Bolidi d'ottone e manici di scopa

di Adho_Bri
(/viewuser.php?uid=1109262)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Le Selezioni ***
Capitolo 3: *** Grifondoro-Serpeverde ***
Capitolo 4: *** La notte delle streghe ***
Capitolo 5: *** Corvonero VS Tassorosso ***
Capitolo 6: *** Sotto Natale, si sa, sono tutti più buoni (o quasi). ***
Capitolo 7: *** PVs Extra Chapter! ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Bolidi d’ottone e manici di scopa
 
 
 
Residenza Greengrass, 25 Agosto 1993
 
Lo sfarfallare delle ali di quel vecchio gufo malconcio, il suo olezzo raccapricciante ed il suo sguardo imbrunito, la disgustavano. Daphne Greengrass si trovò costretta ad abbandonare la quotidiana pratica della strigliatura della sua fluente chioma color del grano, per recuperare il rotolino di pergamena che quell’uccellaccio aveva evidente urgenza di consegnarle. “Di certo non è roba per me!”, pensò tra uno sbuffo e l’altro mentre lanciava lo sguardo cristallino sul nome del destinatario impresso sulla ceralacca che fungeva da collante. Figurarsi se uno qualsiasi dei suoi amici le avrebbe mai spedito qualcosa con quello che aveva tutta l’aria di essere un gufo in fin di vita. E infatti sbuffò ancor più sonoramente, quando lesse il nome della sorella maggiore.
 
- Astoria! Dove diavolo sei finita?!- gridò lei dall’uscio della sua camera da letto, - Non sono mica la tua postina, io!-
 
Mani sporche di marmellata, sguardo appannato dal sonno, crocchia in testa neanche fosse la signora delle pulizie di quel sudicio Paiolo Magico, ecco spuntare Astoria sulla rampa delle scale la quale, biascicando qualcosa simile ad un buongiorno, afferrò la pergamena senza curarsi di macchiarla con la marmellata con cui, con ogni evidenza, si stava facendo il bagno fino a poco prima. Daphne seguiva i movimenti dell’altra con sincero attonimento, incapace di credere che la sorella fosse realmente imparentata con lei. “Impossibile, devono averla adottata”, valutò mentre spiava le parole pulite che si spiegavano sulla pergamena. Astoria parve svegliarsi d’improvviso, inarcò di molto un sopracciglio scuro e poi scoppiò a ridere.
 
- Perché hai ricevuto una lettera da Flint?!- chiese, pettegola, Daphne: - Che c’è, non uscirai mica con il Capitano!-
 
- Fossi matta!- riuscì a rispondere Astoria, fra un risolino e l’altro. In realtà le era difficile credere a quanto stesse leggendo e non poté impedirsi di immaginare la faccia contrita dal dolore di Marcus Flint, mentre si trovava costretto a scriverle quella missiva:
 
Astoria.
Mi trovo costretto, con grande rammarico, a chiedere il tuo supporto; purtroppo qualche giorno fa ho ricevuto una spiacevole notizia, che ha mandato all’aria i miei grandi progetti per la formazione della squadra, in vista dell’inizio del campionato scolastico. Quel vecchio rincoglionito di Albus Silente ha tenuto ad informarmi che, da questo anno accademico, ogni squadra di Hogwarts sarà obbligata ad aggiungere nella propria formazione almeno tre streghe; ‘pari opportunità’ la chiama; ‘Serpeverde è l’unica squadra composta da soli maghi, confido nel suo intelletto e ripongo in lei la mia fiducia, sicuro che provvederà a porre rimedio a questo squilibrio’. Ti rendi conto?! Si fottessero le pari opportunità! Questo avrei voluto rispondere! Mi chiedo come possano permettere che quel pezzo d’antiquariato ricopra ancora il ruolo di Preside di Hogwarts!
Purtroppo mi è stato fatto capire che se non avessi acconsentito a questa assurda rivoluzione, il ruolo di Capitano sarebbe passato a qualcun altro. Mi chiedo dove andremo a finire di questo passo.
Avrai quindi compreso il motivo per cui mi sto rivolgendo a te: ti ho vista ‘provare’ a giocare a questo nobile sport e devo ammettere che, seppur tu sia una femmina, non te la cavi poi così male. Ti chiedo quindi di ricoprire uno dei posti vacanti da Cacciatore, nella speranza che un’epidemia di spruzzolosi colga i giocatori avversari, così che non dovremo arrancare per aspirare alla vittoria.
Che Salazar il magnifico ce la mandi buona.
 
Marcus Flint, Capitano in carica della squadra di Serpeverde.
 
 
- Non avrai mica intenzione di entrare in squadra?! -
 
La minore tallonò Astoria la quale, ancora stordita dal sonno e dalla colazione interrotta sul più bello, arrancava verso il bagno.
 
- Certo che sì, - argomentò la moretta, - Finalmente le acque si stanno smuovendo e il pensiero sessista e retrogrado che permea la nostra casa sta lasciando il posto all’evoluzione ed io ho tutta l’intenzione di prendere parte a questo sacrosanto cambiamento. -
 
Un gorgoglio di disappunto fuoriuscì dalle labbra tirate di Daphne; sconfitta dall’idea che la sorella avesse del tutto perso la ragione, la strega tentò di farla ragionare, mentre teneva i palmi delle mani piantati sul legno della porta del bagno, per evitare che l’altra gliela sbattesse in faccia. Se quella fosse realmente entrata nella squadra era più che certa che i suoi compagni l’avrebbero presa in giro vita natural durante. Cosa avrebbero detto? E specialmente che figuraccia avrebbe fatto con Draco il quale, oltre ad essere il Cercatore della squadra, era anche del suo stesso anno? Daphne non avrebbe permesso di essere messa alla berlina dal rampollo di casa Malfoy per tutto l’anno a venire, mai e poi mai.
 
- Non puoi farlo! Quello è uno sport da maschi! Ci pensi al fango che ti rovinerà i capelli? Ai lividi che ricopriranno? Agli insulti che ti beccherai?! - e mentre Astoria riuscì in definitiva a chiudere la porta, Daphne strinse i pugni e stridulò: - E a quell’orrenda divisa che ti farà sembrare una magazziniera della Gringott?! Non puoi farlo! Rovinerai la nostra reputazione! Astoria! Non ignorarmi! Astoria! 
 
All’interno del bagno, Astoria Greengrass sospirò sollevata; il lungo indice dall’unghia corta premette il tastino rosso posto di fianco allo specchio, che nell’immediato lanciò un confortevole incantesimo antirumore. Le urla di Daphne s’assopirono, fino a sostituirsi con l’inno delle Holyhead Harpies, che cantava di lotta e rivoluzione.
Avrebbe accettato con gioia il posto in squadra e avrebbe fatto in modo che alla sorella minore non venisse un colpo apoplettico. O almeno ci avrebbe provato.
 
 
Espresso di Hogwarts, 1°settembre 1993
 
Il treno sferragliava allegramente alla volta di Hogwarts.
Al di fuori dei finestrini il paesaggio sfilava rapido, in una vorticosa sequenza di fotogrammi disordinati ma, senz’ombra di dubbio, di grande bellezza; eppure, il ragazzo che occupava lo scompartimento non sembrava dimostrare il minimo interesse nei confronti né delle risorse naturali, né dei radi insediamenti antropici.
- Pluffe. Bolidi. Boccino. Scopa. Fischietto. Timer. Tre ricambi di divise da allenamento. Tre ricambi di divise da gioco. Gomitiere. Ginocchiere. Guanti. Casco. E soprattutto – concluse soddisfatto al termine dell’ennesima, spasmodica verifica del contenuto del suo baule – lavagnetta levitante con gesso magico pro-tattica e anti-spionaggio. Benissimo.
Un discreto picchiettare sulla porta dello scompartimento lo indusse ad alzare il capo. Al di là del vetro, una ragazza bionda piuttosto alta ed un ragazzino occhialuto gli rivolsero un cenno.
- Entrate, entrate! – li invitò lui, facendo loro segno di avvicinarsi.
La porta si aprì e i due si introdussero velocemente in cabina.
- G’day, Ollie – salutò allegramente la ragazza, facendo levitare via un set di manutenzione da uno dei sedili.
 
- Ciao, Alicia. Come va il jet-lag?
 
- Oh, tutto sotto controllo. Sono arrivata l’altro ieri da Brisbane.
 
- Brava. Vi voglio in formissima, lo sai – approvò il ragazzo, facendo ‘sì’ con la testa. – E tu, Harry, come te la passi? Ti sei allenato per bene?
 
Il ragazzino rantolò un timido “ciaoolivermmmhcosicosì”, sforzandosi di non pensare alla reazione del Capitano in caso fosse venuto a sapere che, in realtà, prima suo zio Vernon gli aveva categoricamente vietato l’accesso agli oggetti magici per tutto luglio e poi, dopo che se n’era andato da Privet Drive a bordo del Notettempo, era stato troppo impegnato a girovagare per Diagon Alley e a divertirsi come un matto per dedicarsi ad uno straccio di allenamento.
 
- Eccellente.
 
Oliver si rilassò impercettibilmente e accostò la schiena allo schienale della poltrona. In quella Uluru, l’ornitorinco domestico di Alicia, ne approfittò per scalargli il polpaccio e posizionarsi sulle sue ginocchia in attesa di una sacrosanta grattata al pancino. Il ragazzo non si fece affatto pregare; nel frattempo, parlava a raffica e si dilungava in descrizioni mirabolanti di come quell’anno, con la composizione che si ritrovavano, la squadra di Grifondoro avrebbe fatto il c*** a tutti aggiudicandosi la Coppa (con chissà quante giornate di anticipo) e il titolo di migliori giocatori un match sì e l’altro pure.
Dopo un paio di minuti di intensa attività ugnhio-falangiale, però, Oliver tacque improvvisamente.
 
- Strano – osservò, vagamente insospettito. – Gli altri sono in ritardo.
 
Alicia e Harry si scambiarono uno sguardo allarmato, immediatamente seguito da un veloce ma eloquente dialogo portato avanti a colpi di mimica facciale.
“Glielo dici tu?”
“Ma neanche per idea!”
Eddai Harry!”
“NO!”
La ragazza trasse un profondo respiro, rassegnata. Poi, dopo essersi tricotillata a lungo le punte un po’sfilacciate dei lunghi capelli biondi, prese coraggiosamente la parola.
 
- In realtà – pigolò, in tono appena appena percettibile. – Gli altri, forse, non ci sono.
 
Poco ci mancò che Oliver s’ingozzasse con la sua stessa saliva; si tirò su di scatto e annaspò sulla poltrona, in una pioggia infelice di ornitorinchi e materiale quiddistico.
 
- Co... Cosa?! – ruggì. – O ci sono o non ci sono. Non possono forse esserci.
 
Conscia del fatto che, peggio di così, le cose non sarebbero potute andare, Alicia vuotò il sacco.
 
- Hanno avuto dei problemi.
 
- Che genere di problemi?
 
- Beh. Angelina si è fratturata il femore al campeggio estivo delle Harpies Junior, e non sa ancora se i Medimaghi le permetteranno di giocare.
 
- Oh, per Godric.
 
- Sì. E come ricorderai i gemelli Weasley, nella scorsa stagione, hanno accumulato la bellezza di trentasei giornate di sospensione per gioco falloso – proseguì Alicia, leggermente più sicura di sé. – Per cui non sappiamo ancora se la McGranitt riuscirà a convincere Silente a concedere loro il condono...
 
- Oh, accipicchia.
 
- Esatto. E poi... eh. E poi – la ragazza non sapeva più da che parte guardare.
 
- E poi...?
 
- E poi, beh. Katie...
 
Gli occhi di Oliver luccicarono per un secondo, invitandola tacitamente a proseguire.
 
- Katie si è trovata molto bene a Chicago, quest’estate – concluse Alicia con un filo di voce. – E... ecco, potrebbe aver deciso di rimanere negli States per un anno di interscambio.
 
- MA PORCA DI QUELLA MORGANA SGUALDRINISSIMA!
 
Harry si guardava intorno impaurito mentre, dall’altra parte dello scompartimento, Oliver faceva il diavolo a quattro, evidentemente combattuto se strepitare di più per il fatto di ritrovarsi con la squadra decimata o per il fatto che la ragazza che gli piaciucchiava avrebbe forse dato forfait per un intero anno scolastico (e di Campionato, per Godric Santissimo!).
Alicia, rannicchiata sul suo sedile di ciniglia polverosa, osservava la scena senza accennare reazioni.
 
- Ehm... Oliver – azzardò allora il ragazzino, facendo appello a tutto il suo coraggio da degno Grifondoro.
 
- CHE C’È?
 
- Beh... vedendola dalla giusta prospettiva...
 
Oliver grugnì un qualcosa di vagamente simile a “ma fammi il piacere, porcadiquellamandragola”.
 
- Ma sì... – insistette Harry, nel suo tono più convincente. – Ci sono ragazzi e ragazze molto bravi nella nostra Casa e poi, se ci pensi bene, c’è gente messa peggio di noi.
 
- Ne dubito.
 
- Ah, davvero? E come credi l’abbia presa, quel simpaticone, di Flint, la storia delle Pari Opportunità?
 
 
Sala Comune di Tassorosso, 1°settembre 1993
 
La luce dorata di fine pomeriggio che filtrava attraverso i finestroni inondava la Sala gremita e investiva le maioliche gialle e nere che incorniciavano il caminetto, facendole brillare. Le pareti di mattoncini rossi a vista, parimenti, s’illuminavano di riflessi caldi e accoglienti.
“I riflessi di Casa” pensò il ragazzo, facendosi strada fra gli studenti che affollavano la Sala e tendendo il collo in cerca di qualcuno.
“Eccola là”.
Una ragazza bionda, piuttosto mingherlina e dall’aria serissima, sedeva composta a un tavolino posizionato proprio accanto ad una delle grandi finestre che davano sul Lago Nero; sembrava piuttosto occupata, osservò lui con un sorriso, a studiare le variopinte specie vegetali che crescevano in uno dei grandi vasi di coccio allineati sotto i finestroni.
Il giovane avanzò a fatica, schivando una mezza dozzina di studenti più giovani che vociavano concitati e fermandosi pazientemente a rispondere agli abbordaggi di mezza Sala Comune.
 
- Ehilá, Diggoy! - (i più)
- Ciao Ceddy! - (le ragazze, piuttosto cinguettose)
- Complimenti per la promozione, vecchio mio! - (i compagni di dormitorio)
- E allora Cedric; la vinciamo ‘sta Coppa, quest’anno? – (gli alunni anziani)
 
Lui, molto gentilmente, ricambiò sguardi, sorrisi, abbracci e saluti finché, finalmente, non raggiunse la persona che cercava.
 
- Dottoressa McAvoy, i miei ossequi a Vossia.
 
Lei si girò e lo mise lentamente a fuoco.
- Ced! – lo salutò poi, alzandosi in piedi per abbracciarlo affettuosamente. – Come andiamo?
 
- Non male – ridacchiò lui, ricambiando la stretta. – Cosa stavi facendo?
 
- Oh, sai com’è – rispose lei, facendo ondeggiare il capo. – La Sprite si è davvero superata con le piante, quest’anno.
 
- Ingredienti ambiti per i tuoi amati pastrugli?
 
- Ah, ah.    Ripetilo davanti a Piton, se ne hai il coraggio.
 
Una terza voce si aggiunse alla conversazione.
- Perché cavolo devi citare quel tipo fin da subito, Heidi?!
 
I due ragazzi si affrettarono a dare il benvenuto al nuovo arrivato, un ragazzo biondo di media statura e dalle movenze eleganti come quelle di un aristocratico.
 
- Salve a te, Principe.
 
- Come butta, Finch?
 
- È sempre un piacere vedervi – rispose l’interpellato, che rispondeva all’ampolloso nome di Justin Finch-Fletchley. – Heidi. Capitano.
 
- La parola “cavolo” in bocca a te mi ha sconvolta  - esclamò Heidi, facendo tanto d’occhi.
 
- Ah, sapete com’è – replicò lui, tirandosi indietro i capelli con un gesto misurato – quest’estate ho fatto un po’ il ribelle.
 
- Ah, immagino – rise lei, socchiudendo gli occhi – hai scambiato il golf per il crochet, suppongo.
 
- Si dice “cricket”, ignorantella purosangue.
 
Lei non se la prese assolutamente; con un sorriso e un accenno di riverenza, si riaccomodò sulla seggiola.
 
- Bando alle ciance, ragazzi – esordì a quel punto Cedric, tirando fuori dalla tasca dei pantaloni un pezzo di pergamena tutto sgualcito. – Urge fare il punto della situazione.
 
- “Urge” – commentò Justin, sinceramente impressionato. – Bel termine.
 
- Quali nuove, Ced? – volle subito sapere Heidi.
 
- Prima di tutto la lettera di Silente sulle Pari Opportunità. Ve ne ho parlato via gufo giorni fa, ricordate?
 
Justin e Heidi diedero un’alzata di spalle curiosamente sincronizzata.
 
- No problem su questi lidi – sentenziò la ragazza. – Da noi le streghe sono sempre state più che ben accette...
 
- ...ma non tanto quanto lo saranno dai Corvonero – spettegolò Justin, abbassando la voce in modo cospiratorio per sparlare un po’del nuovo Capitano della squadra blu-ramata. – Ho come il sospetto che Davies accetterà solo fanciulle, alle selezioni...
 
- Beh – ammise Cedric, stringendo le labbra – c’è da dire che parte già col piede giusto...
 
- Lasciamo perdere – tagliò corto Heidi, astenendosi dal dargli del babbeo imbambolato. – Proseguiamo.
 
- Oh, sì.
Il novello Capitano dei Tassorosso tossicchiò compìto e si ricompose alla svelta.
 
- Abbiamo ben quattro posti da assegnare – disse poi, aggrottando la fronte. – Mi chiedo proprio se riusciremo a trovare le persone adatte.
 
Heidi sorrise agitando la bacchetta nell’aria, come a rimestare in un calderone immaginario.
 
- Oh, vedrai. Sarà più facile del previsto.
 
- In che senso?
 
- Nel senso che, quando li vedremo all’opera, sapremo subito che sono loro.
 
- E come fai a dirlo? – chiese Justin, scettico.- Ti vuoi portare dietro la Cooman alle selezioni?
 
La ragazza lo ignorò.
 
- Una buona squadra è frutto dell’assemblaggio dei giocatori giusti, così come una buona pozione è il risultato dell’unione degli ingredienti più adatti. Non c’è margine di errore: è un processo scientifico.
 
I due compagni la guardarono scoraggiati.
 
- Ancora con questa storia? Che palle!
 
- Piantala, Justin!
 
 
Sala Comune di Corvonero, 1° Settembre 1993
 
Hogwarts. Confortevole nido, sempre pronta a coccolarti come un genitore apprensivo, ritrovo prosperoso di amicizie indissolubili, bandiera della più ammiccante popolazione di streghe in erba.
Roger Davies affondò sulla poltrona di appagante e confortevole tessuto blu, gettando con speranza uno sguardo al cielo stellato che ricopriva la volta della sua Sala Comune. Un altro anno, il quinto per lui, stava per avere inizio ed il Capitano corvonero aveva tutta l’intenzione di viverselo al meglio; aveva grandi progetti per il suo futuro prossimo e sulla sua lista svettavano il Quidditch e le effusioni più passionali, parimenti. Certo, doveva ancora risolvere un piccolo problemino che aveva per troppo tempo ignorato e che in quel momento giaceva ai suoi piedi, sprizzando borbottii ribollenti rabbia. Con la coda dell’occhio Roger sbirciò la piccola montagna di strillettere che tremavano di disappunto; durante l’estate appena trascorsa il bel Capitano si era recato, come ogni anno, nella sua residenza in Uruguay per raggiungere la famiglia materna. Nelle tiepide serate invernali, tra un fumante bicchiere di mate e l’altro e  con la bocca piena di alfajores,  si era ritrovato a cedere allo charme di Paloma Flores Maldonado, Lomita per i più intimi; sfoderate la sua armi vincenti, ovvero l’innata simpatia, il sorriso perlato e il fascino figlio delle sue origini miste, Roger ci aveva messo una frazione di secondo a conquistare la bella Lomita e con lei aveva condiviso piacevolmente il tempo per ben due mesi. Nonostante non fosse affatto d’accordo con quella visione, il corvonero arrivò a supporre che Elliott Johansson (compagno di casa nonché grande amico) ci avesse visto lungo quando, in una lettera inviatagli in Luglio, lo aveva consigliato di andarci cauto con la strega, visto che per ovvie ragioni logistiche, fatto ritorno ad Hogwarts, non l’avrebbe più rivista. La placidità propria dell’animo di Roger lo aveva però portato a soprassedere sulle ammonizioni moraliste del suo amico un po’ toccatello, limitandosi a non avvisare Lomita del suo imminente ritorno in Inghilterra. Risultato? Quella pila di strillettere che scalpitavano al suo fianco.
 
- Roger! Ma che fine avevi fatto? Ti abbiamo cercato ovunque! -
 
Gli occhi di Roger intercettarono la ragazza da poco entrata nella Sala Comune, con il volto dipinto dell’espressione di chi è davvero felice di incontrare qualcuno.
 
- Signorina Chang, non ci si rivolge al Capitano in questo modo, potrebbe essere esclusa dalla squadra.
 
- Non dire sciocchezze, Davies! - pigolò la deliziosa biondina al fianco di Cho.
 
- Lisetta Lisetta, m’è mancata la tua vocetta. - Canticchiò Roger regalando poi a Lisa Turpin uno dei suoi sorrisi migliori. A Roger erano mancate le ragazze che usava corteggiare (e che ricambiavano con entusiasmo), ma poteva affermare che fossero le sue amicizie ad essergli mancate in maggior misura. Lisa Turpin e Cho Chang rientravano sicuramente fra queste, oltre ad essere degne compagne di squadra; anche se quando le due cominciavano a parlare a fiume sovrapponendo le due voci l’una sull’altra, come stavano facendo in quel momento, il capitano corvonero sentiva puntuale il mal di testa raggiungerlo.
 
- Dobbiamo parlare della nuova formazione, dobbiamo occuparci delle selezioni!
 
- Hai già qualche nome in mente? Perché io voglio proporre…
 
- E se quest’anno decidessimo di tirare a sorte?
 
- Lisa, questa è un’idea davvero stupida!
 
- E per quanto riguarda la mascotte?! Hagrid mi ha detto che il povero Genny ha avuto un brutto male…tutto spennato l’ha trovato, sembrava un pollo più che un corvo!-
 
Gli occhi di cioccolato fuso passavano dall’una all’altra; si trovò nell’impossibilità di ribattere, vista la rapidità inumana con la quale le due proponevano questioni più o meno spinose. E mentre con gesto di estremo coraggio Roger alzava la mano per intervenire e le due si zittivano di botto per dedicargli attenzione, un frastuono assordante rimbombò per la Sala Comune:
 
BOLUDO!
 
HIJO DE LA P**A MADRE QUE TE PARIÓ!
 
CHINGATE, CABEZA DE CHOTO!
 
Chiunque fosse presente nella Sala Comune smise all’istante di fare quello che stava facendo, per voltarsi in muta contemplazione nella direzione da cui provenivano quelle urla assordanti. Era successo che con la rottura della prima strillettera, che evidentemente per troppo tempo era rimasta sigillata, tutte le altre si erano aperte: tipica reazione a catena del vaso di Pandora troppo pieno. Così le offese di Lomita non solo arrivarono forti e chiare alle orecchie di Roger, ma anche a tutti gli altri. Fortunatamente il fuoco di paglia si spense nel giro di un minuto scarso e le lettere finirono per accartocciarsi e crollare a terra.
Cho e Lisa si scambiarono un lungo sguardo terrorizzato, prima di tornare a guardare il Capitano rimasto, per tutto il tempo, con la mano alzata per chiedere la parola.
 
- Roger… - Sussurrò dopo un po’ Cho, imbarazzata come se quei coloriti epiteti (e ne era sicura, Cho, che ingiurie e male parole erano nascoste nella voce spagnola) fossero stati diretti a lei - C…cosa volevi…cosa volevi dirci? -
 
Lentamente Roger, apparentemente affatto toccato dall’increscioso incidente, abbassò il braccio e con gli occhi di tutti puntati addosso, si espose in un ampio sorriso prima di rispondere:
 
- Quest’anno vorrei selezionare una rossa. -
 
- Una… rossa? - chiese confusa Lisa.
 
- Già, - Roger indicò Lisa – Tu sei bionda, - poi Cho – lei mora…se troviamo una bella rossetta sareste le mie Roger’s Angels! -
 
 


 
Salve a tutti cari lettori. Come avrete intuito dal nickname e dalla presentazione del nostro profilo, a proporvi questa interattiva siamo in 2: AdhoMu e _Bri_ hanno unito le idee, le passioni comuni e le forze e questa interattiva ne è il risultato. Per chi ci conosce (o anche per chi seguisse anche solo una di noi), sarà già a conoscenza della passione che ambedue nutriamo per i personaggi secondari della saga; per questo motivo ci è venuto in mente di attuare questo progetto: l’anno scolastico ha inizio e tanti posti nelle squadre di Quidditch sono rimasti vuoti. Se siete giunti fin qui e avete intenzione di partecipare a questa interattiva non possiamo che esserne liete, quindi fatevi avanti senza imbarazzo!
Ma ora un pochino di noiose regolette che aiuteranno noi e voi a barcamenarvi in questa esperienza.
L’intenzione è coprire un anno di campionato fino ad arrivare a scoprire quali fra le quattro squadre si aggiudicherà la coppa. Ma state tranquilli, non parleremo solo di Quidditch: fra un colpo di pluffa e l’altro ci saranno capitoli in cui verranno sviluppati intrighi e misfatti paralleli al mero sport.
Volendo dare respiro a quei personaggi che sono stati poco ispezionati o addirittura solo citati, vi chiediamo di costruire degli oc basandovi su personaggi esistenti nella saga. Avrete la possibilità di scegliere chi vorrete, fatta eccezione per Hermione, Ron, Ginny, Luna e Neville (di fatto primo e secondo trio protagonista) e quelli già diplomati (Charlie Weasley va bene? No. Tonks? Nemmeno. Un malandrino? Men che meno!). Per il resto avrete carta bianca; l’unico consiglio che ci sentiamo di darvi è che più i personaggi saranno sconosciuti a noi tutti, maggiore sarà la possibilità per voi di costruirne il carattere ed il background; non per questo escluderemo a priori un “Seamus Finnigan”, ma i personaggi maggiormente caratterizzati nella saga potrebbero essere, per voi, più difficili da manipolare a vostro piacimento (Angelina, Katie, Fred e George sono disponibili? Certo! Occhio però, anche di loro ne sappiamo parecchio!).
Un altro piccolo appunto è il seguente: come avrete notato abbiamo modificato l’età di alcuni personaggi; ad esempio Astoria Greengrass (anche se di lei non si sa nulla, se non che sposerà Draco Malfoy), in questa storia è più grande di Daphne, la quale frequenta lo stesso anno di Draco e Harry. Anche Justin e Lisa hanno guadagnato qualche anno. Nulla impedisce a voi di fare la stessa cosa, su questo siamo flessibili (ovviamente rimaniamo sempre nell’ambito degli studenti che frequentano o hanno frequentato Hogwarts durante l’anno del Prigioniero di Azkaban, o anche più giovani, ma modificando a piacimento la loro età.)
E ancora: abbiamo cambiato il ruolo di Cho, in modo da lasciare libero almeno un posto da Cercatore.
Ci siete? Benissimo! A seguire il regolamento vero e proprio e la scheda da compilare.
 
 
 
Posti disponibili per la selezione:
 
Corvonero
 
  • Battitore
  • Battitore
  • Cercatore
  • Portiere
 
 
Grifondoro
 
  • Battitore
  • Battitore
  • Cacciatore
  • Cacciatore
 
 
Serpeverde
 
  • Cacciatore
  • Battitore
  • Battitore
  • Portiere
 
 Tassorosso
 
  • Battitore
  • Cacciatore
  • Cacciatore
  • Portiere
 
 
 
- Avete tempo fino al 16 Giugno alle ore 21:00 per inviarci le schede, ragion per cui lavorateci quanto volete, sperando ovviamente che non ci arrivino tutte il 15 alle 20:00 :)
 
- Accetteremo un massimo di 12 personaggi.
 
- Potete proporci un massimo di 2 oc, l’importante è che siano di sesso e case differenti e che specifichiate quale ruolo andrebbero a coprire nella squadra (e, ovviamente, di quale casa).
 
- Dovete prenotarvi con una vera recensione al capitolo; inoltre vi preghiamo di inviare le schede dei vostri oc solo dopo aver ricevuto il nostro ok, ovviamente per messaggio privato (“Scheda TaldeiTali per Bolidi d’ottone e manici di scopa”).
 
- Fatevi vivi, rispondete alle domande che vi porremo, partecipate con costanza. Questa è un’interattiva, di conseguenza se viene a mancare l’interazione se ne perde il senso. Se sparirete per tre capitoli di fila (specialmente se non risponderete alle domande), il vostro oc verrà subito rimpiazzato con un altro giocatore.
 
- Non accettiamo Mary Sue e Gary Stu. Lo si specifica ogni volta, ma pensateci bene quando costruirete le schede, perché al vago sentore di una Mary o un Gary cestineremo subito la scheda. Quindi NO ai “superintelligentissimi superbellissimi supercarismatici superperfetti e chi più ne ha, più ne metta. In buona sostanza non accetteremo personaggi dalle doti clamorose; ricordate che i ragazzi, per essere ammessi nelle rispettive squadre, devono aver dimostrato di essere molto bravi nel volo: un eccesso di abilità in mille altri campi suonerebbe quantomeno inverosimile.
 
- Sono ammessi solo e soltanto personaggi già esistenti nella saga, anche solo nominati: stupiteci!
 
- Non sono accettate categorie speciali (veela, vampiri, licantropi etc…), solo COMUNI maghi adolescenti.
 
 
 
A seguire la scheda da compilare.
 
 
Nome e Cognome:
 
Soprannome:

Luogo e data di nascita (i personaggi devono frequentare obbligatoriamente il V, VI o VII anno):
 
Casa di appartenenza:
 
Aspetto fisico (dettagliato, compresi segni particolari):

Prestavolto (deve essere necessariamente un personaggio reale):

Carattere:

Pregi e difetti:

Background del personaggio (specialmente legato al Quidditch: quando ha imparato a volare? Come? Chi glielo ha insegnato? Ecc…):
 
Famiglia e rapporto con essa:

Patronus (solo per i maggiorenni):
 
Che cosa sarebbe disposto/a a fare pur di entrare in squadra?
 
Che cosa sarebbe disposto/a a fare pur di vincere una partita o aggiudicarsi il titolo?
 
Sarebbe disposto/a a tradire la squadra per interesse personale? Se sì, per cosa?
 
Ruolo in campo:
 
Aspirerebbe al ruolo di vice capitano?:
 
Modello di scopa su cui ha imparato a volare:
 
Modello di scopa attuale:
 
Squadra del cuore:
 
Squadra detestata:
 
Idolo del Quidditch:
 
Mossa segreta:
 
Mascotte:
 
Oggetto portafortuna:
 
Rituale prima di entrare in campo:

Idea di orientamento sessuale (vista la giovane età):

Molliccio (spiegarne il motivo):

Amortentia:

Ricordo felice:

Amicizie/ inimicizie:


Amore ( Nel caso sia già fidanzato, specificare il carattere del fidanzato/a):
 
Dopo la scuola aspira al Quidditch professionale o ha altri interessi?:
 
Altri interessi e abilità che potrebbe usare a suo vantaggio in campo o in altre questioni relative al Quidditch (esempio: è bravo in incantesimi e potrebbe usare un incantesimo per…):


Vi lasciamo con le figurine dei membri già presenti in squadra. Quali saranno le prossime?


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Le Selezioni ***


Capitolo.1 – Le Selezioni
 
 
[Dietro gli spogliatoi del Campo da Quidditch, sera del 7 settembre 1993]
 
- Incendio!
 
L’incantesimo pronunciato a bassa voce appiccò una vivida fiammella sulla punta della sigaretta protesa, dalla quale subito si librò un’eterea voluta di fumo. Con un gesto lento Ritchie Coote l’avvicinò alle labbra e inspirò avidamente, per poi rilasciare una vaporosa boccata accompagnata da un profondo sospiro di pura soddisfazione.
 
- Aaah. Ci voleva proprio.
 
- E io che mi ero illuso che l’aria estiva e l’assenza di impegni ti avrebbero fatto rinsavire... -
 
Jimmy Peakes, la schiena appoggiata alla parete esterna del casotto che ospitava gli spogliatoi, tirò su una gamba e puntò la pianta del piede sul muro. Ritchie non se la prese affatto: Jimmy diceva sempre così quando lo accompagnava giù a fumare di nascosto. Per nulla infastidito, gli rivolse quindi un sorriso rilassato e si schiarì la voce.
 
- Niente da fare. È un vizio, ormai.
 
- Ah, sì. Come del resto il caffè, la carta bianca, l’aria di mare...
 
- Mi risulta che quella piaccia anche a te, e a livelli ben più patologici dei miei. -
 
Jimmy si strinse nelle spalle e s’infilò le mani in tasca.
 
- Eccome – confermò. - Ma il mio livello di patologia non supererà mai...
 
- Vabbè, lasciamo perdere – lo interruppe Ritchie, per poi affrettarsi ad aggiungere: - e comunque, neanche una parola. Soprattutto con chi-sai-tu, ok?
 
- Tranquillo – lo rassicurò l’amico. – preferirei parlarne con Tu-Sai-Chi che con il Capitano, del tuo vizio riprovevole.
 
- Almeno fino alle selezioni.
 
- Almeno fino alle selezioni. Certo. Mica voglio un Baston sulla coscienza, io. È già piuttosto nervoso di suo, di questi tempi. -
 
I due Grifondoro rimasero in silenzio per qualche minuto: Ritchie a dare lente boccate come a volersi rifornire di nicotina in vista delle future ore di astinenza; Jimmy a strofinare sulla parete la suola di gomma delle scarpette da ginnastica e a rimestare nelle tasche della felpa, in cerca di chissà cosa.
 
- Che figata, comunque.
 
- Già.
 
- Non fraintendermi, eh – chiarì subito Ritchie, pur sapendo che con Jimmy non aveva alcun bisogno di giustificarsi. - Mi spiace un sacco che Fred e George non possano giocare. Però...
 
- Però è una figata potersi fare avanti – concordò l’amico, estraendo le mani di tasca e stringendole attorno ad una mazza immaginaria, con la quale colpí un ipotetico Bolide. – Sono sicuro che spaccheremo tutto, ai provini.
 
- Non troppo letteralmente, eh – ridacchiò Ritchie, che sapeva fin troppo bene quanto Jimmy fosse incline agli eccessi di entusiasmo. - A proposito: la data definitiva delle selezioni è il dieci, giusto?
 
- Così pare – annuì Jimmy - ma prima di risalire è meglio se diamo una controllata. La McGranitt non fa altro che posticiparli. -
 
Il compagno diede un’ultima boccata, fece evanescere la cicca e si tirò indietro il ciuffo di capelli scuri che gli ricadevano sugli occhi.
 
- Perfetto. Andiamo, allora – disse, avviandosi lungo il sentierino che faceva il giro del casotto. Staccatosi dal muro con un colpi di reni, Jimmy lo seguì.
Avevano fatto all’incirca una decina di passi, e già si apprestavano a doppiare l’ultimo angolo della costruzione, quando Ritchie si fermò di colpo. Jimmy, che procedeva di buon passo dietro di lui, gli andò a sbattere contro.
 
- Ma per Salazar porco, Coote!
 
- Sttttt! – lo zittì l’amico, facendogli cenno di tacere. Il fumo della sigaretta era ancora nell’aria e lui aveva dimenticato le mentine in dormitorio: non voleva certo farsi sorprendere intento in una così plateale attitudine antisalutista.
 
Jimmy e Ritchie si sporsero oltre l’angolo del casotto, sbirciandone con circospezione la facciata principale. Accanto alle porte degli spogliatoi, il fondo bianco del tabellone degli avvisi spiccava nella penombra.
 
- Mi venga un colpo se quella non è...
 
- Abbassa la voce, Peakes!
 
Ritchie strinse gli occhi per mettere a fuoco la silhouette femminile che, dopo aver pronunciato un paio di rapide paroline sommesse ed essersi guardata velocemente intorno, si accingeva a riporre in tasca la bacchetta magica e a fare ritorno sui suoi passi... e cioè esattamente nella loro direzione.
I due ragazzi si appiattirono dietro l’angolo e trattennero il respiro finché la figura non fu passata. La luce della luna si infrangeva sui suoi capelli, facendoli rifulgere come rivoli di oro pallido; dettaglio, questo, che non lasciava adito al minimo dubbio circa l’identità della visitatrice misteriosa.
 
- Mi chiedo – balbettò Ricthie, non appena ritenne saggio aprir bocca – che cosa diavolo stesse facendo ‘Aussie’ Spinnet quaggiù da sola, a quest’ora, ad armeggiare in gran segreto col tabellone.
- Semplice - Jimmy, altrettanto intrigato dallo strano comportamento della loro compagna di classe, si era avvicinato velocemente al pannello e aveva dato una sbirciata. - È venuta a cambiare la data delle selezioni.
 
- Cosa?! Ma perché mai Alicia avrebbe...
 
- E che cacchio ne so, amico. Ma ti dico una cosa – affermò Jimmy, dondolandosi sulle gambe – qui ornitorinco ci cova.
 
-Che battuta del cazzo – commentò sorridendo Ritchie, comunque convinto che l’amico avesse perfettamente ragione.
 
 
[Biblioteca, mezzogiorno del 14 settembre 1993]
 
A mezzogiorno e tre quarti esatti,
davanti allo scaffale S8188
del Reparto di Storia della Magia.
Non mancare.
 
Il messaggio che Astoria, avvalendosi dell’aiuto (probabilmente forzato) di un’oltreché immusonita Daphne, le aveva fatto recapitare quella mattina durante il rapido cambio dell’ora fra Trasfigurazione e Pozioni era stato diretto, conciso e assolutamente inatteso. Certo: in vista delle selezioni, che si sarebbero tenute l’indomani, le era più volte capitato di fermarsi a scambiare quattro chiacchiere con lei, ma non si era trattato di nulla di che e, soprattutto, di nulla che non potesse essere discusso alla luce del sole.
Ora, invece...
Mentre avanzava fra i ripiani gremiti di libri e pergamene che si accumulavano gli uni sugli altri fino a sparire, lassú in alto, in un’ombra indefinita, Gemma si guardò nervosamente intorno chiedendosi cosa mai volesse ancora da lei la più anziana delle sorelle Greengrass e, soprattutto, perché accidenti costei le avesse dato appuntamento proprio nel settore più spopolato della biblioteca.
 
- S8186... 8187... OH! -
 
Lo strilletto di sorpresa di Gemma riverberò nitidamente nell’aria, per poi essere assorbito dalla coltre di vecchie pagine polverose che la circondavano. Contemporaneamente, due paia di occhi scuri si puntarono su di lei.
 
- Ehilá, Farley. -
 
Sophie Roper, una sua compagna di Casa del sesto anno, le rivolse un veloce sorriso di saluto. In piedi accanto all’esile corpicino della ragazza, Gemma riconobbe l’imponente figura di Millicent Bulstrode, una corpulenta studentessa di qualche anno più giovane di loro con cui lei non aveva mai parlato.
 
- Ciao... -
 
Gemma salutò entrambe; poi, a voce bassissima e guardandosi scrupolosamente intorno, soggiunse:
- A-anche voi... ?
 
- Appuntamento top-secret – confermò prontamente Sophie, mentre al suo fianco Millicent annuiva energicamente. – Pare proprio che la nostra cara Greengrass abbia in mente qualcosa.
 
- Oh, bene... E Astoria dov’è, a proposito? -
 
Con un brusco cenno del capo la più giovane le indicò, oltre il corridoio delimitato dalle scansie, l’imboccatura delle scaffalature contrassegnate dal codice BGRM, da cui proveniva un brusio sommesso.
 
- È laggiù, che confabula con qualcuno...
 
- Oh.
 
- Non sappiamo di chi si tratti – precisò Millicent con la faccia di una a cui, comunque, la cosa non faceva né caldo né freddo. Era sempre stata una tipa pragmatica, la Bulstrode.
Non ci volle molto, comunque, affinché il mistero venisse svelato.
Dopo una manciata di minuti trascorsi in silenzio, infatti, le tre ragazze videro che Astoria aveva abbandonato il suo cantuccio e si avvicinava a piccoli passi alla loro postazione, seguita da una sagoma mastodontica che, pur torreggiando alle sue spalle, si manteneva scrupolosamente in ombra.
 
- Montague?! -
 
Millicent sgranò gli occhi stupefatta, sforzandosi di mettere a fuoco il viso del ragazzo che rimaneva celato dalla penombra generata dalle sue stesse membra, tanto colossali da schermare i rari fasci di luce che penetravano a fatica nella biblioteca.
 
- In persona, piccoletta – le rispose lui senza battere ciglio.
 
- Che cosa accidenti vuoi, tu? – lo incalzò sgarbatamente Sophie, che era subito scattata sulla difensiva. I cinque anni di convivenza forzata a lezione e in Sala Comune le avevano insegnato che il nuovo arrivato era una persona tutt’altro che affabile e, men che meno, affidabile. – Sei qui in qualità di tirapiedi di Flint?
 
- Io non tiro i piedi di nessuno – ringhiò lui, torvo.
 
- Calma, ragazzi, calma – intervenne Astoria sorridendo soavemente e sollevando le mani come a voler sedare gli animi. – Montague è dei nostri. Non è vero, Kain?
 
- Non potresti chiamarmi con l’altro nome? ‘Kain’ mi fa cagare.
 
- Ah, sì. Non è vero, Craig?
 
- Mi riferivo a Graham. Eccheccavolo.
 
- Ma che cosa ci posso fare, io, - lo rimbeccò Astoria, un po’scocciata - se i tuoi genitori hanno voluto strafare?! -
Lui sbuffò, annoiato. L’intenso aroma di sigaretta che emanava dalla sua divisa scolastica si insinuò con prepotenza nelle narici di Gemma, che tossicchiò infastidita.
 
- Francamente, Astoria – azzardò la ragazza, visibilmente a disagio – non so se... -
 
Al suo bisbigliare si sovrapposero subito quello sdegnato di Sophie e quello niente affatto discreto di Millicent, mentre la Greengrass tentava invano di ristabilire l’ordine. Montague, in piedi accanto a loro, stette ad osservarle in silenzio finché non ne ebbe abbastanza.
 
- Eccheccazzo – borbottò infine il ragazzo, insofferente. – La smettiamo, voialtre? O volete dare adito al soprannome affibbiatovi da Flint? -
 
Le quattro compagne gli rivolsero un’occhiataccia sincronizzata.
 
- E quale sarebbe, scusa? – sibilò Sophie, stringendo gli occhi e sentendosi prudere la bacchetta dalla voglia di affatturarlo. I tipi come Montague, facinorosi e guerrafondai per definizione, le davano prepotentemente sui nervi.
 
- “Il pollaio” – le rispose lui con un’alzata di spalle e sprizzando strafottenza da tutti i pori.
 
- Che cosa?! – Millicent era a dir poco infuriata. – Quel brutto stronzo! – esclamò, facendo scrocchiare rabbiosamente le nocche della mani e lasciando presagire che, con le dita, avrebbe volentieri fatto scricchiolare anche il collo di Flint.
 
- Sentite, fatine – il tono di voce di Montague era calmo, piatto e decisamente cospiratorio. – Io non ho tutto il giorno.
 
- Fatina sarà tua ma...
 
- Ragazze, ragazze – Astoria si affrettò a riprendere la parola e a fare cenno a Sophie di riporre la bacchetta. Nei grandi occhi scuri della ragazza brillava una luce fiera e determinata, capace di mitigare l’irritazione della compagna. – Non dovrò certo ricordarvi che domani ci sono le selezioni...
 
- E con ciò? – Millicent scrollò le spalle e si grattò una chiappa. – Tanto siamo già dentro, si sa. -
 
Gemma e Sophie si affrettarono a concordare. Il professor Silente era stato chiaro: la componente femminile doveva essere presente in squadra, il che significava che almeno tre di loro (nessun’altra studentessa di Serpeverde si era dimostrata minimamente intenzionata a partecipare ai provini) potevano già considerarsi a posto.
 
- Non proprio – le corresse però il ragazzo, facendole ammutolire all’unisono.
 
- Esatto – aggiunse velocemente Astoria – Perché vedete: Flint ha presentato un ricorso in Presidenza. Kain... ehm, Graham l’ha scoperto e, molto gentilmente, me l’ha riferito. -
 
Nonostante conoscesse Flint da ben sette anni e, quindi, fosse perfettamente a conoscenza della sua proverbiale bastardaggine, Gemma era perplessa.
 
- Un ricorso? – chiese un po’esitante, seriamente indecisa se abbattersi o indignarsi.
 
- Già – convenne lui, piegando il labbro in una smorfia affilata. – I Magiavvocati del signor Malfoy sono riusciti a dimostrare che, così facendo, Silente stava potenzialmente pregiudicando la nostra Casa. Flint si è fatto promettere che, se i precedenti membri della squadra sapranno dimostrarsi superiori a voialtre fanciulle, il posto verrà loro restituito. -
 
- Brutto maiale – ringhiò Millicent, digrignando i denti. Nel vederla così inferocita Gemma pensò che, se disgraziatamente si fosse trovato nei paraggi, Flint si sarebbe beccato una bella ripassata. E poco importava che il Capitano fosse un tipo inflessibile e temuto da tutti per la sua freddezza e per i suoi metodi poco ortodossi: in quel momento, Millicent aveva tutta l’aria di essere capace di farlo a pezzettini.
Sul resto del gruppetto calò un silenzio costernato, rotto poco dopo da un bisbigliare secco.
 
- C’è una cosa che non capisco – Sophie si guardò attorno con astio e aggrottò la fronte, contrariata, per poi rivolgersi al suo controverso compagno di classe. – Che cosa diavolo ci guadagni, tu, ad avercelo raccontato? -
 
- Diciamo che ho i miei piani – buttò lì lui, laconico.
 
– Piani? – Sophie lo fissava torva, più sospettosa che mai.
 
-  Affari miei. Va bene, Roper? – soffiò lui, guadagnandosi in risposta un gestaccio malcelato.
Le ragazze si guardarono l’un l’altra, dubbiose; Astoria invece sorrideva, gli occhi attraversati da un tremito lievemente febbrile. A giudicare dalla sua espressione vittoriosa, si sarebbe detto che la Greengrass tenesse in tasca una pepita d’oro dalla caratura particolarmente alta.
 
- Ma... ma come facciamo a sapere che possiamo fidarci di lui? – chiese timidamente Gemma, sforzandosi di mantenere le falangi lontane dalla bocca per evitare di divorarsi le unghie dal nervosismo. Se, da una parte, i tipi maneschi e tendenzialmente ambigui come Montague non le erano mai piaciuti granché, dall’altra (per la bacchetta di Salazar!) la prospettiva di frustrare a dovere quel bellimbusto di Flint, dopo sei anni di convivenza indigesta, l’ingolosiva assai.
 
- Beh, per esempio – le rispose Montague, mettendo su la sua espressione più sprezzante - ammettendo che, se non ci fosse da fidarsi, non mi lascerei sfuggire che Bletchley si concentra sempre sull’anello di sinistra, che Pucey è daltonico e non vede bene gli avversari vestiti di grigio e che Vaisey soffre di rinite allergica e non sopporta l’essenza di violetta nel raggio di un chilometro.
 
- Ah. – commentò Millicent, seriamente impressionata da cotanta, sfacciata voltagabbanaggine. - E Warrington, già che ci siamo? -
 
Le labbra di Graham si contrassero in un sorriso truce.
 
- Ah, a Clide ci penso io, tranquille.
 
 
 [Torre di Grifondoro, dormitori maschili del VII anno, tarda serata del 14 settembre 1993]
 
- Che cosa intendi dire esattamente, Baston?
 
Neil finì tranquillamente di sorbire la sua sacrosanta tisana alle erbe e posò tazza e piattino sul comodino. Un istante dopo un elfo domestico del Castello si materializzò accanto a lui e, con una riverenza, gli chiese:
- Desidera dell’altra tisana, signorino Randall?
 
- Grazie, no – rispose lui, facendo cenno alla creatura di essere a posto così. – Ritira pure anche la teiera, Floffy.
L’elfo eseguì.
Neil si volse nuovamente verso Oliver, che interruppe per un secondo il suo furioso frugare nel baule alla ricerca del suo fischietto preferito (quel benedetto oggetto sembrava non trovarsi da nessuna parte, per Godric).
 
- Intendo dire che sotto sotto, effettivamente, capisco che tu non abbia voglia di partecipare ai provini – buttò lì il Capitano, falsamente indifferente. – Del resto, con i bravi concorrenti che sicuramente si presenteranno, non ti andrà certo di fare una figura barbina... -
 
Neil lo fissò, impassibile.
- Si dà il caso, invece – disse poi, scandendo bene le parole – che avevo giusto intenzione di farmi vivo.
 
- Oh, ma davvero? -
 
Baston era davvero un asso della tattica, si disse Neil, che prediligeva comportarsi da bastian contrario. Quel maledetto non gli lasciava scelta, accidenti a lui.
 
- Conta pure su di me.
 
- Oh, benissimo – gli rispose quello, sinceramente contento. Neil Randall era davvero bravo sulla scopa, e insieme ad Alicia e Angelina (che, a quanto pareva, aveva ottenuto il beneplacito dei Medimaghi) avrebbe fatto faville. – Mi risollevi il morale, amico. Non scherzo.
 
- Tu però toglimi una curiosità, Oliver – gli domandò Neil, a mo’di risposta. -  Perché mai hai posticipato di tanto i provini? Non è da te.
 
- Oh, ma non sono stato io, infatti – rispose Oliver, tirando su la testa oltre il bordo del baule. – Tutta colpa della McGranitt, quella procrastinatrice quadrettata... oh, beh – aggiunse poi, girando all’insù le maniche corte della sua maglietta bianca un po’troppo stretta - nulla di personale contro gli onorevoli higlanders, ovviamente...
 
- Figurati – replicò Neil, con una smorfia sarcastica. - Tutto il contrario semmai, dico bene? Del resto, se così non fosse, non staresti tanto in botta per il forfait della Bell...
 
- Fatti i fatti tuoi, Randall – mugugnò Oliver, cupo, mentre l’altro, che adorava l’altrui disagio, tossicchiava divertito. – Dicevo: la McGranitt...
 
- Ma non è stata lei, a cambiare gli orari.
 
I due ragazzi si voltarono verso la porta d’entrata, coordinati come un sol uomo. Dalla soglia, una zazzera rossa perfettamente riconoscibile preannunciò l’arrivo di Percy Weasley.
 
- Come dici, Perce?
 
- Ci ho appena parlato io – rispose il terzogenito Weasley, facendo levitare fino al suo letto una cassa contenente un centinaio di rotoli di pergamena ordinatamente stoccati. – Riunione dei Capiscuola, sapete.
 
- Davvero interessante – bofonchiò Neil, granitico.
 
- Già – annuì Percy aggiustandosi gli occhiali cerchiati di corno, che gli erano scivolati giù lungo il naso. – In ogni caso, la professoressa si è lamentata dei tuoi continui cambi di programma, Ol. Lei avrebbe voluto la squadra bella e che pronta già il cinque, vedi un po’tu.
 
- Ma non sono stato io! – protestò Oliver, punto sul vivo. – Anch’io avrei voluto porre fine quanto prima a questo supplizio!
 
- Davvero strano – commentò Percy, pensoso. – Beh, ragazzi. Io mi ritiro. Buonanotte. -
 
Oliver si intrufolò a sua volta nel suo baldacchino e tirò le tende. Neil, dal canto suo, aveva già fatto scendere le cortine senza salutare nessuno; dal suo angolo proveniva il suono di un lieve russare.
Una volta solo, Oliver non si seppe trattenere. Dopo aver frugato sotto al cuscino, tirò fuori una fotografia scattata il giugno precedente.
 
- Lumos! -
 
Bionda e luminosa come una spiga di grano Alicia Spinnet sorrideva, fiancheggiata dai gemelli Weasley; sulla destra, Angelina strizzava l’occhio al fotografo mentre Harry, seduto ai piedi dei compagni, faceva ‘ciao’ con la mano. Oliver guardò se stesso, intento ad incrociare le braccia con fare soddisfatto mentre, accanto a lui, una figuretta minuta dai grandi occhi celesti posava affettuosamente la guancia sul suo gomito.
“Dove accidenti ti sei cacciata, Katie?”
 
 
[Campo da Quidditch, mattina del 15 settembre 1993]
 
- Ecco a te, sono sette galeoni. –
 
- Sette galeoni? Ma… ma io ne ho solo cinque, non potremmo per una volta… -
 
Kevin Entwhistle sfoderò il suo sorriso migliore, il suo pezzo forte. Con naturalezza strappò via dalle mani del povero Grifondoro la pergamena appena consegnata.
 
- Nessun problema, ripassa quando rimedi gli altri due. Ti consiglio di fare un giro fra quel gruppetto di Serpeverde che bazzica nel chiostro, pare facciano dei prestiti con un tasso d’interesse assolutamente vantaggioso. Oh ma chi si vede, Capitano! -
 
Kevin dette le spalle al grifondoro il quale, sconfortato, si trascinò lontano dal campo di Quidditch mentre Roger, vestito della sua divisa, s’avvicinava all’amico.
 
- Ancora con i tuoi traffici di compiti? Non ti smentisci mai Vinnie! - I due batterono il cinque e subito dopo Kevin passò un braccio intorno alla spalla di Roger e con lui s’avviò verso un angolo del campo:
 
- Che vuoi farci bro, di qualcosa bisognerà pur vivere. – Kevin dette una rapida occhiata a una fila di streghe dai capelli rossi che, mestamente, s’allontanavano sconsolate dal campo; per Kevin fu inevitabile scoppiare a ridere: - Allora era vero quanto ho sentito sulla selezione! Dimmi un po’, quante non sono della nostra casa e quante, invece, non riescono nemmeno a salire su una scopa giocattolo? -
 
- Più di quante immagini amigo. – Roger sospirò, - Mi è dispiaciuto mandarle via, sai quanto detesti far soffrire delle fanciulle.  Ma forse ho trovato quella giusta, che la maestosa Priscilla sia sempre lodata. -
 
- Amen. E chi sarebbe mai la fortunata? - chiese Kevin, con il piglio curioso che lo distingueva.
 
-Alt, prima voglio sapere per quale motivo il figliol prodigo torna all’ovile: il tuo corso di cinemagia è stato un fiasco come mi aspettavo? -
 
Il volto di Kevin si imbrunì: - la magica arte non è per tutti… l’ho capito troppo tardi, - sospirò teatralmente prima di proseguire - la maggior parte di quelli che si sono iscritti lo hanno fatto solo per guadagnare qualche punto extrascolastico… non conoscevano nemmeno la citazione del mio tatuaggio! -
 
Prima che Roger potesse impedirglielo, Kevin tirò su la maglia mostrando la scritta rossa “May the Force be with you” che gli attraversava il petto.
 
- E quindi sei tornato. Grandioso!
 
- Un anno sabbatico da Quidditch mi è bastato…mi dedicherò al magicinema quando qualcuno sarà in grado di apprezzare il mio estro. Ma tornando a noi… mi parlavi di una rossa che l’ha fatta franca. -
 
Roger si fermò dietro la linea di demarcazione del campo ed indicò, soddisfatto, una strega che fluttuava in aria con maestria, mentre scagliava bolidi a destra e a manca. Kevin strizzò gli occhi per mettere a fuoco il soggetto indicato da Roger. Subito dopo infilò le mani fra i capelli decolorati:
 
- Mandy Brocklehurst?! Ma quella è tutta svampita. Stento a credere sia in grado di reggersi dritta più di cinque minuti su quella…quella…ma dai, andiamo! Una Bluebottle?! Siamo seri?!
 
- Malfidato… dovresti riporre più fiducia nel tuo capitano; la ragazza ha tutte le qualità che ci servono: - Roger prese a numerare con le dita - è agile, ha un lancio micidiale e ha i capelli rossi, non potevo desiderare di più! -
 
Dall’alto Mandy lanciò un’occhiata ai due corvonero che confabulavano osservandola; d’istinto agitò una mano per salutarli, distrazione che la fece impattare con un ragazzo che fluttuava sulla sua scopa con la leggiadria di una fatina. L’impatto lo fece sussultare, ma si limitò a lanciare un’occhiata di superiorità a Mandy, la quale invece barcollò pericolosamente, ma che alla fine riuscì a risalire sulla sua scopa.
 
- Non solo Mandy, ci mancava Stephen Cornfoot! - La voce di Vinnie era incrinata da un pietoso flusso – Quello mi odia, Rog. –
 
Roger strizzò la spalla dinoccolata dell’amico: - magari tu evita di agitarti tanto in sua presenza, così potremo sperare di portare a termine un allenamento senza omicidi. -
 
- Lo sai che non mi so contenere. Comunque questa formazione mi sembra una punizione nei miei confronti. -
 
-Por favor, tio! Vedrai che andrà tutto bene! Tu ri-la-ssa-ti, ok? –
 
Kevin fece un altro sospiro, prima di tornare a guardare in alto: proprio in quel momento Cho stava puntando dritto all’anello centrale, che venne prontamente coperto da una strega dalle curve pronunciate. Quella, coperta dal turbinio di capelli biondi, respinse la pluffa con vigore e quella semplice parata le fece incrinare il viso morbido in un sorriso di soddisfazione.
 
-Beh? Che ne dici, è ora di farti un giretto o pensi ti riammetterei in squadra ad occhi chiusi?-
 
Vinnie spalancò appena la bocca e guardò Roger con tanto d’occhi:
 
-Ma lo sai che non c’è bisogno, sono uno dei migliori!-
 
-Rinfrescami la memoria, bro. - Lo scimmiottò Roger, prima di spingerlo verso il campo.
 
*
 
Morag scostò i capelli dal viso e i grandi occhi chiari si fecero sottili: osservò con attenzione il ragazzo che si stava innalzando in volo e che puntava con rapidità verso la pluffa, strappandola via a Lisa Turpin con nonchalance. La strega non riuscì a reprimere l’ennesimo sorriso di soddisfazione: non le era mai andata particolarmente a genio la strega, in quanto Lisa si era dimostrata una buona amica di Cho Chang e lei detestava Cho, dalla prima volta in cui ci aveva avuto a che fare. Concentrata, Morag si mise in posizione pronta a parare il colpo di pluffa del mago il quale, lesto come un razzo, volava in picchiata verso di lei.
 
*
 
Mandy non era ancora certa sarebbe entrata nella squadra, perciò aveva deciso di impiegare ogni briciolo di energia per mettercela tutta. Già non partiva avvantaggiata, con tutte le voci che giravano sul suo conto riguardo alla scarsità di collegamenti sinapsici presenti nel suo cervello, per questo pensava che avrebbero sfruttato ogni piccolo segnale di debolezza, pur di non ammetterla. Kevin Entwhistle le era sempre stato simpatico, ma non avrebbe di certo fatto un sconto al ragazzo per questo; appena vide che il finto biondo si era impossessato della pluffa, Mandy strinse la mazza e colpì il bolide con tutta la forza che aveva, indirizzandolo verso la traiettoria di Kevin. Forse aveva osato troppo, però.
 
*
 
Vinnie teneva stretta la pluffa sotto il braccio sinistro. Se il Capitano aveva intenzione di mettere alla prova le sue capacità, lo avrebbe accontentato; con un sorriso sghembo in viso si avvicinava sempre più agli anelli, pronto a scagliare la pluffa ben distante dalla presa di Morag. Proprio quando stava per farcela, con la coda dell’occhio intravide uno dei bolidi sfrecciare verso di lui e ci mancò poco a procurarsi l’ennesima frattura in campo: Vinnie piegò la schiena all’indietro e l’aria tagliente del bolide in azione gli solleticò il naso; un solo secondo di ritardo e quello se lo sarebbe portato via di netto, pensò sollevato.
 
- Argh!!! -
 
- Oh cazzo, Cho! -
 
*
 
Nonostante Mandy Brocklehurst si fosse scaraventata su di lui poco prima, dando mostra di una goffaggine quasi unica, Stephen sembrava non averci fatto caso: il suo obiettivo era recuperare il boccino che era stato lanciato in aria per metterlo alla prova, questa volta da solo. Non era stato ovviamente l’unico a presentarsi ai provini per coprire il ruolo di cercatore, ma Stephen Cornfoot aveva messo all’angolo gli altri pretendenti cercatori in men che non si dica. Per confermarsi titolare della squadra, non gli mancava che impossessarsi un’altra volta del boccino in minuti sessanta. Un gioco da ragazzi, pensò fra sé e sé. Un luccichio dorato catturò la sua attenzione e quello lo fece virare prontamente a destra, laddove il boccino sbatteva frenetico le alucce, come lo stesse attendendo. Stephen indirizzò la scopa nella direzione dell’agognata sfera, che chiuse fra le dita sottili una manciata di secondi dopo. Soddisfatto accennò un vago sorriso e stava per mostrare il boccino a Roger Davies, quando un urlo, seguito da un tonfo sordo, lo distrasse.
 
*
 
Va bene: Cho non le era mai stata simpatica, ma da qui a vederla precipitare a terra come un sacco di patate, colpevole il micidiale lancio del bolide da parte di Mandy, era esagerato. Morag abbandonò la porta e sfrecciò, assieme agli altri giocatori in campo, verso il punto in cui era caduta Cho Chang. La cacciatrice, tramortita dal volo notevole, fu portata immediatamente in infermeria.
 
- Lisa, vai con lei per piacere. – disse con premura Roger, che osservava in preda all’ansia la sua amica trasportata via, che sembrava più di là che di qua.
 
- Mi spiace… io non mi sono resa conto! – Un’agitata Mandy ciondolava da un piede all’altro, mentre passava fra le mani un brutto gingillo a forma di coccinella (sembrava più uno scarafaggio, non fosse per il tipico colore rosso costellato di sette punti neri).
 
- Tranquilla Brocklehurst, Cho si rimetterà, lo fa sempre. Non sarà un colpo di Bolide a fermarla. – Poi Roger improvvisamente sorrise in direzione della strega: - A proposito, gran bel colpo! -
 
Gratificata dalle parole di Roger, Mandy assunse una sfumatura di vivido rosso che risaltò le lentiggini di cui la pelle era ben fornita, dimenticando per altro di aver probabilmente ucciso la povera Cho.
 
- Forza gente, non perdiamoci d’animo, bisogna andare avanti! – Roger batté le mani con allegria ritrovata e i suoi occhi scuri finirono su un bel ragazzo non troppo alto ma dall’aria elegante, rimasto in panchina fino a quel momento ma che a seguito del fattaccio accaduto alla Chang era corso in soccorso.
 
- Preparati guapo, prendi il posto di Cho, abbiamo bisogno di te adesso! -
 
Il mago non se lo lasciò ripetere due volte: con estrema cura estrasse dalle tasche della divisa un paio di guanti che infilò con accortezza, dette una rapida sistemata ai capelli e senza aggiungere nulla recuperò la sua scopa, sulla quale montò con un gesto posato e calcolato.
Nonostante fossero ancora scossi, chi più chi meno, i giocatori si innalzarono in volo e tornarono a giocare. Tutti tranne Vinnie che sotto lo sguardo curioso di Roger, aveva preso a contare le persone presenti in squadra.
Poi una risata fragorosa uscì dalla bocca.
 
- Che stai facendo? -
 
Perpetuando nella sua risata sguaiata, Kevin si aggrappò al braccio di Roger:
 
- Se le cose dovessero rimanere così, sono sicuro che Flint andrà fuori di testa!
 
- Quale altro bel pettegolezzo mi nascondi, amigo? -
 
Il Cacciatore assunse la sua espressione più furbetta, puntç i grandi occhi verdi in quelli di Roger e cominciò a bisbigliare con circospezione, mentre di tanto in tanto si lanciava intorno occhiate guardinghe:
 
- Pare che le ragazze di Serpeverde, capitanate da quella bomba della Greengrass senior, abbiano messo su un piano per far si che la squadra acquisti la “quota rosa” in buona misura. Non vorrei sbagliare e non ho idea di come abbiano fatto, ma credo siano ben quattro le giocatrici, a fronte di tre soli maschietti.
 
- Uh uh! Succoso questo pettegolezzo… Marcus morirà di dolore! Comunque non riesco a capire cosa c’entri con noi. –
 
- E te lo spiego subito, bro: se Cho rimane fuori dalla squadra, avremo solo tre ragazze in campo… meno di Serpeverde! Sono abbastanza certo che anche Diggory e Baston siano in inferiorità numerica rispetto alle donzelle! -
 
Kevin ridacchiò malefico ancora un po’, poi la sua risata si spense quando notò che lo sguardo di Roger sembrava perso nel vuoto.
 
- Emh, Capitano… hai capito? -
 
Roger sbatté le palpebre ripetutamente, prima di tornare a dedicare attenzione a Kevin:
 
- Ma se Cho rimane fuori… non avrò più la mia giocatrice mora… devo trovare una soluzione quanto prima. -
 
 
[Campo da Quidditch, pomeriggio del 15 settembre 1993]
 
Una corsa come quella, Katie probabilmente non l’aveva mai affrontata in vita sua, nemmeno nelle più dure giornate di allenamento prima di salire sulla scopa. Ma quella volta il destino si era messo in mezzo e la strega non poteva permettersi di perdere un solo secondo.
 
- Dannate… passaporte… intercontinentali! – masticava fra sé, fra un ansito e l’altro, - Possibile mai che… non ne vada… bene una… -
 
Già, perché prima di poter accedere al gate per la passaporta, Katie Bell era stata perquisita neanche fosse una terrorista (lei poi, tanto giovane, con quegli occhioni da cerbiatta, come fuorilegge sarebbe stata davvero poco credibile); una volta superati i controlli un mago dal grugno di un pastore caucasico l’aveva informata che avrebbe dovuto aspettare l’accesso alla passaporta delle undici, visto che si era creato un sovraffollamento causato dai controlli a tappeto. Una volta stretta la maledetta lavatrice (un attrezzo babbano utile a lavar vestiti) ed essere rientrata finalmente in patria, aveva giusto fatto in tempo ad infilare la divisa e correre alla volta di Hogwarts. Ma arrivata all’ingresso Gazza e la sua stupida gatta avevano cominciato a tirare su rogne. Risultato? Nonostante tutti gli sforzi che la sua amica Alicia aveva fatto per rimandare le selezioni di Grifondoro, all’insaputa della squadra e del Capitano stesso, Katie stava rischiando davvero di fare tardi.
Più si avvicinava al campo, maggiore era l’ansia che sentiva avanzare dentro di lei; il cuore batteva all’impazzata e se si fosse fermata, probabilmente sarebbe stramazzata al suolo senza ritegno. Mentre procedeva lo sguardo limpido collimò con delle ombre scure che tagliavano il cielo oltre le nuvole, ma Katie non si soffermò a rimuginare su quel dettaglio: doveva farcela a tutti i costi.
 
