Chains of Words

di Shadow writer
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dalia ***
Capitolo 2: *** Ares ***
Capitolo 3: *** Camelia ***



Capitolo 1
*** Dalia ***


 
 
La porta della casa si apre con lo sferragliare secco di una serratura mal oliata, simile al lamento truce di un vecchio uomo.
Tutto il resto, però, tace in una immobilità così solida che potrebbe essere tagliata dalla lama di un coltello. All'interno c'è un odore di chiuso misto a quello della pioggia fuori, e crea un miscuglio pungente ma non del tutto sgradevole.
L'uomo mi stringe la mano. È gelida, ma sudata, simile ad un contrasto ossimorico denso di connotazioni implicite
Metto un piede sulla soglia della mia nuova casa. La leggera penombra lascia intravedere gli angoli ancora spogli della piccola sala che avrò tempo di imparare a riconoscere.
Avanzo ancora, con la valigia stretta nella mano sinistra e la gabbia di Pandora tenuta saldamente in quella destra. 
Lei pare non gradire perché lancia degli acuti miagolii disperati e si agita, facendo dondolare la gabbia e se stessa.
Il rumore di un tuono, in lontananza, mi fa sussultare e chiudo di scatto la porta come se volessi isolarmi dal continuo e ticchettante rumore della pioggia.
Lascio andare la valigia, ma tengo ancora Pandora con me perché so che non conosce questo luogo e ogni dettaglio potrebbe spaventarla. Questa casa ci è straniera e sconosciuta. È una novità, che ti fa battere forte il cuore e produce in te una piacevole quanto logorante eccitazione.
Cambiare: mettere una cosa o una persona al posto di un'altra.
Ho sempre amato catalogare le parole. Mi fa sentire sicura, certa, definita e inequivocabile.
Se sai cosa indica chiaramente una determinata sequenza di lettere, significa che non ci saranno fraintendimenti e tu non potrai mai interpretare erroneamente le parole di un altro.
Le parole sono sono un'arma molto potente, piccola Dalia.
Tu lo sai che ogni parola vuol dire solo e soltanto una cosa? E i sinonimi non esistono, sono solo delle invenzioni di quei falsi linguisti che si credono colti nel cercare termini arzigogolati per sostituire un suono banale. Quando parli crei un mondo fatto di immagini sottili e vaporose, quindi fai attenzione quando scegli le tue parole, perché ognuna ha un colore diverso per te e per chi ti circonda. Se dici "pace" ad un bambino, ti guarderà con un sorriso inalterato, se lo dici ad un reduce di guerra, scoppierà in un pianto infantile e primordiale.
L'eco della voce passata si perde nel silenzio statico della sala vuota. Pandora zampetta sul vecchio divano polveroso che costituisce l'unico arredo della sala. Non mi sono accorta di aver poggiato al gabbia a terra e di aver aperto la grata.
La guardo saltellare sui cuscini flosci e svuotati dagli anni. Che cambiamento dallo splendente divano rosso fuoco che c'era nella casa dei miei genitori.
Ho perfino cambiato gatta, lasciando la vecchia persiana bisbetica e intrattabile a favore della piccola Pandora.
Ho deciso di cambiare quando ho letto la sua definizione sul dizionario: mettere una cosa o una persona al posto di un'altra.
Ho messo tante cose al posto di una sola per attuare quel cambiamento che da anni cercavo disperatamente ma che non ho mai trovato la risoluzione di compiere fino in fondo. 
Ho capito che per cambiare ciò che c'era in me, dovevo cominciare con ciò che mi circondava. 
Cambio taglio di capelli. Fatto.
Cambio stile. Fatto.
Cambio città. Fatto.
Cambio persone. Fatto.
Cambio gatta. Fatto.
Cambio casa. Fatto.
Non c'è più alcun motivo per cui io debba essere rimasta la stessa Dalia che ho lasciato dietro di me. 
Prendo la mia valigia e la apro sul pavimento gelido della sala. Estraggo un cofanetto di legno scuro che contiene tante piccole boccette. 
Sopra ad ognuna di queste c'è un'etichetta e al suo interno dei biglietti ripiegati con cura e scritti dalla mia grafia piccola e sottile.
Ne pesco uno.
Nostalgia: stato psicologico o sentimento di tristezza e di rimpianto per la lontananza da persone o luoghi cari o per un evento collocato nel passato che si vorrebbe rivivere.
Sbuffo.
Non etichettare le idee, lo fanno già gli altri. Distruggi le parole, spezza le lettere mischiale, scuotile, assaggiale e usale con cura e attenzione come se stessi decorando una fragile torta e una piccola consonante potrebbe rovinare tutto il minuzioso lavoro. Gusta ogni singola lettera e impara a distinguerne tutte gli aromi perché nel dolce c'è sempre un po' di salato come nella felicità c'è sempre un pizzico di amarezza.
Rimetto il foglietto nel suo contenitore, infastidita, poi mi alzo e raggiungo il divano polveroso. Le fusa di Pandora si mischiano al suono della pioggia.
Gatto: mammifero carnivoro domestico dal corpo agilissimo e flessuoso.
