Nascerà in mezzo all'oscurità la tua luce

di DarkYuna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***
Capitolo 9: *** 9. ***
Capitolo 10: *** 10. ***
Capitolo 11: *** 11. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


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Prefazione
 
 
 
 
 
 
 
 
All’inizio si pensa sempre di non farcela, sai, quando la favola finisce, le strade si dividono, i cuori si spezzano. Però è un cliché abbastanza ovvio, no? Al termine di una storia importante, una storia vera, non le finzioni dei giorni nostri, dove si sta insieme per paura di vivere di solitudine; tutti abbiamo pensato, almeno una volta, di non farcela… di morire per amore.
 
 
Manca il respiro, è come andare in apnea con i polmoni fuori uso, dopo aver ricevuto un violento pugno allo stomaco, è un po’ difficile affrontare il peggio, se non ce la fai, se parti già male, schiacciato, se sei fuori uso ancor prima di affrontare la guerra. È una battaglia persa, fidatevi, nessuno si riprende mai completamente, le cicatrici sull’anima ne sono una prova, il sorriso sbiadisce, gli occhi si spengono, il mondo si tinge di grigio, il ricordo è indelebile.
Dopo che lei ha scelto lui, il sole è tramontato per sempre nella mia vita e l’oblio è sorto a lambire le lacrime. Dopo che lei se n’è andata, sono divenuto un sopravvissuto in un mondo di bugie, ho smesso di essere me stesso, ho perso ogni interesse ad alzarmi la mattina.
 
 
Perché sforzarsi, se non ne ho alcun motivo?
Perché sforzarsi, se la mia unica ragione di vita, ha deciso di strapparmi il cuore ed andarsene via con quello?
Se non ho più niente che batte nel petto, una ragione da portare avanti, una causa da combattere… se non ho più al mio fianco la persona che ha giurato amore, perché proseguire?
All’inizio ho pensato di non farcela, lo ripeto e lo sottolineo, all’inizio ho pensato di non farcela, ma, per ogni volta che l’ho pensato, invece, ce l’ho fatta lo stesso. Non sono morto per quel dolore, ancora oggi non ho mai conosciuto una persona morta per amore, non in modo naturale, perlomeno.
All’inizio ho pensato di non farcela, i giorni si sono consumati inesorabili, i mesi mi hanno annientato nel profondo, gli anni passati addosso come macigni, trasformandomi inevitabilmente.
All’inizio ho pensato di non farcela e dall’accaduto nefasto, sono trascorsi tre anni. Tre, lunghissimi ed eterni anni.
 
 
Sono distrutto nell’anima, spezzato, rovinato inevitabilmente, non ho più lacrime da versare, emozioni da provare, amore da donare, sono l’ombra svigorita dell'uomo che ero un tempo. Una marionetta che si muove, parla e mangia, come azioni puramente meccaniche, più che per altro.
All’inizio ho pensato di non farcela… e no, non ce l’ho fatta, anche se sono qui a raccontarlo, anche se sono qui, ancora… non ce l’ho fatta, ho perso… ho perso me stesso.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
1.
 
 
 
 
 
 
"Voglio diventare l’uomo più importante della vita
che hai vissuto finora, che faccia impallidire il ricordo
di quelli che già sono stati, che venga prima
di quelli che inevitabilmente saranno.
Voglio entrarti nella testa e nello stomaco
e diventare un pensiero fisso,
che la tua agguerritissima contraerea non riesca ad abbattere,
poi insinuarmi tra le maglie delle tue paure
e disinnescarle una a una.
Voglio demolire le fondamenta di quel muro
che ricostruisci con testarda perseveranza ogni volta che
provo a sfiorarti e che sento ogni volta più fragile.
Voglio essere un punto di domanda e dettarti la risposta giusta,
l’eccezione che cambia la regola.
Voglio convincerti che con me sei ancora più bella,
che la mediocrità non è rassicurante,
che la serenità è la virtù degli incapaci.
Sì, voglio farti cedere e voglio che la resa non sia una sconfitta,
ma la più grande delle tue vittorie.
E voglio riuscirci senza estrarre l’unica arma di cui dispongo
per farti tremare, l’assenza, perché tra te e me
non esistono sottrazioni, ma solo addizioni.
Non uccidermi proprio ora e ricordati che sai respirare.".
-Fino all’ultimo respiro
 
 
 
 
 
"I viaggi finiscono laddove si
incontrano gli amanti.".
-Shakeaspeare
 
 
 
 
 
 
La giornata più sconvolgente della tua vita, inizia sempre in modo normale, quasi noiosa, segue una consuetudine stabile nel tempo, forse è per questo che non ci si aspetta di essere scioccati.
Ed è buffo, perché inconsapevolmente l'intero universo ruota attorno a te, per condurti lì, nell'esatto istante e nel luogo preciso, per far sì che il tuo destino si compia.
 
 
Pagina centoventisette, ne mancano ancora duecentotré.
Libro sulla Fisica Quantistica.
 
“Tutto è energia e questo è tutto quello che esiste.
Sintonizzati alla frequenza della realtà che desideri
e non potrai fare a meno di ottenere quella realtà.
Non c'è altra via.
Questa non è Filosofia, questa è Fisica.”.
Albert Einstein
 
Siamo esseri composti da energia, collegati ad altri tramite essa e al cosmo intero.
Questo deve essere il terzo o forse il quarto volume che divoro, nella noia stantia del mattino, in cui la libreria è frequentata da poche persone, spesso studenti che hanno saltato la scuola e divorano a piedi Boston, prima di tornare dalle famiglie ignare delle loro marachelle.
 
 
La signora Andria indossa il cappotto, pronta per uscire dal negozio.
Lei è la proprietaria della libreria in cui lavoro da una manciata di mesi e, chiamarla signora mi sembra un titolo che non le appartiene, è giovanile dall'aspetto, in fondo ha poco più di trent'anni, quindi "signora" è troppo pesante da associare al suo nome... ed è la moglie di Chris Evans!
Sì proprio lui, il famosissimo attore che ha interpretato Capitan America per oltre otto anni, scherzosamente soprannominato da me "Stellina".
È a dir poco pazzesco, ancora stento a crederci.
Quando sono stata assunta non l'avevo riconosciuta, poi Anastasiya è passata a trovarmi per un saluto e mi ha rivelato chi fosse. Ho scorto Chris Evans una volta soltanto e di sfuggita, era venuto a prendere sua moglie, l'ho visto scendere dall'auto per aprirle lo sportello da vero gentiluomo.
Sono sposati da tre anni, eppure si comportano come se si fossero sposati ieri: è davvero romantico.
Mi ricordano i miei genitori, nozze d'argento ed è come il primo giorno.
 
 
<< Elaine ripasso dopo la pausa pranzo... >>, inizia a dire di fretta, mentre si annoda la sciarpa color perla che si abbina ai lunghi capelli di un biondo platino. Segretamente sono una sua specie di fan, la trovo bellissima, elegante ed eterea, avrebbe potuto fare l'attrice o la cantante, dato la voce intonata. E poi mi permette di leggere tutti i libri che desidero, a patto che non li rovini. << Qualsiasi imprevisto, chiamami sul privato: non dovrei metterci molto. Ho alcune commissioni da fare, visto che il Natale è alle porte. >>.
 
 
Annuisco, attenta alle direttive, non voglio fare brutte figure, non con lei.
<< Non si preoccupi signora Andria. >>.
 
 
Piega le spalle all'ingiù, riserva un sorriso arreso.
<< Ti ho già detto che sono solo Andria per te. >>. Nemmeno a lei piace essere chiamata "signora".
 
 
<< Va bene, Andria. >>.
 
 
<< A più tardi. >>. Fa un cenno gentile con la mano e in una nuvola impalpabile di profumo allo zucchero filato, se ne va.
Tra me e me penso che avrebbe anche potuto smettere di lavorare, dato il cospicuo conto in banca del marito, invece è fiera della sua indipendenza di donna e continua nella sua attività, permettendo ad altre persone come me di pagare l'affitto a fine mese.
 
 
Distolgo lo sguardo dall'uscita, controllo l'interno della libreria e, una volta appurato che ogni cosa sia al suo posto, torno ad appassionarmi all'argomento del libro. Sono sul serio convinta che la Fisica Quantistica sia un altro modo per chiosare la connessione misteriosa che può sussistere tra due persone e legarle inscindibilmente, una versione meno romanzata e più scientifica dell'anima gemella.
A ventisei anni ancora un po' ci credo che, tra sette miliardi di anime, ce ne sia una che possa accostarsi al mio cuore in un vincolo imprescindibile che va oltre ogni concezione umana possibile. Il non averla ancora trovata, non significa che non mi stia cercando, così come la sto cercando io.
Forse la incontrerò tra un minuto o magari un respiro prima di morire, qualsiasi sia il tempo concesso in sua compagnia, sarà l'eternità per me.
Vivo l'idea dell'amore in una maniera enfatizzata, colpa dei libri con cui trascorro la maggior parte della giornata.
 
 
Sfoglio l'ennesima pagina, di sottecchi un movimento cattura la mia concentrata attenzione. Alzo gli occhi una prima volta con leggerezza, è quasi un gesto involontario, dettato dall'istinto, uno sguardo veloce su dei lineamenti familiari che mi fanno sbalzare il cuore all'interno del petto. La seconda volta so perfettamente chi è entrato nella libreria.
Spalanco per un momento le palpebre, intanto che Sebastian Stan percorre a passo lento il breve spazio tra gli scaffali di cucina e favole per bambini, diretto alla cassa, dove ci sono io.
 
 
I faretti al led del soffitto illustrano un viso riflessivo, adulto, dai lineamenti marcati, gli occhi brillano di una luce oscura che riuscirebbe a stregare anche il più freddo dei cuori. Ha i capelli scuri umidi ed accatastati, come se avesse indossato un berretto o qualcosa del genere; la barba è cresciuta tanto, ma non lo penalizza, anzi, gli conferisce quel fascino in più che si addensa alla bellezza innegabile di cui è fornito.
Porta indumenti normalissimi, che tendono all'anonimo, semplici jeans, una maglia di un bordeaux spento ed un giaccone nero.
Gli occhi si incrociano con i miei ed hanno un guizzo di vita che gli attraversa le iridi di un oceano di cristallo in tempesta, poi si dipana nel resto del volto e gli ravviva leggermente i tratti spenti.
 
 
Il mio corpo ha strane reazioni, una pressione imperitura che serpeggia tra le costole, si insinua profondamente nelle vene e defluisce fino all'anima, un po' come la prima volta che ascolti quella che diventerà la tua canzone preferita negli anni: sai che è quella giusta.
<< Porca troia. >>, farfuglio tra me e me, al corrente di essere sul punto di esplodere e fare una delle figuracce più epocali nella storia delle figuracce.
 
 
Sebastian si accosta al bancone, ha il riflesso di un sorriso appena accennato, che gli allenta l'aria austera.
<< Buongiorno. >>, pronuncia con la voce che sa di fuoco e veleno. Scenderei volentieri tra le spire di Lucifero pur di continuare a contemplare il demone più avvenente che trattiene gelosamente solo per sé. Il cinema e i giornali non gli rendono minimamente giustizia, da vicino lascia senza respiro.
Tento disperatamente di non ridere come una deficiente e, con mio sommo orgoglio riesco a contenere la dignità a briglia stretta.
 
 
<< Salve. >>, esordisco, il più normale possibile, non voglio apparire stupida, anche se è alquanto impossibile fingere che questa sia una situazione ordinaria. Mia madre dice che "salve" è il saluto dei vecchi e non di una ventiseienne, ma è difficile uccidere un'abitudine. << Cosa posso fare per lei? >>, domando ferma, non tentenno, il tono non perde di vigore, sembro quasi una persona seria.
Perché questa spasmodica smania di voler intrecciare le dita nella massa composta di capelli morbidi ed invitanti?
Devo restare concentrata!
 
 
<< In realtà cercavo una persona: Andria. È qui? >>, chiede incolore, mantiene una certa gentilezza nelle parole.
Essendo Sebastian Stan amico di Chris Evans, lo sarà anche di sua moglie, è la deduzione automatica del cervello e Dio solo sa quanto vorrei essere amica di qualcuno di loro per avere una sola speranza di rivedere l'uomo davanti a me. Mi venderei perfino l'anima per un'occasione.
 
 
Scuoto la testa, sinceramente dispiaciuta.
<< Purtroppo no, è uscita giusto dieci minuti fa. Vuole che la chiami per dirle che è qui? >>. Non ho bisogno di fare ulteriori domande stolte, io so chi è, e lui sa che io so, quindi evito inutili convenevoli.
 
 
Ci pensa su un momento, non ha smesso di abbacinarmi con quelle iridi in cui riesce a specchiarsi perfino il mio cuore. Scrolla appena la testa.
<< No, non importa... >>, mormora più a se stesso che a me, <<... ci siamo già visti? >>, chiede dopo.
 
 
Inarco le sopracciglia, stupita dalla domanda.
<< Se l'avessi già incontrata me lo ricorderei sicuramente. >>, dico senza collegare la spina del cervello. << Cioè, sarebbe impossibile dimenticarla... volevo dire, che, beh... ha capito, no? >>. Se potessi sotterrarmi, lo farei seduta stante.
 
 
Sebastian sorride divertito e più balbetto idiozie sconclusionate e più il sorriso si fa ampio, fino a quando non scoppia in una squillante risata.
<< Okay, okay, ho capito... >>, lascia il discorso aperto, in modo da farmi intendere che desidera conoscere il mio nome. È abituato a ragazze che hanno queste reazioni esagerate in sua presenza, quindi sa come comportarsi di conseguenza. Mi sento così stupida!
 
 
<< ... Elaine. >>, incespico imbarazzata.
 
 
<< Elaine. >>, ripete e mai prima di adesso, il suono del mio nome mi era apparso così dolce, delicato, con un retrogusto sensuale. << Niente forme di cortesia: Sebastian e basta, okay? >>.
 
 
Ricambio il sorriso intraprendente, l'agitazione si acquieta di poco, anche se aleggia ben presente tra di noi.
<< Okay. >>. Poi rammento perché è venuto al negozio. << Vuoi lasciare un messaggio o riferisco qualcosa a voce? >>.
 
 
Ha un mescolanza di pensieri languidi che corrono tutti sulla stessa linea d'onda e il modo che adopera per guardarmi ha dell'illegale.
<< No, davvero, non importa. >>. Tamburella indeciso le dita sul bancone, è come se fosse sul punto di dire qualcosa, ma non lo fa, rinuncia. << Ripasserò un'altra volta. >>.
 
 
<< Devo dire ad Andria che sei passato? >>. Spero che trovi il pretesto che a me manca per restare.
 
 
<< Meglio di no. >>, rende noto con un tono mesto, si tira indietro i capelli, che assumono una forma bizzarra. << Sei stata molto gentile. Arrivederci Elaine. >>, conclude educato e si congeda con un sorriso confondente che mi stordisce in pieno.  
 
 
Non ho nemmeno il tempo di metabolizzare quello che è appena accaduto che lo vedo incamminarsi verso l'uscita ed avverto una sensazione amara alla bocca dello stomaco, quasi paralizzante, che non avevo mai provato prima: perdita.
Un'immensa, vasta ed interminabile perdita.
Da una parte vorrei inseguirlo e fermarlo con una scusa qualsiasi, dall'altra riconosco di aver già fatto una cattiva impressione e che è meglio non aggiungere altri motivi per rendermi ridicola.  
D'altro canto peggio di così non può andare e se perdo questa occasione, la rimpiangerò per il resto dei miei giorni. Al massimo, se dovesse rifiutare, dovrò pagarmi a vita un rifornimento di merendine al cioccolato e lo psicologo, per uscire dalla depressione.
 
 
Balzo in piedi, non sto pensando, sto solo agendo.
Lo rincorro al di fuori dal negozio, è fermo a qualche metro più avanti al coperto, il cielo è avvolto ds nuvoloni grigi e il temporale è ricominciato: è sprovvisto d'ombrello.
<< Sebastian! >>, chiamo agitata, nemmeno dovessi dare un importante esame scolastico.
 
 
Lui si volta prontamente, però non appare sorpreso di rivedermi dopo nemmeno mezzo minuto da cui mi ha salutata.
<< Ho dimenticato qualcosa? >>.
 
 
Il cervello è vuoto, zero scuse, niente piani ben congeniati, il nulla totale, con tanto di balle di fieno in regalo. Cosa gli dico adesso?
Gratto impacciata il collo: è il mio momento. Ora o mai più.
<< In realtà no, volevo chiederti se... ehm... se tipo, ecco sai, se... uhm... se ti andava... >>. Se la smettesse di puntarmi quegli occhi tossici addosso, sarebbe meno difficile arrivare al nocciolo della questione. In concretezza non so nemmeno se sia fidanzato o meno, se sto per essere respinta o se peggio, si arrabbierà. <<... di fare qualcosa insieme? >>.
"Di fare qualcosa insieme.".
"Di fare qualcosa insieme.".
"Di fare qualcosa insieme.".
Certo che ho una fantasia davvero da prendere a pugni! Non potevo inventare niente di meglio?
 
 
<< Insieme? >>, scandisce colpito, nemmeno avessi appena detto la corbelleria più grande del mondo. << Mi stai invitando a conoscerci meglio, è questo che intendi? >>.
 
 
Capisco che sia un attore e sia abituato a ben altre donne, non a quelle che lavorano come commesse in una libreria, un po' anonime e propense a fare figuracce, però non credo di essere così orribile da essere scartata a priori.
 
 
Aggrotto la fronte, ho quasi voglia di piangere per il trattamento ricevuto. Trattengo stoicamente le lacrime.
<< Sì. >>, rispondo solamente, facendo spallucce.
 
 
Infila le mani nelle tasche del cappotto scuro, gli occhi sono resi di ghiaccio dalla luce opaca del giorno invernale. L'odore della pioggia si mischia con il profumo di pulito che proviene da lui.
<< Scusa, senza offesa, ma quanti anni hai? >>.
 
 
<< In che senso? >>.
 
 
<< Potrei finire in galera solo per averti guardata. >>, commenta, in una risata vuota, che non ha nulla di spiritoso.
 
 
Rido di gusto, non riesco quasi a crederci che il problema alla fonte sia questo.
<< Non sono minorenne: ho ventisei anni. >>.
 
 
Inarca un sopracciglio, incredulo.
 
 
<< Devo mostrarti la carta d'identità, per caso? >>, chiedo scherzosa, è la prima volta che mi accade una cosa del genere.
 
 
<< Io ne ho quarantuno, sono quindici anni di differenza. >>, fa notare, con una calma pazienza.
 
 
<< E quindi? >>.
 
 
Ridacchia perplesso, quasi scioccato.
<< E quindi sono tanti. >>, specifica zelante.
 
 
Strofino le labbra, cerco di comprendere se il problema sia davvero l'età o se sta solo accampando scuse.
<< Uhm, credo di aver capito. Fa niente. >>, faccio per ruotare su me stessa, ma la mano di Sebastian si sfila prontamente dalla tasca del cappotto e mi afferra perentorio per un polso. Basta questo per palesare che non gli sono indifferente e per accendermi come una pira.
 
 
<< Cosa hai capito? >>. Calca di proposito il "cosa" perché sa per certo che ho travisato le sue intenzioni.  Sembra punto nell'orgoglio.
 
 
<< Non sono il tuo tipo, okay. Puoi anche dirlo, non mi offendo. >>. Lo faccio di proposito, devo stanarlo nella tana in cui è barricato.
 
 
Scrolla perplesso il capo, è come se non riuscisse a credere alle sue orecchie.
<< Tu ti rendi conto che ci siamo incontrati nemmeno cinque minuti fa e che no so nulla di te, vero? Abbordi sempre così gli uomini? >>. Non è una critica, vuole solo capire se è un'abitudine o un eccezione.
La mia vita sentimentale è pari alla Via Crucis, quindi ci metterei una bella pietra sopra per evitare di ricordarmela. Non ho mai preso l'iniziativa con nessuno, figuriamoci se dovevo farlo proprio con un attore famoso: il due di picche è dietro l'angolo.
 
 
<< Solo quelli che mi piacciono. >>, mento con fare audace, mentre dentro di me tremo quasi. Ostento una sfacciata sicurezza che non mi appartiene, lo faccio perché preferisco avere il coltello dalla parte del manico sempre.
 
 
Distoglie lo sguardo, ridendo turbato.
<< Solo quelli che mi piacciono. >>, ripete incredulo, stropicciandosi il naso, poi gli occhi incontrano ancora i miei. << Senti Elaine, sei una bella ragazza, anzi ti dirò di più: sei una bellissima ragazza. E mentirei se negassi una certa attrazione, ma non vado bene per te e non perché ci sia qualcosa di sbagliato in te o perché tu non sia all'altezza: non è assolutamente questo. >>, ci tiene a precisare, nemmeno temesse di potermi traumatizzare a vita.
 
 
<< È per l'età? >>, domando con una voce che mi sta tradendo. Nell'arco di un minuto è riuscito a spegnermi come nessuno mai in precedenza.
 
 
Sebastian scruta per intero il viso, è come se si ritrovasse davanti ad una bambina a cui ha ferito i sentimenti e non sapesse come rimediare, per non farla scoppiare a piangere.
<< Anche. >>, borbotta in colpa. << Ti farei soffrire, cosa che tra l'altro sta già accadendo. Non vado bene per te, davvero, non è una frase fatta o un modo per respingerti: ci sono delle ragioni. >>.
 
 
Il nodo in gola si fa pesante, difficile da mandare giù, impedisce di formulare una frase di senso compiuto. Annuisco solamente, ferita nell'orgoglio femminile, abbasso gli occhi per evitare che si accorga che si sono arrossati e mentre cerco un pretesto per andarmene a piangere nel bagno della libreria, Sebastian mi attira a sé e mi abbraccia forte.
 
 
<< Sei bellissima, non dubitarne mai. >>, sussurra gentile, come per farmi capire che il problema non sono io, che non c'è niente in me che non va. Paradossalmente vuole essere certo di rassicurarmi, di non creare conseguenze disastrose e, proprio mentre mi sto abituando al calore confortante del suo corpo, scioglie freddamente l'abbraccio e senza guardarmi più, esce sotto la pioggia, affrontando il temporale per poi sparire al primo incrocio.









Note: 
E' il 10 Febbraio, quindi sono stata di parola, come vi avevo promesso ecco qui la storia dedicata completamente a Sebastian Stan.
So che in molti erano certi (o speravano) che ci sarebbe stata ancora una possibilità per Andria e Sebastian e invece no, perché lei ha scelto Chris per sempre e si sono sposati, così come si erano ripromessi. 
Abbiamo una nuova entrata: Elaine. 
Innamorata dell'idea stessa dell'amore, alla ricerca del principe azzurro, del colpo di fulmine, allegra come un sole brioso e sempre di buon umore. 
Voglio solo specificare che Sebastian non è Chris, specialmente dopo che ha tanto sofferto, come ho scritto nella Prefazione, quindi non lasciatevi ingannare dall'ovvietà. (La mia vena sadica sogghigna xD)


Strutturo il testo in questo modo per facilitare la lettura. 
 
Non accetto insulti, commenti idioti, critiche gratuite senza un vero motivo logico. Non verranno accettate nemmeno le critiche pesanti, con i "non ti offendere", sperando che io non mi offenda.Verranno segnalate al sito e poi cancellate. Se non vi piace, nessuno vi obbliga a leggere e soprattutto a commentare.


La storia può presentare errori ortografici, dato che preferisco non sottoporre le mie storie a nessuna Beta. 


Un abbraccio.
DarkYuna.  

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Capitolo 2
*** 2. ***


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2.









 
Che cos'è un'emozione?
In psicologia viene esposta come una condizione complessa di pulsioni che si traducono in mutamenti corporei e mentali che influenzano il pensiero e il comportamento.
E quando un'emozione ed un pensiero si fondono in un amalgama omogenea, diamo vita ad un'essenza eterea ignota, quasi uno stato di grazia, in cui ci immergiamo dalla testa ai piedi, spesso dolente, che accende, ci impedisce di dormire bene e mangiare, di ragionare, ma che a volte può elargire una gioia smisurata: l'amore.
Ma cos'è che nasce per prima?
Un'emozione o un pensiero?
Ci si innamora e poi lo si comprende oppure si capisce cosa sta accadendo e il cuore risponde alla domanda posta dal cervello?
L'amore lo si pensa, lo si prova o entrambe le cose al contempo?
Lo si capisce o lo si sente?
Come ci si può innamorare di un pensiero?
Perché, ad una settimana, non riesco a fare altro che rimuginare su qualcuno che mi ha respinta, dipende dall'orgoglio ferito? Dal non poter avere qualcuno che mi sono riscoperta desiderare violentemente? Centra la psiche umana o sono solamente stupida?
Io opto per l'ultima opzione, anche perché chi è che si invaghisce di un uomo di cui non sa nulla e che, molto probabilmente, non vedrà mai più?
 
 
Torturo sovrappensiero il labbro inferiore tra il pollice e l'indice, immersa in concetti interiori e spiegazioni che non hanno riscontro, fisso un punto indefinito al di là della vetrata principale del bar, mentre al tavolo dove sono seduta, altre tre persone chiacchierano allegre. Le loro voci concitate sono impermeabili alle orecchie, troppo indaffarata a frugare nell'anima per avere una risposta che invece è ubicata nel cervello.
 
 
<< Tu che ne pensi? >>, chiede ad un certo punto Josephine, accanto a me. È una cara amica italiana della signora Andria, si è trasferita a Boston due anni fa, ha aperto un punto di ritrovo per molti lavoratori nei dintorni che pranzano qui, una scusante per non tornare a casa e cucinare. Ho legato subito con lei, è tra le migliori amiche che potessi avere.
Sono piena di conoscenti che sono attratti dal mio carattere solare ed esuberante, ma le amicizie, quelle vere, sono davvero poche.
 
 
<< Di cosa? >>. Mi desto dalla mia bolla privata, per introdurmi nella conversazione.
 
 
<< Cosa farai a capodanno? >>, domanda Anastasiya. I lunghi capelli d'argento sono resi più chiari dalla luce che filtra dalla vetrata. Mi guarda turbata, ha capito che c'è qualcosa che non va, ma aspetta che sia io a raccontare, non vuole essere invadente.
 
 
<< Noi stavamo pensando ad una festa. >>, propone Jillian, elettrizzata dell'idea. Tra le quattro, lei è l'ultima che si è unita a noi nei pranzi da Josephine, lavora per una profumeria che spesso vado a saccheggiare e condivide l'appartamento con me ed Anastasiya.
Siamo tutte più o meno coetanee, tranne Josephine, ma la sua vivacità è quella di una ventenne, quindi si ben adatta a noi.
 
 
Schiocco la lingua al palato.
<< Non contatemi. >>, rendo noto demoralizzata. << Sono dai miei genitori da Natale fino a Capodanno a sorbirmi i parenti e le loro domande invadenti, su quando mi sposo e quando sforno figli. >>.
 
 
Anastasiya inarca le sopracciglia, sa perfettamente che il mio pessimo umore non è dato da ciò che mi attende per le feste, perché solitamente la tiro sul ridere e faccio battute divertenti.
<< Si può sapere che hai? Sei strana da un po'. >>.
 
 
Josephine poggia una mano sulla schiena, come per volermi incoraggiare a vuotare il sacco.
<< È successo qualcosa? >>, insiste dolcemente lei.
 
 
Curvo le spalle all'ingiù, batto più volte le palpebre e tiro da un lato l'angolo della bocca.
<< Voi credete che ci si possa innamorare di qualcuno di cui non si sa nulla, che vi ha perfino respinte e che non rivedrai mai più? >>.
 
 
Le loro espressioni sono turbate, ma non perché io mi sia innamorata (evento più unico che raro), ma perché non sono ricambiata.
<< Che? >>, sbotta Jillian scandalizzata, ravvivando la chioma dai riccioli rossi, si scambia occhiate sbalordite con le altre. << Qualcuno ti ha respinta? E chi era questo pazzo? >>.
 
 
Sbuffo appena, so che una volta detto quel nome si scatenerà l'inferno.
<< Sebastian Stan. >>.
 
 
Cala un silenzio confuso, sui loro visi ci sono espressioni diverse ed indecifrabili, Anastasiya è la prima a parlare.
<< Stai dicendo che hai incontrato Sebastian Stan? Quel Sebastian Stan? >>, boccheggia quasi, sotto shock. Siamo tutte fans della Marvel e quindi ci siamo trovate spesso a parlarne, specialmente del fatto che Chris Evans è il marito della mia datrice di lavoro: era inevitabile spettegolare. Chris Evans fa gola a chiunque, anche se ormai impegnato.
 
