II ciclo di Fheriea - Una Nuova Era

di TaliaAckerman
(/viewuser.php?uid=457465)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Jel ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Dubhne ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Gala/Dubhne ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Dubhne ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - Gala ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - Dubhne ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - Dubhne ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 - Dubhne ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 - Dubhne ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 - Dubhne ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 - Gala ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 - Dubhne ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 - Jel ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 - Jel ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 - Jel/Gala ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 - Dubhne ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 - Jel ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 - Jel ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 - Astapor Raek ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 - Gala ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 - Dubhne ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 - Jel ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 - Jel ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 - Jel ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 - Dubhne ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 - Hareis/Raenys ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 - Hareis ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28 - Dubhne ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29 - Dubhne ***
Capitolo 31: *** Capitolo 30 - Gala ***
Capitolo 32: *** Capitolo 31 - Jel ***
Capitolo 33: *** Capitolo 32 - Dubhne ***
Capitolo 34: *** Capitolo 33 - Jel ***
Capitolo 35: *** Capitolo 34 - Dubhne ***
Capitolo 36: *** Capitolo 35 - Hareis ***
Capitolo 37: *** Capitolo 36 - Gala ***
Capitolo 38: *** Capitolo 37 - Dubhne ***
Capitolo 39: *** Capitolo 38 (parte prima) - Jel ***
Capitolo 40: *** Capitolo 38 (parte seconda) - Jel ***
Capitolo 41: *** Capitolo 39 - Gala ***
Capitolo 42: *** Capitolo 40 - Jel ***
Capitolo 43: *** Epilogo ***
Capitolo 44: *** Ringraziamenti ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO


 





 
Fu proprio nel momento in cui Clemens Russ credette che avrebbero avuto una speranza che le cose cominciarono a mettersi per il peggio.                               
La guarnigione era decimata, certo, ma anche tra le file dei nemici si potevano contare numerosi caduti. I Ribelli che avevano sferrato l’attacco a Qorren dovevano essere stati quasi il triplo delle guardie cittadine ariadoriane poste a difesa della città, ma si era trattato comunque di poche centinaia. Qorren era pur sempre difesa da alte mura e da schiere di arcieri addestrati. 
Russ si era rimproverato più volte di non aver insistito nello spedire lettere d’aiuto verso il consiglio di Tamithia. Alla sua iniziale domanda riguardante il dislocamento di un’intera legione dell’esercito entro i confini di Qorren, il Consigliere capo Davon aveva risposto alquanto frettolosamente, scrivendo di comprendere i suoi timori ma che d’altra parte l’esercito ariadoriano era impegnato su un fronte più a est. E così la guardia cittadina di Qorren si era dovuta accontentare di ricevere solamente una cinquantina scarsa di rinforzi da Meck, un villaggio in espansione poco più a sud.
Anche dopo la conquista di Hiexil da parte dei Ribelli Russ aveva tentato di tornare sull’argomento con una lettera dai toni leggermente più accesi, sperando che a Tamithia qualcuno si rendesse conto della possibilità che Theor prendesse la decisione di muovere le sue forze verso sud-ovest. Non aveva più ricevuto risposta.
Inizialmente le truppe ariadoriane erano state ben distribuite lungo il confine con le Terre del Nord, ma con l’intensificarsi della guerra la maggior parte era stata trasferita verso la regione oltre Hiexil. Le forze nordiche erano state impegnate nel fronteggiare l’esercito dell’Ariador esattamente nell’altra estremità del confine, questo almeno fino a pochi giorni prima.       
Le scorrerie dei Ribelli lungo la parte occidentale del confine erano state regolate solo da squadre di volontari, tra Guerriere, guardie cittadine ed ex membri ufficiali dell’esercito.                       
Così Theor aveva compiuto la sua mossa. Mentre gli Ariadoriani tentavano di riprendere il controllo di Hiexil spezzando le difese nordiche, un ampio contingente di Ribelli era stato ritirato dall’Ariador settentrionale per dirigersi ad ovest, verso Qorren. Avevano oltrepassato Hiexil aggirandola da Nord, sfuggendo all’assedio ariadoriano, per poi attaccare la città.           
Russ sapeva che con quel gesto Theor aveva deciso di dimostrare che, in quel momento, avrebbe potuto sfidare chiunque, qualunque difesa. Se due delle più importanti città ariadoriane fossero cadute nelle mani dei Ribelli nell’arco di sole due settimane, nessuno avrebbe più potuto mettere in dubbio la portata della sua guerra.                                                             
Nonostante lo sconvolgimento nel vedersi arrivare addosso così all’improvviso diverse legioni nordiche, Qorren aveva resistito con tenacia per quattro giorni. Mentre lui stesso era impegnato a guidare la difesa della città, il signore della città Aeleis Kurt aveva inviato corvi a Tamithia, Meck e le altre città più vicine, ma non era ancora giunta alcuna risposta. Non potevano nemmeno sapere con esattezza se il messaggi fossero arrivati a destinazione.                                           
Eppure, nonostante non fossero arrivati rinforzi, Clemens Russ aveva continuato a pensare che, forse, Qorren avrebbe potuto essere salvata. Come comandate delle guardie cittadine aveva combattuto strenuamente, ritirandosi dalle mura solo per poche occasioni. Per due volte i Ribelli erano riusciti a sfondare il portone della città, e per due volte erano stati ricacciati indietro. Russ aveva dato l’ordine di barricare l’ingesso rinforzandolo con nuove, spesse assi, ed era da un giorno e una notte che il varco non voleva saperne di cedere.
– Incoccate le frecce incendiarie! - tuonò Russ rivolto ai pochi arcieri rimasti in piedi sulle mura. – Mirate a quelli che reggono l'ariete!
Trafisse in pieno petto un Ribelle che stava tentando di scavalcare le mura e rigettò all’indietro la scala da assedio che lo aveva condotto così in alto. Se fossero riusciti a penetrare in città dall’alto delle mura avrebbero perso ogni speranza di vittoria. Russ fu costretto ad abbassarsi per schivare un dardo proveniente dal campo avversario e ne approfittò per riprendere fiato, appoggiandosi al parapetto in pietra. Si levò l’elmo e lo scagliò lontano; nonostante il freddo aveva la fronte imperlata di sudore.
– Già stanco, capitano? 
La Guerriera Manya era a pochi metri da lui. Combatteva simultaneamente con due uomini che erano riusciti ad eludere le frecce e chi – come Russ – continuava a neutralizzare gli scalatori e a scaraventare via le scale, i capelli arruffati che le danzavano sulle spalle. Dopo che ebbe spinto con forza uno dei due giù per le scale che conducevano al territorio interno, mozzò di netto la testa all’altro con un pugnale, che poi si affrettò a rinfoderare nella cintura rimanendo con in mano soltanto una spada. Porse la mano protetta dal guanto di ferro a Russ, ma con un sorriso stanco lui rifiutò di farsi aiutare. Si rimise in piedi strizzando gli occhi per il dolore alla spalla ferita che già da ore lo rallentava.                                                                
– È tutto a posto – mentì. – Aiutami a gettare questa merda giù dalle mura.                             
Manya si lasciò andare ad una risata piuttosto sguaiata, cogliendo l’allusione ai cadaveri sanguinolenti dei Ribelli che intralciavano il passaggio lungo il pavimento di marmo.             
Avevano appena terminato, tra una freccia e l’altra, di sgomberare il passaggio, quando l’urlo di una guardia catturò l’attenzione loro e degli arcieri che bersagliavano i nemici dalle mura.            
– La porta ha ceduto! Sono entrati!                                                                                                        
- MALEDIZIONE! – imprecò il comandante estraendo nuovamente la spada. Poi si rivolse a Manya:- Prendi il controllo degli arcieri e occupati della copertura. Vado ad aiutare l’avanguardia.                                                                                            
– No – la donna gli posò una mano sulla spalla. – Tu sei ferito – e ammiccò allo squarcio sulla sua spalla. – Abbiamo bisogno di un capo che ci guidi, non puoi morire ora. Vado io.                        
Per un istante Russ esitò, ma l’espressione ferma della Guerriera lo convinse a lasciarla andare. Poteva svolgere il suo compito anche da lì. – Stai attenta. E non farti ammazzare – disse soltanto. 
– È il mio lavoro, capitano – rispose lei, ma era già scomparsa lungo la scalinata che portava all’interno della città. 
– E allora, voi, cosa aspettate?- apostrofò due arcieri appena dietro di lui. – Coprite coloro che stanno combattendo all’ingresso! Andate! 
Mentre loro si spostavano verso una piattaforma di tiro più favorevole, Russ raccolse l’arco di uno dei caduti e immerse una freccia fra le fiamme del braciere che continuava a scoppiettare lì vicino.  – Al mio ordine, tirate a quelli che tentano di entrare. Voglio una pioggia di fuoco su quei bastardi accalcati all’ingresso. 
Erano rimasti circa una dozzina e tesero gli archi all’unisono.                                                          
– Mirate con cura… - sussurrò Russ. – Tirate!                                                                        
Numerosi nordici crollarono trafitti dai dardi infuocati, e per pochi istanti l’avanzata parve arrestarsi. 
– Richiudete le porte! – urlò qualcuno da sotto le mura interne, e Russ sperò con tutto se stesso che i combattenti a terra ci riuscissero. Dovevano far fuori da lì più Ribelli possibili.           
– ANCORA! – gridò afferrando una seconda freccia dalla faretra di uno dei compagni. Uno di loro crollò all’indietro colpito in fronte da un dardo nemico, ma Russ non se ne curò. Non si curò nemmeno del dolore alla spalla che lo stava facendo impazzire. Gli schiamazzi e la furia della battaglia parevano essere ovattati e lontani. Doveva solo togliere di mezzo ancora qualche nemico, poi avrebbe potuto riprendere la spada e scendere dalle mura per aiutare Manya e gli altri soldati. Dopo un altro giro di frecce infuocate e un altro ancora, la divisione di Ribelli che stava assediando la città era davvero ridotta all'osso.       
Molti degli arcieri attorno a lui stavano esultando, ma lui no. Decenni di esperienza gli avevano insegnato che l’esito di una battaglia non era scontato fino a che non fosse caduto anche l’ultimo membro della fazione nemica. Ma la vittoria ormai era vicina e Russ fece per rialzarsi e raggiungere il campo di battaglia interno. 
Fu allora che la vide arrivare. Fu allora che
tutti la videro arrivare.                                             
Non aveva armi, né cavalcatura, eppure – così com’era apparsa – i Ribelli rimasti all’esterno delle mura si scansarono per lasciarla passare, disponendosi in due perfette ali. Nonostante la pesante cotta di maglia e i paramenti in ferro sulle spalle si poteva indovinare quanto fosse magra, quasi scheletrica. Portava una casacca nera, sulla quale si poteva individuare la fiammeggiante figura stilizzata di un Terkil, il più antico simbolo delle Terre del Nord.                                            
Così come la vide, la parte più profonda dell’anima di Russ comprese che tutto era perduto. Non sapeva con esattezza cosa l’avesse indotto a pensare ciò, ma quando la donna dinnanzi alle porte della città levò in alto una mano stretta a pugno, i capelli rossi mossi dal vento, capì che la sua sensazione era  fondata. 
Quel che restava del portone principale di Qorren esplose in mille pezzi. Lo spostamento d’aria che ne seguì fu così forte che l’uomo e gli arcieri, insieme anche a molti Ribelli, furono sollevati da terra e sbattuti con violenza a terra o sul pavimento di pietra. Mentre la spada gli volava via di mano, Russ riuscì ad aggrapparsi alla sporgenza di roccia un attimo prima che lo sbalzo lo scaraventasse sul selciato interno.

Manya… dov’è Manya?                                                                                                                
Doveva trovarla alla svelta, ordinarle di portare i pochi combattenti ariadoriani rimasti nella cittadella e arrendersi. Non c’era altra scelta se volevano sperare di uscirne vivi…                              
Sperando con tutto se stesso di non spezzarsi le gambe nell’impatto, il comandante delle guardie lasciò la presa e rovinò a terra. Nonostante il dolore che ormai gli attraversava tutto il corpo si rialzò quasi subito, guardandosi intorno e chiamandola disperato. L’ingresso della città era avvolto dalle fiamme. La strega rossa lo attraversò creando un varco tra il fuoco con un semplice movimento della mano.                                                                                                                         
– SCAPPATE! – urlò ai soldati che, per un motivo o per l’altro, continuavano a combattere o restavano paralizzati, impietriti da quello spettacolo sconvolgente. – Manya! – chiamò poi. – Manya, porta via i superstiti!                                                               
La vide proprio a pochi passi dalla strega che aveva ridotto in cenere le loro ultime difese. No, no, non doveva fare sciocchezze. Come poteva pensare di fronteggiare una creatura dotata di così  dirompente forza magica? Se voleva vivere doveva seguire i suoi ordini…
Ma Manya era una Guerriera, era la rappresentanza dell’orgoglio e della tenacia ariadoriana, la furia guerriera che non si ferma neanche quando comprende di essersi imbattuta in qualcosa di ancora più grande.                                                       
Mentre molti dei sopravvissuti venivano letteralmente spazzati via dalla Magia della donna del nord, Russ guardò la sua compagna d’armi avventarsi alle spalle su di lei, sollevando la spada e preparandosi a trafiggerle la schiena… Ma lei non ebbe nemmeno bisogno di muoversi per parare il colpo. Russ vide la lama di Manya infrangersi su una sorta di barriera invisibile e andare in frantumi.

No…                                                                                                                                             
Manya fu scaraventata all’indietro. Lasciando che fossero gli ultimi Ribelli a determinare l’esito della battaglia, la strega abbandonò lo scontro per dirigersi verso di lei; evocò una fiammata e la indirizzò violentemente verso di lei, ma la Guerriera la schivò rotolando su un fianco.                    
In tutta la sua vita Russ non aveva mai visto Manya così atterrita. Dannazione, avrebbe voluto aiutarla, ma non riusciva a muoversi. Non riusciva a pensare, la paura e il dolore erano troppo forti.                                                                               
Manya schivò ancora un altro paio di attacchi della strega rossa, poi la donna la raggiunse afferrandola per la gola. La sollevò da terra senza apparente sforzo poi, il braccio destro avvolto da scintille azzurre, la scaraventò con forza inaudita contro la parete di roccia delle mura.                           
Anche da quella distanza Russ poté immaginare il rumore della colonna vertebrale che si spezzava, uccidendola. 
- NO!
Al diavolo la battaglia! L’uomo si sbarazzò di due Ribelli che ostacolavano la sua strada e corse più veloce che poté contro la donna del nord. Se non c’era più speranza tanto valeva morire con onore. Estraendo la sciabola che per l’intera battaglia era rimasta al sicuro nel fodero sulla sua schiena, Russ chiuse gli occhi. Spiccò un balzo e sai avventò sulla strega che aveva ucciso Manya. Poteva farla finita in quell’istante…                                                                                            
L’ultima cosa che avvertì fu la sensazione di qualcosa che si strappa all’improvviso. Il tempo di comprendere che la propria gola era stata squarciata da un incantesimo che tutto terminò.             
Il buio avvolse Russ e i residui della guerriglia intorno a lui.









NOTE DELL'AUTRICE: 

Ed eccomi qui, come promesso, stranamente senza ritardi disastrosi. 
Sul prologo non ho molto da dire, l'idea di inserire la battaglia di Qorren mi ha attraversato la mente circa una settimana fa e così ho deciso di dedicarle il primo aggiornamento. Spero vi sia piaciuta e che la storia sia riuscita a prendere vita con un ritmo già incalzante. 
Dunque, ovviamente sono molto gradite recensioni di ogni natura, tengo molto a questa fiction e ho bisogno di più consigli possibili! 
Un bacio ai fedelissimi della trilogia e anche - eventualmente - a chi fosse nuovo su queste pagine :) 
Spero di riuscire a postare il capitolo 1 (nel quale ritornerò a Città dei Re, tranquilli) in settimana. 

TaliaFederer

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Jel ***


  PARTE PRIMA 
 
L'ASSASSINA 




1







 
Stesa nel morbido letto dell'infermeria, Dubhne respirava piano. Piano, ma respirava ancora. Il petto si alzava e si abbassava con frequenza irregolare; talvolta la respirazione pareva risultarle difficoltosa, e ansiti più o meno evidenti spezzavano il silenzio dell'ampia stanza. 
Accanto a lei Jel sedeva in silenzio. I suoi occhi erano posati sul viso sanguinante della Combattente, carichi di stupore, tensione e allo stesso tempo di una particolare e irrefrenabile ammirazione. Non aveva mai visto nessuno battersi così: quella ragazza era, era... un'assassina nata, uno strumento della morte abile, feroce, implacabile. Ricordando la stazza del guerriero - Jackson Malker, così gli era parso si chiamasse - che Dubhne aveva ucciso nell'Arena, il mago si chiese ancora una volta dove diavolo avesse trovato tutta quella forza e quella tempra. Aveva assistito solo ai pochi, scioccanti momenti finali della battaglia, ma ne era rimasto colpito. Era rimasto profondamente segnato da tanta violenza, anche dopo tutto ciò che lui stesso era stato costretto a compiere, anche dopo che aveva visto morire Ftia Elbrik e le innumerevoli volte che lui e Gala avevano rischiato di rimanere uccisi. 
Dubhne non si poteva ancora neanche definire una donna, era soltanto una ragazza. Una ragazza che aveva appena vinto la trentaquattresima edizione dei Giochi Bellici.
Ma quella, ovviamente, era solo una minima parte dei pensieri che affollavano la mente di Jel in quel momento: l'idea di aver finalmente ritrovato la Pietra delle Terre del Nord era motivo di sollievo, trepidazione e nervosismo insieme. Perché se Dubhne si fosse rifiutata di consegnarla loro, cosa avrebbero dovuto fare? Avrebbe potuto perfettamente non credere alla storia sua e di Gala.
Non avevano più quasi nulla: i mantelli del Consiglio, i documenti, durante il travagliato viaggio che li aveva condotti fino alla capitale avevano perso tutto. Come negli ultimi tempi si era spesso ricordato, l'unica prova del loro coinvolgimento negli affari delle Cinque Terre erano le loro spille d'oro.  
Avrebbero dovuto ricorrere all'uso della forza contro di lei? Anche in questo caso, il mago non era sicuro che la cosa si sarebbe risolta senza particolari intoppi; in tutta onestà avrebbe preferito evitare di scontrarsi con quella Combattente, anche se era priva di poteri magici. 
Jel aveva seguito ogni mossa della ragazza dopo la sua vittoria nell'Arena: l'aveva vista esultare, stravolta ma felice, scrutare il pubblico con soddisfazione; l'aveva vista poi posare lo sguardo sulle altre persone della sua squadra; e infine, il giovane aveva avuto l'impressione che Dubhne avesse notato lui. Si era trattato di pochissimo tempo, ma per un istante Jel avrebbe giurato di aver visto la sicurezza nello sguardo della Combattente vacillare. 
E infine, l'aveva vista crollare in avanti, sulla terra battuta. Pareva che quello scontro le fosse costato ogni briciola di energia che possedeva i corpo, questo più le numerose ferite che Jackson Malker le aveva inflitto. 
Dopo essersi accertato che la ragazza sarebbe stata trasportata nell'infermeria per i Combattenti del palazzo Cerman, Jel si era allontanato per recuperare Gala, e alla fine l'aveva ritrovata proprio in una sala del palazzo reale, in attesa di essere ricevuta dal Re delle Cinque Terre o un Consigliere che ne facesse le veci.  
"Ce l'ho. L'ho trovata", le aveva detto semplicemente quello. 
Si erano recati all'infermeria presentandosi come Consiglieri di Grimal in missione, dicendo il vero. Jel aveva compreso che, se non avessero dato prova di una certa autorità, non sarebbe stato loro permesso di intrufolarsi in una struttura frequentata solo da Combattenti e persone che in qualche modo avessero a che fare con i Giochi. Da allora avevano atteso.
In quel momento Gala si trovava appena fuori dall'edificio, nel grande porticato, a detta sua per prendere una boccata d'aria. "Avvertimi quando riprende coscienza" gli aveva raccomandato e Jel, assorto, aveva annuito. 
Il mago era ben consapevole che avrebbe potuto benissimo rubare la scimitarra mentre la ragazza dormiva, riportarla a Grimal e solo una volta lì portarla da un fabbro perché liberasse la Pietra e poi rifondesse l'elsa. Chissà, poi avrebbe persino potuto inviare un qualche attendente per riconsegnarle la sua arma preferita. 
Da quel pensiero, il collegamento con Ftia Elbrik fu quasi immediato: Jel rammentava fin troppo bene di averle promesso che, una volta tornati a casa, avrebbe provveduto a farle arrivare tutto il denaro che la cacciatrice aveva richiesto in cambio della sua ospitalità. Nonostante il tempo passato, il ricordo del tradimento, e poi della morte della donna continuava a pesare sulla sua coscienza: si era fidato di Ftia, aveva cominciato a nutrire nei suoi confronti simpatia ed ammirazione, e lei li aveva ripagati accordandosi con Sephirt e consegnandoglieli su un piatto d'argento. Atto che, tra l'altro, l'aveva successivamente portata alla morte. Il suo più grande errore era stato affidare la propria vita nelle mani della strega: come aveva potuto pensare che, dopo che lei stessa aveva ucciso il suo Mal, Sephirt si sarebbe accontentata di uccidere solo lui e Gala? 
La stupidità umana a volte è fonte delle più grandi disgrazie...
I pensieri del giovane furono interrotti dal leggero movimento che la ragazza accanto a lui aveva compiuto, ma ancora una volta rimase deluso: non si era svegliata. 
Rimani calmo. Lasciale tempo. Era malmessa, ha bisogno di riprendersi... Se quando le parlerai si sentirà in forze forse sarà anche più disponibile...
- Mio signore? - Jel ebbe un lieve sobbalzo, ma era solo l'infermiera Kala che gli si era avvicinata.
Jel si voltò esibendo il proprio miglior sorriso di cortesia.
- Che cosa c'è? - chiese con calma. 
- Ecco... insomma... siete sicuro di non voler cambiare aria? Siete qui da ore... La ragazza è in buone mani con me, se lasciate il palazzo potrò farvi richiamare quando si sarà svegliata. 
- No - la parola suono in modo più aggressivo di quanto Jel avesse voluto. - No - ripete più piano. - Grazie davvero, ma preferisco rimanere qui di persona. 
- Ma certo. Capisco - la donna annuì e si voltò, per dirigersi in fretta verso uno degli altri letti occupati della spaziosa infermeria. 
Jel rise sotto i baffi al pensiero di tutti gli ossequi che quella Kala - così come la guardia cui aveva chiesto informazioni su Shist e Cambrel - gli aveva rivolto. Pur essendo un Consigliere, non era abituato ad essere trattato con tutto quel rispetto dagli estranei. Eppure lì, a Città dei Re, la grande capitale, era abbastanza lontano da Grimal perché le persone ignorassero che lui, all'interno del Consiglio fosse poco più che nessuno
Jel attese ancora alcuni minuti, si alzò per sgranchire un po' le gambe e poi tornò a sedersi accanto alla sbilenca brandina.
Per quella che doveva essere la ventesima volta non riuscì a trattenersi e si soffermò a fissare il volto semi tumefatto della neo vincitrice dei Giochi: aveva un labbro spaccato, l'intero zigomo sinistro violaceo, un sopracciglio così malmesso da essere quasi sparito sotto uno sgradevole ammasso di pelle lacerata e gonfia. 
Il mago si era chiesto più volte se ce l'avrebbe fatta, se si sarebbe prima o poi svegliata o se sarebbe morta nel sonno. Per quanto sentisse di ammirare la tenacia e la forza di quella Combattente, Jel sentiva che con la sua morte le cose sarebbero state incredibilmente più semplici. 
Fu proprio allora che, finalmente, come per risposta alla sua intemperanza, la vide riaprire lentamente gli occhi. Occhi gonfi, stanchi, di un caldo color castano.
- Ah, vedo che... 
- Chi sei? - l'immediata durezza nel tono della ragazza lo sorprese. Pareva essere perfettamente lucida.  - Ti ho visto... nell'Arena. Che cosa vuoi da me? 
Diplomatico. Sii diplomatico. 
- Non devi avere paura. Io ho solo bisogno di... 
- Io non ho paura. 
La ragazza chiuse gli occhi, passandosi delicatamente una mano sulla fronte. Quell'effimero scoppio di energie pareva essersi già esaurito. Ottimo, così sarebbe stato più facile dirle ciò che doveva... 
- Come dicevo, ho solo bisogno di parlare con te - spiegò il giovane tentando di apparire dolce, o anche solo rassicurante. - In particolare avrei bisogno di parlarti della tua... scimitarra. 
- Buffo - commentò lei tornando a fissarlo e sorridendo lievemente. - E io che pensavo volessi chiedermi di come ho passato la mia infanzia... 
Sarcastica. E sveglia. 
Convincerla ad ascoltarlo sarebbe stato piuttosto difficile. 
- Mi dispiace di essere qui per disturbarti proprio ora. So che sarai stanca e dolorante, ma... 
- In verità mi fa male dappertutto - si lamentò la ragazza con voce roca, provando a tastarsi con lentezza la guancia sinistra. Strizzò gli occhi arrossati e poi ridacchiò; pareva aver realizzato qualcosa solo in quel momento.                                        
- Ma dopotutto... ho vinto. Ma certo, ecco perché sei qui. Che cosa vuoi, chiedermi di mettere le mie doti al servizio della corona o qualcosa del genere? 
- Non esattamente - rispose lui. - Se sarai disposta ad ascoltarmi ti spiegherò tutto nel minor tempo possibile. Poi ti lascerò in pace e potrai... goderti la tua gloria. 
Rimasero a fissarsi per pochi istanti, lo sguardo quasi agguerrito di lei e quello fermo e risoluto di lui. Jel era sicuro che se ne avesse avuto la forza Dubhne avrebbe incrociato le braccia. 
- E va bene - disse infine. - Parla. 
- Beh... Dubhne... - si chiese se chiamarla per nome fosse stata una buona idea. - Tu hai idea di cosa sia un Consigliere? 
- Non esattamente
Jel si batté i palmi sulle ginocchia e cominciò a spiegare. Le disse tutto, o quasi. Le disse che il Re delle Cinque Terre in persona aveva inviato lui e Gala per compiere quella lunga missione nei territori di Fheriea. Le parlò di Theor, della ribellione a Nord, le confidò quanto fosse importante quella graziosa pietra biancastra che era incastonata proprio nella sua scimitarra. Sorvolò sulla spiegazione di cosa fossero realmente le Sei Pietre, ma pensò che alla ragazza sarebbe stato sufficiente sapere che il suo contributo era importante. 
Non fu così. 
- Perché - chiese Dubhne aspra. - Perché dovrebbe importarmi qualcosa di quello che mi hai raccontato? E perché dovrei anche semplicemente credervi? 
Perché non puoi levarti di mezzo e basta?
Tentando di nascondere la mascella serrata che tradiva la sua irritazione, Jel replicò:- Che tu mi creda o no, non ne trarrai alcun vantaggio. Dopo aver estratto la Pietra farò rifondere l'elsa e ti restituirò la scimitarra. Non verrai immischiata in questa cosa, né ti disturberò più in altro modo. Solo che se mi aiuti avrai contribuito a fare qualcosa di buono per il continente. 
- In teoria a quest'ora io dovrei essere là fuori, circondata dalla mia squadra a festeggiare la vittoria e godermi l'umiliazione di Peterson Cambrel. 
Jel si chiese per l'ennesima volta cosa ci trovasse quella Combattente di così divertente nel rendergli le cose sempre più complicate. 
- Perché non vuoi ascoltarmi? 
- Perché dovrei farlo? - ribatté Dubhne alzando la voce. - Io non ti conosco, non ti ho mai visto prima, e tu vieni qui a parlarmi di Magia e... e una specie di rivoluzione... Soltanto poche ore fa avrei potuto morire! 
- Aspetta un attimo... - la interruppe il mago, cogliendo al volo un particolare inaspettato. - Tu... quanto tempo credi che sia passato dalla finale dei Giochi? 
Dubhne alzò le spalle ostentando noncuranza. - Non lo so... quattro, cinque ore. 
- Sei in quest'infermeria da quasi due giorni. 
Il giovane si compiacque dell'espressione di momentaneo smarrimento che le sue parole le avevano procurato. 
- Ma come... come ho potuto dormire così a lungo? 
- Siamo stati qui per tutto il tempo, io e la mia compagna. E sì - anticipò la domanda che si andava formando sulle labbra della Combattente. - I tuoi compagni di squadra sono venuti a trovarti parecchie volte. È venuto anche quella specie di armadio, Malcom Shist, giusto? 
Un lieve sorriso increspò l'espressione di Dubhne, sorriso che - come Jel notò mordendosi il labbro - le donava molto. 
- Malcom ha detto qualcosa? - chiese la ragazza, lo sguardo per la prima volta realmente attento, puntellandosi con i gomiti per mantenere la schiena dritta. 
Jel avrebbe voluto scrollarla per le spalle e intimarle di smettere di fargli perdere tempo, ma si impose di mantenere la calma: forse, se lui l'avesse assecondata, avrebbe avuto una possibilità di farsela buona... 
- Non ha detto nulla. Non è stato qui a lungo, per la verità. Ma non ho mai visto nessuno guardare qualcuno con una tale soddisfazione nello sguardo. 
D'accordo, forse stava leggermente esagerando. Ma che altre scelte aveva? 
In effetti, Dubhne sembrava di umore migliore rispetto a prima. L'euforia per la vittoria pareva stesse tornando a farsi sentire. 
Guardò Jel e disse con fermezza:- Penserò a quello che mi hai detto, Consigliere. Forse... forse potrò anche decidere di consegnarti la scimitarra, ma voglio che dopo che avrai preso la tua maledetta pietra mi venga riportata. E ora... lasciami in pace. Mi fa male il braccio. 
Jel strinse i pugni infastidito, ma annuì.
- Capisco - disse nel tono più gentile che gli riuscì. - Dopotutto, forse, hai ancora bisogno di riposare. Tornerò domattina, d'accordo? 
- Sì, sì - rispose lei tornando ad appoggiarsi al cuscino di piume e chiudendo gli occhi. - Ma a una condizione. 
- E sarebbe? - Jel aggrottò un sopracciglio. Ma non gli arrivò più risposta. Forse si era solo addormentata, forse lo stava facendo apposta per tenerlo sulle spine.
Al diavolo lei e la sua arroganza! inveì il mago mentalmente rialzandosi. Se avesse avuto qualcosa fra i piedi lo avrebbe volentieri preso a calci. 
Ignorando le parole quasi di scusa che Kala gli stava rivolgendo Jel superò il letto di Dubhne e si diresse a passo deciso verso le uscite; mentre varcava la porta si imbatté nella ragazza snella con i capelli neri che aveva incontrato al capezzale di Dubhne anche il giorno prima, ma non si fermò per dirle alcunché. Aveva bisogno di parlare con Gala: confrontarsi, discutere su quello che c'era da fare e - chissà - magari sfogare un po' della propria irritazione. 
La strega era proprio dove avrebbe dovuto trovarsi: seduta sui gradini di pietra del Palazzo Cerman, gli occhi socchiusi, sorreggendosi il mento con una mano. I raggi del sole tramontante le accendevano i capelli viola di curiosi riflessi lucenti.  
- Tutto bene? - le chiese il giovane lasciandosi scivolare a sedere accanto a lei.
Gala alzò le spalle. - E tu? Hai una faccia orribile. 
- Si vede così tanto? - Jel si passò stancamente una mano sul volto. Guardò l'amica negli occhi. - Dubhne si è svegliata, le ho parlato pochi minuti fa.
La ragazza si fece d'un tratto attentissima. - E allora? Che cosa ha detto? Le hai parlato della Pietra? 
- Gliel'ho accennato, sì. Ma ho pensato fosse meglio non rivelarle troppi dettagli sui nostri sei talismani. Le ho semplicemente detto che era di vitale importanza che ci consegnasse la sua scimitarra. 
- E...?
- Che ti aspetti da una tipa così? 
- Cosa dovrei aspettarmi? 
Jel raccolse un sassolino da per terra e lo lanciò con stizza nella piazza.
- Non mi ha dato una vera e propria risposta. Ha detto che ci deve pensare, che ora è stanca e non ha intenzione di curarsi dei nostri affari. Non credo che le importi qualcosa della ribellione o delle Cinque Terre. 
Gala si morse il labbro. - Dovevi essere più autoritario. Sei tu il Consigliere, Jel, potevi prenderle quella stupida spada e portarla a palazzo anche senza il suo consenso. 
- Credi che non ci abbia pensato? Certo che avrei potuto. Ma preferisco risolvere la cosa con calma.
- Calma? - esclamò l'altra infastidita. - Ad ogni momento che passa la situazione a Nord si aggrava! 
- Non alzare la voce! Vuoi farti sentire da tutti i Combattenti nei paraggi? 
- No, no, certo che no - rispose la strega abbassando il tono, scura in volto. - Scusami, ma davvero non ti capisco, a volte. 
- Domani mattina torneremo per parlare con lei. Se vorrà aiutarci spontaneamente sarà un bene, altrimenti... Prenderemo quella scimitarra in un altro modo. 
Gala rimase in silenzio per pochi istanti, fissando il sole che tramontava in lontananza. Jel le mise una mano sulla spalla.
- Stai tranquilla, so quello che faccio. Ora sappiamo dov'è la Pietra, domani sarà nelle nostre mani e potremo riportarla a Grimal. Che la Combattente lo voglia o no. 
Sorrise a Gala, tentando di apparire incoraggiante. 
- Non ho ucciso una strega e attraversato l'intera Fheriea per ritrovarmi di fronte a un rifiuto - mormorò la ragazzina chinando il capo e stringendo i pugni. 
- No - convenne Jel. - Nemmeno io. 


Non trascorsero la notte a palazzo, bensì in una piccola ma confortevole osteria poco distante dall'Arena. 
Pur essendo rimasti completamente a corto di denaro, Jel aveva sperato che il proprietario potesse rendersi disponibile per dare una mano a due Consiglieri. E così era stato. Lui e Gala erano riusciti a rimediare una stanza singola adibita per due, e di certo non si erano lamentati per la carenza di spazio. 
Steso a terra, la testa appoggiata sul secondo cuscino del lettuccio dove avrebbe riposato Gala, il mago rifletteva attentamente su quello che era successo quel giorno. Non si era aspettato che Dubhne si rivelasse solare e disponibile, ma era rimasto comunque deluso dall'esito della loro discussione: erano rimasti pressoché al punto di partenza. 
Ma perché doveva sempre essere tutto così complicato? 
Vada come vada, domani prenderai quella Pietra. Al diavolo la sua dannata scimitarra... Il futuro di Fheriea è più importante. 
Si rigirò sul pavimento, insofferente. Lanciò una fugace occhiata a Gala; dal modo in cui il petto della ragazza si alzava e si abbassava regolarmente e gli occhi chiusi dedusse che stesse dormendo profondamente... Avrebbe tanto voluto riuscirci anche lui. 
Mentre fissava il soffitto respirando lentamente, gli ultimi istanti di vita di Ftia tornarono nella sua mente per tormentarlo. Era da quando erano giunti a Città dei Re - di fatto da quando il loro viaggio era "rallentato" lasciandosi i pericoli alle spalle - che il ricordo non gli dava tregua. 
Era qualcosa di particolare, un aspetto di sé che aveva notato spesso: spesso, a seguito di una tragedia, non era esattamente il primo periodo a dimostrarsi il più duro. Come per la morte di suo padre: forse era stata solo questione di "metabolizzare" e comprendere realmente l'accaduto, fatto sta che il dolore più grande aveva cominciato a farsi sentire solo diversi giorni dopo. 
La perdita di Ftia era stata senza dubbio meno gravosa rispetto a quella di suo padre, o di Camosh, e nelle settimane successive la frenesia del viaggio e della battaglia avevano a loro modo aiutato il mago a non rammentarla.
Ora che si trovava al sicuro, in una città amica, non poteva fare a meno di ripensarci. A discapito di ogni previsione, lui e Gala - giovani, inesperti e avventati - erano riusciti a cavarsela, mentre Ftia no. Da quando li aveva slavati pugnalando Mal alle spalle non aveva fatto altro che scivolare in un vortice di errori ed ecco com'era andata a finire. 
Avresti potuto salvarla, si disse Jel severamente. Se solo l'avessi avvertita, se l'avessi messa in guardia da Sephirt... 
È stato un letjak, non Sephirt, a ridurla in fin di vita. Questo non potevi prevederlo. E se Ftia non avesse avuto bisogno di cure... 
Non avrebbe avuto alcuna possibilità, con Sephirt. Sarebbe morta comunque. 
Il giovane si passò una mano sugli occhi. Doveva darci un taglio: la giornata che gli si prospettava davanti sarebbe stata tutto tranne che semplice. Aveva bisogno di tutto il riposo possibile per poter - l'indomani - mantenersi lucido e reattivo. 
- E poi - mormorò con un lieve sorriso. - Ormai stai per tornare a casa.
- Lo credi davvero? 
Dopo gli ultimi mesi trascorsi sul filo del rasoio, Jel si rese conto che aveva davvero iniziato a sobbalzare anche per un nonnulla. Era solo Gala: evidentemente aveva parlato più forte di quanto avesse pensato. 
- Lo spero, almeno - confermò voltandosi verso di lei e mettendosi seduto. 
- Quindi credi che Dubhne ci consegnerà la Pietra? 
- È come hai detto tu, no? Siamo noi i Consiglieri, prelevare la Pietra del Nord non è solo un nostro diritto, è un nostro dovere.
Vide Gala sorridere nell'oscurità.
- Sai - esordì a mezza voce. - C'è stato un momento in cui ho davvero pensato che non saremmo riusciti a sopravvivere. Insomma, prima Amaria, poi lo... lo scontro con Sephirt e... la battaglia. È davvero incredibile essere ancora qui, non credi? 
- In verità sì - ammise lui mestamente.
Ci siamo imbarcati in quest'impresa senza neppure sapere cosa ci attendesse veramente, eppure ce l'abbiamo fatta.
Seguì un attimo di silenzio; nonostante ne avessero già parlato più volte, rammentare ciò che avevano condiviso lungo quel viaggio aveva sempre un effetto strano su di lui. Avrebbe voluto poter dimenticare tutto e lasciarselo alle spalle, eppure la sua mente continuava a ritornarvici. Probabilmente anche Gala soffriva dello stesso problema. 
Jel alzò un braccio e con la mano destra raggiunse quella sinistra dell'amica, stringendola: erano quelli i momenti in cui si sentiva particolarmente legato a lei. 
- Presto torneremo a Grimal, Gal. Allora potremo prenderci un meritato periodo di riposo. 
Forse...
- Ne avrei davvero bisogno - concordò lei con un lieve sorriso. - Anche se... - le si gelò sul viso. - Ormai non ho nemmeno più un posto dove andare.







NOTE: 

Hola gente, ecco il primo capitolo, sono stata puntuale, no? Beh, non l'avrei mai creduto possibile, ma l'iniziale stesura di questa terza storia sta andando piuttosto bene *.* Sto già lavorando al capitolo 3 e quando avrò finito gli ultimi ritocchi potrò pubblicare il 2! 
Dunque Dubhne e Jel hanno avuto modo di confrontarsi per la prima volta, che ne dite? Le dinamiche vi ispirano? Se sì ovviamente fatemelo sapere con una recensione, mi bastano anche poche righe ;) 
Ah, e ne approfitto per ringraziare già da ora Miwako Honoka, Arya373 e Bonsai95 che hanno inserito "Una Nuova Era" fra le storie seguite. 
Al prossimo capitolo, 

Talia 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Dubhne ***




 




I tre uomini che stavano in piedi di fronte a lei in quel momento erano degli estranei, per Dubhne. Si erano presentati come Girion Afhelor, Tate Orson e Aemay Ghar.
Curioso, ma la Combattente non si era mai interrogata sulla loro esistenza. 
Ovviamente dietro la competizione si celava il lavoro di una più ampia cerchia di persone ma gli "organizzatori" veri e propri, quegli uomini ricchi e influenti che ogni anno si premuravano di procurarsi il denaro per coprire le consistenti spese che i Giochi esigevano, erano loro. Il rifornimento di nuove armi, le tenute da combattimento... tutti affari nelle loro mani. In quel caso - e soprattutto - la vincita che spettava a chiunque avesse trionfato nell'Arena e al suo padrone.
Cinquemila york d'oro. 
In tutta la sua vita, l'ipotesi di divenire così ricca non aveva mai nemmeno sfiorato la mente di Dubhne. Neanche nei suoi sogni più folli avrebbe immaginato di ritrovarsi tra le mani una così alta somma di denaro. Denaro che si era guadagnata personalmente. 
Uccidendo delle persone. 
No. Facendo ciò che devi. Il tuo lavoro.

Appoggiata sui gomiti, la schiena che sfiorava appena il muro dietro la sua brandina, Dubhne scrutava il maestoso forziere che i tre uomini avevano appena dato l'ordine di consegnarle.
- Sono... tutti? - si informò, anche se l'emozione che l'aveva avvolta le imponeva un fastidioso groppo alla gola.
- Ma certamente - rispose uno degli uomini - Girion - facendo un passo in avanti. - Cinquemila york, sono tuoi come stabilito.
Era alto, serio, l'esempio del perfetto Uomo Reale del Nord: i folti capelli bruni, la carnagione chiara, lo sguardo leggermente rapace: Dubhne si chiese quanti anni potesse avere; di certo, teneva ben salde le redini dei Giochi Bellici da parecchio tempo. 
La ragazza ostentò il proprio sorriso più amabile e chinò il capo: non aveva alcun motivo per entrare in contraddizione con quegli uomini, quindi tanto valeva fare buona impressione. E non doveva dimenticare che, dopotutto, le stavano consegnando un immenso regalo.
- Ora siete una donna libera - proferì il secondo uomo, ma solo dal fatto che avesse deciso di rivolgersi a lei con il voi, Dubhne comprese che erano appena sconfinati nell'area della "pura formalità": in pratica, i tre organizzatori l'avrebbero istruita su cosa fare una volta uscita dall'infermeria. 
- Ovviamente potrete lasciare la capitale non appena lo desiderate - proseguì Aemay Ghar - ma in un primo momento siete tenuta a partecipare alla cerimonia di chiusura, dal momento che al termine della finale ciò è stato impossibilitato dal vostro svenimento.
Dubhne non si oppose, anzi, l'idea di tornare vincitrice nell'Arena ancora una volta la esaltò; dal momento del suo trionfo non aveva più visto Peterson Cambrel, di certo non avrebbe sciupato l'occasione di incrociarlo nuovamente per rimarcare quanto le gerarchie fossero mutate. Quanto lei stessa le avesse mutate.
- Quando si terrà la cerimonia? - domandò soltanto, al che Girion rispose tranquillamente:- Non appena vi sentirete in forze. 
Ottimo.
- Questo pomeriggio andrà bene.
Desiderava che la gente la vedesse in quel momento, in quello stato, con i segni della battaglia con Jackson ancora vividamente impressi sul suo corpo. Tutti l'avrebbero amata o odiata ancora di più.
La sua risposta non parve sorprendere i tre organizzatori.
- Dunque siamo d'accordo - sorrise Tate Orson. Poi fece cenno ad una ragazza della servitù che aveva trasportato il forziere con la ricompensa in denaro. - Lascia l'abito sulla brandina qui a fianco. 
Dubhne aggrottò un sopracciglio:- Come sarebbe a dire l'abito?
- Non possiamo certo permettervi di partecipare all'esibizione con addosso i vostri indumenti da combattimento, non trovate?
No, non trovo, avrebbe voluto rispondere la ragazza seccamente e, invece, tacque. Di certo avrebbe preferito tenere i vestiti che le appartenevano, la stessa tenuta da combattimento che l'aveva accompagnata nel difficile percorso iniziato con l'arrivo a Città dei Re. Non era mai stata una donna elegante, nemmeno quando viveva con i Farlow, e mai aveva avuto - o desiderato - l'occasione per agghindarsi come una nobile.
Nel rendersi conto che i tre ancora la scrutavano, Dubhne domandò schiarendosi la gola:- C'è dell'altro?
- Direi di no - rispose Girion, volgendosi verso gli altri due. - Abbiamo dimenticato qualcosa?
- Ah, sì. Durante la cerimonia dovrete stringere la mano a Malcom Shist e agli altri padroni, Cambrel e Pets - soggiunse Aemay. - È importante che manteniate il rispetto verso i vostri avversari.
Rispetto. Uccidere i Combattenti avversari, umiliarli e mutilarli era accettato, ma tutto ciò solo nell'arco di durata dei Giochi; al loro termine, il vincitore doveva apparire altero ma rispettoso, mostrando quasi... nobiltà d'animo? Dubhne sorrise leggermente a quel pensiero. L'ipocrisia dietro quel meccanismo era palese, eppure non le dispiaceva affatto: riconoscere i meriti del nemico poteva voler dire sottolineare ancora di più la propria superiorità.
- Non sarà un problema - rispose.
- Molto bene - concluse Girion Afhelor con un lieve battito di mani. - Non possiamo fare altro che rinnovarvi i nostri complimenti, Dubhne, Ragazza del Sangue. Godetevi la vostra libertà.
- Vi ringrazio - fece Dubhne con un sorriso che aveva del trionfante. - Lo farò, senza dubbio.
- Desiderate che il vostro premio vi sia portato a palazzo Cerman? O forse preferite che vi venga prenotata una camera in una locanda presso l'Arena?
- La mia camera al palazzo andrà benissimo, grazie - tagliò corto Dubhne. - Ma sarebbe carino se potessi disporre di qualcuno che ne sorvegli l'entrata, durante la mia assenza. Dopotutto si tratta solo di un paio di giorni. Poi lascerò la città.
Già... Ma per andare dove?
Mentre i tre organizzatori si accingevano a congedarsi con un piccolo inchinò di cortesia - al quale lei ricambiò chinando il capo - Dubhne tornò a sprofondare fra i cuscini. Se da una parte l'idea dell'evento di quel pomeriggio la eccitava, dall'altra manteneva una leggera agitazione per il discorso che avrebbe tenuto di lì a poco con quel mago, Jel.
Un mago... Dubhne non aveva mai nemmeno osato sperare di incontrarne uno. Eppure, per come la vedeva ora, non si era trattato di un evento così stupefacente. Jel era giovane - si poteva anche definire piuttosto attraente - ma nulla di più; Dubhne aveva sempre pensato - forse con ingenuità - che i maghi fossero estremamente rari e soprattutto figure altere, potenti, estranee alla vita delle persone comuni.
Jel si era dimostrato tenace e diplomatico, ma non era riuscito a nascondere il fastidio che l'alternarsi di ilarità e durezza nel tono della ragazza gli aveva procurato. Da parte sua Dubhne se ne poteva definire quasi fiera.
Sorridendo un poco si levò di dosso le lenzuola: era rimasta distesa fin troppo tempo, aveva bisogno di muoversi.
Rimpianse il fatto che il suo compagno di squadra Phil fosse stato dimesso il giorno prima, altrimenti avrebbe potuto scambiare due parole con lui.
Lievemente malferma sulle gambe, la Combattente si avvicinò alla brandina di fianco alla sua, dove quella servetta aveva deposto il suo "abito da cerimonia". Nonostante tutto, Dubhne dovette ammettere che era splendido: tessuto in morbido broccato di un color blu notte, ricamato con piccoli arabeschi grigio perla. La giovane ne prese un lembo con due dita assaporandone la fattura perfetta.
Non avrebbe potuto presentarsi nell'Arena indossando i vestiti con cui aveva vinto i Giochi, ma di certo avrebbe fatto la sua figura. 
Rimase meravigliata nel constatare che ad aggiungere grinta a quell'abito altrimenti elegantissimo vi erano due paramenti di metallo per le spalle e una spessa cintura di cuoio, insieme ad un fodero che pareva essere stato fatto apposta per la sua scimitarra.
Hanno davvero fatto le cose per bene...
Senza esitare Dubhne si sfilò la leggera tunica di lino con cui l'infermiera Kala l'aveva coperta e la gettò sul letto. Dopotutto gli altri ospiti dell'infermeria stavano riposando - chi ancora in stato di totale incoscienza - quindi non c'era da farsi scrupoli sull'apparire svestita.
- Kala - chiamò la ragazza rivolta alla donna seduta su di una seggiola in fondo alla sala. - Vieni a darmi una mano con il vestito.
Alzando le braccia per infilarle nelle maniche larghe della veste Dubhne represse a stento un gemito di dolore, mentre Kala le sistemava gli orli della gonna. L'infermiera le strinse anche le cinghie che assicuravano quelle particolare "spalline" al resto dell'abito, ma a regolarsi la cintura fu Dubhne stessa. Non la strinse molto, in quanto il taglio che Jackson le aveva inferto all'addome le doleva ancora parecchio. Si infilò anche la scimitarra nel fodero, e all'istante tornò a sentirsi invincibile.
- Nessun corsetto, mia signora? - le chiese sorridendo timidamente Kala, ma la domanda la infastidì: non era lì per apparire come una stupida principessa e pavoneggiarsi. Voleva essere bella, sì, ma non di più, esserlo in modo funzionale e freddo. Era una dannata Combattente, non avrebbe mai nascosto la sua vera natura.
- Non mi serve un corsetto, Kala.
No di certo, dal momento che non hai nulla da mettere in risalto, lì sotto...
In effetti, neanche il proprio fisico pareva essere adatto a venire valorizzato; di certo aveva poco di femminile. Le gambe toniche, i muscoli che risaltavano sulle braccia altrimenti magre. Alla ragazza pareva che persino il proprio seno fosse incredibilmente piatto, ma la cosa era funzionale al suo lavoro, o almeno lo era stata per lei. Ad una Combattente occorreva essere forte e veloce, agile, poco importava che non avesse le grazie di una comune fanciulla.
A dir la verità, Dubhne era piuttosto fiera del proprio fisico atletico.
Aveva appena finito di darsi un'ultima sistemata ai lembi delle maniche, quando la porta dell'infermeria venne spalancata.
- Dunque, Dubhne. Hai soppesato la mia richiesta?
Lo aveva conosciuto solo il giorno prima, eppure riconobbe subito la voce di Jel. Si voltò di scatto e non riuscì a non notare l'espressione di sorpresa che si era dipinta sul volto del mago nel vederla in abiti eleganti.
Jel si schiarì la voce:- Spero... Spero di non averti disturbata - disse mantenendo un tono curiosamente - o forse forzatamente - freddo.
- Nient'affatto - sorrise lei; era di umore nettamente migliore rispetto al giorno prima. - In ogni caso, sì, ci ho riflettuto. In realtà conoscevo già la mia risposta anche quando ti ho mandato via, ieri sera.
Il Consigliere assunse un'espressione contrariata.
- Questo non è un gioco - proferì serio. - Nel caso tu non l'avessi capito si tratto di una questione di estrema urgenza. Non ho per forza bisogno del tuo permesso per prendere la tua spada.
- Scimitarra a lama larga - specificò Dubhne estraendola con un movimento fluido. Aveva colto la, pur lievissima, minaccia che era trapelata dalle parole del giovane. Non le sarebbe dispiaciuto giocare ancora un po', così la puntò in direzione di Jel. Non le avrebbe fatto del male, ne era sicura, né tantomeno avrebbe utilizzato la magia contro di lei. Sembrava tentare con tutto se stesso di apparire intransigente e severo, ma Dubhne aveva capito dal primo momento che quel modo di fare non gli apparteneva particolarmente.
- Che vuoi fare, infilzare un funzionario delle Cinque Terre in missione? - chiese calmo.
- Se oserai minacciarmi ancora una volta, credo proprio di sì - ribatté Dubhne, ma questa volta si aprì in un sorriso. Rinfoderò la scimitarra. - Allora, vuoi ascoltare o no le mie condizioni, Consigliere?
- Sto aspettando proprio questo in effetti - disse lui sedendosi sulla brandina accanto a lei. La guardò stancamente:- Ebbene, di che cosa si tratta?
Dubhne esitò un istante; solo ora si rendeva conto che la questione la metteva lievemente in imbarazzo.
- Voglio... Voglio poter venire con voi, quando ripartirete da Città dei Re - disse mesta.
Jel dovette avvertire il totale cambiamento nel tono della Combattente, perché parve spiazzato. Non doveva essersi aspettato una richiesta del genere.
Dubhne lo fissò negli occhi, affrettandosi a tornare seria e sicura come sempre.
- Non ho un posto dove andare - spiegò. - Anche se ora ho il denaro, sono senza una casa, senza... uno scopo. Combattere è stato il mio lavoro, ora non so che farmene della libertà.
- Questi non sono affari miei - rispose Jel, stupendola con quel tono indifferente.
Dubhne si sarebbe aspettata maggiore empatia, maggiore comprensione. Sarebbero giunti a un comodo compromesso e lei sarebbe riuscita a trovarsi una meta almeno momentanea...
- Bene allora - fece irritata. - In questo caso siamo al punto di partenza.
- Non puoi venire con noi - ribadì Jel fermamente. - Non ne hai motivo. Noi saremo nel corteo reale, ci saranno i Consiglieri dello Stato dei Re, servitori e il Re in persona. Che ci farebbe un'assassina fra di noi?
Dubhne strinse i denti. Forse si era sbagliata a giudicare quel ragazzo come inesperto e gentile.
Evidentemente anche lui si accorse di essere risultato piuttosto indelicato, perché si corresse:- Insomma, non credo che ne trarresti alcun vantaggio. Senza offesa, ma tu non c'entri niente con la nostra causa.
Un tempo Dubhne avrebbe chinato il capo, imbarazzata, ma non ora.
- Non vi sarei nemmeno di peso, però. E nel caso incappaste in qualche complicazione, beh... Potrei esservi d'aiuto.
- Avremo già una scorta reale, grazie - la gelò il giovane. Che si stesse in qualche modo vendicando per le provocazioni mosse da lei il giorno prima era chiaro.
Anche Dubhne si abbandonò seduta sulla brandina, proprio di fianco a lui. Lo sentì irrigidirsi quando gli posò una mano sulla spalla.
- Credi che non abbia capito quanto sia importante quello che fai?
O che sostieni di star facendo. 
Jel si volse verso di lei, al che Dubhne poté scorgere un lampo di sofferenza attraversare il suo sguardo. All'istante comprese che il mago non aveva mentito su nulla: il viaggio che aveva condotto lui e la sua amica fino alla capitale doveva essergli pesato in maniera incredibile.
- Tu hai bisogno della mia scimitarra e di quella stupida Pietra, io sono disposta a lasciartela prendere. Ma devi lasciarmi venire con voi. Non chiedo altro, io so badare a me stessa.
In realtà, nemmeno lei comprendeva a fondo il motivo per cui desiderasse così tanto lasciare subito Città dei Re e partire con loro. Forse era il timore che, ora che aveva vinto i Giochi e ora che avrebbe abbandonato il mondo dei combattimenti, la sua vita si sarebbe ridotta ad andare avanti per inerzia, vuota, insoddisfacente. Aveva sperimentato cosa volesse dire rischiare la vita e poi vincere, ormai l'idea di rimanere inattiva non l'aggradava affatto. Prima avesse trovato qualcosa da fare, un posto dove andare, prima avrebbe potuto trovare qualcosa che sostituisse le emozioni provate nell'Arena.
- Non dubito delle tue capacità - rispose Jel diretto. - Ma non mi fido di te.
- Che ti aspetti, che faccia fuori il Re delle Cinque Terre?
- Hai minacciato di uccidere me appena cinque minuti fa.
- Solo perché mi avevi minacciata a tua volta - ribatté Dubhne. - Senti, non so con chi tu sia abituato a trattare, ma io sono una Combattente. Non amo farmi mettere i piedi in testa.
- Nemmeno io.
Si squadrarono ancora per qualche istante, poi Jel si rialzò passandosi i palmi sulla stoffa dei pantaloni. Pareva ci stesse riflettendo.
- Se ti dessi il permesso di venire con noi - disse il giovane lentamente. - Mi prometteresti che non causerai nessun tipo di problema? 
- Ma certo.
Jel sospirò, e Dubhne immaginò si stesse chiedendo il perché dell'aver incontrato una persona così intrattabile.
- E va bene - concluse infine il Consigliere. - Dopotutto non mi sembra una richiesta così esagerata. Ma te l'ho già detto - riassunse quel tono gelido. - Non ti azzardare a mettere in pericolo il nostro ritorno, altrimenti giuro che darò l'ordine di sbatterti in prigione, arrivati a Grimal.
- Un'altra minaccia?
Esasperato, Jel alzò gli occhi al cielo. - Ti sto facendo un gran favore, Dubhne, almeno ricambia trattandomi con rispetto. Nessuno mi obbliga ad aiutarti.
- Lo so, lo so - fece lei per tutta risposta. - Farò la brava... E così andiamo a Grimal? - aggiunse poi, interessata. - Non ci sono mai stata, come mai proprio lì?
- Non ti riguarda - la freddò il giovane aspro, al che Dubhne si decise a lasciar perdere.
Non l'avrebbe mai ammesso, ma la prospettiva di partire dalla capitale per una meta di cui non sapeva nulla la riempiva di una sorta di infantile entusiasmo. Forse, dopotutto, per i primi mesi della sua libertà sarebbe potuto essere quello il suo passatempo: viaggiare, girare quel mondo di cui sapeva ancora così poco...
- Quando partirete?
- Se ti decidi a consegnarmi quella spada, anche in giornata.
A quell'affermazione, Dubhne sperò di non essere arrossita.
- Questo non credo sarà possibile, per me.
- E perché di grazia?
- Questo pomeriggio dovrò tornare nell'Arena per la celebrazione di chiusura dei Giochi Bellici. Non so per quanto durerà ma dovrò portare con me la scimitarra. Voglio averla con me - sottolineò lei. - Poi te la lascerò portare a palazzo o dove ti pare. 
- Tutto questo è proprio necessario?
- Certo che sì - la ragazza incrociò le braccia, serafica. - Sono una celebrità, ora. La folla esige la mia presenza - ridacchiò. - E poi non credo che un solo giorno di ritardo favorirà così tanto la ribellione che tanto ti preoccupa. 
- In realtà potrebbe - replicò il mago lanciandole uno sguardo obliquo. 
Quando si renderà conto che non ho più voglia di discutere?
- Beh, ce ne faremo una ragione.
- Mi sembrava di averti detto che non ho alcun obbligo ad aiutarti...
- E va bene, hai ragione. Mi dispiace, ma ho fissato il momento della celebrazione con gli organizzatori dei Giochi in persona. Non appena avrò finito tornerò qui e ti consegnerò la scimitarra, così potrai portarla a palazzo.
Guardò il Consigliere negli occhi e, dal suo sguardo rassegnato, comprese di averla avuta vinta.
 
*** 
 
- Signore e signori!
La voce di Rodrick era sempre la stessa: gaia, fiera, orgogliosa di presentare alla capitale i gioielli del combattimento mondiale. Nonostante non vi avesse mai parlato personalmente Dubhne aveva quasi preso in simpatia il gioviale commentatore dei Giochi. Non avrebbe mai dimenticato le parole con cui l'aveva presentata agli esordi dello scontro finale contro Jackson Mallister, e ora si chiese quali parole accattivanti avrebbe scelto per celebrare la sua definitiva vittoria.
- La trentaquattresima edizione dei Giochi Bellici di Città dei Re si è conclusa alcuni giorni fa, eppure ancora non abbiamo avuto modo di celebrare in modo adeguato la nostra... stupenda vincitrice!
Ondate di esagerata soddisfazione travolsero l'anima della Combattente nel sentire quelle parole; non si sarebbe mai stancata di ricevere lodi per la tempra che aveva dimostrato, la gratificazione personale che le parole entusiastiche di Rodrick e degli altri Combattenti le procuravano era talmente alta da farle dimenticare le umiliazioni e i pericoli cui si era sottoposta prima di diventare la Ragazza del Sangue.
- È la prima donna ad aver vinto la più importante competizione di Fheriea!
Applausi scroscianti.
- È la ragazza di cui tutti parlano! Volete sapere il perché?
Dubhne respirò a fondo, alzandosi e preparandosi ad entrare nel campo di battaglia dove già l'attendevano Malcom, Peterson Cambrel, Ellison Pets e i Combattenti sopravvissuti di tutte le squadre.
Curiosamente si chiese se Jel Cambrest fosse venuto lì per assistere alla celebrazione.
Con quel suo modo esagerato di galvanizzare la folla popolare riunita, Rodrick sbraitò:- Ebbene... potete chiederglielo di persona! Ecco a voi la vincitrice della trentaquattresima edizione dei Giochi, DUBHNE! 
Sfoderando il proprio miglior sorriso radioso, ma che sperò apparisse anche fiero e combattivo, Dubhne mosse un paio di ampie falcate e varcò l'ingresso del campo.
- Signore e signori, la Ragazza del Sangue!
Beandosi dell'effetto che la sua apparizione aveva suscitato nel pubblico sulle gradinate, Dubhne vide una Claris sorridente correre verso di lei e abbracciarla.
- Sei la campionessa della capitale, Dubhne - le sussurrò, ma lei le assestò una pacca sulla spalla.
- Sai che senza il tuo aiuto non ce l'avrei mai fatta - rispose onestamente.
Era la verità, dopotutto; il sostegno di Claris nei primi giorni e non solo si era rivelato indispensabile per la sua sopravvivenza, soprattutto da un punto di vista emotivo. Se si fosse ritrovata realmente sola, Dubhne era sicura che sarebbe crollata molto prima di raggiungere il combattimento con Goresh. Già la vita di Claris era stata sconvolta dal prematuro assassinio della giovane Agnes, motivo per cui Dubhne le doveva almeno quel piccolo ma sincero ringraziamento.
Una volta che si furono separate, la ragazza oltrepassò la compagna d'armi e si mosse a grandi passi verso Malcom Shist. Era la prima volta da prima della finale che si trovava faccia a faccia con lui da sveglia. 
Sapeva che doveva il proprio successo - almeno in parte - anche all'uomo che si ergeva di fronte a lei in quel momento, ma non lo ringraziò. Gli attriti tra di loro durante la competizione erano stati troppo marcati e irritanti perché lei dimenticasse tanto in fretta.
Si limitò ad allungare la mano e accennare un sorriso.
Malcom la strinse e poi chinò il capo, non per gentilezza, più per una sorta di obbligato rispetto. Tutto sommato a Dubhne fece piacere.
La Combattente passò in rassegna con lo sguardo la schiera di guerrieri appartenenti alla sua stessa squadra. Salutò Xenja con una lieve strizzatina d'occhi, ma provò una dolorosa stretta al cuore, ancora una volta, nel non incontrare lo sguardo fermo e orgoglioso di James. L'aveva vendicato, certo, e nel modo più spettacolare e appagante possibile, ma neanche con ciò lui sarebbe tornato indietro. Lei e James non erano mai stati davvero amici, dopotutto il legame tra due Combattenti non si sarebbe mai potuto definire una semplice e spensierata amicizia eppure Dubhne si era quasi affezionata a lui, così come a Claris, Xenja, Phil, Illa.
La squadra di Ellison Pets era disposta proprio dietro quella di Malcom.
Vedendola da vicino per la prima volta, Dubhne strinse la mano alla donna come era stato stabilito dai tre organizzatori. Nonostante non vi fosse ombra di felicità sul volto della padrona di Combattenti, Dubhne vide Ellison abbozzare un sorriso di cortesia, come per riconoscere il suo merito. La sovrastava di almeno una spanna, eppure non avvertì alcun disagio. La donna era più alta e matura di lei, ma in quel momento si trovavano perfettamente sullo stesso piano. 
Dubhne rivolse cenni di rispetto all'intera squadra - che era rimasta apparentemente decimata da quell'edizione dei Giochi - e quando Illa le rivolse un gran sorriso la ragazza lo ricambiò. Avrebbe ricordato quella bambina come una delle presenze più motivanti per lei.
Alla fine, a testa alta, Dubhne oltrepassò anche la squadra di Ellison Pets e si ritrovò di fronte a Peterson Cambrel e i suoi Combattenti. Gli schiamazzi della folla parvero affievolirsi quando i suoi occhi incrociarono quelli freddi e alteri dell'uomo; accanto a lui, gli altri membri della squadra la fissavano con disappunto ed espressioni quasi feroci. I più forti erano periti tutti: Mitch, ucciso da Jackson Malker in persona, suo fratello Fargot, da Clia, Pete, Clia e infine Jackson, morti per mano di lei stessa. Morti, cancellati. Innocenti e assassini, le regole non prevedevano distinzioni; la vita di ognuno di loro era in mano alla propria abilità e alla scelta dell'avversario, la decisione di prendere una vita o di risparmiarla. 
Dubhne, senza più riuscire a sorridere, porse freddamente la mano destra perché Peterson la stringesse. L'uomo rispose a quel gesto di pura circostanza.
- Un abito blu - constatò con un sorriso sarcastico. - Davvero incantevole... ma forse il rosso sarebbe stato più azzeccato per la Ragazza del Sangue, non trovi?
Dubhne colse all'istante la provocazione. Ormai vi era abituata.
- Naturalmente - confermò senza scomporsi. - Ma il rosso, Cambrel, nasconde fin troppo bene il sangue... Preferisco che la gente veda le ferite che Jackson mi ha inferto prima che io lo finissi. Rende meglio l'idea del trionfo, non trovi?
Contrariamente a quanto si fosse aspettata, Peterson si lasciò andare ad una leggera risata. Le attraversò la mente che forse aveva in comune con lei molto più di quanto la ragazza avesse immaginato.
Evitando di soffermarsi su quello spiacevole dubbio, Dubhne gli rivolse un ultimo, lieve cenno del capo e passò oltre, ritrovandosi a pochi passi dalle gradinate.
Guardò soddisfatta la gente che la guardava dall'alto con ammirazione e capì che stavano tutti attendendo che dicesse qualcosa.
Non era mai stata brava a tenere discorsi, per cui si limitò a poche parole.
- Guardatemi attentamente - esordì ad alta voce, decisa. - Ricordatevi bene la mia immagine, il mio volto... Perché è l'ultima volta che in quest'Arena vedrete qualcuno come me.
Parole arroganti, all'insegna del puro individualismo. Non proprio modeste, ma chi più di lei se ne sarebbe potuto vantare? Aveva appena vinto in maniera eclatante i Giochi Bellici oppure no?
Pose la mano sull'impugnatura della sua fedele scimitarra, assaporando il freddo che il metallo dell'elsa trasmetteva sulla pelle, poi la estrasse con gesto dirompente e ne puntò la lama verso il cielo.
Un nuovo travolgente applauso scaturì dalle gradinate, insieme ad esclamazioni esaltate e urla d'ammirazione.
Dubhne si godette il suo momento, facendo scorrere lo sguardo sugli spalti, quasi aspettandosi di incrociare di nuovo lo sguardo con quello limpido di un giovane Consigliere vestito di scuro.
Ma di Jel, quella volta, non c'era traccia. 







 
NOTE: 

Cavoli, in questi giorni sto davvero battendo ogni record nella mia tabella di marcia ^^ Che dire, questo era il secondo capitolo, finalmente dedicato per intero a Dubhne (ed è anche piuttosto lungo, vero che sono migliorata?)
Non è stato facile entrare di nuovo nella sua testa dopo così tanto tempo, ma spero di essere rimasta Ic rispetto alla Dubhne del primo libro. La verità è che volevo esprimere quanto sia cambiata dopo i Giochi, quanto sia maturata, ma anche come - a combattimenti conclusi - sia finita anche la "magia", lasciandola in un momento non proprio semplicissimo in cui nemmeno lei sa bene quello che vuole. Spero che il risultato vi sia piaciuto. 

TaliaFederer 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Gala/Dubhne ***


3







Gala quasi non poteva credere a quanto sarebbe accaduto di lì a poco. 
Quel momento era stato atteso e rimandato per mesi, spesso ad ampie spese, ma ora davvero la loro missione si sarebbe potuta dire conclusa. La strega era sicura che, nel momento in cui avessero consegnato la scimitarra di Dubhne contenente la Pietra al Re delle Cinque Terre, il suo cuore sarebbe tornato a sentirsi leggero come mai in tutte quelle settimane. 
Mentre lei e Jel salivano frettolosamente i gradini di pietra del palazzo di Città dei Re – il giovane teneva ben stretta in mano l'arma della Combattente, coperta dal suo fodero – Gala non poté non trattenere un cauto sorriso: era questione di ore, al massimo un paio di giorni, essendo pessimisti, poi sarebbero potuti tornare a Grimal. A casa loro. 
Più volte si era amaramente rammentata che con Camosh disperso, o meglio morto, lei non avrebbe più avuto un posto fisso dove sistemarsi, ma proprio per questo ormai si era convinta a non pensarci troppo: Jel le aveva ripetuto diverse volte che per lui e sua madre Lys non ci sarebbero stati problemi nell'ospitarla per qualche settimana o addirittura qualche mese. Nel frattempo, lei avrebbe potuto parlamentare con gli amministratori di Grimal per scoprire se le proprietà di Camosh spettassero a lei, sua protetta, oppure nel peggiore dei casi – lo stomaco le si strinse leggermente al pensiero – riaprire i contatti con i suoi genitori nel Bianco Reame. 
I due Consiglieri si fermarono solo dinnanzi alle imponenti porte blindate della reggia, chinando il capo in segno di rispetto verso le quattro Guardie Reali che presidiavano l'ingresso. Gala ricordava fin troppo bene il motivo per cui la sorveglianza fosse stata intensificata in quel modo.
Come al solito lasciò che fosse Jel a fornire il motivo della loro visita a palazzo. 
- Sono Jel Cambrest, e questa è la mia compagna di viaggio Gala Sterman. 
Quanto tempo era che non si presentava loro l'occasione di annunciarsi in quel modo? Fieri, diplomatici, importanti. 
- ... Siamo entrambi membri del Gran Consiglio, veniamo da un lungo viaggio. Abbiamo urgenza di conferire con il maestro Cam... - s'interruppe, al che la ragazzina avvertì una fitta allo stomaco; era sicura che la forza dell'abitudine avrebbe portato anche lei a nominare Janor Camosh, invece del nuovo maestro Anérion. 
- Siamo qui per conferire con il maestro Anérion - si corresse il mago. - O con uno qualsiasi dei Consiglieri dello Stato dei Re - parve esitare, poi aggiunse:- In realtà sarebbe per noi più proficuo parlare con il Re in persona. 
Le guardie li squadravano dall'alto in basso, ma Gala non si sentì per nulla intimorita; aveva percorso troppa strada, versato troppo sangue per farsi scrupoli nello stare di fronte a dei soldati che, tra l'altro, l'avevano già perquisita quando si era recata a palazzo giorni prima per tentare di avere un'udienza. 
- Se siete davvero Consiglieri dovete dimostrarlo - annunciò uno di loro, serio. 
Ma certo, come al solito. 
Estrassero le loro spille di identificazione come membri del Gran Consiglio di Grimal ma, nel vedere le espressioni rigide delle guardie anche dopo che le ebbero esaminate, la ragazzina comprese che non sarebbero bastate per convincerli a lasciarli entrare senza una adeguata perquisizione.
- La spilla è autentica - affermò l'uomo che aveva parlato per primo. - Ma come sapete non è una prova sufficiente. Sostenete di essere Consiglieri, ma dove sono le vostre divise? E il documento di autorizzazione firmato da gli altri membri del Consiglio?
- Perduti - rispose Jel mestamente.
Gala ancora non aveva ben chiaro se apprezzare o no la nuova politica "dire sempre la verità" che aveva assunto il compagno negli ultimi tempi.
- Allora temo che dovrete aspettare qui mentre convoco uno dei Consiglieri che possa provare la vostra identità. Mi perdonerete, ma ho ricevuto degli ordini.
- Nessun affronto - replicò Jel in tono gentile. - Sappiamo delle vostre disposizioni, e ora più che mai conosciamo il valore di delle accurate misure di sicurezza.
Stava davvero migliorando con le parole. Fin da ragazzo, Gala ricordava l'attitudine dell'amico nell'esprimersi in modo chiaro ma accattivante, e ora stava continuando ad affinare la sua tecnica. Anche in una situazione di trepidante attesa come quella Jel riusciva a mantenersi formale, quasi raffinato nell'utilizzo dei termini. Gala ammirava quella sua caratteristica, ed era per questo che, in pubblico, lasciava sempre che fosse lui a parlare senza muovere obiezioni. 
La guardia fece cenno ad altri due di trattenerli lì presso la scalinata, poi si voltò verso il portone e battè tre, lenti colpi con il ferro del battente.
Dall'interno Gala ebbe modo di udire lo scricchiolio dei catenacci e dei lucchetti che venivano sollevati, e dopo pochi secondi la porta si aprì, lasciando intravedere dietro di essa l'ampio salone d'ingresso.
Fu solo dopo che la guardia fu sparita all'interno del palazzo che Gala comprese di starsi tormentando le mani in modo quasi compulsivo.
- Qual è il motivo per cui la vostra presenza è richiesta? - domandò dopo poco uno degli uomini lì presenti. Si rivolse a Gala in maniera particolare. - Se non sbaglio, vi ho già vista in questa stessa situazione già alcuni giorni fa.
- Discuteremo delle nostre ragioni con il maestro Anérion - rispose Gala piccata, ma mantenendo un tono rispettoso. - Si tratta di una faccenda delicata, spero comprenderete.
- Deve scusare la Consigliera - venne Jel in suo aiuto. - Ma siamo comprensibilmente molto stanchi e... abbiamo bisogno di parlare con il maestro il più presto possibile.
- Spero sappiate che non riceverò il permesso di farvi entrare con quella - sottolineò la guardia scoccando uno sguardo contrariato alla scimitarra che il giovane teneva in mano. - Di questi tempi le uniche armi da taglio permesse a palazzo sono quelle portate dalla Guardia Reale.
Jel sorrise.
- Sono sicuro che quando il maestro comprenderà la sua utilità non sarà restio a permettere uno strappo alla regola.
Attesero ancora pochi minuti, poi il portone tornò a spalancarsi e la prima guardia riapparve e, con sommo sollievo dei due maghi, il maestro Anérion era assieme a lui.
- Se i due giovani qui presenti sono Jel Cambrest e Gala Sterman? Sì, sono loro - annunciò l'uomo che aveva sostituito Camosh nel Consiglio rivolgendo ai due ragazzi un lieve sorriso. - Non c'è bisogno di perquisizioni. Ma... come mai quella spada?
Dopo avergli rivolto un lieve inchino – Anérion era pur sempre un loro superiore – Jel si accinse a spiegare:- È una lunga storia, ma se ci permetterete di parlare con voi avremo il tempo di spiegarvi tutto. Al momento posso solo dire che le Sei Pietre, tutte, sono nelle mani delle Cinque Terre, ora.
La sorpresa sul volto del maestro fu immediata, eppure egli riuscì ad attenuarla piuttosto bene.
- In questo caso credo che avremo diverse cose sulle quali discutere - decretò, rivolgendo un cenno eloquente alle quattro Guardie Reali che, senza replicare, chinarono il capo.
Ha preso l'incarico di Camosh piuttosto bene, pensò la ragazza con lieve fastidio mentre insieme a Jel seguiva Anerion all'interno della reggia della capitale, diretti presumibilmente verso la sala delle riunioni. È maestro da nemmeno due mesi ma si muove come se fosse nato per questo ruolo... 
Smettila di fare la bambina. Smetti di pensare a queste sciocchezze. È uno dei primi volti conosciuti che incontrate da mesi, cerca di fartelo andar bene! 
La ragazza sperò che nessuno si accorgesse del proprio leggero e temporaneo disagio. 
Una volta accomodatisi sulle sedie dagli alti schienali che circondavano il tavolo delle riunioni, Jel depose la scimitarra sul piano di legno e la estrasse dal fodero. La porse ad Anérion.
- Osservatene l'elsa, signore. È qui - annunciò con un pizzico di emozione nella voce. - La Pietra che i Ribelli hanno trafugato e disperso alcuni mesi fa. Una serie di coincidenze a noi sconosciute l'hanno portata a venire incastonata nella scimitarra della donna che ha appena vinto i Giochi Bellici.
- Incredibile... - mormorò il maestro tornando a sedersi. - Eppure di altro non può trattarsi. Avverto la Magia che ne scaturisce, ma... lieve, nascosta. Probabilmente è stata celata da un incantesimo di occultamento.
- Ne sono sicuro - confermò Jel, e Gala si chiese per quanto a lungo Theor dovesse aver progettato quella manovra.
Anérion tacque per pochi istanti, poi si alzò.
- In questo caso - disse lentamente. - È necessario richiamare il Re. Consiglieri - e li guardò con occhi estremamente grati e orgogliosi. - Vi devo gratitudine per i servigi che avete reso al vostro ordine. L'intera Fheriea ve ne deve.
A tali parole Gala avvertì, di nuovo dopo tanto tempo, quel meraviglioso sentimento d'orgoglio che si prova solo nel momento in cui si è coscienti di aver dato un contributo fondamentale in qualcosa di grande. E in quel caso, si poteva dire che la lotta contro Theor e i suoi ribelli fosse partita da loro, da due Consiglieri ancora giovani e inesperti. 
Anerion battè sonoramente le mani, al che un valletto si accostò alla soglia della sala a capo chino.
- Desiderate, mio signore?
- Recati dal Re, Coleth, informalo che i Consiglieri Cambrest e Sterman sono qui e richiedono la sua presenza - ordinò senza giri di parole. - Manda anche Jeanne e Spyr a chiamare gli altri Consiglieri che si trovino a palazzo. Ho importanti nuove da riferire loro.
Il ragazzo sparì in un batter d'occhio e ai tre Consiglieri non rimase che attendere.
- Direi ci convenga estrarre la Pietra dall'elsa oggi stesso. Se posso, come avete fatto a scoprire che la Pietra si trovava proprio a Città dei Re? - domandò Anérion dopo qualche minuto mentre, a occhi socchiusi, osservava con attenzione la fattura dell'elegante scimitarra di Dubhne.
Gala decise di rispondere per prima. Se ne vergognava, ma moriva dalla voglia di raccontare a qualcuno quanto si fosse rivelata difficoltosa la loro missione; far sapere ad un altro Consigliere, più adulto e più potente, quanto avessero rischiato e quanto fossero stati coraggiosi forse l'avrebbe fatta sentire almeno un po' meglio.
- Siamo stati ad Amaria, qualche settimana fa - spiegò la strega seria. - Di fatto, non avevamo prove che ci riconducessero alla posizione della Pietra Bianca e abbiamo pensato che potesse trovarsi ancora nel Nord.
Lanciò un'occhiata a Jel, il quale si limitò a confermare con un cenno del capo.
- Tramite la Disillusione ci siamo infiltrati nel palazzo di Amaria e ci siamo divisi. Dopo alcuni minuti ci siamo ricongiunti e Jel mi ha confidato ciò che aveva scoperto.
- Ma davvero? - la interruppe Anérion, attento. Si rivolse a Jel, e a Gala parve quasi che nei suoi occhi balenasse un lampo di sospetto. - E come sei riuscito a ottenere tali informazioni?
Mentre l'espressione del giovane mago si faceva via via più cupa, Gala lo ascoltò raccontare:- Protetto dal buio e dalla Disillusione ho avuto modo di muovermi indisturbato lungo i corridoi del palazzo. Sapevo che Theor doveva trovarsi lì da qualche parte, perché eravamo arrivati a palazzo proprio seguendo lui.
S'interruppe un istante, poi riprese:- L'ho trovato senza troppe difficoltà. Stava parlando con qualcuno, un altro Ribelle.
Un fremito attraversò l'espressione di Jel, ma Anérion parve non notarlo. Gala si accigliò; non le era mai passato per la mente che quella notte, la notte in cui Jel aveva ascoltato da solo i piani di Theor, potesse essere successo qualcosa che l'avesse turbato. O che avesse sentito qualcosa che non avrebbe dovuto sentire.
- Theor gli ha ordinato di lasciare la città e di recarsi nello Stato dei Re per recuperare la Pietra del Nord, menzionando i nomi di Peterson Cambrel e Malcom Shist. Lui... lui sapeva della nostra missione.
L'uomo di fronte a loro parve in procinto di dire qualcosa, quando l'avvicinarsi dei passi di più persone li distolse dalla conversazione.
Quando il Re delle Cinque Terre, seguito dagli altri Consiglieri, fece il suo ingresso nella stanza, sia Jel che Gala che Anérion si alzarono di scatto in piedi.

 
***

Dubhne aveva mantenuto la sua promessa: non appena le celebrazione nell'Arena si era conclusa, la ragazza aveva evitato di intrattenersi ancora a lungo con i vari compagni di squadra o gli appassionati di combattimenti che tentavano di parlarle, avvicinarsi a lei, toccarla.
Senza raccontare i dettagli neppure a Claris era tornata al palazzo Cerman a capo chino, tentando di attirare meno attenzione possibile, determinata a consegnare la sua scimitarra a Jel per convincerlo della sua buona fede.
In realtà inizialmente l'idea di cedere la sua arma a quel giovane quasi sconosciuto l'aveva riempita d'agitazione, ma poi si era convinta a fidarsi: come egli stesso aveva ammesso, la scimitarra in sé non aveva per Jel alcuna utilità.
E così Dubhne aveva incontrato il mago – insieme alla sua compagna di viaggio, Gala – per la terza volta. Gli aveva affidato la sua lama e quella Pietra o comunque l'avesse chiamata il mago, e si era limitata ad aspettare. 
Non appena il Re e il Consiglio avranno deciso il momento della partenza ti informerò, le aveva giurato Jel solennemente. Non del tutto sicura, lei aveva annuito. 
Lungo l'intera serata un alternarsi di visite si era susseguito alla porta della ragazza. Da parte sua, Dubhne aveva permesso solo a Claris, Illa e Xenja di entrare per parlare con lei. Quando poi la bambina le aveva chiesto come mai fosse rimasta in un tale "buco per topi" invece di rimediare una camera in qualche bella locanda, Dubhne era scoppiata a ridere.
La Combattente aveva congedato le compagne che già calava il buio, eppure di Jel non si era vista traccia. Aveva dovuto aspettare che la luna fosse alta in cielo per ricevere la visita del Consigliere il quale, con sua sorpresa, non aveva tardato a riconsegnarle anche la sua scimitarra.
Aveva appreso che la colonna del Re sarebbe partita per Grimal l'indomani e non aveva trovato nulla da obiettare: fatta eccezione per il forziere con il premio dei Giochi e l'abito ricevuto in dono dagli organizzatori, non aveva averi con sé.
Quella notte non aveva quasi chiuso occhio: se da una parte l'idea di partire la esaltava, dall'altra il dolore per le ferite riportate in finale l'aveva tormentata, un bruciore e dolorose fitte che durante il giorno parevano averla abbandonata.
E – con qualcosa che assomigliava decisamente allo sconcerto – si era resa conto di essere sobbalzata ad ogni singolo rumore proveniente da fuori o dai corridoi. Quella lunga serie di strette allo stomaco non aveva fatto altro che aumentare in lei la sensazione di aver ceduto un po' di campo alla debolezza dopo quell'ultimo periodo dei Giochi. Durante i momenti che avevano preceduto semifinale e finale aveva davvero avuto la sensazione di essere invincibile, e ora l'idea di poter in qualche modo "perdere colpi" la riempiva di un'instabile e irritante angoscia. 
Proprio per nascondere quell'improvvisa vulnerabilità, aveva deciso di abbandonare la seppur leziosa veste elegante blu notte per tornare ad indossare gli abiti che veramente sentiva appartenerle: la divisa da combattimento, la stessa che Claris le aveva consegnato quella sera di tanti mesi prima, riponendola sulle coperte della sua brandina. La casacca lacerata appena sotto la spalla, il corpetto di cuoio raschiato, i pantaloni strappati sugli orli da quando ne aveva ricavato due strisce di tessuto per tamponare la ferita che Goresh le aveva inferto.
Ricordava bene la solitaria e dolorosa esperienza nella tinozza colma d'acqua profumata, le riflessioni su quanto fosse accaduto durante il proprio primo combattimento, la ferita alla spalla che bruciava come immersa nel sale mentre tentava goffamente di disinfettarla.
In effetti, era una vera fortuna che per le ferite più gravi esistesse l'infermeria affidata a Kala e a qualche altro volontario: a seguito dello scontro con Jackson – e forse, ancora di più, quello con Pete – Dubhne era certa che non sarebbe riuscita a sopravvivere da sola, senza le cure di qualcuno con un minimo di esperienza.
Tutto sommato, comunque, i suoi abiti non erano in condizioni poi così pessime: nonostante necessitassero di qualche rattoppo qua e là, il giorno precedente qualcuno – una Combattente che volesse farle un favore, oppure Kala stessa – li aveva lavati e ripiegati, lasciandovi addosso un piacevole profumo di menta.
Non l'ho nemmeno ringraziata, si disse fra sé e sé la ragazza mentre, corrucciata, colpiva i fianchi del suo cavallo con lievi colpetti degli speroni. Aveva rimediato quella cavalcatura alla mattina, appena prima di partire: le era bastato tirare fuori dalle tasche un solo york d'oro per convincere uno degli stallieri che si sarebbero accorpati al corteo a cederle uno dei propri esemplari, forse non proprio il più promettente. 
Sempre grazie alle sue nuove, rigogliose finanze, Dubhne era anche riuscita ad appropriarsi di parte della superficie del carro che avrebbe trasportato parte della servitù per appoggiarvi il forziere con il denaro.
Se al nostro arrivo mancherà anche un solo york, io lo saprò. Fossi in voi, non mi azzarderei a muovere un dito in quella direzione, aveva intimato a cuoche e sguatteri, e l'espressione di timore reverenziale con cui loro avevano risposto le aveva regalato una fitta di sciocca – ne era consapevole – soddisfazione. La verità era che le piaceva fare quell'effetto sulle persone.
Mentre il sole, alto nel cielo, suggeriva fossero ormai prossimi a mezzogiorno, Dubhne non poté impedirsi di rivolgere il pensiero a Claris, Illa e tutte le altre persone dalle quali non si era congedata a dovere. Non aveva riferito a nessuno – nemmeno a Malcom, che un tempo aveva esercitato così tanto potere su di lei – della sua imminente partenza. Era stata conscia del fatto che, probabilmente, salutare quelle persone che aveva imparato ad apprezzare avrebbe suscitato in lei inutili dubbi ed esitazioni che avrebbero potuto portarle solo guai.
Era uscita presto, accompagnata da Jel stesso e da un paio di servitori da lui convocati per trasportarle il baule contenente i suoi averi, senza che nessuno se ne accorgesse. E anche se anima viva l'avesse effettivamente notata, di certo non aveva fatto capolino dalla sua stanza per salutarla.
Immersa nei suoi pensieri, non si era accorta di aver accelerato l'andatura del proprio cavallo, ritrovandosi a pochi metri di distanza dalla strega che si era presentata come Gala Sterman. 
Da quando si erano incontrate il giorno precedente, il suo aspetto era decisamente cambiato: aveva abbandonato la casacca e il mantello sporchi e malridotti, sostituendoli con un manto leggero color blu notte. I calzoni grigio chiaro erano infilati in stivali di cuoi che parevano nuovi, e sulla casacca anch'essa grigia spiccava la piccola spilla dorata che aveva ostentato anche durante il loro primo incontro.
La ragazzina procedeva in silenzio, circa nel mezzo della colonna, lontana dal corteo del Re ma non abbastanza indietro da mescolarsi con i plebei. Di Jel invece non c'era traccia; Dubhne pensò che probabilmente doveva trovarsi da qualche parte verso la cima della colonna, magari ad intrattenersi in raffinati discorsi politi con qualche altro impettito Consigliere.
Non poté fare a meno di notare che Gala pareva pensierosa almeno quanto lei.
- Smettila di fissarmi - la sua voce la colse di sorpresa, mentre la strega si voltava verso di lei. - Non mi piace.
Evitando di chiedersi come avesse fatto quella ragazzina ad accorgersene, Dubhne non si scompose. Sapeva di non piacerle, se ne era resa conto fin dal momento in cui Jel gliel'aveva presentata.
- E perché no? - le chiese pacata affiancandola. - Non mi pare di averti detto nulla di male.
- Certo che no - rispose Gala seccamente, e Dubhne si rese conto che pareva anche piuttosto a disagio. - Ma preferirei continuare a cavalcare con tranquillità.
Il mondo era per caso impazzito? Che si aspettavano tutte quelle persone, che per un guizzo di follia decidesse di estrarre la scimitarra e compiere una strage?
- Pensi che abbia intenzione di creare problemi a te o a qualcun altro, qui? Credi davvero che possa anche solo importarmi qualcosa di voi?
Un fremito, forse di fastidio, attraversò l'espressione della strega.
- Te l'ho già detto, lasciami in pace. 
Quella ragazzina aveva fatto una buona impressione su di lei, inizialmente: aveva solo due anni in meno di lei eppure, se ciò che Jel le aveva raccontato corrispondeva alla verità, doveva già aver affrontato prove piuttosto impegnative con cui misurarsi. 
Beh, ora cominciava a darle sui nervi. 
- Ti faccio paura perché sono una Combattente?
- Mi fai paura perché le voci corrono, a Città dei Re - ammise Gala a denti stretti. - Ci sono stata per pochi giorni e so già tutto di te.
Dubhne rise, aspra. - Non saprai mai tutto di me. 
- So che sei un'assassina - ribatté l'altra alzando il mento, quasi a sfidarla. - So che hai ucciso quasi tutti i contendenti con cui ti sei battuta. Anche quelli innocenti.
Illa avrebbe sicuramente qualcosa da ridire al riguardo... 
- Era il mio lavoro, strega. Tutte le miracolose avventure che hai affrontato non ti hanno insegnato qualcosa sul mondo?
- Ovviamente sì - rispose lei duramente, e Dubhne notò che aveva serrato la stretta sulle redini del suo cavallo. - Ma te l'ho detto. Non mi va molto a genio che una come te si unisca al nostro viaggio.
Dubhne alzò le spalle, ostentando un'espressione di indifferenza.
- Allora? - la incalzò Gala, senza saper bene che cosa aspettarsi.
- Ti lascio, stai tranquilla, ma prima vorrei dirti una piccola cosa. Prendila come una lezione di vita.
Le si avvicinò ulteriormente, quasi fermando l'andatura del proprio cavallo.
- Io sono ancora qui, mentre tutti quegli altri assassini no. Ho vinto perché ho capito quello che andava fatto. Credi che fossi così entusiasta all'idea di diventare un'assassina?
Lo sguardo di Gala vacillò, mentre la ragazzina ascoltava attentamente.
- Quello che succede in quell'Arena cambia le persone - mormorò Dubhne, mentre in mente le balenavano nuovamente le immagini del suo primo combattimento. Serrò gli occhi, investita improvvisamente da un groppo alla gola. - Non pensavo che avrei mai avuto il coraggio di fare certe cose. Uccidere quelle persone. Ma quando non c'è niente fra te e la morte, allora faresti qualunque cosa... pur di sopravvivere.
Non rimase ferma abbastanza per assistere alla reazione di Gala a quelle parole; colpì i fianchi della sua cavalcatura con gli speroni e ripartì, allontanandosi da lei al trotto.
La ragazza oltrepassò anche qualche nobile, decisa ad avvicinarsi il più possibile alla testa del corteo; aveva in mene la mezza idea di tentare di parlare con Jel per chiedergli quanto sarebbero durato ancora il viaggio, ma poi cambiò idea: non doveva importarle di quelle sottigliezze, anzi, più il viaggio sarebbe durato meglio sarebbe stato. Dopo tutti quei mesi trascorsi tra le mura dell'Arena e quelle del palazzo Cerman desiderava poter respirare più aria fresca possibile. E poi, fatta eccezione per le colline intorno a Celia e la pianura intorno a Città dei Re, non aveva mai avuto modo di vedere nuove realtà. L'unica cosa che aveva intuito a proposito di Grimal era che dovesse trovarsi piuttosto a sud, forse al confine con l'Haryar. Haryar... prima di conoscere Archie Farlow non aveva nemmeno mai saputo della sua esistenza. 
La Combattente ripensò anche alle dure parole che aveva rivolto a Gala. Come prima conversazione con una Consigliera non era andata affatto male. 
Dubhne ridacchiò fra sé e sé a quel pensiero, ritrovando finalmente quella sensazione di totale superiorità che le era mancata dalla finale dei Giochi: era pur sempre la Ragazza del Sangue, non avrebbe permesso a nessuna circostanza o arrogante giudizio di farglielo dimenticare. 








NOTE: 

Ehm... Lo so, il capitolo non è un granché. L'ho anche scisso in due differenti punti di vista per tentare di renderlo più interessante, ma non so se abbia funzionato. Ed è troppo corto... almeno rispetto al precedente, sgrunt -.- 
In ogni caso ricordo che sono sempre accette recensioni di tutti i tipi, anche se ormai non nutro molte speranze che qualche nuovo recensore si soffermi sulla mia fic; ma prima di dimenticarmene, ringrazio la fedelissima Miwako Honoka che ha recensito lo scorso capitolo :) 
A presto, spero di riuscire ad aggiornare in fretta! 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 4 - Dubhne ***


4








I prati intorno a lei erano tinti di rosso. Centinaia di papaveri ondeggiavano con il vento mattutino, gli steli piegati e i petali leggeri che minacciavano di staccarsi e volare via da un momento all'altro.
Nell'aria si avvertiva il profumo dell'estate.
Dubhne mosse qualche passo lungo il dolce pendio erboso e, quando avvertì l'erba pungerle leggermente le palme dei piedi capì di essere scalza. Se ne stupì.
La ragazza si guardò intorno per cercare di capire dove potesse trovarsi; di certo il paesaggio non ricordava quello attorno a Città dei Re, eppure le pareva in qualche modo familiare... anche se lontano.
Là in fondo, oltre le colline, le parve di intravedere un villaggio, le casupole scure di legno in contrasto con il cielo più azzurro che mai.
Ma certo... Cèlia! Di che cosa poteva trattarsi se non della sua città, il luogo dov'era nata e cresciuta? Era tutto esattamente al suo posto, proprio come la ragazza l'aveva lasciato. I campi leggermente scoscesi, la totale assenza di alberi, i rigagnoli d'acqua che scorrevano sul terreno rendendolo umido e instabile. Le parve persino di riconoscere la sartoria del signor Tomson, l'unica costruzione più ampia in mezzo alle altre case così modeste.
Questo poteva significare una sola cosa: doveva essere vicina anche alla casa dei suoi genitori. La sua casa.
Era lì, il suo posto. Le colline dello Stato dei Re sud-orientale.
Eppure... la ragazza era sicura che non vi fossero mai stati così tanti papaveri ad infestare quelle lande. E quel silenzio, la totale assenza del volo degli uccelli e il rumorio degli insetti... Dubhne era completamente sola.
Si rese conto di avere sete, così fece per avvicinarsi ad un ruscello dove l'acqua fosse leggermente più fluente rispetto agli altri rigagnoli. Si chinò arrivando a specchiarsi sulla superficie increspata ma limpida.
Dubhne non riuscì a trattenere un'esclamazione di stupore, o almeno pensò di non riuscirci, perché dalla sua bocca spalancata non fuoriuscì alcun suono.
Non era più Dubhne la donna, la Ragazza del Sangue, era tornata ad essere una bambina di sei, sette anni. Non di più. L'unica cosa che indossava era una sorta di abito molto semplice, lungo fino ai piedi di un intenso color rosso porpora. Pareva anch'esso un immenso petalo di papavero, il tessuto lievemente ondulato, la consistenza morbida.
Contrariamente a quanto avesse pensato all'inizio, Dubhne si ritrovò avvolta da un'inconsueta quanto surreale calma. Lenta, senza chiedersi come potesse essere successa una cosa del genere - l'idea non le sfiorò neanche la mente - accostò le labbra alla superficie del ruscello e le dischiuse, assaporando la freschezza dell'acqua sperando di dissetarsi.
Eppure, più beveva e più desiderava bere ancora. Si ritrovò protesa, immergendo sempre di più il volto nella pozza, finché ebbe paura di non riuscire a tornare più alla luce. Una forza invisibile la reclamava a sé, mentre sotto i suoi occhi stupefatti il fondo del ruscello si allontanava sempre di più, confondendosi con il cielo azzurro che l'acqua cristallina stessa rifletteva, e Dubhne continuò a scendere, sempre più giù, in quell'abisso stranamente chiaro e dal limite sconosciuto.
Con un tuffo al cuore la Combattente si rese conto che respirare non le causava alcun problema: inspirava a pieni polmoni eppure l'acqua non le si riversava in gola, non la soffocava.
Terribilmente confusa, Dubhne si rese conto di aver appena poggiato la mano su qualcosa di duro.
L'azzurro era ancora lì, ma stavolta si trovava sopra di lei. Intenso, aperto e sconfinato, era il cielo. Al limite della sua visuale, il sole brillava insistentemente, i suoi caldi raggi ad illuminare di luce fortissima l'ambiente circostante.
Dubhne si rialzò a fatica, la testa che le girava, tentando di capire dove potesse essere stata trasportata.
Fu solo quando alzò lo sguardo sulle gradinate intorno a lei che capì: era tornata nell'Arena. Aveva stentato a riconoscerla, perché i papaveri erano ancora al loro posto, forse più numerosi di prima; ricoprivano ora l'intero campo di battaglia in terra battuta, immobili, resi statici dalla totale assenza di vento. In quel momento, Dubhne comprese che in essi c'era qualcosa che la inquietava: lo stelo verdognolo non si scorgeva quasi più, rimanevano solo i petali. Rossi, intensi, quasi... liquidi? Parevano espanderai sempre di più e uniformarsi, e lei si rese conto che anche il punto dove poggiava i piedi ne era ricoperto.
Mentre tutto intorno a lei le immagini cominciavano a sbiadire, Dubhne vide un estraneo alto, senza volto, avanzare con passo deciso dall'altra parte del campo verso di lei. L'istinto le suggerì di cercare la propria scimitarra nel fodero appeso alla cintura, ma quando le sue dita si chiusero solamente attorno all'aria rammentò di non essere pronta per un combattimento. E il proprio corpo non era allenato e scattante come quello della Ragazza del Sangue, no, era ancora minuto, gracile, a malapena coperto da quell'abito rosso che non avrebbe potuto proteggerla nemmeno da una lama di legno...
Tentò di indietreggiare, di scappare, ma non ci riuscì: ovunque tentasse di muovere i piedi, si ritrovava ancora nel medesimo posto. Non poteva farcela, era in trappola, era perduta...
Non vide mai la vera identità dell'avversario che si dirigeva verso di lei; Dubhne poté solo riconoscerne la spada - un'arma lunga e smoderatamente spessa - che veniva alzata verso l'alto e poi calava, inesorabile, su di lei.
Il dolore non arrivò mai, ma il sangue sì: Dubhne lo vide schizzare in ogni direzione, accorpandosi con quello che già allagava il terreno. Aprì un'altra volta la bocca in un urlo muto e senza fine, poi venne trascinata via, nel buio, ancora avvertendo sulle mani il calore pulsante del proprio stesso sangue purpureo.



Spalancando gli occhi, Dubhne si tirò su a sedere di scatto.
Ansimava e, nel portarsi una mano sulla fronte, si rese conto di essere madida di sudore. Impiegò qualche secondo per intuire dove potesse trovarsi.
Era seduta su un manto di morbida erba verde, e per un attimo temette di rivedere attorno a sé lo stuolo di strani fiori rossi; ma non ve n'era traccia, gli unici fiori rimasti erano secchi e grinzosi, come bruciati dall'incredibile caldo di quel periodo.
Poco distante da lei c'erano altre persone, malamente coperte da teli sottili o appoggiate su mucchietti di vestiti a mo' di cuscino. Un po' più in là Dubhne vide le bianche tende dei funzionari del palazzo e, dietro di esse, l'imponente padiglione reale.
Sbuffò. Pareva stessero ancora tutti dormendo.
Si erano accampati la sera prima, piuttosto tardi, preferendo evitare di fermarsi ad alloggiare in qualche locanda per stabilirsi poco distante dalla Grande Via. Era uno scenario accaldato ma complessivamente gradevole: i raggi precoci dell'alba illuminavano a malapena i prati, ma la calura diurna non si faceva sentire ancora.
Tentando di calmare il battito impazzito del proprio cuore, Dubhne si rimise i piedi, sbadigliando e allungandosi le mani sopra la testa per stiracchiarsi, ancora intorpidita dalla notte passata così scomoda e agitata. Poi si guardò intorno, chiedendosi se vi fosse il tempo per una nuotata prima che il resto del corteo si destasse e riprendesse la marcia; la ragazza aveva infatti scorto, a qualche decina di metri da loro, il corso di un piccolo ma lucente torrente. L'idea di rinfrescarsi per cominciare bene la giornata la convinse.
Si avviò spedita verso il corso d'acqua, già sfilandosi la casacca da combattimento; era dal giorno della semifinale contro Clia - lo stesso giorno in cui James era morto - che non trovava l'occasione di farsi un bagno e darsi una lavata.
Dopo essersi voltata ancora una volta per controllare che, bene o male, nessuno desse segno di voler ripartire o anche solo di osservarla, la Combattente lasciò scivolare a terra anche le brache della propria divisa e immerse un piede, e poi l'altro, nelle acque limpide.
Il torrente non era troppo profondo, ma abbastanza da permetterle, se seduta appoggiata sui ciottoli, di rimanere sommersa fino alle spalle. La temperatura fresca le regalò all'istante una sensazione di sollievo. Dubhne si passò le mani colme d'acqua sul viso, come nel tentativo di sciacquare via il ricordo dell'angustiante incubo di quella notte.
Stai tranquilla. Smettila di fare così. Va tutto bene.
Era vero, constatazione inequivocabile. Era libera, i Giochi erano terminati e non solo, lei aveva vinto. Ora era ricca, disponeva di talmente tanto denaro da non saper bene che farsene - almeno per il momento - quindi perché diamine doveva continuare a sentirsi così in preda all'ansia?
Pareva paradossale, eppure in quel momento una parte di lei le suggeriva che avrebbe desiderato trovarsi ancora a Città dei Re. Ancora una Combattente, ancora rinchiusa nella sua stanzetta del palazzo Cerman, ma... a casa sua.
Ora basta! Hai fatto di tutto pur di convincere Jel a portarti con loro, e ora che fai? Rimpiangi di averlo fatto?
Combattere è la cosa che sai fare meglio, e lo sai. Non hai niente da condividere con queste persone.

Possibile che la scelta giusta fosse potuta essere quella di rimanere nella squadra di Malcom per un'altra edizione, come aveva fatto Jackson Malker? Unirsi al viaggio per Fheriea alla ricerca di nuove reclute con gli altri - lo stesso viaggio che aveva condotto le strade sue e di Malcom ad incontrarsi - e poi riprendere gli allenamenti in vista della nuova competizione... Così almeno sarebbe potuta rimanere con Claris, Illa, Xenja, magari trovare anche qualche avversario che valesse il suo tempo. Per non parlare del clima che l'avrebbe sempre, indissolubilmente avvolta all'interno della capitale: era proprio come le aveva sussurrato Claris, lei era la loro campionessa, probabilmente in quel momento la persona più ammirata e invidiata della città.
No, la redarguì una voce nella sua testa, decisa. Non avrebbe mai potuto rimanere. Nemmeno lei stessa sapeva con esattezza dove avesse potuto trovare tutta la grinta e la determinazione - oltre alla prestanza fisica, ovviamente - necessarie per vincere i Giochi Bellici, misurandosi con avversari che, stando ai pronostici, avrebbero potuto spazzarla via senza la minima difficoltà. Di tutto questo era maledettamente fiera, certo, ma non era completamente sicura di riuscire a farlo di nuovo. I Giochi erano pur sempre una scommessa, come il tiro di una monetina: chi poteva saperlo? Partecipando un'altra volta avrebbe potuto morire durante la finale così come durante il primo turno, nulla avrebbe potuto garantirle l'incolumità un'altra volta. Era forte, certo, e capace, e caparbia, ma... la vita l'aveva posta nella condizione di cercare un'altra via, trovare nuove occasioni... L'idea di tornare a rischiare la vita la respingeva.
Dubhne fu strappata dalle sue riflessioni quando si rese conto che il sole era ormai sorto quasi del tutto. I suoi raggi si erano allungati, inondando il tutto di una calda luce dorata.
La ragazza si rimise in piedi e uscì dall'acqua, afferrando i vestiti che aveva lasciato a terra e rinfilandoseli alla svelta; poco importava che al contatto con la pelle bagnata si fossero inumiditi all'istante, anzi, ancora meglio: almeno per un po' l'avrebbero tenuta al fresco sotto quel sole cocente.
Codarda. Codarda. Codarda. Percorse la strada che la separava dall'accampamento senza riuscire a scacciare quella parola. Davvero la volontà di ripartire così presto, di abbandonare il mondo dei Giochi così... Tutto era stato dovuto solamente alla... paura?
Una volta avvicinatasi al carro della servitù per assicurarsi che il suo baule fosse ancora al suo posto, Dubhne raccolse la scimitarra che aveva appoggiato vicino ad esso e se ne assicurò il fodero alla cintura.
Diverse persone erano già sveglie e in movimento, ora, ma nessuno parve prestarle particolare attenzione. Beh, meglio così.
Nemmeno un quarto d'ora dopo Dubhne si trovava nuovamente in sella al proprio destriero, le mani strette sulle briglie e lo sguardo che vagava lontano, lungo quel panorama che era ancora incredibilmente variato. Man mano che si avvicinavano a mezzodì, il calore estivo si faceva più insistente, tant'è che più volte Dubhne si ritrovò a chiedere ad un'ancella che procedeva vicino a lei di permetterle di bere un paio di sorsi d'acqua dalla sua bisaccia, promettendole in cambio il valore di uno hire d'argento.
Mentre, circa nel mezzo della carovana, Dubhne aguzzava lo sguardo per dare un'occhiata a ciò che potesse trovarsi oltre il loro corteo, la ragazza le rivolse la parola.
- E così... Sei davvero tu la Ragazza del Sangue?

Dubhne sospirò; non era la prima persona che glielo chiedeva, eppure erano passati neanche due giorni dalla sua partenza!
Sforzandosi di non cercare pretesti per litigare, guardò la giovane di fianco a lei con un sorriso quasi compassionevole e rispose:- Sì, sono proprio io. Ma il mio vero nome è Dubhne.

- Zaira - si presentò timidamente l'altra accennando un sorriso. - E come... Come mai hai deciso di unirti a noi?

- Non ho deciso di unirmi a voi - puntualizzò Dubhne, sentendosi già infastidita. - Ho conosciuto una persona che mi ha proposto di venire con lei a Grimal.

Non era la verità ovviamente, ma a dirla tutta la Combattente non aveva alcuna voglia di rivelare i particolari degli ultimi giorni ad una sconosciuta.

Zaira rimase in silenzio per alcuni istanti, poi tornò alla carica:- Io invece sono una dama di compagnia della principessa Freida. All'inizio avrei dovuto rimanere a Città dei Re, a palazzo, ma poi la mia signora ha deciso di partire per il sud insieme a suo padre, sua grazia il re.

Dubhne sperò di non doversi mai trovare nella situazione di rivolgersi a qualcuno con simili appellativi.

- Così ha deciso di portare me e altre due ragazze con lei. Lady Freida è naturalmente nella grande portantina insieme a sua madre, sua grazia la regina, ma non c'e spazio per troppe persone e così ci lascia cavalcare all'esterno. Lizzy e Danima sono appena più avanti, quando sapranno che ho parlato con...

Dubhne alzò una mano per indurla a tacere. - Non m'interessa delle tue amiche, Zaira - si schiarì la voce, pensando che forse era stata un po' troppo sgarbata. Poi mandò tutto al diavolo e proseguì:- Mi fa molto piacere che la tua mansione ti renda felice, ma - davvero - non mi interessa conoscere altre persone. Non... - si interruppe. - Ho altro a cui pensare, in questo momento.

Visibilmente dispiaciuta, la giovane ancella rallentò l'andatura del suo cavallo lasciando che Dubhne si allontanasse, e quest'ultima si lasciò sfuggire un sorriso amaro. In quel momento, trovava odiosa la presenza di quasi tutti i componenti del corteo attorno a lei. Il miracoloso viaggio verso il sud non stava andando esattamente come aveva sperato.

- Parli piuttosto bene, per essere una Combattente - una voce vicino a lei la colse completamente di sorpresa.

Si voltò e, proprio davanti a lei, incontrò lo sguardo limpido di Jel Cambrest.
Dunque si era degnato di aspettarla per rivolgersi nuovamente a lei; era dalla mattina precedente che non avevano modo di parlare o anche solo trovarsi nelle vicinanze l'uno dell'altra.

- Non sono una selvaggia - ribatté piccata, affiancandolo. - Non avrò ricevuto un'educazione, ma non sono un'idiota.

- Non intendevo questo - fece Jel senza ostentare alcuna aria di scuse. Alzò le spalle. - Ma tra i Combattenti non vi è di certo un fiorente ambiente culturale. Tu ti esprimi in scioltezza, è da quando ti ho incontrata che l'ho notato.

Dubhne avvertì una stretta al cuore.
Se aveva acquisito una buona padronanza dell'idioma dello Stato dei Re non era stato tanto merito dei suoi genitori quanto di Archie Farlow. Un curioso formicolio le prese le mani nel ripensare a tutto ciò che lei e Archie avevano condiviso, alle interminabili serate china sui libri mentre il suo padre adottivo cercava di insegnarle a leggere...

- Non sono sempre stata una Combattente - disse alla fine, tornando a guardare Jel. - Ho avuto anch'io una casa, una famiglia. Solo... per meno tempo di quanto avessi sperato.

Jel alzò un sopracciglio. - Da dove vieni in realtà? - le chiese incuriosito.

Dubhne rifletté un istante se rispondergli con sincerità o no. Alla fine rispose cautamente:- Da Célia, un... un paese poco distante dal confine con Tharia.

- Célia... - ripeté il mago, come assorto. Poi schioccò le dita. - Ma certo, ricordo. Ci sono stato parecchie volte. Mio padre vi andava spesso, quand'ero piccolo. È là che si trova quella famosa sartoria, giusto?

Altro tuffo al cuore.
La sartoria del signor Tomson. Dunque era davvero così conosciuta? In un solo vorticoso istante i ricordi le invasero nuovamente la mente. Conservare il ricordo per sé era un conto, ma parlarne... sentirla citare da altri...

Cercando di divagare, la ragazza aggiunse:- Ma a Célia ho trascorso solo i miei primi otto anni, poi... mi sono spostata. Archie... un uomo di Chexla mi ha ospitata in casa sua per diversi anni. È stato lui ad insegnarmi quello che so su Fheriea. Ho imparato a leggere e a scrivere, ma poi... - no. Si stava spingendo troppo in là. Non aveva alcuna voglia di rivelarle di come Malcom Shist avesse pagato profumatamente Archie per convincerlo a vendergliela come Combattente.

- Allora?

Dubhne guardò il giovane con un pizzico di stizza; perché non si faceva gli affari propri? Che gli importava del suo passato?

- Ma tu come mai ti sei degnato di lasciare i tuoi amici nobili per venire a parlare con me? Ho qualcosa di così interessante?

- Io non sono un nobile - sorrise lui scuotendo la testa. - E comunque, non credo che la loro compagnia al momento sia molto migliore della tua.

La battuta le strappò una risata. - Devono essere messi piuttosto male, allora - rincarò, immaginandosi quanto dovesse essere teso il clima fra tutti quei maghi, Consiglieri o chi altro per loro.

Jel tacque per un attimo, poi riprese:- Comunque volevo solo venire a dare un'occhiata. Accertarmi che fosse tutto a posto.

- Non ti fidi ancora di me? - gli chiese Dubhne in tono leggermente canzonatorio.

Jel tentennò. - Forse sto cominciando a fidarmi... - rispose. - Ma non si sa mai. Se combinassi qualche guaio la colpa ricadrebbe senz'altro anche su di me: sono io che ti ho dato il permesso di venire con noi.

- Tanto sarei venuta comunque - replicò lei con semplicità. - E non darò problemi. L'ho promesso, no?

- In effetti sì - il giovane annuì.

Proseguirono, in silenzio. Attorno a loro si levava il più o meno insistente chiacchiericcio dei vari membri della servitù, ma Dubhne non li ascoltava, anzi, rifletteva. Non l'avrebbe mai ammesso, ma in un certo senso la storia di Jel la incuriosiva: da quanto le aveva detto il mago doveva trattarsi di qualcosa di molto importanti. Quelle Pietre... chissà quali straordinari poteri dovevano custodire.
Fu così che decise di riprendere il discorso.

- Ne avete passate per arrivare fin qui, eh?

Jel non rispose subito. Dubhne notò che il suo cipiglio si era fatto decisamente più cupo.

- Come mai ti interessa di quello che ci è successo mentre eravamo in viaggio? - chiese il mago alla fine, alzando lo sguardo. - Non credo che sia il tipo di storia che affascina una Combattente. Così come dubito che ti interessi veramente qualcosa di Fheriea.

- Tu me l'hai chiesto e io ti ho detto qualcosa sul mio passato. Ora tocca a te - replicò lei con un'alzata di spalle, poi aggiunse:- Direi che è ora di distogliere l'attenzione da Città dei Re e pensare un po' al resto del mondo, giusto?

- Beh, non credo di essere la persona più adatta per illuminarti - fece il giovane evasivo, ma questa volta nel suo tono non c'era traccia di scortesia. Pareva semplicemente che l'argomento lo mettesse a disagio.

Dubhne si decise a lasciar perdere; dopotutto, poteva decisamente fare a meno del suo racconto, così distolse lo sguardo dal suo interlocutore e tornò a soffermarsi sulla strada di fronte a lei.
La Grande Via era larga, interamente di terra battuta, si estendeva davanti a loro probabilmente per altre centinaia di miglia. Dubhne sapeva che, nell'intera Fheriea (e probabilmente nemmeno nei territori a sud) non vi era nessun altro sistema di comunicazione così agevole. In effetti, l'unico luogo che non si potesse raggiungere tramite essa era i Bianco Reame. I Gharlani erano troppo selvaggi e scoscesi perché vi potesse trovare posto un passaggio così ampio.
Alla ragazza venne in mente di chiedere quanto potesse mancare ancora per raggiungere Grimal e fece per tornare a rivolgersi a Jel.

- È stato qualcosa che non avevo mai affrontato prima - il mago la interruppe ancor prima che potesse aprire bocca, al che Dubhne lo fissò, stupita dal fatto che avesse deciso di risponderle. Poté avvertire un lieve fremito nella sua voce.

- Quando sono partito... - proseguì Jel. - Quando siamo partiti, io e Gala... non sapevamo ciò che ci aspettava. Speravamo... speravamo si sarebbe trattato di un compito come altri - rise amaramente.

Dubhne comprese all'istante quale fosse il punto che più lo angosciava: aveva già visto la medesima espressione più volte, fra i volti dei Combattenti. Senza badare al tatto, domandò:- Hai ucciso, non è vero?

Jel annuì grave. - Molte più volte di quante avessi voluto.

La ragazza provò un curioso sentimento di empatia; sarebbe stata tentata di poggiargli una mano sulla spalla se non fossero stati a cavallo.

- Chi non lo ha provato non può capire - disse seria. - Non mi pare che tu sia il tipo che ama sporcarsi le mani di sangue. Quando rischi la vita, quando rischi di perdere una persona a cui tieni... Beh, io sarei disposta ad ammazzare chiunque mi trovi davanti.

- L'ho saputo, in effetti - affermò il giovane con un mezzo sorriso. - E direi che il soprannome che tanto ami ti calzi a pennello, per ora.

Anche Dubhne sorrise. Lo prese per un complimento, anche se in realtà non era stata del tutto sincera: con Clia e Jackson era stato un conto a parte: il desiderio di vendetta e la necessità impellente di sopravvivere, erano state quelle emozioni a spingerla a finirli, di colpo, ancora nel mezzo della battaglia. Ma Nekam, Goresh, Pete... avrebbe potuto risparmiarli. Forse Pete non si sarebbe mai arreso, ma gli altri due sì: Goresh era appena poco più di un ragazzino, più grande di lei di soli due anni. La verità era che ucciderli, strappare la vita dai loro corpi in quel modo così deciso e spettacolare... le aveva regalato un piacere mai provato prima. Dopo i durissimi mesi di allenamento, le umiliazioni, la paura, ucciderli era stato l'unico modo per dimostrare al mondo tutto il proprio talento e la propria ferocia.
Non lo avrebbe mai confessato a nessuno, ma quei ricordi erano per lei i più dolci che ci si potesse immaginare. Nulla avrebbe mai ripagato la spietata soddisfazione che aveva provato, vittoriosa, nell'Arena.

Si accorse solo in quel momento che Jel aveva ripreso a parlare.

- Sai, c'e stato un momento in cui ho pensato che davvero non sarei mi tornato a casa. I Ribelli... non puoi immaginare. Sono dei mastini. Ci hanno seguiti ovunque, ovunque, forse a volte senza nemmeno averne coscienza - s'interruppe un attimo e alzò lo sguardo. - Ma perché ti dico queste cose? - pareva diviso tra l'ironico e l'infastidito. - Non... Meglio lasciar perdere.

Strano tipo, pensò Dubhne fra sé e sé, un sopracciglio alzato. Eppure, nessuno meglio di lei poteva aver presente quanto le circostanze potessero cambiare una persona.

- Se non ti dispiace... - aggiunse il Consigliere. - Il mio tempo si è esaurito. Devo tornare in testa, molto probabilmente il maestro Anerion avrà bisogno di parlare con me durante la pausa di mezzodì. - Si aprì in un sorriso cortese, poi - senza aspettare una risposta - spronò il proprio cavallo ad accelerare l'andatura e si congedò.

Accigliata, Dubhne rimase al suo posto. Le attraversò la mente il pensiero che, di certo, il mago le avesse mentito. L'idea di avere il potere di metterlo in qualche modo a disagio non le dispiacque affatto: quello era l'effetto che doveva avere sulle persone.
La ragazza sorrise, ma fu un sorriso non poco amaro. I fantasmi del passato parevano tormentare Jel più di quanto desiderasse mostrare. Ma lei, di certo - come aveva dimostrato l'incubo della notte precedente - non era in una situazione migliore.








NOTE:

Buondì, rieccomi come promesso. Spero ovviamente che il nuovo capitolo Dubhne!centric vi sia piaciuto e continuo a ringraziare la gentilissima Miwako Honoka che ha recensito lo scorso.
Ricordo che recensioni di qualunque natura mi farebbero molto piacere.
TaliaFederer :3

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 5 - Gala ***


5








UNA SETTIMANA DOPO


Le permisero di trascorrere del tempo nella casa che era appartenuta a Janor Camosh.
Gala aveva avuto tempo di porre la richiesta soltanto diverse ore a seguito dell'arrivo del corteo reale a Grimal. Giunti in città, la ragazza non aveva avuto un attimo da perdere. Nel momento stesso della loro partenza da Città dei Re diversi corvi erano stati indirizzati nelle varie corti di Fheriea per informare i regnanti delle nazioni dell'imminente e fondamentale riunione del Gran Consiglio che si sarebbe tenuta a distanza di qualche giorno; dunque il Re delle Cinque Terre non aveva perso un attimo: tutti i Consiglieri avevano ricevuto l'obbligo di presentarsi nella sala delle riunioni quello stesso pomeriggio.
Inutile dire che non erano giunti a molto. Le Sei Pietre - passate dalle mani di Jel a quelle del maestro Anérion - erano state mostrate agli altri membri del Consiglio, ma non era accaduto molto di più. Perlopiù Gala si era astenuta dall'esprimere opinioni. Nove giorni di viaggio quasi ininterrotto l'avevano ulteriormente provata, questo in aggiunta al terribile senso di oppressione che l'aveva avvolta nel presentarsi ad un riunione del Consiglio per la prima volta senza la compagnia rassicurante di Camosh.
Non che si fosse persa nulla di particolare: in precedenza era stato proprio Camosh ad occuparsi della ricerca a proposito delle proprietà magiche delle Pietre, ma con lui disperso - o morto - non c'era da stupirsi che nessun altro avesse trovato il tempo di dedicarsi con impegno e perseveranza nella cosa. Con una guerra ormai più che alle porte e i disordini che andavano accumulandosi, i Consiglieri dovevano essere parecchio occupati.
Il risultato era che, ancora una volta, le Cinque Terre si ritrovavano in una situazione di stallo.
Personalmente Gala, non si fosse sentita così mortalmente stanca e delusa, avrebbe desiderato ardentemente urlare in faccia al Re o a chiunque altro quanto si fossero dimostrati incapaci; lei e Jel avevano girato il mondo oltrepassando ostacoli al limite dell'invalicabile, ma loro? Trovare un modo per utilizzare le Pietre, ecco cosa avrebbero dovuto fare. E non c'erano riusciti.
Non erano riusciti nemmeno ad impedire che Janor Camosh, uno dei membri più importanti del consiglio, venisse rapito o, molto più probabilmente, ucciso.
Erano al punto di partenza, ancora al maledetto punto di partenza.
Gala fissò il soffitto sopra di lei con insistenza.
Tanto tempo prima, in una vita precedente, sua madre le aveva sussurrato in un orecchio un segreto: stai crescendo ormai, e una donna forte non piange. Nel momento in cui sei convinta di non riuscire a trattenere le lacrime, posa la sguardo su un un punto, un punto qualsiasi. Guardalo all'infinito, più che puoi, e le lacrime non scenderanno più.
Ora Gala fissava una macchiolina d'umidità sul soffitto di legno, ed effettivamente le lacrime non avevano nemmeno cominciato a scenderle sulle guance. Rimanevano ferme, come congelate, appese alle sue ciglia. Il respiro modulato, la strega era avvolta da una sorta di malinconica calma.
Non desiderava che Camosh potesse essere lì con lei; aveva bisogno che Camosh fosse lì con lei. Per mesi aveva condiviso tutto con una sola persona, e quella persona era Jel. Ora lui non c'era - probabilmente nei giorni successivi non avrebbero avuto molte occasioni per parlarsi, visti gli impegni di lui con gli altri Consiglieri - e lei aveva bisogno di una figura di riferimento diversa. Aveva bisogno non di un amico con cui confrontarsi, ma di un padre, qualcuno che la confortasse e basta, qualcuno che le assestasse piccole pacche sulle spalle alle semplici parole di "va tutto bene".
Va tutto bene. No, non ci sarebbe potuto essere nulla di più distante dalla verità.
Forse sarebbe stato meglio essere nella condizione di Jel: dal momento in cui erano arrivati, tolta la prima riunione del Consiglio, Jel era stato trattenuto da diversi dei suoi membri, e ognuno di loro l'aveva interrogato su materiale diverso; Gala aveva supposto volessero ricevere da lui ogni informazione possibile ottenuta ad Amaria, o forse un resoconto dettagliato del loro viaggio da inserire nei documenti ufficiali della Corona. E Jel, come Consigliere ormai affermato, era sicuramente più indicato di lei per rispondere a quel compito.
Così lei si ritrovava lì, distesa su un letto di quella casa che nemmeno le apparteneva, gli occhi sempre fissi su quel punto del soffitto dove il legno si inscuriva, rovinato da un lieve gocciolio dalla dubbia origine.
Non seppe mai quanto tempo avesse effettivamente trascorso in bilico tra la veglia e l'incoscienza, quando tre colpi alla porta risuonarono nell'ambiente silenzioso.
Gala si tirò giù dal letto di malavoglia, rinfilandosi gli stivali che aveva abbandonato sul pavimento e sistemandosi un poco la casacca leggera. Si strofinò gli occhi ancora umidi e oltrepassò la porta lasciandosi alle spalle la propria camera da letto.
Raggiunse l'ingresso e, poco prima di girare la chiave nella serratura, poggiò l'occhio destro sullo spioncino di vetro incastonato nel legno della porta.
Era Lys Cambrest.
Che ci faceva la madre di Jel di fronte alla sua porta?
Gala aprì e si ritrovò di fronte al viso gentile della donna.

- Salve, Lys - la salutò senza sorridere, ma tentando di risultare cortese. - Come mai questa visita?

La donna del Bianco Reame le pose una mano sulla spalla in modo gentile. Gala notò che pareva piuttosto provata anch'ella: non portava occhiaie, ma il suo viso era degnato da innumerevoli rughe di preoccupazione. Quando parlò, lo fece con voce stanca e dispiaciuta.

- Mi dispiace disturbarti proprio ora, Gala. Ti stavi godendo un po' di riposo, non è vero?

- Non c'è problema - mentì la ragazza. Era sempre andata piuttosto d'accordo con l'educata madre di Jel, ma in quel momento desiderava solo essere lasciata in pace. Si sentiva troppo debole per portare avanti qualunque discussione.

- Ecco... mi dispiace di essere proprio io a dirtelo - continuò Lys, quasi con aria di scuse.

Una sgradevole quanto familiare calore avvolse le viscere della strega, ma continuò a tacere, lasciando che la donna davanti a lei si spiegasse.

- Sono certa che Jel avrebbe desiderato poter venire qui, per... per essere lui a dirtelo, ma è stato trattenuto a palazzo...

Ti prego, vieni al dunque. Dimmi la verità! Che cosa è successo? Cos'altro può essere accaduto?

Lys la fissò nuovamente con un'intensità del tutto nuova; pareva profondamente in pena per lei. Alla fine disse lentamente:- Mi sembra giusto che tu debba saperlo. È da poco stato ritrovato il... il cadavere di Janor Camosh.

L'autocontrollo non servì più a niente: Gala si portò una mano alla bocca, non riuscendo però a trattenere un gemito strozzato. Prima che potesse fermarle, le lacrime, sempre pronte a sgorgare in quei giorni, le annebbiarono la vista. Fu scossa da un singhiozzo.

- La notizia è appena arrivata in città. Una delle addette alla biblioteca di Città dei Re si è presentata a palazzo pochi giorni fa. Ha detto di aver urtato un corpo abbandonato in un angolo nel reparto di fondo. Era Disilluso. È stato riconosciuto solo nel momento in cui un maestro ha eluso l'incantesimo. Jel mi ha riferito solo questo... se vuoi sapere... sapere di più... ti consiglio di recarti a palazzo...

- Lo farò - rispose Gala in tono malfermo. - Hai... idea di quando... Quando si terrà il... il...

- Funerale? - sentir pronunciare quella parola ferì Gala con la violenza di una coltellata. - Non lo so, non ancora. Ma te lo farò sapere non appena potrò. Se nel frattempo vorrai recarti a palazzo, vederlo prima della sepoltura... immagino che il corteo funebre lascerà la capitale di qui a poco per riportarlo a casa...

- Basta così - la testa di Gala girò mentre pronunciava quelle parole. - Sei... Sei stata gentile a venire. Ora, ti prego, lasciami.

- Gala, mi dispiace - azzardò la donna con sincera commozione nelle parole. - So che...

La strega non la ascoltò più. Senza guardarla, si ritirò dentro casa e sbatté la porta, solo per poi lasciarsi scivolare a terra appoggiando la testa sul ruvido piano di legno. Fu a quel punto che scoppiò a piangere senza ritegno.


                                                                          ***


Il funerale di Camosh fu sobrio e riservato, esente da celebrazioni pubbliche e inopportuni cortei funebri. Si svolse al chiuso, nel profondo dei sotterranei del palazzo del potere di Grimal, lontano dalla luce del sole e da occhi indiscreti.
Personalmente, Gala preferì che fosse così.
Nei sotterranei che si sviluppavano sotto le fondamenta della reggia dove si svolgevano le riunioni del Consiglio erano sepolti in bare di pietra molti dei più capaci maghi della storia di Fheria, affiancati da grandi Consiglieri e persino alcuni Re del passato, risalenti all'intermedio periodo di restauro nel quale la corte dello Stato dei Re era stata trasferita a Grimal.
Quello era l'onorificenza che Camosh meritava: essere sepolto in quel luogo mistico, imponente nella sua austerità, affinché ognuno di loro ricordasse per sempre che tipo di uomo e di Consigliere fosse stato in vita.

Quando l'Altissimo* di Grimal si fece avanti per dare inizio alla commemorazione, Gala ebbe l'impressione di non riuscire a trattenere le lacrime. La disperazione l'assalì alla gola, avvolgendola con fremiti incontrollabili.

- Janor Camosh è stata una perdita drammatica per il Consiglio e per lo Stato dei Re - esordì l'Altissimo Sefron Kolt, la voce ferma ma sinceramente addolorata mentre pronunciava quelle parole. - Egli ha servito le Cinque Terre come maestro e Consigliere per quaranta lunghi anni, dimostrandosi un mago sopraffino e un grande uomo politico.

Una pausa, attimi di silenzio.
Nessuno fiatava. Lo sguardo di ogni Consigliere e maestro, persino del Re delle Cinque Terre in persona, era fissato sul pavimento in segno di rispetto.
Ma non bastava, non per Gala; la ragazza avrebbe voluto gettarsi sulla bara di pietra levigata di fronte a lei e piangere, e baciarne la superficie, e implorare perdono per il non essersi trovata a Grimal nel momento del trapasso del suo maestro.
Eppure si trattenne. Rimase ferma, in piedi, la schiena dritta, lasciando che l'Altissimo ricominciasse a parlare.

- Non aveva famiglia. Non aveva preso moglie, nè era padre di figli.

Ero io la sua famiglia! O almeno, avrei dovuto esserlo!

- Ha dedicato tutta la sua vita allo scopo di servire e proteggere le Cinque Terre e le loro istituzioni. Questo, infine, gli è costato la vita. Janor Camosh è stato assassinato. È stato ucciso da qualcuno che non può non essere considerato un nemico di Fheriea, un uomo - o donna - che finora è rimasto sconosciuto e impunito.

Gala avvertì il furore tornare ad avvolgerla come mai in vita sua: le sue membra fremettero, mentre stringeva i denti con tale intensità da farsi male.

- ... Ed è d'obbligo affermare che sarà compito di ogni individuo che serva il bene della nostra nazione, impegnarsi affinché quest'atto efferato venga punito di conseguenza e la morte di Camosh non sia resa vana.

Ancora silenzio. Gala alzò gli occhi lanciando uno sguardo a Jel, di fronte a lei dall'altra parte della bara. Come tutti loro, il giovane vestiva di scuro. Il mantello e la camicia neri, la spilla dorata staccata dai vestiti e nascosta in una tasca.
Alto, il capo chino e il volto terribilmente ombroso, pareva fosse maturato di parecchi anni dall'ultima volta che si erano visti.
Non si era fatto vivo con lei dopo la notizia ufficiale della morte di Camosh.
Gala non ne conosceva il motivo, ma la cosa l'aveva amareggiata terribilmente. Dopotutto anche lui aveva condiviso molto con il suo vecchio maestro, dopotutto era stato una figura di riferimento anche per lui.
La strega aveva pensato che per sempre lei e Jel si sarebbero ritrovati legati indissolubilmente come nello svolgersi della loro solitaria missione, eppure in quei giorni lo sentiva come più lontano che mai. La morte di Camosh non era servita per riavvicinarli, semmai aveva scavato un solco ulteriore tra i loro due mondi.
Jel era ben più che un adulto, ormai. Con Camosh fuori dal Consiglio, il suo ruolo avrebbe molto probabilmente acquisito ulteriore importanza. Quanto a lei, lei era null'altro che un'apprendista esperta, titolo che hai suoi occhi al momento valeva ben poco. Per mesi si era vantata con se stessa e con gli altri del proprio essere ritenuta degna di partecipare alle sedute del Gran Consiglio, ma ora si sentiva terribilmente ridicola, sminuita. Non era neanche una vera e propria Consigliera.
Nel frattempo il discorso di Sefron Kolt si avviava verso la sua conclusione.

- L'animo di Camosh era senza ombra di dubbio solido e di natura nobile. Pregheremo senza sosta affinché esso possa riunirsi alla Magia* che scorre nel mondo e che governa ogni cosa, come quello dei più alti fra gli uomini.
Darihme. Darihme. Darihme.

- Darihme. Darihme. Darihme - ripeté Gala, e come lei ogni altro presente nella stanza.

Accoglilo.

La cerimonia terminò.
Alcuni degli Alti se fecero avanti per sigillare la bara di Janor Camosh, mentre coloro che avevano partecipato al funerale si apprestavano a congedarsi. Circondato dalla scorta che aveva presidiato l'ingresso della sala funebre, il Re fu il primo ad imboccare la rampa di scale che l'avrebbe ricondotto a palazzo.
Quando anche gli Alti ebbero lasciato la stanza, Gala credette di essere sola. Mosse un paio di passi e si ritrovò a ridosso del sarcofago di pietra, sulla quale sommità era stata scolpita in basso rilievo la figura del maestro. Una tradizione riservata ai più potenti e nobili che Gala aveva sempre amato.
Chinò il volto e poggiò le labbra sulla ruvida fronte della raffigurazione.
Mi dispiace, Camosh, mi dispiace tanto. Mi manchi. Ti rivoglio vicino a me.