Pandora miagola debolmente e solleva una palpebra, rivelando l'occhio giallo. Pare sorridere, mentre si solleva sulle piccole e tozze zampe ancora malferme e barcolla verso le mie gambe. Si arrampica a fatica sui jeans, sbadiglia, ruota due volte su se stessa e si lascia cadere sgraziatamente per dormire ancora. Pandora ha ben poco del felino agilissimo e flessuoso, mi ritrovo mio malgrado a pensare.
No, impossibile. Sono fermamente convinta che la relatività, come la soggettività, non può esistere. Bisogna poter essere imparziali per poter decidere senza influenze,poiché essere influenzati significa acquisire una parte dell'altro e agire secondo impulsi non propri. Se nella vita, lo scopo è lo sviluppo del proprio io, che senso ha cercare se stessi negli altri?
«Guarda gli occhi delle persone, Dalia. Cos'hanno di diverso, i miei, i tuoi, o quelli di quell'uomo in giacca e cravatta al di là della strada?»
«Il colore?» tentai incerta.
«Non solo»
«La forma?»
«Non solo»
«Non lo so. Dimmelo tu, Cam»
Cam sorrise. I suoi sorrisi sono la cosa più bella che io abbia mai visto.
«La luce, Dalia, la luce. I miei brillano in un modo diverso dai suoi e dai tuoi, ma nonostante questo, c'è qualcosa che accomuna queste luci. Tu lo sai?»
Scossi il capo, confusa.
«Dentro ognuno di loro c'è un pezzo di te. Guarda come quella donna parla con sua figlia. Vedi la dolcezza nel suo sguardo? L'hai mai vista in altre persone?»
Annuii. Stavo cominciando a capire cosa Cam volesse dire
Mi alzo in piedi di scatto. Pandora lancia un verso contrariato e si allontana trotterellando nella penombra della casa.
Stringo la testa tra le mani. Tento di liberarla da tutti i pensieri che l'affollano, ma quelli si fanno più prepotenti e violenti.
Una volta ho sentito dire che se fissi nella tua mente l'obiettivo e lo ripeti con insistenza, hai maggiori probabilità di riuscita.
Cambiamento, cambiamento, cambiamento, cambiamento.
«Questa è una Dalia»
Osservai scettica il fiore tra le mani di Cam. Era rotondo, pieno di petali rosa dalle punte violette. 
«Come me» fu il mio commento. Cam sorrise e infilò il fiore sul mio orecchio destro:
«Esatto»
Ricambiai il sorriso e lo vidi riflettersi nei suoi occhi sinceri.
Comincio a passeggiare nervosamente per la stanza prendendo respiri profondi, mi avvicino alla finestra e apro il vecchio vetro graffiato.
Il rumore insistente della pioggia mi investe con l'odore di asfalto bagnato che stanzia nell'aria fredda della notte.
Strizzo gli occhi, ma riesco ancora a vedere solo la strada buia e i lampioni fiochi, come lanterne vaganti nelle tenebre prive di ogni stabilità e certezza.
Chiudo gli occhi e inspiro profondamente, inalando ogni sensazione che la pioggia porta con sé.
«Di' pioggia»
«Pioggia»
«Più forte!»
«Pioggia!»
«Più forte!»
«PIOGGIA!»
Cam fece un sorriso estasiato: «Lo senti dentro di te? Qui?» mi posò una mano sul cuore.
Annuii, anche se non capivo ciò che voleva dire. Cam afferrò il mio braccio e venni inondata dall'acqua delle stelle. Corse, con me appresso, e gridò contro il cielo nero. Urlò il suo amore e la sua gioia, il disappunto, la rabbia, la voglia di vivere e il desiderio di mangiarsi il mondo intero. I suoi occhi illuminavano il suo volto bianco e brillavano come le stelle che le nuvole pesanti quella notte avevano coperto.
«Grida, Dalia, grida con me!» 
Obbedii e le nostre voci s'innalzarono contro la pioggia rovente. 
«Guarda il cielo, ascolta la musica della notte, sogna la parata delle stelle. Non lo senti Dalia, non lo senti?»
Qualcosa dentro di me, dopo le sue parole, esplose, un tripudio di emozioni contrastanti ma al contempo armoniche e complete. Le lacrime si mischiarono alle gocce di pioggia come fossero una sola cosa, la stessa manifestazione di una stessa emozione. 
Piansi perché lo sentivo.
Lo sento, Cam.
Sono nel giardino buio. Le gocce di acqua gelida battono sulla nuca e s'infilano impertinenti lungo la colonna vertebrale, diffondendo brividi spiacevoli e tremanti
La cosa più terrificante nel soffrire, è il farlo da soli e anche più terrificante è farlo in solitudine. Io sono sola, abbandonata alla mia anima.
Anima: principio vitale dell'uomo di cui costituisce la parte immateriale che è origine e centro del pensiero, del sentimento, della volontà, della stessa coscienza morale.
Il fulcro della nostra esistenza è dunque l'anima, il concetto impalpabile e immateriale che ci rende ciò che siamo. Se noi siamo la nostra anima, un cambiamento generalizzato dovrebbe quindi partire da questa. 
Mi viene da ridere. E rido, sotto alle gocce di pioggia che scalfisce la terra. 
