The lost kingdom

di jaykayess
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Domenica mattina ***
Capitolo 2: *** Ricerche ***
Capitolo 3: *** I droidi ***



Capitolo 1
*** Domenica mattina ***



Le campane della chiesa presero a suonare in modo quasi insopportabile nelle sue povere orecchie, mentre i cani dei vicini non facevano altro che abbaiare, i freni delle automobili stridere, i bambini giù nel parco schiamazzare.
Il ragazzo aprì gli occhi. Era domenica.
Era incredibile come, ogni volta che, il sabato sera, si riprometteva di ignorare tutti quei rumori assordanti e fastidiosi che fatalmente si ripetevano ogni singola domenica mattina, si ritrovava come sempre a svegliarsi prima del previsto, ritrovandosi le solite occhiaie scavate e scure sotto i grandi occhi color ebano.
Ma che poteva farci... d’altronde, se non si fosse svegliato, ci avrebbero pensato i robottini di suo padre con quei terribili aspirapolvere a buttarlo giù dal letto.
Senza pensarci troppo, e senza neanche preoccuparsi di vestirsi in modo decente ed adeguato-adeguato per cosa, poi?-, scese al piano di sotto, ancora con indosso la tuta leggermente larga che utilizzava per dormire.

«Buongiorno, tesoro!» fu il caloroso saluto della sua biondissima madre, al suo ingresso in cucina «Ti sei alzato presto, oggi!»

In risposta, lui si limitò a mugugnare un versaccio d’assenso e, avvicinandosi alla donna, le prese dalle mani il termos con all’interno il caffè, versandosene una tazza intera.
In fondo adorava sua madre, ma detestava quando, appena sveglio, gli rivolgeva la parola in quel modo così cinguettante ed allegro. Dopo sedici lunghi anni vissuti sotto il tetto di quella casa, ancora si ritrovava a chiedersi come facesse quella maledetta donna ad essere sempre così felice e positiva. E soprattutto, come facesse a trattar bene letteralmente chiunque le passasse accanto.
Effettivamente non le somigliava affatto... ma a volte la mela cade lontano dall’albero, giusto? 

«Che ti succede, amore?» chiese Bunny Brief, con un accenno di preoccupazione nella voce «Ti senti poco bene? Hai dormito male, stanotte? Hai delle occhiaie terribili!»
«Sto bene.» si limitò a rispondere lui.
«Ne sei sicuro? Non hai una bella cera...»
«Sono solo stanco.» spingendola delicatamente di lato, sistemò la tazza ormai vuota nel lavello, per poi dirigersi in soggiorno, pronto almeno a godersi qualche momento di tv prima dell’arrivo del resto della ciurma.

«Mamma!»

Il destino, la domenica, gli voleva davvero male. Ormai ne era sicuro.
Non aveva fatto neanche in tempo a toccare il telecomando, che una massa di capelli biondi come quelli di sua madre lo assalì, e si ritrovò affianco l’unica persona che, durante i primi giorni di settembre, non sarebbe dovuta stare in quella casa, ma nei dormitori della propria università.

«Oh, Vegeta!» esclamò, strappandogli di mano il telecomando «Hai visto la mamma?»
«Ah, non saprei, tu hai per caso visto il tuo nome scritto su quel telecomando?!» fu la sua risposta «Che diavolo ci fai ancora in questa casa, nullafacente?!»
«Le lezioni iniziano lunedì prossimo. Ho ancora un bel po’ di tempo!»
«Sì, ma ridammi il telecomando.»
Detestava quando, ogni maledettissima volta che lui si apprestava a far qualcosa in quel dannato soggiorno, le sue sorelle arrivavano puntualmente a rompergli le uova nel paniere. Era come se Tights e Bulma avessero una specie di radar che le avvisava ogni volta che lui si trovava di fronte al televisore. 
E, conoscendo la seconda, non era poi così impossibile fosse così.
«Ma sei pazzo?! Ora inizia la mia sitcom preferita!»
«Mi ci pulisco il culo con la tua sitcom preferita!» le inveì contro il minore, afferrando nuovamente l’oggetto del suo desiderio, tentando di strapparlo dalle mani della sorella «Ridammi il telecomando!»
«Non ci penso proprio! Io sono la primogenita, io decido cosa guardare!»
«Ma perché diavolo devi comandare sempre tu?!»
E, si sa, tra i due litiganti, il terzo gode.
Con una nonchalance che apparteneva più al più piccolo dei tre che a lei, la secondogenita dai lunghi capelli turchini, dopo aver strappato il telecomando dalle mani di entrambi, si sedette proprio al centro, avendo finalmente l’onore di accendere il tanto bramato televisore.
«E adesso questa che vuole?!» fu il commento acido di Vegeta, che inarcò un sopracciglio con fare rassegnato.
Lei si limitò a guardarlo con ovvietà, girando sul canale che le interessava «C’è l’oroscopo!»

In quel momento, Vegeta si ritrovò a chiedersi se non fosse meglio sopportare le campane della messa domenicale e gli schiamazzi dei mocciosi, oppure sorbirsi il crudele destino di vivere in una casa abitata più da donne che da uomini.

*

Alla fine, aveva lasciato perdere i litigi con quelle due oche e, evitando i rimproveri di sua madre, era sgattaiolato fuori in cortile, con tutta l’intenzione di allenarsi sul retro.
Se c’era una cosa di cui andava veramente fiero, quella era la sua forza. Fin dalla tenera età, infatti, aveva dimostrato delle doti innate mai sperimentate prima dai membri della sua famiglia nelle arti marziali.
In pochissimi anni, era riuscito a diventare un vero campione a livello agonistico e, fosse anche crollato il cielo da un momento all’altro, nessuno avrebbe dovuto disturbarlo durante i suoi preziosissimi allenamenti. Era in vista una nuova gara e, come sempre, aveva in testa il solo obiettivo di vincere.
Non sapeva da dove fosse nato quell’amore per la lotta. Probabilmente non ne aveva memoria, o forse era davvero qualcosa di miracolosamente innato.
L’unica cosa che sapeva era che lottare lo faceva sentire bene, lo rendeva leggero e felice, ed ogni volta che sferrava un pugno, era come se si ritrovasse ad un passo dal cielo.