- Chi è stato?- sussurrò con rabbia, mentre le lacrime cominciavano a scenderle sulle guance. - Chi ti ha fatto questo? Chi è stato, Janor?

- Le Guardie Reali di Grimal sono già all'opera per scoprire chi è il colpevole.

La ragazza sobbalzò a quelle parole e, voltandosi, incontrò lo sguardo di Jel Cambrest. Il Consigliere sembrava più abbattuto che mai. Gala notò che i suoi occhi erano segnati da profonde occhiaie.

- Credevo non ci fosse più nessuno - proferì la strega con voce roca tornando a fissare la tomba di Camosh.

Jel l'affiancò. - Ti ricordo che il Re ha convocato una riunione del Consiglio subito dopo il funerale.

Gala non rispose; in quel momento non le importava. Anzi, l'apparente apatia nel tono utilizzato dal suo amico la riempì di disappunto. Come poteva mantenere la lucidità per pensare alla politica anche in quel momento? Camosh non meritava forse i loro pensieri, almeno in quelle ore di veglia?

- Non credo che parteciperò. Non mi sento bene - mentì controvoglia.

Jel le lanciò uno sguardo obliquo. - Farò finta di non aver sentito. Sai quanto è importante in questo momento.

Gala si strinse nelle spalle, poi replicò:- Credo che in questo momento la cosa importante sia una sola.
Lasciò correre lo sguardo sulla tomba di pietra e ne accarezzò la superficie. Riuscì a trattenere un singhiozzo.

Il mago le si avvicinò ancora. Le pose una mano sulla spalla ma, quando lei cercò di allontanarlo, la fermò per un polso.

- Gala - proferì in tono fermo.

La ragazza lo guardò con gli occhi pieni di lacrime.

- È da quando abbiamo parlato con il maestro Ellanor che sapevi che questo momento sarebbe arrivato - continuò Jel guardandola negli occhi, e per una volta dal suo sguardo trasparì una grandissima dolcezza. - È finita, ormai. Camosh... Camosh non c'è più. Ma tu sì. Sei ancora viva, sei ancora qui, hai ancora la possibilità di combattere. Di renderlo fiero di te.

A quelle parole Gala non riuscì più a trattenersi e, affranta, si tuffò fra le braccia dell'amico, aggrappandosi a lui, cercando almeno un minimo conforto dal proprio dolore.

- Mi mancherà... Mi mancherà così tanto... Già mi manca.

- Lo so, Gala - il mago le accarezzò i capelli. - Lo so.

Rimasero in quel modo per doversi lunghi istanti, in silenzio. Con la testa appoggiata sul suo petto, Gala poteva distintamente udire il battito del cuore di Jel.

- Resta pure qui ancora per qualche minuto, se vuoi - disse alla fine il giovane sciogliendo l'abbraccio. - Io nel frattempo raggiungo la sala del Consiglio. Non saranno ancora arrivati tutti i Consiglieri...

- Sì, certo... - assentì la strega in tono assente.

Senza dire altro, Jel le voltò le spalle e lasciò la stanza a grandi passi.

Avvertendo un insopportabile peso in fondo allo stomaco, Gala rimase immobile. Chiuse gli occhi, tentando di rimanere calma. Non pensare... Non pensare a niente. Riprendi il controllo.
Se doveva partecipare alla riunione del Gran Consiglio aveva bisogno di concentrazione. Sapeva che molto probabilmente l'argomento trattato sarebbe stato inerente all'utilizzo delle Pietre o alle prossime mosse militari da compiere nel nord di Fheriea: non esattamente temi di minor importanza.

Al diavolo, pensò la ragazzina frustrata, allontanandosi di scatto dalla tomba. Al diavolo, al diavolo, al diavolo. Tutti quanti.

Voltò le spalle alla cripta funeraria e si avviò verso la scalinata che l'avrebbe riportata in superficie.




- Ho atteso che venisse celebrato il funerale del maestro Janor Camosh prima di comunicarvi ciò che sto per dire.

Alzando gli occhi, che fino a quel momento aveva mantenuto concentrati sul piano di legno levigato, Gala comprese ciò che il Re stava per dire un attimo prima che lo facesse. Quel discorso era stato trattato più volete nei giorni precedenti, di certo egli desiderava comunicare loro la sua decisione finale. E infatti...

- Fino al momento in cui gli scritti contenenti istruzioni sulle Pietre non saranno rinvenuti, non potremo servircene in alcun modo.

Gala avvertì la delusione, forte, destabilizzante, avvolgerla. Fino a quel momento aveva mantenuto la vaga speranza che qualcuno, preso i posto di Camosh nelle ricerche, fosse riuscito a trovare qualcosa di utile. Lei e Jel avevano messo anima e corpo nella ricerca di quei dannati talismani e, ora che li avevano portati al cospetto del Consiglio, si ritrovavano con le mani legate.

- Pertanto... Al momento, l'unica via per fronteggiare i Ribelli del Nord è nell'unico modo che loro conoscono: con le armi. Con le nostre armate, i nostri uomini. L'Ariador - e fissò intensamente il sovrano Aesyon - ha già sanguinato abbastanza. Da questo momento, è mio volere che ad occuparsi della guerra nel Nord sia l'esercito delle Cinque Terre al completo.

Gala non prestò attenzione al mormorio che si diffuse nella sala non appena il Re pronunciò tali parole.
Bene o male, conosceva le posizioni dei vari componenti del Consiglio.
Lady Kaief del Bianco Reame, insieme ai suoi Consiglieri e al maestro Eloas, pur essendo la sua nazione in trattative per entrare a far parte delle Cinque Terre, si era sempre dimostrata piuttosto restia dinnanzi ad una politica interventista. Il Bianco Reame aveva perpetuato il proprio splendore per secoli senza quasi contatto alcuno con il resto dell'isola; l'essersi uniti alla causa delle Cinque Terre era stato per i regnanti di due secoli prima una decisione pressoché "indotta", quasi sofferta, nonostante la collaborazione con il resto di Fheriea avesse in seguito dato frutti a dir poco trionfali. La Gente Bianca aveva comunque mantenuto i propri caratteri distintivi: autosufficienti, generalmente chiusi e assai poco tendenti al riporre fiducia negli estranei. Sotto quel punto di vista, Lady Kaief rappresentava decisamente bene la sua nazione.

Fu per questi motivi che Gala non mostrò alcun segno di sorpresa quando la donna inarcò un sopracciglio e proferì:- L'esercito della Cinque Terre non è mai stato mobilitato dal momento della sua creazione. Permettetemi di esprimere qualche dubbio sulla sua ipotetica utilità in una situazione come questa.

Gala osservò Jel mentre si apriva in un sorrisetto amaro. Anche lei, in effetti, credeva di aver intuito ciò che si celava dietro la cautela della Lady del Bianco Reame: di certo la sovrana reggente non aveva intenzione di rischiare le sue preziose truppe per occuparsi di una guerra così remota, combattuta dall'altro capo di Fheriea... Anche se, non facendo ancora parte delle Cinque Terre, il Bianco Reame non era in possesso di truppe che appartenessero all'esercito continentale, in caso di un suo dispiego anche la sua nazione era tenuta a fornire un dato numero di uomini.

- Mia signora - rispose il Re con cortesia ma mantenendo un tono fermo. - La guerra del Nord ha assunto proporzioni preoccupanti, come tutti noi sappiamo.

- Mi risulta che sia compito dell'esercito dell'Ariador occuparsi delle guerre combattute sul suolo, per l'appunto, ariadoriano - ribatté il maestro Eloas, al che Kaief e qualche altro Consigliere annuì con aria d'approvazione. - La situazione di cui è vittima l'Ariador in questo momento non è neanche lontanamente paragonabile a quelle pensate per far intervenire l'esercito delle Cinque Terre.

Anche quest'ultima affermazione non era nulla di nuovo. Combattuta tra il sentirsi frustrata e disinteressata, Gala si mosse sulla sedia lasciandosi sfuggire un sospiro che pareva più uno sbuffo.

- Non credo che il Re intenda mobilitare l'interezza dell'esercito sulle Terre del Nord - intervenne a quel punto il maestro Anerion, e la mente di Gala fu sfiorata dal pensiero che probabilmente lui e il sovrano dovevano essersi confrontati prima di prendere parte al Consiglio.

- Come ha detto il maestro Anerion - assentì il Re. - Non è questa la decisione che ho preso. Ma da questo momento in avanti, qualunque generale nel Nord avrà diritto a chiedere rinforzi presso gli schieramenti di qualunque nazione.

- Fino al momento in cui non riusciremo a trovare il modo di servirci delle Sei Pietre, ritengo sia il modo più indicato per agire - convenne il maestro Althon, dall'Haryar. - Questa guerra non interessa solamente l'Ariador. I Ribelli sono riusciti ad imporsi sulle città di Qorren e Hiexil. Non credo ci sia bisogno di ricordare - e scoccò un'occhiata severa a Lady Kaief - il numero di persone rimaste intrappolate al loro interno. Theor ha dimostrato di possedere una tattica apparentemente molto efficace. Non abbiamo la certezza che si limiterà ad accontentarsi di quelle regioni del Nord. Hiexil è alquanto vicina al confine con lo Stato dei Re, le prossime manovre potrebbero vertere su di esso.

- Ma non hanno abbastanza uomini - obiettò Raenys in tono pacato. - Anche se le intere Terre del Nord dovessero riversarsi sullo Stato dei Re, non potrebbero comunque contare su un numero sufficiente di fanteria e cavalleria per controllarne il confine. Se saranno così sciocchi da tentare, occorrerà solo aspettare che si disperdano: allora spetterà alle forze di Ariador e Stato dei Re colpire e spezzare i loro schieramenti, ponendo fine a questa insulsa ribellione.

- Per il momento le sole nostre forze non riescono ad arginare quelle dei Nordici, questo mi sembra chiaro - rispose mestamente il sovrano dell'Ariador. - Alcuni giorni fa ho dato l'ordine di inviare da Tamithia un altro migliaio di soldati nel Nord, di cui a malapena la metà fanno parte della cavalleria. L'obiettivo al momento è di riconquistare Hiexil, per poi concentrarci su Qorren e ricacciare indietro i Ribelli una vota per tutte. Tuttavia, se potessimo contare anche sulle truppe delle Cinque Terre, vi sarebbe la possibilità di intraprendere due assedi contemporaneamente. Ad ogni minuto in cui Qorren e Hiexil restano nella mani dei Ribelli, le Cinque Terre perdono autorità.

- Non sono le Cinque Terre, bensì l'Ariador, mio signore - replicò Lady Kaief. - Tutto ciò è allarmismo, ingiustificato a mio parere. Le due città cadute nelle mani dei Ribelli non sono sufficienti per renderei invincibili. Tutti noi conoscevamo Theor e sappiamo quanto sia versato nella strategia. Ciò non cambia le cose: come ha già sottolineato il maestro Raenys, l'esercito del Nord, che sia regolare o composto da Ribelli, non dovrebbe essere sufficiente per piegare quello ariadoriano.

- Con tutto il dovuto rispetto, mia signora - intervenne Jel, per la prima volta quel giorno, al che Gala si fece nuovamente attenta dopo minuti in cui si era limitata a fissare il tavolo. - Io e la mia compagna di viaggio siamo testimoni di quanto sia grave la situazione nel Nord. Il giorno in cui Hiexil è stata presa ci siamo trovati su un altro campo di battaglia, a poche miglia di distanza. Concordo sul fatto che, probabilmente, Theor non possa contare su abbastanza uomini per costituire una minaccia per l'intera Fheriea, ma il nostro dovere rimane quello di limitare le stragi e porre fine alla guerra il prima possibile. Il Re ha ragione: è tempo che sia anche l'esercito delle Cinque Terre ad intervenire. Non possiamo permettere che l'Ariador affronti da solo questa minaccia.

- A quanto pare, in fin dei conti, intendete lo stesso concetto, Lady Kaief - commentò Althon rivolgendosi alla donna del Bianco Reame. - Chiudere questo capitolo in fretta, se m'intende. E anche se l'Ariador riuscisse a fermare i Ribelli senza aiuti dalle Cinque Terre, sarebbe necessario molto più tempo.

La donna incrociò le braccia, apparentemente ponderante.
In realtà Gala era ben conscia di quanto la volontà di un singolo Consigliere fosse poco rilevante, in un momento come quello. Quando il Re prendeva una decisione di tale importanza, solo figure prestigiose come Raenys e Althon - e un tempo Camosh - potevano avere una speranza di smuoverlo e convincerlo a non firmare il decreto in questione.

Per diversi lunghi istanti la sala rimase sospesa nel silenzio.
Gala continuava a tentare di soffermare l'attenzione sulle parole che il Re e gli altri Consiglieri avevano pronunciato, ma in quel momento le riusciva difficile. Con la mente continuava a tornare laggiù, nel sotterraneo dove Janor Camosh avrebbe riposato per sempre.
Che decidano quello che vogliono... Hai già fatto la tua parte e lo sai.
In fin dei conti, scoprì che non le importava veramente quale fosse la presa di posizione assunta dall'unanimità del Consiglio. Alla fine, a contare davvero era la decisione del Re. E a quanto pareva, quella volta, nessuno aveva avuto la capacità - o l'intenzione - di opporglisi seriamente.
Gala si accorse che lo sguardo di Jel era puntato su di lei. Restituì l'occhiata, senza nemmeno chiedersi se l'intenzione fosse di redarguirla per il proprio scarso interesse o semplicemente controllare che riuscisse a resistere senza scoppiare nuovamente in lacrime. La ragazzina sorrise cercando di apparire serena, rassicurante.
Anche Jel incurvò leggermente le labbra.

Alla fine, il Re si alzò dal proprio scranno e Gala comprese che era giunto ad una conclusione.

- Maestro Anérion - proferì in tono saldo. - Chiama l'attendente Cliff. Digli di portarmi penna e pergamena.








NOTE DELL'AUTRICE

Orsù dunque, in questo capitolo ho introdotto due faccende che da tempo mi premeva trattare, entrambe in ambito religioso.

1*: gli Alti. Gli Alti sono delle specie di figure spirituali, in pratica i sacerdoti di Fheriea. Sono piuttosto rari, in quanto e necessaria un'alta capacità empatica per diventarlo. Il loro compito è svolgere le funzioni religiose e per il resto del tempo meditare cercando un contatto con la Magia assoluta, la forza benefica che si dice sia stata all'origine del pianeta Acryst. L'Altissimo è ovviamente la figura di spicco in mezzo agli altri, mentre i Custodi stessi, coloro che vegliano sulle Sei Pietre, sono Alti a loro volta.
2*: come forma religiosa non ho voluto proporre forme di monoteismo ne di politeismo, bensì una credenza arcaica in una sorta di spirito superiore del quale è impossibile intuire la volontà. A Fheriea non è quindi presente un testo sacro né un codice di leggi puramente religiose. Si tratta di Magia assoluta, appunto, ente dalle possibilità praticamente illimitate. È per questo che ai comuni maghi e possibile modificare i flussi di Magia nei corpi che li circondano: la Magia comunemente praticata a Fheriea si basa sull'alterazione o la manipolazione della forza magica presente nell'ambiente. Gli unici incanti che non seguono queste regole sono quelli appartenenti alla Magia Antica, ma questa è un'altra storia che spiegherò più avanti :)

Dopo questi doverosi spiegoni, beh, spero che il capitolo vi sia piaciuto, anche se ancora molto introspettivo. Ho impiegato più del previsto a stenderlo ma spero di essermi fatta perdonare con la lunghezza credo meritevole ^^
Ringrazio Arya che ha recensito lo scorso capitolo. Please, lasciatemi un parere, magari non ne avete voglia, ma per me è importante...
TaliaFederer

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 6 - Dubhne ***


6








Per la quarta volta in quei giorni, Dubhne si svegliò di soprassalto, la schiena sudata, le membra scosse da fremiti di nervosismo. Di nuovo l'Arena, di nuovo il sangue, nessun campo di fiori rossi però. Era curioso: gli ondeggianti steli dei campi di Cèlia erano sempre stati presenti nei tre sogni precedenti.
La ormai ex Combattente si liberò dalle lenzuola e appoggiò i piedi sulle levigate assi di legno che costituivano il pavimento. La superficie era tiepida, sarebbe stata piacevole non fosse stato per l'opprimente clima di quelle settimane. Sorte di sbuffi di aria calda parevano provenire dalle finestre semi aperte anche a quell'ora di prima mattina e all'interno della stanza faceva caldo, quel denso tepore che in pochi minuti lasciava la pelle inumidita da centinaia di piccole goccioline di sudore.
Dubhne aveva dormito quasi completamente svestita, tenendo la propria scimitarra nascosta sulle assi sotto il morbido materasso del letto a baldacchino sul quale aveva riposato. Ricordava di essersi coricata già in stato di lieve agitazione; da quando era giunta a Grimal aveva tentato di modulare le proprie pessimistiche e angosciose sensazione, ma senza particolare successo.
La ragazza alzò la testa, dopo averla retta fra le mani per una manciata di secondi, studiando attentamente la camera attorno a lei: apparteneva ad una delle più rinomate locande della città, un edificio in pietra al cui piano inferiore si sviluppava un ampio salone dotato di almeno una ventina di tavolate. Il bancone di legno di quercia nascondeva a malapena la vistosa fornitura di liquori e bevande di ogni tipo. Non si potevano trovare bisacce o anfore scheggiate, solo botti di birra e bottiglie contenenti ogni varietà di vini. Non era una sala da pranzo opprimente e sudicia, ma ben curata, confortevole.
Dubhne, abituata all'austerità del palazzo Cerman, era rimasta stupita nel ritrovarsi in un ambiente di quel livello. Nei giorni in cui aveva soggiornato alla locanda "Aiachest" non si era mai imbattuta in malconci viaggiatori o ubriachi da quattro soldi: il clima che vi si respirava all'interno non sfociava mai nel caos e Dubhne aveva dedotto che le regole in merito fossero piuttosto rigide, o le misure di sicurezza piuttosto efficaci.
Era stato Jel a suggerirle di alloggiare proprio lì. Ora che poteva disporre di una notevole quantità di denaro, Dubhne aveva tutte le intenzioni di godersi, almeno per un po', le condizioni di una vita agiata. Il giorno prima del loro arrivo a Grimal, aveva domandato al Consigliere se in città vi fosse qualche ostello che si adattasse alle esigenze di una vincitrice dei Giochi. Lui aveva sorriso accondiscendente e le aveva elencato due o tre posti che avrebbero potuto fare al caso suo.
Quella era stata l'ultima volta in cui l'aveva visto.
Dubhne attraversò la stanza con passo lento, coprendosi la bocca con una mano per reprimere uno sbadiglio. Afferrò il manico di una brocca colma d'acqua e ne versò il contenuto nella graziosa bacinella di ceramica che stava appoggiata su una piccolo tavolino. Senza pensarci due volte, immerse il viso nel liquido ancora freddo; nell'avvertire la propria pelle che si intirizziva al contatto con l'acqua si sentì immediatamente più arzilla.
Dunque Dubhne, sei qui, a Grimal. Goditi la tua libertà.
Quella parole risuonarono nella sua mente quasi come una presa in giro. Godersi la libertà... come? Cosa poteva fare per svagarsi e tentare di non pensare, almeno per un po', alla fastidiosa sensazione di irrequietezza che da giorni la tormentava?


La sala da pranzo era quasi deserta, ma Dubhne non se ne stupì: era abituata a quella solitudine. Gli orari rigidi della sua vita da combattente l'avevano plasmata ad avere ritmi di dormi-veglia piuttosto scarsi. La sera, dopo essersi coricata, generalmente impiegava diverse ore nell'addormentarsi e, di certo, non recuperava nelle ore mattutine. Quella mattina si era svegliata che non era ancora l'alba.
Dubhne passò accanto al bancone salutando l'ostessa, una donna di mezza età cicciottela e dal volto gentile, con un sorriso e richiese il solito - pane, marmellata e un bicchiere di vos, la bevanda locale di Grimal che aveva il pregio di avere eliminare almeno parzialmente il torpore mattutino. Fu solo dopo che la ragazza si fu seduta al proprio solito posto, un piccolo ma comodo tavolo tavolo nell'angolo destro della sala, che si rese conto della presenza di qualcun altro. Stava seduto nell'angolo opposto al proprio e, come lei d'altronde, pareva aver cercato il posto più appartato della vasta stanza per sistemarsi. Dubhne notò immediatamente che parte del suo volto e l'occhio sinistro erano coperti da una benda, sulla quale ricadevano ciuffi di capelli biondicci.

- Chi è quell'uomo? - chiese incuriosita a Tessi, mentre la donna le sistemava davanti un piatto e un boccale.

L'ostessa alzò le spalle. - Immagino ne vedremo molti come lui in città, di qui a poco. Ora che l'esercito delle Cinque Terre e impiegato nella guerra del Nord, avremo molti reduci anche fra gli Uomini Reali.

- L'esercito delle Cinque Terre? - ripeté Dubhne facendosi ancora più interessata e, contemporaneamente, rimproverandosi per non aver prestato maggior attenzione alle notizie che probabilmente, in quei giorni, erano sulla bocca di tutti.

- Proprio così. Ma... - e qui la guardo con un sorrisetto che nascondeva una leggera aria di scuse. - Non sono la persona più adatta per fornire informazioni sull'argomento.

- Certo, certo - fece Dubhne facendo un cenno con una mano. Non era affatto sorpresa: Tessi era il classico esempio di persona affezionata ai propri piccoli affari quotidiani e poco propensa alle faccende politiche.
Mentre la donna si allontanava dal suo tavolo e si apprestava a tornare al suo posto dietro il bancone, Dubhne tornò a fissare l'uomo con interesse, pur tentando di non farlo in modo troppo evidente. Allo stesso tempo le parve di sentire un lieve odore di ferro aleggiare nell'aria, molto flebile, ma troppo familiare perché non lo percepisse. L'uomo seduto nell'angolo doveva avere altre ferite oltre a quella in viso, qualcosa di grave, perché quello era l'odore del sangue.
Nell'esatto momento in cui la giovane ne prese coscienza, avverti una strana sensazione stringerle lo stomaco.
Un reduce di guerra, si disse mentre addentava una fetta di pane. Era curioso, anche se se ne rendeva conto solo in quel momento: dopo tutti i mesi che aveva trascorso nell'Arena, in mezzo a guerrieri e al sangue... quella era la prima volta che vedeva un vero soldato, uno che avesse visto battaglie.
Una piccola fitta alla spalla la colse di sorpresa; era da parecchio che non le capitava. Portandosi una mano e tastando, sopra lo strato di vestiti, la vecchia cicatrice inflittale da Pete, Dubhne chiuse gli occhi e si appoggiò allo schienale della sedia.
Quando li riaprì, il soldato con la benda sull'occhio era seduto di fronte a lei.

- Allora? - le chiese prima che lei potesse aprir bocca. Così facendo aveva sorriso, un sorriso - notò Dubhne - alquanto stanco. - Se hai qualcosa da chiedermi perché non lo chiedi direttamente a me?

Lei non arrossì. Si limitò ad alzare le spalle e affermare:- Non volevo disturbare. Insomma... immagino non abbia molta voglia di parlare con degli sconosciuti di quella - accennò alla sua ferita.

- Ma tu non sei un'estranea. Sei la Ragazza del Sangue... Alloggio qui da nemmeno due giorni e ho sentito almeno una volta tutti gli avventori parlare di te.

- Già, già, dovevo immaginarlo...- anche Dubhne sorrise, portandosi alla bocca il bicchiere e sorseggiando il vos. - Allora... posso...?

- Certo.

- Dove hai combattuto?

Lui sospirò. - In diversi posti, praticamente lungo tutto il confine. Quando è scoppiata la guerra ero con i battaglioni al servizio di Lord Broderick, signore del Borgo Doleff.

Nonostante non avesse la più pallida idea di dove si trovasse il Borgo Doleff, Dubhne annuì.

- È stato un continuo, frustrante, pericoloso. Avevamo pochi uomini. Il confine con le Terre del Nord è sterminato e il sovrano dell'Ariador ha ordinato fossero impiegate solo le forze dei signori a Nord di Tamithia.

- Come ti sei procurato quella ferita?- chiese Dubhne tornando a fissare la benda che, se ne accorgeva solo in quel momento, pareva leggermente macchiata di sangue.

- Non è il peggio - rispose l'uomo ostentando noncuranza. - Ed è vecchia ormai. Ogni tanto qualche taglio si riapre e sanguina un po', ma ormai sono abituato ad usare un occhio solo. L'ho rimediata in uno dei primi giorni di combattimenti, ero... - s'interruppe un istante, pensoso. - Vicino a Hiexil, forse. O nei dintorni di Harrel, non ricordo. Ma te l'ho detto... mi è capitato di peggio.

Si alzò un attimo in piedi e Dubhne ebbe modo di vedere una seconda, larga fasciatura cingergli l'addome. Dalla quantità di sangue di cui il tessuto era rimasto intriso, la ragazza capi che l'odore di ferro proveniva da lì.

- È per questa che sono stato congedato. È successo durante uno dei tanti assalti a Hiexil, sai, la prima città ariadoriana ad essere stata conquistata dai Ribelli.

Dubhne annuì; aveva sentito diverse persone nominarla, in quei giorni.

- Una freccia mi ha trapassato proprio nel fianco. Tu non... non puoi immaginare il dolore.

- Credimi - rispose immediatamente lei abbassandosi la spalla della casacca che indossava e mostrandogli la cicatrice bianca della ferita di Pete. - Ne so qualcosa.

I due rimasero in silenzio per qualche secondo. Per un attimo Dubhne rimpianse l'aver immediatamente ribattuto alle parole dell'uomo. Dopotutto in quel momento si stava parlando di lui, possibile che lei provasse ogni volta il bisogno di dimostrarsi "all'altezza"?
Ma la ragazza era curiosa, aveva diverse altre domande da porre a quel guerriero.

- E quindi come... come procede la guerra? - esordì.

- Male, da quel che ho sentito. Con la caduta di Qorren il morale delle truppe dev'essere ai minimi storici. La gente ora ha paura per Rosark, se dovesse essere presa anche lei Tamithia si ritroverebbe decisamente minacciata.

- Ma questo è poco probabile, giusto? Insomma, Rosark è la seconda città ariadoriana, immagino sia ben protetta. E i Ribelli non possono disporre di così tanti uomini per...

- È quello che pensavamo anche riguardo a Qorren - la interruppe l'uomo con un gesto della mano. - ... ma Theor sembra disporre di diversi assi nella manica.

Theor. Quel nome le diceva qualcosa. Le pareva di ricordare fosse stato Jel a parlargliene, doveva trattarsi del capo della ribellione.

- In ogni caso, ora che è entrato in gioco anche l'esercito delle Cinque Terre, le cose dovrebbero drasticamente cambiare, per i Ribelli.

- Le Cinque Terre... sarebbe una sorta di esercito continentale, giusto?

- Qualcosa del genere. A contrario degli eserciti locali è composto solo da volontari, che fanno di quel servizio il proprio lavoro. Dicono anche siano ben pagati. Ma... non so molto più di questo.

- E come mai tu non sei tornato in Ariador? Come mai qui a Grimal?

- Non voglio più avere niente a che fare con questa guerra. Me ne vado, il più lontano possibile. Con il servizio che ho prestato in questa guerra ho ricavano abbastanza denaro da procurarmi un trasporto per le terre aldilà del mare. Dicono che là faccia caldo tutto l'anno e, sinceramente, dopo il gelo che ho patito mentre ero in quel maledetto nord, la cosa non mi disturberà più di tanto.

Dubhne rise, suo malgrado. Le parole di quell'uomo avevano risvegliato in lei un'idea che finora era rimasta sopita. Eppure eccola li ora, prendere piede in lei, l'unica soluzione ai suoi problemi, l'unico modo di combattere quella perenne ansia che, ne era sicura, in pochi mesi l'avrebbe condotta ad impazzire.

Dubhne terminò in silenzio di mangiare e offrì al proprio interlocutore un'altro bicchiere di vos. Quando ebbe finito di bere lui si alzò, con una certa cautela per non infierire sulla ferita che doveva dolergli ancora parecchio.
- E stato un piacere conoscerti, Ragazza del Sangue - si congedò con voce roca e fece per voltarsi e avviarsi vero le scale.

Ancora una cosa.

- Con chi si deve parlare per arruolarsi nell'esercito delle Cinque Terre?

L'uomo parve intendere al volo che cosa intendesse la ragazza con quelle parole.

- Poco distante dalla piazza centrale c'è il distaccamento di Grimal. È parecchio trafficato dai volontari, in questo periodo. Ma non ti consiglio di farlo, Ragazza del Sangue. Là nel Nord non è come nell'Arena. Le possibilità di sopravvivere possono ridursi allo zero. Per chiunque.


                                                                     ***


Dubhne aveva preso la propria decisione in pochi minuti.
Lei era fatta così, ormai ne era ben cosciente. Possedeva una capacità decisionale fulminea, poco avvezza a lunghi ragionamenti ed eccessivi scrupoli.
Aveva trascorso giorni e giorni lì a Grimal, in ambienti confortevoli, disponendo di denaro e ogni comodità. Si era apparentemente lasciata alle spalle il mondo dei combattimenti, ma quel mondo non aveva abbandonato lei.
Se fosse rimasta in città, per quanto tempo quella vita sarebbe potuta continuare? Prima o poi i soldi della vincita sarebbero finiti e lei non aveva altre doti particolari, oltre alla capacità di uccidere. A malapena sapeva leggere e scrivere, e le capacità di tessere e ricamare che aveva acquisito nella sartoria del signor Tomson si erano decisamente affievolite, se non sparite del tutto.
Trovare marito e formarsi una famiglia era un'ipotesi che la ragazza non era solita nemmeno considerare. E anche se fosse riuscita a trovare un impiego che le garantisse il necessario per vivere, Dubhne sapeva che la sua vita non sarebbe mai potuta tornare ad essere appagante per lei, per lei che aveva sperimentato il rischio e la paura, per lei che nell'Arena era arrivata a venire considerata una regina. L'assuefazione al sangue non si sarebbe allontanata da lei tanto facilmente, quindi perché non soddisfarla? La guerra nel Nord era l'occasione perfetta per tornare a combattere e mettersi alla prova. Certo, le parole del soldato della locanda avevano acceso in lei anche una punta di paura, incrementata dalle voci che si sentivano in giro e da ciò che significava veramente una guerra, ma in un certo senso la cosa la stuzzicava. Mettersi alla prova era l'unica maniera che aveva per dimostrare a se stessa, ancora una volta, di che pasta fosse fatta.
Si stava proprio recando nel luogo indicato per arruolarsi, quando una voce familiare la fece voltare.

- Dubhne, è un piacere rivederti.

Riconobbe all'istante la figura di Jel che, materializzatosi a pochi passi dal luogo in cui si trovava, si faceva strada verso di lei. Non poté fare a meno di notare quanto paresse dimagrito dall'ultima volta in cui si erano visti. Le vistose occhiaie che portava sotto gli occhi suggerivano che lei non fosse l'unica a non dormire bene, in quei giorni.

- Consigliere Jel - lo salutò con un lieve cenno del capo.

- Soddisfatta della sistemazione che ti ho consigliato?

- Direi di sì - fece lei ostentando l'ormai consueto sorriso di circostanza.

Era curioso. Non aveva modo di parlargli da quasi due settimane, eppure ora eccoli li a discorrere, come fossero amici.
- Non vorrei trattenerti - aggiunge la ragazza. - Immagino tu debba recarti a palazzo.

- In effetti dovrei, ma non mi uccideranno cinque minuti di ritardo.

Si misero un po' in disparte rispetto alla consueta moltitudine di persone che occupava le vie centrali di Grimal e si fermarono sotto un porticato.

- Allora, ehm... novità? Come si è conclusa la faccenda delle Pietre? - per qualche assurdo motivo Dubhne si sentiva lievemente imbarazzata, lì, a parlare di politica e altri affari di cui sapeva poco o niente con quel giovane con cui aveva già litigato parecchie volte...

Jel sospirò, e il suo volto si fece ulteriormente ombroso. - In realtà la cosa si è rivelata piuttosto inconcludente. Non dovrei parlarne fon te ma dato che ti ho già detto parecchio sull'argomento... - e per scrupolo abbassò la voce. - Non abbiamo abbastanza informazioni per utilizzare le Pietre. È così. La nostra ricerca non è servita praticamente a niente.
Il risentimento era palese dietro quelle parole.

- Mi dispiace - rispose lei sinceramente. So cosa significa essere frustrati.
Fu sorpresa di sentirsi così comprensiva. Eppure era qualcosa che aveva provato quasi subito quando aveva conosciuto Jel, la sua storia l'aveva interessata più di quanto fosse disposta ad ammettere. Forse era stata la consapevolezza di avere qualcosa in comune con lui; nonostante i temperamenti diversi, alla fine, forse erano più simili di quanto pensassero. Entrambi dei sopravvissuti ed entrambi degli assassini.
Smettila di fare così. Non puoi permetterti di creare dei legami. Tra poco, tra poco...

- Me ne vado - proferì spezzando il silenzio che era andato a crearsi. - Tra pochi giorni me ne vado da Grimal, probabilmente. Ho intenzione di arruolarmi nell'esercito dele Cinque Terre.

Il mago all'inizio parve piuttosto sorpreso, ma Dubhne non riuscì a comprendere se fosse dispiaciuto o no per la notizia. In ogni caso la cosa non doveva importarle.
Alla fine Jel sorrise. - Avrei dovuto aspettarmelo. La vita cittadina è troppo noiosa per una come te, non è vero?

- In un certo senso.

- E così andrai a combattere nel Nord... - mormorò lui. - Sono certo che te la caverai.

- Lo sono anch'io.

Jel rise. - Saresti una pessima diplomatica, Dubhne.

- E tu un pessimo Combattente.

Presero lentamente a camminare, fianco a fianco. - Che cosa farai ora? - domandò Dubhne facendosi seria.

- Immagino che continuerò a cercare dove il mio maestro ha fallito - rispose il Consigliere dopo qualche istante. - Proverò a trovare spiegazioni sul potere delle pietre. Dev'esserci qualcosa, deve esserci.

- Jel - quasi senza volerlo Dubhne gli poso una mano sulla spalla, al che lui parve stupito. - Ti auguro tutta la fortuna del mondo.

Il giovane dovette capire che quelle parole significavano un addio.
- Beh - allungò una mano. - In questo caso, Ragazza del Sangue, credo che noi due siamo arrivati al capolinea.

- Già - convenne lei stringendola.

- Grazie per aver dato il tuo contributo al bene di Fheriea - fece il giovane, e Dubhne comprese si riferisse alla Pietra del Nord. Le parevano passati anni dal giorno in cui erano incontrati la prima volta e Jel le aveva parlato delle Sei Pietre.

Rimasero a fissarsi per pochi, lunghi istanti, le mani destre intrecciate in quel saluto. Dubhne si soffermò per la prima volta sugli occhi azzurri del giovane con attenzione.
Come nel momento in cui l'aveva visto nell'Arena dopo aver ucciso Jackson Malker, il suo volto gli parve stranamente familiare. Possibile che fosse...?
- Devo andare, ora - disse staccandosi dal Consigliere e sciogliendo la stretta di mano.

- Ma certo, capisco. Sì, in effetti è meglio che anch'io raggiunga il palazzo.

- Ci... ci si vede, Jel - disse Dubhne a mezza voce, poco prima di voltarsi e allontanarsi dal mago il più in fretta possibile. Si sentiva curiosamente a disagio.

Jel rimase fermo sotto il portico per qualche secondo. Poi si voltò nella direzione opposta e ricominciò a camminare.








NOTE:

Beh... dopo mesi e mesi di assenza, buondì. Ecco il regalo di Capodanno, per iniziare l'anno nuovo con un nuovo, troppo corto e noiosissimo capitolo. Mi dispiace tanto per il ritardo nella pubblicazione, speravo non dovessero mai più trascorrere intervalli così lunghi tra un capitolo e l'altro, ma questo è stato un periodo davvero difficile e pieno di stress e la mia povera verve letteraria è stata messa a dura prova. In ogni caso vorrei ringraziare la fedele Arya373 e la new entry Easter_huit che hanno recensito lo scorso capitolo. Grazie mille, un particolare augurio di buon anno nuovo per voi ^-^
Nonostante il ritardo e nonostante il capitolo sia tutt'altro che un capolavoro, vi invito a lasciare una recensione, anche piccola.
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 7 - Dubhne ***


7









L'aria fredda del Nord sferzava il viso di Dubhne tagliente, fastidiosa. La ragazza si stringeva nel mantello che ogni recluta aveva ricevuto in dotazione, ma non bastava: sotto di esso indossava solamente i propri vecchi indumenti da combattimento. Ancora una volta.
Stupida, stupida si disse mentre seguiva un drappello di compagni verso la tenda in cui si sarebbero sistemati. Avresti dovuto procurarti dei vestiti pesanti prima di lasciare Grimal.
Non c'erano molte donne fra le reclute cui si era aggregata; le uniche presenti, dei circa centocinquanta cadetti che erano partiti da Grimal, erano Claya e Portjie, entrambe appartenenti agli Uomini Reali. Claya era snella, alta leggermente meno di Dubhne; i suoi capelli erano lunghi, neri come le piume di un corvo, ma Dubhne ancora non l'aveva mai vista portarli sciolti, neanche durante le soste per la notte: per tutto il tempo in cui avevano viaggiato la donna li aveva tenuti rigidamente legati in una alta coda di cavallo.
Portjie invece, che aveva la stessa età di Dubhne, era più alta, in qualche modo imponente, con quei fianchi larghi e le spalle ritte, ma i suoi lineamenti erano delicati. Durante le giornate di marcia lei e Dubhne avevano scambiato qualche parola, da cui la ragazza aveva appreso qualcosa sulle sue origini: veniva da Prit, una delle più meridionali città dello Stato dei Re, ma aveva sempre vissuto a Grimal. Anche suo padre aveva prestato servizio militare, prima come vassallo del signore di Prit, per poi arruolarsi nell'esercito delle Cinque Terre e quindi ricevere un addestramento mirato.
Non si fossero trovate in tempo di guerra, anche Dubhne e gli altri probabilmente avrebbero dovuto sostenere delle prove per entrare a far parte di quelle truppe specializzate; non che la cosa potesse presentare un problema per lei - era una Combattente, la migliore delle Combattenti - ma era stata comunque sollevata all'idea di poter partire subito.
Le tre ragazze si fermarono non appena furono giunte dinnanzi alla tenda che avevano assegnato loro. Dubhne poté distintamente cogliere i lo sbuffo di disappunto da parte di Portjie e, considerando che la tenda pareva essere stata pensata per accogliere non più di due persone, e di piccola taglia, non poté darle torto.

- Avanti ragazze, riposiamo un po' - fece Dubhne spingendo la ragazza in avanti con un pizzico di ironia.

- Mi sembra di non aver fatto altro, negli ultimi giorni - rispose Claya sarcastica.

- A me veramente sembra di non aver fatto altro che camminare, negli ultimi giorni - replicò Portjie con uno sbadiglio. - Non mi sento più le gambe...

Dato lo stato in cui versavano i suoi piedi, Dubhne non poté far altro che assentire alle parole della ragazza.
Chinandosi ed entrando nella tenda, fu lieta nel constatare che il tessuto riparava piuttosto bene l'interno dal vento che andava via via intensificandosi.
Anche se un po' strette, le tre riuscirono a sistemarsi distese, con le gambe piegate. Nel ritrovarsi a stretto contatto con Claya Dubhne represse una lieve sensazione di imbarazzo, ma non vi diede particolare importanza: a malapena la conosceva, era normale che si sentisse un poco a disagio nel dormirle a fianco.
Sentì che Portjie mormorava qualcosa, vicino a lei, forse una preghiera. Non se ne stupì; per quanto la ragazza tentasse di non darlo a vedere, Dubhne aveva avvertito in lei un'intensa angoscia. Ogni volta in cui avevano affrontato il tema delle battaglie e della consistenza delle truppe nordiche, aveva visto la sua faccia incupirsi. Più volte Dubhne si era chiesta come mai una ragazza così solare e apparentemente innocua si fosse unita all'esercito delle Cinque Terre nel momento del bisogno. Forse per compiacere una famiglia particolarmente patriottica, o forse perché sotto quelle spoglie si celava più di quanto non apparisse ad un primo sguardo. Su Claya invece non c'erano molti dubbi: Dubhne l'aveva osservata, quando ne aveva avuta l'occasione, e c'erano stati dei versi per cui si era stranamente riconosciuta in lei. Il suo sguardo fermo e la decisione nei suoi movimenti suggerivano un carattere imperioso, determinato, forte. Rispetto a lei, la donna appariva persino più rigida, più controllata. Probabilmente Claya desiderava davvero rendersi utile alla propria nazione e a Fheriea, ma Dubhne era quasi sicura che, proprio come per lei, il principale motivo per cui si era arruolata fosse la passione per i combattimenti e l'amore intenso e ambiguo per il pericolo.
Sicura di non star tratteggiando un ritratto di te stessa?
Prima di concedersi un po' di riposo ristoratore, Dubhne si tirò su a sedere e si slacciò la cintura di cuoio con la scimitarra assicuratale. La appoggiò nell'angolino di spazio che le era rimasto disponibile e appoggiò una mano sulla lama lucente coperta dal fodero. Immaginò di lasciare scorrere le dita sul gelido e levigato metallo e le parve quasi di provare la sensazione rassicurante che quel piccolo gesto rappresentava per lei.
Tienitela stretta. Presto tornerà ad essere la tua compagna più fedele.


                                                                     ***


Il giorno dopo si spostarono di nuovo.
Camminarono in formazione in direzione nord-est per l'intera mattinata, fino al momento in cui scorsero all'orizzonte tracce di fumo e sagome di edifici.
In passato Harrel era stato solo uno dei tanti villaggi che gravitavano economicamente attorno a Rosark, ma con l'inizio delle tensioni tra Terre del Nord e il resto di Fheriea e, successivamente, lo scoppio della guerra, aveva acquisito una notevole importanza. Per non mobilitare troppe legioni a Rosark e metterne troppo in allarme la popolazione, gran parte delle truppe impiegate veniva prima lasciata stazionare ad Harrel, per poi venire smistata lungo il confine con le Terre del Nord.
Dubhne si ritrovò ad aspettare seduta su una lunga panca di legno insieme ad un'altra decina di persone fra reclute e membri dell'esercito delle Cinque Terre. Si era dovuta separare da Claya e Portjie, che sarebbero partite di li a poco con un battaglione in direzione di Qorren.
Harrel si estendeva tutto intorno a lei, piuttosto caotica sotto il cielo nuvoloso. Membri dell'esercito delle Cinque Terre si mischiavano ai più numerosi soldati al servizio dei signori locali ariadoriani. Dubhne li riconosceva grazie al sottile segno rosso porpora che avevano appuntato sulle loro casacche non appena si erano arruolati. La Combattente abbassò lo sguardo sul proprio: appariva come una sbavatura di sangue sul cuoio del suo corpetto, lo stesso che aveva indossato durante la sua permanenza a Città dei Re. Non appena aveva messo piede ad Harrel, la ragazza aveva avvertito diversi sguardi soffermarsi su di sé, ma in fin dei conti, forse, meno di quanto si aspettasse. La compagnia con cui aveva viaggiato - composta più che altro da ragazzi e sempliciotti in cerca di un po' di gloria e denaro - aveva impiegato un paio di giorni ad abituarsi all'idea di avere la Ragazza del Sangue tra le proprie file. Ma ora non erano più nello Stato dei Re; l'Arena e la capitale erano lontane, e Dubhne avrebbe fatto bene ad abituarvisi. Nessuno l'avrebbe trattata con il guanto di velluto, lei lo sapeva. Questo significava che avrebbe corso gli stessi rischi di tutti gli altri, che avrebbe dovuto seguire gli ordini, stare al proprio posto... anche se non era proprio sicura che ci sarebbe riuscita.
In fin dei conti comunque, l'idea di venire trattata per una volta come gli altri, almeno in quel contesto, non era stata poi così male.
Il filo dei suoi pensieri fu interrotto dall'arrivo di due uomini, entrambi in tenuta da battaglia, le lunghe spade assicurate alla cintura.
Dubhne riconobbe il primo dei due: era Miles, il capitano che li aveva accompagnati durante lo spostamento tra lo Stato dei Re e l'Ariador settentrionale. L'altro pareva essere un Ariadoriano; non indossava la divisa dell'esercito delle Cinque Terre, bensì una cotta di maglia e una casacca violacea sulla quale spiccava un emblema argentato, dettaglio dal quale Dubhne dedusse dovesse essere un vassallo al servizio di qualche lord locale.

- In piedi, reclute - esclamò seccamente Miles facendo loro cenno di avvicinarsi. Rivolgendosi al secondo uomo, senza nascondere un certo disappunto, aggiunse:- Non sono in molti, e non dei migliori, ma ho dovuto sezionare il gruppo originario per dislocarlo su più fronti.

- Non mi aspettavo nulla di diverso, Miles - sentenziò l'altro dedicando a Dubhne e agli altri una sbrigativa prima occhiata. - Visti i tempi, è un miracolo che abbiamo così tanti volontari.

- Ma almeno un aspetto positivo c'è - riprese il capitano con un sorriso sarcastico. Com'era prevedibile, indicò Dubhne con un lieve movimento del capo. - Jack, abbiamo dalla nostra la campionessa di Città dei Re.

- Ma davvero? - replicò lui alzando un sopracciglio. Il suo sguardo si soffermò per qualche istante su di lei, sguardo che Dubhne sostenne con sfida. Per un attimo fu sicura di vedere un lieve sorriso disegnarsi sul suo volto.

- In ogni caso è sempre meglio di niente - disse l'uomo dopo alcuni secondi di silenzio. - Grazie di tutto, Miles. Avevo bisogno di rimpolpare le mie fila con un po' di carne fresca. Spero che i Ribelli avvertano l'odore del sangue e si avventino su di loro lasciando perdere i miei uomini.

- Tu sei fuori di testa - rispose l'altro a metà fra l'allarmato e il divertito. - Ricorda che è tuo compito insegnargli come si rimane vivi.

- Farò quello che posso - Jack allargò le braccia, poi si rivolse alle reclute e a Dubhne. - Signorine, seguitemi.

Felice di avere finalmente qualcosa da fare, Dubhne obbedì insieme agli altri e seguì Jack attraverso il complesso di tende e vecchie abitazioni.

- Ci fermeremo qui ancora per un paio di giorni - spiegò l'uomo in tono pratico mentre alcune reclute arrancavano per tenere il suo passo. - Giusto il tempo perché le guaritrici finiscano di rattoppare i miei uomini.

- E poi che faremo? - lo incalzò Dubhne, avida di sapere quando avrebbe potuto di nuovo combattere.

Jack si voltò verso di lei. - L'Ariador sta tentando di riconquistare Hiexil da prima che le Cinque Terre intervenissero, quindi immagino verremo trasferiti su quel fronte - s'interruppe, poi, come ricordandosi all'improvviso di non essersi ancora presentato, soggiunse:- Io mi chiamo Jack Cox. Comando il battaglione proveniente da Rocca Tarth.

È un vero piacere, pensò Dubhne ironica.

- Ma tu, a quanto mi dicono - disse ancora Jack guardandola con un sorriso piuttosto sfrontato. - Non hai certo bisogno di presentazioni, non è vero, Ragazza del Sangue?

- Proprio così - rispose lei con un'alzata di spalle, ma ostentando uno sguardo compiaciuto.

- E che ci fa una celebrità come te in mezzo a noi comuni mortali? A cosa dobbiamo questo privilegio?

- Ho pensato che le vostre truppe avessero bisogno di qualcuno di... abbastanza forte da dar loro la giusta carica.

I suoi compagni la fissarono spaesati, forse chiedendosi come potesse una ragazza potesse permettersi di scherzare con tanta disinvoltura con un membro importante dell'esercito. Jack invece rimase fermo, scrutandola con uno sguardo che poteva significare stupore così come scherno. Alla fine l'uomo ridacchiò.

- Direi che hai detto abbastanza - commentò voltandole nuovamente le spalle e riprendendo a camminare, e anche quella volta Dubhne colse una punta di ironia nella sua voce.

Jack li condusse attraverso un reticolato di tende di ampie dimensioni, lontani dal centro della città; guardando verso nord est, Dubhne credette di scorgere una sfocata colonna di fumo alzarsi all'orizzonte.
Hiexil...
Era quasi certa si trattasse di lei. Nonostante le sue nozioni geografiche fossero piuttosto scarse, la ragazza era riuscita a costruirsi una specie di cartina immaginaria delle terre ariadoriane. Mettendo insieme i vari pezzi, era giunta alla conclusione di collocare Hiexil poco più a Nord di Rosark, cui sapeva Harrel essere vicina.
Fu in quel momento che la ragazza realizzò appieno di essersi unita ad una causa di cui in realtà sapeva molto poco. Gli Ariadoriani, i primi ad essere minacciati da quella fantomatica ribellione di cui tutti parlavano, erano un popolo di cui lei sapeva poco niente, eccetto che avevano i capelli biondi e che Tarth Merafs era per loro una sorta di divinità.
L'unica Ariadoriana che avesse conosciuto a fondo era Alesha - e nel ricordare il suo nome il cuore di Dubhne fece una capriola.
E per quanto riguardava i Ribelli... in effetti non sapeva praticamente nulla di loro. Basandosi sulle parole di Jel e sulle vaghe nozioni che la Combattente aveva appreso in giro, il maestro di Amaria - carica di cui lei ignorava il significato preciso - con una serie di abili colpi di mano era riuscito a far convergere la maggior parte dei poteri della nazione su di sé, anche approfittando della giovane età dell'erede al trono, i cui genitori erano morti tempo prima. Alcuni addirittura sostenevano che fosse stato proprio il maestro - Theor, Dubhne ricordò il suo nome all'improvviso - ad eliminarli per potersi trovare la strada spianata.
Il drappello di reclute procedette per alcuni minuti, poi Jack fu fermato da un altro combattente che pareva avere circa la sua età. Dubhne sì alzò in punta di piedi e tento di sentire le parole che i due si stavano scambiando, sperando di udire qualcosa di interessante, ma il brusio nel campo era parecchio e la ragazza riuscì a cogliere solo alcuni brandelli di conversazione.
Alla fine, Jack si rivolse nuovamente alle reclute e disse sbrigativo:- Dovreste trovare nei posti in quelle tende laggiù - e indicò un punto poco più avanti. - Finché non riceveremo nuovi ordini non avrete nulla da fare in particolare, ma se trovate qualcuno disposto a darvi una mano nel prendere confidenza con le armi, approfittatene. Preferirei evitare di portarvi in battaglia senza che voi sappiate tenere in mano una spada.
Fece per voltarsi verso il compagno, poi parve ripensarci. - Tu - aggiunse, e Dubhne comprese all'istante che si stava rivolgendo proprio a lei. - Vedi di stare lontana dai guai.

Forse Dubhne era arrossita, ma non se ne curò. Piuttosto si chiese se anche Jack avesse già intuito qualcosa sul suo temperamento, al che non seppe se sentirsi compiaciuta o imbarazzata. Avvertiva dentro di sé una voglia incredibile di mettersi alla prova e forse proprio di non "tenersi lontana dai guai". Tutto pur di non tornare a rimuginare sui propri incubi e su quel senso di oppressione e angoscia che l'aveva accompagnata nelle ultime settimane.

Mentre le altre reclute si avviavano nella direzione indicata, Dubhne rimase ferma guardando Jack allontanarsi, chiedendosi quanti anni potesse avere. Era di certo snello e prestante come un ventenne, ma le rughe che la ragazza aveva scorto disegnarsi più volte sul suo volto suggerivano che fosse più maturo. Da lì, per la ragazza fu impossibile non spostare il pensiero su Jel. Per l'ennesima volta si chiese come avessero risolto la faccenda di quelle Pietre Magiche lui e la sua amica dai capelli viola. E si rese conto che, in quel momento, sia lei che i suoi due inconsueti compagni di viaggio erano schierati dalla stessa parte.
Sì, partire per l'Ariador come membro dell'esercito era stata un'ottima idea. Finalmente aveva qualcosa di preciso da fare, o meglio, presto l'avrebbe avuto. Nonostante fosse ben a conoscenza dei rischi che avrebbe corso affrontando una vera battaglia, uno scontro tra fazioni e non più tra singoli individui, non vedeva l'ora di trovarvisi nel bel mezzo. Era una sensazione strana, quasi completamente irrazionale, un po' come le emozioni che le era capitato di provare solo e soltanto prima di entrare nell'Arena.
Saresti una pessima diplomatica, Dubhne, le aveva detto Jel poco prima che si congedassero, e con un lieve sorriso la giovane riconobbe che il mago aveva ragione. Una pessima diplomatica ma una perfetta guerriera, si disse mentre, voltatasi, si accingeva a raggiungere gli altri.
La mente le corse, per la prima volta dopo molti anni, ai sogni e ai propositi che aveva serbato da bambina. Ricordava perfettamente la creatura esile ma indomita che sognava un giorno di entrare a far parte dell'ordine ariadoriano delle Guerriere.
Le circostanze le avevano reso impossibile intraprendere quella carriera; non era diventata una Guerriera provetta, ma una Combattente professionista. Aveva vinto una competizione della quale per decenni il predominio era appartenuto a soli uomini. E oggi, non per senso del dovere ma per desiderio di sangue, avrebbe preso parte alla prima vera guerra che si fosse scatenata dopo la Guerra dei Cinque Anni. Per una figlia di contadini dello Stato dei Re orientale non era francamente cosa da poco. Carica di aspettative e pervasa da una sorta di strana eccitazione Dubhne sorrise, scostando un lembo dell'ingresso della tenda in cui erano entrati i suoi compagni.








NOTE:

Ebbene ce l'ho fatta. Dopo più di un mese, ma ce l'ho fatta. So di essere di nuovo in ritardo, ma se non altro non tanto quanto l'altra volta. Tra l'altro, un immenso grazie a tutte le persone che hanno recensito lo scorso capitolo, davvero, con tutti i miei ritardi non me lo meriterei proprio *-* So che questo capitolo è ancora molto corto e di transizione, ma spero almeno che vi abbia fatto piacere incontrare nuovamente il nostro Jack.
Alla prossima, recensite in tanti se vi va.
TaliaBaratheon :3

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 8 - Dubhne ***


8








Le giornate al campo appena fuori Harrel si erano dimostrate quanto di più simile alla vita al palazzo Cerman che Dubhne avesse sperimentato nelle ultime settimane. Dall'alba fino a sera tardi i cunicoli sparsi in quel reticolato di tende erano occupati dal via vai di uomini e ragazzi, guaritrici e scudieri. Non vi erano veri e propri maestri di spada, ma alcuni dei combattenti esperti erano abbastanza disponibili da dedicare parte della giornata nell'occuparsi dell'addestramento delle reclute più giovani. Uno di loro, non riconoscendola presumibilmente, aveva offerto a Dubhne aiuto su come imparare i principi della difesa in uno scontro armato. La ragazza aveva risposto con una secca risata.
Jack Cox si muoveva avanti e indietro per il campo apparentemente senza mai fermarsi, preso da riunioni e pianificazione delle prossime mosse. Dal momento in cui si erano congedati, Dubhne l'aveva solo e sempre visto di sfuggita, il volto ombroso, i sorrisi scanzonati che rivolgeva ai suoi uomini che tentavano di mascherare la sua evidente preoccupazione.
Da parte sua, Dubhne era tornata nel suo elemento. Le piaceva l'atmosfera caotica del campo, il dinamismo suggerito dalla routine di ogni singola persona che vi appartenesse. Per la prima volta dopo tanto tempo, la ragazza era anche riuscita a confrontarsi con qualcuno a duello. Purtroppo il battaglione a cui era stata assegnata era decimato, e molti dei sopravvissuti erano ancora costretti a letto o comunque debilitati da ferite più o meno vecchie; dovevano averne viste di tutti i colori, nel Nord. Era per questo che Dubhne non aveva avuto modo di trovare un avversario che valesse davvero il suo tempo, non ancora. Era ben consapevole di non poter neanche sperare che un lord o un generale dell'esercito delle Cinque Terre fosse disposto a prestarsi, nel proprio esiguo tempo libero, in un duello con quella che, pur essendo la famosa Ragazza del Sangue, era pur sempre una recluta.
Così, negli ultimi due giorni, aveva trascorso molto tempo lontana dalla propria tenda, addentrandosi per le vie della città vera e propria, osservando, riflettendo, imparando a memoria i ritmi e le abitudini ricorrenti di quella vita. Tacitamente alla ricerca di qualcuno da sfidare, di un modo per divertirsi prima di partire per il fronte.
Talvolta le era capitato di parlare con alcune guaritrici, le poche disposte a rivolgere la parola ad una Combattente che, per loro, non era che un'assassina come un'altra. Alla fine era persino riuscita a trovare un gruppetto di guerrieri con cui condividere le serate. Erano uomini ruvidi, a volte disillusi, ma perfettamente adatti per condividere quel genere di vita. C'era anche un'altra ragazza tra di loro, Axa, una Thariana che era entrata nell'esercito delle Cinque Terre un paio d'anni prima. Gli altri invece erano tutti di un battaglione agli ordini di un certo Lord Emion, signore di Lialel o qualcosa del genere. Dubhne aveva provato più volte a convincerli a battersi con lei, ma loro avevano sempre rifiutato, probabilmente non per paura di perdere la faccia ma con lo scopo di innervosirla. Nonostante di primo acchito lo trovasse fastidioso, la giovane aveva scoperto che quel clima di silenziosa competizione era piuttosto stimolante per lei.
La sera bevevano, e tanto. Dubhne non era abituata a vuotare cinque o sei boccali di birra al giorno, abitudine che però acquisì nei giorni di permanenza ad Harrel. L'iniziale senso di paura all'idea di perdere il controllo, inebriata dall'alcol che le annebbiava la vista e ottundeva i sensi, piano piano si era sgretolata, e lei si era lasciata trascinare in quel modo eccessivo e per lei totalmente nuovo di spassarsela. Aveva compreso di riuscire a reggere abbastanza bene, se si tratteneva dall'esagerare. Finora era sempre riuscita a fermarsi prima di uscire totalmente di senno.
Ma a parte per quei pochi compagni che era riuscita a trovare, l'atteggiamento degli uomini del campo verso di lei rimaneva strano, distaccato. Assassina, la chiamavano alcuni.

Una settimana dopo il suo arrivo ad Harrel, la ragazza cominciò sinceramente chiedersi quando la situazione si sarebbe smossa. Continuavano a ricevere notizie, più o meno allarmanti, da Hiexil, eppure l'ordine che Dubhne tanto aspettava non era ancora arrivato. La vita nel campo rappresentava un netto miglioramento rispetto a quella condotta a Grimal, ma ormai era stanca di aspettare.
L'idea di trovarsi in una vera battaglia era per lei solleticante e terribile al tempo stesso. Più i giorni passavano, più il suo ultimo combattimento si allontanava alle sue spalle, più lei temeva di perdere le proprie capacità ma, soprattuto, la propria tempra, la propria decisione, quella feroce spregiudicatezza che le aveva permesso di trionfare tante volte nell'Arena.
Si allenava tutti i giorni, come le circostanze glielo permettevano. Badava a mantenersi in forze, pronta nel combattimento e nei riflessi. Dopo molti tentativi, Janson, uno dei suoi compagni di bevute, aveva acconsentito a combattere contro di lei, nel primo scontro veramente impegnativo che la ragazza condusse dopo essersi arruolata.
Quando alla fine anche il battaglione di Lialel partì, Dubhne decise fosse il momento di parlare direttamente con Jack.

- Perché non abbiamo ancora lasciato Harrel? - ripeté l'uomo dopo che lei gli ebbe rivolto la domanda, seduto nella penombra della sua tenda. - Credi che sia io a decidere questo genere di cose?

- Dico solo che forse abbiamo aspettato anche troppo. Quasi tutte le altre compagnie hanno già raggiunto Hiexil, perché non ci permettete di andare a dargli una mano?

Jack rise. - Non pensavo ti importasse di aiutare gli Ariadoriani. Non eri venuta qui solo per... com'era? Rappresentare qualcuno di abbastanza forte da guidarli?

- Questi non sono affari tuoi.

- No, appunto - Jack sospirò, riponendo sul tavolo una pergamena. Si strofinò il viso. - Senti, ragazza, capisco che tu e gli altri abbiate bisogno di agire, ma qui si tratta di faccende troppo più grandi sia di me che di te. Non posso agire senza il beneplacito dei miei superiori, non più.

Dubhne fece per aprir bocca, ma l'altro la fermò:- Sto aspettando di parlare con delle persone importanti. Forse questa è la volta buona, ma per ora ti chiedo di aspettare. E, per favore, non fare cose stupide.

Di nuovo. Lo stesso atteggiamento che anche Jel aveva mantenuto nei primi giorni del loro viaggio.
Sorrise, guardando Jack di sottecchi, e affermò:- Guarda che non sono così fuori controllo come pensate tutti.

- A quanto ho sentito, ne hai combinate di belle nell'Arena.

Anche se lusingata nel sapere che i dettagli sulla sua fama erano arrivati fin lì, in quella zona di frontiera, Dubhne replicò:- Qui non sono nell'Arena.

- No, ma rimani una sciocca ragazzina impertinente - la freddò l'uomo, improvvisamente seccato. Le indicò l'ingresso della tenda. - Te l'ho detto, ho un incontro importante fra pochi minuti. Quando saprò che fare non mancherò di informarvi. Ora vattene.

Piccata, la ex Combattente gli voltò le spalle e uscì dalla tenda senza più dire una parola. Mentre si allontanava, incrociò uno dei fedelissimi di Jack - Caley le pareva i chiamasse - che camminava nella direzione opposta, seguito da un drappello di guerrieri, probabilmente lord, che indossavano ampi mantelli e armi di foggia visibilmente raffinata.
Questa volta deve essere quella buona.


                                                                                                   ***


La risposta si fece aspettare per alcune ore.
Dubhne attese seduta appena fuori dalla sua tenda, lucidando pigramente la sua scimitarra e osservando una guaritrice che, poco distante da lei, sostituiva con meticolosa attenzione le bende di un soldato ferito.
Per diverse volte si chiese se la riunione che si stava tenendo nella tenda di Jack si fosse conclusa, ma ne ebbe la conferma solo nel momento in cui Caley accorse nello spiazzo dove si trovava con un lieve sorriso disegnato in volto.

- Potete finalmente preparare le vostre cose, signori. Partiamo domani - annunciò l'uomo squadrandoli uno ad uno.

- Per dove? - la domanda spontanea si levo da poco più in là.

Il sorriso di Caley si fece più ampio ma anche, in qualche modo, più febbrile. - Per l'unica destinazione possibile. Andiamo a riconquistare Hiexil.

Un brusio di trionfo e agitazione si levò da tutti i soldati che erano riuniti lì. Anche Dubhne, sorridendo soddisfatta, si alzò in piedi rinfoderando la scimitarra. Un paio di suoi commilitoni le batté una pacca sulla spalla.

La ragazza si allontanò per cercare Axa e annunciarle che presto anche loro sarebbero partiti.
Nel raggiungere il reparto dell'accampamento dove era stabilito il battaglione della sua compagna di bevute in quegli ultimi giorni, s'imbattè in diversi guerrieri agli ordini di Jack, tutti impazienti di congratularsi e festeggiare quell'improvviso avere qualcosa da fare. Persino con lei, che era una Combattente, che non era ancora una di loro, che quasi tutti guardavano con freddezza e sospetto.
Passando di fronte al piccolo padiglione di Jack, non fu sorpresa nel trovarlo seduto su di una panca di fronte ad essa, una pipa fumante in una mano e un bicchiere nell'altra. Dopo tutti quei giorni in cui l'aveva visto preoccupato e di fretta, pareva avere finalmente un motivo di buon umore.

- Cominci a sentirla, ragazzina? - chiese l'uomo senza guardarla, ma Dubhne capì subito che si stava rivolgendo a lei.

- Che cosa? - Anche se pensava di aver compreso a cosa Jack si stesse riferendo, Dubhne lo chiese comunque.

- La paura. La paura all'idea di quello che ti aspetta.

- Non direi proprio. Sai, a contrario di molti qui, ne ho già passate di...

- Oh, io non credo - Era incredibile quanto il volto di Jack riuscisse a lasciar trasparire emozioni tanto diverse: lo scherno, palese, era qui accompagnato da una sorta di strano interesse, anche se quel minimo di serietà non aveva ancora del tutto abbandonato i suoi lineamenti. Poggiò il boccale sul piano della panca. - Come ha detto tu stessa, qui non siamo nell'Arena.

Perfetto. Vuoi giocare? Allora giochiamo.

Sembrava che gli ultimi, cupi giorni non fossero mai passati. Dubhne avvertiva dentro di sé una straboccante sensazione di euforia. Che consciamente lo ammettesse o no, Jack e il suo mondo la intrigavano terribilmente.
E il giorno successivo avrebbero lasciato Harrel... finalmente la resa dei conti che Dubhne tanto aspettava sarebbe arrivata. Quell'ansia, quelle aspettative, quella confusione... era un turbine di emozioni che le ricordava dolcemente i migliori momenti passati a Città dei Re.
Probabilmente Jack doveva pensarla così anche lui; dal momento che presto i momenti di svago sarebbero notevolmente diminuiti, era giusto approfittarne quell'ultima volta.

Dubhne, attendendo trepidante che Jack riprendesse a parlare, mise mano all'elsa della scimitarra. Le pareva fosse passato un secolo dall'ultima volta in cui l'aveva usata. In ogni duello di allenamento che aveva praticato al campo, aveva appositamente usato altri tipi di armi, come per conservare la sua lama personale, aspettando di tornare ad usarla al momento giusto. Beh, quella poteva essere un'occasione per cui ne valesse la pena.
Jack era adulto, più alto di lei di diverse spanne, e Dubhne aveva capito fin dal primo momento che era quanto più lontano possibile dall'essere uno sprovveduto. Il suo modo di parlare, di interloquire, la totale disinvoltura con cui riusciva a muoversi in ogni momento. La lunga spada dall'elsa dorata che portava appesa al fianco paresse essere stata creata per stare lì.

- Sai che cosa penso?

- No - Dubhne lo guardò con aria di sfida. - Che cosa pensi?

Con un ghigno Jack si chinò su di lei e, sovrastandola nettamente, rispose:- Che sei brava, ragazza, sì, e forse anche più di molti altri. Ma non tanto quanto pensi.

- Se non sbaglio sono io qui ad aver vinto i Giochi.

- Già, i Giochi Bellici... con i loro Combattenti. C'è gente di ogni tipo fra quei poveracci: ladri, mendicanti, tutta gente strappata dalla strada. Sono in pochi a saper davvero combattere.

- Jackson Malker la penserebbe diversamente, credo.

- Jackson Malker era appunto uno di quei pochi, Dubhne. Ma tu sei fuori allenamento - altro sogghigno poco lusinghiero.

Dubhne roteò l'impugnatura della scimitarra nella mano e sorrise: aveva capito dove l'uomo voleva andare a parare. - Che ne dici di sfidarmi, allora?

- È proprio quello che stavo pensando - Jack sembrava decisamente allettato dalla proposta. - Insomma... non tutti possono vantarsi di aver battuto in duello il vincitore dei Giochi di Città dei Re.

- Un duello pulito - sottolineò lei. - Ho visto come combatti in allenamento. Niente interventi, niente scorrettezze...

- E nessuna ferita alla gamba a ostacolare i movimenti, eh?

Il rossore comparve indesiderato sulle sue guance prima che Dubhne potesse fermarlo e, indispettita dall'allusione, la ragazza si lasciò sfuggire un: - E tu come fai a saperlo?

- Le notizie girano. E si da il caso che io conosca qualcuno che a sua volta era un compagno di squadra di Jackson. Lo conosceva molto bene.

Dubhne non era abbastanza infastidita da riuscire a mascherare lo stupore. - Un altro Combattente qui? Ad Harrel?

Jack Cox fece spallucce e sbrigativo rispose:- Proprio così, si è unito alle nostre truppe poche settimane prima di te; un guerriero niente male, se ti interessa. Ma ora dovremmo tornare al nostro duello, non credi?

- Giusto - Dubhne avrebbe avuto tempo in seguito per approfondire l'argomento. L'idea che un ex membro della squadra di Peterson Cambrel si aggirasse per il campo non era particolarmente piacevole, ma mai e poi mai la ragazza avrebbe osato lamentarsene: era lei ad aver vinto i Giochi. E lei non aveva paura, o timore, o soggezione di nessuno.

Jack aveva estratto la sua affusolata spada dal fodero. - Sia chiaro che non ho intenzione di ucciderti, Ragazza del Sangue - le strizzò l'occhio. - Ma non per questo ci andrò piano con te...

Trattenendo a stento una risata - Jackson aveva detto circa le stesse parole prima di combattere contro di lei - Dubhne non rispose e piegò un poco le ginocchia, mettendosi in posizione di difesa. Un capannello di curiosi, fra soldati di fanteria, scudieri e qualche guaritrice, si era radunato attorno loro. Un brivido a lei noto scese lungo la schiena di Dubhne, bene accolto, e i due si prepararono a combattere.

Signore e signori... la voce di Rodrick il commentatore risuonò immaginaria nella sua mente, come se non fosse passato nemmeno un giorno dalla finale a Città dei Re. - La squadra di Malcom Shist è orgogliosa di presentarvi... Dubhne, la RAGAZZA DEL SANGUE!

- Pronta? - fece Jack, battendosi la lama sotto la suola degli stivali, e Dubhne annuì decisa: era pronta a mostrargli di che pasta era fatta.

Fece roteare ancora l'elsa della sciabola con scioltezza. - Quando vuoi, Jack.

- E allora... duelliamo.

Jack si fece avanti con decisione e caricò il primo colpo, ma non diede segni di stupore quando la sua lama argentata si scontrò a mezz'aria con quella della ragazza. Quanto a lei, sorrise: il primo colpo era passato e, sì, decisamente ricordava come si combattesse. Si sarebbe divertita, ne era certa.

Per alcuni lunghi istanti, i due contendenti rimasero a squadrarsi, muovendosi leggermente in circolo. Dubhne studiava ogni movimento dell'avversario, alla ricerca di punti di riferimento.
Dopo aver attuato una finta che lei riconobbe appena in tempo come tale, Jack tentò di stuzzicarla con una serie di fendenti alle gambe. La ex combattente li deviò tutti con non poca difficoltà. Decise che era tempo di reagire.
Fulminea, fece scattare il polso verso l'esterno, premendo con forza la lama contro quella di Jack e tentando di fargliela volare via di mano. Ma non si stupì nel vedere il suo intento fallire miseramente: la presa dell'uomo era ferrea, senza ombra di tremore. Dubhne si morse il labbro. Ovvio.

- Dai, Dubhne... mettici un po' di brio... - ridacchiò Jack scostandosi un poco, ma lei aveva la risposta pronta.

- Ho imparato a sopportare i commenti degli avversari tempo fa, non credere di mettermi in crisi così.

- Molto bene. Allora smetti di parlare e dimostrami qualcosa.

Dubhne tornò all'attacco. Era quello che doveva fare. Era il modo che le aveva permesso di vincere i Giochi, aveva bisogno di quella ferocia, di quella spregiudicatezza...
Jack parve per la prima volta sorpreso e Dubhne ebbe il tempo di comprendere che, nello schivare e parare i suoi colpi, stava mettendo molto più impegno di prima. Il suo volto era concentrato, ora.
Dubhne, da parte sua, aveva ritrovato la fermezza nelle braccia e la velocità di gambe necessaria. Sapeva che, in ogni caso, Jack non avrebbe mirato a uccidere né a ferirla seriamente, ma vincere quello scontro era per lei una necessità, un bisogno.
Una parata, poi un'altra. Dubhne riuscì a schivare un fendente che le era passato vicinissimo all'orecchio sinistro. Tentò un affondo, ma Jack si scansò prontamente e, afferrandola per le spalle, la scaraventò a terra. Dubhne sbatté uno zigomo sul terreno reso rigido dal freddo, ma accolse con piacere la fitta di dolore che l'urto le provocò. Ora sarebbe stato tutto più semplice.

- Vuoi una mano a rialzarti, Ragazza del Sangue? - Jack le si era accostato. Qualcuno rise.

Imperturbabile, Dubhne si rimise in piedi, di nuovo in posizione di difesa. Jack, davanti a lei, sembrava deciso ad indurla ad attaccare. Beh, lei lo avrebbe accontentato, ma forse non nel modo in cui voleva.
Ricordava ogni singolo aneddoto che aveva appreso da Malcom Shist sulle finte e le provocazioni. Si mosse in avanti, di fianco, sfiorò la lama di Jack con la propria. Quando alla fine il ferro tornò ad incrociarsi, Dubhne era pronta: mosse la scimitarra nella direzione opposta, scansò la spada dell'avversario e si protese in avanti; vide la sua scimitarra scattare, pronta a raggiungere il bersaglio...
La lama di Jack deviò la sua all'ultimo secondo.
Dubhne non se l'era aspettato. Per un attimo, alzando lo sguardo, incrociò quello di Jack. Sorpresa? parevano sogghignare i suoi occhi azzurri.
La ragazza spiccò istintivamente un balzo all'indietro, allontanandosi. Un paio di persone si ritrasse per lasciarle spazio, ma lei non se ne curò. Non vedeva, non sentiva. La sua concentrazione era focalizzata solo sullo scontro.
Basta con questa commedia. Combatti. Avanti, combatti!
Jack sembrava non stancarsi mai, mentre Dubhne avvertiva un insolito calore diffondersi nelle sue membra, un senso di pesantezza che non si sarebbe aspettata di provare in uno scontro così breve.
Riuscì ad eludere per un istante la guardia di Jack ma, non volendo infierire veramente su di lui, si limitò a colpirlo con il piatto della lama su un braccio. Lui ricambiò il favore sferrandole un calcio nello sterno, che, cogliendola di sorpresa, le mozzò il respiro. Barcollò un istante, e Jack ne approfittò per tornare ad attaccare. Dubhne tentò di difendersi come poté, parando fendenti, deviando affondi, balzando da una parte all'altra tentando di confonderlo. Per diversi minuti non riuscì a contrattaccare, limitandosi a quel ruolo passivo che poco le si addiceva.
Fu un attimo. Jack anticipò un colpo con un mezzo passo in avanti. Dubhne lo intercettò all'altezza della coscia. Ne parò altri due con facilità, poi lo vide nuovamente, come al rallentatore. Fece il collegamento in un secondo, e in quel momento seppe quello che sarebbe successo. La spada di Jack disegnò un semicerchio dal basso, muovendosi nella stessa identica direzione di prima.
Fredda, pronta, consapevole, Dubhne spiccò il salto che poteva significare la vittoria, e sperando che fosse abbastanza alto, evitò il colpo. Ancora prima di atterrare, si sbilanciò in avanti. Atterrò praticamente sui piedi di Jack e, colpendolo in volto con la mano sinistra e reggendo la scimitarra con la destra, si sentì crollare a terra insieme a lui. Ma questa volta era lei ad essere nella posizione di vantaggio, la spada era volata via dalle mani di Jack...
Ma proprio mentre pregustava il momento in cui gli avrebbe puntato la lama alla gola, esercitando abbastanza pressione da farlo sudare freddo, accadde qualcosa che mai si sarebbe immaginata. Jack le strappò la scimitarra di mano poco prima di toccare il suolo e, troppo velocemente perché la ragazza, disarmata, potesse reagire, capovolse la situazione e la premette a terra. Fu lui a puntarle l'arma alla gola.

- Fine del gioco - sorrise l'uomo ansimando, la soddisfazione ben visibile nei suoi occhi.







NOTE:

Lo so, il combattimento fa abbastanza schifo, ma diciamo che devo riprendere un po' la mano xD Era da secoli che volevo postare questa parte, sono contenta almeno di esserci riuscita senza ritardi disastrosi. Spero che vi sia piaciuta.
A presto, spero!

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 9 - Dubhne ***


9








L'indomani, come previsto, il battaglione di Dubhne partì alla volta di Hiexil lasciandosi il campo di Harrel alle spalle.
Cinquecento uomini scarsi, tra i soldati ariadoriani e le reclute dell'esercito delle Cinque Terre, ai quali si aggiungevano guaritrici e gli scudieri dei vassalli importanti.
Le colline che separavano Harrel e Rosark da Hiexil erano tondeggianti, quasi sinuose, coperte da un soffice strato d'erba che ormai cominciava ad ingiallirsi. Durante il tragitto Dubhne ebbe modo di osservare quel paesaggio fino ad allora sconosciuto, imparandone i tratti a memoria.
Vai incontro al tuo destino. Quelle parole le erano ronzate nella mente più volte mentre la ragazza muoveva un passo dietro l'altro, assimilata alla schiera di guerrieri che procedevano verso Nord. Andare incontro al proprio destino. Lo aveva fatto altre volte. In effetti si poteva dire che si fosse battuta con esso continuamente, fin da quando era piccola. Fin dal giorno in cui aveva abbandonato i suoi genitori per seguire il signor Tomson nella sartoria di Célia.
Andare in guerra sarebbe stata solo un'altra tra le già numerose avventure, e disavventure, che avevano caratterizzato i suoi diciassette anni di vita.
Due giorni dopo la loro partenza dal campo di Harrel, la sagoma di una città si profilò finalmente davanti a loro tra le colline, e i fumi e il clamore che si levavano da essa, evidenti anche da quella distanza, bastarono per rendere Dubhne perfettamente consapevole di ciò che la attendeva.
La giovane sentì diverse persone intorno a lei parlare di accampamenti amici poco distanti dalla città, al che si domandò dove sarebbero stati collocati. Si erano portati da Harrel le tende e tutto il necessario per sistemarsi, ma dubitava sentitamente che avrebbero potuto scegliere autonomamente la posizione più adatta. Probabilmente Jack avrebbe dato disposizioni affinché si unissero a qualche altro campo.
Man mano che si avvicinava a Hiexil, una coltre di odori investì il battaglione, odori che a Dubhne, risultando irrimediabilmente familiari, riportarono alla mente ancora una volta il mondo dei combattimenti di Città dei Re. Una mescolanza micidiale di sangue, sudore, paura, che andava intensificandosi sempre di più. Alcuni soldati si coprivano il naso con una mano, altri ridacchiavano, altri parevano ansiosi di arrivare a destinazione.
Sinceramente, Dubhne sperava di poter cominciare a combattere al più presto.
Quando a separarli da Hiexil non rimase che un basso rilievo, furono ben visibili fila e fila di tendaggi, in mezzo ai quali spiccavano le bandiere con i colori dell'Ariador: un Letjak dorato su campo di un blu zaffiro.
I vari comandanti di compagnia cominciarono a dispensare direttive su come disporsi ma, vista la confusione generale che era andata creandosi, Dubhne ne approfittò per lasciarsi alle spalle molti compagni e addentrarsi nell'accampamento.
Mentre passava tra le tende guardandosi intorno e spingendosi in punta di piedi per vedere aldilà, verso Hiexil, alcuni uomini la additarono. I commenti si levarono sporadici, come sempre. Dubhne si diverti nel sentire i modi in cui veniva chiamata.

- Ragazza del Sangue...

- Bambina prodigio...

- Ragazzina...

- Assassina...

E alla fine, in modo completamente inaspettato... - Ehi, Dubhne!

La ex Combattente si voltò sorpresa verso l'uomo che aveva parlato. Non poté non riconoscerlo, così come non avrebbe mai potuto dimenticare i volti più significativi della trentaquattresima edizione dei Giochi Bellici. E comprese all'istante a cosa si fosse riferito Jack quando aveva menzionato un compagno di squadra di Jackson.
Davanti a lei, perfettamente identico a com'era apparso durante il combattimento con Claris, c'era Neor.
Per pochi attimi la ragazza fu troppo stupita per realizzare appieno la cosa poi, automaticamente, dimenticandosi di trovarsi davanti ad un ex avversario, allungò la mano e strinse quella del Combattente davanti a lei.
In quel momento non le importava che appartenesse alla squadra di Peterson Cambrel: era come lei, veniva dal suo stesso mondo, era qualcuno di familiare, a suo modo.
Neor pareva essere in parte divertito e in parte compiaciuto della reazione che lei aveva avuto nel vederlo, ma rispose alla sua stretta, con un cenno del capo che significava rispetto, quella specie di solidarietà che si va a creare quando due persone della stessa risma si ritrovano insieme in un ambiente estraneo.
Dopo che l'iniziale smarrimento fu svanito, Dubhne si rese conto che un milione di domande le aveva affollato la mente.

- Sei qui - disse solo, alla fine. - Come?

Neor rise. - Potrei volgere la stessa domanda a te, in effetti.

Dubhne avrebbe voluto parlargli, porgli una miriade di domande; era avida di sapere, avida di chiedergli di Citta dei Re e di Malcom, di Cambrel, di come potesse lui trovarsi a Hiexil quando in teoria avrebbe dovuto essere ancora nella capitale con gli altri Combattenti...
Ma dovette avere pazienza.

- Dubhne! - la voce di Caley la distrasse dai suoi pensieri. Si voltò e vide la figura asciutta del secondo in comando che le si avvicinava. - Dubhne, che ci fai qui? Dobbiamo sistemarci, ora, devi rimanere con il battaglione. Poi potrai andare dove ti pare.

- Devo andare - disse tornando a rivolgersi a Neor. - Come ti ritrovo?

- Questo accampamento è più piccolo di quanto non sembri - sorrise l'ex Combattente. - Ma non ti aspettare che mi sbottoni troppo con te. Non dopo quello che hai fatto passare alla mia squadra...

Lo stomaco di Dubhne si contrasse piacevolmente nel sentire quelle parole, così come quasi tutte le volte che qualcuno faceva riferimento, in modo più o meno lusinghiero, a ciò che lei aveva compiuto durante i Giochi.

Caley era già sparito nella direzione da cui erano venuti, ma Dubhne decise comunque di fare come le era stato detto. Dopotutto avrebbe avuto tempo dopo per parlare con Neor. Al peggio, se non avessero avuto altre possibilità, lo avrebbe ritrovato al proprio fianco in battaglia.

Ancora piacevolmente stordita dal bizzarro incontro, Dubhne si affrettò a tornare da dove era venuta.

                                                                                      ***

La mattina della battaglia si preannunciava uggiosa e fredda. Costanti folate d'aria gelida sferzavano i volti dei soldati, insinuandosi nelle loro divise, attanagliando loro le ossa. Una pioggerella fine cadeva ad intermittenza su di loro, a volte più simile al nevischio.
Ripensando al calore provato durante le ultime sessioni dei giochi, Dubhne si chiese come fosse possibile che il clima fosse cambiato così repentinamente. Erano passate alcune settimane, l'estate non era nemmeno propriamente finita... Certo, Hiexil era più a Nord di Città dei Re, più vicina ad Amaria che a Tamithia, eppure Dubhne ancora non si capacitava di vedere già la neve.
I Ribelli si sono portati con loro anche l'inverno del Nord... aveva sentito dire da uno dei suoi commilitoni, parole che avevano suscitato nella ragazza un lieve brivido. Anche se Hiexil era una città ariadoriana, Dubhne aveva l'impressione che tutti loro avrebbero giocato in casa dell'avversario e, qualcosa glielo suggeriva, secondo le loro regole.
Quando il battaglione era arrivato, l'assedio era iniziato ormai da diversi giorni. Si combatteva di giorno, si sorvegliavano le mura di notte. L'esercito ariadoriano era numeroso e ben organizzato, ma tra le sue fila Dubhne aveva colto stanchezza, scoraggiamento. Anche parecchio nervosismo. Dubhne sapeva che anche Qorren, un'altra importante città ariadoriana, era stata conquistata dai Ribelli subito dopo Hiexil, quando già gli ariadoriani era impegnati a tentare di contrastare i Nordici. Da quello che era riuscita a scoprire durante la permanenza ad Harrel, la ragazza aveva dedotto che le autorità ariadoriane dovessero aver richiesto più volte un ausilio al Consiglio, ma senza ottenere il risultato ottenuto. Solo dopo la conquista di Qorren la situazione aveva cominciato a smuoversi.
Mentre si stringeva il corpetto di cuoio e le stringhe degli stivali, Dubhne si osservò con attenzione il dorso della mano destra. Non tremava. Non le tremava mai nell'Arena. Eppure aveva paura in quel momento, non in misura eccessiva, ma ne aveva. Era da settimane che non rischiava la vita. Contando che durante i Giochi lo aveva fatto sì e no ogni due giorni, avrebbe dovuto farci nuovamente l'abitudine.

- Dubhne? - una testa bionda spuntò dai lembi che celavano l'ingresso della tenda. Era Caley. - Stiamo andando. Jack vuole la compagnia pronta a combattere.

Da quando si erano sfidati a duello, lei e il comandante ariadoriano si erano notevolmente avvicinati. Non che potessero considerarsi amici , ma era capitato che talvolta si rivolgessero la parola per motivi che non fossero di tipo diplomatico-militare o che non riguardassero altre possibili sfide a duello.
Indagando un po', Dubhne aveva scoperto come Jack fosse diventato comandante del battaglione. L'uomo veniva da Rocca Tarth, un borgo di medie dimensioni sviluppatosi attorno alla fortezza della famiglia Krestan. Lord Yosef Krestan era stato uno dei primi signori ariadoriani a prendere parte alla guerra con gli Uomini del Nord, ma aveva trovato la morte pochi mesi prima sul campo di battaglia. Per alcuni giorni Jack, che da quanto Dubhne aveva capito doveva essere stato un suo uomo di fiducia, nonché capo della sua piccola scorta, aveva assunto il comando a tempo indeterminato delle sue truppe. Con non poco disappunto Jack le aveva raccontato che, in teoria, un altro lord avrebbe dovuto occuparsi di loro, integrandoli alle proprie truppe, ma a seguito di più disguidi la cosa non era andata in porto, e Jack si era ritrovato per le mani l'ingombrante compito di guidare il battaglione e non lasciarlo allo sbaraglio.
Dubhne seguì l'uomo fuori dalla tenda, aggregandosi alla colonna che già marciava verso i limiti del campo. La ragazza continuava a serrare e distendere le dita, sciogliendo le spalle, cercando di concentrarsi su ciò che sarebbe accaduto di lì a poco.
Quando raggiunsero la zona dove già si combatteva, per un attimo Dubhne avvertì la paura avvolgerla, così prepotentemente da annebbiarle la vista; ai piedi delle imponenti mura esterne di Hiexil erano ammassate decine di cadaveri. Dovevano essere sia Ariadoriani che Uomini del Nord, scomposti, sanguinolenti. A più riprese, turbini di frecce lasciavano le mura o le trincee a terra; protetto dagli scudi alzati, un gruppo di soldati a ridosso della porta principale faceva ondeggiare un ariete, che si schiantava sulla superficie di ferro con risonanti boati. Più scale d'assedio erano ancorate alle mura, ma dall'alto i Ribelli respingevano i soldati ariadoriani con frecce e pietre, e i pochi che riuscivano a superare la prima linea difensiva venivano massacrati lassù. Una torre d'assedio distrutta continuava a bruciare, abbandonata poco distante da loro, mentre diverse scale erano state ribaltate all'indietro poco dopo il loro arrivo.
Il gruppo di Dubhne si fece strada verso il centro dei combattimenti facendo attenzione alle frecce dei Nordici che continuavano a bersagliarli. Dubhne vide diversi soldati, sfiniti e sanguinanti che zoppicando si allontanavano nella direzione opposta. Uno di loro si reggeva il gomito, l'osso dell'avambraccio che sporgeva creando un'angolatura innaturale.
Il vociare e le grida erano così forti che Dubhne non riusciva a sentire le parole del compagno più vicino. Un uomo poco distante da lei crollò a terra colpito da una freccia.
Che diavolo devo fare? pensò Dubhne sconcertata, ma durò un istante. La voce di Jack, che aveva cominciato a dispensare ordini con una sorta di lucido furore, la riscosse, e la ragazza sentì l'energia tornare a pervaderla.
Esitò ancora per pochi secondi, poi estrasse la scimitarra e si lanciò verso la scala più vicina. Una freccia le passò sibilando vicinissima al suo orecchio sinistro, ma lei non vi badò; poggiò un piede sul primo piolo, aggrappandosi a quello superiore e aspettando che i soldato davanti a lei procedesse. Era arrivata circa a metà della percorso, quando quello le rovinò addosso, una freccia conficcata in gola. Dubhne quasi mollò la presa, rischiando di cadere anche lei, ma alla fine riuscì a reggersi. Mentre una rabbia che non provava da parecchio si faceva strada in lei, si pulì il sangue che era schizzato in viso e salì gli ultimi metri che la separavano dalla cima, issandosi sulle mura. Menò un fendente deciso sul primo ribelle che le si parò davanti e lo atterrò, ne schivò un secondo e in scioltezza ne trafisse il mandante.
Non aveva più paura. Era come nell'Arena. Era tornata nel suo elemento.
A suo fianco, altri due guerrieri erano riusciti a raggiungere il camminamento che percorreva le mura. Dubhne non li aveva mai visti in vita sua, eppure i tre si muovevano coordinati, parandosi le spalle a vicenda. Mozzò di netto la testa dal collo di un avversario, ma un attimo dopo avvertì una lama inciderle uno sfregio sulla guancia. Per un attimo il sangue le si gelò: una lancia le era passata dannatamente vicina al viso. Per pochi centimetri non le aveva perforato la nuca. La ragazza si voltò e individuò l'uomo che doveva avergliela scagliata contro. Spinse con forza giù dalle mura uno dei Ribelli che la separavano da lui, incrociò la scimitarra con la spada di una altro e alla fine ebbe la meglio. Si lanciò contro il nordico che l'aveva ferita. Questi parò il suo primo attacco, rispondendo con ferocia, e per un attimo Dubhne si ritrovò costretta ad indietreggiare, schivando e parando i suoi colpi alla meglio. Poi, fulminea, si sottrasse ad una violenta stoccata e capovolse la situazione, infierendo su di lui con un fendente in un fianco. Estraendo la scimitarra dalla sua carne fece per prendere un attimo di respiro, ma il grido di una voce conosciuta la riscosse appena in tempo. Si scansò di lato un attimo prima che un nemico la trafiggesse da dietro e restituì il favore conficcandogli la scimitarra in petto. Fece per ringraziare chi l'aveva avvertita e, nel riconoscere la figura di un suo commilitone, gli rivolse d'istinto un gran sorriso.
In effetti sembrava che le cose stessero andando bene, tutto sommato.
Diversi sodati amici, tra Ariadoriani e membri dell'esercito delle Cinque Terre, occupavano quella zona delle mura e, anche se gli uomini con l'ariete non erano ancora riusciti a sfondare i portoni, Dubhne aveva l'impressione che presto quel momento sarebbe arrivato.
Continuò ad atterrare nemici con foga, tornando finalmente a percepire quella sensazione di rabbiosa soddisfazione che tanto le era mancata, sensazione che aumentava per ogni vita che prendeva.
Un paio di volte le parve di intravedere Jack combattere poco distante da lei sulle mura, ma la confusione era troppa perché ne fosse sicura. Altri Ribelli stavano accorrendo per difendere quel tratto di mura. Bianchi di carnagione e di capelli, determinati, ostinati.
Dubhne e gli altri cercavano di farsi largo, di avanzare, ma si stava dimostrando più difficile di quanto fosse parso all'inizio. Dubhne cominciava sentirsi stanca; l'odore di sangue era più forte che mai e la testa aveva cominciato a girarle. Più ferite le si erano aperte sulle braccia e sulle spalle. Trafisse ancora un Ribelle all'altezza dei polmoni.
E poi accadde, così in fretta che la giovane non poté far niente per impedirlo. Avvertì una potente gomitata abbattersi sulla sua schiena, e non ebbe abbastanza energia per mantenere l'equilibrio. Si sbilanciò di lato e, superando il parapetto, ricadde giù dalle mura.

No, NO!

Rovinò su di una delle scale d'assedio, senza riuscire a trovare appigli, e, quando finalmente toccò terra, sbatté così forte la tempia da perdere i sensi sul colpo.




Quando si riebbe, una figura la sovrastava. Due occhi dorati balenarono su di lei.

- Stai bene, Dubhne? - Claya aveva ancora il fiatone. Nell'aria della sera, le ciocche corvine che erano sfuggite alla sua coda le svolazzavano davanti al viso.

- Io... credo di sì - rispose lei, ancora intontita per il duro colpo riportato alla testa. Afferrò la mano che la donna le porgeva e, a fatica, si rimise in piedi. Tutto intorno a lei parve girare vorticosamente e un conato la costrinse di nuovo a terra.

- Avanti Dubhne, devi venire. Sei ferita, non è un buon posto qui. I nostri battaglioni si sono ritirati, per ora.

- Come mai sei qui? - chiese la ex Combattente ansimando. - Pensavo che sareste andati a Qorren.

- Non ho mai detto che saremmo andati verso quella destinazione - fece l'altra accennando un sorriso. Poi si rabbuiò. - Nessuno si è ancora avventurato là. Dicono che un demone i nasconda tra le fila dei Ribelli di Qorren.

- Stronzate - Dubhne sputò per terra e si rialzò, senza l'aiuto di Claya stavolta. - Sono soltanto uomini. E se li fai a pezzi sgorgano sangue come chiunque altro.

- Sono d'accordo. Oggi l'abbiamo dimostrato - la donna sorrise, trionfante. - Mentre eravamo sulle mura alcuni dei tuoi sono riusciti a scendere all'interno della città. Uno di loro veniva da Hiexil ed è riuscito ad aprire dall'interno un'entrata secondaria. Ce l'ha fatta un attimo prima che una freccia lo uccidesse. Sai che significa vero?

Un brivido d'eccitazione percorse la schiena di Dubhne mentre le due si affrettavano ad allontanarsi per tornare all'accampamento. E dire che era arrivata a Hiexil solo il giorno prima.

- Siamo dentro. Siamo in città.








NOTE:

Quanto tempo era che non pubblicavo due capitoli in un mese? Tanto immagino :) Spero che la prima battaglia di Dubhne vi sia piaciuta, finalmente sono riuscita ad inserirla! E a proposito, ringrazio easter_huit e Arya373 che hanno recensito lo scorso capitolo. Grazie mille :3

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 10 - Dubhne ***


10








Anche se a pelle avrebbe desiderato precipitarsi dalla parte opposta, pronta a combattere, Dubhne seguì Claya. Le doleva ogni singola parte del corpo, specialmente la schiena, che aveva sbattuto sullo scheletro della scala d'assedio. Strizzando gli occhi, che continuavano ad appannarlesi, Dubhne e la sua compagna si lasciarono alle spalle la zona calda, addentrandosi nel reticolato di tende.
- Trova una guaritrice e fatti dare una sistemata - fece Claya asciutta dopo alcuni minuti, fermandosi. - Hanno già un bel da fare ma credo che troveranno tempo per la Ragazza del Sangue.
Lei represse il fastidio e assestò alla donna di fronte a lei una pacca sulla spalla. - Grazie per avermi tirata fuori dai guai.
- Di niente. Ma devo andare, il nostro comandante sta radunando gli uomini - fece per voltarsi, poi aggiunse:- Credo che anche... Come si chiama? Quel Jack Cox... credo che ti stia cercando. Quando hai finito ti conviene raggiungere i tuoi compagni.
Claya si allontanò. A Dubhne venne in mente che avrebbe potuto chiederle di Portjie: doveva essere lì anche lei. Sempre che non fosse già stata uccisa.
La giovane rimase immobile per alcuni istanti, poi si avviò nella direzione opposta a quella che Claya le aveva indicato. Non aveva alcuna intenzione di lasciare che una guaritrice mettesse le mani sulle sue ferite. Ne aveva ricevute di peggiori e quasi sempre se l'era cavata senza bisogno di cure, o addirittura medicandosi lei stessa.
Piuttosto, la ragazza si apprestò a cercare Jack. Doveva ammettere che era piuttosto sollevata all'idea che fosse ancora vivo.
Lo trovò pochi minuti più tardi, accomodato su una panca, gli occhi socchiusi, una guaritrice che, accanto a lui, gli stava cospargendo uno strano unguento sulla fronte sanguinolenta.
- Dubhne! - esclamò l'uomo nel vederla, fermando dolcemente il braccio della ragazza e allontanandolo da sé. - Ho finito poco fa di fare il conto dei morti e dei feriti. Pensavo fossi morta.
- E io pensavo che tu fossi in città, ormai. Che cavolo è successo? Perché non abbiamo proseguito?
- Sono gli ordini dall'alto - rispose Jack imperturbabile, finendo da solo di spalmarsi la pasta trasparente sulla ferita. Fece un cenno alla guaritrice che gli passò una benda. - Ho ricevuto disposizioni affinché tornassi qui, per ora.
- Ma siamo appena arrivati! - inveì Dubhne. - Insomma, abbiamo aperto una breccia, dobbiamo tentare il tutto per tutto adesso.
- Smettila di fare la bambina capricciosa. Sei noiosa quando fai così. A proposito - le fece cenno di avvicinarsi. - Dammi una mano con questa fascia.
- Fatti aiutare da lei - ribatté la ragazza sarcastica, alludendo alla guaritrice. Poi si voltò, senza aspettare la risposta di Jack.
Avevano già battibeccato diverse volte. E Dubhne doveva ammettere che discutere con lui aveva un 'che di accattivante. Ogni volta che una discussione tra lei e Jack terminava si sentiva seccata, certo... ma con un mezzo sorriso sulle labbra, anche.
Ma queste ragazze non parlano mai? si chiese passando accanto ad un'altra guaritrice, china su un ragazzo steso a terra. Il loro comportamento era curioso in effetti. Quasi tutte giovanissime, poco più che ragazzine, disposte a stare a contatto con le più raccapriccianti ferite pur di dare il loro contributo alla causa ariadoriana o, forse, a qualcosa di più generale, un ideale votato all'assistenza e alla vicinanza a chi soffriva o era in punto di morte.
Niente di più lontano da ciò che avrebbe potuto provare Dubhne, insomma.
Le guaritrici occupavano alcune tende nella zona del campo più lontana dalle mura di Hiexil, ma l'infermeria era in un luogo diverso, più vicino, in modo che i feriti gravi non dovessero essere trasportati a lungo prima di giungervi. Dubhne non vi aveva ancora messo piede e, personalmente, se avesse dovuto farlo, avrebbe preferito fosse il più tardi possibile.
Dubhne passò accanto alle tende dove aveva incrociato Neor il giorno prima e, istintivamente, si chiese che fine avesse fatto. Il desiderio di chiedergli notizie riguardo il mondo dei Combattenti era ancora forte dentro di lei, così la ragazza decise di aspettare lì per un po', nella speranza di incontrarlo nuovamente.
Seduta sull'erba, dopo aver chiesto in prestito una benda ad una guaritrice - che aveva risposto alla richiesta con un "ecco" sommesso e un piccolo sorriso - Dubhne trascorse il tempo tentando di lucidare alla meglio la lama della scimitarra, strofinando via il sangue e i brandelli di pelle che vi erano rimasti appiccicati.
Quando alla fine vide Neor, miracolosamente tutto intero e nemmeno troppo sporco di sangue, venire verso di lei, rinfoderò la propria arma e si alzò.
- Vivo per un altro giorno, eh? - gli domandò ironica.
- Direi di sì - rispose lui con una scrollata di spalle. - Ormai mi è capitato di pensarlo parecchie volte. Ma tanto... - le scoccò uno sguardo obliquo. - Noi ci siamo abituati, non è così?
Dubhne annuì. Poi, cercando di superare il lieve imbarazzo che l'aveva avvolta, esordì:- Senti... Neor... lo so che noi non dovremmo essere amici. So che - si schiarì la voce - la mia compagna Claris ti ha buttato fuori dai Giochi e tutto il resto, ma... - lo guardò negli occhi. - Cerca di capirmi. Città dei Re mi manca da impazzire. E volevo, insomma...
- Capisco, capisco - la interruppe l'ex Combattente. - Che cosa vuoi chiedermi?
Si sedettero nuovamente.
- Come mai sei qui? Non hai vinto i Giochi, com'è che Peterson ti ha lasciato andare?
- Mi aspettavo che me lo chiedessi - rispose Neor, passandosi distrattamente una mano fra i sudici capelli neri. Aveva ricominciato a piovere. - Quando il Gran Consiglio ha deciso di far intervenire l'esercito delle Cinque Terre, sono state redatte alcune leggi speciali - spiegò. - Persino al palazzo Cerman è arrivata la notizia che chiunque, schiavo o uomo libero, avrebbe potuto arruolarsi nell'esercito delle Cinque Terre. Io sono stato un Combattente per tanto, troppo tempo. Era la mia occasione per andarmene e l'ho colta.
- È venuto qualcun altro con te?
- Un paio di persone. Peterson era furibondo quando gli ho detto che intendevo lasciare la squadra.
Dubhne provò una fitta di infantile soddisfazione a quella notizia, e gli chiese i nomi.
- Dei nostri solo Tessel e Jeann. Quelli delle altre squadre non so come si chiamino.
- Claris? - azzardò Dubhne a bruciapelo, speranzosa.
Neor scosse la testa. - Non credo che quella sgualdrina della tua amica avesse molta voglia d arruolarsi insieme a me.
- Una sgualdrina di nove anni più giovane di te che è riuscita a batterti in combattimento - puntualizzò la giovane freddamente.
- È andata così. Me ne sono fatto una ragione.
- Io non credo - ghignò Dubhne.
Infastidito, Neor fu rapido a cambiare discorso:- Non avevi altre domande da farmi?
Dubhne ci pensò su un attimo, e alla fine chiese lentamente:- Come sta Malcom?
Le sarebbe parso ingiusto non chiedere di lui. Dopotutto, che le piacesse o no, era anche a lui che doveva la propria fama. Lui, che l'aveva strappata ai Farlow, che l'aveva catapultata in un mondo per lei sconvolgente, che aveva discusso e urlato contro di lei così tante volte che ormai Dubhne ne aveva perso il conto.
- Non posso esserne sicuro, ma mi è sembrato molto preoccupato, l'ultima volta che l'ho visto. Lo sono entrambi, lui e Peterson; questa guerra, il fatto che alcuni Combattenti abbiano abbandonato la squadra per arruolarsi... significa lavoro in più, fatica in più, denaro in più da pagare.
Certo... Dubhne annuì. Potrei sempre tornare io nella squadra...
- Ed Ellison Pets? Era ancora nella capitale quando te ne sei andato?
Neor scosse la testa. - Ha lasciato la città poco dopo la fine dei Giochi. Credo che quest'anno sia determinata a mettere su una squadra decisamente più competitiva dell'anno scorso.
Dubhne fu sicura di percepire una punta di nostalgia nel tono di voce dell'ex Combattente. La ragazza sorrise, avvertendo per l'ennesima volta qualcosa di simile al rammarico per non essere rimasta a Citta dei Re con Claris, Xenja, Illa e tutti gli altri...

                                                                            ***

Le battaglie si susseguirono senza sosta nelle giornate successive.
I soldati ariadoriani, le cui fila erano state incrementate dall'arrivo dei membri dell'esercito delle Cinque Terre, avevano constatato che, una volta aperta una breccia, guadagnare altro terreno sarebbe stato incredibilmente più difficile.
Per giorni Dubhne combatté all'interno della città senza risparmiarsi; non aveva impiegato molto tempo per fare propria quello stile di vita. Per quanto i ritmi fossero serrati, la ragazza era certa di star reggendo bene la mole di fatica, il dolore per tutte le ferite che si era procurata, la tensione che a volte che la sorprendeva nel cuore della notte.
In quel periodo si era ritrovata a pensare a Jel Cambrest più volte di quanto si sarebbe potuta aspettare. Tra le fila ariadoriane si trovavano anche una manciata di maghi, e nel vederli combattere a proprio fianco lei non aveva potuto fare a meno di ricordare il giovane Consigliere dall'aria provata che aveva conosciuto a Città dei Re.
Perché continuava a pensare a lui? Che cosa poteva avere di tanto speciale da averla colpita?
Fu ponendosi queste domande che Dubhne, il sesto giorno dopo il suo arrivo a Hiexil, si avviò verso la zona di battaglia con la scimitarra appoggiata su una spalla.
Anche se il tempo era decisamente migliorato negli ultimi due giorni, spesse masse di nuvole continuavano a spostarsi nel cielo cariche di pioggia, e momenti di insperato sereno si alternavano a improvvise correnti gelide che spesso portavano con sé brevi precipitazioni.
Metà del campo era scossa da influenza e crisi di tosse, ma Dubhne no. Il clima impossibile delle colline in cui era cresciuta l'aveva plasmata a sopportare piuttosto bene anche le condizioni più strane o avverse.
Mentre lei e i soldati "riposati" davano i cambio a chi aveva combattuto nella notte, la giovane incrociò Neor e Claya e li salutò con un cenno del capo.
Alla fine non aveva avuto bisogno dell'aiuto di Claya per scoprire che fine avesse fatto Portjie. Dubhne aveva trovato il suo corpo per caso, scorgendolo tra le pile di cadaveri ammassate sotto le mura di Hiexil. Un piccolo tuffo al cuore l'aveva colta nel vedere quella ragazza dall'aria così innocente morta e dimenticata. Per un attimo aveva pensato di chiedere l'aiuto di Claya per trasportarla lontana dal campo di battaglia e seppellirla, ma poi si era detta fosse meglio di no.
Man mano che si avvicinava all'interno della città Dubhne avvertì il battito cardiaco accelerare. Le capitava sempre, ormai vi ci si era abituata.
Controllò che Jack fosse ancora davanti a lei - le piaceva combattere con i comandante a proprio fianco - poi oltrepassò il passaggio che conduceva in città e si preparò a combattere.
- Questa volta li costringiamo ad arretrare! - udì esclamare un soldato ariadoriano che aveva il volto coperto di sangue ma acceso da un sorriso fiducioso.
Gli alleati delle Cinque Terre avevano costruito alcune barricate che delimitassero il suolo cittadino che erano già riusciti a riconquistare. Dall'alto delle mura adiacenti a quel perimetro, gli arcieri sorvegliavano le mosse dei Ribelli nella zona nemica e, per quanto fosse possibile, coprivano i fanti che tentavano di avanzare. L'azione era concentrata in quell'area; molti dei Ribelli che occupavano la città erano concentrati lì. Per quanto quei Nordici combattessero con ferocia, accecati dalla fede nella loro causa, la superiorità numerica dei loro nemici cominciava a farsi sentire. Ariadoriani e truppe delle Cinque Terre potevano combattere dandosi il cambio più volte e su più fronti, mentre era palese che per i Ribelli contenere anche solo quel fronte stava diventando complicato.
Dubhne scavalcò la prima barricata e si unì a coloro che già combattevano per le strade di Hiexil.
- Non toccate gli Ariadoriani! - sentì qualcuno esclamare per l'ennesima volta mentre si faceva largo a colpi di scimitarra.
La confusione era tanta: gruppi di cittadini inermi tentavano di scappare dalla zona di battaglia, ma gli stessi Nordici li respingevano. Anche senza che Jack glielo spiegasse, Dubhne aveva compreso la tattica diversiva dei Ribelli: nascondersi fra gli alleati delle Cinque Terre e nel frattempo usarli come scudo. Confondere i soldati ariadoriani e indurli ad uccidere i propri stessi concittadini.
La ragazza agguantò una bambina che sedeva singhiozzando in un angolo, riparandosi il volto con le braccia, e se la tirò dietro, spingendola poi verso la zona controllata dagli ariadoriani.
- Corri! - le gridò. - Va' da quella parte e sarai al sicuro!
Forse la piccola le rispose qualcosa, ma Dubhne non riuscì ad udire le sue parole. Era tornata a volgersi verso le schiere nemiche, e aveva ripreso a combattere.
Un paio di volte si ritrovò fianco a fianco con Jack, menando colpi di scimitarra vicino a lui e combattendo in coppia.
- Grazie per il tuo aiuto, ma non ne ho bisogno!- esclamò la giovane con irrisoria freddezza mentre con un calcio atterrava un Ribelle e lo finiva trapassandogli il torace.
- Controllo che tu non ti faccia ammazzare, Ragazza del Sangue - ribatté l'uomo con un sorriso abbassandosi e schivando un fendente nemico. - Sei una rappresentante importante per le nostre truppe...
Nonostante stesse faticando parecchio, lei rise. Più nemici abbatteva, più si sentiva esaltata. Forse il soldato che l'aveva superata mentre si dirigeva in città aveva avuto ragione nel sostenere che quel giorno qualcosa si sarebbe smosso.
Gli ariadoriani avanzavano, stavano prendendo terreno. Dubhne abbatté diversi nemici mentre tentava di spingersi ancora più avanti.
- Venite! - gridò ai compagni più vicini a lei. - Avanti, che ce la facciamo!
Lo spettro di un sorriso era ancora disegnato sul suo volto, quando ad un tratto qualcosa cambiò.
Per un attimo a Dubhne parve che l'aria fosse fatta più intensa, più pesante. Un violento colpo di vento quasi la costrinse a terra. Tutti, ariadoriani e Ribelli, sembrarono immobilizzarsi.
Per diversi lunghi istanti, Dubhne avvertì nel proprio respiro irregolare l'unica fonte di rumore sulla scena. Cercò Jack con lo sguardo e lesse nei suo occhi lo stesso momentaneo senso di smarrimento che provava lei stessa.
Impiegò alcuni secondi per capire, poi se ne rese conto. Anche se prima di quel momento aveva avuto un contatto quasi nullo con essa, comprese di trovarsi in prossimità della Magia. Una magia che non aveva nulla a che fare con quella di Jel o con quella dei maghi che davano manforte all'esercito delle Cinque Terre.
In quel momento la Combattente ebbe paura. Un terribile presentimento la avvolse.
Alcuni secondi dopo, la ragazza vide in lontananza la barricata ariadoriana esplodere. All'istante i Ribelli attorno a loro si rianimarono e ripresero a combattere, cogliendo alla sprovvista coloro che ancora non riuscivano a capacitarsi di ciò che stava succedendo.
Dubhne si riscosse appena in tempo per parare il fendente di un guerriero che si era avventato su di lei. Le loro lame si incrociarono diverse volte prima che la ragazza riuscisse ad ucciderlo.
Ma qualcosa di irrimediabile era successo, Dubhne lo sentiva. Non aveva tempo per soffermarsi a guardarsi alle spalle, ma dalla direzione da cui era venuta, dove in teoria dovevano trovarsi i suoi alleati, provenivano grida, esplosioni e tonfi sordi.
Ho detto alla bambina di andare da quella parte. Ho detto alla bambina...
Un attacco di nausea la colpì all'idea di aver involontariamente mandato un'innocente incontro alla morte, mentre i suoi compagni d'armi cominciavano a cadere o a fuggire, uno dopo l'altro. Battevano la ritirata.
Ritirata... ma per dove? Da quello che aveva intuito i Ribelli dovevano averli colti alle spalle. Ma come poteva essere? Come potevano avere così tanti uomini?
Ma soprattutto, a chi apparteneva quella incredibile e sovrannaturale forza che aveva avvertito un attimo prima?
- Ritiratevi! - gridava Jack tentando di salvare il salvabile. - Ritiratevi! Tornate all'accampamento! Andate VIA!
No! Un moto di rabbia scosse le membra di Dubhne. Non era arrivata fin lì per tornare ad essere una codarda che fugge davanti al pericolo. Non aveva nessuna intenzione di ritirarsi, che fosse Jack o chiunque altro ad ordinarglielo.
Se quella sarebbe stata la sua fine, allora avrebbe fatto in modo fosse una grande fine.
Invece di tentare di tornare indietro insieme agli altri, la giovane mulinò la scimitarra e tornò nella mischia. Vedeva Ribelli ovunque, mentre gli unici ariadoriani che continuavano ad attorniarla erano morti... o in procinto di esserlo.
Mentre continuava a combattere, Dubhne si sentiva vicina alla morte come raramente in vita sua, e per diverse volte fu sicura di essere giunta alla fine della propria strada.
All'improvviso, sentì una mano afferrarle il braccio.
- Vieni via, Dubhne!
Era Jack. Sembrava sfinito; con il volto coperto di sangue, ansimava come non mai. Ma Dubhne si divincolò con forza, affondando la sua lama nel corpo di un avversario.
- Non intendo scappare come una codarda, Jack! - ringhiò. - Va' via, se hai così tanta paura di morire!
Ma Jack Cox era un uomo adulto dalla fermezza non in discussione, e non era abituato a farsi mettere i piedi in testa. La attiro a sé con la forza, strappandola dalle grinfie dei Nordici. - Tu vieni con me, ora. Non ti lascerò qui a morire.
- Sei un codardo! Un fottuto codardo! - urlò Dubhne mentre l'uomo la trascinava via. Non permettergli di farlo! È la tua vita!
Mollò una gomitata negli stinchi di Jack e si liberò dalla sua presa. Era spinta da una rabbia feroce. Non poteva tollerare che qualcuno le imponesse qualcosa in quel modo; il braccio di Jack serrato attorno alla sua vita le aveva ricordato in modo incontrollabile il signor Tomson che la strappava a forza dall'abbraccio di sua madre.
Ma Dubhne era un'adulta adesso e non avrebbe mai più permesso a nessuno di farle una cosa simile.
Ignorando la rabbia di Jack, tornò ad affrontare un nemico dopo l'altro. Sentì le lame dei Ribelli che le aprivano ferite su braccia e gambe. Una spada le disegnò anche un lungo taglio su un fianco.
Le forze avevano già cominciato ad abbandonarla quando Dubhne vide una donna poco distante da lei. Per un attimo la ragazza pensò che la stanchezza e le ferite le avessero ottuso i sensi, perché le sue mani, strette a pugno, erano avvolte dalle fiamme. Anche i suoi capelli parevano incendiati da luce infuocata. Istintivamente, Dubhne estrasse un pugnale dalla sua cintura e glielo scagliò contro. Alla donna rossa bastò un lieve movimento del capo per deviarlo.
La Combattente la vide alzare lo sguardo su di lei. Quando il rosso dei suoi occhi, acceso da una sorta di gelido furore, incrociò i suoi, Dubhne avvertì una scarica di dolore mai provato prima attraversarle le membra. Piegata in due, vide la strega avvicinarsi a grandi passi verso di lei e in un solo vorticoso istante capì che l'avrebbe uccisa.
Muoio. Questa volta muoio per davvero...
Paralizzata, guardò la strega di fronte a lei muovere le mani velocemente - eppure in modo terribilmente aggraziato - e generare una nuova fiammata, pronta a scagliarla contro di lei. Conscia del fatto che nulla di ciò che avrebbe tentato avrebbe potuto salvarla, Dubhne serrò la stretta sul manico della scimitarra, quando un paio di mani la agguantarono per le spalle, sottraendola al fuoco che stava per abbattersi su di lei.
- Jack, no... lasciami qui... lasciami morire... - la ragazza era troppo esausta anche solo per urlare.
Jack si faceva largo a colpi di spada tra i Ribelli, ma erano troppi, troppi...
Guardandosi indietro, l'ultima cosa che Dubhne vide fu la strega rossa alzare una mano come per richiamare a sé i suoi uomini. I guerrieri del Nord si aprirono in due ali quasi a lasciarli passare e, come in un sogno, Dubhne lasciò che Jack la trascinasse via, oltre la barricata ormai distrutta. Nel superare anche le mura della città, tutto ciò che la ragazza riuscì a vedere intorno a sé furono fumo nero e fiamme.
Visioni scomposte si imposero davanti agli occhi di Dubhne. I suoi genitori che la consegnavano nelle mani di Tomson. Alesha che le diceva addio, il freddo pavimento delle celle della sartoria. L'odore acre e le fiamme che la circondavano nella foresta. Il corpo di Agnes martoriato al centro dell'Arena, I tagli sul viso di Phil, Jackson che rideva di lei e la colpiva ancora, e ancora, e ancora...
- Aiuto - esalò con voce flebile mentre fitte di dolore acutissimo le perforavano le tempie. - Voglio andare a casa. Aiutatemi... vi prego, aiutatemi...
- Resta sveglia Dubhne! - la esortò Jack in tono duro, mentre la prendeva in braccio e se la caricava sulle spalle. - Resisti!
Dietro di loro la ragazza vide decine d Ribelli combattere tra le tende in fiamme di quello che fino a poche ore prima era stato il campo ariadoriano.
Mentre Jack continuava a correre, Dubhne abbandonò il capo sulla sua schiena.
Le parve di vedere la figura di Camlias scrutarla, immobile, in lontananza.
- Madre... - mormorò la giovane mentre calde lacrime le scendevano sulle guance. - Madre... ti prego...
La vista le si annebbiò. Non aveva più forze. Si aggrappò alla propria scimitarra come fosse stata l'ultima cosa a tenerla ancora legata al mondo terreno. Portami via, Jack. portami via.








NOTE:

Buonasera gente, finalmente riesco a pubblicare con un po' di assiduità ^-^ Ammetto che non è stato semplice stendere questo capitolo, soprattutto l'ultima parte (ma dai?!), ma spero che il risultato sia almeno decente. All'inizio avevo un'idea completamente diversa sul come rendere il salvataggio di Dubhne, ma alla fine mi sono fatta trascinare dall'atmosfera angst e il risultato è stato questo.
Per coloro che me l'hanno chiesto, beh, con il prossimo capitolo tornerò a Grimal e lo dedicherò a Gala (e rivedremo anche Jel, quindi :)
Se il capitolo vi è piaciuto, please, lasciatemi una recensione! O anche non vi è piaciuto, ditemi che ne pensate, consigli, ecc...

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 11 - Gala ***


11








Gala Sterman uscì presto quella mattina, avvolta nel mantello del Consiglio, la spilla dorata ancora fieramente appuntata sul petto nonostante fossero passati giorni dall'ultima volta in cui si era recata ad una riunione.
La strega attraversò le vie Grimal diretta verso il centro, tossendo. L'ultimo periodo era stato caratterizzato da frequenti sbalzi di temperatura; giorni di caldo afoso tipici della fine estate dello Stato dei Re si erano alternati a giornate di forte vento e acquazzoni che non avevano ottenuto altro risultato che procurarle un fastidioso raffreddore.
Guardandosi intorno, Gala cercò di scacciare i brutti pensieri. Non riusciva a trovare altro modo per definirli: dal giorno del funerale di Camosh il suo umore era peggiorato ulteriormente e la sua serenità definitivamente incrinata.
Il testamento del suo vecchio maestro era stato reso noto pochi giorni prima e, nonostante Janor le avesse lasciato la quasi interezza dei suoi averi, inclusa la sua abitazione, Jel si era offerto di ospitarla in casa propria per qualche giorno. Gala se l'era aspettato, ma aveva rifiutato. Non voleva appesantire ulteriormente Lys di lavoro, e poi non le sembrava giusto: aveva quasi sedici anni ormai, e il suo tutore era appena morto. Doveva cominciare a sbrigarsela da sola.
La ragazzina continuò a camminare, mentre poco a poco le vie della città andavano rianimandosi. Non aveva una vera propria destinazione; ormai era diventata una consuetudine per lei compiere passeggiate, a volte anche lunghe ore, completamente da sola. Una sola volta era riuscita a farne una anche in compagnia di Jel, ma erano passati diversi giorni da allora.
Gala aveva pensato che, nei giorni immediatamente successivi al loro ritorno a Grimal, l'amico avesse raggiunto il limite della freddezza nei suoi confronti, ma in seguito aveva scoperto di essersi sbagliata: tranne che per un paio di fugaci occasioni, il giovane non le aveva quasi rivolto parola. Non lo faceva con cattiveria - o, almeno, Gala sperava fosse così - quanto piuttosto per una sorta di disagio curiosamente nato nel momento in cui si erano riuniti agli altri Consiglieri. Era come se, terminato il loro viaggio, le differenze fra i loro ruoli e le loro personalità fossero nuovamente venute in superficie, aspetto che durante il viaggio di ricerca delle Pietre era a tratti venuto meno. Questo, aggiunto certamente alla mole incredibile di affanno che appesantiva ogni membro del Consiglio in quei giorni.
C'erano stati momenti in cui Gala si era sentita in colpa per il proprio momentaneo disinteresse. Per tutti quei giorni aveva schivato le varie riunioni con delle scuse, una più labile dell'altra. L'ultima, che utilizzava ormai da tre giorni, era quella di avere la febbre alta e difficoltà nel respirare. Onestamente non le importava del fatto che, se qualcuno l'avesse vista camminare tranquillamente all'aperto, la sua copertura sarebbe miseramente crollata.
La ragazza si spinse fino alla piazza centrale di Grimal, sempre suggestiva e curata, e guardò in direzione del palazzo centrale. Chissà se Jel si trovava già là dentro...
Immediatamente si sentì terribilmente ridicola. Lo vuoi sapere? Vacci anche tu! Riprendi il tuo posto, fatti vedere da tutti gli altri...
Ma qualcosa dentro di lei resisteva. Avvertiva una sorta di risentimento verso il mondo dei Consiglieri: lei e Jel avevano attraversato mezzo mondo per riuscire a recuperare quelle dannate Pietre, erano stati inseguiti da due maghi al soldo di Theor, avevano affrontato una battaglia a campo aperto... e tutto ciò che quegli uomini così sapienti e navigati erano riusciti a fare era stato lasciar morire Camosh.
Ma in realtà non era solo questo. C'era anche dell'altro, qualcosa di più intimo, e la ragazza lo sapeva. Gala non era sicura di riuscire a reggere. Aveva pensato, una volta terminato il viaggio, di poter essere capace ad affrontare qualunque cosa, ma ora... ora si sentiva più debole e sperduta che mai.
Frustrata, la strega voltò le spalle al palazzo e si avviò a grandi passi verso casa.
Trascorse la mattinata come aveva fatto con tante altre in quei giorni. Terminò di mettere a posto gli ultimi averi di Camosh che ancora erano stati lasciati in disordine e lesse distrattamente alcune pagine di un libro che da prima della viaggio non riusciva a terminare. Provò a dormicchiare e si fece un bagno caldo nell'ampia vasca che aveva opportunamente riempito d'acqua riscaldata con la magia. Alla fine consumò un po' della zuppa di cavolo che aveva preparato la sera prima, raggomitolata sulla poltrona foderata in satin di Camosh.
Probabilmente dormì per diverse ore - Gala lo realizzò solo in seguito - perché quando si accorse dei colpi alla porta fuori il sole aveva già cominciato a calare.
- Jel? - azzardò a mezza voce la strega, speranzosa.

No. Sarà solo qualcuno del palazzo che viene a darmi una strigliata per il mio comportamento irresponsabile...
Rassegnata all'idea di dover sostenere una pesante e noiosa conversazione con un qualche attendente o membro minore del Consiglio, la ragazza si alzò e andò alla porta. Il ricordo del giorno in cui Lys era venuta da lei per dirle di Camosh tornò nella sua mente indesiderato, e regalò a Gala una spiacevole stretta allo stomaco.

Si schiarì la voce. - Chi è? - domandò.

- Ho bisogno di parlare con te, Gala.

Possibile? si chiese la ragazzina riconoscendo proprio quella voce. Aprì la porta.
Davanti a lei c'era nientemeno che il maestro Anérion.

- Maestro!- Gala si affrettò a chinare il capo in segno di ossequio. Proprio in quel momento si rese conto che la tunica che indossava era ornata da due piccole macchie di zuppa proprio sul petto. - A che cosa devo questa visita?

- Niente di grave se è quello che temi, mia cara - fece Anérion in tono rassicurante.

Gala lo fece entrare. Si sentiva a disagio; non le era mai capitato di rimanere sola con un Consigliere del suo rango. Escluso Camosh, ovviamente.
Tentando di grattar via con le unghie le macchie di unto dai propri vestiti, fece strada al proprio ospite fino al salotto. Sollevò immediatamente la ciotola della zuppa dal tavolino e con la magia la ricollocò nella credenza. La laverò più tardi.

- Accomodatevi - disse gentilmente al maestro Anérion, ma senza riuscire a guardarlo. Gli aveva indicato la poltrona più piccola, quella che fino a poco tempo prima era sempre stata occupata da lei.
Lei invece si tenne quella di Camosh.

- Ebbene - esordì l'uomo di fronte a lei sedendosi lentamente. - Come ti ho detto non ho per te alcuna cattiva notizia, fortunatamente. Anzi, sono qui per farti una proposta.

Nonostante avvertisse il morale praticamente sotto i piedi, Gala sentì la propria curiosità crescere.

- Ma dato che si tratta di una faccenda di un certo spessore, forse questo non è il momento più adatto - Anérion la guardò di sottecchi. - Mi dispiace per i tuoi problemi degli ultimi giorni.

Alla ragazzina parve di cogliere un pizzico di ilarità nel tono del Consigliere. Doveva sapere della sua finzione. Tutti a palazzo dovevano averlo intuito, ormai. Chiusa in casa per un po' di febbre in un momento precario come quello? Era ridicola.

- Non preoccupatevi - rispose, sperando che il maestro decidesse di sorvolare sull'argomento. - Ora mi sento meglio. Di che si tratta?

- Dammi pure del tu, Gala - fece Anérion in tono paterno, e ancora una volta la strega si sentì lievemente infastidita.

Crede di essere Camosh. Crede di poter essere uguale a lui. Di potermi trattare come una bambina.

Con un sospiro, Anérion continuò:- Come saprai, a seguito della scomparsa del maestro Camosh un seggio del Consiglio è rimasto vacante. Mi chiedevo se tu fossi ancora interessata a continuare la tua carriera politica.

Gala accolse quelle parole con una sorta di stretta allo stomaco. Aveva atteso anni nella speranza di poterle udire, un giorno. Diventare un vero e proprio Consigliere. Era questo che, da quanto aveva capito, Anérion intendeva.

- Ecco... - rispose esitante. - Voi mi fate un grande onore, ma...

- Non ti avevo detto che potevi darmi del tu? - sorrise l'uomo, e per un attimo il suo volto cosparso di rughe parve distendersi in un espressione che suggeriva una sorta di affetto.

Gala rifletté. La prima frase che la sua mente era riuscita a formulare nel sentire le parole del maestro era stata "Non sono pronta per questo".
Aveva quindici anni. Poteva ammetterlo o no, poteva concedersi a migliaia di quelle frasi spavalde da adulta, ma prendersi un impegno così grande, e proprio in quel momento della sua vita così drammatico e incerto... Sicuramente se avesse accettato non le sarebbe più stato permesso prendersi un'intera settimana di astinenza dalle riunioni.
Eppure, un'altra parte si sé, la stessa che l'aveva spinta a seguire Jel nella sua impresa a tutti i costi, le insinuo il dubbio. E se l'unico modo per scacciare quell'odiosa sensazione che ormai da settimane la affliggeva fosse stato calarsi ancora di più nel proprio ruolo? Forse un maggiore impegno e le maggiori responsabilità di una vita da Consigliere l'avrebbero aiutata a sentirsi di nuovo al proprio posto nel mondo. Dopotutto, aveva trascorso diversi giorni nell'ozio e nell'apparente tranquillità ma, se anche la cosa non l'aveva danneggiata, di certo non le aveva giovato.
E poi c'era quella sorta di orgoglio mai sopito, quel desiderio di mettersi alla pari con Jel, di dimostrare a tutti quanto realmente valesse...

- Gala Sterman...?

Gala tornò alla realtà con un sussulto e si ritrovò a fissare il volto serio del maestro Anérion. L'uomo stava ancora attendendo una sua risposta.

- Io... io...

Smettila di blaterare e assumiti le tue responsabilità! Di' qualcosa!

- Io non posso accettare - le parole uscirono spontanee dalla sua bocca prima che lei potesse fermarle. Codarda. Codarda, codarda, codarda.

- Oh - il Consigliere non riuscì a non far trapelare un poco di delusione. Era evidente non si fosse aspettato una risposta negativa.

- Mi dispiace - si affrettò a schermirsi Gala. Il disagio e l'umiliazione erano tornati ad avvolgerla. La ragazza se li sentiva colare addosso come cera bollente. - Non credo di essere idonea a ricoprire un ruolo del genere. Insomma, Camosh, lui... e voi ... siete, ecco...

- Non c'è problema. Lo capisco - Anérion si alzò, ma non pareva affatto arrabbiato. - Forse avrei dovuto aspettarmelo. Si tratta di un grandissimo impegno, forse troppo per una ragazza della tua età.

Gala sapeva che in teoria la reazione del maestro avrebbe dovuto rassicurarla, ma le sue parole comprensive non fecero altro che incrementare la sensazione insopportabile che la ragazza sentiva ardere nel petto, confermando tutti i dubbi su cui si era interrogata in quella manciata di secondi di riflessione.

- In ogni caso rispetterò la tua decisione. Avevo pensato, dopo tutto ciò che hai fatto durante la ricerca delle Pietre, che tu meritassi almeno la mia considerazione. Ma non importa. Troverò qualcun altro di adatto a questo ruolo.

- Siete - eh-ehm - sei sicuro che non rappresenti un problema?

- Sicurissimo - il mago le sorrise con aria quasi complice. - In ogni caso tu... prenditi ancora del tempo per riflettere. Concorderai quando dico che e una questione delicata, impossibile da liquidare in così poco tempo.

- Ma certo. Vuoi, vuoi che...? - fece per alzarsi e riaccompagnarlo alla porta.

- No grazie. Faccio da solo - Anérion fece un segno di diniego. - Ma... - aggiunse ammiccando. - Tu pensaci.

- Lo farò - mentì Gala sforzandosi di mantenere un tono di voce dignitoso. - B-buona serata.

- Vorrei tanto potesse essere così, mia cara - ribatté lui stancamente. - Ma purtroppo non nutro più molte speranze.

Gala guardò il maestro Anérion allontanarsi, avvolto nell'impeccabile tunica dorata che distingueva il maestro dello Stato dei Re dagli altri Consiglieri. Quando udì la porta chiudersi pesantemente, seppe di essere rimasta nuovamente sola.
Ancora sorpresa per le parole che Anérion le aveva rivolto, la ragazzina tentò di rimettere in ordine il salotto mettendo via i piatti usati e spazzolando le poche briciole dalla poltrona e dal pavimento.
Si cambiò d'abito, lasciando il mantello e la spilla abbandonati su una seggiola nella sua stanza. Scelse una camicia pulita e indossò un paio di brache di velluto, poi si mise in ordine i capelli con la spazzola che usava da quando era bambina. Era da parecchio che non curava il proprio aspetto, ma quella volta voleva fosse diverso. Aveva bisogno di parlare con Jel, e non intendeva farlo indossando un mantello sporco di unto e gli abiti che usava ormai da giorni.
Si infilò gli stivali e fece per mettere mano alla maniglia della porta d'ingresso, poi si fermò, come colta da un'idea. Corse in camera e afferrò la spilla dorata del Gran Consiglio. Mentre usciva di casa se la mise in tasca.
La casa dove Jel abitava con la madre non era molto distante da quella d Camosh, perciò Gala non impiegò più di un quarto d'ora per raggiungerla a piedi. Il fatto che Anerion avesse trovato il tempo di venire da lei le suggeriva che le riunioni, almeno per quel giorno, fossero terminate, motivo per cui suppose ci fosse la possibilità che anche Jel fosse già rincasato.
Una volta giunta davanti alla sua porta, la ragazza si prese qualche istante per riflettere su ciò che avrebbe detto all'amico; poi si fece coraggio e bussò.
Come aveva previsto, fu Lys a venire ad aprirle. La madre di Jel Portava i fini capelli viola raccolti in un elegante chignon; sembrava francamente più distesa e a proprio agio rispetto al giorno in cui era venuta a casa sua per darle notizia del ritrovamento del cadavere di Camosh. Ironia della sorte, si ritrovo a pensare Gala. La sua situazione non aveva fatto altro che peggiorare da quel giorno.

- Gala - Lys sembrava sinceramente felice di vederla. - Cerchi Jel, immagino.

- In effetti sì - rispose lei con un sorriso, o almeno sperò che la smorfia che le si era disegnata in viso vi assomigliasse almeno lontanamente. - È in casa, al momento?

- Non è ancora arrivato, ma dovrebbe essere qui a momenti. Rimane a palazzo quasi tutto il giorno, ma di solito riesce a tornare a casa per cena.

Jel, il devoto e capace Consigliere, che si fa ancora preparare il pasto da sua madre...

- Io sto uscendo, ma se vuoi lo puoi aspettare dentro - riprese la donna gentilmente.

Gala notò solo in quel momento che Lys indossava un lungo abito di broccato blu notte. Era evidente fosse in procinto di andare da qualche parte.

- Sei sicura non sia un problema per te? - chiese la strega per sicurezza.

- Ma certo - Lys sorrise. Poi le poggiò una mano sulla spalla. - È da parecchio che non ti vedo con Jel. E lui mi ha detto che questa settimana non c'è stata traccia di te a palazzo.

- No - ammise Gala mesta. - È vero. Ma è... - si schiarì la voce. Parlare dell'argomento le risultava terribilmente difficoltoso. Un groppo alla gola le si presentava ogni volta che lo affrontava. - È un periodo particolare per me.