Il problema da porsi, sarebbe l'origine delle nostre anime, perché è tutto un percorso a ritroso fino al vero centro motivo dell'esistenza.
Mi alzo in piedi e ritorno verso la casa. Entro nel buio solido della stanza, ma rimango immobile, dietro alla porta che separa me e il mondo esterno.
Se non mi muovessi mai più da qui, potrei rimanere congelata come sono ora, in ogni aspetto, e non cambierei più. L'immobilità fisica corrisponderebbe a quella spirituale e morale.
Adesso capisco, capisco tutto, capisco chi sono e chi siamo.
Noi siamo come le altre cose si tramutano in noi. Gli altri non sono influenze traviatrici, ma materiali indispensabili per la nostra formazione, che giungono da fonti esterne e attraverso il nostro corpo vengono mutate per diventare noi
«Le persone comuni non cambiano il mondo, men che meno con la forza delle parole! Smettila di illuderti che tutte le tue buone idee siano una forza pratica per realizzare ciò che hai nella testa! Smettila di credere che un solo uomo possa rimediare a ciò che hanno fatto altri miliardi!»
Mia sorella piangeva, ma sul suo volto era ancora dipinta un'espressione rabbiosa e determinata. 
«Di certo il primo passo non lo compirò discutendo con voi!» sbottò contro la mamma e contro il papà. Fece per andarsene dalla porta, ma si fermò come se avesse dimenticato qualcosa. Vidi le lacrime brillare sul suo volto. Certo, non ha la giacca, pensai, si ammalerà se non la prende.
Camelia, il fiore della fedeltà, petali e calice si distaccano insolitamente insieme dalla pianta dopo che il fiore è appassito, invece di scivolare a terra uno dopo l'altro.
La parte più bella non lascia mai indietro ciò che la completa. La mia Camelia prese la mia mano piccola e mi tirò fuori dalla porta.
La mamma e il papà gridarono, ma il rumore scrosciante della pioggia sovrastava le loro urla di genitori feriti.
Attonita, mi lasciai spingere dentro l'auto in partenza.
Le gocce caddero sul parabrezza e scivolarono sul vetro con la stessa lentezza e dolcezza delle lacrime sulle guance della mia Camelia.
«Ti voglio bene» le dissi. Lei singhiozzò, ma stava sorridendo. Mi piaceva il suo sorriso, è la cosa più bella che io abbia mai visto.
Mi piaceva così tanto che sorrisi anche io e il mio sguardo cadde sul fiore appoggiato sul cruscotto. Era una dalia dalle punte violette. La camelia che c'era prima era appassita e non avevamo avuto il tempo di metterne un'altra. Però sorridevo ai finestrini bagnati di pioggia sfuggente.
All'improvviso una luce accecante ci investì. Io ebbi il tempo di sgranare gli occhi, ma Cam, la mia Cam, ebbe il tempo di stringermi tra le braccia e di salvare il fiore più prezioso che le rimaneva, al costo di distruggere se stessa.
Camelia, il fiore della fedeltà.
Guardo la stanza, tento di ingoiarla, di riempire me stessa fino alla saturazione con questo ambiente umido e freddo. Metto in me il divano polveroso, la pioggia, il pavimento gelido, Pandora, la valigia, l'uomo freddo ma sudato, le bottigliette, la serratura sferragliante, le parole.
Le parole di Cam. La mia Cam. Cam che corre insieme a me sotto la pioggia, Cam che mi indica le stelle, Cam che mi parla della luce negli occhi degli uomini e delle donne, Cam che compra una dalia e mi racconta il suo significato.
Cambiare: mettere una cosa o una persona al posto di un'altra. Il dizionario però non dice che ciò che vuoi cambiare ritornerà costantemente tra le cose, i luoghi e le persone che hai messo al suo posto e questo è un fatto innegabile e idipendetemente dagli sforzi che farai per cambiare questa situazione, realizzerai che nulla si può cambiare del tutto, perché per costruire qualcosa di nuovo c'è il sostanziale bisogno di qualcosa di vecchio e in ogni inizio c'è il ricordo indispensabile di una fine precedente.
E nella Dalia che ora piange su questo pavimento sporco c'è la stessa Dalia che seguiva la sua Cam per il mondo con gli occhi strabordanti di ammirazione perché per cancellare veramente un ricordo così forte bisogna morire o impazzire.
Cambiamento: atto spirituale che dimostra l'impossibilità di essere diversi da ciò che siamo.
 

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Capitolo 2
*** Ares ***


Apro il cancello con un cigolio gracchiante che ulula nel silenzio freddo.
M'infilo velocemente all'interno, come se temessi di aver inutilmente disturbato i morti con questo lamento fastidioso senza riuscire poi a realizzare ciò per cui sono venuto.
Scaccio dalla mente questi pensieri così contorti e riflessivi e con le mani nelle tasche della giacca percorro a grandi passi il sentiero di ciottoli scricchiolanti.
Guarda fin dove mi hai fatto venire.
Lancio occhiate sfuggevoli ai ciuffi di erba secca, alle lapidi scolpite dalla pioggia, al sorriso morto delle fotografie, ai fiori finti più appassiti di quelli veri.
«Quando morirò non voglio essere seppellita.»