«Hey, Vegeta!»

Non poteva crederci.
Durante letteralmente tutta la settimana, nessuno lo cercava in quella casa. Erano tutti, ma proprio tutti, impegnati in altri affari.
La domenica, invece, il suo dannatissimo nome era sulla bocca di tutti. Tanto che, ad ogni settimana che passava, la sua voglia di correre all’anagrafe e costringerli a cambiargli immediatamente il nome saliva sempre di più.
Ma, fortunatamente stavolta, era suo padre che lo chiamava: probabilmente niente che lo avrebbe portato all’esaurimento nervoso. Forse.
Così, cessando i suoi esercizi, si avvicinò al suo vecchio, che se ne stava, come sempre, con qualche attrezzo da lavoro in mano.

«Che c’è?»
«Scendi giù in laboratorio. Mi serve una mano con una moto volante.»

Questa era la sua maledettissima vita.
Una madre appiccicosa ed apprensiva che ogni volta giustificava questa sua imponente apprensione con il fatto che lui fosse il suo unico figlio maschio, nonché il minore; due sorelle maggiori che non facevano altro che infastidirlo l’una quando c’era, l’altra ventiquattr’ore su ventiquattro; ed un padre che, non avendo alcuna voglia di chiedere aiuto all’unica sua figlia che ne capisse qualcosa del suo stupido mestiere, lo costringeva ai lavori forzati chiuso nel suo dannatissimo laboratorio.
Ma questa era la cosa meno stressante: per lo meno suo padre non urlava, non passava ore intere chiuso in bagno, non gli rubava il telecomando e non gli chiedeva se stesse bene ogni trenta secondi.
Per cui, sospirando, lo seguì nel grosso seminterrato della buffa abitazione circolare, addentrandosi in quelli che erano i laboratori della famosa Capsule Corporation: l’azienda più importante non solo della Città dell’Ovest, ma probabilmente anche del mondo intero.
Detestava tutta quella roba, non faceva proprio per lui: certo, lui era intelligente, sveglio, e nelle materie scientifiche se la cavava egregiamente, ma non sentiva quel campo come suo. Bulma, invece, amava tutti quei marchingegni e quelle macchine, e a volte si chiedeva come un’oca della sua età potesse interessarsi a roba del genere.

«Bisognerebbe sistemare le valvole.» gli spiegò suo padre, indicando la moto incriminata «Ma ieri ho avuto un gran mal di schiena, non posso abbassarmi.»
Vegeta sospirò «...Va bene, dammi quella roba.»