*
 
- Johnson, prenditi una pausa! -
 
Oliver tirò un urlo nei confronti della strega, la quale era letteralmente scappata dalle cure oppressive dei suoi specialisti e, testarda come un ippogrifo, si era catapultata in campo. Ma nonostante gli sforzi e la buona volontà era evidente che le sue condizioni fisiche non le avrebbero permesso di giocare. Amareggiata e arrabbiata più che mai, Angelina cacciò uno strillo e planò verso il basso, lanciò la scopa e andò a sedersi in panchina.
Oliver era sempre più agitato. Era vero, validi elementi si erano presentati, ma sembrava che qualcuno avesse lanciato contro Grifondoro una fattura malevola, perché laddove un problema sembrava risolversi, un altro andava invece ad aggiungersi. Così Neil, Ritchie e Jimmy erano dentro, ma Angelina non dava buone speranze e stava per lasciare vuoto uno spazio vitale. Abbacchiato e immusolito, Oliver Baston passò una mano sul viso, prima di rivolgersi ad un paio di streghe già pronte al suo fianco. Avvoltoi pronti a fiondarsi sulla carcassa di Angelina Johnson, pensò Oliver; ma cos’altro avrebbe potuto fare, se non sostituire una delle sue migliori giocatrici, che purtroppo verteva in pessime condizioni? Proprio mentre una delle due brunette, inforcata la scopa, sfrecciava alla volta della pluffa, quest’ultima le venne strappata via con un colpo deciso.
Oliver boccheggiò, annaspò, impallidì e poi arrossì, davanti all’uragano Bell che con la grinta di una leonessa andò a mettere a segno un punto da campioni.
E i punti divennero due, poi tre, alla faccia di quella ragazzetta pronta a soffiarle il posto.
Il Capitano non riusciva a staccare gli occhi da Katie Bell, che a lui si era presentata come un miracolo, l’epifania in cui non aveva più riposto speranza.
Era tornata, niente poteva più andare storto.
 
 
[Sala Comune di Tassorosso, sera del 15 settembre 1993]
 
La volta a botte della Sala Comune non faceva altro che amplificare il più immane frastuono che quelle povere mura avessero mai assorbito.
Di ritorno dalla sua sortita in Presidenza, Cedric addocchiò i compagni di squadra che, riuniti a capannello nei pressi del caminetto, ci davano dentro con i festeggiamenti.
Il ragazzo sorrise, assai compiaciuto: strano a dirsi (ma assolutamente vero) la previsione di Heidi si era magicamente avverata ed ora, a provini conclusi, Tassorosso poteva finalmente contare su una squadra i cui membri si erano immediatamente amalgamati, quasi che avessero trascorso gli ultimi dieci anni a giocare insieme.
“Selezione assolutamente per-fet-ta” sogghignò Cedric, rigirandosi fra le dita le spillette nuove di zecca da consegnare ai suoi prodi giocatori. La professoressa Sprite gliele aveva consegnate all’apice dell’euforia, con tanto di abbraccio degno di un Platano Picchiatore, sotto gli occhi allegri del Preside, quelli sospettosi di Minerva McGranitt, quelli leggermente apprensivi di Filius Vitious e quelli assolutamente disgustati di Severus Piton.
“Reazioni pienamente giustificate, quelle dei Direttori” gongolò il ragazzo, avvicinandosi velocemente ai compagni. Perché era inutile negarlo: quell’anno, la squadra di Tassorosso era praticamente inarrivabile. ‘Perfettamente bilanciata’ l’avrebbe definita, adottando il suo consueto gergo pozionistico, quell’adorabile maestrina di Heidi; maestrina che però forse, in quel momento, si stava dando un po’troppo da fare nello spillare Burrobirra da un bariletto sospetto posizionato accanto a lei, precedentemente fornito dal Frate Grasso ai membri della squadra.
Comodamente affondati nei cuscini di soffici divanetti color senape, Justin e gli altri giocatori vociavano e ridevano rumorosamente. Il Principino del Pettegolezzo teneva banco, profondendosi come suo solito in una serie di ghiotte dicerie rese ancor più enfatiche dall’assunzione di un discreto quantitativo di liquido ambrato, zelosamente fornitogli da una premurosa ragazza bruna dall’aria furbetta che si affaccendava nei paraggi.
 
- E Kevin mi ha detto.. oh, grazie mille, Maxi... – stava dicendo Justin, sforzandosi di mantenere un minimo di aplomb ma fallendo miseramente nell’intento, da tanto era su di giri.
 
- Io?! – si stupì uno dei presenti, un ragazzo dalla pelle bruna e vellutata e dal sorriso luminoso - Io non ti ho detto niente!
 
- No, non tu, Kevin... sto parlando di Kevin Entwhistle, di Corvonero... mi ha detto che Flint l’ha presa malissimo...
 
- E ci credo – s’intromise Barry Summers, facendo ondeggiare pericolosamente la sua caraffa di Burrobirra, che produsse una serie di schizzi tanto alti da battezzare indecorosamente i presenti – Quattro ragazze in squadra, proprio a lui che non ne voleva neanche una...
 
- Mentre ai Grifondoro – aggiunse una ragazza dai capelli lunghi e mossi e dalle guance rosate che rispondeva al nome di Megan Jones – Silente ha concesso di averne solo due... -
 
La nuova Battitrice, com’era universalmente risaputo, Marcus Flint non lo poteva vedere neanche in foto.
 
- Già: “in via del tutto eccezionale”, hanno detto poi – Kevin Withby assunse un’aria alla “ma guarda un po’che strano”, scatenando l’ilarità generale. – Mi sorprende solo che il Preside non abbia attribuito loro una decina di punti, già che c’era! -
 
I compagni si scompisciarono dalle risate, finché uno strilletto si sovrappose al brusio.
 
- Ceddy! -
 
Alla vista di Cedric che si avvicinava, la vivace vivandiera brunetta aveva abbandonato prontamente il prode Finch-Fletchley e si era appropinquata saltellando al Capitano per gettargli le braccia al collo. Avendo condiviso con lei ben cinque anni di studi ad Hogwarts, Cedric sapeva molto bene con chi aveva a che fare. Ciò, tuttavia, non gli impedì di alzare gli occhi al cielo quando lei lo tirò giù a forza per baciarlo a stampo.
 
- Per fortuna che sei arrivato, Ced – commentò allegramente Heidi, mimando un brindisi con la sua caraffa di Burrobirra – Maxine ci ha già sbaciucchiati tutti quanti ripetutamente, più e più volte. Abbiamo già le labbra screpolate, e il Campionato ha ancora da iniziare!
 
- Non che io me ne lamenti, eh – precisò Kevin tutto allegro, facendo baluginare il sorriso bianchissimo in perfetto contrasto con la pelle color del cacao. – Bisognerà pure festeggiare a dovere, dico bene?
 
- Carino e saggio come sei, Mr. Sweet Brownie – gli rispose Maxine, profondendosi in una gaia giravolta che fece scoppiare a ridere i compagni – mi chiedo quanto ci metteranno ad accalappiarti! -
 
L’interpellato le fece una liguaccia scherzosa (non aveva mai amato i soprannomi, ma a un tesoro come Maxi si perdonava tutto), mentre Cedric la guardava con affetto.
Maxine O’Flaherty era certamente rumorosa, esibizionista, immorale e svergognata, ma era anche una pasta di ragazza, una col cuore al posto giusto, sempre allegra e ottimista. “La prodigalità” soleva ripetergli quando lui le faceva notare i suoi eccessi di libertinaggio “è la qualità perfetta per noi eredi di Tosca, fieri rappresentanti dell’elemento Terra”.
Certo: quando quella mattina l’aveva vista scendere in campo avviluppata in quella sua assai impropria tutina di pelle di girilacco, tanto attillata da potervisi specchiare e corredata dalla scritta “Femme Fatale”, ancheggiando e spedendo in giro baci come una diva del cinema un po’lasciva, Cedric si era chiesto come avrebbe fatto a mantenere concentrati i giocatori (non solo i suoi, effettivamente, ma anche quelli delle altre squadre).
Il provino, però, gli aveva rivelato una grata sorpresa. Maxine era brava, ci sapeva veramente fare con le Pluffe e aveva dato prova di grande affiatamento sia con Heidi che con Kevin. Cosicché, alla fine, uno dei posti di Cacciatrice le era stato assegnato.
 
- Modestia a parte – aveva commentato la ragazza, spingendo indietro la testa e cacciando fuori una risata contagiosa – io, nella caccia, non me la cavo affatto male.
 
Non ci fu bisogno di insistere: Cedric ne era più che convinto. Altroché.
Stessa soddisfazione gli era stata data dall’altro nuovo Cacciatore, Withby. In quel momento, impegnato in un chiacchiericcio fitto fitto con Heidi e col neo-Portiere Barry Summers, Kevin aveva tutta l’aria di divertirsi un mondo – e del resto, l’atmosfera di festeggiamenti che impregnava l’aria gliene dava senz’altro adito. Altrettanto solare di Maxi, Kevin era un tipo a postissimo: positivo, simpatico (lo si sarebbe ritenuto perfetto nel ruolo di “sollevatore di morale delle truppe”) e arguto, nonché lavoratore indefesso.
“Un legittimo Tassorosso” lo definì fra sé e sé Cedric, contentissimo di poter fare affidamento sul carattere spumeggiante di Kevin, nonché sull’abilità dimostrata dal compagno più giovane quando si trovava a cavallo di una scopa.
 
- ...e ancora non vi ho detto la cosa più succulenta... -
 
Justin non si conteneva: i compagni, stretti intorno a lui in fremente attesa, pendevano dalle sue labbra.
 
- La sua Vice sarà una femmina! – sbraitò Justin, trionfante, subito sommerso da un fioccare di risate e di “Noooo!”, “Davveeeero?!”, “Incredibile” e una valanga di altri commenti simili.
 
- Non è possibile!... -
 
Barry sembrava sul punto di volersi mettere a rotolare, forse in preda all’ilarità, o forse per il fatto di avere un po’ecceduto nei festeggiamenti. Il cappuccio della felpa verde recante il logo dorato dei Kenmare Kestrels gli era caduto sugli occhi lasciando intravedere solo la bocca del ragazzo, piegata in un sorriso a trentadue denti. Avendo frequentato con Flint ben sei anni di lezioni di Incantesimi e di Trasfigurazione, ed essendo stato costretto a sorbirsi più di una battutina sprezzante da parte del Capitano Serpeverde, Barry aveva i suoi buoni motivi per gioire nel saperlo contrariato.
 
Non. È. Possibile. – ripeté, boccheggiante.
 
- E invece sì – replicò Justin, profondendosi in un gesto plateale che sparse Burrobirra ai quattro angoli della Sala Comune. – Sentite qua: a selezioni concluse, già piuttosto scornato, Flint ha chiamato Montague e gli ha detto: “Tu, in qualità di Vice...”
 
- C’era da aspettarselo, che scegliesse lui – osservò Megan, disgustata. – Che prevedibile simpaticone, quel Flint.
 
- Sì, infatti. Montague, però, l’ha preso in contropiede – continuò Justin, chinandosi in avanti per avvicinare il viso al crocchio di amici e spettegolare meglio – e gli ha risposto che lui non fa il Vice di nessuno, suggerendo poi di indire una votazione...
 
- Gran bel manzo comunque, quel Montague – divagò Maxine, beccandosi una gomitatina lieve che però, essendole stata somministrata da un tipo robusto come Barry, la fece quasi cadere dal divano.
 
- Non far sfigurare l’onorata Terra dei Trifogli – l’ammonì bonariamente il neo-Portiere e suo quasi-connazionale.
 
- Tu bada alla tua, di Irlanda, che alla reputazione di quella del Nord ci penso io – ribatté sorridendo la ragazza, massaggiandosi voluttuosamente la spalla.
 
- Ah, siete messi bene allora – commentò Barry, poco convinto.
 
- Oh, puoi scommetterci, tesoro!
 
- Comunque – continuò Justin, come se nulla fosse - pare che Draco Malfoy si sia subito offerto come Vice, ma ovviamente non l’ha cagato nessuno...
 
- Ma che linguaggio, Principino! – lo schernì Heidi, rubizza.
 
- E Malfoy ha mugugnato un qualcosa sul fatto che ‘suo padre ne sarebbe stato informato’... ma sta di fatto, comunque, che alla fin fine le ragazze si sono coalizzate e hanno eletto nientepopodimeno che la Roper! -
 
A quella rivelazione, il gruppetto di Tassorosso esplose definitivamente, in una sgangherata ed ululante ghignata collettiva.
 
- Davvero spassoso, Justin – anche Cedric rise di gusto, sinceramente divertito nell’immaginare Flint incazzato come una biscia. – Senti – ansimò poi, rivolgendosi ad una delle compagne – ti posso rubare un minuto, Megan? -
 
La Jones, piuttosto accaldata per la sessione di risate e per la bevutina fuori programma, annuì, si tirò su con un salto e seguì Cedric dall’altro lato della Sala.
 
- Dopo di te – le disse il ragazzo, indicandole un tavolino libero. Lei sedette con un lieve sbuffo e rimase in attesa che il Capitano, accomodatosi a sua volta, prendesse la parola.
 
- Tu lo sai, vero, che oggi mi hai fatto un gran regalo? – esordì Cedric, senza dilungarsi in trascurabili preamboli.
Megan se ne rimase zitta. Non sapeva cosa rispondere; era un po’imbarazzata. Lui, però, si accorse del suo disagio e le sorrise gentilmente.
 
- Volevo ringraziarti per aver partecipato alle selezioni. Sono molto contento di averti in squadra, sai. -
 
Megan si mordicchiò il lato interno della bocca, indecisa.
 
- È che ho pensato... – mugugnò infine, a mo’ di risposta – che fosse giunta l’ora, ecco tutto. -
 
Cedric le rivolse un’occhiata di pura allegria.
- Senti, Megan – le disse, giocherellando con un piccolo oggetto che teneva fra le mani e che Megan non riusciva a vedere. – Io sono figlio unico, quindi certe dinamiche fra fratelli non le posso capire. Ma credimi se ti dico che lei, ad ogni santo inizio di stagione, si lagnava del fatto di non poter contare sul tuo talento. -
 
La ragazza si lasciò sfuggire una risatina ironica.
 
- Ma figuriamoci se Gwen...
- A te non lo avrebbe mai detto, ovviamente. Però ascolta – la interruppe lui, scuotendo la testa. – da quanto tempo sono in squadra, io?
 
- Questo è il quinto anno.
 
- Brava. E durante gli ultimi quattro, come sai, sono stato capitanato da Gwenog, tua sorella. La quale (e qui mi limito a riassumere quanto mi è stato confidato personalmente) avrebbe fatto carte false, per averti come battitrice. E come darle torto, del resto? Anch’io ti ho vista giocare, qualche volta: so quanto vali. -
 
Megan strinse le labbra. In circostanze normali, non avrebbe creduto ad una sola parola di quanto le veniva detto. Il fatto che il suo interlocutore fosse Cedric Diggory, però, cambiava completamente le cose. Perché Cedric – e su questo, chiunque avrebbe potuto mettere una mano sul fuoco -  non era né un falso né un adulatore.
 
- Ti ringrazio, Capitano – mormorò infine la ragazza, guardandolo con gratitudine.
 
- Niente ringraziamenti – decretò lui, spingendo verso di lei il piccolo oggetto che teneva fra le dita. – Accetta questo, piuttosto. Ne ho parlato con Heidi ed entrambi siamo convinti che spetti a te. Soprattutto alla luce della tua performance di oggi. -
 
Incuriosita, Megan tese la mano sul piano di legno del tavolinetto.
 
- Oh, per Pagù-il-Tasso-favorito-di-Tosca!... -
 
Cedric ridacchiò alla vista dell’espressione meravigliata della ragazza. Sul palmo della mano di Megan, la spilletta di Vice-Capitana riverberò in un gaio brillìo di lacca giallonera.
Una volta conclusa la loro mini riunione, i due ragazzi procedettero a ritroso fino a ricongiungersi al gruppetto.
La Burrobirra ormai era finita; Justin sedeva in stato catatonico sul divanetto, intento a fissare il vuoto con un risolino compiaciuto sulle labbra mentre Kevin, poco lontano, raccontava animatamente al Frate Grasso la trama del film-cult babbano Ghostbusters, ridendo alla vista dell’espressione atterrita del fantasma. Di Maxine neanche l’ombra: quella malandrina doveva essersi infrattata con qualcuno, come suo solito.
Cedric salutò Megan, che uscì dalla Sala Comune per andarsene a letto, e sedette accanto a Barry che, in quel momento, stava spiegando ad un’interessatissima Heidi come prendersi cura del trifoglio smeraldo, una preziosissima pianta magica che la sua famiglia coltivava da generazioni.
 
- Il Trifolium Smaragdus è oro puro, per i pozionisti! – stava commentando Heidi, in puro visibilio.
Barry annuiva, soddisfattissimo; e Cedric sorrise, nel vederlo così sciolto ed entusiasta, proprio lui che spesso, nonostante il carattere gioviale, tendeva a ritrarsi nelle sue insicurezze.
“Davvero ben assemblati” si ripetè il Capitano, già prefigurando se stesso in procinto di sollevare l’ambita Coppa. “Come gli ingredienti di una pozione.... e non di una pozione qualsiasi: come quelli della Felix Felicis, per Tosca!”

 
[Sala Comune di Grifondoro, sera del 15 settembre 1993]

La Sala Comune di Grifondoro vibrava per i festeggiamenti in atto. Oliver si sentiva felice come un bambino al parco giochi anzi, se possibile ancora di più: finalmente la squadra si era formata e nonostante i preamboli affatto rassicuranti, come l’estromissione di Angelina per cause di forza maggiore, poteva dirsi decisamente soddisfatto di come fossero andate le selezioni. I nuovi membri della squadra si erano rivelati più che validi e il ritorno di Katie (oh, Katie! Quanto mi hai fatto penare?) avevano evitato l’imminente crollo nervoso. Insomma: andava tutto bene.
O almeno fino al momento in cui, con aria funerea, Ritchie non aveva fatto il proprio ingresso nella sala.
 
- Mi chiedevo che fine avesse fatto il nostro nuovo Battitore! – disse allegro Oliver vedendolo entrare, mentre ondeggiava nella mano un succo al mirtillo rigorosamente analcolico. I veri giocatori di Quidditch si tenevano lontani da tutto ciò che poteva risultare invalidante per le performance sportive. Comunque il sorriso che Oliver si aspettava di veder spuntare sul viso dell’amico e collega di squadra, non arrivò.
Nella testa del Capitano risuonò un campanellino fastidioso: qualcosa non andava, ne era certo.
 
- Ti devo… ecco, ti devo parlare. -
 
- Non dirmi che ci hai ripensato! – Oliver scattò in piedi, spargendo buona quantità del succo violaceo tutto intorno a lui – Ti prego Ritchie, non farmi questo… non ora che tutto sembra andare bene. Ti assicuro non potrei reggerlo, mai e poi mai. Cosa faremo ora?! -
 
L’attenzione di tutti i festeggianti venne catalizzata dall’agitato Capitano, cui reazione spropositata portò ad un silenzio spesso e palpabile. Ritchie tossicchiò, grattò la testa e trovato coraggio fece un passo avanti.
 
- L’incidente di Harry Potter… non vanno bene le cose. -
 
- Sta male? Deve rimanere in infermeria? Parla! -
 
Ritchie cercò conforto nello sguardo degli altri giocatori prima di tornare a puntare gli occhi scuri in quelli di Oliver – Peggio. Molto peggio amico. –
 
- Non immagino ci sia nulla di peggio che arrivare alla prima giornata di allenamento senza il nostro Cercatore.- borbottò Oliver il quale, con enorme sforzo, tentava di non dare mostra dell’ansia che lo stava divorando dall’interno. Di fatto poco dopo l’arrivo di Katie in campo, proprio mentre Harry Potter in fase dimostrativa stava per catturare il boccino, una coppia di Dissennatori si era avventata su di lui, facendolo svenire ad un’altezza considerevole. Se l’abile bacchetta di Neil non fosse intervenuta in soccorso del ragazzo, probabilmente Harry avrebbe fatto davvero una brutta fine.
 
- Va bene, basta tergiversare, - Ritchie pose le mani sulle spalle di Oliver, probabilmente per evitare che la sua ira si riversasse sugli altri – Harry è fuori. Out. Il Preside ha deciso che vista la situazione Dissennatori sarebbe troppo rischioso farlo giocare. Mi spiace Capitano, ma Potter non potrà rientrare in squadra. -
 
Chi sussultò, chi imprecò, chi si allontanò con cautela dall’area immediatamente vicina ad Oliver Baston. Katie Bell portò una mano alla bocca e ricercò con lo sguardo Alicia, cercando in lei complicità. Intanto il labbro superiore di Oliver aveva cominciato a tremare in maniera ambigua; gran brutto segno, quello lì.
 
- Sono certo riusciremo a trovare una soluzione… - Tentò Ritchie, anche se nemmeno lui credeva alle proprie parole; senza un valido Cercatore come Potter, potevano sognarsi la vittoria di Campionato. Li avrebbero stracciati.
 
- Ammutinamento! - Questa fu l’unica parola che uscì dalla bocca tremolante di Oliver.
 
- Forza e coraggio, maaate! – La voce dal forte accento australiano attirò l’attenzione di tutti. Alicia si era fatta avanti e con fare sereno e pratico, continuò – Abbiamo già una soluzione. -
 
Gli occhi sgranati di Oliver puntarono su Alicia – No che non l’abbiamo… è finita! Dovremo rinunciare… Godric supremo, cosa ho fatto per meritarmi questo? –
 
Intanto Alicia si era avvicinata ad uno scricciolo di ragazza dai corti capelli rossi, che s’era rannicchiata su di una poltrona imprecando fra i denti. Fu sulla sua spalla che Alicia poggiò la mano.
 
- Abbiamo Demelza: chi meglio di lei per sostituire Harry? -
 
- COSA?! –Esclamarono all’unisono la riserva cercatrice, Demelza Robins, ed il Capitano in carica, Oliver Baston.
 


Finalmente ci siamo! Ciao a tutti lettori e partecipanti, non avete idea di quanto siamo elettrizzate per la pubblicazione di questo primo capitolo, che è andato a presentare tutti i vostri personaggi (e alcuni dei nostri).
Ci dispiace molto per non aver potuto selezionare tutti quelli che ci avete mandato e siamo disponibili, qualora qualcuno di voi sentisse il bisogno di chiederci spiegazioni, di fornirvele in privato.
Per il resto le squadre sono formate: abbiamo le figurine, abbiamo una tabella con i vostri personaggi e con i nostri che abbiamo aggiunto in corso d’opera ed in tutto sono ben 28 (sette per squadra). Una marea, ma ce la faremo!
Non vediamo l’ora di sapere la vostra opinione a riguardo. Per ora vi lasciamo con un dilemma e una prima votazione:
 
Dilemma: Cho si riprenderà dal brutto colpo infertole da Mandy, oppure dovrà essere sostituita?
 
Votazione: la prima partita di campionato si avvicina e, come da prassi, vedrà schierati Grifondoro contro Serpeverde. Chi si aggiudicherà la vittoria? Questo sarete voi a deciderlo, votando IN PRIVATO (ci raccomandiamo) per l’una o per l’altra squadra. Ovviamente chiediamo a voi tutti di votare, non solo a chi partecipa con giocatori Serpeverde o Grifondoro, altrimenti che gusto ci sarebbe?

Un abbraccio a tutti/e! A&B
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Grifondoro-Serpeverde ***


Capitolo.2 – Grifondoro VS Serpeverde




 

 

[Casa di Serpeverde, dormitori maschili del VII anno – Fine settembre 1993]

 

Buio. Denso e spesso. Solo due occhi sottili a tagliare l’atmosfera tetra, blandamente illuminata da un paio di moccolotti fluttuanti.

Un digrigno costante come unico accompagnamento sonoro, a risuonare nel silenzio sacrale.

Mani, grandi e possenti a stritolare i braccioli di pelle scagliata di verde e argento. Braccioli che nulla di male avevano commesso, ma che per triste destino si ritrovarono ad assumersi una colpa non loro.

Occhi di pallido ciano aggrottati da sopracciglia folte ma ben delineate, quegli stessi occhi che rilucevano alla fiamma posta al suo fianco. Lo derideva, saltellando nelle sue pupille plumbee mentre quelle riportavano alla memoria la peggiore giornata della sua vita.

 

Dovete muovere quei culoni flaccidi! In campo non vi aspetta nessuno! ”

 

La voce di Marcus Flint trapanava la testa di Gemma come un martello pneumatico. In realtà le veniva da ridere, perché della lunga sequela di insulti che le si potessero affibbiare, ‘culona’ era di certo il meno appropriato.

Magari stampella, manico di scopa, giraffona sì, ma non culona. Gemma chiuse la mente a quelle offese tanto scontate, da non risultare affatto efficaci. Sistemò le ginocchiere e il paradenti incantato; i vispi occhi neri tenevano sott’occhio la situazione: doveva controllare tutti e tre gli anelli come fosse una questione di vita o di morte, non di certo il primo allenamento della squadra in cui era entrata a far parte. Sapeva, infatti, che Marcus avrebbe fatto di tutto per mettere in difficoltà lei e le colleghe, che di tutta risposta si sarebbero accanite con i lanci, pur di non darla vinta al loro Capitano.

 

Dannata Roper! Cos’era, un tiro di Bolide, quello?! Se vuoi essere la mia Vce dimostra di avere la stoffa!”

 

Gemma umettò le labbra e scrocchiò le dita nascoste dai guantoni; più l’azione si avvicinava agli anelli, maggiore era il senso di inadeguatezza che sentiva gelarle il petto. Ma non avrebbe fallito, non poteva permetterselo. La sua timidezza atavica cozzava con il ruolo che doveva ricoprire in quel momento; sapeva che se avesse commesso anche un solo errore, il Capitano avrebbe trovato una scusa per sbatterla fuori.

Per questo parò ogni singolo colpo di Pluffa, lanciato con maestria (ed eccessiva delicatezza) da Astoria, così come quelli più potenti ma visibilmente calcolati per non offendere, di Graham.

Per questo, quando vide Marcus cacciare un grugnito represso e prendere possesso della Pluffa, Gemma impiegò tutte le sue energie per rispondere a quello che sarebbe stato un lancio finalizzato a spedirla in infermeria.

 

Un sibilo di dolore gli solcò la bocca e le unghie affondarono ancor più nell’imbottitura della poltrona. Ricordare con quale capacità la maledetta Farley avesse parato il suo colpo di Pluffa, fece affondare Marcus nella disperazione. Aveva nel sangue il Quidditch, fottuta lei e questo, purtroppo, il Capitano lo sapeva.

 

Bulstrode! La mazza serve per colpire i Bolidi, non per grattarcisi la testa… ti sei appena meritata dieci giri di campo, A PIEDI! ”

 

Gemma tremò impercettibilmente davanti alle rimostranze di Millicent. Il delicatissimo equilibrio che vigeva nella squadra rischiava di spezzarsi ad ogni rimprovero del Capitano, che puntualmente sfociava in qualche punizione. Ovviamente Montague e Malfoy erano sempre magicamente esentati, nonostante il primo stesse ostentando svogliatezza ed il secondo perdeva la posizione del Boccino ogni dieci secondi. Fu Sophie a salvare la situazione ed evitare che Milly fracassasse di mazzate il bel facciotto di Marcus; da bravo Vice prima sputò nella direzione del mago, poi seguì Millicent nella corsa, incoraggiandola ad ogni passo.

 

Ora toccava a loro due: Flint avrebbe trovato il modo di punire Gemma ed Astoria. Quando il Capitano smollò nelle mani della Greengrass la mazza da Battitrice, ordinandole di sostituire momentaneamente Sophie e Millicent, Gemma provò il desiderio di coprirsi gli occhi; sapeva che Astoria non se la cavava per niente bene in quel ruolo e che avrebbe sicuramente commesso un errore.

Gemma doveva farsi forza, per tutte le Comet costruite da suo nonno!

 

E quando sbirciò Astoria con gli occhi ridotti in due fessure, colse il fuoco saettare negli occhi della ragazza: un sorriso accondiscendente illuminava il viso di guerriera, mentre le dita lunghe stringevano l’impugnatura della mazza.

 

Fu in quel momento che Gemma capì che era stato Marcus Flint, a commettere un grave errore.

 

- Aaaargh! – le mani scattarono al viso e si chiusero intorno ad esso, come a voler trattenere il dolore. In quali mani era finito, Marcus non sapeva dirlo. A ripensare al colpo di Bolide che gli era arrivato sotto il mento, si sentiva un idiota.

Era stato lui a mettere Astoria Greengrass nella condizione di colpirlo e lei non aveva perso l’occasione per farlo; nonostante quella dannata femmina si fosse scusata con quella sua vocetta fastidiosa, Marcus era consapevole l’avesse fatto a posta. Ma non aveva potuto punirla: non solo le tre oche spennate, persino Graham e il marmocchio Malfoy l’avevano difesa dandogli addosso ed accusandolo della colpa, visto che era stato proprio lui a costringere Astoria in un ruolo non suo.

 

Quella strega doveva pagarla amaramente… oh, se l’avrebbe pagata!

 

- Marcus? Tuttapposto? -

 

La luce del suo dormitorio s’accese d’improvviso con l’arrivo di Ruben Urquhart il quale, visibilmente imbarazzato dinanzi la scena di Marcus circondato da candele, era rimasto sulla porta e lo fissava come un capretto farebbe con un leone appena svezzato.

 

- Tuttapposto un bel paio di Pluffe, Greengrass meretrice! – gridò Flint in risposta, prima di scagliare contro il povero Ruben la sua intera collezione di miniature della prima guerra magica.

 

 

[1° ottobre 1993 – Meno 15 giorni al match]

 

Aussie di qua, Aussie di là. Prendi questo. Aiutami con quello. Oddio non trovo la tal cosa. Dov’è la mia lavagnetta!? Ah, mate... ora di darci un taglio”.

 

Alicia entrò a passo di marcia nella Sala Grande e si diresse verso la tavolata della sua Casa, premurandosi di verificare che Oliver non fosse già sceso e non si trovasse nei paraggi.

“Non lo reggo. Non ce la posso fare. Punto”.

 

Avvistata una figura alta e bionda che sedeva quieta nel suo angoletto, Alicia veleggiò da quella parte e, una volta giunta a destinazione, si accomodò senza fare commenti. Oltre il bordo di ceramica della tazza, lo sguardo vagamente vacuo di Neil si spostò su di lei.

 

- Buongiorno – la salutò il ragazzo, rivolgendole un sorriso inespressivo.

 

- G’Day, Neil – rispose lei. – Finisci pure la tisana, io aspetto. Poi, però, ti dovrei parlare.

 

Neil posò con estrema cura la tazza sul tavolo e chinò il capo in un cenno bonario.

- Una persona così riguardosa nei confronti di ciò che conta merita di potersi pronunciare subito.

 

Alicia ridacchiò. A lei, ovviamente, non fregava assolutamente nulla di infusi e beveroni, ma sapeva per esperienza che Neil, invece, a quelle cose ci teneva parecchio. Ricordava molto bene le occasioni in cui il ragazzo, per farla divertire, aveva appellato dal centrotavola una bustina di tisana di eucalipto. “In tuo onore”, le aveva detto.

- Okay, allora. Preferisci la versione lunga o quella corta?

 

- Fai tu.

 

- Bene – Alicia estrasse in tutta fretta la spilletta di Vice-Capitana dalla tasca della divisa e la posò sul tavolo. – Prenditela tu, per tutti i bomerang. Ti prego. Io... non me la sento.

 

La vista dell’oggettino luccicante parve risvegliare nel ragazzo una rara curiosità.

- E perché mai...?

 

- Papale papale? Oliver mi sta facendo impazzire – sbuffò Alicia, esasperata. – Non sono nata per fare la Vice; di Angie forse lo sarei anche, perché Angie è Angie, ma di Oliver no. Lui no, per carità.

 

Neil corrugò la fronte. In tutta sincerità, gli scappava da ridere.

 

Certo: non si era trattato che di una frequentazione molto, molto breve (cinque giorni? Una settimana?) nel giugno precedente, subito troncata dall’inizio delle vacanze estive. Tuttavia, per quanto gli era stato dato di apprendere di lei, Alicia era solitamente una creatura solare e rilassata. Cresciuta sotto il placido sole dei Tropici e frequentatrice assidua di spiagge bianche come farina bagnate da onde verdoline era, in poche parole, una perfetta incarnazione del surfin' way-of-life. In quel momento però per Neil, che nell’altrui disagio ci sguazzava, vederla in difficoltà a causa del comportamento ossessivo di Oliver era cosa assolutamente spassosa.

 

- Ma perché proprio a me... – le chiese, tentando di non far trasparire il divertimento che lo pervadeva.

 

- Beh, ma perché tu sei il più vecchio, no?

 

L’arrivo dell’estate aveva tranciato di netto il loro legame ancora acerbo; lei se n’era tornata in Australia, e lui a Newcastle. In seguito, poi, nessuno dei due si era preso la briga, né durante le vacanze né al loro ritorno, di riprendere il discorso lasciato in sospeso: amici come prima e a posto così, insomma. Ciononostante, a Neil, Alicia andava a genio. Questo perché, fra le due uniche categorie in cui il ragazzo suddivideva il genere umano, e cioè buoni e cattivi, lei rientrava senz’altro nella prima. In circostanze normali, quindi, l’avrebbe aiutata volentieri; purtroppo però, in quel frangente, non se la sentiva proprio di accontentarla. Il potere non aveva mai fatto per lui, non lo attraeva affatto.

 

- Mi dispiace, ma non sono interessato.

 

- Oh – Alicia spalancò gli occhi, un po’ affannata, e giocherellò nervosamente con la pietra lucida che recava appesa al collo, e che Neil sapeva essere una preziosa opale magica australiana. - Andiamo, mate...

 

Lui riprese in mano il manico di ceramica, lo strinse fra le dita ed erse la tazza (bianca muraglia) davanti al viso, come a voler dire che il discorso era da considerarsi chiuso.

 

- Non sono interessato – le ripetè, tornando ad immergersi nel suo mondo parallelo popolato di riverberi opalescenti ed effluvi di erbe. – Mi spiace, Aussie.

 

 

[5 ottobre 1993 – Meno 10 giorni al match]

 

- Come sarebbe a dire che non la farai tu, la cronaca?

 

George Weasley rivolse un’occhiata preoccupata all’amico, che sedeva sulla panca dall’altra parte del tavolo imbandito. Lee Jordan diede una scrollata alla sua imponente criniera di dreadlocks e si strinse nelle spalle.

 

- Purtroppo no, amico. I Direttori delle altre Case sono riusciti a convincere Silente e la McGranitt del fatto che ci voglia un po’ più di… par condicio, l’hanno chiamata.

 

- Non riesco a capacitarmene – commentò Fred, facendo seguire le sue parole da un energico sbuffo di disappunto. – Manco tu fossi un cronista di parte…

 

- Assurdo – concordò Jimmy, fingendosi imbronciato. – Jordan è sempre così neutrale... Io non ho parole, davvero.

 

A quella frase Ritchie scoppiò a ridere, subito imitato dai compagni. Il ragazzo lanciò intorno a sé uno sguardo vivace, sentendosi contagiare dall’atmosfera di allegria che pervadeva la tavolata. Quel mattino era davvero contento, Ritchie: nel giro di pochi, pochissimi giorni ormai, lui e il resto della squadra (così faticosamente assemblata, ma decisamente promettente a giudicare dai primi allenamenti) avrebbero finalmente debuttato sul campo.

 

Un tacchettare per nulla discreto richiamò l’attenzione dei presenti; nel frattempo, una figura bruna coi capelli acconciati in lunghe treccine si era avvicinata di soppiatto e sovrastava il gruppetto di Grifondoro riuniti a colazione. Angelina procedette ancora di qualche passo, rivolse loro un saluto collettivo e prese parola.

 

- Ragazzi, abbiamo un problemino.

 

- Oh, per tutti i voodoo delle Antille, Ange – gemette Lee, scorato, mentre Demelza, che sedeva accanto a George, levava gli occhi al cielo. – Che cosa accidenti c’è, adesso?

 

- La Aussie è stressata. –

 

I ragazzi si guardarono fugacemente l’un l’altro, per poi scoppiare a ridere di gusto.

- Stre… stressata?! –

 

Evidentemente, l’immagine di una persona easy come Alicia in preda allo stress li divertiva moltissimo.

 

- Sì – confermò Angelina con fare preoccupato. – A quanto pare, Oliver si sta impegnando moltissimo per farla uscire di testa. Mi ha detto che, se non troviamo una soluzione, fa il baule e se ne torna in Australia.

 

- Merlino Santo – disse Ritchie, impressionato. – Così, a pelle, mi verrebbe da dire che il ruolo di Vice non faccia per lei…

 

- Esatto, Coote – annuì Angelina, indirizzandogli un sorrisetto scaltro. – A proposito: a che ora sei nato, tu? –

 

- Ma che c’entra?

 

- Rispondi, da bravo.

 

- Beh… verso le quattro del mattino, mi pare.

 

- E tu, Peakes? – domandò ancora Angelina, rivolgendosi a Jimmy.

 

- A mezzogiorno – rispose quello. – Ma che c’entra, scusa?

 

- Beh, in questo caso – con un gesto solenne, Angelina trasse dalla tasca un oggettino lucente e si affrettò ad appuntarlo sul maglione di Ritchie. – Complimenti per la promozione a Vice-Capitano, Coote! –

 

Il ragazzo la guardò stranito.

 

- Che cos… perché…?!

 

- Semplice – chiarì Angelina, pratica. - Aussie ha abdicato. Neil, dal canto suo, non ne vuole sapere. Demelza è troppo giovane – e qui la ragazza rivolse uno sguardo di scuse alla compagna, che però si affrettò a dichiararsi d’accordo, borbottando qualcosa del tipo “ci mancherebbe pure di fare la Vice”. – Fra te e Jimmy, che per combinazione siete nati lo stesso giorno, il più vecchio sei tu. E il più vecchio, in questo caso, ha la precedenza.

 

- Voi siete pazze – balbettò Ritchie, confuso. – Io non… cioè, sarebbe un onore, però… e Katie? Non va bene, lei?

 

- Francamente, Coote – rise George, brandendo un toast imburrato allungatogli da Demelza – solo una persona non del tutto in possesso delle sue facoltà mentali potrebbe pensare di affiancare la Bell ad Oliver.

 

- Appunto – tagliò corto Angelina. – Indi per cui…

 

- Ma io non so bene… – si schernì Ritchie, un po’ imbarazzato.

 

- Secondo me te la caverai alla grande – lo rassicurò Angelina, stringendogli affettuosamente la spalla. – Dammi ascolto: so il fatto mio. Per affiancare Oliver ci vuole un tipo pacato, uno che sappia ammorbidire i suoi eccessi.

 

- Pacato?! E tu, allora?! – ironizzò Ritchie, incredulo. Tutto si poteva dire di Angelina tranne che fosse una ragazza pacata eppure, come Vice di Baston, aveva sempre funzionato bene.

 

Lo sbatacchiare delle ali di un gufo distrasse Ritchie dalle sue domande incalzanti nei confronti di Angelina. Fu George ad alzare il braccio libero dal toast ed afferrare la lettera che il gufo teneva fra gli artigli.

 

- Elza, è per te. Leggo? –

 

Demelza ignorò la proposta dell’amico e gli strappò la lettera di mano, che prese a leggere fra gli sbuffi.

 

- Tormund e Rory si complimentano con me per il ruolo di Cercatrice… come se non gli fosse arrivata la mia lettera in cui imprecavo contro vecchi e antichi dei, stupidi totani rotanti! –

 

Nel sentir nominare i due fratelli di Demelza, Angelina si infilò nel posto al suo fianco e prese a sbirciare la lettera, tirando sospiri svenevoli: - Rory, gran bel ragazzone, ma Tormund… come sta Tormund? –

 

- Angie! – pigolò Demelza, appiattendo la lettera contro il seno – Ha tredici anni in più di te! –

 

- Già, non ti facevo gerontofila, anche se un pensierino sopra ce lo avrei fatto anche io, a scapito della mia eterosessualità. – commentò allegro Jimmy, dall’altro capo del tavolo.

 

- Mai fatto problemi di età; il prossimo anno poi sarò finalmente maggiorenne. – proseguì Angelina, spensierata, mentre Demelza sgranava gli occhioni, nonostante fosse ormai abituata ai commenti sui suoi fratelli.

 

- Sempre detto io: il fascino dei capelli rossi riduce alla sudditanza. – si pavoneggiò Fred.

 

- Voi rossi andate bene per una manciata di coccole, ma quando il gioco si fa serio chi resisterebbe a questo perfetto connubio di cioccolato fuso e caramello croccante? – lo scimmiottò Lee.

 

Mentre i suoi amici tiravano acqua al proprio mulino ( “gingerpower, fratè” “Non avete il ritmo, mozzarelline!” ), Demelza scattò in piedi e puntando un dito nella direzione di Harry Potter, seduto ben distante da loro al fianco dei suoi amici Hermione Granger e Ron Weasley, cominciò a gridare: - È TUTTA COLPA TUA! –

 

- M- mia? – Balbettò Harry, da cui narici era schizzato succo di zucca, -E ora cosa ho fatto? –

 

 

[14 ottobre 1993 – Vigilia della partita Grifondoro-Serpeverde]

 

Jimmy risalì di buon passo il sentiero scosceso che portava al Castello, lasciandosi alle spalle il campo ovale e gli spogliatoi.

 

“Dovresti perfezionare un po’ il tuo tiro combinato” gli aveva suggerito Oliver al termine degli allenamenti “Sei bravo, sei preciso e il tuo essere ambidestro è senz’altro un pregio; fossi in te, però, mi documenterei un po’ di più sulle mosse inventate in passato dai Battitori con le tue stesse caratteristiche. Dai un’occhiata al secondo volume di The Two-Handed-Beaters”.

 

Così, deciso a seguire il consiglio del Capitano, Jimmy era stato il primo a finire di cambiarsi e, dopo aver salutato i compagni, era corso fuori alla volta della Biblioteca.

 

*

 

Quello stesso pomeriggio la Sala Comune di Serpeverde riverberava dei riflessi ondeggianti prodotti dal lento sciabordìo delle acque del Lago Nero. Tutto era calmo, immerso in un torpore quasi onirico che stimolava un pigro oblio. Un chiacchiericcio lieve, però, lo distrasse dai suoi cupi pensieri.

 

Infastidito, il giovanotto ruotò lentamente il capo e li avvistò, piccoli e garruli, immersi in un parlottare fitto fitto, di tanto in tanto interrotto da qualche breve risata.

 

Malfoy e i suoi amichetti.

 

Inutile dire che, al pari della stragrande maggioranza della popolazione mondiale, magica o babbana che fosse, Marcus non li sopportava. Non digeriva il giovane Malfoy (ma se lo faceva andare bene, suo malgrado, o il signor Flint gli avrebbe fatto cambiare atteggiamento a scudisciate); non poteva vedere Blaise Zabini, quel grandissimo figlio di buona strega; men che meno tollerava quell’ochetta patentata della Parkinson e, chiaramente, per il semplice fatto di essere sorella di quella sciagurata di Astoria, detestava Daphne Greengrass.

 

Fu un attimo.

 

Gli occhi di Marcus si strinsero impercettibilmente nel mettere a fuoco la chioma dorata della ragazzina; nel frattempo, un’idea malvagia si fece largo nelle pieghe tortuose delle sue cupe cervici.

 

A mali estremi, estremi rimedi. E a ciasuno, le sue debolezze.

 

Abbandonata la poltrona verdina sulla quale era rimasto seduto per tutto il pomeriggio Flint si avvicinò al gruppetto di studenti più giovani, strisciando verso di loro con l’incedere minaccioso di un boa constrictor che si appresta ad immobilizzare la vittima nel suo abbraccio fatale.

 

- Fuori dai piedi – sibilò, sprezzante, nei confronti dei ragazzini, prima di rivolgere a Daphne un’occhiata che ebbe il potere di paralizzarla all’istante. – Tu no, Greengrass. Tu rimani e ti fai quattro chiacchiere con me.

 

*

 

Il regno di Madama Pince sembrava sonnecchiare pigramente alla luce tremula di fine pomeriggio che filtrava dai finestroni. Sophie, la mascella contratta per la concentrazione, percorreva lentamente le scansie ricolme di volumi dall’aspetto stropicciato.

 

La vista di coste pendule, copertine maltrattate e pagine piene di appunti e ditate la fece sorridere: spesso, nei reparti di Pozioni e Incantesimi, aveva avuto l’impressione di essere la prima a sfogliare i testi che vi erano custoditi mentre invece qui, nella sezione dedicata agli Sport e Giochi Magici, la sensazione era completamente opposta: si vedeva lontano un miglio che la letteratura sportiva riscuoteva grande successo fra gli studenti di Hogwarts.

 

“Speriamo sia disponibile...”

 

Sophie accelerò il passo e avvertì quella sensazione di pungente aspettativa che provava sempre quando sapeva di essere vicina ad esaudire un suo desiderio, grande o piccolo che fosse. E in quello specifico frangente, impossessarsi di un libro raro dedicato alle gesta dei Battitori, significava poter disporre di qualche arma in più (e Sophie lo aveva capito alla perfezione: contro il suo terrificante Capitano, tutto era lecito) per contrastare quell’imbecille di Flint.

Mentre girava l’angolo con una mossa decisa, le narici della ragazza vennero invase dall’ormai familiare effluvio di essenza di violetta che la perseguitava da settimane.

 

“Oh, per Salazar” Sophie imprecò fra sé e sé, disgustata. “Che idea del cazzo, che abbiamo avuto. Accidenti a te, Montague!”

 

Già, perché sebbene fosse ormai trascorso più di un mese dalle selezioni, la ragazza non era ancora riuscita a neutralizzare l’aroma nel quale, al puro scopo di mettere fuori combattimento Vaisey che ne era allergico, la novella Vice-Capitana aveva praticamente fatto il bagno.

 

- Noi non ne abbiamo bisogno, di questi mezzucci – aveva commentato, sprezzante, quando Montague aveva informato lei e le compagne circa i punti deboli dei loro rivali. – Supereremo i provini perché, semplicemente, siamo più brave di loro.

 

Il ragazzo le aveva rivolto un’occhiata di sufficienza.

- Ne sei sicura? – le aveva detto facendo spallucce, come a dire “io ti ho avvertita”. – Credi che Flint giocherà pulito, domani?

 

- Francamente? – aveva risposto Gemma, che conosceva bene il temperamento sleale del Capitano. – Io credo proprio di no, ragazze.

 

E così sia lei, sia Millicent, sia Astoria avevano deciso di sfruttare a proprio vantaggio le informazioni che Graham aveva fornito loro. Alla fine, le compagne erano riuscite a convincere anche Sophie (“Piantala di fare l’orgogliosina, Roper!” le aveva detto Millicent a denti stretti).

 

Cosicché, l’indomani, Astoria aveva sfondato le fila di Bletchley fintando sull’anello sinistro e cambiando direzione all’ultimo momento; Gemma si era vestita di grigio da capo a piedi e Pucey non era riuscito a segnarle neppure un misero goal; Graham aveva mantenuto la sua promessa e aveva quasi fatto la pelle a Clide Warrington con una pluffata che aveva rischiato di staccargli la testa e Millicent aveva rincarato la dose, disarcionando i tre miseri concorrenti a colpi di Bolide.

 

Il povero Vaisey, sopraffatto dall’olezzo di violetta che emanava da ogni singola particella di Sophie, non era neanche riuscito a salire sulla scopa e aveva abbandonato il campo in piena crisi anafilattica. Forse, chissà, la ragazza aveva calcato un po’ troppo la mano...

 

“Decisamente troppo” sospirò Sophie, trascinandosi dietro la sua ormai immancabile persecuzione olfattiva.

 

*

 

- Qua-qualcosa di b-brutto?

 

La povera Daphne ormai boccheggiava, da tanto era spaventata. Marcus Flint, nel vederla così a disagio, non potè fare a meno di rallegrarsi fra sé e sé.

 

- Esatto – continuò quindi, scrutandola con perfidia. – Non si sa mai cosa può accadere, durante un allenamento.

 

- Sì, ma... ma Astoria è molto brava, sulla scopa... – pigolò Daphne, nervosa.

 

- Oh, sì – convenne Marcus, socchiudendo gli occhi. - Ma anche lei può incappare in un... incidente, dico bene?

 

La ragazzina gli restituì un’occhiata di puro terrore. Non era stupida e conosceva la lugubre fama del Capitano: freddo, irriducibile e pronto a tutto. Marcus Flint la stava seriamente minacciando di fare del male ad Astoria e di far passare il misfatto per un incidente. A meno che, evidentemente, lei non gli facesse un non ben precisato favore.

 

- Che cosa... – mormorò allora, il cuore che le batteva forte nel petto, frenetico come un topino al cospetto di un serpente a sonagli – che cosa devo fare per evitarlo, Flint?

 

- Oh, ma che grata sorpresa – la schernì lui, spietato. – Quindi, dentro a quella bella testolina, c’è anche un cervellino di tutto rispetto.

 

*

 

“Eccolo lassù”.

Jimmy si issò a forza di braccia fino alla settima mensola dello scaffale, imprecando (neanche troppo sotto voce) contro gli incantesimi anti-Appello apposti da Madama Pince sulle dipendenze della Biblioteca allo scopo di evitare furti e confusione.

 

Una volta raggiunta l’altezza ottimale, il ragazzo tese il braccio e afferrò la costa del volume, che poi ripose con scarsa cura all’interno della borsa a tracolla.

 

“Fatto”.

Senza neppure premurarsi di guardare, Jimmy si sporse all’indietro e saltò nel vuoto; in fondo non si trattava certo di un’altezza eccessiva e lui, decisamente, non aveva voglia di spellarsi le mani aggrappandosi alla struttura mentre scendeva a ritroso.

 

- AAAAH!!!

 

L’urlo improvviso lo raggelò, facendogli perdere l’equilibrio; mentre atterrava goffamente sui piedi, sforzandosi disperatamente di non scivolare sulle suole delle scarpette di gomma, Jimmy si assicurò alla prima cosa che gli capitò a tiro. Una cosa che, quando ebbe modo di guardarsi in giro con un pochino più di calma, risultarono essere le spalle di una ragazza bionda e minuta che lo guardava esterrefatta.

 

- Ma che cosa stracazzaccio... – ringhiò Sophie, un po’ scossa dalla consapevolezza di essere stata quasi travolta. Una volta entrata fra le scansie lo aveva avvistato subito, quel ragazzone biondo appeso in alto in cerca di chissà cosa; data l’angolatura non l’aveva riconosciuto e, anzi, a voler essere sinceri gli aveva anche rivolto una seconda e fugace occhiata di apprezzamento per ammirarne la (diciamo così) prestanza fisica.

 

Tutto si sarebbe aspettata, però, che quell’incosciente le si sarebbe quasi schiantato addosso.

 

- Mi... mi dispiace – borbottò Jimmy, riprendendo fiato. Non lo avesse mai fatto. Proprio mentre inspirava, l’insistente aroma di violetta del quale Sophie pareva essere imbevuta gli invase i polmoni, facendolo boccheggiare come durante un’immersione in assenza Algabranchia.

 

Il ragazzo rimase immobile per una manciata di secondi, fissando negli occhi la perplessa Serpeverde che, dal canto suo, sembrava aver esaurito la sua dose di pazienza.

 

- Mi lasci andare, per cortesia? – sibilò la ragazza, inviperita e, sotto sotto, anche un po’ imbarazzata. – O devo prenderti a ginocchiate nelle p...

 

Jimmy si scostò precipitosamente da lei, non tanto per la minaccia, ma perché si sentiva veramente sconvolto. Dopo aver girato velocemente sui tacchi il ragazzo corse via e la piantò in asso, livida e stranita.

 

“Un allenamento. Di nuovo” si disse Jimmy, col cuore che gli martellava nel petto. “Bolidi. Mazza. Duecento giri di corsa attorno al campo. Ora”.

 

Ignorando le proteste di un’infuriata Madama Pince, il Grifondoro si lanciò al galoppo fuori dalla Biblioteca alla volta del campo da Quidditch; lo stesso che, in effetti, aveva lasciato poco più di un’ora prima.

 

La situazione, però, era troppo estrema: Jimmy sapeva che, in assenza di uno sforzo fisico particolarmente sfiancante, non sarebbe mai stato in grado di calmarsi. Perché certo: erano tanti gli aromi che gli piacevano: l’aria di mare, la fragranza del pane appena sfornato. Ma per Jimmy Peakes nulla, a questo mondo, era più attraente (e sconvolgente) dell’essenza di violetta.

 

*

 

- Ciao Katie!

 

Il saluto rivoltole da quella sconosciuta in cravatta rossooro la fece sussultare, ma Daphne si impose di mantenere i nervi saldi e, dopo aver contraccambiato con un rapido cenno della mano, continuò a camminare di buon passo alla volta degli spogliatoi del campo da Quidditch.

 

“L’effetto della Polisucco dura un’ora esatta” le aveva detto Flint nel mostrarle l’ampollina ricolma di liquido denso, simile a melma rappresa. “Vedi quindi di calcolare i tempi alla perfezione, o sarà tutto inutile”.

 

Daphne non aveva osato chiedergli in quali circostanze fosse venuto in possesso di una pozione tanto preziosa, e tantomeno di informarsi circa la provenienza del capello castano che il Capitano, poco dopo, aveva lasciato cadere nella provetta. Si era limitata a tenere a freno i conati di vomito e ad inghiottire in un sol colpo il contenuto della stessa, nel frattempo tramutatosi in un fluido azzurrino e trasparente. Nel giro di pochi secondi, un intenso formicolio l’aveva informata dell’avvenuta trasformazione.

 

“Davvero impressionante” aveva commentato Flint, compiaciuto (e assolutamente terrificante nella sua malevolezza). “E adesso vai. È ora di darsi da fare, signorina Bell”.

 

*

 

Draco si torceva le mani in preda al dubbio.

“Vai là e diglielo” continuava a ripetersi, per poi fare dietro front e tornare miseramente sui suoi passi. “Dirle cosa?! Farai la figura del coglione!”

 

Già: si trattava proprio di un bel dilemma. Se avesse deciso di agire, non avrebbe saputo bene neanche lui come abbordare l’argomento. Meglio lasciar perdere. Eppure...

Eppure dovresti fare qualcosa, razza di pusillanime”.

 

Draco sbirciò per l’ennesima volta oltre l’angolo e dal quale si godeva una vista d’insieme dell’intera Sala Comune. Astoria era sola e si trovava esattamente nello stesso punto in cui l’aveva avvistata poco prima; seduta sul divanetto, con la schiena dritta e le gambe accavallate, profondamente immersa nella lettura.

 

“Bella e signorile. Mamma l’adorerebbe” non potè fare a meno di ammettere il ragazzino, per poi avvampare imbarazzato. Gli succedeva sempre, ormai, quando lei era nei paraggi; soprattutto dopo il grato allenamento durante il quale Astoria aveva elogiato la sua abilità nell’impossessarsi del Boccino.

 

Draco si mordicchiò il labbro, indeciso.

Non avrebbe dovuto immischiarsi nelle faccende del Capitano, certo; eppure, mentre non visto rimirava la ragazza, sentì di doverle, in qualche modo, rendere omaggio. E poi, insomma: Daphne era pur sempre una sua amica. In coscienza, non poteva permettersi di fare finta di nulla.

 

Facendo appello a tutta la sua risolutezza, Draco sgusciò fuori dal suo nascondiglio.

 

*

 

Appostata dietro lo sgabuzzino in cui Madama Bumb teneva le scope delle lezioni di volo, Daphne li aveva visti uscire, uno ad uno, dal casotto degli spogliatoi maschili. La luce ancora accesa e le ombre mobili che si muovevano sul soffitto – e che lei avvistava attraverso le finestrelle alte -, però, le rivelavano che all’interno c’era ancora qualcuno. E quel qualcuno, giocoforza, doveva essere Oliver Baston.

 

Daphne trasse un lungo sospiro, si passò le dita nei capelli (che, invece di lunghi e lisci, erano corti e mossi, di un anonimo castano che le fece subito rimpiangere la sua splendida chioma dorata) e, facendo appello a tutto il suo disperato coraggio, sgusciò fuori dal nascondiglio, per poi dirigersi a passi pesanti fino alla porta degli spogliatoi maschili.

 

Toc toc.

 

- Avanti! – la invitò una voce calda e gioviale.

 

Daphne chiuse gli occhi, afferrò la maniglia e spinse la porta; sapeva ciò in cui si sarebbe imbattuta, eppure non era del tutto preparata alla vista che le si parò davanti agli occhi.

 

- K... Katie?!

 

La ragazzetta rimase impietrita, fissando a bocca aperta la superba (per Salazar!) figura di Oliver che, in calzoncini corti e salvietta arrotolata attorno al collo, finiva di asciugarsi il torace e, attonito, la osservava corrugando la fronte.

 

*

 

- Com’è andato l’allenamento?

 

Leanne appellò una sedia libera e la indicò a Katie, che aveva appena fatto capolino dal buco nel ritratto della Signora Grassa. Eloise Midgen, che sedeva accanto a lei, sorrise alla Cacciatrice e spinse verso di lei un piatto ricolmo di dolcetti dall’aspetto soffice e invitante.

 

- Benone – rispose allegramente Katie che, a dispetto del fisico mingherlino che le era costato l’appellativo ‘Scricciolo’, non si faceva intimidire dalle sfiancanti sessioni di esercizio imposte loro dal Capitano.

 

- E con Oliver, come va? – volle sapere Leanne, furbetta.

 

- Come vuoi che vada – divagò Katie, la bocca piena di pasta di mandorle. – Non va, lo si anche tu.

 

- Devi darti una mossa, amica mia – le ingiunse l’amica, mentre Eloise annuiva energicamente. – La concorrenza se lo sta letteralmente mangiando con gli occhi, lo sai.

 

- Purtroppo – sbuffò Katie, amara – non credo di avere possibilità concrete, con lui.

 

- Ma smettila, Bell! Si vede lontano un miglio che Oliver...

 

- Ti sbagli, Eloise. Mi considera un’amica, una brava giocatrice. Nulla di più.

 

- Oh, per Godric – Leanne sembrava davvero seccata. – Apri gli occhi, una buona volta...

 

In quel mentre, neanche a farlo apposta, un ragazzino del primo anno si avvicinò timidamente alle tre ragazze che battibeccavano e porse a Katie un pezzetto di pergamena arrotolato.

 

- Cos’è? – chiese subito Leanne all’amica, che non perse tempo e srotolò il messaggio.

 

- È... è di Oliver – rispose Katie, rossa in volto, una volta che ebbe terminato la lettura. – Mi chiede di... di raggiungerlo, ora, giù agli spogliatoi. Dice di... di volermi parlare di una cosa.

 

Le due compagne le rivolsero un’occhiata trionfante.

 

*

 

- Katie – ripeté il ragazzo, un po’ imbambolato. – Che... che cosa ci f-fai...

 

- Ci... ciao, Oliver – balbettò Daphne, sforzandosi di apparire naturale. – Sono v-venuta per... per...

 

Il piano iniziale avrebbe previsto un discorsetto di circostanza sul nervosismo della partita imminente, così, tanto per rompere il ghiaccio. Una rapida occhiata all’orologio affisso alla parete, però, le rivelò che allo scadere dell’ora mancavano solo cinque minuti. Daphne imprecò fra sé e sé, ormai prossima al collasso nervoso; tutta colpa di quell’elegantone di Randall, che ci aveva messo un’eternità a prepararsi e a lasciare il casotto.

 

“Ricorda: la situazione deve risultare quantomeno compromettente. Vedi di non perdere il timing, Greengrass” aveva ringhiato Flint, puntandole contro l’indice. “Oppure, te lo giuro sul sacro stendardo della Casa di Salazar, ti ritrovi figlia unica entro domani, parola mia”.

 

La ragazzina scosse la testa, tentando disperatamente di fugare quei lugubri pensieri. Non aveva scelta, accidenti.

 

- In realtà – disse allora ad Oliver, che continuava a fissarla con un’espressione fra lo stranito e il deliziato – sono qui perché devo dirti una cosa.

 

- Ah sì? – le domandò lui, avanzando di un passo.

 

Ora o mai più.

 

Daphne gli si avvicinò precipitosamente, coprendo con un paio di saltelli isterici la distanza che li separava. Lo spostamento d’aria trasse un delizioso aroma di muschio bianco alle sue narici, che fremettero di piacere.

 

- Sì – balbettò, guardandolo fisso negli occhi.

 

- E sarebbe? – mormorò Oliver, specchiandosi in quelle iridi liquide e celesti capaci di avvilupparlo come le placide acque di un lago cristallino.

 

- Sarebbe che... che... – Daphne era in panico, ma un’ultima sbirciata all’orologio la costrinse ad osare - ...che tu mi piaci un sacco, Oliver!

 

Vi fu un secondo di silenzio; poi, uno sbuffo profondo anticipò la risposta.

 

- Oh, Kitty!...

 

Un paio di braccia solide come l’acciaio le si strinsero intorno al corpicino esile, in un abbraccio stretto che la fece quasi scricchiolare; poi, le labbra di Oliver si premettero con forza sulle sue, e Daphne ebbe la netta sensazione di scorgere con chiarezza tutte le soluzioni ai più arcani enigmi della Teoria del Tutto.

 

*

 

- Ha voluto parlare con Daphne?!...

Astoria lo fissò, stupita.

 

- S-sì – confermò Draco, un po’ nervoso. – Ma ti ripeto: non ho capito bene cosa le abbia detto...

 

Rosso in viso, il ragazzino fece per andarsene; Astoria, però, lo bloccò.

- Fermo lì, Malfoy. Ripetimi un po’ quel che hai udito.

 

- Ma niente – rispose lui, precipitosamente - niente di che...

 

Un’occhiataccia della ragazza lo convinse a fermarsi.

 

- Ho solo sentito... mi è parso...

 

- Parla.

 

Draco deglutì, tossicchiò, recalcitrò e maledisse il suo stupido zelo. Alla fine, trafitto dallo sguardo tagliente della Greengrass, si decise a vuotare il sacco.

 

- Ha parlato di te... non ho sentito bene, ma ho avuto l’impressione che Daphne sbiancasse... e poi le ha detto qualcosa, non so bene... su Baston e sugli spogliatoi...

 

- Io lo ammazzo! – urlò Astoria, saltando in piedi.

 

*

 

Doveva essere un sogno.

Per forza.

 

Nella realtà le cose non si risolvono così velocemente, in un mese o poco più. Nella dimensione onirica, invece, gli era già capitato fin troppe volte di stringerla a sé, baciarla, dichiararle una buona volta quanto gli piacesse.

 

Oliver era così preso dalla situazione da non essere in grado di rilevare dettagli rivelatori che forse, ad un’analisi più attenta, gli avrebbero fatto scattare il campanello d’allarme.

 

Se i suoi cinque sensi non fossero stati impegnati in ben altro, per esempio, il Capitano si sarebbe accorto che Katie, quel giorno, non profumava di erica rosa, ma esalava l’aroma di un profumo molto costoso in voga fra le giovani streghe di buona famiglia. Parimenti, se avesse guardato bene, avrebbe notato il suo polso sottile sguarnito dell’onnipresente braccialetto con il simbolo di Chicago, donatole anni prima da suo fratello Carbry, e dal quale lei non si separava mai.

 

Soprattutto, però, si sarebbe accorto della trasformazione che, nel frattempo, aveva cominciato ad avvenire sotto le sue mani: l’ora di validità della Polisucco, infatti, era scaduta e quindi, come da prassi, l’aspetto di Daphne stava tornando lentamente alla normalità.

 

Sentendosela fremere fra le braccia, Oliver si staccò pian piano da lei e accostò la fronte alla sua.

 

- Tu non sai da quanto tempo... – mormorò, gli occhi ancora chiusi.

 

Lo scatto secco della serratura lo riscosse, facendolo voltare verso la porta. Oliver sbatté un paio di volte le palpebre, subitamente vigile ed immediatamente stupefatto.

 

In piedi sulla soglia, impietrita, Katie Bell fissava la scena con gli occhi sbarrati.

 

*

 

- Ferma dove sei!

 

Prima che Oliver e Daphne avessero il tempo di abbozzare un qualche tipo di reazione qualcuno, profilatosi all’improvviso alle spalle di Katie, aveva fatto irruzione nello spogliatoio.

 

- Peakes?...

Oliver, staccatosi di scatto da Daphne, saltò indietro con un urlo e balbettò il nome del compagno di squadra che, nel frattempo, si avvicinava alla Serpeverde con fare minaccioso. La ragazzina, atterrita, indietreggiò di qualche passo, andando ad accostare la schiena alla parete.

 

- Quest’impostora...

 

- Che cosa diavolo sta succedendo, Jimmy? – la voce di Katie risuonò incerta e un po’ tremante.

 

- Poco fa – spiegò lui, mantenendo la bacchetta puntata su Daphne, che lo guardava col labbro tremulo – sono dovuto scendere di nuovo al campo per... beh, non importa. Fatto sta che, mentre mi avvicinavo agli spogliatoi, ti ho vista entrare... e ho pensato: okay, forse è meglio tornare dopo.

 

Oliver gli rivolse uno sguardo imbarazzato.

 

- Se non che – proseguì Jimmy – mentre risalivo al Castello, ho incrociato un’altra Katie che scendeva lungo il sentiero!...

 

- Ero io! – confermò la vera Katie – Ti ho anche salutato...

 

- Esatto. E insomma, io ci ho messo qualche minuto a carburare, perché... va beh, lasciamo perdere... comunque, non appena mi sono reso conto della stranezza, sono tornato sui miei passi...

 

Oliver spostò gli occhi su Daphne, che sembrava sul punto di volersi mettere a piangere.

- Perché l’hai fatto?

- Io...

 

- Expelliarmus!

 

L’incantesimo di Disarmo fece balzare via la bacchetta dalla mano di Jimmy: per la seconda volta nel giro di pochi istanti, la porta dello spogliatoio era stata spalancata con violenza ed ora Astoria Greengrass, furente, fronteggiava i tre Grifondoro.

 

- Lascia subito stare mia sorella! Ma non ti vergogni? È solo una ragazzina...

 

- Sì – grugnì Oliver, sarcastico – una ragazzina che si diletta in passatempi davvero particolari...

 

E prima che Astoria avesse il tempo di ribattere il Capitano, continuamente interrotto da Katie e da Jimmy, le raccontò quanto era accaduto.

 

- È tutto vero, Daphne?

 

Astoria sembrava veramente esterrefatta; e così fra un singhiozzo e l’altro Daphne, senza più riuscire a trattenersi, le riferì delle minacce di Flint e di quanto era stata costretta a fare. Il risultato della confessione fu tremendo: chi avesse visto l’espressione dipinta sul viso di Astoria nel momento in cui la ragazza uscì dagli spogliatoi diretta ai sotterranei avrebbe potuto giurare che, nel giro di pochi istanti, sarebbe anzitempo esplosa la Seconda Guerra Magica.

 

 

[15 ottobre 1993 – Giorno della partita Grifondoro-Serpeverde]

 

Elliott Johansson non era un amante del Quidditch. Al contrario, si era sempre tenuto ben lontano dallo sport, non fosse per il fatto che il suo più grande amico, Roger Davies, fosse il Capitano della sua squadra e per non farcelo rimanere male, quantomeno si presentava alle partite quando Corvonero scendeva in campo. Ma c’era un altro motivo per cui l’alto e dinoccolato moretto si era recato in quel luogo tanto ostile, quella mattina.

 

- Posso farcela, sono una Regina. Posso farcela, sono una Regina. Posso farcela, sono una… -

 

- Ricorda quello che ci siamo detti, - con un movimento un po’ troppo rigido, il Corvonero poggiò la mano sulla spalla di Millicent. – Mantieni la calma e cerca, per quanto ti sarà possibile, di contenere, emh… la tua forza, va bene? -

 

La Serpeverde guardò il mago con decisione, mentre legava intorno alla fronte un fazzoletto rosa, non prima di aver tirato su i capelli in un codino.

 

- Solo mazzate decise e controllate, va bene. -

 

- Bene, allora se ti senti serena io andrei… sai che questo sport mi agita. -

 

- Ancora una cosa, Capo. -

 

Il Corvonero frizionò i capelli con imbarazzo, - Per piacere, non chiamarmi così… -

 

Milly, ovviamente, lo ignorò: - Lo sputo nell’ occhio conta come azione scorretta? –

 

- Non lo so, Millicent… io non sono il tuo coach; ne so di Quidditch quel tanto che basta per ansiarmi al sol pensiero. Ma penso che se nessuno se ne accorge… -

 

La ragazza smollò una gran pacca sulla schiena al Corvonero, il quale per puro miracolo non volò via: - Allora io vado Capo. – Millicent scozzò su una mano, le sfregò ben bene fra di loro e si avviò con passo pesante verso il bordo del campo in cui era riunita la sua squadra, lasciando il povero Elliott andare a rifugiarsi in biblioteca.