«Perché?» 
«Perché non mi piace. Voglio bruciare, voglio sapere che il mio corpo rimarrà visivamente ciò che è stato quando era vivo, e le fiamme preserveranno la sua forma, nascondendo con la cenere l'orrore della morte»
Sbuffai, pronto a contraddire le sue parole come facevo sempre.
«È inutile pensare alla morte. Quando succederà, succederà. Se ti prepari al suo arrivo, è come se lo vivessi mille volte»
Lei mi guardò, con i suoi occhi un po' qui con me un po' su nel cielo, un po' in giro per il mondo, un po' ovunque.
«A me piace pensare a un sacco di cose. Non è che posso impedirmelo, penso e basta. Tu non pensi, dio della guerra?»
Guardo i volti sorridenti nelle immagini e mi chiedo a quanto corrisponda la felicità che ha provato ognuno di loro mentre viveva. In ogni caso, ora si trovano tutti nella stessa condizione.
Tolgo le mani dalle tasche e le sfrego l'una con l'altra nel tentativo di produrre il calore necessario a scacciare il gelo che mi ha improvvisamente afferrato.
Ci sono migliaia di volti, di occhi, di sorrisi fissi in quelle fotografie e ognuno di loro è così diverso, così unico, ma ora così uguale a tutti gli altri. Bambini, anziani, adulti, ragazzi.
Guardai la bambina davanti a me. La conoscevo, tutti si conoscevano in un paese così piccolo che quando muovevi un gomito colpivi le costole di metà cittadinanza.
Le chiesi lo stesso come si chiamava, perché volevo sembrare gentile. Il suo sorriso lo era.
«Camelia» rispose «E tu?»
Stava giocando al mio stesso gioco, lo sapevo. Il gioco della sincerità. Ti faccio domanda di cui so la risposta per metterti alla prova, ma se sei intelligente tu sai del mio sapere al quadrato e vinci, prima di me.
«Ares» dissi con uno sguardo fiero.
«Ares è il dio della guerra, giusto?»
Feci un sorriso trionfante: «Esatto»
«E non hai paura?»
«Di cosa?»
«Di essere il dio della guerra»
Cammino ancora e gli steli di erba ghiacciata scricchiolano sotto le suole delle mie scarpe. Di tanto in tanto guardo le lapidi, alla ricerca della causa che mi ha spinto a venire fin qui.
Sono sempre stato dell'idea che se vuoi qualcosa, devi prendertela. A forza, con l'inganno, con chiarezza, non importa. Devi fare qualcosa. Non puoi credere che delle forze invisibili chiamate a raccolta dalla tua volontà siano sufficienti ad agire quando tu non hai il coraggio di farlo.
«Hai paura?» domandai preoccupato. 
Mi guardò con i suoi occhi volanti. La fiammella che li animava di solito ballava e tremava, sotto i soffi del terribile vento invisibile.
«Puoi andartene»
«Mi fido di te, dio della guerra» impugnò finalmente la torcia e si mise in cammino, davanti a tutti. Mi dava la sua fiducia, ma si prendeva carico di quella di tutti.
Tipico di Cam, pensare di poter fare tutto senza fare niente.
«Tu non la pensavi così, vero Cam?» 
Guardo la fotografia e i suoi occhi.
Fa schifo, la fotografia. È così fissa, così salda, così definita e incontraddicibile, che non assomiglia per niente alla mia Cam.
Cam, la cui forza di volontà supera menti e mondi.
«Tu ti saresti presa tutto, no?» chiedo ancora alla stupida lastra di marmo gelido che dovrebbe celebrare la presenza di un dannato essere umano su questa dannata terra.
«Ti saresti presa tutto, ma dannazione, Cam, perché hai pensato di poter fare sempre a modo tuo? Un essere umano, ecco cosa sei, come tutti noi! Non sei una dea, nulla di più di ciò che ci costituisce tutti.
«Devo scrivere un testo per la scuola, mi aiuti?»
Guardai la figura sdraiata sul letto vicino a me.
«Stai scherzando? Sei tu quella brava con le parole.»
«Non ti sto chiedendo parole, ma verità. Devo descrivere me stessa»
«Le parole non sono verità? Oh Cam, stai facendo un torto alla cosa che ami di più al mondo»
«Le parole sono verità pericolose, io ti sto chiedendo la verità più facile, del resto me ne occupo io.»
«Non ho voglia di farlo» replicai sbuffando. Cam si rotolò supina e mi guardò con i suoi occhioni volanti.
«Ma io ho fatto un sacco di cose per te» commentò aprendo ancora di più le palpebre.
«Non te le ho mai chieste» ribattei brusco mentre lei tornava a pancia in giù.
«Ti avevo delusa, ancora una volta avevo rifiutato, come al solito.»
Come vorrei poter rimediare, anche se le parole sono solo sussurri sparsi dal vento.
Tu sei. Sembra facile. Ma non lo è, non lo è per niente. L'essere è già un buon passo e tu sei, (non accetto alcun passato, Cam.) Spesso sei felice, ma sei anche molto triste. Quando sei triste il tuo sguardo si perde, quando sei felice, il tuo sorriso si apre sul mondo. Quando cominci a parlare, non la smetti più. A volte, di notte sogno la tua voce, che dice tutte quelle parole che mi hai detto quando eri con me. Hai paura, ma sei coraggiosa. Il tuo coraggio è la conoscenza della paura e la tua paura è la conoscenza del costo del coraggio.
