La vita vera

di Old Fashioned
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Stimatissimi lettori,
questa è una storia su una grave forma di dipendenza, ovvero di Disturbo Patologico da Gioco d’Azzardo, DGA in termini tecnici.
Avrei voluto far partecipare la storia al contest di Soul Dolmayan, ma tra tempo scarso, necessità di studio (per scrivere questa storia) e ispirazione sempre ubriaca non ce l’ho fatta. La posto qui, sperando che possa interessarvi e ringrazio Soul per avermi fornito questo bellissimo spunto di scrittura.
Un paio di notizie folkloristiche: per scrivere questa storia ho interpellato operatori del settore, ho letto tonnellate di dispense e sono riuscito anche a infilarmi in un corso di aggiornamento per operatori del Ser.T.
Grazie a tutti coloro che vorranno passare per di qui e buona lettura!^^







LA VITA VERA





Capitolo 1

Alessandro Rizzelli, agente immobiliare della Diamond House, si guardò intorno per controllare che non ci fosse il titolare in giro, quindi aprì il browser e digitò la parola ‘Mercedes’ sul motore di ricerca. Comparvero decine di indirizzi: il sito ufficiale, una sfilza di concessionari, qualche forum dedicato.
L’uomo andò alla sezione immagini e selezionò la foto di un roadster color argento che sfrecciava su uno sfondo di grattacieli illuminati. La ingrandì fino a che essa non occupò tutto lo schermo.
A quel punto, lo sguardo sempre incollato alla macchina, si adagiò sullo schienale della poltrona girevole in pelle, allungò le gambe davanti a sé e mise le braccia dietro la nuca. “Da seghe,” mormorò con aria sognante.
Dalla porta provenne una voce: “Hai detto qualcosa, Ale?”
Guarda che bestia,” disse Rizzelli per tutta risposta.
La voce prese un tono vagamente allarmato. “C’è una bestia?”
Ma no, idiota. Mercedes-AMG GT Roadster, cinquecento cavalli, quattromila di cilindrata, da zero a cento in meno di quattro secondi: è questa la bestia.”
L’altro lo raggiunse, si piegò verso il monitor e osservò la potente vettura. “Vuoi cambiare macchina?” s'informò.
Rizzelli emise un sospiro. “Eh, magari. Chi me li dà i soldi per questa?”
Perché, quanto costa?”
Come l’appartamento che hai venduto ai Borghi.”
Il collega emise un fischio di meraviglia.
Senza contare che è un due posti secco. Dove le metto le figlie?”
Non hai detto che l’anno prossimo vanno a studiare all’estero? Aspetti che partano e poi la compri per te e tua moglie.”
E bravo,” replicò sarcastico Rizzelli. “E poi come gliela pago l’Università in America a quelle due?” Scosse la testa con fare sconsolato. “Lascia perdere, è un gatto che si morde la coda.” Mimò il gesto di contare i soldi e soggiunse: “Senza questi, niente macchina. “
Tua moglie?” azzardò l’altro.
Il primo alzò le spalle. “A parte che Laura con quel suo negozietto tanto prende e tanto spende, le serve giusto per pagarsi gli sfizi, e poi non le piacciono le sportive, dice che non ci sta niente, quindi figurati se le interessa comprarla.” Si voltò di nuovo verso il monitor, che però era entrato in risparmio energetico e mostrava solo il logo della Diamond House che scorreva. “Dovrei prenderla come seconda macchina, ma chi ce li ha tutti quei soldi?”
Non ne avete già due?”
Intendevo seconda macchina mia.”
Quanto paga di bollo quell’affare?”
Eh, siamo sempre lì,” replicò amareggiato Rizzelli. “Soldi. Servono più soldi.”
Mia nonna diceva che i soldi sono l’acqua del mare: più ne bevi e più hai sete.”
Per tutta risposta, Rizzelli canticchiò: “Mare mare mare, voglio annegare...”
Lo squillo del telefono interruppe l'esibizione canora. L'uomo volse lo sguardo all'apparecchio, alzò le sopracciglia e disse: “Cazzo, è quello della SoverData!” Istintivamente si raddrizzò sulla sedia e si sistemò il nodo della cravatta, quindi sollevò la cornetta e in tono professionale disse: “Diamond House, buongiorno. Sono il dottor Rizzelli.”

Rizzelli abbassò pensoso la cornetta. Si passò una mano fra i capelli, di nuovo si sistemò il nodo della cravatta, quindi aprì il browser e digitò la parola 'casinò'. Gli apparve una sfilza di siti sui casinò on line, perlopiù infarciti di termini come 'Super Bonus' o '200 spin gratis', poi qualcosa su Casino Royale e Las Vegas. Gli unici dati che in ogni sito ricorrevano erano cifre in denaro: milletrecento euro vinti, mille euro di bonus, duecento euro gratis...
Alzò la testa e si voltò verso la porta. “Robbi!” chiamò.
Si udì un tramestio, poi il collega si affacciò. “Che c'è?”
Roberto, sei mai stato in un casinò?”
L'altro corrugò la fronte. “Eh?”
Non un casino,” precisò Rizzelli con un sorrisetto. “Intendo proprio un casinò. Roulette, black Jack... quella roba lì, insomma.”
L'altro scosse la testa. “Perché?” chiese poi.
Il tizio della SoverData vuole che ci vada con lui. Per discutere l'affare, ha detto.”
Al casinò?”
Rizzelli alzò le spalle. “Per il rustico di Montorsi, l'affare l'ho discusso dentro e fuori da un pollaio, mentre il proprietario dava il becchime alle galline.”
E quando sei tornato in sede hai sparso merda di pollo dappertutto.”
Ho anche sparso un bel po' di soldi nel conto della Diamond House, se è per questo,” ribatté Rizzelli piccato. Tacque per qualche istante, scorrendo di nuovo con lo sguardo l'elenco di casinò on line che il motore di ricerca proponeva, poi quasi parlando fra sé e sé disse: “Ma si vince, poi?”
Alle sue spalle, Roberto disse: “Dubito che i casinò siano associazioni filantropiche.”
Rizzelli si voltò a fissarlo. “In che senso?”
In che senso?” ripeté l'altro, imitando la celebre battuta di Verdone. “Nel senso che se esistono è per guadagnarci, non per regalare soldi in giro, non ti pare?”
Ma qualcuno vincerà, no?”
Fidati, Ale: quel qualcuno non sei tu.”
L'altro assunse di nuovo l'espressione piccata. “E perché non dovrei essere io?”
Lo sai quante sono le probabilità di fare una grossa vincita al casinò? Le stesse che ho io di andare a letto con Miss Mondo.”
Così poche?”
Vaffanculo, Ale.”

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Sulla via di casa, al volante di una berlina che mai come quel giorno gli pareva un tristo esempio di 'vorrei ma non posso', Alessandro Rizzelli rifletteva sui casinò. Nonostante le parole del collega, l'unico mantra che continuava a risuonargli in mente era: soldi, molti soldi, soldi facili. Bastava mettere un po' di fiche nella casella giusta, ed ecco che le avrebbe viste crescere magicamente, come la mitica pianta di fagioli della favola.
Montagne di fiche, e quindi montagne di soldi.
Fece scorrere lo sguardo sulla finta radica del cruscotto, sulla plastica cromata delle finiture, che qua e là stava cominciando a perdere il lucido, e sulla valigetta 24 ore che si trovava sul sedile del passeggero, piena essenzialmente di soldi altrui, che lui poteva solo vedersi passare sotto il naso.
Mare mare mare, voglio annegare...” canticchiò di nuovo.
Azionò il telecomando, sul cancello di una villetta a schiera cominciò a lampeggiare una luce gialla. Rizzelli fissò l'edificio come il più critico dei suoi colleghi avrebbe potuto guardare un tugurio d'anteguerra spacciato per 'suggestivo appartamento in stile con atmosfera d'antan'.
Bella merda,” borbottò. Ripensò alla proprietà per cui era in trattative con la SoverData: una villa del settecento di più di mille metri quadri, con tre ettari di parco all'inglese, piscina e spa. I pavimenti erano tutti di marmo, su molti dei soffitti c'erano affreschi. Il più merdoso dei mobili di quel posto costava da solo come tutti quelli che c'erano in casa sua.
Sospirò. Aveva intrapreso la professione di agente immobiliare con l'idea che dopo aver smerciato un po' di quelle lussuose dimore sarebbe stato in grado di comprarne una per sé. Per un po' era andata anche bene: i soldi arrivavano ed erano molti, tant'è che aveva potuto acquistare se non proprio una villa, almeno una villetta a schiera di duecentocinquanta metri quadrati, di testa, con finiture di pregio, garage, cantina e un bel giardino. Ognuna delle sue figlie aveva una camera tutta per sé, in taverna c'era l'home theatre, sua moglie aveva allestito in mansarda un laboratorio di roba da donne, tipo découpage e pasta di sale, dove si trovava con le sue amiche. C'erano la lavanderia, la dispensa e anche il barbecue per l'estate.
Mentre il basculante del garage si alzava, rivelando la monovolume di Laura già parcheggiata, egli ricominciò a canticchiare la canzone di Battiato.

In cucina la tavola era apparecchiata, nell'aria c'era odore di sugo alla pizzaiola. Rizzelli ripensò al ristorante stellato dove aveva pranzato con un cliente il giorno prima. Si accertò che sua moglie fosse girata di spalle, quindi arricciò il naso con espressione schifata. “Ciao, amore,” salutò poi in tono da marito delle pubblicità. “Com'è andata in negozio?”
Laura si girò asciugandosi le mani sul grembiule. Scosse la testa per gettare i capelli all'indietro e rispose: “Ah, come al solito. Entrano, guardano e poi dicono che ci penseranno.” Crollò poi il capo con fare critico e soggiunse: “Ma non si possono certo pagare il lusso e l’eleganza come la roba dei cinesi, non ti pare? Se sanno di non avere i soldi, è inutile che entrino.” Raccolse dal piano del mobile il mucchiettino scintillante dei gioielli, che regolarmente si toglieva per fare le faccende, e prese a indossarli con gesti disinvolti. “E a te com'è andata, tesoro?”
Tutto bene,” rispose l'uomo, quindi si guardò intorno e chiese: “Chiara e Serena dove sono?”
Sono andate a mangiare la pizza con le altre ragazze della danza.”
Laura frattanto aveva finito di infilarsi i numerosi anelli e si stava agganciando al polso un braccialetto fatto con quei brillantini di cui non gli era mai riuscito di pronunciare il nome, ma che sembravano far impazzire sia lei che le ragazze.
Starò via per qualche giorno,” le annunciò.
La donna sollevò lo sguardo dal monile e lo fissò nel suo. “Dove vai?” gli chiese.
È per lavoro. Ho un grosso affare in ballo e non posso scontentare il cliente. Anzi, non è che domani mi porteresti in lavanderia il completo che avevo al matrimonio di Anna e Fabio?”
L’altra sollevò le sopracciglia meravigliata. “Dov’è che devi andare, dal Presidente della Repubblica?”
Rizzelli fece un sorrisetto. “Molto meglio: andiamo a Portorose.”
Sarebbe?”
Al casinò.”
Oh, al casinò,” ripeté estasiata la moglie.
Niente male, eh?”
Vorrei venirci anch’io, dev’essere stupendo. Ci saranno un sacco di donne con vestiti da sera bellissimi.”
Di nuovo Rizzelli sorrise. “Se l’affare va in porto, ti prometto che ci torniamo insieme.”
Gli occhi di Laura si illuminarono. “Allora mi devo comprare un abito lungo! E naturalmente anche le scarpe e la borsa.” Si guardò le mani. “Mi servirà anche qualcosa di più elegante...”
Piano, piano,” la fermò l’uomo, che di richieste del genere se ne sentiva rivolgere a ogni occasione che si discostasse appena dalla quotidianità, “prima devo concludere l’affare.”
Quanto frutterà?” chiese Laura.
Rizzelli colse la sua espressione attenta e pensò che le mancavano solo gli occhi fatti a dollaro. “È una grande proprietà,” disse, stando ben attento a mantenersi sul generico. “Sicuramente la Diamond House ne ricaverà un bel gruzzolo.”
E quanto sarà la nostra… la tua parte?”
Ancora non lo so,” tagliò corto Rizzelli, “dipende da quello che riuscirò a spuntare da quelli della SoverData.”
Fa’ una giocata alla roulette per noi due,” gli suggerì allora Laura, abbassando il tono della voce a un mormorio complice.
Non so se ne avrò l’occasione,” si difese l’uomo, ma l’altra, imperterrita, proseguì: “Gioca il giorno del nostro matrimonio, sul rosso.” La voce si abbassò ulteriormente, gli occhi ebbero un brillio malizioso. “Il colore della passione.”
Laura...”
Le ragazze torneranno fra qualche ora, abbiamo tutta la casa per noi...”