 
Annuisco più volte, con una mimica alquanto buffa, che non fa ridere nessuno, tantomeno me.
<< Conosci altri Sebastian Stan? >>.
 
 
<< Quando? >>, incalza Jillian esterrefatta.
 
 
<< La settimana scorsa... e cazzo, sono una deficiente, perché ci ho provato. Vi rendete conto, l'ho inseguito come una scema ed ho provato a combinare qualcosa. >>.
 
 
Josephine si intromette, è quella più strana di tutte.
<< Era venuto in libreria? >>, domanda fredda. Gli occhi azzurri sono severi e gelidi.
 
 
<< Sì, cercava Andria, però lei era uscita per delle commissioni. >>.
 
 
Anastasiya appare scombussolata.
<< Mi stai dicendo che Sebastian Stan ti ha respinta? >>, sbotta, come se non riuscisse a crederci. << Cioè lui ti ha respinta? Ma siamo certi, come cazzo è possibile? Tutti quelli che conosciamo venderebbero l'anima al Diavolo per avere una possibilità con te e questo demente che fa? Ti rifiuta?!? Si deve essere ribaltato il mondo, altrimenti non si spiega. >>. È sinceramente confusa dal racconto. << Ma sei certa che fosse lui e non un sosia, per giunta coglione? >>.
 
 
Rido apertamente e, dopo sette giorni, l'umore migliora.   
<< Purtroppo era lui... e, benché mi abbia respinta, io non riesco a togliermelo dalla testa. >>, confesso sconsolata. Un paradosso del genere poteva capitare solo che a me.
 
 
<< Devi. >>, impone secca Josephine. Sta avendo una reazione bislacca, è pallida, i lineamenti del viso sono duri, sembra quasi che stia serrando la mascella. << Devi togliertelo dalla testa Elaine: Sebastian Stan non fa per te. >>.
 
 
Increspo le sopracciglia, non ha mai reagito così, è strana, non sembra la solita Josephine, con un consiglio saggio per tutti: sa qualcosa che io ignoro.
<< Sebastian Stan ha detto lo stesso. >>, faccio notare seccata. << E giuro, giuro, giuro, che questo "non fare per me" non capisco se dipenda appunto da me o se c'è dell'altro. >>.
 
 
Il viso di Josephine si rilassa, ha tre paia di occhi puntati addosso, che aspettano una spiegazione decente.
<< Avete quindici anni di differenza, Elaine, non ti sembra un motivo abbastanza valido? >>.
 
 
<< Sinceramente è una cazzata. >>, commenta piccata Jillian, contrariata. << Anche i miei genitori hanno quindici anni di differenza e sono felici più che mai. >>.
 
 
<< Non è un motivo valido. >>, continuo io. << L'età è solo un alibi per un motivo principale più importante. Se due persone si piacciono davvero, l'età non la prendono neppure in considerazione. >>.
<< Giusto. >>, approva Anastasiya. << Quindi o è impegnato, ma te l'avrebbe detto... oppure è stronzo. >>, stabilisce.
 
 
<< Voi siete giovani. >>, riprende Josephine bonaria, dapprima rivolta a tutte, poi singolarmente alla sottoscritta. Accarezza il mio viso e i capelli, come fa mia madre, quando vuole darmi affetto incondizionato. << Tu sei giovane Elaine, credi all'amore eterno, al principe azzurro, all'anima gemella, ma il mondo ha perso questa magnifica magia che vive salda e potente nel tuo cuore, la tua anima è così preziosa e piena di luce, che riesci a contagiare chiunque, ti illudi che chiunque sia un po' come te, però non è così... e lo so che lo sai, ma tu sei un sole di mezzanotte e, nell'oscurità brilli più forte che mai. Ci conosciamo da tanto io e te: noi tutte. Se ti dico che Sebastian Stan non è per te, cerca di fidarti delle mie parole. >>.
 
 
Rifletto attentamente sulle frasi appena udite.
<< Quindi Sebastian Stan non è un principe azzurro? >>, chiedo armoniosamente, per spegnere definitivamente la questione, non voglio ulteriori intromissioni esterne.
Ho parlato del frangente, non per un consiglio, in realtà cercavo un appoggio morale ed ho ottenuto qualcosa non richiesta.
Sono così, abbastanza testarda da non mollare, nemmeno se sono consapevole che mi farò del male. Poi penso che non so neppure dove ritracciare Sebastian Stan, forse Andria avrebbe potuto darmi qualche ragguaglio: ci spero.
 
 
<< No, non lo è. >>, dichiara determinata, dietro l'avvertimento c'è un contenuto arcano che non colgo e che lei non decifrerà mai, per questo non aggiungo altro, ma partecipo relativamente alla chiacchierata che ne segue. Ho la mente smarrita in altro, in un paio di occhi azzurri che mi hanno ammaliata senza possibilità di scampo.
 
 
Più tardi, finito il pranzo, cammino verso la libreria, la conversazione su Sebastian Stan echeggia ancora tra le pareti del cervello, analizzo minuziosamente le risposte di Josephine ed attribuisco loro un miliardo di significati diversi e sconclusionati: uno peggio dell'altro.
Ascolto l'mp3 mentre attraverso accorta la strada, John Legend canta per me le parole che vorrei sentirmi dire un giorno da qualcuno che mi ami incondizionatamente.
 
" 'Cause all of me
Loves all of you
Love your curves and all your edges
All your perfect imperfections
Give your all to me
I’ll give my all to you
You’re my end and my beginning
Even when I lose I’m winning
'Cause I give you all, all of me
And you give me all, all of you
How many times do I have to tell you
Even when you’re crying you’re beautiful too
The world is beating you down, I’m around through every move
You’re my downfall, you’re my muse
My worst distraction.".
 
Distratta considero di sfuggita lo scenario davanti a me, frattanto che mi tolgo in fretta dalla carreggiata e con un dolorosissimo tuffo al centro del petto, prendo cognizione che il protagonista delle mie turbe interiori è qui.
Sebastian Stan è fermo dinanzi la saracinesca abbassata della libreria, mi ha già vista da un pezzo, quindi se voleva evitarmi avrebbe avuto tutto il tempo per farlo. Se è rimasto, ha intenzione di parlarmi.
 
 
<< Perfetto. >>, farfuglio senza muovere le labbra, spegnendo l'mp3 e togliendo le cuffie, per riporle nella borsa. Rovisto nella tasca esterna per recuperare le chiavi del negozio.
Potrei benissimo scappare, evitare il confronto dopo la pessima figura, il due di picche brucia parecchio, invece no, perché fondamentalmente soffro di una qualche forma inconsueta di masochismo psichico e mi piace farmi del male.
Ha una giacchetto di pelle su una camicia di jeans e mi domando come faccia a non morire di freddo a Dicembre, quando io sto gelando con strati su strati di lana pesante. Anche se quest'anno non ha ancora nevicato, c'è un freddo che fa ghiacciare il sangue.
Si è rasato la barba, ha tagliato i capelli, non dimostra per nulla la sua età, appare anche più giovane di me. Ed è dannatamente bellissimo.
 
 
<< C-ciao. >>, pronuncio per prima, incerta del motivo per cui è qui.
 
 
Tira una mano fuori dalla tasca del giacchetto e mi saluta con un cenno gentile.
<< Disturbo? >>, chiede come se nulla fosse.
 
 
Non ho intenzione di replicare una seconda scenetta patetica, mi è bastata la prima volta, quindi resto neutra e a tratti gelida.
<< Andria non c'è. >>, appuro in fretta, perché se è di nuovo qui di certo non è per me, è stato abbastanza chiaro l'ultima volta. Faccio per alzare la saracinesca, ma lui è più veloce e lo fa per me, tagliando di netto le distanze, me lo ritrovo più vicino di quanto ponderassi.
Non dovrei contemplarlo come se fosse l'ottava meraviglia del mondo, Sebastian si accorge della mia espressione da pesce lesso e sorride inevitabilmente, aggravando il mio status da vegetale. Non ne vengo fuori.
 
 
<< Non sono qui per Andria. >>, risponde, inumidendo sensualmente le labbra e fissandomi con le iridi di un azzurro liquido. Non lo fa di proposito, essere affascinante gli viene naturale come bere un bicchier d'acqua.
 
 
<< Devi comprare un libro? >>, chiedo leggera, intontita dalla circostanza illecita, ho il cuore che batte furioso nel petto e sto iniziando a sudare copiosamente.
 
 
Il sorriso si fa ampio, mostra una cinta di denti perfetti e bianchissimi, gli occhi brillano. Non mi sta prendendo in giro, tuttavia lo rallegrano le mie reazioni buffe.
<< No. >>, ribatte divertito. Deve essere così ovvio, che solo il mio cervello rallentato non ha compreso il motivo della sua presenza oggi, quindi gli tocca essere più chiaro. << Sono venuto per scusarmi di come mi sono comportato l'altra volta. >>.   
 
 
<< Perché? >>. Infilo la chiave nella toppa ed apro la porta. Lui mi segue, incerto se può entrare o meno, non attende un chiaro invito, lo fa perché sto continuando a parlargli.
 
 
<< Perché mi sono comportato male. >>. Fondamentalmente non si è comportato male, non mi ha maltrattata o presa a male parole, è stato anche fin troppo cordiale.
 
 
<< No, non intendo quel perché, ma perché pensi di esserti comportato male? Hai fatto quello che avrebbe fatto chiunque. >>.
 
 
È fin troppo paziente, ha tra le mani una bella gatta da pelare, che non mollerà così facilmente con una spiegazione risicata.
<< Non credo che chiunque possa fare quello che ho fatto io... specialmente se la ragazza in questione è... bella come te. >>.
 
 
<< La bellezza non è tutto. >>, commento saccente. Lui non si è comportato male, però mi sono offesa ugualmente e giocare a fare la preziosa è una soddisfazione che non posso lasciarmi scappare.
 
 
<< All'inizio funziona così: è la bellezza a colpire, non si può essere ipocriti su questo. Sono qui per capire se c'è dell'altro oltre ciò. >>.
 
 
Accendo gli interruttori che, uno dopo l'altro, prendono vita e rischiarano gli interni raffinati della sala dalle pareti rosse. Poi è la volta della radio, la musica accompagna in sottofondo la conversazione ed infine è la volta dei riscaldamenti.
<< Mi stai chiedendo di uscire? >>, sbotto scompaginata. Prima mi rifiuta e poi ci ripensa, Sebastian Stan è come la giostra dell'ottovolante, il cambio d'idea mi fa girare la testa.
 
 
<< Sì. >>, ammette semplicemente, ed è davvero una missione impossibile non accettare di corsa.
 
 
Vado dietro il bancone, avvio il computer e faccio fatica a guardarlo, perché se lo facessi, tutta l'audacia che sto usando per vendicarmi, verrebbe meno.
<< Sai, non so se compiacermi perché continui a dirmi che sono bella o se offendermi perché vuoi capire se sono intelligente: l'una non esclude l'altra. >>.
 
 
Si accosta al bancone, incrocia le braccia su di esso, ed avverto i suoi occhi indagatori perforarmi.
<< Lo so. >>. Sta per intavolare una conversazione, ma lo blocco nuovamente e lo travolgo con una mandria impazzita di parole.
 
 
<< Cosa è cambiato in una settimana? Abbiamo ancora quindici anni di differenza o sono invecchiata nel frattempo? Magari adesso sono io quella sbagliata per te, scopriremo che sono pure una stupida senza cervello... vedi stiamo già litigando, iniziamo proprio al contrario io e te, quindi direi che è meglio finirla qua, ti pare? >>.  
 
 
Non ottengo alcuna risposta, così sono costretta a considerarlo, pentendomene un istante dopo. Ha il gomito puntellato sul bancone, il viso adagiato sul palmo della mano e mi osserva con un sorriso arreso, mi soffermo un secondo di troppo sulle piccole rughe d'espressione attorno agli occhi che mi riscopro amare selvaggiamente. Le sopracciglia arcuate ne creano altre sulla fronte spaziosa.
È... perfetto.  
 
 
Batto più volte le palpebre per snebbiare il cervello, le facoltà intellettive mi abbandonando di colpo e dimentico perché sono risentita.
<< C-cosa stavo dicendo? >>, domando imbambolata, nuovamente traviata dalla sua presenza deleteria.
 
 
<< Che volevi uscire con me. >>, mente in una maniera molto convincente.
 
 
<< Che volevo uscire con te... >>, reitero quasi convinta che abbia ragione. Perché mi sto opponendo? Ah sì, perché mi ha scaricata senza un motivo e adesso ci ha ripensato. << No che non voglio uscire con te, nell'arco di cinque minuti sei riuscito a farmi un complimento e ad offendermi, stiamo perfino bisticciando, poi ci sarà il divorzio, ci litigheremo i figli, il cane andrà a te e il gatto a me, io tornerò al mio appartamento e tu nella tua villa ad Hollywood, dopo esserci fatti una guerra all'ultimo sangue su chi ha ragione e chi ha torto, i fine settimana i bambini verranno da te, le vacanze una volta a ciascuno, non ci sarai alle loro recite scolastiche, io mi incazzerò parecchio, loro piangeranno e verranno su complessati e saranno degli adulti terribili: non sono pronta a tutto questo, Sebastian. >>, decido, con fare melodrammatico.
 
 
Ascolta tutta la filippica in un silenzio colpito, ha sulla bocca imperlata l'ombra di un sorriso sbalordito, che ben presto si trasforma in una risata incontrollata.
<< Io non abito ad Hollywood. >>, è la candida risposta all'intero sermone che ho snocciolato.
 
 
Porto una mano sul cuore, sto ancora recitando.
<< Oh bene, ora mi sento davvero meglio. Avremo figli meno complessati allora. >>.
 
 
Ci studiamo per una manciata di secondi in attesa che uno dei due dica qualcosa, per poi sfociare in una risata che sotterra definitivamente l'ascia di guerra.
<< Visto che iniziamo già con un divorzio e i bambini sono dai parenti, che ne dici se sabato sera proviamo a riconciliarci, prima che io torni alla mia inesistente villa ad Hollywood? >>. Ha ancora voglia di scherzare, ed io non chiedo di meglio che giocare, per rompere definitivamente il ghiaccio e fare un passo più vicino a lui.
 
 
Mi approssimo appena, accorciando lo spazio, ma non troppo perché temo una mia qualche strana reazione strampalata. Non ho controllo se è nei paraggi e devo capire se questa cosa mi piaccia o no.
<< Il gatto lo tengo comunque io. >>.
 
 
Di riflesso Sebastian dimezza totalmente le distanze e me lo ritrovo a cinque centimetri dalla faccia, gli occhi sono due fari in una notte senza luna che abbacinano e faccio sul serio fatica a concentrarmi.
<< L'importante è che non ti arrabbi quando mancherò alle recite dei nostre cinque figli. >>.
 
 
<< Cinque figli!? >>, scoppio di stucco, allontanandomi dall'effetto devastante che sta avendo sui miei poveri neuroni. << Mi hai scambiata per un'incubatrice? >>.
 
 
Mi afferra delicatamente per il colletto del maglione, inducendomi ad avvicinarmi nuovamente, troppo vicino, eccessivamente vicino, avverto il respiro caldo martellarmi sulla bocca e tutto dentro di me impazzisce.
<< Magari sabato diventeranno sei. >>, annuncia provocante e il cervello diventa d'improvviso un colabrodo. Inumidisce nuovamente le labbra e sono costretta a trattenere la mandibola con le mani, prima che debba raccoglierla dal pavimento.
 
 
Deglutisco rumorosamente, il gioco l'ho iniziato io, non posso tirarmi indietro proprio adesso, sebbene si stia evolvendo in maniera impulsiva. Vorrei dire qualcosa di sagace, ma sono assorbita dall'ammirare le iridi di un azzurro infuocato, che mi dimentico perfino come si respira.
<< Però. >>, riprendo con una nota stridula nella voce, che elimino schiarendo la gola. << Ti porto io in un bel posto. >>. D'improvviso il mio vasto e ricco vocabolario si riduce a pochi banali termini, esternati addirittura male.  
 
 
C'è una certa tensione sessuale che è venuta a crearsi d'improvviso e quasi è palpabile tra noi due. Non so se è esattamente questo che voglio e se è la strada giusta da imboccare, però mi lascio guidare dall'istinto, non voglio governare nulla, so che sto per dargli pieni poteri sulla mia vita. E, se da una parte ne sono spaventata a morte, dall'altra l'idea mi eccita da morire.
Mi tiene ancora avvinta per la stoffa del maglione e, mentre tento ostinatamente di ritrovare un briciolo di dignità, Sebastian si addossa in maggior misura. Sono certa che stia per baciarmi, il cuore mi conflagra letteralmente nel petto, le gambe sono due gelatine, la bocca si prosciuga dalla saliva, ma, contrariamente alle aspettative, lui si sporge al di là del bancone per recuperare un block-notes e una penna, offrendomeli.
 
 
<< L'indirizzo. >>, mormora. Nelle iridi vedo un guizzo di pura soddisfazione maschile per essere riuscito a zittirmi senza fare praticamente nulla.
 
 
<< D-di cosa? >>.
 
 
<< Di casa tua. Scrivimi il tuo indirizzo e sabato sarò puntuale sotto casa tua alle sette, per andare dove desideri. >>. Usa le parole con accortezza, le lambisce con un tono inebriante e lussurioso, sceglie di proposito quelle giuste, quelle che possono colpire ed affondarmi, niente è lasciato al caso: è un predatore nato.
 
 
Necessito di qualche secondo per riprendermi, la mano sussultante afferra la penna dalle sue mani affusolate e calde, ed appunto il mio indirizzo con una calligrafia raffazzonata. Strappo il foglio, Sebastian lo ripiega e se lo infila nella tasca dei jeans.
 
 
<< Come dovrò vestirmi? >>, si informa, dato che non gli ho dato ulteriori ragguagli sull'appuntamento. << Elegante o informale? >>.
 
 
<< Beh... devi vestirti innanzitutto. >> sbiascico, distratta dal punto esatto dove ha conservato il biglietto, nei pressi si trova la cerniera dei pantaloni e i pensieri osceni si avvicendano volgari e scurrili nella testa.
 
 
<< Le intenzioni erano di levarli dopo, ma a quello ci arriveremo in seguito... con calma. >>, afferma sogghignando e controlla l'ora sull'orologio.
 
 
<< Che? >>, erompo, forse ho capito male.
 
 
Inizia ad indietreggiare, sorride apertamente, sembra un sole invernale, dai raggi sfolgoranti, però freddi, di cui sono irrimediabilmente attratta.
<< Devo andare, ci vediamo sabato Elaine: è stato un piacere. E lo sarà ancor di più sabato. >>. Un cenno con la mano ed è già fuori dalla libreria.
 
 
Non faccio in tempo a ricollegare tutte le parti ancora funzionanti, a dirgli altro, non so nemmeno come fare a contattarlo se dovessi avere un imprevisto.
Nel secondo dopo, prendo cognizione di quello che è avvenuto, sghignazzo da sola e arrossisco violentemente, perché sì, perché ancora non ci credo: ho un appuntamento con Sebastian Stan.    










Note: 
Bene, eccoci qui con il secondo capitolo di questa storia. 
E' stato leggermente difficile scriverlo, perché di natura non sono una persona divertente e mi sono dovuta impegnare oltremodo per riuscire a creare qualcosa che facesse almeno sorride e spero vivamente di esserci riuscita. 
L'effetto "Sebastian Stan" su Elaine è a dir poco tossico a quanto mostrato, era già cotta ancor prima che lo incontrasse la prima volta, lo vede come il principe azzurro che attendeva da tutta la vita... ma sarà proprio così? 

La canzone all'interno del capitolo è: "All of Me" di John Legend.


 

La storia può presentare errori ortografici.



Un abbraccio.
DarkYuna.  

 

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Capitolo 3
*** 3. ***


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3.








 
Che cosa saresti disposto a fare per una persona che ti piace?
Non una persona qualsiasi, una cotta passeggera, un fuoco di paglia, qualcuno di cui, dopo un mese, non rammenti neanche più il nome.
Intendo per la persona giusta, quella che regna nel tuo cuore e cammina per le vie della mente, dove un suo sorriso ti fa sfiorare il paradiso e nei suoi occhi trovi la tua anima.
Il famoso principe azzurro che attendo da tutta una vita.
Io, per la persona giusta, farei qualsiasi cosa, perfino perlustrare letteralmente Boston in macchina in tre giorni per cercare il posto adeguato per un primo appuntamento da sogno.
Alla fine, sono fiera di me, perché l'ho trovato.
 
 
Lego i lunghi capelli neri in un'alta coda di cavallo, ho bisogno di essere comoda e pratica per quel che ho in mente, ho optato per indumenti elasticizzati, leggins neri, stivali bassi, maglione di lana bianco. Ho usato un trucco waterproof se in tutti casi dovesse piovere, non vorrei fare la fine del panda.
Davanti allo specchio canticchio la canzone che suona dallo stereo ed ondeggio i fianchi a tempo di musica, così di buon umore che potrei spiccare il volo.
 
"You make me this, 
Bring me up, 
Bring me down, 
Play it sweet, 
Make me move like a freak 
Mr. Saxo beat
Make me this, 
please me up, 
please me down, 
pleasing sweet, 
Make me move like a freak.".
 
 
Anastasiya passa indolente per il corridoio dell'appartamento, ha una grande tazza di latte caldo con corn-flakes al cioccolato, che mangia con il cucchiaio. Ha il pigiama con gli orsetti rosa, segnale che ha intenzione di restare a casa.
<< Esci? >>, sbiascica con la bocca piena. Un rivolo di latte le scivola sul mento, se lo pulisce con la manica della maglia e poi viene a sedersi sul mio letto.
 
 
Annuisco raggiante, ruoto su me stessa ed assumo una posa da star.
<< Come sto? >>.
 
 
Alza il pollice, mastica di fretta ed ingoia il boccone.
<< Chi è il fortunato? >>.
 
 
Il sorriso silenzioso si apre totalmente, gli occhi parlano per me, gridano un nome che avverto in ogni angolo del mio essere e, non le ci vuole poi molto tempo per giungere all'unica conclusione logica.
 
 
<< No! >>, sbotta incredula, sbarrando le palpebre. Smette di mangiare, la notizia prende il sopravvento sul cibo. << Non dirmi che? >>.
 
 
<< Ah sì, sì, proprio lui. >>, confermo raggiante. Sprizzo allegria da tutti i pori, sarà difficile frenarmi.
 
 
<< Cioè lui? >>.
 
 
<< Sì lui. >>.
 
 
<< Ma davvero? >>.
 
 
<< Davvero! >>.
 
 
<< Oh cazzo! Ma quindi stasera? >>.
 
 
Osservo l'orologio elettronico che ho sul comodino, adiacente al letto. Sono le sette in punto.
<< In realtà dovrebbe essere già qui. >>. Non faccio in tempo a finire la frase, che il citofono echeggia nell'appartamento e la mia agitazione raggiunge dei livelli incalcolabili.
 
 
<< Mi stai dicendo che stai uscendo con Sebastian Stan? >>, domanda ancora Anastasiya, mentre mi guarda boccheggiante infilarmi il cappotto e schioccarle un affettuoso bacio sulla guancia.
 
 
<< Augurami buona fortuna, che forse ci sarà più di un'uscita con Sebastian Stan! >>.
 
 
<< Buona fortuna tesoro! Preparo i confetti per il futuro matrimonio! Ricordati di me per fare da madrina ai futuri pargoli. >>.
 
 
<< Ti racconto tutto quando torno. >>.
 
 
<< Cerca di tornare il più tardi possibile! >>, auspica, tifando per me.
 
 
<< Speriamo! >>. Esco dalla camera, corro quasi fuori di casa, poi giù per due rampe di scale, così febbricitante da non riuscire più a contenere la gioia.
Apro il portone del palazzo e Sebastian è proprio lì, accanto all'entrata, sta ancora attendendo una risposta da parte mia al citofono e, senza riflettere bene su cosa dire e fare, gli getto istintiva le braccia al collo, travolgendolo con la mia inesauribile euforia.
Deve essere questo il paradiso, stare stretta al corpo dell'uomo che ti piace e che ti fa sentire viva.
Profuma di buono, forse sono rose ed oceano: rose d'oceano. Ecco sì, profuma di rose d'oceano.
 
 
Indietreggia appena, investito dalla mia reazione imprevedibile. Ricambia l'abbraccio impetuoso, più per impedire di cadere entrambe, solo in un secondo momento capisco che mi sta abbracciando anche lui.
 
 
<< Scusa. >>, dico, non riesco a saziarmi di sentirlo contro di me, vorrei avvertirlo sulla pelle nuda, nel sangue, dentro il mio corpo, in ogni singola cellula che mi compone. << Non ho resistito. >>. Fatico a lasciarlo andare, temo che possa prendermi per pazza, invece sta sorridendo sincero, non è infastidito, appare più che altro... compartecipe.
 
 
Non è totalmente preso come la sottoscritta, ma nemmeno gli dispiacciono i miei slanci affettivi.
<< Non trattenerti mai, allora. >>. Ha una luce diversa, un mare in tempesta negli occhi, l'espressione è intensa. Si tira di lato e mostra una magnifica macchina rossa costosa, dalla carrozzeria lucida, pulita, che scintilla sotto il lampione arancione.
<< Wow! Che bella: è una Ferrari? >>. La mia conoscenza in fatto di macchine è pari a zero, per me sono tutte Ferrari, anche automobili che non sono nemmeno lontanamente paragonabili.
 
 
Trattiene a stento una risata.
<< Jaguar Piecha. >>, corregge, divertito dalla mia incompetenza in quel campo. Apre lo sportello, con una gentilezza dilettevole, mi rammenta Chris Evans con sua moglie Andria e, una piccola parte di me finge di essere, solo per stasera, la moglie di Sebastian Stan. << Madame. >>.
 
 
<< Sicuro non sia una Ferrari? >>. A me lo sembra. Siedo all'interno dell'auto, ha un profumo di pulito e limone dissetante, deve essere stata lavata di recente.
 
 
Sebastian ride di gusto.
<< Metti la cintura, Ferrari. >>, ammonisce bonariamente. Chiude lo sportello e prende posto accanto a me. << Sai tante cose, leggi tanti libri e mi cadi sulle macchine? Dovrò darti delle ripetizioni. >>, annuncia e solo nelle mia testa quella proposta scherzosa ha un retrogusto erotico.  
 
 
<< Come fai a sapere che leggo tanti libri? >>.
 
 
Rivolge un'occhiata maliziosa, mette in moto, ingrana la marcia e, senza allacciare la cintura, s'immette in strada con una sicurezza invidiabile. Continua ad essere sexy, senza alcuno sforzo.
<< Io so tante cose, Elaine. >>, ha la voce bassa, proporzionata, volta a sedurre la mente e il corpo.
Sono esterrefatta, ci siamo visti due volte, da cosa lo ha dedotto?
 
 
Inarco le sopracciglia, gli lancio un'occhiata da competizione.
<< Anche quello che penso? >>, lo sfido apertamente, infilandomi in una strada tenebrosa e proibita, composta da concetti illegali, sospiri di piacere e voglie scabrose.
 
 
<< So anche quello che ancora non sai di pensare. >>.
 
 
<< E cioè? >>. Fisso il profilo perfetto, i fari delle macchine provenienti dalla carreggiata opposta, gli schiariscono velocemente una parte del viso, in un gioco di ombre e luci che ha del portentoso.
 
 
Sospira appena, si trattiene dall'essere sincero.
<< Per adesso dimmi quello che io ancora non so di sapere: dove stiamo andando? >>, cerca di spegnere i toni importanti e non capisco se è solo una tattica o se mi sta tenendo a distanza.
 
 
Riprendo un briciolo di controllo, mi concentro sulla strada, ho nel cuore in tumulto una sensazione bislacca, diversa da quelle saggiate in passato, come un roseto corvino che germoglia ricoperto di spine, che si conficcano nella carne viva ed infilzano in profondità.  E Dio se fa male!
<< In centro, da lì ti dico dove andare. >>.
 