- Vorrei tanto poterti aiutare - Ancora un sorriso colmo di gentilezza.

Per pochi istanti, Gala riuscì a sentirsi leggermente meno sola, ma fu una sensazione effimera. Rivolse a Lys un cenno di saluto e guardò la donna allontanarsi. Non aveva idea di dove potesse starsi recando. Sapeva che Lys era una donna fragile, ancora segnata dalla morte prematura del padre di Jel. Erano passati anni da quel giorno ma, per quanto lei ne sapeva, la donna non aveva mai visto nemmeno l'ombra di un altro uomo con cui costruirsi una nuova vita. Il suo rapporto con Jel doveva essere forte, anche se inconsueto: anche se Jel non glielo aveva mai detto apertamente, Gala aveva intuito che dalla morte di suo padre esso si fosse leggermente deteriorato. E aveva sempre notato la delicatezza, quasi la freddezza che trapelava spesso dagli atteggiamenti che assumevano l'uno verso l'altra.

La ragazza entrò in casa e si richiuse la porta alle spalle. Ricordava bene la dimora di Jel. Vi aveva trascorso così tanti momenti, fin dall'infanzia. Pomeriggi trascorsi a guardare ammirata Jel che si esercitava con semplici incantesimi, ridendo, parlando spensieratamente di qualunque cosa venisse loro in mente.
Il divario tra lei e Jel era sempre stato invalicabile, si rese conto in quel momento Gala con amarezza. E non si trattava solo della differenza d'età. Lei non... non sarebbe mai riuscita in ciò che il mago aveva realizzato. Dove lui era saldo e lucido, lei si scopriva sempre più fragile, quasi indifesa. Jel era entrato nel Consiglio non molto tempo dopo la morte di suo padre, mentre proprio pochi minuti prima lei aveva rifiutato la possibilità che il maestro Anérion le aveva offerto. Mentre Jel si destreggiava tra i suoi numerosi doveri da Consigliere, che cosa era riuscita a fare lei? Rimanere per giorni praticamente chiusa in casa, senza muovere un dito per quella che, fino a poco tempo prima era stata la sua stessa causa.
Tenendo a freno il forte desiderio di prendere a calci qualcosa, Gala rimase seduta sul comodo sofà nel soggiorno. La casa di Jel era sempre ordinata ed elegante, ma anche fredda, notò la ragazza stupita.
Non molto tempo più tardi, la serratura della porta d'ingresso scattò annunciando il rientro di Jel. Gala si rialzò immediatamente, non volendo farsi trovare lì stravaccata dopo giorni in cui lei e l'amico non si erano nemmeno parlati.
Jel si stava levando il lungo mantello nero di dosso quando si rese conto della sua presenza.

- Gala! - esclamò apparentemente sorpreso. - Che ci fai qui?

- Tua madre mi ha detto che potevo entrare... - rispose lei. - Sono qui da pochi minuti.

- D'accordo - il mago gettò il mantello su una seggiola e si lasciò cadere su una poltrona, di fronte a Gala. Si passò una mano sugli occhi, strofinandoseli stancamente.

- Come stai? - gli chiese Gala. È lui che dovrebbe chiederlo a me!

- Mi sento uno straccio - ammise il giovane mentre si toglieva gli stivali. Appoggiò la schiena sul morbido tessuto della poltrona. - Non so da quanto tempo è che non riesco più a dormire come si deve... - alzò lo sguardo su di lei. - Tu come stai?

Gala scrollò le spalle, mentendo più a se stessa che a lui in realtà. Se da una parte moriva dalla voglia di confidare al Consigliere ciò che era successo quel pomeriggio, dall'altra aveva paura del giudizio che Jel avrebbe potuto formulare una volta saputo che lei si era tirata indietro. Per il momento tentò di svicolare.

- Ho visto tua madre uscire - buttò lì. - Dove stava andando?

- Lady Miserys dà un ricevimento in onore di sua figlia, stasera. È promessa da anni a un nobile di Chexla e oggi celebrano il fidanzamento - Il giovane alzò gli occhi al cielo e concluse:- Ovviamente non avevo nessuna intenzione di andarci. Ma a mia madre farà bene vedere altre persone, è da secoli che non si dedica a un po' di vita mondana.

- Ma certo... - Gala annuì.

Jel le lanciò uno sguardo obliquo. Pareva aver intuito che qualcosa non andava. - Come mai sei qui, Gala?

- Oggi è... è successa una cosa.

- Bene! - lo sguardo del giovane mago si fece ancora più cupo - Anch'io ho qualcosa di cui parlarti.

- Ecco, io credo che nulla di quello che mi dirai potrà peggiorare la mia situazione - ribatté Gala. Si sentiva vicina alle lacrime, come spesso le accadeva in quei giorni. Dire a Jel la verità le sarebbe costato più del previsto... - Proprio oggi è venuto a trovarmi il maestro Anérion e...

- Credo che Sephirt sia ancora viva - la interruppe Jel.

A questo Gala non era preparata. Per alcuni istanti fu sicura di non aver capito bene. Non era possibile: Sephirt era morta, l'aveva pugnalata lei stessa. Aveva visto il suo corpo senza vita steso sul lastricato delle vie di Tamithia...

- Come fai a saperlo? - fu tutto ciò che riuscì a biasciare infine.

- Ne parlano tutti, anche a palazzo. Corre voce che tra le fila dei Ribelli si nasconda un demone. Una creatura dalla rara potenza magica, una strega rossa che porta i colori del Nord. Ti ricorda qualcuno?

Sephirt, maledizione...

- Volevi peggiorare la situazione? Ce l'hai fatta - disse la ragazza in tono grave tornando a sedersi e affondando nella stoffa imbottita del divano. - Sephirt viva... - ripeté a bassa voce. - Quindi sei sicuro che sia lei?

- Quasi sicuro. Ieri mi è giunta la notizia che l'assedio di Hiexil è stato spezzato. Le truppe ariadoriane erano vicinissime a riconquistare la città, ma poi... sono giunti rinforzi da Qorren. A loro comando c'era lei. Dicono che sia bastato il suo intervento per indurre alla fuga i nostri alleati... Le notizie dal fronte sono frammentarie, ma tutte concordano sul fatto che sia terribilmente pericolosa. Giovane, fredda, senza pietà. La chiamano demone per via del pallore. Dicono non abbia più un anima.

- Credi... credi che Theor, o qualcun altro, sia riuscito a salvarla?

- Non vedo come - rispose Jel aggrottando la fronte. - Ma non c'è altra spiegazione possibile. Dopotutto... ti sei accertata che fosse morta, dopo che l'avevi pugnalata?

- No - sussurrò Gala, ricordando solo in quel momento. La nausea la investì con violenza. - Non ho controllato se davvero avesse smesso di respirare.

- Grandioso - fece Jel freddamente. - Dunque anche la nostra ultima possibilità di essercela tolta dai piedi svanisce così.

Mi dispiace, Jel. Avrei dovuto ucciderla quando era il momento, avrebbe voluto dire Gala, ma il suo orgoglio glielo impedì. Piuttosto, dato che dopo quella nuova, pessima notizia, aveva avuto la conferma di quando male si stessero mettendo le cose nella sua vita, si decise a confessare la verità.

- Oggi ho rifiutato un seggio fisso nel Consiglio - mormorò, fissando le assi di legno del pavimento.

Forse le sue parole non ottennero lo stesso risultato plateale di quelle di Jel, ma anche lui parve - per un attimo - sconcertato.

- Hai rifiutato la nomina a Consigliere? Pensavo tenessi molto alla tua carriera politica.

- Ed è così. Cioè, era così - si corresse la ragazza all'istante. - Ma ora... ora è tutto cambiato. Ci siamo immischiati in qualcosa di molto più grande di noi. Lo hai detto anche tu, ricordi? E io... non credo che riuscirò a reggere ancora per molto.

- Pensavo che avessi messo in conto tutto questo. Quanti pericoli abbiamo affrontato durante il nostro viaggio? Quante volte abbiamo rischiato di morire? Eppure hai tenuto duro. Che ti succede adesso? È da giorni che manchi alle sedute del Consiglio. Non ti vedo né a palazzo né in giro. Che fai? Te ne stai rintanata in casa? Mentre - forse è necessario che te lo ricordi - là fuori è in corso una guerra?

- Io non sono te, va bene? - replicò la strega, furente, con le lacrime agli occhi. - Forse tu riesci a sopportare l'idea di aver perso il tuo maestro, di aver girato mezzo mondo inutilmente, di star perdendo la guerra e a continuare a lavorare, mai io... io non posso farlo.

Jel parve sull'orlo di dirle qualcosa, ma poi ci ripensò. Gala lo guardò mentre, in silenzio, si passava una mano fra i capelli ricci, apparentemente ponderante.

- Mi dispiace di non aver passato più tempo con te, in questi giorni - disse infine, tornando a fissarla. - So che ne avresti avuto bisogno, ma è dura anche per me. Senza Camosh nemmeno io ho più una figura di riferimento, nel Consiglio. Sto lavorando praticamente per due e mi sembra di avere la testa che mi scoppia.

Affondò il volto tra le mani. - Come se tutto questo non bastasse, le ricerche del... - s'interruppe, esitante - ... del traditore non stanno dando i frutti sperati. E ora salta fuori che Sephirt è ancora viva e operativa.

Gala avvertì un moto di rabbia, come tutte le volte in cui sentiva nominare l'omicida responsabile della morte di Camosh. Non abeva ben chiaro il perché, ma aveva la sensazione che su quella faccenda Jel ne sapesse piu di quanto non volesse laciar trapelare, e il fatto che non ne avesse mai parlato con lei era uno dei motivi che avevano portato al loro progressivo allontanamento.

- Se non hai più forza di continuare, lo capirò - concluse Jel, e Gala avvertì nella sua voce una dolcezza che non sentiva da tanto tempo. D'un tratto provò il forte e disperato bisogno di abbracciarlo.

- Sapevo che lo avresti fatto - disse invece, senza riuscire a fissarlo in volto. E comprese che quella conversazione sarebbe terminata lì. Senza riuscire a dire altro, la ragazza si alzò e raggiunse l'ingresso.

- Ci vediamo, Jel.

Aprì la porta.

- Ci vediamo, Gala.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 12 - Dubhne ***


Note dell'autrice: purtroppo, a causa di un improvviso reset nel mio IPad, la pagina contenenti gli appunti che ero solita prendere riguardo questa storia è stata cancellata. Riguardo questo capitolo, avevo scritto una decina di righe, di prova certo, ma di cui ero rimasta molto soddisfatta, e non mi sembra giusto riscrivere da capo quella parte con il rischio di renderla meno "riuscita" di quanto non fosse prima. E per questo che il dialogo tra Dubhne e Jack risulterà probabilmente "incompleto": è provvisorio, diciamo, ne manca una parte, ma appena avrò portato il dispositivo in un centro apposito (sperando che gli appunti siano in qualche modo recuperabili), vedrò di completarlo. Non so però se e quando questo sarà possibile, ma non voglio interrompere un'altra volta la storia. Scusatemi davvero! :'( Spero che il capitolo vi piaccia comunque.








12








Dubhne non si accorse subito di aver aperto gli occhi.
Ombre nere si frapponevano tra lei e il mondo circostante, correlate al pulsare delle sue tempie. Tentò di dire qualcosa, ma tutto ciò che le riuscì fu una sorta di grave gorgoglio. Piano piano, le immagini davanti a lei cominciarono a mettersi al proprio posto e la ragazza riprese coscienza di sé. Era stesa su qualcosa di rigido e stava fissando quello che sembrava il soffitto di un padiglione. Attorno a lei percepiva del brusio, unito al rumore di passi affrettati. Sempre presente, l'odore di ferro aleggiava nell'ambiente circostante.
Nel ricordare gli ultimi avvenimenti antecedenti al suo svenimento, la ragazza avvertì un'ondata di nausea attraversarla. Era come se tutto fosse appena andato in frantumi. Per quanto ne sapeva i suoi compagni d'armi, eccetto Jack, in quel momento potevano essere morti.
Ma dove si trovava in quel momento? Era ancora nel Nord? E soprattutto, dopo la disfatta a Hiexil, che ne era stato delle truppe ariadoriane?
Puntellandosi a fatica con i gomiti sul pavimento, Dubhne si mise a sedere. Dovette ignorare la fitta di mal di testa che la investì nel tirarsi su per non tornare a distendersi immediatamente. Si guardò intorno e comprese all'istante di trovarsi in una specie di infermeria. Accanto a lei, stesi a terra o adagiati su strette brandine, c'erano decine di soldati, disposti a ridosso delle pareti dell'ampio tendaggio. Nel centro scorreva un andirivieni di guaritrici e cerusici dall'aria affannata e preoccupata.
Dubhne non aveva fatto in tempo a scorgere uno di loro avanzare verso di lei che questo l'aveva afferrata per un braccio e fatta alzare.
- Se sei sveglia e non hai problemi alle gambe devi andartene. Non abbiamo abbastanza spazio per tutti, qui dentro - la avvertì con voce roca; aveva il volto segnato da profonde occhiaie. - Avanti, vattene.
Dubhne fu grata di non trovarsi di fronte a uno specchio; non voleva nemmeno pensare a che aspetto dovesse avere in quel momento.
Si divincolò stizzita dalla presa dell'uomo e fece quanto le era stato ordinato. Facendosi strada tra pozze di sangue e violente zaffate di odore di marcio, Dubhne attraversò il padiglione medico, continuando a cercare facce note tra quelle lì presenti. Era troppo debole e confusa per esserne sicura, ma le sembrò di individuare un paio di guerrieri appartenenti al proprio battaglione, apparentemente svenuti e coperti di sangue. Poco distante dall'ingresso della tenda gli occhi le caddero sul corpo martoriato di Neor.
No...
Si chinò su di lui tenendo a freno la tremarella. L'ex Combattente respirava ancora, ma versava in pessime condizioni. Il braccio sinistro gli era stato tagliato di netto, ma Dubhne pensò che probabilmente erano state le stesse guaritrici ad amputarglielo per impedire la cancrena. Il moncherino era avvolto da numerosi strati di bendaggi già impregnati di sangue. L'uomo dormiva con la bocca lievemente aperta, cosa che permise alla ragazza di dedurre che un colpo in volto gli avesse fatto saltare parecchi denti. Anche il resto del suo volto era una maschera gonfia di sangue.
Dubhne dovette far fronte ad un altro conato di vomito, che questa volta la costrinse ad alzarsi e correre fuori dall'infermeria. Piegata in due sull'erba, vi riversò come minimo tutto quanto aveva mangiato il giorno prima.
- Dubhne! - una voce, per metà sollevata, per metà severa, attirò la sua attenzione.
La giovane si pulì la bocca con una manica e, ignorando il disgustoso sapore che il vomito le aveva lasciato in gola, si voltò. Era Caley.
- Che cosa c'è?
- Jack mi ha mandato a controllare in che condizioni ti trovavi. Vuole parlarti.
Dubhne impiegò qualche istante per realizzarne il motivo, poi, con una stretta allo stomaco, comprese. Ignorando i gorgoglii del suo stomaco, rispose:- Arrivo subito. Dove... dove si trova?
- Vai da quella parte - spiegò Caley indicando la propria destra. - È nel padiglione più grande, quello con i colori dell'Ariador.
Dubhne fece per avviarsi, ma l'uomo la bloccò afferrandole una spalla. - Dubhne... - disse con voce impastata. - Sono contento che sia viva, almeno tu.
Lei lo squadrò da capo a piedi. Aveva una gamba percorsa da un taglio sanguinolento. Provò un disperato desiderio di scoppiare in lacrime, ma alla fine disse solo, con voce incrinata:- Anch'io sono contenta di non essere rimasta l'unica.
Faticando più del previsto a staccare gli di dosso all'espressione stravolta di Caley, Dubhne si avviò nella direzione che lui le aveva indicato.
Ripensando a tutto ciò che era successo, era davvero un sollievo che qualcun altro fosse rimasto in vita, oltre a loro. Ogni volta che sbatteva le palpebre la ragazza rivedeva le confuse immagini che le erano scorse davanti mentre Jack la portava via. L'accampamento dove finora erano stati stanziati era stato dato alle fiamme dai Ribelli, dunque dove si trovavano ora?
La ragazza raggiunse una tenda leggermente più spaziosa delle altre e dedusse fosse quella che Caley le aveva ordinato di raggiungere; era probabile che il vecchio padiglione di Jack fosse andato distrutto.
Ancora un po' frastornata, Dubhne trasse un lungo respiro. Non sarebbe stato piacevole, ne era ben consapevole. Jack aveva rischiato tutto per venire a salvarla e, sicuramente, non gliel'avrebbe lasciata passare con tanta facilità. Il fatto che avesse deciso di parlare con lei anche in una situazione di tale urgenza non era affatto incoraggiante.
Fece ancora un paio di passi in avanti e scostò i lembi di stoffa dell'entrata della tenda.
Jack era davanti a lei, seduto su una seggiola di legno, il volto tra le mani. Quando la ragazza entrò, non sollevò subito lo sguardo. Rimase fermo, abbassando le mani, e studiando le ferite che aveva riportato sulle braccia.
Dubhne avrebbe voluto ringraziarlo, chiedergli come si sentiva. Ma non ci riuscì; aveva paura, in parte, ma in parte provava anche uno strano senso di fastidio all'idea di sopportare la probabile sfuriata di Jack.
- Che cosa c'è, Jack? - chiese solamente con voce roca.
L'uomo la guardò con qualcosa di simile al disprezzo negli occhi, ma ancora non parlò.
Sempre più in ansia, Dubhne strinse i denti, prima di proferire:- Senti, a malapena mi reggo in piedi. Se non hai niente di importante da dirmi io faccio che...
- Sei stata un’imprudente, un’impudente.
L'impulso di controbattere fu troppo forte.
- Sono stata l’unica ad avere il coraggio di continuare a combattere.
- No. Tu sei stata stupida. Volevi impressionarmi, far vedere che sei la migliore. Beh, ci sei riuscita, ma ora so anche quanto tu sia limitata.
Dubhne incrociò le braccia, lasciandosi cadere su un secondo sgabello; anche se in quel momento fremeva di una rabbia incredibile ostentò un sorrisetto. – Credi che mi importi di quello che pensi? Per tutta la vita la gente mi ha giudicata, additata, pensando di sapere anche solo qualcosa di me. Beh, tu non sai un bel niente di me!
- Ora invece qualcosa la so!
Il fatto che Jack avesse alzato la voce in quel modo la sorprese a tal punto da indurla a tacere. L’uomo le si accostò, costringendola a rimanere seduta afferrandole i polsi. – Non ti importa nulla di morire, eh? Pensi che se ti farai ammazzare da un maledetto Ribelle importerà a qualcuno?
Dubhne fece per rispondere, ma lui la bloccò.
– Non ti azzardare! – ringhiò a denti stretti. – Non mi importa di quanti assassini tu abbia fatto fuori, non m’interessa se sei la pupilla di Città dei Re. Qui comando io, e se provi a mettere ancora una volta in discussione i miei ordini, giuro che ti sbatto fuori dal mio campo!
Per pochi istanti rimasero a squadrarsi, entrambi furenti, entrambi decisi a non abbassare lo sguardo.
Il petto di Jack si alzava ed abbassava frenetico dopo quello sfogo che probabilmente la ragazza si era meritata. Realizzò solo in quel momento che la presa dell’uomo sui suoi polsi le stava facendo male.
– Jack, non potresti…
- Perché combatti senza risparmiarti?
Quella domanda la colpì come una coltellata.
Il volto dell'uomo era a pochi centimetri dal suo, così vicino che Dubhne poteva avvertire il suo respiro sulla pelle. Una battaglia feroce le infuriava in cuore, aizzata da sentimenti dolorosamente contrastanti: il desiderio di non mostrarsi debole davanti a Jack, la rabbia per il fatto che lui le stesse urlando contro in quel modo, ma anche un incontrollabile desiderio di alzarsi e fuggire da lì, lontano, forse anche dovuto alla strana attrazione che sentiva di provare verso l'uomo che le stava davanti.
- Perché ti importa così poco della tua vita?
- Perché sono già morta - le parole uscirono dalla sua bocca senza che lo volesse veramente. - Sono già morta, e cerco disperatamente un modo per tornare a vivere. Combattere, rischiare la vita, uccidere... è tutto ciò che mi permette di farcela. La violenza è il mio modo e... e... senza di lei io non sono niente! Solo i ricordi del mio passato, e io credo... credo che prima o poi finiranno per uccidermi!
Un terribile quanto gravoso silenzio calò dopo quelle parole.
Poi, finalmente, Jack la lasciò andare e si scostò leggermente da lei.
- È anche il mio mondo - disse alla fine Jack lentamente. La furia pareva aver finalmente abbandonato il suo sguardo. - Abbiamo tutti qualcosa che ci tormenta. Ma tu non puoi lasciarti andare in questo modo.
Le lacrime premevano per sgorgarle dagli occhi, ma non volle cedere.
- Se pensi di non riuscire a reggere, - riprese Jack - se pensi che il tuo passato, il tuo presente o qualunque cosa per esso sia troppo duro da sopportare, allora puoi andartene. Sei ferita, dirò che non saresti più stata in grado di continuare a combattere. Non ti verrà recato alcun disonore. Ma se rimani... - e Dubhne fu colpita dall'improvvisa e spietata freddezza nel suo tono di voce - Se rimani dovrai smettere di comportarti in questo modo. Non dovrai più permetterti di disobbedire a un mio ordine. E se lo farai, io non intendo venire a salvarti una seconda volta. Mi hai capito?
Dubhne non rispose. Era come se la sua anima fosse sul punto di sgretolarsi. Non aveva più certezze, tutto ciò che aveva pensato di essere o di sapere prima di quel momento stava vacillando pericolosamente.
- Mi hai capito? - ripeté Jack sollevandole il mento con una mano.
- Ho capito - mormorò Dubhne senza riuscire a guardarlo negli occhi. Ma non si fermo lì. Non bastava.
Imponendosi di non piangere alzò il capo e fece qualcosa che non faceva da quasi dieci anni. - Perdonami, Jack. Avevi ragione. Sono soltanto un'assassina.
Finalmente, Jack allentò la presa sui suoi polsi fino a lasciarla andare. Si allontanò da lei e si passò una mano sulla fronte, come faceva di continuo in quel periodo.
Dopo averle rivolto ancora una gravosa occhiata, l'uomo fece per congedarsi. Prima di uscire dalla tenda, però, si fermò a guardarla ancora una volta. Dubhne mantenne lo sguardo fermo a terra. Trascorsero diversi istanti, poi...
- Non devi mentire a te stessa. Non sei solo questo.
Jack uscì.
Dubhne tentò di modulare il respiro, ancora affannoso, ma non vi riuscì per molto. Ora che il comandante non era più con lei, la barriera che aveva fino a quel momento contenuto il fiume delle sue emozioni si sgretolò definitivamente e la ragazza scoppiò in lacrime.

                                                                      ***

Impiegò una manciata di minuti per riprendersi.
All'inizio aveva pensato che le lacrime non avrebbero mai più cessato di scorrerle incontrollate sulle guance, ma poi, piano, aveva avvertito il proprio respiro calmarsi. Il caldo rossore sulle sue guance si era affievolito, il suo petto aveva cominciato ad abbassarsi ed alzarsi in modo più regolare.
Quando anche i singhiozzi ebbero smesso di scuoterla, Dubhne si decise a rialzarsi. Si passò una manica sugli occhi per asciugarli alla meglio.
Uscì dalla tenda di Jack con lo sguardo basso: non ci teneva particolarmente ad essere vista da tutti così scossa e con gli occhi arrossati. Jack non sembrava essere nei paraggi, cosa per cui la giovane fu particolarmente grata. Non sarebbe riuscita a incrociare di nuovo il suo sguardo.
Non sapeva che fare. In quel momento provava solo un incredibile desiderio di riposare, ma sapeva che sarebbe stato tempo sprecato. Non era riuscita a dormire nelle settimane immediatamente successive alla finale dei Giochi, in un momento come quello non avrebbe avuto speranza.
Pensò di tornare nella tenda-infermeria per controllare le condizioni di Neor. Anche se fosse morto, Dubhne non era sicura che ne avrebbe patito particolarmente, eppure sentiva che stare vicino a lui era la cosa da fare in quel momento. Glielo doveva, in un certo senso. Era pur sempre un Combattente come lei.
Il puzzo di cadavere si intensificò annunciando alla ragazza che doveva essersi riavvicinata all'infermeria. Si avvicinò al tendone resistendo alla tentazione di tapparsi il naso e, prima di entrare, lasciò passare due guaritrici che reggevano il corpo senza vita di un giovane soldato che non poteva essere molto più grande di lei. Poi entrò.
Neor era ancora steso al suo posto, subito dopo l'ingresso. Su di lui era china una guaritrice. Indossava un cappuccio scuro con un lembo che le copriva la bocca e il naso, ma anche così Dubhne ne distinse i lunghi capelli biondo chiaro. Non riuscì a distinguerne i lineamenti, ma perché avrebbe dovuto importarle?
Facendo attenzione a non calpestare il corpo accanto a quello di Neor, si accovacciò al suo fianco. Guardò le mani della guaritrice muoversi velocemente sul corpo dell'uomo, eppure con una tale delicatezza. La giovane donna gli applicò unguenti, cosparse le sue ferite con alcuni strani miscugli di erbe e gli cambiò le fasciature. Dubhne si limitò a fissare la scena, tenendo una mano appoggiata sulla spalla del guerriero.
Non appena ebbe finito, la guaritrice fece per rialzarsi. Ma poco prima di andarsene, fece qualcosa. Per un attimo sembrò tentata di volgere lo sguardo su di lei, e caso volle che Dubhne facesse lo stesso. Gli occhi castani della Combattente incontrarono quelli della ragazza, che si rivelarono di uno splendido e tenue azzurro. Immediatamente, un'emozione così lontana da parere sconosciuta investì il cuore della ragazza. Un insieme di affetto, agitazione e una terribile nostalgia.
Chiunque fosse quella donna, doveva averla già vista altre volte.
Quasi a disagio sotto il suo sguardo, la guaritrice si affrettò a raccogliere le bende impregnate di sangue e ad alzarsi per uscire.
Ma la parte più recondita e sentimentale dell'animo di Dubhne doveva avere già intuito tutto. Non poteva lasciarla andare via. Poteva essere l'ultima occasione certa che avrebbe avuto di rivederla.
Seguì la ragazza fuori dal padiglione.
Sebbene il dolore per gli avvenimenti del giorno prima fosse ancora vivo dentro di lei, qualcos'altro si era fatto strada nel suo cuore. Speranza, ma anche paura. E se si fosse sbagliata? Temeva nel richiamare l'attenzione della giovane, avvertendo il presentimento che, se si fosse voltata, l'incantesimo avrebbe potuto spezzarsi e quella nuova, meravigliosa aspettativa dissolversi tanto rapidamente quanto si era creata.
Alla fine capì di non poter trattenersi.
- Ehi, tu! - chiamò alle spalle della ragazza.
Lei smise all'istante di pulirsi il grembiule dai grumi di sangue e si voltò verso di lei. All'istante sul suo bel viso comparve un'espressione felicemente rassegnata. Dubhne avrebbe dovuto aspettarselo, ma non riuscì comunque a non trattenere il fiato.
- Non... - balbettò. - Non è possibile...
Era stata sorpresa nel rincontrare Neor, alcuni giorni prima. Ma fu niente in confronto allo sconvolgimento che la travolse in quel momento.
- Ciao Dubhne - disse Alesha con un mezzo sorriso.


Dopo averla tenuta stretta a sé per diversi lunghi istanti, giusto per accertarsi che la sua presenza fosse reale, Dubhne si separò dalla sua amica d'infanzia.
- Sei davvero tu... - continuava a mormorare Dubhne, non riuscendo a non sorridere febbrilmente. - Sei qui... dopo tutti questi anni...
- Ho pensato fino all'ultimo che non potessi essere tu - anche Alesha aveva la voce rotta dall'emozione. - Ho sentito così tanta gente parlare di te... Da quando sei arrivata, ma anche da prima, da quando, da quando... Dio, ma fatti guardare!
Si studiarono entrambe attentamente. Pur essendo decisamente maturata, Alesha non era cambiata molto. I capelli biondi e fini, legati in un'alta coda di cavallo, erano della stessa lunghezza in cui la ragazza era solita portarli alla sartoria del signor Tomson, e Dubhne era sicura che nulla avrebbe mai potuto affievolire la bellezza dei suoi occhi. Seppur indurita dall'esperienza e da tutto il sangue con cui doveva aver avuto a che fare in quella guerra, la sua espressione rimaneva dolce e gentile come quella che ostentava quando aveva solo quattordici anni.
- Sei davvero diventata una donna - sentenziò Alesha dopo qualche secondo. Per un attimo un'ombra incrinò la sua espressione.
Dubhne ebbe l'impressione di sapere a cosa fosse dovuta, ma passò oltre. Circondò le spalle dell'amica con un braccio, ancora incredula di essere davvero lì con lei.
- Andiamo via da qui per un po' - suggerì speranzosa. - Voglio che mi racconti tutto, di te, dell'Ariador...
- Tutto? - ripeté lei con un sorriso, alzando quasi impercettibilmente un sopracciglio. - Non credo di poterlo fare, per ora. Devo tornare dai feriti...
Dubhne pensò fosse meglio non contraddirla. Il suo volto era segnato e stanco, ma era evidente quanto si sentisse responsabile per quella gente. Alesha era così, lo era sempre stata: prodigarsi per gli altri era stata una sua vocazione fin dai tempi di Célia.
- Fai quello che devi - rispose, anche se il suo sorriso si era lievemente affievolito. - Ma stasera vedi di mettere da parte un buon momento per parlare. E se qualcuno tenterà di impedirglielo... beh, gli parlerò io.
Alesha rise in maniera piuttosto nervosa. - Non mancherò, lo giuro. E poi... anche tu hai decisamente qualcosa da raccontarmi.
Dubhne sorrise ancora. Ora che l'istantanea felicità nell'aver rivisto Alesha cominciava ad affievolirsi, la giovane aveva ripreso ad avvertire la stanchezza fisica, unita al dolore e allo smarrimento che l'avevano turbata fino a poco prima. Sentì l'infantile bisogno di accertarsi di una cosa.
- Al... - nel pronunciare, di nuovo dopo tanto tempo, quel nomignolo, il suo cuore fece una capriola - Sei sicura di... di essere contenta di vedermi?
Per tutta risposta, Alesha la abbracciò. E non ci sarebbe potuta essere risposta migliore per rasserenare almeno in parte l'animo di Dubhne.


Parlarono per tutta la serata, fino a notte inoltrata.
Dopo il pasto serale - che fu scarno e annacquato, come Dubhne si era aspettata - le due si erano appartate al limitare sud dell'accampamento, lontano dal fronte settentrionale e dal caos che vigeva anche a quell'ora fra le file di tende.
Stese sull'erba, avvolte in due spessi mantelli che Alesha era riuscita a procurarsi, ignorando il freddo, avevano rievocato tutte le vicissitudini che avevano seguito la loro separazione.
Dubhne ebbe modo dunque di conoscere gli spostamenti dell'amica, dagli anni trascorsi a lavorare nella sartoria nell'Ariador alla sua partenza con il raggiungimento della maggiore età, quando aveva ottenuto dal suo nuovo padrone il permesso di lasciare il lavoro. Venne a sapere dell'apprendistato di Alesha a Tamithia come guaritrice e della sua partenza per il Nord con lo scoppiare della ribellione.
Da parte sua, con lei Dubhne era riuscita a trovare il coraggio di parlare di Archie Farlow, degli anni trascorsi con la sua famiglia e del suo abbandono. Aveva raccontato di Malcom Shist, di Claris, di James, della drastica svolta che il suo carattere aveva subito senza che lei potesse averne controllo. Nominò per la prima volta con qualcuno il nome di Goresh, non nascondendo come ancora in quel momento non fosse del tutto pentita di ciò che aveva fatto.
Nell'apprendere ciò che aveva compiuto, Alesha non smise mai di tenerle stretta la mano. Più volte, nell'ambiente buio rischiarato dai fuochi dell'accampamento, Dubhne aveva visto la sua fronte aggrottarsi, il suo cipiglio indurirsi. Un paio di volte entrambe avevano versato qualche lacrima.
- Ebbene - concluse Dubhne dopo aver esaurito il proprio racconto. - Ora conosci la mia storia. Se... se pensi che quello che ho fatto possa in qualche modo dividerci... io... io non ti costringerò a starmi vicina. Non sono più una bambina. Non hai più nessun dovere verso di me. Non ne hai mai avuti, in realtà.
- Dubhne - ribatté Alesha, la voce ferma e rassicurante esattamente come quando le aveva detto addio circa dieci anni prima. - Io non ti ho vista compiere quelle cose. Io non c'ero. Non posso sapere quello che tu hai passato. Non posso giudicarti. Non voglio giudicarti.
Oh, Alesha...
- So solo che ti voglio bene, Dubhne. Te ne ho sempre voluto. In questi anni mi sei mancata da morire. Ho pensato che non ti avrei più rivista. E in questi ultimi mesi ho sentito parlare così tante volte della Ragazza del Sangue, pensando che fosse coraggiosa ma anche terribile, giusta ma anche crudele. E mai, mai avrei potuto immaginare che fossi proprio tu. - s'interruppe, chinando il capo. - Qui al campo ho sentito il tuo nome aleggiare nell'aria, l'ho sentito associare alla Ragazza del Sangue più volte, ma non ci ho potuto credere fino alla fine. Avevo paura di trovarmi davanti una persona che non aveva più niente in comune con quella che ho conosciuto dieci anni fa. E poi oggi ti ho rivista e ho capito... ho capito che non mi importa di quello che hai fatto. Tu sarai per sempre... sarai per sempre tu. La mia amica.
Nel sentire quelle parole così dolci e sentite, Dubhne ebbe per un istante la sensazione che forse non tutto era perduto, nemmeno in quel momento. Aveva dell'incredibile, ma Alesha era di nuovo al suo fianco. Dubhne era solo una bambina spaurita quando l'aveva incontrata la prima volta, ma già allora la sua presenza e la sua amicizia l'avevano fatto sentire più forte. Ora le cose potevano ripetersi. Ma ora aveva anche lei l'opportunità di restituire ad Alesha qualcosa.
- Alesha - disse d'istinto. - Qualunque cosa accada, sappi che finché rimarrò qui a combattere, tu sarai al sicuro. Non permetterò a nessuno di farti del male.
- Ne sono sicura, Dub. Ne sono sicura.

                                                                      ***

L'indomani, Dubhne si svegliò che non era ancora l'alba. Aveva dormito nella tenda che Alesha e un'altra guaritrice si erano offerte di condividere con lei. Dal momento che nessuno le aveva ancora fatto cenno di un'altra sistemazione, Dubhne aveva acconsentito con piacere.
La ragazza usci all'aria aperta soffocando uno sbadiglio. Nonostante sentisse gli occhi carichi e appesantiti, e le dolesse ancora tutto il corpo, si sentiva francamente sollevata rispetto al giorno prima. Forse non sarebbe durata, ma a discapito di tutto provava una inedita sensazione di ottimismo.
Le truppe ariadoriane avevano perso terreno e riportato una terribile batosta nel momento in cui i Ribelli avevano spezzato l'assedio di Hiexil, ma quello era pur sempre l'andamento comune di una guerra no? Che cosa si era aspettata, che le Cinque Terre potessero vincere nell'arco di un mese?
Attraversò il disordinato accampamento oltrepassando guerrieri ubriachi che dormivano sull'erba e qualche sporadico ferito non abbastanza grave da stare in infermeria che tentava di sistemarsi le fasciature attorno alle gambe o alle braccia.
Procedendo cautamente - si sentiva leggermente malferma sulle game - decise di passare a controllare le condizioni di Neor. Per quanto ne sapeva, poteva essere morto durante la notte.
Dubhne si sorprese della quasi totale apatia che provò nel formulare quel pensiero. Dentro di sé avvertiva solo una sorta di asciutta calma, un'assenza di emozione dovuta più che altro alla necessità e all'assuefazione a quel mondo così crudo che aveva sviluppato nell'ultimo anno.
Dopo essere rimasta nell'infermeria per alcuni minuti ed essersi accertata che l'ex Combattente fosse ancora vivo, per quanto malridotto, la ragazza uscì e riprese a camminare nella fredda luce mattutina.
Le dure parole che Jack le aveva rivolto il giorno prima erano ancora vivide nella sua mente. "Se pensi di non reggere, allora puoi andartene."
No, lei avrebbe retto. Combattere era il suo destino, e ora per una volta aveva la possibilità di farlo per una giusta causa. Il peso per le azioni che aveva patito e compiuto in passato sarebbe rimasto a gravare su di lei, questo non poteva evitarlo; ma se fino a quel momento lo aveva sopportato chiudendosi in se stessa e cercando disperatamente di assecondare il bisogno di provare emozioni travolgenti che la distogliessero dal suo dolore, adesso vedeva la possibilità di farlo in modo diverso.
Si diresse verso il pendio erboso dove aveva trascorso la serata insieme ad Alesha e vi si sedette ancora una volta, inspirando a pieni polmoni la fredda aria mattutina. La brezza gelida era rimasta immutata rispetto ai giorni precedenti, ma finalmente tra le nuvole opache si riusciva a scorgere un sole pallido sorgere all'orizzonte.
Dubhne rivolse lo sguardo ad est, verso Città dei Re, e poi più a sud, tornando con la mente alle colline che circondavano Célia. Era come se un'altra fase della sua vita si fosse appena conclusa, ma d'altra parte si sentiva stranamente vicina alle proprie origini.
- Dubhne.
La voce di Jack suonò stranamente incerta nel pronunciare il suo nome, ma non poteva che trattarsi di lui.
Piuttosto restia all'idea di condurre un'altra discussione, Dubhne si voltò verso di lui.
- Che cosa c'è? - chiese piano.
- Come ti senti?
- Io... - la giovane tentennò. - Meglio. O almeno credo.
Jack si sedette accanto a lei passandosi una mano fra i capelli. Per qualche secondo rimasero entrambi in silenzio, Dubhne aspettando che l'uomo si decidesse a parlare.
- Sei ancora convinta di voler rimanere? - le chiese alla fine.
Dubhne sorrise lievemente, pur sapendo quanto delicato fosse l'argomento.
- Sai - esordì. - Ieri avrei voluto ammazzarti. Ma in realtà... avevi ragione a dirmi quelle cose. - Si morse il labbro. Ammettere di essersi comportata con in modo così dissennato le stava costando parecchio. - Tutto quello che ho fatto finora... Sono stata una stupida.
- Puoi cambiare le cose, se lo vuoi.
- È quello che intendo fare - ribatté lei. - Avevo solo bisogno che qualcuno me lo facesse capire.
- Felice di esserti stato d'aiuto - fece Jack con un pizzico di ilarità. Raccolse da terra un grosso involucro di stoffa che finora Dubhne non aveva ancora notato. - L'ho fatta fare per te dopo il nostro primo combattimento, - disse porgendoglielo - ma non avevo ancora trovato l'occasione giusta per dartela. Non puoi combattere in mezzo alla neve con solo quella casacca addosso. Tu... prendila come un'offerta di pace.
Anche con il volto segnato e stanco, Jack le rivolse una strizzatina d'occhi.
Dubhne prese in mano l'involucro, lo depose a terra e lo aprì per svelarne il contenuto.
- Dio, Jack! - si lasciò sfuggire.
Era una divisa da combattimento. Ma non era spaiata e logora come quella che aveva indossato fino a quel momento, no, era la tenuta adatta per un membro dell'esercito. C'erano un gambeson nero, un paio di brache nuove di zecca e una cotta di maglia, più un surcotto su cui era ricamato lo stemma blu e oro dell'Ariador, un paramento in metallo per la spalla con cui reggeva la scimitarra e dei guanti di cuoio senza le dita.
- Ti piace?
- È stupenda - ammise Dubhne stupefatta. - Ma non... non dovevi...
- È il mio modo per dirti quanto tengo a te.
Quelle parole la colsero completamente alla sprovvista. Lo guardò in volto, e dovette ammettere di non riuscire a rimanere del tutto indifferente al suo sguardo limpido, al suo volto così provato ma anche così affascinante.
- Mi stai prendendo in giro? - domandò sperando di non essere arrossita.
Gli occhi del comandante percorsero in silenzio la sua figura, poi lui scosse la testa.
- Ti ho detto che sei un'impudente e una stupida, nella mia tenda, e forse lo sei davvero, ma sei anche... così autentica. Ti ho detto che a nessuno sarebbe importato se tu fossi morta, ma mentivo. Abbiamo bisogno di persone come te, qui.
Si alzò. Per un attimo Dubhne rimase leggermente spiazzata ma forse, dopotutto, era meglio così. Conosceva le remore che potevano sorgere quando una persona si spingeva "troppo in là". Jack era come lei, aveva un codice nel quale, la ragazza lo intuiva, non poteva esistere troppo spazio per i sentimentalismi.
Anche lei riavvolse la divisa nel suo involucro e, a fatica, si alzò reggendola.
- Non farmi pentire di averti dato una seconda possibilità.
Dubhne avvertì un'ondata di sicurezza avvolgerla, rendendola più solida nelle decisioni che aveva preso quel giorno. - Non lo farò.
Senza che se lo aspettasse, Jack si sporse in avanti e per un attimo Dubhne fu sicura che l'uomo l'avrebbe baciata sulle labbra. Un forte rossore avvolse le guance della Combattente mentre, invece, l'uomo le sfiorava la fronte con le sue.
- Potresti essere mia figlia, Dubhne - commentò lui ironico, allontanandosi.
Non aveva rinunciato a schernirla. Meglio così, dopotutto: erano in guerra e, per quanto Jack le piacesse, Dubhne non poteva permettersi di perdere di vista quello che era il vero obiettivo. Presto avrebbero dovuto rimettersi in marcia; non sapeva se verso nord o verso le città ariadoriane a sud, ma doveva mantenersi pronta per combattere di nuovo.
Tutto si sarebbe fatto più difficile ora.





Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 13 - Jel ***


                                                                      PARTE SECONDA

                                                                    LA MAGIA ANTICA


13








CITTÀ DEI RE


Jel trasse un respiro profondo.
Per un attimo, l'idea di stare sbagliando tutto lo avvolse. Era solo un Consigliere fra tanti, non aveva alcuna autorità in più rispetto agli altri membri del Gran Consiglio, anzi, probabilmente la sua giovane età l'avrebbe reso ancora meno meritevole di essere preso sul serio.
Per non parlare della terribile ingenuità che si celava nel gesto che stava per compiere: anche se, per assurdo, fosse riuscito a convincere il Custode, davvero pensava di essere abbastanza pronto anche solo per comprendere le sfumature della Magia Antica?
Ma ormai era lì, nei sotterranei della reggia di Città dei Re, in trepidante attesa che l'anziano Custode rispondesse alla parola d'ordine che il mago aveva appena pronunciato. Non poteva tornare indietro.
Cimentarsi con la Magia Antica è una follia, avrebbe detto Gala, gli occhi stretti e le sopracciglia aggrottate.
Ma lui non era Gala, e quella che un tempo era stata la sua migliore amica ora era diventata un'altra persona. La ragazza disillusa con cui aveva parlato pochi giorni prima non aveva nulla a che fare con la strega che era scappata di casa pur di seguirlo alla ricerca delle Pietre. Sicuramente Gala era maturata durante il viaggio che avevano compiuto attraversando tutta Fheriea, ma Jel aveva l'impressione che in quelle ultime settimane tutti i suoi progressi fossero stati oscurati da qualcos'altro. Nel fare ritorno a Grimal si erano entrambi trovati davanti a un bivio: ritirarsi, gettare la spugna e limitarsi a leccarsi le ferite, oppure andare avanti.
In quei momenti era indispensabile trovare la forza di reagire.
E Gala non ci è riuscita.
Evidentemente no, ma lui sì. Forse non con la prontezza e la saggezza cui avrebbe potuto ricorrere un uomo come Camosh, ma almeno non si era arreso. Forse la soluzione che credeva di aver trovato era la più stupida e avventata che avrebbe potuto venirgli in mente, ma se non altro avrebbe provato a perseguirla.
Stava per perdere definitivamente le speranze di essere lasciato entrare, quando finalmente qualcosa davanti a lui si mosse. La porta cominciò a dissolversi, fino a scomparire del tutto.
Per la seconda volta nella sua vita, Jel si ritrovò di fronte al custode Kryss. Era esile e calmo come la prima volta in cui l'aveva incontrato, ma sembrava in qualche modo più stanco, più connesso con il mondo terreno.
Nel vederlo si aprì in un inaspettato sorriso.
- Jel Cambrest - asserì con voce bassa. - Stranamente non sono affatto sorpreso di vederti.
- Sono qui per... - esordì lui, ma il suo interlocutore non lo lasciò terminare.
- Vuoi chiedermi aiuto, non è vero?
Il custode Kryss rientrava nella categoria di quelle persone che, almeno nel modesto parere di Jel, erano sempre e inspiegabilmente a conoscenza di tutto.
Stava già per arretrare di un passo e rimangiarsi tutti i propri propositi, quando il Custode gli assestò quella che sarebbe potuta passare per una pacca sulla spalla.
- Non avere paura, ragazzo. Entra, parliamo.
Ormai hai già commesso il tuo errore. Tanto valeva accontentare il Custode e seguirlo nel suo santuario.
- Lo sai, credo di aver intuito che tipo di uomo fossi nel momento in cui ti ho visto, quando tu e la tua amica siete venuti a ritirare la Pietra Gialla. - A piedi scalzi, Kryss si sedette senza far rumore sul pavimento di pietra e invitò Jel a fare lo stesso.
- Ma mi rendo conto di non averti ancora lasciato parlare - aggiunse, sempre mantenendo quel lieve sorriso. - Perdonami.
Jel lo prese come un invito ad esporre le proprie motivazioni e, mettendo da parte il lieve disagio, cercò di trovare le parole giuste per convincerlo.
- Ho riflettuto a lungo, Custode. So di non aver nessun diritto di venire qui per pretendere qualsiasi cosa da voi, quindi non lo farò. Io vi chiedo, no, vi prego di aiutarmi.
Parole artificiose, pensate ad hoc per l'occasione, eppure in qualche modo riflettevano abbastanza ligiamente la verità. In quel momento era davvero disperato; se si trovava lì era perché tutte le altre possibilità non gli erano sembrate abbastanza accattivanti da sollevarlo.
- Spero che non ti sia messo in testa che io possieda qualche potere fuori dall'ordinario, perché ti deluderei. I miei poteri sono eguali a quelli di qualunque altro mago - disse subito Kryss in tono pacato.
- Io non credo - replicò il giovane spontaneamente. - La conoscenza dei Custodi nelle arti magiche è sconfinata.
- Interessante - commentò il suo interlocutore con una vena di sarcasmo. - È la prima volta che qualcuno parla delle capacità di un Custode davanti a me.
Jel si morse il labbro. Doveva prestare maggiore attenzione nella scelta delle parole; i Custodi trascorrevano gran parte del loro tempo nella cripta, senza quasi intrattenere rapporti con altri esseri umani. Senza metterne in dubbio la saggezza, Jel aveva l'impressione che il loro carattere subisse mutamenti non indifferenti.
- Mi dispiace di essere sembrato arrogante. Non era mia intenzione.
- Ma certo, lo so - sorrise il vecchio davanti a lui. - Sono pronto ad ascoltare ciò che hai da dire.
D'accordo...
- Come ricorderete, ero io ad essere incaricato di radunare le Pietre. Ho attraversato l'intera Fheriea per raccogliere ognuna di esse, e ho avuto modo di avere a che fare direttamente con i Ribelli del Nord, e in più di un'occasione. Nessuno più di me può sapere quanto la situazione sia grave... specie dopo quanto ho scoperto pochi giorni fa.
Kryss non disse nulla; rimase fermo, a gambe incrociate, respirando piano. Jel lo prese per un invito a proseguire.
- C'è... una donna. No, una strega. Lei... era uno dei due sicari incaricati di seguire me e Gala per ucciderci. Erano stati mandati a cercarci da Theor in persona. Non abbiamo mai trattato la questione davanti ai membri del Consiglio per paura che la cosa potesse complicare ulteriormente la missione - s'interruppe. Parlare della vicenda gli riversava sempre addosso sensazioni sgradevoli. Pensando che non fosse il caso di menzionare anche Ftia per non allungare inutilmente il discorso, continuò - Noi... siamo riusciti ad eliminare il suo compagno in Ariador, poco prima di ritirare la Pietra Blu. Diversi giorni dopo siamo riusciti ad avere la meglio anche sulla sulla sua compagna. Eravamo convinti di averla uccisa.
Gala era convinta di averla uccisa. Lui era svenuto e inutile nel momento in cui avevano avuto la possibilità di disfarsi di Sephirt per sempre. - Ne eravate convinti - commentò il Custode in tono amaro. - Non è andata così, non è vero?
Ancora una volta Jel rifletté su come fosse opportuno procedere. - Questa strega aveva poteri davvero straordinari. Io non credo di aver mai visto nulla di simile. Praticava Evocazioni di dimensioni eccezionali senza il minimo sforzo e... e... era in grado di svanire nel nulla.
Una ruga di preoccupazione segnò per un istante la fronte dell'uomo seduto di fronte a lui. - Svanire nel nulla? - ripeté riacquistando il solito tono pacato. - Sei stato testimone di questa abilità?
- Io... - il giovane si bloccò. La verità era che lui, di fatto, non aveva visto niente, quel giorno sulle colline ariadoriane. Il giorno in cui Mal era morto. Anche quella volta tutto era stato nelle mani di Gala. - Io non ho visto nulla. Ma ho la testimonianza della mia compagna di viaggio.
- La ragazzina dai capelli viola, ma certo - sorrise Kryss. - Ti fidi di lei?
- Più che di ogni altra persona al mondo - rispose lui, anche se avvertì nella propria stessa voce una nota di incertezza.
Il Custode sospirò. - Vai avanti - lo invitò gentilmente.
- Come ho detto, pensavamo di averla uccisa. Ma una serie di notizie che ho ricevuto dal fronte hanno acceso in me il dubbio che possa, in qualche modo, essere ancora viva.
Parlarne attribuiva veridicità alla teoria che Sephirt fosse tornata, e la cosa gli metteva i brividi.
- I soldati alleati parlano di una donna rossa capace di compiere miracoli inauditi - continuò dopo aver deglutito. - Un'assassina feroce che massacra i nostri a decine in un solo colpo. Dicono che si debba a lei la conquista di Qorren.
- E tutto questo ti fa pensare che si tratti della vostra vecchia conoscenza.
- Precisamente.
Jel si torse le mani, poi si fece coraggio e andò avanti: - La missione ha completamente cambiato la mia vita. Mi sono abituato a correre dei rischi, ad essere sempre vigile... ad essere aperto alla possibilità di dover combattere e uccidere. Ma stare qui, impotente, mentre i nostri uomini muoiono e i Ribelli guadagnano man mano terreno... a questo non sono preparato.
- E come pensi che io possa lenire questa tua impotenza?
Per alcuni lunghi istanti calò il silenzio, finché Jel non si decise a rivelare il vero motivo per cui si era recato nella cripta di Città dei Re.
- L'unica Magia che ai miei occhi sembra essere in grado di contrastare quella donna è la Magia Antica. E voglio che me la insegnate.
Fu come se il tempo avesse improvvisamente cessato di scorrere e, per un attimo, parve che persino Kryss non riuscisse a trovare le parole per ribattere alla sua richiesta. Alla fine, l'espressione stupefatta del Custode si trasformò in una smorfia di tristezza.
- Non so che cosa tu sappia della Magia Antica, giovane Consigliere, ma io non ti posso aiutare - disse con calma.
Ma Jel non aveva intenzione di arrendersi; non ora che era riuscito ad esprimere finalmente la frustrazione che lo stava devastando in quei giorni. - Nell'intera Fheriea non c'è nessuno che conosca la Magia Antica meglio di un Custode. Vi chiedo solo di condividere la vostra conoscenza con me. Anche solo la teoria.
Ma Kryss aveva scosso la testa.
- Non è semplice come lo dipingi, e credo che tu lo sappia. Se pensassi di avere bisogno solo della teoria avresti potuto consultare uno qualunque dei libri della biblioteca.
Aveva ragione, era palese che avesse ragione. Imparare teoria e formule era un conto, ma acquisire la padronanza dell'incredibile intensità degli incantesimi antichi era tutt'altra faccenda. Ed era proprio per questo che Jel aveva bisogno di un maestro all'altezza.
- Siete l'unica persona che può aiutarmi - insistette cercando di mantenere saldo il tono della voce, dal quale trapelò comunque una nota d'urgenza. - È il contributo che potete dare a questa guerra.
Forse si era spinto troppo avanti, se ne rese conto nel vedere il volto del Custode incupirsi drasticamente.
- Non pretendo che un mago della tua età comprenda a fondo l'importanza del compito di un Custode - disse con freddezza raggelante. - Per questo sorvolerò sulla superficialità delle tue parole.
Jel avrebbe voluto replicare, afferrarlo per il bavero e intimargli di prendere la cosa sul serio, di staccarsi da quella sua dimensione mistica e riallacciare i rapporti con la realtà... ma non fece nulla di tutto questo. Se avesse sfiorato anche solo con un dito il Custode avrebbe potuto dire addio per sempre alla sua carriera di Consigliere, e allora non sarebbe più stato utile a niente e nessuno. Stava per voltare le spalle a Kryss per uscire dalla cripta, quando a sorpresa l'uomo parlò: - Credi di essere l'unico ad avermi mai chiesto una cosa simile?
Jel si immobilizzò. - Che significa? - domandò senza voltarsi.
- Altri maghi più vecchi ed esperti di te hanno provato a cimentarsi con i segreti della Magia Antica, e molti di loro prima avevano chiesto aiuto a me. Ma ho sempre rifiutato... perché le Evocazioni sono impegnative ed estenuanti da produrre, ma gli altri incantesimi... sono peggiori. La Magia Antica può garantire capacità che nessuno dovrebbe mai possedere.
- Non mi aiuterà, quindi?
- No - per un attimo Jel aveva sperato in una risposta differente. - Non posso farlo.
Il Consigliere sospirò. Dopotutto era andata come si sarebbe aspettato.

                                                                   ***

Seduto al proprio solito posto e rigirandosi la spilla da Consigliere fra le mani, Jel faticava a prestare attenzione alle parole che il maestro Ellanor stava pronunciando. Il suo sguardo continuava a saettare verso il posto affianco a lui, solitamente occupato da Gala, che ora era invece vuoto, inutilizzato. Anche l'uomo alla sua sinistra era diverso da quello che era abituato a vedere; al sostituire la presenza rassicurante di Camosh c'era ora lo sguardo preoccupato del maestro Anerion.
Presiedendo all'ennesima e apparentemente inutile riunione del Gran Consiglio, il mago non poteva fare a meno di pensare a quanto fosse critica la propria situazione. La propria... e quella della Cinque Terre in generale.
Il viaggio a Città dei Re era stato solo l'ultimo dei suoi fallimenti. Per il resto, nemmeno era riuscito a convincere Gala a continuare a partecipare alle riunioni nella reggia di Grimal.
Maestri e Consiglieri discutevano da mesi su come fosse più ragionevole agire per contenere l'ormai preoccupante avanzata dei Ribelli nei territori dell'Ariador settentrionale, ma nessuna decisione importante pareva essere stata presa. Senza le Pietre Magiche, il grande piano del Consiglio (sempre che fosse mai esistito) era andato beatamente in frantumi, e Jel aveva la netta impressione che, a quel punto, la maggior parte della responsabilità fosse nella mani dei generali che stavano combattendo sul campo. Dal fatto che le loro decisioni fossero fruttuose o avventate sarebbe dipeso l'esito del conflitto.
Per quanto Jel si fosse sempre ritenuto fiero del proprio ruolo di diplomatico, in quel momento temeva profondamente che le parole si stessero lentamente avviando verso la totale inutilità. Non c'era modo di dialogare con Theor o con qualcuno vicino a lui. Non c'erano particolari strategie militari che di cui i Consiglieri potessero discorrere. Tutto era confuso. Tutto era lontano e - almeno così pareva a Jel - ingestibile.
Fu per tutta questa serie di preoccupazioni che il giovane, nel discendere le scalinate del palazzo a riunione conclusa, si sentì particolarmente affranto. Oltre alla sfera emotiva già sinceramente messa alla prova, risentiva anche della fatica dovuta al fulmineo viaggio di andata e ritorno per Città dei Re: dopo il rifiuto del Custode Kryss di aiutarlo, aveva trascorso una notte sola in una locanda della capitale, per poi ripartire la mattina seguente, poco dopo l'alba. Il viaggio era durato, come di consueto, poco meno di una settimana; Jel aveva cavalcato da solo, finalmente di nuovo in groppa alla sua amata Ehme. Era la prima volta che compiva quell'itinerario in solitaria, ma dopo l'incredibile viaggio che aveva portato a termine insieme a Gala, la cosa non lo aveva colpito particolarmente.
Poter tornare a cavalcare con Ehme, la puledra d'argento che era stato l'ultimo regalo di suo padre, lo aveva in qualche modo rincuorato. Gli era mancata molto, nonostante per un periodo fosse stato così ansioso per la propria vita da non rivolgere il pensiero alla sorte dell'animale che lui e Gala avevano abbandonato nel mezzo del Bosco Hardist. La puledra di Jel aveva fatto ritorno, mentre del vecchio, malridotto Yin non era più trovata traccia. Probabilmente era morto nel tentativo di tornare a Grimal: esattamente ciò che lui aveva promesso che non sarebbe successo. Gala era stata incredibilmente restia a separarsi dall'animale e lui aveva tentato di convincerla che entrambi gli esemplari se la sarebbero cavata. Nel ripensare a quell'episodio, quando ancora lui e l'amica erano in fuga da Mal e Sephirt, Jel ebbe una dolorosa stretta allo stomaco, una sensazione di sgradevole calore quasi ustionante. A quell'epoca tutto era ancora così diverso, così tante cose sarebbe successe in seguito, prima che riuscissero anche solo a tornare a casa. Camosh ancora era in vita, Astapor Raek ancora era membro del Gran Consiglio, le città ariadoriane non erano ancora state conquistate... Ma lui aveva già ucciso, ricordò Jel con un sussulto; era accaduto in quella miserabile locanda sulla Grande Via in Haryar, nel primo vero contatto con il mondo spietato che in seguito sarebbe divenuto la loro normalità.
Attraversò le vie di Grimal quasi a memoria e, senza neanche che se ne accorgesse, le sue gambe lo condussero a casa. La costruzione era notevolmente diversa da come l'aveva lasciata diversi mesi prima. Lys, da sola, non possedeva né le capacità né la voglia per prendersi cura del giardino e della piccola stalla che aveva ospitato i loro due cavalli; per quanto riguardava quest'ultima, non che ce ne fosse stato particolarmente bisogno dal momento che Ehme e Yin erano partiti con Jel e Gala. Ma nel piccolo giardino l'erba era cresciuta, le piante erano divenute incolte e il vialetto lastricato si era rapidamente riempito di erbacce. Personalmente, Jel non aveva memoria di alcun incantesimo che riguardasse i vegetali e, anche in caso contrario, non avrebbe decisamente avuto il tempo di dedicarsi alla faccenda. No, la scelta più sensata sarebbe stata, semplicemente, rivolgersi ad un qualunque giardiniere, ma in quel momento il Consigliere non aveva alcuna voglia di trovarsi un estraneo a girare per casa.
Sua madre Lys aveva lasciato la sua camera immutata; si era limitata a mantenerla pulita e in ordine, come piaceva a lui. Il giovane non vi aveva trascorso molto tempo da quando era tornato a Grimal, anzi, in verità la sua casa aveva più che altro ricoperto il ruolo di dormitorio nell'ultimo periodo.
Fu proprio nell'inserire la chiave nel cancelletto che, alzando lo sguardo, si accorse del corvo che stava ritto con le zampe sulla staccionata. Era insolitamente silenzioso, notò il mago stupito ma, soprattutto portava legata alla zampa una minuscola pergamena.
Il cuore diede segnali di volergli balzare in gola all'istante. Sapendo di non dover ricominciare a sperare troppo presto, Jel si avvicinò all'animale e allungò le mani verso il laccetto che teneva il messaggio assicurato alla zampa.
Cra. Cra. Il corvo emise il suo verso e gli beccò una mano, senza troppa convinzione però.
Jel riuscì finalmente a liberare la piccola pergamena e la srotolò, avido di scoprirne il contenuto. Ma non trovò ad attenderlo parole del Custode come aveva sperato. No, la calligrafia era piccola e stranamente tondeggiante; non poteva che appartenere ad una donna.

Jel Cambrest, mia sorella è morta, ma il vostro debito non è estinto. Mi dovete ancora ottocento york, come da voi promesso. Aspetto una vostra risposta.

Era firmato: Norah Elbrik.
Per pochi istanti Jel rimase interdetto; poi, lentamente, un'immagine tornò a presentarsi nella sua mente: Ftia che offriva loro della marmellata di fiori spiegando che fosse un dono di sua sorella...
Si lasciò andare ad una smorfia infastidita; con tutto quello che era successo si era completamente dimenticato che la cacciatrice avesse una sorella che potesse riscuotere il debito. Se le cose fossero andate diversamente non si sarebbe dimenticato di pagarlo, pur malvolentieri sarebbe stato disposto a recapitare alla cacciatrice gli york che le doveva, dal primo all'ultimo. Ma Ftia li aveva traditi e ora era morta, e l'idea di pagare una così contingente somma di denaro ad una donna che nemmeno conosceva non era per lui molto allettante.
Fortunatamente Norah Elbrik aveva ritenuto più opportuno inviargli un corvo piuttosto che recarsi a Grimal di persona. A quel proposito, Jel si domandò quando esattamente Ftia avesse raccontato - probabilmente via lettera - alla sorella della faccenda del debito e, soprattutto, come il corvo avesse potuto trovare proprio la sua casa. Forse qualcuno in città l'aveva visto svolazzare senza una meta e, leggendo il suo nome sulla pergamena, aveva portato il corvo nelle vicinanze di casa sua.
Norah doveva aver pensato non fosse necessario attraversare Ariador e Stato dei Re per parlare con lui e convincerlo a rispettare l'accordo. Dopotutto lui era un Consigliere, una persona retta e onesta, di certo la donna si aspettava che in quanto tale onorasse il proprio impegno.
Jel accartocciò la pergamena ed entrò in casa; poi si avvicinò al caminetto e la gettò in mezzo alla cenere e ai tizzoni non ancora consumati.








Note:

Ok, so di aver già interrotto e ripreso la storia parecchie volte, ma finalmente sono riuscita a postare questo benedetto capitolo, il primo della seconda parte. So di essermi fatta aspettare tanto, e so so anche che il capitolo e decisamente più corto del precedente, ma spero che il risultato ripaghi almeno un po' le aspettative degli eventuali lettori. Ditemi che ne pensate, siete contenti di poter leggere di nuovo un pov del nostro Jel?
Non so quando riuscirò a pubblicare il prossimo capitolo, ma per ora non ci sono rischi che interrompa di nuovo la storia XD
Vorrei anche lasciarvi un piccolo extra, una cartina di Fheriea che finalmente sono riuscita a pubblicare!
fhe
Ditemi che ne pensate.

TaliaBaratheon

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 14 - Jel ***


14








Non c'erano dubbi su quanto la notizia avesse deluso Jel. Seppur ingenuamente, aveva sperato fino all'ultimo che la sottile pergamena legata alla zampa del corvo recasse parole appartenenti al Custode di Città dei Re; ma erano state le speranze di uno sciocco, in quanto i Custodi non erano adolescenti inclini ad invertire le proprie decisioni da un giorno all'altro. No, era più probabile che per molto, molto tempo, le loro strade non si sarebbero più incrociate.
- Che succede? - la voce di Lys giunse alle sue orecchie dal cucinotto; sua madre era intenta a prepararsi una tisana. Portandosi i capelli viola dietro le orecchie, la donna appoggiò due tazze fumanti sul tavolo rotondo davanti a lei. - Ne ho fatta un po' anche per te - sorrise, sedendosi.
Jel le si avvicinò e le strinse affettuosamente una spalla. - Ne ho davvero bisogno.
La imitò accomodandosi sulla propria seggiola e appoggiando i palmi sulla superficie della tazza. Una parte si lui si beò della piacevole sensazione di calore sulle mani infreddolite.
Da alcuni giorni un insolito quanto spiacevole clima autunnale si era riversato su Grimal. Solitamente, la città era una delle ultime a vedere il cielo sopra di sé incupirsi, i propri alberi ingiallirsi e le proprie strade riempirsi di foglie, ma quell'anno si aveva l'impressione che l'avvicendarsi delle stagioni fosse divenuto più frenetico. Ed era stato così che venti, se non freddi, almeno freschi avevano iniziato a soffiare da Nord, portando in città non solo una notevole quantità di raffreddori, ma anche un brivido minaccioso che aveva avvolto i cittadini. La collettività era più incline che mai alla suggestione, in quel periodo. I timori fondati e razionali riguardo la guerra che si stava combattendo si mescolavano a credenze folcloristiche che parevano essersi perse da tempo e a nuove paure legate alla vera natura della ribellione.
- Allora? - lo incalzò dolcemente Lys riportandolo alla realtà.
Jel si accorse di essere rimasto immobile, come incantato, per diverso tempo.
- Niente di rilevante - si affrettò a rispondere, scuotendo la testa e sperando di non lasciar trapelare il proprio fastidio. - Solo un vecchio debito, una cosa da nulla. È solo che... - sì, a sua madre poteva dirlo - mi sarei aspettato una missiva da qualcun altro.
- Capisco - annuì Lys. - Mi dispiace che il viaggio a Città dei Re non sia andato come speravi, qualunque fosse il tuo scopo.
Il mago le rivolse un sorriso stanco ma intriso di affetto. Non aveva confidato nemmeno a lei i dettagli del motivo della sua rapida peregrinazione nella capitale, ma era contento che lei gli offrisse la sua comprensione. Si era congedato, circa due settimane prima, dicendole semplicemente che andava a Nord per incontrare il Custode, una faccenda di natura politica.
Se Lys avesse mai nutrito anche il più vago interesse per il mondo dei Consiglieri avrebbe di certo saputo che i Custodi - almeno teoricamente - non dovevano avere nulla a che fare con la politica, ma, all'apice del proprio candore e disinteresse, non si era mai dedicata particolarmente all'attività svolta un tempo dal marito e in seguito dal figlio... e di conseguenza aveva dato retta senza problemi alla bugia. Per quanto il rapporto fra di loro fosse distante, Jel era sicuro che Lys apprezzasse il suo coinvolgimento negli affari del regno; semplicemente, ella preferiva non immischiarsi in faccende che, per sua scelta, mai aveva approfondito. Capitava infatti di rado che lei e Jel discorressero di politica fra loro. In verità, negli ultimi anni erano state piuttosto rare le occasioni in cui i due avessero condotto un vero e proprio discorso. Soltanto da quando il giovane era tornato a Grimal la situazione pareva aver cominciato, seppur con molta lentezza e fatica, ad ammorbidirsi. Sofferente nel proprio nuovo ruolo di Consigliere compito e dedito solamente al proprio lavoro, almeno in casa Jel si ritrovava in una condizione di grande fragilità. Se nella vita politica Jel aveva raggiunto quel nuovo stadio maturità in modo quasi automatico e naturale, in privato si sentiva più che mai assalito da dubbi e paure. Paure che lo tormentavano ogni giorno e in ogni momento, ma che a palazzo riusciva a nascondere molto bene.
In compagnia di sua madre, invece, provava il bisogno di parlarle, di confidarsi, benché qualcosa ancora lo trattenesse dall'aprirsi del tutto. Se avesse avuto Gala al proprio fianco sarebbe stato diverso, ma in quel momento sentiva la sua migliore amica più distante che mai.
- Gala è passata qui, mentre tu eri via - annunciò Lys quasi interpretando i suoi pensieri, al che lui si lasciò andare ad un altro, amaro sorriso. Per quanto la strega avesse deciso di abbandonare il suo mondo, sembrava che si rifiutasse di lasciarlo andare del tutto. Era probabile che, come lui, si sentisse terribilmente sola.
- Davvero? E che cosa ha detto?
- Non lo ha detto direttamente, ma ho inteso che avesse bisogno di qualcuno con cui parlare... di un amico. Quando le ho spiegato che non eri in casa mi ha chiesto dove fossi.
- E tu che hai risposto?
- La verità - disse Lys con semplicità, dopo aver sorseggiato la propria tisana. - Le ho detto che eri nella capitale per incontrare il Custode.
- Ha chiesto altro?
- No - la donna scosse la testa. - Le ho offerto qualcosa da bere - e alluse alla tisana con un sorrisetto. - Ma ha rifiutato. Quando ha scoperto che non c'eri è diventata piuttosto impaziente di andarsene...
Jel si sentiva più a disagio che mai. Gli sarebbe piaciuto poter parlare con Gala, ma l'idea di incontrarla e vedere nei suoi occhi spenti le proprie stesse frustrazioni e angosce era piuttosto scoraggiante. In fin dei conti era stato meglio che la ragazza fosse passata mentre lui era via. Impantanarsi in una nuova, deprimente conversazione sulle condizioni in cui versavano entrambi non sarebbe giovato molto al morale del giovane mago.
Terminò la propria tisana - sentendosi leggermente ristorato - e fece per avvicinarsi alla tinozza d'acqua calda che sua madre aveva posto vicino al camino.
- Lascia stare, faccio io - sorrise Lys prendendogli la tazza dalle mani. - Piuttosto, ti consiglio di dare un'occhiata alla lettera che ho lasciato sul tuo letto... È arrivata questa mattina.
Jel spalancò gli occhi. - Un'altra lettera? - domandò, mentre l'agitazione tornava ad avvolgerlo. - E perché non me l'hai detto prima?
- Non avresti mai bevuto la mia tisana, altrimenti - rispose lei alzando le mani con un piccolo sorriso. - E non avremmo scambiato neanche quelle due parole...
Frettolosamente, Jel le stampò un bacio sulla fronte, poi si affrettò a raggiungere la propria camera.
Lys non aveva mentito: sul cuscino piumato era appoggiata una seconda lettera, decisamente diversa da quella che aveva ricevuto pochi minuti prima da Norah Elbrik. Il sigillo che la teneva chiusa era nero: il colore dei Custodi.
Il cuore gli balzò in gola. Era possibile che... che...?
Il Consigliere allungò una mano e sciolse il sigillo poi, rischiando di lacerare la pergamena per la fretta, srotolò il messaggio. Nonostante l'ampia dimensione della lettera, sopra vi erano recate poche parole.

Sono disposto a darti una possibilità, Jel Cambrest. Non posso promettere nulla, ma se sei ancora sicuro di volerlo fare, ti aspetto a Città dei Re.

Non c'era firma, ma Jel dedusse che il Custode avesse capito non ce ne fosse bisogno. Per la prima volta dopo settimane, una sensazione che assomigliava vagamente all'euforia s'impossessò - per un istante - di lui.
Dopo un breve momento interlocutorio il giovane ripiegò la lettera, infilandosela in tasca, e uscì rapidamente dalla camera.
- Parto di nuovo - disse asciutto rivolto a sua madre, la quale lo fissò sorpresa.
- E per dove?
- La capitale.
- Di nuovo? - Lys rimarcò il concetto con le sopracciglia aggrottate.
- È importante - rispose solamente lui. - Più di quanto tu possa comprendere, adesso.
Fece per tornare in camera sua per preparare alla bell'e meglio la sacca da viaggio - non ancora del tutto disfatta da quello precedente - quando, un po' a sorpresa, Lys lo frenò afferrandolo delicatamente per un braccio.
- Jel - disse con voce insolitamente grave. - Quando tutto questo sarà finito, di qualunque cosa si tratti realmente... mi spiegherai finalmente come stanno le cose?
Il mago avverti qualcosa di simile alla commozione attanagliargli le viscere, accompagnata forse da un minimo di senso di colpa; pur dividendo con lui il sangue, la casa e la vita di tutti i giorni, Lys sapeva molto poco della ribellione che da mesi ormai occupava i suoi pensieri e le sue ansie. Le uniche notizie che le erano giunte erano arrivate alle sue orecchie tramite lo sparlare della gente comune e le sporadiche parole che Jel aveva condiviso con lei in proposito.
- Te lo prometto - rispose sforzandosi di sorridere. - È solo che non... non so quando sarà finita.
Anche sua madre sorrise. Paradossalmente, lo faceva più spesso da quando lui era tornato.
- Posso aspettare - commentò con fare rassicurante.
Jel si sentì sollevato che avesse capito. In quel momento aveva bisogno che lei capisse o, almeno, che non lo ostacolasse. Non avrebbe avuto la forza di condurre discussioni anche con lei.
- Beh... allora... io comincio a prepararmi.
- Sei sicuro di voler ripartire oggi stesso?
Jel sospirò. - Non ho tempo da perdere. Per come stanno le cose in questo momento, ogni istante è più prezioso del precedente.

                                                                    ***

Il fatto che il Custode Kryss avesse così repentinamente cambiato idea era per Jel motivo di grande perplessità. Nel leggere le parole che lo invitavano a tornare a Città dei Re il giovane aveva sentito solamente euforia e speranza ma, ora che quelle emozioni si erano affievolite, si chiedeva sinceramente cosa potesse avere indotto l'uomo a invertire la propria decisione.
Era possibile che, valutando le parole che Jel gli aveva rivolto, si fosse reso conto della gravità della situazione? Ne dubitava: a meno di non aver ricevuto altre notizie riguardo la gravità della situazione, non avrebbe avuto motivi abbastanza validi per farlo. Che prove aveva? La sua testimonianza e i suoi sospetti, nulla di più.
Mentre si ritrovava, ancora una volta, a cavalcare verso Nord, Jel sentiva la mente pervasa da ansie e domande ma, in qualche modo, anche da un incauto senso di ottimismo. Se non altro nei giorni che avrebbe trascorso a Città dei Re non sarebbe stato obbligato a presiedere alle ormai frustranti riunioni del Consiglio. Comunque fossero andate le cose, si sarebbe tenuto occupato; l'idea di adoperarsi per cercare di migliorare la propria situazione da una parte lo incoraggiava, anche se dall'altra lo riempiva di angoscia. Se si fosse rivelato tutto inutile, se la Magia Antica si fosse rivelata un'impresa troppo ardua per lui, beh... Sephirt avrebbe avuto campo libero e nessuno ad ostacolarla. Perché Jel dubitava sentitamente che uomini politici come Althon o Raenys - fra i pochi a saper padroneggiare gli incantesimi antichi - fossero disposti a scendere sul campo di battaglia per affrontare un "demone" di cui non era nemmeno certa l'esistenza.
Era partito da poche ore, e già il cielo si avvicinava all'imbrunire. Più a Nord ci si trovava, più le giornate si accorciavano e il clima diveniva rigido, nonostante fosse autunno solamente da poche settimane. La Grande Via era cosparsa da foglie secche che, cadute dagli alberi, venivano spinte dal vento in ogni direzione, fino a posarsi sulla strada di terra battuta e poi risollevarsi in mulinelli colorati.
L'indomani avrebbe dovuto lasciare la via principale che collegava le capitali di Fheriea e imboccarne una leggermente più stretta, che collegava Grimal a Città dei Re; aveva riflettuto in fretta ed era giunto alla conclusione che proseguire senza sostare per la notte sarebbe stata la scelta migliore. Nonostante fosse sfinito dai continui spostamenti, desiderava raggiungere Città dei Re il prima possibile.
In realtà, il Custode non aveva scritto apertamente di aver accettato di istruirlo a proposito della Magia Antica, lo aveva solo invitato ad un nuovo colloquio, probabilmente anche per discutere delle implicazioni che avrebbero accompagnato il suo addestramento. Ma il giovane era sicuro che Kryss non fosse un uomo dedito a girare intorno alle faccende senza prendere decisioni: riflessivo e cauto, certo, ma non ignavo. Non lo avrebbe spinto a tornare nella capitale così presto in pochi giorni per poi deluderlo.
Insomma, Jel era piuttosto sicuro che il Custode, qualunque fosse la ragione precisa, avesse ceduto. La vera sfida, ora, era scoprire quanto lui stesso potesse spingersi oltre i propri limiti.


Cavalcò per tutta la notte.
Nonostante fosse esausto - ed Ehme più di lui probabilmente - si ostinò a proseguire senza sosta fino alle prime luci dell'alba. Solo dopo che il sole fu sorto del tutto, inondando le lande pianeggianti dello Stato dei Re centrale, si permise di frenare la cavalcata della puledra per fare una sosta e mangiare qualcosa.
Scendendo da cavallo, il Consigliere non riuscì a reprimere una smorfia di dolore: a furia di tenere strette le redini, le sue mani si erano riempite di vesciche. Anche le gambe gli dolevano terribilmente.
Cercando di ignorare il malessere e la stanchezza, Jel si avvicinò alla sacca che aveva assicurato accanto alle sella e la aprì, estraendo la bisaccia con le poche provviste che aveva portato per il viaggio.
Si sedette sull'erba reggendo in mano una striscia di focaccia che sua madre aveva comprato dal fornaio la mattina precedente e una borraccia colma d'acqua fresca. Se ne versò una piccola quantità sulle ferite dei palmi e si guardò intorno; a separarlo dall'Ariador, in quel momento, erano solo alcune miglia di pianura e poi le cime aguzze del massiccio dello Jeroslav. Aldilà di esso, la piccola foresta di Arya e poi, ne era consapevole, la guerra.
Hai già dato il tuo contributo, si ricordò il mago tentando di scacciare la paura che strisciava fuori dal suo animo. E molto presto disporrai delle armi per affrontare Sephirt una volta per tutte.
Doveva aggrapparsi a quella speranza. Sapeva di dover mantenersi preparato all'idea di un totale fallimento, ma pensare di riportarne un altro era qualcosa di troppo amaro.
Mentre, avvolto dal silenzio spezzato solo dal rumore del vento, consumava la propria colazione, guardava Ehme brucare placidamente vicino a lui. Doveva essere sfinita, ma gli Stalloni Nordici erano in assoluto la razza più coriacea e resistente dell'intero continente. Aveva affrontato difficoltà incredibili, di certo sarebbe resistita a quel viaggio.
Jel si concesse ancora qualche minuto per riposare le gambe; avrebbe voluto applicare qualche formula curativa sulle vesciche delle mani, ma al momento non credeva di disporre della concentrazione necessaria.
Avrò tempo di occuparmene quando arriverò a Città dei Re.
Doveva solo tenere duro ancora per un po'; una volta a destinazione, prima di presentarsi al Custode, si sarebbe preso una mezza giornata per riposare.
Si rimise a cavallo sentendosi stranamente più tranquillo, nonostante gli acciacchi fisici; la sua situazione sembrava essersi sbloccata, finalmente, e la cosa pareva avergli infuso nuove forze. Le cupe emozioni che turbavano il suo animo in quei giorni si alternavano a momenti di speranza.
Ancora qualche miglia. Poi avrai le tue risposte.
Lo sperava con tutto se stesso, sperava che il Custode potesse rivelarsi la chiave per lenire il terribile senso di rabbia e impotenza che aveva investito lui come l'intero Stato dei Re.
- Ancora uno sforzo, Ehme - sussurrò assestandole qualche pacca sul collo, poi ne colpì i fianchi con le staffe e ripartì.


Fu nella capitale in quattro giorni, un tempo considerevolmente breve per un itinerario così lungo.
Prima di avvicinarsi a palazzo, sostò per qualche ora nella camera di una modesta locanda poco distante dal centro della città, per riposarsi e rifocillarsi adeguatamente. Dopo essersi ripulito e aver finalmente applicato un incanto curativo sulle proprie mani doloranti, decise che era tempo di andare.
Fermo sulla porta della propria stanza, inondata dalla forte luce del primo pomeriggio, non poté impedirsi di esitare.
Ma fu solo un istante. Era arrivato fin lì; il Custode Kryss aveva deciso di dargli una possibilità o anche solo di ascoltarlo. Una opportunità del genere non gli si sarebbe presentata mai più.








Note:

Il capitolo fa davvero schifo, ed è anche molto striminzito, ma dovrebbe essere l'ultimo capitolo di passaggio; dal prossimo la storia dovrebbe tornare a risvolti più interessanti. Ringrazio ovviamente Florence Eire ed easter_huit che hanno recensito lo scorso capitolo :)

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 15 - Jel/Gala ***


15








Nello scorgere Jel Cambrest procedere verso di lei a capo chino, Gala si affrettò a farsi da parte, portandosi il colletto fin sopra le labbra. Preferiva agire senza che il giovane lo sapesse; in caso contrario, avrebbe sicuramente insistito nel dissuaderla, nel convincerla a lasciar perdere. Dopotutto ormai non era nemmeno più un membro del Consiglio.
Ma voleva compiere almeno un'ultima buona azione. Non poteva aiutare Jel o Fheriea direttamente, questo lo aveva capito, ma poteva fare in modo che almeno Jel si ritrovasse con in mano qualche arma in più.
Era partita da Grimal il giorno stesso della sua visita a Lys. L'idea era sorta nella sua mente già mentre ascoltava le parole della madre di Jel a proposito del suo viaggio nella capitale e, una volta tornata a casa, aveva avuto modo di pensarci. Ormai libera dagli impegni del Consiglio - al quale aveva restituito spilla e mantello pochi giorni prima - aveva pensato non potesse farle male un semplice viaggio a cavallo, seppur lungo come quello per Città dei Re.
Se Sephirt era ancora viva era solamente colpa sua. Lei, che non aveva nemmeno avuto la freddezza per controllare ed accertarsi che il cuore della strega avesse smesso di battere, quel giorno a Tamithia.
Da quando aveva appreso la notizia dallo stesso Jel, il suo umore si era ulteriormente incupito: i sensi di colpa per non essere riuscita né a vendicare Camosh né a dimostrarsi un Consigliere all'altezza non erano più i soli a tormentare il suo cuore. Ora anche il pensiero di aver permesso che Sephirt tornasse in circolazione dopo aver avuto una così netta possibilità di farla finita per sempre...
Era stato per questo che non aveva impiegato che pochi secondi per comprendere perché Jel si fosse recato dal Custode Kryss. Non aveva vere e proprie prove che confermassero la propria teoria, ma quali altri motivi avrebbe potuto avere? Il mago era andato là per chiedere aiuto, una aiuto che potesse permettergli di confrontarsi un'altra volta con Sephirt. Gala ricordava con agghiacciante chiarezza le immagini del feroce combattimento tra i due, nella casa di Ftia: allora Jel aveva dato tutto se stesso, ma non era bastato. Se era sopravvissuto, per una volta, era stato merito dell'intervento di lei stessa. Conosceva bene Jel, ed era sicura che il ricordo della sconfitta sarebbe rimasto serbato nel suo cuore forse per sempre. Quando l'amico le aveva rivelato i suoi sospetti sul fatto che la strega fosse sopravvissuta, Gala aveva capito come, probabilmente, Jel avvertisse au di sé la responsabilità di vedersela con lei un'altra volta.
Ecco perché aveva deciso di cimentarsi con i segreti della Magia Antica. Perché era l'unico modo che avrebbero potuto sfruttare per avere la meglio su una guerriera apparentemente imbattibile.
Ma Kryss non avrebbe mai accettato, e come lui anche qualunque altro Custode. Forse Jel non ricordava le lezioni apprese quando erano poco più che dei bambini, ma lei sì, Camosh glielo aveva ripetuto un'infinità di volte: i Custodi avevano giurato di non prendere parta alcuna nelle guerre del continente, così come nelle sue vicissitudini politiche.
Dunque perché recarsi anche lei al cospetto di Kryss?
Non lo sapeva di preciso. Non sapeva cosa l'avesse spinta. Dopotutto c'era la seria possibilità che il suo viaggio - come quello di Jel, a giudicare dall'espressione che gli aveva scorto in viso - si rivelasse inutile. Ma quella era la sua possibilità di fare la cosa giusta un'ultima volta, dare almeno un piccolo contributo alla causa delle Cinque Terre e di Jel. Dopotutto era stata compagna di viaggio di Jel e testimone di quanto Sephirt fosse in grado di compiere, ed era stata la protetta di Camosh, che in gioventù era stato un caro amico del Custode Kryss. Valeva la pena tentare, dopotutto che aveva da perdere?
Dopo che fu sicura che Jel si fosse allontanato senza averla notata, la ragazza riprese a camminare in direzione del palazzo reale.




- Concentrati Jel, concentrati.
Jel si asciugò il sudore dalla fronte con una manica. Era come se la temperatura della cripta si fosse innalzata drasticamente negli ultimi minuti.
- Cerca dentro di te, Jel, non tentare di trovare una risposta in quello che vedi. Distaccati da ciò che hai intorno. - E come potrò combattere con Sephirt senza avere la percezione di ciò che succede?
Il Custode sospirò, fissandolo con aria critica. - Mi hai chiesto di aiutarti, ma troppi dubbi ti ostacolano. Devi fidarti di me, o non padroneggerai mai la Magia Antica.
La stanchezza non era dovuta ad alcun tipo di sforzo fisico, eppure aveva conseguenze lungo tutto il suo corpo. Naturalmente, si era aspettato qualcosa del diverso dalla comune fatica, ma niente avrebbe potuto prepararlo alla particolarità della situazione che stava vivendo in quel momento: pur essendo fermo, seduto a gambe incrociate sul fresco pavimento di pietra, ansimava come non mai, il fiato corto e i muscoli tesi come nel mezzo di un combattimento. Sentiva i riccioli sgradevolmente appiccicati sulla fronte imperlata di sudore, nonostante la temperatura della cripta gli fosse sembrata piacevole nel momento in cui vi aveva messo piede quella mattina.
- Non so nemmeno quello che devo fare, non so quando saprò di esserci riuscito - si lamentò, tentato di abbandonare quella scomoda posizione.
Non desistere. Non desistere.
Kryss taceva.
Jel sapeva di non poter mollare, non dopo tutto lo sforzo che aveva fatto per convincere il Custode ad aiutarlo. Doveva concentrarsi sui propri e obiettivi, e in ogni goccia di sudore versata doveva vedere un piccolo passo nella lunga marcia che l'avrebbe portato al raggiungimento del suo scopo. Ma anche questi tentativi di convincersene destavano in lui altri dubbi e frustrazione: l'addestramento era cominciato da poche ore, e lui già doveva combattere per tentare di non mollare tutto e darsi per vinto riguardo tutta quella faccenda.
Per praticare un qualunque incantesimo era necessario dominare flussi di Magia, ma Jel non si era mai pienamente reso conto di una cosa: l'energia che lo pervadeva prima di lanciare un qualunque sortilegio non proveniva affatto da dentro di lui; piuttosto, il suo ruolo era quello di lasciare che la Magia lo attraversasse, trasformandolo in un tramite in grado di indirizzarla.
Era questa la differenza con la Magia Antica, il solco più profondo. Per governare quella potente e complessa branca della Magia non era necessario sfruttare quella che scorreva nel mondo esterno, bensì ricercarla dentro di sé. E Jel non avrebbe mai potuto pensare che potesse essere così difficile.
Eppure Kryss era stato chiaro: se voleva avvicinarsi anche solo ad un incantesimo della Magia Antica, era necessario che superasse quella prima prova. Era un passaggio obbligato.
Nella sua mente risuonarono le parole che il Custode gli aveva ripetuto sottovoce per tutto il tempo in cui aveva tentato di sentire la Magia scorrere nelle sue vene. Cerca dentro di te, Jel. Percepiscila.
- Basta così - la voce di Kryss gli giunse alle orecchie proprio nel momento in cui aveva creduto di cominciare ad avvertire qualcosa.
Un po' amareggiato dall'essere stato interrotto in quel modo, rivolse al Custode uno sguardo interrogativo. - Perché adesso?
- Questo genere di esercizi va assunto a piccole dosi - fu la risposta dell'uomo di fronte a lui. - Se ti getterai a capofitto in questo addestramento senza essere preparato finirai per perdere il senno.
- Dovrei impazzire per essere stato un paio d'ore qui seduto?
Piccato, il giovane proferì quelle parole, ma si rese conto di quanto fossero ingenue già pochi secondi dopo averle pronunciate. Le membra gli dolevano, in preda a uno strano formicolio, diffondendo in lui la sensazione di aver appena condotto uno sforzo fisico e non solamente mentale.
Kryss gli rivolse uno sguardo glaciale, nella sua pacatezza, poi un piccolo sospiro anticipò le sue parole:- Non farmi pentire della mia scelta, Jel. Questa disciplina richiede dei requisiti obbligatori, e la maturità è uno di questi.
- Ma certo - Jel chinò il capo. Non doveva dimenticare chi si trovava davanti, anche se in quel momento avrebbe provato una gran voglia di farlo. Ma il Custode aveva ragione: doveva dimostrare di essere all'altezza, perché lui lo era, lo era eccome.
Mentre si apprestava ad indossare di nuovo il proprio mantello e uscire, il mago non riuscì a trattenersi dal porre al custode una domanda:- Se posso... che cosa l'ha indotta a cambiare idea su di me?
- Io non ho mai avuto dubbi su di te, Jel, non era questo il problema.
Kryss si lasciò andare ad un nuovo respiro profondo. Sembrava che affrontare l'argomento gli costasse tanta fatica quanta era stata quella di Jel nel rimanere concentrato nelle ore precedenti. - I Custodi non prendono parte alcuna alle vicende del continente - spiegò alla fine in tono grave. - Il nostro ordine è vincolato da un giuramento che ci impedisce di impegnarci attivamente in qualunque guerra combattuta sul suolo di Fheriea.
Jel si scoprì meno sorpreso di quanto si sarebbe aspettato. Non si era mai propriamente chiesto come mai i reali di Fheriea non avessero mai nemmeno preso in considerazione l'idea di coinvolgere i Custodi in una riunione del Consiglio, ma ora si rendeva di quanto la cosa fosse scontata. Era ovvio che ci fosse qualcosa dietro il totale disimpegno dei Custodi.
Il giovane si rese conto che Kryss aveva ricominciato a parlare:- Le regole del nostro ordine sono estremamente rigide e nessuno vi è mai venuto meno. Avrei preferito non essere il primo a farlo, ma poi qualcosa mi ha convinto che forse ne sarebbe valsa la pena.
- Per Camosh, non è vero?
Lui annuì. - Il mio amico Camosh teneva molto a te, credeva fossi destinato a grandi cose. Quando ho capito che il mio ultimo atto verso di lui poteva essere dare fiducia al suo apprendista, ho deciso di accettare.
Per il momento quella risposta gli poteva bastare.
Salutò il Custode con un cenno di rispetto, poi si voltò verso l'uscita.
- Ti aspetto qui domani, con lo stesso orario di oggi.
Jel fu tentato di arrestarsi e chiedere di poter continuare quello stesso pomeriggio, ma alla fine desistette dall'intento. Doveva cominciare a fidarsi; se il Custode riteneva fosse meglio cominciare con calma, doveva attenersi alla sua volontà. Anche se avrebbe desiderato più di ogni altra cosa poter raggiungere il proprio obiettivo in fretta e tornare il più presto possibile sul campo di battaglia. Ma quello era un pensiero infantile ed avventato, e lui lo sapeva. Per quanto la cosa potesse essere frustrante, doveva far fronte allo squilibrio tra il tempo necessario per imparare a padroneggiare la Magia Antica e quello, decisamente ristretto, in cui ci sarebbe ancora stata speranza di fronteggiare Sephirt.
Avvolto da quella nube di cupi pensieri, Jel si affrettò a risalire in superficie; si era appena ricordato che per quel pomeriggio era fissata una riunione tra i Consiglieri di Città dei Re a proposito della gestione dei profughi che dalle terre settentrionali si erano riversati nella capitale. Se Kryss gli avesse chiesto di presentarsi nei sotterranei anche quel pomeriggio, Jel non si sarebbe posto particolari problemi nel non presentarvisi, ma a quel punto tanto valeva parteciparvi. Non sapeva quale prospettiva lo attirasse di meno, se passare un pomeriggio steso sul letto in preda all'ansia o a discutere di noiosi affari amministrativi. Se si fosse recato alla riunione, almeno si sarebbe tenuto occupato e, forse, sarebbe riuscito a tenere a bada l'angoscia che a intervalli irregolari lo ghermiva.
Fu per questo che si lasciò alle spalle il palazzo reale in fretta: voleva passare da casa per pranzare velocemente e darsi una sistemata, prima di ripresentarsi al cospetto di Anerion e gli altri. La battaglia più grande doveva ancora compiersi, e quel periodo altro non era che una sorta di "preparazione" ad essa, in ogni senso. Sarebbe stata dura, ma Jel doveva fare in modo di trovarsi pronto nel momento in cui la resa dei conti sarebbe arrivata.



Davanti all'apparentemente ottusa caparbietà del Custode, Gala fece per voltarsi e lasciare la cripta. Poi qualcosa la spinse a resistere.
- Camosh avrebbe voluto che voi lo aiutaste. Che voi ci aiutaste tutti - disse con voce rotta. - Io non posso sapere come fosse allora, quando Will ha guidato tutti voi per impedire che Fheriea venisse distrutta. E so... so che questi Ribelli del Nord non possono fare paura come un popolo straniero che cavalca draghi e viverne. Ma questa donna... - strinse i pugni per impedire che la voce le si incrinasse ancora. - Questa donna potrebbe cambiare tutto. Io l'ho vista, so di cosa è capace. E dobbiamo fermarla a ogni costo.
Era la verità, anche se Camosh, fosse stato ancora con loro, avrebbe probabilmente preferito tenerli il più possibile lontani dai guai e affrontare Sephirt lui stesso. Ma Camosh era morto, perduto, ucciso dal traditore Astapor Raek. Al momento, Jel era l'unica persona ad aver saggiato le reali capacità della strega e al contempo avere una sottile possibilità di fronteggiarla ad armi pari.
La ragazza non si attardò ad attendere la risposta del Custode. Il lieve cambio di espressione sul volto del vecchio nel sentire nominare Janor Camosh era valso più di mille parole.








Note:

Che brutto capitolo. Sono un disastro, lo so. Quanto è passato dall'ultimo aggiornamento, tre mesi? E non sono neanche riuscita a fare un capitolo di una lunghezza decente, o anche solo accettabile. Alla faccia della storia interrotta quest'estate. Era da anni che non scrivevo un capitolo di cui essere meno soddisfatta. Ma almeno ce l'ho fatta, sono tornata a postare, e la voglia di scrivere sta tornando. Mi scuso con tutti gli eventuali lettori per l'essermi fatta aspettare così tanto. Spero di riuscire ad aggiornare un po' più assiduamente d'ora in avanti, ma ormai non prometto più niente :')

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 16 - Dubhne ***


16








Fumo nero si levava dalle pire funebri.
Dubhne osservava i corpi dei cadaveri bruciare adagiati su nidi di legna secca, con gli occhi che le lacrimavano in mezzo all'ambiente fumoso.
Non era la prima volta che assisteva ad un funerale, anzi, in verità in quei giorni era stata una delle sue principali occupazioni. Dalle infermerie non giungevano buone notizie: i feriti continuavano a morire come mosche, nonostante il lavoro senza tregua delle guaritrici. Il conto dei morti era divenuto così alto che cominciava a mancare lo spazio per disporli, ma bisognava ammettere che, pur in una situazione così complicata e caotica, gli ariadoriani si erano dimostrati alquanto efficienti. Onde evitare il diffondersi di epidemie, si era insistito affinché i corpi venissero bruciati al più presto, e così effettivamente era stato. Gruppi di cinque o sei caduti erano disposti con dignità sulle singole pire per cercare di ottimizzare l'uso di legna da ardere, e la fossa comune che era stata scavata alcune centinaia di metri fuori dall'accampamento in un modo o nell'altro non era mai piena.
Nonostante questo, la situazione era disperata, e ormai tutti lo sapevano.
- Non ci si abitua mai allo spettacolo, eh?
- Non sto piangendo - disse subito lei per mettere le cose in chiaro, asciugandosi le lacrime brucianti con una manica e voltandosi verso Neor. - È solo che questo dannato fumo mi fa male agli occhi.
L'uomo di fianco a lei non aveva più nulla dell'arrogante guerriero che aveva conosciuto nell'Arena: gli occhi stanchi, segnati da occhiaie violacee, il ciuffo di capelli corvini che gli scendeva smorto sulla fronte, dando l'impressione che fosse sporco e sudato nonostante il freddo. Ma il dettaglio più impressionante era la mancanza del braccio sinistro, amputatogli poco sotto la spalla. Era avvolto da una benda pulita in quel momento.
Non gli chiese come si sentisse perché sapeva che le avrebbe mentito: era a terra, fisicamente e moralmente. Era un mezzo miracolo che non fosse morto per le infezioni, e aveva trascorso giorni sull'orlo del trapasso, a volte apparentemente più da una parte che dall'altra. Aveva ricominciato da poco ad allenarsi con la spada, ma Dubhne aveva l'impressione che non sarebbe mai ritornato quello di un tempo.
- I generali dicono che presto potremo ripartire - proferì voltando le spalle ai fuochi. - Verrai anche tu?
Neor alzò le spalle, tetro. - Dio solo sa quanto vorrei poterti rispondere, ma ancora non lo so. Se devo essere sincero, a stento mi reggo in piedi.
Anche la ragazza avrebbe voluto rispondergli, infondergli coraggio in qualche modo. Ma la verità era che si sentiva completamente svuotata da qualunque spirito positivo. Erano tutti quanti allo stremo delle forze, prigionieri di un'inattività obbligata che li stava portando sull'orlo della follia, o peggio, al totale abbandono di qualsiasi speranza. Per questo si limitò ad appoggiare una mano sulla spalla destra dell'ex Combattente, stringendola forte.
Suo malgrado, Neor rise. - Dovrebbe essere un uomo a consolare una donna, Dubhne. Non credo di volermi abituare a questo rovesciamento di ruoli.
Era la prima volta che la chiamava per nome. Fino a quel momento per lui era sempre stata la Ragazza del Sangue.
In un altro momento avrebbe risposto, magari con una provocazione, ma in quel momento non le interessava affatto difendere la propria emancipazione. Il mal di testa in quei giorni andava e veniva, e di certo il clima gelido non aiutava. Si sentiva debole, debole e sfinita. Dentro di lei, da qualche parte, persistevano la rabbia e il desiderio di riscatto ma, prigioniera com'era di quella situazione, doveva lottare per mantenerli vivi.
- Sai dov'è Jack? - chiese cambiando argomento, con gli occhi socchiusi, che ancora le bruciavano per il fumo. Non che avesse qualcosa in particolare da chiedergli, ma a volte sentiva il bisogno di "monitorare" l'operato del comandante, come per accertarsi che stesse facendo tutto il possibile per farli ripartire al più presto.
Ma Neor aveva scosso la testa. - Non lo vedo da due giorni. Dovrebbe essere nella tenda dei generali, comunque. Passa tutto il tempo là dentro...
Dubhne rifletté un istante per valutare se ne valesse la pena: dopotutto aveva già parlato con Jack più volte ma non aveva mai ottenuto risposte soddisfacenti. Non che fosse una responsabilità di Jack, ovviamente, dal momento che il suo compito era sottostare al volere dei Lord Ariadoriani e, nell'ultimo periodo, anche ai generali dell'Esercito delle Cinque Terre.
Corrucciata e decisamente di malumore, Dubhne decise di andare in cerca di Alesha. La compagnia della vecchia amica era qualcosa che riusciva a rasserenarla, almeno un po'.
- Vuoi venire? - chiese lanciando a Neor un'occhiata piena di sarcasmo.
Alesha era l'infermiera che si era occupata di lui nei giorni in cui l'ex Combattente era stato sospeso tra la vita e la morte, e Dubhne aveva la netta impressione che lui non avesse dimenticato i grandi occhi azzurri e le mani morbide della ragazza.
Eppure l'uomo scosse di nuovo la testa. - Non ci tengo, grazie. La cercherò solo in caso qualcuno mi dovesse tagliare l'altro braccio.
A Dubhne venne in mente qualcos'altro.
- A proposito - buttò lì. - Hai bisogno di qualcuno con cui allenarti? Ho sentito che non è la stessa cosa combattere con un braccio solo.
- No, per niente - asserì Neor incupendosi ulteriormente. - A parte che... mi sento ancora uno straccio... Ma non avere più una parte di me mi fa sentire fragile, ed è il mio equilibrio a risentirne.
- Quindi?
- Non volevi andartene dalla tua amica?
Dubhne sorrise. - A quanto pare ho tutto il tempo del mondo per parlare con lei. Resteremo qui ancora per un bel po'.


L'inerzia ebbe fine pochi giorni dopo.
Finalmente, dopo quelle che parevano essere state un migliaio di riunioni e sedute di pianificazione, l'alto comando delle Cinque Terre sembrava essere riuscito ad organizzare le proprie truppe quanto bastava per tentare una nuova offensiva a Nord. Alla domanda di Dubhne su quale fosse la loro prossima meta, Caley le aveva risposto facendo il nome di un villaggio di nome Grothes.
- Grothes? - aveva ripetuto la ragazza aggrottando la fronte, allarmata. Non conosceva quel nome. Si era messa a inseguire Caley, già in procinto di allontanarsi e sparire. - Ma non dovremmo attaccare Hiexil, o Qorren, o almeno...
- Non dovremmo attaccare Hiexil o Qorren - aveva cinguettato l'uomo facendole il verso. - Non so ancora se tu sia un'esaltata o solo stupida.
Dubhne aveva ignorato la provocazione; non avrebbe ottenuto nulla da lui, non in quel momento. Per l'ennesima volta, avrebbe dovuto tentare di parlare con Jack per sapere qualcosa di più sulla missione che avrebbero dovuto portare a termine.
Ed era lì che si trovava in quel momento: mentre tutti gli altri cercavano di riprendersi da una giornata di marcia quasi ininterrotta, lei girovagava tra le tende in corso di essere montate e i soldati stanchi che si massaggiavano i piedi colmi di vesciche.
- E dai Jack, dove sei...? - mormorava la Combattente fra i denti guardandosi intorno.
Non lo avrebbe mai ammesso, ma la irritava parecchio il fatto di non poter trascorrere tanto tempo con Jack quanto era accaduto in precedenza. In passato erano stati veri compagni d'armi, sempre in prima fila, combattendo fianco a fianco. Anche se lui era un capitano e lei una recluta. Una recluta che aveva vinto la trentaquattresima edizione dei Giochi di Città dei Re.
Ma da quando si erano parlati veramente per l'ultima volta, da quando le aveva regalato la nuova divisa e rubato quel bacio sulla fronte, le cose erano cambiate. Con l'arrivo degli alti esponenti dell'Esercito delle Cinque Terre, il suo ruolo di capitano era stato alquanto ridimensionato per importanza e autorità, non che questo avesse significato il diminuire delle sue responsabilità: l'uomo era sempre conteso tra riunioni e compiti di natura logistica. Il risultato era che lui e Dubhne non avevano quasi più avuto modo di vedersi.
Trovò il biondo capitano ariadoriano che discuteva animatamente con due ufficiali dell'Esercito delle Cinque terre appena smontati da cavallo.
- Non ho idea di dove siano i rifornimenti per i vostri uomini, in questo momento - stava spiegando con voce alta ma decisamente stanca. - Se non sono arrivati quando eravamo ancora a sud di Hiexil dubito che possano averlo fatto ora.
Tenendosi lievemente a distanza Dubhne osservò i due uomini che si stavano rivolgendo a Jack. Era evidente come l'impegno delle Cinque Terre in quella guerra si fosse incrementato nell'ultimo periodo: sembravano entrambi Thariani, o almeno questo suggerivano i capelli castano chiaro e le barbe rossicce.
In effetti, le reclute delle Cinque Terre che si erano unite agli Ariadoriani - di cui Dubhne stessa faceva parte - erano state solo un assaggio della mobilitazione dell'esercito continentale, ed era stato così che, a seguito della disfatta a Hiexil, gli sfiniti soldati ariadoriani si erano visti passare davanti agli occhi le nutrite fila di uomini provenienti da ogni angolo di Fheriea. Erano state mobilitate tre legioni provenienti da Città dei Re, Sasha e Tamithia stessa, da circa tremila uomini ciascuna. Il risultato era che, superata la confusione generale che era andata a crearsi inizialmente, l'Ariador si era ritrovato rifornito di quasi diecimila soldati freschi e addestrati.
Il resto della discussione si perse in un vago mormorio per le orecchie della ragazza, che ne approfittò per accostarsi a Jack mentre voltava le spalle ai due e si avviava nella direzione opposta.
- Ho parlato con Caley - annunciò incrociando le braccia, anche se qualcosa l'aveva spinta ad addolcire lievemente il tono. - Da quel che ho capito non ci dirigeremo a Hiexil.
L'uomo si passò una mano sugli occhi e si rivolse a lei guardandola di sbieco: - Che cosa vuoi, Dubhne?
- Secondo te? - la ragazza alzò nervosamente le spalle. - Che cosa sarebbe Grothes? La priorità non dovrebbe essere un'altra?
Jack sospirò, anche se Dubhne ebbe l'impressione che un lieve sorriso ammorbidisse un poco il suo volto tirato. - Hai mai preso in mano una cartina dell'Ariador, nella tua vita?
Dubhne arrossì. - Non leggo molto bene - ammise.
In effetti, Archie Farlow le stava insegnando a farlo quando Malcom Shist era piombato in casa loro per reclamare le sue doti.
In ogni caso, non si era mai trovata per le mani mappe e cartine, tantomeno raffiguranti la regione settentrionale dell'Ariador. Ne aveva scorte alcune nella casa a Chexla, ma tanti anni le aveva osservate raramente. Nella sartoria del signor Tomson e con i Farlow in seguito, era vissuta in una bolla di vetro, ignorando quasi tutto sul continente in cui viveva. Il non saper leggere come si deve ne era la perfetta testimonianza.
- Grothes dista poco più di cinque miglia da Qorren - le spiegò Jack in tono pratico. - In quella zona è la città più settentrionale ad essere ancora sotto il nostro controllo. Da lì tenteremo di riprenderci Meck e poi, se tutto andrà come deve, muoveremo su Qorren. Soddisfatta, ora?
Lo era. Il consueto brivido di eccitazione percorse le membra della ragazza all'idea di tornare a combattere; ne aveva bisogno, il suo corpo e la sua mente reclamavano a gran voce il momento in cui avrebbe di nuovo potuto mulinare la scimitarra e muoversi nella confusione e nel rischio di una battaglia. Ma quella volta anche un altro pensiero si presentò nella sua testa: si sarebbero diretti a Qorren, anche se era molto più distante da lì di Hiexil, e in una posizione decisamente meno strategica. Era un caso che la famigerata strega rossa l'avesse appena lasciata per dirigersi proprio a Hiexil?
No. La verità era che gli alleati delle Cinque Terre, dalle reclute ai generali, erano terrorizzati da quella donna e dalla sua Magia. Ma questo non lo disse a Jack, mentre continuavano a camminare verso lo tenda personale del comandante.
- Suppongo che tu non abbia nulla da ridire sul tuo elevamento di grado... - osservò la Combattente nel varcare la soglia del padiglione in cui Jack trascorreva le sue notti.
- Non sai quello che dici - borbottò lui avvicinandosi a un tavolino e afferrando una bottiglia di birra scura. - Credimi, quella della recluta è la parte facile.
Da parte sua, Dubhne ne avrebbe preferito essere occupata come lui al posto di oziare tutti il giorno, ma evitò di farglielo notare. La tenda non era neanche paragonabile a quelle dei generali delle Cinque Terre o dei Lord più importanti, ma vi si poteva stare comodamente anche in piedi. Larga circa tre metri e lunga quattro, era sorretta da altrettanti pali di legno alti poco più di Jack. Il tendaggio era bianco e, anche se sgualcito, ancora piuttosto elegante, decorato con quegli arabeschi gialli e rosso cremisi. All'interno, adagiati su un piano di legno, c'erano due strati di pellicce e un cuscino di piume, e dall'altra parte il tavolo di legno levigato e un basso sgabello. Jack vi si sedette sfilandosi malamente gli stivali. Bevve un lungo sorso di birra e poi porse la bottiglia a Dubhne. - Ti offrirei un bicchiere ma come vedi non ne dispongo, in questo momento.
La giovane la afferrò con uno sbuffo e lo imitò. Dopo avergliela restituita ed essersi asciugata le labbra con una manica, ammiccò alla cartina che giaceva sul ripiano di legno e chiese: - Sei sicuro che Grothes sia il posto giusto per noi?
- Guarda tu stessa - Jack le lanciò la pergamena spiegazzata. - Sia chiaro che la cosa non dipende da da me, ma Grothes è una buona base per le nostre truppe. - tacque un istante, poi tornò a scrutarla con maggiore intensità. - Ti chiederei se sei pronta a tornare in azione, ma non credo che sia una buona idea.
- Credi che ti mentirei?
- No. Credo che non lo sappia nemmeno tu.
Dubhne fece per rispondere, ma esitò quel tanto da permettersi di riflettere su quelle parole. A volte Jack le dava l'impressione di nutrire scarsa se non nulla fiducia nei suoi confronti, ma forse quella volta aveva ragione.
- Allora non ci resta che scoprirlo, giusto? - rispose con un sorriso lieve ma sincero.
Jack parve sorpreso di una sua reazione così docile, alquanto distante dai modi aspri e irrispettosi che usava di solito. Poi l'uomo le sorrise di rimando.
- Studiatela bene, quella - raccomandò in tono ironico, e Dubhne capì che l'allusione si riferiva alla cartina che teneva ancora stretta fra le mani. - Non puoi continuare a combattere con noi senza neanche sapere dove ti trovi.
- Sai già che non lo farò - rispose appena prima di uscire con una risata.
Finalmente, pensò mentre si dirigeva a grandi passi verso la propria tenda, era tornata ad avvertire emozioni che la facessero sentire viva; la notizia che aveva ricevuto quel giorno, la consapevolezza che presto avrebbe dovuto rischiare la vita nuovamente... La cosa la riempiva di eccitazione, una commistione di entusiasmo e di paura. E Dubhne ancora non riusciva a decidere con certezza se fosse una sensazione positiva. Prima di entrare nell'Arena o scendere in battaglia aveva sempre avvertito emozioni discordanti; per tutto il tempo in cui era stata la "Ragazza del Sangue" aveva sfruttato a proprio favore la battaglia che infuriava dentro di lei, indirizzando tutta quell'irrequietezza contro i propri avversari, e in parte era stato così anche quando era arrivata al fronte.
Ma dal giorno della disfatta a Hiexil qualcosa era cambiato. Se prima il suo stato d'animo si sarebbe potuto dire incrinato, nel momento in cui Jack l'aveva trascinata via dalle grinfie della strega rossa e dei suoi Ribelli, era arrivato al punto di rottura. Rottura che aveva portato alla discussione con Jack e per lei era significato giungere ad un nuovo livello di consapevolezza.
Dopo tutto quello che aveva imparato nella vita di Combattente, dopo aver indurito il proprio carattere ed essere riuscita ad innalzare delle difese verso quel mondo spietato, Dubhne aveva creduto di essere arrivata al termine del proprio percorso di maturazione, ma quella guerra era riuscita a farle cambiare idea.
Scostando il lembo che celava l'ingresso della propria tenda, constatò che Alesha non era ancora tornata dall’infermeria. Un po' dispiaciuta, si levò di dosso gli stivali e la cotta di maglia e li adagiò sull'erba appena fuori della tenda. Si sentiva piuttosto provata dalla giornata di marcia, ma gli allenamenti che aveva sostenuto da Combattente l'avevano plasmata a quel genere di vita, e nonostante ormai fosse un po' arrugginita, aveva l'impressione che ne avrebbe beneficiato ancora per parecchio tempo.
Con le gambe doloranti si stese prona sullo strato di coperte che lei e Alesha avevano steso sul terreno. Controllò che la tenda fosse ben chiusa, poi tirò fuori dalla tasca la cartina dell'Ariador e cominciò a studiarla.


Alesha tornò nella tenda che era notte inoltrata.
Dubhne aveva continuato ad osservare la pergamena un po' stropicciata che Jack le aveva prestato, sforzandosi di leggere i nomi delle varie città, fiumi, catene montuose; alcuni erano scritti talmente piccoli da costringerla ad aguzzare lo sguardo, le palpebre socchiuse e le sopraccigli aggrottate. Si era aiutata accendendo un fiammifero e accostandolo alla cartina, ma alla fine si era comunque coricata con gli occhi gonfi e affaticati.
Quando la testa bionda della guaritrice era spuntata in mezzo ai lembi dell'entrata, Dubhne stava dormicchiando. Aveva trascorso gli ultimi venti minuti con gli occhi chiusi, talvolta rigirandosi placidamente fra le coperte, la mente per metà assente, per metà rivolta all’imminente ripresa della guerra, ma quando Alesha era tornata l'aveva avvertito all'istante.
Dove sei stata? avrebbe voluto chiederle, ma non lo fece. Era troppo stanca e faceva fatica ad aprire gli occhi. Per questo motivo si limitò a bofonchiare un "buona notte" sommesso.
- Buona notte, Dubhne.
Era passato un decennio, ma sentire la sua voce prima di addormentarsi aveva ancora il potere di farla sentire protetta.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo 17 - Jel ***


Come mi è stato suggerito da qualcuno, visti i miei ritardi secolari, vi faccio un piccolo riassunto di dov'eravamo rimasti: Dubhne è nel Nord mentre l'esercito Ariadoriano, dopo la disfatta a Hiexil, tenta di riorganizzarsi, anche grazie all'aiuto delle truppe delle Cinque Terre. Gala non è più nel Consiglio, mentre Jel è alle prese con l'addestramento per imparare a padroneggiare la Magia Antica.
Buona lettura :)



17








Il ritmo delle ultime giornate si era fatto davvero insostenibile.
Jel trascorreva ogni minuto non occupato da riunioni del Consiglio nel sotterraneo del custode Kryss, completamente assorbito dall'insegnamento delle pratiche della Magia Antica, ma nonostante quell'addestramento lo stesse logorando fino allo sfinimento, molte volte era lui stesso ad insistere affinché gli incontri fossero più lunghi, più frequenti. Più la fatica lo sfiniva, più la frustrazione cresceva, più desiderava mettersi in gioco: aveva imboccato quel difficile percorso e l'avrebbe portato a termine.
Durante le poche sedute del Consiglio in cui era riuscito a mantenersi vigile, dominando l'istinto di appoggiare la testa sul tavolo e abbandonarsi alla stanchezza, non aveva fatto altro che udire nuove, allarmanti notizie. Ormai vi era talmente abituato da aver smesso di sobbalzare ogni volta.
L'unico argomento che riuscisse davvero a catturare la sua attenzione erano i discorsi che coinvolgessero direttamente la "strega rossa", a cui solo lui nel Consiglio poteva permettersi di riferirsi come "Sephirt".
Non aveva più visto Gala a palazzo: la ragazza aveva mantenuto i suoi propositi rinunciando al proprio posto nel Gran Consiglio. Jel non sapeva con esattezza quali accordi avesse preso con il maestro Anérion, ma di fatto lei non aveva più preso parte a nessuna riunione, né si era più fatta vedere nell'ambiente del palazzo di Grimal. In un clima di tanta pressione Jel non aveva avuto modo di razionalizzare a proposito, ma la verità era che, in fondo in fondo, Gala gli mancava terribilmente; sia dal lato umano che come compagna sul lavoro. Per lui era sempre stata cristallina leggerezza in grado di smorzare la pesantezza degli oneri che il ruolo di Consiglieri imponeva loro.
Fu per tutta questa serie di motivi che Jel si presentò al Custode con cipiglio particolarmente cupo, quel giorno. Insomma, non l'umore perfetto per accogliere le parole che il suo maestro gli avrebbe rivolto di lì a poco, ossia che lo riteneva pronto per cimentarsi con la lettura del pensiero.
Kryss dovette accorgersene quasi subito, perché lo apostrofò pacatamente:- Forse dovresti prenderti una pausa, oggi. Ho bisogno che tu sia nel pieno delle tue forze fisiche e mentali per cominciare l'argomento.
Non fosse stato per il rispetto quasi reverenziale che Jel continuava a provare nei confronti di quell'uomo, probabilmente avrebbe alzato gli occhi al cielo. A volte le lezioni con Kryss gli riportavano alla mente i ricordi di quando era bambino e un magistro di Grimal era chiamato a impartirgli un'istrizione in letteratura e storia dell'Isola.
Il Custode Kryss indossava la consueta tunica di canapa color beige, ma ne stava reggendo un'altra che sembrava essere più leggera, al che il giovane mago la guardò con occhi interrogativi.
- Siete sicuro che sia una buona idea farmela indossare? - domandò con tutto il rispetto possibile. Più l'inverno si avvicinava, più il suo clima rigido sembrava approssimarsi a Grimal, cingendo la città dello Stato dei Re meridionale in una morsa di venti e freddi e cieli sereni quanto gelidi. Città dei Re era anche peggio. La perenne aria secca e tagliente gli ave seccato le labbra e fatto screpolare le mani fino a riempirle di tagli e macchie rossastre.
Era per questo che, inizialmente, Jel si era riproposto di non trascorrere lì l'interezza del suo tempo, ma dopo un certo numero di viaggi avanti e indietro dalla capitale alla sua città natale, Jel aveva deciso di rimanere stabilmente a Città dei Re per dedicarsi interamente all'addestramento con Kryss, le cui sedute erano divenute troppo frequenti per permettergli di tornare a casa.
Quel giorno Jel si era svegliato disturbato da spifferi di aria particolarmente fresca che si infiltravano nella stanza che occupava attraverso le imposte delle finestre e da sotto le porte, motivo per cui era stato incentivato a coprirsi parecchio prima di uscire; si era recato a palazzo avvolto nel mantello invernale da Consigliere, la gola protetta da una spessa sciarpa grigia.
Per cui, fissando la tunica sottile che Kryss gli porgeva, il giovane si morse l'interno della guancia. Devi farlo anche se non ti va. Non dargli motivi per farti perdere tempo.
Il Custode aveva parlato di lettura della mente: era decisamente un passo avanti rispetto a quelli che erano stati i temi degli incontri precedenti, incentrati soprattutto sulla ricerca individuale e a quella che Jel aveva incautamente definito "meditazione". Questo suo atteggiamento, a suo dire, qualunquista, era costato al giovane una mezz'ora in più di spiegoni, un'infinita sequela di parole che Jel, pur avendo un'idea del loro valore, non era riuscito a seguire del tutto. Onestamente non era sicuro che conoscere la terminologia più adatta in materia fosse il punto cruciale di quell'addestramento.
Presuntuoso, cantilenò una voce nella sua testa, rammentando quel momento.
Avendo l'impressione di aver già perso fin troppo tempo, Jel cominciò a levarsi di dosso la tunica elegante e la camicia. Infilandosi dalla testa quella leggera, che al tatto sembrava lino, si accorse che sembrava profumare lievemente di incenso. Non soffermandosi sul curioso particolare, preferì rivolgersi al Custode: - Se posso, a che cosa è dovuto questo cambio d'abito?
Kryss mantenne la sua espressione serena. - C'è la possibilità che durante i primi tentativi la tua temperatura corporea si innalzi notevolmente. Ho pensato che avresti preferito indossare dei vestiti adatti. La fatica sarà già abbastanza grande anche senza che tu cominci ad inondare di sudore la mia cripta. La lettura della mente è una delle pratiche più complesse della Magia Antica.
Stupito da quell'inedito gesto di gentilezza, Jel si concesse ancora una domanda: - Se è una tecnica così avanzata, perché vi ci soffermiamo così presto?
- Perché, a differenza di altri incantesimi, non rappresenta una minaccia per la tua incolumità, almeno nelle prime fasi dell'appremdimento.
Jel preferì non soffermarsi su quelle ultime parole. Almeno per il momento. - Allora, cominciamo? - chiese con la fronte aggrottata.
- Se sei pronto.
Jel si sedette sul pavimento a gambe incrociate. Era diventata una consuetudine, ormai: ogni "seduta" con il Custode cominciava in quel modo. Mentre Kryss lo imitava, così leggero che la sua figura sembrava galleggiare a pochi centimetri dalle lastre di pietra, il giovane si impegnò a liberare, per quanto possibile, la mente. I problemi che lo assillavano là fuori non dovevano costituire un'ostacolo nella cripta. Anche se in realtà, nonostante Kryss non facesse altro che rimproverarglielo, lui aveva l'impressione che a volte la rabbia e la paura accumulati fossero sì destabilizzanti, ma in qualche modo accrescevano la sua motivazione.
All'inizio fu come tutte le altre volte. Applicò i gesti rituali, cercò di distaccarsi dalle percezioni che potevano ingannarlo. Alla fine, forse più facilmente del solito, riuscì a raggiungere una condizione di calma sufficiente per iniziare a lavorare.
Quando Kryss parlò, la sua voce giunse ovattata alle orecchie di Jel, ma perfettamente distinguibile.
- Cominceremo con qualcosa di semplice. È troppo presto perché io ti chieda di leggere la mia mente, motivo per cui oggi dovrai solo cercare di entrare in contatto con me emotivamente.
Jel quasi non credeva alle parole che stava ascoltando. Davvero l'uomo aveva intenzione di partire così, a tappe bruciate? Senza nemmeno un briciolo di teoria?
Nonostante lo sgomento, però, il giovane riuscì a mantenersi concentrato; almeno quello era un buon segno. Cominciava a calarsi maggiormente in quella condizione di assoluta fermezza che il Custode sembrava reputare indispensabile per praticare un incantesimo della Magia Antica.
- Cosa... cosa devo fare?
- Pensi di avere la mente libera in questo momento?
- Sì.
- Non basta. Non per questo. Devi abbandonare ogni percezione terrena.
Gli stava chiedendo troppo. Jel non aveva idea di come potesse fare in modo di separarsi dal suo stesso corpo. Si accorse di avere le labbra secche.
- Dovete dirmi cosa fare, maestro.
- No. Devi arrivarci da solo. Stai andando bene.
Il complimento non fu di aiuto.
Con lo scorrere dei secondi, il Consigliere avvertiva la concentrazione scemare; i pensieri avevano ricominciato ad affollare la sua mente, e con essi la pressione. Era solo il primo tentativo e lo sapeva, ma non poteva impedirsi di domandarsi se sarebbe mai stato in grado di venirne a capo.
Non pensare, Jel. Smettila di pensare.
Ma quello non era possibile, persino il Custode l'aveva ammesso.
Forse dopotutto la soluzione non era quella. Forse doveva solo pensare a qualcos'altro. Soffermarsi su qualcos'altro.
E fu proprio allora che la avvertì. Più forte di ogni altra volta.
Percepiva la Magia dentro di sé. Non la sentiva attraversare il proprio corpo come succedeva di solito, bensì sgorgare da un punto indefinito nel suo cuore, o nei polmoni, o nelle viscere, non riusciva a capire e non gli importava. Finalmente comprese appieno le parole che Kryss gli aveva rivolto decine di volte negli ultimi tempi.
Realizzò anche quale fosse l'elemento su cui doveva concentrarsi. Non su un pensiero, non su un oggetto, ma su di lei, sulla sua Magia. La sentiva bruciare scaldandogli il petto e la gola, più incandescente di qualunque bevanda alcolica.
Non poteva vederlo a occhi chiusi, ma poté giurare che Kryss stesse sorridendo. Seppe che Kryss stava sorridendo. Avverti il suo compiacimento come fosse proprio...
- Bene così. Direi che come primo tentativo è un successo.
Il mago fu riportato bruscamente alla realtà dalla voce del Custode. - Ce l'avevo quasi fatta! - inveì contro di lui.
- Lo so bene, ed è per questo che ti ho fermato - rispose il vecchio tranquillamente. - Ho pensato che tu avessi speso abbastanza energie per oggi.
Jel si guardò intorno e si accorse di essere steso a terra. Solo in quel momento cominciava ad avvertire il sudore scorrergli sulle braccia. Non aveva mai avuto così caldo in tutta la sua vita. Si accorse anche che qualcosa di caldo gli gocciolava dalla nuca giù per il collo.
Tastandosi la testa, spalancò gli occhi nel constatare che era sangue.
- Quando sono caduto? - domandò allibito.
- Circa mezz'ora fa.
- Che cosa?! - Jel non riuscì a trattenessi. - Quanto... quanto tempo è passato da quando sono arrivato?
Il Custode non sembrava toccato dal suo sgomento. - Poco più di un'ora. Ora capisci perché ti ho interrotto?
Jel annuì; si sentiva spaesato e al tempo stesso molto stupido.
Doveva iniziare a fidarsi del Custode, per quanto gli risultasse difficoltoso e la sua mentalità indecifrabile. Ogni parola da lui pronunciata in quel sotterraneo era intenzionale e perfettamente ragionata.
Mentre indossava nuovamente i suoi abiti abituali, Jel si permise di porgli un'unltima domanda: - Quello che ho provato oggi... Il calore, la perdita del controllo... sarà sempre così?
La risposta del Custode lo rassicurò almeno in parte. - No. Se il tuo corpo e la tua mente risponderanno bene all'addestramento un giorno diventerà una cosa naturale. Ma non dimenticare che siamo solo all'inizio. Sarà sempre più complicato d'ora in avanti.
Jel dovette ammettere che se l'aspettava.
Rivolse al suo maestro un cenno di rispetto e si voltò verso l'uscita della cripta, protetta e celata da consueto incantesimo per il quale il varco poteva essere aperto solo dall'interno. Stava per pronunciare la parola d'ordine, quando la voce di Kryss lo fermò.
- Jel, quasi dimenticavo. Data la complessità dell'argomento e le nozioni di teoria di cui necessiti, ti consiglio di dare un'occhiata a questo titolo.
Non era la prima volta che il Custode gli assegnava una lettura da portare avanti al di fuori delle lezioni. E il giovane sapeva che per lui "dare un'occhiata" significava affrontarne la lettura completa e attenta.
Allungò una mano e prese delicatamente fra le dite la sottile striscia di carta che il Custode gli porgeva. Doveva aver scribacchiato il titolo poco prima che lui arrivasse.

Trattato sulla Magia Antica - Volume II: Legilmanzia; Maestro John Voss

Era la seconda volta che Kryss sceglieva di assegnargli un'opera del Maestro del Bianco Reame vissuto più di due secoli prima, quando ancora l'utilizzo della magia era confinato all'interno della nazione più orientale di Fheriea.
Jel risalì in superficie e attraversò le sale del palazzo reale in direzione dell'ingresso. Perse qualche manciata di secondi quando una delle guardie ai lati del portone face un passo verso di lui per perquisirlo.
Era incredibile la scrupolosità delle misure di sicurezza che imponevano loro di perquisire ogni persona mettesse piede nel palazzo - eccetto i maestri e i Consiglieri più importanti - sia al momento della sua entrata che della sua uscita, in modo da essere sicuri di aver controllato anche coloro che fossero eventualmente sfuggiti alla prima perquisizione.
Lasciatosi alle spalle la reggia di Città dei Re il giovane si diresse speditamente verso la biblioteca. Voleva sbrigare quella faccenda il più rapidamente possibile, per poi concedersi finalmente qualche ora di riposo.
La struttura che ospitava il maggior numero di testi antichi dell'intera Fheriea era di dimensioni decisamente ridotte rispetto al palazzo del Re, ma ugualmente maestosa. Era innalzata rispetto alla vie lastricata per un'altezza di tre gradini; sullo stilobate di pietra poggiava un colonnato imponente quanto bastava per non scadere nel pacchiano.
Una volta dentro, Jel si ritrovò davanti ad un elegante tavolo di legno posizionato di traverso. Dietro di esso, proprio nel centro, stava seduta la figura di una vecchia canuta. La custode Jhar indossava un paio di occhiali dalle lenti spesse almeno un centimetro, il capo reclinato e gli occhi rivolti ad un testo su pegamena che si muovevano rapidi da sinistra a destra. Stava seduta placidamente, ma con una certa grazia, le gambe accavallate.
Conscio del fatto che il galateo fosse essenziale in quell'ambiente più di quanto non accadesse nel palazzo reale, Jel si schiarì la voce. Jhar non alzò il capo.
- Che cosa cercate qui, Jel Cambrest?
- Il Custode Kryss mi ha consigliato le lettura di questo volume - spiegò in tono contenuto. Appoggiò sul piano la sottile striscia che recava il titolo del libro.
L'anziana donna alzò lo sguardo, ne lesse rapidamente il contenuto e per un attimo Jel fu pronto a giurare che avesse sorriso.
- Reparto dieci B, al piano terra. Blocco quattro. - disse con la consueta voce gracchiante. - Purtroppo custodiamo meno volumi di quanto desideremmo sull'argomento, per cui solamente una metà del reparto ha a che fare con la Legilmanzia - si schiari la voce, come se ammetterlo le avesse provocato una punta di fastidio. - Dunque, avete la necessità di prelevarlo per una lettura approfondita?
- Sì signora.
- Molto bene.
Jhar estrasse un altro rotolo di pergamena da un cassetto e scarabocchiò un rapido permesso.
Lieto che la custode della biblioteca non avesse fatto troppe storie, il Consigliere si avviò verso il reparto designato. Per quanto l'ambiente fosse vasto, non era difficile orientarvisi; impiegò solo un paio di minuti per raggiungere gli scaffali che cercava. Doveva essere un reparto poco frequentato: non c'era anima viva che vi si aggirasse, né traccia di volumi che fossero stati prelevati dai loro ripiani. I tavoli sui quali si appoggiavano coloro che conducevano ricerche in biblioteca erano vuoti.
Il "Trattato sulla Magia Antica - Volume II: Legilmanzia" era un manuale meno spesso di quanto Jel si sarebbe aspettato, ma comunque imponente. Rassegnato all'idea che, probabilmente, avrebbe dovuto rimandare il proprio riposo ad un altro giorno - o forse ad un'altra vita - Jel lo prese in mano con delicatezza e fece per voltare le spalle al reparto.
Fu allora che qualcosa catturò la sua attenzione.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo 18 - Jel ***


Per un paio di giorni, non ce l'ho fatta... non sono riuscita a postare due capitoli in un mese >.< Ma è già qualcosa che abbia superato incolume la stesura di questo, il quale, ahimè, è un vero casino. Ad un certo punto mi sono resa conto di essere entrata in contrasto con alcune cose che avevo scritto nel volume precedente e addirittura con alcune di questa stessa storia! E ho impiegato un po' per rimettere tutto a posto. Spero che il risultato sia leggibile.
Il mese scorso vi avevo lasciati con Jel nella biblioteca di Città dei Re per ritirare un libro consigliatogli dal Custode Kryss...