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Alessandro Rizzelli uscì dalla Limousine del titolare della SoverData e si trovò di fronte al casinò di Portorose. Una volta saputo che ci sarebbe andato, l’aveva studiato ben bene in internet, ma ugualmente guardandolo provò una sorta di strana esaltazione. Era ormai buio, ma l’edificio era illuminato praticamente a giorno. A lato della porta di entrata si trovava un usciere in livrea, che apriva l’anta al passaggio degli ospiti. Nella hall, in stile moderno, coperta di moquette a colori vivaci e con lampadari enormi che pendevano dal soffitto, vide sfilare due ragazze. Una era bionda, magra, col seno piccolo e sodo come piaceva a lui. Portava una minigonna argentata, dalla quale uscivano gambe lunghissime e snelle. Ancheggiava lieve sui tacchi alti.
L’altra era mora, più bassa ma più formosa, ed era fasciata in un abito nero lungo fino ai piedi, che ondeggiava tutto quando lei camminava, mettendo in risalto le sue curve.
Fece mente locale e realizzò che donne così belle ne aveva viste sui giornali e sui cartelloni pubblicitari, ma mai dal vero. Si chiese se fossero delle top model.
Un rombo attirò la sua attenzione. Si girò e vide sfrecciare sul viale un bolide rosso. Ebbe un tuffo al cuore: Mercedes-AMG GT.
Alla vettura si accodò una Porsche Turbo nera ed entrambe guizzarono via come squali, mentre le luci si riflettevano sulle carrozzerie a specchio e il rumore dei potenti motori faceva tremare l’aria.
Immaginò se stesso a bordo della Mercedes, magari con la bionda accanto.
Fantastico,” disse fra sé e sé.
Le piace?” chiese una voce al suo fianco.
Rizzelli quasi trasalì. “Mi scusi, dottor Clerici,” disse in fretta, obbligandosi a distogliere l’attenzione dalle macchine sportive e a riportarla sul titolare della SoverData. “Certo che mi piace, è tutto molto bello.”
Non era mai stato in un posto del genere?”
L’agente immobiliare tentennò. Cosa sarebbe stato opportuno rispondere? La verità, ovvero che non ci aveva mai messo piede, oppure una menzogna che in qualche modo lo facesse apparire vagamente simile a un uomo di mondo?
Il lavoro ha sempre assorbito tutte le mie energie,” si decise a dire, “quando torno a casa sono così stanco che mi rilasso un po’ con la mia famiglia e vado subito a letto.”
Clerici, un uomo alto e imponente, con un completo di sartoria e l’aria genericamente danarosa, sorrise con fare indulgente, gli batté una mano sulla spalla e disse: “Non sia sempre così ligio, carissimo. Un uomo si deve anche divertire ogni tanto, non le pare?”
Rizzelli non fece nemmeno troppa fatica a mostrarsi accondiscendente. “Certo, dottor Clerici,” confermò.
Allora venga, entriamo. La SoverData le offre cinquecento euro di fiche. Cosa preferisce, roulette, black Jack, chemin de fer, baccarat, poker?”
Ecco, veramente...”
Ah già, dimenticavo: non è mai stato al casinò. Ma non si preoccupi: le spiegherò tutto io. Le farò da cicerone.” Si mosse risoluto verso l’entrata, Rizzelli notò che l’usciere gli stava già tenendo aperta la porta.
Buona sera, dottor Clerici,” disse l’uomo al loro passaggio, rivolgendo a entrambi un deferente inchino del busto.
Caro Stjepan, come va? Tutto bene a casa?”
Sì, grazie, dottore.”
Clerici trasse dal taschino una banconota che nel guizzare dei neon colorati parve a Rizzelli da cinquanta euro. La piegò in due e la tese all’usciere, che nuovamente si inchinò.
Andiamo,” disse poi disinvolto, “i tavoli da gioco ci aspettano.”

Entrare nella sala principale fu per Rizzelli come essere catapultato in un altro mondo. Un mondo più bello, per la precisione, un mondo pieno di lusso e ricchezza. Il soffitto era piuttosto basso, nero, punteggiato qua e là di luci come una specie di cielo stellato. Per terra c’era una moquette a disegni tipo damasco gialli e rossi, lungo le pareti baluginavano i monitor delle slot e delle VLT. Nella parte centrale dell’enorme locale vi erano tavoli verdi intorno ai quali si assiepavano uomini e donne elegantemente vestiti.
Sul discreto cicaleccio che aleggiava ovunque riconobbe, più che altro per averlo sentito in qualche film, il ticchettio della pallina di una roulette, e si trovò a trattenere il respiro con aspettativa.
Rivide, o gli parve di rivedere, le due ragazze di prima.
Notò poi una giovane donna di colore altissima e snella, con un abitino azzurro pallido e bracciali d’oro che risaltavano sulla pelle scura. Si muoveva lenta e sinuosa.
Quella è la nostra Naomi Campbell,” disse alle sue spalle Clerici. Poi, a voce più alta: “Ciao, Opeyemi.”
Senza fermarsi, la ragazza gli rivolse un languido cenno di saluto. “Ciao, ‘Tonio,” rispose, la voce appesantita dall’accento straniero. Sorrise facendo baluginare i denti bianchissimi.
Ciao, cara, ciao,” disse Clerici agitando a sua volta la mano, poi si voltò verso Rizzelli. “Una puttana,” spiegò disinvolto. “È piuttosto costosa, ma li vale tutti.”
L’agente immobiliare tossicchiò imbarazzato. “Immagino,” borbottò, più che mai certo di star facendo la figura del borghesuccio provinciale.
Apparentemente insensibile al suo disagio, Clerici lo sospinse in avanti. “Ma venga, venga, carissimo. La notte è ancora giovane, non è così che si dice?”
Immagino di sì.”
L’uomo fece una risata. “Lei immagina troppo, mio caro. È ora di dare una nota di concretezza alla serata: andiamo a prendere le fiche.”

Rizzelli soppesò le proprie fiche: dieci pile da cinque che sembravano quelle di zio Paperone. Era buffo pensare che quei cinquanta dischetti di plastica fossero il corrispettivo di cinquecento euro. Visti così avevano l’aria inoffensiva, sembravano quasi i giochi dei bambini.
Eppure, gli sussurrò una vocina, proprio quegli innocenti balocchi – posseduti in quantità sufficiente – gli avrebbero dato la possibilità di comprarsi quello che voleva: la Mercedes, ad esempio, e magari anche la bionda da mettere sul sedile del passeggero.
Raccolse una delle dieci pile, se la sparse nel palmo della mano. Il clicchettio dei dischetti di plastica gli parve un suono inebriante, magico. Era il suono della libertà, perché chi è ricco fa quel che vuole e non deve rendere conto a nessuno.
Volse lo sguardo verso Clerici, che stava prendendo in consegna una quantità considerevolmente maggiore di fiche. Osservò che le sue erano più grandi e anche di colore diverso. Notando che le guardava, l’uomo gli disse: “Queste sono da cento euro. Mi sarebbe dispiaciuto fargliene avere solo cinque, per cui ho ordinato per lei quelle da dieci euro.” Gli rivolse un sorriso che aveva una vaga nota di complicità, quindi gli chiese: “Danno una bella sensazione, vero?”
Indubbiamente,” ammise Rizzelli.
Clerici a quel punto in tono dotto recitò: “Per quanto sia ridicolo che io mi aspetti tanto dalla roulette, mi sembra ancora più ridicola l’opinione corrente, da tutti accettata, che è assurdo e stupido aspettarsi qualcosa dal gioco. Perché il gioco dovrebbe essere peggiore di qualsiasi altro mezzo per fare quattrini come, per esempio, il commercio? Vero è che su cento, uno solo vince, ma a me che importa?” Fece una pausa. “Sa chi lo disse?”
Veramente no.”
Ma Dostoevskij, mio caro. Non ha mai sentito parlare di Dostoevskij? Delitto e castigo, I fratelli Karamazov, ma soprattutto Il giocatore. L’ha mai letto, lei, Il giocatore?”
Veramente no, dottor Clerici,” rispose Rizzelli, augurandosi che il suo potenziale acquirente non fosse un fanatico della letteratura che concludeva gli affari a seconda della cultura della controparte.
Beh, non fa niente,” replicò con suo sollievo l’altro, sospingendolo in avanti con una pacca sulla spalla. “Siamo qui per divertirci, non per fare un’interrogazione, dico bene? Ce le ha le sue fiche?”
Sì, certo.”
Molto bene, carissimo, allora andiamo. Roulette, giusto?”