 

Da quando Millicent lo aveva conosciuto, la sua vita era cambiata: prima era solo una ragazza insicura, una pecora nel gregge di Pansy Parkinson, che aveva venerato come fosse una divinità; poi era successo che per una serie di strani e fortuiti avvenimenti, Elliott Johansson fosse diventato, per lei, una sorta di terapista e da quel loro primo incontro, l’adorazione di Millicent virò verso il Corvonero (che al contrario non avrebbe voluto tutte quelle attenzioni, d’altro canto si sarebbe sentito in colpa a mettere da parte la serpeverde). Insomma, Milly lo aveva preso come punto di riferimento e si era imposta di essere, per lui, una sorta di guardia del corpo. Quel loro consulto pre-match l’aveva caricata talmente tanto, che era più che certa che Serpeverde avrebbe vinto quella prima partita di Campionato ad occhi chiusi. Che poi a Milly non è che interessasse la vittoria della squadra: era la sua personale ribalta a cui mirava con costanza, per questo in ogni campo non faceva altro che sgomitare (letteralmente e non) per primeggiare.

 

Avanzò verso il luogo dove era riunita la sua squadra e giunta in prossimità dei compagni, scrocchiò le nocche: - Allora? Cominciamo questa barzelletta? -

 

*

 

I due Tassorosso si inerpicarono sulla tribuna fino a raggiungere una postazione ottimale. Brigida, la sorellina di Barry, si trovava con loro: talmente piccina che i lembi della sciarpa rossooro in cui era avvolta le arrivavano ai piedi. Manco a dirlo la bambina, che frequentava Hogwarts da solo un mese, era eccitatissima all’idea di assistere alla sua prima partita di Quidditch; partita che, neanche a farlo apposta, avrebbe visto schierata in campo la squadra della sua Casa.

 

Quel giorno Maxine indossava una minigonna di jeans che pareve essere stata ricavata da una cravatta e una maglietta giallo limone alquanto striminzita, che le lasciava abbondantemente scoperta una spalla nonché gran parte del decolletée. Sul davanti, a lettere cubitali blu elettrico, campeggiava la scritta ‘Kiss me! I’m Irish!’

 

Barry, che aveva preso posto accanto a lei, le si rivolse tutto allegro.

- Non è che ne avresti una anche per me? – le chiese, puntando il dito sull’esiguo indumento. – Chissà: magari è la volta che mi disincaglio.

 

- Disincagliarti?...

 

– Sì: dal patetico pantano della singletudine.

 

- Figuriamoci, bello. Prendi pure la mia! – cinguettò lei, mossa a pietà da sì nobile causa. E sbarazzatasi velocemente della magliettina per lanciarla al compagno di squadra, la ragazza sfoggiò un minuscolo top di microfibra gialla che avrebbe certamente fatto svenire la McGranitt. La mossa, eseguita a tradimento, comportò la caduta dagli spalti di un paio di Corvonero del secondo anno, che capitombolarono giù dalla tribuna producendo una valanghetta di studenti via via più voluminosa man mano che gli sventurati ragazzi procedevano alla volta della base.

 

- Ti ringrazio, Maxi – sorrise Barry. Il ragazzo afferrò al volo il minuscolo pezzettino di stoffa, che praticamente scomparve fra le sue grosse mani. – Se mi riesce di infilarla da qualche parte, magari, posso usarla come guanto.

 

- Non c’è di che – replicò lei, ricambiando il sorriso. – E già che ci siamo, permettimi di darti un consiglio spassionato, Summers.

 

- Prego.

 

- Col corpaccione chi ti ritrovi, tesoro caro – esclamò lei, facendolo arrossire come un calamaretto e costringendolo a lanciare un mini Muffliato per preservare le innocenti orecchie della sorellina – io, fossi in te, mi esibirei senza ritegno!

 

- Ma Maxi!

 

- Non hai detto di voler porre fine alla tua triste condizione di lupo solitario?

 

- Sì – argomentò lui, spalancando le braccia - ma non è che...

 

- Eddai, Summers. La pubblicità è l’anima del commercio, lo sanno tutti!

 

*

 

Marcus Flint e Oliver Baston si fronteggiavano, ergendosi in tutta la loro considerevole statura. Dal modo in cui si guardavano era evidente che, se si fossero trovati uno davanti all’altro in assenza di testimoni, si sarebbero volentieri ammazzati a vicenda.

 

Oliver ribolliva come il cono di un vulcano prossimo all’eruzione; Marcus, dal canto suo, lo fissava come a volerlo congelare. Ingrugnito come non mai, il Capitano Serpeverde ostentava un occhio dalla significativa colorazione nerastra, come promemoria del diverbio avuto la sera prima con la cara Astoria.

In piedi accanto a loro, Ritchie (intento a tormentarsi con la punta delle dita il ciondolo che portava al collo) e Sophie si fissavano a loro volta, ma con un pochino meno di astio. Alle spalle dei Capitani e dei loro Vice, ciascuno dei restanti membri delle squadre si dedicava ai rispettivi rituali pre-partita.

 

Dal lato Serpeverde una Gemma particolarmente smunta, appena scampata dalla tentazione di rimanere chiusa nel cubicolo del gabinetto nel quale era dovuta correre più volte nel corso delle ore precedenti, fissava attonita Millicent che, dopo essersele cosparse di sputo, si sfregava le mani con evidente piacere. Al suo fianco Graham, così imponente da far sembrare una mingherlina pure quella valchiria della Bulstrode, aveva appena finito di spegnere col tacco della scarpetta chiodata ciò che rimaneva di una delle sue immancabili Hermes senza filtro. Astoria e Draco non dicevano nulla e se ne stavano immobili uno accanto all’altra, apparentemente pietrificati.

 

Sul versante Grifondoro Katie respirava tranquilla, un po’ più rilassata dopo i tre canonici giri di corsa attorno al campo che aveva compiuto prima di entrare nello spogliatoio e cambiarsi. Nonostante i disguidi avvenuti il giorno prima, e che lei aveva descritto in una mesta lettera indirizzata a Carbry, la Cacciatrice si sforzava di mantenersi concentrata. Proprio accanto a lei, Jimmy si stava posizionando uno strano aggeggio a forma di molletta prendipanni sul naso.

 

- Cosa stai facendo? – bisbigliò Alicia, perplessa.

 

- Lascia perdere e fidati – mugugnò lui, cupo, ben sapendo che se l’aroma di violetta di Sophie l’avesse raggiunto sul campo, lui avrebbe potuto tranquillamente ritirarsi prima del fischio iniziale.

 

Nel frattempo Neil, abbandonato il suo usuale contegno, sparava a raffica tutta una serie di battute di dubbio gusto e di assai scarso umorismo all’indirizzo di Demelza che in quel momento, ignorandolo completamente, sembrava impegnata in una sfrenata e scomposta sessione di tai-chi-chuan riprodotta al velocizzatore.

 

*

 

Ad ogni gradino che saliva, la chioma lucida e naturalmente ondulata, che lei si era premurata di non disciplinare, le dava lievi colpetti sulla schiena. Gli occhi cercavano con frenesia intorno a sé, mentre scavallava con nonchalance manciate di studenti delle varie squadre che, nell’insieme, andavano a comporre un mosaico caleidoscopico di intenso smeraldo e brillante rubino. Finalmente ad un paio di gradoni più in giù, Megan riuscì a rintracciare la macchia giallo zafferano della felpa dell’amico e compagno di squadra Kevin che, a suo solito, non tratteneva le risate di cuore, risate che risuonavano assieme a quelle del suo omonimo della casa di Corvonero. Seduta accanto a loro con un blocchetto di appunti in bilico sulle ginocchia (“Mi raccomando, dateci dentro con lo spionaggio industriale” aveva raccomandato Cedric a lei e a Megan), Heidi McAvoy seguiva divertita la conversazione dei ragazzi. Gli schiamazzi dei due superavano quelli di tutti gli altri, in fremente attesa dell’inizio della partita che vedeva schierata la squadra di Serpeverde contro quella di Grifondoro.

 

- Te lo dico amico, Jurassic Park è un film PA-ZZE-SCO! Questi babbani sono incredibili, si sono ingegnati magistralmente! -

 

- Non dirmi così – Megan si avvicinò ai tre, sorridendo a mezza bocca, mentre Kevin Withby non si risparmiava un sonoro sbuffo, - L’ho perso! Dovevo andarci con Norah, ma purtroppo quel weekend si è riempita di macchioline rosse… - il ragazzo rabbrividì, - e insomma abbiamo scoperto che si era presa una malattia chiamata rosolia, non è potuta uscire per giorni e addio Jurassic Park. -

 

Vinnie sgranò gli occhi verdi, come se l’altro gli stesse parlando di vaiolo di drago: - Che sfiga bro, e si è ripresa? – Ma percependo una presenza alle sue spalle, virò il capo quel tanto che bastò per accogliere Megan con uno splendido sorriso: - Ehilà, ciao fata. –

 

- Ciao bamboccio, - rispose lei per le rime, prima di sedersi accanto a Kevin Withby, - non capisco se ho interrotto qualcosa di divertente, o drammatico. Spiegatevi. -

 

Vinnie si fece fintamente serio, raddrizzando la schiena e portando una mano al petto: - parlavamo di finzione e vita reale; difficile capire il confine fra le due. – scherzò, spalleggiato dall’altro Kevin, che lo seguì nel gesto, prendendo la parola:

- In fondo la nostra vita non è un continuo alternarsi di commedia e tragedia? –

 

Megan sfregò distrattamente la chioma, seguitando a sghignazzare un po’:

- Certo, assolutamente, - affermò con convinzione prima di puntare l’attenzione sul campo: i Capitani delle due squadre si erano fatti vicini, probabilmente forzati dai direttori delle proprie case e si stavano stringendo una glaciale stretta di mano pre-partita.

 

- Il cinema babbano parrebbe essere una cosa piuttosto seria, comunque – commentò Heidi, assorta. – Pensa che mio cugino James, laggiù a Glasgow, ha annunciato alla famiglia di voler fare l’attore.

 

- E perché non lo Spezzaincantesimi o, che so, il pozionista? – volle sapere Withby, incuriosito.

 

- Perché lui è un Magonò – rispose Heidi stringendosi nelle spalle. – Ecco qui la sua foto – disse poi, porgendo ai tre compagni l’immagine (tristemente immobile) del cugino, un bel giovine dotato di sorprendenti occhi chiari. – Secondo voi che ve ne intendete, ha delle chances?

 

- Altroché! – esclamò allegramente Megan (che pure, di cinema babbano, non ne sapeva un bel nulla) facendo seguire alla sentenza un acuto fischio di sincero apprezzamento.

 

Spostato a malincuore lo sguardo dalla fotografia ai due Kevin, che avevano già ripreso a discutere animatamente, la Vice-Capitana Tassorosso si schiarì la voce:

- Non vorrei interrompere i vostri sproloqui ragazzi, ma credo stia per iniziare. Tu hai tutto l’occorrente, Dee? –

 

- Ma certo – sorrise la compagna con piglio efficiente. Heidi sventolò il blocchetto ed estrasse dalla borsa posata ai suoi piedi una serie di curiosi strumenti di misurazione, che presero a levitarle intorno mentre gli studenti seduti dietro di lei li scacciavano con le mani, come fossero insetti fastidiosi. – E tu?

 

Per tutta risposta, Megan brandì un pesante volume intitolato Coefficienti Artimantici per la Misurazione delle Orbite, che fino a quel momento aveva tenuto nascosto chissà dove.

 

Nel frattempo, i due Kevin avevano smesso nell’immediato di fare i pagliacci, catturati dalla notizia. Vinnie per l’occasione tirò fuori dalla tasca una manciata di cioccorane, che distribuì ai tre guadagnandosi la commozione di Megan, la quale lo guardò adorante:

 

- Non potevi avere idea migliore, Entwhistle! -

 

- Non ringraziarmi, Jones. Senza un po’ di cioccolato per tirarci su, questa partita sarebbe stata un’agonia. -

 

- Ragazzi, - Kevin guardò in alto alla sua destra, puntando l’attenzione sul giovane mago che stava iniziando la cronaca della partita, - oggi è toccato a quello stoccafisso di Smith… speravo di farmi qualche risata con Lee Jordan! -

 

Megan strizzò la spalla dell’amico: - Vorrà dire che se ci annoieremo, ci penseremo noi a rallegrare l’atmosfera. –

 

- Bvava vagaffa, - sbiascicò Vinnie con la bocca impastata dal cioccolato, - Guafdate! Iniffiano! -

 

*

 

- Uno: Baston, Olivander. Due: Peakes Jeremy. Tre: Coote Ritchard...

 

La voce monocorde di Zacharias Smith recitava i nomi dei giocatori storpiandoli tutti, evidentemente col chiaro proposito di irritare l’uditorio tutto. Barry osservò i due Capitani che, ad un cenno di Madama Bumb, si stringevano la mano con ferocia e pensò, con estremo rammarico, che quel cretino del suo compagno di Casa avrebbe sicuramente trovato il modo di rovinare la partita e far venire i nervi persino ad un tipo tranquillo come lui.

 

- ... cinque: Montague, Comecazzosichiama (oh, scusi prof.). Sei: Greengrass., Aspirina. E sette (finalmente): Malfoy, Biondino.

 

“Che strazio” sbuffò Barry, scocciato, mentre Maxine, accanto a lui, urlava qualcosa di simile a “ma ritirati, razza di picio!”.

 

Il consueto e perentorio fischio dell’arbitressa sancì l’inizio della partita. I giocatori si librarono immediatamente nell’aria, veloci come fulmini.

Il tanto atteso incontro Grifondoro-Serpeverde era cominciato.

 

- La bionda di Grifondoro, quella che parla quell’inglese da zotici, si impossessa della Pluffa e parte alla volta degli anelli avversari... Ecco che arriva la tipa enorme delle Serpi... ammazza che Bolide... la Spinning scarta, evita la sfera ma perde il possesso-Pluffa...

 

Un boato di approvazione da parte del pubblico salutò l’intervento di Katie che, lesta lesta, soffiò la palla rossastra da sotto il naso di Graham e la passò a Neil il quale, spingendo al massimo la scopa, segnò un goal in tempo record.

 

- Segnano i Grifoni grazie all’azione della fidanzatina del Portierone, che passa la Pluffa al tizio biondo ed elegante drogato di tisane...

 

Gemma imprecò fra i denti ma, decisa a non lasciarsi abbattere, rispedì in campo la Pluffa con un calcione deciso. La sfera fu prontamente afferrata da Astoria.

 

- Possesso di Grisgrann... Greengrass, scusate. Passa a Flynn. Montague. Evita il Bolide scagliatogli contro dal Battitore Biondo con la Molletta sul Naso... Montague in aventi... Mark Fynnes... Montague su Bell (Merlino: è sangue dal naso, quello?!)... Olivio Baston distratto (e ripigliati, su!)... Flynt segna!... Pareggio!...

 

*

 

Se avesse potuto, Stephen si sarebbe ricavato la sua torre personale per godersi la prima partita di Campionato in solitaria, il più lontano possibile dagli schiamazzi dei suoi coetanei che, al contrario suo, sembravano non vedere l’ora di svuotare i polmoni e smuovere le membra in gesti inconsulti, ad ogni azione che si stava svolgendo in campo. Eppure quella non era un’opzione possibile, il professor Vitious glielo aveva ribadito tutte le volte in cui Stephen ne aveva fatto richiesta, inizialmente con garbo, infine con irritazione.

 

“Pensi piuttosto a costruire dei sani rapporti d’amicizia, signor Cornfoot! La sua è una mente tanto brillante, che è un vero peccato tenerla chiusa in un cassetto!”

 

Se, come no. Stephen sapeva benissimo da sé di essere un brillantissimo mago, non c’era di certo bisogno che qualcun altro lo ribadisse. E poi, specialmente, il ragazzo non sentiva esigenza alcuna di stringere più di tanto dei rapporti con altri esseri umani, o almeno questo era quello che andava raccontando a se stesso.

 

In campo era stata appena commessa un’azione fallosa da parte di Millicent Bulstrode, che per poco non aveva staccato la testa di Alicia Spinnet con un colpo di Bolide molto più che pericoloso. Un vago sorriso solcò il bel viso del mago, leggerissimo ed appena percettibile ad occhio nudo. Si spostò con delicatezza verso destra per evitare l’eccessivo contatto con un ragazzo dall’aspetto di un bignè farcito che si dimenava sul posto (“dovete espulgerla!” gridò al suo fianco, facendolo rabbrividire di rabbia e sgomento) e con la volontà di distrarsi, iniziò a pensare come lui si sarebbe comportato in campo, al posto di quell’imbranato-inamidato di Malfoy, o della Robins che l’unica cosa che sapeva “trovare” nella vita era il suo disprezzo.

 

- Stephen… Stephen Cornfoot, n-non è vero? –

 

Una vocina incerta catturò la sua attenzione: alle sue spalle una ragazzina tutta sospiri teneva stretto stretto fra le mani un fazzoletto di seta nero. Stephen la guardò accigliato, l’occhio sinistro celato da un ciuffo di capelli ribelli:

 

- È esattamente il mio nome… e tu saresti…? –

 

- Isobel! – Al fianco della fanciulletta sospirante, apparve la conosciuta figura di Morag che con braccia conserte e sopracciglio inarcato, fissava la più piccola: - Ti ho detto che lo avrei riconsegnato io, ora vai con le tue amichette e lascia stare Stephen. –

 

Con un gesto secco, Morag strappò dalle mani della streghetta il fazzoletto e poi le fece segno di allontanarsi, cosa che quella fece di gran fretta; l’ultima cosa che Stephen riuscì a vedere, fu il rosso intenso che aveva colorito il suo viso. Come nulla fosse Morag colmò lo spazio che il Corvonero aveva ricavato in precedenza.

 

- La devi scusare; mia sorella ha una palese cotta per te. – La strega allungò il fazzoletto al ragazzo, - Credo che questo te lo abbia rubato in biblioteca mentre eri distratto, aveva bisogno di una scusa per venirti a parlare. –

 

Stephen trattenne il fazzoletto fra le mani e con apparente disincanto, si limitò a ringraziarla in modo conciso. Era abituato alle svenevoli ragazzine che tentavano di approcciarlo, ma dentro di sé apprezzò la schiettezza della sua collega, motivo per il quale la compagnia di Morag non gli dispiaceva più di tanto: entrambi non sopportavano le frivolezze, gli schiamazzi eccessivi e i risolini inopportuni; per questo non si lamentò affatto quando la strega decise di rimanere al suo fianco ad osservare la partita, in quanto sapeva che non sarebbe stato importunato da altre persone che sarebbero risultate molto più sgradevoli di lei.

 

- Neil Randall si impossessa della Pluffa… l’ha sfilata da sotto il naso di Kain Montague signori e signore! Sembra proprio arrabbiato… ehi, si sta avvicinando troppo… -

 

Morag e Stephen alzarono in contemporanea lo sguardo e fissarono la torretta dalla quale Zacharias Smith stava conducendo la sua penosa cronaca. Fu decisamente divertente, vedere il Cacciatore Serpeverde minacciare il cronista di fargli ingoiare la Pluffa, se avesse osato un’altra volta sbagliare il proprio nome.

Questo, i due Corvonero, lo pensarono all’unisono.

 

*

 

La partita impazzava, in un delirio assoluto di pubblico e professori, fra azioni epiche, scorrettezze, imprecazioni e colpi bassi

 

- Le due squadre sono in condizioni di assoluta parità sessanta a sessanta, miei fastidiosi spettatori un po’ troppo disattenti. Nelly Randy, dopo aver giocato a potenza massima fino a poco fa, sembra essersi stancato, ma le sue due compagne paiono ancora piuttosto arzille, se escludiamo il sangue che continua a zampillare dal naso della Bell. L’energumena verdeargento, nel frattempo, spara Bolidi a raffica...

 

- Che donna! – commentò Maxine, sinceramente ammirata, mentre Barry si grattava i riccioli castani chiaro e commentava, intimorito:

- Un colpo da una così farebbe paura anche a me!

 

- La Rapper (ah, è Roper? Scusate), nonostante le dimensioni modeste, è altrettanto indiavolata, ma devo dire che anche i due Battitori Grifondoro se la cavano in modo accettabile... Ritchard Cute (ah, è Coote?!) evidentemente ci tiene a fare bella figura nella sua prima partita da Vice...

 

Un urlo indignato del settore Grifondoro si sovrappose alla voce di Smith: Alicia Spinnet, immobile al centro del campo, fissava atterrita un’enorme cornacchia nera che la fronteggiava ad ali aperte. Nel frattempo Flint, approfittando della sua esitazione, le aveva sottratto la Pluffa e volava a tutta velocità verso gli anelli difesi da Oliver.

 

- Per Tosca! Che cosa accidenti era quella bestiaccia... che Merlino mi fulmini se quello non era un Molliccio!...

 

Il pubblico rumoreggiò, spazientito: molti si erano infatti accorti che la malevola creatura era stata buttata in campo proprio dal Capitano Serpeverde. Angelina Johnson, Lee Jordan e i gemelli Weasley urlavano e avevano tutta l’aria di volersi precipitare in campo per fargliela pagare. Un provvidenziale Riddikulus di Ritchie, però, raggiunse prontamente il Molliccio trasformandolo in un gaio delfino saltellante che, dopo essersi reso conto di fluttuare nell’aere, si schiantò indegnamente al suolo.

 

- Baston para... Pluffa in gioco... Eccoli che tornano indietro... che partita, bella gente!

 

- Sta perdendo i colpi, comunque – fu il flemmatico commento di Blaise Zabini alla parata di Oliver, in realtà molto ben eseguita.

- Chiudi il becco, patetico marmocchio – lo freddò Daphne, che durante tutta la partita non era riuscita a staccare gli occhi dagli anelli rossooro.

 

*

 

- Accidenti, che razza di parata! – non poté fare a meno di esclamare Cedric quando Gemma, dimostrando di possedere una forza inaspettata nelle gambe lunghe e sottili, respinse con un calcione il colpo di Pluffa scagliatole contro da Neil. Il ragazzo si sporse in avanti per occhieggiare all’indirizzo di Megan e Heidi che, sedute un paio di spalti più in là, gli fecero segno di avere diligentemente preso nota di schemi, passaggi, movimenti e traiettorie.

 

Roger, stravaccato accanto a lui (da che mondo era mondo, quando non erano impegnati sul campo con le rispettive squadre, Cedric Diggory e Roger Davies assistevano insieme alle partite di Quidditch), si tirò su più dritto.

 

- È anche graciosa – commentò il ragazzo, vivamente interessato.

 

La proverbiale riservatezza della Farley gli aveva impedito, fino a quel momento, di osservarla per bene; era sempre un piacere, però, rendersi conto per caso della fintanto insospettata avvenenza di una fanciulla.

 

Cedric ridacchiò e, allungata una mano, gli strattonò scherzosamente una ciocca dei lunghi capelli tinti di fucsia, sfuggita alla crocchia tondeggiante che Roger usava legare alta sulla testa.

 

- Non credo tu sia, attualmente, al massimo delle tue potenzialità estetiche – commentò il Tassorosso, prendendosi gioco dell’assai poco dignitosa zazzera rosata dell’amico.

 

- Lascia perdere, guapo – replicò quello, scoccando un’occhiata furente a Lisa che, seduta poco lontano in compagnia di Cho, si sforzava ostinatamente di ignorarlo. Al posto della sua consueta capigliatura biondo chiaro, Cedric notò che la Turpin sfoggiava una chioma corvina dai riflessi di pece mentre la Chang, al contrario, sembrava una bambola di porcellana sormontata da una parrucca biondo platino che le stava maluccio.

 

– Ma quella scriteriata me la paga, oh se me la paga... - stava borbottando Roger, facendo seguire all'affermazione una serie di interiezioni marcatamente latine, che Cedric suppose essere fortemente offensive.

 

Il Tassorosso rise di nuovo, divertito, ripensando a quanto gli era stato raccontato quel mattino da un Justin particolarmente in vena di pettegolezzi.

 

“Entwhistle mi ha detto che Davies ha perseguitato la Turpin per giorni, finché non gli è riuscito di apporle a tradimento un incantesimo Testanera... e pare che lei, da tanto era incazzata, si sia messa a sparare Fatture Tinteggianti per tutta la Sala Comune...” Cedric si guardò intorno e appurò che, in effetti, numerosi Corvonero presenti alla partita ostentavano capigliature dai colori inusuali “A quanto si dice in giro, per esempio, la Dama Grigia dovrà essere ribattezzata Dama Lilla... e comunque, una fattura ha beccato in pieno la Chang, che giusto quel giorno stava facendo ritorno dall’infermeria, e l’ha trasformata in una specie di Barbie Made in China...”

 

“E cosa diavolo sarebbe una Barbie?!”

 

“Una bambola babbana... Mentre invece Davies, volente o nolente, sarà costretto ad andarsene in giro a tempo indeterminato con la testa color cicca!...”

 

Cedric si strinse nelle spalle, tornando a concentrarsi sulla partita in pieno svolgimento.

“Una cosa è certa, comunque” si disse il ragazzo, trattenendo il fiato alla vista di Montague che, per la seconda volta, si avventava su quel mentecatto di Zaka Smith, reo di averlo chiamato ‘Craig’. “Coi Corvi ci si diverte sempre, non c’è che dire”.

 

- Amuleti, gioielli, collane, portafortuna! Ho qui tutto ciò che serve! Di un po’ ragazzina, non vorresti che la tua squadra vincesse? Ecco quello che fa per te! –

 

L’attenzione di Cedric si spostò sulla voce squillante di Mandy, probabilmente l’unica corvonero ad aver mantenuto il suo originale colore di capelli. La rossa stava collocando un paio di strani aggeggi sulle teste di due streghe del primo anno, che la guardavano con tanto d’occhi. La più scettica delle due si accigliò visibilmente: - Ma tu sei certa che funzionerà? A me sembra solo un’accozzaglia di vecchi bottoni! –

 

Il sorriso di Mandy si allargò notevolmente: - Se non lo proverai, non lo potrai scoprire, non credi tesoro? Ma nessuno ti obbliga, se non vuoi comprarlo… ma a quel punto lo sconto “due al prezzo di uno” che ho proposto alla tua amica non sarà più valido, ovvio. –

 

L’altra strega tirò una gomitata alla sempre più scettica amica: -Se Serpeverde perderà sarà solo colpa della tua spilorceria! –

 

- E va bene, lo prendo! – sbuffò più che indispettita. Mandy non si risparmiò un sorrisetto soddisfatto mentre infilava nelle tasche il guadagno della sua ultima vendita, infine si avvicinò al gruppo dei suoi colleghi, che guardò con aria stralunata: - Sbaglio o c’è stato qualche disguido? –

 

Cedric fece cenno alla ragazza di non farci caso e con la cortesia che lo distingueva, le fece spazio per farla accomodare al suo fianco.

 

- Tu devi essere la nuova battitrice di Corvonero, Roger mi ha parlato del tuo lancio micidiale. –

 

Mandy, fino a quel momento spensierata, arrossì di botto: - S-si. Tanto piacere. – borbottò timida. Cedric aveva sentito le voci che circolavano su di lei, ovvero che non ci fosse apparente motivo per cui una persona tanto svampita, che mai aveva mostrato spiccata intelligenza, fosse finita proprio nella casa di Priscilla. Ma Cedric non era uno che dava conto alle malelingue e si limitò a tentare una conversazione con lei, priva di pregiudizi. Ed era andato anche tutto piuttosto bene, fin quando Mandy non aveva riconosciuto la testa bionda di Justin seduto poco distante da loro. Fu a quel punto che quella si alzò di scatto, sciorinò un’inquietante sequenza di parole apparentemente prive di senso verso il Principe, borbottò poi un rapido saluto nei confronti di Cedric e si dileguò. Il Capitano tassorosso rimase più o meno impassibile per tutto il tempo e appena Mandy fu definitivamente scomparsa dalla sua vista, tornò a puntare lo sguardo sulla partita.

Già, coi corvi ci si diverte sempre, ribadì a se stesso, mentre Astoria Greengrass andava segnando un bel punto.

 

*

 

Un po’ meno divertito doveva probabilmente essere Smith, ripetutamente minacciato di morte da più di un giocatore e da gran parte del pubblico, professor Piton compreso. L’impopolare Tassorosso, però, seguitava imperterrito nella sua irritantissima magicronaca.

 

- La biondina Vice delle Serpi scaglia un altro Bolide... che simpatica: ed è pure bravina, bisogna dirlo... Jimmy Peaky lo riceve in punta di mazza con un bel tiro mancino che gli fa saltare via la molletta dal naso... il giocatore sembra un po’ stordito... ma ecco il suo compare che salva la situazione ancora una volta...

 

- Malfoy ha visto il Boccino!

 

Un boato dagli spalti verdeargento si propagò rapidamente al resto delle tribune. Centinaia di paia di iridi si fissarono sulla testa diafana del ragazzino che spronava disperatamente la sua Nimbus 2001 nel tentativo di agguantare per primo la sferetta dorata.

Proprio mentre stava per afferrare il Boccino, però, qualcosa andò storto. Spuntata da chissà dove, una piccola saetta vermiglia si frappose fra il Cercatore e la sua preda.

Un coro scomposto e agguerrito, ruggì dalla curva smeraldina non appena Demelza sbaragliò Draco Malfoy con una virata della scopa.

 

De-men-za! De-men-za!” Gridavano i tifosi, nel tentativo di distrarre la strega quel tanto che bastasse per farle sfuggire il boccino. Ma ci sarebbe voluto ben altro, pensò la rossa stringendo il manico della scopa con vigore mentre la sinistra s’avvicinava allo sfarfallio dorato.

E quel ben altro arrivò, micidiale, nascosto dalla voce cacofonica di Zaccaria Smith:

 

-Finalmente l’unica strega degna di nota giunta a risvegliare questo mortorio di partita! –

 

Demelza serrò le labbra, tentando di ignorare quello che si era dimostrato per tutto il terzo anno lo spasimante più indigesto, pedante, deprecabile, viscido e pure bruttino, con cui la grifondoro aveva mai avuto a che fare. Nonché l’unico, ahilei. Gli occhi luminosi si fecero sottili sottili, fissi sull’oggetto che avrebbe dovuto conquistare in fretta.

 

-La bella Robins ci sa fare con le prese… ve lo garantisco io… -

 

Demelza temeva di sapere dove sarebbe andato a parare. Ma non doveva ascoltarlo: il boccino era ad un palmo di distanza e con Malfoy di nuovo alle calcagna non doveva distrarsi.

 

-…d’altronde è riuscita ad afferrare il mio cuore… -

 

Le piccole dita sfiorarono la lucida corazza della frenetica sfera. Uno scatto ben calcolato in avanti e quella sarebbe finita dritta nel suo palmo.

 

-Sbrigati dolce Demelza! Non vedo l’ora di festeggiare con te la tua vittoria… mi sarò Pur meritato un bel bacio finalmente! –

 

I giorni a seguire, quello che accadde venne raccontato in molti modi, fra i pettegolezzi che ingozzarono i corridoi di Hogwarts: chi raccontò di aver visto due fiamme rosse al posto degli occhi chiari della Robins; chi ancora affermò con sicurezza di avere assistito alla mutazione del minuto corpicino in un corpo d’arpia. Chi in maniera più colorita descrisse l’impronunciabile urlo di una Banshee con cui Demelza Robins, secondo le fervide menti dei più pettegoli studenti, possedeva una linea di sangue vista e considerata, per altro, la sua origine Irlandese.

Ma la realtà delle cose era un’altra: Demelza entrò in un irreversibile stato di furia, scatenato dalle orribili parole pronunciate da Zacharias Smith.

Con un colpo di coda, la strega cambiò direzione, fulminea, prendendo tutt’altra direzione.

 

-Ma cosa… non è possibile, deve essere stata affatturata!-

 

La rapida ascesa trovò il proprio epilogo all’altezza dell’archetto da cui spuntava il cronista, il quale in quel momento aveva perso il tono d’adorazione nei confronti di Demelza. La paura si impossessò dello sguardo porcino e del corpo tutto, che aveva preso a tremare.

 

-Ti faccio chiudere quella bocca per sempre, melmosa purea di vermicoli! –

 

L’ultima cosa che vide il tassorosso prima di scivolare tramortito a terra, fu la bocca di Demelza, deformata dalla rabbia. Ed il manico di scopa, che lei aveva imbracciato come fosse un bazooka e che finì dritto per dritto sul suo naso, facendolo fiottare senza soluzione di continuità.

 

*

 

- Mi dispiace, Oliver.

 

Il Preside rivolse uno sguardo di circostanza al Capitano Grifondoro che, in piedi davanti a lui, lo fissava stringendo i pugni.

 

- Questa volta, purtroppo, non posso farci nulla. I Direttori, Minerva compresa, sono stati categorici. La Robins avrà pure afferrato il Boccino per prima, ma la sua aggressione ai danni di Smith con conseguente frattura del suo setto nasale vi costerà l’annullamento del risultato.

 

- Non... non dirà sul serio.

 

La voce di Oliver era flebile; Ritchie, vedendolo sbiancare come un cencio candeggiato, gli si avvicinò preoccupato, tanto per andare sul sicuro. Silente, dal canto suo, non potè che confermare l’amara sentenza:

 

- Mi dispiace. La vittoria se l’aggiudica Serpeverde.

 


 

Salve a tutti, cari/e partecipanti e simpatizzanti tutti!

 

Siamo finalmente giunti alla prima partita; nelle scorse settimane il popolo si è espresso e, come da votazione, gli scaltri Serpeverde l’hanno spuntata sui valorosi Grifondoro.

Come avrete notato, ci siamo concentrate soprattutto sui personaggi coinvolti nel match per avere modo di approfondirli un po’ di più. Niente paura, però: nel prossimo capitolo, che sarà ambientato nei giorni di Halloween, torneremo a concentrarci su tutti quanti senza distinzione, mentre in quello dopo ancora metteremo meglio a fuoco Corvi e Tassi, che disputeranno la seconda partita.

 

In vista del capitolo dedicato alla Festa delle Streghe, vi chiediamo di contattarci in privato per rispondere a queste due semplici domandine:

  1. Con quale personaggio (o quali personaggi) ti piacerebbe che il tuo OC interagisse, non necessariamente in termini amorosi?

  2. C’è già qualche baldo giovine o donzella che potrebbe aver destato l’interesse del tuo OC, facendogli battere il cuoricino?

 

Attendiamo trepidanti le vostre graditissime osservazioni (per esempio: vi va bene come abbiamo deciso di trattare e di approfondire a rotazione i personaggi? Vi va bene la lunghezza dei capitoli? Diteci tutto e aiutateci a correggere il tiro!).

 

Un abbraccio a tutti,

A&B

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** La notte delle streghe ***


Capitolo 3. La notte delle streghe.
 
[Dormitori femminili di Corvonero, 19 ottobre 1993]
Fogliame lucido. Siepi di bosso.
Meandri, bivi, sentieri tortuosi, vicoli ciechi.
Un labirinto.
Una svolta, un’altra, un’altra ancora: passo accelerato, respiro affannoso. Tutt’intorno, silenzio ovattato rotto da sporadici fruscii misteriosi.
Ansia crescente, smarrimento, claustrofobia.
Ancora un passo, forza...
Oltre l’ultimo angolo, un oggetto che luccica nel buio.
Che cosa diavolo...?
Mandy sbatté le palpebre, improvvisamente sveglia e consapevole di trovarsi nel suo letto, all’interno dei dormitori di Corvonero immersi nel sonno. Dopo essersi stropicciata stancamente gli occhi, la ragazza srotolò l’orlo della camicia da notte che le era risalita lungo le gambe e gettò uno sguardo sulla clessidra a cucù posata sul suo comodino, per poi battere sul vetro con la punta dell’indice. Il pesciolino dorato segna-ore, assonnato, fece quattro giri su se stesso in modalità semiautomatica. Nell’oscurità della camerata, una delle compagne si rigirò fra le lenzuola e bofonchiò un paio di parole indefinite.
Mandy sbuffò, rassegnata.
Non le sarebbe più riuscito di riaddormentarsi, lo sapeva già. Le capitava sempre, ormai: era dal giorno della partita Serpeverde-Grifondoro che le succedeva. Era stata proprio quella notte che, per la prima volta, aveva sognato il labirinto.
 
[Campo da Quidditch, allenamento dei Tassorosso, 20 ottobre 1993]
- Attenta, Dee!
 
Heidi era così concentrata sulla Pluffa appena rispeditale indietro da Barry da non essersi accorta del Bolide che la compagna le aveva scagliato contro. L’urlo di Megan la raggiunse troppo tardi: la sua Twigger 90, per quanto adorata e vezzeggiata, non le avrebbe consentito di invertire la rotta in tempi utili.
“Ecco perché le Nimbus sono e restano scope superiori” ebbe appena la forza di pensare prima di chiudere gli occhi, ormai rassegnata ad incassare il colpo che, lo sapeva, sarebbe stato molto doloroso.
Un colpo che però, per sua grande sorpresa, non arrivò.
 
- Gmpfh!...
Un gemito soffocato, accompagnato da un tonfo sordo, rimbombò a pochi centimetri da lei; un secondo dopo, la voce di Cedric si impose sugli strilli e sulle esclamazioni dei compagni di squadra.
 
- Oh, Tosca clemente. Tutto bene, Summers?
 
- Tutto a posto, biscottino? – gli fece eco Maxine, avvicinandosi velocemente.
Heidi ritirò il braccio dal viso e scorse Barry, intento a stringere fra le mani il Bolide inferocito che, nel frattempo, tentava invano di divincolarsi.
 
- Ti è dato di volta il cervello, Summers?! – intervenne Megan, piuttosto agitata.
 
- Justin era troppo lontano... – si giustificò il ragazzo, con grande semplicità. – E Heidi non avrebbe dovuto trovarsi laggiù: ce l’ho mandata io, su quell’orbita... -
 
“L’avrebbe fatto per chiunque”.
Heidi rimase immobile, senza sapersi spiegare il perché di quel pensiero che le era improvvisamente baluginato per la testa.
 
- Okay, okay – Cedric fece segno a Barry di dirigersi al suolo e poi pregò Kevin di accompagnarlo in infermeria.
 
- Ma... ma non ce n’è bisogno! – imbarazzato, il Portiere tentò di minimizzare. Heidi, però, si accorse che il ragazzo si premeva il palmo della mano sul fianco, laddove la sferetta l’aveva colpito.
 
- Non mi sembra il caso di discutere, amico – replicò Cedric, irremovibile. - Non si sa mai. Su: obbedisci, da bravo.
 
[Biblioteca, 23 ottobre 1993]
Solitamente, una sconfitta alla prima partita di campionato - contro Serpeverde, oltretutto! -avrebbe avuto il potere di indurlo ad affogarsi seduta stante nelle docce dello spogliatoio. Tuttavia, alla luce di quanto era accaduto alla vigilia dell’incontro, a turbare i sonni di Oliver ci si era messo ben altro. Già: il perfido piano di Flint non era andato esattamente a buon fine perché, per fortuna, Jimmy era miracolosamente intervenuto smascherando i loschi intenti del Serpeverde. Eppure, un paio di conseguenze nefaste si erano comunque verificate. La prima era che Katie, pur essendo al corrente dell’equivoco, ma essendo probabilmente rimasta scioccata da quanto aveva visto, si era in qualche modo bloccata e, in presenza di Oliver, si comportava con una timidezza ai limiti del riserbo. Riserbo che lui, a causa dell’insicurezza che a sua volta provava al solo pensiero di dichiararsi, non sapeva proprio come incrinare.
 
- E la seconda? – volle sapere Percy, interrompendo per un secondo l'intenso ripasso dei suoi appunti di Storia della Magia.
 
- E la seconda è Daphne Greengrass – sbuffò Oliver, scuotendo stancamente il capo.
La ragazza di Percy, Penny Clearwater, che quel pomeriggio si trovava con loro in Biblioteca a studiare per l’imminente verifica di Rüf, non riuscì a reprimere una ghiotta risata.
 
- Vorrei ben vedere, Ollie – disse all’amico, che le restituì uno sguardo scoraggiato. – Del resto, dopo che le hai mostrato il meglio di te...
 
- Non me ne parlare – commentò quello, incupito e imbarazzato.
 
- L’hai proprio colpita, effettivamente – commentò Percy, grattandosi distrattamente il mento con la punta della piuma. – Nel giro di pochi giorni è passata dall’occhiatina in tralice al sorrisino, dal sorrisino al timido saluto, dal saluto al bigliettino...
 
- ...e che bigliettini, poi! – ridacchiò Penny, lanciandosi poi nella descrizione dettagliata del momento in cui, due giorni prima, uno splendente barbagianni dorato aveva fatto irruzione nell’aula di Rüf e, dopo aver attraversato il professore (che, per fortuna, non se n’era neanche accorto) aveva consegnato ad Oliver un rotolino di pergamena rosa sigillato da un cuoricino di ceralacca.
 
- Già. Chissà quale sarà la sua prossima mossa?! -
 
I due sarebbero forse andati avanti per ore a millantare le doti di stratega sentimentale della Greengrass, ma qualcosa li interruppe dopo poche frasi: Oliver, infatti, non li ascoltava affatto e si mordicchiava l’interno della bocca, pensoso.
 
- Una cosa alla volta –il Capitano tirò indietro la sedia e si alzò di scatto, facendo sobbalzare i due amici e guadagnandosi un stttt stizzito da parte di Madama Pince. – Strategia. Calma e sangue freddo. Sempre e comunque.
- Sarebbe a dire?
Oliver si risedette e, dopo aver lanciato uno sguardo a Leanne ed Eloise, installate due tavoli più in là, si rivolse ai due compagni con fare cospiratorio.
- Ora vi spiego.
 
[Campo da Quidditch, 24 ottobre 1993]
 
Morag teneva le mani congiunte dietro la schiena mentre seguiva, pigramente e passivamente, Kevin Withby e Kevin Entwhistle avviarsi al campo da Quidditch; perché occupare una mezza giornata di libertà in quel modo, non sapeva dirlo, ma l’indolenza aveva vinto sulle rimostranze, così Morag si era lasciata coinvolgere dall’eccessivo entusiasmo di Vinnie (del resto quand’è che Vinnie non era entusiasta di qualcosa?) ed il risultato era stato quello. Allungò di poco il passo per infilarsi fra i due:
 
- Che sono venuta a fare se nemmeno mi rendete partecipi del vostro confabulare? -
 
Il Kevin tassorossino alzò un dito a coprire le labbra piene e sporgenti: - È un segreto MacDougal, non vogliamo rovinare la festa a nessuno. –
 
- Saggio il mio collega, - intervenne l’altro – La pazienza è la virtù dei forti mia splendida amica. Ma sappi che stiamo organizzando una roba EPICA. – Vinnie enfatizzò l’ultima parola spianando e allargando le mani dinanzi a sé.
 
Morag passò lo sguardo da un Kevin all’altro, infine fece spallucce: - Ma io sono paziente, semplicemente trovo poco cortese tenere le persone in disparte, specialmente quando si è insistito fino allo sfinimento per essere seguiti. –
 
- Coraggio! Una cosuccia possiamo dirtela… - Morag passò lo sguardo su Kevin Withby, sorridente e allegro più che mai, - Riguarderà la festa di Halloween. -
 
- Spero non stiate architettando nulla di illegale. Se è così, non voglio saperlo. -
 
- Rilaaaassati Mog, - Vinnie passò un lungo braccio sulle spalle della collega – Siamo dei bravi ragazzi, lo sai. -
 
- Su questo avrei da ridire, ma eviterò di polemizzare per non farmi dare della bacchettona. E levami il tuo braccio di dosso, se non vuoi una nidiata di lumache nelle orecchie. -
 
Mentre Vinnie scostava sensatamente il braccio, i tre s’arrestarono ai margini del campo e Kevin cominciò a sperticare le braccia in direzione di Megan, in abiti sportivi, che correva intorno al perimetro. Una volta intravisto il gruppo, la vice della squadra di Tassorosso cominciò a rallentare il passo.
 
- Ehi… ragazzi. – ansimò Megan tentando di recuperare il fiato, mentre Morag aveva appellato un asciugamano per permettere alla sua amica di asciugarsi.
 
- Dovresti darti una calmata Meg, la partita non ci sarà prima di due settimane! -
 
- Lo so, ma devo… sfogare le energie. – Megan passò l’asciugamano sul viso – Farebbe bene anche a voi. -
 
Morag si espose in una delle sue rare risate di cuore: - Fossi matta, già è tanto se mi sono spinta fin qui. –
Kevin sfregò il torace secco e sorrise: - Per oggi passo, magari domani. O domai, chissà. –
 
Megan soffermò infine lo sguardo su Vinnie, intento a frizionare i capelli ossigenati.
 
- E tu, pupazzo? -
 
- Ci sono così tanti modi per sfogare le energie in eccesso e questo, francamente, mi sembra davvero il meno divertente. - 
 
- Per un volta mi trovo d’accordo con lui. – Affermò Morag, indicando Vinnie con il pollice. I tre tentarono di convincere Megan che l’uso migliore del campo, in quella rara giornata di Ottobre in cui il sole si spendeva ancora generoso in cielo, era senz’altro bivaccare come molti degli studenti stavano facendo in quel momento.
 
- Ehi, Jones, che fai cali il ritmo? Rischi di perdere la forma. -
 
La voce di Anthony Goldstein, corvonero del quinto anno che da sempre faceva parte della cricca di Megan e Morag, si era avvicinato al gruppetto. Nel sentire la sua voce alle proprie spalle, Megan roteò gli occhi, prima di girarsi verso di lui.
 
- Penserei alla tua di forma, coso: ti è spuntato un rotolino nuovo, lo sento gridare pietà da sotto la maglia. -
 
Fu inevitabile per i due Kevin sghignazzare e per Morag, abituata ai frequenti battibecchi dei due, scuotere sconsolata il capo. Anthony invece, lievemente rosso in viso, allargò un sorriso e gettò un fugace sguardo ai due maghi, concentrandosi su Vinnie:
 
- Visti i soggetti con cui ti accompagni ultimamente, direi che è già tanto non ti sia beccata una sospensione, senza offese Mog. -
 
Morag tentò di protestare, ma Megan la anticipò: - Hai davvero così tanto tempo da perdere? Nulla di più proficuo da fare che spiare quello che faccio nel mio tempo libero? –
 
Kevin diede una lieve gomitata a Vinnie: - Meglio lasciarli soli, passeranno ore a stuzzicarsi. –
 
Vinnie, di tutta risposta, alzò le spalle e sorrise, per poi rivolgersi a Megan: - Che fai splendida, vieni con noi o ti lasciamo con coso qui? –
 
Anthony aggrottò le sopracciglia, visibilmente infastidito dall’appellativo che Vinnie aveva usato per Megan; inizialmente incerto, decise poi di muovere qualche passo in direzione dell’altro: - Stavo solo scherzando, Entwhistle. Ti sei svegliato male questa mattina? –
 
Tempo addietro, Megan avrebbe volentieri speso il suo tempo a rispondere per le rime ad Anthony, probabilmente dedicando al ragazzo più tempo di quanto in realtà non meritasse. Si volevano bene, questo era un dato di fatto, ma per Megan c’era sempre stato qualcosa in più (anche se non l’aveva mai davvero ammesso ad alta voce) che Anthony non aveva mostrato di voler cogliere. Quel faticoso gioco di botta e risposta era diventato fastidioso e non stava portando a nulla di “buono”. Mentre la tassorosso era tutta presa con se stessa, nel tentativo di trovare una risposta adatta da dare ad Anthony per sedare la blanda tensione venutasi a creare con Vinnie, Morag la strattonò per un braccio; la giunonica corvonero sorrise poi limpida ad Anthony: -Spiacente Goldstein, quando l’espresso parte, poi non lo riprendi più. –
 
Ciò detto, Morag si tirò via Megan la quale non aveva ben capito cosa fosse appena successo, mentre i due Kevin si lanciarono un’occhiata. Prima di seguire le due, Vinnie si voltò verso il compagno di casa a cui dedicò uno sguardo fintamente comprensivo:
 
- Che dirti bro, ci vediamo in Sala Comune… ricordati che mi devi ancora cinque galeoni! -
 
 
[Bagni femminili del settimo piano, 25 ottobre 1993]
Spiazzata.
Già: forse la parola giusta era proprio quella, seguita a ruota dai suoi sinonimi, annessi e connessi. Spiazzata, disorientata, incerta, inetta... e elettrica, come mai si era sentita prima di allora. Ah, e zuccherosa, ahilei. Proprio lei, sempre così precisa, decisa, efficiente. Sempre così scientifica. Heidi guardò la sua immagine rilessa allo specchio e provò un moto di profonda irritazione nei confronti di se stessa.
“Che scema”.
Le restituì lo sguardo una biondina sottile sottile, non certo bruttina ma, definitivamente, priva di qualsivoglia brio e attrattive. Ecco cos'era, in fin dei conti, Heidi McAvoy. Una discreta Cacciatrice, okay, ma sopra ogni cosa, mannaggiaccia santa, una secchioncella da calderone, piricocca di quello stoccafisso di Piton e probabilmente destinata a ripercorrerne i (disastrosi, da quanto si poteva intuire) passi in ambito amoroso.
Lui, invece...
Beh, lui era speciale per definizione. Così allegro, gentile, spontaneo, eroico senza neppure sospettarlo, oltreché incredibilmente attraente (Per tutti i Tassi di Tosca, ma cosa vai a pensare!), con quei suoi soffici riccioli chiari che gli si incollavano alla fronte quando la squadra si allenava sotto la pioggia e quei suoi occhi ridenti che gli illuminavano il viso quando sorrideva e parlava.
Quand’è che aveva cominciato a piacerle?
Il colpo di Bolide sventato le aveva aperto gli occhi; la frequentazione aveva fatto il resto. E ormai c’era poco da fare: Barry Summers aveva cominciato a piacerle sul serio. Cosicché forse, in un’occasione o due, Heidi era rimasta a fissarlo imbambolata un po’ più a lungo del dovuto. E quel pittimino di Justin, ovviamente, se n’era accorto immediatamente.
 
- La smetti di passare ai raggi X il Portiere? – le aveva sussurrato un giorno l’amico, dandole (non troppo) discretamente di gomito. – Sai com’è: ci serve intero, non vivisezionato.
 
- Tosca Divina – aveva balbettato lei, senza trovare il coraggio di negare. – S-si è notato?!
 
- Eccome. E ti dico: devi piantarla di guardargli il pacc... -
 
Heidi era sbiancata.
- Ma cos... chiudi il becco, idiota!... – aveva strillato, per poi abbassare precipitosamente la voce: - Non... non dirlo a nessuno, ti prego. -
 
Justin aveva alzato gli occhi al cielo come a dire: donnetta frivola.
Che situazione del cavolo, Tosca Saggia.
Abituata a prendere il toro per le corna e ad affrontare e risolvere i problemi con il suo spirito combattivo di ragazza tutta d’un pezzo, Heidi indugiava in un’inedita timidezza. Perché così era: per la prima volta in vita sua, l’inappuntabile Heidi McAvoy non sapeva proprio che pesci pigliare.
 
[Corridoio Ovest del secondo piano, 29 ottobre 1993]
Oliver camminava spedito, scendendo a due a due i gradini della Torre di Grifondoro; una volta che ebbe raggiunto il corridoio ovest del secondo piano, il ragazzo sedette nella rientranza della terza bifora a partire da sinistra (quella seiminascosta dalla colonna di pietra intagliata con motivi di erbe lacustri, come aveva riferito a Penelope e Percy) e si mise in attesa.
Non dovette attendere molto: nel giro di due minuti, infatti, ecco arrivare Daphne Greengrass, in perfetto orario. Sembrava molto felice. Oliver si dispiacque per quanto aveva da dirle, perché ferire le persone non gli era mai piaciuto; purtroppo, però, non aveva scelta.
La ragazzina gli rivolse un sorriso radioso e poi, ad un suo cenno con cui la invitava gentilmente a prendere posto sul sedile di pietra di fronte a lui, si accomodò con un saltello grazioso. Lui attese ancora per qualche istante e poi, dopo avere colto con la coda dell’occhio un movimento discreto oltre il fusto della colonna intagliata, si schiarì la voce.
 
- Ciao, Daphne. Ti... ti ringrazio molto di essere venuta.
 
- S-sono io che ringrazio te, Oliver – gli rispose lei, un po’ tremula – S-sai, volevo tanto d-dirti...
- Ascolta, Daphne – la interruppe lui, in tono pacato. – Se ti ho chiesto di venire qui, è perché ritengo che tu meriti un chiarimento.
 
- U-un... chiarimento?... -
 
- Sì. Perché si vede che sei una brava persona, e... e sei anche molto carina, lo dico davvero; purtroppo, però, io non ti posso accontentare, e mi sembrava giusto nei tuoi confronti mettere le carte in tavola. -
 
*
 
“Dietro la colonna con i motivi di alghe, alle otto in punto. Senza farti vedere” le avevano detto le amiche con aria di grande mistero, ancora un po’ rosse in viso per la lunga corsa. Da quanto era stata in grado di capire, Leanne ed Eloise l’avevano raggiunta a bordo campo dopo aver origliato chissà quale conversazione in Biblioteca.
“Ma perché?!” aveva chiesto Katie, incuriosita.
“Perché lui e Daphne si incontreranno laggiù” aveva sibilato Leanne, inviperita. “E tu hai tutto il diritto di sapere cosa bolle in pentola”.
“Io non ho...”
“Fai come dicono, Bell” si era intromessa Alicia, con un tono che non ammetteva repliche. “E stai pur sicura che, se Oliver fa una vaccata, lo affatturo io personalmente”.
Cosicché alla fine, rassegnata, Katie aveva eseguito quanto le era stato ordinato di fare. Di tutto, però, la ragazza si sarebbe aspettata, tranne che assistere ad un colloquio chiarificatore fra Oliver Baston e Daphne Greengrass e ricevere, come bonus extra, una dichiarazione d’amore espressa per vie traverse.
Quando Katie arrivò, il ‘colloquio’ era appena cominciato. Stando bene attenta a non farsi vedere, si mise in ascolto.
 
- Non prendertela, ti prego – stava dicendo Oliver ad una Daphne dall’espressione piuttosto sconsolata. – Tu non hai niente che non va, davvero, ma vedi: nei miei pensieri c’è... c'è una persona, una e una sola, da molto tempo ormai... -
 
- La Bell – la ragazzina tirò su col naso, delusa. – Lo sanno tutti, che ti piace... -
 
Katie si appiattì dietro la colonna e trattenne il fiato.
- Sì – sorrise Oliver – Katie Bell mi piace molto, molto, e ormai credo lo sappiano davvero tutti... tutti tranne lei, forse. E la colpa è mia, ovviamente, che non riesco mai a prendere il toro per le corna e farglielo sapere. Spero davvero di aver trovato il modo di rimediare. -
 
A quelle parole, Katie non si sentì più così sicura di trovarsi lì di nascosto. Anzi. Al contrario, ebbe la netta impressione che Oliver avesse, in realtà, architettato tutto per farla giungere al posto giusto nel momento giusto.
La ragazza si tirò indietro, appoggiò la nuca al fusto di pietra e chiuse gli occhi. Oliver, bestiaccia di un Oliver. Duro e implacabile sul campo da gioco, inesperto e impacciato su quello sentimentale. Difficilmente avrebbe trovato il coraggio di dichiararle a quattr’occhi quanto provava per lei, Katie oramai lo sapeva. Eppure, alla fin fine, quel testone era riuscito a trovare il modo per farglielo sapere lo stesso.
E andava bene così.
Sforzandosi di non produrre il minimo rumore, la Grifondoro scivolò di soppiatto da dietro la colonna di pietra, diretta al suo dormitorio. Eloise, Leanne, Angelina e Alicia (che, in seguito all’accaduto pre-partita, si erano spese in commenti ed improperi degni del più becero programma radiofonico satirico babbano) le avrebbero certamente fatto il terzo grado, avrebbero preteso di farsi raccontare tutto e si sarebbero indignate quando avessero saputo che lei se n’era andata prima che l’incontro fra Oliver e Daphne avesse avuto termine.
Lei, però, non aveva bisogno di trattenersi oltre.
Era felice così: punto e basta.
 
*
[Dormitorio femminile Serpeverde, 31 ottobre 1993]
Astoria non si dava pace. Era passato del tempo dalla partita, eppure ciò che Marcus Flint si era permesso di fare a sua sorella, era per lei inaccettabile; non era possibile che quell’oltranzista maschilista avesse addirittura avuto il piacere di vincere la prima partita di campionato. Flint doveva pagarla.
Flint deve pagarla.
Flint deve pagarla!
FLINT DEVE PAGARLA!       
 
- Ho capito, non sono mica sorda. Flint deve pagarla, tutto chiaro. -
 
Astoria, seduta sul letto con i pugni stretti rivolti verso l’alto, rivolse lo sguardo a Gemma, seduta al suo fianco e intenta ad infilarsi un paio di scarpe dall’aspetto non proprio comodissime.
 
- Quindi: come pensi di fargliela pagare, al Capitano? – Chiese Gemma, mentre spingeva il tallone a terra con molta forza. Effettivamente Astoria non ci aveva ancora pensato; il livello d’ira era talmente alto, che non aveva fatto che imprecare fino a quel momento.
 
- Non lo so, maledetto lui. Hai idee? -
 
Gemma si mise in piedi un po’ a fatica e guardò Astoria ancora in totale stato di déshabillé. La sua naturale timidezza era sedata in presenza delle amiche, così Gemma riuscì a dire ciò che pensava senza inappropriati panegirici:
 
- Fossi in te penserei a prepararmi e divertirmi questa sera, senza pensare a Marcus. Ti vedo un po’ troppo tesa ultimamente, non ti fa bene. -
 
Come se Gemma le avesse svelato uno dei sacri misteri dell’umanità, Astoria sgranò gli occhi e, più luminosa che mai, guardò la compagna che continuava a ondeggiare incerta sui tacchi.
 
- Hai ragione… hai ragione! – Astoria scattò in piedi, mise le mani sui fianchi e assunse un’espressione di sfida che spaventò l’altra, - Divertirmi nel farla pagare a quel troglodita. Forza, non c’è tempo da perdere! -
 
Lo sguardò allibito di Gemma, la quale non pensava proprio di aver detto nulla di speciale, seguì Astoria che, con passo spedito, marciò verso il bagno del loro dormitorio. Sentì poi un gran baccano provenire dall’interno, così che passetto passetto, Gemma s’avvicinò alla porta e pigolò incerta: - Tutto bene? –
 
La strega sentì con distinzione una risata isterica. Forse era il caso di aspettarla e accertarsi che non fosse irreversibilmente uscita di testa.

 
[Sala Grande, 31 ottobre 1993 – Festa di Halloween]
Poco dopo l’inizio della festa, due figure ben conosciute fecero il loro ingresso in Sala Grande.
“Gli gnoccugini” li chiamavano, sebbene, in realtà, i due non fossero che lontanamente imparentati dato che la mamma di Cedric era cugina di primo grado del babbo di Roger. Poco importava, in realtà: quei due, insieme, erano sempre un gran bel vedere, e su questo era d’accordo la pressoché totalità della popolazione femminile della scuola, nonché la maggior parte di coloro che, per loro natura, avevano altri gusti.
Da una parte, quindi, Cedric Diggory, con la sua composta bellezza e il suo contegno da bravo ragazzo; alto, nerovestito con l’immancabile cravatta giallonera annodata in maniera impeccabile. Dall’altra Roger Davies, eccezionalmente attraente nei suoi abiti festivi, con i lunghi capelli ancora tinti di rosa lasciati sciolti sulle spalle; per fare lo spiritoso, il ragazzo si era poi messo sulla testa un cerchietto sormontato da un lungo corno a spirale scovato chissà dove.
 
- Cos’è, Roger? – lo provocò bonariamente Justin, venendo loro incontro. – Vuoi giocare a My Little Davies?
 
- Sarebbe? – domandò Cedric, incuriosito.
 
- La versione pietosa di My Little Pony. Un balocco babbano – rispose quello, come sempre informatissimo circa le attività ludiche del mondo non magico.
 
- Gli unicorni attirano le femmine – sorrise Roger, aggiustandosi il corno sulla fronte. – Kettleburn l’avrà ripetuto decine di volte: stolti voi che non ne approfittate.
 
- Fossi in lei, signor Davies – s’inserì una voce dall’accento marcatamente drammatico – io ci penserei due volte prima di prendere certe cose sottogamba. -
 
Gli occhi dei tre ragazzi si spostarono sulla figuretta sgargiante di Sibilla Cooman che, data la grande occasione, si era degnata di abbandonare momentaneamente le sue amate stanze sulla Torre di Divinazione.
 
- Buonasera, professoressa...
 
- Prendere sottomano oggetti cotanto prodigiosi attira la malasorte – continuò la donna, ignorando i saluti. – E da una discreta sfortuna ad una morte fulminante e dolorosa, ragazzi miei, il passo è assai breve.
 
- Oh, ma non mi dica – rispose Roger, con una strafottenza ai limiti del tollerabile. – Mi sa che mi toccherà correre il rischio, allora. -
 
E così detto, il Corvonero si eclissò.
La professoressa Cooman spalancò gli occhi, ingranditi a dismisura dalle spesse lenti dei suoi occhiali violetti.
 
- Piccoli incoscienti, miscredenti attirasfiga – sibilò, per poi accorgersi che Cedric e Justin non si erano mossi dalla loro postazione e la guardavano imbarazzati. – Oh, Diggory – disse allora al ragazzo che, un po’ incerto, le rivolse un sorriso di circostanza. – Ovviamente non mi riferivo a lei, mio caro. Il suo, di destino, sarà ben diverso... no no, non mi ringrazi, la prego: glielo rivelo più che volentieri, quanto riferitomi dall’Occhio... -
 
E al povero Cedric che, evidentemente, avrebbe preferito non sapere nulla, e che la fissava aggrottando nervosamente le sopracciglia, la Cooman riferì con estrema dovizia di particolari di come lui, al contrario di certa gentaglia malfidata, sarebbe vissuto fino alla veneranda età di novantanove anni dopo aver seminato nel mondo una nutritissima discendenza.
 
- Toccati le balle, amico – fu il secco commento di Justin una volta che la donna, avendo esaurito le sue roboanti predizioni, si fu allontanata fra la folla. Cedric non ebbe neanche la forza di fargli notare che la parola balle poco si addiceva al vocabolario di un Principino come lui.
 
*
 
Millicent si guardò intorno, fra l’infuriato e il mortificato.
In circostanze normali non avrebbe avuto problemi a mandarli al diavolo e, magari, a fare assaggiare loro anche una bella dose di palmo-di-mano. Quella sera, però, quei quattro bastardi l’avevano proprio presa alla sprovvista, facendo leva sulla sua atavica insicurezza. Perché lei ci aveva anche provato, a rendersi più presentabile: aveva indossato la sua veste migliore, quella verde smeraldo incantata con l’Incantesimo Affusolante (che non faceva miracoli, certo, ma qualcosina migliorava), e si era anche messa gli orecchini con l’inserto di giada regalatile dalla nonna.
“L’insieme non è poi malaccio” si era detta Millicent prima di salire alla Sala Grande. Il suo riflesso allo specchio lo confermava: “non bella, certo. Neppure carina. Ma meno cessa, decisamente sì”.
Sciocca che era, dopo il successo di Serpeverde alla prima partita qualcosa aveva cominciato a muoversi dentro di lei; era com se le sessioni terapeutiche in compagnia di Elliott Johansson avessero cominciato, a poco a poco, a fare effetto.
“Devi credere di più in te stessa” ripeteva spesso il Corvonero con voce monocorde. “E ricorda. I Saggi dicono: mens sana in corpore sano”.
Lei corrugava la fronte dinnanzi l’aspetto vagamente dimesso di quel ragazzo troppo pallido e magro, che di sano ostentava ben poco, almeno dal punto di vista fisico.
“Oh beh. Intesi, Capo”.
“Non-chiamarmi-così” sospirava lui.
Però insomma, parte di quel messaggio bislacco, oltretutto espresso in una lingua morta, aveva cominciato a filtrare nelle sue cervici. Elettrizzata dalla vittoria, Milly aveva cominciato a sentirsi un filino più sicura di sé anche in argomenti che esulavano da fatture e scapaccioni.
Se non che...
- Inguardabile.
Il verdetto impietoso, che Miles Bletchley le stava letteralmente sputando addosso fra le risa sprezzanti dei suoi compari ebbe, per una volta, il potere di ferirla davvero. Forse perché di solito, lei, a certe cazzate non ci badava nemmeno mentre invece, quella volta, aveva fatto l’errore di tenerci un minimo.
 
- Cosa accidenti stavi pensando di fare, Bulstrode? – le domandò Adrian Pucey, caustico, mentre Timothy Vaisey scuoteva la testa per schernirla – Vuoi far vomitare il cenone a tutta la Sala? -
 
Millicent strinse i pugni, desolata. Gli avrebbe volentieri piantato un bel cartone sul naso, a tutti e quattro. Volevano solo fargliela pagare, lo sapeva: per aver sottratto loro il posto in squadra e per essersi azzardata a festeggiare, alla facciaccia loro, l’esito propizio della prima partita. Eppure, quella sera, Millicent non si sentiva in vena di reagire. L’aver fatto un tentativo di migliorarsi, invece di renderla più sicura di sé, l’aveva resa più vulnerabile.
 
- Orrenda – la freddò Clide Warrington, crudele. – Mi fai quasi venire voglia di saltare dall’altra sponda, non so se mi spiego – sibilò l’ex Battitore, mentre i suoi amici si piegavano in due dalle risate e Millicent, sentendosi sciocca e impotente, schiumava di rabbia.
 
- Davvero? Fortuna nostra, allora! -
 
Una voce gioviale si impose sullo sghignazzare malevolo dei quattro giovinotti, che subito tacquero, presi alla sprovvista. Una gran bella ragazza, molto appariscente, inguainata in una veste di lamè giallo sole con spacco abissale e scritta Che ti guardi? ricamata in paillettes sul fondoschiena, si era avvicinata di soppiatto e guardava il quintetto di Serpeverde con un sorrisetto serafico che le increspava appena le labbra.
Warrington la squadrò con un misto di astio e apprezzamento.
 
- Fatti i fatti tuoi, O’Flaherty.
 
- Oh – gli rispose Maxine, canzonatoria. – Ma sono affari miei, Warrington. In quanto rappresentante del genere femminile, ohibò, ho tutto il diritto di gioire.
 
- Sì – ribatté lui, scrutandola in modo viscido. – Di un genere femminile che fa ben poco testo, direi, visti e considerati i tuoi costumi particolarmente sciolti. -
 
Millicent osservava la scena senza riuscire a dire nulla, incredula e indecisa sul da farsi. Quella ragazza non era sua amica (beh, come se ne avesse poi molte, di amiche); anzi, per quel che ricordava, non si erano mai rivolte la parola. Eppure, non aveva esitato ad intromettersi nella discussione e, apparentemente, a prendere le sue difese. Una cose del genere Pansy, che lei aveva reputato sua intima per tanto tempo, non l’avrebbe mai fatta.
La Serpeverde, incerta, seguiva lo scambio di battute che si susseguivano taglienti. Warrington le aveva appena dato della poco di buono, ma Maxine non sembrava essersela presa per niente.
 
- Ma è proprio la voce dell’esperienza, tesoro bello – cantilenò con voce soave la ragazza – a farmelo affermare: che gran fortuna, per noi femmine, il fatto che tu voglia ritirarti dal mercato. Così, almeno – continuò, mentre gli altri ragazzi la fissavano a bocca aperta – nessuna di noi avrà la sventura di incappare, neppure per sbaglio, nella patetica nocina di burro che ti ritrovi fra le gambe! -
 
Clide Warrington si inalberò all’istante. La messa in dubbio della sua oltremodo decantata virilità, tantopiù in presenza dei suoi amichetti, l’aveva evidentemente mandato fuori di testa.
 
