The Super Life of Pete&Harl

di Lightyel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** That's So Harley! ***
Capitolo 2: *** Geni per Caso ***
Capitolo 3: *** Geni per Caso - Parte 2 ***
Capitolo 4: *** Mai Dire Cena ***



Capitolo 1
*** That's So Harley! ***



 

[ Harley & Peter & Tony - Fluff  - Word Count: 4056 ]



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Episodio 1. That's So Harley!

 

L'ingresso della Midtown High School of Technology, più che di una scuola superiore, sembra quello di una sala congressi pronta ad accogliere il colto luminare o il geniale professore universitario di turno, con troppe scritte e citazioni a decorare l'ingresso e troppe vetrate con laboratori a vista. Almeno, è quello che pensa Harley mentre se ne sta col naso all'insù a fissare l'insegna del nome, abbellita da un atomo stilizzato. L'edificio più alto che abbia visto a Rose Hill è quello del municipio, ed era comunque in mattoni e cemento, non certo in vetro e acciaio come la maggior parte di quelli a New York.

Rimane fermo qualche istante più del dovuto, con gli occhi vispi che seguono la struttura geometrica dell'edificio, prima che un lieve spintone riporti il suo sguardo all'altezza di molto inferiore a cui si trova a guardare di solito. Un mare di schiene con relativi zaini variopinti ostruisce di nuovo la sua visuale, e si affretta a unirsi alla fiumana che inizia a incanalarsi nelle porte d'ingresso.

Prende un grosso respiro che gli raschia la gola, poi un sorriso tremulo gli solca il viso. Stringe le spalline del suo zainetto e, come inghiottito da un imbuto, si ritrova nell'atrio gigantesco dell'edificio, adornato di lavagne in sughero – con annessi annunci attaccati con delle puntine colorate, vari poster e disegni alle pareti. Deve raggiungere la palestra; o così gli hanno detto, nella lettera di ammissione. È lì che i professori, e forse il preside in persona, presenteranno a lui e agli altri studenti, il programma dell'anno e la scuola. È nervoso e elettrizzato all'idea di iniziare quella nuova avventura; così tanto che non riesce proprio a togliersi quel sorrisetto dalla faccia. Così si ferma, quando tutti lo fanno, in attesa che la presentazione abbia inizio. Si guarda intorno e vede solo volti sconosciuti e velati di una preoccupazione appena percettibile, di chi, come lui, non riesce a trovare punti di riferimento ed è al contempo trepidante ed emozionato di fronte all'ignoto di una nuova scuola

Guarda fisso davanti a sé e individua il telo di un proiettore sul fondo della palestra, che per ora trasmette solo lo schermo blu e anonimo dello stand-by. Dopo qualche minuto e un traffico di tecnici il video si avvia, e appare in primo piano una sedia. E poi appare Capitan America in persona, che vi si siede sopra con un sorriso smagliante e decisamente artefatto, di quelli che fanno dolere le guance solo a guardarli.

Harley si massaggia le sue, di guance, prima di fossilizzare la propria attenzione sull'uomo e sulle sue rassicurazioni a proposito di quell'anno scolastico che sta per intraprendere.

«Possedere un sogno è il primo passo verso la sua realizzazione. Ogni buon proposito, è un gradino che vi innalza alla conoscenza e alla maturità. Abbiate fiducia nelle vostre capacità e, come sempre, non dimenticate di portare con voi un buon pranzo, in questo arduo cammino.» Captain America ammicca allo schermo; alza un pollice e poi parte con altre frasi fatte; altre piccole perle decisamente poco profonde ma che, agli occhi di chi lo ama, sembrano preziosissimi consigli di vita. Harley storce il naso, ma cerca di leggere tra le righe un intento di spronarlo a non mollare. Tony avrebbe usato parole diverse, per farlo. Sicuramente meno pompose e più, come dire, pratiche. Un'attitudine spicciola che, decisamente, preferisce. Il video si conclude con altri accorgimenti e, infine, un giovane tirocinante – o almeno così pare, chiama il suo nome insieme a molti altri e li invita a seguirlo nelle loro aule assegnate.

Procedono lungo il corridoio a passo spedito ma discontinuo, una trentina di ragazzi egualmente nervosi, trepidanti e impazienti che si scambiano sorrisetti impacciati, abbassano gli occhi timidi o si guardano intorno curiosi. Harley ricambia qualche sorriso con spontaneità, provando l'impulso di mettersi a saltellare mentre cammina. È alla Midtown. È davvero alla Midtown e una parte di lui non riesce ancora a crederci. Si sente in un sogno ad occhi aperti. Il suo sorriso si allarga e pensa che dovrebbe fare qualcosa di più per ringraziare Tony, perché un orologio buffo non è neanche lontanamente abbastanza, anche se lui dice di sì e continuerà a ribadirlo per sempre.

L'ora successiva vola via in un battibaleno, tra presentazioni un po' forzate, gruppi che già iniziano ad aggregarsi e i fogli dei corsi a scelta che vengono distribuiti tra i banchi. Firma disordinatamente nelle colonne che gli interessano e cerca di memorizzare qualche nome, ma gli è sempre difficile leggere in fretta e tenere a mente le parole scritte, così gli rimangono impressi solo un Miles con cui seguirà chimica e che attacca subito bottone con lui, e una Kate nel gruppo unico di ginnastica.

Infine suona la campanella, e si dirigono in massa fuori dall'aula per la ricreazione.

Miles gli ha detto che nei prossimi giorni, se gli va, potranno passare la ricreazione insieme ma che oggi non può proprio stare con lui, siccome deve sincerarsi della presenza di una certa biondina intraprendente – o così gli ha spiegato, un po’ impacciato. Allora Harley sorride, quando l’altro si congeda e sparisce correndo tra la folla di ragazzi che riempie il corridoio del primo piano. Sospira una risatina, alleggerito all’idea che, a differenza delle paranoie che lo avevano attanagliato nei giorni precedenti a quello, per ora sta andando tutto più che bene. I suoi compagni sembrano simpatici, Miles pare una brava persona e, non meno importante, non è stato risucchiato dal vortice dell’ansia da primo giorno di scuola. Così, in attesa che l’ora di ricreazione finisca, si avventura tra i corridoi dell’immensa struttura che è la Midtown e tenta di memorizzare le aule e qualche faccia, giusto per passare il tempo.

Finisce per perdersi, ovviamente, ma non gli importa più di tanto mentre si gode quella mezz'ora di esplorazione fuori programma. Si lascia guidare dalla curiosità, affacciandosi in laboratori che gli fanno luccicare gli occhi e sbirciando dalle finestrelle delle aule informatiche. Si ripete almeno dieci volte di tornare adesso nell'atrio, così da individuare l'armadietto che gli è stato assegnato prima della prossima ora, ma scolla il naso da una vetrinetta invasa di premi di fiere scientifiche solo a ridosso della campanella. Si trova a correre a rotta di collo al piano terra per arrivare in tempo all'appello successivo, timoroso di far tardi.

Mentre sfreccia nel largo corridoio costeggiato da armadietti blu e invaso di studenti di tutti gli anni, la maggior parte molto più alti di lui, capta con la coda dell'occhio un volto conosciuto. Si ferma con uno stridio di scarpe da ginnastica, aprendosi in un gran sorriso ed esitando poi sul posto.

Dondola i piedi con fare indeciso, perché lui, quel tipo, lo ha già visto da qualche parte e non gli ci vuole poi molto per azionare gli ingranaggi che girano nel suo geniale cervello, e associare a quel viso un nome e un cognome. Esita, quando si rende conto che quello non è solo, ma è impegnato in un'ilare conversazione con un tipo — probabilmente un compagno di classe con cui ha particolare confidenza, che poco dopo si congeda, salutandolo con una lunghissima e bizzarra stretta di mano, che Harley osserva con un sopracciglio alzato.

Si avvicina di mezzo passo, poi di un altro, fino ad accostarsi alla sua spalla, più o meno all'altezza della sua testa. Il ragazzo non si accorge di lui come aveva sperato, così lui prende un respiro, mette su un gran sorriso e rilascia la sua voce squillante:

«Ehi, Peter!» esclama, e il ragazzo più grande sussulta e si volta di scatto in un sol movimento, fissandolo a occhi sgranati. «Sei Peter Parker, vero? Tony mi ha parlato di te!»

Peter ammutolisce – reazione piuttosto singolare, siccome Tony gli ha raccontato di quanto in verità sia logorroico, quasi quanto lui – e, balbettando suoni afoni, lo squadra senza alcuna malizia da capo a piedi.

«Sì, sono… sono io. Mi chiamo così e tu… tu chi… Ton- cioè, il signor Stark ti ha parlato di me? Lo conosci?» balbetta, tutto d’un fiato, visibilmente spaesato e con gli occhi strabuzzati. Sembra un gufo.

Harley pensa che in generale ha davvero una buffa faccia, soprattutto ora che è agitato per chissà quale motivo, e pensa anche che sia insolito che chiami Tony "il signor Stark": dopotutto l’uomo non gli è affatto sembrato il tipo che tiene alle formalità. Ma tiene per sé queste considerazioni e si limita ad alzare le spalle, stringendo le cinghie dello zaino mezzo vuoto.

«Sí, cioè, non proprio, Tony ha solo detto che parli un sacco e che vai a questa scuola, ma ha una foto nel suo ufficio, quello alla Tower, lí in bella vista sulla scrivania, e c’è uno che ti somiglia con Tony che tiene una targa del tirocinio Stark con su scritto Peter Parker, quindi quando ti ho visto qui ho pensato che dovevi essere per forza tu!» dice in un lampo, sorridendo soddisfatto delle sue deduzioni.

Peter, al contrario, si ritrae leggermente, palesemente travolto da quel flusso di parole. Harley pensa che magari sta solo cercando di assimilarle, e che quell’apparente blackout non significhi – nel modo più assoluto, che lo ha sconvolto. Dopotutto non ha fatto niente di male. Si è solo avvicinato all’unica persona, per ora, con cui ha qualcosa in comune. Certo, si tratta di Tony, e pensa divertito che forse non è qualcosa di cui andare fieri, ma tant’è... 

Continua a sorridere, sebbene il viso del ragazzo più grande palesi ancora troppe cose a cui Harley non sa dare un’identità.

«Uh...» Il suono stentato che emerge dalla bocca di Peter potrebbe essere una conferma di quell'ipotesi, così come del contrario, e Harley aggrotta le sopracciglia, inclinando appena il capo e sporgendo il labbro inferiore in un moto perplesso.

«Uh, il signor... come... P-perché conosci il signor Stark?» riesce a chiedere infine Peter, con due pozzi neri di confusione piazzati negli occhi castani, neanche avesse visto un alieno a tre teste.

«Beh, è un po' lungo da spiegare, ma l'ho, diciamo, aiutato in una missione qualche anno fa,» alza le spalle infine, strofinandosi il naso con l’indice col suono della campanella che corona quelle ultime parole.

Si chiede se l'occhio umano possa raggiungere le dimensioni di un piattino da caffè senza effetti collaterali per la salute. In effetti adesso Peter sembra anche un po' più pallido, quasi cereo. 

Lo ha forse rotto?


 

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Peter si sente spaesato, come quella volta in cui ha aperto la porta di casa e ha trovato il signor Stark a casa sua, per reclutarlo col fine di portarlo in Germania a combattere contro Captain America. Quel giorno non è stato particolarmente capace a gestire le proprie emozioni, ma effettivamente non ha mai pensato che Tony Stark potesse trovarlo e capire che Spider-Man era lui. Ha tipo i mezzi per trovare un terrorista infilato nelle montagne dell'Asia, figuriamoci se non ha quelli per scoprire che un ragazzino sfigato come lui tira ragnatele e si infila una maschera per difendere il crimine! O, almeno, questa è la risposta che si è dato per darsi una calmata, quel giorno. Ora, è completamente destabilizzato. Conosceva già il signor Stark per fama, ma quel ragazzino? Chi accidenti è? E poi chiama il signor Stark per nome, come se fosse una specie di... figlioccio? Sbatte le palpebre un paio di volte, incapace di rispondere, di dire mezza frase che abbia un senso compiuto, e allora balbetta ancora, e stringe le dita intorno alle spalline dello zaino. E perché il signor Stark non gli ha mai parlato di lui?

«I-io... non ho idea di chi tu sia...» sbotta, e ha davvero paura di essere risultato troppo duro. O forse troppo pappamolla? Oddio, ora ha le paranoie!

Quel ragazzino, che gli arriva sì e no alla spalla e ha una zazzera di capelli biondicci e arruffati che si ostinano a ricadergli sugli occhi vispi, avrà a malapena tredici anni. Non dovrebbe nemmeno andare alla Midtown, figurarsi essere in confidenza col più grande genio del nuovo millennio, nonché supereroe!

«È normale che tu non mi abbia mai visto: mi sono trasferito qui a New York con mia madre la settimana scorsa; prima vivevamo in Tennessee, in una città microscopica. Tony ci ha dato una mano col trasloco,» spiega a raffica lui, concludendo il tutto con una lieve alzata di spalle e un sorriso che per la prima volta sembra farsi impacciato.

Peter batte di nuovo le palpebre e gli sembra di vedere doppio, storto, sfocato. Ha un tornado in testa e nessuna delle informazioni che sta sciorinando quel ragazzino trova una collocazione nel suo database mentale. Teme che da un momento all'altro gli apparirà davanti una schermata blu lampeggiante che impone un immediato riavvio delle sue sinapsi in tilt.

Gli sembra quasi di sentire il suono indistinto e innaturale del computer che si spegne; spera che si riaccenda presto – il suo cervello, intende.

«Oh... oh, be'. Be', insomma, quindi... quindi conosci bene il signor Stark e vieni dal Tennessee. Certo, chiaro, insomma... sono certo che il signor Stark mi abbia parlato di te; sicuramente lo avrà fatto e io non me lo ricordo! Dai, perché non avrebbe dovuto, se siete così in confidenza! Magari se mi dici il tuo nome, posso fare mente locale.» Peter sbuffa divertito, ma è nervoso. Non pensa che, quello che sente in mezzo al petto, sia un moto di gelosia. Piuttosto la confusione più totale, perché col signor Stark dopotutto ci passa un sacco di tempo e a quell'uomo piace parlare, ma troppo poco spesso dei propri affari sentimentali, se così li vuole definire. Semplicemente gli rode un po' il fegato che quel ragazzino – ancora senza nome, sappia esattamente chi è lui, ma non viceversa. Si sente un idiota e, allo stesso tempo, uno scalino sotto nella piramide affettiva del signor Stark, rispetto a dove pensava di essere.