Il croupier gettò la pallina all’interno della roulette in movimento. La piccola sfera si incuneò immediatamente nel binario e lì prese a scorrere velocissima.
Rizzelli trattenne il fiato. Tentò anche, per quanto poteva, di seguirne i movimenti, ma essi erano così rapidi che quasi subito ne ricavò una specie di vaga nausea.
La roulette cominciò a rallentare, la pallina abbandonò il binario, scese, rimbalzò su una losanga e cadde nell’anello dei numeri.
L’uomo puntò le mani sul panno verde come per alzarsi. Tese tutti i muscoli della schiena.
La pallina fece qualche altro rimbalzo, saltò da una casella all’altra e infine esaurì la sua energia in una di esse.
Sette rosso!” annunciò il croupier.
Ci furono mormorii di disappunto, qualche esclamazione, una contenuta manifestazione di gioia da parte di qualcuno che aveva puntato sulla prima dozzina.
Rizzelli si rilassò sulla sedia, rendendosi conto che per tutta la corsa della pallina aveva trattenuto il fiato.
La voce di Clerici lo distrasse: “Beh, che ne dice? È bello, vero?”
Bellissimo,” esalò l’agente immobiliare, realizzando subito dopo che nemmeno quando aveva fatto l’amore per la prima volta aveva provato un’emozione del genere. Gettò un’occhiata al croupier che raccoglieva le puntate di chi non aveva vinto, quindi anche la sua, e gli parve che fosse una cosa di poca importanza, un prezzo tutto sommato equo, per l’esperienza che aveva appena vissuto.
Inspirò un paio di volte socchiudendo gli occhi, quindi rivolse lo sguardo al panno verde e cominciò a disporre fiche nelle varie caselle. Eccitazione e aspettativa crescevano di attimo in attimo, l’adrenalina gli dava la sensazione che una corrente elettrica gli percorresse le membra. Si rese conto che le dita gli formicolavano.
Pensò fugacemente alla richiesta di Laura, ma non gli riuscì di ricordare la data del loro matrimonio. Puntò sui numeri che gli piacevano di più.
Rien ne va plus!” annunciò il croupier, “Les jeux sont faits.” Azionò la roulette e vi fece cadere la pallina, che subito si inserì nel binario e prese a girare così veloce da risultare alla vista solo come una sbiadita pennellata bianca.
Una scelta vintage,” apprezzò Clerici.
Rizzelli si voltò a fissarlo. “Domando scusa, dottore?”
Quelle frasi ormai si sentono solo nei film. È come dire 'passo e chiudo' nelle comunicazioni radio.”
L'agente immobiliare non rispose. Comunicare via radio significava avere a che fare con navi o aerei: di sicuro quel Clerici aveva uno yacht, o magari anche più d'uno. Fissò di nuovo lo sguardo sulla pallina: se fosse caduta nella casella giusta, le sue fiche sarebbero raddoppiate o triplicate – non aveva ancora capito come funzionassero le vincite – senza alcuna fatica da parte sua, se non sopportare un po' di adrenalina, che poi alla fine era anche piacevole.
Dieci nero,” annunciò il croupier.
Rizzelli sentì il cuore saltare un battito: aveva giocato il suo giorno di nascita, con il colore che gli sarebbe piaciuto per la Mercedes, ed era uscito!
In un generale mormorio di sorpresa, il croupier spinse verso di lui una montagna di fiche.
Clerici annuì compiaciuto e commentò: “Che fortunello!”
Sono tutte mie?” chiese Rizzelli stupefatto.
Ma certo. Lei ha fatto en plein: vince trentacinque volte la somma puntata.”
L'altro rimase per un po' a fissare come ipnotizzato quel mucchio di dischetti colorati. Ne aveva messi tre sulla casella, il suo numero fortunato, quindi in pratica ne aveva ricevuti indietro altri centocinque. Il che significava che in un quarto d'ora di svago aveva raddoppiato il capitale in suo possesso. Ah, se avessi puntato di più, non poté fare a meno di pensare. Ed elencò mentalmente tutto quello che avrebbe potuto permettersi con quei soldi inaspettati.
La voce di Clerici lo distrasse dalle sue meditazioni: “Beh, che fa, vuole smettere?”
Rizzelli accarezzò il mucchio di fiche che aveva vinto e d'impulso rispose: “No di certo.”
Così mi piace!” apprezzò il titolare della SoverData. “Lei è uno che ama il rischio, è uno che ha fegato.” Si interruppe brevemente, poi in tono critico soggiunse: “Di solito, la gente che porto qui se ne scappa appena è riuscita a raggranellare un gruzzoletto.”
Non capisco perché,” mormorò Rizzelli, mentre in una specie di trance faceva scorrere lo sguardo sul tavolo. Si chiese se ci fosse qualcosa come un fluido, o qualche misteriosa capacità divinatoria alla quale si potesse fare ricorso per indovinare le puntate. Il dieci nero era stato un caso, oppure nell'operare quella scelta aveva inconsapevolmente messo in atto capacità che avrebbe potuto riconoscere e affinare per future vincite?
Si concentrò, gli parve che qualcosa lo attirasse verso il sedici rosso. Spostò un bel mucchietto di gettoni colorati su quella casella.
Les jeux sont fait,” annunciò neutro il croupier, facendolo quasi trasalire.
La pallina scese nella roulette, fece due rimbalzi, subito si inserì nel binario. Rizzelli deglutì, strinse i denti mentre il cuore gli martellava nel petto. Se avesse vinto, si sarebbe beccato settecento fiche, quindi settemila euro, quindi quella famosa vacanza alle Seychelles che voleva fare da tanto, oppure quel televisore da sessantacinque pollici...
Ventidue nero,” proclamò il croupier.
Rizzelli trasalì e quasi ebbe la sensazione di essere stato in qualche modo fregato, anche se non sapeva bene come e da chi. Cosa era andato storto? Perché il fluido stavolta non aveva funzionato?
Masticò un'imprecazione, poi di nuovo abbassò gli occhi sul proprio capitale: in fin dei conti aveva perso solo venti fiche, aveva tutte le possibilità di rifarsi.

Eh, la roulette è così,” osservò Clerici con fare filosofico, mentre si dirigevano all'uscita. “Si vince tanto, ma si perde anche tanto. È riuscito a conservare qualcosa?”
Due fiche,” rispose Rizzelli. Dal palmo della mano i dischetti sembravano fissarlo come occhi. Egli pensò che avevano un'espressione impertinente, come di un monello che ha appena fatto uno scherzo ben riuscito, ma anche carica di promesse. “Chi non risica non rosica,” udì se stesso dire.
Così mi piace,” apprezzò Clerici. “Un uomo che sia un uomo deve saper rischiare. Quanto ha detto che chiede la Diamond House per quella proprietà?”
Rizzelli snocciolò l'importo. L'altro annuì con l'aria di chi considera il prezzo tutto sommato equo.
Sempre parlando fra loro si diressero al banco delle fiche e l'agente immobiliare si trovò con una banconota da venti euro in mano. A quel punto, il fluido ricominciò a farsi sentire.
Indicò una VLT. “Come funzionano quelle, dottor Clerici?”
L'uomo glielo spiegò.
Egli si avvicinò al terminale, fece scivolare nell'apposita fessura i venti euro, quindi spinse un tasto su cui era scritto 'Play'. Immagini di ispirazione egizia presero a combinarsi in vario modo sullo schermo, ma non successe molto altro.
Premette di nuovo il tasto, le figure scorsero dall'alto verso il basso imitando i rulli di una slot machine.
Ancora niente. Qualche musichetta, i soliti disegni di occhi di Ra e scarabei sacri.
Play.
Niente.
Play.
Niente.
Ultima giocata,” lo avvisò Clerici, che in piedi dietro di lui stava seguendo la partita.
Rizzelli premette il tasto, le figure scorsero e si combinarono, si creò un disegno diverso da tutti i precedenti. La macchina si illuminò più intensamente, cominciò a emettere suoni e jingle, sullo schermo comparve una cifra che cominciò a crescere.
Ma guarda un po'!” esclamò Clerici.
Rizzelli si girò verso di lui. “Che succede?”
Ha vinto, carissimo.” Si sporse verso il monitor. “La Fortuna le ha ridato quello che le aveva preso con la roulette.”
I numeri avevano smesso di aumentare e la cifra stava lampeggiando al centro del display: novecentocinquanta euro.
Che fa, prosegue?”
Lo sguardo fisso sulla somma, l'agente immobiliare scosse la testa.
Clerici premette un altro pulsante, la macchina emise un talloncino stampato. “Con questo va alla cassa,” spiegò l'uomo.

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Grandi notizie!” lo accolse Roberto al suo rientro in sede, “La SoverData compra!”
Davvero?”
Ha telefonato uno poco fa: si pigliano Villa Arzilla e tutto il parco, al prezzo che chiedevamo. Il titolare non ci voleva credere. Complimenti, Ale!”
Rizzelli rimase in silenzio, più che altro perché stava calcolando la commissione che gli sarebbe spettata alla vendita del prestigioso immobile: era un bel gruzzolo.
Bello, sì, ma di certo nulla che fosse in grado di cambiare la sua vita. E poi ci avrebbe immediatamente messo su le grinfie Laura, e allora rinnova di qua, sistema di là, compra su e compra giù... come al solito si sarebbe dovuto accontentare delle briciole.
Sorrise fra sé e sé: quando era rientrato da Portorose era stato ben attento a non fare parola dei novecentocinquanta euro. Sulle prime perché gli era venuta l'idea di far una sorpresa a sua moglie, qualcosa tipo un week end romantico in qualche località di sogno, e poi semplicemente perché quei soldi erano suoi. Li aveva vinti lui, erano un regalo che la Fortuna aveva voluto elargirgli.
A lui, non a chiunque avesse voglia di attingervi.
Era stato anche bello ottenerli: ricordava ancora il brivido, l'aspettativa, il cuore che andava a mille...
Si era sentito vivo, potente.
Tirò fuori il telefonino – non era bene che certe cronologie rimanessero salvate nel server della ditta – e cercò le sale giochi in zona.




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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Salve a tutti,
seconda parte del mappazzone. Come sempre grazie a tutti coloro che mi hanno seguito fin qui, grazie a chi mi ha messo in qualche lista e un grazie speciale a chi mi ha lasciato anche un parere^^








Capitolo 2

Rizzelli fece scivolare una banconota da venti euro – l'ultima – nella VLT.
All'inizio era stato più che altro un esperimento: entro in una sala da gioco e vedo com'è fatta. Ci era sempre passato davanti, dedicando non più di un'occhiata distratta a quei luoghi dalle vetrine oscurate, in cui la gente si infilava come se entrasse in un night club dalla fama equivoca.
La prima volta ci era rimasto poco più di dieci minuti, aveva maldestramente perso una ventina di euro e poi era uscito, ma l'esperienza gli aveva lasciato dentro una strana sensazione di vuoto, di occasione mancata. L'idea che forse la macchina stava per pagare e lui aveva mancato per un soffio la possibilità di essere il beneficiario di una grossa somma.
La volta dopo era rimasto di più: la perseveranza aveva dato i suoi frutti e la macchina gli aveva elargito trecento euro.
Poi aveva continuato a frequentare il posto. Pian piano stava cominciando a conoscere le macchine. Chiaramente chi le gestiva aveva tutto l'interesse a dire che il loro funzionamento era completamente standardizzato, ma chiunque avesse anche una minima esperienza di gioco sapeva bene che le cose in realtà non stavano così. C'erano mille piccoli segni che potevano essere interpretati per sapere se la macchina avrebbe pagato o no: il suono che la moneta faceva cadendo nel serbatoio, la velocità di risposta ai comandi, il tempo trascorso dall'ultimo pagamento e così via.
Quelli erano segreti, che ogni giocatore elaborava con l'esperienza e perlopiù teneva gelosamente per sé.
Anche lui stava cominciando a mettere insieme il suo personale bagaglio di conoscenze in merito.

Giocò fino a che il credito non fu esaurito, poi meccanicamente aprì il portafoglio, solo per trovarlo vuoto.
Si guardò intorno e scrutò quasi con invidia gli altri avventori della sala, che avevano ancora soldi da giocare.
Perché lo sapeva, lo sentiva: ci mancava tanto così e avrebbe vinto. Bastava guardare il display, del resto: tutte le VLT erano in rete e sullo schermo, in alto, c'era una cifra che indicava il montepremi raggiunto. Bastava poco, pochissimo, e avrebbe fatto il colpo grosso. Di nuovo guardò il portafoglio, ma non c'era dentro altro che qualche vecchio scontrino. Nelle tasche aveva solo pochi spiccioli.
Estrasse il bancomat, ma non si mosse: nella sala c'erano solo pochi avventori, ma se l'avessero visto correre via avrebbero capito che la macchina stava per pagare, e di certo avrebbero approfittato della sua assenza per rubargli il posto e la vincita.
Abbandonò con finta noncuranza lo sgabello, salutò il gestore e uscì. Solo quando fu certo che nessuno potesse vederlo scattò di corsa, si infilò nella prima banca che incontrò e si precipitò sul bancomat come un affamato su una tavola imbandita.
Estrasse la tessera con mani tremanti, la infilò nell'apposita fessura e digitò il codice. L'apparecchio gli chiese l'autorizzazione a inoltrare la richiesta alla sua banca, gli fece presente che ci sarebbe stata una commissione.
Rizzelli accettò con una mezza imprecazione, infastidito dai secondi preziosi che stava perdendo.
Alla fine comparve la richiesta di inserire la cifra. Cinquecento euro, digitò lui d'impulso, poi ci ripensò, cancellò e scrisse settecentocinquanta.
Diede l'invio, rimase ad attendere spostando il peso da un piede all'altro mentre l'apparecchio contava i soldi.
Si ficcò in tasca tessera e banconote, si fiondò fuori dalla banca e corse alla sala giochi. Da una fessura scrutò all'interno: la sua VLT era ancora vuota. O era già vuota? Sentì il cuore saltargli un battito: e se mentre era via qualcuno ci si era seduto, aveva giocato e la macchina aveva pagato?
Scrutò di nuovo la sala: non sembrava vi regnasse una particolare eccitazione. Gli avventori erano anzi meno di prima, data l'ora tarda, e ormai anche gli ultimi irriducibili stavano andando a casa.
Controllò l'orario e sollevò le sopracciglia, tuttavia entrò, sedette sullo sgabello e introdusse i primi cinquanta euro nella macchina.
Mi rifaccio della perdita, disse fra sé e sé. Due giocate e vado.