- Ma come ti permetti –urlò, sfoderando la bacchetta – razza di zocc...
 
- Impedimenta! -
 
Il brutale Incantesimo di Ostacolo scagliatogli contro da Millicent lo sbalzò all’indietro, facendolo ruzzolare sui suoi amici in un inverecondo strike di bulletti strabiliati.
 
- Qualcuno ha qualcos’altro da aggiungere? – ringhiò la Serpeverde, fulminandoli tutti e quattro con lo sguardo. Silenzio assoluto, ovviamente, eccezion fatta per il cinguettio della Tassorosso che, in piedi accanto a lei, scosse la testa con grazia e alzò la mano come durante un intervento in classe.
 
- Sì: io – Maxine le strizzò l’occhio, deliziata, come se nulla fosse accaduto. – Ti ringrazio, tesoro. -
 
Millicent ricambiò lo sguardo storcendo la bocca, perplessa.
 
- Beh, in realtà – borbottò infine – sono io che dovrei ringraziare te, no?
 
- Facciamo che siamo pari, allora – propose Maxine, avviandosi verso la Sala Grande con il suo incedere flessuoso. Millicent rimase ferma a guardarla, chiedendosi come ci si doveva sentire ad essere così... piacenti, e poco dopo si accorse che, dopo aver dato un paio di passi, la ragazza si era nuovamente voltata verso di lei.
 
– E comunque –  Maxine le rivolse un sorriso che la Serpeverde avrebbe ricordato a lungo - io ti consiglierei di non dar retta a quei cretini. Secondo me stai benissimo in verde, davvero. -
 
Un paio di minuti dopo, una volta dissipato lo stupore, Millicent fece il suo ingresso trionfale in Sala Grande, sentendosi più potente della Regina Grimilde.
 
*
 
Mica era uno che si lasciava intimidire, Jimmy Peakes, tutt’altro. Dall’avventatezza a portata di mano, il mago aveva sempre ceduto all’istinto di fare, prima ancora di pianificare e questo si riversava in tutto ciò che faceva: durante gli allenamenti spesso il suo agire spontaneo senza ragionare sui meticolosi schemi d’azione forniti dal Capitano, dava esito positivo (anche se Oliver non mancava di inalberarsi con lui, arrivando a scongiurarlo di rispettare, almeno in qualche occasione, le indicazioni da lui fornite); oppure durante gli ostici compiti scritti di Pozioni, durante i quali quando si scocciava di ragionare chiudeva gli occhi e lasciandosi guidare dall’istinto, piazzava una crocetta a caso: due su tre ci prendeva sempre, guadagnandosi i sibili d’odio e rancore del professor Piton.
In parole povere Jimmy faceva ciò che la pancia, più che la testa, gli diceva di fare. Questo era un modus operandi che si protraeva anche alle relazioni sociali.
Ritchie, che lo conosceva meglio di chiunque altro ad Hogwarts, aveva quindi capito che qualcosa bollisse nel calderone e che il suo amico si trovasse in quel delicato momento che divideva il pensare dall’agire. Erano arrivati da poco nella Sala Grande e si erano già abbondantemente abbuffati con tutti i manicaretti preparati dagli elfi domestici per l’occasione, poi si erano spostati al tavolo delle bevande. Era proprio davanti ad esso, mentre tratteneva un bicchiere di burrobirra in mano, che Jimmy aveva cominciato a far ballare la gamba destra.
 
- Cos’è che freme in quel tuo ventre piatto? – Aveva buttato lì Ritchie. Jimmy ingollava gran sorsate e poi, di punto in bianco, scattò la testa in una determinata e precisa direzione:
 
- Guarda un po’ lì. Io, la Roper, la trovo proprio graziosa sai? -
 
Gli occhi caldi di Ritchie seguirono la direzione indicata da Jimmy e infine si soffermarono sul vicecapitano serpeverde, stranamente ben vestita ed effettivamente alquanto carina, non fosse che dava l’idea di star gridando parole grosse contro un paio di tipi della sua stessa casa. Ritchie faticò quindi a trovare appropriato il termine graziosa, per indicare la strega, ma del resto i gusti erano gusti.
 
- Hai puntato un cavallo indomito amico… - commentò Ritchie, nel tentativo di mascherare la preoccupazione che nutriva nei suoi confronti. Jimmy era, per l’appunto, una testa calda e spesso aveva bisogno di qualcuno che ridimensionasse la sua… e niente, neanche il tempo di riflettere sul da farsi, che l’altro era partito con passo spavaldo nella direzione della biondina serpeverde, mandando in fumo tutti i buoni propositi di Ritchie; sconfitto dall’audacia dell’altro, si limitò ad uscirsene con un gran sospiro e a seguirlo con lo sguardo, pronto ad intervenire nel qual caso la Roper avesse deciso di mangiargli la faccia (cosa di cui, Ritchie sospettava, la strega sarebbe stata assolutamente capace).
 
*
Chiuso nel suo elegante completo kashà e immerso in una nuvola di pungente dopobarba che urlava di maschio, Marcus troneggiava al centro di una delle tavolate adibite per la cena di Halloween. Per quell’occasione i professori avevano pensato bene di non fare distinzione tra case, motivo per il quale gli studenti erano mischiati in un’accozzaglia variopinta, decisamente inappropriata. Marcus si era ben visto, ovviamente, dal condividere il tavolo con maghi o streghe che non facessero parte della casa del grande Salazar, così aveva fatto in modo che buona parte dei serpeverde si fossero riuniti intorno a lui.
Mentre sezionava con cura una grossa e succulenta tagliata, il Capitano si beava delle attenzioni dei suoi compagni; le ragazze lo guardavano con cupidigia (o almeno questo era ciò che voleva vedere lui) e i ragazzi pendevano dalle sue labbra, imbambolati dal potere che il suo ruolo prevedeva. Nonostante il suo piano quasi perfetto, che era andato a coinvolgere Daphne Greengrass in quel momento semi isolata in un angoletto, fosse andato drammaticamente in fumo, Marcus era riuscito comunque ad ottenere il suo scopo: grazie a quella testa calda della Robins aveva umiliato Baston e ciò lo avrebbe fatto gongolare per molto tempo ancora.
Un tacchettio educato. Poi un dolce aroma primaverile arrivò a pizzicargli il naso. Marcus alzò la testa dal piatto, chiedendosi da quale procace donzella provenisse il profumo paradisiaco; quasi si strozzò, il Capitano, alla vista di Astoria Greengrass: ella aveva i capelli tirati in un elegante chignon di pece lucente ed il suo corpo discreto era risaltato da un lungo abito color vinaccia, che andava giusto a stringersi nei punti giusti. La bocca, generosa, si esponeva in una risata musicale in risposta al commento poco appropriato di uno dei suoi compagni.
Astoria non lo guardò, neanche un istante. Non gli dedicò occhiate infuocate, come aveva fatto dal giorno della partita, né lo appellò mai.
Marcus era come non esistesse per quella strega che, quella sera, risplendeva di vita e faceva inevitabilmente seccare le papille gustative. La seguì con gli occhi nel prendere posto fra Montague e la Bulstrode ( “ ammazza che gnocca, fosse Halloween tutti i giorni!” commentò Millicent tra un cosciotto di pollo e l’altro) e ancora mirò le labbra, che lente ingoiarono discrete sorsate di vino rosso, offerto per l’occasione in quantità misurate. Quel gesto apparentemente tanto innocuo aveva attirato l’attenzione di molti: persino quel pupo di Malfoy aveva rischiato l’iperventilazione davanti a quella scena e lo stesso Marcus lo aveva sentito farfugliare che le sue notti non sarebbero state più le stesse, dopo quella visione lì.
Marcus boccheggiò, come mai aveva fatto prima alla vista della compagna di squadra.
Pensò poi, mentre s’aiutava a riprendere la salivazione con un fresco boccale di birra, che se si fosse mosso nella maniera giusta, forse quella sera sarebbe riuscito a portare a casa un altro bel trofeo. Astoria era la testa dell’Idra a capo delle galline che formavano la sua squadra; piegata lei, le altre sarebbero diventate docili come agnellini. Del resto il suo saggio nonno glielo diceva sempre: “ Le streghe politicanti non esistono, sono solo femmine che vogliono essere domate.”
E Marcus avrebbe domato la primogenita dell’importante famiglia Greengrass, ne era certo.
 
*
 
Una volta che Jimmy lo ebbe lasciato solo, Ritchie rimase in piedi a guardarsi attorno senza sapere bene se andarsi ad unire ai suoi amici (laggiù in fondo alla Sala i gemelli Weasley, Lee Jordan ed altre persone – quasi sicuramente Angelina e qualcun altro che lui non riusciva a vedere - schiamazzavano allegramente) o cercare le sue sorelle (ad un tavolo gremito di Corvonero, Liz stava chiacchierando animatamente con la piccola Lottie che, per l’occasione, aveva disertato le fila dei Grifondoro) dato che negli ultimi tempi, fra allenamenti e lezioni, non aveva quasi avuto modo di trascorrere un po’ di tempo con loro.
Fu quindi inevitabile che, appariscente com’era quella sera (come se già non lo fosse di per sé, Merlino savio), Ritchie finisse per vederlo. Roger, rosachiomato e unicornodotato, rideva spensierato all’estremità della tavolata, come sempre circondato da una nutrita schiera di fanciulle compiacenti e più che pronte ad affatturarsi a vicenda pur di accaparrarsi un misero briciolo della sua attenzione.
“Girati, idiota” si disse Ritchie, senza però riuscire a dare pienamente ascolto alla sua saggia vocina interiore. Cosicché, come per punizione, un’occhiata di troppo gli rivelò alfine la presenza, proprio al fianco del bel Capitano Corvonero, di un paio di vivaci occhi verdi incastonati in un visetto che lui conosceva fin troppo bene, e che gli sarebbe tanto piaciuto vedere altrove (o, magari, non vedere affatto). Il ragazzo imprecò in silenzio, tanto più che la situazione, già spiacevole di per sé, peggiorò ulteriormente quando s’accorse che anche lei, ormai, lo aveva addocchiato e aveva preso a fissarlo con insistenza.
“Priscilla vacca” mugugnò Ritchie, fra sé e sé. La sua mano corse istintivamente alla tasca dei pantaloni in cerca di una sigaretta pur sapendo che, laddove si trovava, non avrebbe potuto accenderla. “Ma che mer...”
Non ebbe però il tempo di portare a termine la sfilza di impropreri che gli si accavallavano nella mente (“Lei. Proprio con lui. Salazar meschino. ...”), che un urlaccio ammonitore gli rimbombò addosso:
 
- ULURU! Venite subito qua, branco di bestiacce insubordinate!...
Ritchie riuscì a malapena a tirarsi indietro, evitando per puro miracolo di essere investito da una frenetica sequenza di animaletti assortiti, lanciati in piena fuga e fermamente intenzionati ad invadere la Sala Grande per godersi la loro fetta di festa. Apriva le danze il fiero Grattastinchi, baffi ritti e coda in resta, seguito a breve distanza da Oscar e Bruce, i rospi smeraldini di Neville Paciock e di Jimmy; alle spalle del terzetto rotolava Arnold la Puffola Pigmea e per ultimo, a chiudere la fila, l’ornitorinco Uluru trotterellava rapidissimo sulle sue corte zampette palmate.
 
- Fermati subito! -
 
Alicia Spinnet, spettinata da far spavento, arrancava fra la folla in un vergognoso florilegio di interiezioni australiane, apparentemente incapace di riacchiappare la sua bestiola fuggiasca; a quella vista Ritchie, istintivamente, si chinò e riuscì ad agguantare Uluru prima che questi riuscisse a sgusciargli fra le gambe. Contrariamente a quanto avrebbe fatto in altre circostanze, però, l’ornitornico non tentò di divincolarsi né lo beccò. Si limitò, invece, a strizzargli l’occhio con una sorta di bonaria rassegnazione mentre Alicia, zoppicando malamente su quei ridicoli tacchi che non era abituata a portare, li raggiungeva sbuffante.
 
- Yay, mate – la ragazza si impossessò dell’animaletto e salutò Ritchie battendogli il cinque. – Complimenti per i riflessi, Coote.
 
- Parli con un Battitore titolare, modestia a parte – sorrise lui simulando un’alterigia talmente caricata (la spocchia, del resto, non era mai stata da lui) da farla scoppiare a ridere di gusto. – Non mi sfugge niente, a me.
 
- Ottimo – commentò Alicia con un sorriso amichevole – Oltretutto, se Oliver decide di fare la pelle a Demelza, sappiamo già chi assoldare come Cercatore... -
 
Ritchie ridacchiò di rimando: l’allegria sincera della compagna, condita dai suoi modi spontanei e affettuosi (forse non elegantissimi, certo, ma decisamente empatici), era davvero contagiosa. E lui stava giusto cogitando di unirsi alla sua risata fragorosa, quando l’occhio gli cadde sullo stesso visetto che poco prima aveva adombrato i suoi pensieri. La graziosa Corvonero stava stringendo il gomito di Roger e cercava di farlo girare nella sua direzione.
Lo sguardo di Ritchie si rabbuiò all’istante. Alicia, però, che come tutti era al corrente degli infelici trascorsi sentimentali del prode Coote, se ne accorse subito; e così, per tirarlo su di morale, la ragazza si mise a sghignazzare con la consueta schiettezza:
 
- Ma per tutti i didjeridoo di Banadja... che vergogna di genere!... -
 
Ritchie la guardò senza capire.
 
- Certe squinzie son più grullette di un quokka...
 
- E che cosa diavolo sarebbe un quokka?
 
- Una bestia sciocchina che vive dalle mie parti – rispose lei, con le lacrime agli occhi. – Eddài Coote, lasciala perdere... una così non se lo merita, uno come te!... -
 
E a Ritchie, che la guardava tossicchiando un po’ imbarazzato per il complimento implicito nelle sue parole, Alicia rivelò con aria furba:
 
- Ed ora su con la vita: time to go, maaan. Lee ha ricevuto giusto oggi un pacco dalla Giamaica. Dalla grannee. Devo aggiungere altro?! -
 
“Oh beh” si disse Ritchie, stringendosi nelle spalle. “Se la bisnonna manda provviste da Kingston, chi sono io per dire di no?”
 
*
 
“Chi non impara dai suoi errori...”
Neil, seduto nel suo angoletto a bordo sala, osservò Alicia e Ritchie che si allontanavano in cerca dei loro amici. Non che la cosa gli dispiacesse, beninteso: il tempo e il silenzio, del resto, avevano dimostrato che lui e la sua ex-ragazza erano destinati a rimanere buoni amici e nulla più. E okay, andava bene così. Eppure forse, pensò Neil posando le labbra sul bordo della tazza, le cose avrebbero potuto essere gestite in modo diverso. Chissà.
“Proposito per il nuovo anno scolastico: piantarla di pensare solo alle tisane e concentrarmi di più sulla real life.” Il ragazzo si strinse nelle spalle, per poi dare un lungo sorso che contrariò immediatamente i suoi propositi. “Sì, e come no. Bello schifo, ‘sta real life”.
Neil si guardò intorno, insofferente. Quella sera Floffy gli aveva servito un infuso particolarmente gradevole; purtroppo, però, non così eccezionale da contrastare adeguatamente il fastidio arrecatogli dal fatto di trovarsi circondato da tutta quella genticola festate. Neil detestava Halloween. Come tutte le Feste, del resto.
 
- Ah, eccoti qui. -
 
Una voce bassa e discreta lo indusse a girare il capo quel tanto che bastava per mettere a fuoco Stephen Cornfoot.
 
- Per poco non passavo oltre. Cos’hai fatto al cappotto?
 
- Incantesimo di Disillusione Tessile – borbottò Neil, laconico. – Meno mi vedono, meno rompono.
 
- Ottima idea – commentò l’altro, per poi sedersi al suo fianco e rinchiudersi nel silenzio più assoluto.
 
La loro ‘tradizione’ andava avanti da anni, e cioè da quando, per puro caso, Neil e Stephen avevano scoperto di essere entrambi degli odiatori accaniti di qualsivoglia evento mondano. E così, accomunati dall’insofferenza e bramosi di starsene in santa pace, i due ragazzi si erano coalizzati in modo da evitare un surplus di indesiderate molestie.
“Se stai solo” aveva osservato Stephen “ci sono più chances che, mosso dal suo buon cuore, qualche benintenzionato si faccia avanti per tirarti dentro”.
“Come se qualcuno glielo avesse chiesto” aveva puntualizzato Neil, polemico.
“Esatto” convenne Stephen. “Ma tant’è”.
A partire da allora i due, che non erano propriamente amici e che normalmente, durante l’anno scolastico, non si frequentavano, avevano cominciato a presenziare assieme alle feste. Beh, “presenziare assieme”, forse, era una parola grossa. Più che altro, aspettavano in silenzio il termine degli eventi, ma lo facevano assieme, per evitare di essere importunati da altri. E la strategia, meraviglia delle meraviglie, funzionava davvero.
 
- Quanto manca alla fine? – chiese Neil, rassegnato.
- Due-tre orette e dovremmo essere salvi – sospirò Stephen, azionando mentalmente il conto alla rovescia.
 
*
 
- Stasera mi pare ancor più carino del solito. -
 
Marietta Edgecombe incassò la gomitatina tutt’altro che delicata somministratale da Cho e, leggermente irritata, seguì con lo sguardo la figura di Cedric Diggory, che passava a poca distanza da loro.
 
- Mi sembra un po’ turbato...
 
- Aw – cinguettò Cho con una vigorosa scrollata della vistosa capigliatura biondo platino. – Cosa non darei per sapere cosa si cela dietro a quel bel paio di iridi grigie... -
 
- Perché non vai là e glielo chiedi? – s’intromise Roger, sopraggiunto di soppiatto alle spalle delle due. – Magari te lo dice.
 
- E perché tu non ti fai gli affaracci tuoi? – controbatté Cho con voce soave.
 
- È assolutamente quello che ho intenzione di fare, chica – replicò lui, con un candido sorriso. – Con permesso, fanciulle. -
 
E così detto il ragazzo si allontanò in fretta fra la folla per ricevere con tutti gli onori Gemma Farley che, proprio in quel momento, aveva varcato la soglia del Salone.
 
*
 
Sforzandosi di sorridere senza incrinare lo spesso strato di cipria che si era spalmata sul viso nel tentativo di nascondere le occhiaie nerastre, Heidi si introdusse a passo incerto in Sala Grande. Le esclamazioni, il chiasso e la musica le rimbombavano nel cervello, amplificando a dismisura la sensazione di stordimento generata da una sfilza incontabile di notti pressoché insonni, parzialmente trascorse a bordo calderone con sottofondo musicale a base di U2 che, a detta di Justin, faceva sempre tanto Irish.
“Forza e coraggio”.
Heidi strinse la mano intorno al piccolo thermos di vetro trasparente, avvertendo sotto le dita il movimento ondoso e il tepore emanato dal suo contenuto rosa confetto. Nel frattempo, con lo sguardo un po’ annebbiato, si mise a cercare fra la folla l’inconfondibile figura alta e ben piantata di Barry Summers.
Dopo aver trascorso intere giornate ad arrovellarsi senza requie, Heidi era giunta alla conclusione che, se non si fosse data una svegliata, il suo (e magari!) bel Portiere non si sarebbe mai accorto di lei. Non in quel senso, almeno. Barry era un tipo troppo ben disposto e di buon cuore per captare certi segnali: la sua solare (e talvolta un po’ timida) gentilezza faceva sì che gli piacessero tutti, indiscriminatamente. Bisognava colpirlo, insomma; proprio come quel Bolide che aveva quasi colpito lei.
Il problema era come.
Di doti speciali in fatto di fascino e carisma, Heidi sapeva di non possederne. Certo: di solito le persone apprezzavano la sua compagnia e la sua capacità di dire sempre la cosa giusta al momento giusto; purtroppo però, ultimamente, tutto il suo comprovato buon senso sembrava essersene allegramente salpato alla volta di remoti lidi. Soprattutto quando lui era presente, zioboia.
Cosicché, disorientata e inquieta, Heidi si era tormentata ad oltranza.
Alla fine, dopo aver consultato una mezza dozzina di libroni, si era rimboccata le maniche, aveva estratto dal barattolino che portava sempre con sé (per ogni evenienza!) un paio di fiammelle portatili e aveva acceso il fuoco sotto al suo amato recipiente di rame lucido per dare inizio alla preparazione di un qualcosa che, sì, lo avrebbe stupito, ma senza scadere in riprovevoli sotterfugi. Per fargli omaggio e parlargli della sua terra, gli avrebbe preparato il più incredibile infuso di Erica di Scozia, arricchito da una manciata di ingredienti segreti di sua conoscenza, che lui (grande appassionato di Erbologia) avesse mai assaporato in vita sua.
L’unico, piccolo problema era che...
“Oh, merda”.
Heidi si fermò di colpo, osservando con gli occhi sbarrati Severus Piton che si faceva largo fra gli studenti e avanzava nella sua direzione. La ragazza cominciò a sudare freddo.
“Oh, merda!
Se ne sarebbe accorto. Ne era certa. Oddio. Ma perché diavolo non aveva preso il thermos di ceramica, invece di quello di vetro?!
“Perché il colore dell’infuso è bellissimo e, si sa, anche l’occhio vuole la sua parte. Ebbrava Heidi, duemila punti a Tassorosso”.
Ebbrava un cacchio, in realtà: perché proprio da quel dettaglio, ahilei, il professore l’avrebbe smascherata al primo sguardo. Avrebbe subito riconosciuto il colore inconfondibile del preparato e avrebbe capito che la sua studentessa modello, quella sempre diligente e irreprensibile, aveva osato trafugare un vasetto di rarissima Erica Mackaiana dalla sua dispensa personale. E a quel punto... addio bei voti in Pozioni, addio riconoscimenti, addio raccomandazioni alla Cambridge Magical University, addio tutto. Sarebbe stato uno scandalo impossibile da sopportare, per una nerd come lei.
“Oh, cielo. Ma dove caspita avevo la testa, quando ho avuto l’idea...”
La testa, chiamata in causa, le rispose subito, sintonizzandosi sull’immagine di Barry che si sfilava la maglia sudata a fine allenamento. Heidi si premette la mano sulla bocca e trattenne a stento un urletto, constatando che il suo status di donna di scienza era miseramente destinato a soccombere al potere incalcolabile del fascino maschile. Per Morgana!
Piton, intanto, procedeva.
Nel vederlo così inesorabilmente vicino, la ragazza entrò in panico e girò di scatto su se stessa. In quella il thermos di vetro liscio, reso ulteriormente scivoloso dal sudore che le imperlava il palmo, le sfuggì di mano e decollò ad astra.
 
*
Quello che avrebbe voluto dire Jimmy a Ritchie, quando i suoi occhi erano finiti su Sophie Roper, era tutt’altro. Altro che graziosa: la vicecapitano della squadra verdeargento era una vera e propria bomba, un concentrato di figaggine che aveva imbambolato il grifondoro. Inizialmente Jimmy era convinto di essere ancora sotto l’effetto di quel profumo paradisiaco che Sophie si trascinava dietro, ma col passare dei giorni si era reso conto non fosse così, o almeno non fosse solo quello il motivo. Jimmy l’aveva vista in azione e, dannato Salazar, sul campo da Quidditch Sophie Roper dava il meglio di sé tirando fuori una grinta ineguagliabile; e poi quella divisa risaltava ogni sua qualità fisica e questo non era di certo un dettaglio trascurabile.
 
- Questa me la voglio giocare bene, porca Morgana. – Borbottò Jimmy sovrappensiero mentre, spedito, s’avvicinava sempre più alla Roper che, al contempo, aveva spostato l’attenzione su di lui.
 
- Signor Peakes, le sembra questo il linguaggio da adottare? Morgana è stata una strega di eccezionale potenza e definirla come lei ha pensato bene di fare, scredita la genia di streghe che l’hanno susseguita. -
 
Tutta la spavalderia di Jimmy morì assieme alla gelida voce della McGranitt, apparsa al suo fianco.
 
- Ma no… pr-professoressa era solo un modo di dire; mica penserà che consideri davvero Morgana una porc… -
 
- Non un’altra parola signor Peakes! Cos’ è, ha per caso deciso di meritarsi una punizione ad aeternum, quest’oggi? -
 
Di palo in frasca. Perché mai aveva avuto la sfiga di ritrovarsi la McGranitt alle calcagna? Povero lui. Susseguì una lunga disquisizione da parte della professoressa sulle sensazionali scoperte avanguardistiche e le molte rivoluzioni magiche apportate dal genere femminile. E più la professoressa parlava, più Jimmy sentiva la sua carica deperire, ma mai avrebbe osato interromperla, se lo scotto da pagare sarebbe stato passare le serate del resto della sua vita a pulire i gabinetti al posto di Gazza.
 
*
 
“La sfiga non esiste. La sfiga non esiste. Lasfiganonesiste!”.
Piuttosto scosso, Cedric continuava a ripeterselo manco fosse un mantra. Niente da fare, però: proprio non ce la faceva, a stare tranquillo. Da che mondo era mondo, Sibilla Cooman andava blaterando sventure senza capo né coda e appioppava previsioni di morte praticamente a chiunque. E se, da una parte, i suoi bizzarri soliloqui erano assolutemante trascurabili, dall’altra, un’inedita predizione positiva da parte sua aveva dell’inquietante.
C’era proprio da preoccuparsi, insomma.
“La sfiga non esiste... oh” gli occhi del ragazzo, dopo aver vagato freneticamente sulla Sala Grande per una buona mezz’ora, si arrestarono improvvisamente. Cedric rimase immobile per un momento, meditabondo.
Seduta al suo stesso tavolo, poco lontano da lui, Mandy Brocklehurst aveva tirato fuori il suo fornitissimo arsenale di amuleti e portafortuna e, tutta entusiasta, si era messa ad esibire i pezzi ad un gruppetto di ragazze Grifondoro che la guardavano scettiche.
Cedric strinse le labbra. Lui, a certe cose, non ci aveva mai creduto. Eppure, in quelle precise circostanze...
“... un aiutino non sarebbe affatto sgradito” si disse il ragazzo, indugiando con lo sguardo sui lunghi capelli ramati della Corvonero. “Di certo, male non farà”.
Quindi, senza pensarci troppo, il Tassorosso si alzò in piedi e si avvicinò al crocchio. Ciò che gli toccò udire, però, non gli piacque affatto.
- Oltre che perfettamente inutile ed orrenda – stava dicendo una certa Romilda Vane, che lui conosceva assai bene essendosi trovato oggetto delle sue insistenti (e non corrisposte) attenzioni durante l’anno scolastico precedente – questa collana è veramente una pacchianata, Yvette.
Sentendosi apostrofare con uno dei tanti (e assai poco apprezzati) nomi affibbiatile dai suoi genitori (avevano proprio voluto prendersi gioco del Magiufficiale dell’Anagrafe, non c’era altra spiegazione, o non l’avrebbero registrata come Mildred Agatha Norma Duncan Yvette), Mandy arrossì e abbassò lo sguardo. Pareva così mortificata che, nel vederla così a disagio, Cedric si dispiacque per lei; al tempo stesso, però, provò anche l’impulso di girare sui tacchi e tornarsene sui suoi passi. Era sempre così, purtroppo: accadeva fin troppo spesso, infatti, che la riservatezza e la timidezza avessero la meglio sul suo innato senso di giustizia. Quindi, la maggior parte delle volte, Cedric s’indignava ma non diceva nulla: preferiva non immischiarsi nei diverbi altrui.
Eppure, quella sera, qualcosa di inatteso scattò dentro di lui, forse perché anche lui si sentiva particolarmente vulnerabile e, in fondo, avvertiva un disperato bisogno di illudersi di avere ancora la fortuna dalla sua parte. Sta di fatto che, messi da parte discrezione e buon senso, il ragazzo procedette fino a raggiungere il gruppetto e si schiarì la voce:
 
- Buonasera. Ehm – esordì. - Posso vedere quegli amuleti, per favore? -
 
Le Grifondoro lo guardarono a bocca aperta, istantaneamente ammutolite. Cedric Diggoy era un ragazzo maledettamente popolare, per Godric. Che cosa diavolo ci faceva, lì? Mandy sollevò gli occhi su di lui e, quando lo riconobbe, gli rivolse un sorriso inizialmente incredulo che, poco dopo, assunse una sfumatura di sincera gratitudine.
 
- Se... se ti interessa vederli – gli propose timidamente - ne ho anche degli altri. -
 
Cedric annuì e, un po’ impacciato, si accomodò al suo fianco.
 
- Ma certo – le disse, divertito dall’espressione scioccata che si era dipinta sui visi imbellettati di quelle ochette. E dire che lui non era neanche lontanamente un soggetto malevolo; eppure, non poté proprio esimersi dal rincarare la dose. – Ci tengo moltissimo, anzi. -
 
– Fammi tirare fuori tutto il campionario, allora – si affrettò a rispondere lei, con un sorriso soddisfatto.
Cedric la guardò, mettendola lentamente a fuoco.
Gli occhi verdi le brillavano per l’entusiasmo: un entusiasmo dal quale, ne fu sicuro in un istante, trapelavano sensibilità, profondità, intelligenza. Vista così, Mandy Brocklehurst gli parve tutt’altro che svampita. E, a volerla dire tutta, la trovò anche molto carina, con quelle sue guance rosate leggermente imporporate e punteggiate di graziose lentiggini.
“Ohibò” meditò il ragazzo, stranito. “Possibile che neanche Roger-Occhio-di-Falco se ne sia mai accorto?!”
 
*
 
Finalmente quei mentecatti ragazzini del secondo anno se l’erano data a gambe. Avevano provato a fare gli spacconi e qualcosa nella loro testa mangiata dai tarli li aveva spinti a fare apprezzamenti decisamente fuori luogo, sulle prestazioni in campo di Sophie. Erano però bastate quattro o cinque cannonate verbali da parte della strega, per farli vergognare di essere al mondo e, mesti mesti, se l’erano data a gambe.
 
- Bravi, scappate! – Stridulò Sophie, continuando poi fra sé e sé: -Puzzate ancora di latte… cretini. -
 
Mentre ancora borbottava risentita, con la coda dell’occhio colse Jimmy Peakes di Grifondoro che, rapido, gonfio come un pavone e con un sorriso smagliante, sembrava marciare proprio nella sua direzione.
“ Beh, gran tocco di ragazzo comunque, questo Peakes. “ , valutò Sophie Roper, mentre sistemava sovrappensiero i capelli che, con la sfuriata, si erano scompigliati un po’. Ma nel momento in cui Jimmy impattò contro la McGranitt, Sophie assottigliò lo sguardo per capire cosa stesse succedendo; passato un tempo fin troppo lungo per la sua poca pazienza (bel biondo si, ma anche chissenefrega), la strega decise infine che era giunta l’ora di raggiungere il gruppo di amici che aveva abbandonato per far sotterrare i piccoli sfortunati serpeverde che avevano incontrato il suo cammino. Non che fosse un animale da festa la Roper; al contrario era solitamente abbastanza solitaria ma porco Merlino, quella era pur sempre una festa e divertirsi un po’ non le avrebbe fatto male.
 
- Ehi, ciao Roper! -
 
Piroettando in direzione della voce di Jimmy, la bionda fisso il ragazzo che, con le mani in tasca, sorrideva serafico.
 
- Problemi con la McGranitt, Peakes? – Si, era proprio un discreto gnocco, Jimmy Peakes.
 
- Niente di cui preoccuparsi… ho avuto la sfiga di trovarmela vicino mentre… - Jimmy si guardò intorno per accertarsi che la professoressa si fosse allontanata e per maggiore precauzione comunque si accostò a Sophie, bisbigliando: - … imprecavo contro Morgana. Non la finiva più di parlare e ammonirmi, un incubo! -
 
Risentita, Sophie si tirò indietro ed arricciò il naso con sdegno: - Beh, ha avuto più che ragione a riprenderti! Voi maschi, con i vostri modi di dire da trogloditi… -
 
Ma perché non era stato zitto? Prima che anche la Roper si risentisse al punto di inchiodarlo con un sermone che non aveva motivo di esistere (è solo un modo di dire, andiamo! ), Jimmy si affrettò a cambiare argomento e, fortuna sua, sembrò esserci riuscito. Una volta appellato un bicchiere di burrobirra per sé ed uno per la strega, Jimmy mosse qualche passo nella Sala Grande, con la volontà di trovare un posticino meno caotico in cui attaccare bottone per bene. Sophie, ancora un po’ risentita ma ugualmente mossa dalla stessa volontà di divertirsi un po’, lo seguì un po’ rigida.
 
- E quindi ti piace proprio tanto l’arte del pozionista, eh? Ho notato che spesso rimani in laboratorio anche dopo la fine della lezione. -
 
Cosa aveva detto di male, Jimmy, non lo sapeva. Fatto sta che a seguito di quell’affermazione Sophie inchiodò di botto il suo incedere e, puntato un dito sul torace del ragazzo, cominciò a punzecchiarlo:
 
- Cosa sei, una sorta di maniaco per caso?! -
 
- M-maniaco? Io? Ma cosa… perché?! -
 
Nonostante fosse particolarmente piccina, Jimmy si ritrovò comunque a sussultare quando sentì una sorta di ringhio uscire dalla bocca di Sophie:
 
- Non frequentiamo le stesse lezioni io e te, come puoi sapere una cosa del genere, eh? Che fai, mi hai spiata per caso, porco pervertito?! -
 
- Ma no, volevo solo… è che mi interessa quello che fai e… -
 
- Prima le tue osservazioni spicciole su quella gran signora di Morgana, ora questo! Vedi bene di starmi alla larga Peakes e non provare mai più a spiarmi, o giuro sul grandioso Salazar, che piangerai tutte le tue lacrime! -
 
- Ma io… aspetta Roper! Guarda che è stato solo un malinteso, te lo giuro! -
 
Mentre la minuta strega marciava via, Jimmy rimase a guardarla sconsolato. Forse avrebbe dovuto imparare a non agire d’istinto, altrimenti avrebbe rischiato di rimanere single a vita.
 
*
“Oh, ma per tutte le Pluffe” sospirò Gemma, mimetizzandosi fra la folla. “Che situazione molesta, Salazar Santissimo”.
Non gliene andava mai bene una: ormai era assodato. Ma perché diavolo la gente doveva essere così...
“...molesta, appunto” ripetè la ragazza, scocciata.
Proprio quel mattino, all’intervallo, Gemma si era accorta che Roger Davies, seduto sul cornicione che delimitava la colonnata del chiostro adibito a cortile per la ricreazione, si era messo a fissarla in modo sfacciato. Lei, imbarazzata, aveva fatto finta di niente; poco dopo, però, l’avvenente giovinotto era saltato giù dal muretto e, a passo felpato che ricordava un po’ l’andatura di un giaguaro, le si era avvicinato.
 
- Ciao, niña.
 
- Ciao – aveva risposto lei, sentendosi tingere le guance di tutti i colori dell’iride. – C-come... va?
 
- Bene. Ma potrebbe andare meglio – aveva replicato Roger, strizzandole l’occhio con fare simpatico. – Dimmi un po’, Farley: ce la facciamo una bella Burrobirretta insieme, stasera alla festa? -
 
“Oh, cielo” aveva pensato Gemma, agitatissima. Mai le era capitato, prima di allora, di ricevere un invito da parte di un ragazzo così popolare. “Beh, in realtà da nessun ragazzo, ma perché sottilizzare?” Il Quidditch faceva davvero miracoli, accipicchia.
 
- O-okay – aveva balbettato in tono di conferma. – A-a più t-tardi, allora. -
 
Roger le aveva sorriso e si era allontanato. Lei, ancora un po’ scossa, si era rosicchiata ben dieci unghie su dieci, e in tempi da record, per giunta.
“Se l’avessi saputo, gli avrei detto di no”.
Gemma scivolò discretamente dietro un gruppetto di Tassorosso del quarto anno che conversavano animatamente. Era riuscita a seminarlo, finalmente, ma non doveva fare l’errore di sottovalutarlo. Era un vero  proprio segugio, quello.
Non appena era entrata in Sala Grande, Roger Davies le si era letteralmente appiccicato addosso. Altro che innocente Burrobirretta: evidentemente, quel marpione aveva ben altri piani per la serata. Non che Roger Davies non le piacesse, beninteso: certo, non l’avrebbe mai ammesso a voce alta, ma anche lei era concorde nel ritenerlo uno dei più bei ragazzi della scuola. Il suo modo di comportarsi, però, era decisamente... troppo. Troppo sfacciato per un’amante della discrezione come era lei. Cosicché, dopo essergli sgusciata di mano una mezza dozzina di volte, Gemma era alfine riuscita a depistarlo appioppandogli un mini Confundus non verbale.
Sebbene si trovasse immersa nei suoi dubbi esistenziali, i suoi innati riflessi di Portiere non la tradirono. Senza neanche accorgersene, Gemma tese la mano e afferrò abilmente il thermos di vetro ricolmo di liquido rosato che solcava l’aria nella sua direzione e che lei aveva avvistato con la coda dell’occhio.
 
- Toh – esclamò, stupita – e questo cos’è?! -
 
In quel momento, una nota chioma color sottoveste sormontata da corno spiraliforme richiamò immediatamente la sua attenzione.
“Oh no. Eccolo che arriva”.
Senza avere il tempo di interrogarsi oltre, la ragazza piantò il thermos sul piano del tavolo più vicino e scivolò via. Non si accorse minimamente che sulla panca, proprio davanti al punto esatto in cui aveva abbandonato la bottigilietta, era seduto Neil Randall, infilato nel suo completo a giacca semi-invisibile.
 
*
Carichi di cibo, ma anche di energie, il marasma di studenti si gettò a ritmo sfrenato nelle danze più fantasiose, accompagnati dai fantasmi che non vedevano l’ora di “un po’ di vita”. La musica sfumò lentamente, quando il preside Silente si pose sul suo altarino posto al centro della sala, lisciando la lunga barba bianca.
 
- Amati studenti, come sapete quest’anno abbiamo deciso di portare avanti il tema delle inclusioni e delle pari opportunità, ragion per cui il corpo docente ha deciso di accogliere più che volentieri la proposta di uno di voi. – il professore sorrise e volse il capo alla sua sinistra – Prego Signor Entwhistle, venga pure avanti.-
 
Vinnie, dai capelli ancora più chiari del solito (ben ossigenati per l’occasione) e lo sguardo malandrino, prese il posto di Silente fra l’acclamazione degli studenti Corvonero in primis.
 
- Per prima cosa ci tengo a ringraziare il preside e tutti i nostri amati professori. – il ragazzo portò una mano al cuore con gesto solenne, mentre allargava il braccio libero dinanzi a sé, - Quest’oggi, amici miei, ad Hogwarts è arrivata la rivoluzione! -
 
- Meno, signor Entwhistle. – Lo ammonì la McGrannit.
 
- Insomma: per la prima volta il cinema arriva nella scuola! Ora, non tutti sapranno che i babbani hanno una tradizione, nata negli States. Chi di voi ha mai sentito parlare di “ Cinema drive-in” ?, nessuno? Bene. Sono sicuro che questa esperienza, perfetto connubio del mondo magico e quello babbano, non vi deluderà affatto! -
 
Vinnie fece un passo indietro, per poi rivolgersi ai professori: - Procedete pure: che la visione abbia inizio! –
 
Con un colpo sincronizzato delle abili bacchette, la Sala Grande mutò presto il proprio aspetto: l’ampio soffittò divenne un cielo stellato e laddove vi erano i tavoli del banchetto, apparvero al loro posto vere e proprie automobili decappottabili, intervallate da ampie coperte poggiate sull’erba soffice che aveva sostituito il pavimento. Infine, l’ampia vetrata posta dietro i banconi dei professori venne coperta da un’enorme telo per videoproiezioni. Se fino a quel momento vi era incertezza, a quel punto gli studenti esplosero in un grido d’approvazione per la trovata che quell’anno avrebbe chiuso la festa di Halloween.
 
*
 
Piegata in due nel disperato tentativo di non farsi vedere, Maxine scivolava silenziosamente fra le carrozzerie delle auto parcheggiate in Sala Grande.
 
- Da questa parte!
 
La voce di Clide Warrington, resa roca dall’adrenalina, risuonò poco oltre il cofano della vecchia Cadillac. La ragazza si appiattì contro la scintillante portiera blu cielo, pregando la saggia Tosca che quei simpaticoni tirassero dritto senza vederla. Fortunatamente, così fu.
“Ci è mancato poco” gemette, sollevando poi la testa quel tanto che bastava per sbirciare attraverso i vetri. All’interno della Cadillac c’era una coppietta che pomiciava. “Beati loro, accidentaccio”.
Maxine strisciò in avanti, le scarpe col tacco strette fra dita della mano destra per evitare di fare rumore. Ma che cosa diavolo le era saltato in mente? Era, come sempre, tutta colpa sua e della sua boccaccia. Perché se, da una parte, il match in corridoio l’avevano vinto lei e quella simpatica ragazzona Serpeverde, altrettanto vero era che, dopo aver trascorso un paio d’ore a sbevazzare, i quattro bulletti umiliati avevano cominciato a darle la caccia.
- Ora ce la paghi, Bocca di Rosa - le aveva detto quel pisciainbraga di Vaisey, avvicinandosi a lei con la bacchetta sguainata.
Pisciainbraga o no, Maxine aveva saggiamente deciso di darsela a gambe.
 
*
Lisa saltellò vispa nella direzione di Kevin. Il ragazzo era colmo d’orgoglio, lo si poteva scorgere lontano un miglio. La strega lo prese sotto braccio e lo trascinò verso il centro della sala, ormai trasformata in un vero e proprio cinema all’aperto.
 
- Questa volta devo proprio farti i complimenti, hai avuto un’idea incredibile. -
 
- Grazie gioia, ma non voglio prendermi tutto il merito di questa grande impresa. – Arrivati nelle vicinanze di Kevin Withby in compagnia di Justin, il corvonero allungò un braccio a circondare il collo dell’amico più basso: - Anche Kevin ci ha messo del suo. -
 
- Oh ma dai, io non ho fatto nulla di che… - dalla bocca del tassorosso uscì una risatina nervosa, che venne accolta dal sorrisetto compiaciuto di Lisa: - Non fare il modesto e non lasciare che Vinnie si prenda tutto il merito, non ha di certo bisogno che il suo ego venga gonfiato oltremodo. -
 
- Come darle torto. – Aggiunse Vinnie, che si guadagnò una pacca sulla spalla da parte di Justin:
 
- Poco elegante, ma indubbiamente d’impatto. -
 
Kevin, ancora imbarazzato dalle attenzioni ricevute, tossicchiò un paio di volte prima di intervenire: - Bene, vogliamo accomodarci allora? Justin sei dei nostri? –
 
Il Principe di tutta risposta sghignazzò: - Se non sono di troppo fra voi bei manzi accetto volentieri. –
 
- Posso unirmi anche io? Non ho idea di che fine abbia fatto Cho e non vorrei ritrovarmi a guardare il film da sola, dietro l’auto di qualche coppietta pomiciona. -
 
- Non lo permetteremmo mai! – Gridò Kevin Withby con un po’ troppa enfasi. I quattro si sistemarono in una lussuosa spider fiammeggiante posta esattamente al centro della Sala Grande.
 
- Avremmo preferito una DeLorean DMC dodici, ma abbiamo pensato fosse un tantino scomoda. – Vinnie guardò Justin e Lisa, che avevano l’espressione di chi stava tentando di tradurre un ostico brano di Rune antiche.
 
- La DeLorean… la DeLorean! – boccheggiò Kevin, - Non è una decappottabile… capite? -
 
- Credo sia una robaccia da nerd babbani. – Bisbigliò Justin a Lisa, la quale annuì come fosse tutto chiaro.
 
- L’automobile di Ritorno al Futuro, un film trascurabile e sciocco. -
 
Morag e Megan, col trucco e i capelli un po’ sfatti, si erano poggiate allo sportello dell’auto. All’affermazione di Morag, Vinnie imitò un mancamento: - Trascurabile e sciocco… quante amenità in una sola frase! Non credo il mio cuore sarà in grado di reggere un altro commento del genere. –
 
Kevin prese a fare aria al suo omonimo: - Presto, chiamate un medimago! Lo stiamo perdendo! –
 
Lisa e Justin, seduti comodamente nei sedili posteriori, presero a ridacchiare rumorosamente, guadagnandosi l’occhiataccia di Morag la quale, era risaputo, non sopportava un granché la Turpin essendo lei molto amica di Cho. Ma una volta tastato il terreno e compreso che la moretta non era da quelle parti, allungò il gomito in direzione di Megan: - Questo è sicuramente il posto migliore di tutta la sala, per vedere il film. –
 
Il vicecapitano tassorosso scrollò i capelli e gettò uno sguardo intorno a sé: quel malandrino di Kevin Entwhistle era stato dannatamente acuto ed effettivamente si, aveva ottenuto il posto migliore di tutta la Sala Grande. Proprio con gli occhi furbetti del finto biondo si scontrarono quelli di Megan; quello lì, riavutosi dal finto svenimento, allargò un braccio attorno al sedile del guidatore: - Ehilà, belle fossette, hai scelto di unirti al gruppo dei migliori? –
 
Il sorriso di Megan lasciò effettivamente traspirare due cunette ai lati della bocca; Vinnie era davvero un ottimo osservatore.
 
- Che fai coso, vuoi ospitarci? Anche se mi sembra che di spazio, qui, non ce ne sia più. -
 
Il Kevin tassorossino sfoderò la sua candida dentatura in favore dell’amica e collega di squadra: - Con un po’ di magia possiamo fare tutto Meg, non è vero collega? –
 
- Assolutamente. – Asserì Vinnie con la bacchetta in mano; bastò un rapido movimento, che l’automobile aumentò in misura, cosicché Megan e Morag scambiarono un’occhiata. A seguire ci fu un via vai molesto: Morag non voleva sedere accanto a Lisa, ma non voleva nemmeno sedersi nei sedili anteriori; Megan desiderava di contro stare avanti, per avere la possibilità di aprire, all’occasione, lo sportello della macchina per stiracchiare le gambe e sgranchirsi a piacimento; Kevin occhieggiava Lisa, pensando sarebbe stata una bella occasione per scambiare qualche battuta con la biondina; Vinnie per lo stesso motivo di Megan non voleva abbandonare il posto del guidatore (e, ammettiamolo, anche per tirare di clacson nei momenti meno opportuni). Justin, composto e compito, dichiarò che avrebbe accettato qualsiasi posizione e che quei sedili rivestiti in ecopelle di alta qualità erano comunque comodissimi, anteriori o posteriori che fossero. Ed in tutto quel saltare da un sedile all’altro, l’automobile variava di conformità finché infine (assieme agli improperi dei ragazzi che occupavano l’automobile dietro la loro, che si lamentavano a voce squillante di tutto quel trambusto), sembrò assestarsi in una ambigua forma allungata: Vinnie e Megan occupavano i sedili anteriori, Lisa e Kevin la fila centrale e Megan e Justin, che si era limitato a guardarsi le unghie per tutto il tempo, l’ultima fila.
Un bagliore intenso proveniente dallo schermo determinò l’inizio della proiezione; per l’occasione era stato scelto un film babbano in uscita sugli schermi proprio quell’anno: Hocus Pocus.

 
*
 
Con grande gioia di Neil e di Stephen la serata procedeva secondo copione: in assoluta tranquillità e, soprattutto, senza che vi fosse nessuno ad importunarli.
Neil, seduto al sedile del guidatore della vecchia Mustang viola (l’auto parcheggiata nell’angolo più remoto della Sala Grande, che loro si erano prontamente accaparrati al fine di scoraggiare abbordaggi indesiderati), aveva fatto evanescere il volante trasformando la nicchia del pannello in un comodo appoggio per il suo materiale tisanistico. Profondamente assorto, il Grifondoro occhieggiava distrattamente in direzione del telone, che lampeggiava lontano oltre il parabrezza; nel frattempo, ogni sua particella si concentrava nella degustazione di quell’assoluto portento che, per la Grazia di Panoramix il Druido, si era miracolosamente ritrovato fra le mani.
“Questa tisana...” continuava a ripetere fra sé e sé, estasiato “... questa è LA Tisana, con la T maiuscola. Mai assaggiato nulla di più buono, per Godric”.
Neil sorbì un altro piccolo sorso, assaporando intensamente il liquido rosa intenso che gli solleticava la lingua e gli scivolava lungo la gola come una carezza di seta. Procedeva a piccole dosi, centellinando pazientemente il contenuto del thermos per farlo durare il più a lungo possibile. E mentre il sapore paradisiaco dell'erica impregnava le sue papille gustative e attizzava i suoi cinque sensi, il ragazzo ebbe un’epifania.
Doveva trarre insegnamento dagli errori del passato, accidenti.
“Sono stato un mollaccione, con Alicia” riflettè. “Questa volta, però, sarà tutto diverso”.
Già: Neil Randall ne era assolutamente convinto. Con la Spinnet poteva essersi comportato in maniera inadeguata ma, ne era sicuro, il miracoloso ritrovamento della tisana di erica gli apriva le porte di una nuova possibilità.
Davanti agli occhi celesti e un po’ acquosi di Neil si profilò l’immagine di Gemma Farley. Il Grifondoro esitò. Aveva sempre preferito le ragazze bionde, però...
“... però una ragazza in grado di confezionare questo capolavoro potrebbe anche essere calva, per quanto mi riguarda” ammise Neil, gustandosi l’ennesimo micro-sorso.
 
*
 
 - Risposta sbagliata amico. -
 
La voce dal forte accento scozzese s’impose sul cicaleccio, richiamando l’attenzione di tutti. Il gruppetto di Grifondoro, stipati all’interno di un esuberante pullmino Wolkswagen opportunamente ampliato, tacque all’unisono, concentrandosi su di lui. Ritchie sbuffò, più divertito che indispettito e si rivolse a Cormac McLaggen che, seduto all’altra estremità del crocchio, gli rivolse un sorriso sardonico.
 
- E va bene, Corm – sospirò il Battitore. – Che cosa devo fare? -
 
- Sceglie Angelina – lo liquidò quello, noncurante.
 
“Oh, cazzo” gemette Ritchie fra sé e sé. Avrebbe dovuto immaginarlo: in fondo, quella era la conseguenza naturale di qualsivoglia Obbligo/Verità, soprattutto quando – come in quel caso - le sigarettine magiche di Nonna Jordan (“direttamente dalla Giamaica per stupirvi!”), marcavano presenza.
La Johnson non esitò un solo attimo.
 
- In onore di Cormac – esordì la ragazza - propongo che Coote paghi pegno indossando un kilt e suonando alla cornamusa Flower of Scotland.
 
- Ma sei fuori? – Ritchie era sbigottito. – Io sono nato in Cornovaglia, mica... e poi no, la gonna... Ma dai, ma come ti vengono in mente certe cose?! -
 
Ogni sua protesta fu vana: in men che non si dica, al seguito di una rapida successione di incantesimi che lui era stato a mala pena in grado di seguire, Ritchie si vide infilato in un kilt (probabilmente appellato dall’armadio di McLaggen ove, si diceva, ve n’erano a decine) e, attorniato dalle risate dei compagni, fu caldamente indotto a dare fiato alla cornamusa.
L’incresciosa scenetta, manco a dirlo, fu motivo di grande ilarità. Ma non solo.
Proprio mentre il ragazzo finiva di storpiare indegnamente le ultime note dell’inno gaelico, Demelza (fintanto impegnata a costruire febbrilmente curiosi Chartanimus a forma di lemure da spedire in giro con chissà quali messaggi) si accorse che Alicia, seduta alla sua sinistra, fissava la scena con una serietà che non si addiceva per nulla al tenore della serata.
 
- Tutto okay, Aussie?
 
- Oh, sì – le rispose la compagna, senza distogliere lo sguardo dal Battitore. – Anche fin troppo, mate!...
 
- Oh, beh – Demelza strizzò gli occhi, cercando di capire che cosa diavolo ci fosse di tanto interessante da guardare. – Se lo dici tu... -
 
Alicia si voltò di scatto verso di lei.
- Non dirmi che non hai notato niente – buttò lì, a bruciapelo.
 
- Potresti essere un filo più esplicita?! – indagò Demelza, vagamente irritata.
 
- Le ginocchia... – Alicia sembrava in solluchero. – Le ginocchia di Coote. È la prima volta che gliele vedo...
 
- Oh – si stupì l’altra. – E?
 
- E niente – commentò Alicia, con un sorriso furbetto. – Raramente ne ho viste di così... armoniose: parola mia. Che rivelazione! -
 
Demelza le rivolse uno sguardo sbalordito.
- Ma che cacchio di parametro valutativo è?!
 
- Un parametro come un altro – rispose Alicia, serafica. – Ad alcuni piacciono i nasi. Altri preferiscono le mani. Altri ancora, le chiappe. A me, nei ragazzi, piacciono le belle ginocchia. Non vedo proprio che cosa ci sia di strano. -
 
- Mah, forse il fatto che sia strano, magari? -
 
- Ma certo che no. E ti garantisco che non la penseresti così, se fossi cresciuta anche tu nell’outback australiano, a stretto contatto con i calzoncini corti di Jimmy e Tommy Zahu! -
 
Demelza ristette meditabonda, chiedendosi che razza di ginocchia stratosferiche dovessero avere i vicini di casa di Alicia, per farle sviluppare una passione bizzarra come quella.
 
*
Non sapeva se fosse colpa dell’alcool che si era premurata di ingerire o se per la sua solita smania che mai l’abbandonava, fatto sta che Megan non riusciva a starsene ferma un secondo: sfilati i tacchi che mal sopportava da inizio serata e abbandonati fuori dalla macchina, aveva passato buona parte della proiezione a stiracchiarsi, accavallare e scavallare le gambe, allungarle persino dal lato di Vinnie che, altrettanto smanioso, roteava sul sedile come un’anguilla appena nata. Il comportamento dei due agitatelli aveva fatto si che il gruppo di grifondoro capitati per loro sfortuna nell’automobile alle loro spalle, aveva da prima tentato di ammonirli verbalmente, per poi passare direttamente alle maniere forti; così che Jack Sloper aveva accartocciato una lattina di succo di rapa rossa e, con mira non troppo precisa aveva puntato alla testa ossigenata di Kevin. Sfortunatamente fu la nuca di Megan a beccarsi il colpo al posto del corvonero; la strega dapprima lamentosa per l’impatto, si era massaggiata la testa e poi, decisa a tirare giù tutta la stirpe delle più antiche streghe contro chi aveva osato colpirla, si girò di scatto pronta a tirare fuori tutta la sua rabbia. Il suo urlo d’aquila, però, morì proprio sul nascere, davanti alla scena che si mostrò a lei: la strana Lisa Turpin (strana in quanto la bionda chioma era ancora una lucida colata color pece) era avviluppata al suo amico Kevin; i due formavano nell’insieme un quadro alquanto sconvolgente, visto che il ragazzo era spiaccicato contro il sedile e Lisa, l’angelica e soave Lisetta, gli aveva avvolto il collo con le braccia e non staccava la bocca dalla sua, neanche si stesse occupando di una manovra di ossigenazione vitale. Con la bocca spalancata, Megan passò lo sguardo dalla coppia di pomicioni ai due dietro di loro; lanciò un’occhiata a Morag che, con gli occhi a mezz’asta e chiusa in un’aria rassegnata, scosse il capo a voler dire “No comment”. Justin invece sembrava incuriosito dai due e anzi, alzò un pollice in direzione della compagna di squadra: per lui quello era un lavoro ben fatto.
Sgomenta, Megan tornò lentamente alla propria posizione e subito tirò di gomito a Vinnie, aggrappato al volante a gridare qualcosa verso le immagini proiettate.
 
- Psss! Ehi tu!-
 
- Che c’è? Perché bisbigli angelo? – rispose lui, abbassando a sua volta il tono.
 
- Guarda alle tue spalle, ora! -
 
Non l’avrebbe mica mai fatto, Kevin, di abbandonare la visione di un film. Ma del resto non avrebbe nemmeno mai contraddetto una ragazza tanto graziosa come la Jones; ragion per cui si voltò assecondando la strega che continuava a strattonarlo per farlo girare e i grandi occhi verdi s’allargarono per la meraviglia. Megan non conosceva abbastanza Vinnie, anche se da quel poco che aveva potuto vedere avrebbe dovuto aspettarsi che il mago fosse tutt’altro che un tipo discreto; si portò una mano alla bocca, quando quello fischiò con potenza, prima di dire con serenità ai due di prendersi una stanza.
 
- Entwhistle! Che cavolo fai?! - lo rimproverò Megan.
 
- Dispenso utili consigli. Che c’è, vuoi stare a guardare? Non ti pensavo quel tipo di ragazza. -
 
- Ma cosa… ma che diavolo… ma che ti salta in mente, pupazzo! -
 
Fu fra le risatine di Vinnie e gli urlacci di Megan che Lisa si staccò da Kevin e, guardandolo con malizia, gli fece cenno di seguirla. Kevin non ci pensò due volte e si catapultò fuori dall’auto seguendo Lisa che, graziosa, svicolava tra i gruppetti di studenti seduti a terra.
 
- Sei stato inopportuno, li avrai messi in imbarazzo. -
 
Vinnie era già tornato alla proiezione del film, mantenendo un sorriso costante sul volto. Senza guardarla, però, si rivolse a lei:
 
- Sai Megan, penso che ti stia agitando troppo. Quei due avranno già trovato un posto più consono al loro divertimento mentre tu, per tutto questo preoccuparti, ti stai perdendo il film. Comunque senti… -
 
A quel punto Vinnie stese il braccio sul bordo del sedile di Megan e le dedicò un’occhiata divertita: - Se però proprio non ti interessa, posso aiutarti a passare il tempo come quei due; basta chiederlo con educazione. –
 
Durante un breve momento di gelo, in cui Megan si stava freneticamente chiedendo se il corvonero ci stesse effettivamente provando con lei, Vinnie scoppiò in una sonora risata:
 
- Ehi, stavo scherzando! Ma non sai che faccia hai in questo momento! -
 
Ci mise poco, Megan, a riaversi, come ci mise altrettanto poco a tentare di colpire il ragazzo con un paio di sganascioni bene assestati. Fu il grido di Morag alle loro spalle a farli smettere: finalmente si era liberata della scomoda presenza della Turpin e di Kevin, non avrebbe permesso a quei due di rovinarle il resto del film.
 
*
 
Seduto accanto a Neil sul sedile del passeggero, Stephen si trovava a sua volta immerso nei suoi pensieri. Al fine di accomodarsi a dovere(non è per nulla facile sistemarsi in un veicolo, anche quando si tratta di un macchinone, quando si supera il metro e novanta), il ragazzo aveva tirato indietro al massimo il sedile, aveva reclinato lo schienale e aveva tirato su le lunghe gambe per appoggiare i piedi sul cruscotto. Senza degnare di un’occhiata la pellicola che scorreva sul telone, aveva intrecciato le dita dietro la nuca e se ne stava lì, a riflettere con lo sguardo perso nel cielo stellato, visibile grazie ad un Incanto Vitreo che aveva reso trasparente il tettuccio dell’auto.
“Em-pa-ti-a” sillabò il ragazzo fra sé e sé. Secondo il dizionario che lui, da bravo cervellone, portava sempre con sé (opportunamente ridotto e riposto nella tasca posteriore dei pantaloni grazie ad un pratico Incantesimo d’Estensione), quello strano termine designava la capacità di porsi nella situazione di un'altra persona o, più esattamente, di comprendere immediatamente i processi psichici dell'altro.
“Peccato” sbuffò ancora Stephen “che suddetto, inutile Dizionario non spieghi a cosa cacchio dovrebbe servire un’abilità del genere, sempre che di abilità si tratti”.
C’era poco da fare: a lui, certe baggianate, non erano mai interessate. Perché mai a qualcuno dovrebbe importare di raggiungere uno stato di comunione con gli altri? Ma che assurdità, suvvia. Che barba, che noia. Che noia, che barba.
“Prendi la O’Flaherty” si disse Stephen, riportando alla mente la prodezza cui aveva assistito per caso poco prima, mentre si accingeva a raggiungere la Sala Grande. Maxine era intervenuta in difesa di una perfetta sconosciuta. Perché mai una persona sana di mente si prendeva la briga immischiarsi in questo modo nei fattacci altrui?
“Beh, in questo caso, forse, proprio perché stiamo parlando della O’Flaherty” concluse lui, che nel corso degli anni scolastici aveva spesso avuto a che fare con Maxine, la cui classe, fin dal primo anno, frequentava Pozioni e Incantesimi assieme alla sua. Beh, non che ci avesse avuto a che fare direttamente, beninteso. Lui, da quella specie di uragano, aveva sempre visto bene di tenersi alla larga. Ma l’aveva osservata, ovviamente (e come non vederla, del resto?) e, pur riconoscendole una discreta dose di intelligenza, non si capacitava della sua innata abilità nell’intessere umane relazioni (oddio, che eufemismo).
“Un enigma irrisolvibile” concluse Stephen, meditabondo.
 
*
 
La disfida andava avanti da ore, e cioè da quando, vedendola avanzare lungo il corridoio fra i tavoli, Graham l’aveva apostrofata con il suo ghigno un po’ ruvido e le aveva detto:
 
- Chi perde lava i piatti, Bulls.
 
Millicent non se l’era fatto ripetere due volte: da quando era nata, abbuffarsi era la sua specialità - e al diavolo le vesti attillate, gli Incantesimi Dimagranti e cazzate simili. Affamata come un lupo e piuttosto ringalluzzita dalle parole di incoraggiamento rivoltele poco prima da Maxine, si era quindi avvicinata al compagno di Casa, che aveva cominciato a trovare simpatico e con il quale da tempo fantasticava circa i possibili esiti di una competizione enogastronomica, si era slacciata la delicata cintura di filigrana argentata lasciandola cadere a terra con un gesto da Gran-Dama-che-Perde-la-Sciarpa (e che nessuno, invero, si azzardò a raccogliere) e s’era accomodata sulla panca.
Seduto accanto a lei, Graham Montague faceva valere la sua taglia a dir poco colossale e, a giudicare dalla sua espressione di rara gioia, il ragazzo si preparava con sommo gaudio a dare sfogo al suo appetito leggendario. Millicent, però, non si era lasciata intimidire: non appena le portate erano affiorate dalla superficie del tavolo, lei si era gettata in avanti e aveva dato fuoco alle polveri. Da quel momento in poi, i due non avevano smesso neppure per un attimo di bere e di mangiare, e anzi, quando avevano cominciato a spuntare le automobili in vista della proiezione del film, Graham e Millicent avevano velocemente apposto un incantesimo Anti-Evanescente sulla tavola per impedirne la smaterializzazione e avevano continuato tranquillamente a strafogarsi.
Cosicché quando più tardi Gemma, ansante per la fuga precipitosa da un Roger particolarmente ben disposto, passò da quelle parti, li trovò entrambi indegnamente brilli, dilatati e semisvenuti per il troppo cibo, ma al tempo stesso decisi a non darsi per vinti. Il che, tuttavia, non impedì a Graham (al quale, anche quando era impegnato ad ingozzarsi, non sfuggiva nulla) di tendere il braccio, afferrare la ragazza per un gomito  e costringerla rudemente a sedersi nel varco apertosi fra lui e la sua impavida sfidante.
 
- Guarda Bulls, come ti keeppo the Keeper! – ululò il ragazzone, visibilmente alterato dall’eccessiva ingestione di cibo e bevande (soprattutto queste ultime). L’uscita gli fece meritare un’occhiata strabiliata da parte di Gemma, più frastornata che mai.
 
- Hai attivato il tuo ‘lato Kain’, Monty? – biascicò Millicent, ridanciana, ad un passo dal collasso.
 
- Puoi scommetterci, fatina.
 
- Credevo che tu odiassi quel nome – osservò timidamente Gemma, massaggiandosi il gomito dolorante (“ma che razza di zampacce, per tutti i Basilischi”.)
 
- ‘Kain’ è il mio nome Caino – rispose lui, per poi accendersi una Hermes Senza Filtro in barba al Divieto di Fumo imposto dal Collegio Docenti sui locali interni della scuola.
 
- Già – radunate le ultime forze Milly innalzò il calice con fare solenne, per meglio sottolineare il concetto. – Suole usarlo nelle occasioni in cui si sente particolarmente bastardo.
- Giusto. Infatti è il nome preferito di mia madre – confermò lui prima di passare la Hermes a Gemma (che, fra parentesi, di quella robaccia non sapeva che farsene). – ‘Craig’, invece, è il mio nome da aristocratico. Non per niente è mio padre a chiararmi così.
 
- Ah. E ‘Graham’... ?
 
- È la via di mezzo – rispose lui con un’alzata di spalle, mentre Millicent si addormentava di schianto fra un tovagliolo di broccato a brandelli ed una forchetta d’argento coi rebbi tutti scompigliati dall’eccesso d’ingordigia.
 
– Il che non significa, cara mia – aggiunse Graham con un brontolìo minaccioso seguito da significativo cenno del capo e rapido recupero della sigaretta – che un po’ di bastardaggine non emerga comunque. -
 
Il senso dell’affermazione le fu chiaro quando Gemma, seguendo lo sguardo del ragazzo, vide Roger che si avvicinava zigzagando fra le automobili. Il mastodontico Serpeverde, seduto accanto a lei, seguiva il suo incedere con un sorrisetto appena accennato, che lo faceva somigliare ad un grosso gatto intento ad osservare un galletto di prima piuma.
Flemmatico, Graham trattenne la sigaretta fra le labbra, fece passare lentamente un braccio attorno alle spalle di Gemma e strinse appena gli occhi, puntandoli dritti dritti in quelli di Roger. Quella semplicissima sequenza di gesti fu sufficiente a dissuadere il prode Corvonero, che parve esitare per un unico istante per poi, saggiamente, girare sui tacchi e tornarsene sui suoi passi.
 
- Oh – si stupì la ragazza. - È andato via!...
 
- Puoi scommetterci – fu la pigra risposta di Graham che, altrettanto lentamente di prima, ritirò la mano per andare ad afferrare la Hermes fra indice e medio. – Per oggi quel cretino non ti darà più fastidio e poi, domani, scommetto che ne troverà un’altra da assillare. Questione risolta.
 
- Oh, beh... t-ti ringrazio moltissimo.
 
- Dovere civico. Io non lo reggo, quello – bofonchiò lui, schifato. – Ed ora senti, già che ci siamo – le propose poi, insolitamente loquace. – Perché non mi racconti qualcosa di succulento sul tuo vecchio?
 
Gemma lo guardò basita. L’eccessiva ingestione di calorie doveva avergli sciolto la lingua, per Salazar.
 
- Mio padre? Ma perché...?
 
- Beh – il ragazzo slacciò i primi bottoni della camicia quel tanto che bastava ad esibire lo stemma dei Falmouth Falcons stampato sulla maglietta sottostante. - Questione di passioni viscerali, sai. Certo: anche essere figlio di un plurimiliardario non è male, lo ammetto – aggiunse, con fare strafottente - ma discendere dal leggendario Thomas Farley non ha prezzo, credo.
 
*
 
Lo scatto secco della portiera che si richiudeva ruppe la quiete, riscuotendoli all’improvviso dai rispettivi torpori ed elucubrazioni. Neil e Stephen saltarono su a sedere con un urlo mentre qualcuno, dietro di loro, strillava:
 
- Colloportus! -
 
Le sicure delle portiere scattarono all’unisono mentre qualcuno, da fuori, cominciava a ringhiare:
 
- Esci subito, sgualdrinella giallonera che non sei altro! -
 
I due ragazzi si voltarono indietro, stupefatti.  E nonostante la penombra, Stephen la riconobbe subito: ironia della sorte, si trattava proprio di quel rovescio temporalesco di Maxine O’Flaherty.
“Ma come accidenti è conciata?” non poté fare a meno di ripetersi il ragazzo al cospetto di cotanta imperdonabile mancanza di decoro.
Maxine, allungata sul sedile posteriore dell’auto, era spettinata da far paura e aveva la veste gialla di paillettes tutta in disordine (Stephen dovette socchiudere gli occhi, colpiti dal brillìo accecante dei piccoli dischi che riflettevano le poche fonti di luce). La ragazza si trovava nei guai, questo era evidente; e difatti, dopo aver spedito in giro un breve assortimento di linguacce e gestacci (che suscitarono violenti scoppi d’ira oltre i vetri dei finestrini tirati su) si rivolse a Neil e Stephen, supplicandoli con una vocina sottile sottile:
 
- Non... non buttatemi fuori, per piacere.
 
