My Halloveween Party

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ricetta di famiglia ***
Capitolo 2: *** Poltergeist ***
Capitolo 3: *** Fantastiche creature ***



Capitolo 1
*** Ricetta di famiglia ***


CAPITOLO 1
RICETTA DI FAMIGLIA

*ZUCCA*


 
 
Si trovava al 4 di Punk Hazard e da fuori non aveva nulla di strano.
Era una villetta a schiera come tante, con un giardino come tanti, in un quartiere come tanti di Raftel, che era una città come tante.
Su quello non c’era dubbio e non c’era dubbio che, anche scoprendo cosa si celasse davvero dietro la porta d’ingresso, quell’incredibile realtà fosse presente anche nel resto del paese.
No Raftel non aveva niente di più speciale di altre città, non ce lo aveva la via e neppure il giardino o la casa lo avrebbero avuto se non fosse stato per la sua proprietaria.
Lei non era come tante, così come non lo era il gruppo di ospiti che era arrivato alla spicciolata ma a distanza ravvicinata al 4 di Punk Hazard, attraversando il giardino dove da un paio di giorni era magicamente apparsa una coltivazione di zucche da far invidia a Jack Skeleton.
Il vicinato sapeva bene quanto Monet tenesse ad Halloween e la perizia che ci metteva nel decorare interno ed esterno della casa per la festività era la stessa che loro applicavano solitamente a quelle di Natale, per cui nessuno si stupiva se, da un giorno all’altro, un reticolo di dodici zucche finte faceva la sua comparsa nel piccolo fazzoletto di terra davanti alla casa e, anzi, si apprezzava il realismo di un ortaggio mancante per dare l’impressione che la padrona lo avesse colto per usarlo.
«Cosa direbbero se sapessero che l’ha colta per cucinarla, quella vera zucca, eh?»
Avvolto nel cappotto scuro, Law girò appena il capo, distogliendo la propria attenzione dal giardino di zucche che comunque non stava davvero guardando e non gli interessava davvero, per portarla su qualcuno che lo stava guardando e che, almeno a se stesso poteva ammetterlo, gli interessava davvero.
«Non è necessario spuntare sempre fuori dal nulla e non era necessario che ti vestissi così elegante»
«Non stavo usando l’invisibilità, sei tu che non mi hai sentito arrivare da tanto eri assorto» ribatté con un sorriso mentre avanzava, facendo frusciare la gonna nera dell’abito, gli occhi che brillavano nella penombra. Law se lo chiedeva sempre, come facessero gli occhi di Koala a brillare così e ancora non aveva trovato risposta perché non si trattava di niente di sovrannaturale, a differenza dei suoi che diventavano come quelli di un gatto quando voleva vederci in notturna, e Law con le cose umane non era molto bravo. Primi fra tutti, i sentimenti. «E per quanto riguarda il mio outfit, non si compiono trecentotrent’anni tutti i giorni, signor festeggiato» gli passò alle spalle, lasciando scivolare la mano sulla base della sua schiena, mentre Law la seguiva attentamente con lo sguardo, scandagliandola in cerca di lividi, graffi, un’eventuale zoppia, segni di maledizioni.  
«Com’è andata la missione a Dressrosa?» 
«Ma come? Sabo non ti ha aggiornato questo pomeriggio?»
«Sabo tende ad aggiungere molti pittoreschi dettagli dalla dubbia credibilità. Per questo devi sempre restare indietro tu per fare rapporto»
Con una cristallina risata, Koala si voltò già sulla veranda, per regalargli un sorriso e un cenno del capo che stava a indicare che sì, era in effetti innegabile che le cose stessero come lui le aveva appena descritte.
«È andata bene. Poi ti racconto» annuì, allungando braccio e mano verso di lui. «Vogliamo entrare?» lo invitò e Law si concesse un soffio sospirato prima di ficcare le mani in tasca e raggiungerla, lasciandosi prendere sotto braccio per coprire i due metri e mezzo di larghezza del patio, decorato con ragnatele e file di calde lucine che restavano appese tutto l’anno. Le lucine, non le ragnatele.
«A cosa pensavi tanto intensamente?»
«Non lo immagini?» domandò Law e tanto sapeva che Koala lo immaginava eccome, era chiaro dal fatto che glielo avesse chiesto proprio sulla porta e senza ancora suonare. Per dargli ancora un momento e prepararsi psicologicamente a quel raduno di bestie di satana, lì conglomerate per il suo compleanno.
«Se siamo sopravvissuti all’ultimo capodanno, non riesco a immaginare cosa potrebbe andare peggio»
«Era esattamente lo scenario che stavo contemplando, Kay» si passò due dita sugli occhi, volgendoli poi a lei quando sbuffò una risata. «Non è divertente» le fece presente, senza per questo ottenere di farla smettere e guadagnandosi anche un bacio sul braccio.
«Io dico di sì» affermò convinta e con un sorriso, mentre suonava e da dentro la casa un ululato di gioia e disperazione insieme si levava verso il cielo, sempre più intenso fino ad aggiungere anche il raschiare di unghie che grattavano disperate la porta.
«Ehi, ehi, calmat… Fammi aprire!» protestò una voce soave dall’ingresso, prima di sbloccare la serratura e spalancare l’uscio senza neppure verificare chi fosse, tanto la reazione di Bepo era stata più che eloquente. «Ehi ciao!»
«Ciao Lam…» provò a salutarla, Law, senza minimamente scomporsi quando la belva bianca gli zompò tra le braccia, leccando e scodinzolando come un dannato. «Ciao Lamy» ritentò con successo dopo essersi liberato del pelo che minacciava di finirgli in bocca, mentre Koala la baciava e procedeva dentro casa, lasciando loro un momento per convenevoli, auguri e riconciliazione.
«Sei stato via più del previsto» gli fece notare la sorellina, mani sui fianchi e sopracciglio alzato, in perfetto stile di famiglia.
«Ho avuto un paio di contrattempi» si giustificò Law, sistemandosi meglio in braccio Bepo, che di scendere non aveva la minima intenzione, prima di entrare finalmente in casa e chinarsi a farsi dare un bacio sulla guancia.
«Buon compleanno»
«Ehi è arrivato il festeggiato!»
«Sabo non ci provare, lo hai già avuto per te questo pomeriggio!» protestò subito Lamy, aggrappandosi a due mani al braccio di suo fratello.
«Lo stavo aiutando con quella roba maledetta, mica puoi farmene una colpa»
«Qualcuno ha detto roba maledetta?»
Ed eccoli lì. Parenti e amici, che per un demone di trecentotrent’anni appena compiuti erano pure pochi e, se Law non fosse stato originario proprio del regno opposto, avrebbe ringraziato il cielo per questo.
Insomma, non è che fosse un sociopatico, era che non gli piaceva la compagnia di troppa gente, il caos, stare in mezzo alla folla, chi rideva troppo forte. Okay, forse era un po’ sociopatico ma non era per quello che aveva pochi amici e che la maggior parte di essi erano suoi parenti.
Semplicemente aveva fatto del “pochi ma buoni” una regola di vita, necessaria se non inevitabile per sopravvivere nel mondo mortale.
Ora, che fossero pochi era matematicamente un fatto, che fossero “buoni”, Law aveva dei legittimi dubbi, ma questo in fondo dipendeva da quell’insignificante dettaglio, ereditato da sua madre, nonché imprescindibile caratteristica per un mietitore di anime, ovverosia la mancanza di sentimenti. Law non avrebbe dovuto provarli in nessuna misura ma, per gentile concessione di DNA paterno, invece, quelli se ne stavano lì, ridotti a degli strascichi ben difficili da interpretare, ad affliggerlo da tutta una vita, perché Law proprio non li capiva né riusciva a identificarli, sbiaditi com’erano. E Law odiava non capire.
Eppure, se era lì a festeggiare un compleanno che avrebbe anche fatto a meno di festeggiare, doveva ammettere che, forse, da qualche parte in lui albergava qualcosa che si avvicinava più o meno a dell’affetto per quella manica di ficcanaso, pazzoidi, invadenti, incapaci di stare al mondo. Non si spiegava altrimenti perché non avesse ancora tentato di risucchiare l’anima a tutti loro, al di là che non sarebbe stato facile come con un comune mortale, ma il gioco sarebbe decisamente valso la candela, non aveva dubbi, Law.
Quindi no, doveva per forza essere affetto. Insomma, era pura e lineare logica, con quella ci andava d’accordo almeno quanto andava d’accordo con Bepo.
«Bepo, hai visto che il papà è tornato?» esclamò Ishley dalla cucina mentre una chioma verde lime si sporgeva verso l’ingresso, omaggiando il nuovo arrivato di un sorriso psicotico.  
«Te lo avevamo promesso, no, cucciolone?» lo grattò tra le orecchie la piccola Trafalgar e a Law non sfuggì la punta di tensione nei suoi occhi e nel suo sorriso, tensione di cui temeva di conoscere fin troppo bene l’origine e che non gli ci volle poi molto per indagare quando la voce più perculante dell’intero universo lo accolse non appena messo piede in salotto.
«È così infernale che non capisco come fai a non trovarlo spaventoso, Lamy-chan» ghignò Mr. Yokai, ai più intimi noto anche come Izou.

