiva il fruscio delle coperte e delle lenzuola che avvolgevano il suo corpo o quando il letto di Alec gemeva in modo insopportabile ogni qual volta lui si girava nel sonno.
Dio, quel fastidioso cigolio era la cosa peggiore di tutte perché lo portava a chiedersi, ogni santissima volta, in che posizione si fosse addormentato il moro. Dormiva sulla schiena? O di lato? O a pancia in giù? E cosa indossava per dormire? Un pigiama di flanella? O una vecchia felpa con i pantaloni sdruciti di un'anonima tuta? O, che Dio l'aiutasse, niente di tutto questo, perché preferiva dormire completamente nudo?
Oramai riposava una media di quattro/cinque ore a notte e, se non fosse stato per la macchinetta del caffè, a quest'ora sarebbe letteralmente impazzito!
Alec Lightwood l'aveva completamente stregato e, la cosa più dolorosa e difficile da mandare giù, era dover ammettere che, invece, lui gli era del tutto indifferente. Forse non lo odiava come all'inizio, visto che le occhiate omicide che abitualmente gli lanciava erano diminuite, ma dopo quasi tre settimane insieme, il più delle volte Alec si comportava come se lui non esistesse oppure lo trattava alla stregua di uno scarafaggio schifoso che aveva invaso il suo spazio.
Perché, che cosa speravi? gli chiese la solita fastidiosa vocina nella sua testa, che gli fece andare di traverso il caffè che stava bevendo.
Tossì un paio di volte, dandosi qualche pacca sul petto, maledicendosi: per la prima volta, in vita sua, qualcuno per cui provava attrazione non smaniava per lui né moriva dalla voglia di portarselo a letto. Il suo orgoglio era oltraggiosamente ferito!
Purtroppo per lui, Alec non era il tipo di ragazzo con cui poteva avere una storia basata solo sul sesso. Era certo, infatti, che volesse qualcosa di più di una manciata di ore di passione selvaggia e che mirasse a una relazione stabile e duratura, a differenza sua che prediligeva le avventure di una notte, che non prevedevano alcun legame sentimentale e che non intendevano fare nessun progetto per il futuro, non nell'immediato almeno e, soprattutto, non con lui.
Gli era bastata l'esperienza con Camille, la sua ex. Dopo la fine di quella storia, si era imposto di mantenere le distanze con chiunque approcciasse. Le storie brevi erano più facili da gestire ed erano meno dolorose, non straziavano il cuore, riducendolo a brandelli, e, soprattutto, non lasciavano cicatrici indelebili nell'anima, che tornavano a sanguinare quando meno se lo aspettava.
Con l'ennesimo sospiro, si girò, dando le spalle a ciò che succedeva al di fuori della porta finestra, e lasciò vagare lo sguardo su quella che era diventata la sua piccola, ma, doveva ammettere, accogliente prigione: tutto era esattamente come il primo giorno in cui era arrivato, ad eccezione della sua macchinetta del caffè, rossa fiammante, che faceva bella mostra di sé sul ripiano della cucina, accanto al frullatore con cui Alec, ogni mattina, si preparava i suoi strani intrugli salutisti e colorati a base di sedano, carote e qualsiasi altra verdura che trovava in frigo.
Ogni giorno, infatti, mentre si beveva il suo caffè bollente e si ingozzava di uova e pancetta o ciambelle glassate o pancake dorati, Magnus guardava Alec, tutto felice e contento, ingoiare quella roba insapore e priva di zuccheri per poi attaccare lo yogurt ipocalorico o le barrette di cereali integrali. Non aveva idea di come riuscisse a mangiare e a bere quelle poltiglie, ma a quanto pareva quelle schifezze mollicce e tristi gli piacevano un sacco.
Erano diversissimi, sotto tutti i punti di vista! Magnus, nonostante gli anni rigidi passati in Marina, era un concentrato di caoticità, Alec, invece, era preciso e ordinato. Magnus amava l'improvvisazione, Alec organizzava tutto nei minimi dettagli e persino nel suo frigorifero disponeva gli alimenti in rigoroso ordine di appartenenza: latticini in uno scomparto, verdure in un altro. E ancora, Magnus era socievole e solare, Alec meno aveva a che fare con il genere umano, meglio stava. Lui adorava vestire in modo appariscente e stravagante, così che tutti lo notassero e ammirassero la sua bellezza, il moro invece si nascondeva in anonimi vestiti grigi e bigi che sarebbero stati meglio in un sacco dell'immondizia piuttosto che su di lui. Magnus parlava, parlava, parlava e parlava, mentre Alec... santo cielo, quando non era un fiume in piena, arrabbiato e indignato con lui, doveva cavargli le parole di bocca con le pinze!
"Allora perché lo desideri tanto?" si chiese, ad alta voce, con un sospiro.
"Che fai? Parli da solo?" gli rispose inaspettatamente una voce ben conosciuta.
Magnus si voltò di scatto, quando si vide arrivare Alec da dietro le spalle.
"E' uno dei primi sintomi della demenza senile. Lo sapevi?" chiese il moro, alzando un sopracciglio e guardandolo in modo ironico.
Magnus roteò gli occhi. "Ah. Ah. Ah." rispose, facendogli la linguaccia. "Allora, che facciamo di bello, oggi?" chiese, sviando il discorso.
Alec scrollò le spalle. "Io vado a scoccare qualche freccia con l'arco. Tu puoi stare qui."
"Io vado dove vai tu, dolcezza." precisò Magnus, per la milionesima volta. "Posso però permettermi di sconsigliarti questa uscita?"
"No, non puoi." sbuffò Alec, spazientito. "Magnus, ho bisogno di uscire! Di cambiare aria!"
"Non ti bastano più le nostre passeggiate serali? E io che pensavo fossero speciali!" ribatté Magnus, con un finto broncio, portandosi teatralmente la mano al petto.
"Sì, come no!" sbuffò Alec, con una smorfia.
"Non so se hai notato, ma fuori sta per scatenarsi un bel temporale." tentò allora di dissuaderlo Magnus.
"Vorrà dire che mi bagnerò." rispose Alec, scrollando le spalle. "O meglio, ci bagneremo." ghignò, con un luccichìo diabolico negli occhi.
Magnus lo fissò, alzando un sopracciglio. Le donne e gli uomini che aveva conosciuto fino a quel momento, lui compreso, non si sarebbero mai sognati di proporre una cosa del genere o di uscire di casa senza aver prima passato un tempo sufficientemente adeguato in bagno, per prepararsi. Alec, invece, non si era nemmeno guardato allo specchio per controllare se i suoi indomabili capelli neri fossero in ordine.
Il moro sostenne il suo sguardo, senza vacillare, con le braccia incrociate al petto, sfidandolo silenziosamente e, ancora una volta, Magnus sentì la forza dell'attrazione che provava per lui indebolirlo a tal punto che non non riusciva a negargli quasi più niente.
"E va bene." concesse, infatti, infine, con un cenno della testa. "Andiamo."
Il viso di Alec si illuminò tutto e battè le mani contento.
Magnus gli tolse di mano il borsone nero che il ragazzo reggeva e che conteneva l'attrezzatura per il tiro con l'arco. "Però! Pensavo fosse più leggero." dichiarò, soppesando il tutto.
"Che c'è? Ti serve aiuto?" chiese Alec, ironico.
"Ah. Ah. Ah." replicò Magnus, issandosi con scioltezza la sacca sulla spalla. "Guarda, zuccherino, che ho portato carichi ben più pesanti di questo affare qui, in mezzo a una giungla così fitta che non riuscivi neanche a fare un passo senza rischiare di inciampare!"
"Sei stato in missione in una giungla?" chiese Alec, curioso, chiudendo la porta di casa.
"Molto tempo fa." rispose Magnus, conciso, ricordando la sua ultima missione fatta di alberi fitti e impenetrabili, un fiume tortuoso e raffiche di mitra che sembravano non terminare mai.
"Tutto qui?" domandò Alec, cominciando a scendere le scale. "Non puoi dirmi qualcosa di più preciso?"
"Certo che potrei." rispose prontamente Magnus, seguendo il ragazzo. "Ma poi dovrei ucciderti e sarebbe un peccato! Sei troppo carino per morire."
Alec si arrestò di colpo e Magnus, per poco, non andò a sbattergli addosso, rischiando di far cadere entrambi dai gradini.
"Che fai? Perché ti sei fermato?"
"Non farlo."
"Cosa? Spararti? Passerotto, non lo farei mai!" scherzò Magnus.
"No. Non dirmi che sono carino." ribatté Alec, secco, guardandolo male, prima di marciare fuori dal portone.
Magnus lo fissò, stupito. "Perché no?" chiese, correndogli dietro.
"Perché non lo sono." asserì Alec, serio, fermandosi di botto un'altra volta. "Quindi perché non fai un favore a entrambi e ci risparmi queste frasi fatte, ridicole e inutili?"
Magnus piegò la testa e lo fissò, ricevendo in cambio una delle famose occhiatacce omicide del moro. Ah! Aveva voglia di litigare?! Bene! Anche lui era dell'umore adatto per farlo!
"Guarda che non era una frase fatta."
"No? Quante volte l'hai detta, sperando di fare colpo? Non ti sembra fin troppo banale come approccio?" rispose Alec, battagliero, piantandosi le mani sui fianchi e guardandolo con occhi infuocati. "Scommetto che avresti continuato con un'altra frase a effetto, tipo, che ne so, Ti sei fatto molto male?, nella speranza che io ti chiedessi Quando?, in modo che tu potessi continuare con un Ma tesoro! Quando sei caduto dal cielo, no?." sciommiottò con la testa.
Magnus non riusciva a staccare gli occhi da quelli blu e fiammeggianti di Alec. Il moro fremeva di rabbia per Dio solo sapeva quale recondito motivo e stava sfogando tutta la sua frustrazione su di lui, a tal punto che sembrava quasi sul punto di sbranarlo e mangiarselo in un sol boccone. E Magnus non l'aveva mai trovato così sexy ed eccitante!
"Sai, ho capito perché ti ostini ad affibbiarmi tutti questi insulsi nomignoli." continuò Alec, stizzito, incrociando le braccia al petto.
"Eh?" chiese Magnus, tornando a concentrarsi sulla lite, anzichè fantasticare di sbattere Alec al muro e farlo suo in quel preciso momento.
"Oh, sì. Pensi che sia uno stupido vero? Ma so perfettamente qual è il tuo giochetto." lo accusò Alec, sventolandogli l'indice contro.
"Giochetto? Io non..."
"Uomo, donna, capelli biondi, capelli mori... Che differenza fa?" lo interruppe Alec, che ormai era partito in quarta e non dava a Magnus nessuna possibilità di replica. "L'importante è che respiri, no? Se poi ha anche un bel paio di tette o un pacco di tutto rispetto, tanto meglio, no?"
"Cosa? Ehi, no, aspetta un attimo! Io..."
"No, aspetta tu!" lo interruppe nuovamente Alec, conficcandogli con forza l'indice nel petto. "Tutti questi zuccherino di qua, dolcezza di là, tesoro qui, passerotto lì... Guarda che l'ho capito! E' un modo per rivolgerti ai tuoi partners occasionali senza doverti ricordare i loro nomi! Il tuo è un astuto stratagemma che ti torna utile ogni qual volta ti porti a letto la prima persona che capita, così che, al mattino, quando ti svegli accanto a un estraneo, se gli affibbi il primo nomignolo insulso che ti viene in mente riesci a evitare una figura di melma colossale. Ho indovinato, vero? Eh? Ho indovinato?"
Magnus strinse forte i pugni lungo i fianchi e trasse un respiro profondo: avrebbe voluto aprire bocca e ribattere a quell'ignobile accusa, ma decise invece di tenerla chiusa. Avrebbe potuto spiegare a quel zuccone che non era affatto così, che gli affibiava tutti quei nomiglioli perché lo trovava adorabile e gongolava come un matto quando le sue guance si arrossavano indignate per l'ennesimo, sciocco, soprannome, ma sentiva che era inutile. Il moro era troppo arrabbiato per ascoltare le sue parole.
A quel silenzio, Alec si irritò ancora di più perché lo interpretò come una chiara ammissione di colpevolezza.
Rafforzò la presa sulle braccia incrociate, trattenendo a stento la collera mescolata alla tensione e alla frustrazione che lo attanagliavano da tempo. Erano giorni, infatti, che faceva una fatica tremenda a concentrare tutte le sue energie fisiche e mentali sul suo lavoro, anziché pensare a Lydia e allo sconosciuto che minacciava suo padre. E a Magnus.
Per quanto tentasse in tutti i modi di non farlo, infatti, Alec si ritrovava sempre più spesso a fissarlo. Era più forte di lui, non riusciva proprio a impedirselo, complice anche il fatto che gli era sempre accanto ed erano davvero rari i momenti in cui non ce l'aveva attaccato alle costole.
Sapeva di non essere il suo tipo (perché, andiamo, come poteva un uomo come Magnus essere attratto da un disastro ambulante e insignificante come lui?), eppure non riusciva a impedire alla sua immaginazione di elaborare fantasie incredibilmente sconce e inopportune che vedevano entrambi come protagonisti. Immaginava le mani di Magnus sul suo corpo, le braccia forti che l'abbracciavano e poi, di peso, lo trasportavano in camera da letto, dove la sua guardia del corpo gli faceva provare sensazioni stupende.
L'ultima volta che si era abbandonato a stupidi sogni di questo tipo, però, era andato a sbattere a trecento all'ora contro un muro immaginario, ritrovandosi con il cuore sanguinante e a pezzi. Quindi, no, non si sarebbe mai più fatto prendere in giro da nessuno, tantomeno da un uomo bellissimo che gli diceva frasi carine che non pensava sul serio.
Si ficcò le mani sui fianchi e fissò Magnus con sguardo tempestoso. "Mettitelo bene in testa, Bane, non sono un tuo ammiratore né tantomeno uno dei tuoi tanti amanti che non aspetta altro che caderti tra le braccia, grazie a due moine." disse tutto d'un fiato. "Non intendo, nel modo più assoluto, venire a letto con te. Chiaro?"
"Cristallino." replicò Magnus, assottigliando lo sguardo.
"Bene." asserì Alec, con un cenno secco della testa.
"Bene. Ci terrei a chiarire, però, un paio di cose." iniziò Magnus, serio. "Primo, non ti ho mai chiesto di venire a letto con me."
Alec roteò gli occhi. "Senti..."
"Oh, no. No. Ho lasciato che ti sfogassi e sono rimasto educatamente in silenzio. Ora, se permetti, parlo io." lo interruppe Magnus, alzando un indice. "Secondo, non ho una moltitudine di amanti che non aspetta altro che cadermi tra le braccia. Ho molti amici e amiche e, ok, a volta capita che rimorchi gente conosciuta al bar e può darsi che, ogni tanto, con qualcuno di loro ho anche il piacere di andarci a letto..."
Alec scosse la testa con disapprovazione, ascoltando la naturalezza con cui l'altro ammetteva candidamente di essere un dongiovanni.
"...perché, a differenza tua..." aggiunse Magnus, in tono tagliente. "...io preferisco le persone ad arco e frecce o a scartoffie di carta alte fino al soffitto!"
Alec sbarrò gli occhi e boccheggiò, indignato.
"Se ti faccio un complimento è perché lo penso sul serio." continuò Magnus, implacabile. "Non ho di certo bisogno di mentire ad un uomo o a una donna per entrare nelle sue grazie!" dichiarò, alzando il mento con orgoglio. "Se vuoi però credere che poco fa abbia mentito... beh... liberissimo di farlo."
"Oh... allora mi dispiace." rispose Alec, con un sorriso di scherno, incrociando le braccia al petto e scuotendo la testa in modo paternalistico. "Deve essere un bel problema per te."
Il viso di Magnus divenne pura perplessità. "Che cosa?"
Alec scrollò le spalle. "Perdere la vista." replicò, lapidario. "Sei andato a farti vedere da un oculista, di recente?" domandò, piegando la testa e scrutandolo attentamente.
Le sopracciglia di Magnus scattarono verso l'alto e lui si ritrovò totalmente impreparato a una risposta del genere. Un attimo dopo la sua bocca ebbe un fremito, poi scoppiò a ridere di gusto. Ecco, se c'era una cosa che adorava di Alec, oltre al corpo da sballo e quegli incredibili occhi blu, era la sua acuta intelligenza. E la sua spudorata schiettezza. E il suo strano e contorto senso dell'umorismo. "Sei davvero unico, mio piccolo bonbon al cioccolato." dichiarò, divertito, asciugandosi una lacrima.
Alec lo fissò truce per il nuovo soprannome. Tesoro, dolcezza, zuccherino... nessuno si era mai rivolto a lui usando quei nomignoli. Per tutti era stato sempre e solo Alec e sentirseli dire adesso, quando sapeva perfettamente che non significavano niente, lo facevano sentire stranamente triste, quasi deluso. Sapeva di essere uno stupido a prendersela in quel modo, a desiderare, anche solo per un attimo, che Magnus stesse parlando sul serio, ma non riusciva a farne a meno.
Scosse la testa per scacciare quei pensieri, poi voltò le spalle alla sua guardia del corpo e continuò a camminare.
Magnus, però, non aveva ancora finito. "Sai qual è la verità, Alexander Gideon Lightwood?" gli gridò dietro. "Che tu ce l'hai con tuo padre perché non ti ascolta e ti ha messo una guardia del corpo alle calcagna. E visto che non puoi sfogarti con lui, te la prendi con me." lo provocò, seguendolo. "Ma è ora che tu la smetta di arrabbiarti con il sottoscritto solo perché non riesci a rivalerti su chi ti ha messo al mondo."
Alec si fermò e prese un bel respiro profondo, prima di voltarsi e lanciargli un'altra occhiata glaciale. "Io non sfogo la mia rabbia su di te!"
"No?" lo interruppe Magnus, alzando un sopracciglio. "Davvero? Beh, effettivamente sei la gentilezza fatta persona. Già." ironizzò, con un sorriso sardonico, incrociando le braccia al petto. "Chi è che sta mentendo, ora? Mh?" chiese, piegando la testa e avvicinandosi poi ad Alec, senza dargli modo di ribattere. "Vuoi sapere, però, qual è il vero problema, Alexander?" soffiò, agguantando i passanti dei jeans del ragazzo e avvicinandolo piano a sé, con un sorriso rapace sulle labbra, mentre le prime gocce di pioggia iniziavano a scendere.
Alec si sentì sopraffatto dal calore del suo corpo e dal timbro elegante della sua voce, che sembrava far vibrare l'aria intorno a loro. Deglutì a fatica e scosse la testa, incapace di parlare, mentre arrossiva e tremava per quel nome pronunciato in modo così sensuale da quella bocca invitante.
Magnus gli rivolse un lento e voluttuoso sorriso, felice e incredulo per ciò che aveva intuito. "E' che, a dispetto delle tue dichiarazioni di poco fa, in realtà tu muori dalla voglia di venire a letto con me." mormorò, leccandosi le labbra.
Un lampo squarciò il cielo plumbeo, seguito da un tuono fortissimo. La pioggia iniziò a scendere all'improvviso, in modo violento, bagnando ferocemente entrambi.
Alec sbatté le palpebre, fissando nella memoria quel momento: Magnus Bane bagnato fradicio, con i capelli incollati al viso e gli occhi che dardeggiavano, fieri, mentre il trucco iniziava a sbavarsi lentamente. Era semplicemente spettacolare, per l'angelo.
Nonostante la pioggia gelata, che gli penetrava fin dentro le ossa, il sangue di Alec iniziò a ribollirgli nelle vene e sentiva chiaramente le dita di Magnus affondargli nelle braccia, come due tizzoni ardenti, nonostante la barriera del tessuto. Il fiato gli si mozzò in gola e i polmoni reclamarono prontamente una boccata d'aria, venuta a mancare così improvvisamente e in modo del tutto inaspettato.
Magnus si avvicinò pericolosamente al viso del ragazzo e il suo fiato caldo solleticò le labbra di Alec, che spalancò ancora di più gli occhi. Il profumo del suo dopobarba gli stuzzicò le narici, avviluppandolo in una ridda di sensazioni confuse ed eccitanti. Un brivido di anticipazione scosse tutto il corpo del moro, prima che Magnus, a pochi centimetri dalla sua bocca, sorridesse rapace.
"Oh, sì... mi vuoi." mormorò l'uomo, con un sorriso abbacinante, fissandolo intensamente. "E puoi avermi." gli rivelò, piano. Una luce maliziosa gli illuminò gli occhi quando, prima di staccarsi lentamente da lui, gli accarezzò lentamente le labbra con la punta delle dita. "Non appena avrai il coraggio di ammetterlo." concluse sibillino, facendo un passo indietro.
Una sensazione sconosciuta esplose dentro Alec, procurandogli un piacevole dolore nel basso ventre, come se questo e le sue labbra fossero stranamente e intimamente collegati. Ciò lo risvegliò dal torpore: per l'angelo, si comportava come un ragazzino alla prima cotta, quando quell'uomo impossibile si stava semplicemente divertendo con lui!
Tremante di desiderio e di frustrazione, e in preda a una smania inspiegabile, Alec vide Magnus ritornare sui suoi passi e aprirgli il portone del condominio, invitandolo con un plateale gesto del braccio a rientrare. Niente più passeggiata sotto la pioggia battente, quindi, ma l'ennesimo pomeriggio in compagnia di quell'irritante uomo, in quell'appartamento che sembrava farsi più piccolo ogni giorno di più.
Dio, sarebbero state ore interminabili.
Furia e imbarazzo, però, gli diedero nuove forze e Alec alzò il mento. La sfida non era impossibile. Poteva farcela. Sì, sarebbe riuscito a soffocare la tenue (anzi, appena accennata) attrazione che provava per Magnus, restandogli accanto senza mai ammettere che ardeva dalla voglia di andare a letto con lui. Sarebbe stato uno smacco tremendo per l'orgoglio di quell'uomo impertinente. Oh, sì.
"Non avevi detto che non mi avresti toccato neanche con uno scafandro addosso?" ricordò Alec, battagliero.
"Solo gli stupidi non cambiano mai idea, Alec. E, modestia a parte, sono sempre stato consapevole di non esserlo mai stato." replicò Magnus, facendogli l'occhiolino. "E tu? Ammetti che mi vuoi?"
Alec fece una smorfia indignata. "Tzè! Preferisco bruciare all'inferno piuttosto che ammettere qualcosa di così ridicolo e assurdo." replicò, spavaldo, passandogli accanto e marciando, tutto impettito, dentro all'androne del palazzo.
Magnus rise, divertito. "Oh, dolcezza, stiamo già bruciando. Tutti e due." commentò fissandogli il sedere, seguendolo poi tutto contento.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Le raffiche di vento e gli scrosci di pioggia erano talmente forti che i vetri delle finestre vibravano pericolosamente e, in più di un'occasione, Alec temette seriamente che il temporale riuscisse a mandarli in frantumi.
Erano passate tre ore da quando era iniziato e il moro maledì quel violento acquazzone che stava imperversando fuori casa e che lo stava costringendo a stare gomito a gomito con Magnus.
Nascosto dietro le pagine di un libro, che stava fingendo di leggere, sbirciò con l'ennesima occhiata discreta l'uomo spaparanzato dall'altra parte del divano, che stava guardando la televisione. Alec era certo che la sua guardia del corpo stesse seguendo la trasmissione con la stessa concentrazione che stava usando lui con il suo romanzo.
Da quando erano rientrati nell'appartamento, Magnus aveva iniziato il gioco del silenzio e, con le braccia incrociate al petto, fissava ostinatamente lo schermo, ignorando la sua esistenza. La bocca era tirata in una lunga e imbronciata linea sottile e Alec si chiese, non per la prima volta, come sarebbe stato se quelle labbra si fossero posate sulle sue e se erano davvero morbide al tocco, così come sembravano. Non l'avrebbe mai saputo.
Magnus era stato chiaro e gli aveva detto che se lo voleva doveva essere lui a farsi avanti, ma il moro era fermamente deciso a dimostrargli che c'erano esseri umani capaci di resistergli, senza cadere ai suoi piedi come pere cotte. Alec era, senza ombra di dubbio, uno di quei folli e coraggiosi temerari. Assolutamente.
Il silenzio che stava regnando nel salotto, però, iniziava a farlo sentire a disagio. Da quando abitava da solo, era il suo compagno ogni qual volta ritornava a casa dopo una lunga giornata di lavoro e non lo aveva mai trovato fastidioso, anzi gli piaceva quell'assenza di suoni nel suo appartamento, c'era abituato. Da quando era arrivato Magnus, però, con la sua ingombrante presenza e la sua inesauribile parlantina, si era adattato a sentire perennemente la sua voce e le sue continue chiacchiere su qualsiasi argomento gli passasse per la testa. Quell'ostinato silenzio, quindi, cominciava stranamente a pesargli.
"Sta smettendo di piovere." mormorò, dopo un'altra mezz'ora passata nel mutismo più assoluto, più per riempire quel vuoto assordante tra di loro, che per altro.
"Ti ringrazio dell'aggiornamento." replicò Magnus, asciutto, notando, con la coda dell'occhio, la pioggia scrosciante tramutarsi finalmente in una leggera nebbiolina.
"Non stavo parlando con te." ribatté Alec, nello stesso tono.
Magnus continuò a guardare lo schermo. "No? Allora parli da solo? E' uno dei primi sintomi della demenza senile. Lo sapevi?" scimmiottò con la testa, facendogli il verso e ripetendo quello che gli aveva detto poche ore prima, mentre cambiava per l'ennesima volta canale con il telecomando, andando alla ricerca di qualcosa di decente da guardare.
"Va a quel paese." borbottò Alec.
"Solo se vieni anche tu, pesciolino." rispose Magnus, prontamente, mordendosi l'interno della guancia per reprimere un sorriso.
Alec si voltò verso di lui e lo fissò con ostilità. "Non avevamo fatto un patto? Niente più nomignoli idioti!"
"Non ricordo nessun patto, sua maestà." rispose Magnus, senza neanche guardarlo. "Sa... la demenza senile avanza. Che vuole farci." concluse, battendosi l'indice sulla tempia e scrollando poi le spalle.
"Sai che sei l'essere più stronzo e più irritante che abbia mai conosciuto?"
Magnus continuò a non voltare la testa. "Potrei dire la stessa cosa di te, trottolina, ma sono una persona educata... a differenza tua."
"Mi stai dando del maleducato?" sbottò Alec, indignato.
"Incredibile, vero?"
"Vai a farti f..."
Il suono del campanello interruppe Alec. Il moro si alzò in piedi di slancio e marciò verso la porta, indispettito, ringraziando mentalmente chiunque li avesse interrotti, permettendogli di allontanarsi da quell'uomo insopportabile.
Sul serio, come era possibile che una parte di lui lo trovasse attraente? Era totalmente impazzito? Che fosse il caso di farsi vedere da uno strizzacervelli?
Fece per aprire la porta, ma Magnus gli posò la mano sul braccio, bloccandolo.
Alec roteò gli occhi e sbuffò esasperato, scrollandosi di dosso l'altro. "Per l'angelo, sarà la mia vicina di casa!" ringhiò, irritato. "Piantala!"
"Non si sa mai. Se permetti, apro io." rispose Magnus, imperturbabile, facendolo arretrare bruscamente.
"Santo Iddio, ma non ti stanchi mai di essere così platealmente esagerato? Non è sfiancante?"
Magnus lo ignorò, mettendosi davanti a lui per guardare dallo spioncino. Poi rise, aprendo di slancio la porta a quattro alti, variopinti e sorridenti ragazzi. "E voi che ci fate qui?"
"Ciao, cazzone!" lo salutò il primo ragazzo dai capelli neri e gli occhi blu, che somigliava ad Alec.
"Abbiamo pensato che sentissi la nostra mancanza." aggiunse il secondo ragazzo, dai tratti orientali e capelli argentei.
"Così siamo venuti a trovarti..." cominciò il terzo dagli eccentrici capelli verdi, sparati all'insù.
"...para ver si todavía estás vivo." [ndr. Per vedere se sei ancora vivo] concluse il quarto, con un sorriso ironico, scuotendo i selvaggi capelli neri.
Magnus rise, divertito. "Idioti."
"Abbiamo portato la birra e il vino!" protestò il ragazzo moro, con un ampio sorriso, indicando quattro confezioni da dodici di birra gelata e otto bottiglie di vino rosso.
Alec fissò quella scena sorpreso e notò il palese cambiamento d'umore di Magnus: la tensione di pochi minuti prima era completamente sparita, sostituita da un'allegra euforia. Scrutò con curiosità l'affiatamento di quel strambo quintetto, intuendo che, per la sua guardia del corpo, quegli uomini erano più di semplici amici.
Magnus si voltò verso di lui con un enorme sorriso. "Alec, questi sono i mie ex colleghi della Marina. Lui è Will Herondale." iniziò, presentando il marine che assomigliava al moro. "Lui è Jem Carstairs." continuò, indicando il ragazzo dai tratti orientali. "E loro sono Ragnor Fell e Raphael Santiago." concluse, puntando l'indice contro il tizio dai capelli verdi e quello accanto a lui.
"Ciao." li salutò Alec, alzano piano la mano e fissando i quattro nuovi arrivati. "Volete accomodarvi?" chiese, invitando i militari ad entrare in casa.
"Grazie." disse Ragnor, gentile.
"Carino qui." commentò Raphael, seguito da Will che salutò Magnus con uno scherzoso pugno sulla spalla.
"Non vorremmo disturbare." mormorò Jem, entrando per ultimo.
Magnus rivolse ad Alec un sorriso grato e quando il moro fece per allontanarsi, per lasciarli soli, l'uomo l'afferrò per la mano e lo trascinò con sé in salotto. "So che sembrano dei brutti ceffi, coniglietto, ma ti assicuro che non mordono." mormorò, facendogli l'occhiolino in modo complice, prima di raggiungere gli ex colleghi. "Allora, a cosa devo il piacere di rivedere i vostri brutti musi?"
I quattro si accomodarono sul divano e sulle sedie prese dalla cucina.
"Beh, eravamo curiosi di capire come ha fatto questo ragazzo a tollerarti fin'ora." rispose Ragnor, sedendosi su una sedia, con un sorriso ironico.
"Es bueno ver que no estás muerto!" [ndr. E' bello vedere che non sei morto] ridacchiò Raphael, sarcastico, accomodandosi di fianco al ragazzo dai capelli verdi.
"Ah. Ah. Ah." replicò Magnus, facendogli la linguaccia, traducendo poi ad Alec la "simpatica" frase dell'ex collega.
"Sul serio..." esclamò Will, seduto di fianco a Jem sul divano, rivolgendosi con fare cospiratorio al padrone di casa. "Come hai fatto a sopportarlo fino ad oggi?"
"Beh, ecco..." tentennò Alec, non sapendo bene cosa dire.
"Non rispondere." si intromise Magnus, alzando un indice. "Per favore, non dare a questi quattro pettegoli qualcosa su cui sparl..."
Raphael gli mise una mano sulla bocca, interrompendolo. "Non ascoltarlo, niño. Racconta!" esclamò, mentre Will annuiva con fervore e passava una birra ad Alec.
Magnus si tolse la mano dell'amico dalla bocca. "No, lui non beve alcol..." iniziò, bloccandosi attonito nel momento esatto in cui il moro accettò con gratitudine la lattina e, con estrema naturalezza, tolse la linguetta e ne bevve un lungo sorso.
Alec sorrise, segretamente compiaciuto di aver lasciato la sua guardia del corpo a bocca aperta, per una buona volta, dando così inizio alla serata più divertente che avesse mai vissuto.
Tra chiacchiere e risate, con la televisione che, rimasta accesa, faceva da sottofondo ai vari aneddoti che venivano raccontati, il moro rise come non gli era mai capitato in vita sua. Bevve birra fino a sentire la testa galleggiare e mangiò un intero contenitore di pizza, tra quelli ordinati da Magnus, con sopra di tutto un po'. Fu una serata incredibile e Alec si sentì benissimo.
Alla quinta lattina di birra, Will gli alitò in un orecchio. "Sssai che Sssniper mi ha salvato la vita? Eh? Lo sai? Eh? Lo saiii?"
Alec aggrottò la fronte, ondeggiando pericolosamente sul posto. "Ffflipper? Chi è Ffflipper?" chiese, curioso.
Will gettò la testa all'indietro, accasciandosi sul divano e ridendo sguaiatamente. "Sniperrr! Non Flipperrr, idiota!" biascicò, tirandogli un pugno sul braccio, prima di puntare un tremolante indice contro Magnus. "E' lui Sssniperrr! Sissignore! Era il suo nome in codice! Prima che venisse licenziato... sai, no?"
"Will, mangia un altro po' di pizza e sta zitto." borbottò Magnus, ficcando nella bocca dell'amico un trancio bello grosso.
Alec alzò un sopracciglio, fissando alternativamente i due con aria interrogativa, prima di togliere dalle fauci del Marine il triangolo farcito con ogni ingrediente possibile. "No, non lo so, ma voglio sssaperlo!" annuì, convinto. "Dimmi! Dimmi! Dimmi!"
"E' una bella storia!" confermò Jem, fregandosi allegramente il pezzo di pizza conteso.
"Non è vero. Non è niente di che." tagliò corto Magnus, roteando gli occhi e scolandosi un bicchiere di vino tutto d'un fiato.
"Come niiiente? Ha appena detto che gli hai sssalvato la vitaaa!" protestò Alec, con tono petulante, battendogli forte il dorso della mano su una gamba.
"Non fare il modesto, Mags! Non ti si addice!" ridacchiò Ragnor, accavallando le lunghe gambe, mentre Raphael annuiva concorde.
Will acchiappò il viso di Alec, costringendolo a guardarlo. "Sssai che, se non fosse stato per questo idiota qui, a quest'ora il mio fottutissssimo bel sedere, sodo e tondo, non sarebbe seduto su questo divano? Eh? Lo sssai?" asserì, annuendo con vigore. "Lo vuoi sentire?" chiese subito dopo, con sguardo appannato, alzandosi leggermente e battendosi una pacca vigorosa nel didietro. "Senti quanto è sodo! Senti!"
Alec stava per allungare la mano, per verificare se le parole del Marine fossero veritiere o meno, ma Magnus gli afferrò il braccio, guardandolo male.
"No, micetto, non si fa!" lo sgridò la guardia del corpo, agitando l'indice come una madre esasperata. "Ti è concesso di toccare solo il mio!" esclamò, con un broncio offeso.
Will rise. "E' solo geloso perché il mio sedere è più bello del suo." dichiarò, ammiccando esageratamente con le sopracciglia.
"Sì, ti piacerebbe, Herondale." replicò Magnus, con un sorriso ironico, roteando gli occhi.
"Mi stai sfidando, Bane?" esalò Will, spalancando teatralmente gli occhi e saltando poi in piedi per armeggiare goffamente con la cintura. "Sta a vedere, Alec, se non ho ragione io!"
"Por el amor de Dios!" [ndr. Per l'amor di Dio] ringhiò Raphael, bloccando con veemenza il collega e rispedendolo con una spinta poderosa sul divano. "Herondale tieniti su quei pantaloni, che nessuno in questa stanza ci tiene a vedere il tuo culo!"
"Ma non è vero! Alec vuole! Vero Alec?" chiese Will, con un singhiozzo, avvicinandosi pericolosamente al viso del moro.
"No, Alec non vuole." lo fulminò Magnus, spingendolo per una spalla, per allontanarlo da Alec, e iniziando con lui un battibecco su chi avesse il sedere più sodo.
"Ehi! Io voglio sssapere di Flipperrr!" dichiarò Alec, dopo un lungo momento, frapponendosi fra i due e fronteggiando Will. "Raccontami di Flipperrr!"
"Te l'ho già detto! Sssniper! Non Flipper! S-n-i-p-e-r!" rispose Will, roteando gli occhi con un sorriso.
"Fa lo stesso!" replicò Alec, sventolando una mano.
"No che non fa lo stesso!" si intromise Magnus, indignato. "Sono un ex cecchino, non un ex delfino!" dichiarò, con una smorfia.
"Ora sai come ci si sssente a venire a-appellato con nomignoli idioti." dichiarò Alec, ridacchiando soddisfatto, mentre Magnus assottigliava lo sguardo e gli lanciava un'occhiata offesa. Alec gli fece la linguaccia e tornò da Will. "Racconta! Ti ha davvero salvato la viiita?" chiese, stupefatto, indicando con il pollice l'uomo dietro le sue spalle.
"Assssolutamente sì!" annuì con vigore Will. "Puoi scommetterci la tua birra!" dichiarò, picchiettando il petto di Alec con l'indice.
"Ma vaaa! Davverooo? Perchééé? Cosa è successo? Eh? Cosaaa?" chiese Alec, arpionandosi al suo braccio e pendendo dalle sue labbra.
Will cominciò a parlare della loro ultima missione, dipingendo uno scenario nitidissimo che fece venire la pelle d'oca ad Alec e che riportò a galla i ricordi di Magnus.
Obbedire agli ordini dei propri superiori è un principio fondamentale per ogni Marine che si rispetti, ma c'era una regola alla quale Magnus si era sempre attenuto fin da quando aveva messo piede nella Marina: si partiva in missione in squadra e si tornava tutti quanti assieme. Mai lasciare indietro un compagno in difficoltà. Mai. Anche a costo di rimetterci la vita.
La sua ultima missione era andata male fin dall'inizio. La sua squadra era stata scelta per liberare un ostaggio: un compito semplice, che avevano svolto numerose volte. Dovevano entrare nel luogo di prigionia, liberare la persona rapita e andarsene in fretta. Facile. Le informazioni ricevute, però, si erano rivelate errate e l'ostaggio non era dove sarebbe dovuto essere, facendo perdere loro del tempo prezioso per cercarlo, esponendoli al fuoco nemico e obbligandoli a rivedere il piano di salvataggio. Durante la fuga si erano ritrovati a schivare un numero impressionante di raffiche di mitra, che colpirono Will. Nel momento concitato, però, i suoi compagni si accorsero della sua assenza solo quando riuscirono a raggiungere il motoscafo che li avrebbe portati in salvo. Magnus aveva informato i suoi superiori dello smarrimento di uno dei suoi uomini, ma gli era stato ordinato di ripartire immediatamente, senza preoccuparsi del collega.
Un moto di collera tornò ad assalirlo, lo stesso che aveva provato a quel tempo, di fronte alla facilità con cui quegli uomini in divisa si divertivano a giocare con la vita dei loro uomini, come se fossero pedine di un gioco perverso che si potevano gettare nella spazzatura una volta raggiunto il loro scopo.
Magnus, però, era diverso. Non avrebbe mai lasciato uno dei suoi nei guai. Non gli importava cosa gli era stato detto di fare, lui non avrebbe abbandonato un suo amico. Una volta chiusa la comunicazione con il suo superiore, quindi, aveva affidato l'ostaggio ai suoi colleghi ed era tornato indietro, da solo, a recuperare Will per riportare a casa anche le sue chiappe.
"E poooi?" chiese il moro, sgranando gli occhioni blu, mangiucchiando distrattamente la crosta avanzata di un pezzo di pizza. "Poi, cosa è successo?"
"Beh... l'idiota è seduto accanto a te, no? E' finita bene." rispose Magnus, facendo spallucce, versandosi un'altra generosa dose di vino nel bicchiere.
"Grazie al cielo!" esclamò Alec, portandosi una mano al petto e guardando, sollevato, l'uomo che aveva vissuto quella brutta esperienza.
Quando vide i sorrisi felici che si scambiarono i Marine tra di loro, comprese benissimo il senso di vittoria e la soddisfazione di quegli uomini per aver portato in salvo l'ostaggio, ma anche la rabbia che li aveva attanagliati quando era stato ordinato loro di rientrare, abbandonando al proprio destino il compagno ferito.
Will diede una manata sulla spalla di Magnus. "Come ti stavo dicendo, è grazie a lui se sono ancora qui!" sorrise dolcemente. "Sniper ha mandato letteralmente al diavolo il comandante ed è tornato indietro a prendermi!"
"Wow! E' stato davvero coraggioso da parte tua!" esclamò Alec, sempre più coinvolto, attanagliando il braccio di Magnus e scuotendolo, con sguardo sbigottito.
Will annuì platealmente. "Sssignorsì! Sniper ha ignorato gli ordini ed è venuto a salvarmi!" confermò, trattenendo un rutto, mentre tracannava un altro bicchiere.
Magnus alzò gli occhi al cielo, pregando che il suo amico si strozzasse con la birra che stava bevendo.
"Sai, non ero capace di camminare, quindi Mags mi ha caricato in spalla e, sotto il fuoco nemico, mi ha portato di peso fino al motoscafo che doveva portarci via da lì." continuò a raccontare Will, alzandosi di scatto e abbracciando poi di slancio il suo salvatore, rischiando di far cadere entrambi a terra.
"Per tutti i diavoli, Herondale, quanto cazzo hai bevuto?" esclamò Magnus, impreparato, mentre l'altro lo stritolava e tentava di baciarlo sul collo. "Staccati, brutta zecca pelosa!" ordinò, spalmandogli una mano in faccia per allontanarlo.
Alec spalancò ancora di più gli occhi. "E hai fatto tutto da sooolo?" chiese, tornando a guardare Magnus con sguardo ammirato.
Per l'angelo, non aveva mai conosciuto nessuno come lui. Mai!
Alec aveva incontrato molte persone nella sua vita, sia per via del suo lavoro sia a causa del cognome che portava. Aveva incontrato uomini che si vantavano di gesti banalissimi, come fermare un taxi all'ora di punta o stappare il tappo di una bottiglia di birra con i denti, e donne che asserivano di riuscire a stregare completamente un uomo con un semplice battito di ciglia. Ma Magnus... Magnus, con il suo animo da vero guerriero, aveva salvato la vita a un compagno, minimizzando quel gesto eroico con una scrollata di spalle.
Lui non era mai stato così coraggioso. Sì, sapeva di essere in gamba nel suo lavoro, di essere bravo a organizzare viaggi e trattare affari, ma quando doveva uscire dalla sua zona di comfort si sentiva come un pesce fuori dall'acqua, un imbranato totale. Alle feste a cui i suoi fratelli riuscivano a trascinarlo, ad esempio, finiva sempre per nascondersi in qualche angolino in disparte e, alla prima occasione, inventava una scusa per tornarsene a casa, nella sua tana, nel suo rifugio. Passava la sua vita a tentare in tutti i modi di celarsi al mondo, per averci a che fare il meno possibile, per non affrontarlo. L'esatto opposto di Magnus che, nonostante quello che aveva vissuto, si godeva la vita appieno.
"Gli hai davvero salvato la vita." sussurrò il moro, meravigliato, portandosi le mani al petto.
Rimase a bocca aperta quando, per la prima volta da quando gli aveva sconvolto la sua tranquilla routine, vide Magnus zero senso del pudore Bane arrossire.
"Se si va in missione in squadra, è così. Si parte insieme e si torna tutti quanti, nessuno escluso." minimizzò Magnus, scrollando nuovamente le spalle.
"Ganbei!" gridarono i quattro militari, alzando la propria lattina di birra e il proprio bicchiere di vino.
"Cosa significa?" bisbigliò Alec, confuso, accostandosi a Magnus.
"E' cinese. Significa svuotare il bicchiere. Ce l'ha insegnato Jem!" spiegò Magnus, sorridendo, indicando con un cenno della testa il soldato dai lineamenti orientali. "Quindi, dolcezza..." continuò, passandogli un'altra lattina di birra. "...dacci sotto!"
Alec annuì, poi aggrottò la fronte, colto da un improvviso pensiero. "A-aspetta!" esclamò, ondeggiando e alzando l'indice per avere la sua attenzione. "E' per questo che non sei più nella Marina? Ti hanno licenziato perché hai disubbidito all'ordine e sei tornato indietro a salvare un tuo compagno?" chiese, a bocca aperta.
Magnus si limitò ad annuire e a sorseggiare il suo vino.
"Ma non è giusto!" protestò rumorosamente Alec, indignato, battendo un pugno sul ginocchio.
Magnus scrollò le spalle. "O quello o la prigione." gli svelò, bevendo tutto il suo bicchiere. "Ma, per amore di giustizia, non potevo proprio scegliere la seconda opzione. Sarebbe stato davvero scorretto, da parte mia, privare il mondo della mia bellezza facendomi rinchiudere in una cella. No?" concluse, facendogli l'occhiolino e scompigliandogli allegramente i capelli.

Diverse ore più tardi, Magnus era disteso nel suo letto e fissava il soffitto. I suoi ex colleghi erano andati via da un pezzo, ma lui non riusciva proprio a prendere sonno. Al di là della sottile parete, sentiva Alec rigirarsi nel suo letto, il quale continuava a cigolare a ogni suo movimento.
Per tutta la sera, Magnus aveva provato l'impellente desiderio di saltargli addosso e baciarlo fino a levargli completamente il respiro... oltre che segregarlo in camera sua, quando aveva avuto l'ardire di allungare la mano per toccare il sedere di Will! Per tutti i diavoli, lui doveva sudare sette camice per strappargli un sorriso e a quell'idiota era bastato alzarsi e dire ad Alec di toccargli il sedere perché l'altro lo accontentasse! Dio, quel ragazzo l'avrebbe mandato direttamente in manicomio!
Ogni giorno, inoltre, scopriva cose del moro che fino a quel momento aveva ignorato. Ad esempio, se qualcuno, anche solo quella stessa mattina, gli avesse detto che il timido e taciturno Alexander Gideon Lightwood si sarebbe trasformato grazie a qualche lattina di birra, mettendosi addirittura in competizione con cinque Marine navigati, non gli avrebbe mai creduto. Eppure era successo e Magnus aveva sentito la pelle formicolare per l'eccitazione e aveva provato il forte impulso di ficcargli la lingua in gola ogni volta che Alec lo toccava o si accostava a lui.
Ad un certo punto della serata, infatti, Jem si era tagliato con la linguetta di una lattina e Will aveva spintonato l'amico per un braccio dicendo "Cosa vuoi che sia? Ti faccio vedere io uno squarcio come si deve!", finendo per sfidare tutti su chi avesse la cicatrice più grossa.
Il moro aveva sollevando i jeans, mostrando la sua gamba su cui spiccava una cicatrice enorme. "Granata. Iraq." aveva spiegato, tronfio.
Raphael aveva roteato gli occhi, alzandosi poi in piedi per sfilarsi la camicia dai pantaloni e scoprire un ventre piatto e tonico solcato da una ferita che gli correva lungo tutta la cassa toracica. "Scheggia di mina anti uomo, amigo. Libia."
Poi era toccato a Ragnor e a Jem, che avevano una cicatrice importante rispettivamente sulla caviglia sinistra e sulla spalla destra.
Anche Magnus non era stato da meno: si era alzato dal bracciolo del divano e, guardando Alec con uno sguardo intenso e malizioso, si era slacciato lentamente il bottone dei pantaloni, abbassando gli stretti jeans che gli fasciavano le gambe e scoprendo pelle muscolosa e marmorea segnata irreversibilmente da una lunga cicatrice nell'interno coscia, che Alec conosceva bene, vista l'attitudine della sua guardia del corpo a girare mezza nuda per casa, ma di cui non aveva mai osato chiedere spiegazioni. "Coltello militare Fox. Siria." spiegò, compiaciuto, ad un Alec che non distoglieva lo sguardo dalla zona "incriminata".
Cinque paia di occhi si erano poi posate sul padrone di casa, in una muta sfida. Alec ci aveva pensato su per un istante, prima di togliersi un calzino e alzare la gamba destra, mostrando il tallone su cui spiccava una vistosa cicatrice frastagliata. "Ehm... specchio in camera di mia madre. New York." aveva detto, con un sorriso sghembo. "Vale?" aveva domandato, titubante.
"Gambei!" avevano gridato i militari, sollevando lattine e bicchieri in segno di festa, rassicurando e facendo ridere di gusto il moro.
Il signor solo cibi genuini e intrugli di verdure si era rimpinzato di cibo spazzatura, si era riempito lo stomaco di un numero imprecisato di litri di birra e gli aveva persino rubato il suo ultimo pezzo di pizza. Aveva riso fino alle lacrime, ascoltando divertito i racconti e le barzellette dei suoi ex uomini, e li aveva trattati come se li conoscesse da una vita.
E ora, anche per questo, Magnus lo desiderava ancora più di prima.
La rete a molle dell'altro letto cigolò di nuovo e l'uomo iniziò a ripetersi, come un mantra, che non doveva pensarci e che doveva dormire. Chiuse gli occhi, ma fu inutile, perché il viso di Alec continuava a materializzarsi nella sua mente, con quel sorriso storto, appena accennato, che tanto adorava.
"Magnus?" sentì, a un tratto.
L'uomo spalancò gli occhi e voltò di scatto il viso verso il muro divisorio. "Sì?"
"I tuoi amici sono simpatici." disse Alec, impacciato, dopo un momento.
"Glielo dirò." sorrise Magnus. "Sai, anche loro ti trovano simpatico."
"Davvero?"
"Ma certo!" asserì Magnus, convinto. "Lo trovi così strano?" chiese, aggrottando la fronte al tono sorpreso dell'altro.
"Beh... sì."
"Perché?"
"Beh... non sono un tipo simpatico, quindi immaginavo che anche loro l'avrebbero pensato." mormorò Alec, con un sospiro.
Magnus fissò la parete, sbalordito. "Chi ti ha detto che non sei simpatico?" chiese, sentendo poi uno sbuffo divertito dall'altra parte della parete.
"Mi vorresti dire che non è vero?"
"Tartufino, guarda che il tuo senso dell'ironia è qualcosa di unico al mondo!" ridacchiò Magnus, intenerito.
Alec rise. "Anche tu non sei malaccio. Nomignoli idioti a parte." ammise, dopo un lungo silenzio.
"Oh, cielo! Era un complimento quello che ho appena sentito?" chiese Magnus, trattenendo il respiro.
"Forse." confermò Alec, piano. "Ma non montarti la testa."
Magnus rise, felice. "Ok, lo terrò presente."
Era passato dall'essere completamente odiato a non essere malaccio. L'uomo sorrise, trionfante. Stava facendo progressi!
"Se ti dico una cosa, prometti di restare lì, in camera tua?" chiese Alec, la voce appena udibile.
"Non prometto mai niente se prima non conosco il motivo per cui devo farlo." rispose Magnus, alzandosi sul gomito e fissando intensamente la parete, quasi riuscisse a vederci attraverso.
"Prometti e basta." insisté Alec.
Magnus sospirò. "E va bene. Prometto."
Passarono diversi minuti, tanto che l'uomo pensò che Alec avesse cambiato idea, prima che il moro parlasse di nuovo.
"Avevi ragione tu. Prima." mormorò infine, esitante.
"Oh per tutti i diavoli! Prima mi fai un complimento e ora mi stai dando ragione?" esclamò Magnus, baldanzoso. "Dei del cielo, domani si scatenerà una bufera di neve su tutta New York!" scherzò.
"Idiota." fu la replica divertita di Alec.
Magnus rise e si ributtò sul cuscino, chiudendo gli occhi. "Su cosa avevo ragione, ciliegina?"
"Non chiamarmi ciliegina!" brontolò subito Alec.
"Ok." rise Magnus. "Su cosa avevo ragione, Alec?"
"Oggi." mormorò Alec,  dopo un po', titubante.
"Oggi?"
Alec sospirò. "Oggi pomeriggio. Quando eravamo fuori..."
"Sììì?"
"Hai... hai detto... Sai no? Quella cosa..."
"Quale cosa?"
"Hai detto... beh... che forse... volevo una certa cosa..."
"Non c'era nessun forse nella mia frase, tesoro." lo stuzzicò Magnus, con un ampio sorriso, mentre il cuore aveva iniziato a battere come un tamburo. "Ma continua."
Alec rimase in silenzio talmente a lungo che Magnus temette che ci avesse ripensato.
"Alec?" lo chiamò dolcemente.
"Avevi ragione." pigolò il moro, in un sussurro, prima di schizzare seduto quando la porta della sua camera si spalancò di colpo. Rosso come un peperone, tirò la coperta a sé e rivolse uno sguardo tra lo sbalordito e l'accusatorio a Magnus, fermo sull'uscio. "Avevi promesso che saresti rimasto in camera tua!" protestò, indignato.
Magnus sorrise, rapace, e si leccò lentamente le labbra. "Ho mentito, micetto."

===
Note dell'autrice
Anche se il momento non è dei migliori, spero che voi e le vostre famiglie stiate bene e, con questo capitolo, ne approfitto per farvi tanti auguri di buona Pasqua! :-*
Un bacio e a presto!

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Alec saltò giù dal letto, tirandosi dietro la trapunta che lo avvolgeva come un bozzolo caldo e fissò Magnus con aperta disapprovazione. Oltre che con lussuriosa cupidigia.
Il fisico statuario dell'uomo lo stava chiamando a sé, peggio di una sirena incantatrice: i muscoli marmorei e definiti del torace erano davvero invitanti e la pelle caramellata assumeva la tonalità del miele dorato alla luce gelida della luna che entrava dalla finestra. Seguì, rapito, la sottile linea di peluria che spariva all'interno dei jeans, sbottonati, per poi spalancare gli occhi e distogliere repentinamente lo sguardo non appena si accorse che quel pervertito non indossava le mutande. Il cuore iniziò a battergli nella cassa toracica come un tamburo e sentì chiaramente le sue guancie andare a fuoco.
"A-avevi promesso!" annaspò, in seria difficoltà, imponendo al suo cervello di non fissarsi assolutamente su quel particolare che avrebbe potuto portare a fantasie che era meglio non esplorare. "Ti credevo un uomo di parola."
"Lo sono, quando si tratta di cose grosse."
"Beh, questa lo è!"
"Grazie, tesoro." rispose Magnus, con un sorriso devastante.
Lo sguardo di Alec tornò per una frazione di secondo sulla patta aperta dei pantaloni. "Non intendevo dire questo!" brontolò, scandalizzato, distogliendo nuovamente lo sguardo.
"Ne sei sicuro?" chiese Magnus, alzando un sopracciglio, dubbioso.
"Sei... sei impossibile, ecco!" esclamò Alec, esasperato.
"Me lo dicono in tanti." replicò Magnus, tranquillo, scrollando le spalle e avanzando di un piccolissimo passo nella stanza.
"Cosa... cosa fai?!" sputò Alec, spalancando gli occhioni blu e alzando una mano per bloccarlo.
Si rese conto, con sgomento, che stava tremando. Per l'angelo, quell'uomo aveva un effetto devastante sui suoi nervi! Fino a quel momento, non si era mai reso conto di quanto potesse essere pericoloso! No, Alec non temeva che gli facesse fisicamente del male, sapeva che non gli avrebbe mai torto un capello. Era il suo cuore che stava rischiando grosso!
Non voleva invaghirsi di Magnus né iniziare a provare qualcosa per lui che assomigliasse anche solo vagamente all'affetto. Quell'uomo era lì solo perché gli era stato ordinato di proteggerlo e, una volta scontata la sua condanna, come soleva chiamarla i primi giorni di permanenza a casa sua, se ne sarebbe andato, dimenticandosi di lui e tornando alla sua vita di sempre.
Sebbene ci fosse una parte di Alec che voleva oltrepassare quella linea immaginaria e godersi ciò che Magnus era disposto a concedere, l'altra, quella decisamente più intelligente e saggia, gli stava proibendo tassativamente di cedere a un errore del genere. Non poteva permettere al suo cuore di tornare a battere. Non di nuovo. Non per uno come Magnus.
Si maledì per quello slancio di sincerità avuto pochi minuti prima. Cosa gli era saltato in mente di essere così schietto e ammettere che voleva andare a letto con Magnus? Perché non si era morso la lingua, anziché confidare quel segreto proprio al soggetto dei suoi desideri? Il suo cervello doveva avere avuto un momento di black out o doveva essere ancora preda dei fumi dell'alcool, non c'era altra spiegazione!
Prese una serie di respiri profondi, poi indicò la porta con un gesto secco del braccio e ordinò, imperioso, "Fuori!"
Magnus non si mosse dalla soglia. "Tecnicamente, tesoro, non sono ancora entrato. Ho solo messo un piede oltre l'uscio. Per essere completamente dentro, dovrei almeno mettere anche l'altro piede." rispose, ironico.
"Non ti azzardare a farlo!"
Magnus gli rivolse un sorriso sornione. "Hai detto che mi desideri."
"No, non l'ho fatto." replicò Alec, stringendosi ancora di più addosso la trapunta. "Ho solo affermato che avevi ragione."
Magnus piegò la testa, divertito. "Sai che sei davvero un tipo contorto?"
"E tu sei davvero un maniaco sessuale!"
Magnus rise rumorosamente, appoggiandosi di peso con una spalla allo stipite della porta e incrociando le braccia al petto. I suoi muscoli guizzarono e Alec trattenne il fiato, sentendo chiaramente come l'aria nella camera si stesse arroventando, diventando praticamente irrespirabile. Doveva mandarlo via da lì. Subito.
Magnus, però, sembrava non avere alcuna intenzione di collaborare, anzi si staccò dallo stipite e avanzò tranquillamente di un altro passo nella stanza. Il cuore di Alec mancò un battito, prima di tornare a pulsare furiosamente nel petto.
"Sai, in realtà non ti ho mentito." disse Magnus, continuando a fissarlo con uno sguardo rapace. "Non ti mentirei mai sulle cose importanti."
Alec roteò gli occhi. "Eppure sei qui, quando mi avevi dato la tua parola che te ne saresti rimasto in camera tua!" lo accusò.
Magnus scrollò le spalle. "Mi hai strappato quella promessa con la forza. Non vale."
"Ma non è vero!" si indignò Alec. "Ah! E avevi anche giurato che non mi avresti toccato neanche se avessi avuto uno scafandro addosso." gli ricordò per l'ennesima volta, con l'orgoglio ferito.
"Tenevo le dita incrociate." continuò Magnus, facendogli l'occhiolino.
Alec si accigliò, nervoso. "Cos'hai? Dieci anni?"
"Qualcuno di più."
"Davvero? Perché non si direbbe!"
"Sfogliatina, te l'ho già detto. Solo uno stupido non cambia idea e ammetto che, quando ho detto che non ti avrei mai toccato, non sono stato del tutto onesto."
"Ahn-ahn! Hai visto!" esclamò Alec, soddisfatto, puntandogli l'indice contro.
"La promessa di prima però me l'hai strappata con la forza, quindi non è valida."
"Come non è valida? Sì che è valida!"
"Bene, direi che ci siamo chiariti sulla questione." tagliò corto Magnus, sorridendo.
"Ma non è vero!"
"Quindi ora possiamo passare al resto." continuò Magnus, ignorandolo e avanzando ancora di qualche passo nella camera.
Alec si appiattì contro il muro dietro di lui, inspirando bruscamente. "Ti ho detto di non entrare in camera mia!"
"Tecnicamente, Alexander,..."
"Tecnicamente un corno! Sei in camera mia, per l'angelo!"
Magnus si fermò, incrociando le braccia. "Ti avevo detto che avresti dovuto chiedermelo."
"E infatti ti sto chiedendo di uscire." replicò Alec, indignato.
Magnus ridacchiò. "Non cambiare discorso, Alexander."
"Non sto cambiando discorso." replicò Alec, stizzito. "E smettila di chiamarmi così."
Magnus aggrottò la fronte. "Ma è il tuo nome."
"No, il mio nome è Alec. Punto."
Magnus lo fissò sempre più perplesso. "Sai che sei davvero il ragazzo più strano con cui ho mai avuto a che fare in vita mia?"
"Vorrei dirti che ne sono lusingato, ma so che il tuo era un insulto bello e buono."
Magnus scosse la testa, sorridendo. "Oh, no. Al contrario. Era un complimento, Alexander."
"La smetti?"
Magnus piegò la testa, fissandolo a lungo, per poi illuminarsi. "Non ti piace il tuo nome!" affermò, sorpreso, intuendo i pensieri del moro. "Per Lilith, come fa a non piacerti Alexander? E' un nome bellissimo!" esclamò, scandalizzato.
Alec arrossì. "No, non lo è. Quindi smettila." tagliò corto, nervoso.
Non gli piaceva quel nome. Cioè forse, ma solo forse, un po' gli piaceva come lo pronunciava Magnus, ma non era questo il punto. Quel nome lo utilizzava sempre suo padre quando ancora non avevano il rapporto che avevano ora, dandogli una cadenza autoritaria e prepotente, quasi cattiva. Alec aveva finito con il non sopportare più quelle nove lettere, perché erano il chiaro emblema dell'insoddisfazione paterna. Era da una vita che nessuno lo chiamava più così e, anche se rabbrividiva ogni qual volta la voce roca e sensuale di Magnus lo pronunciava, preferiva lasciarlo seppellito dov'era.
"Ok, come desideri." annuì Magnus, dopo un lungo momento, alzando le mani in segno di resa. "Dove eravamo rimasti?" domandò, battendosi un dito sul mento e fingendosi pensieroso. "Oh, sì... Su, coraggio, tartufino pregiato, fai un bel respiro e chiedimelo."
"Cosa?" chiese Alec, momentaneamente spaesato. "Esci?!"
Magnus roteò gli occhi, con un sorriso divertito. "L'altra cosa, polpettina."
"Ma manco morto." esalò Alec, ricordandosi l'argomento.
Inspirò di nuovo a fondo, ingoiò il nodo che gli serrava la gola e ordinò a se stesso di ritrovare il proprio autocontrollo. Per l'angelo, si stava comportando come un idiota e non andava affatto bene! Doveva tornare immediatamente nei panni del freddo e distaccato Alec.
Purtroppo, però, era più facile a dirsi che a farsi. Il suo corpo vibrava e si protendeva verso quello di Magnus come se avesse una volontà propria, si sentiva le ginocchia molli e gli girava la testa.
Se fosse stato un po' più lucido, gli avrebbe intimato di nuovo e con più convinzione di andarsene, ma una vocina fastidiosa nella sua mente continuava a ripetergli Perché no?.
Erano entrambi maggiorenni, l'attrazione a quanto sembrava era reciproca (il che, per Alec, era una cosa assurda. Come diavolo faceva, Magnus, a provare interesse per lui?) e avevano un disperato bisogno di scaricare la tensione che si era accumulata fino a quel momento.
Era facile, sarebbe bastato ammettere che voleva andare a letto con lui e Magnus avrebbe esaudito il suo desiderio. Doveva solo dire cosa voleva. Doveva solo...
"No." ripeté, dopo un respiro profondo, alzando il mento con orgoglio.
Magnus scosse la testa. "Perché ti fai questo, mio piccolo bigné alla crema? Mh? Perché non segui semplicemente il tuo istinto?"
"Oh, ma lo sto facendo." mentì spudoratamente Alec.
"Non mentire, Pinocchietto." sorrise Magnus, piegando la testa, consapevole della verità, come se riuscisse a leggergli la mente.
"Seguire l'istinto raramente porta a qualcosa di buono." confidò Alec, serio.
Magnus lo guardò, perplesso. Al contrario del moro, lui ascoltava sempre il suo istinto, agendo di conseguenza, e una delle cose che più adorava della sua vita era l'aspetto fisico di un incontro amoroso. Era un sentimento di cui non si era mai vergognato, perché per lui il sesso era un'attività salutare, liberatoria, gratificante. Se fatta con un partner che ti metteva in subbuglio gli ormoni, poi, era addirittura paradisiaca.
"L'ho fatto una volta." continuò Alec. "Ed è stato un disastro." concluse, non volendo annoiare l'altro con gli stupidi particolari della sua prima e ultima importante cotta.
"Non è detto che andrà male anche questa volta."
Alec squadrò Magnus dalla testa ai piedi, con occhio critico. "Oh, ma dai! Io e te? Per favore."
"Perché no?"
"Perché siamo come il giorno e la notte, Magnus! Non potrà mai esserci niente di serio tra..."
"Fiorellino, chi ha mai parlato di una relazione seria?" chiese Magnus, alzando un indice per bloccarlo. "E' solo sesso!" concluse con un'alzata di spalle e un sorriso malandrino, avanzando pericolosamente verso di lui.
Lentamente, come una pantera pronta a balzare sulla sua preda, Alec lo vide avvicinarsi e sentì la gola seccarsi, senza più un briciolo di saliva. La ragione gli gridò a pieni polmoni di andarsene, di scappare, perché, se l'altro l'avesse anche solo sfiorato, tutti i suoi buoni propositi dichiarati fino a quel momento sarebbero andati a farsi friggere.
"Guarda che ero serio." mormorò Magnus, a un passo da lui.
"R-riguardo a c-cosa?" balbettò Alec, alzando lo sguardo per incontrare quello dell'altro e sentendo il corpo andare completamente a fuoco.
"Che dovrai chiedermelo." rispose Magnus, con un sorriso divertito, fissando voracemente le sue labbra.
"Non... io, non..." Alec si impose di inghiottire, prima di farsi andare di traverso la saliva e morire soffocato.
"Sì, ok, forse non ora. Ma me lo chiederai." mormorò Magnus, a un soffio dalle sue labbra, guardandolo intensamente. "Oh, sì... prima o poi, me lo chiederai."
Alec fissò, ipnotizzato, gli occhi verde-oro dell'altro, perdendocisi dentro. Nonostante fosse l'arroganza fatta persona, in fondo al suo cuore sapeva che aveva ragione: se avesse continuato ad averlo attorno, prima o dopo, avrebbe ceduto. D'altro canto, chi avrebbe mai potuto resistere al fascino dirompente di uno come Magnus?
L'uomo fece un vistoso passo indietro, allontanandosi dal moro. "Allora, lui chi era?" chiese inaspettatamente, con tono tranquillo e colloquiale.
"C-cosa?" chiese Alec, sbattendo le palpebre più volte, portandosi una mano al petto e tornando finalmente a respirare in modo decente.
"Lui. Chi era?"
"Lui... lui chi?"
"Quello per cui hai seguito l'istinto ed è stato un disastro." spiegò Magnus, con il tono di uno che la sapeva lunga.
Alec scrollò le spalle. "Nulla di importante."
"Oh, andiamo, zuccherino, sì che lo è." dichiarò Magnus, con convinzione, saltando sul letto e incrociando le gambe. "Dai, racconta. Sono tutto orecchi." lo incoraggiò, battendo una mano sul materasso per spronarlo a sedersi accanto a lui.
Alec lo fissò con disapprovazione e si guardò bene dall'andargli accanto. "No. Non sono affari che ti riguardano."
"Cipollina, sono sicuro che ti sentiresti meglio se sfogassi tutta questa energia negativa che ti scorre dentro." gli consigliò Magnus, gesticolando verso il suo corpo con il palmo aperto di una mano.
Alec lo fissò, infastidito. "Non ho alcuna energia negativa che mi scorre dentro."
"Pinocchietto." ripeté Magnus, ridacchiando.
"Smettila."
"Mai, mio dolce Ferrero Rocher."
"Ok, facciamo un patto." dichiarò Alec, pizzicandosi la radice del naso. "Te lo dico solo se la smetti con questi insulsi nomignoli."
"Ok."
"Mani bene in vista, Bane. Niente dita incrociate!" ringhiò, puntandogli l'indice contro.
Magnus rise di gusto e alzò le mani in segno di resa.
Alec sospirò, appoggiando la testa al muro. Nonostante il tono di voce rassicurante di Magnus, non voleva rivangare il passato e disseppellire quella storia che tanto l'aveva fatto soffrire. "Andrew Underhill Quarto." mormorò, controvoglia. "Mi sono preso una cotta per lui che non era corrisposta. Fine." tagliò corto.
"Dal nome deduco che sia il classico figlio di papà." scherzò Magnus, con una smorfia buffa, piegando la testa.
Alec annuì. "Suo padre è un membro del Congresso." spiegò, scrollando le spalle.
"E quando è successo?"
"Cosa?"
"Quando hai capito di essere innamorato di Andy?"
Alec accennò un sorriso storto. "Nessuno l'ha mai chiamato così."
Magnus sorrise. "Davvero? Neanche durante il sesso non ti è mai scappato un Ohhh, sì, Andy! Sììì! Proprio lì!" gridò, facendo ondeggiare platealmente il bacino e toccandosi lascivamente il petto.
Alec arrossì di botto. "No! Io... non... no!" ribatté, indignato. "Pervertito!"
Magnus rise. "Dai, continua."
Alec aggrottò la fronte. "Cosa dovrei raccontare ancora? Ti ho già detto come è andata."
"Perché vi siete lasciati?"
Alec sbuffò. "Non ci siamo lasciati. Non siamo mai stati neanche insieme. Non ufficialmente, almeno." replicò, scrollandosi le spalle. "E, soprattutto, non sono affari che ti riguardano." ripeté, stringendosi di più addosso la coperta, come se l'imbottitura riuscisse nell'impresa di tenere fuori la tristezza che, lo sapeva bene, era ancora lì, sopita e nascosta in un angolino del suo cuore.
Magnus piegò la testa, guardandolo dolcemente. "Se non siete mai stati insieme, come può averti sconvolto tanto?"
Alec si accigliò. "Non mi ha sconvolto, infatti." mentì.
"Sai che se fossi davvero Pinocchio, a quest'ora il tuo naso sarebbe arrivato come minimo alla porta d'ingresso?" scherzò Magnus.
"Non sono affari che ti riguardano." ripeté, per l'ennesima volta, Alec.
"Ok, allora inizio io con le confidenze!" dichiarò Magnus, con fare cospiratorio. Alec lo guardò, stranito e l'uomo gli rivolse un sorriso soffice. "Sai, dieci anni fa mi sono perdutamente innamorato di una donna e le ho chiesto di sposarmi." confidò, sottovoce, come se stesse raccontando un segreto al suo migliore amico.
Alec spalancò gli occhi. "Non è vero!"
Magnus rise apertamente. "Credici, dolcezza. Proposta, anello... il pacchetto completo, insomma." rivelò, allegro. "Pensa, mi sono inginocchiato sulla sabbia di una splendida spiaggietta delle Maldive e, mentre il sole tramontava, le ho detto Camille, ti amo! Vuoi sposarmi?" esclamò, mettendosi in una posa teatrale .
Alec trattenne il respiro. "Stai mentendo."
"Ti giuro che è vero."
"E lei? Lei che cosa ti ha risposto?"
"Di no, ovviamente." sorrise Magnus. "Vedi? Nessuna fede nuziale al dito!" continuò, alzando la mano sinistra per mostrargliela.
Magnus scoprì, sorpreso, che raccontare quella storia ad Alec non lo faceva più soffrire come un tempo. C'era voluto un po', ma finalmente riusciva a ripensare a quel momento con più leggerezza, senza sentire la morsa della delusione attanagliargli il cuore. Quell'attimo cristallizzato nella memoria, bellissimo e doloroso al tempo stesso, era ormai diventato solo un altro tassello della sua vita che l'aveva reso quello che era diventato. Nulla di più, nulla di meno.
"Allora ero ancora un Marine e lei non sapeva che farsene di un uomo con un misero stipendio come il mio e di una vita piena di incertezze e di tanti Spero di tornare vivo dalla prossima missione!" spiegò, scrollando le spalle. "Con il senno di poi, non posso darle torto. La vita militare non è difficile solo per chi parte, ma anche per chi resta. Non è affatto semplice essere costretti ad affrontare la vita di tutti i giorni da soli, mentre il tuo compagno è al fronte, ed essere costantemente in ansia e in attesa di sue notizie." continuò, con sincerità. "Così ci siamo lasciati e ognuno ha continuato per la sua strada." concluse, sereno. "Ok, ora tocca a te."
Alec fissò Magnus, invidiandolo tantissimo... e sentendosi un perfetto idiota. La sua storiella non era niente paragonata alla relazione seria che aveva avuto Magnus. Come poteva stare così male per una storia che credeva reale, ma che in realtà, per lo più, si era sviluppata solo nella sua testa, mentre l'uomo di fronte a lui riusciva a parlare della rottura di una relazione vera e propria come se niente fosse, addirittura scherzandoci su?
Abbassò lo sguardo, pensieroso, e, dopo un lungo momento, tornò a guardare Magnus, che sorrideva e aspettava pazientemente il suo racconto. "Ci siamo conosciuti nove anni fa a una delle numerose feste date a casa Lightwood." iniziò, in un sussurro. "Nessuno sapeva di noi, a parte Izzy e Jace, perché... beh, suo padre era al Congresso, il mio già pensava a candidarsi al Senato e... sì, insomma... sarebbe stato complicato rendere pubblico il nostro flirt, ecco. Cioè, questo è quello che disse Andrew e..." si bloccò, scrollando poi le spalle. "Comunque un giorno gli ho chiesto di andare a vivere insieme. Come due semplici amici, intendo, visto che non voleva..."
Magnus sbarrò gli occhi. "Oh.mio.Dio!"
Alec lo guardò, stranito. "Cosa... cosa c'è?"
"Gli hai chiesto di andare a convivere?!"
"Beh... sì." rispose Alec, incerto.
"Oh.mio.Dio!" esclamò nuovamente Magnus, scioccato, portandosi una mano al petto in modo teatrale. "Per Lilith, eri giovanissimo!"
"Avevo ventidue anni. Ci conoscevamo da due anni e..."
"Oh.mio.Dio!"
"Ma la smetti?" disse Alec, guardandolo male.
"Per tutti i diavoli! Tu volevi convivere a ventidue anni? Sul serio?" chiese Magnus, sempre più strabiliato.
"Lo dici come se avessi commesso chissà quale crimine!" brontolò Alec, indispettito.
"Santo cielo, Alec, a ventidue anni dovresti solo pensare a divertirti e a scoparti ogni bel ragazzo che incontri! Non blindarti il pisello e concederlo unicamente a un idiota che si nasconde agli occhi del mondo! Andiamo!"
Alec accennò un sorriso. "Tu l'hai fatto." gli ricordò.
"Avevo la tua età!" esclamò Magnus, infervorato, sventolandogli l'indice contro. "E' diverso!"
"Se può consolarti, ho blindato il mio... beh... insomma... l'ho fatto solo per due anni, ecco. Poi è finita."
"Sei improvvisamente rinsavito e hai capito che scoparti un solo uomo, a quell'età, era uno spreco?" chiese Magnus, speranzoso, unendo le mani in segno di preghiera.
Alec ridacchiò. "No."
"Oh." mormorò Magnus, scuotendo la testa e fingendosi deluso. "E allora cosa è successo?"
Alec fece spallucce, abbassando lo sguardo. "Non volevamo le stesse cose." mormorò, in un soffio. "Cioè, lui le voleva, ma non... non con me. Preferiva... sì, insomma... preferiva averle con una donna."
"Oh. Mi dispiace." disse Magnus. "Quindi volevi blindarti il pisello per uno stronzo bisessuale?" scherzò, punzecchiandolo.
Il moro accennò un sorriso storto. "Non è bisessuale." precisò.
Magnus inarcò un sopracciglio. "Ancora peggio, pasticcino! Dio, davvero hai blindato il pisello per un gay represso che finge di essere eterosessuale?"
Alec fece una smorfia contrita, al pensiero di quanto era stato stupido.
Ricordava benissimo il giorno in cui la sua storia con Andrew era finita: erano andati, ufficialmente come amici, ad una festa dell'alta società. Alec si stava annoiando da morire e tutto quello che voleva fare era andare a casa. Il suo ragazzo "segreto", però, sembrava sparito nel nulla, nonostante l'avesse cercato ovunque. L'unico posto in cui non aveva ancora guardato era il giardino.
"E l'hai trovato?" chiese Magnus, inarcando un sopracciglio.
Alec riaprì gli occhi e scoprì, con sorpresa, che la presenza dell'altro in qualche modo riusciva a mitigare la delusione di quello che era successo.
"Sì." rispose Alec, scrollando le spalle. "Era seduto sotto un gazebo, che parlava con Lindsay Vanderbilt."
"Uhhh, anche lei deve essere un gran bel pezzo da novanta!" commentò Magnus, sarcastico.
Alec fece un sorriso sghembo. "La sua famiglia è "leggermente" ricca, sì."
Magnus scosse la testa, con una smorfia di disgusto, sventolando poi una mano per farlo continuare.
"Quando mi sono avvicinato, Andrew si stava scusando con Lindsay per l'incresciosa situazione in cui si trovavano, garantendo che mi frequentava solo perché aveva pietà di me, ma che si sarebbero sposati presto e avrebbero avuto tutti i figli che lei desiderava." concluse, fingendo un'indifferenza che in realtà non sentiva.
Per Alec era stato un colpo al cuore sentire di essere solo un peso e un fastidio per la persona che era convinto di amare. Tutte le frasi carine, tutti i baci dati, tutti i momenti divertenti e speciali che aveva vissuto con il suo "ragazzo" si erano sciolti come neve al sole, lasciando solo un grande vuoto dentro di lui.
"E tu che cosa hai fatto?" chiese Magnus, arrabbiato, quando vide l'espressione ferita del moro.
Alec scrollò le spalle. "Li ho raggiunti sotto il gazebo, mi sono scusato con Andrew per tutto il disagio che gli avevo creato fino a quel momento e gli ho detto che poteva ritenersi libero da qualsiasi impegno pensava di avere con il sottoscritto."
Magnus lo fissò a bocca aperta. "Tutto qui? Non hai fatto nessuna scenata? Nessun calcio ben assestato negli zebedei? Niente?"
Alec fece spallucce. "No."
"Perché no?"
"Perché non sono un tipo manesco." spiegò Alec, con tono ovvio.
"Scusaaa?" esclamò Magnus, stupito. "Ma se con il sottoscritto non ti risparmi né calci né pugni!"
Alec gli rivolse un sorriso sadico. "Tu risvegli i miei istinti omicidi."
"Ah! Quindi ammetti che sono un tipo speciale!" rispose Magnus, ammiccando esageratamente.
Alec rise, grato che l'altro stesse facendo di tutto per tirargli su il morale.
"Comunque, in tutta questa storia, chi ci ha guadagnato di più, sei tu, no? Ti sei liberato di un emerito bastardo e sei potuto tornare a folleggiare con tutti i bei bocconcini che ti capitavano a tiro!" tentò di sdrammatizzare.
"Sì... è quello che mi ha detto anche Izzy." mormorò Alec, divertito. "La prima parte, intendo."
"Davvero?" esclamò Magnus, fingendosi sorpreso. "Che strano! Avrei giurato che la deliziosa Isabelle ti avesse suggerito la seconda opzione." ridacchiò, facendogli l'occhiolino. "Quindi questo significa, però, che non ti sei lanciato su ogni bel ragazzo che incontravi?"
Alec roteò gli occhi, sorridendo. "Non tutti sono dei maniaci sessuali come te, Magnus."
Magnus rise e gli fece la linguaccia. "Sai, ogni volta che pensi a lui, dovresti ripeterti incessantemente che l'hai scampata davvero bella e che ora puoi scoparti il mondo intero, anziché quel pisello moscio." lo incoraggiò, compiaciuto.
Alec rise di nuovo e l'uomo si sentì davvero orgoglioso per essere riuscito a strappargli ancora una volta quel suono tanto bello.
"Lo terrò presente."
"Il mio, invece..." continuò Magnus, alzandosi di slancio dal letto. "...è tutt'altro che moscio, cioccolatino." gli comunicò, baldanzoso. "Quindi, quando vorrai scoprire se sto mentendo oppure no, sarò felice di dimostrarti che non ti ho detto una bugia." esclamò, facendogli l'occhiolino e sorridendo alla vista delle guance infuocate del ragazzo. "Ok... sarà meglio che torni in camera mia." concluse, dandogli un buffetto sul naso e avviandosi verso la porta. "Buonanotte, Alec."
"Notte." sorrise Alec. "Oh... e... Magnus?" lo chiamò, quando era ormai sulla soglia.
"Sì?" chiese l'interpellato, girandosi.
"Grazie." mormorò il moro, con un sorriso storto.
"Di niente, biscottino." gli sorrise l'uomo.
"Avevi promesso!" gli ricordò Alec, guardandolo male.
Magnus rise. "In realtà non l'ho fatto! Ti ho detto solo "Ok"." sviò, con un sorriso furbo, mentre l'altro gli lanciava la solita occhiata truce. "E poi davvero, cucciolotto, è più forte di me." spiegò, facendogli la linguaccia e uscendo dalla camera, per poi tornare subito dopo sui suoi passi.
"Che c'è?" chiese Alec, vedendoselo di nuovo davanti, mentre stava per chiudere la porta.
"Sono notti e notti che mi tormento." sospirò Magnus, con un sorriso giocoso. "Ti prego, fammi felice, e dimmi cosa c'è sotto quel piumone. Un pigiama o il tuo bellissimo corpo tutto nudo?" ammiccò, indicandogli con un cenno della testa la coperta che il moro stava stringendo.
Gli occhi di Alec si illuminarono per la sorpresa, le guance si tinsero di rosso e lui scoppiò a ridere di gusto. "Non te lo dirò mai!" gli comunicò, avvolgendosi ancora più strettamente nella trapunta.
"Ohhh, andiamo!" lo supplicò Magnus, unendo le mani davanti al viso.
Il moro gli rivolse un sorriso gigantesco. "Buona notte, signor Bane." lo salutò, chiudendo piano l'uscio.
"Sai che sei davvero crudele?!" urlò Magnus alla porta, accigliato, piantandosi le mani sui fianchi.
La risata allegra che sentì dietro lo spesso pannello scuro, però, gli impedì di rimanere imbronciato più dello stretto necessario.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