«Oh, certo, giusto! Mi chiamo Harley Keener!» annuncia quindi il ragazzino, sorridendo smagliante neanche avesse annunciato i numeri vincenti della lotteria.

Non pervenuto. Peter riavvolge a velocità tripla tutte le conversazioni avute col signor Stark, ed è sicuro, assolutamente sicuro, di non avergli mai sentito proferire quel nome.

Rimane a fissare Harley con la pantomima di un sorriso contratto in volto, ben consapevole di essere una frana a mentire. Non sa neanche perché dovrebbe farlo, in realtà – per non ferire Harley? Per non passare per disattento? Per non rivelare la verità, ovvero che il signor Stark gli ha nascosto qualcosa? – ma sa che sarebbe l'unico modo per svicolare a una conversazione sempre più imbarazzante, almeno per lui.

A parte fuggire a gambe levate.

 

Solo che Peter non sfugge mai dalle responsabilità – certo, a volte vacilla e vorrebbe farlo ma... Spider-Man non approverebbe mai. Così, cercando di reprimere l'istinto di tirare un grosso respiro che tradirebbe il suo animo ferito, stira il suo sorriso fino a farsi del male e, cercando di sembrare tutt'altro che abbattuto, tenta di trovare una collocazione alle sue mani: prima sui fianchi, poi nelle tasche, poi ancora strette intorno allo zaino, fino a incrociare le braccia al petto. È patetico, lo sa da solo, e la sua vocina interiore gli urla di non palesarlo troppo; disinvolto, così dovrebbe essere, peccato che non sia capace.

«Ah... ehm... no, non ti ha mai nominato, ora che ci penso. Pensa un po',» esordisce, e gli esce dalla bocca lo sfarfallio di una risata nervosa «tu sai chi sono io e io non su chi tu sia. Si vede che il signor Stark ne ha, di cose da raccontare su di me.» E tutte imbarazzanti, immagino, pensa Peter, a disagio, poi si volta, buttando i libri alla rinfusa nello zaino e gettandoselo sulle spalle in un moto quasi frenetico.

Harley sembra distanziarsi un poco da lui, le sopracciglia chiare corrugate in un moto perplesso.

«Uhm... Sì, parla davvero un sacco di te,» gli conferma, cautamente.

La sua vaghezza non fa che accendere formicolii d'imbarazzo sulle guance di Peter – la lista di figuracce si allunga a dismisura nella sua mente e grazie a Dio in questo caso deve tenere il conto solo di quelle di Peter Parker e non di quelle di Spider-Man.

«Comunque... mi dispiace, ma devo proprio scappare, Peter: la campanella è suonata e rischio di perdere il controappello al mio primo giorno! Questa scuola è enorme! Non sono abituato e ci metto un sacco ad arrivare ovunque, quindi magari parliamo dopo, o domani, va bene?» dice in fretta, riprendendo subito un atteggiamento frizzante.

Peter realizza in quel momento che lui, in teoria, doveva già essere in aula di fisica da cinque minuti per il test d’ammissione al corso di biotecnologie col professor Harrington, e trattiene l'impulso di piantarsi sonoramente un palmo sulla fronte.

Guarda l'orologio, e spalanca la bocca, ma non emette alcun suono, sebbene sia ancora totalmente destabilizzato dal fatto che il signor Stark – che Harley ancora, imperterrito, continua a chiamare per nome, il che gli lancia scariche dolorose al cuore ogni volta che lo nomina – abbia parlato un sacco di lui. Gli lancia uno sguardo preoccupato. Sa di aver spalancato le narici, il che deve farlo sembrare veramente stupido, più del solito. Annuisce, mentre i muscoli della mascella si induriscono.

«Sì, certo, ci vediamo in giro. Non... non perderti» risponde, cercando di risultare l'adulto della situazione, ma sa quanto sia poco credibile, siccome quella parte gli riesce abbastanza male. Alza una manina per salutarlo. «Buon primo giorno!» esclama, poi si volta, e se ne va con troppi pensieri nella testa; un vero e proprio mosaico di incertezze e domande.

Pensa giusto di rimandare la composizione di suddetto mosaico a dopo, quando la voce squillante di Harley risuona dietro di lui, frantumandolo di netto:

«Ehi, Peter! Hai lo zaino aperto, ti stai perdendo la tuta da ginnastica!»

È il modo in cui lo dice, a mandargli una scossa allarmata lungo le giunture. In un battibaleno fa scivolare davanti a sé lo zaino, rischia di scheggiarsi i molari per quanto li serra quando vede le gambe del costume di Spider-Man che penzolano fuori dalla zip come sgargianti festoni rosso-blu, e richiude il tutto in fretta e furia cercando di non stracciare a metà lo zaino per un eccesso di forza. Zia May gliene ha già ricomprati abbastanza.

«G-grazie!» lancia dietro di sé, e non si volta a guardare Harley, che ha detto quel “tuta da ginnastica” con un po' troppa enfasi.

Non vuole assolutamente trovare conferma dei propri paranoici timori.

Non è certo che quel ragazzino non abbia capito che nasconde nello zaino la tuta del suo alter-ego spara-ragnatele; se è alla Midtown, significa che così stupido non deve essere e, sinceramente, gli ha dimostrato una gran bella parlantina, un'acutezza considerevole e, soprattutto, una lucetta negli occhi di chi sa il fatto suo. Gli ricorda un po' il signor Stark, per certi versi – la sua versione miniaturizzata, bionda e senza bypass vocale, però.

Allora Peter allunga il passo, cerca di lasciarsi alle spalle tutte quelle preoccupazioni e soprattutto Harley, di cui sente ancora la presenza dietro di sé e i suoi occhi addosso. Non è mai stato così nervoso nemmeno durante il suo primo esame.


 

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Tony sa che, per il suo bene, è meglio che si tenga molto lontano dai fornelli – Pepper dice che la distanza ottimale è dieci metri – e ne ha la conferma quando il suo cellulare decide di inviargli una scarica di vibrazioni insistenti e moleste dalla tasca posteriore proprio mentre sta cercando di far sembrare la sua omelette un'omelette, e non uno scarto di saldatura di stagno appena uscito dal laboratorio. Sospira a mezza voce, perché riconosce il ritmo frenetico dei messaggi e sa che può essere una sola persona... motivo per cui non può ignorarla.

Si destreggia come può, tenendo il manico della padella con la sinistra e spingendo fuori il telefono dalla tasca con la destra, le sopracciglia aggrottate in una linea a metà tra la spavalderia e il catastrofismo per la pericolosità di quella manovra, e sblocca lo schermo senza guardarlo, gli occhi sempre fissi sul blob giallognolo e ribollente che aspetta solo un suo momento di distrazione per carbonizzarsi.

«Ehi, Tony!»

«Non potrai mai immaginare.»

«Chi ho incontrato.»

«Oggi.»

«A scuola!»

«!!!!»

È Harley. L'incapacità di quel ragazzo di scrivere un solo messaggio, unico, senza dover premere il tasto di invio come se farlo in quel modo molesto gli aumentasse la paghetta settimanale, è agghiacciante quanto ammirevole. Tony non ne sarebbe mai in grado. Sospira e, con un mezzo sorrisetto, lascia il manico della padella per rispondere.

«Ragazzino, ho molte doti, ma non quella della chiaroveggenza,» scrive, dando il buon esempio ed inviando una frase completa, corretta e di senso compiuto.

Sulla chat appaiono fugacemente i tre puntini di risposta, a intermittenza, seguendo la cadenza della mitragliata di messaggi che riceve. Tony scuote la padella, evitando appena in tempo che l'uovo si attacchi sul fondo, compiaciuto del suo multitasking ma con una ruga nervosa che si fa strada in mezzo alla fronte man mano che legge.

«Tieniti forte»

«Perché»

«Sto per darti»

«La notizia»

«Del giorno!»

«Rullo di tamburi»

«Ho conosciuto»

«Spider-Man

Conclude Harley, senza dimenticarsi di inserire, alla fine, una faccina che porta gli occhiali da sole. Quella che, in un momento diverso, Tony avrebbe con affetto definito "la faccia da stronzo arrogante del nuovo millennio", se non fosse che il tempo pare essersi bloccato, esattamente come il suo cuore, in questo momento, dopo aver letto quel nome scritto in grassetto e in capslock sulla chat.

Si pianta con lentezza un palmo sul volto, una falange alla volta che va a stringersi tempie e zigomi: un tentativo di svitare brutalmente la testa dal suo supporto naturale e, collateralmente, rendere inerte quella maledetta boccaccia che si ritrova. Non che abbia dato ad Harley chissà quali direttive specifiche, ma non pensava che una descrizione vaga come “un ragazzo smilzo e con la faccia da scemo che non la smette un secondo di parlare” avrebbe inevitabilmente portato quel tornado tra i goffi piedi di Peter. Con un piccolo respiro trattenuto, spera che non abbia riportato al ragnetto quelle esatte parole. Come se fosse quello, il problema, e non la fuga d’identità in atto al momento.

Lascia in sospeso la chat con Harley – suvvia,  a volte risponde dopo giorni, non se ne avrà a male proprio adesso, no? – e apre quella di Peter, stranamente silenziosa.

La promessa del giorno prima spicca ancora sull'ultimo messaggio – per fortuna non spezzettato ai minimi termini come fa Harley:

«Per il tirocinio non saprei… le scrivo dopo scuola così le posso inviare gli orari! :-)»

Tony conta tre secondi, tutto il tempo che è disposto a concedersi e a concedergli, poi prende a digitare, pestando i pollici:

«Ragazzo, com'è andata a scuola?»

Lo invia prima di meditare troppo su quella formulazione decisamente atipica per lui, e si appoggia al piano cottura tamburellandovi una marcetta con le dita, in attesa.

Sulla chat compaiono i famosi tre puntini che gli comunicano che Peter sta scrivendo. Quasi sospira di sollievo. È certo che, come Harley, lo inonderà di una serie di messaggi, inviati a mo' di mitraglietta, dove gli comunicherà che a scuola è andata benissimo, che ha già fatto faville ai test di idoneità del primo giorno, e che ha gli orari che gli aveva chiesto, immortalati in una fotografia pronta per essere spedita. E invece no. Invece no.

«Tutto bene, grazie.» È tutto ciò che scrive Peter, in una laconica e fredda – fredda? No, sarebbe meglio dire gelida! – risposta.

Tony sente i ponti neurali che garantiscono il funzionamento del proprio cervello che collassano.

Fissa la risposta di Peter, poi fissa un messaggio di Harley apparso nella tendina delle notifiche – “È davvero simpatico, perché non ci hai mai presentati?” – perché, davvero? Certe domande dovrebbe farsele pure lui, ogni tanto – poi sente un deciso puzzo di bruciato che gli invade le narici e spegne rassegnato il fornello senza neanche girarsi a controllare i danni, di certo irreversibili. Su tutti i fronti.

Si preme un palmo contro la bocca con tanta forza che probabilmente si sta dislocando il pizzetto, poi lo scosta appena per far trapelare la propria voce, con una nota acuta a modularla:

«Tesoro?» chiama, storcendo appena il naso e tirando le labbra in un'ammissione di colpevolezza. «Mi sa che ho fatto casino...»

 

Fine capitolo I
 


 


Note autrici:
Salve a tutti! No, seriamente siete arrivati fin qui? Coraggiosi! Nah, in verità non avevamo dubbi! Sapete che cos'è questa storia? Un racconto a quattro mani! E sapete chi sono le autrici? No? Ve le presentiamo:

Miryel: 30enne (SIGH), contabile, celiaca. Ha praticamente pubblicato solo storie su questo fandom, e come protagonisti... Be', sempre e solo loro. Peter e Tony ♥ ha una predilezione per l'angst, ma non disdegna anche il fluff, eh! Ha molti acciacchi, siccome è vecchia.
4:02:06]:
_Lightning_: 23enne così confusa da colpirsi da sola, come lavoro a tempo pieno psicanalizza Tony e le sue turbe in varie e variopinte salse più o meno da quando ha messo piede nel fandom, rompendo l'anima a chi vi bazzica. Il suo condimento preferito rimane l'angst, al massimo fluff-angst che poi le sale la glicemia ed è un casino. Pepperoniana convinta, con qualche deriva recente dovuta alla vecchiaia, che tra tutte e due siamo un centro anziani.
 
ABOUT THIS PROJECT: Questa idea nasce in modo un po' bizzarro e improvvisato, ma soprattutto, de core , che qua mica stamo a pettina' le bambole. Il punto è che siamo vecchie, indi per cui nostalgiche, quindi l'ispirazione deriva da tutte quelle sit-com e cartoni anni '90/primi 2000 che passavano Disney Channel, Cartoon Network e simili. Il titolo è un ovvio calco di Zack&Cody al Grand Hotel (The Suite Life of Zack&Cody in inglese), e quello del capitolo riprende That's so Raven!
L'intento è quello di fare appunto una serie "a episodi" che prenda un po' spunto da show di questo genere.
Sperando che questo primo episodio abbia stuzzicato il vostro appetito, vi diamo appuntamento al prossimo capitolo. Esatto, non vi libererete così facilmente di noi *risata doppia satanica*
A presto,
Light e Miry

 

 

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Capitolo 2
*** Geni per Caso ***


 

[ Harley & Peter & Tony - Fluff  - Word Count: 3705 ]



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Episodio 2. Geni per Caso – Parte Prima

 

Quando Peter varca la soglia di scuola, quella mattina, è un agglomerato di entusiasmo e ansia. Non che normalmente ansia e senso di inadeguatezza non lo accompagnino ogni glorioso istante della sua vita, ma oggi è una giornata diversa. In realtà lo è per tutti gli studenti che attendono le classifiche per la qualifica annuale delle Olimpiadi studentesche di matematica, dove Peter non è mai mancato di partecipare, con risultati sempre abbastanza soddisfacenti. Non lo fa per la gloria, più per mantenere la borsa di studio con una media sempre alta. L'unico modo che ha per frequentare la scuola senza far tirare fuori un soldo a zia May. Si addentra nell'atrio della scuola e una calca di rumorosissimi studenti si è riunita di fronte alla tabella delle graduatorie. Lui è lì, dietro a una cinquantina di persone, e non riesce a vedere un accidenti. Si alza sulla punta dei piedi e tenta, invano, di leggere da una distanza di tre o quattro metri, le scritte piccole e poco chiare delle graduatorie. Okay, è Spider-Man, ma non ha la supervista!