Quando sei stanca, chiudi gli occhi e ascolti pacatamente, ma non tutte le parole, quelle più importanti, perché sei troppo affaticata per sentirle tutte. Quando ti svegli spalanchi gli occhi, li fai scorrere intorno a te, poi ti schiarisci la voce, per far sentire al mondo che ci sei ancora. Quando ti arrabbi, diventi seria, il tuo sguardo si fa serio, la tua bocca prende una piega seria e la tua voce suona seria. Gridi poco, perché le tue parole urlano già da sole e hanno tutta la voce di cui hanno bisogno.
Stavo cercando del ghiaccio per il livido sotto al mio occhio sinistro e Carlos leggeva il giornale, stravaccato sul suo piccolo letto di metallo cigolante.
«"Incidente stradale: l'amore contro la morte". Hai sentito?» commentò lui d'un tratto, interrompendo il silenzio.
«Sì» riposi senza prestare veramente attenzione. Quel dannato livido continuava a pulsare e non riuscivo a pensare ad altro.
Carlos mugugnò qualcosa ma riuscii a distinguere solo: «...la ragazza con cui uscivi, quella con un nome strano...»
Mi bloccai.
Qualcosa si stava dolorosamente muovendo dentro di me.
«Quale, Camelia?» chiesi brusco, ma pronunciare quel nome mi costò una fitta più dolorosa di quelle che mi procurava l'ematoma.
«Sì, lei» rispose.
«Era la mia fidanzata, comunque» ci tenni a precisare. Il ricordo di Cam mi invase aggressivamente e io non ero pronto a difendermi. Il suo sguardo volante mi balenò davanti agli occhi e provai l'impulso di allungarmi in avanti per poterla stringere. Pensai che sarei dovuto tornare, anche solo per scusarmi, perché dubitavo che avrebbe voluto riprendermi con sé dopo che l'avevo trattata così malamente. 
Dovevo rivederla, assicurarmi che stesse bene, perché, nonostante tutto, l'amore che provavo per lei era così radicato in me che per rimuoverlo avrei dovuto distruggere una parte di me stesso. 
L'amavo.
«Be', condoglianze» commentò Carlos, lanciandomi uno sguardo da sopra il giornale.
«Perché? Non era così male» replicai infastidito.
Lui mi rivolse uno sguardo stupito: «No, Ares, condoglianze sul serio. Non lo sai?»
Lo fissai senza capire. Ormai il dolore del livido era nulla in confronto a quello che mi era esploso nel petto.
«La ragazza morta nell'incidente» proseguì Carlos «Era lei, Camelia»
Ho sperato di tornare da te, di chiederti scusa per averti lasciata, di tornare a stringerti tra le braccia, di baciarti ancora una volta, di ascoltarti parlare con le tue parole. È questo che mi ha fregato. Ho riposto tutto il mio volere nelle inutilizzabili speranze che si sono volatilizzate con la tua scomparsa. Ti ho criticata per il tuo amore per le parole, era inconcepibile per me dare tanto valore ad un concetto astratto ed ero così accecato da me stesso che non mi sono accorto di essermi comportato esattamente allo stesso modo.
«Torna indietro Cam» sussurro a quello schifo di immagine che c'è sulla lapide «Ti prego torna indietro, anche solo per un bacio, un abbraccio, una parola, uno sguardo. Mi sto dannando per non essere tornato indietro in tempo. Maledizione, Cam! Dovevi andartene proprio quel giorno? Dovevi proprio fare la coraggiosa?  
"Incidente stradale: l'amore contro la morte". 
'Fanculo. 
L'istinto mi porta ad odiare quella sorellina per cui hai dato la vita, ma la ragione mi ricorda che se tu lo hai fatto è perché l'amavi veramente. Dalia ti è stata vicina quando io non c'ero e tu l'hai ricompensata dandole tutta la tua vita.
«Perché vuoi cambiare il mondo?» domandò.
«Perché non mi piace» le risposi.
«E quando lo avrai cambiato, cosa farai?»
«Ammettendo di riuscirci, sarei felice e mi godrei il nuovo migliore mondo»
«Ma quel mondo sarà migliore per te e non per altri. Tu non avrai più nulla da fare, perché avrai realizzato il tuo ideale, ma gli altri, il cui ideale non è ancora ideale, tenteranno di realizzarlo, smantellando il tuo»
Non le risposi, perché di solito una bugia è molto più facile, ma la verità fa sempre male.
«'Fanculo! 'Fanculo!» sbotto afferrando quello schifo di fiori che qualcuno ti ha portato. I tuoi preferiti sono le dalie viola, ma questi coglioni non lo sanno. Scaglio il vaso a terra, ma il vetro mi colpisce le mani e le vedo sanguinare. 
Non sento nessun dolore. Vorrei provarne tanto però, così anestetizzerebbe quello mi sta esplodendo dentro.
«Questo è un mondo di merda, Cam» grido guardando la tua foto. «Fottetevi tutti quanti!» sbraito verso le lapidi e, a quanto pare, al guardiano non piace.