 
Un silenzio freddo ed imbarazzante cala inesorabile nell'abitacolo ed è spiacevole e teso. Perché facciamo così fatica ad ingranare? Dipende da me? C'è qualcosa in me di sbagliato?
Sono sempre stata spigliata ed estroversa con tutti, perché stavolta è diverso?
Decreto che, se devo sul serio colpire positivamente Sebastian, devo permettergli di conoscermi davvero, senza che debba limitarmi: essere semplicemente me stessa, comportandomi come se lui fosse un amico, anziché l'uomo che mi piace. Per ora sono semplicemente una delle tante, lo so, lo avverto da come mi tratta, dal modo in cui parla, non è coinvolto, non come lo sono io.
 
 
Traggo un profondo respiro, fisso intensamente un punto al di fuori del finestrino, fingo di essere da sola altrimenti questa nuova timidezza può tirarmi un colpo basso... e poi lo faccio, provo a stupirlo.
<< The world was on fire and no one could save me but you. >>, inizio ad intonare l'unica canzone che ha in sé le parole che non riesco a dire. Sebastian si volta meravigliato: una volta tanto le lezioni di canto prese da bambina, servono a qualcosa. << It’s strange what desire will make foolish people do. I never dreamed that I’d meet somebody like you. And I never dreamed that I’d lose somebody like you. No, I don’t want to fall in love... no, I don’t want to fall in love... With you. >>. Smetto di intonare l'ultima nota e di nuovo quel silenzio scomodo, temo che possa pensare di ritrovarsi una pazza in macchina, ma quando giro il viso fino a lui, non è questo che scorgo.
 
 
Gli occhi brillano nel buio, sono colmi di ardore, energia, veemenza, passione e... desiderio. Un desiderio sfrenato.
Erano già tutte dentro di lui, le teneva imbrigliate con prepotenza, ora sono libere di sfogarsi tutte insieme, tutte nello stesso momento.
<< H-hai la voce di un angelo. >>. Il complimento è spontaneo, gli arriva dritto dall'anima, non è una frase di circostanza, lo pensa davvero. Deglutisce più volte, avverto un tassello mutare radicalmente e l'atmosfera cambiare. << Una volta guardavo un'altra persona, come tu stai guardando me adesso. Con tutto il carico di sentimenti gravosi che può portare la brama per qualcuno, il cui cuore, è già occupato. >>, racconta mesto, la pellicola dei ricordi si riavvolge più volte e guarda di nuovo un passato vissuto.
 
 
Devo averlo colpito più di quanto credo, perché se si sta aprendo, la mia speranza si è concretizzata.
<< Il tuo cuore è già occupato? >>, chiedo scossa, ma non so se voglio conoscere la risposta. Sono innamorata di una persona che lo è, ma di un'altra: fa male, davvero troppo male e non riesco a tollerarlo.
 
 
Stringe le mani sul volante, le nocche scoloriscono appena.
<< Non nel modo in cui lo intendi tu... lei ha smesso di occupare il mio cuore tanto tempo fa... credo di aver amato un riflesso fino ad oggi, qualcosa che non esisteva, che era solo nella mia mente. Le ho dato un volto che non le apparteneva, che non le è mai appartenuto, che ho forzato di mia scelta. Mi sono trascinato in una storia che non avrebbe mai avuto futuro, accontentandomi delle briciole, dei momenti di sporadica passione, poi lei è tornata alla sua vita, io alla mia, ed era un supplizio senza fine. Ero certo che l'amore bastasse, ma l'amore non basta. >>.
 
 
Torturo le mani in grembo, la pelle è gelida, benché ci sia il riscaldamento acceso. In verità il freddo viene da dentro.
<< Perché mi stai dicendo questo? >>. La voce è quella di un cane bastonato.
 
 
Scuote appena la testa, le iridi si perdono nella notte, schiude la bocca umettata.
<< Perché voglio sentirti cantare ancora... e per farlo, devo essere sincero, non voglio omettere nulla, devi essere pienamente consapevole, per poi scegliere liberamente. >>.
 
 
<< C'è qualcos'altro che devi dirmi? >>. Continuo a non voler sapere e non capisco perché lo domando, perché mi sto impelagando in una storia in cui soffrirò? Perché sono così romanticamente sciocca?  
 
 
Annuisce, i lineamenti sono rigidi, la bocca tesa.
<< Non sono innamorato di te. >>.
Era palese che fosse così, non sarebbe potuto essere altrimenti, non dopo aver visto una persona appena tre volte, però sentirselo dire è tutto un altro paio di maniche, è un po' come strapparsi il cuore per divorarlo, più e più volte.
 
 
<< Allora perché sono qui? >>.
 
 
<< Perché sono attratto da te... inevitabilmente attratto da te e mi piace seguire il mio istinto. >>. Parla di attrazione fisica, quindi è il mio corpo che vuole, non la mia anima. Io vorrei la sua anima, il corpo sarebbe solo un'aggiunta. È questa fondamentalmente la differenza tra uomini e donne.
 
 
<< Sei un egoista. >>, lo definisco con calma, in realtà sto urlando dentro, vorrei gridargli di fermare la macchina e lasciarmi scendere. Non pretendo che mi riporti indietro, sono così orgogliosa da farmela a piedi, benché faccia freddo da morire.
 
 
<< Lo so. >>, accetta senza offendersi. Non era comunque mia intenzione insultarlo, l'ho solo descritto nell'atteggiamento che sta adoperando con me.
 
 
<< Non vuoi implicazioni sentimentali. >>, prendo atto, dandolo per scontato.
 
 
<< Non ho detto questo. >>.
 
 
<< Sai quello che hai detto. Se è solo sesso, perché questa messinscena dell'appuntamento? Perché non sei stato subito chiaro, credevi che non avrei potuto accettarlo ugualmente? >>. Mantengo una calma serafica, non alzo la voce, eppure ricorderò questa serata per le urla che tuonano nel cervello e le lacrime che non ho versato.
 
 
<< Perché non ho l'innamoramento a comando, voglio dare una possibilità ad entrambe e per fare ciò, ho bisogno di trascorrere molto tempo con te, Elaine. Sono chiaro adesso, te lo sto dicendo adesso, voglio che non ci siano incomprensioni, non voglio che sia solo squallido sesso, okay? >>.  
 
 
Tento di rasserenare la mente e di porre un ragionamento coerente sull'intera faccenda. Sta provando ad essere sincero e sta mettendo in chiaro ogni cosa sin da subito, vuole trascorrere molto tempo con me e spera che l'attrazione fisica si trasformi in altro.
Di base è così che iniziano le relazioni, sono solo io quella che è partita in quinta, perché già innamorata persa sin dalla prima volta che l'ho visto di persona, ma per lui funziona in modo diverso: non è un folle. Devo rispettare questa sua richiesta, dargli tempo, aiutarlo, non criticarlo, litigandoci e peggiorare il contesto delicato. I sentimenti non sono mai facili, specialmente se di mezzo c'è un cuore che ha amato e non è stato amato a sua volta.
Sebastian Stan ha sofferto, sta a me ricucire le ferite e voglio riuscirci.
 
 
Indosso il più bel sorriso che posseggo, il cuore si riempie di speranza e il tono della voce cambia decisamente.
<< Va bene. >>, espongo alla fine. Meglio un'attrazione fisica che essergli totalmente indifferente, posso accontentarmi per adesso.
 
 
Lancia occhiate smarrite tra me e la strada, forse alla fine si convincerà che io sia davvero matta da legare.
<< Va bene? >>.
 
 
<< Sì, va bene. >>. Lo osservo, gli occhi chiari, le labbra morbide, una lieve ricrescita di barba, la pelle, le mani... lui... lo osservo e vorrei continuare a farlo per tutta la vita. Come ho fatto ad innamorarmi così, tra un sospiro ed uno sguardo?
 
 
Piega la testa di lato, increspa le sopracciglia, come se si fosse aspettato ben altro, magari una sfuriata, il fallire dell'appuntamento, lacrime e scenate varie.  
<< Va bene e basta? Finisce così? Non vuoi uccidermi? >>.
 
 
Rido e non fingo, rido perché non ha detto che non vuole provarci, rido perché spero di rendergli il compito meno complesso, e non andremo da nessuna parte se metto il broncio.
<< E chi li mantiene i nostri cinque figli? >>, chiedo ilare, voglio togliere quell'espressione triste dal viso bellissimo, voglio che ci sia luce e felicità, voglio aprire la sua prigione e togliergli le spine dall'anima.
 
 
Tira la bocca da una parte, l'ombra di un sorriso aleggia e smorza la durezza eccessiva.
<< Sei figli. >>, mi corregge stuzzicante, inserisce la marcia e si perde in un pensiero intimo. << Sei figli. >>.
 
 
 
 
 
 
    
 
 
 
 
Il Boston Common Frog Pond è ubicato nel cuore del Boston Common, il parco pubblico più antico e prezioso degli Stati Uniti. Con una pista di pattinaggio invernale in cui le scolaresche imparano a pattinare, una piscina riflettente in primavera e in autunno, una piscina a spruzzo estiva ed una giostra per bambini. Ci sono sempre attività divertenti ed eccitanti per tutti i gusti.
E quando Sebastian scorge la visuale d'insieme vivacizzare la notte con i suoi bagliori blu natalizi, apprende con un sorriso limpido che è questo il posto speciale che ho scelto per consentirgli di innamorarsi di me.
La pista di ghiaccio brulica di cappotti dai colori diversi, profumo di muschio bianco si addensa nell’aria. Sullo sfondo, la notte, è rischiarata dalle luci provenienti dagli alti edifici circostanti. "White Christmas" impazza dalle casse stereo collocate ai lati della pista.
Il Natale qui non è una festa, è uno stato d’animo, in grado di riscaldare anche il più freddo dei cuori.
 
 
<< Pronto a vedermi scivolare, rompermi un osso e finire in ospedale, per il nostro primo appuntamento? >>.
 
 
<< Tu non sai pattinare? >>, esce fuori come una domanda, anche se suona più come un'affermazione.
 
 
<< Mai pattinato in vita mia. >>, confesso colpevole, conscia della figura patetica che sto andando a fare.
 
 
Si ferma a metà strada, incredulo di quel che ha appena udito.
<< Cioè, tu non sai pattinare e stiamo andando a pattinare? >>. Gli viene fuori una risata scioccata, però adorabile.
Ho il sentore che troverò adorabile qualsiasi cosa sia accostata a Sebastian Stan, anche il camion della pattumiera.  
 
 
Arresto il passo, in questo preciso momento le luci blu natalizie esaltano un paio di occhi al sapore d'inverno, che scavano fin dove nessuno è stato mai. Un luogo sconosciuto perfino a me stessa, che si desta da un lungo letargo e si ritrova davanti ad una passione così violenta da rischiarare a giorno le tenebre eterne.
 
 
<< Per conquistare qualcuno che non hai avuto mai, devi fare qualcosa che non hai fatto mai: questa è solo la prima. >>, dico in un sussurro incantato. Lascio che tutto quel che penso venga fuori senza censure.
 
 
Sebastian ricambia lo sguardo intenso, morde il labbro inferiore e il sorriso è più dinamico, poi, stupefacendomi, protende la mano aperta verso di me.
<< Andiamo dai, ti insegno a pattinare. >>.
 
 
Non me lo faccio ripetere due volte, accetto il suo invito, gli stringo la mano calda ed accogliente ed ho un colibrì che sbatte frenetico le ali nel torace.
Faccio strada all'interno del Boston Common Frog Pond, riusciamo a bisticciare allegramente su chi deve pagare i biglietti, però ha la meglio, così come riesce ad avere la meglio su tutto ciò che mi riguarda.
Deve esserci già venuto in precedenza, perché conosce bene il posto e si muove sicuro nella stanza che contiene l’attrezzatura da ghiaccio.
Cerchiamo i pattini giusti, tra risatine e battute, scherziamo su chi cadrà per primo e quando, mi siedo per indossare i pattini, lui si china ai miei piedi, per aiutarmi a calzarli nel modo corretto.
Avverto un senso di turbamento che si fa largo prepotente su per lo stomaco.
È una percezione misteriosa, dai risvolti caldi, per nulla rassicuranti, a cui non riesco a dare un nome o una spiegazione. Fa male, però. E mi provoca disagio. Non ricordo di essere mai stata a disagio con qualcuno, come adesso. Guardarlo mentre mi infila i pattini, ha un eccentrico riflesso in me: ho voglia di piangere.
Riesco a nascondere perfettamente la confusione spiazzante, con un sorriso fittizio.  
Mi prende nuovamente per mano e, accorto, andiamo sulla pista di ghiaccio. È una buffa esperienza, come quando impari ad andare in bicicletta, togliendo le rotelle di supporto, ti ritrovi a cercare un equilibrio nuovo su due ruote.
 
 
Con tutta la forza afferro gli avambracci, abbarbicandomi a lui come un polipo sullo scoglio. Le gambe tremano.
Ma come si fa a pattinare su questi arnesi malefici?
<< Se mi lasci, t’ammazzo! >>, avverto, atterrita dallo zampettare goffo da pinguino con seri problemi motori. Una mossa falsa e cadrò a gambe all’aria.
 
 
Lui invece è a suo agio, quasi elegante, ha completa confidenza di sé.
<< Fidati di me. >>, sussurra con un tono avvincente, intenso, profondo, con una voce che mette i brividi, più del freddo di Dicembre. Ha gli occhi che brillano di una luce affascinante, per un momento non è più Sebastian Stan, l'attore famosissimo dietro uno schermo e per cui ho sempre avuto una cotta... per un momento, non so più chi è lui e chi sono io.
Dischiude la bocca pallida, il respiro si condensa nell’aria fredda e sono persa a contemplare le iridi di laguna, che splendono più di un sole a mezzanotte. Ho il cuore che batte con tonfi lenti, potenti, tuoni che echeggiano nel petto e scuotono nell’intimo.
 
 
Poco più in là una c'è una coppia  molto più esperta di come potrei esserlo io, nemmeno fra cent’anni. Lui si accosta a noi, rompendo l’istante arcano, la ragazza esegue una perfetta piroetta su se stessa, con un'agilità invidiabile.
<< La prima volta era esattamente come la tua fidanzata. >>, dice socievole il tipo, riferendosi all’evidente incapacità di pattinare che sto sfoggiando con nonchalance. Non riconosce il mio accompagnatore, siamo solo una coppia come altre cento sulla pista di pattinaggio.
Sono ancora assicurata a Sebastian, abbiamo appena fatto un metro, a me sembrano chilometri.
 
 
Sorride disponibile al tipo, non si affanna a spiegare che non stiamo insieme, che la salita è ancora lunga da percorrere, gli lascia credere che siamo fidanzati, poi mi scruta ed è irrefutabile, di nuovo quello sguardo abbacinante, che lascia senza fiato.
<< Deve solo fidarsi di me. >>, sostiene al ragazzo, fissandomi dritto negli occhi. Rabbrividisco dalla testa ai piedi. << Non ti lascerò cadere. >>, giura indissolubile e non posso far altro che farlo: mi fido.
 
 
Il ragazzo ridacchia.
<< Beh, buona fortuna. >>, augura, tornando dalla fidanzata, che ci lancia occhiate scioccate, prima a me e poi insistenti al mio accompagnatore, d'un tratto impallidisce: l'ha riconosciuto.
 
 
Sebastian scivola adagio al mio fianco, non abbandona le mie mani neppure per un istante, mi afferra solidamente in vita, il viso mulina nei pressi del mio. Se solo potesse udire il mio cuore, non avrebbe dubbi a riguardo su ciò che provo per lui.
<< Chiudi gli occhi. >>, sussurra, il respiro tiepido fa accapponare la pelle ricettiva.
 
 
Deglutisco rumorosamente e mi appresto a fare ciò che ha chiesto, quindi, accorto, mi spinge prudentemente, iniziando a pattinare insieme a me. Non vedo nulla, ho solo lui come punto fermo sul ghiaccio, tra gli sconosciuti e i rumori, il vento gelido sulla faccia e il calore del suo corpo, riesce a farmi scivolare illesa e fare un giro completo della pista.
Sorrido felice, è come volare, dipendo totalmente da lui, non ho paura e, quando meno me lo aspetto, mi fa fare una giravolta su me stessa, afferrandomi prima che perda l'equilibrio.
 
 
<< Ti sei fatta male? >>.
 
 
Sono faccia a faccia con le iridi in cui si specchiano la mia anima. Il mondo tace per un istante che dilaga nell'eternità, ho solo la luce che mi circonda, non esiste nessun altro, ci siamo solo noi due sospesi tra l'inferno ed il paradiso.
 
 
<< Sto per fare la cosa sbagliata. >>, blatero stregata, il cervello è disconnesso dal resto, è l'istinto a prevalere.
 
 
Morde eroticamente il labbro inferiore, affonda nei miei occhi, poi si sofferma sulla bocca.
<< Sbagliata per te o per me? >>, chiede licenzioso, istigando una cupidigia deleteria e scabrosa.
 
 
<< Entrambe. >>.
 
 
La mimica appassisce, schiocca la lingua al palato, la delusione traspare lampante.
<< Se è sbagliata allora non farla. >>, consiglia saggio e mesto, ma non è questo quello che pensa davvero.
 
 
<< No... non la farò. >>, mento spudoratamente, lo afferro imperiosa per il bavero della giacca e premo la bocca asciutta sulla sua morbida, cogliendolo alla sprovvista.
Ardo in una pira dannata, la gola si chiude, i polmoni si prosciugano, è come se qualcosa fosse appena scoppiato al centro stesso del torace e mi avvelena celermente il sangue. Il bacio prende una piega diversa, non ha in sé nulla di dolce e romantico, è più fame vorace, brama fisica che divampa selvaggia, un richiamo carnale che necessita di radere al suolo ogni cosa e, per quanto io mi affanni a tramutare il fatto che sia solo questo ciò che vuole da me, ne vengo del tutto soggiogata ed annientata.









Note:
Tutto molto romantico, nevvéro? 
Ci piace Sebastian oscuro, misterioso, diretto e, in un certo qual modo, sincero. Ma quanto sincero? Sul serio sincero? O finge solamente di essere sincero? 
Beh, abbiamo capito che è il desiderio fisico che lo spinge, mentre Elaine è guidata dall'emozioni, quindi, più o meno, una storia vecchia quanto il mondo. Lei il cuore, lui il corpo: cosa ne verrà fuori? 

La canzone all'interno del capitolo è: Mr. Saxobeat della cantante rumena Alexandra Stan (toh che coincidenza xD) 

 

La storia può presentare errori ortografici.



Un abbraccio.
DarkYuna.  

 

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Capitolo 4
*** 4. ***


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4.








 
Spesso, nella nostra mente, le cose vanno in un certo modo, c'è un dialogo specifico, determinate azioni, profumi, colori, dettagli che restano scolpiti e l'epilogo è sempre roseo, felice e tenero.
È tutto perfetto.
La realtà è ben altra cosa.
Non hai controllo su nulla, non puoi ponderare i discorsi, seguono solo l'istinto e il frangente, è tutto improvvisato, rimangono incisi solo alcune cose, come il dolore violento e la passione prorompente, ad essi si legano gli odori e le sfumature e il finale è sospeso, malinconico e il più delle volte amaro.
 
 
Ho dormito male, ad un certo punto credo di aver pianto, niente è andato come speravo nell'appuntamento con Sebastian Stan.
Non ho fatto nulla che non volessi davvero, lui è stato sincero nonostante le molteplici ombre segrete, nonostante la donna che abita ancora nel suo cuore, però mi sento a disagio con me stessa, come se fossi stata profanata nell'intimo, una violenza psicologica che ha trasmesso quel maledetto bacio.
Un bacio che ho anelato sin dall'inizio, ma che mi ha fatta stare male nell'anima.
 
 
Sebastian Stan non è il principe azzurro che tanto attendevo da bambina, su cui fantasticavo per pomeriggi interi a casa di mia nonna, non gli somiglia nemmeno lontanamente, è un pozzo d'oscurità senza fondo, turbamenti impetuosi, tormenti sfrenati, impulsi irrefrenabili, passione e morte che viaggiano intrecciati in un vincolo irresistibilmente mortale.
La mente è annebbiata dal sonno agitato, quando odo una voce maschile familiare canticchiare delle parole in una lingua che non comprendo.
 
 
<< N-aș fi crezut în viața mea, ca pot să mă îndrăgostesc, aveam de gheata inima, tu m-ai făcut te iubesc. >>.
 
 
Qualcosa di morbido lambisce il naso per tutta la lunghezza e poi si sofferma a picchiettarlo, per svegliarmi con dolcezza, senza ulteriori traumi che giungono al mattino.
Impiego più di qualche secondo per ricollegare la mente alla realtà, sbadiglio rumorosamente e stropiccio gli occhi (qualcuno ha aperto le serrande) e, una volta che la vista si è snebbiata, incontro un paio di iridi di laguna che mi osservano serene.
Sebastian Stan è steso sul mio angusto letto, si tiene sui gomiti, sorride malizioso, mentre prendo consapevolezza che è proprio qui, proprio nella mia camera, proprio in questo momento. Profuma di rose d'oceano, ha fatto la doccia da poco, l'espressione è vivace e brillante.
 
 
<< Buongiorno. >>, annuncia con una voce limpida, dai risvolti gentili, con un pizzico di ilarità per la situazione che si sta andando a creare.
 
 
Sbarro le palpebre allarmata, afferro la coperta e la tiro fin sopra la testa.
<< Che ci fai qui? >>, strepito, vergognandomi del mio aspetto pessimo, probabilmente ho l'aria stravolta, i capelli arruffati e la faccia di uno zombie. << Chi ti ha fatto entrare? >>.
 
 
Sghignazza fragoroso.
<< Le tue coinquiline hanno avuto più o meno la tua stessa reazione quando ho bussato alla porta. >>, ricorda di buon umore.
 
 
<< Sì, ma perché sei qui? >>, chiedo nuovamente, sono intontita dal risveglio traumatico, faccio domande senza senso.
 
 
<< Beh, hai detto che volevi fare cose che non avevi fatto mai, no? Quindi ho pensato di farti fare almeno due cose che non hai fatto mai... o almeno, di una sono sicuro, dell'altra un po' meno. >>. Strattona gentilmente la coperta, che scivola di qualche centimetro e rivela solamente i miei occhi.
Il sorriso si interrompe, fa spazio ad un turbinio di emozioni contrastanti che non saprei decifrare, nemmeno se ci provassi.
Non era proprio così la frase, voglio fare cose mai fatte, per conquistare il cuore di qualcuno avuto mai. Il cuore più difficile di tutti.
 
 
<< Perché mi guardi così? >>, barbuglio turbata, dal repentino cambio d'umore.
 
 
Per tutta risposta Sebastian si approssima a rilento, il cuore fa le fusa, inabile a comparabili incitamenti già dal mattino e poggia le labbra soffici sulle mie, solo la coperta ci separa. 
<< Non sei nuda, vero? Cioè oltre la maglia, hai altro? >>, chiede, con una punta d'imbarazzo ed un sorriso sornione.
 
 
<< Oddio, perché? >>. Tengo fermo il piumone, per paura di ciò che frulla in quel cervello impenetrabile.
 
 
Morde il labbro inferiore, il viso è vivace, infervorato, acceso, come un bambino al primo giorno di scuola, scalcia via le scarpe, sfila il giaccone, poi scosta gli strati di coperte e lenzuola e si infila al di sotto di esse, stringendosi intimamente a me e velandoci per intero dal mondo esterno.
Ieri sera siamo stati a contatto molte volte, ci siamo perfino baciati, eppure, adesso, mi sembra di non essere stata mai così vicina a qualcuno, come con Sebastian, è qualcosa di prettamente sessuale, più che spirituale.
Se volesse andare fino in fondo, non sarei in grado di dirgli di no.
 
 
La mano scivola sul mio fianco, dietro la schiena, mi addossa su di sé, tranciando di netto ogni distanza fisica. La bocca mulina nei pressi della mia, però non accade altro, come se volesse alimentare il fuoco deleterio che ci sostiene. Uno spiraglio di luce mi permette di definire i tratti del volto.
E poi, come se non potesse farne a meno mi bacia ancora, di nuovo un bacio che anela uno sbocco sul piano fisico, è incandescente, procace, d'una lascivia sconcertante, che scorre nell'intrinseco, fa contrarre le viscere e brucia di una voglia carnale a cui non sono preparata.
Sarà sempre così con lui, frenesia tenebrosa che spazza via ogni cosa al suo passaggio?
Mi sto chiedendo se con l'altra donna era lo stesso o se era più dolce, magari sono  io a generare simili reazioni, forse non ci sarà mai spazio per romanticismo ed amore, ma solo per fisicità e desiderio.
Se è stata l'altra donna a trasformarlo, il dolore che gli ha causato e le cicatrici che si trascina dietro, probabilmente il Sebastian di una volta era totalmente differente.
Prendere o lasciare?
Per adesso ancora prendo.
 
 
<< Voglio portarti a vedere una cosa. >>, dice ad un certo punto, il respiro è corto, non smettiamo di baciarci, le mani sfiorano, si toccano, imparano a conoscersi, è come se non riuscissimo a fare altro, siamo due calamite che si attraggono inevitabilmente. << Ma mi stai rendendo difficile il compito. >>, ridacchia appena e quando decido sul serio di rendergli difficile il compito, qualcuno bussa timido alla porta chiusa.        
 
 
<< Ehm, scusate... >>, è Anastasiya, è chiaramente a disagio, si sente Jillian sogghignare, <<... non volevo disturbare, però, la colazione è pronta. >>.
 
 
Sebastian scoppia a ridere, io fatico nel ritrovare un briciolo di controllo da questo risveglio insolito ed impetuoso.
 
 
Schiarisco la voce, spero di non sembrare troppo su di giri.
<< Sì, grazie. >>.
 
 
<< Elaine chiedigli se si ferma da noi?!? >>, strepita schietta Jillian, poi odo un trambusto smorzato ed Anastasiya borbottare un: "ma che cazzo dici?".
 
 
<< Vi aspettiamo di là. >>, conclude quest'ultima, per non aggiungere ulteriore imbarazzo a quello già presente.
 
 
Ci contempliamo sotto le coperte, occhiate complici e languide, divertite e leggere, non vi sono tracce di ombre, non pensa all'altra donna, ci sono io che cammino sulle vie misteriose del suo cuore.
<< Te la senti? >>, chiedo, temendo in un responso negativo.
 
 
<< Dammi un minuto. >>, sorride enigmatico e mi ci vuole un secondo di troppo per capire che è talmente acceso che ha bisogno di tempo per spegnere il fuoco ed evitare che qualcun altro se ne accorga.
 
 
<< Oh. >>, è l'unica cosa che riesco a dire, arrossendo totalmente.
 
 
Inarca le sopracciglia, la mimica è buffa.
<< Oh. >>, ripete, è di buon umore, anche troppo, sembra quasi un'altra persona. << Ero pronto per il sesto figlio. >>, ci scherza su, per togliersi dagli impacci.
 
 
<< Ti lascio... ehm... riprendere. >>, avviso, scalcio le coperte e quando faccio per alzarmi, mi blocca per un polso per un altro bacio ed un secondo e un terzo, è come se ne fosse a digiuno da tutta la vita.
 
 
<< Sorridi per me ancora una volta. >>. Le iridi sono cristalli di stelle, lì dentro vi è un mondo estraneo che voglio imparare a conoscere, accettandone le conseguenze, qualsiasi esse siano.
 
 
Mi abbandono al sorriso più sincero, naturale e spontaneo, sorrido perché lui è qui, sorrido perché è già il padrone indiscusso della mia anima, sorrido perché, a dispetto di tutto, sto sognando ad occhi aperti e non voglio smettere mai.
<< Hai già fatto colazione? >>, interrogo, mentre mi alzo pigra e ciabatto fino allo specchio. L'aspetto non è dei peggiori, sono rossa sulle gote, gli occhi limpidi, una luce viva che illumina la pelle: sono raggiante.
Prendo la spazzola e districo i nodi nella folta chioma corvina, sto ancora studiando il riflesso sulla superficie lucida, quando il viso di Sebastian appare accanto al mio, allaccia le braccia in vita e dondola appena, evitando accuratamente di sfiorare il bacino al mio corpo.
 
 
<< Cosa vedi? >>.
 
 
Analizzo accuratamente le due persone ritratte, vorrei che il sentimento che germoglia nel cuore potesse essere visibile attraverso uno specchio, che potesse arrivare a Sebastian, che potesse indurlo a ricambiare e viverlo appieno con me, invece resto ferma, con l'anima in tumulto e l'estate che  fiorisce di nascosto.
<< Vedo... noi. >>, bisbiglio con un tono mesto, intenso e con un retrogusto di lacrime. Non siamo un "noi", qualche bacio e la prospettiva di provarci non fanno di noi, un "noi", siamo ancora due individui singoli che si arrischiano a coesistere per trovare un punto dove fondersi l'uno all'altro. Provo a sfondare un muro di diamanti, tasto il territorio in cerca del punto debole per rompere quel muro infrangibile, ma qui, l'unico che è riuscito nell'impresa è Sebastian stesso con me.
Lui non ha dovuto neppure individuarlo il mio punto debole, perché ero sua ancor prima di saperlo.   
 