E così, a scapito di ogni sua aspettativa, il povero protagonista di questa vicenda, si ritrovò abbassato a sistemare il motore di una moto volante, al posto di rilassarsi allenandosi per la prossima gara agonistica di arti marziali.
Ma, in fondo, c’era chi stava molto peggio di lui, ed era stato fortunato ad avere una simile vita, all’interno di una famiglia tanto importante.
E questo, Vegeta lo avrebbe presto imparato a proprie spese. 

~~~

Heylà, gente!
ebbene sì, ho deciso di alternare la storia che sto già scrivendo con questa piccola AU forse un po' meno complicata(o forse un po' di più, chissà) in cui immagino come sarebbe stata la storia se, al posto di Goku, fosse stato Vegeta ad essere stato spedito sulla Terra dai saiyan.
ovviamenre ci saranno MOOOOOLTI cambiamenti, e la vera storia di Dragon Ball(in particolare del primo Dragon Ball) verrà stravolta, ma spero che, nonostante questo, sappiate apprezzare anche questo piccolo esperimento.
tornerò presto anche con Do You Think It Makes Sense?. Nel frattempo, spero che anche questo piccolo "prologo" vi piaccia ^^
a prestissimo! Un bacio!

-JAY













 








 

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Capitolo 2
*** Ricerche ***


Non aveva molti amici, Bulma.

Era sempre stata una ragazza molto riservata, nonostante non lo desse a vedere e cercasse sempre di ostentare quella corazza tanto sicura di sé.

Certo, non le dispiaceva non avere mai grane e non essere costretta ad uscire di casa ogni sabato sera, ma a volte, guardando le amicizie che c’erano intorno a lei, non poteva far altro che provare un pizzico d’invidia.

A dirla tutta, i suoi unici amici erano i suoi fratelli. Tights era sempre stata una complice, per lei, la sua migliore amica, colei che l’aveva aiutata ad introdursi nel mondo dell’adolescenza senza farla spaventare troppo; con Vegeta litigava in continuazione, ma sapeva di poter contare sempre su di lui: il suo fratellino non l’avrebbe mai abbandonata, e questa, per la giovanissima dai capelli turchini, era una certezza che la rendeva felice.

A volte lamentava il fatto che la sua vita fosse monotona, che non ci fossero state avventure, e che non si andasse mai da nessuna parte, con suo padre che non faceva altro che pensare al lavoro. Lei avrebbe voluto girare il mondo, vedere posti nuovi, affrontare pericoli e peripezie... ma si rendeva conto che questo, purtroppo, succedeva soltanto nei film.

 

Ma, quel giorno, Bulma si ritrovò inaspettatamente di fronte ad un’opportunità. Qualcosa di cui niente e nessuno aveva mai parlato, o per lo meno, non che lei sapesse-e lei seguiva sia attualità che politica!

Era scesa nei sotterranei dei laboratori della Capsule Corporation, dove sua madre teneva tutti i ricordi, tra i quali album fotografici, vecchie macchine da scrivere... insomma, tutte quelle cose di quel genere. Le servivano per una ricerca di scuola, e dato che era abbastanza sicura ci fossero anche foto ed oggetti appartenuti alla sua ormai deceduta nonna-della quale aveva sempre saputo poco e niente-, aveva deciso di addentrarsi in quelle stanze oscure, umide e piene di animaletti schifosi.

Eppure, fu proprio in una di quelle stanzette puzzolenti di chiuso e di escrementi di topo, che trovò quello che poteva essere il vero inizio di un’avventura.

Il piccolo oggetto se ne stava lì, nascosto tra due travi di legno sconnesse. Luccicava al solo puntarci la luce della torcia contro.

Bulma lo vedeva: era un oggettino circolare. Dapprima era sicura fosse una palla, ma poi, guardando meglio ed osservando i riflessi dal colore ambrato che produceva quell’oggettino sul soffitto a causa della luce della sua lampadina, si accorse che non era così. 

Si avvicinò lentamente all’oggetto incriminato, facendo attenzione a non sprofondare nel pavimento di legno marcio.

E, quando finalmente lo prese tra le mani, poté osservare qualcosa che non si era mai visto prima... qualcosa di semplice, ma che allo stesso tempo emanava un’aura di scoperta, di avventura, di meraviglia.

Era semplicemente una piccola sfera. Una sfera arancione con due piccolissime stelline  rosse incastonate all’interno. Eppure Bulma, contenta della sua scoperta, non ci pensò due volte a correre di sopra a fare una ricerca al computer in camera sua.

E ciò che finalmente trovò sul conto di quella sfera, fu quasi sconcertante.

 

«Vegeta!»

 

 

Si sentiva stanco e sporco. Non aveva alcuna intenzione di star a sentire quell’oca di sua sorella, soprattutto dopo aver dovuto fare il lavoro di suo padre-che, peraltro, avrebbe dovuto essere destinato proprio alla cornacchia che lo stava chiamando in quel momento-, ed essersi preso un po’ di tempo per sé allenandosi.

Adesso, aveva soltanto bisogno di una doccia.

Già, in teoria, ma pensandoci bene, Bulma non lo chiamava quasi mai... soltanto quando succedeva qualcosa di brutto, o di importante, o di relativamente interessante per entrambi.

Così, rimandando la sua tanto bramata doccia di cinque minuti, decise di raggiungere la stanza di sua sorella, incuriosito da quella chiamata tanto urgente.

 

«Ah, eccoti!» esclamò lei vedendolo entrare «Vieni a vedere che cos’ho trovato!»

 

Vegeta non era il tipo da ricerche su internet... odiava mettersi a cercare delle cose solo per il gusto di farlo, senza neanche collegare un filo logico a ciò che trovava. Ed era per questo che, quando Bulma lo incalzò chiedendogli di avvicinarsi al suo computer con lo scopo di vedere cos’avesse trovato, alzò un sopracciglio con scetticismo.

Ma poi, sospirando, decise di accontentarla.

La vide con una specie di palla da baseball in mano, arancione, con due stelline disegnate sopra. Da quando sua sorella giocherellava con le palle? 

 

«Beh?» chiese, con aria scocciata «Che devo vedere?»

«Ho trovato questa giù nelle cantine.» rispose lei, mostrandogli la palla che aveva in mano «Non è fatta per giocare a qualche gioco di sicuro, e poi è particolare... ho dubitato già da subito che potesse essere persino per l’ausilio di strane pratiche sessuali. Così mi sono incuriosita ed ho fatto una ricerca, e guarda a cosa sono venuta a capo.»

Lui si limitò a sorridere sghembo, con aria di scherno «Che cosa? Serve per caso a sostituire quelle vere in caso di castrazione letale? Ma dai, Bulma, a cosa diavolo dovrebbe servire una pallina come questa?!»

«Ho fatto una ricerca.» lei sembrava non starlo neanche a sentire «Si chiamano sfere del drago. Sono sette in totale, e possono esaudire qualsiasi desiderio, una volta riunite tutte.»

Era matematicamente impossibile che una ragazza astuta come sua sorella si fosse lasciata ingannare da simili baggianate. Sfere che esaudiscono desideri? Sembrava un’invenzione cinematografica e nulla di più.

«Ma butta via quella robaccia.» la schernì il minore, ridendo sotto i baffi «Sfere magiche che esaudiscono desideri. Roba da matti.»

 

Ma Bulma non si lasciò scoraggiare dall’innato scetticismo del fratello e, ferma nelle sue decisioni, decise che forse fosse arrivato il momento di dimostrare a Vegeta che, per una volta, era lui a sbagliarsi.

Così, raccolse tutti i suoi utensili e, dopo aver indossato gli occhiali da lavoro, si diresse in laboratorio: avrebbe costruito un radar cerca-sfere.

 

*

 

Avevano fallito. Di nuovo.

La ricerca che avevano deciso di portare avanti non portava alcun frutto, ed i soli tre sopravvissuti di un regno una volta prosperoso, stavano cominciando a subire gli acciacchi della sconfitta.

Il loro pianeta era completamente andato alla deriva, e sul suolo ormai arido di quella terra ormai desolata si potevano ancora udire le grida di coloro che, in quel giorno non troppo lontano, venivano saccheggiati ed uccisi senza alcuna pietà.

Il loro obiettivo era sempre stato quello di trovare una traccia, anche solo un indizio, che li avrebbe condotti a sperare che ci fosse ancora una minima scintilla di vita nella loro ex patria, ma le speranze erano poche, e le fatiche erano tante.

Certo, vivere sotto l’ala protettiva della principessa di Iturn era appagante: lei era buona con coloro che avevano subito tali tragedie, ed avevano delle abitazioni ben attrezzate. Ma loro volevano la loro vecchia vita. Loro volevano il pianeta Vegeta.

Erano tornati da poco dalla loro ultima-e fallimentare- missione su Vegetasei e, stanchi, infreddoliti ed affamati, si stavano recando al cospetto della principessa.

 

«Vostra altezza.» la salutò il primo, con un inchino «È sempre un piacere vedervi così radiosa.»

«Ancora niente?» chiese lei, alzandosi dal suo trono e raggiungendoli.

«No, purtroppo. Abbiamo nuovamente fallito.»