«Stai parlando di Bepo, vero Izou?» guizzò verso di lui con gli occhi Lamy, facendogli allargare ancora di più il suo maligno sorrisetto.
«E di chi altro dovrei parlare?» provocò Izou, il capo piegato all’indietro e gli occhi a Law, mentre Bepo si faceva finalmente rimettere a terra, liberando la visuale al padrone sul ragazzo moro che pareva saltato fuori direttamente da una pergamena di carta di riso e sul suo interlocutore, seduto al suo fianco, capelli rossi, aspetto emaciato, sorriso.
Nervoso, pure il suo.
In una parola, Pen.
Law morse un sospiro che, stando alla teoria, avrebbe dovuto probabilmente convogliare una qualche forma di dispiacere o sconforto e anche rassegnazione per la situazione in cui era consapevole di aver messo sua sorella e quello che considerava praticamente un fratello minore.
Sapeva benissimo cos’avessero entrambi da essere tanto tesi. Erano in presenza l’uno dell’altra, avvenimento che aveva luogo molto più spesso di quanto Lamy e Pen avrebbero voluto ma a cui andavano incontro a testa alta, solo ed esclusivamente per lui. 
Perché si odiassero tanto, Law neanche se lo spiegava. Non che non comprendesse l’incompatibilità di fondo, lui era incompatibile con il 98,9% delle persone con cui entrava in contatto, ma quel viscerale detestarsi che era scattato non appena avevano posato gli occhi l’uno sull’altra, quello era altra faccenda e Law, rassegnato a non capirci un accidente di sentimenti e francamente non così interessato a farli andare d’accordo a tutti i costi, purché stessero bene di per sé, ne aveva preso atto e aveva ridotto al minimo le loro interazioni, per quanto fosse in suo potere.
A onor del vero, comunque, quella sera sarebbe stata una bugia affermare che avrebbe preferito fare a meno di uno dei due piuttosto che costringerli sotto lo stesso tetto per qualche ora, così come sarebbe stata una bugia affermare che si fosse mai pentito di aver salvato le chiappe a quel vampiro depresso che si stava lasciando morire di fame senza un chiaro motivo, portandolo nelle loro vite. E anche gli fosse venuta voglia di pentirsi, a Pen sarebbe bastato alzarsi in piedi, come effettivamente stava facendo, per salutarlo con quella vaghissima, appena accennata, difficile da notare scintilla di voglia di vivere negli occhi per fargliela passare seduta stante.
«Amico, auguri!» esclamò, per un attimo senza forzature, dandogli goliardicamente la mano, sotto lo sguardo attento e il capo ciondolante di Izou che aspettava solo l’occasione perfetta per infilarsi in qualsiasi conversazione, scambio di battute, interazione sociale.
«Come stai?» domandò Law, mentre si accomodavano insieme, Lamy ancora accanto a lui nonostante tutto e Law si sentì quasi a casa seduto in mezzo a loro.
«Non c’è male, davvero, tu come st…»
«Pen pensa di avere l’emofilia, Law-kun» cantilenò Izou e Pen divenne un tutt’uno con i propri capelli.
«Izou» protestò serissimo, la voce ferma e un’occhiata truce al suo migliore amico. «È la sua festa, non un ambulatorio medic…»
«Emofilia?» lo interruppe Law, accigliandosi già in modalità medico. «Ti sei tagliato e non coagulava?» indagò e l’espressione di Pen divenne un riflesso della sua.
«Che cosa c’entra?»
«Sì esatto Law-kun, dicci cosa c’entra»
«È un sintomo dell’emofilia»
«Ah» borbottò Pen, riflettendo per un momento. «Forse mi sono sbagliato, è quell’altra cosa che c’entra con il sangue, quella che ti senti debole e cose così»
«Anemia?» propose Law, il sopracciglio che suo malgrado si alzava verso l’alto, come quello di sua sorella.
«Esatto! Quella!»
Law si impose di restare impassibile, ricordando a se stesso che non era colpa di Pen se oltre a essere depresso era anche ipocondriaco e poco avvezzo a capirci qualsiasi cosa di medicina e affini, a differenza di Lamy che, invece, e lo sapeva anche senza guardarla, stava sicuramente pensando la stessa cosa che stava pensando lui e che per un qualche miracolo, forse correlato al fatto che girando gli occhi si ritrovò a incrociare lo sguardo di Koala in arrivo dalla cucina che gli sorrise subito incoraggiante, riuscì a tradurre con:  «Mi sentirei di escluderlo, Pen»
«Dici?» rifletté beatamente ignaro il rosso, scuotendo subito dopo il capo. «Non che mi importasse trovare una cura, magari era la volta buona che riuscivo a porre fine a questa esistenza» si strinse nelle spalle e Law si irrigidì in allerta nel sentire Lamy inspirare a fondo, e ci fossero stati dei mortali presenti sarebbe bastato per risucchiare loro l’anima, il libero arbitrio e la gioia di vivere, come a cercare di trattenersi dal dire…
«Sarebbe davvero probabile, Penguin, morire di anemia con una dieta a base di sangue umano» vibrò con un fastidio di cui Law non l’avrebbe mai creduta capace e incrociò di nuovo gli occhi di Koala, già in allerta mentre riempiva la ciotola di Bepo di acqua fresca che le scaturiva direttamente dalla mano.
Gli occhi di Pen balenarono per un attimo, mentre il ragazzo si sporgeva appena con il busto e Izou si rimetteva finalmente seduto dritto. «Devi per forza ricordarmelo ad ogni occasione, Lamy?»
«Pen, sei un vampiro! Non è che te lo ricordo a ogni occ…»
«Lamy, eccoti qui!» 
Una folata di vento frizzante che non aveva niente a che fare con la piacevole brezza autunnale di quella sera, li investì e Law espirò appena dal naso, una forma più o meno di sollievo, grato del tempestivo intervento.    
Era difficile non amare o apprezzare Ishley per le sue molte qualità ma per Law, prima fra tutte, veniva il fermo intento di sua cugina di usare il proprio potere ammaliatore per riportare la serenità dove mancava. E non perché a Law gli fregasse un accidente della serenità del mondo ma della propria e di quella della sua famiglia sì e, dopotutto, per un mietitore di anime che aveva scelto di vestire i panni di un chirurgo nel mondo mortale e che sfruttava il proprio potere per porre fine a inutili sofferenze umane laddove chiunque altro si sarebbe magari accanito, era solo coerente essere grati a Ish per questo.
Specialmente quella sera.
Specialmente in quel momento.
Specialmente se ci andavano di mezzo Lamy e Pen.
«Mi puoi venire ad aiutare un momento?» fece gli occhioni a calamita alla cugina bionda, dopo aver scoccato un bacio tra i capelli a Law, e Lamy si premurò di trucidare Pen ancora qualche secondo prima di darle attenzione.
«Sicura che non vuoi farti aiutare da Sabo?»
«Io sono sicuro che da Sabo vorrebbe farsi fare dell’altro»
«È occupato con il caminetto» rispose prontamente Ishley, ignorando il commento di Izou ma mordendosi suo malgrado il labbro mentre scoccava un’occhiata attraverso la stanza, verso il cacciatore di demoni che, piegato in avanti, per quanto davvero impegnato solo ad attizzare le braci, era chiaro non stesse attizzando solo quelle.
«Se solo lo facesse nudo, eh, IshIsh?» mormorò Izou, godendosi anche lui lo spettacolo, e Ishley annuì pure in risposta, tanto era assorta nella sua fase di contemplazione, strappando una risata a Lamy. Law scambiò uno sguardo d’intesa e gratitudine con Ishley mentre le due si allontanavano, per poi verificare che, come sospettava, Pen stava invece ancora cercando di dare fuoco al tavolo con il solo ausilio delle proprie iridi. Era una cosa che odiava, il fatto di avere bisogno di sangue umano per sopravvivere e alle volte ancora se ne faceva una colpa, nonostante Law gli avesse insegnato mille e uno metodi per ottenerlo senza uccidere.
Non amava comunque pensarci e se stava per entrare in loop, erano belle che fregati per il resto della serata.
«Sta entrando in loop?»
Law gli scoccò uno sguardo di profonda disapprovazione, per il suo pessimo tempismo e la sua capacità di dire sempre la cosa meno adatta nel momento meno adatto. L’esatto opposto di Ishley, il che lo portava a domandarsi, anche dopo mezzo secolo di conoscenza, come facesse a essere il suo migliore amico. «Ma non stavi attizzando il caminetto?»
«Ho fatto» indicò le fiamme scoppiettanti alle proprie spalle con un sorrisone soddisfatto e quel filo appena arrogante che lo rendeva irresistibile.
«La prossima volta dovresti provare nudo, Sabo-k…»
«Izou puoi tenere questa un momento?» si intromise Koala, piazzando in mano allo yokai una ciotolina che conteneva una sostanza bianca e abbastanza densa. Izou se la portò al naso, annusando attento e con il fare esperto che un consumato trafficante di oggetti magici e illegali come lui aveva affinato nei decenni, restando tuttavia accigliato dalla conclusione della propria analisi.
«È panna?»
«Sì, serve per la zuppa di zucca, ma va inacidita» spiegò Koala.
Izou si accigliò ancora di più «E quindi?»
«Niente, tienila in mano, per osmosi dieci minuti dovrebbero bastare» sorrise perculante da sopra la propria spalla la ragazza, mentre accendeva un paio di candele fluttuanti che si erano spente.
La risata di Sabo si levò piena e gongolante, così tanto che se anche Law avesse voluto trattenersi, e c’era da dire che comunque non voleva, non sarebbe comunque riuscito a non ghignare di fronte all’espressione basita di Izou, che di essere lui il preso per i fondelli non era proprio abituato. Senza contare che Koala se lo meritava, quel ghigno, forse anche un vero sorriso, perché neppure Pen era riuscito a trattenersi  e ora rideva, nuovamente sereno e rilassato e Law lo sapeva, che Koala lo aveva fatto apposta e se ne fosse stato capace, probabilmente l’avrebbe amata per questo.
«Molto simpatica KayKay, davvero, te lo concedo, questa era davvero arguta. E meno male perché altrimenti avrei anche potuto non mostrarti quello che mi è capitato tra le mani oggi» gongolò Izou, sogghignando malefico, mentre faceva apparire dal nulla una pergamena, ovviamente maledetta, che attirò immediatamente l’attenzione e lo sguardo della mezza banshee.
«È di Wano?» esalò Koala, avvicinandosi quasi in trance, Law pronto a intervenire al primo segno di minaccia ma Izou, anche se sapeva essere stronzo, era un trafficante coscienzioso e teneva alla propria famiglia tanto quanto il chirurgo.
«Ah ah ah, piccolo spiritello, non puoi toccarla, lo sai. Ci penso io» si offrì srotolandola a mezz’aria di fronte agli occhi di Sabo e Koala, seduti ora vicini, spalla contro spalla.
«Ciao collega» gli diede una lieve spinta Koala, prima di concentrarsi sul foglio vergato in una scrittura antica, gli occhi che brillavano rapiti.
«Non è bellissima quando ha quell’espressione entusiasta?»