Si chiude,” disse una voce, facendolo trasalire.
Si girò di scatto e si trovò faccia a faccia con il gestore della sala. A parte loro non c'era più nessuno, tutte le altre macchine erano spente.
Un'ultima giocata,” implorò. La VLT stava per pagare, se lo sentiva. Sarebbe bastato pochissimo e poi...
Stiamo chiudendo,” lo gelò il gestore.
Cinque minuti,” pregò Rizzelli, “due minuti!”
Mi dispiace, gli orari sono affissi alla porta, e poi non voglio noie col Comune.”
Domattina a che ora aprite?”
Otto e mezza.”
Bene, senta, io domattina sono qui appena aprite, e voglio quella VLT per me, d’accordo?”
L'altro non parve particolarmente colpito. “Va bene. Ora vada, però.”
Rizzelli si ritrovò in strada. Guardò l'orologio: erano le ventitré. Tirò fuori dalla tasca il cellulare e trovò sette chiamate di sua moglie. “Merda,” imprecò fra sé e sé. Non se n'era nemmeno accorto: eppure non aveva la suoneria silenziata e teoricamente ogni chiamata avrebbe dovuto essere accompagnata da una decisa vibrazione.
Chiamò Laura: “Pronto, amore?”
Alessandro! Sono ore che ti cerco, stavo per telefonare ai Carabinieri. Dove sei?”
Sto arrivando a casa.”
Ma dove sei?”
Amore, ero in ufficio. Ero talmente preso dal lavoro che non ho fatto caso all'orario.”
Ti ho chiamato un sacco di volte!”
Sì, scusami, tesoro. Avevo tolto la suoneria per lavorare con maggiore concentrazione.”
Ma ho chiamato anche in ufficio, mi ha riposto la segreteria telefonica.”
Rizzelli emise un sospiro. “Lo so, amore, scusami. È che sono dietro a un grosso affare, non posso trascurare il cliente.”
Allora eri fuori con qualcuno?”
Tesoro, ti ho detto che sto seguendo dei clienti. Lo sai come sono i clienti, soprattutto i nostri. Se li scontenti rischi di perdere l'affare, e scontentare certa gente è un attimo.”
La donna rimase in silenzio per un po', quindi in tono di rimprovero disse: “Potevi almeno mandarmi un messaggio.”
Ti prometto che la prossima volta lo farò,” le assicurò Rizzelli.
Vieni a casa?”
Dieci minuti e sono lì, amore.”
L'uomo riattaccò e saltò in macchina. Fermo a un semaforo, frugò nella tasca dove aveva ficcato soldi e bancomat: ne trasse la tessera di plastica e cinquanta euro. “E gli altri?” disse ad alta voce.
Qualcuno gli si era avvicinato mentre giocava? Magari aveva approfittato della sua distrazione? Se non aveva sentito il telefono, di certo non poteva essersi accorto di qualcuno che gli metteva le mani in tasca.
Il suono iroso di un clacson lo riportò bruscamente alla realtà. Ingranò la prima e ripartì, sempre pensando a che fine potevano aver fatto i settecentocinquanta euro che aveva prelevato solo poco prima.
Proprio sotto casa giunse all'unica conclusione logica: se li era giocati senza rendersene conto.
La cosa in realtà non lo turbò più di tanto. Aveva visto dei video su Youtube: c'era gente che col gioco guadagnava venti o trentamila euro al mese. Giocare era un investimento, bastava solo imparare la tecnica giusta. Prima o poi avrebbe fatto il colpo grosso e si sarebbe sistemato per la vita. Guardandosi indietro a quel punto cosa avrebbe detto dei settecento euro scomparsi? Probabilmente ne avrebbe riso con indulgenza, al volante della sua Mercedes-AMG GT, con la bionda al fianco.

Cenò di fretta, sempre pensando alla VLT che stava aspettando gli ultimi euro per fare jackpot e pagarlo. Andò in taverna con l’intento di guardare un po’ di TV, ma quando fu lì adocchiò il suo computer.
Accederlo ed entrare in una lista di casinò online fu tutt’uno.
Ne scelse uno che gli sembrava più interessante degli altri. Innanzitutto nella schermata della homepage c’era una bella ragazza bionda, che gli ricordava quella di Portorose, e poi passava per essere un sito sicuro.
Inserì i suoi dati, codice fiscale, nome e cognome, carta di credito e tutto. Quando ebbe finito, gli si aprì davanti una sfilza di possibilità di gioco.
Sorrise fra sé e sé: un luogo comodo, tranquillo, dove avrebbe potuto giocare in ciabatte, con la birra accanto, senza la preoccupazione di fare tardi o di insospettire Laura. Certo non c’era l’ebbrezza della VLT in sala giochi e meno che mai quella del vero casinò con le ragazze in abito da sera, ma per rilassarsi dopo il lavoro poteva anche andare bene.
Scelse un videopoker, ma non doveva essere serata, perché non gli venne fuori nemmeno una mano decente. Quando smise di giocare si rese conto che aveva perso altri cinquecento euro.
Spense il computer con un sospiro di frustrazione. In effetti, non aveva sentito il fluido. Ecco perché la VLT non aveva pagato e il videopoker gli aveva mangiato tutti quei soldi.
Niente fluido.
Dapprima si ripromise di giocare solo quando lo sentiva, qualunque cosa fosse, poi ripensò alla VLT che lo aspettava nella sala giochi ed ebbe un sussulto di razionalità: lì non era questione di sensazioni ma di statistica, quella macchina stava per pagare, era chiaro, e lui l’aveva capito.
Si chiese se per caso in quel momento i gestori della sala giochi stessero approfittando del lavoro che lui aveva fatto nel pomeriggio: li immaginò a infilare banconote nella macchina, ghignando della sua impotenza.
Visualizzò una cifra mostruosa – la sua cifra mostruosa – che compariva sul display in un tripudio di luci e musichette.

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Laura lo fissò perplessa. “Come mai esci così presto?”
Rizzelli, che aveva bevuto un caffè in piedi e aveva già il soprabito addosso, le rispose: “Te l'ho detto, tesoro: ho un grosso affare per le mani.” Il che era anche vero, volendo, solo che il suo cliente non era una persona fisica: era un neghittoso Video Lottery Terminal, che andava riempito di attenzioni, oltre che di soldi, per convincerlo a pagare.
Farai tardi anche oggi?”
Non lo so, dipende.”
Dipende, da cosa?”
Dal cliente, amore.” Non specificò, ovviamente, che se il cliente avesse pagato, Laura avrebbe fatto meglio a non aspettarlo proprio.
Uscì svelto, quasi ignorando i saluti di moglie e figlie. La sala giochi avrebbe aperto alle otto e mezza, non poteva rischiare di arrivare cinque minuti dopo e trovare la sua macchina già occupata.
Andò per prima cosa al bancomat, prelevò mille euro per stare sul sicuro, poi si diresse alla sala giochi.
Arrivò che il gestore stava tirando su la serranda, tanto che si sentì in dovere di aiutarlo ad alzarla. Andò diretto alla VLT, attese che l'uomo la accendesse, quindi si installò subito sullo sgabello. Sorrise fra sé e sé: era una buona giornata, sentiva il fluido. Era come una corrente elettrica che gli attraversava le membra, gli faceva battere più in fretta il cuore e gli rendeva il respiro più rapido. Adrenalina, si disse, assaporando con voluttà quelle sensazioni.
Ripensò alla Mercedes e alla bionda e premette il tasto 'Play'.

Roberto alzò la testa dalla scrivania. “Alla buon'ora!” esclamò. “Si può sapere perché arrivi così tardi?”
Rizzelli ostentò un'aria noncurante. “Un po' di traffico.”
Un po' di traffico? Ma sono quasi le undici!”
Era tutto bloccato. C'era un incidente, e...”
Potevi anche telefonare. È venuto quello dell'appartamento di via Roma, ha detto che avevate appuntamento per le nove.”
Merda!” esclamò Rizzelli. Il tizio dell'appartamento: se n'era completamente dimenticato. Guardò l'orologio: le dieci e tre quarti. Gioco un quarto d'ora e me ne vado col jackpot, si era detto, ma la macchina continuava a non pagare. A non pagare e a mangiarsi banconote, per la precisione, mentre il jackpot lievitava.
Alla fine se n'era andato, ma solo perché aveva finito i soldi.
Ok, scusa, Robbi,” disse, “ti prometto che non si ripeterà più.”
Non fa niente, Ale, tanto quello di via Roma me lo sono smazzato io. Però adesso mettiti al lavoro, il boss è già incazzato.”
Rizzelli annuì. Appoggiò soprabito e ventiquattr'ore, poi andò alla scrivania e accese il computer. Controllò la posta, scorse svogliatamente fotografie di rustici sgangherati e appartamenti di periferia, guardò con un po' più di interesse un attico in centro. Si appoggiò all'indietro contro lo schienale, emettendo un sospiro di frustrazione. Tutta paccottiglia, tutta robetta che avrebbe fatto guadagnare alla Diamond House – e quindi anche a lui – quattro soldi. Era stufo di sopportare acquirenti pretenziosi e proprietari paraculi, che una volta venduto l'immobile cercavano ogni scappatoia per non pagare la commissione all'agenzia.
Dardeggiò un'occhiata intorno: non c'era nessuno. Selezionò la navigazione anonima e digitò l'indirizzo del sito di gioco on line.
Comparve la bionda. Bentornato Alessandro, recitò una scritta, non appena egli ebbe effettuato il login.
Andò alla ricerca delle slot. Memore della sua prima vincita consistente, ne selezionò una in stile egizio e cominciò a cliccare, facendo scorrere sul monitor varie combinazioni di ideogrammi.
D'un tratto lampeggiò sul monitor una scritta: duecento euro vinti. Partì un jingle.
Rizzelli sobbalzò per la sorpresa, poi cominciò a spostare il cursore del mouse qua e là per cercare di arrestarlo.
Cos'è?” chiese Roberto dall'ufficio accanto.
Il mio cellulare,” mentì Rizzelli.
Da quando in qua hai queste musichette da asilo?”
Saranno belle le tue.”
E rispondi al telefono, no? Con quel casino sembra di essere al luna park.”
Uffa, quanto rompi.”
Impossibilitato ad arrestare il jingle, Rizzelli optò per la soluzione drastica di spegnere le casse.
Sul monitor frattanto una scritta lampeggiante gli stava chiedendo se voleva continuare a giocare.
Ovviamente sì,” disse fra sé e sé, e cliccò l'icona corrispondente.

La voce del suo collega, proveniente dall'ufficio accanto, lo fece sobbalzare: “Ale?”
Che c'è?”
Me l'hai fatta quella valutazione?”
Assorbito nel susseguirsi di scarabei e faraoni, Rizzelli borbottò: “Quale valutazione?”
Quella del capannone. Avevi detto che me la facevi oggi, il cliente viene alle tre.”
Cazzo,” imprecò lui fra i denti. Rivolse in direzione del collega un'occhiata velenosa. A voce più alta chiese: “Non puoi spostarlo?”
Perché?”
È... complicata. Mi ci vorrà un po'.”
Ieri avevi detto che era una stronzata, e che non ti avrebbe preso più di un quarto d'ora.”
Rizzellì ringhiò un'imprecazione. In un moto di stizza uscì dal sito di gioco on line, quindi disse: “E va bene, adesso te la faccio, ok? Così la smetti di rompere.”
Si udì il tramestio di una sedia che si spostava, quindi Roberto comparve sulla porta e disse: “Ale, questo è lavoro, ok? Non è che ti chiedo la valutazione per romperti i coglioni.”
Stavo vincendo, avrebbe voluto rispondergli Rizzelli, quindi i coglioni me li hai rotti eccome. “Va bene,” borbottò invece, con lo sguardo ostinatamente fisso sulla scrivania. “Ti ho detto che la faccio, va bene? Dammi solo un po' di tempo.”
Roberto non si mosse dalla porta. Con aria vagamente esitante gli chiese: “Qualcosa non va, Ale?”
È tutto a posto.”
Imperterrito, l'altro insisté: “Sei un po' strano ultimamente.”
Sarà una tua impressione, io sono come al solito.”
Roberto fece qualche passo verso di lui. Gettò uno sguardo fugace alla porta del titolare, come sempre chiusa, quindi abbassò la voce e gli domandò: “Senti, non è che ti sei messo a prendere qualcosa di strano?”
Rizzelli aggrottò le sopracciglia. “Del tipo?”
L'altro tentennò imbarazzato, ma non demorse. “Ultimamente sei cambiato,” si risolse a dire.
È un modo paraculo per sapere se pippo della cocaina, per caso?”
È un modo per sapere se hai qualche problema, Ale.”
Anche se ne avessi, a te che te ne frega?”
Roberto lo fissò stupefatto. Aprì la bocca per dire qualcosa, poi evidentemente ci ripensò. Si girò e tornò nel suo ufficio.
Rizzelli cincischiò per un po' con i mappali e le foto del magazzino su cui doveva stilare la valutazione, ma il fastidio per l'intromissione del collega e la consapevolezza che mentre lui era impegnato in quelle cazzate qualcuno forse stava portando la sua VLT a fare jackpot gli toglievano ogni concentrazione.
Alla fine spense il computer, allontanò con un gesto stizzoso carta e penna, quindi si alzò e staccò il soprabito dall'attaccapanni.
Vado in pausa pranzo,” annunciò.
Dallo studio di Roberto non giunse risposta. Rizzelli alzò le spalle con noncuranza: forse il suo collega era già andato a mangiare per i fatti suoi, o magari si era risentito perché lui non l'aveva messo a parte dei suoi supposti problemi.
Il suo sguardo assunse una nota sprezzante: lui non aveva nessun problema, se non quello di essere costretto a fare una vita del cazzo perché non aveva abbastanza soldi, ma presto le cose sarebbero cambiate.
Si allontanò canticchiando: “Mare mare mare, voglio annegare...”