La tensione sessuale, nei giorni seguenti, non fece che crescere e, ovviamente, era tutta colpa di Magnus.
Erano passati cinque giorni, ormai, da quando Alec e la sua guardia del corpo avevano avuto quella conversazione separati solo dalla sua trapunta e quell'uomo, tanto attraente quanto esasperante, aveva iniziato a giocare sporco.
Con una finta innocenza che non gli apparteneva affatto, infatti, aveva iniziato ad aggirarsi per casa, ogni volta che ne aveva la possibilità, con solo un paio di mutande striminzite addosso oppure faceva finta che gli cadessero degli oggetti di mano per piegarsi in modo provocatorio in avanti, stando ben attento a sporgere esageratamente il sedere.
Magnus non aveva più accennato al loro discorso, né aveva tentato di approcciarlo in alcuna maniera, e di questo Alec gliene era grato, ma il moro sentiva addosso il suo sguardo magnetico dalla mattina alla sera e il suo profumo sembrava essere diventato un tutt'uno con lui, avvolgendolo costantemente come una seconda pelle.
In definitiva, stava lentamente impazzendo!
Ogni volta che ricordava ciò che era successo nella sua camera, la parte irrazionale di Alec gli dava del gigantesco idiota per non aver colto al volo ciò che Magnus aveva da offrirgli, suggerendogli ogni due per tre di spalmarsi addosso alla sua guardia del corpo ogni qual volta l'uomo gli si avvicinava. Ci pensava la sua parte razionale, però, a rimetterlo in riga, rimproverandolo di aver confidato un pensiero tanto intimo proprio a colui che gli metteva in subbuglio gli ormoni e congratulandosi per aver fatto la cosa giusta, non cedendo alla tentazione, sicura che, prima o poi, gli sarebbe passata quella ridicola infatuazione.
Era una situazione assurda, confusa, eccitante e frustrante allo stesso tempo.
A peggiorare ulteriormente le cose ci aveva pensato la furiosa lite che avevano avuto quella mattina e che non aveva fatto altro che accrescere l'elettricità che scorreva tra di loro.
"Per l'angelo, questo sì che è un caffè come si deve. Altro che quella brodaglia che si ostinano a rifilarci continuamente al commissariato!" sospirò Jace, contento, allungando le gambe sopra al bordo dell'angolo della scrivania di Alec. "Grazie, Magnus!" esclamò, grato, voltandosi verso l'uomo che gli aveva portato il caffè e alzando il bicchiere di cartone in segno di ringraziamento.
"Figurati." rispose l'interpellato, sorridendo, mentre scorreva con il pollice di una mano lo schermo del cellulare e reggeva il suo cappuccino con l'altra, sorseggiandolo di tanto in tanto.
Alec spostò appena gli occhi dallo schermo del computer. "Se non metti giù quei piedi, te li taglio." fulminò il fratello, glaciale.
Jace svirgolò le sopracciglia, sorpreso. "Uhhh, qualcuno si è svegliato nervosetto questa mattina, eh?" domandò, tornando a poggiare prudentemente i piedi a terra. "Ehi! Cosa gli hai fatto?" chiese a bassa voce a Magnus, rifilandogli una leggera gomitata.
"Niente." rispose l'uomo, scrollando le spalle con tranquillità, con gli occhi incollati al telefonino. "Non ancora, almeno." mormorò dopo un attimo, con un sorriso sibillino, alzando appena lo sguardo per fare l'occhiolino al moro.
"Perché non sei a lavoro?" sviò Alec, infastidito, ignorando la sua guardia del corpo e ponendo fine a una pericolosissima conversazione che quei due avrebbero potuto intavolare su cosa intendesse o non intendesse dire Magnus con quell'ultima frase.
"Ma lo sono!" ribatté prontamente Jace, sorseggiando un altro po' di caffè. "Ho raccolto le prove e, appena torno in centrale, porto questo in laboratorio." continuò, sventolando platealmente il secondo biglietto di Lydia, diligentemente custodito in una busta di plastica. "Si può sapere perché hai aspettato tutto questo tempo prima di consegnarmelo?" lo rimproverò.
Magnus espirò rumorosamente dal naso e Alec roteò gli occhi, evitando di alzare lo sguardo.
"Te l'ho già detto. Non volevo rovinarti la festa e poi... beh, me ne sono dimenticato." mentì il moro, con tono tranquillo e un'alzata di spalle.
"Sì, certo." lo schernì piano Magnus, mentre pigiava velocemente sullo schermo del cellulare.
"Piantala." ringhiò Alec, secco.
Quel dannato biglietto che Lydia gli aveva fatto recapitare alla festa di fidanzamento del fratello era il motivo per cui aveva bisticciato ancora prima di fare colazione. Quando Magnus aveva scoperto che Alec l'aveva nascosto, senza preoccuparsi di consegnarlo al poliziotto, era andato su tutte le furie e l'aveva minacciato di punizioni memorabili se non si fosse deciso a contattare Jace, per informarlo della mossa della sua stalker.
Alec si ripeté, per la milionesima volta, che il brivido che gli correva lungo la schiena, ogni volta che gli balenavano in mente le parole di Magnus e ciò che avrebbe potuto fargli, era dovuto esclusivamente al fatto che quell'uomo era davvero capace di sculacciarlo davanti a tutti, come aveva giurato di fare, e farlo vergognare da morire. Non c'entrava assolutamente niente quell'oscura smania di essere punito, perché, sì, era stato un bambino davvero, davvero cattivo.
"Novità sul primo messaggio?" chiese Magnus, voltandosi verso il poliziotto.
Jace scosse la testa. "No, non abbiamo trovato niente di rilevante e, come ti ho già detto, non risulta schedata." rispose, imbronciato. "Sto ancora attendendo il file completo. Forse, scavando un po' più a fondo, i miei colleghi riusciranno a scoprire qualcosa anche se non risulta in nessuna banca dati. Ci vorrà del tempo, però, perché in questo periodo siamo tutti impegnati con il lavoro. Il crimine, purtroppo, non va mai in vacanza!"
"E' davvero un peccato che non sia già schedata. Ci sarebbe tornato utile." sospirò Magnus, sorseggiando la sua bevanda calda, tornando poi al suo cellulare per leggere l'ultimo messaggio che gli era arrivato.
"La prossima volta che incontro qualcuno, sarà mia premura chiedergli vita, morte e miracoli della sua esistenza, va bene?" abbaiò Alec, piccato.
Jace alzò un sopracciglio, sorpreso, e tornò a guardare Magnus, che continuava a chattare sul suo cellulare, imperturbabile. "Ok... Non serve che ti arrabbi!" rispose il biondo, titubante. "Sul serio, cosa gli hai fatto?" sussurrò, aggrottando la fronte e accostandosi all'uomo.
"Sono solo stanco, Jace." sviò Alec, stropicciandosi a lungo gli occhi.
"E' comprensibile." annuì il fratello, conciliante. "La tua stalker è una bella spina nel fianco. Quando sono arrivato ho dato un'occhiata in giro, ma non ho visto nessuno che corrispondeva alla sua descrizione. Si è più fatta vedere ultimamente?"
Alec scosse la testa. "Forse si è stancata." esclamò, speranzoso.
"Ne dubito. Persone come lei, difficilmente desistono tanto facilmente." ribatté Jace, massaggiandosi il mento. "Comunque non devi preoccuparti! Terrò sotto controllo l'agenzia."
Alec annuì stancamente. "Grazie."
"Figurati." rispose il fratello, finendo il suo caffè. "Ok, vado. Ti chiamo non appena so qualcosa di più." concluse, alzandosi e salutando il moro e la sua guardia del corpo.
Il silenzio calò nella stanza e Alec lanciò un'occhiata obliqua a Magnus, che, con le lunghe gambe accavallate, continuava a starsene tranquillamente seduto sulla poltroncina davanti a lui e a tenere gli occhi incollati al cellulare, ridacchiando sommessamente di tanto in tanto quando leggeva i messaggi che gli arrivavano. Probabilmente stava messaggiando con qualche spasimante. Anzi, sicuramente lo stava facendo.
Alec iniziò a pigiare i tasti del computer con più forza del dovuto, infastidito. Perché poi fosse così irritato, solo il cielo lo sapeva. Per una volta che quel logorroico rompiscatole non lo investiva con la sua incontenibile parlantina, doveva fare i salti di gioia anziché sentirsi tanto contrariato!
Il cellulare di Magnus vibrò nuovamente e il nuovo messaggio lo fece ridere un po' più forte.
"Non hai niente da fare?" borbottò Alec, continuando a pestare sui tasti del PC.
Un lento sorrise fece capolino sulle labbra carnose di Magnus. "Sai che la frustrazione sessuale è deleteria per il fisico?" lo informò tranquillamente, senza alzare lo sguardo.
"Va a quel paese."
"E aumenta l'aggressività." continuò l'uomo, allegro, puntando finalmente gli occhi verde-oro in quelli blu del moro. "Vuoi che ti aiuti a ridurre la pressione, cioccolatino?" gli chiese, alzando un sopracciglio e ammiccando con fare cospiratorio.
"Quello che voglio è che tu esca da qui. Devo lavorare e il continuo trillo del tuo telefonino mi disturba." rispose Alec, secco.
Magnus sorrise, scosse piano la testa e si alzò in piedi. "Ai tuoi ordini, guanciotte dolci."
Alec lo fulminò con lo sguardo. "Se non la smetti con questi soprannomi, giuro sulla mia famiglia che ti faccio fisicamente del male."
Magnus rise, per nulla colpito dalla minaccia, e poggiò i palmi sulla scrivania del moro, protendendosi verso di lui con aria divertita. "Che c'è, ciliegina? Fremi dalla voglia di avere un incontro corpo a corpo con il sottoscritto?" sussurrò, con voce roca, leccandosi lentamente le labbra.
Alec inghiottì a vuoto. "Non sarai più così baldanzoso quando ti avrò fatto un occhio nero e strappato qualche ciocca di capelli."
"Sai, pasticcino, dovresti davvero fare qualcosa per il tuo caratteraccio." gli suggerì Magnus, mettendosi di nuovo diritto e facendogli l'occhiolino. "Ok, vado a fare la pipì!" comunicò, lanciandogli un bacio volante e uscendo dalla stanza.
"Sai, forse sarà una notizia incredibilmente sconcertante per te, ma posso sopravvivere tranquillamente anche se non mi comunichi tutti i tuoi spostamenti!" gli gridò dietro Alec, continuando a massacrare i tasti del PC.
La risata allegra di Magnus gli arrivò distintamente alle orecchie e il moro fece una smorfia esasperata. Per l'angelo, quell'uomo l'avrebbe portato sull'orlo di una crisi di nervi, prima o poi!
Aveva bisogno d'aria, di uscire un po'. Se fosse riuscito a svignarsela prima che Magnus tornasse dal bagno, forse avrebbe potuto avere un margine di vantaggio e fare quattro passi in libertà, come faceva sempre prima che tutta quell'assurda storia iniziasse.
Senza pensarci oltre, si alzò velocemente dalla sua postazione, afferrò il giubbotto e volò verso l'entrata dell'agenzia, sussurrando a Clary, che aveva alzato uno sguardo incuriosito su di lui, un frettoloso "Torno subito!"
Magnus si sarebbe sicuramente arrabbiato, avrebbe sbraitato e l'avrebbe minacciato di morte, ma non gli importava. Ormai si era abituato alle sue sfuriate! E poi aveva davvero bisogno di stare da solo per qualche minuto. Che male avrebbe potuto fare una passeggiata?
Si mosse a passo spedito, seguendo il flusso delle persone che camminavano sul marciapiede trafficato, poi, mano a mano che si allontanava dall'agenzia, diminuì l'andatura, inspirando ed espirando profondamente.
Dopo una manciata di minuti, si permise di sorridere, compiaciuto. Ce l'aveva fatta! Dopo due tentativi falliti, era finalmente riuscito a sfuggire alle grinfie della sua guardia del corpo! Gli sarebbe tanto piaciuto alzare le braccia, in segno di vittoria, ma l'avrebbero di sicuro preso per pazzo, quindi si limitò a sghignazzare come un idiota.
Camminò, guardandosi attorno, del tutto disabituato a essere di nuovo solo, con i suoi pensieri. Per l'angelo, aveva dimenticato quanto fossero belle le sue passeggiate solitarie senza avere costantemente la voce di Magnus che gli trapanava le orecchie.
Una volta tornato in agenzia, doveva assolutamente prendere da parte la sua guardia del corpo e mettere dei paletti: volente e nolente, quell'uomo doveva capire che doveva lasciargli i suoi spazi, farlo respirare. Cielo, lo trattava sempre come un bambino! Era decisamente ora di finirla.
Scontrò distrattamente la spalla contro un altro passante, un bel ragazzo dalla pelle olivastra che gli chiese subito scusa. Alec gli sorrise, si scusò a sua volta e continuò a osservare, assorto, le varie vetrine che si trovavano lungo il marciapiede.
Si fermò davanti a una libreria: da quanto non leggeva un buon libro? Da quando era arrivato Magnus, aveva iniziato e messo via un numero imprecisato di romanzi, senza mai concluderne uno. Decise quindi di entrare e riprendersi quel suo passatempo, così a lungo trascurato.
Passò in rassegna i vari volumi esposti, toccò con le dita le copertine lucide che profumavano di nuovo, sfogliò pagine di romanzi più o meno pubblicizzati, indeciso su quale libro comprare. Soppesò due tomi voluminosi, scuotendo poi la testa e decidendo che non facevano al caso suo.
Nel momento in cui posò entrambi, colse, con la coda dell'occhio, un movimento insolito. Qualcuno si era repentinamente nascosto dietro uno dei numerosi scaffali presenti nella libreria non appena il suo volto si era girato verso la sua direzione.
Alec aggrottò la fronte, poi scosse con noncuranza le spalle e tornò, tranquillo, a girare per il negozio. Si stava di certo facendo influenzare troppo da Magnus e dalla sua mania di vedere pericoli ovunque si girasse.
Sorpassò, a passo lento, un espositore, poi un altro ancora, ma quella stranissima sensazione di essere seguito non si decideva ad abbandonarlo.
Si fermò davanti a un altro scaffale e nel suo campo visivo comparve nuovamente la figura indistinta di uno sconosciuto che sembrava osservarlo da lontano. Non appena, però, girò il volto verso quella direzione, trovò il nulla e si diede quindi una manata sulla fronte, dandosi un'altra volta dello stupido.
Dio, stava davvero diventando paranoico! E, come sempre, era colpa di Magnus! Per l'angelo, prima del suo arrivo, non era affatto così! Era un ragazzo normalissimo, che faceva cose normalissime. Ora si guardava costantemente attorno e si agitava per cose che esistevano solo nella sua testa. Stava impazzendo, non c'era altra spiegazione!
Scelse un libro e, dopo aver girovagato un altro po' per il negozio, oltrepassò un ragazzo, dai lineamenti vagamente familiari, che stava studiando attentamente il retro copertina di un romanzo. Una manciata di secondi dopo sentì uno spostamento d'aria dietro di lui.
Si voltò di scatto e sbarrò gli occhi: Magnus aveva agguantato lo sconosciuto, che lui aveva appena superato, per un braccio e gliel'aveva piegato dietro la schiena, mentre un grido femminile riecheggiava poco distante da loro. Il moro fece appena in tempo a vedere svolazzare via dei capelli biondi, tenuti ordinatamente raccolti in una sbarazzina coda di cavallo, prima di sentire lo sconosciuto imprecare con veemenza. La sua guardia del corpo l'aveva spinto, infatti, verso un espositore e lo stava schiacciando con il proprio corpo contro il legno duro.
Fu allora che Alec lo riconobbe. La persona che Magnus aveva appena bloccato era il ragazzo con cui si era scontrato sul marciapiede affollato neanche dieci minuti prima.
"Magnus..." mormorò Alec, incredulo.
"Taci." abbaiò la sua guardia del corpo, afferrando ancora più saldamente il malcapitato che si stava dimenando, appoggiandosi con tutto il suo peso contro di lui. Lanciò un'occhiata di fuoco verso la porta del negozio, ormai vuota, e tornò a guardare in cagnesco la sua preda, che tentava in tutti i modi di sfuggirgli.
"Magnus..."
"Ti ho detto di stare zitto." sibilò Magnus, furente, mentre sfilava il portafoglio dello sconosciuto e lo lanciava a un Alec sempre più allibito. "Prendi la sua patente e fai una fotocopia." ordinò, perentorio.
Alec sbatté le palpebre un paio di volte, attonito e incapace di muoversi. "Magnus..." sussurrò nuovamente, come se quel nome fosse l'unica cosa che riuscisse a tenerlo ancorato alla realtà in quella scena surreale.
Magnus lo ignorò, avvicinando la bocca all'orecchio del ragazzo che continuava a dimenarsi. "Il tuo nome." intimò, minaccioso.
"Lasciami andare, figlio di..."
"Il.tuo.nome." ringhiò Magnus, scandendo le parole e stringendo il braccio in una presa ferrea.
L'altro non rispose, limitandosi a guardare intensamente Alec, che se ne stava lì, impalato, a fissare la scena a occhi aperti, con i piedi che si rifiutavano di muoversi, neanche avessero messo delle radici.
Magnus notò la direzione di quello sguardo e voltò violentemente verso di sé il ragazzo. "Stai lontano da lui, dalla sua casa e dalla sua agenzia." comandò, arrabbiato. "Giuro che se ti rivedo di nuovo, ti uccido. Sono stato chiaro?"
Lo sconosciuto continuava a non rispondere, mentre i suoi occhi neri rimanevano incollati alla figura di Alec.
Magnus sbuffò adirato e afferrò per la gola il ragazzo, certo che, ora, avrebbe finalmente attirato la sua attenzione. "Sono.stato.chiaro?" scandì di nuovo, ferocemente.
Il ragazzo spostò finalmente lo sguardo e fissò Magnus con aperto odio. La guardia del corpo strinse più forte finché Alec non gli arpionò il braccio, strattonandolo.
"Magnus!" implorò il moro, quando vide lo sconosciuto gemere e diventare paonazzo. "Magnus, fermati!" lo supplicò. Quando però vide l'altro ignorarlo, Alec gli strattonò il braccio con più fermezza. "Magnus, ti prego! Lo ucciderai!"
Magnus inspirò profondamente, chiudendo gli occhi e rilasciando un pesante sospiro, poi, dopo un lungo e interminabile momento, lasciò con deliberata lentezza il collo dello sconosciuto, che si piegò su se stesso e iniziò a tossire convulsamente.
"Chiama Jace." ordinò Magnus, voltandosi appena verso Alec e prendendogli il portafoglio dalle mani. "Digli che ho preso uno dei tuoi stalker."

"Ma non ha senso!" ripeté Alec, per la milionesima volta, rannicchiato sul suo divano, con le gambe strette al petto. "Magnus..." lo chiamò, titubante.
Magnus strinse maggiormente la presa sui manici della pentola e lo ignorò, guardando fisso il riso che stava scolando.
Era arrabbiato. Dio, se era arrabbiato. Non era mai stato così arrabbiato in vita sua. Mai.
Quando aveva scoperto l'ennesima fuga del moro, un'ondata di panico gli si era insinuata sotto la pelle. Aveva sempre avuto una grande capacità di controllo e più la situazione era difficile, più in Magnus scendeva una calma glaciale che gli permetteva di valutare le possibilità rimaste e trovare una soluzione al problema. In quel momento, però, aveva completamente perso quell'abilità, invaso com'era da una paura latente.
Poi era subentrata la furia, che l'aveva spronato ad agire. Quel piccolo furbetto pensava di averla fatta franca, di averlo seminato, del tutto ignaro che, invece, Magnus aveva installato un'applicazione sul suo cellulare per poterlo localizzare in ogni momento. Non era corretto, lo sapeva bene, ma aveva dovuto prendere provvedimenti già dopo il suo primo tentativo di allontanarsi da lui... quello o farsi installare un catetere e girare perennemente con sacca e tubo di plastica per non lasciare solo il moro neanche per un secondo!
Aveva infilato in fretta e furia la pistola nella fondina sotto il giaccone pesante e, spinto dall'apprensione, si era fiondato fuori dall'ufficio sulle tracce di Alec. Quell'idiota non se ne rendeva conto, ma senza la sua protezione, poteva succedergli di tutto.
Mentre correva nella direzione indicata dal segnale che lampeggiava sullo schermo del suo cellulare, che rivelava la posizione del moro, la tensione l'aveva afferrato in una morsa, spingendolo a chiedersi se la persona che lo perseguitava fosse già accanto a lui o se stesse studiando la prossima mossa, pronto a balzare su Alec da un momento all'altro e fargli qualsiasi cosa la sua mente malata fosse in grado di partorire, senza che lui potesse intervenire.
Lanciò un'occhiata obliqua al ragazzo, che, bianco come un cencio, stringeva le mani attorno alle ginocchia. Gli occhi, resi ancora più grandi a causa di tutta l'agitazione che gli scorreva in corpo, lo fissavano pieni di aspettativa e di attesa.
Si girò per continuare a preparare la loro cena, sentendo, nel frattempo, la rabbia evaporare lentamente. Per quanto ci provasse, quando lo guardava così, con quegli occhioni da cucciolo abbandonato, non riusciva a tenergli il muso troppo a lungo.
Diede un'ultima mescolata alla salsa sambal, si assicurò di spegnere gli altri fuochi per non rischiare di bruciare la sua ricetta e si mosse dalla sua posizione, andando a sedersi accanto a lui con l'ennesimo sospiro. Un giorno o l'altro Alexander Gideon Lightwood sarebbe stato la sua rovina, ne era certo. Prima o poi quel dannato ragazzino dagli straordinari occhi blu e la testa dura come la roccia gli avrebbe fatto venire i capelli bianchi o, peggio ancora, glieli avrebbe fatti cadere tutti. O, ipotesi molto più probabile, gli avrebbe fatto venire un infarto! Sì, un micidiale colpo al suo già provato miocardio e tanti saluti al magnifico e splendido Magnus Bane!
Lo attirò a sé e appoggiò il mento sulla sua testa. "Stai bene?" gli chiese dolcemente, accarezzandogli piano la schiena.
"Sì." rispose Alec, in un sussurro. "Pensavo che l'avresti ucciso." mormorò, con una leggere nota di accusa.
Magnus roteò gli occhi. "Sì, ci sono andato vicino." ammise, senza il minimo rimorso.
In effetti, avrebbe tanto voluto farlo. Ripensandoci, l'uomo si stupì nel ricordare l'ondata di rabbia che l'aveva pervaso quando aveva raggiunto Alec e aveva visto Lydia e quel ragazzo dalla pelle olivastra, che rispondeva al nome di Raj, pedinare e spiare le mosse del moro all'interno della libreria. Il pensiero di Alec in pericolo lo aveva fatto andare fuori di testa, soprattutto perché lui non era lì a proteggerlo, nonostante fosse il suo compito. Non aveva mai provato un sentimento del genere, così feroce e destabilizzante.
"Mi dispiace di averti spaventato." si scusò l'uomo. "Ma ho pensato che se fossi riuscito a terrorizzarlo abbastanza da farsela sotto ti avrebbe lasciato in pace."
Alec alzò appena la testa e lo guardò. "Non mi hai spaventato." replicò, spavaldo.
Era una bugia, ma non era necessario che l'altro lo sapesse. Fino a quel momento aveva considerato le abilità di Magnus come un qualcosa di astratto, di impalpabile. Solo quando aveva scorto la furia omicida negli occhi verde-oro della sua guardia del corpo, aveva finalmente realizzato di cosa era capace di fare l'ex Marine, ricordando distintamente la conversazione avuta settimane prima, quando gli aveva comunicato, senza battere ciglio, che, a differenza sua, lui era capacissimo di togliere la vita a qualcuno.
"Mi fa piacere." sorrise Magnus, dandogli un buffetto sul naso, fingendo di credere alla piccola frottola dell'altro.
Alec scostò la mano, con una smorfia. "E non credo che abbia funzionato." continuò, scuotendo piano la testa.
"No, non lo credo neanche io." sospirò Magnus, infastidito.
Non l'aveva mai detto ad Alec, per non impensierirlo ancora di più, ma aveva notato quel ragazzo gironzolare fuori dall'agenzia di viaggi fin dal suo primo giorno di lavoro. Il moro aveva sempre pensato che ci fosse una sola persona a spiare le sue mosse, a perseguitarlo. In realtà gli stalker erano due e, a differenza di Lydia che era più furba e si faceva vedere raramente, quel tizio era molto più sfacciato e non si faceva alcuna remora a essere ovunque ci fosse anche Alec.
Magnus se l'era ritrovato davanti perfino alla festa di fidanzamento di Clary e Jace, dove lavorava come cameriere, e ricordava bene gli sguardi che quel Raj aveva lanciato a un ignaro e bellissimo Alec, che si muoveva, elegante ed etereo, per la sala durante il party, e i suoi tentativi di flirtare con lui (se così si potevano descrivere quegli approcci patetici e infruttuosi), servendolo sempre per primo e riservando al moro dagli occhi blu gli stuzzichini migliori. Quando Maia aveva consegnato il secondo biglietto di Lydia ad Alec, Magnus aveva guardato in giro per la sala non solo per vedere se scovava una donna dai capelli biondi, ma per verificare dove si era cacciato il ragazzo dalla pelle olivastra che, ovviamente, era sparito.
Scosse la testa per scacciare il pensiero di quel fastidioso seccatore e si alzò dal divano. "Hai fame?" chiese, quando sentì lo stomaco dell'altro brontolare. Alec fece spallucce e Magnus sorrise, afferrandolo poi per le mani e tirandolo su. "Dai, vieni ad aiutarmi." gli disse, conducendolo verso i fornelli, nel tentativo di distrarlo da quanto successo quel pomeriggio.
Alec prese una ciotola per versarci dentro l'insalata fresca, mentre Magnus riprendeva il comando della sua postazione.
"Cosa cucini di buono?" chiese il moro, annusando l'aria pervasa da un delizioso profumo.
"Nasi goren. E' un piatto indonesiano." spiegò Magnus, tagliando gli ingredienti con fare esperto e iniziando a farli saltare nel wok.
"Dove hai imparato a cucinare?" chiese Alec, curioso, tagliando a fette il pomodoro da aggiungere all'insalata. "I soldati hanno tempo da dedicare alla cucina?"
"Fin da piccolo i miei genitori mi hanno insegnato ad arrangiarmi, nel caso ne avessi avuto bisogno." gli confidò Magnus, mescolando il cibo all'interno del tegame. "Quando ho lasciato la Marina, ho anche frequentato un corso di cucina."
"Davvero?"
Magnus annuì, sorridendo. "Certo, tesoro! Saper cucinare bene è una dote che torna molto utile, soprattutto quando vuoi fare colpo e conquistare qualcuno." dichiarò, aggiungendo il riso bollito e facendogli l'occhiolino.
Alec gli fece un sorriso storto. "Mi stai dicendo che stai tentando di fare colpo su di me?" chiese, compiaciuto, con le guance leggermente arrossate.
Magnus rise, spegnendo il fuoco sotto il tegame. "Forse." ammise, allungando una mano per prendere un paio di piatti. Riempì abbondantemente quello di Alec, servendosi poi a sua volta, e posò tutto sul tavolo. "Buon appetito, fagiolino."
"Sai..." iniziò Alec, con la bocca piena, dopo aver trangugiato con entusiasmo due forchettate di cibo. "...potrei seriamente prendere in considerazione l'idea che tu, in fondo, in fondo, non sia una dannata spina nel fianco, se la piantassi con questi nomignoli."
Magnus rise e scosse la testa. "Niente da fare, frittatina."
Alec si imbronciò. "Avevi promesso." gli ricordò, con tono accusatorio.
"Non l'ho mai fatto." ribatté prontamente l'altro, con un enorme sorriso.
"Sì, invece!" replicò indignato il moro, facendo ridere la sua guardia del corpo.
"Ahn-ahn!" rispose Magnus, scuotendo l'indice. "Ti ho solo detto ok." dichiarò, con aria furba.
Alec gli fece una pernacchia rumorosa, poi scrollò le spalle e riprese a mangiare con gusto, mentre Magnus lo faceva ridere raccontandogli alcuni aneddoti sul suo corso di cucina che aveva seguito, degli impacciati esordi e sull'esito disastroso di una cena che aveva preparato per una sua ex, quando, per fare il dolce, aveva utilizzato il sale al posto dello zucchero.
"Anche Izzy lo fa spesso." confessò Alec, asciugandosi una lacrima.
"Davvero?"
"E' negata!" confermò Alec, scuotendo affettuosamente la testa. "Una volta ha messo a scaldare una pizza surgelata sulla griglia del forno, senza posarla su un piatto, e la base e il condimento sono colati sul fondo! Un'altra ancora ha bruciato la pasta, facendola attaccare alla pentola!" gli raccontò, con trasporto. "E lasciamo perdere le volte in cui ha distrutto il forno a microonde!"
"Tu, invece, ho visto che sai cucinare."
Alec annuì. "Con il lavoro di mio padre, i miei genitori erano a casa raramente, così io mi occupavo dei miei fratelli o aiutavo i domestici nei lavori di casa."
Magnus sorrise teneramente all'idea di un piccolo Alec calato nel ruolo del responsabile fratello maggiore e fu felice di vederlo mangiare voracemente e raccontare allegramente i suoi di aneddoti, ben sapendo che, presto, quel sorriso sarebbe sparito dopo quello che doveva ancora raccontargli su quanto aveva scoperto Jace. Detestava l'idea di spegnere l'aria distesa e serena che aveva in quel momento, ma sapeva che non sarebbe servito a niente procrastinare la discussione.
"Ho dato a tuo fratello il numero di patente di quel Raj." iniziò, alzandosi da tavola e cominciando a sparecchiare.
"E...?" chiese Alec, vedendo che l'uomo continuava a trafficare con i piatti, senza guardarlo.
Magnus si bloccò e fece un respiro profondo, prima di parlare di nuovo. "E' stato arrestato due anni fa per aver picchiato il suo ex fidanzato. Lui lo aveva lasciato e, da allora, il tuo stalker ha iniziato a molestarlo." lo informò, caricando la lavastoviglie.
Alec spalancò gli occhi, alla notizia. "Lo molestava?"
"Lo seguiva ovunque andasse, lo tempestava di lettere e telefonate a tutte le ore, andava di notte a casa sua a urlare sotto la sua finestra oscenità e insulti."
"Per l'angelo..."
"Dal rapporto che mi ha inviato Jace, sembra che Raj sia un tizio molto possessivo e anche violento. Ha fatto a pugni con un uomo che aveva "osato" parlare con il suo ex e ha minacciato anche i colleghi di lavoro di quest'ultimo." rivelò Magnus, tetro, mentre strofinava con energia il wok con una spugna. "Avrebbe dovuto vedere uno psicanalista, come parte dell'accordo per gli arresti domiciliari, ma non so se, alla fine, ci sia andato. Jace mi ha scritto che verificherà anche questo."
"Quando..." iniziò Alec, ingoiando un nodo di saliva. "...quando è stato denunciato, ha smesso di tormentare il suo ex?"
Magnus si bloccò, girandosi poi per guardarlo. "Il suo ex se ne è andato di casa e non è più tornato. Non si sa dove sia, ora."
Alec sentì il cuore balzargli nel petto. Che gli fosse successo qualcosa, a causa di Raj? E se anche la sua situazione si fosse fatta così critica, come gli aveva sempre detto Magnus? E se quel Raj si fosse fissato con lui come aveva fatto con il suo ex? Cosa avrebbe fatto? E Lydia? Che rapporti aveva con quel ragazzo, spuntato all'improvviso sulla scena?
"Non devi preoccuparti." lo rassicurò Magnus, quasi fosse capace di leggergli la mente.
Alec alzò lo sguardo e incrociò quello della sua guardia del corpo.
"Ci penso io a proteggerti." affermò l'uomo, deciso. "Non permetterò mai a nessuno di farti del male, Kallìpygos." concluse, facendogli l'occhiolino.
L'espressione sul viso di Alec, da preoccupata, si trasformò in un'occhiata da serial killer. "Se ti pago, la smetti?"
Magnus gli rivolse un sorriso abbacinante. "Mai. Neanche per tutto l'oro del mondo, mio dolce tartufino pregiato."
Il campanello suonò proprio nell'attimo in cui Alec rivolgeva un indispettito dito medio a Magnus, che rideva allegramente.
"Stai aspettando qualcuno?" chiese la guardia del corpo, aggrottando la fronte.
Alec scosse la testa, seguendo l'uomo che si stava dirigendo verso la porta. Quando vide suo fratello Jace e la sua collega, Aline Penhallow, fermi sulla soglia, in divisa ufficiale, e, soprattutto, notò la loro espressione, intuì che qualcosa non andava.
"Jace?!" esclamò il moro, sorpreso.
"Ciao ragazzi."
"Come mai sei qui?"
Jace non rispose, guardando Magnus, che accennò un sorriso.
"Credo siano qui per me, tesoro." lo informò la guardia del corpo, rispondendo al posto del biondo poliziotto. "Giusto?" domandò, piegando la testa.
Jace annuì. "Magnus devi venire con noi in centrale."
"Cosa?" si intromise Alec, sorpreso. "Perché?" chiese, mettendosi davanti all'uomo, quasi avesse voluto proteggerlo.
"C'è un avviso di garanzia a suo carico."
"Un avviso di garanzia?" chiese Alec, sempre più scioccato. "Ma... per cosa?"
"Aggressione."
"Aggressione?" domandò Alec, allibito. "Aggressione verso chi?"
"Raj." intuì Magnus, conciso.
Alec fissò prima l'uomo poi suo fratello, con gli occhi spalancati. "Raj? Ma... è lui il molestatore, per l'angelo! Come può denunciarti?!"
Magnus scrollò le spalle e gli rivolse un sorriso rassicurante. "Non preoccuparti, dolcezza. Sistemerò la faccenda in breve tempo e poi ternerò subito da te." affermò, voltandosi verso gli agenti di polizia. "Mi date due minuti che gli spiego come funziona il sistema d'allarme?"
Jace annuì, entrando in casa e facendo segno alla collega di seguirlo. "Vieni, Ally. Andiamo a berci una buona tazza di caffè intanto."
"Ma..." mormorò Alec, guardando prima i due poliziotti recarsi verso la sua cucina e poi la sua guardia del corpo, che si stava allontanando da lui. "Ehi! Magnus!" lo chiamò, seguendo l'uomo che si stava dirigendo verso la camera da letto del moro, puntando a un pannello posto accanto alla porta.
"Ascoltami bene, passerotto." iniziò Magnus, serio, spiegandogli poi la procedura per inserire e disinserire l'antifurto, compito che, fino a quel momento, aveva sempre svolto lui. "Ti prego non uscire per niente al mondo, ma, se proprio decidi di farlo e, mentre rincasi, qualcuno ti spunta all'improvviso alle spalle, costringendoti a entrare con forza in casa, fingi di aver dimenticato il codice e lascia scattare l'allarme, va bene?" si assicurò. "Quando verrai contattato dal servizio di sicurezza, comunica loro il codice e aggiungi una P alla fine del numero."
"Una P?"
"Per pericolo." spiegò Magnus. "In questo modo, sapranno che c'è qualcosa che non va e avviseranno subito la polizia. Ok?"
Alec annuì, poi incatenò gli occhi ai suoi. "Vengo con te." asserì, deciso.
Magnus sorrise. "Orsacchiotto, sai che adoro averti appiccicato a me in ogni momento della giornata, ma non credo sia il caso." replicò dolcemente, posandogli una mano sulla guancia e accarezzandogliela con il pollice. "Quando sarò uscito inserisci l'allarme, va bene? Se dovessi averne bisogno, c'è una pistola sotto il mio cuscino."
Alec spalancò gli occhi, sbalordito. "Una pistola?"
"Usala solo se dovessi averne bisogno, ok?" ripeté Magnus, stringendogli una spalla. "Non voglio che tu ti ferisca sparandoti a un piede per sbaglio!" scherzò.
Alec annuì, mentre Jace e la collega si avvicinavano nuovamente a loro. "Andiamo, Magnus?"
L'uomo annuì, voltandosi poi verso il moro. "Ci vediamo più tardi, tortino di mele." lo salutò, protendendosi per posargli un bacio leggero sulla fronte. "Fai il bravo, ok?" sussurrò dolcemente. "E non dare alcuna festa scatenata in mia assenza, intesi?"
Alec non poté fare altro che annuire, come un automa, le braccia inermi lungo i fianchi.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Vedere Magnus uscire di casa, scortato dalla polizia, fu un colpo duro per Alec.
Non avrebbe mai immaginato che, un giorno, quell'insopportabile, logorroico, impertinente gli avrebbe fatto fremere il cuore per la preoccupazione, eppure era successo.
Non era passata neanche mezz'ora da quando il trio aveva lasciato il suo appartamento che il telefono di casa aveva iniziato a squillare.
"Pronto?" chiese, nella speranza che fosse quell'idiota della sua guardia del corpo che lo rassicurava che era tutto risolto.
"Ah! Bane ti lascia rispondere nonostante tu sia a casa tutto solo soletto?" esclamò, con tono di scherno, una voce femminile.
Alec si accigliò leggermente. "Chi..." iniziò a chiedere, per poi bloccarsi, colto da un'improvvisa illuminazione. "Lydia?" domandò, sorpreso.
"Proprio io, amore." tubò la ragazza.
Alec sentì il sangue ribollirgli nelle vene al pensiero di ciò che quella donna, in combutta con Raj, aveva fatto a Magnus. "Che cosa vuoi?" chiese, tagliente.
"Voglio che tu stia lontano da lui. Tu sei mio. Solo mio." sibilò Lydia. "Digli di togliersi dai piedi. Sono stata chiara?"
Alec pigiò con decisione sul tasto che chiudeva la comunicazione, furioso, ma non fece in tempo a poggiare la cornetta sul tavolino in ingresso che il telefono riprese a suonare. Indeciso se rispondere o meno, alla fine accettò la chiamata perché c'era sempre la possibilità che fosse Magnus che lo informava che aveva sistemato tutto e che stava tornando a casa.
"Pronto?" domandò, secco.
"Amore, è inutile che mi sbatti il telefono in faccia. Lo so che ti eccita tutta questa situazione." mormorò, civettuola, la voce di Lydia. "E so che odi avere intorno quel pazzo psicopatico! Dio, lo spettacolo di oggi è stato davvero patetico, non sei d'accordo? Chi crede di essere? Frank Farmer?" rise, sprezzante.
"Non osare prenderti gioco di lui!" ringhiò Alec, protettivo.
Lydia rise, divertita, mentre Alec stringeva la cornetta, sempre più arrabbiato. Ok, forse lui e Magnus avevano iniziato con il piede sbagliato e il più delle volte (cioè praticamente ogni giorno) lo faceva andare fuori di testa con il suo comportamento, ma nessuno doveva arrogarsi il diritto di insultare la sua guardia del corpo, men che meno una pazza squilibrata che si era invaghita di lui. Solo ad Alec spettava questo privilegio. Se l'era guadagnato sul campo, per l'angelo! Soprattutto perché Magnus l'aveva costretto a guardare quel dannato film, passando il tempo a vantarsi che lui era molto meglio di Kevin Costner e ad asserire, con convinzione, che Alec era la sua Rachel Marron, nonostante fosse stonato come una campana.
"Comunque, amore, volevo anche dirti di iniziare a cercare il tuo vestito nuziale. Tra non molto ti comunicherò la data del nostro matrimonio. Sarà favoloso, vedrai!"
"Perché io?" gridò Alec, esasperato. Quella ragazza era pazza, non c'era altra spiegazione! Era davvero convinta che l'avrebbe sposata? "Non mi conosci nemmeno e non voglio avere niente a che fare con te!"
"Oh, amore... perché ti ho voluto dal primo momento in cui ti ho visto." sussurrò Lydia, estasiata, prima di riagganciare con una risata argentina.
Il telefono tornò a suonare nuovamente dopo pochi minuti, ma Alec si rifiutò di rispondere e lasciò scattare la segreteria telefonica, spegnendo anche il telefonino nel caso in cui quella squinternata avesse trovato il suo numero e iniziasse a chiamarlo anche lì.
A un certo punto aveva staccato anche il telefono di casa e, dopo un'ora, il campanello iniziò a suonare insistentemente. Il cuore di Alec cominciò a battere come un forsennato, mentre si accostava, titubante, allo spioncino: che Lydia avesse deciso di venire personalmente da lui, visto che non rispondeva più alle sue chiamate?
Sorpreso, aprì subito dopo la porta a due agenti speciali della Marina che conosceva bene: Ragnor Fell e Raphael Santiago.
"Niño! Dannazione, perché non rispondi al telefono?" brontolò Raphael, scuotendo la testa con disapprovazione. "Sniper è fuori di sé dalla preoccupazione!"
"Raphael! Ragnor!" esclamò Alec, stupito. "Cosa ci fate qui?"
"Ciao, Alec." lo salutò Ragnor, con un sorriso gentile. "Scusaci per il disturbo, ma Magnus ci ha chiamati e..."
"Vi ha chiamati?" lo interruppe il moro, sbalordito.
Ragnor annuì. "Non rispondevi al telefono e ci ha chiamati." ripeté.
"Perché avrebbe dovuto chiamarvi?" chiese Alec, accigliandosi. "Ohhh, no! No!" ringhiò subito dopo, piantandosi le mani sui fianchi, indispettito. "Per l'angelo, la dovete smettere di trattarmi tutti come un bambino! Sono capacissimo di restare da solo! Non ho bisogno di altri babysitter!"
Raphael roteò gli occhi. "Gliel'abbiamo detto, niño." rispose, con un sorrisetto divertito. "Ma conosci quell'idiota! Sai benissimo quanto può essere insopportabilmente insistente."
Alec fissò con aria truce entrambi, liquidandoli poi con un gesto stizzito della mano e voltando loro le spalle. Si diresse verso il soggiorno per raccogliere il portafoglio e il cellulare e ritornò sui propri passi, andando verso la porta di casa.
"Dove credi di andare?" chiese Ragnor, accigliandosi e agguantandolo al volo per un gomito.
"Vado ad aiutare Magnus... ma soprattutto a dirgliene quattro!"
"Alec, non serve che..." iniziò Ragnor, gentile.
"Sentite, ero là! Spiegherò agli agenti come sono andati i fatti e sistemerò le cose!" lo interruppe Alec, sbrigativo.
Raphael scosse la testa. "Niño non devi preoccuparti. Tessa è già lì."
"Tessa?"
"Theresa Gray . E' la fidanzata di Will. E l'avvocato di Mags." spiegò Ragnor, con un sorriso.
"Coraggio, niño, perché non ti siedi, tranquillo? Mh?" gli suggerì Raphael, spintonandolo con decisione verso il divano.
Alec lo ignorò. "Se volete mettervi comodi, fate pure." replicò, scansando il Marine e tornando a dirigersi verso la porta. "Io vado in centrale. Ci vediamo al mio ritorno!"
Ragnor gli sbarrò la strada, incrociando le braccia al petto. "Alec, per cortesia, siediti." ordinò in tono gentile, ma fermo.
Alec sostenne lo sguardo dell'uomo dai capelli verdi, senza cedere di un millimetro. "Spostati o sarà peggio per te."
Ragnor sospirò. "Alec..." tentò, conciliante.
"Spostati.ho.detto." scandì Alec, determinato.
"Querido, [ndr. caro] non credo riusciremo a fargli cambiare idea." commentò Raphael, massaggiandosi il mento. "Che dici? Lo accompagniamo? Sono certo che non rimarrà traumatizzato vedendo una centrale di polizia."
"E va bene." concesse Ragnor dopo un lungo momento, alzando gli occhi al cielo. "Andiamo."
"Non ho bisogno..." tentò di obiettare Alec.
"Non sfidare la sorte, niño!" esclamò Raphael, picchiettandogli l'indice contro il petto con finta aria minacciosa.
Alec sbuffò e alzò gli occhi al cielo. "Andiamo. Ma ribadisco, visto che tutti a quanto pare se ne dimenticano fin troppo facilmente, che non ho cinque anni!" borbottò, spingendo i due soldati, che ridacchiavano divertiti, fuori dalla porta.
Giunti a destinazione, non poterono far altro che aspettare, seduti in sala d'attesa, assistendo all'attività frenetica, tipica di una centrale di polizia, che si svolgeva attorno a loro: criminali in manette scortati da poliziotti dall'aria seria, ufficiali di polizia che chiacchieravano dei casi in corso, sparendo dietro porte con vetri spessi e smerigliati, e semplici cittadini dall'aria trafelata che andavano avanti e indietro, in attesa di essere ascoltati.
"Magnus sa sempre come tirarsi fuori dai guai." asserì, a un certo punto, Ragnor, tranquillo, dando una pacca rassicurante al ginocchio di Alec che si agitava tutto a causa del nervosismo del suo proprietario.
Il moro annuì distrattamente, poi si alzò e cominciò a marciare su e giù per il corridoio, torturandosi l'unghia del pollice con i denti. Un poliziotto dall'aria gentile gli aveva detto che avrebbe informato suo fratello che era lì e gli aveva assicurato che sarebbe tornato presto con notizie sulla sua guardia del corpo. Peccato che fosse sparito dietro quelle porte dai vetri traslucidi e non fosse più tornato!
Passò più di un'ora prima che Magnus facesse la sua comparsa da dietro una di quelle misteriose porte della centrale, che conducevano chissà dove.
"Magnus!" esclamò, sollevato, quando lo vide.
L'uomo era splendido come sempre e gli andò incontro come se stesse facendo una sfilata di moda, con i primi cinque bottoni della camicia slacciati che lasciavano abbondantemente scoperto il petto color caramello e il giubbotto buttato mollemente su una spalla, anziché tornare da un estenuante interrogatorio durato ore e ore. Alec, invece, aveva il pollice di una mano martoriato e inondato di saliva, stava sudando come un maiale allo spiedo, aveva i vestiti stazzonati, i capelli sparati in tutte le direzioni e sembrava che avesse appena finito di correre la maratona di New York, anziché attendere notizie della sua guardia del corpo in una saletta anonima della centrale di polizia. La vita era davvero ingiusta.
"Gracias a Dios!" [ndr. Grazie a Dio!] esclamò Raphael, alzando gli occhi al cielo. "Giuro che stavo per legarlo alla sedia pur di smettere di vederlo andare avanti e indietro!"
Magnus lanciò ad Alec e ai suoi due ex colleghi un'occhiataccia. "Perché lui è qui? Vi avevo chiesto di tenerlo d'occhio. Nel suo appartamento." brontolò, infilandosi il giubbotto di pelle.
Alec sbuffò. "Loro non c'entrano. Sono io che ho deciso di venire e loro sono stati tanto gentili da accompagnarmi."
"Dovevi rimanere a casa." sbottò Magnus, incrociando le braccia al petto.
"Ehm... direi che il nostro compito l'abbiamo svolto, no?" disse Ragnor, voltandosi verso Raphael. "Andiamo, chico [ndr. piccolo], credo che li possiamo lasciare soli." continuò, con fare cospiratorio, alzandosi e posando poi una mano sulla spalla dell'ex collega, dandogli una serie di pacche amichevoli.
"Pórtate bien, tonto!" [ndr. Comportati bene, idiota] esclamò Raphael, facendogli la linguaccia e dandogli un leggero e scherzoso pugno sul petto.
Magnus li liquidò con un'occhiataccia che non era truce nemmeno la metà di quanto sperava, poi si voltò nuovamente verso Alec, guardandolo male. Con lui ci riusciva molto meglio.
Alec sostenne il suo sguardo senza battere ciglio e si piantò le mani sui fianchi. "Grazie, Alec, per esserti preoccupato per me!" scimmiottò, agitando la testa. "Oh, prego Magnus. Era davvero il minimo che potessi fare." continuò, con aria compiaciuta, sventolando una mano.
Magnus lo fissò, interdetto, poi scoppiò a ridere. "Grazie, Alec, per esserti preoccupato per me." gli sorrise, divertito.
"Prego." rispose Alec, con un cenno della testa e un sorriso storto. "Com'è andata?"
Magnus scrollò le spalle, incamminandosi verso l'uscita e prendendo il moro sottobraccio. "Devo presentarmi in tribunale tra un mese." comunicò, tranquillo. "Jace, intanto, sta continuando le sue ricerche e lunedì mattina richiederà un'ordinanza del tribunale che intimerà a Raj di starti lontano. Dopo ciò, distribuiremo le sue fotografie sia nel tuo palazzo che tra i tuoi vicini d'ufficio, così che, se si farà vedere di nuovo, verrà arrestato."
Una volta ritornati a casa, Magnus guardò serio il moro. "Reinserisci l'allarme. Voglio che ti abitui a disattivarlo e a riattivarlo ogni volta che esci o entri a casa."
Alec gli lanciò un'occhiata perplessa. Il tono di voce dell'altro era urgente, come se temesse che lui dimenticasse quel dettaglio importante, e poteva sentire il suo corpo vibrare per la rabbia repressa, come se bastasse un niente per farla esplodere.
Alec sapeva che Magnus era arrabbiato per l'intera situazione, lo era anche lui dopotutto, ma aveva come la sensazione che la sua irritazione e la sua agitazione fossero causate anche da qualcosa di molto più profondo.
Si diresse verso la sua camera e fece come gli era stato detto, poi tornò da in salotto.
"Stai bene?" chiese il moro.
"Sì. Perché me lo chiedi?" domandò Magnus, accigliandosi e trafficando in cucina.
"Sembri... strano." notò Alec, facendo spallucce e raggiungendolo.
"Ero preoccupato di lasciarti solo." ammise Magnus, posando due bicchieri sul tavolo.
"So badare a me stesso." ripeté Alec, per la milionesima volta da quando si conoscevano, roteando gli occhi.
Magnus sorrise appena, stappando con esagerata attenzione la bottiglia di vino che aveva preso dal frigo, ed evitando di fare commenti, cosa che insospettì ancora di più il moro.
"C'è dell'altro, vero?" chiese Alec, piegando la testa e sedendosi di fronte a lui.
Magnus versò una dose generosa di vino in entrambi i bicchieri e sorseggiò il suo con calma, senza dire un parola. Il moro ignorò il liquido rosso e attese, paziente, di sapere cosa nascondesse l'altro che, dopo interminabili minuti, finalmente si decise a rompere il silenzio.
"Ho quasi perso Cat, la mia migliore amica, a causa di un molestatore." spiegò, a bassa voce. "Credevo fosse innocuo e l'ho sottovalutato."
"Hai semplicemente commesso un errore di valutazione. Può capitare." commentò Alec, nel tentativo di incoraggiarlo.
"E' stato un errore che poteva costare la vita a qualcuno. Mi sono distratto e non doveva succedere."
"Ma... la tua amica ora sta bene, no?"
Magnus bevve un lungo sorso. "Non grazie a me. Le dissi che quel tizio si sarebbe stancato presto, che avrebbe smesso di ronzarle attorno da un giorno all'altro, che non era poi così pericoloso. Mi sbagliavo."
"Magnus, non è colpa tua." lo consolò Alec, picchiettandogli una mano.
Magnus scrollò le spalle, come se volesse scacciare quei ricordi molesti, e lo fissò intensamente. "Non commetterò lo stesso errore due volte." comunicò, deciso. "Da questo momento, esigo che tu esegua tutti i miei ordini. Se ti dico di fare una cosa, mi aspetto che tu ubbidisca. Chiaro?"
Alec inarcò un sopracciglio, poi, con una calma che non credeva di possedere, rispose "No." e sostenne con tranquillità lo sguardo infuocato dell'altro.
"No?" ribatté Magnus, sorpreso.
"No." ripeté il moro, annuendo con convinzione.
"Senti, Alec..."
"Magnus, sarai anche la mia guardia del corpo, ma non sei il mio padrone." spiegò Alec, sicuro.
"Alec, è per la tua sicurezza."
"Non ne dubito, ma..."
"Niente ma! Farai come ti dico!" esclamò Magnus, battendo, con forza, il palmo della mano sul tavolo.
"Senti, Magnus..." iniziò Alec, prendendo un respiro profondo e imponendosi di fare l'adulto ragionevole. "So che la situazione è esasperante..."
"Voglio che qualcuno sappia sempre dove sei, se io non ti sono accanto." lo ignorò Magnus. "Non voglio che tu vada da nessuna parte da solo e, se pensi che qualcuno segua te e chi ti accompagna o se ti si avvicina un tizio dall'aria strana, voglio che fai in modo di avere sempre testimoni attorno, qualcuno che ti garantisca un minimo di protezione."
"Sei serio?" chiese Alec, pensando che l'altro stesse esagerando come al solito.
Magnus indurì l'espressione del viso. "Alec, quello che è successo oggi cambia completamente le carte in tavola. Devi adeguarti alle mie nuove disposizioni. Che ti piaccia o meno, la tua vita è cambiata nel momento esatto in cui Lydia è entrata nel tuo ufficio e oggi le cose sono precipitate. Non so che rapporto ci sia tra lei e Raj, ma è chiaro che i due sono complici e non si tratta più di avere a che fare con una ragazzina bionda ed esile, che tu credi innocua."
Alec strinse le mani a pugno, inspirando ed espirando a fondo, nel tentativo di tenere a bada l'irritazione. Magnus gli stava praticamente ordinando di mettere da parte la sua indipendenza, mettendogli delle immaginarie manette ai polsi e proibendogli di vivere liberamente la sua vita, ma se pensava di mettere in atto quella sua idea scellerata... beh, se lo poteva scordare!
"No!" rispose, con tono sicuro, alzandosi in piedi.
"Sialan [ndr. Dannazione], voglio solo proteggerti! Perché deve essere sempre tutto così complicato con te?" sbottò Magnus, alzandosi a sua volta.
"Perché tu vuoi comandarmi a bacchetta!" protestò Alec, stizzito, marciando avanti e indietro. "Per l'angelo, con te mi sembra di tornare adolescente, quando mio padre mi costringeva a sottostare alle sue regole e disapprovava e correggeva ogni mia mossa!"
"Ti giuro che non è questo il mio intento." ribattè Magnus, sorpreso, addolcendosi un po'.
"Sì, beh, ti assicuro che le tue sembrano più critiche su come voglio vivere che un'offerta di aiuto!"
"Perché tu ti ostini a non capire la gravità della situazione!" ribattè Magnus, allargando le braccia, esasperato.
"Non sono stupido, Magnus." sibilò Alec, fermandosi di scatto e rivolgendogli uno sguardo tagliente.
"Non ho detto che lo sei." replicò Magnus, piantandosi le mani sui fianchi.
"Ma lo pensi."
"No che non lo penso!" rispose Magnus, spazientito.
"Sì, certo!" lo schernì Alec.
"Ok, a volte ti comporti in modo avventato, senza pensare alle conseguenze, ma..."
"E' colpa tua!"
"Mia???"
"Mi fai arrabbiare con i tuoi modi dispotici e prepotenti!" lo accusò Alec, riprendendo a fare avanti e indietro. "E quindi, di conseguenza, smetto di pensare con lucidità!"
"Oh, scusami se tento di salvarti il culo da due stalker e un mitomane che manda e-mail minacciose!" lo schernì Magnus, con una smorfia.
"Non te l'ho mai chiesto! E' stato mio padre ad assumerti! Io..."
"Tu sai badare a te stesso." concluse Magnus, per lui, scimmiottandolo. "Ohhh, sì! Ho visto, oggi, come ci riesci! Sei talmente bravo a badare a te stesso che non ti sei neanche accorto che gli stalker sono due, che ti hanno seguito e che ce li avevi entrambi a un palmo dal tuo naso!" commentò, con un sorriso di scherno.
"Vai a farti fottere!"
"Solo se lo fai tu, tesoro." replicò prontamente Magnus, sorridendo sinceramente.
Alec sentì le guance scaldarsi, ma era troppo irritato per badarci. "Piuttosto la morte!" esclamò di slancio, con tono melodrammatico.
Magnus sigillò le labbra in una lunga linea sottile, pur di non ridere.
"Non c'è niente di divertente!" lo redarguì Alec, sempre più arrabbiato. "So che tutti pensano che abbia bisogno di aiuto, che non sappia cavarmela da solo! Tu, mio padre, la mia famiglia... per l'angelo, anche i tuoi colleghi hanno sentito l'esigenza di venire a farmi da babysitter, invece di mandarti al diavolo!" ringhiò, esasperato. "Beh, io invece posso dimostrarvi che sono capace di difendermi da solo!"
"Alec..." lo interruppe Magnus, con tono dolce. "Sei una brava persona, gentile e altruista. Vivi per conto tuo da quasi dieci anni, sei bravo nel tuo lavoro e hai un'agenzia di viaggi che va a gonfie vele. La tua famiglia sa quanto vali. Non devi dimostrare niente a nessuno."
"Davvero?" lo schernì Alec, cupo. "Tu non hai vissuto anni della tua vita con il terrore di sentirti inadeguato, di sbagliare di continuo, di essere una spina nel fianco per tuo padre. Avevo dimenticato questa sensazione orribile, ma poi arrivi tu, con il tuo modo di fare autoritario e prepotente, e... Dio, quanto ti odio!"
La guardia del corpo piegò la testa e lo fissò attentamente. Finalmente capiva perché Alec si ostinava a rifiutare il suo aiuto in modo così testardo ed energico. Senza rendersene conto, si era comportato proprio come Robert Lightwood. Magnus si detestò per questo.
"Mi dispiace, Alec. Sul serio." si scusò, con sincerità. "Ti giuro che non era questo il mio intento. Voglio solo proteggerti."
"Simon mi ha installato un efficientissimo impianto di sicurezza sia qui che in ufficio. Ho tutto ciò di cui ho bisogno per non morire domani mattina." argomentò Alec, con convinzione. "Se vuoi continuare a essere la mia guardia del corpo, voglio che tu allenti la presa e mi lasciami respirare o giuro sul bene che voglio alla mia famiglia che ti farò sostituire domani stesso." lo minacciò, guardandolo mortalmente serio.
"Ti faresti proteggere da qualcun altro?" chiese Magnus, sorpreso da quell'ultimatum.
"Certo." confermò Alec, senza alcuna esitazione.
Quelle parole ebbero il potere di zittire Magnus. Vide la furia battagliera e determinata negli occhi del moro e capì che parlava seriamente.
La guardia del corpo sapeva che le misure che intendeva adottare erano estreme e che l'altro avrebbe fatto fatica a "comprendere", ma quel benedetto ragazzo doveva anche capire che non poteva continuare a fare come se niente fosse. Per il suo bene doveva adattarsi, "piegarsi", fino a quando tutta quella assurda situazione non fosse finalmente risolta.
"Hai idea di quello che ho passato oggi, con la tua fuga?" mormorò Magnus, incapace di credere che il moro fosse pronto a sostituirlo senza battere ciglio.
Lui aveva passato ore a preoccuparsi per lui, prima quando era "scappato" e dopo quando non rispondeva al telefono, e quest'ultimo gli stava praticamente chiedendo di smettere di farlo e voleva che facesse un passo indietro, altrimenti l'avrebbe licenziato? No, Magnus non era fatto così e non poteva smettere di preoccuparsi del moro con un semplice schiocco delle dita, nonostante la minaccia di interrompere il loro rapporto.
"Senti, Magnus, voglio che tu la smetta di trattarmi come una bambola di porcellana! Ho quasi ventinove anni, per l'angelo! Sono un uomo! Non ho alcuna intenzione di sottostare alle tue stupide regole e sappi che..." stava continuando Alec, nervoso, prima di venire interrotto bruscamente da Magnus che, con un unico e rapido movimento, lo acchiappò, lo strinse in un abbraccio deciso e lo baciò.
Da qualche parte, una vocina preoccupata, nel suo cervello, sgridò Magnus, asserendo che non era affatto corretto quello che stava facendo e che questa volta avrebbe potuto farsi davvero male, uscirne a pezzi, quando Alec gli avrebbe dato un prevedibile e meritatissimo benservito, ma lui la respinse, deciso, perché quello gli sembrava l'unico modo sensato per far capire a quella testaccia dura come il marmo quello che provava.
Saperlo in pericolo lo destabilizzava come niente altro, nella sua vita, era mai riuscito a fare. Lui, l'ex Marine dalla mira infallibile e micidiale, che aveva affrontato di tutto e di più, che non si faceva spaventare da niente e nessuno, era in completa balia di un ragazzino cocciuto che si rifiutava di ascoltare i suoi consigli e che lo contrastava come se il nemico da sconfiggere fosse la sua guardia del corpo e non Lydia, Raj e il tizio misterioso delle e-mail.
Se non avesse installato sul suo telefonino quella App che localizzava il cellulare del moro, se non fosse arrivato in tempo da lui... avrebbe potuto trovarlo ferito, avrebbe potuto perderlo.
Tenendolo stretto tra le braccia, però, si rese conto che, invece, ad essersi perso era lui e che lo voleva con una forza e una disperazione così intense da fargli male.
La guardia del corpo sentì la bocca di Alec aprirsi, forse per lo shock, forse per protestare, e lui ne approfittò per assaporare appieno le sue labbra, quasi volesse assicurarsi, una volta di più, che era lì, sano e salvo e tutto intero.
Dopo un attimo di smarrimento, sentì Alec rispondere al bacio, cautamente, quasi stesse pensando che non stesse succedendo per davvero.
Sentì il corpo del moro sussultare e fremere, quando le loro lingue si intrecciarono, e le sue dita allacciarsi alle sue spalle dapprima timide, quasi esitanti, per poi farsi decisamente più determinate quando lo strattonarono a sé.
La sua vicinanza gli incendiò i sensi e spostò le mani per prendergli il viso tra i palmi, mentre la sua bocca si muoveva, bramosa, sopra quella dell'altro.
Avrebbe voluto che quel momento durasse per sempre, ma non fu così. Lo lasciò andare, con riluttanza, solo quando sentì il fiato mancargli e i palmi delle mani di Alec spingere contro il suo petto, forse alla ricerca d'aria anche lui.
"Ora dimmi che non ti importa di farmi sostituire o di cosa ho passato oggi." ansò Magnus, a corto di fiato, accarezzando piano le labbra gonfie di un Alec in trance. "Per Lilith, sei così melodrammatico!" ridacchiò poi, euforico. "Giuro sul bene che voglio alla mia famiglia che ti farò sostituire domani stesso!" scimmiottò, con un sorriso abbacinante e roteando gli occhi che ardevano di desiderio. "Sai..." continuò, prima di sbuffare fuori tutto il fiato che aveva in corpo a causa della devastante ginocchiata arrivata come un fulmine sul suo inguine. Iniziò a tossire convulsamente e si piegò lentamente su se stesso, come a rallentatore, gemendo ad alta voce. "S-sei im-impa... s-sei... s-sei imp-impazz... s-sei..." boccheggiò, tenendosi la patta dei pantaloni e spalmandosi sul pavimento, dolorante. "S-sei..."
"Così impari, pervertito!" ringhiò Alec, rosso in viso, con il petto che gli andava su e giù come uno stantuffo, prima di girare i tacchi e uscire di casa, sbattendo violentemente la porta.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Alec sentì il gatto prima di vederlo.
Stava marciando lungo il marciapiede, quasi correndo, pur di allontanarsi il più possibile da casa sua. Da lui.
Quel bacio... per l'angelo, quel bacio era stata la cosa più pazzesca e scioccante che avesse mai provato in vita sua. Era bastato che le labbra di Magnus si posassero sulle sue perché la parte razionale della sua mente si bloccasse di colpo, andando completamente in tilt.
In un ultimo momento di lucidità, ricordava di aver dischiuso le labbra per protestare, per chiedere a quell'idiota cosa diavolo stesse facendo, o meglio, perché lo stesse facendo, ma quello sfacciato impertinente ne aveva approfittato per intrufolare la lingua nella sua bocca e il suo raziocinio gli aveva fatto ciao-ciao con la manina, partendo per altri lidi e lasciando il suo corpo in balia di quell'assalto inaspettato e infuocato.
Il suo corpo si era incendiato quando la sua lingua si era intrecciata a quello dell'altro e sensazioni mai provate prima l'avevano travolto con un'intensità tale da sconvolgerlo.
Le sue dita si era aggrappate a Magnus con una tale violenza da sorprenderlo. In un primo momento l'aveva fatto titubante, quasi stesse chiedendo il permesso di poggiarsi a lui alla ricerca disperata di equilibrio (perché, per l'angelo, era dannatamente certo che se non si fosse spalmato addosso a quel corpo muscoloso, le sue gambe di gelatina avrebbero ceduto e sarebbe caduto come una pera cotta... e non era proprio il caso!), ma poi la parte più indisciplinata e selvaggia della sua mente aveva fatto la ola, urlandogli con entusiasmo "Prendilo! Spoglialo! Fallo tuo!" e a lui non era rimasto altro che avvinghiarsi a Magnus con una presa talmente ferrea da avergli di sicuro sgualcito in modo irreparabile la camicia.
La bocca dell'ex Marine si era mossa sulla sua dapprima decisa, dura, quasi prepotente, poi si era fatta dolce, morbida, toccando e risvegliando sensi che Alec credeva ormai sopiti da tempo, costringendolo ad abbandonare ogni resistenza e facendolo arrendere totalmente quando Magnus gli aveva passato lentamente una mano tra i capelli, piegandogli leggermente la testa per approfondire maggiormente il bacio, mentre con i pollici gli accarezzava dolcemente gli zigomi.
Aveva scoperto che, sì, quelle labbra piene e invitanti erano davvero morbide come aveva sempre pensato e ricordava che il suo cuore aveva iniziato a battere così forte che era certo che fosse questione di attimi prima che schizzasse fuori dalla cassa toracica.
Non aveva mai provato niente di simile. Mai. I baci dati fino a quel momento erano stati nulla in confronto a quello che aveva ricevuto. Neanche Andrew, per l'angelo, era mai riuscito a sconvolgerlo così tanto. E sì che ne era innamorato (o, almeno, pensava di esserlo)!
Ricordare il suo ex, e quello che gli aveva fatto, gli aveva dato la forza e la determinazione di posare le mani sul petto sodo di Magnus e spingere per liberarsi dal suo abbraccio.
Non poteva e non voleva lasciarsi coinvolgere da uno come Magnus. Non era un esperto di relazioni amorose, come i suoi fratelli, ma era convinto che la sua guardia del corpo fosse il tipo d'uomo capace di farlo innamorare perdutamente e lui non poteva permetterselo, non dopo quanto successo con Andrew.
Certo, il bacio era stato qualcosa di assolutamente incredibile, la cosa più pazzesca ed eccitante e sconvolgente che gli fosse mai successa in vita sua, ma si era ripromesso che non avrebbe mai più commesso l'errore di affidare il suo cuore a qualcuno. Iniziare una relazione, anche solo fisica, con Magnus, quindi, avrebbe potuto spezzarlo definitivamente. E sarebbe stata la fine.
Scosse la testa, quasi volesse cancellare con un colpo secco la ridda di emozioni che gli si agitavano nel petto, rilasciò il fiato che non si era neppure reso conto di trattenere e si impose di concentrarsi sul miagolio, chiedendosi distrattamente se avesse immaginato quel suono.
Si guardò attentamente attorno, ma non c'era anima viva. Poi lo sentì nuovamente, basso e implorante, provenire da un punto imprecisato sull'argine del fiume.
Tornò a scrutare attentamente l'ambiente circostante, scandagliò la riva e finalmente lo vide: un batuffolo bianco e grigio che si muoveva, cauto, tra i fili d'erba alti e incolti.
Alec si accucciò, chiamandolo piano, dolcemente. "Ehi, micetto! Ciao! Dai, vieni qui!" disse, allungando una mano.
Il gatto rispose con un debole miagolio, avanzò di qualche passo verso di lui, poi tornò indietro, appiattendosi in mezzo all'erba.
Il moro si alzò lentamente, con cautela, evitando movimenti bruschi che potessero spaventare l'animale, e si fece avanti, a piccoli passi. "Dai, vieni qui! Su, micio-micio! Vieni!" lo chiamò, a voce bassa." Non avere paura. Non ti farò del male."
Il gatto lo fissava, teso e pronto a scappare via. Era magro, aveva il pelo sporco e arruffato, sembrava stanco ed esausto e non staccava i grandi e diffidenti occhi giallo-verdi da lui neanche per un secondo.
Alec sbuffò dal naso quando si rese conto che il colore di quelle iridi era praticamente identico a quello degli occhi di un individuo a cui non voleva assolutamente pensare in quel momento! E che diamine! Quell'idiota lo perseguitava anche in versione felina!
Scosse nuovamente la testa, con un verso infastidito, e poi si concentrò nuovamente sul micio, chiamandolo ancora.
Alec non se ne intendeva granché, ma non sembrava un gatto selvatico. Probabilmente era stato abbandonato da qualche proprietario crudele che non sapeva più che farsene di lui, lasciandolo solo al mondo. Il che era anche peggio. Qualcuno aveva osato illuderlo, donandogli amore e una cuccia calda, per poi lasciarlo al suo destino, quando si era stancato di lui.
Sentì un'inspiegabile affinità con quel piccolo e sfortunato felino e gli sembrò vitale prenderlo per coccolarlo, nutrirlo e fargli capire che, invece, c'era qualcuno che poteva volergli bene, che poteva amarlo incondizionatamente, se glielo avesse permesso.
"Coraggio, micio-micio, vieni qui." lo incoraggiò Alec, avvicinandosi un altro po'.
Il gatto si appiattì ulteriormente al suolo, poi scattò, correndo lungo l'argine del fiume. Si fermò un attimo, guardandosi indietro, per poi scomparire tra l'erba alta.
Alec si alzò in piedi e, senza alcuna esitazione, lo seguì.