Ricade sui talloni molleggiando appena con uno sbuffo trattenuto, e si rassegna ad aspettare un varco. Raggiunge la bacheca con indolenza fittizia, sentendo in realtà una massiccia dose di energia nervosa in circolo, di quella che lo invoglia a fare un paio di capriole all'indietro sul posto. Finisce con la punta del naso che quasi sfiora il foglio, sospinto dalla pressione di altri studenti irrequieti dietro di lui.

Quasi s'incrocia gli occhi nel tentativo di mettere a fuoco le lettere e schizza a leggere la colonna della "P" con un sussulto agitato.

Page... Perkins – un vuoto al cuore – ma no! Si è saltato! Parker! Eccolo lì, nero su bianco, inconfutabile prova della sua qualifica. Si concede un sospiro sollevato che cela un pizzico di soddisfazione.

Si poggia una mano sul cuore e non vede l'ora di dirlo al signor Stark, anche se, come sempre, farà una delle sue battute ad effetto, tipo... com'era quella dell'anno prima? Ah, sì, «Oh, di nuovo, Pete? Sappi che... conto su di te! L'hai capita, vero? Conto, perché sono le Olimpiadi Matematiche!» e aveva riso della propria, trashissima ironia. Peter scuote la testa, a quel ricordo, mentre un sorriso gli vibra sul lato sinistro della guancia. Fa per tirare fuori il cellulare dalla tasca troppo stretta dei jeans – difatti fa un po' di fatica e si morde la lingua tra i denti – e poi si arresta, quando gli occhi gli cadono sull'elenco, di nuovo, alla lettera K. Si blocca come un fesso, come pure le sue dita che hanno fallito miseramente l'intento di sfilare il cellulare. Non ci può credere. 

Non ci può proprio credere...

Keener, Harley.

Lui. Il bimbetto biondo del primo giorno con una parlantina tale da fargli chiedere se fosse davvero umano, e non piuttosto un cyborg programmato per non tacere mai. Quello che chiama il signor Stark "Tony", come fossero amici di vecchia data. Che un po’ gli inacidisce il fegato perché... Perché mai? Nah, non gli fa né caldo né freddo, nella sua logorante irrequietezza.

Trattiene un sospiro che gli gonfia le guance irrigidite. Ritrovarselo nel gruppo delle Olimpiadi gli sembra un qualche segno del destino. Un castigo divino. Un modo per punirlo di tutti gli zaini persi e tutte le cene mancate con zia May – la quantità di rimproveri che gli si è abbattuta addosso ultimamente è abbastanza per ritenere plausibile un suo coinvolgimento, almeno a livello mistico.

Riesce nell'impresa di tirar fuori il telefono dalla tasca, rischiando quasi di romperla per la troppa forza che ci mette.

Lo sblocca e si allontana dalla calca, siccome qualcuno ha iniziato a spintonarlo. Non sa se scrivere al signor Stark della graduatoria, omettendo il fatto di Harley o se dirgli anche di lui. O, meglio, non dire niente e basta, ma sa benissimo quando l'uomo ci tenga, a certe informazioni, anche se non vuole darlo a vedere. Zia May crede che Tony Stark nasconda, sotto quella corazza, una mamma chioccia super apprensiva e Peter pensa che un po’ sia così. Sbuffa verso l'alto, e il ciuffo ribelle che gli cade sulla fronte si tira indietro, per poi tornare fastidioso esattamente dov'era. Scrivere o non scrivere? Dirgli di Harley, o non farlo?

Uffa, non lo sa proprio! La decisione più difficile della giornata è stata la scelta di quali scarpe mettere... e ne ha due paia solamente, eh!

Storce la bocca, tormentandosi il labbro inferiore. Non vuole fare un torto a Tony... né ad Harley, ammette. Dopotutto, se si è qualificato alle Olimpiadi di Matematica alla sua età – quanti anni avrà, poi? Dodici? – deve pur essersi distinto in qualche modo, vista l'imparzialità del signor Harrington. Si merita di essere lì, sicuramente.

E Tony meriterebbe di saperlo subito... se solo non lo pungolasse il pensiero che proprio lui l'ha tenuto all'oscuro per anni sull'esistenza di quel ragazzino iperattivo.

Così opta per la via di mezzo, una di quelle che di solito non gli stanno troppo simpatiche, ma che qualche volta ritiene di potersi concedere, e prende a digitare sul telefono:

«Signor Stark, mi hanno preso anche quest'anno alle Olimpiadi Matematiche :D», scrive, e invia il messaggio, sebbene l'emoticon che ha inserito non rispecchi il suo reale stato d'animo. Si gratta la testa e si sente un pochino in difetto per aver omesso il fatto che anche quel ragazzino a quanto pare geniale sarà un suo compagno di squadra. Può giurare su tutto ciò che ha di più caro, tra cui l'intera collezione di Stormtrooper del Lego Star Wars, che quando Tony saprà di entrambi gongolerà, e forse è per paura di perdere quel primato col signor Stark, che infine ha parlato solo di sé. Se ne vergogna un po' e quasi pensa di dirglielo, quando la pelle sulle braccia gli si alza improvvisamente, seguita da un brivido lungo la spina dorsale che lo fa rizzare sulla schiena. Sono i suoi sensi, quelli di ragno; quelli che zia May chiama indecorosamente "Peter campanello".

Alza lo sguardo istintivamente verso la porta della palestra e si sente mancare per un attimo il respiro nei polmoni.

 


 

Dopo otto anni di scuola passati tra dispetti, prese in giro e “scherzi” di cattivo gusto, Harley sa riconoscere un bullo quando ne vede uno. Non si era certo aspettato di trovare bulli in una scuola simile, ma Flash è un bullo, su questo non c'è ombra di dubbio, e non ha perso tempo a farsi riconoscere come tale sin dai primi giorni. Il genere di bullo che in una tipica scuola newyorkese avrebbe il ruolo opposto, del ragazzo secchione a cui viene costretta la testa nel gabinetto, ma che alla Midtown si sente in dovere di colmare una lacuna gradita.

«Scansati, nano! Cosa ci vuoi trovare, tu, là sopra?» lo apostrofa, troppo vicino a lui, a ribadire il fatto che può invadere il suo spazio personale come e quando vuole.

Harley gira appena la testa, con quell'espressione impassibile che ancora non gli riesce troppo bene. Il ragazzo è più alto di lui, e potrebbe benissimo leggere la tabella dei risultati oltre la sua testa... ma no, non è così che funziona.

«Il mio nome,» risponde quindi, con la massima calma e le mani che scivolano dalle cinghie dello zaino alle tasche dei jeans, alzando poi con ovvietà le spalle.

Flash alza le sopracciglia e la sua fronte, libera dai capelli tirati indietro con la gelatina, si riempie di rughe, finché non fa roteare gli occhi e tira fuori uno sbuffo che sa di presa in giro.

Harley tenta, in tutti i modi, di non palesare sul viso il disgusto che gli sta attraversando nella schiena, con un brivido.

«Il suo nome, dice!» esclama Flash, rivolto a nessuno in particolare. «E, di grazia, quale sarebbe? Così ti faccio il favore di cercarlo e non trovarlo, e magari ti togli dai piedi!» Gli dà un'altra spinta, e Harley si acciglia.

Nelle tasche, trova l'anello che raccoglie le sue chiavi fino a serrare le dita sul bossolo oblungo e metallico ribattezzato "antibullo". Non è del tutto sicuro di cosa faccia: Tony l'ha definito "la pignatta della cicala"... ovvero una descrizione affatto illuminante sul suo potenziale offensivo. Però gli ha garantito che non è letale.

Porta l'indice sul pulsante a un'estremità, per ogni evenienza, e non si schioda dal suo posto. Alza un po' il mento, scrollando via una ciocca di capelli dal volto, e guarda dritto negli occhi il ragazzo più grande, con un'espressione che spera esterni il giusto mezzo tra indifferenza e spavalderia – cerca di focalizzare una delle tipiche smorfie di Tony e teme che la sua imitazione non sia affatto convincente.

«Harley. E so leggere, grazie: lo trovo da solo,» conclude, voltandogli le spalle e piantando di nuovo il naso sul foglio dei risultati, la mano sudata che ancora stritola l'antibullo.

Il caos ribolle improvviso, come dell'acqua in una pentola sopra ad un fuoco troppo alto. Flash gli dà una spallata che Harley, con le spalle già contratte – siccome ha indurito i muscoli in un istinto di difesa che è un po' automatico e un po' no, attutiscono. Traballa leggermente, non perde l'equilibrio e di questo se ne compiacerebbe pure, se non fosse che, quando fronteggia di nuovo quel primate, questi gli tiri uno spintone, che lo fa indietreggiare. Stringe di più le dita intorno all'antibullo e, nel momento esatto in cui decide di pigiare il bottone, sente in lontananza una voce urlare: «Flash, lascialo stare!»; fa giusto in tempo a riconoscere il timbro acuto di Peter Parker, ma il danno è già fatto: scintille che scoppiettano come petardi saltellano sotto ai piedi di Flash, che si è voltato in direzione di Spider-Man, forse nel tentativo di spintonare anche lui.

La scena che ne segue lo avrebbe di certo divertito, in circostanze diverse, ma gli effetti dell'antibullo sono più forti di quanto Tony gli avesse accennato. Come se... come se fossero raddoppiati.

Alza gli occhi su quelli di Peter, che fa lo stesso, mentre Flash continua a zompettare sul posto, urlando, e tutta la scuola li guarda.

Tra i suoi piedi fasciati da mocassini, guizzano impazziti due bossoli rosso-oro impegnati a scatenare un pandemonio di scintille e piccole esplosioni, che trasformano la palestra in un'affollata strada di China Town a Capodanno; Flash si scansa  imprecando dalla zona di tiro in un modo ridicolo che ricorda un ballerino di tip-tap e il resto dei presenti si profonde in esclamazioni agitate o inneggiamenti alla rissa.

Harley inquadra la sagoma di Peter oltre la sottile nebbiolina fumogena causata dagli "antibulli", e vede riflessa sul suo volto la propria espressione: bocca semiaperta, occhi sgranati, e un indice puntato in avanti.

«Anche tu?!» esclamano poi all'unisono, completando il gioco dei mimi proprio mentre i congegni "non letali" esauriscono la loro carica e rotolano via inerti.

Prima che uno dei due riesca ad esternare una frase più coerente, vengono interrotti da una voce adulta proveniente dall’ingresso della palestra, seguita da un paio di colpi di tosse asfittici:

«Cosa caspiterina succede qua dentro, ragazzi? Credevo che qui ci fosse il raduno per le Olimpiadi di Matematica, non un laboratorio pirotecnico!»

«Professor Harrington!» urla Flash, e la sua voce è uno squittire irritante, oltremodo insopportabile. Harley gira il viso verso sinistra e Peter fa lo stesso, in un gesto meccanico. Tutti li guardano, e scende il silenzio, quando anche l'ultimo bossolo scoppia. L'unico rumore udibile è il fiato corto del bullo – vittima degli "antibulli", che ora ha alzato un dito e li indica, entrambi, tremando. «Parker e questo ragazzino! Mi hanno lanciato addosso queste cose

«Non è vero!» interviene Peter, e fa un passo verso di lui, stringendo tra le dita l'oggetto incriminante, ma solo Harley può vederlo, siccome sa di cosa si tratta.

Flash si gira di scatto verso di lui, indicandosi le gambe con un gesto teatrale; sembra stiano per uscirgli gli occhi fuori dalle orbite, per quanto li ha spalancati.

«Ho quasi perso un piede, Parker! Abbi almeno la decenza di ammetterlo! L'ho sempre detto, che hai qualche rotella fuori posto!»

«Oh, beh,» tartaglia il signor Harrington, raddrizzandosi stupefatto gli occhiali sul naso. «Beh, questo è... è inaspettato; insomma! Parker e...» indirizza uno sguardo interrogativo ad Harley, che si stringe nelle spalle nel rispondere:

«Keener,» quasi sbuffa, fissando in cagnesco Flash, che sta palesemente gongolando per averli messi nei guai. «E non è andata affatto così, lui ha...»

«Parker, da te non mi sarei mai sognato simili atti di... intemperanza!» lo ignora Harrington, parlando con una voce squillante che tradisce quanto sia impreparato a gestire la situazione. «E questi... cosa sono questi?» aggiunge, spostando l'attenzione sulle armi del delitto ancora fumanti ai loro piedi.

«Petardi,» si affretta a dire Peter, così in fretta che Harley ha l'impressione che si sia quasi morso la lingua per anticiparlo nel rispondere. «Semplici, semplicissimi petardi, nulla... nulla di fuori dall'ordinario, ecco,» s'incarta, e mentre fissa Harrington cerca di guardare di sottecchi anche lui, intimandogli chiaramente di tacere.

Harley lo asseconda, senza però poter evitare una tenue espressione contrariata che gli increspa le sopracciglia: non avrà un’identità segreta da proteggere, ma sa capire da solo quando è il caso di essere sinceri o meno.

«Petardi! Santo cielo! Il regolamento parla chiarissimo, in proposito!» esclama drammaticamente Harrington, strabuzzando gli occhi.