Fermo a un semaforo, in attesa di attraversare la strada, Rizzelli lasciava vagare lo sguardo intorno a sé. Il mondo gli pareva grigio, scialbo, pieno di gente dimessa e triste. Fissò brevemente una donna di mezz'età con la tinta fatta in casa e i vestiti dei cinesi: come si poteva pensare di vivere in quel modo? Quella non era vita, quello era esistere, tirare avanti. Cosa poteva esserci di bello in una quotidianità del genere? Per cosa avrebbe dovuto svegliarsi la mattina quella tizia? Per andare a fare un lavoro sottopagato e tornare a casa la sera con una borsa del discount per mano?
Economie e roba di sottomarca?
No, grazie, si disse. Non fa per me.
Il suo sguardo si fissò su un assortimento di biglietti gratta e vinci appesi a festone nella vetrina di una tabaccheria. I nomi che vi erano stampati sopra gli parvero decisamente suggestivi: Il Miliardario, Il Vincitore, Super Portafortuna...
Entrò nel negozio.
Desidera?” gli chiese la commessa.
Rizzelli stabilì quali fossero i biglietti verso cui l'ormai ben noto fluido lo guidava. “Quei gratta e vinci,” chiese.
Certo, quanti ne vuole?”
Tutti.”
Uscì con un pacco da trecento gratta e vinci sottobraccio. Per un attimo era stato tentato di comprare tutti quelli che c'erano nella tabaccheria, ma poi aveva rinunciato, temendo che non gli sarebbero bastati i soldi. Già così aveva speso seicento euro, ma di sicuro ne era valsa la pena: il montepremi massimo per quel tipo di biglietto era centomila euro, ma naturalmente ce n'erano tanti altri di valore minore. Come minimo sarebbe perlomeno rientrato della spesa.

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Laura e le ragazze erano già a dormire.
Nel silenzio della taverna, un pacco – l'ennesimo – di gratta e vinci usati che finiva di bruciare nel caminetto, Rizzelli cliccava distrattamente i pulsanti di un videopoker online. Emise un sospiro: il colpo grosso tardava ad arrivare. Qualche vincita qua e là, cento euro, duecento, una volta addirittura millecinquecento, ma erano tutte briciole. Cosa se ne faceva di qualche spicciolo in più? In che modo quelle scarse elargizioni avrebbero potuto cambiare la sua vita? Per come stavano in quel momento le cose, gli sarebbe bastato fare qualche straordinario e a fine mese il guadagno sarebbe stato più o meno uguale.
Cliccò ancora qualche volta, le carte passarono di mano, le casse praticamente silenziate emisero un flebile pigolio alla modesta vincita di cinquanta euro.
Rizzelli alzò le spalle sprezzante. Fece per caricare altri soldi, ma a quel punto gli giunse il suono di un sms in arrivo. Meccanicamente tirò fuori il cellulare e guardò il display: la sua banca.
Masticò un'imprecazione. Chiuse il sito di gioco on line e aprì quello di home banking: era arrivato il prelievo della carta di credito e il suo conto era finito in rosso per svariate migliaia di euro.
Merda,” imprecò fra sé e sé.
Rimase per un po' a fissare pensoso la cifra. Che fare? Non sarebbe riuscito a coprirla con il successivo stipendio, ma non poteva nemmeno stare col conto in rosso.
Riaprì il sito di gioco, ma senza soldi non avrebbe potuto farci proprio nulla.
Gli venne un'idea: i soldi c'erano, bastava unicamente spostarli con discrezione. Del resto, sarebbe stato solo per un breve periodo, e poi avrebbe rifuso tutto quanto. Laura non se ne sarebbe mai accorta e le ragazze sarebbero andate in America felici e contente, con la loro bella Università pagata.
Ringraziò che Laura avesse sempre lasciato a lui la gestione di tutte le faccende bancarie.
Entrò nel conto in cui avevano sempre depositato i risparmi per Chiara e Serena: più di centomila euro, decisamente un bel gruzzolo. Anche se ne avesse stornati putacaso dieci o ventimila, ce ne sarebbero stati abbastanza perlomeno per i primi tempi, e poi sarebbero arrivate finalmente le vincite grosse a sistemare tutto.
Effettuò l'operazione, quindi emise un sospiro di sollievo e riprese a giocare.

Lo sorpresero le prime luci dell'alba che entravano dai finestrini della taverna. Un raggio di sole attraversò l'aria resa opaca dal fumo di due pacchetti di sigarette e si riflesse sul monitor strappandogli un'imprecazione.
Si stirò facendo scrocchiare la schiena, poi si passò una mano sul mento ispido. Gli occhi gli bruciavano, aveva le gambe intorpidite. Controllò il credito residuo: solo pochi euro.
Aveva vinto forte durante la notte, tanto che l'eccitazione gli aveva impedito di abbandonare la partita per andare a dormire, poi però aveva perso tutto. Era a malapena in pari.
Spense il computer, si strofinò gli occhi con i pugni. Masticò a vuoto un paio di volte, sentendo in bocca il sapore nauseante di caffè stantio e tabacco.
Si alzò, di nuovo le giunture gli scricchiolarono. Si diresse verso la camera da letto.
Laura ovviamente dormiva. Lui si stese al suo fianco, si tirò addosso la coperta e cercò di addormentarsi a sua volta, ma appena chiudeva gli occhi, ecco che file di ideogrammi in stile egizio cominciavano a susseguirsi nella sua testa, creando ogni genere di combinazione tranne quella che gli avrebbe fatto fare jackpot.
Ripensò al conto delle ragazze e l'unica cosa che gli venne in mente fu che c'erano dentro ancora un sacco di soldi.
Si addormentò.

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Laura controllò l'orologio e sollevò stupita le sopracciglia: erano ormai le dieci passate e Alessandro ancora non tornava.
Che cosa doveva pensare?
Molto semplice: suo marito aveva un'amante, e siccome era stupido come tutti gli uomini, era convinto che lei si bevesse le sue patetiche balle sui clienti da non scontentare.
Erano un po' di notti, ad esempio, che se ne stava giù al computer fino all'alba. Lei faceva sempre finta di dormire quando lui tornava a letto, ma lo sentiva muoversi e rigirarsi per un bel po', prima di calmarsi e prendere sonno.
Chiaramente c'era qualche pensiero che lo eccitava e gli impediva di dormire.
Fino a quel momento non era mai andata a controllare il computer di Alessandro, ma ormai era stufa di essere presa in giro.
Andò in taverna e subito arricciò il naso per l'odore di stantio che vi aleggiava. Mentre tastava in giro alla ricerca dell'interruttore, il suo piede si posò su qualcosa che minacciò di farla scivolare.
Abbassò lo sguardo e vide che si trattava di un gratta e vinci.
Lo raccolse perplessa e nel movimento si accorse che il caminetto conteneva un mucchio di cenere. Andò a controllare: tutti gratta e vinci, si riconoscevano da qualche brandello di cartoncino che le fiamme avevano risparmiato. A giudicare dalla dimensione del cumulo, dovevano essere stati bruciati centinaia di biglietti.
Mio Dio,” mormorò. Andò al computer, lo accese, controllò la cronologia di internet e vi trovò un solo sito: Super Bet, scommesse on line.
Arretrò sgomenta, si guardò intorno come se non riconoscesse più l'ambiente in cui si trovava. Montagne di gratta e vinci, ore trascorse su un sito di gioco d'azzardo on line. In preda a un orrendo presentimento corse al piano superiore, rovistò in un cassetto fino a che non trovò il quaderno nel quale appuntava tutte le password, entrò nel sito della banca e a quel punto scoppiò in lacrime: sul conto delle ragazze c'erano poche centinaia di euro; quello di casa, sul quale lei e Alessandro versavano una cifra mensile, non era messo meglio. Non poteva controllare quello privato di suo marito, ovviamente, ma suppose che anche lì fosse rimasto ben poco.


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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Gente mia,
l’ennesimo mappazzone giunge a compimento, con un capitolo che già di per sé è a rischio di essere un po’ mappazzone…
Grazie a tutti coloro che mi hanno seguito, mi hanno messo in qualche lista o addirittura mi hanno lasciato un commento, e grazie a Soul per l’ispirazione!






Capitolo 3

Rizzelli bussò alla porta dell’ingegner Losi.
Avanti!” provenne dall’interno.
Egli aprì ed entrò nello studio del titolare della Diamond House. “Buona sena, ingegnere,” esordì, “avrei bisogno di un paio d’ore di permesso stasera.”
L’altro, un uomo basso, brizzolato, con gli occhiali cerchiati d’oro, lo fissò critico da dietro l’ampia scrivania e rispose: “Ultimamente ne ha presi parecchi di permessi, dottor Rizzelli.”
Lo so,” rispose il primo, “mi rendo conto. Ma vede, mia moglie non sta tanto bene ultimamente, ci tengo ad accompagnarla alle visite.”
Losi sollevò colpito le sopracciglia. “Non sta bene? Che cos’ha, se posso chiedere?”
Rizzelli si strinse nelle spalle e abbassando appena la voce rispose: “Laura non lo sa ancora, ingegnere, ma i medici temono una brutta malattia del sangue.”
L’altro lo fissò serio. “Mi dispiace molto,” gli rispose. “In tal caso vada, vada pure. E mi tenga informato.”
Certo, ingegnere, non mancherò. Grazie per la sua comprensione.”
Rizzelli uscì dall’ufficio del titolare, ben attento a mantenere l’espressione di circostanza. Indossò il soprabito e raggiunse velocemente la macchina.
Mentre guidava rapido nel traffico si congratulò con se stesso per la naturalezza con cui aveva raccontato al suo capo la balla della malattia di Laura, ma soprattutto per l’idea che aveva escogitato: non c’era bisogno di aspettare le vincite al gioco per ricostruire il capitale delle ragazze, sarebbe stato sufficiente chiedere un prestito dando la casa come garanzia.
Di finanziarie del resto ne conosceva parecchie, visto il mestiere che faceva. Scelse la Easy Fin, che come da nome era di solito rapida nell’elargire i soldi e faceva poche domande.