Se Law fosse stata una persona meno posata, sarebbe saltato su come una molla quando la voce, accompagnata da un respiro di menta, risuonò improvvisa nel suo orecchio ma Law era molto posato e conosceva soprattutto molto bene sua cugina, ed era abituato al suo pessimo vizio di spuntare silenziosamente fuori dal nulla alle spalle e farti perdere un paio di secoli di vita. Per questo si limitò a lanciarle un’occhiata di striscio prima di mettersi in piedi per salutarla come si doveva, visto che era la padrona di casa e visto che aveva organizzato quella cena per lui.
Monet accettò volentieri i baci sulle guance ma Law sapeva che non le sarebbero bastati e non si stupì quando la cugina mollò il paiolo che teneva in mano, per allargare le braccia e reclamare un abbraccio, e neppure perché il paiolo rimase sospeso a mezz’aria, raggiungendo da solo il sottopentola al centro del tavolo.
«Buon compleanno, cuginetto» gli sorrise materna e psicotica, allungandosi tra le sue braccia, fino a raggiungere il suo orecchio con le labbra. «Pensiamo sempre di non meritarcela?»
«Dobbiamo proprio parlare di questo?» ribatté Law, con un tono che lasciava intendere che no, non ne avrebbero parlato in quel momento e forse mai.
«E di cosa vorresti parlare?» si separò da lui, senza smettere di fissarlo con quel sorrisetto da ictus cerebrale causato da un colpo di nervosismo puro.
«Del fatto che dovresti smettere di far spuntare zucche in giardino dal nulla. Qualcuno potrebbe insospettirsi»
«Pensano tutti che siano finte» mormorò serafica Monet, lasciando ondeggiare la chioma verde, le braccia sotto al seno .
«E se qualcuno si accorge che sono vere?»
«Oh Law, ma cosa dici? Le zucche non spuntano in due giorni, è impossibile» rise lieve e pungente come la brina, prima di armarsi di mestolo. «Signori…» scoperchiò il paiolo, lasciando che un profumo dolciastro si librasse nell’aria. «…zuppa di zucca» annunciò in un soffio, mentre tutti finivano di prendere posto a tavola, Bepo compreso, acciambellato sotto la sedia di Law.
«Izou l’hai inacidita bene la panna?» domandò Sabo mentre la pergamena scompariva così com’era apparsa, Koala si alzava ad aiutare Monet a riempire le fondine con la vellutata densa e arancio e Ishley si sedeva lentamente al proprio posto, catturando la completa attenzione di Sabo che non sentì la risposta di Izou e in realtà in quel momento non avrebbe sentito neppure una cannonata.
«Spero sia di vostro gradimento e buon compleanno, Mietitore di Anime» proseguì la fattucchiera, alzando il calice già pieno per magia, magia vera e propria, provocando un nuovo giro di auguri prima che tutti si mettessero a mangiare.
Se è vero che il silenzio è il miglior complimento che si può fare a una cuoca, per alcuni istanti Monet ne ricevette una valanga, anche se in effetti il mutismo di Sabo non era dovuto a quanto buona trovasse la zuppa di zucca ma all’impegno che stava profondendo nel ripulire una goccia di panna caduta sul mento a Ishley, perdendosi negli occhi di lei e lasciando che lei si perdesse nei suoi ma non in un modo esattamente solo romantico.
«Sabo» lo richiamò Pen, mentre Koala si schiariva la gola. «Amico, così la spogli»
«Sei bellissima anche sporca di panna»
«Lo sai dove Sabo-kun vorrebbe vederti sporca di panna, IshIsh?»
«Allora! Come va il lavoro? La missione? La roba maledetta?» prese l’iniziativa Lamy per distogliere l’attenzione dai piccioncini intenti a flirtare come al solito, anche se poi non si concludeva mai niente, per quanto fosse più forte di loro, ma il suo interesse subì un drastico cambio di argomento quando prese la prima cucchiaiata di zuppa. «Oh santo… Monet è pazzesca!» si portò una mano alle labbra, rapita dal gusto perfetto.
«Sì veramente, è perfetta» ribatté Pen, lasciando tutti sinceramente interdetti per una frazione di secondo.
Un paio di scambi di occhiate rimbalzarono per il tavolo, come ad accertarsi che sì, nessuno lo aveva immaginato, era appena successo davvero, che Pen avesse dato pubblicamente ragione a Lamy.
«Ma ci hai messo qualcosa di particolare? Sembra tipo…»
«Noce moscata» suggerì Lamy e gli occhi di Pen balenarono verso di lei, mentre il suo cucchiaio scendeva ad affondare di nuovo nella zuppa.
«Esatto!» Pen la indicò con la mano libera, Lamy sorrise, Sabo e Izou si scambiarono un’occhiata.
No, non erano impazziti.
Lamy stava sorridendo a Pen.
Che cosa.Stava.Succedendo?!
«Devi darmi la ricetta, Monet» le disse entusiasta il vampiro, indugiando ancora un attimo su Lamy prima di girarsi verso la propria interlocutrice che lo fissava di rimando a labbra tese e denti scoperti, in quello che, Pen ne era certo, sarebbe dovuto essere un sorriso, eppure ebbe il potere di ridurgli improvvisamente lo stomaco in poltiglia.
O era la zuppa.
Cos’era quella sensazione improvvisa di… di… non era neppure malessere, e per un ipocondriaco affermare una cosa del genere anche solo con se stesso era qualcosa di eccezionale. Ma aveva come una pressione tra lo stomaco e il cuore, non una morsa ma più una specie di formicolio e gli sembrava anche di non riuscire a respirare alla perfezione. 
«Mi piacerebbe tesoro, ma è un segreto di famiglia»
La voce di Monet gli arrivò vagamente ovattata mentre il sorriso gli si spegneva in volto e una smorfia di vago fastidio lo obbligava a contrarre i muscoli facciali.
«Pen? Stai bene?»
La voce di Lamy gli arrivò forte e chiara e il formicolio sembrò aumentare di botto, pervadendogli l’intera cassa toracica. 
«Oh sì c-capisco, figurati» si sforzò di sorridere a Monet, sempre più a disagio e cominciò ad allontanare la sedia dal tavolo. «Scusate io, mi sento un po’… un po’…»
«Emofilico?» suggerì Izou.
«Anemico?» gli andò dietro Sabo.
Law li fulminò tutti e due.
«Nauseato» concluse Pen alzandosi in piedi, per poi sgranare gli occhi nel realizzare la gaffe. «Non per la zuppa! Io ho… devo solo…»
«Pen… » cominciò Law, serissimo.
«È tutto okay» sorrise più convinto. «Vado solo a prendere un po’ d’aria, voi continuate» insistette, avviandosi già verso la porta e per un momento tutti rimasero con gli occhi puntati a dov’era sparito, finché un’altra sedia non strusciò a terra e anche Lamy si alzò in piedi, ritrovandosi in un attimo gli occhi di tutti addosso.
«Vado solo a fare pipì» protestò, fissandoli uno a uno, per poi dileguarsi a sua volta.
Il silenzio rimase appeso sopra le loro teste, ad aleggiare nella stanza insieme alle candele fluttuanti, un silenzio perplesso ed eloquente, perché in fondo lo sapevano tutti, che stavano tutti pensando che c’era qualcosa di strano ma non è che loro fossero precisamente ordinari, per cui magari stavano solo analizzando troppo.
«E quindi questa missione?»
«IshIsh mi hai tolto le parole di bocca» posò il mento sulle mani intrecciate, gli occhi alla coppia di cacciatori di demoni che avevano ripreso a spazzolare la zuppa.
Era spaziale, per le porte degli Inferi!
«Oh beh, è andata bene, anche se è stata un po’ complicata»
«Maledettamente complicata, oserei dire» intervenne Sabo strappando a Izou una smorfia ghignante.
«Dio, che freddura allucinante…»
«Di che si trattava?» indagò Monet, servendosi un altro piatto di zuppa.
«Succubus. Una vera rogna» annuì convinto Sabo, per poi sgranare gli occhi e girarli su Law. «Non che Lamy sia… voglio dire con lei è… è diverso, lei non è una succubus in senso stretto, cioè no, lo è, però…»
«Lamy non si può considerare semplicemente una succubus, lo è solo per metà»
«Anche tu sei banshee solo per metà, KayKay, l’altra metà è spaventosamente ordinaria essendo umana»
«Oh Izou, grazie per avermelo ricordato. Tu invece, pensa, sei rompipalle per intero» con un sorriso etereo, Koala prese un’altra cucchiaiata ma rimase ferma con la posata a mezz’aria quando due tonfi dalla veranda risuonarono forti e chiari fino al salotto.
«Cos’è stato?» si alzò per metà Ishley, mentre Law si voltava in allerta.
«Sarà mica svenuto Pen» diede segni di agitazione Izou, che poteva fare lo stronzo quanto voleva ma poi per il suo migliore amico si sarebbe strappato anche il cuore.
Per un attimo nessuno si mosse, tutti tesi a captare qualsiasi segnale, tutti già pronti al contrattacco finché non fu chiaro, nel giro di tre secondi, che dalla veranda non sarebbe arrivato altro che silenzio.
«Meglio andare a controllare» prese l’iniziativa Sabo che Law si stava già alzando senza neanche preoccuparsi di annunciare le proprie intenzioni, lui.
Compatti e demoniaci, si avviarono tutti all’ingresso, uscendo decisi sulla veranda, armi già alla mano per chi ne portava sempre addosso, poteri pronti chi ne aveva, salvo poi bloccarsi uno dietro l’altro come in un incidente a catena e lasciar anche cadere la spranga a terra nel caso di Sabo, giustificato dal fatto che le sue  mani schizzarono a placcare Law prima che potesse fare qualcosa di cui poi si sarebbe pentito.
Quando Lamy fosse uscita in veranda era un mistero ma era fin troppo chiaro che fosse passata di soppiatto dalla portafinestra della cucina, forse in bagno non ci era nemmeno andata ed era un dettaglio che sarebbe stato in ogni caso irrilevante, figuriamoci di fronte alla scena a cui stavano assistendo.
Certo sarebbe potuta essere un’allucinazione di gruppo ma, cosa doveva mai esserci in quella zuppa perché tutti stessero immaginando una visione tanto assurda come Lamy schiantata alla parete esterna, con la manica alzata fin sopra il gomito e il braccio teso e una mano tra i capelli di Pen che, piegato su di lei, aveva i canini ben conficcati nella sua vena cefalica e la teneva per i fianchi, mentre lei lo accarezzava e guardava con devozione, finché il ragazzo non risollevò il capo, incatenando per un attimo i loro sguardi prima che, ignari del pubblico, si buttassero uno tra le braccia dell’altra, strappandosi un bacio così passionale che aveva quasi del disperato.
Sabo non aveva idea del perché ancora stesse tenendo fermo Law, dal momento che come tutti era talmente congelato e incredulo da non riuscire neppure a muoversi.
E per quanto assurda fosse tutta quella situazione, fu niente in confronto a quando Lamy e Pen, improvvisamente, senza avvisaglia e senza un apparente motivo, si separarono come scottati, portandosi le mani alle rispettive bocche, il respiro affannato, gli occhi allucinati.
«Ma che… che…»
«L-Lamy io non… io…»
Fu Lamy ad accorgersi per prima delle troppe paia di occhi che li fissavano così insistentemente da quasi trapassarli e, ancora parecchio sconvolta e forse obnubilata da quello che era appena successo, si girò verso di loro, la voce ansante.
«Monet…» prese fiato tra una parola e l’altra, gli occhi carichi di un misto di differenti emozioni tra cui sicuramente c’era del panico ma anche la voglia di fare del male fisico. «Monet, cos’hai messo in quella zuppa di zucca?»
    