«Signor Harrington, mi creda, non volevamo che acc-»

«Vorresti farlo passare per un incidente, Parker? E far passare me, per scemo?», dice Flash, e il suo sorrisetto da gradasso torna a solcare quel viso da pugni che si ritrova. Harley vorrebbe quasi rispondergli che è scemo, e di questo probabilmente è cosciente persino quel rimbambito di Harrington che, con un diniego della testa, incrocia le braccia al petto, ma ha ancora gli occhi puntati su Peter, il quale ha la faccia di uno che preferirebbe sprofondare nel terreno, piuttosto che stare lì a farsi rimproverare per aver cercato di mantenere l’ordine.

«Io non sto di-»

«Ora basta.» La voce di Harrington si alza di colpo, ma l'autorità è sempre stata una sua grave mancanza. Harley pensa che, quasi sicuramente, li lascerà andare intimando loro di smetterla di litigare e punzecchiarsi; tutto andrà bene, c'è solo bisogno che Peter la smetta di rispondere alle provocazioni di Flash. Un comportamento, in effetti, un po' spavaldo che non gli si addice, ma – Harley lo ha capito – lo ha fatto principalmente per difendere lui. Arriccia le labbra, a quel pensiero, e cerca di appuntarsi mentalmente di ringraziarlo, più tardi.

Ogni buon proposito di Harley, però, sfuma via, quando inaspettatamente la questione prende una piega ancora peggiore di quella che è. Sembra quasi assurdo, ma il professor Harrington stringe i pugni, li guarda e, in un sospiro, alza un dito e indica un punto indefinito dell'edificio.

«Parker. Keener. Con me in presidenza.»

 


 

Un solo movimento fuori posto, e la missione sarebbe fallita con conseguenze catastrofiche. Tony armeggia con le pinzette come se stesse maneggiando una testata atomica, e fa combaciare l'ultimo pezzo del vaso sperando che il movimento non lo porti a collassare di sua sponte. Il coccio si assesta con un lieve click, e gli altri pezzi reggono il sussulto.

Tony smette di trattenere il fiato e si ripromette di non testare mai più dei droni in salotto, onde evitare le ire di Pepper per l'ennesimo soprammobile disintegrato. Per fortuna questo danno è facile da camuffare, visto che tecnicamente il vaso era già rotto, e i frammenti sono evidenziati da un reticolo d'oro unito adesso a uno strato invisibile di supercolla. Sta giusto per posare il delicato oggetto sulla mensola, quando il suo cellulare erompe in una serie di schitarrate spaccatimpani, rischiando di farglielo cadere di nuovo dalle mani.

Emette uno sbuffo che rasenta il panico, posa al sicuro quella bomba ad orologeria e sorride nel leggere il numero che lo sta chiamando. Altre buone notizie sui suoi adolescenti preferiti, ne è sicuro.

«Sai cosa ne penso del chiamarmi durante l’orario scolastico, Harl, ma immagino tu debba darmi qualche buona notizia. Avanti, sono tutto orecchi!» esclama, come sempre senza né salutare, né chiedere chi ci sia dall’altra parte. Dritto al sodo, come al solito. Il suo petto si è gonfiato, tronfio. 

«Signor Stark, mi perdoni il disturbo, sono Roger Harrington, insegno scienze alla Midtown High School. So che lei è il secondo contatto di emergenza del signor Keener, giusto?» Il suo petto si sgonfia, come un palloncino.

Tony fa una smorfia; arriccia le labbra come se avesse baciato con passione un limone acerbo. «Dipende da quello che ha combinato» risponde; poggia il telefono sulla spalla e piega la testa per tenerlo senza mani, mentre si prende la pelle tra le sopracciglia, «Comunque sì, sono io. Che è successo?» 

«Lui e un altro compagno sono stati richiamati in presidenza. Avremmo bisogno che lei venisse qui in veste di tutore del ragazzo, siccome è ancora minorenne.» 

«Harley? In presidenza? Cos'è, uno scherzo?» chiede esterrefatto, col sospetto di stare davvero cadendo vittima di una qualche beffa ai suoi danni architettata con i suoi nuovi amici della Midtown – quella Bishop gli è sembrata davvero una testa calda.

Ma... non sarebbe da Harley: avrà anche cercato di segnare un headshot con uno sparapatate contro Iron Man, ma non ce lo vede a fare questo tipo di stupidaggini. Dopotutto, non è un se stesso quattordicenne.

«Purtroppo no, signor Stark, e, insomma, capisco che lei sia molto impegnato... ma la signora Keener è al lavoro e lei figura sulla lista da contattare in questi casi...»

«E che caso è, questo?» tenta di nuovo Tony, col cuore che salta troppi battiti.

Si ripete che, se fosse davvero un’emergenza, quel professore non sarebbe così calmo e lo starebbero chiamando da un ospedale, non dalla Midtown. Cerca piuttosto di capire come diavolo dovrebbe porsi davanti a Harley, se in versione di supporto morale o di paterna severità... entrambe ancora in collaudo.

«Le spiegherà tutto il preside Morita, ma posso dirle che il signor Keener e un suo compagno hanno... fatto un uso improprio di materiale pirotecnico non autorizzato, dei petardi che si ostinano a chiamare "antibullo"... insomma, ragazzate, nulla di grave, questa è più una tirata d'orecchie per evitare che...»

Tony ha smesso di ascoltare ad "antibullo", con un microinfarto nell'udire quella parola, e una chiara immagine di Harley con un occhio nero che gli si para davanti, seguita da altre ancor meno piacevoli che gli causano una stretta allo stomaco. E quel “compagno”... Cristo, a volte non vorrebbe essere così perspicace.

Ha un piede già in automatico sulla soglia di casa, quando Friday si interpone nella telefonata, udibile solo a lui.

«Capo, May Parker la sta chiamando; metto in attesa il signor Harrington?»

«Merda!» esclama, e non si capacita di averlo detto ad alta voce finché Harrington non reagisce a quella brutta parola con un singulto spiazzato. Non importa. Niente ha importanza, ora come ora, siccome ha sull'altra linea una delle donne più spaventose che abbia mai conosciuto. Ha sempre pensato che, in confronto, Pepper e Natasha arrabbiate siano decisamente più gestibili. May Parker non lo è, e la cosa peggiore è che se Tony aveva già un sospetto su chi fosse l'altro alunno incriminato, ora non ha più dubbi sulla sua identità. «Senta, professore,» esordisce, soppesando quella parola, come se Harrington, in effetti, fosse tutto tranne che un insegnante. «arrivo in un attimo, il tempo di ammansire una bestia feroce.» Non attende nemmeno una risposta e risponde all'altra chiamata, per nulla sicuro che la passerà liscia, stavolta.

«May, che piacevole sorpresa! Pepper voleva giusto invitare te e Peter a pranzo, domenica , pensa un po'!» sfarfalla, con troppo entusiasmo, che non cela affatto i suoi timori.

«Se non mi dai subito una spiegazione del perché la presidenza mi ha chiamato dicendo che Peter è lì per colpa di una cosa chiamata antibullo, domenica non ci sarà un pranzo, ma una veglia funebre: la tua e la sua, Tony!»

Tony serra gli occhi per qualche istante, ad attutire l'onda d'urto che gli investe il timpano, e si arrischia a parlare solo quando dall'altro capo del telefono non rimane che un silenzio tombale.

«Uh, May, so che tuo nipote è, tecnicamente, Spider-Man, ma... ecco, ho pensato che fargli avere qualche mezzo per difendersi meno vistoso di una ragnatela sarebbe stato, uh, diciamo...»

«...un'enorme cazzata?» completa lei, melliflua quanto un orso pronto a sbranarlo sul posto.

Tony deglutisce a vuoto.

«Nnn… , più o meno. Ho sottovalutato la variabile adolescenziale; quella mi frega sempre,» borbotta, puntellandosi contro lo stipite dell'ingresso mentre cerca di far carburare i neuroni.

Cosa che si risolve con la creazione di scenari sempre più apocalittici, il più devastante dei quali è un possibile, insanabile litigio tra i suoi due jukebox umani preferiti... per causa sua. Perché non sa mai tenere a freno la bocca e, quelle poche volte in cui dovrebbe spiccicare due parole sensate di fila, preferisce tenersele per sé. Si schiaffa una mano sul volto: Pepper ha ragione, e a volte è veramente un idiota.

«Bene, genio,» continua May, «sappi che ho chiamato quell'anima pia che sarà costretta a sopportarti per il resto dei suoi giorni, e abbiamo deciso che in presidenza ci andrai tu, da solo, per entrambi i ragazzi; e vedi di comportarti bene! Qualcosa in contrario?»

«Immagino che, anche avessi qualcosa in contrario, farlo presente sarebbe un tantino controproducente» commenta, ed è felice che l'ira di May sia filtrata prima da Pepper che sì, è un'anima pia. E sì, dovrà sopportarlo per il resto dei suoi giorni. «D'accordo, d'accordo! Ci penso io. Ah, le mie povere coronarie!» Scuote la testa, e May gli lancia un altro paio di accidenti, prima di attaccare e lasciarlo con il tu, tu, tu del telefono muto. Tony sospira. Recupera le chiavi dell'auto nel piattino di vetro giallo all'ingresso. Le lancia in aria, distrattamente e le recupera in un colpo tra le dita.

Sarà un lungo pomeriggio, ne è certo.


Fine prima parte

 

 


 


Note autrici:

Carissimi Lettori!
Ebbene sì, siamo tornate, più cariche di prima. Così tanto che questa parte doveva essere una shot e invece abbiamo avuto la necessità di dividerla in due parti… la colpa non è nostra, comunque, ma del fatto che abbiamo deciso di inserire TRE personaggi logorroici, Tony fra tutti, che si ruba il palcoscenico e caccia via a calci tutti gli altri XD Prendetevela dunque con loro/lui (e con noi, che siamo pure più logorroiche e abbiamo fatto la fuh-sione! della vita u.u)

NB: La scelta di usare “Peter campanello”  è una variante alla cacofonicissima traduzione italiana di Peter Tingle, diventata Peter Prurito che ci sapeva troppo di piattole o varicella, quindi nel corso dell’opera avrà svariati nomi, mai mai QUELLO. È troppo brutto, per essere usato U.U so che convenite con noi... e se non convenite, conveniate (?)  ♥

La piantiamo di appallarvi e ringraziamo tutti coloro che hanno letto, recensito e/o inserito la storia tra le loro liste: sappiate che ci fate feliciE e che vi amiamo così tanto da convincerci a non smollarvi capitoli di 6000 parole ♥ 
Non temete: torneremo presto col seguito delle mirabolanti e logorroiche avventure dei nostri idioti preferiti: rimanete sintonizzati!

Light&Miry

 

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Capitolo 3
*** Geni per Caso - Parte 2 ***


 

[ Harley & Peter & Tony - Fluff  - Word Count: 4245 ]



•••




Episodio 3. Geni per Caso – Parte Seconda.


 

Il battito regolare del suo piede contro il pavimento di un grigio stinto risuona incessante nello stretto corridoio della presidenza. Tony comincia a pensare di essere lui, quello in punizione, e si passa per l'ennesima volta la mano sulla nuca, coi gomiti puntati sulle ginocchia in una posa d'eterna attesa. Sente delle voci ovattate provenire da oltre la porta di legno, con un vetro smerigliato che rende impossibile sbirciare all'interno, ed è abbastanza sicuro di riconoscere il timbro squillante di Harley di tanto in tanto.

Incrocia le braccia al petto con un sospiro, arricciando il naso per far scivolare un poco più in basso gli occhiali da sole rossastri, e schiocca la lingua in un moto esasperato.

Il pensiero di dover fronteggiare i due ragazzi lo mette più in ansia della prospettiva di un'orda aliena in avvicinamento. Almeno può disintegrarli, gli alieni.

Non è mai stato bravo a fare la figura di riferimento, ma pare che Peter e Harley lo vedano proprio in quel modo. Non sa come sia successo, visto che ha superato i quaranta ma dimostra cerebralmente qualcosa come dodici anni, in quanto a responsabilità e decisioni sensate — e, deve ammetterlo, il motivo per il quale è stato chiamato lì, a parlare con il preside Morita, è qualcosa che fondamentalmente è successa per causa sua e delle sue geniali invenzioni. Certo, Harley e Peter forse avrebbero dovuto usare quei così in modo più responsabile. Ma, lui, avrebbe fatto di meglio?

Un piccolo sorriso gli vibra sul lato della bocca. Nah, probabilmente no. Anzi...

Le voci all'interno della stanza proseguono ovattate e indistinte, così Tony aziona il cervello e parte un filmino mentale: lui che, severo, redarguisce i due ragazzi e questi che, silenziosi, incassano il colpo e abbassano la testa, chiedendo scusa. Utopia. Pura utopia, lo sa già.

Harley si rigira benissimo le frittate e Peter cerca di giustificare pure colpe palesi. Sarà difficile, e non tanto perché quei due sono così, ma perché — non lo ammetterà mai ad alta voce — vuole loro un gran bene.

Sospira. È più confuso e in ansia di prima, ora. Chiude e apre la mano sinistra, che ha iniziato a tremare.

Rimanda a dopo la gara mentale d'insulti a Cap che gli ha regalato quel tic molesto, e cerca di elaborare un piano. È teoricamente bravo, a farlo; l'unica pecca è che non lo ritiene mai necessario, visto che si affida alla sua leggendaria abilità nell'improvvisare con ciò che ha per le mani al momento. Il che si riduce, adesso, a Peter che probabilmente ce l'ha a morte con lui per avergli tenuto nascosto qualcosa – con quale faccia potrebbe mai biasimarlo? – e Harley che, anche in questa scuola tecnicamente “per geni”, si trova nelle spiacevoli condizioni di dover usare un antibullo. Si rifiuta di pensare che i due l'abbiano usato per gioco, né tanto meno l'uno contro l'altro, anche se quel pensiero terrificante l'ha sfiorato: non sono attaccabrighe irresponsabili, non sono lui, non hanno la costante inclinazione a scoprire quanto possono tirare la corda con qualcuno prima che questi lo sollevi per il bavero e lo inchiodi contro l'armadietto.

Sospira a mezza voce, tirandosi nervoso il pizzetto. Non lo nega: da quel punto di vista è Harley, a impensierirlo. Città nuova, scuola nuova, amici nuovi... stessi bulli. Tony sospira di nuovo, adesso con una fitta di rabbia ad attraversarlo, e si spinge con un gesto secco gli occhiali sul naso.