La faccenda fu più rapida del previsto ed egli uscì dai locali della Easy Fin mezz’ora dopo esserci entrato, più ricco di centocinquantamila euro. Giusto il tempo di fare le pratiche bancarie – un paio di giorni al massimo – poi il conto per Chiara e Serena si sarebbe presentato intonso, come se nessuno l’avesse mai toccato.
Era ancora in quello spensierato stato d’animo quando giunse a casa.
La prima cosa che lo colpì fu che non si sentiva alcun odore di mangiare, nemmeno quella pizzaiola disgustosa che sembrava piacere tanto a sua moglie. Ovunque c’era un silenzio cupo, reso più greve dal fatto che l’unica luce accesa era quella sul tavolo della cucina.
Fu assalito dalla paura che fosse successo qualcosa di brutto, magari a Chiara o Serena.
Amore?” disse in tono esitante. “Amore, sono a casa.”
Non gli giunse risposta.
Amore, dove sei? Va tutto bene?”
Arrivò alla cucina, guardò dentro. Sua moglie era seduta al tavolo e teneva lo sguardo fisso davanti a sé. La luce che proveniva dall’alto induriva i suoi lineamenti dolci rendendoli simili a una maschera tragica.
Rizzelli si immobilizzò sulla porta. “Gesù, Laura, ma cos’è successo?” le chiese, aspettandosi di sentirsi dire che una delle loro figlie era morta o gravissima in ospedale.
La donna si voltò lentamente verso di lui, ed egli vide che aveva gli occhi rossi di pianto. “Dimmelo tu, cosa sta succedendo,” gli disse in un sibilo roco.
Egli fece addirittura un passo indietro, turbato da quella strana messinscena. “Che intendi dire?” le chiese.
Per tutta risposta, Laura buttò sul tavolo una manciata di cenere, che si sparse sul piano lucido del mobile. “Cos’è questa roba?” chiese la donna.
Rizzelli si avvicinò. Aveva riconosciuto da lontano i gratta e vinci bruciati, tuttavia fissò i frustuli anneriti, poi fissò lei con l’aria di non capire e propose: “Della carta bruciata?”
Da dove viene?”
In che senso, scusa?”
Cos'hai bruciato?”
Rizzelli alzò le spalle con aria noncurante. “Mi sono liberato di alcune vecchie fatture.”
E di qualche gratta e vinci, dico bene?”
Egli sorrise. “Sì, un paio.” Poi, dopo una pausa, in tono vagamente complice: “Uno ci prova sempre, no?”
A quel punto, Laura si alzò in piedi. Con una manata sparse ovunque la cenere “Non dire stronzate!” lo gelò.
Cosa?”
Non dire stronzate,” ripeté la donna in tono minacciosamente basso. “Ho visto quello che hai fatto, nel conto delle ragazze non c’è più niente!”
Rizzelli dovette farsi forza per non sobbalzare. Una sferzata di adrenalina gli attraversò tutto il corpo, sentì le guance andargli a fuoco. “Ma cosa stai dicendo?” sbottò.
Il conto di Chiara e Serena, mi capisci quando parlo? È vuoto, ci saranno al massimo duecento euro, e ce n’erano centoventimila!”
Com’è possibile?” tentò l'uomo, indietreggiando come per sfuggire allo sguardo di fuoco della moglie.
Dimmelo tu, com’è possibile. I prelievi li hai fatti tu!”
L’altro si erse piccato. “Pensi sul serio che potrei fare una cosa del genere?”
Laura strinse le labbra, poi in tono duro replicò: “Non lo penso, lo so! Sei tu che hai spostato tutti quei soldi sul tuo conto, sei tu che giochi on line tutta la notte e che ti compri dei quintali di gratta e vinci!”
Non è vero!”
Oh, sì che è vero!” A ogni replica Laura si avvicinava di un passo, tanto che a un certo punto Rizzelli si chiese cos’avrebbe dovuto fare se lei avesse cercato di colpirlo. Immaginò Carabinieri, avvocati, soldi da pagare, e a lui i soldi servivano.
Si fece indietro per mantenere la distanza di sicurezza e disse: “Chi ti ha raccontato queste cazzate? Quelli della banca?”
In un moto di stizza, Laura afferrò una ciotola di vetro con dentro un pot pourri e la lanciò contro la parete, dove esplose in una miriade di frammenti. “Pensi che sia scema?” urlò. “In quel conto ci possiamo entrare solo io e te, e io non sono stata!”
Beh, nemmeno io!”
E allora chi è stato, il gatto?”
Saranno stati dei pirati informatici, se ne sentono un sacco al giorno d'oggi,” disse Rizzelli, congratulandosi con se stesso per la trovata.
L'espressione di Laura rimase impenetrabile. “Con il tuo account?”
Certo! Come pensi che facciano a vuotare i conti? Mi avranno rubato in qualche modo le credenziali informatiche.”
A quelle parole seguì un lungo silenzio. Il cane dei vicini abbaiava fioco in lontananza, lungo la strada passò una macchina. Nella luce cruda dell'unica lampada accesa, Laura era immobile come una statua.
Tu devi farti curare,” disse infine. “Tu sei malato.”
Io sto benissimo,” protestò Rizzelli.
Sei un ludopatico! Domani andiamo al Ser.T., devi andare da qualche parte, in una comunità o dove ti pare, ma devi guarire da questa cosa.”
Sto benissimo,” ripeté Rizzelli, “non sono mai stato meglio in vita mia. A differenza tua, io voglio la vita vera, voglio i soldi, voglio le macchine! Perché devo accontentarmi di questo?” Fece un gesto circolare con la mano, indicando sprezzante ciò che lo circondava.
Accontentarti? Hai una moglie che ti vuole bene, due figlie bellissime, un lavoro, una casa… ripigliati, Alessandro: è questa la vita vera!”
Questo lo chiamo esistere. È quello che fanno gli animali: figliare, procacciarsi il cibo e un rifugio, crepare, fine. Non fa per me.”
E cosa sarebbe quello che fa per te, sentiamo? Le Ferrari? Gli yacht?”
Certo, se posso averli! E comunque, ti stai facendo mille paranoie per un problema che non esiste, perché al massimo dopodomani il tuo conticino avrà di nuovo tutti i suoi soldini, va bene?”
Allora ammetti di averli presi tu?”
Rizzelli aprì la bocca per ribattere, ma l'unica cosa che riuscì a dire fu: “Ora esco, mi hai rotto i coglioni.”
Le girò bruscamente le spalle, raccolse le chiavi della macchina e uscì.

Sapeva di una sala che stava aperta fino a tardi. Fino a quel momento l’aveva evitata perché si diceva che non fosse proprio del tutto legale, ma a quel punto della legalità gliene fregava meno di zero.
Quella specie di stronza moralista, pensava irritato. Si fosse fatta i cazzi suoi.
E invece no! Invadente, impicciona come tutte le donne. Affetta dalla perversa mania di voler controllare qualsiasi cosa.
Se a lei andava bene vivacchiare in quel modo, con una casettina, una macchinina e un lavorino per tirare avanti, lui di sicuro aveva altre aspirazioni, e non si sarebbe fatto mettere i bastoni fra le ruote da una che passava le giornate a leggere riviste di moda in un negozio che in pratica costava più di quello che rendeva.
Parcheggiò con gran stridore di freni davanti al primo bancomat che incontrò, scese, infilò la tessera nell’apparecchio e prelevò un migliaio di euro, quindi raggiunse la sala giochi.
Individuò subito una VLT, il fluido gli percorse le membra come una sferzata calda.
Si sedette, alla terza giocata aveva già vinto trecento euro.
Alla faccia tua, stronza,” ringhiò.
Continuò a giocare. Le banconote entravano nella macchina una dopo l’altra, ma di pari passo il montepremi lievitava. Toccò la cifra di diecimila euro.
Squillò il telefono, Rizzelli diede uno sguardo al display, riconobbe il numero della moglie e lo ignorò.
Continuò a giocare, il montepremi lievitò fino a dodicimila euro. Intanto si era radunata intorno a lui una piccola folla, che lo incitava con grida e acclamazioni ogni volta che lui premeva il pulsante ‘Play’.
Perse mille euro, tra i mormorii sconcertati degli astanti, ne riguadagnò altri duecento, ne perse settecento.
Tutte le volte che toccava il pulsante, era come se una scossa elettrica gli percorresse tutto il corpo. Si sentiva potente, si sentiva vivo. A ogni vincita era come se qualcosa lo sparasse in cielo, a ogni perdita precipitava verso il basso, poi si riprendeva, tornava su, poi ancora giù, poi su…
Era ebbrezza, era adrenalina pura. Era meglio di qualsiasi altra cosa.
A un certo punto realizzò che tutt’intorno a lui c’era silenzio. Sbatté gli occhi, scosse la testa come per schiarirsela. Il montepremi era duecento e qualcosa euro.
Si portò una mano al nodo della cravatta, solo per trovarlo allentato e floscio. Aveva la camicia mezza aperta e sgualcita, non aveva più la giacca. Nel portafoglio non c’era più un soldo.
Raccolse il cellulare e vide innanzitutto che erano le otto di mattina, e poi che c’erano almeno dieci telefonate di sua moglie, più altre cinque di suo fratello Fabio e qualcuna di qualche numero che non riconosceva.
Un altro po’ e chiamava anche l’Esercito, ‘sta stronza,” borbottò.

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Quando rientrò a casa, verso le dieci di sera, si accorse che Laura lo stava di nuovo aspettando seduta al tavolo della cucina.
Soffocò un'imprecazione: dopo la sala giochi era andato direttamente a lavorare per non trovarsela addosso, poi era uscito ed era andato di nuovo nella sala giochi della sera prima, che gli pareva fortunata, ma a un certo punto aveva dovuto far ritorno a casa, anche solo per farsi una doccia.
E lei era lì, immobile come una cazzo di sfinge, pronta a fargli la sua morale da zia acida.
Hai giocato anche oggi?” gli chiese non appena mise piede in cucina.
Rizzelli aggrottò le sopracciglia. “Non sono affari tuoi.”
Laura scosse la testa e replicò: “Lo sono eccome. Hai usato tutti i soldi di Chiara e Serena, non te ne frega proprio niente di loro?”
Ma che discorsi,” sbottò lui, “certo che me ne frega.”
Non si direbbe.”
Non cominciare con le tue frasi rivendicative del cazzo, Laura!”
A quell'esplosione, la donna rimase impassibile. “Dammi il bancomat,” disse.
Cosa?”
Il bancomat e le carte di credito, hai già fatto abbastanza danni. E domani andiamo al Ser.T. a parlare.”
Ma figurarsi se vado in quel posto pieno di drogati e ubriaconi. Io sto benissimo, non ho nessun problema, e se tu ieri mi avessi lasciato parlare, invece di fare le tue scenate isteriche, ti avrei spiegato che è tutto sotto controllo, che ti sei fatta prendere dalla paranoia per niente.”
Di nuovo, Laura rimase gelida. “Che intendi dire?”
Che entro breve sul conto ci saranno di nuovo tutti i tuoi cari soldini, tesoro. Che non dovrai più preoccuparti che questo cattivone brutto rubi i risparmi per Chiara e Serena.”
La donna emise un sospiro infastidito e replicò: “Smetti di fare il bambino, sono cose serie. Tu devi darmi il bancomat e le carte.”
Rizzelli fece addirittura una breve risata. “Ma non esiste proprio. Non hai nessun diritto di portarmeli via, se ci provi vado dai Carabinieri.”
E io ci vado e dico che hai vuotato il conto delle ragazze.”
Cioè, fammi capire,” replicò lui in tono sarcastico. “Mi denunci perché ho speso i miei soldi, che si trovavano su un conto intestato a me?”
Ma io non lo sapevo!”
Dimostralo.”

I soldi della Easy Fin arrivarono due giorni dopo. Rizzelli prese le carte che li accompagnavano e con noncuranza le firmò, quindi le portò a casa e le ficcò in un cassetto.
Laura non c’era. O, se c’era, non si faceva vedere.
Sarai contenta, adesso,” ringhiò. Guardò in su, dal momento che verosimilmente sua moglie era in mansarda a fare qualche cazzata da donne, e alzò in quella direzione il dito medio.
Andò in taverna, estrasse un pacchetto di sigarette dalla sua riserva segreta, si stravaccò sul divano e per un po’ rimase a fumare in silenzio.
Quando la sigaretta finì, schiacciò il mozzicone in un portacenere già straripante e se ne accese un’altra.
Alla terza sigaretta, si voltò verso il computer.
Sul suo conto adesso c’erano un sacco di soldi, molti più di quelli che aveva prelevato dal conto per gli studi delle figlie. Che male ci sarebbe stato a giocarsene un po’? Si sarebbe solo rifatto delle recenti perdite, tutto lì.
Fece le cose per bene: rimise sul conto delle figlie tutto quello che aveva prelevato, e stabilì che quella cifra era sacra e inviolabile. Le ragazze dovevano andare in America, quelli erano soldi loro, non si potevano toccare.
Il resto, però, era suo, quindi poteva farne quello che voleva.