 
 
  
 
 
  

      

 
Angolo dell'autrice: 
E ce la fa! Come sempre io le cose semplici mai e così, ovviamente, andiamo di long che mi è venuta in mente due giorni fa e quindi, onesta, non so cosa ne potrà venire fuori e nemmeno mi è chiaro cosa mi è venuto fuori con questo primo capitolo, perciò...
Io ci ho provato e vi ho avvisati!
Ora è giusto ringraziare Jules per i consigli, Zomi e Vivian per il supporto, Soly per l'idea, il FairyPiece perchè è il FairyPiece e tutti i coraggiosi che sono giunti fino a qui. 
Spero di aver centratro il prompt e, per citare Monet, che sia di vostro gradimento. *lieve inchino con il capo*. 

Un bacio grande a tutti e buon Halloweek 2019
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Capitolo 2
*** Poltergeist ***


CAPITOLO 2 
POLTERGEIST

*CASA INFESTATA*




Ishley non era il tipo che si tirava indietro, mai.
Chi non la conosceva bene, o più semplicemente non conosceva bene la sua situazione, avrebbe potuto pensare che con Sabo lo facesse ma si sarebbe sbagliato. Non si era arresa con Sabo come non si arrendeva con niente, e cercava ancora incessantemente una soluzione e, a dirla tutta, se mai avesse deciso di tirarsi indietro avrebbe smesso di flirtarci, in modo così esplicito per lo meno.
Ma Ishley non era il tipo che si tirava mai indietro e, anche se di fare il terzo grado a Monet ne avrebbe fatto volentieri a meno, non si sarebbe tirata indietro neppure quella volta. Lanciò un’occhiata alla cugina, che sorrideva eterea senza ombra di pentimento o colpa in volto, e poi a Law, che si era svaccato in apparenza comodo su una sedia, lanciando di tanto in tanto un’occhiata alla porta della cucina, in un’attesa che stava per finire.
«Pen dice che non l’ha forzata e nemmeno glielo ha chiesto» entrò a passo sicuro Sabo, l’espressione seria di quando investigava, il tono fattuale che virò appena all’ammirato quando aggiunse: «Lei è arrivata in veranda e… è successo. E basta» aprì appena le braccia lasciandole ricadere lungo le cosce. 
«Confermato anche da Lamy, ogni parola» lo seguì a ruota Koala, andando a sedersi sul tavolo, le gambe che sfioravano quella di Law prima di posare gli occhi, insieme agli altri tre, sulla padrona di casa, che allargò il sorriso per niente turbata da quel fuoco incrociato di sguardi.
«La magia dell’amore eh?»
«Monet cos’hai messo nella zuppa?» domandò di nuovo Law, sempre più truce o forse truce uguale alla prima volta che le aveva posto la domanda, dieci minuti prima.
«Law, luce dei miei occhi, te l’ho detto. È la ricetta di nonna, non posso…»
«Tecnicamente è anche mia nonna» decise di stare al gioco, pur di darci un taglio, il mietitore, sostenendo lo sguardo dorato della strega che si lasciò sfuggire una risata prima di sospirare, sonora e un po’ drammatica.
«Oh e va bene» girò gli occhi al soffitto in una posa parecchio credibile in realtà. «È davvero noce moscata, Lamy e Pen mi hanno smascherata subito, devono aver allenato la lingua alla stessa maniera. Oh» si portò la mano alle labbra, gli occhi che guizzavano maligni. «Mi è uscito un po’ a doppio senso vero?»
«Giusto un pochino» confermò Sabo, separando di neanche un centimetro pollice e indice e beccandosi di diritto un’occhiata assassina dal proprio migliore amico.
«Monet, per favore. Puoi farli tornare come prima, così andiamo avanti a goderci la serata e basta?» intervenne Ishley, i capelli che fluttuavano appena attorno lei, segno inequivocabile che si stava davvero innervosendo.
Non che Monet desse segni di averci fatto caso. «E chi ti dice che si possa?» soffiò felina e, a onor del vero, i capelli di Ishley smisero di fluttuare, non perché improvvisamente il nervoso fosse scomparso quanto per lo shock.
«Come?» Law la sfidò a ripetere, facendosi ancora più truce.
«Monet smettila, nessun incantesimo è irreversibile a parte quelli che finiscono con un morto. Ma non per colpa dell’incantesimo» precisò Ishley prima che Monet pensasse bene di mettersi a fare la pignola, scatenando definitivamente la sua furia o, peggio, quella di loro cugino. Non  che Koala lo avrebbe permesso così facilmente, come dimostravano le sue dita incastrate nei capelli di Law, e se fosse perché era un ottimo osservatore o perché erano stati cresciuti nello stesso luogo e dalle stesse persone Ishley non lo sapeva, ma un secondo dopo il cuore le perse qualche battito quando Sabo posò la propria mano sulla sua nuca.
«Ci sono le pozioni d’amore, in realtà» mormorò cauto il cacciatore di demoni, sfiorandole lo scalpo con il pollice. Ishley socchiuse appena gli occhi. Altro che pozioni d’amore, quello sì che era irreversibile, e poi…
«Le pozioni d’amore sono una stronzata, non esiste niente che possa condizionare i sentimenti in modo permanente, funzionano solo se somministrate in continuazione e non provocano una reazione così… così» Law indicò verso la veranda con un cenno del capo, per nulla intenzionato a muoversi dalla posizione in cui si trovava, orientato verso Koala.
«Intendi dire passionale e spontanea?» gongolò Monet, provocando un lievissimo spasmo a Law. 
«Monet vuoi morire?» s’informò Koala con un sorriso che faceva a gara con quello della fattucchiera, che per tutta risposta alzò una mano a rassettare la chioma verde lime.
«Dico solo che Law ha ragione, non esistono pozioni d’amore con un simile potere… tra quelle conosciute»
Il cuore di Law pestò un paio di battiti sconnessi e senza ritmo di fronte allo sguardo fin troppo conosciuto che Monet esibiva quando rivelava qualcosa di cui era fin troppo certa e che non vedeva l’ora di rivelare. E proprio perché non vedeva l’ora di rivelarlo, era chiaro che non potesse essere un semplice bluff.
«Stai insinuando di avere scoperto una pozione d’amore che fa innamorare davvero e non è reversibile?» la precedette Ishley e quanto avrebbe voluto suonare più scettica che sullo sconvolto andante.
«Forse sì, forse no»
«Monet» Law si mise più dritto sulla sedia, le mani chiuse a pugno, la voce tonante e lo sguardo vitreo mentre lentamente realizzava. Realizzava le parole di sua cugina e le implicazioni dietro a esse, il fatto innegabile che stronzata o non stronzata Monet aveva messo qualcosa nella zuppa e aveva manipolato Lamy e Pen e non solo loro. Per un attimo desiderò di essere suggestionabile, perché almeno avrebbe spiegato come mai anche lui si sentiva alquanto strano e se far innamorare Ishley e Sabo l’uno dell’altra più di così era fisiologicamente impossibile, Kay era un’altra faccenda.
E l’idea che Koala fosse stata manipolata, foss’anche in modo innocuo, foss’anche senza chissà che tragiche conseguenze, fosse anche ad innamorarsi perdutamente di lui, lo mandava ai pazzi. Perché neppure un incantesimo d’amore così potente avrebbe potuto fargli provare abbastanza da ricambiarla e perché comunque non avrebbe mai voluto un sentimento artefatto per lei e da lei.
E sì, anche perché nessuno doveva permettersi di toccarla.       
«Dimmi che è uno scherzo»
Monet riportò la propria attenzione su di lui, mostrando appena i denti in un sorriso. «Forse sì, forse no» ripeté in un soffio e Law si mise in piedi, con demoniaca calma e un profondo respiro, emanando un’aura spaventosa che fece tremare l’intera casa come se dovesse ribaltarsi sottosopra.
«Law» lo richiamò senza scomporsi Koala, posandogli una mano sul braccio, mentre Monet portava il polso nudo altezza occhi.
«Oh per le porte degli Inferi, ma tu guarda! Non è mai stato così tardi!» esclamò con fare melodrammatico.
«Monet dove pensi di andare? Non azzardarti a…»
«A presto» sorrise ai presenti prima di schioccare le dita e scomparire in una folata di vento alla menta.
Un silenzio tombale scese sulla cucina e sui suoi quattro interdetti occupanti.
«D-dov’è andata?» si sbloccò per prima Ishley, continuando a fissare il punto dove Monet si trovava un attimo prima. «Sul serio, ma cos’aveva in mente?»
«Probabilmente un’uscita di stile e gli è anche riuscita bene» non si trattenne Koala e si strinse nelle spalle quando Law le lanciò un’occhiata vagamente incredula. «Anche se fosse rimasta non saremmo riusciti a cavare un ragno dal buco» gli fece notare, pratica, muovendo poi un paio di passi in cucina. «E comunque, se è davvero irreversibile non c’è niente da fare ma se stava bluffando almeno abbiamo campo libero per scendere al suo laboratorio e indagare. Qui in cucina non percepisco niente»
«Sarà meglio non perdere altro tempo all…» fece per spalleggiarla Sabo, interrotto da un tonfo micidiale al piano superiore, e quattro paia di occhi si alzarono al soffitto. «Dite che Pen l’ha trovata?» domandò Sabo e, dopotutto, il dubbio che Izou si fosse distratto o addirittura avesse volontariamente lanciato il proprio migliore amico tra le braccia di Lamy non era poi così remoto o incomprensibile, specie quando altri due tonfi seguirono il primo.
«Ragazzi, credo che sia entrato un poltergeist» apparve sulla soglia della cucina proprio Izou, quasi che avesse percepito i pensieri a lui rivolti. Sollevò il curato e sottile sopracciglio di fronte alle loro occhiate per lui fin troppo eloquenti. «Cos’è, credevate fossero loro?» domandò senza ottenere risposta e si accigliò, indignato. «Pensavate che avessi portato Pen da Lamy apposta?» indagò ancora e stavolta una risposta non gli serviva. «Demoni di poca fede» schioccò la lingua mentre altri tonfi riecheggiavano, ne erano certi ormai, dalla soffitta.
«Ci mancava solo questa» sospirò Ishley.
«L’ultimo poltergeist che le è entrato in casa ha infestato mezzo quartiere» considerò Law, passandosi la mano sul volto.
«È meglio dividerci» propose Koala e Law annuì la propria approvazione.
«Va bene, io e Ish saliamo dal poltergeist, tu e Sabo scendete in laboratorio»
«Io non penso proprio, Law» si oppose decisa Ishley «Preso male come sei, finiresti per sfogarti su quella povera anima»
«Non è detto che sia una povera anima»
«Comunque è meglio se tu scendi in laboratorio. Vai con Sabo e io e Kay ci occupiamo del poltergeist» rilanciò, trovandosi tre sopraccigli alzati che la fissavano. «Che c’è?»
«Che preso male com’è potrebbe finire per sfogarsi sul povero Sabo-kun non ti tange, IshIsh?»
«Oh ma andiamo! Non lo farebbe mai!» rise nervosamente, cercando una rassicurazione nella sua migliore amica, la cui espressione al pensiero di lasciare Law e Sabo da soli non aveva nulla di rassicurante. «Okay, come non detto, allora…»
«Perché non andiamo noi dal poltergeist e lasciamo il laboratorio a Kay e Law, piccola?»
Senza sapere esattamente quando e come, Ishley si ritrovò addossata al petto di Sabo, le sue mani sui fianchi e lui che la guardava da trenta centimetri più su. Inspirò a fondo, cercando di restare lucida ma, merda secca, se lui la contemplava come se non avesse potuto guardare nient’altro nella stanza, cosa si pretendeva da lei?!
Era un sogno proibito e così concreto che Ishley viveva ormai al limite eppure sentiva che avrebbe trovato la forza di andare avanti così per sempre.
Però quella volta doveva resistere, doveva dirgli di no, perché se Monet aveva davvero messo qualcosa nella zuppa, e anche lei l’aveva mangiata, sarebbero arrivati al punto di non ritorno e a Ishley non sarebbe neppure dispiaciuto così tanto però non aveva ancora una soluzione al problema, per cui…
«Che ne dite di intervenire prima che finisca di distruggere la soffitta?»
La voce di Izou tagliò di netto tra le sue riflessioni, riportandola bruscamente alla realtà e alla cucina, da cui ogni traccia di Law e Koala era scomparsa e a occuparsi del poltergeist, volente o nolente, restavano solo loro due ed era anche meglio che si sbrigassero visto il concerto che veniva da due piani più su.
«Va bene andiamo» prese l’iniziativa e una mano di Sabo, Ishley, mordendo un sospiro, e uscirono dalla cucina, gli occhi di Izou che trapassavano loro le schiene mentre salivano le scale.
«Sapete, io sono stato concepito in una soffitta infestata»
«Fottiti, Izou»
«Se me lo proponi così, Sabo-kun» gongolò, prima di tornare praticamente veleggiando in salotto, dove Pen si stava dilettando nell’impresa non così facile di farsi uscire gli occhi dalle orbite a furia di fissarsi a palpebre ben spalancate i piedi, la testa tra le mani.
Izou sospirò e si incamminò verso il divano, attirando l’attenzione di Bepo che si rotolava ai piedi di Pen, nella speranza di beccare qualche coccola.
«Pen»
«Le ho succhiato il sangue»
«Sì, lo hai fatto» si sedette al suo fianco Izou. «E se non vi interrompevate sarebbe stato succhiato anche dell’altro, lo garantisco»
«Non ero in me»
«Anche se lo fossi stato, sei un vampiro!»
«Izou, lo capisci o no che avrei potuto dissanguarla?! Se l’urgenza di… di…» mosse la mano in un movimento circolare all’altezza del petto, un gesto che non era chiaro in quale lingua dovesse significare “baciarla”. «…non avesse avuto la meglio, avrei potuto ucciderla!»
«Per la miseria, Pen! Che razza di stomaco hai?! Lo sai quanto è calorico il sangue umano?!» si allarmò il moro, ottenendo in risposta solo un’occhiata truce che lo fece sospirare di nuovo. «Sai amico mio, non sono nemmeno sicuro che a Lamy il sangue serva davvero»
«Per metà è una strega, Izou, nel caso tu non ci abbia fatto caso le streghe hanno bisogno di un corpo funzionante per sopravvivere»
«Okay! Ma comunque non dovresti sentirti così in colpa, insomma, pensaci» gesticolò nell’aria, facendo ondeggiare anche il suo impeccabile chignon. «Se lei avesse perso il controllo mentre vi baciavate avrebbe rischiato di succhiare tutta la tua linfa vitale proprio come tu rischiavi di succhiarle via tutto il sangue quindi siete sulla stessa bar…» si bloccò nel bel mezzo della propria argomentazione, colpito da un pensiero che sembrava esaltarlo il che non significava fosse un pensiero davvero degno di esaltazione, avendo Izou dei parametri molto singolari. «Santo Inferno, siete anime gemelle! Dimmi che potrò essere padrino della vostra progenie, sarà una creatura piena di talento!» giunse le mani in preghiera, per nulla colpito dalla somiglianza di Pen con una maschera di pietra.
«Ricordami perché sei il mio migliore amico»
«Oh» mormorò con un sorriso maligno lo spirito, scivolandogli più vicino fino a passargli il braccio sulle spalle. «Perché sono fantaviglioso, Penguin»
«Ehi, tutto bene?»
Se Pen fosse stato nelle condizioni di accorgersene, avrebbe probabilmente colto come il sorriso di Izou virava dal maligno al pieno di affetto per lui nel vedere i suoi occhi illuminarsi al solo suono di quella voce. Ma tutte le percezioni di Pen erano appunto tese verso quella voce e non si sarebbe potuto accorgere di niente che non fosse Lamy che scendeva dal piano di sopra.
«Ma certo che va tutto bene, frutto di bosco» aumentò appena la presa sulle spalle di Pen, imbambolato a guardarla. «Come potrebbe essere diversamente? Non dirmi che non ti fidi di uno spirito benevolo come me»
Lamy sollevò il sopracciglio, in un’imitazione perfetta di suo fratello, mentre incrociava le braccia sotto al seno. «Izou sei uno youkai. Sei più infestante del poltergeist, che viene voglia di esorcizzare la casa. Di benevolo al massimo puoi avere l’oroscopo»
«Oh sì, sono proprio io!» gongolò Izou, svaccandosi sul divano e portando le dita intrecciate sopra la testa.
«Stai bene?» domandò Pen con un sorriso appena un po’ teso, occhi solo per lei, e Lamy non riuscì a trattenere un sorriso nel posare gli occhi su di lui, nel senso letterale del termine perché non era come se avesse avuto attenzione per qualsiasi cosa non fosse lui dal momento in cui era entrata in salotto.
«Un po’… frastornata» sospirò, facendo spallucce e adombrandosi appena.
«Ehi» Pen piegò il busto in avanti, come a voler accorciare la distanza. «Vedrai che troveremo una soluzione» annuì convinto, rilassando il sorriso. «Sicuramente è una cosa passeggera»
«Sì, ci ho pensato anche io» annuì Lamy, lo sguardo appannato. «E poi anche se non lo fosse, non è una cosa così grave, no?»
«Ma certo! Insomma...» sentì il respiro affannarsi e la gola farsi secca. Era impazzito lui o Lamy si stava avvicinando? «Alla… alla peggio…» non era impazzito, Lamy si era davvero avvicinata e a lui sarebbe bastato allungare il braccio per… per… «…i-impareremo a gestirla…» esalò alzandosi in piedi, pronto a prenderla tra le braccia, quando Lamy gli gettò le mani al collo, cercandolo con la bocca.
«Okay, okay!» si alzò Izou, le mani alte in segno di resa, portandosi tra di loro quando si separarono bruscamente come poco prima in veranda, imprecando a fior di labbra. «Ehi imparerete sicuramente a gestirla! Come no!» li guardò alternativamente, scettico e sarcastico, cercando l’appoggio dell’unico sano oltre a lui nella stanza. «Persino Bepo non ci crede»
«Sei molto di aiuto così, grazie Izou» gli sorrise velenosa Lamy.
«Ehi signorina! Sono uno youkai, che ti aspetti da me?»
«Izou non parlarle in quel modo o ti esorcizzo»
«Non le ho parlato in nessun modo!»
«Sì lo hai fatto»
«Pen, amore, tranquillo» intervenne senza pensare Lamy, ritrovandosi addosso tre paia di occhi, uno rapito, uno scettico, uno in disperata ricerca di coccole.
«A-amore?» balbettò Pen.
«Amore?!» gli fece eco nasale Izou.
«Io… I-io… Volevo dire… io…» tartagliò, fissando Pen che la fissava di rimando, muovendosi senza cognizione verso di lui.
«Va bene! Stop! Fermi lì!» intervenne Izou, così autoritario da far abbaiare Bepo in approvazione. «Sentite…» li guardò alternativamente, sul punto di esplodere tanto era intenso quello che stavano provando. «…io sono per l’amore libero, ma voi due volete seriamente continuare così o cercare di dare un senso a questa cosa che vi sta succedendo? Perché così non ne venite fuori» li indicò rapidamente, smuovendo l’aria con la mano.
Lamy si premette quattro dita alle tempie, prendendo un profondo respiro. «Okay. Izou ha ragione» sentenziò, rialzando il capo, lo sguardo determinato. «Io porto Bepo a fare un giro, così prendo un po’ d’aria e mi schiarisco le idee» decise e in tempo zero il canelupo bianco era in piedi, lingua penzoloni e coda che fendeva l’aria per la gioia.
«Sicura di andare da sola?» le andò dietro Pen, seguito a ruota da Izou. «Se incontri qualche malintenzionato…»
«Pregheremo per il malintenzionato» lo fermò Izou, premendogli una mano sulla spalla mentre Lamy metteva il cappotto e imboccava la porta.
«Ci vediamo più tardi» li rassicurò con un sorriso dolcissimo che avrebbe fatto sciogliere chiunque anche senza l’ausilio di pozioni d’amore. Pen sospirò appena quando la porta si chiuse alle sue spalle e rimase fermo dov’era, Izou al suo fianco che concesse circa trenta secondi all’amico prima di rompere il suo momentaneo idillio.
«Comunque, per rispondere seriamente alla tua domanda sul perché io sono il tuo migliore amico, azzarderei che è perché, tra le altre cose, io sono l’unico che sa che la zuppa non c’entra niente e che sei innamorato di Lamy da quando l’hai incontrata la prima volta» si voltò a guardare Pen, che lo guardava di rimando con un’espressione molto più che sconvolta, e arcuò entrambe le sopracciglia. «Ehhhhh già» 