 
Tira la bocca di lato, ha una manciata di parole inespresse, le tiene per sé, non è ancora il momento di rivelarle.
<< No... non ho ancora fatto colazione: presentami alle tue amiche. >>, decreta infine, come se l'idea di entrare nella mia vita sia un passo in più verso la grande scalinata che stiamo salendo.
 
 
Più tardi, molto più tardi, siamo altrove, lontani da casa mia, dalle domande invadenti di Jillian e i dolci sorrisi di Anastasiya, in un punto della città in cui non ero stata mai, con la sua Jaguar un po' Ferrari. Il South Boston Speedway è vuoto, ci sono solamente delle apparecchiature tecnologiche -tra cui una telecamera- da un lato del circuito automobilistico, adiacenti ai box, ed un uomo che le sta sistemando.
Camminiamo vicini ai lati della pista, al di là del guard rail, un timido sole fa capolinea tra le nuvole color panna e lambisce con raggi soffici il mio accompagnatore.
 
 
<< È stata utilizzata dalla NASCAR fino al 1972. >>, spiega zelante Sebastian, mentre ci avviciniamo all'uomo che lo saluta sbracciandosi da lontano. << Poi la Whelen All-American Series e la USAR Hooters Pro Cup fino al 2004. Ora la stiamo adoperando per un film sulla vita di un pilota che perde le gambe durante una gara. >>.
 
 
Non ho la più pallida di cosa stia parlando, mi limito ad annuire e a darmi un tono da finta intellettuale ciarlatana.
La trama già di per sé è così triste da procurarmi un groviglio allo stomaco.
<< Il pilota sarai tu? >>, tiro ad indovinare, ma è ovvio che sia lui ed è buffo, perché ho visto tutti i film e le serie tv interpretate da Sebastian, ma credo che stavolta eviterò accuratamente. È diverso quando c'è un sentimento reale di mezzo, è diverso quando conosci la persona, è diverso quando ti entra dentro.
 
 
Annuisce solamente, lancia un'occhiata riflessiva ed è come sorpreso da ciò che riscontra sul mio viso.
<< L'idea non ti piace? >>.
 
 
Scuoto le spalle, torturo le labbra e non riesco a trovare un modo per sottrarmi alla domanda.
<< No, è che credo di avere io qualche problema. >>, cerco di concludere in fretta, però lui non è dello stesso parere, vuole sapere di più, conoscermi, penetrare nei pensieri.
 
 
Sorride appena, le iridi di laguna liquida sono tutte per me.
<< Del tipo? >>.
 
 
<< Del tipo che non credo di volerlo vedere. >>. Appaio come una bambina cocciuta, che fa i capricci senza un reale motivo.
 
 
<< È solo un film. >>, dice a mo' di spiegazione, per evitarmi strani disagi che, a quanto pare, sono già presenti.
 
 
<< Sì, certo, lo so che è solo un film: ovvio. >>. Folle sì, ma non stupida.
 
 
<< Però? >>, incita a rivelare.
 
 
<< Però non lo voglio vedere. >>. Come glielo spiego che starei male psicologicamente e fisicamente nel vederlo recitare un ruolo così drammatico?
 
 
Sebastian mi afferra per un braccio, inducendo a fermarmi, ha uno sguardo d'una forza lacerante, è come se volesse leggere nel profondo dei miei segreti, sfogliare le paure e lambire i timori.
<< Ma come fai? >>.
 
 
Aggrotto la fronte, rifletto su cosa ci siamo appena detti, magari mi è sfuggita qualcosa e sto facendo una gaffe con i fiocchi.
<< A fare cosa? >>.  
 
 
<< Ieri sera ti ho detto di non essere innamorato di te, di provare solo attrazione fisica e che non c'è alcuna sicurezza che un giorno possa cambiare ciò... e tu sei qui, a soffrire per un... film... sei qui a soffrire per... me. >>. È così esterrefatto che non si capacita di come sia possibile.
 
 
<< Non ho mai detto di essere normale. >>, mi giustifico. A questo punto deve essergli chiaro che sono pazza.
 
 
<< Non voglio una persona normale... >>, gesticola appena, è nervoso adesso, quasi sconvolto dalla mia presenza, <<... se avessi voluto la normalità, avrei cercato qualcuno che fa il mio stesso lavoro. >>.
 
 
Batto più volte le palpebre, ora confusa.
<< Non capisco se questo è un complimento o un'offesa? >>.
 
 
<< Complimento. Il punto resta lo stesso: perché? >>.
 
 
Traggo un profondo respiro, metto ordine nei pensieri che poi diventano frasi ed emozioni.
<< Anche se non sei innamorato adesso, anche se non lo sarai mai, io non voglio privarmi di nulla, voglio vivere ogni singolo momento con tutta me stessa, anche se questo significherà schiantarmi su un muro ricoperto da chiodi. Se sento di soffrire per te, allora lo farò. Se sono innamorata, allora consumerò quel sentimento. Se voglio piangere perché sono felice anche per il semplice fatto che sei tornato alla libreria, allora non mi vergognerò. >>. Ho appena detto una sequela di cose che hanno reso l'atmosfera di un'importanza inquietante. << Ed oggi sono qua, quindi mi preoccuperò del futuro, quando arriverà. A proposito, sai che non sono mai stata su un set cinematografico? >>. La butto sul ridere, per stemperare i toni rilevanti.
 
 
Gli ci vuole un po' prima di digerire le mie parole e tornare partecipe del momento.
<< Lo so, è per questo che ti ho portata. >>. Ricomincia a camminare, ed io mantengo il passo. << C'è anche un'altra cosa che suppongo tu non abbia mai fatto... o almeno spero. >>.  
 
 
<< E cioè? >>.   
 
 
<< Vedrai. >>.
 
 
Raggiungiamo l'uomo che ci sta aspettando, stringe amichevole la mano di Sebastian, si conoscono da tanto è parte del cast per le riprese del film,  si scambiano frasi di circostanza, scopro che si chiama Jack, poi lo sguardo slitta sino a me e divento il centro della conversazione.
<< È lei la ragazza? >>, chiede neutro e non capisco se è scocciato, oppure non gliene frega niente.
 
 
<< Esattamente. >>.


 
Non so di preciso quando gli ha parlato di me, deve essere stato ieri sera sul tardi, dopo che mi ha riaccompagnata a casa o stamattina presto, prima che venisse da me. Forse è per questo che il tizio è irritato, siamo di domenica in un posto dove fa chiaramente freddo e per di più ha dovuto sacrificare ore di riposo per un capriccio personale di una star.
 
 
<< Bene, la moto è di qua. >>, rivela, guidandoci all'interno degli box.
 
 
<< Moto? Quale moto? >>, interrogo con una punta d'ansia.
 
 
<< Tu sai già come funziona, cerca di non superare i limiti, tieniti sulla pista e non uscire fuori dal circuito. >>, si affida prudente Jack, parlando con l'attore. << Evita peripezie e colpi di testa, mi raccomando. Se dovesse accadere qualcosa, ne sarei responsabile: non siete assicurati per questo, né tu, né tantomeno la tua ragazza. >>. È la seconda volta in meno di due giorni che qualcuno crede che io sia la fidanzata di Sebastian Stan, ed è la seconda volta in meno di due giorni che lui non spiega la verità.
 
 
La moto in questione è una moto da corsa nera fiammante, ha delle scritte pubblicitarie sui entrambe i lati. Jack passa un casco a ciascuno di noi due. 
 
 
<< Stai tranquillo. >>, lo rassicura Sebastian. << MV Agusta F4: un'opera d'arte. >>.
 
 
<< Io non sono mai salita su una moto. >>, confesso accesa, consapevole che sto per avere un'altra prima volta legata a Sebastian. Sono così su di giri da sorridere perennemente, nemmeno avessi una paresi facciale.
 
 
<< Lo so: era questa la sorpresa. Indossa il casco, Elaine. >>, ordina, infilando il suo. Tira su la zip della giacca in similpelle per evitare che lo intralci, poi, con una fluidità abbagliante ed affascinante, sale sulla moto e mi aiuta a fare altrettanto.
 
 
Insicura su cosa fare, attendo impaziente di partire, Sebastian agguanta le mie mani sospese a mezz'aria e se l'assicura in vita.
<< Stringi forte e non lasciarmi mai. >>, intima serio, ed è quello che sto già facendo da un pezzo, solo che il significato alluso è solo nella mia testa e lì resterà per sempre.
 
 
Avvia il motore della motocicletta, sgasa un paio di volte e, senza alcun preavviso rilascia la frizione, partendo spedito. Usciamo dai box, corre sicuro sulla pista vuota, controlla ogni particolare, sa di preciso cosa fare e come farlo, niente è dato al caso, l'adrenalina mi pervade nel sangue, l'eccitazione ne fa da padrone, il cuore batte come un tamburo, il vento scombina i capelli che fuoriescono da casco. E sono felice.
La percezione è ancora più possente di quella provata nel pattinare ad occhi chiusi, è assoluta, come volare nello strato più freddo dell'atmosfera, vicina a vedere l'universo intero. Facciamo due giri completi della pista, ad un certo punto rallenta, fino a fermarsi del tutto.
 
 
<< Che succede? >>.
 
 
<< Scendi: facciamo cambio. >>, annuncia concitato.
 
 
<< Cosa? >>, sbotto inquieta. Una cosa è che lui guida, l'ha già fatto è evidente, è esperto, un'altra è che devo farlo io.
 
 
<< Ce l'hai la patente? >>.
 
 
<< Sì, ma... >>.
 
 
<< Sai le basi, al resto ci penso io. Fidati di me Elaine. >>.
Di lui mi fido, è di me che non mi fido.
 
 
Smonto insicura dalla motocicletta, Sebastian scorre dietro e con qualche difficoltà prendo il suo posto. Alza la visiera del casco per darmi indicazioni, le mani scivolano sulle mie braccia per raggiungere le mie gelide dai nervi, ferme ed impreparate sul manubrio. Il corpo aderisce perfettamente al mio, riesco quasi a percepire il cuore battere frenetico sulla mia schiena.
L'accende un'altra volta, teniamo entrambe i freni, le gambe mi circondano i fianchi, è ancora lui che comanda, il suo piede è sulla frizione, sarò io a guidare, ma lui guiderà me e, nessuno si farà male.
 
 
<< Non aver paura, non ti farò cadere. >>, garantisce, abbassando prima la mia visiera e poi la sua. Rilascia con calma la frizione, la motocicletta sbalza in avanti e gli sono praticamente addosso.
Credo si sia spenta, invece parte d'improvviso e mi ritrovo, senza spiegarmi come, a quasi cento all'ora sulla pista ovale. E sono di nuovo in un frangente che ha del portentoso, tra le braccia dell'uomo di cui sono innamorata e sto volando leggera in cieli che non avevo mai scorto prima d'ora. Nulla può rovinare questo istante infinito.
 
 
Nella mia vita non sono mai stata davvero infelice o triste, non fino in fondo, posso menzionare numerosi episodi dove la gioia ne ha fatto da protagonista, eppure niente è comparabile con la felicità immensa che sto saggiando con Sebastian, niente è comparabile, davvero niente, perché per la prima volta sono innamorata sul serio.
Lui non è il principe azzurro che stavo aspettando, è il principe di tenebra e mistero che è giunto per bilanciare la mia luce.
Insieme formiamo un sole della notte, un sole che ha bisogno del suo cielo oscuro per brillare più forte di qualsiasi altra cosa al mondo.









Note:
Ah, quanta dolcezza che ho messo in questo capitolo, contornato con un po' di malinconia tra le parole e tra le frasi con significati particolari. 
Beh, anche se lui non è innamorato, da qualche parte si deve pur iniziare no?
L'idea della pista mi è venuta girovagando su youtube, tra i video dedicati a Sebastian. 

La canzone all'interno del capitolo è in lingua rumena, spero solo di aver trascritto bene il testo, perché l'ho tradotto dall'inglese e dovrebbe coincidere "Nu-nteleg ce s-a intamplat" di Brazilianu. In tutti i casi chiedo scusa per aver storpiato la lingua.


Il South Boston Speedway è un circuito realmente esistente, solo che è in disuso da molto tempo, ed era lo sfondo ideale che mi serviva per questo capitolo. La storia che lo riguarda, invece è reale. Il ruolo del film che ricopre Sebastian è inventato. 
 

La storia può presentare errori ortografici.



Un abbraccio.
DarkYuna.  



 

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Capitolo 5
*** 5. ***


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5.








 
È l'amore a fare male o siamo noi che immettiamo il dolore in un sentimento così splendido, totale e puro?
Perché abbiamo bisogno di soffrire per amare sul serio? Perché abbiamo bisogno di soffrire per avvertire quanto è sconfinato il nostro amore? Perché amare significa soffrire... sempre?
 
 
Ieri notte la neve ha iniziato a cadere silenziosa, il buongiorno di oggi è di un lattescente fiabesco, che intona un Natale meritevole di una favola e rallegra un cuore triste. Mancano quattro giorni al venticinque Dicembre e sono già a casa di nonna Anne, affollata dai parenti rumorosi, ho dovuto sorbire la prima ondata di domande sgradevoli, sul lavoro, la vita e l'amore, ogni anno la stessa storia... anche se stavolta qualcosa di diverso c'è.
 
 
Cosa siamo io e Sebastian?
Esiste una parola che definisce due persone che si stanno frequentando, ma che non sono fidanzate, dove una è innamorata e l'altra no?
 
 
Sono stravaccata in cucina, il gomito puntellato sulla penisola, dove la nonna sta preparando un'abbondante colazione, la televisione accesa trasmette uno dei numerosissimi film di Bollywood: la sua passione.
La musica di una dolcezza malinconica, fa da sottofondo ai miei pensieri non propriamente allegri.
Forse è per questo che ho questa idea così romanzata, gioiosa e perfetta dell'amore, sono stata cresciuta da libri e pellicole dove non c'era niente di più importante che amare con tutto se stesso, anche a costo di morirne. Io resto fedele alla mia indole, ma non posso pretendere che lo faccia anche Sebastian, lui è diverso da me, ha il cuore distrutto da un'altra donna, mentre il mio è talmente intatto, da accorgermi solo adesso di non averlo mai usato davvero.
Ho lo sguardo perso sullo schermo acceso della televisione, non sono davvero attenta ai due protagonisti che si baciano appassionatamente sotto la pioggia, nella mente ho fissi un paio di iridi di laguna. La stanza è addobbata a festa, c'è un maestoso albero di Natale e sul camino vi sono delle decorazioni eleganti, odore di muschio e frutta candita aleggiano nell'atmosfera calda e familiare.
Giunta all'insopportabile percezione di non poter resistere un secondo in più a fantasticare sul protagonista indiscusso delle mie turbe interiori, stropiccio le palpebre e mi sforzo a scacciare via le riflessioni funeste.  
 
 
<< A chi sono dedicati tutti questi gran sospiri? >>. La nonna è sempre stata molto diligente, accorta ai particolari o forse semplicemente mi conosce più di chiunque altro. Mi somiglia, sia fisicamente che caratterialmente, l'unica differenza sono i capelli nivei, i segni del tempo sulla pelle stanca e gli occhi di un azzurro che mi rimembra qualcun altro.
 
 
Mi stringo nelle spalle, simulo di non capire a cosa si riferisca.
<< Solo stanchezza. >>, fingo con distacco. Non ho voglia di parlare direttamente di Sebastian, ne verrebbero fuori troppe domande invadenti ed oggi ho solo bisogno di accoccolarmi al sicuro, lontana dal mondo.
 
 
<< Sei sicura, tesoro? Non sembri te stessa... sembri... spenta, ecco. >>.
 
 
<< Spenta. >>, confermo amara a mezza voce, con il broncio. Per qualcuno dal carattere allegro e spensierato come il mio, il divario è lampante, particolarmente durante le feste natalizie, dove ho sempre dato il meglio di me, coinvolgendo tutti gli altri.  
 
 
<< Chiunque esso sia, non ti merita, se offusca il tuo bel sorriso. >>. È assolutamente convinta che ci sia di mezzo il cuore, ed io non so se la colpa è di Sebastian che non è coinvolto oppure la mia che lo sono troppo. Non posso arrabbiarmi con lui se non è innamorato, i sentimenti non si forzano, non si comandano, non si implorano.
 
 
<< Non sono dell'umore giusto. >>.
 
 
La nonna sforna i biscotti alle mandorle, li lascia a raffreddare sul ripiano di marmo e mi rivolge uno sguardo dolce, quello che mi riserva quando deve accarezzarmi l'anima con una rosa.
<< Oh piccola principessa. >>. Si sporge sulla penisola e tamburella affettuosa l'indice sul mio naso. << Non sembri più nemmeno tu, chi è questo ragazzo che ha portato le ombre nei tuoi giorni? >>.
 
 
Non riesco ad articolare subito la frase, perché se lo facessi, scoppierei a piangere come una bambina e vuoterei il sacco.
<< Non sono più una principessa. >>, mi limito a dire, con un tono funereo. << Sono cresciuta. >>. E sto facendo i conti con questo.
 
 
Ravviva una ciocca svigorita dei miei capelli.
<< Tu sarai sempre una principessa, Elaine, lo eri da bambina e lo sei anche adesso. Una bellissima principessa dalla chioma di mezzanotte, gli occhi di terra e il sorriso della luna. Non permettere mai a nessuno di farti dubitare di ciò, non permettere mai a nessuno di sminuirti, non permettere mai a nessuno di dire il contrario. >>. Riprende a spadellare allegra, canticchiando la canzone assieme al film in tv.
 
 
Ho bisogno del consiglio di qualcuno di saggio e chi, meglio di mia nonna Anne può indirizzarmi sulla strada giusta.
<< Come hai capito di amare il nonno? >>.   


 
Sorride tenera, la pellicola dei ricordi si riavvolge ed è come se li stesse rivivendo ancora ed ancora ed ancora. Lei capisce di avere ragione sulla presenza di qualcuno che mi fa sospirare, io non mi espongo troppo con la domanda sul nonno, entrambe stiamo al gioco, senza forzature.
<< Io amavo tuo nonno, lui lo ha capito molto dopo. >>.
 
 
La rivelazione cattura di volata la concentrazione.
<< Che? >>.
 
 
<< Ho amato tuo nonno dal primo momento che l'ho visto... lui no, è stato sempre un uomo tutto d'un pezzo, difficile alle effusioni romantiche e all'amore: ho faticato per vincere il suo cuore. >>.
 
 
<< Vuoi dire che non si è innamorato subito di te? >>. Buffo il destino, porta a rivivere le stesse storie nel trascorrere del tempo.
 
 
Scuote semplicemente la testa.
<< L'amore è strano a volte. Ci struggiamo per qualcuno, stiamo lì ad offrirgli il nostro cuore, lo supplichiamo di prenderlo in dono nella vana speranza che possa ricambiare... >>. Il viso si intristisce, deve aver sofferto all'inizio, nelle ritrosie del nonno.
 
 
<< Come ha capito di amarti? >>.  Come capirò io se Sebastian si innamorerà mai di me o no?
 
 
Strofina le labbra tra di esse, la caffettiera borbotta e lei spegne il fornello.
<< Lo ha capito quando mio padre ha deciso che era il momento che dovevo sposarmi... con un altro. >>.
 
 
<< Con un altro? >>, prorompo sorpresa, presa come non mai dal racconto.
 
 
<< Esattamente. >>.
 
 
<< E poi? >>.
 
 
<< Tuo nonno lo ha scoperto e quella stessa notte è venuto a prendermi a casa. >>.
 
 
<< Siete scappati? >>. L'idea romantica del fuggire riesce a fare colpo su di me, nonostante i tempi ed i modi siano cambiati. Se in questo preciso momento Sebastian facesse lo stesso, non ci penserei due volte a seguirlo in capo al mondo.
 
 
<< Sì. Ci siamo sposati due mesi dopo. Abbiamo atteso solo il sacramento per poterci dimostrare l'amore. >>. Si strofina le mani nel panno da cucina e poi si accerta che tutto sia pronto per la colazione. << Bene, vado a svegliare gli altri. >>. Mi passa accanto, schiocca un bacio sulla fronte e sparisce nel corridoio.
 
 
Ciabatto pigra fino al divano, il mio cellulare è sul tavolino basso, lo prendo per scrivere un messaggio a Sebastian, tuttavia, evidentemente, stava pensando la stessa cosa, perché il display si illumina più volte e il suo nome lampeggia all'impazzata: mi sta telefonando.
<< Buongiorno. >>, dico, con il cuore pieno di speranze. La storia della nonna mi ha messo di buon umore.
 
 
<< Non sei a casa? >>, chiede brusco, non si ferma a convenevoli, niente saluti o dolcezze: è nervoso. Ed è come una secchiata di acqua gelida in pieno inverno.
 
 
Siedo sul divano, non so il perché, ma ho bisogno di un supporto fisico, in tutti i casi le gambe cedano.
<< No, perché? >>.
 
 
<< Voglio vederti, dove sei? >>, ha una certa urgenza nella voce calda.
 
 
<< A casa di mia nonna... ma se vuoi posso venire a... >>.
 
 
<< No. >>, interrompe atono. << Conosci il Fairmont Copley Plaza? Ti aspetto lì tra un quarto d'ora, va bene? >>.
 
 
<< V-va bene. >>, balbetto a stenti, ho le lacrime agli occhi ed un nodo che si stringe in gola. Mette giù prima che possa fare un fiato.
Perché passa a compiere gesti gentili come quello del giro in moto una settimana fa ad essere così distaccato ora?  
Faccio davvero fatica ad inventare una scusa credibile per sgattaiolare via alle otto del mattino, in una Boston innevata, senza destare eccessivi sospetti nella mia famiglia. Ho appena il tempo di una doccia veloce e di indossare qualcosa alla bell'e meglio.
 
 
Il Fairmont Copley Plaza è situato di fronte la biblioteca pubblica in una piazza a quindici minuti a piedi dal vero centro della città, ha uno stile lussuoso, raffinato, elegante, e torno ad essere la principessa che ha elogiato mia nonna con un amore sconfinato. Nella hall, ci sono tappeti un po' ovunque, lampadari di cristalli a grappoli dalla luce aranciata, pavimenti in marmo, tappezzeria raffinata e di buon gusto.
Io non centro nulla qui, sono un pesce fuor d'acqua.
Ispeziono l'atrio smarrita, tra i volti sconosciuti non riconosco quello familiare che sto cercando, quindi mi accosto alla reception per chiedere informazioni e sperare di non essere scambiata per una fan e buttata fuori.
 
 
Sto attendendo che la coppia prima di me finisca di parlare con l'addetto al di là del bancone, tamburello le dita nervosa e torturo le labbra con i denti.  
<< Elaine! >>, chiama la voce maschile che speravo di sentire.
 
 
Sebastian esce dall'ascensore dorato, sorride raggiante come se il paradiso fosse appena sceso in terra e, sbigottendomi, viene di corsa ad abbracciarmi, travolgendomi in ogni modo umanamente possibile. È  come se mi stesse abbracciando direttamente l'anima. Usa un entusiasmo tale da sollevarmi da terra, non accenna a volermi lasciare andare.
Al cellulare appariva arrabbiato, ma forse mi sono sbagliata, inizio davvero a non capirci nulla.
Credevo non volesse dare modo a nessuno di invadere la sua privacy, non l'ha mai detto apertamente, tuttavia è ciò che fanno di solito le persone famose, invece, quando meno me lo aspetto mi bacia con una dolcezza che filtra attraverso uno spiraglio stretto ed esplode come un fuoco d'artificio nel buio, illuminando tutto, illuminando il cuore, illuminando me.
 
 
Abbiamo gli occhi delle persone addosso e sono talmente rossa in viso da confondermi con la moquette dell'albergo.
Torno con i piedi sul pavimento, la testa è ancora tra le nuvole, non garantisco che il mio corpo possa rispondere ai miei comandi, tremo e sorrido incontrollata.


 
Prende salda la mia mano nella sua, è radioso, sembra davvero felice che io sia qui.
<< Vieni, ho un regalo da darti. >>, annuncia spensierato. Non vi sono più ombre in lui e mi chiedo cosa possa aver indotto il cambiamento, perché non è lo stesso Sebastian che ho frequentato nell'ultima settimana.
 
 
Batto più volte le palpebre, stupefatta.
<< Io non ho il tuo regalo qui con me! >>, esclamo colpevole, con tutte le buone intenzioni di rimediare. In realtà sono giorni che mi scervello su cosa comprare a chi ha già tutto o può avere tutto e non sono giunta a nessuna conclusione logica.
 
 
<< Me lo darai la prossima volta. >>, minimizza la mancanza con un cenno della mano. Fa strada verso l'ascensore, attendiamo che le porte si aprano e poi entriamo dentro. Preme il bottone del terzo piano.
La sua espressione si trasforma al battere emozionato del mio cuore, impegnato a supporre cosa sia il misterioso regalo di cui ha accennato, non immagino sul serio i desideri oscuri che mi hanno portata qui oggi.
 
 
La sua camera è quella più lontana dalle scale e dal via vai rumoroso dell'ascensore, è grande quasi come l'intero appartamento che condivido con Jillian ed Anastasiya, lussuosa almeno il quintuplo e la visuale dell'invernale Boston è mozzafiato. C'è odore di profumo per ambienti.
Solo in un secondo momento rifletto sul fatto che siamo noi due da soli, dentro una camera da letto.
 
 
Sono persa a contemplare il l paesaggio, quando le mani di Sebastian gravano delicate sulle mie spalle e con una lentezza inusuale, mi sfila il cappotto per riporlo su uno dei divanetti grigi presenti nella stanza.
Nessuno dei due proferisce parola, il silenzio è impaziente, carico di concetti arcani, solo i nostri respiri fanno capolinea di tanto in tanto.
Sposta garbato i miei capelli, lasciando scoperta la pelle nuda del collo ed è lì che la sua bocca fa rapidamente presa, le labbra bagnate tracciano una scia proibita di baci nei punti più sensibili e ricettivi.
Rabbrividisco più volte di frenesia mal celata e sono sul punto di parlare, di rivelare un'altra prima volta che sta per essere consumata, la prima volta più importante di tutte, ciò nonostante la voce si spegne e stupidamente taccio.
La giacca d Sebastian trova posto sopra la mia, le mani avide cingono la vita, cercano il tessuto del mio maglione e con un gesto che mi fa girare la testa, lo toglie via. La bocca affamata reclama molto di più, un di più che mi spaventa per la velocità con cui sta capitando, un di più che vorrei che rallentasse, un di più che desidero, ma non adesso.
 
 
<< Girati. >>, sussurra peccaminoso, le orecchie fischiano, sono agitata, il cuore è un turbine inarrestabile.
Incontro un paio di iridi d'inverno in tempesta, le tenebre si dibattono prepotenti in essi, riesco a scorgere l'abisso di cupidigia smodata che attende solo questo per potersi rivelare definitivamente.
 
 
Schiude la bocca, gli occhi scorrono su di me, trattenendosi sul seno velato dal reggiseno, deglutisce appena, si gode ogni singolo attimo, lo imprime a fuoco nella mente e non lascia sfuggire niente.
<< Spogliami. >>, dispone erotico ad un certo punto, disorientandomi.
 
 
Non credevo che mi sarei sentita così sotto pressione la mia prima volta, così inadeguata, imbarazzata e spaventata. Non so se confessandoglielo sarebbe diverso, se avesse almeno cercato di mettermi a mio agio e rispettato nei tempi e nei modi, sto sbagliando lo so, ma voglio che sia completamente se stesso, senza riserve.
Le mani tremano sulla camicia nera, slaccia un bottone alla volta dall'asola, svelando la pelle perfetta, una rada peluria sul pettoruto torace, i muscoli definiti e guizzanti, ma non eccessivi. Ogni cosa è al punto giusto, forse anche troppo, poiché basta la visione del suo corpo per atterrirmi ulteriormente, sia sul piano fisico che quello mentale.
Nel cervello ho immagini confuse e caotiche di quello che sta succedendo e di come si evolverà il nostro incontro, che mi spingono ad un attacco di panico in piena regola.
Scalcia via le scarpe, non stacca lo sguardo un solo momento, sono una preda che non ha scampo. Conduce le mie dita gelide sulla cintura, la sfibbio scossa, sbottono i jeans e con un'audacia che non m'appartiene tiro giù la lampo. Sono occupata a combattere le mie paure più recondite, quando Sebastian si approssima inesorabile, per un bacio che ha dell'immorale.
Ancora più passionale, spinto, intimo e sfrontato dei precedenti, è un bacio che serve ad accrescere l'eccitazione, un bacio che non ha nulla di tenero, che si basa solo sulla smania materiale. Mi prende di slancio in braccio, le cosce oscenamente aperte sui suoi fianchi scalpellati, mi trascina di peso sul letto, è preso da un'impazienza che non si arresterà, prendo consapevolezza che non si fermerà, che andrà fino in fondo.
 