Peter non è un ragazzo spavaldo, ma è Spider-Man. Finge di non averlo, il potere di difendersi, ma ce l'ha. Harley no. Harley è come lui: un cervello più grosso della sua pazienza. Ha un brivido lungo la schiena, che cerca di frenare, serrando le labbra; si raddrizza quando quello che a quanto pare è il preside Morita si affaccia dalla porta e lo guarda monoespressivo.

«Signor Stark, scusi l'attesa. Può entrare, ora», gli dice e Tony si sente tornato al liceo, e la sua mente va indietro di tanti anni. 

Si alza in piedi, si allaccia il bottone centrale del completo Armani, si sistema gli occhiali sul naso e entra, non prima di aver stretto la mano al preside. Quando questi si chiude la porta alle spalle e Tony entra, ci sono due schiene a dargli il benvenuto: quella ricurva di Peter e quella più rigida di Harley. Non si voltano e Tony sa perfettamente il perché.

In mezzo a loro c'è una sedia vuota, che è certo di dover occupare lui. E chi altri?

Fa scattare lo sguardo qua e là nell'ufficio, intersecando per un istante quello di Rogers nella fotografia sbiadita su una mensola. Oh, fantastico. Proprio quello che gli mancava. [1]

Si accomoda con un sospiro mal trattenuto sulla sedia centrale, frapponendosi tra le vibranti aure di energia negativa emanate dai suoi due protetti.

Harley si impegna stoicamente a fissare il bordo in legno massiccio della scrivania, quasi volesse mapparne ogni venatura. Ha su quell'espressione rigida e spenta, troppo adulta, di quando qualcosa lo turba ma non vuole lasciarlo trasparire. La vede troppo spesso allo specchio: sa riconoscerla.

Peter neanche ci prova, a mascherare il proprio nervosismo, e fa ballare a intermittenza un ginocchio a ritmo con quello che deve essere il battito agitato del proprio cuore. Spera di sbagliarsi, perché se così fosse non sarebbe più l'unico dei tre con palesi problemi cardiaci. Il ragazzo fa scattare la testa a guardarsi alle spalle, e la sua perplessità diventa evidente, così come la domanda che gli pende dalle labbra: perché c'è solo Tony, qui?

Questi sfrutta la studiata barriera degli occhiali da sole per ignorare il suo sguardo interrogativo, e ringrazia che sia il preside a prendere parola per primo, risparmiandogli un confronto che, lo sa, si è solo spostato dietro l'angolo.

«Signor Stark, mi dispiace molto che sia dovuto intervenire lei... immagino ci siano faccende più importanti di cui deve occuparsi, ma la situazione è degenerata a tal punto che i due ragazzi, qui, hanno avuto bisogno di un richiamo,» esordisce Morita, mentre fa il giro della scrivania ma non si siede. 

Poggia i palmi aperti delle mani sul tavolo e guarda prima Harley, poi Peter. Entrambi non sembrano propensi al contatto visivo dell'uomo, che sospira. 

«Il motivo principale non è tanto la ragazzata in sé, mi creda, ma il fatto che due soggetti come Parker e Keener – che non hanno mai causato problemi – abbiano deciso di agire in questo modo; inaspettatamente, oserei dire», conclude, e continua a ricercare i loro sguardi ancora fissi altrove, ma mai sul suo.

Tony guarda prima uno e poi l'altro. Apre bocca per parlare, ma Peter lo precede, cupo.

«Non dovremmo aspettare i genitori di Harley?» 

Si volta leggermente a guardarlo, in cerca di una risposta, che Tony soppesa alzando un sopracciglio nella sua direzione.

«No, non dovremmo. Sono qui per te e per lui, ed entrambi dovreste darmi un paio di spiegazioni, a quanto pare, di cosa sia saltato in quelle vostre testoline geniali.»

Peter sgrana appena gli occhi, schiudendo la bocca.

Tony, piazzato là in mezzo, percepisce chiaramente che ora anche Harley lo sta fissando perplesso, probabilmente per il motivo opposto e complementare a quello di Peter. Tony maledice mentalmente Pepper e May per averlo cacciato in questa situazione oltremodo precaria, e la madre di Harley per averle appoggiate. È bravo a destreggiarsi sul filo del rasoio, ma vorrebbe evitare di farlo diventare uno stunt quotidiano, per giunta con due adolescenti troppo perspicaci.

«È stata legittima difesa,» interviene a quel punto Harley, con voce chiara, anticipando la replica esterrefatta e fuori tema che Peter sta probabilmente per formulare.

Tony fa perno sul sedile, voltandosi a guardare il più piccolo – Cristo, si sente uno di quei pupazzetti a molla che ondeggiano qua e là; ci manca solo che si accasci disarticolato sulla sedia e la riproduzione sarebbe perfetta. Batte le palpebre dietro le lenti colorate invitando un continuo da parte del ragazzo, che ha sollevato un po' il mento con aria sicura di sé, a dispetto delle sopracciglia bionde corrugate. Il preside rimane in silenzio con le mani giunte dinanzi a sé, in ascolto.

«Ha cominciato Flash,» rincara Peter, da dietro la sua spalla, e articola le parole con più lentezza del solito, come se stesse ancora cercando di assorbire l'ultima informazione ricevuta.

«E voi avete continuato,» s’interpone il preside, severamente.

«Beh, se non fossi intervenuto...» comincia Peter, in fretta, e Tony lo intravede mordicchiarsi un labbro in tensione.

«... sarebbe comunque successa la stessa cosa,» ribatte Harley, scrollando il capo, e quel semplice scambio di battute innesca un battibecco che dà l'impressione a Tony di avere un angioletto e un diavoletto sulle spalle a rintronarlo.

«Non potevo certo sapere che anche tu avessi...»

«Neanch'io potevo saperlo; l'avrei usato a prescindere...»

«Appunto, quindi in sintesi...»

«... sarebbe...»

Tony serra gli occhi, prevedendo l'impatto.

«... colpa tua/sua,» concludono i due all'unisono, fissandolo in sincrono.

Li guarda; prima uno e poi l'altro. Il desiderio più grande che lo pervade in quel momento è quello di alzarsi, fare un doppio carpiato dalla finestra e sparire per sempre. Alza gli occhi al cielo, mentre il suo sguardo torna a fronteggiare la parete dietro al preside Morita, che ora si è seduto. Cerca conforto nel candore di quel muro e trova solo un nuovo motivo per desiderare di andarsene: la foto di Rogers, che non ha ovviamente abbandonato quella stanza, siccome – e per fortuna – non ha vita propria, lo fissa con la sua ridicola autorità. È convinto di poter annoverare quella giornata come la peggiore mai avuta in vita sua.

 

 


 

Peter è pervaso da un contorto mosaico di pensieri e sentimenti nella testa, che vanno dall'odio ai sensi di colpa. Lo sa benissimo di aver sbagliato ad agire di impulso, ma dopotutto Flash gli fa sempre quell'effetto, specie quando è il motivo che gli fa vibrare i maledetti sensi di ragno e perdere un po' la ragione. Deve agire, se il pericolo è in agguato; non li ha solo per sport, quei poteri, e lo sa benissimo che le responsabilità significano anche dover scegliere se mettersi in pericolo e fare del bene o rimanere fermi dove si è, e poi sentirsi in colpa per non aver fatto niente.

Non può negare di aver provato un po' di gelosia, nei riguardi di Harley, ma è anche vero che quel ragazzino non gli ha fatto niente; niente di concreto, almeno. Niente di vero, solo si è illuso che col signor Stark condivida un rapporto più profondo di quello che ha con l’altro, quando magari non è così. Quando magari è solo diverso, e non migliore... o superiore. Si morde il labbro inferiore e lancia uno sguardo ad entrambi; trattiene un sospiro tra lingua e palato e torna a guardare il preside Morita, che ora ha appoggiato i gomiti alla scrivania e li guarda; tutti e tre. Come se pure il signor Stark fosse un ragazzino che sta espiando le proprie colpe.

«Signor Stark, mi pare di capire che è lei ad aver fornito i ragazzi dell'oggetto del misfatto e, se non ho inteso male, si tratta di un marchingegno di legittima difesa, sbaglio?»

«Non sbaglia!» esclama il signor Stark, e si impettisce. Si liscia il colletto della camicia, «Ho dato loro il mezzo, ma a quanto pare l'avvertimento solo in caso di stretta necessità è un pochino da rivedere», conclude, e lancia loro occhiate severe, che però non sono poi così credibili.

«Flash ha iniziato a spintonarmi! A prendermi in giro! Ho agito di impulso, lo ammetto, ma certe ingiustizie te le tolgono dalle mani!» risponde Harley, sulla difensiva.

Tony apre la bocca, ma Peter lo zittisce. «Lo ha preso di mira e non stava facendo niente di male, signor Stark! Stava solo... guardando le graduatorie delle Olimpiadi Matematiche e Flash ha iniziato a dargli fastidio. Non ce l'ho fatta a restare con le mani in mano. Questo non giustifica quello che abbiamo fatto ma sono certo che lei avrebbe fatto lo stesso, d'impulso.» 

Alza gli occhi sui suoi, finalmente, perché vuole che capisca. Vuole che capisca quanto è difficile ammettere di aver sbagliato, sapendo di avere in parte ragione. Ma forse il signor Stark lo sa benissimo, come ci si sente, in certi casi.

Il signor Stark sospira, senza negare, lancia uno sguardo a lui, poi ad Harley e torna infine a fissare il preside, uno specchio del suo volto oscillante tra l'impotenza e la rassegnazione, con una tinta di colpevolezza scaturita probabilmente da fonti diverse. Il signor Stark sospira di nuovo e Morita gli fa silenziosamente eco.

«Signor preside, come vede sono con le spalle al muro,» esordisce inclinando la testa ora verso Peter, ora verso Harley. «Mi affido al suo buon senso nel decidere come far scontare a questi due la loro... iniziativa avventata, ma dettata dalle circostanze e permessa da cause esterne,» conclude, piantandosi svogliato una mano sul petto.

Peter quasi si lascia scappare un sorrisetto a quelle parole, che denotano come sempre l'abilità del signor Stark nel gestire situazioni ben più spinose di un richiamo in presidenza... per poi rabbuiarsi nel realizzare che probabilmente la vera punizione li aspetta fuori da quella porta. Le ramanzine del signor Stark sono rare e decisamente meno terrificanti di quelle di May, ma gli sembra sempre che vadano a far cigolare cardini dolorosi e poco oliati del proprio cuore. Gli risultano insostenibili, gli danno la nausea, lo fanno sentire sbagliato.

«Direi che due ore di detenzione dopo le lezioni, per tre giorni, saranno sufficienti,» conclude Morita, guardando loro due, e probabilmente aveva quell'idea in testa sin dall'inizio di tutta la faccenda. «E divieto assoluto di introdurre altri... congegni non autorizzati,» aggiunge, stavolta fissando il modo eloquente il signor Stark, che dal canto suo annuisce appena per poi tracciarsi un'ironica croce sul cuore con l'indice.

«Non accadrà più, gliel'assicuro

Peter potrebbe giurare di aver sentito un chiaro sottotono minaccioso in quell'affermazione, ma non fa tempo a rimuginarci troppo su che si ritrovano tutti e tre nel corridoio, con la porta della presidenza che si chiude alle loro spalle.

Il signor Stark si piazza di fronte a loro, a braccia incrociate e con un'espressione severa che ricalca quella rigida della sua maschera; fa per togliersi gli occhiali, per poi ripensarci e muovere un secco cenno del mento verso l'uscita.

«Marsc', ragazzini. Parliamo in macchina.»

 

***



Quando raggiungono la macchina, lo fanno in un silenzio tombale. Harley è chiuso nelle spalle; le dita strette al suo zainetto e il casco di capelli biondi gli coprono gli occhi che non si sono mai alzati dal pavimento. Il signor Stark mordicchia lo stecco di plastica del caffè che ha preso poco fa alla macchinetta, nervoso. Prendono posto sui sedili e Peter non vorrebbe sedersi davanti, proprio accanto al suo mentore, ma a quanto pare vige la legge del più grande, come sempre... e non può fingere di non esserlo, proprio ora che ha tentato di dimostrare che è un adulto responsabile.

Deglutisce un groppone a vuoto, mentre infila la cintura – tentando di non romperla con la sua superforza; sarebbe la terza questo mese, e sospira, in attesa. Lo sa che quella calma apparente preannuncia solo la tempesta imminente e che il signor Stark è silenzioso perché sta cercando di accendere quella scintilla, quella fiamma che sarà poi, inesorabilmente, l'inizio di una discussione di cui sanno già l'esito, tutti e tre.

 Lui ha ragione e loro torto. Fine.

«Dunque» esordisce Iron Man, e Peter sussulta. «Chi ha cominciato?»

«Flash. Non abbiamo mentito!» replica Harley.

«E dopo Flash?»

«Pensa davvero che abbia importanza chi ha lanciato per primo quei cosi?» interviene Peter, e quando Tony gli punta un dito addosso, senza distogliere lo sguardo dalla strada, siccome si è immesso nella corsia, alza gli occhi al cielo e sbuffa.

«Le domande le faccio io! E credetemi quando vi dico che vorrei essere da tutt'altra parte, invece che qui a fare la ramanzina a due adolescenti in piena crisi ormonale. Prendetevela con le vostre mamme, o le vostre zie», borbotta Tony, e entrambi abbassano il capo. «Andiamo, che accidenti vi è saltato in testa di fare? L'antibullo non è un giocattolo da usare per scatenare una guerra scolastica!» 

«E allora perché ce l'hai dato?» obietta Harley dal sedile posteriore, e quell'intervento fa apparire due pieghe severe tra le sopracciglia di Tony.

Prima che possa rispondere, un colpo di clacson trapassa loro le orecchie, spingendolo a ripartire con un acuto stridio di gomme prima di subire un linciaggio da parte dei newyorkesi impazienti al semaforo.

«Ve l'ho dato come deterrente,» risponde infine, sbuffando aria dal lato della bocca. «O meglio: deterrente per gli altri e supporto per voi. Per avere una sicurezza in più in caso di necessità... Non pensavo l'avreste mai usato davvero!» sbotta infine, con un picco acuto nella voce.