I due ragazzi si scambiarono un’occhiata demoralizzata.
 
- Si dà il caso... – cominciò Neil, versandosi nella tazza un paio di centilitri di tisana – che noi preferiremmo...
 
Non ebbe il tempo di finire la frase.
La Mustang, sotto i colpi, le spinte e le fatture dei quattro Serpeverde inferociti, cominciò ad ondeggiare violentemente. Neil sussultò e, con costernazione inenarrabile, vide che l’ultima, inestimabile dose del prezioso contenuto del thermos di vetro volava nell’aria, andando ad inzuppare sia lui che Stephen. A quell’affronto, il Grifondoro perse immediatamente l’aplomb che solitamente lo contraddistingueva.
 
- Ma porca di quella @%*@&%}º!!! – urlò afferrando la bacchetta; poi, dopo aver fatto spalancare di scatto le portiere con un sonoro Alohomora! (Tim Vaisey, colpito a tradimento in pieno viso, ruzzolò lontano con un paio di denti in meno), saltò giù con un balzo dall’automobile. Stephen, altrettanto incazzato per il bagno fuori programma (quell’intruglio rosaceo gli aveva macchiato irrimediabilmente il maglione, e non un maglione qualunque, no! Proprio quello sferruzzato amorevolmente dalla sua adorata madre, Merlino Ladro) lo seguì a ruota.
Gli assaltanti rimasero interdetti. Erano ricorsi alle maniere forti per snidare Maxine (per il momento, di farla pagare alla Bulstrode – frattanto impegnata ad abbuffarsi in compagnia di Montague - neanche a parlarne: non volevano certo correre il rischio di fare incazzare Graham); non si aspettavano certo di imbattersi in due studenti universalmente conosciuti per la soggezione che erano in grado di incutere.
Di tanto in tanto, nei sotterranei della gloriosa Casa di Salazar si parlava ancora di quella volta in cui Randall, in uno (forse unico) dei suoi rarissimi episodi di perdita delle staffe, aveva letteralmente preso a calci in culo (alla babbana, proprio) Bletchley e Pucey. In quell’occasione si era pensato che la reazione del Grifondoro fosse stata generata dal desiderio di difendere una Corvonero Nata Babbana del primo anno, che i due avevano cominciato a maltrattare. In realtà, Neil aveva reagito in quel modo perché, durante il diverbio, qualcuno aveva incautamente rovesciato la sua tisana. Potrete quindi immaginare lo stato d’animo del ragazzo al vedersi privato della Tisana per eccellenza: quando saltò giù dall’auto, il ragazzo era completamente fuori di sé.
Bletchley e Pucey, trovandoselo davanti in quello stato e memori degli infelici tarscorsi, pensarono bene di eclissarsi.
Dal canto suo Warrigton, inchiodato dallo sguardo gelido di Stephen Cornfoot che lo fissava bacchetta alla mano, decise saggiamente che non era il caso di indagare circa le prestazioni vendicative del Corvonero. Dopo aver vomitato una sfilza di insulti di pesantezza variabile all’indirizzo di Maxine, che ebbe pure il coraggio di ridergli dietro, il ragazzo fece dietrofront e trotterellò via.
 
- Imbecilli – chiosò Stephen, disgustato.
 
Neil, ancora ansimante, stava per chiedergli se poteva spremergli il maglione per, chissà, recuperare qualche goccia di tisana, quando la voce melodiosa di Maxine richiamò l’attenzione sua e del compagno.
 
- Oggi mi sento una vera principessa: tutti che si fanno in quattro per salvarmi dai bruti – commentò allegramente la ragazza. – Grazie mille, ragazzi!
 
- Non stavamo difendendo te, sciocca – ci tenne a puntualizzare Stephen.
Maxine la prese con filosofia.
 
- E va beh. Non importa. Il risultato finale non cambia, no?
 
*
Quell’arpia, figlia diretta della lussuria, lo aveva evitato tutta la sera, o almeno apparentemente. Difatti Marcus aveva notato che Astoria non aveva fatto che spuntare qua e là ogni dove c’era lui: andava a rimboccare il bicchiere? La strega appariva poco distante, piegata sul tavolo quel tanto che bastasse per risaltare il decolleté che, seppur non generoso, restava comunque degno di nota, ma appena Marcus roteava lo sguardo nella sua direzione, l’altra afferrava il bicchiere e fluttuava via. Muoveva qualche passo a ritmo di musica assieme a qualche ragazzina? Puntuale arrivava il profumo di Astoria a distrarlo, divertita a flirtare con quel traditore del proprio sangue di Percey Weasley.
Era chiaro che la Greengrass volesse attirare la sua attenzione; povera stolta, pensava che quei giochetti funzionassero con lui?
L’occasione perfetta per procedere all’attacco, si presentò quando partì la proiezione del film scelto per festeggiare la notte delle streghe. Marcus notò, infatti, che Astoria si era volutamente isolata su di un soffice plaid, con la sola compagnia di una bottiglia di chardonnay d’ottima annata, chissà dove l’aveva pescato. Gonfiato il petto, il Capitano serpeverde s’avvicinò alla strega proprio mentre stava per iniziare il film. Astoria finse di cascare dalle nuvole ed alzò gli occhi scuri nella sua direzione:
 
- Oh Marcus, - cinguettò – Non ti ho visto per tutta la sera.
 
Se, certo, sciocca streghetta.
 
- Sono qui in segno di pace, posso sedermi? -
 
Di tutta risposta, Astoria fece spazio al mago, per poi tornare a sorseggiare il vino come nulla fosse. Dopo un lungo silenzio, la ragazza appellò un bicchiere che colmò di vino e che a seguire porse a Marcus; gli dedicò una fugace occhiata, prima di bisbigliare per non importunare i compagni in piena visione: - Questa non è una guerra, ma se proprio ci tieni possiamo dichiarare una tregua; l’anno è appena iniziato ed io sono già stanca. –
 
Vittorioso, Marcus Flint sorrise e verso Astoria allungò il calice, ammiccando con fare piacione: - Ho solo fatto ciò che ritengo giusto per la nostra squadra, non volermene. –
 
Il mago percepì una forte tensione carica d’eccitazione: ce l’aveva in pugno, ne era certo.
Astoria piegò le labbra in un tenue sorriso; con un movimento quasi impercettibile si piegò verso di lui, riducendo la distanza fra i loro visi. Le sue parole sussurrate profumavano di vino: - Prima di usare mia sorella avresti potuto consultarmi; la poverina non si riprende più tanto è sconvolta. Ti scuserai con lei, Marcus? –
 
- Tutto quello che chiedi, principessa, - una risatina roca uscì dalla sua bocca; il Capitano portò indietro i fulgidi capelli biondi, prima di avvicinarsi ancor più ad Astoria: - Sai, insieme potremmo fare grandi cose, sono convinto che la vittoria sarebbe nostra, se solo unissimo le forze… magari partendo da un segno di pace per suggellare il nostro duumvirato. -
 
- Cos’è che avresti in mente, Capitano? – sussurrò leziosa, quasi a fior di labbra.
 
Marcus sentì che la testa cominciava a girare; che fosse colpa del vino o della vicinanza con Astoria, non sapeva dirlo. Ma era ovvio, così scontato, che la strega lo stesse provocando...
Era fatta. Ancora un piccolo movimento e si sarebbe immerso in un lungo bacio che l’avrebbe fatta capitolare.
 
- Ma cosa… -
 
Marcus si ritrasse di botto e con orrore spostò gli occhi verso il basso: una chiazza luminescente s’allargava proprio al di sopra della cintola dell’elegante pantalone, prendendo corpo in una scritta che brillava attraverso la camicia
 
- Che c’è, ti sarai mica emozionato troppo? – Astoria lo guardava  diabolica, mentre oscillava la bottiglia di vino in una mano: - Devi stare attento a quello che bevi, Capitano. -
 
- Ma che putt… questa me la paghi cara! -
 
Nonostante Marcus Flint si sbrigò a svicolare via dalle file di automobili e dagli studenti accampati sul praticello improvvisato nella Sala Grande, la gran parte di loro poté leggere con distinzione  la scritta verde acido sul suo ventre.
 
AQUI NO SE RINDE NADIE
 
Astoria seguì Marcus Flint correre via, mentre lanciava imprecazioni e tentava di coprirsi la pancia. Sorrise come mai aveva sorriso e nella sua direzione alzò il calice contenente il vero vino.
 
Uno a uno, pluffa al centro, stupido fagiano.
 
 
*
 
Kevin Withby non ci poteva credere, eppure alla fine per una strana combinazione di eventi, era capitato proprio accanto a Lisa Turpin. Da un po’ di tempo la strega aveva attirato la sua attenzione; la graziosa fanciulla era spiritosa, sembrava dolce (il giusto) e nonostante studiasse di buona lena, aveva notato che non rinunciava al divertimento. D’altronde era una grande amica di Roger Davies, non sarebbe potuta essere diversamente da così. Quella sarebbe stata quindi una buona occasione per parlare con Lisa senza necessariamente dover interagire in gruppo, nonostante la visione del film non avrebbe aiutato il dialogo.
Lanciava brevi occhiate alla ragazza al suo fianco; persino quei capelli neri donavano all’aspetto delicato di Lisa. Avrebbe voluto dirglielo, Kevin, ma stranamente proprio quando si era deciso a parlare, sentì la bocca seccarsi e le mani cominciare a sudare. Il giovane mago tutto era fuorché timido: il suo carattere solare, la naturale capacità di stringere amicizia con chiunque, la semplicità con cui faceva ridere tutti coloro che gli stavano accanto, rendevano Kevin davvero una persona amabile, che non aveva mai avuto modo di testare la timidezza. Ma con quella ragazza che tanto gli piaceva proprio non riuscì a rapportarsi normalmente.
Gli prese un colpo, dunque, quando durante una scena d’azione del film in proiezione, Lisa sospirò e, con un movimento fluido, gli afferrò il braccio e poggiò la nuca sulla sua spalla:
 
-È così romantico, non trovi anche tu? –
 
- Oh… eh beh ecco… - Di romantico, in quella scena, non c’era proprio niente di niente, ma questo Kevin non l’avrebbe detto mai. Assurdo ma vero, Lisa Turpin aveva ovviamente voluto trovare una scusa per giustificare quel contatto fisico che aveva fatto saltare il cuore nel petto di Kevin. Come era stato possibile? Forse Kevin stava in qualche modo fraintendendo il comportamento della dolce Lisa?
Ma quando la strega gli strattonò il braccio per tirarlo nella sua direzione e incollò la bocca rosea sulle labbra abbondanti e serrate di lui, Kevin non ebbe più alcun tipo di dubbio. In un primo momento il tassorosso si ritrovò incapacitato a fare nulla di nulla: rimase agghiacciato e immobile, con la Turpin che, afferrata a quel punto la sua faccia, lo aveva per un momento guardato e poi, come se nulla fosse, era tornata all’attacco. Fu in quel momento che Kevin trovò la forza per mandare all’altro mondo ogni tipo di incertezza e, si friggesse la timidezza, aveva a quel punto aperto la bocca per accogliere un bacio tutt’altro che casto. Con una foga inenarrabile, Lisa lo aveva a quel punto spinto contro il sedile, fregandosene di essere circondata da altre quattro persone; del resto il suo caro amico Roger, nonché maestro di vita, glielo diceva sempre: “Batti il ferro finché è caldo, Lisetta!”  e la corvonero era ben decisa a batterlo quel ferro, a discapito del gruppo di amici che si erano ritrovati nella sua stessa automobile.
 
Che poi come si fosse ritrovato dall’essere braccato sul sedile di un auto a quell’angoletto buio della Sala Grande, con Lisa Turpin che sembrava non averne mai abbastanza delle sue labbra tornite, questo non sapeva proprio spiegarselo. Probabilmente quello era il paradiso, valutò Kevin senza rinunciare a quell’epica pomiciata con l’eterea Lisa Turpin che di etereo, a quanto pareva, non aveva che l’aspetto.
 
- Ehi oh, fa piano! -
 
- Sta zitto e vieni qui! -
 
-Oh ca**o sta arrivando la McGrannitt, attenta! –
 
- E allora fatti più in là! Vieni, su! -
 
Così, fra un bacio e un inciampo, Kevin veniva spinto sempre più a fondo nell’angoletto buio dalla prestante e quanto mai agguerrita Lisa.
Chissà che faccia avrebbe fatto Nora a sentire il racconto di quella serata, pensò Kevin mentre, circa tre ore dopo, si ritirava nel dormitorio con i capelli scarmigliati, le labbra secche e gonfie come canotti e il vestito da festa tutto in disordine. Beh, forse non sarebbe stato il caso di raccontare alla sorella proprio tutto, tutto quello che aveva combinato quella sera. I dettagli più scabrosi era meglio tenerseli per sé.
 
*
 
La serata era trascorsa in un lampo, con Mandy che disponeva diligentemente sulla tavola tutti quegli oggetti bizzarri e ne declamava con grande entusiasmo le proprietà magiche, spazianti dal propiziatorio al protettivo, dal dissuasivo al potenziante e chi più ne ha più ne metta. E Cedric, strano ma vero, si era divertito; tanto che quasi non si era accorto del tempo che passava.
 
- Sì: la maggior parte li ho costruiti io – gli confidò ad un certo punto la ragazza, non senza un certo orgoglio, mentre la Sala Grande andava pian piano svuotandosi. – Ora devi solo decidere qual è quello più adatto per te. Se hai bisogno chiedi pure...
Cedric era rimasto ad ascoltarla pazientemente per tutto il tempo, interrompendola di tanto in tanto per porle domande a cui lei aveva risposto dapprima con una certa timidezza e poi, via via, con scioltezza crescente. In quel momento però, messo alle strette dall’imminenza della scelta, il ragazzo lanciò un’occhiata rassegnata alla paccottiglia disposta sul tavolo. La maggior parte dei pezzi era, effettivamente, orrenda, pacchiana e quasi sicuramente inutile, proprio come aveva insinuato la Vane, però...
 
- Quello lì, quella specie di... ehm, quella stellina gialla – le disse, sforzandosi di mantenersi serio. – Quanto costa? -
 
Mandy sorrise, afferrò delicatamente l’oggettino (che, tutto sommato, poteva anche definirsi carino in confronto con le altre atrocità) e scosse la testa come a dire che, in cambio, non voleva niente.
 
- No, no. Per favore. Questo te lo regalo – gli rispose, facendogli inclinare leggermente il capo per infilargli al collo la catenella argentata e sperando vivamente di non sembrargli troppo inopportuna o sfacciata. Esitazione vieppiù acuita dal fatto che Cedric (andandogli vicino Mandy se ne accorse subito, e subito arrossì veementemente proprio per il fatto di essersene accorta) profumava di biancheria lavata e di sapone alla glicerina; in una parola, profumava di buono. – P-per la tua gentilezza, Diggory. -
 
*
Un passo dopo l’altro, Morag s’avviava alquanto sfinita in direzione della propria sala comune. Si sentiva stanca, era vero, ma tutto sommato stranamente appagata dall’ambigua serata appena trascorsa (tranne per il trascurabile momento in cui fu costretta ad assistere alla limonata sfrenata fra la Turpin e il Kevin tassorossino). Fu costretta ad ammettere a se stessa che si era sinceramente divertita in compagnia di quella cricca multicolore e buona parte del merito era da attribuire al mago che era stato seduto al suo fianco per l’intera proiezione del film. La strega da ottima osservatrice quale era, non aveva faticato a mantenere la concentrazione sul film e contemporaneamente a tenere sotto controllo il ragazzo tassorosso. Il Principe, così lo chiamavano praticamente tutti e Morag non trovava difficoltà a capirne le motivazioni: i capelli biondi e lucenti si scontravano con un sorriso di raro candore e questi tratti fiabeschi si univano ai modi impeccabili e alla compostezza che faceva a botte con la giovane età del mago. Tutto fumo e niente arrosto, aveva pensato inizialmente Morag. Non aveva mica ignorato l’animo pettegolo del mago, che sempre e comunque si trovava in mezzo ai migliori circoli del cucito di Hogwarts; e Morag MacDougal, che pettegola non lo era di certo, trovava la cosa alquanto fastidiosa. Aveva per questo motivo ammonito più volte Vinnie, altro pettegolo di prima categoria e a quest’ultimo attribuiva anche la colpa di sfruttare il suo intelletto spacciando compiti per denaro. Ecco, Morag riteneva che se si era sufficientemente intelligenti mai si sarebbe dovuto sfruttare questa dote in favore del proprio rendiconto personale o di futili chiacchiere da comari. Eppure Justin l’aveva oltremodo stupita: nel corso dell’intera serata in sua compagnia, la strega si era resa conto che il Principe aveva la straordinaria capacità di adattarsi ad ogni situazione, senza per questo dover piegare il proprio modo di essere mascherando la propria vera natura.
Morag non era una persona flessibile, ma ammirava chi era in grado di esserlo. Morag non era facile all’adattamento, eppure apprezzava chi, come Justin Finch riusciva nell’ardua impresa senza sforzo. Dalla sua bocca scivolò uno squittio di risata a ripensare a come il mago, chiuso nel suo impeccabile abito all’ultimo grido come fosse un importante ed aristocratico imprenditore, non avesse fatto mai una piega dinanzi al chiasso scomposto degli altri ospiti dell’autovettura ma anzi, sembrasse perfettamente a proprio agio in quella situazione.
E poi Justin era riuscito in più di un’occasione a strapparle risate di cuore, con la sua ironia mai sboccata e fuori luogo.
Ma su una cosa Morag MacDougal avrebbe messo la mano sul fuoco, arrivati a quel momento della serata in cui la sala si svuota e la serata giunge al termine; d’altronde il maschio adolescente medio ha ben poche cose nella testa e gli ormoni gridano alla conquista, tralasciando le motivazioni oggettive che possono spingere verso una ragazza piuttosto che un’altra (insomma, purché si quagli). La strega era quindi sicura che Justin, vista la breve ma intenza vicinanza che li aveva resi protagonisti di una piacevole serata, si sarebbe alfine proposto di riaccompagnarla al suo dormitorio, con lo scopo ultimo di strapparle almeno un bacetto per mettere fine alla maschia turbolenza.
Fu in quel momento che il tassorosso l’aveva stupita per l’ennesima volta, perché scesi dalla macchina si era spolverato la camicia, aveva tirato indietro la bionda chioma con un gesto leggero della mano e, sfoderato il suo invincibile sorriso le aveva augurato una serena notte.
Messo piede nel proprio dormitorio e infine abbondonatasi sul letto tanto agognato, Morag pensò che quel mago che tutti chiamavano Il Principe aveva parzialmente smorzato ogni idea preconcetta che aveva meticolosamente assemblato, rivelandosi al contrario munito di una serie di piacevoli caratteristiche che non le dispiacevano affatto.
Un rumore molesto la destò dal pensiero delle ore appena trascorse; sull’uscio del suo dormitorio, Morag vide spuntare la testolina di Isobel, di pigiama vestita e che la guardava con gli occhioni sgranati:
 
- Non ti ho vista per tutta la sera, che fine avevi fatto? -
 
- Ho visto il film come tutti gli altri, ma ora sono stanca. È tardissimo, è ora che anche tu vada a dormire. -
 
La sorella minore sbadigliò vistosamente senza coprirsi la bocca, cosa che innervosì Morag e prima di dileguarsi tornò a fissare la maggiore:
 
- Ma per caso hai passato la serata con Stephen Cornfoot? Hai visto come era vestito bene? E che buon profumo che… -
 
- Vai a dormire, subito. – La rimbrottò Morag, prima di chiuderle la porta in faccia, con un rapido e calcolato colpo di bacchetta.
 
*
Demelza era sempre “molto” qualcosa: molto felice, molto arrabbiata, molto affamata, molto agitata. In quel momento si può dire che, quel mucchietto di persona dai capelli rossi e movimentati come una fiamma viva, fosse molto contrariata e molto alterata. Barcollava vistosamente, nonostante avesse ai piedi non delle appropriate scarpe col tacco, bensì le sue solite, più che consumate, scarpe di tela (l’originale colore nero non era che ormai un fumoso ricordo). Alquanto sbuffante, con gli occhi chiari diventati lucidi per la serata sopra le righe in compagnia dei suoi amici grifondoro, s’aggirava per i corridoi di Hogwarts decisa a riprendersi un po’. In realtà era successo che, un po’ troppo chiusa in se stessa (causa quelle deliziose erbette che s’era procurato Lee), Demelza avesse cominciato a produrre chartanimus a regime permanente. Quello era il suo antistress per eccellenza, ma forse non era stata la cosa migliore far saltellare, svolacchiare, accartocciare e trepidare animaletti di carta in ogni dove, così che durante il gioco delle penitenze George aveva deciso, senza possibilità di replica, che Demelza avrebbe dovuto rinunciare alla sua bacchetta per minuti novanta. E la giovane cercatrice era ben conscia di aver superato abbondantemente la soglia di tollerabilità dei suoi più che comprensivi compagni, così che borbottò qualcosa e poi, consegnato a malincuore il suo legno, era scivolata mestamente via, lontano da tutti.
Un urto improvviso distrasse la grifondoro dal lungo soliloquio che stava portando avanti ormai da un buon quarto d’ora, attraverso il quale a tratti esprimeva risentimento, a tratti si spendeva in teatralmente tragici ammonimenti nei confronti della sua persona, sempre tanto e troppo esagerata.
 
- Ehi! – esclamò, massaggiandosi il naso impattato con una lunga e ispida barba bianca. Alzando lo sguardo di svariati centimetri, ci mise un po’ a riconoscere il viso di Barry Summers, nascosto dietro quel cespuglio candido.
 
- Oh, scusa, scusami… -
 
Barry si grattò la testa, scovando fra i capelli una scimmietta di carta saltata via da Demelza durante l’impatto. Presa nella mano, la guardò stupito, prima di allungarla per la codina alla strega:
 
- Credo che questa sia tua. -
 
- Si, beh… grazie. Queste stupide scimmie sai, saltano via che neanche te ne accorgi. -
Barry accennò ad una modesta risata, mentre Demelza infilava in una tasca il bizzarro chartanimus.
 
- Tu sei… - Iniziò Barry.
 
- Demelza Robins, nuovo fardello della squadra Grifondoro. – recitò lei, tutta agitata, - Tu invece sei Barry, anche se devi aver guadagnato qualche anno dall’ultima volta che ti ho visto. -
 
Il ragazzo massaggiò la lunga barba con fare meditabondo: - Oh beh, la mia bacchetta ogni tanto non si comporta come… come dovrebbe, ecco. Questo qui, - Barry tirò appena la barba – ne è il risultato; ci ho fatto l’abitudine ormai. – Dopo aver lisciato la barba un paio di volte, il tassorosso osservò la miniatura grifondorina, che passava il peso da un piede all’altro in evidente stato di agitazione. Con la volontà di ammorbidire lo strano incontro, Barry schiarì la voce prima di parlare: - Comunque non sei affatto un fardello; sei stata molto, molto brava durante la partita. Zacharias è un mio compagno e beh, non dovrei parlarne male, ma farebbe saltare i nervi a chiunque. –
 
Demelza di tutta risposta sgranò gli occhi, nel contempo chiudeva il proprio corpo fra le braccia tanto piccine, da dare l’impressione si sarebbero frantumate da un momento all’altro. Barry si chiese dove quella cosina minuscola aveva trovato la forza per fracassare il naso di Smith, ma decise di tacere; la ragazza sembrava un tipo imprevedibile, chissà se qualche parola di troppo non avrebbe suscitato in lei qualche reazione esagerata. Ma Barry possedeva anche un gran cuore d’oro e non riuscì a soprassedere riguardo l’ansia che sembrava essersi impossessata di Demelza.
 
- Tutto bene? Mi sembri un po’ su di giri. – prima che Demelza potesse rispondere, gli venne in mente un’idea: - Se ti fidi ho qualcosa che potrebbe aiutare a calmarti un po’. -
 
Messo su un musetto circospetto, Demelza pigolò: - Sentiamo. –
 
Con movimenti goffi, Barry tastò il taschino della sua camicia strappata, reduce dalla lotta con la bacchetta, poi affondò le mani nelle tasche dei pantaloni:
 
- Questo no, questo nemmeno… toh, ecco qui! -
 
Gli occhioni della strega finirono su un’ampollina che Barry teneva in mano. Quella riluceva di un intenso verde e, nel complesso, non aveva un’aria rassicurante. Quando lui gliela porse, Demelza lo fissò sgomenta:
 
- Di un po’ citrullo, vorrai mica avvelenarmi? -
 
Il mago s’affrettò a scuotere le mani, imbarazzato più che mai (fortunatamente la folta barba nascondeva per bene il color peperone della sua faccia): - Ma… no! Questa è una pozione molto potente, i miei genitori coltivano Trifolium Smaragdus, immagino ne avrai sentito parlare a lezione di Erbologia. –
 
- Non ne capisco un fico secco di quella roba, ma quando vado a trovare i miei nonni vedo sempre i campi messi a coltivazione… - Titubante, Demelza prese l’ampolla e ancora lanciò uno sguardo inquisitorio a Barry: - Ho poco da perdere, ma guai a te se mi rifili un mal di pancia. -
 
L’effetto dell’intruglio smeraldino arrivò quasi istantaneamente: dal sapore tutt’altro che sgradevole, nel momento stesso in cui Demelza sentì colare il liquido lungo l’esofago, arrivò di pari passo uno stato di quiete mai provato prima. Stupita e grata, la grifondoro puntò nuovamente l’attenzione su Barry, che occhieggiava timoroso nella sua direzione.
 
- Wow… wow! Sei un ragazzo fortunato SignorBarry, ad avere sempre questa roba a portata di tasca! -
 
- Sono felice tu stia meglio. – Si limitò a rispondere lui, che mai si sentiva troppo a suo agio con l’altro sesso. Dopo aver borbottato un saluto Barry si voltò e fece per andarsene, ma si arrestò quando sentì strattonarsi appena per la camicia:
 
- Ehi aspetta! – Demelza lo circumnavigò, fino a pararsi di nuovo davanti a lui; con occhi esperti, la strega valutò lo strappo sulla sua camicia: - Senti, non ho la bacchetta con me e la tua credo sia meglio lasciarla stare, ma se vuoi sai… - Demelza infilò le mani nelle tasche di quell’ampio vestito che aveva addosso, un po’ come poco prima aveva fatto il mago; da quelle saltellarono via manciate di chartanimus, ma la ragazza sembrò non farci caso. Barry seguì con lo sguardo la scimmietta di poco prima scappare via, per poi tornare su Elza, la quale allungò verso di lui un piccolo portaspilli e un rotolino di filo candido come la sua barba:
 
- Sono brava a rammendare, permettimi di ricambiare il favore, SignorBarry. -
 
Barry abbozzò un sorriso e lasciò che la grifondoro rattoppasse, con tecnica impressionante, lo strappo della sua camicia; una volta che quelle manine d’oro finirono il rammendo, il tassorosso poté giurare di non aver mai e poi mai lesionato la sua camicia. Mai, nemmeno una volta in tutta la sua vita.

 
*
 
Sfacciata, Alicia non lo era mai stata. Tutto il contrario, semmai: chi la conosceva bene avrebbe potuto senz’altro definirla una persona riservata e discreta, una che prediligeva stare sulle sue e pronunciarsi il meno possibile. Ed era vero.
Pratica, però, la Cacciatrice lo era senz’altro.
Non era certo una da perdersi in manfrine ed aforismi.
Cosicché quando quel giorno, al termine della serata, lo vide salire la scalinata che portava alla Torre di Grifondoro con le pieghe del kilt che ancora gli ondeggiavano attorno alle gambe snelle, Alicia non ci pensò due volte: diede di gomito a Lee Jordan (“Reggimi il gioco, mate” “Perché?!” “Poi ti spiego” “Fa niente: ho già capito. Rotule in vista!”) e, in compagnia dell’amico che ridacchiava facendo ondeggiare i lunghi rasta, gli si affiancò con un balzello aggraziato. Poco più avanti, Katie e Oliver procedevano immersi in un gaio chiacchiericchio fitto fitto, sfiorandosi la mano di tanto in tanto mentre risalivano i gradini.
“Temporeggiatori” Alicia scosse sdegnosamente il capo, per poi trillare:
 
- G’Nite, Coote!
 
- Oh, ciao Aussie. Ehilà, Jordan – scherzò Ritchie. – Quanto tempo!
 
- Già – finse di convenire lei, per poi prendere la palla al balzo. – E visto che, appunto, non ci vediamo da così tanto tempo, che ne diresti di rimanere a fare due chiacchiere in Sala Comune?
Ovviamente, Alicia si guardò bene dal riferirgli che, una volta avviata la conversazione, Lee si sarebbe dileguato in meno di cinque minuti, accampando chissà quale scusa. Data l’amicizia profonda che li legava era già accaduto, in passato, che i due ragazzi si fossero spalleggiati a vicenda su questioni top secret.
Ritchie, ignaro del tacito accordo, annuì tutto allegro.
 
- Beh – le rispose – mi sembra proprio un’ott... -
 
Il ragazzo non ebbe il tempo di finire la frase.
Sul pianerottolo d’accesso alla Sala Comune i tre ragazzi trovarono un folto gruppo di Grifondoro che vociavano e si guardavano intorno smarriti, apparentemente impossibilitati a fare ritorno ai loro dormitori.
 
- Che cosa diavolo sta succedendo, Percy? –Fred Weasley, nel frattempo sopraggiunto insieme a George e ad Angelina, osservava il fratello maggiore che correva qua e là con la sua spilletta di Caposcuola in bella mostra.
 
- Sirius Black – rispose quello, affannato. – Pare che quel farabutto abbia appena aggredito la Signora Grassa.
 
La frase scelta da Astoria per vendicarsi di Marcus viene dritta dritta da Camilo Cienfuegos, rivoluzionario Cubano.

Care amiche, cari amici, bentrovate/i!
Questa volta, causa vacanze e scadenze varie (una di noi ha appena consegnato la sua tesi di Dottorato, tanto per intenderci!) ci abbiamo messo un bel po’ ad aggiornare; ora comunque, come promesso, torniamo con il capitolo dedicato alla Festa di Halloween, con tutta una sfliza di annessi e connessi.
Come sempre, ci auguriamo che quanto scritto sia di vostro gradimento: essendo questo un capitolo infra-partita, abbiamo cercato di dare lo stesso spazio a tutti i personaggi, quindi speriamo di avere fatto un buon lavoro con ciascuno dei vostri beniamini. A questo riguardo, ci teniamo a precisare che questa storia, per ovvi motivi, è una ‘what if?’, per cui tenetene conto nel caso in cui aveste letto qualcosa che, dal punto di vista del canon, non vi torna...
Detto questo, ricordiamo a tutti che il prossimo capitolo vedrà scendere in campo le squadre di Corvonero e Tassorosso (ebbene sì: le due Case cui appartengono le autrici!), quindi vi esortiamo a contattarci in privato per comunicarci il vostro voto in merito. Vi preghiamo inoltre di non preoccuparvi: non vi saranno ritorsioni da parte di nessuna delle due in caso non votiate la nostra Casa. (O almeno, ci proveremo XD)
Vi raccomandiamo anche di farci sapere, in pubblico o in privato, circa le faccende di cuore dei vostri OC, in modo da farci capire se stiamo procedendo nel modo giusto.
A prestissimo!
A&B

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Corvonero VS Tassorosso ***


Capitolo 4. Corvonero VS Tassorosso.
 
 
[ Hogwarts, 1 Novembre 1993 ]
La notizia della presenza del famigerato, pluriomicida Sirius Black all’interno della scuola, aveva gettato panico fra studenti e professori. I primi erano dunque stati rispediti in Sala Grande, dove avrebbero passato la notte in sicurezza, mentre il corpo insegnante e alcuni auror richiamati appositamente per l’occasione, avrebbero scandagliato l’intero perimetro di Hogwarts.
Megan non aveva nemmeno fatto in tempo a mettersi comoda nel proprio dormitorio, che come tutti i suoi compagni era stata rimandata nella Sala dove non più di un paio di ore prima si era tenuta la festa di Halloween. Nel percorrere i corridoi assieme agli altri Tassorosso, Megan scorse una figura più che conosciuta, visibilmente agitata nel parlare con la professoressa Sprout. Svicolò quindi qualche compagno, per raggiungere la maggiore delle sue sorelle:
- Signorina Jones, torni subito insieme ai suoi compagni, non è sicuro gironzolare in giro. – La ammonì la referente di Tassorosso e con quelle parole arrivò il consenso di Hestia: - La professoressa Sprout ha ragione, Megan… -
La vice capitano sbuffò sonoramente: - Se non posso approfittare di te, che senso ha avere una sorella auror? Mi vuoi dire cosa è successo? –
- Appunto: sono un’auror, Meg… sono qui per lavorare ed assicurarmi che voi tutti restiate al sicuro, te compresa. Ora per piacere torna dal tuo gruppo e non farmi preoccupare. -
- Ma io… -
- Non mi costringa a decurtare punti alla nostra casa, signorina Jones. -
Megan tornò, affranta più che mai, in coda con gli altri Tassorosso. Confluiti con gli studenti delle altre case, prese a cercare un posto dove coricarsi ma, puntuale, arrivò un picchiettio sulla spalla.
- Nuovamente qui, sarà il destino a volerci vicini questa notte? -
- Non sono in vena per le tue cretinate Entwhistle… trova qualcun’altra da importunare, grazie. -
A Vinnie, vestito di canotta e pantaloni tema Star Wars, era avvinghiata la sorellina Meline, una slanciata e dinoccolata dodicenne tassorosso del secondo anno. Quando se ne rese conto, Megan arrossì notevolmente e si scusò a mezza bocca con la compagna di casa per come si era rivolta al fratello.
- Troppo poco, Kevin va trattato molto peggio di così. – Rispose Meline, senza però staccarsi dalla vita del fratello.
- Capisci come mi tratta? – il ragazzo diede uno scappellotto bonario dietro la nuca della piccola Entwhistle, - Però come sei corsa subito da me, appena hai saputo che un terribile assassino si aggira per la scuola. Ingrata. -
Le labbra di Megan si tinsero di un sorriso mesto. Vedere la sintonia fra quei due fratelli, in quel momento, l’aveva depressa ancor più. Una volta accompagnata Meline dalle sue amiche e controllato che fosse ben circondata, Kevin tornò da Megan, intenta nel frattempo a sistemare con rabbia malcelata un cencioso sacco a pelo, accucciandosi al suo fianco.
- Cosa sarà mai successo nel giro di un’ora, da far sparire il tuo bianco sorriso? Non fare quel broncio e racconta tutto a zio Kevin, su. -
Inizialmente rimostrante, quando Megan si rese conto che il corvonero non si sarebbe scollato tanto facilmente, sbuffando gli concesse di sistemarsi accanto a lei.
- Mia sorella è qui… mia sorella maggiore per la precisione. A differenza di Gwen adoro che Hestia si palesi nella mia vita, però è qui in veste ufficiale; la storia di Sirius Black… è un auror, sai. -
- Uhuh, una famiglia importante, i Jones. – Vinnie poggiò il mento sulle mani, - Quindi quale è il problema? -
- Il problema è che mi ha liquidata in un secondo. Dico io, non ci vediamo mai e questo è il modo di trattarmi? Poteva dimostrarsi un minimo più calorosa quantomeno… invece è più gelida di Gwenog. -
Megan trovò stranamente semplice aprirsi con Kevin, principalmente perché, dovette ammettere la strega, il ragazzo si era rivelato un ottimo ascoltatore. Quando Megan titubò nel raccontargli della sua più che numerosa famiglia, elogiando ogni singolo membro di essa, Vinnie non fece nemmeno un solo commento a riguardo; l’unico momento in cui il ragazzo si permise di farsi una sonora risata, fu quando lei nominò quel casinista beota di Rhys il quale, a quanto pareva, lavorava più o meno stabilmente in una riserva di Gallesi verdi.
- Sono sicuro che andremmo più che d’accordo, tuo fratello ed io! -
- Nella malaugurata ipotesi vi doveste conoscere, dovrei pregare ogni notte per evitare che vi rinchiudano ad Azkaban. -
Megan continuò passando in rassegna tutti: sua madre Glenda, suo padre Aeron; gli occhi le si illuminarono quando parlò di suo nonno Bran, decisamente il suo preferito fra la sua numerosa famiglia assieme ad Hestia, la maggiore delle sue sorelle. Decantò le lodi del maggiore dei suoi fratelli, Owen, ma arrivata a Gwenog si interruppe di botto.
- So bene chi è, ce li ho anche io i poster delle Holy appesi sopra il letto, che ti credi. -
Con quella provocazione, Vinnie si aspettava che Megan cominciasse a dare di matto, eppure non accadde. Al contrario, la tassorosso si rabbuiò ancor più e tirò il bordo del sacco a pelo in cui era chiusa fin sopra il naso.
- E quindi Gwenog è il tuo punto debole, se ho ben capito. -
Gli occhi di Megan scattarono in quelli verdi di Vinnie. Solo dopo un lungo sospiro, la ragazza confessò dei grandi complessi di inferiorità nei confronti di sua sorella, ovvero quella favolosa, campionessa di Quidditch, davanti alla quale lei non poteva che ritenersi una nullità.
- Senti Meg. – Sussurrò il corvonero, prima di chiudere definitivamente gli occhi.
- Mh… che c’è? – sbadigliò lei, provata dalla lunga confessione e desiderosa di addormentarsi il prima possibile. Neanche aveva fatto caso che il ragazzo l’aveva chiamata quasi per nome.
- Comunque andrà la partita, voglio che tu sappia che non devi sentirti inferiore a nessuno. Se hai bisogno di iniettarti un po’ di autostima, passa nel nostro spogliatoio a fine match. -
- Sei proprio un imbecille, Entwhistle! -
- Generoso sarebbe il termine più appropriato da utilizzare. –
 
[ Corridoio del terzo piano, 2 Novembre 1993 ]
Quello che Morag aveva appena visto le apparve particolarmente bislacco. Fianco a fianco di sua sorella, si stava avviando verso la biblioteca; non avrebbe voluto dedicare quelle ore libere dalle lezioni al ripasso del tedioso programma di Storia della Magia del terzo anno, ma Isobel l’aveva letteralmente implorata (fu molto imbarazzante quando la vide mettersi in ginocchio in Sala Comune, con le mani giunte e una lagnosa preghiera in bocca), così dopo averla brutalmente fatta alzare, Morag aveva deciso di darle una mano. Avrebbe dovuto iniziare a cavarsela da sola senza fare sempre riferimento a lei, questo stava pensando il portiere quando i suoi occhi chiari videro, nel corridoio del terzo piano, un gruppo davvero improbabile di studenti: vestito di tutto punto, Justin Finch Fletchley sembrava particolarmente serio e parlottava a bassa voce con Penelope Clearwater, corvonero anche lei, Hermione Granger e un ragazzino minuscolo ma riconoscibile, visto che portava sempre con sé una macchina fotografica; a chiudere la fila nientepopodimeno che Nick-quasi-senza-testa e Mrs Purr, quell’orrenda e fastidiosa gatta del custode Gazza. Questo atipico gruppo procedeva solenne, ma quasi nessuno sembrava fare caso a loro. Quando raggiunsero l’altezza di Morag, quest’ultima scambiò un rapido sguardo con Justin il quale, accennato un flebile sorriso, chinò appena il capo in segno di saluto per poi proseguire sulla propria strada.
Molto, molto strano, pensò Morag.
- Ehi, ti sei incantata? Andiamo, su! – La voce di Isobel la distrasse dai propri pensieri.
- Oh… si, andiamo; abbiamo poco tempo e Priscilla solo sa quanto dovrò sbuffare, per farti entrare qualcosa in quella testa. -

[ Bagno femminile del terzo piano, 2 Novembre 1993 ]
Justin varcò per primo la porta del bagno, in religioso silenzio. Le mani congiunte dietro la schiena, la postura quanto mai eretta, lo sguardo più serio che mai. Le iridi cianotiche si persero nelle maioliche mosaicali che rivestivano il bagno e poi si spostarono più in là, laddove si scontrarono con l’immagine lattiginosa di una ragazza stranamente silenziosa. Fu a quel punto che Justin sorrise:
- Siamo felici di averti qui con noi, Mirtilla. Gradiremmo ci facessi compagnia per tutto il tempo che desideri. -
Gli occhioni coperti da spesse lenti incorporee erano già sul rotto del pianto, eppure Mirtilla Malcontenta parve ingoiare le lacrime. Justin sapeva che quel giorno non avrebbe dato di matto come suo solito e che, al contrario, avrebbe assecondato l’inusuale cerimonia, bisognosa anche lei di essere compresa da qualcuno.
Ma Justin, al contrario, sentì le lacrime salire agli occhi. Li chiuse lentamente e cercò dentro di sé un respiro abbastanza profondo che gli avrebbe permesso di non cedere. A supportarlo trovò la mano di seta di Penny, posata sulla sua spalla.
- Non dobbiamo farlo per forza, se non ce la sentiamo; lo sai, vero? -
Il tassorosso fu grato della delicatezza della ragazza; l’uso al plurale lo aveva fatto sentire meno sciocco e più compreso, in quel giorno che avevano scelto per commemorare la vita.
- Tranquilla principessa di Itaca; la mia non è che commozione di gioia. -
Fu Hermione Granger a farsi avanti, a quel punto. Dopo aver tossicchiato flebilmente, estrasse dalla tasca la pergamena sulla quale aveva appuntato il proprio discorso e, posizionatasi davanti al rubinetto con la riconoscibile testa di serpente, trasse un respiro e osservò ognuno di loro: il piccolo Colin si apprestò a scattare un’istantanea per l’occasione; ser Nicholas assunse una posizione militaresca e accolse la presenza di Mirtilla, che era fluttuata al suo fianco silenziosa e cupa; Justin e Penny, rispettivamente principe e principessa di Hogwarts, si scambiarono uno sguardo prima di dedicare attenzione ad Hermione. Mrs Purr strusciò fra le gambe dell’uno e dell’altra, trovando infine il proprio posto ai piedi della grifondoro.
- Vi ringrazio di avermi onorata con questo ruolo. Ho pensato a lungo a queste parole, prima di riuscire a formulare un discorso di senso compiuto. Non è stato facile, come non lo è stato tornare alla vita di tutti i giorni, dopo quanto successo lo scorso anno… - Hermione prese una breve pausa, poi regalò ai suoi ascoltatori un caldo sorriso e uno sguardo riconoscente, infine proseguì: - …eppure credo sia per noi importante tenere a mente di essere dei sopravvissuti e, per questo, grati di avere ancora una vita da vivere. -
Il monologo di Hermione andò avanti per un bel po’, strappando in più di un’occasione la commozione dagli occhi, viventi e non, dei presenti. Justin ascoltò attentamente ogni singola parola, mentre la testa fluttuava in pensieri complessi: tante cose erano cambiate dallo scorso anno, da quando aveva avuto il suo spiacevole incontro con il Basilisco. A ripensarci, il principe sentiva arcigni brividi pervadergli il corpo tutto. Fino a quel momento non era stato che un mago come tanti altri, notevolmente spensierato; del resto la vita aveva girato a suo favore: nato babbano, la lettera di Hogwarts aveva rappresentato per lui un portone dorato, oltre il quale grandi possibilità lo stavano attendendo. Era entrato in Tassorosso senza sapere praticamente nulla del mondo magico, tantomeno delle case, ma mai una volta aveva pensato che quella di Tosca la saggia non fosse per lui appropriata. Justin aveva subito stretto salde amicizie con compagni buoni e fedeli, che lo avevano accolto con allegria fra di loro e dal primo giorno di scuola non aveva mai avuto modo (fortuna sua), di scontrarsi con grandi problemi.
Justin Finch Fletchley aveva tutto quello che un ragazzo della sua età poteva desiderare: una bellissima e facoltosa famiglia alle spalle, un gruppo nutrito di amici, il bell’aspetto e ottime capacità nel Quidditch.
Ma l’incontro con il Basilisco lo aveva totalmente cambiato. A seguito del suo “risveglio”, Justin era diventato cupo, teso, triste. Il terrore lo accompagnava in ogni momento della giornata e non faceva altro che pensare alla morte, la quale si sarebbe potuta presentare a lui in qualsiasi momento. E come lui, gli altri compagni presenti in quel bagno, inclusa Mrs Purr e il fantasma di Grifondoro, entrambi vittime della pietrificazione.
Poi le cose avevano cominciato a migliorare dopo che Penelope Clearwater si fu presentata alla porta della sua Sala Comune, chiedendogli di parlare. Era stata proprio lei ad organizzare il primo incontro di quel gruppo di mutuo aiuto, che per Justin rappresentò la salvezza. Il suo pensiero cominciò a mutare rapidamente: alla paura della morte si sostituì la felicità di essere sopravvissuto, di avere ancora una vita da vivere serenamente e grandiosamente. Gli attacchi di panico svanirono pian piano, incontro dopo incontro, assieme a piccoli, tesissimi sorrisi, che divennero col tempo sguaiate risate di cuore.
Justin aveva sconfitto un mostro quasi invincibile; per questo propose di celebrare da quell’anno in poi, l’incontro con il Basilisco. Quell’incontro che doveva rammentare a loro tutti, compresi i trapassati, che non bisogna sottovalutare la possibilità di superare i problemi e le difficoltà. Justin aveva avuto l’occasione di andare oltre e lo avrebbe ricordato per sempre, finché la Morte non sarebbe davvero giunta da lui, ma solo nel momento giusto.
 
[Sala Grande, 3 novembre 1993]
L’incursione di Sirius Black all’interno delle mura del Castello aveva comportato ripercussioni di entità variabile. Una delle più collaterali e, forse, inattese, fu l’arrivo, tre giorni dopo il fattaccio, di una comunicazione ufficiale da parte dell’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche del Ministero. L’annuncio, letto in Sala Grande durante la cena, diceva pressappoco così:
In seguito all’aggressione verificatasi la sera del 31 ottobre ai danni dell’esimia Custode della Torre di Grifondoro, altresì nota come Signora Grassa, l’URCCM si riserva di eseguire adeguati controlli per favorire la sicurezza degli studenti di Hogwarts.
Tutti i proprietari di creature magiche, di qualsiasi specie, sono quindi tenuti a presentarsi in Sala Grande il pomeriggio del 4 novembre in compagnia delle loro mascottes, affinché le formalità predisposte possano essere svolte con la dovuta celerità.
Silvanus Kettleburn,
Capo dell’URCCM.
- Kettleburn? – si stupì Alicia, in quel momento intenta a cospargere di miele di eucalipto un waffle spesso come un copertone. – Lo stesso Kettleburn che lavorava qui?
- Sì – confermò Ritchie che, per una qualche ragione non ben nota ai più, sembrava padroneggiare l’argomento. – Il nostro ex professore di Cura delle Creature Magiche. Dopo la pensione, ha assunto la carica di Direttore dell’URCCM...
- Strano, però – commentò Jimmy, la forchetta ancora a mezz’aria. – Perché mai dovrebbero interessarsi ai nostri animaletti?
- Per un motivo molto semplice – chiarì subito Percy Weasley che, in qualità di Caposcuola, era sempre informato dei fatti. – E cioè che la Signora Grassa, interpellata, ha farfugliato un qualcosa del tipo “quella bestiaccia gli ha aperto la porta”.
- “Bestiaccia?” – si stupì sua sorella Ginny, seduta poco lontano. – Di che genere di bestiaccia stava parlando?
Percy scosse la testa.
- È proprio questo che non sappiamo. – Il terzogenito Weasley si alzò in piedi e spolverò distrattamente la manica del cardigan coperta di briciole. - Alcuni altri suoi spezzoni di frase, però, farebbero intuire una connivenza da parte di uno degli animali domestici che vivono nel Castello. L’URCCM orienterà le indagini proprio in questo senso, pare.
 
[Dormitori femminili di Corvonero, notte fra il 3 e il 4 novembre 1993]
Fogliame lucido. Siepi di bosso.
Meandri, bivi, sentieri tortuosi, vicoli ciechi.
Una svolta, un’altra, un’altra ancora: passo accelerato, respiro affannoso. Tutt’intorno, silenzio ovattato rotto da fruscii misteriosi.
Ansia crescente, smarrimento, claustrofobia.
Nascosto nell’ombra, un essere occulto che subito sparisce nel fogliame. Un leone? Un wampus?... o forse... una Sfinge?...
C’è qualcosa che pende da quel rametto. Appeso ad una catenella, un piccolo oggetto brillante... oltre la curva, uno scintillio più intenso s’impone però sulle tenebre, catalizzando l’attenzione su di sé.
Ed eccola, infine, finalmente visibile.
Una grande coppa dorata, con manici simili a due ampie orecchie sporgenti.
Mandy si tirò su a sedere, sforzandosi freneticamente di ricucire insieme i brandelli di sogno che, inesorabili, le scivolavano via fra le dita.
Un labirinto. Una coppa.
La ragazza strinse le labbra. C’era dell’altro, ne era consapevole. Un dettaglio importante che lei, però, non era riuscita a trattenere.
 
[Sala Grande, pomeriggio del 4 novembre 1993]
Gli studenti proprietari di animali domestici (più o meno) magici affluivano lentamente in Sala Grande per assolvere ai controlli predisposti dall’URCCM, in un rimbombare disordinato di versi, stridii, zampettii, frulli d’ali e richiami di ogni tipo.
Varcata la soglia Jimmy e Alicia, rispettivamente muniti di Bruce e Uluru, si fermarono un attimo per orientarsi. Insieme a loro c’era anche Ritchie, che quel giorno non aveva niente di meglio da fare; sfruttando i diversi centimetri in più di statura che gli permettevano di svettare sulla maggior parte dei presenti, il ragazzo avvistò di lontano i membri del tanto decantato servizio di sicurezza.
- Ci sono delle file ordinate in base alla specie – spiegò ai compagni. – Sulla destra: rospi – Ritchie indicò una fila dalla quale proveniva un intenso gracidare. - Poi gatti e, subito a fianco, gufi e affini. – A giudicare dal chiasso, felini e pennuti si contendevano il primato di Bestie Più Rumorose del Mondo Magico. - Dopodiché, mi pare, topi... poi, quelle dovrebbero essere le Puffole...
- E io dove accidenti vado? – domandò Alicia un po’ disorientata, mentre Jimmy si avviava verso la fila “rospi” per unirsi a Neville Paciock, che stringeva fra le mani il suo Oscar, e a Vinnie Entwhistle, sulla cui spalla riposava un minuscolo batrace dall’aspetto vivacissimo.
- Uhm. Credo che Uluru rientri nella categoria “altro”.
- Oh, benissimo.
Alicia salutò Ritchie, che raggiunse Jimmy e gli altri alla fila di destra, mentre lei si spostava sul lato opposto della Sala. Nella fila “altro” si concentravano tutti gli animali più rari e più strani della scuola, troppo diversificati da poter essere suddivisi in categorie predefinite.
- Ehilà, Spinnet.
- Maxine! Come va, spiffy gurl?
- Benone. Che noia ste procedure, eh? – commentò la Tassorosso, simulando uno sbadiglio.
- A chi lo dici – concordò Alicia. – E questo bel signorino chi è?
- Ah, questo è Joey – sorrise Maxine stringendo al petto una grossa donnola dallo sguardo turpe, abbellita da uno scintillante collarino di strass. – È il mio Jarvey. Mio zio Aurelius l’ha salvato, ancora cucciolo, dall’attacco di un falcone, una volta che si stava recando a spasso nel bosco. Da allora lo curo io. Saluta Alicia, zuccherino...
- Ciao, bellagnocca – disse Joey.
Alicia scoppiò a ridere fino alle lacrime.
- Scusalo – bisbigliò Maxine che, in realtà, non era per nulla imbarazzata. – I Jarveys amano le trivialità, sai.
- Troppo forti – decretò la Grifondoro, tirando su col naso.
- Avanti il prossimo.
Una voce bassa e un po’ graffiante interruppe il chiacchiericcio delle due ragazze.
Alicia si girò e mosse il piede per raggiungere la cattedra; dopo un passo, però, si arrestò, esitante. Davanti a lei c’era un uomo di mezz’età, alto, completamente vestito di nero e dallo sguardo ceruleo, gelido come il ghiaccio. Appollaiata sulla sua spalla, un’enorme cornacchia nera come la notte si guardava intorno facendo schioccare il becco affilato. Il cartellino d’identificazione posato sul tavolo recava scritto: Walden Macnair. URCCM, Sezione Speciale.
- Nome e cognome.
- A-Alicia. Alicia Myaree Spinnet.
L’uomo strinse gli occhi.
- Possiede un animale?
- Sì... – Alicia deglutì e tentò di posare Uluru sulla cattedra, ma l’ornitorinco prese a divincolarsi e a stridere come un pazzo, cercando invano di liberarsi. Evidentemente, neanche lui simpatizzava con il loro tetro interlocutore. – Questo è... è...
Le iridi celesti dell’uomo parvero dilatarsi mentre, davanti a lui, l’animaletto si dibatteva terrorizzato.
- ... un Ornithomagicus Australiensis – Macnair, pensoso, lisciò le lucide penne della sua cupa cornacchia, cui si rivolse con un sussurro. – Una specie davvero rarissima alle nostre latitudini, non è vero, Zlatan? (“Nonché un pezzo da collezione assolutamente inestimabile” meditò, correndo col pensiero alla sua adorata Sala dei Trofei - così rifornita che, modestia a parte, il Museo di Storia Naturale di New York non le faceva che un miserrimo baffo).
- Sì – confermò Alicia, assentendo in modo meccanico. – Precisamente.
- Mi mostri il Certificato di Registro, per cortesia.
- Il...? Oh. – la ragazza scosse la testa, confusa.
- Questa è una specie magica esotica, quindi necessita di apposita Autorizzazione per Fauna Non Brittanica. Lo sapeva?
– Ma io... cioè, Uluru vive qui con me da cinque anni... e non mi hanno mai chiesto...
- Non ce l’ha?
- Beh, veramente... insomma, no. Ma...
- Vada pure – la liquidò l’uomo, glaciale. – Riceverà istruzioni in breve.
- S-sì, ma... signor Mac... Macn... insomma: cosa devo...?
- Riceverà istruzioni in breve – ripeté quello. – Avanti il prossimo.
Alicia accarezzò il morbido pelo color tabacco di Uluru e si allontanò titubante, proprio mentre Joey il Jarvey si presentava a Walden Macnair con un sonoro Ciao, stronzone subito seguito dall’acutissimo Mi scusiiii! di Maxine.
 
[Sala Grande, mattina del 5 novembre 1993]
La voce di Roger risuonò intrisa di ghiotto stupore.
- Ma non mi dire...
- Sono serissimo, invece.
Cedric afferrò il manico della tazzina e, facendo attenzione a non far tracimare il liquido che la ricolmava, immerse il labbro nel caffè nero e sorbì con un fare che aveva un che di ufficiale.
- Cedric Antoine Diggory – lo canzonò il Corvonero, facendo seguire alle sue parole un sorriso di perla. - Ti proibisco categoricamente di distrarre le mie giocatrici. Siamo in pieno clima prepartita, debbo ricordartelo?
- Roger Ramón Davies Ayala – replicò il Tassorosso, categorico. – Ma per chi mi hai preso? Prima di urlare al sabotaggio, chiudi il becco e stammi a sentire fino alla fine.
Roger alzò le mani in segno di resa e mordicchiò distrattamente l’anellino di acciaio che gli adornava il labbro inferiore.
- E va bene. Spara, guapo. Sono tutto orecchie.
- Vorrei invitarla ad uscire, e spero davvero che lei accetterà – bisbigliò Cedric, guardandosi nervosamente intorno. – Ho intenzioni serie.
- “Intenzioni serie”?! – ululò Roger, guadagnandosi un’occhiataccia ed un imprecazione volta a fargli abbassare la voce. – Ma smettila! Sono il suo Capitano, mica suo padre!
- Languelingua! Fa lo stesso, idiota!... E comunque – proseguì Cedric, mentre l’altro rischiava di strozzarsi con la sua stessa saliva – glielo chiederò solo a partita conclusa. Va bene?
- Elargimur Nostram Benedictionem – recitò Roger, compunto. – Andate e moltiplicatevi, figlioli cari.
- Qualcuno lo salvi – rise Cedric, scuotendo la testa.
 
[Sala Comune di Corvonero, pomeriggio del 5 novembre 1993]
- No, di prove non ne ho, ma ne sono quasi sicura.
Cho sorrise, chinando in avanti il capo per avvicinarsi alle due compagne.
- Sì, ma su quali basi? – volle sapere Lisa, facendo scorrere le dita fra le lunghe ciocche di capelli lisci che, finalmente, avevano riassunto la loro abituale colorazione chiarissima, mentre Marietta, un po’annoiata dal discorso, faceva spallucce e affondava il naso nell’ultimo numero del Settimanale delle Streghe.
- Perché Roger ha parlato di una sua giocatrice, e perché lui ha detto che, per evitare interferenze, le proporrà l’uscita solo a match concluso.
- Per quanto ne sai, potrebbe anche essersi riferito a Morag, o a Mandy. O addirittura a me.
Cho alzò al cielo i begli occhi scuri dal taglio allungato.
- Sciocca. Tu esci con un suo giocatore. Cedric è troppo corretto per prendere in considerazione una bassezza del genere.
- Uhm. Hai ragione – ammise Lisa, lieta di poter parlare un po’ del suo bel Kevin. – Ma: e quanto alle altre?
- Non mi risulta che Morag e Cedric si siano mai parlati – minimizzò Cho, metodica. – E quanto a Mandy... beh, è Mandy, andiamo. Sarebbe assurdo.
- Oh, beh – commentò Lisa, non del tutto convinta. – Ma tu, hai chiesto delucidazioni a Roger?
- Certo. Ma col cavolo che si è scucito, quello.
- Strano...
- Già. Però senti – insistette Cho, sulle ali  di quell’ottimistica autostima che suole muovere tutte le ragazze dannatamente popolari. – Mi ha guardata per un secondo in più del dovuto, stamattina. E non è la prima volta. Ne sono quasi sicura.
- Ah, ma allora – chiosò Lisa, alzandosi di scatto per scendere al chiostro principale, ove si era data appuntamento con Kevin – direi che sei a posto, Fiore di Ciliegio.
 
[Aula di Pozioni, Sotterranei del Castello, 6 novembre 1993]
Neil lanciò un’occhiata alla sua immagine riflessa nel vetro di una vecchia teca polverosa, si aggiustò il colletto della camicia e tirò indietro i capelli chiari sfuggiti all’elastico. Non male. Anche se, di sicuro, la divisa scolastica non era certo la miglior soluzione stilistica possibile. Neil, che non amava le tinte scure, avrebbe preferito di gran lunga poter usare gli abiti chiari  che lui prediligeva sopra ogni cosa, ma purtroppo il regolamento di Hogwarts vietava – forsanche giustamente - che gli alunni andassero in giro abbigliati come diavolo credessero.
- Datti una mossa, biondino – lo derise bonariamente Oliver, mentre, in compagnia di Percy, il Grifondoro si metteva in fila per entrare in classe assieme agli altri studenti del settimo anno sopravvissuti alle scremature di Piton. Barry Summers, che si trovava proprio davanti a loro, girò il capo e ridacchiò:
- Sei più radioso di un’ampolla di Felix Felicis, Mr. Ice.
- Chiudi il becco, Beard-il-barbogio – ribatté Neil, secco. Barry non se la prese, mettendosi anzi a chiacchierare del più e del meno con Elizabeth Coote, la sorella maggiore di Ritchie, e Penny Clearwater, l’altra compagna di Corvonero.
Non appena ebbero preso posto nei banchi, Piton si schiarì la voce e prese parola.
- Oggi faremo un’esercitazione pratica. Dividetevi in coppie, possibilmente senza temporeggiare, grazie.
Il gruppetto si divise velocemente. Da una parte Oliver e Percy; poco lontano, Liz e Penny. E con grande stupore di Barry, che era solito lavorare in coppia con Neil, quest’ultimo si posizionò velocemente accanto al calderone di Gemma Farley, bofonchiando un qualcosa di simile a Stamattina i fondi di tisana mi hanno suggerito di essere innovativo. Il povero Portiere Tassorosso dovette quindi rassegnarsi a prendere posto al fianco di Marcus Flint, che lo accolse con una smorfia intrisa di perfidia e disgusto.
- Che puzza di tasche vuote – commentò il Serpeverde, sprezzante.
- Che puzza di sterco – replicò Barry, tutto allegro. – E dire che il figlio dei contadini sarei io. Che strano, il mondo!
Flint lo guardò, sorpreso e infuriato. Barry Summers non era, solitamente, tipo da ribattere. L’appartenenza alla squadra, evidentemente, gli aveva procurato un’indesiderabile botta di autostima.
- Io con lo sterco ti ci chiudo la bocca, bifolco irlandese.
- E tu provaci, fighettello londinese.
- Quanti punti devo sottrarre a Tassorosso, signor Summers? – l’intervento di Piton li zittì all’istante. – Duecento? Duemila? Al lavoro, subito. Tienili d’occhio tu, Sebastian, o non rispondo di me.
L’Assistente del professore, un soggetto dall’aspetto altero, si posizionò poco lontano dai due e prese a sorvegliarli con occhio critico, tavoletta alla mano. Ex-Serpeverde ed enfant prodige del corso di Pozioni Avanzate della Cambridge Magical University, il giovane mago si barcamenava fra il ruolo di tutor ad Hogwarts, sulle classi dal quinto al settimo anno, al mattino, e le lezioni universitarie nelle ore pomeridiane.
Le cose, com’era da immaginarsi, non andarono molto bene. A circa metà lezione, dopo che i due compagni-non-consenzienti si furono punzecchiati a vicenda secondo livelli di malevolezza variabile, la capricciosa bacchetta di corniolo di Barry (già bizzosa di norma, ma ulteriormente aizzata dal nervosismo del suo proprietario) vide bene di combinarne una delle sue, provocando un aumento anomalo della temperatura all’interno del calderone, che alla fine eruttò alla stregua di un piccolo vulcano hawaiiano. Colpito in piene chiappe dal getto incandescente Marcus Flint, che si era incautamente girato lasciando sguarnite le sue nobili terga, dovette essere trasportato in tutta fretta in infermeria per un procedimento d’urgenza, in seguito al quale sarebbe poi stato costretto a trascorrere una settimana a riposo, sempre in posizione rigorosamente prona. Come risultato di tale prodezza, la nobile Casa di Tassorosso si vide spogliata della bellezza di trentasette punti, detratti con malcelata soddisfazione ed ostentata perfidia dal simpatico Assistente di Piton.
Nel frattempo, il calderone di Gemma e Neil sobbolliva diligentemente.
Strano, però si disse Neil, osservando di sottecchi la compagna che, all’apice della timidezza, gli aveva rivolto si e no due frasi nel giro di un’ora. La immaginavo più... abile. E difatti, così era. Non che Gemma non se la cavasse bene. In fondo, alle sue lezioni del livello M.A.G.O., Piton ammetteva solo studenti da Eccezionale. Però, alla luce dello strepitoso infuso di Erica Rosa (“La Tisana!”) che la ragazza aveva preparato in occasione di Halloween, Neil, chissà perché, l’aveva immaginata come una specie di Divinità Calderonica. Cosa che Gemma, per quanto discretamente abile, decisamente non era. In più di un passaggio, infatti, era stato proprio il Grifondoro a salvare la situazione, aggiungendo, pesando e rimescolando.
Strano davvero.
Il trillo della campanella che segnava la fine della lezione lo distolse dai suoi perplessi pensieri. Neil spense il fuoco con un colpo di bacchetta e poi, deciso a ricorrere al Piano B, si affrettò a recuperare la cartella, all’interno della quale aveva riposto il thermos di vetro da restituire alla ragazza, cosa che però avrebbe fatto solo ed esclusivamente una volta lasciata l’aula, nella penombra rassicurante dei corridoi, lontano dalle pupille acute di Piton e dei compagni.
Il Piano B, purtroppo per lui, non ebbe successo.
Proprio all’esterno della classe, con la schiena appoggiata al muro di mattoni, Graham Montague attendeva pazientemente che Gemma facesse capolino attraverso la porta.
- Ciao, Pulce – la salutò, non appena la vide. Lei gli rivolse un sorriso timido ma luminoso, che gli fece un po’ rimpiangere di non essere fisicamente in grado (le sue corde vocali si rifiutavano di funzionare, quando provava a dire qualcosa di carino) di chiamarla con il suo vero nomignolo. Da che mondo era mondo, Graham detestava le smancerie tanto che spesso, in passato, i suoi tentativi di atteggiamento minimamente affettuoso erano degenerati in violente reazioni allergiche.
- È Pulcino – lo redarguì Gemma, fingendosi seria. – Che poi, fra parentesi, sarebbe un soprannome riservato ai familiari.
- Fa lo stesso – sbadigliò lui con fare ostentatamente annoiato. – E comunque, se lo usa il vecchio Tom Farley, debbo per forza appropriarmene anch’io. Punto. Possiamo andare, ora?
- E dove, se mi è lecito chiederlo?
- È una sorpresa, te l’ho detto. Quindi, vedi di non scocciarmi e cammina.
Accigliato, Neil li guardò allontanarsi lungo il corridoio. Con le pive nel sacco, il ragazzo ripose il delicato thermos di vetro all’interno della borsa, per poi evocare a gran voce Floffy affinché questi gli portasse un paio di litri di tisana di Tarassaco, giusto per farsi passare il nervoso.
 
[F.F. Fan Club, altresì conosciuto come Il Nido, poco dopo]
Gemma sgranò gli occhi, incredula.
Dalla parete prospiciente la porta una gigantografia di suo padre, intento a volare in formazione compatta con altri sei giocatori, le rivolse un cenno di saluto. Tutt’intorno, stendardi e striscioni in bianco e grigioscuro con l’effigie del Falcone le rivelarono che si trovava all’interno di uno spazio interamente dedicato alla celebrazione dei Falcons di Falmouth. Alcuni studenti e studentesse rappresentanti le quattro Case circolavano per la stanza, divisi in piccoli gruppi, e chiacchieravano animatamente.
Graham non le disse niente, lasciandola a gustarsi la sorpresa da sé. Una sorpresa bella grossa, a voler essere sinceri. In tanti anni di permanenza al Castello, la ragazza non era mai stata messa al corrente dell’esistenza di un Fan Club dedicato alla sua squadra del cuore.
“Colpa mia, ovviamente” si disse, pensosa “che non parlo mai con nessuno”.
Mentre Gemma osservata rapita le fotografie, gli albi e gli oggetti autografati (fra i quali figurava anche un rarissimo paio di mazze, tutte sbeccate, appartenute ai fratelli Broadmoore), Graham si spostò sul lato opposto della saletta e rivolse la parola a due dei ragazzi presenti.
- Dimmi che hai una paglia, Coote – disse al più alto dei due – le mie me le ha sequestrate stamattina quel babbano di Gazza.
- Come no – rispose Ritchie, frugando nelle tasche. – Niente Hermes, però. Ho solo un paio di AsBest.
- E sia – si accontentò il Serpeverde. - Catrame per catrame...
- Vedo che hai portato visite – osservò Jimmy, occhieggiando all’indirizzo di Gemma.
Graham emise un anello di fumo.
- Già. Una figlia d’arte, se è che m’intendi.
- È venuta da sola? – volle sapere il biondo, piuttosto interessato.
- Lasciamo la Roper fuori dalle mura di questo Sacro Santuario, Peakes – grugnì Graham, insofferente. – O ti giuro che il nostro accordo di non-belligeranza va a farsi benedire.
- Non sia mai – replicò l’altro. Sarebbe stato senz’altro un peccato incrinare il delicato equilibrio che, ad ogni riunione, veniva a crearsi all’interno di quella stanza in cui, paradossalmente, veniva glorificata una squadra eccezionalmente violenta. Eppure, fra quelle quattro mura che li riunivano sotto il culto dei Falcons, i ragazzi appartenenti a Case rivali evitavano di accapigliarsi.
- Cosa ne sai, tu, della Roper?! – domandò Jimmy poco dopo.
- Molto più di quanto tu non immagini. E, lasciatelo dire, faresti meglio a cambiare rotta. Consiglio spassionato.
- A quanto pare la conosci bene.
Graham fece una smorfia.
- Diciamo che ho studiato a fondo le mie giocatrici.
- Ma piantala – lo schernì Jimmy – parli come se il Capitano fossi tu.
- Ma certo che no – mormorò Graham, sorridendo enigmatico. – Non ancora, per lo meno.
 