 
Accade tutto con una rapidità che non mi concede il tempo necessario per abituarmi, spoglia vorace, togliendo via gli ultimi indumenti che mi celavano a lui, adesso sono completamente nuda dinanzi a quegli occhi di paradiso con lingue infernali. Lo vedo levarsi i jeans e, con un brivido di autentico panico che ha in sé trame di una turbinosa eccitazione, anche i boxer.
Ho ancora un'ultima occasione per essere sincera, ma quando riprende a baciarmi, il cervello si scollega totalmente, l'unica cosa che avverto è il suo corpo sul mio che anela piacere, il suo desiderio svetta prepotente tra le mie gambe. E, prima che possa andare lì dove non è mai stato nessuno, recupera un preservativo dal comodino accanto al letto e lo indossa sulla turgida eccitazione.
 
 
Era già tutto programmato, sapeva che sarebbe accaduto, era prestabilito per oggi, non sarebbe trascorso un altro giorno in più senza soddisfare l'attrazione fisica che lo schiaccia prepotente.
 
 
Lo scruto nei più piccoli particolari del viso, gli occhi sono un punto fermo nei miei, è di una voracità totalitaria e, quando lo sento farsi spazio dentro di me, mi aggrappo alla schiena, tollerando stoicamente il dolore tagliente ed acuminato che mi strappa un gemito di schietta sofferenza. Non è come lo hanno descritto, non è un momento e poi passa, non si sente piacere la prima volta, non è perfetto come vogliono far credere nei film, non ci sono languori e soavità, perché fa male, davvero male, troppo male. È insopportabile.
E, benché io abbia taciuto, lui ha appena capito.
Gli esce un respiro strano, un misto tra turbamento e smarrimento, la mano tocca il punto preciso dove i nostri corpi si incontrano e la visione delle dita sporche da abbondante sangue, lo atterrisce.
 
 
Boccheggia, traumatizzato più di quanto possa credere, batte convulso le palpebre perché non riesce a capacitarsi di quel che è appena successo, scuote più volte la testa.   
<< P-perché? >>, balbetta. Ha perso tutta la sua ostentata sicurezza, le iridi di fuoco diventano un vortice di colpe imperdonabili, la voce trema, l'atmosfera si rompe, così come il mio cuore.
 
 
Cosa posso rispondere? Perché l'ho fatto? Perché non l'ho avvertito? Perché non l'ho reso partecipe, invece di trattarlo alla stregua di una comparsa sullo sfondo della storia di cui è protagonista? Perché, se alla fine ogni cosa mi si è rivoltata contro? Perché, se è una relazione con lui quella che sogno sopra ad ogni altra cosa?
 
 
Non attende che possa spiegargli, si sfila piano da me, balza in piedi gelido, ha l'espressione ruvida, e senza dire una parola si chiude in bagno.
Ho un forte bruciore smisurato tra le gambe, c'è una chiazza vistosa di sangue sotto di me, ha sporcato tutto, ha sporcato me ed ha sporcato Sebastian... a lui l'ha sporcato dentro, nelle profondità dell'anima e quella macchia non verrà mai via. Mi raggomitolo in posizione fetale, copro le nudità con il lenzuolo, mi sento contaminata dentro, in peccato: sono un mostro.
Vorrei piangere, ma c'è qualcosa al centro del petto che blocca ogni reazione umanamente possibile.
Trascorrono una manciata di minuti di eterno supplizio, dove odo solamente dell'acqua scorrere, Sebastian torna nella camera, strappa quasi via il lenzuolo, mi prende di slancio tra le braccia forti e mi conduce in bagno. Ha riempito la capiente vasca di acqua calda, mi adagia in mezzo ad essa e lui scivola alle mie spalle.
 
 
Resto rigida ed inerme, mentre imbeve una spugna con profumato bagnoschiuma al miele e strofina riguardoso la mia schiena tesa. Ho le ginocchia strette tra le braccia, non accenno a muovermi o a rilassarmi, tremo visibilmente.
 
 
<< Elaine, lascia che mi prenda cura di te. >>, mormora premuroso, e questa è la prima cosa dolce che dice nei miei confronti. Mi persuade a gravare sul torace accogliente, la spugna sparisce sotto il livello dell'acqua, raggiunge la pelle dove il sangue si è rappreso e lambisce piano, accorto a non provocarmi ulteriore dolore. << Avrei dovuto capirlo... i segnali c'erano tutti... così come avrei dovuto capire che non era una semplice infatuazione, come credevo che fosse. >>. Chi è che regalerebbe la propria prima volta ad una semplice infatuazione?
 
 
Chiudo gli occhi, perché d'un tratto tutto è chiaro, sotto una nuova luce.
<< Tutto quello che hai fatto ed hai detto, era per questo? Per... per finire a letto? >>.
 
 
La risposta impiega del tempo prima di giungere, pesante come un macigno.
<< Sì. >>. La sincerità è un colpo di pistola.
 
 
<< Anche quando hai detto che non era solo sesso squallido? >>. È stato davvero bravo a convincermi, non si è dovuto nemmeno sforzare oltremodo, qualche parola al punto giusto, uno sguardo ben congeniato, la messinscena con le mie amiche... e mi ha fregata su tutta la linea.
Dopotutto è un attore, ed anche di un certo calibro.
 
 
<< Sì. >>.
 
 
Ammetto in silenzio di averlo sempre saputo, ma di averlo voluto negare a me stessa, perché avrebbe fatto meno male una bugia, che una cruda verità. Volevo il principe azzurro, ho avuto il lupo cattivo.
<< Sono queste le condizioni? >>. A stenti riconosco la mia voce, appare impersonale, fredda, lontana... è come se qualcosa si fosse appena spezzata dentro di me e in maniera definitiva: il mio cuore.
 
 
<< Che condizioni? >>.
 
 
<< Per restare nella tua vita... solo sesso e basta? >>.
 
 
<< Perché vuoi restare nella mia vita? Perché? Dopo quello che è successo? >>. Non se ne capacita nemmeno lui, è assurdo pensarlo, figuriamoci chiederlo e invece l'ho fatto, glielo sto chiedendo, quasi supplicando.
 
 
Scuoto le spalle: perché sono talmente innamorata di lui che sto per distruggere il mio orgoglio pur di avere un frammento del suo essere.
<< Devo essere molto stupida. >>, rispondo asciutta e sintetica. << Non ci saranno problemi da parte mia, niente banali gelosie, non devi comportarti bene per compiacermi, non c'è bisogno di false romanticherie, saremo solo amici per chiunque sarà invadente nei tuoi confronti, non avrai bisogno di girarci attorno, quando vorrai scopare sarò pronta... possiamo iniziare sin da subito. >>, sputo inflessibile, con un linguaggio volutamente volgare, ma quando faccio per alzarmi, Sebastian mi stringe forte appena sotto il seno, sono completamente avvinta a lui e non posso più muovermi. È un bisogno fisico spasmodico di sentirmi addosso, che non può fare altro che esternarlo, senza spiegarlo.
 
 
Quell'abbraccio arriva dritto al cuore a pezzi e lo sbriciola maggiormente, perché sa che non sarà mai amato come spera.
 
 
<< Per oggi restiamo così... ho già preso la parte più preziosa di te, non proseguiamo oltre. >>. Questa accortezza non gli si addice, non si confà con l'atteggiamento da stronzo che ha adoperato fino ad oggi.
 
 
Fisso un punto indefinito sulle mattonelle blu oceano del bagno, serro la mandibola talmente tanto, che son sorpresa che non si fracassi sotto tutta quella pressione.
<< No, la parte più preziosa di me, te la sei presa la prima volta che mi hai sorriso. >>.









Note:
Beh come vi avevo accennato anche negli altri capitoli, Sebastian non è Chris, ogni cosa accaduta fino ad oggi era per portarla a questo punto, perché lui voleva solo questo da lei, niente relazioni, niente romanticherie, niente sdolcinatezze, anche se sembrava che ci fosse speranza, in realtà non ce ne era. 

Per chi lo avesse notato il Fairmont Copley Plaza è lo stesso albergo dove Andria soggiornò durante la sua vacanza a Boston (per chi ha letto la prima parte capirà). Quindi stesso posto, ma due scenari completamente differenti. 

Ho tenuto a descrivere la prima volta di Elaine, per sfatare il mito che la prima volta di una donna sia rose e fiori, perché no, non è così, non si sente piacere, si sente dolore e c'è il sangue. Smettiamola di alimentare una favola fasulla, che crea aspettative e poi nella delusione, crea molti complessi. Poi, ovviamente ogni esperienza è soggettiva, perciò a qualcuna può essere andata diversamente. 

Per chi non conoscesse, non ho sbagliato a scrivere "Hollywood", perché la catena di film "Bollywood" esistono davvero, ed appartengono all'India. (Altra mia grande passione).

 

La storia può presentare errori ortografici.



Un abbraccio.
DarkYuna.  



 

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Capitolo 6
*** 6. ***


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6.








 
A volte accade... accade che, nel credere con tutta te stessa in un sogno di zucchero filato, l'amara delusione al fiele è un boccone che resta statico in gola e ti soffoca negli effetti devastatori della propria utopia scriteriata. Più abbiamo auspicato e più sarà abissale il dispiacere.
Accade, è vero, e tu vorresti smettere di volerci provare ancora e ancora, magari sarà la volta buona ti convinci, magari accade il miracolo, ma intanto ti spezzi dentro e i frammenti si disseminano nel vento e non sei più tu e non ti riconosci e ti arrabbi e ti avvilisci e piangi fino a prosciugarti, però tutto resta invariato e soffri di più, perché ti sforzi, combatti e prosegui imperterrita, fino a quando ti sbricioli definitivamente e non sei più in grado di ricomporti.
 
 
Dovrei odiare Sebastian, coerentemente è quello l'atteggiamento da adottare verso qualcuno che ti ha presa in giro sin dall'inizio, con un vergognoso obiettivo celato da un sorriso attraente. E invece no, perché non faccio altro che pensare a quello stesso sorriso che è stato in grado di prendermi il cuore come mai prima d'ora. Ho visto cose in quel sorriso, che forse erano solo nella mia mente, ho visto ciò che volevo vedere e non la realtà.
 
 
Ho trascorso un Natale da schifo, l'umore sotto terra, non ero in vena di risate, canti festivi, regali ed ogni cosa di felice ci possa essere in questo periodo. Che sto male, se ne sono accorte anche le pietre.
Sebastian mi ha chiamata più volte per gli auguri e per sapere come stavo... ho mentito, sto mentendo a tutti, è sorprendentemente così facile che è come bere un bicchier d'acqua.
Io non so cosa mi abbia fatto, so solo che quando sono uscita da quella camera d'albergo non ero più la ragazza di sempre. Ora sono una sconosciuta perfino per me stessa.
Adesso che... adesso.
 
 
Adesso sono qui, davanti alla libreria chiusa, piove a dirotto ed ho dimenticato l'ombrello come sempre, sono fradicia dalla testa ai piedi, tuttavia sono ferma sul marciapiede, tra il via vai concitato delle persone e lascio che la pioggia mi sussurri parole che non hanno vocaboli, ma sono composte da suoni che nessuno ascolta più.
Non credo di essere tra le poche elette che meritavano un amore vero, quello con la "A" maiuscola, che dura per sempre e che non sfiorisce mai, però non mi spiego perché io abbia avuto la magnifica possibilità di conoscere l'uomo che abitava i miei sogni più rosei e di essere divisi da un gelido muro di fredda imperturbabilità.
 
 
D'un tratto non sento più il temporale, apro allarmata gli occhi e vedo un grosso ombrello blu ripararmi. Il proprietario di quell'ombrello è Chris Evans... Chris Evans è qui, proprio qui a venti centimetri da me e mi sta cordialmente evitando di prendere una polmonite. 
Ha un mite sorriso luminoso, la dolcezza ritratta in un viso buono e generoso. I capelli castani chiari sono umidi e pettinati all'indietro, un velo accennato di barba, e da vicino è più alto e fisicamente più nerboruto di quanto pensassi.
 
 
<< Deduco che tu stia risparmiando sulla bolletta dell'acqua, facendo direttamente la doccia sotto la pioggia? >>.
 
 
Devo metterci tutta la mia buona volontà per non scoppiare a ridere, perché sono sul serio emozionata. È la prima volta che lo incontro di persona e che mi rivolge la parola... con il senno di poi, studio minuziosamente ciò che provo e l'entusiasmo si sgonfia come un palloncino difettoso: non sento niente.  
<< C-cos cosa? >>.
 
 
Aggrotta appena le sopracciglia, le iridi sono un pezzo d'arte.
<< Elaine, giusto? Hai un'aria sconvolta, tutto bene? >>, si preoccupa onesto, non ha secondi fini. Se perfino uno sconosciuto se ne è accorto, allora c'è davvero qualcosa che non va.
 
 
Annuisco e fingo un sorriso da premio Oscar.
Sebastian Stan è un suo amico, non posso andare a sfogarmi proprio con lui, non l'ho fatto con nessuno fino ad oggi ed è meglio così. Si intrometterebbero troppe persone e si creerebbe un caos inutile, poi il passo sarebbe breve per giornalisti e fotografi... a me va bene così, sono io che ho chiesto questo e non mi tirerò di certo indietro.
<< Ho solo dimenticato l'ombrello. >>, inganno per il bene di tutti. Rovisto in fretta nella borsa alla ricerca delle chiavi del negozio, avrei dovuto già aprire e sono in ritardo. Non voglio che lo venga a sapere Andria ed abbia dei ripensamenti sulla mia condotta, fino ad oggi irreprensibile. << Ti serviva qualcosa? >>.
 
 
<< Mia moglie ha dimenticato il cellulare, ero nei paraggi e sono passato a riprenderlo. >>. Pronuncia fieramente "mia moglie", riesco a percepire il portentoso amore che prova per lei, nutro un briciolo d'invidia, per ciò che io posso solo immaginare.
 
 
Anastasiya mi ha fatto leggere un articolo che li riguardava, un brutto episodio accaduto anni fa, dove Andria è rimasta vittima di un tentativo di rapimento ai danni di Chris Evans finito molto male. Lui le ha donato il suo sangue, per tenerla in vita.
Il suo sangue!
Non conosco azione altrettanto incredibile che possa comparare un gesto del genere. È il tipo d'amore che anelavo per me stessa, ma il principe azzurro si è innamorato di un'altra principessa.
 
 
<< Oh sì, l'ho messo accanto al computer, in attesa che tornasse. >>. Gli faccio strada all'interno della libreria, riaccendo gli interruttori e il riscaldamento, mentre prendo un asciugamano dal piccolo bagno sul retro per tamponare i capelli.
Recupero il cellulare, lo consegno nelle mani di Chris Evans, che prosegue bonario a guardarmi.
 
 
<< Sicura di stare bene? >>. È quel tipo di persona che aiuterebbe chiunque a qualsiasi costo, non gli importerebbe chi o quale sia il suo problema, sarebbe capace di sobbarcarsi i dilemmi degli altri per risolverli.
Ed è assurdo, anzi di più, paradossale, perché è proprio con lui che decido di aprirmi, né con mia nonna, né con Anastasiya, ma con Chris Evans.
 
 
Siedo stanca sulla sedia, dietro al bancone, la maschera di finta compostezza viene via con facilità e solo ora mi rendo conto quanto sia pesante indossarla. Sevizio il tessuto spugnoso dell'asciugamano.
Mi stringo nelle spalle, il nodo in gola diventa un cappio mortale e le lacrime esplodono senza che possa far altro che lasciarle scorrere.
 
 
Chris è sorpreso dalla reazione fragorosa, a passo spedito aggira il mobile che ci divide e mi abbraccia caloroso. Non lo fa perché vuole altro, non lo fa con cattive intenzioni, non è Sebastian, lui è Chris Evans e lo fa per darmi davvero supporto morale.
<< Oh mi dispiace. >>, dice frenetico, accarezzando gentile la schiena, senza sapere di preciso per cos'è che gli dispiace. << È qualcosa di grave? Posso fare qualcosa per risolverlo? >>.
 
 
 
Scuoto la testa, i singhiozzi mi riempiono la bocca, devo metterci tutta la buona volontà per articolare frasi di senso compiuto.
<< N-no, sono solo una stupida. Nessuno può fare qualcosa per me... nessuno. Sono l'unica artefice dei miei casini. >>.
 
 
Mi scosta leggermente, ma sono ancora stretta a lui, le sue dita asciugano gentili i lucciconi bollenti ed il sorriso è come un sole estivo ai primi bagliori mattinieri.
<< Problemi di cuore? >>, ipotizza con il tono più delizioso possibile. Non mi sta giudicando, mi sta offrendo una spalla su cui piangere.  
 
 
<< Io sono un problema vivente, perché sono andata ad innamorarmi di qualcuno che non prova lo stesso per me! >>, frigno, preda della disperazione. << Ed io... i-io... credo di essere innamorata, ma non una semplice cotta passeggera, quel tipo di infatuazione che è più amore, che una semplice sbandata... ero c-certa che ci fosse qualcosa, che sentisse qualcosa, anche di piccolo, per me, ma poi, poi... ha fatto una cosa, ed io ho capito che non è questo che vuole da me, non è il mio cuore. >>, confesso tutto, non ho filtri, non so il perché tra tutti ho deciso che proprio lui fosse la persona giusta, è probabile che la spiegazione risieda nel fatto che il mio cervello lo colleghi a Sebastian.
 
 
La mimica cambia, è preoccupato da ciò che gli ho appena rivelato.
<< Ti ha mancato di rispetto o... qualcosa di peggio? Ti ha fatto del male fisicamente? >>. Ha l'aria di qualcuno che agirebbe in prima persona per preservarmi da una violenza corporea.
 
 
Scuoto energicamente.
<< N-no... ma non è il mio cuore che vuole. >>, provo a spiegare, senza scendere in dettagli intimi e Chris Evans intuisce al volo.
 
 
 
Sospira dispiaciuto ed è autentico, non riuscirebbe a mentire nemmeno se volesse. Sta per dire qualcosa per aiutarmi, quando un movimento cattura la nostra attenzione e ci voltiamo entrambi verso la persona che è appena entrata nella libreria.
Con un brivido di puro terrore, tra le lacrime e la vista annebbiata, distinguo il volto adirato di Sebastian.   
Chiunque avrebbe travisato la realtà al suo posto, anche se fosse arrivata Andria, sarebbe accaduto. Sono tra le braccia di Chris Evans, è molto vicino a me, c'è un clima quasi intimo, mi sta accarezzando premuroso il viso ed ha un'espressione tenera, pensare male è naturale.
 
 
Balzo all'indietro maldestra e la mia reazione improvvisa ed inconfutabile, induce Chris a giungere nuovamente all'unica soluzione possibile. Gli occhi prendono consapevolezza, vedo anche dell'altro che non riesco a penetrare, qualcosa che va oltre me, anche se mi comprende, è un episodio che accomuna il loro passato.
<< Grazie per il cellulare di Andria, Elaine... continueremo la nostra chiacchierata un'altra volta. >>, promette, il tono è aspro, ma non per colpa mia. << Mi ha fatto piacere conoscerti. >>. C'è un silenzio sinistro e la tensione si può tagliare a fette.
 
 
<< Anche a me. >>, balbetto talmente in imbarazzo che incespico nelle vocali.
 
 
Fa un cenno con la mano verso di me e, sotto il mio sguardo scioccato se ne va dal negozio, non prima di aver lanciato un'occhiata in cagnesco a Sebastian. Credevo fossero amici, allora perché questo comportamento?
Per la prima volta, da quando frequento Sebastian, ho paura di restare sola con lui, ha l'espressione dura, furente e cattiva, da questo non ne scaturirà niente di buono.
 
 
Schiocca la lingua al palato, ha un sorriso maligno e risentito, infila le mani nelle tasche del cappotto e cammina a rilento verso di me.
<< Che dire... ti consoli in fretta. >>, accusa disgustato, usando tutta la crudeltà di cui è capace. Poggia le mani sul bancone, le iridi sono pugnali acuminati con cui mi frugano nel profondo. << Con un uomo sposato per giunta. Se non fossi stato io il primo, avrei seriamente creduto di essere l'ultimo di una corposa lista. >>. È denigratorio, disumano e feroce, un fuoco corvino vibra in lui e rischia di incendiare viva anche me.
 
 
Fuori controllo lo schiaffeggio risentita e capisco ciò che ho fatto solo dopo che le impronte delle mie dita si ritraggono sul viso bellissimo.
 
 
Serra la bocca, gli occhi sono lava fluida, scorgo una furia cieca in lui, è la calma glaciale prima della tempesta e, quando scatta rabbioso, raggiungendomi letale dietro il bancone, non ho altre vie di scampo: sono in trappola.
Mi afferra prepotente per i polsi impedendomi di reagire, li stringe così tanto da farmi lacrimare dal dolore, poi spinge implacabile verso lo stanzino sul retro, mi schiaccia con il peso massiccio contro il muro e non posso fare altro che arrendermi alla sua forza. Blocca le braccia al di sopra della mia testa con una mano, con l'altra strattona violento i miei pantaloni, poi l'intimo e le dita si intrufolano di prepotenza tra le pieghe del mio sesso, stuzzicando osceno.  
 
 
<< È questo che vuoi, vero? >>, sibila adirato, soggetto ad una gelosia che non credevo possibile, la scorgo nelle parole, nel viso furibondo e dal comportamento spietato. È certo di umiliarmi, offendermi come donna, ma la risposta spontanea del mio corpo confuta ogni sua teoria, poiché, lì dove continua a provocare abile, si inumidisce in fretta di un fluido denso che non può essere frainteso: sono eccitata.
 
 
Appare stupefatto da quel che sta succedendo, si aspettava di tutto, ma non questo. L'indice ed il medio scivolano dentro di me, spezzandomi il respiro, è un gioco brutale ad uscire ed entrare con un ritmo serrato, poi le sfila del tutto e le succhia con voracità crescente, la lingua si attarda dove il mio piacere è più abbondante sulle dita. Afferra brusco l'attaccatura dei miei capelli per attirarmi a sé e baciarmi con rabbia bestiale, c'è una passione infuocata, mista ad un'ira fatale.
Potrebbe entrare chiunque in negozio e vederci, questo non fa altro che rendere il momento maggiormente proibito e pericoloso.
Si toglie di fretta la giacca ed il maglione con una cupidigia irrefrenabile, ha sete di me, vuole saziarsi profondamente della carne e non si fermerà fino a quando non spegnerà la brama smodata. Non ha riguardi, non ci va piano, non mi sta rispettando come persona, non sta avendo cura del fatto che questa è ancora la mia prima volta, agisce per fini egoistici, cancellando ciò che di più inviolato c'è in me.
 
 
Mi obbliga quasi a stendermi sull'angusto tavolino che c'è nella stanzetta, scalciando via i pantaloni... stavolta è lui che mi spoglia senza nessuna dolcezza.
Non muovo un muscolo, l'agitazione si legge a caratteri cubitali sul mio viso. Le mani morbide afferrano di prepotenza il seno, con uno strattone tira giù anche i suoi boxer e l'erezione è più voluminosa di quanto ricordassi, l'agguanta di getto e senza alcuna premura, penetra svelto dentro di me.
Non parlo mai, non so cosa sento di preciso, ancora male impregnato da smania selvaggia, ho chiara solo l'idea che è questo che voglio, che lo voglio da lui e da nessun altro e che lo voglio sempre, continuamente, solo per me. È per questo che non piango, che non urlo, che ho smesso di oppormi, perché sono più che consenziente.
 
 
Facciamo sesso spietato, collerico, ad ogni colpo si impone di entrare sempre più in profondità, voglio sentire dolore e godimento in questo modo, ogni parte di me deve sapere di lui, voglio morire mentre ricevo piacere da lui e gliene elargisco altrettanto altro.
Indirizzo la sua mano tra le mie cosce oscenamente spalancate, nella parte più sensibile, Sebastian non se lo fa ripetere due volte e torna a stimolarmi da dove si era fermato, per giungere all'apice in fretta. Massaggia intensamente, si ferma per qualche breve momento e riprendere con maggiore foga, è la via giusta per portarmi al paradiso.
Pratica questo giochetto ancora, ancora e ancora, soffia su un fuoco letale, fino a quando avverto montare l'orgasmo di una furia cieca. È feroce, di un impeto sconquassante, inizia dal basso e conflagra verso l'alto, compromettendo totalmente il corpo e bloccando il cervello.
Lui resiste fino a quando non si accerta che io abbia goduto del suo corpo, poi cede alla pressione sfibrante e viene dentro di me più e più volte liberandosi, alla fine si abbandona esausto.
 
 
Il respiro torna lentamente regolare, ho il cuore che batte all'unisono con il suo e, nel silenzio pigro della quiete dopo la tempesta, assimilo realmente quanto io sia innamorata di Sebastian e di quanto sia deleterio il rapporto con lui.   
Chiudo gli occhi, il cuore mi fa male, è gonfio di spasmi, sento così tanta afflizione che non riesco più a gestirla. Sto soffrendo, soffrendo molto, soffrendo troppo. Un singhiozzo mi scardina la gabbia toracica, le lacrime scivolano mute sul viso.
 
 
Sebastian si sposta lesto, il vuoto mi piomba addosso come un macigno che mi schiaccia i polmoni. Sono più che certa che si stia rivestendo, perché in fondo non siamo altro che questo, non siamo altro che carne e passione, l'ho chiesto io dopotutto, invece di arrabbiarmi ho accettato di essere usata, invece di urlare e respingerlo, gli ho permesso di scopare il mio corpo senza pietà. D'un tratto avverto le braccia scivolare sotto di me e con forza obbligare a mettermi seduta, per stringermi protettivo al torace caldo.
 
 
Rabbrividisco per il vigore che provo nel suo tenere i frammenti di me che stanno crollando, non mi sta semplicemente abbracciando, sta sfiorando la mia anima. Ha fatto lo stesso quando mi ha respinta il giorno che gli ho chiesto di frequentarci.
 
 
<< Questo... questo deve finire, Elaine. Non è un gioco che puoi sostenere, non è per te. >>, sussurra con un tono mesto e quasi ci credo sul serio che gli dispiaccia. Lambisce i miei capelli e strofina il viso sulla mia fronte, per placare la mareggiata.
 
 
<< Per me non è mai stato un gioco. >>, singhiozzo involontaria. << Però posso farcela. >>. Sciolgo brusca l'abbraccio, asciugo rabbiosa le lacrime e faccio un sopruso su me stessa, per un sorriso che sa di bugie e mestizia. Sta cercando di scaricarmi, non di lasciarmi, perché non siamo mai stati una coppia e non lo saremo mai. Scarichi una persona sgradevole, lasci una persona che hai amato.
 
 
Le iridi di laguna intravedono un particolare sul mio viso che non lo fa retrocedere di una virgola dalla sua irreversibile decisione.
<< Guardati... dopo solo due settimane che mi conosci, stai cadendo a pezzi. >>. Non mi sta disprezzando, sta solo riportando la realtà dei fatti.
 
 
<< Non deve importanti! >>, replico accalorata. Se vuole usarmi che si accomodi, ma almeno che non faccia finta che gli interessi.
 
 
La mascella si contrae, ha di nuovo una mimica gelida, annuisce più ad un suo pensiero che a me. Si volta a raccogliere i vestiti, non mi degna più di uno sguardo e, prima di andarsene, parla un'ultima volta.
<< Non mi importa infatti, è per questo che finisce qui. Ero passato per dirti che le riprese del film sono cessate: sono in partenza per New York. >>.  









Note:
Beh, che caratteraccio che ha Sebastian! Però d'altronde, non riesce a fare altrimenti... forse, in qualche modo, gli importa di Elaine, ecco perché alla fine la lascia... anche se, non in una maniera giusta. 
Ci tenevo a dare una parte anche Chris (alias Stellina), è sempre il dolce principe azzurro, in contrato con Sebastan, che è l'oscuro lupo famelico. Tra loro due non corre più buon sangue da parecchio e l'ascia di guerra non è mai stata sotterrata. 