 

***
 

«Ma che ca…» Sabo si riparò il viso con un braccio quando un’ondata di fumo li investì in pieno nell’aprire la botola che portava alla soffitta. Istintivamente portò l’altro braccio a difendere Ish, che fissava la sostanza incorporea e violacea con un misto di incredulità e rassegnazione, senza accennare a spostarsi per evitarla.
«Non ci posso credere» la sentì soffiare da in mezzo alla nuvola tossica che lo avvolgeva Sabo e dopo un attimo un fulmine blu lo superava, arrampicandosi agile sulla scala a pioli.
«Ish aspetta!» la richiamò andandole dietro, balzando nella maniacalmente ordinata soffitta di Monet. Se il poltergeist non avesse fatto casino, gli scatoloni sarebbero stati impilati secondo un preciso ordine logico, tutto segnati dal lato più leggibile con scritte a pennarello nero che indicavano il contenuto e Sabo sperò di aver letto male quando gli occhi gli caddero su uno su cui campeggiava la scritte “Teste”.
«Per chi dubita che siano cugini di sangue…» mormorò tra sé prima di rimettersi a cercare la sola cugina di cui in quel momento gli importava qualcosa, nonché amore della sua vita, dispersa in mezzo agli effluvi viola dell’intruso, che con il loro arrivo sembrava essersi improvvisamente calmato.
«Ish!»
«Dove sei?»
«Sono qui, vicino all’entrata e…»
«Caesar fatti vedere!»
Sabo si bloccò a due passi verso la direzione in cui gli sembrava che la voce di Ish provenisse e corrugò le sopracciglia. Caesar? E chi cavolo era, Caesar?!
Il cuore gli perse parecchi battiti. Oh merda! E se era un effetto della zuppa?! E se Ish cercava questo “Caesar” perché era il tizio di cui era davvero innamorata?! Aveva sempre dato per scontato di essere lui, il solo capace di rapirle il cuore ma forse durante le sue lunghe assenze tra una missione e l’altra… o forse flirtava con lui proprio per non pensare a questo Caesar! E che beffa scoprirlo ora che si sentiva più preso che mai, probabilmente per colpa dello scherzetto tirato da Monet ma era comunque una sensazione infernale e paradisiaca al tempo stesso.
«Ish sono io, Sabo»
«Shulolololololololololo! Shulololololololololo! Sono il più geniale genio di tutti i tempi! Shulololololololo!»
Un’ esplosione di lampi in mezzo al fumo lo fece scattare, brandendo la sua inseparabile spranga capace di generare il fuoco dal nulla ma ebbe la prontezza di tenerla spenta perché, anche se lui lo tollerava senza problemi, era chiaro che quel fumo fosse una qualche specie di gas. E anche se Ishley lo tollerava bene pure lei, non gradiva il pensiero che quella schifezza stesse invadendo i suoi bellissimi polmoni. Ma tant’era, aveva altro a cui pensare nell’immediato quando un’ombra scura si stagliò dietro la nuvola viola, continuando a ridere con quella peculiare, fastidiosa, inconfondibile risata.
«Il Clown?» domandò Sabo, lievemente basito. «Ha un nome?» si girò d’istinto e la sua anima sembrò accendersi nel ritrovarsi Ishley a pochi passi da sé, ora che il fumo iniziava a diradare e lei gli stava sorridendo.
«Ma certo che ha un nome, una volta era vivo no?»
«Giusto» sorrise di rimando, con una punta di imbarazzo che lo rendeva così adorabile che Ishley si ritrovò di nuovo a mordersi il labbro e poco ci mancò che si dimenticasse perché erano in soffitta o addirittura che erano in soffitta e non da soli.
Non che ci volesse molto per ricordarlo.
«Come stai Smiley?!» in una zaffata di fumo viola Ishley si ritrovò la faccia di Caesar che la scrutava a pochi centimetri e sentì il sorriso, l’amore, l’eccitazione scivolare via inesorabili da lei mentre si voltava impassibile verso il poltergeist.
«Non chiamarmi Smiley» lo ammonì, accigliandosi non appena i suoi occhi incrociarono quelli di Caesar che lampeggiavano di una strana luce. «Caesar, stai cercando di ipnotizzarmi?»
«Rilassati e lascia andare, sarai un soggetto fantastico per i miei esperimenti!»
«Sono una rusalka, non puoi ipnotizzarmi»
«Certo che posso, sono il più grande genio di tutti i tempi! Shulololol… ouch!» protestò portandosi una mano sul naso quando Sabo gli pestò la spranga sul grugno. Caesar si girò a guardarlo, indignato e anche un po’ offeso che la sua incorporeità fosse stata ignorata così.
«Agalmatolite» si limitò a spiegare Sabo, facendo saltare appena la spranga nell’aria mentre si accostava a Ish e la prendeva per il fianco, l’inferno negli occhi. La sentì scivolare in basso fino a sedersi, nonostante l’abito elegante, a gambe incrociate sul pavimento della soffitta, tirandolo appena per la camicia perché si sedesse con lei e non che Sabo avesse intenzioni diverse. Si posizionò a gambe piegate e aperte, una che le passava dietro la schiena per permetterle di appoggiarsi come a uno schienale.
«Dunque…» Ish si lasciò andare contro la sua coscia, investendolo con un’ondata del suo profumo appena salato. «…perché non hai usato la porta anziché fare casino?» domandò contemplando il caos primordiale che invadeva la soffitta insieme al fumo, anche perché seguire i fluttuanti movimenti di Caesar rischiava seriamente di farle rivedere la zuppa.
«Ma perché sono un poltergeist!» si fermò a mezz’aria l’incorporeo scienziato, allargando le braccia e gettando poi il capo all’indietro. «Non è geniale? Shulolololololo! Shulololol…»
«No, non lo è» lo interruppe lapidario Sabo.
«E comunque Monet non c’è» lo informò Ishley, certo che fosse lì per conferire con la padrona di casa di qualche malata idea dalle dubbie fondamenta scientifiche o stregonesche che fossero, ma Ceasar non sembrava voler schiodare gli occhi da Sabo, con un misto di risentimento e interesse sul volto.
«Anche lui potrebbe essere un ottimo soggetto per i miei esperimen…»
La chioma di Ishley prese a fluttuare come saette nell’acqua, sembrava una Medusa con serpi al posto dei capelli ma il sibilo veniva direttamente da lei, irriconoscibile con la pelle più lucida che si tendeva sugli zigomi fin quasi rischiare di venire bucata dalle ossa e gli occhi che si facevano completamente neri, iride e sclera inondate dalla pece più nera della sua demoniaca anima che pure era un’oscurità eterea e splendente, come un cielo in una notte senza luna, come polvere di stelle nera e densa e avvolgente.
Dio, Sabo ci si sarebbe potuto perdere con una sola occhiata, ci si sarebbe voluto perdere per sempre.
«Non lo guardare nemmeno» lo ammonì, la sua voce cristallina era l’unica cosa che la metamorfosi non modificava, se non semplicemente amplificandola perché risultasse ancora più zampillante.
«Okay, okay» si arrese Caesar, stortando la bocca in una smorfia. «Scusa tanto, non sapevo fosse il tuo ragazzo»
Un sobbalzo contro il proprio petto e il cuore di Sabo perse qualsiasi ritmo avesse mai avuto mentre il viso di Ishley tornava a distendersi, la pupilla si rimpiccioliva a una dimensione normale, le guance le si coloravano di porpora.
«Lui non è il mio r-ragazzo, non stiamo insieme» mise in chiaro e avrebbe anche potuto ferirlo se nel dirlo non si fosse aggrappata al suo petto come se fosse sul punto di affogare. Ma Sabo lo sapeva, la conosceva troppo bene e nel profondo per non sapere che Ishley non si tirava mai indietro e che, no, non stava negando la possibilità di quell’opzione, ma solo un'erronea interpretazione di Caesar.
Ed era vero, in fondo.
Lui non era il suo ragazzo, non stavano insieme.
«Oh» Caesar avvicinò le sopracciglia finché non sembrarono una sola. «E perché no?» domandò sinceramente perplesso e Ishley alzò miserabile gli occhi a lui. Che domanda idiota, santo Inferno. Non era evidente, il perché?
«Giusto, perché no?»
Incredula, scioccata, allibita, Ishley si voltò lentamente verso di lui, il suo sole, il suo fare nella notte, quell’imbecille dell’amore della sua lunga, indemoniata vita. Perché no?! Sabo le aveva chiesto perché non potevano stare insieme?!
Sul.Serio?!          
«Perché la mia dote è troppo scarsa. Secondo te perché no?!» lo picchiò sulla fronte con due dita, celando come poteva il dolore dietro all’ironia, perché faceva così male anche solo pensarci, dannazione. Ma le sorprese quella sera non sembravano finire.
«Non lo so» Sabo non si scompose minimamente, occhi nei suoi, serio come una condanna. «Io ti amo, tu ami me, non lo so perché non stiamo insieme, Ish. E me lo chiedo da troppo, ormai»
La maschera crollò senza neppure provare a opporre una minima resistenza, perché Ishley non poteva resistere se Sabo dichiarava che l’amava come se fosse stata la cosa più normale dell’universomondo, se prendeva le sue paure e le cullava con la stessa dolcezza e la stessa determinazione che l’avevano fatta innamorare. Con cui sapeva che avrebbe sempre cullato lei. Con cui lei voleva così tanto e così disperatamente venire cullata.
«Sabo…» cominciò e si interruppe subito, gli occhi lucidi e il cuore in guerra. «Io sono una rusalka, una sirena di lago» vibrò con sofferenza ma senza abbassare gli occhi, non tanto per orgoglio ancestrale ma per permettergli di vederla tutta, fino in fondo all’anima, anche se in quel momento si sarebbe solo voluta nascondere e non dirlo ad alta voce. Non avrebbe mai voluto dirlo ad alta voce ma, forse complice la zuppa di Monet, le frasi uscirono con molta più facilità di quel che avrebbe osato immaginare. «La mia natura è uccidere gli uomini. Ingannarli, ammaliarli e ucciderli e tu…» la nota uscì più alta, acuta e bellissima, come una melodia da spezzare il cuore. «…tu non solo sei un uomo ma sei anche un cacciatore di demoni marchiato con il potere del fuoco! Sei il mio nemico naturale, lo capisci questo?!» mandò giù quando sentì che la voce le si incrinava. «Come fai a dire che non lo sai?!»
«Forse è perché non mi importa»   
Ishley morse svelta un singhiozzo. Aveva risposto senza neanche un’esitazione.
«Ma importa a me!» scattò in piedi, disperdendo il fumo intorno a loro e Sabo fece subito altrettanto, così calmo, misurato, padrone di sé che Ishley avrebbe tanto voluto picchiarlo e… e aggrapparsi a lui, alle sue solide spalle e non lasciare andare mai più.
«Ish, non hai mai cercato di ferirmi una sola volta»
«Perché non ho mai perso il controllo! E se succede quando stiamo dormendo?! Se cerco di ucciderti nel sonno, se ti ipnotizzo prima che te ne rendi conto e io non mi risveglio in tempo, se ti faccio del male…»
«Ish, Ish!» Sabo riuscì a bloccare il suo flusso di pensieri con le mani intorno al suo viso e Ishley si sarebbe chiesta che aveva Sabo da sorridere tanto in una situazione tanto schifosa se non fosse stato chiaro che stava sorridendo solo per lei. «Possiamo gestirla»
«E come?» esalò la rusalka, senza la minima intenzione di staccarsi da lui o staccare gli occhi dai suoi, neppure quando Caesar intervenne con un’entusiasta nonché psicotico:
«E se tentatissimo un esperimento?!»
«È pericoloso» mormorò piano Ishley.
«Come tutti gli esperimenti, Smiley»
«Non parlavo con te! Sabo…»
«Ish» la fermò di nuovo lui. «Io faccio cose pericolose per mestiere» spostò la mano dal suo viso al suo fianco, imprigionandola piano e, se anche avesse voluto ucciderla, Ishley glielo avrebbe lasciato fare senza opporre resistenza. «E tu non sei un pericolo per me. Oggi con quei Succubus è stato un vero casino ma nessuno dei loro incantesimi è andato a segno perché io ho avuto te in testa per tutto il tempo. Non mi potevo far portare via, dovevo tornare da te. Tu…» prese un profondo respiro, chinandosi su di lei. Perché non glielo aveva mai detto prima? Perché aveva avuto bisogno di una zuppa corretta con chissà cosa per capire che era la cosa giusta da fare? Che idiota era stato. «… tu mi salvi dal baratro, Ishley»
Essere un demone acquatico portava non poi molti vantaggi. Ma in quel preciso momento Ishley stava scoprendo che poter stare in apnea senza rischiare lo svenimento indubbiamente lo era. Il cuore a mille, l’anima che brillava come non mai, sarebbe potuta restare lì a perdersi nei suoi occhi e nella sua voce per sempre se solo non avesse sentito un altro impellente bisogno, sopito da troppo tempo ormai.
Lo amava, santo Inferno. Tanto, troppo, per poter resistere ancora.
Sgusciò tra le sue braccia per circondargli il collo e fuochi d’artificio esplosero nella sua testa quando le loro bocche si incontrarono, non per la prima volta, certo, ma dopo tantissimo tempo dall’ultima e ora era tutto così diverso perché quello, quello non era un momento rubato, non più. Era l’inizio. Era la cosa sbagliata più giusta che avesse e avrebbe mai fatto e se Sabo era pronto a tutto per lei, non solo il sentimento era reciproco ma non era proprio nella natura di Ishley tirarsi indietro.  
A meno che non si intendesse fisicamente tirarsi indietro, verso il pavimento, lasciandosi sovrastare da Sabo, senza smettere di baciarlo, la pelle già sudata, il corpo già pulsante, tutto l’amore di cui disponeva già pronto a riversarsi solo per lui, in mezzo al fumo viola, in una soffitta infest…
Il pensiero li colse nello stesso istante, smisero di baciarsi e spogliarsi a vicenda, voltandosi lentamente verso destra e verso Caesar, che non solo non sembrava per nulla intenzionato a schiodare, ma si era addirittura accomodato su una cassa ribaltata e prendeva appunti?!
«Che cosa fai?» domandò Sabo, che di cose strane ne aveva viste fin troppe per stupirsi ma se il poltergeist si ostinava a stare lì mentre lui era finalmente in procinto di fare l’amore con la sua Ish, non era certo avrebbe risposto a lungo delle proprie azioni.
«Che domande» storse la bocca Caesar. «Sto prendendo dei geniali appunti su questo raro evento, se poi dovesse scapparci il neonato potrebbe essere davvero molto interess… Ehi!» protestò l’ex scienziato quando la spranga di Sabo attraversò la soffitta colpendolo quasi in faccia, evitandola per un soffio, salvo poi ritrovarsela schiantata sulla nuca quando l’arma tornò autonomamente verso il suo padrone, tipo boomerang. «Ehi!!!»
«Caesar non lo capisci da solo quando la tua presenza non è gradita?»
«Shulololo, Smiley! Non c’è nulla che io non capisca, non lo sai?! Shulololololo, shulololololololo, shulololololol…»
«E allora esci»
«Come?»
«Via dalla soffitta»
«Ma devo prendere appunti!»
«Caesar, fuori o ti esorcizzo!!» ringhiò Sabo e il poltergeist sgranò gli occhi nel ritrovarsi di nuovo la spranga diretta contro il proprio muso, decidendo di abbandonare una volta per tutte il presidio, puntando la botola per uscire dal sottotetto. Rischiava di ritrovarsi il cervello ridotto in poltiglia.
«Demoni ingrati» borbottò, fluttuando giù dalla scaletta, una scia di fumo sempre più densa dietro di sé.
«Caesar!»
Si fermò quando Ishley lo richiamò con voce già un po’ ansante e si voltò verso la botola, contrariato.
«Che c’è?»
«Lascia il fumo, per favore»