18








Jel tornò sui propri passi, appoggiò il volume di Voss sul tavolo e aguzzò lo sguardo.
Proprio ai piedi della parete rivestita di scaffali luccicava una minuscola goccia di sangue rappreso. Fu allora che ricordò: quello era il reparto in cui era stato rinvenuto il corpo del maestro Camosh.
Resistendo all'improvviso impulso di dare di stomaco, il mago rimase immobile. Il cadavere disilluso era stato rimosso e il pavimento ripulito, ma quella piccola macchia bordeaux era sfuggita alle attenzioni delle assistenti bibliotecarie. Rabbrividì; poteva sembrare il frutto di una suggestione, ma forse era anche per quel motivo che il reparto era rimasto così poco frequentato. Ora che Jel aveva rammentato il fatto, gli pareva che l'atmosfera si fosse fatta lugubre.
Quello era l'ultimo luogo in cui Janor Camosh era stato visto vivo.
Alzò lo sguardo sugli scaffali che sovrastavano quella porzione di pavimento e avvertì una sensazione strana. Ma poi scosse la testa. Doveva smetterla di lasciarsi suggestionare; aveva il suo libro, non gli restava che tornare nella locanda dove alloggiava e apprestarsi ad iniziarne la lettura. Se non avesse perso tempo magari avrebbe anche potuto ritagliarsi un'oretta di riposo prima di cena.
Si infilò il libro sotto il braccio e si incamminò verso il corridoio che si dipanava tra i vari reparti, ma poi si immobilizzò.
Guardò ancora lo scaffale in fondo. C'era uno spazio vuoto.
Allora non se l'era solamente immaginato. In uno dei ripiani dedicati all'applicazione delle Legilmanzia come strumento di difesa in un combattimento, leggermente spostato verso la sinistra dello scaffale, c'era uno spazio vuoto. Era curioso in effetti: l'intero reparto sembrava immacolato, come se non fosse più stato toccato da alcunché da parecchio tempo. Eppure, ne era sicuro, in quello spazio mancava un volume, come se qualcuno lo avesse prelevato per prenderlo in prestito.
Non avrebbe saputo dire con esattezza perché, ma la cosa lo riempì di disagio. Sentiva che c'era qualcosa che non andava.
Uscendo dal reparto e dirigendosi verso l'uscita, Jel si disse fosse meglio chiedere informazioni, giusto per assecondare quello strano scrupolo che gli era sorto pochi secondi prima.
Al primo banco informazioni si sporse in avanti per rivolgersi alla giovane inserviente che aveva il naso affondato tra le pagine di un vlume di cui Jel non riuscì a intravedere il titolo.
- Hai un momento mia cara? - domandò tamburellando le dita sul piano di legno.
La ragazza richiuse il libro e lo ripose sotto la scrivania. Sembrava più giovane di lui di qualche anno. Si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e sorrise:- Ma certo. Cosa posso fare per voi, Consigliere?
Forse in un altro momento Jel si sarebbe soffermato, almeno per un istante, a studiare il profilo delicato del suo viso e il naso leggermente all'insù. Ma non ora; ora non c'era niente al mondo che gli interessasse di meno.
- Ho avuto l'impressione che mancasse un libro nel reparto dedicato alla Legilmanzia. La cosa mi ha incuriosito dal momento che la custode Jhar sostiene non sia più stato frequentato dalla... - quasi s'interruppe: parlare della morte di Camosh lo induceva ancora ad esitare. - ... dalla morte del maestro Janor Camosh. Gradirei sapere se qualche libro è stato prelevato dal reparto da quel momento in avanti.
- Ma certo, nessun problema - rispose la ragazza. - Reparto dieci B, non è vero?
Jel non poté fare a meno di notare il piccolo tremore che aveva incrinato l'espressione gentile della giovane bibliotecaria.
- Solo un momento.
Mentre lei si alzava e spariva dietro una porta, probabilmente diretta ad uno degli archivi contenenti le liste di entrate e uscite, Jel si guardò intorno.
La biblioteca di Città dei Re era calma, confortevole e immensa. Non era difficile immaginare che un uomo dal nome rispettabile quanto Astapor Raek si fosse potuto muovere indisturbato tra quegli scaffali. Forse aveva affrontato Camosh di sera, in un momento in cui la biblioteca era quasi vuota, senza il pericolo di essere scoperti nell'utilizzo di Magia.
Se avesse saputo che il traditore era istruito nelle arti magiche, probabilmente Camosh sarebbe stato ancora vivo. Jel era sicuro che niente se non un segreto di quella portata avrebbe potuto sorprendere il suo vecchio maestro. Il più grande mago delle Cinque Terre cancellato dal gesto scellerato del Lord dell'Isola Grande.
La ragazza ricomparve stranamente in fretta - altro segnale della totale efficienza del personale della biblioteca - con un voluminoso rotolo di pergamena fra le mani. - Qui sono annotati tutti i prestiti del mese appena terminato. Desiderate controllare ancora a ritroso?
Jel fece un cenno di diniego. - Comincerò così, grazie.
Prese delicatamente la pergamena che gli veniva porta e la dispiegò sul banco di legno. Fece scorrere lo sguardo sulle decine e decine di nomi e di titoli segnati reparto per reparto e alla fine giunse a quello che cercava: dieci B. Era come immaginava. Nessun titolo era stato registrato.
Qualcuno aveva rubato un volume dalla più vasta raccolta di libri e pergamene antiche del continente, e l'intera organizzazione della biblioteca era stata così superficiale da non accorgersene. - Maledizione! - sbottò il mago fra i denti, lasciando andare così bruscamente la pergamena che quasi scivolò a terra.
Mentre il giovane si voltava dirigendosi a tutta velocità in direzione della scrivania della custode Jhar, la ragazza gli gridò dietro allarmata:- Ma che succede? Cosa avete trovato di...?
- Il volume chiave sull'utilizzo delle Pietre Magiche è nella mani di Astapor Raek a vostra insaputa. Ecco che succede!
Ma quando, quando Astapor era tornato a Città dei Re per trafugarlo? Perché Jel ne era sicuro, era sicuro che il volume mancante fosse proprio il testo che Camosh e tutti loro avevano cercato per così tanto tempo, l'unico testo rimasto al mondo che contenesse informazioni sulla Magia racchiusa nelle Sei Pietre che lui e Gala avevano faticosamente riunito nel corso dei mesi precedenti. Quello era un ambiente rigorosamente ordinato. Non c'erano spazi in eccesso o in difetto. Una sezione di scaffale libera poteva significare due sole cose: un libro preso in prestito o un libro trafugato.
Ma le brutte sorprese non erano ancora finite, perché Jhar era già impegnata a discutere animatamente con qualcun altro. Di media altezza, robusto, Jel lo conosceva: era Kallen Prescot, un giovane Consigliere Haryarita che in quel periodo così denso di riunioni del Gran Consiglio trascorreva gran parte del tempo tra Grimal e Città dei Re.
Avvicinandosi, Jel colse alcuni brandelli della conversazione. O meglio, ascoltò quanto bastava per comprendere quanto fossero fondati i suoi timori.
Prescot teneva un libro aperto sul piano della scrivania e ne indicava le pagine all'anziana custode. - Qualcuno ha praticato un incantesimo di scambio, Custode Jhar. Questo libro non è ciò che sembra. E di certo non tratta delle Pietre Magiche.
Solitamente la custode Jhar era alquanto restia a dare ragione a un visitatore, chiunque egli fosse; nessuno come lei conosceva quella biblioteca, i suoi volumi, i suoi reparti e i suo segreti. Ma quella volta, evidentemente, la prova portata da Kallen Prescot era inequivocabile.
Chiuse di scatto il libro che aveva turbato così tanto il Consigliere Haryarita e Jel ebbe modo di leggerne il titolo, scritto in caratteri argentati su una copertina color viola scuro.
Es Machien Imeldae. Era l'idioma dell'antico Stato dei Re. Semplicemente, "Le Pietre Magiche".
Dunque non si era sbagliato. Proprio nel cuore della capitale Raek era riuscito ad agire indisturbato, sconvolgendo tutto.
Sia Kallen che la custode Jhar si erano accorti dell'arrivo di Jel e si erano voltati a guardarlo. Per la prima volta in tutta la sua vita, il Consigliere scorse qualcosa di simile alla paura negli occhi ambrati dell'anziana donna. I Ribelli non si erano solamente insinuati all'interno del Gran Consiglio. Ora avevano dato prova di poter letteralmente fare ciò che volevano anche in un luogo protetto e sorvegliato quanto la biblioteca di Città dei Re.

                                                                    ***

- Raek dev'essere venuto qui prima che io avessi modo di comunicare al Consiglio la sua colpevolezza - dichiarò Jel con la gola secca, in piedi dinnanzi al tavolo attorno al quale si erano radunati tutti i membri che si trovavano in città in quel momento. - Entrato nella biblioteca senza nemmeno aver bisogno di modificare il proprio aspetto, si è impadronito del volume che già in precedenza era riuscito a camuffare tramite un incantesimo di scambio e lo ha portato via. In che modo non lo sappiamo, ma non deve essere stato difficile utilizzare qualche escamotage, data la segretezza della sua affinità alla Magia.
Dopo aver terminato, il mago tornò lentamente a sedersi.
I pochi Consiglieri presenti - Ellanor, Althon, Kallen Prescot e, naturalmente, l'intera delegazione dello Stato dei Re - non parevano aver preso bene la notizia. Il clima che ai respirava attorno alla gran tavola era a dir poco tetro.
Il primo a commentare fu il maestro Ellanor, dall'Ariador, e lo fece con un sarcasmo che Jel non poté biasimare:- Abbiamo cercato quel libro per settimane e abbiamo anche avuto il coraggio di chiederci come fosse possibile che non se ne trovasse traccia. Siamo stati ingannati come un branco di ragazzini inetti.
Il fatto che la locuzione "ragazzini inetti" comprendesse anche il Re delle Cinque Terre in quel momento non aveva importanza. Tutti loro dovevano fare ammenda.
Il maestro Anérion nel frattempo si era rivolto al suo collega ariadoriano:- Non potevamo immaginare che un membro di vecchia data del Gran Consiglio come Astapor Raek avesse stretto legami con Theor, né tantomeno che fosse versato nell'uso della Magia.
Il tradimento del Lord dell'Isola Grande era una ferita ancora aperta per i membri del Consiglio, nonostante fossero passate settimane dal giorno in cui Jel aveva reso pubblica la cosa. Lo aveva fatto in una delle numerose riunioni immediatamente successive al loro ritorno a Grimal, anche approfittando delle continue assenze di Gala per tenerle la cosa all'oscuro.
- Ciò non toglie che avreste dovuto incrementare la sorveglianza in città dopo l'omicidio di Janor Camosh - osservò Kallen in tono stizzito.
- Non avete sentito ciò che ha detto il consigliere Cambrest? Probabilmente Raek si è recato qui allo scopo di rubare il libro ancora prima che noi sapessimo del suo coinvolgimento nella ribellione. Nonostante nuove misure di sicurezza di fatto siano state adottate, non avremmo mai potuto prevedere che Raek avrebbe fatto una cosa simile.
- C'è solamente un piccolo problema - intervenne il maestro Althon tagliente. - L'ultima ispezione accurata della biblioteca è stata condotta dopo il ritrovamento del corpo di Janor Camosh e non è stato riportato niente di sospetto. Questo può significare una sola cosa.
Un brivido si impadronì dei Consiglieri lì riuniti.
- Un altro traditore - sentenziò il Re delle Cinque Terre a denti stretti.
- Non necessariamente - intervenne Ellanor. - Raek potrebbe semplicemente aver corrotto uno o più degli addetti alla sicurezza della biblioteca. Ma tutto ciò non ha importanza. Per quanto mi riguarda, nei prossimi giorni avremo diversi interrogatori da condurre.
Molti Consiglieri assentirono.
Personalmente, in quel momento Jel avrebbe avuto una gran voglia di stringere le proprie mani attorno al collo di chiunque fosse coinvolto in quella storia, ma non proferì parola. Sapeva che se avesse parlato, poi non sarebbe più riuscito a trattenersi. Mentre lui e Gala avevano rischiato tutto pur di portare a termine la loro missione, nello Stato dei Re non erano riusciti a fare altro che complicare le cose. Il Consiglio aveva peccato di superficialità e arroganza non ammettendo la possibilità che il pericolo potesse celarsi anche nelle stesse sale di Città dei Re. E ora il volume contenente i segreti sull'utilizzo del Pietre Magiche era nelle mani di Theor. Dopo tutto quel tempo, ancora non erano riusciti a trovare un modo per minacciare i Ribelli: avevano un arma, certo, ma non avevano idea di come utilizzarla. E ora che avevano la consapevolezza che il libro si trovasse a miglia e miglia lontano da li, nelle mani del nemico, non c'era apparentemente niente che potessero fare per migliorare la situazione.
- Tutto ciò che abbiamo fatto... la stessa spedizione per recuperare la Pietre Bianca... tutto inutile - mormorò Anérion. Sembrava che le parole di Althon lo avessero privato persino della volontà di difendere a tutti i costi il proprio operato.
- No, non inutile - la voce del maestro dell'Haryar era grave, ma rimase fermo nel pronunciare quelle parole. - Non dobbiamo dimenticare che se non siamo noi nelle condizioni di usare le Pietre, nemmeno Theor lo è. Finche esse sono nelle nostre mani, il nemico non potrà servirsene. E questa è una buona notizia.
- Il maestro Althon ha ragione - confermò il Re. - La missione del giovane Cambrest non è stata vana. Abbiamo sottratto ai Nordici una potenziale arma che avrebbe potuto rovesciare le sorti del conflitto.
- Sì, ma questo vale anche per noi - nitrì Ellanor infastidito. - Quelle Pietre erano il nostro asso nella manica e ora non abbiamo idea di come servircene.
Una domanda premeva per uscire dalle labbra di ciascuno di loro, ma alla fine solamente il più giovane dei Consiglieri dello Stato dei Re ebbe il coraggio di porla:- Dunque, come dovremmo agire?
Tutti, Jel incluso, volsero lo sguardo verso il Re. Si aspettavano un suo intervento; dopotutto, la decisione ultima riguardo ogni cosa spettava a lui. E in quel momento il bisogno era quello di una guida.
Alla fine il sovrano delle Cinque Terre parlò:- Credo che sia venuto il momento di confrontarci con Theor in persona.


Mentre lasciava la stanza del Consiglio, Jel s'intrattenne per qualche istante a discutere con il maestro Anérion.
- Temo che il piano del nostro Re sia fingere di conoscere il modo per attivare le Pietre - stava commentando quest'ultimo in tono preoccupato. - Credo che abbia fissato una riunione ufficiale a Grimal per questo. Ci recheremo a sud, e non appena gli altri membri del Consiglio saranno arrivati in città esporrà questo proposito. Potrebbe funzionare, ma si tratterebbe di un rischio oltre l'immaginabile...
- Forse dovremmo tentare di convincerlo ad aspettare un altro po' di tempo - rispose lui nel tono più diplomatico che gli riuscì. - Se questa è la sua decisione dubito che riusciremo a fargli cambiare idea, ma se lo convinceremo che c'è ancora un altro modo per scoprire come utilizzare le Pietre, forse ci concederà del tempo per cercarlo.
- E se non dovesse esistere, Jel?
Era curioso che un uomo come Anérion tenesse in così grande considerazione la sua opinione. In effetti, il giovane avrebbe dovuto esserne onorato, ma in quella situazione avrebbe preferito non essere investito di altre responsabilità. - Allora lasceremo che il Re ponga il suo ultimatum e spereremo che Theor sia così sciocco da cascarci. Altrimenti... beh, altrimenti sarà guerra totale.
In un certo senso sperava che andasse così. Tornare al fronte, trovarsi sul campo di battaglia e affrontare Sephirt una volta per tutte... Non poteva credere che la loro situazione fosse così disperata da portare il Re in persona a considerare un'ipotesi così rischiosa e ingenua. Era esattamente ciò che Theor si sarebbe aspettato da loro... chissà, forse proprio per questo avrebbe funzionato.
No, si disse il mago infastidito. Non è come nei romanzi. Il mondo reale non ha senso dell'umorismo né ironia.
- Vi occuperete voi delle ricerche? - domandò ad Anérion prima di congedarsi. Quando era entrato in biblioteca quel pomeriggio non avrebbe immaginato che la giornata lavorativa si sarebbe protratta ancora così a lungo. Il sole era già tramontato da ore e lui non aveva mangiato nulla da quella mattina...
- Sinceramente speravo che tu potessi aiutarmi, Jel. Vorrei coinvolgere anche i Consiglieri delle altre capitali. Se vogliamo avere possibilità di trovare qualcosa, dobbiamo agire insieme.
No, non poteva permetterselo. Con tutto il tempo che avrebbe ancora trascorso nei sotterranei insieme al Custode non avrebbe davvero saputo come barcamenarsi anche in quella ricerca.
- Chiedo venia, maestro, ma non credo che sarà possibile. Al momento sono impegnato nell'apprendimento delle pratiche della Magia Antica. Il Custode Kryss si è dimostrato disposto ad accettarmi come allievo, non potrei abbandonare proprio adesso.
- Ma certo, la Magia Antica - ripeté Anérion, anche se sembrava essere piuttosto sorpreso. - Nonostante la difficoltà, forse è bene che tu cominci a cimentarti con essa. Potrà esserti utile nelle guerre che verranno.
I due uomini si fermarono e, senza che Jel se lo aspettasse, Anerion gli porse una mano.
- Deduco che non ti unirai a noi nel tornare a Grimal, dunque.
- Purtroppo no - Jel la strinse con forza. - Spero che riuscirete a convincere il Re ad aspettare. L'intemperanza non ci porterà da nessuna parte.
Intemperante. Era proprio quello che avrebbe desiderato essere in quel momento. Ma non lo disse, e si limitò a guardare Anérion allontanarsi, scendendo la marmorea scalinata che conduceva all'esterno.




Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo 19 - Astapor Raek ***


19








AMARIA, TERRE DEL NORD


Se avesse saputo che i due giovani Consiglieri erano riusciti a rientrare in possesso della Pietra Bianca, sicuramente Astapor Raek si sarebbe risparmiato il travagliato viaggio da Amaria a Città dei Re.
Ora come ora, però, aveva avuto modo di constatare che effettivamente non era stato del tutto inutile. Eccesso di scrupolosità, forse, fatto sta che, ora che il volume sulle Pietre era al sicuro nascosto nelle sale del palazzo reale di Amaria, si sentiva decisamente più tranquillo. Data la facilità con cui aveva avuto modo di introdursi nella biblioteca cittadina per appropriarsi del libro, aveva dedotto che, probabilmente, la sua affiliazione alla causa dei Ribelli non era ancora stata scoperta. Almeno fino a quel momento.
Theor era sembrato piuttosto compiaciuto del suo improvviso guizzo di iniziativa, al punto di domandargli di consegnare a lui stesso il volume sulle Pietre. Raek non se n'era stupito: nonostante non fossero nelle loro mani, venire a conoscenza del modo per attivarne il potere prima dei loro nemici poteva essere un enorme vantaggio.
Forse un altro uomo si sarebbe preoccupato nel sapere che una delle più potenti armi al mondo era nelle mani di coloro che volevano distruggerlo, ma Theor non era come gli altri. Quando Raek gli aveva riferito che i due mocciosi erano riusciti a mettere le mani sulla loro Pietra, i suoi occhi dorati erano stati attraversati da un lampo pericoloso. Ma non era durato molto; qualunque cosa avesse pensato il padre e fautore della Ribellione, non lo aveva dato a vedere.
Per un attimo il Lord dell'Isola Grande aveva temuto una sua ritorsione: erano giorni complicati e lui non sapeva come avrebbe potuto reagire Theor alla notizia del suo fallimento. Si diceva che i rivoluzionari fossero destinati a diventare dittatori, e i dittatori ad impazzire. Ma l'antico maestro della corte di Amaria non era un semplice esaltato cui il potere sarebbe potuto sfuggire dalle mani. Se davvero in lui persisteva un barlume di follia, era una follia lucida e molto calcolata.
Dunque il timore di vedere le proprie mani mozzate da un incantesimo in un improvviso impeto di rabbia da parte del suo signore aveva impiegato forse un secondo a svanire, e le parole di Theor gli avevano dato la conferma.
- Abbiamo impiegato troppo tempo a prendere una decisione. Ho sottovalutato quei due ragazzi, avrei dovuto inviarti molto prima a Città dei Re.
- Se mi permettete - era intervenuto Astapor, ansioso di recuperare la sua approvazione - Il mio viaggio non si è dimostrato infruttuoso, o almeno, non del tutto. Mentre ero nella capitale sono stato colto dall'idea di recuperare un altro oggetto che ritengo opportuno sia in mano nostra.
Aveva appoggiato il volume "Imposizione di sortilegi su oggetti animati e no". Theor aveva alzato un sopracciglio, probabilmente sicuro che Raek lo stesse prendendo in giro, al che lui ne aveva rivelato il contenuto con un sorriso compiaciuto.
L'espressione di Theor non era cambiata, anche se Astapor era stato sicuro di aver visto il suo labbro superiore incurvarsi lievemente all'insù.
- Dunque il Consiglio è in possesso delle mie Pietre ma senza la possibilità di scoprire come usarle - decretò con uno sbuffo di disprezzo. - Apprezzo la tua intraprendenza, Astapor...
Il Lord sarebbe stato pronto a rispondere con ossequio, ma l'uomo del Nord aveva aggiunto qualcosa che non si sarebbe aspettato.
- Non devi agire mai più in modo così incauto. Se dei Consiglieri sono riusciti a mettere le mani sulla Pietra Bianca, il Consiglio potrebbe essere venuto a sapere del tuo coinvolgimento. E se non lo ha già fatto, presto succederà.
Pensando fosse meglio non discutere, Astapor aveva domandato di poter far ritorno per qualche giorno nell'Isola Grande, ma Theor glielo aveva negato, sostenendo che non sarebbe stato sufficientemente sicuro: sarebbe stato strano se, dopo aver scoperto il suo legame con Theor e, peggio ancora, del suo coinvolgimento nell'omicidio di Janor Camosh, le Cinque Terre non avessero dato ordine ai loro uomini di piantonare notte e giorno la reggia di Andæla, la prima città dell'Isola Grande.
Amaria sembrava stranamente vuota. Solitamente anche nei mesi invernali le sue strade erano trafficate da uomini e donne, infreddoliti e infagottati in vestiti pesanti, mentre ora l'unica caratteristica che saltasse all'occhio era il silenzio. La neve cadeva come al rallentatore, con nulla che ne disturbasse la bianca discesa se non qualche raro passante che attraversava in fretta la strada.
Negli ultimi mesi la capitale del Nord si era trasfigurata: la maggior parte degli uomini adulti era partita per la guerra combattuta al confine con l'Ariador, mentre coloro che appoggiavano solo tiepidamente la Ribellione erano rimasti confinati nelle loro case. Era come se si fosse stabilito una specie di coprifuoco anche di giorno. Per quanto ne sapeva Raek, Theor non aveva ordinato niente di così estremo, limitandosi ad imporre il crepuscolo come momento limite in cui le strade dovevano essere sgomberate. Non che ce ne fosse bisogno, si ritrovò a pensare Astapor osservando la nevicata in cima alla scalinata della reggia di Amaria. In una situazione così particolare l'uomo dubitava che persone comuni sarebbero state liete ci passare del tempo all'esterno al buio ed esposte al gelo dell'inverno che si avvicinava. Si erano tenute anche diverse esecuzioni nelle settimane precedenti, ma ora la situazione sembrava essersi stabilizzata.
In un primo momento Theor aveva chiuso un occhio sul fatto che molte persone - apertamente o meno - in contrasto con il suo progetto politico abbandonassero le proprie case per lasciare le Terre del Nord e sconfinare in Ariador o nello stato dei Re; il consenso delle Ribellione era talmente alto tra gli Uomini del Nord che il mago non aveva ritenuto necessario impedire loro di allontanarsi. Decisione forse dovuta anche alla volontà di non presentarsi alla propria gente come un autocrata che fondava il proprio potere su atti di repressione e crudeltà gratuita. Seppur in modo controverso e influenzato da una non indifferente dose di ambizione, Theor amava il proprio popolo. Si era presentato a loro come un salvatore, come una guida, non come un persecutore. Tuttavia circa un mese prima si erano verificati dei disordini nella zona sud-occidentale della città: due guardie di pattuglia erano state aggredite e pugnalate a morte da un piccolo gruppo di dissidenti, la cui posizione era stata rilevata in pochi giorni. Dalle carte rinvenute nella locanda in cui alloggiavano era emerso che i cinque facevano parte di un gruppo di Lealisti delle Cinque Terre, un movimento di ribelli all'interno della Ribellione stessa che aveva avuto origine nella città orientale di Fecht. Le guardie cittadine erano riuscite a mettere le mani solamente su quattro dei cinque assalitori. Il fuggitivo non era ancora stato ritrovato, mentre per gli altri la punizione era stata istantanea e severa: la forca.
Astapor ricordava perfettamente le parole che Theor aveva pronunciato davanti alla piccola folla radunata davanti al palazzo reale prima che lo botole sotto i piedi dei condannati incappucciati venissero spalancate.
"Uomini del Nord. Non voglio fare del male al mio stesso popolo, ma non vi ho costretti io a seguirmi. Non ho mai impedito a nessuno di lasciare la città. Chiunque abbia qualcosa in contrario alla Ribellione è libero di andarsene e combattere con la nazione che più gli aggraderà. Ma da coloro che sono rimasti non tollererò atti di violenza contro i miei uomini."
Aveva rivolto un cenno glaciale al boia, e in pochi secondi i quattro uomini si erano ritrovati a penzolare nel vuoto, con il capo reclinato e gli occhi rovesciati.
Nei giorni successivi la sorveglianza in città era stata incrementate e le guardie cittadine, sotto la diretta supervisione di Theor, avevano letteralmente rivoltato la città per stanare altri potenziali nemici della Ribellione. Complessivamente, nell'arco di quindici gironi era stata giustiziata una decina di persone. Che poi fossero stati tutti realmente affiliati all'organizzazione di opposizione, francamente ad Astapor Raek non importava granché. Non era il suo compito occuparsi della sicurezza interna.
Ora tre bambini più temerari degli altri si trovavano a pochi passi dal punto in cui i rivoltosi erano stati impiccati per costruire un pupazzo di neve. Dopo le ultime esecuzioni Theor aveva dato ordine di rimuovere il patibolo per non incrementare il disagio dilagante in città.
L'uomo rimase a guardarli con il volto privo di espressione.
Non sentiva alcun tipo di emozione nel guardare quei piccoli innocenti e spensierati giocare davanti a lui, se non un lieve fastidio per le loro risatine giocose.
Come se la cosa avesse spezzato l'incanto del silenzio e della neve, il Consigliere voltò le spalle alla città imbiancata per tornare all'interno del palazzo. Non che la temperatura fosse di molto più mite lì, ma nonostante questo Raek si levò di dosso la pesante pelliccia di lince che portava sulle spalle e la affibbiò al primo attendente che gli capitò appresso.
- Portala nei miei alloggi, e accendi il fuoco - disse consegnandogli anche la propria chiave. Il ragazzo rispose con un lieve inchino, poi si affrettò ad eseguire.
In quei giorni strani pensieri attraversavano la mente di Astapor Raek, e fu così che in quel momento l'uomo si chiese se avesse fatto bene a fidarsi di lui. Nessuno gli garantiva che quel giovane, lentigginoso attendente non rappresentasse un pericolo, una spia magari.
Il mago si costrinse a ritornare alla propria consueta, amata razionalità. Non c'era motivo di temere. Nonostante non avesse abbastanza dimestichezza con il palazzo di Amaria da poter affermare di conoscere ogni suo servo, guardia o attendente, ogni cosa era sotto la supervisione di Theor, e Theor non era persona da permettersi errori di leggerezza.
Più la Ribellione progrediva, più la posta in gioco si faceva alta. Ad ogni battaglia, ad ogni azzardo di Theor, le possibilità di trionfare o di andare incontro alla disfatta totale non facevano che aumentare. Astapor non aveva mai nutrito dubbi sulla sua alleanza con i Nordici - non che gli importasse molto della loro causa, ma gli affari erano affari - eppure ora, a volte, gli capitava di avvertire brividi di tensione e di incertezza percorrergli le membra. La sgradevole sensazione di aver compiuto qualche errore di valutazione lo coglieva talvolta, addossandogli anche una certa dose di frustrazione: se davvero le cose si fossero messe per il peggio, il colpevole di essersi calato in una situazione del genere sarebbe stato soltanto lui.
L'uomo sapeva che Theor non era uno sprovveduto e che, probabilmente, angosce simili assillavano persino lui, ma c'era qualcosa che spingeva il capo dei Ribelli a mantenersi calmo e in fiducia. Certo era che un uomo come lui non avrebbe dato segni di debolezza neanche a un passo dalla morte, ma nello sguardo di Theor quando discuteva dell'andamento della guerra c'era anche qualcos'altro, qualcosa che non c'entrava con la ferrea determinazione a non mostrarsi debole.
E quel qualcosa era Sephirt, Ribelle che Raek aveva avuto modo di vedere solo in un paio di occasioni e che ora i loro nemici chiamavano la strega rossa.
L'uomo sapeva che la donna era stata mandata da Theor a Sud per guidare le loro forze in battaglia, ma non aveva mai avuto modo di saggiare il suo effettivo potere. Tutto ciò che sapeva era che Theor si fidava oltremodo di lei e delle sue capacità, e la cosa aveva accresciuto in lui una certa dose di curiosità. Avrebbe desiderato vedere all'opera colei che il suo maestro riteneva essere la chiave della Ribellione. Ma ora come ora sapeva che Theor non gli avrebbe permesso per nulla al mondo di lasciare la capitale per impegnarsi al fronte. Non che Theor fosse uomo da ammettere di aver bisogno di aiuto, ma era perfettamente consapevole che per continuare a governare una città era necessaria la presenza di un numero accettabile di collaboratori. E con le partenze di Hareis, Ferlon e Sephirt - e con la morte di Mal Ennon - gli uomini fidati di Theor erano rimasti davvero in pochi.



- Tenendo conto che i nostri nemici seguano il loro buon senso, non appena si saranno riorganizzati tenteranno una contro offensiva per riconquistare la città in cui non corrono il rischio di doversi confrontare ancora con la magia di Sephirt - commentò la Consigliera Levinia non appena Wesh ebbe terminato di esporre il rapporto che aveva appena ricevuto da uno dei sottufficiali di Ferlon. - Finché non decideranno di mobilitare in maniera massiccia l'Esercito delle Cinque Terre, sanno di essere in una posizione scomoda. Riconquistare una città ben difesa come Hiexil con Sephirt al comando della guarnigione sarebbe un'impresa difficile per chiunque.
Astapor si ritrovò ad annuire. Credeva di intuire ciò che la donna avrebbe detto di lì a poco, e si dava il caso che si trovasse piuttosto d'accordo con lei. - Il fatto che si siano diretti a Nord-Ovest e che abbiano ripreso il controllo di Meck in effetti dovrebbe parlare chiaro - asserì. Nelle ultime ventiquattrore aveva riflettuto a lungo, ed era giunto alla conclusione che, se voleva salvaguardare il proprio profitto, doveva iniziare a mettersi seriamente in gioco, non più solamente come spia. Era come un lavoro da svolgere controvoglia, ma che andava fatto. Quel giorno aveva deciso di uscire allo scoperto con la sua proposta, ma prima aveva bisogno che gli venisse preparato il terreno.
- Ce lo siamo domandati a lungo, e ora lo sappiamo - completò Levinia, rivolta a Theor. - La loro prossima mossa sarà tentare di riconquistare Qorren.
Le sedie attorno al tavolo del Concilio Ristretto erano quasi per metà vuote ma, nonostante questo, l'atmosfera si respirava più seria che mai.
Come spesso accadeva, Theor attese alcuni istanti prima di prendere la parola:- Stai suggerendo di inviare truppe ausiliari a Qorren, Levinia?
- Esattamente, mio signore.
- Da quando Sephirt ha lasciato la città per spezzare l'assedio ariadoriano di Hiexil, le Cinque Terre non sono riuscite ad approfittare della cosa perché colti di sorpresa - intervenne Nax, Consigliere più giovane di Levinia, dall'altro capo del tavolo. - Ma ora saranno più agguerriti che mai.
- Lasciare a Sephirt il controllo di Hiexil e mobilitare i nostri uomini a Qorren - disse Wesh a bassa voce, poi si volse verso Theor. - Non possiamo continuare così, abbiamo bisogno di più uomini.
- Non ce ne sono - rispose l'uomo con calma, e Astapor sapeva bene che se Wesh faceva ancora parte del Consiglio era solo grazie alla propria esperienza e al legame decennale che lo legava al leader della Ribellione. Da qualunque altro uomo, Theor non avrebbe accettato un atteggiamento di simile arrendevolezza.
Anche se in realtà, in quel momento Wesh aveva solo dato voce ai dubbi che assillavano tutti loro.
- Le Cinque Terre non lasceranno mai intervenire l'esercito nella sua interezza. Il timore che troppo potere militare accentrato in un solo luogo porti a un colpo di stato è troppo forte. Hanno creato una macchina troppo difficile da controllare, e ora hanno paura di dispiegarne le forze.
- Anche in questo caso, le loro forze in numero superano le nostre di cinque a uno - ribatté Wesh. - So che hai fiducia nel potere rinnovato di Sephirt, Theor, ma questo non ci permetterà di vincere la guerra. Da sola, nemmeno lei è in grado di annientare un intero esercito.
- Sephirt è un affare di mia competenza, ora - lo gelò l'ex maestro con voce tagliente. - Siamo qui per discutere di tattica militare, se non sbaglio.
La sua voce era così ferma e determinata che Astapor Raek non poté far altro che osservarne la figura, affascinato. Per lui era iniziato tutto come opportunità di accumulare maggior potere, ma era in momenti come questi che gli si presentava il dubbio che, forse, Theor avrebbe potuto davvero fare del bene alla sua gente. Sotto la guida di un mago così capace e di un politico così ferreo, le Terre del Nord si sarebbero potute trasformare in una potenza non minore di Ariador e Stato dei Re.
- Dunque parliamo di tattica militare - assentì Wesh in tono di sfida, indicando Levinia come per lasciare a lei la parola. La donna colse l'occasione per domandare:- Ci date l'autorizzazione a ordinare a Ferlon di inviare rinforzi a Qorren?
- Non ce ne sarà bisogno - dichiarò Astapor mentre un inaspettato sorriso si disegnava sulle sue labbra. - Finora non ho ritenuto opportuno parlarne, in quanto avevo una reputazione da difendere davanti alle cinque terre, ma ora che la mia reale affiliazione è stata scoperta, posso permettermi qualcosa in più. Ho degli uomini sull'Isola Grande. Un piccolo esercito privato di mercenari provenienti dal Popolo del Mare. Diciamo che, fino a questo momento, hanno mantenuto la funzione di guardie del mio palazzo e delle mie coste. Ma credo che accoglierebbero volentieri la possibilità di tornare in battaglia.
Levinia rispose alla notizia con un cenno di soddisfazione, ma gli altri non accolsero la notizia con l'entusiasmo che si era aspettato.
- Se come sostieni le Cinque Terre hanno scoperto il tuo coinvolgimento nell'omicidio del maestro Camosh - osservò Nax - è probabile che abbiano messo sotto sorveglianza i tuoi possedimenti nell'Isola Grande.
Ma Raek aveva la risposta pronta. - Non lo metto in dubbio, Consigliere. Ed è per questo che ho buoni motivi di pensare che abbiano svincolato i miei uomini dal loro incarico, probabilmente non senza una lauta ricompensa. Ma c'è una cosa che io so e che loro ignorano.
- E sarebbe?
Il suo sorriso si fece più ampio.
- Qualunque sia la loro destinazione, non intraprendono mai un viaggio prima di aver fatto rifornimenti per qualche giorno a Capo Thorne* . Che dista a poche ore a cavallo dal confine con l'Ariador.
Tutti gli sguardi saettarono da lui a Theor, come ad aspettare una sentenza.
- Uscite tutti - disse solo l'Uomo del Nord. - Astapor, tu resti.
Il Lord dell'Isola Grande guardò apparentemente impassibile Wesh, Nax e Levinia lasciare la sala delle riunioni. In realtà, adesso che si ritrovò da solo con Theor, cominciava a temere la reazione che le sue parole potevano aver suscitato in lui. Forse l'uomo avrebbe preteso che l'informazione gli fosse stata rivelata in precedenza. E vista la criticità della situazione non era detto che Theor non decidesse di reagire decisamente male alla sua negligenza.
Tuttavia, la risposta dell'uomo non fu qualcosa che Raek si sarebbe potuto aspettare.
- Odio i mercenari. Non mi fido di loro - disse il mago dopo essersi alzato in piedi. Percorse la distanza che lo separava da Raek e lo squadrò dall'alto in basso. - Come mi garantisci che non passeranno al nemico alla prima occasione?
- Conosco quegli uomini - rispose lui sicuro. - Non tradiranno la promessa di un buon pagamento.
- Un buon pagamento dici? E dove pensi che troveremo le ricchezze di cui abbiamo bisogno?
Lo stava mettendo alla prova, era evidente.
- Credo che, se riusciremo a tenere Qorren, la cosa non sarà più un problema.



* Il punto più occidentale delle Terre del Nord








Note dell'autrice:

Finalmente. Era da tanto che non dedicavo un punto di vista a un cattivo, ma credo sia arrivato il momento di mostrare qualcosa in più di Astapor Raek. Mi rendo conto che il capitolo non sia proprio interessante al massimo, ma mi è servito per fare un quadro della situazione che spero aiuti anche voi a raccapezzarvi nel panorama della guerra in corso.
Il prossimo capitolo dovrebbe tornare sotto il pov di Gala.
So di chiedere tanto, ma lasciatemi una recensione se avete tempo.
Al prossimo capitolo, Talia.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo 20 - Gala ***


20








Estel sembrava splendere, accesa dalla fredda luce di prima mattina. I tenui raggi del sole fendevano l'aria rendendo visibili i minuscoli granelli di polvere che la infestavano. Ombre allungate venivano proiettate dagli edifici in pietra che sorgevano ai lati delle stradine lastricate, in un reticolato suggestivo quanto arduo da percorrere.
Nonostante la cartina della città che reggeva in mano, Gala non aveva idea da che parte cominciare per tracciare l'itinerario che l'avrebbe condotta a casa dei suoi genitori. Aveva spedito un gufo alla volta di Estel il giorno prima di partire, ma non era del tutto sicura che fosse riuscito a giungere a destinazione, o almeno, non ancora. In ogni caso, era improbabile che i suoi genitori, consapevoli o no del suo arrivo, avessero mandato qualcuno ad accoglierla per darle il benvenuto nel Bianco Reame.
Aveva attraversato la catena montuosa dei Gharlani impiegando ben cinque giorni; poco c'era mancato che non riuscisse a trovare una guida che l'accompagnasse attraverso gli stretti sentieri e strade ferrate che fungevano da tramite tra il Bianco Reame e il resto del continente. La stagione invernale era alle porte e molti passi erano già sepolti dalla neve. Il pericolo di rimanere bloccati in una bufera o seppelliti da una slavina aumentava giorno dopo giorno. Alla fine, Gala era riuscita a trovare un thariano nativo di Zerla abbastanza temerario da sfidare la pericolosità del tragitto, o forse semplicemente allettato dalla succosa retribuzione offerta dalla giovane strega.
I Gharlani erano la catena più estesa di Fheriea e - nonostante il primato in altezza spettasse al Monte Erzeck del Massiccio Centrale - comprendeva il maggior numero di vette che superassero i cinquemila metri. Un'ulteriore muraglia naturale che dividesse la Gente Bianca dagli altri popoli dell'isola. Gala aveva riflettuto molto sulla decisione di partire o meno, e alla fine aveva deciso di rompere gli indugi. Non era mai più stata nella propria terra natia - se non per il fulmineo recupero della Pietra Viola - e non la ricordava affatto. I suoi genitori vi si erano trasferiti pochi anni prima e lei non aveva idea di cosa avrebbe significato rincontrarli. Così come non sapeva cosa aspettarsi dalla nazione in sé, i cui usi e costumi, lo sapeva, erano profondamente diversi da qualunque altro nell'Isola.
L'unico ricordo del viaggio compiuto quasi dieci anni prima con i suoi genitori era un sottile ciondolo con un pendente che recava incastonato un minuscolo arelath, pietra lucida e giallastra di cui le miniere nelle profondità dei Gharlani erano ricche. L'aveva indossato prima di partire, tirandolo fuori dal cassetto in cui l'aveva seppellito e avendo cura di nasconderlo sotto i vestiti. Forse sperava che, nel vederla indossare quell'antico regalo, i suoi genitori si sarebbero inteneriti almeno un poco.
La ragazza aveva una mezza idea di domandare loro di ospitarla per qualche giorno, nel tempo che avrebbe impiegato per decidere come comportarsi. Ancora non sapeva se avesse o meno intenzione di trasferirsi lì in modo permanente - di sicuro se l'avesse fatto avrebbe avuto bisogno di tornare a Grimal per radunare tutti i propri averi che erano rimasti a casa di Camosh. E, soprattutto, avrebbe dovuto avvisare e salutare degnamente Jel, anche se temeva terribilmente il giudizio che il mago avrebbe potuto formulare su di lei. Era per questo che in quelle settimane aveva cercato disperatamente di non pensare a lui, soprattutto nel momento in cui aveva deciso di partire per il Bianco Reame.
Si mosse per le vie della capitale pressoché a tentoni. Cercando di orientarsi con la mappa della città che aveva in mano, si diresse verso il centro: era sicura che i suoi genitori non si sarebbero presi la briga di acquistare una casa ad Estel a meno di trovarne una nella zona più prestigiosa della città.
Da buona straniera ignara, si rivolse a diversi passanti per chiedere informazioni.
- Se ha un attimo di tempo, avrei bisogno di sapere se conosce Steff e Grianna Sterman - disse gentilmente ad una giovane donna che usciva in quel momento da un'abitazione situata sotto un porticato. Questa la guardò con aria altezzosa. - Non siete di qui vero? Mi dispiace, ma ho da fare. Non conosco nessuno con questi nomi.
Naturale, pensò la strega con una stilettata di fastidio. Estel contava quasi ventimila abitanti, se avesse impiegato quel metodo avrebbe impiegato giorni a trovare i suoi genitori.
Continuò così per un'altra decina di minuti, avvicinandosi man mano alla piazza in cui sorgeva la reggia del Bianco Reame, quel giorno resa coloratissima dall'allestimento del mercato urbano. Il più delle volte i passanti risposero alla sua richiesta d'informazioni redarguendola con occhiate diffidenti, o la apostrofarono sostenendo di essere in ritardo per qualche ignota destinazione e di non sapere di cosa stesse parlando. Fu proprio mentre cominciava a chiedersi se tutta quella storia non fosse stata solo un madornale errore che la sua pazienza venne premiata. Un uomo di mezza età che stava in piedi dietro una bancarella di farinacei si rivolse a lei con inedita gentilezza: - I coniugi Sterman?
Il cuore di Gala le balzò in gola. - Sì - confermò facendosi largo verso di lui. - Grianna e Steff Sterman, li conosci?
- Vengono spesso a comprare il pane da me, quando il mercato si sposta a Estelian.
- Estelian? - ripeté la ragazza sbalordita. - Vuoi dire che non abitano qui?
Il panettiere rispose con un sorriso. - Devi venire da molto lontano, ragazzina. Estelian è solo un sobborgo a meno di un'ora dal centro della città.
- In che direzione?
- Sud-est. Segui quella strada senza imboccarne di secondarie - e indicò una delle quattro vie maggiori che si snodavano a partire dalla piazza.
- Grazie! - esclamò Gala voltandosi e affrettandosi nella direzione indicata. - Grazie di cuore!


Facendosi coraggio, Gala bussò alla porta con tre colpi decisi.
Una risposta si face attendere a lungo, finche la ragazza fu quasi tentata di voltare le spalle alla dimora dei suoi genitori e arrendersi.
Ma un attimo prima che mettesse in atto tale proposito, la porta d'ingresso si aprì senza far rumore. Davanti a lei c'era un donna poco più che quarantenne, dal viso morbido ma l'espressione severa. Lunghi e bellissimi capelli bicolori le scendevano sulle spalle: ciocche lillà si mischiavano e sfumavano in altre color castano chiaro, retaggio delle sue origini mezzosangue.
- Sei tornata, dunque - il tono di sua madre non era proprio quello di un comitato di benvenuto. Sembrava a metà strada tra il rimprovero e l'osservazione tagliente, non una novità per lei: Grianna era sempre stata una madre e una donna esigente, non tanto per ciò che si aspettava da lei, quanto piuttosto per il suo modo di porsi con tutto ciò che riguardava il mondo che la circondava. Era così intimamente fiera da andarsi bene così, e si aspettava che anche gli altri si ponessero i fermi principi che aveva stabilito per se stessa. Rigore, serietà, impegno. E il totale disprezzo verso qualunque cosa riguardasse la magia. Il nostro continente è sorto sulle ceneri di una civiltà che, nel perderla, ha perso tutto. Toryma e i suoi discendenti, Tarth Merafs... hanno ricostruito questo mondo, e lo hanno fatto senza Magia. Erano parole che Gala aveva udito così tante volte, sempre in una formula leggermente diversa. Grianna le aveva pronunciate anche nel momento il cui la ragazzina aveva annunciato di voler intraprendere un'istruzione nell'arte della stregoneria.
I suoi genitori non erano contrari alla sua decisione di entrare in politica. Semplicemente, avrebbero desiderato che lo facesse rimanendo una persona normale.
- E hai fatto carriera, da quanto ho sentito. Hai girato l'intera Fheriea, hai sfidato la Ribellione...
- Sai della nostra missione? - chiese Gala senza riuscire a mascherare la sorpresa.
Sua madre le rivolse uno sguardo torvo, poi tornò al suo lavoro. - Avresti potuto morire. Credi che mi fossi dimenticata di te? Il maestro Camosh mi ha tenuta aggiornata sui tuoi riguardi per degli anni. Ma è da tanto che non ricevo sue notizie.
- Il maestro Camosh è morto, mamma - sussurrò lei. Le parole di Grianna l'avevano profondamente stupita. Aveva sempre pensato che, fra le altre cose, i suoi genitori si fossero trasferiti così lontano anche per dimenticare lei e la delusione che era stata per loro.
- Oh - la donna non cambiò espressione. - Mi dispiace molto. So che era come un padre per te.
Gala quasi non riusciva a credere che la persona con cui stava parlando fosse colei che l'aveva tenuta in grembo per nove mesi e che l'aveva accudita nei suoi primi anni di vita. Grianna sembrava un'estranea, così come il modo in cui le aveva appena parlato.
Ce l'ho già un padre, avrebbe voluto rinfacciarle. E forse non avrei avuto così tanto bisogno di Camosh se lui fosse stato presente nella mia vita!
Stava per farlo, forse, quando sua madre riprese a parlare: - Sei qui per chiederci di tornare a vivere con noi, non è così?
Quelle parole smorzarono del tutto l'enfasi che stava infiammando la giovane strega, facendole realizzare che era il momento di dire qualcosa che mai si sarebbe immaginata. Un mea culpa.
- Avevi ragione, madre. Avevate ragione. Su di me, sulla Magia, su tutto. Mi ha portato solamente guai e dolore.
In un solo vorticoso istante, tutto il peso di quelle parole si ritrovò a gravare su di lei in modo quasi insostenibile. Era come se stesse rinnegando se stessa, tutto ciò in cui aveva creduto. Senza contare della ferita terribile al suo orgoglio che si era appena auto inflitta. Dopo aver dato sfogo - ed essere stata fiera - della propria testardaggine, dopo che per anni aveva pensato di avere la meglio sul mondo intero, eccola lì, ad ammettere di aver sbagliato e a tornare a casa come un cane che si ripresenta guaendo dai padroni, a capo chino.
Per la prima Grianna sembrava sinceramente colpita dalle sue parole.
- Steff non arriverà prima di stasera - disse solo. - Ne parleremo quando sarà qui.
Si mosse verso di lei ma, nel momento in cui sembro stesse per superarla per dirigersi in un'altra stanza, si fermò di colpo e, prima che Gala potesse rendersene conto, si ritrovò fra le sue braccia.
Non fu come se tutti quegli anni non fossero mai passati, non fu una sorta di dichiarazione di pace, non risolse in alcun modo tutti gli attriti che c'erano stati fra di loro, ma fu qualcosa. Un sottile filo di affetto.
- Per ora sistema pure le tue cose nella mansarda - le disse a bassa voce.
Mentre sua madre si separava da lei per uscire davvero dalla stanza, Gala si ritrovò a studiare i particolari della casa a bocca aperta, pervasa da uno strano senso di curiosità. Trovò subito una graziosa scala a chiocciola e la risalì, portandosi al primo piano. Diede un'occhiata in giro e appurò che li dovessero trovarsi la camera dei suoi e una stanza che, oltre ad essere colma dei libri che gli Sterman si erano portati dietro da Grimal, doveva fungere anche da studio per suo padre Steff. Non si era neanche informata su che professione svolgesse in nella nuova città...
Pensando che in seguito non le sarebbe dispiaciuto trascorrerci del tempo, la giovane individuò una botola lignea nel soffitto di pietra. La scala a chiocciola si interrompeva al primo piano, sostituita da un più rude scala a pioli.
Depositando la propria sacca da viaggio a terra, Gala raggiunse la botola, fece scattare la serratura e la aprì. Una nuvola di polvere le si riversò sul viso facendola starnutire.
Si issò nella mansarda aspettandosi di trovare un ambiente sporco e quasi abbandonato, ma rimase piacevolmente sorpresa.
Il sottotetto era alto quanto bastava per permetterle di ergersi in piedi, e l'ombra della stanza smorzata dalla presenza di due finestre oblique scavate nel tetto. Ce n'era anche una terza, tonda e ornata da sottili tende ricamate. In un angolo, qualche baule mezzo pieno di vestiti vecchi e suppellettili dimenticati. A ridosso della parete di fondo c'era persino un materasso di piume.
Gala avvertì il magone crescere dentro di lei, finché una lacrima non spuntò all'angolo del suo occhio sinistro. Forse sua madre, nel profondo, aveva sperato che un giorno Gala rinunciasse a tutto e tornasse da lei.
La ragazza sorrise lievemente, poi si riaffacciò all'apertura nel pavimento e attirò a se con la Magia la sacca che si era portata dietro.

                                                                    ***

UNA SETTIMANA DOPO


La sua affittuaria era una donna sui sessant'anni, appesantita dall'età ma ancora energica. Si chiamava Elsa Erisyn ed era una perfetta rappresentante dei caratteri somatici della Gente Bianca: occhi di un azzurro limpido, pelle candida sgualcita da qualche ruga agli angoli degli occhi e della bocca, capelli fini e di un viola così acceso da far sembrare quelli di Gala quasi grigi. Era tipico delle persone che si avviavano verso l'età della vecchiaia: i capelli, invece di ingrigirsi, si tingevano piuttosto di tonalità più scure.
Elsa aveva deciso di affittare stanza per stanza dell'edificio che i suoi genitori le avevano lasciato in eredità: suo marito era morto per malattia pochi anni prima, e lei non sapeva che farsene di una casa così grande. In verità, aveva aggiunto avvicinando la bocca all'orecchio di Gala, temeva che l'avrebbe colta una malinconia troppo grande nel vivere da sola nello stesso luogo che aveva visto morire prima sua madre, poi suo padre e infine il marito Nerion.
Gala non aveva avuto nulla da ridire, anzi, era stata lieta di trovare un posto non troppo impegnativo dove stabilirsi: la propria stanza si trovava al secondo piano, era ampia e arieggiata, e come se non bastasse Gala non aveva nemmeno avuto bisogno di arredarla: Elsa aveva lasciato al loro posto la maggior parte dei mobili. Uno splendido specchio posto sopra la cappa del camino aveva subito attirato l'attenzione di Gala: era così ampio da occupare l'intera superficie di pietra, impreziosito da una splendida cornice composta da arabeschi di rame ossidato.
Con sua madre e suo padre aveva concordato che sarebbe tornata a vivere con loro solo nel momento in cui si fosse trovata un lavoro lì in città. Un trattamento decisamente freddo da parte loro - cos'altro avrebbe dovuto aspettarsi? - ma ora Gala constatava che vivere da sola non era poi così male. Le piaceva l'autonomia che quello stile di vita le imponeva: un altro passo verso la maturità, verso l'età adulta. E lei sperava che quello fosse lo scoglio oltre il quale sarebbe finalmente riuscita a divenire più salda e coriacea, arrivando a dimenticare, o almeno ad accettare, tutto ciò che era successo nell'anno precedente.
Per quanto riguardava il lavoro, la ragazza era rimasta affascinata dalla quantità di intrugli ed erbe essiccate in bella mostra nella bottega dello speziale, convincendosi che fargli d'assistente poteva essere un buon inizio per lei. Incoraggiata dalla propria conoscenza e abilità negli incantesimi curativi, si era presentata alla bottega domandando se per caso ci fosse il bisogno di un aiuto.
Ma Raioh Fern, il titolare, aveva smorzato il suo entusiasmo presentandole il ragazzo che già occupava quella mansione. Quando Gala aveva timidamente avanzato la proposta di preparare antidoti e simili anche grazie all'aiuto della magia, Fern si era alterato non poco.
"Hai letto l'insegna, ragazzina? Sono uno speziale, vendo medicine, non rimedi magici. Per quanto voi maghi possiate pensare di avere sempre tutto sotto controllo, è mio compito adoperarmi affinché si possa salvare una vita anche senza ricorrere a pratiche di stregoneria."
Gala gli aveva fatto notare che, nel Bianco Reame, ogni famiglia in media poteva contare su almeno un membro che praticasse la Magia. L'uomo aveva reagito sbattendole la porta in faccia.
Piuttosto adirata, Gala aveva fatto per voltare le spalle alla bottega, quando il giovane apprendista, probabilmente impietosito, aveva fatto capolino dietro di lei richiamandola. "Reioh non è l'unico speziale in circolazione. Ce n'è un altro nel Nord della città. Da quello che ho saputo il suo aiutante si è ammalato qualche mese fa, e non so se si riprenderà. Potresti provare da lui."
Colta alla sprovvista da quell'inaspettato atto di premura, Gala aveva domandato se poteva essere più preciso, ed era riuscita a farsi una vaga idea di dove potesse trovarsi tale bottega.
Ed era lì che si stava dirigendo in quel momento.
Stava giusto svoltando per immettersi in un corso appena dietro la piazza centrale, quando qualcosa attirò la sua attenzione: sul lato destro della strada, proprio davanti ad un ingresso sotto il modesto colonnato - i portici erano una costante ad Estel - era stato allestito un bancone in legno rudemente lavorato; si vedeva che era stato allestito in maniera frettolosa e poco professionale, motivo per cui Gala rimase di stucco nel leggere l'insegna appesa sopra la porta alle sue spalle:
"Arruolamento volontari per l'Esercito delle Cinque Terre".
Ma fu nel posare lo sguardo su uno dei due uomini seduti dietro il banco che il cuore di Gala perse un battito. Jack Cox.
Istintivamente, la ragazza si ritrasse nascondendosi dietro una colonna di pietra dall'altra parte della strada. Che cosa ci faceva Jack ad Estel, in rappresentanza delle Cinque Terre? Non era un membro del suo esercito. Se non ricordava male, aveva detto a lei e a Jel di essere un luogotenente del Lord di Rocca Tarth.
Non aveva alcuna intenzione di venire riconosciuta. Il capitano ariadoriano aveva dimostrato di possedere l'innata capacità di metterla in imbarazzo fin dal primo momento, qualità che era aumentata a dismisura da quando le aveva salvato la vita nella battaglia che avrebbe portato alla conquista di Hiexil da parte dei Ribelli.
Di sicuro, non si sarebbe fatta vedere da lui lontana dal fronte e in fuga da tutto.
Si sporse dal proprio nascondiglio improvvisato e guardò meglio. In un attimo si chiese come avesse potuto essere così stupida da scambiare quel ragazzo per Jack Cox. A occhio e croce sembrava essere più basso di una decina di centimetri, e decisamente più giovane. Sul volto aveva una spruzzata di lentiggini, niente di più lontano dal volto indurito dal sole di Jack.
Lievemente sollevata, e sentendosi all'improvviso curiosa, uscì allo scoperto e si avvicinò al banco.
- Che ci fanno due ariadoriani a reclutare uomini dall'altro capo del continente? - domandò cercando di apparire disinvolta.
Uno dei due si limitò a ridacchiare senza alzare il capo dai documenti che stava studiando, mentre l'altro, il fasullo Jack, le rivolse un'occhiata canzonatoria.
- Non hai letto l'insegna? - era la seconda volta in un'ora che le veniva posta quella domanda - Non arruoliamo volontari per l'Ariador, ma per le Cinque Terre.
- Direi che la cosa non sta andando bene allora - rispose lei accennando alla lista - poco nutrita - di firme già raccolte.
Il ragazzo sembrò irritarsi. - Senti, cara - esordì - Non so chi tu sia, e non so cosa tu ci faccia qui, ma abbiamo da fare. E a meno che tu non voglia arruolarti, cosa che ritengo improbabile, noi due non abbiamo niente da dirci.
- Quindi un membro del Gran Consiglio non ha il diritto di interrogare dei membri dell'Esercito delle Cinque Terre?
Per la seconda volta, la reazione dei due uomini non fu quella che si sarebbe aspettata. Il giovane davanti a lei scoppiò direttamente a ridere, mentre l'altro, che poteva avere sì e no quarant'anni, la squadrò con ilarità prima di parlare.
- Non ci senti, consigliera? Noi non facciamo parte dell'esercito, lavoriamo solo per loro.
Non le credevano, era evidente. Ma ora che - completamente a caso - si era buttata in quel confronto, voleva uscirne vincitrice. Uno sprazzo del suo antico ardore, della sua vitalità.
- E voi perché siete qui, invece di combattere per la vostra terra?
Era una domanda che si sarebbe potuta rivolgere anche da sola, come si rese conto in una manciata di secondi.
Le loro espressioni si incupirono. Il ragazzo si alzò di scatto, appoggiandosi con forza al piano del tavolo.
- Hai mai visto qualcuno combattere senza una gamba? - ringhiò.
Sporgendosi un poco in avanti, Gala ebbe modo di constatare che non mentiva: l'arto destro gli era stato amputato poco sotto il ginocchio. Le pelle cicatrizzata ne ricopriva l'estremità, stranamente arrotondata, nascondendo le ossa.
Sentendosi avvampare per la vergogna, Gala abbassò lo sguardo.
- Mi... mi dispiace - mormorò. - Non so cosa mi sia preso.
In realtà lo sapeva eccome. Aveva trovato qualcosa che la collegasse con il resto del mondo che si era lasciata alle spalle, qualcosa che le riportasse alla mente la Ribellione e le continue sfide che aveva dovuto affrontare, e aveva sentito il bisogno di ritornare a far parte di quel mondo almeno per un momento.
Per scusarsi, allungò la mano in segno di rispetto. - Mi chiamo Gala Sterman. C'era del vero nelle mie parole, ho fatto parte del Gran Consiglio per qualche anno. Ma ora ho rinunciato al mio incarico e sono venuta qui. Sono io la codarda.
Mentre il suo compagno voltava lo sguardo per dedicarsi al giovane che si era appena presentato per rispondere all'appello delle Cinque Terre, lui la passò in esame con sguardo critico, probabilmente pensando di trovarsi davanti qualcuno di completamente fuori di testa. Alla fine la imitò e si strinsero la mano.
- Io sono Nigel Cox - disse.
Dunque aveva avuto ragione. Il volto di Gala si illuminò un poco. - Conosci Jack Cox?
- Se lo conosco? È mio fratello - Nigel dovette notare il cambio d'espressione della strega, perché aggiunse:- Immagino che l'abbia conosciuto anche tu. Fa sempre quest'effetto sulle ragazze che incontra.
- Ragazze?
- Preferivi che dicessi "bambine"?
Non sarà stato un gran combattente, ma quel ragazzo possedeva la stessa sfacciata ironia del fratello maggiore. Non poteva avere più di un paio d'anni rispetto a lei. Aveva i capelli più chiari di Jack, il viso pallido cosparso di lentiggini. Ma nonostante la fisicità sbarazzina, il suo sguardo rimaneva duro e quantomai attento.
- L'ho conosciuto, sì. In un'occasione abbiamo combattuto insieme, vicino al confine delle Terre del Nord. Ma è stato molto tempo fa, poco prima che i Ribelli prendessero Hiexil.
- E così - fece il giovane interessato. - Sei entrata nel Gran Consiglio così giovane, hai combattuto nel Nord... che cos'altro hai di speciale?
Gala fu tentata di rispondere che era una strega istruita dal maestro Janor Camosh in persona, ma poi si trattenne. Aveva già dato un'immagine di sé abbastanza negativa, non voleva sembrare ulteriormente arrogante.
- E come... come sta Jack?
Fu colta di sorpresa da quella domanda. Il tono di apprensione malcelata in quelle parole le suggerì di scegliere con cura le proprie.
- Quando l'ho conosciuto era in ottima forma - rispose con voce incerta. - Aveva preso il comando delle sue truppe dopo la morte del vostro signore. Mentre inseguiva un gruppo di Ribelli gli è stata tesa un'imboscata, ma è riuscito a tornare al campo sano e salvo. Un paio d'ore dopo io e Jel - s'interruppe - io e il mio compagno abbiamo dovuto ripartire.
- Ripartire? E cosa ci facevate nel campo di mio fratello?
Gala si irrigidì. - Mi dispiace - disse per la seconda volta - ma... - per quanto quel ragazzo le ispirasse simpatia, non le sembrava una buona idea mettersi a parlare davanti a tutti della loro missione di riunire le Pietre Magiche. Forse nemmeno le avrebbe creduto. - È meglio che tu non lo sappia. Era... una faccenda diplomatica.
- Non mi sembra che tu sia stata molto diplomatica, prima.
Nigel rise e lei, sollevata, fece altrettanto. Non sembrava intenzionato a insistere.
Completamente dimentica del motivo per cui aveva imboccato quella strada, Gala si sedette su un gradino vicino a lui. Discussero a lungo, sporadicamente interrotti da uomini giovani e non - persino da un paio di donne audaci e ben piazzate - desiderosi di partecipare alla causa contro gli aggressori del Nord. Il giovane le portò addirittura una tazza di tè dall'interno del locale che avevano affittato per quei giorni di permanenza ad Estel.
Era da tempo che non si interessava approfonditamente a ciò che stava accadendo al fronte, e ne approfittò per aggiornarsi grazie alle conoscenze di lui. Pur non potendo combattere per via della gamba - che come le racconto gli era stata amputata da bambino, dopo che era finita schiacciata sotto la ruota di un carro - aveva prestato servizio come aiuto cuoco per il soldati di Lord Tarth, ma dopo lo scoppio della Ribellione aveva deciso di trovarsi un'occupazione presso l'Esercito delle Cinque Terre ed era così che si era ritrovato a fare da reclutatore prima nell'Ariador meridionale, poi a Tharia e infine nel Bianco Reame.
D'altro canto, Nigel non sapeva nulla di politica e delle attività del Consiglio, pertanto Gala ricambiò - facendo attenzione a non svelare dettagli delicati - raccontandogli delle sedute nella reggia di Grimal, della morte del Consigliere Camosh per mano di assassini ancora ignoti.
Fu a quel punto che Nigel disse qualcosa che la ragazza mai avrebbe voluto sentire.
- No - obiettò interrompendo il suo racconto sull'omicidio di Camosh. - Non ignoti. Le autorità di Città dei Re lo hanno reso pubblico una decina di giorni fa, e la notizia ha fatto il giro delle Cinque Terre.
Gala ebbe l'impressione che le budella le si torcessero. Quella notizia riaprì la vecchia ferita e la cosparse di sale.
- C'è un traditore nel vostro Consiglio. Il Re ha messo sulla sua testa una taglia di ventimila york...
- Chi è? - esclamò la strega febbrile, scattando in piedi, anche se sapeva che sarebbe stato meglio non domandarlo. - Chi l'ha ucciso?
Senza capire il perché del repentino cambio d'atteggiamento, Nigel rispose in tono vago: - Non ricordo con esattezza, aveva un nome strano.
- Ossia?
Il ragazzo si grattò il capo, poi schioccò le dita.
- Ora ricordo. È il Lord dell'Isola Grande. Un certo... Antonov Raek, ti dice niente il nome?
La tazza cadde a terra dalle mani di Gala con uno schianto.








Note dell'autrice:

Ebbene sì, due capitoli in un mese!! Sarò sincera, non contavo di riuscirci, specie perché sapevo di dover inserire parecchie cose in questo capitolo, e invece ce l'ho fatta ^-^ Si vede che è estate eh? Visto che non è passato tanto dall'ultimo aggiornamento ho deciso di non mettere nessun riassunto all'inizio, non che nello scorso capitolo fosse successo molto...
Io continuo a chiedervi di recensire, giusto perché ormai è un automatismo. Al prossimo capitolo, che temo non arriverà prima di metà luglio. Ciao :)


EDIT: La data che appare è del 3.07.2017 perché per sbaglio avevo cancellato il capitolo è l'ho ripostato oggi.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo 21 - Dubhne ***


21








Intenta a ripulire la propria lama dalle macchie di sangue, Dubhne si guardò intorno e osservò i particolari del campo di battaglia.
Un forte brusio si levava dalle viuzze di Meck, ma non era lì che la Combattente si trovava in quel momento; stava ritta in piedi appena oltre il limite delle abitazioni del paesino, dove si erano combattuti gli ultimi atti della riconquista. Anche se, "riconquista" non era il termine più calzante per definire la guerriglia che ai era consumata in quel piccolo avamposto dei Ribelli. La guarnigione lasciata da Theor a presidiare la cittadina era poco numerosa ma agguerrita. Il generale Olson Marat, uno dei gerarchi dell'Esercito delle Cinque Terre, aveva dato l'ordine di limitare al massimo le perdite, sia le proprie che quelle dei nemici. Dubhne non ne era sicura, ma aveva l'impressione che quella presa di posizione non fosse tanto frutto di spiccata indulgenza quanto della speranza che, forse, nel constatare la solida morale e clemenza delle Cinque Terre, alcuni Ribelli si sarebbero arresi e uniti a loro. In ogni caso, la tattica non aveva portato i risultati sperati: come di consueto, prima di iniziare l'assalto due messi erano stati mandati avanti, sventolando una bandiera bianca, per comunicare con un rappresentante dei Ribelli e invitarlo a dichiarare la resa.
Dubhne aveva realizzato che avrebbero dovuto ucciderli fino all'ultimo se volevano prendere Meck nel momento in cui aveva visto i due messaggeri tornare al campo trascinati dai loro cavalli, il petto crivellato di frecce.
E così era stato, i Ribelli non si erano arresi e loro erano stati costretti a passarli pressoché tutti a fil di spada. Ma almeno una parte del programma di Olson Marat era filata liscia: non avevano subito perdite ingenti. Una decina abbondante di soldati, niente di più, contro una cinquantina di Ribelli morti o, in un paio di casi, catturati.
Alesha e le altre guaritrici non si erano date pace per trovare superstiti tra le fila dei Ribelli. Dubhne davvero non riusciva a comprendere quale afflato benevolo potesse spingere una persona a prendere a cuore il destino di nemici feriti, ma era proprio quella una delle caratteristiche che rendevano Alesha così speciale per lei: era un piccolo raggio di bontà e gentilezza nella sua esistenza spietata, lo era sempre stata.
- Dovresti prenderti cura dei nostri feriti piuttosto che occuparti di questi marmocchi - l'aveva redarguita Jack in tono aspro indicando con un cenno il giovanissimo guerriero nordico su cui la giovane Ariadoriana era china.
Alesha, anche se un po' rossa in viso, aveva risposto al comandante con una traccia di sfida nella voce: - So molto bene di appartenere alle vostre truppe, mio signore. Per questo ho avuto cura di dedicarmi prima ai nostri feriti, e dal momento che le cose si sono messe piuttosto bene per noi, sono passata quasi subito a quelli del nemico.
Nonostante si fosse guadagnato un ruolo di netta importanza tra le fila ariadoriane, Jack aveva risposto mantenendo la solita sfrontatezza: - Ti consiglio di non fare troppo bene il tuo lavoro, o ti uccideranno non appena si saranno ripresi. O peggio.
Dubhne aveva visto Alesha smettere istintivamente di medicare la ferita alla gamba del ragazzo.
- Non farti spaventare da Jack - aveva sorriso la Combattente avvicinandosi e stringendole affettuosamente la spalla con una mano. - Ha solo preso questa guerra sul personale, come tutti.
- Conosco Jack da parecchio tempo, ho servito prima sotto Lord Tarth e poi sotto di lui. Non ha tutti i torti: questi Ribelli sono imprevedibili, ma non ho intenzione di rinunciare al mio compito. E poi - aveva risposto al suo sorriso - ho già chi mi protegge.
Dubhne la guardò accorata, anche se per un attimo le attraversò la mente il pensiero che non si stesse riferendo solo a lei.
La ragazza lasciò l'amica alle sue bende e ai suoi unguenti, e si addentrò nel paese per cercare una sistemazione per quella notte. Il fatto che molti civili avessero abbandonato la città da prima dell'arrivo dei Ribelli era un fattore favorevole in quel caso: molte abitazioni erano rimase vuote e, dopo essere servite da ricoveri per i Nordici, adesso lo erano per loro. Essendo di fatto ancora una zona di guerra, molti degli abitanti rimasti avevano abbandonato Meck non appena la battaglia di riconquista era terminata. I soldati ariadoriani e gli alleati delle Cinque Terre avevano dovuto ispezionare pressoché ogni edificio per accertarsi che non fossero rimasti nemici nascosti nell'oscurità di qualche cantina. La loro ricerca non aveva dato frutti, ma in compenso erano riusciti a convincere molti abitanti terrorizzati ad uscire dai nascondigli in cui si erano rifugiati durante gli scontri. Molti di loro se n'erano andati quasi subito, lasciando la città quasi completamente nelle mani dell'esercito.
Buttò uno sguardo a circa cinque interni prima di trovarne uno che facesse al caso suo e, sopratutto, vuoto. Nonostante avesse dovuto condividere innumerevoli volte la camerata o la tenda con altri commilitoni, continuava a prediligere la solitudine nella notte. O meglio, la sola compagnia di Alesha e, al massimo, di un paio di altre guaritrici che conosceva. Ora che aveva la possibilità di farlo, non voleva lasciarsela sfuggire: una notte ancora di tranquillità, prima che le cose si facessero serie.
Ora che l'esercito delle Cinque Terre si era "riscaldato" riprendendo Meck, era solo questione di giorni prima che arrivasse l'ordine di muovere su una delle due città maggiori in mano ai Ribelli.
Dubhne ricordava gli ultimi istanti trascorsi a Hiexil come se fossero stati marchiati a fuoco nella sua memoria. Ricordava la confusione, l'ebbrezza al pensiero della vittoria che si avvicinava... e poi quella donna che aveva spezzato le loro fila e poi, quando Jack era tornato al salvarla, l'aveva lasciata andare. E poi la fuga, gli interminabili minuti in cui Jack se l'era trascinata dietro prima che lei svenisse. Quest'ultima parte era l'unica ad essere sfumata, in modo tale da renderle difficile ricostruire come fossero andate realmente le cose.
Si sistemò in uno stanzone ampio e raffreddato dagli spifferi provenienti dai vetri frantumati delle finestre; il dettaglio più interessante era il piccolo vano che si trovava sotto la scala vicino alla parete di fondo. Dubhne decise subito che si sarebbe sistemata lì, l'unico posto relativamente protetto in una stanza che sembrava essere stata rivoltata come un guanto. Un tavolo rovesciato, qualche sedia traballante e una marea di piume fuoriuscite da un materasso squarciato. Una porzione del pavimento in un angolo era annerita, segno che qualcuno doveva aver acceso un fuoco all'interno per riscaldarsi.
Per evitare qualsiasi scrupolo, prima di rilassarsi condusse un'ultima rapida ispezione al piano superiore. La casa era deserta.
Tornata di sotto, si slacciò la cintura con la fodera della scimitarra e la adagiò contro il muro, sotto la scala. Cercando di ignorare i brividi, si levò anche surcotto e cotta di maglia, la quale cadde a terra con uno stridio metallico. Si rinfilò la divisa con i colori dell'Ariador, che senza lo spessore della cotta le ricadeva addosso larghissima, in mille pieghe. Poi si lasciò scivolare seduta sul pavimento e chiuse gli occhi. Ora che era nel pieno del calo di tensione, la stanchezza cominciava prepotentemente a farsi sentire.
Era già mezza addormentata quando Thaisa, una delle amiche di Alesha, entrò nel locale parlando a voce alta.
- Finalmente ti ho trovata Dubhne, ho impiegato quasi mezz'ora! - la guaritrice dai capelli cortissimi reggeva fra le braccia diverse coperte e pellicce. I suoi strumenti erano al sicuro nella sacca che portava sulle spalle.
Dubhne aprì un occhio, sorvolando sul fatto di essere appena stata svegliata solo perché Thaisa le stava porgendo una delle coperte. Afferrò la rassicurante pelliccia e vi si avvolse; la temperatura stava calando in fretta, e se nel pomeriggio era riuscita a tenere lontano il freddo grazie all'adrenalina e allo sforzo, con il sopraggiungere della sera esso si sarebbe fatto quasi insostenibile. Anche perché, vista la porta sfondata e le finestre rotte, non avrebbero potuto tener fuori l'aria gelida in alcun modo.
- Hai detto ad Alesha di raggiungerci, quando calerà la notte?
La guaritrice alzò le spalle. - Non l'ho incrociata, ma verrà a cercarci e ci troverà come io ho trovato te - disse tranquillamente.
In quel mentre un'altra giovane donna apparve sulla soglia e si precipitò dentro.
- Sto congelando - borbottò Layanne appropriandosi di due pelli d'orso che Thaisa aveva abbandonato sul pavimento di pietra. - Ancora qualche minuto là fuori e le mie dita saranno tutte nere e gonfie... non riuscirò a ricucire ferite per un bel pezzo.
A Dubhne suscitava simpatia quella esile ragazza pessimista, ma non lo disse.
- Coraggio, smettila di lamentarti. Siamo qui adesso, al sicuro e al caldo... - la stava prendendo in giro Thaisa. Mentre le due guaritrici si accostavano l'una all'altra per discutere delle ferite che erano o non erano riuscite a medicare quel giorno, Dubhne sprofondò di nuovo in quell'effimero mondo protetto che si trova tra la veglia e il sonno, ma senza mai riuscire ad addormentarsi.
Paura e aspettativa stavano ricominciando a farsi sentire più forti. Qorren o Hiexil, o entrambe, la stavano aspettando.
Alla Combattente pareva stessero passando ore, eppure Alesha continuava a non arrivare. Il pensiero che le fosse accaduto qualcosa di male sfiorò appena la sua mente, ma lei si costrinse ad allontanarlo. Era qualcosa che doveva mettere in conto: Alesha non era sua madre e viceversa, era una donna adulta con un mucchio di cose a cui pensare e probabilmente in quel momento era ancora là fuori ad occuparsi di amici e nemici moribondi.
Il buio si era fatto assoluto da diverso tempo quando finalmente anche lei si decise ad abbandonarsi al mondo dei sogni.


Quando riaprì gli occhi, Dubhne riuscì a scorgere enormi fiocchi di neve cadere aldilà dei vani delle finestre. Si guardò intorno: Thaisa e Layanne avevano dormito insieme per combattere il freddo, abbracciate. Non una grande idea dato che in compenso erano scivolate loro le coperte a terra. Erano entrambe ancora profondamente addormentate.
Ma di Alesha nessuna traccia.
Irritata, Dubhne si mise in piedi. Con un colpo di tosse si chinò per raccogliere gli indumenti da combattimento che aveva lasciato in un angolo e in attimo fu pronta ad uscire. Era ridicola e lo sapeva; eppure, ora che aveva ritrovato Alesha dopo così tanti anni di separazione non aveva alcuna intenzione di perderla, e una città appena conquistata non era esattamente un posto sicuro per una guaritrice, specie se graziosa come lei.
Accarezzando distrattamente il fodero della scimitarra che portava assicurata alla cintura, la ragazza si fece strada fra le vie in terra battuta con una mezza idea di andare a cercarla.
Si stava avvicinando al limitare del paese quando qualcosa attirò la sua attenzione: un clangore metallico, l'inconfondibile suono di lame che venivano incrociate.
Di solito i soldati trascorrevano il giorno successivo a una battaglia leccandosi le ferite e cercando di riposarsi, se ne avevano la possibilità, motivo per cui Dubhne proseguì in quella direzione un po' perplessa. Il sole non era ancora sorto del tutto, senza tenere conto della copiosa nevicata che si era tenuta nella notte. Chi poteva allenarsi già a quell'ora della mattinata?
Semplice. Qualcuno che non ha preso parte alla battaglia, si disse sarcastica la Combattente, riconoscendo Neor all'interno di un confronto con un ariadoriano che non conosceva. Erano entrambi menomati: Neor reggeva la propria spada con la destra ma senza più poter contare sulla sinistra per consolidare l'equilibrio, e il forzato impedimento lo ingoffava palesemente. Dubhne ricordava una manciata di allenamenti al palazzo Cerman nei quali Malcom Shist li aveva obbligati a fare pratica con un braccio legato dietro la schiena, ma non aveva idea se anche nella squadra di Peterson Cambrel si seguisse il medesimo criterio.
Neor aveva avuto la possibilità di venire congedato senza alcun disonore a causa della perdita del braccio, ma aveva rifiutato categoricamente. Almeno in quello l'uomo era rimasto lo stesso che Dubhne aveva conosciuto come nemico a Città dei Re. Testardo, orgoglioso.
L'Ariadoriano con cui si stava battendo invece zoppicava vistosamente. Dubhne immaginò la sua gamba sinistra percorsa da un lungo taglio, magari infettatosi un paio di volte prima di cominciare a rimarginarsi.
Da parte sua, la ragazza sperava seriamente che Neor si convincesse a lasciar perdere. Avrebbe potuto allenarsi per anni senza riuscire a recuperare la destrezza che aveva quando poteva combattere con entrambe le mani, per non parlare delle questioni aggiuntive come gli equilibri nel combattimento. Figurarsi quello che avrebbe potuto ottenere in poche settimane di combattimenti condotti contro avversari conciati come lui.
Con stupore notò che fra i presenti, un po' defilata, c'era anche Alesha. Tento di attirare la sua attenzione con un cenno, ma la sua amica temeva gli occhi fissi sul combattimento e non sembrava essere in grado di accorgersi di nient'altro. Dubhne tornò a concentrarsi sullo scontro proprio nel momento in cui Neor faceva volare via la spada dall'impugnatura dell'avversario e lo costringeva ad immobilizzarsi, inerte.
Accadde in modo del tutto inaspettato. Istintivamente, Alesha si fece largo tra i presenti e fece qualche passo verso lui. Neor se ne accorse all'istante, la cinse con un braccio e la baciò.
Contrariata, Dubhne sbarrò gli occhi. Quasi senza rendersene conto, voltò le spalle a quella scena e si allontanò a grandi passi. Non sapeva perché, ma nel vederli insieme aveva avvertito un furore sproporzionato crescerle nel petto.


Solo quando ebbe raggiunto la stanza in cui aveva dormito si rese conto che Alesha doveva averla seguita a distanza. Entrò nella casa pochi minuti dopo di lei, un po' rossa in viso.
- Hai trovato un buon posto per dormire, stanotte - commentò la guaritrice con un sorriso forzato. Sembrava a disagio. Dubhne avvertì una punta di soddisfazione nel vederla in difficoltà, anche se se ne senti immediatamente colpevole. Facendo finta di niente, si chinò sul proprio giaciglio e raccolse lentamente la coperta che aveva usato, cominciando a ripiegarla alla meglio.
- Vuoi che ti aiuti?
Senza voltarsi, Dubhne non rispose.
- Sei arrabbiata con me?
Dubhne ci rifletté per pochi istanti. - Un po' - ammise. Se non altro Alesha era andata dritta al punto, risparmiandole il momento il cui l'avrebbe dovuto fare lei. - Avresti potuto parlarmi di te e Neor.
- E perché, che cosa c'è da dire? Che mi sono trovata un uomo?
- Ad esempio - rispose Dubhne tirando fuori le unghie. - Mi sembra un argomento degno di nota.
- E tu hai pensato che dovessi chiederti il permesso? - fece Alesha di rimando. Sembrava piuttosto risentita, ma poi parve ripensarci. - Senti, ho sbagliato a non dirtelo prima. So che tra te e Neor le cose sono... insomma, appartenevate a squadre rivali e...
- Non è questo.
In quel momento era profondamente grata della totale mancanza di ipocrisia nella sua migliore amica. Aveva captato che Alesha era disposta a parlarne, per cui fece altrettanto.
- Tu mi hai sempre protetta, Al. Adesso tocca a me, e quando stanotte non ti ho vista arrivare... mi sono sentita strana. Come se non avessi il potere di tenerti al sicuro. Insomma, perché non mi hai detto che preferivi passare le tue notti con lui?
A quel punto la giovane ariadoriana divenne viola, ma sostenne il suo sguardo sbattendo appena le palpebre. - Non sapevo che l'avrei fatto. Me l'ha chiesto, e io gli ho detto di sì.
- Ed era già successo altre volte?
- Qualcuna.
Dubhne non sapeva cosa dire. In quel momento avrebbe desiderato ardentemente trovare l'ex Combattente e, debilitato o no, spaccargli il naso, ma per rispetto verso Alesha riuscì a trattenersi quanto bastava per domandarle:- Lo ami?
Alesha attese per diverso tempo prima di rispondere; si chinò e cominciò a raccogliere gli averi delle sue compagne e a raggrupparli con cura, per poi rinfilarli nella loro sacche.
- Ho pensato fosse meglio non pensare a quest'eventualità, ancora. Quando questa guerra finirà, se mai finirà, avrò tutto il tempo del mondo per pormi questa domanda.
Aveva parlato come se avesse soppesato a lungo quelle parole.
Per un attimo Dubhne si domandò se sarebbe diventata accorta quanto lei, un giorno.
Prima che potesse ribattere qualunque cosa, o anche solo decidere se voleva farlo, furono interrotte dall'arrivo di Jack.
Senza chiedersi come facesse il comandante a sapere sempre dove si trovasse, ma non senza avvertire un sottile moto di affetto nel constatare che, nonostante la mole di lavoro che doveva coordinare, l'uomo trovasse sempre il tempo di parlarle personalmente, Dubhne sollevò lo sguardo su di lui e Alesha face altrettanto.
- Novità? Sembri piuttosto agitato, lo devo prendere come un buono o un cattivo segno?
- I consiglio di guerra ha appena predisposto nuovi ordini. Ci muoviamo - rispose lui asciutto. - Ho pensato volessi saperlo prima degli altri.
Scomparve di nuovo dietro l'angolo, rapido com'era stato nella sua apparizione. Dubhne scambiò con Alesha un rapido sguardo, come per decidere sul da farsi, poi si lanciò all'inseguimento del comandante.
- Ci muoviamo per dove? - chiese ad alta voce, sovrastando il rumorio dell'accampamento che si risvegliava.
Un po' spazientito per il fatto di doverla aspettare, Jack si fermò e si sbottonò un poco sulle intenzioni dei vertici dell'esercito: - Dobbiamo riconquistare Qorren. Il generale Nyemar dice di aver visto la strega rossa saldamente a capo delle azioni militari a Hiexil solo l'altro ieri. Non può essere in due posti contemporaneamente.
- Questo è certo - commentò Dubhne a bassa voce.
Non poteva negarlo, da una parte, l'idea di tenersi alla larga dalla donna che l'aveva quasi uccisa era confortante, ma era proprio questo a riempirla di rabbia. Ne aveva paura, e questo per lei era inaccettabile.
- Hai idea se abbiano l'intenzione di partire subito o di aspettare che il freddo allenti un po' la presa? - chiese ancora mentre Jack riprendeva a camminare speditamente.
- Non lo so, ma ti consiglio di tenerti pronta - rispose lui criptico. - Abbiamo del lavoro da fare.
Con un mezzo sorriso sulle labbra, Dubhne lasciò che Jack tornasse alle sue solite mansioni. Era stato gentile ad avvisarla anzitempo.
Si concesse ancora qualche secondo, poi si voltò e tornò a grandi passi verso la casa in cui avevano dormito; erano ricomparse anche Thaisa e Layanne, tornate probabilmente dopo aver rimediato qualcosa da magiare per colazione. Alesha reggeva in mano un crostone di pane cosparso di marmellata, e Thaisa ne stava porgendo uno anche a lei.
Dubhne scosse la testa, nonostante il suo stomaco brontolasse per la fame.
- Non adesso - disse in tono pratico - Devo tornare dalla mia compagnia in fretta. Partiamo per Qorren.
- E ti pareva... - brontolò Layanne mentre finiva di radunare le proprie cose. - Dopotutto ci siamo trattenute qui anche troppo, non trovate?
Nemmeno le altre due sembravano troppo entusiaste. Sui loro visi si leggeva la preoccupazione all'idea di un attacco così importante. Anche per Dubhne sarebbe dovuto essere così e lei lo sapeva, ma come sempre in quelle situazioni era la voglia di provare i brividi della battaglia ad oscurare tutto il resto. Era una dipendenza cui non riusciva a sottrarsi, nonostante qualcosa fosse cambiato dopo il duro scontro verbale che aveva avuto con Jack diverse settimane prima.
Per la prima volta Dubhne era riuscita a riconsiderare il valore della propria vita, anche grazie al ricongiungimento con Alesha. Quando si era arruolata aveva pensato di dover accettare la possibilità di venire uccisa, cosa che aveva sperimentato molto da vicino durante i Giochi, ma più le battaglie si erano susseguite più aveva cominciato a considerarla inconsciamente una specie di catarsi, l'unica cosa che avrebbe potuto liberarla dagli oneri che portava sulle spalle.
Se non altro, ora sotto quest'aspetto le cose erano cambiate. Prima di andare in battaglia, Dubhne aveva ricominciato a domandarsi se ne sarebbe ritornata viva. E a desiderare di tornare viva.
Thaisa e Layanne erano già uscite, e lei sapeva che presto, almeno per un po', avrebbe dovuto separarsi anche da Alesha.
Sentendo che in qualche modo avevano ancora diverse cose da dirsi quel giorno, di getto la Combattente la abbracciò.
- Prenderò Qorren per te, Al - sussurrò - Poi avremo tutto il tempo per parlare. E quando avremo vinto questa guerra potrai finalmente essere libera di andartene dove vuoi. Con Neor, con me o da sola, se lo vorrai. Sarai libera. Te lo prometto.







Note: eh, alla faccia del metà luglio -_- Ma perché faccio certe promesse? In ogni caso, nonostante il ritardo, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Mi è dispiaciuto molto che nessuno abbia rcensito lo scorso perché ne ero stata molto soddisfatta, ma non importa. Se vi va recensite questo :)

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo 22 - Jel ***


22








Scappa Jel, vattene via.
Era una frase che gli ronzava spesso in testa negli ultimi giorni. Avrebbe desiderato farlo, con tutto se stesso. Lasciare quella città, quella guerra, andare via. Dire basta.
Eppure, schiavo del proprio senso di responsabilità, non aveva fatto niente di tutto ciò, rimanendo ancora una volta prigioniero del suo stesso ruolo.
Mentre percorreva a memoria la strada che l'avrebbe riportato alla propria locanda - tornava da una seduta con il custode Kryss piuttosto destabilizzante - il mago si disse che probabilmente Gala aveva preso la decisione giusta decidendo di sparire. Erano settimane, ormai non sapeva neanche più con precisione quante, che non aveva sue notizie.
La vide in modo talmente inaspettato da chiedersi se non fosse soltanto un sogno. Eppure sbatté le palpebre un paio di volte e la visione non accennò a svanire.
Gala Sterman si aggirava, un po' nervosamente a dire il vero, avanti e indietro davanti all'ingresso della locanda in cui Jel alloggiava, infagottata in un mantello bianco sulle cui spalle era avvolta una pelliccia che pareva essere di volpe. Qualcosa di molto lontano dallo stile elegantemente sobrio dell'abbigliamento dei Consiglieri.
I secondi trascorsero placidi e lenti mentre il giovane fissava sbalordito la ragazza con cui aveva condiviso il viaggio più difficile e spaventoso della sua vita. Era davvero lei? Ma certo, non poteva essere altrimenti. Anche se qualcosa sembrava essere cambiato nel suo portamento, quello era il suo viso. I suoi tratti. Il modo in cui camminava cercando di nascondere il nervosismo malcelava la sua tipica irrequietezza. Come era venuta a sapere che lui si trovasse a Citta dei Re e proprio in quella locanda? Che fosse passata prima da Grimal e avesse parlato con sua madre Lys?
Alla fine Jel si riscosse.
- Gala!
In un impeto di affetto, il giovane le si accostò e la abbracciò.
La ragazza fece altrettanto, appoggiando il mento sulla sua spalla. - Ciao Jel.


Erano seduti l'uno di fronte all'altra, entrambi davanti ad un bicchiere di vos fruttato. Era stata una sua idea chiudersi al caldo nella locanda "Da Forlark" per parlare in tranquillità.
Gala stava finendo di aggiornarlo su quelli che che erano stati i suoi movimenti negli ultimi tempi.
- ... così ho rintracciato i miei genitori e ho passato qualche giorno da loro. Ma, sai come sono, mi hanno convinta a cercare un lavoro per poter essere indipendente.
Un po' indisposto dal fatto che mentre lui era intrappolato tra riunioni ed estenuanti sedute con Kryss la sua migliore amica si fosse permessa un viaggio dall'altra parte di Fheriea, Jel si limitò ad annuire.
- Ehi - d'un tratto Gala alzò un braccio per attirare l'attenzione di una delle cameriera. - Portamene un altro per favore.
Jel alzò un sopracciglio, senza riuscire a trattenere un sorrisetto.
- Adesso bevi?
- No - lei alzò le spalle. - Ma diciamo che non disdegno un bicchiere d'alcolico quando ne ho l'occasione. Molto raramente insomma.
Calò un silenzio imbarazzato; Gala era stata lontana dallo Stato dei Re per poco meno di due mesi, ma in quel momento a Jel sembrava che fosse passato molto di più. Il fatto che anche prima della sua partenza non si fossero quasi mai visti non aiutava a rendere la situazione più distesa.
- Il maestro Anérion sarà contento di rivederti. In tutto questo tempo è stato troppo occupato per trovare un candidato idoneo per sostituirti e...
- Non me l'avevi detto, Jel.
Il Consigliere si zittì all'istante, senza riuscire a distogliere lo sguardo dal suo. Gala lo stava fissando in modo duro, quasi ferito. Jel sospirò profondamente, dicendosi che era stato sciocco a pensare, anche solo per un momento, di avere una possibilità di poter evitare quell'argomento.
- Gala, voglio che tu sappia...
- No, Jel - la strega aveva gli occhi in procinto di riempirsi di lacrime, e il fatto che continuasse a rimarcare il suo nome aumentò il disagio del giovane. - Non sono arrabbiata con te o, almeno, non voglio esserlo. Ma perché, perché non me l'hai detto?
- Avrei voluto farlo - disse lui lentamente. - Avrei voluto dirtelo un milione di volte. Sono stato tentato di farlo già allora, quando ho visto Astapor Raek parlare con Theor nel palazzo di Amaria. Ma all'epoca... ancora non sapevo con certezza che fosse stato lui.
- No, certo - fece la ragazza sarcastica. - E chi altro se non lui?
- Naturalmente l'ho subito intuito - puntualizzò Jel pacatamente. - Ma ho pensato fosse meglio non darti un altro dolore da affrontare, non nel mezzo del nostro viaggio.
- Quindi hai aspettato tutto questo tempo prima di parlarne al Consiglio? Ho saputo che la cosa è stata scoperta solo poche settimane fa...
- È stata resa pubblica poche settimane fa - la corresse il mago aggrottando la fronte. Stava per arrivare il momento più difficile...
Gala non lo deluse e, come si era aspettato, tornò all'attacco: - Devo dedurre che tu abbia parlato al Gran Consiglio ben prima che io partissi per Estel.
Jel si fece forza; avrebbe di gran lunga preferito evitare di dover pronunciare quelle parole, ma sentiva in qualche modo di doverlo a Gala. Forse questo le avrebbe fatto perdere anche quel briciolo di fiducia che ancora nutriva in lui, ma era un rischio che si sentiva in dovere di correre.
- Gala, ho detto al Consiglio del tradimento di Astapor Raek poco dopo che siamo tornati a Grimal. Partendo da quel presupposto hanno impiegato pochi giorni a raccogliere prove sufficienti per esserne sicuri. Se fossi stata presente anche solo alla metà delle sedute che si sono tenute, lo avresti saputo anche tu.
Lei incrociò le braccia: da lontano poteva sembrare solo il capriccio di una ragazzina, ma Jel poteva distintamente vedere un'espressione pericolosamente alterata dipingerlesi in volto. Forse non era stata sua intenzione intavolare una litigata, ma era evidente che quell'argomento fosse troppo delicato per lei, troppo.
- Quindi tutto il Consiglio sapeva chi era stato e nessuno si è curato di dirmelo? Proprio a me, la sua protetta, la sua apprendista? - lo incalzò sfregandosi con rabbia l'angolo dell'occhio destro, nel quale si erano raccolte diverse lacrime.
Mesto, Jel annuì. - Avrei dovuto dirtelo, lo so. Ma a volte devi fare qualcosa di terribilmente ingiusto per riuscire a proteggere le persone che ami.
- E quindi hai lasciato che io lo scoprissi da un estraneo? È così che mi proteggi, Jel?
- Tu sei sparita, Gala! - esclamò Jel drizzandosi sulla sedia e sovrastandola. - Siamo tornati qui dopo l'orrore che avevamo condiviso, che avevamo condiviso, e tu mi hai voltato le spalle! C'ero anch'io quando il maestro Ellanor ci ha informati che Camosh era sparito! C'ero anch'io al funerale di Janor e, credimi, non è passato un giorno senza che io pensassi al bastardo che lo ha ucciso. Ho le mani sporche di sangue Gala, e più di te. Eppure sono rimasto, e non ho perso una sola seduta del Consiglio da quando sono qui. E tu dov'eri in tutto questo?
Stava esagerando e lo sapeva, ma anche le parole di Gala avevano acceso in lui qualcosa. Mesi di fatiche e infinita frustrazione stavano venendo a galla e lui li stava riversando senza controllo contro di lei.
Ma Gala non era mai stata una ragazza semplice da intimidire nelle discussioni. Anche lei si alzò in piedi, rossa in viso.
- Dov'ero io? Ero distrutta, non lo capisci? Guarda in faccia la realtà, la nostra missione è stata un fallimento! Ogni cosa che abbiamo fatto negli ultimi quindici mesi è stato un fallimento!
Jel si ritrovò con le mani strette a pugno. Le parole di Gala l'avevano punto sul vivo, ma dopotutto aveva ragione: quel pensiero aveva attraversato anche la sua mente innumerevoli volte.
- Credi che non lo sapessi? Credi che la cosa non stesse distruggendo anche me? Forse io ti ho voltato le spalle, ma tu non sei stata da meno.
Vista l'espressione che si era dipinta sul suo volto, per un attimo Jel fu sicuro che Gala l'avrebbe schiaffeggiato, ma non fu così. Al contrario, la ragazza tornò a sedersi, facendo rumoreggiare la sedia mentre si spingeva indietro, lontana dal tavolo, lontana da lui.
- Io ho parlato con Kryss quando tu hai fallito. Io l'ho convinto ad addestrarti - disse con voce roca.
A questo Jel non seppe davvero come reagire. Per un istante nessuna risposta appropriata fu in grado di affacciarsi alla sua mente. Diceva la verità? Ma certo che diceva la verità, Gala non gli aveva mai mentito. O quasi.
Dopotutto, non si era mai spiegato cosa avesse potuto spingere il Custode di Città dei Re a cambiare idea così repentinamente; sollevato com'era dal fatto che avesse deciso di accettare di istruirlo il mago non si era poi posto troppe domande a riguardo.
Alla fine, decise di abbassare almeno un poco le difese.
- Lo hai fatto davvero? - domandò addolcendo il tono della voce. - Sei davvero stata tu?
Lei annuì. Non aveva abbandonato l'espressione grave, ma nel suo viso ora c'era qualcosa di nuovo: una sorta di matura fierezza che Jel non era abituato a scorgere in lei.
- Anch'io ho sentito le mie colpe sulle spalle, Jel. Tu non hai idea di come mi sia sentita codarda in certi momenti. Per questo... per questo ho cercato di fare qualcosa per farmi perdonare. Perdonare da te.
Quella rivelazione lo aveva convinto a cambiare atteggiamento nei suoi confronti. A d'un tratto il giovane si sentì lievemente in colpa per tutto ciò che le aveva appena rinfacciato, nonostante ci fosse della verità dietro quelle parole così dure.
Fece per abbozzare un tentativo di scuse, ma Gala alzò una mano per fermarlo.
- No. Avevi ragione, ragione su tutto - mormorò contrita mentre una lacrima solitaria lasciava le sue ciglia, e adesso sembrava molto più piccola dei suoi sedici anni. - Ma avresti dovuto dirmelo.
- Mi sembrava di averlo già riconosciuto questo.
Incrociò lo sguardo della sua amica e si ritrovò a rivolgerle un lieve sorriso, suo malgrado. - Mi sei mancata, Gala.
La ragazza lo imitò timidamente, ma durò solo pochi istanti.
Per quanto potesse valere, Jel si sentiva sollevato; almeno in quel frangente aveva fatto un passo avanti, un tentativo di sistemare le cose nel suo rapporto con Gala.
Di lì in avanti l'atmosfera si alleggerì fra i due. Per quanto fosse evidente che entrambi si sforzassero di tenere lontani gli argomenti più pesanti, almeno per il momento, Jel apprezzò sentitamente il fatto che l'amica si aprisse con lui sui progressi che si aveva intravisto nel rapporto tra lei e i suoi genitori.
Quando il suo racconto fu terminato, attese un paio di minuti prima di rivolgerle la domanda che premeva per uscire dalle sue labbra.
- Dunque... - azzardò tastando delicatamente il terreno e stando attento a ogni possibile cambiamento nell'espressione della ragazza. - Estel è stata una sistemazione momentanea. Ora che sei qui che cosa hai intenzione di fare?
- Parli del Gran Consiglio?
Jel annuì.
Questa volta fu Gala a sospirare, come per prendersi il proprio tempo. Di solito era Jel a ricoprire quel ruolo. Alla fine, quando parlò, sul suo volto si era disegnata una smorfia, come se avesse appena ingerito qualcosa di molto amaro.
- Sono tornata qui per fare qualcosa. Non posso più scappare. Se i Consiglieri saranno disposti ad accogliermi nuovamente alla loro tavola ne sarò felice. Se non lo faranno, beh, dovrò rispettare la loro decisione, ma non mi tirerò indietro da questa guerra.
Uno sprazzo della vecchia Gala, finalmente. Anche se in qualche modo più cupa, più feroce. Aveva scorto qualcosa che prima d'ora aveva visto raramente nei suoi occhi, un lampo di rabbia e desiderio di vendetta. Ma non poteva biasimarla. Il vortice della Ribellione aveva risucchiato tutti loro, Jel per primo; intrappolato nella sua ossessione per Sephirt aveva cominciato a scorgere qualcosa di simile alla follia al termine del proprio cammino.
Certo il suo istinto protettivo l'avrebbe spinto a desiderare che Gala non si facesse prendere troppo la mano, ma era presto per parlarne. E in ogni caso, qualunque cosa fosse successa, lei era un'adulta ormai - il suo racconto non aveva fatto altro che rafforzare in Jel quella certezza. Era giusto che in un momento come quello la giovane strega seguisse la sua strada senza che lui sorvegliasse le sue mosse come avrebbe fatto Camosh.
- La tua non è una decisione sull'onda dell'entusiasmo quindi? - le domandò. Non come quella di partire per il Bianco Reame insomma. Almeno di questo voleva essere sicuro.
- No, Jel - rispose lei scuotendo la testa. - Semmai il viaggio ad Estel è servito per farmi capire come stavano davvero le cose, e ora sto solo facendo un passo indietro.
Un passo indietro molto combattivo.
Questo non lo disse, naturalmente, limitandosi a guardarla avvertendo dentro di sé un'ombra di euforia.
- Sono contento di sentirtelo dire - commentò solamente.
Gala rise nervosamente, un gesto che palesò il suo bisogno di sciogliere almeno in parte una tensione accumulata in diversi mesi. Jel poteva indovinarlo perché quella era la stessa soffocante situazione in cui anche lui si trovava da quando erano tornati a Grimal, dopo che avevano ritrovato la Pietra Bianca.
Ma per la prima volta dopo tanto tempo, quella sera il Consigliere si coricò serbando il ricordo di un pomeriggio che gli aveva dato speranza.

                                                                    ***

La mattina successiva arrivò troppo presto.
La timida forma di allegria che il ritorno di Gala gli aveva portato era svanita in quelle scarse dieci ore di sonno che il mago si era concesso. Fu così che Jel lasciò le proprie calde e rassicuranti coperte che il sole non era ancora sorto. Dopo aver trangugiato frettolosamente una fetta di torta di mele per colazione e un bicchiere di ferangr* con un po' di latte, avvolto nel proprio manto scuro uscì nelle tenebre di Città dei Re. Verso est, appena visibile all'orizzonte, una luce flebile preannunciava che entro un'ora il bianco sole invernale sarebbe tornato ad illuminare la capitale.
Ormai le sedute con il custode Kryss si tenevano tutti i giorni, a volte anche a più riprese, a meno che mattina o pomeriggio non fossero già occupate dalle riunioni del consiglio di Città dei Re.
Per due volte era stato costretto ad interrompere momentaneamente l'addestramento, occasioni che erano coincise con le sedute prefissate del Gran Consiglio a Grimal.
Attraversare metà dello Stato dei Re e tornare indietro in pochi giorni era stato un ulteriore motivo di stanchezza e ansia che al giovane pareva infinita.
L'unica cosa che ormai gli permetteva di andare avanti e di non crollare non era affatto una speranza, o un proposito eroico: semplicemente, dentro di lui aveva prepotentemente preso forma la sensazione che se qualcuno, lui, non si fosse preso la responsabilità di affrontarla, Sephirt avrebbe continuato a umiliare i loro tentativi di contro offensive e portato i Ribelli alla vittoria.
Nella sua mente in quel momento la strega rossa occupava più spazio dello stesso Theor, relegato alla remota immagine di un burattinaio che forse aveva perso il controllo sulla propria marionetta più bella.
Fu assorto in questi cupi pensieri che il Consigliere raggiunse come al solito i sotterranei di Kryss.
Il custode lo attendeva nella cripta con le mani dietro la schiena.
- Jel - lo accolse tranquillamente con un lieve cenno del capo. - Sei pronto?
Sapeva quello che sarebbe accaduto di lì a poco, per cui annuì. - Non credo che potrei essere più pronto di così.
Kryss sorrise, poi batté le mani con un lieve schiocco.
L'ambiente intorno a loro svanì come in una nuvola di fumo; al posto del pavimento Jel si ritrovò a calpestare un prato ricoperto di erba secca. I grossi blocchi di pietra delle pareti non li circondavano più. Erano all'aperto.
Guardandosi intorno, il mago cercò di ricordare se si fosse già trovato in un posto del genere; di certo non era nessun luogo appartenente allo Stato dei Re, perché non si scorgevano catene montuose in nessuna direzione, né le Montagne Rosse, né il Massiccio Centrale, né le basse cime vicino al confine con la nazione di Tharia, mentre la conformazione della nazione centrale di Fheriea era tale da rendere visibili delle montagne in qualunque luogo ci si trovasse.
Kryss doveva aver inventato di nuovo.
Il panorama era spoglio, privo di potenziali distrazioni; ogni cosa era ridotta all'essenziale, al limite dello stilizzato. Qua e là spuntavano alberi dal basso fusto, completamente spogli di qualunque fogliame.
Di fronte a loro, una figura dal volto chino verso il basso aspettava in silenzio che Jel cominciasse l'allenamento giornaliero. Aveva capelli neri arruffati ed era alto quanto lui, ma la sua pelle era livida. Jel sapeva che, se il guerriero avesse alzato il capo, avrebbe incontrato uno sguardo freddo e vuoto.
Ma nonostante tutto, la somiglianza tra loro era impressionante.
Il guerriero ombra ti è venuto davvero bene stavolta pensò il giovane con un sorriso storto.
Il mondo illusorio che il custode Kryss era in grado di creare era qualcosa di meraviglioso e terribile insieme. Quando aveva provato a chiedergli se mai sarebbe diventato abbastanza potente da acquisire quella capacità, il vecchio aveva sorriso. Questi sono solo antichi giochi di prestigio, Jel. Infinitamente difficili da produrre e di scarsa utilità. Al che lui gli aveva fatto notare che, senza di esso, non avrebbe avuto modo di allenarsi nel combattimento con la Magia Antica.
I guerrieri ombra esistevano solo nelle menti dei loro creatori e dei soggetti di cui assumevano sembianze e capacità, ma era sufficiente che fosse così. Creare ambienti e avversari fittizi era il modo più veloce per combattere senza affrontare il problema di trovarne di reali.
Dopo ogni scontro Jel tornava alla realtà steso a terra, o rannicchiato accanto al muro. Era un'attività mentalmente devastante che non lasciava tracce sul suo corpo e non lo metteva mai realmente in pericolo - morire significava solo interrompere l'incantesimo - ma gli permetteva di esercitarsi con la Magia Antica liberamente, senza il rischio di danneggiare la cripta o altri ambienti. Inoltre, data la realtà fittizia in cui si temevano i combattimenti, l'unica fonte di Magia cui Jel poteva attingere era la propria individualità e la Magia che vi era serbata. Non c'era dunque il rischio che non resistesse alla tentazione di ricorrere a qualche incantesimo ordinario.
All'interno di quel mondo di illusioni Jel poteva sentire la fatica fisica, oltre a quella mentale, e i colpi ricevuti potevano dolere quanto quelli reali. Una volta che Kryss poneva fine all'incanto, i postumi degli sforzi fisici dello scontro impiegavano una manciata di secondi per scomparire. Balzi, corse e schivate non erano reali, ma la concentrazione per generare incantesimi sì, e questo lasciava la mente affaticata come dopo un vero combattimento di Magia. E, in ogni caso, la natura degli incantesimi antichi era tale da fare in modo che anche il fisico ne risentisse. Con il tempo questo aspetto era migliorato, ma ciononostante erano ancora numerose le volte in cui l'esercizio di quei poteri lasciava Jel madido di sudore e con il fiato corto. Come se non bastasse, dopo quel genere di allenamenti tornava a casa puntualmente afflitto da un terribile mal di testa concentrato sulle tempie che lo costringeva a stendersi spesso per riposare tra un incontro e l'altro anche durante il giorno.
Conscio del fatto che probabilmente anche quella volta sarebbe andata così, Jel si levò di dosso il mantello e lo lasciò scivolare sull'erba.
- Sarò con te per tutto il tempo - disse Kryss ammiccando. - Fai del tuo meglio.
Come se quelle parole fossero significate una sorta di segnale, il guerriero ombra di fronte a lui alzò di scatto il capo e fissò lo sguardo su di lui, pronto ad attaccare.
Si comincia.








Note dell'autrice: lo so, lo so che non avrei dovuto inserire una faccenda complicata come i combattimenti simulati in modo così "a bomba" ma davvero non avrei saputo come altro fare. In più, solo recentemente mi sono posta il problema di dove potesse Jel allenarsi senza il pericolo di danneggiare niente e nessuno, e mi è venuto spontaneo pensare che Kryss potesse avere la soluzione. Lo ammetto, ho guardato troppe volte Matrix...
Ma quanto è trash il finale con quel "si comincia"? Non troppo spero, a volte non riesco a resistere alla tentazione di una battuta a effetto.
Spero vi sia piaciuto l'incontro, dopo tanto tempo, tra Jel e Gala; ho provato ad esprimere i sentimenti contrastanti che possono provare due persone nella loro situazione, tra rancori, affetto e parole non dette.
Ringrazio heliodor che ha da poco inserito la mia fic tra le preferite, e naturalmente easter_huit e Florence che hanno recensito lo scorso capitolo.


*il ferangr è semplicemente una bevanda che ricopre circa il ruolo del nostro caffè ed è adatta ad essere consumata a colazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo 23 - Jel ***


Note: et voilà, ecco il ventitreesimo capitolo. Contiene snodi importanti per la trama, tant'è che è stato davvero impegnativo da stendere. Visti i miei ritmi abituali direi che sono stata persino rapida XD Visto che nessuno ha recensito lo scorso capitolo e che questo era già successo per il ventesimo, vi andrebbe di recensire questo? Per favore, ci tengo molto. Non sono tanto convinta dell'ultima parte, ho paura che sembri un po' troppo frettolosa.
Buona lettura.









23








Il mago dischiuse i palmi di entrambe le mani, che furono immediatamente divorati da fiamme che non bruciavano. Era una delle prime volte che riusciva a praticare due Evocazioni al contempo.
Il guerriero ombra schizzò verso di lui scagliandogli contro zolle di terra che aveva fatto apparire dal nulla, ma il fuoco di Jel le disintegrò prima che lo colpissero; un attimo prima che il suo sosia gli fosse addosso, il giovane riuscì a concentrarsi abbastanza in fretta da scomparire e riapparire alle spalle del suo avversario. La trasmissione istantanea era in assoluto l'abilità più complessa che fosse riuscito ad acquisire.
La mossa funzionò solo per metà: il guerriero ombra ebbe quell'attimo di disorientamento che permise a Jel di colpirlo alla schiena con un calcio ma, quando tentò di indirizzargli contro una seconda Evocazione, questi riuscì a bloccarla con un incantesimo di scudo praticato senza neanche il bisogno di guardarsi indietro.
Dal momento che le capacità dell'avversario dovevano rispecchiare all'incirca quelle di Jel, questa sarebbe dovuta essere una buona notizia per il giovane, ma l'unica cosa a cui riusciva a pensare in quel momento era trovare un modo per riuscire a batterlo. I guerrieri ombra erano sì modellati in tutto e per tutto a immagine delle loro matrici, ma possedevano tutto ciò che a un normale mago difettava: esitazione, paura, la capacità di non farsi scalfire dall'intensità e dalla difficoltà nell'evocare gli incantesimi.
A Jel, viceversa, erano bastati quei tre tentativi per ritrovarsi spossato e confuso, come se il combattimento fosse iniziato ore prima.
Per un paio di minuti non fece altro che tentare di schivare i sortilegi che il suo avversario gli stava scaraventando addosso; sentiva lo sguardo di Kryss su di sé, lì da qualche parte, pronto a giudicare ogni sua esitazione, ogni sua imperfezione.
Questa volta fu il Consigliere e cercare di impostare lo scontro in attacco. Rimpiangendo aspramente di non poter ricorrere ai suoi affezionati incantesimi d'aria, si appellò ancora una volta a delle Evocazioni, questa volta creando masse d'acqua, sicuramente meno efficaci di quelle di fuoco ma più facili da reggere mentalmente.
Sorprendendo anche se stesso, riuscì a farne scaturire una raffica decisamente intensa. Il suo avversario si liberò della maggior parte schivando o evocando incantesimi di scudo, ma l'ultima valanga d'acqua lo investì in pieno da dietro; Jel era riuscito a manovrarne due al contempo e ora si ritrovava in una situazione di netto vantaggio.
Aiutandosi con decisi gesti delle mani, cercò di compattare la massa d'acqua che avvolgeva il guerriero-ombra, cercando di affogarlo; nonostante vi fossero schizzi ovunque, i suoi incantesimi di contenimento ridussero la sua Evocazione ad una specie di bolla d'acqua, al cui centro era imprigionato il guerriero con le sue sembianze.
Sempre tenendo le mani aperte davanti a sé, Jel mormorava fra i denti le formule che gli avrebbero permesso di mantenere il controllo, fino a quando non avvertì che qualcosa era cambiato: ben lontano dall'affogare, il suo sosia stava reagendo. Il giovane sentiva il proprio stesso incantesimo fargli resistenza.
Alla fine lo scontro di energia magica fu troppo duro da sostenere e la bolla d'acqua esplose. Bagnato fradicio Jel rovinò al suolo e rotolò via per qualche metro. Mezzo intontito dallo sforzo e dalla forza dell'urto con il terreno, arrancò per rimettersi in piedi. Con la coda dell'occhio vide il guerriero-ombra compiere i gesti rituali per l'Evocazione del fuoco.
Era stanco, troppo per produrre un incantesimo di scudo decente, tantomeno per evocare un'altra fiammata che contrastasse quella del nemico. Quel pensiero lo fece infuriare. Erano giorni che le sue simulazioni si concludevano sempre allo stesso modo, sempre con il medesimo, deludente esito. Il guerriero-ombra era più forte di lui, non c'era verso di cancellare quella verità. Non aveva possibilità di vincere contro di lui. Proprio come con Sephirt.
La rabbia lo investì con ferocia e Jel, quasi senza rendersene conto, reagì.
- Waheis! - ruggì il giovane disegnando davanti a sé uno scudo invisibile. La fiammata evocata dal guerriero ombra si abbatté su di esso con una specie di schianto ma, contrariamente a quanto accadeva con i normali incantesimi di scudo, non vi si infranse: piuttosto vi rimbalzò, invertendo traiettoria e venendo rispedita al mittente, che ne venne travolto. Ma Jel non ebbe il tempo di rendersi conto di aver vinto, perché avvertì la terra mancargli sotto i piedi. Sentendo la testa all'improvviso pesantissima e mentre la sua visuale veniva oscurata da macchie informi, il mago crollò in ginocchio per poi ricadere definitivamente a terra.
In un turbinio di colori l'ambiente attorno a lui svanì per riportarlo sul consueto pavimento della cripta.
- Dove hai imparato quell'incantesimo? - sentì la voce di Kryss, molto più alta del normale, rivolgerglisi in tono inquisitorio.
Combattendo contro il senso di nausea che l'aveva investito nel tornare alla realtà, Jel alzò il volto nella sua direzione. Il vecchio teneva le braccia incrociate e sembrava contrariato; il dettaglio stupì Jel non poco. Fece per rispondere, ma le forze gli mancarono e lui ricadde faccia a terra. Non sentì nemmeno il dolore quando la sua mascella si schiantò contro le lastre del pavimento.


Quando si riebbe, il Consigliere sentì di avere il capo appoggiato su qualcosa di morbido. Sollevò un braccio e con una mano tastò quel cuscino improvvisato: era il suo mantello, ripiegato in modo da attutire il contato tra la sua nuca e il suolo.
Avvertiva le palpebre pesanti come non mai.
- Che cosa mi è successo? - domando con un filo di voce.
La risposta del custode giunse dalla sua destra: - Hai sperimentato in modo più pesante quello che ho cercato di spiegarti fin dalla prima volta in cui sei venuto qui. Hai cercato di destreggiarti con un incantesimo troppo difficile per te e la tua mente non ha retto il colpo.
- Provato? - ripeté Jel improvvisamente in affanno. Gli importava di una cosa sola. - Significa che non ha funzionato?
- Al contrario. È riuscito alla perfezione, e la cosa ti ha lasciato privo di sensi.
Il mago cercò di puntellarsi sui i gomiti e raddrizzò la schiena. - Sarebbe potuta andare peggio, non è vero?
Kryss sospirò; sembrava preoccupato. - Gli incantesimi di riflesso richiedono un dispendio di energie proporzionale all'intensità della magia che si vuole respingere. L'Evocazione del tuo guerriero ombra non era particolarmente potente, ma se l'avessi usato in una vera battaglia avrebbe potuto ucciderti.
Jel faceva ancora leggermente fatica a respirare. Gli sembrava di avere un terribile peso premuto sullo stomaco. In effetti, nessun incantesimo gli aveva lasciato addosso sensazioni così destabilizzanti.
- Dove lo hai imparato? - chiese Kryss per la seconda volta, ma lui scosse la testa.
- Non lo so - ammise. - Non ricordo di averlo mai incontrato in nessun libro di incantesimi. Devo averne sentito la formula per caso... - si passò una mano sul viso. - Mesi, forse anni fa.
Sentiva su di sé lo sguardo dubbioso del suo maestro, e capì che la sua spiegazione non era stata convincente. Eppure non riusciva a trovarne una migliore nemmeno per se stesso. Quella parola, waheis, non aveva idea di dove potesse averla udita, né tantomeno di che cosa significasse. Si era affacciata nella sua mente in modo totalmente inaspettato, ma Jel si era fidato. Aveva sentito che fosse la cosa giusta da fare.
Quand'era piccolo suo padre gli aveva confidato che a volte la Magia parlava ai suoi portatori. Con il senno di poi Jel aveva ritenuto fosse solo una perifrasi per lasciargli intendere come il rapporto tra un mago e il proprio potere dovesse essere di totale simbiosi, ma ora non ne era più tanto sicuro. Dopotutto, da suo padre al maestro Camosh fino al custode Kryss, non gli avevano tutti predicato più volte di fidarsi della Magia?
- Jel.
Il Consigliere si ritrovò a fissare il volto serio del custode.
- Devi promettermi che non lo userai mai più. A meno che non sia la tua ultima risorsa.
Il mago tentò di controbattere ma Kryss non glielo permise. Non sembrava disposto a discutere. - Non so cosa ti abbia avvicinato a questo incantesimo, ma è terribilmente pericoloso per te e per chiunque ti stia intorno. Non lo avevi mai provato prima?
Jel scosse la testa.
- Non so da dove provenga la tua affinità con esso, ma la facilità con cui lo hai evocato non significa che tu sia pronto ad utilizzarlo. Incontrerai molti avversari per arrivare alla tua strega rossa. Non gettare via la tua vita prima di averla trovata, Jel.
Quelle parole lo spinsero a riflettere. Il fatto di aver padroneggiato in quel modo un incantesimo apparentemente sconosciuto lo aveva riempito di uno strano strano quanto effimero senso di invincibilità, tant'è che ora stava cominciando a capire di essersi spinto troppo in là. Il dettaglio che più lo inquietava era la totale mancanza di controllo sulle proprie azioni nel momento in cui aveva evocato l'incantesimo... anche se in un certo senso la cosa lo esaltava.
- Jel?
- D'accordo - il giovane chinò il capo. - Lo prometto.
Kryss gli rivolse un ultima occhiata carica di severità, ma poi passò oltre.
- Ti sei battuto bene oggi - commentò. Era tornato al suo normale tono distaccato. - Ma questo non basterà per piegare i migliori maghi di Theor. Ormai sei in grado di padroneggiare fluidamente le Evocazioni... L'ambito che mi preoccupa è un altro. Sei ancora troppo lento, Jel. Troppo raramente leggi il pensiero del tuo avversario per anticipare le sue mosse.
- Lo so - Jel si massaggiò le tempie doloranti. - Ma quando combatto non trovo il tempo di pensare anche a quello.
- È proprio questo il punto. Non devi vedere gli incantesimi come se uno escludesse l'altro. Tieniti aperto a ogni possibilità, in ogni momento. Diventa un tutt'uno con essi.
La fai facile...
- Ci proverò. Ho ancora tempo...
Si bloccò all'improvviso. Tempo... Quanto tempo ancora pensava di avere? Ormai era a Città dei Re da quasi due mesi. La guerra non aveva certo bisogno della sua presenza per continuare ad imperversare. Sephirt non sarebbe certo stata ad aspettare lui prima di condurre le truppe nordiche verso la vittoria.
Mozzare la testa al serpente... Era la sua unica possibilità. Ma come pensava di riuscirci senza disporre delle abilità necessarie?
- Credete che io sia pronto per partire? Per andare al Nord intendo.
- Jel, tu hai raggiunto una padronanza della Magia Antica ben più completa rispetto alla maggior parte dei comuni maghi. Tu stesso mi hai raccontato di aver già combattuto nel Nord e di essertela cavata egregiamente... A maggior ragione ora potresti dare un buon contributo.
Jel quasi non credeva alle sue orecchie, ma non ebbe il tempo per ricredersi.
- Tuttavia - aveva aggiunto il custode. - Se il tuo scopo è affrontare e uccidere la strega rossa, allora no, non sei ancora pronto.
- Ma non c'è più tempo - replicò lui nervosamente. Un altro pensiero sgradevole gli aveva attraversato la mente. - Presto il Gran Consiglio si recherà ad Amaria, anche senza sapere come utilizzare le Pietre Magiche. È questione di giorni.
In quel momento, per quanto ne sapeva, i membri del Consiglio erano di stanza fissa a Grimal proprio per stabilire quando e come agire.
- ... Il Re ha intenzione di minacciare Theor facendogli credere che userà le Pietre se non si arrenderanno. Un bluff colossale, insomma. Ma Theor non abboccherà all'amo... E quando comincerà l'ultima battaglia, io dovrò di essere lì.
Il custode sembrò interessarsi alla cosa.
- Quando è stata presa questa decisione?
Jel decise che avrebbe cercato di approfittarne; che fosse la volta buona perché il vecchio mago si decidesse a mettere da parte i suoi giuramenti e ad aiutare le Cinque Terre come parte attiva?
- Il Re ha proposto questa strategia circa un mese fa. È per questo motivo che in questi giorni tutti i membri del Consiglio - eccetto me - si sono trattenuti a Grimal. È in atto una serie di sedute straordinarie, ma io non potevo permettermi di interrompere l'addestramento.
- Dunque non siete riusciti a rinvenire un altro testo che possa fornire le informazioni necessarie sulle Pietre - fece Kryss pensosamente. - L'ultima volta che ho avuto contatto con un membro del Consiglio mi era sembrato piuttosto fiducioso che ne esistesse almeno un altro in tutta Fheriea, ma...
- Tutte le biblioteche dell'isola sono state frugate da cima fondo. Tutte escluse quelle delle Terre del Nord naturalmente. Ma non c'è stato verso, la ricerca non ha dato i frutti sperati.
Jel si mise distrattamente le mani nei capelli mentre quasi senza accorgersene cominciava a scuotere la testa.
- E intanto sul campo di battaglia i Ribelli continuano a resisterci. Sono mesi che Qorren e Hiexil sono nelle loro mani e noi... diamine! Le Cinque Terre dispongono dell'esercito più vasto che si sia mai visto eppure non riusciamo a far fronte ad una maledetta Ribellione in un luogo dimenticato da tutti!
- Il Re teme un accentramento eccessivo del potere militare - commentò il custode a bassa voce. - Inoltre, come tu stesso mi hai ripetuto più di una volta, su questa questione esistono visioni discordanti all'interno dello stesso Consiglio.
- Lo so, ma... - il giovane si dondolò nervosamente sul posto. - Alcuni Consiglieri pensano che le truppe impiegate in questo momento siano sufficienti per adempiere all'attuale missione delle Cinque Terre: liberare Qorren e Hiexil e in seguito proporre una tregua a Theor. Ma il Re non è d'accordo e altre delegazioni lo seguiranno. Non vogliono altri spargimenti di sangue. Vogliono contrattare con Theor adesso. Il che potrebbe anche funzionare se solo disponessimo veramente di qualcosa che ci metta in una posizione di vantaggio!
Jel era consapevole che sotto quella prospettiva il Re delle Cinque Terre rischiava di risultare come un perfetto idiota, ma sapeva anche che il timore di un colpo di stato militare non era l'unica ragione che tratteneva il sovrano dall'accentrare la quasi totalità del potere militare e mettere nelle loro mani l'intera guerra.
Nonostante sembrasse incredibile, simpatizzanti della causa del Nord erano sparsi un po' ovunque sull'isola. Separatisti, anarchici, uomini stremati dalla crisi economica e dalle carestie che negli ultimi anni avevano colpito diverse regioni di Fheriea. Persone abbastanza ingenue da fidarsi delle promesse di Theor o abbastanza feroci da prendere parte a una rivolta di simile portata e violenza.
Molti di loro erano andati a Nord per incrementare le fila dei Ribelli allo scoppiare della guerra, ma lui sapeva che da tempo il Consiglio sospettava e temeva che nei piani di Theor rientrasse il far scoppiare focolai di ribellione anche nelle altre nazioni. Per questo era necessario che distaccamenti dell'esercito delle Cinque Terre rimanessero di stanza fissa almeno nelle città più importanti.
- Se sei così scettico sulle scelte del Re, perché non hai dato voce ai tuoi dubbi in una delle riunioni del Consiglio?
Il mago esitò prima di rispondere.
- In realtà... non credo che sarebbe servito granché. Non confido in questo piano, ma non sono in grado di suggerire una soluzione migliore. E comunque ora sono qui, è tardi per tornare a Grimal. Ho dovuto scegliere tra il Consiglio e la Magia Antica, e alla fine ho scelto la Magia.
Per un attimo ebbe l'impressione che Kryss avesse intenzione di dirgli qualcosa, ma così non fu. Il volto del custode, per la prima volta da quando si conoscevano, sembrava scoraggiato.
Scosse di nuovo la testa.
- Perdonatemi per lo sfogo. Vado via.
Si rimise sulle spalle il mantello scuro e mosse qualche passo verso la parete opposta. Pronunciò la parola d'ordine che avrebbe fatto aprire il passaggio.
- No.
Jel si voltò. Il custode Kryss aveva ancora quella strana espressione sul volto.
- Che cosa...?
Non lo lasciò terminare la frase.
- C'è qualcosa che devo dirti. Ho aspettato anche troppo. È tempo che io faccia una cosa che avevo giurato in ogni modo di non fare.
- Ma di che cosa state parlando?
Il comportamento del custode lo turbava, ma ora cominciava ad avvertire anche qualcos'altro, una forte curiosità. Non aveva mai visto Kryss così. Teneva il capo chino e la sua abituale espressione di risoluta pacatezza era sparita.
E fu allora che capì. Non era scoraggiamento. Era rassegnazione.
Kryss stava per dirgli qualcosa di cui si sarebbe pentito amaramente, ma che non poteva evitare. Qualcosa di molto, molto importante. Ma mai il giovane avrebbe potuto immaginare che si trattasse proprio di quello.
- Jel, io ho sempre saputo come scatenare la Magia nelle Pietre.
Il Consigliere boccheggiò. Quella frase lo aveva colpito all'improvviso, senza che potesse esservi preparato.
- Abbiamo... abbiamo avuto la risposta sotto il naso per tutto questo tempo e tu non ce lo hai detto? - Era troppo sconvolto anche solo per ricordarsi di usare il "voi".
Kryss si lascio andare a un lungo, sofferto sospiro.
- La prima regola che viene insegnata a coloro che vengono designati per diventare Custodi è il divieto di prendere parte alcuna agli aspetti politici della propria nazione, questo lo sanno tutti. Ma c'è un'altra regola, più vincolante, più importante... - s'interruppe, poi si decise ad arrivare al punto. - Esiste una formula che troverai negli appunti nascosti nella mia stanza. C'è una botola sotto il mio letto, è celata da una stuoia. Le chiavi per aprirla sono disilluse, nascoste sotto il materasso.
Semi nascosta dalle colonnine che sorreggevano il soffitto della cripta si intravedeva la porta che conduceva alla stanzetta annessa alla cripta in cui il custode dormiva.
- Ma non è tutto: chiunque può attivare la Magia delle Pietre, non deve essere necessariamente un mago. Il loro potere si risveglia solo se ciascuna di esse viene incastonata in un gioiello in oro massiccio. È stato forgiato insieme alle Pietre stesse.
- Bene - disse Jel istintivamente - dove lo troviamo questo gioiello?
- Il luogo in cui convergono le propaggini di Terre del Nord, Ariador e Stato dei Re è ricco di spelonche, come tu sai. In una di esse sorge un santuario di cui solo i Custodi sono a conoscenza. Il gioiello che permette di usare le Pietre si trova lì.
La mole di informazioni che Kryss gli stava rivelando era così ampia da fargli dimenticare il fatto che Janor Camosh era morto cercando di scoprire come utilizzare le Pietre, arcano del quale Kryss aveva sempre conservato la risposta.
- Ma perché... perché non lo hai detto prima a me, al Re o a chiunque altro?
Il Custode alzò una mano per fermarlo. - Ora non ha più importanza. Non hai più bisogno del libro che Astapor Raek ha rubato. Dovrai andare a Grimal di volata e avvisare il gran Consiglio.
Rendendosi conto solo in quel momento di quanto le notizie apprese lo mettessero in una condizione di massima fretta, Jel fu tentato di voltare le spalle al suo interlocutore e di correre nella stanza del custode.
- Un'ultima cosa, Jel, qualcosa che non avresti trovato in quel libro. Alcune pagine sono mancanti. Le pagine che contenevano le coordinate per raggiungere il santuario. Sono anch'esse nel baule, sotto il pavimento. Ho sempre temuto che prima o poi quel volume sarebbe potuto finire nelle mani sbagliate, così le ho strappate e le ho nascoste io, poco prima di diventare custode.
Sopraffatto da troppe emozioni per poter parlare, il giovane annuì, ma aveva fatto appena due passi in direzione dell'altra stanza quando accadde l'impensabile.
D'un tratto, senza apparente motivo, il fragile corpo del custode ebbe un violento fremito, come fosse stato attraversato da un fulmine. Jel lo vide strabuzzare gli occhi e cadere lentamente in ginocchio sotto il suo sguardo incredulo.
Ma che diavolo...?
- Jel, non ho più molto tempo - biasciò il vecchio, portandosi le mani alla gola. Sembrava che stesse soffocando.
Il mago si gettò su di lui per cercare di aiutarlo; tentò un paio di incantesimi ma non ci fu verso: aveva cominciato ad annaspare, gli occhi che roteavano follemente nelle orbite in quella tremenda agonia.
- Dimmi che succede, dimmi che posso fare per aiutarti!
Il custode parve ricordarsi della sua presenza solo in quel momento. Volse il capo verso di lui e riuscì a calmarsi quanto bastò per mormorare con un filo di voce:- Jel, io mi fido di te. So che il segreto ora è nelle mani migliori che io potessi sperare.
- Custode Kryss, io...
Ma lui lo afferrò per il bavero attirandolo a sé.
- Promettimi... promettimi che farai in modo che le Pietre vengano usate solo se non ci saranno altre alternative...
Jel contemplò impotente il suo volto stremato dall'asfissia, ma riuscì a rimanere sufficientemente lucido da rispondere, per la seconda volta quel giorno: - Lo prometto.
Kryss lo lasciò andare ed emise un ultimo respiro strozzato. Poi cadde riverso sul pavimento e cessò definitivamente di muoversi.
Per qualche istante il Consigliere fu così pietrificato da non riuscire a muovere un muscolo, né dare adito ad una qualunque altra reazione. La sua mente non riusciva a connettere quanto era appena accaduto. Un attimo prima Kryss era in piedi davanti a lui, impegnato nello spiegargli come utilizzare le Pietre Magiche, e adesso era lì, steso sul pavimento. Morto soffocato.
Alla fine, la parte pragmatica dell'animo di Jel prese il sopravvento. Doveva sbrigarsi a recuperare i documenti che Kryss gli aveva indicato e andarsene di lì alla svelta. Se qualcuno si fosse recato nei sotterranei del palazzo per portare del cibo al custode o per recapitargli qualche missiva e lo avesse trovato accanto al suo cadavere, il giovane si sarebbe trovato in una situazione senza via d'uscita.
Si catapultò nella stanza adiacente; la porta non era chiusa a chiave. Si inginocchiò vicino alla brandina di Kryss e ne sollevò il materasso. Qualche piuma cadde sul pavimento. C'era la chiave, disillusa ma individuabile se osservata da vicino. Il mago pronunciò l'incantesimo che ne vanificava gli effetti, poi afferrò la stuoia che spuntava da sotto il letto e la gettò via. I suoi gesti erano febbrili e quasi non credeva a quanto stesse facendo: la risposta a tutte le loro domande era a pochi centimetri da lui.
Si ricordò di dover spostare il letto per poter sollevare il coperchio della botola e, imprecando, lo trascinò di lato. Tornò in ginocchio e inserì le chiavi nella toppa. Ti prego, fa' che Kryss non abbia mentito. Fa' che ci siamo davvero.
Le sue preghiere furono esaudite. Dentro lo scrigno contenuto nell'anfratto scavato nel pavimento, che aveva aperto con la seconda chiave del mazzo, c'erano alcune pagine strappate e ingiallite. Jel diede una rapida lettura ad una di esse: i riferimenti erano lampanti. Quelle erano le istruzioni su come trasformare le Pietre Magiche in delle armi devastanti.
Nonostante la follia di tutto ciò che era successo negli ultimi cinque minuti, nonostante non avesse alcuna prova che avrebbe funzionato, nonostante il pericolo di venire accusato dell'omicidio del Custode di Città dei Re, Jel si aprì in un sorriso trionfante.