«Già.» asserì il più giovane dei tre «Forse dovremmo semplicemente lasciar perdere.»

«Siete tre grandi guerrieri...» li incalzò la principessa «Ed io, forse, non dovrei immischiarmi in faccende delicate come la vostra, anche perché non vorrei mai darvi false speranze. Però...»

I tre non la interruppero. Stettero semplicemente a guardarla incuriositi, pendendo dalle sue labbra.

La principessa era veramente bella, e possedeva una grazia che non era mai appartenuta alle donne della loro razza, addestrate fin da piccole a diventare combattenti esattamente al pari degli uomini.

«Però vorrei aiutarvi, se me lo permetterete.» concluse, per poi far cenno al gruppetto mal assortito di seguirla «Prego. Venite con me.»

 

Lei non era tipo da immischiarsi nelle faccende altrui, non lo era mai stata. Ma quei tre valorosi guerrieri, quei tre ragazzi la cui casa gli era stata strappata via, l’avevano colpita nel profondo. Non si erano mai dati per vinti, ed avevano sempre cercato una speranza... una speranza che però, purtroppo, faticava a farsi vedere.

Così, dopo averli condotti nella sua biblioteca, li fece accomodare su delle poltrone, sedendosi di fronte a loro.

 

«Non so se siete a conoscenza della storia che si è cominciata a raccontare, riguardo il vostro pianeta ed il vostro popolo...» cominciò, incrociando le braccia «Ma esiste una leggenda qui, sul mio pianeta, raccontata da quello che andava in giro a dire di essere uno dei servitori del re. Un vecchio, che ora vive isolato, sulle montagne del nord.»

«Una leggenda?» chiese il più giovane «Che tipo di leggenda?»

«Colui che ha messo in giro questa voce, sedici anni fa, quando Vegetasei fu distrutto... ha raccontato che il re aveva avuto un figlio da poco, al tempo. Certo, la sua nascita non era ancora stata pubblicamente annunciata, ma il bambino pare esser nato proprio il giorno stesso in cui la furia di quel pazzo di Freezer ha decimato il vostro popolo.»

«Non capisco.» commentò di nuovo uno di loro «Il re non aveva una figlia?»

«Certo, la principessa Maiz!» gli fece eco uno dei suoi compagni «Ce la ricordiamo tutti, ma... un figlio? Da quando?»

«Si racconta che furono proprio la principessa e la regina a mettere in salvo il piccolo, durante la battaglia finale contro Freezer ed il suo esercito.» fu la risposta della donna «E che il principe sia ancora da qualche parte, su un altro pianeta. Vivo.»

 

Tutti e tre i guerrieri si scambiarono sguardi più che eloquenti. Ormai erano anni che vivevano sul pianeta Iturn, ma non avevano mai sentito quella storia, neanche di sfuggita. Eppure, la principessa non era una sprovveduta, e non era neanche qualcuno che raccontava balle... ormai la conoscevano bene.

Se davvero il principe dei saiyan fosse stato ancora vivo, allora forse c’era una minima possibilità che ci fosse una speranza. 

Per lungo tempo avevano ponderato l’idea di scucire informazioni allo stesso tiranno che aveva creato scompiglio nell’universo e distrutto il loro regno, ma Freezer era stato esiliato in un luogo orribile, nel quale nessuno avrebbe mai avuto coraggio di mettere piede.

 

«Con tutto il rispetto, vostra altezza.» asserì il più anziano dei tre, alzandosi dalla propria sedia «Ma... non credo che un’informazione del genere, comunque, ci aiuterà a trovare degli indizi riguardo gli abitanti del nostro pianeta.»

«Proprio non lo capisci, Nappa?» fu la domanda di lei «Se troverete il principe, avrete trovato colui che potrà aver accesso al palazzo reale, e a tutti i segreti ancora conservati al suo interno. Se il principe è vivo... la speranza è viva.»

 

*

 

Saldare, controllare, costruire.

Bulma non ci aveva messo molto tempo a costruire un perfetto marchingegno che le permettesse di trovare tutte le sfere del drago. Sperava soltanto che tutta quella fatica fosse ripagata.

Se davvero ciò che aveva trovato su di loro fosse stato vero, allora sarebbe partita seduta stante. E non perché avesse poi così tanti desideri da esprimere, ma soltanto per il gusto di farlo, per vivere appieno il brivido di un’avventura tutta nuova.

Il suo nuovo radar cerca-sfere aveva un design molto semplice: era un semplicissimo palmare di forma circolare, con un pulsante sulla cima che le avrebbe permesso di accenderlo e visualizzare una mappa del pianeta, sul disegno della quale venivano mostrati dei puntini di colore giallo. E le sfere erano proprio quei puntini.

Non c’era dubbio: quelle misteriose sfere erano sette in totale. Certo, il radar non le permetteva di sapere se fosse vero che potessero esaudire dei desideri. Ma, arrivati a quel punto, tanto valeva provarci, no? 

Così, felice del proprio operato, decise di raggiungere in gran fretta suo fratello che, in quel momento, se ne stava tranquillamente sul retro del cortile ad allenarsi. 

Certo che Vegeta era proprio la pecora nera della famiglia. Non perché fosse una persona problematica, ma perché non somigliava veramente a nessuno, in quella casa.

E poi era così bello... accidenti, non si meravigliava affatto se le sue compagne di classe ogni volta insistevano per fare tutti i lavori di gruppo alla Capsule Corporation.

 

«Hey, testone!»

 

Rieccola.

Di solito Bulma non era quella che si divertiva a rompergli le uova nel paniere, ma quel giorno sembrava particolarmente in forma ed agguerrita, e sembrava non volesse staccarsi da lui neanche per un minuto.

Quando ci si metteva, sua sorella sapeva essere una vera rompipalle, nel vero senso nella parola e senza peli sulla lingua. Non la sopportava: non faceva altro che ficcare il naso in faccende che non la riguardavano e costringere gli altri a ficcare il naso nelle sue soltanto per vantarsi di quanto fosse bella e brava.

Sbuffando, il ragazzo arrestò, per la seconda volta in quella giornata, i suoi duri allenamenti e, dopo aver bevuto una grossa quantità d’acqua dalla propria borraccia, si avvicinò di malavoglia alla sorella maggiore, che se ne stava lì, ritta di fronte a lui, con una mano puntata su un fianco e stretto nell’altra un arnese che non gli sembrava di aver mai visto prima.

 

«Guarda!» esclamò nuovamente la turchina, sventolandogli l’oggetto misterioso davanti agli occhi «È un capolavoro, no?»

«No.» fu la risposta secca di lui.

La ragazza sembrò offendersi e, con aria leggermente imbronciata, ribatté: «Non mi chiedi neanche che cos’è?»

Silenzio da parte del minore.

«Bene! E io te lo dirò lo stesso!» esclamò allora lei, risoluta «È il mio radar cerca-sfere nuovo di zecca!»

Vegeta sbuffò: di nuovo quelle maledette sfere? Ma quella ragazza non ce l’aveva un hobby? Non ce l’aveva un fidanzato a cui rompere le scatole?

«E se spingo qui...» premette il pulsante d’accensione «Si può vedere chiaramente che sono sette! Sette! Esattamente come diceva la mia ricerca!»

«E?» 

«E...» prese il radar e, con molta poca grazia, glielo sbatté al petto, costringendolo a tenerlo in mano «Questo vuol dire soltanto che c’è un fondo di verità in tutta questa storia! Ed io sono più che determinata a scoprire se è tutto vero o soltanto una stupida bufala!»

«Fallo, allora.» rispose lui, facendo spallucce «Non dovrai dimostrarmi nulla.»

«Oh, dai, Vegeta!» lo prese per il braccio, cominciando insistentemente a tirarlo «Non posso partire all’insegna dell’avventura senza di te! Abbiamo sempre fatto tutto insieme! Perché adesso non te ne frega nulla?!»

«Perché mi sembra solo una cazzata.» fu la risposta di lui «Che cosa ci guadagneremmo, se scoprissimo che queste sfere non esaudiscono proprio nulla?»

«Beh, un po’ di sano divertimento!» aveva esclamato la ragazza, continuando a tenersi stretta al braccio del fratello «Quando eravamo piccoli non mi avresti detto di no, di fronte ad un’occasione simile!»

 

Era vero.

Per quanto sua sorella avesse tanti, forse troppi difetti, l’aveva sempre accompagnata in tutto quello che faceva, anche nelle imprese più noiose, anche in quelle più pericolose, perché in fondo a lei ci teneva. Fin dalla più tenera età, suo padre gli aveva sempre raccomandato di proteggere ad ogni costo le sue sorelle, di fronte a qualsiasi pericolo, anche quello più stupido. E lui lo aveva sempre fatto. 

Bulma in particolare, aveva sempre amato mettersi nei guai, e lui aveva amato un po’ meno doverla sempre aiutare a tirarsene fuori. Ma, in fondo, lo aveva sempre fatto con piacere, perché teneva a sua sorella forse più di ogni altra cosa al mondo.

Ed in quel momento, davanti a quel sorriso così speranzoso, Vegeta non riuscì a rimanere fermo nelle sue decisioni.

E cedette. Esattamente come aveva sempre fatto.

 

«E va bene. Andiamo a cercare queste sfere.» sbuffò «Ma con mamma e papà te la vedrai tu.»

 