Magnus fece leva sulle braccia traballanti e, con indicibile fatica, si alzò lentamente da terra, inanellando una sequela rabbiosa di improperi e insulti.
Si piegò cautamente sulle ginocchia, respirando a fondo più e più volte, prima di raddrizzarsi e imprecare nuovamente, quando sentì una fitta lancinante all'inguine. Quel dannato figlio di buona donna gli aveva frantumato i suoi spettacolari gioielli di famiglia! Maledetto!
"Lo uccido." rantolò, senza fiato, all'appartamento vuoto e silenzioso, chiudendo gli occhi e tentando di regolarizzare il respiro, nella speranza che il dolore si attenuasse. "Giuro che questa volta lo uccido!"
Indossò il giubbotto di pelle, si diresse, con cautela, verso la porta dell'appartamento e se la richiuse dietro di sè con violenza. Trafficò con il cellulare per localizzare il fuggitivo e zoppicò, dolorante, giù per le scale, continuando a lanciare, ad ogni nuovo passo, un insulto colorito nei confronti del moro. Questa volta non l'avrebbe passata liscia! Non aveva ancora idea di come l'avrebbe punito, ma sarebbe stata una vendetta esemplare!
Ci mise un'eternità per arrivare nel luogo in cui il segnale lampeggiante, sullo schermo del suo cellulare, indicava la presenza di quello di Alec e dovette fermarsi più di una volta a causa dell'inguine che pulsava come un tamburo, ma alla fine arrivò a destinazione, pronto a dare una lezione a quel fottutissimo ragazzino manesco e piantagrane.
Non aveva idea di dove si trovasse e il buio non lo aiutava a orientarsi, ma era di sicuro in qualche parco della città. In giro non c'era anima viva e i pochi lampioni presenti donavano a quell'area verde un aspetto tetro e sinistro.
Per Lilith, certo che quell'idiota non aveva il minimo senso di autoconservazione, eh! Non solo aveva la fissa di andare a camminare dopo cena, per giunta da solo se non ci fosse stato Magnus con lui, ma ora si metteva pure a gironzolare a mezzanotte in un parco desolato e spettrale, incurante del fatto che avrebbe potuto rimanere coinvolto in qualche brutta situazione o incontrare qualche balordo pronto a fargli del male per sottrargli il portafoglio! Dei del cielo, come poteva essere così sconsiderato e non rendersi conto dei pericoli in cui si cacciava?
Si guardò attorno alla ricerca del moro, fino a quando non sentì la sua voce, che avrebbe riconosciuto ovunque, rantolare un soffocato e stizzito "Lasciami!"
La paura tornò a impossessarsi di lui e nella sua mente iniziarono ad accavallarsi immagini poco rassicuranti di criminali dall'aspetto losco che trascinavano via, con la forza, un disarmato e recalcitrante Alec.
Magnus tirò fuori la pistola e, dimenticando il dolore all'inguine, corse verso la direzione in cui aveva sentito la voce del moro, pronto a fare fuoco e a neutralizzare chiunque gli stesse facendo del male.
Si bloccò, sorpreso, quando vide Alec, sospeso a tre metri da terra, lottare strenuamente con una quercia: il suo pesante maglione nero e infeltrito si era impigliato in un ramo e, per il momento, sembrava che l'albero stesse avendo la meglio.
"Lasciami ti ho detto!" sibilò Alec, arrabbiato, strattonando con decisione il maglione, nel tentativo di districarsi.
La quercia lo lasciò andare solo dopo uno strappo davvero violento che lo fece sbilanciare, facendogli perdere l'equilibrio.
Magnus sbiancò e si vide il moro spiaccicato a terra, con il sangue che gli fuoriusciva a fiotti dal corpo. Rimase sbalordito quando fissò il terreno e non vide niente. Alzò di nuovo la testa e trovò il ragazzo aggrappato al ramo più basso della quercia, con le gambe a penzoloni e le braccia attaccate disperatamente all'albero.
Magnus strinse le labbra in una lunga linea sottile, indeciso se ridere a crepapelle o se arrabbiarsi ancora di più. Scosse la testa con fare paternalistico e mise via la pistola. Prese un bel respiro profondo, strinse i pugni lungo i fianchi e, a passo di marcia, si diresse fin sotto la quercia, alzando poi la testa e guardando il moro con espressione mortalmente seria.
Alec lo stava fissando di rimando, i suoi grandi occhioni blu sembravano due fanali nella notte. "Cosa... cosa ci fai qui?" pigolò, in un soffio.
"Lasciati andare." ordinò Magnus, ignorando la sua domanda.
"Cosa? No!"
"Lasciati andare, ti ho detto." ripeté Magnus, allargando le braccia. "Ti prendo io."
"Ma ti schiaccerò."
Magnus roteò gli occhi, riportando le braccia lungo i fianchi. "Va bene, resta lì e arrangiati." replicò, lapidario, facendo per allontanarsi.
"A-aspetta!" lo supplicò Alec, tentando faticosamente di aggrapparsi meglio al ramo, dopo essere scivolato di qualche centimetro.
Magnus sospirò nuovamente, poi tornò sotto di lui e attese. Riuscì a sopportare il primo impatto del corpo di Alec, evitando che si sfracellasse al suolo, poi lo trascinò con sé a terra, a causa della violenta spinta.
Alec rotolò subito via da lui e si mise in ginocchio. "Stai bene?" chiese, ansante e preoccupato.
Magnus respirò profondamente e lentamente: l'inguine era tornato a pulsare con forza e la rabbia era tornata a invaderlo come un fiume in piena. Piantò gli occhi in quelli del moro e lo fissò con ostilità.
"Com'è che ora mi chiedi se sto bene, quando fino a neanche un'ora fa non ti sei fatto alcuno scrupolo a spappolarmi i testicoli?" domandò, con tono acido.
Alec vide la collera incupirgli gli occhi, rendendoli tempestosi, e si allontanò leggermente da lui, reputando saggio mettere una piccola distanza tra loro.
"E' stata colpa tua." rispose, tranquillo, togliendosi un ciuffo di capelli dagli occhi.
Magnus lo fissò, inarcando un sopracciglio, scioccato, dimenticando improvvisamente tutto l'astio che provava nei confronti dell'altro. "Mia?"
Alec fece spallucce e, con noncuranza, iniziò a togliersi rametti e foglie incastrati nel suo maglione. "Hai iniziato tu. Aggredendomi."
"A-aggredendoti?" chiese Magnus, incapace di credere alle proprie orecchie. "Ma... diavolo, ti ho solo baciato!"
Alec riportò lo sguardo in quello dell'altro. "E non ti ho dato alcun permesso di farlo." sentenziò, sicuro. "Quindi, è stata un'aggressione in piena regola. Io mi sono solo difeso. Tutto qua." concluse, scrollando le spalle con sostenuta calma.
Magnus lo fissò a bocca aperta, incredulo, poi strinse le labbra in una lunga linea sottile, mordendosi la lingua a sangue pur di non ribattere per le rime. Mai nessuno l'aveva accusato di avergli "violato" le labbra con un semplice bacio, specialmente se era stato consensuale! Ok, aveva iniziato senza il suo permesso, questo era vero, ma, che potesse bruciare all'inferno se non era così, dopo un attimo di smarrimento, Alec aveva ricambiato eccome!
Arricciò le mani, strappando alcuni fili d'erba, e prese un lungo e respiro profondo. Magnus lo desiderava da impazzire e il modo in cui il moro aveva risposto al bacio dimostrava che anche lui provava lo stesso, ma visto che si ostinava a non volerlo ammettere, non restava altro che fare marcia indietro e rispettare la sua scelta. Non si sarebbe mai perdonato se l'avesse costretto a fare qualcosa che non voleva o per cui non era pronto. Avrebbe aspettato. Era bravo in questo. Nei lunghi anni passati nei Marines, infatti, aveva imparato e coltivato la raffinata arte della pazienza e con Alec valeva la pena metterla in atto.
"Ti chiedo scusa." mormorò quindi, dopo un lungo momento. "Non succederà più."
Alec spalancò gli occhi, sorpreso da quella risposta pacata e remissiva. Si sarebbe aspettato una battuta sardonica, una rispostaccia tagliente, una reazione plateale. Invece aveva ricevuto delle scuse composte e sincere e del tutto inaspettate. Era incredibile... e spiazzante.
"Oh... grazie! Accetto le tue scuse." rispose il moro, titubante. "E... io ti chiedo scusa per... ecco... per... sì, insomma... sì... per... quello, ecco." si scusò, indicando con un breve cenno del capo la patta dei pantaloni dell'altro. "Mi dispiace."
Magnus annuì, sospirando profondamente, poi tornò a fissarlo, curioso. "Come ci sei arrivato lassù?" chiese, indicando con gli occhi i rami sopra di loro.
"Oh... ho inseguito il gatto!" rispose Alec, con ferrea logica.
"Quale gatto?" chiese Magnus, aggrottando la fronte.
Alec indicò il ramo sopra quello a cui era rimasto appeso. "Lui."
Magnus sollevò lo sguardo e vide un gatto bianco e grigio che li osservava dall'alto. Era magro e spelacchiato e sembrava sul punto di spiccare un balzo suicida pur di darsela a gambe.
"Volevo prenderlo." spiegò Alec, imbronciato.
"Non mi pare che abbia molta voglia di essere preso, sai?" replicò Magnus, piegando la testa per osservare meglio l'animale. "E' salito addirittura su un albero pur di riuscire a sfuggirti." gli fece notare, sarcastico.
"Perché teme che voglia fargli del male! E' spaventato!" rispose Alec, con il naso all'insù. "Guardalo! E' magrissimo e sicuramente sta morendo di fame!"
Magnus scosse la testa, alzandosi e pulendosi l'erba dai pantaloni. "Sono sicuro che se la caverà. Andiamo a casa."
"Non me ne vado senza il gatto." ribatté Alec, risoluto.
"Il gatto starà benissimo."
Alec si alzò, incrociò le braccia al petto e gli lanciò l'occhiata più gelida che riuscisse a fare. "Io torno solo con lui." replicò, testardo.
Magnus gli si avvicinò e lo guardò con quello sguardo serio e glaciale che, anni prima, faceva scattare sull'attenti i suoi uomini e li induceva a eseguire immediatamente i suoi ordini. "Andiamo.a.casa."
"No." si impuntò Alec.
"Alexander Gideon Lightwood, ho detto..." sibilò Magnus, scuro in volto.
"No!" lo interruppe Alec, indurendo lo sguardo.
Non gli importava di morire per mano della sua guardia del corpo, che sembrava sul punto di stringere le sue lunghe dita ingioiellate sul suo collo, né gli interessava la sfuriata che stava sicuramente per arrivare. Salvare quel micio era diventato importante per Alec, quasi essenziale. Non se ne sarebbe andato senza quel gatto. Non l'avrebbe abbandonato. Non anche lui, come invece aveva fatto il suo ex proprietario.
Magnus lo fissò per un lungo, interminabile, momento, poi sospirò. "Dannazione!" imprecò ad alta voce, pestando un piede e gettando in alto le mani, con esasperazione. "E va bene! Prendiamo questo dannato gatto!" mugugnò, voltandogli le spalle e dirigendosi verso l'albero.
Il viso di Alec si aprì in un sorriso felice. "Davvero?" esclamò, muovendosi svelto verso di lui.
"Sì, davvero." borbottò Magnus, piantandosi le mani sui fianchi e guardando il gatto con aria decisa. "Allora, vieni giù con le buone o devo arrabbiarmi anche con te?" chiese, con tono fintamente burbero.
Il gatto miagolò debolmente, ma rimase dov'era, mentre Alec guardava prima l'uno e poi l'altro con trepidante aspettativa.
Magnus iniziò a battere la punta del piede sull'erba, come una madre esasperata. "Senti, signorino, non ho tutta la sera per stare qui ad aspettare i tuoi comodi." lo informò. "O scendi subito o ti lasciamo qui. Certo, non vorrei arrivare a tanto, perché sei davvero un bel micio, ma non ho alternative. E' mezzanotte passata, sono stanco e voglio andare a letto." elencò con un cipiglio serio.
"Non credo che funzionerà." sussurrò Alec, accostandosi a lui. "Perché non provi a essere più gent..."
"Shhh." lo interruppe Magnus, con gli occhi piantati sull'animale. "Vedi? Persino lui capisce quando è ora di ascoltarmi!" esclamò, con un sorriso divertito, quando vide il micio scendere cautamente, muovendosi lentamente da un ramo all'altro. "E' intelligente!" a differenza di qualcun altro di mia conoscenza pensò, reputando saggio evitare di dirlo ad alta voce.
Alec spalancò gli occhi, sorpreso, e si risentì quando vide il gatto farsi tranquillamente prendere in braccio da Magnus, una volta arrivato a terra. Lui non era riuscito neanche ad avvicinarsi a quella palla di pelo spelacchiata, mentre alla sua guardia del corpo erano bastate due moine e l'animale gli era praticamente svenuto tra le braccia! Dio, se lo odiava!
Magnus si voltò verso di lui e sorrise allegro. "Ok, torniamo a casa." annunciò, con il gatto stretto al petto.
"Certo che sei un incredibile ingrato." borbottò Alec, dopo un po', lanciando un'occhiata truce al gatto che ronfava, beato, tra le braccia di Magnus. "Io mi sono quasi rotto l'osso del collo per te e, come ricompensa, non solo vengo snobbato alla grande, ma fraternizzi pure con il nemico!"
La guardia del corpo rise, allegra. "Che ci vuoi fare. Il mio fascino è irresistibile e questo cucciolo ha ottimi gusti!" dichiarò compiaciuto, grattando il gatto dietro un orecchio e ricevendo, in cambio, un'espressione deliziata e un concerto di fusa. "Chi è il più bel micetto del mondo? Eh? Chi è?" tubò Magnus, strofinando il naso sul pelo sporco dell'animale. "Sei anche il più puzzone, ma ora ci pensa papà a pulirti per bene, Presidente Miao."
"Papà?" ripeté Alec, allibito. "Ma se fino a due minuti fa lo volevi lasciare sull'albero!" gli ricordò, risentito. "E che razza di nome è Presidente Miao, per l'angelo?!" continuò, con una smorfia indignata sul viso.
Magnus lo ignorò. "Ora papà ti porta a casa e ti da tanta pappa buona. Sei d'accordo? Mh?" chiese, ottenendo in risposta un miagolio soddisfatto.
Alec sbuffò, incrociò le braccia al petto e mise il broncio. Era ingiusto. Era stato lui a trovare il gatto, a rincorrerlo e a rischiare la vita per tirarlo giù dall'albero. Magnus neanche lo voleva e, nonostante questo, riceveva fusa e occhiate adoranti.
Con lo sguardo puntato fisso davanti a sé, si blocco di colpo e mise una mano sul braccio di Magnus per far fermare anche lui: un uomo dai capelli neri e la pelle olivastra osservava il palazzo dove abitava il moro. Era infagottato in un giubbotto di una taglia più grande e aveva un'enorme sciarpa che gli copriva il volto, ma Alec lo riconobbe all'istante.
Magnus intanto continuava a vezzeggiare il gatto. "Ma senti quanto siamo coccoloni! Oh sì! Siamo tanto, tanto coccoloni!" tubò, mentre le fusa del gatto diventavano sempre più forti.
Alec agguantò il braccio dell'uomo e, senza dire una parola, fece velocemente marcia indietro, trascinandoselo dietro. Guardò brevemente alle sue spalle, ma sembrava che l'altro non li avesse notati.
Magnus alzò finalmente lo sguardo, stupito. "Diavolo, Alec, che modi sono?"
Alec sembrò non sentirlo e continuò a camminare spedito fino a quando non svoltò improvvisamente in un androne di un palazzo.
"Si può sapere che ti prende?" chiese Magnus, alzando un sopracciglio al comportamento bizzarro dell'altro, che spiava furtivamente la strada.
"C'era... c'era quel Raj!" spiegò Alec, con il fiatone, tornando a guardare Magnus.
L'espressione di Magnus si indurì. "Raj? Dove?"
"Da-davanti al mio portone." balbettò Alec, tentando di riprendere fiato e sputando per poco un polmone.
"COSA? Perché non me l'hai detto?" sbottò Magnus, uscendo dall'androne.
"Dove credi di andare?"
"Da quel psicopatico! Ecco dove!" sibilò Magnus, arrabbiato. "Evidentemente la lezione di oggi non è stata recepita!"
Alec gli afferrò il braccio in una mossa ferrea. "No!"
"No? Come no?!" chiese Magnus, stupito e stizzito allo stesso tempo.
"Non puoi rischiare un'altra denuncia!"
"Alec, quel dannato figlio di buona donna è sotto casa tua!" ringhiò Magnus, allargando il braccio, mentre con l'altro teneva saldamente stretto al petto il gatto, che aveva interrotto le fusa e, con gli occhi spalancati, guardava alternativamente i due uomini, rigido. "Sa dove abiti, cazzo!"
"Ma non mi dire." rispose Alec, sarcastico.
Qualcosa, nel tono di voce del moro, mise in allerta Magnus, che aggrottò la fronte. "Sapevi che sapeva?" domandò, con tono sospettoso.
Alec scrollò le spalle. "Lydia mi ha chiamato. Se conosce il mio numero di casa, conosce anche il mio indirizzo. E visto che loro due sono amici..."
Magnus premette le labbra in una lunga linea sottile. "Lydia ti ha chiamato?"
"Sì, dopo che Jace ti ha portato in centrale." rispose Alec, con noncuranza, sventolando una mano.
"CAZZO!! ALEC!!" urlò Magnus.
"Che c'è?" chiese Alec, sulla difensiva.
"Perché non me l'hai detto?"
Alec roteò gli occhi. "Perché non c'è stato il tempo di farlo e... insomma... tu sei così plateale e tendi a esagerare quando ti agiti. Come adesso." spiegò, indicandolo con un gesto della mano. "E ti arrabbi in modo spropositato!"
Magnus lo guardò a bocca aperta. "Demi Tuhan [ndr. Sant'Iddio], sei davvero il più gigantesco idiota con cui abbia mai avuto a che fare!" lo accusò, esasperato. "E mi arrabbio perché mi nascondi le cose importanti! Ti rendi conto di quanto è seria questa cazzo di situazione? Una ti perseguita al telefono e l'altro si apposta sotto casa tua!" gridò, irritato.
"Smettila di urlarmi contro e di insultarmi!" ribatté Alec, altezzoso, alzando il mento e incrociando le braccia al petto.
Magnus fece un verso incredulo, poi si pizzicò la radice del naso, chiudendo gli occhi per la frustrazione. "Ok, ora basta." sentenziò, dopo un lungo momento. "Andiamo."
"Andiamo? Andiamo dove?" chiese Alec, stranito.
"A casa mia. Dove posso tenerti al sicuro." dichiarò Magnus, deciso, prendendo per mano Alec e trascinandoselo dietro.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


"Tu vivi qui?"
Alec stava guardando, sbalordito, l'elegante palazzo in mattoni color rosa antico davanti a lui. Si trovavano lungo il viale alberato Monroe Place, in uno dei quartieri più eleganti e rinomati di New York: Brooklyn Heights.
Alec amava quella zona in cui si respirava un'atmosfera d'altri tempi, con la sua grande varietà di stili architettonici, le sue chiese antiche, i suoi edifici storici, le case a schiera in pietra arenaria o in stile neoclassico o gotico, i viali pittoreschi e verdeggianti, la magnifica Promenade che offriva una vista da cartolina su Lower Manhattan e le stradine illuminate, la sera, dalle luci giallognole dei caratteristici lampioni a gas.
Quando aveva deciso di andare a vivere per conto proprio, più per sfizio che per altro, aveva dato un'occhiata ai prezzi degli appartamenti in affitto in quel delizioso quartiere da sogno e si era reso conto che, per permettersene uno, forse non sarebbe bastato vendere un rene al mercato nero degli organi!
La sua guardia del corpo sorrise, compiaciuta, e strinse Presidente Miao un po' di più a sé. "Sì, vivo qui." rispose, dirigendosi poi verso il portone d'ingresso. "Dai, vieni." lo sollecitò, con un cenno della testa.
L'ex Marine salutò calorosamente il portiere del palazzo, poi guidò Alec fino all'ascensore e schiacciò il pulsante che li avrebbe condotti all'ultimo piano.
Arrivati a destinazione, Magnus appioppò al moro il gatto e iniziò ad armeggiare con le chiavi della porta del suo loft, ignaro della faida a suon di sguardi che si stava svolgendo dietro le sue spalle.
Presidente Miao, infatti, non appena si ritrovò tra le braccia sconosciute e indesiderate di Alec, si irrigidì all'istante e arpionò, con le sue piccole unghiette affilate, il maglione malandato sotto le sue zampe, arrivando a graffiare la pelle dell'umano che l'aveva inseguito e braccato come un indemoniato.
Alec lanciò al felino un'occhiataccia risentita, strattonando il braccio per sottrarlo alle grinfie di quella dannata palla di pelo che, ne era certo, ora lo stava guardando con uno sguardo di malcelata soddisfazione per essere riuscito a scalfirgli l'epidermide e a provocargli del dolore. Per l'angelo, quel gatto era davvero un fottutissimo ingrato!
"Prego, accomodati." esclamò Magnus, aprendo la porta e invitando il moro ad entrare con un ampio e plateale gesto del braccio.
Alec mosse un paio di passi, sorpassando la soglia di casa, ma poi si bloccò, attonito, quando scorse una coppia di una certa età intenta a ridacchiare e a scambiarsi un abbraccio decisamente carnale sul divano del salotto.
"Oh.mio.Diooo!" gridò Magnus, quando, seguendo lo sguardo del moro, si accorse di chi c'era in casa sua. "Demi Tuhan [ndr. Sant'Iddio], cosa cazzo state facendo sul mio divano?"
"Magnus Bane, modera il linguaggio!" berciò prontamente Dewi Bane, puntando un indice minaccioso contro il figlio e sciogliendo l'abbraccio dal marito. "Sai che non mi piacciono le parolacce gratuite." gli ricordò, mettendosi seduta e ravvivandosi i capelli con naturalezza, come se non l'avessero appena beccata a pomiciare selvaggiamente sul divano immacolato del suo unico figlio.
"Ciao Mags!" lo salutò Asmodeus, con un sorriso sghembo, mettendosi seduto anche lui. "Come mai a casa?" chiese in tono colloquiale, abbottonandosi la camicia e tentando di dare una parvenza d'ordine ai vestiti spiegazzati.
"Oh.mio.Diooo!" scandì nuovamente Magnus, con una smorfia inorridita. "Giuro che se mi avete macchiato il divano vi uccidoooo!"
"Ohhh, piantala di essere così melodrammatico!" rispose Dewi, alzandosi e rassettandosi la gonna, prima di rivolgere ai due giovani un sorriso radioso. "Siamo due adulti responsabili. Cosa credi? Non è mica la prima volta!" rivelò al figlio, facendo spallucce e andandogli incontro. "Ciao, malaikatku!" [ndr. angelo mio] mormorò teneramente, abbracciandolo stretto.
"Ibu! [ndr. Mamma!] Mi soffochi!" brontolò affettuosamente Magnus, ricambiando comunque l'abbraccio. "Ehi! Aspetta un attimo! Cosa significa Non è mica la prima volta?" indagò, assottigliando lo sguardo e guardando alternativamente sua madre e suo padre, che si scambiarono un'occhiata complice. "Perché? Quante volte è successo? E dove? E... No! Lasciate perdere! Non mi dite niente! Non voglio saperlo o dovrò igienizzare l'intero appartamento con la candeggina... o dargli fuoco!"
Dewi ridacchiò, sciogliendo leggermente la presa. "Sei dimagrito, malaikatku!" esclamò, preoccupata, afferrandogli le guance con i palmi delle mani e voltandogli il volto a destra e a sinistra per analizzarlo. "E hai le occhiaie! Non va affatto bene." mormorò, contrariata, scuotendo la testa. "Sayangku [ndr. Tesoro mio] dormi abbastanza? Mangi a sufficienza?"
"Sì, mamma." sospirò Magnus, alzando gli occhi al cielo.
Dewi gli baciò velocemente una guancia, prima di guardare Alec. "Tu devi essere Alexander Lightwood, caro." sorrise dolcemente. "Sono Dewi Bane, la mamma di Magnus. E' un piacere conoscerti." si presentò, porgendogli la mano.
"P-piacere mio, signora Bane." balbettò Alec, rosso in viso a causa dell'imbarazzante situazione di beccare i genitori di Magnus in atteggiamenti intimi e capendo finalmente da chi la sua guardia del corpo aveva preso tutta la sfacciataggine del mondo.
"Oh, tesoro, chiamami Dewi!" rispose la donna, sventolando una mano, prima di abbracciarlo di slancio. "E questo piccolino qui, chi è?" chiese poi, incrociando lo sguardo del gatto che Alec teneva in braccio e accarezzando piano la sua testa.
"E' un trovatello che abbiamo recuperato questa sera. L'ho chiamato Presidente Miao." spiegò Magnus, compiaciuto, facendo le presentazioni. "Da oggi vivrà con me."
"Davvero? Ma è dolcissimo!" esclamò Dewi, appropriandosi del gatto e iniziando a coccolarlo. "Vero che sei dolcissimo? Ohhh, sì che lo sei!" cinguettò, con il micio che faceva le fusa.
"Guarda che non te lo porti a casa! E' mio! Mio e di Alec!" la avvisò Magnus, piantandosi le mani sui fianchi e guardando con disapprovazione il gatto che si faceva accarezzare senza alcun pudore da sua madre.
Alec sbattè più volte le palpebre, davanti a quella scena surreale, prima di trovarsi di fronte a sé il padre di Magnus che gli tese una mano e, senza tante cerimonie, gliene acchiappò una delle sue per stringerla saldamente.
"Asmodeus Bane." esclamò l'uomo, dopo aver lanciato un'occhiata quasi rassegnata alla moglie e al figlio, che battibeccavano per il micio. "Piacere di conoscerti, Alec. Tuo padre mi ha parlato tanto di te." lo informò, con un sorriso.
"Piacere, signor Bane." rispose Alec, stringendogli la mano.
"Anche Magnus ci racconta spesso di te, quando ci sentiamo per telefono." si intromise Dewi, allegra.
"Da-davvero?" chiese Alec, imbarazzato.
"Oh, sì!" annuì la donna, con entusiasmo. "Ha descritto i tuoi occhi come due zaffiri preziosi, caro. E aveva ragione!"
"MAMMA!" esalò Magnus, con espressione tradita.
Alec sentì le guance farsi di brace, ma almeno era in buona compagnia. Non gli sfuggì, infatti, che anche quelle della sua guardia del corpo erano arrossite immediatamente.
Magnus guardò alternativamente i genitori con un cipiglio severo, nel tentativo di nascondere l'imbarazzo. "Perché siete qui?" domandò nuovamente.
"Malaikatku, che modi sono? Abbiamo un ospite e lo lasci sulla porta di casa? Invitalo ad entrare no?" lo rimbrottò Dewi, spintonandolo e scuotendo la testa con disapprovazione.
"Io ho un ospite. Voi, invece, non avete un ospite, perchè voi non abitate qui!" le ricordò Magnus, indispettito. "Vieni, Alec. Accomodati." disse, subito dopo, addolcendo la voce e posando una mano sulla schiena del moro, per spingerlo piano dentro casa. "Ripeto per l'ennesima volta, visto che a quanto pare siete diventati improvvisamente sordi entrambi: perché siete qui?" chiese poi ancora, tornando a guardare male i suoi genitori.
"Tu perchè sei qui?" ritorse Asmodeus, alzando un sopracciglio. "Non dovresti essere a casa sua?"
Magnus alzò gli occhi al cielo, con un sospiro stizzito. "Il suo secondo stalker, Raj, si è appostato davanti al palazzo." spiegò, scrollando le spalle con aria stanca. "Ho pensato che portarlo qui potesse... Ehi! Non cambiare discorso!" brontolò poi, puntando l'indice contro il petto di suo padre. "Perché ci stavate dando dentro sul mio divano?"
"Magnus Bane!" esclamò Dewi, fingendosi scandalizzata.
"Ohhh, no! No! Non ci provare, eh! Nessun Magnus Bane!" scimmiottò Magnus, sventolandole l'indice contro con disapprovazione. "Dovrò far disinfettare il divano, per colpa vostra!"
Dewi roteò gli occhi e scosse la testa. "Alexander..." iniziò, ignorando volutamente il figlio, e voltandosi verso il moro.
"Alec." la corresse automaticamente quest'ultimo.
Dewi sorrise dolcemente. "Alec, tesoro, ti va una tazza di cioccolata calda? Vieni, caro, dev'essere stata una giornata lunga e faticosa." mormorò, prendendolo sottobraccio e conducendolo verso la cucina.
Magnus guardò suo padre con uno sguardo eloquente, allargando le braccia in modo esasperato, e Asmodeus sghignazzò, battendogli poi una mano sulla spalla, comprensivo.
"Perché stavate facendo sesso sul mio divano!" bisbigliò Magnus, irritato. "E' l'una passata! Non ce l'avete una casa tutta vostra dove fare i vostri porci comodi? Cos'è? Un nuovo, perverso, gioco di ruolo?"
"Non stavamo facendo sesso..." disse Asmodeus, divertito, a bassa voce. All'occhiata scettica del figlio, si affrettò a correggersi. "Non ancora almeno." mormorò, giocoso. "Ci avete interrotti sul più bello!"
"Terima kasih Tuhan!" [ndr. Grazie a Dio!] sibilò Magnus, indignato. "Non voglio neanche pensare a cosa sarebbe successo se fossimo arrivati dieci minuti più tardi!" rabbrividì, immaginando vestiti sparpagliati ovunque e lembi di pelle e sederi nudi che non ci teneva a vedere per niente.
"Stavamo tornando da una cena di gala e volevamo solo assicurarci che qui fosse tutto a posto." si giustificò Asmodeus, scrollando le spalle. "Poi... sai com'è... ci siamo lasciati trasportare e..."
"Non.una.parola.di.più." scandì Magnus, poggiandogli un indice sulle labbra. "Non voglio sapere! Ho già sufficienti ricordi di voi due che vi infilate la lingua in gola a vicenda, testando ogni superficie della casa!"
Asmodeus rise di gusto, cingendo le spalle del figlio e baciandogli una tempia. "Andiamo a salvare Alec dalle grinfie di tua madre, sayang." [ndr. tesoro] esclamò, divertito.
"Che esperienza terribile deve essere stata." stava dicendo Dewi, mentre posava una tazza fumante di cioccolata calda davanti ad Alec. "Sarai sconvolto!"
Il moro si strinse nelle spalle, non osando rivelare che, in realtà, era molto più scosso per come aveva conosciuto i genitori di Magnus che per quello che era successo quel giorno con i suoi stalker.
"Magnus ci ha informati che quel tizio, Raj, l'ha denunciato per aggressione. Che faccia tosta!" esclamò Dewi, scuotendo la testa con palese disgusto. "Guardalo, Alec! Come si può denunciare una meraviglia simile? Eh?" dichiarò con convinzione, afferrando di slancio il viso del figlio, che le si era avvicinato, e scuotendolo tutto. "Non è meraviglioso?"
Alec si trovò ad annuire energicamente, sotto la pressione di quello sguardo intenso che lo stava sfidando a osare dire il contrario.
"Lui è il nostro orgoglio, sai?" spiegò Dewi, estasiata, guardando suo figlio con amore. "E se solo si sposasse e avesse dei figli... anche adottati..." mormorò, voltando brevemente lo sguardo verso Alec con uno strano luccichìo negli occhi. "...sarebbe perfetto in tutto e per tutto!" concluse, con il figlio che scappava dalla sua presa con uno sbuffo rassegnato e il capo rivolto verso l'alto.
"Mamma..." gemette Magnus.
Dewi sventolò una mano, ignorandolo. "La famiglia è importante! Non sei d'accordo, Alec?"
"Ehm... sì." rispose il moro, sbattendo le lunga ciglia.
Dewi piegò la testa e lo osservò dolcemente. "E tu, caro? Hai un fidanzato che concorda che la famiglia è importante?" domandò a bruciapelo, nonostante sapesse perfettamente che il moro era single, avendo letto il fascicolo che Robert Lightwood aveva passato al marito.
Ad Alec andò di traverso la cioccolata calda e iniziò a tossire convulsamente, mentre il suo viso assumeva una preoccupante sfumatura violacea.
"Mamma!" "Dewi!" esclamarono all'unisono gli uomini Bane, con Magnus che batteva delicatamente sulla schiena del moro, allarmato.
"Che c'è? Era una semplice domanda." si difese Dewi. "Non volevo metterti in imbarazzo, caro." disse subito dopo, picchiettando la mano di Alec per rassicurarlo. "Deduco, comunque che non hai il ragazzo." mormorò, sorridendo furbescamente. "Sai che sei in buona compagnia? Anche il mio Magnus è single." buttò lì poi, con un lungo sospiro melodrammatico.
"MAMMA!" protestò Magnus, alzando il tono di voce.
"Che c'ééé?" sbuffò Dewi, allargando le braccia e fingendosi sorpresa. "Ho detto la verità. Sei single. E bisessuale." buttò lì, con calcolata casualità e un sorriso luminoso. "Già. Il mio Magnus è single e bisessuale. Esce con le ragazze. E con i ragazzi. Già-già". ammiccò, con spudorata sfacciataggine, verso un Alec che era tornato a strozzarsi, questa volta con la sua saliva.
"Papà, per cortesia puoi far vedere la stanza degli ospiti ad Alec." mormorò Magnus, mentre fissava intensamente sua madre.
"Cosa? Oh! Sì! Sì, ma certo!" esclamò Asmodeus, notando la conversazione silenziosa che stava avvenendo in quel momento tra suo figlio e sua moglie. "Vieni, Alec. Ti mostro la tua camera." disse, in tono gentile, conducendo il moro verso la stanza degli ospiti.
"Smettila." sussurrò Magnus, indispettito, in direzione di sua madre, una volta che gli altri due si erano allontanati.
"Di fare cosa?" replicò, con lo stesso tono di voce, Dewi.
"Sai benissimo cosa." sibilò Magnus, piazzandosi le mani sui fianchi. "Smettila!"
Dewi alzò gli occhi al cielo, con un sospiro rassegnato. La verità era che, sentimentalmente parlando, non era affatto contenta della direzione che aveva preso la vita di suo figlio.
Non che si stesse lamentando del suo prezioso Magnus, sia chiaro, ma quel benedetto ragazzo avrebbe compiuto trentanove anni a dicembre e Dewi aveva sempre pensato che, arrivati a quel punto, suo figlio avrebbe avuto una famiglia tutta sua e lei dei nipotini da coccolare e viziare. La vita, però, era stata profondamente ingiusta con il suo bambino.
Le occasioni non erano mancate, questo era vero, ma, pensandoci bene, Dewi aveva finito col realizzare che nessuna delle "frequentazioni" di Magnus era adatta a creare una famiglia con lui. Era stato sfortunato, purtroppo. Tra le persone che aveva scelto lui e quelle che aveva "sponsorizzato" lei, infatti, non ce n'era nessuna che fosse degna del suo malaikat [ndr. angelo].
Alcuni flirt erano troppo pieni di sé, altri troppo perbene e remissivi. Certi erano insignificanti, altri troppo giovani e immaturi. C'era chi era troppo smanioso di compiacere Magnus in ogni suo capriccio e chi trovava divertente ignorarlo e lasciarlo cuocere nel suo brodo.
Poi c'era stata Camille. Suo figlio non era felice con lei, ma non se ne rendeva conto. Dewi però lo sapeva, il suo cuore di mamma glielo gridava ogni volta che li vedeva insieme. Eppure Magnus aveva portato avanti la storia, nonostante le perplessità materne e tutte le difficoltà di quella relazione complicata, e la donna ricordava ancora con sgomento il giorno in cui suo figlio le aveva annunciato di voler sposare quella ragazza egoista e viziata. L'unica cosa buona che Camille aveva fatto era stata quella di rifiutare la proposta. Certo, aveva spezzato e calpestato il cuore buono e generoso di suo figlio e, se non fosse stato per Asmodeus che le si era parato davanti, impedendole di commettere qualche gesto sconsiderato, quella disgraziata l'avrebbe pagata cara, ma una piccolissima parte di lei le era anche grata di averlo lasciato andare. Il suo malaikat meritava solo ed esclusivamente il meglio del meglio.
Dopo tutti quei disastri amorosi, Dewi era giunta alla conclusione che suo figlio avesse bisogno di qualcuno con un carattere forte, che sapesse farsi rispettare da Magnus, ma che, allo stesso tempo, gli portasse rispetto. Che lo amasse incondizionatamente e che si lasciasse amare in altrettanta maniera.
E Dewi era convinta di aver finalmente trovato quel qualcuno.
L'idea le si era insinuata nella mente dapprima come un eco lontano, indistinta e impalpabile, poi si era rafforzata giorno dopo giorno, grazie ai racconti di suo figlio che, inconsapevolmente, aveva acceso i riflettori su un ragazzo dai meravigliosi occhi blu a cui le foto nel fascicolo non gli rendevano affatto giustizia.
Alexander Gideon Lightwood era bellissimo e, da quel che le raccontava Magnus durante le loro telefonate giornaliere, aveva anche un bel caratterino deciso, aveva un intelligenza arguta e brillante ed era anche dolce e gentile. Era perfetto.
"Malaikatku, sto solo cercando di rendermi utile." cinguettò Dewi, con un sorriso sbarazzino. "Sai ci stavo proprio pensando questa mattina, caro! In tutti questi anni abbiamo scelto proprio male."
"Abbiamo?" domandò Magnus, inarcando un sopracciglio.
"Tutti quei ragazzi e quelle ragazze non erano affatto giusti!" continuò Dewi, ignorandolo e scuotendo la testa. "Tu hai bisogno di qualcuno che ti tenga testa, ma che sappia anche quando è il momento di "cedere"... o almeno di fartelo credere." ridacchiò, divertita. "Solo così avrai un matrimonio felice."
Magnus iniziò a ridere istericamente. "Giuro che mi farai impazzire prima o poi!" gracchiò, pizzicandosi la radice del naso.
"Voglio solo aiutarti a trovare la persona giusta!" obiettò Dewi.
"Mamma, mettitelo bene in testa: non.voglio.sposarmi!"
"Oh, sayangku, non essere così drastico! Sei stato solo sfortunato! Non hai mai trovato quello giusto con cui condividere la vita e ammetto di aver contribuito spingendoti nella direzione sbagliata." mormorò Dewi, accarezzandogli dolcemente una guancia. "Ma questa volta penso di aver individuato il tipo perfetto per te." ammiccò esageratamente.
Magnus la fissò, interdetto, e rimase a bocca aperta per un lungo momento. "No!" bisbigliò poi, irruento. "Lascia Alec fuori da tutta questa storia!"
Dewi sorrise, con l'aria di chi la sapeva lunga. "Curioso che tu non mi abbia chiesto di chi stessi parlando, ma hai pensato subito che mi stessi riferendo a lui." mormorò, piegando la testa.
Magnus boccheggiò.
"E, comunque, stai tranquillo. Non ho bisogno di alzare un dito, questa volta. Farete tutto voi." ridacchiò Dewi, compiaciuta.
"Di che diavolo stai parlando?" chiese Magnus con veemenza.
"Lui ti piace." mormorò Dewi, raggiante. "E tu piaci a lui. Lo so. Lo vedo."
"Mettiti un paio di occhiali, ibu." la schernì Magnus, con un sorriso ironico. "Ci sopportiamo a malapena!"
"Non essere sciocco, malaikatku! Vi guardate come se non aspettaste altro di essere soli per saltarvi addosso e spogliarvi a vicenda." sogghignò Dewi, maliziosa.
"Ma non è vero!" mentì Magnus, indignato. "Vedi cose che vuoi vedere solo tu! Non c'è niente tra di noi, mamma!"
Ok, forse Magnus guardava Alec con occhi affamati e moriva dalla voglia di entrare nel suo letto, ma non c'era bisogno che sua madre lo sapesse. Anche perché, tempo una settimana, e avrebbe di sicuro iniziato a organizzare il loro matrimonio! E non era proprio il caso!
Dewi rise. "So quello che dico. Voi due fate scintille! E, in più, quel ragazzo è proprio un bel bocconcino, malaikatku. Tienitelo stretto!" gli consigliò, facendogli l'occhiolino.
"Mamma!" la redarguì Magnus, spalancando gli occhi e arrossendo.
Dewi rise, guardandolo dolcemente. "Sono sicura che formerete una coppia perfetta." sussurrò, compiaciuta, mentre il marito tornava con Alec in cucina.
"Ok, ora basta." dichiarò Magnus, spazientito, ad alta voce. "Portala a casa." ordinò, rivolto verso suo padre. "E' tardi. Alec è stanco. Io sono stanco. Anche Presidente Miao è stanco. Siamo tutti stanchi." asserì, convinto, spingendo con decisione i genitori verso la porta. "Quindi ciao, vi voglio bene, ci sentiamo domani, buonanotte e state attenti per strada." li salutò, tutto d'un fiato.
"Ma Magnus..." protestò debolmente suo padre, aggrottando la fronte.
"Sayang, credo sia ora di andare." ridacchiò Dewi, divertita, prendendo il marito sottobraccio e facendogli un occhiolino complice. "Vogliono stare da soli." gli mormorò all'orecchio, alzandosi in punta di piedi.
"Oh. Ohhhh!" esclamò Asmodeus, quando capì ciò che gli voleva dire la moglie.
"Cos.. Ehi! No! Noi..." iniziò a giustificarsi Magnus.
"Alec, tesoro, è stato un piacere conoscerti. Sono certa che ci vedremo presto." lo salutò Dewi, con un sorriso raggiante. "Ciao, cintaku [ndr. Amore mio]." mormorò poi, baciando teneramente il figlio sulle guance.
"Ciao, Mags!" lo salutò suo padre, con un sorriso divertito, battendogli la mano su una spalla.
"Ehi! No! Aspettate..." tentò ancora Magnus, inutilmente, quando vide i genitori ridacchiare tra loro e dileguarsi oltre la porta di casa.
Gettò la testa all'indietro, chiuse gli occhi e sbuffò quietamente, prima di tornare a guardare Alec con un sorriso sconsolato e divertito allo stesso tempo.
"Scusali." mormorò l'uomo, tornando dal moro, che, sempre più frastornato, fissava il punto ormai vuoto dove, fino a pochi momenti prima, i signori Bane stavano spettegolando su loro due.
Spettegolavano. Su loro due. I genitori di Magnus spettegolavano su loro due, per l'angelo! Alec era sul punto di morire per l'imbarazzo.
"Sono... uhm... come dire... particolari, ecco." spiegò Magnus, roteando affettuosamente gli occhi. "Ci vuole molta pazienza con loro. Non ti hanno spaventato, vero?" chiese, sorridendo.
Alec si ridestò dalla sua trance e tornò a guardare Magnus, scuotendo la testa con un sorriso sghembo. "No. Sono... simpatici." Escludendo il fatto che spettegolavano su loro due.
Magnus ridacchiò. "E' un modo gentile per non dire pazzi squinternati?" scherzò, divertito.
Alec gli rivolse un sorriso storto. "No, sono... originali."
Magnus rise, fregandogli la tazza di cioccolata e bevendone un sorso.
Ale roteò gli occhi, scuotendo piano la testa e guardandosi poi attorno. "E' davvero bello qui!"
L'appartamento occupava interamente l'ultimo piano del palazzo e dalle vetrate si intravedeva una vista spettacolare di New York. L'ampio soggiorno era dotato di un caminetto in marmo, un grandissimo televisore a schermo piatto e due enormi divani ad angolo in tessuto bianco, con sopra una moltitudine colorata di cuscini. Il pavimento era lucido e formato da grandi listoni in quercia, su cui spiccava un grosso tappeto color tortora, mentre alle pareti erano appesi numerosi quadri con illustrazioni astratte.
Alec era impressionato: il salotto sembrava uscito direttamente da una rivista patinata e l'appartamento, in generale, somigliava a una reggia, se messo a confronto con la sua umile e striminzita tana.
"Grazie." rispose Magnus, piegandosi per accarezzare il gatto che si stava strusciando tra le sue gambe. "Hai fame, Presidente? Vediamo se ho qualcosa per te!" mormorò, aprendo e chiudendo un paio di stipiti. "Porta pazienza, ma il frigo è vuoto perché sto facendo da babysitter a lui." scherzò, indicando Alec con il pollice.
"Ehi!" si lamentò il moro, risentito, allargando le braccia, quando si sentì chiamato in causa.
Già quel gatto lo odiava, non c'era bisogno di dargli ulteriori motivi per farlo diventare ancora più antipatico ai suoi occhi!
Come se gli avesse letto nel pensiero, Presidente Miao lo guardò brevemente, assottigliando lo sguardo, e Alec era sicurissimo che quel felino lo stesse giudicando e fissando con biasimo.
"Ma non preoccuparti!" continuò Magnus, battendo le mani e continuando a cercare. "Ora ci pensa papà!" esclamò, sorridendo trionfante quando riuscì a recuperare una scatoletta di tonno.
Il gatto mosse sinuosamente la coda e rivolse a Magnus uno sguardo adorante, tornando poi a strusciarsi tra le sue gambe e riprendendo il concerto di fusa.
Alec rivolse ad entrambi il dito medio, si alzò e voltò le spalle alla sua guardia del corpo e a quel gatto subdolo e ingrato che guardava il suo salvatore con ostilità, ma che si scioglieva come neve al sole per una carezza di colui che voleva lasciarlo al suo destino, e andò a sedersi di peso sul divano, scoprendo che era come stare su una nuvola. Ora capiva perchè i genitori di Magnus si erano messi comodi, pensò, sentendo le guance scaldarsi di nuovo per l'imbarazzo.
Il telefono di Magnus suonò e il moro lo sentì parlottare velocemente e a bassa voce con il suo interlocutore, prima che lo raggiungesse in salotto con un asciugamano umido e un vecchio maglione tra le mani, che ormai non usava più perché completamente passato di moda, e che usò per fare una cuccia improvvisata in una scatola di scarpe al nuovo arrivato.
"Domani ti compro una cuccia come si deve." annunciò al felino, mentre si sedeva accanto ad Alec. "Ma per il momento... che dici, Presidente? Ti piace?"
Il gatto annusò, circospetto, la scatola, poi si arrampicò sulle gambe di Magnus e andò ad acciambellarsi sulle sue ginocchia, iniziando a fare le fusa, contento. La guardia del corpo ridacchiò, iniziando a passare lentamente e con cautela il panno umido sul pelo e grattando, di tanto in tanto, la testa del felino.
"Ingrato! Ti ricordo che ti ho trovato io!" borbottò Alec, imbronciato, fissando con un'occhiataccia il micio. "Lui voleva lasciarti sull'albero!"
Presidente lo ignorò, mettendosi a pancia in su e continuando a ronfare per le carezze di Magnus, che rise, allegro, continuando a strofinare piano il pelo arruffato dell'animale.
"Domani ti portiamo dal veterinario e poi a fare una bella toelettatura. Vedrai quanto diventerai bello!" assicurò l'uomo, con convinzione, prima di girandosi verso il moro. "Jace è andato a casa tua, ma Raj era già sparito. Tuo fratello ha perlustrato la zona, ma di lui nessuna traccia ed è tornato in centrale per segnalare l'accaduto." lo informò.
Alec sospirò pesantemente. "Conoscono il numero di telefono di casa e sanno dove abito." mormorò, giocando con il bordo del proprio maglione. "Secondo te, come hanno fatto? Non sono nell'elenco!"
Magnus scrollò le spalle. "Possono averlo scoperto in molti modi. Uno dei due può aver rovistato tra la tua spazzatura oppure ti ha seguito o ha pedinato i tuoi fratelli, che lo hanno portato fino a casa tua."
"Per l'angelo, significa quindi che dovrò controllare tutto quello che faccio e controllare persino quello che butto via?!" esclamò Alec, in tono amaro.
"Perché non ne parliamo domani? Mh?" propose Magnus, picchiettandogli gentilmente la mano. "Ora hai bisogno di una bella dormita."
Alec gettò la testa all'indietro e chiuse gli occhi, adagiandosi sullo schienale del divano e sentendo improvvisamente piombargli addosso tutta la stanchezza e la frustrazione accumulate fino a quel momento.
"Andrà tutto bene." lo rassicurò Magnus, dolcemente, arruffandogli scherzosamente i capelli.
"Come lo sai?" chiese il moro, senza aprire gli occhi.
"Beh, perché hai la guardia del corpo più meravigliosa che ti potesse mai capitare!" esclamò Magnus, convinto. "Lo dice anche mamma che sono meraviglioso!" continuò, divertito.
Alec accennò un piccolo sorriso storto.
"Dai, vieni, andiamo a letto." lo esortò, alzandosi dal divano.
Alec tornò a guardarlo. "Grazie, Magnus." mormorò.
Magnus sorrise e gli fece cenno con la testa di seguirlo.
"Secondo te, cosa succederà ora?" chiese Alec, rassegnato, alzandosi faticosamente.
"Domani penseremo a un piano d'azione." lo rassicurò Magnus, accompagnando il moro nella camera degli ospiti. "Per ora, cerca di dormire." gli sorrise, gentile. "Buonanotte, Alec."
"Notte." rispose Alec, con un sospiro stanco, avvicinandosi al letto e cadendoci sopra pesantemente.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Era buio.
Alec non riusciva a vedere a un palmo dal suo naso e non aveva idea di dove si trovasse e come fosse finito lì.
Agitato, allungò le braccia attorno a lui: entrambe le mani toccarono la superficie dura di un muro ai lati del suo corpo. Avanzò di qualche passo, facendo scorrere i palmi sullo spazio ruvido sotto le sue mani, e capì di essere in un corridoio stretto e che gli dava un senso di claustrofobia.
Iniziò a camminare a passo svelto, continuando a toccare la superficie per avere un punto di riferimento, sperando di vedere, da un momento all'altro, uno spiraglio di luce che gli suggeriva l'uscita da quel tunnel.
Aveva percorso pochi metri quando sentì distintamente dei passi dietro di lui che si avvicinavano sinistramente.
Si voltò di scatto, capendo che qualcuno lo stava seguendo. Alec non lo vedeva, ma percepiva la sua oscura presenza e sentiva il suo respiro farsi via-via sempre più pesante, mano a mano che si avvicinava a lui.
Tornò a voltarsi e iniziò a correre.
Doveva scappare. Doveva arrivare assolutamente alla fine del corridoio e trovare la porta che l'avrebbe condotto fuori da lì o sapeva che per lui sarebbe stata la fine.
Più tentava di sbrigarsi, però, più gli sembrava di muoversi a rallentatore, mentre l'ombra alle sue spalle era sempre più vicina.
Era troppo lento, dannazione. Di questo passo lo sconosciuto dietro di lui l'avrebbe raggiunto e...