Peter si mordicchia le labbra, catturando lo sguardo imbronciato di Harley nel retrovisore. Nessuno dei due è convinto di quella spiegazione, ma incredibilmente Tony non sembra aver allestito una scusa delle sue. Sembra sincero, e in parte Peter riesce a comprendere il suo ragionamento... in fondo, anche lui si sente più forte nel sapere di essere Spider-Man. Non perché userebbe mai i suoi poteri a vanvera, ma perché il solo fatto di averli funge da garanzia. Non parla, però: non vuole dar ragione al signor Stark quando ce l'ha fin troppo spesso.

«Non l'ho mai usato, a casa,» puntualizza ancora Harley. «Solo, non pensavo che mi sarei dovuto difendere anche qui! Non me l’aspettavo e... ho reagito d'istinto. E anche Peter,» commenta ancora, serrando le braccia al petto con fare indisponente.

S’interpone tra loro una breve pausa, che sembra vacillare nell’aria come il preludio di una possibile fine della discussione. Peter lo spera con intensità, ma quello non è decisamente il suo giorno fortunato.

 


 

«Lo so», esordisce Tony senza preavviso, e li guarda entrambi, poggiando il gomito sul bracciolo del sedile mentre guida, ed entrambi i ragazzi sussultano. «Lo so che fa una rabbia pazzesca, lo so che a volte ve le tolgono dalle mani; lo so che è umiliante, che è destabilizzante, che è dannatamente ingiusto... ma vi prego, Cristo santo. Per favore!» 

Harley apre leggermente la bocca, perché non è abituato a Tony Stark che lo prega in quel modo e lo fa per ben due volte. 

«So di non essere la persona giusta, so di avervi dato io quei cosi, so che probabilmente se ne avessi avuto uno al tempo ne avrei abusato e ora sarei in qualche riformatorio con quattro ergastoli, ma be'... almeno voi, che non siete come me, contate fino a dieci e...» 

Sbuffa, poi si passa una mano trai capelli, e arriccia le labbra. E non fatemi preoccupare, avrebbe voluto dire; Harley glielo legge negli occhi.

«... E non comportatevi come i ragazzini idioti che non siete,» conclude invece, brusco a dispetto del complimento implicito.

La linea di silenzio che si interpone tra loro s'ingarbuglia coi loro pensieri, perché entrambi vorrebbero dire qualcosa, accettare quel rimprovero scaturito a fin di bene. 

«Te l'ho detto: abbiamo reagito d'istinto,» scrolla le spalle Harley, e sembra che stavolta stia cercando di porre quel fatto come un'azione fallata.

Tony prende un grosso respiro, poi si toglie gli occhiali da sole, appuntandoseli sul taschino della giacca; Harley si raddrizza di riflesso e scorge Peter imitarlo quasi sull'attenti. Tony Stark che si toglie gli occhiali per parlare con qualcuno è un evento e una concessione da non sottovalutare.

«Visto che tutto questo si è trasformato in un talk-show melenso in cui sono evidentemente io ad avere il compito di raccontare storie strappalacrime, rincaro la dose nella speranza di non dovermi mai più abbassare a tanto,» sciorina, con fare ironico ma anche stranamente titubante. «Avevo sperato che voi due andaste d'accordo, perché forse mi sto avvicinando alla senilità e mi sarebbe piaciuto avere due pesti in laboratorio a farmi impazzire più del normale...» s'interrompe, serrando di scatto le labbra come a troncare una continuazione del pensiero, o forse un sorriso.

Harley scocca uno sguardo a Peter, che lo sta già fissando con occhi un po' sbarrati e altrettanto increduli.

«... ma quello che sto per dire contribuirà probabilmente a farvi detestare a vicenda, e lo capirei fin troppo bene. Non mi piace operare per due pesi e due misure, ma in questo caso esistono due pesi e due misure. Harl,» lo chiama poi, con voce quasi severa, prima che lui riesca davvero ad elaborare ciò che sta sentendo. «Se avessi usato l'antibullo da solo in una situazione simile, ti avrei comunque rimproverato per aver abusato di quella che, in fin dei conti, è una mia tecnologia bellica... ma non avrei montato su questa scenata né avrei rischiato di farmi venire un infarto da stress.»

Harley deglutisce, fissa Peter e non gli risulta difficile connettere i puntini ed esplicitarli:

«Solo perché lui è Spider-Man?»

Cala un silenzio che, a differenza di ciò che Harley possa pensare, non schiaccia. Piuttosto sembra una grossa bolla d'aria che si gonfia di anidride carbonica ed è pronta ad esplodere. Non sa se l’esplosione avrà origine da Peter o da Tony. Per questo tace, ma la miccia è accesa. La scintilla la consuma, e infine scoppia e il silenzio si rompe come un vaso che cade a terra, senza possibilità di salvezza.

«Accantoniamo per un attimo la faccenda antibullo, ti va?», domanda l'uomo, rivolto a un  Peter che fa roteare gli occhi al cielo, siccome il tono che ha usato è tutto fuorché pregno di comprensione. «E parliamo del fatto che, per una ragione più che discutibile, il signorino, qui, ha capito chi sei!»

Indica Harley, che si sporge in mezzo ai loro sedili sentendosi chiamare in causa.

«Come se avessi avuto l'intento di farmi scoprire...»

«No, e l'avrei ritenuto più tollerabile, se fosse andata così. Invece no, è la tua assoluta mancanza di attenzione, che mi spiazza! La fortuna è che sia stato Harley a scoprirlo e non un idiota qualunque, tipo quel– quel Flasher o come accidenti si chiama!»

Tony e Peter si scambiano uno sguardo astioso, fugacissimo, che non sfugge agli occhi ridotti a due fessure di Harley, anche se i suoi pensieri sono altrove, discosti dalla faccenda dell’identità di Peter che, di fatto, lo riguarda marginalmente.

È vero: Tony li sta mettendo su due piani diversi e Peter è più forte solo perché è Spider-Man. E se non lo fosse stato? È un pensiero un po’ infantile, il suo. Lo sa che è così, ma, d’altra parte, lui poteri non ne ha… ma gli è stato dato un congegno che un po’ di sicurezza in se stesso gliela fa provare; solo che paradossalmente averlo usato ha causato più problemi che altro. Non solo scolastici – e sono pure risolti, quelli – ma anche umani. Di equità. La stessa che pensava di poter condividere con Peter ma a quanto pare non è possibile. Si rende conto che è normale, forse pure giusto che sia così, ma non riesce a non provare un moto di fastidio, dentro di sé.

«Ho capito,» dice quindi monocorde, tagliando la spessa tensione che si è interposta tra quelli che, deve ricordarselo più spesso, sono Iron Man e Spider-Man. «È logico che siamo su piani diversi, anche se abbiamo fatto la stessa cosa. È logico, e giusto,» ripete, con la consapevolezza che sia davvero così, ma che a livello personale non lo ritenga comunque “giusto”, pur andando a suo vantaggio.

«Harley…», comincia Peter, ma si morde un labbro e cerca lo sguardo di Tony per un po’ di supporto, che non riceve, siccome l’altro ha girato lo sguardo altrove: non vuole prendere alcuna posizione.  

Giusto fino ad un certo punto, sbagliato nell’altro. Harley alza le spalle. 

«Ho solo questo, come difesa.» 

«Ma io ho agito allo stesso modo per difenderti!»  

«E ci siamo andati di mezzo in due! Non serviva. Andiamo, tu sei… Spider-Man, accidenti! Che bisogno c’era?» sbotta infine. 

«Ho agito “d’istinto”, come te, e non ci vedo niente di strano!» 

«Ma tu sei Spider-Man!», ripete. «Te ne saresti potuto occupare al di fuori!» 

«Cosa?», ride Peter, nervoso, poi fa una smorfia di disapprovazione, e si passa nervoso una mano tra i capelli. «Spider-Man non serve a questo. Lungi da me occuparmi di faccende personali quando sono in quella tuta.» 

Harley fa per replicare; apre la bocca e aggrotta le sopracciglia, nervoso. Sa che Peter ha ragione ma allo stesso tempo si sente ferito. Vorrebbe quasi dirglielo, spiegare loro cosa l’attanaglia, ma Tony li ferma, alzando le mani e mettendole una sotto l’altro.

«Time out! Time out!», esclama e sia lui che Peter sussultano. «Ecco, parlavo proprio di questo, quando ho accennato a voi due che vi detestate, ed è l’ultima cosa che voglio! Quindi ora mi fate il sacrosanto piacere di darvi una calmata, riflettere sui vostri dissapori senza confrontarvi e, nel frattempo, ce ne andiamo a cena fuori da qualche parte, tutti insieme. Questa sarà la vostra punizione, fine della discussione!» 

Harley e Peter si scambiano un'occhiata spaurita.

«Tutti insieme chi?» chiede allarmato Peter.

Tony sfodera un sorrisetto tetro e molto minaccioso che rasenta  il compiaciuto.

«Hai capito benissimo, Parker. Chiama tua zia.»

 

 


Fine seconda parte


 

Note:

[1] Il nonno del preside Morita faceva parte degli Howlings, di qui la foto nostalgica nel suo ufficio (che si intravede anche in Homecoming). E ciò spiega anche perché alla Midtown facciano vedere video di Cap quando questi è tecnicamente ricercato causa Guerra Civile.

 

 


 


Note autrici:

Ma salve, nostri prodi lettori!

Ebbene sì: vi abbiamo ingannato. Spudoratamente, per giunta. Non solo questi non sono capitoli brevi, ma non sono nemmeno fluff e spensierati, perché noi ci nutriamo d’angst a colazione e pranzo e cena… quindi da qualche parte dovremo pur riversarlo. A scapito vostro. Statece. Dopotutto meglio noi che i vampiri, no? Almeno non vi risucchiamo via la vita (così dicono…).

Suvvia, sappiamo che in fondo apprezzate (?) vedere le nostre Tre Grazie (indovinate chi è Graziear– *censura*) alle prese coi problemi più disparati.

Anche quando non sono poi tanto super. Soprattutto quando non lo sono. Qui sfioriamo una tematica delicata quale il bullismo con l’intento di far sorridere per la situazione paradossale che si viene a creare, ma non vuol dire che la tratteremo con leggerezza… perché no, signore e signori *grilli in sottofondo*, non abbiamo ancora finito e, contro tutte le nostre aspettative (ma quando mai) questa storia si è trasformata da raccolta a pseudo-long. Già. L’abbiamo fatto.

Era impossibile che non divenisse tale, dopotutto. Come fai a non spolpare via chilometri e chilometri di angst, collegato da un capitolo all’altro? Non si può, esatto! Quindi beccateve sta pseudo-long (che è una long, dai… lo è, non prendiamoci in giro)!

Ringraziamo e mandiamo cuore e amore a tutti coloro che hanno recensito e aggiunto la storia alle liste, e speriamo di tornare in tempi decisamente più brevi :’)

Un baciotto,

Dal Raccordo Anulare è tutto,

Light&Miry

 

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Capitolo 4
*** Mai Dire Cena ***


 

[ Harley & Peter & Tony - Fluff  - Word Count: 4711]





 




Episodio 4. Mai Dire Cena
 

   L'aria pare assumere la densità del piombo fuso non appena arrivano in vista del ristorante italiano. Peter quasi inchioda sul posto con uno stridio di gomme, rischiando di far capitombolare Tony e Harley dietro di lui: May è già lì davanti in attesa, in tutta la sua terrificante compostezza, con gli occhi acuminati come spilli puntati su di lui a trapassarlo e trafiggere anche Tony. Deglutisce a secco, inghiottendo il nulla e prevedendo che quella sarà tutto l'opposto di un'allegra cena in famiglia.

«Buonasera May!» esordisce giovialmente Tony, avanzando verso di lei a larghe falcate sicure. «È un piacere veder...»

«Preferirei occuparmi di mio nipote, prima di passare a te,» lo gela lei, paralizzandolo con un solo cenno di un dito quasi abbia appena lanciato un sortilegio.

Il fatto che il signor Stark si lasci zittire da May non ha mai rassicurato Peter. Significa che quella donna può tutto e, se non fosse per la sua indole materna che le occupa troppo tempo, probabilmente ora sarebbe a capo del mondo intero e con una facilità disarmante.

Peter deglutisce di nuovo, e sente i muscoli del collo irrigidirsi, quando lei gli si para davanti con l'indice alzato e inizia a gesticolare; eccole, le sue origini italiane che si palesano in tutta la loro teatralità.

«May, i–»

«Oh, Peter, non provarci nemmeno! Non provare nemmeno a giustificarti,» inizia, cominciando a tenere il conto di quell'elenco sulla punta delle dita, «chiedere scusa, dare la colpa ad altri o chissà che altro frulla in quella tua testolina pregna di ormoni adolescenziali e di assurdità che lui», indica Tony con un pollice che punta dietro le proprio spalle, «ti infila in testa con l'intento di trasformarti in un adulto rammollito! So quello che è successo, so quello che hai fatto e ti giuro, Peter, ti giuro, è l'ultima volta.»

«Zia May, n–» Tenta invano di fermarla, ma lei gli scocca un'occhiata tagliente dietro la montatura dorata dei suoi occhiali da vista.

«L'ultima volta che la passi liscia e che lui la passa liscia! La prossima volta che ti lasci coinvolgere da una sua decisione e fai qualcosa di così discutibile e stupido – e Pepper è d'accordo con me, stai certo che ti spedisco il più lontano possibile da Tony Stark e dai suoi tentativi di sabotare l'educazione che ti ho impartito sin da quando eri alto così!», conclude, mimando col palmo parallelo al pavimento, indicando un'altezza di nemmeno un metro.

Peter serra la mascella e la guarda, terrorizzato. Tony sbuffa divertito, ad un tratto, attirando l'attenzione su di sé. Zia May si volta e i lunghi capelli castani seguono il suo movimento veloce.

«Ti diverti, Tony?»

«Se me lo allontani, mi togli una gran bella responsabilità!», ironizza, e Peter ci rimane quasi male, finché zia May non interviene, con una risata priva di alcuna felicità.