~~~

 

Buonasera, gente!

Eccomi tornata con il secondo capitolo di questa storiella uwu. Ho deciso che pubblicherò alternandomi a due a due con l’altra storia che sto ancora completando.

Ebbene, in questo capitolo si fa già la conoscenza di nuovi personaggi, e si approfondisce un tantino in più il pg di Bulma, che sarà ovviamente uno dei più importanti per la storia.

Nel frattempo, facciamo anche la conoscenza della principessa di Iturn. Ma chi sarà mai, questa fantomatica principessa? E soprattutto, se Vegetasei non è esploso, che cos’è successo a tutti i suoi abitanti? E Freezer? Dove sarà stato mandato?

 

Ci sono molte domande a cui rispondere, ma dw, risponderò prestissimo.

 

Alla prossima!

 

-JAY

 

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Capitolo 3
*** I droidi ***


Aveva preparato le loro migliori capsule per il viaggio, con all’interno tutto l’occorrente per affrontare la sua nuova avventura. Sua sorella non le serviva, anche perché era sicura che, da parte di Tights, avrebbe ricevuto soltanto risposte negative. Ma convincere suo fratello era stato facile: un viaggio l’avrebbe aiutato a rafforzarsi, a fare esperienza e, magari, a diventare anche più afferrato nella lotta. Inoltre, a Vegeta non piaceva affatto andare a scuola, e men che meno gli piaceva ricevere lezioni extra a casa come avevano sempre preteso i loro genitori. Quindi, per lui, saltare la scuola per quella causa, si sarebbe rivelato un vero e proprio toccasana.

Così Bulma, dopo aver informato i suoi che lei ed il fratello sarebbero stati via per un po’-senza tuttavia specificarne il motivo-, aveva fatto pressioni a Vegeta perché si sbrigasse a prepararsi.