Come mi sono immaginata il Custode Ïsraen Kryss (il defunto John Hurt):
Image and video hosting by TinyPic

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Capitolo 24 - Jel ***


24








GRIMAL, STATO DEI RE



Jel irruppe nella sala delle riunioni spalancando le porte.
Una ventina di persone alzò ammutolita lo sguardo su di lui: Consiglieri, maestri e persino il Re delle Cinque Terre sembravano più che sorpresi di trovarselo davanti.
- Ho qualcosa di fondamentale da riferire - ansimò il giovane prima che potessero iniziare le rimostranze per un comportamento così poco diplomatico. - So come utilizzare le Pietre Magiche a nostro vantaggio.
Se inizialmente diversi Consiglieri erano sembrati in procinto di redarguirlo, qualunque proposito di quel genere svanì dalla mente di tutti i presenti. Gli sguardi si spostarono da Jel al Re delle Cinque Terre, per poi vagare alla ricerca di una risposta sul volto di uno di loro. Nel mentre, cercando di riprendere fiato, il giovane attendeva con il cuore in gola.
Fu Raenys il primo a superare lo stupore.
- Diteci tutto, Jel Cambrest - proferì.
Due attendenti e una guardia cittadina apparvero in quel momento dietro di lui, quest'ultimo agguantandolo per una spalla e tirandolo all'indietro, ma il Re in persona alzò una mano per fermarlo.
- Non è necessario che tratteniate il ragazzo. È un membro del Consiglio che reca nuove importanti. Sono sicuro che si possa sorvolare sulla mancata osservanza delle norme di sicurezza.
In effetti, dopo essere stato perquisito dalle guardie fuori dall'entrata principale del palazzo e aver fornito le proprie credenziali, Jel si era precipitato all'interno ignorando bellamente l'attendente che gli aveva domandato dove si stesse dirigendo così di fretta, e aveva raggiunto la sala delle riunioni come una furia.
- Perdonate, mio signore - si scusò all'istante il ragazzino, mentre la guardia lasciava andare Jel chinando il capo. - Ritenevo che non desideraste essere interrotti.
- L'arrivo del Consigliere Cambrest non era previsto in effetti, ma è più che benvenuto - rispose il sovrano con la massima calma. - Se volete scusarci, dobbiamo discutere di faccende piuttosto cruciali.
L'uomo e il ragazzino, l'uno spesso il doppio dell'altro, si inchinarono umilmente per poi voltare le spalle ai Consiglieri e richiudere dietro di sé le porte.
L'atmosfera ritornò tesa come prima dell'interruzione e Jel trasse un lungo respiro; sapeva di dover risultare il più possibile convincente. Ma per convincerli della sua buona fede doveva partire dalla parte più difficile, quella che avrebbe potuto metterlo in guai terribilmente seri nel caso non lo fosse già; doveva dirlo subito, in modo da evitare qualunque negligenza che potesse far ricadere la colpa su di lui.
- Il custode Kryss ha infranto il suo giuramento pur di aiutarci e questo... questo gli è costato la vita.
Le reazioni degli altri Consiglieri furono svariate; alcuni sembrarono folgorati, altri rivolsero al giovane sguardi interrogativi. Alla fine, sul volto di molti si disegnò un'inconfondibile espressione contrariata.
- Non è il momento di scherzare, Jel - nitrì il maestro il Lord delle Isole Crimsief dando adito alle rimostranze che tutti avrebbero desiderato esternare. - Se hai qualcosa di veramente importante da riferire, ti conviene farlo in fretta.
- Non sto mentendo, miei signori - ribatté lui costernato. - Il nostro custode è morto non appena ha terminato la sua spiegazione. Molto presto probabilmente riceverete una missiva da Città dei Re che vi informi del decesso.
- Consigliere Cambrest, state cominciando a spaventarmi - proruppe Lady Brynn Kaief. - Vorrei che chiariste la situazione una volta per tutte.
Jel masticò amaro. Sapeva che sarebbe stato difficile confrontarsi con il resto del Consiglio, ma non avrebbe mai potuto immaginare come sarebbe andata davvero. E la realtà, in quel periodo, sembrava essere sempre peggiore della fantasia.
Tuttavia, proprio in quel momento la mano della fortuna parve accarezzare il suo volto: si udirono tre sonori colpi alla porta appena dietro le spalle di Jel, al che il re delle Cinque Terre esclamò spazientito: - Siete pregati di non disturbare ulteriormente la riunione!
- Perdonatemi, vostra maestà - rispose, debole attraverso i battenti, la voce che Jel riconobbe come quella dell'attendente Shora Menn. - Mi è stato riferito che si tratta di qualcosa di davvero importante.
Con un cenno il Re diede a Jel l'autorizzazione ad aprire la porta.
Una ragazzetta dai capelli corvini fece il suo ingresso nella sala visibilmente impacciata. Teneva il capo chino, fra le mani una pergamena arrotolata e fissata con sigillo in ceralacca. Sporgendosi un poco per dare un'occhiata, il mago riconobbe il simbolo rosso carminio: una "R" attorniata da uno stuolo di uccelli stilizzati.
Il cuore di Jel sussultò. Era il marchio che indicava la categoria più riservata di messaggi, quelli che potevano essere consegnati solamente al Re delle Cinque Terre in persona prima di essere comunicate ai Consiglieri.
- Un corvo è giunto qui pochi minuti fa.
- Avanti allora, portala qui.
Shora Menn aveva le mani che le tremavano mentre oltrepassava le sedie dei presenti fino a raggiungere quella del Re, il quale afferrò la pergamena che reggeva in mano.
- È necessario che io rimanga?
- No Shora, torna pure alle tue solite mansioni - le venne in aiuto il maestro Anérion premendosi un dito sulle labbra, ma non lesinando un sorriso rassicurante.
Mentre la ragazzina si lasciava in tutta fretta alle spalle la sala delle riunioni, i Consiglieri assistettero col fiato sospeso mentre gli occhi del Re scorrevano in fretta fra le righe della lettera che era appena stata recapitata. Ma quando ebbe terminato, il suo sguardo si posò su un uomo solo.
- Jel Cambrest. Spiegatevi.
Il giovane Consigliere deglutì, ma si sforzò di essere forte e mantenere saldo il tono della voce. Dopotutto lo doveva al custode Kryss, che aveva dato la sua vita per la causa delle Cinque Terre. E in verità lo doveva anche a se stesso, alla persona che non aveva affrontato tutti i pericoli e le difficoltà a cui era andato incontro solo per poi trovarsi davanti ad un rifiuto.
- Datemi la possibilità di dirvi ogni cosa.
- È quello che stiamo facendo - disse il Re seccamente. - Parla, prima che decida di sbatterti in una cella.
In quei giorni l'utilizzo del voi riservato ai membri del Consiglio sembrava essere diventato un'opzione del tutto trascurabile.
Jel inspirò ed espirò profondamente, squadrando uno per uno gli uomini e le donne lì presenti e, in un attimo, seppe perfettamente ciò che doveva dire.


                                                                  ***


- In principio le Pietre Magiche nascevano esclusivamente come simboli che suggellassero la pace stabilitasi fra le sei nazioni al termine della Guerra dei Cinque Anni. Estratte nelle profondità delle Montagne di Rudaur, le uniche sei esemplari di Mideneth, in minerale più raro al mondo.
In piedi al centro della sala circolare riservata agli interrogatori "pacifici", il Custode ariadoriano Farer parlava in scioltezza, rievocando quei fatti risalenti a quasi due secoli prima.
Attorno a lui, accomodati sul comodi scranni foderati di cuscini, stavano i maghi membri del Gran Consiglio, cui si aggiungeva il Re delle Cinque Terre. I sovrani delle altre nazioni e i Consiglieri non magici non erano stati chiamati a presiedere a quell'interrogatorio, ed erano rimasti nelle loro stanze nel palazzo di Grimal.
Jel teneva le gambe elegantemente accavallate, ma dentro di lui il suo animo era in tempesta: era sollevato dal fatto che i Consiglieri si fossero fidati di lui a tal punto da convocare il Custode della Pietra d'Ariador - il più relativamente "vicino" a Grimal, morto Kryss; d'altro canto, ogni minuto trascorso in quella stanza era a suo parere tempo sprecato. Sapeva che il Consiglio aveva bisogno della parola autorevole del Custode per scagionarlo da qualunque accusa, così come si rendeva conto di quanto fosse sconvolgente che per tutti quegli anni i Custodi avessero mantenuto un simile segreto, ma ora che finalmente erano giunti ad un risultato tangibile era tempo di agire.
Con lo sguardo rivolto al pavimento, Jel ascoltò il continuo del discorso di Farer.
- ... Tuttavia, alcuni dei membri del primo Consiglio suggerirono di utilizzare le doti magiche di colui che sarebbero in seguito divenuto il primo Custode per infondere nelle Pietre un potere distruttivo che potesse essere utilizzato come ultima risorsa nelle future guerre, per impedire che si toccasse la portata di quella appena conclusa. Fu così che Jon Coleman, il più grande mago del Bianco Reame, fu chiamato a prestare i suoi servigi alla Corona infondendo nelle Pietre il potere necessario ed esse furono collocate nella cripta di Città dei Re.
- Quale incantesimo - lo interruppe accigliato il maestro Ellanor. - Quale incantesimo è stato in grado di compiere quanto sostieni?
L'uomo al centro della stanza scosse la testa.
- La più antica forma di Magia, mio signore, la magia del sangue... perdutasi nella contaminazione della stessa a seguito della Guerra dei Cinque Anni. Una mescolanza di incantesimi di Magia Antica che viene infusa nel sangue di chi la pratica. A Jon Coleman bastarono cinque gocce del proprio per infondere nelle Pietre il potere che lui stesso aveva creato.
Jel cercò Gala con lo sguardo; la richiesta della strega, giunta in città il giorno prima, di essere reintegrata nel Gran Consiglio era stata accettata, anche se a carattere provvisorio. Per quanto potesse valere in quel momento la notizia l'aveva spinto a sorridere, evento alquanto raro negli ultimi mesi. Sapere Gala di nuovo accanto a lui - se non emotivamente, almeno fisicamente - era qualcosa che anche in un momento come era riuscito a farlo sentire, seppur lievemente, sollevato.
La ragazzina ascoltava il Custode rapita dalle sue parole, le sopracciglia aggrottate.
- La Magia stava lentamente riprendendo piede in Fheriea, dunque vennero nominati altri quattro Custodi fra i migliori maghi dell'Isola, e le Pietre divise. Ma con il passare del tempo i primi di noi si resero conto di aver creato qualcosa di troppo grande e terribile da controllare appieno.
- Una volta - l'anziano Ariadoriano alzò un dito con veemenza per sottolineare il concetto - Alla seconda generazione di Custodi bastò vedere le Pietre in azione una volta per comprendere di aver messo nelle mani delle Cinque Terre un'arma dalla potenza e dai riscontri inimmaginabili. Un'arma che nelle mani sbagliate avrebbe potuto distruggere quanto avevamo creduto di proteggere.
- Il Disastro di Velanor - commentò a bassa voce il maestro Althon aggrottando le folte sopracciglia rossastre.
- Precisamente - confermò Farer.

Jel sapeva a cosa si riferisse, nonostante fosse una storia che i libri non amavano raccontare. Uno dei più grandi crimini mai commessi da un governo dell'Isola, attenuato blandamente dall'accidentalità del fatto.
Circa nel primo decennio a seguito della sconfitta dell'Haryar nella Guerra dei Cinque Anni e dopo che i popoli del Sud del pianeta Acryst erano stati ricacciati nelle Terre oltre lo stretto dell'Otarion, aveva avuto luogo un blando tentativo da parte della nazione thariana di colonizzare le quasi disabitate coste nord-orientali del finora sconosciuto continente. Il territorio arido e le rocciose scogliere a strapiombo su acque tumultuose avevano fatto in modo che il progetto non andasse a buon fine, ma il fallimento sortì un effetto collaterale: spinti dal desiderio di affrontare l'ignoto, avventurieri ed esploratori provenienti da tutta Fheriea erano partiti alla volta delle nuove terre cercando fortuna, pietre preziose, gloria o forse i confini del mondo.
Le più bellicose stirpi del Sud erano natie delle zone occidentali, ben più vivibili degli sconfinati deserti del nord-est e le impervie foreste sudorientali - mondi su cui gli abitanti di Fheriea potevano fantasticare solo grazie ai resoconti di tali avventurieri.
Qualunque fosse l'oggetto della loro ricerca tanto animata, non fu mai raggiunto, e forse persino i racconti a proposito di alberi alti più di cento metri e paludi abitate da ninfe e folletti altro non erano che i racconti di uomini ubriachi di chiacchiere e aspettative deluse.
In compenso, essi avevano conseguito una scoperta che aveva pericolosamente rischiato di riaprire il conflitto faticosamente concluso da quasi un decennio. E forse sarebbe stato meglio rispetto a quanto il Consiglio avrebbe causato di lì a poco con la sua avventatezza.
Lothar Fest, esploratore ariadoriano già noto in patria per i suoi viaggi per mare e per terra a Sud di Fheriea in procinto di risalire il continente meridionale attraverso le terre dell'Ovest, aveva scoperto che, contrariamente a quanto affermato nei trattati di pace, in quei territori al limite dello sconosciuto, fra i rilievi di Velanor, erano sopravvissuti alcuni esemplari di Maxers. Dotati di fattezze incredibilmente robuste e dalle scaglie color mattone, i Maxers - possenti tradotto dalla lingua corrente del continente meridionale - erano gli unici draghi che i popoli del sud fossero riusciti a ammaestrare, ed era stato cavalcando quegli antichi animali che, usando l'Haryar come pedina, avevano mosso guerra alle altre nazioni di Fheriea.
A quanto pareva, Lothar Fest aveva avuto modo di riscontrare la presenza di numerosi uomini appartenenti al Popolo di Pietra, intenti nell'inequivocabile attività di addestramento.
Una volta che Fest era tornato nel continente settentrionale la voce si era sparsa in fretta nelle Cinque Terre, a tal punto che il Gran Consiglio, allarmato, ne aveva richiesto l'udienza. Le parole dell'avventuriero erano risultate abbastanza convincenti da indurre le autorità di Fheriea a inviare dei consulenti in missione per verificare i rischi. I delegati avevano attraversato in incognito le terre aldilà del mare attraversando i regni dei vari Popoli del Sud, fino a raggiungere le propaggini della terre appartenenti agli Uomini di Pietra. Là, proprio come garantito da Lothar Fest, era stata riscontrata la presenza di almeno cinque esemplari adolescenti di Maxers.
La risposta del Consiglio a tali avvenimenti era stata dura e immediata.
Per la prima volta dopo la fine della guerra si era cercato di comunicare diplomaticamente con il Popolo di Pietra, cui era stato posto un ultimatum: eliminare le creature in modo da rientrare nei termini dei trattati di pace imposti dalle Cinque Terre. L'alternativa sarebbe stata un intervento da parte del Consiglio stesso, un intervento che - per citare le parole di Lemar Thanerion, Consigliere capo dello Stato dei Re dell'epoca - "avrebbe estinto ogni qualsivoglia proposito di perpetuare quella stirpe di creature infernali".
Evidentemente, però, poco più di quindici anni erano stati sufficienti per riaccendere miccia nel temperamento bellicoso e attaccabrighe degli Uomini di Pietra che, come i loro lontani "cugini" del Popolo Rosso, avevano continuato a provare verso Fheriea una profonda ostilità.
Forte del proprio potere e certi di essere in grado di padroneggiare la Magia delle Sei Pietre, il Consiglio aveva ordinato una rapida incursione nel territorio nemico, inviando un distaccamento di circa cinquecento uomini appartenenti al neo nato Esercito delle Cinque Terre. Con loro avevano preso parte alla spedizione anche svariati maestri e Consiglieri, a cui si aggiungevano tutti i Custodi.
Senza attaccare nessuno degli insediamenti presenti sulla strada, ma lasciando di guardia vari drappelli di soldati che mantenessero l'ordine, il Consiglio aveva raggiunto il luogo in cui i draghi erano stati tenuti nascosti fino a quel momento.
Dopo un ultimo, rapido avvertimento ai domatori di draghi - il quale era stato bellamente ignorato - il Consigliere Thanerion aveva dato l'ordine di attivare la Magia delle Pietre per saggiarne l'effettivo potere. Se fosse riuscita ad uccidere gli animali più forti e resistenti al mondo, nulla avrebbe potuto ostacolarla.
Gli Uomini di Pietra lì presenti avevano dato segno di non disdegnare l'idea di uno scontro, ma prima che ce ne fosse il tempo la delegazione delle Cinque Terre, ridotta in numero, era stata schermata dalla Magia dei Custodi che, in seguito, avevano pronunciato la formula che avrebbe scatenato le Pietre.
Gli effetti erano stati devastanti.
Perché il fuoco bianco che era scaturito dalle Pietre non si era limitato a massacrare i draghi e gli addestratori che si trovavano nelle vicinanze; no, la portata di quelle lingue di luce accecante era stata così mastodontica da spingersi fino ai vicini villaggi di Arak'hr e Nestion, sterminandone gli abitanti e con loro i soldati delle Cinque Terre lasciati in presidio.
L'intera faccenda era stata tiepidamente divulgata e Jel era sicuro che ancora la maggior parte del popolino la ignorasse del tutto. E fortunatamente si poteva dire lo stesso delle genti del continente meridionale, le cui vie di comunicazione erano tutt'ora scarsamente sviluppate e i contatti fra popoli poco frequenti - sempre che non si trattasse di menare le mani fra loro.
Nel caso la notizia si fosse diffusa nelle terre aldilà del mare, Jel non era sicuro che la paura delle Pietre avrebbe trattenuto l'intero continente dal sollevarsi contro Fheriea.

- Alla luce di quei terribili terribili avvenimenti l'utilizzo delle Pietre fu regolamentato da un più rigido protocollo, ma ai Custodi non parve abbastanza. Nonostante loro stessi facessero parte e si fidassero di un'istituzione importante come le Cinque Terre, la devastazione di cui erano stati testimoni era tale da convincerli che nessun umano, nemmeno se animato dalle migliori intenzioni, avrebbe mai potuto disporre di una simile arma senza diventare un'immensa minaccia: le Pietre andavano distrutte.
Essi tentarono di portare della loro parte il resto del Consiglio ma non riuscirono ad ottenere la maggioranza, nonostante l'intera assemblea fosse scossa da un profondo turbamento. Fu così che i Custodi si riunirono in segreto e collaborarono unendo le forze per compiere una seconda magia di sangue, questa volta applicandola sul medaglione che ancora oggi si trova nel Santuario. Non c'era modo di annullare il sortilegio imposto sulle Pietre, ma esso poteva essere all'insaputa del Consiglio reso più complesso da sfruttare.
- Il qui presente Jel Cambrest - il Re delle Cinque Terre indicò il giovane con una mano. - Ci ha illustrato in che modo le Pietre potranno tornare a liberare la loro Magia. Puoi fornirci la tua versione in modo che ci sia possibile metterle a confronto?
- I Custodi tramandarono in segreto la storia delle Pietre di generazione in generazione ma riuscirono a fare in modo che le alte sfere dei governi delle sei nazioni di Fheriea, persino i maestri, perdessero gradualmente il contatto con le Pietre e il loro universo... provvedendo a far sparire le poche copie del manuale che loro stessi avevano redatto e scoraggiando l'attività degli amanuensi. Spalmando l'opera nei decenni a venire, cercarono di far sparire, pezzo dopo pezzo, ogni traccia di quell'antico errore. Documenti, normative... Passando inosservati mentre il mondo andava avanti, disinteressandosi sempre di più al passato.
Inoltre - e qui, sire, giungiamo alla risposta alla vostra domanda - decisero di vincolarsi al loro giuramento tramite un sigillo: chiunque avesse rivelato a una persona che non fosse un Custode il modo per risvegliare la Magia delle Pietre, sarebbe morto.
Seguì una pausa in cui Farer sembrò bisognoso di riprendere fiato, ma non durò molto.
- In seguito, si giunse alla conclusione che fosse più appropriato ubicare ognuna delle Pietre nel rispettivo Paese d'appartenenza. Le Pietre divennero più che altro un simbolo, così come i sei Custodi che da quel giorno le sorvegliarono, sperando che il mondo si dimenticasse di loro. - Ma evidentemente - e il vecchio lanciò uno sguardo di sottecchi a Jel. - Non è stato così.
Il silenzio calò nella stanza, come se i Consiglieri presenti avessero avuto bisogno di riordinarsi le idee dopo la mole di informazioni che il Custode aveva snocciolato loro, informazioni di cui fino al giorno prima nessuno di loro avrebbe potuto sperare di disporre.
- Confermi quindi la veridicità delle affermazioni del Consigliere Jel Cambrest? - domandò alla fine il maestro Raenys con un sopracciglio alzato.
Sentendosi chiamato in causa, Jel alzò lo sguardo cercando quello del Custode; il suo respiro si era fatto lievemente più affannoso. Per un secondo la sua mente fu attraversata dall'orribile dubbio che forse Farer non avrebbe mosso un dito per tirarlo fuori dai guai.
- Assolutamente.
Il peso sullo stomaco del Consigliere si alleviò un poco.
- Miei signori - affermò il Re delle Cinque Terre battendosi le mani sulle ginocchia mentre si alzava dal proprio scranno. - Credo che una nuova seduta del Gran Consiglio sia d'obbligo.
Batté sonoramente le mani, al che l'attendente Cliff fece il suo ingresso nella sala rivolgendo ai presenti un elegante inchino, attendendo ordini.
- Richiama gli altri sovrani e Consiglieri, Cliff. È fissata una riunione fra un'ora.
Udendo appena il "subito, mio signore" del ragazzo, Jel si rialzò e, dopo aver rivolto un rapido cenno di ossequio al Re e una lieve strizzatina d'occhi rivolta a Gala per salutarla, si diresse insieme ad altri maghi verso l'uscita mentre altri s'intrattenevano ulteriormente a discutere su quanto aveva appena udito. Tuttavia, il tentativo di evitare di essere trattenuto anch'egli fallì miseramente quando qualcuno gli appoggiò fermamente una mano sulla spalla.
Voltandosi, il giovane si trovò di fronte il maestro Anérion.
- Una manna dal cielo, il vostro intervento - commentò l'uomo guardandolo di traverso, o almeno così parve Jel. - Per tutti questi mesi sono stato sul punto di credere che le Sei Pietre sarebbero rimaste inermi nelle nostre mani.
Anche se avrebbe preferito non rimanere invischiato in una nuova, pesante conversazione - la riunione che si sarebbe tenuta di lì a un'ora sarebbe stata sufficientemente faticosa - il giovane decise di reggere il gioco.
Non gli era sfuggito il leggero tono inquisitorio da parte del maestro dello stato dei Re, motivo per cui cercò di chiarire la sua posizione una volta per tutte.
- Non posso non dolermi per la dipartita del Custode Kryss - disse fermamente. E del mio addestramento. - Ma non nego che le sue rivelazioni siano arrivate in un momento propizio. In ogni caso, ha udito le parole del Custode Farer: non sarei stato in grado di impedire quanto è accaduto in alcun modo.
- Ma certo, ma certo. Non intendevo insinuare alcun dubbio.
- Molto bene. Allora fareste meglio a prepararvi. La seduta del Gran Consiglio sarà piuttosto impegnativa. - Jel era riuscito a trattenersi quanto bastava per mantenere la forma di cortesia, prima di voltargli le spalle e andarsene.
Ma il maestro lo trattenne intensificando la stretta sulla sua spalla; dietro la maschera lievemente melliflua sembrava alquanto impaziente.
- In verità speravo che fossi disposto a parlare con me in privato. Mi chiedevo solo come un giovane come te possa aver conquistato in questo modo la fiducia di Ïsraen Kryss.
- Temo di non conoscere la risposta al vostro quesito, maestro Anérion. Ora, se volete scusarmi, devo sistemare le mie cose nella mia camera. Come ho detto, credo che la riunione si protrarrà a lungo.
Senza aspettare una risposta Jel gli rivolse un appena accennato inchino, poi si dileguò in direzione dei piani superiori.
Imboccò un corridoio sulla destra e si infilò su per una scalinata secondaria. Una volta che ebbe lasciato una distanza sufficiente tra sé e la sala degli interrogatori, il mago si appoggiò al muro con la schiena e reclinò la testa all'indietro.
Gli pulsavano le tempie e avvertiva in tutto il corpo una sensazione di malessere; uno sgradevole calore si dipanava dalle sue viscere in tutto il corpo, dandogli l'impressione di essere febbricitante.
Aveva cavalcato a rotta di collo da Città dei Re a Grimal impiegando l'eccezionalmente breve tempo di quattro giorni. Per tutto il percorso non aveva dormito, si era a malapena rifocillato in qualche tugurio trovato lungo la Grande Via e le sue mani erano state serrate sulle redini di Ehme così a lungo che i palmi ne erano rimasti lacerati.
Si guardò le strisce di pelle arrossata e provò un impellente desiderio di piangere. Nonostante avesse appena riportato al Consiglio la notizia migliore dopo mesi e mesi di fallimenti, la sua psiche era ormai prossima al crollo. Il carico di lavoro e fatica che aveva sopportato nelle ultime settimane, cui si aggiungeva sempre e comunque il peso del viaggio che aveva compiuto insieme a Gala, si era fatto insopportabile. Solo novantasei ore prima si era trovato nella cripta con il Custode Kryss, impegnato nel combattimento con il proprio guerriero-ombra, e ora eccoli lì dall'altra parte dello Stato dei Re, fra le mani le informazioni per attivare la più grande arma mai concepita.
Nessun uomo sano di mente si sarebbe sottoposto volontariamente a qualcosa del genere.
Ma tu non sei sano di mente, Jel.
- Stronzate - inveì il giovane ad alta voce, senza curarsi che qualcuno, di sotto, avrebbe potuto sentirlo.
Dopo essersi stropicciato gli occhi, procedette lungo la scala in direzione dei piani superiori. Ricordava solo vagamente l'ubicazione della camera in cui aveva talvolta trascorso la notte nella reggia di Grimal; abitando così vicino alla sede delle sedute del Gran Consiglio non aveva usufruito di quel servizio se non in rare occasioni.
Ora però una buona mezzora di riposo gli avrebbe giovato sentitamente.
Quando Jel aveva parlato delle "cose" che aveva da sistemare in camera aveva mentito bellamente; in effetti era difficile a credersi che, frettolosa com'era stata la sua partenza da Città dei Re, il giovane avesse avuto il tempo di preparare i bagagli.
Com'era naturale la cosa non lo turbava più di tanto, al momento. Come si suol dire, aveva faccende lievemente più importanti a cui pensare rispetto al pericolo di rimanere senza vestiti puliti. E nella peggiore delle ipotesi, sarebbe passato a casa per recuperare una camicia e un paio di brache lavate.
Raggiunse il terzo piano - aveva la sensazione che il suo alloggio si trovasse proprio lì - e diede un'occhiata in giro, muovendosi con passi incerti nel corridoio silenzioso. Appesi alle pareti, i volti delle figure ricamate negli arazzi lo fissavano con sguardo severo.
Impiegò una manciata di minuti per trovare la porta che recava, inciso su una piccola targhetta, il proprio nome. Consigliere Jel Cambrest.
Il giovane estrasse dalla tasca il mazzo di chiavi che portava con sé ovunque andasse: assicurate ad un anello d'argento c'erano quella della casa di Grimal, quella della stalla di Ehme e Yin e quella della camera che spesso aveva occupato nel palazzo reale della capitale. La quarta, che aveva utilizzato poche volte, era d'ottone come il battente della porta che aveva davanti in quel momento.
Entrò in camera; notò immediatamente che, nonostante l'ambiente sembrasse lindo come appena ripulito da qualcuno della servitù, c'era un forte odore di chiuso, motivo per cui si avvicinò alla finestra per spalancarla. Una sferzata di aria fredda lo investì in viso, ma lui se ne lasciò avvolgere sopportando la pelle d'oca che gli aveva percorso le membra. Respira, Jel, respira. Mantieni il controllo.
Sensazioni antiche e avvolgenti lo attraversarono, così impetuose che il mago ebbe per un attimo l'impressione che le sue ginocchia sarebbero cedute sotto il peso di quelle percezioni.
Un folle desiderio rivolto al passato emerse nel suo animo. Aveva sempre cercato di reprimerlo, preso dalle sue responsabilità, ma ora stava diventando davvero incontrollabile. Ogni volta che avvertiva sulla pelle un rivolo d'aria fresca, ogni volta che provava a scrutare le masse di nuvole che si muovevano nel cielo, ogni volta che un raggio di sole illuminava il pavimento facendo intravedere i granelli di polvere che invadevano l'aria, ricordi più o meno remoti prendevano piede nella sua mente suscitando in lui una nostalgia troppo forte per poter essere descritta.
Proprio ora che il Consiglio disponeva dell'arma con cui chiudere quella storia per sempre, il desiderio di fuggire non era mai stato così forte. Ma a fare da contraltare c'era sempre lei, quell'ossessione che non lo avrebbe abbandonato fino al momento della resa dei conti, la consapevolezza che il suo calvario non avrebbe avuto fine fintanto che non si sarebbe di nuovo trovato faccia a faccia con lei. Pietre o no, Sephirt rimaneva comunque aldilà dei loro piani, aldilà della loro comprensione, aldilà del Gran Consiglio. Era qualcosa tra loro due.
E Jel aveva l'impressione che anche Sephirt, o quello che era rimasto di lei, la pensasse allo stesso modo.
Steso sulle lenzuola ruvide, il mago si passò le mani sul capo arruffandosi i capelli e s'impose di non concentrarsi su quei cupi presagi almeno per un po'. Con le palpebre abbassate, si lasciò catturare dai suoni che provenivano dall'esterno: il brusio dei passanti, lo stridio delle ruote dei carri che scorrevano sulla strada. Fece del proprio meglio per mantenere i propri respiri profondi e regolari, e dedusse fosse una buona idea perché piano piano quell'attimo rubato di quiete ebbe il potere di farlo sentire... non meglio, quello era davvero troppo da chiedere, ma sospeso. Fermo in un limbo in cui, almeno per quel ristretto lasso di tempo, sarebbe stato al sicuro.
Un urletto infantile - non seppe stabilire se provenisse da fuori o se fosse senza accorgersene scivolato nel mondo dei sogni - lo riportò bruscamente alla realtà.
Tiratosi su di scatto, diede un'occhiata alla gigantesca meridiana tracciata sul lastricato della piazza centrale di Grimal. Man mano che il momento del concilio si avvicinava il mago si faceva più impaziente e il suo respiro più irregolare, finche stabilì che cercare di riposare stando steso sul letto era ormai diventato completamente inutile.
Su una cassettiera a ridosso della parete c'era una bacinella di metallo e, accanto, una brocca colma d'acqua - che ogni mattina gli attendenti ricordavano diligentemente di riempire. Il mago ne riversò il contenuto nel recipiente e vi immerse il viso. L'acqua gli punse le guance come mille spilli ghiacciati ma poi, mentre si asciugava con un panno pulito pescato da un cassetto, dovette ammettere di sentirsi decisamente più sveglio.
Si avvicinò allo specchio appeso sopra il camino e osservò con occhio critico la propria immagine riflessa: era peggio di quanto si fosse aspettato. Aveva gli occhi vagamente gonfi, con il bianco screziato da minuscole venature rossastre, e segnati da vistose occhiaie. Cercò di sistemarsi i capelli con un tentativo di ripristinare la riga a sinistra con le mani, ma l'unico risultato che sortì fu di rimanere con le ciocche di capelli sgradevolmente appiccicate alla testa. Aveva un disperato bisogno di un bagno caldo.
Rovistò nei cassetti del comò e alla fine riuscì a rimediare una spazzola. Una ragazza come Dubhne avrebbe sicuramente ritenuto poco virile il fatto che un uomo avesse bisogno di pettinarsi, ma una delle prime - affatto tacite - regole che Jel aveva appreso nell'entrare nell'ambiente degli alti funzionari delle Cinque Terra era stata che la cura dell'aspetto esteriore non era una scelta.
Quando ebbe finito, fece un secondo tentativo specchiandosi nuovamente; non era riuscito a nascondere il fatto di non essersi lavato per quasi una settimana, ma se non altro ora i suoi capelli avevano un aspetto lievemente più ordinato.
Pur consapevole di non disporre di un cambio, al momento, si accertò che i propri vestiti non avessero un odore troppo sgradevole. In effetti, in quel frangente il clima rigido era davvero una fortuna.
Jel chiuse gli occhi. Era ora.
Per un attimo ebbe l'impressione che il tempo si fosse fermato, mentre realizzava per la prima volta in modo completo quanto la seduta che si sarebbe tenuta di lì a poco sarebbe stata fondamentale. Aveva aspettato così a lungo quel momento e, proprio ora che esso finalmente era in procinto di realizzarsi, era talmente vincolato e assorto da muoversi quasi automaticamente, senza quasi concedersi di soffermarsi sulle emozioni che provava; e se da una parte quella era l'unica cosa che gli permetteva ancora di rimanere lucido e di non cedere, dall'altra non sapeva per quanto tempo ancora sarebbe stato in grado di imporsi un tale rigore. E se si fosse lasciato andare anche solo una volta, se avesse permesso che la barriera costruita attorno a sé cedesse, non sarebbe più riuscito a tornare indietro. Il fiume delle emozioni che tratteneva dentro di sé sarebbe esondato travolgendo ogni cosa davanti a sé. Tutto ciò che aveva costruito a fatica nell'ultimo anno sarebbe stato reso vano.
È ora. È ora, vai. Comunque vada, ora tutto cambierà.








E sì... spiegone time! Mi dispiace, ma era doveroso. Davvero non avrei saputo come altro fare per contestualizzare il potere delle Pietre Magiche. Spero che la storia narrata per bocca del Custode Farer - seppur un po' noiosa - sia risultata sensata e ben strutturata. Non mi sono fatta mancare neanche una tonnellata di infodump in questo capitolo, ma a volte mi piace smorzare l'atmosfera e interrompere il racconto con un po' della storia di Fheriea. Questo è anche uno dei capitoli più lunghi di questo terzo volume, mi dispiace che non sia un capitolo d'azione quanto "didascalico-descrittivo", spero che vi sia piaciuto comunque. L'aspetto molto positivo è che nonostante tutto sono riuscita a pubblicarlo in un tempo ragionevole. Me la merito una recensione no?
Ci vediamo (spero) tra un mesetto, con un capitolo che - ve lo anticipo - sarà sotto il pov di Dubhne e decisamente movimentato. Un bacio a tutti i lettori.
Talia.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Capitolo 25 - Dubhne ***


25








QORREN, ARIADOR SETTENTRIONALE



- Dubhne, smettila di fare stronzate e vieni a darmi una mano!
Il volto di Claya era una maschera di concentrazione e sudore mentre pronunciava quelle parole. In piedi sulla cima del primo anello di mura di Qorren la ragazza si stava battendo come una furia per difendere l'attracco di una delle scale d'assedio per impedire che gli altri alleati delle Cinque Terre venissero ributtati indietro.
Come se fosse facile, pensò Dubhne con la mascella serrata.
Era rimasta appesa a fatica a un doccione in granito che sporgeva dal muraglione interno dopo che un Ribelle aveva tentato di scaraventarla sul selciato di sotto. Con il cuore che le batteva a mille, stava disperatamente cercando in primo luogo di non mollare la presa, e in secondo di trovare un modo per tirarsi su e riprendere a dare man forte alla compagna.
Dopo il disastro di Hiexil aveva pensato che Claya fosse morta, andata perduta insieme ad altre centinaia di alleati.
Ma si era sbagliata e, nel ritrovarsi davanti quei brillanti occhi dorati, non aveva avuto dubbi sul fatto che evidentemente la sua vecchia compagna d'armi doveva essere riuscita, in qualche modo, a sopravvivere.
Proprio mentre riusciva a concentrare forze per assestare un colpo di reni e puntellarsi con i gomiti sulla sommità delle mura, una freccia si conficcò nella calce a qualche centimetro dal suo orecchio. La ragazza quasi lasciò la presa per lo spavento.
Si voltò freneticamente e individuò l'arciere che da terra aveva rischiato di ammazzarla.
- Fanculo! - gridò con rabbia rimanendo appesa con una sola mano ed estraendo il pugnale dalla cintura con l'altra. Nel momento stesso in cui l'Uomo del Nord incoccava una seconda freccia e si preparava a tendere l'arco, lo scagliò contro di lui con quanta forza le permetteva la sinistra.
Non un gran tiro di certo, ma ebbe fortuna. La lama cozzò roteando contro il flettente dell'arco e, dallo spavento, il Ribelle inciampò rovinando all'indietro.
Facendo conto su tutta l'atleticità che si era guadagnata grazie ai durissimi ritmi d'addestramento imposti da Malcom Shist, Dubhne si diede lo slancio con le gambe e riuscì ad issarsi lateralmente sul camminamento.
Si guardò freneticamente intorno per individuare Claya ed ebbe un tuffo al cuore nel vederla a terra, sovrastata da un guerriero che stava cercando di tagliarle la gola. Con la lingua fra i denti per lo sforzo, la donna teneva le mani serrate intorno ai polsi del nemico nel disperato tentativo di tenere lontana la lama del suo coltello.
Oh no che non lo fai.
Dubhne scattò in avanti e con in un unico, veloce movimento abbatté la scimitarra sull'avversario, mozzandogli di netto la testa dal collo.
- Appena in tempo - decretò Claya con voce strozzata mentre la compagna l'aiutava a rimettersi in piedi. - Grazie, Dubhne.
La ex Combattente non ebbe il tempo di controbattere; una guarnigione di Ribelli si era fatta strada lungo una delle scalinate che conducevano alla sommità delle mure e in pochi secondi si abbatté su di loro.
Le due, coadiuvate dal gruppetto di soldati delle Cinque Terre che erano riusciti a raggiungerle, ripresero a combattere con foga, anche se la stanchezza ormai stava cominciando a farsi sentire.
Quella mattina Caley ed Edgar Priest, comandante della compagnia cui Claya si era aggregata dopo essere fuggita da Hiexil, le avevano condotte in battaglia che non era ancora l'alba per sostituire il battaglione proveniente da Lialel, reduce dall'aver sostenuto un estenuante sessione notturna di combattimenti, mentre Jack era rimasto al campo. Mezzodì doveva essere ormai vicino - o almeno questo suggerivano i tenui raggi del sole che filtravano nella coltre di nebbia e in quell'ora mitigavano leggermente i rigori dell'inverno - ma nessuno aveva dato cenno di voler ritirare la loro compagnia dai combattimenti per una pausa.
La nota positiva in tutto ciò era che ancora non si era vista traccia della tanto famigerata strega rossa, evidentemente impegnata stabilmente nella gestione di Hiexil. Sebbene la ragionevolezza suggerisse a Dubhne che fosse nettamente meglio così, la parte più recondita e ancorata alle abitudini passate del suo animo ancora reclamava a gran voce una vendetta su quella donna che quasi l'aveva uccisa e che - e questa era l'onta più grande - aveva scelto arbitrariamente di risparmiarla.
- Mertin! - esclamò Claya per sovrastare il fragore che imperversava tutto intorno a loro. - Corri da Priest e informalo che la sezione sudorientale delle mura è sicura!
Mentre si liberava del cadavere dell'ultimo Ribelle che aveva trafitto, Dubhne volse lo sguardo verso la figura allampanata di Mertin che oltrepassava il parapetto e si affrettava a calarsi a terra lungo la scala d'assedio che avevano impiegato per salire. Una nebbiolina raggelante percorreva il camminamento e avvolgeva il terreno alla base delle mura, cosicché il ragazzo parve esserne inghiottito.
L'udito di Dubhne era ovattato; percepiva sì schiamazzi e clangore di spade provenire da qualche parte da ambedue i lati delle mura, ma non riusciva a stabilire quanto fossero distanti da loro, e tutto si riduceva ad una sorta di insistente ronzio. Le pulsavano le tempie.
Erano quelli i momenti di maggiore fragilità, quelli in cui più si doveva stare in guardia. Quando il corpo sfinito vedeva la possibilità di una pausa e lasciava crollare le difese che fino a quel momento aveva mantenuto erette. Fu per questo motivo che, mentre gli altri si concedevano un paio di minuti di respiro, lei continuò a guardarsi intorno tenendo d'occhio la situazione su ogni lato. Aguzzò l'udito più che poté ma, mentre ai suoi lati continuava a giungere qualche voce indistinta, la ragazza non riuscì ad udire nulla che provenisse dal basso.
- Atmosfera spettrale eh? - Claya le si avvicino con aria altrettanto preoccupata. - Non capisco. Questa nebbia gioca strani scherzi, ma ora sembra davvero che a terra non ci sia più nessuno.
- Credi che dovremmo andare a controllare?
Claya aveva le palpebre socchiuse, la fronte aggrottata. - Non saprei, ma di sicuro faremmo meglio a mandare qualcuno di là - con la testa indicò il proseguo del camminamento prima alla propria destra, poi alla sinistra. Almeno per capire se c'è qualcuno che ha bisogno del nostro aiuto.
Dubhn fece per rispondere, ma quando la faccia di Mertin spuntò nuovamente di fronte a loro, le due donne quasi sobbalzarono per la sorpresa. - Si può sapere che succed-
- Una guarnigione di Ribelli ci ha attaccati alle spalle! - esclamò il giovane guerriero in tono concitato, gli occhi fuori dalle orbite. - Non verrà nessuno ad aiutarci, dovremo sbrigarcela da soli se vogliamo sopravvivere!
- Stai scherzando? - fece incredulo uno dei soldati intorno a loro, ma Dubhne già si era mossa per scavalcare il parapetto.
- Ehi, ma che fai? - l'apostrofò Claya afferrandole il braccio. - Il nostro compito è prendere il primo cerchio della città, non possiamo abbandonare adesso.
- Non resterò a guardare mentre i nostri soldati fanno la fine che hanno fatto a Hiexil.
Dubhne si liberò con malagrazia dalla sua stretta.
Non avrebbe permesso che i Ribelli li mettessero con le spalle al muro una seconda volta. Almeno non senza combattere e, soprattutto, non senza averne portato con sé nella fossa il maggior numero possibile.
- Sai almeno se la strega rossa è con loro? - chiese Claya tornando a rivolgersi a Mertin, e nel sentire quel nome le viscere di della ex Combattente si contorsero dalla rabbia.
- Non ho sentito niente su di lei, o almeno non ancora.
- Se fosse qui ce ne saremmo già accorti - sentenziò l'uomo appena di fianco a Claya. - Di certo non ce ne potremmo stare qui così tranquilli.
- Ancora meglio - proruppe Dubhne a denti stretti. - A maggior ragione io torno indietro. Possiamo dare una mano.
Non restò ad ascoltare le repliche di Claya e degli altri commilitoni e si portò aldilà delle mura, poggiando i piedi sul primo piolo della scala d'assedio da cui Mertin era appena smontato. Mentre cominciava a scendere verso terra sentì un paio di compagni imitarla.
- D'accordo Dubhne, sai che ti dico? Fai quello che vuoi, noi restiamo a presidiare la zona.
In risposta la giovane fece con la mano un cenno affermativo senza appurare che la compagna effettivamente lo notasse.
Quando atterrò con i piedi sulla terra rigida si guardò intorno; in lontananza, attraverso i banchi di nebbia, vedeva muoversi ombre amorfe.
- Restiamo uniti - Dubhne fece segno agli altri di seguirla.
Man mano che si avvicinavano al campo delle Cinque Terre, vedevano spuntare dalla nebbia altri soldati che, come loro, si erano resi conto che qualcosa non andava.
- Andiamo, si può sapere che succede? - imprecò Joan Lamar di fianco a lei, mentre i loro respiri si facevano più affannosi. La visibilità era quasi nulla; in tutta la sua vita Dubhne non aveva mai visto niente di simile.
Fu solo grazie ai propri riflessi fuori dall'ordinario che la ragazza riuscì a salvarsi. Alla sua destra spuntò dal nulla una sagoma con l'arma levata, pronta ad abbatterla su di lei, e la ragazza ebbe modo di rendersene conto appena in tempo per bloccare il colpo con la sua scimitarra.
Fu con gli occhi sgranati dallo stupore che si rese conto di averne incrociata una seconda. Stupore che si impose di superare in fretta, sottraendosi al contatto mentre due uomini che l'accompagnavano afferravano il guerriero per le spalle allontanandolo da lei e ingaggiando un rapido scontro.
Una volta che il nemico fu crollato a terra, la schiena trafitta da due pugnali, Dubhne si chinò a raccogliere la sua scimitarra per esaminarne l'elsa. Vi era inciso un blasone accompagnato da lettere in caratteri che mai aveva visto prima. Una cosa era certa: non era un Nordico. Anche i capelli rosso scuro e la carnagione abbronzata ne erano chiara spia. Sopra l'armatura indossava un mantello color acquamarina, colore che non appartenva a nessuna nazione o affiliazione di Fheriea.
Poche storie, Dubhne. Muoviti!
Non c'era tempo per farsi domande. Presero a correre.
In una manciata di secondi raggiunsero le prime tende del loro accampamento. Appena più in là, era il caos.
Nemmeno la presenza dei tendaggi riusciva a diradare in parte la fitta foschia - dettaglio che spinse Dubhne a dirsi che dovesse trattarsi di un qualche sortilegio - ma ora erano abbastanza vicini da vedere le sagome affaccendarsi e combattere dinnanzi ai loro occhi.
- Andiamo! - disse la giovane con un attimo di ritardo, senza accorgersi che i suoi compagni l'avevano preceduta. Senza pensarci un attimo lei balzò in avanti pronta a gettarsi nella mischia.
Si combatteva ovunque, fra le tende, nei sentieri in terra battuta. Ovunque ci si guardasse intorno era una confusione di ariadoriani, soldati delle Cinque Terre e... chi diavolo erano gli uomini che li avevano attaccati alle spalle? Gli occhi leggermente a mandorla e la carnagione abbronzata ne davano un'immagine leggermente esotica. Nulla di più lontano dall'algido aspetto dei Nordici.
Con un movimento fluido ne bloccò uno che stava tentando di attaccarla e lo trafisse sotto lo sterno, lasciandolo ricadere a ridosso di una tenda disfatta; proprio lì accanto c'era il cadavere di una guaritrice.
Fu solo allora che Dubhne, con un tuffo al cuore, si ricordò di Alesha.
Come tutte le guaritrici quella mattina era rimasta al campo attendendo che la giornata di combattimenti terminasse per curare i feriti che tornavano alle tende e, eventualmente, spingersi nel primo cerchio della città, raccogliere i morti e dare aiuto anche ai nemici feriti.
All'istante qualunque altra preoccupazione svanì dalla mente della Combattente: doveva trovarla alla svelta e allontanarla dalle zone dello scontro più calde; non le importava quanto la ragazza avrebbe protestato, lei non poteva permettere che rimanesse bloccata in una confusione simile.
Mentre si faceva largo tra alleati e avversari, cominciò a chiamarla a gran voce: - Alesha! Al dove sei?
Fermò un giovane ariadoriano che conosceva afferrandolo per la spalla. - Sai dove sono le guaritrici, Naeth? - chiese febbrilmente.
- No, ma credo che si siano disperse quando è iniziato l'attacco!
Senza ringraziare, Dubhne riprese a correre senza badare in che direzione.
Ad un tratto una sagoma le attraversò la strada davanti agli occhi, ma non era Alesha. Era Jack. Era la prima volta che lo vedeva nella mischia da quando era stato promosso a comandante fisso del loro battaglione.
- Chi sono questi bastardi Jack? - gli chiese Dubhne col fiatone, afferrandolo per un polso, ma questi scosse freneticamente la testa.
- Non lo sappiamo, non ancora. L'ipotesi più probabile è che Theor abbia pagato per bene dei mercenari del Popolo del Mare...
Ecco spiegata l'origine del colore dei loro mantelli, dunque.
Proprio in quel momento furono interrotti da due guerrieri che gli capitarono letteralmente fra capo e collo. Mentre Jack affrontava l'altro, Dubhne incrociò la lama con quella del mercenario più vicino a lei e fu sorpresa dalla ferocia con cui quello le si era scagliato contro. Deviò un montante e cercò di eludere la sua guardia con un affondo immediato, ma l'altro balzò all'indietro senza venirne scalfito. La afferrò per un polso e la attirò a sé tentando di strapparle di mano la scimitarra. L'idea di venire separata dalla sua arma la riempì di una rabbia abbastanza irrefrenabile da permetterle di liberarsi dalla sua stretta; senza più perdere tempo, assestò all'avversario una testata con tutta la forza di cui disponeva. Poté immaginare il suo zigomo scricchiolare, ma non si fermò a controllare. Allungando la mano a tentoni dietro di sé incontrò la fredda impugnatura di un pugnale assicurato alla cintura del mercenario. Senza pensarci due volte lo estrasse e glielo conficcò in ventre.
Mentre il nemico ricadeva dietro di lei Dubhne alzò lo sguardo e incontrò quello di Jack, nella sua stessa situazione.
La ragazza fece per voltarsi per riprendere a cercare Alesha, ma l'uomo la trattenne per un braccio.
- Dubhne... - fece con la voce impastata. - Resta viva.
- Anche tu - rispose Dubhne, il volto a pochi centimetri dal suo. Poi si voltò e sparì di nuovo nella bolgia della battaglia.
Non aveva idea di che piega avesse preso, o stesse per prendere, la situazione; non sapeva nemmeno se gli alleati delle Cinque Terre avessero realmente persistito nel tentativo di conquistare la città.
L'unico aspetto positivo di quella situazione, una volta appurata l'assenza della strega rossa, era il fatto che quei mercenari del Popolo del Mare fossero apparentemente privi di poteri magici.
Questo pensava Dubhne per cercare di tenere su il morale e impedire che le gambe le cedessero sotto i colpi della paura che ad Alesha fosse capitato qualcosa di male, questo almeno finché non vide qualcosa in lontananza: al limite del suo campo visivo, un uomo a cavallo disarmato mulinava le braccia con un fluidità che a Dubhne parve piena di una sorta di inquietante grazia, e a ogni suo gesto un prodigio si compiva ai suoi occhi: soldati ariadoriani che venivano scagliati via, accartocciandosi insieme alla tende distrutte, spade si abbattevano su barriere invisibili, fiammate che divampavano dal nulla abbattendosi sui suoi avversari. E se i tratti degli altri assalitori avevano destato non poche perplessità in tutti loro, la provenienza del mago era indubbia: pelle candida e capelli biondi, anche se più scuri della norma degli Uomini del Nord. Era il Ribelle che aveva guidato l'offensiva mercenaria per prestare soccorso a Qorren.
Ed era bravo, comprese Dubhne, dopo la strega rossa probabilmente il più bravo che avesse visto fino a quel momento.
In modo del tutto fuori luogo, la giovane ebbe una fugace visione di Jel Cambrest che combatteva al posto suo allo stesso modo e fu percorsa da un brivido. Non è il momento di perdere la testa Dubhne. Rimani lucida. Roteò la scimitarra e prese un bel respiro.
Il mago del Nord le dava le spalle in quel momento e sembrava presissimo da ciò che accadeva non più in là del suo naso. Tanto valeva tentare.
Falciando gli avversari che trovava sulla sua strada e scansando con forza gli alleati, la Combattente si diresse verso di lui.
C'era un carretto rovesciato proprio dietro al destriero del combattente nordico. Dubhne lo adocchiò quasi per caso, ma comprese all'istante che poteva sfruttarlo a proprio favore. Era una follia, ma se fosse riuscita sarebbe stato qualcosa di spettacolare. Proprio mentre il Ribelle evocava una gigantesca massa d'acqua per abbatterla sui soldati che lo attorniavano, Dubhne spiccò la sua corsa.
Con una coordinazione che nemmeno avrebbe pensato di poter possedere, utilizzò l'ammasso di legno come pedana dandosi tutto lo slancio possibile e caricò il colpo con la scimitarra.
Vide il giovane mago volgersi verso di lei come percependone la presenza, lo vide lasciar perdere la sua Evocazione nel disperato tentativo di erigere una barriera fra sé e la lama della ragazza. Dubhne la abbatté su di lui con tutta la forza di cui le sue membra stanche ancora disponevano.
La scimitarra urtò contro un incantesimo di scudo abbastanza forte da deviare il colpo ma non abbastanza da respingerlo; la punta della lama scivolò di lato fino a incontrare il limite della protezione al che, ancora mossa dallo slancio di Dubhne, penetrò nella spalla dell'uomo fino all'elsa.
Mentre cadeva a terra, la giovane la liberò con uno strattone estraendola dalle carni del nemico che, con un grido di dolore, si lasciò cadere in avanti, aggrappandosi con un braccio al collo del suo cavallo.
Fu proprio in quel momento che le urla trionfanti degli ariadoriani segnarono la decisiva svolta della battaglia.
- Il battaglione del generale Marat! Il battaglione del generale Marat è qui!
Centinaia di visi si rivolsero in quella direzione ma Dubhne, da terra, ancora intontita dal colpo alla testa che aveva rimediato cadendo, cercò con gli occhi solamente il comandante nordico, decisa a finirlo una volta per tutte. Così quando vide il suo destriero cominciare a farsi largo al galoppo tra i nemici, la giovane lanciò un urlo di frustrazione.
Rialzatasi, menò un fendente al mercenario più vicino a lei e cercò disperatamente di lanciarsi al suo inseguimento; ormai era una cosa personale.
Ma dovette rinunciare molto in fretta. Gli ariadoriani stavano spingendo i nemici rimasti nella direzione da cui sarebbero arrivati i rinforzi, mentre il mago fuggiva a tutta velocità nella direzione opposta. Fu così che Dubhne si ritrovò sospinta nella mischia, impossibilitata a continuare l'inseguimento.
Rivolse al comandante un'ultima feroce occhiata, ma poi si convinse a lasciar perdere e dare il suo contributo alle ultime fasi della battaglia.


La città era presa. Incredibile, ma ce l'avevano fatta.
L'atmosfera nel campo ariadoriano semi distrutto era stanca ma allegra, al calare del sole. Una generale soddisfazione aleggiava fra i resti delle tende e i sentieri disseminati di pozze di sangue. Le numerose guaritrici che erano riuscite a scampare alla battaglia erano entrate in azione, accostandosi ai feriti e chiudendo gli occhi ai morti.
Dubhne avanzava tra i soldati sopravvissuti, ricevendo strette di mano e complimenti per la vittoria, ed elargendone a sua volta. Aveva intravisto Jack pochi minuti prima, ma il comandante era sparito prima che lei potesse raggiungerlo. Claya le veniva incontro, malconcia ma con un gran sorriso stampato in volto.
Le due donne si corsero incontro e si assestarono reciprocamente una pacca sulla spalla. Alla fine la tensione da sciogliere ebbe la meglio e le due si abbracciarono di getto. Erano stanche e faticavano a parlare, ma l'euforia per la vittoria era troppa. - Ci siamo riusciti Dubhne, è fatta - proruppe Claya con gli occhi che le brillavano. - La città è nostra.
- Lo so, lo so - fu tutto quello che riuscì a rispondere lei. Non si sarebbe propriamente potuta definire commossa, ma di certo ci era andata vicina. - Ma come mai gli assediati hanno smesso di fare resistenza quando sono arrivati i rinforzi?
- I Ribelli all'interno della città si erano ritirati entro le mura del secondo livello; speravano che l'intervento dei mercenari avrebbe permesso loro di guadagnare tempo e riorganizzare le difese attorno alla città vecchia.
- Non è stato così invece, eh? - sorrise Dubhne.
- Se avessimo agito tutti come te a questo punto la battaglia non sarebbe ancora finita.
Riluttante, la Combattente dovette ammettere che aveva ragione.
Fecero un tratto di strada insieme alla ricerca delle proprie tende - o di quello che ne rimaneva. Dubhne squadrava con occhio critico la compagna d'armi: non sembrava presentare ferite profonde, ma aveva il fianco del corpetto di cuoio squarciato da un lungo taglio slabbrato. Non poté fare a meno di notare che la donna zoppicava, ma non riuscì a capirne esattamente la causa. Forse una slogatura o la rottura di qualche legamento.
- Devi fartela sistemare quella - osservò alludendo alla ferita al fianco, ma Claya scosse la testa sbrigativamente.
- Non prima di aver dormito un po' - fu la sua risposta.
C'era una guaritrice a pochi passi da loro, tutta indaffarata su un corpo a terra.
- Anche tu sembri piuttosto provata - continuò Claya indicandole la fronte con un cenno. Stupita, Dubhne si tastò l'attaccatura dei capelli e fu sorpresa nel constatare che erano intricati in una massa di sangue rappreso; appena sotto la pelle sembrava essere stata raschiata, esponendo all'aria la carne viva.
- Non me n'ero neanche accorta - ammise la ragazza a bocca aperta.
Claya le strizzò l'occhio. - Ho l'impressione di non essere l'unica ad aver bisogno di dormire.
Il sorriso che si era disegnato sulle guance di Dubhne si gelò quando la figura di Layanne - la riconobbe solo in quel momento - si scostò dal corpo su cui era china. La guaritrice era in lacrime e sembrava troppo incredula per parlare; barcollando un poco, apriva e chiudeva la bocca senza riuscire ad emettere suono.
Fu come se il tempo avesse all'improvviso cessato di scorrere regolarmente. Colta da un orrendo presentimento, Dubhne la scansò facendosi avanti.
Dovette coprirsi la bocca con una mano per impedirsi di urlare, annientata dalla ineluttabilità dell'immagine che le si era parata davanti.
Stesa a terra, con una pozza di sangue che si allargava dietro la nuca impregnandole la massa di capelli biondi, c'era Alesha.
Era morta.

















NOTE:

Un bel respiro... Ok, avete tutto il diritto di uccidermi. Lo so, sono crudele. Ma ho capito che Alesha sarebbe dovuta morire nel momento stesso in cui ho deciso di reinserirla nella narrazione. È importante per Dubhne, capite?, è un fattore decisivo, un ultimo ostacolo da superare prima della definitiva maturazione. Accidenti, devo dire che è stato molto difficile anche per me, uccidere un personaggio che è stato tra i primi che ho creato... Quando ho messo il punto all'ultima frase del capitolo mi sono sentita davvero strana.
Per i pochi che avranno letto il capitolo, spero vi sia piaciuto nonostante l'epilogo drammatico e, spero, inaspettato. Così si conclude la seconda parte della storia, uno snodo importante, per questo vi chiedo, anche solo per stavolta, di fermarvi a lasciare una recensione. Per favore :')
Un bacio, TaliaBaratheon.

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Capitolo 26 - Hareis/Raenys ***


Buon Natale a tutti, spero che il capitolo vi piaccia!!!!!

[EDIT: accidenti, quante visualizzazioni!! Quasi 150!! Che ne direste anche di fermarvi un attimo e recensire?:) ]








                                                                      PARTE TERZA

                                                                 LA GUERRA DEL NORD


26








Hareis stracciò il pezzo di carta che reggeva fra le mani e lo gettò nel braciere.
Non si era certo aspettato che Theor serbasse una risposta a tutti i suoi problemi, ma in cuor suo aveva confidato in qualcosa di più rispetto a quelle quattro righe striminzite che aveva ricevuto da Amaria.

Condivido le tue ansie Hareis, ora più che mai. Ma dobbiamo mantenerci saldi nel nostro credo e adoperarci strenuamente per non soccombere. Mi hai chiesto altri uomini; non ce ne sono. Ma ti invio in aiuto qualcosa di infinitamente più prezioso. Tieni la posizione e aspetta.
Nathaniel Theor

Non era lui essere così criptico: il suo maestro non aveva quasi mai avuto segreti per lui. Hareis aveva riletto senza sosta quelle parole, giunte trasportate da un corvo il giorno prima, e alla fine era giunto alla conclusione che Theor avesse preferito tacere il nocciolo della questione nel caso il messaggio finisse nelle mani degli alleati delle Cinque Terre.
Portandosi la sciarpa di lana fin sulla bocca il mago uscì dal padiglione, nella mattinata uggiosa. Era in momenti come quello che la sua vena più intemperante premeva per uscire allo scoperto: nonostante il suo dovere di dirigere le operazioni militari gli imponesse di rimanere per la maggior parte del tempo al sicuro ai margini del campo nordico insieme ai suoi luogotenenti, ora più che mai avvertiva il desiderio di gettarsi a capofitto nell'azione. Non che fosse rimasto inattivo per tutto quel tempo - aveva anche combattuto in un paio di occasioni - ma il suo ruolo gli era diventato notevolmente più stretto da quando Theor gli aveva ordinato di lasciare Hiexil nelle mani di Ferlon per muovere su Qorren. Prima di allora aveva potuto sfogare la tensione accumulata per via di Sephirt combattendo senza risparmiarsi per ampliare i confini del territorio in mano ai Ribelli nel Nord dell'Ariador, ma ora che si trovava in una posizione di comando le sue responsabilità erano aumentate vertiginosamente, come il valore della sua vita. Se lui fosse morto, l'assedio di Qorren si sarebbe ritrovato senza una guida.
Hareis si mosse con passi leggeri verso il margine dell'accampamento; voleva sentirsi emotivamente vicino ai suoi uomini, voleva percepire la presenza di coloro che stavano combattendo per la loro nazione e voleva udirne l'acciaio scontrarsi con quello dei nemici.
Si spinse abbastanza vicino alle mura da intravedere, fra le tende, i suoi uomini che cercavano di issarsi sui camminamenti, presidiati da fanti e arcieri ariadoriani.
C'erano cadaveri ammucchiati sotto le mura, ma Hareis preferì pensare che quelli dei nemici all'interno fossero più numerosi.
Riusciva distintamente a vedere quello che doveva essere il comandante delle guardie cittadine in piedi sulla sommità, intento a impartire ostinatamente ordini ai suoi sottoposti. La famosa tempra ariadoriana, pensò l'uomo del Nord. La tempra ariadoriana che non si arrende neanche a un nemico due volte più numeroso.
Avrebbe voluto come non mai poter essere lì con i suoi uomini a combattere e a morire per la causa.
Quando la vide arrivare il suo cuore si fermò.
Era lì: altera e bellissima, terrificante in quello che Hareis riconobbe come un immenso, rinnovato potere.
Nell'averla finalmente di nuovo davanti agli occhi il mago del Nord fu assalito da emozioni così discordanti da fargli girare la testa.
Non è Sephirt. Fu il primo pensiero che la sua mente riuscì a formulare dopo attimi di totale defiance.
No, quella donna che si stava facendo strada tra le tende non era la donna che amava; eppure, come poteva non esserlo? I lunghi capelli rossi, accesi da riflessi di fuoco, la carnagione nivea, gli zigomi alti e il naso appuntito, quelli erano i suoi tratti.
Quando fu abbastanza vicina, cercò il cremisi dei suoi occhi per ricevere una conferma o un diniego, ma quello che vide lo raggelò: quella vena di vitalità che era sempre stata presente suo sguardo, anche se a volte in modo rabbioso e spietato, quella fiamma che era sempre parsa ardere in lei non esisteva più.
I suoi occhi erano innaturalmente fermi. Non sbatteva neanche le palpebre.
Eppure dietro quelle iridi color del sangue Hareis scorse anche un 'che di spiritato che lo fece rabbrividire.
Non seppe stabilire con certezza se Sephirt lo avesse riconosciuto o no, ma non ebbe il tempo di continuare a provarci perché la strega gli aveva voltato le spalle.
L'uomo la seguì con lo sguardo mentre lei procedeva verso il campo di battaglia, fino a perderla di vista. Per diversi lunghi istanti riuscì a percepire solamente il suono del proprio respiro che si condensava in nuvolette di vapore.
Poi vide un intenso bagliore rosso lampeggiare oltre le mura della città.




Hareis si riebbe disteso nell'ampio letto della sua camera di Amaria.
Non ricordava esattamente quali fossero stati gli ultimi lembi dello stralunato viaggio che lo aveva condotto da Qorren fino alla capitale nordica ma, non appena si ritrovò di nuovo nel mondo dei vivi, comprese che se era sopravvissuto era perché qualcuno doveva avergli prestato soccorso nel vederlo arrivare esausto al confine della città. Come volse il capo sul cuscino, si ritrovò a fissare i penetranti occhi gialli del suo mentore Theor.
L'ex maestro delle Terre del Nord non era un uomo incline al sorriso, eppure, nel momento in cui si rese conto che il suo antico pupillo aveva ripreso conoscenza, Hareis avrebbe giurato di vedere le sue labbra curvarsi leggermente.
- Bentornato nel mondo dei vivi - lo accolse con voce perfettamente misurata. - Ho temuto che non avrei più potuto fare conto sul tuo aiuto.
- Ho ricevuto questa - affermò dopo una breve pausa depositando una sottile striscia di carta sulle lenzuola. - Anche se, visto il tuo ritorno improvviso, non ne avrei avuto bisogno per capire che la città era presa.
Hareis sentì la propria voce, insolitamente rauca, pronunciare: - Non sono riuscito a tenere la città... Ho reclutato i mercenari come mi hai ordinato, ma non è bastato.
- Lo so - lo interruppe l'uomo del Nord posando la mano su una delle sue per fermarlo. - Ma non ho intenzione di redarguirti per questo.
- Che cosa? - soffiò Hareis disorientato. - Abbiamo appena perso Qorren, Theor, la terza città dell'Ariador settentrionale. Questo rappresenta un contraccolpo enorme per la nostra causa!
- So anche questo. Ma ora non abbiamo tempo per chiuderci in una stanza a leccarci le ferite. C'è una faccenda importante di cui dobbiamo occuparci.
Più importante di Qorren?
- Domani riceveremo la visita di due emissari delle Cinque Terre.
A quel punto Hareis non riuscì più a mascherarare la curiosità.
- Emissari delle Cinque Terre qui ad Amaria? Proprio ora?
La risposta di Theor riuscì a sorprenderlo ancora più della precedente.
L'ex maestro delle Terre del Nord gli mise in mano una pergamena stropicciata.
- Il maestro Raenys e il suo attendente colloquieranno con noi per discutere l'attuale situazione. La missiva sostiene che la loro intenzione è di trovare un accordo per far finire la guerra.
Hareis lesse velocemente la decina di righe, scritte con una calligrafia sinuosa ed elegante - probabilmente quella di un attendente - sulla lettera che era arrivata da Grimal. Si soffermò solamente sull'ultimo paragrafo, il quale così recitava:

Chiediamo che due delegati del Gran Consiglio - il maestro dello Stato di Tharia Gerd Raenys e il suo attendente Dane Westerling - siano ricevuti ad Amaria e ascoltati su quanto concerne le nostre condizioni per porre fine al conflitto tra le nostre nazioni e, per quanto possibile, trovare un'intesa con il Vostro nuovo governo.

In calce erano presenti le firme di tutti i sovrani delle Cinque Terre, eccetto Re Robyn naturalmente.
Hareis abbassò lo sguardo e studiò il proprio petto cosparso di lividi violacei, tracce dei pochi mesi che aveva trascorso al fronte. La testa gli doleva ancora leggermente e pulsava in prossimità del punto in cui il ragazzo di Qorren l'aveva colpito.
- Che cosa pensi di fare? - domandò alla fine restituendo la lettera al suo mentore. Theor sospirò pesantemente. Quando fissò gli occhi nei suoi, un lampo pericoloso attraversò il suo sguardo.
- Prenditi ancora un paio d'ore per riposare, poi raggiungimi nel mio studio. Dobbiamo preparare il terreno di gioco.


                                                                       ***


Il maestro Gerd Raenys camminava affondando nella neve fino alle caviglie protette da alti stivali di camoscio.
La piazza centrale di Amaria doveva essere stata pulita l'ultima volta diversi giorni prima del loro arrivo visto lo spesso strato bianco di cui era ricoperta. Non che la cosa lo avesse stupito più di tanto: l'ultima cosa che si sarebbe aspettato era che Theor srotolasse un tappeto di velluto nel momento del loro arrivo.
Avevano incontrato un primo sbarramento ai confini della città, presso il quale uno squadrone di Ribelli si era semplicemente accertato della sua identità. Lui e la sua scorta, guidati da un delegato mandato da Theor ad accoglierli, avevano attraversato le vie deserte della capitale nordica fino a giungere in vista del palazzo reale. Lì un'altra guarnigione di Ribelli armati aveva dato l'ordine che i dieci uomini posti a sua protezione non procedessero oltre, dopodiché Raenys e il suo attendente personale Dane Westerling erano stati costretti ad avanzare a piedi. Sempre mantenendosi dietro la loro guida, raggiunsero infine la scalinata che li avrebbe condotti all'interno, sulla cui sommità attendeva con le braccia dietro la schiena Theor in persona.
Nel vederlo la mente di Raenys fu attraversata dal ricordo dell'ultima volta in cui i due maestri si erano visti, quasi sette anni prima. Era stato a Grimal, durante l'ultima accesa seduta del Gran Consiglio cui l'Uomo del Nord avesse partecipato.
All'epoca ancora si disquisiva sulla legittimità o meno del pesante incremento nei dazi doganali imposti dalle Cinque Terre - su grande richiesta dei governanti delle Terre del Nord - sulle merci importate dall'Ariador: un maldestro tentativo di favorire la produzione interna in modo da rilanciarne l'economia, da decenni ormai dipendente da quella ariadoriana. Tuttavia la politica mercantilistica tanto auspicata dal governo di Amaria non aveva ottenuto risultati concreti. La pessima amministrazione delle miniere del regno da parte della famiglia regnante aveva da tempo tarpato le ali alla principale produzione nordica: armi e utensili ricavati dal ferro estratto nell'estremo nord-ovest e gioielli forgiati in oro, delle cui venature i monti attorno a Gax erano ricchi.
Dopo la morte di Re Robyn I e l'inevitabile successione dell'infante Robyn II, Theor in persona si era offerto di prendere in mano la gestione dell'attività mineraria della nazione, ma il Gran Consiglio glielo aveva negato, affidandone la reggenza a Lord Arnolf Leed, signore di Gax e cugino del defunto re.
Alla fine i forti interessi economici dell'Ariador avevano fatto la voce grossa; in quella fatidica riunione che aveva segnato il definitivo distacco dell'allora maestro del Nord Nathaniel Theor, si era tenuta una votazione in proposito e la maggioranza aveva decretato che i dazi venissero non solo riportati al prezzo regolare, ma abbattuti. Si era trattato solamente dell'ultimo "affronto" mosso dalle Cinque Terre verso le Terre del Nord, ed evidentemente Theor aveva ritenuto fosse sufficientemente rappresentativo per dare una dura risposta. Dopo aver messo in discussione l'autorità politica del Nord appena un anno prima, riducendone il numero di rappresentati nel Gran Consiglio della metà, il governo centrale di Fheriea voltava le spalle alla possibilità di rilanciarne l'economia. Raenys rammentava molto bene le parole che con tutta probabilità avevano sollecitato più di ogni altra l'ira di Theor.
"Rimuovere i dazi doganali dal vostro confine è solo un primo passo. È mio auspicio che un giorno essi vengano aboliti lungo ogni confine delle Cinque Terre" aveva chiosato Lady Brances, Consigliera dello Stato dei Re.
La controbattuta di Theor era stata lapidaria.
"Ma certo, mia signora, dedicatevi a quelli allora. Ma fate attenzione: potreste un giorno trovarvi non senza dazi, ma senza più confini."
Congedandosi con freddezza dagli altri Consiglieri, l'uomo era partito per il Nord il giorno stesso. Ma allora nessuno avrebbe potuto immaginare che non avrebbe mai più fatto ritorno a Grimal. In effetti, riconsiderando le parole che Theor aveva rivolto al Gran Consiglio allo stato attuale delle cose - con la linea di confine ariadoriana spostatasi notevolmente più a sud - Raenys percepì un lieve brivido percorrergli la spina dorsale.
Contemporaneamente all'insorgere di tali controversie politiche, le Terre del Nord erano state percorse dall'infiammarsi di moti rivoluzionari più o meno convinti, ma il primo vero campanello d'allarme era stato l'assassinio di Arnolf Leed da parte di un gruppo di radicali; che al tempo Theor già fosse implicato nella faccenda era una possibilità più che probabile. L'amministrazione dell'attività mineraria - in particolare nell'estrazione di ferro - era dunque passata nelle mani dell'ex maestro di Amaria il quale negli anni successivi aveva provveduto a dare un spinta vertiginosa alla produzione bellica della nazione.
Era evidente che vi fossero tutti i fattori propizi perché la situazione si gonfiasse sempre di più fino ad esplodere. E così era stato.
- Maestro Raenys, è passato tanto tempo - lo accolse glaciale il sovrintendente del regno del Nord; non c'era traccia di falsa cortesia nel suo tono di voce, nessuna nota melliflua. Le sue parole successive suonarono fredde, seppur dosate. - Permettetemi di accompagnarvi in un luogo idoneo per discutere.
- Sono qui per questo - acconsentì il maestro di Tharia mantenendo lo stesso tono distaccato.
Si stava addentrando nella tana del lupo e lo sapeva, ma per quanto l'idea fosse sgradevole doveva adempiere al proprio dovere sfruttando le capacità che avevano portato il Consiglio a designare lui per quella delicata missione. E non doveva dimenticare che, di certo, Theor non era tanto sciocco da far uccidere un alto funzionario delle Cinque Terre in missione diplomatica. Se Raenys fosse morto, l'intera Fheriea si sarebbe accanita contro le Terre del Nord come un nugolo di api infuriate.
Il Consigliere thariano seguì Theor lungo l'ampia scalinata che conduceva al primo piano, per poi imboccare un breve corridoio sulla sinistra. Avendo sempre di più l'impressione di starsi addentrando in un labirinto da cui non sarebbe mai più uscito, Raenys non mosse obiezioni nemmeno quando Theor lo invitò a varcare la porta davanti a loro: la stanza in cui il confronto sarebbe avvenuto era si dipanava da entrambi i lati di almeno cinque metri, ma era profonda la metà. Un tavolo in legno di mogano levigato la occupava in quasi tutta la sua lunghezza.
Agli occhi di Raenys balzò immediatamente il fatto che tutte le sedie fossero posizionate sullo stesso lato.
Tutte, tranne una.
E il maestro capì, con un brivido: non era un incontro diplomatico. Era un interrogatorio.
Guardò rassegnato il proprio sospetto venire confermato quando Theor gli indicò di accomodarsi proprio lì. Conscio di quanto fosse importante il mostrarsi padrone della situazione, l'uomo fece come gli veniva ordinato e fece cenno a Dane di sistemarsi in piedi, lievemente a destra appena dietro di lui.
Di fronte a lui c'erano cinque persone. Conosceva già due di loro: uno era Nemion Wesh, l'anziano e nervoso Uomo del Nord che era stato maestro prima di Theor. L'altro era qualcuno con cui Raenys aveva lavorato fino a pochi mesi prima.
Seduto mollemente all'estremità sinistra del tavolo, le gambe accavallate e una smorfia di superiorità disegnata sulle labbra sottili, c'era Astapor Raek. Nel trovarselo davanti anche il glaciale, compassato maestro della nazione di Tharia non poté evitare di essere attraversato da una scarica di rabbia.
Si era fatto crescere il pizzetto rispetto all'ultima volta in cui si erano visti, ed era avvolto in un'elegante giacca color ocra ornata da bottoni dorati - il fatto che continuasse a vestire i colori dello Stato dei Re accese ancora di più l'ostilità di Raenys.
Gli altri due uomini e l'unica donna erano invece degli sconosciuti.
Theor si accomodò sulla sedia centrale, proprio di fronte a lui, e intrecciò le dita sotto la punta del naso.
- Bene. Possiamo cominciare - asserì. - Se non sbaglio siete qui per esporre alcune... condizioni dettate dal Gran Consiglio - Raenys non poté impedirsi si notare la sottile vena sprezzante con cui Theor aveva sillabato la parola "condizioni" - per cercare un accomodamento fra le nostre nazioni.
- Se permettete - precisò il Consigliere schiarendosi la gola. - Quello che ho intenzione di proporvi in questa sede è un accordo, un accordo volto a sospendere il prima possibile le ostilità.
- La riuscita di questo colloquio dipenderà solo da quanto le Cinque Terre saranno disposte a contrattare.
Colui che aveva parlato era un giovane uomo dall'aspetto insolitamente gentile per essere un Nordico e, in più, uno dei gerarchi della Ribellione. Ma nonostante questo, il suo sguardo di un tenue color ambrato era fermo e ostile nei suoi confronti.
In ogni caso, Raenys capì che l'intenzione dei "consiglieri" lì presenti era di fargli capire fin da subito che, nonostante la notizia della presa di Qorren - fatto di cui egli stesso era venuto a conoscenza poco prima di raggiungere Amaria - la loro volontà era rimasta ferrea.
Il maestro di Tharia si rivolse a Theor. - Credevo che il colloquio si sarebbe tenuto fra noi due soli, in modo da agire indisturbati - commentò tagliente.
- Sì, lo immaginavo - rispose il suo diretto avversario, e Raenys non si sarebbe stupito se nel pronunciare quelle parole avesse scrollato le spalle. - Ma vi ricordo che qui siamo in casa mia. Se vorrete giocare, dovrete farlo secondo le mie regole.
- L'unico motivo per cui sono qui - affermò il Consigliere imperturbabile. - È porre fine alla guerra che sta stremando la vostra nazione e dilaniando quelle che io rappresento.
Era quello uno dei motivi per cui era stato scelto proprio lui, fra tanti Consiglieri, per portare a termine quel delicato compito. La quasi unanimità del Consiglio aveva riconosciuto che, eticamente parlando, sarebbe spettato al maestro Ellanor.
Tuttavia, il suo diretto coinvolgimento nella faccenda ariadoriana - dopotutto era la sua nazione ad essere sotto attacco - avrebbe solo rischiato di ottundere la sua lucidità nel condurre il confronto con Theor.
Davanti a lui, il fautore della Ribellione aveva disteso i palmi delle mani sul tavolo in segno quasi accomodante.
- Siamo qui per ascoltarvi, maestro Raenys. Dunque parlate.
Il Consigliere si accinse ad esporre le condizioni del Re delle Cinque Terre; era di fondamentale importanza che riuscisse a farle apparire come parte di un patto bilaterale.
- Sarò quanto più possibile diretto e sincero, miei signori - dichiarò mantenendo il tono della voce freddo e misurato. - Da pochi mesi a questa parte il Gran consiglio è entrato in possesso di tutte e sei le Pietre Magiche.
- Già, questo lo sappiamo - intervenne Astapor Raek con un sorrisetto, tamburellando pigramente quattro dita sul piano del tavolo.
- Astapor - lo redarguì Theor scoccandogli un'occhiata irritata, poi fece silenziosamente cenno a Raenys di continuare.
- Immagino dunque - il maestro cercò con lo sguardo quello del traditore - che sappiate anche che esse non sono semplici talismani da associare a ogni nazione delle Cinque Terre. - Aveva marcato particolarmente l'accento sul termine anche. - Esse sono state create con un scopo ben più controverso: la difesa delle istituzioni di Fheriea, dopo che la Guerra dei Cinque Anni aveva stravolto il mondo conosciuto fino a quel momento.
- Non mi sembrate nelle condizioni di poterci prendere in giro - nitrì Theor con la mascella serrata. - Il modo per attivare la magia delle Sei Pietre è sconosciuto, lo sanno anche i bambini. Non esistono libri che serbino il segreto per usufruirne.
- No? - ripetè Raenys divertito. Aveva acquistato maggiore tranquillità; era lui ora a muovere i fili della discussione. - A me risulta che l'ultimo volume a riguardo sia proprio nelle vostre mani, trafugato dalla biblioteca di Città dei Re dal vostro infiltrato, Astapor Raek. Volume che immagino voi abbiate studiato meticolosamente.
Il Consigliere ebbe l'impressione che ognuno degli uomini seduti davanti a lui si fosse irrigidito.
- Molto bene - Theor aveva il volto contratto nel sorriso di chi ha appena inghiottito qualcosa di molto amaro. - Non vedo come questa informazione possa mettervi in una posizione di maggior vantaggio.
- Legittima domanda, mio signore, ma si dà il caso che il volume che il vostro infiltrato ha diligentemente prelevato dalla capitale non fosse l'unica fonte da cui attingere informazioni sulla procedura da seguire per attivare la magia delle Pietre. A proposito, mancano alcune pagine non è vero?
Uno dei consiglieri di Theor si agitò sulla sedia.
- Andiamo - proruppe in tono concitato, volgendosi verso Theor. - Questo fantoccio delle Cinque Terre ci sta prendendo in giro. Posso credere che stiamo perdendo il nostro tempo in questa conversazione.
- Calma, Nax - il supremo Lord del Nord non aveva ancora staccato gli occhi dal volto di Raenys. - Sono sicuro che il maestro qui presente sarà in grado di chiarire la situazione del Gran Consiglio.
- La nostra situazione non è un problema, ma posso dirvi qualcosa di più sulla vostra situazione - Raenys sapeva di starsi spingendo un po' troppo in là, ma non riuscì a trattenersi. Dopotutto, aveva un copione da seguire. Non aveva importanza come avesse esposto il nodo fondamentale, l'importante era che lo facesse risultando abbastanza credibile da farsi prendere sul serio dai suoi interlocutori.
- Questa guerra vi sta devastando. Avete perso Qorren, e siete asserragliati nelle ultime città ariadoriane che vi restano. Una volta che l'esercito delle Cinque Terre avrà ripreso Hiexil sarete costretti a ripiegare entro i confini delle Terre del Nord. Non credo che sia nel vostro interesse vedere Amaria cinta d'assedio dalle forze dell'intero continente. E non è a questo che vogliamo arrivare. Ed è per questo motivo che sono qui: per chiedervi di arrendervi.
- Forse dimenticate che potremmo non essere d'accordo con questa visione per voi idilliaca - lo schernì Theor con la massima tranquillità.
- No, certo - sospirò Raenys. Percepiva la tensione tornare a salire. - Ma se non lo farete saremo costretti ad usare le Pietre Magiche contro di voi.








Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Capitolo 27 - Hareis ***


27








Hareis ascoltava il serrato confronto che si stava tenendo fra il suo mentore e Gerd Raenys, osservando la scena con occhio attento. Non voleva perdersi una sola sfumatura nelle espressioni che si disegnavano sul volto del maestro dello stato di Tharia.
Sapeva che i giochi dovevano essere in procinto di chiudersi.
Raenys aveva esordito ufficiosamente il colloquio diplomatico esponendo le condizioni che le Cinque Terre ritenevano essere indispensabili per procedere con qualunque trattato di pace. Fondamentalmente, i privilegi che il Gran Consiglio si era mostrato disposto a concedere agli Uomini del Nord erano scialbi e alquanto prevedibili: un riassestamento dei confini meridionali delle Terre del Nord in base etnica — la popolazione degli ultimi territori dell'Ariador settentrionale poteva contare su una massiccia presenza di Uomini del Nord, retaggio del passato periodo "espansionista" ariadoriano — , la possibilità di aumentare il proprio numero di Consiglieri da tre a cinque e la totale amnistia verso qualunque azione perpetrata durante la guerra in corso.
Hareis doveva ammettere che per un attimo, nell'ascoltare quelle parole, aveva avvertito il vago desiderio che Theor facesse improvvisamente marcia indietro e acconsentisse a stipulare l'accordo che il governo di Grimal proponeva. Le Terre del Nord avevano avuto il loro momento di gloria, avevano dato prova di grande tempra e orgoglio battendosi da sole contro una coalizione di quattro nazioni più il Bianco Reame, ma forse si erano spinte troppo in là. Forse, ora più che mai, era il momento di salvare il salvabile o avrebbero perso anche quello. Ma quella debolezza era durata solo un istante; al giovane era bastato rivolgere lo sguardo verso il volto altero e sicuro di Theor per rammentare le motivazioni che l'avevano spinto a seguirlo così ardentemente.
Le Terre del Nord meritavano qualcuno in grado di guidarle con determinazione, qualcuno che desse finalmente voce alle grida di un popolo che invocava l'indipendenza della propria nazione da decenni, ormai. Qualcuno pronto a sfidare la mascherata arroganza delle Cinque Terre dimostrando che, no, gli Uomini del Nord non si sarebbero lasciati eclissare da nessun'altra potenza straniera.
Dunque il mago aveva seguito in silenzio la controbattuta di Theor, sui cui contenuti il suo maestro l'aveva informato il giorno precedente.
Le condizioni cui miravano erano decisamente più radicali rispetto a quelle proposte dal Gran Consiglio: l'immediata fuoriuscita dall'unione delle Cinque Terre e, soprattutto, il mantenimento del dominio delle aree e delle città ariadoriane che erano state conquistate durante la guerra. Ma Gerd Raenys si era dimostrato fermo sulle posizioni del Consiglio quanto Theor sulle proprie. Il massimo che erano riusciti ad ottenere era stata l'ammissione della possibilità di programmare un secondo confronto, ma solo dopo che Raenys avesse avuto modo di consultare il resto del Consiglio sulle richieste avanzate dagli Uomini del Nord.
Nel silenzio generale Hareis fissò il suo maestro, aspettando come tutti gli altri presenti che uno dei due parlasse.
- Credo - sillabò alla fine questi con gli occhi ridotti a fessure - che in questo caso non abbiamo ragione di prolungare oltre questo colloquio.
- Lord Theor - replicò Raenys con il fare di chi implora un amico di non compiere una sciocchezza. - Non gettate via questa opportunità. Pensate al bene delle Terre del Nord, prima ancora che a quello di Fheriea. Vi prego.
Il maestro di Tharia si alzò in piedi. In segno di rispetto, gli Uomini del Nord fecero altrettanto. - Vi lasceremo ancora qualche giorno per riflettere, sperando che siate disposti a ritrattare la vostra decisione.
- Grazie per la gentile concessione - rispose Theor sardonico e, nonostante la tensione, Hareis ridacchiò fra sé e sé dinnanzi alla sfacciataggine dell'uomo che sedeva poco distante da lui.
I due maestri chinarono il capo senza staccarsi gli occhi di dosso; il contatto fra i loro sguardi si mantenne per qualche istante, quasi feroce, indi Gerd Raenys girò sui tacchi facendo un cenno al suo attendente, che puntualmente lo imitò. I Ribelli li lasciarono fare.
Una volta che furono spariti dietro la porta, Hareis scambiò con Theor un lungo sguardo di intesa.
Vai, sembravano ordinargli gli occhi gialli del suo mentore.
Senza dire una parola il mago si alzò e in pochi secondi si lasciò alle spalle la saletta delle riunioni.
I suoi uomini lo stavano già aspettando. Hareis fece cenno di seguirlo a due di loro.
- Voi - disse asciutto rivolto agli altri sei. - Tre sulla destra, tre sulla sinistra. Voglio che li attendiate agli angoli della piazza e vi occupiate della loro scorta. Avanti, subito!
Con il cuore che batteva a mille, l'uomo si mise alla testa di due combattenti mentre gli altri imboccavano corridoi diversi. Una volta raggiunto l'ingresso della reggia di Amaria, spalancò le porte che davano sulla piazza centrale.
Raenys e il suo attendente non erano lontani: circa nel centro dell'ampio spiazzo imbiancato, camminavano quanto più speditamente la neve alta fino alle caviglie permettesse loro. Al margine della piazza, un manipolo di uomini armati attendeva in silenzio, sorvegliato da due guardie nordiche.
Hareis scese il primo gradino e inspirò profondamente.
- Non lo ripeterò un'altra volta - avvertì gli uomini accanto a lui. - Dovete prenderli vivi. Almeno uno dei due. Meglio se entrambi.
Mentre i due uomini scattavano in avanti, Hareis si rimboccò le maniche della camicia sotto il mantello e subito l'aria gelida gli sferzò i polsi bianchissimi cospargendoli di pelle d'oca. Il mago distese le braccia con il volto contratto per la concentrazione.
I due Terkil di pietra che sorvegliavano la base della scalinata si separarono di colpo dal loro basamento; con uno sforzo immane Hareis sollevò le mani strette a pugno poi, all'ultimo momento, distese i palmi in direzione dei due uomini nel mezzo della piazza.
Gerd Raenys dovette percepire lo spostamento d'aria con pochi secondi d'anticipo, ma non fece in tempo a spingere via anche il suo attendente, che fu colpito in piena schiena dal volatile di pietra. Da parte sua, il maestro di Tharia rotolò a terra, in mezzo alla neve.
Una ventina di metri più avanti, nordici e componenti della scorta del Consigliere stavano già combattendo. Colte completamente alla sprovvista, le guardie delle Cinque Terre avevano cercato di compattarsi per assumere la classica tattica di combattimento coesa e uniforme, come membri di un'unica unità, ma la rapidità dell'assalto dei sei Ribelli con le spade sguainate aveva impedito loro di realizzarla.
Hareis era scattato in avanti e, in un battito di ciglia, due masse di fuoco vivo avevano avvolto le sue mani. Uno dei suoi uomini aveva afferrato l'attendente di Raenys, rimasto tramortito, ma il maestro thariano si era rialzato e aveva proteso le mani nella sua direzione. Il Nordico venne sbalzato via da una potente massa d'aria, ma Hareis ne approfittò per dirigere una fiammata contro il suo nemico. Questi riuscì ad accorgersene appena in tempo per erigere un incantesimo di scudo su cui essa si infranse.
- Prendete il ragazzo! - tuonò il mago del Nord rivolto ai suoi uomini. - Di lui mi occupo io.
Forse si sarebbe aspettato che Raenys prendesse più sul serio le sue parole, ma l'uomo non lo degnò inizialmente di uno sguardo; al contrario, con un elegante cenno della mano si rivolse proprio verso i due Ribelli che Hareis aveva portato con sé, i quali avevano sollevato Dane Westerling — che si era ripreso e ora si divincolava a più non posso — tenendolo per le braccia e per i piedi per portarlo via. Fu un attimo, e prima che Hareis potesse muovere un dito i suoi uomini crollarono a loro volta a terra, svenuti.
- Furbo figlio di puttana... - mormorò il giovane. Quello era il genere di trucchetti mentali che aveva sempre faticato ad applicare.
I due uomini, uno nordico e l'altro thariano, si trovavano faccia a faccia ora. - Se è un duello che volete, ragazzo - affermò in tono sicuro il maestro Raenys lasciando scivolare nella neve il mantello e la pelliccia - Che un duello sia.
- Non ho paura di voi, maestro - ribatté lui mentre una stilettata di rabbia gli pungeva le viscere, anche se accompagnata da un dirompente desiderio di mettersi alla prova.
- Non ho dubbi, ma questo non servirà a catturarmi - lo avvertì il suo avversario. Irritato, Hareis scagliò contro di lui la seconda fiammata, ma Raenys la deviò con un semplice gesto della mano*.
- Avanti, combatti! - lo esortò il Ribelle a denti stretti, indirizzandogliene addosso un'altra, più massiccia. Cominciava ad avvertire la rabbia scorrere nelle sue vene: era come se il maestro di Tharia lo stesse prendendo in giro, come se considerasse una perdita di tempo combattere con un avversario così giovane.
Raenys aveva eretto un secondo incantesimo di scudo su cui il suo attacco si era infranto, ma lui non aveva più testa per aspettare. Estraendo un coltello dalla cintura, scattò verso l'avversario, pronto a coniugare l'uso di forza e magia.
Abbatté la lama su di lui ma, come aveva previsto, Raenys lo bloccò ancora una volta. Sempre facendo ricorso a una Evocazione che gli avvolse di fuoco il pugno sinistro, Hareis tentò di colpirlo al ventre, ma prima che potesse riuscirci l'uomo scomparve dalla sua traiettoria per riapparire alla sue spalle.
Ma il Nordico era ormai diventato affine al riconoscere l'uso della trasmissione istantanea e riuscì ad anticipare le sue mosse offensive: Raenys aveva cercato di tagliagli la gola con un sortilegio, ma lui era stato rapido nel pronunciare un contro incantesimo. Si liberò dalla stretta avversaria con uno strattone e colpì il maestro in volto; come sempre quando colpiva qualcuno con un pugno, le sue nocche scricchiolarono. Menò nuovamente alcuni colpi di coltello, ma Raenys le deviò tutti con la magia, anche se costretto ad arretrare.
D'un tratto, Hareis avvertì qualcosa di duro colpirlo nella schiena e l'urto fu così forte da farlo vacillare: il suo nemico aveva evocato una imponente massa di terra compatta e gliel'aveva scagliata contro da dietro.
È troppo forte per me, non riuscì a impedirsi di pensare. Combatte con una concentrazione di livello eccezionale.
Eresse una barriera un secondo prima che Raenys dirigesse a sua volta un'Evocazione di fuoco verso di lui, ma fu troppo debole e la vampata di calore lo investì in viso ustionandolo.
Al diavolo!
Infuriato, il giovane avvertì il proprio potere intensificarsi. Era il lato più controverso e affascinante della Magia, il modo in cui essa divampava alimentata dalla rabbia e dalla progressiva perdita del controllo. Hareis allargò le braccia e richiamò due lingue di fuoco che poi fece convergere sul suo avversario.
- E così vuoi giocare con fuoco, maestro? - urlò mentre questi, visibilmente in difficoltà, era costretto a sbilanciarsi all'indietro difendendosi con l'ennesimo incantesimo di scudo. Le fiamme vi scivolarono sopra per poi andare a esaurirsi nella neve.
Hareis aveva ottenuto ciò che voleva: ignorando il dolore al viso ustionato, che gli bruciava follemente, scattò in avanti e si gettò sul suo avversario con il coltello alzato. Ma aveva peccato di arroganza, fatto che Raenys volse puntualmente a proprio favore abbattendogli una valanga d'acqua addosso che lo fece rotolare via prima che riuscisse a raggiungerlo.
Bagnato fradicio, il mago si rimise in piedi con la testa che gli girava. Ora percepiva anche il gelo pungergli i polmoni ad ogni respiro in modo quasi insopportabile.
Anche Raenys si era rialzato e aveva iniziato a scagliargli contro lastre di pietra che aveva divelto dalla pavimentazione della piazza. Hareis ne schivò alcune e riuscì a pararne altre con la magia, ma aveva il respiro a mille e non era più sicuro di riuscire a contrattaccare.
Per sua fortuna, Theor aveva fatto intervenire altri Ribelli che ora si stavano riversando nella piazza per terminare la scorta del maestro Raenys e catturare quest'ultimo.
No, no, è mio, è mio!
Con uno sforzo immane, Hareis attuò una trasmissione istantanea che lo portò praticamente di fronte all'avversario che, impreparato, fermò a mezz'aria il braccio con cui controllava l'ultima lastra di pietra. Hareis aveva già deciso da tempo che cosa fare. Menò contro di lui una testata con tutta la forza che aveva, al che Raenys crollò all'indietro, con un taglio sulla fronte da cui colava sangue ad inondargli il volto. Ma neanche Hareis era abituato a quei colpi da corpo a corpo e indietreggiò, barcollando; le immagini davanti a lui per qualche istante si sovrapposero. L'Uomo del Nord inciampò nella neve e cadde all'indietro.
Ben cinque uomini si erano avventati su Gerd Raenys e l'avevano rimesso in piedi tenendolo fermo, o almeno cercando di farlo, ma non bastò: Hareis, da terra, vide di sfuggita il massiccio spostamento d'aria che il maestro di Tharia usò per liberarsi. I Ribelli vennero sbalzati via.
Il combattimento li aveva portati piuttosto vicini al limitare della piazza e Raenys fece quello che Hareis si sarebbe aspettato: fuga.
Alcuni dei suoi uomini cercarono di ostacolarlo, ma erano avversari troppo deboli per un mago come lui. Il maestro si fece strada allontanando gli aggressori con Evocazioni e altri incantesimi, ma lui non aveva intenzione di lasciarlo andare, non dopo tutto quello che aveva fatto per fermarlo.
Si rialzò a fatica, incespicò ma non se ne curò. Doveva impedirgli di lasciare la città, non poteva permettersi di deludere ancora Theor.
Chiamando a sé tutte le forze rimaste, si cimentò con un'ultima, imponente fiammata. Raenys dovette accorgersene, perché interruppe di colpo la sua corsa e si voltò verso di lui. Con una velocità di cui finora il giovane aveva visto capaci solo Theor e Sephirt, evocò a sua volta una gigantesca lingua di fuoco mentre lui gli scagliava contro la propria.
Lo scontro fra i due incantesimi produsse un'esplosione che divampò con un boato. Ancora una volta, investito dallo spostamento d'aria, Hareis venne scaraventato a terra, anche se la neve attutì la caduta quanto bastò per impedire che si frantumasse l'osso sacro.
Senza riuscire a rialzare del tutto la testa, il mago guardò disperato il suo avversario rimettersi in piedi e scappare. Lo vide sparire, confondendosi alla vista protetto dall'incanto di Disillusione.


                                                                                             ***                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              

- Quali sono i piani del Consiglio?
- Non lo so.
Uno schiaffo, secco, in pieno volto.
- Quali sono i piani del Consiglio?
- Non lo so, lo giuro.
Un altro schiaffo. La guancia sinistra di Dane Westerling era già arrossata come in fiamme.
Appoggiato alla parete con le braccia incrociate, Hareis osservava l'interrogatorio in silenzio. Il viso gli bruciava ancora dove l'Evocazione di Raenys l'aveva sfiorato, per non parlare dei giramenti di testa che non lo avevano abbandonato da quando aveva rimesso piede nel palazzo di Amaria.
- D'accordo, vediamo se ti piace se cambiamo domanda. Come ha fatto il Consiglio a scoprire come utilizzare le Pietre Magiche?
- Non lo so - ansimò il ragazzino cercando di evitare lo sguardo di colui che lo stava interrogando.
- Menti! - l'uomo gli assestò un manrovescio così potente da far ribaltare la sedia a cui Dane era legato. - Eri l'attendente personale di uno dei più importanti politici delle Cinque Terre, lui te l'ha detto!
- Non è vero, non lo so!
- Non lo sa, Dresin - intervenne Hareis pacato. - Cerca di non ammazzarlo prima che possa rivelarci quello che ci serve. Piuttosto, chiedigli ancora dei piani del Consiglio.
- Come vuoi - risposi lui afferrando rudemente il giovane e rimettendo la sedia a posto. Per non farsi mancare niente, lo colpì con un calcio sulla tibia che gli strappò un gemito strozzato. - Allora, che cosa hanno intenzione di fare le Cinque Terre?
- Quante volte lo devo ripetere? Non lo so! Per dio, non lo so! - gemette lui mentre lottava per trattenere le lacrime. - Il maestro Raenys non parla con me di queste cose...
- Stronzate! - gli urlò in faccia Dresin, e Hareis pensò che per la paura il ragazzo si sarebbe ribaltato un'altra volta dalla sedia. - Per quanto ne sappiamo gli uomini politici delle Cinque Terre se li portano praticamente a letto gli attendenti! Vuoi dirmi che Raenys non ti ha detto nulla di interessante prima di venire qui?
- Non ha detto nulla, lo giuro - balbettò Dane incespicando nelle proprie stesse parole. - Non ho idea di quello che faranno.
A quel punto, l'uomo di fronte a lui tornò calmo.
- Andiamo, ragazzo... Non vorrai costringermi a mettermi questo - con in volto un mezzo sorriso pericoloso, Dresin prese in mano un aggeggio metallico che Hareis riconobbe come un tira pugni.
Dane sbiancò in viso. - No... - biasciò - No, ti prego, ti giuro che...
Il colpo che Dresin gli assestò nello stomaco gli mozzò le parole in gola, piegandolo in due. Passò un istante poi, come spinto da una convulsione, si ribaltò in avanti e vomitò sul pavimento.
- Puah! - fece Dresin disgustato dopo aver istintivamente fatto un passo all'indietro. - Ti basta poco per rigettare - constatò. - Che dici, ne vuoi ancora? O preferisci la faccia?
L'attendente emise un gorgoglio pressoché incomprensibile, ma l'uomo se lo fece bastare; agguantò il prigioniero per le spalle, lo risollevò e lo colpì al volto con la mano in cui aveva indossato il tirapugni. Uno schizzo di sangue imbrattò il pavimento.
- Avanti, parla!
- Non so niente...
Il naso del ragazzo si sfracellò sotto un nuovo, selvaggio pugno in faccia.
- Che cosa ti ha detto Raenys? Dimmelo! - ringhiò Dresin posseduto dalla distaccata ferocia che per poter compiere il suo lavoro aveva fatto diventare parte di sé. - Avanti, pezzo di merda, dimmelo!
- Basta così, Dresin - disse Hareis a voce alta per sovrastare i suoi toni veementi. - Lascia in pace il ragazzo, ne ha prese abbastanza.
Dresin si scostò controvoglia dal povero attendente, permettendo al mago del Nord di vederne chiaramente il volto insanguinato e la figura scossa dai singulti.
- Devo andarmene, mio signore?
Hareis guardò l'uomo tarchiato davanti a lui, con i capelli biondi che gli ricadevano in ciocche lievemente sudate sulla fronte, le nocche della mano destra completamente imbrattate di sangue.
- Sì Dresin, me la sbrigo da solo qui. Grazie per avermi dato una mano.
Lui sputò per terra. - È quello che faccio per vivere.
Hareis attese pazientemente che si sfilasse il tirapugni appoggiandolo sul tavolo e che lasciasse la stanza. Solo quando la porta si fu richiusa con uno scatto il giovane uomo si decise a muovere due passi verso Dane Westerling.
- Avete aspettato che ce ne andassimo... - esalò il ragazzino fissando il pavimento. - Perché non ci avete catturati subito? Perché non lo avete fatto subito dopo aver scoperto che non avreste ottenuto da noi niente di ciò che speravate?
- Stupido ragazzino - commentò l'uomo, pur stupendosi di come si fosse mantenuto lucido. - Credi davvero che avremmo corso il rischio di ingaggiare una lotta in cui Lord Theor venisse coinvolto?
Avremmo dovuto prendere Raenys, disse una voce dentro la sua testa. Questo lattante non sa niente di niente. Stai solo perdendo tempo qui.
E se così non fosse? Se sapesse qualcosa, se fosse venuto a conoscenza di qualcosa di importante, anche per sbaglio?

C'era solamente un modo per scoprirlo.
Hareis si accovacciò davanti a lui e lo squadrò di sottecchi.
- Sai che posso avere quello che voglio.
- Se davvero puoi farlo, perché mi hai fatto torturare?
- A volte, i soggetti deboli non resistono all'incursione di un estraneo nella loro mente e muoiono prima di averci dato la possibilità di ottenere quello che ci serve.
- Quindi io sarei un soggetto forte?
Sembrava che la tortura lo avesse stravolto a tal punto da liberarlo persino dalla paura.
- No, ma hai resistito a Dresin. Resisterai anche a me.
- E questo che cosa vorrebbe...?
Ma Hareis era stanco di rimandare il difficile momento in cui sarebbe entrato nella sua mente. In solo istante chiuse gli occhi e richiamò a sé tutta la concentrazione di cui era capace. Se li avesse tenuti aperti avrebbe potuto vedere Dane immobilizzarsi di colpo e rovesciare i suoi all'indietro. Ben conscio di non doversi lasciare distrarre dai lamenti che il ragazzo avrebbe emesso mentre lui si faceva strada nei suoi pensieri, Hareis percepì che la pratica stava funzionando. Cominciava a sentirsi più distante della realtà e più vicino alla sfera emotiva della sua vittima. Era questo l'altro aspetto a cui doveva fare attenzione; se si fosse immerso troppo a fondo nelle emozioni provate dal giovane attendente la sua psiche avrebbe rischiato di rimanervi intrappolata, e probabilmente entrambi sarebbero morti.
Lentamente, immagini confuse cominciarono a balenare davanti a lui come sfumate da aloni biancastri: gli ultimi ricordi della sua vittima. Hareis cercò di orientarsi e individuare quello che cercava, le persone che cercava e che potevano aver comunicato al giovane attendente dettagli importanti: il maestro che serviva, Raenys, un Consigliere di rilievo, il Re delle Cinque Terre in persona. O anche solamente qualcosa che potesse aver sentito, frammenti di dialoghi sparsi da qualche parte nella sua memoria, una conversazione origliata, informazioni carpite per caso...


                                                                                                                                                                                                                                                                                   ***


Hareis si lasciò alle spalle la stanza dell'interrogatorio; la porta rimasta semiaperta lasciava intravedere il corpo di Dane Westerling steso a terra, con un rivolo di sangue fresco che gli colava dal naso rotto raccogliendosi in piccole goccioline che ricadevano picchiettando sul pavimento di pietra.
- Il ragazzo è morto - annunciò ostentando noncuranza alla guardia che stava appoggiata alla parete con le mani dietro la schiena. - Fatti dare una mano a trasportare il corpo nella fossa comune più vicina.
Risalì la scalinata che lo avrebbe fatto uscire dal sotterraneo balzando i gradini a due a due. Era quantomai impaziente di riferire a Theor quanto aveva scoperto frugando nella mente dell'attendente. Francamente, sperava di recuperare un poco della propria reputazione agli occhi del suo maestro dopo che si era lasciato sfuggire Gerd Raenys.
Raggiunse lo studio del suo maestro in pochi minuti e bussò impazientemente alla porta. Non attese nemmeno un qualche tipo di assenso, semplicemente entrò.
- Hareis - constatò Theor stupito, interrompendo la stesura della lettera cui stava lavorando seduto alla sua scrivania. - Hai già finito con il ragazzo?
Hareis annuì. - Il maestro Raenys non mentiva - dichiarò seriamente dopo essersi richiuso la porta alle spalle. - Ho guardato nella mente dell'attendente: pare che il custode Farer si sia recato a palazzo un paio di settimane fa per discutere con il Consiglio a proposito delle Pietre Magiche.
Una ruga di preoccupazione segnò per un istante il volto indurito di Theor. - Lo sai per certo? L'attendente era presente durante questo colloquio?
- Sì, mio signore. Il custode Farer è stato convocato a palazzo e ha parlato di un talismano e di un santuario, di cui già sapevamo grazie al libro di Voss.
- Vieni al dunque, Hareis - il tono dell'Uomo del nord tradiva la sua impazienza. - Ha detto dove si trovano?
- Qui al Nord - rispose il mago, mentre percepiva il cuore cominciare ad accelerare i battiti. - Non so il luogo preciso, ma ha parlato di una grotta fra le colline dell'Orinen. Il talismano si trova al suo interno.
- Altro?
- Solo qualcosa sulla storia delle Pietre e su un giuramento che vincola i Custodi a non parlarne con anima viva, un sigillo che viene imposto su ognuno di loro al momento della loro iniziazione.
- E hai scoperto niente su come intende muoversi il Consiglio?
A questo punto Hareis non riuscì più a controllare l'agitazione. Raggirò la scrivania portandosi vicinissimo al suo maestro e si appoggiò con una mano al piano in legno di mogano.
- Attaccheranno Amaria - dichiarò in tono concitato. - Prima però dovranno fare tappa in quel Santuario se vogliono utilizzare le Pietre. Ma - e qui viene il punto più interessante - non mobiliteranno l'intero esercito delle Cinque Terre nel recarvisi: la maggior parte delle truppe marcerà verso Nord fino alla piana di Dárenlas, dove ha l'ordine di attendere. Nel mentre, solo un paio di battaglioni raggiungerà il santuario, recupererà il talismano e in seguito si riunirà al corpo centrale. Questo significa...
- Che se trovassimo il santuario potremmo preparare per loro una degna accoglienza - completò per lui Theor, e Hareis si chiese come facesse a mantenersi così lucido e apparentemente calmo in un momento come quello. - Potremmo sottrar loro le Pietre e usarle per spezzare l'assedio prima ancora che cominci.
Lentamente, il giovane annuì e sorrise. - Ritorcere il loro piano contro di loro - sussurrò.
Theor si alzò in piedi e si avvicinò alla libreria che occupava l'intera parete di sinistra, squadrandola come senza vederla. Per qualche istante Hareis si chiese come avrebbe dovuto comportarsi; sapeva che prima di elaborare un piano, quale che fosse l'obiettivo, l'ex maestro delle Terre del Nord aveva bisogno di riflettere sul da farsi da solo. La sua mente passava in rassegna ogni singola opzione, e solo allora egli si decideva a parlarne con i propri più fedeli consiglieri. Ma anche così, quel momento di solitaria pianificazione rappresentava la fase più importante; molte volte Hareis si era chiesto se davvero Theor fosse a conoscenza di verità che tutti loro ignoravano, fatto stava che fino a quel momento i casi in cui un piano elaborato da lui era fallito si contavano sulla punta delle dita. L'ingegno di quell'uomo era qualcosa che lui non riusciva a comprendere appieno, una sorta di forza oscura nutrita dalla dedizione che Theor riversava in ogni obiettivo che riteneva valesse la pena di perseguire. E con la Ribellione Theor aveva sfoderato il meglio di sé.
Fu per tutta questa serie di motivi che, alla fine, l'uomo optò per dileguarsi e attendere prima di conoscere le intenzioni del suo mentore. Così fece per lasciare la stanza.
- Ancora una cosa, Hareis...
Sorpreso, il mago si voltò. Theor sembrava accigliato.
- Come mai... - disse piano. - Come mai le Cinque Terre hanno pensato che convocare un Custode sarebbe stato loro utile proprio adesso?
Hareis aggrottò la fronte cercando di ricordare in fretta i dettagli.
- Pare che vi fosse un ragazzo accusato dell'omicidio di Ïsraen Kryss. Sosteneva di aver scoperto il modo per servirsi della Magia delle Pietre e che questo fosse costato la vita al Custode. Farer è stato chiamato per certificare che la sua testimonianza fosse veritiera. Un ragazzo molto giovane. Un certo... Jel Cambrest.








* abilità possibile solo nei confronti di Evocazioni di dimensioni ridotte.


Hareis Hareis (Michael Angarano)

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Capitolo 28 - Dubhne ***


28








Un uomo, in lontananza, avanzava verso le mura con passi incerti. Ogni due metri barcollava pericolosamente a destra o a sinistra, rischiando di rovinare sul terreno spelato e duro che si estendeva da ogni lato attorno alla città.
Quando fu abbastanza vicino da distinguerne i particolari, Tárden aguzzò lo sguardo: indossava una veste lunga fino al suolo all'apparenza logora e appartenente a uno straccione, ma se si osservava con attenzione se ne poteva indovinare l'originario color verde brillante e la fitta rete di decorazioni tessute in filamenti dorati.
Perplessa, la sentinella si chiese che cosa avesse ridotto in quello stato un uomo di probabili origini nobili o comunque agiate e, soprattutto, cosa lo avesse portato ad aggirarsi per quelle terre risaputamente sotto l'appellativo di zona di guerra.
Forse si è perso, pensò l'uomo avvicinandosi alla piccola caburna adibita a riparo per le sentinelle di ronda sulle mura nelle giornate piovose. Dopotutto, i capelli rosso scuro del viandante suggerivano che non fosse di quelle parti ma che, anzi, provenisse da parecchio lontano; sicuramente da oltre i confini dell'Ariador. Il consueto disordine lo accolse nell'ambiente ristretto all'interno, che avrebbe sicuramente necessitato di un'urgente spolverata. Una piccola finestrella permetteva di tenere d'occhio quanto accadesse davanti alla porta Nord della città mentre sulla destra alcune file di scaffali sembravano essere sul punto di staccarsi dalla parete sotto il peso dei mille volumi che ospitavano: codici, vecchi registri e cartine erano ammonticchiati secondo un ordine di cui, col passare degli anni, si era dimenticata la logica.
Appesa al soffitto, sopra la sedia su cui tante volte le sentinelle si addormentate durante i turni di notte, c'era una piccola campana d'ottone.
Essere stato dislocato sul lato settentrionale delle mura cittadine continuava a pervaderlo di disagio, nonostante quella fosse la sua mansione da diversi giorni ormai, ossia da quando Qorren era tornata nelle loro mani. Ogni volta che gettava lo sguardo verso le distese gelate oltre le quali, lo sapeva, si celava il confine con le Terre del Nord, un brivido si dipanava lungo la sua colonna vertebrale.
Tárden gettò ancora un'occhiata all'esterno attraverso la lastra di vetro incrostata di sporcizia agli angoli per controllare i movimenti dello straniero, poi strinse una mano sul battaglio e diede inizio alla serie di rintocchi che avrebbe avvisato i soldati all'interno. Si schiarì la voce.
- Uomo alla porta!


                                                                                ***


Dubhne si aggirava per le vie di Qorren in preda a un tormento incontrollabile. Alla vista di una simile anima in pena, gli abitanti della città - sfiniti e destabilizzati da mesi di continui assedi e contrattacchi - si scansavano per sparire nelle rispettive abitazioni, oppure affrettavano il passo senza guardarla.
Aveva pianto. Tenendo il cadavere di Alesha fra le braccia aveva pianto, urlato, aveva invocato il suo nome come sperando che la ragazza potesse ridestarsi e rispondere alle sue preghiere. Alla fine c'erano volute quattro persone per riuscire a separarla dal suo corpo esanime e, a quel punto, Dubhne non ci aveva visto più; da quello che Layanne le aveva raccontato in seguito, la sua crisi di rabbia doveva aver procurato diversi occhi neri e spezzato un paio di setti nasali.
La giovane era stata trasporta di peso fino alla costruzione dove gli Ariadoriani tenevano i prigionieri Nordici e chiusa a chiave in una stanza solitaria e vuota. A quel punto Dubhne aveva perso anche l'ultimo barlume di umanità che ancora le era rimasto e aveva preso a battere i pugni sulla porta e sulle pareti, sul pavimento, ne aveva graffiato la superficie urlando e imprecando.
E poi era finito tutto, ed era stato peggio.
Una forma di consapevolezza che fino a quel momento non aveva ancora assaggiato l'aveva assalita, la consapevolezza che davvero non avrebbe mai più visto Alesha. Non era come il momento in cui la sua amica aveva lasciato la sartoria di Célia per trasferirsi nell'Ariador. Non era andata a vivere in un'altra nazione. Non era stata separata da lei. Era morta.
E la ragazza aveva avuto tutto il tempo per rendersi conto che quella orribile sensazione di vuoto che si era fatta strada nel suo cuore avrebbe impiegato anni per andarsene e, probabilmente, non sarebbe mai sparita del tutto.
Non sapeva esattamente dove si stesse dirigendo in quel momento, anzi, a dire il vero non ne aveva idea. Avrebbe potuto recarsi da Jack, o Thaisa, o Layanne, e trovare un pretesta per sfogare su di loro il proprio sconquasso interiore; ma qualcosa dentro di lei glielo impediva. Evidentemente aveva sufficiente esperienza in dolore per aver compreso quanto fosse meschino addossarlo su persone completamente prive di responsabilità a riguardo.
Qualcosa che di certo non si poteva dire di qualcun altro.
Le due guaritrici che aveva conosciuto come amiche di Alesha avevano sempre tentato di allontanarla da lui, quando ne avevano avuto l'occasione. Era anche per questo motivo che Dubhne aveva avuto l'impressione che, a turno, Layanne e Thaisa avessero spesso insistito per accompagnarla ovunque andasse.
Ma era impossibile che le tre si trovassero insieme ventiquattr'ore su ventiquattro, e ora lei si ritrovava lì da sola, a girovagare per la città da poco riconquistata - e mai vi era stata vittoria più nefasta.
Fu così che, quando lo vide, una rabbia animale si fece strada in lei premendo per uscire alla luce e, prima che se ne rendesse conto, la donna si ritrovò ad avanzare verso di lui con ampie falcate. Gli si parò davanti e lo afferrò per il bavero.
- Sei contento adesso, bastardo? - abbaiò, e senza attendere una risposta lo spintonò in avanti più forte che poté.
- Che cosa vuoi Dubhne? - fece Neor in tono malfermo, ma anche piuttosto risentito, dopo aver recuperato l'equilibrio.
- Secondo te?
- Lasciami in pace - l'uomo scosse la testa come ad allontanare anche solo il pensiero di affrontare con lei l'argomento. - Non credi che sia già tutto abbastanza?
Se avesse potuto, la Combattente lo avrebbe incenerito con lo sguardo. - Non per te, no - disse a denti stretti. - Dal momento che è colpa tua se è morta.
Neor, che già aveva fatto per voltarle le spalle e allontanarsi prima che lei facesse qualche danno, si immobilizzò all'istante.
- Che cosa hai detto? - ogni traccia di indecisione era sparita dalla sua voce, ora, lasciando che una rabbia contenuta a stento vi si facesse strada.
Ma era quello che Dubhne voleva. Era l'unico modo con cui avrebbe potuto, forse, espiare almeno in parte il dolore che le attraversava membra e cuore in ogni momento da quando Alesha aveva perso la vita.
- Non fare il finto tonto, Neor - pronunciò il suo nome con disprezzo. - Sai perfettamente che se Alesha non fosse rimasta qui così a lungo a quest'ora sarebbe ancora viva e vegeta. E sai anche perché ha continuato a seguirci per tutto questo tempo.
Le lacrime si raccolsero agli angoli dei suoi occhi. - Non... non ti azzardare neanche a pronunciare il suo nome.
Quell'avvertimento accese in lei un furore quasi animale. - Conoscevo Alesha da quando avevo sette anni - nel pronunciare quelle parole la ragazza estrasse la scimitarra. - Tu non puoi neanche immaginare quello che siamo state l'una per l'altra!
- Forse no, e non mi interessa. Ma non hai alcun diritto di incolparmi per la sua morte. Sono responsabile quanto te - rispose Neor. Il suo volto era una maschera di rabbia e dolore, ma la sua spada pendeva ancora inerte a suo fianco, protetta dal fodero.
- Ma se vuoi fare a botte... - aggiunse l'ex Combattente. - Non mi tirerò certo indietro.
Con mano sicura si slacciò la pesante cintura e l'affibbiò ad uno dei commilitoni che si erano radunati intorno a loro per seguire la discussione.
- Non intendo rischiare essere giustiziato per aver fatto fuori una mia compagna d'armi. Per cui niente lame.
- Bene - ringhiò Dubhne gettando a terra la propria. - In questo momento sento che potrei ucciderti anche a mani nude.
Anche se aveva perso la mano sinistra, Neor rimaneva spesso praticamente il doppio di lei, e decisamente più alto. E nonostante questo il fisico atletico e scattante gli aveva sempre garantito un'agilità fuori dal comune.
Dubhne gli si gettò contro a testa bassa ma l'uomo la bloccò e la spinse all'indietro; cadendo, lei ne approfittò per menargli un calcio in mezzo alle gambe.
Un paio di bestemmie divertite si levarono dai pochi soldati già svegli che, attirati dal rumore e dalla gustosa disputa, si erano trattenuti a guardarli mentre Neor arretrava premendosi le mani sul cavallo.
- Maledetta puttana - biasciò l'ex Combattente avanzando verso di lei, e senza che Dubhne potesse fare niente per impedirlo le assestò un calcio in faccia.
Un milione di scintille esplosero nella visuale della ragazza mentre un dolore folle e bruciante la investiva; sentì qualcosa di orribile smuoversi nella sua bocca, al che pensò che probabilmente il colpo doveva averle spezzato un dente; ne ebbe la conferma quando si ritrovò a sputare un molare sull'erba.
Era evidente che non si sarebbe trattato solo di una scaramuccia fra amici: Neor era animato dallo stesso furore che accecava lei.
Con la mano destra Neor la afferrò per i capelli e la trascinò sull'erba prima di sbatterla con la faccia sul terreno freddo e duro. Dubhne provò rabbiosamente a divincolarsi, ma l'uomo la teneva inchiodata al suolo e, quando cominciò a menarle pugni nel costato, la ragazza urlò di dolore.
Al di fuori dell'Arena non era mai stata picchiata da nessuno in quel modo. Non che potesse biasimare la rabbia con cui Neor si stava accanendo su di lei, perché era alla stregua della stessa che animava lei in quel momento. Avrebbe risposto con altrettanta ferocia e non vedeva l'ora di farlo.
Prima però doveva riuscire a rialzarsi.
Ansimando, Neor smise per un attimo di percuoterla per riprendere fiato. Forse pensava che Dubhne fosse troppo dolorante per reagire, ma evidentemente ancora non aveva capito di che pasta fosse fatta. Fu così che, ignorando le lancinanti fitte fra le costole, la ex Combattente diede un colpo di reni per girarsi e con entrambi i piedi colpì duramente le gambe dell'avversario.
Neor barcollò e, indietreggiando di diversi passi, riuscì a evitare di cadere per un soffio. Dubhne si era rialzata ora e gli andò incontro mostrando le mani strette a pugno. Il viso di Alesha era nella sua mente, più vivido che mai. Le risate di quando erano bambine, i suoi occhi azzurri attraverso la finestra della cantina della sartoria del signor Tomson, e infine quegli stessi occhi riversi all'indietro e privi di vita.
No, no, BASTA!
Caricò un pugno che Neor riuscì ad intercettare deviandolo con un braccio, così ne assestò un altro, un altro e un altro ancora. Riuscì a colpirlo sulle costole con un sinistro ma fu costretta a incassare il colpo al volto con cui l'uomo aveva risposto. Senza fermarsi a pensarci, la giovane continuò a colpire - o a tentare di colpire - come se il suo corpo procedesse in automatico, senza percepire stanchezza e fatica. Ogni volta che Neor riusciva a sua volta a raggiungerle il viso o il petto fitte lancinanti di dolore la investivano, ma si spegnevano in fretta, soffocate dalla massiccia dose di adrenalina che la stava tenendo in piedi in quello scontro. Dopo una serie di tentativi andati a vuoto, riuscì a travolgere l'avversario con una combinazione feroce: destro, destro, sinistro al volto, poi un gancio assestato con tutta la forza di cui disponeva.
Fu allora che avvertì due paia di mani afferrarla saldamente per le braccia e trascinarla all'indietro.
- Cosa, cosa...? - farfugliò. Li stavano separando. - Lasciatemi andare, brutti stron...
- Calmati, ragazza, calmati! - uno dei due le premette una mano sulla bocca, gesto che ottenne l'unico risultato di farla infuriare ancora di più; cercò di divincolarsi, di liberarsi, ma l'uomo che aveva parlato ora le stringeva anche la vita con un braccio, e dalla forza e fermezza della sua stretta Dubhne dedusse che dovesse essere decisamente troppo spesso per lei.
Chiamando a sé tutto l'autocontrollo - e forse anche di più - di cui disponeva, cessò di agitarsi, non oppose più resistenza e non tentò nemmeno di levare quella mano sulle sue labbra. Un'intuizione giusta, stranamente, visto che dopo alcuni lunghi secondi che alla ragazza parvero un'eternità, questa venne levata e la presa ferrea intorno alla sua vita e al braccio destro si allentò un poco.
Neor le si avvicinò.
- Ti sei data una calmata adesso, stronza? - le ringhiò in faccia.
In risposta Dubhne lo colpì in viso con una testata, gesto che costrinse i due che la stavano tenendo ad allontanarla ulteriormente da lui.
Tenendosi la mano premute sul naso sanguinante, Neor le rivolse un'occhiata carica di risentimento ma poi, imprecando a bassa voce, le voltò le spalle.
- Vattene finché puoi - gli urlò dietro lei, liberandosi con uno strattone irritato dalla presa allentata degli altri due guerrieri. - E stammi lontano, o finisce che ti ammazzo!
- Dubhne! Adesso basta! - la richiamò Caley con voce perentoria mentre si faceva largo tra il capannello di curiosi che avevano assistito alla rissa. La giovane donna si sentì ribollire ulteriormente dalla rabbia. Possibile che ogni volta che faceva qualcosa di avventato lui o Jack dovessero trovarsi nelle vicinanze?
- Non ti immischiare, Caley, è una faccenda tra me e quel pezzo di merda laggiù. - Sputò per terra. - E in ogni caso abbiamo finito.
Il secondo di Jack si piazzò davanti a lei con le mani sui fianchi. Un ciuffo di sudici capelli biondo scuro gli ricadeva sulla fronte facendolo sembrare più giovane di quanto non fosse in realtà.
- Direi che non spetta a te deciderlo - commentò aspramente squadrando da capo a piedi il suo aspetto malconcio. - Anche se mi sembra che, più che darle, tu le abbia prese...
Dubhne digrignò i denti e li sentì scricchiolare.
- Ti consiglio di non provocarmi adesso.
Senza scomporsi minimamente Caley rispose: - Non sono qui per questo. Ma Jack sta radunando gli uomini del battaglione e mi ha chiesto di trovare te per prima.
Dai presenti si levò un coro canzonatorio ma Dubhne lo ignorò.
- Che cosa vuole?
- Te lo dirà lui stesso, non sono certo il suo corvo - la sbeffeggiò lui. - Dai, muoviti, prima avrà finito con te e prima parlerà con il battaglione.
Era evidente che la maggior parte degli uomini che li attorniavano morisse dalla voglia di fare qualche battuta su di lei e Jack, ma mentre la ragazza seguiva Caley verso la tenda del capitano nessuno proferì parola. Dubhne avvertì un leggero guizzo d'orgoglio nel constatare che, probabilmente, dopo averla vista tenere testa in quel modo a Neor nessuno avrebbe osato provocarla ancora, non con lei così soggetta a devastanti attacchi di rabbia.
Mentre i gerarchi dell'Esercito delle Cinque Terre e i supremi Lord dell'Ariador impegnati al fronte alloggiavano all'interno del sontuoso palazzo comunale della città, i comandanti di battaglione come Jack erano stati sistemati in dimore sì eleganti, ma decisamente meno appariscenti. Fu così che Caley la condusse fino ad una costruzione in pietra poco fuori dal centro della città, con le pareti esterne tappezzate con gli stendardi dell'Ariador e, più specificamente, di Rocca Tarth.
All'interno li accolse un andirivieni di piccoli funzionari e sottotenenti, ennesima dimostrazione di quanto, nonostante il suo ruolo fosse tutto meno che centrale, le responsabilità di Jack fossero aumentate rispetto a quando lui e Dubhne si erano conosciuti.
Attraversarono un primo salone senza dare troppe spiegazioni, poi Caley girò a destra conducendola ad un piccolo pianerottolo. Fecero due rampe di scale in silenzio poi, arrivati di fronte a uno stretto corridoio immerso nella penombra, l'uomo fece per congedarsi.
- Jack è nel suo studio, ultima porta a sinistra - Afferrò delicatamente per un polso la ragazza che, pensando avesse finito, aveva già mosso un paio di passi in avanti. Solo allora lei si rese conto di quanto il secondo di Jack sembrasse provato; gli attriti fra loro erano più che frequenti, eppure doveva riconoscere che Caley fosse uno degli uomini a svolgere i lavori più sporchi e oscuri lì dentro.
- Per favore - disse piano con un tono che ricordava vagamente quello di scusa. - Cerca di fare in modo che il vostro colloquio non duri troppo. Jack ha una faccenda da sistemare con alcune famiglie rimaste senza casa da diversi giorni. Ho bisogno di lui al piano terra il prima possibile, d'accordo?
Provando verso di lui un inaspettato moto di empatia, la Combattente annuì.
- Ah, e... Dubhne. Datti una pulita al viso - Caley le passò un fazzoletto.
- Grazie.
Strofinandosi distrattamente il viso con quel logoro pezzo di stoffa la ragazza si diresse con passo in certo verso lo studio di Jack, mentre di sottofondo le arrivava alle orecchie l'eco dei passi di Caley che scendeva le scale per tornare al piano di sotto.
Si arrestò davanti alla porta socchiusa, da cui filtrava una striscia di luce di quel pallido sole che aveva accompagnato così tante giornate lì nel Nord. Dubhne si diede un paio di schiaffetti sulle guance per tenersi ben sveglia, a discapito del pulsante torpore che l'aveva avvolta poco dopo la fine della sua zuffa con Neor. Poi spinse la porta in avanti ed entrò.
Jack Cox distolse lo sguardo dal documento che stava studiando e si alzò dal piano della propria scrivania, sul quale era stato appoggiato fino a quel momento.
- Ho qualcosa di interessante da dirti Dubhne, ma non...
Il comandante si immobilizzò nel vedere in che stato fosse ridotta la ragazza. E davanti ai suoi occhi sbarrati per la sorpresa e per la pietà, Dubhne si sentì davvero come un pulcino bagnato.
- Ti prego Jack, non dire niente - balbettò, avvertendo il labbro inferiore quasi cederle per la voglia che aveva di piangere. - Lo so che non avrei dovuto, ma...
- No - l'uomo fece un passo verso di lei scuotendo la testa. Sembrava completamente dimentico di quanto stava dicendo un attimo prima e del motivo per cui l'aveva mandata a chiamare. - Non devi dare spiegazioni a nessuno, meno che mai a me.
Dubhne affondò il viso fra le braccia di Jack e lasciò che le lacrime sgorgassero dai suoi occhi rigandole le guance. All'inizio l'uomo sembrò distaccato nei suoi confronti, limitandosi ad avvolgerle le spalle con le braccia ma poi, dolcemente, prese ad accarezzarle la schiena con i palmi delle mani. Il silenzio in cui la tenda era sprofondata era spezzato solo dai frammentari singhiozzi della ragazza.
- Sarei dovuta morire io - disse in una specie di mugolio senza riuscire a rialzare la testa. Non ebbe bisogno di specificare a chi si riferisse. Si stringeva a Jack come a un'ancora di salvezza, ed era la seconda volta in poche settimane che le accadeva di farlo. Anche il giorno in cui la Strega Rossa aveva spezzato l'assedio di Hiexil era stato lui a tenerla legata a quel mondo salvandola dalla morte o, peggio, dalla totale oscurità che si cela nell'abisso della follia.
- Sarei dovuta morire io - ripeté cercando di controllare il respiro. - Io, non lei! Avevo promesso che l'avrei protetta. E ora... ora lei e morta mentre io sono ancora qui!
- Calmati, adesso calmati - mormorò Jack con fermezza, dopo averle premuto le labbra sul capo. - Non è colpa tua. Non puoi fare più niente.
La ragazza scosse con forza la testa ma lui la fermò prendendole il viso fra le mani. - Dubhne, conoscevo Alesha. Era con noi da quasi un anno, da quando è iniziata questa guerra... - quell'inedito ruolo rassicurante sembrava stargli alquanto stretto, ma lei si aggrappava alle sue parole come sperando che il capitano potesse serbare un antidoto alla sua disperazione. - Ha messo in pericolo la sua vita per salvare quella dei nostri soldati, sapeva quali erano i rischi.
- Non sapeva che alla fine questa cosa l'avrebbe uccisa.
- No, ma è morta facendo quello che doveva e voleva.
Dubhne singhiozzò più forte. Tutte le sue remore a mostrarsi debole, tutte le regole con cui aveva creato la propria maschera di invulnerabilità, per la seconda volta erano crollate sotto i colpi di quella guerra.
- Lei ti voleva bene - quelle parole infierirono ulteriormente sul suo cuore spezzato. Non c'era certo bisogno che Jack le ricordasse quanto era stato profondo il suo rapporto con Alesha, il legame più stretto che avesse stabilito in diciott'anni di vita. Un'amicizia che era sopravvissuta alla loro separazione, durata per un periodo che a Dubhne era parso un'eternità, nel quale aveva vissuto mille vite diverse. Eppure alla fine, quando si erano ritrovate subito dopo il disastro di Hiexil, aveva capito che nulla era cambiato, che tutto fra loro si era mantenuto esattamente come dieci anni prima.
Ora Al non c'era più. Andata, perduta per sempre.
Non riuscì a carpire il significato di tutte le parole di conforto che l'uomo a cui si stringeva le stava rivolgendo. L'importante era non staccarsi da lui, perché se l'avesse fatto sarebbe di nuovo precipitata nella voragine di oscurità che ancora la reclamava e che, ora ne aveva la certezza, non avrebbe mai smesso di farlo.
A poco a poco il suo respiro ricominciò a modularsi senza nemmeno che se ne accorgesse e, trascorsi pochi minuti, la ragazza si ritrovò nuovamente calma.
Solamente frammentari singhiozzi testimoniavano ancora la sua crisi di poco prima.
- Te la senti di parlare adesso?
- Non lo so.
- È sufficiente - Jack le lanciò un'occhiata obliqua. - Siediti, non voglio rischiare di vederti collassare un'altra volta.
Alla ragazza sfuggì una risatina stridula, ma obbedì; non si era mai sentita così docile in vita sua, così disposta ad ascoltare. Ma il capitano si era guadagnato tutta la sua riconoscenza per il modo discreto eppure propizio con cui era riuscito - in parte e con effetto di dubbia durata - a consolarla.
Stringendosi le ginocchia con le braccia, Dubhne si accinse ad affrontare un altro - ne era sicura - discorso pesante e a proposito di qualcosa di vitale importanza.
Non venne delusa.
- È in arrivo qualcosa di grosso Dubhne - esordì infatti Jack passando a un tono più diplomatico. - Qualcosa che, in un modo o nell'altro, segnerà la fine di questo conflitto.
- Non sono in vena di indovinelli Jack - gracchiò lei con gli occhi bassi. - Avanti, dimmi che succede.
Il comandante teneva le mani sui fianchi, il volto contratto in un'espressione che poteva suggerire molte cose: preoccupazione, attesa, ma anche una sorta di risoluta aspettativa. Dubhne non poté fare a meno di notarlo e la cosa riaccese almeno in parte un minimo di curiosità in lei.
- Sembra che il Gran Consiglio abbia finalmente deciso come sferrare l'attacco decisivo contro i Ribelli, o almeno questo sostengono. Saranno qui tempo una settimana.
Non era una notizia pessima come si sarebbe aspettata, anzi, sembrava che dopo la conquista di Qorren qualcosa si fosse messo in moto senza più possibilità di essere fermato. Quale che fosse l'esito finale, tutto suggeriva che quella guerra si stesse avviando verso la conclusione.
- Quattro giorni fa un uomo è arrivato sotto le nostre porte; era in viaggio da giorni e sembrava più morto che vivo. L'abbiamo portato nell'infermeria e medicato.
Quando l'abbiamo ripulito dal fango e le tracce di sangue uno dei generali l'ha riconosciuto come Gerd Raenys.
Quel nome non le diceva nulla.
Jack dovette accorgersi della sua espressione interrogativa, perché spiegò brevemente: - Raenys è il maestro della nazione di Tharia, il che significa che presiede nel Gran Consiglio di Grimal. Era stato inviato ad Amaria come ambasciatore per incontrare Theor e discutere a proposito di eventuali trattati di pace. Ma, evidentemente, la cosa non è andata a buon fine.
- Direi di no - commentò la ragazza assorta. Alzò gli occhi sull'uomo di fronte a lei. - Quindi è per questo che il Consiglio verrà qui. Perché venga sferrato l'attacco decisivo.
- Non sono ancora state fornite dichiarazioni ufficiali, ma non vedo altri motivi possibili - asserì Jack. - Anche se - e qui il suo volto si adombrò - Temo che gli esiti siano tutt'altro che scontati. Cerca di riprenderti Dubhne, perché avrai bisogno di tutte le tue forze per affrontare quello che sta arrivando. Tutti noi ne avremo bisogno.