[ Sala Comune di Corvonero, 7 Novembre 1993 ]
Vinnie, stranamente silenzioso, era chino sul grande tavolo di legno d’ebano, intento a completare una lunga lettera in risposta ai suoi genitori. Quegli amabili fanfaroni gli avevano augurato per tempo il buona fortuna in vista della prima partita di Campionato, precisando che purtroppo in tale data non avrebbero potuto presenziare; stava per uscire l’ultimo film di loro produzione e la presenza di Gerald e Leanne era richiesta in Italia, al magifestival dedicato al cinema internazionale che ogni anno si teneva nella spettacolare Venezia. Kevin avrebbe rinunciato volentieri a scendere in campo per seguire i genitori sulle lagune della magica città, ma sospettava che Roger non avrebbe preso troppo bene la sua assenza. Al suo fianco il rospetto Naboo gracidava attenzioni, ma il mago non gli dette più di tanto peso.
A distrarlo, non fu infatti il lamento dell’anfibio, bensì una voce a lui ben familiare:
- Possiamo parlare, Entwhistle? -
- Quando ci hanno fatto dono della vista si sono dimenticati di te, Tony? – Kevin alzò lo sguardo su Anthony Goldstein, in piedi al suo fianco, e a lui indicò la pergamena ancora incompleta.
- Ci vorrà poco. – Sentenziò Anthony, ignorando il rifiuto del biondissimo collega; seduto al suo fianco cominciò subito a parlare: - Non voglio girarci intorno, quindi te lo chiedo direttamente: che intenzioni hai con la Jones? -
- Le stesse intenzioni di qualsiasi ragazzo della mia età, single, che ha a che fare con una strega del genere. Ma non credo che questi siano affari tuoi, giusto? -
Anthony si accigliò: - Vi ho visti sai! La notte di Halloween… -
- Allora mi sbagliavo! – Vinnie gettò le braccia in alto e cominciò ad ondeggiarle: - Ci vede! È successo il miracolo! -
- Sei proprio un buffone, sai? Non capisco che cosa ci trovi di tanto interessante Meg, in un tipo come te. -
- Forse il fatto che io ascolto quando parla? Aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno ed io sono stato pronto ad ascoltarla. Tu hai saputo fare la stessa cosa? Credo di no, altrimenti non avrebbe passato tutto quel tempo a parlare con me. -
- Smettila! – Anthony spianò le mani sul tavolo ed avvicinò il viso a quello di Kevin, che lo guardò perplesso: - Io ci tengo… ci tengo davvero a Megan, va bene? Quindi se a te non frega niente di lei ti chiedo di farti da parte, ok?! –
- Senti amico… non ti sembra di esagerare un po’? La Jones non ha nessuna targhetta col tuo nome legata al collo. -
Anthony non abbassò lo sguardo, nemmeno per un secondo: - Te lo chiedo per piacere… voglio sistemare le cose con Meg, ma con te di mezzo sarà impossibile, capisci? –
Fino a quel momento Vinnie aveva preso quella conversazione con leggerezza; eppure davanti allo sguardo atterrito di Anthony, non poté fare a meno di annuire, nonostante la sensazione di disagio e fastidio che in quell’istante si era fatta strada nella bocca dello stomaco.
 
[Salette di Ricevimento, 8 novembre 1993]
Dopo aver afferrato la maniglia ed averla girata, Maxine spinse il pesante uscio di legno di faggio e si introdusse nella stanza.
- Bentrovata, tesoro!
I tre uomini, fintanto seduti in altrettante poltroncine foderate di raso giallo, si alzarono piedi all’unisono e mossero un passo nella sua direzione, mentre lei sorrideva felice. Nel frattempo, Joey il Jarvey raggiunse trotterellando quello che pareva il più giovane dei tre e prese a strusciarsi vigorosamente contro i suoi polpacci.
- Che bello vedervi, cari zii!
Anacleto, Aurelius e Arlindo, i tre fratelli di sua madre, le si fecero incontro.
- Non è un po’ troppo corta, questa gonna?
- E questa canottierina! Siamo in pieno inverno!
- Forse sarebbe il caso di occultare l’ombelico...
Maxine si lasciò sfuggire una risatina, fra il divertito e l’esasperato. Era sempre così, quando ci si mettvano di mezzo loro. Nessuno dei suoi abiti abituali, agli occhi dei suoi zii, sembrava mai essere moralmente adeguato.
- Suvvia, suvvia... se neanche la professoressa McGranitt ha da ridire... – argomentò, chiamando in causa la più bacchettona delle sue professoresse.
- Oh, ma lei ha da ridire – la corresse lo zio Anacleto. – E parecchio, anche. Ci manda all’incirca una lettera alla settimana, su questo argomento.
- Davvero?!
- Non fare la finta tonta, signorinella – zio Arlindo si sistemò gli occhiali, squadrandola con severità. – Quante volte dobbiamo dirti che...
- “...che gli uomini non valgono un purvincolo secco”. Lo so, lo so! – concluse Maxine, levando al cielo gli occhi verdi. – Ma ditemi, piuttosto: come va la fabbrica?
La fabbrica dei tre zii, situata nei dintorni della cittadina di Ballycastle a poca distanza da Belfast, produceva fuochi d’artificio. Ufficialmente, per lo meno.
- Ma sentitela! – la prese in giro lo zio Arlindo. – Così abile nel divagare...
- Tale e quale la nostra cara Marie, parola mia – concordò Anacleto, sul cui viso si dipinse un sorriso malinconico al ricordo della sorella.
Maxine lo fissò, immediatamente concentrata. I suoi zii evitavano sempre accuratamente di parlare di sua madre, deceduta ormai da molti anni. Se lo zio l’aveva citata, doveva esserci un motivo ben preciso.
- È successo... è successo qualcosa? – chiese la ragazza, con un fremito nella voce.
- Sì, tesoro – le rispose Aurelius, facendosi serio. – Siedi qua con noi, per cortesia.
Maxine non se lo fece ripetere due volte.
- Come ben sai – esordì Arlindo, dopo aver scambiato un rapido sguardo con i fratelli – Marie si rifiutò sempre di svelarci l’identità di tuo padre, e quando morì (buon’anima), si portò il segreto nella tomba.
- Io sono del parere – s’inserì Maxine, accigliata – che non ci sia alcun bisogno di scavare nella faccenda. Se mia madre non ha voluto sbandierare ai quattro venti il nome di colui che l’ha sedotta e abbandonata, avrà avuto le sue buone ragioni. Lo sapete come la penso a riguardo.
- E noi siamo d’accordo con te - Anacleto prese velocemente la parola. – E ti assicuro che non ci saremmo mai presi la briga di fare ricerche, se non fosse saltato fuori un elemento che ha... dell’inquietante.
- Già – proseguì Arlindo, facendo scorrere le mani sulla stoffa verde smeraldo dei pantaloni. – Guarda tu stessa.
Con un movimento della bacchetta, lo zio fece avvicinare un grosso baule di noce e fece aprire il coperchio. Sbirciando oltre il bordo, Maxine vide che l’interno era pieno zeppo di bigliettini di ogni foggia e colore, datati e firmati con un semplice A. E. A.
- E questi cosa accidenti sono?
- Messaggi per tua madre – rispose Aurelius, annuendo gravemente. – Li abbiamo trovati il mese scorso, stipati in questo baule che era rimasto nascosto in cantina sotto ad un ammasso di cianfrusaglie. Coprono un periodo di circa cinque anni e, secondo le date, vanno dal 25 ottobre 1976 al 31 ottobre 1981.
Maxine sgranò gli occhi.
- Ottobre 1976? – mormorò, intrigata. – Io sono nata il 31 luglio dell’anno successivo. Quindi, ad occhio e croce, dovrebbe corrispondere al periodo in cui...
- In cui sei stata concepita, sì.
- Ma... e la data dell’ultimo messaggio...
- Corrisponde alla data della caduta del Signore Oscuro, sì – convenne Arlindo, serissimo.
Maxine, per una volta, non sapeva che dire. Con una mano, la ragazza afferrò la collottola di Joey e se lo tirò sulla ginocchia. I tre zii, nel frattempo, rimanevano zitti. Quando Aurelius ruppe il silenzio, la sua voce era grave.
- Questi messaggi – disse, facendo vagare lo sguardo sulla nipote e sui fratelli – non coincidono con l’atteggiamento di uno che, dopo avere messa incinta una ragazza, se la svigna alla chietichella. Al contrario. Quest’uomo, durante cinque anni, ha provato in tutti i modi a rimettersi in contatto con tua madre. La quale, evidentemente, non gli ha mai risposto. Il che ci fa ipotizzare...
- ... che in realtà, per una qualche oscura ragione, fosse lei a non volerlo fra i piedi – azzardò Maxine, pensosa. – Mi chiedo proprio come mai.
- Ce lo chiediamo tutti – chiosò lo zio Anacleto. – Per questo, vorremmo sapere se desideri approfondire le indagini o se, al contrario, ritieni ancora che sia meglio lasciar perdere.
Maxine rimase in silenzio per una manciata di secondi.
- Ci posso pensare su? – chiese infine.
- Ma certo, tesoro.
 
[ Hogwarts, guferia, 9 Novembre 1993 ]
“Vediamo… la numero 213 ai signori Wilson nello Cheshire, proprio qui, all’indirizzo… “
Appollaiato in un angolino appena pulito con un incantesimo detergente, Stephen cerchiava con meticolosità alcuni indirizzi su un grande faldone di pagine gialle. Era riuscito a reperire l’elenco babbano con molto sforzo, a seguito di lambiccamenti vari. Come si può rintracciare una ragazza babbana di cui si sono perse le tracce? Ebbene, la testolina scarmigliata ma quanto mai brillante di Stephen era arrivata all’unica conclusione possibile; adottare le modalità babbane sarebbe stata l’unica cosa sensata da fare, anche se la faccenda si stava facendo molto lunga.
Il corvonero aveva iniziato a scrivere le lettere per rintracciare Suzy ben sette mesi prima, ma purtroppo non aveva ancora ricevuto alcun riscontro. Il problema fondamentalmente era uno: di Wilson, nella Gran Bretagna, ce n’erano a decine di migliaia, di conseguenza l’operazione stava risultando davvero faticosa. Fortunatamente Stephen aveva dalla sua la magia, che lo aveva aiutato a replicare la lettera in molteplici copie senza porre alcuno sforzo; inoltre il suo nebuloso ricordo d’infanzia gli suggeriva che avrebbe dovuto restringere il campo di ricerca a due contee: Cheshire e Shropshire.
Posto l’indirizzo sulla busta della duecentotredicesima lettera, Stephen dette una rapida occhiata al messaggio che aveva letto e riletto:

“ Gentilissimi signori Wilson.
Sono alla ricerca di una coppia con una figlia di nome Suzanne, che esattamente sette anni fa viveva nel Berkshire, in una villetta dai tiepidi toni color crema. Nel caso foste voi, ci tengo a precisare che non sono un male intenzionato, ma il figlio dei vostri vecchi vicini, i signori Cornfoot. Sono anni che non ho più notizie della mia amica d’infanzia Suzy, ragion per cui in caso fossi riuscito a rintracciarvi, vi chiederei cortesemente di rispondere all’indirizzo riportato in calce alla lettera.
Nella speranza di ricevere un riscontro positivo, porgo i miei più cordiali saluti.
Stephen Cornfoot “

Stephen si concesse uno dei suoi rari sospiri, prima di chiudere con meticolosità la missiva e consegnarla ad un vecchio gufo, il quale reclamò un paio di succosi lombrichi prima di spiegare le ali e prendere il volo. Stephen seguì con lo sguardo il rapace, fin quando di lui non rimase che un minuscolo, lontanissimo puntino. Tornò poi a dedicare attenzione alle pagine gialle, mentre la sua mano sfiorava il tatuaggio raffigurante una Carpa Koi posto sul braccio sinistro; percorse sovrappensiero l’ispessimento della vecchia cicatrice coperta dalla carpa. “La forza di volontà si alimenta solo superando gli ostacoli della vita”, sussurrò fra sé e sé; Stephen aveva fatto tesoro degli insegnamenti materni, emancipandosi da quel bambino pauroso che era stato in concomitanza dell’incidente al braccio. Ma se anche la madre aveva fatto di tutto per stimolarlo, Stephen non avrebbe mai potuto dimenticare quella bambina che lo aveva aiutato a “tornare a giocare” senza timore.
Suzy era una babbana, ma nonostante tutto l’essere umano più speciale con cui Stephen avesse mai avuto a che fare. Non si era spaventata quando, a soli sei anni, lui aveva dato apertamente mostra delle sue facoltà particolari; al contrario Suzy si era mostrata entusiasta e giurò e spergiurò che non avrebbe mai confessato a nessuno il segreto di Stephen. E quando lui rimase coinvolto in un brutto incidente che compromise l’uso del braccio, Suzy fu la persona che lo convinse a non lasciarsi abbattere. Con un lieve sorriso sul volto, Stephen ricordò come la ragazzina si fosse catapultata in camera sua dopo un’intera settimana durante la quale Stephen si era rifiutato di uscire, asserendo che la sola compagnia dei libri sarebbe stata sufficiente e che alla solitudine avrebbe dovuto farci l’abitudine, visto che sicuramente al cento per cento sarebbe rimasto menomato a vita. Suzy, ovviamente, non volle sentire ragioni: lo strattonò per il braccio buono e lo costrinse ad uscire, portando con sé anche quella strana scopa volante che possedeva Stephen.
Così, giorno dopo giorno, lamentela dopo lamentela, Stephen aveva cominciato a migliorare, sia nel fisico che nell’umore.
Per questo gli si spezzò il cuore, quando l’unica amica che aveva mai posseduto, scomparve dalla sua vita. Un trasferimento piuttosto repentino aveva trascinato la famiglia Wilson lontana da Stephen; era chiaro che la piccola Suzy non fosse a conoscenza del motivo per cui i genitori avessero deciso di trasferirsi così, da un momento all’altro, tanto che quando si salutarono per l’ultima volta, la babbana non seppe nemmeno dire in quale città sarebbero andati a finire.
Le uniche cose che rimasero a Stephen furono un bacio profumato di fresco sulla guancia ed un nome e un cognome.
Il mago non avrebbe ceduto: come la Carpa Koi che risalì le cascate del Fiume Giallo per mutare in dragone, una volta oltrepassata la Porta del Drago, così Stephen avrebbe superato ogni suo limite, riuscendo nel suo intento di ritrovare quella bambina, radicata da sempre nel suo cuore.  
 
[Sala Comune del Wampus, Ilvermorny (U.S.A.), 10 novembre 1993]
Il giovane mago alto e allampanato si avvicinò ad una poltroncina posizionata accanto al caminetto acceso, si diede una rassettata alle pieghe del kilt e prese posto con uno sbuffo. Poi, dalla tasca interna della giacca di lana cotta con i risvolti quadrettati, in pendant con la fantasia di quella che i suoi compagni nordamericani soprannominavano bonariamente ‘la gonna scozzese’, trasse un rotolino di pergamena dall’aspetto stropicciato, sigillato da un dischetto di ceralacca rossooro recante le iniziali KB.
Caro Carbry c’era scritto, in una grafia minuta e assolutamente caotica, disordinata tanto quanto la personalità della mittente spero tu stia bene.
Ti scrivo per ringraziarti infinitamente del bellissimo paio di guantoni dei Bells che mi hai fatto pervenire, oltre che per congratularmi con te per l’idea geniale che hai avuto. Quando glieli ho consegnati, Oliver è rimasto di sasso e mi ha detto di non aver mai ricevuto un regalo più bello.
Credo sia rimasto molto colpito dalla cosa, tanto che poi ci siamo fermati a chiacchierare a lungo, e lui ha voluto sapere tutto sul Quodpot e su come la Pluffa, nella versione nuovomondina, sia una perfida sfera esplosiva; e poi mi ha chiesto un sacco di cose sulla storia dei Chicago Bells, ed è rimasto molto impressionato quando gli ho raccontato che i fondatori della squadra sono nostri antenati. “Ho sempre pensato tu fossi scozzese” mi ha detto, sorpreso. “Sì, ma solo da parte di madre”, gli ho spiegato. “Papà è di Chicago”.
Insomma: l’iniziativa è stato un assoluto successo, tanto che mi aspetto nuovi sviluppi in breve, o almeno spero (conoscendo Oliver, in effetti, non si sa mai). Ovviamente ti terrò aggiornato su tutto.
Nel frattempo mi auguro che tu faccia il bravo, senza esagerare con i turni volontari in infermeria. Va bene che vuoi seguire i passi di babbo nel sanguinolento universo della Magimedicina, ma non devi neanche farti sfruttare troppo dai Magicospini, dico bene?
Un forte abbraccio dalla tua sorellina preferita,
Katie.
Allietato dalle belle notizie provenienti da oltreoceano, Carbry sorrise soddisfatto e ripiegò il plico con scarsa precisione (il disordine era proprio una caratteristica di famiglia, per tutti i Serpecorni). Non sospettava, ovviamente (o forse sì?!) che, nella sua lettera, Katie aveva casualmente dimenticato di riferirgli di avere inserito all’interno di uno dei guantoni un bigliettino con su scritto “Che guantoni grandi, che hai” disse la Cacciatrice. “Per acciuffarti meglio” rispose il Portiere. Meglio così, forse. Perché okay: a Carbry, il suo ruolo di confidente, andava più che bene. Ma era pur sempre un fratello maggiore, perdinci.
In quel momento, il pendolo accostato alla parete davanti a lui batté le cinque. Ignaro del surplus di iniziativa (e di sfacciataggine) della sua cara sorellina, il giovane si alzò in piedi e discese a passo baldanzoso alla volta dell’infermeria.

[Dipartimento di Pozioni, 11 novembre 1993]
In attesa di essere ricevuta dal professor Piton, Heidi sedeva sulla poltroncina verde smeraldo e si guardava intorno facendo oscillare nervosamente la gamba sinistra, il cui piede leggermente sollevato non toccava terra.
Le pareti della piccola anticamera erano interamente rivestite da una tappezzeria verde muschio impreziosita da arzigogolate impunture di filo argentato; oltre i vetri dell’armadietto sistemato davanti a lei, si scorgeva invece una nutrita collezione di suppellettili d’argento e di vasetti di cristallo dal contenuto misterioso.
Tutto, in quell’ambiente, parlava dell’amore del professore nei confronti del suo lavoro e della sua Casa. Una Casa che, pensò la ragazza, se le cose fossero andate diversamente, avrebbe potuto essere anche la sua. Heidi chiuse gli occhi, e il ricordo dello Smistamento si affacciò alla sua memoria.
“Ben diciannove minuti a scrutare nella tua testa, signorina McAvoy” le aveva detto il Cappello Parlante “e ancora non so decidermi. Vi vedo talento e ambizione in quantità; sufficiente freddezza, tenacia e determinazione, nonché una discendenza magica che il nobile Salazar apprezzerebbe assai. Eppure, eppure... racchiudi anche una buona dose di pragmatismo, di voglia di rimboccarti le maniche e di fare fatica. Ohibò”.
“Tutta la mia famiglia è appartenuta a Tassorosso” aveva detto lei.
“Tu però hai un sogno. Un grande obiettivo. Lo vedo bene. Che cosa saresti disposta a fare, pur di realizzarlo?”
“Niente... niente che Tosca non approverebbe!” era stata la sua risposta.
“E sia, allora” aveva risposto il Cappello. E poi, ad alta voce: - TASSOROSSO!
Il cigolio della porta che si apriva la riportò al presente. Oltre la soglia, l’Assistente le fece segno di raggiungerlo all’interno dello studio.
- Il professor Piton è impegnato fuori sede, oggi – le disse, a mo’ di spiegazione. – Pertanto, la riceverò io. Entrambi riteniamo che il suo, signorina McAvoy, sia un caso di estrema urgenza. Si accomodi, prego.
Pur essendo sorpresa dal fatto di vederselo davanti in un orario in cui lui, teoricamente, avrebbe dovuto trovarsi a Cambridge, Heidi sedette senza fiatare e gli rivolse uno sguardo titubante. Nonostante la giovane età (stimabile intorno ai diciannove-vent’anni) l’Assistente di Piton, con i suoi modi gelidi e l’aspetto sempre curato ai limiti dell’impeccabile, incuteva negli studenti una soggezione a dir poco primordiale.
- Il motivo del nostro colloquio le sarà senz’altro chiaro non appena le avrò comunicato l’esito del suo ultimo compito – esordì il giovane, senza premurarsi di fare cerimonie.
- Sì... – ammise Heidi, sottovoce. – Credo di non essere andata benissimo...
- È stato un assoluto disastro – la freddò quello, stringendo gli occhi. – Un semplice Accettabile, da una come lei, è assolutamente inaccettabile, e mi passi l’infelice gioco di parole.
Heidi deglutì.
- Io e il professor Piton – continuò l’Assistente, con voce monocorde – abbiamo ragioni di sospettare che vi sia qualcosa che, ultimamente, la distrae. È così?
- Oh, ecco – balbettò Heidi, sentendosi andare a fuoco le guance. – Io non...
- Il Quidditch, forse? – buttò lì lui, con un sorrisetto sottile, ironico come una lama. – Non è che, forse, sta dedicando un po’ troppe energie a quello sport da barbari?
La ragazza era paralizzata. Se non si fosse sentita spaventata a morte, avrebbe giurato che l’Assistente, in quel momento, si stava divertendo un mondo a tenerla sulle spine.
- O forse – continuò lui, abbassando la voce di un’ottava – si tratta di... qualcuno? Un qualcuno (vediamo, ipotizzo) per amor del quale (che cosa ridicola!) una studentessa modello si abbasserebbe a trafugare un vasetto di preziosissima Erica Mackaiana?
Sul volto di Heidi si dipinsero immediatamente colpa, panico e orrore. “Bingo”. Nel vederla così sconvolta, la piega rigida della bocca dell’Assistente cedette di un millimetro.
- Il professor Piton non ne è al corrente, non si preoccupi – le disse, sbuffando fuori l’aria. – Ma io sì. E questo, mia cara, la deve preoccupare. Ma non per quello che, eventualmente, ne possa pensare io: è la sua carriera, a trovarsi in gioco. Lo ricordi bene.
L’Assistente le fece cenno di alzarsi. Heidi eseguì.
- Frequentare il corso di Pozioni Avanzate della Cambridge Magical University non è cosa da tutti. Veda lei che cosa ha intenzione di fare del suo talento. Ci pensi bene. Ci rifletta. E, se deciderà di mandare tutto a catafascio per delle baggianate, non venga poi a lagnarsi con me. Mi sono spiegato?
Heidi ricacciò indietro il groppo di vergogna che le serrava la gola.
- S-sì. Sì, professore – riuscì a rispondere, mantenendo miracolosamente saldi i nervi e la voce.
- Benissimo – l’Assistente congiunse le punte delle dita. - Può andare, ora.
 
[Campo da Quidditch, allenamenti di Grifondoro, 12 novembre 1993]
- Tutti ai propri posti! Prova generale dello Schema Tattico nº47B, variante δ, sottocomma III! Avanti, marsch!
Giocatori e giocatrici si sparpagliarono nell’aria, per poi dedicarsi all’inseguimento delle rispettive sfere e sferette. Nel frattempo Angelina, Lee, Cormac e i gemelli sedevano sugli spalti, impegnati in una rumorosa gazzarra. Oliver rivolse loro un’occhiata dall’immediato potere smorzante e si posizionò davanti agli anelli, infilandosi distrattamente i guantoni regalatigli qualche giorno prima da Katie. Erano ancora nuovi: non li aveva mai usati.
“Davvero belli” pensò, ammirando il connubio vivace di bianco e rosso, colori ufficiali dei Chicago Bells. Inaspettatamente, le sue dita andarono a cozzare contro qualcosa che non avrebbe dovuto trovarsi lì.
“Ma cos... oh” il ragazzo estrasse il bigliettino, ripiegato in otto parti, che era rimasto incastrato nella cavità riservata al pollice.
Circa tre secondi dopo, Oliver fu visto che annaspava disperatamente nel tentativo di afferrarsi alla scopa, dalla quale era scivolato giù per subitanea e fulminante indigestione emotiva. Inutile specificare che l’allenamento, per quel giorno, dovette essere sospeso.
 
[Cortile all’intervallo, 14 novembre 1993]
- E mi credi se ti dico che preferirei non farlo?
Kevin ridacchiò e tese le dita per sistemare una ciocca di capelli chiari oltre l’orecchio della sua ragazza.
- Ma certo che ti credo – replicò, allungandole un buffetto affettuoso mentre ritirava la mano. – Vale lo stesso anche per me, cosa credi?
Lisa gli gettò le braccia al collo e lo abbracciò stretto.
- Sei proprio un tesoro. Un te-so-ro. Parola mia!
Kevin ricambiò la stretta sorridendo, grato. Erano giorni che si lambiccava il cervello nel timore di affrontare l’argomento Partita nel modo sbagliato, ma Lisa aveva dimostrato per l’ennesima volta di essere una ragazza piuccheperfetta e non solo era stata lei ad abbordare la questione, ma lo aveva anche fatto con una semplicità disarmante che lo aveva subito rassicurato.
“Non mi va di giocare contro di te” aveva esordito, fissando gli occhioni verdi nei suoi. “Mi fa soffrire l’idea di averti come avversario!”
“Anche a me non va per niente, Liz”.
Ed era vero, perché Kevin e Lisa andavano letteralmente d’amore e d’accordo. La mattina seguente il loro incontro (non esattamente) romantico, per sua grande sorpresa, Kevin l’aveva trovata in attesa sulla soglia della Sala Grande; quando l’aveva visto, la ragazza gli si era avvicinata sorridendo e l’aveva abbracciato come se nulla fosse. Lui, lì per lì, era rimasto davvero meravigliato, perché mai e poi mai avrebbe osato sperare in un prosequo. Al contrario, però, Lisa gli aveva subito fatto capire che la sera prima, per lei, non si era trattato né di uno sfizio né di un colpo di testa. Era davvero interessata a frequentarlo e a conoscerlo meglio; glielo aveva annunciato con sincerità cristallina e poi, fiduciosa, aveva atteso che lui si pronunciasse.
“Non potrei desiderare di meglio” aveva pensato lui, per poi affrettarsi ad esternare il suo pensiero ad alta voce.
- Non potrei desiderare di meglio!
- Benissimo, allora – aveva esclamato lei, tirandoselo dietro per la Sala Grande con l’orgoglio di chi esibisce un prezioso trofeo.
“Che iniezione di autostima” aveva pensato Kevin, al settimo cielo.
Dopo averla frequentata per un paio di settimane, il ragazzo era giunto alla conclusione che Lisa fosse una persona davvero speciale. Una gran brava ragazza, di quelle dotate di quello spiccato senso critico, che alcuni chiamano ‘buon senso’, capace di ridimensionare qualsiasi cosa. E poi bella, luminosa, intelligente, affettuosa e... beh sì, insomma, peperina al punto giusto per quanto concerne certi altri aspetti del ménage amoroso. Questa cosa, oramai, era piuttosto assodata. E a lui non passava neppure per la testa di lamentarsene, e che diamine!
- Facciamo così – le disse, mentre la campanella di fine intervallo li richiamava entrambi nelle rispettive classi. – Se vincete voi, mi inviti a fare festa su alla Torre. Se vinciamo noi, scendi tu nella Tana dei Tassi.
Lei si mordicchiò il labbro per una manciata di secondi.
- Affare fatto – concordò infine. – Mettendola così, però, mi viene quasi da sperare che vinciate voi.
Kevin sgranò i caldi occhi color cioccolato.
- E perché mai?
- Perché sono anni che ho voglia matta di partecipare ad una di quelle feste boombastiche che organizzate voialtri mustelidi!...
 
[ Sala Grande, 15 Novembre 1993 ]
- Non ti sembra di stare esagerando, adesso? -
Sue Lie osservava, sgomenta, la sua migliore amica raccogliere in gran quantità ogni genere di cibarie dal tavolo dei corvonero. Morag però sembrò non prestare la benché minima attenzione ai richiami di Sue, nonostante quest’ultima ci avesse tenuto a ricordarle che un’indigestione prima della partita non sarebbe stata una buona cosa, per la squadra della loro casa.
- Non ho memoria di una sola volta in cui ho avuto mal di pancia per il troppo cibo. – Dichiarò Morag dopo aver ingoiato un’abbondante cucchiaiata di porridge e frutti di bosco; un miagolio, seguito da uno sfregamento all’altezza delle caviglie, le fece roteare gli occhi al cielo:
- Puoi cortesemente tenermi alla larga da questa bestia di Satana almeno oggi? Te ne sarei grata, grazie. -
Sue si accucciò sotto il tavolo e afferrato il proprio gatto, prese a carezzarlo con cura; nonostante le attenzioni della padrona, però, l’animale sembrava sempre preferire la scontrosa Morag che, di esseri viventi fatta eccezione degli umani, non voleva sentirne parlare.
- Ultimamente il tuo caratteraccio intransigente mi sembrava migliorato, ma evidentemente mi sbagliavo, mia dolce amica. -
- Ah-ah, - Morag puntò il cucchiaio in direzione di Sue, allargando le labbra piene in un sorriso, - Non lo sai che chi nasce tondo non può perir quadrato? Comunque a scanso di equivoci voglio fugare ogni tuo dubbio: sono sempre la stessa rigida ed insofferente Morag, stai serena a tal riguardo. -
Sue si spinse leggermente in avanti, ondeggiando il suo caschetto color pece e assottigliando ancor più i caldi occhi a mandorla: - Strano, eppure credevo che la frequentazione con un certo tassorosso avesse in qualche modo smussato la tua algida personalità! –
Morag quasi si strozzò con il porridge: - Ma cosa… guarda che hai totalmente frainteso! Abbiamo solo visto un film insieme la notte di Halloween mentre tu, signorina, ti eri infilata chissà dove con quel serpeverde… come si chiama? –
Sue strofinò il povero micio contro la guancia, sospirando teatralmente: - Malcolm… oh Mog! Dovresti provarle anche tu le prodezze di quei loschi serpenti… -
- Certe volte dici delle cose come se non mi conoscessi affatto, Sue. – La giunonica bionda puntò lo sguardo sulla ciotola ormai vuota e prese a rimescolare con disattenzione. Forse doveva sciogliersi un po’, Sue aveva ragione. Ma in quel momento i suoi unici pensieri erano dedicati alla partita imminente, la prima che l’avrebbe vista nel ruolo di portiere. Le dispiaceva doversi sfidare con i Tassorosso e no, il motivo non era Justin, o almeno non soltanto lui; anche battersi contro la sua amica Megan non era un piacere. Pensò che avrebbe volentieri voluto far parte della squadra avversaria. Mal sopportava praticamente ogni membro della propria squadra, capitano compreso; erano tutti strani e frivoli, fatta eccezione per Stephen che, comunque, non era uno di molte parole e di conseguenza stringere rapporti con il mago era praticamente impossibile.
Pensò al motivo che l’aveva spinta fino al punto di tentare le selezioni e, stranamente, sorrise pensando a sua madre. La fiera ex giocatrice di grifondoro aveva spinto affinché la piccola e accidiosa Morag provasse lo sport; stranamente, per una indolente come lei, il Quidditch risultò un piacere e fu tramite gli allenamenti nel giardino di casa sua, che strinse il legame con sua madre. Prima di allora Morag aveva sempre rifuggito i rapporti con lei, prediligendo il padre, ma la passione in comune era stata molto utile a rinsaldare il legame madre-figlia.
Morag si issò di botto, facendo miagolare di spavento il gatto della sua amica.
- Dove vai? – Chiese Sue, ancora molto distante dal termine della sua modesta colazione, troppo presa a lanciare occhiatine a Malcolm Baddock.
- Vado a prepararmi: oggi mia madre sarà presente alla partita e ho intenzione di fare bella figura. –
 
[Campo da Quidditch, mattina del 15 novembre 1993]
Non erano neanche le nove e già un frastuono assordante, proveniente dagli altoparlanti magici disposti tutt’intorno allo stadio, si diffondeva uniformemente fin nei più remoti angoli del castello. In Sala Grande, gli studenti che si erano illusi di poter fare colazione in santa pace per poi scendere al campo dovettero rassegnarsi a stringere saldamente fra le dita tazze e brocche, o a farle levitare a qualche centimetro dai piani d’appoggio, perché le onde sonore facevano letteralmente saltare i tavoli come stambecchi sui monti.
- Mi pare di capire – commentò Megan con fare assorto mentre, sullo sfondo, delle potentissime sirene dub facevano tremare vetri e lampadari – che Jordan sia particolarmente ispirato, quest’oggi.
La Vicecapitana non aveva affatto torto.
Quando, al seguito suo e di Cedric, la squadra raggiunse gli spogliatoi, lo stadio ormai ribolliva come un immenso calderone blu e giallo, con gli studenti aizzati dalle grida di incitazione di Lee Jordan che, facendo roteare le lunghe treccine rasta, urlava:
- Animo gente, animo! - e sotto, a volume tale da far rintronare i cervelli: Come we go burn down Babylon, one more time!) – È il vostro Principe dei Caraibi che vi parla, finalmente tornato in possesso del suo legittimo trono – (di lontano Zacharias Smith gli rivolse un gestaccio, cui Lee rispose con un sorriso smagliante) - in occasione di questo maaaaatch che promette faville!...
 *
 All’esterno degli spogliatoi e dell’entrata dello stadio, un gruppetto di studenti e studentesse particolarmente zelanti distribuiva piccoli plichi di carta ripiegata.
- Edizione speciale della Pulce nell’Orecchio! Edizione speciale! – si sgolava una ragazza mora e boccoluta, il cui viso lentigginoso affondava in una voluminosa sciarpa rossooro.
- Gracias, Vane – rise Roger mentre Vinnie, accanto a lui, afferrava prontamente la sua copia corredata da gadget pacchiano che neanche le peggiori riviste adolescenziali babbane.
- Niente di meglio che un po’ di sano pettegolezzo per distendere i nervi – commentò allegramente il ragazzo, infilandosi al polso il braccialettino adornato da Boccino 100% sintetico allegato al giornaletto.
- Sin duda – approvò Roger – assolutamente sì. Prendetene una copia a testa, ragazze!... ehm, no, tu no, ovviamente – aggiunse poi rivolto a Stephen, che gli aveva lanciato un’occhiata disgustata. Per uno come lui, il giornalino scolastico dei gossip era disdicevole tanto quanto un testo eretico agli occhi di un Inquisitore. – Non sia mai, guapo.
- Quante sciocchezze – commentò Morag una volta che, insieme alle compagne, fu entrata negli spogliatoi femminili. Anche lei, come Stephen, era dell’avviso che La Pulce nell’Orecchio altro non fosse che spazzatura.
Irritata, la Portiera lanciò la sua copia sulla panca dirimpetto dove Mandy, sovrappensiero, aveva appena cominciato ad agitare la bacchetta per estrarre i suoi effetti personali dal borsone.
“Oh” pensò quest’ultima, facendo scivolare lo sguardo sulla carta stampata. Mandy, al contrario di Morag (e, evidentemente, di Cho e Lisa, che stavano letteralmente divorando il giornalino fra gridolini e risate), non nutriva alcun tipo di pregiudizio nei confronti della Pulce. Ogni tanto la leggeva, ogni tanto no; insomma non aveva, a riguardo, una vera e propria opinione. Quel giorno, però, un trafiletto sul fondo della quarta pagina richiamò immediatamente la sua attenzione.
Love is in the air! diceva l’occhiello E mai citazione fu più opportuna, visto che stiamo parlando di due campioni di volo-su-scopa. Reggetevi forte al manico, lettori e lettrici, perché la notizia è oltremodo sugosa. Siete pronti? Bene. Avete presente il classico ragazzo bello e bravo, quello che tutte noi vorremmo presentare a mamma e papà? Quello che, in parole povere, potrebbe perfettamente riassumersi in un nome (Cedric) ed un cognome (Diggory)? Ecco. Secondo fonti accreditate, il bel Capitano Tassorosso si sarebbe invaghito di una misteriosa fanciulla dalle ali di Corvo, alla quale desidererebbe proporre nientepopodimeno che un rendez-vous. Che manna! “Ma solo a partita conclusa” avrebbe dichiarato Diggory, che la nostra fonte ha definito un esempio irreprensibile di etica, sportiva e non. Naturalmente, la redazione della Pulce non è rimasta con le zampette in mano, e si è subito data da fare per risalire all’identità della fortunatissima sconosciuta. “Credo di sapere di chi si tratti” ci ha confidato Chang, Cacciatrice titolare della squadra di Corvonero. “Per ora preferisco non sbilanciarmi in maniera ufficiale, ma vi garantisco che la risposta a suddetta proposta sarà sicuramente un sì”. Che si tratti di lei, ci chiediamo noi? In attesa di ulteriori sviluppi vi lasciamo, come di consueto, con la pulce nell’orecchio!
*
Sophie aveva appena fatto una cosa che non le sarebbe mai saltata in mente di fare prima d’allora: pedinare qualcuno per il puro scopo di chiacchierare con lui. A seguito della festa di Halloween, la vice capitano si era resa conto di avere giusto un tantino esagerato con la reazione nei confronti di Jimmy (fondamentale era stato il confronto con le amiche, che l’avevano definita un’acidona incarognita) e che, tutto sommato, probabilmente aveva frainteso le parole del ragazzo. Preso coraggio dunque, una volta consumata la colazione si era alzata non appena aveva visto il grifondoro allontanarsi. Da quel momento era entrata in modalità Auror, imitando alla perfezione l’ombra di Jimmy ma stando sempre molto attenta a non farsi beccare in flagrante. Difatti il suo scopo era quello di arrivare sugli spalti e incontrare il ragazzo come se nulla fosse; a quel punto la buona sorte avrebbe fatto sì che i due seguitassero a commentare assieme la partita e con ogni probabilità il mago avrebbe dimenticato l’esplosione fuori luogo di Sophie, la quale avrebbe fatto di tutto per mostrare il suo lato più amabile.
“Non potrà mica resistere” pensò con un ghignetto soddisfatto in volto mentre si avvicinava a Jimmy con nonchalance; il ragazzo se la stava ridendo con qualche suo compagno grifondoro, ma non sarebbe stato di certo quello a mettere i bastoni fra le ruote a Sophie Roper.
- Non sarà una partita dei Pride Of Portree, ma per il momento dobbiamo accontentarci, no? –
Riconosciuta la voce, Jimmy girò il capo quel poco che bastasse per lanciare una rapida occhiata a Sophie.
- Stai parlando con me per caso? –
- Oh ma hai ragione! – Sophie tentò una risata frivola, ma le riuscì davvero stonata, - Tu sei un accanito dei Falcons… forse a loro preferirei queste mezze calzette di Hogwarts, visto le antiquate tecniche che adottano per centrare gli anelli!–
“Ben fatto Roper, fai la simpatica, così si scioglierà di sicuro il grifoncino!”
Rinfrancata da se stessa e convinta di avere avuto un ottimo approccio, Sophie accennò a sedersi al fianco di Jimmy, ma le parole del ragazzo la congelarono in un’ ambigua posizione di via di mezzo, con una gamba su ed una giù.
- Prendi esempio dai tuoi stessi consigli: non parlare di cose che non sai. Ci fai una brutta figura.-
Ciò detto, Jimmy tornò a rivolgersi al ragazzo al suo fianco come nulla fosse, ignorando la presenza di Sophie che, sgomenta e rossa in viso, non ebbe il coraggio di proferire una sola altra parola. La ragazza si defilò in pochi secondi, lasciando dietro di sé un vaghissimo aroma di violetta, sottile come lo stelo dello stesso fiore.
E Jimmy, a sua insaputa, sorrise ricco di soddisfazione. Aveva capito che la tecnica giusta per accalappiare un peperino come Sophie Roper fosse senz’altro mantenere un atteggiamento distaccato. E vista la reazione della ragazza, Jimmy poteva asserire di aver fatto centro.
*
Dagli spogliatoi posti sotto la curva sud apparve la squadra di Corvonero, con Roger Davies fulgido nella sua divisa nuova, i capelli ben tirati in un lucido cipollotto e  la spilla da Capitano a riverberare sul colletto della maglia. Al suo fianco destro il vicecapitano Kevin, che salutava la folla sorridente, i capelli tinti per l’occasione di turchese; Cho e Lisa, una di fianco all’altra pronte a scambiarsi sguardi d’intesa, Mandy e Morag, ambedue chiuse in uno spesso silenzio (la prima aveva indosso più di un amuleto, ovvero quelli che Stephen, Morag e Cho non avevano accettato di indossare nello spogliatoio); a chiudere la fila Stephen stringeva in una mano la sua Nimbus 1500, concentrato in spessi pensieri. Dagli spalti blu e neri partì un boato e fra le urla eccitate si sentì con distinzione il gracchiare di un corvo: merito di Luna Lovegood e del suo ultimo travestimento, in favore della propria squadra.
Un altro roboante ululato di voci accolse la squadra di Tassorosso, capitanata da Cedric Diggory, luminoso nel riconoscibile completo giallo e nero e affiancato da Megan, i capelli tirati in una coda alta stretta saldamente da un cangiante elastico color limone.
- Consanguinea d’arte, la Jones! La cui splendida sorella, ovvero la divina Gwenog, ci omaggia oggi della sua più che apprezzata presenza… - “Che palle!” Sbuffò Megan, tirando a morte la coda di cavallo. “Che gnocca!” gridò Millicent, dagli spalti.
Kevin di sorriso munito, lanciava sguardi a Lisa, ancora ben distante da lui, mentre Heidi più tesa che mai, tamburellava nervosamente le dita lungo i fianchi, con Justin che le recapitava delicatissime pacche sulla spalla tentando di rasserenare il suo animo inquieto; Barry guardava dritto davanti a sé, nonostante l’invadente immagine dell’amica Maxine al suo fianco: quest’ultima non aveva evitato d’abusare di paillettes cangianti per ricoprire la - da lei definita - divisa troppo sobria.
- Finalmente, finalmente! Per la gioia di donzelle e fanciulli, gli gnoccugini di Hogwarts si sfideranno in questa partita che, siamo tutti convinti, ci tirerà il collo per la suspense! – La fragorosa voce di Lee Jordan arrivò ad accompagnare la stretta di mano dei due capitani, a cui seguì un forte abbraccio.
- Sai che non ti risparmierò l’amara sconfitta solo perché ti voglio bene? – chiese Roger mentre si staccava dal Capitano Tassorosso.
- L’unica cosa certa è che presto uno dei due si troverà a consolare l’altro. O a pagare da bere dalla buona Rosmerta. –
Nel frattempo i vice capitano si stavano stringendo la mano, come da regolamento. Megan allargò il sorriso in favore di Kevin: - I tuoi capelli fanno male agli occhi. È una tua strana tecnica per distrarci in campo? –
Vinnie, al contrario delle aspettative, rimase estremamente serio. Si limitò ad augurare a Megan buona fortuna e rapido come non mai s’allontanò dalla strega, la quale non riuscì ad evitare di accigliarsi. Quello non era di certo un comportamento da Kevin Entwhistle. Ancor più la vice capitano si rabbuio non appena vide l’atteggiamento del mago mutare repentinamente, quando Maxine dopo aver baciato come di consueto ognuno dei propri compagni di squadra, si era poi avvicinata alla squadra avversaria.
- Un bacio per augurarti buona fortuna, cocco. -
- Maxi, sarò mai io a dirti di no? – Aveva commentato Vinnie, prima di guadagnarsi lo schiocco di labbra che gli era stato promesso.
Stephen osservava Maxine elargire baci a destra e a manca; ognuno dei giocatori sembrava abituato a quella pratica; persino Morag la lasciò fare, così il Cercatore alzò gli occhi al cielo con rassegnazione.
“ Quel che va fatto, va fatto.” Pensò, pronto a beccarsi il bacio di Maxine. Eppure, quando la ragazza gli si parò davanti e lui si chinò per svolgere la pratica nel minor tempo possibile, Maxi si irrigidì. O meglio diventò di pietra, prese ad indietreggiare ed infine si voltò dandosela letteralmente a gambe, lasciando Stephen unico esentato da quel suo personale portafortuna.
- E ora che anche la O’Flaherty ha fatto quello che noi tutti aspettavamo con ansia, possiamo dare il via alla partita! Capitani: schierate la vostra formazione! -
*
 Demelza era in ritardo, come sempre. Non aveva accettato l’invito dei suoi amici a raggiungere insieme il campo, presa a fare le sue improbabili cose, come al solito. Risultato? Raggiunse gli spalti ormai stracolmi e impossibilitata ad avvicinarsi agli altri grifondoro, fu costretta a sgomitare per guadagnarsi un misero posticino. Piccola com’era quasi nessuno si accorgeva della sua presenza, così la grifondoro fu obbligata a strillare in più di un’occasione (dedicò a molti studenti delle maledizioni davvero colorite) ed infine gli occhioni vispi scovarono un piccolo spazio. Certo, l’imponente figura di Millicent Bulstrode l’aveva dapprima inibita, ma colui con il quale la serpeverde si accompagnava catturò nell’immediato il suo interesse e le permise di accantonare le rimostranze. Quel ragazzo allampanato era decisamente la persona più fuori posto in quel contesto: sguardo assente, pallidissimo, chiuso nella sciarpa della sua casa, Elliott Johansson teneva una bandierina di corvonero in mano, anche se non sembrava intenzionato a festeggiare alcunché.
- Buongiorno! Fa caldo oggi, vero?! – Demelza entrò a gamba tesa e si posizionò accanto ad Elliott, il quale le dedicò una fugace occhiata piatta; l’entusiasmo della strega non aveva sortito alcun effetto su di lui. Millicent, di contro, guardò la grifondoro in cagnesco:
- Che cazzo ci fai qui, Robbins? Non hai i tuoi amichetti da raggiungere? -
- Calmati, sono venuta per parlare con il merluzzo al ragù qui. – Disse Demelza, indicando Elliott con il pollice. Prima che quest’ultimo potesse anche solo mostrarsi basito davanti al linguaggio colorito di Demelza, la grifondoro prese a punzecchiargli un braccio con un ditino:
- Ho sentito che capisci la testa della gente, tu, e che sei un asso nelle questioni di cuore. -
Elliott assunse una vaga sfumatura rosata, segno di forte imbarazzo: - Veramente… no. – rispose quindi lapidario.
- Senti un po’ capo, di solo una parola e faccio volare via questo scricciolo dall’altra parte del campo. -
- Ma non ce n’è biso… -
Il punzecchiamento di Elza passò alla gota scavata di lui: - E quindi io ho bisogno di un consiglio, visto che sei tanto bravo. O magari un paio di sedute, sempre che non costino un patrimonio. E non provare a fregarmi sai, sono piccola ma non sono stupida: pretendo una parcella più che onesta! –
- Senti… davvero, non so cosa tu abbia sentito sul mio conto, ma ti assicuro che… -
Demelza si aggrappò al suo braccio e con un cenno del capo puntò al campo, sul quale le squadre sfidanti si stavano stagliando: - Quello laggiù, vedi? Quel ragazzone che sembra una montagna farcita di muscoli? Si chiama Barry. Lui è così… - Demelza concluse con un sospiro e senza pensarci troppo, poggiò il capo sulla spalla di Elliott, che neanche conosceva il suo nome. Millicent ritenne quel gesto davvero troppo spinto; quella grifondorina avrebbe smesso nell’immediato di importunare Elliott. Demelza proseguì, incurante dell’ira di Milly: - Insomma la questione è questa, ascolta bene: presente la festa di Halloween? Io ti assicuro non era mia intenzione, non avevo mai guardato Barry Summers in vita mia! Ma fra di noi… io sono sicura sia scattato qualcosa, si-cu-ra! Il problema ora è questo però… da quel giorno il Signor Barry mi ha evitata, palesemente. – Un sospiro e un singhiozzo di qualche sconosciuto, distrasse Elza per un momento; ma nuovamente carica tornò a parlare: - Come se non esistessi, capito? E io sono… sono un disastro in queste questioni qui. Non capisco mai niente di niente… - A quel puntò Millicent perse totalmente la pazienza; non poteva ignorare lo sguardo avvilito di Elliott, al quale si era avvinghiata quella ragazzetta fuori dalle righe. Così Millicent cominciò a tuonare brutte parole nei confronti di Demelza. Mentre la serpeverde berciava un turpiloquio irripetibile e il corvonero sospirava affranto da quella situazione ridicola, una risata sguaiata partì alle spalle dei tre:
- Guardate un po’; abbiamo la Corte dei Miracoli al completo! -
Marcus Flint sedeva alle loro spalle, affiancato da Ruben Urquhart. Ottenuta l’attenzione dei tre, prese ad indicarne uno ad uno: - La patetica Robins, testa di rapa Bulstrode e tu… - il suo sguardo più sprezzante fu dedicato ad Elliott: - … non so nemmeno come definirti, sanguemarcio… so solo di essere più che grato di non averti nella mia casa. – Marcus spostò il suo ghigno su Millicent, più imbarazzata e imbufalita che mai: - Quindi è questa la gente con cui ti accompagni, Bulstrode? Fossi in te starei attenta e mi guarderei bene dal tenermi vicino a quello lì: non accetto giocatori con pulci e zecche, nella mia squadra. –
- Come osi?! – Tuonò Millicent: la ragazza si issò in piedi pronta a venire alle mani.
- Lascialo stare… poverino non vedi che è un bamboccio in cerca delle attenzioni che non ha mai avuto in vita sua? – Demelza sorrise limpida, prima di alzare il dito medio nei confronti di Marcus, il quale sfoderò la bacchetta senza pensarci su: - Pensi che l’essere una ridicola pulce mi fermerebbe da darti una bella ripassata, Robins? -
- Te la do io una ripassata, vomitevole pastrugno di vermicoli! – Il tentativo di mantenere la calma, per Demelza, rimase appunto un tentativo: la strega abbandonò la sua posizione, pronta a saltare al collo di Marcus, ma Elliott la trattenne per un polso e tentò di tirarla indietro: - Ragazze per… per piacere, non fate il suo gioco. -
Davanti a quella scena, il capitano Serpeverde liberò una risata, seguito a ruota dal compagno al suo fianco: - Ma ti rendi conto di quanto sei patetico? -  Così si sbilanciò verso di loro, pronto a schiantare la grifondoro, che continuava a dimenarsi e squittire come un piccolo roditore arrabbiato. Millicent tentò di intervenire, ma fu Ruben a tenerla a bada, così Marcus ebbe la possibilità di avvicinarsi ancor più all'inverosimile coppia. Trovato il coraggio e la forza, Elliott tirò indietro Demelza e si parò davanti a lei, in un improbabile tentativo di difenderla dal serpeverde, il quale lo spintonò:
- Vedi di spostarti, sporco babbano. -
- Mi trovo costretto a contraddirti: sono i miei genitori ad essere dei babbani, ovvero esseri umani che non possiedono facoltà magiche. È evidente che tu non conosca la differenza. -
L’espressione disgustata e contrariata di Marcus, anticipò un micidiale destro che colpì in pieno volto Elliott, nell’esatto momento del fischio di inizio della partita. Un pugno poco dosato, che fece crollare il corvonero su Demelza e che, per altro, gli garantì l’epistasi e un immediato svenimento.
 *
Il levarsi in volo delle due squadre fu accompagnato da un boato fragoroso, subito sovrastato dalla voce di Lee che procedeva alla presentazione dei giocatori. Poco dopo, i quattordici ragazzi sfrecciavano velocissimi qua e là, apparentemente incuranti della spessa pioggia che, nel frattempo, aveva cominciato a scrosciare castigando il campo e le tribune.
- Entrambe le squadre contano elementi nuovi e, debbo dirlo, è davvero un piacere osservarli.... ecco là O’Flaherty di Tassorosso, per esempio: impossibile non vederla con quella scritta a leds applicata sul mantello... “HUFFLE-POWER”, dice lei... ahah, davvero uno schianto di ragazza, pura dinamite irlandese! Le chiedo sempre di uscire con me e lei, per fortuna, mi dice sempre di sì... mica come quella musona della Johnson qui presente!...
Angelina, seduta accanto a lui, gli allungò uno scappellotto neanche troppo bonario.
- Ahia!... Dicevo: davvero abile la nostra Maxine... ah, ecco che passa la Pluffa a McAvoy... che subito ripassa a Whitby, il fortunello che dicono si sia accaparrato quell’angelo della Turpin... che fulmine questo ragazzo, per Zaion! Tassorosso segna!...
Nonostante il frastuono infernale di pubblico, musica e acquazzone, dagli anelli Corvonero si udì distintamente Morag che imprecava come una scaricatrice di porto contro l’incompetenza delle sue Battitrici.
*
Non riusciva a spiegarsene il perché, eppure così era. C’era qualcosa, dentro di lei, che le dava fastidio, che la turbava. Mandy si spostò velocemente sulla destra, sull’orbita del Bolide che tornava indietro a tutta velocità. Dopo essersi posizionata a dovere, tirò indietro il braccio e lo colpì con la mazza, facendolo rimbalzare lontano.
“Accipicchia”.
Non stava giocando molto bene, e ne era consapevole. Nessuno di loro, in effetti. Dovevano impegnarsi di più, o Corvonero avrebbe perso la partita. Mandy si guardò intorno, cercando di scorgere qualcosa oltre la spessa coltre di acqua gelida che cadeva dal cielo e che le bloccava la vista. Il rumoreggiare della folla e l’urlo amplificato di Lee Jordan le rivelarono che Morag si era beccata un altro gol.
“Dobbiamo reagire” mormorò Mandy fra i denti.
Facile a dirsi, un po’ meno a farsi. Si sentiva troppo distratta, troppo. Con una mazzata micidiale riuscì ad ostacolare l’avanzata di Maxine che, in quel momento, si avvicinava pericolosamente agli anelli. Con un grido rabbioso, l’avversaria mollò la Pluffa e tornò indietro, in un bagliore giallo reso frammentario dall’impietosa cortina di gocce di pioggia.
Improvvisamente, un altro riverbero giallo le si parò davanti, per poi scomparire velocissimo sulla scia di qualcosa. Non le ci volle molto per riconoscere entrambi.
“È lui. L’ha visto”.
Diggory. Il Boccino. Mazza alla mano, Mandy si lanciò all’inseguimento.
*
- Porca miseria!
L’esclamazione, fuoriuscita a tradimento dalle labbra contratte di Gemma, suonò particolarmente divertente alle orecchie dei presenti. La Pluffa, rispedita indietro da un calcione micidiale di Barry, volò attraverso il campo facendo il pelo a svariati giocatori di ambedue le squadre.
- Summers para, Pluffa in campo... ma boia di un Merlino, non si vede un ca**o... oh, scusi, signora professoressa... comunque: Jones sul Bolide, quasi disarciona la Chang... Entwhistle recupera... passa a Davies... di nuovo la Jones e Finch con una serie di colpacci mancini... ah! La Pluffa schizza indietro... ma EHI!
Lo stadio rumoreggiò: Stephen Cornfoot si stava avvicinando a tutta velocità al Boccino d’Oro.
- L’ha visto! Diggory è laggiù, troppo lontano... colpo di scena, gente! Corvonero prossimo alla vittoria... Aaaaah!
Una pluffata poderosa urtò la saggina della scopa di Stephen, che sbandò paurosamente e, nel tentativo di reggersi al manico, perse di vista la sferetta fuggiasca.
- Ma che cacchio è successo?!
La confusione in campo era tale che nessuno, neppure Lee, si era accorto che il colpo era partito proprio dagli anelli di Corvonero; proprio quelli che, in quel momento, Morag avrebbe volentieri preso a testate.
*
Ritchie correva sotto la pioggia, a ritroso, alla volta del Castello; il ciuffo di capelli scuri incollato alla fronte dall’acqua scrosciante gli ostacolava la vista, rischiando di farlo incespicare ad ogni falcata.
“Dannato vizio” pensò, maledicendo l’effetto nefasto delle sigarette a causa del quale, ogni volta che era costretto ad affrettare il passo, gli veniva l’istinto di sputare un polmone. In un modo o nell’altro, comunque, riuscì a raggiungere l’atrio, e da lì le scale che conducevano ai sotterranei.
“Dov’è Alicia?” aveva chiesto agli amici riuniti sugli spalti, accorgendosi che, stranamente, la compagna non si trovava fra loro. Gatta ci covava: quella fanatica di Quidditch della Spinnet non si sarebbe mai persa una partita di sua spontanea volontà.
“Lei e Uluru sono stati convocati da Gazza subito dopo la colazione” aveva risposto Katie, con uno sguardo preoccupato. “Non ha voluto che l’accompagnassimo; ci ha detto che ci avrebbe raggiunti qui, ma non si è ancora fatta viva”.
Nella testa di Ritchie, cui Alicia aveva raccontato dell’ispezione dell’URCCM, era subito balenato un orrendo sospetto.
“Speriamo non sia troppo tardi”.
Lo era, purtroppo. Quando finalmente raggiunse l’ufficio di Gazza, il ragazzo vi trovò Alicia che, seduta sul pavimento, accarezzava delicatamente il pelo di Uluru attraverso le sbarre di una gabbietta fin troppo angusta; l’ornitorinco non si muoveva, ma faceva schioccare il piccolo becco blu cobalto, lucido come ceramica smaltata. In piedi accanto a loro, il Custode grattava le orecchie della sua gatta e, in preda a raro pentimento, si asciugava una lacrimuccia.
- Ho dovuto farlo – disse l’uomo, col tono di chi ha già pronunciato la stessa frase una mezza dozzina di volte. – Ordini del Ministero... sapete com’è...
Ritchie lo ignorò.
- Che cosa è successo? – chiese ad Alicia.
- Il Dottor Macnair ha inoltrato un telegramma, proprio stamattina – rispose la ragazza, senza spostare gli occhi dalla gabbia. – A sua detta, Uluru e i germi che si porta dietro rappresentano una minaccia imminente per la fauna autoctona.
- Che stronzata! – si lasciò sfuggire lui.
- Tant’è. In ogni caso, il signor Gazza ha dovuto provvedere alla cattura.
- E quindi? – la incalzò Ritchie.
- E quindi niente – mormorò tristemente lei. - Ci rimane una settimana.
Gli ingranaggi cerebrali della bella testolina di Ritchie cominciarono a girare vorticosamente, alla ricerca spasmodica di una soluzione.
*
- Ecco Whitby che ritorna... accidenti, davvero una saetta questo ragazzo che io, fra parentesi, apprezzo particolarmente essendo lui, come me, un valoroso rappresentante delle Pelli di Cacao...
Kevin che, pur mantenendosi concentrato sulla Pluffa, non si perdeva una sola parola di Lee, non riuscì a trattenere una risata fragorosa, subito sopraffatta dalle raffiche di vento. Il ragazzo spronò la sua fida Nimbus 1990, scampando per un pelo il Bolide scagliatogli contro da Lisa.
- Scusami Kev! – gli urlò dietro la ragazza, alla quale lui fece subito segno che andava tutto bene. In fondo, si trovavano sul campo: era giusto così. Kevin procedette, zigzagando fra Bolidi e avversari, palleggiandosi la Pluffa con Heidi e Maxine, che volavano in formazione compatta accanto a lui. Un rapido sguardo agli anelli lavati dalla pioggia e...
- Whitby segna di nuovo! Altri dieci punti a Tassorosso... parola mia, questo ragazzo è un portento!... con quel faccino rilassato e pacifico, zero minaccioso, fregherebbe chiunque. Stai all’occhio quando toccherà a te Ollie, vecchio mio!...
Dalla sua postazione sugli spalti, Oliver sventolò un quadernetto di appunti e strategie ricoperto da scritte fitte fitte e opportunamente schermato da un astuto Incantesimo Repello Impluvium.
*
Le raffiche di vento sferzavano l’aria. Mandy ignorò le bordate e la pioggia che la irrigava fino al midollo e spinse la scopa più su, sempre più su. Dovevano aver raggiunto un’altezza vertiginosa, ormai. Davanti a lei, in un baluginare di fotogrammi giallo sole, Cedric inseguiva il Boccino che zigzagava impazzito.
Fu un attimo.
La piccola sfera scartò e tornò indietro; il ragazzo, incurante delle bordate, si girò per seguirla e si trovò davanti la Battitrice avversaria. Proprio in quel momento, un Bolide fece capolino fra gli schizzi d’acqua. Da quella distanza, un colpo di modesta entità (figuriamoci uno dei suoi) lo avrebbe sicuramente disarcionato dalla scopa e avrebbe posto fine alla partita. Cedric spalancò gli occhi e decelerò, conscio di quanto sarebbe accaduto. Davanti ai suoi occhi Mandy fluttuava a mezz’aria, con la sua divisa blu cielo completamente inzuppata ed i lunghi capelli rossi che grondavano acqua.
La ragazza alzò la mazza, pronta a colpire.
Un esiguo bagliore all’altezza del petto del ragazzo, però, catturò il suo sguardo. Mentre Cedric eseguiva l’inversione di marcia, la piccola stella gialla che lei gi aveva regalato ad Halloween era sgusciata fuori dal colletto dell’uniforme ed ora svolazzava appesa alla catenella argentata scossa dal vento.
Mandy piegò il gomito e colpì il Bolide, facendolo fischiare lontano. Lontano da lui.
“Che Roger mi perdoni”.
Poi, prima che Cedric avesse il tempo di aprir bocca (qualcosa le diceva che quello sciocco avrebbe protestato, e lei non lo voleva sentire), la ragazza puntò il manico della scopa verso terra e scomparve oltre la spessa cortina di pioggia.
*
Vinnie, più carico che mai, rubò la pluffa da sotto il naso di Heidi; la ragazza presa in contropiede tentò il recupero, coadiuvata da un bolide micidiale scagliato da Justin. Il corvonero lo schivò per un soffio, ma subito un altro arrivò alla sua destra: questa volta era merito di Megan. Vinnie lanciò un’occhiata alla battitrice, che sembrava particolarmente agguerrita nei suoi confronti.
“ Non pensarci, ignorala. “ Disse fra sé e sé il ragazzo il quale, da quando aveva avuto quella conversazione con Goldstein, si era deciso a tenersi alla larga dalla Jones, anche se questo era risultato più difficile del previsto. Zigzagò fra i giocatori, col solo pensiero fisso di Megan a turbarlo più che mai. “ ‘Fanculo! “  ringhiò fra le labbra mentre, con precisione e velocità, mandava la pluffa a centrale l’anello di sinistra.
- La fata turchina segna! Altri dieci punti a Corvonero! Ed eccolo il nostro vice che non manca di sfilarsi la maglia, strano non l’avesse ancora fatto! -
Braccia spiegate e risata di vittoria, Vinnie fece un rapido giro sulla scopa, mostrando a tutti il tatuaggio rosso che tagliava il torace: “May the Force be with you”, recitava. Ovviamente quel gesto gli fece guadagnare un’ammonizione.
 *
 - La partita prosegue, senza esclusione di colpi!... Davies in possesso della Pluffa... passa a Chang, che ripassa al nostro Mago dai Capelli Turchini, Entwhistle... di nuovo a Davies... (grida femminili in sottofondo)... Summers si getta sull’anello destro: pessima mossa! Dieci punti a Corvonero!...
Il fischio improvviso di Madama Bumb interruppe bruscamente la cronaca. Attraverso le cataratte che, incessanti, si riversavano sul campo, il pubblico vide Cedric che planava con il Boccino saldamente stretto fra le dita.
La partita era finita.
- Peccato che la pioggia ci abbia impedito di seguire l’azione – commentò Harry, un po’ deluso. Oliver, che si trovava seduto accanto a lui, annuì per dargli ragione. Poco dopo, lieta di potersi lasciare alle spalle quel tempaccio da lupi, la folla cominciò rapidamente a defluire dallo stadio, diretta al Castello.
Ansimante, ancora intenta a fluttuare davanti agli anelli, Morag trasse un sospiro di sollievo ringraziando Priscilla all’idea che, nel giro di pochi minuti, avrebbe trovato ad aspettarla una bella doccia calda. Troppo stanca e infreddolita per avere voglia di rimuginare troppo sulla sconfitta, la ragazza atterrò sull’erba fradicia e si strappò via i guantoni con un gesto stizzito, per poi dirigersi a larghi passi verso gli spogliatoi. Sapeva che sua madre, probabilmente, se ne sarebbe andata a breve ma lei, in quel momento, non provava alcuna voglia di andarla a cercare.
All’interno del casotto il clima non era dei migliori, certo; eppure, per sua grande sorpresa, nessuno le disse alcunché di male. Né Roger, immediatamente scomparso al seguito di una Millicent Bulstrode dall’aria preoccupatissima, né Stephen, chiuso nel suo silenzio criptico, né, tantomeno, Vinnie e le ragazze. Non che Morag si fosse aspettata una filippica da parte di Mandy, ci mancherebbe. Ma magari, chissà; qualche frecciatina da parte di Cho e Lisa, visti e considerati i rapporti non esattamente rosei che intercorrevano fra loro, sì. Al contrario, tuttavia, quest’ultima le venne vicino e, con un’espressione determinata sul bel faccino di porcellana, le disse:
- Succede, MacDougal. Alla prossima partita spacchiamo il cu*o a tutti. Forza! Siamo una squadra, ecchecca**o!
Un po’ stupita, Morag rimase a guardare la compagna che si avviava a passo deciso verso le docce.
 