 

Lui, dal canto suo, non si era affatto convinto che quella storia fosse buona e giusta. In fondo, si trattava probabilmente di una fantasia, anche se, considerando l’evoluzione che la scienza stava subendo, probabilmente tutta quella storia delle sfere del drago non avrebbe dovuto neanche esser presa così alla leggera.

Si era lasciato convincere da quell’oca giuliva di sua sorella soltanto perché per lo meno, un viaggio del genere avrebbe potuto dare una grossa svolta alla sua noiosa e monotona vita da comune cittadino ancora minorenne.

In fondo, avevano tutta la vita davanti, giusto? E se non avessero fatto ora un viaggio del genere, quando avrebbero dovuto farlo?

Così, dopo aver messo in una valigia-e successivamente in una capsula- tutto l’occorrente, ed essersi infilato dei vestiti puliti, aveva raggiunto Bulma al piano di sotto, che lo stava già aspettando vestita di tutto punto e con il fantomatico radar cerca-sfere stretto in una mano.

 

«Cavolo, ma quanto ci hai messo?!» si lamentò subito la ragazza «Sei peggio di una ragazzina al primo appuntamento, accidenti. Vedi di muoverti!»

«E tu vedi di non cominciare!» fu la replica del minore «Altrimenti ci vai da sola a cercarti quelle maledette sfere!»

 

Lei non replicò. Si limitò a lanciare una delle capsule a terra, facendo apparire, proprio di fronte ad i loro occhi, la sua moto. 

O meglio, la moto di Vegeta, che non appena la vide, storse immediatamente il naso: quante volte aveva detto a quell’incosciente di non impicciarsi delle sue cose, e soprattutto di non rubarle? 

Un giorno di quelli l’avrebbe sicuramente uccisa.

 

«L’ho presa in prestito!» buttò subito le mani avanti lei «Come avremmo fatto a spostarci, altrimenti? Volevi forse andare a piedi?»

Lui ringhiò impercettibilmente «Bene. Vediamo di muoverci.»

 

E così, senza ulteriori parole, salirono sul mezzo di trasporto e, senza neanche guardarsi indietro, partirono alla volta della seconda sfera del drago. La prima, perfettamente custodita nella borsetta della turchina, che si trovava ancora all’interno di una delle capsule.

C’era un altro lato positivo, in tutta quella maledettissima storia: sentire il vento tra i capelli e la velocità della moto sotto il proprio peso era qualcosa di dannatamente gratificante. Vegeta non era mai stato quello che si suol dire un ragazzo amante della tranquillità, anzi: era uno spirito libero, amante del rischio, e seguiva soltanto le proprie regole. Era sempre stato un po’ ribelle ed altezzoso, e questi avrebbero anche potuto essere degli irreparabili difetti, ma erano anche parti del suo affascinante quanto misterioso carattere. E lui non avrebbe mai fatto nulla per correggerli.

D’altronde, perché avrebbe dovuto? Anche Bulma era fastidiosa ed appiccicosa, ma non aveva mai fatto nulla per non esserlo; anzi, più passava il tempo e più quelle caratteristiche si incrementavano a vista d’occhio.

 

«Il radar dice che la sfera più vicina si trova in una zona desertica a pochi chilometri da qui!» esclamò la ragazza che, fino a quel momento, non aveva fatto altro che controllare lo schermo del suo prezioso marchingegno «Siamo fortunati, è una missione piuttosto facile, no?»

«Già, se non fosse che nei deserti ci vivono gli animali più pericolosi del pianeta.» rispose schietto lui «Sei proprio sicura di volerci andare?»

«Non sono seduta su questo tuo aggeggio infernale per niente! Accelera e non fare il cagasotto!»

«Giuro che ti faccio scendere al primo incrocio.»

 

Ma così non fu. E anzi, raggiunsero quel famigerato deserto, parecchio fresco e ventilato, in poco meno di tre ore. 

Non sarebbe stato affatto facile trovare una sfera di così piccole dimensioni in una landa desolata così immensa: Vegeta non era un grande amante né dei deserti, né della natura sconfinata in generale, e ritrovarsi lì, in quel momento, costretto a girare quel luogo fatto di dune e sabbia alla ricerca di qualcosa che, in fondo, neanche gli interessava più di tanto, era una grande scocciatura.

Ma ormai era lì... e di certo non si sarebbe ritirato proprio sul più bello.

Certo, sarebbe stato tutto molto più semplice se, invece che fare quel maledettissimo rumore fastidioso, quel radar avesse parlato e gli avesse indicato a voce la direzione giusta. 

Stava per iniziare la sua ricerca con sua sorella al seguito quando, improvvisamente, udì un rumore alle loro spalle. Come se qualcuno-o qualcosa- si fosse appena mosso con l’intenzione di non farsi notare, ma fallendo in quest’ultima impresa.

Con uno scatto fulmineo, afferrò Bulma per il braccio e la posizionò proprio dietro di sé, con l’intenzione di proteggerla.

Dev’essere stato dannatamente umiliante quando, al posto di qualcosa di pericoloso, il ragazzo si ritrovò di fronte un droide.

Un piccolissimo astrodroide in condizioni  non troppo ottime, che se ne stava lì, come intimorito-se avesse avuto emozioni umane, probabilmente lo sarebbe stato.

Innocuo, almeno preso di per sé. Ma solitamente, gli astrodroidi non viaggiavano da soli.

 

«È solo un droide.» lo tranquillizzò Bulma, canzonandolo ed avvicinandosi al robot «Non sembra di ultimo modello. Dev’essere stato abbandonato qui tempo fa.»

«Già... chissà da chi.» 

«Dev’essere uno degli astrodroidi della flotta spaziale.» l’occhio critico della turchina iniziò a studiare attentamente il macchinario, cercando indizi che la portassero al proprietario.

«È qui che ti sbagli.» il minore la raggiunse, inginocchiandosi accanto al droide ed osservandolo attentamente «Quelli della nostra flotta sono arancioni, non blu.»