Note dell'autrice: è sempre una soddisfazione riuscire ad essere puntuali ^-^
Spero come sempre che il capitolo vi sia piaciuto, ci avviciniamo sempre di più alla resa dei conti, anche se in realtà la strada è ancora lunga e tortuosa - e sapete che in questa parte della storia sta emergendo la mia parte un po' super-sadica xD
Proprio perché la saga si avvia ormai verso la sua conclusione è più importante che mai per me che vi fermiate a recensire, ma non solo le fedelissime Florence e Easter_huit (a cui mando un bacio), anche tutti quei lettori che seguono la mia storia da mesi, per non dire anni, ma non si sono mai sbilanciati con una recensione.
Chiudo qui. Al prossimo capitolo :)

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Capitolo 29 - Dubhne ***


29








- Hai una vaga idea di come intendano organizzarsi?
- Non è ancora stato detto nulla; anche nel caso che i generali sappiano qualcosa, non si sono ancora sbilanciati con nessun luogotenente. La stessa cosa vale per i più importanti lord dell'Ariador.
La panoramica non era quel che si dice "illuminante".
- Anche se - aggiunse Jack a sorpresa - forse potrei avere qualche idea a riguardo.
- Sì? - lo incalzò Dubhne interessata. - E cosa te lo fa dire?
- Qualche mese fa ho incontrato due giovani nel Nord, due Consiglieri. All'inizio pensai che mentissero, che fossero due sbandati che si erano trovati nel posto sbagliato. Ma c'era qualcosa che mi ha impedito di lasciare correre e lasciarli andare - s'interruppe un istante, come valutando se fosse davvero il caso di confidarle ciò che stava per dire. Alla fine evidentemente si convinse che la ragazza meritasse la sua completa fiducia, perché continuò:- Quei due ragazzi portavano con loro cinque delle sei Pietre Magiche. Mi raccontarono di essere stati incaricati dal Re in persona di radunarle e portarle a Grimal.
Un pensiero aveva attraversato la mente di Dubhne nel momento esatto in cui Jack aveva menzionato i due giovani Consiglieri. E, ora che erano state citate anche le Pietre, la sensazione si era tramutata in certezza.
- Mi stai dicendo che... conosci Jel Cambrest? - azzardò incredula.
L'uomo sembrò sorpreso quanto lei. - Sì, mi pare fosse questo il suo nome. Jel e... Gala, Gala Sterman mi pare. Un ragazzo in gamba lui, una bella tipetta lei. Andreste molto d'accordo, credo - le lanciò uno sguardo sghembo. - Come vi siete incontrati?
- È una lunga storia - tagliò corto Dubhne; non era il caso che si mettesse a raccontare per filo e per segno tutte le vicissitudini che avevano condotto le strade sue e dei due Consiglieri ad incrociarsi. - Li ho conosciuti subito dopo aver vinto i Giochi e, adesso che ci penso, il motivo è stato proprio riguardo a queste Pietre. Credi che rientrino nei piani del Consiglio?
- Se davvero fosse così - commentò Jack assorto - Significa che il Consiglio ha davvero una paura folle del Nord. Ma in ogni caso - e qui aggrottò le sopracciglia - tutti sanno che quella delle Pietre è solo una leggenda. E anche se ci fosse del vero, nessuno sa come sfruttarne la magia.
Calò qualche istante di silenzio. Dubhne stava cercando di assimilare la quantità di informazioni che aveva ricevuto negli ultimi cinque minuti. Se tutto quello che Jack le aveva esposto era vero, c'era la forte possibilità che anche Jel e Gala seguissero gli altri Consiglieri fino a Qorren.
- Hai idea... - buttò lì alla fine - Hai idea se anche loro faranno parte della delegazione?
Ma lui, desolato, scosse la testa. - Non ne posso essere sicuro, ma se sono vivi e fanno ancora parte del Gran Consiglio è piuttosto probabile.
Un'altra ruga di preoccupazione si disegnò sul suo volto mentre pronunciava quelle parole.
- Da quello che so l'intero stato maggiore delle Cinque Terre verrà qui; si tratterà di un bel dislocamento di persone, quindi prevedo che avremo diversi problemi nel sistemarle tutte in città.
Quell'affermazione riportò alla mente di Dubhne le parole che Caley le aveva rivolto poco prima di congedarsi.
- Jack... - disse cauta. - Lo so che in questo momento hai altro a cui pensare, ma c'è una faccenda piuttosto urgente di cui dovresti occuparti o, almeno, così mi ha detto Caley. Ti sta aspettando al piano di sotto.
Per un attimo l'uomo la guardò spaesato, poi la sua espressione cambiò trasfigurata dall'improvvisa ripresa di coscienza. - Certo - borbottò strofinandosi gli occhi. - Ma certo, la famiglia Robertson.
Si alzò in piedi e prese a scuotere la testa. - Da non crederci - disse a bassa voce mentre con passo nervoso cominciava a camminare avanti e indietro. - Come se non ci fossero già abbastanza grane...
- C'è qualcosa che posso fare per te?
Dubhne cominciava a sentirsi lievemente in colpa per tutte le volte in cui il comandate l'aveva aiutata senza mai ottenere da lei praticamente nulla. Anzi, per il più delle volte la ragazza aveva ricambiato con rabbia e insulti. Ed era per questo motivo che in quel momento sentiva che, se ci fosse stato un modo per sollevare almeno in parte il peso della mole di responsabilità che gravava su Jack, l'avrebbe aiutato senza riserve. Non che ci fosse molto che potesse fare, lo sapeva: per cui, quando lo vide ridacchiare, non se ne stupì.
- Sei gentile, Dubhne, ma non credo che tu sia nella condizione - mormorò l'uomo in tono amaro. - Adesso voglio solo che pensi a riprenderti da tutto quello che ti è successo.
Istintivamente, la giovane allungò una mano e la posò sulla guancia del comandante con sincero affetto. - Sei straordinario, Jack. Non so come farebbe l'alto comando senza di te.
L'altro rise, prendendole il polso e portandosi la sua mano alle labbra. - Ti ringrazio per il supporto morale.
- Faccio quello che posso - rispose lei mentre un timido, incerto sorriso - non sarebbe stato facile tornare a farlo dopo la morte di Alesha - si disegnava sul suo volto. - Beh... allora vado via - riprese senza guardarlo e avviandosi per uscire dalla stanza.
- Oh, Dubhne... c'è ancora un'altra cosa - la richiamò il comandante quando lei già si stava richiudendo la porta alle spalle. Si bloccò appena in tempo e tornò a rivolgersi verso di lui. - Il generale Nyemar ha dato disposizioni affinché tutti i membri dell'Esercito delle Cinque Terre e delle truppe ariadoriane si rendano presentabili per l'arrivo del Re.
Dubhne alzò un sopracciglio: le sembrava che, con tutto quello che stava succedendo, le Cinque Terre avessero cose più importanti a cui pensare del fare bella figura attraverso l'aspetto dei propri soldati.
- ... Nei prossimi giorni verranno messe a disposizione un centinaio di tinozze con acqua riscaldata - concluse Jack. - Non so dirti esattamente dove potrai trovarle, ma immagino che ce ne saranno una decina per ogni quartiere. Facci un salto, se riesci, riscaldati e datti una ripulita. Mangia anche un pasto caldo prima che puoi.
Per un istante Dubhne rimase immobile, perdendosi nell'osservare gli occhi tersi del comandante. Non sarebbero mai state abbastanza le volte in cui sarebbe stato gentile con lei.
- Grazie - sussurrò alla fine mentre un appena abbozzato sorriso si disegnava sulle sue labbra.
A volte la ragazza si era chiesta se a Jack fosse mai capitato di arrossire, ma in quel momento ebbe l'impressione che ci fosse andato molto vicino. Essendo conscia del fatto che se si fosse trattenuta ancora anche solo un istante sarebbe capitolata nuovamente fra le sue braccia e che, questa volta, non sapeva per quanto tempo ci sarebbe rimasta, la Combattente non stette ad aspettare un'eventuale risposta da parte sua e tornò sui propri passi in direzione del piano di sotto.
- Jack parlerà con loro fra poco - avvertì Caley passandogli accanto e alludendo alle famiglie di cui le aveva parlato. - Tempo due minuti e sarà qui.
- D'accordo - fece questi, probabilmente stupito del fatto che se ne fosse ricordata.
Controvoglia, Dubhne si lasciò alle spalle il distaccamento e si avviò verso il gigantesco refettorio che era stato allestito in una vecchia fileria alcuni isolati più a sud. Avrebbe ampiamente desiderato rimanere un po' da sola per chiudere gli occhi per qualche ora, ma prima - come aveva detto Jack - aveva bisogno di mettere nello stomaco qualcosa di caldo.
Appena oltre l'ingresso erano disposti decine e decine di piatti di coccio e altre vettovaglie; avendo visto gli altri fare altrettanto, dopo aver preso una scodella e un cucchiaio di legno, la ragazza si mosse lentamente seguendo la fila degli smunti soldati che avanzavano verso il punto in cui gli inservienti avrebbero riempito loro il piatto.
Fortunatamente, non scorse nella sala nessuno che conoscesse, o almeno non in modo approfondito. Ora che si era in parte ripulita il viso e che il sangue rimasto aveva cominciato a raggrumarsi, nessuno le rivolgeva più occhiate di biasimo o di preoccupazione; la cosa fu di grande sollievo per lei, perché in quel momento non credeva che avrebbe sopportato l'idea di essere un'altra volta al centro dell'attenzione.
Quando nel suo piatto si riversò una fumante porzione di brodo la ragazza fu investita da una vampata di calore e da un profumo pregnante e appetitoso. Con lo stomaco che gorgogliava, Dubhne adocchiò il primo posto vuoto disponibile lungo una delle infinite tavolate e vi si sedette. Era da secoli che non aveva occasione di gustare un po' di brodo di carne.
Alla prima cucchiaiata il liquido bollente le scese in gola quasi ustionandola, ma la sensazione che lo accolse nello stomaco fu così piacevole che la giovane ne fece seguire un altro e un altro ancora. Fino a un attimo prima non si era resa conto di quanto maledettamente fosse affamata.
Una momentanea cappa di calma si ritrovò ad avvolgerla, della quale la giovane approfittò per ripensare a ciò che Jack le aveva riferito e alla possibilità di rivedere Jel e la sua combattiva amica Gala. Le avrebbe fatto piacere rincontrarli? Non lo sapeva; nella condizione di tale desolazione che la morte di Alesha le aveva lasciato addosso, non era sicura che sarebbe più esistito qualcosa in grado di renderla felice. Ma se davvero il Gran Consiglio aveva intenzione di mobilitarsi alla volta di Qorren, significava che il momento in cui avrebbero sferrato l'assalto totale alle forze dei Ribelli non poteva essere lontano. A parte Hiexil, Dubhne non aveva idea di quante città ancora si trovassero fra loro e la capitale delle Terre del Nord, ma non le importava: avrebbe desiderato sopravvivere ad ognuna di quelle battaglie per poter arrivare a combattere sul suolo di Amaria. Uccidere quanti più Ribelli poteva e poi, se la sorte avesse stabilito che la sua ora fosse giunta, avrebbe potuto concludere il proprio infinito ciclo di sofferenze. Morire.
L'eventualità non la spaventava più di tanto, anzi, a volte aveva avuto l'impressione che quello potesse essere l'unico e organico epilogo di quella storia, la sua storia. Se fosse successo, l'unico rimpianto che avrebbe potuto avere sarebbe stato quello di non aver portato con sé una quantità sufficiente di Ribelli.
Proprio in quel momento nel refettorio fece capolino un gruppo di cinque o sei persone; indossavano la divisa delle Cinque Terre ed erano tutti Thariani, a parte una ragazza che doveva avere una decina d'anni in più di Dubhne ed era visibilmente un'Ariadoriana. Aveva i capelli stretti in sottili treccine attaccate alla testa che le conferivano un'aria grintosa e vagamente trasgressiva. Ma il suo viso...iI suo viso rigato da diverse cicatrici era ingentilito da un sorriso dolce e candido come quello di Alesha.
Basta, ringhiò Dubhne fra sé e sé. Dacci un taglio o finirai per vederla dappertutto.
Ma la nausea e il calore in fondo allo stomaco si erano già riaffacciati prepotentemente in lei. Le avevano dato tregua per pochi minuti, ma era bastato scorgere una ragazza vagamente simile alla sua amica per cadere nuovamente in crisi. Si rialzò con rabbia lasciando il proprio piatto ancora mezzo pieno; non ce la faceva a restare lì.
Passandole accanto mentre aspettava di servirsi di brodo caldo, Dubhne si rese conto che la guerriera non assomigliava affatto ad Alesha.


I prati che circondavano Qorren erano umidi e scivolosi. La pioggia che aveva cominciato pigramente a scendere in mattinata si era intensificata mettendo a dura prova anche gli ultimi rimasugli delle nevicate che si erano susseguite nelle settimane precedenti. Era insolitamente presto perché la morsa di gelo che stringeva quelle regioni così settentrionali si allentasse, soprattutto contando il ritmo serrato che i rigori dell'inverno avevano mantenuto fino a quel momento. Probabilmente era solo questione di giorni prima che le dita bianche del Nord tornassero ad accarezzare quelle terre.
Mentre attraversava le porte della città Dubhne si calò il cappuccio sul volto. Non le importava del fatto che entro una manciata di minuti si sarebbe ritrovata completamente fradicia.
Jack le aveva parlato della possibilità di farsi un bagno cado; aveva una mezza idea, al proprio ritorno entro le mura della città, di informarsi sul momento in cui le tinozze sarebbero state messe a disposizione, approfittandone se ne avesse avuto l'occasione. E nel caso non fossero state ancora pronte se ne sarebbe fatta una ragione.
Sapeva che Jack non sarebbe stato affatto contento se avesse saputo che, al posto di concedersi un po' di riposo entro le mura di qualche abitazione, la ragazza se ne stava andando a spasso per i pendii erbosi sotto la pioggia, ma non le importava. Dopo tutto ciò che era successo negli ultimi giorni - o anche solo nell'arco di quella mattina - l'unica cosa che poteva fare per se stessa era cercare un po' di tranquillità. E provare a dormire stretta nella pelliccia che tante volte aveva condiviso con Alesha non era certo un buon modo per riuscire a trovarla. Aveva sempre amato la pioggia, in un modo malinconico e che non riusciva a spiegare precisamente a parole. L'ininterrotto ticchettio che migliaia di gocce esercitavano sulle superfici rimandava la sua mente a qualcosa di inesorabile, libero e in una condizione di continuo scorrimento.
La pioggia lava via tutto il sangue.
Mentre pensava queste parole la ragazza si fermò e reclinò il viso all'indietro, beandosi con gli occhi chiusi della sensazione anomala che l'acqua fredda le provocava sulla pelle. Immaginò i resti del sangue che era rimasto raggrumato sul suo volto disciogliersi e scivolare via. La stoffa del surcotto regalatole da Jack un paio di mesi prima - che aveva indossato praticamente sempre da quel momento in avanti - non impiegò che pochi attimi per imbibirsi e quando riaprì gli occhi Dubhne si ritrovò quasi completamente fradicia. Aveva freddo.
Continuò a camminare mettendo sempre maggiore distanza fra sé e la cinta muraria della città. Oltrepassò un dolce cocuzzolo e cominciò a ridiscendere verso un minuscolo avvallamento che ospitava l'altrettanto piccolo corso di un ruscello. Se guardava verso sud-est, poteva vedere il territorio collinare livellarsi sempre di più fino a trasformarsi nella distesa pianeggiante che, a un centinaio di miglia da lì, ospitava la città di Rosark.
Laddove il ruscello confluiva in uno stagno che anticipava una porzione di territorio paludoso si ergeva un albero solitario, probabilmente un castagno, completamente spogliato da ogni sua foglia, i rami scuri che ai tagliavano contro il cielo grigio-bianco come mani affusolate e scheletriche.
Ad un tratto una figura emerse da dietro l'imponente tronco; da quella distanza Dubhne non riuscì a comprendere se fosse qualcuno della città o meno, ma lo vide armeggiare con qualcosa che assomigliava a una corda. Un cacciatore, forse. Con le mani nelle tasche delle brache per evitare di lasciarle intirizzire, Dubhne proseguì cercando di non prestare troppa attenzione a quello che faceva. Non erano affari suoi. Avrebbe voluto avvicinarsi alla palude - nel suo inconscio l'accostamento con gli acquitrini che si estendevano nella campagna vicino a Célia era stato istantaneo e irresistibile - ma se questo significava rinunciare a quel momento di solitudine allora ne avrebbe fatto a meno.
Sei tutta matta Dubhne, avrebbe detto Alesha vedendola procedere in quel modo sotto la pioggia, ma lei sapeva che lo avrebbe fatto mostrando uno dei suoi inimitabili sorrisi carichi di affetto e comprensione.
Addolorata, la Combattente cominciò ad avvicinarsi al corso del ruscello mantenendosi più a monte rispetto allo spiazzo dove aveva scorto l'uomo. Mentre camminava però non riuscì a non voltare la testa nella sua direzione e, sbarrando gli occhi senza capire immediatamente cosa stesse succedendo, lo vide mentre si issava su una spaccatura nel tronco dell'albero, con la corda fra i denti. Allora capì.
La natura macabra della scena la indusse a desiderare di avvicinarsi anziché voltare le spalle. Non sapeva esattamente quali intenzioni la stessero muovendo - voleva aiutarlo? Impedirgli di impiccarsi? O solo osservarlo più da vicino? - ma cominciò a camminare nella sua direzione sempre più veloce.
Fu a una decina di metri che Dubhne ebbe modo di capire che non era affatto un estraneo. Abbarbicato a un grosso ramo con le gambe, vi stava annodando un'estremità della corda con una mano aiutandosi con i denti. Non era difficile immaginare perché lo stesse facendo in quel modo. Gli mancava un braccio.
Avrebbe dovuto capirlo.
Era Neor.
L'uomo aveva infilato la testa nel cappio. Un attimo dopo saltò e la corda si tese con uno schiocco.
Qualcosa la mosse a precipitarsi verso di lui. Mille voci urlavano nelle sue orecchie mentre correva rischiando di scivolare sull'erba viscida, ma non ne ascoltò nessuna. L'importante era raggiungere Neor prima che le sue gambe cessassero di agitarsi e la sua testa ricadesse in avanti reclinata sul petto.
Estrasse dal fodero la scimitarra e, nell'arrivargli appresso, spiccò un salto abbattendola sulla corda in tensione. Quando tornò a toccare terra, Neor le rovinò addosso. Dubhne se lo levò di dosso montandogli sulle ginocchia per tenerlo fermo.
- Non puoi farlo! - ruggì, e la sua voce stupì prima di tutto lei stessa mentre pronunciava quelle parole. Afferrò l'uomo per il bavero e lo costrinse a guardarla. - Alesha è morta, ma tu non la seguirai, mi hai capito? Non puoi arrenderti ora, non è quello che lei vorrebbe!
Soltanto in seguito la ragazza si sarebbe resa conto che quelle parole avrebbero potuto venire rivolte a lei stessa come all'uomo che le stava davanti.
- Lo so che ti sembra che niente abbia più un senso ora, e forse è davvero così. Lo so che vorresti solo trovare il modo, anche solo per un momento, di rivederla. È così anche per me!
Le lacrime lottavano per sgorgare nuovamente dai suoi occhi, ma non una si staccò dalle sue ciglia.
- Non puoi mollare adesso. Sei un Combattente, Neor, noi non molliamo. Non finché non saremo arrivati alla vittoria.
Neor la fissava con occhi sgranati, per metà coinvolto dalle sue parole e per metà sbalordito; sicuramente era ancora abbastanza lucido da domandarsi cosa avesse provocato un simile cambio di atteggiamento nei propri confronti.
Dubhne avvicinò il volto a quello dell'uomo che giaceva inerme sotto si sé per essere sicura che la sentisse e capisse.
- Adesso facciamo così: ti rimetti in piedi, cerchi di modulare il respiro e ce ne torniamo entro le mura. Non verrai mai più in questo posto e ti dimenticherai dell'albero, del cappio e di tutto questo.
- Dubhne, io non...
- Non è un'alternativa, Neor! - la ragazza gli prese il volto fra le mani. - È quello che farai, punto e basta.
L'occhio le scivolò sulla gola del Combattente; laddove la corda lo aveva stretto durante la manciata di secondi nei quali era rimasto appeso all'albero si poteva vedere distintamente un'ematoma rosso scuro. Era un miracolo che non gli si fosse spezzato l'osso del collo nel momento in cui la corda si era tesa.
Con uno sforzo immane aiutò il compagno a rialzarsi; gli posizionò il braccio destro attorno alle proprie spalle in modo che potesse appoggiarsi a lei. Guardando il moncherino dove un tempo c'era stato il braccio sinistro di Neor, la giovane si chiese come l'uomo avesse fatto a preparare il cappio. Annodare una corda a un ramo tenendone ferma un'estremità era un conto, un altro era predisporre un nodo scorsoio.
Come potesse esserci qualcuno di così miserabile da raccattare qualche galet preparando cappi per monchi aspiranti suicidi era qualcosa che sfuggiva alla sua comprensione.


Affidò Neor a una coppia di guaritrici che incontrò a pochi isolati dalle porte della città. Non assomigliavano neanche lontanamente ad Alesha, questa volta: erano entrambe ben tornite e avevano lunghi capelli biondo scuro stretti in una crocchia. Era probabile che venissero dall'Ariador meridionale, vicino al confine con l'Haryar. - Tenetelo d'occhio anche dopo che si sarà ripreso - intimò loro blandendole con una mano. - Più tardi lascerà l'infermeria meglio sarà.
E cercate di non innamorarvi di lui, pensò amaramente mentre voltava loro le spalle, ma non lo disse. Non aveva la forza di parlare; ora che il picco di emozioni si era allontanato percepiva tutta la stanchezza tornare a pesarle sulle spalle.
Stravolta e barcollante Dubhne cominciò a dirigersi verso il proprio alloggio, conscia, per una volta, di aver compiuto qualcosa di buono.

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Capitolo 30 - Gala ***


30








Gala Sterman si passò una manica davanti agli occhi per asciugare le lacrime che li pungevano; la luce mattutina era così forte - e lei così assonnata - da farle tenere le palpebre semi abbassate nel tentativo di riparare le cornee dai suoi raggi.
L'aria nelle strade di Grimal sembrava vibrare, come scossa dal ronzio di centinaia di insetti. Un nido di vespe indaffarate, era quella l'impressione che esercitava su Gala il quadro delle alte sfere della politica delle Cinque Terre prossime alla partenza. Tuttavia c'era qualcosa di sano ed esaltante nel vedere carri e carrozze venire caricati, i cavalli radunati nella piazza dinanzi al palazzo e ordinati in colonne, il chiacchiericcio di attendenti, ancelle e stallieri che non si fermavano un attimo per predisporre in ogni modo il momento in cui il Gran Consiglio avrebbe lasciato la città in direzione di Qorren.
La ragazzina si arrestò per qualche secondo davanti a un crocevia, senza sapere bene dove andare. Aveva chiesto informazioni qualche minuto prima al giovane garzone di un fornaio, ma già stentava a ricordare i particolari. Conosceva poco quella zona di Grimal, nonostante l'avesse già bazzicata un paio di volte in precedenza. Alla fine scelse, praticamente a naso, di continuare a camminare in linea retta. Ricordava che il fornaio le aveva parlato di un paio di incroci in cui svoltare a destra, ma probabilmente quello giusto doveva essere più avanti. Sì, ora che ci pensava era probabile che le avesse detto di ignorare il primo, continuando a percorrere la stessa via.
Dopo aver chiesto informazioni alla padrona, trovò la persona che cercava nel luogo che si sarebbe aspettata: il cortile sul retro della locanda Brioschi, dove le aveva accennato che avrebbe alloggiato. L'erba si diradava man mano in quello che sembrava una poltiglia fangosa, lascito delle insistenti piogge che avevano avuto luogo nelle settimane precedenti, prima che il sole tornasse a fare capolino fra le nubi. Tuttavia, quando la strega mosse un paio di passi in avanti, scopri che il terreno non era affatto molle come se lo sarebbe aspettato; non c'era da stupirsi, dopotutto durante la notte la temperatura continuava ad abbassarsi drasticamente rispetto al giorno. Persino lì a Grimal, che pure non era poi così distante dal confine con l'Haryar, era ancora troppo presto per poter iniziare a parlare di primavera.
Nigel Cox stava in piedi accanto allo steccato che dava a est, semi nascosto dalla sagoma di un cavallo dœster, tutto intento ad assicurarvi una sella di pregevole fattura. Forse un regalo del fratello, si ritrovò a pensare Gala.
- Quella sella significa che verrai con noi al Nord? - domandò senza mezzi termini nella sua direzione, cercando di nascondere l'agitazione nel pronunciare quelle parole.
Nel notarla il giovane parve spiazzato, per un attimo, ma si riprese molto in fretta. - Che ci fai qui, Gala? - ribatté stancamente. - Non dovresti essere a palazzo, a una delle tue mille riunioni?
La strega scosse la testa. - È tardi per le riunioni ormai. Ogni cosa è già stata stabilita. Non ci resta che prepararci alla partenza.
- E tu lo hai fatto?
Gala avvertì un brivido percorrerle la schiena, un misto di eccitazione e di paura. Aveva chiuso e sigillato il proprio baule da viaggio la sera prima. Tutto ciò che aveva potuto fare materialmente lo aveva fatto. Ora non restava che prepararsi psicologicamente a ciò che la attendeva, a ciò che attendeva tutti loro. E Gala sapeva che non sarebbe stato facile, anzi, per dirla tutta era convinta che fosse impossibile.
- Non so se sono pronta a tutto questo - ammise. - Ma non importa. I dubbi mi passano vicino come spettri ma per ora riesco a tenerli lontani. È come se il mio istinto valesse più di ogni paura, di ogni remora. Voglio solo che tutto questo finisca, e voglio che siamo noi a farlo finire.
Si bloccò all'improvviso, sentendosi all'improvviso imbarazzata. - Ma perché ti sto dicendo questo? Come se parlarne potesse cambiare qualcosa...
- A volte è così - commentò il ragazzo con un'alzata di spalle.
- Stai cercando di fare il duro?
- Un pochino - un pizzico di ilarità alleggerì il tono di Nigel. - Ma è la verità. Quando mi hanno tagliato la gamba - e il suo cipiglio tornò scuro - ci sono stati momenti in cui ho pensato di non farcela: che quello che era successo andava troppo oltre le mie facoltà, che non ero abbastanza forte per sopportarlo. Ma se c'è una cosa che ho capito è che alla vita non frega assolutamente niente se uno è pronto o no. Possiamo solo barcamenarci nelle situazioni con gli strumenti che possediamo. E la parola è una di quelle.
- Stai parlando di Jack, non è vero?
Qualcosa brillò nei suoi occhi, e Gala provò una sensazione curiosa: per la prima volta in vita sua rimpianse di non avere fratelli e sorelle. Non le era mai capitato di farlo, perché fino a poco tempo prima aveva sempre avuto Jel a suo fianco come se fosse stato sangue del suo sangue.
- Jack mi ha aiutato molto dopo l'incidente, ma non è stato l'unico. Quando subisci un trauma può capitare che parlare diventi difficoltoso, e uno ha soltanto voglia di stare solo con il proprio dolore, gettare la spugna. Sopravvivere dimenticandosi di vivere. Poi magari ti capita di raccontare quello che ti è successo a un estraneo e allora il muro crolla. Non è che il dolore se ne vada... semplicemente acquista una dimensione più sana.
Ma la ragazza aveva cominciato a pensare a Camosh da ben prima che Nigel terminasse il suo discorso. - Vorrei tanto che fosse stato così anche per me - mormorò tetra.
- Gala - il giovane le appoggiò una mano sulla spalla. - Mi dispiace per quello che ho detto a Estel, per come l'ho detto. Io non... non potevo immaginare che tu...
- Lo so - la ragazzina ricacciò indietro le lacrime per non mostrarsi debole davanti a lui. - Non c'è problema, davvero.
Il momento in cui Nigel le aveva accidentalmente rivelato che ad uccidere il maestro Camosh era stato Astapor Raek era stato un duro colpo per lei; paradossalmente lo shock che aveva seguito quelle parole era stato grande quasi quanto quello che l'aveva investita quando aveva ricevuto la notizia della sua scomparsa da parte del maestro Ellanor. Ma la sua reazione nell'immediato era stata esattamente agli antipodi di quella che aveva avuto a Tamithia. Se in quel giorno di tanti mesi prima il mondo era sembrato crollarle addosso e lei non era riuscita a non soccombere sotto quel peso, ad Estel le cose erano andate diversamente: la rabbia, lo shock, la sorpresa, tutte queste emozioni erano state incanalate in una nuova, devastante spinta ad agire. Era stato come se solo in quel momento la ragazza avesse compreso la necessità di tornare all'azione.
- Non mi hai ancora detto come mai sei venuta a cercarmi, comunque - i suoi pensieri furono interrotti bruscamente da quella domanda. Forse Nigel l'aveva fatto solo per sviare da quell'argomento così spinoso. Cercò lo sguardo del ragazzo ma non trovò l'azzurro vispo dei suoi occhi, perché ora lui era di nuovo intento ad assicurare il necessario alla sella del suo cavallo.
Parlò lo stesso.
- La verità è che non ti ho ancora ringraziato abbastanza per avermi permesso di tornare qui insieme a voi. Non avrei trovato una guida che in questo periodo della stagione fosse disposta a riaccompagnarmi attraverso i Gharlani.
Era la verità: con l'inizio del disgelo che si avvicinava settimana dopo settimana, solo un imprudente si sarebbe sognato di oltrepassare i ghiacciai in via di scioglimento. Un folle, o qualcuno con una gran fretta di tornare nel continente.
Nigel mantenne lo sguardo fisso sul proprio lavoro ma la ragazzina scorse un sorriso disegnarsi sul suo volto.
- Non c'è bisogno che tu lo faccia, non sei stata di peso. E poi - e qui il sorriso si trasformò in una lieve smorfia di scherno. - Potremo raccontare di aver riportato un Consigliere sulla retta via.
- Non sono un vero Consigliere - ribadì Gala per quella che doveva essere la centesima volta nella sua ancora breve carriera, ma nel dirlo aveva riso. Lo conosceva da poche settimane, eppure il giovane fratello di Jack aveva dimostrato quasi subito di possedere l'innato talento di farla sorridere. Anche in una situazione come quella.
Fu quello il motivo che la spinse a prendere il coraggio a due mani per pronunciare parole che, lo sapeva, l'avrebbero imbarazzata tremendamente.
- La verità è che non so se tornerò mai dal Nord - disse mentre il respiro le si faceva lievemente più irregolare. - C'è la seria possibilità che io ci rimetta la pelle e... se non dovessi più rivederti...
- Che cos'è, una dichiarazione d'amore?
- No! - esclamò lei. - Solo che sono venuta a salutarti. Insomma, mi sarebbe dispiaciuto non poterti dire addio.
- E a che scopo, visto che vengo con voi?
- Parli sul serio?
- Credi che mi stia preparando per andare oltremare? - rise Nigel. - Certo che vengo con voi. Non potrei mai... - e una ruga sofferta incrinò per un istante la sua espressione - Non potrei mai correre il rischio di non vedere più Jack senza avergli detto addio.
Era la prima volta che lo vedeva così scoperto. E in quel momento comprese a fondo la differenza tra lei e Nigel Cox: lui era ancora nello stadio precedente, la fase in cui ancora ti importa di quello che accadrà dopo, dopo che i conti si saranno chiusi. Gala invece non riusciva a pensare ad altro se non alla fine della strada: aveva paura per sé e per le poche persone care che le erano rimaste, certo, ma era come se in lei si fosse insediata la consapevolezza dell'inevitabilità di ciò che sarebbe successo, qualunque cosa fosse. Questo più la sensazione che, comunque fosse andata a finire, sarebbe stata la fine di tutto. Anche guardando oltre una possibile vittoria da parte della coalizione delle Cinque Terre, la strega davvero non riusciva a immaginare il dopo. Forse quella prospettiva nefasta sarebbe cambiata con il tempo, se fosse sopravvissuta.
Lo disse a Nigel, al che lui le sorrise con affetto portandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
- Sono contento di averti conosciuta, Gala Sterman - le disse con un tono che sapeva tanto di congedo. - Spero che ci vedremo ancora, su nel Nord, anche se non potremo combattere fianco a fianco.
- Lo sono anch'io - sussurrò lei con un sorriso storto. - Saluta Jack da parte mia, se riesci a trovarlo.
- Prometti che lo farai anche tu, qualora non ci riuscissi.
Gala si portò una mano sul cuore quasi senza rendersene conto. - Lo farò.
Avrebbe fatto in modo che i due si rivedessero, a ogni costo.


                                                                         ***


Gala ricordava come fosse stato ieri il giorno in cui si era recata nelle cripte tumulari di Grimal insieme all'interezza dei componenti del Gran Consiglio per il funerale del maestro Camosh.
Mentre scendeva uno ad uno i gradini dell'austera scalinata di pietra - e a ogni passo percepiva gradualmente la temperatura abbassarsi - la ragazza ripensò con una sgradevole sensazione in fondo allo stomaco a quel momento, quando ancora nessuno di loro, eccetto Jel, era a conoscenza di chi fosse stato veramente a uccidere il suo tutore e mentore. Ci erano volute settimane perché venisse a saperlo, e questo era accaduto solo grazie alla fortuita collaborazione di Nigel Cox.
Il sotterraneo era deserto.
Le statue granitiche dei grandi re del passato la osservavano silenti da sotto le arcate laterali con una vaga aria di rimprovero. Gala percorse a grandi passi la sala senza guardarle, stringendosi nel mantello e puntando all'ultima nicchia occupata sulla destra. Il sarcofago di Janor Camosh era stato spostato lì dopo un periodo trascorso, come di tradizione, nel centro della navata.
Quando i suoi occhi percorsero la sagoma aggettante scolpita nella pietra, rischiò per un attimo che le sue ginocchia cedessero. Era la prima volta che scendeva là sotto da quando si era tenuta la cerimonia funebre. Le lacrime fecero capolino nei suoi occhi ma lei non fece nulla per fermarle; era da sola, dopotutto, non c'era nessuno che potesse vederla piangere. Non aveva motivo per impedirsi di mostrarsi debole, non in quel momento. Dopotutto, molto presto si sarebbe trovata in una situazione in cui non avrebbe potuto concedersi nulla, nessun cedimento, nessuna esitazione. Tanto valeva che si sfogasse, per una volta, quando ancora poteva. La giovane strega fece scorrere una mano sulla ruvida guancia dell'altorilievo come fosse un modo per entrare davvero in contatto con il suo maestro. Gli occhi di pietra privi di pupille guardavano verso l'alto, senza possibilità di volgere lo sguardo su di lei.
Non riuscì a dire nulla come "Mi manchi, Janor" o "vorrei che tu fossi accanto a me"; erano parole che aveva già ripetuto troppe volte. Non che avessero perso significato, anzi, era come se ogni volta in cui le pronunciava il rimorso per non essere riuscita a impedirne la morte si intensificasse ulteriormente. Soltanto pensare a una realtà in cui Camosh fosse ancora al loro fianco le metteva addosso un senso di nausea. Rimase in silenzio, le labbra strette in una smorfia contratta dal dolore e da un lacerante senso di impotenza. Impotenza. No, non questa volta. Avete la possibilità di chiudere questa storia. Hai la possibilità di chiudere questa storia. C'era una sola cosa che potesse fare. Non poteva riportare indietro Camosh in nessun modo, quello che era accaduto era accaduto e non c'era modo di controvertire lo sciagurato fato che si era abbattuto su di lui. Ma ora, per davvero, cominciava a pensare di avere una reale possibilità di vendicarlo. Era improbabile, certo, ma niente poteva essere dato per scontato. E la ragazza poteva elencare ogni singolo fattore a proprio svantaggio, ma l'eventualità di incontrare Astapor Raek sul campo di battaglia era da prendere in considerazione. E nel caso se lo fosse trovato davanti, Gala non aveva alcuna intenzione di sprecare un'occasione come quella. Solo nell'immaginare di trovarsi fra le mani il traditore che le aveva portato via la persona più simile a un padre che avesse, le sue viscere si accartocciarono in una morsa dolorosa e piacevole insieme. Gala era sempre stata un'anima testarda ed entusiasta, ma non aveva mai provato particolari istinti cruenti; questo prima di venire a conoscenza di ciò che il Lord dell'Isola Grande aveva compiuto. Sentimenti e pulsioni più cupe del dolore si erano fatte strada strisciando nel suo cuore e benché la ragazza si sforzasse di tenerle lontane per concentrarsi sui propri doveri, sapeva che prima o poi avrebbero lottato più che mai per venire in superficie.
Lascia che accada sul campo di battaglia. Fa' in modo che tutto questo fluisca nei tuoi incantesimi, quando sarà il momento.
- Troverò quel bastardo, Janor - la sua voce distorta dalla rabbia risuonò nella muta penombra della cripta funebre. La sua mascella era serrata, i denti digrignati così premuti l'uno contro l'altro da farle male. - Troverò Raek e lo ucciderò. Non importa quello che farà, non importa dove sarà, io lo ucciderò. Ti vendicherò. Te lo prometto.


Partirono l'indomani poco prima dell'alba.
Dalla sommità del pendio erboso appena oltre le porte di Grimal, Gala osservava per quella che poteva essere l'ultima volta la sua città natale. Nel mentre Saryo, il destriero che aveva acquistato per compiere il viaggio verso Nord, nitriva emettendo piccole nuvole di vapore dalle narici.
Il corteo era talmente vasto che non era difficile immaginare quanto sarebbe stato lento nel procedere; il fatto che la ragazza avesse il tempo per concedersi di lanciare un ultimo, prolungato sguardo indietro poco dopo aver oltrepassato le mura ne era la prova.
Gala socchiuse gli occhi chinando leggermente il capo e rivolse una breve preghiera verso la Magia che scorreva in ogni cosa. Non che sentisse di avere qualcosa di preciso per cui votarsi. Avrebbe desiderato poter ritornare a casa finita quella guerra, questo sì, ma la scoglio che vedeva davanti a sé era troppo insormontabile per il momento.
Alla fine capì per cosa valeva la pena pregare.
Ti prego. Aiutami a trovare Astapor Raek.
Era tutto ciò che si sentiva - quasi - in diritto di chiedere. Tutto il resto poteva aspettare. Dimenticare quella faccenda, la possibilità di tornare a una vita normale... erano pensieri inevitabili quando ci si trovava sull'orlo della battaglia decisiva. Se fosse sopravvissuta forse avrebbe potuto davvero ricominciare tutto, ma non era il momento di rivolgere la mente a quello. Aveva fatto tanta strada per arrivare al punto in cui era ora.
- Gala.
Sentire quella voce in quel momento le riempì il cuore di qualcosa di molto simile alla commozione. Si voltò.
Jel Cambrest era davanti a lei avvolto nel suo mantello da viaggio scuro, impeccabile in sella alla splendida puledra Ehme. I suoi occhi azzurri sembravano brillare, accesi dalla fredda luce mattutina e da una sorta di ostinata determinazione.
- Sei pronta ad andare?
- Non sto aspettando altro.
Il Consigliere sorrise. - Credo sia solo questione di pochi minuti - spiegò. - Presto potremo partire definitivamente.
Non si erano più visti dopo l'ultima riunione del Gran Consiglio, eppure per la prima volta da quando era tornata Gala ebbe l'impressione di percepire il loro rapporto forte come un tempo. Recarsi sul confine delle Terre del Nord e oltre sarebbe stato come un ritorno alle origini per loro.
C'era qualcosa di profondamente intimo nello sguardo che il suo più antico e caro amico le stava rivolgendo. Come se solamente loro due potessero sapere davvero che cosa li aspettava, come se fossero i soli a poter salvare Fheriea.
Per un istante la ragazza ebbe l'impressione che Jel volesse aggiungere qualcosa di importante, ma fu smentita.
- Devo tornare dal maestro Anérion - disse infatti il mago con un cenno del capo. - Cercherò di farmi vivo, quando ci fermeremo per la notte.
- Jel - lo interruppe lei. - Non ce n'è bisogno. Lo capisco.
Era vero. Ormai non le importava più. Sapeva che Jel era uno degli uomini più vicini in assoluto al maestro Anérion in quel momento e, di conseguenza, al Re delle Cinque Terre in persona. C'era stato un tempo - e non troppo lontano - in cui il fatto di non poter più condividere gran parte delle giornate l'aveva ferita, destabilizzata e urtata anche. Ora lo aveva accettato. Aveva dovuto accettare tante cose per sopravvivere.
Come se avesse potuto seguire il corso dei suoi pensieri, il giovane davanti a lei annuì lentamente prima di tirare le redini di Ehme e voltarle le spalle. - Ci vediamo dopo, Gal.
Poi spronò la puledra e ripartì in un leggero trotto.
La strega lo fissò allontanarsi mentre attorno a lei il corteo ricominciava a muoversi. Gettò un ultimo - questa volta per davvero - sguardo a Grimal, casa sua.
Aveva fatto tanta strada per arrivare al punto in cui era ora.
Era pronta ad affrontare qualunque cosa la sorte avesse in serbo per lei.





Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Capitolo 31 - Jel ***


31








Jel ricordava l'ultima volta in cui era stato a Nord come se non fosse trascorso nemmeno un giorno, anche se in realtà era passato quasi un anno da quando lui e Gala avevano lasciato Tamithia per dirigersi ad Amaria.
I prati riarsi fra le colline accolsero il corteo reale come una steppa gelida e inospitale, lasciando intravedere sullo sfondo le vette innevate delle montagne che separavano l'Ariador settentrionale dal mare.
Quando la rappresentanza delle Cinque Terre mise piede entro le mura di Qorren per la prima volta dopo la sua liberazione, Jel e gli altri si ritrovarono sullo sfondo di una città semi-distrutta. Il primo anello di mura che si ergeva a difesa della città era ridotto in macerie in più punti, presidiati a turno da gruppi di tre o quattro soldati senza contare la porta principale semi scardinata che sembrava essere sul punto di crollare da un momento all'altro. Probabilmente le forze alleate l'avevano sfondata nel dare l'assalto decisivo alla città. Appena all'interno, le condizioni erano critiche: abitazioni quasi completamente demolite, altre annerite dai tentativi di darle alle fiamme. Cumuli di neve vecchia ancora macchiati dal sangue dei caduti. Un paio di volte gli era persino capitato di imbattersi in cadaveri di soldati appena deceduti e non ancora condotti nelle fosse comuni. I morti in battaglia erano già stati trasferiti in quelle maggiori, scavate a mezzo miglio di distanza dalla città, ma nelle infermerie e nelle case i soldati continuavano a morire e, in certi casi, anche la gente comune che era sopravvissuta ai due assedi e si era rifiutata, anche in condizioni simili, di lasciare la città. Malattie e infezioni erano all'ordine del giorno secondo i primi resoconti forniti da vari comandanti che gli erano giunti alle orecchie.
All'interno del secondo anello di mura le condizioni erano certamente migliori - la maggior parte degli edifici era ancora in piedi e l'aria più salubre, vista la collocazione dei padiglioni-ospedale nel primo livello della città - ma l'atmosfera che si respirava rimaneva comunque pesante come una cappa di fumo nero. Ed era il perfetto emblema di come fosse ridotto l'Ariador: una nazione distrutta, stremata da quella guerra che in principio tutti avevano fatalmente sottovalutato.
La neve che fino a poco tempo prima aveva continuato a cadere quasi ininterrottamente sul territorio ariadoriano aveva incassato il colpo assestatole dalle giornate di sole dell'ultimo periodo, e lo scioglimento aveva dato adito al formarsi di vaste pozzanghere che occupavano gran parte delle strade, in terra battuta e non. Ed era proprio in una di quelle vie colme di fango che Jel si trovava in quel momento, accompagnato da altri due Consiglieri.
Poco distante da loro un gruppetto di guerrieri si stava godendo una delle ultime giornate di riposo prima della ripresa delle ostilità. Stavano - chi stravaccato sui gradini, chi appoggiato alla parete - sull'uscio di un'abitazione che probabilmente fungeva da dormitorio per il loro reparto, qualunque esso fosse.
Mentre il vice-Consigliere capo Marton continuava parlare, rivolgendosi più che altro a Steward, l'occhio gli cadde su una di loro, la seconda delle due donne in mezzo a quella decina scarsa di uomini muscolosi e dalle fattezze dure.
Fu come se il giovane avesse avuto bisogno di qualche secondo ausiliario per metterla a fuoco a dovere eppure, dopo che ebbe sbattuto le palpebre, non ci furono più dubbi: era lei. Il suo viso era uno di quelli che rimanevano scolpiti nella memoria, soprattutto se lo si collegava a tutto ciò che aveva compiuto.
- Consigliere Cambrest? - Jel si ritrovò a fissare il sopracciglio inarcato di Marton Holden. - Mi state seguendo?
- Ma certo, certo... le tempistiche.
Stavano discutendo da diversi minuti riguardo alla proposta mossa dal Generale Sigurd Fanersan di muovere su Hiexil il giorno successivo, senza ulteriori indugi. Tecnicamente il Gran Consiglio non era un organo che detenesse incarichi deliberativi anche a livello squisitamente militare, ma dal momento che il Re delle Cinque Terre era per definizione anche il capo supremo del suo esercito, le faccende di strettamente strategiche erano un affare che riguardava tutti loro.
Il sovrano non si era ancora espresso in modo definitivo su quella faccenda, anche se era evidente che propendesse più per ritardare la faccenda ancora di qualche giorno, in modo che la realtà del Consiglio avesse tempo di calarsi a dovere in quella della guerra nel Nord.
- In definitiva, dovremmo poter contare sull'appoggio dei Lord ariadoriani; Althon e i suoi propugneranno di essere prudenti come hanno già fatto la prima volta. Non credo che abbiano potuto cambiare idea in queste poche ore. Raenys rimane un'incognita, come sempre.
- Parlerai con Anérion e Flavis? - intervenne Steward con occhi interrogativi.
- Per forza - Marton allargò le braccia. - Voglio che sappiano che il parare generalmente diffuso tra i Consiglieri dello stato dei Re è la propensione ad un intervento più fulmineo.
Jel sperava che tutto quel disquisire avrebbe portato a qualcosa. Non aveva alcuna intenzione di trattenersi a Qorren un solo minuto in più del dovuto.
- Flavis a te dà retta - disse a bassa voce lanciando uno sguardo sghembo a Marton. - Ma con Anérion è diverso. Il suo servilismo nei confronti del re lo rende piuttosto versatile, ergo imprevedibile.
Un tempo non si sarebbe mai neanche sognato di usare parole simili a proposito di un Consigliere - un maestro, per di più - ma da quando era tornato dalla missione la sua reputazione all'interno del Consiglio era aumentata notevolmente. Nonostante non avesse ricevuto alcun tipo di promozione, Jel aveva percepito crescere il rispetto con cui gli altri Consiglieri si rivolgevano a lui. Era come se si fosse guadagnato a pieno titolo il diritto di venire trattato, finalmente, come un vero adulto, un Consigliere che si trovava fra suoi pari e non più come un semplice ragazzo talentuoso che tentava di bruciare le tappe della scalata al successo.
- Male che vada si tratterà solamente di qualche giorno in più - commentò Steward dopo qualche secondo. - Nulla di irreparabile.
- No, ma dobbiamo battere il ferro finché è caldo. I Ribelli non si aspetterebbero mai un attacco così presto. Non siamo neanche certi di quanto effettivamente sappiano delle nostre mosse e del nostro arrivo qui.
Jel annuì; si trovava d'accordo con le parole del suo superiore in tutto e per tutto. Il piano d'azione finale era già stato stabilito da tempo, a Grimal. Ora si trattava solamente di mettersi nelle condizioni di poterlo attuare il più presto possibile, soprattutto contando che, dopo il fallimento della missione diplomatica del maestro Raenys - un episodio gravissimo, non fosse che la guerra con le Terre del Nord non aveva avuto bisogno di tale pretesto per scoppiare, quasi un anno prima - l'ipotesi che Theor fosse venuto a conoscenza almeno di frammenti delle loro intenzioni era più che concreta.
I tre Consiglieri si congedarono, ma prima di tornare alla propria temporale sistemazione Jel si concesse qualche istante per tornare ad osservare Dubhne.
La ragazza era cambiata drasticamente rispetto all'ultima volta in cui l'aveva incontrata, poco prima che partisse per il fronte: i capelli, all'epoca piuttosto corti e arruffati, erano ricresciuti e ora le ricadevano sulle spalle sorprendentemente puliti - probabilmente erano state date disposizioni affinché i soldati si rendessero presentabili per l'arrivo del Re delle Cinque Terre e del suo seguito. Era pallida e sembrava in qualche modo più adulta, ancora più segnata, con il volto cosparso di tagli e un vistoso livido sotto l'occhio destro, ma nonostante tutto Jel trovò che nella sua figura si celasse una bellezza austera e ammagliante.
Indossava una divisa da combattimento di ottima fattura che sembrava essere stata fatta apposta per lei. La pesante cotta di maglia spuntava sotto una casacca che recava il simbolo dell'Ariador, ma non con i soliti colori: un fiero letjak argentato campeggiava infatti su uno sfondo color vinaccia. La sua scimitarra a lama larga pendeva come sempre protetta da un fodero che parve anch'esso nuovo al giovane mago. In effetti era curioso che una recluta come lei potesse disporre di un abbigliamento simile; Jel si chiese leggermente accigliato chi potesse essere stato a regalargliela.
Con la bocca impastata - realizzarlo gli suscitò non poca perplessità - il giovane mago mosse un paio di passi in avanti senza riuscire a decidersi se rivolgerle o no la parola, un qualche segno di saluto. Dopotutto non era nemmeno sicuro che la ragazza l'avrebbe riconosciuto. Questo senza contare che, qualora l'avesse fatto, c'era la più che plausibile possibilità che decidesse di mostrarsi ostile e beffarda come in occasione del loro primo incontro. E Jel non aveva alcuna voglia di imbarcarsi in un confronto con un gruppo di soldati annoiati.
Distolse lo sguardo un istante per evitare di incrociare il suo; non voleva che la ragazza lo sorprendesse a fissarla dandole il pretesto di stuzzicarlo. Sempre che lo avesse riconosciuto o anche solo notato. Alla fine si convinse a desistere e s'incamminò in direzione del proprio alloggio.
- Jel Cambrest?
La voce incredula di Dubhne gli giunse alle orecchie completamente inaspettata. La ragazza si era allontanata dai suoi compagni e l'aveva seguito.
Jel inspirò profondamente e si accinse a voltarsi verso di lei. Non avrebbe saputo definire con certezza le emozioni che lo avevano avvolto nel rivederla.
Si sarebbe aspettato che il suo sguardo incontrasse quello vispo e provocatorio di lei, ma ciò non accadde. La campionessa di Città dei re sembrava solo genuinamente sorpresa, forse contenta, di vederlo.
- Dubhne - la salutò lui allungando automaticamente una mano. La ragazza la strinse con il consueto vigore. - Non mi aspettavo di vederti...
- Viva? - completò per lui la ragazza con un sorriso amaro. - Forse sarebbe stato meglio che i Ribelli si prendessero anche me.
Non era una provocazione. Era un'affermazione.
Jel dedusse che dovesse esserle accaduto qualcosa di terribile mentre era nel Nord, qualcosa di peggio di una semplice ferita. Qualcosa di abbastanza grave da far venire meno la sua natura agguerrita e avvezza alla sfida.
Non seppe cosa dire, per cui si limitò ad annuire con fare lievemente imbarazzato.
- Sono contento di vederti, ecco - pronunciò quelle parole senza volerlo. - Mi sarebbe dispiaciuto se... se...
- Sei gentile - un sorriso insolitamente dolce curvò le labbra della Combattente, e Jel si disse che probabilmente in quel momento la stava vedendo, per la prima volta, sotto una luce del tutto inedita. - Ma non c'è bisogno. Non credo che tu avessi un ottimo ricordo di me.
- Al contrario. Sei stata di grande aiuto. Molto collaborativa, soprattutto.
Il Consigliere sperò che la battuta riuscisse a strapparle almeno una leggera risata, ma Dubhne si limitò a mantenere quello strano sorriso incerto. Come se avesse dimenticato come si faceva. Per un attimo il suo comportamento gli ricordò Gala, le prime volte in cui aveva ripreso a sorridere dopo la morte del maestro Camosh, e allora capì: la giovane aveva perso qualcuno in battaglia. Ma non un semplice amico o compagno d'armi, no, doveva essersi trattato di qualcuno di fondamentale importanza per lei.
Si rese conto di desiderare di aiutarla.
- Alla fine hai trovato quello che cercavi, venendo quassù? - le chiese cauto, pensando che forse il suo interessamento le avrebbe fatto piacere. Di certo non lo avrebbe fatto alla Combattente dura e ostinata di qualche mese prima, ma in quel momento al giovane pareva di aver davanti un'altra persona.
Da come Dubhne lo guardò, per un attimo fu certo che sarebbe scoppiata in lacrime, ma ancora una volta quella ragazza lo sorprese.
- Sono ancora convinta di essermi arruolata, se è quello che intendi - disse lei a capo chino, tirando un calcio a un sassolino. - E c'è stato un momento in cui ho davvero pensato di aver trovato la mia strada e non solo - chiuse gli occhi e Jel vide un fremito di dolore attraversare la sua espressione. - Ho creduto che la mia vita si stesse rimettendo a posto, un pezzo alla volta.
- Dubhne... - il mago alzò con cautela una mano, conscio del fatto di averla messa ancora più a disagio con quella domanda. - Non sei costretta dirmi queste cose...
La ragazza parve ridestarsi da una sorta di trance. Scosse la testa, e Jel ebbe l'impressione che avesse ricacciato indietro a forza le lacrime.
Rimasero entrambi lì, fermi, senza il coraggio di guardarsi negli occhi.
- Anche io sono contenta di vederti comunque - mormorò ad un certo punto la ragazza, all'improvviso, tanto che Jel ne fu colto completamente di sorpresa. Cercò di capire se la Combattente lo stesse o meno prendendo in giro, ma si ritrovò a fissare ancora una volta il suo volto serissimo e si disse che, avrebbe dovuto capirlo: la guerriera arrogante che aveva conosciuto a Città dei Re semplicemente non esisteva più.
- Averti qui, in carne ed ossa, dopo tutto questo tempo... - mentre parlava le sfuggì un sorriso nervoso. - È come avere la prova dopo tanto tempo che non siamo rimasti soli in questa tempesta. Che là fuori, lontano di qui, il mondo è ancora lo stesso che ho lasciato sei mesi fa.
- Le cose non stanno esattamente in questo modo, ma capisco quello che intendi.
Provò l'improvviso desiderio di allungare una mano e accarezzarle la guancia.
- Sei venuto qui a morire, Jel Cambrest?
La sua voce gli giunse come da molto lontano, o forse come se fosse provenuta da dentro di lui. Fatto sta che comprese all'istante ciò che Dubhne intendeva.
Fece per risponderle, quando si verificò il secondo incontro inaspettato di quel giorno. E anche in quel caso, il giovane non avrebbe saputo stabilire se fosse gradito o meno.
Un uomo alto dagli scompigliati capelli biondi era apparso dietro Dubhne e le aveva avvolto le spalle con un braccio.
Si erano visti in una sola occasione, eppure Jel non impiegò che pochi secondi per riconoscere Jack Cox.
- Guarda un po' chi si rivede - asserì questi con un sorriso beffardo. - Sai, Dubhne ed io abbiamo parlato di te giusto qualche giorno fa...
- Jack - il Consigliere salutò l'ex comandante in seconda con un cenno del capo. - È passato del tempo.
- Jack mi ha raccontato che avete combattuto insieme qui nel Nord, è vero? - chiese Dubhne interessata. Jel notò che non si era affatto sottratta a quel contatto fisico. Anzi, sembrava che si stesse stringendo a lui.
- È stato un caso, più che altro - ammise, e nella sua mente riecheggiarono le immagini della furibonda battaglia che si era tenuta nel campo che era appartenuto al Lord di Rocca Tarth. Era incredibile, ma ricordava perfettamente ogni particolare di quell'esperienza, ogni nome, ogni volto significativo. Così come non avrebbe mai potuto dimenticare l'immagine di Jack che, a cavallo, sottraeva Gala da una morte certa.
- La battaglia fu un disastro - commentò Jack con un velo di rabbia malcelata al ricordo. - Ma devo ammettere che Jel e la sua compagna si batterono con onore.
Non si sarebbe aspettato un'uscita del genere da uno come lui, motivo per cui per qualche istante lo guardò sbigottito. Che cosa stava succedendo a tutti quanti?
- Questa guerra cambia le persone - sussurrò Dubhne nella sua direzione, come leggendogli nel pensiero, ma il Consigliere non seppe dire se si stesse riferendo a lui o a Jack.
Lo so, avrebbe voluto rispondere in ogni caso. Lo capisco meglio di quanto pensi.
Jack si era separato dalla ragazza nel frattempo e quando parlò lo fece con il consueto tono pragmatico che Jel ben conosceva: - Sai, Jel, è una fortuna che ti abbia incontrato. Speravo proprio che tu potessi darmi una mano a capire quello che sta combinando il Gran Consiglio perché, vedi, qui nessuno è molto soddisfatto. E nessuno sa niente di quello che siete venuti a fare a parte i generali di grado più alto. I quali non si sono ancora sbottonati proprio per nulla.
Uno sgradevole calore gli si diffuse alla base del collo. La situazione era già abbastanza complicata di suo anche senza imbarcarsi in una discussione che poteva finire molto male.
In ogni caso, se davvero nessuna disposizione era ancora arrivata ai luogotenenti di grado più basso, era improbabile che il Re si sarebbe deciso a dare l'ordine di partire il giorno successivo. Anche se se l'era aspettato, constatarlo diede fastidio a Jel.
Si accinse a rispondere al comandante ariadoriano scegliendo con cura le proprie parole.
- Purtroppo per ora non ne so molto più di te - mentì sperando che Jack abboccasse. - Da quando siamo arrivati abbiamo già tenuto due consulte ma la decisione sul da farsi spetta solamente al Re. Non so ancora quando e come ci muoveremo.
- E non dovrebbero essere i generali ariadoriani - o al più quelli delle Cinque Terre - a deciderlo? Che ne sa il Re di quello che è bene per le nostre truppe?
- È anche il vostro re - Jel aggirò la domanda. - So che è difficile per voi che siete qui a combattere da mesi, ma tutto quello che potete fare è fidarvi.
- Senti... - Jack gli si piazzò davanti con le mani sui fianchi ma lui, nonostante il disagio, non arretrò di un passo. - Credi che mi sia dimenticato di quello che ho visto quando tu e quella ragazzina siete piombati nel mio campo?
Oh no...
- Quelle Pietre - Jack sembrò sul punto di sputare per terra, ma si trattenne. - Quelle Pietre non credo che fossero nelle vostre mani solo per bellezza. E se sei abbastanza importante da essere stato incaricato di radunarle credo tu lo sia anche abbastanza da sapere che cosa sta succedendo.
Che cosa si aspettava? Che gli raccontasse tutto quanto era accaduto nelle sedute del Consiglio da un anno a quella parte?
No. Solo che tu gli dica quello che avete intenzione di fare.
Beh, era fuori discussione.
- Jack, mi dispiace tanto ma non posso darti nessuna informazione definitiva - disse cercando di mantenere autorevole - e al contempo calmo - il tono della voce. - Posso solo dire che molto presto ne saprete tutti di più.
- Certo - l'uomo scosse la testa con una smorfia. - Perdonatemi, Consigliere. Sono stato un idiota a pensare che potesse fregarti qualcosa di noi poveracci, dopotutto hai altre cose a cui pensare... Ma noi siamo qui a farci ammazzare da quasi un anno, forse il Consiglio dovrebbe pensare anche questo.
- Jack - Dubhne gli venne in aiuto del tutto inaspettatamente. Aveva afferrato delicatamente l'uomo per un braccio ma la sua espressione era risoluta. - Lascia stare. Non otterrai niente da lui. Sa essere ostinato quando lo ritiene necessario.
Jel non era sicuro che si trattasse di un complimento, ma le fu grato comunque perché Jack - non prima di avergli scoccato un'occhiata irata - parve desistere, lasciandosi tirare lievemente indietro.
Jel pensò che il rapporto fra loro dovesse essere davvero stretto perché la ragazza avesse il potere di dissuaderlo in quel modo dal continuare a discutere.
L'uomo si strofinò il viso con una mano arretrando di qualche passo. - D'accordo - cedette poi mentre con astio alzava le mani in segno di resa. - Lasciamo perdere. Lasciamo perdere.
Jel pensò che, visto il tono cui aveva pronunciato quelle parole, più che una resa assomigliasse a una minaccia di morte. Ma evidentemente tali propositi rimasero irrealizzati dato che il comandante si voltò dopo pochi secondi per andarsene senza più dire una parola.
- È parecchio nervoso o mi sbaglio? - fece Jel quando fu sicuro che l'uomo non potesse più sentirlo.
- Ha così tante grane a cui pensare... - commentò Dubhne continuando a guardare nella sua direzione. - Ha perso molti uomini. Ed è frustrante che ad un tratto il Consiglio ci piombi fra capo e collo avendo l'arroganza di non dirci neanche che succede.
Il giovane masticò amaro nell'udire quelle parole, ma ignorò l'offesa al proprio orgoglio.
- Spero di non averti messa nei guai con lui.
Per un istante Dubhne lo fissò spaesata come se non avesse capito bene, poi emise una debole risata. - Mettermi nei guai con Jack? - marcò l'accento sul suo nome. - Stai scherzando? Tutto quello che potevo fare per farlo infuriare l'ho fatto, non credo che una sciocchezza come questa possa fare qualunque tipo di danno...
Una stilettata di fastidio lo punse a un fianco. Non avrebbe mai pensato che una donna come Dubhne potesse arrivare ad essere così in confidenza con chicchessia da parlarne in quel modo.
Ma non ebbe tempo di porsi ulteriori domande su quella curiosa sensazione perché gli venne in mente proprio in quel momento una cosa a cui prima non aveva pensato.
- Jack ha fratelli che tu sappia?
Dubhne parve stupita da un così repentino cambio di argomento, poi rispose:- Non saprei, ma... è possibile che me l'abbia accennato.
- Aspettami qui, torno subito.
Sbuffando, il mago si lanciò all'inseguimento del comandante ariadoriano, ancora visibile al fondo della via. Era l'ultima cosa di cui avrebbe avuto voglia in quel momento, ma non aveva alcuna intenzione di deludere la promessa fatta a Gala qualche giorno prima, durante il viaggio verso Nord. Evidentemente per lei quel Nigel Cox di cui gli aveva parlato doveva essere davvero importante, e l'avrebbe aiutata a riunire i due fratelli avendone l'occasione.
Quando fu di nuovo a portata d'orecchio, lo chiamò:- Jack! Fermati un attimo! Ho bisogno di parlarti!
Lo sguardo del guerriero sembrava piuttosto irritato mentre questi si arrestava e voltava il capo nella sua direzione.
- Che vuoi ancora?
- Non ti interessa la possibilità di rivedere tuo fratello?
L'espressione di Jack mutò rapidamente quanto quella di un gatto quando smette di fare le fusa per iniziare a soffiare. Solo che in questo caso sul suo volto non si lesse rabbia, bensì una sorta di gioia incredula ma ormai destata, troppo forte per essere messa a tacere. Nonostante tutto cercò di mantenersi composto.
- Di che cosa stai parlando? Come fai tu a conoscere...
- Nigel? - completò per lui Jel. - Lo devo ammettere, io non l'ho nemmeno mai visto. È stata Gala, la mia compagna di viaggio, a raccontarmi di lui e a dirmi che ti stava cercando.
A quel punto Jack parve sbiancare. - Vuoi dirmi che è qui anche lui?
- Sì, da quello che lei mi ha riferito.
- Hai idea di cosa possa fare per trovarlo?
- Mi dispiace - il Consigliere scosse stancamente la testa. - Ma credo di non poterti essere più aiuto di così. Dovresti rivolgerti a Gala, forse lei ne sa qualcosa di più.
Non seppe cos'altro aggiungere, per cui si limitò a rivolgere al comandante un cenno di saluto prima di voltarsi. Ma non fece neanche un passo che sentì una mano stringersi attorno al proprio polso.
- Jel - Jack gli si era accostato. In quel momento nei suoi occhi si leggevano molte cose, ma una su tutte le altre. - Grazie - disse con voce accorata. - Grazie infinite.
- Non mi è costato nulla - ribatte lui meccanicamente. Era la verità.
Ma c'era qualcosa nello sguardo di Jack Cox che mosse profondamente il suo animo. In quelle iridi di un azzurro terso si leggevano angoscia, incertezza, ma anche quella che il giovane riconobbe come inequivocabile, fresca, speranza. Forse, dopotutto, erano quelle le cose che avevano il potere di ridare speranza agli uomini. Non ai principi, non ai maestri, ma agli uomini che avevano sostenuto sulle loro spalle il peso di quella guerra fin dall'inizio, e lo avevano fatto sul campo.
Rivedere il proprio fratello non avrebbe dato a Jack maggiori speranze di vincere la guerra o anche solo di sopravvivere. Ma quella notizia aveva dato nuova linfa ad un uomo che fino a poco prima era apparso allo stremo delle forze e completamente privo di motivazione.
Per la prima volta sentì di provare per l'uomo di fronte a lui, se non affetto, almeno una forte empatia.
- Al prossimo incontro, Jack. Spero che nel frattempo tu e tuo fratello vi siate potuti riabbracciare.
Lui annuì. - Sei in gamba, Consigliere.
L'ombra di un sorriso acceso dell'antica sfacciataggine parve illuminare il suo volto. - È difficile che io mi ricreda su una persona, ma per te potrei fare un'eccezione.
Jel lo guardò andare via, gli occhi rimasti fermi a fissare il vuoto. Tutta la stanchezza del viaggio cominciava a farsi sentire con insistenza. Poi si ricordò di Dubhne.
Ma come c'era da aspettarselo, quando raggiunse nuovamente il punto in cui l'aveva lasciata, la ragazza era sparita.
Per una manciata di secondi il mago rimase per la seconda volta come incantato a guardare il sole che si accingeva a tramontare del tutto, spargendo ovunque la sua luce rossastra - notare la tonalità insolitamente scura gli provocò un lieve brivido di suggestione - poi tornò in sé e il cuore gli balzò in gola. Si avvicinava il crepuscolo. Che era esattamente il momento per cui era fissata la seduta successiva del Consiglio, quando il Re avrebbe finalmente comunicato come intendeva agire.





Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Capitolo 32 - Dubhne ***


Note: scusate tantissimo per il ritardo, ma dopo due mesi sono di nuovo qui ^^





32








La marcia di avvicinamento a Hiexil fu la più estenuante che Dubhne avesse mai dovuto sopportare. Non tanto da un punto di vista fisico - da quando si era arruolata ne aveva affrontate di più dure e a tappe forzate - eppure, quando finalmente la sua compagnia giunse in vista del profilo della città, per la ragazza fu come la fine di una lunga agonia. Se aveva sperato che l'esperienza di tante settimane prima avrebbe cessato di avere presa su di lei, si era sbagliata: quello era il luogo in cui, in preda alla follia, aveva rischiato di far uccidere se stessa e Jack e dove l'unico motivo per cui erano sopravvissuti era stato perché la Strega Rossa aveva deciso irrisoriamente di risparmiarli. L'idea di tornare lì e trovarsi a combattere con quella donna la riempiva di un'angoscia che non riusciva a descrivere e a cui non riusciva neanche a dare un valore preciso. Sapeva solo che rivederla sarebbe stato come ritrovarsi sull'orlo dell'abisso che si spalancava nelle profondità del suo animo.
Quando arrivarono l'assedio non era ancora cominciato. Il battaglione di Rocca Tarth faceva parte dell'avanguardia, quindi non ci sarebbero state riserve prima di prendere parte alla battaglia. Quando l'onda del primo assalto si fosse abbattuta sulle porte di Hiexil, Dubhne sarebbe stata lì volente o nolente.
Il caos che precedeva un assedio era paragonabile solo a quello che si sarebbe scatenato nel momento in cui l'esercito sarebbe dilagato in città; Dubhne aveva imparato a conoscerlo, per cui si limitò a tenersi vicina ai propri commilitoni, conscia del fatto che, una volta iniziata la battaglia, sarebbe stato meglio avere al proprio fianco persone che conosceva.
Non aveva più scorto Jack da quando erano giunti nei dintorni di Hiexil; passandole accanto, il comandante l'aveva salutata con una strizzatina d'occhi e un affettuoso cenno di incoraggiamento. Come ogni volta, la ragazza aveva respinto con forza l'affacciarsi alla sua mente dell'idea di non vederlo più.
Gli ufficiali di grado più basso avevano dato ordine di montare le tende appena fuori dalla portata degli archi delle sentinelle sulla sommità delle mura e di liberarsi degli effetti trasportati durante il viaggio eccetto - naturalmente - le armi, motivo per cui una volta finito Dubhne abbandonò la propria sacca insieme alla pelliccia che Layanne le aveva regalato e cominciò ad avviarsi verso il limitare del campo insieme al suo gruppetto.
Non vedeva l'ora di trovare la compagnia di Claya per poter combattere insieme a lei: era curioso ma, nonostante le due non avessero praticamente mai parlato di qualcosa che non fosse inerente alla guerra, in battaglia trovavano un'intesa indescrivibile, alquanto rara per due ragazze che a malapena si conoscevano.
La Combattente si mosse lungo le file di tende perlopiù ancora in fase di montaggio insieme a Joan, Philipp e Terson, finché non scorsero Edgar Priest in piedi una decina di metri davanti a loro, ritto in piedi ad osservare la città che presto avrebbero cinto d'assedio. Ancora un paio di passi e Dubhne vide Caley di fianco a lui, come si era aspettata, mentre appena più avanti la compagnia di Priest si stava già schierando.
Come li vide, l'ex secondo di Jack fece cenno di raggiungerlo. E come sempre quando si trattava di dare ordini in una situazione così delicata, nessuno si permise di fiatare.
- Non abbiamo molto tempo - esordì l'uomo in tono pratico - Siamo in avanguardia insieme alla compagnia di Edgar, quindi il generale Therandil ci vuole pronti entro quindici minuti. Ve lo dico chiaramente: nessuno qui ha più intenzione di perdere altro tempo.
Il cuore di Dubhne fece un salto nel sentire quelle parole, forse per l'adrenalina, forse per il sollievo nel sapere che presto quell'attesa sarebbe terminata.
- Jack mi ha riferito che con noi si batterà anche il battaglione di Lord Moses - e un coro di proteste si levò a quell'affermazione - ... Motivo per cui - Caley li gelò con lo sguardo - ve lo dirò anche se sono sicuro che sia assolutamente superfluo: non voglio vedervi fare stronzate. Non mi importa quanto astio ci sia fra noi e quei pezzenti di Casteldorn, quando inizierà la battaglia saranno come fratelli per voi. È chiaro?
- E dai Caley, possibile che Therandil ci abbia affibbiato proprio quegli incapaci come compagni nel primo assalto...
Il guerriero fece cenno a Joan di tacere. - Lo so, avrebbe potuto andarci meglio, ma non è una questione per cui valga la pena discutere. Jack ha fatto il possibile per controvertire la decisione, ma ai piani alti non potrebbe importare di meno delle divergenze fra feudi confinanti.
Stavano solo perdendo tempo. Dubhne sapeva del difficile rapporto che correva fra gli uomini di Rocca Tarth e quelli della famiglia Moses, ma per quanto la riguardava discutere della cosa in un simile frangente sapeva tanto di scaramuccia fra bambini irresponsabili. Non si era forse lei ritrovata a combattere con Neor, che da ex avversario ai Giochi era diventato un alleato?
Lo disse ad alta voce, quasi senza rendersene conto.
- Sei sempre ansiosa di farti ammazzare, vero? – ribatté Terson, piccato.
- Questa volta Dubhne ha ragione - Caley rispose per lei. – Abbiamo già esitato troppo. Radunate gli altri. Adesso.
Mentre si voltava per tornare a parlare con Edgar Priest, a Dubhne parve di vederlo rivolgerle un lieve sorriso d’intesa.
Mentre facevano ritorno al punto in cui la compagnia aveva piantato le tende, l’occhio della giovane cadde su un uomo che, completamente sprovvisto di armi, serrava e distendeva i palmi delle mani come a saggiarne la forza. Un mago, Dubhne aveva imparato a riconoscerli.
Sapeva che non avrebbe avuto modo di rivedere Jel prima dell'inizio della battaglia; aveva chiesto informazioni a Caley e lui aveva risposto che con tutta probabilità i padiglioni del Re e del suo seguito sarebbero stati montati a circa un miglio dalle mura, lontani dai tumulti.
Mentre con la mano destra certificava la rassicurante presenza della scimitarra serrando la presa sulla sua impugnatura, la ragazza si chiese se avesse anche solo una possibilità di combattere a suo fianco. Sapeva che il giovane aveva dei conti in sospeso con i Ribelli almeno quanto lei, ma d’altra parte dubitava che gli avrebbero permesso di rischiare la vita in una battaglia come quella.
Non si unì al coro dei suoi commilitoni che incitavano gli altri a prepararsi all’inizio dell’assedio; piuttosto rimase ad osservare tutti quegli uomini che, indipendentemente da quelle che fossero le loro emozioni, rispondevano all’appello all’unisono, raccogliendo le armi e indossando i paramenti. Conscia del fatto che probabilmente non avrebbe rivisto la maggior parte di loro – l’avanguardia significava una sentenza per molti – la Combattente attese senza fiatare che fossero tutti pronti poi, impaziente, ripartì nella direzione da cui erano arrivati.


                                                                                          ***


- Ariadoriani!
C'era qualcosa di vagamente maestoso nella figura di Jack Cox mentre, vestito di tutto punto e ritto in sella al proprio purosangue, passava in rassegna con lo sguardo le schiere di soldati del battaglione. La spada dall'elsa argentata che in passato aveva incrociato con quella di Dubhne pendeva al suo fianco, celata dal fodero di cuoio lungo più di un metro.
- Se pensate che gran parte dell'impresa sia già stata compiuta vi sbagliate. Se pensate che l'esito di questa battaglia sia scontato vi sbagliate.
Stuzzicando i fianchi del proprio destriero con lievi colpetti degli speroni, si muoveva avanti e indietro come per rivolgersi a tutti gli uomini presenti.
- Non crediate che questa volta ci batteremo contro cani sfiniti come è successo a Qorren, o contro stranieri non abituati a combattere esposti al gelo. I Ribelli rimasti a presidiare la città saranno i più forti e feroci di tutte le Terre del Nord e saranno ansiosi di trafiggere i vostri cuori con le loro lame almeno quanto voi le loro.
L'uomo che li comanda - e il comandante sputò per terra - Ferlon, è il suo nome. Si fa vanto di non aver fatto prigionieri tra coloro che ha affrontato per conquistare e tenere questa città. Molto bene, dico io, lo ripagheremo con la stessa moneta!
Quelle parole furono accolte da un boato di ovazione.
In una delle prime file, Dubhne percepiva l'eccitazione e l'adrenalina scorrerle nelle vene come un veleno pericoloso. Tenendo fisso lo sguardo sulla figura di Jack e sulla sua impeccabile divisa argento-violacea (i colori di Rocca Tarth), la ragazza pensò che sarebbe stata pronta a seguirlo ovunque.
- E quella Strega Rossa - proseguì l'uomo con fierezza e disprezzo nella voce. -Quella donna che ha massacrato i nostri fratelli in innumerevoli battaglie, quella donna che dicono non possa essere uccisa da alcun uomo vivente... Se è dentro queste mura - e con un cenno del capo indicò i bastioni dietro di lui. - Ebbene, troviamola e mettiamo alla prova la sua reputazione. E se nel farlo troveremo la morte, che tutti sappiano come muore un Ariadoriano!
A Dubhne parve di sentire il suo sguardo posarsi in particolare su di lei, lei che portava i colori dell'Ariador pur non avendo mai avuto null'altro a che fare con quella nazione, pur provenendo da un luogo sperduto fra le paludi dello Stato dei Re...
- Che tutti sappiano come muoiono i miei uomini - lo vide mormorare. Poi l'uomo sguainò la spada e con un unico, fluido movimento la puntò alta contro il cielo.
- Andate a prendervi la gloria!
Quasi assordata dal suono di centinaia di lame che venivano estratte simultaneamente dai loro foderi, Dubhne fece altrettanto. E quello stridio metallico fu più eloquente di qualunque calorosa accoglienza per quelle parole.
Mentre anche i comandanti degli altri due battaglioni raggiungevano a cavallo il punto in cui Jack aveva tenuto il suo discorso, Dubhne si apprestò ad ascoltare le indicazioni di Caley che, piedi a terra, avrebbe fornito alla sua compagnia. Non che ci fossero molte alternative.
- Avanti, uomini! Muoviamo sulle mura! Fuori con le scale d'assedio!
Mentre i suoi compagni sollevavano l'imponente mezzo d'assalto, Dubhne si parò davanti a loro insieme a un paio d'altri per far loro da scudo e cominciò ad avanzare. Passando accanto a Jack, la Combattente notò che teneva ancora il braccio alzato, la mano stretta sull'impugnatura della spada. Dal suo volto contratto comprese che l'uomo dovesse desiderare più di ogni altra cosa poter prendere parte alla battaglia insieme ai suoi uomini.
Vieni con noi, Jack. Manda al diavolo tutto e vieni con noi.
Uno dei soldati dietro di lei le passò il suo scudo e lei si affrettò a sollevarlo sopra la spalla per proteggersi dalle frecce che presto avrebbero colorato di nero il cielo. Il suo occhio allenato comprese all'istante il momento in cui gli uomini avrebbero iniziato a cadere.
Gli arcieri nordici dietro il parapetto delle mura tesero all'unisono gli archi e Dubhne non poté far altro che pregare che lo scudo proteggesse lei e in parte anche gli uomini che la seguivano reggendo la scala.
- Non arretrate di un passo! - tuonò Caley in lontananza. - Qualunque cosa ci venga scagliato contro voi non cederete terreno!
E allora andiamo.
Dubhne vide i soldati nelle file davanti a lei affrettare il passo, fino a cominciare quasi a correre. Non aspettando altro, li imitò. Non era mai stata così in prima linea nel diretto inizio di un assedio, ma l'esperienza che aveva accumulato in termini di situazioni pericolose l'aveva formata a sentirsi pronta a correre qualunque rischio.
La prima pioggia di frecce si abbatté su di loro trascinando nella fossa numerosi uomini, ma non servì; presto Dubhne si ritrovò a ridosso delle mura insieme a decine di altri soldati, e a quel punto non ci fu più tempo per pensare. Sempre tenendo lo scudo di piatto sopra la testa per ripararsi dai dardi che venivano scagliati quasi senza sosta dalle sommità delle mura, la ragazza afferrò con forza un tratto della scala a pioli che i suoi compagni avevano trasportato fin lì e, serrando i denti per lo sforzo, li aiutò a metterla in posizione quasi verticale per appoggiarla alle mura.
- È troppo corta! - esclamò qualcuno, al che Dubhne si sporse un poco da sotto lo scudo per accertarsi che dicesse il vero. Effettivamente, l'ultimo piolo rimaneva come minimo a un metro e mezzo dal parapetto.
- Dovremo aspettare che arrivino dalle retrovie quelle più grandi!
- Certo, e nel frattempo rimanere qui a farci ammazzare! - nel pronunciare quelle parole, Joan Lamar aveva teso a sua volta l'arco dopo aver estratto una freccia dalla propria faretra, puntandolo verso l'alto.
Un coro di esclamazioni di vittoria si levarono dai soldati lì radunati quando il Ribelle colpito rovinò praticamente loro addosso.
Dubhne fissò Joan e un paio di altri guerrieri della sua compagnia. - Non so voi ma io non ho alcuna intenzione di rimanere qui a farmi uccidere.
- Che intendi fare? - soffiò Terson mentre si appiattiva contro la parete per schivare una freccia.
Lei non rispose, ma si limitò a gettare un'attento sguardo alla distanza che separava l'orlo della scala dalla sommità delle mura, dalla quale gli arcieri nordici li stavano decimando. Era difficile, ma con una buona copertura da terra avrebbe anche potuto farcela.
Proprio mentre una punta di freccia si conficcava nel suo scudo alzato, la combattente avvicinò il viso a quelli di Joan e Philipp. - Pensate di riuscire a coprirmi?
- Noi veniamo con te ragazzina - disse subito il secondo, pronto a buttare a terra il proprio arco e mettendo la mano alla cintura per estrarre la spada.
- No - Dubhne lo fermò con i denti stretti. - Andremo io e Terson - e gettò al ragazzo uno sguardo d'intesa. - Se avremo successo altri ci seguiranno.
- Vi conviene sbrigarvi allora - commentò Joan asciutto dopo aver centrato in pieno petto un Ribelle. - O non rimarranno molti altri che potranno aiutarvi.
- Sei con me, ragazzo?
Per un istante Dubhne riuscì a leggere solamente paura negli occhi azzurri del giovane ariadoriano, ma trascorse un attimo e furono percorsi da un lampo di determinazione. - Sono con te, Ragazza del Sangue.
Va bene. Facciamolo.
Dubhne uscì dai ranghi e afferrò saldamente con una mano la scala d'assedio, issandosi direttamente sul secondo piolo. - Sta' dietro di me - urlò a Terson. - Stammi vicino e andrà tutto bene.
Pregando che la sua fiducia nella copertura fornitagli da Joan e Philipp fosse ben riposta, e limitandosi a proteggersi il capo con lo scudo, la Combattente salì sempre di più, fino al termine della scala. Le frecce le volavano attorno come sciami d'insetti.
Un'altra freccia penetrò nel suo scudo e, questa volta, la punta arrivò vicinissima al suo occhio destro. Doveva essere stata scagliata dal Ribelle appena sopra di lei.
- Per dio, Philip, Joan, fate qualcosa!
In risposta, pochi secondi dopo, sentì qualcosa rovinarle addosso. Stringendosi più che poteva alla rampa guardò il cadavere di un arciere capitolare sul terreno.
È il momento, è il momento!
Lasciò andare lo scudo e afferrò saldamente due merletti di pietra sopra di lei; con sommo sforzo unì al lavoro di braccia un colpo di reni e in un istante, per le seconda volta da quando quella guerra era iniziata, si ritrovò in cima alle mura di Hiexil.
Aveva appena spinto giù dalle mura un Ribelle che le si era scagliato contro quando con la coda dell'occhio vide, a terra, Joan venire trafitto al braccio da una freccia. Ma non fu necessario che fosse lei a vendicare il compagno.
- Bastardi! - ringhiò Terson fuori di sé e, come fu all'altezza del parapetto, trafisse il Ribelle che aveva scoccato la freccia conficcandogli un pugnale nella gola. Questi rimase per un istante come paralizzato, poi si portò spasmodicamente una mano sulla ferita cercando disperatamente di arginare la copiosa fuoriuscita di sangue, prima di crollare all'indietro agonizzante.
- Ben fatto! - esclamò riprendendo a combattere con foga.
Altri soldati avevano seguito il loro esempio e ora erano molte le scale che, seppur troppo corte, stavano venendo utilizzate per raggiungere la cima delle mura. Anche la prima volta, pensò la ragazza con un fremito, era sembrato che tutto sarebbe andato bene fin dall'inizio, ma poi...
Non sarà così.
Un Nordico la agguantò da dietro serrandole un braccio intorno al collo ma lei gli conficcò il pugnale in un fianco; sentì la presa allentarsi, così si liberò con un violento strattone e con la scimitarra disegnò uno squarcio nella gola dell'avversario.
Questa volta non sarà così.
Finchè, dopo molti interminabili minuti, un grido giunse da chissà dove - Dubhne non riuscì a distinguere a chi appartenesse la voce.
- Le torri! Sono arrivate le torri d'assedio!


                                                                                         ***


Nonostante distassero poche decine di miglia l'una dall'altra, non si sarebbe potuta trovare città più diversa da Qorren di Hiexil. Laddove la struttura della prima sembrava studiata apposta per poter reggere ottimamente a un assedio, nella seconda tutto si riduceva a un inevitabile caos.
Nessun anello di mura protettivo oltre ai bastioni che ne delimitavano il perimetro, nessun livello interno su cui ripiegare dopo l'apertura di eventuali brecce. Ma in compenso, Hiexil era circa due volte più grande. Si combatteva per le strade, nei crocicchi, nelle abitazioni. Erigendo una barricata dopo l'altra, Nordici e alleati delle Cinque Terre, entrambi determinati a non perdere terreno. Fino a quel momento, della Strega Rossa non si era vista traccia.
Dubhne non si perse un solo giorno di combattimenti. Anche nei giorni in cui la sua compagnia non era occupata negli scontri, riuscì sempre a trovare un pretesto per andare a trovarsi sempre al centro dell'azione. Un paio di volte non cercò neanche delle scuse, limitandosi ad unirsi di nascosto ad altre unità approfittando della confusione della battaglia. In entrambi i casi, dopo che fu tornata esausta e sanguinante, Caley si era limitato a rivolgerle un'occhiata severa scuotendo la testa, ma Dubhne era stata sicura che potesse significare anche qualcosa come: "beh, se proprio devi..."
Non era una sete di sangue più forte della norma a spingerla a combattere senza risparmiarsi. Ma aveva notato che quando si coricava sfinita dopo una giornata trascorsa ad incrociare la sua lama con quelle dei Ribelli gli incubi che popolavano con frequenza le sue notti dopo la morte di Alesha parevano diminuire.
La cosa migliore era combattere in contemporanea alla compagnia di Claya. Non che si potesse dire che fossero diventate amiche; non come era stato con Alesha o Claris, a suo tempo, senza contare il fatto che trovare le parole per descrivere il rapporto tra commilitoni era quantomai complicato.
Ed era proprio a fianco a lei che stava combattendo in quel momento. Imbottigliate nella guerriglia nella zona sud-occidentale della città, non riuscivano a guadagnare terreno se non qualche decina di metri per volta che poi venivano puntualmente recuperate almeno della metà dai Ribelli.
C'era confusione, e tanta. Dubhne sapeva che quella, in quel momento, era una delle zone più calde della città. Il perché era semplice: se fossero riusciti a portarsi fino al crocevia dove un tempo si era trovato il mercato delle pulci, da lì raggiungere il centro della città sarebbe stato semplice. In linea d'aria era poco più di un miglio, percorribile senza sprechi di tempo grazie al corso dritto come un fuso che portava appena di fianco alla piazza centrale. A quel punto il palazzo di giustizia, nell'immediato nord della città, sarebbe stato a portata di mano.
Tutti sapevano che era lì che Ferlon, uno dei più fidati generali di Theor e governatore ad interim della città, si era insediato dopo la conquista avvenuta diversi mesi prima. Tenendo conto delle voci che giravano sul suo conto, però, Dubhne non si sarebbe stupita nel trovarselo davanti in battaglia.
Come l’ultima volta, i Ribelli avevano scelto sfruttare il caos come elemento a loro favore, gettando nella mischia civili e prigionieri ariadoriani. Cogliere in quel tafferuglio la differenza tra i capelli biondi di un alleato ariadoriano e quelli di un Nordico non era un’impresa facile. Da parte sua Dubhne, ogni volta che s’imbatteva in un ragazzino, o in un vecchio, o in donne spaventate dagli occhi azzurri, li afferrava per un braccio o per le spalle e li spingeva ai margini della strada, o verso stradine laterali, ripetendo sempre le stesse parole: “Allontanatevi da qui!” All'ennesimo fendente assestato, avvertì la lama della scimitarra scontrarsi con qualcosa di duro, ma impiegò diversi istanti più del dovuto a rendersi conto che ad averla bloccata non era una lama ma un incantesimo, e che ad averlo generato era nient'altri che Jel Cambrest. Vide i suoi occhi sbarrati dallo sconcerto.
A quel punto Dubhne non riuscì a trattenersi e le sfuggi una risata sguaiata.
Ritrasse il braccio e afferrò quello del giovane con una mano, attirandolo a sé un attimo prima che un Ribelle calasse un colpo ben assestato sulla sua gola.
- Prima volta in battaglia? - ebbe modo di chiedere in un soffio.
- No - Jel spazzò via il malcapitato con un semplice gesto della mano, in un turbinio di vento. - La seconda.
Dubhne sorrise, ma non ebbe il tempo di aggiungere altro perché vennero separati. Avrebbe voluto vedere in modo approfondito come combatteva un mago e, nello specifico, come si potesse battere uno della levatura di Jel, ma lo scontro sembrava aver preso una piega leggermente favorevole; pertanto, non si guardò indietro mentre seguiva i soldati che avanzavano.


                                                                                        ***


- Dirigere la guerra dall'alto non ti basta, vero?
- È più forte di me. Ho assaggiato cosa vuol dire lavorare sul campo e non riesco più a tenermene lontano. Lo sento come un dovere.
Era il tramonto. A giudicare dalla stagione e dalla latitudine a cui si trovavano dovevano essere più o meno le cinque di pomeriggio.
Era stata una giornata sfiancante. Dopo ore e ore di scontri le truppe del generale Therandil erano riuscite ad occupare stabilmente l'incrocio che gli avrebbe praticamente consegnato l'accesso alla piazza centrale, ma lo scotto era stato pesante: un centinaio di morti e almeno il doppio di feriti. E benché le dolesse un poco ammetterlo, il contributo di Jel e degli altri maghi che erano giunti in loro soccorso era stato parte integrante in quella vittoria.
Stravaccata accanto a lui a ridosso di un edificio in pietra semi crollato, Dubhne si stava godendo le due ore scarse di riposo che erano state loro concesse prima di una nuova sessione di combattimenti notturni.
Più aveva a che fare con lui, più la ragazza si rendeva conto di quanto Jel non corrispondesse all'idea che si era fatta di lui e in generale del mondo dei Consiglieri. - Se ami così tanto combattere, perché non ti sei arruolato?
- Io non amo combattere - la corresse subito il giovane. - È solo che ne ho bisogno. Ne ho bisogno per avere l'impressione di stare davvero facendo la mia parte.
Dubhne rimase stupita di quanto quelle parole, fino a un certo punto, corrispondessero perfettamente a quelli che erano - e in un certo senso erano ancora - i suoi sentimenti. Così glielo disse.
- È così anche per me in un certo senso. C'è stato un periodo in cui il sangue esercitava un ascendente incredibile su di me. Avere il potere di togliere la vita ad un uomo è la cosa più inebriante che si possa provare. Ma non è per questo che sono venuta qui.
- Che vuoi dire?
- Questo mondo ti divora Jel. Credo che tu ne abbia assaggiato gli effetti, ogni volta che hai ucciso. Una volta che ci sei dentro non puoi venirne fuori. E piano piano diventa l'unica realtà in cui riesci a immaginare di vivere. Perché fra te e tutti gli altri ormai si è creato un solco incolmabile.
Jel taceva, ascoltandola con espressione assorta.
- Non riesci proprio a perdonarti quello che hai fatto nell'Arena vero?
Un brivido percorse la schiena della Combattente. Ciò che provava verso quella parte del suo passato era qualcosa di unico e contorto. Ed era da quando aveva ritrovato Alesha che non parlava con qualcuno dei Giochi.
- Uccidere quelle persone ha aperto ferite insanabili dentro di me - scosse la testa. - Eppure se ne avessi la possibilità rifarei quasi tutto.
Jel fece per replicare, quando Dubhne lo vide esitare fissando qualcosa al di sopra della sua spalla. - Che c'è? - domandò girandosi in quella direzione.
Gala Sterman, la compagna di viaggio del Consigliere, avanzava verso di loro con passo svelto.
- Jel, devi venire nella tenda del Consiglio alla svelta. I Custodi che abbiamo convocato sostengono di avere pronto un prototipo dell'amuleto che il Re... - s'interruppe di botto, riconoscendo Dubhne.
- Oh, sei tu - constatò con aria leggermente contrariata. - È proprio vero che chi non muore si rivede.
- Vale anche per me - sorrise la Combattente allungano una mano. Gala, un po' sorpresa, la strinse. Poi tornando a rivolgersi a Jel: - Per oggi hai finito di combattere. Credo che il Re ci terrà laggiù per un bel po'.
Il giovane mago rivolse a Dubhne un'occhiata di scuse mentre si alzava per seguire l'amica. - Ho possibilità di rivederti, domani? - le domandò con una certa agitazione nella voce.
- Vivrò, te lo prometto.
Li guardò andare via. Dopo che ebbero messo circa una ventina di metri tra loro e la Combattente, Dubhne vide Gala voltarsi verso di lei e rivolgerle ancora un'occhiata dubbiosa, ma quando si accorse del suo sguardo si affrettò a girare la testa.
- Ti sei fatta degli amici nel Consiglio, vedo - constatò una voce appena dietro di lei. Era Joan Lamar, il braccio ferito avvolto in una benda rigida e chiazzata di rosso. Le due vistose borse sotto gli occhi gli conferivano un'aria malaticcia, ma era già qualcosa che si reggesse in piedi.
- Sono due vecchie conoscenze - rispose la ragazza evasiva. - Li ho conosciuti poco prima di arruolarmi. Tu piuttosto - aggiunse cambiando argomento - Come ti senti? Ho sentito che avresti potuto perdere il braccio.
- Sono stati sul punto di tagliarmelo, me l'hanno detto - confermò l'uomo cupamente. - Ma alla fine sono riusciti a sventare la cancrena, almeno per ora. Non ci tengo a finire come Neor...
Un doloroso calore allo stomaco contorse le viscere di Dubhne nel pensare a lui e Alesha, ma lei si costrinse a non soffermarvisi.
- Guarda il lato positivo, almeno hai la certezza che vivrai per un altro giorno.
Joan le menò un leggero scappellotto sulla testa con il braccio sano. - Sai che darei qualunque cosa per poter combattere ancora con la mia compagnia. Quando sarà il momento... proteggi Philipp e Terson.
- Lo farò - rispose Dubhne annuendo.
Era la seconda promessa in cui si impegnava, quella sera.


                                                                                       ***


Quella notte presero parte della piazza centrale, e in due giorni furono alle porte del palazzo di giustizia. Sembrava che tutti i Nordici superstiti si fossero radunati in quel punto: dai tetti e i balconi tutt'intorno arcieri nemici rovesciavano nugoli di frecce sui soldati delle Cinque Terre, e l'accesso al palazzo era stato circondato da una barricata composta da travi di legno, blocchi di pietra presi dagli edifici crollati e giganteschi sacchi di sabbia. La piazzetta ante stante si era rapidamente trasformata in un bagno di sangue.
Dubhne era finalmente riuscita a combattere al fianco di Claya durante la prima fase degli scontri, ma ora era da diversi minuti che l'aveva persa di vista. Quel giorno i generali avevano fatto riversare in città anche tutte le truppe ausiliarie che finora erano rimaste a secco di combattimenti, motivo per cui la sproporzione in campo era di circa dieci a uno. Non per questo le possibilità di rimanere uccisi si erano ridotte però.
Dubhne cominciò ad arrampicarsi sulla barricata facendo cenno ad altri soldati di seguirla; raggiunta la sommità trafisse il Ribelle che era spuntato dall'interno e diede una mano all'ariadoriano che stava salendo dietro di lei. Approfittando della posizione sopraelevata individuò poco distante da loro un Ribelle che combatteva simultaneamente con due sciabole, muovendosi come una furia fra i soldati delle Cinque Terre e abbattendone una moltitudine. Era alto e slanciato, un mezzosangue probabilmente vista la chioma di capelli castani. La sua armatura sembrava d'argento, e dalle sue spalle pendeva un mantello di velluto grigio.
Ferlon! pensò la giovane. Completamente dimentica dei suoi propositi di un attimo prima si mosse di slancio verso di lui, ma venne anticipata. Un Ribelle le si parò davanti e, tempo di trafiggerlo con la scimitarra, qualcun altro si stagliò davanti al generale nordico. Era Jack.
Jack, che non prendeva parte a una battaglia da un tempo che sembrava lunghissimo. Jack, che evidentemente aveva mandato al diavolo la diplomazia per stare fianco a fianco con i suoi uomini in quella fase decisiva della riconquista.
- Ci siamo già incontrati, non è vero? - udì proferire Ferlon, sprezzante. - Tu eri il comandante che ha inseguito i miei uomini quando abbiamo preso la città.
A una decina di metri da lui, Dubhne vide Jack digrignare i denti. - La tua carriera di governatore finisce oggi, figlio di puttana.
Ferlon si limitò a rispondere con un ghigno divertito. Come paralizzata, Dubhne rimase a guardare i due comandanti che ai scagliavano l'uno contro l'altro, ma dovette ridestarsi in fretta, perché un Ribelle l'aveva afferrata per le spalle trascinandola all'indietro. La combattente rovinò a terra e frappose la lama della scimitarra tra sé e quella dell'avversario appena in tempo. Rotolò su un fianco e, reggendosi sulle braccia, assestò un calcio sulle caviglie del suo aggressore facendolo inciampare a sua volta. Gli tagliò la gola con un veloce movimento e si rimise in piedi. Una sferzata di spada la colpì alla schiena facendola gemere di dolore, ma riuscì a controllarsi quel tanto che bastò per girarsi di scatto e colpire il guerriero che l'aveva ferita con un calcio nello sterno; questi cadde all'indietro trascinando con sé anche un giovane soldate ariadoriano che Dubhne si affrettò a soccorrere rimettendolo in piedi.
Col fiatone, la ragazza gettò uno sguardo per individuare Jack, e constatò che lui e Ferlon si erano allontanati parecchio durante il loro scontro. Non riuscì a stabilire con certezza se l'uomo fosse ferito, ma quello che era certo e che si stava accanendo sull'avversario con tutte le proprie forze. Non che Ferlon fosse da meno: mulinando le due eleganti sciabole, si muoveva intorno al comandante ariadoriano tenendolo occupato su tutti i fronti e menando fendenti che puntualmente venivano parati o schivati. Jack era abile e veloce, ma Dubhne non era certa che potesse continuare a difendersi così ancora per molto.
Dalle retrovie era emerso un ariete che stava vibrando colpi alla porta principale del palazzo di giustizia ormai da un paio di minuti, oltre la barricata difensiva sfondata. La città era praticamente presa, peccato che nessuno l'avesse detto ai Ribelli.
Dubhne stava ancora cercando di farsi largo tra la folla per raggiungere Jack, quando lo sentì urlare di dolore; Ferlon lo aveva colpito a una gamba.
Maledizione!
Il battito del suo cuore accelerò ancora, facendosi forsennato. Non poteva perdere anche lui, non poteva...
Mentre si liberava di un Nordico che l'aveva ostacolata facendolo praticamente a brandelli, vide il generale Ribelle far cadere all'indietro Jack con un calcio.
- No, Jack, NO!
Ferlon affondò con la sciabola sul comandante ariadoriano, ma Dubhne lo vide scansarsi di lato appena in tempo, schivare un altra volta e tirarsi su con un colpo di reni. Si abbassò evitando le lame dell'avversario che si incrociavano appena sopra la sua testa, rotolò di nuovo a terra ma questa volta fu lui a colpire le gambe di Ferlon, facendogli perdere l'equilibrio. Una sciabola gli volò via dalla mano.
Qualcuno afferrò Dubhne per i capelli e la sbatté a terra; scintille esplosero davanti alla sua visuale quando picchiò la testa contro le lastre di pietra, e per un attimo la giovane pensò che sarebbe morta. Questo prima di vedere una lama spuntare dal ventre del guerriero che l'aveva aggredita. Dietro di lui c'era Philipp, che le allungò una mano per aiutarla ad alzarsi, ma lei era talmente in ansia per Jack che dimenticò di ringraziarlo. Falciò ancora un paio di nemici, finché si ritrovò a pochi passi da loro.
Le loro lame si incrociavano con ferocia. Ma se Ferlon era ben protetto dalla spessa armatura integrale, Jack aveva la divisa squarciata in più punti. Alcune delle placche della sua cotta si erano distanziate laddove l'avversario gli aveva aperto tagli sanguinolenti, e la gambe ferita sembrava provocargli un dolore folle.
Ferlon si tirò fuori da una situazione di stallo, lama contro lama, assestandogli una testata in pieno volto; Jack reclinò il capo all'indietro mentre uno schizzo purpureo lo imbrattava, ma mentre indietreggiava menò un colpo apparentemente alla cieca verso l'avversario, che non riuscì a sfruttare il proprio vantaggio. Ferlon si avventò su di lui calando la sua arma dall'alto verso il basso, andando a vuoto, concedendogli un istante sufficiente affinché Jack potesse rispondere con un colpo diretto sul polso che reggeva la sciabola.
Dubhne rimase a guardare come al rallentatore la mano del generale che si staccava dal resto dell'arto e veniva sbalzata via, mentre un fiotto di sangue arterioso schizzava in tutte le direzioni a partire dal moncherino.
Jack, al contrario, non perse tempo e si avventò su di lui. Gettò rabbiosamente la spada a terra e abbatté due montanti sul suo volto, sufficienti per farlo cadere all'indietro; a quel punto, lo afferrò per il bavero con una mano e con l'altra cominciò e colpirlo in faccia con le nocche della mano destra serrate.
Ferlon non lo implorò mai di smettere, forse per orgoglio, forse perché i pugni di Jack non gli lasciarono nemmeno il tempo di respirare. Alla fine, anche dopo che la sua faccia fu completamente sfasciata, fu necessario l'intervento di Caley - anche lui completamente coperto di sangue - per far rinsavire il comandante.
- Basta, Jack, è finita! La battaglia è finita, la città è nostra! - urlò a due centimetri dal suo orecchio, avvolgendolo con le braccia.
L'uomo fermò il braccio a mezz'aria e si voltò verso il suo secondo; sembrò che impiegasse un paio di secondi per riconoscerlo davvero.
- È finita - ripeté Caley con un'ombra di commozione nella voce. Sconvolto, Jack annuì, al che l'altro lo lasciò andare. Ferlon giaceva ai suoi piedi, senza vita, come le ultime difese di Hiexil. Nel vedere il loro generale accasciarsi a terra esanime, molti dei Ribelli rimasti avevano cominciato a gettare le armi e ad arrendersi.
Dubhne rimase in piedi a riprendere fiato guardandosi attorno nella desolazione della città riconquistata, fra muri crollati e mucchi fumanti di cadaveri. Il lastricato di pietra era così intriso di pozze di sangue da risultare scivoloso. Solo ora che la battaglia era finita si rendeva conto di quanto le dolesse la schiena. Si tastò la ferita con una mano e constatò che il retro della sua cotta era stato squarciato. Un taglio lungo e slabbrato le percorreva la colonna vertebrale.
Si accorse solo in quel momento che Jack le stava venendo incontro e lo guardò, disfatto ma vivo. Il modo in cui era riuscito a finire un avversario come Ferlon l'aveva lasciata senza parole.
- Perché quella faccia, Ragazza del Sangue? - la irrise passandole accanto. - Non sarai forse sorpresa?





Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Capitolo 33 - Jel ***


33








Tirava vento.
Si insinuava fra i lembi che celavano l'ingresso del padiglione e con spifferi gelati suscitava brividi nei membri del Consiglio lì riuniti, nonostante il fuoco magico che scoppiettava in svariati angoli della tenda.
Il Re delle Cinque Terre aveva deciso di far montare ancora una volta l'immenso padiglione nel quale aveva alloggiato nelle settimane precedenti alla conquista di Hiexil; il motivo era che il palazzo di giustizia della città non disponeva di una sala delle riunioni adeguatamente grande per ospitare un simile numero di persone. Perché quella sera, come in molte altre sere precedenti, non erano solo i componenti del Gran Consiglio di Grimal a presiedere: a loro si aggiungevano i gerarchi dell'Esercito delle Cinque Terre, più i Lord più importanti della nazione ariadoriana. E infine, tutti e quattro i Custodi rimasti fedeli all'alleanza: Farer, seduto a pochi posti di distanza dal Re delle Cinque Terre, e accanto a lui Anther dall'Haryar, Verion di Tharia e Minston del Bianco Reame.
Ciascuno di loro era stato chiamato a rispondere all'appello delle Cinque Terre molto prima che il dominio nordico su Hiexil cadesse, affinché mettessero a servizio della causa la loro sconfinata conoscenza delle arti magiche. Il Re in persona li aveva svincolati dal giuramento prestato al momento della loro investitura come Custodi: non prendere parte alcuna alle questioni politiche di Fheriea.
Per quanto riguardava il sigillo che aveva condotto Ïsraen Kryss alla morte, il segreto delle Pietre era ormai stato svelato. Nessuno di loro sarebbe stato costretto a incorrere nella stessa sorte toccata al Custode dello Stato dei Re.
Jel, seduto al suo posto tra Gala e il maestro Anérion, teneva lo sguardo incollato sul Re delle Cinque Terre senza perdersi una parola del discorso che stava pronunciando.
- Miei signori - esordì con voce profonda dopo che il suo attendente personale ebbe snocciolato i nomi e le cariche di tutti i presenti. - Siamo qui riuniti per l'ultima volta, prima che in un modo o nell'altro questa guerra finisca. Grazie al lavoro svolto dai Custodi seduti a questo tavolo, domani saremo pronti per varcare il confine delle Terre del Nord e muovere alla volta di Amaria. Custode Farer, se volete prendere la parola.
L'anziano Ariadoriano si alzò in piedi.
- Quasi un mese fa ci è stato richiesto di provare a riprodurre il genere di magia protettiva usato secoli fa dai primi Custodi per schermare i Consiglieri delle cinque Terre dall'esplosione delle Pietre volta a distruggere gli ultimi Maxers esistenti e di confinarla in un oggetto di piccole dimensioni e facilmente trasportabile. Un amuleto, un ciondolo per esattezza. Durante l'assedio di Hiexil siamo riusciti a produrne un prototipo, e siamo ora fieri di annunciare che tutti i trecento pezzi che erano stati richiesti sono ora pronti per essere utilizzati.
Jel avvertì un brivido corrergli lungo la schiena. Un paio di settimane prima il Custode Farer aveva mostrato ai membri del Gran Consiglio una semplice collana di spago, con un pendente che assomigliava a una grossa biglia di vetro.
L'uomo fece un cenno a un paio degli attendenti che stavano in silenzio in svariati angoli della tenda; i due ragazzi sollevarono un forziere di ferro con evidente fatica e lo trasportarono fino al tavolo. A quel punto Farer estrasse dal mantello una spessa chiave e la inserì nella serratura. Vi fu un piccolo scatto e il forziere si aprì.
Jel vide Gala allungare il collo per osservarne meglio il contenuto.
- Trecento ciondoli, non uno di più, non uno di meno - ribadì il Custode.
Trecento... quella cifra fece sorgere in Jel un dubbio che fino ad allora non aveva considerato. Era stato stabilito che un solo battaglione si dirigesse al santuario, e nemmeno quelli più importanti contavano più di un paio di centinaia di uomini...
- Grazie, Custode Farer - asserì il Re, atto al quale i quattro Custodi rispose portandosi una mano al cuore e chinando la testa. I due attendenti richiusero il forziere e lo levarono dal tavolo.
Indi il sovrano riprese a parlare: - A seguito della nostra ultima riunione ho riflettuto lungamente insieme ai nostri generali, e infine sono giunto alla conclusione che il nostro iniziale piano debba subire una rettifica.
Un mormorio concordante si diffuse intorno alla tavolata.
Il totale fallimento della missione diplomatica ad Amaria condotta dal maestro Raenys aveva messo il Consiglio in una situazione ancora più precaria di quanto già non fosse stata. Per quanto il maestro di Tharia sostenesse di non aver mai discusso in privato con il proprio attendente Dane Westerling delle decisioni del Gran Consiglio, era risaputo il fatto che gli attendenti prendessero parte in modo passivo alla maggior parte delle riunioni e che, trovandosi a palazzo in ogni momento, avessero modo di osservare e rilevare gli avvenimenti più importanti, o cogliere brandelli di conversazioni tra maestri, consiglieri e sovrani.
Per questo motivo il fatto che Raenys fosse tornato dalla capitale nordica in uno stato di malnutrizione e principio di ipotermia ma, soprattutto, solo, aveva insinuato nella mente di tutti il tarlo che Dane, catturato sotto gli stessi occhi del maestro, avesse sotto torchio rivelato dettagli fondamentali sulla natura e il funzionamento delle pietre e su come il Consiglio intesse muoversi. E il fatto che Theor avesse richiamato Sephirt prima della battaglia di Hiexil ad Amaria non faceva che dare solidità al presentimento che i Ribelli avessero scoperto almeno parte del loro piano.
Nella precedente seduta del Gran Consiglio molti generali e consiglieri - Raenys per primo - avevano espresso l'urgente necessità di cambiare strategia per evitare di essere colti di sorpresa dai Ribelli.
Il problema era che la soluzione sulla bocca di tutti avrebbe comportato un notevole compendio di vite umane tra le fila dell'Esercito delle Cinque Terre e delle truppe feudali ariadoriane, motivo per cui alcuni consiglieri si erano mostrati contrari. Per questo il Re aveva aspettato la seguente riunione per comunicare la sua decisione finale.
- L'idea che una parte del nostro esercito si scinda dal corpo centrale per raggiungere il santuario rimane un punto fermo della nostra strategia, ma con alcune modifiche. Generale Fànersan, lascio a voi la parola.
Il distinto e slanciato gerarca ariadoriano dell'Esercito continentale si alzò in piedi a sua volta; non doveva avere più di cinquant'anni, ma il volto segnato e i capelli biondi ingrigiti lo facevano apparire più vecchio.
- Se Theor è realmente venuto a conoscenza del nostro piano è probabile che si sia messo alla ricerca di questo santuario per presidiarlo e impedirci di prelevare le il talismano. Motivo per cui abbiamo stabilito di incrementare il numero di soldati che prenderanno parte a questa missione, raddoppiando il numero di battaglioni coinvolti.
- Perché - intervenne Lord Penrose, signore di Pensbrook - perché a questo punto non dirigere l'interezza delle nostre truppe verso il santuario, in modo da annientare qualunque resistenza?
- Mobilitare l'Esercito delle Cinque Terre in questa missione significherebbe una manovra troppo lenta che ci farebbe perdere tempo prezioso. Inoltre, gli esploratori nemici individuerebbero senz'altro un così vasto dispiegamento di forze e, vista la conformazione del territorio, la cosa ci farebbe offrire il fianco ad eventuali imboscate e azioni di sabotaggio, senza contare che i Nordici conoscono quel genere di territorio molto meglio della maggior parte di noi. Cercherebbero di spezzare le nostre linee e disperderci prima ancora che abbiamo raggiunto il nostro obiettivo.
- Più si procede verso nord-est più le colline si fanno aspre e scoscese, prima di trasformarsi in rilievi rocciosi in prossimità della costa - spiegò il figlio del defunto Lord di Hiexil e nuovo governatore della città. - Gli uomini dovrebbero attraversare numerose conche e strettoie, e come se non bastasse la presenza di grotte naturali garantisce ottimi nascondigli per eventuali assalitori.
- Grazie, lord Berald - fece il generale annuendo, prima di proseguire. - Come stavo dicendo, le modifiche più rilevanti apportate al nostro piano d'azione riguardano i movimenti del grosso delle nostre truppe. Invece di attendere il ritorno della delegazione diretta al santuario nella piana di Dárenlas, esse punteranno direttamente su Amaria per intraprendere un attacco fulmineo e anticipato rispetto a quanto si aspettano i Ribelli. Theor lascerà sicuramente alcune truppe a presidiare la città per precauzione, ma non saranno sufficienti a fermarci. Pensiamo invece che, puntando tutto sull'attacco al santuario, deciderà di portare con sé la sua famosa Strega Rossa.
- Sephirt - disse Jel a bassa voce quasi senza rendersene conto.
Fánersan gli lanciò un'occhiata gelida. - Come, prego?
- Sephirt - ripeté Jel con più convinzione. Era stanco di sentire alludere a lei come a una specie creatura mistica. - Il suo nome è Sephirt. La strega che tutti cercano.
- Jel Cambrest era il Consigliere designato per radunare le Sei Pietre - gli venne in aiuto il maestro Althon - Ha avuto modo di conoscere i poteri della Strega Rossa sulla propria pelle.
- Capisco - commentò il generale freddamente; non sembrava che l'informazione lo toccasse più di tanto. - In ogni caso, crediamo che Theor terrà Sephirt accanto a sé nel caso decida davvero di attenderci al santuario.
Diversi tra i presenti si agitarono sulla sedia, e Jel immaginò che ciascuno di loro stesse ardentemente sperando che a venire destinato al santuario non fosse il proprio battaglione. Lui a contrario vedeva uno scontro con Sephirt come unica via per chiudere la loro guerra personale; non aveva sostenuto mesi di durissimo addestramento per poi non avere la possibilità di portare a termine l'obiettivo che si era prefissato. O morire nel tentativo.
Fànersan stava tentando di calmare gli animi per poter continuare a illustrare il piano. - Si tratta senza dubbio della principale minaccia per i nostri uomini, tuttavia pensiamo sia inutile mandarle contro un maggior numero di legioni: l'uso delle armi non sembra sortire alcun effetto su di lei. È per questo che abbiamo deciso di accorpare ai due battaglioni un considerevole numero di maghi fra gli stessi membri del Consiglio, possibilità che era già stata accolta precedentemente.
Così dicendo compì un vago gesto della mano, come indicando i vari maestri e Consiglieri versati nelle arti magiche. Jel sentì crescere l'agitazione: di certo il generale stava per pronunciare i nomi dei maghi che si sarebbero uniti ai due battaglioni per la missione al santuario...
E invece a prendere la parola fu il sovrano dell'Ariador, Aesyon - I due battaglioni prescelti per tale compito sono stati individuati seguendo una serie di criteri - esordì solennemente, squadrando i presenti con occhi determinati, quelli di un uomo che non ammetteva repliche. - Innanzitutto riteniamo che questo compito spetti a truppe originarie di questa nazione, e non all'Esercito delle Cinque Terre. Non si tratta - aggiunse nel notare l'espressione contrariata di alcuni membri del Consiglio - solamente di una questione di merito o di responsabilità, ma di strategia: i soldati dei lord ariadoriani conoscono il territorio meglio di qualunque recluta delle Cinque Terre. Ecco perché, in aggiunta, abbiamo preso in considerazione solo battaglioni facenti riferimento a feudi delle regioni settentrionali, sicché abbiano dimestichezza con i territori simili a quelli dove si trova il santuario.
Fece una breve pausa.
- Infine, abbiamo escluso quelli che contassero un numero inferiore a cento componenti.
- Dunque? Quali sono i due battaglioni su cui ricadrà quest'onere? - chiese impaziente un Lord ariadoriano di cui Jel non conosceva il nome.
Aesyon emise un lungo sospiro; era evidente come, in quanto supremo referente delle truppe feudali ariadoriane, provasse rammarico nel destinare così tanti uomini a una morte quasi certa.
- Tramite un equo tiro a sorte - disse ponderando ogni parola - sono stati designati i battaglioni di Harrel, guidato da Lord Versjan, e il battaglione di Rocca Tarth del comandante Jack Cox.
Jel impiegò una manciata di secondi per rendersi conto di cosa questo significasse. Poi il suo cervello si mise in moto e in una frazione di secondo percorse tutti i passaggi necessari. Rocca Tarth. Jack. Era il battaglione di Dubhne.
- Dal momento che nessuno dei due comandanti è presente a questa riunione - proseguì Aesyon a voce alta per sovrastare il brusio che si era levato intorno al tavolo - Mi occuperò a breve di comunicare loro la decisione.
Jel vide che Gala a suo fianco aveva gli occhi sbarrati. Considerando il fatto che era in debito di vita con il comandante Cox, oltre all'amicizia che l'aveva unita a suo fratello Nigel, non c'era da stupirsi che la notizia l'avesse colpita con forza. - Per quanto riguarda i maghi che si occuperanno di dare man forte nell'impresa - proferì a quel punto il Re della Cinque Terre, al che le orecchie del giovane mago si drizzarono immediatamente - mi sono preso la responsabilità di nominarli io stesso.
Estrasse dal mantello una pergamena che srotolò sotto gli occhi di tutti e si accinse a leggere.
- Maestro Felinor Althon. Maestro Gerd Raenys. Lenka Birthenson, grado di Consigliera della nazione di Tharia. Maestro Sven Anérion. Gala Sterman, grado di apprendista esperta dello Stato dei Re.
Jel sentì l'amica afflosciarsi sulla sedia accanto lui e avvertì un tuffo al cuore. - ... Steward Flemm, grado di Consigliere dello Stato dei Re. Adem Læris, Consigliere del Bianco Reame.
Volse lo sguardo nella direzione del maestro Ellanor e di Lady Kaief.
- Miei signori, ho ritenuto necessario che almeno due dei nostri maghi più potenti seguissero il grosso del nostro esercito per l'attacco ad Amaria.
- Certo, mio signore - rispose la donna del Bianco Reame, per una volta senza replicare, chinando il capo.
A quel punto il Re rivolse un lungo sguardo a Ellanor.
- Sarà un onore poter partecipare alla conquista della città - affermò il maestro ariadoriano con ferma risolutezza nella voce. - E porre fine all'egemonia dei Ribelli.
- Così sia allora. Queste sono le mie scelte.
Gala aveva lo sguardo di chi ha appena scoperto di essere rimasta sola al mondo. Fissava Jel aprendo e chiudendo la bocca senza riuscire a emettere suono.
Per quanto lo riguardava, una rabbia mista a terrore gli aveva avvinghiato le viscere. Ma non ebbe tempo di parlare perché il Re si rivolse direttamente a lui.
- Consigliere Jel Cambrest, suppongo sia doveroso riconoscere che, senza di voi, il nostro attuale piano non potrebbe esistere. Il vostro proposito di recuperare le Sei Pietre si è rivelato provvidenziale, così come la vostra fede. Per questo motivo abbiamo deciso di affidarvi il comando delle truppe sul fronte orientale dell'attacco ad Amaria.
Per un attimo Jel fu così spiazzato da non riuscire a replicare. Diversi Lord e Consiglieri si erano voltati verso di lui e nei loro occhi il giovane lesse il proprio stesso sconcerto.
- Ma io non ho esperienza in ambito militare - disse debolmente. - Ho preso parte a malapena a due battaglie e di certo non ho mai comandato alcun battaglione. Credo che sarebbe più utile inviare anche me al santuario.
- Ciascun battaglione avrà il proprio ufficiale di riferimento, non vi preoccupate. Si tratta più che altro di un ruolo rappresentativo per le nostre truppe, oltre ad essere una buona occasione per dimostrare il vostro valore.
- Non sono d'accordo mio signore - insorse Jel cercando di modulare il tono della voce. - Io conosco Sephirt meglio di chiunque altro e, se c'è qualcuno che può avere una possibilità di batterla, quello sono io.
Aveva parlato forse con troppa superbia, rivolgendosi direttamente al Re delle Cinque Terre per di più, ma in quel momento non gli importava. Non aveva potuto tacere.
- Non discuterò oltre, Consigliere Cambrest - replicò questi una volta superato l'infinitesimale istante di stupore. - Vi abbiamo concesso l'onore di guidare un reggimento in quella che sarà probabilmente la più importante battaglia di questo secolo, per cui onori a sua volta questo incarico.
Jel provò l'impulso di alzarsi in piedi e lasciare la sala seduta stante, mandando al diavolo tutti, Re delle Cinque Terre incluso, e andare a cercare Sephirt da solo. Ma l'attimo di follia ebbe vita breve.
- Sì, mio signore. Perdonatemi.
- Un eccesso d'intemperanza, mio Re - intervenne il maestro Anérion scoccandogli uno sguardo di rimprovero. - Sono sicuro che il ragazzo comprenda il privilegio che gli avete concesso.
Questa volta fu Jel a sostenere con freddezza lo sguardo del maestro dello Stato dei Re. - Non credo che il Re abbia bisogno del vostro aiuto per comprendere la situazione, signore.
- Adesso basta - nitrì il sovrano infastidito. - Stiamo progettando un assalto o ve lo siete dimenticati? Risolverete le vostre divergenze più tardi.
Con la sensazione di aver appena ingerito a forza un pugno di sassolini Jel si costrinse a tacere. Il suo animo ribolliva: non credeva all'eventualità che il Re lo avesse separato dalla possibilità di affrontare Sephirt ancora una volta di proposito, eppure la cosa lo riempiva di rabbia. Forse il maestro Anérion, con il quale il rapporto si era incrinato non poco negli ultimi mesi c'entrava qualcosa con quella faccenda.
Il Re nel frattempo si accingeva ad elargire le ultime disposizioni.
- L'avanguardia sarà composta da tre battaglioni e la sua gestione verrà affidata a voi, Lord Gerard.
Il signore di Rosark, un uomo guercio da un occhio e dal fisico asciutto, rispose portandosi una mano al cuore. - Vi ringrazio per questo onore, vostra maestà.
- Infine, il generale Fanersan, in quanto artefice principale del nostro piano d'azione e comandante in capo dell'attacco, sarà alla testa del corpo centrale, mentre il generale Marat guiderà il fronte occidentale.
I due gerarchi dell'Esercito delle Cinque Terre si limitarono a chinare il capo come gesto di consuetudine. Era evidente che di generali fossero al corrente di tutti i dettagli militari da ben prima della riunione.
Il silenzio si impadronì del padiglione per qualche istante. I lembi della tenda continuavano a ondeggiare, frustati da quel vento gelido. In piedi ai loro posti, gli attendenti erano scossi dai fremiti.
- Miei signori - proferì alla fine il Re, seduto con le mani congiunte sotto la punta del naso. - Generali delle Cinque Terre, Lord dell'Ariador... Ho condiviso con voi quanto c'era da sapere. Non mi resta che ringraziare ciascuno di voi per la vostra presenza e il vostro operato, la fedeltà nel perseguire la causa, gli uomini che avete sacrificato. Comunque vada, presto questa guerra finirà. Prego di aver fatto tutto il possibile perché, quando sarà il momento, possiamo ergerci sul campo da vincitori.
- Ora però vi chiedo di lasciarmi solo con i miei Consiglieri, per discutere di affari strettamente riservati.
I presenti estranei al Gran Consiglio, incluso l'alto comando delle Cinque Terre, lasciarono i loro posti; alcuni di loro rivolsero ai rimanenti occhiate cariche di disappunto. Un paio di generali parvero addirittura sul punto di muovere qualche protesta, ma alla fine desistettero.
Jel li guardò andare via in uno stato d'animo ancora piuttosto astioso, ma fu richiamato all'attenzione quando il Re delle Cinque Terre parlò: - Miei fidati Consiglieri, immagino che abbiate intuito perché vi ho trattenuti ulteriormente.
- Serve qualcuno che tenga al sicuro le Pietre durante la battaglia - mormorò Raenys con un sorriso distaccato. - E che si occupi di recuperare il talismano.
- Esattamente. Per quanto mi riguarda, siete tutti egualmente meritevoli di caricarvi sulle spalle questo onore. Ecco perché ho deciso di affidare la scelta a un sistema di votazioni.
Un mormorio concordante si diffuse all'interno della tenda; Jel lanciò un'occhiata furtiva a Gala e constatò con piacere che la strega aveva riacquistato un po' di colore.
- Dunque, chi si candida per questo delicato compito?
Tra coloro che erano stati designati per la missione al santuario soltanto in quattro alzarono la mano: Anérion, Althon e, con gran sorpresa di tutti, la stessa Gala.
- Siamo stati noi a trovarle - spiegò con un fil di voce, lievemente rossa in viso, in direzione di Jel. - Sento che questo compito ci appartiene.
Il giovane rispose con un tirato sorriso d'incoraggiamento. Non era sicuro che l'amica fosse la scelta più adatta per un incarico del genere; come lui, non aveva grande esperienza in battaglia.
- Chi è a favore del maestro Anérion come portatore delle Pietre?
L'intera delegazione dello Stato dei Re - eccetto Jel e Gala - alzarono la mano, al che quattro o cinque Consiglieri di altre nazioni li imitarono.
- Chi per il la Consigliera Gala Sterman?
Lady Brinn Kaief alzò la mano, seguita da tutti gli altri Consiglieri del Bianco Reame.
Gala rivolse loro uno sguardo sorpreso: di certo si era aspettata che nessuno la sostenesse in quella decisione. La Lady maestro della Gente Bianca la guardò con un lieve sorriso. - Siete stata in grado di sostenere e portare a termine la ricerca della Pietra del Nord. Sono sicura che riuscirete a tenerle al sicuro anche in questo frangente.
Alla fine, anche Jel consegnò a Gala il proprio voto. Dopotutto, la vita della ragazza sarebbe stata in pericolo comunque per cui, se desiderava prendersi quella responsabilità, meritava che le venisse concessa una chance. Senza contare che sarebbe stata un soggetto molto meno facilmente individuabile di Althon o Anérion: Theor non si sarebbe mai immaginato che proprio quella ragazzina dai capelli viola potesse avere con sé le armi che li avrebbero distrutti.
- Chi infine, per il maestro Althon?
Le mani di tutti i Consiglieri restanti si levarono quasi all'unisono.
Il Re delle Cinque Terre emise un sospiro. - Molto bene. Così è deciso: il maestro Felinor Althon si occuperà di proteggere le Pietre durante la battaglia, di recuperare il talismano e, qualora si renda necessario, di attivarne la magia per contrastare i Ribelli.
Jel avvertì un fremito di rabbia e di paura attraversargli la colonna vertebrale. Per la prima volta dopo secoli le Pietre Magiche sarebbero state risvegliate e, qualunque cosa significasse, lui non sarebbe stato presente. Il Gran Consiglio avrebbe avuto la possibilità di usarne lo sconfinato potere contro Sephirt, e lui non sarebbe stato presente.
Quando il Re parlò, si intuì che la riunione era giunta al termine. E, nonostante il risentimento, Jel non poté impedirsi di pensare che mai quell'uomo avesse parlato loro con tale sentimento e gravosità.
- Miei signori. Miei Consiglieri. Compagni in questa tempesta, amici. Non ci sono parole per descrivere la gratitudine che nutro nei confronti di ciascuno di voi per il lavoro continuo ed estenuante che avete sostenuto da due anni a questa parte. Abbiamo avuto la fortuna di vivere, finora, in una Fheriea perlopiù pacifica e distante dalle grandi guerre del passato, ma questo ha fatto sì che una Ribellione di questa portata ci cogliesse assolutamente impreparati. Eppure mi sento di dire che non sostituirei nessuno di voi per il comportamento ineccepibile che avete mantenuto, e per l'abilità con cui avete messo in pratica le vostre vaste conoscenze. Dovete fidarvi quando vi dico che è stato un onore poter lavorare insieme a voi.
Non fosse stato così infuriato, forse Jel si sarebbe commosso nel sentire quelle parole. Di certo era un evento assolutamente eccezionale che il sovrano delle Cinque Terre parlasse loro con simile trasporto.
- A tutti coloro che fra voi si ritroveranno in battaglia, nel prossimo futuro, auguro che la grande Magia che governa il nostro mondo possa guidarvi.
Si alzò in piedi stagliandosi davanti a loro, perfetto emblema di regalità mentre si ergeva avvolto nel proprio mantello rosso cremisi adornato da una pelliccia di ermellino.
- Miei signori, prendo congedo.
Mentre si accingeva a lasciare il padiglione, fu avvicinato da diversi fra i Consiglieri e maestri a lui più vicini, ai quali rispose con solenni strette di mano e persino un paio di gesti d'affetto. Quando infine uscì, una decina di guardie del corpo si materializzarono a suo fianco per riaccompagnarlo in città.
Gala attese che anche Jel si fosse alzato dalla sedia per gettargli le braccia al collo con una commozione e un'urgenza che lui non aveva mai avvertito prima. Il mago rispose con tutto il calore di cui era capace, portando una mano ad accarezzarle la testa, come aveva fatto tante volte durante il loro viaggio.
- Non credere che io abbia paura - mentì la ragazza stropicciandosi gli occhi. - È solo che avrei voluto essere al tuo fianco nell'ultima battaglia.
- Lo sarai presto - rispose lui senza essere convinto appieno di quella parole. - Una volta che avrete recuperato il talismano ci raggiungerete ad Amaria e vedrete anche voi i Ribelli dichiarare la resa.
Mentre maestri e sovrani sciamavano all'esterno della tenda ricongiungendosi con le personali guardie, i due giovani si trattennero ancora pochi istanti senza parlare, scrutando la notte scura che si spalancava appena oltre i veli del padiglione. Quando però i gli attendenti rimasti cominciarono a spegnere i candelabri e a rivoltare le sedie sopra il tavolo, anche loro si decisero a uscire.