Dice che deve chiedermi di andarmene. Anche lui è parte di questo mondo di merda. Sta guardando fisso me.
Non guarda la tua foto.
Se lo avesse fatto, avrebbe capito.
Perché? Perché non riesco a smettere di amarti, Cam? 
E ti odio per questo e mi odio perché sono patetico. Siamo patetici.
Anche il custode che cerca di spingermi verso il cancello è patetico. Continuo a lasciarti, Cam, anche ora.
Cazzo.
Io ti amo.
Dicono che il dolore sia per una bella anima e allora la mia deve essere la più fottutamente bell'anima del mondo perché giuro che questa cosa che ho dentro mi ucciderà prima o poi.
«Sono il dio della guerra!» grido contro il custode «E vi distruggerò tutti!»
Lui mi guarda con compassione. Non ha paura di me. Crede che la mia condizione sia penosa e vorrebbe salvarmi.
Si sbaglia.
La mia condizione è disperata. Il mio farmaco è andato perduto.
Il dio della guerra sta morendo.
«Eccomi» 
Si affacciò dalla cima delle scale come un'apparizione meravigliosa. L'aria imbarazzata le conferiva un'aura di bellezza che pareva illuminare le scale. La guardai esterrefatto, incapace di realizzare che lei era lì solo per me è quel sorriso timido era mio.
Quando raggiunse gli ultimi gradini, l'afferrai per la vita e i suoi piedi si staccarono da terra. Rimase per un istante nell'aria contemplando i miei occhi. 
Sapevo cosa vedeva nelle iridi. Il fuoco. Il fuoco che avrebbe voluto divorare il mondo ma che era placate da ciò che lei voleva che fossero, anche solo per l'istante in cui stava sospesa tra il cielo e la terra.
Pareva che io la sostenessi, ma forse non è mai stato così. 
Forse Cam stava per volare via e le mie mani la trattenevano su questa terra di uomini.
Non riesco a smettere di tremare. Come un vetro che vibra prima di frantumarsi.
Ma io sono già a pezzi e non capisco più quale di questi sia il vero me. 

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Capitolo 3
*** Camelia ***


CAMELIA


C'è un vento sottile oggi, di quelli che s'insinuano sotto gli abiti leggeri, attraverso i bottoni delle giacche, tra le pieghe di una gonna o su per le maniche dei maglioni.
Vedo la città dall'alto. Nessuno potrebbe pensare che un vecchio edificio abbandonato, su un promontorio mal tenuto, possa dominare una visuale così potente. Se allargo le braccia, posso toccare con l'indice sinistro il magazzino a nord e tengo sul mignolo destro le scuole elementari a sud.
Spesso la gente non riesce a cogliere tutti gli aspetti delle cose che ritiene "brutte", ma si fida ciecamente di quelle belle. Non concepiscono la colpa nella bellezza.
Faccio scorrere le dita sulla carta increspata, intrisa di inchiostro che tengo tra le mani.
«Parole, parole, parole. Cosa te ne fai delle parole? Lo sai che sono solo suoni nell'aria e segni sulla carta? Non hanno potere, non hanno forza, non hanno consistenza. Non puoi servirti di una forza invisibile per cambiare il tuo mondo».
Mi hanno sempre detto che parlo troppo. Non è colpa mia, ma delle parole. Quando cominciano a guizzare fuori dalle labbra, non riesco più a trattenerle e, come pesci lucenti, scivolano irrefrenabili nell'aria.
Il mondo può tremare per lo spostamento di un atomo e le parole lo sono, nient'altro che suoni convenzionali dietro a cui si nascondono i pensieri e gli ideali che possono cambiare il mondo e che lo hanno cambiato, fino ad oggi. Non intendo i suoni automaticamente emessi, ma la musica finemente ricercata per riprodurre, con una precisione quasi maniacale, nonostante la sostanziale impossibilità, quei pensieri di forma vaga che compaiono nella nostra mente. 
Eravamo fradici di pioggia, come l'erba intorno a noi. I filamenti color smeraldo, davanti ai miei occhi, si chinavano contro la nera terra, grondanti. Volsi il capo a lui. Anche il suo volto era intarsiato di gocce luccicanti al chiarore dei lampi, che di tanto in tanto schiarivano la notte come fruste argentate.
«Dobbiamo rientrare» disse, guardandomi. Il suo solo sguardo era sufficiente per scuotermi e farmi dimenticare tutto il resto.
Gli sorrisi: «Hai paura della tempesta, dio della guerra?»
«Ti ammalerai, Cam» rispose sollevandosi dal terreno.
Rivolsi il capo al cielo e risi, all'acqua delle stelle.
Sono in piedi sul cornicione di una porta che si affaccia sull'abisso. Un equilibrio precario tra la certezza solida e la caduta imprecisata nel vuoto sconosciuto. 
L'equilibrio è la coesistenza di ciò che nega il proprio opposto.
Se faccio un passo muoio, semplice. Non è una cosa difficile dopotutto. Un gesto, un istante, una fatalità, azzera l'esistenza. Azzera il dolore, l'inquietudine, il travaglio, la malinconia, ma anche la gioia, l'amore, l'affetto.