"Cazzo!" urlò Alec, ansando come uno stantuffo, mentre lottava come un disperato contro qualsiasi cosa l'avesse preso e lo stesse stringendo.
Un'ondata di panico lo invase, mentre il cuore iniziò a pompare sangue e adrenalina lungo tutto il suo corpo, spingendolo a dimenarsi ancora di più. Quando gli sembrò di non avere più aria nei polmoni, sbarrò gli occhi e si alzò di scatto a sedere, liberandosi finalmente della coperta che l'aveva avviluppato fino a togliergli quasi il respiro.
"Alec!" esclamò Magnus, scapicollandosi in camera sua. "Stai bene? Che succede?"
Alec continuò a respirare pesantemente e annuì, ancora frastornato, con lo sguardo perso nel vuoto.
Un incubo. Era stato solo e soltanto un incubo.
Si posò un mano sul petto e prese un'altra serie di respiri profondi, prima di alzare lo sguardo e guardare Magnus, con l'intenzione di rassicurarlo. Le parole, però, gli morirono in gola e la sua mente si bloccò di colpo, dimenticando tutto, anche come si respirava. Il viso gli andò completamente a fuoco e si coprì immediatamente gli occhi.
"P-p-per l'angelo!!" balbettò, colto completamente alla sprovvista. "MAGNUSSSS!! COPRITIIII!!" gridò, sul punto di morire per l'imbarazzo.
Magnus alzò un sopracciglio, sorpreso, poi guardò verso il basso e rise. "Scusa. Ho l'abitudine di dormire nudo."
"Copritiiii!" ordinò nuovamente Alec, tenendo gli occhi saldamente chiusi e prossimo a una sincope.
"Oh, ma dai! Non è niente che non abbia anche tu." lo prese bonariamente in giro Magnus, prendendo comunque uno dei cuscini ornamentali che posava sempre sul letto degli ospiti. "Ok, mi sono coperto."
Alec attese qualche secondo, poi aprì, titubante, un occhio e, quando vide che l'altro non gli aveva mentito, aprì anche l'altro.
"Per tua informazione, comunque, sappi che sta abbastanza bene, nonostante tu abbia tentato di uccidermelo!" lo informò l'uomo, con tono solenne. "Vuoi vedere?" chiese, togliendosi di slancio il cuscino. "Guarda qua che roba! Ho i testicoli viola a causa della tua ginocchiata!"
"MAGNUSSSS!!!" gridò Alec, tornando a coprirsi gli occhi e sentendo le guance incendiarsi.
Magnus rise di gusto. Aveva giurato che si sarebbe vendicato per la micidiale botta che l'altro gli aveva rifilato, ma sapeva che, alla fine, non gli avrebbe fatto niente. In quel momento, però, scoprì che poteva avere la sua piccola rivincita semplicemente facendo morire d'imbarazzo quell'anima pudibonda e adorabile davanti a lui. Ridacchiò, tornando a coprirsi e decidendo che poteva bastare così.
"Ok. Ok. Mi copro!" esclamò l'uomo, con un sorriso divertito. "Buongiorno." lo salutò poi, quando l'altro tornò ad aprire gli occhi.
"Idiota!" replicò Alec, guardandolo male, con il viso che non accennava minimamente a tornare normale.
Magnus piegò la testa e lo guardò dolcemente. "Come stai? Ti ho sentito urlare! Hai fatto un brutto sogno, per caso?"
"Sì. No. Non è niente." sospirò Alec, sventolando una mano e minimizzando l'incubo con una scrollata di spalle.
Magnus intuì la bugia e sentì l'impellente bisogno di abbracciarlo: fece un passo in avanti e alzò un braccio, pronto a consolarlo, ma poi si ricordò che il moro non gradiva il suo tocco, o almeno così andava blaterando, quindi lo riabbassò.
Alec lo guardò, confuso, e la guardia del corpo gli sorrise, rassicurante: si accucciò e prese con gentilezza, in una mano, Presidente Miao, che era accorso per vedere cosa stava succedendo e perché c'era tutto quel trambusto, e lo piazzò dolcemente tra le braccia del moro.
"Garantisco io per lui, Presidente." asserì Magnus, alzando un indice e facendo a entrambi l'occhiolino, quando sia Alec che il gatto lo guardarono sorpresi e terrorizzati allo stesso tempo per quella vicinanza forzata e del tutto inaspettata. "E' un brontolone e una testaccia dura, ma vedrai che, se ci fai amicizia, ti piacerà." sorrise, accarezzando con l'indice il piccolo naso del felino. "Su, fagli tornare il sorriso, mentre io vado a preparare la colazione." gli sussurrò piano, in un orecchio, mentre il campanello di casa suonava.
La guardia del corpo si voltò per uscire dalla stanza e Alec andò nuovamente in iperventilazione.
"MAGNUSSSS!" urlò il moro, alla vista del sedere nudo dell'altro.
La guardia del corpo rise di gusto e gli lanciò un'occhiata maliziosa da sopra la spalla. "Ti piace quello che vedi, Fiorellino?" chiese, ammiccando e sporgendo esageratamente il sedere, prima che Alec gli tirasse dietro il cuscino, facendolo uscire dalla camera.
Il moro si portò una mano alle guance, sentendole bollenti, e abbassò poi lo sguardo sul gatto che lo stava fissando, anzi, no, Alec era fermamente convinto che lo stesse giudicando e lo stesse reputando un imbecille patentato. Forse lo era. Sicuramente lo era.
"Che c'è?" chiese, agitato e a disagio sotto quell'occhiata intensa.
Non si sarebbe stupito affatto se, da un momento all'altro, quel gattaccio ingrato si fosse avventato sul suo viso per cavargli entrambi gli occhi per pura goduria felina.
Presidente Miao piegò leggermente la testa e lo guardò a lungo con quegli occhietti giallo-verdi che somigliavano incredibilmente a quelli della sua guardia del corpo: sembrava quasi lo stesse soppesando attentamente e stesse tentando di capire perché il suo adorato Magnus frequentava un impiastro simile.
Alec sentì l'impellente urgenza di spiegarsi, di giustificarsi, di dirgli che l'ex Marine non era lì per un'opera di carità, ma era stato ingaggiato da suo padre per fargli da guardia del corpo, ma Presidente si mosse, accomodandosi meglio su di lui, e il moro non osò aprire bocca.
Dopo interminabili secondi, in cui Alec trattenne addirittura il fiato pur di non infastidirlo e rischiare di vedersi strappare via mezza faccia a causa di quelle malefiche unghiette affilate, il gatto sospirò e miagolò debolmente, scosse piano la testa (sì, l'aveva fatto! Il moro avrebbe potuto giurarlo sulla sua famiglia!) e spiazzò totalmente Alec iniziando a strusciarsi sul suo petto e a fare le fusa, guardandolo di tanto in tanto, in attesa di una carezza.
Alec lo fissò a bocca aperta, incapace di credere a quanto stava succedendo, poi un'ondata di gioia lo travolse e gli sorrise, raggiante. Non aveva idea di come fosse successo, ma a quanto pareva aveva finalmente passato il silenzioso esame del felino e ora non lo trattava più alla stregua di boli di pelo appena vomitati.
Accarezzò il gatto cautamente, con estrema lentezza, per interi minuti, felice come non lo era da tempo, prima di decidersi ad alzarsi. Doveva assolutamente dire a Magnus che la palla di pelo spelacchiata aveva deposto gli artigli e non c'era più pericolo che gli strappasse il cuore dal petto mentre stava dormendo... o almeno lo sperava!
Quando aprì la porta della sua camera, fu investito da un piacevole aroma di caffè e dal suono di voci maschili. Sorrise, respirando a fondo il profumo che si era propagato per tutto l'appartamento.
Magnus era in piedi, davanti ai fornelli, e indossava solo un paio di jeans stretti che sembravano urlare "Hai visto che sedere? Eh? Hai vistooo?" (e, sì, Alec l'aveva visto perfettamente a distanza ravvicinata, sì!) e, quando lo sentì arrivare, si voltò verso di lui e gli fece un giocoso occhiolino, prima di tornare a trafficare con le padelle.
Alec sbuffò, maledicendosi intimamente perché le sue guance si erano colorate all'istante, e distolse lo sguardo, reputando saggio rivolgere la sua attenzione all'uomo seduto al tavolo: Will Herondale era spaparanzato su una sedia, con i piedi appoggiati su di un'altra, e alzò la sua tazza di caffè in cenno di saluto.
"Buongiorno, Alec." esclamò, con un sorriso.
"Ciao, Will." rispose Alec, con un cenno della testa. "Come stai?" domandò educatamente.
Avere a che fare con Will lo faceva sentire irrequieto: fisicamente gli somigliava tantissimo, ma, a differenza sua, il Marine era più coraggioso, più spigliato, più simpatico, più chiacchierone, più... tutto. Ad Alec sembrava di avere a che fare con una sua copia, ma riuscita meglio, e questo lo metteva a disagio.
"Bene, grazie, anche se piuttosto assonnato." ribatté Will, alzando le braccia in alto e stiracchiandosi lentamente. "Non sono ancora andato a letto." spiegò, facendogli l'occhiolino.
Alec si irrigidì, certo che la causa di quella nottata in bianco fosse Raj. "Cos'è successo?"
Will lanciò una breve occhiata a Magnus, che annuì, incoraggiandolo a proseguire. "Raj deve essersi stancato di fare da spettatore e ha deciso di passare all'attacco. Due volte." spiegò Will, bevendo un sorso di caffè. "Ha fatto scattare l'allarme una volta verso l'una e mezza e un'altra verso le quattro."
Alec si sedette di peso su una delle sedie. "Ha cercato di entrare in casa mia?" chiese, scioccato.
Will scrollò le spalle. "Secondo me, la prima volta voleva solo accertarsi che tu fossi in casa. La tua vicina, infatti... tra l'altro una signora molto simpatica e piuttosto chiacchierona..." sorrise, divertito, il soldato "...comunque mi ha detto che batteva i pugni contro la tua porta, gridando il tuo nome. Purtroppo è scappato prima che noi arrivassimo."
"Noi?" chiese Alec, aggrottando la fronte, mentre Magnus gli metteva davanti una spremuta d'arancia.
Will annuì. "Quando scatta l'allarme viene inviato un messaggio sul cellulare di Magnus, che lo avvisa della probabile intrusione e, in più, vengono avvisati anche l'agenzia di sicurezza per cui lavora tuo cognato e la polizia."
"Davvero?" chiese Alec, stupito.
Magnus annuì. "E' importante che, in casi del genere, la polizia sia informata tempestivamente e che intervenga ogni volta che scatta l'allarme." spiegò, mescolando il suo caffè con un cucchiaino.
"Casi di stalking, vuoi dire." borbottò Alec, fissando la sua spremuta.
Magnus annuì nuovamente. "La polizia stila un rapporto e ogni volta che un indiziato tenta qualcosa, la documentano."
"Anche se si tratta di falso allarme?"
"Non è il tuo caso, ma, sì, anche in caso di falso allarme."
"Fantastico." ribatté Alec, roteando gli occhi. "Quindi il mio "efficiente" allarme di sicurezza disturba inutilmente la polizia perché quel ragazzo si è fissato con me."
Magnus piegò la testa e sorrise dolcemente. "Tesoro, non disturba nessuno. E' il loro lavoro."
"Ahn-ahn. Sì, certo." borbottò Alec, sarcastico, pizzicandosi la radice del naso.
"Jace ha già stilato un rapporto e ha documentato ogni cosa." lo informò Magnus.
Alec agguantò il suo cellulare, aspettandosi mille chiamate e messaggi da parte del fratello, ma ce n'erano parecchi solo di sua sorella e di sua madre che volevano tutti i dettagli di quello che era successo il giorno prima.
"Come fai a saperlo?" chiese, quindi, dubbioso.
"Ci siamo sentiti prima." rispose Magnus, scrollando le spalle e azzannando una ciambella glassata che Will gli aveva gentilmente portato.
"Ti ha chiamato?" chiese Alec, sempre più sbalordito. "Perché parla di queste cose con te e non con me?"
"Passerotto, credo che semplicemente non voglia farti preoccupare." rispose Magnus, gentile. "E' parecchio arrabbiato per non essere riuscito ad acciuffarlo."
"Beh, ma ora può arrestarlo, no?" domandò Alec, speranzoso. "Voglio dire, ha chiaramente passato il segno!"
"Non è così semplice." mormorò Magnus, scuotendo la testa. "Da questa mattina, Raj è irreperibile. Jace è andato nel suo appartamento e l'ha trovato vuoto."
Alec gettò la testa all'indietro e sbuffò forte. Tutto ciò era ridicolo. Ma che aveva? Una calamita invisibile per gli psicopatici?
Magnus diede un altro po' di tonno a Presidente Miao, che si strusciava con insistenza sulle sue gambe, poi posò sulla tavola un piatto, su cui aveva disposto tutto quello che Will gli aveva procurato prima di venire a casa sua: una decina di ciambelle glassate, un cestino di brioches fragranti, un bricco di caffè e una caraffa di spremuta d'arancia.
"Serviti pure, Fiorellino." sorrise, allargando le braccia e sedendosi poi accanto a lui.
Con un sospiro, Alec piluccò distrattamente una brioche. Era davvero buona, ma lui aveva lo stomaco chiuso in una morsa. Quello che lo preoccupava più di tutto, infatti, era che se già con Lydia e lo sconosciuto delle e-mail la sua libertà e la sua indipendenza erano state fortemente limitate, ora rischiava seriamente di finire come un carcerato!
"Eddai, Alec! Ti ho visto mangiare e puoi fare meglio di così." lo stuzzicò Will, piazzandogli un'enorme ciambella glassata tra le mani.
"Andrà tutto bene, vedrai." lo rassicurò Magnus, picchiettandogli una mano, intuendo la sua preoccupazione.
Il moro sospirò nuovamente e addentò il dolce zuccherato. Era da una vita che non mangiava una bomba calorica come quella e non la ricordava così buona, così, una volta finita quella, ne addentò un'altra e poi un'altra ancora.
"Così si fa!" esclamò Will, contento, battendogli un'energica pacca sulla schiena.
Ad Alec andò di traverso un pezzo di ciambella e iniziò a tossire convulsamente, facendo ridere i due ex colleghi.
Un attimo dopo, il cellulare di Magnus suonò e lui rispose. Parlò con l'interlocutore con parole brevi e concise, poi riattaccò, mentre Alec e Will lo guardavano in trepidante attesa di notizie.
"A quanto pare il nostro Raj è più temerario di quanto pensassi." riferì la guardia del corpo, tamburellando l'indice sulla tavola, meditabondo. "E' salito per la scala antincendio e ha distrutto la finestra delle tua camera." mormorò, trattenendo a stento la rabbia. "Vai a vestirti, coniglietto." consigliò al moro, guardandolo risoluto. "Andiamo a vedere cosa ha combinato."

Alec richiuse, con un tonfo secco, il libro che stava leggendo e si alzò dalla sedia.
Will Herondale stava dormendo beatamente sul suo divano, mentre Magnus stava trafficando in camera sua per piazzare dei nuovi sensori.
Dopo aver fatto sostituire il portoncino d'ingresso con uno molto più pesante e blindato, la guardia del corpo aveva dato ordine, ad una ditta specializzata che conosceva, di sostituire tutte le finestre dell'appartamento e ora Alec poteva vantare vetri infrangibili che costavano un occhio della testa e che erano a prova di proiettile.
Con una lunga ed estenuante telefonata, inoltre, era riuscito a ottenere l'ordinanza del tribunale che impediva a Raj di avvicinarsi ad Alec e aveva fatto consegnare le foto del molestatore anche ai suoi vicini di casa e di agenzia, in modo che, se si fosse fatto di nuovo vivo, i suoi amici e conoscenti sapevano con chi avevano a che fare. Per Lydia, purtroppo, non era riuscito a fare altrettanto e Alec sapeva che Magnus era parecchio infastidito per questo.
Infine, l'uomo gli aveva dato da leggere dei libri che trattavano l'argomento molestie, in modo che fosse preparato a quello a cui andava incontro, e il quadro che si prospettava non era affatto roseo: i criminali di quel genere, infatti, erano considerati irrazionali, ossessivi e del tutto privi di scrupoli. Molti di loro diventavano violenti quando non ottenevano ciò che volevano e, visto che il suo nuovo stalker aveva già usato le maniere forti con il suo ex fidanzato, era chiaro che la notte prima aveva perso la pazienza davanti all'appartamento di Alec.
Il moro si avvicinò alla porta finestra che dava sul terrazzo con lo sguardo perso verso l'orizzonte. Cosa sarebbe successo se lo sconosciuto che inviava e-mail minatorie a suo padre non fosse mai esistito e, di conseguenza, Magnus non fosse mai piombato nella sua vita? Che cosa avrebbe fatto se quel psicopatico avesse tempestato di pugni la sua porta e urlato il suo nome nel cuore della notte, mentre lui stava dormendo nel suo letto? E quando, una volta stanco di giocare, lo stalker avesse rotto la finestra della sua camera? Sarebbe stato in grado di reagire? Sarebbe riuscito ad affrontare tutto quello da solo, perché, conoscendosi, non avrebbe coinvolto nessuno della famiglia?
Alec non possedeva una mazza da baseball con cui scoraggiare eventuali topi d'appartamento, figurarsi una pistola con cui proteggersi da criminali psicopatici! Sì, aveva un discreto gancio e buone gambe che potevano colpire i punti giusti nel caso in cui fosse stato in pericolo, ma davanti alla minaccia di un'arma tutto ciò era inutile. In passato aveva avuto lunghe discussioni sia con suo padre che con suo fratello su questo argomento, ma si era sempre rifiutato di prendere la licenza per il porto d'armi perché non si sarebbe mai perdonato se avesse tolto la vita a qualcuno, fosse anche una persona dedita alla delinquenza.
Sospirò, poggiando la fronte sul vetro della porta finestra, prima di decidere di uscire sul terrazzo. Aveva decisamente bisogno di respirare aria fresca.
Posò una mano sulla maniglia e fece per tirare, ma una voce assonnata lo bloccò.
"Non farlo." mormorò Will, a occhi chiusi.
Alec si voltò verso il Marine e aggrottò la fronte. "Come sai cosa sto per fare se stai dormendo?"
Il viso di Will si aprì in un sorriso consapevole. "Regola numero uno, Fiorellino..." lo canzonò, senza aprire gli occhi. "...dormire sempre con un occhio aperto quando fai da babysitter." spiegò, allungando le braccia per stiracchiarsi come un gatto.
"Babysitter?" chiese Alec, indispettito.
Will aprì finalmente gli occhi e si mise lentamente a sedere. "A Magnus sarebbe venuto un infarto se avessi fatto scattare l'allarme." ridacchiò, sgranchendosi il collo. "E' attivato." spiegò, all'occhiata perplessa dell'altro.
"Dannato aggeggio infernale." borbottò Alec, stizzito, incrociando le braccia al petto.
"Sì, beh, sono sicuro che, con il tempo, imparerai ad apprezzarlo." assicurò Will, facendogli l'occhiolino e raggiungendolo. "Ok, dico a Magnus di disinserire l'allarme e poi possiamo sederci fuori."
"Possiamo?" chiese Alec, inarcando un sopracciglio minaccioso.
Will annuì. "Non puoi andare lì fuori tutto solo." si giustificò, indicando con il pollice il terrazzo al di là della porta a vetri. "Troppo pericoloso. Non sappiamo quanto siano pazzi i tuoi stalker! Potrebbero spararti dall'edificio di fronte!" spiegò con tono tranquillo, scrollando le spalle.
Alec allargò le braccia, esasperato. Ora non poteva nemmeno più sedersi sul suo balcone? Assurdo! pensò, fumante di rabbia. Tanto valeva che lo chiudessero in una gabbia, no?
Stava per rifilare una rispostaccia a Will, ma lui, anticipandolo, alzò un indice e gli sorrise. "Prendere o lasciare."
Il moro si morse il labbro inferiore e, stizzito, fece un cenno con la testa. "Ok. Sediamoci fuori." ringhiò, risentito.
Nonostante la temperatura fredda, su tutta New York splendeva il sole e anche se il suo calore non arrivava a scaldargli la pelle, Alec si sentì molto meglio e per un attimo si dimenticò di tutti i suoi problemi, di tutte le sue paure e volle illudersi che la sua vita era ritornata magicamente come prima dell'arrivo di Lydia. Poi Will parlò, riportandolo alla realtà.
"Come mai ti piace tanto stare all'aperto? Magnus mi ha detto che ti piace camminare da solo, anche di notte, e di certo non lo fai per abbronzarti." lo canzonò, punzecchiandolo con l'indice su una guancia pallida.
Alec si trattenne dal fargli la linguaccia e si limitò a scostargli la mano. "Mi piace l'aria fresca. Odio restare tutto il giorno chiuso in casa o in ufficio. Mi rende nervoso. Preferisco di gran lunga fare passeggiate, sentire il vento sul viso..."
"A me invece piace prendere il sole." dichiarò Will, incrociando le dita dietro la testa.
"Davvero? Guardandoti non si direbbe." osservò Alec, sardonico.
Will rise. "Che ci vuoi fare? Colpa di papà." replicò, allegro.
"Tuo padre?" chiese Alec, interessato.
Will annuì brevemente. "Era inglese. Sono nato e cresciuto lì, prima di trasferirmi qui in America." spiegò, con un sorriso. "E laggiù il tempo non è sempre clemente con noi amanti del sole." continuò, con un sospiro. "Odio la pioggia e il freddo. Fosse per me, dovrebbe essere estate tutto l'anno." sorrise, chiudendo gli occhi e protendendo il viso verso il sole. "Anche perché è più bello giocare a basket all'aria aperta."
"Ti piace il basket?"
"Sì! Ogni tanto riesco a trascinare in uno scontro uno contro uno anche Sniper." sorrise Will.
"Magnus gioca a basket? Sul serio?" chiese Alec, stupito, svirgolando le sopracciglia.
Per il moro era una sorpresa. Davvero la sua guardia del corpo, che era capace di farsi anche dieci docce al giorno quando aveva la sensazione di sentirsi anche solo lontanamente sudato, praticava uno sport che ti faceva inzuppare la maglietta dopo appena cinque minuti di gioco e in cui bisognava perennemente correre avanti e indietro?
"E' più tipo da poker..." rivelò Will, divertito "...ma quando vuole un favore dal sottoscritto mi sfida a basket. E perde tutte le volte."
Alec si ritrovò a ridere di gusto agli aneddoti sportivi raccontati da Will e sorrise quando scoprì che, sì, Magnus poteva anche perdere ogni partita a basket, ma stracciava regolarmente il suo ex collega ogni volta che si sedevano attorno ad un tavolo da gioco.
Fu solo quando Magnus varcò la soglia della terrazza, che il moro si rese conto che Will, che fisicamente assomigliava sì a lui, ma caratterialmente gli ricordava tantissimo suo fratello Jace, l'aveva intrattenuto piacevolmente per più di un'ora, facendogli dimenticare momentaneamente tutti i suoi problemi. Forse poteva cominciare a sentirsi meno strano in sua compagnia. Forse.
Magnus sorrise ad entrambi, sollevando un vassoio carico di pasticcini, un bricco di caffè e una caraffa di spremuta. "E' l'ora delle merenda, bambini miei!" esclamò, allegro.
Will ridacchiò, acchiappando un paio di pasticcini per ficcarseli in gola. "Come procede, dentro?" chiese, con la bocca piena.
"Tutto bene." assicurò Magnus, sedendosi su una sedia e allungando le lunghe gambe sopra la ringhiera del balcone. "Ho sistemato sensori praticamente ovunque."
"Quindi ora che facciamo?" chiese Alec, mentre la sua guardia del corpo gli porgeva un pasticcino.
Magnus scrollò le spalle. "Continui la tua vita di sempre, solo con ancora più attenzione di prima." decretò, bevendo un lungo sorso di caffè, mentre Presidente Miao gli saltava in grembo, iniziando a fare le fusa.
Alec fece un verso stizzito. "Sì, come no..."
"Che ne dici se stasera ti preparo un altro dei miei deliziosi piatti indonesiani? Mh?" domandò Magnus, sorridendo gentilmente, cambiando discorso.
"A me sembra fantastico." esclamò Will, alzandosi in piedi e stiracchiando le braccia verso l'alto. "Vado a dormire un altro paio di orette e poi sono dei vostri." asserì, dando una carezza veloce al gatto.
"L'hai invitato tu?" scherzò Alec, alzando un sopracciglio, indicando il Marine con il pollice e con un sorriso accennato.
"Fiorellino..." lo canzonò Will. "...non ho bisogno di inviti. Non quando cucina Magnus." sorrise, allegro, puntandogli l'indice contro. "Non sarà un grande giocatore di basket, ma è imbattibile a poker e a cucinare. Inoltre, prenoto fin d'ora tutto quello che lascerai nel piatto." concluse, facendogli l'occhiolino e rientrando in casa.
Alec tentò di trattenere un sorriso, ma fallì.
"E' un idiota, ma... un idiota simpatico." rise Magnus.
Alec annuì. "A parte il suo atteggiamento alla Jace..." iniziò, mentre Magnus, ridendo, si strozzava con il caffè. "Sì, direi che non è male." sorrise, tornando poi serio. "Secondo te.. le cose diventeranno difficili come è scritto nei libri che mi hai dato da leggere?"
"E' probabile." ammise Magnus, con riluttanza, mangiando un altro pasticcino.
"I criminali di questo genere sono considerati irrazionali, ossessivi e del tutto privi di scrupoli." citò Alec, a memoria, corrucciato.
Magnus annuì, con un sospiro.
"Molti di loro diventano violenti, quando non ottengono ciò che vogliono." continuò Alec, stringendo il bicchiere di spremuta che aveva in mano.
"Tesoro, ti assicuro che prenderemo tutte le precauzioni neces..."
"Sì e devo comunque sperare che quei due esagitati non siano più intelligenti di te e delle tue precauzioni!" lo interruppe Alec, con un verso di scherno. "Sul serio, come posso affrontare due pazzi che hanno una visione tutta loro della realtà? Che non sono razionali, ma soprattutto che agiscono indisturbati, sfasciandomi casa e mandandomi messaggi minatori?"
"Non lo fai." rispose Magnus, deciso. "Lo faccio io per te, mentre tu ti tieni fuori dalla loro zona di tiro." gli sorrise dolcemente.
"E come?" chiese Alec, allargando le braccia, esasperato.
"Tenti di evitare ogni possibile incontro." rispose Magnus, con logica. "E' uno dei motivi per cui ho tanto insistito perché tu stessi a casa mia, anziché qui."
"Non voglio lasciare il mio appartamento!" obiettò Alec, posando il bicchiere e incrociando le braccia al petto.
"Ok. Ok." rispose Magnus, alzando le mani in segno di resa perché non voleva litigare. "Ma purtroppo non c'è niente che possiamo fare per cambiare la mente contorta dei tuoi stalker." argomentò, con un sospiro. "Ti consiglio, quindi, di iniziare a documentare tutto, come, ad esempio, le registrazioni nella tua segreteria telefonica o se ti arriva qualche e-mail o messaggio strani."
Alec fissò dritto davanti a sé, sbuffando. Sapeva che Magnus aveva ragione e, a meno che non optasse per la fuga, come aveva fatto l'ex di Raj (se poi era davvero scappato), doveva momentaneamente "adeguarsi" a quel nuovo stile di vita, visto che non aveva alcuna intenzione di abbandonare la sua città, la sua famiglia e il suo lavoro!
Il suono del campanello lo riportò al presente, mentre Magnus si alzava per andare ad aprire. Quando spalancò la porta, trovò Molly, l'anziana vicina di casa di Alec, spalmata sullo stipite, mentre respirava con affanno e fatica.
"Oh, per fortuna siete in casa, cari!" esalò la donna, paonazza, portandosi una mano al petto.
"Signora Kinsley!" mormorò Alec, sorpreso e preoccupato allo stesso tempo, protendendosi verso di lei per condurla in casa e farla accomodare. "Sta bene? Cosa le è successo?"
L'anziana sventolò una mano, come se non avesse tempo da perdere con quelle ciance e quelle premure. "La macc... la macchina!"
"La macchina?" chiese Magnus, aggrottando la fronte. "Quale macchina?"
"La macchina!" ripeté Molly, picchiettando con il palmo il petto di Alec. "Oh, caro! La tua macchina!"
Alec sbarrò gli occhi e si gelò all'istante. "La mia macchina? Che è successo alla mia macchina?" chiese, mentre un brutto presentimento lo scuoteva tutto.
"Oh, caro! Ti hanno distrutto la macchina!" pigolò l'anziana, inspirando a fondo.
Alec e Magnus fissarono la donna, attoniti, per un lungo momento, poi si mossero in simultanea: scesero in fretta le scale e arrivarono di fronte al posto auto dove Alec parcheggiava sempre la sua sgangherata Ford LTD.
I finestrini erano stati spaccati e i frammenti di vetro erano ovunque, dentro e fuori il veicolo. Le gomme erano state tagliate, la carrozzeria era piena di ammaccature e, sul cofano, erano state scritte le parole Lui è mio con della vernice rosso sangue.
"Sial..." [ndr. Cazzo] mormorò Magnus, impressionato, mettendosi le mani sui fianchi.
"Raj!" sibilò Alec, stringendo con forza i pugni lungo i fianchi, mentre sentiva montargli dentro una rabbia folle.
"Non credo." rispose Magnus, battendosi l'indice sul mento.
"Lydia?" domandò Alec, stupefatto, voltandosi di scatto verso la sua guardia del corpo.
Magnus iniziò a camminare attorno alla macchina, pensieroso. "Sì, secondo me è opera sua." asserì, fermandosi di fronte al cofano. "Vedi?" chiese, indicando la scritta rossa. "La calligrafia assomiglia molto a quella di entrambi i biglietti."
Alec allargò le braccia, esasperato.
"Dubito che abbia lasciato delle impronte." lo avvisò Magnus. "Non ha avuto bisogno di toccare niente per combinare tutto questo casino." commentò, corrucciato. "E anche se qui c'è il corpo del reato..." continuò, sporgendosi oltre uno dei finestrini distrutti da cui, sul sedile, si intravedeva una mazza da baseball. "Non credo che sull'impugnatura troveremo delle impronte."
"Mi ha distrutto la macchina!" abbaiò Alec, arrabbiato, a voce alta. "Ti rendi conto? Mi ha distrutto la macchina!"
Magnus annuì, comprensivo. "Sarà meglio chiamare Jace." suggerì, dandogli una veloce pacca rassicurante sulla spalla.
Quando il biondo poliziotto arrivò, annotò tutto su un taccuino e documentò la scena con numerose foto.
"Oh, a proposito!" esclamò Jace, mentre esaminava le istantanee che aveva scattato. "Ho parlato con lo psicologo che aveva in cura il nostro caro Raj e mi ha riferito che ha saltato tutte le ultime sedute." li informò.
"Grandioso." commentò Magnus, sarcastico.
"Il dottore mi ha anche detto che, secondo la sua opinione professionale, quel ragazzo è tanto brillante, quanto squilibrato." continuò Jace.
"Fantastico!" rispose Alec, con un verso di sdegno. "E' un piacere sapere che ho a che fare con due individui folli, ma geniali!"
"Inoltre..." riprese Jace, guardando il fratello con sguardo comprensivo. "Ho scoperto che anche l'ex di Raj è moro e con gli occhi blu."
"Uau! Sei una continua fonte di buone notizie!" esclamò Magnus, sardonico.
"Mi dispiace fratello!" sospirò Jace, contrito.
Alec sventolò una mano. "Non è colpa tua." mormorò, voltandosi per rientrare in casa.
Magnus lo guardò oltrepassare il portone d'ingresso e non gli sfuggì né il modo stanco con cui si muoveva né il tono spento della sua voce. La cosa non gli piacque per niente.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Il sole brillava alto nel cielo, ma il sentiero sassoso di montagna, che stavano percorrendo da oltre un'ora, era riparato dalle fronde degli alberi e uno sfinito e spossato Alec non notò affatto la radice di un pino che sbucava, infida e insidiosa, dal terreno ricoperto di sassi e foglie.
Il moro inciampò e cadde pesantemente in ginocchio, lanciando un grido sorpreso. Si sarebbe di sicuro spalmato interamente a terra se non fosse stato per Magnus, che l'aveva agguantato giusto in tempo per il colletto della maglia e gli aveva evitato di sfracellarsi al suolo.
Si rialzò faticosamente in piedi e quando notò la macchia sui jeans, all'altezza delle ginocchia, imprecò sonoramente. Possibile che non gliene andasse bene una? Una, per l'angelo!
Magnus sorrise, alzando gli occhi al cielo e scuotendo piano la testa, prima di piegarsi per spolverargli i pantaloni e togliergli la terra di dosso, come avrebbe fatto un genitore con il proprio bambino.
"Guarda che ero capacissimo di farlo anche da solo." borbottò Alec, burbero.
"Non c'è di che, zuccherino." ritorse Magnus, con un sorriso divertito. "Vuoi che ci fermiamo un attimo?" propose, in tono gentile.
"Non ne ho bisogno." rantolò Alec, sventolando una mano e prendendo una serie di respiri profondi.
Magnus ridacchiò. "Ne sei sicuro? Sembra che stai per avere un infarto!" osservò, divertito, riprendendo comunque a camminare.
"E' solo una tua impressione." sbuffò Alec, continuando a seguire l'altro lungo l'impervio sentiero. "Manca ancora molto?" chiese poi, asciugandosi stancamente il sudore della fronte con la manica della maglia.
"Ohhh andiamo, pasticcino! Dov'è il tuo spirito di avventura?" chiese Magnus, allegro, voltandosi e iniziando a camminare all'indietro. "Sei un agente di viaggi, no?"
"Appunto!" ansò il moro, indicando il suo viso disastrosamente arrossato e madido di sudore a causa dello sforzo disumano che stava compiendo.
Alec non era mai stato un tipo propriamente atletico. Sì, praticava il tiro con l'arco e andava a camminare, ma quando gli amici gli proponevano una partitella a basket, o facevano escursioni, il moro rifiutava sempre, preferendo la lettura o il lavoro a qualsiasi attività motoria che prevedesse sudore ed eccessiva fatica.
"Ti sembro uno scalatore?" continuò, a corto di fiato, con il cuore che pompava come un indemoniato nella cassa toracica.
Magnus rise e roteò gli occhi. "Passi troppo tempo con me, cipollina!" affermò, con un largo sorriso. "Non stiamo mica scalando una montagna! Stiamo solo facendo una bella e tranquilla passeggiata."
"Tra-tranquilla?" esalò Alec, guardandolo male.
Magnus annuì. "Visto quanto sei flaccido, dovresti farlo più spesso, sai?"
"F-flaccido?" balbettò Alec, ansimando pesantemente.
Magnus annuì nuovamente. "Sai, confettino, dovresti proprio smetterla di stare dietro una scrivania e muoverti di più." scherzò, punzecchiandolo su un fianco con l'indice. "La signora Molly ti avrebbe già superato da un pezzo. Lo sai, vero?"
"Io non sono flaccido!" replicò Alec, oltrepassandolo di slancio per dimostrargli quanto si sbagliasse e far vedere a quell'idiota chi era Alec Lightwood!
Iniziò a inerpicarsi su per il sentiero in salita, pestando con forza i piedi per darsi più stabilità, ma quella dannata stradina era davvero ripida e stava faticando non poco per non retrocedere o, peggio ancora, cadere all'indietro.
"P-per l'angelo! Perché non hanno costruito un sentiero più agevole?" ansimò, a corto di fiato, bloccandosi quando aveva fatto solo pochi passi in più della sua guardia del corpo.
"Oh, ma c'è!" dichiarò Magnus, con un sorriso sibillino, poggiando i palmi aperti sul sedere dell'altro per spronarlo a proseguire.
Alec saltò in avanti e si esibì in un grido ben poco virile, mentre l'altro gli fissava spudoratamente il sedere.
"Dio... è davvero sodo come ho sempre pensato che fosse." sospirò sognante Magnus. "Hai mai pensato di fare il modello per intimo maschile?" continuò, piegando la testa e guardando avidamente le linee rotonde fasciate dai jeans dozzinali che indossava il moro.
Alec si coprì il sedere con le mani e si voltò a fronteggiarlo. "Piantala." sibilò, imbarazzato e con il viso paonazzo, prima di rimanere senza fiato quando finalmente le parole pronunciate in precedenza dalla sua guardia del corpo fecero breccia nella sua mente. "C-cosaaa?" chiese poi, a bocca aperta.
"Hai un sedere perfetto e dovresti fare il modello di intimo." asserì Magnus, con tono deciso e che non ammetteva repliche. "Anche se io ti preferirei indubbiamente senza niente." continuò, ammiccando e guardandogli sfacciatamente l'inguine.
Alec gli tirò un pugno deciso sulla spalla.
"Ahio!" si lamentò Magnus, massaggiandosi la zona dolorante.
"C'è un altro sentieroooo?" domandò Alec, ignorandolo e alzando il tono di voce.
Magnus inarcò un sopracciglio, poi gli fece un occhiolino giocoso e rise, sorpassandolo agilmente con le sue gambe lunghe e muscolose che sembravano essere nate per camminate impervie come quella.
Alec lo seguì con lo sguardo, deciso ad ucciderlo e a nascondere il corpo sotto rami e foglie marce. Tanto chi l'avrebbe mai trovato lì, in mezzo al nulla?
Magnus sembrò intuire i suoi pensieri e rise di gusto, allontanandosi ancora di più. Quello che il moro non sapeva, infatti, era che c'era una stradina che portava tranquillamente alla destinazione in cui l'ex Marine aveva deciso di condurlo. Magnus, però, aveva pensato che farlo camminare poteva essere un buon modo per distrarlo e fargli smettere di pensare alla situazione in cui si trovava, quindi aveva optato per quel sentiero proibitivo, anziché il tranquillo e monotono percorso principale. In più si stava divertendo come un matto a vedere l'altro sudare, imprecare e borbottare come una caffettiera, mentre si arrampicava su per il sentiero, così come si stava godendo al massimo la magnifica vista del suo sedere che si contraeva sotto i jeans logori.
"T-ti u-uccido!" gracchiò il moro, boccheggiando, prima di affiancarlo e piegarsi sulle ginocchia per riprendere fiato quando finalmente arrivarono in cima.
"Che ne dici, dolcezza?" lo ignorò Magnus, chiudendo gli occhi, allargando le braccia e inspirando a pieni polmoni.
"Dico che sei lo stronzo più stronzo che abbia mai incontrato e... oooh..." mormorò Alec, incantato, quando finalmente notò la visita spettacolare che si dipanava davanti ai loro occhi.
Magnus sorrise. Era la reazione che aspettava da quando aveva deciso di portarlo lì.
L'ex Marine amava quel posto, che avevano scoperto Ragnor e Raphael, e il meraviglioso panorama che spaziava su miglia e miglia di foreste intatte e colline verdi che sembravano andare a fuoco quando il sole iniziava a calare.
"Allora? Ne valeva la pena, trottolina?" chiese l'uomo, spintonando gentilmente la spalla del moro con la propria.
"Idiota." ritorse Alec, continuando comunque a guardarsi in giro, sbalordito ed estasiato.
Magnus trattenne un sorriso, guardando con aria soddisfatta la casetta di legno che sorgeva, tra gli alberi, in fondo alla radura. Erano arrivati finalmente.
Dopo l'ultimo attacco, avvenuto quindici giorni prima e che aveva visto soccombere la sgangherata Ford LDT del moro, gli atti di vandalismo erano continuati: qualcuno aveva danneggiato altre auto e lasciato scritte oscene e minacciose sui muri del palazzo, senza mai essere colto sul fatto.
Magnus aveva visto Alec spegnersi lentamente e inesorabilmente, senza che lui potesse fare qualcosa. Il moro, infatti, si era completamente rinchiuso in se stesso, la notte non dormiva e aveva iniziato a mangiare poco o niente. Anche se andava al lavoro tutti i giorni, non provava più piacere in quello che faceva e le uniche volte che sembrava uscire da quella apatia, in cui era caduto, era quando incontrava la sua famiglia.
Magnus aveva capito che non potevano più continuare così nell'esatto momento in cui Alec non aveva protestato, come aveva sempre fatto, quando gli aveva proposto di andarsene da New York per qualche giorno.
Negli ultimi tempi, a dirla tutta, non aveva mai contestato nessuna delle decisioni della guardia del corpo e se un tempo Magnus avrebbe pagato oro per quell'atteggiamento, ora era deprimente vederlo così docile e remissivo. Era come se una parte importante di Alec, la sua stessa essenza, stesse scivolando via, lentamente e giorno dopo giorno, dal corpo del giovane e l'uomo non poteva sopportarlo.
Magnus aveva sentito l'urgenza di fare qualcosa, di dare una scossa al ragazzo e aveva deciso di portarlo lì, tra i boschi, in mezzo al nulla. Sapeva quanto Alec amasse la natura, gli spazi aperti e l'aria fresca sulla pelle: in quel posto era certo che poteva tornare a sentirsi libero e sereno, senza la costante paura di essere assalito da pazzi ossessionati da lui.
"Sei sicuro che i tuoi amici siano d'accordo?" chiese Alec, dubbioso, inarcando un sopracciglio.
"Te l'ho già detto, a Ragnor e Raph non dispiace se usiamo il loro nido d'amore per un po'." confermò Magnus, con un sorriso allegro, sventolando una mano e facendogli l'occhiolino. "Andiamo, tesoro?" chiese, indicando, con un cenno della testa, la casetta fatta di tronchi.
Alec sospirò, stanco, e seguì la sua guardia del corpo. Sbiancò quando vide i cinque scalini che conducevano a un portico aperto fatto di legno. In un altro momento, quei scalini avrebbe potuto farli di slancio e in un unico colpo, ma ora sembravano una montagna invalicabile.
"Lasciami qui." dichiarò, con tono melodrammatico, inginocchiandosi sfinito sull'erba. "Per favore, gettami una coperta e, ogni tanto, del cibo, giusto per non lasciarmi morire di fame."
Magnus rise di gusto, rovistando nelle tasche del giubbotto alla ricerca della chiave. "Sto avendo davvero una terribile influenza su di te, passerotto." asserì, aprendo la porta. "Allora, vieni o devo portarti in braccio come una novella sposina?" domandò, lanciandogli un'occhiata maliziosa.
Alec scattò in piedi, inciampando sui suoi stessi passi, e si affretto a raggiungere Magnus prima che attuasse la sua "minaccia", mentre l'altro rideva allegramente.
La casa era piccola, ma pulita e dotata di tutte le comodità necessarie. I mobili in legno erano semplici e c'era un grande caminetto posizionato davanti a un divano e a un piccolo televisore al plasma. Alle pareti erano state appese delle foto in bianco e nero e dei quadri con paesaggi naturali, mentre un grande tappeto nero decorava il pavimento.
"E' carino qui." mormorò Alec, guardandosi attorno.
"Lo dirò a Ragnor e Raph." sorrise Magnus, controllando che i due amici avessero rifornito la credenza con tutte le cibarie di cui avevano bisogno, come da sue indicazioni.
Il moro continuò la perlustrazione: aprì una delle due uniche porte, che si trovavano all'altra estremità del salottino, e vi trovò il bagno, mentre l'altra era una camera in cui c'erano una cassettiera, un armadio e un grande letto matrimoniale, che occupava quasi interamente la stanza e su cui stava dormendo una palla di pelo che non era più spelacchiata, come quando era stata adottata, e che Alec conosceva bene.
"Presidente!" esclamò, sorpreso, quando il gatto alzò il muso assonnato verso di lui. "Perché Presidente è qui?" chiese, voltandosi verso Magnus.
"Perché fa parte della famiglia!" spiegò Magnus, con tono ovvio, mentre controllava le notifiche sul suo cellulare.
"Quale famiglia?" chiese Alec, sconcertato, aggrottando la fronte.
"La nostra, no?" ridacchiò Magnus, facendogli l'occhiolino.
Alec lo fissò, spiazzato, sentendo le guance scaldarsi e un improvviso, quanto inspiegabile, calore nel petto, poi scosse la testa con fare paternalistico. La sua guardia del corpo era impazzita, non c'era altra spiegazione!
Entrò nella camera e accarezzò teneramente il gatto, che ricambiò con un concerto di fusa, prima di bloccarsi, colto da uno strano presentimento.
"Chi si prende la camera?" chiese, dubbioso, tornando sull'uscio della porta.
"La dividiamo, cerbiattino." rispose Magnus, distrattamente, mentre rovistava nel frigorifero alla ricerca di uno spuntino.
"La divid... No! Non esiste!" replicò il moro, allarmato.
Magnus sorrise, mentre si preparava un sandwich. "Tesoro, il divano è troppo piccolo sia per me che per te."
Alec fissò con astio il pezzo di mobilio che l'altro gli aveva indicato con un breve cenno del capo: effettivamente potevano sedersi lì a malapena entrambi per guardare la televisione, figurarsi dormire.
"Beh... allora... allora dormirò per terra! Ecco." annuì con convinzione, incrociando le braccia al petto.
Magnus azzannò il panino e lo guardò con sguardo birichino. "Sei sicuro? Guarda che mi comporterei bene! Ti darei giusto qualche palpatina qua e là e basta." rispose, ammiccando e con un largo sorriso. "Ok, fai come vuoi." continuò, scrollando le spalle, divertito, dopo l'occhiataccia del moro. "Ne vuoi un po'?" chiese poi, porgendogli il sandwich con un sorriso.
Alec roteò gli occhi e si rinchiuse in camera da letto, iniziando a disfare il suo bagaglio.
Non poteva dormire con Magnus! Per l'angelo, già averlo vicino, ogni giorno, era un continuo attentato alla sua sanità mentale, già ogni volta che lo sfiorava casualmente sentiva il sangue pulsargli nelle vene a una velocità esorbitante... scendere a un tale livello di intimità... Dio, solo a pensarci gli andava a fuoco il viso, figurarsi mettere in atto quell'invito!
No, non poteva! Assolutamente e categoricamente no! pensò, nuovamente, diverse ore più tardi, mentre fissava Magnus che, con un sorriso divertito, gli suggeriva di chiudere gli occhi.
"P-perché?" chiese Alec, a disagio.
"Perché sto per spogliarmi, zuccherino." lo avvisò l'altro.
"Beh... vai in bagno a cambiarti, no?"
Magnus fece spallucce. "Tanto non devo mettermi il pigiama."
"In che senso non metti il pigiama?" chiese Alec, aggrottando la fronte, genuinamente confuso.
Magnus gli rivolse un sorriso abbacinante e, senza alcuna esitazione, alzò le braccia per sfilarsi il maglione e rimanere a petto nudo.
"Cosa fai?" chiese Alec, inghiottendo a vuoto e con la voce che tremava, quando notò che l'altro era passato a sbottonarsi i jeans.
Magnus si bloccò, inarcando un sopracciglio. "Mi preparo per andare a letto?" domandò retoricamente, facendo scendere la zip.
"E perché ti stai togliendo i jeans?"
"Perché mi preparo per andare a letto." ripeté Magnus, come se stesse spiegando un concetto difficile a un bambino. "Quindi voltati... a meno che tu non voglia goderti lo spettacolo. E lo sai anche tu che è un gran bel spettacolo!" sorrise, spavaldo.
"Non dormirai nudo!" protestò Alec, indignato, con il viso che iniziava a scaldarsi.
Magnus rise. "Tranquillo, mio innocente agnellino dall'anima candida e pura. Prometto che mi tengo la biancheria intima." affermò, facendogli l'occhiolino e ancheggiando sinuosamente per sfilarsi i jeans e rimanere con solo delle mutande nere, semplici e prive di fronzoli, che catturarono immediatamente l'attenzione del moro.
"Per l'angelo! Quelle sono mie!" lo accusò Alec, sorpreso, puntandogli l'indice contro e spalancando gli occhioni blu.
"Già" confermò Magnus, tranquillo, guardando verso il basso e giocando con l'elastico dei boxer. "Ho scoperto che sono molto più comode delle mie." spiegò, scrollando le spalle con un sorriso divertito.
"Toglile immediatamente!" pretese Alec, di slancio, alzando il tono di voce.
Magnus non aspettava altro e ubbidì all'istante, abbassandosi i boxer alle caviglie. "Contento?" chiese, con un sorriso che gli divorava la faccia.
Alec arrossì immediatamente, ma strinse i pugni e sostenne il suo sguardo. "Sei.un.imbecille."
"Ma me l'hai detto tu di toglierle." lo stuzzicò Magnus, ridendo di gusto.
"Dio, se ti odio!" ringhiò Alec, sentendo il viso completamente infuocato.
"Allora posso rimettermele?"
"Vai a quel paese!"
"Lo prendo per un sì." esclamò Magnus, allegro, rinfilandosi le mutande e saltando con un balzo sul letto. "Allora? Cosa hai deciso, tortino di mele? Vieni?" chiese, battendo la mano sul posto vuoto accanto a lui.
"Ma manco morto!" replicò Alec, con voce acuta, alzando il mento in modo altezzoso. "Vado a dormire davanti al caminetto!"
"Ahn-ahn." ribatté Magnus, scuotendo la testa e l'indice, in segno di diniego. "Se dovesse succedere qualcosa, voglio averti vicino per riuscire a proteggerti."
"Ma se a casa mia dormiamo in due stanze separate!" obiettò Alec, stizzito.
"Sì, ma a casa tua non siamo circondati da boschi sperduti e silenziosi in cui potrebbero nascondersi pazzi squilibrati pronti a smembrarti con una motosega! Demi Tuhan [Sant'Iddio], non li guardi mai i film horror?" chiese l'uomo, inarcando un sopracciglio. "Mai dividersi in questi casi! Mai!" continuò, con tono saputello. "Quindi o dormi con me sul letto o..."
"Il pavimento andrà benissimo." lo interruppe Alec, secco, sventolando una mano.
"Come preferisci, ma ti voglio qui." rispose Magnus, indicando il tappeto sul suo lato del letto, prima di intrufolarsi sotto il piumone pesante e le coperte calde.
Alec sbuffò forte, ma era troppo stanco per continuare a litigare, quindi lo accontentò coricandosi velocemente in uno dei sacchi a pelo che aveva trovato nell'armadio. Armeggiò con la lampo e la richiuse fino al mento.
"Comodo?" chiese Magnus, ironico, osservandolo dal letto.
"Comodissimo." mentì Alec, con tono sicuro.
Il pavimento era fastidiosamente scomodo, duro e freddo, ma dividere il materasso con la sua guardia del corpo era una prospettiva assai più difficile da affrontare, quindi si impose di chiudere gli occhi e rilassarsi. Cosa che, ovviamente, non funzionò.
"Buonanotte." mormorò Magnus, spegnendo la luce.
"Notte!"
Dopo pochi minuti, Alec lo sentì respirare in modo calmo e regolare, segno che si era addormentato. Ah, se fosse stato così facile anche per lui!
Cercò di pensare a immagini belle, che gli davano una sensazione di benessere e tranquillità, come una prateria verde o una distesa di mare calmo, ma non funzionò e iniziò a girarsi da una parte all'altra, sbuffando e sentendo i muscoli gridare pietà per quella situazione disagevole.
"La smetti?" bisbigliò Magnus, facendo sobbalzare il moro.
"Pensavo dormissi!"
"Con te che ti dimeni come un indemoniato nel sacco a pelo? Sì, certo, come no!"
"Non mi sto dimenando." mentì il moro, cambiando nuovamente posizione e stendendosi a pancia in sotto, scoprendo, però, che era anche peggio che dormire supino.
Gemette quando sentì una fitta tremenda ai polpacci e picchiò piano la testa sul pavimento, stanco e sfinito.
"Stai bene?" chiese Magnus, preoccupato.
"Sì." mentì nuovamente Alec, con una smorfia.
Magnus accese la lampada sul comodino e lo guardò dall'alto. "Non è vero."
Alec si voltò e sostenne il suo sguardo, poi sospirò, stremato. "E va bene. Mi fa male tutto e la schiena e le gambe sono in condizioni pietose."
Magnus piegò la testa e lo osservò per un lungo attimo, prima di roteare gli occhi e mettersi seduto. Si sporse per rovistare nel primo cassetto del comodino di fianco a lui ed estrasse, con un sorriso di trionfo, un tubetto di crema per i massaggi. La sventolò verso Alec, si alzò e si inginocchiò di fronte a lui.
"Cosa fai?" chiese Alec, quando l'uomo iniziò ad abbassare la cerniera del sacco a pelo con un gesto deciso.
"Gamba." ordinò Magnus, pratico, porgendogli il palmo della mano.
"No!" protestò Alec, indignato.
"Fiorellino, non riuscirai ad addormentarti se ti fanno male le gambe, quindi smettila di fare il pudico e lascia fare a me!"
Alec lo fissò a bocca aperta, oltraggiato. "Non faccio il pud.." iniziò, prima di venire bruscamente interrotto dalla presa gentile, ma ferma, della sua guardia del corpo che, senza tante cerimonie, gli aveva afferrato una gamba, tirato su il tessuto dei pantaloni della tuta e iniziato a massaggiarlo con gesti lenti e metodici, dalla caviglia fino al ginocchio, sciogliendo la tensione e calmando il dolore.
"L'altra gamba." ordinò dopo un po', tornando a spalmarsi la crema sulle mani.
Alec, completamente ipnotizzato, fece come gli era stato detto senza aprire bocca, godendosi il tocco caldo dell'altro che sembrava fare magie sui suoi arti doloranti.
"Sai, dovresti fare più esercizio, tortellino." dichiarò Magnus, divertito.
Alec sbuffò dal naso, ma evitò di commentare, troppo preso com'era a guardare le mani dell'altro che dolcemente, ma con sapiente precisione, ridavano vita alle sue gambe martoriate.
Improvvisamente non poté fare a meno di immaginare quelle lunghe dita muoversi in carezze più audaci, passando dai polpacci a tutto il corpo, e un lungo brivido lo scosse violentemente.
Magnus alzò il viso, sorpreso. "Scusa! Ti ho fatto male?" chiese, preoccupato, lasciandolo andare delicatamente e allontanando le mani.
Alec scosse la testa, mentre le guance si imporporavano. "No, è... cioè era una contrattura. Sì... una contrattura! Già-già. Solo una contrattura. Ora è tutto a posto, comunque." si affrettò a rassicurarlo, sventolando una mano. "Grazie."
Magnus gli sorrise affettuosamente. "Mi fa piacere. Vuoi che ti massaggi anche la schiena?" chiese poi, ammiccando esageratamente.
Alec arrossì ancora di più e ritirò in fretta la gamba, nascondendola, al sicuro, nel sacco a pelo. "No, grazie! Sono a posto così. Davvero" assicurò, imbarazzato.
Magnus ridacchiò, alzandosi per andare in bagno a lavarsi le mani. Quando ritornò, Alec si era già disteso nuovamente sul pavimento, tirando questa volta la cerniera del sacco a pelo fin sotto agli occhi.
La guardia del corpo scosse la testa, divertita, prima di tornare a letto e spegnere di nuovo la luce. "Buonanotte, Fiorellino." augurò per la seconda volta.
"Notte!" replicò Alec, quando la stanza tornò di nuovo buia.
Il dolore alle gambe si era attenuato tantissimo, grazie al massaggio, ma il pavimento continuava a rimanere scomodo. Riprese a girarsi a destra e a sinistra, frustrato.
"Ti giuro che se non vieni sul letto, ti ci butto io di peso." mormorò Magnus, con la voce attutita dalle coperte.
Alec tornò supino e spalancò gli occhi, fissando il soffitto buio. "Sto... sto bene qui." balbettò, sentendo il cuore accelerare. "Sono solo agitato per la nuova sistemazione."
"Pinocchietto." lo canzonò Magnus, divertito, accendendo di nuovo la lampada sul comodino. "Su, coraggio, vieni qui con me. Prometto che terrò le mani a posto e non tenterò né di palparti né di approfittarmi di te mentre dormi." scherzò, facendo capolino dalla sponda del letto.
"Sto bene qui." ripeté Alec, con uno sbuffo.
"Ok, basta così. Ti avevo avvertito." dichiarò l'uomo, gettando via le coperte.
"Cosa fai?" esclamò il moro, lottando con la cerniera a lampo e mettendosi a sedere con fatica.
"Ti prendo di peso e ti butto sul letto." lo informò la guardia del corpo, alzandosi in piedi e torreggiando su di lui.
"Non pensarci neanche!" replicò Alec, puntandogli l'indice contro.
"Allora o lo fai di tua spontanea volontà o lo dovrò fare io." sentenziò Magnus, con un sorriso diabolico, piazzandosi le mani sui fianchi. "A te la scelta, passerotto."
Alec sentì le guance arrossarsi e strinse con forza il tessuto del sacco a pelo.
Magnus inclinò la testa e continuò a osservarlo. "Allora?" chiese, piegandosi sulle ginocchia e mettendosi al suo livello. "Vieni da solo o devo alzarti di peso e buttarti sul letto?" lo stuzzicò, picchiettandogli la fronte. "Personalmente preferisco la seconda opzione, così ho la possibilità di toccarti tutto e palparti di nuovo il sedere." mormorò, leccandosi le labbra e ammiccando in maniera sfrontata.
"Ohhh, e va bene! Vengo da solo!" borbottò Alec, rapido, uscendo dal sacco a pelo e alzandosi con difficoltà.
Magnus ritornò diritto e osservò Alec che faceva il giro del letto e poi, meditabondo, fissava il posto vuoto accanto al suo come se fosse un orribile mostro a tre teste.
Presidente Miao, acciambellato tra i due cuscini presenti sopra il letto, aprì appena un occhio e lanciò un'occhiata assonnata a entrambi, poi, decidendo che era una situazione che i due umani potevano tranquillamente gestire e risolvere per conto proprio, tornò a dormire.
"Beh?" chiese Magnus, inarcando un sopracciglio.
Alec non rispose, guardandosi attorno con occhi smarriti, poi il suo sguardo si illuminò e, contento, raccattò tutti i cuscini che trovò sparsi per la camera e che sapeva esserci anche dentro l'armadio.
Cominciò a impilarli meticolosamente in mezzo al letto, formando un muro di gommapiuma che andava dalla testata ai piedi. Una volta conclusa l'operazione, osservò la sua opera d'arte e annuì soddisfatto, prima di infilarsi sotto le coperte.
"Resta dalla tua parte." ordinò, voltandogli le spalle e chiudendo gli occhi con un sorriso beato sulle labbra.
Magnus fissò la scena a bocca aperta, poi rise di gusto, scuotendo la testa e tornando sotto le coperte. "Ok, cercherò di non tirarti calci o di buttarti giù dal letto." lo prese in giro, divertito. "Buonanotte, Fiorellino." mormorò poi, per la terza volta.
Il timbro caldo e profondo della voce di Magnus riempì il moro di uno strano piacere rassicurante.
"Buonanotte, Magnus." rispose Alec, piano, sistemandosi meglio sul comodo materasso e sospirando sereno.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Alec aveva caldo.
L'aria, nella camera da letto, si era surriscaldata in fretta da quando si era accoccolato sotto le coperte e il piumone e ora gli sembrava di essere in una sauna. La sua pelle accaldata era in ebollizione e sentiva il viso bruciare. Se non avesse escogitato qualcosa al più presto, si sarebbe di certo sciolto come neve al sole.
Era di sicuro quello il motivo per cui non riusciva a dormire. L'unico motivo. Già. Non c'era altra spiegazione. Nessunissima altra spiegazione.
Per l'angelo, no, non c'entrava assolutamente niente il fatto che stesse dormendo nello stesso letto di Magnus e che quest'ultimo avesse valicato per ben tre volte il muro di cuscini, lanciando il braccio sopra di essi e sfiorando casualmente la schiena del moro con la punta delle dita.
Non lo stava facendo apposta per metterlo in imbarazzo, Alec lo sapeva. Semplicemente la prorompente vitalità di Magnus si manifestava anche quando dormiva e tendeva ad essere un idiota prevaricante anche quando era tra le braccia di Morfeo.
Dopo neanche dieci minuti che si era addormentato, infatti, l'ex Marine si era appiattito contro il muro di gommapiuma e aveva tentato inconsciamente di abbatterlo per avere più spazio. Alec gli aveva lanciato un cuscino in faccia, onde evitare che sconfinasse troppo, e l'altro si era svegliato di soprassalto, borbottando qualcosa di indecifrabile, prima di sospirare profondamente e tornare a dormire come se non fosse successo nulla.
Era stato in quel momento che erano iniziati gli assalti del braccio. Visto che il suo corpo era confinato nella piazza del letto a lui destinata, Magnus aveva aggirato l'ostacolo della "costrizione" abbracciando dapprima il muro di cuscini, per poi oltrepassarlo, invadendo così, dall'alto, lo spazio di Alec, che si stava impegnando al massimo per tenerlo a bada e respingere i suoi attacchi. Per l'angelo, era così sfiancante!
Sbuffò, accaldato, e si asciugò con una mano il sudore dalla fronte, togliendosi dagli occhi un ciuffo di capelli particolarmente molesto, poi sgusciò lentamente e cautamente fuori dal letto e si fece aria sul viso, con entrambe le mani, una volta in piedi.
I pantaloni della tuta gli si erano tutti attorcigliati sui polpacci e la maglietta si era alzata, lasciando l'addome scoperto. Per una frazione di secondo, Alec valutò l'idea di fare come Magnus e dormire con solo le mutande addosso, ma poi scosse energicamente la testa, dandosi dell'idiota, e si sistemò nuovamente i pantaloni e la maglietta, facendoli ritornare al proprio posto.
Aprì la finestra per rinfrescare la stanza e tornò sotto le coperte. L'aria fredda, ora, gli sfiorava piacevolmente la fronte e Alec chiuse gli occhi, contento, sicuro che finalmente si sarebbe addormentato in un batter d'occhio.
Una cacofonia di rumori, però, raggiunse le sue orecchie, facendogli sbarrare gli occhi e aggrottare la fronte. Per l'angelo, i boschi, di notte, non avrebbero dovuto essere silenziosi?
Riconobbe il canto dei grilli e il richiamo di una civetta, ma non riuscì a decifrare gli altri sibili e ronzii e non volle neanche sapere chi era il proprietario di quel borbottio sommesso che sentiva nell'oscurità.
Trattenne il fiato, ascoltando attentamente gli altri rumori e... Per l'angelo! Cos'era quello scricchiolio sinistro che arrivava dalla finestra?
Alec si sentì raggelare. E se qualche animale selvatico avesse deciso di entrare, alla ricerca di cibo? O, peggio ancora, se fosse arrivato un orso affamato che non desiderava altro che papparsi lui, Magnus e Presidente Miao in un sol boccone?
"Sial [ndr. Cazzo], che problemi hai adesso?" borbottò Magnus, con voce assonnata.
"Sento qualcosa." bisbigliò Alec, con lo sguardo puntato verso la finestra aperta, aspettandosi, da un momento all'altro, l'apparizione di un bestione peloso di circa duecento chili.
"Sono sicuramente io che sto per soffocarti con un cuscino." replicò Magnus, sbadigliando sonoramente.
Alec lo ignorò. "Tu non lo senti?" insisté, stringendo il piumone tra le dita e tirandolo fin sotto al naso.
"Sentire cosa? Non c'è niente." mormorò Magnus, dandogli le spalle e sospirando pesantemente.
Alec trattenne il fiato quando il rumore si ripeté. "Hai sentito? Eh? Hai sentito?" domandò, oltrepassando il muro di cuscini con un braccio per scuotere con forza la sua guardia del corpo.
"Sialan..." [ndr. Dannazione], borbottò Magnus, esasperato, ficcandosi il piumone sopra la testa.
"Magnus, sono serio! C'è un orribile scricchiolio! Come fai a non sentirlo?"
Magnus accese la luce sul comodino e voltò il viso verso il moro. "Alec, tesoro, sarà solo un ramo mosso dal vento..." spiegò, con voce calma e ragionevole.
"Un ramo? Davvero?" ritorse Alec, scettico.
Magnus annuì, gli occhi che si chiudevano per il sonno. "Chiudi la finestra - che tra l'altro non so neanche perché è stata aperta - e torna a dormire." mormorò, con voce impastata.
"Ho caldo." spiegò Alec, prima di scuoterlo di nuovo per evitare che si addormentasse. "Vai a controllare." ordinò, serio.
Magnus aprì un occhio e lo guardò con uno sguardo appannato. "Cosa?"
"Vai a controllare." ripeté di nuovo Alec, determinato. "E' stata tua l'idea di venire qui, in mezzo al nulla, no? Quindi ora vai a controllare che non ci sia un orso nascosto tra i cespugli!"
"Alec, non c'è niente là fuori!" sussurrò Magnus, accoccolandosi al muro di cuscini.
Il moro lo ignorò, mettendosi seduto. "Eccolo di nuovo! Hai sentito? Non puoi non averlo sentito!"
"Fiorellino, è normale che ci siano dei rumori. Siamo in mezzo ad un bosco." borbottò Magnus, con voce attutita perché si era girato sulla pancia e aveva sepolto la testa sotto al cuscino.
"Almeno alzati e ascolta bene!" insisté Alec, caparbio, schiaffeggiandolo sulla schiena.
Magnus gridò da sotto al cuscino, poi riemerse e alzò la testa per ascoltare attentamente. "Non sento niente." dichiarò dopo un attimo, tornando a coricarsi.
"Stai mentendo!" lo accusò Alec, indignato. "Devi averlo sentito!"
Magnus sospirò. "Non sarai soddisfatto finché non mi alzerò per controllare, non è vero?"
"Esatto." annuì Alec, incrociando le braccia al petto e guardandolo con uno sguardo battagliero.
"Se lo faccio, mi prometti che poi ti calmerai e ti metterai a dormire?"
"Mi metterò tranquillo, sì." annuì Alec, piccato, perché l'altro non lo stava prendendo sul serio.
Magnus sospirò pesantemente, scostò le coperte e si alzò per dirigersi verso la finestra.
Alec lo seguì con lo sguardo, mordicchiandosi l'unghia del pollice per la tensione del momento, e Magnus si sporse dall'intelaiatura per guardare fuori.
Alec era così agitato che quasi non riuscì ad apprezzare il modo in cui le sue mutande nere aderivano alla curva sexy del sedere della sua guardia del corpo, leggermente piegata in avanti. Quasi.
"Tesoro, non c'è niente... uahhh!" gridò l'uomo, venendo risucchiato all'esterno.
"MAGNUSSSS!" urlò Alec, sbarrando gli occhi per il terrore, certo che l'orso, che si era sicuramente appostato sotto la finestra, avesse afferrato l'ex Marine per papparselo.
Il suo grido svegliò anche Presidente Miao, che balzò sul letto, spaventato.
Alec lo ignorò e si alzò di scatto, correndo verso la finestra: nessuno poteva mangiarsi la sua guardia del corpo, per l'angelo! Men che meno un bestione peloso che non aveva niente di meglio da fare che andare in giro la notte a spaventare poveri umani che tentavano di dormire in una camera da letto con una temperatura che si aggirava sui cinquanta gradi!
Alec si appoggiò di slancio alla finestra e scandagliò l'esterno, alla ricerca disperata di Magnus. Qualsiasi cosa l'avesse preso, lui era pronto a combattere per riprendersi il suo idiota rompiscatole!
Trovò il suddetto idiota seduto per terra, sull'erba, che lo guardava con un sorriso enorme e rideva come un bambino.
"Scusa! Non ho saputo resistere." sghignazzò Magnus, divertito, quando vide la sua faccia.
Alec assottigliò lo sguardo, strinse con forza il telaio della finestra e lo guardò con furia letale, prima di voltarsi e lasciarlo lì, senza dire una parola.
"Eddai, pasticcino, era solo uno scherzo!" ridacchiò Magnus, alzandosi, pronto a scavalcare la finestra per rientrare in casa.
Un cuscino lo prese violentemente in pieno viso, facendolo sbilanciare e ricadere di nuovo per terra.
Magnus fissò, scioccato, la bomba di gommapiuma che era stata scaraventata sul suo naso, prima di alzarsi in piedi e guardare il moro con espressione esterrefatta. "Non l'hai fatto davvero!"
Alec lo fissò, furente. "Sei." gridò, tirandogli un nuovo cuscino. "Un." altro cuscino. "Grandissimo." nuovo cuscino. "Idiotaaaa!" concluse, distruggendo il muro di gommapiuma sul letto per lanciargli una raffica di cuscini.
Magnus schivò agilmente quei soffici "proiettili" senza battere ciglio e sorrise quando l'altro smise di tirarglieli.
"Hai finito le munizioni?" chiese, ironico, inarcando un sopracciglio.
Alec aveva il fiatone, ma reagì prontamente e gli schiaffò contro quello dell'uomo, che era l'ultimo rimasto sul letto. "Vai a farti fottere, brutto imbecille patentato!"
"Ehi!" si lamentò Magnus, schivando anche l'ultimo cuscino. "Sarò anche un imbecille, ma non sono brutto!" dichiarò, imbronciato, prima di raccogliere tutto quello che l'altro gli aveva gettato contro.
Alec gli voltò le spalle, prese il sacco a pelo che giaceva sul pavimento e, sotto lo sguardo attonito di Presidente Miao, che stava guardando entrambi gli umani come se fossero letteralmente impazziti, si diresse a passo di marcia fuori dalla camera.
"Eddai, Alec! Ti ho chiesto scusa!" urlò Magnus, rientrando dalla finestra e gettando sul pavimento tutto quello che aveva raccolto per correre dietro al suo permaloso agente di viaggi.
Non aveva neanche oltrepassato del tutto l'uscio della porta della camera che uno dei cuscini del divano lo colpì con forza in pieno volto.
"Cazzo!" gridò Magnus, spiazzato. "Mi hai spaccato il naso!" gemette, tenendosi il setto nasale dolorante.
"Ti sta bene!" replicò Alec, iniziando a tempestarlo di cuscinate. "Sei.un.idiotaaaa!" gridò ancora.
Lui era morto di paura quando l'aveva visto cadere fuori dalla finestra, temendo seriamente che gli fosse successo qualcosa, e quell'idiota si divertiva a fare il buffone alle sue spalle! Non l'avrebbe mai perdonato! Mai!
Magnus si riparò con le braccia, tentando di evitare i colpi e borbottando delle deboli scuse, poi passò all'azione e agguantò velocemente il moro per la vita.
"Ora basta!" sentenziò, issandosi, senza alcuno sforzo, il ragazzo su una spalla e dandogli uno schiaffo leggero sul sedere.
Alec urlò per l'indignazione, poi iniziò a tempestargli di pugni la schiena e a scalciare, mentre Presidente Miao li guardava sempre più sbalordito.
Il gatto roteò gli occhietti giallo-verdi, scosse piano la testa con fare paternalistico e balzò giù dal letto, reputando saggio rifugiarsi sul divano e lasciare i due umani alle loro beghe infantili.
"Lasciami, brutto pervertito! Lasciamiiii!" ordinò il moro, inviperito.
L'intenzione di Magnus era di scaricarlo sul letto e fargli una bella ramanzina su quanto fosse sbagliato il suo essere così manesco nei suoi confronti, ma l'impetuosità dei movimenti di Alec lo fecero sbilanciare e finì disteso sul letto, sopra di lui.
Magnus si sostenne sui gomiti, per non gravargli completamente addosso, ed entrambi si fissarono ansando.
"Hai finito?" gli chiese l'uomo, inarcando un sopracciglio e trattenendo un sorriso.
"Fottiti!" sibilò Alec, agitandosi sotto il suo corpo solido e piantandogli una mano sul viso per allontanarlo.
"Io non mi muoverei così tanto, fossi in te." sorrise Magnus, sibillino. "Sai com'é... al piano inferiore, qualcuno si sta eccitando." mormorò, mordicchiandogli il palmo della mano.
Alec si immobilizzò, spalancò gli occhioni blu e allontanò immediatamente la mano, diventando paonazzo. Sentì distintamente un'ondata di calore infiammarlo dalla testa ai piedi, il respiro farsi affannoso e l'inguine contrarsi al suono di quelle parole maliziose.
Magnus lo guardò, leccandosi le labbra in modo sfacciatamente lento, prima di ridacchiare e fare leva con le braccia per alzarsi. "Tranquillo, trottolina, mi tolgo subito."
Alec notò i muscoli guizzare a causa dello sforzo e in un battito di ciglia si ritrovò libero dal peso dell'altro.
Fissò il soffitto, inebetito, chiedendosi cos'era quella strana fitta di "insoddisfazione". Magnus gli aveva promesso che non avrebbe più violato le sue labbra ed era stato di parola. In un frangente simile avrebbe potuto tranquillamente poggiare la bocca sulla sua e baciarlo, ma non l'aveva fatto e Alec avrebbe dovuto essere contento di questo. Già. Ma allora, per l'angelo, cos'era quella sensazione che serpeggiava lungo il suo corpo?  
Magnus si gettò di fianco a lui e voltò il viso per guardarlo. "Mi dispiace, per prima. Non era mia intenzione spaventarti." asserì, in tono dolce, stuzzicandolo per un fianco con la punta dell'indice.
Alec sbuffò, capendo che era inutile tenere il broncio. "A me dispiace di averti preso a cuscinate." si scusò, deciso a fare la persona matura. "E di averti rotto il naso." continuò, tentando di reprimere un sorriso storto, ma fallendo miseramente.
Magnus gli fece la linguaccia, toccandosi poi cautamente il setto nasale. "E' a posto. O almeno credo."
Alec ridacchiò, tornando a fissare il soffitto e sospirando pesantemente.
"Lo senti ancora quell'orrido rumore?" chiese Magnus, sorridendo ironico.
Alec trattenne il fiato, ascoltando attentamente. "No." ammise, con uno sbuffo. "Ma ti giuro che c'era."
"Ti credo." annuì Magnus, in tono gentile. "Ma qualunque cosa fosse, se n'è andata e ti assicuro che ora là fuori non c'è niente. Non ci sono orsi inferociti né qualche animaletto strano pronto a saltarti addosso." dichiarò, ridacchiando al viso imbronciato dell'altro. "Torniamo a dormire? Che dici?"
"Ok." sospirò Alec, alzandosi per gattonare di nuovo nella sua parte del letto e gettandosi sul materasso in modo del tutto privo di grazia.
Magnus ridacchiò, alzandosi a sua volta per raccattare di nuovo tutti i cuscini sparsi sul pavimento e portarli sul letto. Consegnò ad Alec quelli che servivano ad entrambi per dormire e, sotto il suo sguardo attento e sbalordito, impilò diligentemente, uno sull'altro, quelli che rimanevano per formare ancora una volta il muro di gommapiuma.
"Fatto." affermò l'uomo, annuendo soddisfatto, una volta che ebbe finito, e infilandosi poi nuovamente sotto le coperte.
Alec fissò il muro, perplesso. Era convintissimo, infatti, che l'altro avrebbe approfittato della situazione per avere più spazio di manovra sul letto, magari avvicinandosi addirittura a lui per abbracciarlo nel sonno o intrecciare casualmente le gambe con le sue nel cuore della notte. Invece lo aveva sorpreso ricostruendo il muro, eliminando così ogni possibilità di contatto.
Ancora una volta sentì quell'inspiegabile fitta di "insoddisfazione", quasi di "scontentezza", corrergli lungo il corpo, ma decise di ignorarla cacciandosi le coperte sopra la testa e ordinandosi di dormire.