Lei sembrò improvvisamente cambiare espressione «E allora di chi...»

«Non lo so.» la interruppe lui «Allora, piccoletto. Vediamo un po’ come ti chiami.»

«Oh, lui è B8-H2.» rispose a quel punto una voce non esattamente umana, proprio alle loro spalle.

I due, spaventati, scattarono all’indietro, voltandosi nella direzione di colui che aveva appena risposto al quesito del giovane Vegeta e, con grande sorpresa, si ritrovarono di fronte ad un altro droide, questo con sembianze umanoidi.

«E io sono G-67.» concluse il robot, presentandosi anch’esso «Mi spiace avervi spaventato, non era mia intenzione.»

«Tu sei un droide di protocollo, vero?» chiese eccitatissima Bulma, curiosa di conoscere quei due nuovi amici «Piacere, io sono Bulma, e ho 17 anni!»

«Lei sembra una donna molto informata e sveglia, signorina Bulma.» fu il commento di G-67 «Il piacere è tutto mio e del mio collega.»

«Che diavolo ci fate qui?» fu la domanda diretta e schietta di Vegeta «Di certo non siete due droidi adatti a lavorare in zone desertiche.»

«Lei ci ha visto giusto, signore.» rispose G-67 «Purtroppo, i nostri vecchi padroni ci hanno abbandonato qui dopo una vecchia missione. Ormai non sappiamo più neanche noi come siamo finiti in questo orribile luogo. È passato molto tempo, signore.»

«Chi erano i vostri padroni?» 

«Oh, questo io non glielo so proprio dire. La mia memoria riguardo quel tipo di informazioni è stata cancellata. Ma all’interno di B8 dovrebbe esserci ancora qualcosa, signore.»

In risposta, il piccolo astrodroide emesse dei bip ad intermittenza, dondolando su sé stesso, proprio come avrebbe fatto un cagnolino contento di essere utile al suo padrone. Certo, i droidi non avevano personalità, ma quel piccoletto sembrava quasi possederne una: se Vegeta non fosse stato una persona molto logica e scettica, probabilmente avrebbe creduto che, all’interno di B8, ci fosse un vero, piccolissimo, essere umano.

«Ho un’idea!» esclamò ad un certo punto Bulma «Che ne dite di venire con noi? Stiamo intraprendendo un lungo viaggio, e sono sicura che con le mie abilità riuscirò a pulire i vostri circuiti e a rimettervi a nuovo! E poi... un aiutino da parte di voi droidi è sempre piuttosto gradito!»

A quel punto il minore, infastidito da tutta quella smisurata fiducia e sfacciataggine possedute dalla sorella, la prese per il braccio e l’allontanò bruscamente dai due droidi, ringhiandole contro.

«Sei impazzita, per caso?!» fu infatti la sua domanda «Non sappiamo a chi appartenessero questi droidi. Potrebbero essere rubati, o peggio, potrebbero appartenere ad un esercito nemico della Terra. Ci farebbero passare dei guai seri, in questi casi.»

Lei sorrise bieca «Ma andiamo, Veg! Non vedi come sono ridotti? Quei droidi non vengono cercati da nessuno almeno da dieci anni! E poi, il protocollare ha detto che all’interno del piccoletto ci sono delle informazioni riguardo il loro vissuto!»

«Tsk...» non poteva credere che quella ragazza potesse essere così cocciuta ed ostinata, e lui non era di certo uno che insisteva su argomenti così distaccati dalla sua conoscenza «Non capisco perché dovremmo portarci appresso quelle due zavorre, ma se proprio ci tieni, allora prendiamoceli. Ma se avrò ragione, allora non iniziare a piangere.»

«Oh, andiamo! Smettila di essere sempre così pessimista!»

 

Detto questo, la giovane turchina tirò fuori dalle capsule tutti gli utensili che le sarebbero serviti per pulire i due robot e cambiare i loro bulloni arrugginiti. Per fortuna, non partiva mai sprovveduta, e si portava sempre appresso tutti i suoi utensili da laboratorio per qualsiasi evenienza.

Vegeta, dal canto suo, si limitò a sedersi a gambe incrociate a pochi metri di distanza, osservando la sorella lavorare, ed il droide più piccolo, B8-H2, girargli attorno come eccitato, emettendo degli strani suoni.

Accidenti, sembrava proprio un cagnolino fedele. Non aveva mai visto tanta ‘umanità’ in un oggetto.

Dopo aver sistemato G-67, Bulma decise di dedicare il suo tempo ed i suoi strumenti più preziosi al piccolo astrodroide che, docile, si lasciò pulire e lavorare, lampeggiando e continuando ad emettere versi di assenso ad ogni suo movimento.

«Sembra che tu gli stia simpatico.» commentò la ragazza, rivolgendosi al fratello e ridacchiando sotto i baffi.

«Già. Almeno come un albero starebbe simpatico ad un sasso.»

In risposta, B8 emesse un versaccio simile ad una pernacchia, lampeggiando in direzione di Vegeta, che si limitò a voltarsi dalla parte opposta, ignorandolo.

 

«Accidenti.» imprecò ad un certo punto Bulma «Ha qualcosa incastrato qui. Ma non riesco a toglierlo.»

Prese disperatamente a tirare quello che le sembrava qualcosa di incastrato all’interno del droide finché, riuscendo finalmente a sbloccarlo, non cadde all’indietro, sbattendo la schiena sul terreno sabbioso.

E, proprio in quel momento, di fronte agli occhi increduli dei due adolescenti, apparve quello che sembrava un vecchio videomessaggio registrato proprio nella memoria del piccolo astrodroide. 

All’interno di esso vi era una ragazza, vestita con quella che sembrava una sorta di armatura da guerra e, con grande stupore di Bulma, una coda che spuntava proprio dal suo fondoschiena.