 

***
 

«Tu… tu lo sai da sempre?! Come?!» boccheggiò allibito Pen non appena ritrovò l’uso della parola e, onestamente, sapeva di essere un vampiro molto atipico, non era il tipo che pretendeva ma almeno in quel frangente pensava di avere il diritto di essere lievemente destabilizzato da tutto quello che stava capitando, perciò perché Izou lo fissava a sopracciglio alzato?!
«Sei serio?! Hai idea delle onde etero che emani quando Lamy è nei paraggi?! Hai rischiato di farmi cambiare orientamento sessuale e io sono ancora qui con te nonostante questo, non so se mi spiego!» lo picchiettò sulla spalla con un dito che pareva un pungolo e Pen stava per rispondere al gesto, da bravi demoni maturi e adulti quali erano, che il campanello li distolse l’uno dall’altro, ancora fermi in mezzo all’ingresso.
«Chi sarà?» corrugò le sopracciglia Pen. «Lamy ha le chiavi…» avanzò fino alla porta, socchiudendola piano su un tizio alto, piazzato, con capelli biondi che ricordavano un ananas. «Posso aiutarla?»
«Buonasera, sono qui per una segnalazione di casa infestata. In realtà mi ha avvisato un collega con un messaggio, conosce Sab…»
«Marco-chaaaaan!!!»
Pen sbatté le palpebre un paio di volte, studiando l’uomo di fronte a sé. E così era quello il famoso Marco-chan, eh?  E se tanto gli dava tanto, il messaggio era partito dal cellulare di Sabo, cellulare abbandonato sul tavolo del salotto, ma dubitava fosse stato il cacciatore di demoni a inviarlo.
Lanciò una rapida occhiata al proprio migliore amico con la coda dell’occhio e poco ci mancava che si mettesse a vorticare a mezz’aria, dove per altro stava già fluttuando. Liberò un lieve sospiro nell’aprire le labbra in un mezzo sorriso.
«Prego, accomodati» finì di aprire la porta, indicando l’interno della casa con l’altro braccio. «Abbiamo uno youkai molto persistente di cui temo dovrai occuparti»   

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Capitolo 3
*** Fantastiche creature ***


 
CAPITOLO 3
FANTASTICHE 
CREATURE 
*CREATURE FANTASTICHE*



«Insomma anche volendo cercare un antidoto, senza indizi non saprei da dove partire, i filtri d’amore non sono mica tutti uguali! E poi che male può fare lasciare che l’effetto passi da solo?! Anzi, mi sembra la scelta più sicura, metti che sbaglio qualcosa e faccio peggio che meglio?!» gesticolò nel buio e nella lieve patina di umido che la avvolgeva, Bepo che seguiva con il muso i movimenti delle sue mani, tenendo agilmente il passo deciso che Lamy non aveva abbandonato da che avevano girato l’angolo a… lì. Ovunque fosse lì. Aveva preso a camminare senza meta nel quartiere, sperando che l’aria fresca ormai novembrina filtrasse fino al suo cervello per refrigerarlo, una speranza vana in realtà. Sospirò, passandosi una mano tra i capelli. Forse ammettere ad alta voce il reale motivo per cui si sentiva così spersa, lei che normalmente avrebbe proposto gelato per tutti e di aspettare che tutto tornasse da sé alla normalità, avrebbe aiutato almeno a riordinare i pensieri. Forse rendersi conto che l’accaduto di quella sera non cambiava di una virgola come stavano realmente le cose, l’avrebbe aiutata a trovare lo sprone per rimboccarsi le maniche e cercare un antidoto capace di contrastare gli effetti dell’incantesimo di Monet. Dopotutto era una strega anche lei, sebbene non fosse versata nell’arte fattucchiera quanto sua cugina. Forse, cercare scuse era solo una perdita di tempo. Si voltò verso il lupo bianco che, fedele da millenni alla famiglia Trafalgar e in particolare modo a Law, si era seduto appena Lamy aveva frenato le gambe e ora la osservava in attesa. «Bepo, cosa devo fare?» si accovacciò, portando gli occhi all’altezza di quelli del cagnone, che per essere una bestia infernale di demoniaco aveva solo l’appetito, e posò la mano sul suo muso. Sperava davvero che l’istinto di Bepo potesse darle un’idea migliore di quella che il suo di istinto le stava suggerendo, forse in combutta con Izou.
Lasciar perdere il buon senso, accettare la situazione per com’era, tornare indietro e fare l’amore con Pen, anche se sarebbe stato solo per quella notte.
Per fortuna, l’istinto di Bepo sembrava ben più ragionevole del suo, almeno così si sarebbe potuto pensare quando il canelupo distolse l’attenzione dalla padroncina, lanciandosi senza preavviso e con un uggiolio lungo la strada, nella direzione opposta al 4 di Punk Hazard.
Lamy non si preoccupò neppure di richiamarlo, scattando rapida per seguirlo, d’altra parte ogni distrazione era ben accetta e non era per niente facile perderlo di vista con la coda bianca a pennacchio che si agitava nella notte, brillante come fosse fatta di brina. Lamy superò un paio di villette senza degnarle di un’occhiata, attraversò la strada dietro a lui senza controllare che non arrivassero macchine e infine si fermò di fronte a un vialetto in ghiaino, identico a quello del 4 di Punk Hazard, così come la casa, il giardino però privo di zucche. A essere diversa era solo l’atmosfera che si percepiva dal vociare per niente discreto e festante che proveniva dall’interno. Lamy provò un lieve spasmo allo stomaco al pensiero che anche quel dettaglio sarebbe dovuto essere comune alle due case, che Law meritava quel genere di festa, e che l’avrebbe avuta eccome se Monet non avesse deciso di giocare con i sentimenti suoi e di Pen e che Monet non avrebbe fatto niente del genere se lei e Pen si fossero sforzati di andare un po’ più d’accordo anziché stare sempre ad aggredirsi e se lei…
«Posso aiutarti?»
Lamy riportò la propria attenzione davanti a sé, restando per un momento troppo colpita da ciò che le era apparso di fronte per riuscire subito a rispondere. Aveva del bizzarro, dell’ironico addirittura, per lei che era una mezza strega e cugina di una strega, farsi ammaliare dalla vista di un’umana in abito da strega ma quella donna era così spaventosamente bella da farle per un attimo dubitare di essere sveglia. L’abito nero con le maniche ampissime, il sinuoso movimento delle corna sulla sua testa, gli occhi cerulei penetranti, i lunghi capelli corvini e lisci come seta, gli zigomi che sporgevano come accadeva a Ishley quando si trasformava, la mano stretta intorno a un bastone con una sfera verde e luminosa, con un finto corvo sopra, era senza età e senza dimensione. Sarebbe potuta appartenere a qualsiasi universo ma era lì e parlava proprio con lei.
«Tesoro, stai bene?»
Lamy sbatté le palpebre un paio di volte, alzò le mani ai capelli intrecciati a coroncina sulla propria nuca, un’irrazionale bisogno di verificare di essere in ordine e ben più che presentabile.
«I-io… sì, più o meno cioè…» si girò di nuovo a cercare il consiglio di Bepo, che intanto aveva coperto metà del tragitto che separava il vialetto dal patio e annusava l’aria con il naso arricciato e le narici appena dilatate. La finta strega spostò gli occhi da lei a lui e di nuovo a lei, sorridendo dolce, materna e serafica, in un modo così simile e così diverso da Monet, per poi allungare il braccio e la mano in un accogliente invito.
«Vieni» la invitò anche a parole e senza neanche rendersene conto, Lamy stava già camminando verso la casa e verso di lei, la gonna del suo lungo abito nero di velluto che frusciava lieve nella notte silenziosa.
 