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Rizzelli realizzò che doveva tornare alla Easy Fin, o rivolgersi a un’altra finanziaria. Era successo quello che si era ripromesso di evitare in ogni modo: mille euro qua per una giocatina, mille euro là per coprire un debituccio… Fatto sta che le tasse universitarie delle ragazze stavano per arrivare e sul conto c’era la metà di quello che avrebbe dovuto esserci.
Il che per le tasse sarebbe bastato, ovviamente, ma poi, una volta negli Stati Uniti, Chiara e Serena avrebbero dovuto mantenersi facendo le cameriere nei fast food.
Ma non era un gran problema, in fin dei conti: avrebbe discusso un altro prestito, magari anche a un tasso maggiore di interesse, tanto la casa bastava ampiamente come garanzia per coprire entrambi.
Raccolse il soprabito. Laura ormai lo evitava, discuteva di separazione, minacciava di andare a vivere da sua madre – come se poi quella potesse essere una minaccia – ma ovviamente si guardava bene dal farlo.
Era sempre lì, l’arpia, figurarsi. Aveva mandato via solo le ragazze. Per il loro bene, diceva.
E intanto continuava a volersi appropriare del suo bancomat, continuava a cianciare di cure e di dottori, quando l’unica ammalata lì dentro era lei, che voleva vivere e crepare in una vita miserabile, uguale ogni giorno, scialba e triste.
Uscì, andò alla macchina.
Una giocata e poi alla Easy Fin, si disse.
Salì a bordo e partì.

Al ritorno riconobbe parcheggiata lungo la strada di casa sua la macchina di suo fratello Fabio. Alzò gli occhi al cielo: già aveva perso, quindi era scazzato, in più ci si metteva anche suo fratello.
Che palle,” sospirò.
Per un attimo fu tentato di ingranare nuovamente la marcia e tornare alla sala giochi. Lo trattenne unicamente il fatto che aveva finito il soldi e per quel giorno aveva raggiunto il tetto massimo del bancomat.
Lasciò l’auto nel garage, entrò in casa e subito arricciò il naso: non era l’odore di cucina a infastidirlo – di cucina ormai non se ne faceva più in casa sua – ma il dopobarba di suo fratello, che mai come in quell’occasione lo disgustava.
Gli bastò seguire la scia e trovò lui e sua moglie seduti in cucina, con l’aria da tragedia greca. Al suo arrivo, Fabio alzò la testa a fissarlo e disse: “Laura mi ha detto tutto. Tu devi farti curare, Sandro.”
Non ti ci mettere anche tu,” replicò brusco Rizzelli.
Quanti soldi ti sei giocato?” chiese l’altro. “Scommetto che non lo sai neanche tu.”
Lo so benissimo, invece. Io ci passo la vita a gestire soldi, quindi so contarli molto bene.”
Fabio scosse la testa. “A me pare di no, Sandro.”
Ma piantala col melodramma,” brontolò Rizzelli. “So badare a me stesso. Ho deciso di fare un investimento, e come in tutti gli investimenti, bisogna avere pazienza prima di raccogliere gli utili.”
Quanti utili pensi di poterne ricavare?”
L’altro alzò le spalle. “Quanti ne voglio, basta solo imparare la tecnica di gioco. C’è gente che guadagna venti o trentamila euro al mese.”
Fabio scosse la testa. “Tu non ragioni più, Sandro. Non sai quello che dici.” Fece una pausa, forse in attesa di una risposta che non giunse, poi proseguì: “Domani andiamo tutti insieme al Ser.T., ti accompagno anch’io, e parliamo con un dottore.”
Ci andate voi dal dottore,” replicò per l'ennesima volta Rizzelli. “Io sto benissimo. E poi lo so cosa fanno quelli là: ti ficcano negli ospedali e ti fanno uscire solo quando sei uno zombi. È questo che volete ottenere?”
Intervenne a quel punto Laura: “Non dire idiozie. Noi vogliamo che tu stia bene.”
E non sto bene, adesso? Sentiamo: cos’avrei che non va?”
Dai, Sandro,” s’intromise Fabio. “Non fare il bastian contrario per partito preso. Tu non stai bene, soffri di disturbo da gioco d’azzardo patologico. Devi farti curare, prima di finire rovinato.”
Sai che ti dico? Fatti curare tu. Vacci tu dai medici nazisti, a farti iniettare dei farmaci sperimentali.”
A quel punto Laura disse: “Farmaci sperimentali? Ma ti senti quando parli, Alessandro?”
Ho visto i filmati in internet.”
Che filmati?”
Un mio amico me li ha fatti vedere, mi ha detto tutto. Un mio amico medico.”
Gesù Bambino,” sbottò Fabio. “Ma di chi parli? Tu non hai amici medici.”
E invece sì, su Facebook.”
Laura e Fabio si scambiarono uno sguardo a metà fra l’impotenza e la rabbia. Rizzelli fissò entrambi e in tono provocatorio disse: “Non potete obbligarmi a fare niente, conosco la legge.”
Hai anche un amico avvocato, adesso?” lo provocò il fratello.
Ne ho molti,” replicò Rizzelli in tono di sfida, “quindi se fossi in te starei bene attento a quello che faccio.”
Detto questo, prese la porta e uscì.

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Un’infermiera si affacciò in sala d’aspetto. “La signora Vignali?” chiese.
Laura si alzò in piedi.
Venga, signora,” la invitò la donna. “Il dottor Poli la vede subito.”
La condusse in uno studio dall’arredamento spartano, dove qua e là era stato appeso qualche poster di mostre d’arte per dare una nota di colore.
Il dottor Poli, che si alzò per andarle incontro, non portava il camice, ma solo un tesserino identificativo appuntato al taschino. Era un uomo sulla cinquantina, di altezza media, robusto, dai capelli ancora castano scuro.
Le strinse la mano e la invitò a sedersi.
Per la mezz’ora successiva Laura, a tratti piangendo, a tratti spargendo sulla scrivania fatture ed estratti conto, descrisse la situazione.
Il medico la ascoltò attento, prendendo appunti di quando in quando, spedendo l’infermiera a fare le fotocopie dei documenti più importanti. Infine chiese: “Lei è regolarmente sposata, signora?”
Laura annuì.
Allora deve divorziare.”
La donna, che aveva chinato la testa, la rialzò e fissò stupefatta il suo interlocutore. “Cosa?”
Deve divorziare. E subito, anche. Deve tutelare la sua famiglia, prima che suo marito la distrugga.”
Che intende dire?”
Mi ha detto che suo marito ha acceso due prestiti, giusto? Cos’ha usato come garanzia, secondo lei?”
Laura tacque.
È verosimile che abbia usato la vostra casa, signora?”
Sì, penso di sì,” sospirò lei. “È intestata a lui.”
E le sta pagando le rate? O si gioca anche quelle?”
Di nuovo silenzio.
Lei finisce in mezzo a una strada, signora,” disse in tono duro il dottor Poli. “Lei e le sue figlie.”
Le ragazze stanno da mia madre,” obiettò la donna.
Il medico si limitò a un sospiro di esasperazione. “Il divorzio le garantisce la separazione dei beni, l’assegnazione della casa – non impugnabile dai creditori – e l’assegno di mantenimento.”
Laura scosse la testa e rispose: “Lo so, ma Alessandro è mio marito, non posso abbandonarlo.” Fece una pausa e in tono quasi speranzoso soggiunse: “E poi, sono sicura che con un po’ di forza di volontà e con il suo aiuto, dottore, smetterà di giocare.”
Poli crollà il capo con l’aria di aver già sentito lo stesso discorso decine di volte, poi spiegò: “Il denaro crea meccanismi di dipendenza simili a quelli delle droghe, signora. Attiva i centri del piacere, induce la produzione di dopamina. Suo marito non riuscirà mai a rinunciarvi da solo.”
Ma qui non vuole venire.”
È proprio per questo che le suggerisco di agire per tutelare se stessa e le sue figlie, signora Vignali. Se divorzia, passate da coniugi a conviventi, cambiano tutti gli obblighi legali.”
Lo so, ma non me la sento, dottore.”
Come se non l'avesse nemmeno sentita, imperterrito il medico proseguì: “Contatti un avvocato, faccia partire anche la pratica per l'inabilitazione temporanea.”
Laura lo fissò annichilita. “Inabilitazione? Ma io non posso fargli una cosa del genere.”
Preferisce vederlo diventare un barbone? Preferisce trovarsi lei stessa a vivere con i pacchi della Caritas?”
Io ho un negozio,” protestò Laura, “posso mantenermi.” Non che avesse mai usato la sua boutique in quel senso, ma nella necessità era certa che avrebbe saputo farla fruttare.
Il medico interruppe il filo di quei pensieri rassicuranti “È sicura che suo marito non l'abbia già usato come garanzia per qualche prestito?”
La donna emise un sospiro: no, non ne era affatto sicura. Non era più sicura di niente, per la verità.
Solo pochi mesi prima Alessandro era il marito perfetto, affettuoso e dedito alla famiglia... e ora?
La voce del dottor Poli la richiamò alla realtà: Mi prometta che ci penserà, signora. È l’unico modo che ha per salvare la sua famiglia. E poi tenga conto che tutelare il nucleo significa anche tutelare la persona ammalata.”

Laura arrivò a casa ancora immersa nei suoi pensieri. Durante il viaggio di rientro aveva rimuginato sulle parole del dottor Poli ed era giunta alla conclusione che separarsi o inabilitare Alessandro erano misure troppo drastiche. In pratica l'avrebbe ucciso, l'avrebbe spinto al suicidio. Non poteva fargli una cosa del genere.
Forse quel medico era abituato a gente meno sensibile, oppure a persone con lavori modesti, abituate ad avere pochi soldi.
Cos'avrebbe fatto invece suo marito solo e inabilitato, con un curatore che magari gli dava a malapena di che vivere?
Entrò nell'ingresso, lasciò cadere il soprabito su una sedia e si guardò intorno: ovviamente, l'unica luce accesa – di un colore azzurrato da monitor – proveniva dalle scale della tavernetta.
Andò giù.
Suo marito, impegnato in una partita di videopoker, non alzò nemmeno la testa.
Lei si avvicinò. “Alessandro.”
L'uomo fece come se non avesse neppure sentito.
Alessandro, per favore, dobbiamo parlare.”
Lasciami in pace. Sto guadagnando soldi anche per te.”
Laura strinse i pugni, ma per il resto si obbligò a rimanere immobile. “Dobbiamo parlare,” ripeté.
Oh, che palle!” sbottò a quel punto Rizzelli. “Ecco, sei contenta? Stavo vincendo, ma per colpa tua ho perso la mano.” Spense con fare teatrale il computer, quindi disse: “Avanti, sentiamo: cos'hai da dirmi di così importante?”
Dammi il bancomat e le carte.”
L'uomo scosse la testa. “Te l'ho già detto: scordatelo.”
Alessandro, se non me li dai, io chiedo il divorzio e mi rivolgo a un avvocato per farti inabilitare.” Era decisa a non farlo, naturalmente, ma forse la minaccia l'avrebbe convinto.
L'altro però fece una risata. “Nientemeno! Mi fai inabilitare! E mi vuoi anche chiudere in manicomio, già che ci sei?”
Per favore, dammi il bancomat. È meglio che lo tenga io, per il tuo bene.”
Per il mio bene,” pigolò Rizzelli facendole il verso. “No, cara. Il bancomat è mio e tu non ci metti le grinfie.”
Laura fece un passo avanti. Si protese a prendergli le mani e disse: “Per favore, fallo per Chiara e Serena.”
Le ragazze hanno già i loro soldi.”
Ma stai continuando a giocare, ti mangerai tutto un'altra volta.”
Stavo vincendo, prima che arrivassi tu a rompermi le palle.”
Senza abbandonare le mani del marito, la donna replicò: “E quante volte hai perso, invece? Alessandro, stai distruggendo tutto, le ragazze non avranno più una casa, non potranno andare a studiare in America. È questo che vuoi?”
Rizzelli emise un sospiro. Distolse lo sguardo da quello della moglie, lo fissò sullo schermo nero del computer e rispose: “Io voglio la vita vera.”
Amore, la vita vera è qui, con me e le nostre figlie, nella nostra casa.”
L’uomo sciolse le mani da quelle della moglie, si frugò in tasca, prese il portafoglio e ne trasse il bancomat. Lo buttò sul tavolo. “Tieni. Sarai contenta, adesso.”
Le carte di credito.”
Altre due tessere seguirono la prima.
Grazie, amore. Grazie,” mormorò Laura fra le lacrime, ma Rizzelli non l’ascoltava neanche più, assorto nel calcolare quanto potesse valere la sua macchina al mercato dell’usato.