Fu un caso, o forse la sorte, a far scorgere la figura di Dubhne a Jel mentre stringendosi nel mantello rientrava in città per dirigersi verso l'alloggio che gli era stato assegnato. Si era separato da Gala da pochi minuti.
La ragazza si stava congedando da un gruppetto di altri quattro guerrieri, tra cui un'altra giovane donna. Il tono di voce dei tre uomini lasciava intendere che fossero piuttosto ubriachi. Uno di loro portava un braccio appeso al collo, avvolto in una benda.
Dopo che si furono salutati, piuttosto rumorosamente a dire il vero, Dubhne si separò dagli altri e prese a camminare imboccando una stradina sulla sua destra. Il giovane aspettò che i suoi compagni voltassero le spalle e tornassero sui propri passi prima di fare altrettanto.
Era avvolta in uno stendardo color vinaccia - almeno per quanto il mago poté scorgere grazie alle fiaccole che illuminavano la strada; la sua espressione era stranamente distesa, le labbra increspate dall'ombra di un sorriso, e l'andatura vagamente incerta suggeriva che avesse bevuto anche lei qualche bicchiere di troppo.
All'improvviso comprese: se per il Gran Consiglio la presa di Hiexil era significata una mole di riunioni in più e delicate decisioni da prendere, per la maggior parte dei soldati si era trattato di un eclatante motivo di festeggiamenti. Le seconda importante vittoria ottenuta sui Ribelli dopo mesi e mesi di disfatte e frustrazione. La ex Combattente doveva essere di ritorno da una serata di baldoria, probabilmente in qualche bettola insieme a Jack e altri suoi commilitoni.
Qualcosa di cui tu sai molto poco, non è vero?
Istintivamente, il mago si chiese come il comandante avrebbe reagito nel sapere che il proprio battaglione era stato destinato alla missione più delicata. E Dubhne... beh, era sicuro che per lei non cambiasse molto dove si sarebbe diretta. Dopotutto non aveva un centinaio di uomini sotto la propria responsabilità; qualora le cose fossero andate male, la colpa di averli condotti al macello non sarebbe ricaduta su di lei, cosa che invece sarebbe potuta succedere a Jack e a Lord Versjan.
No, probabilmente l'unica cosa che contava per quella ragazza era avere un'altra occasione per alimentare il fuoco che le ardeva dentro e - anzi - se ciò l'avesse condotta alla morte, sarebbe stato come darle un'ultima, grande vampata per poi estinguerla per sempre.
Non seppe spiegare esattamente cosa lo stesse inducendo a seguirla.
Tenendosi a distanza, percorse i suoi stessi passi, quasi senza rendersene conto, senza chiedersi che cosa avrebbe fatto una volta raggiuntala. Sapeva solo che quella notte non sarebbe riuscito a dormire, per cui che senso aveva chiudersi in casa tormentandosi per l'angoscia e il risentimento?
Una manciata di minuti e, vista anche l'ora tarda, il giovane già non sarebbe più stato in grado di ritrovare la strada per tornare al proprio alloggio; quindi non gli restava che continuare no?
Vide Dubhne portarsi presso una casa sulla destra e salire dei gradini prima di spingere in avanti una pesante porta di legno. Non c'era nemmeno una chiave.
Dopo la riconquista, quella che gli alleati delle Cinque Terre si erano trovati ad abitare temporaneamente era poco più di una città fantasma. Diversi abitanti l'avevano abbandonata diverse settimane prima dell'attacco dei Ribelli, agli albori della Guerra del Nord. Rispetto a Qorren, era stata sotto il loro dominio per più tempo, e sotto il comando del generale Ferlon oltretutto, il più feroce tra i cani da caccia di Theor. Già stremata al tempo del primo assedio da parte delle truppe ariadoriane, era stata ulteriormente devastata dal tempestivo arrivo di Sephirt. Il fatto che all'epoca gli ariadoriani fossero già a un buon punto della riconquista non aveva fatto che peggiorare la situazione: il massacro perpetrato dalla strega si era consumato tra le vie della città. Il numero di vittime fra i civili era stato incalcolabile. Per l'intera durata del suo interregno, Ferlon aveva governato con il pugno di ferro; si erano tenute impiccagioni a tappeto, i membri delle famiglie nobili della città erano state imprigionate o giustiziate. Il fatto che le linee di rifornimento dall'Ariador centrale fossero state spezzate aveva fatto calare fame e miseria in città: i nuovi governanti avevano potuto contare sulle risorse provenienti dalle scorte di Amaria, ma a venire destinata alla popolazione era stata una minima parte. Questo aggiunto al freddo dell'inverno più rigido dell'ultimo decennio aveva causato decine di morti anche senza l'uso diretto della violenza. Da quello che Jel aveva rilevato, a Qorren il generale incaricato di guidare l'attacco aveva usato un pugno un po' più morbido, nonostante Sephirt fosse intervenuta anche lì, e il calo demografico era stato meno significativo rispetto a quanto accaduto a Hiexil.
Per questo motivo molti dei soldati stabilitisi in città erano state assegnate case o stanze vuote dove alloggiare, appartenenti a padroni morti o che nessuno aveva ancora reclamato. Il grosso dell'Esercito delle Cinque Terre aveva invece piantato le tende appena a sud della città.
Jel rimase fermo davanti all'ingresso, indeciso sul da farsi. Dalle finestre al piano di sopra proveniva una flebile luce di candela. Dubhne era lassù? Oppure non era l'unica inquilina di quella vecchia costruzione di pietra? Se si fosse presentato lì e le si fosse già trovata in compagnia di qualcun altro, amico, amante o compagno di camerata che fosse, l'umiliazione sarebbe stata piuttosto marcata.
Alla fine si accostò alla porta e, dopo aver preso un lungo respiro, batté due volte con le nocche sul legno ruvido. Immediatamente fu colto dal desiderio di voltarsi e fuggire prima che Dubhne potesse riconoscerlo, ma non ne ebbe il tempo.
Era già sul secondo gradino quando sentì dietro di sé la porta aprirsi e una lieve luce aranciata provenire da dentro.
Il mago si immobilizzò; la ragazza era proprio a pochi passi da lui, ne era sicuro, eppure non fiatava. Forse per la sorpresa nel trovarselo davanti a quell'ora della notte. Lo aveva riconosciuto? Qualcosa nel suo cuore gli suggeriva di sì.
Non ci fu ulteriore bisogno di chiederselo quando la Combattente pronunciò quasi in un sussurro il suo nome.
- Jel.
L'uomo si voltò verso di lei. La luce che proveniva dall'interno rendeva il suo volto ombroso, tanto che non riuscì a coglierne chiaramente l'espressione. Si era tolta di dosso lo stendardo e indossava solo una casacca color beige e dei pantaloni lunghi di cuoio. Le raffiche della notte le sferzavano il viso facendola rabbrividire.
Il pensiero che quella potesse essere l'ultima volta in cui l'avrebbe vista gli diede il coraggio e l'incoscienza per prendere la sua decisione.
Mosse un paio di larghi passi verso di lei e, prima che potesse fare qualunque cosa, la baciò.
All'inizio non riuscì a pensare a nulla. L'unica cosa che sentì furono le labbra della ragazza sulle proprie, i suoi capelli lunghi che gli sfioravano il viso, il suo corpo che si era irrigidito a quel contatto inaspettato. Il primo pensiero che riuscì a formulare fu che di lì a pochi secondi Dubhne l'avrebbe allontanato prendendolo a pugni.
Ma con sua somma sorpresa ciò non accadde e, al contrario, Jel la sentì rilassarsi e rispondere al bacio. Un calore spropositato lo avvolse, una sensazione così travolgente da dargli il capogiro.
Quando si separarono, tornando a respirare, Dubhne lo prese delicatamente per la camicia e lo attirò dentro casa richiudendo la porta un attimo dopo. Sulla parete di fondo si apriva un vano con delle scale, ma dal piano di sopra non proveniva alcun rumore.
- Io non... - blaterò Jel come cercando di dare spiegazioni per un simile comportamento, ma le parole appropriate non gli si presentarono. - Io non so che cosa... Questa è forse l'ultima volta che potrò vederti... ma devi dirmi se... se...
- Jel - era la seconda volta in pochi attimi che lo chiamava per nome, e questa volta il sorriso che si disegnò sulle sue labbra fu così luminoso da lasciarlo senza parole. - Non capisco neanch'io. Ma in questo momento non mi importa.
- Dici sul serio?
Gli sembrava incredibile che potesse essere così facile. Una decina di minuti prima non gli sarebbe mai passato per la mente di fare una cosa del genere, il suo unico programma sarebbe stato andare a letto e cercare inutilmente di dormire...
- Sì, lo so, lo so che non ha... senso... ma voglio stare con te questa notte. Solo - e le sue gote si tinsero di un caldo color prugna - che io non ho... non ho mai...
Questa volta le sue parole lo lasciarono davvero interdetto. Non avrebbe mai pensato che una come Dubhne, proprio lei che aveva vissuto così a lungo in mezzo agli uomini, potesse essere ancora vergine.
Ci vollero un paio di secondi prima che il mago riuscisse a replicare, ponendo la domanda che, nel profondo, lo tormentava già da tempo.
- Quindi tu... tu e il capitano non avete mai...?
- Vuoi dire Jack? - ripeté Dubhne con un sorriso che accese ancora di più il suo desiderio, prima di scuotere la testa con un'inedita ombra di dolcezza nello sguardo. - Lui è come me - spiegò lievemente rossa in viso. - E sinceramente basto già io per cacciarmi nei guai.
- Quindi pensi che io sarei più responsabile?
- Non lo penso - una lieve strizzatina d'occhi accompagnò quelle parole. - Lo so.
A quel punto Jel non riuscì più a trattenersi; la attirò a sé tenendole una mano dietro la testa, affondata nei suoi capelli morbidi, e la baciò di nuovo, con maggiore enfasi, un bisogno che trascendeva il mero desiderio di provare piacere. Quella ragazza lo aveva stregato e l'idea che potesse essere sua era così incredibile che ancora stentava a crederci.
Le sue mani corsero alle stringhe della casacca di lei quasi senza che se ne rendesse conto. Dubhne sembrava rimettersi completamente a lui e alla sua - per quanto scarsa - esperienza, motivo per cui lo lasciò fare mentre le sfilava quel logoro indumento, rimanendo ferma e un po' impacciata. Non aveva paura; era una delle molte cose meravigliose di lei, quell'attitudine a non lasciarsi intimorire da qualcosa di sconosciuto.
Quando ebbe finito, per diversi lunghi istanti Jel lasciò correre gli occhi a contemplare il suo corpo perfettamente proporzionato e reso asciutto dai duri allenamenti e dalle battaglie. Non c'erano aspetti che non fossero strettamente necessari al suo lavoro - il seno poco accentuato come quello di una bambina, i fianchi stretti - ma il giovane l'avrebbe trovata quantomai desiderabile in ogni caso. A catturare più di tutto la sua attenzione furono le cicatrici che marchiavano indelebilmente la sua pelle: una striatura lunga e sottile le percorreva il ventre orizzontalmente, e un'altra simile, anche se decisamente più evidente, il braccio sinistro. La più impressionante però era il bollo bianco-grigiastro vicino all'incavo della medesima spalla; qualcuno doveva averla trafitta in profondità in quel punto. Combattuto tra il fascino e la repulsione, provò l'improvviso desiderio di sfiorare la ferita con un dito.
Dubhne lo lasciò fare, paziente, prima di prendergli di nuovo delicatamente il viso tra le mani per tornare a baciarlo.
Jel la spinse delicatamente sul giaciglio di pelliccia facendole intendere di stendersi, prima di cominciare a sua volta a sbottonarsi la camicia. Quando la lasciò cadere a terra, istintivamente corse con lo sguardo a controllare il proprio petto; era davvero magro, pensò avvertendo un vago calore diffonderglisi alla base del collo; di certo niente di paragonabile ai vari guerrieri che Dubhne doveva aver conosciuto nella sua vita.
Ma l'aria candidamente impertinente della ragazza stesa davanti a lui ebbe il potere di distoglierlo da qualunque motivo d'impaccio; si stese sopra di lei e lasciò scivolare le labbra sul suo viso, sul collo, nell'incavo sotto la clavicola.
Soltanto una settimana prima non avrebbe mai neanche creduto possibile che un giorno si sarebbe ritrovato in una situazione simile proprio con lei, la Ragazza del Sangue, probabilmente la persona più ostinata e irascibile che avesse mai conosciuto. Eppure era accaduto, senza fra l'altro che lui avesse alcun tipo di merito.
Forse era destino che quel momento fosse il suo canto del cigno prima della fine.
- Jel.
Le sue mani erano corse alla propria cintura nell'intento di slacciarla quando la ragazza si rivolse a lui. L'uomo la guardò, rimanendo catturato dai suoi grandi occhi castani, così profondi, che durante la sua vita erano stati specchio di emozioni così intense.
- Qualunque cosa farai, falla con delicatezza.








Note dell'autrice: ... Un bel respiro. Ebbene sì, è successo. So che ad alcuni di voi sembrerà una cosa affrettata e banale, ma sono sicura che se andrete a rileggere alcuni capitoli precedenti ma, soprattutto, quelli che devono ancora arrivare, cambierete idea almeno in parte. Ammetto che questa scena era presente fin dalle primissime versioni di questa terza storia, ma con il tempo e la maturazione ho deciso di attribuirle un significato diverso. Spero che bei prossimi capitoli comprenderete meglio le prospettive di Jel e, soprattutto, di Dubhne. E intanto la battaglia finale si avvicina!!
Spero anche che vi sia piaciuta l'ultima riunione del Gran Consiglio, per me è stata molto divertente da scrivere, oltre ad essere la più lunga che abbia mai scritto, così come l'intero capitolo è uno dei più lunghi della trilogia.
Recensite in tanti, ho bisogno dei vostri pareri più che mai : )
Non so se riuscirò ad aggiornare entro la fine delle vacanze, anche perché domani parto per la Costa Azzurra, quello che è certo è che ci vedremo a settembre.
~Talia

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Capitolo 34 - Dubhne ***


Che pirla, avevo detto che avrei postato il nuovo capitolo il 19.10, e ieri avevo già il capitolo pronto solo che tra un impegno e l'altro mi sono dimenticata di postare!








34








Dubhne si stava già rivestendo quando la voce di Jel la indusse a voltarsi verso di lui.
- Te ne saresti andata senza dirmi addio?
- Ho delle cose da fare - rispose lei senza arrossire. - Jack ha dato ordine di radunarci alle prime luci dell'alba. La voce che quella di ieri sarebbe stata la vostra ultima riunione è dilagata.
Un'improvvisa fitta di dolore nel bassoventre le strappò una smorfia infastidita; il dettaglio non sfuggì a Jel, che le fece dolcemente cenno di avvicinarsi.
- Posso fare in modo che non ti dia più fastidio, se vuoi.
Lei stava già per replicare con sarcasmo, ma il mago la anticipò poggiandole con delicatezza una mano sulla stoffa delle brache che le copriva l'inguine. Un piacevole calore si diffuse a partire dal suo tocco.
- Ecco fatto - sorrise lui, godendosi la sua espressione sorpresa. - Non ti sanguinerà più, ho rimarginato la ferita.
- Ferita? - lo prese in giro la giovane. - Direi che sono abituata a cose ben più gravi... - gli accarezzò una guancia in un improvviso moto d'affetto. - Ma grazie.
Anche Jel rise, anche se se lo concesse solo pochi istanti.
Si mise di scatto a sedere, il volto improvvisamente preoccupato, come fosse stato colto da un pensiero disturbante che fino a quel momento aveva trascurato.
- Dubhne... c'è una cosa che devo dirti. Riguarda il tuo battaglione.
La ragazza lo guardò con occhi interrogativi, mentre un lieve sentore di pericolo si faceva strada dentro di lei. - Che genere di cosa?
Il mago trasse un respiro profondo. - Voi non vi dirigerete ad Amaria. Il vostro battaglione e quello di Lord Versjan prenderanno un'altra strada.
Alzò una mano, come per impedirle di sbottare in qualche imprecazione.
- Ricordi quello che ti dissi riguardo le Pietre Magiche?
- Non è che mi avessi detto un granché - borbottò lei incrociando le braccia e sedendosi sull'orlo della pelliccia su cui aveva dormito. - Non dirmi che avete trovato il modo di servirvene finalmente.
- È esattamente questo il punto - rispose il mago guardandola negli occhi. Dubhne sapeva da quello sguardo che Jel era in qualche modo preoccupato per lei, ma non riusciva a capire il perché. - Per attivarne la magia è necessario recuperare un manufatto magico che si trova in un santuario poco oltre il confine con le Terre del Nord. È là che vi dirigerete.
Quelle parole rimasero sospese a mezz'aria, ad aleggiare fra di loro.
- Non posso credere che Jack abbia rinunciato a partecipare alla battaglia finale - mormorò alla fine Dubhne con voce sommessa senza riuscire a guardarlo.
- Non lo ha fatto, infatti - rispose Jel prendendole una mano; fu un gesto istintivo e Dubhne per un attimo provò l'impulso di ritrarre la propria. Ma fu questione di pochi secondi. - Probabilmente tu sei la prima a saperlo, a parte i membri del Gran Consiglio.
- E perché mi dici queste cose allora? - replicò lei stizzita, e il giovane parve sorpreso nell'incontrare una simile ostilità nella sua voce.
- Stai scherzando? - le chiese con la fronte aggrottata. - Secondo te perché sono venuto a letto con te?
Dubhne liberò con malagrazia la mano dalla sua stretta e si rimise in piedi. Quel suo tergiversare la stava infastidendo, soprattutto perché temeva l'argomento su cui sarebbe andato a parare. Era qualcosa di talmente inedito per lei, vedere qualcuno che tenesse a lei senza quasi conoscerla. Jel non era un suo commilitone, il rapporto tra loro non sarebbe mai stato paragonabile a quello che la legava a Claya, a Joan e a tutti gli altri soldati di Rocca Tarth. Esclusa Alesha, l'unica persona con cui avesse allacciato un legame che andasse veramente in profondità era Jack, ma c'era voluto del tempo, settimane trascorse insieme, prima che la ragazza cominciasse veramente ad abbassare le difese con lui. Come poteva Jel anche solo pensare di essere affezionato, forse addirittura innamorato di lei?
- Perché sei così tanto spaventato? - gli chiese in tono duro. - Dovresti essere contento, visto che tieni così tanto alla mia incolumità...
- La Strega Rossa vi attenderà lì.
Quella parole la colpirono come un ceffone in pieno volto. Eccitazione e paura la pervasero scontrandosi dolorosamente nel suo animo, ma la Combattente mantenne lo sguardo fermo.
- Come fate ad esserne sicuri?
- Non lo siamo - rispose il mago - ma abbiamo motivi più che sufficienti per pensare che Theor sia venuto a conoscenza del nostro piano e che ci abbia preparato una degna accoglienza.
- Io non ho paura di quella donna - mentì Dubhne allontanandosi ulteriormente e afferrando il surcotto nell'intento di indossarlo. - Adesso farei meglio ad andare. Jack starà radunando gli uomini. Voglio essere con lui quando arriveranno le disposizioni.
- No, aspetta - la richiamò Jel. - Rimani qui ancora un po'.
Dubhne si voltò verso di lui e nei suoi occhi lesse una tale angoscia, un tale bisogno da rimanerne vincolata. E in quel preciso istante qualcosa scattò nella sua mente, nei meccanismi della sua memoria, e un'altra immagine si sovrappose a quella del giovane mago che la aspettava guardandola con quei grandi occhi azzurri.
I corridoio della sartoria del signor Tomson. Un bambino avvolto da una tunica scura troppo elegante per lui. Lei, Dubhne, nascosta dietro un angolo a spiare quelle persone venute da così lontano...
Ma era veramente lui? Questo avrebbe spiegato lo strano e insipiegabile senso di familiarità che aveva provato fin da quando l'aveva visto per la prima volta. Per tutto quel tempo quell'immagine di tanti anni prima era rimasta velata nella sua mente senza che riuscisse davvero ad afferrarla, ma ora in lei aveva preso piede una certezza che faceva conto solamente sull'istinto. Ma quante possibilità c'erano che potessero rincontrarsi dopo così tanti anni? Come poteva la vita aver orchestrato una simile coincidenza?
Resistendo alla tentazione di chiederglielo direttamente, si mosse lentamente verso il giaciglio di pellicce e si stese nuovamente di fianco a lui, lo sguardo rivolto al soffitto macchiato d'umidità.
- Non ce la faccio a immaginarmi in un posto diverso da quello in cui si trova lei - mormorò. - Non potrò evitare lo scontro ancora a lungo.
Quelle parole risuonarono come una sorta di confessione.
E in quel momento Dubhne comprese che, come lei, Jel si sentiva vincolato a un destino a cui non poteva sfuggire. Qualcosa che lo inghiottiva e lo divorava esattamente come l'oscurità che serrava la presa sul proprio cuore. Ma se dopo la morte di Alesha, lentamente, l'animo della ragazza si era adagiato su una sorta di sofferta rassegnazione, Jel sembrava ancora sperare in qualche modo di poter controllare la situazione. Forse addirittura di riuscire a uscirne vivo.
- Non passa giorno senza che io mi chieda cosa succederà qualora fallissi, e il fatto che mi stiano negando la possibilità di scontrarmi con lei mi riempie di un'angoscia ancora maggiore. Cosa c'è di peggio di un uomo che si sottrae a quello che sente essere il proprio dovere? Se non sarò io a sconfiggerla, nessun altro lo farà.
Dubhne lo ascoltava in silenzio, e a ogni parola prendeva maggiore consapevolezza di quanto il mago stesse esprimendo uno stato d'animo pressoché identico a quello che l'aveva tormentata per così tanto tempo. E pensò di capirlo come nessun altro avrebbe potuto.
Rifletté per diversi lunghi istanti su come esprimere ciò che le premeva dirgli e alla fine, quando parlò, lo fece con una fermezza che non avrebbe pensato di riuscire a sostenere.
- A volte accadono cose che non si possono evitare, ma non spetta a noi decidere. Possiamo solo decidere se accettarle o non farlo.
- Non posso credere che proprio tu stia dicendo una cosa del genere. Tu sei una combattente, tu ti batti fino alla morte!
- Ed è quello che farò anche stavolta. Combatterò fino alla morte, ma non contro il mio destino.
Jel la guardò incredulo. - Tu vuoi morire?
A quel punto la ragazza non riuscì più a sostenere il suo sguardo, così abbassò gli occhi fissandoli su un innocuo ricciolo della pelliccia d'orso. Era la prima volta che veniva messa apertamente di fronte alla prospettiva che aveva accettato abbracciando quella che sentiva essere l'unica strada da percorrere. - Per troppo tempo mi sono rifiutata di vederlo, di accettarlo. Ho visto morire le persone che amavo, ho visto strapparmi ogni cosa finché non mi è rimasto nient'altro se non la rabbia e l'angoscia. E ogni volta che accadeva, ogni volta mi dicevo che sarebbe stata l'ultima, che non avrei permesso che accadesse di nuovo. Ma ora che ho perso tutto, ora so.
Si schiarì la voce cercando di inghiottire le lacrime che, traditrici, le avevano punto gli occhi. Con la testa appoggiata su una mano, Jel la guardava ascoltandola rapito.
- La morte, una buona morte, è l'unica via attraverso cui troverò la pace. Ma non una morte intrisa di odio verso me stessa e i miei nemici. Una morte combattendo per coloro che amo e a cui ho giurato la mia fedeltà.
- Stai pensando a Jack.
Una cupa amarezza risuonò malcelata in quelle parole.
Dubhne mantenne lo sguardo basso, il ventre contratto in una morsa dolorosa. Aveva tentato di non pensare a quello che avrebbe provato Jack nel saperla morta. A quello che sarebbe significato non vederlo mai più.
- Penso a Jack, a Caley, a Claya, a tutte le persone che sono state al mio fianco in questa guerra. A te - e un rossore si diffuse sulle sue guance nel pronunciare quelle ultime parole.
- Forse è per questo che varrebbe la pena continuare a vivere.
- Che cosa ne puoi sapere tu? - esclamò lei senza riuscire a controllarsi. - Come sai che, nel caso tu riesca ad uccidere la Strega Rossa, avrai qualcosa per cui valga la pena continuare a vivere? Lo vedo nei tuoi occhi, Jel Cambrest, e lo hai detto anche tu, che l'unica cosa che ti ha permesso di continuare a lottare è l'idea di poter finalmente saldare il conto con lei!
Quelle parole rappresentavano per lei una contraddizione che non poteva più impedirsi di vedere. La stanchezza verso quella vita, il desiderio di non dover mai più provare un dolore simile a quello che l'aveva colpita nel momento della morte di Alesha, di sua madre, il momento in cui la famiglia di Archie Farlow l'aveva abbandonata... tutto quello era talmente forte da aver oscurato ogni altra cosa. Eppure ora le parole di Jel rendevano palese dentro di lei come ci fossero nodi insolvibili anche all'interno di quella decisione.
- Lo pensavo anch'io fino a poco tempo fa - proferì alla fine Jel con voce roca. - Ma poi ti ho rivista e qualcosa è cambiato dentro di me. Non m sottrarrò al mio destino e sono pronto a morire per esso, ma solo ora comincio a sperare di avere qualche possibilità di farcela. Per poter... per poter rivedere te.
Dubhne chiuse gli occhi e una grande lacrima si staccò silenziosa dalle sue ciglia. Era questo che più la spaventava dei sentimenti che il Consigliere sembrava provare per lei: l'idea di avere qualcuno che aspettasse il suo ritorno, qualcuno a cui essere vincolata.
Non riuscì a dirlo però, motivo per cui si limitò ad appoggiare la testa sul petto del giovane e stringersi a lui. Sentì la sua mano portarsi ad accarezzarle i capelli con delicatezza, come se volesse assaporare ogni singolo istante di quel contatto. Dubhne ripensò a quanto era stata bene quella notte, a quelle stesse mani che correvano sul suo corpo con lo stesso riguardo, pur spingendosi ovunque.
Ripensò anche al momento in cui il giovane era ceduto sotto il peso della stanchezza e aveva abbandonato la testa sulla sua spalla, come un bambino indifeso tra le braccia della madre; lei era rimasta vigile e pensosa ancora a lungo, con un lieve dolore fra le gambe e quelle piccole gocce di sangue che avevano macchiato la pelliccia d'orso.
Con la luce della luna che filtrava dalle imposte sfondate, la ragazza era stata avvolta da un inusuale senso di calma. I pensieri si erano susseguiti nella sua mente ma in modo stranamente consapevole, senza quella tumultuosa angoscia che l'aveva accompagnata così spesso nella sua vita. Forse si era trattato dell'ultimo momento di illusoria pace concessole prima del bagno di sangue finale, l'ultima prova da affrontare in quella vita.
Pensò alle parole che Jel le aveva confidato poco prima riguardo a Sephirt e a quello che sentiva essere il suo destino. Egli accettava con coraggio la possibilità di fallire ma, qualora ce l'avesse fatta, il suo futuro sarebbe stato libero e sgombro. Mentre per quanto riguardava se stessa... davanti a sé riusciva a vedere solo quella battaglia come fine della propria strada. Anche se fosse sopravvissuta, che ne avrebbe fatto della propria vita?
Di lì a poco Jel ruppe nuovamente il silenzio.
- Hai paura?
La sua voce tradiva sentimenti contrastanti. Sembrava si fosse trattenuto fino a quel momento dal porgerle quella domanda, e Dubhne pensò che il giovane temesse la propria risposta molto più della sua.
Rimettendosi lentamente a sedere, si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e ricordò quando, al suo arrivo a Città dei Re, l'avevano quasi rasata a zero.
- Quando ero nell'Arena... - mormorò - dovevo contare solo su me stessa. Un Combattente deve imparare a tenere a bada la paura, a fidarsi solo del proprio talento e del proprio istinto. Non c'è spazio per altro.
Jel alzò gli occhi e li posò su di lei - E che cosa ti dice ora il tuo istinto?
Un moto d'orgoglio che probabilmente in seguito si sarebbe rimangiata la investì.
- Sopravvivi.


                                                                                   ***


Dubhne non aveva mai visto da vicino Lord Versjan Loren, nonostante le truppe regolari ariadoriane avessero usato Harrel come campo base per diverse settimane quando la guerra era ancora agli albori.
Era un uomo asciutto dalle movenze nervose e lo sguardo serio; la chioma leonina tra il biondo e il rossiccio e la folta barba ben curata creavano uno strano contrasto con la voce simile a un belato.
Stava in piedi a una decina di metri da lei, impegnato in un confronto con Jack Cox; Dubhne rivolgeva ai due occhiate in tralice cercando di capire dove stesse vertendo il discorso; i due battaglioni ai loro ordini si stavano radunando e schierando per iniziare la marcia, anche se la maggior parte dei soldati ancora non sapeva quale sarebbe stata la propria destinazione.
Non aveva ancora parlato con Philipp e Terson, e nemmeno con Claya, di quanto Jel le aveva rivelato quella mattina. Le sembrava giusto che fosse Jack, il loro comandante, a comunicarglielo. Il Gran Consiglio si era premurato di riferire le decisioni in proposito ai diretti interessati quella stessa mattina - il pensarci le provocò una stilettata di rabbia. Non per sé stessa, dopotutto anche se Jel non avesse deciso di svelarle quale sarebbe stato il loro destino alla ragazza non sarebbe importato un granché; no, era a causa di Jack che il comportamento del Consiglio la irritava fortemente. Jel le aveva dimostrato di essere un uomo e un politico del tutto diverso da come la ragazza si sarebbe potuta immaginare, ma l'immagine che le alte sfere del Gran Consiglio davano di sé ai suoi occhi continuava ad essere sempre la stessa: abili burattinai che, sì, probabilmente avevano davvero a cuore il bene di Fheriea e delle Cinque Terre, ma che si guardavano bene dall'avvicinarsi alla realtà dei fatti: il campo di battaglia, il sangue, gli uomini che in prima persona dovevano tenere le redini di quel conflitto. Uomini come Jack.
Poco prima che si salutassero, Jel l'aveva informata che anche Gala avrebbe fatto parte della sua stessa spedizione; nelle parole con cui il mago le si era rivolto era trapelata una vaga supplica affinché cercasse, per quanto possibile, di tenerla d'occhio.
In quel momento la ragazza si trovava al limite del suo campo visivo, in sella a un puledro dal manto nero come la pece, attorniata da altri sei uomini a cavallo, Consiglieri come lei con tutta probabilità. Nonostante stringesse le redini del proprio destriero alquanto nervosamente, Dubhne dovette ammettere che nella sua figura brillasse una fiamma di alterigia: sotto il solito mantello blu la strega indossava un farsetto color grigio perlaceo, su cui era appuntata la spilla che contraddistingueva i membri del Gran Consiglio.
I suoi compagni non erano da meno, anzi; abbigliati con eleganza e sobrietà al contempo nelle loro tenuta da guerra, ritti sui loro esemplari di Stalloni Nordici o altre razze nobili, fornivano di sé un'immagine a dir poco maestosa.
- Sentiti onorata, Dubhne. A farci compagnia ci saranno i più importanti maestri di Fheriea.
Caley era apparso poco dietro di lei rivolgendolesi con sferzante sarcasmo. La Combattente si voltò verso di lui sconcertata. - Stai scherzando? E da quando quelli si prendono la briga di partecipare alle nostre battaglie?
Anche il capitano li stava scrutando con occhio critico. - Immagino che la nostra missione sia davvero di fondamentale importanza.
- Hai già parlato con Jack?
- Sì, ma non si è sbottonato più di tanto. Non che potesse farlo, non devono aver rivelato più di tanto neanche a lui. Il generale Fánersan ha trattenuto lui e Lord Versjan per meno di dieci minuti.
Dubhne fu sul punto di riferirgli tutto quanto Jel le aveva detto la sera prima, ma alla fine riuscì a trattenersi. Anche se di una cosa voleva essere sicura.
- Vi hanno almeno detto che con molta probabilità la Strega Rossa sarà coinvolta nello scontro?
- E tu come fai a saperlo? - chiese l'uomo con la fronte aggrottata. - Sì, così mi ha detto Jack.
- Informerete i battaglioni?
Sapeva che divulgare una notizia del genere non avrebbe giovato all'umore delle truppe e che, anzi, avrebbe probabilmente fatto dilagare paura e tensione ancora maggiori, ma era sempre meglio così che spedirli al macello inconsapevoli dell'immane pericolo.
- Jack è di quell'intenzione, ma sta ancora cercando di convincere Versjan a fare lo stesso. Tu però non hai risposto alla mia domanda: come fai a sapere di lei?
Ma Dubhne era abbastanza furba da capire che non era il caso di mettersi a parlargli di Jel; il problema era trovare una scusa convincente.
- Ho sentito dei Consiglieri che ne parlavano - buttò lì ammiccando al gruppo in cui si trovava Gala Sterman.
Caley le scoccò un'occhiataccia, ma non ebbe tempo di rimbrottarla perché proprio in quel momento la discussione tra Jack e il Lord di Harrel era terminata.
Philipp, Terson e il resto della compagnia si strinsero attorno a lei e a Caley mentre il comandante di separava dal suo commilitone e si dirigeva a grandi passi verso di loro. Era livido.
- Uomini! - esclamò attirando su di sé l'attenzione di tutti i soldati superstiti del battaglione di Rocca Tarth lì riuniti. - Vi voglio pronti alla partenza. Prima però c'è qualcosa che devo dirvi. Lord Versjan ed io abbiamo discusso su cosa fosse meglio per le nostre truppe e alla fine abbiamo deciso per la verità.
Dubhne lo vide trarre un lungo respiro; aveva la mascella contratta.
- La missione cui siamo stati destinati è di vitale importanza, e altrettanto pericolosa.
- Siamo pronti a morire Jack! - gridò una voce indistinta nel mezzo della schiera, al che alcuni commilitoni risposero con ruggiti d'approvazione e qualche imprecazione.
Il guerriero alzò le mani per chiedere silenzio.
- Non dubito del cuore e del braccio di ognuno di voi - proferì con una fermezza ponderata, quasi gravosa, nella voce. Era evidente che l'idea di consegnare i propri uomini fra le braccia della Strega Rossa lo stesse torturando. - Ma dovete sapere che ad attenderci, nel luogo in cui ci dirigeremo, troveremo i nostri nemici ad aspettarci. E con loro, probabilmente, la Strega Rossa.
Un fremito di eccitazione e di paura percorse il battaglione lì riunito. Diversi uomini proruppero in esclamazioni e borbottii concitati, mentre negli occhi di molti si leggeva qualcosa di molto simile al panico.
Dubhne, come Caley accanto a lei, non si scompose. Rimase immobile, fissando il terreno, fino a quando non sentì lo sguardo di Jack su di sé. Ma durò solo un istante, poi l'uomo si rivolse al suo secondo.
- Raduna gli altri capitani e di' loro di muovere verso la Grande Via. Ci dirigeremo nella direzione opposta rispetto al grosso dell'Esercito delle Cinque Terre.
Mentre Jack si affrettava a raggiungere il proprio destriero e a montarvi in sella - non prima di aver rivolto un ultimo sguardo a Dubhne - Caley richiamò a sé gli altri capitani.
- Edgar! Ras! Eriksen! Tristan! Compattate le vostre compagnie e fatele marciare sulla Grande Via in direzione nord-est.
Partirono.
Hiexil vide i propri portoni spalancarsi e una colonna infinita varcare il perimetro delle mura, la quasi interezza delle truppe che avevano preso parte alla riconquista della città o che vi si erano radunate in seguito. Ma mentre la maggior parte di cavalieri, fanti, vettovaglie e armi d'assedio prese la Grande Via che costeggiava la città in direzione nord-ovest, il battaglioni di Harrel e Rocca Tarth, insieme al piccolo gruppo di maghi del Gran Consiglio, divergerono dal corpo centrale per tentare la sorte che li avrebbe attesi al Santuario.


- Tu sapevi che della Strega Rossa, non è vero?
Jack si era materializzato al suo fianco procedendo con andatura lenta, e Dubhne capì subito che più che una domanda si trattasse di un'affermazione. Non aveva senso mentire, non con lui.
- Non sembravi sorpresa quando l'ho annunciato al battaglione.
- Lo sapevo, sì. È stato Jel a dirmelo - ammise la ragazza senza riuscire a guardare il comandante negli occhi. - È successo ieri, dopo l'ultima riunione del Consiglio.
- Voi due vi conoscete piuttosto bene allora - il tono di Jack non aveva nulla di pedante o di indagatorio, eppure Dubhne era avvolta dal disagio.
Avrebbe voluto che l'uomo non sapesse nulla di quello che era accaduto la notte prima, eppure d'altro canto si sentiva stranamente in dovere di dirglielo.
- In realtà no - rispose con sincerità. - L'ho incontrato sette o otto mesi fa, prima che mi arruolassi. A quel tempo ero appena stata incoronata regina dei Giochi, molte cose erano diverse. Non avevo mai conosciuto realtà che non fossero quelle dei luoghi in cui avevo vissuto. E poi lui e la sua compagna di viaggio mi sono capitati fra capo e collo con tutte le loro storie sulla Ribellione, le Terre del Nord e le Pietre Magiche.
Estrasse la scimitarra a lama larga dal fodero e gli mostrò l'impugnatura, nella quale era rimasta la cavità vuota che un tempo aveva ospitato la Pietra Bianca. - Sono venuti da me perché volevano la pietra incastonata nell'elsa della mia scimitarra. Non ho detto di no, non mi importava. Mi avevano promesso che una volta estratta avrei potuto riavere la mia arma. Quando sono partiti per tornare a Grimal mi sono unita a loro; non sapevo cosa fare della mia vita, dove andare. Abbiamo viaggiato insieme. Una volta arrivati in città ho incontrato Jel soltanto una volta, poi sono partita per il fronte. Ci siamo rincontrati prima della riconquista di Hiexil.
Jack le restituì la scimitarra.
- Quel ragazzo è innamorato di te - osservò pacatamente.
Lo so, avrebbe voluto rispondere lei. Invece tacque, rossa in viso.
- Siete stati insieme ieri notte, non è vero?
Sapeva che l'uomo doveva già aver intuito tutto, ma non si era aspettata che le ponesse la domanda in maniera così diretta.
- Non ho segreti per te, non è vero?
Jack scoppiò in una leggera risata, nella quale Dubhne non riuscì a stabilire con certezza se si celasse una certa dose di amarezza.
- Sei sempre stata un libro aperto.








Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** Capitolo 35 - Hareis ***


35








La pianura che si estendeva al di fuori dei confini di Amaria si sarebbe potuta definire un altipiano vista la differenza di altezza sul livello del mare che separava la regione dall'Ariador e dalla piana di Dárenlas. Nonostante in tutte le altre terre di Fheriea fosse ormai primavera le Terre del Nord continuavano ad essere ostinatamente ammantate di neve.
Hareis abbassò lo sguardo sull'anello di mura che era stato eretto tutt'intorno alla capitale. Opera di Sephirt, completata qualche giorno prima; era bastata una mezz'ora scarsa perchè la donna radunasse a sé con la magia tutti i blocchi di pietra necessari per costruire un muraglione alto più di cinque metri. Era stata un'esperienza piuttosto impressionante per gli spettatori: nel corso della sua vita Hareis aveva visto Sephirt compiere innumerevoli prodigi, ma vederla chiudere gli occhi e concentrarsi, e non più di cinque minuti dopo vedere sopra di lei un numero indeterminato di blocchi di Pietra provenienti direttamente dalle montagne dell'Avernia, ebbene quella visione aveva ancora avuto il potere di stupirlo. Successivamente la donna li aveva disposti tutto intorno alla città sigillandoli l'uno all'altro senza neanche il bisogno di utilizzare della calce.
La pelliccia di lupo che portava sulle spalle, sopra il mantello bianco, non era sufficiente per farlo rimanere indifferente alle sferzate di vento gelido. Era un buon presagio: il morale degli uomini ne avrebbe risentito parecchio se l'Esercito delle Cinque Terre fosse comparso all'orizzonte portando con sé cielo sereno e calore primaverile. E, d'altro canto, combattere al freddo facilitava il rimanere lucidi e stimolava i riflessi.
Hareis si sfiorò con due dita la guancia destra; laddove l'Evocazione del maestro Raenys l'aveva colpito la pelle ustionata era rimasta arrossata e raggrinzita. Theor aveva ipotizzato che il custode Ryeki potesse essere in grado di lenire il dolore e migliorarne l'aspetto con qualche unguento, ma il giovane mago aveva rifiutato. Sarebbe stato una sorta di memento mori, un marchio che avrebbe permesso a Raenys di riconoscerlo nel momento in cui l'avrebbe ucciso.
Il punto di non ritorno era ormai stato superato da tempo. Theor era stato molto chiaro con lui fin dall'inizio, nel momento in cui per la prima volta aveva convocato il Consiglio Ristretto per mettere al corrente i suoi collaboratori più fidati della situazione. Al termine della riunione il maestro delle Terre del Nord lo aveva preso da parte e lo aveva messo di fronte a un bivio: vincolarsi per la vita al destino delle Terre del Nord, qualunque esso fosse, o rinunciare al proprio apprendistato e abbandonare Amaria. E Hareis, all'epoca poco più di un ragazzo - come Sephirt, d'altronde - aveva fatto la sua scelta. Non ci era voluto molto perché comprendesse il perché di quelle parole drastiche.
Ricordava con chiarezza il momento in cui per la prima volta aveva ucciso. Con quale prontezza, quale mancanza di esitazione. Dopotutto Theor era quanto di più simile a un padre avesse mai conosciuto; in quell'occasione non aveva pensato ad altro se non a compiacerlo e dimostrargli tutta la propria devozione.
E fu così che l'uomo si ritrovò immerso nei ricordi del momento in cui, davvero, tutto era cominciato.


Non ha che dieci anni, il piccolo Hareis, il giorno in cui qualcuno bussa alla porta di casa sua con tre colpi sonori. Suo padre avrebbe tanto desiderato essere presente a quel solenne momento, ma giace ormai sotto terra da diverse lune. Una bronchite lancinante se l'é portato via, e per poco non è accaduto lo stesso ad Hareis.
Ma quel giorno non c'è spazio per le lacrime, e quando l'attendente Janson compare sulla porta impeccabile nel suo completo regale, persino sul volto di sua madre si accende un sorriso febbrile. Sanno entrambi ciò che la presenza di un delegato del palazzo reale significa.
Hareis è stato iscritto alla selezione che stabilirà chi prenderà il posto di Samuel Veras come nuovo apprendista di Nathaniel Theor l'anno precedente. Il sangue magico scorre nelle sue vene sia da parte di padre che di madre, entrambi figure notabili all'interno dell'apparato burocratico delle Terre del Nord. Sua madre, di famiglia nobile, presiede nella delegazione delle Terre del Nord nel Gran Consiglio; suo padre è stato per anni a capo della sicurezza all'interno della corte di Amaria, prima di acquistare un incarico dietro una scrivania nell'ambito della contabilità della nazione. Alla luce della posizione di rilievo che ricoprono, l'indubbia predisposizione alla Magia di Hareis li ha spinti a sperare per lui la più prestigiosa delle istruzioni.
- Vostro figlio è richiesto a corte, lady Neyra. Lord Theor desidera parlare con lui.
Hareis osserva la scena da dietro un angolo del salotto. Il camino acceso riflette le lingue di fuoco nelle sue iridi giallo-verdi. Non sa se l'idea di diventare allievo del maestro delle Terre del Nord sia per lui motivo di felicità o d paura. Sa solamente che è quello che i suoi genitori si aspettano da lui.
- Hareis - lo apostrofa sua madre all'istante quando lo vede. - Non stare lì a origliare, vieni avanti. Hai sentito quello che ha detto l'attendente.
Hareis si sente intimidito. Il giovane alla porta deve avere non più di cinque anni più di lui, ma sembra molto più grande. Indossa un farsetto color dell'ambra ed è impeccabile avvolto nel suo mantello marrone scuro.
Alla fine annuisce.
- E sai cosa significa?
Hareis ripete lo stesso gesto.
- Allora vai a prepararti. Andiamo a palazzo.
Dieci minuti e sono entrambi in strada, arrancando nella neve dietro l'attendente che li conduce, e in meno di dieci minuti raggiungono la piazza centrale di Amaria dove sorge il palazzo reale del re Robyn I di casa Vanyana.
Dopo aver superato la coppia di guardie reali poste all'ingresso principale, l'attendente li conduce attraverso quelle sale e quei corridoi che Hareis percorrerà centinaia di volte in seguito, e quando arriva dinnanzi ad una porta socchiusa fa cenno a lady Neyra di fermarsi.
- Lord Theor parlerà con vostro figlio da solo.
A quelle parole anche gli ultimi dubbi che possa trattarsi solamente di un'altra scrematura preliminare tra i vari candidati si dissolvono.
Sua madre gli indica di proseguire con un sorriso nervoso in viso e Hareis obbedisce; con passo deciso varca la soglia oltre la quale si nasconde il suo futuro.
La stanza in cui si trova ha un soffitto dalla volta estremamente alta, come tutte le altre sale del palazzo d'altronde, ma questa è più piccola rispetto alle altre e l'unione dei due aspetti produce un vago senso di soffocamento. Ha l'aspetto di uno studiolo: in fronte ad una delle due finestre - alte e sottili, culminanti in due fornici - è posta una spaziosa scrivania in legno di una colorazione piuttosto scura, forse ebano, mentre dinnanzi all'altra un cannocchiale poggia in equilibrio sul proprio piedistallo. Una seconda scrivania, più piccola, è appoggiata alla parete opposta circondata da file di scaffali ancora vuote. C'è anche una credenza.
Il maestro delle Terre del Nord è seduto sul bordo di un'agrippina posta nel centro della stanza, un po' spostata verso la parete di fondo. Ha lo sguardo chino su un rotolo di pergamena che regge con entrambe le mani, ma quando lo sente entrare alza lo sguardo.
Quello che ha davanti a sé non è il Theor stanco e segnato che avrà modo di conoscere molto bene durante la Ribellione, bensì un uomo maturo dotato da grande carisma e animato da ideali politici accesi. Hareis è troppo piccolo per essere al corrente delle diatribe che attraversano il suo Paese, ma questo non gli impedisce di riconoscere una cosa: Nathaniel Theor possiede una strana forza ammaliatrice che vincola chiunque gli sia di fronte a rispettare le sue regole, qualunque esse siano. Non c'è malvagità né fanatismo nei suoi occhi dorati, non ancora, eppure in loro Hareis ha sempre scorto qualcosa che gli incute timore, la spia di una fredda determinazione che pochi possiedono.
Hareis si esibisce in un inchino impeccabile - sua madre lo ha costretto a esercitarsi così tante volte...
- Mio signore.
- Alzati, Hareis - Theor gli fa cenno di sedersi accanto a lui. - Non ti tratterrò molto a lungo.
Il bambino è un po' impacciato; aver di fronte a sé l'uomo più influente del regno non lo lascia indifferente. Tuttavia obbedisce.
Il maestro riarrotola la pergamena e la ferma annodando uno spago, poi finalmente si rivolge a lui.
- In questi mesi hai sostenuto molte prove insieme ad altri giovani maghi promettenti. Sei stato esaminato e valutato dai miei selezionatori per quanto concerne le abilità magiche in tuo possesso, le tue conoscenze storiche e letterarie, abilità retoriche, la tua capacità decisionale e di applicazione logica. Nonostante non abbia potuto condurre di persona la selezione ho seguito il vostro lavoro meticolosamente e dopo avervi incontrati tutti i venti una settimana fa, come avrai dedotto, ho scelto te.
Una strana sensazione si diffonde in lui a quelle parole. Lo aveva intuito, anzi, era apparso probabile che fosse così fin dal giorno in cui Theor li aveva personalmente esaminati, ma sentirglielo proferire è cosa del tutto diversa.
- Immagino che per tua madre sarà motivo di grande orgoglio, ma prima di accettarti a pieno titolo come mio apprendista ci sono delle domande che devo porti.
Hareis sente l'agitazione tornare a salire; era stato sicuro fino a pochi istanti prima che nessuno lo avrebbe più sottoposto a esami, eppure pare che Theor non sia dello stesso parere.
L'uomo lo scruta con quei penetranti occhi gialli, tanto che lui è tentato di abbassare lo sguardo. Ma non lo fa. Ogni singolo cenno di cedimento può comportare un cambio di posizione da parte di Theor, e quindi una sua esclusione. Non può deludere sua madre.
- Non sono un uomo dedito alle perdite di tempo - spiega con calma. - Quando ho svincolato Samuel dal nostro legame, dopo quindici anni di apprendistato - non ero ancora maestro quando lo presi con me - non ero sicuro che fosse opportuno scegliere un altro giovane da istruire. Tuttavia sento la necessità di infondere lo spirito del mio operato in qualcuno di cui io mi possa fidare ciecamente, qualcuno che possa forse, un giorno, prendere il mio posto.
Hareis non emette fiato. Non riesce a capire dove l'uomo voglia andare a parare.
- Ma questa non è una posizione che si possa assumere con leggerezza, Hareis. Sei ancora un fanciullo; se accetti ora rinuncerai a molte velleità che la vita ha da offrirti. Non tutti possono ambire a intraprendere una carriera politica, ma quelli che vi sono davvero portati sono davvero pochi. Ma se accetterai di diventare mio apprendista dovrai dedicare anima e corpo alla strada intrapresa. Come ho detto, non amo le perdite di tempo. Voglio essere
sicuro che non mi deluderai.
Hareis è sgomento: come può esserne sicuro? Come può garantire che le proprie doti sono ineccepibili e che la propria volontà rimarrà immutata nel corso degli anni? Davvero Theor si aspetta una risposta da lui, che ha solo dieci anni, che non sa nulla di quel mondo...
- Ebbene io ti chiedo, possiedi tu questa vocazione?
Un istante.
- Sì, mio signore.
- Sei disposto a consacrarti alla vita politica? A legarti alle sorti della tua patria, qualunque esse siano? Sei pronto per tutto questo?
Nella sua parlata c'è qualcosa che ammalia, Hareis lo sa. E per la prima volta desidera davvero occupare il posto che i suoi genitori hanno designato per lui. Desidera diventare come l'uomo che ha di fronte.
Risponde alle domande con voce ferma.
- Sono pronto, mio signore.
Forse Theor vede nei suoi occhi qualcosa che lo compiace, perché accenna un sorriso. - Dunque è deciso. D'ora in avanti mi chiamerai
maestro.


In vent'anni non si era mai pentito delle parole pronunciate quel giorno. Forse nei primissimi tempi di apprendistato, ma ormai di quegli anni non ricordava che frammenti e vaghi sprazzi di stati d'animo.
Se si fosse trovato di nuovo in quello studio che in seguito sarebbe diventato suo avrebbe ripetute le stesse parole di allora.
Eppure la Ribellione lo aveva portato più volte sull'orlo del baratro. Abbandonare del tutto ogni parvenza di una vita normale, rinunciare alla vitalità del fiore della propria giovinezza era stata una prospettiva facile da accettare davanti al bruciante furor di patria che la vita e le parole del suo mentore gli avevano instillato.
Ma vedere il corpo esanime di Sephirt ammassato insieme ai cadaveri nella fossa comune di Tamithia. Vedere i propri fratelli che cadevano sotto i colpi dei nemici in fiumane di sangue, assistere alle difese di Qorren che andavano in frantumi. La trasformazione della donna che amava: la vita e il furore che avevano animato i suoi occhi rossi scomparsi per sempre, sostituiti da quella spietata freddezza nutrita solamente dal desiderio di morte... Quelle erano state prove che avevano portato la sua volontà a vacillare pericolosamente sotto il disperato desiderio di abbandonare quel mondo di sofferenza e fuggire lontano.
Ma come Sephirt aveva rinunciato alla propria anima per il desiderio di vendicare Mal, così Hareis aveva rinunciato a ogni cosa pur di restare fedele alla causa. E pur di rimanere a suo fianco.
Anche se della persona che amava non era rimasto che il simulacro, anche se quel sentimento lo avrebbe condotto certamente alla distruzione e, forse, in un certo senso, lo aveva già fatto.
Dopotutto nessun uomo può scegliere chi amare.

La creatura che Mal si porta dietro non è un ragazzino come la chioma corta e arruffata aveva suggerito. È una bambina.

Quelle immagini avevano riempito i suoi sogni per anni, e i suoi incubi negli ultimi tempi.

Non può avere più di dieci anni. Il suo volto è pallido e affilato come quello di un animale selvatico, la sua pelle diafana crea un netto contrasto con gli occhi rossi come il sangue. Hareis ne ha soggezione e abbassa lo sguardo.

Cos'aveva condotto le vie di Mal e Sephirt ad incrociarsi?

È evidente che sia stata esposta a malnutrizione e avversità di ogni tipo. Nonostante si trovi ad Amaria già da qualche giorno ci vorrà parecchio prima che ritorni nel pieno delle forze e metta su un po' di peso. Ora come ora dev'essere leggera come un fuscello. Non parla.

Non era sicuro che Theor ne avesse compreso subito l'enorme potenziale magico. Hareis aveva sentito il suo mentore parlare di lei con Mal soltanto una volta; in quell'occasione ricordava di aver sentito l'uomo pronunciare la frase, per lui allora enigmatica, "il suo corpo e la sua mente rifiutano la Magia".
Quale trauma aveva ridotto una bambina in quello stato? Cosa aveva visto Mal in lei che a tutti gli altri per molto tempo ancora sarebbe rimasto celato?
Interrogativi che erano rimasti senza risposta per anni e che, ora ne era sicuro, non sarebbero mai stati svelati.
Sephirt era cresciuta ed era diventata una strega più potente di quanto né lui né Mal sarebbero mai stati. Dolcemente divorata dall'amore per il proprio mentore come lo era stato lui per lei.

Quando Mal chiede a Theor il permesso di farne la propria apprendista Hareis ha un infantile moto di stizza. "Ma è una femmina! Le femmine non possono essere brave quanto noi con la Magia."

Ricordava di aver percepito un'inconsueta incertezza nel maestro delle Terre del Nord. A lungo aveva scrutato Mal, combattuto tra lo scetticismo e la fiducia che nutriva nel suo uomo migliore.

Sephirt non guarda verso di loro. Si stringe al mantello di Mal e tiene gli occhi bassi; sembra molto più piccola di quanto non sia in realtà.

Se Theor avesse detto di no avrebbe risparmiato immense sofferenze a tutti loro.

Le sentinelle stavano in piedi lungo tutto il perimetro delle mura, disseminate fra le schiere di arcieri inginocchiati davanti alle feritoie. All'interno della città non si vedeva anima viva che non fosse un soldato. Theor aveva reso pubblico l'ordine per tutti i civili rimasti incapaci di reggere in mano una spada di ritirarsi nelle abitazioni nel centro della città. A suo agio nei panni dello statista in momenti d'emergenza aveva bellamente ignorato le vaghe proteste degli aristocratici proprietari degli ampi palazzi nobiliari disseminati intorno alla piazza centrale di Amaria. L'unico luogo a non essere adibito a quello scopo era il palazzo reale, divenuto vero e proprio centro dell'organizzazione militare e punto di raccolta per gli ultimi generali rimasti a disposizione della Ribellione. Negli ultimi tempi Hareis aveva assistito a un via vai del tutto inedito all'interno delle austere sale della reggia della famiglia Vanyana. Le ultime riunioni, gli ultimi calcoli, le ultime disposizioni. Era stato a fianco di Theor, sempre, a costo di togliere il sonno alle sue notti. Perché da quella battaglia non sarebbe dipeso soltanto il futuro della Ribellione, no, ad essere deciso sarebbe stato il destino delle Terre del Nord.
Ora però tutto taceva. Theor aveva portato con sé al Santuario la maggior parte dei suoi uomini più fidati, dopo aver affidato ad Hareis la difesa della capitale. Attendi il mio ritorno, erano state le sue ultime parole prima di congedarsi.
Aveva cercato Sephirt il giorno prima per parlare con lei un'ultima volta da solo. Non era sceso tanto in basso da gettarsi ai suoi piedi dichiarandole eterno amore e implorandola di fuggire con lui lontano da lì. In un certo senso gli sarebbe sembrato un tradimento nei confronti della donna di cui un tempo si era innamorato, la vera Sephirt. Anche se forse, dopotutto, la donna che era riemersa dai sotterranei del custode Ryeki come una fenice nera dalle ceneri era molto più simile alla bambina emaciata che era arrivata ad Amaria tanti anni prima rispetto alla strega che Hareis aveva conosciuto. Forse quella parabola discendente altro non era che l'inevitabile corso della vita di una creatura che non era mai appartenuta veramente al mondo degli uomini.


Sono entrambi avvolti da pesanti pellicce di lupo. Quella di Sephirt dev'essere di un albino, visto il colore bianco come la neve, e crea un netto contrasto con l'elegante divisa da combattimento che indossa. Nera come l'abisso in cui è prigioniera la sua anima, nonostante a risaltare su tutto siano come sempre i suoi occhi. Rossi come il sangue di coloro che ha ucciso.
Una retorica che Hareis pensava trovarsi solo negli antichi componimenti dei poeti maledetti risalenti al periodo antecedente alla Prima Era. Ora si trova di fronte alla loro rappresentazione, tanto da chiedersi se Sephirt non sia davvero la reincarnazione di qualche divinità arcaica.
Non può provare desiderio verso di lei, non più. Il solo ricordo di quando ancora serbava in cuore qualche speranza lo riempie di un'angoscia e un dolore così forti da annichilire ogni altro sentimento.
Come siamo giunti a questo? Vorrebbe chiederle. Che abbiamo fatto delle nostre vite? Hareis non avrebbe rimpianti se non fosse per lei.
- Perché non te ne sei andata? - le chiede invece. - Questa vita, questa causa, ti hanno tolto tutto. Non credo che a questo punto possa più importarti della Ribellione. Perché sei ancora qui?
Sephirt lo guarda senza sbattere le palpebre. È un'esigenza che pare averla abbandonata. Ma nonostante questo, per la prima volta da quando l'ha vista tornare dal mondo dei morti, qualcosa attraversa i suoi occhi. Qualcosa che potrebbe sembrare di buon auspicio, l'ombra di una perduta umanità, ma Hareis impiega solo un istante per capire che non è altri che dolore. Non c'è speranza per lei. Quello sguardo è solo una supplica disperata gettata da un'anima irrimediabilmente ferita, prigioniera dietro sbarre di ferro che non ammettono redenzione.
Sembra siano passati anni dall'ultima volta in cui si sono trovati così vicini, a parlare guardandosi negli occhi. Da quando Sephirt è morta e la Strega Rossa ha preso vita Hareis non è mai riuscito a sostenere quello sguardo. Ora però non vi si sottrae.
Quando la strega parla, lo fa con voce quasi rotta.
- Non ti mentirò, Hareis. Hai detto il vero. La Ribellione ha perso ogni significato per me da molto tempo ormai. Theor, la patria, la gloria... nulla di tutto ciò ha più importanza.
Vorrebbe muovere un passo verso di lei e sentire quanto sono fredde le sue guance, ma non lo fa. Continua a solamente a guardarla negli occhi, i quali per un istante sembrano velarsi di lacrime. Ma forse lo ha soltanto immaginato.
- Non sento
niente, Hareis - vi è una sorta di urgenza in quelle parole, come se per troppo tempo avessero premuto per uscire dalle sue labbra. - Solo desiderio, un desiderio folle, di fargliela pagare.
- A chi, Sephirt?
Ora è lui a non essere sicuro di riuscire a trattenere le lacrime. La commozione è troppo forte. Nulla conta più in quel momento. Sono lì, insieme. Forse gli è stato concesso un ultimo momento di idilliaca amarezza, la possibilità di rivedere uno sprazzo, seppur cupo e disperato, della donna che possiede il suo cuore e che, ora ne è sicuro, lo porterà con sé fin nell'infero della morte. E se davvero quel momento di lucidità è soltanto un'illusione, Hareis è comunque disposto ad accettare questo fato.
Lei scuote la testa.
- Al mondo. A tutti quanti. A Jel Cambrest e Gala Sterman.


Hareis chiuse gli occhi. Nevischio leggero aveva cominciato a scendere dal cielo foderato da nubi perlacee, bagnandogli le guance.
Le ultime nevi dell'inverno?
Una volta Sephirt, durante un duello d'allenamento, aveva evocato una palla di neve e gliel'aveva scagliata contro. Ne era seguita una battaglia che aveva praticamente allagato la stanza dei sotterranei in cui lo scontro aveva avuto luogo. Era stato uno dei pochissimi momenti di spensieratezza che avevano condiviso.
Il mago sorrise a quel ricordo.
Poi qualcosa lo indusse a riaprire gli occhi. Un lieve tremito lo aveva scosso, a metà fra una percezione sensoriale e un presentimento. Aguzzò lo sguardo e scrutò l'orizzonte.
Non si era sbagliato. Una macchia scura andava allargandosi in lontananza, spandendosi sulle propaggini delle piana di Dárenlas come la spuma dell'onda.
L'Esercito delle Cinque Terre era finalmente arrivato.








Note:

Questo è un capitolo sperimentale, forse il più particolare che abbia mai scritto. Come avrete notato quando si tratta del pov di Hareis faccio spesso uso di flashback, ma questa volta ho cercato di andare oltre, fondendo i due piani di narrazione - sperando che ai lettori non appaia tutto come evitabile infodump. Il fatto è che Hareis è un personaggio cui tengo molto, nonostante per "regole di ingaggio" da me autoimposte non abbia potuto seguirlo passo passo durante questa vicenda. Ecco perché voglio restituirgli qualcosa, mostrando poco alla volta tasselli del suo passato. Spero che condividiate la mia scelta.
Un bacio a tutti i lettori e un grazie particolare a Elendil che ha recensito lo scorso capitolo insieme alla fedelissima easter_huit.
~TaliaMorrissey

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** Capitolo 36 - Gala ***


36








Nonostante l'indiscutibile bellezza del puledro dal manto nero come ebano che la corte le aveva procurato, Gala avrebbe desiderato che fosse Yin a portarla incontro al suo destino. Il vecchio cavallo della famiglia di Jel con cui era partita alla ricerca delle Pietre Magiche era stato per lei un compagno fedele al quale si era affezionata quasi proprio malgrado. Aveva sofferto più di quanto si sarebbe potuta aspettare nel momento in cui era stata costretta ad abbandonarlo, nell'oscurità di rovi intricati del Bosco Hardist.
Ehme e Yin, simbolo del periodo in cui lei e Jel erano ancora compagni di viaggio inseparabili. Ma adesso che quel periodo, benché sconvolgente e preambolo dell'inferno che si sarebbe abbattuto su tutti loro, era terminato, la ragazza si ritrovava a rimpiangere, se non altro, la quasi costante presenza di Jel su cui allora aveva potuto contare.
Il fatto di starsi dirigendo verso quella che sarebbe stata, probabilmente, la sua ultima battaglia senza di lui la riempiva di un'angoscia indescrivibile. Non era solamente l'idea di ciò che la aspettava, ma il fatto di non poterlo affrontare insieme a lui a terrorizzarla.
Ma non doveva lasciarsi distrarre da quell'opprimente senso di solitudine che avvertiva nel petto, quella sensazione di essere rimasta completamente sola in quella tempesta; si stava dirigendo al Santuario con un obiettivo ben preciso, un obiettivo che andava aldilà della semplice vittoria sulla Ribellione: trovare Astapor Raek. Trovarlo e chiuderle una volta per tutti i conti con l'assassino di Camosh.
Mentre procedeva lentamente tenendo strette le redini di Saryo, la strega immaginò per l'ennesima volta cosa avrebbe potuto significare trovarsi per le mani la vita di quello sporco traditore e avere il potere di spezzarla. Non era mai stata una persona avvezza alla crudeltà e alla violenza, ma l'idea di uccidere Raek era la più avvenente e perturbante che avesse mai concepito. Forse era qualcosa di simile al sentimento che legava Jel a Sephirt, eppure Gala faticava a immaginarsi l'amico nell'atto si rimuginare sull'omicidio di qualcuno per propria mano. Era un atto riprovevole e ne era consapevole. Ma che cos'era quel suo mero desiderio di vendetta di fronte a tutto ciò che Raek aveva compiuto?
Gettò uno sguardo all'indietro, verso la retroguardia: il drappello di maghi di cui faceva parte era stato posizionato proprio al centro della colonna. Il maestro Anérion cavalcava al passo di fianco a lei, mentre in testa avanzava Felinor Althon scortato da due guardie. Dopotutto era lui in quel momento il custode delle Pietre Magiche, ergo il più importante fra tutti loro.
Quando Nigel aveva saputo che sarebbe partita per il santuario - da suo fratello Jack, probabilmente - l'aveva raggiunta nel luogo del rendez-vous per darle un ultimo saluto. Compostamente seduta in sella in mezzo agli altri maghi del Consiglio destinati alla missione, la ragazza aveva temporaneamente dimenticato il protocollo ed era smontata da cavallo per andargli incontro.
"Cerca di proteggere mio fratello con i tuoi incantesimi, strega" le aveva intimato il giovane con un sorriso tirato.
"Lo farò, ma in verità l'ultima volta che ho combattuto è stato lui a salvare me" aveva risposto lei arrossendo vagamente.
Nigel le si era avvicinato e le aveva posto un bacio fra la guancia e il collo.
"Sono sicuro che te la caverai" aveva proferito quasi automaticamente, come se l'ipotesi di non vederla tornare non fosse stata considerabile.
"Ce la caveremo entrambi", aveva promesso Gala con un fil di voce.
Se davvero fosse tornata viva da quella battaglia avrebbe desiderato conoscerlo meglio.
Nigel doveva averle letto nel pensiero perché, dopo essere rimasto un istante in silenzio, esitante, aveva azzardato un: "forse avremo modo di vederci ancora, quando tutto questo sarà finito."
La paura l'aveva avvolta, così forte da farle avere l'impressione che sarebbe crollata sulle ginocchia. Procedeva ad ondate in quegli ultimi giorni. A volte il desiderio di vendicarsi dei Ribelli per quanto le avevano fatto era forte da oscurare tutto il resto, ma in altri momenti si riaffacciava nella sua mente il ricordo della battaglia che aveva combattuto mesi prima nel campo di Jack Cox, e la sua sicurezza pareva venire meno; l'unico istinto che rimaneva vivo era quello di fuggire da quel luogo e lasciarsi alle spalle tutto quanto.
Chissà se anche Jel provava le stesse cose.
L'idea che potesse capitargli qualcosa le procurava il capogiro.
Era cresciuta, era diventata ruvida quanto bastava per reggere sulle proprie spalle il peso di quella situazione, ma non lo sarebbe mai stata abbastanza per sopportare la morte del suo più vecchio amico. Il suo compagno in mille avventure.


L'indomani, prima dell'alba, Gala si chiese se l'assedio di Amaria fosse già cominciato.
Jel era stato nominato comandante in capo delle truppe che avrebbero attaccato sul fronte orientale: un onore immenso, benché rappresentativo più che altro, ma in cuor suo la ragazza sapeva bene che l'amico avrebbe di gran lunga preferito mantenere un basso profilo e potersi muovere liberamente.
Le sue viscere si accartocciarono dolorosamente nell'immaginarsi nuovamente faccia a faccia con la Strega Rossa. Se si fermava a riflettere su quanto era accaduto tanti mesi prima a Tamithia, quasi stentava a credervi: Jel aveva tenuto testa a quella che poche settimane dopo sarebbe diventata la strega più potente e temuta dell'intera Fheriea, e lei, Gala, aveva addirittura avuto la possibilità di spezzare la sua vita una volta per tutte.
A volte forse era davvero necessario piegare arrendevolmente il collo sotto il giogo della necessità, pensò la ragazza mentre si levava di dosso la pelliccia di lupo sotto la quale aveva dormito e si apprestava a mettere il naso fuori dalla piccola tenda che le era stata assegnata. Il fatto che Sephirt fosse sopravvissuta alla sua pugnalata era incredibile, ma non quanto il fatto che lei stessa si fosse permessa una leggerezza tale da non averlo controllato a dovere che il suo cuore avesse realmente cessato di battere.
Uscì dalla tenda e si distanziò di una decina di metri dallo spiazzo in cui erano state montate quelle degli altri membri del Consiglio presenti nella spedizione. A intervalli irregolari sorgevano, nella massa di uomini addormentati avvolti dalle pellicce, sporadiche sentinelle dagli occhi stanchi o intenti a sbadigliare. Il piccolo padiglione che ospitava i due comandanti, Jack e Lord Versjan, si trovava quasi ai margini dell'accampamento, vicino ai componenti dell'avanguardia. Se ripensava all'infantile "sbandata" che aveva creduto di essersi presa per l'affascinante combattente ariadoriano un sottile sorriso ironico le si disegnava sulle labbra. All'epoca, benché molte cose orribili fossero già avvenute, ancora poteva permettersi quei brevi sprazzi di mera fanciullezza. Piuttosto, ciò che rimaneva vivido nel suo animo era l'immenso senso di essergli debitrice per quanto aveva fatto per lei durante la battaglia che avevano accidentalmente combattuto insieme: calando come un falco dal cielo in sella al suo magnifico Stallone Nordico l'aveva strappata dalla morte in un momento in cui neanche Jel avrebbe potuto fare nulla.
Doveva essere un uomo estremamente coraggioso. L'aveva visto diverse volte a Hiexil in compagnia di Dubhne, e stranamente la cosa non l'aveva sorpresa più di tanto. Con lui la campionessa di Città dei Re doveva aver trovato pane per i propri denti.
Avrebbe desiderato che almeno Nigel fosse lì con lei, ma d'altra parte ringraziava il cielo che il ragazzo fosse costretto a rimanere alla larga dalle battaglie per via della sua gamba. Se non altro era sicura di questo: almeno lui sarebbe sopravvissuto a quel giorno.
Dopo aver messo tra sé e l'accampamento una distanza sufficiente a celarla agli occhi delle sentinelle, la strega si fermò. Distese il palmo della mano e guardò una fiamma color rosso sangue fluire dalle sue falangi fino a formare un'informe massa di fuoco. Da quando era tornata a Grimal dopo il suo viaggio nel Bianco Reame si era esercitata senza sosta nella pratica delle Evocazioni e, benché non fosse ancora in grado di produrne di imponenti in un tempo minimo, le sue capacità si erano indubbiamente incrementate.
Avvertire il placido calore del fuoco magico sulla pelle della mano aveva il potere di calmarla leggermente, ecco perché lo aveva fatto spesso negli ultimi giorni. Era un riscontro di quanto il suo potere fosse aumentato nell'ultimo anno: era una strega molto più matura rispetto alla sprovveduta ragazzina che aveva tentato di produrre un'Evocazione di fronte a Mal Ennon, poco prima che Ftia Elbrik lo uccidesse e salvasse il collo a entrambi.
- Stavo per ucciderti, strega - una voce dura alle sue spalle la colse completamente di sorpresa.
Gala si voltò di scatto e si ritrovò a fissare il volto di Dubhne, in piedi davanti a lei mentre rinfoderava una daga nella cintura. Non l'aveva nemmeno sentita arrivare.
- Saresti finita nei guai, temo - ribatté acida. - Uccidere un Consigliere non è un buon modo per mettersi in mostra.
Nei mesi che le avevano separate forse la Ragazza del Sangue era cambiata, ma per Gala sorgeva spontaneo scoprire gli artigli quando aveva a che fare con lei.
- Esercizi di magia? - ignorando del tutto la provocazione, Dubhne alluse con un cenno del capo alla mano della ragazza, dal quale la fiamma era prontamente scomparsa.
- È per questo che pensavi fossi un Ribelle?
- No - la ex combattente scosse il capo. - Ero sveglia e ho semplicemente sentito dei movimenti appena fuori dal campo.
Ma certo, si disse Gala dandosi della sciocca. Lei non può sentire la magia. Non è una strega. A volte, il fatto di aver trascorso così tanto tempo, e in modo così continuativo, tra i suoi simili, la portava a dimenticare che la maggior parte delle persone non era in grado di praticare la magia né di percepirla.
- Hai un udito sottile - commentò tornando a rivolgersi a Dubhne.
Questa rise. - È inevitabile per chiunque abbia trascorso nell'esercito più di un paio di mesi.
In effetti, calata la tensione iniziale, non sembrava intenzionata ad attaccar briga con lei. Gala la osservò meglio, senza riuscire a nascondere un minimo di curiosità; dopotutto era l'emblema stesso di un mondo che lei quasi del tutto ignorava. Chiacchiericcio e rumorio avevano cominciato a levarsi nell'accampamento alle loro spalle, mentre cominciavano a venire accesi anche i primi fuochi per la colazione.
- C'è qualcosa che vuoi chiedermi? - la giovane doveva essersi accorta del suo sguardo indagatore.
In realtà c'erano molte domande che avrebbe desiderato porle, a cominciare da come ci si dovesse comportare per sopravvivere a una battaglia, ma il proprio orgoglio ebbe la meglio e Gala scosse la testa.
- Sono solo stanca di aspettare. Voglio che questo teatro finisca.
Dubhne sorrise amaramente. - Non è mai finita, se è questo che intendi, Consigliera.
E le voltò le spalle, lasciando la ragazza a interrogarsi su cosa avesse voluto dire.


Il panorama era cambiato.
Le dolci colline che si estendevano oltre Hiexil si erano inaridite, lasciando spazio a promontori rocciosi e acuminati. Più si spingevano a Nord più la quantità di neve non ancora scioltasi si faceva consistente, e la via percorribile a cavallo più stretta. Lord Versjan aveva pressoché perso il senno a furia di inviare esploratori affinché esaminassero ogni singolo sentiero secondario, ogni anfratto e ogni grotta che potesse offrire ai Ribelli la possibilità di orchestrare eventuali imboscate. 
                                                   Ma evidentemente i piani di Theor dovevano prevedere altri movimenti perché non un solo Nordico, spia o combattente, fu rinvenuto a tenere d’occhio gli spostamenti delle truppe delle Cinque Terre, né attacco a sorpresa alcuno fu tentato. 
                                                                                        La tensione aumentava a ogni giorno di marcia.
L'impossibilità di ricevere notizie sull'assedio di Amaria, il quale a quel punto doveva essere per forza di cose già iniziato, non faceva che portare i nervi di soldati e Consiglieri ancora più a fior di pelle; francamente, Gala era sicura di stare per impazzire a furia di starsene intrappolata tra i propri muti compagni di viaggio. Tutti i maghi del Consiglio che avevano preso parte alla spedizione sembravano risoluti a trascorrere l'intero viaggio senza scambiarsi una sola parola.
Alla fine, al quinto giorno dalla partenza, la ragazza si decise ad allontanarsi un poco dal proprio tetro drappello, mettendosi in cerca dell'unica persona che poteva affermare di conoscere un poco in quella moltitudine oltre a Jack e ai vari maestri e Consiglieri: Dubhne.
Il disperato bisogno di parlare con qualcuno che la strega avvertiva era così forte da farle persino dimenticare l'antipatia che aveva provato verso la combattente fin dal primo momento. E poi, dagli ultimi due incontri che aveva avuto con lei, Dubhne pareva essere cambiata parecchio rispetto a quando si erano conosciute a Città dei Re. Aveva intuito il debole che Jel sembrava serbare nei suoi confronti, ma a quel punto avrebbe tanto desiderato capirne il perché: cosa poteva esserci in quell'assassina spietata che tanto affascinava gli uomini?
Non le ci volle molto per riconoscerla: era l'unica guerriera a marciare da sola, tenendosi leggermente a distanza da tutti gli altri. Rimanendo ai margini della colonna per non creare fastidi e inutili discussioni, Gala attese che fosse alla sua altezza prima di affiancarlesi.
- C'è qualcosa delle nostra conversazione dell'altra mattina che desideri chiarire? - la irrise la giovane continuando a guardare davanti a sé.
La strega decise che sarebbe valsa la pena essere sincera: si era mossa di propria spontanea volontà per andarla a cercare, dunque era inutile che fingesse di non voler parlare con lei.
- Sai - esordì esitante. - Ho conosciuto persone di ogni genere negli ultimi anni, ma tu sei l'unica che davvero non riuscirò mai ad inquadrare.
- Perché sei venuta a cercarmi? - ribatté lei stancamente. - Sei qui per, com'è che si dice?, diventare mia amica?
- Può darsi - rispose Gala con un fremito di irritazione nella voce. - Non piacerebbe anche a te qualcuno con cui parlare?
- Chi ti dice che non ce l'abbia già?
Gala nitrì infastidita. Stava già per pentirsi di quel moto di apertura che aveva avvertito nei suoi confronti, quando Dubhne parlò di nuovo.
- In ogni caso la tua non è una lacuna poi così grande. Qualunque cosa io sia stata in passato, non lo sono più ormai.
Ma perché le sue risposte dovevano essere sempre così enigmatiche? Sembrava quasi che la combattente lo facesse apposta, tenesse i suoi interlocutori sul filo del rasoio per accrescere l'immagine di sé che doveva aver costruito negli anni: quella di una guerriera fredda e inavvicinabile.
Eppure quel velo di malinconia che Gala aveva scorto fin da quando l'aveva rincontrata a Hiexil suggeriva che, forse, le sue parole criptiche non erano poi così distanti dalla realtà.
- Hai perso qualcuno nel Nord, non è vero?
Dubhne non rispose, ma fu più che sufficiente per lei. La strega si sentì all'improvviso molto stupida: che diavolo stava facendo? Perché ficcare il naso negli affari di una persona che quasi non conosceva e che, per giunta, si era sempre mostrata piuttosto ostile nei suoi confronti?
Ma invece di continuare a camminare in silenzio, la giovane di fianco a lei volse lo sguardo nella sua direzione e rispose: - È facile riconoscerlo quando si sa cosa si prova, vero? - la sua voce era ben lontana dal tono di ostentata spavalderia che aveva quasi sempre utilizzato nel rivolgersi a lei. - Jel mi ha raccontato che avete perso il vostro maestro, durante questa guerra.
Il cuore di Gala sobbalzò nel sentir nominare il suo mentore. Il rapporto tra lei e Jel doveva essersi fatto più stretto di quanto avesse pensato se l'amico era arrivato a raccontarle di Camosh e del suo assassinio.
- Mi hai chiesto se ho perso una persona cara... ebbene sì. Mi sono trovata davanti al cadavere della mia unica vera amica steso in una pozza di sangue al termine della battaglia di Hiexil.
Gala la vide stringere i denti e provò nei suoi confronti un inconsueto senso di empatia.
- Siamo state separate per più di dieci anni. L'avevo appena ritrovata.
- Mi dispiace... - mormorò la Consigliere senza trovare niente di meglio da dire. - Non avrei dovuto chiedertelo...
- E perché? - replicò Dubhne. - Parlarne o meno non cambia le cose. È una cosa che ho imparato diverso tempo fa.
Aveva ragione.
Dopo che aveva saputo della morte di Camosh, Gala aveva accuratamente evitato di parlare di lui con Jel, tentativo facilitato dalla pregnanza della loro missione, nell'inconscia speranza di cancellare il ricordo di una simile disgrazia. Fatica sprecata, naturalmente.
Conscia di starsi avventurando su un sentiero pericoloso, non tanto verso la propria interlocutrice quanto per se stessa, la ragazza mosse la domanda che serbava in cuore da tanto tempo, da quando aveva scoperto l'identità dell'assassino del suo maestro.
- Quel dolore... quella rabbia... credi che esista un modo per placarla?
Dubhne parve cogliere al volo a cosa si stesse riferendo.
- Parli della vendetta? Potrei risponderti di sì, ma ti mentirei. Io non posso saperlo. Non posso vendicare la mia amica. Non so nemmeno chi sia stato a ucciderla.
Per qualche istante Gala non seppe come replicare e il silenzio tornò a calare fra le due. Più coglieva particolari sulla vita della combattente più l'immagine che in passato si era fatta di lei vacillava. Aveva l'impressione di essere in qualche modo in una condizione "privilegiata" nel sentirsi raccontare quelle cose: di certo Dubhne non era una che parlasse del proprio passato con grande facilità. Eppure in quel momento percepiva una sorta di legame a unirle, inspiegabile ma autentico. Forse era il fatto di essere pressoché le uniche donne così giovani a trovarsi, seppur per motivi diversi, tra quelle fila. Dirette verso il proprio destino.
- Ma a quanto pare per te non è la stessa cosa, eh? - la giovane interruppe ad un tratto i suoi pensieri. - Sai chi è stato. Lo conoscevi.
Gala annuì gravemente. Poi la verità si riversò dalle sue labbra, distorcendo la sua voce per la rabbia che le provocava. - Ho seduto accanto a lui nel Gran Consiglio da quando vi sono stata ammessa. Un traditore. Una maledetta spia di Theor. Astapor Raek è il suo nome. Il fottuto Lord dell'Isola Grande.
- E tu sei decisa a prenderti la sua vita.
- Sì - ammise lei. Era la prima volta che lo diceva chiaramente a qualcuno. Non ne aveva mai parlato in modo così diretto neanche con Jel. - È per questo che sono tornata, che ho ripreso il mio posto nel Consiglio, che mi sono spinta fino in queste lande dimenticate da Dio. Forse ucciderlo, sempre ammesso che ci riesca, non sarà sufficiente a restituirmi la pace, ma di una cosa sono sicura: non potrò trovarla se lui rimane in vita.
- Allora uccidilo - concluse Dubhne schiettamente. - Forse ti aiuterà, forse no. In ogni caso nessuno nelle Cinque Terre piangerà la sua morte.
Quell'assassina che aveva macchiato di sangue il terreno dell'Arena, quella guerriera distante e letale, quella ragazza intrattabile, in quel momento sembrava la sola in grado di capirla davvero.
Pensando che probabilmente Dubhne non avesse più niente da dirle, Gala pensò fosse meglio colpire i fianchi di Saryo per tornare al proprio gruppo di Consiglieri, ma poi tornò sui propri passi e non riuscì più a trattenere la domanda: - È vero che hai ucciso tutti i combattenti che hai affrontato? Nell'Arena, intendo.
Dubhne sorrise con aria triste.
- Ho solo ucciso coloro che hanno cercato di uccidere me.
S'interruppe e la strega vide una flebile luce brillare nei suoi occhi.
- Tutti... tranne una - mormorò. - Si chiamava Illa. Aveva qualche anno meno di te. Non ho idea di come avesse fatto ad arrivare fino agli ottavi di finale, ma quando me la sono trovata davanti ho capito che niente e nessuno avrebbe potuto convincermi ad uccidere quella creatura spaurita. Mi è servito tanto conoscerla. Mi ha aiutata a rimanere umana.


La grotta del santuario apparve davanti a loro del tutto improvvisamente.
Dal basso, Gala rimase ad osservare riparandosi gli occhi dalla luce bianca del cielo con una mano mentre Jack Cox, Lord Versjan e un paio di cercatori di piste discutevano su quale fosse il percorso migliore per avvicinarvisi dall'alto di un piccolo promontorio.
L'ingresso della caverna era posizionato sul lato opposto rispetto a quello dove si trovavano le truppe dell Cinque Terre in quel momento, pertanto il corteo mosse una cauta manovra di accerchiamento da ambo i lati.
Quando raggiunsero l'ampia apertura nella roccia, nessuno dei Consiglieri al sicuro dietro le fila dell'avanguardia si stupì nel vedere comparire davanti a sé, al sicuro dietro una barriera di protezione, Nathaniel Theor in persona. Accanto a lui c'era Astapor Raek.
Dietro di loro, ordinatamente schierati in difesa del santuario vero e proprio, un centinaio di Ribelli protetti da armature di ferro e impeccabilmente armati aspettavano senza fiatare un suo ordine.
Ma non Sephirt, si rese conto in una frazione di secondo. Sephirt non c'era, Sephirt non era lì. Theor li aveva ingannati tutti.
Jel, fu tutto quello che la ragazza riuscì a pensare.





Note: lo so, il capitolo fa schifo, è indecorosamente corto e sono terribilmente in ritardo con le pubblicazioni. Che ci volete fare, sono sempre stata un disastro, e quest'anno non è certo il più facile per essere assidua vista la mole di studio che mi ritrovo da affrontare. Spero che possa essere piaciuto almeno a qualcuno. In tal caso fatemelo sapere con una recensione se avete tempo.
Non so se riuscirò davvero a pubblicare ancora entro l'Epifania, ma non credo proprio. Sarà un miracolo se ce la farò entro la fine del mese. Alla prossima, senza promesse sulle tempistiche!

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** Capitolo 37 - Dubhne ***


Ok, questa volta qualcuno potrebbe uscire traumatizzato dalla lettura del capitolo XD
Volevate una mega battaglia? Eccola!!!!!









37








Nel trovarsi per la prima volta di fronte a Theor in persona, Dubhne avvertì un'emozione mai provata prima avvolgerla.
Ascoltando i racconti di Jel, le allusioni di Jack, sentendo così tante volte il suo nome riecheggiare in tutti i campi militari in cui aveva stazionato, secondo in frequenza solo a quello della Strega Rossa, la ragazza aveva avuto modo di immaginare il volto del famigerato leader della Ribellione, la mente che si era celata dietro ogni azione compiuta dai Nordici negli ultimi due anni, un'infinità di volte.
Non seppe dire se le sue aspettative fossero state soddisfatte nel fissare la sua figura asciutta e compassata, avvolta da un mantello bianco che celava solo in parte l'elsa della lunga spada che gli pendeva al fianco. Una mera questione di scena, naturalmente: da quello che aveva avuto modo di apprendere, Theor era uno dei maghi più capaci e pericolosi delle Cinque Terre, di certo non avrebbe rinunciato a falciare larga parte di loro con la magia. Eppure, scorrendo con lo sguardo le fila dei guerrieri ribelli che attendevano in piedi dietro di lui, Dubhne non riuscì a scorgere la figura di Sephirt, la donna che ossessionava Jel e da cui il mago l'aveva tanto messa in guardia. La stessa donna che durante la prima battaglia di Hiexil l'aveva risparmiata, lasciando irrisoriamente che Jack la trascinasse in salvo. Dubhne non avrebbe mai dimenticato gli occhi di brace della Strega Rossa, e non c'erano dubbi sul fatto che in quel momento ella non fosse al Santuario. Se così non fosse stato, era probabile che molti soldati delle Cinque Terre fossero già morti e la battaglia già iniziata.
Jack non era troppo distante da lei, a cavallo. Dubhne cercò lo sguardo terso del comandante con il proprio e, quando lo trovò, questi mosse impercettibilmente il capo in segno di incoraggiamento.
Sono con te, avrebbe voluto dirgli.
Strinse forte il globo della catenella che il giorno precedente era stata consegnata a ognuno di loro. L'incantesimo applicato su di esse li avrebbe protetti dal fuoco delle Pietre al momento dell'esplosione.
Proprio in quel momento uno dei Consiglieri più importanti, un uomo anziano dai lunghi capelli rosso scuro e la carnagione color mattone, si era separato dal resto dello schieramento e si stava dirigendo verso l'ingresso del Santuario. Doveva essere Althon, il maestro dell'Haryar, qualunque cosa significasse tale titolo. Insieme a lui si erano mosse due guardie e un secondo Consigliere che all'aspetto sembrava essere un Thariano.
Dubhne si sporse in punta di piedi per sovrastare i soldati che si paravano davanti a lei di spalle impedendole la visuale. Si era aspettata che i componenti del Gran Consiglio lì presenti si facessero avanti per offrire a Theor e ai suoi un'ultima possibilità di resa ma francamente sperava che, com'era probabile, il Ribelle non cedesse terreno per un solo millimetro. Voleva avere la possibilità di ucciderli tutti, lui e i suoi cani rabbiosi. Qualcun altro si sarebbe occupato della diplomazia. Ma in seguito.
- Maestro Raenys - proferì Theor beffardo senza nemmeno considerare l'ipotesi di lasciare che fosse Althon a parlare per primo. - Sono lieto di constatare che si sia rimesso in forze a sufficienza per partecipare a questo glorioso giorno. L'ultima immagine che avevo di voi era un puntino in lontananza che fuggiva nella neve...
Il maestro Althon alzò una mano per chiedere silenzio, mentre colui che Theor aveva chiamato Raenys rimaneva impassibile, mantenendo lo sguardo su di lui senza batter ciglio.
- Nonostante abbiate rifiutato l'ultima possibilità che il Gran Consiglio vi ha offerto di arrendervi, nonostante abbiate tradito ogni vincolo di fedeltà alle leggi che tutelano gli ambasciatori, siamo disposti a concedervi un'ultima occasione per risolvere questo conflitto per via diplomatica, evitando la necessità di un inutile bagno di sangue finale.
- Di quanto pensate possano essere cambiate le mie posizioni a riguardo rispetto a qualche settimana fa, maestro?
- Quanto basta per impedire che i tuoi uomini vengano massacrati quest'oggi. Ti basta firmare una sola carta, un documento che dichiari la vostra resa, e il tuo popolo cesserà di soffrire.
- Io non firmerò alcunché - il cambiamento di tono dell'Uomo del Nord fu così repentino da provocare in Dubhne un leggero brivido. Ora aveva modo di capire a fondo la reverenza e il terrore con cui tutti si riferivano a lui. Nel suo sguardo, lo sguardo di ghiaccio che stava mantenendo fisso sui suoi avversari, si leggeva la forza della fede.
- Credete che non sappia dell'armata che sta cingendo d'assedio Amaria mentre noi parliamo? Che io possa essere così ingenuo da pensare che nel caso accetti la resa voi rinuncerete a radere al suolo la nostra capitale? Miei signori, voi mi insultate.
- I nostri metodi non sono i vostri - ribatté Althon con pari calma nella voce. - Se voi e i vostri uomini deporrete le armi adesso mi premurerò io stesso di mandare un corvo al generale Fánersan affinché ritiri immediatamente le sue truppe da Amaria. Una cosa posso garantirvi però: se rifiuterete di farvi da parte, se vi ostinerete a cercare di ostacolarci, non avremo altra scelta se non quella di spazzarvi via con il potere delle Sei Pietre.
Theor rispose con una risata selvaggia cui risposero molti dei guerrieri dietro di lui.
- Credete davvero di impressionarmi con questa manica di bugie? - sibilò tornando a voltarsi verso di loro. - Non basta la vicinanza al Santuario per attivare la magia delle Pietre. Vi occorre quel maledetto talismano, il quale non può essere sottratto al Santuario a meno che non si sia già in possesso delle Pietre. Non credete che lo avremmo portato via prima del vostro arrivo, altrimenti?
Per la prima volta Althon diede segno di agitarsi in sella al proprio cavallo, il quale dovette avvertirlo, poiché recalcitrò un paio di volte emettendo deboli nitriti.
- Dunque questa è la vostra ultima parola, mio signore? - chiese infine il maestro haryarita con aria contrariata.
Theor non gli staccò gli occhi di dosso. - Categoricamente.
- Molto bene - Althon non aggiunse altro mentre strattonava le redini per far voltare il proprio destriero e si apprestava a ritornare nei ranghi con le due guardie al seguito.
Prima di imitarlo, Raenys scoccò all'Uomo del Nord uno sguardo d'avvertimento. - Siete più ostinato che accorto, Lord Theor. Voi e i vostri uomini verrete massacrati - e senza aspettare risposta si congedò. Theor rimase immobile, al sicuro dietro la lieve increspatura dell'evidente barriera magica che proteggeva l'ingresso della grotta.
Nl frattempo Althon era smontato da cavallo nei pressi del punto in cui si trovava Jack. Lord Versjan si era unito a loro.
- Ho riconosciuto l'incantesimo di protezione evocato sull'entrata - spiegò accennando con il capo in quella direzione. - Non può essere attraversato da frecce o lance, e naturalmente respingerà qualunque incantesimo; se vogliamo combattere sarà necessario attraversarlo a piedi. Theor sa che in questo modo saremo costretti ad avanzare in una strettoia.
- Staremo alle vostre disposizioni - affermò Lord Versjan impaziente mentre Jack, con le braccia conserte, taceva.
- Gli altri maghi ed io proveremo a indebolire la barriera fino a farla cedere, ma potrebbe volerci del tempo. Non sappiamo quante persone la stiano mantenendo eretta in questo momento. Quello che è certo è che se prenderanno parte allo scontro, com'è probabile, sarà più difficile per loro mantenere la concentrazione necessaria.
In quel momento la voce di Theor si levò alta sopra quella del maestro. - Arcieri!
- In alto gli scudi! - rispose prontamente Jack con un urlo sollevando il proprio. Poi, accostandosi al Consigliere, disse a mezza voce: - Seguiremo i vostri ordini, mio signore. Ma è il momento di agire, ora.
Una pioggia di frecce si abbatté su di loro. In ginocchio, al riparo sotto il proprio scudo, Dubhne vide un paio di soldati venire colpiti nei polpacci e gemere di dolore. Aspettò che la raffica finisse, poi tornò a fissare ansiosamente Jack e Althon.
- Va bene - asserì quest'ultimo. - Muovete sulla grotta con l'avanguardia, noi intanto cercheremo di abbattere quella barriera. Che gli arcieri si tengano pronti, e vicini all'azione. Quando sarà il momento di entrare nel Santuario avremo bisogno di tutta la copertura possibile.
Era il momento. Come sempre negli ultimi istanti di silenzio prima di una battaglia Dubhne avvertì l'adrenalina scorrerle incontrollabile nelle vene. La paura, anche.
- Uomini! - grido Jack partendo al galoppo verso l'avanguardia. - Rompete i ranghi! Muovete sulla caverna dai lati, così ridurremo la loro possibilità di tiro! Una volta là distribuitevi su tutto il perimetro!
- Retroguardia! - tuonò al contempo Lord Versjan rivolto ai suoi uomini. - Proteggete i Consiglieri! Gli arcieri con me!
Dubhne si era lanciata in avanti nel momento stesso in cui aveva visto Jack muoversi, con Philipp e Terson al seguito. Mentre una seconda tornata di frecce si abbatteva su di loro mietendo le prime vittime di quel giorno, la ragazza scartò a sinistra portandosi momentaneamente fuori tiro, per poi raggiungere l'estremità meridionale dell'imboccatura. Due buone file di Ribelli si erano compattate per difendere l'accesso, formando a loro volta una barriera di scudi. Dubhne fu una di coloro che si abbatterono con tutto il proprio peso contro di essi nel tentativo di farli arretrare e al contempo di scomporre il loro schieramento.
- Ariadoriani! - era la voce di Jack che, sicura e tonante, esortava gli uomini a non desistere. - Avanti!
Dubhne alzò il capo e vide il comandante lanciato al galoppo verso il muro di scudi.
No, no! Ma che fa?
Dimenticandosi per un istante di quanto stava facendo, la ragazza smise di puntellarsi con i piedi e di spingere in avanti e si protese verso di lui. - Jack!
L'uomo tirò le redini all'ultimo secondo e il suo cavallo spiccò un balzo vertiginoso, oltrepassando la prima linea e travolgendo diversi Ribelli con le zampe posteriori.
Quel gesto eclatante accrebbe il coraggio dei soldati del suo battaglione. Caley aveva seguito l'esempio del suo comandante aprendosi anch'egli un varco tra i soldati che, in quel punto, si erano dispersi per qualche secondo.
Dubhne tornò a premere sullo scudo del Ribelle davanti a sé con tutte le proprie forze insieme a tutti gli altri, mentre dalla seconda linea venivano sporte lame che andavano a colpire i nemici che reggevano gli scudi. Ma dove uno cadeva un altro prendeva il suo posto, e i Nordici non sembravano essere disposti a cedere di un solo passo.
D'altronde, se il loro spirito era fermo come quello del loro comandante, c'era da aspettarsi che quella battaglia andasse avanti ancora a lungo.
- Disponetevi su tutta la linea! - la voce di Edgar Priest li raggiunse aldilà del rumore della battaglia per ricordare loro quale fosse il loro compito. - Non riusciremo a sfondare le loro difese in altro modo!
Un attimo dopo Dubhne poté menare il proprio primo fendente di scimitarra. In poco tempo i soldati dell'avanguardia, conversi al centro, riuscirono a rompere la linea difensiva in un paio di punti, cominciando a mischiarsi con i Ribelli e ingaggiando una lotta disordinata. In quel modo le frecce smisero di venire scagliate in un paio di minuti. Theor non aveva abbastanza riserve per rischiare di colpire i propri stessi uomini.
Mentre si destreggiava come poteva nella moltitudine di Ribelli ai margini della grotta, Dubhne teneva d'occhio Jack che, a cavallo, aveva guadagnato una manciata di metri rispetto a loro insieme a Caley.
Fu allora che si rese conto che Theor, fino a quel momento rimasto lontano dalla mischia insieme a un altro Ribelle riccamente vestito, si stava dirigendo a grandi passi verso di lui. E in un solo vorticoso istante Dubhne comprese che non avrebbe impiegato che un battito di ciglia per eliminare i due guerrieri che in quel momento stavano dando maggiori problemi ai suoi uomini. Lo vide alzare un braccio e con movimento sinuoso evocare una lingua di fuoco.
- Jack, ATTENTO! - la combattente rotolò al suolo per evitare un avversario che si era gettato su di lei e fulminea lo trapassò da parte a parte, tronando poi febbrilmente e guardare in direzione del comandante...
Jack si era gettato da cavallo per evitare la fiammata, che aveva invece colpito di striscio Caley il quale ora si rotolava sul terreno nel tentativo di estinguere le fiamme che avevano attecchito al suo mantello. Jack si affrettò a gettargli addosso il proprio, e Dubhne tirò un sospiro di sollievo. Ma non ebbe molto tempo per riprendere fiato, perché altri due Ribelli si erano interessati a lei.
Mentre la ragazza incrociava la lama della scimitarra all'unisono con entrambi, nella caverna si udì un sinistro crac!, quasi uno sfrigolio, e la patina che ottundeva la visuale all'esterno venne meno.
Nonostante Theor si fosse accontentato di far cadere da cavallo Jack e Caley per poi tornare immediatamente a dedicarsi al mantenimento della barriera, quella momentanea distrazione era stata sufficiente perché i maghi del Consiglio riuscissero a infrangerla.
Un istante, e poi Gala, Althon, Raenys e tutti gli altri furono in mezzo a loro.
La reazione di Theor, del suo secondo e dei pochi maghi sparsi fra i Ribelli non si fece attendere: scansando con semplici gesti delle mani frecce che gli venivano scagliate contro, il condottiero dei Ribelli sbarrò la strada ad Althon, che stava correndo in direzione del Santuario.
- Addirittura, maestro? - lo schernì. - Vi premurerete di attivare le Pietre voi stesso?
- Tacete! - ruggì il mago che affiancava il maestro dell'Haryar evocando una palla di fuoco e scagliandola con rabbia contro di lui. L'uomo la estinse con uno schiocco di dita.
- Dovrete impegnarvi molto più di così.
Dubhne, che era stata spinta a qualche metro di distanza dai combattimenti a causa di un'esplosione provocata da uno dei maghi ribelli, rimase qualche secondo a osservare, sgomenta e affascinata, l'Uomo del Nord che cominciava ad affrontare i due Consiglieri all'unisono. Non aveva mai visto nessuno combattere in quel modo. I gesti di Theor e, soprattutto, la naturalezza con cui li compiva, trasmettevano un senso di onnipotenza.
La ragazza si gettò nuovamente nella mischia; aveva perso di vista Jack ora che non era più in sella, ma il fatto che in quel momento Theor fosse impegnato in uno scontro più che arduo la tranquillizzava. Schivò un affondo mossole da un avversario e lo trafisse attirandolo a sé con forza. Non aveva mai combattuto in condizioni simili, in un campo di battaglia in cui si trovassero così tanti maghi. Fiammate, globi d'acqua, frammenti di roccia venivano scagliati ovunque incrementando ulteriormente la possibilità di finire uccisi. Ad un certo punto Dubhne si ritrovò a combattere schiena contro schiena con Claya e per un attimo ebbe l'impressione di essere tornata nel proprio elemento. Attorno a loro i nemici caddero in quantità, senza riuscire a eludere le loro difese, ma proprio nel momento in cui sul volto di Dubhne tornava a disegnarsi l'accenno di un sorriso d'esaltazione, accadde l'inevitabile. Una massa d'aria si abbatté su di loro con la forza di un uragano, sbalzandole via potandosi dietro anche qualche Ribelle. La ragazza fu sicura che sarebbe morta mentre, senza capire più nulla, compiva capriole in aria spinta dalla forza dell'incantesimo. Quando infine toccò terra, rotolò per diversi metri prima di schiantarsi contro una roccia e fermarsi. Il colpo fu così forte che per breve tempo la vista le si oscurò.
Combattendo contro l'abominevole giramento di testa che l'avvolgeva, si mise in ginocchio e avanzò a tentoni tastando il terreno roccioso sotto di sé. Alla cine si imbatté in un corpo: Claya, che era stata scagliata a pochi metri da lei. Aveva sbattuto la testa così forte che il lato superiore del suo cranio si era sfondato, lasciando che parte del cervello colasse sulla pietra in un lago di sangue.
Dubhne represse a stento l'istinto di vomitare a quella vista, e per la prima volta da quando Alesha era morta avvertì una rabbia atroce tornare ad avvolgerla. Si rimise in piedi dirigendosi verso l'area di battaglia e, pulendosi con una manica il sangue che le colava dal naso, estrasse il pugnale dalla cintura. La scimitarra le era volata via di mano quando il vento si era abbattuto su di loro.
Che ci provino a raccoglierla, ringhiò la ragazza. Che provino ad usare la mia lama. Li avrebbe uccisi tutti.
Scagliò il pugnale contro un Ribelle che stava tentando di soffocare un giovane ariadoriano che solo in un secondo momento riconobbe come Terson, poco lontano da lei, e lo estrasse dal suo corpo senza avere il tempo per stare a sentire i ringraziamenti del ragazzo.
Stava per tornare ad annullarsi nella furia della battaglia, quando una voce nota le giunse alle orecchie contorta in un grido di rabbia.
Gala Sterman stava in piedi più in profondità nella caverna intenta a fronteggiare l'uomo che fino a qualche minuto prima aveva fiancheggiato Theor. Doveva essere lui, il traditore. Colui che aveva ucciso il maestro suo e di Jel.
I due maghi danzavano l'uno attorno all'altra combattendo a suon di incantesimi, ma il Ribelle sembrava essere del tutto in controllo della situazione. Proprio in quell'istante Gala era appena riuscita a parare un'Evocazione con un incantesimo di scudo, e Dubhne vide che anche la sua mano destra era avvolta dalle fiamme. Ne scagliò una contro il suo avversario, che la schivò prontamente e rispose con un prodigio che lasciò la combattente senza fiato: la pianta rampicante mezza avvizzita che percorreva la parete di roccia dietro di lei prese improvvisamente vita e si allungò fino ad attanagliarsi attorno alle gambe della strega. Per un attimo il terrore si disegnò sul suo volto, poi la ragazza si divincolò con un urlo e la ridusse in cenere.
- Combatti, bastardo! - la udì urlare fuori di sé.
Dubhne avrebbe voluto aiutarla, ma l'arrivo alla carica dei soldati della retroguardia all'interno della caverna sovvertì i suoi piani; in poco tempo si ritrovò nella confusione più totale e perse di vista la strega dai capelli viola.
Dopo aver atterrato un altro paio di Ribelli, la combattente venne colta di sorpresa da un colpo alla schiena assestatole con l'elsa di una spada, involontario probabilmente, forse addirittura per mano di un suo compagno d'armi. Fatto sta che fu così forte da mozzarle il respiro e la ragazza incespicò, cadendo a terra fra i cadaveri. Il panico la avvolse: una delle prime cose che aveva imparato al fronte era la pericolosità di quelle situazioni, le quali la maggior parte delle volte portavano in malcapitati a morire schiacciati. Qualcuno la colpì in viso con un calcio e lei sentì la bocca riempirlesi di sangue; senza nemmeno chiedersi se fosse un amico o un nemico, si tirò su quel tanto che le permise di aggrapparsi alla cintura del guerriero più vicino a lei e con uno sforzo immane si rimise in piedi.
- Dubhne! - esclamò questi incredulo, e la ragazza riconobbe Philipp voltarsi verso di lei. - Stai bene?
Lei non ebbe il tempo di rispondere, ma si limitò a trafiggere da sopra la sua spalla il Ribelle che altrimenti l'avrebbe colpito.
A pochi passi dalla porta del Santuario, lo scontro tra Theor e il maestro Althon divampava. Theor era riuscito a mettere fuorigioco il secondo Consigliere, che giaceva privo di sensi a ridosso di un masso semi sbriciolato, ma Althon era uno stregone sopraffino e non dava segno di voler cedere. Le loro Evocazioni si scontravano a mezz'aria con eguale potenza senza mai riuscire a raggiungere il bersaglio; le pareti della grotta parevano tremare a ogni impatto. I due combattenti si guizzavano intorno, scomparendo alla vista per un istante e riapparendo alle spalle dell'avversario, il quale prontamente preveniva l'attacco successivo smaterializzandosi a sua volta o imponendo un sortilegio di scudo.
Philipp le rimise in mano la scimitarra quasi senza che se ne accorgesse.
- Questa è tua. Tienitela stretta la prossima volta.
Dubhne gli rivolse un gran sorriso e i due si separarono. La ragazza sentiva il bisogno di trovare Jack per accertarsi che stesse bene. Si aprì un varco tra i Ribelli a colpi di scimitarra, infinitamente grata a Philipp e al caso per averla riportata nelle sue mani, aguzzando la vista per cercare di individuare il volto che più le stava a cuore.
Si ritrovò casualmente in una posizione leggermente sopraelevata dalla quale ebbe modo di gettare lo sguardo nuovamente sullo scontro fra Althon e Theor.
Vi rivolse l'attenzione appena in tempo per vedere una stalattite lunga quasi un metro conficcarsi nella schiena del maestro dell'Haryar. Sul volto di Theor si disegnò un'espressione ferocemente soddisfatta.
Dubhne rimase a guardare inorridita l'anziano mago che, piegato in due, si accasciava al suolo con la bocca spalancata nell'atto di un ultimo, disperato respiro. Quando crollò a terra, un involucro di stoffa si staccò dalla sua cintura rivelando parte del proprio contenuto: una pietra bianca rotolò su terreno. Dubhne la riconobbe all'istante. Era la sua Pietra, la Pietra un tempo incastonata nella sua scimitarra, la Pietra che aveva portato le strade sua e di Jel ad incrociarsi mesi addietro.
Lì dentro c'erano le Pietre Magiche.
Trionfante, Theor mosse un braccio in avanti nell'atto di portarle a sé con la magia, pregustando il momento in cui vi avrebbe messo le mani... ma qualcuno si parò tra lui e il suo obiettivo. Un Ariadoriano che reggeva una spada che Dubhne ben conosceva. Jack Cox.
- Passerai sul mio cadavere, prima di averle - dichiarò fieramente.
- Oh, lo farò - rispose con un ghigno alzando una mano e preparandosi a evocare chissà quale dei mille incantesimi letali di cui disponeva il suo arsenale.
Jack, no, ti prego, non fare cose stupide, vattene da lì...
Prima che avesse il tempo di colpire, però, una seconda figura si mise in mezzo frapponendosi fra Jack e il mago nordico. Era uno degli uomini che Dubhne aveva visto insieme a Gala e gli altri Consiglieri durante il viaggio; dalla chioma di capelli corvini sembrava essere un Uomo Reale.
Il sorriso di Theor si contrasse in una smorfia di fastidio e, forse, di paura.
Ma Dubhne non ebbe il tempo di assistere ad ulteriori risvolti perché per l'ennesima volta un incantesimo rimbalzò vicinissimo a dove si trovava, costringendola e ritrarsi all'indietro. Mise male un piede e perse l'equilibrio, ma si riprese in tempo per barcollare fin dietro una roccia e ripararsi. Theor non era l'unico mago nemico nei dintorni, apparentemente.
Si sporse oltre il proprio nascondiglio per tornare a seguire le mosse del comandante dei Ribelli quando una fiammata giunta da chissà dove la mancò di poco infrangendosi sulla pietra. Dubhne si affrettò a nascondere nuovamente il viso dietro la roccia
Fu solo in quel momento che si accorse che qualcun altro aveva cercato riparo nello stesso luogo: accanto a lei c'era Gala, stremata, la schiena appoggiata sulla pietra e il volto sporco di polvere e sangue. Sembrava sconvolta. Quando la vide parve impiegare diversi secondi per riconoscerla.
- Non ce l'ho fatta... - esalò. - Non... non sono abbastanza forte...
Dubhne si protese verso di lei e sollevò le mani con cui si stava coprendo il ventre; il suo farsetto era lacerato e inondato di sangue, e una scheggia di pietra sporgeva dalla ferita che le squarciava l'addome.
- No, no... - soffiò Dubhne premendo con forza le proprie mani sull'emorragia. - Continua a respirare Gala, ce la farai. Sei una strega, maledizione! Devi fare qualcosa, rimargina la ferita o...
- Dubhne, tu non capisci... è finita - gli occhi della ragazzina, che ora sembrava molto più piccola di quanto non fosse in realtà, erano colmi di lacrime. - Il maestro Althon è morto. Theor ha vinto. Prenderà le Pietre e ci spazzerà tutti via...
- No! - ringhiò Dubhne rifiutandosi di cedere. - No, io non lo permetterò! Jack ha preso le Pietre. Se non ci riuscirà nessun altro, le userà lui!
- Jack? - Gala sgranò gli occhi e sembrò ridestarsi solo in quel momento dal torpore in cui era scivolata. - Jack... lui non sa come attivare la magia delle Pietre! Non conosce la formula!
Dubhne afferrò il mento della ragazza con due dita e la costrinse a guardarla in faccia. - Gala, devi trovare la forza di rialzarti. Dobbiamo trovare Jack e aiutarlo. Tu devi dirgli quella maledetta formula.
La strega scosse la testa. - Non posso, Dubhne. Non so per quanto ancora riuscirò a restare sveglia. Non mi sento più le gambe, la testa mi gira così forte che non riesco a cogliere nemmeno i dettagli del tuo volto. Ma tu, tu puoi salvarci tutti.
- Gala, nemmeno io conosco le parole per...
All'improvviso Gala si sporse in avanti e le premette il palmo della mano destra sulla fronte. Per un istante la combattente vide esplodere davanti a sé un milione di scintille colorate, ed ebbe l'impressione che la sua testa si rovesciasse all'indietro. Quando tutto finì, parole in una lingua arcaica e sconosciuta erano nella sua mente.
- Ma come... come... - gemette, ma Gala era già crollata in avanti fra le sue braccia, svenuta. Quell'ultimo sforzo l'aveva prosciugata anche delle ultime forze.
Dubhne rimase un attimo immobile, come paralizzata, poi raccolse tutto il proprio coraggio e si tirò in piedi. Le doleva ogni singolo muscolo del proprio corpo, ma non importava: l'unica cosa che contava in quel momento era riuscire a trovare Jack ed entrare insieme a lui nel Santuario.
Uscì dal proprio nascondiglio e falciò immediatamente il primo avversario che si trovò davanti.
- Jack! - chiamò a pieni polmoni nel mezzo della battaglia. - Jack, dove sei?
Riconobbe il comandante a una quindicina di metri da lei, impegnato a difendersi dagli attacchi dei Ribelli che confusamente lo attorniavano.
- Jack! - lo chiamò ancora Dubhne facendosi largo a colpi di scimitarra verso di lui.
- Dubhne! - esclamò lui a sua volta voltandosi nella sua direzione. Abbatté un Ribelle con un colpo di spada e ingaggiò un rapido combattimento con un secondo avversario. - Devo portare queste Pietre nel Santuario, ma non so che farmene! - disse febbrilmente una volta che furono fianco a fianco. - Il maestro Althon è morto. Anérion sta ancora combattendo con Theor e non ho idea di dove siano finiti gli altri.
- Lo so Jack, so quello che dobbiamo fare! - proruppe Dubhne afferrandolo per un braccio, prima che venissero separati dai nemici. Una lama la colpì di striscio laddove la sua cotta di maglia si era strappata infierendo sulla ferita che si era procurata nella seconda battaglia di Hiexil. Serrando i denti per il dolore, la ragazza rispose abbattendo la scimitarra sulla gola dell'uomo che l'aveva colpita, staccandogli di netto la testa dal collo.
Attirò nuovamente a sé Jack. - Non chiedermi come - proferì in fretta. - Ma so come attivare la magia di quelle Pietre. Dobbiamo muoverci ora.
Mentre parlava, l'occhio le cadde sul petto del comandante, e vide con un tuffo al cuore che non c'era più traccia del ciondolo protettivo che era stato donato loro dal Consiglio. Doveva averlo perso quando era caduto da cavallo, quelle che sembravano ore prima.
Jack parve capire quello che le stava passando per la testa, ma cercò di ignorarlo. - Tu vai e fa' ciò che devi. Io ti coprirò.
Fece per metterle in mano il sacchetto con le Pietre, ma Dubhne si ritrasse. - Non pensarci neanche - disse in tono duro. - Andremo insieme. Quando le Pietre esploderanno il mio ciondolo ci proteggerà entrambi.
Gli occhi di Jack brillarono. - Sai che ti seguirei ovunque, Ragazza del Sangue.
Dubhne avrebbe voluto piangere, perché in quei vorticosi istanti aveva capito tante cose, cose che leggeva nello sguardo di Jack e che aveva compreso essere rimaste nascoste nel proprio animo per troppo tempo. Ma qualunque cosa provasse in quel momento, avrebbe dovuto aspettare.
- Andiamo allora - esortò il compagno, dunque spiccò la corsa in direzione del portone del Santuario.
Jack trafisse a morte un Ribelle che aveva cercato di fermarli e poi si affrettò a seguirla. A ogni falcata che compiva fitte d'angoscia la trafiggevano, mentre pregava di riuscire nel proprio intento, affinché Theor non vedesse ciò che stava accadendo...
Il sollievo aveva già lambito le sue viscere, già la ragazza aveva allungato un braccio verso il battente di ottone della porta del Santuario, quando percepì dietro di sé un calore insopportabile e una luce così forte da rischiarare l'intera caverna di un bagliore infuocato.
JACK, NO!
Tutto ciò che poté fare fu gettarsi in avanti, dove la grotta degradava in profondità piuttosto rapidamente, per evitare la gigantesca lingua di fuoco che era stata scagliata loro contro. Si aggrappò disperatamente alle sporgenze nella roccia per frenare la caduta e con fatica riuscì a fermarsi e a rimettersi in piedi, risalendo come una furia in direzione del Santuario e di Jack.
Nathaniel Theor incombeva su di lui, gli occhi che mandavano lampi, una mano nuovamente avvolta dalle stesse fiamme che poco prima avevano rischiato di ucciderli.
Oh no che non lo fai.
Mantenendo un sangue freddo che non avrebbe pensato di possedere in un momento simile, con Jack a un passo dalla morte, la ragazza scagliò il proprio pugnale in direzione dell'Uomo del Nord. Non lo colpì naturalmente; la lama si infranse su una barriera magica evocata all'istante dallo stregone, ma era tutto ciò a cui Dubhne avrebbe potuto aspirare: preso alla sprovvista dalla necessità di proteggersi alle spalle, Theor aveva interrotto il controllo sulla propria Evocazione.
- Che cosa diavolo...? - il mago si voltò fulmineo verso di lei e il suo sguardo dorato e furente la trafisse come una lama affilata. - Non imparerete mai...
Con un semplice gesto della mano strappò a distanza la scimitarra dalle sue mani e fece per abbatterla su di lei.
Ma prima che Dubhne potesse sentire la propria stessa lama affondarle nelle carni, Theor emise un ringhio come di Letjak inferocito. Jack si era trascinato in avanti e gli aveva conficcato una daga in una gamba.
- Dubhne, prendi... e VAI! - urlò l'uomo e, con un ultimo sforzo, le lanciò il sacchetto contenente le Pietre prima che Theor, infuriato, gli sferzasse un calcio in faccia che lo fece ricadere all'indietro, privo di sensi.
Dubhne fece per avventarsi sul suo nemico da dietro, ma ancora una volta il mago fu troppo veloce e la respinse roteando le braccia e richiamando un nuovo turbine di vento che la spinse all'indietro, facendola rovinare a terra. Pochi secondi dopo una fiammata colpì il suolo a pochi centimetri dal suo orecchio; Dubhne ne avvertì il calore e urlò. Muovendosi a quattro zampe si trascinò fin dietro a una sporgenza nella roccia.
Che cosa devo fare? pensò disperata, proteggendosi il viso con le mani dai frammenti di pietra che le Evocazioni di Theor producevano infrangendosi su di essa. Si stava avvicinando. Sembrava che si fosse momentaneamente dimenticato persino delle Pietre. Ora che anche Jack era fuori gioco nulla gli avrebbe impedito di ucciderla.
Dubhne respirava pesantemente, presa da un tremito incontrollabile.
Pensò con disperazione a quel giorno di tanto tempo prima, quando aveva combattuto contro Jackson nell'Arena. Allora aveva pensato che non avrebbe mai potuto trovarsi in una situazione così difficile e pericolosa.
Ora però era peggio. Ora era completamente sola.
- Vieni fuori, ragazzina! - gridò Theor in tono folle. - Vieni fuori, che io possa guardarti in faccia mentre ti uccido!
Alzò una mano e con il minimo sforzo evocò una nuova fiammata che si abbatté sul lato destro della roccia dietro cui la ragazza si era nascosta. Lei si rannicchiò completamente su se stessa, scossa da fremiti irrefrenabili.
- Ho già ucciso due dei più grandi maghi di Fheriea, ma non temere, non disdegnerò di uccidere anche te!
Dubhne credette di essere sul punto di impazzire. Era finita, quella volta era finita per davvero.
Muoviti! urlarono mille voci nella sua testa.
Non era finita. Non proprio allora che aveva un compito da portare a termine.
E fu allora che la combattente scattò: mandando al diavolo ogni prudenza si rimise in piedi e letteralmente si fiondò verso l'ingresso del Santuario, approfittando del momentaneo sbalordimento del suo nemico. Si chinò a raccogliere il sacchetto contenente le Pietre e riuscì a spalancare la porta, tuffandosi all'interno della struttura un attimo prima che il mago riuscisse ad afferrarla per i vestiti.
Spinse nuovamente i battenti per tentare di chiudersi dentro ma in meno di un istante la porta, semplicemente, esplose. Dubhne e i battenti volarono letteralmente all'indietro. All'ennesimo schianto al suolo, questa volta contro dure lastre di pietra levigata, Dubhne fu sicura di essersi rotta un paio di costole.
Theor oltrepassò la soglia del Santuario. A terra, Dubhne tentò scompostamente di arretrare, fino a quando non avvertì una mano affondare nel vuoto. Si sbilanciò in avanti appena in tempo per non perdere l'equilibrio e non precipitare nel baratro che si dipanava dietro di lei.
Ma che diavolo...!
Tornò a guardare il mago del Nord e, vedendolo paralizzata mulinare entrambe le mani per evocare chissà quale incantesimo, la ragazza capì che l'avrebbe uccisa. Non chiuse gli occhi. Avrebbe guardato in faccia la propria morte.
Ma contrariamente a quanto chiunque avrebbe potuto aspettarsi, non accadde nulla. Nessuna fiamma, scintilla o altro prodigio scaturì dalle mani di Theor, tanto che per un istante i suoi stessi occhi si spalancarono per la sorpresa. Sorpresa che però riuscì a superare ben più rapidamente di lei, ancora incredula per quanto era successo, o meglio, quanto non era successo.
- Ma certo... - mormorò con una strana luce negli occhi, a metà tra il disappunto e l'aria deliziata. - I custodi hanno davvero svolto un lavoro ineccepibile. Nessuna magia in questo luogo sacro.
Dubhne ne approfittò per voltarsi e capire cosa diavolo ci fosse effettivamente alle proprie spalle: l'interno del Santuario era parzialmente occupato da uno strapiombo di cui non si intravedeva il fondo, scavato nelle viscere di roccia della caverna. A collegarlo allo spiazzo roccioso collocato proprio al centro non vi erano rimaste che poche corde lise, resti di un ponticello crollato ormai da tempo. Il talismano doveva trovarsi là.
Quando si voltò nuovamente verso il proprio avversario, questi aveva mosso un paio di passi verso di lei.
- Stammi lontano - gli intimò puntandogli contro la scimitarra, ma la voce incrinata la tradì.
- Chi sei tu, ragazzina? - le domandò lui con voce stranamente calma, squadrandola con uno certo interesse nello sguardo. - Hai del fegato, devo ammetterlo. In pochi fra i miei uomini avrebbero avuto il coraggio di fare ciò che hai fatto tu.
- Non mi interessa! - urlò Dubhne. - Estrai quella spada e fammi vedere se la tua lama è buona come la tua magia!
- Troverei affascinante un duello con te in un altro momento, ma ora non ho tempo da perdere - ribatté l'uomo; il sorriso era scomparso dal suo volto, divenuto simile a una maschera. - Dammi quelle pietre, adesso.
- E se dicessi di no? - la combattente allungò la mano che reggeva l'involucro verso l'oscurità dell'abisso. - Se chiudessi questa storia senza che né voi né il Consiglio siate riusciti a raggiungere il vostro scopo? Sarebbe un attimo lasciarle cadere nel nulla. Così tanti sforzi... per niente.
- Se lo fai, la guerra continuerà. Chissà quanto sangue hanno ancora da versare le Cinque Terre, chissà quante città ancora devono essere distrutte prima che il Consiglio si renda conto di non poter fermare la tempesta che abbiamo scatenato.
- Soltanto una, Theor - Dubhne lo chiamò per nome per la prima volta nella sua vita. - E l'Esercito delle Cinque Terre la sta assediando in questo momento.
L'uomo rise. - Credi davvero che la forza delle armi sia sufficiente a fermare la mia Sephirt? Migliaia di uomini non sono che polvere davanti al potere della Magia.
- Qui dentro non c'è posto per la magia - lo irrise Dubhne, senza soffermarsi a pensare al fatto che tutta quella sicurezza non fosse mai stata peggio riposta in vita sua. - Quindi avanti, vieni a prenderti queste pietre.
Theor sospirò.
- È la tua ultima parola?
- Abbiamo parlato anche troppo.
L'Uomo del Nord estrasse la spada dal fodero con uno stridio metallico.
Fu allora che Dubhne scattò. Afferrando con i denti i lembi del sacchetto che conteneva le Pietre, saltò all'indietro e si aggrappò alla più robusta delle corde rimaste. Prima che Theor potesse allungare la propria lama per trafiggerla, si era già distanziata dalla sponda a sufficienza per cominciare la traversata. La ragazza sapeva che non avrebbe osato seguirla nel vuoto - la corda non avrebbe mai retto il peso di due persone. In effetti, sarebbe stato un miracolo se non si fosse spezzata già sotto il suo solo peso. Avevano entrambi tutto da perdere. L'intero peso dell'esito della Ribellione non era mai stato sulle spalle di Theor come in quel momento.
Mentre si teneva aggrappata alla corda con le gambe e con le mani si trascinava verso la sponda opposta, e cercando ostinatamente di non guardare verso il basso, Dubhne attese trepidante di sentire la spada dell'avversario sibilare nell'aria per colpirla, ma ciò non accadde: se l'avesse mancata, non avrebbe più disposto di armi con cui combattere una volta seguitala.
Quando la scimitarra di Dubhne, dal fodero che pendeva dalla sua cintura, scivolò nel vuoto, la ragazza urlò con tutte le proprie forze, fermandosi a metà strada e stringendosi alla sua unica fonte di salvezza.
Non ce la posso fare!
Se si fosse lasciata andare, tutto quello avrebbe avuto fine. Non era forse ciò che aveva desiderato così ardentemente dopo la morte di Alesha? Morire nella battaglia finale, accomiatarsi da quella vita portandosi dietro più nemici possibile. Se avesse mollato la presa sulla corda, avrebbe trascinato con sé anche le Pietre Magiche e tutte le speranze che Theor serbava di chiudere la guerra quel giorno. Non avrebbe vinto.
Chiuse gli occhi. Sarebbe bastato così poco...
Le braccia di sua madre. I modi gentili di Archie, la risata cristallina di Camm e Richard. Le lame dei pugnali di Claris che brillavano sotto il sole di palazzo Cerman, la voce profonda di James. La candida innocenza di Illa. La faccia di Peterson Cambrel quando aveva rifiutato di ritirarsi dalla finale. Il ruggito del pubblico nel momento in cui aveva vinto i Giochi. Gli occhi azzurri di Jel tra la folla. La sorpresa nel ritrovarselo davanti mesi dopo, al fronte. Le mille battaglie da cui era tornata viva. La labbra di Jack sulla sua fronte, la sue braccia che la stringevano. Il sollievo nel vederlo uscire vivo dallo scontro con Ferlon.
Alesha, di una bellezza abbagliante, che le porgeva la mano. Era lì, la ragazzina che le aveva portato da mangiare nell'oscurità delle cantine del signor Tomson, come se tutti quegli anni non fossero mai passati.
Doveva finire ciò che aveva iniziato. Lo doveva a tutti loro.
Afferrò la sua mano e Alesha sorrise.
Quando riaprì gli occhi, era dall'altra parte.
Con uno sforzo immane si issò sulla sporgenza di roccia. Si lasciò scivolare in mano l'involucro di stoffa e ne riversò il contenuto sul freddo pavimento di pietra. Le Sei Pietre brillarono davanti a lei.
Il talismano, foggiato in quello che sembrava oro bianco, era adagiato su un cuscino foderato in seta. Intorno a un'incisione tracciata in qualche lingua antica vi erano sei scomparti della grandezza di ciascuna Pietra. Pregando che non vi fosse un ordine preciso in cui adagiarle, Dubhne le incastonò al loro interno.
Era quasi fatta. Mancava solamente la formula dopodiché tutto sarebbe finito... Le parole che la magia di Gala aveva impresso nella sua mente scivolarono fuori dalla sua bocca come una melodia sublime.

Per la luce del sole splendente ti invoco, somma Magia che ogni cosa regge e governa, perché la pace torni fra gli uomini, perché non invano sia il sacrificio. Perché il tuo potere ricordi ai mortali che nulla sono davanti al tuo sconfinato Essere. Nostra grazia e nostra saggezza, che tutto questo abbia fine.

- MALEDETTA!
Aveva appena finito di pronunciare quella litania quando Theor l'afferrò per le spalle e la sbatté con forza sul pavimento. Dubhne sentì un paio di denti saltarle. La spada del Ribelle si abbatté su di lei con violenza, ma la ragazza la schivò rotolando su un fianco. Non c'era più niente che potesse fare per impedire alla magia di fare il suo corso, lo sapevano entrambi. A guidare le mani di Theor non vi era che la disperazione.
- È finita ormai - gridò la combattente con una risata sguaiata mentre l'uomo gettava a terra la spada e si avventava su di lei armato di nient'altro se non le proprie mani. Aveva rinunciato ad ucciderla con la sua lama, no, voleva solo colpirla, ancora e ancora, fino a massacrarla...
Un calcio negli stinchi le mozzò il respiro, ma questo non le impedì di assestargli una gomitata nel punto sensibile dietro il ginocchio, che lo fece rovinare a terra sopra di lei. Le sue braccia era forti quanto e più delle sue, i suoi riflessi altrettanto sviluppati. La zuffa che ne venne fuori non era tanto diversa da quella con cui si era concluso lo scontro con Jackson.
Rotolarono sul pavimento ribaltando le reciproche posizioni un paio di volte, sferrandosi pugni, calci, ginocchiate, in una lotta convulsa e appesa a un filo.
Finché Theor non trovò il modo di bloccarla a terra premendole con forza un ginocchio sullo sterno. Le sue mani si strinsero attorno alla sua gola, così forte che la sua vista si annebbiò quasi all'istante.
No, no, no...
Si divincolò con disperazione cercando di liberarsi, ma Theor era più alto e pesante di lei, e non avrebbe mollato la stretta per nulla al mondo. I suoi occhi dorati erano spalancati, mossi da una luce folle, l'ultimo irriducibile desiderio di farla pagare alla ragazza che aveva distrutto ogni cosa...
Non voglio morire così!
Senza più lottare, Dubhne allungò quanto potè la mano destra raggiungendo l'estremità dello stivale in cui aveva conservato lo stiletto, l'ultima arma che le rimaneva a disposizione. Le forze la stavano abbandonando; presto la mancanza d'ossigeno avrebbe chiuso i suoi occhi per sempre...
La testa le si fece leggerissima. Accanto a loro una nuvola di scintille si era formata intorno alle Pietre Magiche, in procinto di esplodere, ma a Theor non importava più niente.
Non avrebbe più rivisto Jack...
Lottando per non perdere conoscenza, Dubhne raccolse l'ultimo briciolo di determinazione che le rimaneva e conficcò la lama nell'occhio sinistro dell'avversario.
L'urlo che ne seguì fu più simile a quello di un animale che di un uomo. Le sue mani si staccarono immediatamente dalla sua gola ma, nel farlo, si portarono via anche il ciondolo di protezione della ragazza, strappandone la cordicella. Dubhne nemmeno se ne rese conto e, riacquistata una visuale normale, si rimise in piedi. Ora vedeva chiaramente le Pietre farsi luminose, mentre un calore del tutto innaturale cominciava a sprigionarsi dal talismano.
Accanto a lei, Theor brancolava con entrambe le mani premute sull'occhio martoriato: il sigillo imposto sul Santuario gli impediva di risanare il globo oculare squarciato con la magia, o anche solo di lenirne il dolore.
Ancora mezza piegata in due nel tentativo di riprendere fiato, la combattente gli si fece appresso.
- Mi hai chiesto chi sono - proferì con disprezzo. - Mi chiamo Dubhne, figlia di contadini dello Stato dei Re. Vincitrice della trentaquattresima edizione dei Giochi Bellici. E sono colei che ti ha ucciso.
Appoggiò entrambe le mani sulle spalle dell'Uomo del Nord e lo spinse all'indietro con quanta forza le rimaneva nelle membra.
Theor barcollò fino all'orlo del baratro che si spalancava tutto intorno alla piattaforma ove si trovavano, poi cadde all'indietro e scomparve.
Per qualche istante Dubhne non riuscì a muoversi; rimase immobile, priva di forze, gli occhi fissi nel punto in cui il mago era sparito.
Era finita.
Era morto.
E la Ribellione sarebbe morta insieme a lui.
Uno sgradevole schiocco la riportò bruscamente alla realtà e, quando la ragazza si voltò verso il talismano, vide con meraviglia e orrore che fiamme bianche avevano cominciato a lambire il pavimento sprigionandosi dalle Pietre stesse.
Era il momento. Se voleva vivere, quella era la sua ultima occasione.
Con le urla di Theor che ancora le rimbombavano furibonde nelle orecchie, si lanciò verso la corda che aveva usato in precedenza per attraversare. Ma uno dei nodi che fissavano le estremità non resse il peso e per un istante Dubhne si sentì precipitare nel vuoto.
Avvinghiata alla corda con braccia e gambe, sbatté violentemente contro la parete di roccia opposta, ma riuscì a ripararsi con le mani quanto bastò a far sì che la sua fronte non vi si sfracellasse. Il colpo fu comunque abbastanza forte da stordirla per qualche secondo.
Si aggrappò a uno spuntone nella roccia e, dopo aver avuto la certezza di aver trovato un buon appoggio per i piedi, lasciò la corda anche con l'altra mano. Si trascinò verso l'alto ripetendosi ostinatamente che ce l'avrebbe fatta, che la Magia aveva bisogno di tempo, che non ci sarebbe stata nessuna esplosione prima che fosse uscita da lì... Ma anche se ci fosse riuscita, come sarebbe sopravvissuta? Avrebbe dovuto portarsi abbastanza vicina a qualcuno che avesse ancora il ciondolo protettivo con sé...
Arrivata in cima, appoggiò entrambi i gomiti sul pavimento e, aiutandosi anche con le gambe, si issò per metà sulle lastre di pietra. Le sue braccia di distesero a terra senza più forza.
No, no, maledizione!
Con un ultimo sforzo diede un colpo di reni sufficiente a farla cadere riversa sul piano levigato.
Proprio in quel momento le Pietre esplosero.
Come al rallentatore la ragazza vide le stesse fiamme biancastre farsi dieci volte più grandi e ripiegarsi su se stesse, addensandosi sempre di più fino a divampare con un boato.
Senza avere il tempo di formulare qualunque pensiero, Dubhne chiuse gli occhi e attese la fine.
Ma il dolore che si era aspettata, o le fredde braccia della Morte, non arrivarono mai. Perché qualcosa si era frapposto fra lei e l'esplosione.
Troppo incredula per parlare la Combattente riaprì gli occhi.
Gala Sterman si era gettata su di lei facendole da scudo, e attorno a loro si estendeva una cupola trasparente venata di sfumature violette. Aldilà, solamente fuoco bianco.
La strega dovette accorgersi del suo sguardo spaesato, perché rispose con un debole sorriso.
- Anch'io sono felice di vederti, Dubhne.
Non era mai stata vicina alla morte come in quel momento. L'aveva sentita su di sé, quasi aveva potuto toccarla; tangere con mano l'ignoto che si celava dietro quella vita mortale.
I suoi occhi saettarono sulla ferita della ragazzina, ancora aperta e sanguinante. In effetti, Dubhne si rese conto di essere coperta di sangue anch'ella. Il proprio sangue, quello di Theor, quello di Gala.
Attorno alla barriera protettiva sprigionata dal ciondolo della Consigliera la magia distruttiva delle Pietre sembrava aver diminuito intensità. Fra le fiamme si riuscivano ora a scorgere ombre più scure.
Quando infine tutto si chetò, le mura del Santuario attorno a loro non c'erano più. Tutto ciò che rimaneva dell'antica struttura non era qualche blocco di marmo.
Ad un tratto anche barriera protettiva venne meno. Gala si lasciò scivolare esausta al fianco di Dubhne. L'aria non era bollente come ci si sarebbe potuti aspettare, anzi, nel prendere fiato entrambe avvertirono le vie respiratorie farsi gelate.
D'istinto Dubhne si portò una mano al petto, dove avrebbe dovuto trovarsi il proprio piccolo globo perlaceo. Il fatto che Gala fosse praticamente risorta dal mondo dei morti per venire a salvarla era così assurdo che ancora stentava a credervi.
Fu solo allora che ricordò. Il suo cuore parve fermarsi.
Dimenticandosi completamente di essere più morta che viva, potendo contare all'improvviso su forze nuove e del tutto innaturali, si rialzò e abbandonò la strega stesa a terra.
Fuori da quello che era stato il perimetro del Santuario si contavano una trentina scarsa di persone ancora in piedi. Tra loro c'erano Caley e Philipp, i volti ridotti a una maschera, lo sguardo perso. Ai margini della grotta rimanevano i cadaveri di coloro che, investiti dallo spostamento d'aria, erano stati scagliati abbastanza lontani da non venire divorati dal fuoco delle Pietre. Di tutti gli altri, semplicemente, non rimaneva traccia.
- Jack - esalò Dubhne guardandosi intorno. Ricordava esattamente il punto in cui l'aveva visto accasciarsi a terra svenuto ma, come c'era da aspettarsi, ora era deserto.
- Jack - ripeté più forte muovendo qualche passo in avanti, tra coloro che erano sopravvissuti. Sembravano tutti troppo sconvolti per parlare.
- Jack! - urlò la ragazza a pieni polmoni, mentre la tremare cominciava ad avvolgerle le gambe. Non riusciva nemmeno a contemplare l'ipotesi di permettere a quell'idea di prendere forma nella sua mente. Si precipitò verso i corpi più lontani e prese a rivoltarli senza ritegno per vederne i volti. Tra loro riconobbe Terson, l'espressione serena come quella di un bambino. Ma del comandante non c'era traccia.
Disperata, si volse verso i meandri della caverna, dove la roccia degradava verso gli abissi di quelle montagne; c'erano altri cadaveri là.
Il corpo di Jack era uno dei più lontani, tanto che Dubhne impiegò un tempo che parve un’eternità per trovarlo. Lo riconobbe subito, e in un solo vorticoso istante sulla parte più recondita del suo animo si abbatté la consapevolezza dell’inevitabile.
No. No. Non è vero.
Lo spostamento d’aria conseguente alla detonazione lo aveva sollevato da terra dove giaceva ferito scagliandolo qualche decina di metri più distante. Una volta schiantatosi al suolo doveva aver rotolato sul pendio roccioso per diversi metri prima di fermarsi, perché il suo corpo era interamente coperto di profonde escoriazioni e i suoi vestiti strappati.
Dubhne sentì le ginocchia cedere sotto il peso della Morte e cadde in avanti dinnanzi a lui. Il respiro le si strozzò. Lacrime sfrenate le riempirono gli occhi senza caderle sulle guance dandole l’impressione di annegare.
Jack. No. No. No. Ti prego.
Non riusciva a respirare. La tremarella la avvolse. Tutto ciò che la sua mente riusciva a percepire era un senso di rifiuto verso la verità che le stava davanti, come un meccanismo inceppato che ritorna all’infinito al punto di partenza.
Quando anche quella resistenza cedette, una lama trafisse il suo cuore, strappandolo e lacerandolo, ma non fu abbastanza: come una belva feroce dagli artigli e le zanne scoperte infierì su di esso e lo fece a brandelli. Ma non fu abbastanza. Niente sarebbe mai stato abbastanza.
Si gettò sul corpo dell’uomo che amava, l’uomo che l’aveva salvata, l’uomo che era sempre stato al suo fianco e lo baciò, come se quel gesto potesse avere in qualche modo il potere di infondere almeno una parte del proprio respiro in lui, quel respiro a cui sarebbe stato disposta a rinunciare senza esitazioni pur di permettergli di tornare a vivere.
Ma la verità ormai gravava su di lei in tutta la sua lugubre forza.
Come sua madre, come James, come Claya, come Alesha, Jack era morto.
E l’aveva ucciso lei.