«Certo, raccontalo a te! Voglio proprio vederti, quando piangerai perché ti manca tormentare il tuo pupillo!» 

Tony sembra colpito e affondato. Abbassa il capo, tirando le labbra e strusciando la punta della scarpa laccata – che da sola costa probabilmente come la sua retta scolastica – sul marciapiede con l'aria di un ragazzino contrariato per uno scherzo finito male. Il che non si allontana poi molto dalla realtà, riflette Peter, scoccandogli un'occhiata in cagnesco – anche se le sue "occhiate in cagnesco" senza maschera, a detta del suo mentore, sono più simili a quelle di un pitbull in astinenza da grattini. Però ci prova lo stesso.

«Suvvia, May, mi sono già preso le mie responsabilità e ho posto il veto su ogni futuro gingillo tecnologico che esuli da tute ragnesche... Direi che siamo a posto, no?» sorride poi, sfoggiando un sorrisetto accattivante che si schianta contro la facciata granitica di zia May.

«Stasera offri tu,» dichiara, facendoglisi sotto con un indice a un palmo dal suo naso pronto ad essere usato come arma. «E vedi di essere irreprensibile, signor Iron Man: stasera sei di fronte a una giuria, mia e di Pepper, e l'assoluzione dipende unicamente da come ti comporterai,» conclude con uno scatto teatrale dei lunghi capelli, prima di voltargli le spalle ed entrare a passo di marcia nel ristorante.

Peter è convinto di udire una flebile fanfara di trombe in sottofondo, e si aspetta di vedere una schiera di paggetti a tenerle sollevato un immaginario manto d'ermellino appuntato sulle sue spalle.

«Che fortuna che mia madre lavori, eh?» commenta la voce di Harley, da dietro la schiena di Tony utilizzato finora come difesa improvvisata.

Il suddetto sospira, stropicciandosi gli occhi e rischiando di farsi scivolare la montatura dal naso.

«Già. Che fortuna.»

Si mettono in fila per entrare, creando una scaletta di altezze diverse ma equilibrate, e lasciano che sia il signor Stark, il primo a varcare la soglia. È un posto tranquillo, arredato con tavoli rotondi coperti da tovaglie bianche e, al centro di ognuno, un vaso con dei girasoli. La luce delle lampadine è gialla e calda, un po' come la temperatura che costringe Peter a slacciarsi subito la giacca. Da quando quel ragno l'ha morso, si sente come una donna in menopausa con tanto di vampate. Sa che l'insofferenza gli sta attraversando il viso, tanto quanto quel senso d'ansia che sente nel profondo dell'anima. È una cena fuori, ma ha tutta l'aria di una riunione di famiglia che non esclude l'ennesima ramanzina da parte di zia May e quello che ormai è la sua figura paterna di riferimento: Tony. Che certe volte – il più delle volte, a dire il vero – sembra più un amico con cui combinare guai, che un esempio da seguire. Gli scappa un sorriso, a quel pensiero, che si affievolisce quando sente due occhi fissi su di lui.

È Harley, che pare cercare un po' di conforto, che Peter decide di donargli. Hanno iniziato decisamente col piede sbagliato, ma ha avuto modo di ricredersi e, messa da parte la gelosia e altri fattori, non può negare che quel ragazzo gli somiglia più di quanto crede.

Prendono posto al tavolo e, come se fare rumore potesse scatenare la terza guerra mondiale, Peter cerca di spostare la sedia lentamente: questo causa uno stridere di legno contro il pavimento, ancora più burrascoso di quel che poteva essere facendolo con un solo gesto. Tutti lo guardano, e si blocca sul posto.

«Scusate», sorride impacciato, poi si siedono tutti e il brusio è l'unica cosa che copre quel silenzio, mentre zia May passa lo sguardo da lui a Tony, giudizioso.

La disposizione a tavola non è delle migliori: si ritrova di fianco a Tony a di fronte a May, con Harley accanto. I due posti vuoti attendono Pepper, saggiamente posta a cuscinetto tra sua zia e il suo mentore, e Happy, che Tony ha invitato con un'enfasi e un entusiasmo che non gli sono del tutto chiari, ma che probabilmente fanno capo al principio "più siamo, più ci divertiamo, e più persone ho su cui dirottare l'attenzione in caso di pericolo". Peter condivide quella linea di pensiero, tutto sommato, e accoglie l'arrivo degli altri due invitati col medesimo sollievo, tanto per distrarsi dallo sguardo fulminante di May – che sembra sul punto di piegare un cucchiaio con la forza del pensiero e ha ancora un colorito livido.

Happy saluta rapido, scocca un'occhiata ammonitrice a lui e Harley e si siede poi accanto a May, immergendosi intentamente nel menù mentre parlotta con lei. Ha l'aria di essere stato obbligato a partecipare, e allo stesso tempo irradia un certo, inspiegabile nervosismo. Pepper invece, li saluta con una punta di severità che stempera appena la sua consueta dolcezza, per poi impietrire Tony nell'atto di un sorriso smagliante e vagamente marpione col solo ausilio di un battito di ciglia. Al che Tony deglutisce, si allenta la cravatta con un dito e caccia a sua volta il naso nel menù, sotto il tiro incrociato delle due donne che prendono invece a chiacchierare amabilmente tra loro.

Peter non riesce a trattenere un sorrisetto a quella reazione e scorge Harley che sogghigna apertamente, rivolgendogli un'occhiata che, per una volta, è complice.

L'atmosfera per un attimo si tinge di colori caldi; Peter sente il respiro meno frammentato nei polmoni, anche se sa benissimo che quella ramanzina che Tony ha elargito loro non è ancora finita. Sa che non è ancora finita, perché l'aria è meno satura, ma c'è qualcosa che ancora pesa. Qualcosa che va alleggerita, lentamente, come quando un palloncino si sgonfia e vola via, senza una meta.

Lancia uno sguardo ad Harley, che ha il viso nascosto dietro al menù – anche lui troppo in imbarazzo per dichiarare quella serata come una normale cena di piacere – da dove emerge la sua montagna di capelli.

Peter sospira, e torna a guardare zia May e gli altri adulti. Happy riserva alla donna sorrisi e una posa sicura e spavalda. Piega la bocca in risolini di approvazione, mentre lei sta al gioco, con il gomito appoggiato al tavolo e la mano a sorreggere il mento. I lunghi capelli posati su una spalla. Gli occhi luminosi come due stelle in procinto di esplodere. Sposta lo sguardo sul signor Stark e su Pepper, che hanno il capo abbassato sul menù e lo consultano vicini, ma l'uomo pare aver sentito il suo sguardo addosso, perché i loro occhi si incrociano e si guardano interrogativi.

Tony sembra capire immediatamente, quando di nuovo Peter si volta verso May e Happy, poi di nuovo verso di lui. Cerca spiegazioni con gli occhi, ma riceve solo labbra arricciate e gli occhi di nuovo bassi del signor Stark. Così, senza pensarci, apre la bocca. 

«Che succede?», sbotta, e cala il silenzio.

Tutti gli occhi si puntano su di lui – Harley abbassa il menù e sembra ancora più confuso di prima.

«Cosa, tesoro?», chiese May, con un sorrisetto che sa di colpevolezza. O almeno così a Peter pare.

«Che succede,» ripete, e stavolta non è una domanda. «Tra... tra di voi, intendo. Da quando ve la intendete così tanto?»

Happy e May si lanciano uno sguardo confuso che sa di una messa in scena riuscita veramente troppo male. Si puntano un dito l'uno contro l'altra e poi ridono. Ridono  per non piangere, pensa Peter, perché ci ha messo due secondi a fare due più due e non serve essere geni della matematica...

«Pensi che ce la intendiamo?», chiede Happy e Peter annuisce, lentamente. Così lentamente che gli sembra di vivere in una scena clou di un film horror.

Poi, Peter ringrazia di avere dei sensi iper-sviluppati, e la capacità di osservare una scena come fosse in slow motion, soprattutto se particolarmente concitata; questo perché una persona normale avrebbe semplicemente udito una cacofonia di suoni irriconoscibile e visto una serie di movimenti inconsulti e degni di artisti circensi da parte dei propri commensali.

Lui, invece, ha un posto in prima fila a quello che non è più un film horror, bensì una moviola impietosa sull'etologia umana più becera in un momento di tensione.

Vede chiaramente Harley che, col gesto meno discreto del creato, dà una manata degna di uno schiacciatore al suo bicchiere d'acqua, mandandolo a rovesciarsi sul tavolo e addosso a sé esclamando un ultrasonico quanto falsissimo "Accidenti!". Vede in sincrono Tony che, alzata una mano con uno scatto che ricorda quello di un alunno brillante impaziente di compiacere il professore – o di contraddirlo, nel suo caso – chiama il cameriere in un modo che lui stesso definirebbe "da cavernicolo", sillabando al rallentatore, almeno alle sue orecchie, un "Garçon, qui è veramente arrivato il momento del vino!"

Il gesto in questione, compiuto con la veemenza di un razzo in fase di decollo, finisce per urtare in pieno il piatto di un cameriere di passaggio, mandando all'aria una elaborata ed elegante porzione di tiramisù la cui ampia parabola termina, con tutte le fatali implicazioni del caso, sulla testa di Pepper.

Il tutto si svolge in meno di tre millisecondi, e in un battito di ciglia il tavolo piomba nel caos.

Peter ha solo chiesto “Che succede?”, e a quanto pare la risposta è “Un pandemonio”. Avrebbe solo voluto sapere cosa sta succedendo tra Happy e sua zia, non innescare un meccanismo di figure barbine degne del Benny Hill Show – e se non fosse che si è rabbuiato, ora starebbe ridendo immaginando la musichetta del suddetto programma.

Cala il silenzio, e gli occhi di tutti i commensali sono puntati su di loro.

«Oh, santo cielo! Pepper, stai bene?» 

Zia May si riprende per prima e si alza subito per accertarsi che i danni non siano troppo catastrofici, impugnando il tovagliolo. Peter pensa che, da un momento all'altro, ci sputerà sopra e inizierà a lavarle la faccia sporca di tiramisù, come faceva con lui quando era bambino... ovvero fino a una settimana fa.

«Be', prima stavo di certo meglio!» esclama la signorina Potts, lanciando un'occhiata in tralice al signor Stark che è fermo, immobile; la guarda chiaramente incapace di intervenire in alcun modo. Happy scuote la testa, e per quanto Peter lo guardi con tutta l'intensità che gli appartiene, non riceve in cambio nemmeno uno sguardo. Sa che Happy si sta impegnando a non ricambiarlo. Così Peter capisce e, sentendosi stupido come un ragazzino a cui vengono nascoste le caramelle.

«Che casino», sospira Harley, seduto accanto a lui e alza di nuovo il menù fin sopra la testa, sparendo. Peter vorrebbe fare lo stesso e, mentre May e Happy tentando di salvare la signorina Potts da un'autocombustione data dalla rabbia e Tony Stark probabilmente prenota un volo di sola andata per l'Argentina – forse con l'intento di cambiare nome e identità, Peter si schiaffa una mano sulla faccia e glissa l'argomento. Non è proprio il caso di proseguire. Decisamente.



***

 

   Quando raggiungono tutti l’uscita del ristorante, Tony si chiede se sia bastato pagare il conto a tutti, per assicurarsi che nessuno covi ancora rancore nei suoi riguardi e ingaggi un sicario per fargli tagliare la gola. Si passa istintivamente una mano sul collo e, guardando gli altri, batte le mani sorridendo, sebbene non ci sia chiaramente nulla da ridere. Non è stata una serata spiacevole, solo forse non avrebbe dovuto peccare di superficialità. 

È ovvio che sia Peter che Harley sono ancora troppo provati da quello che è successo a scuola e che il discorso non è ancora stato affrontato come Tony vorrebbe – o meglio, come Tony dovrebbe. Non gli piace mai dover fare il genitore apprensivo; non pensa di esserne in grado, eppure lo sente quel senso del dovere nei riguardi dell’educazione di quei due giovani; e non solo perché May e la madre di Harley gli hanno chiesto di seguirli fin dove può, ma perché gli riesce dannatamente naturale farlo, anche se non lo ammetterà mai a nessuno. Nemmeno a Pepper, che lo guarda come se potesse polverizzarlo con lo sguardo, con ancora tracce di tiramisù sui capelli e sul completo color carta da zucchero che indossa. La cosa positiva è che, tra quelle scintille di fuoco che le scoppiettano negli occhi, c’è anche una luce innamorata che Tony non può proprio non notare. Le regala un sorrisino, che lei non ricambia ma che c’è, in fondo all’anima.

Lo sguardo poi gli cade su Happy e May; sono distanti, ma non riescono proprio a nasconderla, quella relazione clandestina che stanno portando avanti, di cui lui e Pepper sono a conoscenza; probabilmente tutto il Queens lo sapeva, a parte Peter – che ora lo ha capito fin troppo bene. A volte pensa che sia un vero genio per quanto concerne la scienza, ma un totale babbeo per quanto riguarda l’accorgersi di cose ordinarie. Meno male che almeno Harley, su quel lato, è più sveglio. Si accorge di tutto e parla solo se ha qualcosa di veramente intelligente da dire, seppure anche lui sia caratterizzato da una parlantina implacabile, proprio come quella di Spider-Man. 

Tony ci scherza su, ma ha davvero il desiderio di vederli gironzolare in laboratorio, a fare chiasso, mentre lui accoglie l’inesorabile corso del tempo e invecchia. Solo nel corpo, ovviamente. Mentalmente, rimarrà sempre bloccato tra la preadolescenza e i diciassette anni.

«Bene, porto i due pargoli al complesso. Happy, ti affido la signorina Potts e miss Mozzarella di Bufala», esordisce e May alza le sopracciglia.

«Solo perché sono italiana?»

«Certo che ne hai di luoghi comuni da elargire al mondo, Tony…», sospira Pepper, mentre Happy si punta un dito sul petto. 

«Ci penso io, conta su di me», dice, orgoglioso, e Tony non può non notare lo sguardo sospettoso di Peter, così si affretta a spingere i due ragazzi in macchina, non prima di averli invitati a salutare in fretta tutti gli altri, con uno squillante “Buonanotte”. 