Alec si girò sulla schiena ed emerse lentamente da un sonno profondo, ma agitato.
Ancora prima di aprire gli occhi, i pensieri abituali e automatici, che solitamente gli affollavano la mente la mattina, quando doveva ancora connettere con la realtà, cominciarono a formarsi nella sua testa: doveva alzarsi, fare velocemente una doccia, mangiare qualcosa e correre in ufficio per fissare gli appuntamenti della settimana successiva e incontrare i clienti di quella giornata.
Intrecciò le dita delle mani e, ad occhi chiusi, le stiracchiò pigramente verso l'alto. Un crampo improvviso saettò lungo tutto il suo corpo, scuotendolo da capo a piedi e facendolo gemere ad alta voce.
Aggrottò la fronte, confuso. Per l'angelo, perché i suoi muscoli dolevano in modo così fastidioso?
Aprì un occhio, poi l'altro, fissando in alto. Quello non era il soffitto della sua camera! pensò, sempre più scombussolato. Roteò lentamente gli occhi, guardandosi attorno e trovandosi in una camera da letto che non era la sua.
La realtà gli piombò addosso come un tir: non era nel letto del suo appartamento, ma a chilometri di distanza, sperso nei boschi con Magnus e Presidente Miao, in attesa che i suoi stalker si stancassero di lui o, meglio ancora, fossero catturati dalla polizia.
Gemette nuovamente, sia per la situazione che per la stanchezza fisica e mentale. Il giorno prima, Magnus l'aveva fatto scarpinare per interminabili ore e adesso i suoi muscoli indolenziti gridavano pietà.
Stiracchiò le gambe, con un sonoro sbuffo, prima che l'aroma di caffè e di qualcosa di appetitoso giungesse alle sue narici. Sentì lo scoppiettio del fuoco nel caminetto, il lieve tintinnio metallico di padelle e posate e una voce sommessa che canticchiava un motivetto e che gli fece spuntare un sorriso storto e spontaneo sul viso.
Si sgranchì le braccia ancora una volta e voltò la testa sul lato opposto del letto: Magnus era sparito, ma, oltre il muro di cuscini, trovò Presidente Miao che lo osservava attentamente, muovendo morbidamente la coda a destra e a sinistra.
"Ciao." mormorò, con voce roca e un sorriso sghembo.
Il gatto miagolò debolmente, prima di alzarsi, inarcare la schiena per stiracchiarsi per bene e poi balzare agilmente sul suo petto, accucciandosi sulle zampe e iniziando a fare le fusa.
Alec ridacchiò, accarezzandolo e grattandolo dietro a un orecchio. Da quando Magnus aveva assicurato alla palla di pelo che lui, tutto sommato, non era una brutta persona, Presidente Miao l'aveva preso in simpatia e non mancava di strusciarsi tra le sue gambe o saltargli in braccio ogni volta che ne aveva l'occasione.
"Buongiorno, dormiglione!"
Alec spostò lo sguardo verso la porta: Magnus era appoggiato con una spalla contro lo stipite e lo guardava con un sorriso divertito. Indossava solo un paio di jeans stretti e nient'altro, come se il freddo che ancora imperversava in quella stagione non lo sfiorasse minimamente e il suo calore corporeo fosse regolato perennemente su estate.
"Dormito bene?" chiese l'uomo, allegro.
Alec gli rivolse un sorriso storto e annuì, distogliendo lo sguardo dal petto nudo dell'altro.
"Meglio che sul pavimento?" lo stuzzicò la guardia del corpo.
"Sì, decisamente meglio." ammise Alec, facendogli la linguaccia.
Magnus rise. "Pensi di alzarti o vuoi che ti porti la colazione a letto?" chiese, piegando la testa.
"Lo faresti davvero?" ritorse Alec, inarcando un sopracciglio.
"Certo, mio dolce principe azzurro." confermò Magnus, con un enorme sorriso, guardando le guance dell'altro arrossarsi di un delizioso color rosso ciliegia.
Alec si mise lentamente seduto, scuotendo piano la testa e appoggiandosi alla testiera. "Mi alzo." annunciò, con un sorriso storto.
"Non sai cosa ti perdi." asserì Magnus, facendo spallucce e voltandosi per tornare in cucina. "Vorrà dire, però, che lo farò dopo la nostra prima notte di sesso sfrenato." dichiarò, ammiccandogli da sopra la spalla, prima di sculettare via.
Alec spalancò gli occhi, sentendo il viso andare a fuoco, mentre Presidente Miao piegava la testa e lo guardava con uno sguardo carico di consapevolezza.
"Guarda che non è assolutamente come pensi!" si difese Alec, in difficoltà.
Perché poi sentisse tutta questa esigenza di giustificarsi davanti a quel felino, che ora stava ridacchiando sotto i baffi (Alec lo vedeva benissimo che stava ridendo!), solo il cielo lo sapeva. Era un adulto, per l'angelo! Non doveva rendere conto a nessuno, men che meno a una palla di pelo che era convinta che ci fosse del tenero tra lui e il suo adorato Magnus e che lo sbeffeggiava silenziosamente!
Imbronciato, posò il gatto sul letto e si alzò per andare in bagno e sciacquarsi il viso con energia.
Magnus stava sorseggiando il proprio caffè, appoggiato ai fornelli, quando lo sentì arrivare: i movimenti erano rigidi e imbarazzati, ma aveva le guance rosee e gli occhi splendevano. Era bellissimo.
"Pancake!" annunciò, posandogli il piatto davanti con un gesto teatrale. "Se vuoi ci sono anche uova e pancetta, ma so che preferisci le cose dolci... come me." concluse, ammiccando e sporgendosi leggermente verso di lui.
"Allora che si fa oggi?" sviò Alec, ignorandolo e mangiando con gusto i suoi pancake, dopo averli inondati con una generosa dose di salsa al cioccolato, mentre i suoi tristi frullati ipocalorici sembravano solo un lontano ricordo. "Esploriamo i dintorni? Raccogliamo more selvagge? Stuzzichiamo qualche orso?" chiese, con la bocca piena.
Magnus rise e si abbassò per accarezzare Presidente Miao, che aveva accompagnato Alec in cucina. "Beh... potremmo fare il bagno nudi nel ruscello che c'è qui vicino!" rispose, rimettendosi dritto e guardandolo intensamente, mentre sorseggiava il caffè con calcolata lentezza.
Ad Alec andò di traverso il succo che stava bevendo e iniziò a tossire. Il sorriso di Magnus si ampliò.
"Ci saranno quindici gradi là fuori!" replicò il moro, dopo un lungo momento, portandosi una mano al petto e ostentando una tranquillità che non provava.
Magnus piegò la testa e lo guardò furbescamente. "Ah! Ma allora lo faresti il bagno nudo con me, se la temperatura fosse più alta!"
Alec tagliò, con meticolosa precisione, un pezzo del suo pancake, evitando di alzare lo sguardo. "Preferisco di gran lunga farmi sbranare da un orso." replicò, scrollando le spalle. "Poi però sono davvero curioso di vedere come spieghi a mio padre che sono diventato il pasto di un grande e grosso animale selvaggio."
"Tesoro, sono io il tuo unico, grande e grosso animale selvaggio qui in giro! Grrrr!" ringhiò scherzosamente, muovendo le dita e artigliando l'aria.
Alec roteò gli occhi, scuotendo la testa, e continuò a mangiare.
"E comunque non credo gli direi niente, visto che probabilmente morirei nel tentativo di salvarti." rispose Magnus, facendo spallucce e sorseggiando un altro po' di caffè.
Alec bloccò la mano con cui si stava versando dell'altro succo d'arancia nel bicchiere. Sapeva che Magnus stava scherzando e che si divertiva a punzecchiarlo, ma, proprio come la sera precedente, l'idea che il suo logorroico, idiota rompiscatole morisse, pur di proteggerlo, gli parve ancora una volta insopportabile.
"Promettimi che non lo farai mai." intimò il moro, diventando improvvisamente serio.
Il sorriso giocoso di Magnus svanì.
"Se si dovesse arrivare a tanto, giurami che non metterai mai a repentaglio la tua vita per me!" insisté Alec, con un nodo in gola.
"Alec, è il mio lavoro." ribatté Magnus, piegando la testa e guardandolo con un sorriso dolce.
Il moro strinse i pugni e lo fissò con un cipiglio severo. "Non mi interessa. Non voglio! E sono dannatamente certo che sarebbero d'accordo con me anche le persone che ti vogliono bene."
"Ho fatto una promessa a tuo padre e ho tutta l'intenzione di mantenerla." replicò Magnus, irremovibile.
Alec abbassò lo sguardo, giocando con i rimasugli del suo pancake. "Non voglio che ti succeda qualcosa." mormorò a bassa voce.
Magnus sorrise dolcemente, felice, e si sporse poi verso di lui per scompigliargli ancora di più i capelli già scarmigliati. "Ti stai preoccupando per me, mia dolce colombella?"
Alec alzò lo sguardo e gli lanciò la consueta occhiataccia omicida.
Magnus rise di gusto. "Tranquillo, polpettina. Sono seriamente intenzionato a salvare il tuo meraviglioso sedere e, visto che ci sono, a evitare che anche il mio faccia una brutta fine." ribatté, facendogli l'occhiolino.
Alec roteò gli occhi e gli rivolse il dito medio, intimamente grato, però, che l'altro fosse riuscito ad alleggerire la tensione con la sua consueta sfacciataggine.
"Allora, questa passeggiata?" chiese poi, finendo la sua colazione e iniziando a riordinare la cucina.
"Andiamo, marmellatina zuccherosa!" confermò Magnus, entusiasta, battendo le mani.
Alec abbasso le spalle e sospirò stancamente. "La smetterai mai?"
"Mai, mio dolce strudel di mele." sorrise Magnus, compiaciuto.
"Tu hai seri problemi. Prendi appuntamento da un psicologo!" sentenziò Alec, scuotendo piano la testa e dirigendosi fuori dalla casetta di legno, seguito dalla risata allegra della sua guardia del corpo.
Camminarono per oltre mezz'ora nel folto bosco di pini e cedri, fino a quando non giunsero a un ruscello che scorreva placido, con l'ex Marine che aveva chiacchierato allegramente del più e del meno per tutto il tragitto.
"E per fortuna che questo fiumiciattolo si trovava vicino alla casetta di legno." sbuffò Alec, sedendosi di peso sull'erba e sventolandosi il viso arrossato con una mano.
"Flaccido." mormorò Magnus, con un sorriso divertito, scuotendo piano la testa.
"Cosa hai detto?" lo fulminò Alec, lanciandogli un'occhiataccia.
Magnus rise, sedendosi di fianco a lui. "Che sei uno zuccherino zuccheroso."
Alec gli tirò un pugno sulla spalla e sorrise, soddisfatto, quando l'altro si lamentò delle sue maniere brusche.
Chiuse gli occhi ed espose il viso al sole, respirando a pieni polmoni l'aria fresca e pulita. Alzò le braccia in alto e stiracchiò i muscoli indolenziti, sgranchendo poi il collo. Era stanchissimo, ma paradossalmente si sentiva anche bene.
Sorrise per quella stramba bizzarria, prima che Magnus lo schiacciasse al suolo, coprendolo con il proprio corpo, e gli sibilasse all'orecchio "Non muoverti!"
La guancia di Alec era premuta contro l'erba e un'ondata di panico lo travolse quando sentì un lieve movimento tra la vegetazione, mentre Magnus armeggiava con la fondina, tirando poi fuori la pistola.
Il trambusto si face sempre più vicino e Alec fece vagare gli occhi attorno a loro in modo frenetico. Che Lydia, Raj o lo sconosciuto delle e-mail li avesse trovati?
Il moro trattenne il respiro, rilasciando poi un verso strozzato quando un cervo si palesò tra i cespugli, avanzando lentamente e con cautela.
Sopra di lui, Magnus imprecò tra i denti, rimettendo subito la sicura all'arma che aveva in mano, mentre l'animale si avvicinava al ruscello con movimenti aggraziati.
La bocca di Alec tremò e il ragazzo se la coprì con entrambe le mani, mentre Magnus lo liberava dal peso del proprio corpo e gli lanciava un'occhiata fulminante.
"Non osare!" lo avvertì la guardia del corpo, in un sussurro, sedendosi e puntandogli l'indice contro, con una luce divertita negli occhi e trattenendo a stento un sorriso.
Alec scoppiò a ridere, attutendo il suono con le dita, rotolando sull'erba e mettendosi supino.
"Avrebbe potuto essere uno squilibrato!" si giustificò Magnus, a bassa voce, gesticolando con le mani.
Alec rise ancora di più, sentendo le lacrime scendere lentamente lungo le guance.
"Guarda che non è Bambi! Potrebbe anche caricarti, sai?" continuò Magnus, roteando gli occhi, mentre l'animale tornava dentro al bosco.
Alec tolse le mani e rise, incapace di fermarsi: più l'altro tentava di discolparsi più lui rideva.
"Ma tu guarda che roba! Uno non può neanche fare il macho man a causa di un cervo che viene platealmente sbeffeggiato."
Alec rise più forte, rotolandosi sull'erba, e Magnus gli fece una giocosa linguaccia.
Il moro aveva i capelli arruffati e lo scoppio di ilarità gli aveva fatto scintillare gli occhi: era semplicemente bellissimo e Magnus dovette fare uno sforzo titanico per non abbassarsi su di lui e baciarlo fino a togliergli del tutto il respiro.
"Non muoverti!" lo scimmiottò Alec, ignaro del tumulto interiore dell'altro, asciugandosi le guance con i palmi delle mani. "E poi, bam! Cervo!" esclamò ilare, riprendendo a ridere.
La guardia del corpo gli fece una pernacchia rumorosa, prima di distendersi accanto a lui e guardare il cielo terso sopra di loro.
"Magnus?" sussurrò Alec, appoggiando un braccio sulla fronte una volta che la risata gli si era finalmente placata nel petto.
"Mh?"
"Grazie." mormorò semplicemente Alec, con un lungo sospiro e un sorriso storto.
Non ricordava neppure quando era stata l'ultima volta che aveva riso così tanto. Forse addirittura mai con tutto quel trasporto. Scoprì che era liberatorio.
"Prego, cerbiattino." sorrise Magnus, voltando il capo verso di lui.
Alec gli tirò un leggero pugno sull'addome e Magnus sorrise, contento e soddisfatto. Era bellissimo sentirlo ridere: già non accadeva spesso, figurarsi nell'ultimo periodo! Si sarebbe reso ridicolo in ogni occasione possibile, pur di sentire quel suono ancora e ancora e ancora.
Osservarono il cielo, in silenzio, fino a quando iniziò a colorarsi di rosa e arancione, mentre il sole spariva dietro un picco lontano.
"Torniamo indietro?" mormorò Magnus, stiracchiandosi pigramente. "Presidente Miao si starà chiedendo che fine abbiamo fatto."
"Ok." concordò Alec, mettendosi a sedere. "Per tua informazione, comunque, non credo mi faccia bene fare tutte queste passeggiate." osservò, massaggiandosi un polpaccio che aveva ripreso a dargli fastidio.
Magnus si alzò e rise, porgendogli una mano. "Perché sei flaccido." scherzò, divertito. "Ma vedrai che più fai esercizio e più le tue belle gambe si abitueranno a camminare e smetteranno di farti male."
Alec accettò l'aiuto, lanciandogli un'occhiata in tralice. "Non riderai più quando anche stanotte ti terrò sveglio e dovrai giocare di nuovo al dottore!" l'ammonì, altezzoso, prima di bloccarsi e arrossire completamente quando si rese conto del doppio senso e dello sguardo grondante malizia che gli stava rivolgendo Magnus. "N-non... io... non intendevo..."
L'uomo rise di gusto. "Oh, tesoro, se solo mi permettessi di giocare davvero al dottore..." lo provocò, facendo scivolare lentamente, dall'alto verso il basso, la punta dell'indice per tutta la lunghezza del maglione che indossava il moro, mentre si leccava sfacciatamente le labbra.
Alec sentì il viso incendiarsi, mentre Magnus rideva deliziato e iniziava a incamminarsi lungo il sentiero per tornare alla casetta di legno.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


"Ti va una cioccolata calda?" chiese Magnus, dirigendosi ai fornelli con un sorriso che la sapeva lunga, ben conscio, infatti, di quale sarebbe stata la risposta dell'altro, senza che neanche si disturbasse ad aprire bocca.
Alec annuì comunque, sorridendo di rimando e appoggiando una grossa ciotola piena di pop-corn sul tavolino davanti al divano.
Era passata più di una settimana da quando erano arrivati lì e, se si escludeva il fatto che la sua vita era minacciata da ben tre psicopatici, non se la stava passando affatto male.
Quando la sua guardia del corpo era riuscita a convincerlo a villeggiare in quel posto, mollando la sua agenzia di viaggi nelle mani fidate di sua sorella Isabelle, non avrebbe mai creduto che potesse essere una buona idea, ma adesso, mentre si metteva comodo sul divano e allungava le lunghe gambe sul pouf davanti a lui, doveva ammettere che era molto meglio di quanto si aspettasse. Riusciva a dormire più di sei ore ogni notte, aveva ripreso a mangiare con appetito e faceva lunghe passeggiate che lo calmavano e rilassavano.
Si stava divertendo, insomma. Con Magnus. Incredibile, ma vero.
Era sempre il solito idiota rompiscatole, sia chiaro, ma la sua guardia del corpo iniziava comunque a piacergli pericolosamente ogni giorno di più.
In quei giorni, infatti, aveva scoperto molte più cose sull'ex Marine di quante ne avesse apprese da quando era piombato nella sua vita. Cose che gli stavano facendo cambiare velocemente e inesorabilmente idea su di lui.
Aveva imparato curiosità e vezzi che fin'ora aveva ignorato, troppo preso ad odiarlo e a interessarsi del proprio lavoro e della situazione in cui si trovava piuttosto che spulciare nella vita dell'altro o a chiedergli qualcosa di più sul suo conto.
Non avrebbe mai pensato di dirlo, ma, per l'angelo, oltre ad essere fisicamente bellissimo, Magnus era una persona intellettualmente stimolante e coinvolgente!
Alec si era accorto che pendeva dalle sue labbra ogni qual volta l'uomo gli raccontava un pezzettino della sua vita, narrando qualche avventura vissuta quando ancora era nella Marina Militare. Il moro trovava lodevole il fatto che fosse sempre riuscito ad uscire da ogni situazione pericolosa con ingegno e astuzia e ammirava tantissimo il suo coraggio.
Magnus si stava rivelando anche una persona con una pazienza infinita. Sbuffava e borbottava quando non era d'accordo con qualche sua idea, ma alla fine assecondava ogni suo capriccio e lo accontentava sempre, anche quando la situazione era assurda o rischiosa, come recuperare dalle acque agitate del ruscello il cappellino da baseball che gli aveva regalato suo padre per il suo decimo compleanno. Alec aveva provato a dissuaderlo quando aveva visto i vortici d'acqua impetuosi, a dirgli che, pazienza, ormai era andato, nonostante ci tenesse tantissimo a quel dono, ma Magnus gli aveva sorriso con spavalderia e, senza battere ciglio, si era tuffato in acqua per salvare il cappellino prima che sparisse tra i flutti.
Alec aveva scoperto che la sua guardia del corpo era un finto permaloso e che si divertiva a mettere il broncio quando in realtà non si sentiva minimamente toccato dalle parole che venivano pronunciate con l'intento di offenderlo. Il moro aveva già intuito questa sua caratteristica quando, in più di un'occasione, l'aveva apostrofato in malo modo e lui aveva sempre risposto con un sorriso indulgente a ogni insulto, ma dopo qualche battibecco, accaduto in quei giorni, aveva finalmente capito che l'uomo raramente si offendeva per qualcosa, a meno che non fosse detta con palese cattiveria.
Magnus era creativo. Questa non era una novità, sapeva già che era una persona estrosa e fantasiosa, ma Alec non avrebbe mai pensato che la sua guardia del corpo avrebbe preso a cuore l'impegno di inventarsi ogni giorno qualcosa per distrarlo e tirargli su il morale, facendolo ridere fino ad avere i crampi alla pancia e le lacrime agli occhi. Era un buffone, ma un buffone dolce e generoso.
L'ex Marine era innamorato dello shopping, aveva talmente tanti vestiti e gioielli da poter mettere su una propria boutique personale (nel suo appartamento, per l'angelo, aveva un'intera stanza dedicata al suo guardaroba!) ed era un vero e proprio patito della filatelia. In una cassetta di sicurezza che aveva in banca, infatti, possedeva una collezione di francobolli che valeva come minimo cinquanta mila dollari e che era il suo orgoglio.
Gli piaceva l'arte, in tutte le sue forme, e adorava partecipare alle sfilate di moda o alle mostre di autori eccentrici e ancora poco conosciuti, divertendosi a fare il critico in compagnia di Ragnor.
Alec aveva anche scoperto che aveva addirittura provato a imparare a suonare il charago, uno strumento musicale sudamericano simile alla chitarra, per fare colpo su un suo ex, ma i risultati erano stati così disastrosi che, dopo essere stato scaricato da tale Imasu, Magnus aveva lasciato perdere, buttandosi sugli scacchi e sul poker, in cui era praticamente imbattibile.
Quando Will gliene aveva parlato, Alec aveva pensato che, ok, era bravo, ma onestamente non avrebbe mai immaginato che lo fosse ad un livello tale che avrebbe potuto tranquillamente diventare un giocatore professionista. Da quando erano arrivati alla casetta di legno, il moro aveva sperimentato, sulla propria pelle e in più di un'occasione, quel particolare talento della sua guardia del corpo e, dopo essere stato battuto la prima volta, Alec ne aveva fatto una questione di orgoglio e aveva sfidato l'altro ancora e ancora e ancora, finendo sempre col perdere miseramente. Per sua fortuna le puntate al gioco consistevano in patatine e noccioline, anziché soldi veri, o si sarebbe trovato presto sul lastrico. Senza contare che doveva ringraziare il suo istinto per avergli suggerito di evitare di giocare a strip poker, quando Magnus gliel'aveva proposto con falsa nonchalance, o avrebbe di sicuro perso tutti i suoi vestiti e avrebbe dovuto girare nudo per casa!
Alec ghignò, scuotendo affettuosamente la testa, quando ripensò al broncio adorabile che Magnus aveva messo su quando lui si era rifiutato di provare almeno una volta, una sola, quella modalità di gioco. L'ex Marine gli aveva tenuto il muso per ben un'ora, prima di tornare a parlargli con la sua consueta, inesauribile, loquacità!
Alec ridacchiò tra sé e sé e osservò Magnus arrivare in salotto con un enorme sorriso e due tazze piene di cioccolata calda.
"Ecco qua, mio dolce ciuffetto di panna montata."
"Grazie." lo ringraziò Alec, roteando gli occhi e sbuffando rassegnato.
Ci aveva rinunciato. Già. Ormai aveva abbandonato ogni tentativo di dissuadere l'altro ad affibbiargli nomignoli idioti, perché era un po' come lottare contro i mulini a vento. Aveva addirittura pensato di ripagarlo con la stessa moneta, smettendo di chiamarlo Magnus e interpellandolo solo e unicamente con soprannomi sciocchi, ma al primo "cioccolatino", pronunciato con altezzosità, era poi immediatamente arrossito come un pomodoro maturo e aveva battuto in ritirata, lasciando perdere e chiudendosi in camera per l'imbarazzo, con grande dispiacere di Magnus che si era illuminato come un albero di Natale per quel nomignolo del tutto inaspettato.
Scosse la testa e riportò l'attenzione sulla sua guardia del corpo, che stava frugando tra i numerosi DVD che Ragnor e Raphael avevano impilato in uno scaffale di fianco al televisore, mentre muoveva ritmicamente il sedere, andando a tempo con una canzone che stava mormorando sottovoce.
"Allora, cosa vuoi guardare questa sera, tesoro?" chiese, passando attentamente in rassegna i vari titoli con la punta dell'indice.
"E' indifferente." mormorò Alec, con gli occhi incollati sul sedere dell'altro, mentre Presidente Miao gli si acciambellava in braccio in cerca di coccole.
Quella era un'altra cosa che aveva scoperto in quei giorni di convivenza ancora più forzata del solito. Ci aveva provato, eh, questo andava detto, aveva tentato di resistere con tutte le sue forze, ma non riusciva più a fermare il proprio sguardo e sempre più spesso si ritrovava a guardare Magnus di sottecchi, studiando le linee armoniose e scolpite del suo corpo e il suo sorriso irriverente e dolce al tempo stesso, che era sempre pronto a fare capolino su quelle labbra carnose e tutte da baciare.
Non sapeva se fosse perché oramai vivevano praticamente in simbiosi ventiquattro ore su ventiquattro o se l'astinenza patita in tutti quegli anni iniziava a farsi sentire pesantemente, ma stava diventando un problema continuare a ignorare quella voglia smaniosa di saltargli addosso.
"Guardiamo una storia d'amore? O un altro thriller come ieri sera? Un film horror?" cominciò a elencare Magnus, ignorando lo stato d'animo dell'altro. "O un classico tipo Casablanca? Oppure... Ohhh! Ok, fermo là! Ho trovato!" esclamò, trionfante, alzando la custodia di un DVD.
"Che cos'é?"
"La storia fantastica di Rob Reiner."
"Mai sentito nominare." rispose Alec, scrollando le spalle e accarezzando Presidente che rincorreva la sua mano con il muso.
Magnus lo guardò a bocca aperta. "Stai scherzando, vero?" domandò, stupefatto. "Hola. Mi nombre es Iñigo Montoya. Tu hai ucciso mi padre, preparate a morirrrr!" recitò, con aperta teatralità, mimando il gesto di una spada che colpiva il petto di un ipotetico rivale.
Alec e Presidente Miao alzarono contemporaneamente un sopracciglio e lo fissarono come se fosse improvvisamente impazzito.
"Ohhhh, ma dai! Westley e Bottondoro? Lei che, all'inizio del film, è tutta altezzosa e stronza e gli ordina di fare qualunque cosa le passi per la mente, mentre lui è un puccioso cioccolatino di Lindor che le risponde sempre e solo Ai tuoi ordini..., quando in realtà vuole dirle Ti amo?" insistè Magnus, portandosi le mani al petto, con un sospiro e un'aria sognante. "Niente?" chiese ancora, inarcando un sopracciglio.
Alec scosse lentamente la testa, guardandolo come se fosse un alieno.
"Ma dove hai vissuto fin'ora?" si imbronciò Magnus, roteando gli occhi. "E' un film bellissimo! Ci sono lotte, duelli, torture, vendette, giganti, mostri, inseguimenti, evasioni, grandi amori, miracoli!" citò a memoria, con un sorriso estatico.
"Ce n'è di roba!" mormorò Alec, ironico, facendo sorridere l'altro perché aveva ripetuto, senza saperlo, una battuta del film.
"Puoi ben dirlo!" asserì la guardia del corpo, spegnendo la luce e andando a sedersi accanto a lui.
"Perché hai spento la luce?" chiese Alec, aggrottando la fronte e muovendosi a disagio sul cuscino del divano.
Magnus lo guardò con un luccichìo malizioso negli occhi. "Perché, mio dolce marshmallow, visto che è sabato sera, fingiamo di essere seduti nell'ultima fila di un cinema. Sai questo cosa significa, no?" mormorò, posando un braccio sullo schienale del divano e arricciando ripetutamente e sfacciatamente le labbra.
Alec lo guardò con gli occhioni spalancati, sentendo distintamente le guance scaldarsi. Per darsi un tono, si ficcò una generosa dose di pop-corn in bocca e, quando sentì le dita dell'altro sfiorargli casualmente (o forse no?) la pelle del collo, ringraziò mentalmente che la stanza fosse completamente al buio, ad eccezione della fioca luce che arrivava dal televisore, e che celasse così il suo viso in piena combustione.
"Idiota." borbottò, a mezza voce, inghiottendo faticosamente i pop-corn.
Magnus ridacchiò, arruffandogli i capelli, e gli intimò poi gentilmente di fare silenzio posando un indice sulla sua bocca. Alec sentì le labbra andargli a fuoco.
Dopo circa un'ora e mezza abbondante, in cui il moro aveva tentato in tutti i modo di non rilassarsi più del dovuto sullo schienale del divano, onde evitare che le dita dell'altro lo toccassero più marcatamente, la sua guardia del corpo si girò verso di lui con occhi scintillanti.
"Allora? Ti è piaciuto?"
"Non male." rispose Alec, con un sorriso storto.
"Oh, andiamo, pasticcino! E' molto più di non male!" lo rimbeccò Magnus, punzecchiandolo con l'indice su un fianco, prima di alzarsi e riaccendere la luce.
Alec gli rivolse un sorriso storto, scuotendo piano la testa e poggiando delicatamente un addormentato Presidente Miao su un cuscino, alzandosi poi a sua volta per portare la ciotola dei pop-corn e le tazze sporche di cioccolata, ormai vuote, nel tinello.
Il suo cellulare iniziò a suonare e Magnus lo acchiappò, gridando, allegro, "E' Jace! Rispondo io!", mentre si spostava in camera per iniziare a prepararsi per la notte.
"Ehi!" protestò Alec, allargando le braccia per l'esasperazione e correndogli velocemente dietro. "Chi ti ha dato il permesso di prendere il mio..." iniziò a brontolare, bloccandosi poi di colpo e irrigidendosi nell'istante esatto in cui vide l'espressione della sua guardia del corpo diventare sempre più cupa e seria man mano che la conversazione telefonica proseguiva.
Il cuore prese a battergli furiosamente nel petto e, anche senza sentire cosa stava dicendo suo fratello, avvertiva che qualcosa non andava.
Magnus stava rispondendo a monosillabi, guardandolo con uno sguardo serio e preoccupato, e, quando riattaccò, Alec non perse tempo.
"La mia famiglia sta bene?" chiese, con voce angosciata, arpionandogli un braccio.
Magnus annuì, piano, prendendolo poi dolcemente per un gomito per condurlo verso il letto e farlo sedere sul materasso. "Il tuo appartamento è stato vandalizzato." spiegò, diretto e conciso.
"Co-cosa?" balbettò il moro, sgranando gli occhi.
"Qualcuno è entrato in casa tua e l'ha distrutta. Ha anche appiccato un incendio nella tua camera, ma per fortuna sono riusciti a spegnerlo prima che potesse divampare per tutto l'appartamento e diventare quindi ingestibile." lo informò Magnus, prendendogli una mano tra le sue e intrecciando le loro dita. "L'appartamento ha riportato danni notevoli e la tua camera da letto è completamente bruciata." sussurrò, dispiaciuto. "Jace mi ha comunicato..."continuò, ma Alec non lo ascoltava più.
Distrutta. La sua casa era stata distrutta. Il suo appartamento che non era spazioso né particolarmente bello, che aveva crepe sui muri e che in inverno aveva le tubature che si ghiacciavano, creandogli non pochi problemi con l'acqua calda, ma che, nonostante tutto, Alec comunque amava, era stato devastato. Per dieci anni era stato il suo nido, la sua tana, il suo rifugio, mentre ora era un cumulo di macerie e distruzione.
Chiuse gli occhi e, con l'immaginazione, andò da una stanza all'altra, riportando alla memoria i suoi oggetti e i suoi mobili. Vide i quadri che adornavano i muri, le foto sparse per il salotto, gli scaffali pieni di libri, il divano sgangherato che aveva comprato con il suo primo stipendio, il piccolo tavolo della cucina, la macchinetta del caffè rossa fiammante di Magnus che brillava sfacciatamente accanto agli altri elettrodomestici di un colore neutro e che sembrava gridare "Guarda quanto sono bella!".
Percorse il corridoio e arrivò fino alla sua camera, arsa dal fuoco: immaginò il mobilio distrutto, le pareti annerite, il pavimento rovinato. Il petto gli si strinse in modo insopportabile quando, voltando ipoteticamente il viso dove una volta c'era la sua cassettiera, non vide più niente. Tutto era stato ridotto in cenere. Anche il soldatino di Max.
Spalancò gli occhi e iniziò ad annaspare.
"..."
L'ossigeno si rifiutò di arrivare ai polmoni.
"...ec..."
Iniziò a soffocare.
"...ec..."
Dei suoni ovattati giunsero fino a lui, ma Alec non riuscì ad afferrarli.
"ALEXANDER!" gridò forte Magnus, scuotendolo con preoccupazione e riportandolo alla realtà.
Alec spalancò gli occhi e iniziò ad ansimare, a corto di fiato, come se fosse riemerso da una lunga apnea.
"Ok, respira, tesoro." mormorò Magnus, piano, stringendogli le spalle. "Inspira. Espira. Inspira. Espira. Così. Bravo, Fiorellino. Stai andando benone." lo incitò dolcemente.
Alec seguì le istruzioni, guardandolo come un automa e tornando gradualmente a respirare.
"Non c'è più." mormorò Alec, affranto, chiudendo nuovamente gli occhi, ma continuando a inspirare e a espirare come gli aveva detto di fare Magnus.
"Mi dispiace, tesoro." sussurrò Magnus, poggiandogli gentilmente una mano sulla guancia e accarezzandola con il pollice. "Ma non devi preoccuparti! Lo risistemeremo e ritornerà come prima. Anzi no! Il tuo appartamento diventerà ancora più bello!" dichiarò, con un sorriso dolce e rassicurante.
Alec scosse la testa, disperato. "Non capisci. Il soldatino..."
"Il soldatino?" chiese Magnus, aggrottando la fronte.
Alec annuì. "Non c'è più."
"Quale soldatino, tesoro?" chiese Magnus, perplesso, continuando ad accarezzargli la guancia.
"Il soldatino. Sulla cassettiera." mormorò Alec, angosciato, sentendo che stava nuovamente per mancargli il respiro.
Magnus aggrottò la fronte, confuso, poi ricordò che c'era un piccolo soldatino di legno sopra al mobile nella stanza del moro, un giocattolo che aveva un'aria consunta e che sembrava aver visto giorni migliori. L'uomo non aveva mai posto domande a riguardo e la prima volta che l'aveva notato l'aveva catalogato come un ricordo d'infanzia di cui l'altro non voleva disfarsi, tutto lì.
"E' importante per te quel soldatino?" domandò in tono gentile Magnus, tentando di capire.
Alec annuì, il labbro inferiore che tremava. "Era di Max." rispose, con un filo di voce, prima di scoppiare in un pianto isterico.

Era di Max.
Magnus versò una generosa dose di Bourbon in un bicchiere e ritornò in camera da letto: Alec era disteso sul letto, rannicchiato su se stesso in posizione fetale e in stato catatonico. Magnus pensò che forse avrebbe fatto bene anche a lui un goccetto, se voleva aiutare l'altro ad uscirne.
Il moro aveva smesso di piangere, ma qualche lacrima sfuggiva ancora dai suoi occhi e rotolava giù, fino a inzuppare il cuscino, e fissava un punto fisso davanti a sé.
Magnus si sedette nuovamente accanto a lui e gli prese la mano, avvolgendo le sue dita attorno al bicchiere. Alec scosse la testa e provò a respingerlo, ma l'ex Marine non demorse.
"Bevi. Ti farà bene." asserì, deciso.
"Odio il Bourbon." mormorò Alec, con una smorfia.
Magnus accennò un sorriso, scompigliandogli i capelli. "Sì, lo so. Ma bevi lo stesso."
Alec obbedì, alzandosi appena e mandando giù il liquido ambrato a piccoli sorsi. Sentì immediatamente un calore intenso propagarsi per tutto il corpo e si aggrappò a quello per ristabilire l'equilibrio perduto.
"Ora sto bene. Grazie." disse il moro, posando il bicchiere sul comodino.
Magnus piegò la testa osservandolo per un lungo momento. "Parlami di Max." mormorò, in tono dolce, scostandogli un ciuffo di capelli dalla fronte, anche se già sapeva che il fratellino di Alec, Maxwell Joseph Lightwood, era morto assassinato dieci anni prima per mano di uno sconosciuto.
Non aveva mai collegato il soldatino di legno a quel bambino che oramai non c'era più, ma ora capiva perfettamente la disperazione del moro. Nelle varie missioni che avevano caratterizzato il suo ex lavoro, infatti, aveva visto morire colleghi che considerava come fratelli e comprendeva quindi molto bene il dolore immenso che derivava dal perdere un membro della propria famiglia o anche solo un oggetto a lui collegato.
"Non posso." dichiarò Alec, scuotendo la testa e stringendo le labbra in una lunga linea sottile.
Un singhiozzo gli sfuggì dalle labbra, mentre si asciugava, con la manica della maglia, le lacrime sporadiche che continuavano a bagnargli le guance.
Magnus sentì il cuore stringersi e si coricò di fianco a lui, tirandoselo addosso e stringendolo forte in un abbraccio spaccaossa. "Sai, credo che ti sentiresti meglio se ne parlassi." disse, accarezzandogli lentamente la schiena.
Sentì la testa di Alec muoversi a destra e a sinistra sopra il suo petto, in segno di diniego.
"Perché non mi racconti del soldatino?" provò allora Magnus, gentile, immergendo le dita nei capelli del moro e baciandogli la fronte.
Alec tirò su con il naso, sentendo che le lacrime minacciavano di travolgerlo nuovamente. Tutto il suo corpo era teso e intorpidito dal dolore. "Era di Max." ripetè in un sussurro. "Ma ormai è bruciato. Non c'è più. L'ho perso per sempre."
Magnus aveva come la sensazione che, più che del giocattolo, il moro si riferisse al fratellino. "Parlami di Max." insisté, cercando le dita dell'altro e intrecciandole saldamente alle proprie.
Alec trattenne il respiro, mordendosi con forza il labbro inferiore e sentendo il corpo tendersi come una corda di violino. "E' stata colpa mia." dichiarò, con voce spenta e incolore.
"Raccontami." sussurrò piano Magnus.
"Non posso. Andrò in pezzi." gli confidò Alec, con voce rotta, alzando il volto verso l'altro.
Magnus lo guardò a sua volta, stringendolo ancora più forte a sé. "Ti terrò insieme io." promise, serio.
Alec sapeva che l'ex Marine parlava sul serio. Era un'altra cosa che aveva imparato in quei giorni nella casetta sperduta nei boschi: Magnus Bane manteneva sempre le sue promesse.
Tornò a posare la testa sul petto della sua guardia del corpo, fece un paio di respiri profondi e guardò fisso davanti a sé. Aveva seppellito così profondamente quel ricordo che riportalo di nuovo a galla gli costava un dolore tremendo, ma la mano di Magnus, stretta alla sua, e il braccio dell'uomo, avviluppato alla sua vita, in qualche modo lo tranquillizzavano e gli davano la forza di scavare nella memoria per riportare alla luce quell'episodio.
"Comincia dal soldatino." gli suggerì Magnus, accarezzandogli lentamente il dorso della mano con il pollice.
Gli occhi di Alec diventarono vaghi, remoti, e la sua mente tornò indietro di oltre quindici anni. "Il soldatino era di Jace." cominciò, a bassa voce. "E' stato adottato quando aveva dieci anni ed è arrivato a casa Lightwood con quel soldatino. Se lo portava sempre dietro, non se ne separava mai. Ci faceva addirittura il bagno insieme!" rammentò, divertito. "Non ricordo quando è successo, ma un giorno il soldatino era nelle mani di Jace e quello dopo ce l'aveva Max. Jace gliel'aveva regalato. Non so il motivo. Forse perché lui era troppo cresciuto per continuare a giocarci o forse perché nostro fratello gli chiedeva continuamente se poteva prestarglielo. Fatto sta che da quel giorno il soldatino è diventato un giocattolo di Max. Stravedeva per Jace, sai?" affermò, con un sorriso triste. "Io ero il fratello noioso e rompiscatole, quello che tentava di farlo ubbidire agli ordini dei nostri genitori, quello che lo sgridava quando combinava qualche marachella, quello che lo faceva piangere. Isabelle, invece, era la sorella simpatica e riusciva sempre a farlo ridere, coccolandolo anche quando faceva i capricci. Era davvero brava con lui. Mentre Jace... beh, Jace era l'idolo indiscusso di Max! In qualsiasi pasticcio Jace si cacciasse, Max gli sgambettava dietro per imitarlo, perché Jace era fantastico, forte e coraggioso e quando gli regalò quel soldatino divenne definitivamente il suo eroe." continuò, stiracchiando le labbra al ricordo. "Max amava alla follia quel giocattolo e anche lui, proprio come Jace, se lo portava sempre dietro. Dove c'era lui, c'era anche il soldatino e, anche quel giorno, erano insieme..."
Alec inspirò bruscamente, stringendo spasmodicamente la mano stretta in quella di Magnus, come se quel ricordo fosse talmente insopportabile da avere bisogno della forza dell'ex Marine per continuare il racconto.
Magnus sentì il cuore stringersi. In quel momento, avrebbe tanto voluto avere dei poteri magici e cancellare, con uno schiocco di dita, tutto quel dolore che il moro si portava appresso, ma sapeva che, purtroppo, l'unica cosa che poteva fare era tenergli la mano e confortarlo quando avrebbe finito la storia.
"E poi? Cosa è successo, Alec?" sussurrò l'uomo, rafforzando la presa sull'altro.
"Eravamo stati invitati a un ricevimento." riprese il moro, le dita inermi in quelle dell'ex Marine. "Cioè... mio padre era stato invitato. Io, mia madre e i miei fratelli fummo costretti ad accompagnarlo perché voleva pavoneggiarsi e mostrare a tutti gli invitati quanto fosse bella la sua famiglia e quanto dovessero invidiarci. Nonostante tutto, però, la serata era stata davvero piacevole, sai? Il padrone di casa aveva una splendida villa sul lago Seneca e io non mi sono neanche annoiato, come accadeva ogni volta che mio padre mi costringeva a presenziare a un ricevimento." la voce di Alec si spezzò un attimo, poi tornò a parlare in tono angosciato. "A fine serata, mentre tornavamo a casa, mio padre sbagliò strada. Si  confuse ad un incrocio, svoltò nella direzione sbagliata... non so cosa sia successo. So solo che, ad un certo punto, stavamo percorrendo una stradina deserta e lui ha frenato bruscamente, imprecando con forza e facendoci sbalzare violentemente tutti in avanti. Ricordo la voce agitata di mia madre, che si era voltata verso mio padre per chiedergli cosa diavolo stesse facendo. Ricordo Jace e Izzy che, spaventati, ma curiosi, si sporgevano verso i sedili anteriori per vedere cosa stava succedendo, mentre io stringevo forte a me Max, che stava dormendo appoggiato sul mio fianco, per evitare che venisse sballottato più del dovuto. E' stata questione di secondi, forse anche meno, poi iniziò l'inferno. Una detonazione ruppe il silenzio e tutto cominciò a precipitare."
Alec sembrava non avere più aria nei polmoni e Magnus non poté fare altro che continuare a stringerlo nel tentativo di consolarlo, anche se sapeva che nulla avrebbe potuto alleviare il dolore che stava per arrivare.
"Non... non avevo capito. Non avevo idea che quel rumore fosse uno sparo, neanche quando qualcosa mi passò, sibilando, a pochi centimetri dalla testa. Poi quella detonazione si ripeté ancora e ancora e ancora e ancora. Non so quanto durò. Minuti, forse secondi. Non lo so. So solo che gli spari sembravano non finire mai."
Alec ricordava che suo padre aveva gridato disperatamente "Giù!", mentre il rumore sordo delle pallottole sovrastava il suo comando, e che il tempo aveva iniziato a scorrere a rallentatore. Quando finalmente la pioggia di proiettili smise di martoriare l'auto, il silenzio che seguì tutto quel frastuono fu glaciale.
Alec ricordava il pianto disperato di sua madre, di Izzy e anche di Jace, mentre suo padre era accasciato sul volante, immobile, forse morto. Ricordava il flebile lamento provenire al suo fianco, lui che si voltava verso quella direzione e che fissava, inorridito, la camicia bianca di Max colorarsi velocemente di rosso scuro. Ricordava che aveva gridato, disperato, il nome di suo fratello, mentre il peso del suo corpicino, ormai inerme, gli gravava addosso. Ricordava di aver tentato di fermare il sangue, tamponando tutti i fori che riusciva a vedere, ma inutilmente. Ricordava la quantità mostruosa di sangue che aveva continuato a sgorgare senza sosta dal corpo del bambino, inzuppandogli le mani senza che lui potesse farci nulla. Ricordava le grida disperate e sempre più forti di sua madre e dei suoi fratelli che gli trapanavano il cervello. Ricordava lui che cullava Max, tra le braccia, continuando a ripetere incessantemente "Non morire. Per favore, non morire.", mentre il soldatino scivolava via dalle dita immobili del bambino, cadendo sul tappetino dell'auto crivellata di colpi. Ricordava che fu solo in quel momento che capì di averlo perso, perché Max adorava il soldatino di legno e non se ne sarebbe mai separato, mai.
Il moro alzò lo sguardo verso Magnus con gli occhi pieni di orrore. Le lacrime scendevano copiose e la voce oramai era ridotta a un sussurro. "Non l'ho protetto. Se gli avessi fatto da scudo con il mio corpo, se avessi capito che stavano sparando, se..."
"Oh, tesoro." mormorò Magnus, con gli occhi lucidi, stringendolo forte a sé. "Non è stata colpa tua."
"Sì, invece." asserì Alec. "Non l'ho protetto."
"Alec, tesoro, non sei stato tu a sparare, ma quello sconosciuto. E' lui il responsabile della morte di Max non tu." affermò Magnus, con decisione e sicurezza.
"Sono il fratello maggiore! Era mio dovere proteggerlo." ribadì Alec, con voce spenta.
"Tesoro, sono sicuro che hai sempre fatto del tuo meglio per svolgere questo compito alla perfezione, ma, in questo caso, non potevi fare niente di più di quello che hai fatto." sostenne Magnus, con convinzione, baciandogli la fronte. "Questa cosa non sarebbe dovuta succedere, ma purtroppo è accaduta e tu non potevi prevederlo."
"Dopo la sua morte, ho continuato a vederlo e a sentirlo." confidò Alec, in un sussurro. "La mia famiglia, soprattutto mia madre, dopo anni passati a vegetare, ha cominciato a dirmi che dovevo riprendere in mano la mia vita, che dovevo andare avanti. E io ci provavo, ci provavo davvero, ma non ci riuscivo." continuò, asciugandosi gli occhi con la manica della maglia. "Non riuscivo a perdonarmi di non averlo protetto. Vedevo Max correre per casa, lo sentivo ridere e giocare. Ogni mattina, però, quando mi alzavo e andavo nella sua stanza, lui non c'era più."
Alec ricominciò a piangere silenziosamente e Magnus lo lasciò sfogare. Gli venivano in mente tante frasi banali e di circostanza che avrebbe potuto dirgli, frasi piene di futili parole di conforto, ma sapeva che in quel momento non sarebbero servite a niente. Tutto quello che poteva fare era stringere forte il moro e lasciare che piangesse tutte le sue lacrime.
Presidente Miao balzò sul letto, annusando curioso l'aria attorno a loro, prima di accoccolarsi anche lui sul torace di Magnus.
Alec si asciugò gli occhi e accennò un sorriso, quando vide il felino osservarlo quasi preoccupato. "Sai che avevamo anche noi un gatto?" ricordò in tono affettuoso, grattando il micio dietro un orecchio.
"Davvero?" chiese Magnus, sorpreso, scostandogli i capelli sudati dal viso e baciandogli a lungo la fronte.
Alec annuì. "Un persiano grigio di nome Church."
Magnus iniziò ad accarezzargli la schiena e ascoltò, in silenzio, il moro, mentre gli raccontava, divertito, di quel grosso gatto snob e altezzoso che odiava tutti e che soffiava a chiunque provasse a toccarlo o a prenderlo in braccio. La voce del ragazzo si fece sempre più flebile mano a mano che procedeva con i ricordi di quel gatto ciccione, fino a spegnersi del tutto nel bel mezzo di un episodio piuttosto movimentato.
Magnus sorrise appena, chiuse gli occhi e appoggiò il mento sulla testa di Alec, addormentandosi anche lui.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Alec si svegliò con la sensazione di essere stato travolto da un camion. Gli faceva male tutto il corpo, aveva le spalle indolenzite, gli occhi pesanti che bruciavano e la gola secca.
Si trovò davanti al naso Presidente Miao che dormiva profondamente e aggrottò la fronte, confuso. Roteò gli occhi, senza accennare minimamente a muoversi, e si guardò attorno per cercare di capire dov'era e cosa stava succedendo. Ad un tratto divenne cosciente del corpo solido a cui era appoggiato, del petto che si alzava e abbassava sotto le sue dita e del battito tranquillo e cadenzato di un cuore che batteva sotto il suo orecchio.
Sollevò lentamente la testa, incontrò due occhi verde-oro che lo guardavano con dolcezza e ricordò tutto.
Tornò a nascondere il viso sul petto di Magnus e grugnì, imbarazzato. "Scusa. Mi dispiace." mormorò, con le guance arrossate, tentando goffamente di alzarsi.
Magnus lo tenne stretto a sé e sorrise teneramente, infilando le dita nei capelli del moro e arruffandoglieli ancora di più. "Per che cosa? Perché ti manca tuo fratello e ti fa ancora soffrire la sua morte?"
Alec sospirò, abbassando lo sguardo e mordendosi il labbro inferiore. "Se fossi riuscito a fargli da scudo..."
"Alec, non è stata colpa tua." ripeté ancora una volta Magnus, interrompendolo con tono deciso.
Il moro si mise a sedere, accarezzando distrattamente Presidente Miao che aveva alzato il muso assonnato verso di lui e lo guardava con aria interrogativa.
"Tesoro, so che fa male, farà sempre male, ma Max non c'è più. Continui a vivere nel passato e a darti la colpa per ciò che è successo, ma hai fatto tutto quello che hai potuto per salvarlo. Devi smetterla di colpevolizzarti. Devi andare oltre ciò che non puoi cambiare e vivere la tua vita meglio che puoi." affermò Magnus, guardandolo con comprensione e accarezzandogli un braccio. "Max farà sempre parte di te, sarà sempre nel tuo cuore, ma non è giusto che ti chiuda a riccio, lasciando il resto delle persone e del mondo fuori."
Alec fece spallucce. "Il mondo e le persone, il più delle volte, fanno schifo." disse schiettamente, disegnando figure astratte sul copriletto sotto di lui.
Magnus ridacchiò, togliendosi di dosso Presidente Miao e poggiandolo sulla coperta. "Sì, concordo, ma ci sono anche persone fantastiche che fanno cose fantastiche per rendere fantastico questo mondo." replicò, mettendosi a sedere. "Come il sottoscritto." dichiarò, con un sorriso sbarazzino. "E se solo mi chiedessi una certa cosa, scommetto che mi daresti ragione e che, dopo, ti sentiresti molto appagato e soddisfatto." concluse, sfacciato, spingendogli la fronte con l'indice.
Alec gli rivolse il primo, vero, sorriso da quando avevano ricevuto la telefonata di Jace. "Sì. Certo. Come no." rispose, roteando gli occhi, divertito.
Magnus si finse oltraggiato, portandosi una mano al petto. "Oh.mio.Dio! Mi stai accusando di mentire?"
"Beh, hai quasi quarant'anni. Fare cilecca è un attimo. Non so quanto ne uscirei appagato e soddisfatto alla fine." affermò Alec, scrollando le spalle con noncuranza e mordendosi l'interno delle guance pur di non ridere.
Fallì miseramente e rise di gusto quando vide Magnus sgranare gli occhi, totalmente spiazzato e stupito.
"C-cilecca?" balbettò l'ex Marine, indignato e offeso. "Io non faccio cilecca!"
Alec rise ancora più forte e gli piazzò una mano sul viso, spingendolo scherzosamente all'indietro, per poi alzarsi di slancio dal letto.
"Vado a preparare la colazione." dichiarò, divertito, stiracchiando le braccia in alto.
Si sentiva svuotato ed emotivamente esausto... e anche un po' imbarazzato per essere scoppiato a piangere come una ragazzina (cosa che non gli capitava mai, visto che aveva imparato, fin da piccolo, a controllare le proprie emozioni e a gestire ogni situazione. La chiamata di Jace, però, aveva cambiato tutto e alla fine si era ritrovato del tutto esposto e vulnerabile), eppure non si era mai sentito così bene dalla morte di Max.
Aveva raccontato la sua "colpa" a Magnus e lui non l'aveva condannato, anzi l'aveva stretto e consolato come nessuno era riuscito a fare fino a quel momento. Era incredibile come quell'idiota rompiscatole riuscisse ogni volta a fare breccia nella sua corazza e a tirargli su il morale con le sue parole e la sua presenza.
"Ehi! Non scappare!" lo rimbrottò Magnus, rimettendosi a sedere e tirandogli un cuscino addosso.
"Pancake?" domandò Alec, schivando il "proiettile" con un enorme sorriso.
Magnus si ributtò all'indietro con un sonoro sbuffo. "Che fine hanno fatto i tuoi yogurt magri e i tuoi frullati ipocalorici? Mh?" lo punzecchiò, inarcando un sopracciglio e incrociando le mani dietro la testa.
Alec gli fece il dito medio, prima di uscire dalla camera, seguito dalla risata allegra della sua guardia del corpo.
Preparò l'impasto e stava giusto rischiando di bruciare completamente la prima frittella, quando Magnus apparve, prese una tazza vuota e si versò una generosa dose di caffè.
"Sai che, dopo tutto questo tempo, è la prima volta che mi prepari la colazione?" domandò, con un sorrisetto compiaciuto. "Che c'è? Vuoi fare colpo su di me, dolcezza?" lo stuzzicò, facendo scontrare gentilmente il suo fianco con quello dell'altro.
Alec roteò gli occhi e versò l'impasto nella pentola per una seconda frittella, trattenendo un sorriso. "Non ho bisogno di fare colpo su di te."
"Sì, questo è vero." concordò Magnus, baciandogli una guancia e rubandogli la frittella bruciacchiata.
"Ehi!" protestò Alec, lanciandogli un'occhiataccia e fingendosi irritato, pur di nascondere il rossore che gli aveva colorato il viso.
Magnus ridacchiò.
"Per l'angelo, sei davvero..." iniziò il moro, imbronciato, venendo però interrotto dell'altro che gli aveva agguantato il braccio in una presa ferrea.
Alec lo guardò, aggrottando la fronte, ma l'uomo stava fissando, con sguardo serio, fuori dalla finestra.
"Che c'è?" chiese il moro, preoccupato, seguendo lo sguardo dell'ex Marine.
"Lo senti anche tu?" mormorò Magnus, teso.
Alec alzò un sopracciglio, confuso, poi sentì il rumore. Era un ronzio lontano, quasi indistinto, ma stava diventando sempre più forte.
"Sembra... una moto?" mormorò il moro, accigliato.
"Esatto." concordò Magnus, spegnendo il gas e prendendo il ragazzo per un gomito, per condurlo in camera.
La guardia del corpo aprì il grande armadio e fece cenno al moro di entrare, poi prese Presidente Miao, ancora addormentato sul letto, e glielo consegnò.
"Non muovetevi e non fate rumore, ok?" si raccomandò Magnus. "Dovrei riuscire a sbrigarmela in fretta. Se ci fossero problemi e dovessero entrare, però,..."
"Se dovessero entrare, significa che ti hanno messo ko." lo interruppe Alec, preoccupato, mettendo un piede fuori dall'armadio, deciso a uscire con la sua guardia del corpo. "Voglio venire con te! Voglio..."
"Fa' come ti ho detto." ordinò Magnus, con fermezza, spingendolo di nuovo nell'armadio. "Lo affido a te." mormorò al gatto, con un sorriso, prima di baciare entrambi sulla fronte e chiudere le ante.
Circondato dal buio, Alec sbuffò forte, mettendosi seduto e stringendo il micio a sè. Tese l'orecchio, sperando di captare quanto stava succedendo là fuori e, dopo pochi minuti, sentì il rombo di due motori che si fermavano proprio davanti alla casa.
Magnus era appoggiato allo stipite della porta con calcolata naturalezza, quando le motociclette si arrestarono davanti a lui. Stava sorseggiando con calma il caffè, non perdendo di vista, neanche per un secondo, i quattro uomini, due per ogni moto, che erano appena arrivati. La pistola era nascosta dietro la schiena e la guardia del corpo sentiva il freddo metallo dell'arma premere contro la sua pelle calda.
I forestieri sembravano quattro gemelli: erano vestiti di nero dalla testa ai piedi e anche la stazza era pressoché identica. I due che conducevano le moto pesavano di sicuro oltre i centotrenta chili e anche quelli che stavano seduti dietro erano di solida corporatura. Magnus era sicuro che tutti e quattro nascondessero un'arma sotto il pesante giubbotto di pelle nera.
"Buongiorno." li salutò tranquillo, alzando la tazza. "Bella giornata per un giro in moto."
Uno dei due passeggeri si tolse il casco e offrì a Magnus un sorriso sdentato e smagliante. "L'hai detto amico!" rispose, scendendo dalla moto e asciugandosi il sudore della fronte con il dorso della mano. "Bella casa! E' tua?"
Magnus annuì.
"Piuttosto solitaria." continuò lo sconosciuto, guardandosi attorno e vedendo solo alberi.
Magnus si strinse nelle spalle. "Mi piace così."
"Non c'è nessuno per chilometri." osservò uno dei due guidatori, inarcando un sopracciglio e appoggiandosi al manubrio della moto.
"Beh, voi siete qui." replicò Magnus, nascondendo una smorfia dietro la tazza e facendo sorridere tutti e quattro i motociclisti.
"Ci siamo persi." dichiarò l'uomo che era sceso dalla moto. "Non riusciamo a ritrovare la strada principale. Non è che ci offriresti un buon caffè?"
"Volentieri, ma purtroppo questa era l'ultima tazza." mormorò Magnus, esibendo una smorfia fintamente dispiaciuta.
I quattro si scambiarono un'altra occhiata, meno divertita della prima, e anche l'altro passeggero scese dalla moto.
"Bel posto." commentò, camminando avanti e indietro, mentre osservava la casetta di tronchi.
"Grazie." rispose Magnus, sorseggiando lentamente il suo caffè.
"E' un posticino davvero romantico..." continuò il motociclista, fermandosi davanti all'ex Marine. "Adatto a portarci qualcuno." insinuò, infilandosi le mani nei jeans.
Fece per salire gli scalini, ma Magnus lo fermò con un gesto deciso della mano.
"Stop." gli intimò, serio.
"Ehi! Non sei molto socievole." esclamò lo sconosciuto, divertito, alzando le mani in segno di resa.
"Sono un eremita, che vuoi farci." rispose Magnus, scrollando le spalle.
Il motociclista avanzò comunque di un altro passo, con uno sguardo sfrontato e le mani nelle tasche del giubbotto.
Magnus gli andò incontro. "Non farlo." ordinò, con tono di voce neutrale e sostenendo lo sguardo dell'altro senza alcun timore. "Seguite il sentiero per cui siete venuti e scendete la collina." spiegò poi. "Troverete la via per la strada principale dall'altra parte del ruscello."
"Grazie dell'indicazione." rispose uno dei due guidatori, mentre gli uomini che erano scesi dalle moto risalivano sul sedile posteriore.
"Di niente." replicò Magnus, con un cenno della testa.
L'ex Marine li vide superare il portico e voltare la moto, dirigendosi lentamente da dove erano venuti, poi colse il movimento che aspettava, ossia il gesto casuale di uno dei passeggeri che allungava la mano verso una guaina fissata alla caviglia.
Magnus fece un balzo felino e si rifugiò dentro la casa, prima che una raffica di spari investisse il primo gradino della scaletta che portava al portico, massacrandolo. Grandioso! Ragnor e Raphael l'avrebbero ucciso di sicuro, se non lo avessero fatto i quattro motociclisti!
Si appostò alla finestra che dava sul portico, prese la mira e sparò a uno dei due passeggeri... o almeno ci provò, visto che il tamburo della sua pistola girò a vuoto e produsse un semplice e inquietante clic. Magnus fissò, scioccato, la pistola, ma non ebbe il tempo di chiedersi perché diavolo non ci fossero proiettili in canna dal momento che i motociclisti ripresero a sparare in direzione della casa, colpendo, questa volta il secondo gradino della scaletta.
"Sial!" [ndr. Cazzo!] urlò, frustrato, gettando via la sua pistola.
Si accucciò e si diresse fino alla camera da letto, alzandosi solo quando ebbe oltrepassato la soglia. Aprì con veemenza le ante dell'armadio e si ritrovò davanti un Alec che tremava visibilmente e che lo guardava con due pozze oceaniche al posto degli occhi.
"Vieni. Andiamo." sussurrò, prendendo Presidente Miao tra le braccia e facendo alzare gentilmente, ma con decisione, il moro.
Alec non disse niente, limitandosi ad annuire e a eseguire gli ordini di Magnus. Uscirono dalla finestra della camera e corsero in direzione degli alberi, addentrandosi velocemente nel bosco, mentre il ronzio degli spari non si quietava.
Dopo pochi metri, nella fretta di stare dietro all'ex Marine, Alec inciampò e cadde con un grido acuto. Magnus l'aiuto a rimettersi in piedi, poi tese l'orecchio per ascoltare i rumori che arrivavano dalla casetta di legno e che avevano trasformato quel mattino assolato e tranquillo in un inferno.
"Andiamo." incitò l'ex Marine, prendendo per mano il moro.
Alec iniziò ad ansimare penosamente dopo neanche mezz'ora che stavano correndo nel bosco e riuscì a tenere il passo di Magnus per pura forza di volontà. Non osò, però, chiedergli di rallentare... anche perché doveva risparmiare il fiato per correre!
Magnus gli lanciò un'occhiata e si fermò, comprendendolo come solo lui riusciva a fare. "Scusami. Dimentico sempre che sei un flaccido agente di viaggi." scherzò, arruffandogli i capelli.
Alec avrebbe tanto voluto rispondergli per le rime, ma rischiava seriamente di sputare entrambi i polmoni da un momento all'altro, quindi si limitò a sventolargli il dito medio davanti al viso e a sbuffare forte, mentre cercava di incanalare quanto più ossigeno possibile.
Magnus ridacchiò piano, accarezzando anche Presidente Miao per assicurarsi che stesse bene, nonostante tutto quel trambusto, poi tornò serio. "Quando sei pronto, dobbiamo riprendere il cammino. Più ci allontaniamo, più possibilità abbiamo di sfuggirgli."
Alec annuì, mentre continuava a inspirare e a espirare pesantemente. "Tu-tutto questo è assurdo!" gracchiò, dopo un lungo momento. "Chi.. chi diavolo sono quelli?"
Magnus tese l'orecchio, notando che gli spari erano cessati. "Non lo so." bisbigliò, contrito. "Ma dobbiamo andare. Senti? Non sparano più! Significa che tra non molto verranno a cercarci."
"Ok, andiamo." concesse Alec, quando sentì il cuore rallentare un poco.
Magnus gli sorrise e gli afferrò una mano, conducendolo nel folto del bosco.