***
 

Quello era ciò che Law più apprezzava del laboratorio di Monet, il silenzio. Ce n’era così tanto da lasciargli sentire persino il rumore dei propri pensieri, anche se certo quella sera non gradiva affatto perché a riempirgli le orecchie non erano i suoi ingranaggi cerebrali ma il battito del suo cuore. Un battito forte e regolare che pure aveva qualcosa di così diverso in quel momento, qualcosa che aveva sperato di sentire alle volte nel proprio petto, ma che ora rigettava perché non era altro che un’aberrazione, artefatta e provocata da una miscela tra le tante che si trovavano lì sotto e che lui e Koala si apprestavano a esaminare.
E non che questo gli avrebbe tolto la capacità di ragionare, era un demone troppo razionale e misurato per farsi sopraffare da un trucco di Monet, eppure, quando sulla porta del laboratorio Koala si girò verso di lui un istante solo per sorridergli prima di entrare, la tentazione di cedere e convincersi che quello che provava in quel momento fosse del tutto reale rischiò di avere la meglio, tanto che prima di realizzarlo aveva sollevato una mano per scostarle i capelli dietro l’orecchio, accarezzandola con i polpastrelli nel processo, e si ritrovò alla fine con Koala che lo baciava piano sul palmo.
«Andiamo» lo incitò la ragazza, aprendo la porta con un semplice incantesimo che dimostrava lo scarso interesse di Monet di tenere fuori intrusi dal suo piccolo regno sotterraneo.  
C’era da dire che, per quanto Monet fosse una strega potente, neppure Koala scherzava e Law tendeva a dimenticare che quella che teoricamente era la sua donna era in grado di eguagliare sua cugina, non certo perché Koala non meritasse la sua ammirazione. Anzi. Il fatto era che, con lui, Koala era sempre così umana da fargli scordare cos’era davvero. 
Lasciò scorrere gli occhi sulla sua schiena nuda, che sempre Koala mostrava con orgoglio, nonostante il sole rosso che Sabo le aveva impresso a fuoco nella pelle, su sua stessa richiesta, celasse il marchio con cui una banshee l’aveva maledetta all’età di appena quattro anni. Se Sabo non l’avesse trovata, se Dragon non l’avesse raccolta sarebbe stata condannata a vagare e soffrire per l’eternità, uccidendo gli esseri viventi che incontrava sul proprio cammino senza cognizione, senza un motivo e senza uno scopo.
Ma Sabo l’aveva trovata, Dragon l’aveva raccolta e Robin l’aveva allenata a contenere e gestire la sua nuova natura come una sua simile, come un’erinni, facendo di lei ciò che era.
Mezza banshee. Mezza erinni. Cento per cento umana.
La creatura più eccezionale che Law aveva e avrebbe mai incontrato sul proprio cammino, Izou poteva dire quello che voleva.
«Law?»
Il tono interrogativo e appena divertito, la voce un po’ rauca, Law ci mise qualche istante a realizzare che si era praticamente spalmato su di lei, tenendosela addosso da dietro e per i fianchi e che la stava baciando sull’orecchio tempestato di earcuff. Non sapeva neppure quando si era avvicinato a lei, figuriamoci tutto il resto.
Stava ancora cercando di dare un senso e non fare la figura del completo imbecille quando Koala compì mezzo giro tra le sue braccia, portando una mano sul suo collo, gli occhi guizzanti di vita e sorridenti.
«Non che mi opponga all’idea, chiariamo, ma è meglio raccogliere qualche indizio prima che Monet torni» gli ricordò, senza dare segni di avere particolare fretta di staccarsi da lui, comunque.
«Avete intenzione di copulare?»
Law alzò gli occhi, già contrariato preventivamente, sentì Koala strusciare il capo contro il suo mento nel voltare la testa verso di lei. Sdraiata sul suo trespolo, di fatto un letto rialzato, intenta a limarsi le unghie, l’aria perennemente annoiata e le fattezze di una giovane donna, ancora nel limbo tra adolescenza e età adulta. Ancora un volta Law si chiese se tenerla lì da parte di Monet non fosse una forma di coercizione, nonostante fosse di fatto una civetta a cui sua cugina aveva dato il potere di trasformarsi.
«Ciao Sugar»
La civetta, in quel momento umana, si voltò piano verso di loro, osservandoli con disgusto.
«Allora, avete in mente di copulare o no? Perché nel caso mi sembra giusto informarvi che non gradirei assistere»  
 «In realtà stiamo cercando di scoprire cos’ha messo Monet nella zuppa di zucca» Koala scivolò via dalle mani di Law, non senza un’ultima carezza, in modalità detective non appena le si era presentata la prospettiva di avere informazioni da un testimone oculare, e quindi fare più in fretta, e quindi avere poi tempo anche per, perché no, copulare. Izou avrebbe approvato.
Sugar, invece, si stava accigliando. «Non è mica la dispensa questa, se avete finito il sale non dovete cercarlo qui»
«Ti pare che non lo sappiamo?» domandò Law, apparentemente atono ma alle orecchie di Koala contrariato e l’ultima cosa che Koala voleva era che si facesse il sangue ancora più amaro di quanto già non fosse accaduto, proprio la sera del suo compleanno. In realtà Koala non voleva mai che si facesse il sangue amaro e punto o che in generale gli accadesse qualsiasi cosa che finisse per farlo stare diversamente da “bene”, anche se questo purtroppo non era sempre possibile. Alle volte aveva l’impressione che non lo fosse quasi mai. 
«Monet ha messo qualche pozione o filtro nella zuppa, Sugar. Tu ne sai niente?» 
«Oggi pomeriggio dormivo» mormorò la civetta, tornando a limarsi le unghie. «Sono un animale notturno» 
«Giusto» sospirò la mezza banshee, senza tuttavia perdere una sola briciola di ottimismo. Erano appena arrivati, non si erano ancora neanche guardati attorno, non era detto che ci volesse tanto comunque.  «Diamo un’occhiata, ti va?» propose a Law con un immancabile sorriso a cui il demone aveva ormai accettato di non saper dire di no.
Lanciò un’altra occhiata a Sugar. «Di solito non sali a fare un giro quando ti svegli?» domandò mentre si avvicinava a Koala, ottenendo solo un sonoro sospiro in risposta.
«C’è gente in casa stasera» schioccò la lingua, puntando gli occhi viola al soffitto. «Io odio la gente»
 

***
  

«Quindi vediamo se ho capito bene» ricapitolò il poltergeist, il divano avvolto in una nuvola di tossico fumo viola, che aiutava le candele a illuminare un po’ di più il salotto di un’atmosfera spettrale e accogliente al tempo stesso. «Monet ha messo un filtro d’amore nella zuppa e ora Smiley bionda è innamorata del vampiro e lui uguale, solo che lui era già innamorato di lei, da sempre»
«Esatto!» Izou annuì solenne, seduto a mezz’aria a gambe incrociate, gli occhi che continuavano a schizzare verso Marco, come se non riuscisse a credere che fosse veramente lì.
Neppure Pen, a dirla tutta, riusciva a credere che fosse veramente lì, un cacciatore di demoni insieme a un poltergeist e al suo migliore amico youkai, a mangiare ossa dei morti alla cannella e discutere della sua situazione sentimentale come avessero parlato del tempo atmosferico e come se nemmeno lui fosse presente.
«Scusa ma qual è il problema? Basta non darle nessun antidoto o continuare a somministrarle il filtro d’amore e potranno vivere felici per sempre! Sono o non sono un genio?! Shulololololo, shulololol…»
«Punto primo, io sono qui!» si decise a protestare Pen tornando al centro del salotto dalla sua postazione vicina alla finestra. «Punto secondo, non c’è niente di geniale nella tua proposta, secondo te io voglio questo per la donna che amo?!»   
Caesar si fece serio e stortò la bocca scura, gli occhi su Pen, profondamente concentrato perché in realtà la domanda che gli aveva posto sembrava piuttosto semplice e non era contemplato che un genio come lui desse la risposta sbagliata. Ma giusta o sbagliata che fosse, Caesar non riuscì a dare alcuna risposta quando le travi del soffitto scricchiolarono dando segni di sofferenza.  
Quattro paia di occhi si alzarono verso l’alto, analizzando in silenzio lo scricchiolio erratico e irregolare.
«Mi verrebbe quasi da sospettare un poltergeist» mormorò Marco che non aveva ancora praticamente aperto bocca, neppure per protestare, accettando con aplomb il posto a sedere, il dolce e le moine di Izou e solo per questo Pen aveva permesso che la propria reputazione venisse sputtanata di fronte a un collega di Sabo e Kay, alla cui opinione, pur essendo uno sconosciuto, dava comunque più peso che a quella di Caesar. «Ma lui è qui…» riportò gli occhi chiari e di una sfumatura indefinita tra l’azzurro e il verde sull’ex scienziato, parlando con Izou, almeno Pen ebbe quell’impressione, così come aveva avuto l’impressione che Marco non avesse perso di vista lo youkai un solo istante, e non per studiare come disinfestare la casa dalla sua presenza.
«Sono Smiley mora e Re Fuoco» rispose con evidente soddisfazione per il fatto di sapere la risposta, Caesar, mentre Izou si buttava indietro con la schiena, fino a sdraiarsi nel nulla, le mani intrecciate sulla nuca.
«Ah l’avevo detto io che le cantine infestate sono romantiche»
«Veramente hai detto che ti ci hanno concepito» gli fece presente Pen.
«Ma tu non eri impegnato a disperarti?» gli scoccò un’occhiataccia Izou, prima di voltarsi verso Marco, il viso ora a pochissimi centimetri da quello del cacciatore di demoni. «Marco-chan vuoi un po’ di panna con quei biscotti?» batté le ciglia, in brodo di giuggiole e Pen avrebbe potuto giurare che se avesse avuto una coda avrebbe scodinzolato peggio di Bepo di fronte alla pappa.
Scosse il capo divertito e rassicurato da come Marco stava guardando il suo migliore amico, perché che Izou rimanesse ferito non era contemplato, a Pen non importava quanto apprensivo potesse risultare. Anche se certo, se erano diventati migliori amici era anche perché sapevano essere stronzi uguali al bisogno.
«Nel caso ti sconsiglio di fartela passare da Izou, Marco, a meno che non ti piaccia acida anche con i dolci» ghignò Pen e quando anche Marco piegò appena le labbra in una specie di sorriso, soffiando dal naso qualcosa di vagamente simile a una risata per la battuta del vampiro, Izou trattenne il fiato, spalancando per bene gli occhi a mandorla neri come inchiostro per non perdersi un solo dettaglio di quello spettacolo.
«Un po’ di panna ci sta sempre bene» mormorò roco, lasciando vagare discretamente lo sguardo sulla longilinea figura dello youkai che si dimenticò di levitare e sarebbe rovinato sul tavolo se Pen non avesse avuto la prontezza di afferrarlo al volo.
«Ehi!» lo prese da dietro le spalle e sotto le ginocchia, ringraziando che Izou pesasse così poco o probabilmente sarebbe finiti a terra entrambi.
«Grazie Pen» ansò appena il moro, se per lo spavento o per l’eccitazione non era dato saperlo, aggrappandosi solo un momento al petto dell’amico.
«Sono confuso, non eri innamorato di Smiley bionda tu?» si accigliò Caesar, studiando la loro posizione e Pen sospirò mentre Izou ricominciava a fluttuare,  intorno a Marco-chan con sempre meno ritegno.
«Le relazioni sociali non hanno segreti per te, eh?» commentò Pen verso il Clown, mentre tornava alla finestra, sbirciava fuori e sospirava per la ventordicesima volta. Di Lamy neanche l’ombra, anche se lei l’ombra non ce l’aveva ma tanto era comunque metaforico visto che era buio pesto.
E le luci esterne del quartiere erano in corto e non si erano accese. E lei era in giro da sola.
Okay, non da sola, con Bepo.
Con Bepo ed era un succubus, ci vedeva al buio e avrebbe potuto mettere K.O. qualsiasi eventuale aggressore con uno schiocco di dita. Sempre che anche l’aggressore non fosse un demone di una categoria superiore. O peggio dei bracconieri di demoni. Quella era la serata ideale per loro, lo sapevano tutti.
E lei era da sola. Da sola con Bepo e basta. Ed era buio pesto e non era ancora tornata e…
«Pen, dove vai?!»
«A cercarla»
 