Avrei voluto approfondire le descrizioni dell'incontro tra Elaine e Sebastian, ma poi avrei dovuto cambiare il raiting, invece lo volevo mantenere così. 

 

La storia può presentare errori ortografici.



Un abbraccio.
DarkYuna. 

 

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Capitolo 7
*** 7. ***


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7.







 
Sei felice senza di me?
Non è una domanda con delle eventualità da scegliere nella risposta. Siamo stati poco più che niente, un passatempo finito nel dimenticatoio, un'unica volta da omettere, non sono stata così importante da lasciare una traccia incancellabile in Sebastian, non ci sono riuscita.
Però lui l'ha lasciata dentro di me, un’ustione che non guarisce, che si spalanca ancora e si lacera, che diviene sterminata ogni giorno di più e che non ne vuole saperne di rimarginarsi.
Gli è bastato poco e non sono più la ragazza sorridente e spensierata, che ero prima che lui entrasse nella mia vita. Ci ho creduto così tanto, da illudermi ad un punto tale che non posso più tornare indietro e mi odio per essere stata così ingenua, per essermi fidata di qualcuno solo perché ho stimato che fosse l'uomo dolce e buono che sognavo. Il principe azzurro che veniva a salvarmi, come nelle favole che mi raccontavano da bambina.
 
 
Pago la mia inesperienza a caro prezzo.
 
 
Puoi impiegarci una vita intera per lasciare andare qualcuno che non hai mai avuto davvero. Come si fa ad amare una persona che ci ha donato solo lacrime e tormenti, perché ci innamoriamo di chi non riesce a raggiungerci nella nostra solitudine imperitura e non può udire la nostra voce sussurrare nel gelido silenzio dell'inverno?
 
 
 
La vita è avere coraggio per affrontare il dolore, io credo di non averlo mai avuto quel coraggio, perché non ho mai davvero sofferto ed adesso mi ritrovo impreparata a nuotare in questo mare di nera contrizione.
Non ho più voglia di parole, sorrisi e maschere, non posso nemmeno andare in letargo fin quando gli alberi fioriranno e il sole riscalderà l'anima, quindi sono sospesa in un limbo che ha più il sapore dell'inferno: un incubo ad occhi aperti.
Sono solo una storia triste, una delle tante che affollano un mondo sordo alla disperazione. Se stai male, nessuno può fare davvero nulla, sei sola nel buio e la luce devi ritrovarla da sola.  
Vorrei odiare Sebastian, disprezzarlo, essere adirata con lui, ma la sua assenza e la lontananza, non fanno altro che accrescere il folle sentimento che nutro nei suoi confronti, lo plasmano e trasformano, fino ad accarezzare quello che tutti chiamano amore, ma che io ho imparato a classificare come spasmodica tortura.
 
 
Il cappuccino caldo tra le mani non riesce a riscaldare le mani fredde, non arriva lì dove il ghiaccio s'è rappreso ed ha creato una prigione di stalattiti dalla punta tagliente ed avvelenata.
Gli occhi sono persi nella neve attecchita al suolo al di fuori della vetrata del bar, lo stesso paesaggio candido e bianco si riflette nel mio cuore, è come se un incantesimo fosse calato su di me, è tutto in una silenziosa attesa, nulla si muove, ogni cosa è sospesa nelle profondità, ma non verrà nessuno a donarmi il bacio del vero amore, per guarirmi... devo guarirmi da sola e senza amore. 
Socchiudo appena gli occhi, il vuoto si sta dilatando ed è lì per lì pronto a trangugiarmi, la mancanza di Sebastian l'avverto cucita a freddo sotto la pelle e sono così fragile da potermi spezzare fisicamente, in qualsiasi momento. Corrugo le sopracciglia, ho un cedimento mentale e le lacrime pungono per sgorgare.
 
 
Josephine viene a prendere posto di fronte a me, provo a ricompormi velocemente, non ho bisogno di consigli affettuosi o di una ramanzina, lo so cosa mi aveva avvertito su Sebastian, ed invece ho fatto di testa mia comunque.
<< Sei così silenziosa ultimamente. >>, nota affranta. Nessuno sa quel che è successo quasi un mese fa, solo Anastasiya e Jillian erano a conoscenza della frequentazione con l'attore, ma non sanno cosa sia accaduto dopo e del perché è finita. Gli occhi lucidi ed arrossati, non sfuggono alla sua vigile attenzione.    
 
 
Mi stringo nelle spalle, le parole non hanno significato, suonerebbero vuote se le usassi per spiegare, le emozioni non possono essere illustrate, sei costretto a provarle solo tu con tutta la devastazione smisurata che le compongono.
<< Non ho niente da dire. >>, taglio corto, invece ho tantissimo da dire, anzi, da gridare.
 
 
La mano scivola sul tavolino per poggiarsi sulla mia, ma non giunge il conforto che lei spera di donarmi.
<< È successo qualcosa. >>, suppone certa. Non vuole di certo rigirare il coltello nella piaga, però deve, se vuole aiutarmi.
 
 
<< Non dire anche tu che sembro diversa... sono sempre io, solo che una nuova sfaccettatura è emersa, eravate voi che non la vedevate, ma c'è sempre stata. >>.
 
 
<< Una sfaccettatura che non sapevi nemmeno tu di avere, se non fosse che ti è accaduta qualcosa, che non mi dici. >>. Ha la fronte contratta, gli occhi di un azzurro celestiale si specchiano alla luce pallida del giorno, rivelando tutta la preoccupazione mal celata in essi.
 
 
<< È successo che sono morta, ma respiro ancora. È successo che mi hanno strappato il cuore, però batte... e batte a vuoto. È successo che non vorrei più essere da nessuna parte, ma sono ancora qui... e qui è diventata una prigione da cui non posso evadere: e la prigione sono io. >>.
 
 
Josephine resta basita dalle parole che uso.
Non ho mai parlato in questo modo, le frasi sono tetre, il significato cupo, è come se non ci fosse più speranza, ed è esattamente così che mi sento.
Batte più volte le palpebre, pondera bene ciò che deve dire, poi giunge all'unica conclusione più ovvia.
<< Sebastian. >>, le sfugge dalla bocca, beccandosi un'occhiataccia in cagnesco. << Perché? >>. È sconvolta, mentre un miliardo di pensieri le transitano sul viso.
 
 
Abbasso lo sguardo, poi torno a contemplare il mondo all'esterno.
<< Perché era così che doveva andare. >>, ammetto stanca. << Ed è esattamente così che è andata. Per un momento, un solo ed eterno momento, io ho creduto... ho creduto che potesse amarmi, così come lo amo io... quanto sono stupida, vero? >>. Una risata amara getta altra disillusione nell'intero contesto desolante. Sorseggio il cappuccino prima che diventi freddo.
 
 
<< C'è qualcosa... qualcosa che è successo molto tempo fa che ha portato Sebastian ad essere ciò che è ora. >>, inizia a raccontare. Appare spezzata dal bisogno di rendermi partecipe di un segreto inconfessabile e il dovere di tenerlo solo per sé stessa, qualcosa sul mio viso la convince a vuotare il sacco e ad essere sincera.
 
 
<< So che c'era un'altra donna. >>.
 
 
Annuisce piano.
<< Una donna che ha scelto un altro. >>, confessa afflitta. << Una donna che non ha mai davvero dimenticato e che ha fatto a lui, quello che lui ha fatto a te. >>.
 
 
La rivelazione mi lascia basita, una parte della mia mente unisce tutte le tessere del puzzle e balza alla memoria il giorno che ho incontrato Sebastian per la prima volta, nel negozio della libreria. Era venuto a cercare una persona in particolare...
Sbarro le palpebre, copro la bocca per evitare che tutto l'orrore che nutro possa venire fuori, però le lacrime alla fine cadono e ne cadono così tante da soffocarmi.
La donna che ha il suo cuore, che lui ama, che gli ha fatto del male, che ancora insegue nonostante tutto e che non gli ha permesso di innamorarsi di me è Andria, la moglie di Chris Evans.
Un brivido di puro disgusto mi discende giù per la schiena.
Era lei che desiderava e che anelava quando gli ho chiesto di frequentarci, lei a cui pensava quando stava con me, lei che ha scelto... lei, sempre e solo lei.
 
 
<< Che illusa. >>, erompo nauseata da me stessa, dalla mia noiosa ingenuità e l'insistenza di voler vedere il buono lì dove non esiste. Non sarei mai stata all'altezza, nel competere con una persona come Andria, una donna ed una ragazzina a confronto, ne sarei uscita perdente a prescindere.
Non finisco nemmeno di bere il cappuccino, sbalzo in piedi come una molla, devo mettere distanza da tutto questo, non voglio proseguire per questa strada, voglio tornare indietro a quando non conoscevo Sebastian Stan, a quando non avevo ancora capito di amarlo.
Mi alzo troppo in fretta, perché la vista sfoca di netto, si riempie di allarmanti chiazze nere e, prima che possa sul serio rendermi conto di cosa sta per accadere, perdo conoscenza.
 
 
 
 
 
 
Una luce forte si addentra fastidiosa oltre le palpebre e mi costringe con prepotenza a riaprire gli occhi gonfi e pesti. Devo aver battuto la testa, dato il dolore pulsante che ho sulla fronte, sono lucida in fretta, fuoriesco dallo stato di torpore, solo per risvegliarmi di nuovo all'inferno.  
Sono distesa su una barella del pronto soccorso, un separé verde scuro mi divide dal paziente dopo e dal resto del camerone in fermento. Mia madre è qui, mi stringe la mano, ha una faccia sconvolta, indossa il pigiama e su di esso ha messo una giacca lunga per coprire il vestiario con cui si è precipitata all'ospedale.
Deve aver pianto, gli occhi d'autunno sono arrossati, è pallida come un cencio e la pelle è gelida, anche più della mia.
 
 
<< Mamma. >>, mormoro contrita, perché diavolo mi trovo qui?
 
 
Alza scompaginata il viso fino a me, la luce torna a rischiarare il cipiglio scuro, sorride contenta come se il paradiso fosse sceso in terra.
<< Elaine, bambina mia. >>. Accarezza frenetica i capelli, il viso, bacia affettuosa le guance, investendomi con il suo sconfinato amore. << S-sei sveglia, ti sei svegliata! Come ti senti? >>, blatera come un fiume in piena, ricominciando a singhiozzare e a tremare: ha avuto paura.
 
 
<< Ho lo stomaco sottosopra. >>, dico di getto. Ho voglia di vomitare, un cerchio alla testa allucinante ed una nausea pressante.
 
 
<< È del tutto normale. >>, annuncia il dottore spuntando da dietro il separé, con una cartella medica tra le mani. Ha la faccia di qualcuno che, per una volta, non è portatore di cattive notizie. Dietro di lui entra Josephine con in mano due bicchieri di plastica di caffè fumante, è sorpresa e contenta di vedermi sveglia. << Devo dire che questo sarà un bel regalo di Natale in ritardo. >>.
 
 
Mia madre è confusa, così come lo sono io, per questo necessito di ulteriori ragguagli a riguardo.
<< Cosa intende, dottore? >>.
 
 
Smette di consultare i fogli, lo sguardo scivola tranquillo a me.
<< Beh, lei è incinta, mia cara... >>, si accorge che non porto anelli e che quindi non sono sposata, <<... signorina. Di quasi quattro settimane, il feto è in ottima salute, lei un po' meno: il valore dell'emoglobina è leggermente sotto la norma. Deve rivedere la sua dieta ed affidarsi ad un bravo ginecologo di fiducia. >>. Non fa commenti sul mio stato personale, su dove sia il padre, sulla reazione agghiacciante che ha colto me ed i presenti.
 
 
<< I-incinta? >>, balbetto, il cuore esplode in zampilli di sangue, nel petto il dolore rompe la diga e la mareggiata mi inabissa celermente, fin quando di me, non resta altro che vuoto e desolazione.
Non me ne esco con domande cretine del tipo "ma come?", perché so perfettamente come, quando e chi. So perfettamente il come è successo, il quando e chi è il padre: Sebastian Stan.
 
 
Mia madre mi guarda allibita, come se cadesse dalle nuvole, non so se sia una bella sorpresa o meno, ma io so cos'è per me. Non impiego molto tempo per arrivare all'avventata e funesta decisione finale.
 
 
<< Posso consigliarle un bravo ginecologo. >>, continua il dottore, ignaro dei turbamenti interiori che mi divorano in un baleno.
 
 
<< Voglio abortire. >>, stabilisco di getto, sbalordendo il dottore e scompaginando ulteriormente mia madre, che non riesce ad articolare nemmeno mezza parola.
 
 
 
<< No! >>, sbotta Josephine, poggia in maniera precaria i bicchieri sulla sedia accanto al mio letto. << Non puoi farlo, non è una decisione che spetta solo a te! >>.
 
 
Serro la mascella, non voglio discuterne, non voglio pensarci, l'unica cosa che voglio è non mettere al mondo un bambino non voluto dai genitori.
<< La decisione è mia, è dentro di me. Lui, la sua decisione, l'ha presa andandosene. >>.
 
 
<< Non essere egoista! >>, mi rimprovera lei, cocciuta. << Non sapeva ci sarebbe stato un bambino di mezzo! La decisione sarebbe differente se lo sapesse. >>.
 
 
<< E quindi cosa? >>, riprendo accalorata. << Fingeremo di essere una famiglia felice, dove io amo lui e lui un'altra? No, no e ancora no! >>.
 
 
Il dottore s'intromette nel litigio, per provare a sedare gli animi.
<< Cerchiamo di calmare i toni, queste discussioni non fanno bene a nessuno... la notizia può essere sconvolgente e decidere su due piedi, potrebbe essere la cosa meno consigliata possibile. Facciamo così, adesso la dimettiamo, ci dorma su per qualche giorno, ci pensi bene e fra sette giorni da oggi, se è ancora di questo parere, sarò io stesso a praticare l'aborto, va bene? >>.
 
 
<< No. >>. Scuoto la testa tenace. << Non voglio essere dimessa, non voglio trascorrere una settimana a piangere per questa decisione, sperando di cambiare idea, non voglio averlo dentro di me un minuto di più, voglio abortire ora. >>.
 
 
Il dottore annuisce arreso, strofina le labbra e non riesco a capire cosa gli frulli per il cervello.
<< Faccio preparare la sala operatoria per domani mattina. >>, conclude atono, andandosene via a passo sostenuto.
 
 
Lui si è tolto dai guai, adesso sono io che devo affrontare i miei di guai, due guai che mi guardano, rispettivamente uno furente ed uno sottosopra.









Note:
Arriverà un giorno in cui riuscirò a scrivere qualcosa d'allegro, ma, evidentemente non è questo il giorno. 
Credo che questa sia la prima volta che scrivo qualcosa dove la protagonista resti incinta e che tratto l'argomento dell'aborto. 
E' successo ciò che sarebbe stato ovvio accadesse e adesso è Elaine a pagarne le conseguenze più amare. 
Abortirà davvero? Josephine o sua madre riusciranno a farla ragionare? 
Accadrà un miracolo oppure no?
So che le mie storie sono sempre molto imprevedibili e il finale felice non è mai garantito... quindi non vi resta che leggere. 

 

La storia può presentare errori ortografici.



Un abbraccio.
DarkYuna. 

 

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Capitolo 8
*** 8. ***


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8.








 
Posso ingannare tutti, raccontare bugie, fingere che sia questo che desidero, convincere chi mi ascolta a credermi, ma non posso ingannare me stessa, non posso raccontarmi frottole e mentire, perché la verità è sempre ben diversa da ciò che appare: io... questo bambino lo voglio.
E sto per commettere un peccato indicibile.
 
 
Sfioro delicata il ventre piatto, mentre cammino senza meta tra i corridoi bui dell'ospedale taciturno, non ho pace. Sono le due del mattino passate, i pazienti del reparto femminile dormono da molto tempo, solo io non riesco a prendere sonno, nella mente ho fisso il pensiero che tra poco meno di sei ore impedirò alla vita che ho in grembo di venire al mondo. Un mondo che lo ha già deluso, due genitori che non si amano e non lo vogliono, un mondo cattivo, che gli sta già negando ogni gioia.
Se decidessi altrimenti, che futuro potrei dargli?
Non ho niente, né un lavoro stabile, né una casa di mia proprietà, è tutto molto incerto e non è questo che progettavo, io sognavo una famiglia come in quella in cui sono cresciuta. Che cosa gli racconterò un giorno, quando negli occhi di mio figlio troverò quelli di Sebastian, che mi chiederanno perché il suo papà non l'ha voluto? Cosa risponderò in quel momento?
Che sua madre è stata una sciocca sentimentale, che si è fidata di un uomo per quello che credeva che fosse, e non per chi era realmente? Che esempio sarei? Cosa penserebbe di me? Come crescerebbe con questa consapevolezza?
Vorrei essere più forte, ma non lo sono.
 
 
Proseguo sconsolata verso un atrio in penombra costellato da sedie di plastica fisse al muro, un luogo d'attesa e preghiera per chi aspetta un caro o un amico che esca sano e salvo dalla sala operatoria. Ciò che rischiara la notte, sono le numerose candele date in dono alla grande statua della Madonna, dalle vesti bianche ed azzurre: ogni candela equivale ad una supplica.
Esamino l'imponente statua, ha tra le braccia un paffuto bambino biondo, dagli occhi azzurri, che sembra quasi mi stia sorridendo. Gli sfioro una mano di ceramica e l'anima si acquieta.
 
 
<< Cosa devo fare? >>, bisbiglio più a me stessa che alla statua. L'odore di cera satura l'ambiente circostante. Non mi sono mai posta il dilemma se un Dio esistesse o meno, poiché, fino ad oggi, non mi sono mai dovuta rivolgere a lui per un problema. << Dammi un segno. >>, invoco piena di amarezze ed illusioni, spero in una risposta che non arriva... o almeno, non arriva come la immaginavo.
 
 
Sto ancora auspicando che qualcuno prenda questa difficile decisione al posto mio, quando odo dei passi concitati salire veloci la scalinata poco distante e poi, a perdifiato una figura ansimante fa il suo ingresso nell'atrio al chiaroscuro. Perfino al buio i suoi occhi sono come una luna d'argento che risplende in una notte nera.
Ho bisogno di un minuto di troppo per capire che quella che è entrata nel mio campo visivo, sia la realtà e non il mio feroce desiderio che ha assorbito il discernimento.
Sebastian è qui, ed impiego relativamente poco a risalire alla persona che gli ha telefonato: Josephine.
 
 
Ha un borsone tra le mani, deve essere partito in tutta fretta, talmente tanto che questa è la sua prima meta, dopo il viaggio. Lascia cadere a terra con un tonfo rumoroso il bagaglio, non appena riconosce i miei tratti, illuminati dalle fiamme delle candele.
Avverto un crepitio al di là del cuore, in un frammento di tenebra che è perpetuato dopo che lui se ne è andato, non ha eguali, non posso esporlo, tale è il male insopportabile che ne sta nascendo. Un mostro viene fuori da quel varco, sgretola la prigione che lo teneva recluso e, con un'inclemenza spietata, infilza gli artigli in ciò che resta di vivo in me.
E, con un'orribile chiarezza agghiacciante, prendo consapevolezza di amarlo come non ho mai amato nessuno in precedenza e come non amerò mai nessun altro dopo. La sua indifferenza, è stata la mia condanna. 
Così come capisco che è l'ultima persona con cui voglio avere a che fare, se è qui è perché sa che sono incinta, non è qui per me, solo per ciò che ho dentro di me, l'involucro che costituisco è un contrattempo e nulla di più.
 
 
<< Elaine... >>, sussurra sconvolto, facendo un passo in avanti.
Di riflesso indietreggio, poi lo faccio ancora ed ancora, fino a quando non ripiego verso il lato opposto, per fuggire il più lontana possibile.
Riesco a fare appena dieci passi, Sebastian è più veloce di quanto mi augurassi, mi afferra irruente per un braccio, spinge brutale al muro, tappandomi la bocca con una mano, per impedirmi di urlare. Scalcio come una scalmanata e lo colpisco come meglio posso, lui usa il suo peso per evitare che mi agiti così tanto ed attirare le attenzioni di qualche infermiere notturno. Provo a reagire ancora, ma è impossibile, sono alla completa mercé della sua forza fisica.
 
 
<< Basta Elaine! Basta, finiscila! >>, sibila furente, cercando di parlare il più sottovoce possibile. L'odore fresco di rose d'oceano solleticano le narici e mi fanno venir voglia di piangere; smetto di lottare: ho perso di nuovo. << Se tolgo la mano, griderai? >>.
 
 
Gli lancio un'occhiata accigliata, sto ancora decidendo se urlerò o meno. Alla fine scuoto la testa, sconfitta.
 
 
Adagio la pressione sul mio corpo si allenta, sposta accorto la mano e sono di nuovo libera e padrona di me stessa.
<< Perché? >>, chiede ad un certo punto, dopo avermi fissato scompaginato. << Perché questa reazione? >>, interroga, realmente ferito.
 
 
<< Credi che debba anche darti una spiegazione? Ma tu chi sei? Chi credi di essere eh? Te lo dico io chi sei: non sei nessuno! >>. Lo spintono malamente con entrambe le mani sul torace. Accusa il colpo, non proferisce parola, sa che ho ragione e che non può fare nulla per scusarsi, per questo subisce la mia rabbia in colpevole silenzio. << Hai fatto un viaggio a vuoto, se credi di potermi far cambiare idea! >>.
 
 
<< È anche mio figlio! >>, replica accalorato, fregandosene che qualcuno possa udirlo. Avevo ragione io, gli importa solo del bambino, non di me.
 
 
<< Hai perso ogni diritto su di lui il giorno che te ne sei andato! >>. Sono un condensato di tormenti violenti ed impetuosi, che ardono in una pira fatale, ho un covo di lacrime che grava in gola, una voragine abissale che si apre ogni secondo sempre di più, una brama devastatrice di essere amata allo stesso modo in cui lo amo io. << E mi dispiace... mi dispiace davvero non essere la tua Andria, mi dispiace non poter essere alla sua altezza e mi dispiace che non sia lei a poterti dare questa gioia! Mi dispiace di essere solo io... >>, strepito affranta, la voce perde d'intensità, sto piangendo, sto tremando, sto morendo.
 
 
L'orrore si ritrae nei tratti spigolosi di Sebastian, ora è consapevole che sono al corrente del suo folle amore per Andria, ha gli occhi sbarrati da ciò di cui è testimone, la bocca sussulta appena, non è questo che si aspettava, non è questa la replica che credeva dovesse affrontare. Balza in avanti in un gesto imprevedibile e, come se fosse guidato dall'istinto, mi abbraccia con una prestanza che mi toglie il fiato.
All'inizio provo ad oppormi, blatero inascoltati: "lasciami,", di poco conto, che non vogliono saperne di essere accontentati, poi il calore del corpo vigoroso raggiunge il mio ed intiepidisce l'inverno che si dirocca nell'anima.
 
 
<< Perché hai permesso questo? >>, domando debole, i lucciconi scivolano lesti ed inzuppano il suo cappotto nero. << Perché sei tornato, dopo avermi respinta? Perché... se è lei che ami? >>. Il capogiro inizia a rilento, non mi accorgo di esso fino a quando la nausea non ha la meglio, solo che questa volta ne prendo consapevolezza, prima di crollare sul pavimento. << Sto... sto... per cadere. >>, è l'unica richiesta d'aiuto che riesco ad articolare.
 
 
Le ultime cose che rammento è Sebastian che mi prende prontamente in braccio, la sua barba cresciuta di molto e il senso di sicurezza mai provato prima.
Quando riprendo i sensi, sono distesa nel letto della mia camera d'ospedale, ho una flebo attaccata al braccio e risento di meno delle vertigini e del voltastomaco. Sebastian è appollaiato sulla sedia dalla consistenza scomoda adiacente al mio letto, la sua mano è intrecciata alla mia, in un legame che non esiste tra di noi, fissa un punto indefinito nel crepuscolo della stanza.
Nessuno lo ha buttato fuori e una parte di me è grata per questo.
Percepisce i miei occhi che lo scrutano rapiti, alza i suoi verso di me, non toglie la mano, anzi, resta ancorata e ferma nella mia, nessuno può scindere quel contatto.
 
 
<< Sei ancora qui? >>. Sono sorpresa che non se ne sia andato, che sia rimasto a vegliarmi.
 
 
<< Perché quel tono sbigottito? >>. Ha il viso stanco, i capelli spettinati, sembra quasi più umano e meno un attore irraggiungibile. << Sei la madre di mio figlio. >>, rende noto. E in quella semplicistica frase, muore un altro pezzo di me: sono solo la madre di suo figlio.
 
 
Distolgo lo sguardo per evitare che lui vi possa leggere tutto il rammarico che transita in essi.
<< Giusto. >>, rispondo spenta, faccio per togliere la mano, non voglio ulteriori motivi per ingannarmi, ma lui aumenta la presa, rischiando quasi di farmi male. Gli lancio un'occhiataccia ostile. << Almeno in questo frangente, puoi lasciarmi andare? >>, viene fuori come una supplica.
 
 
La mascella si irrigidisce, le iridi divampano di un fuoco corvino, le fiamme rischiano di bruciare anche me.
<< No. >>.
 
 
Il suo modo di fare, le risposte monosillabiche, il privilegio di distruggermi il cuore, scatenano una rabbia sinistra, voglio che anche lui provi il mio stesso dolore.
<< Tra poche ore non sarò più la madre di tuo figlio! >>, sputo crudele, le parole fanno velocemente presa su di lui, scorgo l'espressione contratta lasciare il posto ad un sordido dispiacere che mi pento immantinente di avergli causato.
 
 
Annuisce risentito, le iridi annegano in un oceano di pensieri, tira via la sua mano e si alza in piedi inflessibile, sto per dire qualcosa, perché credo che se ne stia per andare, invece lui scalcia le scarpe e si toglie il cappotto. Scosta le coperte, s'infila nel letto angusto, è costretto a stare sul fianco altrimenti non c'entriamo in due, il braccio scivola sul mio corpo e la mano si apre a ventaglio sul ventre.
In quell'unico punto giace informe la conseguenza di noi due, legati insieme in un solo essere.
<< Allora facciamo che per le poche ore che rimangono, questo bambino è solo nostro. >>, sussurra con un tono mesto che colpisce il centro esatto del nucleo pulsante delle emozioni e scatena uno spasmo immenso, che ha delle conseguenze devastanti. L'intento di abortire viene meno. Quasi mi illudo che possa provare qualcosa per me.
 
 
Il respiro viene fuori in uno sbuffo afflitto.
<< È solo il bambino che vuoi? >>.
 
 
Non risponde, resta in un serafico silenzio a fissarmi con quelle iridi di laguna liquida, adesso il fuoco non è più distruttore, assomiglia più ad un accogliente fuoco che scalda in inverno e non incenerisce.
La mano risale pigra, percorre l'addome, si sofferma di poco tra i seni coperti dalla maglia, giusto il tempo di farmi rabbrividire, sfiora la clavicola, traccia i contorni della gola e trova la sua destinazione sulla mia bocca. Ben presto ad esse si sostituiscono le labbra soffici, è la prima volta che mi bacia con dolcezza, non c'è l'urgenza di sfociare in un rapporto fisico, sembra più bisognoso di un affetto di cui è sfornito, un affetto che cerca con delicatezza, un affetto che vuole esattamente da me.
Nulla è cambiato, è ancora tutto sbagliato tra di noi, per questo, a malincuore lo pungolo sul petto per farlo smettere. Sono intossicata dal suo sapore, dalla presenza deleteria e dal suo non essere chiaro in nulla di ciò che sta accadendo.
Sembra sorpreso dalla mia reazione.
 
 
<< Cosa stiamo facendo? Tutto questo è sbagliato. >>. È tutto così sbagliato che al solo pensiero ho un gran mal di testa.
 
 
<< No, che non lo è. >>, insiste lui, che vede una gran semplicità, lì dove io scorgo solo ostacoli insormontabili.
 
 
<< Invece sì! Cosa daremo a questo bambino? >>.
 
 
<< Noi. >>.
 
 
<< Ma se non stiamo nemmeno insieme! >>. Moltissimi bambini nel mondo crescono con i genitori separati o divorziati, ma si da il caso che prima ci sia stato qualcosa che li univa, anche se dopo è finita. Tra me e Sebastian non c'è nulla di partenza.
 