[ Infermeria di Madama Chips, 15 Novembre 1993 ]
Millicent non riusciva a stare al passo di Roger Davies. Nonostante la serpeverde lo avesse in più di un’occasione implorato di rallentare, il Capitano Corvonero non sembrava sentire ragioni.
- Ti ho detto che non è conciato tanto male, è inutile correre così! -
- C’è una sola cosa che andrà dritta oggi? – masticò adirato Roger, mentre marciava in direzione dell’infermeria. Una volta messo piede all’interno, si guardò rapidamente intorno; più di una lettiga era occupata dai malconci reduci della partita anche se, fortunatamente, nessun giocatore aveva riportato danni gravi. Tra quelli, finalmente Roger scorse il suo pallido amico; Elliott sedeva in un angolo della stanza e tratteneva il viso con una mano. Al suo fianco era rannicchiata Demelza Robins, su cui volto Roger lesse un’espressione particolarmente ansiosa.
- E lei? – Chiese a Millicent, ansimante e finalmente al suo fianco.
- Tutta colpa sua. Il problema è che il capo è troppo magnanimo e di buoni sentimenti. Non ci fosse stato quel letamoso di Ruben a tenermi, glielo avrei fatto vedere io! -
- Vuoi spiegarmi cosa avresti fatto vedere a chi?! – Il tono di Roger si faceva sempre più alterato e spazientito. Millicent Bulstrode si era presentata da lui alla fine di quella disastrosa partita; più agitata che mai gli aveva detto che Elliott era finito in una rissa e che in quel momento si trovava in infermeria. Neanche aveva fatto in tempo a cambiarsi, tanta era stata la preoccupazione per il suo amico; se le cose stavano come aveva detto la Bulstrode, Elliott doveva essere ridotto davvero male: un tipo come lui, da una rissa, non ne sarebbe uscito che fatto a pezzettini.
- Bendita Priscilla! Sei vivo tu altro! – Finalmente raggiunto, Roger sedette accanto ad Elliott, che lo guardò con sguardo piatto, senza mai togliere la mano dal naso. A quel punto gli passò un braccio intorno alle spalle: - Mi vuoi dire che cosa è successo? La tua guardia del corpo non ha scucito una sola parola a riguardo. -
- Fto bene… nulla di grave. Non dofefi fenire. - A quel punto Millicent incrociò le braccia, passò lo sguardo da Elliott e Demelza e dichiarò che se non avesse parlato, lo avrebbe fatto lei. Incitato ancora una volta, Elliott lentamente calò la mano, mostrando due grossi tamponi magici che ripulivano il sangue dalle narici; laddove solitamente si trovava il septum, vi era un taglio orizzontale ricucito di fresco.
- Quell’idiota di Flint. – Pigolò Demelza, mentre stringeva ancor più le ginocchia a sé: - Ha detto delle cose brutte, davvero brutte per provocarci. -
Nel sentir nominare il Capitano di Serpeverde, Roger assottigliò lo sguardo: - Cosa avrebbe detto? –
- Ma non mi afcoltate? Non è fuffeffo niente. – Tentò Elliott.
- Quindi cosa? – Incalzò Roger.
- Niente che le tue orecchie non abbiano già sentito almeno una volta in vita tua. Il problema è che… io mi sono… agitata, ecco. -
- Voleva saltargli al collo, come se ne fosse capace! – tuonò Millicent, - E per difenderla, lui si è messo in mezzo! -
- Questo ti reca onore Ells, ma non hai pensato sarebbe stato più facile usare la bacchetta, al posto delle mani? Hai le ossa fragili, lo sai. -
- Molto fpiritofo. -
Sdrammatizzare era l’unica cosa utile da fare in quel momento, pensò Roger; ma se esternamente il suo sorriso non accennava a tramontare, dentro di sé sentì la rabbia crescere a dismisura. Roger Davies era sempre stato un ragazzo a modo, intento a sedare i malumori piuttosto che provocarli; di certo non era solito alla vendetta, tutt’altro. Ma Marcus Flint aveva osato troppo; se l’era presa con il suo migliore amico e questo non andava affatto bene. Doveva trovare il modo di fargliela pagare, ma senza rispondere a quel pietoso bullo con la sua stessa moneta.
Classe e stile: Roger avrebbe usato contro Flint due delle sue migliori qualità, annientandolo nell’orgoglio. Doveva solo capire come.
 
[Sala Comune di Tassorosso, sera del 15 novembre 1993]
I festeggiamenti impazzavano, in un tripudio di coriandoli e stelle filanti gialloneri sparsi in ogni dove. Le basse pareti circolari in mattone a vista rimbombavano di musica, canti, acclamazioni e risate a riprova del fatto che, in fatto di feste ed eventi mondani, la gaia Casa di Tosca la Buona sa sempre il fatto suo.
Cho osservò con la coda dell’occhio Lisa e Kevin che, in un angoletto, si baciavano con molto entusiasmo (“Perché questo, piccina mia, è festeggiare in grande stile!”).
“Beati loro” rifletté la ragazza, comunque grata all’amica per averle permesso di imbucarsi a sua volta nei festeggiamenti. “Ma, come dice Roger, si può sempre rimediare”.
Cho fece vagare lo sguardo sugli studenti e studentesse che affollavano la stanza, finché non lo ebbe avvistato. Cedric, circondato dai compagni, sorrideva e brindava, lo sguardo luminoso amplificato dalla spessa sciarpa di lana gialla che recava legata attorno al collo. Sembrava felice, e certamente aveva ragion d’esserlo; eppure, di tanto in tanto, Cho credette di distinguere un’ombra a velargli le iridi grigie. Senza distogliere lo sguardo da lui, la ragazza si avvicinò al crocchio.
- Ciao, Diggory – lo apostrofò, alzando la voce per farsi sentire.
- Chang – sorrise lui, salutandola educatamente. – Benvenuta. Sei qui per festeggiare con noi?
- Sì. Ci tenevo molto a farti i complimenti.
- Oh, grazie. Davvero gentile da parte tua.
La ragazza scrollò graziosamente la cascata di capelli corvini, lucidi come vinile. Alcuni dei ragazzi presenti la guardarono ammirati; era sempre stata molto carina, e lei sapeva di esserlo.
- Dove trovo qualcosa da bere?
- Ah, sì – Cedric le indicò un tavolo poco lontano e mosse un piede per farle strada. - Ti faccio vedere, aspetta.
In men che non si dica, la folla si richiuse intorno a loro, facendo sì che i due si ritrovassero premuti l’uno contro l’altra.
- Oh, perbacco. Scusa, Chang – Cedric, la cui intenzione era stata unicamente quella di dimostrarsi gentile nei confronti dell’ospite, era un po’ imbarazzato; la ragazza, tuttavia, sembrava di tutt’altro avviso.
- Nessun problema – sussurrò lei, avvicinandoglisi un altro po’ e gustandosi il delizioso profumo di glicerina del ragazzo. – Anzi: diciamo pure che i tuoi compagni ti hanno spianato la strada...
Lui la guardò senza capire.
- L’invito – suggerì Cho, in un discreto sfarfallìo di ciglia scure. – Ora che la partita è passata, me lo puoi tranquillamente chiedere.
Cedric era basito.
- Ma io... – biascicò, confuso. Lui, a differenza di molti, non aveva letto il trafiletto de La Pulce nell’Orecchio, e quindi si trovava all’oscuro delle speculazioni che lo riguardavano. - Io non avevo intenzione di...
- Non volevi chiedermi di uscire?! – la ragazza sembrava disorientata.
- Oh, beh. Io... veramente... no. -
Quella risposta, che faceva vacillare tutte le sue più solide certezze, provocò in Cho una reazione spropositata.
- Ma brutto stronzo! – ringhiò, livida. Cedric sgranò gli occhi mentre lei, fuori di sé, urlava: - Stupeficium! -
L’intera Sala Comune si voltò a guardare l’esile Corvonero che, tremula d’indignazione, girava sui tacchi, per poi allontanarsi con la bacchetta fumante ancora stretta fra le dita.
Justin si accostò prontamente al suo povero Capitano, schiantato a bruciapelo.
- Reinnerva – brontolò stancamente il biondo, facendo roteare il polso della mano non occupata a reggere un enorme boccale di Burrobirra. – Io, ste donnette isteriche, non le reggo proprio.
Cho, nel frattempo, aveva raggiunto la porta circolare della Sala Comune e, prima di sbattersela con violenza alle spalle, aveva gridato:
- E adesso vado a farmi il primo che mi trovo davanti, parola d’onore! -
Quella, per un anonimo studente di Corvonero rispondente al nome di Michael Corner, fu una delle serate più belle e sorprendenti di sempre.
*
Sorridente, ancora un po’ intimidito per il fatto di trovarsi oggetto di ammirazione, Barry strinse fra le dita della grossa mano il tozzo manico della caraffa, per poi portarsela alle labbra e prendere una lunga sorsata di Burrobirra.
- Oh, sì... molto interessante – rispose educatamente ad una delle ragazze che, dal momento in cui aveva rimesso piede in Sala Comune, avevano cominciato a stringerglisi attorno, a riprova di un’ormai famosa teoria di Maxine, secondo la quale il suo atavico insuccesso con le donne altro non era che una conseguenza diretta della sua innata (e stupida) capacità di rendersi invisibile. “Una volta che ti avranno notato” aveva spesso profetizzato l’amica, con aria di chi la sa lunga “non te le scrollerai più di dosso, vedrai”. E, per quanto a lui ancora paresse strano, così era stato.
Tuttavia...
Beh.
Tuttavia, Barry non era del tutto sicuro che la cosa gli piacesse. Le luci della ribalta non l’avevano mai attratto e nonostante, di primo acchito, la cosa potesse risultare gratificante, in realtà, per uno come lui, trovarsi al centro dell’attenzione non produceva una sensazione propriamente gradevole. In una parola, non si sentiva affatto a suo agio. In quel momento, in realtà, Barry avrebbe desiderato ben altro. Nonostante l’euforia, nonostante l’adrenalina, lui avrebbe voluto trovarsi altrove, in un luogo più tranquillo in cui festeggiare con calma assieme ai suoi amici e compagni di squadra, e cioè assieme a coloro che, col passare delle settimane, aveva cominciato a considerare una specie di famiglia.
E proprio a quel proposito, in effetti...
Il ragazzo tese il collo e, dopo una breve ricerca, finalmente la individuò. Heidi si trovava in piedi accanto al camino acceso, in compagnia di Susan Bones, Ernie Macmillan e Ross Cadwallader. Assentiva con il capo e chiacchierava tranquillamente; i capelli leggermente mossi, che lei aveva lasciato sciolti in una cascata dorata, le incorniciavano il viso illuminato dall’incessante danza delle fiamme. Ciononostante, Barry ebbe la sensazione che Heidi apparisse più magra e nervosa che mai, leggermente accelerata e, al tempo stesso, guardinga.
 “Adesso basta”.
Nel corso dell’ultima settimana, la ragazza non gli aveva rivolto che sporadici monosillabi. Inizialmente lui aveva pensato che il suo comportamento fosse causato dalla tensione pre-partita, ma qualcosa gli diceva che le cose non stavano così. Heidi era strana. Non sembrava neppure lontanamente la stessa persona con cui, all’inizio dell’anno scolastico, era riuscito a fare amicizia con tanta facilità.
“Dee” avrebbe voluto dirle “sputa il rospo, su”.
Reso un filino più audace dalla Burrobirra e facendo appello a tutta la propria (solitamente latitante) risolutezza, Barry sgusciò fuori dalla cerchia di ammiratrici e si accinse a percorrere la distanza che lo separava dall’amica. A discapito dei suoi piani, però, il colloquio chiarificatore dovette essere rimandato.
Barry non aveva mosso che una mezza dozzina di passi quando, inaspettatamente, Zacharias Smith gli si parò davanti in evidente stato confusionale. E prima che il buon Portiere avesse il tempo di dire ba, il controverso cronista, visibilmente alticcio, aveva già cominciato a vomitargli addosso una sfilza di improperi e recriminazioni apparentemente interminabili.
- Dannato... dannato bastardo – bramì Smith, fuori di sé – Infingardo! Giuda! Traditore della tua stessa Patria e della tua stessa Casa!...
- Ma cosa... – Barry sbatté le palpebre, sorpreso.
- L’ho sentita! So tutto! – urlò l’altro, sventolando platealmente le braccia – L’hai... l’hai sedotta e abbandonata!... Razza di... di... svergognato!... Lei! La mia piccola, la mia preziosa Demelza... vergognati!...
Sbirciando oltre il compagno, Barry vide che Heidi, accomiatatasi dai compagni, si stava dirigendo verso la porta circolare dei dormitori femminili.
- Levati dai piedi, Smith! – ringhiò, tentando invano di aggirare il molesto oppositore che, saltellandogli davanti, agitava i pugni nella patetica imitazione di un boxeur suonato.
- Non ti azzardare! – Zacharias sembrava aver perso completamente la testa. – Non ti azzardare o ti... o ti...
Barry fece un ultimo tentativo di scansarlo, accorgendosi però che Smith si era fermato e lo fissava, attonito e bianco come un cencio.
- Oddio, sto male – pigolò il ragazzo, per poi chinarsi in avanti e, questa volta letteralmente (nonché platealmente e dolorosamente) vomitargli sui piedi.
 
[ Ufficio di Albus Silente, 16 Novembre 1993 ]
Astoria dette una rapida lucidata alla succosa mela rossa che teneva in una mano; un sorriso malandrino, ricco di soddisfazione, le illuminava il volto. Con la schiena poggiata alla parete, lanciava occhiate alla porta della presidenza che si aprì pochi istanti dopo, in concomitanza di un piccolo morso al frutto. Avrebbe sperato di leggere nel bel viso di Marcus Flint un’espressione accigliata, ma il capitano non sembrava particolarmente turbato: al contrario una volta messo piede in corridoio, sistemò il colletto della camicia e sorrise in direzione di Astoria, la quale si affrettò ad affiancarsi a lui e seguirne il passo.
- Quanto successo ieri durante la partita ti sarà costato caro, capitano. Bel modo di far perdere punti alla nostra casa, non ti pare? -
Di tutta risposta Marcus ghignò: - Quel che va fatto va fatto, Astoria; se non ci pensano i professori a mettere a tacere la saccenza di questi maghi improvvisati, qualcuno deve pur farlo al posto loro, non trovi? –
Astoria dette un altro morso alla mela e con passo celere seguì Marcus, mani in tasca e sguardo sereno.
- Non ti basta metterti in ridicolo ogni giorno con la tua sola presenza? Prima o poi qualcuno te la farà pagare molto cara e voglio che tu sappia che quel giorno riderò, riderò davvero di cuore. -
- per il momento sono a posto: Piton ha garantito per me; sarai felice di sapere che nessun punto è stato decurtato a Serpeverde e che l’unica cosa che mi sono meritato, è stata un’ammonizione verbale. Il buon nome dei Flint è sempre pronto a coprirmi le spalle, graziosa collega. -
Astoria contrasse le sopracciglia. Ingoiato un altro morso, si parò davanti a Marcus arrestando così il suo incedere:
- Il tuo cognome non potrà sempre salvarti, come fai a non rendertene conto? -
Il mago ridacchiò sommessamente, cosa che innervosì Astoria più che mai; ancor più, quella rimase di stucco quando con gesto noncurante, Marcus Flint prese la mela dalla sua mano e ne staccò un bel morso, prima di ridargliela e accostare la bocca al suo orecchio:
- Continua pure a comportarti da piccola ribelle, femminista ed avanguardista… almeno per un altro po’. Sappi che dovrai presto imparare a rispettare la mia persona ed il cognome che porto, che ti piaccia oppure no. – Così il capitano serpeverde alzò il mento di Astoria e puntati gli occhi chiari in quelli di lei, la congelò con un’ultima frase: - Controlla la posta, avrai presto una bella sorpresa. Bella per me, almeno. -
Astoria osservò, ammutolita, Marcus Flint allontanarsi da lei. Qualcosa che puzzava di bruciato era nascosto nelle parole di lui. Gettò via ciò che era rimasto di quella mela e corse verso la propria Sala Comune, nella quale trovò Daphne ad aspettarla: fra le mani della più piccola si trovava una pergamena che portava il sigillo dei Greengrass, indirizzata alla maggiore delle sorelle.
 
[ Sotterranei, Sala Comune di Serpeverde, 16 Novembre 1993 ]
- Razza di bastardo, maledetto lui! -
Davanti agli sguardi allibiti e spaventati di Daphne Sophie e Draco, Astoria accartocciò con rabbia la pergamena inviatale dai genitori e la gettò nel fuoco vivo del camino. Nessuno dei tre ebbe il coraggio di azzardare anche solo una parola, fin tanto che la maggiore delle Greengrass percorreva la Sala Comune imprecando furibonda. Fu infine Daphne, timorosa più che mai, a trovare il coraggio di farsi avanti per pigolare una richiesta di spiegazione.
- Quell’infame di Marcus! – Gridò Astoria in risposta, - Mamma e papà ci hanno tenuto ad informarmi che hanno ricevuto una proposta molto allettante dalla famiglia Flint! – Così Astoria prese a scimmiottare la voce del padre: - “ I Flint sono una famiglia molto facoltosa bla bla bla, un fidanzamento ufficiale con il maggiore dei loro figli sarebbe quanto di più auspicabile per te bla bla bla! “ -
A sentire quelle parole Daphne sussultò, Sophie mal celò una bestemmia e Draco impallidì d’un botto.
- Vorresti dire che… - tentò Daphne, tiepidissima. Astoria afferrò le spalle della più piccola e le strinse con tanta forza, che Daphne dovette reprimere un gemito: - Voglio dire che quel bastardo di Marcus ha organizzato il nostro fidanzamento ufficiale! Capisci?! Io, a sposarmi con quel troglodita! Vogliono uccidermi… e hanno trovato il modo più doloroso per farlo! Verranno proprio qui prima dell’inizio delle vacanze di Natale per formalizzare l’incontro con i Flint!-
Mollata Daphne, Astoria riprese a camminare in tondo, agitando al contempo le braccia: - Ecco cosa voleva dirmi prima… quella era una vera e propria minaccia! Come farò?! Devo organizzare una fuga. Lasciare Hogwarts, trovarmi un posto sicuro, magari fra Le Ribelli di Godric’s Hollow… - La più grande delle Greengrass affondò su una poltrona, con disperazione.
- Mia sorella in mezzo a quel circolo di insurrezionaliste?! Non lo posso permettere! – A Daphne sarebbe venuta presto una crisi isterica; sua sorella non faceva altro che procurarle molti più problemi di quanto la stessa adolescenza non stava facendo. Sophie sedette sul bracciolo accanto ad Astoria e prese a picchiettarle la schiena: - Coraggio, troveremo una soluzione per rimettere in riga il Capitano; ho ottimi contatti con un negozietto di Knockturn Alley che potrebbe fare proprio al caso nostro. -
- Penso… penso non ci sia bisogno né di mischiarsi con le magifemministe, né di ricorrere a tanto. -
La voce esitante di Draco attirò la loro attenzione. Astoria alzò gli occhi scuri, centrando quelli grigiofumo di Draco il quale, rosso in volto, si fece coraggio: avvicinatosi alla poltrona, sussurrò alle tre con fare cospiratorio: - Niente è ancora deciso… - Draco si guardò rapidamente intorno, poi riprese a parlare: - Una soluzione ci sarebbe… -
- Cosa aspetti? Parla! – Lo incitò Sophie.
- Ecco… e se tu fossi già fidanzata? Magari con qualcuno di più allettante di un Flint… qualcuno con una buona famiglia alle spalle, una persona di tutto rispetto… così facendo i tuoi genitori potrebbero cambiare idea… -
Lo sguardo cupo di Astoria si illuminò di botto ed un largo sorriso scoprì i denti candidi: - Ma certo… ovvio! A quel punto i miei non potrebbero dire nulla e manderei a ballare all’inferno il piano malato di Marcus! –
Astoria scattò in avanti, afferrò il viso di Draco fra le mani e gli stampò un bacio sulla guancia: - Sei un genio Draco, non so come ringraziarti! –
Ciò detto si alzò di botto e scappò via, lasciando i tre soli. A quel punto Daphne incrociò le braccia e guardò Draco con l’aria di chi ha scoperto tutto: - Certo… sarebbe molto meglio imparentarsi con un Malfoy che con un Flint, dico bene? –
Draco sorrise enigmatico in direzione dell’amica; sistemò il colletto della camicia con eleganza e rispose con tono suadente: - Qualcuno al mondo avrebbe il coraggio di dire il contrario? –
 


Cari partecipanti,
eccoci di ritorno con un nuovo episodio di Bolidi. In questo capitolo, ad affrontarsi in campo sono Tassi e Corvi; per questo motivo, come da prassi, abbiamo dedicato un po' più di spazio agli oc appartenenti alle due Case protagoniste. Speriamo, ancora una volta, che il risultato sia di vostro gradimento.
A questo proposito, avremmo più che mai bisogno di riscontri da parte vostra, soprattutto alla luce delle poche recensioni all'ultimo capitolo. Diversi autori non ci hanno fatto pervenire le loro opinioni e questo, lo ammettiamo, ha fatto sì che brancolassimo nel buio circa la piega da destinare a più di un personaggio. In generale, anche scriverci per darci la sola opinione riguardo il proprio oc ci destabilizza, essendo questa una storia corale, dalle molteplici dinamiche; ci farebbe quindi piacere ricevere da voi un parere generale. Questo non significa che esigiamo recensioni chilometriche (che comunque fanno solo piacere) ma che gradiremmo molto un maggiore coinvolgimento da parte dei partecipanti.
 
Detto questo, vi aggiorniamo riguardo il sistema di punteggio che, se anche voi lo riterrete opportuno, avremmo deciso di adottare.
Ad ogni vostro voto corrisponderà un goal, e cioè 10 punti. La squadra che ottiene più voti, si aggiudica anche i 120 che corrispondono alla cattura del Boccino.
Quindi, giusto per capirsi: nella 1°partita, Serpeverde ha ottenuto 5 voti (=50 punti) e Grifondoro 4 (=40 punti). Alle Serpi vanno quindi altri 120 punti per un totale di 170.
Stessa logica nella seconda partita: 3 voti a Corvonero (=30 punti) e 6 a Tassorosso (=60 punti + i 120 del Boccino). La classifica provvisoria, pertanto, prevede:
1 - Tassorosso - 180 punti
2 - Serpeverde - 170 punti
3 - Grifondoro - 40 punti
4 - Corvonero - 30 punti
P.S. In entrambe le votazioni, hanno votato solo 9 partecipanti su 11. Una di noi due è molto arrabbiata per l’attuale classifica (potete immaginare da soli chi delle due).
Bene!
Questo è quanto; prossimo appuntamento in vista della Festa di Natale!
A presto

A&B

 
Visti i problemi tecnici con Tinypic, non abbiamo avuto modo di caricare le figurine. Provvederemo al più presto a sistemare la cosa, anche perché dobbiamo mostrarvi un po’ di aggiornamenti.
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Sotto Natale, si sa, sono tutti più buoni (o quasi). ***


 5. Sotto Natale, si sa, son tutti più buoni (o quasi).
(cit. Tilla)
 
[Sala Comune di Corvonero, 18 novembre 1993]
“Non mi sembra un luogo molto romantico, per fare la dichiarazione del secolo” aveva osservato Luna, dando prova di un buon senso a dir poco cristallino.
 
“L’importante è la privacy” aveva replicato lui in tono ovvio. “Tu pensa ad avvertirla, Lovegood. Al resto provvedo io”.
 
E così, mentre Luna si allontanava in cerca di Megan, Anthony Goldstein si era a sua volta avviato verso i bagni femminili del terzo piano: uno dei pochi luoghi di Hogwarts in cui, ne era sicuro, nessuno si sarebbe premurato di ficcare il naso.
 
- Oggi glielo dico – si disse il Corvonero, tirando un profondo sospiro. – Oggi, con l’aiuto di Priscilla la Saggia, è il giorno in cui sistemo tutto l’ambaradan.
 
[Sala Grande, 18 novembre 1993]
- E ho sentito dire che hanno aperto un negozio bellissimo, che vende strumenti musicali commestibili...
 
Vinnie, al settimo cielo, sembrava letteralmente pregustarsi l’imminente uscita in quel di Hogsmeade.
 
- Già – convenne Megan – Per non parlare delle novità della filiale di Accessori. Avrei giusto bisogno di un nuovo lucido per mazze.
 
- Possiamo andare a dare un’occhiata a tutto – rispose Vinnie con un sorriso entusiasta. – Voi due piccioncini sarete dei nostri, vero?
 
Kevin e Lisa, fintanto impegnati in un gaio tubare chiacchierino, tirarono su il pollice in segno d’assenso. Con un bel sorriso stampato sul viso, Kevin formulò vieppiù una frase di sincero apprezzamento nei confronti del villaggio magico che, a sua detta, nel periodo natalizio era particolarmente sfolgorante. Il ragazzo non vedeva l’ora di visitare Hogsmeade assieme alla sua bella.
 
- Oltretutto Norah, mia sorella – raccontò Kevin– mi ha già mandato la lista di dolciumi da comprarle da Mielandia; mi ha giurato che si tratta dell’elenco definitivo, ma sono quasi sicuro che, nelle prossime settimane, mi tampinerà a oltranza con chissà quante altre richieste!
 
- Ma come fa Norah a scriverti? Credevo che lei fosse...
 
- Semplice: ruba il gufo del babbo – sorrise il Tassorosso – Ha imparato in fretta. Sarà anche una Maganò, ma non si fa certo gabbare, quella!
 
- Magari – propose allora Lisa, che ci teneva moltissimo ad intavolare buoni rapporti con la sua nuova ‘cognata’ – un pacchetto di Cioccorane glielo posso comprare io... o forse lei preferisce i Calderotti, magari? Tu cosa ne dici?
 
- Guarda tu stessa – le rispose sorridendo lui, agitando davanti ai suoi occhi una lista apparentemente chilometrica – Norah preferisce praticamente tutto!...
 
- Oddio, pure i Pallini Acidi e gli Scarafaggi a Grappolo! – esclamò Lisa, sbalordita. – Non conoscevo nessun altro, oltre a me, che andasse ghiotto di queste cose.
 
- Anche a me piacciono – decretò Kevin, comprensivo. – Ma nulla, nulla!, a questo mondo, supera i Pallotti Cioccocremosi. Potrei mangiarne fino a star male...
 
- Uh – ridacchiò Lisa scompigliandogli i capelli. – Qualcosa mi dice che, allora, riceverai un regalo gradito...
 
- Hai intenzione di chiedere la mia mano? – la canzonò lui, fingendosi impressionato.
 
- Per ora mi limiterò a prenderti per la gola, bellino – ribattè la ragazza con un gaio sfarfallìo delle ciglia chiare. – Quindi Vinnie, ricapitolando: Accessori, Mielandia, Musimagica...
 
- Sì, e poi potremmo anche... – continuò l’interpellato, facendo bene attenzione a rivolgersi a tutti anche se, sotto sotto, si stava indirizzando soprattutto a Megan.
 
- Scusate.
La voce melodiosa di Luna Lovegood interruppe il ragazzo che, gentilmente (Vinnie adorava Luna e il suo estro), le fece subito cenno di continuare. Poco lontano Mandy, che evidentemente si era avvicinata assieme a lei, sedette su un ceppo di legno intagliato da chissà chi e si mise in attesa, canticchiando fra sé e sé.
 
- Megan – disse l’eterea Corvonero. – Avresti un minuto? Anthony... Anthony Goldstein mi ha chiesto di avvisarti che avrebbe bisogno di parlarti.
 
La Tassorosso sentì che le guance le si imporporavano all’istante.
- Ah sì? – buttò lì, guardinga.
- Sì... e mi ha detto che ti aspetta... che ti aspetta... – Luna tentennò. Perdinci. Era forse un nargillo, quello? – Oh, accidenti – soggiunse, frugando freneticamente nelle tasche della divisa – dove ho infilato i miei Spettrocoli?!
 
Megan rimase ferma a guardarla per una manciata di secondi.
- Dov’è che... ehm, che mi aspetterebbe? – chiese poi, titubante. Il cuore le batteva in modo fastidioso; non avrebbe voluto lasciar trapelare niente, ma il fatto che Anthony le volesse parlare a quattr’occhi la innervosiva tantissimo.
 
Luna, però, aveva smesso di curarsi di lei.
- In bagno – rispose distrattamente la Corvonero.
 
- Che bagno, Luna?
- Ah, mah – borbottò quella, ormai fatalmente distratta. – Un bagno, uno qualunque. Quello al quinto piano, credo. Vogliate scusarmi – e poi, a voce alta: - Mandy! Ne ho appena visto uno!...
 
La rossa, richiamata dall’esclamazione di Luna, saltò in piedi ed estrasse dalla tasca della veste una sferetta di cristallo lucidissima, foderata di morbido muschio.
- Oggi non ci sfugge, per Merlino!...
 
Dal canto suo, un po’ abbattuto, Vinnie rimase a guardare Megan che, dopo aver salutato velocemente il gruppetto di amici, si avviava di buon passo alla volta delle scale.
 
[Campo da Quidditch, allenamenti di Grifondoro, 18 Novembre 1993]
Un timido nevischio scivolava da nuvole piatte e candide, soffermandosi così a spolverare il campo, in quel momento occupato da riserve e titolari di Grifondoro. Oliver osservava la sua squadra con occhi sottili, sospeso in aria a coprire l’anello centrale, ma pronto a scattare all’occorrenza, nonché a lanciare ordini a gran voce. Stava andando bene, tutto sommato. Momentaneamente Grifondoro si trovava a rosicchiare un posticino al di sopra della squadra di Corvonero, ma il Capitano in rosso e oro era motivato a ribaltare la classifica quanto prima possibile; Ritchie, il suo vice, se la stava cavando egregiamente, dimostrando di essere in perfetta sintonia con le teorie e le tattiche strategiche del Capitano e Jimmy, un vero e proprio leone in campo, stava spiccando in maniera particolare. Persino Demelza sembrava meno del solito sulle nuvole e, come una fatina, fluttuava rapida da una parte all’altra del campo riuscendo ad evitare ogni singolo bolide capitasse nel suo raggio d’azione. Chi invece sembrava un tantino sottotono era Alicia, ma Oliver sapeva che la Aussie aveva ben altro per la testa in quel periodo, così evitò di calcare la mano con lei; fortunatamente Katie, guerriera di polso, sembrava pronta a riparare ad ogni svista della sua amica. Tutto procedeva per il meglio ed Oliver passava gli occhi vispi su ogni membro della sua squadra, compiaciuto, soddisfatto, fiero.
 
Dall’altra parte del campo, a difendere i tre anelli speculari a quelli che stava placcando Oliver, si trovava Cormac McLaggen, con indosso un esiguo numero di protezioni, ma con l’immancabile kilt a coprirgli le braghe; non interessava affatto, allo scozzese, che dal cielo stesse cadendo la prima neve di novembre, per più di un motivo: in primis il suo era un fisico temprato dal rigido clima delle Shetland e di certo uno sputacchio di neve non lo avrebbe fermato dall’indossare quel capo d’abbigliamento. In secundis, ma non per questo argomentazione meno importante, gli spalti erano occupati da molti studenti grifondoro tra i quali, fra Harry Potter e Ronald Weasley, sedeva quella graziosa nata babbana di Hermione Granger. Quante volte le povere orecchie di Katie erano andate a fuoco a causa del blaterare di Cormac a proposito delle molteplici qualità che racchiudeva la brillante studentessa amica di Potter? Molte, moltissime. Cormac boccheggiava ogni qualvolta si trovava a stretta vicinanza con Hermione, ma mai che avesse trovato il coraggio di invitarla a passare con lui una giornata ad Hogsmeade. Quella, però, era l’occasione giusta per farsi notare non solo dal Capitano Baston: si sarebbe esposto in numeri incredibili, pur di attirare lo sguardo della Granger; sapeva che la strega non amava il Quidditch, ma dinanzi alle epiche prodezze di Cormac, anche una miscredente come lei sarebbe capitolata. E se lei avesse notato quanto talentuoso fosse nello sport, forse Cormac avrebbe trovato il coraggio per invitarla ad uscire.
 
Per questo quando il Portiere di riserva vide Neil avvicinarsi rapido verso di lui, pronto a scagliargli contro un micidiale colpo di pluffa, Cormac gonfiò il petto e si preparò alla difesa: i capelli chiari del cacciatore mulinarono intorno al viso, assieme alla neve che, da qualche minuto, aveva preso a cadere più forte e con un movimento circolare, ben calcolato, il giocatore scagliò la pluffa verso l’anello di destra, convinto di cogliere Cormac McLaggen alla sprovvista; Cormac però aveva previsto la sua mossa e allungata una gamba scoperta del kilt, calciò la pluffa con una potenza inaudita, caricata dalla volontà di strappare anche solo un sospiro alla Granger.
 
Un colpo che risultò si efficace, ma che finì per colpire il braccio destro di Neil, totalmente impreparato all’aggressiva parata di McLaggen.
 
- Aaarrgh! – gridò il Cacciatore. Quell’idiota era riuscito a colpirlo nel suo esatto tallone d’Achille, quel punto in cui l’ulna si era frantumata anni prima, durante una sciata in famiglia. Ci erano voluti mesi per far si che si riabilitasse completamente, perché la sua frattura era risultata così tanto scomposta che nessuna pozione era stata in grado di porre totalmente rimedio. E con ogni evidenza quella sua debolezza era rimasta tale, visto che Neil sentì nitida la sensazione dell’affacciarsi di una nuova, dolorosissima frattura.
 
- Ma porca pannocchia! Neil! Tutto bene amico?! -
 
Ma era evidente non andasse tutto bene. Il braccio penzoloni di Neil ballava in maniera innaturale, come se un intero osso a suo sostegno fosse scomparso d’improvviso. Il Cacciatore fu spedito in infermeria, seguito dalle scuse grugnite da Cormac McLaggen il quale, definitivamente, aveva compreso di non aver fatto una bella figura né con Oliver né, tantomeno, con Hermione Granger, che sentì squittire di stupore dai vicini spalti.
 
- Forza, non perdiamoci d’animo! -
 
Pallido in volto, ma deciso a non lasciarsi abbattere da una stupida frattura, Oliver calcò gli spalti con sguardo puntuale, alla ricerca delle riserve delle riserve; di qualcuno, insomma, che fosse in grado di coprire il ruolo di Neil per il tempo necessario a concludere gli allenamenti. Sperò in Dean Thomas, ma gli fu riferito che il ragazzo era chiuso in dormitorio con un gran febbrone. Strillò allora in favore di Ginny Weasley ordinandole di scendere in campo; in passato la ragazzina si era dimostrata valida tanto quanto la maggior parte dei suoi fratelli, eppure quella fece il suo ingresso in campo tutta tremante, continuando a lanciare occhiate laddove suo fratello Ronald sedeva accanto a Harry Potter. Ginny fece una cilecca dopo l’altra e poi decise di scappare via, rossa in viso e mormorante scuse.
 
- Al diavolo, Capitano! – La voce maestosa e arrabbiata di Angelina fece tremare i compagni, ormai parecchio affranti dall’incresciosa situazione. Oliver tentò di placare quella sua compagna, bravissima si, ma purtroppo ancora in ripresa; temeva per la sua salute, il buon vecchio Oliver, ma Angelina non gli permise di pronunciare una sola parola in più: imbracciata la scopa, fu lei stessa ad ordinare al resto della squadra di tornare ad allenarsi e nessuno, ma proprio nessuno, ebbe il coraggio di contraddirla. Così la leonessa Johnson segnò uno due, tre goal prima a Cormac McLaggen, poi allo stesso Oliver e fu la sua grinta a far tornare la carica ad ognuno dei suoi compagni.
 
Sbalordito, Oliver guardava la ragazza senza sapere se arrabbiarsi o esultare; era portentosa, davvero, ma la stanchezza era giunta presto a impossessarsi di lei, ancora non pienamente riabilitata. Una considerazione si fece certezza, nella testa del capitano Grifondoro che non staccava gli occhi dalla ex cacciatrice titolare: Angelina doveva tornare in squadra e lui aveva il compito di rimetterla in piedi il prima possibile.
 
[Serra n.5, 18 Novembre 1993]
Demelza odiava avere a che fare con le piante. Non con tutte le piante, si intende, ma nello specifico con quelle che la professoressa Sprout coltivava nelle serre e che pretendeva che gli studenti curassero, potassero, nutrissero. Fino all’anno precedente tutto era filato piuttosto liscio; la strega non aveva mai eccelso in erbologia, ma era sempre riuscita a strappare la sufficienza. Eppure un orribile episodio con un traliccio di Radigorda particolarmente indispettita, che aveva tentato di strozzarla dopo una spuntatina un po’ eccessiva, aveva fatto tremare di paura la povera grifondoro. Fortunatamente per lei, la lezione di quel giorno era finita e Demelza avrebbe potuto respirare di nuovo.
 
- Non-così-in-fretta, Robins. -
 
La piccola strega si irrigidì, nel sentire la voce baritonale del suo Capitano, appena superata la soglia della serra. Cosa aveva fatto, ancora? Perché Elza aveva il sospetto di aver commesso l’ennesimo, stupido errore e che Oliver Baston avesse tutta l’intenzione di mettere in piedi il suo funerale, con tanto di orchestra e rigogliose corone di narcisi? Gli occhioni grigi tremolarono alla sua destra e incontrarono la figura di Oliver, braccia conserte e labbra tirate.
 
- Seguimi, adesso. -
 
- Ma… io avrei lezione con… -
 
- Ho avvisato io la professoressa McGranitt; chiuderà un occhio sul tuo ritardo in onore del Quidditch. -
 
Demelza aveva passato i successivi dieci minuti con la nuca rossomunita, chinata verso il basso. Ogni tanto aveva tentato di ribattere qualcosa, ma appena tentava di pigolare anche un solo ma, Oliver tornava ad incalzarla.
 
- Pensavi di averla passata liscia, non è così? – Oliver spianò le mani sul legno cupo del tavolo sito nella loro Sala Comune: - Come è possibile che succede sempre qualcosa di grave, ogni volta che ci sei tu nei paraggi? Dico… come? -
 
- Quel vermicolo danzerino di Flint… Capitano tu non sai cosa… -
 
- Non lo so e non mi interessa! – L’ennesima protesta fu sopita, - Non ti hanno espulsa solo perché avrebbero dovuto fare la stessa cosa con lui, lo capisci?! E tu lo sai che se ti buttano fuori da Hogwarts anche per un solo giorno, non ti sarà più permesso di giocare a Quidditch per tutto l’anno?! Vuoi finire come il tuo amichetto George? Sto ancora soffrendo l’assenza dei Weasley… prima o poi mi verrà un colpo e sarà solo colpa vostra. -
 
- Ma io… -
 
Il lungo indice della mano di Oliver puntò il naso di Demelza, la quale fece un balzetto indietro sulla sedia: - Se sento un altro ma, Elza… giuro che ti sbatto fuori dalla squadra! – Poi Oliver prese un grande sospiro per ritrovare la calma, prima di tornare a parlare: - Purtroppo Neil è fuori gioco fino a data da destinarsi; pare che quel suo braccio sia conciato troppo male e nemmeno una ricca sorsata di ossofast è servita a riassestarlo; lo hanno portato al San Mungo. –
 
Demelza fu tentata di tirare fuori l’ennesimo ma, eppure si guardò bene dal farlo e, stropicciandosi le mani e sfregando le ginocchia sporgenti, attese che il Capitano andasse avanti.
 
- Non ci resta che affidarci ad Angelina; purtroppo, però, sai meglio di me che non è conciata bene: ha bisogno di riprendere ad allenarsi con costanza e serve il supporto degli altri Cacciatori, per aiutarla. Quindi apri bene le orecchie e ascoltami con attenzione: rintraccia immediatamente Alicia e Kit… -  Oliver arrossì di colpo e balbettò – V-voglio dire….Katie. Insomma trovale, liberale da qualsiasi loro impegno e portale in campo. Alle quattro in punto vi voglio con la divisa indosso e le scope imbracciate, sono stato chiaro? -
 
- M… -
 
- Non un minuto più tardi! Godric solo sa quanto ho dovuto pregare, per farmi riassegnare il campo per un paio d’ore. Se ci tieni al tuo ruolo, vedi di non commettere passi falsi, mi hai capito? -
 
Un flebile si da parte di lei, mise fine a quell’agonia.
 
*
 
Come avrebbe fatto? Questa volta, ne era più che certa, Oliver le avrebbe tirato via la testa dal collo prima ancora che lei avesse potuto giustificarsi in qualche modo. Ma dannazione, mica era colpa sua se Alicia e Katie l’avevano liquidata più velocemente del solito, sostenendo di dover dare la precedenza alla sopravvivenza di Uluru. Troppo indaffarate per trovare una soluzione affinché la vita di quel panciottoso esserino venisse salvaguardata, gli allenamenti straordinari erano l’ultimo dei loro pensieri. Affranta più che mai, Demelza trovò conforto nella splendida, imponente figura di Barry il quale, affiancato da un paio di suoi compagni tassorossini, passeggiava per un affollato corridoio.
 
- Signor Barry! – La sua vocina squillò e la sua mano frenetica tentava di richiamare l’attenzione di Summers, ma il ragazzo sembrò ignorarla totalmente. Ma certo… perché Barry Summers avrebbe dovuto dedicarle attenzioni? Del resto lei era sempre così tanto “Elza”, come i suoi più cari amici si premuravano sempre di sottolineare, che nessuno mai avrebbe avuto davvero l’intenzione di guardarla, se non per prenderla in giro. Un disastro sotto ogni punto di vista, pensò lei tirando un gran sospiro, mentre l’affluire degli studenti la ballonzolava da un lato all’altro del corridoio. Probabilmente sarebbe caduta, se un paio di mani affusolate non l’avessero trattenuta per le spalle.
 
- Mi sembra alquanto pericoloso tentare di opporsi a questa marea. -
 
Elza alzò distrattamente lo sguardo e inclinò la testa da un lato, per puntare gli occhi in quelli grandi, verdi e vagamente assenti del ragazzo che l’aveva salvata dalla massa. Arrossì appena, nel constatare che Elliott Johansson portava ancora nitidi sul viso, i segni di quella baruffa avvenuta sugli spalti pochi giorni prima. Quantomeno i tamponi erano scomparsi, ma la soglia del suo naso affilato e regolare era ancora cucita dai punti.
 
- Lasciami qui, pastrocchio affusolato. Non potrei che trovare sollievo, nella morte. -
 
Mentre Demelza sospirava e straparlava, Elliott la spostava pian piano su un lato del corridoio. Poi la soppesò, vagamente accigliato.
 
- Non hai avuto successo con quel ragazzo tassorosso?-
 
Un altro profondo sospiro, prima di proseguire: - Lui è l’ultimo dei miei problemi. – E a quel punto, nella concitazione che la caratterizzava, Demelza prese a spiegare ad Elliott i guai che stava passando con il suo Capitano. Se si fosse presentata in campo da sola, sarebbe stato un gran brutto affare. Elliott lanciò un’occhiata all’orologio che cingeva il polso nodoso e pallido; avrebbe tardato all’appuntamento con Millicent, ma quella ragazza le sembrava così tanto giù di corda, che non se la sentì di ignorarla e lasciarla lì. Del resto se l’aveva salvata due volte (mettendosi inefficientemente in mezzo fra lei e Flint prima, salvandola da un calpesticcio di studenti poi), avrebbe potuto farlo anche una terza.
 
- Io avrei una soluzione per te. – Affermò laconico. Demelza sbatté un paio di volte le palpebre e poi seguì Elliott Johansson verso una meta a lei sconosciuta.
 
[Sala Comune di Corvonero, 18 Novembre 1993]
Trovò davvero complicato concentrarsi sullo studio, nonché sul lavoro arretrato; neanche aveva il tempo per dare retta a sua sorella, la quale più passava il tempo, più gli assomigliava pericolosamente ed era quindi evidente che la piccola Meline avesse bisogno di qualcuno che la tenesse sotto stretta sorveglianza. Il motivo era uno solo: Kevin Entwhistle aveva la testa impegnata da un solo pensiero, roboante e totalizzante: Megan Jones. Grattò la testa tornata del solito biondo acido e sbuffò sonoramente, prima di far crollare la faccia su un voluminoso libro di pozioni avanzate. Seduta poco distante da lui, Morag si trattenne dall’inveirgli contro. La strega socchiuse gli occhi, ricercò la forza dentro di sé, infine si rivolse al vicecapitano: - Mi sembra evidente che qualcosa ti agiti, Kevin, visto che non sei stato un solo, fottutissimo, momento, fermo. – Il tutto, detto con un sorriso candido.
 
- Oh perdindirindina! Morag MacDougal che dice le parolacce; devo essermi comportato davvero molto male, per averti spinta a tirare fuori parole tanto ardimentose. -
 
- Stai impedendo a te stesso e alla sottoscritta di portare avanti questo compito, già di per sé particolarmente ostico. Quindi le soluzioni sono due: - Morag tirò su il pollice prima, l’indice poi – O te ne vai a grattarti, sospirare, sbuffare e gemere da un’altra parte, oppure mi dici cosa ti sta passando per la testa, troviamo rapidamente una soluzione al tuo disagio esistenziale e torniamo a studiare. A te la scelta. -
 
Vinnie guardò la sua compagna, che aveva stretto le braccia e lo stava guardando con sguardo di fuoco. Avrebbe anche parlato di cosa lo affliggesse, eppure non lo ritenne giusto; del resto Megan era una sua cara amica. Poi ci pensò su: forse proprio per questo motivo, parlando con Morag avrebbe potuto capire cosa passasse per la testa a Megan e avrebbe così potuto agire di conseguenza.
 
- Va bene tiro fuori il rospo. Allora vedi, si tratta di… -
 
Un lieve tossicchiare alle sue spalle, bloccò le parole di Kevin. Voltandosi, il ragazzo impattò con la figura allampanata (e malconcia, visti lividi e punti di sutura) di Elliott. Quest’ultimo teneva le mani allacciate dietro la schiena e osservava i due compagni con sguardo lacunoso.
 
- Scusate, so che l’ultimo compito del professor Piton è particolarmente ostico. – Elliott gettò gli occhi verdi sugli appunti di Vinnie, - A proposito van… la risposta della quinta domanda è sbagliata. –
 
- Oggi sto facendo un casino. – Borbottò Vinnie, chiudendo con un rapido scatto il libro.
 
- Beh… sono qui per chiederti un favore e in cambio, se acconsentirai ad aiutarmi, posso completare il compito al posto tuo. Il mio l’ho finito. -
 
Vinnie studiò per un attimo il suo amico. Ci fosse stato qualcun altro al suo posto, non avrebbe acconsentito; ma di Elliott si fidava, perciò vagamente rincuorato, gli fece cenno di andare avanti.
 
*
 
-Se lo faccio è solo perché devo un favore a Ells; quando le commissioni dei compiti si accumulano è a lui che passo il lavoro in eccesso: mai una volta che mi abbia chiesto qualcosa in cambio. –
 
Vinnie procedeva con le mani in tasca al fianco di Demelza, che lo guardava con ogni sognanti.
 
- Prometto che non ti ruberemo più di un paio d’ore! – Pigolò lei, poi congiunse le mani e prese a saltellare allegra: - Devo fare un bel regalo a quel merluzzo al ragù; hai idee? -
 
Il mago ridacchiò: - Qualsiasi cosa che lo faccia sballare andrà più che bene. Ells è un buon amico e ti assicuro, nonostante le apparenze, sa come divertirsi un po’. Bisogna solo che perda un po’ di freni inibitori. –
 
- Lo terrò a mente. – Dichiarò ad alta voce Demelza, ormai giunta ai margini del Campo.
 
- Allora dimmi Robins: a chi dovrebbero servire le mie infinite qualità di cacciatore? -
 
Una pluffa, violenta quanto il più micidiale dei bolidi, sfiorò la fronte di Vinnie. Benedetti riflessi pronti, pensò il ragazzo mentre rivolgeva un “ehi!” particolarmente risentito in direzione del campo. Di contro Demelza sorrise e agitò le mani verso Oliver, al fianco di Angelina Johnson.
 
- Ma la Johnson! – Rispose poi a Vinnie, ancora boccheggiante per merito di quello strabiliante colpo di pluffa. –Chi altri mai potrebbe scagliare un colpo così, se non lei? –
 
[Bagni femminili del Terzo Piano, 18 novembre 1993]
(Dedichiamo questo brano a Carlo Verdone, maestro inarrivabile)
Come ogni mercoledì pomeriggio da quando quel santo di Elliott Johansson le aveva gentilmente concesso la sua attenzione, Millicent si accingeva a prendere parte ad una delle sue inestimabili sessioni di psicoterapia. I suoi recenti successi in campo, nonché il sensibile allargamento del suo ventaglio di amicizie l’avevano resa un po’ più sicura, certo; ciononostante, la ragazza non avrebbe mai e poi mai rinunciato ad una seduta: ci teneva troppo.
 
Decisa ad aprire l’incontro con una serie di riflessioni sulla bellezza sfolgorante di Gwenog Jones, avvistata di sfuggita durante la partita Tassorosso-Corvonero, Millicent si introdusse nei bagni femminili del terzo piano e, come di consueto, prese posto nel secondo cubicolo a partire da sinistra. La porta dello scompartimento adiacente, notò la ragazza, era già chiusa, segnale che Elliott si trovava già sul posto e che, in breve, si sarebbe pronunciato invitandola a cominciare. Per sua grande sorpresa, però, dalla divisoria di compensato scheggiato che separava i due gabinetti filtrò una voce maschile a lei sconosciuta.
 
- Ciao Meg, sono io.
 
Millicent spalancò le palpebre, stupita. Quello, evidentemente, non era Elliott. Così come lei, del resto, non era ‘Meg’.
 
- Lo so che il luogo è poco adatto – continuò la voce - e ti chiedo veramente scusa. In questi giorni ho cercato anche di affrontare l’argomento in altro modo, ma tu eri sempre molto impegnata con gli allenamenti. Io... non posso non parlarti, perché ho riflettuto tanto sulla nostra situazione... mi son scavato dentro e ho trovato veramente tante, tante mancanze da parte mia. Meg, ti ricordi quando dicevo in giro che non avrei mai trovato il coraggio di dire la parola “ti amo”? Che la ritenevo una parola... ovvia, banale, infantile; che mi vergognavo?... Meg, io sono stato uno stronzo, un grande stronzo. Ti chiedo scusa. Io questa parola “ti amo”, però quest’oggi, te la voglio dire non una, ma mille volte, fino a farti diventare sorda. Meg: io ti amo. Ti amo. Ti amo. Tiamo, ti amo.
 
Millicent era esterrefatta.
“Ma chi ca**o è quest’infelice che viene a rompere i cog**oni durante la mia seduta?!”
 
- ...ti amo. Tiamotiamo. Ti amo...
 
All’ennesima ripetizione, la Serpeverde non ci vide più.
- Ma si può sapere chi ca**o sei?!
 
Dall’altra parte della paratia, un minuto di silenzio costernato.
- Scusa – azzardò Anthony, con fare guardingo. – Non sei Megan?
 
- Ma quale Megan e Megan!? Ma cambia spacciatore, va’!
 
Anthony era impietrito.
- Scusa... scusa, evidentemente ho sbagliato persona...
 
- Ma scusa il caz**o!
 
Lo scatto della serratura e il cigolio della porta, seguiti da una serie di passi frettolosi che si allontanavano precipitosamente, le fecero capire che il misterioso innamorato aveva visto bene di levare le tende. Incarognita, Millicent bestemmiò per qualche minuto ancora, finché la voce pacata di Elliott non s’impose sulle sue rumorose manifestazioni di sdegno.
 
- Ciao, Millicent... ti chiedo scusa per il ritado. Ero...
- Sorvoliamo – tagliò corto lei, secca.
 
- V-va bene. E, se posso chiederlo... – il tono di Elliott assunse una sfumatura circospetta. – ... con chi ce l’avevi, poco fa?
 
La ragazza menò una manata sulla parete delicata, rischiando seriamente di mandarla in frantumi.
- Un cog**one logorroico che è venuto qua a dirmi chemmeama, me ama, maqquantomeama!...
 
[Chiostro Maggiore, ricreazione del 20 novembre 1993]
- Una gran brutta gatta da pelare, effettivamente...
 
Alle parole della sorella maggiore, alla quale aveva illustrato la gravità della situazione, Ritchie annuì con fare serio. Lottie, la sorella minore che, fino a quel momento, se n’era stata zitta ad ascoltare, non riuscì a reprimere uno sbuffo d’insofferenza.
 
- È veramente assurdo – dichiarò la piccola fra i denti. – Da quando ho messo piede ad Hogwarts, l’anno scorso, Uluru è una presenza costante in Sala Comune. Dovresti vederlo, Liz: è assolutamente adorabile... io e Ginny ci avremo giocato in centinaia di occasioni, senza contare tutte le volte che, d'inverno, lo abbiamo usato come boulle dell’acqua calda...
 
- Non stento a crederlo –la maggiore storse la bocca e spostò nuovamente l’attenzione sul fratello che, rabbuiato, sedeva in silenzio accanto a lei. Non di rado, fin da quando erano bambini, Ritchie le si avvicinava per chiederle consiglio; a scuola, ciò avveniva soprattutto quando il ragazzo rischiava di vedersela brutta con Storia della Magia e Pozioni. Mai prima di allora, tuttavia, le si era rivolto per consultarla su una situazione così grave.
 
- Io credo – disse infine Ritchie, rompendo il silenzio – che forse tu potresti dare una mano alla causa, Liz.
 
- Io?! – Elizabeth proruppe in un’esclamazione meravigliata.
 
- Sì, tu – Ritchie si voltò di scatto verso di lei, un’ombra risoluta negli occhi scuri. – Ci ho pensato su a lungo, e ritengo che potresti entrare in contatto con Gryffyn.
 
Questa volta la sorpresa parve impossessarsi del tutto non solo di Liz, ma anche di Lottie.
 
- Gryffyn Samuel?! – urlò la minore, sbigottita. – Non starai parlando sul serio!
 
- Sono serissimo, invece – Ritchie incrociò le braccia con fare testardo. – Mai stato più serio, in realtà. – Quest’ultima affermazione, proferita da un ragazzo giudizioso come lui, suonò tremendamente ufficiale.
 
- E perché non lo fai tu? – lo incalzò ancora Lottie. - In fin dei conti, è anche tuo cugino.
 
- Perché io, su di lui, non ho la minima presa, Charlotte – spiegò lui in tono ovvio. – Mentre invece, come tutti sappiamo, la nostra Lizzie è sempre stata la sua cocca.
 
- Ah, e come no – sibilò Elizabeth, scettica. – Quando avevo undici anni, giusto durante le prime settimane di scuola, forse. Perché poi... bah, lo sapete anche voi: da quando si è diplomato, la spocchia pare aver preso definitivo possesso del suo corpo.
 
- No, dico... ma l’avete visto, lo scorso Natale? – rincarò Lottie, tagliente. – Non mi sarei stupita se, da un momento all’altro, si fosse letteralmente levato in volo! Kettleburn qua, Kettleburn là... ma quanto se la può tirare una persona, per Godric!?
 
Inaspettatamente, invece di unirsi all’impeto denigratorio della sorellina nei confronti del cugino un po’ troppo pomposo, Ritchie le si rivolse con un sorriso furbo.
 
- Ma sai che sei proprio acuta, Char-lottie? – le disse, strizzandole l’occhio. – Cinque punti a noi Grifondoro; zero alla sorellona Corvonero.
 
Elizabeth, che aveva alzato la mano pronta a dire la sua, rimase ferma con l’indice puntato al cielo.
- Perché? – domandò, presa in contropiede. – Che cosa mi sarei persa, esattamente?
 
- Mi sa che oggi saresti rimasta chiusa fuori dalla Sala Comune dei Corvi, sista’ – la schernì bonariamente Ritchie, rivolgendole un’occhiata affettuosa – Kettleburn, no? – aggiunse poi, visto che Liz continuava a fissarlo senza capire. – È il capo diretto di Gryffyn, dico bene?
 
Bastarono queste poche parole affinché le due sorelle capissero dove Ritchie voleva andare a parare.
- Tu vorresti che io gli scriva, chiedendogli di intercedere per la tua amica?
 
- Esattamente.
 
- Ma Ritchie... – tentò Elizabeth, imbarazzata - non ci parliamo da anni... le volte che gli ho scritto, non mi ha mai risposto... quando ci vediamo in famiglia, mi saluta a malapena...
 
- Senti, Liz – la interruppe Ritchie – Gryffyn Samuel è un personaggio scomodo, lo so bene. Anche a me, spesso e volentieri, dà sui nervi. Questo, però – e qui Ritchie rivolse alla sorella un’occhiata da cucciolo che la fece sbuffare, perché non le lasciava scelta – è un caso di vita o di morte. Letteralmente. Cerca di capirlo, ti prego.
 
Elizabeth dovette capitolare.
 
- Va bene, va bene – tagliò corto, in un tono ostentatamente burbero che, in realtà, non le si addiceva affatto. – Prima, però, vado a parlare con Lowen Alfred e vedo cosa posso fare.
 
- Ottima idea – convenne Ritchie – eccolo laggiù – aggiunse, indicando il fratello minore del famigerato Gryffyn Samuel che giocava a Gobbiglie dall’altra parte del chiostro, assieme ad un folto gruppetto di compagni. – Puoi andarci subito, così eviti di doverlo scovare più tardi.
 
Rassegnata, Elizabeth si alzò in piedi e si rassettò la gonna a pieghe.
- Certo che questa tua amica dev’essere proprio una persona molto, molto speciale – soffiò la ragazza all’indirizzo del fratello, che arrossì leggermente. – Per spingerti a comportarti in modo tanto molesto con la tua povera sorella...
 
- Oh, Alicia è il massimo! – esclamò tutta entusiasta Lottie, con l’innocenza tipica della sua giovane età. – Nonostante sia più grande di noi, ci dà sempre corda... ed è davvero una tipa a posto, con qui suoi modi di dire così strani, poi, e con quei suoi racconti di terre lontane... e oltretutto, in campo, è veramente brava: pensa che la sua Comet Meridian è un modello di scopa australe che...
 
- Va bene, va bene!
 
Liz si allontanò a grandi passi; Ritchie, sollevato, la seguì con lo sguardo, incrociando mentalmente le dita.
 
[Aula di Divinazione, 25 novembre 1993]
All’interno della vasta sala immersa in una penombra screziata dei toni violetto e arancione delle tende tirate, gli studenti vivacchiavano in uno stato semi-catatonico. Il profumo d’incenso, dolce e penetrante, inebriava le narici e anestetizzava i cervelli. Là dentro si aveva l’impressione di trovarsi all’interno di un uovo dai colori sgargianti.
 
Trascinandosi dietro il brillìo di pietre e lustrini, Sibilla Cooman scivolava fra i banchi con passo soave, fermandosi di tanto in tanto a scrutare all’interno delle sfere di cristallo disposte sui numerosi tavolini da tè.
 
- Per chi, come voi, non è stato omaggiato dal dono a me gentilmente concesso dai Saggi, la Sfera rappresenta quanto di più vicino vi sia al Magico Occhio Interiore.
 
Gli studenti più zelanti annuivano, annoiati; la maggior parte, al contrario, dormiva spudoratamente con la testa adagiata sulle braccia.
 
- Passiamo ora all’Interpretazione – annunciò la professoressa, in tono drammatico. – Vediamo, vediamo: chi può dirmi cosa vede?... – gli occhi amplificati dalle spesse lenti vagarono inquieti per la stanza, fino a fissarsi su una figura seduta in seconda fila. – Lei, signorina Brocklehurst. Mi riferisca, la prego.
 
Mandy alzò di scatto lo sguardo dalla sua copia del Cavillo, gentilmente regalatale da Luna quel mattino stesso, si mise a sedere più dritta e tossicchiò imbarazzata. Non sapeva che cosa dire, perdinci. Lei, nella Sfera, non ci aveva mai visto assolutamente nulla; eppure, a differenza di molti altri, inventarsi tutto di sana pianta le sembrava indelicato e irrispettoso nei confronti della professoressa Cooman.
 
- Dunque... – cominciò, mettendo a fuoco i misteriosi meandri di cristallo del globetto posato davanti a lei. – Vedo... vedo... mi pare...
 
- Ebbene?
 
- Ebbene – inaspettatamente, la voce di Mandy si fece ad un tratto più ferma. La ragazza spalancò gli occhi, sorpresa dal fatto di scoprirsi, effettivamente, in grado di scorgere qualcosa che non fossero appena riflessi nebulosi. – Oh. Lapidi.
 
- Lapidi? – si stupì la professoressa, ingolosita dal macabro dettaglio. – Interessante. Continui.
 
- Sì, vedo delle lapidi... Lapidi sormontate da statue che sembrano... angeli di pietra – proseguì Mandy, gli occhi fissi sulla Sfera. – Vedo molti tumuli dall’aspetto decrepito, che mi sembrano...
 
- Come le sembrano?
 
- Sembrano abbandonati: c’è l’erba alta, sono in preda all’incuria, parecchio macchiati e sbeccati. Devono essere piuttosto vecchi...
 
Sibilla Cooman sembrava ipnotizzata dal resoconto della ragazza.
- Che altro?
 
- Uhm. Mi pare di vedere... aspetti, quello mi sembra un nome, inciso nella pietra.
 
- Un nome? – la incalzò la profssoressa. - Riesce a decifrarlo, signorina Brocklehurst?
- Sì... – Mandy strinse gli occhi, nello sforzo di concentrarsi e di vederci più chiaro. – Tim... no, mi scusi: è Tom.
 
- Tom?!
 
- Precisamente. Tom – Mandy alzò lo sguardo, trionfante. Finalmente, al di là di ogni sua più rosea aspettativa, avrebbe fatto una bella figura in quella materia così ostica. – Per la precisione Tom Riddle, professoressa.
 
Lo strillo acuto della veggente provocò una vera e propria ecatombe di sfere di cristallo, malamente sgomitate degli studenti sonnacchiosi svegliatisi di soprassalto.
 
[Ufficio di Argus Gazza, 30 novembre 1993]
Contrariamente al solito, Alicia era così nervosa che Katie temette seriamente di vederla collassare su se stessa da un momento all’altro. Impegnata a misurare a passo pesante l’esiguo spazio libero dell’ufficio del custode, Alicia sferzava l’aria con le punte sfilacciate dei lunghi capelli biondi e si tormentava senza pietà le pellicine delle unghie.
 
- Datti una calmata Aussie, ti prego – pigolò Katie, esausta. – Mi stai facendo saltare i nervi.
 
Gazza, seduto dietro la scrivania con Mrs. Purr acciambellata in grembo, sembrava altrettanto nervoso ed elargiva alla povera gatta carezze un po’ troppo vigorose, in seguito alle quali si libravano nell’aere piccoli ciuffi di pelo.
 
- I miei sono già saltati, mate – sbuffò Alicia, infilando per la millesima volta la mano fra le strette sbarre della gabbietta che teneva imprigionato Uluru. – Vieni qua, cicciotto. Fatti grattare. – L’ornitorinco si girò faticosamente a pancia in su e fece schioccare il becco blu cobalto con fare rassegnato.
 
In quel momento, Angelina spalancò la porta e guardò dentro. Dal corridoio proveniva il vociare intenso di tutti coloro che non avevano trovato posto all’interno dell’ufficetto. Alle sue spalle risuonò distintamente la voce di Jimmy che, a ritmo cadenzato, urlava qualcosa del tipo Tiranni! Carogne! Morite nelle fogne!
- Sta arrivando, ragazze – ringhiò la ragazza all’indirizzo delle due compagne – Fred e George l’hanno avvistato dalla Torre di Astronomia e ci hanno fatti informare da Nick. Pare abbia appena varcato il portone del Castello.
 
- È il momento – mormorò semplicemente Katie, incrociando spasmodicamente le dita e pregando Sant’Andrea Patrono di Scozia e tutti i suoi accoliti che il ricorso fosse andato a buon fine. – Forza e coraggio, Aussie – disse all’amica che, bianca come un cencio, ricambiò il suo cenno con un assenso impercettibile.
 
Seguirono alcuni minuti di attesa servante; poi, un boato all’esterno della stanzetta (fra invettive, cori di protesta, sventolii di striscioni e la voce accusatoria di Lee Jordan amplificata da un megafono magico particolarmente molesto) annunciò loro che Walden Macnair era finalmente arrivato.
 
Il boia entrò senza degnarsi di bussare. Indossava un mantello nero come la pece, sulle cui spalle ricadeva un cappuccio puntuto, dotato degli appositi fori per gli occhi. A tracolla, assicurata ad un laccio di cuoio lucido come uno specchio, portava una mannaia dall’aspetto affilatissimo. L’uomo non disse ‘buongiorno’, non ricambiò il saluto del nervosissimo Gazza nè proferì verbo. Si limitò a puntare gli occhi chiari sulla gabbietta di Uluru e a piegare le labbra sottili in un sorriso di tagliente soddisfazione; e alla fine, con un gesto lento ed esasperante, sfilò un pezzo di pergamena ripiegata dalla tasca del mantello.
 
- La divisione legale dell’URCCM – lesse con voce bassa e roca, intrisa di avido compiacimento - decreta che il ricorso presentato da Kathleen Anne Bell in favore di Alicia Myaree Spinnet ha da considerarsi NEGATO in virtù del Regolamento Britannico preposto all’importazione di fauna magica esotica.
 
- No! – l’urlo di Alicia lacerò l’aria; la ragazza scattò in avanti e si frappose fra il boia e la gabbia. Katie le si affiancò con un salto, mentra Gazza si guardava intorno frastornato e tentava un flebile:
 
- Dottor Macnair, non è che...
 
- L’esemplare illegalmente detenuto – continuò quello, senza smuoversi di una virgola - dovrà essere immediatamente consegnato al rappresentante preposto, Walden Andrew Macnair (che sarei io), per l’immediato espletamento delle procedure del caso.
 
Seguì prevedibile trambusto.
 
- La prego, la prego! – Alicia tremava e, chinatasi, abbracciava la gabbietta all’interno della quale Uluru zampettava allarmato – Uluru è mio amico... vive con me da quando non era che un uovo!... L’ho allevato io!...
 
- Poche ciance – Walden Macnair ripose la lettera e le rivolse un’occhiata scocciata. – Mi consegni immediatamente la best... ehm, l’animale. - L’uomo mosse un passo e, estratta la bacchetta, fece per pronunciare un Incantesimo di Appello.
 
- Giù le mani! – strillò Katie. – Uluru non entrerà a far parte della sua macabra collezione di cadaveri impagliati, ha capito?!...
 
L’impulso la spronava a sfoderare a sua volta la bacchetta, che Katie si sentiva fremere d’indignazione nella tasca della veste. Con la coda dell’occhio, la ragazza vide che Alicia aveva piegato il braccio all’indietro e, con la punta delle dita, sfiorava la punta del massiccio boomerang varipinto che l’amica soleva portare sempre con sé.
 
“Oddio, adesso glielo tira in testa” pensò, spalancando gli occhi celesti. E poi, sgomenta: “La espelleranno, per Godric!”
 
La porta che si apriva di scatto infranse improvvisamente la tensione. Ansimante e inatteso, Ritchie mise dentro la bruna testa spettinata e proruppe in un sonoro:
 
- Fermi tutti!
 
I presenti si voltarono a guardarlo all’unisono, come ballerini perfettamente coordinati.
 
- Fermi tutti! – con un’ampia falcata, il nuovo arrivato guadagnò il centro della stanza.
 
Walden Macnair lo guardò come a volerlo passare da parte a parte.
- E lei chi è? – gli chiese, sprezzante. – Qui, se non se n’è accorto, stiamo per procedere ad un’esecuzione.
 
- Mi duole contraddirla, Dottor Macnair – replicò Ritchie in tono fermo. Sotto gli occhi sbarrati delle due compagne e di Gazza, il ragazzo srotolò velocemente il rotolino di pergamena stretto fra le sue dita. – Tuttavia, sono costretto ad informarla che è stato diramato un controdine.
 
L’uomo sbattè le palpebre, sorpreso.
- Ma cosa...
 
- Con il potere attribuitomi dalla mia carica – intonò allora Ritchie, scandendo bene le parole – concedo ad Uluru, Orithomagicus Australiensis di proprietà di Alicia Myaree Spinnet, il Certificato di Regolare Registro di Creatura Magica Esotica legalmente importata. Tale titolo conferisce al suddetto libero accesso e permanenza illimitata sul territorio nazionale. In fede, Gryffyn Samuel Coote, facente le veci di Silvanus Kettleburn, Direttore dell’URCCM.
 
- È un bluff – fu l’unico commento di Macnair, proferito con un sibilo intriso d’odio. – Non può essere altrimenti.
 
- Verifichi lei stesso – ribattè Ritchie, irremovibile. Il sigillo apposto in calce alla pergamena on lasciava adito a dubbi. Furibondo, Macnair si voltò di scatto e uscì dalla stanza, sbattendosi la porta alle spalle e ringhiando un qualcosa di simile a “me la pegherete”. Ritchie, allora, si girò verso Alicia e Katie, che ancora lo fissavano meravigliate.
– Uluru è a posto, ragazze.
 
Fu Mastro Gazza a rompere lo stallo. Avvicinatosi velocemente alla gabbia, il custode si affrettò ad aprire il pesante lucchetto che la teneva chiusa. L’ornitorinco sgattaiolò fuori immediatamente e, felice, si lanciò fra le braccia di Alicia, che se lo strinse al petto con evidente commozione.
 
- Ed ora fuori dai piedi, marmocchi – sbraitò allora l’uomo, tirando sul col naso. – Niente piagnistei nel mio ufficio, o giuro che vi punisco a vita.
 
[Sala Comune di Corvonero, 3 dicembre 1993]
Seduta ad un tavolinetto dalla Sala Comune di Corvonero in compagnia di Sue, Morag emise uno sbuffo rumoroso ed intensificò il grattare della penna d’oca sulla pergamena.
 
- Tutto bene, Mog? Se vai avanti così, rischi di fare un buco nella carta...
 