Alec costrinse Magnus a fermarsi solo quando sentì i propri polmoni scoppiare.
Intorno a loro il sottobosco si stendeva fitto tra cedri e abeti talmente alti da avere i capogiri se si alzava lo sguardo. La vegetazione era densa e compatta e la luce scarseggiava, ma Magnus procedeva spedito, senza alcun tentennamento, come se riuscisse ad orientarsi perfettamente anche in quel posto selvaggio.
"Stai bene?" chiese l'ex Marine, gentile, inarcando un sopracciglio.
Alec annuì, respirando con fatica e alzò un indice proprio quando l'altro, divertito, stava per fare sicuramente una battuta sagace sulla sua flaccidità. "Non.una.parola." gracchiò, senza fiato.
Magnus rise e riprese la marcia, trascinandoselo dietro, mentre Presidente Miao, appeso all'ex Marine come uno scaldacollo peloso, gli lanciava uno sguardo preoccupato. Alec era sicuro che si stesse chiedendo se sarebbe schiattato prima che tutta quella storia finisse.
"Per l'angelo, è così fitto, qui, che non si riesce quasi a camminare." si lagnò il moro, schivando per un soffio un ramo destinato a schiantarsi sul suo naso.
"Siamo fortunati." commentò Magnus, facendosi largo tra la vegetazione. "Sarà impossibile per loro seguirci a bordo delle moto. Abbiamo più possibilità di sfuggirgli."
"Oh... E' vero!" realizzò Alec, sollevato.
Seguì Magnus per oltre un'ora, senza più aprire bocca, fino a quando il dolore al fianco, che era iniziato come una semplice fitta, divenne insopportabile. Il moro costrinse nuovamente Magnus a fermarsi, prima di piegarsi su se stesso e massaggiarsi il fianco.
"Ok. Sono flaccido." mormorò, contrito e senza fiato.
Magnus ridacchiò, facendolo sedere e iniziando a massaggiargli lentamente la zona dolorante con dita esperte, mentre Alec si sentiva invadere da un'ondata di sollievo mista a eccitazione. Avrebbe dovuto protestare, dirgli che non era necessario, ma il tocco delle sue mani era così meraviglioso che non se la sentì proprio di chiedergli di smettere.
"Te la stai cavando molto meglio di quanto pensassi." si complimentò l'ex Marine, scompigliandogli i capelli.
"Davvero?" esclamò Alec, sorpreso e compiaciuto allo stesso tempo.
Magnus annuì. "E' da più di un'ora che non ti lamenti."
"Non avevo abbastanza fiato per farlo." rivelò Alec, con un sorriso storto.
Magnus rise di gusto, coprendosi la bocca con una mano per attutire la voce, prima di continuare a massaggiarlo per fargli passare il dolore.
"Meglio?" chiese, dopo un po'.
Alec annuì.
"Ok, cerbiattino, allora dobbiamo continuare." affermò la guardia del corpo, tenendo una mano al moro per aiutarlo a rimettersi in piedi. "Non so quanto vantaggio abbiamo su di loro, ma sarà meglio mettere quanto più distanza possibile tra noi e quei brutti ceffi."
"Non per essere pessimista..." iniziò Alec, alzandosi di malavoglia e seguendolo. "...ma come pensi di sbarazzarti di quegli uomini armati?"
"Zuccherino, se la mia dannata pistola avesse avuto i proiettili, come doveva essere - attento alla buca..." lo avvertì Magnus. "...a quest'ora li avrei fatti fuori tutti, sialan!" [ndr. dannazione]
Alec saltò sopra a una grossa tana di un animale di cui non voleva conoscere l'identità e continuò a seguire la sua guardia del corpo.
"L'hai pulita e ti sei dimenticato di ricaricarla?" chiese il moro, distrattamente, mentre guardava in basso e faceva attenzione a dove metteva i piedi, prima di finire addosso a Magnus, che si era fermato di colpo.
"Per chi mi hai preso?" chiese l'uomo, indignato, lanciandogli un'occhiata in tralice.
Alec scrollò le spalle. "Può capitare, eh!"
Magnus roteò gli occhi, non degnandolo di una risposta, e riprese la marcia.
"Ehi! Aspettami!" berciò Alec, arrancandogli dietro, prima di rischiare di cadere come una pera cotta a causa di una radice che era sbucata dal nulla e che gli aveva fatto lo sgambetto.
Magnus lo prese per un soffio, sorridendo e stringendolo a sé. "Tutto ok, tartufino?"
Alec sbuffò via un ciuffo di capelli che gli si era incollato sulla fronte e annuì, arrossendo. "Secondo te..." iniziò, schiarendosi la voce per darsi un tono. "...quanto tempo ci metteranno a capire da che parti siamo andati?"
Magnus scrollò le spalle, aiutandolo a scavalcare un enorme tronco che bloccava il passaggio. "Se sono bravi a seguire le tracce, a quest'ora potrebbero già essere vicini, altrimenti abbiamo un'ora, forse due, di vantaggio."
"Quindi c'è la possibilità che, tra non molto, saremo due contro quattro." constatò Alec, pensieroso, scostando un ramo.
Magnus sorrise tra sé e sé, compiaciuto e orgoglioso al tempo stesso. Alec era fuori allenamento e stava sudando come un maiale allo spiedo, eppure non avrebbe esitato a combattere, mettendo a rischio la sua vita, pur di aiutarlo nel momento del bisogno.
"So cosa stai pensando." brontolò Alec, roteando gli occhi.
Magnus alzò un sopracciglio e gli lanciò un'occhiata divertita. "Davvero?"
Alec annuì, imbronciato. "Che la mia flaccidità mi impedirà di aiutarti al momento giusto."
Magnus rise di gusto e Alec roteò gli occhi. Era convinto che, sotto-sotto, persino Presidente Miao stesse sghignazzando sotto ai baffi.
"Non c'è niente da ridere, eh." li redarguì Alec, mettendo su un finto broncio e sventolando l'indice in segno di ammonimento.
Magnus gli arruffò i capelli e gli baciò, di slancio, una guancia. "Sei unico, tesoro. Davvero." rispose, con tono dolce, mentre il moro arrossiva vistosamente. "Sai.." continuò poi, prima di bloccarsi e guardare, serio, dietro le proprie spalle.
"Che c'è?" sussurrò Alec, sentendo il cuore balzargli in gola e alzandosi sulle punte per scrutare la vegetazione dietro alla sua guardia del corpo.
Magnus si portò un indice alle labbra, esortandolo a fare silenzio, poi lo prese per mano e si guardò attorno, alla ricerca di un riparo abbastanza fitto da nascondere qualcuno. Lo trovò in un cespuglio di felci, sotto a un pino dai rami bassi e vi condusse Alec, spingendolo dentro e passandogli Presidente Miao.
Il moro lo lasciò fare, prima di rivolgergli uno sguardo preoccupato quando l'altro cominciò a disporre le fronde in modo da coprire completamente solo lui e il gatto.
"E tu?" sussurrò Alec, in tono concitato. "Dove vai? Cosa vuoi fare?"
"Rimani immobile." gli ordinò Magnus, a bassa voce. "E non fare rumore. Qualsiasi cosa succeda. Hai capito?"
Alec annuì a quella raccomandazione inquietante, tentando di non farsi prendere dal panico, mentre l'altro si arrampicava agilmente su un albero e spariva velocemente dalla sua vista.
Dopo pochi minuti due uomini si fermarono sul sentiero davanti al suo nascondiglio e il moro si mise le mani sulla bocca per evitare che uscisse anche il più piccolo suono, sperando che neanche Presidente Miao si lasciasse scappare il minimo sospiro.
"Li abbiamo persi!" affermò uno dei due, ansimante. "Sei sicuro che siamo sulla strada giusta?"
"Certo che sono sicuro!" ribatté l'altro, oltraggiato, guardandosi attorno. "Dove sono gli altri?"
"E io che ne so! Non sono mica la loro madre!"
"Imbecille! Resta qui, che vado a vedere dove si sono cacciati!"
Un paio di gambe, strette in stivali da motociclista neri, passarono di fronte al nascondiglio di Alec e si allontanarono lungo la fitta boscaglia, mentre l'altro uomo camminava avanti e indietro, fumando nervosamente una sigaretta.
Alec stava per sentirsi male: aveva iniziato a trattenere il fiato, per paura di essere scoperto, fin da quando era cominciata la conversazione e ormai era al limite della sopportazione.
La testa cominciò a girargli proprio nel momento in cui sentì un tonfo e un grido soffocato. Poi il motociclista crollò sul sentiero e il viso di Magnus comparve, sorridente, tra le fronde. Alec tirò un lungo e felice respiro e contraccambiò il sorriso.
"State bene?" sussurrò Magnus, dando un buffetto sul naso al moro e a Presidente Miao.
Alec abbassò lo sguardo sul gatto che non aveva emesso un verso e se ne stava tranquillamente appollaiato tra le sue braccia e poi annuì verso l'altro.
Magnus sorrise. "Mi aiuti a nascondere il nostro "amico", prima che arrivino i suoi compari?"
Alec annuì freneticamente e gli diede una mano a trascinare il corpo, privo di sensi, nel folto della felce. Non fu affatto un'operazione facile, visto quanto pesava il tizio e lo spazio di manovra esiguo, ma alla fine lo nascosero davvero bene.
"E se si sveglia?" mormorò Alec, preoccupato.
"Quando succederà, noi saremo già lontani." lo rassicurò Magnus, facendogli l'occhiolino e fregando la pistola al motociclista.
L'ex Marine verificò che l'arma fosse carica, si issò nuovamente Presidente Miao sulle spalle, prese per mano il moro e ricominciò a muoversi per la vegetazione.
Alec gli arrancò dietro per un tempo che gli parve infinito. Ad un certo punto i polmoni cominciarono a bruciare, la gola a fargli male e le tempie iniziarono a pulsare. Il respiro si fece sempre più pesante, le gambe iniziarono a muoversi ad un ritmo sempre più irregolare e i piedi sembravano intrappolati in due enormi blocchi di cemento. Gli sembrava di avere un coltello da macellaio conficcato nel fianco e un martello pneumatico in testa. Stava per morire, insomma.
Non aveva intenzione di cedere però, perché c'era la possibilità che gli altri tre scagnozzi avessero trovato il loro compare e fossero di nuovo sulle loro tracce più arrabbiati di prima.
Magnus gli lanciò un'occhiata preoccupata da sopra la spalla, prima di fermarsi di colpo.
"P-perché t-ti s-sei f-fermato?" balbettò Alec, svenendogli praticamente tra le braccia. "Posso continuare!"
Magnus gli scostò i capelli sudati dalla fronte, prima di baciargliela e guardarlo dolcemente. "Lo so che puoi." ribatté, senza alcuna esitazione.
Il petto di Alec andava su e giù in modo concitato ed era certo che, da un momento all'altro, gli sarebbe venuto un colpo apoplettico. "G-giuro c-che s-se s-sopravviviamo, v-vado i-in p-palestra." rantolò, senza fiato.
"E io sarò lì ad incitarti, passandoti una bottiglietta d'acqua e un asciugamano tra un esercizio e l'altro, dolcezza." affermò Magnus, divertito, prima di voltare di scatto il volto verso un punto imprecisato dietro di lui. "Vieni." sussurrò, facendolo nascondere dietro ad un enorme cespuglio e mettendogli in mano la pistola, prima di posare Presidente Miao per terra. "Userò lo stesso trucchetto di prima, ma questa volta sono in due. Se non funziona e uno dei due mi mette ko, spara." mormorò, con tono sicuro.
Alec sbarrò gli occhioni blu. "Ma... ma non sono capace..."
"Spara!" ripeté Magnus, con tono deciso, baciandogli la punta del naso e abbassandosi per accarezzare il gatto, prima di sparire tra la vegetazione.
Alec sentì il cuore balzargli in gola. Presidente Miao alzò il muso, guardandolo preoccupato, e il moro gli rivolse un sorriso tremulo, ricacciando indietro l'ondata di panico che minacciava di sommergerlo. Magnus si fidava di lui. Non l'avrebbe deluso e tradito per nulla al mondo.
Poco dopo sentì la voce familiare del motociclista che aveva lasciato indietro il compare per andare alla ricerca degli altri scagnozzi: sembrava addirittura più stremato di lui e parlava a scatti, come se non riuscisse a riprendere fiato.
Nascosto dietro al cespuglio, Alec vide i due uomini piegarsi in mezzo al sentiero, a una decina di passi da lui, e ansimare pesantemente, alla ricerca disperata di ossigeno. Uno dei due tirò fuori, dalla tasca del giubbotto, un fazzoletto lercio e si asciugò la fronte madida di sudore.
"Al diavolo Victor e le sue idee del cazzo! Quell'uomo è matto come un cavallo!" borbottò uno dei due, prendendo dei lunghi respiri profondi. "Inseguiamoli! E che sarà mai!" scimmiottò, con una smorfia contrita. "Cazzo! Non erano questi gli ordini! Voglio tornare alla moto e andarmene da qui!"
"Sì... e poi ci parli tu con il capo." rispose l'altro, roteando gli occhi.
"Sarà già incazzato perché il piano concordato è andato a rotoli!" replicò il primo uomo, scrollando le spalle. "Ora basta. Me ne vado."
"Sei pazzo!"
"Mai quanto Victor!" asserì il motociclista, voltandosi e puntando dritto verso il nascondiglio di Alec.
Magnus, nascosto sopra un albero, sentì un brivido corrergli lungo la schiena quando lo vide dirigersi a passo spedito verso il punto in cui aveva lasciato il moro e Presidente Miao, ma lo scacciò subito, ripetendosi che il ragazzo aveva la pistola e che avrebbe avuto il buon senso di puntarla addosso all'assalitore, tenendolo a bada per un po', mentre lui metteva ko l'altro tizio, che stava passando proprio sotto di lui.
Si aggrappò a un ramo, facendo poi un balzo felino verso il basso e colpì alla testa il motociclista, che ora si trovava ai piedi dell'albero, con tutta la forza acquisita durante la sua permanenza nella Marina Militare: l'uomo cadde a terra come una pera cotta e Magnus sorrise, soddisfatto.
Si voltò per andare a sistemare anche l'altro, ma ciò che vide gli fece sbarrare gli occhi e gli fece venire un altro brivido lungo la schiena: il punto in cui avrebbero dovuto esserci Alec e Presidente Miao era vuoto.
Si guardò attorno, concitato, ripetendosi che se il tizio che si stava dirigendo verso il moro l'avesse preso, Alec avrebbe gridato, protestato, imprecato e lui l'avrebbe sentito. Non era accaduto nulla di tutto questo, quindi tentò di calmarsi, ripetendosi che il ragazzo e il gatto erano al sicuro.
Sentì il rumore metallico di un'arma che si caricava proprio dietro alle sue spalle e imprecò mentalmente. Aveva perso secondi preziosi a domandarsi che fine avessero fatto Alec e Presidente, anziché concentrarsi sul tizio ancora in circolazione. Il vecchio Magnus, comandante implacabile e inflessibile di un manipolo coraggioso di agenti speciali della Marina Militare, l'avrebbe preso a sberle, ne era certo.
Si voltò lentamente e si trovò di fronte il viso sogghignante del motociclista che aveva voluto giocare con il fuoco e salire gli scalini del porticato della casetta di legno.
"Ci si rivede, amico."
Magnus valutò velocemente quanti colpi poteva sparare quell'uomo prima che lui potesse avventarglisi contro e strappargli la pistola dalle mani.
"Dov'è lui?"
Magnus alzò un sopracciglio, sorpreso. Dunque aveva visto giusto: non l'aveva preso. Alec era al sicuro.
Sorrise, contento, ma l'euforia durò solo un attimo, perché ricordò che il moro non sapeva muoversi tra i boschi e non aveva idea di come arrivare alla strada principale per chiedere aiuto. Doveva guadagnare tempo. Permettere ad Alec di allontanarsi il più possibile da lui e dai motociclisti.
Fissò il tizio che aveva di fronte: quante possibilità aveva di uscirne vivo? Sarebbe riuscito a togliergli l'arma, prima di finire a terra, morto stecchito?
"Dov'è finito il tuo ragazzo?" chiese il motociclista.
"Di chi parli?" fece in tempo a chiedere Magnus, ostentando una finta indifferenza, prima che l'altro sbarrasse gli occhi, boccheggiando come un pesce fuori dall'acqua.
Un colpo partì dalla pistola che il motociclista teneva puntata contro l'ex Marine, prima che il criminale cadesse esanime a terra.
L'ex Marine spalancò gli occhi, sorpreso, quando sentì la pallottola conficcarsi, bruciante, nel suo braccio sinistro e quasi cadde per l'impatto, mentre il dolore gli ottenebrava la mente.
"MAGNUS!" gridò Alec, disperato.
L'ex Marine cadde sulle ginocchia e si tamponò la ferita con una mano. Alzò lo sguardo e vide il moro davanti a lui, ansante e con le lacrime agli occhi, mentre tra le mani teneva un enorme bastone di legno.
"Magnus!" gridò ancora Alec, lasciando cadere il bastone e scavalcando velocemente il corpo privo di sensi del motociclista, prima di inginocchiarsi accanto alla sua guardia del corpo. "M-mi d-dispiace! M-mi d-dispiace t-tanto!" balbettò, piangendo disperato.
"Alec, tesoro, è solo un graffio." lo tranquillizzò Magnus, stringendo i denti per non farsi sopraffare dal dolore e per non spaventare il moro.
Tolse la mano insanguinata dal braccio ed esaminò la ferita: la pallottola era passata da parte a parte e, flettendo le dita, constatò che non aveva riportato danni gravi.
"Ecco. Vedi?" affermò Magnus, rivolgendo al moro un sorriso rassicurante e asciugandogli con la manica della maglia gli occhi rossi. "Sto bene, zuccherino."
Alec tirò su con il naso, mordendosi il labbro inferiore. "M-mi d-dispiace! E' stata tutta colpa mia!" mormorò, angosciato.
Magnus lo fissò, sorpreso, poi capì che si stava addossando la colpa per qualcosa che non aveva fatto, come con Max. No, non poteva permetterlo.
"Non pensarlo neanche!" l'ammonì quindi, con sguardo severo, togliendosi a fatica la maglia e facendosi un bendaggio improvvisato al braccio. "Mi ha sparato quello stronzo là!" dichiarò, con tono sicuro, indicando con un cenno della testa il motociclista. "Tu, invece, mi hai appena salvato la vita." affermò, sorridendogli dolcemente e sporgendosi per baciargli la fronte. "Grazie, Fiorellino" bisbigliò, accarezzandogli una guancia.
Il labbro inferiore di Alec tremò. "L'ho... l'ho visto arrivare." spiegò, trattenendo un singhiozzo. "Mi sono nascosto bene e quando lui si è fermato, vicino a me, ha fatto marcia indietro perché ti ha sentito colpire l'altro. Quando sei arrivato da questa parte, si è nascosto dietro a un albero per sorprenderti, così ho pensato di fare lo stesso."
Magnus alzò gli occhi al cielo, indeciso se essere furioso o sollevato. Di primo acchito avrebbe voluto sgridarlo perché era rimasto là, rischiando la sua vita anziché scappare, ma era anche felice di vedere che stava bene.
"Lo so, avrei dovuto sparargli." continuò Alec, abbassando lo sguardo e torturandosi le mani. "Ma non sono capace di farlo e avrei potuto colpire te, anziché lui." si difese, passandosi stancamente una mano sul viso. "Non volevo farti male. Invece..."
Magnus scosse la testa, sentendo un'ondata di euforia scorrergli per tutto il corpo, mentre il dolore veniva momentaneamente accantonato in un angolo della mente. Il moro teneva a lui. Sorrise e afferrò di colpo il viso del ragazzo, facendo scontrare le loro labbra per un bacio breve e fugace.
"Grazie, Alexander." sussurrò, posando la fronte contro quello dell'altro e guardandolo dolcemente, prima di lasciarlo andare.
Alec sbatté le palpebre e arrossì all'istante. "Oh... prego... sì... insomma... prego... sì." mormorò, incapace di dire altro.
Magnus gli rivolse un enorme sorriso, afferrò Presidente Miao, che era sbucato fuori da un cespuglio, e lo affidò ad Alec, prima di alzarsi faticosamente e tendere una mano verso il moro.
"Andiamocene da qui."

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Alec lanciò un'imprecazione colorita quando rischiò di inciampare nell'ennesima radice dell'ennesimo albero presente in quel bosco.
Presidente Miao, che zampettava davanti a lui, si voltò a guardarlo. Alec avrebbe potuto giurare che il gatto gli stesse lanciando un'occhiata preoccupata ed esasperata allo stesso tempo e avesse appena sospirato in tono melodrammatico. Quella palla di pelo passava indubbiamente troppo tempo con Magnus.
"Tutto a posto." lo rassicurò il moro. "Guarda che dico sul serio!" grugnì, all'occhiata scettica che Presidente continuava a rivolgergli, mentre sistemava meglio la presa delle sue mani sulle cosce di Magnus, che pressò maggiormente il petto alla sua schiena e ridacchiò sommessamente contro la pelle del suo collo, facendogliela accapponare.
Il gatto miagolò brevemente, roteando gli occhi, poi riprese ad annusare attentamente il terreno e l'aria circostante, avanzando con passo sicuro e voltandosi di tanto in tanto per assicurarsi che lo stesse seguendo e non si perdesse in quel dedalo di alberi e vegetazione selvaggia.
Alec sbuffò. Era ufficiale: persino quella palla di pelo non aveva la benché minima fiducia in lui e pensava che non sarebbe uscito vivo da lì se non avesse avuto qualche anima pia che gli indicasse la strada per la salvezza. Il che era ridicolo. Totalmente e assolutamente ridicolo.
Per l'angelo, ma con chi pensavano di avere a che fare? Sia Magnus che Presidente Miao dovevano solo ringraziare il fatto che avesse l'ex Marine zavorrato sulle spalle, che lo rallentava nei movimenti, altrimenti avrebbe dimostrato a quei due rompiscatole chi era Alec Lightwood! Poco, ma sicuro!
Insomma, che ci voleva a camminare per il bosco e a tornare sulla strada principale? Ok, ogni tanto inciampava in qualche radice e può darsi che, la prima e unica volta che aveva perso di vista Presidente Miao, mentre Magnus si era appisolato sulla sua spalla, avesse svoltato nella direzione sbagliata e avesse camminato per cinque minuti buoni alla cieca, fino a quando il gatto, mosso a compassione, era tornato a riprenderlo con uno sguardo di sufficienza negli occhi, ma, insomma, questo non significava assolutamente che lui non fosse capace di portare in salvo il felino e la sua guardia del corpo! E che diamine!
Sentì il sorriso di Magnus sulla sua pelle e si indispettì ancora di più. L'ex Marine doveva proprio smetterla di avere quell'irritante e inquietante abitudine di leggergli nella mente. Neanche nella sua testa aveva più la giusta privacy, per l'angelo!
Quando lanciò un'occhiata al bendaggio di fortuna, che tamponava la ferita al braccio di Magnus, però, il suo broncio sparì immediatamente, venendo sostituito da una smorfia angosciata: la maglietta era zuppa di sangue e il respiro dell'uomo si stava facendo sempre più pesante. Aveva persino smesso di parlare. Brutto segno.
"Magnus..." mormorò Alec, preoccupato.
"Sto bene, tesoro." sussurrò Magnus, stringendosi a lui.
Alec sapeva che stava mentendo. E non lo stava facendo neanche tanto bene.
Non aveva idea da quanto tempo stessero camminando per quei boschi, ma di una cosa era sicuro: doveva portare Magnus in ospedale al più presto o... Scosse la testa con decisione, scacciando quel pensiero molesto, e strinse le labbra in una lunga linea sottile. Nonostante fosse stanco morto e portasse il peso non indifferente dell'ex Marine sulla schiena, non poteva assolutamente permettersi di farsi prendere dal panico proprio in quel momento! Non voleva neanche pensare all'ipotesi di non riuscire a uscire da lì. Ce l'avrebbero fatta. Punto.
Presidente Miao, che li precedeva di una decina di passi, miagolò forte, voltandosi a guardarli.
"Che c'è?" chiese Alec, fermandosi per sistemare meglio Magnus sulla sua schiena, che grugnì piano. "Scusa." mormorò, dispiaciuto, riportando poi l'attenzione sul felino.
Il gatto miagolò di nuovo, poi zampettò lungo il sentiero, voltandosi nuovamente e muovendo la coda con frenesia, come se lo stesse sollecitando a seguirlo.
"Ok. Ok. Aspettami." affermò Alec, riprendendo a seguirlo.
Svoltò verso la direzione dove Presidente Miao era sparito e si ritrovò davanti la strada principale su cui erano passati per arrivare alla casetta di legno. Alec si permise finalmente di tirare quel sospiro di sollievo che gli era rimasto incastrato in gola fin da quando erano fuggiti dalla casetta di legno.
"Magnus! Guarda!" mormorò, stringendo le dita sulle cosce dell'uomo.
La guardia del corpo alzò di poco la testa dalla spalla del moro e sorrise. "Sapevo che ce l'avresti fatta, Fiorellino."
Alec sorrise, compiaciuto. Ok, gran parte del merito era di Presidente Miao, ma, insomma, lui aveva portato Magnus! Aveva contribuito!
Sbuffò via un ciuffo di capelli, che gli copriva la visuale, proprio nel momento in cui giungeva un'automobile a tutta velocità, che si fermò davanti a loro con un forte stridìo.
"Malaikatku! Alec!" [ndr. Angelo mio]
"Oh, Tuhan..." [ndr. Oh, Signore...] sussurrò Magnus, alzando faticosamente la testa. "Mamma?" gracchiò poi, stupito, mentre lui e il moro venivano travolti in un goffo abbraccio dall'uragano asiatico alto un metro e sessanta che si era praticamente catapultato fuori dall'auto non appena si era fermata davanti a loro e che aveva seriamente rischiato di farli cadere per terra.
"Mags! Stai bene?" esclamò Asmodeus, uscendo di corsa anche lui dalla macchina.
"Papà?" mormorò Magnus, sempre più sorpreso.
"Malaikatku! Cosa ti è successo?" gridò Dewi, portandosi le mani alla bocca, quando vide il braccio bendato e insanguinato.
Magnus non si sarebbe affatto stupito di apprendere che anche il resto dell'America l'aveva sentita urlare, dato il tono di voce che aveva usato.
"Incidente di percorso." minimizzò l'ex Marine, con un filo di voce.
"Gli ho sparato io." spiegò Alec, conciso, sotto lo sguardo scioccato dei signori Bane.
"Alec..." lo ammonì Magnus, schiaffeggiandogli piano la spalla.
"Che c'è? E' vero!"
"E' stato un incidente." chiarì Magnus, verso i suoi genitori.
"Un incidente?" domandò Dewi, stupita.
"Alec mi ha salvato la vita." asserì Magnus, con un debole sorriso.
Il moro scosse piano la testa. "Non è vero. Lui l'ha salvata a me! Quattro malviventi, in motocicletta, ci hanno attaccato alla casetta di legno e hanno tentato di ucciderci!" spiegò, in tono concitato. "E ora ci stanno inseguendo!"
"Dobbiamo andarcene in fretta da qui, allora." affermò Asmodeus, disfando poi cautamente il bendaggio al braccio del figlio e accigliandosi vistosamente quando vide la ferita. "Muovi il braccio." lo sollecitò dolcemente.
Magnus fece come gli aveva chiesto il padre, mentre il dolore si faceva più intenso. Con quel movimento, però, aveva nuovamente avuto conferma che muoveva correttamente sia il braccio che la mano.
"Niente di grave. E' solo una ferita superficiale." affermò Asmodeus, scrollando le spalle, mentre guardava suo figlio con uno sguardo d'intesa.
Magnus sapeva che lo stava facendo per Alec e per Dewi, che erano bianchi come un cencio e avevano il panico negli occhi. Decise di recitare la sua parte.
"Visto? Che vi avevo detto? Un graffio!" mormorò con voce flebile, senza capire, in realtà, perché avesse la voce tanto debole.
Tornò a posare la testa sulla spalla del moro, che aveva scoperto essere davvero comoda e sospirò, contento. Poteva rilassarsi, finalmente. Alec e Presidente Miao erano al sicuro, ora che c'erano i suoi genitori a proteggerli. Loro si sarebbero occupati di tutto. Erano arrivati giusto in tempo.
Colto da quel pensiero, tornò ad alzare leggermente la testa. "Che ci fate qui?" chiese, aggrottando la fronte, curioso di capire perché il loro tempismo era stato così straordinariamente perfetto.
"Non rispondevi alle nostre chiamate e ci siamo preoccupati." spiegò Asmodeus, mentre cambiava la fasciatura al braccio con mani gentili, fasciando poi la ferita con una sua maglietta trovata nel bagagliaio della macchina. "E' da questa mattina che proviamo a contattarti!"
"Dobbiamo portarlo da un dottore! Subito!" interruppe Dewi, con tono stridulo, girando attorno al marito e ad Alec con fare agitato. "Il mio bambino sta male!" berciò, dirigendosi poi verso la macchina e aprendo la portiera posteriore con un gesto deciso. "Salite!" ordinò, sbrigativa, prima di accucciarsi e sollevare tra le braccia Presidente Miao.
Asmodeus aiutò Alec a caricare Magnus in macchina. Il moro salì sul sedile accanto all'ex Marine e gli fece appoggiare la testa sulle sue gambe.
Magnus accennò un sorriso. Sentire le mani di Alec sulla sua pelle era una bella sensazione. Così come le gambe sotto la sua testa. Una volta guarito, avrebbe di certo chiesto ad Alec di diventare il suo cuscino personale.
"Magnus..." sussurrò il moro.
L'ex Marine sentì la sua voce come un'eco lontana. Era così stanco. Il dolore stava crescendo, così come la debolezza. E la sonnolenza. Dio, era da una vita che non provava una spossatezza del genere. A malapena riusciva a tenere gli occhi aperti e a muoversi. Chiuse gli occhi.
"Accidenti a te! Guardami!" ordinò Alec, con voce insistente ed esigente.
Magnus lo fece. Il moro aveva un vistoso graffio sul viso, era visibilmente sudato e accaldato e i capelli erano così scarmigliati che sembrava che un uccellino vi avesse fatto il nido. Sorrise alla vista di quel meraviglioso disastro.
Alec scosse la testa e ricambiò il sorriso, afferrandogli una mano e stringendogliela quasi volesse infondergli la sua forza. "Non azzardarti a morire tra le mie braccia." mormorò a bassa voce, con un cipiglio fintamente severo, accarezzandogli una guancia. "Hai capito, brutto imbecille?"
Il sorriso di Magnus si fece ancora più ampio. "Ai tuoi ordini..." mormorò, prima di chiudere gli occhi e perdere conoscenza.
Alec sbattè le palpebre una, due, tre volte.
"Stai bene, caro?" chiese Dewi, voltandosi per controllare il figlio e lanciando uno sguardo curioso al moro.
Alec riuscì soltanto ad annuire, il viso completamente in fiamme.

Magnus si svegliò al tocco di una mano calda che teneva la sua e ne accarezzava lentamente il dorso.
Aprì gli occhi e vide un soffitto bianco sopra la sua testa. Al suo fianco, qualcuno inspirò bruscamente e Magnus voltò lo sguardo per incontrare il paio di occhi blu più belli del mondo e un sorriso storto che gli fece sciogliere la spina dorsale.
"Ciao." sussurrò Alec, stringendogli la mano con delicatezza. Gli occhi erano sospettosamente lucidi.
Magnus ricambiò il sorriso e la stretta. "Ciao."
L'odore di disinfettante impregnava la stanza e gli pungeva le narici, il braccio gli faceva male, il letto era scomodo e sentiva l'impellente bisogno di farsi una doccia, ma non avrebbe barattato quel risveglio nemmeno per tutto l'oro del mondo. Alec era accanto a lui, sano e salvo. Era a posto così.
Cercò di muoversi e di mettersi seduto, ma scoprì che era più debole di quanto pensasse e la flebo al braccio gli impediva grossi movimenti.
"Stai giù!" ordinò Alec, con decisione, alzandosi dalla sedia e bloccandolo sul letto con un gesto delicato, ma fermo.
Magnus alzò un sopracciglio e gli rivolse un sorriso grondante malizia. "Sai che uno dei miei film porno preferiti inizia proprio in questa maniera?" mormorò, arricciando sfacciatamente e ripetutamente le labbra.
Alec si trattenne dal dargli una sberla in testa, limitandosi ad arrossire come un pomodoro maturo e a guardarlo male.
"Dio, le tue battute d'abbordaggio peggiorano ogni giorno di più." sospirò una voce femminile dietro le spalle del moro.
Magnus sorrise ancora di più, sporgendosi leggermente con la testa oltre il corpo di Alec. "Ciao, puffetta!" mormorò, con voce roca.
Catarina Loss, infermiera del Beth Israel Hospital, roteò gli occhi e scosse affettuosamente la testa, avvicinandosi al suo migliore amico e tastandogli il polso. "Come ti senti?" chiese, ravvivandogli i capelli.
"Come dopo una sessione intensa di sesso sfrenato." affermò l'ex Marine, con voce roca e un sorriso malandrino, guardando la ragazza trafficare con la sacca della flebo.
Catarina alzò gli occhi al cielo. "Sul serio, come hai fatto a sopportarlo per tutto questo tempo?" chiese, piazzandosi una mano sul fianco e guardando Alec con uno sguardo fintamente esasperato.
"Il 99% delle volte lo ignoro... o gli rispondo male." rivelò il moro, con tranquillità, scrollando le spalle.
Magnus gli rivolse una rumorosa pernacchia.
Catarina sorrise, mentre misurava la pressione dell'amico. "Ok, ti teniamo in osservazione per qualche giorno, giusto per escludere infezioni o complicazioni, e poi ti rispediamo a casa." gli comunicò, scribacchiando qualcosa sulla cartella clinica dell'uomo e spiegandogli come l'avevano ricucito.
Alec forzò un sorriso di circostanza, mentre ascoltava Catarina parlare a Magnus dell'operazione che aveva subito. Se il colpo fosse penetrato un po' più a destra, avrebbe potuto colpire il cuore. Avrebbe potuto uccidere Magnus.
Strinse le mani in grembo e abbassò lo sguardo, mentre il senso di colpa gli strisciava sottopelle e iniziava a propagarglisi per tutto il corpo.
Non aveva idea di chi fosse il mandante che aveva assodato i quattro motociclisti, ma non aveva dubbi che la sua intenzione fosse quella di uccidere sia lui che Magnus. E c'era quasi riuscito, seppur indirettamente.
Rabbrividì pensando che quell'incubo non era ancora finito. La polizia, infatti, aveva perlustrato la zona boschiva che avevano attraversato lui e Magnus, ma i quattro aggressori sembravano spariti nel nulla. Erano ancora lì fuori, quindi, da qualche parte, in attesa di nuove istruzioni e di attaccare di nuovo.
E tutto per colpa sua.
Alec si morse con forza il labbro inferiore. Se suo padre non avesse ricevuto quell'e-mail, infatti, Magnus non sarebbe mai entrato nella sua vita e ora non si sarebbe trovato in un letto d'ospedale a causa sua, con il braccio ferito per un colpo d'arma da fuoco che era partito perché lui era stato così stupido da giocare a fare l'eroe.
A che cosa stava pensando, per l'angelo? Perché non aveva lasciato che Magnus se la sbrigasse da solo? Perché era stato così idiota da intervenire, quando non aveva la più pallida idea di che cosa stava facendo?
Magnus aveva sempre fatto di tutto per proteggerlo. Non si era mai preoccupato per la propria sicurezza, ma sempre e solo della sua e lui come lo ripagava? Con avventatezza e stupidità!
Dio, come aveva potuto essere così sconsiderato?
"Alec?"
Il moro alzò lo sguardo. Catarina l'aveva salutato e se n'era andata dalla stanza, senza che lui la sentisse e la ricambiasse, e ora Magnus lo stava guardando con occhi preoccupati.
"Sei silenzioso..." notò l'ex Marine. "Stai bene, tesoro?"
Alec abbassò di nuovo lo sguardo e annuì, tornando a torturarsi le mani in grembo. "Sono solo preoccupato."
Magnus sorrise, intenerito. "Per me?"
Alec giocò con il bordo della propria maglia e annuì di nuovo.
"Oh, cielo! Non starai mica dicendo che tieni a me, vero?" lo stuzzicò Magnus, sorridendo.
Alec alzò lo sguardo e gli lanciò un'occhiataccia.
Magnus ridacchiò. "Dai, Fiorellino, vieni qui." mormorò, con un sospiro contento, battendo la mano sana sul letto e muovendosi con difficoltà per fargli spazio.
Alec tentennò, torturandosi il labbro inferiore, ma poi Magnus lo incoraggiò, picchiettando nuovamente la mano sul materasso, e allora si alzò e andò a coricarsi accanto all'ex Marine, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo. Magnus gli mise un braccio intorno alle spalle e l'attirò più vicino, immergendo le dita nei suoi capelli e baciandogli la fronte.
"Sto bene." sussurrò l'ex Marine, con tono rassicurante.
Alec strinse la labbra, scacciando le lacrime che minacciavano di sgorgare. Aveva rischiato di perderlo. Per sempre.
C'erano così tante cose, di Magnus, che gli sarebbero venute a mancare se fosse morto: la sua forza, il suo coraggio, la sua esuberanza, la passione che metteva in ogni cosa che faceva, il modo in cui lo guardava o lo prendeva scherzosamente in giro. Per l'angelo, gli sarebbe mancato persino il fiume di parole con cui lo investiva quotidianamente! E lui non gliel'aveva mai detto.
"Mi dispiace." mormorò Alec, stringendo con forza, tra le dita, il tessuto del camice che indossava l'ex Marine. "Mi dispiace tanto."
"Non è stata colpa tua." ripetè per l'ennesima volta Magnus, nascondendo il viso tra i capelli del moro.
Per l'uomo era importante che Alec lo capisse. Fondamentale. Non gli avrebbe mai permesso di assumersi la responsabilità di qualcosa che non aveva fatto.
"Sì, invece."
"No, invece."
"Sei qui a causa mia."
"Sono qui perché quello stronzo mi ha sparato."
"Ti ha sparato, perché io l'ho colpito."
Magnus sospirò, alzando gli occhi al cielo. "Ok. E' stata colpa tua e ti odio profondamente! Dio, com'è che non stai già bruciando all'inferno? Eh?"
Alec alzò di poco la testa e lo guardò, preoccupato e angosciato, prima di rendersi conto che l'altro lo stava prendendo in giro.
"Non c'è niente da ridere." borbottò il moro, tornando a posare la testa sulla spalla sana dell'ex Marine. "Hai rischiato di morire."
"E' successo tante volte. E in situazioni ben peggiori." minimizzò Magnus, facendo spallucce e arruffandogli i capelli. "Una cicatrice in più mi rende solo più sexy." affermò, sicuro, alzando lentamente l'arto danneggiato per verificarne le condizioni. "Visto? E' solo un graffio." assicurò, quando aprì e chiuse la mano a pugno un paio di volte.
"Magnus..."
"Alexander, giuro che se ti scusi un'altra volta ti tiro un calcio e ti butto giù dal letto!" sbottò Magnus, con veemenza.
Alec alzò di poco la testa e nascose un sorriso sghembo tra le pieghe del camice dell'uomo, gustandosi il suono del suo nome pronunciato per intero dalla voce roca dell'altro. "Volevo solo chiederti se ti fa male."
"Oh... in tal caso, no, non eccessivamente." rispose Magnus, con un sorriso divertito, togliendogli poi un ciuffo di capelli dagli occhi. "Dovresti dormire un po', sai? Hai un aspetto terribile." lo stuzzicò, strofinando il naso con il suo.
Alec lo fissò con sguardo impassibile. "Ti sei guardato allo specchio?" ritorse, alzando un sopracciglio.
Magnus sorrise ancora di più. "Sono sicuro che ho comunque un aspetto migliore del tuo." rispose, facendogli la linguaccia.
Alec gli ficcò un dito nel costato, facendolo sobbalzare di scatto.
"Ehi!" si lagnò subito Magnus, scandalizzato. "Sono debole! E malato!"
"E insopportabile come al solito. Direi che ti stai riprendendo alla grande." sentenziò Alec, con un sorriso soddisfatto, muovendosi per alzarsi.
"Dove vai?" chiese Magnus, stringendo la presa sulle sue spalle.
"Mi hai detto che ho un aspetto terribile, no? Quindi vado a casa, a dormire." bleffò il moro, alzandosi su un gomito e guardandolo con un'espressione mortalmente seria.
"Ma... ma... Non resti qui? A farmi da infermiere personale?" domandò Magnus, sporgendo le labbra in un broncio infantile.
"Ma per favore! Non hai bisogno di me." asserì Alec, mettendosi seduto e picchiettando la mano sull'addome dell'uomo. "Hai un intero ospedale che può occuparsi di te. E c'è Catarina."
"Oh.mio.Dio! Non posso credere che mi abbandoni così!" esclamò Magnus, portandosi teatralmente una mano al petto. "Mi sono preso una pallottola per te!"
"Sei sempre così melodrammatico! E' solo un graffio, no?" scimmiottò Alec, sventolando una mano con tono fintamente indifferente. "E io ho bisogno di dormire nel mio letto."
"Non ce l'hai un letto! E' bruciato!" esclamò d'istinto Magnus, prima di mordersi la lingua a sangue. "Mi dispiace! Mi dispiace! Mi dispiace!" mormorò, non appena si rese conto della cattiveria detta.
Il viso di Alec si contorse in una smorfia triste e il divertimento scemò completamente dai suoi occhi. "Non devi scusarti. E' la verità. Non ho più una camera da letto. E neanche una casa, a dirla tutta." esalò con un sorriso amaro, abbassando lo sguardo.
"Alexander, mi dispiace! Sono un idiota!"
"Magnus..."
"No! Davvero! Sono un idiota! Il più grande e gigantesco idiota del mondo!" affermò Magnus, contrito. "Mi dispiace, tesoro! Mi dispiace tanto!"
Un sorriso sghembo fece lentamente capolino sulle labbra di Alec. "Sapevo che mi avresti dato ragione, prima o poi." affermò, con tono solenne, piantandogli un altro dito nel costato.
Magnus sobbalzò vistosamente. "Ehi!" protestò, imbronciato, prima di tirarlo nuovamente giù per ingabbiarlo nel suo abbraccio. "Mi dispiace." mormorò, stringendolo e baciandogli la fronte.
"Ti ho sparato ad un braccio. Direi che siamo pari." sussurrò Alec, tornando a posare la testa sulla spalla sana dell'ex Marine.
Magnus sorrise. "Ok, siamo pari, mio dolce profitterol!"
Alec alzò gli occhi al cielo. "Idiota." mormorò, chiudendo gli occhi e pressando la fronte sul collo dell'altro.
Magnus ridacchiò, baciandogli i capelli e chiudendo gli occhi a sua volta. Stava quasi per addormentarsi quando un pensiero improvviso gli attraversò la mente.
"Dov'è il nostro bambino?" chiese, trattenendo drammaticamente il fiato e aggrottando la fronte.
Alec si sistemò meglio accanto a lui, passandogli un braccio sull'addome per stringerlo meglio. "Dai nonni." sussurrò, con voce assonnata. "Tua madre l'ha sequestrato e sinceramente ho seri dubbi che ce lo restituisca."
"Non esiste! Dovrà passare sul mio cadavere!" esclamò Magnus, con tono deciso e indignato.
Alec sorrise, divertito, prima di cadere lentamente in un sonno profondo.

Una mano calò sul lucido tavolo di mogano con una tale violenza che tutto ciò che c'era sopra la superficie tremò visibilmente.
"Vi ha dato di volta il cervello? Non erano questi gli ordini!" sbraitò l'uomo seduto dietro la scrivania, fulminando con uno sguardo omicida i quattro individui vestiti completamente di nero, in piedi davanti a lui.
Tre di loro erano piuttosto malconci. Uno portava addirittura una vistosa fasciatura alla testa.
"Vi avevo dato istruzioni precise!" gridò l'uomo, sempre più adirato, fissandoli negli occhi, uno dopo l'altro.
I quattro uomini non riuscirono a sostenere quello sguardo gelido e sentirono l'esigenza di abbassare gli occhi pur di sfuggire all'ira che si leggeva chiaramente nelle iridi della persona seduta dietro la scrivania. Dire che era arrabbiato era un semplice eufemismo.
In un lampo di folle coraggio, Victor prese fiato, pronto a mormorare una patetica giustificazione che discolpasse il suo operato, ma Alaric fu più lesto di lui e gli piantò un gomito nel costato, fulminandolo con un'occhiata ammonitrice che ridusse l'altro al silenzio.
Non gli avrebbe permesso di difendersi. Se l'intera operazione era andata a puttane, infatti, era esclusivamente a causa di quella testa vuota di Victor che si era fatto prendere dalla smania della "caccia", trascinando con se anche quei due idioti di Theo e Jordan.
Quando Magnus Bane e Alec Lightwood erano scappati nel bosco, Alaric aveva ordinato di smetterla di sparare e di ritornare indietro. Victor, però, con un ghigno inquietante e folle, aveva esclamato "Inseguiamoli! E che sarà mai!", sparendo nel folto del bosco. Theo e Jordan, il cui quoziente intellettivo si avvicinava pericolosamente allo zero, gli erano corsi dietro come i due perfetti idioti quali erano.
Victor era stato il primo a cadere per mano di Magnus Bane. Alaric, quando l'aveva saputo, aveva sorriso ampiamente, compiaciuto. Theo e Jordan erano state le "vittime" successive.
Dio, come avevano anche solo potuto pensare di dare la caccia a Magnus Bane? Quell'uomo era stato uno dei migliori soldati che la Marina Militare statunitense avesse mai avuto e, nonostante fosse stato congedato, si parlava ancora di lui come una specie di leggenda vivente. Era coraggioso, leale, un genio nel progettare piani e ricalcolarli velocemente, quando qualche imprevisto li mandava a monte, ed era il cecchino più infallibile e letale di cui avesse mai sentito parlare. Nell'ambiente militare, c'era addirittura chi pensava che fosse uno stregone, perché riusciva dove ogni altro essere umano falliva e sembrava fare magie nelle situazioni più pericolose. Era l'apoteosi della perfezione, insomma.
E quei tre idioti pensavano di... Dio, Alaric non aveva neppure idea di cosa pensavano di fare!
"E invece per poco non li ammazzavate entrambi!" continuò l'uomo seduto dietro la scrivania, completamente fuori di sé dalla rabbia.
"Veramente sono loro che per poco non ammazzavano noi." borbottò Jordan, con un filo di voce, incapace di trattenere le parole, mentre si massaggiava il bernoccolo che quel teppista di Lightwood gli aveva provocato con quella bastonata in testa.
"Che cosa hai detto?" chiese l'uomo dietro la scrivania, con voce bassa e mortalmente seria, mentre si alzava lentamente dalla poltrona di pelle.
Gli occhi brillavano così sinistramente da mettere paura e l'uomo sembrava sul punto di saltare addosso a Jordan e staccargli la testa con le proprie mani. Alaric era certo che le sue mani tremassero così vistosamente perché si stava trattenendo con tutte le sue forze pur di non aggredire fisicamente quella testa vuota.
Jordan trattenne bruscamente il fiato e fece un vistoso passo indietro, mordendosi forte il labbro inferiore e scuotendo energicamente la testa, che doleva in modo fastidioso.
Alaric alzò gli occhi al cielo e trattenne un sospiro esasperato. Jordan aveva confermato, una volta di più, che non aveva un briciolo di sale in zucca. Già perché, se ce l'avesse avuto, oltre a stare zitto avrebbe anche trovato il modo di sparire dalla faccia della terra visto che aveva ferito Magnus Bane, seppur accidentalmente, provocando l'ira funesta dell'uomo dietro la scrivania.
"Uscite da qui! Non voglio vedervi più!"  urlò l'uomo, gelido, guardando Victor, Theo e Jordan.
Alaric rimase impassibile, le mani dietro la schiena e lo sguardo fisso davanti a sé.
Quando i tre idioti uscirono dall'ufficio, l'uomo dietro la scrivania prese un respiro profondo, prima di rivolgersi a lui. "Cosa cazzo è successo in quel bosco?"
"Victor." rispose semplicemente Alaric, scrollando le spalle, certo che quella risposta fosse sufficientemente esaustiva.
L'uomo dietro la scrivania annuì, passandosi una mano tra i capelli con uno sguardo rassegnato. "Dì a Blondie di venire nel mio ufficio." ordinò, prima di sedersi con un tonfo sulla poltrona di pelle.
Alaric annuì con un gesto secco, prima di voltarsi e uscire dalla stanza.

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


"No!"
"Malaikatku..." [ndr. Angelo mio]
"No!"
"Magnus..."
"No!"
"Magnus Bane!"
"Ti ho detto di no! Non lascerò l'incarico! Ho preso un impegno e intendo portarlo a termine!"
Magnus fissò, imbronciato, sua madre che, a sua volta, sosteneva il suo sguardo con un cipiglio severo. Non erano neanche ventiquattro ore che era rinchiuso in quella stanzetta d'ospedale, anche se a lui sembrava di essere costretto in quel letto da un'eternità, che sua madre se ne usciva con quell'assurdità, mettendo a dura prova i suoi nervi, già fortemente provati.
"Sei stato ferito! Non permetterò che accada di nuovo!" berciò Dewi, piazzandosi le mani sui fianchi e guardandolo con uno sguardo battagliero.
"Sono un ex Marine, sial!" [ndr. cazzo]
"Modera il linguaggio, ragazzino!" gli intimò Dewi, puntandogli minacciosamente l'indice contro.
Magnus alzò gli occhi al cielo. "Ibu, [ndr. Mamma] farmi male era all'ordine del giorno quando ero nell'esercito!"
"Appunto! Era!"
"Non lascerò Alec da solo!"
"Astaga! [ndr. Oh mio Dio] Non sarà da solo! Tuo padre può sempre chiedere a un altro soldato di tenerlo d'occhio!" esclamò Dewi, gettando le braccia in alto.
Magnus la fissò, a bocca aperta, scioccato, non credendo alle proprie orecchie. La sua mano strinse con così tanta forza il lenzuolo del letto che rischiò di strapparlo.
Un'altra guardia del corpo? Demi Tuhan [ndr. Sant'Iddio], sua madre era improvvisamente e completamente impazzita, per caso? Come poteva anche solo pensare che fosse d'accordo con un'idea tanto insensata?
Grazie alla sua fervida immaginazione, il suo cervello cominciò a giocargli brutti scherzi e nella sua mente iniziarono a disegnarsi scenari piuttosto inquetanti. Un altro uomo, un altro Marine, che prendeva il suo posto. Qualcuno che scortava Alec a lavoro o nelle sue passeggiate notturne. Che gli dava il buongiorno ogni mattina e gli augurava la buonanotte ogni sera. Che lo proteggeva da qualsiasi pericolo e diventava il suo punto di riferimento a cui chiedere aiuto, in caso di necessità. Che faceva il cascamorto con lui, nel caso non fosse stato propriamente etero. No, era follia pura. Non poteva sopportarlo.
Cominciarono a mancargli l'aria e a fischiargli le orecchie. Un sibilo acuto, stridente, fastidioso. Minuscoli puntini neri sfarfallarono davanti a lui, appannandogli la vista. Si rese conto che non vedeva più dalla gelosia.
"NO!" tuonò, verso sua madre, proprio nel momento in cui Alec rientrava timidamente nella camera.
"Scusate..." mormorò il moro, guardando Magnus e Dewi con le guance arrossate. "Non volevo interrompervi... Torno dopo!" disse, pronto a fare dietrofront.
"Non interrompi niente, Alec." affermò Magnus, addolcendo il tono della voce e rivolgendogli un sorriso rassicurante. "Mia madre stava giusto andando via. Vero, Ibu?" chiese, indirizzando a sua madre uno sguardo arcigno.
Dewi alzò gli occhi al cielo e scosse piano la testa, con un sospiro rassegnato, prima di abbassarsi sul figlio per lasciargli un bacio sulla guancia. "Ci vediamo domani, sayang [ndr. tesoro]." lo salutò, accarezzando poi il braccio di Alec con un sorriso gentile, mentre usciva dalla stanza.
"Tutto ok?" chiese il moro, posando sul piccolo comodino, accanto al letto di Magnus, la rivista che aveva finto di dover comprare quando Dewi aveva chiesto di parlare con suo figlio.
Magnus annuì, imbronciato, iniziando a giocare con il bordo del lenzuolo sgualcito.
"Ne sei sicuro?" chiese Alec, inarcando un sopracciglio.
Magnus fece spallucce, continuando a torturare il lenzuolo.
"Non mi vuoi dire cosa è successo?" insisté Alec, sedendosi sulla seggiolina di plastica color verde pallido, di fianco al letto.
"E' una cosa stupida." borbottò Magnus, con tono infantile.
"Davvero?
"Mia madre vuole che lasci l'incarico!" sbottò Magnus, con veemenza, gonfiando le guance per l'indignazione. "Ti rendi conto? E' assurdo!"
"Oh." mormorò Alec, sorpreso.
"Non ho alcuna intenzione di farlo!" si affrettò a rassicurarlo Magnus, con tono deciso.
"Beh... non è una richiesta così assurda." affermò Alec, con calma, dopo un lungo momento.
Magnus alzò le sopracciglia, stupefatto. "Non lo è?"
Alec si mordicchiò il labbro inferiore, meditabondo. "No. Sei suo figlio. E sei stato ferito. E' comprensibile che sia preoccupata per te."
"E' solo un graffio!" sbuffò Magnus, alzando gli occhi al cielo per l'esasperazione. "Sono un ex Marine! Ho vissuto di peggio! Perché lo state dimenticando tutti?"
"Magnus, quel colpo avrebbe potuto ucciderti."
"Ma non è successo."
"Ma sarebbe potuto accadere!"
Magnus si accigliò. "E quindi?"
Alec prese un respiro profondo. Era la sua occasione di fare la cosa giusta. Magnus si era sempre preso cura di lui, anche a costo della vita, e, anche se detestava l'idea di ferirlo, era arrivato il momento di restituirgli il favore e liberarlo di lui e del pericolo che incombeva sulla sua persona. Non avrebbe più permesso che gli succedesse qualcosa.
"E quindi l'idea di tua madre non è poi così stupida." rispose Alec, risoluto.
"Stai scherzando?" esclamò Magnus, sdegnato.
Alec fissò l'ex Marine con sguardo mortalmente serio e scosse la testa con decisione.
Magnus sgranò gli occhi, poi li assottigliò, sospettoso. "Stai mentendo."
Alec sospirò. "Sei fuori uso, Magnus." affermò, usando un tono volutamente duro e indicando con un gesto eloquente il braccio fasciato. "Come puoi proteggermi in queste condizioni? Ci faresti ammazzare entrambi!"
"Sono stato addestrato a combattere in qualsiasi situazione." ribatté Magnus, ostinato.
"Non lo metto in dubbio, ma resta il fatto che sei ferito e non mi puoi essere di nessuno aiuto."
Magnus sbuffò un verso di scherno. "Sono comunque il migliore. E lo sai."
"Davvero?" lo sbeffeggiò Alec, scuotendo piano la testa. "Ma se sono dovuto intervenire io e stendere quel motociclista con quella bastonata! Se non l'avessi fatto, cosa ti sarebbe successo? Eh?" gli ricordò, gesticolando con le mani.
"Si può sapere che ti prende? Perché fai l'antipatico?" chiese Magnus, perplesso.
"Non sto facendo l'antipatico. Sto solo dicendo la verità." affermò Alec, allargando le braccia. "In questo momento, non sono al sicuro con te. Non lo sei neanche tu, per l'angelo, con quel braccio ferito!"
"Sai che non é vero." insistè Magnus, stringendo il lenzuolo tra le dita.
Alec sospirò profondamente, poi alzò lo sguardo, pronto a scoccare la freccia che, ne era certo, avrebbe centrato il bersaglio. "Magnus, qualcuno vuole uccidermi. E, da quel che ho capito, non si fermerà davanti a niente e a nessuno. Sono già indaffarato a non morire per mano di questo psicopatico... non ho tempo di preoccuparmi anche di te e del tuo ego smisurato."
Magnus spalancò gli occhi e lo fissò a bocca aperta, come se avesse appena ricevuto uno schiaffo in pieno viso.
Per qualche istante il silenzio nella stanza fu totale e il mondo parve fermarsi di colpo.
"Ok. Chiamerò mio padre più tardi." mormorò alla fine l'ex Marine, abbassando lo sguardo.
"Senti, Magnus..."
"Non preoccuparti. Gli dirò di assicurarsi che la nuova guardia del corpo sia estremamente competente e professionale." lo interruppe l'uomo, con un sorriso amaro. "Ora, per cortesia, puoi uscire e chiamare Cat? Il braccio inizia a farmi male e vorrei un altro po' di antidolorifico."
Alec strinse forte le mani in grembo, per impedire loro di tremare vistosamente. Annuì, prima di alzarsi e uscire dalla stanza.
Fino a pochi minuti prima, aveva creduto che l'attacco dei motociclisti fosse una delle cose più traumatizzanti che gli fosse capitato nella vita, insieme alla morte di Max. Non avrebbe mai pensato che lasciar andare Magnus potesse essere ancora più difficile da affrontare.