Cancellerei l'angoscia che mi prende ogni volta che sono sola, ma anche quella sensazione di appagante gioia che provo ogni volta che guardo un tramonto.
Mi piace la vita, quel suo continuo tessersi e disfarsi indipendentemente da ciò che già esiste, ma necessario per ciò che verrà.
È l'alba. Il sole sta sorgendo alle mie spalle, ma davanti al mio sguardo c'è ancora un angolo di mondo che dorme, nel suo scuro manto, e attende di essere spogliato dal chiarore del giorno. Alcune nuvole scure si ammassano in quella direzione, dove ancora è buio, accalcandosi le une sopra le altre. Mi piace la tempesta, perché il mondo è sempre tempesta. La calma piatta è solo un'apparente illusione entro la quale si scatenano turbamenti minori, invisibili all'occhio umano, ma che pur esistono.
La quiete mente, la tempesta non tradisce, è solo se stessa ed altro non potrà essere, se dentro di sé contiene già il tutto.
«Tu sei il mare, io sono il vento. Io soffio, tu ti agiti e travolgi il mondo con la tua forza».
«Stai dicendo che la mia forza deriva dalla tua» commentò il ragazzo, guardandomi negli occhi. Non sapevo come replicare. Quando lui mi fissava in quel modo, ogni suono moriva nell'anticamera della gola e si spegneva ancor prima di nascere.
«Mi piace Cam, mi piace».
Mi attirò a sé e posò le sue labbra sulle mie.
«Non andartene mai» sussurrò ancora e il suo respiro di caffè scivolò sul mio volto.
«Non sarò io a farlo» replicai e lessi l'incertezza interrogativa nei suoi occhi.
Sono sempre stata certa di essere una persona fedele. La fedeltà è un modo di essere profondamente legata all'animo della persona. Come tutta la nostra personalità, si costruisce anch'essa nei primi anni di vita. La fedeltà è fatta da croci sul cuore mantenute, labbra serrate per trattenere segreti sussurrati con un filo di voce dai bambini, bigliettini gelosamente custoditi nel palmo di una mano, sguardi allusivi sotto palpebre socchiuse.
Ognuno ha un pezzo di qualcosa in questo mondo. A me è toccata la fedeltà e il suo nome.
Camelia, il fiore della fedeltà, petali e calice si distaccano insolitamente insieme dalla pianta dopo che il fiore è appassito, invece di scivolare a terra uno dopo l'altro.
Il nome definisce e sottolinea, differenziando l'essere di una persona rispetto alle altre.
Negare il proprio nome è negare se stessi.
«Ares, calmati».
«Stai dicendo al dio della guerra di stare buono».
«Il dio della guerra deve morire».
«È immortale».
«Tu non lo sei».
Ares mi guardò fisso negli occhi: «Lasciamelo fare, Cam».
Lo voleva davvero, lo si leggeva nella luce delle sue iridi, la stesse luce che illuminava lo sguardo dei suoi compagni mentre si caricavano di risoluzione.
«Cambierà qualcosa? Le tue ossa rotte, i tuoi lividi, serviranno per attuare ciò per cui combatti? Non basterebbero delle parole, degli accordi, dei dialoghi per risolvere pacificamente ciò che vuoi prendere con la forza?»
Mi strinse le mani: «Buio è mancanza di luce, luce è mancanza di buio, bene è a mancanza di male, male è mancanza di bene. L'equilibrio è la coesistenza di ciò che nega il proprio opposto. Io e te, Cam, siamo un equilibrio».
Mi sporgo dal nudo balcone dello scheletro edificio in cui mi trovo. Davanti a me c'è il nero del mondo ancora addormentato, ma alle mie spalle c'è il trionfo dei colori vivi del nuovo giorno. Un contrasto così forte e discordante non può far altro che produrre un equilibrio perfetto. 
Guardo ancora una volta il foglio increspato di lettere che tengo tra le mani e, quando un nuovo alito di vento si gonfia intorno a me, allento la presa, fino a che l'aria porta via la carta. Quelle parole avrebbero potuto piacergli, ma a lui le parole non piacevano in generale. Preferiva prendersi ciò che voleva con la sua sola forza. Io credevo che fossero le parole a far tremare l'altro, a lui bastava uno sguardo.
«Perché provi a cambiare il mondo?» domandai.
«Perché non mi piace» rispose lui.
«E quando lo avrai cambiato, cosa farai?»
«Ammettendo di riuscirci, sarei felice e mi godrei il mondo nuovo».
«Ma quel mondo sarà migliore per te e non per altri. Tu non avrai più nulla da fare, ma gli altri il cui ideale diverso dal tuo non è ancora reale, tenteranno di realizzarlo smantellando ciò che tu hai creato».
L'uomo fa la guerra per cercare la pace, come se questa fosse nascosta nella grande devastazione che la prima porta, un'ultima speranza a cui aggrapparsi con tutte le forze di reduci.
La guerra non è fedele, perché promette la pace, ma non la cerca. La guerra reca disperazione e sciagure, la guerra tradisce l'uomo e il fine stesso per cui è stata intrapresa. 
Guerra e fedeltà non sono concetti che possono convivere armonicamente tra loro.