Ciò che accadrà nel Queens, rimarrà nel Queens.

 

***

 

   Harley si sta davvero sforzando, per rimanere serio, ma ogni pochi minuti sente un sorrisetto che gli preme all'angolo delle labbra chiedendo di essere espresso in risata. Non può ovviamente permettersi di rilasciarlo, o è sicuro che Tony si offenderebbe a morte, togliendogli il saluto, preparandosi una lista di battutine da sfoderare al bisogno e dimenticando conseguentemente di sfiorare la cinquantina e che si sta rapportando con un quattordicenne. Peter, dal canto suo, potrebbe benissimo decidere di soprassedere sulla sua autoimposta regola di non mischiare il suo "lavoro" col personale appendendolo a testa in giù con una ragnatela, oltre a ritirare il trattato di pace che forse hanno appena siglato.

Così si trattiene, anche se l'immagine del disastro appena avvenuto nel ristorante continua a riproporsi dietro i suoi occhi in tinte sempre più esilaranti, rendendogli difficile il compito.

Tony in tutto questo sembra guidare in uno stato di trance, e si sta probabilmente immaginando il momento in cui tornerà a casa e dovrà affrontare la sua compagna. Non lo invidia. Forse è proprio per questo che ha deciso di passare il fine settimana al Complesso; e forse fa parte delle macchinazioni di Pepper e May il fatto che lui e Peter siano stati praticamente obbligati ad andare con lui. Per "appianare i dissapori", ha detto Pepper; "per conoscervi meglio", ha detto May; "per avere manodopera fresca in laboratorio", ha detto Tony. "Per punizione", hanno sentito loro due, rassegnati. Sembra un qualcosa di prestabilito e che forse l'incidente che ha movimentato la serata ha solo anticipato, offrendo a Tony l'opportunità perfetta per scampare alle ire di Pepper.

Harley sospira, spalmandosi sul sedile posteriore con gli occhi puntati sul tettuccio trasparente. Peter gli fa eco, poggiato con la tempia contro il finestrino, e Tony termina la sequenza con un mezzo sbuffo e un guizzo delle dita a tamburellare sul volante.

E punizione sia.

 


 

 

   Se c’è una cosa che a Tony riesce veramente bene, sono i discorsi inventati su due piedi. E se c’è una cosa che gli riesce veramente male, sono sempre i discorsi inventati su due piedi. Ha ormai imparato, dopo la bellezza di quarantotto anni spesi ad aprir bocca prima di connettere il cervello, che la sua dialettica oscilla tra un “livello Martin Luther King” e un livello… beh, “Tony Stark al suo trentanovesimo compleanno”, mixando spesso e volentieri le due cose e creando sconcerto nel suo pubblico – quando non direttamente velleità omicide. 

Ticchetta la punta delle dita sul volante, con la campagna buia dell’Upstate che scorre fuori dai finestrini e la strada sporadicamente illuminata che viene divorata rapida dal muso dell’auto a ritmo con un tenue sottofondo rock.

Il punto è che deve sentirsi ispirato, un po’ come quando scende in laboratorio con un’idea a frullargli per la testa e le mani già pronte a realizzarla. Al momento però, il massimo dell’“ispirazione” fornita dal suo cervello è data dal replay di quel tiramisù che decolla spiaccicandosi in testa a Pepper. C’è una minuscola parte di lui che vorrebbe avere sottomano una testimonianza visiva della scena, e ringrazia che tra i poteri della sua consorte non rientri – per ora – la lettura del pensiero.

Si schiarisce la voce, e coglie con la coda dell’occhio Peter che ruota leggermente la testa nella sua direzione e Harley che si raddrizza appena dalla sua posizione semifluida sui sedili posteriori. Poi tace, rimasticando le parole che aveva avuto intenzione di pronunciare. I due ragazzi soccombono a un altro calo d’attenzione dovuto alla cena fin troppo ricca, o forse da quell’aura di ridicola semi-depressione che li ha colti da quando sono saliti in macchina, neanche lui fosse il loro boia, e riprendono a sonnecchiare. Tony si schiarisce di nuovo la voce, più sonoramente, e giusto quando sta per sganciare la bomba interviene la voce di Peter, distintamente strascicata – non sa se per la sonnolenza o per l’irritazione:

«Tutto bene, signor Stark?»

«Io? Sì, benissimo, mai digerito una pizza così bene in vita mia; devo ringraziare May per la scelta del ristorante,» risponde, e continua prima di poter allacciare le connessioni neurali: «Siete voi due, che non state messi troppo bene.»

«Cioè?» si leva la voce di Harley, dietro di loro, molto meno filtrata di quella di Peter.

«Cioè, non mi sembra che stiamo partendo per il fronte, o che vi stia portando a fare una gita a Guantanamo. O sbaglio?»

«Dipende dai punti di vista...» borbotta Peter, e Tony inarca in automatico un sopracciglio, girando un poco il volto verso di lui senza perdere di vista la strada.

Non è abituato a sentirsi rispondere in generale, se non dalle poche persone in grado di tenergli testa, e tanto meno da Peter, che sembra sempre vivere di cordialità e tolleranza. Questo fatto lo irrita molto più di quanto dovrebbe.

«Beh, nel tuo caso direi che avrei almeno qualche valida ragione, per voler avviare un “percorso rieducativo”, almeno riguardo alla gestione del tuo alter ego a otto zampe.»

Lo sbuffo di Peter si condensa nelle sue guance, ma erompe comunque sotto forma di parole:

«Signor Stark, ha intenzione di farmi di nuovo la paternale? Proprio lei?»

Tony alza le sopracciglia, e se la prima bomba è ormai esplosa, la seconda sembra in procinto di distruggere ogni cosa lungo il suo cammino.

«Proprio io? Chi altri, Parker?»

Sente la risposta nelle orecchie anche se Peter non la pronuncia, perché è fin troppo prevedibile, e una parte di lui vorrebbe sentirsela dire in faccia, senza filtri: non lei. Non quello che ha detto al mondo di essere Iron Man, vorrebbe dirgli, glielo legge negli occhi castani illuminati a intermittenza dai lampioni. Ma non lo fa, e si gira a guardare fuori dal finestrino ingoiando quella frase.

A quel punto sente Harley sbuffare in modo strano: entrambi hanno la sua attenzione, e rimangono ugualmente sorpresi nel vederlo con un mezzo sorriso storto che gli gonfia le guance, puntellato sui sedili con la testa che sbuca tra loro.

«Tony, tu hai rivelato al mondo di essere Iron Man durante una conferenza stampa in diretta... da che pulpito parli?,» dice poi con una semplicità spiazzante, alzando gli occhi al cielo, e Peter sussulta.

Tony quasi si fa tamponare per la frenata affatto dolce con cui ferma l'Audi, per poi accostare bruscamente finendo con la ruota anteriore fuori dalla carreggiata, tra l’erba alta che costeggia la statale.

Si volta verso Harley, piantandogli un indice a un palmo dal naso.

«Senti, ragazzino, sai che sono sempre disposto a farmi prendere in giro e a sopportare la tua impudenza, visto che mi hai salvato le chiappe, ma non quando sono nel mezzo di...»

«... una paternale?» completa Peter, sottovoce e senza trattenere un sorrisino spontaneo in direzione di Harley, che ricambia furbetto.

«Di una lezione!» lo corregge Tony, voltandosi a questo punto verso di lui.

«Di una lezione ipocrita!» ribatte Harley, tirando contro la cintura che lo trattiene a stento.

«Ipocrita? Perché cerco di inculcarvi un po' di buonsenso in quelle zucche in piena tempesta ormonale che vi ritrovate?»

«Certo, perché lei è il massimo esperto di discrezione, tatto e bullismo in questa macchina,» lo rimbecca Peter, costringendolo a voltarsi di nuovo.

«Non di discrezione, ve lo concedo, e magari nemmeno di savoir-faire, ma vi assicuro che mi sono fatto qualche giretto di troppo con la testa nei cessi del MIT!» sbotta, improvvisamente alterato.

Un nuovo, denso silenzio scende nell'abitacolo.

Non ci sono parole che riempiono l'aria, ora come ora, solo il rumore debole del motore acceso e il suono attufato del vento tra le fronde al di fuori della vettura. Il resto è solo un filo delicato di pensieri che si mischiano e che, con una sola frase sbagliata, sembra potersi rompere e distruggere un equilibrio che sembrava non esserci e che invece c'è sempre stato.

Tony pensa non sia difficile comprendere perché abbia dato loro quegli antibullo, ora che ha ammesso, con una sincerità di certo dettata dalla rabbia e dalla preoccupazione, che anche lui in passato ha subito le stesse ingiurie. Sembra quasi difficile crederlo, siccome è Tony Stark, ma se ha dato loro quegli aggeggi, significa che più di tutti può capire come ci si sente, in un contesto scolastico dove il più debole viene schiacciato e il più forte vince su tutti. Ad un certo punto della vita, quando si cresce abbastanza, i ruoli però si invertono: il debole diventa il più forte e il più forte viene schiacciato. Non da altri, ma dalla vita stessa. Una prospettiva triste, ma che Tony ha vissuto sulla sua pelle. Sa di averli spiazzati, e forse non avrebbe mai voluto farlo.

«Quindi non comportatevi come i ragazzini idioti che non siete,» conclude, brusco a dispetto del complimento implicito, dirottando il discorso con pentimento malcelato per averlo portato alla luce.

La linea di silenzio che si interpone tra loro s'ingarbuglia coi loro pensieri, perché pare che entrambi i giovani vogliano dire qualcosa, accettare quel rimprovero scaturito a fin di bene, ma farlo vorrebbe dire prendere atto e dare corpo della nozione che, decenni fa, anche Tony Stark era costretto a vedersela con persone della stessa risma di Flash. Così tacciono, limitandosi ad annuire a labbra strette, ma non Peter, che invece si agita sul sedile e parla con lo sguardo fisso sul parabrezza:

«Mi dispiace, per quello che le ho detto,» esordisce a voce bassa, ma ferma, prima di voltarsi appena verso Tony. «Non avrei mai potuto immaginare che...»

«Non è un qualcosa che amo pubblicizzare,» lo interrompe Tony, ancora puntellato sul gomito mentre si sfrega nervoso il pizzetto, maledicendosi per essersi sbottonato. «Immagino che faccia strano saperlo, ve lo concedo... ma diciamo che in un certo senso io me le cercavo. Vorrei evitare che voi facciate lo stesso, o che reagiate in modo del tutto sproporzionato alle provocazioni di un bulletto insignificante,» conclude, con un'occhiata più acuta a entrambi, che annuiscono quasi in sincrono. 

«E che a volte è difficile incassare i colpi e mostrarsi superiori. Lì per lì ci si sente deboli e schiacciati. Non è una bella sensazione», sospira Harley, e l’atmosfera è di nuovo cambiata. È delicata, ma non più in procinto di rompersi. Sembra elastica, morbida. Comprensiva. 

«No, non lo è. Non lo è affatto, ma le cose un giorno cambiano», dice ancora Tony, poi arriccia le labbra e si muove sul sedile. «Mettiamola così: non fate niente di quello che io farei. E non fate niente che non farei. Ecco, c'è una piccola zona grigia tra le due cose ed è che voi operate.»

Peter si lascia andare ad uno sbuffo divertito, e Tony sa benissimo da cosa è dovuto: quella frase è la prima raccomandazione che gli abbia mai rivolto, da quando si conoscono e ricorda ancora lo sguardo confuso che gli ha messo su quella volta. Ora però pare aver capito il vero significato di quelle parole. 

«Ora sono più confuso di prima», ammette Harley e si arruffa i capelli.

«Tranquillo, è normale», lo rassicura Peter, e il suo tono ostile lo ha abbandonato. Sembra essersi dimenticato persino di zia May e Happy. Per ora.

«Un giorno capirai. Intanto, non fate cazzate, o vi spedisco a fare marcette a Camp Lehigh in una tutina a stelle e strisce!», li minaccia, ma non cala il gelo, solo altre risate, che smorzano la tristezza di quei vecchi ricordi che Tony ha lasciato emergere; cose che odia ricordare, e nemmeno raccontare. Ma per quei due… a volte si chiede se non si stia rammollendo. Sorride.

 

 


Fine Capitolo 4

 

 



 



 




 

Note Autrici

Miry:
Salve a tutti! Come procede questa quarantena così quarantennosa? Noi ne abbiamo approfittato per sfornare un nuovo capitolo e, l’obiettivo, è quello di sfornare il prossimo
prima della fine della pandemia (che comunque ci auguriamo accada molto presto, sigh), nel frattempo però vedete il lato positivo: abbiamo ottimizzato i tempi e siamo di nuovo a tentare di portare a termine il nostro piano di conquistare il mondo  proseguire questa long ** Speriamo che questo capitolo comico dai sottotoni angst (come poteva mancare? Siamo pur sempre noi, suvvia!) vi sia piaciuto, e ringraziamo le tante persone che hanno messo questa storia tra le seguite/preferite/ricordate; se vi va lasciateci un commentino che ci farebbe piacere sapere cosa ne pensate ♥


Light:
Cari Lettori!
Rieccoci qui, dopo millemila secoli di assenza non meglio giustificata… ci è voluta la quarantena, per farci riprendere a scrivere. E in parte è davvero così, perché riuscire a portare un contenuto leggero (più o meno, conoscendoci) e spensierato in un momento così complesso per tutti noi è anche un modo per esorcizzare le preoccupazioni e regalare a voi qualche momento d’evasione <3
Tornando a noi: come avete notato, ci sono un po' di headcanon sparsi per il capitolo, frutto dei nostri studi maniacali sui personaggi che ci rovinano la vita e che ci denunceranno per sequestro di persona, prima o poi…
Ora quei due terremoti sono più o meno riappacificati, è vero, ma siamo solo all’inizio! Già, i supplizi di Tony non sono finiti, e tantomeno i disastri :’)
Grazie a tutti coloro che hanno commentato e/o aggiunto la storia alle loro liste, ci rendete donne felicie <3 


P.S. In omaggio a questo capitolo, una copia pirata del video del tiramisù volante!

Alla prossima e che er Daje sia con voi ♥
Light & Miry





 

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