La ragazza trasse un secondo respiro ancor più profondo (e scocciato) del primo, per poi occhieggiare con disappunto verso l’attiguo divanetto su cui, da un lasso di tempo ormai incalcolabile, Cho Chang si baloccava con un radioso Michael Corner e declamava a voce alta le brillanti prestazioni dei Tutshill Tornados che, nell’ultima partita, avevano letteralmente fatto a pezzi gli Appleby Arrows.
 
L’umore di Morag, messo a dura prova dall’essere disturbata mentre svolgeva il tema della sua materia preferita, nonché dalla voce acuta della Cacciatrice che le rimbombava nel cervello, peggiorò considerevolmente. Morag detestava essere disturbata, detestava Cho e detestava i Tornados. Il fatto che questi avessero vinto in un confronto con la sua squadra del cuore, e che la compagna si stesse premurando di sbandierarlo ai quattro venti, provocò un’improvvisa degenerazione della situazione.
 
- Colpa delle oche giulive intente a starnazzare qui accanto – si lasciò sfuggire, a voce un po’ troppo alta. Sue le restituì uno sguardo stupito, sorpresa dalla sua insolita aggressività. Prima che l’amica avesse il tempo di pronunciarsi, però, la voce cristallina di Cho s’impose sul brusio di fondo.
 
- Oh, per Giove. L’invidia è proprio una brutta cosa, Mike.
 
- Come dici? – Morag fece una smorfia serafica e la guardò appena. – E che cos’è che, esattamente, dovrei invidiare, io, di una come te?
 
- Non è colpa mia se a sedici anni hai già una mentalità da bacchettona rinsecchita, MacDougal.
 
- Vedi di chiudere il becco, Chang – Morag raddrizzò la schiena; l’ombra della sua figura imponente  illuminata dalle fiamme del caminetto si stagliò nitida sulla parete alle sue spalle. – Oggi non sono proprio in vena. Sto cercando di studiare, se non lo si è capito.
 
- Oh, ma io l’avrei volentieri tenuto chiuso, figurati. Detesto sprecare il fiato per cose che non ritengo importanti -e che oh, sorpresa! non necessariamente esse coincidono con la tua lista di priorità. Ma stavolta mi sono proprio rotta dei tuoi modi da maestrina, quindi ti pregherei di starmi bene a sentire, perché non ho la minima intenzione di ripetermi in futuro.
 
- Andiamo a finire il tema di Trasfigurazione in camera? – propose timidamente Sue, che detestava i litigi. – Potremmo...
 
- Dall’alto della tua superiorità – la interruppe tuttavia Cho, ignorandola completamente per continuare a rivolgersi a Morag - e dei tuoi modi sprezzanti nei confronti di chiunque tu non ritenga dotato di un Q. I. pari al tuo (cosa che, praltro, è tutta da vedere), ti sei forse lasciata sfuggire un paio di cosette tutt’altro che trascurabili. Non ti sembra strana questa cosa, alla luce della tua immensa sapienza?
 
- Uh, cos’è? Sei ancora nervosetta per la buca appioppatati da Diggory? – la provocò Morag, flemmatica, per poi voltarle le spalle come a voler simboleggiare la sua totale indifferenza nei confronti delle sue parole.
 
Per nulla impressionata, Cho scrollò la chioma serica e proseguì imperterrita.
- Stai sempre lì a giudicare tutto e tutti, MacDougal. Ti credi signora e padrona della verità; l’unico essere dotato di un cervello pensante. Eppure, nella tua immensa supponenza, sei limitata e ottusa, perché non riesci a capire che le persone, semplicemente, sono diverse le une dalle altre, e non necessariamente catalogabili in base ai tuoi aridi parametri.
 
- Ragazze, suvvia – Mandy, che fino a poco prima se n’era stata seduta poco lontano in compagnia di Luna Lovegood a leggere insieme a lei l’ultimo numero del Cavillo, si era avvicinata al gruppetto con fare titubante. – Guardate qua: Panzerotti della Pace appena sfornati. Predetene uno, su...
 
- Non ti immischiare, Mandy – sibilò Cho, tornando poi ad inveire contro Morag. - Il tuo rendimento in campo durante la partita è stato penoso, almeno tanto quanto lo è stato il nostro; la differenza fra te e noi, però, è che noi abbiamo riconosciuto le nostre mancanze, mentre tu continui a fare ciò che ti riesce meglio, e cioè giudicare il prossimo senza fare mai un briciolo di autocritica. Credi che non lo abbiamo capito, io, Roger e Lisa, che ci detesti tutti, dal primo all’ultimo? Ci ritieni davvero così tardi?
 
- Beh, lo sareste davvero, se non ve ne foste accorti – ribattè Morag, mentre Sue la tirava per la manica e mormorava qualcosa del tipo “Mog, non mi sembra il caso...”
 
- Non te l’ha chiesto nessuno, sai, di entrare a fare parte della squadra – Cho procedeva a ruota libera, ormai. – O forse pensavi di farci un piacere? “La grande, inarrivabile Morag MacDougal sistema tutto in barba agli stolti e agli incapaci che infestano il mondo”?
 
- Tu l’hai detto – Morag si alzò in piedi imponendosi di ostentare una calma che, in realtà, cominciava a sfuggirle di mano. – Ed ora, se non vi dispiace – soffiò all’indirizzo dei Corvonero disposti in cerchio attorno a loro – me ne vado. Ho già ascoltato fin troppe stronzate, stasera.
 
Cho proruppe in una risatina nervosa.
- Un’ultima cosa, per augurarti la buonanotte. In caso non te ne fossi accorta, MacDougal, in questo momento io mi trovo qui; sì, proprio qui, nella nostra Sala Comune. E questo significa – la ragazza strinse gli occhi, che assunsero la forma di due fessure d’ossidiana – che, al momento dello Smistamento, Priscilla mi ha ritenuta degna di fare parte della Casa di Corvonero, tanto quanto te. E così pure Roger e Lisa. Accettalo. Oppure, nella tua spocchia, ritieni di essere addirittura più saggia di lei?
 
Morag raccattò i suoi averi e, sbuffando fuori l’aria con insofferenza, piantò in asso Sue, si fece largo fra gli studenti riuniti a capannello e si allontanò diretta ai dormitori.
- Tieniti per te i tuoi sproloqui da eroina tragica, Chang. Non interessano a nessuno.
 
- E tu vedi farti una vita, MacDougal, invece di passare il tempo a denigrare quella degli altri! – le gridò dietro Cho con voce squillante, prima di gettarsi a peso morto su di un povero Michael piuttosto scosso, e su di lui sfogare (con grande gioia del ragazzo) l’eccesso di tensione accumulata.
 
Proprio in quel momento, dopo aver salutato Kevin alla base della torre, Lisa fece ritorno alla Sala Comune.
- Si può sapere che cosa avevi da sbraitare, cinesina? – chiese sorridendo a Cho. Michael si scostò quel tanto che bastava per farla accomodare accanto a loro. – Ti si sentiva fin dalla tromba delle scale, per Priscilla.
 
- Mi sono scazzata con la MacDougal – fu la risposta caustica di Cho che, subito dopo, mise al corrente l’amica di quanto accaduto.
 
Lisa rimase in silenzio un pochetto, il visino candido accigliato in un’espressione di profonda riflessione.
- Sai, Cho – disse infine la ragazza. – Noi e lei non siamo mai state in rapporti particolarmente amichevoli. Nelle ultime settimane, però, ho avuto modo di osservarla... e non so, ma credo di essere giunta alla conclusione che Morag sia un po’ diversa da come l’abbiamo sempre immaginata. Secondo me... dovremmo sforzarci di darle una chance di dimostrarci chi è veramente.
 
- Vorrai scherzare?! – la incalzò Cho, incredula. – Quella è esattamente come appare: un’insopportabile acidona supponente. E poi, anche se possedesse delle qualità nascoste, chi ti dice che voglia degnarsi di rivelarle proprio a noi?
 
- Prendi Sue – replicò Lisa, senza rispondere davvero. – A Sue, Morag piace. E Sue è... una tipa a posto, l’hai sempre detto anche tu. Qualcosa vorrà pur dire, no?
 
Sentendosi chiamata in causa la ragazza, che ancora sedeva al tavolino abbandonato da Morag poco prima, alzò la testa e la guardò.
- Scusate se mi permetto, ma già che mi avete interpellata... – disse timidamente a Lisa e Cho, che la invitarono con un cenno a continuare. - Okay: Morag è una ragazza un po’ rigida, forse non facile, ma... è una brava persona e una buona amica. A modo suo, ci tiene davvero alla squadra. Lisa ha perfettamente ragione: bisogna darle il tempo di abbassare le difese. E, se glielo permetterete... beh, vi garantisco che non avrete di cui pentirvene.
 
[Aula di Pozioni e dintorni, 5 dicembre 1993]
Erano trascorsi una quindicina di giorni dall’incidente che aveva messo fuori gioco Neil; il suo cappotto preferito, un lungo indumento color crema dal taglio elegante, si trovava ancora appeso negli spogliatoi maschili in attesa di essere ritirato. Alla fine, incerto sul da farsi ma esasperato dal fatto di ritrovarselo davanti agli occhi ad ogni sacrosanto allenamento, Barry aveva deciso di occuparsene lui: lo aveva quindi staccato dal gancio, intenzionato a consegnarlo alla professoressa McGranitt che, in qualità di Direttrice della Casa di Neil, avrebbe saputo meglio di lui come farglielo riavere.
 
Mentre faceva per ripiegarlo, tuttavia, qualcosa sgusciò fuori da una delle numerose tasche interne. Da quella miriade di scompartimenti, nel corso degli anni, Barry aveva spesso visto fuoriuscire di tutto: da matite ad elastici per capelli, da pagine di appunti a piattini di ceramica. Quello che proprio non si aspettava, però, era di veder cadere a terra un cilindretto trasparente che, ad un’occhiata più approfondita (per fortuna i riflessi di Barry avevano impedito che l’oggetto si frantumasse al suolo) si era rivelato essere un grazioso thermos di vetro.
 
Anche qui, nulla di strano. Neil era una specie di tisanadipendente, lo sapevano tutti, pertanto Barry non si sarebbe mai stupito nello scoprirlo in possesso di oggetti legati a quel tipo di pratica. La cosa singolare, in realtà, era il vistoso post-it rosa shocking applicato sul vetro, recante le parole “Urgente. Restituire a G. Farley” e corredato da una specie (Barry non ne era del tutto sicuro, e forse non voleva neppure saperlo) di cuoricino disegnato malissimo.
 
La cosa, comunque, lo aveva parecchio meravigliato, dal momento che, a quanto ne sapeva lui, Neil e la Farley non erano amici; in ogni caso, si disse il ragazzo, non gli sarebbe costato nulla restituire il thermos a Gemma dato che, l’indomani, l’avrebbe incontrata a lezione di Pozioni.
“Metti che le serve” si era detto, sistemando poi con estrema attenzione il delicato oggetto all’interno del borsone sportivo.
 
Cosicché il giorno dopo, a fine lezione, Barry si avvicinò a Gemma, ancora intenta a riordinare gli ingredienti appena utilizzati.
- Ciao, Farley!
 
- Oh, ciao Summers – lo salutò sorridendo lei. A Gemma, Barry andava a genio: grazie al suo carattere aperto e di buon cuore, infatti, il Tassorosso era una delle poche persone con cui, nel corso degli anni, la ragazza non si era mai sentita a disagio. – Ti serve qualcosa?
 
- Sì, cioè, no – Barry tirò fuori il thermos di vetro dalla cartella e glielo porse. – Volevo solo restituirti questo. Ce l’aveva Neil, sai; ma siccome non si sa ancora quand’è che tornerà dal San Mungo, ho pensato che, nel frattempo, tu potessi averne bisogno.
 
- Oh, ti ringr... – Gemma arrestò a mezz’aria il movimento del braccio. – Ehi.
 
- Che c’è?
 
- C’è che... – la ragazza ritrasse la mano e scosse educatamente la testa - non è mio.
 
- Ah no? – domandò allora Barry, stupito.
 
– No - rispose lei aggrottando la fronte. – Anche se, anche se... oh, perdinci. Ma sai che a me, un thermos identico a questo, sembra di averlo già visto da qualche parte?
 
Barry fece tanto d’occhi.
- Davvero?
 
- Sì... – Gemma si grattò il mento, sforzandosi di ricordare. – Ad Halloween, certo! Durante la festa: mi è praticamente piovuto fra le mani...
 
Barry le rivolse un’occhiata meravigliata.
 
- Sì, sì – continuò Gemma. – Era pieno di un liquido rosa confetto, mi pare, ed era tiepido. Me lo sono ritrovata in mano per puro caso, e l’ho subito appoggiato sul tavolo più vicino, perché vedi... – la ragazza arrossì e si morse la lingua, imbarazzata al ricordo di Roger Davies che, quella sera, le aveva letteralmente dato la caccia fra le tavolate.
 
- Un thermos volante? Che storia bislacca – commentò Barry.
Sovrappensiero, il ragazzo svitò il tappo del cilindretto. Immediatamente, dal suo interno, si sprigionò un aroma a dir poco delizioso che, prima di dissolversi nell’aria, gli fece fremere violentemente le narici. – Oh. – Barry sbattè un paio di volte le palpebre, leggermente intontito, e ritenne il respiro, quasi a voler trattenere con sé le ultime tracce di quell’ignota fragranza, squisita tanto quanto quella della terra bagnata subito dopo un temporale.
 
- Ma... ma che buon profumo! – esclamò Gemma, sinceramente ammirata. – Chissà cosa mai c’era dent...
 
- Erica Mackaiana, è evidente – disse una voce bassa e graffiante, provenuta da chissà dove. I due ragazzi, voltatisi di scatto, si trovarono davanti l’Assistente del professor Piton, che si era avvicinato silenziosamente alle loro spalle e che ora li fissava con i suoi occhi severi, trasparenti come acqua gelata. – Signorina Farley, signor Summers. Vi dispiacerebbe lasciar libera l’aula, per cortesia? La prossima lezione sta per avere inizio, ed io devo ancora sistemare i calderoni. Grazie.
 
- Oh... oh, sì – pigolò Gemma, atterrita. A lei, l’Assistente aveva sempre fatto una paura fottuta. – T-togliamo subito il disturbo, professore. C-ci scusi. – E si allontanò in tutta fretta, tallonata a distanza ravvicinata dal Tassorosso.
 
Una volta all’esterno, Barry e Gemma procedettero in silenzio lungo il corridoio dei sotterranei. Fra le dita della mano destra il ragazzo stringeva ancora il delicato thermos di vetro che non apparteneva a nessuno.
 
- Così en passant, fra Portieri – disse all’improvviso lei, tanto per rompere il ghiaccio – durante l’ultima partita ti ho visto fare una manovra che... boh, ho trovato davvero eccezionale, Summers.
 
- Ah sì – rise Barry piuttosto compiaciuto, mentre incrociavano un gruppo di studenti più giovani che, con facce da funrale, procedvano in senso inverso diretti all’antro di Piton. – Credo di sapere a quale manovra ti riferisci. È la duble-eight-loop.
 
- Double-eight-loop – ripetè Gemma, pensosa. – Non l’avevo mai vista...
 
- Beh, ma non potevi averla vista, in effetti... a meno che tu non avessi spiato i nostri allenamenti, ovviamente – chiarì semplicemente lui. – L’ho inventata io qualche anno fa, sai. Per... per scacciare gli gnomi da giardino che infestano la piantagione di Trifoglio Smeraldo della mia fattoria...
 
- Veramente?! – la Serpeverde si voltò verso di lui, facendo tanto d’occhi. – Ma è semplicemente fenomenale!... Ad un certo punto ho sentito pure Baston che la lodava, tanto per dirti...
 
- Ti ringrazio – Barry reclinò il capo con modestia. – Non è per nulla una manovra difficile, in realtà. Sono sicuro che se l’hai osservata bene, e se ti fai aiutare un pochino dal tuo ragazzo a provarla, nel giro di poco tempo la saprai riprodurre alla perfezione.
 
Gemma si fermò di botto.
- Il mio... ragazzo?
 
- Beh, sì – con l’aria più naturale di questo mondo, Barry additò una figura imponente che fumava tranquilla, appollaiata sul muretto del cortile a una decina di metri da loro. – Quello lì, no?
 
La ragazza si tinse di porpora e parve tramutarsi in una statua di sale particolarmente rigida.
- Quello non è il mio...
 
- Oh, perdonami Farley – si scusò subito Barry, imbarazzato. – È che lo vedo sempre che ti aspetta, dopo lezione... e così ho solo pensato che...
 
Ancora più imbarazzata di lui Gemma scosse la testa, lo salutò in fretta e corse via; e Barry, rimasto solo, sorrise fra sé e sé quando, di lontano, assistette allo scambio di battute fra i due Serpeverde che, al di là delle reciproche prese in giro, erano evidentemente contenti di trovarsi assieme:
 
- Graham, che sorpresa!
- Ci li facciamo due tiri, Pulce?
- Di Hermes, no di certo. Di Pluffa, volentieri.
- Oh, ma pensa un po’. Pure arguta, sei...
- “Pure”? Oltre a cosa?
- Oltre a... bhwf, lascia perdere. Andiamo, su.
 
“Alle donne piacciono le sorprese, anche quando in realtà non sono tali” annotò mentalmente Barry. “Davvero interessante”.
Al di là di ogni umana previsione, il ragazzo trascorse il resto del pomeriggio ad interrogarsi su quale tipo di sopresa avrebbe potuto fare, lui, alla sua, di fanciulla speciale.
 
[Campo da Quidditch e Guferia, in rapida sequenza]
Schiena eretta, mani dietro di essa allacciate intorno alla propria mazza, occhi sottili e vigili, nonostante la debole neve che stava intensificando la propria massa. Sophie misurava il campo con lo sguardo, con un unico pensiero fisso a tartassarle la mente: doveva trovare il modo di metterla in quel posto al Capitano, senza che la propria squadra ci rimettesse in classifica. Marcus Flint si stava tirando dietro l’ira di molti studenti e quel che era peggio, si stava inimicando la squadra.
 
- Non fa un po’ freddino per allenarsi, Roper? –
 
Millicent, in piedi al suo fianco, si sfregava le mani coperte dai guanti con gesto rude, mentre anche i suoi occhi scandagliavano il campo deserto. Non era certa di voler rimanere lì un solo minuti di più, ma provava una strana soggezione nei confronti del vice capitano, ragion per cui non se l’era sentita di dissentire, quando la piccola biondina si era presentata da lei come una furia, bardata di abbigliamento nero come la pece, scagliato di squame rilucenti. Milly aveva tremato nel vederla conciata così.
 
- Dobbiamo approfittarne ora che Marcus è fuori dai giochi. È chiuso nel dormitorio da un paio di giorni, a cogitare chissà quale macchinoso piano per conquistare la scuola. – Un sorriso sottile, terrificante, valutò Millicent nel guardarla, solcò il viso di Sophie, la quale riprese presto a parlare, - Quindi quale momento migliore per allenarsi senza di lui? Ora muoviti Bulstrode e vai a raccattare i bolidi. Ho proprio bisogno di sfogarmi. –
 
L’imponente collega fece per muoversi, quando una voce altisonante ne arrestò il passo:
 
- Ferma lì, scricciolo. – Graham, braccia incrociate, era accompagnato da Gemma. Il ragazzo si posizionò al fianco di Sophie, che dedicò a quest’ultimo solo una fugace occhiata, prima di tornare a fissare il terreno spolverato di neve fresca.
 
- Le cose non si mettono bene, Montague. – la voce di Sophie era caricata da un fare eccessivamente serio, che meritò uno sguardo di preoccupazione da parte di Gemma, la quale tentò di rassicurare la compagna: - Suvvia Sophie… abbiamo vinto contro Grifondoro e siamo ad una manciata di punti da Tassorosso; abbiamo iniziato più che bene il campionato. –
 
Sophie scosse il capo con mestizia: - Abbiamo avuto fortuna, ma sappiamo bene che il nostro peggior nemico è annidato nella squadra. Non possiamo contare su di lui -, Sophie strinse il pugno intorno alla mazza, - dobbiamo farlo fuori. – concluse, lugubre.
 
- Ma intendi… intendi farlo proprio fuori? – pigolò timidamente Gemma, scossa da brividi di freddo e terrore.
 
- ‘Fanculo Roper, sono troppo giovane per finire ad Azkaban! – esclamò Milly, pronta a marciare via. Graham invece sogghignò, mentre Sophie roteava vistosamente gli occhi al cielo.
 
- Non mi aspettavo fossi tanto frignona,  Bulstrode. Allora, giochiamo o no? Mi si stanno congelando le chiappe. –
 
Sophie fu la prima ad annuire ed avviarsi verso il centro del campo. Seguita da Millicent che spariva al fianco di Graham. Gemma rimase qualche passo indietro e arrossì vistosamente, nel rendersi conto che i suoi occhi scuri seguivano quelle natiche che, a detta di Graham, dovevano essere congelate, poi si sforzò di riprendersi e tallonò il gruppo.
Sophie scagliava con forza portentosa i bolidi che le passava Millicent, ma la testa era a miglia e miglia di distanza da lì. La tenuta nera spiccava in mezzo al panorama candido e contrastava con i capelli color del sole, che frustavano l’aria furiosamente. Fino a quel momento si era limitata a trovare un modo per contrastare Flint all’interno dei confini della scuola, eppure Sophie si era resa conto di possedere un’arma affilata dalla sua.
“Bisogna conoscere il proprio nemico, per poterlo sconfiggere.”, pensò. Seppur controvoglia, la serpeverde capì che avrebbe potuto avvalersi di Irina; quella maledetta stronza, per una volta, sarebbe risultata utile in qualche modo.
Gettò la mazza di punto in bianco, con il rischio di beccare in testa Graham il quale svolazzava sotto di lei.
 
- Dove diavolo vai? – Gridò Millicent, mentre Sophie sfrecciava lontano.
 
- Voi continuate, io devo fare una cosa! – gridò, prima di sparire totalmente dalla vista dei compagni.  
 
*
 
Uno sghignazzare sommesso accompagnava la camminata concitata di Jimmy. Il ragazzo si guardò ripetutamente indietro e notò, con cipiglio, che quella risatina proveniva da un cospicuo gruppo di ragazzine, le quali sembravano fermarsi ogni volta che si voltava. Ma lo sguardo torvo virò presto in un’espressione compiaciuta; quel gruppetto doveva seguirlo ormai da un bel po’ di tempo e cosa avrebbero mai potuto volere, da lui, se non attenzioni?
 
- Non stanno seguendo te. – Jimmy aggrottò le sopracciglia e guardò alla sua destra. Solo in quel momento si rese conto di non essere solo, nel percorso verso la guferia. Riconobbe il cercatore di Corvonero, dietro quel ciuffo di capelli neri come ebano liquido che gli mascheravano quasi totalmente la metà del viso a lui esposta. – È quasi un’ora che non mi danno tregua. – concluse laconico Stephen, senza rallentare il passo.
Jimmy, da perfetto grifondoro, spalancò gli occhi chiari e si affiancò a Stephen, facendo rabbrividire appena quest’ultimo: - Cosa ti hanno fatto amico? Se hai bisogno di una mano per togliertele di mezzo… - Jimmy si assestò una mano sul petto, come a voler dire “conta pure su di me”. Stephen rallentò. Strinse a sé un sacchetto di carta da cui il grifondoro notò spuntare varie missive e, con lentezza inesorabile (ed un po’ inquietante), puntò lo sguardo algido su di lui: - Vorrebbero uscissi con loro. Ti ringrazio… Peakes, giusto? Ma credo di riuscire a cavarmela da solo. – Il passo flemmatico di Stephen accelerò di botto non appena giunsero in prossimità della schiara dinoccolata che portava alla guferia.
A Jimmy venne da sorridere, ma di un sorriso tenero e comprensivo; pensò che quel ragazzo doveva essere davvero molto solo, se era arrivato al punto di mentire a quel modo. Strambò com’era, come avrebbe mai potuto avere schiere di ragazzine pronte a seguirlo persino sotto la neve battente? In qualche modo, Stephen Cornfoot gli ricordava suo fratello Sean, un giovane e timido tassorosso del terzo anno. Probabilmente fu quell’analogia che spinse Jimmy a tallonarlo, ma non prima di girarsi verso il gruppo di ragazzine riderecce ed intimarle di lasciarlo stare. Quelle di tutta risposta si ammutolirono e fra sbuffi e boccacce, si ritrassero un po’.
Saliti i faticosi pioli della guferia, Jimmy si rese conto che quell’ambiente solitamente disabitato (se non per la presenza dei rapaci stessi), ed stranamente sovraffollato: ragazzi di tutte le età facevano a gara per accaparrarsi i volatili migliori; probabilmente l’avvicinarsi del Natale aveva comportato l’esigenza di comunicare con le proprie famiglie. Compostamente in fila, Jimmy notò Stephen, il quale faceva di tutto per occupare il minor spazio possibile e, specialmente, tentava di non entrare a contatto con le mani appiccicaticce degli studenti del primo anno. Munito di un ampio sorriso il grifondoro tornò alla carica, affiancandosi di nuovo al corvonero.
- Le ho mandate via, non ti daranno più fastidio! – dichiarò a gran voce Jimmy, intanto che infilava una mano nella tasca e tirava fuori una pergamena stropicciata, che avrebbe dovuto inviare ai genitori. Lo sguardo vispo fu nuovamente attirato dal numero cospicuo di buste accuratamente sigillate che il corvonero sembrava impaziente di spedire.
 
- Hai un sacco di roba da spedire! –
 
- Già. – Stephen, spossato dall’enfasi di quel grifondoro tanto impiccione, non vedeva l’ora di sbrigare la pratica per poter filare via.
 
- E a chi mai dovresti spedire tutta questa… - un urlaccio mozzò la domanda di Jimmy a metà, per buona pace di Stephen (nonché fece squillare una buona decina di gufi e civette). I due si voltarono in contemporanea verso l’ingresso della guferia dalla quale avevano sentito arrivare l’agglomerato di improperi.
 
- Razza di oche pazze, in un’aia vi dovrebbero rinchiudere! – Sophie, scrollò la neve dai capelli, alzò il dito medio in una direzione non meglio precisata e con passo pesante si fece largo fra i gli studenti, che la guardavano con tanto d’occhi. La strega ispezionò quelli uno ad uno ed infine incontrò lo sguardo di Jimmy, che a stento riuscì a trattenere una risata. Ma non è su di lui che si soffermò, nonostante l’averlo incontrato doveva averla scossa, visto l’evidente rossore giunto a colorire la pelle naturalmente pallida.
 
- Peakes.- dichiarò lei, dura, in segno di saluto; in seguito piroettò in direzione di Stephen e a lui consegnò una lettera dal nauseante profumo di narciso: - Ringrazia che non le ho fatte fuori, Cornfoot! La prossima volta che mi finiranno in mezzo ai piedi, stai pur certo che spedirò il tuo fan club dall’altra parte del mondo a calci in c@@o! –
 
Jimmy osservò quella che aveva tutta l’aria di essere una lettera d’amore con occhi sgranati. Assai confuso, evitò di fare domande e fissò Sophie, che dopo aver consegnato la lettera (non senza nascondere un certo disappunto, visto che “lei non era il paggio di nessuno”), li aveva superati in fila come nulla fosse.
 
- Roper, immagino tu non te ne sia resa conto eh, ma noi siamo in fila e, guarda caso, tu sei arrivata dopo di noi, quindi dovresti… -
 
Sophie ignorò Jimmy e si rivolse ancora una volta a Stephen: - Prestami busta, carta, penna e inchiostro. Mi devi un favore o no? –
 
Stephen, che sperò di zittirla, le cedette quanto chiesto. Ma la pace sperata non arrivò affatto presto, in quanto la strega iniziò a strattonare Jimmy Peakes chiedendogli di piegarsi, di modo che lei potesse usare “la sua schiena come uno scrittoio”, testuali parole. Il risultato fu che Sophie strillò per un po’ davanti alle rimostranze del grifondoro ed infine dovette accontentarsi di sedersi a terra e usare le proprie gambe.
 
- Finalmente è arrivato il nostro momento. – Dichiarò in un sussurro sfinito Stephen; il corvonero adocchiò quello che sembrava essere il gufo meno vecchio e malconcio e a lui si rivolse:
 
- Vorrei che consegnassi queste lettere a… -
 
Sophie arrivò alle sue spalle, alle quali si aggrappò con tenacia, per poi allungare la propria lettera al gufo al quale Stephen aveva consegnato un paio delle proprie.
 
- A Belmont! E sii rapido, per l’amor di Salazar! –
 
- Ehi… ma cosa diavolo… -
 
- Roper, ma ti sembra il modo di comportarti? – la rimbeccò Jimmy, nel vano tentativo di farla rimettere al proprio posto. Seguitò un gran trambusto, che coinvolse i tre e che stimolò l’ilarità del resto degli studenti in guferia, intirizziti dal freddo ma molto divertiti dal teatrino: Jimmy tentò di tirare via la lettera di Sophie, ma nel farlo il gufo afferrò la sua pergamena e gli rifilò pure una gran beccata. Stephen cercò di recuperare le proprie lettere, ma nel farlo il sacchetto di carta si svuotò completamente e quelle si sparsero ovunque ed il poveretto iniziò,  con ripugnanza, a gattonare a terra nel tentativo di recuperarle tutte. In tutto questo, il gufo prescelto prese il volo, senza che fosse ben chiaro in direzione di quale luogo e con quale missiva.
Quando uscirono dalla guferia, sembrò che i tre avessero appena affrontato una guerra: scapigliati, feriti dalle beccate dei gufi e decisamente provati. Stephen e Jimmy, per la prima volta dal lungo pomeriggio appena passato insolitamente insieme, riuscirono a scambiarsi uno sguardo d’intesa, per poi passare a fissare la minuta serpeverde che si trovava fra loro e che aveva anche il coraggio di lamentarsi a gran voce, addossando la colpa di quella confusione a loro.
 
- Però sai… - bisbigliò Jimmy dopo che Sophie si fu allontanata dai due, schizzando in direzione dei sotterranei, - a me questo spirito indomito mi piace sempre di più! – e sfregandosi le mani, anche Jimmy si allontanò, lasciando Stephen da solo. Il corvonero non trovò la forza di pronunciare una sola parola. Al contrario scosse la testa e si avviò verso la propria sala comune, nella speranza che anche solo una delle lettere, sarebbe arrivata a giusta destinazione.
 
[Salette di ricevimento, 16 Dicembre 1993]
Quando Draco si era recato qualche mese prima in compagnia di sua madre, nell’atelier di Madama McClan, subito i suoi occhi si erano innamorati di un mezzo tight, colorato di una punta di grigio che il vanesio animo del rampollo di casa Malfoy, aveva individuato come il tono perfetto per risaltare i suoi occhi. In quel momento, mentre si sistemava i polsini della camicia con un sorriso soddisfatto in volto, realizzò che aveva fatto più che bene ad insistere per averlo nel proprio armadio. Daphne, seduta al suo fianco, roteava gli occhi al cielo:
 
- Mio padre si complimenterà con te, Draco… ma sarà il cuore di mia madre che conquisterai, conciato in questa maniera, non quello di Astoria. -
 
 - Che c’è: non trovi mi stia bene? -
 
- Certo che ti sta bene, ma sai che mia  sorella non è tipa da star dietro ad affari di moda. - Concluse lei, mentre si fissava in uno specchietto e sistemava i capelli.
 
- Lo scopo non è conquistare lei… - borbottò Draco, ora rosso in volto, - Ma i tuoi genitori, Daphne. -
 
- Se lo dici tu… - buttò lì Daphne, senza reale interesse. Proprio in quel momento sentirono la porta della saletta di ricevimento schiudersi: un leggero rumore di tacchi rimbombò per la stanza, ad annunciare l’arrivo di Teia Greengrass e di suo marito Menezio.
 
- Mamma! Papà! – cinguettò Daphne, prima di volare fra le braccia dei genitori. Draco si alzò subito, avvicinandosi alla coppia con un bel sorriso disegnato sul volto pallido.
 
- Credo conosciate Draco Malfoy. – Lo introdusse Daphne, così Draco allungò la mano per stringere quella del signor Greengrass.
 
- Caro figliolo, ma certo! Come sta la splendida Narcissa? E tuo padre? Sempre indaffarato con gli affari del Ministero, suppongo. -
 
-Vi mandano i loro più calorosi saluti, signori Gr… - Le parole di Draco vennero bruscamente interrotte dall’arrivo di Marcus Flint, anche lui vestito di tutto punto e con i capelli fulvi sapientemente pettinati.
 
- Perdonate il ritardo - proruppe il Capitano Serpeverde, sistemandosi il colletto della camicia prima di salutare con affetto la coppia.
 
- Nessun ritardo caro… come puoi ben vedere, Astoria non si è ancora presentata. Conoscendola, temo saremo costretti a spostare il nostro appuntamento per l’ora di cena, sempre che il preside Silente ci accetti alla sua tavola. – Teia, così simile ad Astoria nell’aspetto, accennò un vago sorriso elegante. A quel punto Marcus spostò lo sguardo su Draco, ancora imbalsamato al fianco di Daphne: - E tu cosa ci fai qui, Draco? – Il sorriso tirato di Marcus, nascondeva una vena d’irritazione.
 
- Beh ecco, io… -
 
- Eccovi qui! –
Melodiosa, la voce di Astoria trillò dalla porta. Draco impallidì dinanzi alla sua bellezza divina: i capelli sciolti e lucidi erano piegati in lievissime onde, che ad ogni sobbalzo diffondevano un aroma di mirtilli appena pestati ed il corpo, minuto e di perfette proporzioni, era ben fasciato da un abito con collo alla coreana corto al ginocchio, brillante di sottobosco.
 
- Parlavamo appunto della tua strana idea di puntualità, Astoria. – Il padre la rimbeccò bonariamente, prima che la sua guancia potesse accogliere un lieve bacio della figlia maggiore. Marcus osservava la ragazza con un ghigno di vittoria, ma ancor più sorrideva Draco, al quale Marcus rivolse un’ennesima occhiataccia.
 
- Direi che non è posto per te questo, Malfoy… dobbiamo occuparci di questioni intime, familiari… se capisci cosa intendo – concluse Marcus, affilato.
 
- Che rimanga pure. – Fu questa la censura di Astoria, la quale senza perdere tempo passò lo sguardo dall’uno all’altro dei genitori: - Mamma, papà… mi dispiace dirvelo ma io non accetterò la proposta di Marcus Flint. -
 
- Non dire sciocchezze! – La ammonì prontamente la madre, ma Astoria proseguì nel parlare: - Non posso… perché io sono già fidanzata. E qui con me, oggi, c’è quello che sarà il mio futuro marito e che vorrei prendeste seriamente in considerazione. -
 
- Astoria… ma che figura ci stai facendo fare… - Menezio Greengrass passò una mano fra i capelli biondi, prima di sospirare e rivolgersi a Marcus Flint, il quale non sembrava affatto preoccupato: - Scusala, Marcus… nostra figlia purtroppo è solita a questi colpi di testa… -
 
- Non sto scherzando – tagliò corto Astoria. Fu a quel punto che Draco fece un tiepido passetto in avanti. Quell’idiota di Flint lo fulminò con lo sguardo infuocato d’ira, ma a lui non importava: Astoria Greengrass meritava molto di meglio, non di certo un tipo come quello lì.
 
- È permesso? – Una voce calda, profonda, dall’inclinazione lievemente latina, fece voltare tutti i presenti verso la porta.
 
- Papà, mamma: vi presento Roger Ramón Davies Ayala, il mio fidanzato. -
 
 Le reazioni all’entrata di Roger nella saletta delle visite furono molteplici: Draco impallidì e quasi svenne; Daphne sussultò e con prontezza trattenne l’amico per evitare che crollasse a terra; Marcus sgranò gli occhi e spalancò la bocca, incredulo e affatto pronto a tale evenienza; Teia avvampò, davanti alla bellezza di quel giovane che aveva appena fatto il proprio ingresso mentre Menezio si limitò ad aggrottare le sopracciglia, squadrando il giovane mago con attenzione e tentando di capire se quello fosse tutto uno scherzo. Ma Roger sapeva muoversi bene, molto bene e non mancò di  avvicinarsi a Teia Greengrass, alla quale baciò la mano portando un braccio piegato dietro la schiena: - Encantado. –
 
- Ayala, hai detto? – Menezio squadrò ancora una volta Roger; sembrava che quel cognome lo incuriosisse notevolmente.
 
- Esattamente, signor Greengrass. – Roger espose il suo più bel sorriso: - Conosce per caso la mia famiglia da parte di madre? -
 
 - Oh si… pare che gli Ayala siano una famiglia purosangue molto potente in Uruguay. – Menezio lo disse come stesse gustando un succoso frutto afrodisiaco, ma poi si riprese: - Eppure questi Davies… non li ho sentiti nominare. -
 
- Devi sapere, papà… -  Astoria si strinse al braccio del padre, - Che il padre di Roger, il signor Davies, è un diplomatico molto rinomato. Si occupa di affari internazionali da molti anni ed è proprio in uno di questi viaggi che ha conosciuto la madre di Roger, Doña Marta Serafina Ayala, in Davies. -
 
Fu a quel punto che Marcus, improvvisamente rinsavito, si fece spazio nella conversazione:
- Signor Greengrass, qui stiamo sfiorando il ridicolo! Conosco bene questo figlio della razza mista e trovo altamente offensivo che si possa anche solo pensare che la sua famiglia sia anche solo da prendere in considerazione! –
 
- Signori, sappiamo tutti che la famiglia Davies non appartiene alle sacre ventotto… - serafico e rilassato, Roger prese la parola mentre, con eleganza, estrasse la sua bacchetta dall’interno della giacca: - Ciò nonostante non solo gli Ayala godono di un’ottima reputazione in tutto il mondo… - con un abile colpo di bacchetta, Roger richiamò un almanacco che fluttuò nella stanza, per poi posarsi fra le sua mani. Il ragazzo prese a consultarlo con aria assorta: - Per quanto le mie origini paterne non siano totalmente pure, posso quantomeno affermare che nessun errore genetico è presente nel mio sangue. -
 
A quel punto Astoria sorrise, mentre sua madre, imbambolata, osservava il ragazzo sfogliare il librone: - Ho affrontato delle ricerche, scoprendo che i Flint, sulla carta una famiglia di tutto rispetto, ha però commesso in più di un’occasione degli abomini fra consanguinei, di modo da poter mantenere il proprio sangue illibato. Questo, purtroppo, ha comportato non pochi problemi nel loro albero genetico. –
 
- Ma cosa… come ti permetti, Davies! – Fu la prima occasione in cui Marcus perse la pazienza davanti agli occhi dei Greengrass, i quali però non dedicarono a lui nemmeno uno sguardo. Fissavano invece con interesse le pagine che Roger mostrava loro: - Da queste fotografie potete notare le deformità di alcuni nati nella famiglia Flint… e qui, guardate qui, in queste note magiscientifiche, è scritto chiaramente che più di una tara genetica, prima di allora sconosciuta, è stata conclamata come tale. Insomma, il corredo genetico dei Flint pare fare acqua da tutti i pori, signori Greengrass. – Roger chiuse l’almanacco di magimedicina con un colpo secco e Menezio fece giusto in tempo a tirare indietro il naso. – Ditemi, dunque: vorreste mai che la vostra graziosa primogenita rischiasse di figliare con uno di questi individui? Marcus sembra tutto sommato apposto, anche se lo confesso… noi compagni abbiamo pensato più volte che qualcosa in lui non andasse… -
 
- Non… non credetegli! - tentò Marcus, ormai pallidissimo e imperlato di sudore freddo, ma ancora una volta fu ignorato.
 
- Oh… non ne sapevo nulla… - Teia bisbigliò in favore del marito: - Eppure i Flint sembrano delle così brave persone… -
 
- Ma anche fosse che noi acconsentissimo alla vostra unione… - Fu il signor Greengrass a rivolgersi a Roger, questa volta con sguardo lievemente accigliato: - La mia ragazza è piena di qualità… purtroppo è anche ricca di difetti. Il suo animo indomito mi preoccupa e temo che nessuno avrebbe mai il coraggio di accettarla in famiglia. -
 
- Menezio, posso permettermi di chiamarla per nome? – Roger sorrise ancora una volta: - Dovete sapere che fra gli Ayala, le streghe con questo carattere vengono osannate, venerate, oserei dire. La mia gente non solo approverebbe questo fulgido giglio… -  Aggiunse, sorridendo ad Astoria con dolcezza: - …ne sarebbero orgogliosi. Vostra figlia sembra nata, per far parte dell’antica dinastia degli Ayala. -
 
Tremolante di rabbia e di umiliazione, Marcus spostò con un gran colpo Roger, parandosi davanti ai genitori di Astoria; gli occhi sgranati saettavano dall’uno all’altra: - Voi avete un accordo… un accordo con i miei genitori e… e mio nonno! Non potete fare questo, non vi permetterò di recare questo disonore alla mia famiglia! –
 
Teia però si era accostata a quello che considerava già il suo futuro genero, chiedendogli se stesse bene e prendendo a sistemargli l’abito con il fare di una buona madre; ma Menezio non mandò giù il comportamento di Marcus Flint e, passato un braccio intorno alle spalle della maggiore delle sue figlie (l’altra era ancora impegnata a tentare di far rinvenire Draco, da qualche minuto in preda a strani e inquietanti farfugliamenti), gli puntò contro l’indice: - Avresti dovuto mettere in chiaro le cose, ragazzo! Mai e poi mai accadrà che le mie figlie abbiano a che fare con qualcuno di potenzialmente dannoso per la loro progenie! –
 
Fu inutile tentare di farlo ragionare: quella del signor Greengrass era una posizione irremovibile. Fu così che Marcus ringhiò di rabbia e sibilò minacce grosse a Roger, prima di lasciare la saletta con un gran colpo di porta. Solo a quel punto Roger e Astoria si scambiarono un’occhiata complice, che i genitori di lei confusero con lo sguardo di un giovane coppia innamorata.
 
- I Flint se ne faranno una ragione. Allora Roger, consumerai un pasto con noi? Conosco un posticino ad Hogsmeade dove servono dell’ottimo chili, sai? -
 
- Papà… quello è un piatto messicano – bisbigliò Astoria. L’uomo scacciò l’aria con la mano: - Sia quel che sia! -
 
- Accetto volentieri il suo invito, Menezio. – Rispose allegro Roger, porgendo poi il braccio ad Astoria. Menezio guardò poi la figlia minore: - Daphne, porta pure il tuo amico… dal colorito verde credo abbia bisogno di un po’ di aria fresca. -
 
[Sala Comune di Tassorosso, 20 dicembre 1993]
- Francamente? Mi sembra un’idea assolutamente splendida!
 
Cedric sembrava davvero entusiasta, cosa per la quale Barry si sentì immensamente grato nei suoi confronti. I due ragazzi attraversarono rapidamente la Sala Comune, diretti al campo da gioco. Heidi, Megan e Maxine, già perfettamente bardate, li precedevano di pochi passi in compagnia di Kevin. Mio fratello Rhys è un perfetto troglodita: l’anello mancante fra il druido paleolitico e il mago gallese moderno stava dichiarando Megan, in un vivace saltellare di coda di cavallo, riguardo chissà quale argomento, e la sua affermazione aveva fatalmente scatenato l’ilarità delle due compagne e del ragazzo, che non la piantavano di sghignazzare in modo piuttosto scomposto.
 
- Per tutte le sottane di Tosca, Jones – rise Kevin che, come di consueto, non si lasciava certo sfuggire un po’ di sacrosanta baldoria – ma fra tutti i tuoi incontabili consanguinei, uno normale, c’è?!
 
- Hestia, di solito, è a posto – meditò la Vice – ultimamente, però, sembra partita per la tangente pure lei.
 
- Concediamole un’attenuante, dai – riflettè Kevin – di questi tempi, con quella storiaccia di Black, salterebbero i nervi a qualunque Auror, credo...
 
- Insomma, una legittima cena irlandese...
Il Capitano ignorò il chiasso e si fermò un attimo, prima di imboccare la porta rotonda che immetteva sul corridoio delle cucine - ... e quella birra babbana, com’è che si chiama... quella scura, intendo: si beve, da te?
 
- La Guinness? E come no – Barry sgusciò fuori dalla botte (operazione che, nel corso degli anni, gli si rivelava ogni volta più difficile man mano che cresceva), si diede una sistemata alla divisa da gioco e gli si affiancò. – Quella non manca mai, puoi starne certo.
 
- Eccellente – mentre procedevano, Cedric rivolse un’occhiatina obliqua prima al gruppetto che camminava davanti a loro, e poi a lui. – Peraltro, potrebbe essere l’occasione giusta per risolvere anche alcune... questioni irrisolte, dico bene?
 
Colto in flagrante, Barry s’ingozzò con la saliva.
- Oh, beh – balbettò, imbarazzatissimo. – In realtà, p-potremmo dire che...
 
Cedric scoppiò a ridere di gusto.
- Sono seriamente tentato di fissarti un appuntamento con Roger, amico.
 
- Oh, ma per San Patrizio. No, per carità...
 
- Tranquillo, Barry – Cedric sorrise e gli allungò una gomitatina amichevole. – Ognuno ha i suoi metodi, è chiaro. Va bene così. E, a questo proposito, volevo chiederti una cosa: so che sarebbe tua intenzione invitare solo i membri della squadra ma... ti darebbe fastidio se portassi qualcuno con me?
 
- Qualcuno tipo... una ragazza? – volle subito sapere Barry, felicissimo di poter sollevare da sé l’attenzione del Capitano.
 
- Sì... se per te non è un problema, chiaro.
 
- Ma certo che no, anzi, mi fa piacere – Barry annuì di slancio e spostò gli occhi sulla treccia dorata che oscillava leggiadra pochi metri davanti a lui. – Del resto, probabilmente, anche Kevin mi chiederà di venire con Lisa Turpin, e a quanto pare anche Megan... no no, figurati: per me va benissimo, Ced.
 
[Cubicolo della Pulce, Biblioteca, 20 dicembre 1993]
Cara/o Amica/o
Ti aspetto la sera del 27 dicembre, alle 19.30, per trascorrere insieme a te qualche ora di Festa, intorno ad una tavolata dal gusto tipicamente irlandese.
Prepara lo stomaco!
Barry
Indirizzo: Fattoria Summers, zona rurale di Ballaghaderreen, Irlanda.
 
Così recitava il bigliettino che Justin aveva appena ricevuto: se il ragazzo avesse avuto il tempo di aprirlo, vi avrebbe letto esattamente le parole di cui sopra. Tuttavia, mentre il tagliacarte magico scattava sull’attenti e si accingeva a sventrare il plico, la porta della saletta insonorizzata si aprì con un cigolìo sottile; Justin allora alzò gli occhi dall’involto, lo posò sul ripiano ingombro di carte e scartoffie e sorrise all’indirizzo della ragazza appena arrivata.
- Ehilà Romi.
 
Romilda Vane scrollò la folta criniera di riccoli scuri, sorrise a sua volta e, con un movimento fluido del polso, fece atterrare sulla scrivania il voluminoso pacco di fogli che la seguivano levitando.
- Ti ho portato le ultime bozze, boss.
 
- Alla faccia – esclamò Justin, sinceramente impressionato. – Di questo passo, dovremo cominciare a pubblicare la Pulce in più volumi!...
 
- La gente sembra darsi doppiamente da fare, sotto Natale – cinguettò allegramente lei. – Se ti dicessi che cosa ho scoperto...
 
- Senti, Romi – Justin si tirò indietro un paio di ciocche lisce e chiare sfuggite al cerchietto di corno che usava per lavorare. – Io, in questi giorni, sono troppo impegnato per revisionare tutta questa roba. Fra dieci minuti, ad esempio, devo essere giù all’allenamento, o è la volta che Cedric mi spella. Cosicché, pensavo: perché non te ne occupi tu?
 
- Davvero? – Romilda, abituata al rigoroso piglio professionale del Caporedattore (“Perché non importa se è un giornalino di gossip: la forma della Pulce dev’essere impeccabile!” soleva ripetere Justin ai suoi collaboratori), non crdette alle sue orecchie. – Vuoi dire... non vuoi dare nemmeno un’occhiatina?
 
- Mi fido di te – Justin si alzò in piedi e stiracchiò pigramente le membra intorpidite. – Leggi, correggi e manda pure al ciclostilo. Dopodomani, al più tardi, si distribuisce.
 
- Oh, in questo caso – tutta ringalluzzita, Romilda Vane riordinò in fretta le carte appena posate sulla scrivania e le sollevò in blocco, stringendosele al petto con fare orgoglioso. – Comincio immediatamente. Grazie infinite per la fiducia, Juss!
 
- Te la sei meritata tutta, Romi – Justin le tenne aperta la porta, per poi seguirla all’esterno del cubicolo senza voltarsi indietro. Forse, se l’avesse fatto, si sarebbe accorto che, stranamente, l’aspetto della sua scrivania era decisamente più ordinato di quanto non lo fosse stato fino a pochi minuti prima.
 
[Campo da Quidditch, spogliatoi femminili, 20 dicembre 1993]
- Vuota il sacco, Maxi.
 
- E tu vuota il calderone, Dee.
 
Le due ragazze, sole nello spogliatoio dal momento che Megan era già uscita per dirigersi di corsa chissà dove (“Scusate ma ho una roba da fare, pupe” “Che genere di roba?!” “Top-top-top secret. Sorry ladies”), si scambiarono un’occhiata sincrona e scoppiarono a ridere. E così, rinfrancata dall’espressione rassicurante della compagna, la bionda prese parola per prima.
 
- E va bene dai, comincio io – esordì, in tono pratico. - Sono un po’ nei casini, bella mia.
 
Maxine si frizionò i capelli bagnati, sedette sulla panca, tirò su le gambe e le incrociò per poi sporgersi in avanti, puntellare i gomiti sulle cosce ed assumere un’espressione di divertita ovvietà.
 
- Sei nei casini del tutto inutilmente, tesoro – disse all’amica che, nel frattempo, sistemava il borsone con un puntiglio pressoché maniacale. – Il ragazzone è cotto a puntino, lo si vede lontano un miglio.
 
Heidi corrugò la fronte e sbuffò.
- Fosse vero.
 
- Dubiti forse della mia comprovata esperienza in ambito sentimentale? – la risata contagiosa di Maxine fece vibrare l’aria. – Non vorrai mica rischiare di offendere il mio sesto senso in materia, spero.
 
- Non sia mai! – Heidi rise a sua volta e tirò su i palmi in segno di resa. – Io, certi segnali, non li so cogliere affatto. Ma se lo dici tu...
 
- E allora! – Maxine alzò gli occhi al cielo. – Si può sapere che cosa diavolo aspetti a farti avanti, biondina?
 
- Il fatto è, Maxi – replicò l’altra, strisciando distrattamente il piede sulle piastrelle del pavimento – che c’è dell’altro.- E prima che l’altra avesse il tempo di rivendicare ulteriori chiarimenti, Heidi vuotò veramente il sacco, da cima a fondo e con l’evidente sollievo di chi, finalmente, si libera di un segreto eccessivamente gravoso.
 
- Cioè: tu mi stai dicendo – Maxine non credeva alle proprie orecchie – che quel furbetto dell’Assistente ti ha rinchiusa nel suo ufficio per farti la ramanzina? A te?...  – la ragazza si lasciò sfuggire una risatina maliziosa. - Oh, ma pensa un po’ tu! Ma che razza di malandrino, per Tosca...
 
- Per tua informazione, non è stato poi così divertente, Maxi.
 
- Peccato – commentò Maxine, assorta. – Quello, parola mia, ha la faccia di uno che, zitto zitto, sa il fatto suo. Dammi retta. Chissà: magari, se mi impegno un po’ di più, la ramanzina la fa pure a me...
 
- Tienti per te le divagazioni improprie, pulzella – tagliò corto Heidi, allungandole un buffetto bonario sulla fronte – stiamo parlando del mio futuro professionale, e non delle cosacce su cui tu tanto ti diletti a speculare.
 
- Hai ragione, hai ragione – Maxine tirò su la schiena e cambiò prontamente argomento. – Quindi, riassumendo: alla festa del ventisette ti rimbocchi le maniche e ti aggiudichi il manzo, intesi?
 
- Veramente – ribattè Heidi – avrei intenzione di tarscorrere le intere vacanze ad ammazzarmi di fatica sulle Pozioni Avanzate. Sai com’è.
 
- Ma piantala. È una sera sola, cosa cambierà mai? Non fare la musona, eddai. Lo so che muori dalla voglia di darti alla pazza gioia. Non mi freghi, a me.
 
- Touché – ammise Heidi con un sorrisetto. – Facciamo che ci penso su, dai. Ed ora – disse, accomodandosi sulla panca dirimpetto alla compagna – passiamo a te, miss. Ti ho vista un po’ troppo pensosa e  introspettiva, in questi giorni. Non farmi preoccupare.
 
- Ho deciso di andare a fondo con le indagini – rivelò Maxine senza dilungarsi in inutili preamboli. – Ho mandato giusto stamattina un gufo agli zii per autorizzarli a procedere.
 
- Oh – Heidi si mordicchiò il lato interno della guancia, conscia dell’importanza epocale di quanto le era appena stato riferito. – Quindi vuoi dire che...
 
- Sì, Dee – annuì Maxine, seria. – Lo so: alcune cose andrebbero lasciate così come stanno, ma io mi riconosco troppo curiosa per non ammettere di voler conoscere la verità sui miei genitori.
 
- Hai fatto bene, Maxine – Heidi si sporse in avanti e le strinse affettuosamente le mani fra le sue.  – Lux in tenebris, sempre e comunque.
 
Maxine ridacchiò.
- Sei sempre così scientifica!
- Esatto – annuì Heidi con fare slenne. - E proprio dall’alto del mio empirico sapere, ti esorto ora a raccontarmi anche il resto.
 
Le guance di Maxine assunsero una lieve (ma inequivocabile, oltreché assolutamente inedita) sfumatura rosacea.
- Non so di che parli, bellezza.
 
- Ah no? – la incalzò Heidi, imperturbabile. – Allora aspetta che ti rinfresco la memoria, ciccina. Che cosa mi sai dire riguardo il tuo fugone da Stephen Cornfoot il giorno della partita, nonché della tua più che sbandierata determinazione di evitarlo?
 
Maxine non rispose subito. Quando aprì bocca, lo fece solo dopo essersi lasciata sfuggire una risatina che, alle orecchie di Heidi, suonò tutt’altro che allegra.
 
- Mi ci sono volute settimane per capirlo – disse infine Maxine con un sorriso amaro. – Il giorno della partita, al momento di baciarlo, mi sono tirata indietro senza sapermene spiegare il motivo. Poi, però, ho afferrato quello che il mio inconscio aveva già compreso, e cioè che uno come Stephen Cornfoot, per una come me, è troppo.
 
Heidi le rivolse uno sguardo incredulo. Stentava a credere che ad aver pronunciato quelle perole fosse stata proprio la sua Maxine, sempre così esuberante e sicura di sé.
 
- Non dire baggianate, Maxi.
 
- Nessuna baggianata, Dee. Diciamo semplicemente che, quando è il caso, riconosco qual è il mio posto – Maxine si alzò in piedi, afferrò saldamente il borsone e si diresse verso la porta. Prima di uscire, la ragazza rivolse ad Heidi una lunga occhiata. – Lo hai guardato bene, qualche volta? Stephen Cornfoot... beh: lui è diverso. Non è come gli altri. Lui è speciale.
 
[Chiostro, 21 Dicembre 1995]
Kevin sentiva di levitare a un palmo da terra e no, non aveva mangiato nemmeno un’ape frizzola nelle ultime ore. Questa particolare condizione era legata ad un nome, un cognome e una cascata di capelli chiari e caldi come un campo di grano in piena estate. Ultimamente erano poche le cose che riusciva a fare, senza che il pensiero suo andasse ad impattare con Lisa Turpin. Ancora stentava a crederci, in realtà. Quella strega di incredibile grazia lo aveva rapito con rapide mosse e Kevin era stato ben contento di farsi irretire; ormai, dal trentuno ottobre, quei due erano diventati inseparabili.
In quel momento non poteva fare a meno di sorridere, rimbambito dal fiume di parole che Lisa gli rivolgeva; mancavano pochissimi giorni alle vacanze di Natale e chissà quando i due si sarebbero potuti incontrare di nuovo. Poi certo, Kevin era più che felice di tornare a casa e di rivedere sua sorella e poi magari, chissà, avrebbe potuto invitare Lisa da lui e avrebbe potuto presentarle Norah…
Stava correndo con la mente, lo sapeva bene. Ma era certo che chiedere a Lisa di passare una giornata da lui, nella sua casa semi-babbana, sarebbe stata la cosa più giusta da fare. Così si munì di coraggio e tentò di aprire bocca per proporle la questione.
 
- Senti, Lisetta. -
 
- Lisetta! – ripeté lei con quel suo musetto irresistibile, mentre lo trascinava nei pressi del chiostro coperto di candida neve - Adoro, quando mi chiami così. Mi ricordi il mio papà! -
 
Ecco che Kevin sentì l’entusiasmo smontare dalla groppa del suo coraggio e scappare via a gambe levate. Mai avrebbe voluto essere paragonato a suo padre! Quel raffronto gli sapeva di incesto. Fortuna che la presenza di Justin, imbacuccato per bene e seduto su una delle panche di marmo ai margini del chiostro, spezzò l’imbarazzo. Il principe ridacchiava di gusto, l’attenzione catturata da una pagina de La Pulce nell’Orecchio.
 
- Hai capito il ragazzo! – Disse Justin fra sé e sé. Lisa sedette al fianco del tassorosso e gettò uno sguardo alla rivista.
 
- Cosa ci regala di tanto divertente, La Pulce? -
 
Kevin prese posto all’altro lato, occhieggiando anche lui il giornale.
 
- Pare che quest’anno attiveranno un corso extradisciplinare per la sicurezza. La questione di Sirius Black ha fatto letteralmente uscire fuori di testa il corpo docente, - Spiegò con rapidità Justin il quale, ghignando, puntò l’indice guantato di cashmere sul fondo di una notizia, che occupava buona parte della sezione “svago”. – Ma è questo che mi interessa davvero: leggete un po’ qui. -
 
Lisa sgranò gli occhi, eccitata dalle righe che si srotolavano sotto i suoi occhi:
- Sul serio?! Sarà una festa di Natale in grande stile! – poi si fece meditabonda – Per l’occasione devo procurarmi delle calosce nuove… magari anche una salopette di jeans. –
 
- Dolcezza, eviterei l’una e l’altra, se non ci tieni a far rabbrividire il mio povero e fragile cuore. – La schernì Justin. Kevin, al suo fianco, ridacchiò: - Non mi sarei mai aspettato una festa tanto eclatante, da parte sua… addirittura invitare tutta la scuola! -
 
- Il nostro ragazzone è molto meno ingenuo di quanto pensassimo, credo. Devo segnare l’appuntamento nell’agenda e ricordarmi di prenotare una passaporta in tempo; non vedo l’ora di affrontare l’esame di smaterializzazione, così la finirò di usare questi mezzi tanto scomodi. – Aggiunse Justin.
 
Kevin guardò con adorazione Lisa. Non le avrebbe fatto conoscere Norah, forse, ma avrebbe avuto l’occasione di partecipare con lei a una festa di proporzioni bibliche e pensò che si sarebbe assolutamente accontentato.
 
[Sala Grande, 22 dicembre 1993]
- Katie!
 
Il timbro inconfondibile della voce di Oliver le fece girare di scatto la testa; e la ragazza sorrise istintivamente mentre il Capitano, che si trovava a pochi passi da lei, la raggiungeva tenendo in mano un piccolo pacco sospetto.
 
- E questo cos’è?
 
- Un regalo per te. Per Natale – spiegò lui, ricambiando il sorriso. – Non mi sono ancora sdebitato per i guantoni, sai. – “Né per il resto” aggiunse mentalmente il ragazzo, arrossendo lievemente al ricordo del biglietto malandrino.
 
- Grazie di cuore, Oliver – Katie tese la mano per afferrare il pacchetto, gli occhi celesti illuminati di gioia. - Per pura educazione ti dovrei dire che non dovevi ma, in realtà, sono molto felice di questo tuo pensiero!
 
- Non aprirlo ora, però – l’ammonì Oliver, in tono serio. – Fallo quando sarai a Chicago, al termine del cenone. – “E pensami”, fu il suo pensiero implicito.
 
La ragazza assunse un’espressione di divertito corruccio.
- Sarà dura – ribattè, grattandosi il mento – dal momento che, quest’anno, il Natale lo passeremo tutti quanti in Scozia!
 
Oliver scoppiò a ridere.
- Fa lo stesso, Bell...
 
- E tu – gli domandò Katie, dopo che i due ebbero scambiato ancora qualche chiacchiera sulla bellezza di Edimburgo a Natale – che programmi hai per le vacanze?
 
- Niente di che – replicò lui, con un’alzata di spalle. – I miei vecchi sono in Nepal da un mese, sulle orme degli Yeti, e non faranno ritorno in Gran Bretagna per le Feste... quindi, credo proprio che me ne rimarrò qui ad Hogwarts, buono buono. Certo: Stonehenge è splendida sotto la neve ma, francamente, passare il Natale da solo in un cottage ad Amesbury è piuttosto deprimente!
 
Katie sgranò gli occhi.
- Casa tua... si trova vicino a Stonehenge? – gli chiese, sinceramente impressionata. – Ho sempre sognato di vederla: dicono sia il Cerchio Magico più potente dell’intera Gran Bretagna!
 
- E lo è – annuì Oliver, orgoglioso. – La mia famiglia discende dai druidi che l’hanno edificato e, da generazioni, se ne prende cura. E, se ti va di visitarlo, sei più che invitata!...
 
- Ti ringrazio. – Katie alzò di nuovo il viso per carezzarlo con lo sguardo e poi, senza pensarci troppo, gli propose quanto le era appena balenato per la testa: - Senti... a proposito di inviti: perché, invece di rimanertene qui ad Hogwarts solo soletto, non vieni su ad Edimburgo a trascorrere il Natale con noi?
 
Oliver si tinse di viola.
- Oh, beh – bofonchiò, imbarazzato. – Ma sai. Non vorrei disturbare...
 
- Ma cosa dici! – lo zittì subito lei. – Ci sarà mio fratello Carbry, quello che studia ad Ilvermorny... avete la stessa età, sono sicura che andrete d’accordo... e pensa, quest’anno sono riuscita a convincere anche Leanne ad unirsi a noi, quindi ci sarà pure lei...
 
- Davvero? – Oliver sapeva che la famiglia di Leanne era scomparsa durante la Guerra Magica, e che la ragazza era cresciuta in un orfanatrofio babbano. – Che bella notizia...
 
- Sì! – Katie era fermamente decisa a battere il ferro ancora caldo. – Ci divertiremo, dai!... E poi, per Capodanno, andremo tutti su alle Shetland per salutare il 1994 in compagnia dei McLaggen!...
 
Oliver rise di gusto nel vederla così infervorata.
- Mi hai convinto – le disse allora, riacchiappando agilmente il pacchettino, cosa che le strappò un’esclamazione di protesta. – Questo te lo ridò dopodomani sera, allora. Di persona, in quel di Edimburgo!
 
 ____________________________________________________________________________________________________________________
Carissimi partecipanti, bentrovati!
Questa volta il capitolo si è fatto attendere un po’ più del normale ma siamo certe che, alla luce dei tanti impegni che ci hanno oberate, non vi sarà difficile perdonarci.
Prima di tutto, ci teniamo a ringraziare di cuore coloro che hanno speso parte del loro tempo per recuperare i capitoli arretrati: veder valorizzato il nostro “lavoro” ci ha fatto molto, molto piacere, per cui grazie davvero!
Ringraziamo anche chi ci ha elargito pareri e consigli, rispetto ai quali speriamo di poter corrispondere come si deve. A questo proposito, in merito a chi ci suggeriva di tagliare a metà i capitoli per renderli meno corposi, ci teniamo a rispondere che abbiamo riflettuto a lungo circa l’opportunità di agire in questo modo ma che, alla fine, abbiamo deciso di mantenere il format normale, sostanzialmente per due motivi. Il primo è che, così facendo, riusciamo a dare spazio a tutti nello stesso capitolo, evitando così di pubblicare pezzi in cui alcuni personaggi non compaiono (cosa che, crediamo, non sia piacevole per nessun autore). In secondo luogo, riteniamo che la scadenza delle pubblicazioni sia talmente diluita da permettervi di leggere con tutta calma anche capitoli molto lunghi.
Ci terremmo anche a segnalare un caso piuttosto delicato, più che altro per esternare la nostra difficoltà di gestione in merito a certe situazioni. Siamo sicure che la maggior parte di voi comprenderà perfettamente il nostro discorso, ma ci sembra giusto mettere le cose in chiaro. Ragazzi/e, lavorare con 28 personaggi (più una sfilza di secondari) è molto, molto complesso! Per ciascuno dei ragazzi, nostri e vostri, oltre a curare la caratterizzazione, noi immaginiamo trame e sviluppi, molto difficili da portare avanti in assenza di riscontri. Quindi, se un autore scompare per mesi, noi ci sentiamo in diritto di eliminare il suo personaggio; poi, se tale autore si manifesta in corner (e, diciamolo, per pura fortuna, perché se avessimo pubblicato anche solo una decina di giorni fa, quando al capitolo mancavano solo le ultime rifiniture, il problema non si sarebbe posto!), noi chiaramente siamo tenute a rispettare le regole stabilite da noi stesse e a non escludere il personaggio in questione. Questo, però, a costo di parecchie grane dal punto di vista della trama e dei suoi sviluppi futuri. Soprattutto quando, palesemente, questa manifestazione tardiva manca di contenuti che ci aiutino a proseguire. Ora: qui nessuno mette in dubbio il fatto che, nella vita, esistano cose beeeeeeen più importanti da fare, che leggere fanfiction su efp; tuttavia ci verrebbe da dire che, se una persona non trova il tempo di farsi viva, neanche in privato, per più di tre mesi di fila, forse non è il momento giusto, per lei, di partecipare ad un’interattiva. Basta accettarlo serenamente... e siamo tutti a posto. Tutto questo per dire: noi l’impegno ce lo mettiamo, però davvero, il rispetto deve essere reciproco!
Detto questo, vi annunciamo che il prossimo sarà un Extra Chapter ambientato durante la famigerata Festa Natalizia... sì, proprio quella che rischia seriamente di non andare secondo i pieni iniziali del suo allegro ideatore. Come di consueto, se avete considerazioni e richieste a riguardo, forza e coraggio! fateci sapere tutto e noi faremo del nostro meglio per accontentarvi.
Un forte abbraccio!
A&B

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** PVs Extra Chapter! ***


PVs Extra Chapter!


Squadra Corvonero

Morag Roger Cho Vinnie
Lisa Mandy Stephen

Squadra Grifondoro


Oliver Alicia Katie
Angelina Jimmy Ritchie Demelza


Infortuni

Neil

Squadra Serpeverde

Gemma Marcus Astoria Graham Millicent
Sophie Draco


Squadra Tassorosso

Barry Kevin Maxine Heidi Megan Justin Cedric

Corollari più o meno importanti (lista work in progress!)


Daphne Anthony Elliott Bastian

Cari partecipanti, nuovamente bentrovati (a distanza di due giorni dall'ultima pubblicazione, sì!)
Siamo finalmente riuscite a mettere a posto le figurine, che ci erano state cancellate in seguito alla scomparsa di TinyPic. Alcune sono nuove nuove, altre si mantengono fedeli alla versione originale. In ogni caso, speriamo vivamente che vi piacciano!
Anche qui, qualsiasi suggerimento è il benvenuto. Se ci volete proporre un’immagine diversa, oppure un particolare soprannome, fateci sapere e noi provvederemo ad aggiornare. Un’altra cosa che, se vi va, potete fare, è suggerirci altri personaggi corollari da aggiungere alla nostra lista di secondari, che verrà ampliata secondo le vostre richieste (ma dovranno essere personaggi già nominati in precedenza, altrimenti aiuto).
 
A presto!!
A&B


 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3841358