 
<< Adesso sì. >>, conviene alla fine e ne resto profondamente sconvolta, anche se maschero il tutto con un'espressione scocciata.  
 
 
<< Quindi fammi capire da quando sei tu che decidi il bello ed il brutto tempo? >>.
 
 
<< Da adesso. >>, decreta risoluto, con un tono tra il serio e lo scherzo.
 
 
<< Ed io che ruolo ho in tutto questo? >>. Se ripete che sarò la madre di suo figlio, gli tiro un pugno su quel naso perfetto.
 
 
<< Il ruolo di quella che dice sì. >>, stuzzica di proposito, per non dare le risposte che merito. Impazzisco nel non avere un responso serio ed affidabile.
 
 
<< Invece interpreterò il ruolo di quella che dice no! Non abitiamo nemmeno nella stessa città, cosa farai, il genitore per corrispondenza o nel fine settimana? >>.
 
 
<< Ne stiamo davvero discutendo? Stiamo parlando di come sarà il futuro con questo bambino? Hai cambiato idea. >>, non è una domanda, più una certezza.
 
 
<< Fino a quando non verranno a prendermi per l'operazione. >>.
 
 
L'espressività muta al battito di ciglia, non ha più voglia di scherzare, sa che faccio sul serio, che se non ho delle basi solide, non cambierò idea. Scosta appena i miei capelli, l'indice si attarda a lambire il viso, la tristezza è ricamata nei tratti virili, gli occhi sono stelle che rischiano di spegnersi al suono della mia decisione.
<< Io non ho veramente niente di mio... ho solo questo. >>, sfiora delicato il mio addome. << E sei tu che puoi darmelo. >>.
 
 
Increspo le sopracciglia.
<< Se al mio posto ci fosse Andria? >>, chiedo, pentendomene un istante dopo. Non sono così eroica da ascoltare il responso.
 
 
Resta chiuso in un silenzio desolante, le iridi si riflettono nelle mie, dischiude appena la bocca.
<< Ma non c'è... ognuno di noi ha preso delle decisioni... le mie sono state una conseguenza delle sue. >>.
 
 
<< Perché sei tornato a cercarla? >>.
 
 
D'improvviso scoppia a ridermi in faccia, non so cosa di divertente ci sia, mi sento offesa e molto arrabbiata.
<< Sei gelosa? >>, desume certo.
 
 
<< No! >>, sbotto orgogliosa. Preferisco morire che ammettere il contrario. << E smettila di rispondere alle mie domande, con altre domande! >>.
 
 
<< Allora fai le domande giuste. >>, rimbrotta divertito.
 
 
<< E quale sarebbero? >>.
 
 
<< Come glielo diciamo agli altri cinque figli, che è in arrivo il sesto? >>, sogghigna, sbellicandosi per la mia espressione.
 
 
Gli tiro una pacca sulla spalla, smetto di essere risentita, sotterriamo l'ascia di guerra.
<< Io dovrei essere arrabbiata con te! >>, gli faccio presente, ma non riesco a fermare la risata.
 
 
Lancia un'occhiata alla flebo, è preoccupato per la mia salute, sulla motivazione che mi ha condotta in ospedale e causato il malore poc'anzi.
<< Magari quando finisci la bottiglia e ci assicuriamo che non svieni più, una volta che ti riporto a casa... >>.
 
 
<< Allora t'importa di me? >>, lo interrompo. Gli importa di me o solo di suo figlio? Il cuore batte così forte da procurarmi una fitta fisica.
 
 
Mi guarda a lungo, mi guarda in silenzio, mi guarda con un'intensità che spezza il respiro, mi guarda ed è come se mi amasse, mi guarda e la tempesta che si dirocca nella sua anima, si seda momentaneamente.
<< Sì Elaine, mi importa di te. >>.









Note:
Oh questo capitolo mi è venuto proprio triste, non che gli altri fossero tutta questa allegria, lo so xD 
Però ha qualcosa di particolare, di molto malinconico tra le righe, comunque a Sebastian importa, altrimenti non sarebbe mai tornato, ma non sarà così facile, purtroppo il suo essere andato via, non verrà dimenticato molto facilmente. 
Elaine è piena di dubbi, sinceramente non era questo che aveva immaginato, troppo innamorata dell'amore e sognante sul principe azzurro che non è arrivato. Purtroppo le persone ingenue hanno questa tendenza ad incontrare chi spezza loro il cuore. 

 

La storia può presentare errori ortografici.



Un abbraccio.
DarkYuna. 

 

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Capitolo 9
*** 9. ***


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9.








 
La notte ruba silenzi e regala paure, non porta consiglio come tutti vogliono fare credere, la notte alimenta le oscurità dell'anima, fa riaffiorare i terrori e ti induce a specchiarti nelle profondità dell'essere.
E, di notti come queste, se ne stanno succedendo, una dopo l'altra, così tante da aver perso il conto.
Non ho mai avuto paura di vivere, come adesso.
 
 
Vorrei avere più amor proprio, non essermi abbandonata senza difese ad un uomo i cui muri sono impenetrabili ed invalicabili, sono passata sopra al suo avermi uccisa, ma sotto ci sono rimasta io.
Sento con una chiarezza sconcertante che le sue parole sono maschere che usa per schermare il suo vero volto a me, per ostacolarmi nello scrutare gli abissi cupi che lo abitano. M'impedisce di vedere chi egli sia davvero, m'impedisce di avvicinarlo, m'impedisce di toccarlo.
Non posso scendere nel suo inferno personale, lui si è barricato al suo interno ed ha perso la chiave e fin quando non riuscirò a prendere tra le mani i nodi dei suoi dolori, quei nodi induriti dal tempo, non si scioglieranno.
 
 
Io lo affronto Lucifero per lui, ma Sebastian sarà al mio fianco o morirò da sola?
 
 
L'unica cosa che ha fatto per me adesso è prendere in affitto un appartamento a Boston, perché mi sono rifiutata categoricamente di trasferirmi a New York e recidere così ogni legame che può salvarmi. Gli amici, la famiglia e le mie radici sono qui, una via di fuga pronta per quando le cose andranno male, perché già lo so che le cose andranno male, talmente tanto che mi spezzerò definitivamente.
Non ne viene fuori mai nulla di buono da due persone che stanno per forza insieme.
 
 
Osservo rapita il crepuscolo che tinteggia di tonalità accentuate il cielo pastello, è un gioco di cremisi, arancio ed indaco, avvolgono con un abbraccio gelido la città innevata in uno spettacolo impareggiabile.
L'abitazione è situata all'ultimo piano di una palazzina di nuova costruzione, è composta perlopiù da vetri che si affacciano sul panorama bostoniano, ha un arredo minimale, estremamente elegante ed impersonale, lo stretto necessario per vivere comodamente, niente tocco soggettivo, nessuna cianfrusaglia inutile, nulla che rifletta Sebastian, è solo un apparire per chi ci vive e per chi giunge come ospite. I pochi colori usati al suo interno si incastrano tra di loro e si ripetono omogenei, il bianco primeggia, seguito da varie sfumature di marrone e il nero.
L'ambiente è caldo, il gelo ce l'ho invischiato nelle ossa.
 
 
<< Hai fame? >>, domanda Sebastian, cammina a piedi nudi sul parquet chiaro. Ha ribadito che gli importa di me in ospedale, eppure ho il non indifferente dubbio che sia solo del bambino che gli preme e non della sottoscritta, cerca solo di farmi stare bene, per evitare spiacevoli conseguenze.
La luce opalescente del giorno vicino alla morte si riverbera suggestiva nei suoi occhi e le iridi trasparenti albeggiano su un cuore che si strugge, nella forza tragica, di un amore non corrisposto.
 
 
 
Scuoto semplicemente la testa, obliando il momento vacuo passato ad ammirare la sua oscura bellezza. 
 
 
Si siede scomposto sul divano, è a suo agio, tranquillo, anche se posso toccarla quasi con mano la spessa barriera che ci divide e, se per poter arrivare a lui, significa restare intrappolata nella sua prigione... e così sia.
<< Il dottore ha detto che devi ristabilire i livelli dell'emoglobina, prova a sforzarti, va bene? >>, ammonisce bonariamente e l'ombra di un sorriso accondiscendente prende campo.  << Ne va della tua salute e quella del bambino. >>. Indossa vestiari semplici, pantaloni di tuta grigia ed una felpa con la cerniera blu scura.
 
 
Ecco... ogni volta che si tratta di me, mette in campo anche il bambino e le mie incertezze si moltiplicano e crescono a dismisura.
Sospiro appena, ho bisogno di occupare la mente, di zittire le domande moleste e le paure fondate.
<< Mi piace qui, è davvero molto bello. >>, giudico sincera, deglutendo più volte il groppo doloroso in gola, poi indico, falsamente spigliata, il pianoforte bianco disposto a sud della stanza, sull'angolo di destra. << Sai suonarlo? >>.
 
 
Si stringe nelle spalle, l'espressione muta impercettibilmente. La casa l'ha arredata qualcun altro, non certamente lui, è solo un mobilio che fa scena, nulla di più.
<< Tu? >>.
 
 
Sorrido allegra, sperando di contagiare anche lui.
<< Sì. Posso? >>.
 
 
Gli occhi vitrei mi passano attraverso, non è me che sta guardando, ma un ricordo passato fin troppo presente. So che c'è Andria in ogni suo pensiero, quando mi fissa, quando mi parla... quando mi tocca.
<< Sì. >>, mormora smorto, pallido come un cencio.
 
 
Ho un macigno sulla schiena, mentre attraverso quasi strisciando l'intera stanza e prendo posto sullo sgabello dinanzi il pianoforte. Alzo la copertura della tastiera e l'indice preme leggero su qualche tasto per verificarne l'accordatura.
Una melodia ben specifica prende vita in un'inclemente danza decadente di un'anima in supplizio, che ha vicino a sé l'uomo che ama, ma che platonicamente è così lontano da non poter essere raggiunto.
 
 
<< Io ti penso amore, quando il bagliore del sole risplende sul mare. Io ti penso amore, quando ogni raggio della luna si dipinge sulle fonti. >>, inizio a cantare in un italiano ostentato, con ogni fibra del mio essere, impregno le parole di un desiderio fatale, i battiti del cuore tessono la trama funesta sulla quale mi avvolgo ed affondo negli abissi privi di luce, da cui non emergo più. << Io ti vedo, quando sulle vie lontane, si solleva la polvere, quando per lo stretto sentiero trema il viandante, nella notte profonda... nella notte profonda.  Io ti sento amore, quando col cupo suono si muovono le onde. Nel placido boschetto caro, spesso ad ascoltare seduto alla luce. Io sono con te, anche se tu sei lontano. Sei vicino a me, anche se tu sei lontano. O fossi qui... o fossi qui. >>, la voce affranta si sfuma assieme all'ultima nota alta del pianoforte. Ho tutto l'amaro della vita bloccato in gola, non vola una mosca, si respira un'aria tesa, Sebastian è dietro le mie spalle e non ho il coraggio di guardarlo.
 
 
<< Perché fai così? >>, chiede ad un certo punto, ma assomiglia più ad un'accusa adirata. << Cos'è una competizione? È questo a cui miri? Credi sia divertente? Credi che possa servire a qualcosa? >>.
 
 
Batto le palpebre sconvolta, non ho la più pallida idea di cosa stia parlando, poi con rammarico rammento: Andria è italiana, suona il pianoforte e sa cantare. Un errore imperdonabile che gioca a mio sfavore, lui pensa che io voglia misurarmi con Andria.
Immagino che debba essere uno spiacevole dèjà-vu, una scena che stona, fasulla nella replica, perché io non sono lei e non lo sarò mai.
Mi volto, ma non ho nulla da dire a mia discolpa, non ci provo nemmeno a giustificarmi e, i suoi occhi arrossati ed umidi sono una pugnalata inaspettata che penetra oltre la carne ed i muscoli, per centrare il nucleo pulsante del cuore.
 
 
<< Sei solo una ragazzina! >>, sputa ingiurioso, usa di nuovo il tono adoperato quel giorno in libreria, quando mi ha trovata in compagnia di Chris Evans. Quel giorno ho stupidamente creduto che quella fosse gelosia, invece era solo possesso, come se io fossi un oggetto, che dopo ha buttato via. << Eccoli gli anni di differenza che vengono fuori, a sottolineare quanto tu sia capricciosa, immatura e viziata. Ti sei fatta scopare da me per cosa sono e non per chi sono! Hai visto una ghiotta occasione e non te la sei lasciata sfuggire, cosa volevi, la fama? Essere la fidanzata di Sebastian Stan? E così hai fregato tutti e due, ma ehi, andiamo a riparare questo casino, con qualcosa di fasullo, così puoi constatare quanto è alto il mio grado di indifferenza per te! Sei solo una scopata finita male! >>. C'è violenza sul viso deformato dalla rabbia, c'è odio brutale ed un rancore che mi atterrisce. Questo lato aggressivo di Sebastian è mostruoso, per questo perduro nel silenzio e l'unica cosa più saggia da fare è andarmene.
 
 
"Sei solo una scopata finita male!".
"Sei solo una scopata finita male!".
"Sei solo una scopata finita male!".
 
 
Le gambe tremano, fanno fatica a sorreggere il mio peso. Provo un dolore imperituro che estingue ogni barlume di vita, ma, la vera e propria sofferenza, quella che ti spezza le ossa, ti strangola e risucchia la voglia di esistere, arriverà più tardi, quando nella solitudine, io mi sentirò davvero sola.
 
 
<< Se potessi vedermi come io vedo te, non potresti più accusarmi di nulla, tranne che di provare un sentimento folle, nonostante il tuo disinteresse. >>, riesco ad articolare, non piango anche se la voce trasale più volte, sono chiara nelle parole, pure se vengono pronunciate a stenti. Mi ripeto stantia che non devo frignare come una bambina o, meglio, una ragazzina, sono come un guscio vuoto che finge di essere vivo. Fila tutto liscio... nella direzione sbagliata.
 
 
Cammino piano, ci sto lasciando il cuore in polvere tra queste mura, ma prima che riesca a raggiungere vittoriosa la porta, un paio di braccia oltrepassano le mie difese e stringono forte, addossando la schiena sul suo torace.   
Non proferisce parola, non ha alcuna intenzione di scusarsi, le sue frasi crudeli aleggiano tra di noi e creano l'ennesima cicatrice e, al contrario di ogni comportamento logico, mi obbliga a girarmi dispotico per abbracciarmi di slancio. Lo fa con tale foga che mi solleva da terra, per avvilupparmi totalmente a sé e sono di nuovo qui, senza difese, alla sua mercé, come una bambolina di pezza che si diletta a strappare e a ricucire in una grottesca concatenazione divertente, che non ha fine.
 
 
Allaccio le braccia al collo del mio vessatore e mi perdo nelle trame del suo profumo alle rose d'oceano. Mi riporta indietro, facendomi sedere sul coperchio superiore del pianoforte, induce delicato a lasciarlo andare.
Vorrei dirgli che quando mi guarda in quel modo lancinante, si ferma tutto... si ferma il cuore, il sangue, il respiro, gli occhi e tutto questo è crudele, perché lui, accanto a me, non s'è fermato mai.
Provo ad accarezzargli il viso, ma lui si scosta e fa fallire il mio tentativo, invece è lui a sfiorarmi, le iridi scanalano a fondo nelle mie, discendono come veleno dentro di me e posso avvertirlo prendere velocemente campo, raggiungendo ogni angolo inesplorato, per divenirne il padrone assoluto. La mano traccia una scia appena accennata sulla pelle serica, i polpastrelli lambiscono tenui, eppure riesco ad avvertire quel contatto fin nelle viscere.
 
 
Non mi bacia mai sulla bocca, non lo fa neppure per sbaglio.
Abbassa provocante la cerniera della felpa, scoprendo il torace nudo, definito e perfetto, so già cosa sta per accadere e, nonostante io non voglia che sia questa la soluzione per qualsiasi problema, lo anelo con ogni fibra di me stessa.
Vorrei essere più spigliata, prendere l'iniziativa, tuttavia l'unica cosa che riesco a fare è fissarlo turbata.
Sebastian si china tra le mie gambe, le mani scivolano fino ai piedi, sciolgono i lacci e tolgono via le scarpe, risale pigro, non spezza la contiguità fisica, gli basta uno strattone per denudarmi dai pantaloni ed infine anche il maglione raggiunge il resto degli indumenti.
Retrocede di qualche passo per esaminare la scena per intero, deglutisce più volte, inumidisce le labbra, ma non c'è niente di procace in lui adesso, gli occhi sono ancora bagnati ed arrossati.
 
 
<< Io non voglio innamorarmi di te. >>, svela travagliato, sta guerreggiando strenuamente contro se stesso, per questo mi maltratta senza pietà, per questo urla parole ingiuriose, per questo se n'è andato ed è anche per questo che è tornato quando ha saputo che sono incinta: gli importa sul serio. E, stavolta, non è una bugia.
Quello che c'è stato tra lui ed Andria, non gli ha lasciato altro che una cicatrice che non ha mai smesso di sanguinare.
 
 
<< Non posso ferirti. >>, sussurro schietta, così a bassa voce che temo non mi abbia udito. Deve essere questa la paura che lo porta a respingermi in ogni modo possibile ed immaginabile.
 
 
<< Lo hai già fatto, quando te ne stavi andando. >>. Non quando ho suonato al pianoforte, ma quando mi sono arresa dinanzi alla sua insensibilità e non ho reagito come sperava.
 
 
<< Non resto dove sono un peso. >>.
 
 
Deglutisce ancora, lo fa perché non vuole che i sentimenti abbiano la meglio, perché vuole mantenere il controllo, perché, altrimenti, tutte le difese cadrebbero e la guerra non è ancora terminata.
<< Non sei dove vorresti essere? >>, il tono cambia, è sommesso, dagli intrecci abissalmente infelici.
 
 
<< E tu? >>.
 
 
A quel punto accade un miracolo che credevo non sarebbe mai più potuto avvenire, Sebastian si apre in un incantevole sorriso privo di finzioni, gli occhi però lo tradiscono e divulgano più che un semplice attrattiva nei miei confronti. Quando procede nuovamente, non è più la brama fisica a spingerlo, c'è dell'altro, non è molto per lui, però è tutto per me.
Si approssima maestoso, mantiene la mano aperta a mezz'aria, lì dove poggio febbricitante la mia, ed è lui ad intrecciarne le dita.
<< Resti sveglia con me, fino a quando il sole sorgerà? >>.
 
 
Non ho parole abbastanza esaustive per dare una risposta che rispecchi il roseto che sta sbocciando spedito nell'anima, abbeverato dal barlume della speranza, posso solo sorridere di rimando ed annuire, completamente dipendente da lui. Il cuore scoppia, mentre lo vedo avvicinarsi rilassato e a suo agio, oltrepassa ogni fragile barriera attorno a me e mi bacia, trafiggendomi.
Sono la luce nelle sue tenebre perpetue.
Riprende a spogliarmi, si scrolla la felpa aperta e poi qualcosa che non posso vedere con gli occhi, ma riesco a percepire: toglie gli ultimi brandelli di armatura.
Credo che voglia avermi sul pianoforte, invece mi issa di peso per appollaiarsi sullo sgabello dinanzi lo strumento musicale, gli sono a cavalcioni. È nudo sotto di me, non solo in senso fisico, riesco a vedere l'anima attraverso gli occhi arroventati da un'ingordigia non più sessuale, è come se avesse finalmente ammesso con se stesso che c'è molto di più.   
Attende che sia io a fare la prima mossa, mi lascia il comando, il totale controllo della situazione e, con il cuore in tumulto, cerco il suo desiderio che svetta prepotente tra le mie cosce e lo guido piano dentro di me. Non c'è fretta, non più il bisogno di sfamare una voglia carnale, mi muovo lenta in un dondolio di piacere voluttuoso, ad ogni affondo lo percepisco sempre più in profondità.
Gli occhi sono fissi nei miei, sono in balia del suo oceano di fiamme corvine, le lingue arroventate ci avvolgono e bruciano in una pira eterna, ansima forte, mi afferra per i fianchi per indurmi ad aumentare il ritmo, ma ogni spinta resta decisa, totalitaria ed incisiva. Ormai, ridotta ad un fascio di nervi sussultanti, mi aggrappo alle sue spalle e mi lascio andare tra le onde impetuose di un godimento che coinvolge il corpo intero e il cervello e da cui vengo sopraffatta.
 
 
Ed è così che i nostri destini inconciliabili, si legano con un doppio nodo composto da fili d'oscurità e fulgori.









Note:
Giuro che non mi ero resa conto di quanto tempo fosse trascorso dall'ultimo aggiornamento, chiedo umilmente scusa per aver fatto passare tutto questo tempo, cercherò di non farlo capitare mai più. 
Bene, detto questo, posso confermare che questo è tra i miei capitoli preferiti, perché finalmente Sebastian ha smesso di combattere contro se stesso e i sentimenti provati per Elaine, finalmente ha capito che il suo cuore è pronto nuovamente ad amare, nonostante il terrore folle di essere ferito nuovamente. 
Vorrei spiegare che la sua reazione è stata dettata dal fatto che ha creduto che Elaine volesse imitare Andria, invece è stata proprio l'unica cosa che non doveva fare. Sebastian sta cercando di dimenticare Andria in tutti i modi possibili ed immaginabili. 

La canzone all'interno del capitolo è: "Io ti penso amore", David Garret e Nicole Scherzinger. 

 

La storia può presentare errori ortografici.



Un abbraccio.
DarkYuna. 

 

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Capitolo 10
*** 10. ***


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10.








 
Dicono che quello che avviene una sola volta nella vita è come se non fosse mai successo.
Quindi non conta la straordinarietà, ma conta solo l'ordinarietà?
Non lo so, forse sì, tuttavia le situazioni in cui mi sono sentita viva erano tutte straordinarie, inconsuete, in grado di spezzarti per la portata mirabolante della rarità.
 
 
Sebastian è la straordinarietà a cui non riesco a fare l'abitudine, ogni volta è come se lo vedessi per la prima volta, non è mai come la precedente, è come essere sulle montagne russe in discesa, ti senti volare, ma il realtà stai cadendo.  Pensi di aver raggiunto la vetta più alta, da cui potrai ammirare il panorama, invece ti rendi conto che tutti i tuoi sforzi sono vani, perché non sei in paradiso, ma in fondo all'inferno.
Solo una stupida sentimentale poteva illudersi di aver sciolto almeno qualche nodo dentro di lui, di essere riuscita a togliergli l'armatura, di aver fatto un passo in più nel suo buio, illuminandolo.
Ma, come ho già detto, sono solo una stupida sentimentale.
 
 
Nel pomeriggio avrò la prima ecografia con il ginecologo, dovrei essere elettrizzata, in realtà ho paura, non era così che desideravo divenire madre, ho ancora un sogno ben definitivo di come aspirerei fosse il mio futuro e, nonostante sia quasi impossibile, vorrei provare a tenere su i cocci che rischiano di cadere in qualsiasi momento.
Sebastian sarà con me, ha preso un impegno, però ha garantito che ci sarà a tutti i costi, si comporta in maniera stravagante dalla sera in cui abbiamo fatto l'amore, per la prima volta con sentimento e non per svuotare una mera pulsione fisica.
 
 
Ho trascorso il weekend con Anastasiya e Jillian nel nostro appartamento, per ora mi divido tra lì, la casa di Sebastian e quella dei miei genitori. Nessun'altro sa che sono incinta, voglio attendere che le cose si assestino, prima di rivelarlo al resto della famiglia e agli amici.
 
 
Sto camminando sul marciapiede di fronte al negozio di libri, continuerò a lavorare fin quando mi sarà possibile, anche se avevo promesso a Sebastian che oggi sarei rimasta a casa a riposare, i livelli di emoglobina non sono risaliti e devo riguardarmi il più possibile. Andria non sospetta ancora nulla, ma giungerà il momento che dovrò affrontarla e capire che ruolo interpreta lei in tutta questa storia grottesca.
Dalle cuffiette vengono fuori le canzoni con cui Anastasiya ha aggiornato la mia playlist personale, certa che mi sarebbero piaciute: mi conosce meglio di chiunque.
 
"You're just a cannibal and I'm afraid I won't get out alive
No, I won't sleep tonight
Oh, oh I want some more
Oh oh, What are you waiting for?
Take a bite of my heart tonight
Oh oh, I want some more
Oh oh, What are you waiting for?
What are you waiting for?
Say goodbye to my heart tonight.".
 
Immersa ad ascoltare la canzone, persa nelle frasi avvincenti e nella musica graffiante, non metto subito a fuoco le due persone che discutono concitate dinanzi la libreria ancora chiusa.
Tremo dalla testa ai piedi nell'accettare passivamente di essere nella parte sbagliata del mio destino.
Andria e Sebastian.
 
 
 
Discutono animatamente, ma non stanno litigando, no, proprio per nulla, assomiglia più ad un addio strappalacrime cinematografico, una di quelle scene che ti si aggrappano al cuore con un vigore inconcepibile, stringe il nodo di lacrime in gola e lascia in ricordo una via lastricata di amarezza e passioni deleterie. Lei ha gli occhi umidi ed arrossati dal pianto, è di una bellezza accecante... lei, la protagonista.
Lui è agitato, ha occhi solo per Andria, la contempla come se fosse una Dea, le stringe le mani frenetico, le accarezza il volto in maniera intima ed amorevole... lui, il protagonista.
 
 
Ed io... beh, io sono solo la comparsa sullo sfondo della pellicola, quella che nessuno ricorda mai al cinema, che passa beatamente inosservata, quindi non importa se muore o se si salva: non ci si innamora di un'ombra. Il cliché del principe che sposa la ragazza povera, sola e maltrattata è uno stereotipo talmente applicato che non fa più novità, adesso il principe sposa la principessa e vivono nel loro regno di fiaba. 
 
 
"Here we are again
I feel the chemicals kickin' in
It's getting heavy and I want to run and hide
I want to run and hide
I do it every time
You're killin' me now
And I won't be denied by you, the animal inside of you.".
 
 
  
Ed i cocci che mi sono tanto affannata a tenere legati, d'improvviso si frammentano a terra, in miliardi di schegge affilate che mi lacerano nel profondo.
 
 
 
Sebastian non ha mai contemplato me allo stesso modo che concede ad Andria, ed è tutto così evidente, assiomatico e lampante che solo una sciocca ragazzina come me poteva non notarlo: tra loro due non è mai finita. In questi anni hanno continuato ad amarsi disperatamente, come solo due anime dannate per l'eternità possono fare.
Per questo il cuore di lui non riesce a ricambiare i miei sentimenti, perché c'è posto per un'unica donna e quella donna è Andria, non Elaine... Andria, semplicemente lei e nessun'altra.
 
 
La testa mi gira impetuosa, le lacrime scendono involontarie, la terra trema sotto di me, le orecchie fischiano e la musica diventa la colonna sonora del mio dolore; indietreggio istintiva, in realtà non sto davvero pensando alle reazioni del corpo, agisco di conseguenza. Una pressione intollerabile stritola il cuore in una morsa dai denti acuminati e so che non posso sopportarlo, che non sono in grado di affrontare questo dolore, non sono capace e preferisco morire pur di evitarlo.
 
 
Gli occhi di Andria slittano fino a me, deve essere stata distratta dai miei movimenti insoliti, le palpebre si spalancano e sbianca, poi pronuncia qualcosa a mezza voce e Sebastian si volta... ed è il suo sguardo sconvolto di trovarmi lì a darmi una sensazione fredda come la fine di ogni cosa, la fine della speranza, dei sogni, del giorno, della notte, dell'esistenza... la fine di me.
E, prima, che possa decidere di confondermi con altre bugie, spiegazioni che non voglio ascoltare, falsità e menzogne che non faranno altro che strapparmi ancora e ancora e ancora, mi volto di getto per fuggire e, solo all'ultimo, mi accorgo con sgomento di essere scesa dal marciapiede e della macchina a tutta velocità che sta venendo dritta verso di me.
 