*** 
 

Casa di Brook era spaventosamente accogliente. Non nel senso in cui lo era casa di Monet, accogliente nonostante fosse letteralmente spaventosa.  Casa di Brook era così letteralmente accogliente da essere quasi spaventoso.
Raramente in vita sua Lamy si era lasciata sopraffare da qualcosa e già l’urgenza dimostrata nel rispondere all’invito della finta strega era allarmante. Ora che aveva varcato la soglia del 27 di Punk Hazard, rischiava seriamente di venire fagocitata dall’ospitalità del gruppo di amici lì radunato a trascorrere Halloween in compagnia.
Non che temesse una qualche trappola, che quelli fossero bracconieri di demoni mascherati interessati a catturarla. Un succubus come lei, cresciuta secondo la tradizione fattucchiera più antica, per cui le arti stregonesche non avevano segreti, capace di controllare la propria natura, non una specie di animale senza controllo, insomma, era merce rarissima e faceva gola a chi i demoni li studiava. Ma Lamy non si sentiva per niente in pericolo ed era proprio quello il problema. Si era dimenticata che era uscita solo per schiarirsi le idee, che a casa c’era una questione irrisolta che andava sistemata e dava l’impressione di non volerselo ricordare, di essere ben disposta a trascorrere lì la serata con quelle strane creature, note come “umani”.
Strane, strane creature gli umani, sì, sì.
Bepo ne era da sempre fermamente convinto.
Però uno di quegli umani gli stava offrendo del cibo. Squisito, appetitoso cibo e qualunque pensiero non canino il suo istinto infernale avesse risvegliato scomparve di fronte all’impellente necessità di assaggiarlo. D’altra parte era stato quell’odore a portarlo fino a lì.
«Sanji sei troppo gentile! E lui prende subito i vizi, è meglio che tu lo sappia» Lamy lo mise in guardia, lanciando un’occhiata carica di affetto a Bepo.
Le sembrava di essere finita in un’altra dimensione, di aver varcato la soglia di un universo parallelo, fatto di carne alla griglia, umani vestiti da demoni, lanterne di carta e la musica di Brook, affascinante con quel trucco da teschio messicano così ben fatto.
Non era più bello dell’universo da cui arrivava lei, questo no, ma quella sera ai suoi occhi stanchi risultava decisamente più ospitale e sicuro. A partire da Chopper, adorabile nel suo costume di lupo mannaro adolescente, continuamente trascinato in oscene danze da Franky Frankenstein, che si era premurato di rendere cianotica pure la pelle delle gambe pur di stare senza pantaloni, e da Rufy in versione zombificata, passando per i continui battibecchi di Zoro, samurai in putrefazione, e Nami, stupenda kitsune con una cascata di capelli rosso fuoco, per finire sul quartetto intorno a lei. Sanji, con un occhio coperto e l’altro cremisi, una strana mascherina sulla bocca con una cerniera e sotto un trucco spaventoso che apriva una voragine dove c’erano le sue vere labbra. Un ghoul gentiluomo, la cui missione era premurarsi che avesse tutti i comfort che una simile stupenda principessa meritava di diritto e Usopp, di fronte a lei, sguardo gentile, dentoni posticci, vestito con una salopette e qualche chiazza di muschio così realistica qua e là, un perfetto troll dei boschi, benevolo quanto lo spirito di cui aveva copiato le fattezze, le aveva detto che poteva ritenersi benedetta che Sanji non le avesse sanguinato addosso. Lo aveva detto con una strana luce negli occhi, tra il maligno e il profondamente affezionato, le ricordava Izou quando diceva qualche innocente malignità su Pen e aveva dovuto rimettere a tacere il cuore al solo pensare per un attimo al suo vampiro, che tanto suo non era, non per davvero. E comunque negli occhi di Usopp c’era anche qualcosa di diverso, quando parlava di Sanji, e focalizzarsi su quello, su Usopp in generale, si era rivelato di grande aiuto per non tornare con il pensiero dove non voleva tornare.
«E quindi il naso è vero» socchiuse gli occhi per meglio esaminare la lunga appendice del ragazzo, il quale si voltò di profilo per mostrarsi meglio, con orgoglio, mento alto e petto in fuori.
«Toccare per credere!»
«Anche io credevo fosse un posticcio la prima volta» rise Bibi, coprendosi le labbra esangui con la mano scheletrica da sposa cadavere, che, Lamy avrebbe tanto voluto specificarlo in uno slancio di saccenza Trafalgar soffocata appena in tempo, tecnicamente prendeva il nome di pesta.   
«Meno male che non lo è, visto che qualcuno lo trova particolarmente sexy» intervenne per finire lei, facendo arrossire Usopp sulle guance mulatte, lei che era sempre l’ultima a esprimersi e purché avesse qualcosa di utile o lapidario da dire e che Lamy aveva incontrato per prima, il motivo per cui si trovava effettivamente lì, la finta strega, Robin.
«Sono bellissime le dinamiche con cui vi siete conosciuti tra tutti» scosse appena il capo la piccola demone, vagando sul gruppo che faceva casino intorno al festante pianoforte, mentre la gamba non ingessata di Usopp si agitava a ritmo sotto il tavolo. «Anche gli incontri in apparenza più banali hanno dei retroscena unici»
«Yohohoh-oh! Lamy-chan, non devi credere a tutto quello che Usopp-kun racconta!»
«Ehi!!!»
«Tuttavia sarei davvero curioso di conoscere il colore delle tue mutandine!»
«Ehi Lamy, Lamy! Tu quante volte al giorno fai la c…»
«Yo, zombie-bro! Guarda che mossa suuuuuupa di bacino mi sono appena inventato!» Rufy fu più o meno richiamato all’ordine da Franky e dal suo sculettare, sotto gli occhi luccicanti suoi e di Chopper. Lamy non riuscì a trattenere una risata ma la sua attenzione fu presto attratta dal piatto scuro che apparve sotto al suo naso, su cui troneggiavano due fette di salame al cioccolato bianco con coulis di frutti di bosco, che avrebbero fatto tornare l’appetito pure a un morto.
E in effetti Lamy aveva già afferrato la forchetta, quando Sanji finalmente, forse per la prima volta da che era arrivata, si sedette a riposare le gambe cinque minuti di fianco a Usopp e di fronte a lei. «E tu Lamy-chwan? Sei nuova nel quartiere? Brook dice che non ti aveva mai visto»    
«Oh no, qui ci abita mia cugina, ma un po’ di numeri più su e al di là della strada» raccontò, cominciando ad affondare nel friabile dolce, tagliandolo a pezzetti. «Bepo è il cane di mio fratello e l’ho portato a fare una passeggiata per prendere una boccata d’aria, per…»mandò giù, la voce più nervosa, un sorriso appena tirato. «Sì, perché stasera siamo tutti da lei, da mia cugina intendo, per il compleanno di mio fratello appunto che fa trecen… trentatré anni e io ho portato fuori Bepo appunto e-e ora…» ritirò la mano con cui stava indicando il canelupo quando si accorse di quanto le tremava. «Ora siamo qui!» si strinse nelle spalle, sperando di apparire almeno un po’ allegra.
Sanji e Usopp si scambiarono un’occhiata tra loro e poi con Bibi, incerti sul da farsi. Era chiaro che Lamy non volesse parlare di qualsiasi cosa la stesse consumando dentro così, quanto era chiaro che le avrebbe solo fatto bene tirarlo fuori. Era una situazione delicata e la conoscevano appena, difficile capire cosa…
«E non dovresti tornare alla festa di tuo fratello, quindi?»
Tutti e tre si voltarono, così come Lamy, verso Robin che accarezzava come se niente fosse il finto corvo incollato al suo bastone, in attesa di una risposta che faticava ad arrivare perché faticava a uscire dalla gola di Lamy.
«Non c’è… nessuna festa al momento perché è… è successo un casino» Lamy riabbassò lo sguardo al dolce martoriato e neanche assaggiato, gli occhi pieni di lacrime. «Perché io e uno dei migliori a-amici di mio fratello noi ci… ci odiamo ecco e di solito ci sforziamo per lui e di solito riesce una bella festa ma…» si fermò a mordere il proprio labbro e un singhiozzo prima di proseguire con un sussurro difficile da sentire. «Ci siamo baciati. E io non so cosa fare» si portò la mano al viso, il cuore a mille, lo stomaco di nuovo chiuso.
Avrebbe voluto dire anche tutto il resto e di come tutta quella faccenda la faceva sentire e di quanto avrebbe voluto che non fosse solo uno scherzo.
«Non sai cosa fare perché dici che lui ti odia?» domandò da qualche parte Bibi e Lamy si limitò ad annuire con la fronte ancora premuta contro il palmo.
«E tu invece lo ami?»
Gli occhi grandi arrossati, Lamy alzò lentamente il capo per incrociare quelli sinceri e incoraggianti di Usopp, spostando la mano sul cuore che gridava nel suo petto.
«Da sempre» riuscì a pronunciare quelle uniche due parole che aveva voluto disperatamente pronunciare prima di concedersi almeno un paio di singhiozzi. Perché era così brutto, essersi sentita felice per qualcosa di finto che non poteva durare. Ma era anche peggio essere stata così felice e rendersi conto che nel giro di poche ore sarebbe tornato tutto come prima e per sempre. «È colpa mia» si asciugò gli occhi, senza rialzare il capo, vagamente conscia che la musica era cessata. Stava rovinando anche quella festa a quanto pareva.  «Io non sono brava con i sentimenti e lui… lui a volte dice delle cose che non s-sopporto di sentire e anziché spiegargli io l’ho sempre… sempre trattato male e lui ora mi odia e ha ragione e io n-non…» si premette la mano sulla bocca, mentre un’altra non sua le tamponava la guancia.
«Però ti ha baciato» le ricordò Bibi, mentre le asciugava la pelle.
«Ma non era in sé»
«Cioè era ubriaco?» chiese Sanji.
«U-una specie sì»
«A volte l’alcool aiuta a tirare fuori quello che si pensa e prova davvero»
«Non in questo caso…» scosse il capo Lamy. «È complicato ma… no non funziona così stavolta»
«E tu hai mai provato a dirglielo?»
Lamy riportò gli occhi su Usopp, sbattendo le palpebre per spannarli. «Che… che cosa?»
«Che quelle cose che dice a volte non le sopporti, perché non se lo merita, e allora ti arrabbi ma in realtà non ce l’hai con lui e non lo odi. E che lo ami» Lamy trattenne il fiato, chiedendosi come Usopp avesse centrato così bene il problema, ma in realtà non voleva davvero una risposta se Usopp continuava a parlare e darle qualcosa a cui aggrapparsi, sporgendosi appena verso di lei, allungando una mano per prendere la sua che cercava un appiglio. «Perché sai, magari neanche lui ti odia. Magari lui si comporta così perché pensa che tu lo odi, e allora fa finta di odiarti perché così lo sopporta meglio, che poi è esattamente quello che fai tu con lui no?» sorrise, mostrando i suoi denti veri sotto agli incisivi posticci. «S-sai anche io e Sanji all’inizio…» si girò un momento verso il biondo che lo guardava con devozione e un mezzo sorriso sotto a tutto il make-up e la mascherina. «Io pensavo che lui non mi avrebbe mai potuto vedere in quel modo  e lo allontanavo per non stare male e così lui pensava che io non lo potessi vedere in quel modo e così, insomma, abbiamo perso un po’ di tempo» ridacchiò Usopp, con tutta la serenità di un uomo che quel tempo, comunque, sentiva di averlo recuperato.
«E poi, Lamy-chwan, mica tutte le coppie che litigano funzionano male. Prendi Nami-swan e il marimo» con la mano libera dallo stringere Usopp per le spalle, indicò verso l’altra estremità del tavolo, da cui Nami la guardava appoggiata al petto di Zoro. Lamy non aveva idea di quando avessero fatto pace dalla lite in cui si erano lanciati poco prima ma a dire il vero non sembrava avere poi molta importanza. «Anche se certo, non li definirei perfetti perché niente che comprenda la testa di verza potrebbe mai essere perfetto»
«Io ti affetto con i tuoi coltelli, Sanji» vibrò Zoro senza muoversi di un millimetro.
«Io a Rufy devo sempre ripetere le stesse cose mille volte» intervenne anche Bibi, lasciandosi abbracciare da dietro e dall’alto dal chiamato in causa. «Però…» si strinse nelle spalle con un sorriso. «…funziona. In qualche contorto e speciale modo»
Lamy li guardò uno ad uno, quei perfetti sconosciuti che l’avevano accolta, sfamata, le avevano mostrato la strada verso casa senza chiedere nulla in cambio, a lei che avrebbe anche potuto ucciderli tutti con uno schiocco di lingua.
«S-sì ma se poi è vero che mi odia?» esalò pianissimo, strappando un lievissimo guaito a Bepo.
«Se anche fosse non hai niente da perdere» le fece notare Robin sorridendo serafica. «E tutto da guadagnare»
Lamy prese un profondo respiro, totalmente frastornata, e prima di rendersene conto si stava alzando lentamente in piedi. «Io credo… che forse dovrei…»   
Doveva andare. Doveva tornare, tornare nel suo universo fatto di zuppa di zucca, demoni vestiti da umani, candele a mezz’aria e tensioni al limite del parenticidio. Doveva tornare a casa. Parlare con Pen.
Anche se l’idea la terrorizzava, anche se si sentiva mancare la terra sotto i piedi a sentirsi confermare il suo odio, lo doveva fare. Lo doveva a tutti loro, a se stessa. E anche a Pen, che poteva anche odiarla ma meritava di sapere il reale motivo del suo comportamento.
«Grazie. Di tutto» li guardò di nuovo uno ad uno e un moto di nostalgia la travolse, sia all’idea di andarsene sia all’idea di restare. Santo Inferno, voleva andare a casa, tornare dalla sua famiglia. E, a giudicare dall’ululato che si levò alla luna nuova, non era l’unica. «Sì, sì, Bepo» rise Lamy, qualche residuo di lacrima ancora da asciugare. «Andiamo a casa»
 
 





Angolo dell'autrice in ritardo
E niente, questa dovevo in teoria pubblicarla due giorni fa ma non ce l'ho fatta. Chiedo umilmente perdono e ho comunque segnalato il prompt che poi coincide con il titolo dell'iniziativa lanciata dal FairyPiece che non manco di ringraziare, perché è come mangiare la Nutella, quando ce n'è occasione si fa!  
E grazie anche a tutti voi che siete arrivati fin qui, nonché, soprattutto, a Zomi e Marauder per l'aiuto e il supporto grazie a cui questo capitolo ha visto la luce nonostante tutte le difficoltà del caso. Davvero, grazie di cuore.  
Pace e bene a tutti. 
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