Di rimando, volse lo sguardo verso suo fratello, quasi sbiancando, mentre lui si avvicinava per poter udire ciò che la giovane donna nel messaggio avesse da dire.

 

“Fratello mio, non so se troverai mai il messaggio contenuto in questo droide, ma sono sicura che, prima o poi, riuscirai a trovare la tua strada. Questo è solo un aiuto che io ti sto dando. 

Non ti abbiamo ancora dato un nome, e non sappiamo neanche con certezza che tu riuscirai a sopravvivere, ma io ho ancora una speranza. La speranza che tu, un giorno, verrai a salvarci. A salvare me, i nostri genitori, e la nostra gente. 

In questo momento, Freezer ci sta attaccando. Il suo obiettivo è quello di ottenere il potere del super saiyan, e di assoggettarlo al suo volere per rovesciare la repubblica. Il nostro pianeta sta morendo per colpa sua e dei suoi tirapiedi, e dubito che, dopo oggi, ci sarà ancora chi potrà raccontarlo. 

Io so che sei tu il prescelto. Sento una grande potenza in te, e sento che ci troverai. 

Per favore, fratello mio, non abbandonarci. Sei la nostra unica speranza.”

 

Alla fine di quel lungo messaggio, i due si scambiarono uno sguardo carico di confusione. Era incredibile: un tiranno che aveva come obiettivo quello di rovesciare la repubblica aveva probabilmente distrutto un pianeta e decimato la sua popolazione. E quella ragazza doveva essere la sorella di qualcuno che era stato inviato sulla Terra. Qualcuno che aveva come compito quello di trovare il pianeta perduto e la sua popolazione, e salvarli da colui che aveva compiuto un atto così crudele e fuori legge.

E quei droidi dovevano appartenere alla giovane donna del messaggio.

Adesso, tornavano molte cose... ma che fine aveva fatto, allora, il fratello scomparso di colei che stava tanto accoratamente chiedendo aiuto?

 

«Adesso capisco...» fu il commento della turchina «E così era questa la vostra padrona. Era questa ragazza.»

«Oh, signorina, io non ho alcuna memoria di lei.» rispose G-67 «B8! Spiega! Sono sicuro che tu sai qualcosa di tutta questa storia, stupido ammasso di ferraglia!» 

In risposta, il piccolo B8 si limitò a ruotare la propria testa di 360°, emettendo uno dei suoi soliti versi. Un verso, però, questa volta, che probabilmente significava un completo dissenso.

«Che cosa significa che non sei tenuto a spiegarlo?» lo riprese G-67 «Sputa il rospo, ferro vecchio! Ti ricordo che la signorina Bulma ti ha appena rimesso a nuovo! Le devi queste informazioni!»

Ma nulla. B8 non sembrava affatto voler collaborare, e questo contribuì a scaldare ancora di più la situazione tra i due, tanto che il povero droide protocollare si ritrovò a prendere a schiaffi la dura testolina del suo collega.

Ma ci pensò Vegeta, serio, schietto e diretto, ad interrompere la discussione «Adesso basta. Non sono faccende che riguardano né me, né Bulma. Quel droide sta facendo soltanto il suo lavoro, che probabilmente è quello di non divulgare informazioni preziose a degli estranei.» 

«Estranei, signore?» chiese il protocollare «Ma voi ora siete i nostri nuovi padroni!»

«E chi l’ha deciso?» 

«Voi, signore. Ci avete proposto di seguirvi nel vostro lungo viaggio, ed avete sprecato il vostro tempo prendendovi cura di noi.»

«È comunque una faccenda che non ci riguarda.»

«Ma Vegeta!» ribatté Bulma «Quella ragazza ha parlato di un tiranno che vuole rovesciare la repubblica! Se succedesse, tutto l’universo sarebbe nei guai! Non possiamo lasciar correre!»

«Quelle sono comunque cose di cui si occupa il governo.» rispose il minore «Se proprio volessimo collaborare, allora dovremmo portare questi due vecchi ammassi di ferraglia dritti in parlamento.»

«Oh, no!» fu l’esclamazione di G-67 «La prego, signor Vegeta, i politici non hanno mai trattato bene quelli come noi! Ci usano come degli stupidi oggetti da utilizzare solo nel momento del bisogno!»

«Cioè vi usano come quello per cui siete stati creati? Oltremodo terribile!» nella voce del ragazzo si poteva udire una forte e pungente ironia, che ovviamente non colpì poi così tanto i due droidi, ma gli costò una grossa pernacchia-o almeno, era quello che sembrava- da parte di B8 «Comunque stai tranquillo, non ho alcuna intenzione di immischiarmi in roba politica. Non fa per me.»

«Hey, che succede?» incalzò ad un certo punto la ragazza, raccogliendo da terra il radar cerca-sfere «Vegeta! La sfera si sta muovendo! Qualcuno l’ha presa prima di noi!»

«Oh mio Dio, ci mancava soltanto questa...»

 

~

 

Ciao a tutti!

 

Eccomi tornata con questo capitolo. Ho deciso di aggiornare prima questa storia, in modo da potermi prendere una pausa per continuare a scrivere gli ultimi(probabilmente) capitoli dell’altra.

Eh sì, mi prenderò una pausa più o meno lunga, ma niente panico, tornerò durante le vacanze di natale e ricomincerò a pubblicare in modo molto più frequente!

 

Nel frattempo, parliamo di questo capitolo: è palesemente ispirato a quello che è il primo(o il quarto, se volete guardarlo secondo la linea temporale della storia) episodio di Star Wars. I droidi sono ispirati a C3PO e R2-D2, ed il messaggio proiettato da B8 è ispirato a quello che Leia aveva mandato a Obi-Wan Kenobi.

In realtà, tutta questa storia sarà ispirata alla saga di Star Wars, che è una delle mie saghe preferite. Spero tanto di riuscire nel mio intento ^^

 

Alla prossima!

 

-JAY

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