NOTE:

Stendere questo capitolo è stata un'esperienza intensissima, divertente ma anche dolorosa in un certo senso. Non avevo mai scritto un capitolo così lungo senza, tra l'altro, inserire neanche un'ellissi. Ma non è questo il punto più importante: separarmi da Jack è stato più difficile di quanto avessi pensato all'inizio, quando ho deciso che proprio lui, uno dei personaggi a cui sono più affezionata, sarebbe dovuto morire nella battaglia finale. Perché sì, come Alesha, anche il destino di Jack mi è stato chiaro fin (quasi) dall'inizio. Perché non sempre i buoni sopravvivono.
Ma sappiate che non è ancora finita, in questo capitolo c'è stata la battaglia del Santuario, nel prossimo sarà il momento della battaglia di Amaria.
È il primo dei due capitoli più importanti della storia, fermatevi a recensire per favore!!!!!!
Ci vediamo fra un mese se tutto va bene :)
Un bacio a tutti i lettori,

~Talia









Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** Capitolo 38 (parte prima) - Jel ***


Note: come avrete notato, ho deciso di scindere questo capitolo in due parti. Da un lato perchè per intero sarà un capitolo decisamente corposo, dall'altro perchè la cosa mi dà modo di restringere il mostruoso ritardo che affliggerebbe la pubblicazione dello stesso (e già mi sono fatta spettare due mesi). Non è detto che una volta pubblicate entrambe io non possa procedere a ricondensarle in una sola. Lo so che questa prima parte è corta e presumibilmente meno interessante della successiva, però chiederei gentilmente ai lettori di recensire lo stesso. Non l'avete mai fatto? È l'occasione perfetta.
Ci vediamo prossimamente per la seconda parte del capitolo!! Buona lettura.









38








Dicevano che i Terkil si fossero estinti da secoli. Eppure, nel momento in cui il profilo di Amaria aveva cominciato a delinearsi all'orizzonte, a Jel era sembrato di scorgerne un esemplare librarsi in volo in lontananza, il manto di piume fiammeggianti.
L'idea - alquanto suggestiva - che potesse trattarsi di Sephirt trasformatasi in uccello di fuoco per assistere dall'alto all'arrivo dell'Esercito delle Cinque Terre gli aveva attraversato la mente.
Come il Re delle Cinque gli aveva preannunciato, il compito di comandante delle truppe sul fronte orientale aveva comportato una mole di impegni in ambito diplomatico e organizzativo. Per la prima volta in vita sua Jel aveva partecipato a fior di riunioni a tema esclusivamente militare, circondato da gerarchi delle Cinque Terre e un largo numero di Lord ariadoriani. Il giovane si era mantenuto in silenzio e in disparte per la maggior parte di esse, ascoltando attentamente ogi dettaglio che potesse aiutarlo a capire che cosa avrebbe dovuto realmente fare una volta iniziata la battaglia. Non molto, ad essere sinceri. Gli avevano comunicato che il suo ruolo si sarebbe pressapoco esaurito una volta che le truppe si fossero mosse sulla città; avrebbe semplicemente dovuto coordinare i movimenti delle varie compagnie.
La sera prima dell'attacco uno stuolo di tende si estendeva già fuori dalle nuove mura di Amaria. Bandiere e vessilli di ogni colore sventolavano sospinti dal vento gelido.
Al caldo nel padiglione riservato a lui personalmente, Jel stava terminando di fissare la catena d'oro zecchino che chiudeva il mantello blu notte che avrebbe indossato quella sera. Sotto di esso indossava un farsetto color ocra, impreziosito da ricami in raso dorato. Gli era stato fatto dono di quegli abiti per ordine del Re delle Cinque Terre in persona; un paggetto si era presentato all'ingresso della sua tenda il giorno del loro arrivo ad Amaria, reggendo un involucro grosso quasi quanto lui.
Non avrebbe indossato la spilla quella sera: non si sarebbe presentato in veste di Consigliere, ma di generale dell'Esercito delle Cinque Terre. Insieme ai generali Fánersan e Marat si sarebbe recato davanti alle porte della città per incontrare i vertici del Consiglio dei Ribelli rimasti in città e proporre loro, per l'ultima volta, una resa pacifica.
Jel da parte sua aveva provato ad obiettare che, se vi fosse stata anche solo una possibilità che i Ribelli accettassero la resa, si sarebbero fatti avanti nel momento stesso in cui avevano visto approssimarsi le truppe dell'alleanza.
Ma il consiglio dei generali delle Cinque Terre non aveva voluto saperne: la posizione delle Cinque Terre era già abbastanza precaria; se non avessero dato dimostrazione di tutta la diplomazia e la tolleranza possibile i Ribelli avrebbero potuto trasformarlo in un pretesto per avvicinare ulteriori persone alla propria causa. E l'ultima cosa di cui Fheriea aveva bisogno era che il fronte interno venisse ulteriormente indebolito.
Jel si adagiò sulle spalle una pelliccia di lupo dal manto grigio striato di nero in più punti, poi si fermò davanti allo specchio alto quasi due metri che torreggiava al centro del padiglione.
La propria immagine riflessa restituì il suo sguardo.
I capelli ricci erano rimasti gli stessi, indomabili come quando era piccolo. Ma erano l'unica cosa in quella figura ad essere rimasta immutata.
Io stesso mi riconosco a stento. Che cosa era rimasto del ragazzo Jel Cambrest? Che ne era stato del bambino che dopo la morte di suo padre era rimasto per giorni chiuso in camera a piangere? Che ne era stato del giovane che poco meno di un anno prima si era imbarcato senza saperlo nell'impresa che avrebbe cambiato tutto?
Morto, probabilmente, trapassato dalle lame dei Ribelli. - Mio signore?
Una voce giovane interruppe il corso dei suoi pensieri. Era lo stesso paggio che gli aveva consegnato i vestiti nuovi.
- Mio, signore, il generale Fánersan mi ha comandato di venirvi a chiamare. É ora.
- Arriverò entro un paio di minuti - rispose assorto. I suoi occhi parevano non essere intenzionati a staccarsi da quel riflesso.
Vide attraverso la superficie dello specchio il giovane esibirsi in un distinto inchino e girare i tacchi. Ancora una volta si chiese se davvero i gerarchi dell'esercito continentale si aspettassero che quell'incontro servisse realmente a qualcosa.
Scostatosi dallo specchio si avvicinò al tavolo su cui aveva appoggiato la spada - una striscia* di stupefacente fattura, atta più alle cerimonie che a vere battaglie - e se la assicurò alla cintura. Era pronto.
Il gelo della notte lo accolse non appena mise il naso all'esterno della tenda. Fiocchi di nevischio erano portati in ogni dove dalla bufera.
Chinando un poco il capo per proteggersi dalle raffiche di vento taglienti come rasoi il giovane si mise alla ricerca del padiglione centrale, dove sapeva avrebbe trovato ad aspettarlo Fánersan e Marat.
Fatta eccezione per alcune sentinelle e qualche guaritrice, non incontrò quasi nessuno, e quando alla fine giunse in vista dei due generali notò che i rispettivi scudieri assomigliavano più a ghiaccioli che ad esseri umani.
Forse un comandante di grado più basso avrebbe ironizzato sul fatto che nessuno doveva aver avvisato i Nordici che l'inverno era ormai finito, ma non Fánersan. Jel gliene fu grato. Aveva lo stomaco chiuso e fingere di trovare la cosa divertente gli sarebbe costato non poca fatica.
- Consigliere Cambrest - lo accolse l'uomo con la solita voce profonda. - La delegazione di Amaria si presenterà alle porte della città fra qualche minuto. Se siete pronto possiamo avviarci.
- Secondo i vostri desideri, generale.
Arrancarono nella neve, con gli scudieri al seguito e sei guardie a far loro da scorta.
Secondo le consuetudini di guerra l'accampamento distava circa mezzo miglio dalle mura della città. Una volta giunti alla scuderia ove riposavano le cavalcature dell'alto comando, Jel si avvicinò a Ehme e l'accarezzò affettuosamente sul muso.
- Sei pronta per un'altro incarico?
Il vapore che scaturì dalle sue narici ebbe il potere di scaldare la sua mano che, benché protetta dal guanto di pelle, si stava rapidamente congelando.
Anche il generale Fánersan avrebbe cavalcato uno Stallone Nordico, mentre Jel riconobbe il destriero del generale Marat come un Siglavy dell'Haryar.
Si lasciarono lentamente alle spalle l'accampamento delle Cinque Terre, procedendo nella bufera in direzione delle mura della capitale.
Jel osservava con disappunto i giganteschi blocchi di pietra chirurgicamente adagiati l'uno sull'altro e tenuti insieme dalla malta più resistente. Chiunque si sarebbe reso conto che una simile opera non poteva essere stata completata in così poco tempo da semplici operai; erano passati nove mesi appena dal viaggio che lui e Gala avevano condotto ad Amaria, e allora non avevano scorto traccia di alcun lavoro in corso a tale scopo. In cuor loro, tutti sapevano chi dovesse essere responsabile di un'opera così ineccepibile. Ancora una volta lei. Sephirt.
Quando giunsero in vista dei portoni dell'ingresso principale - e unico - della città, il generale Fánersan alzò una mano per ordinare alla delegazione di fermarsi.
Jel aguzzò la vista. Ferme ad aspettarli davanti ai battenti c'erano solamente tre persone, ma da quella distanza il Consigliere non riuscì a distinguerne i particolari.
Ripresero ad avanzare. Attorno alle mura era persino stato scavato un fossato di notevole profondità, intorno ai cinque metri ad occhio. Lo oltrepassarono servendosi di uno stretto ponte levatoio.
Come avevano previsto, Theor non era fra gli uomini che li avrebbero ricevuti. E nemmeno Sephirt.
La prima sulla destra era una Donna del Nord all'incirca sulla sessantina, dalla mascella squadrata e l'aspetto nobile. Jel aveva già incontrato il vecchio mago magro e nervoso sulla sinistra. La barbetta ispida e i capelli grigi erano rimasti gli stessi: Wesh, maestro delle Terre del Nord prima di Theor.
L'uomo che stava al centro era uno sconosciuto, più giovane di quanto Jel si sarebbe aspettato. Non doveva avere troppi anni più di lui. Parte della sua guancia sinistra appariva stranamente lucida e la pelle accartocciata, come fosse stato ustionato.
Quando parlò, lo fece con la voce ferma e misurata di un capo. Non rivolse loro espressioni di cortesia, né procedette a presentare se stesso e i propri accompagnatori come sarebbe stato d'usanza.
- Se abbiamo accettato di incontrarvi - dichiarò - è solamente per discutere delle misure che i vincitori dovranno rispettare nei confronti dei vinti, quale che sia l'esito di questa battaglia. Non aspettatevi in alcun modo una resa preventiva da parte nostra.
- Era ciò che ci aspettavamo - rispose il generale Fánersan, calmo. - Siamo pronti ad ascoltare le vostre proposte. Tuttavia vi rinnoviamo ancora una volta l'invito a firmare un armistizio qui e ora, senza altri spargimenti di sangue.
- Non dispongo di una penna d'oca in questo momento, ahimè - ribatté il giovane aspro. - E mi vedo costretto a rinnovare a mia volta il rifiuto.
- Le vostre condizioni, allora.
- Drews - intervenne il generale Marat richiamando all'attenzione il proprio scudiero. - Prendi nota di quanto asserisce il Consigliere.
- Non sono un Consigliere, generale - rimarcò l'Uomo del Nord. - Non nel senso in cui potete intenderlo voi.
Lo scudiero aveva estratto dalla sacca che portava in spalla un rotolo intonso di pergamena, una penna d'oca e una tavoletta di legno per appoggiarsi, mentre aveva affidato un piccolo calamaio a una delle guardie.
- Potete cominciare.
- Sarò breve - premise questi, e dopo aver inspirato profondamente proseguì - In caso di una nostra sconfitta chiediamo che la nostra capitale non subisca danni maggiori rispetto a quelli riportati durante l'assedio. In particolare che vengano risparmiati i monumenti rappresentativi delle Terre del Nord sparsi per la città, e che il palazzo reale venga lasciato intatto. Chiediamo anche solo un frangente dell'Esercito delle Cinque Terre si stanzi in città, onde evitare il dilagare di abusi e violenze aggiuntivi ai danni della nostra popolazione civile.
Jel si chiese se quell'uomo dall'aspetto così nobile, ma anche così giovane, avesse steso personalmente quelle condizioni.
- In ultima stanza, chiediamo che nessun prigioniero di guerra venga giustiziato senza un equo processo - s'interruppe un istante perché Drews terminasse di stendere le sue parole sulla pergamena. - Da parte nostra, le Terre del Nord si impegnano a rispettare gli stessi presupposti per quanto riguarda i vostri prigionieri e feriti. Ci sono punti su cui vi trovate in disaccordo?
- Nient'affatto - asserì Fánersan. - Mi sembrano condizioni più che accettabili.
- Mi pare d'obbligo ricordare - intervenne Marat severamente - Che il massacro dei vostri civili o la distruzione delle vostre città non è mai stata una prerogativa dell'Esercito delle Cinque Terre.
- Vi siete mai trovato nel mezzo di una città appena conquistata? Immagino di sì - ribatté il giovane con ammirevole senso di superiorità nella voce. - Io ci sono stato. E posso assicurarvi che non è un bello spettacolo, indipendentemente dalla volontà dei comandanti.
Jel taceva. Credeva di aver riconosciuto il giovane emissario di Theor. Lo aveva scorto durante i combattimenti per la presa di Hiexil. Gli parve terribilmente simile a lui: leggeva nei suoi occhi la stessa determinazione che aveva avvertito scorrere nelle proprie vene, ma anche la stessa celata paura di sbagliare, di non adempiere pienamente ai propri compiti. Il peso del destino di un'intera città iconicamente sulle proprie spalle. Sembrava convinto della giustezza della propria posizione, e nel suo sguardo non c'era traccia di crudeltà. Una sorta di fredda furia, di rancore e rabbia verso di loro, questo sì. Ma non crudeltà.
- Dunque direi che siamo d'accordo - concluse Fánersan asciutto. - Drews, hai terminato?
- Sì mio signore - rispose questi immediatamente.
. Mosse alcuni passi in avanti e la penna al giovane, reggendo per lui la tavoletta. Questi la prese con delicatezza e firmò il documento. Poi fu la volta di Wesh e della donna corpulenta come testimoni, e poi di Fánersan e Marat.
Quando infine la pergamena giunse nelle mani di Jel, il mago riuscì a astrarre un nome dalla firma tracciata con calligrafia sottile: Hareis Von Hilsen.
Unì la propria alle altre firme in calce, dopodiché restituì la pergamena allo scudiero. Scoccò un'occhiata al generale attendendo un cenno di assenso; nel riceverlo, volse nuovamente lo sguardo sul documento e con la magia ne impresse un calco sul secondo rotolo che lo scudiero aveva estratto.
Questi lo consegnò ad Hareis.
Era fatta. Non c'era più niente che potessero fare per evitare la battaglia che si sarebbe tenuta di lì a poco. Non che ci fossero mai state speranze.
Le due esigue delegazioni rimasero a squadrarsi l'un l'altra ancora per qualche istante, prima che Fánersan parlasse.
- Attaccheremo domani alle prime luci dell'alba. Spero vivamente di non dover incappare in sortite da parte dei vostri uomini prima di quel momento.
- La stessa cosa vale per noi - rispose il giovane con vaga irritazione nella voce. - Se questo è tutto, possiamo congedarci. Presumo abbiate del lavoro da fare.
Si esibì in un elegante inchino appena abbozzato. Anche Jel e i due generali chinarono il capo in segno di congedo.
Le porte di Amaria si spalancarono per accoglierli mentre i tre uomini voltavano loro le spalle.
Jel continuò ad osservarli finché non furono spariti dietro gli spessi battenti di ferro.

                                                                                                   ***

L'avanguardia mosse sulla città l'indomani all'alba come stabilito. Guidata dalla sapiente e agguerrita mano di Lord Gerard Axtriel, dilagò attorno alle mura come alta marea. I Ribelli rimasti a difesa della città non erano sufficienti a coprire l'intero perimetro con il presidio di schiere di arcieri che contassero più di una fila. Torri e scale d'assedio furono in breve tempo accostate agli alti muraglioni eretti da Sephirt prima del loro arrivo e, nonostante la strenua resistenza dei difensori, ben presto la guerriglia si spostò sulla loro sommità. Nel mentre, una compagnia munita di ariete premeva sulle porte della città per sfondarne definitivamente le difese esterne.
A meno di un miglio di distanza dalla zona di battaglia, il grosso dell'esercito attendeva nuovi ordini. Ordinatamente suddivisi su tre fronti, a loro volta composti di altri battaglioni - alcuni ariadoriani, altri appartenenti all'Esercito delle Cinque Terre - i soldati rimanevano al loro posto, magari parlottando concitatamente fra loro, ma senza osare rompere le righe nemmeno per un momento. Vessilli di ogni colore sventolavano nel mezzo della marea di uomini, fra i quali dominava quello recante i colori delle Cinque Terre: un Letjak, un Terkil, un Siglavy e un fiore di Lyes, color della ceralacca su sfondo bianco, sormontati da una corona d'oro.
I tre comandanti in capo - Fánersan, Marat e Jel - si erano separati dopo un ultimo colloquio e si ergevano immobili, ritti sulle loro cavalcature, alla testa delle loro armate.
Un rumore di zoccoli sul terreno gelato annunciò che Kreer, il secondo di Fánersan, comandante di uno dei maggiori battaglioni dell'Esercito delle Cinque Terre, gli si era avvicinato.
- Il generale ha dato ordine affinché le nostre forze muovano sulla città da ogni direzione - dichiarò in tono pratico. - Una volta che l'avanguardia si sarà appropriata stabilmente del perimetro delle mura darà l'ordine circa a un terzo delle sue forze di avanzare. Voi farete altrettanto.
Jel si limitò a fare un cenno di assenso. Non lo disturbava che gli venisse detto cosa fare, anzi, ne era grato. Aveva odiato il ruolo che il Re gli aveva assegnato fin dal primo momento. Se pensava che in quell'istante, al Santuario, Gala e Dubhne erano impegnate nella battaglia contro Theor e Sephirt...
- Colpiremo subito duramente. Se le nostre previsioni sono esatte, dovremmo riuscire a guadagnare una notevole porzione di campo in una sola giornata.
Era evidente che Fánersan sperasse di riuscire a chiudere quella battaglia in fretta.
- Farò ciò che il generale ha ordinato - proferì il Consigliere mantenendo il tono più diplomatico che gli riuscì. - Vorrei solamente sapere se infine il permesso di partecipare in prima persona all'azione mi sia stato accordato.
Aveva affrontato il discorso più volte con il generale Fánersan, il quale evidentemente non l'aveva ritenuta una questione sufficientemente degna di nota, dal momento che non si era premurato di fornirgli una risposta definitiva. In ogni caso era certo che il protocollo non lo prevedesse.
Kreer aveva alzato le spalle. - Vi ho riferito tutto quanto mi era stato ordinato. Fánersan non ha detto nulla a riguardo.
Si portò una mano alla fronte per esibire un saluto militare. Jel fece altrettanto.
Tornò a volgere lo sguardo verso le mura di Amaria, lo stomaco stretto in una morsa per quanto stava per succedere.
I minuti trascorsero con una lentezza esasperante. Le nuvole che andavano addensandosi in cielo avevano assunto una tonalità molto vicina al nero. Le sporadiche gocce di pioggia che avevano cominciato a cadere presto si sarebbero trasformate in un diluvio.
Quando infine alle sue orecchie giunse il suono delle trombe che, dal contingente centrale, annunciavano il momento di dare inizio all'attacco vero e proprio, Jel trasse un profondo respiro.
Soltanto una volta aveva sentito dal vivo un comandante rivolgersi ai suoi uomini per galvanizzarli prima di una battaglia. Era accaduto quasi un anno prima, nel campo ariadoriano poco distante da Hiexil, e a pronunciare quelle parole era stato Jack Cox.
Conscio di non possedere nemmeno uno grammo del carisma del comandante ariadoriano, il giovane estrasse la spada dalla cintura e passò in rassegna le sue truppe, a cavallo. I soldati in prima fila protesero in avanti le lance al suo passaggio e Jel, toccandole una ad una con la propria lama mentre cavalcava al trotto, lo considerò un buon segno.
Sapeva che ognuno di loro si aspettava da parte sua un qualche discorso. Ma come poteva soddisfare le loro aspettative, lui che non aveva alcun tipo di esperienza in quel campo?
Vedere, sparse tra le schiere di soldati, alcune chiome color biondo platino gli face sorgere un'idea.
- Uomini delle Cinque Terre! - tuonò, lasciando che l'emozione del momento lo trascinasse. - Oggi ci troviamo sul campo che deciderà il destino del nostro tempo. Oltre quelle mura - e con un cenno indicò la capitale dietro di sé - si nascondono coloro che ancora non si sono arresi. So che fra di voi ci sono anche Uomini del Nord, e comprendo la ferita che ora percorre il loro cuore. Saranno costretti a versare sangue del loro sangue. Ma oggi noi tutti combattiamo per qualcosa che vale questo sacrificio.
- Per l'Ariador! - gridò qualcuno, accolto da urla di ovazione. - Per le Cinque Terre! - fece eco qualcun altro, e il frastuono si fece totale. Jel lasciò correre lo sguardo sulle "sue" truppe. C'era chi combatteva per riscattare le perdite dell'Ariador, chi per patriottismo, chi perché mosso da una reale fede nelle istituzioni delle Cinque Terre. Sicuramente c'erano anche miserabili, assassini e criminali arruolatisi per sfuggire alla forca. Eppure quel giorno avrebbero solcato quel terreno tutti insieme, volenti o nolenti.
- Voglio che il primo e il secondo battaglione del fronte orientale muovano sulla città, insieme a quelli di Lord Thistle e Lord Edmure. Gli altri attenderanno un mio ordine. Avanti, e concludiamo questa guerra!
Alzò la spada e la puntò contro il cielo come aveva visto fare da molti altri comandanti, dai quali si sarebbe sentito sempre irrimediabilmente distante. Non sapeva esattamente perché, dopotutto si poteva dire si fosse guadagnato la posizione di prestigio che ricopriva in quel momento, eppure si percepiva così distante dal proprio elemento; non era quello il suo posto, avrebbe dovuto essere insieme a loro, i soldati dell'Avanguardia, no, avrebbe dovuto trovarsi al Santuario a combattere contro Sephirt...
Gli uomini appartenenti alla fanteria leggera gli sciamarono a fianco. Jel mantenne fermo lo sguardo su Amaria, in parte perché non voleva raccogliere l'onere di guardare in quei molti occhi che sarebbero stat spenti di lì a poco, in parte per non perdersi nulla di quanto accadeva sulle mura della capitale. Non vide pentoloni d'olio bollente come aveva immaginato. Non c'erano particolari difese aggiuntive oltre alle poco nutrite schiere di arcieri sistemate lungo l'intero perimetro.
Una sgradevole sensazione di cui non avrebbe saputo spiegare la natura esatta incrinò vagamente l'animo del Consigliere. Era poco probabile che Theor avesse lasciato la sua città difesa da protezioni così blande.
Li superiamo per una proporzione di dieci a uno. Fra noi ci sono i migliori maghi di Fheriea. Qualunque cosa abbia architettato, non basterà.
Con il cuore che gli martellava nelle orecchie, Jel si preparò ad assistere da lontano all'inizio dell'assedio.


Jel misurava a grandi passi la sua tenda.
Per quanto il campo distasse dalla città, dall'interno giungevano a intermittenza gli schiamazzi e i tonfi sordi della battaglia. Era qualcosa di molto simile a un'agonia stare lì in ascolto, senza riuscire a impedirsi di immaginare quanto stesse accadendo a meno di un miglio di distanza.
Su un tavolo c'era una fiala di vino delle Isole Crimsief che fino a quel momento non era stata toccata. Il mago ne riempì un calice e lo vuotò in pochi sorsi, come si trattasse della medicina a tutti i suoi mali.
Riprese a camminare in circolo, fece altri due giri della tenda, poi vuotò un altro bicchiere. Non era particolarmente forte, pensò. Una bottiglia non sarebbe stata sufficiente a fargli dimenticare anche solo un grammo dell'agitazione che lo pervadeva.
Accadde all'improvviso, senza che nulla avesse potuto farlo presagire. Uno scompenso nel naturale flusso di Magia che regolava l'ambiente circostante, come se per un attimo esso fosse venuto meno.
Jel non ebbe il tempo di avvertire uno sgradevole calore diffondersi nel suo stomaco come un cupo presentimento, perché un istante più tardi un boato risuonò all'esterno della tenda. Lo spostamento d'aria fu così forte e improvviso da costringerlo in ginocchio.
Boccheggiando - si sentiva stranamente a corto d'ossigeno - il Consigliere si aggrappò a un tavolino per rimettersi in piedi. Quando la sua testa smise di girare si trovò davanti il volto atterrito di un attendente.
- Il generale Fánersan richiede immediatamente la vostra presenza - annunciò, pallidissimo. - Lui dice che... È qui... la Strega Rossa è qui!
Per un istante Jel avvertì le forze abbandonarlo. La paura lo assalì così intensa da dargli l'impressione di svenire. Ma durò solo un istante.
Uscì dalla tenda come una furia.
Percepiva dietro di sé, provenire dalla città, le esalazioni di un immenso incendio. Il crepitio del fuoco che stava divorando parte della città risuonava in lontananza come mille voci diaboliche. Ma semplicemente si rifiutò di guardare. - È vero? - gridò entrando nel padiglione del generale Fánersan. Il generale Marat era già lì, insieme ad altri cinque o sei Lord. - Sephirt è là fuori?
Sembravano tutti quanti stravolti.
- Le nostre previsioni erano errate - latrò uno dei lord, un'uomo tarchiato che indossava un farsetto color porpora. - Theor ci ha fregati un'altra volta.
- Avremmo dovuto immaginarlo - commentò un secondo. - Un buon padrone lascia il proprio mastino più feroce a difesa della casa.
- Queste chiacchiere sono fuori luogo, nonché inutili - abbaiò Marat sovrastando le voci di chi si stava apprestando a rispondere. - Dobbiamo decidere cosa fare, alla svelta.
- Non possiamo lasciare i nostri uomini là fuori a morire! - esclamò quello che Jel riconobbe come il lord di Lialel. - La città è in fiamme, e con la Strega Rossa quell'incendio continuerà a divampare finché non li avrà divorati tutti.
- Hanno già combattuto contro di lei in altre occasioni.
- Ma questa volta non erano preparati! Dobbiamo ordinare la ritirata, rimandare l'assalto decisivo a un altro giorno.
- In quel caso sì che l'operazione si risolverebbe in un massacro per le nostre truppe!
- Silenzio! - nell'udire la voce di Fánersan, che fino a quel momento si era mantenuto in silenzio, i presenti si zittirono quasi all'istante. Il generale li squadrò con occhi fiammeggianti. - Non sarà parlandoci addosso come un branco di imbecilli che riusciremo a trarci fuori da questa situazione.
Su questo non c'erano dubbi.
Jel si rivolse al gerarca delle Cinque Terre prima che questi potesse riprendere a parlare.
- Generale... è davvero qui? È lei, Sephirt?
Per qualche secondo l'uomo si limitò a fissarlo stupito poi, lentamente, annuì.
- Allora devo andare.
Senza attendere risposta voltò le spalle ai generali e marciò deciso verso l'ingresso della tenda.
- Consigliere Jel, non vi ho dato il permesso di lasciare questa tenda.
Ignorò la voce del generale Fánersan. Nessuno gli avrebbe impedito di agire, questa volta.
Mosse ancora un paio di passi.
- Jel Cambrest.
Il suono di diverse spade sfoderate accompagnarono quelle parole pronunciate in tono perentorio. Il giovane si voltò; le guardie ai lati dell'ingresso brandivano le loro lame e lo fissavano torve. Dietro di lui, Fánersan aveva assunto un cipiglio quantomai contrariato. Più che mai in quel momento il mago capì perché fosse il gerarca più temuto dell'Esercito delle Cinque Terre.
- Non vi consiglio di disubbidire a un ordine diretto - disse con voce misurata, benché i suoi occhi brillassero d'ira. - Rischiereste la corte marziale.
Allora avrebbe affrontato quel destino, se fosse sopravvissuto. Ma in quel momento Sephirt era più importante di qualunque altra cosa.
Quando si voltò verso il consiglio lì riunito, i presenti dovettero scorgere qualcosa di davvero risoluto nel suo sguardo, perché non uno di loro parlò. Jel si rivolse esclusivamente al generale Fánersan, senza timore di guardarlo negli occhi.
- I Lord hanno ragione - proferì seccamente. - Con Sephirt là fuori i nostri uomini non hanno scampo. Non ha importanza il loro numero, lei li ucciderà tutti dal primo all'ultimo. Non c'è niente che possa fermarla. Ma se c'è qualcuno che ha una possibilità, quello sono io.
- E, sentiamo, perché? - nella voce di Fánersan era presente una traccia di feroce scherno.
- Perché Sephirt vuole uccidermi. Lo desidera più di ogni altra cosa al mondo, e non avrà pace finché non l'avrà fatto. Se vado là fuori, se mi faccio vedere da lei, posso attirarla fuori città, lontano dagli scontri. In questo modo guadagnerete il tempo che vi serve per evacuare le truppe delle Cinque Terre. O completare la conquista della città.
- Come sappiamo che funzionerà?
- Non lo sapete - lo freddò Jel. - Siete voi il generale, le decisioni strategiche spettano a voi. Ma per quanto riguarda me, questa volta non mi fermerete. Ho rimandato questo momento troppo a lungo.
Si voltò, questa volta definitivamente, verso l'ingresso della tenda. Mentre lo varcava, nessuno parlò, né le guardie tentarono di trattenerlo. Ma come fu fuori, esposto alle raffiche di vento che trasportavano fin lì i fumi del campo di battaglia, i volti dei generali svanirono dalla sua mente, come ogni altra cosa che non riguardasse lei, la Strega Rossa. Sephirt.
Evocò attorno a sé una barriera che lo proteggesse da frecce, lame e fiamme mentre si avvicinava alla città.
Finalmente il momento era arrivato.








*la «striscia» (spada da lato a striscia) è la spada a lama sottile tipica del Rinascimento, evoluzione italiana delle spade da lato francesi del XVI secolo.

Ritorna all'indice


Capitolo 40
*** Capitolo 38 (parte seconda) - Jel ***


38








- Sephirt!
Protetto dalla barriera invisibile, Jel avanzava passo dopo passo all'interno della città semi distrutta. Gli uomini delle Cinque Terre giacevano ustionati e agonizzanti al suolo, ma fra loro il giovane individuò anche diversi Uomini del Nord. La furia di Sephirt non avrebbe fatto distinzioni.
- Sephirt!
Sapeva che l'aria appena oltre lo scudo protettivo doveva essere piuttosto rovente. La tempesta di fuoco che la strega aveva scatenato aveva letteralmente ridotto in cenere soldati, abitazioni e persino un tratto del muraglione che lei stessa aveva edificato per difendere la città.
- SEPHIRT! - tuonò a pieni polmoni, ma non ottenne risposta.
C'era qualcuno che ancora combatteva.
Il mago intervenne per salvare un ariadoriano ferito dall'aggressione di due Ribelli, ma non si trattenne abbastanza per sentirsi ringraziare. Un po' più avanti scorse Lord Gerard giacere a ridosso un muro sfondato, completamente coperto di sangue ma ancora vivo.
Altre esplosioni provenivano dalla zona ovest della periferia cittadina. Forse se si fosse sbrigato sarebbe riuscito a evitare che Sephirt massacrasse anche gli ultimi superstiti dell'avanguardia...
Corse disperatamente in quella direzione per alcuni minuti, scavalcò un paio di muraglioni mezzi crollati, si arrampicò su un imponente cumulo di macerie e davanti a suoi occhi si parò la scena che si era aspettato: aveva immaginato quel momento così tante volte da passare notti insonni, ma nulla avrebbe potuto prepararlo a quella visione.
Sephirt era lì, impossibile non riconoscerla, con i capelli fiammeggianti al vento. Era avvolta da una sorta di barriera di fuoco che avrebbe impedito a chiunque di avvicinarlesi. Non brandiva armi. Pareva che fosse sufficiente che sbattesse le palpebre per scatenare altre fiammate contro i suoi avversari.
A quella vista, per un istante la risoluzione di Jel vacillò.
Non posso batterla. È troppo forte per me. È troppo forte per tutti noi.
Forse aver appreso i segreti della Magia Antica non sarebbe stato sufficiente a permettergli di vincere, o anche solo di avere salva la vita, ma la cosa fondamentale in quel momento era riuscire a distogliere la sua attenzione dai soldati delle Cinque Terre. Se fosse riuscito ad attirarla altrove, fuori dalla capitale, il generale Fánersan avrebbe potuto muovere sulla città e guadagnare terreno importante, nell'attesa che la delegazione che si era recata al Santuario facesse ritorno con le Sei Pietre... Nemmeno la magia di Sephirt avrebbe potuto resistere contro quella della Pietre. Doveva credere che fosse così.
- SEPHIRT! - gridò ancora una volta in direzione della donna.
Questa volta comprese all'istante di aver fatto centro.
La barriera di fiamme che si era generata a pochi passi da lei svanì all'istante e per qualche secondo il campo di battaglia piombò nel silenzio.
Poi la strega volse il viso niveo nella sua direzione.
I grandi occhi rossi che avevano infestato i suoi incubi negli ultimi mesi lo trafissero come lame affilate. Il suo volto era diverso da come lo ricordava: la mandibola serrata, con le vene grigiastre che risaltavano sulle tempie e sulle guance, come se anche il suo sangue si fosse trasformato in veleno.
Sarebbe potuta sembrare un cadavere, non fosse stato per la furia cieca che animava il suo sguardo.
Era lì. Dopo tanto tempo, finalmente faccia a faccia.
E in un attimo Jel seppe che cosa doveva fare.
- È finita, Sephirt - proferì con calma glaciale. - Sono qui. Era quello che volevi no? Sono qui per combattere.
I pochi uomini vivi a poca distanza da lei approfittarono della situazione per darsela a gambe.
La donna lo fissava con gli occhi spalancati; nessuno lo aveva mai guardato in quel modo. In quello sguardo Jel lesse un tale odio, una tale ferrea volontà di distruzione, da sentirsene per qualche istante sopraffatto.
A riportarlo alla realtà fu il rumore metallico di decine di lame: le spade dei caduti rimaste abbandonate a terra si stavano sollevando e venivano puntate verso di lui.
Al giovane tornarono in mente le parole che il maestro Camosh gli aveva rivolto tanti anni prima: un mago fuori di sé dalla rabbia è il più pericoloso, ma anche il più vulnerabile. A volte, accecato dalla furia, può commettere degli errori, o ricorrere a incantesimi poco funzionali in quel preciso momento.
Era quello che stava accadendo. Non era un incantesimo difficile da bloccare. Almeno non per un mago esperto.
Eresse una barriera che, una volta attraversatala, ridusse le lame in polvere finissima.
Ma non era quello che voleva. Non avrebbe combattuto in città.
Conscio di star giocando più che mai con il fuoco, invitò la strega con un cenno di sfida ad avvicinarsi.
- Dovrai impegnarti molto più di così se vuoi uccidermi.
Sephirt non si scompose. Senza muovere un muscolo, evocò quattro fiammate, come ad occupare i vertici di un quadrato, e ciascuna si avventò su di lui da una direzione diversa. Jel usò la trasmissione istantanea per sottrarvisi; non sarebbe stato in grado di generare uno scudo abbastanza potente da reggere a quattro Evocazioni di quella portata.
Nell'apparire pochi metri più in là, il Consigliere avvertì la prima fitta di lancinante dolore alla testa. Doveva fare attenzione con gli incantesimi di quella difficoltà, o il combattimento non sarebbe nemmeno iniziato...
Nel frattempo Sephirt perseverava nel suo rimanere immobile.
- Non vuoi vendicare Mal Ennon? - chiese Jel con un poco di disperazione nella voce. - Avanti, se vuoi farlo vieni a prendermi.
Sentir pronunciare quel nome ebbe su di lei lo stesso effetto di una scarica elettrica. Mosse un paio di passi in avanti e Jel attese il momento giusto per scattare... ma non ne ebbe il tempo. Una scarica di dolore lo attraversò da parte a parte. Non aveva mai provato nulla di simile; era come se il suo corpo avesse preso fuoco dall'interno. Piegato in due, il giovane cadde a carponi. Ma quando pensò di essere ormai prossimo alla morte, accadde qualcosa di peggiore. Migliaia di voci urlanti esplosero nella sua mente mentre e la vista gli si oscurò. Una paura e un dolore non suoi lo invasero all'altezza del petto dandogli la sensazione di soffocare. E allora, con quel poco di lucidità che gli era rimasta, comprese: Sephirt stava usando su di lui la tecnica del flêgein, una particolare modalità di lettura della mente praticata attraverso la magia nera. Per quanto ne sapeva Jel, non esisteva contro incantesimo. Consisteva nel proiettare fisicamente su qualcuno la condizione emotiva di chi la praticava. Dunque era quello che Sephirt provava? O era quello che aveva provato quando Mal era morto?
Non ebbe il tempo di darsi una risposta che la tortura finì, repentinamente com'era iniziata. Si ritrovò disteso sulla schiena, il volto sferzato dall'aria gelida. Sentì dei passi avvicinarsi a lui.
- Volevo che sapessi cosa si prova, Jel Cambrest. Adesso lo sai - disse Sephirt con una pacatezza che Jel non avrebbe mai immaginato. - Ora, muori.
Compì con una mano il gesto simile alla presa di un arpione che gli avrebbe tagliato la gola, ma qualcosa in Jel gli diede la forza e la lucidità per pronunciare il contro incantesimo. Funzionò solamente a metà, ma abbastanza da impedirle di ucciderlo. Un taglio si aprì nella sua gola, ma non così in profondità da recidergli la giugulare.
Non stette ad aspettare che Sephirt usasse un altro incantesimo per ucciderlo: pur sapendo che lo sforzo lo avrebbe indebolito oltremodo, praticò nuovamente la trasmissione istantanea e si ritrovò fuori dalla mura.
Era la prima volta che compiva un salto così ampio. Un conato di nausea lo scosse violentemente.
Non ebbe il tempo di riprendere fiato che uno spostamento d'aria lo investì gettandolo a terra. Le mura della città dettero l'impressione di stare per crollare definitivamente. Non c'erano dubbi su quale fosse la causa: nel vederselo sparire da sotto il naso Sephirt doveva aver perso il controllo e quella era la prima vera buona notizia del momento. Forse ora sarebbe riuscito ad attirarla lontana dalla capitale. Il problema era ritrovare le forze necessarie per farlo.
Il mago inspirò profondamente, ben conscio di quanto l'energia spesa per praticare quella seconda smaterializzazione lo avesse messo in carenza d'ossigeno. Staccò dalla propria cintura una piccola fiala contenente un infuso magico rigenerante e se la portò alle labbra facendo attenzione a non berne più del dovuto: per coloro che eccedevano gli effetti erano imprevedibili, da improvvisi eccessi di euforia all'incapacità di padroneggiare i propri incantesimi. E nei casi più gravi, inebriato dalla sensazione di benessere e rinnovato vigore, un mago poteva andare incontro alla morte per un troppo alto dispendio di forze catalizzate nell'esercizio della propria magia.
Nuove energie avevano appena iniziato a rianimarlo come linfa vitale quando Sephirt apparve all'improvviso davanti a lui. Contrariamente rispetto al giovane Consigliere, tuttavia, non sembrava che la trasmissione istantanea le fosse costata alcuno sforzo.
Questa volta, però, Jel era pronto a combattere. Si rimise in piedi e strinse i pugni. Avanti, fammi vedere di cosa sei capace.
I due attaccarono pressoché simultaneamente: due Evocazioni si sprigionarono dalle mani del Consigliere mentre una fiammata grande il doppio scaturiva da quelle protese delle Strega Rossa; si scontrarono a mezz'aria, ma com'era prevedibile quella di Sephirt ebbe la meglio. Jel eresse uno scudo che lo salvò dal fuoco incandescente, ma la forza dell'incantesimo lo spinse comunque all'indietro facendolo rovinare a terra.
Non c'era tempo per pensare.
Con una capriola sull'erba il mago si rimise in piedi e si smaterializzò per apparire alle spalle della sua avversaria. Non ebbe il tempo di pronunciare neanche una parola della formula per tagliarle la gola che si ritrovò nuovamente catapultato all'indietro.
La strega si voltò verso di lui e protese una mano davanti a sé; fu come se dita invisibili si fossero strette attorno al suo collo, ma non con l'intenzione di soffocarlo. Con un cenno della mano la strega lo sollevò da terra e lo attirò a sé.
Era finita, non sarebbe riuscito ad opporsi alla sua forza...
A meno di tre metri da lei, Jel sollevò una imponente zolla di terra che si frappose tra di loro. Il mago vi rovinò addosso, ma per la sorpresa Sephirt perse il controllo su di lui.
Prima ancora che si fosse ripreso dallo schianto, Jel compì l'unica mossa possibile in quel momento: distese le dita della mano destra e le scagliò la zolla addosso. Per la prima volta il suo colpo andò a segno: Sephirt ne venne travolta e fu lei stavolta a cadere all'indietro sotto il suo peso. Jel scattò in avanti, chiuse il pugno per disintegrare la zolla e con l'altro evocò una fiammata da scaricarle addosso...
Sephirt svanì sotto i suoi occhi proprio mentre era in procinto di lanciare su di lei l'Evocazione, ma il mago fu abbastanza rapido da generare una barriera che, all'apparire della sua avversaria proprio dietro di lui, la scaraventò nuovamente all'indietro. Era stata una fortuna che si fosse materializzata così vicino a lui: se fosse riapparsa appena più lontano e gli avesse scagliato contro un incantesimo probabilmente il giovane non avrebbe avuto la forza di pararlo...
- Sei diverso rispetto al nostro primo scontro - commentò la strega rimettendosi in piedi. Non sembrava che la cosa la turbasse o infastidisse più di tanto; il tono era quello di una semplice constatazione. - Nessuno è mai resistito quanto te da quando sono tornata.
In un istante il mago vide la prateria ai piedi della sua avversaria incendiarsi, andando a disegnare attorno a lei un cerchio di fuoco. Con in volto un'espressione ora completamente folle - o forse era solo lo sforzo immane che stava compiendo - la strega si contorse e compì con le braccia un gesto atavico e in qualche modo orribile. Le fiamme a terra si allungarono verso l'alto e la avvolsero nuovamente dando origine a spire incandescenti.
Quando Jel capì cosa stava accadendo fu troppo tardi.
Un serpente di fuoco, un immenso serpente vero, vivo, scaturito dalla magia di Sephirt, venne scagliato contro di lui. Non aveva idea di che incantesimo la donna avesse usato, di quale orrenda magia nera avesse potuto generare un simile demone, ma al momento non aveva tempo di fermarsi a pensarci.
Jel si tuffò letteralmente di lato per evitare il primo attacco della creatura, poi eresse la barriera più resistente che gli riuscì per resistere al secondo. I primi due feroci colpi che si abbatterono su di essa la fecero vacillare, ma rimase in piedi. Allora il mostro si gettò su di lui circondandolo per intero nelle sue spire, e nel vedere le fiamme tutto avvolgerlo per un istante la paura fu tale che il mago rischiò di perdere il controllo sulla barriera. Barriera che comunque non sarebbe durata ancora per molto.
Jel chiuse gli occhi e si concentrò al massimo.
Quando fu pronto, lasciò volontariamente che lo scudo cedesse e che il serpente di fuoco calasse su di lui...
Una gigantesca bolla d'acqua esplose a partire dalle sue mani, espandendosi attorno a lui e investendo in pieno la creatura demoniaca.
Quando, tossendo, riaprì gli occhi, si ritrovò disteso sull'erba bagnato fradicio. La creatura evocata da Sephirt non c'era più.
A diversi metri di distanza da lui, la strega sembrava per la prima volta vagamente impressionata.
Jel, da parte sua, respirava a malapena. Era stanco, troppo per continuare a combattere. Qualcosa gli suggeriva che non ci sarebbe stato bisogno degli effetti esaltanti della pozione rigeneratrice perché superasse il limite di energie spendibili senza rimetterci la vita.
Eppure, notò con un sussulto, qualcosa in Sephirt era cambiato. La fredda furia che aveva animato i suoi occhi rossi fino a poco prima sembrava aver lasciato spazio a qualcos'altro, una sorta triste rassegnazione di chi sa di essere vicino alla fine della propria strada.
Era un bluff? O forse, nel trovarsi così vicina a realizzare il suo scopo l'aveva privata della rabbia che l'aveva animata fino a quel momento? Se avesse provato a prendere tempo avrebbe abboccato?
È buffo come le vittime tentino sempre di guadagnare tempo, aveva osservato la strega, sprezzante, nell'occasione del loro primo incontro.
- So cosa tenterai di fare - la voce di Sephirt gli giunse all'orecchio non del tutto inaspettata. La donna era in piedi davanti a lui, splendida e terribile nella sua figura algida, ma in lei Jel avvertì anche un dolore e una pena mai percepite prima. - Sarei quasi tentata di permettertelo, ma devi sapere di non avere nessuna speranza contro di me. Le mie energie sono inesauribili. La tua magia non può competere con il mio potere.
- Non mi hai ancora ucciso - ansimò il Consigliere con un lieve moto d'orgoglio.
- No - Sephirt scosse il capo tristemente. - ma accadrà a breve. Il mio tempo è finito.
Mosse un passo verso di lui, e prima che potesse fare nulla il giovane si ritrovò inchiodato al suolo, paralizzato. Sephirt continuò a camminare nella sua direzione.
- Sono stanca di tutto questo. L'odio e la magia del custode mi hanno tenuta in vita e mi hanno donato poteri che non avrei neanche potuto immaginare, ma questo mondo non è altro che cenere e fumo per me. Voglio che finisca.
Jel lottava con tutto sé stesso per sottrarsi al controllo mentale cui la strega lo stava sottoponendo, ma invano. Era finita. Una volta che Sephirt avesse finito di parlargli, sarebbe morto. Aveva fallito, proprio come aveva fallito la prima volta. Aveva fallito nel tenere Gala al sicuro, aveva fallito nella promessa fatta a sua madre prima di partire che sarebbe tornato da lei. Aveva fallito, proprio come aveva fallito nel tenere Dubhne accanto a sé.
Ormai Sephirt era proprio di fronte a lui.
- L'unica cosa che ancor mi separa dalla pace sei tu - sussurrò.
Lasciò scivolare dalla manica uno stiletto, e un sorriso amaro si disegnò sulle sua labbra. - Sai, dopo tutto credo sia giusto che finisca così, senza magia. È così che lui è morto.
- Sei stata derubata dell'uomo che amavi - proferì Jel, e per la prima volta i loro sguardi si incontrarono a distanza ravvicinata. - Hai già ucciso colei che te l'ha portato via e non hai trovato la pace. Uccidere me non lo riporterà indietro.
Una lacrima solitaria si staccò dalle ciglia di Sephirt e le percorse la guancia pallida. - Non ho mai sperato che potesse essere così.
Mosse un ultimo passo in avanti e la lama dello stiletto gli perforò il petto all'altezza del cuore. Jel fu scosso da un fremito e dalle sue labbra scaturì un piccolo singulto. Sephirt spinse a fondo lo stiletto fino all'elsa e lo girò nella ferita.
Jel sentì l'incantesimo con cui lo aveva tenuto immobilizzato venire meno.
Avrebbe desiderato dire qualcosa mentre cadeva in ginocchio davanti a lei, senza fiato, lanciarle un'ultima parola di sfida per farle sapere che, no, non aveva paura della morte, e che le Cinque Terre avrebbero vinto comunque, ma non riuscì a trovare nulla che valesse la pena proferire. Forse non sarebbe riuscito a parlare comunque.
Sentiva il proprio cuore battere come impazzito, e quando toccò terra la vista cominciò ad oscurarglisi.
- Addio, Jel Cambrest - sentì pronunciare Sephirt mentre la intravedeva rialzarsi e allontanarsi da lui, muovendo qualche passo in direzione delle mura della città. Non disse altro.
Si fermò ai margini del suo campo visivo, dandogli la schiena. Il giovane la udì mormorare qualcosa in una lingua che non capì. Ormai non aveva più alcuna importanza.
Vide vicino a sé i fili d'erba macchiati dal sangue che scaturiva dalla sua ferita.
Aveva perso.
Eppure, nel momento esatto in cui quelle parole si formularono nella sua mente, qualcosa in lui si oppose a quel fato. Un ultima, strenua resistenza del suo orgoglio, o della speranza, o semplicemente un grido di rabbia di fronte all'ennesimo, fatale fallimento.
E all'improvviso la via da seguire gli si manifestò con chiarezza: era come se fosse stata tracciata davanti a lui mesi, forse anni prima, eppure era stato così sciocco da non vederla.
Con uno sforzo immane strinse una mano attorno alla fiala che portava al fianco. Questa volta ne vuotò il contenuto fino all'ultima goccia. Tanto sarebbe morto comunque.
Il liquido magico gli sgomberò la mente, che in uno schiocco di dita ritornò perfettamente lucida. Il suo corpo fu percorso da una scarica di energie che in realtà non possedeva.
Senza estrarre la lama che gli trafiggeva il petto il mago si rimise in piedi. La testa non gli girava più. Vedeva chiaramente la figura della strega davanti a sé.
- Su una cosa avevi ragione, Sephirt. Il tuo tempo è finito.
Evocò una fiammata, una fiamma piccola, debole, ridicola, e la scaraventò contro di lei; rimbalzò contro lo scudo fulmineamente creato dalla strega, ma quando questa si voltò il Consigliere capì di aver ottenuto ciò che voleva.
Il suo viso era contratto dalla rabbia più pura, la stessa rabbia cieca e incontrollata di un animale ferito.
Vederlo vivo, ancora una volta, come se semplicemente si rifiutasse di morire, aveva mandato in frantumi il velo di surreale pacatezza che l'aveva avvolta al pensiero di essere finalmente libera.
Con un urlo cristallino Sephirt levò entrambe le braccia al cielo, mentre immediatamente attorno a lei si andava a creare un turbine di vento che appiattì l'erba circostante. Le nubi si addensarono sopra di lei nere come gli abissi del mondo. Dalla sua figura si sprigionarono scintille. Poi un unico fulmine illuminò la pianura per un miglio di luce violacea. Si rovesciò sulle sue mani mani tese che prontamente ne raccolsero l'energia scandagliandola verso di lui.
Jel non pensò a nulla.
Protese le mani in avanti e urlò con tutta la forza che aveva in corpo.
- WAHEIS!
La scarica elettrica si abbatté sull'incantesimo riflettente con un frastuono inaudito, tanto che il mago credette che sarebbe andato in mille pezzi, e lui insieme ad esso, prima di venire deflessa e rispedita indietro.
La sua stessa magia colpì Sephirt in pieno petto senza che potesse fare nulla per difendersi. Venne scaraventata lontano.
Tutto finì. Lo scudo si dissolse così come era apparso e Jel si ritrovò a fissare la steppa davanti a sé, frustata dalle raffiche della tempesta.
A una ventina di metri di distanza giaceva la Strega Rossa.
Devo... devo essere sicuro che...
Fu tutto ciò che riuscì a pensare. Non appena tentò di muovere un passo in avanti le sue forze vennero meno e il giovane crollò in avanti, riverso sull'erba avvizzita e umida di pioggia.
Il suo ultimo pensiero fu per la sua casa a Grimal, quasi vent'anni prima, il giorno in cui aveva scoperto di possedere il dono della magia.








E con questo capitolo è come se un'altra parte della mia anima mi lasciasse per sempre. So di essermi fatta aspettare davvero tanto per questo stramaledetto duello finale tra Jel e Sephirt, ma il caso ha voluto che, oltre ad essere uno dei capitoli (comprendendo tutte le tre parti) più lunghi e ardui da scrivere della mia vita, la sua stesura sia anche ricaduta proprio nei mesi del mio esame di maturità. Non so cos'altro dire, se non che per me è stata una sfida immensa ma anche meravigliosa scrivere questo duello tra due personaggi a cui sono terrbilmente affezionata, e a cui spero di aver reso giustizia consegnando loro un degno compimento per il rispettivo arco narrativo.
Un bacio a tutti i lettori, spero che leggere lo scontro finale vi abbia appassionati almeno quanto lo è stato per me scriverlo.
Al prossimo capitolo, perchè ovviamente ci sarà, anche se ancora non so quanto tempo impiegherò a stenderlo. Tuttavia mi sento dire che, con questa battaglia, il peggio sia finalmente passato.

~Talia

Ritorna all'indice


Capitolo 41
*** Capitolo 39 - Gala ***


[EDIT: Non sono riuscita a risolvere un problema nel layout del capitolo, come noterete leggendo, ma ho preferito postarlo comunque per non ritardare nella pubblicazione. Nei prossimi giorni cercherò di mettere tutto a posto.]








39








Quando giunsero in prossimità di Amaria, Gala impiegò diversi istanti a capire cosa fosse accaduto: i sobborghi della città erano stati quasi completamente ridotti in macerie. Colonne di fumo si alzavano ancora oltre le mura quasi completamente distrutte, ma gli scontri tacevano. Questo poteva significare solamente due cose: che fosse in corso una tregua o che la battaglia fosse conclusa. Non c'erano spie, per il momento, che potessero rivelare qualcosa sull'esito.
Quando però, avanzando ancora, la legione di sopravvissuti alla battaglia del Santuario ebbe modo di scorgere anche le tende dell'accampamento delle Cinque Terre ancora integro, fu chiaro che i Ribelli dovessero aver avuto la peggio o, almeno, che fossero nella condizione di necessitare una tregua.
Il padiglione del Re si stagliava in lontananza, con i vessilli color ocra della Corona che sventolavano sotto le onnipresenti raffiche di vento.
Ma sguardo di Gala spaziava altrove, del tutto indifferente al campo degli alleati; sui resti delle mura, sui cumuli di macerie si scorgevano le figure stilizzate di decine di soldati in piedi o seduti. Uomini delle Cinque Terre, probabilmente. E poi i cadaveri, infinitamente numerosi, inconfondibili.
La strega rabbrividì, sentendo le gambe stanche che rischiavano di cedere sotto il peso della paura che fra loro vi fosse anche Jel.
Non è morto, no, io... l'avrei sentito, l'avrei saputo...
Dubhne camminava pochi metri dietro di lei. Aveva percorso quasi l'interezza della strada che separava il Santuario dalla capitale Nordica praticamente aggrappata a Caley, colui che era stato il secondo di Jack. Era stato lui a strapparla dal corpo senza vita del comandante ariadoriano.
Dubhne non aveva urlato. Non l'aveva colpito o insultato. Non aveva emesso un un suono che non fosse il disperato susseguirsi di singhiozzi incontrollati. Si era semplicemente rifiutata di lasciarlo andare. Con le guance interamente rigate dalle lacrime, si era tenuta stretta al suo corpo, il volto affondato nell'incavo della sua spalla. Quando alla fine l'uomo era riuscito a separarla da lui, la Combattente si era afflosciata all'improvviso, come se la stanchezza e il dolore folle l'avessero ridotta così esausta da privarla anche dell'ultimo briciolo di forza che possedeva. Caley le aveva avvolto la vita con le mani e con una delicatezza inattesa se l'era caricata in braccio, portandola via.
A colpire Gala era stata la sua espressione. Non una lacrima aveva rigato il suo volto - un soldato come lui non se lo sarebbe mai permesso - ma nei suoi occhi la ragazza aveva letto un cordoglio tacito e indescrivibile.
Quel ricordo fu interrotto improvvisamente dall'arrivo di fronte a loro di un giovane a cavallo: si trattava di Cliff, l'attendente personale del Re del Cinque Terre, giunto per portale loro la notizia che tutti avevano già intuito.
- Miei signori, la battaglia è vinta - proferì in tono concitato. - La Strega Rossa è morta. I Ribelli rimasti sono confinati nella Città Vecchia ma non dureranno a lungo. I negoziati per la pace stanno per iniziare.
Un mormorio percorse gli ascoltatori. Gerd Raenys, che nonostante la stanchezza e le ferite aveva mantenuto un portamento dignitoso, si limitò ad asserire: - Facci strada, Cliff - mentre un lampo attraversava i suoi occhi.
Il giovane fece per girare il cavallo e ripartire, ma Gala gli si era avvicinata e lo afferrò per un braccio sollevandosi in punta di piedi. 
– Il Consigliere Jel Cambrest – disse in un soffio. – È vivo? Ha fatto ritorno?
Dava per scontato che avesse preso parte alla battaglia. Fu per questo che, almeno inizialmente, la risposta dell’attendente la stupì.
– Non era previsto che il generale Cambrest fosse coinvolto nei combattimenti…
Il sollievo stava già per avvolgerla in un abbraccio rassicurante, quando comprese che Cliff non aveva ancora finito di parlare.
– … ma ha disubbidito agli ordini del generale Fánersan. Si è precipitato in città dopo la discesa in campo della Strega Rossa. Non è tornato, almeno per il momento. Fu come se il terreno si fosse spalancato sotto i suoi piedi, facendola sprofondare nell'oscurità. Se quanto sosteneva Cliff era veritiero, c'era un solo motivo per cui Jel poteva non essersi riunito agli altri generali...
Una volta che si furono avvicinati ulteriormente, il manipolo di Consiglieri sopravvissuti - Raenys e la sua compatriota Lenka Birthenson, più il Consigliere del Bianco Reame Adem Læris - puntò dritto sul padiglione reale guidato dall'attendente a cavallo, ma Gala decise arbitrariamente che le proprie priorità fossero altre, in quel momento.
Ignorando gli sguardi interrogativi che gli altri sopravvissuti le rivolsero, si mosse con passi decisi alla volta della città. Quando le sagome dei cadaveri presero a farsi più nitide davanti a lei, la ragazza prese a correre. Si fermò solamente quando ebbe raggiunto le prime macerie del muro difensivo.
– Jel! – chiamò cercando di modulare il respiro. – Jel Cambrest!
Molti uomini alzarono gli occhi su di lei con fare stupito: cosa ci faceva una ragazzina di quell’età fra le macerie di una città distrutta?
Gala li ignorò. Non sapeva nemmeno da dove cominciare. Il suo amico poteva essere ovunque.
Non mi interessa, ringhiò fra sé e sé. Controllerò ogni fottuto angolo della città pur di trovarlo.
Le era già capitato una volta di aggirarsi in mezzo a un folla di sconosciuti chiamando a gran voce il nome delle persone che cercava: era stato a Città dei Re, circa un anno prima, quando lei e Jel erano sulle tracce di Peterson Cambrel e Malcom Shist. Ma quella volta erano stati fortunati: i due padroni di Combattenti erano delle celebrità, tutti nella capitale li conoscevano; era bastato incappare in qualcuno abbastanza gentile da fermarsi a fornirgli un’indicazione.
Anche se Jel era stato investito del ruolo di generale della terza armata coinvolta nell’assedio di Amaria, Gala dubitava che la maggior parte dei soldati fosse in grado di associare quel nome al suo volto.
– Jel! – ripeté ancora più forte. – Jel, dove sei?
Stava solamente perdendo tempo. Se davvero voleva essere sicura di aver fatto tutto il possibile per trovarlo, avrebbe dovuto controllare ogni singolo cadavere riverso a terra. O almeno, tutti quelli che avrebbero potuto assomigliare a lui.
Non avrebbe saputo dire per quanto tempo fosse rimasta a vagare fra le macerie e i manipoli di soldati che si leccavano le ferite… mezz’ora, ore, anni; ma i suoi occhi erano ormai pieni di lacrime e il cuore velato dal sentore dell’inevitabile quando udì, poco distante da lei, un soldato raccontare con voce concitata: - Ve lo posso giurare, io li ho visti! Stavano combattendo proprio qui, e poi sono scomparsi! Mi sono arrampicato su quello che restava delle mura e li ho visti che si affrontavano nella pianura.
- La Strega Rossa non affronta proprio nessuno – lo contestò un altro guerriero, scettico. – Travolge chiunque si trovi davanti prima ancora che abbia il tempo di pronunciare il suo nome.
– Pensi che sia un bugiardo?
- No, ma nel mezzo di una battaglia è facile prendere fischi per fiaschi…
- Se non ti fidi di me, peggio per te – commentò il primo uomo indignato. – Io so che cosa ho visto.
– Se Duvan mente, dov’è lei adesso? – si intromise un terzo.
– Per me se l’è battuta quando ha capito che non potevano vincere contro le Cinque Terre…
Ma Gala aveva sentito abbastanza. Il soldato aveva indicato un punto oltre le mura alla sua sinistra. Nessuno sarebbe stato così folle da affrontare Sephirt in un faccia a faccia e, per giunta, rimanere vivo quel tanto bastasse a definire lo scontro come tale. Si trattava di Jel non c’erano dubbi. La cosa peggiore era che non avrebbe saputo dire se la notizia la facesse sentire meglio o peggio.
Si arrampicò fra i vari blocchi di pietra divelti fino a issarsi su quella che era stata la sommità del muro occidentale. A quel punto aguzzò lo sguardo verso la pianura ma non riuscì a identificare niente di certo. Si scorgevano sagome scure sparse qua e là, nell’erba secca, ma poteva trattarsi di rocce, tronchi o arbusti. Jel e Sephirt dovevano essersi allontanati parecchio durante il loro scontro. Un minuscolo fiocco di neve si posò placidamente sulla punta del suo naso.
Gala saltò e attutì la caduta sul terreno rigido con un incantesimo. Fece mente locale per cercare di ricordare se conoscesse un incantesimo che avrebbe potuto aiutarla a ottimizzare i tempi della ricerca; non gliene venne in aiuto nessuno.
- Jel! – riprese a chiamare a pieni polmoni – l’aria fredda parve perforarglieli come lame affilate – muovendosi a tentoni in quel panorama desolato. – Jel, ti prego! Ti prego rispondimi!
Ma a risponderle furono soltanto i corvi, radunatisi in città per il loro macabro banchetto, e l’ululato del vento che aveva ripreso a soffiare. Uno degli uccelli neri, grosso quanto un Athros, le svolazzò accanto in direzione nord-ovest. Un solitario, pensò la ragazza.
Impiegò alcuni per capire ciò che poteva significare.
Temendo quello che la sua tetra guida avrebbe potuto mostrarle, la strega lo seguì. C’erano due masse scure ai limitari opposti del suo capo visivo. In breve si ritrovò a camminare fra fili d’erba riarsa, come bruciata. Un incantesimo, sicuramente.
Sephirt era quella più vicina. Gala le si avvicinò con una sorta di terrore reverenziale: stesa a terra in una posa stranamente aggraziata, gli occhi chiusi e la pelle nivea, sembrava una creatura innocua. Il corvo zampettava vicino al suo viso, forse indeciso su quale occhio cominciare a beccare. Gala lo cacciò via con un gesto deciso della mano.
Sephirt aveva la casacca squarciata all’altezza del petto; qualunque fosse l’incantesimo che l’aveva colpita, aveva perforato anche la cotta di maglia. Non recava segni di lacerazione: una macchia violacea si allargava sopra lo sterno, fra i seni e l’attaccatura del collo. Gala lo riconobbe come l’effetto di una folgorazione.
Impiegando forse più tempo di quanto sarebbe stato necessario – non aveva il coraggio di staccarsi da lei e andare a controllare il secondo corpo, non ce la faceva - appoggiò due dita sulla gola della strega, poi sul polso, e infine appoggiò un orecchio sul suo petto per sentire il cuore. Non udì nulla. Anche la prima volta era andata così, a Tamithia, dopo che Sephirt aveva ucciso Ftia. Tenne il volto accostato al suo corpo ancora per diversi lunghi istanti, ma non percepì nulla. La Strega Rossa era morta, quella volta per davvero. Jel l’aveva uccisa, ce l’aveva fatta. La notizia avrebbe dovuto rallegrarla, o meglio, farla esplodere di gaudio, ma non ottenne il risultato che in qualunque altro momento si sarebbe aspettata. In verità non si era mai sentita peggio. Non poteva più temporeggiare; se non si fosse precipitata da lui sarebbe impazzita.
È vivo, si disse rialzandosi. È vivo e tu lo sai. È soltanto svenuto. Basterà un incantesimo lieve e si sveglierà…
Percorse una decina di metri prima di riuscire a metterlo a fuoco. Non riconobbe il mantello che indossava, non era quello del Consiglio. Trovò che fosse bellissimo, e la cosa le spezzò il cuore, avvolto in quegli abiti così terribilmente eleganti, così terribilmente adulti.
Coprì di corsa gli ultimi metri che la separavano da lui e poi cadde in ginocchio a suo fianco, sollevandolo un poco e abbracciandolo con tutte le sue forze. Un fiume di lacrime che fino a quel momento si erano rifiutate di uscire inondarono le sue guance, bagnando anche il volto del giovane. La strega mormorò il suo nome fra un singhiozzo e l’altro, in una litania infinita che pareva da una parte una preghiera affinché si svegliasse, dall’altra un tentativo di esprimere tutto l’affetto e la gratitudine che non avrebbe mai smesso di nutrire verso di lui.
– Aiutatemi – balbettò in direzione della città, rivolta a qualche interlocutore invisibile. – Aiutatemi…
Non osava fare quanto aveva fatto con Sephirt. Non voleva essere costretta a sentire il vuoto e il silenzio nel suo cuore. Il suo amico. Suo fratello. L’uomo con cui aveva condiviso tutto. Lei e Jel, soli contro il mondo.
E insieme, noi salveremo il mondo, le venne in mente una frase che doveva aver letto in qualche romanzo d’avventura tanti anni prima. Alla fine Jel lo aveva salvato davvero.
Pianse fino a perdere sensibilità nelle mani per il freddo.
      

                                                                                ***


Hareis Von Hilsen firmò la resa quattro giorni dopo.
Davanti alla prospettiva che il fuoco delle Sei Pietre si abbattesse su quello che restava della sua città, l'uomo che aveva preso il posto di Theor alla guida dei Ribelli era stato costretto a capitolare.
Il Gran Consiglio si era fatto garante della tutela della popolazione civile da parte dell'Esercito delle Cinque Terre fin dall'inizio. A quello che rimaneva dei gerarchi della Ribellione era stata concessa una settimana per riflettere se accettare o meno di arrendersi, settimana in cui molti dei civili rimasti in Amaria avevano lasciato la Città Vecchia in un esodo cupo e malinconico. Ma non tutti: escludendo i pochi guerrieri rimasti in vita, anche alcuni comuni cittadini si erano rifiutati di andarsene, decisi a rimanere con i loro uomini, i loro figli o i loro eroi fino alla morte. Era anche per questo che il Re delle Cinque Terre era stato ben felice di accettare il documento di resa recapitato al padiglione reale da un giovane messo nordico.
Come stabilito nel trattato firmato prima dell'inizio dell'assedio, il grosso delle truppe delle Cinque Terre rimase stanziato al di fuori delle Città Vecchia, mentre l'alto comando e i membri del Consiglio fecero il loro ingresso trionfale attraverso il portone che separava il centro storico dai sobborghi per poi prendere alloggio nei vari palazzi che si trovavano presso la reggia di Amaria, evitando di occupare la residenza della famiglia Vanyana in segno di rispetto.
Ridefinire l'assetto politico delle Terre del Nord e, in un certo senso, decretarne il destino, sarebbe stata una strada lunga e complessa.
Venne predisposta anche una nuova infermeria per i feriti di alto rango, un locale ampio dalle finestre alte e sottili collocato in un palazzo poco distante dalla piazza centrale. Jel Cambrest, come molti altri, venne portato lì.
Nei giorni successivi al suo capezzale presenziarono le più svariate figure di spicco delle Cinque Terre: i maestri ancora in vita - Raenys, Ellanor, Eloas - Lady Brinn Kaief e alcuni consiglieri dello Stato dei Re, svariati Lord del Nord , persino il generale Marat.
C'erano testimoni che giuravano di averlo visto combattere contro la Strega Rossa dentro e fuori dalle mura, anche se nessuno poteva affermare con certezza di aver assistito al termine dello scontro.
Gala, sempre presente a fianco del giovane ancora in stato di incoscienza, ascoltando brandelli delle loro conversazioni aveva dedotto che, se mai si fosse svegliato, Jel si sarebbe trovato appuntato alla casacca diverse medaglie.
Per quanto riguardava Dubhne, la ragazza non si era fatta vedere né vicino a Jel né nei dintorni, almeno finché una mattina Gala non scorse la sua figura uscire in fretta dal portone del palazzo in cui si trovava l'infermeria.
Era presto e il sole aveva appena iniziato a gettare i suoi raggi per le vie di Amaria. Per la prima volta da quando il Consiglio si era stanziato nella Città Vecchia, Gala aveva rinunciato a trascorrere la notte su una sedia a fianco del Consigliere: sotto l'insistenza di Portia, strega che aveva preso ad interim il posto di Anérion come maestro dello Stato dei Re, la ragazza aveva occupato una confortevole stanza del palazzo in cui la maggior parte dei Consiglieri alloggiava.
Era sicuramente passata a trovare Jel.
Mentre la guardava venire verso di lei a capo chino, Gala pensò che Dubhne avesse un aspetto brutto almeno quanto doveva essere il proprio. Le tumefazioni che coprivano parte del suo volto erano nulla in confronto all'aspetto esangue e ai segni delle unghie che doveva essersi ripetutamente conficcata nelle guance in quei giorni.
Quando fu abbastanza vicina da accorgersi di essere osservata, la ragazza alzò gli occhi su di lei: erano screziati da venature rossastre e conferivano al suo sguardo una desolazione che raramente aveva visto riflessa in altri.
Notò che portava sulle spalle una sacca di cuoio piuttosto ingombrante.
- Te ne vai? - chiese sconcertata.
La Combattente non tentò nemmeno di negare. - Non c'è niente per me qui.
Fece per riprendere a camminare e oltrepassarla ma Gala, quasi senza rendersene conto, le afferrò di scatto una spalla per bloccarla.
- Senti... io non so cosa sia successo esattamente tra te e Jel, ma non puoi abbandonarlo così. Lui ha bisogno di te.
La giovane donna si divincolò senza troppa convinzione.
- È inutile che sprechi il tuo tempo - disse con voce spezzata. - Non so dove andrò, non so nemmeno se domani sarò ancora viva. Ma non posso restare qui. Tu non puoi neanche immaginare quello che ho perso. Vedere morire anche Jel di certo non mi aiuterà.
- Abbiamo perso tutti qualcuno - mormorò Gala.
- Non così.
La Combattente le passò accanto senza aggiungere altro, e lei non ebbe la forza per cercare di trattenerla oltre. Perdere Jack doveva essere stato più che perdere un semplice comandante, o un amico. Il rapporto fra loro doveva essere stato davvero unico. In fondo, capiva che la ragazza desiderasse solo andarsene. Dopotutto forse era meglio così. Qualunque cosa Jel provasse per quella strana ragazza, Gala era sicura che non sarebbe stato corrisposto come avrebbe voluto.
Si rese conto solo in ritardo che Dubhne, dopo aver mosso qualche passo nella direzione opposta, si era fermata. La strega la guardò stupita: i suoi occhi erano pieni di lacrime.
- Gala, se dovesse svegliarsi... - proferì. - Digli che mi dispiace.


                                                                                ***


Con la gola secca, Gala oltrepassò la soglia dell'ampio locale in cui si trovavano le cucine dell'antica caserma destinata ad accogliere le guardie cittadine di Amaria.
Gli ultimi giorni erano stati un susseguirsi di paura, nausea e insonnia. Le veglie infinite davanti al capezzale di Jel erano state interrotte solo da sporadiche riunioni e ancora più rare passeggiate per dare un po' d'aria fresca ai polmoni. Solo ora la ragazza era riuscita a trovare il coraggio - e il tempo - per pensare alla morte di Jack e all'obbligo che sentiva gravare sulle sue spalle: darne la notizia a suo fratello Nigel. Era stata così presa dalla sorte di Jel da non riuscire a pensare a nient'altro - persino la sorte degli ultimi Ribelli rimasti non aveva suscitato in lei più di un vago interesse - ma alla fine l'affetto che nutriva verso Nigel e la riconoscenza che ancora la legava al comandante Cox si erano fatti sentire.
Certamente se Nigel non era uno sciocco doveva aver già intuito la verità nel non vederlo tornare, ma lasciargli quel minimo di speranza del contrario era quanto di più ignobile si potesse infliggere a chi attende il ritorno di una persona cara. Lei, Gala, era stata presente e sapeva come erano andate le cose. Nessun altro si sarebbe scomodato a dirlo a lui, un umile cuoco, per cui l'avrebbe fatto lei.
Nigel stava in piedi proprio in fondo alla cucina semi deserta, intento a scrostare il fondo di un enorme pentolone, la gamba di legno nascosta da un paio di calzoni. Se non lo si guardava con attenzione non si sarebbe notata l'assenza dell'arto. Gala deglutì.
È solo un'altra ferita. Una delle tante. Devi farlo.
- Nigel.
Il ragazzo non si voltò; in verità non diede proprio segno di essersi accorto della sua presenza. Sarebbe potuto sembrare un bambino viziato in preda a un capriccio, ma Gala sapeva riconoscere quei sintomi e distinguerli da una sceneggiata. Sapeva molto bene come ci si sentiva nei giorni successivi alla perdita di una persona amata. Peggio ancora, sapeva cosa significasse crogiolarsi in quel dolore sospeso, quando la sorte è già segnata e il cuore in lutto, ma un fato beffardo nega anche il vago sollievo della certezza.
- Nigel, devo parlarti.
- Ti sei ricordata di me, alla fine - constatò lui dopo qualche secondo.
Non essere sciocca, Gala. Sai quant'è difficile... Avrebbe avuto un milione di giustificazioni pronte da snocciolargli, e tutte valide. Ma non era lì per intraprendere un'altra tenzone.
- È per Jack - respirò profondamente. - So che avrei dovuto dirtelo prima, e mi dispiace tanto. È morto nella battaglia del Santuario.
Per un attimo temette che Nigel si voltasse di scatto e le scagliasse contro l'arnese con cui fino a un attimo prima aveva raschiato il fondo della pentola, perché un fremito lo aveva attraversato. Invece il giovane continuò a tacere.
Gala fece un passo in avanti.
- Nigel, io...
- È tutto?
Il suo tono secco, quasi gli avesse fatto un torto nel portargli la notizia, la ferì appena. Avrebbe voluto poter fare qualcosa per consolarlo, ma sarebbero stati tentativi talmente deboli e poco convinti da non valere il tempo di nessuno dei due. È solo un'altra ferita.
- Addio, Nigel - disse solamente voltandogli le spalle.
Per un attimo, un attimo breve di caparbia vitalità, sperò che il giovane le corresse dietro e la fermasse, che scoppiasse in lacrime o che la baciasse, che facesse qualunque cosa ma durò poco. Nigel rimase fermo dov'era e lei se ne andò senza più dire una parola.



Jel era ormai privo di sensi da più di una settimana quando il Consiglio decise di convocare il custode Ryeki.
L'anziano mago, magro ed emaciato, venne prelevato dalla cella in cui aveva trascorso gli ultimi giorni e condotto di fronte alla brandina su cui il giovane giaceva. Sarebbe potuto apparire perfettamente innocuo, persino fragile, ma era un'apparenza ingannevole: l'intero Consiglio era al corrente che la Strega Rossa era stata, in un certo senso, una sua creatura.
Nell'infermeria erano presenti, oltre a Gala, anche Ellanor, Raenys, Portia e il Consigliere capo dello Stato dei Re, Flavis.
- Abbiamo chiesto aiuto ai nostri guaritori migliori - stava spiegando quest'ultimo rivolto all'Uomo del Nord. - I maghi più esperti del continente nel campo degli incantesimi curativi. Esper Joans in persona, guaritore personale del Re delle Cinque Terre, ha provveduto a sanare la ferita al cuore. Il Consigliere è vivo, ma non paiono esserci miglioramenti nelle sue condizioni.
Gala rimase in silenzio ad osservare il custode chinarsi su Jel e appoggiare il palmo della mano destra sulla sua fronte. La sua espressione era concentrata mentre chiudeva gli occhi e cominciava a mormorare parole in una lingua incomprensibile. Ad un tratto alla strega parve di vedere un fremito attraversare il volto disteso del giovane, ma immediatamente si disse che doveva esserselo solamente immaginato. Comunque stessero le cose, non ci furono altri segni di vita.
- Dunque? - domandò Flavis con una traccia di impazienza nella voce, mentre Raenys ed Ellanor continuavano a tacere.
- Riguardo i traumi fisici, il vostro guaritore ha svolto un lavoro ineccepibile - sentenziò Ryeki a voce bassa. - Il tessuto cardiaco è perfettamente intatto, come non fosse mai stato perforato. Una ferita come quella avrebbe dovuto ucciderlo in pochi minuti; ma se davvero, come sostenete, il giovane era ancora vivo nel momento in cui è stato praticato l'incantesimo di guarigione, non ci sono ragioni fisiche per cui possa essere in pericolo di vita.
- Lo sappiamo - asserì Ellanor prendendo per la prima volta la parola. - È esattamente per questo motivo che ci siamo rivolti a voi. Joans ha ipotizzato che sia stato un eccessivo dispendio di energia magica a ridurlo in questo stato. È possibile?
- È l'unica spiegazione plausibile - confermò il custode annuendo. - Ma in questo caso non c'è molto che chiunque di noi possa fare. Dipende tutto da lui - e con un lieve cenno indico il mago addormentato. - La sua mente è viva, nascosta da qualche parte, rintanata in meandri ai quali non ci è possibile accedere. Finché non arriverà il momento, se arriverà, non si sveglierà.
Quelle parole aleggiarono sulla piccola compagnia lì riunita come una nefasta predizione. Per qualche istante nessuno parve avere nulla da replicare.
Tutto qui? fu tentata di incalzarlo Gala. Il più saggio mago delle Terre del Nord, e tutto ciò che era in grado di fare era una diagnosi inutile?
Evidentemente le cose stavano davvero così.
Rimase a guardare con una punta di disperazione mentre i tre maestri, più Flavis, voltavano le spalle al letto di Jel e si dirigevano verso l'ingresso dell'infermeria, dove due uomini delle Cinque Terre attendevano in silenzio con le spade nel fodero di riaccompagnarlo in cella.
Poco prima di uscire, la ragazza vide Ryeki protendersi leggermente verso Raenys e proferire qualcosa a bassa voce. L'espressione del maestro della nazione di Tharia fu tutto fuorché incoraggiante.
Gala tornò a fissare il viso di Jel mentre una lacrima si staccava dalle sue ciglia rigandole la guancia. Il custode Ryeki aveva ragione: il suo amico era lì da qualche parte, in un luogo che lei non poteva raggiungere.
Non avrebbe saputo dire in seguito quanto fosse rimasta lì seduta con i gomiti appoggiati sul materasso prima che la sua testa ricadesse sulla superficie morbida, addormentata.
Quando si riebbe, le tenebre avevano già cominciato a scivolare lungo l'orizzonte. Attraverso le finestre dell'infermeria filtrava la luce rossastra del secondo tramonto. Speranzosa, la ragazza rivolse immediatamente lo sguardo sul volto di Jel, ma come tutte le altre volte non ci fu verso: il Consigliere rimaneva freddo e immobile.
Lo stomaco della strega gorgogliò; ripensandoci, era da almeno ventiquattr'ore che non metteva qualcosa sotto i denti. Avvertendo la testa ancora estremamente pesante abbandonò la propria fedele seggiola e si diresse verso l'uscita, non prima di aver rivolto un ultimo amorevole sguardo verso Jel, come ad assicurargli che sarebbe tornata presto. Lasciandosi alle spalle l'infermeria oltrepassò il punto in cui aveva incontrato Dubhne qualche giorno prima e si diresse verso il refettorio che era stato allestito poco distante. Era una mensa senza dubbio non raffinata come i manicaretti che la maggior parte dei Consiglieri era solita consumare anche in quei giorni tumultuosi, ma la sola idea di fare altrettanto le metteva la nausea. Non avrebbe speso un solo secondo più del necessario lontana da Jel.
Naturalmente i comuni soldati delle Cinque Terre o dell'esercito feudale ariadoriano non trovavano ristoro in quello stesso ambiente, il quale rappresentava una piacevole via di mezzo. Diverse mense da campo erano state allestite all'esterno della Città Vecchia.
La giovane strega estrasse da una tasca del mantello uno hire d'argento e lo consegnò alla guardia che, con aria svogliata, sorvegliava l'ingresso. Dopo aver atteso in fila il proprio turno ed essersi fatta servire una porzione di stufato di manzo, cercò un posto a sedere un po' appartato e vi si sistemò.
Non aveva mai provato tanta solitudine in tutta la sua vita.


                                                                                ***


A riunione conclusa, Gala si era alzata così in fretta che alcuni Consiglieri le avevano rivolto sguardi di stupore, alcuni al limite del disappunto. Mentre gli altri si attardavano come di consueto prima di uscire dall'ampia sala in cui la seduta si era tenuta, la ragazzina si era affrettata verso la porta e aveva percorso il corridoio adiacente di volata, prima di raggiungere il salone d'ingresso del palazzo reale di Amaria.
Ma non era nella reggia dei Vanyana che si trovava in quel momento: accompagnata da una spessa guardia cui si era presentata come una Consigliera a pieno titolo, stava scendendo l'angusta scalinata che portava al livello inferiore delle antiche prigioni della capitale nordica. Una volta arrivati sul piano, Gala gettò un occhio sulle celle che si aprivano davanti a lei: rispetto a quelle del piano superiore erano quasi vuote. Delle sei che riuscì a contare, solo quattro erano occupate, e mai da più di una persona. Nella più vicina la ragazza riconobbe Hareis Von Hilsen, seduto con la teta appoggiata al muro e gli occhi chiusi. Era lì che venivano tenuti i gerarchi della ribellione.
L'ambiente non era sudicio come quello in cui era tenuto il centinaio scarso di Ribelli sopravvissuti all'ultima battaglia, stipati chi al piano superiore di quello stesso edificio, chi in un magazzino adibito a prigione situato poco più a sud. Qui il pavimento non era in terra battuta ma di pietra; ogni cella disponeva di una brandina, coperte e un vaso da notte. Il corridoio era illuminato da numerose fiaccole assicurate alla parete opposta ai vani protetti da spesse inferriate.
Dirigendosi verso destra Gala scoprì che il corridoio continuava, collegandosi ad una scala che scendeva ulteriormente sotto terra. Percorrendola, si chiese come mai si fosse deciso di isolare il custode Ryeki in quel modo. Le celle del livello che si erano appena lasciati alle spalle erano state stregate con un incanto anti-magia, lo aveva riconosciuto all'istante. Come potevano aspettarsi che quel vecchio rappresentasse una minaccia?
Al piano inferiore c'era solamente una stanza.
- Cinque minuti - la avvertì la guardia mentre si accingeva ad infilare le chiavi nella toppa del portoncino che separava l'interno dal pianerottolo.
Gala lo ignorò ed entrò.
L'interno era più grande di quelli che aveva visto al piano di sopra; si sarebbe potuto dire assomigliasse più a una stanza che a una vera e propria cella. Avrebbe dovuto aspettarselo, in effetti: benché la sua partecipazione attiva alla Ribellione avesse fatto decadere il suo incarico di Custode, Ryeki rimaneva comunque una figura degna di rispetto. L'alone di sacralità che avvolgeva gli Alti come lui faticava a svanire.
Ma in quel momento non c'era cosa al mondo che potesse importarle di meno.
- Hai chiesto al Consiglio di poter usare con Jel la stessa procedura che hai usato su Sephirt - si scagliò contro di lui. - Come hai potuto pensare anche solo per un istante di mettere le tue luride mani su di lui?
Ryeki, che aveva alzato lo sguardo nel momento in cui l'aveva vista entrare, la fissò con qualcosa di simile allo stupore nello sguardo.
- Voi chi siete? - chiese dopo qualche secondo e, anche se non trapelava traccia di scherno nella sua voce, la domanda la fece andare su tutte le furie.
- Sono un membro del Gran Consiglio delle Cinque Terre - ringhiò la strega. - E sono venuta a dirti che, no, al Re non importa se vuoi riguadagnarti il suo favore trasformando il nostro Consigliere migliore in un cadavere che cammina. Per quanto mi riguarda niente di salverà dalla forca per aver utilizzato magia nera su un essere umano.
Contrariamente a quanto si sarebbe aspettata, sentendo quelle parole il vecchio non si scompose. Al contrario prese ad annuire con stampato in volto un sorriso bonario.
- Ma certo, la ragazza dell'infermeria - mormorò, come se nemmeno avesse udito il suo sfogo. - Ditemi, siete sua sorella forse? Che cosa vi lega a quel giovane?
Per un istante Gala ebbe la sgradevole sensazione che l'ex custode potesse leggerle nel pensiero, alla faccia della protezione anti-magia o di qualunque altra contromisura.
- Non sono affari tuoi - disse fra i denti.
- E così il Consiglio ha rifiutato la mia offerta... Non è vero? - proseguì Ryeki con la fronte aggrottata, e ora la preoccupazione era ben visibile sul suo volto. - Sì, mia cara, non nego di aver sperato che un mio contributo nel salvare il vostro nuovo... eroe - il tono con cui pronunciò quella parola per poco non indusse la ragazza a saltargli addosso - potesse migliorare in qualche modo il mio status, ma se questa è la decisione del Consiglio la accetterò. Forse la forca è davvero ciò che mi attende.
Gala era sconcertata. Non sapeva esattamente che cosa si fosse aspettata da quella conversazione, ma di certo non che il custode ammettesse così candidamente un tentativo così meschino.
- Sarete processato per aver riportato in vita una strega tramite la magia nera, oltre che per alto tradimento - asserì con voce incerta, anche se qualcosa l'aveva indotta a tornare a usare il voi per rivolgerglisi. - Pensavate davvero di poter scampare a una condanna ripetendo lo stesso abominio su un membro del Consiglio?
- Ormai non ho più nulla da perdere - rispose Ryeki, sempre con quella schiettezza disarmante. - Ho fatto le mie scelte e ho scelto di appoggiare la Ribellione. Non chiedo che voi possiate comprendermi.
L'anziano mago davanti a lei appariva quanto più umano potesse esistere. Non riusciva a credere che fosse stato lui a rendere Sephirt ciò che era diventata. Quando aveva scoperto che a farla tornare pressoché dal mondo dei morti era stato il custode di Amaria aveva immaginato una figura scheletrica e inquietante completamente corrotta dal male. Ora invece si ritrovava a conversare tranquillamente con lui come avrebbe potuto fare con qualunque Consigliere di basso rango. In confronto al custode Kryss, che pure aveva incontrato soltanto una volta, Ryeki appariva debole e rassegnato, qualcosa di molto distante dalla figura altera del custode di Città dei Re.
- Siete venuta qui ad insultarmi... - decretò l'uomo scrutandola attentamente. - Eppure penso che sia un altro il motivo per cui siete scesa fino in questo sotterraneo.
Legge davvero nel pensiero? si chiese la giovane sentendosi all'improvviso estremamente a disagio. Se davvero le cose stavano così, tanto valeva che dicesse la verità. E in ogni caso, Ryeki non aveva forse ragione? Dopo aver preso un lungo respiro, parlò.
- Avevo bisogno di sapere cosa è successo davvero a Jel.
- Molto bene. Non era così difficile, no? - il vecchio si alzò e prese a camminare in tono per la stanza. Non portava calzature. - Quando mi hanno chiesto di visitare il vostro amico Consigliere, ho subito capito che avrei avuto a che fare con qualcosa di estremamente inusuale. Come ho detto, la ferita al cuore avrebbe dovuto ucciderlo. Al contrario, Jel è riuscito a trovare le energie necessarie non solo per sopravvivere, ma addirittura per praticare l'incanto Waheis con successo, probabilmente uno dei più complessi e dispendiosi che esistano.
- Questo però non lo avete detto al Consiglio... - sussurrò Gala basita.
- Non sarebbe cambiato molto - spiegò il custode, come scacciando con un gesto della mano la sua obiezione. - L'incanto in questione non viene più insegnato ai giovani maghi da generazioni. Troppo pericoloso, la quantità di persone morte nel tentativo di praticarlo era troppo alta. In effetti, è quasi impossibile che possa averlo trovato in un comune libro di incantesimi. Soltanto alcuni volumi più vecchi legati alla Magia Antica ne recano ancora traccia, ma è improbabile che ne abbia consultato uno.
La giovane strega lo ascoltava senza fiatare: non capiva dove il custode potesse andare a parare.
- Quello che intendo dire è che due anomalie di questo genere sono troppo inusuali per essere delle coincidenze. Sopravvivere a una ferita mortale e praticare un incantesimo di cui quasi nessuno conosce l'esistenza...
- Jel è stato apprendista del custode Kryss per qualche mese - intervenne Gala, senza troppa convinzione. - È possibile che gli abbia insegnato qualche trucco particolare.
La notizia parve interessare parecchio Ryeki. - Israën Kryss ha accettato di prendere un allievo? - chiese stupito, prima di soggiungere fra sé e sé, senza guardarla: - Dunque è proprio come pensavo...
Gala era disorientata, ma quasi non osava domandare al custode di farle maggiore chiarezza. Aveva una paura terribile che quello che l'anziano mago le avrebbe rivelato potesse avere conseguenze ancora più nefaste di quanto già non lo fosse la situazione attuale.
Alla fine si fece coraggio e domandò con voce flebile: - Che cosa rende Jel così speciale?
- Cinque minuti! - rimbombò la voce del guardiano appena fuori dalla cella. Gala ignorò il monito.
Il custode sembrava soddisfatto dell'effetto che le sue parole aveva sortito su di lei. Per un folle istante la strega pensò che, in un ultimo atto di vendetta nei confronti di coloro che l'avevano imprigionato, Ryeki non le avrebbe detto più nulla lasciandola nel tormento e nel dubbio.
Ma si sbagliava, perché pochi secondi dopo egli riprese a parlare.
- Vedi - disse guardandola negli occhi - c'è una sola ragione per cui Jel Cambrest è sopravvissuto alla ferita che gli ha inferto Sephirt. Una ragione in grado di soddisfare anche tutti gli altri interrogativi che lo riguardano.
Cosa, cosa? Dimmi la verità!
- Credo che tu sappia, come ogni altro mago o strega, che ci sono persone che entrano maggiormente in contatto con la magia rispetto alle altre, persone in grado di percepirne la vicinanza come nessun altro, a volte senza nemmeno rendersene conto. Come Sephirt. Come me. Persone con cui la Magia che governa il nostro mondo instaura una sorta di dialogo, se capisci cosa intendo.
- Gli Alti - disse immediatamente Gala. - I custodi. Ma... - aggiunse disorientata - ancora non capisco che cosa possa c'entrare...
- Il tuo amico Jel è un Ves'dyn'doev, un toccato dalla magia. Se è rimasto in vita, è perché Essa ha deciso che fosse così. È vivo perché è destinato a diventare custode, un giorno.
La porta della stanza si aprì prima che la ragazza avesse il tempo di controbattere. La guardia sembrava decisamente irritata.
- Mia signora, sono spiacente ma adesso devo riportarvi di sopra. Il vostro tempo è scaduto. Sono gli ordini dei miei superiori.
Ma Gala era troppo frastornata anche solo per rispondere. Lasciò che il soldato, un po' goffamente a dire il vero, la incalzasse a uscire dalla cella. Mentre varcava la soglia, lanciò un ultimo sguardo al custode Ryeki, che era tornato a sedere con una strana espressione sul volto.
- Addio, mia giovane amica - disse ad alta voce. - Chissà se ricorderete la nostra conversazione quando il Consiglio dovrà deliberare della mia sorte...
La porta si richiuse e le sue parole vennero smorzate.
Accompagnata dalla guardia, ancora borbottante, Gala si lasciò alle spalle le segrete per riemergere in superficie.






Ritorna all'indice


Capitolo 42
*** Capitolo 40 - Jel ***


NB: capitolo ad alto tasso introspettivo, non uccidetemi!!!!

40








UN ANNO DOPO


Il reticolato delle stradine che componevano la zona più povera del centro di Tamithia era intricato come lo ricordava. I ricordi attraversavano la sua mente ad ondate, scene di un passato non così lontano che ora gli appariva infinitamente distante.
Era riuscito ad ottenere le informazioni che gli servivano con un po' più di difficoltà del previsto: aveva cercato la casa dell'allevatore - curioso, ma il suo nome era scivolato via dalla sua mente - pensando di andare assolutamente a colpo sicuro, ma giunto sul posto si era ritrovato davanti soltanto un rudere e una staccionata divorata dai rovi.
Era evidente che non vivesse più lì.
Contrariato, era tornato sui suoi passi e aveva deciso di rivolgersi alle Guardie Cittadine, sperando che la persona che cercava avesse avuto qualche guaio con la giustizia ultimamente.
Svoltò un angolo, e senza preavviso si ritrovò nei pressi di quella che un tempo era stata la casa di Ftia. I ruderi anneriti ancora occupavano lo spazio tra le due casupole confinanti, che invece erano state parzialmente ricostruite. Un lieve groppo alla gola lo colse a quella vista.
I tafferugli verificatisi a causa loro quasi due anni prima non non erano passati inosservati e, anzi, erano rimasti piuttosto impressi nei ricordi dei cittadini e dei soldati di Tamithia. La morte di Ftia Elbrik, l'incendio che aveva devastato la sua casa e gravemente danneggiato le adiacenti avevano fatto sì che il nome degli Elbrik acquisisse una certa notorietà in città.
Ed era in virtù di ciò che era riuscito a risalire al nome di Norah con una certa faciltà. La sua casa era a pochi isolati da quella della sorella, forse in una zona lievemente più agiata.
Senza avvertire il minimo disagio - la cosa lo sorprese: pensare a Ftia non era mai stato facile dopo la sua morte - il mago salì i due gradini che lo condussero sotto il porticato di legno. Bussò con tre sonori colpi alla porta.
Per qualche secondo pensò che non ci fosse nessuno in casa, perché non avvertì alcun movimento all'interno.
- Eccomi, eccomi - disse poi una voce di donna, accompagnata dal rumore di passi che si avvicinavano alla porta. - Chi è?
- Jel Cambrest - rispose lui sicuro. - Sono qui per riscattare il debito nei confronti di vostra sorella.
Udì la serratura scattare e dopo un paio di mandate la porta di legno si aprì. Una Ftia di qualche anno più giovane e, in qualche modo, di aspetto lievemente più aggraziato, apparve davanti a lui. Sembrava contrariata.
- Voi? - rimarcò con sarcasmo. - Non sono mica una nobile.
- Non vi conosco - ribatté Jel con semplicità. - Mi pareva d'obbligo.
- Che cosa volete? - domandò la donna aggressiva, ancora con una mano sulla porta come a intendere che avrebbe potuto sbattergliela in faccia da un momento all'altro.
- Ve lo già detto. Sono qui per ripagare il mio debito.
Norah Elbrik arricciò il naso. - Non vedo nessun forziere. Per cui, a meno che non nascondiate ottocento york sotto il mantello, non credo che...
- Ho ritenuto fosse più saggio recarmi qui da solo, senza il denaro, per parlare con voi. I vostri ottocento york sono al sicuro nella mia stanza a palazzo. Posso farveli recapitare oggi stesso, se volete.
- Smettetela di darmi del voi - proferì lei seccamente. - Mi mette a disagio.
- Siamo d'accordo allora?
Norah rimase per qualche istante a squadrarlo in cagnesco. Era evidente che non gradisse la sua presenza, ma la promessa di un pagamento così ingente era troppo allettante per essere ignorata.
- Portatemi i miei soldi il più in fretta possibile - decretò infine. - Poi non voglio più vedervi.
Jel rispose con un cenno di cortesia. Stava per girare i tacchi e tornare nel vicolo, quando la voce di Norah lo indusse a fermarsi.
- Mia sorella Ftia era una donna in gamba - disse lentamente. - Non posso credere che si sia lasciata invischiare nei vostri affari. Cosa l'ha indotta a fidarsi di voi?
I ricordi lo assalirono non graditi e, per un attimo, emozioni dolorose lo avvolsero. Alla fine scosse la testa. - Ftia era una donna che sapeva prendere accordi, e noi ne avevamo uno. Non poteva prevedere quello che sarebbe successo.
Saremmo dovuti essere noi a prevederlo.
La porta della casa di Norah si richiuse e Jel non perse tempo nell'incamminarsi nuovamente verso il centro della città. Mentre ripercorreva le stradine in senso opposto, si chiese se il senso di colpa avrebbe mai smesso del tutto di tormentarlo. Dopotutto era stata Ftia a tradirli, vendendoli a Sephirt e permettendole di tendere loro l'imboscata che era sfociata nel primo, vero duello di magia che il giovane avesse condotto alla pari nella sua vita. Soltanto che alla fine, la prima a rimetterci la vita era stata proprio Ftia.
E la stessa cosa sarebbe accaduta a lui, se non ci fosse stata Gala a frapporsi fra lui e la morte.
Da quando la loro impresa aveva avuto inizio, la strega lo aveva salvato per tre volte.
La prima fra le miti colline fuori Tamithia, quando era riuscita a guadagnare tempo impedendo a Mal e Sephirt di ucciderlo.
La seconda a casa di Ftia, quando aveva pugnalato Sephirt alla schiena un attimo prima che lei gli sferzasse il colpo di grazia.
E poi c'era quanto accaduto ad Amaria quasi un anno prima.
Se ripensava a quanto l'amica aveva fatto per lui, il giovane ancora stentava a crederci. Prima di allora aveva sentito parlare soltanto una volta della magia del sangue: quella che Jon Coleman aveva utilizzato per creare le Sei Pietre. Ora, grazie a Gala, ne aveva sperimentata una sulla propria stessa pelle. Non sapeva esattamente quanti libri la ragazza avesse dovuto spulciare, quanti maghi esperti avesse consultato, fino a quali angoli del continente si fosse spinta per venire a conoscenza di quella particolare applicazione di una branca di magia dimenticata pressoché da tutti.
Infondendo qualche goccia del proprio sangue nelle sue vene e pronunciando la formula dell'incanto Enhassen lo aveva strappato a quel limbo in cui egli aveva trascorso le settimane successive allo scontro finale con la Strega Rossa, ma il prezzo da pagare era stato spietato. Gala aveva rinunciato ai propri poteri magici pur di permettergli di tornare a vivere.
Enhassen, ripensò Jel con amarezza. In antico Eridhir significava "sacrificio". Jel era sicuro - e la cosa lo riempiva di affetto infinito, ma anche di uno sgomento molto simile al terrore - che Gala sarebbe stata disposta a dare la propria vita per lui, non solo i propri poteri.
La prima e unica volta in cui ne avevano parlato, la ragazza aveva risposto con una schiettezza e un'amara ironia che l'avevano commosso. Alla sua domanda su come avesse potuto fare una cosa del genere per lui, lei aveva scrollato le spalle. - Non ero una strega abbastanza valida per anteporre i miei poteri a te.
A quelle parole Jel l'aveva abbracciata e l'aveva tenuta stretta a sé per quella che era parsa un'eternità. Non sarebbe mai stato in grado di sdebitarsi del tutto con lei.
Fu nella piazza centrale di Tamithia in meno tempo di quanto avesse impiegato all'andata per raggiungere la casa di Norah. Il marmoreo palazzo reale ariadoriano si stagliava contro il cielo sereno splendido come sempre.
Una volta giunto in cima alla scalinata presidiata come sempre da due Guerriere avvolte nei loro mantelli, gli fu sufficiente un cenno del capo per essere lasciato passare.
I tempi erano cambiati rispetto a quelli della Ribellione, si disse il giovane con un sorrisetto mentre i portoni della reggia dei sovrani dell'Ariador si spalancavano. All'epoca non si sarebbe potuto nemmeno sognare di entrare così facilmente in un palazzo reale. Quante volte lui e Gala erano stati costretti a mostrare le spille d'appartenenza al Gran Consiglio, a esibire documenti o, addirittura, ad avere bisogno che un maestro si facesse garante per loro? Uno strano pizzico in fondo allo stomaco lo punse a quei ricordi. Era lo strano paradosso del passato: per quanto i due anni scarsi in cui la Ribellione era stata al centro dei loro pensieri fossero stati i più duri e spietati della loro esistenza, Jel non riusciva a non provare una sorta di nostalgia nel ripensare a tutte le avventure - anche se forse sarebbe stato meglio chiamarle disavventure - che lui e Gala avevano condiviso. O forse era più che altro nostalgia nei confronti di quel sé stesso ancora così giovane e inesperto, che pure aveva dovuto cimentarsi con così tante sfide, e così tanti pericoli. La guerra del Nord era stata il suo banco di prova, il più arduo che si potesse immaginare, e lui ne era uscito irrimediabilmente mutato.
- Maestro Cambrest - lo accolse all'interno la voce di un valletto in livrea appostato appena oltre l'ingresso. - Mi sono permesso di dare disposizioni alla servitù affinché ripulisse e arieggiasse la vostra stanza. Se avessimo saputo prima del vostro arrivo...
Jel gli fece gentilmente cenno di non preoccuparsi e tirò dritto in direzione della scalinata che conduceva ai piani superiori. Davvero non aveva pensato, al momento della sua partenza da Città dei Re, a spedire un corvo a Tamithia che annunciasse il suo imminente arrivo.
Sentirsi chiamare maestro produceva ancora su di lui una sensazione strana. Compiacimento, senza dubbio, ma anche disagio. Quel titolo lo costringeva a pensare ogi volta a ciò che le Cinque Terre avevano perso nella guerra passata, tra cui vi erano ben due maestri dello Stato dei Re.
Anérion, morto eroicamente nella battaglia del Santuario battendosi contro Theor in persona. E prima ancora Camosh, il loro mentore, l'uomo a cui lui e Gala dovevano la propria formazione politica e larga parte di quella nella pratica della magia. Ma soprattutto, l'amorevole e severa figura di riferimento su cui il giovane aveva potuto contare dopo la morte di suoi padre.
La votazione si era tenuta pochi giorni dopo il suo ritorno, redivivo, a Grimal. La notizia che Jel Cambrest fosse risorto dal mondo dei morti aveva già fatto il giro pressoché dell'intera Fheriea. Caso aveva voluto che il mandato ad interim dei nuovi maestri nominati poco dopo la battaglia di Amaria fosse a pochi giorni dalla scadenza e lui, come Consigliere, era stato convocato nella capitale per partecipare al voto. Il Re in persona aveva insistito con tale veemenza affinché si candidasse a quell'incarico che il giovane non aveva potuto rifiutare. Non che l'idea gli dispiacesse, naturalmente: in fin dei conti, diventare maestro dello Stato dei Re era stato il suo sogno fin da quando aveva cominciato l'addestramento nelle arti magiche. Certo, anche quando aveva intrapreso la propria carriera politica e il sogno si era trasformato in qualcosa di un po' più concreto, non si sarebbe mai aspettato che potesse accadere così presto. Jel era rimasto sgomento nel vedere la quasi unanimità dei Consiglieri dello Stato dei Re assegnare a lui il proprio voto.
Quando l'Altissimo di Città dei Re gli aveva posto sul capo la corona di gigli che suggellava simbolicamente il suo ingresso nell'ordine dei maestri, il ricordo della verità che Gala gli aveva confidato aveva attraversato la sua mente dandogli per un istante l'impressione di stare sbagliando tutto. Decidendo di non rivelare a nessuno la propria natura di Ves'dyn'doev, si era sottratto a un destino che in molti avrebbero ritenuto fermamente vincolante.
La cerimonia della sua investitura si era conclusa con la sua firma nelle pagine dell'albo cremisi e il suo giuramento di fedeltà al proprio nuovo ordine.
Ormai quel che è fatto è fatto, aveva pensato. Il suo segreto sarebbe morto con lui.
Quando Gala gli aveva raccontato del proprio incontro con il custode Ryeki e del motivo per cui lui, Jel, era sopravvissuto allo scontro con Sephirt, la prima reazione del Consigliere era stata il rifiuto. L'idea di essere in qualche modo un prescelto della Magia non lo aveva mai neppure sfiorato, ma in quel momento lo aveva terrorizzato.
I Ves'dyn'doev erano estremamente rari. Nella maggior parte, coloro che si manifestavano venivano precettati affinché diventassero Alti o, nei casi più rari, Custodi. Se avesse accettato la propria natura e l'avesse resa pubblica, avrebbe dovuto rinunciare alla sua carriera politica. La sua intraprendenza, il suo fervore, la sua ostinazione persino, sarebbero state fustigate per sempre.
E, anche se non avrebbe desiderato ammetterlo, aveva impiegato pochi istanti per maturare in cuor suo una decisione: che le parole del custode fossero veritiere o meno, nessuno aldilà di lui e Gala avrebbe dovuto venirne a conoscenza.
Jel fece scattare la serratura della porta che gli stava davanti ed entrò nella camera che era appartenuta ad Anérion e, prima ancora, a Camosh. Il valletto aveva avuto ragione: le ampie finestre spalancate permettevano a una piacevole brezza estiva di refrigerare l'ambiente.
La stanza era più grande di quella che il giovane era stato solito occupare di quasi il doppio. Un immenso letto a baldacchino troneggiava a ridosso della parete di destra, diametralmente opposto al camino che si trovava dall'altro lato. Una scrivania lunga almeno tre metri era adagiata di fronte alle finestre in modo da ricevere più luce possibile, unita a uno scranno che pareva piuttosto un trono. Ai piedi del letto si trovava un ampio baule che, probabilmente, Jel non sarebbe riuscito a riempire nemmeno se si fosse portato dietro tutto il proprio vestiario e, accanto ad esso, un tavolino rotondo su cui erano poste una bacinella e una brocca colma d'acqua fresca. Tappeti pregiati e arazzi completavano il quadro senza tuttavia renderlo eccessivamente opulento.
Jel si sedette sul letto ed estrasse dalla tasca la chiave del forziere di medie dimensioni che vi era adagiato; nell'aprirsi esso rivelò il contenuto: ottocento york d'oro che attendevano solamente di essere recapitati al loro nuovo proprietario, Norah Elbrik.
Il mago sorrise lievemente: finalmente avrebbe estinto il proprio debito e chiuso quel capitolo per sempre. Dopo tanto tempo anche il senso di colpa per la morte di Ftia si era affievolito; in effetti, nei mesi prima di recarsi a Tamithia per incontrare Norah il pensiero lo aveva sfiorato in poche occasioni. In cuor suo aveva sempre saputo che l'unica responsabile del proprio fato era stata la stessa cacciatrice. Ftia li aveva accolti in casa sua, certo, ma solo con la promessa di una lauta ricompensa; ma non erano stati loro a chiederle di inoltrarsi nella foresta il giorno in cui quel Letjak l'aveva ferita mortalmente. E la decisione di consegnarli a Sephirt era stata esclusivamente sua. Eppure, la consapevolezza di averla coinvolta lui in quella storia era stata sufficiente a farlo macerare nel rimorso per molto tempo.
Quello poteva essere l'atto conclusivo che avrebbe simbolicamente chiuso il ciclo che si era inaugurato in quella riunione del Gran Consiglio di tanto tempo prima, quando si era offerto volontario per radunare le Sei Pietre.
Sarebbe stato tutto perfetto, non fosse stato per lei.
Finché il suo ricordo fosse rimasto impresso nella sua memoria e nel suo cuore, Jel era cosciente che quel capitolo non sarebbe mai finito.
Il giovane estrasse un tonico dalla credenza incassata nella parete adiacente alla porta. Era stanco, più di quanto si sarebbe aspettato. Ma i lunghi mesi di lavoro quasi ininterrotto come nuovo maestro dello Stato dei Re pesavano sulle sue spalle quasi quanto lo avevano fatto quelli trascorsi a Città dei Re come apprendista di Kryss.
Il mago versò una piccola quantità del liquido azzurrino in un bicchierino e ne vuotò il contenuto.
Non avrebbe dovuto potersi sentire meglio di così. La Ribellione era stata sedata, i suoi gerarchi quasi tutti processati e giustiziati. Un'amnistia generale era stata concessa a tutti i guerrieri Ribelli catturati e Hareis Von Hilsen era stato graziato e incaricato di nominare nuovi ministri che componessero il Consiglio delle Terre Nord e di ridare un assetto politico alla nazione fino al momento in cui Robyn II avesse raggiunto la maggiore età. Degli emissari delle Cinque Terre avrebbero monitorato il suo operato ed espresso un giudizio dopo un arco di tempo di cinque anni. A quel punto le Terre del Nord avrebbero potuto disporre del proprio destino.
Nathaniel Theor era morto. Sephirt, la Strega Rossa, l'incubo di ogni uomo fedele alle Cinque Terre, era morta. E l'aveva uccisa lui, traendo da questo gloria e l'eterna riconoscenza del Gran Consiglio.
Eppure, il giovane era sicuro che la vittoria avrebbe avuto un sapore più dolce con Dubhne al proprio fianco.
Davvero aveva pensato che avrebbe potuto scegliere lui invece di Jack? Le parole che la ragazza aveva lasciato a Gala affinché gliele comunicasse erano state cristalline a proposito: mi dispiace. Jack era morto, come Jel aveva scoperto poco dopo il proprio risveglio, e in quel momento Dubhne aveva rinunciato a tutto. Era fuggita senza lasciare traccia, tranne quella che aveva scavato nel suo cuore. Dopo essere divenuto maestro, una volta assolti i principali doveri che gli competevano nella delicata situazione politica a seguito della fine della guerra, Jel aveva provato a cercarla; si era detto che avrebbe ispezionato ogni angolo di Fheriea per trovarla, ma l'amarezza della verità l'aveva investito molto presto: di fatto non sapeva nulla di lei, non aveva idea di chi fosse stata prima di diventare la Ragazza del Sangue. Non aveva una pista, non aveva indizi, non aveva idea di dove potesse trovarsi.
Ma non si era perso d'animo ed era partito dall'unico punto fermo di cui era a conoscenza nella vita della ragazza: la squadra di Combattenti di Malcom Shist. Non appena aveva saputo che la squadra era tornata in città dopo il consueto viaggio di reclutamento, si era recato a Palazzo Cerman e, forte del proprio nuovo ruolo di maestro, era riuscito ad ottenere un colloquio con Malcom su come Dubhne fosse entrata nella squadra. Aveva saputo che la ragazza era stata venduta a lui da un uomo di nome Archie Farlow, originario di Chexla. Ma Jel non si era accontentato e aveva interrogato tutti i Combattenti della squadra, sperando di scoprire qualcosa di più: era stata una giovane dai capelli neri e i tratti affilati a rivelargli che quella dei Farlow non era la sua vera famiglia e Dubhne era stata adottata. Solo in quel momento il mago aveva ricordato un attimo rubato a parlare insieme a Dubhne, tanto tempo prima sulla strada per Grimal, l'unica volta in cui la ragazza aveva accennato qualcosa sul proprio passato.
Si era recato a Chexla sperando di trovare lei o almeno qualcosa che potesse servire a rintracciarla. Aveva chiesto informazioni su Archie Farlow ed era riuscito a risalire a lui senza troppe difficoltà. Ciò che aveva udito da lui lo aveva sconcertato, ma d'altra parte gli aveva dato modo di comprendere ben più a fondo di quanto aveva creduto certi aspetti del carattere di Dubhne.
L'uomo era stato disposto a parlare a lungo di colei che era stata a lungo la sua figlia adottiva; Jel aveva percepito in lui, anche dopo tutto quel tempo, un rimorso e un biasimo per se stesso davvero insostenibile.
Secondo le informazioni di Farlow si era spinto fino al confine sud-orientale delle Stato dei Re, a Célia. Scoprire che da piccola Dubhne era stata sfruttata come una schiava nella stesa sartoria che forniva gli abiti dei Consiglieri dello Stato dei Re gli aveva dato la nausea. Ma neanche a Célia aveva avuto successo, e quando aveva chiesto informazioni su di lei al proprietario della sartoria, un certo signor Tomson, questi si era rifiutato di parlarne e si era congedato da lui in fretta.
Così si erano esaurite le sue piste. Alla fine era stato costretto ad accettare che Dubhne semplicemente non volesse essere trovata. Era scomparsa, lasciando tutto quanto, lasciando lui.

Ritorna all'indice


Capitolo 43
*** Epilogo ***


                                                                                         EPILOGO


                                                                     crisantemi

                                                                                        «I knew the moment had arrived
                                                                                            for killing the past and coming back to life »
                                                                                                                                
(Pink Floyd, "Division Bell")





La dimora della famiglia Krestan era davvero un rocca, come suggerito dal suo nome. Abbarbicata su di un'altura parzialmente erbosa, parzialmente costituita di nuda roccia, guardava a sud verso le colline, a nord verso la gelida baia di Andros. Tutt'attorno a Rocca Tarth ai sviluppava un villaggio, costruito perlopiù in legno, che arrivava con le sue ultime propaggini fino alla base della montagna. Il cimitero si trovava proprio lì, accanto al versante che dava sull'oceano; un piccolo camposanto umile nella sua austerità, di certo molto diverso dalle cripte funerarie in cui era stato tumulato Lord Yosef Krestan al momento della sua morte. A Dubhne era bastato girare intorno a quell'altura, senza bisogno di chiedere informazioni a nessuno, per trovare il luogo che cercava.
L'aria salmastra accarezzava il suo viso, fresca ma non spiacevole; era estate, e persino così a Nord i raggi del sole scaldavano quei territori altrimenti intirizziti da inverni estremamente lunghi.
Le prime lapidi erano molto vicine l'una all'altra, tanto che a tratti si faticava a comprendere dove terminasse una sepoltura e dove ne iniziasse un'altra; erano lambite dall'erba alta e in alcune la pietra sembrava sul punto di sgretolarsi, le iscrizioni quasi illeggibili. Dubhne dedusse che quella fosse la zona più antica del cimitero, che col passare del tempo doveva essere andato ampliandosi verso la scogliera. La sua supposizione fu confermata man mano che vi si addentrava: la disposizione delle tombe si faceva più ordinata, le epigrafi si facevano via via più chiare - benché tutto quei nomi non fossero per lei altro che mute lettere incise sulla pietra. Se davvero era quella la struttura di quel luogo, la lapide che cercava doveva essere una delle più vicine al mare.

Era partita da Amaria con l'unico desiderio di fuggire, fuggire da quel luogo di morte, da quella guerra che le aveva dato l'illusione di poter tornare a vivere e poi le aveva tolto tutto. Era partita con le mani sporche del sangue dell'uomo che amava, era partita lasciando agonizzante in un letto l'uomo a cui aveva donato la propria verginità. Era partita perché altrimenti rimanere fra gli spettri che infestavano quella città e la sua mente l'avrebbe fatta impazzire.
Aveva lasciato la capitale nordica con le membra doloranti e il cuore lacerato, e un'irrefrenabile e devastante desiderio di tornare a casa. Una casa che, come si era resa conto quasi subito, non esisteva affatto, non per lei.
Aveva cessato di esistere nel momento in cui aveva abbracciato per l'ultima volta Archie Farlow, diventando una proprietà di Malcom Shist. E da quel momento, il suo destino era stato inequivocabilmente tracciato: quello di un'apolide.
Si era sentita a casa, dopo i primi durissimi mesi, fra le stanze del palazzo Cerman e la terra battuta dell'Arena? Forse. Una casa che condivideva con amici e nemici, ammiratori e guerrieri pronti ad ucciderla. Ma non appena l'incanto dei Giochi si era spezzato, aveva sentito di nuovo quella necessità, quella stessa necessità di fuggire che le aveva permesso di scappare dalla sartoria del signor Tomson tanti anni prima di allora e che in seguito l'aveva indotta a seguire Jel a Grimal.
Eppure si era sentita a casa nei brevi, felici mesi al fronte in cui aveva potuto avere Alesha nuovamente al suo fianco. Si era sentita a casa fra le braccia di Jack, tutte le volte in cui lui l'aveva stretta a sé. Si era sentita a casa la notte in cui aveva vegliato su Jel dopo aver fatto l'amore con lui. Ma Alesha e Jack erano morti, perduti per sempre, e di Jel non le era rimasto che un ricordo: l'immagine di lui, incosciente, steso su una brandina dell'infermeria di Amaria la notte in cui era andata a trovarlo - per la prima e unica volta - prima di lasciare la città.
Aveva cavalcato quasi ininterrottamente lungo la Grande Via senza avere in mente una destinazione precisa; poi, quando si era stufata della presenza delle colonne di viaggiatori che si alternavano a cortei nobiliari e qualche reietto come lei, l'aveva abbandonata e si era mossa attraverso i prati. Aveva cavalcato giorno e notte senza mai fermarsi, finché le sue dita non si erano riempite di piaghe e il dolore alla schiena e alle gambe così forte da farla sentire quasi atrofizzata. In realtà era stato il suo cavallo, Althesan, a riscuoterla, nel momento in cui, sfinito, nell'atto di oltrepassare un tronco d'albero caduto era caracollato in avanti con un debole nitrito. Non era morto per sfinitezza, ma ci era andato vicino.
Solo allora si era risvegliata da quella sorta di trance agonizzante in cui era scivolata e si era chiesta dove fosse finita; quanto strada avesse percorso e, soprattutto, dove avesse intenzione di andare.
E alla fine, dopo molti altri vagabondare, aveva raggiunto la consapevolezza che, se non avesse cominciato a fare i conti con il proprio passato, non sarebbe mai potuta davvero tornare ad avere una casa. E c'era un solo luogo da cui quel viaggio avrebbe potuto avere inizio.

La tomba di Jack Cox si era ritagliata un piccolo angolo tutto suo. Stretta in un antro nella scogliera su cui si arrampicavano foglie d'edera di un verde intenso, la lapide si ergeva in marmo bianco sul quale una mano elegante aveva inciso il suo nome, il suo grado e le date di nascita e di morte.
Dubhne estrasse dalla propria borsa a tracolla il mazzo di crisantemi che aveva acquistato da una fioraia che aveva trovato poco all'interno delle mura di cinta del villaggio e lo depose dolcemente sul terreno in cui era infissa la lapide. Nell'atto di chinarsi, ebbe modo di riconoscere una seconda incisione più piccola, scritta da una mano evidentemente più inesperta. Suo fratello Nigel, forse, suo padre, o chi sa chi. Non avrebbe mai potuto saperlo.

Caduto affrontando fieramente la Magia.

Nei castelli minori e piccoli borghi, dove era più improbabile imbattersi in persone che praticassero la magia - i bambini nati con quel dono venivano per la maggior parte dei casi inviati nelle città più vicine per ricevere un'istruzione - l'essersi battuto in battaglie dove fossero presenti maghi e streghe era considerato fra i più grandi degli onori.
Nel leggere il piccolo epitaffio, Dubhne cadde in ginocchio.

Era inverno quando era arrivata a Célia, la prima tappa di un viaggio che sarebbe durato ancora a lungo. Poi era stata la volta di Chexla, dalla famiglia Farlow. Il momento più difficile era stato quando aveva scoperto che Archie non viveva più con Claire, Camm e Richard.
Era tornata a Città dei Re non più come Ragazza del Sangue, ma semplicemente come Dubhne, una donna libera, una sopravvissuta. Aveva assistito ai Giochi Bellici dall'esterno avendo modo di percepirne tutta la brutalità e la spietata insensatezza da un altro punto di vista. Eppure, a volte, aveva sentito i vecchi brividi di eccitazione, compagni dei tempi andati, percorrerle la schiena. Non si era persa un solo combattimento fino al momento in cui non aveva visto Claris entrare in campo ed uscirne vincitrice. Saperla ancora viva l'aveva rallegrata immensamente, il primo sentimento genuinamente positivo dopo tanto tempo. Non si era sentita felice, quello non sarebbe mai più stato possibile dopo che aveva visto morire le persone che amava di più al mondo. Ma allegra e sollevata, questo sì.

- È colpa mia - le parole le uscirono di bocca prima ancora che la sua mente le formulasse consapevolmente. - È colpa mia, ti ho ucciso io, Jack.
Nel pronunciare il suo nome, un primo singhiozzo la scosse. Si era ripromessa di essere forte, di non piangere, ma non ce la faceva. Il tempo trascorso forse le aveva fornito il coraggio necessario per visitare il luogo in cui Jack era sepolto, ma non era servito a sanare la ferita che la sua morte aveva aperto dentro di lei.
- Avrei voluto morire io quel giorno. Non era giusto che toccasse a te. Niente di quello che è successo è stato giusto.
Respirò a fondo mentre lacrime incontrollabili cominciavano a rigarle le guance. - Dopo che... dopo che ti ho perduto... mi sono comportata come una codarda, sono fuggita... ma ora credo che saresti fiero di quello che ho fatto in questi anni. Sono tornata in luoghi che credevo non avrei mai più rivisto, ho affrontato persone che non credevo avrei mai avuto il coraggio di affrontare. Ho scavato nel mio passato e ho guarito molte delle ferite che mi laceravano. Ma senza di te... senza di te non so se riuscirò mai a dare davvero un senso a tutto questo.
Il ricordo dello sguardo che le aveva rivolto poco prima di lanciarsi insieme verso il Santuario la travolse in modo così vivido e improvviso che per un istante le parve di soffocare.
- Ti amo Jack. Ti amo dopo tutto questo tempo. Non te l'ho mai detto, e ora darei qualunque cosa per averlo fatto. Ogni momento che ho trascorso con te è stato un dono di cui sarò grata in eterno. Ma avrei voluto che tu lo sapessi. Avrei voluto che sapessi che ti amavo più di ogni altra cosa e che avrei fatto qualunque cosa per te. Tu mi hai salvata, ma non soltanto perché mi hai portata via da Hiexil quando la città bruciava, mi hai salvata e curata nel profondo. Grazie a te ho scoperto di essere più di quanto pensassi. Grazie a te sono rinata. Tu mi hai dato tutto. E ti ho amato per questo, ti ho amato senza rendermene conto ogni giorno di più. Non volevo crederci all'inizio, non credevo che potesse capitare a me, e quando l'ho capito è stato troppo tardi. Ti prego, perdonami. Perdonami.
Si chinò in avanti fino a baciare il basamento di pietra della lapide e vi appoggiò la fronte, scossa dai singhiozzi.
- Perdonami.
Uno dei crisantemi era sfuggito al nastro che li teneva insieme e ora giaceva a terra, i petali sferzati da quella leggera brezza. Dubhne lo vide con la coda dell'occhio e lo raccolse, rigirandoselo tristemente fra le mani. Trascorse in quel modo un periodo che le parve durare un'eternità, finché le lacrime si asciugarono sulle sue guance lasciando sulla pelle strisce salate e brucianti se esposte all'aria fredda.
- Ero sicuro che ti avrei trovata qui, un giorno.
Una voce familiare, benché fossero anni che non la sentiva, quasi la indusse a voltarsi di scatto verso l'ingresso del cimitero.
- Io invece non credevo che ti avrei rivisto, maestro Cambrest.
Dei passi le si avvicinarono. Dubhne immaginò il suo mantello lambire appena la ghiaia del camposanto.
- Sono venuto qui ogni mese, ogni anno, nella speranza che un giorno ti avrei incontrata.
Silenzio.
- Come sai che sono diventato maestro?
- Il fatto che non sia riuscito a trovarmi in tutto questo tempo non significa che io fossi sparita dal mondo conosciuto.
Sentì dietro di lei Jel abbozzare una risata, contesa fra l'amaro e l'infinitamente dolce. - Non sei affatto cambiata, Dubhne.
Non sai quanto ti sbagli, commentò lei mentalmente, ma non lo disse. Non aveva alcun desiderio di discutere, non in quel luogo, e meno che mai con lui. Anzi, nel momento in cui l'aveva riconosciuto aveva avvertito un calore che non sentiva da tanto tempo sfiorarle il petto. Forse per tutto ciò che avevano condiviso nel, seppur breve, tempo che avevano passato insieme, forse per la commozione che pressoché qualunque cosa in quel momento avrebbe suscitato in lei, o forse perché era solamente, maledettamente contenta di rivederlo.
- Mi concederai qualche istante in tua compagnia?
Dal tono in cui pronunciò quelle parole, la giovane capì che si trattava di una supplica, una supplica da parte di una persona che aveva atteso tanto tempo per poter pronunciare quelle parole. Anche senza vederne il volto, percepiva in lui un bisogno disperato di parlarle, di starle vicino, di afferrare quella possibilità che anni prima lei non aveva voluto - né avrebbe potuto - concedergli.
- Sì - rispose soltanto, alla fine, dopo che furono passati diversi lunghi istanti.
– Poi sparirai di nuovo, non è vero?
Dubhne ancora non avrebbe saputo rispondere a quella domanda, nemmeno se a porgersela fosse stata lei stessa.
Depose l'ultimo fiore sulla lapide di Jack. Poi sorrise.




Ritorna all'indice


Capitolo 44
*** Ringraziamenti ***


̴ ̴ Ringraziamenti




Ho iniziato a scrivere questa storia nel 2012. Ora, alla fine del 2019, metto finalmente fine a un lavoro che è cominciato alle medie, terminato nel primo anno di università e che ha coperto per intero, con molti alti e bassi, il periodo del liceo.

È cominciato tutto così, con quel prologo de “La Ragazza del Sangue”, poco più di una pagina del primo capitolo, un finale ben preciso in mente e un paio di idee confuse per la trama vera e propria. Eppure, fin dall’inizio, quelle righe brutte e maldestre nascevano come parte di un progetto unitario che prevedeva la stesura di una trilogia. Per farvi un’idea di quanto fossi lanciata, quasi subito dopo aver parte del primo capitolo de LRDS, ho buttato giù anche il prologo e qualche riga del primo capitolo de “La missione di Jel”. Ma ho abbandonato il primo libro quasi subito, l’ho lasciato incompleto e a riposo quasi un anno. L’idea della trilogia continuava e restare nella mia mente, ma non avevo la voglia, il rigore e la fantasia sufficienti per portarla avanti. Poi, nell’estate 2013, la storia mi è ricapitata sottomano e in poche settimane ho steso quasi tutti i capitoli relativi al passato di Dubhne. Nel frattempo ho scoperto EFP e, dopo un po’ di titubanza e reverenziale timore, ho cominciato a pubblicare. Nel mentre, andavo avanti con la scrittura dei capitoli del presente finché – come chi mi segue fin dall’inizio sa – ho deciso di impostare la storia diversamente, alternando capitoli legati al passato e capitoli legati al presente. La pubblicazione del primo volume è scivolata via liscia e senza intoppi.

Autunno 2013. Aveva già da tempo preso la decisione di rimboccarmi le maniche anche per quello che riguardava “La missione di Jel”, pur avendo in mente solo qualche linea guida da seguire per quanto riguardava la trama. È stato un tuffo nel vuoto, costruivo la trama man mano che scrivevo. Credo che questo emerga dal testo. Soltanto arrivata, non ricordo con esattezza, al capitolo 21 mi sono decisa a stendere una scaletta in cui definivo con precisioni quanti capitoli mancassero alla fine e cosa sarebbe successo in ognuno di essi. Ho cominciato a pubblicare avendo pronti solamente il prologo e i primi due capitoli, e i ritardi (disastrosi) sono arrivati quasi subito. Tuttavia, in due annetti sono riuscita a pubblicare l’intero secondo volume.

A quel punto ero ormai risoluta a portare a termine la mia trilogia e mi sono avventurata nella stesura de “Una nuova Era”, sicuramente la prova più longeva e impegnativa che io abbia mai dovuto affrontare in ambito scrittorio. Tra il maggio 2015 e questo novembre 2019 credo di aver interrotto la storia almeno tre volte - di cui una non dichiaratamente ma nei fatti, ho scritto capitoli e appunti che poi ho perso - con crisi isteriche/esistenziali a seguito, ho tentato di lasciar perdere per un po’ iniziando a scrivere una storia del tutto nuova - impresa che si è arenata dopo pochi capitoli, rivelandosi platealmente fallimentare. Ho impiegato settimane e settimane, mesi e mesi per stendere alcuni capitoli, con ritardi semplicemente inaccettabili in una pubblicazione altalenante al limite dell’assurdo. Anche dopo aver realizzato la mia “scaletta” su capitoli e avvenimenti (che ne LMDJ aveva funzionato così bene), ho continuato a incorrere in difficoltà su difficoltà. Eppure non ho mai pensato, nemmeno per un secondo, di abbandonare del tutto la storia. Non ho mai mollato. E finalmente, con quest’epilogo, che spero possiate ritenere una degna conclusione di un ciclo così lungo e accidentato, ho finalmente messo il punto fermo a questa storia.

E nonostante tutto, nonostante i rimpianti per non essere stata più assidua negli aggiornamenti, nonostante non possa dirmi soddisfatta in tutto e per tutto di questa trilogia, nonostante questo epilogo rappresenti per me un po’ una tragedia un po’ una liberazione, mi sento in dovere di ringraziare profondamente tutte queste persone:

Bonsai95, Clarice Hai, Denisa99, Easter_huit, Elendil , FeelingRomanova, Florence Eire, Heliodor, Hyrie, Il_Signore_Oscuro, LadyRhaenys_Targaryen, Miwako Honoka, Sophja99, The13, The_Player, Wonderwall_98, _Edvige_ , _Angel_Blue_ e _scribble, che in questi anni mi hanno accompagnata (chi più chi meno) con le loro recensioni attraverso le tre storie.

Aminta, Argentea, asukashira, Dalmar90, Easter_huit, EleFrostHolmesWeasley, Ernesto507 FeelingRomanova, Florence Eire, heliodor, Hyrie, Matt_94, Ridley Jones Stark, sarachan93, Shiro93, _Angel_Blue_ e _iRenee_, che hanno inserito almeno una delle tre storie nei preferiti.

FullMoonEris, gaia69, Miwako Honoka, Noemisworld, rem1xaa, wonderwall_98 e _Angel_Blue_, che hanno inserito almeno una delle tre storie nelle ricordate.

Bonsai95, Chiarisssima, Clarice Hai, Dalmar90, , DreamKun, FeelingRomanova, Florence Eire, Giusi1_2000, heliodor, Hyrie, Il_Signore_Oscuro, mila 98, Miwako Honoka, nadine5, nanettaportasfiga, rem1xaa, Seiusalove99, Yawe99 e _Directioner_Horan99_ , che hanno inserito almeno una delle tre storie nelle seguite.

So che molti di voi non si sono mai fatti sentire nelle recensioni, hanno letto la storia silenziosamente o forse l’hanno inserita in qualche lista e poi si sono dimenticati o non hanno avuto tempo di leggerla; non mi importa sapere il perché, ma se qualcuno di voi ha voglia di lasciare un commento generale alla storia ora che è finita, o anche a uno solo dei tre capitoli, è più che benvenuto 

Vorrei anche spendere due parole per rivolgere qualche ringraziamento speciale a persone che sono state particolarmente significative per me e per la stesura di questa storia:

_scribble: sei stata la prima a recensire “La Ragazza del Sangue”, la prima a dirmi che Dubhne era un personaggio che ti piaceva e che la mia scrittura era scorrevole. Non lo dimenticherò mai. Anche se è da secoli che non ci sentiamo su queste pagine, forse hai lasciato perdere EFP, non so, ti ringrazio dal più profondo del cuore.
_Angel_Blue_: mi hai recensito d’un colpo, quanti?, una quindicina di capitoli? Era un periodo di scoraggiamento in cui nessun altro lo faceva, le tue recensioni mi hanno dato tanta determinazione e fiducia in me stessa. Stesso discorso di prima, non so se tu sia ancora su EFP, comunque grazie di tutto.
Florence Eire: sei e sei stata la mia lettrice più fedele. In certi momenti davvero non so se la storia ce l’avrebbe fatta, se io ce l’avrei fatta senza le tue recensioni bellissime e tutto il tuo lavoro di betaggio. Il tuo lavoro è stato fondamentale per tenermi alto il morale anche nei momenti più difficili, sei stata veramente straordinaria e volevo che tu lo sapessi.
heliodor: so che non sei ancora arrivata a leggere questa storia e hai ancora un sacco di lavoro da fare, ma nessuno prima di te si era preso l’impegno di recensire tutti i capitoli di tutte e tre (spero, ahahah) le storie. Per cui un ringraziamento speciale anche per te.


Che cosa farò ora? Non lo so, immagino che dovrò prendermi parecchio tempo per pensare. Nel frattempo, ho in programma una mega opera di revisione integrale del II ciclo di Fheriea e in testa molte, molte idee per altre storie. Quello che è certo è che per un po’ non pubblicherò nulla, ma continuerò con più enfasi di prima la mia attività nel recensire, dedicandomi per intero alle storie che seguo, soprattutto quelle che finora ho un po’ trascurato, e anche a quelle che non sono mai riuscita a cominciare a leggere.


dubhne       jel       Gala      
Dubhne (Alice Englert)                  Jel Cambrest (Jim Sturgess)             Gala Sterman (Choë Grace Moretz)    

Alla prossima storia dunque,
̴ TaliaMorrissey

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3118899