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L’ingegner Losi fissò l’uomo seduto di fronte alla sua scrivania. Barba di due giorni, camicia spiegazzata. Addirittura una macchia, forse di caffè, sulla cravatta.
Nessuno avrebbe affidato la vendita della propria casa a un tipo del genere.
Eppure ricordava Rizzelli come un uomo elegante, curato, che teneva maniacalmente al proprio aspetto.
Lo ricordava puntuale, soprattutto. Preciso. Uno che a fare bene il suo lavoro ci teneva.
Ultimamente arriva spesso in ritardo, dottor Rizzelli,” gli disse.
L’uomo annuì consapevole e rispose: “Lo so, ingegnere. Ma vede, non ho più la macchina.”
L’altro alzò stupito le sopracciglia. “Come mai?”
Me l’hanno rubata.”
La sua berlina? Quella a cui teneva tanto?”
Rizzelli annuì di nuovo.
Quando gliel’hanno rubata?”
Due settimane fa, direi.”
E i Carabinieri non le hanno ancora fatto sapere niente?”
Con una curiosa apatia, Rizzelli alzò le spalle e rispose: “Dicono che potrebbero averla mandata in qualche paese dell’est.” Tacque e rimase con lo sguardo fisso sul piano della scrivania.
Losi lo fissò perplesso. “Come sta sua moglie?” gli chiese.
Per un attimo l’uomo parve tentennare. “Mia moglie…? Ah, certo, ingegnere. Mi scusi. Sono molto stanco ultimamente.”
Come sta? I medici sono riusciti ad arrivare a una diagnosi?”
Rizzelli si strinse nelle spalle e non rispose.
L’ingegnere ritenne opportuno non insistere. “Prenda un po’ di ferie,” gli suggerì.
Non ce n’è bisogno, ingegnere.”
Rizzelli, non amo i giri di parole,” rispose allora Losi, indurendo appena la voce. “Arriva in ritardo, è trasandato, si dimentica gli appuntamenti. Io sono un uomo comprensivo, capisco quando un mio collaboratore è in difficoltà, ma non tiri troppo la corda. Prenda le ferie e si rimetta a posto, oppure cerchi un altro lavoro.”

Rizzelli si ritrovò nel suo studio. Si passò una mano sul mento ispido, si ravviò i capelli spettinati, poi infilò una mano in taca e ne trasse un mucchietto scintillante. Lo fissò critico, chiedendosi quanto ne avrebbe potuto ricavare in uno di quei posti dove si andava a vendere l’oro per ricavare contanti.
Aveva ripulito la cassaforte. Non c’era molto, Laura aveva la mania di girare agghindata come un albero di Natale anche di prima mattina, ma qualcosa aveva recuperato. Sorrise fra sé e sé al pensiero della faccia che avrebbe fatto sua moglie alla vista del portagioie vuoto.
Goditi il tuo bancomat, stronza, si disse, e poi uscì.

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Scese dall’autobus e per prima cosa buttò in un cestino la multa che gli avevano fatto perché viaggiava senza biglietto.
Lo fece con noncuranza, come si sarebbe disfatto della carta di una caramella, quindi proseguì verso casa con passo svelto.
Ogni tanto si batteva sulla tasca, dove si trovavano numerose banconote arrotolate, come per essere sicuro che ci fossero davvero.
Il colpo grosso.
Era arrivato, finalmente.
Solo poche migliaia di euro, non certo quello che aspettava lui, ma perlomeno era un inizio. Significava che le cose stavano cominciando a girare nel modo giusto. Che aveva capito il sistema.
Palpò di nuovo la tasca, trovandola piena del suo adorabile contenuto. Sorrise fra sé e sé.
Percorse il vialetto, entrò in casa e sentì il rumore di qualcuno che stava piangendo.
Corse in cucina, ma non c’era nessuno. “Laura?” chiamò.
Non ci fu risposta.
Seguendo il suono arrivò in salotto. Lì c’era sua moglie che piangeva contro il petto di suo fratello Fabio. Sul tavolino c’era una lettera aperta, riconobbe il logo della Easy Fin.
Laura, che succede?” chiese, ma aveva già visto parecchie missive di quel genere nella sua carriera e sapeva bene cosa gli avrebbe risposto sua moglie.
Fu Fabio a parlare: “Vi portano via la casa.”
Egli fece per replicare, ma l’altro in tono duro sibilò: “Pezzo di stronzo. Io te l’avevo detto: andiamo dal dottore, devi curarti, devi farti passare il vizio del gioco. Ma tu niente: sto benissimo, siete voi quelli ammalati, guadagnerò un sacco di soldi. Hai visto cos’è successo?”
Rizzelli si batté sulla tasca con rabbia. “Eccoli qui, i vostri soldi!” ribatté. “Ho vinto cinquemila euro, va bene? E questo è solo l’inizio.”
L’inizio, Sandro? Questa è la fine. È la fine, capisci?”
Macché fine, fate il solito melodramma! Riscatterò questa casa del cazzo, se ci tenete tanto, e poi me ne andrò dove si vive veramente!”
Fabio scosse la testa. “Tu non vai da nessuna parte, abbiamo già telefonato all’avvocato per le pratiche dell’inabilitazione. Se non sei capace di fermarti da solo, dovrà provvedere qualcun altro.”
A quelle parole, Rizzelli arretrò di un passo e rimase a fissare alternativamente l’uno e l’altra. “Ah, molto bene,” disse poi in tono sarcastico, “ma pensa un po’ cosa decidono di fare mio fratello e mia moglie, cioè le persone che teoricamente mi dovrebbero amare di più al mondo.”
È per il tuo bene, Alessandro,” balbettò Laura. “Non sei in te, devi fermarti.”
Ma certo, non sono in me. Muori dalla voglia di ficcarmi in qualche ospedale psichiatrico, vero? E intanto ti prendi anche i miei soldi. En plein, come si dice alla roulette.”
Di quali soldi stai parlando?” replicò la donna. Afferrò la lettera, gliela sventolò davanti. “Di quali stramaledetti soldi stai parlando? Non vedi che questi avvoltoi si prendono la nostra casa?”
Sto vincendo forte, la riscatto quando voglio.”
A quel punto intervenne Fabio: “Ma di cosa stiamo parlando? L’avvocato ha preso informazioni: hai acceso due prestiti, il secondo dei quali con un tasso di interesse da usura, e non hai pagato una rata! Ti sei giocato tutto! È ora che qualcuno ti fermi, Sandro, per il tuo bene.”
Rizzelli arretrò ancora. Di nuovo fissò alternativamente l’uno e l’altra. Facce afflitte, di circostanza. Lacrime e buoni propositi.
Corse in corridoio, staccò le chiavi della macchina di Laura dal gancio a cui stavano attaccate e corse in garage.
Fabio tentò di inseguirlo, ma l’unica cosa che poté fare fu saltare bruscamente di lato per non farsi investire.

Rizzelli guidava a tutta velocità, la destinazione era Portorose.
La Fortuna era dalla sua, lo sentiva. Il fluido non era mai stato così intenso. Si vide al tavolo da gioco, la bionda da una parte e la mora dall’altra, a far saltare il banco.
Pensò ai suoi familiari e subito fu assalito dalla rabbia. Stabilì che da quel momento Fabio non sarebbe più stato suo fratello. Di Laura si sarebbero occupati i suoi avvocati, dal momento che presto sarebbe stato in grado di pagarsi i migliori sulla piazza.
E poi finalmente avrebbe vissuto alla grande, come si meritava.
Una selva di luci rosse, qualche lampeggiante blu: cento metri più avanti il traffico era fermo, i veicoli tutti incolonnati. Piantò il piede sul freno.

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Seduta nello studio del medico del reparto di traumatologia, Laura non riusciva a smettere di piangere. Teneva un fazzoletto ormai fradicio stretto fra le dita e continuava incessantemente a tormentarlo.
Mi dispiace, signora,” disse l’uomo. Si tolse gli occhiali dalla sottile montatura d’oro, li appoggiò da una parte.
Non ci sono speranze?” chiese lei.
Il medico sospirò. “Forse col tempo recupererà qualcosa, ma è presto per dirlo. La lesione del midollo è troppo estesa.” Fece una pausa, poi soggiunse: “Farò attivare l’assistenza domiciliare, verrà tutti i giorni un’infermiera.”
La donna alzò su di lui uno sguardo che sembrava chiedere aiuto. “Per… fare cosa?”
L’altro sfogliò la cartella, scorse la lettera di dimissione che a breve le avrebbe consegnato. Tossicchiò. Infine si risolse a dire: “Per l’igiene, il catetere… insomma, tutto ciò di cui un tetraplegico può avere bisogno. L’indirizzo è quello che c’è sui documenti?”
Laura scosse la testa, un altro accesso di pianto la assalì. Singhiozzò per un po’, e alla fine con voce flebile rispose: “No, adesso stiamo in un appartamento che ci ha trovato l’ex collega di mio marito.”
Il paziente dovrà avere una stanza dedicata. Sarà necessario collocarvi il letto ospedaliero, il sollevatore e tutto il necessario.”
Le mie figlie andranno a dormire nella stessa camera.”
Può permettersi una badante, signora?”
Laura si tamponò gli occhi. “Sarà necessaria?”
Temo di sì.”
Faremo il possibile,” rispose la donna. “Io ho un negozio di abbigliamento, mia figlia maggiore lavora con me, la minore sta cercando qualcosa. Un po' ci aiuta anche il fratello di mio marito.” Di nuovo strinse fra le mani il fazzoletto sgualcito, quindi soggiunse: “Magari per un po' può stare Chiara a casa con Alessandro, visto che non ha lavoro.”
Il medico emise un sospiro, quindi suggerì: “Chieda anche l'invalidità e l'accompagnamento, signora.” Spinse verso di lei un foglio su cui erano stampati dei nomi e dei numeri di telefono. “Questo è un patronato gratuito, le faranno tutte le pratiche. Le produrremo un certificato da allegare, intanto le consiglio di chiedere copia della cartella clinica.”
Si interruppe. A ogni parola la signora Vignali sembrava diventare più piccola, più fragile. Il suo sguardo sembrava quello di certi bambini che aveva visto nei documentari sulla guerra in Siria.
Mi dispiace, signora,” ripeté.
Laura si alzò in piedi. Il medico si sentì in dovere di alzarsi a sua volta. Aggirò la scrivania e le prese la mano fra le proprie. “Mi dispiace davvero tanto,” disse per la terza volta. Avrebbe voluto dire altro, ma la situazione di quella donna era un tale dramma che non riusciva a farsi venire in mente niente di meglio.
Laura emise un sospiro e rispose: “Lo so, dottore. Voi avete fatto il possibile, ringrazio tutti.”
Uscì adagio dallo studio. Il medico si affacciò a seguirla con lo sguardo e la vide allontanarsi a testa bassa, con le spalle curve, nel corridoio ormai in penombra.

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