La giornata si prospettava lunga e monotona. Come tutte le altre da quando aveva "licenziato" Magnus del resto, rifletté Alec, seduto al tavolo della cucina, con il mento appoggiato sul palmo di una mano e lo sguardo perso nel vuoto.
Affondò distrattamente il cucchiaino che teneva tra le dita nello yogurt magro e senza zucchero posto davanti a lui, poi lo alzò e lasciò colare l'alimento di nuovo nel vasetto. Ripeté l'operazione ancora. E ancora. E ancora.
La sua vita era così "piatta" da quando aveva cambiato guardia del corpo. Dio, era sempre stata così, prima dell'arrivo di Magnus? Una fastidiosa vocina gli ricordò che solo pochi mesi prima avrebbe pagato oro per ritrovarsi in quella situazione, ma Alec la scacciò con uno sbuffo. Ora gli sembrava tutto così sbagliato, tutto così fuori posto.
Era passata più di una settimana e l'ex Marine non l'aveva mai chiamato, neanche per sincerarsi che il suo sostituto, scelto da Asmodeus, fosse all'altezza della situazione. Non che Alec si aspettasse una telefonata entusiastica, ma, insomma, un messaggino in cui Magnus lo rassicurava che la nuova guardia del corpo era un tipo a posto... beh, avrebbe anche potuto inviarglielo eh!
Woolsey Scott, il suo nuovo cane da guardia, era un bellissimo ragazzo dai capelli biondi e gli occhi verdi. Slanciato e con un fisico invidiabile, l'uomo era a capo di una società che gestiva servizi di sicurezza e sapeva il fatto suo. Una guardia del corpo estremamente competente e professionale come promesso, insomma.
Era anche un ex compagno di Magnus. In tutti i sensi.
Woolsey, come la persona che l'aveva preceduto, era un ex Marine dalla parlantina facile e Alec aveva imparato fin da subito che uno dei suoi argomenti preferiti era proprio Magnus Bane. Già.
Se ne avesse avuto la possibilità, infatti, Woolsey avrebbe parlato dell'uomo dagli occhi verde-oro per ore e ore e proprio durante uno dei suoi tanti monologhi su quanto fosse eccezionale Magnus come uomo, su quanto fosse fantastico Magnus come Marine e su quanto fosse formidabile Magnus come cecchino, Alec aveva scoperto che i due avevano avuto una relazione... o una cosa simile, visto che era stato solo qualcosa di fisico.
Estremamente fisico, come aveva tenuto a precisare Woolsey, con un sorriso estasiato che gli andava da un orecchio all'altro. "Quell'uomo é un mago a letto! Un mago! Fa certe cose con la lingua e con quelle sue dita lunghe e sottili che..."
Alec l'aveva stoppato bruscamente, calando con forza una mano sul piano della sua scrivania e ordinandogli di uscire dal suo ufficio perché doveva lavorare. Non voleva sapere. A lui non interessavano certi pettegolezzi. Nel modo più assoluto. Gestiva un'agenzia di viaggi, per l'angelo, mica il salone di una parrucchiera!
Il fatto che, udendo quelle parole, avesse sentito l'inspiegabile esigenza di tirare un pugno a Woolsey e di cancellare quel sorriso irritante dalla sua faccia non significava proprio niente. Niente di niente. Dopotutto, era una persona seria, lui. E matura. E per niente incline alla gelosia. Assolutamente.
Di buono c'era che il biondino non gli stava attaccato alle costole ventiquattro ore su ventiquattro. Da quando il suo appartamento era bruciato, infatti, Alec si era stabilito da Isabelle e la sua guardia del corpo lo sorvegliava solo quando era al lavoro o usciva per delle commissioni. Una volta che varcava la porta di casa di sua sorella, Alec era libero... se si poteva definire libertà essere rinchiuso in un appartamento di circa 200 mq con Isabelle e Simon!
Suo padre si era offerto di prendergli in affitto un nuovo alloggio, ma Alec aveva rifiutato. Aveva sempre considerato la sua libertà solitaria e indipendente come una manna dal cielo, ma ora rientrare, dopo una giornata di lavoro, in una casa deserta in cui lo aspettava solo la segreteria telefonica, bene che gli andava, era una prospettiva angosciante e deprimente. Aveva scoperto di desiderare di più. Di volere di più. Quando era uscito dall'ospedale, quindi, aveva chiesto ospitalità a Isabelle, che l'aveva accolto a braccia aperte, mentre Robert tappezzava il palazzo e il quartiere di uomini pronti a sorvegliare l'appartamento e i suoi preziosi figli.
Magnus gli mancava, più di quanto si aspettasse, ma Alec sapeva di aver fatto la cosa giusta. La situazione era diventata troppo pericolosa e non si sarebbe mai perdonato se gli fosse successo qualcosa.
E, in fin dei conti, prima o poi sarebbe comunque dovuto finire tutto, no? Una volta che tutta quella storia fosse conclusa, infatti, Magnus non gli avrebbe comunque più preparato gustosi manicaretti dai nomi esotici né l'avrebbe più accompagnato durante le sue passeggiate notturne. Non gli avrebbe più augurato il buongiorno e la buonanotte né l'avrebbe più punzecchiato con i suoi commenti arguti e ironici. Alec aveva solo accelerato l'inevitabile fine di quel rapporto. Tutto qui.
Spalancò improvvisamente la bocca e sbadigliò sonoramente. La notte dormiva poco o niente. Si girava e rigirava nel letto perché, oltre a Magnus, gli mancava anche Presidente Miao che, quando era ora di andare a letto, aveva preso l'abitudine di accoccolarsi accanto alla sua testa, accompagnando il moro nel mondo dei sogni a suon di fusa. Ora che non c'era più, addormentarsi era diventato molto faticoso e, quando finalmente ci riusciva, cadeva preda di un sonno agitato. Ogni mattina, poi, si svegliava e si ritrovava solo nel letto. Quello era sicuramente il momento peggiore di tutti.
Ma, si disse, non doveva era triste: aveva già avuto tanto e doveva essere contento così. Magnus era stato una breve, inaspettata, pazza, travolgente parentesi nella sua vita a cui, un giorno, avrebbe sicuramente ripensato con affetto e un pizzico di nostalgia.
"Perché non lo chiami?"
Alec voltò la testa verso la porta della cucina: Isabelle era appoggiata allo stipite, in pigiama e con i lunghi capelli neri scarmigliati, e lo guardava con un sguardo serio e risoluto.
"Chi?" chiese Alec, fingendo di non capire, mentre sorseggiava il suo frullato ipocalorico.
Fece una smorfia quando lo mandò giù. Aveva deciso di ritornare ai suoi cibi e frullati a basso contenuto calorico da ben quattro giorni, ma questi avevano misteriosamente perso qualsiasi gusto. Davvero c'era stato un tempo in cui non solo beveva litri e litri di quella brodaglia, ma gli piaceva pure? Bah! Gli sembrava impossibile!
Isabelle non replicò, limitandosi a lanciargli un'occhiata penetrante a cui il moro pensò bene di sfuggire fingendo di smistare la posta che era sopra al tavolo.
"Però! Guarda qua! Ne hai di corrispondenza!" commentò il ragazzo, con nonchalance, prendendo in mano una grande e anonima busta gialla.
"Sei un idiota! Lo sai, vero?" lo accusò Isabelle, scuotendo la testa con fare paternalistico, mentre andava a versarsi un po' di caffé nella sua tazza rosa confetto.
Alec la ignorò, lacerando la carta con le dita per esaminare il contenuto della busta e aggrottò la fronte quando scoprì che consisteva in una semplice e solitaria fotografia. La prese, curioso, prima che un'ondata di stupore lo travolgesse. Il cuore gli balzò in gola e venne assalito da un lacerante senso di nausea.
"Anzi! Sai che ti dico?" continuò Isabelle, prendendo il sacchetto dei biscotti al cioccolato e azzannandone uno. "Che è un idiota anche lui! Siete due grandissimi idioti! Ecco! L'ho detto!" berciò, voltandosi, stizzita, verso il fratello. "Alec?" lo chiamò, preoccupata, quando lo vide impallidire sempre di più.
Alec era come paralizzato: la fotografia ritraeva la sua camera da letto, arsa dal fuoco.
Nonostante non avesse ancora voluto vedere i danni riportati dal suo appartamento, la riconobbe subito: il letto era ridotto a un cumolo di detriti e sui muri erano visibili i segni delle fiamme e del fumo che avevano avviluppato la stanza.
Alec sentì la rabbia ribollirgli nelle vene. Perché gli avevano fatto questo? E perché gli avevano inviato la fotografia? Cosa volevano ottenere, mostrandogli quell'immagine? Quale messaggio volevano fargli pervenire? Volevano vantarsi? Volevano che si rendesse conto fin dove erano capaci di spingersi? Volevano farlo soffrire?
"Per l'angelo..." mormorò Isabelle, sconvolta, appoggiandosi alle spalle del fratello. "E' la tua camera!"
Alec annuì, rimettendo la foto dentro la busta gialla e alzandosi per gettare il tutto nella spazzatura. Non avrebbe permesso a colui che si celava dietro quello scatto di rovinargli la giornata. Aveva delle commissioni urgenti da fare, telefonate e e-mail da spedire. Il misterioso "fotografo" poteva pure andare a farsi fottere.
"Stai bene?" chiese Isabelle, abbracciandolo.
Alec ricambiò l'abbraccio e annuì. "Devo andare a lavoro." le disse, guardando l'orologio, prima di baciarle la fronte. "Woolsey mi starà aspettando di sotto. Ci vediamo stasera."
Isabelle lo strinse ancora per un attimo, prima di lasciarlo andare con un sospiro e guardare la busta gialla nella spazzatura. "Forse dovremmo avvertire..."
"No." la interruppe Alec, risoluto. "E' solo una foto. Niente di più. Niente di meno."
"Ma, Alec..."
"Ci vediamo stasera, Iz!" ripeté il fratello, salutandola e uscendo dall'appartamento.
Woolsey, che lo aspettava fuori dal portone, lo accompagnò in ufficio, dove Alec si buttò a capofitto nel lavoro. La sua intenzione era di concentrarsi unicamente su quello che doveva fare e non pensare più alla fotografia.
Ci riuscì fino alle sette di sera, quando la sua bionda guardia del corpo lo riportò a casa.
Alec, seduto nella macchina dell'ex Marine, osservò, silenzioso, la strada scorrere davanti a lui. "Woolsey?"
"Mh?"
"Possiamo fare una piccola deviazione?"
Woolsey lo guardò brevemente e annuì.
Dopo neanche dieci minuti, era di fronte al suo palazzo. Ad Alec sembrava che fosse passato un secolo dall'ultima volta che era uscito dal portone per andare in mezzo ai boschi con Magnus.
"Torno subito." disse Alec, slacciandosi la cintura di sicurezza.
"Vengo con te."
"No, non serve." lo fermò Alec. "Giuro che ci metto poco."
Woolsey tamburellò con le dita sul volante della sua auto sportiva. "Ok. Ti do cinque minuti, Lightwood. Poi vengo a prenderti." lo avvertì.
Alec alzò gli occhi al cielo e sbuffò, prima di annuire.
Fece gli scalini due a due ed ebbe un tuffo al cuore quando si ritrovò davanti alla porta del suo appartamento, danneggiata dai vigili del fuoco che l'avevano presa d'assalto per entrare in casa.
Prese un respiro profondo, come a farsi coraggio, e girò la chiave di riserva che aveva dato a Isabelle quando aveva comprato quell'appartamento. Un sinistro clic annunciò l'apertura della porta e il moro la spinse delicatamente per entrare.
La prima cosa che avvertì fu l'odore, che gli aggredì l'olfatto: era acre, pungente, intenso, nauseante.
Alec tossì violentemente, prima di coprirsi naso e bocca con una mano e avanzare di qualche passo all'interno del corridoio. Sbarrò gli occhi quando vide lo spettacolo desolante davanti a sé: il salotto era in condizioni disastrose e ciò che era riuscito a salvarsi dalle fiamme era andato irrimediabilmente danneggiato dall'acqua utilizzata dai vigili del fuoco.
Avanzò cautamente e iniziò a guardarsi attorno, sentendo l'angoscia assalirlo ogni secondo di più. Non c'era niente che si poteva salvare. Niente.
Si morse con forza il labbro inferiore, accarezzando delicatamente lo scheletro del suo amato divano, prima che un rumore, proveniente dalla camera da letto degli ospiti, lo congelasse sul posto.
Il cuore gli schizzò in gola in modo talmente rapido che rimase senza fiato per un momento.
Si guardò freneticamente in giro, alla ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa, che avrebbe potuto usare per difendersi. La scelta ricadde sul telecomando deformato del televisore. Non era granché, ok, ma poteva sempre lanciarlo in testa a un eventuale intruso e poi scappare a gambe levate.
Si avvicinò alla stanza, quatto quatto, e, in prossimità della porta, alzò il braccio per colpire qualsiasi cosa si trovasse dietro di essa, con la speranza di fargli davvero male.
Lanciò un urlo acuto quando vide un uomo materializzarsi davanti a lui e, senza perdere altro tempo, gli scagliò addosso il telecomando con tutta la forza che aveva in corpo.
"SIAL!" gridò la figura nera.
Alec stava già per battere in ritirata quando si bloccò sui suoi passi, sorpreso di sentire quella parola, che conosceva bene, ma, soprattutto, quella voce.
"Magnus?" domandò, sbalordito, voltandosi di scatto.
"Sì..." mormorò l'uomo, uscendo dalla stanza, mentre si massaggiava la fronte con una smorfia. "Cazzo, hai davvero una mira micidiale! Se ti fossi arruolato nell'esercito, saresti stato un cecchino formidabile!"
Alec arrossì, imbarazzato. "Scusa! Non l'ho fatto apposta!"
Magnus gli rivolse un sorriso divertito. "Davvero? Comincio a credere di essere il tuo bersaglio preferito."
"Ma non è vero e... Aspetta!" si interruppe Alec, accigliandosi. "Cosa ci fai qui?"
"Potrei farti la stessa domanda."
"L'ho chiesto prima io!"
Magnus sorrise, scrollando le spalle. "Ero venuto a vedere se potevo recuperare qualcosa. Tu?"
"Lo stesso." confessò Alec. "Trovato niente?"
Magnus scosse la testa, contrariato. "I miei vestiti sono tutti da buttare." rivelò, con una smorfia. "Ma non importa. Ne comprerò altri, ancora più belli." dichiarò, annuendo con decisione.
Alec accennò un sorriso. Non lo vedeva da più di una settimana, ma era sempre il solito Magnus. Un po' meno appariscente e decisamente acciaccato, forse, ma sempre lui. I capelli neri erano privi di gel ed erano così arruffati che lo facevano sembrare un ragazzino. Il braccio ferito era stato fasciato con una vistosa benda colorata e, anziché i soliti indumenti sfarzosi e sgargianti, indossava una semplice maglietta bianca e un paio di pantaloni da tuta neri, vagamente familiari.
"Per l'angelo! Quelli sono miei" esclamò il moro, dopo un lungo momento, stupito, spalancando gli occhi e indicando l'indumento con l'indice.
"Già" confermò Magnus, divertito per quel déjà-vu. Guardò verso il basso e giocò maliziosamente con l'elastico che gli avvolgeva la vita. "Ho scoperto che sono molto più comodi dei miei jeans attillati." affermò, fornendo la stessa spiegazione che aveva usato con i boxer del moro, quando si trovavano nella casetta di legno in mezzo ai boschi. "Vuoi che me li tolga?" mormorò, inarcando un sopracciglio e leccandosi sfacciatamente le labbra.
Alec avvampò immediatamente. "Oh.mio.Dio! No!" gridò con veemenza, mentre alzava i palmi delle mani.
Magnus rise, mostrandogli la lingua, poi si guardò attorno. "Dov'é Woolsey?" domandò, guardando oltre le spalle del moro. Alla smorfia del ragazzo, l'uomo aggrottò la fronte. "Non gli avrai mica fatto qualcosa, vero?"
Alec lo fissò a bocca aperta, prima di assottigliare lo sguardo. "Perché pensi che gli abbia fatto qualcosa?"
Magnus alzò un sopracciglio, mordendosi l'interno delle guance per non sorridere, e indicò in modo eloquente la propria fronte.
"Oh per l'angelo! Te l'ho detto! Non l'ho fatto apposta! Credevo fosse il pazzo che mi ha incendiato casa!" sbuffò Alec, piantandosi le mani sui fianchi.
Magnus non rispose e con un sorriso ironico indicò anche il proprio braccio ferito.
"E' stato un incidente!" esclamò Alec, con fervore, alzando gli occhi al cielo. "L'hai detto anche tu! E' stato il motociclista a spararti! Io l'ho solo colpito alla testa!"
Il sorriso di Magnus si ampliò.
"Si può sapere che hai da sorridere tanto?" borbottò Alec, con una smorfia infastidita, incrociando le braccia al petto.
Magnus fece spallucce. "Sono contento che finalmente l'hai capito." mormorò semplicemente.
"Che cosa?" chiese Alec, perplesso, aggrottando la fronte.
"Che non è stata colpa tua." rispose Magnus, piegando la testa e rivolgendogli un dolce sorriso.
Alec si morse il labbro inferiore, sentendo un inspiegabile nodo in gola. "Guarda che l'ho sempre saputo." ribatté, ostentando un'indifferenza che in realtà non provava.
Magnus ridacchiò, allungando il braccio per scompigliargli i capelli e il cuore di Alec si strinse. Gli era mancata così tanto la sua risata che... Per l'angelo! pensò, con orrore. Si stava comportando come un adolescente con gli ormoni impazziti! Doveva assolutamente darsi un contegno!
"Fingerò di crederti." asserì Magnus, con un sorriso sbarazzino. "Allora, che ne hai fatto di Woolsey? Hai dato una botta in testa anche a lui e sei scappato?"
Alec gli lanciò un'occhiata impassibile, pronto a rispondere con una battuta sagace, quando sentì i passi di qualcuno fare velocemente le scale del palazzo.
"I cinque minuti sono passati, Lightwood!" gridò Woolsey, entrando in casa. "E' ora che ti riporti... Per tutti i diavoli! MAGS!" esclamò, illuminandosi tutto quando vide l'uomo dagli occhi di gatto. Si precipitò verso i due, scansò il corpo Alec con un gesto deciso della mano e si fiondò sull'ex compagno d'armi, abbracciandolo forte. "Come stai, vecchia carcassa? Tuo padre mi ha detto che il ragazzino ha provato a farti fuori." affermò, ridendo, indicando con il pollice il moro dietro di lui.
"E' stato un incidente!" sbuffò Alec, alzando gli occhi al cielo e allargando le braccia con fare esasperato, infastidito dal comportamento della sua nuova guardia del corpo.
Magnus rise, allegro. "Ciao Woolly!" lo salutò, ricambiando l'abbraccio. "Ti trovo bene!"
"A meraviglia, fratello!" affermò il biondo, dandogli una pacca sulla spalla sana. "Tu, invece, stai invecchiando! Farsi colpire da un moccioso che non ha neanche mai preso in mano una pistola..." lo prese in giro, scuotendo la testa.
"Per l'angelo! E' stato un incidente!" ripetè ancora una volta Alec, indispettito.
Magnus e Woolsey lo guardarono per un momento, scoppiando poi a ridere nello stesso istante.
"Ohhh andate al diavolo! Tutti e due!" berciò Alec, incrociando le braccia al petto e mettendo il broncio.
I due ex Marine sghignazzarono ancora più forte.
"Quando ti hanno dimesso?" chiese Woolsey, con un largo sorriso.
"Ieri." rispose Magnus. "Sial, non vedevo l'ora di uscire da lì!" confidò, con uno sbuffo.
Woolsey rise. "Ti credo! Scommetto che hai fatto impazzire metà ospedale e hai flirtato con l'altra metà!"
Magnus rise, allegro, e Alec decise che ne aveva abbastanza. Non era affatto geloso della loro complicità. Assolutamente no. Solo che lui era venuto per vedere la sua casa, per scoprire se c'era qualcosa che poteva salvare, per dire simbolicamente addio alle sue cose... e quei due idioti rompiscatole, con le loro ciance stucchevoli e i sorrisetti sdolcinati che si rivolgevano, gli stavano rovinando il momento! Non era affatto giusto.
"Dove vai?" chiese Magnus, quando si accorse che il moro era quasi arrivato sulla porta.
Alec sventolò una mano, con noncuranza. "Non sono tenuto a dirtelo. Non sei più la mia guardia del corpo."
Magnus sorrise, alzando la mano sana in segno di resa, mentre Woolsey sghignazzava divertito.
"Pensavo di essergli antipatico io..." affermò il biondo, tirando una gomitata complice all'ex collega e abbassando la voce, ma non al punto tale che il moro non potesse sentire. "Ma é proprio stizzoso di natura."
"Vai a farti fottere, Woolsey!" berciò Alec, irritato, rivolgendogli il dito medio.
Il biondo ex Marine sorrise, radioso. "Non è affatto una brutta idea, Lightwood!" concordò, voltandosi poi verso Magnus e facendogli scivolare maliziosamente la punta dell'indice lungo tutto il torace. "Che ne dici, Mags?" domandò, con voce roca. "Portiamo a casa il bambino e ci rintaniamo nel tuo appartamento a ricordare i bei vecchi tempi?" mormorò, leccandosi le labbra.
"Tzè!" esclamò Alec, indignato.
"Che c'é Lightwood? Sei interessato a una cosa a tre?" chiese Woolsey, voltandosi verso il moro con un sorriso provocante.
"Ma neanche per idea!" sbottò Alec, arrossendo vistosamente. "Pervertito!"
Magnus e Woolsey risero, divertiti, mentre Alec li mandava nuovamente a quel paese con il dito medio e si incamminava fuori dal suo appartamento.
"Adoro farlo arrabbiare!" confessò Woolsey, con un enorme sorriso.
"Guarda che ti ho sentito, idiota!" borbottò Alec, ritornando sui suoi passi per lanciare un'occhiata fulminante i due ex militari.
"Rivolgeva anche a te questi epiteti così dolci e carini?" chiese Woolsey, ironico.
"Sempre." annuì Magnus, divertito.
"Ah... E io che mi illudevo di essere speciale." sospirò Woolsey, con finto rammarico. "Lightwood, così mi spezzi il cuore!" mormorò, portandosi teatralmente una mano al petto.
"Guarda che dovrei essere io quello amareggiato." ridacchiò Magnus, fintamente esasperato. "Speravo di essere l'unico a venire trattato come una pezza da piedi."
"E invece devi dividere questo onore con me." sorrise Woolsey, complice.
"Sul serio, andate a quel paese. Tutti e due." ringhiò Alec, serrando i pugni lungo i fianchi.
Woolsey sventolò una mano, ignorandolo. "Oh! E nascondeva anche a te le cose?" continuò, accostandosi maggiormente a Magnus.
"Del tipo?"
"No, ma fate pure come se non ci fossi eh!" brontolò Alec, nel tentativo di distrarre Woolsey da quello che stava per dire.
Woolsey, ancora una volta, ignorò il ragazzo. "Isabelle, quella santa ragazza, mi ha riferito che oggi ha ricevuto una foto."
"Una foto?" chiese Magnus, rivolgendosi ad Alec. "Che tipo di foto?"
"Niente." rispose Alec, sulla difensiva.
"Alec."
"Non é niente."
"Alexander Gideon Lightwood!" lo avvertì Magnus.
Alec alzò gli occhi al cielo e sbuffò sonoramente. "Qualcuno mi ha inviato una foto della mia camera da letto, così com'é ora. Tutto qua."
Magnus lo fissò intensamente. "Woolly?" disse infine, dopo un lungo attimo di silenzio. "Puoi lasciarci soli un momento?"
Woolsey sghignazzò e annuì. "Qualcuno è nei guai." cantilenò all'orecchio di Alec, prima di uscire dall'appartamento.
Alec gli lanciò un'occhiataccia e gli sventolò sotto al naso il dito medio, mentre l'altro rideva di gusto.
"Che c'è?" chiese poi a Magnus, sulla difensiva, incrociando le braccia al petto.
"Smettila." brontolò l'uomo, guardandolo con un cipiglio severo.
"Di fare cosa?"
"Di nascondere le cose. Perché non hai detto a Woolsey della foto? Non te l'ho assegnato perché ti faccia le treccine o ti racconti la favola della buona notte!"
Alec sgranò gli occhi. "Sei... sei stato tu? Ma... credevo..."
"Certo che sono stato io!" lo interruppe Magnus, alzando gli occhi al cielo, esasperato. "Non potevo mica lasciarti nelle mani del primo che capita! Mi fido di Woolsey!"
"Tzè! Ma certo che ti fidi di lui." borbottò Alec, risentito.
Magnus aggrottò la fronte, perplesso. "Che vuoi dire?"
"Niente." rispose Alec, scrollando le spalle con finta noncuranza.
Magnus lo fissò per un lungo momento, poi sorrise, divertito. "Ah. Te l'ha detto."
"Cosa? Che tu e lui facevate certe acrobazie in camera da letto che, a confronto, John Holmes e compagnia bella erano dei principianti?"
Il sorriso di Magnus minacciò di divorargli il volto. "Perché? La cosa ti crea problemi?"
Alec sputacchiò un verso stizzito. "Tzè! Assolutamente no! Non sono affari miei!" rispose, altezzoso. "E, per la cronaca, sappi che posso tornare all'appartamento di Isabelle anche da solo. Tu e Woolsey potete pure andare a casa tua a fare i vostri porci comodi!"
"Sento una non tanto velata nota di gelosia, Fiorellino." mormorò Magnus, compiaciuto, avvicinandosi al moro.
"Geloso? Io? Ma per favore! E non chiamarmi Fiorellino!" lo redarguì Alec, puntandogli l'indice contro.
"Io e Woolly siamo solo amici." lo informò Magnus, con un sorrisetto divertito.
"Sì. Certo. E lui lo sa?" lo sfidò Alec, guardandolo con uno sguardo carico di sufficienza.
"Certo che lo sa!"
"Davvero? Perché non si direbbe affatto!" ribatté Alec, piccato, scimmiottando con l'indice la carezza lasciva del biondo sul petto dell'ex guardia del corpo.
Magnus rise.
"Non c'é niente da ridere!" borbottò Alec, stizzito.
"Mi sei mancato, lo sai?" affermò Magnus, con un dolce sorriso.
Alec strinse maggiormente le braccia al petto. "Tu no."
"Lo sai, vero, che dovrei essere io quello arrabbiato con te e non il contrario?" domandò Magnus, con un sorriso divertito.
"Arrabbiato per che cosa?"
"Mi hai dato il ben servito!"
"Perché sei ferito!"
"Quando mi hai steso con quella micidiale ginocchiata nelle palle, non mi pare che tu ti sia fatto tanti problemi per la mia momentanea inabilità a proteggerti, eh."
Alec boccheggiò, preso alla sprovvista. "E'... é diverso!"
"Davvero?" chiese Magnus, con un sorriso allegro, inarcando un sopracciglio. "A me pare che siamo nella stessa situazione. Tu attacchi e io le prendo."
"Non é la stessa cosa!" insisté Alec, imbronciato. "Non hai rischiato di morire, in quella occasione."
Magnus lo fissò con uno sguardo eloquente. "Alec, c'é mancato poco che diventassi un eunuco!"
Alec sentì le guance scaldarsi. "Ma non é vero! Sei sempre il solito esagerato!"
Magnus si piazzò una mano sul fianco e gli lanciò un'occhiata maliziosa. "Vuoi che ti ricordi in che condizioni erano i miei testicoli? Mh?"
Il viso di Alec andò a fuoco. "Non osare..."
Magnus scoppiò a ridere, prima di sporgendosi verso il moro per baciargli una guancia e piazzargli qualcosa di solido e duro nella mano abbandonata lungo il fianco.
"Ho un regalo per te, Fiorellino." sussurrò l'uomo, con voce roca.
Alec sbatté le palpebre, sentendo una scarica elettrica propagarsi lungo tutta la spina dorsale, prima di abbassare lo sguardo e rimanere senza fiato: il soldatino di Max lo stava guardando con un ghigno sfrontato e vittorioso. Aveva bisogno di una bella ripulita, ma era sicuramente lui ed era perfettamente intatto.
Il moro alzò gli occhi e sentì le lacrime minacciare di travolgerlo, mentre Magnus sorrideva dolcemente.
"Come... dove..." balbettò Alec, ingoiando il nodo alla gola.
"Se ne stava lì, nascosto tra la cenere, in attesa del tuo ritorno. Ha resistito a fuoco e fiamme. E' un tipo tosto!" spiegò Magnus, intenerito.  
Alec tirò su con il naso e sorrise, stringendo forte il soldatino nel palmo della mano, prima di fiondarsi tra le braccia di Magnus, che rise, felice, e gli baciò i capelli arruffati.
"Ho dato un'occhiata alla tua camera." sussurrò Magnus, posando il mento sulla tempia del moro. "Non è un bello spettacolo. Purtroppo é bruciato tutto e non é rimasto più niente. Mi dispiace, tesoro." si scusò, stringendo ancora di più a sé il moro.
Alec fece spallucce, nascondendo il viso nel collo di Magnus. "Non importa. Ho il soldatino."
Magnus gli baciò la fronte.
"Magnus?"
"Mh?"
"Mi dispiace."
Magnus sorrise, rafforzando la presa sulle spalle del moro. "Lo so."
"E... ho mentito."
"So anche questo."
"Non voglio che ti succeda qualcosa."
"Lo so."
"E non voglio neanche un'altra guardia del corpo che non sia tu."
Magnus ridacchiò. "Ohhh, lo so. E' per questo che ti ho mandato Woolsey." mormorò, divertito.
Alec alzò lo sguardo e aggrottò la fronte. "In che senso?"
Magnus sorrise, scostando un ciuffo di capelli dalla fronte del moro. "Beh, prima di tutto é un amico. Sapevo di metterti in mani fidate." affermò dolcemente. "E poi ero sicuro che ti avrebbe parlato di noi due." mormorò, divertito, mostrandogli la lingua.
Alec assottigliò lo sguardo, irrigidendosi. "Cioé mi hai mandato il tuo ex appositamente per farmi ingelosire."
"Forse." confessò Magnus, ridendo.
Alec lo fulminò con un'occhiata assassina. "Sei fortunato ad avere un braccio ferito." sibilò, staccandosi da lui. "Sei una persona orribile, sai? Orribile! Non azzardarti mai più a fare una cosa simile e..."
Magnus sorrise, felice, prima di agguantarlo per un passante dei jeans e tirarlo verso di lui. "Ai tuoi ordini..., Alexander." mormorò, ad un soffio dalle sue labbra.
Alec tentò di rimanere imbronciato, ci provò davvero. Poi alzò gli occhi al cielo e scosse la testa con un sospiro fintamente esasperato, prima di agguantare con un gesto deciso il viso di Magnus e baciare quel sorriso irritante, ma contagioso.

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Presidente Miao stava ringhiando.
Alec si svegliò stordito, prima che la coda del gatto si abbattesse con frenetica urgenza sulla sua faccia, costringendolo a destarsi completamente. Sputacchiò qualche pelo che gli si era appiccicato alla lingua e spostò malamente la coda pelosa del felino dal suo viso. Per l'angelo, quel gattaccio stava assomigliando pericolosamente ogni giorno di più a Magnus: se non otteneva subito quello che voleva, Presidente iniziava a diventare fastidioso e molesto, proprio come il suo padrone!
Lanciò, seccato, un'occhiata alla sveglia sul comodino, che segnava le due e trenta di notte, e sbuffò forte, prima di sentire di nuovo quel ringhio rimbombargli nella cassa toracica.
Presidente era seduto sul suo petto, in allerta. Il muso puntava verso la porta, le orecchie erano dritte e la coda si muoveva a scatti, avanti e indietro.
Alec corrugò la fronte. Che problemi aveva, adesso? Forse Magnus stava combinando qualcosa di strano in giro per il loft? Presidente non avrebbe mai reagito in quel modo con il suo adorato padrone, il moro lo sapeva bene, ma, forse, era stato svegliato da qualche rumore improvviso e ora era arrabbiato. Quel gatto era così esageratamente melodrammatico, a volte!
Il ragazzo sospirò, posando poi una mano sulla schiena morbida del felino per accarezzargli dolcemente il pelo. "Che c'è, Presidente? Mh?" sussurrò, tentando di calmarlo con qualche grattatina dietro le orecchie.
Il gatto, lo ignorò. Si sollevò dal suo petto e iniziò a miagolare piano, in modo inequivocabile: era decisamente irritato. La coda roteava e frustava l'aria con una tale energia che sembrava quasi che Presidente si stesse apprestando a domare una belva feroce.
Alec lo posò con delicatezza sul materasso e si alzò dal letto, deciso a capire cosa stava succedendo al di là della porta. Ok, quel gatto era un animale un filino "particolare", e il più delle volte rasentava la megalomania, ma... c'era un limite a tutto!
Quando raggiunse il soggiorno, con Presidente alle calcagna, che a momenti lo fece inciampare sui suoi stessi passi, sentì uno spostamento d'aria dietro di lui e, subito dopo, una mano forte gli chiuse la bocca.
"Torna in camera e resta lì." mormorò Magnus al suo orecchio. "Prendi Presidente e portalo con te."
"Perché?" sussurrò Alec, quando l'altro iniziò a spingerlo gentilmente verso la camera da letto. "Che cosa succede?"
"Ci sono dei rumori strani sul pianerottolo. Vado a controllare." spiegò Magnus, in tono sbrigativo.
Il moro fu sul punto di protestare, ma l'ex Marine non gliene diede modo.
"Torna in camera e chiuditi dentro con Presidente." ordinò nuovamente Magnus, con la pistola stretta nella mano sana, avviandosi verso la porta d'ingresso.
Alec prese tra le braccia Presidente Miao e se lo strinse al petto, mentre il cuore gli batteva all'impazzata: Raj era là fuori, ne era certo. Aveva smesso con gli atti di vandalismo nel momento stesso in cui aveva licenziato Magnus, come se la sua rabbia si fosse temporaneamente sgonfiata da quando il moro non aveva più accanto a lui la sua fidata guardia del corpo, ma ora, proprio quando erano ritornati insieme, ecco che quel pazzo tornava all'attacco.
Andò in camera e si sedette mestamente sul letto, coccolando e rassicurando Presidente Miao, che sedeva rigido tra le sue braccia. La poca luce prodotta dalla sveglia sul comodino gli permetteva di distinguere la sagoma della pistola di riserva che Magnus aveva lasciato lì, in caso di necessità.
La fissò a lungo, quasi in trance, poi prese un respiro profondo, posò il gatto sul letto e si alzò nuovamente in piedi: non poteva starsene seduto lì, con le mani in mano, senza fare niente. Doveva assolutamente andare in aiuto di Magnus... e al diavolo i suoi ordini! Tanto non sarebbe stata la prima volta che disubbidiva!
Presidente Miao alzò il muso di scatto, le orecchie si mossero come se stesse captando qualcosa, poi balzò giù dal letto e corse velocemente verso la porta della camera, iniziando a ringhiare nuovamente.
Alec afferrò la pistola di riserva senza ulteriori indugi e, nel momento esatto in cui aprì la porta, udì uno sparo e una serie di voci concitate.
L'ansia del moro crebbe fino a togliergli completamente il respiro. Doveva andare da Magnus. Doveva assicurarsi che stesse bene. Per l'angelo, poteva essere ferito! Aver bisogno di lui!
Presidente Miao, ai suoi piedi, lo guardò con uno sguardo preoccupato, agitando la coda e miagolando debolmente, e Alec sentì il suo cuore iniziare a battere così forte da sembrare sul punto di sfondargli il petto, in un ritmo incalzante che sembrava sussurrargli "Presto! Fai presto!".
Corse verso la porta d'ingresso e, quando vi giunse, Alec sentì il suo cuore smettere completamente di battere.
Udì distrattamente dei passi, lungo la tromba delle scale, che si allontanavano velocemente dall'appartamento, ma la sua attenzione era totalmente calamitata sulla figura afflosciata sul pianerottolo.
Magnus lo stava guardando, ma c'era qualcosa di terribilmente e orribilmente sbagliato in quello scambio di sguardi. Lo scintillio e il colore unico e inconfondibile delle iridi dell'ex Marine erano stati sostituiti da uno sguardo vitreo e immobile.
Alec fissò, impietrito, l'enorme coltello che spuntava dal petto dell'uomo, all'altezza del cuore, e il sangue che macchiava, copioso, la maglietta bianca che la guardia del corpo indossava.
La pistola di riserva gli scivolò via, lentamente, dalle dita inermi e sentì chiaramente il suo cuore spezzarsi quando realizzò cosa era successo.
La vista si appannò e il respiro si fece accelerato, mentre il groppo in gola minacciava di sopraffarlo. Aria. Aveva bisogno d'aria. Non riusciva a respirare. Aprì la bocca e boccheggiò alla ricerca di ossigeno, ma non successe niente. Sentì che stava soffocando. Poi tutto divenne buio.
Un attimo dopo spalancò gli occhi di scatto e annaspò, alla ricerca spasmodica d'aria. Riuscì a trovarla solo quando si tolse, dal viso, la pancia pelosa di Presidente Miao, che aveva pensato bene di addormentarsi sulla sua faccia.
"Dannato gattaccio!" rantolò Alec, respirando affannosamente e incanalando quanto più ossigeno possibile, mentre il cuore gli batteva come un tamburo nel petto.
Presidente Miao sbuffò piano e roteò gli occhi, stiracchiandosi pigramente e andando poi ad appallottolarsi contro la testa di Magnus, con un sospiro scocciato.
Alec gli lanciò un'occhiata in tralice e, dopo quella che gli parve un'eternità, riuscì finalmente a calmarsi e a scacciare la sgradevole sensazione dell'incubo che aveva appena vissuto. Nonostante i brutti sogni fossero ormai diventati una costante nelle sue notti agitate, soprattutto da quando Raj gli aveva incendiato l'appartamento, non riusciva proprio a farci l'abitudine.
Con un sospiro, si voltò verso Magnus, che dormiva placidamente accanto a lui, ignaro di tutto.
Dall'ampia finestra filtrava un leggero riverbero della luna, eppure, anche con quella poca luce, Alec poteva vedere un sorriso accennato e rilassato sulle labbra dell'uomo, il viso simile a un ingannevole specchio d'innocenza. Alec sapeva bene, infatti, che era tutta apparenza: Magnus Bane era la persona più smaliziata e sfacciata che avesse mai incontrato in vita sua!
Puntellandosi su un gomito per osservarlo, un sorriso storto gli incurvò le labbra mentre guardava il ritmico alzarsi e abbassarsi del petto color caramello davanti a lui, nascosto da una sua maglietta logora e sbiadita.
Sebbene non fossero andati più in là di una calda sessione di baci infuocati e decisamente memorabili, Alec aveva scoperto che Magnus era un amante paziente e appassionato... e decisamente intraprendente e fantasioso. Le sue dita e la sua bocca riuscivano a compiere certe magie, sul suo corpo, che il moro si chiese, non per la prima volta, se quell'uomo, sotto-sotto, non fosse uno stregone in incognito.
I suoi occhi si spostarono sullo stato in cui versavano i capelli dell'ex Marine: solitamente ordinati e impeccabili, ora erano totalmente arruffati e sparati in tutte le direzioni e Alec sentì le guance scaldarsi ricordando che erano state le sue dita, agitate e impazienti, a causare un tale scompiglio.
"Perché hai le guance rosse, mio delizioso pomodorino maturo?"
Alec incrociò gli occhi di Magnus e un brivido gli corse lungo la schiena. L'innocenza del sonno era sparita completamente, lasciando spazio a una luce sensuale negli occhi verdi-dorati e nella piega della sua labbra che sembravano disegnate da un artista.
Il moro gli pizzicò il naso, imbronciandosi. "Smettila con questi soprannomi idioti!" borbottò, schiarendosi la gola.
Magnus ridacchiò piano. "Mai." sussurrò, avvicinandosi maggiormente a lui. "Soprattutto quando fai pensieri sconci sul sottoscritto."
Alec lo guardò, indignato. "Non sto facendo pensieri sconci su di te!" si difese, arrossendo ancora di più.
Magnus rise, divertito, baciandolo a stampo sulle labbra. Aveva atteso così a lungo per farlo, ma adesso che sapeva che anche il moro lo desiderava, non c'era più motivo di trattenersi o tirarsi indietro.
Con infinita lentezza, lo baciò di nuovo, cominciando dalla fronte, per poi scendere verso gli occhi, la linea dritta del naso e la mascella. Gli sfiorò le labbra una, due, tre volte, con baci leggeri come piume, finché il moro non gli passò una mano tra i capelli, fermandolo a pochi centimetri dal suo viso e guardandolo imbronciato e spazientito.
"Che c'è?" sorrise Magnus, baciandogli la punta del naso.
Alec sbuffò e roteò gli occhi. "Idiota." borbottò, prima di tirarselo addosso con cautela e baciarlo con decisione, aprendogli la bocca e affondandovi dentro la lingua.
Magnus emise un gemito soffocato, prima di ridere rumorosamente nel bacio, e il moro esalò un sospiro quietamente esasperato, stringendolo più forte e baciandolo con più slancio, mentre entrambi registravano distrattamente che Presidente Miao stava scendendo dal letto con un brontolio contrariato.
Le labbra di Alec erano irruenti, ma gentili sulle sue e Magnus chiuse gli occhi, felice, assaporando la dolcezza della bocca del moro. Fece scivolare una mano lungo la schiena solida del ragazzo, per poi risalire sollevandogli la maglietta. Gli si contorse lo stomaco quando le sue dita vennero a contatto con la pelle nivea dell'altro e il sangue che gli scorreva nelle vene raggiunse temperature piuttosto elevate.
Alec era caldo e morbido e sembrava fatto apposta per stare tra le sue braccia. Il modo in cui gli si premeva addosso, gli avvolgeva il braccio attorno al corpo e muoveva la bocca sulla sua era più di quanto avesse mai cercato e trovato in vita sua in un uomo o in una donna. Più di quanto avesse mai sperato.
Cominciò a strusciarsi lentamente contro il bacino del moro, mentre le mani del ragazzo presero a esplorare la sua schiena, scendendo verso il basso. Le sue dita si intrufolarono audacemente sotto l'elastico dei pantaloni del pigiama dell'ex Marine e Magnus lo sentì trattenere bruscamente il fiato quando i suoi polpastrelli incontrarono altra pelle dove, invece, avrebbe dovuto trovare il tessuto dei suoi boxer (che lui si ostinava allegramente a rubargli).
Magnus interruppe il bacio e sorrise ampiamente. "Sto più comodo senza." bisbigliò, facendo spallucce, allo sguardo stupito dell'altro.
"Dio, quanto sei idiota!" gemette Alec, alzando gli occhi al cielo, prima di posare le sue labbra sul collo dell'ex Marine e succhiare la sua pelle caramellata.
Magnus reclinò il capo all'indietro e gracchiò una risata rauca, stringendoselo addosso ancora di più.
"A-aspetta! La tua spalla..." gemette Alec, quando il suo bacino si scontrò con quello dell'uomo.
Magnus gli sollevò il mento con una presa gentile, ma decisa. "Non azzardarti a fermarti!"
Alec accennò un sorriso storto. "Ma..."
"Niente ma, Kallìpygos! Su Datti da fare!" lo zittì Magnus, schiaffeggiandogli il sedere sodo con un sorriso a trentadue denti.
Alec si alzò sui gomiti e lo guardò con uno sguardo omicida. "Giuro che se non la pianti con questi soprannomi..."
Magnus rise, euforico, prima di far scivolare le sue dita sulla nuca del moro per tirarlo giù, contro la sua bocca, baciandolo con forza, affamato e in preda a una smania incontrollabile. Il suo cuore, che già batteva a un ritmo forsennato, accelerò ancora di più, invadendogli anche le orecchie. Sollevò i fianchi, facendo scontrare nuovamente i loro bacini, e udì Alec emettere un suono gutturale che lo eccitò ancora di più.
Staccò le labbra da quelle del moro solo quando ebbe bisogno di riprendere fiato e sorrise, raggiante, quando incontrò gli occhi blu di Alec e vi lesse la stessa lussuria che, ne era certo, si poteva scorgere anche sul suo viso.
Si leccò lentamente le labbra, famelico, prima di tornare a baciare selvaggiamente il moro, artigliandogli una natica e allacciando le gambe attorno al suo corpo.

Magnus si svegliò con la spalla che pulsava.
Nonostante ciò, sorrise, felice e decisamente appagato. Il dolore non riusciva minimamente a offuscare il ricordo dei momenti di estasi vissuti poche ore prima con Alec.
Stiracchiò pigramente il braccio sano verso l'alto, allungando lentamente anche il resto dei muscoli lungo tutto il suo corpo, poi tornò a rilassarsi tra le lenzuola e sbadigliò, stropicciandosi una guancia.
Il suono di fusa accanto a lui lo fece voltare e sorridere teneramente: Alec giaceva addormentato nell'altra metà del letto, rannicchiato contro di lui su un fianco, e stringeva tra le braccia Presidente Miao, che ronfava beato.
Da quando quei due si erano ricongiunti, il gatto era diventato l'ombra del ragazzo e gli correva dietro ovunque andasse, anche in bagno, quasi temesse che potesse sparire di nuovo da un momento all'altro. Non sapeva che Magnus non l'avrebbe più permesso.
Era stato così sciocco a non capire subito che qualcosa non andava, a credere che il moro non lo volesse davvero più al suo fianco e lo considerasse un fastidioso impiccio, anziché qualcuno di cui fidarsi e a cui affidare la propria vita. Poi, quando finalmente l'antidolorifico aveva fatto effetto e il dolore alla spalla aveva smesso di ottenebrare la sua mente, Magnus aveva analizzato quanto successo nella sua stanza d'ospedale e aveva capito (o meglio, sperato) che quello che gli aveva detto Alec fosse tutta una messinscena per allontanarlo da lui e dal pericolo che lo minacciava.
Ecco perché aveva ingaggiato Woolsey il giorno stesso. Era decisamente ora che Alexander Gideon Lightwood si ficcasse in quell'adorabile e contorta testolina che si ritrovava che non poteva in nessun modo liberarsi di lui.
Sì, avrebbe potuto chiedere a Ragnor o a Jem di prendersi cura del moro, ma se da un lato i suoi amici erano due Marine eccellenti, dall'altro non avevano una propria agenzia di sicurezza, i cui servizi erano richiestissimi ed estremamente efficienti, e soprattutto non erano ex amanti con cui aveva avuto un'intensa e soddisfacente intesa sessuale né tantomeno erano due comari pettegole che spifferavano allegramente i dettagli piccanti di ciò che facevano sotto le lenzuola. Per stanare Alec, a Magnus serviva Woolsey e il suo zero senso del pudore nel raccontare cosa avevano fatto entrambi in camera da letto... e non solo!
E, a giudicare dalla scenata melodrammatica che Alec gli aveva fatto il giorno prima, e quello che ne era conseguito, Magnus aveva fatto centro.
Con un sorriso compiaciuto, grattò con la punta delle dita la testa di Presidente, che sospirò nel sonno e si acciambellò meglio contro il petto di Alec, aumentando il volume delle fusa, poi si sporse per baciare delicatamente la fronte del moro, prima di scostare le lenzuola e, con cautela, appoggiare i piedi a terra.
Si mosse lentamente, deciso a non svegliare nessuno dei due, e, senza preoccuparsi di rivestirsi, andò in cucina, alla ricerca delle pillole che gli avevano prescritto in ospedale. Trovò il flacone sul tavolo, accanto al soldatino di Max e sorrise, mentre inghiottiva una pastiglia.
Con la mano sana iniziò a preparare la colazione. Non fu un'operazione semplice: sparse zucchero un po' ovunque, si versò addosso qualche goccia di spremuta d'arancia e si scottò le dita con la macchinetta del caffè, ma riuscì comunque a posizionare le cose che aveva nel frigorifero e nella dispensa sul vassoio, senza ulteriori intoppi. Lo considerò un notevole passo in avanti rispetto al giorno precedente, quando aveva bruciato il pane tostato, si era schiacciato un dito nel cassetto delle posate e aveva rovesciato la sua tazza di caffè sul tavolo, inondandolo completamente.
Sollevò il vassoio con un leggero grugnito e camminò lentamente verso la sua camera da letto, ben attento a non inciampare e a non far cadere niente. Aprì la porta della camera con il piede e poggiò il tutto sulla cassettiera, spostando con forza qualunque cosa ci fosse sopra. Il barattolo della crema viso, che applicava ogni giorno sulla sua pelle liscia e perfetta, cadde a terra con un sonoro bam!
Alec rotolò sulla schiena, sospirando rumorosamente, e aprì faticosamente gli occhi. "Cosa stai facendo?" mormorò con voce roca, mentre anche Presidente Miao alzava il muso, assonnato.
Magnus sorrise. "Come promesso, ti ho portato la colazione, mio dolce pasticcino!" annunciò, indicando con un gesto plateale del braccio il vassoio accanto a lui.
Alec si stiracchiò, seguito a ruota da Presidente Miao che inarcò la schiena. "Promesso?" mormorò, confuso, con un sonoro sbadiglio.
"Ma come? Non ricordi? Ti avevo promesso che te l'avrei portata dopo la nostra prima notte di sesso sfrenato." continuò Magnus, con un enorme sorriso che gli divorava il volto. "Quindi... tadaaan!"
Alec divenne paonazzo e iniziò a tossire spasmodicamente, a causa della saliva che gli era andata di traverso.
Il sorriso di Magnus aumentò. "Sapevo che sotto-sotto eri una tigre tra le lenzuola, mio sublime profiterole al cioccolato! Roarrrr!" ammiccò sfacciatamente, artigliando l'aria con le dita.
Le guance di Alec si fecero di brace, mentre lanciava uno sguardo imbarazzato al gatto, che lo fissava a sua volta e sembrava sorridergli sornione. "Smettila!" gracchiò poi, lanciando con forza il suo cuscino verso l'altro. "E v-vestiti! Per l'angelo!"
Magnus rise, divertito, schivando agilmente il guanciale. "Se ricordo bene..." mormorò, battendosi l'indice sul mento con fare pensieroso. "...ieri sera non mi hai chiesto di smettere. Anzi, mi hai pregato di continuare.." ammiccò, leccandosi le labbra in modo volutamente provocante.
Alec ridusse gli occhi a due fessure, con il viso scarlatto, mentre Presidente sbuffava un suono simile a una risata. "Sei un pervertito!"
Magnus ridacchiò, allegro, avvicinandosi al letto. "Sì, lo so." confermò compiaciuto, piegandosi poi verso il ragazzo per lasciargli un bacio sulle labbra. "Buongiorno, Fiorellino."
Alec sospirò rumorosamente, prima di rivolgergli un sorriso fintamente imbronciato e allontanarlo da lui, spingendolo via con la mano sul viso. "Buongiorno, idiota."
Magnus sogghignò. "Dormito bene, Kallìpygos?"
Alec lo fulminò con lo sguardo. "Ti ho detto di smetterla!" ordinò, mettendosi seduto, per poi sorridere, contento, quando Magnus gli mise tra le mani il soldatino di Max.
"Gli ho dato una ripulita." lo informò l'uomo. "Ora é come nuovo!"
"Grazie." mormorò, mentre Presidente Miao gli si sedeva in braccio e osservava anche lui il piccolo oggetto tra le mani del moro.
"E' un gran bel giocattolo!" affermò Magnus, accomodandosi accanto al ragazzo e cingendogli le spalle con il braccio sano.
Alec sbuffò una risata dal naso. Alzò la testa e guardò l'ex Marine, inarcando un sopracciglio di fronte a quella palese bugia. Il soldatino di Max, infatti, poteva essere definito in molti modi, ma di certo l'aggettivo "bello" non rientrava tra questi: era consunto, gli mancava una mano e i lineamenti del viso erano ormai andati perduti da tempo immemore.
"Sei serio?" chiese Alec, palesemente divertito.
"Ma certo!" annuì Magnus, con fervore. "Insomma... guardalo!" esclamò, indicando il soldatino con un gesto eloquente della mano.
Alec esaminò il giocattolo con occhio critico, rigirandolo nella mano, mentre con l'altra accarezzava distrattamente Presidente, poi scosse la testa, sorridendo.
"Astaga! [ndr. Oh mio Dio] Come fai a dire che non é bello?" continuò Magnus, guardandolo con disapprovazione. "Ha fascino da vendere e un'aria da duro che non deve chiedere mai!"
Alec rise, posando la testa sul collo dell'uomo. "E' carino." cedette, con un sorriso divertito, stringendo il giocattolo.
"Carino? Solo carino?" sbuffò Magnus, allegro, arruffandogli i capelli.
"E' il massimo che posso concedere." affermò Alec, con un sorriso storto.
"Tzè! Lascia che te lo dica: voi giovani d'oggi non sapete apprezzare la bellezza delle cose vissute!" lo rimbeccò Magnus, alzando il mento in modo baldanzoso.
"Sì, forse hai ragione." concordò Alec, scrollando le spalle. "Deve essere per questo che ti ho ignorato così a lungo e ho ceduto per sfinimento." considerò, pensoso, sollevando la testa per guardarlo con una smorfia buffa.
Magnus spalancò gli occhi, trattenendo il fiato e scostando il moro da lui. "Stai... stai dicendo che sono vecchio?" domandò, portandosi teatralmente la mano al petto.
"Hai quasi trentanove anni." spiegò Alec, scrollando le spalle e lanciandogli una lunga occhiata eloquente.
"Guarda che tu ne hai solo dieci meno di me, eh!"
"Questo é vero, ma resta il fatto che sei più in là con gli anni del sottoscritto... tesoro." sghignazzò il moro, divertito.
"Oh.mio.Dio!" boccheggiò Magnus, indignato, spingendo l'altro lontano da lui. "Ritira subito quello che hai detto!"
""Ehhh, la verità può essere dolorosa, Magnus." affermò Alec, picchiettandogli una mano in modo comprensivo. "Oh, per l'angelo! Guarda qua! Sono rughe, queste?" domandò, fingendosi sorpreso, mentre assottigliava gli occhi ed esaminava accuratamente il viso dell'altro.
Gli occhi verde-oro di Magnus si dilatarono per lo stupore. "Ritira subito quello che hai detto!" berciò nuovamente, stridulo.
Alec rise rumorosamente, accasciandosi sul materasso.
Magnus alzò un sopracciglio, poi afferrò dolcemente il gatto per la pancia e lo posò a terra. "Presidente, va in cucina a fare colazione. Papà deve dare una lezione di buone maniere a daddy!" mormorò assottigliando lo sguardo.
Alec rise più forte e tentò di allontanarsi dall'uomo.
Magnus lo bloccò con il braccio sano e si sedette sopra il moro, poi scattò, iniziando a fargli il solletico.
"No! Fermo!" ansò Alec, ridendo forte, mentre tentava di sottrarsi alle dita dell'altro.
"Ritira quello che hai detto!" ripeté ancora una volta Magnus, facendo scorrere le dita sul costato del ragazzo.
"Mai!" rise Alec, con le lacrime che iniziavano a scendere lungo le guance.
"Moccioso impertinente!" mormorò Magnus, sorridendo giocoso e muovendo le dita sempre più velocemente fino a quando non udì l'altro gracchiare Pietà!.
Magnus rise, compiaciuto, mentre liberava il corpo di Alec e si stendeva accanto a lui per riprendere fiato. "Splendido, attraente, meraviglioso e soprattutto giovane trentottenne vs moccioso impertinente: uno a zero, palla al centro." ansò, alzando il braccio sano verso l'alto, in segno di vittoria.
Alec rise di gusto. "Non vale!"
"Certo che vale!" ritorse Magnus, allegro, sventolando l'indice. "E con un braccio solo, per giunta!"
"Tu sei un ex Marine, mentre io..."
"Sei un flaccido agente di viaggi." completò la frase Magnus, divertito, punzecchiandolo su un fianco sodo e tornito. "Sì, lo so, mio delizioso panzerotto ripieno."
Alec voltò la testa e lo guardò truce. "Smettila di dire che sono flaccido!"
Magnus rise, aumentando il tono di voce quando l'altro iniziò a schiaffeggiarlo a palmo aperto sul ventre piatto, mentre gli ordinava, con sguardo tempestoso e per l'ennesima volta, di piantarla con tutti quei soprannomi.
"Sei insopportabile!" asserì Alec, mettendo il broncio.
Magnus ridacchiò. "Sì, lo so." mormorò, accostandosi a lui e cingendolo in un morbido abbraccio.
"Idiota." borbottò Alec, facendo il sostenuto.
"Hai perfettamente ragione." convenne Magnus, stuzzicandogli la pelle delicata dietro l'orecchio con labbra esperte.
"Magnus, il tuo braccio..." lo avvertì Alec, corrugando la fronte, ma inclinando comunque la testa per dargli più spazio di manovra.
"Mh-mh." mormorò Magnus, scendendo con la lingua lungo la giugulare del ragazzo.
Alec aprì la bocca per ricordare all'ex Marine, che tutto sembrava tranne che un uomo con un braccio ferito da un colpo di pistola, di fare attenzione ai punti, già messi sotto pressione la notte precedente, ma Magnus fu più veloce e colse l'opportunità di baciarlo e infilargli la lingua in bocca.
Alec gemette nel bacio e si mosse sotto l'ex Marine, desideroso di un contatto ancora più stretto, più intimo. Magnus emise un gemito di soddisfazione e pressò le labbra su quelle del ragazzo con ancora più entusiasmo, fino a quando il moro interruppe bruscamente il bacio e lo spinse via.
"Hai... hai sentito?" balbettò in un bisbiglio il moro, a corto di fiato, aggrottando la fronte e tendendo le orecchie in ascolto.
"Sentito cosa?" mormorò Magnus, scendendo a baciargli il collo e tracciando una scia umida fino alla scollatura della maglietta che il moro indossava.
"C'è qualcuno in casa!" bisbigliò Alec, teso, arpionando la spalla sana dell'ex Marine.
Magnus strattonò il bordo della maglietta del moro, per tentare di levargliela. Dio, perché si era rivestito dopo la loro notte di passione?
"E' sicuramente Presidente che ha rovesciato i croccantini." lo liquidò, riuscendo finalmente a sfilargli l'indumento e iniziando a leccargli il petto.
Alec avrebbe voluto controbattere, ma ondate di piacere iniziarono a percorrergli la spina dorsale e gli era davvero difficile pensare razionalmente quando l'altro lo stava "torturando" così sapientemente con lingua e denti. Inarcò la schiena per offrirsi completamente e affondò le dita nei capelli dell'uomo, dimenticando tutto ciò che lo circondava e lasciando che quella sensazione paradisiaca gli penetrasse nelle vene. Nulla aveva importanza, in quel momento, se non il tocco delle labbra peccaminose dell'ex Marine che stavano proseguendo la loro discesa verso il bordo dei suoi pantaloni del pigiama.
Magnus slacciò il nodo del cordoncino dell'indumento e lo abbassò per poter lambire con la lingua la porzione di pelle che aveva esposto, al di sopra dei boxer neri.
"Malaikatku? Sei q... opsss!" cinguettò una voce squillante, entrando come un uragano nella camera da letto.
Alec lanciò un grido acuto e ben poco virile. Con il viso completamente in fiamme, spintonò via Magnus con forza brutale e per poco non lo buttò giù dal letto, poi si coprì alla bell'e meglio con il lenzuolo color bordeaux, sperando ardentemente di riuscire a mimetizzarsi tra le sue pieghe.
L'ex Marine, con il sedere nudo all'aria, gemette forte nel cuscino e inanellò una sequela di insulti incomprensibili, ma che Alec ipotizzò fossero in lingua indonesiana.
"A quanto pare abbiamo trovato i due piccioncini, Ketua!" [ndr. Presidente] berciò l'intrusa, divertita, grattando il gatto sotto il mento. "Vi aspetto in cucina, ragazzi! Fate con comodo!" gridò, allegra, facendo dietrofront e uscendo dalla stanza con il felino che stava sghignazzando sotto ai baffi (Alec avrebbe potuto giurarlo! Quel gattaccio stava ridendo dell'intera situazione, ne era certo!).
Magnus imprecò con veemenza e rotolò sulla schiena, cercando nella sua memoria quale peccato così atroce avesse commesso nella sua vita per meritarsi una tortura simile che rispondeva al nome di Dewi Maharani Bane.
"Almeno non è saltata nel letto con noi per spettegolare o per raccontarci del suo ultimo sogno strambo." mormorò l'uomo, con tono sconfitto e con lo sguardo rivolto verso il soffitto.
Alec, a corto di parole, girò il volto di scatto e lo guardò a bocca aperta.
"Ohhh sì. Credici. L'ha fatto." confidò Magnus, sospirando in modo eloquente. "Almeno tu hai ancora addosso le mutande." rise istericamente, coprendosi gli occhi con il braccio sano, mentre il moro sprofondava nel cuscino con uno sguardo terrorizzato e il suo viso assumeva un'intesa sfumatura violacea.

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Note dell’autrice
Chiedo venia per il vergognoso ritardo con cui pubblico questo nuovo capitolo, ma sono stata travolta dal lavoro e vi assicuro che mettermi al pc, di nuovo, una volta a casa, dopo una giornata estenuante e mentalmente massacrante, era l'ultimo dei miei pensieri XD
E' da un mese che sto scrivendo questo benedetto capitolo, che ho modificato, corretto, integrato e cancellato mille volte, e spero che il risultato sia di vostro gradimento! :D
Ne approfitto per augurarvi un anno pieno di felicità e soprattutto salute! :-*
Un bacione e a presto :D

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


"Sono contento che tu sia venuto, ayah [ndr. papà]!" mormorò Magnus, lanciando un'occhiata furtiva sopra la spalla del padre.
Sua madre non era nei paraggi. Bene.
Chiese di nuovo mentalmente scusa ad Alec per non averlo salvato dalle grinfie materne, quando Dewi l'aveva trascinato, senza tante cerimonie, nella camera da letto del figlio per costringerlo a disfare i bagagli e a sistemarsi come più la soddisfaceva, ma doveva assolutamente risolvere quella faccenda e suo padre era il suo alleato più prezioso. Se non addirittura l'unico.
Non poteva permettere che Alec si allontanasse nuovamente da lui. E, questa volta, per un motivo totalmente diverso dalla spinosa situazione in cui si trovavano!
"Mi dispiace di averti costretto a disdire il tuo appuntamento per farti venire di corsa qua."
Asmodeus Bane sventolò la mano con noncuranza, mentre sceglieva il prossimo ingrediente con cui farcire il suo enorme e gustoso sandwich. "Tranquillo, malaikatku [ndr. angelo mio]! Sai che ho sempre tempo per te." rispose l'uomo, allegro, posizionando con cura delle fette di pomodoro sulla pila davanti a lui. "Hai del tacchino?"
"No." rispose Magnus, sbrigativo. "Senti, papà, dobbiamo parlare." iniziò, con un cipiglio serio e determinato.
"Bacon?" chiese Asmodeus, aprendo l'enorme frigorifero in acciaio per analizzarlo minuziosamente.
Magnus alzò gli occhi al cielo. "Pa', devo parlarti di una cosa davvero importante! Anzi, in realtà la situazione é ai limiti dell'emergenza!" borbottò, continuando ad adocchiare, di tanto in tanto, la porta della sua camera da letto.
"Addirittura?" esclamò distrattamente Asmodeus, guarnendo ulteriormente il suo panino con del prosciutto e altra maionese. "Hai del formaggio cheddar?"
Magnus alzò nuovamente gli occhi al cielo e sospirò rumorosamente, posando poi una mano su quella del padre per guadagnarsi la sua attenzione. Asmodeus tendeva a distrarsi esageratamente quando c'era del cibo in giro.
"Ayah, devi fare qualcosa per la mamma!"
"Perché? Che cosa ha fatto questa volta?" chiese Asmodeus, annusando con aria deliziata il suo panino.
Magnus incrociò le braccia al petto, sulla difensiva. "Oltre a irrompere come una pazza nella mia camera da letto nel momento meno opportuno della storia, intendi?"
Asmodeus per poco non si strozzò con il boccone che aveva addentato, pur di trattenere la risata che gli era salita in gola.
Magnus gonfiò le guance, indispettito. "Ayah, non c'è niente da ridere! E' un miracolo che Alec non sia morto per l'imbarazzo o non sia scappato a gambe levate!" esclamò, accalorato.
"Andiamo, Mags! Non può essere stato così tremendo." minimizzò Asmodeus, in tono bonario, con un sorrisetto canzonatorio.
"Papà, ero nudo." sibilò Magnus, avvicinandosi al genitore e assottigliando lo sguardo.
Asmodeus gli scoppiò a ridere in faccia, sputacchiando pezzi di cibo un po' ovunque. Poi iniziò a tossire convulsamente, mentre qualche lacrima divertita scappava dalle sue ciglia.
"Non. C'è. Niente. Da. Ridere." ringhiò Magnus, imbronciandosi ancora di più, mentre si toglieva dalla guancia un pezzettino di pomodoro. "Non è affatto piacevole che tua madre veda il tuo sedere nudo, sebbene sia la fine del mondo."
Asmodeus si piegò in due, tenendosi la pancia e continuando a ridere a crepapelle.
"Papà!" lo richiamò all'ordine Magnus, pestando un piede a terra. "Sono serio! La mamma, questa volta, ha davvero passato il segno!" si lamentò con veemenza. "Oltretutto so per certo che sta organizzando un piano che prevede Alec e il sottoscritto percorrere una navata gremita di tulle e addobbi floreali!" continuò, abbassando il tono di voce e lanciando un'altra occhiata di fuoco verso la porta della sua stanza.
Asmodeus si asciugò le lacrime e sorrise. "Ne sei sicuro?"
"Certo che ne sono sicuro! Ha piazzato riviste di abiti da sposo per tutto l'appartamento e mezz'ora fa l'ho beccata che confabulava al telefono con un'agenzia di catering perché le invii un preventivo!" continuò Magnus, indignato. "Ayah, devi assolutamente ordinarle di smetterla subito!"
Asmodeus posò una mano sulla guancia del figlio e gliela accarezzò dolcemente con il pollice, guardandolo con tenerezza, quasi con compassione. "Sai che non posso farlo, malaikatku."
Magnus trattenne bruscamente il fiato, fissandolo con uno sguardo tradito. "Ma papà!"
Asmodeus gli picchiettò la mano sana con uno sospiro sconsolato che non prometteva nulla di buono. "Mags, sai bene che ho tentato in tutti i modi di farla ragionare. Le ho detto più e più volte di non impicciarsi della tua vita amorosa e l'ultima volta che ho osato farlo mi ha letteralmente mandato al diavolo!" rivelò, in tono esageratamente melodrammatico. "Non posso fare niente per te. Lo sai com'è, quando si mette in testa qualcosa."
"Senti, papà..."
"Mags, tua madre ha un'idea fissa quando si tratta della tua felicità. Lei vuole che tu ti sposi e che abbia tanti bei bambini che lei poi potrà coccolare e viziare." gli ricordò Asmodeus, gesticolando con una mano. "Sai che non sarà contenta finché non raggiungerà il suo obiettivo. E' testarda. La conosci, no?"
"Io. Non. Voglio. Sposarmi." scandì Magnus, determinato, stringendo i pugni.
Asmodeus gli sorrise dolcemente, afferrandogli la punta del naso per scuoterla in modo giocoso. "Neanche con Alec?" bisbigliò, sporgendosi verso di lui con fare cospiratorio.
Magnus sentì le guance arrossarsi. "C-cosa? No! Certo che no!" balbettò, in seria difficoltà.
Asmodeus ridacchiò, intenerito, raddrizzandosi e facendogli l'occhiolino, prima di tornare al suo sandwich e addentarlo con entusiasmo. "Tua madre è convinta che tu e Alec siate perfetti l'uno per l'altro. E la vuoi sapere una cosa, malaikatku? Lo credo anch'io." sussurrò, a bocca piena, con uno sguardo malizioso.
"Papà!" berciò Magnus, facendo un vistoso passo indietro e sentendo il viso farsi ancora più caldo.
Asmodeus rise rumorosamente, pizzicandogli con affetto una guancia.
"Oh mio Dio!" esclamò Magnus, gesticolando in modo teatrale. "Io ti chiedo di dissuadere mamma dal suo ennesimo, folle, piano matrimoniale e tu ti allei con la nemica!" affermò, in tono scioccato, allargando le braccia e lasciandole poi penzolare lungo i fianchi.
"Non mi sto alleando con la nemica." precisò Asmodeus, con un sorriso ironico. "Sto solo dicendo che tu e Alec formate una bella coppia."
"Sì, lo so." concordò Magnus, gonfiando il petto e pavoneggiandosi giusto un po'. "Ma questo non significa che dobbiamo sposarci!" affermò subito dopo, piantandosi la mano sana sul fianco. "Abbiamo appena iniziato a fare sesso, demi surga [ndr. per l'amor del cielo]!"
Asmodeus rise, allegro, alzando gli occhi al cielo e scuotendo piano la testa, prima di posare il suo panino e farsi serio. "Sai, Mags, mi sento in parte responsabile di questa sua ossessione." sospirò, pulendosi le mani su un canovaccio. "Quando io e tua madre ci siamo sposati non abbiamo potuto permetterci un matrimonio in grande stile, ma solo una cerimonia semplice e spartana. All'epoca non avevo soldi e non potevo regalarle il matrimonio che desiderava e credo che adesso voglia sperimentare quelle cose che le sono mancate e organizzare un matrimonio da sogno. E' come se avesse l'occasione di rifarsi, grazie a te." spiegò, tornando ad accarezzare la guancia del figlio.
Magnus incrociò le braccia al petto e mise il broncio. "Mi dispiace, papà, ma non è affatto giusto che io assecondi questa sua pazzia. Voglio un bene sconfinato a mamma, lo sai, e, negli anni, ho sempre cercato di minimizzare e ignorare le sue idee folli di "rendermi felice". Tuttavia non ho alcuna intenzione di farlo ancora. Non posso. Basta. La deve smettere."
"Tua madre ti ama troppo, malaikatku. Tutto qui." sorrise Asmodeus, continuando ad accarezzargli dolcemente la guancia.
"Sì, beh, dille che riversi tutto questo amore su di te!" sbuffò Magnus, imbronciato. "Ehi! Perché non le tagli i fondi e non le sequestri le carte di credito? Eh? In questo modo avrebbe meno spazio di manovra e forse la smetterebbe di organizzare qualsiasi cosa le frulli in testa!" si illuminò improvvisamente, battendo la mano sana sul piano cucina.
"Oh, malaikatku, ho già minacciato di farlo, in passato." rispose tranquillamente Asmodeus, scrollando le spalle e riprendendo in mano il suo sandwich.
"Davvero? E lei che cosa ha detto?"
Asmodeus posò nuovamente il suo panino con calma serafica. "Che se mi azzardo a fare una cosa del genere, chiede immediatamente il divorzio." rivelò, alzando gli occhi al cielo con un sospiro drammaticamente esasperato. "Mi ha addirittura incolpato di non essere un buon marito e un buon padre, visto che non mi interesso della felicità di mio figlio. Senza contare che mi ha anche accusato di essere tirchio!"
Magnus chiuse gli occhi, stringendosi forte il setto nasale e respirando profondamente, prima di raddrizzarsi, colto da una nuova, improvvisa, folgorazione. "E se le dicessi che sto frequentando di nuovo Camille? A mamma non è mai piaciuta e forse si arrabbierebbe a tal punto da smettere di parlarmi... almeno per un po'!"
Asmodeus scosse la testa, sventolando con disapprovazione l'indice sotto al naso del figlio. "No, Mags. Le spezzeresti il cuore. Per lei sarebbe peggio che vederti scapolo a vita e io non potrei mai stare dalla tua parte. Verrei immediatamente bandito dal mio letto o, peggio ancora, dalla mia casa!" sospirò, stringendogli la mano. "Malaikatku, le bugie non portano mai a nulla di buono."
"Ma la mamma non vuole ascoltare la mia verità!" borbottò Magnus, mettendo nuovamente il broncio. "Io continuo a dirle che non voglio sposarmi e lei non mi ascolta! Non posso più andare avanti così, ayah! Quella donna mi farà impazzire, prima o poi!"
Asmodeus sorrise dolcemente e abbracciò di slancio suo figlio, stringendolo forte a sé e baciandogli una tempia. "Sono certo che troverai un modo per tenerla a bada. Sei mio figlio, dopotutto. E suo." ridacchiò, divertito.
Magnus ricambiò l'abbraccio con un sospiro sconfitto e chiuse gli occhi, inalando il profumo familiare e rassicurante della colonia di suo padre. "Forse dovrei farmi prete." mormorò, dopo un lungo momento, tetro.
Asmodeus scoppiò in una risata fragorosa, prima di scostare suo figlio da sé per guardarlo in volto. "Davvero? Saresti disposto a tanto?" chiese, divertito, inarcando un sopracciglio.
Magnus annuì, imbronciato, facendo spallucce. "Sì, ma non un prete protestante, eh!" affermò subito dopo, alzando l'indice. "Un prete cristiano a cui è proibito sposarsi!"
Asmodeus gettò la testa all'indietro e rise di gusto, arruffando poi i capelli del figlio. "Ma poi ti sarebbe proibito anche fare sesso." sussurrò giocosamente al suo orecchio, tornando poi al suo panino.
Magnus spalancò gli occhi e trattenne bruscamente il respiro. "Oddio! E' una prospettiva orribile!" esalò, portandosi una mano al petto e facendo nuovamente ridere suo padre.
"Concordo." annuì Asmodeus, facendogli l'occhiolino e addentando con entusiasmo il suo prelibato sandwich.
"Alec, no! Non è saggio sistemarti nella stanza degli ospiti." berciò Dewi, in un tono che non ammetteva repliche, uscendo dalla camera da letto del figlio, mentre stringeva possessivamente il moro per un braccio. "Non è sicuro. Capisci, caro?"
Entrambi gli uomini Bane si voltarono verso le due figure che li stavano raggiungendo.
"Ma..." protestò debolmente Alec, con un filo di voce, mentre veniva letteralmente trascinato da quella piccola donna asiatica con un'insospettabile forza fisica.
Magnus provò una fitta al cuore quando vide in che condizioni versava il ragazzo: era pallido come un fantasma e sembrava un condannato a morte pronto al patibolo. Effettivamente, passare anche solo dieci minuti in compagnia di Dewi, per chi non era abituato alla sua "prorompente vitalità" (se così la si voleva gentilmente chiamare), poteva portare a un esaurimento nervoso.
"Ibu [ndr. mamma]! Lascia stare Alec!" la rimproverò Magnus, andando in soccorso del ragazzo per strapparlo alle grinfie materne.
"Gli sto solo spiegando che non è saggio che dorma nella stanza degli ospiti!" replicò Dewi, alzando gli occhi al cielo con uno sbuffo.
"Ciao, Alec. Come stai?" chiese Asmodeus, con un caldo sorriso, sventolando il suo sandwich a mo' di saluto.
Alec stiracchiò le labbra in quello che, con una buona dose di fantasia, poteva considerarsi un fantasma di sorriso. Magnus lo sentì irrigidirsi non appena gli posò una mano sulla schiena per condurlo al sicuro, lontano da sua madre, e, quando i loro sguardi si incrociarono, il moro lo fissò con uno sguardo vacuo e vuoto. Magnus, però, non si fece ingannare neanche per un secondo. Oh sì, bisognava ammettere che la stava mimetizzando davvero bene, ma l'ex Marine l'aveva scorta chiaramente la scintilla di puro e autentico odio che brillava negli occhi del moro. Sapeva che era rivolta a lui e che stava solo aspettando il momento opportuno per scatenarsi in tutta la sua potenza (con tutta probabilità, non appena Dewi, e ora anche il padre di Magnus, avessero avuto la grazia di togliersi dalle scatole).
Effettivamente, guardandolo dal punto di vista del moro, quello che Magnus aveva fatto, neanche venti minuti prima, poteva considerarsi alto tradimento o forse addirittura la peggior pugnalata alle spalle della storia. Ma Magnus l'aveva fatto per loro! Solo per loro! O, almeno, quella era l'intenzione. Che poi suo padre, in realtà, non fosse stato di nessun aiuto... beh, quello era un altro discorso!
Dopo che sua madre li aveva interrotti sul più bello, infatti, entrambi avevano fatto colazione in un clima di mastodontico imbarazzo, con il moro che aveva fissato, per tutto il tempo, la sua tazza di cereali, forse sperando di potercisi annegare dentro, mentre Dewi aveva tenuto banco, blaterando del più e del meno e facendo, di tanto in tanto, battutine maliziose, e del tutto inopportune, su ciò che aveva visto quella mattina.
Era stato in quel momento che l'ex Marine aveva deciso di chiedere l'aiuto di suo padre. Per questo, solo per questo, quando Dewi aveva costretto Alec a seguirla per fargli disfare le valigie, visto che non l'aveva ancora fatto, lui non si era opposto, ma, anzi, aveva incoraggiato la cosa. Non avrebbe mai dimenticato gli occhi smarriti, traditi e completamente terrorizzati di Alec.
Magnus sospirò. Quella giornata era iniziata così bene, prima che Dewi la mandasse completamente in malora! Invece, era passato dalla prospettiva di fare del sano e appagante sesso, con l'agente di viaggi più sexy che avesse mai incontrato in vita sua, a quella che, con tutta probabilità, sarebbe stata la peggior sfuriata della sua intera esistenza.
Alzò gli occhi al cielo e mentalmente maledisse, per l'ennesima volta, il momento in cui aveva consegnato una copia delle chiavi del loft ai suoi genitori, prima di sentire un inquietante gemito strozzato vicino a lui e tornare quindi a prestare attenzione a ciò che stava succedendo nella sua cucina.
"Che? Cosa?" chiese Magnus, guardandosi attorno, confuso.
Alec si stava fissando i piedi e il suo viso era talmente rosso che l'ex Marine iniziò seriamente a preoccuparsi. Che stesse per avere un infarto? In fondo, Dewi era capacissima di procurarne uno con la sua sola presenza.
"Cosa..." iniziò Magnus, sempre più stranito, guardando subito i suoi genitori.
Suo padre stava sghignazzando alla grande, rischiando addirittura di strozzarsi con il suo panino, mentre sua madre gli sorrise amorevolmente, dandogli un buffetto sulla guancia.
"Che c'è?" chiese Magnus, in allerta.
"Ho detto che è un bene che tu abbia finalmente deciso di indossare i boxer anziché quegli obbrobri improponibili che ti ostini a spacciare per mutande." disse Dewi, in tono compiaciuto.
"B-boxer?"
Dewi annuì, tutta contenta. "Sai, stamattina, quando... beh... sai, no?" iniziò, abbassando il tono di voce e accostandosi a lui con fare cospiratorio. "Ho notato per terra dei boxer e visto che Alec i suoi ce li aveva di sicuro addosso..."
Magnus sentì accanto a lui un altro gemito preoccupante. Era Alec. L'uomo ipotizzò che il ragazzo stesse tentando di suicidarsi con la sua stessa saliva, in modo da poter finalmente porre fine a quella tortura.
"Malaikatku, indossare un intimo comodo va tutto a tuo vantaggio! Te l'ho sempre detto!" affermò Dewi, sventolandogli l'indice sotto al naso, con l'aria di una che la sapeva lunga.
"Eh?" esalò Magnus, ancora più confuso.
"Sono davvero contenta che finalmente mi hai dato retta!" si complimentò Dewi, felice, picchiettandogli la spalla sana.
Magnus corrugò la fronte e guardò prima Alec, che fissava il pavimento con una tale intensità che sembrava quasi che sperasse ardentemente che si aprisse una voragine per inghiottirlo in un sol boccone, e poi suo padre, che oramai era piegato in due e aveva le lacrime agli occhi da quanto stava ridendo.
"Io... io non..." balbettò Magnus.
Dewi gli accarezzò entrambe le guance e gli sorrise con amore. "Tesoro, sono solo contenta che tu tenga così tanto ad Alec da aver finalmente abbandonato quelle orribili mutande attillate che danneggiano la tua resa sessuale e basta! Te l'ho sempre detto che lui deve stare comodo, se vuoi che faccia il suo dovere! Deve poter respirare! Non essere costretto in mutande strette che lo schiacciano e minano la sua funzionalità!" berciò, annuendo con convinzione, guardandogli l'inguine.
Magnus spalancò gli occhi, guardò brevemente Alec, che stava chiaramente tentando il suicidio per autocombustione, e tornò a fissare a bocca aperta Dewi, prima di sentire le sue guance farsi di brace. Dio santo, sua madre era l'unica persona al mondo che se ne poteva uscire tranquillamente con un argomento del genere, neanche stesse parlando del meteo, e, allo stesso tempo, farlo vergognare come un bambino. Mai, mai come in quel momento, avrebbe tanto voluto che davvero una voragine si aprisse sotto i loro piedi per inghiottirli tutti.
"F-fuori!" balbettò Magnus, a corto di parole, indicando la porta con un gesto secco del braccio.
Asmodeus si asciugò le lacrime, mentre rideva come un ossesso, e cinse il corpo minuto della moglie con un braccio e un sorriso enorme stampato sul volto. "Credo sia ora di andare, sayang!" sussurrò, baciandole una guancia e indirizzando saggiamente la donna verso la porta d'ingresso del loft.
Dewi alzò gli occhi al cielo e scosse piano la testa, prima di sorridere maliziosamente. "Hai ragione, sayang. E' meglio lasciare soli i due piccioncini. Così potranno concludere quello che ho interrotto questa mattina." ridacchiò, giuliva.
"FUORI!" urlò nuovamente Magnus, con voce stridula, mentre i due genitori sgattaiolavano via, ridacchiando tra di loro come due bambini dopo una marachella.
"Ah! Vi ho ordinato la pizza per pranzo!" comunicò Dewi, prima di chiudere del tutto la porta del loft.
Magnus fissò la porta chiusa con il respiro affannoso, neanche avesse appena finito di correre la maratona di New York. Poi si voltò verso Alec, con sguardo preoccupato.
"Mi disp..." iniziò, prima di venire interrotto da una tremenda cuscinata sul viso che per poco non gli ruppe il naso. "SIAL [ndr. cazzo]!" gridò a pieni polmoni.
"Come. Hai. Potuto. Lasciarmi. Da. Solo. Con. Tua. Madre!" scandì Alec, furioso, colpendolo con un cuscino del divano ogni volta che gridava una parola.
Magnus si accasciò sulla poltrona, travolto dalla forza bruta del moro e tentò di parare i colpi con il braccio sano, ma invano. "Alec! Mi stai facendo male al braccio..." gemette poi, sperando di impietosire il ragazzo.
"Ti. Odio!" gridò Alec, colpendolo ancora una volta sulla testa, prima di fermarsi con il fiatone.
"Mi dispiace, ok?" si scusò Magnus, rimettendosi faticosamente in piedi, sapendo benissimo a quale agonia aveva costretto il moro.
"Vai a farti fottere!" urlò Alec, lanciandogli addosso il cuscino. "Hai idea di quello che ho passato?"
"Oh, andiamo, non può essere stato così male, no?" tentò di rabbonirlo Magnus, mentendo spudoratamente e schivando il cuscino.
"Non può essere stato così male?" sibilò Alec, prendendo un altro cuscino dal divano con uno sguardo omicida.
Magnus alzò le mani in segno di resa. "Ok, hai passato l'inferno. Mi dispiace. Mi dispiace. Mi dispiace." si scusò, sbattendo le ciglia dei suoi occhioni verdi-dorati e sporgendo il labbro in un broncio infantile, nella speranza di far passare l'arrabbiatura al moro. "Vedila così: hai passato un po' di tempo con la "suocera"!" scherzò, sorridendo.
Alec sbarrò gli occhi. "Cosa?"
"Beh, ora che stiamo insieme..."
"Ma noi non stiamo insieme!" replicò Alec, indignato.
"No?" chiese Magnus, inarcando un sopracciglio.
"No!"
"Ah! Quindi mi hai usato solo per il sesso." constatò Magnus, piazzandosi una mano sul fianco e scuotendo la testa con finta disapprovazione. "Come se fossi una prostituta."
Alec boccheggiò, preso completamente in contropiede. "C-cosa? No! Io... no!" balbettò, rosso in viso, stringendosi al petto il cuscino.
Per l'angelo, come era finiti a parlare di quello? Fino a un minuto prima era così furioso con Magnus da volerlo uccidere e ora quell'infame era stato capace di ribaltare la frittata e metterlo talmente in difficoltà da non riuscire neanche a pronunciare una frase di senso compiuto.
Guardò Magnus a corto di parole. Aveva una tale confusione nella sua mente.
Ok, avevano fatto sesso ed era stato fantastico, assolutamente e incredibilmente fantastico, a tal punto che i brancicamenti rapidi e furtivi che aveva avuto con Andrew erano qualcosa di imbarazzante e assolutamente da dimenticare, se messi a confronto. Magnus gli aveva acceso un fuoco nelle vene che gli mandava in ebollizione l'intero corpo, la chimica tra loro due era innegabile e, ora che aveva trovato quella magia con lui, non aveva la più pallida idea se avrebbe più potuto farne a meno, perché quell'idiota era riuscito a portarlo a tali picchi di piacere da fargli toccare il cielo con le dita. Tuttavia, non poteva e non doveva lasciarsi governare dal testosterone. Doveva essere razionale.
Per l'angelo, cosa mai poteva avere in serbo, per loro, il futuro? Erano così diversi... Magnus aveva un carattere forte e aveva la tendenza a prevaricare, mentre per Alec era importantissimo mantenere la propria indipendenza e non farsi comandare a bacchetta da nessuno, men che meno da quell'idiota. Lo spaventava a morte l'idea che la loro vita insieme avrebbe potuto trasformarsi in una continua battaglia, tra Magnus che spingeva e lui che si ritirava.
"Senti, Magnus..." iniziò il moro, in seria difficoltà, prendendo un respiro profondo. "Non... sì, insomma, non ti pare di correre un po' troppo?"
"No." affermò Magnus, in tono sicuro.
"Beh, ma... non credi che ti stai lasciando dominare dall'ormone e dall'eccitazione del momento? Dal fatto che siamo in pericolo? Cioè... che cosa succederà quando le nostre vite non saranno più minacciate e dovremo occuparci della quotidianità di tutti i giorni?"
Magnus piegò la testa e lo fissò con un sorriso enorme. "Vivremo felici e contenti. Ovvio, no?"
Alec inarcò un sopracciglio, scettico. "Davvero? Hai la sfera di cristallo, per caso?" chiese, esasperato.
Magnus scrollò le spalle. "Non ho bisogno di avere la sfera di cristallo per sapere che ti amo e che, se me lo permetterai, passerò il resto della mia vita a renderti felice." dichiarò, alzando il mento in segno di sfida.
Alec spalancò gli occhi e boccheggiò, totalmente spiazzato, mentre le sue guance assumevano un'accentuata tonalità di rosso.
Per l'angelo, era la prima volta che qualcuno gli diceva che lo amava (nel senso romantico del termine, almeno). Andrew, ad esempio, non gliel'aveva mai detto. Mai, neanche una volta, nonostante Alec ci avesse sperato fino all'ultimo. E ora, così, all'improvviso, come un fulmine a ciel sereno, Magnus Bane glielo dichiarava con una naturalezza e una semplicità tali da sconvolgerlo da capo a piedi.
"Io... tu..." balbettò, totalmente nel pallone.
Magnus sorrise ancora di più, posandogli dolcemente l'indice sulle labbra per zittirlo. "Vado a vedere cosa ha combinato mia madre in camera nostra." lo informò, baciandogli dolcemente una guancia. "Tu, intanto, pensa a quello che ti ho detto." concluse, facendogli l'occhiolino, prima di dirigersi verso la sua stanza.
Alec lo fissò allontanarsi, inebetito, e si sedette di peso sul divano, con il cuore che gli batteva all'impazzata e il viso completamente in fiamme. Per l'angelo, Magnus lo amava! Magnus! L'uomo più irritante e dispotico dell'intero universo amava lui! Alec Lightwood! La persona più anonima e scialba del mondo!
Sentì la pelle del viso tirare e, confuso, si toccò le guance. Stava sorridendo! Per l'angelo, stava sorridendo come un idiota! Era fottuto.
In quel momento suonarono alla porta.
Come un automa, Alec afferrò il portafoglio e attraversò il soggiorno per andare ad aprire. Doveva essere sicuramente il fattorino della pizza che aveva ordinato la mamma di Magnus.
Attraverso lo spioncino, vide un uomo con una maglietta di cotone grigia e con il logo della pizzeria stampato sul taschino. Aveva un berretto da baseball abbassato sulla fronte e la testa chinata a studiare il biglietto con l'ordinazione.
Alec estrasse un biglietto da venti dollari e spalancò la porta, prima di gelarsi sul posto: Raj lo stava fissando con gli occhi iniettati di sangue, un coltello in mano e un sorriso inquietante sul volto.