«Me ne vado».
Le sue parole giunsero dalle mie spalle e mi colpirono come una meschina e vile pugnalata nella schiena.
«Davvero?» chiesi, non perché non lo sapessi, ma perché speravo con tutta me stessa che lui avrebbe capito il dolore che mi stava facendo provare e che, pentito, avrebbe deciso di fare un passo indietro.
«Sì, non cambierò idea».
Il mio sguardo rimase fisso sulla valle che si apriva dolcemente più in basso. Il cielo sereno della notte si specchiava nel lucido lago calmo. Tutto taceva in una cupa immobilità che non poteva far altro che farmi stare peggio. Io amavo le tempeste.
«Lo sai che non verrò con te, vero?» domandai, ferma.
«Sì. Ti sto lasciando qui, Cam» rispose la sua voce calda.
Mi voltai di scatto: «No Ares, tu mi stai lasciando. Fine della frase. Nessun "qui", nessun luogo in cui giace la speranza di ritrovarci domani, tra una settimana o tra una vita! Hai reso inesistente l'angolo di mondo in cui saremmo mai potuti essere e non hai neanche il coraggio di ammettere la verità nelle tue parole!»
«Smettila!» sbottò lui e io ammutolii. «Non lo vedi qual è il tuo problema? Analizzi ogni parola, la muti, la stravolgi e ne fai ciò che vuoi! Sto parlando di noi, Cam».
Persi completamente le forze, gli occhi mi si appannarono di lacrime.
«Hai cambiato argomento» mormorai sconsolata, «Perché ho fatto breccia nel centro del problema, vero?»
Ares mi rivolse uno di quegli sguardi che ti tolgono il fiato e le parole e scuotono ogni tua cellula.
Presi un respiro profondo: «Tu mi stai lasciando qui, come in ogni altro luogo della terra».
Calò il silenzio tra noi e su quell'angolo in cui parlavamo.
«Lo sapevo» ripresi, «che mi avresti lasciata prima o poi, e che non sarei stata io a farlo, te l'avevo detto. Io sono quella fedele, tu sei il dio irrequieto della guerra. Vorrei solo che avessi il coraggio di ammetterlo»
È terrificante. Quando qualcuno ti sta lasciando e l'unica cosa che desideri è correre tra le sue braccia.
«Chi sono io per fermarti?» chiesi senza forze. Ares mi guardò ancora. Sarebbe stato più facile per lui se io mi fossi messa a strepitare e gridargli contro, lo leggevo nei suoi occhi cupi. Lui era abituato a fare la guerra.
«Vattene» continuai pacata, «se vuoi. Se un giorno tornerai sulla vecchia strada, mi ritroverai».
Lui si voltò e non riuscii più a vedere il suo viso, poi ritornò verso la sia auto.
Avrei voluto che mi guardasse ancora una volta, così che potessi imprimere ogni dettaglio del suo volto nella memoria, in attesa del suo ritorno. Sapevo che prima o poi l'avrei rivisto e con questa convinzione attenuavo il dolore che mi attanagliava in quel momento.
Lancio uno sguardo alla vista che si estende sotto i miei piedi. 
Il potere e la morbosità sono termini che vanno a braccetto. Da quassù ho tutto il potere del mondo, seppur invisibile, seppur impalpabile, io possiedo questo potere, che è però legato alla morbosità con cui scruto il paesaggio, sperando che ogni auto sia la sua, che ogni figura appartenga a lui, che ogni passo sia per tornare da me. Puoi essere anche il più alto tra gli esseri umani, ma continuerai comunque a guardare in giù, più in basso, perché ti mancherà sempre qualcosa. E l'umanità ti porterà a chiederti quanto valga veramente la pena essere così in alto se il tuo sguardo sarà sempre rivolto verso il basso. È una tua scelta. Ma dovrai sempre rinunciare a qualcosa.
Amare. Non ho mai capito il significato di questa parola perché pensavo non fosse necessario. Il suono è troppo comune, troppo banale, troppo utilizzato, per indicare veramente quella cosa che noi indichiamo in non altro modo che "amore".
Dovrebbe essere una parola speciale, che puoi decidere di regalare, senza pretendere risarcimenti, una parola così preziosa, che non si può neanche dire ad alta voce, ma solo sussurrarla, se necessario, perché il suo potere è tanto grande da poterci spazzare via tutti. 
Ma le persone hanno rinchiuso l'amore e l'hanno relegato nelle catene mortali in cui prima o poi ogni cosa cade. 
Forse amare non è altro che volere qualcosa in più. Un altro incontro, un altro sguardo, un altro bacio, oggi, domani e poi ancora. Amare è disteso nel tempo e ci scivola sopra perfettamente a proprio agio. Chiedi al tempo di concederti ancora un po' di ciò che ami, per poterne godere qualche istante in più. Chiedigli un altro domani, giorno e notte, chiedigli di poter gustare un respiro, chiedigli l'alba che verrà e quella dopo ancora, poi ogni crepuscolo. Chiedi al tempo la sua luce e la sua forza, per esserci ancora e fare che ci sia ciò che vuoi. Chiedigli un qui e ora all'infinito, perché speri che non finirà. Mai.

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