 
Accade tutto con una velocità di una lentezza esasperante, so che sta per arrivare il dolore fisico a far compagnia a quello dell'anima, che ci sono altissime probabilità che non vedrò il crepuscolo stasera, ma ciò che più mi fa male da morire è che la vita dentro di me non vedrà mai la luce del sole.  
Non ho obiettivamente il tempo materiale di spostarmi, di urlare, di fare null'altro che portare una mano sul ventre nel vano riflesso di proteggere l'unica cosa di veramente importante.
La vettura non tenta neppure di sterzare, il conducente è assorto al telefono, mi colpisce in pieno e il dolore che mi investe per intero non è neanche paragonabile a quello che ho supposto. Il corpo viene travolto con violenza, finisco con una brutalità inaudita sul cofano, batto forte la testa sul parabrezza, odo il rumore di un vetro rotto, la macchina frena brusca con un stridio sordo che solca l'asfalto e per reazione gravitazionale al colpo subito, rotolo malamente sulla strada. 
 
 
La musica non suona più per me.
Osservo i bagliori mattutini del cielo ceruleo, ma non li vedo veramente, la vista si scolora e si dipinge di macchie nere, ogni cosa si muove a rallentatore, non vi è più alcuna fretta, più alcuna sofferenza, non sento più niente... solo freddo.
Sono ancora lucida, anche se non riesco più a percepire il mio corpo, quando nella visuale appare il volto traumatizzato di Sebastian, sta versando lacrime per me, singhiozza incontrollato, si inginocchia e mi prende tra le braccia, non riesco a rispondere agli stimoli: sono bloccata in me stessa. Parla veloce, faccio fatica ad elaborare le parole agitate, grida un aiuto che nessuno sembra volergli dare, è devastato, fuori di sé, lo stesso smarrimento che ha colto me poc'anzi, si sta impadronendo anche di lui.
Con agghiacciante chiarezza, apprendo che è questo che anelo: voglio con tutta me stessa che soffra. Deve sentirlo nel profondo dentro di sé l'impossibilità nel trovare pace, un perdono che non giungerà mai, la colpa lo deve divorare con la stessa crudeltà ogni giorno della sua vita, fin quando avrà respiro.
 
 
Chiudo gli occhi e il tempo beffardo danza con me in un vortice vertiginoso ed incalzante di ricordi, lacrime e sofferenze che non guariranno mai, sono in strada, la mente crea scherzi di fantasia, poi sono in ambulanza e alla fine odo chiacchiere celate da una forte luce che acceca. Provo a toccarmi la pancia, ma gli arti non rispondono ai miei comandi, ho perso quel briciolo di potere che potevo esercitare su me stessa, dopo piango smodata, il tempo preme il tasto per accelerare, mi dilaniano le budella, fendono i muscoli, frantumano le ossa, urlo con la bocca imbastita da aghi, nessuno può udire la mia disperazione: è un incubo ad occhi aperti.
Ho sperato di morire, ma non sono morta.
Non credo di aver mai perso veramente i sensi, sono stata sveglia nonostante tutto, nonostante la sofferenza atroce, nonostante il desiderio spasmodico di chiudere gli occhi per sempre... ho visto tutto e sentito tutto.
Il bambino, il mio bambino...
Non ho capito quanto fosse fondamentale per me, fino a quando la sua vita è stata messa in pericolo dagli eventi.
In circolo ho tanto di quell'antidolorifico che il giorno e la notte si confondono, i limiti si mescolano e nulla ha più senso, apro gli occhi e vedo mio padre e mia madre: sono angustiati per me. Chiudo gli occhi e vengo investita di nuovo, ho una pressione spiacevole sull'addome, la gamba sinistra è come bloccata, la schiena duole a dismisura, ora fisso la luce del mattino divenire notte, qualcuno parla nel buio della coscienza. Riesco a cogliere il mondo che mi ruota attorno, ma sono da sola in un luogo che non ha porte, finestre o vie d'uscite, ubicato in un posto che non si trova da nessuna parte, in uno squarcio tra la dimensione terrestre e l'oblio.
 
 
Dalle tenebre dell'irrealtà odo un neonato piangere, la voce innocente riecheggia nel vuoto sconfinato e, nell'oscurità un cono di luce giunge dall'alto, rischiarando un uomo che, a passo sicuro, giunge verso di me.
Sebastian sorride come se il paradiso fosse sceso in terra solo per lui, ha tra le braccia una copertina rosa pastello che avvolge un piccolo corpo umano, che si dimena e geme forte.
Scorgo il bambino, ha nelle iridi di laguna il riflesso di quelle di suo padre, ma la forma ricordano i miei. Lo sguardo infantile slitta fino a me e finalmente smette di piangere, per ritrovare la quiete dopo la tempesta.
 
 
 
<< Lei ha i tuoi occhi. >>, rende noto Sebastian, non l'ho mai visto così raggiante, mi contempla con un amore che non mi ha mai regalato, ed è di una felicità accecante.
 
 
<< Lei? >>, ripeto stupita. Fino ad ora ero certa che sarebbe stato un maschio, invece sbagliavo.
 
 
<< Prințesa noastră. >>, sussurra in rumeno, per poi aggiungere. << La nostra principessa. >>. La gioia gli ravviva i tratti, rende la sua bellezza fulgida, il sorriso brillante, ma spezza il mio cuore definitivamente.
Provo un dispiacere sterminato, perché so che sta accadendo tutto nella mia testa, che quello che vedo con gli occhi della mente non è la realtà, sono più che sicura che io, quella bellissima bambina, non la incontrerò mai. È morta nell'incidente e con lei anche io.  
 
 
Il sorriso abbacinante di Sebastian si arresta e la favola si spezza, il momento lieto si scioglie come cera di una candela e resta solo una profonda amarezza.
 
 
<< Quanto è difficile lasciare andare qualcuno che non è mai stato nostro... >>, dico a mezza voce e la neonata tra le sue braccia si trasforma in polvere corvina che si disperde nell'oscurità. Un sorriso amaro e vuoto distorce la mia bocca. << Ti ho incontrato quando ormai era troppo tardi: non c'è spazio per me dentro di te. >>.
 
 
Faccio per voltarmi, ma lui mi afferra per un polso e con una lentezza che serve a sottolineare il momento solenne, grava la mia mano aperta sul torace, lì dove sotto strati di pelle, muscoli e sangue, avverto un cuore pulsare scatenato.
<< Lui non lo sa cosa prova, dovrai essere tu a dirglielo. >>, ammette e mentre le lacrime scivolano brucianti sul mio viso, riapro d'improvviso gli occhi.  
 
 
Batto più volte le palpebre, dopo tanta notte ho bisogno di abituarmi alla luce, traggo un profondo respiro perché so esattamente cosa mi è accaduto e dove mi trovo. Nell’aria, odori molesti di medicinali, formaldeide ed altri conservati di natura chimica, avverto un fruscio lieve e quando metto a fuoco il profilo familiare dell'uomo alla finestra, porto d'istinto una mano sull'addome.
Benché sia frastornata dalle medicine, riesco a sentirlo ugualmente il fastidio fisico e il grande cerotto medico che fascia da sotto l'ombelico, fino ai pressi del pube. Ho un tuffo di puro terrore che scalcia devastante dal cuore, di riflesso cerco qualcosa che non c'è più, che mi è stato strappato con la forza, quando più ero debole, mi agito ed è il ginocchio sinistro ingessato a protestare.
 
 
<< Dov'è? >>, sbotto sotto shock, così tante volte da perdere il conto, attirando così colui che mi ha condotta qui.
 
 
Sebastian si volta pallido come il marmo, sbarra le palpebre traumatizzato e prima che possa fare altro, corre verso di me per provare a calmarmi.
 
 
I lucciconi bollenti sgorgano istintivi.
<< Dov'è? >>, grido, benché non ne ho la forza, benché stia male, benché il dolore si irradia con una potenza insopportabile. << Non è più dentro di me! Perché hai permesso che me la portassero via? >>.
 
 
<< Elaine, ti prego, ti prego! >>, è l'unica cosa che sa dire, l'unica cosa, perché la sua colpa è così grande, da non avere parole abbastanza autentiche e provate per chiedermi perdono. Mi blocca perentorio per i polsi sul cuscino, ciò non serve, continuo a dimenarmi violentemente, l'ago della flebo si strappa dal braccio sporcando le lenzuola e il pavimento di sangue, il ginocchio ha delle fitte atroci ed avverto la ferita sul grembo bagnarsi con del liquido caldo.
 
 
<< Lasciami! >>, sbotto in uno strillo agghiacciante e, mentre lo fisso in quegli occhi annientati, umidi e rossi, gli vomito addosso un odio tale, capace di uccidere chiunque. << L'hai uccisa! Hai ucciso mia figlia! Hai ucciso mia figlia! >>.  
 
 
Lui accusa il colpo, lascia andare la presa ed indietreggia scosso, fino ad addossarsi al muro. L'espressione distrutta, sgomenta ed affranta fanno rapidamente presa al centro del petto e, per un lungo ed interminabile istante, tutto il rancore disumano che nutro per lui viene meno: l'amore è più forte.
 
 
Principalmente sono le mie urla ad attirare le infermiere, i miei genitori, Anastasiya, Jillian e Josephine dal corridoio. Una delle infermiere viene ad appurare i danni, scosta la coperta e il camice che indosso presenta una chiazza allarmante di sangue all'altezza della pancia; un'altra infermiera va a chiamare il medico in fretta, che fa uscire tutti dalla stanza e resto da sola con lo stesso dottore che mi ha prestato soccorso quando sono svenuta l’altra volta.
Devono mettermi altri punti di sutura perché alcuni si sono scuciti, disinfettano nuovamente e l'infermiera applica una garza pulita.
Per tutto il tempo sono stata inerme, ferma ed in silenzio, con la testa rivolta verso la finestra e le lacrime che inzuppavano il cuscino.  
 
 
<< Deduco che lei non lo voglia proprio questo bambino. >>, dice ad un certo punto, sradicandomi fuori dal mio stato di torpore.
 
 
Necessito di più tempo di quanto dovrebbe essere normale, per assimilare bene il significato di quell'unica frase.
<< C-cosa? >>, sbiascico a stenti, guardandolo scossa.
 
 
Ha un sorriso astuto, è certo che sia questo il motivo per cui ho dato di matto poc'anzi, perché sono certa di aver perso mia figlia.
<< Questo bambino avrà davvero una madre molto... >>, ci pensa un po' su, mentre annota qualcosa sulla cartella clinica, per poi passarla all'infermiera. <<... esuberante... mi permetta il termine. E quello che ha preso a male parole, deve essere il padre suppongo. Centra qualcosa con il suo incidente? >>.
 
 
Scuoto perentoria la testa, non centra fisicamente, ma ne è la causa simbolica.
<< Lui sa che non ho perso il bambino? >>. Nella mia testa ormai è una bambina, ma come posso spiegare il sogno che ho fatto? Verrei presa per matta, cosa che, tra l'altro, sta già accadendo, grazie alla mia scenata.
 
 
<< Sono tenuto a rivelare le condizioni dei pazienti solo ai parenti stretti, quindi, per quanto ne so, solo i suoi genitori ne sono a conoscenza. >>.
 
 
Scrollo la testa, confusa.
<< Allora perché mi avete operata? >>.
 
 
<< L'incidente ha causato un'emorragia addominale, abbiamo semplicemente eseguito una Laparotomia Verticale... se il giovanotto in ambulanza non avesse detto prontamente al personale medico che lei è incinta, avrebbe senza dubbio perso il bambino. >>. Quindi è grazie a Sebastian che mia figlia... nostra figlia, è ancora viva, la notizia mi provoca sollievo e dispiacere al contempo.
 
 
<< È sempre stato qui? >>, chiedo, ho la voce che trema e il cuore tuona di battiti funesti.
 
 
<< Per quanto abbia appurato in prima persona, non è mai uscito da questa stanza. Ha rifiutato perfino il cibo che i portantini gli hanno offerto ed ha passato le ultime due notte lì. >>. Indica il tavolino bianco e la sedia di metallo duro adiacente la finestra, dove Sebastian ha dormito, pur di non andarsene.
 
 
In un primo momento mi illudo che lo abbia fatto per me, che mi sono sbagliata, che c'è uno spazio in lui dove ci sono io, poi ricordo la ragione che mi ha condotta qui e giungo alla soluzione più ovvia: è la colpa che lo obbliga. Null'altro.
 
 
<< Devo farlo entrare? >>, domanda placido il dottore, mentre l'infermiera esce dalla stanza, richiudendosi la porta dietro. È inconsapevole del vortice caotico che ho nel cervello.
 
 
Socchiudo appena le palpebre, il corpo è stanco di soffrire, così come l'anima, ma sono due dolori diametralmente opposti. Quello del corpo si può curare, ogni minuto che passa mi porterà a stare meglio, ma quello dell'anima no, quello non guarisce con un farmaco o un analgesico e se, i sentimenti che lo hanno causato sono sinceri fino in fondo, allora no... non guarirà mai.
 
 
<< No, non voglio vederlo... non voglio vederlo mai più. >>.









Note: 
Se le storie non le scrivo dolorose, non le sento davvero mie e veritiere. Ormai si era capito xD poveri i miei personaggi! 
Oltre a dispiacermi tantissimo per Elaine e l'incidente, mi dispiace ancor di più per Sebastian, perché crede che lei abbia perso il bambino (o bambina) durante l'incidente. E lui desidera davvero tantissimo diventare padre. Tutti (o quasi) sanno che non è così, tranne che lui e la colpa per quel che è accaduto lo sta uccidendo in una maniera impressionante. 
Anche questa volta, se lei gli avesse dato modo di parlare e spiegare, anziché fuggire, forse le cose sarebbe andate differentemente. 

La canzone all'interno del capitolo è: "Animal" dei Neon Trees. 

 

La storia può presentare errori ortografici.



Un abbraccio.
DarkYuna. 

 

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Capitolo 11
*** 11. ***


11.










I peggiori inverni sono quelli del cuore.
Lì non esiste un fuoco abbastanza caldo per sciogliere il ghiaccio dell'anima, né un riparo dalla neve o dallo sferzare del vento gelido, sei in balia del freddo e puoi solo sperare di non morire.


Il cervello funziona più rapidamente da quando mi hanno tolto gli antidolorifici, c'è più reattività ai pensieri e un trambusto disorganizzato non fa altro che scalciare, mescolandosi con i sentimenti.
Solo ora capisco perché la mente ed il cuore non possono andare d'accordo, la prima riflette con razionalità, il secondo ci infila dentro passioni deleterie... e non riesco a dar credito alla prima, senza che il secondo mi metta i bastoni tra le ruote.


Mia madre sta dormendo beatamente sulla sedia sdraio che ha portato papà, mentre io non riesco a chiudere occhio. Scendo piano dal letto, mi aiuto con le stampelle, le aggiusto meglio il plaid che la copre per evitare che senta freddo, poi esco a passo felpato dalla camera.


So per certo che Sebastian non è più qui, mio padre gli ha parlato, chiedendogli gentilmente di andarsene. L'ho avvelenato con una ignobile bugia, perché ora sa che niente ci lega più e che ho perso il bambino nell'incidente.
La colpa mi sta uccidendo, la rabbia per quello che è accaduto tra lui ed Andria sta scemando, anche se lo squarcio sul cuore è vivido e pulsante e non smette di sanguinare. L'unica cosa che vorrei stanotte, a dispetto di ogni ruolo recitato, di ogni messinscena e finzione è poterlo abbracciare così forte da fondermi con Sebastian per sempre.
Ho bisogno di lui, come l’ossigeno, ne ho bisogno così tanto da soffocare, perché da quando se n'è andato, io ho smesso di respirare.
Buffo, perché il dolore che volevo infierirgli, in realtà, lo sto compiendo solo su me stessa... se lui soffre, soffro anche io.
Volevo fargli male, pugnalandomi.


Striscio piano per i corridoi bui e deserti dell'ospedale, fatico ad usare le stampelle per via del bruciore insopportabile dettato dai punti chirurgici sul ventre, sto andando verso l'atrio dove c'è la grande statua della Madonna, alla quale, molto tempo prima, avevo chiesto un segno su come dovessi comportarmi.


Svolto nell'androne in penombra, l'unica luce è data dalle numerosissime candele in dono alla statua con il suo bellissimo bambino che stringe affettuosa a sé. Sto per sussurrare qualcosa che assomiglia ad una preghiera, quando i miei occhi slittano sulla sinistra, nel raggruppamento ordinato di tre file da sei sedie plastificate, in cui c'è coricato qualcuno.
Impiego qualche secondo per discernere i tratti rigidi e familiari di Sebastian, dorme in posizione fetale, ha solo la sua giacca a coprirlo e trema visibilmente.
È rimasto qui, nonostante tutto... nonostante sia stato invitato ad andarsene, nonostante io non l'abbia voluto vedere, nonostante la mostruosa menzogna... è rimasto qui.
Un nodo d'acciaio si stringe in gola, talmente tanto che neppure le lacrime che sto versando riescono a scioglierlo. Mi ripeto che dovrei essere arrabbiata, che amo una persona che esiste solo nella mia testa, che è inutile rincorrere chi non vuole fermarsi, eppure, nonostante continui ad apostrofarmi rudemente, mi avvicino silenziosa e con non poche difficoltà a causa del ginocchio rotto, mi siedo sul pavimento freddo.


Accarezzo amorevole i capelli spettinati, le palpebre abbassate, il profilo del naso, la barba ricresciuta in abbondanza, la forma della bocca. La pelle gelida è rischiarata in parte dalla luce delle candele.
Da quanti giorni è qui? Da quanto tempo non mangia e dorme in questa maniera disumana?
Una sequela di riflessioni si sparpagliano chiassose nel cervello, riguardano la sua solitudine... in tanti sono venuti per me, ma nessuno è qui per lui, per confortarlo, per indurlo a tornare a casa, per dargli l'appoggio morale che necessita qualcuno che ha appena perso un figlio... nessuno, neppure la sua amata Andria.


<< Elaine... >>, sussurra tormentato ad un certo punto, agitandosi in un incubo terribile. << N-nostra... figlia. >>. Poi spalanca gli occhi nel vuoto.


Increspo le sopracciglia, una pugnalata mi trafigge da una parte all'altra del torace.
"Nostra... figlia.".
Non smetto di accarezzargli il volto per calmare il brusco risveglio.
<< Era solo un brutto sogno. >>, mormoro con dolcezza, fin quando mi considera stravolto, mettendomi a fuoco.


<< Elaine! >>, sbotta a soqquadro, balzando rapidamente in piedi. Ha di nuovo quello sguardo di puro supplizio che gli distorce i lineamenti bellissimi, accentuando le occhiaie profonde. Desidero alleviare le sue pene, con tutta me stessa.


Schiudo la bocca, non penso oltremodo cosa sto per dirgli... sto male, ho uno squarcio sulla pancia, un ginocchio rotto, l'anima stanca, il cuore in tumulto... stanotte non indosserò maschere, sarò io, completamente nuda da armature e prigioni, solo io, inerme davanti a lui.
<< Io ti amo. >>, confesso ad un certo punto sincera, fissandolo dritto in quegli occhi portentosi, non ha più senso celare ciò che provo. Deglutisco appena e tiro di lato l'angolo della bocca, la voce è calma e bassa, non voglio litigare. << Ed è stupido oramai sperare ed insistere qualsiasi cosa da parte tua, accetto che non si può amare a comando, accetto che quello che provi per l'altra è più forte di qualsiasi cosa tu possa pensare di sentire per me. Non sono arrabbiata con te... non ha senso che tu resti qui: torna a casa. >>.


Resta fermo ad osservami in un silenzio carico di attese, le spalle si curvano all'ingiù sovrastate da un peso invisibile, si inginocchia come un automa tra le mie gambe, inaspettatamente si chiude a riccio sul mio petto e scoppia in una crisi di pianto instabile.
<< Tu non capisci. >>, blatera più e più volte, tra i singhiozzi sconquassanti e i gemiti che lo fanno tremare da capo a piedi.


<< Cosa non capisco? >>, domando falsamente calma, ma sconvolta dalla reazione.


<< Tu... t-tu, tu sei la mia casa. >>, annuncia, annientandomi in una maniera tale da mandarmi sotto shock. << Come... perché non vuoi capirlo? Perchè? Perché tutto questo dolore? Come siamo arrivati a tutto questo? >>. Le braccia mi stringono forte in vita, procurano una fitta alla ferita sulla pancia, eroicamente stringo i denti e non mi lamento nemmeno una volta. << Hai ridato vita a me stesso il giorno in cui mi hai sorriso per la prima volta. Tutta quella luce che irradi che mi scalda così profondamente, che ne sono divenuto dipendente... illumini la mia oscurità e il mio pensarti in continuazione, mi spaventa a morte, mi fa perdere il controllo. Ho creduto che restando con te, ma illudendo entrambi che fosse solo sesso, avrei potuto farcela: non mi sarei privato di te, ma avresti pensato che non c'era altro... ma poi ho visto l'amore nei tuoi occhi. >>. Ed è fuggito perché c'era dentro fino al collo, solo che non ha messo in conto una gravidanza a sorpresa.


Batto più volte le palpebre, i lucciconi mi annebbiano la vista, non c'è niente che possa obbligarlo a mentirmi: siamo alla verità.
<< A cosa è servita questa guerra, se non a farci soffrire? >>.


Alza la testa, gli occhi sono cristalli bagnati, la sclera è arrossata, la tempesta è solo agli albori.
<< Io non avrò mai perdono per quello che è successo... ma tu non mi hai dato tempo di spiegare... ho capito di aver smesso di amare Andria quando sei entrata nella mia vita, lei ha lasciato una cicatrice indelebile, sono sincero e, forse, una parte di me amerà per sempre il ricordo che ho di lei. Sono andato alla libreria per chiederle di darti qualche giorno di riposo, perché tu non l'avresti mai chiesto e abbiamo litigato, assolutamente convinta che ti stessi prendendo in giro... I-io volevo solo aiutarti. >>.  


Sono quasi morta per un dannatissimo malinteso e per la mia gelosia sconsiderata.
<< Ho creduto che tu... >>, lascio in sospeso il discorso.


<< Andria non tradirebbe mai Chris... così come io non tradirei te. >>. La mano grava affettuosa sul mio viso, il tocco è così intimo ed amorevole, da farmi male. << Io credevo avessi capito... ma più ho cercato di avvicinarmi e più invece ti ho allontanata. >>.


Una risata amara e vuota prende vita sulla bocca.
<< Chi mai avrebbe potuto capire? Sebastian tu sei un puzzle irrisolvibile ed hai fatto fallire ogni mio tentativo. >>.


Curva la schiena, abbassa il capo e si tiene in equilibrio sulle cosce.
<< Se non saremo più una famiglia... >>, il singhiozzo gli interrompe la frase, <<... la colpa è solo mia, me ne rendo conto, così come mi rendo conto che non avrò mai il tuo perdono. Però tu dovevi sapere la verità, è per questo che sono rimasto. >>.
Una famiglia...
Questo subdolo gioco al massacro è durato anche troppo.


Gli sollevo il mento con l'indice, così da poter vedere i suoi occhi infranti e colmi di errori irreparabili.
<< Non è questo che voglio sentire. >>, dico, trattenendo a stenti un sorriso.


Aggrotta la fronte, è confuso dalla risposta enigmatica.
<< E... e allora cosa? >>.


<< Chi dirà ai nostri cinque figli, che è in arrivo il sesto? >>.
E quasi posso vederlo lo specchio di ghiaccio frantumarsi in Sebastian, il dolore e la prigione che si sgretolano attorno a lui, non è più ricoperto da stalattiti avvelenate, d'un tratto ogni difesa che perdurava imperterrita, scivola via e permette alla sua anima di accostarsi alla mia, come due incastri perfetti.


La sofferenza lascia il posto alla gioia più grande che gli abbia mai scorto sul viso.
<< C-che? N-non... non hai perso il b-bambino? >>. La felicità è tale da non dargli modo di articolare le parole, escono sussultanti e traballanti.


Riesco solo a scuotere la testa, provo così tanta gioia, da stare male, il cuore non riesce a sopportare una tale contentezza.
<< Bambina, Sebastian... sarà una bambina. >>, lo correggo, ma lui non si sofferma al perché io ne sia così certa, invece prende il mio viso tra le mani come la più sacra delle reliquie e mi bacia, è un bacio completamente differente da quelli precedenti, è luce pura, dolcezze inenarrabili, una profondità nella quale sono in grado finalmente di riempire la sua solitudine con la mia compagnia... è un bacio differente, perché, questo, è un bacio d'amore.
 
 
 
 



Un po' di tempo dopo:
 
    
Nessun inverno dura mai per sempre, la primavera giunge anche quando crediamo che non ci sia scampo dal gelo dell'anima, il sole sorge, anche dopo le tenebre infinite e, un sorriso spunta anche se le lacrime non smettono di scorrere.   
Ho sognato la vita perfetta, un principe azzurro, un castello, un matrimonio meraviglioso: la favola. Ma la vita è altro.
La perfezione della vita sta nella sua imperfezione, nell’imprevedibilità del destino, nell’intoppo dell’ultimo momento. Il principe azzurro, è in realtà un’anima di tenebra che splende come un sole di mezzanotte, il castello è la casa che adesso ha preso vita, le pareti hanno il sapore di noi, gli arredi non più impersonali, niente facciata, c’è calore, c’è dolcezza… c’è famiglia.
E per il matrimonio… beh, non sarà un contratto umano a rendere eterno ciò che è infinito nel cuore.


Odo la voce rassicurante e cantilenante di Sebastian, sussurrare una nenia amabile nell’altra stanza, mormora una filastrocca in rumeno, volta a far addormentare nostra figlia Eva. È l’unico che riesce a farla smettere di piangere, è un genitore migliore di me.
Pochi minuti dopo sento i suoi passi approssimarsi, le mani calde scivolano sulla mia vita e grava il mento sulla spalla, guardiamo insieme il sole che sorge lento all’orizzonte. Il silenzio non è più un’arma che ci allontana, nel silenzio ci siamo trovati ed uniti in un sentimento inscindibile che, adesso, ne sono certa, non si spezzerà mai.


<< Mi hai donato molto più di quel che meritavo. >>, afferma ad un certo punto, stringendomi più forte a sé. Una manciata di secondi intercorrono dalla frase. << Ti amo. >>.
Non l’aveva mai detto, mai, nemmeno una volta, neanche per sbaglio, anche se non ho più dubitato del suo amore dopo quella notte in ospedale, ho solo creduto che fosse quel tipo di persona che preferisce dimostrare con i fatti che limitarsi alle parole… e mi ero rassegnata.


Quel “ti amo” pieno di tenerezza, arriva come un arcobaleno improvviso e sfavillante e vengo travolta dalla bellezza abbacinante. Basta un singolo instante in cui mi abbevero alla luce del suo amore, che mi frantumo ed inevitabilmente piango, ma non sono più lacrime di dolore le mie, sono lacrime di pura felicità. Intreccio le mani con le sue, le porto alla bocca per baciarne i dorsi, non riesco ad articolare una semplice parola decente, né a confermare i miei sentimenti, ho i singhiozzi che m’impediscono di parlare.


<< Ho ritrovato me stesso, quando ho trovato te. >>, continua delicato, lambisce tenero i lucciconi che bagnano il mio viso e poggia la bocca sulla mia umida e poi lo fa ancora ed ancora, fin quando non si trasforma in un vero bacio, uno di quelli che mi fanno girare la testa. << Sei venuta all’inferno a prendermi Elaine. >>.


L’abbraccio è totale, cuore su cuore, anima che cinge anima, non c’è più niente che ci divide, non esistono ombre tra di noi, siamo due tessere perfette di un puzzle coloratissimo, luna e sole nello stesso cielo.
Sono la luce che è nata dalla sua oscurità, per brillare fino alla fine… insieme. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Fine.








 
Note:
Okay forse sette mesi di completo silenzio ed assenza sono un tantino eccessivi, me ne rendo conto, ma ho avuto un periodaccio brutto e dopo molto tempo questa è la prima cosa che ho scritto e che sono riuscita a farla venire fuori decente. Sono abbastanza soddisfatta, comunque chiedo venia a tutte le persone che stavano seguendo e che sono rimaste sospese, spero che siate contente di questo epilogo "dolcioso". 

Alla fine anche Sebastian ha avuto il suo lieto fine felice, assieme alla sua dolce Elaine e alla piccola Eva che tanto desiderava. 
L'amore lo aveva spaventato così tanto e adesso l'amore lo ha guarito. 

Ringrazio tutte le persone che hanno letto e quelle che hanno commentato, anche se non vi ho risposto, non prendetela sul personale: le vostre parole mi hanno spronata a continuare comunque. 

Purtroppo ho notato che tutte le copertine usate, anche in questa storia, sono state rimosse e quindi dovrò fare un lavoraccio per togliere lo schifo che è rimasto. 

 

La storia può presentare errori ortografici.



Un abbraccio.
DarkYuna. 

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