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Alec rimase a bocca aperta per lo stupore. Fece un passo indietro, pronto a correre via, ma Raj lo afferrò con una morsa d'acciaio per il polso e l'attirò contro il suo torace, puntandogli il coltello alla gola.
Un dolore acuto saettò lungo il braccio del moro, che tentò di liberarsi, invano. Si bloccò solo quando sentì la lama fredda del coltello sfiorargli la pelle nivea e delicata del collo e un brivido gelido gli corse su per le vene non appena si rese conto del pasticcio in cui si trovava.
"Dov'è?" sussurrò Raj, contro il suo orecchio.
Alec boccheggiò, incapace di parlare e di pensare razionalmente.
"Lui. Dov'è, lui?" sibilò Raj, in un bisbiglio rabbioso.
Alec spalancò gli occhi, quando finalmente recepì le parole dell'aggressore. Magnus. Raj voleva uccidere Magnus. Anzi, con tutta probabilità voleva uccidere entrambi. Doveva assolutamente fare qualcosa per evitare che questo accadesse.
"N-non è qui." balbettò Alec, con un filo di voce. "E'... é andato a fare la spesa."
Raj gli contorse il polso, strappandogli un gemito di dolore.
"Stai mentendo." ringhiò l'uomo. "So benissimo che non ti toglie gli occhi di dosso! Chiamalo!" ordinò, stringendo ancora di più la presa sul suo polso.
Quando Alec non ubbidì, Raj premette la lama del coltello più vicino al suo collo. Il moro inspirò a fatica, mentre la sua mente era alla ricerca spasmodica di un modo per avvertire Magnus. Aveva sentito i rumori dalla camera da letto? Si era accorto che Raj era lì?
"Chiamalo!" intimò di nuovo Raj.
"M-Magnus..." mormorò Alec, con la voce arrochita. Si schiarì la gola e riprovò. "Magnus? Amore..."
Alec sperò che quel vezzeggiativo, che non aveva ancora avuto modo di provare ad assaporare sulle sue labbra, potesse far capire a Magnus che qualcosa non andava.
Raj lo strinse a sé con più violenza. "Digli di venire qui."
Alec deglutì a fatica. Per l'angelo, cosa stava facendo Magnus? A quel punto, doveva di certo averli sentiti! Che stesse escogitando qualcosa? Forse una trappola? Doveva essere così. Sperava fosse così.
E lui? Cosa avrebbe potuto fare, lui, per essere d'aiuto? Se avesse agito in modo sbagliato, avrebbe potuto mettere in pericolo entrambi!
"Chiamalo!" abbaiò Raj, a denti stretti.
"Magnus? Amore, puoi venire qui un momento?" berciò Alec, con voce stridula, mordendosi poi il labbro inferiore per la tensione. "Visto? Te l'avevo detto che non era qui!" esclamò, subito dopo, ad alta voce, deciso a convincere l'aggressore che erano solo loro due in casa e far guadagnare così tempo a Magnus. Era certo, infatti, che a quel punto l'ex Marine l'avesse sentito e che avesse intuito cosa stesse cercando di fare.
Raj diede un calcio al contenitore della pizza sul pavimento. "E' qui, invece. Questa è una extra-large. Non avresti mai ordinato una pizza così grande solo per te."
"Che ne sai, tu, di quanto mangio?" rispose Alec, stizzito.
Raj rise sguaiatamente. "Ne so molto più di quanto immagini, amore." lo derise, spingendolo con forza dentro l'appartamento e girandosi brevemente per richiudere la porta con un calcio.
Alec pensò che fosse la sua occasione: approfittò della momentanea distrazione dell'altro per spostare tutto il suo peso contro l'aggressore, in modo da fargli perdere l'equilibrio. Funzionò e, insieme, caddero a terra, uno sopra l'altro.
Lottarono brevemente, con Alec che tentò in tutti i modi di liberarsi dalle grinfie dell'aggressore. Ci riuscì piazzandogli una gomitata sul costato. Il moro non perse tempo a crogiolarsi e, con uno scatto repentino, rotolò di lato e si alzò sulle ginocchia. Raj lo acciuffò nuovamente per il polso, nel tentativo di impedirgli di alzarsi e scappare, ma Alec gli sferrò un rabbioso pugno allo stomaco che fece mollare la presa all'aggressore e lo fece imprecare sonoramente.
Il moro si alzò in piedi e, ansando come uno stantuffo, fronteggiò Raj, che l'aveva seguito a ruota.
"Dannazione! Tu sei mio!" ringhiò Raj, alzando minacciosamente il coltello. "Non ti lascerò andare! Specialmente con lui!"
La sua voce trasudava odio e il moro lo vide tremare dalla rabbia.
Da dietro la porta della sua camera, Magnus stava assistendo allo scontro tra Alec e il suo stalker. Strinse nella mano sana la sua fedele pistola, trattenendosi dal sparare perché Alec era proprio davanti a Raj, oscurandone la vista. Normalmente non sarebbe stato un problema, avrebbe preso la mira e avrebbe sparato anche in quelle condizioni, ma con una spalla fuori non voleva assolutamente rischiare di colpire il moro, neanche di striscio.
C'era un rivoletto di sangue sul collo candido di Alec e Magnus giurò a se stesso che quel vigliacco di Raj l'avrebbe pagata cara per questo.
Chiuse gli occhi per una frazione di secondo e si impose di calmarsi, anche se tutto quello che voleva fare, invece, era uccidere Raj, strappandogli il cuore dal petto con le proprie mani. Razionalmente, però, sapeva che doveva mantenersi freddo e lucido, se voleva salvare Alec ed evitare che venisse ferito.
Accanto a lui, anche Presidente Miao osservava la scena con le orecchie dritte e gli occhi puntati sull'aggressore. La coda sferzava l'aria con violenza e dalla gola gli usciva un borbottio sommesso e decisamente arrabbiato.
"Shhh.." sussurrò Magnus, per calmarlo.
Non poteva permettere che Raj si agitasse ancora di più, facendogli commettere qualche gesto inconsulto, come lanciarsi contro Alec con quel coltellaccio che teneva tra le mani.
Il gatto continuò a ringhiare, appiattì le orecchie e iniziò ad avanzare verso il soggiorno, con passo felpato.
"Presidente! No!" bisbigliò Magnus, nascondendosi subito dopo dietro la porta, quando Raj voltò brevemente la testa in direzione del rumore. L'aveva visto? Aveva intuito che lui era lì, in attesa del momento giusto per attaccarlo?
Raj rise, sprezzante, quando si accorse del felino. "E questa pulce da dove arriva?" domandò, tirando un calcio al gatto, nel tentativo di colpirlo e allontanarlo.
"Non toccarlo!" gridò Alec, avventandosi contro l'aggressore.
Raj rise di nuovo e puntò velocemente il coltello contro il petto di Alec. "Non un altro passo." sibilò, con sguardo cattivo, prima di acchiapparlo di nuovo per il polso e stringerlo di nuovo a sé. "In camera da letto. Ora." ordinò, con un imperioso cenno del capo.
"Perché?" chiese Alec, allarmato.
Magnus era lì dentro e il moro non voleva che gli accadesse nulla di male. Avrebbe tanto voluto che gli desse un segnale, che gli facesse intuire cosa aveva in mente di fare, ma sapeva che non era possibile.
Raj condusse Alec verso la porta della camera e si fermò per un lungo momento, prima di spalancare l'uscio con un calcio violento, mandando a sbattere con forza la porta contro la parete. Quando fu certo che nessuno si nascondesse lì dietro, spinse Alec all'interno della stanza, verso il letto ancora sfatto.
"Avete dormito insieme!" gridò Raj, notando le lenzuola sgualcite. "Sei un fottuto traditore! Ti avevo detto che tu sei mio!" urlò, facendo cadere Alec sul letto, con uno spintone violento, e avventandosi sopra di lui.
Il moro scalciò e si dimenò, prima che, con la coda dell'occhio, vedesse un lieve movimento alla sua sinistra: era Magnus, dietro la porta del bagno, con il braccio alzato e la pistola puntata contro Raj.
L'aggressore seguì la direzione dello sguardo di Alec, poi, girando su se stesso, lo usò come scudo.
"Metti giù la pistola." intimò a Magnus, con voce carica di rabbia e disprezzo, puntando nuovamente il coltello contro il collo del moro. "Mettila giù o giuro su Dio che gli taglio la gola!"
Magnus obbedì con riluttanza e posò l'arma sulla cassettiera al suo fianco, alzando la mano sana in segno di resa. "Per favore, lascialo andare." mormorò, con voce pacata, nella speranza di calmare l'aggressore. "Tu lo ami, no? So che non vuoi fargli del male."
Raj non rispose, ma strinse maggiormente a sé Alec e premette, con ancora più decisione, la lama del coltello alla gola del moro quando Magnus iniziò ad avvicinarsi.
"Sono io quello che vuoi. Sono io quello a cui vuoi fare del male." continuò Magnus, avanzando in modo infinitamente lento.
Alec spalancò gli occhi. "No!" sussurrò, scuotendo la testa, comprendendo che la sua guardia del corpo era fermamente decisa a prendere il suo posto. All'improvviso, gli tornò in mente il terribile incubo della notte precedente e si sentì morire al pensiero di poter perdere Magnus.
Sentì Raj irrigidirsi dietro di lui, tuttavia la stretta attorno al suo torace si allentò, anche se di poco. Intuì che stava per attaccare Magnus e immaginò quest'ultimo ferito a morte, nel tentativo di salvarlo. Non poteva assolutamente permettere un'atrocità del genere.
Gettò la testa all'indietro e sferrò una feroce testata sul naso del suo aggressore, che gridò per il dolore e cadde all'indietro, liberando Alec dalla sua morsa.
Un sorriso orgoglioso spuntò sul viso di Magnus, che si avventò sulla pistola che aveva lasciato sulla cassettiera. Prima di riuscire a prendere la mira, però, Raj spostò con una spinta rabbiosa il moro davanti a lui e saltò addosso all'ex Marine, facendo ruzzolare entrambi a terra.
Il coltello che l'aggressore aveva in mano riuscì a colpire il polso di Magnus, che per l'impatto e la sorpresa lasciò andare la pistola.
Iniziò una lotta concitata, in cui Raj riuscì a infliggere diverse ferite al suo nemico, prima che Presidente Miao si avventasse improvvisamente sul viso dell'aggressore, artigliandogli la pelle e graffiandogli rabbiosamente gli occhi.
Raj ruggì per il dolore. Imprecò veemente e si staccò con forza il gatto dalla faccia, lanciandolo nel vuoto. Presidente Miao atterrò sulle zampe e soffiò forte, rizzando il pelo e gonfiando la coda.
Magnus approfittò di quel piccolo tafferuglio per mettere a segno un paio di pugni duri e potenti con la mano sana, che stesero l'avversario.
Il coltello cadde dalla mano di Raj, che piombò a terra, privo di sensi.
Respirando a fatica, Magnus alzò la testa e cercò Alec con lo sguardo, trovandolo davanti a lui con le braccia alzate e la pistola puntata verso i due lottatori: gli occhi blu erano colmi di panico e tremava visibilmente, ma l'uomo era dannatamente certo che non avrebbe esitato a sparare, se solo non avesse avuto paura di colpire la persona sbagliata.
Presidente Miao era ai piedi del moro, con la coda che si muoveva concitata avanti e indietro. Gli occhi giallo-verdi erano puntati fissamente su Raj, astiosi, quasi lo stesse sfidando a osare rinsavire. Magnus era sicuro che non avrebbe avuto alcun timore a partire nuovamente all'attacco e, questa volta, a cavargli davvero gli occhi, senza alcuna pietà.
"E' finita." sussurrò Magnus, con un sorriso, strisciando verso il ragazzo che si era accasciato a terra. Si sedette accanto a lui e gli tolse l'arma dalle mani, posandola sul pavimento.
"S-sei ferito." balbettò Alec, inebetito, allungandosi per prendere il primo pezzo di stoffa disponibile, la maglietta che Magnus gli aveva sfilato quella mattina, e che utilizzò per fermare il sangue che scorreva copioso sul braccio e sul petto della sua guardia del corpo.
Tirò su con il naso, mentre tamponava le varie ferite che Raj aveva inferto all'ex Marine. Quel maledetto aveva tentato di portargli via Magnus, prima che lui potesse dirgli quello che provava!
Magnus sorrise, vedendo la delicatezza e la dolcezza con cui l'altro lo stava medicando. "E' solo un graffio, tesoro." mormorò in tono rassicurante, picchiettandogli una mano.
"Sì, certo. Lo dici ogni volta." brontolò Alec, concentrato ad avvolgere delicatamente il polso sanguinante con la maglietta, nel tentativo di fermare il sangue.
Magnus ridacchiò piano, stringendo i denti per il dolore e fingendo indifferenza, mentre Presidente Miao gli si acciambellava in grembo e lo guardava preoccupato. "Tranquillo, amore di papà. Sto bene. Davvero." sorrise, premendogli, in modo scherzoso, il naso umido.
Con la coda dell'occhio percepì un movimento: Raj stava tentando di rialzarsi. Magnus si chinò rapidamente e afferrò la pistola al suo fianco, sparando un singolo colpo e colpendo l'aggressore alla spalla, che ricadde sul pavimento, con un tonfo, gemendo per il dolore.
Un attimo dopo, come un segnale convenuto, Jace fece irruzione nella camera da letto, con la pistola spianata, berciando a pieni polmoni "Mani in alto! Che nessuno si muova!".

Era un bel giorno per un matrimonio.
I passeri cinguettavano felici tra i rami degli alberi intorno alla chiesa e il sole del tardo pomeriggio riscaldava l'aria con i suoi raggi. L'aria era calda, ma non afosa. Era una serata perfetta.
La chiesa era piena di invitati e odorava di fiori e candele. Un vivace brusio echeggiava tra le sacre mura, in attesa dell'inizio della cerimonia.
Alec alzò gli occhi al cielo e trattenne a stento un sorriso quando l'affascinante promesso sposo al suo fianco, tutto sorrisi giganteschi e sospiri nervosi nel suo elegante smoking di Armani, spostò il proprio peso da un piede all'altro, aggiustandosi il nodo della cravatta per l'ennesima volta nel giro di pochi minuti. Dopo essere passato a torturare entrambi i gemelli ai polsi, Jace si voltò verso Alec con un sorriso raggiante e lui gli sorrise di riflesso.
Sua madre, seduta sulla panca in prima fila, era già scoppiata a piangere due volte e ora si stava asciugando le lacrime con un fazzolettino di pizzo, ben attenta a non rovinare il trucco impeccabile. Suo padre, invece, camminava avanti e indietro per la chiesa, elargendo enormi sorrisi, pacche decise e strette di mano a destra e a manca, neanche fosse a uno dei suoi tanti comizi politici.
Alec alzò nuovamente gli occhi al cielo, scuotendo affettuosamente la testa con un sospiro rassegnato.
Incrociò gli occhi magnetici di Magnus, seduto in seconda fila accanto ai suoi genitori, e un sorriso storto spuntò sulle sue labbra. Era passato più di un mese dall'aggressione e la sua oramai ex guardia del corpo era guarita del tutto e splendeva nel suo abito da cerimonia di Zegna.
Gli avvenimenti di quel fatidico giorno tornarono ad affollare la testa di Alec, come accadeva sempre quando permetteva alla sua mente di ricordare quanto successo.
Dopo lo sparo, tutto si era fatto concitato e Alec aveva perso la cognizione del tempo. L'appartamento di Magnus era stato invaso da un numero imprecisato di poliziotti, i quali entravano e uscivano dalla camera da letto in un continuo andirivieni, facendo fotografie e parlottando tra loro. Due agenti armati, poi, erano stati piazzati a guardia della porta d'ingresso, per assicurarsi che entrasse solo il personale autorizzato.
Alec aveva osservato il tutto mentre era seduto sul divano di Magnus, come se quella che aveva davanti fosse la scena di un film e non la realtà, prima che Jace gli si inginocchiasse di fronte e gli tamponasse delicatamente la piccola ferita alla gola con un fazzoletto.
"Lui sta bene." aveva mormorato il biondo poliziotto, stringendogli affettuosamente un ginocchio. "Ha solo qualche graffio qua e là. L'hanno già medicato e ricucito." l'aveva rassicurato, con un sorriso. "Ha la pellaccia dura!"
Alec aveva fissato il fratello, annuendo come un automa e rivolgendogli un sorriso forzato. "Raj?" aveva chiesto poi, rabbuiandosi.
"L'ambulanza l'ha portato via un quarto d'ora fa. Ne avrà per un bel po' in ospedale e poi sarà pronto a passare un tempo decisamente più lungo in galera!" aveva affermato Jace, con tono deciso. "E' tutto finito."
Alec aveva scosso la testa. "C'è ancora Lydia..."
Jace gli aveva stretto nuovamente il ginocchio, con fare rassicurante. "Con Raj in custodia, sono certo che troveremo presto anche lei."
Non era stato così. Durante i vari interrogatori, Raj aveva sempre dichiarato di non avere la più pallida idea di chi fosse Lydia e, sebbene fosse stato torchiato a lungo e in modo estenuante dalla polizia, l'uomo non aveva mai cambiato la sua versione. La bionda, quindi, era ancora là fuori, sebbene non si fosse più fatta viva e sembrasse scomparsa nel nulla. Era come se, con l'arresto di Raj, in un certo senso fosse stata messa fuori gioco anche lei.
Alec, tuttavia, non se ne preoccupava. Con Magnus al suo fianco, non aveva più paura di niente e di nessuno.
Il grande organo a canne iniziò a suonare le prima note della marcia nuziale e il moro seguì, con lo sguardo, il tappeto rosso lungo tutta la navata fino al portone d'ingresso, dove sua sorella Isabelle, in veste di damigella d'onore, fece la sua apparizione con un bouquet di rose bianche, seguita dalla sposa al braccio del padre adottivo che calamitò l'attenzione di tutta la chiesa                                                      .
Clary era semplicemente radiosa, mentre si dirigeva verso l'altare, e Alec sorrise, intenerito, quando sentì suo fratello trattenere bruscamente il fiato quando la vide avvicinarsi.
Quando il prete cominciò il rituale, Alec iniziò a pensare che non gli sarebbe affatto dispiaciuto ritrovarsi al posto di suo fratello. Forse un giorno. Chissà.
Come due calamite che lo stavano richiamando a sé, incrociò di nuovo gli splendidi occhi verdi-dorati di Magnus, che lo stavano guardando in un modo che gli tolse il fiato.
Se qualcuno, all'inizio di quella storia, gli avesse detto che il suo cuore avrebbe iniziato a battere all'impazzata per quell'idiota prepotente e con zero senso del pudore, lui gli avrebbe riso in faccia così sguaiatamente da farsi venire di certo un colpo apoplettico.
Una cosa impossibile. Impensabile. Assurda.
Eppure era successo. E, quel che era "peggio", aveva scoperto di essere così stupidamente innamorato di quell'idiota da faticare quasi a riconoscersi. Rideva come uno sciocco alle sue battute (che definire stupide era un eufemismo), arrossiva come un pomodoro a ogni complimento dell'uomo (e la situazione peggiorava quando l'idiota non si faceva alcun problema a elogiarlo pubblicamente, mettendolo in mostruoso imbarazzo) e si ritrovava a sospirare come una scolaretta alla prima cotta ogni qual volta pensava a lui.
Con Magnus aveva iniziato ad assaporare una libertà che non aveva mai sperimentato in vita sua e non si sentiva più il brutto anatroccolo che era sempre stato. Si sentiva bello, brillante, sexy. Bastava che Magnus lo sfiorasse, anche solo casualmente, e lui andava a fuoco. Lo guardava e il sangue gli si incendiava nelle vene. Lo baciava e lui si scioglieva tutto. Non avrebbe scambiato quel sentimento per nulla al mondo. Tanto meno avrebbe barattato il modo in cui lo guardava Magnus ogni volta che i loro sguardi si incontravano. I suoi occhi lo avvolgevano di calore dalla testa ai piedi, lo divoravano, lo facevano sentire bello e desiderato. Lo adoravano. E Alec, per la prima volta in vita sua, si sentiva davvero amato da qualcuno che non fosse la sua famiglia.
Dopo il colpo infertogli da Andrew, e prima di conoscere Magnus, Alec era giunto alla conclusione di non essere il tipo di persona per cui un uomo potesse perdere la testa e si era arreso a passare la sua esistenza da solo. Si era convinto che non avrebbe mai trovato la sua anima gemella e che non avrebbe mai avuto una famiglia sua e dei figli, come invece segretamente sognava da ragazzino. Poi l'ex Marine era piombato nella sua vita tranquilla, solitaria, organizzata e meticolosa e tutto era cambiato. Ora, tutto gli sembrava possibile.
Qualcuno gli toccò un braccio, riportandolo alla realtà. Jace lo stava guardando con un sopracciglio alzato, un sorriso canzonatorio sul volto e con il palmo teso, in attesa. Alec ricambiò lo sguardo con occhi smarriti.
"Quando hai finito di mangiarti Magnus con gli occhi, mi passi gli anelli, per cortesia?" lo canzonò il biondo poliziotto.
Alec sbarrò gli occhi e arrossì furiosamente, prima di mettersi la mano in tasca e passare al fratello le fedi nuziali. Sentì l'intera chiesa ridacchiare sommessamente e fulminò Jace con lo sguardo. Il biondo non si scompose minimamente e gli fece l'occhiolino, prima di tornare a rivolgere la sua attenzione all'adorata sposa.
Alec alzò gli occhi al cielo, chiedendosi, non per la prima volta in vita sua, cosa aveva fatto di male per meritarsi un impiastro simile come fratello.
Qualcuno si schiarì la gola e Alec lo riconobbe all'istante. Riportò gli occhi in quelli di Magnus, che si leccò con sfacciata lentezza le labbra, prima di indirizzargli un bacio volante e rivolgergli un sorriso raggiante.
Alec alzò nuovamente gli occhi al cielo, chiedendosi distrattamente se anche lui aveva lo stesso sorriso idiota sulle labbra. Scoprì che era così.

Dopo la cerimonia, gli invitati raggiunsero il luogo del ricevimento. La sala era inondata di champagne e rose bianche e i camerieri giravano per il salone offrendo calici di vino e stuzzichini vari prima della cena, che si sarebbe tenuta di lì a poco.
Gli ospiti brindarono rumorosamente agli sposi, quando fecero il loro trionfale ingresso in sala, mentre alzavano le braccia ed elargivano sorrisi felici ed euforici a chiunque incrociasse il loro sguardo.
Qualche metro più in là, Robert Lightwood applaudì fragorosamente, prima di tornare a tenere banco con un gruppetto di invitati, a cui stava raccontando, per la milionesima volta in vita sua, la storia della loro antenata, Barbara Pangborn, di cui si credeva fermamente che il fantasma infestasse la grande e sfarzosa villa dei Lightwood. Alec lo vide agitare le braccia e raccontare animatamente la leggenda, in cui si narrava che la donna, prima ancora di arrivare alla porta di ingresso, fosse stata investita sul viale che portava alla villa proprio il giorno in cui avrebbe dovuto prendere servizio come governante. Dopo tutti quegli anni, si credeva che il fantasma stesse ancora cercando di arrivare alla porta dei Lightwood, senza tuttavia riuscirci.
Si guardò attorno, fino a quando riconobbe la risata argentina di Magnus, che spiccava anche in mezzo al chiacchiericcio del ricevimento. I suoi occhi lo individuarono subito e lo seguirono mentre avanzava verso di lui con due flûte colmi di liquido dorato e un sorriso stampato sul volto.
Per un attimo lo champagne, la musica e gli ospiti scomparvero dagli occhi di Alec. Magnus creava una musica tutta sua, originale e perfetta, con la sua sola presenza.
"Cosa fai qui tutto solo soletto, in un angolo, pasticcino?" chiese l'ex Marine, porgendogli il bicchiere.
"Ti guardo." ritorse Alec, con un sorriso storto, accettando il calice di champagne.
Magnus rise, sporgendosi per dargli un bacio sulla guancia. "Non dovresti socializzare un po'? Sei il fratello dello sposo!"
Alec roteò gli occhi. "L'ho fatto!"
Magnus scosse affettuosamente la testa. "Chiedere ai camerieri di assicurarsi di rifornire costantemente il rinfresco, non è socializzare."
Alec gli fece la linguaccia.
Magnus rise. "Guarda tuo padre! Lui sì che non ha alcun problema a parlare con la gente." scherzò, bevendo un sorso di vino.
Alec seguì lo sguardo dell'uomo, facendo ondeggiare il liquido nel suo bicchiere. "La vuoi sapere una cosa buffa?"
"Certo, mia deliziosa tartina prelibata." mormorò Magnus, cingendogli la vita con un braccio e baciandogli una guancia.
Il moro alzò gli occhi al cielo e sospirò. Per quanto ci avesse provato a dissuaderlo (arrivando perfino a negargli il sesso in più di un'occasione), Magnus provava un piacere perverso a chiamarlo con i nomignoli più idioti e senza senso che gli venissero in mente e Alec si era oramai rassegnato a sopportarli tutti. O almeno ci provava.
"Il fantasma di Barbara, dopo tutti questi anni, sta ancora cercando di arrivare alla villa, come se non desiderasse altro che entrare in quella casa." mormorò Alec, con lo sguardo fisso su suo padre. "Io, invece, non vedevo l'ora di scappare da lì."
Magnus sorrise teneramente, stringendoselo forte contro. "Beh, ce l'hai fatta, tesoro." affermò con ammirazione, alzando il bicchiere in suo onore. "Sei andato a vivere per conto tuo e ti sei creato una tua vita lontano dallo sfarzo e dal lusso della tua famiglia. E l'hai fatto con le tue sole forze. Senza l'aiuto di nessuno."
Alec bevve un sorso dello champagne, nascondendo un piccolo sorriso dietro il bicchiere. "Ti stai divertendo?"
"Non sviare il discorso, signorino." scherzò Magnus, premendogli il naso con la punta dell'indice. "Sei meraviglioso e sarebbe ora che tu lo capissi." sentenziò, con decisione, baciandogli dolcemente le labbra.
Alec sentì le guance scottare e Magnus rise, tornando a sorseggiare altro vino.
"Comunque, per rispondere alla tua domanda, mio adorato bon bon alla crema: sì, mi sto divertendo. Tu?" chiese l'uomo, inarcando un sopracciglio.
Alec sospirò, spostando il proprio peso da un piede all'altro. "Se proprio lo vuoi sapere, queste scarpe mi stanno uccidendo."
Il sorriso di Magnus si allargò. "Perché te ne stai nascosto qui, in piedi, da solo, invece che venire a ballare con me."
Alec sorseggiò il suo calice, scuotendo la testa.
"In compenso, sei bellissimo." affermò Magnus, squadrandolo dall'alto in basso con sguardo famelico e facendolo arrossire tutto. "E quando torniamo a casa, mi offro volontario per un massaggio ai piedi."
Alec tossicchiò, imbarazzato. "Stai molto bene anche tu." esalò, bevendo tutto d'un fiato il suo vino.
Magnus sorrise, malizioso. "Sarà merito di quello che indosso sotto i pantaloni." sussurrò all'orecchio del moro, sibillino.
Alec corrugò la fronte, prima di far scivolare lentamente la mano attorno alla vita dell'uomo per scostare lievemente il tessuto dei pantaloni per vedere. Era certo che gli avesse fregato un altro paio dei suoi boxer.
Sbarrò gli occhi e arrossì quando si accorse che era in errore. "P-per l'angelo! Sei senza mutande!"
Magnus gongolò, sorseggiando il suo champagne. "Ho dei progetti per dopo la festa..." confidò, facendogli l'occhiolino. "Anche se ti confesso che non sarebbe affatto male fare qualcosa anche durante la festa." ammiccò sfacciatamente.
Alec si guardò attorno, con fare circospetto e con il viso in fiamme. "Non faremo sesso al matrimonio di mio fratello!" bisbigliò furiosamente.
Magnus ridacchiò, allegro. "Sei proprio un guastafeste, polpettina." sospirò, prendendogli il bicchiere vuoto dalla mano per posarlo, insieme al proprio, sul vassoio di un cameriere che passava di lì. "Almeno mi concedi un ballo? Qui stanno ballando tutti tranne noi due." chiese poi, con un dolce sorriso, porgendogli la mano.
Alec corrugò la fronte, restio. "Ma se la maggior parte degli ospiti si sta ingozzando di cibo."
Magnus sporse il labbro inferiore, in un broncio infantile. "Per favore?"
Alec esalò un finto sospiro esasperato, prima di stringere la mano del suo cavaliere. "Un ballo. Uno solo."
Magnus rise, felice. "Ok, puffo brontolone. Uno solo." promise, conducendolo in mezzo alla pista e prendendolo tra le braccia.
Alec posò la mano sinistra sulla spalla e si lasciò condurre docilmente sulle note del lento che stava suonando la band in quel momento, muovendosi rigido e sentendosi come un ciocco di legno.
"Vuoi che provo a dirti qualcosa per distrarti e non farti pensare che stai ballando in mezzo a questa moltitudine di gente con l'uomo più sexy e aitante di tutta la cerimonia?"
Alec gli rivolse un sorriso sghembo. "Tipo?"
"Uhm... vediamo... Che sei bellissimo te l'ho già detto." affermò Magnus, baciandogli velocemente la punta del naso. "L'idea di fare sesso peccaminoso me l'hai bocciata senza se e senza ma..." continuò, imbronciandosi leggermente.
Alec roteò gli occhi, ridacchiando piano e facendo scivolare la sua mano più in alto, fino a cingere il collo dell'uomo.
Magnus lo strinse un po' di più a sé, sporgendosi poi verso il suo orecchio. "Ok, niente sesso, ma che ne dici se..."
"Alec? Ciao, Alec!"
Magnus corrugò la fronte e si raddrizzò per guardare l'uomo che li aveva interrotti, mentre percepiva distintamente il corpo del moro irrigidirsi tra le sue braccia e diventare un blocco di ghiaccio.
Entrambi si voltarono verso la coppia che si era fermata di fianco a loro: l'uomo era alto più o meno quanto Alec, aveva i capelli biondi e gli occhi blu e sfoggiava un sorriso a trentadue denti che era troppo perfetto per essere sincero. La donna accanto a lui era molto carina: i capelli scuri erano perfettamente acconciati e indossava un raffinato abito da sera, così semplice ed elegante che era sicuramente un capo d'alta moda. Il suo sguardo, però, era freddo, calcolatore.
"Ciao, Andrew." esordì Alec, con un cenno secco del capo, rivolgendogli un sorriso affettato.
Le sopracciglia di Magnus svettarono verso l'alto, per la sorpresa. E così, pensò l'ex Marine, analizzando l'uomo davanti a sé, quello era l'ex di Alec. Il bastardo che gli aveva spezzato il cuore.
"E' bello vederti. Ti trovo bene." disse Andrew, con tono fin troppo entusiasta. "Non trovi anche tu, Lindsay?"
Anziché rispondere, sua moglie continuò a fissare sfacciatamente Magnus, squadrandolo dall'alto in basso e rivolgendogli uno sguardo rapace. "E lei è...?"
Magnus alzò un sopracciglio, poi sorrise, sardonico. "Ohhh, io sono estremamente grato a entrambi!" esclamò euforico, agguantando il fianco di Alec e stringendoselo addosso con entusiasmo.
"Scusi?" chiese Andrew, aggrottando la fronte.
"Beh, sì, in effetti sarebbe anche ora che porgessi le tue scuse ad Alexander." affermò Magnus, guardando dolcemente il moro e baciandogli una guancia con riverenza. "Anche perché sono certo che, oramai, ti sarai perfettamente reso conto dell'enorme errore che hai commesso."
"Errore? Quale errore?" chiese il biondo, sempre più confuso.
"Andrew, Lindsay... vi presento Magnus Bane." si intromise Alec, con le guance imporporate e con tutta l'intenzione di interrompere quel pericoloso scambio di battute, lanciando poi occhiate furtive e imbarazzate attorno a loro, nella speranza che nessuno li stesse ascoltando.
"Non vedevo l'ora di conoscerti, Andy!" riprese Magnus, con un sorriso mellifluo, usando volutamente quel nomignolo che, ne era sicuro, avrebbe irritato il suo interlocutore.
Di fronte a quel palese insulto, Andrew strabuzzò gli occhi. "Come, scusi?"
Magnus ridacchiò, sventolando la mano con noncuranza. "Suvvia, Andy, non c'è bisogno che ti scusi ancora." sogghignò. "Sei perdonato."
"Io non..."
"Magnus..." bisbigliò Alec, stringendo il braccio dell'uomo attorno alla sua vita.
Magnus lo zittì posandogli dolcemente l'indice sulle labbra, baciandogli poi con tenerezza una guancia, prima di continuare. "Del resto, Andy bello, se non fossi stato così dannatamente stupido, a quest'ora io non sarei in compagnia di questo meraviglioso ragazzo." affermò, guardando il moro con sguardo adorante. "Perciò ti ringrazio davvero tanto di essere un'emerita testa di cazzo." continuò, diventando improvvisamente serio e guardando il biondo con brutale ferocia.
L'impulso di prendere a cazzotti quel verme era così forte che Magnus dovette ripetersi più volte che, in fin dei conti, non ci sarebbe stato nessun gusto a farlo. Primo, perché non voleva mettere in imbarazzo né Alec né la sua famiglia, e secondo perché era certo che sarebbe caduto a terra, come una pera cotta, al primo pugno.
Scosse la testa e prese un bel respiro, prima di rivolgere alla coppia un sorriso assolutamente finto. "Vi auguro una buona serata e a mai più rivederci." li liquidò, voltandosi poi verso Alec con un tenero sorriso. "Vogliamo andare, tesoro?" mormorò, baciandogli il dorso della mano, prima di voltare sui tacchi e marciare il più lontano possibile dai quei due, trascinandosi dietro il moro.
"Per l'angelo! Non posso credere che tu l'abbia fatto davvero!" esclamò Alec, divertito ed esaltato allo stesso tempo, quando l'uomo lo condusse fuori, in giardino, sotto un grazioso gazebo, in quel momento deserto, che era adornato da una moltitudine di lucine colorate.
"Ohhh, io invece non riesco a credere che tu ne sia sorpreso, mio dolce cupcake alla Nutella." rise Magnus, abbracciandolo.
Alec gli rivolse un enorme sorriso, prima di baciargli con frenesia le labbra. "Grazie." mormorò, grato.
Magnus se lo strinse contro e lo abbracciò più forte, come se avesse paura che lui potesse scappare. Ma Alec non voleva andare da nessuna parte. Per la prima volta, in vita sua, aveva finalmente trovato l'unico posto al mondo dove voleva stare.
"E' stato un vero piacere, Alexander." sussurrò Magnus, guardandolo dolcemente.
Alec sorrise. Gli piaceva moltissimo sentirlo pronunciare il suo nome per intero, soprattutto quando la sua voce era arrochita dalla passione. Gli sembravano passati secoli da quando, invece, detestava quando lo faceva.
Seppellì il viso contro il collo di Magnus e, a occhi chiusi, si lasciò cullare dal battito calmo del suo cuore.
"Dimmi che stai rivalutato l'idea di fare sesso peccaminoso al matrimonio di tuo fratello." sussurrò Magnus, baciandogli una tempia e accarezzandogli lentamente la schiena.
Alec gettò la testa all'indietro e scoppiò a ridere di gusto.

Dietro l'ampia vetrata, che dava sul giardino, qualcuno spiava i due innamorati con aria compiaciuta. Finalmente le cose erano andate al loro posto, come avrebbero dovuto essere fin dall'inizio.
Quando aveva proposto l'idea di far incontrare i due giovani (dopo che Dewi aveva elogiato il figlio Magnus e l'aveva dipinto come il miglior partito che qualcuno potesse mai desiderare per il proprio figlio o per la propria figlia), non avrebbe mai immaginato che ne sarebbe scaturita tutta quella serie di eventi tragicomici né che Alec sarebbe stato davvero in pericolo a causa di uno psicopatico ossessionato da lui.
L'iniziale idea della finta stalker era partita da Dewi Bane e Robert, elettrizzato, aveva rincarato la dose aggiungendo anche il finto mitomane. Lei e Asmodeus Bane avevano tentato di opporsi, ma avevano dovuto desistere di fronte all'entusiasmo di quei due pazzoidi.
La situazione, ad un certo punto, era addirittura sfuggita di mano quando i soldati inviati da Asmodeus, su suggerimento (pessimo) di Robert che aveva ideato il piano per tentare di far avvicinare ancora di più i due ragazzi, erano improvvisamente impazziti, arrivando perfino a ferire l'ex Marine. Si mormorava che i coniugi Bane avevano fatto tremare i muri dell'intera base militare, dopo aver trovato il figlio esanime.
Fortunatamente, l'altra soldatessa, Lydia, aveva svolto il suo compito alla perfezione. Era stata una presenza silenziosa, ma costante e, nel frattempo, aveva anche tenuto d'occhio i due giovani quando era entrato in scena Raj. Purtroppo non era riuscita a neutralizzare l'attacco finale di quel pazzo, ma non gliene si poteva fare una colpa sua, visto che era stata convocata per una missione urgente.
Riportò l'attenzione sui due innamorati e osservò Alec ridere per qualcosa che Magnus Bane gli aveva appena sussurrato all'orecchio.
Maryse Lightwood sorrise dolcemente di riflesso, mentre sorseggiava il suo calice di champagne. Il suo bambino era finalmente felice.

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Capitolo 26
*** Extra 1 ***


"Penso che dovremmo sposarci."
Magnus appoggiò con forza, sul fornello, la grossa pentola piena d'acqua bollente, per evitare di farsela cadere su un piede e ustionarsi tutto, e si voltò verso Alec a una tale velocità che per poco non si spezzò l'osso del collo, mentre Presidente Miao alzò per un attimo il muso, guardandolo con uno sguardo canzonatorio e ridacchiando sotto i baffi, prima di tornare a mangiare con gusto la sua scatoletta di tonno.
Magnus stava preparando il Nasi Padang secondo la ricetta di sua madre, nella speranza di fare colpo sul suo ragazzo con le sue doti culinarie. Ma a quanto pareva ci era già riuscito alla grande. Fin troppo, forse.
Lui e Alec vivevano insieme da quasi un anno e, fino a quel momento, era andato tutto a meraviglia. Quando non lavoravano, passavano ogni momento libero insieme e, quando non erano fisicamente vicini, spendevano ore e ore al telefono a parlare di tutto e di niente.
Non avevano mai toccato l'argomento proibito, forse complice anche il fatto che sua madre stava velatamente diventando ogni giorno più insistente e fastidiosa, portando Magnus a maturare, di contro, un'allergia sempre più grande nei confronti del sacro rito nuziale. Gli veniva l'orticaria anche solo a sentire nominare la parola matrimonio!
Ecco perché quella proposta l'aveva completamente spiazzato.
Fissò, con sguardo stralunato, il suo ragazzo, ma questo se ne stava tranquillamente accoccolato sul divano a ingozzarsi di patatine e guardava con interesse un quiz televisivo, come se non avesse neanche parlato.
Magnus gli lanciò un'occhiata dubbiosa, chiedendosi se per caso non si fosse immaginato tutto. Ormai era prossimo ai quaranta. Stava invecchiando. Poteva benissimo essere, quindi, che la senilità avesse fatto un mostruoso balzo in avanti e avesse intaccato le sue sinapsi. O forse iniziava a sentire le voci nella sua testa. Chissà.
Scrollò le spalle e si diede mentalmente dell'idiota, tornando a prestare attenzione alla cena che stava preparando. Prese in mano il bicchiere di vino che aveva appoggiato accanto ai fornelli e ne bevve, con gusto, un lungo sorso. Sì, doveva sicuramente essersi sbagl..
"Penso che dovremmo sposarci."
Magnus sputò il vino e iniziò a tossire convulsamente. Il suo corpo si piegò in due, scosso da tremiti violenti, mentre grosse lacrime gli bagnavano le guance.
"Tutto ok?" chiese Alec, precipitandosi verso di lui, con sguardo sbalordito, e iniziando a massaggiargli premurosamente la schiena.
Magnus si raddrizzò e si asciugò la bocca con il dorso del mano. "Uhm... Sì, grazie." biascicò, con tutta la dignità che riuscì a racimolare.
Alec sorrise, asciugandogli le guance con le proprie dita.
Magnus si appoggiò contro il piano cottura. "Ehm..." iniziò, tamburellando nervosamente le dita contro il mobilio.
"Sììì?"
"Ehm..." mormorò nuovamente Magnus, in seria difficoltà.
Per la prima volta, in vita sua, era a corto di parole. Lui, che non stava mai zitto e parlava anche nel sonno, non riusciva a pronunciare una frase di senso compiuto. Era preoccupante.
Fissò il suo ragazzo con gli occhi sbarrati e il suo cuore iniziò a battergli nel petto così forte da sembrare quasi voler sfondare la cassa toracica. Forse gli stava per venire un infarto. Dubitava, però, di essere così fortunato.
Alec sorrise dolcemente e lo abbracciò. "Penso che dovremmo sposarci." affermò nuovamente, con sguardo calmo, ma deciso.
"D-davvero?" balbettò Magnus, con un groppo in gola che sembrava ingrandirsi ogni secondo di più, impedendogli di respirare.
"Ahn-ahn." rispose Alec, baciando l'uomo sulle labbra.
"P-perché?" farfugliò Magnus, iniziando a sudare freddo.
"Perché ti amo." affermò Alec, con ferrea logica. "Questo lo sai, no?"
Magnus annuì.
"E tu ami me." continuò Alec, in tono sicuro. "Giusto?"
Magnus annuì freneticamente.
Alec sorrise, soddisfatto della risposta. "Bene. Quindi penso proprio che dovremmo sposarci." ribadì, in tono convinto. "Ci ho pensato a lungo e mi sembra la cosa giusta da fare."
"Ehm..." mormorò Magnus, inghiottendo a vuoto.
"Perché aspettare?" chiese Alec, pragmatico, facendo spallucce. "Siamo innamorati. E normale desiderare di fare il passo successivo, no?"
Magnus fissò il suo ragazzo per un lungo momento, poi si diede un pizzicotto particolarmente aggressivo sulla pelle. Stava sicuramente sognando. Doveva essere un sogno, diavolo!
Dal dorso della sua mano, però, partì una scarica di dolore che gli fece realizzare che non stava affatto dormendo e che quella proposta era dannatamente reale.
Inghiottì nuovamente a vuoto, la mente completamente nel panico.
Non che quella proposta non gli facesse piacere, sia chiaro (anzi, qualche volta aveva addirittura accarezzato l'immagine di loro due che si giuravano amore eterno davanti a un officiante e a un numero esorbitante di invitati), ma così, all'improvviso, senza neanche un minimo di avvertimento... Magnus credeva di non essere affatto preparato a un passo così importante. Non ancora almeno.
Lo stuzzicava però l'idea che, se avesse sposato Alec, almeno avrebbe risolto definitivamente l'enorme problema con sua madre. D'accordo, non era un nobile motivo per sposarsi, ma perlomeno meritava una certa considerazione.
Alec piegò la testa e sorrise dolcemente, guardandolo come se sapesse perfettamente cosa gli stava passando per la testa.
"Non voglio una risposta adesso, Mags." affermò il moro, accarezzandogli una guancia e baciandogli la punta del naso.
"Ah no?" chiese Magnus, sorpreso.
Alec rise allegramente. "No." confermò, baciandogli le labbra. "Ma sappi che, fino a quando non avrò una risposta, metterò in atto tutte le mie arti per convincerti." sussurrò, facendo scorrere un dito lungo il petto dell'uomo.
Magnus inarcò un sopracciglio e sorrise, sentendosi come se un enorme peso gli fosse appena stato tolto dalle spalle. "Arti, eh?" mormorò, malizioso, accarezzandogli lentamente la schiena fino ad arrivare a palpargli il sedere sodo e tornito.
Alec ridacchiò, passandogli le braccia attorno al collo e baciandolo appassionatamente. "Già." annuì, con un sorriso. "Ma non ho alcuna intenzione di rivelarti le mie strategie in anticipo. Preferisco farti una sorpresa." concluse, mentre trascinava l'uomo sul divano, la cena ormai dimenticata.

Magnus non aveva idea del guaio in cui si era cacciato fino al mattino seguente, quando, di buon'ora, subì l'assalto di sua madre. Alec era uscito di casa giusto cinque minuti prima, millantando di commissioni urgenti da fare e lavoro arretrato da sbrigare.
Quando si ritrovò la donna davanti al naso, Magnus ripensò a quel "Preferisco farti una sorpresa" che il suo ragazzo gli aveva sussurrato la sera precedente, prima di gettarlo sul divano e farlo suo. Quel figlio di buona donna!
"Malaikatku [ndr. angelo mio]!" berciò Dewi, abbracciando stretto-stretto il corpo di suo figlio. "Ho appena saputo la meravigliosa notizia!" affermò, mentre irrompeva in casa sua alle otto del mattino.
Magnus sbarrò gli occhi e iniziò a sudare freddo. "Q-quale notizia?" balbettò, terrorizzato di conoscere la risposta.
Dewi prese il viso di suo figlio tra le mani e gli baciò dolcemente le labbra. "Oh, malaikatku, mi hai resa così felice! Le mie preghiere di madre sono finalmente state ascoltate." sorrise, facendosi il segno della croce per ringraziare il Signore di averle finalmente rivolto le sue attenzioni.
Magnus sentì una stretta allo stomaco. "Chi te l'ha detto?" indagò, ben conoscendo la risposta.
Dewi sorrise, raggiante. "Il mio futuro genero! Chi sennò?"
Magnus ridusse gli occhi a due fessure maledicendo pesantemente, in silenzio, il suo ragazzo. Che era sulla buona strada per diventare ex.
"Quel meraviglioso ragazzo mi ha informato questa mattina che ti ha fatto la proposta!" sospirò Dewi, congiungendo le mani con aria sognante.
"Mamma..." sospirò Magnus, stringendosi il setto nasale.
"Sì, sì, so che non gli hai ancora dato una risposta." lo interruppe Dewi, sventolando una mano con noncuranza. "E' per questo che la tua adorata ibu [ndr. mamma] è qui!" affermò, spalancando le braccia. "Sono venuta per aiutarti a prendere una decisione."
Magnus alzò gli occhi al cielo e si voltò per dirigersi verso la cucina. Caffè. Aveva un disperato bisogno di caffè. O avrebbe commesso un matricidio.
"Malaikatku, sai benissimo qual é la cosa giusta da fare." berciò Dewi, tallonando suo figlio. "Devi sposarlo. Alec é stupendo. E' perfetto per te. Non troverai nessun altro come lui." affermò, con convinzione. "Ohhh, chissà quanti bei bambini adotterete!" sospirò, con un sorriso estasiato.
Magnus si appoggiò contro il piano cottura, sorseggiando con calma il suo caffé e fissando davanti a sé con lo sguardo perso nel vuoto. Un mese senza sesso. Sì, quella era di sicuro la giusta punizione da infliggere ad Alec. Quello stronzo non avrebbe visto il suo pisello e il suo sedere per trenta fottuti giorni!
"Malaikatku, Alec ti ama e tu ami lui. Si può sapere di cos'altro hai bisogno per dirgli sì?" chiese Dewi, piazzandosi le mani sui fianchi e iniziando a battere la punta del piede sul pavimento.
Magnus continuò a fissare il vuoto, meditabondo. Ok, forse un mese era una punizione troppo crudele per il suo pasticcino alla crema. Una settimana. Ecco, sì, una settimana senza sesso era una vendetta perfetta.
"Mi dispiace di essere stata così opprimente con te, in passato, tesoro. Solo adesso mi rendo conto che é stato un errore." mormorò Dewi, picchiettando la mano del figlio con un sospiro esagerato. "Ma devi sapere che pensavo di fare la cosa giusta per te e credevo che ti comportassi così solo perché sei un po' testardo."
Magnus si morse il labbro inferiore, accigliandosi appena. Certo, però, che anche sette giorni erano una penitenza ardua da scontare. Il suo dolce Fiorellino avrebbe potuto andare in crisi di astinenza senza i suoi baci e le sue coccole! Magnus non poteva proprio permettere una cosa del genere. Lo amava troppo!
"Oh, malaikatku, sono così felice!" urlò Dewi, abbracciando di slancio suo figlio, prima di afferrargli le guance e baciargli la punta del naso. "Ora devo andare!" annunciò, dirigendosi verso la porta con un sorriso beato. "Ho appuntamento con i proprietari di alcuni servizi di catering tra meno di un'ora. Uno é un po' più costoso degli altri, ma che importa? Non si può risparmiare su un matrimonio!" affermò, in tono sicuro, facendogli l'occhiolino. "Oggi pomeriggio, invece, vedrò il fiorista e devo anche ordinare gli inviti." continuò, picchiettandosi il mento con fare meditabondo. "Oh, e dobbiamo anche scegliere il sarto per l'abito! Hai già idea di dove vorresti andare a prenderlo? La signora Penhallow ha già promesso di farmi uno sconto favoloso se ci rivolgiamo a lei!" proseguì, sempre più entusiasta. "Ti chiamo più tardi per aggiornarti, malaikatku!" berciò, lanciandogli un bacio volante, prima di scomparire dietro la porta.
Magnus assottigliò lo sguardo. Oh, sì. Il suo tartufino pregiato avrebbe dovuto impegnarsi seriamente per farsi perdonare... o niente sesso per ben ventiquattro ore!

"Questa tonalità di verde é orribile. Non mi piace per niente. Dovremo cercare qualcos'altro, Magnus. Qualcosa con un po' più di personalità."
Magnus lanciò alla sua migliore amica, Catarina Loss, uno sguardo infastidito, mentre la ragazza si voltava verso lo specchio per nascondere un ghigno divertito. L'uomo sapeva che la ragazza lo stava punendo per averla trascinata in quella pazzia che sua madre aveva messo in piedi in neanche due ore, ma visto che Cat era stata eletta come sua damigella d'onore, non aveva potuto fare niente per sfuggire a quella follia.
Con un sospiro drammaticamente esagerato, Magnus chiese alla commessa del negozio Penhallow's Bridal, una bisbetica donna sulla settantina, con un vistoso paio di baffi sotto le narici e un cespuglio cotonato al posto dei capelli, di mostrare loro degli altri vestiti da damigella.
"Cosa c'é che non va nel verde? A me piace il verde!" obiettò Dewi, piazzandosi le mani sui fianchi. "La damigella d'onore della figlia dei Blackthorn era vestita di verde ed era bellissima. E poi, io sto benissimo in verde. Lo dicono tutti!"
Cat scosse la testa. "Non è vero, signora Bane. Lei ha la pelle olivastra e il verde la fa sembrare slavata."
Dewi fissò la ragazza con occhi terrorizzati e si precipitò verso lo specchio più vicino, per sincerarsi delle sue parole.
Magnus alzò gli occhi al cielo, sentendo un principio di emicrania farsi strada nella sua testa. "Cat, puffetta mia adorata, hai già posto il veto al rosa, al turchese e ora al verde. Ti prego, non puoi semplicemente dirmi quale colore preferiresti indossare?" chiese, esasperato.
"Che ne dici di un bel rosso carminio?" rispose Cat, con un sorriso divertito.
La madre di Magnus si voltò a guardarla scandalizzata e si fece il segno della croce. "Rosso carminio? Sei matta? Il rosso é sconveniente per un matrimonio!"
Cat sventolò una mano con noncuranza. "A me piace. Tutti quei colori pastello che si usano di solito sono terribili." affermò, scrollando le spalle. "E poi il rosso le starebbe divinamente addosso, signora Bane." sorrise, con l'aria di una che la sapeva lunga. "Senza contare che creerebbe un bel contrasto con il tuo abito, Mags."
Per quanto lo riguardava, Magnus avrebbe solo voluto andarsene a casa a concedersi un bel bagno caldo, con un bicchiere di vino rosso di fianco alla vasca e il suo cuore di panna, dall'animo subdolo e infame, seduto dietro di lui, che gli massaggia le spalle e gli bacia la pelle del collo.
Invece sua madre l'aveva praticamente costretto a forza ad accompagnarlo in quel negozio per trovare l'abito nuziale adatto, dopo averlo coinvolto nella scelta del catering. Poco importava che Magnus non avesse ancora dato una risposta ad Alec, che sembrava sparito nel nulla, negandosi addirittura al telefono. L'inarrestabile macchina organizzativa indonesiana era stata messa in moto e nessuno poteva più fermarla.
"Forse io e Alec dovremmo semplicemente scappare e non tornare mai più." mormorò Magnus, pensieroso, fissando il suo riflesso nello specchio.
Aveva gli occhi spiritati, il suo eyeliner si stava sbavando e il mal di testa aveva iniziato a tormentarlo da un minuto buono. Era sfinito.
"Scappare? Demi surga [ndr. per l'amor del cielo]! Non ti sembra di stare esagerando?" sbottò Dewi, alzando gli occhi al cielo. "Mi spezzeresti il cuore se lo facessi, malaikatku, lo sai benissimo." esalò, portandosi una mano al petto, con fare melodrammatico. "Su, non dire stupidaggini. Troveremo il colore giusto per la tua damigella d'onore e tutto si sistemerà."
"Certo, ibu." sospirò Magnus, massaggiandosi la fronte.
"Sapete di cosa avremmo bisogno tutti, in questo momento?" propose Cat, battendo le mani per attirare l'attenzione di madre e figlio.
"Di una buona seduta psichiatrica?" ribatté Magnus, con un sorriso sarcastico.
Cat rise di gusto. "No, stupido. Di un buon pranzetto che ci rimetta in forze." affermò, sorridendo, mentre prendeva sottobraccio il suo migliore amico. "Giusto, signora Bane?" chiese, facendole l'occhiolino.
"Ma... ma... e il tuo abito da damigella?" rispose Dewi, guardando la commessa, che sembrava anche più confusa di lei.
"Lo sceglieremo un altro giorno." dichiarò Cat, guardando la donna con uno sguardo significativo e sfidandola a osare contraddirla.
Magnus si sporse verso l'amica e le baciò la guancia, grato.

Diverse ore più tardi, l'ex Marine entrò nella cucina dei suoi genitori e trovò suo padre vicino ai fornelli, intento ad assaggiare (e solo assaggiare, aveva giurato il più anziano dei Bane) la cottura dello stufato per la cena. Il profumo della carne e della cipolla riempiva l'ambiente.
"Ciao, ayah [papà]." bofonchiò Magnus, sedendosi pesantemente su una sedia.
Asmodeus accolse suo figlio con un gigantesco sorriso. "Ecco il mio malaikat [ndr. angelo] preferito! Ho sentito della bella notizia." lo salutò, festoso, stampandogli un bacio sulla fronte. "Come mai da queste parti? Credevo fossi a fare spese con tua madre..."
Magnus gli lanciò un'occhiataccia. "L'ho lasciata dal fiorista." rispose laconico, dopo essere stato abbandonato da Cat a fine pranzo e aver passato un pomeriggio d'inferno con la propria madre.
Asmodeus ridacchiò, arruffandogli i capelli e dirigendosi verso la credenza. "Ho quello che fa per te." annunciò, porgendogli poi un pacco di biscotti al cioccolato.
Magnus sospirò, piluccando un dolcetto con aria pensierosa.
"Cosa ti preoccupa, malaikatku?" chiese Asmodeus, sedendosi di fronte al figlio.
Magnus fece spallucce, continuando a sbriciolare il suo biscotto. "Non gli ho ancora detto sì." mormorò, con un sospiro.
Asmodeus sorrise dolcemente. "E questo é un problema?"
"Forse." rispose Magnus, titubante. "E' da questa mattina che non risponde alle mie chiamate. Ha spento il cellulare."
Asmodeus gli strinse affettuosamente una mano. "Mags, tesoro, sono certo che non ti sta affatto evitando. Ci sarà sicuramente una buona ragione per cui il suo telefonino é spento."
Magnus fece nuovamente spallucce. Si stava comportando come un bambino, ne era consapevole, ma era sfinito, dopo una giornata con sua madre, e tutto quello che voleva fare era tornare a casa e vedere Alec. E scoprire se il fatto che non gli avesse ancora dato una risposta fosse diventato improvvisamente un problema.
"Sai, malaikatku, non devi sposarlo per forza." affermò improvvisamente Asmodeus, sgranocchiando un biscotto al cioccolato.
Magnus guardò suo padre, sorpreso. "Cosa?"
Asmodeus sorrise teneramente, accarezzando una guancia del figlio. "Malaikatku, se hai tutti questi dubbi, forse é il tuo istinto che ti suggerisce di non farlo." suppose, piegando la testa.
Magnus si morse il labbro inferiore, meditabondo. Non é che stesse pensando di dirgli di no, ecco, ma non voleva neanche dirgli di sì semplicemente perché era terrorizzato all'idea che Alec lo lasciasse.
"Per quanto tua madre desideri moltissimo vederti percorrere la navata, stai pur certo che né io né lei vogliamo che tu trascorra il resto della tua vita con una persona con cui non vuoi legarti in un vincolo tanto importante. Saresti infelice." continuò Asmodeus, picchiettandogli la mano.
"Ma Alec mi rende felice. Tanto felice. Immensamente felice." ribatté Magnus, con fervore.
Asmodeus sorrise. "Sono contento di sentirtelo dire, Mags, ma se non ti senti ancora pronto, allora dovresti dirgli di no. L'unica cosa che io e tua madre abbiamo sempre desiderato é la tua felicità, lo sai."
"E dei nipotini."
Asmodeus rise, allegro. "E dei nipotini, sì. Ma la tua felicità viene al primo posto. Qualunque sia la tua decisione definitiva riguardo al matrimonio, sappi che noi saremo sempre al tuo fianco."
Magnus sorrise, baciando il dorso della mano del padre. "Grazie, ayah." mormorò, prima di rubargli il biscotto da sotto al naso e addentarlo con gusto.

Magnus si fermò davanti alla porta del loft e trasse un respiro profondo, come a infondersi coraggio.
Per tutto il giorno, non aveva fatto altro che pensare al momento in cui avrebbe rivisto Alec. Gli era mancato davvero tanto. Ma che cosa avrebbe trovato al di là della porta? Delle valigie già pronte? O, peggio, un freddo e striminzito biglietto di addio?
Magnus non voleva neanche pensare a un'ipotesi tanto orribile. In tutto quel tempo passato insieme, il moro gli era diventato indispensabile come l'aria che respirava e non aveva problemi ad ammettere di essere innamorato cotto di lui. Alec era l'uomo che aveva aspettato per una vita intera. Come aveva potuto non dirgli subito sì?
Si diede una manata in fronte, dandosi dell'imbecille, ed entrò nel loft, titubante. Non c'erano valigie all'ingresso e questo era già un buon segno. Un'intensa zaffata di odore acre, però, gli aggredì le narici non appena varcò la soglia. Qualcosa stava decisamente bruciando in quella casa.
"Alec?" chiamò, allarmato, gettando le chiavi in una ciotola posizionata su un mobile posto all'ingresso.
Il moro balzò fuori da dietro il bancone della cucina, con gli occhi sbarrati. "Per l'angelo! Sei qui? Perché sei già qui?" chiese, completamente nel panico.
Magnus inarcò un sopracciglio e fissò il suo ragazzo, che era in condizioni disastrose. Il grembiule che indossava era macchiato vistosamente da Dio solo sapeva cosa, il viso era unto di farina e i capelli sembravano essere diventati il rifugio di qualche uccellino, tanto erano sporchi e arruffati.
"Stai bene?" chiese Magnus, sinceramente preoccupato.
Alec si morse il labbro inferiore e sembrava sull'orlo di una crisi di nervi. "V-volevo prepararti la cena." pigolò, in un tetro balbettio. "Ma... ma l'arrosto é bruciato e..."
"Volevi prepararmi la cena?" chiese Magnus, sorpreso, avvicinandosi a lui.
Alec annuì mestamente. "Volevo fare una cosa carina per te." mormorò, abbassando lo sguardo. "N-non per convincerti a sposarmi eh!" precisò subito dopo, alzando le mani. "Solo... volevo... io volevo farmi perdonare e... ma l'arrosto é bruciato, e..." esalò, tirando su con il naso e scompigliandosi ancora di più i capelli con un gesto esasperato. "Per l'angelo, è stata una giornata tremenda! Tremenda! A lavoro non ho avuto un attimo di respiro, il cellulare mi é caduto a terra, spaccandosi in mille pezzi, e ho provato a chiamarti con il telefono dell'ufficio, ma c'era un guasto nella linea telefonica che non sono ancora riusciti a riparare." iniziò a elencare, respirando appena tra una frase e l'altra. "E poi... mi dispiace davvero tanto di aver detto a tua madre della proposta. Giuro che non l'ho fatto apposta e..."
Magnus sorrise e piegò la testa, fissando il volto stravolto e angosciato del suo ragazzo. Scosse la testa e rise, intenerito. Non aveva bisogno di sapere altro. Con due sole falcate, lo raggiunse e lo strinse forte tra le sue braccia, assaporando la sua vicinanza, la sua forza e il suo amore. Affondò il naso nel collo del moro, chiudendo gli occhi e inspirando a pieni polmoni il suo odore. Quello era il suo posto, la sua casa.
"Ti amo." sussurrò l'uomo, felice.
"Anch'io. Tanto." rispose Alec, allacciando le braccia al collo dell'ex Marine.
"Alexander?" sussurrò Magnus, dopo un lungo momento, le labbra pressate sulla pelle della clavicola.
"Sì?"
Magnus si scostò appena da lui. "Chiedimi di nuovo di sposarti." mormorò, con un sorriso luminoso.
Alec spalancò gli occhi, sorpreso, poi gli rivolse un sorriso gigantesco. "Che c'é? Devo chiederti di sposarmi mentre ti faccio un pompino?" domandò, quando l'altro indicò verso il basso con l'indice.
Magnus gettò la testa all'indietro e rise di gusto, prima di tuffarsi sulle labbra del ragazzo e baciarlo con passione. Non c'era alcun dubbio: quello era l'uomo giusto per lui. L'unico.
Alec rise nel bacio, felice, prima di liberare Magnus dal suo abbraccio per inginocchiarsi ai suoi piedi. Questa volta, l'avrebbe fatto nel modo giusto.



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Note dell'autrice

E con questo piccolo extra, la storia é davvero giunta al termine. Giuro! :D

Chiedo scusa per i tempi biblici che ho impiegato per concludere questa fanfiction, ma il CoVid ha stravolto la mia vita lavorativa e a un certo punto ho deciso di abbandonare momentaneamente la scrittura, perché, davvero, arrivavo a casa stremata e l'ultima cosa che volevo fare era mettermi nuovamente davanti a un computer.

Chi scrive fanfiction lo sa bene: non é per niente facile.
Ci vuole impegno, concentrazione e ricerca (almeno nel mio caso, che consulto internet ogni due per tre per cercare dettagli che inserisco nelle mie storie, visto che voglio che queste siano quanto più possibili vicine alla realtà).
Ma soprattutto ci vuole tempo. Tanto tempo. Un'infinità di tempo. Ad esempio, io spendo ore e ore a rileggere quello che scrivo, nella speranza che fili tutto come voglio, e soprattutto a eliminare quanti più errori e strafalcioni possibili. (se ne trovate, non fatevi nessuno scrupolo a farmelo notare!)
Perdonatemi, quindi, se ci impiego una vita a postare una fanfiction completa XD (soprattutto in questo caso, in cui si é messa di mezzo anche questa terribile pandemia)

Detto questo, permettetemi di ringraziarvi! *___*
Grazie a chi ha recensito (siete troppo gentili, davvero! *___*).
Grazie a chi ha inserito la storia tra le preferite, tra le ricordate e tra le seguite.
Grazie ai lettori silenziosi e a chiunque ha perso del tempo per leggere questa fanfiction.
Grazie! Grazie! E ancora grazie!

Un bacio e a presto! ;-*

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