Your very own Christmas Fairytale

di Zoe__
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X ***
Capitolo 11: *** XI ***
Capitolo 12: *** XII ***
Capitolo 13: *** XIII ***
Capitolo 14: *** XIV ***
Capitolo 15: *** XV ***
Capitolo 16: *** XVI ***
Capitolo 17: *** XVII ***
Capitolo 18: *** XVIII ***
Capitolo 19: *** XIX ***
Capitolo 20: *** XX ***
Capitolo 21: *** XXI ***
Capitolo 22: *** XXII ***
Capitolo 23: *** XXIII ***
Capitolo 24: *** XXIV ***



Capitolo 1
*** I ***


L’aroma pungente della cannella riempiva l’aria, ed era possibile udire la legna scoppiettare nel focolare fra le voci che si sovrapponevano nella sala. La tavola era stata allestita poche ore prima, il bianco delle tovaglie risaltava scontrandosi con il rosso delle pareti; l’oro rifiniva ogni superfice, dai piatti, alle posate, ai bicchieri. I segnaposto erano disposti ordinatamente, i nomi scritti in una calligrafia impeccabile e rifiniti, anch’essi, d’oro. Legato con un nastrino di velluto, ad ogni segnaposto era un bastoncino di cannella, un fiore d’anice ed una piccola pergamena per i ringraziamenti. Al centro della sala, accanto al focolare, fra le due tavolate, stava maestoso ed imperturbato l’albero di Natale, il solo in grado di appesantire quell’aria di leggerezza e perfezione alla quale ogni dettaglio contribuiva silenziosamente. Era decorato d’oro e rosso dalla punta al piedistallo, luminoso e accogliente. Vedendolo sarebbe stato impossibile non entrare nella sala, anche solo per sbirciare la magica atmosfera che era racchiusa fra quelle pareti. 
Livia stava imperturbata e non maestosa davanti all’entrata: gli occhi scuri vagavano disordinatamente su ogni cosa, soffermandosi sui dettagli giusto il tempo necessario per essere distratti da altro. Stringeva fra le mani la piccola borsa rossa – anche quella un omaggio del suo generosissimo datore di lavoro, come il viaggio che l’aveva portata lì. Il vestito, del medesimo colore, le scendeva delicato lungo il corpo e le accarezzava le curve, per finire a filo sul pavimento, questo solamente grazie alle scarpe vertiginosamente alte che indossava. Un paio di Louboutin, si era detta, avrebbe potuto comprarle solo durante quel viaggio ed indossarle solamente per quella occasione. Le aveva comprate, le aveva indossate, infine le aveva maledette nell’esatto momento in cui aveva sceso il primo scalino. Tuttavia, seppur traballante, varcò la soglia della sala tentando di non toccarsi i capelli, sapeva che le donava un’aria insicura e non avrebbe voluto rischiare in una serata importante come quella. Li lasciò cadere lungo le spalle, così lisci che alcuni suoi colleghi avevano faticato a riconoscerla, ma subito venne fermata dalla coordinatrice della sua area ed in pochi passi le fu accanto. Manteneva in maniera disinvolta un’aria seria e concentrata con tutti, cercando di interessarsi e comprendere nel miglior modo possibile cosa volessero dirle o chiederle. Il suo decolleté scoperto aveva attirato l’attenzione di molti fra i presenti, lo spacco del vestito aveva suscitato i mormorii e i commenti di alcune delle colleghe, ma lei ne rimaneva totalmente ignara o preferiva ignorarle. 
“Livia si occupa di casi a livello internazionale, nel nostro studio è indubbiamente la più preparata.” Camille, la sua tutrice dal primo momento nella Hogan Lovells, parlava entusiasta di lei ogni volta che doveva presentarla a qualcuno. In quel momento si trattava di suo marito, Thomas, il quale le guardava con occhi caldi. 
“Dove ha studiato?” chiese lui, guardando Livia negli occhi e sorridendole amichevolmente. 
“Oxford” rispose velocemente Camille “una studentessa modello.” Si voltò verso di lei e le accarezzò la spalla coperta. 
“Grazie Camille” sorrise ad entrambi e sovrappose la mano alla sua “sei sempre troppo gentile.”
“Eri una bambina quando ti ho vista per la prima volta. Guardati ora! Sei una donna.” Livia arrossì e le strinse la mano. 
“Vuoi dire che sono invecchiata?” Sorrise scherzosamente e si voltò verso il marito di lei che le guardava divertito.
“Vuoi dire a me, mia cara!”
“Non dirlo, siamo semplicemente maturate.” Le fece un occhiolino e si voltò verso il centro della stanza, dove il direttore annunciava l’inizio della cena. 
Aveva sempre avuto un debole per Parigi, ma non l’aveva mai visitata. Gli anni dell’università erano stati i più belli e caotici della sua esistenza fino a quel momento, ma allo stesso tempo non privi di problemi o difficoltà di ogni genere. Permettersi una simile vacanza era impossibile e Livia aveva collezionato ricordi in ogni angolo del Regno Unito, tornando occasionalmente a casa, a Roma, per poi tornare nuovamente nella sua, oramai, seconda casa. Era dunque la prima volta che era Parigi non per uno scalo, né per una coincidenza, ma per pura volontà. Non c’era stata ancora alcuna occasione per esplorarla come avrebbe voluto, ma alle porte c’erano due giorni totalmente liberi ad aspettarla. La vista dalla sala del ricevimento le dava simili pensieri, poteva facilmente distinguere le sagome dei monumenti al di là della finestra. Guardò ancora le persone che la circondavano, incredula di essere così giovane e così in alto. 
 
Come aveva detto poco prima al telefono, l’aereo era in un ritardo spaventoso ed imbarazzante. Ritirate le valigie con la stessa rapidità del volo appena preso, si ritrovò sommerso da un’incredibile e spiacevole folla di fans, senza una facile via d’uscita. Cortesemente le congedò, scattando qualche foto e spargendo parole gentili mentre la pioggia impazzava sulle loro teste. 
“Four Seasons?” Harry annuì con un cenno veloce e l’autista partì senza farselo ripetere. Si lasciò andare contro il sedile, socchiuse gli occhi e massaggiò stancamente le palpebre. Pensava solamente che avrebbe avuto due giorni di riposo prima del prossimo concerto, che non avrebbe avuto alcuna campagna promozionale da portare avanti ed avrebbe potuto trascorrere quei due giorni in camera, al buio, sotto le coperte. Al solo pensiero sentiva il sonno assalirlo e tutta la stanchezza accumulata addensarsi nel suo petto e stringerlo ancora contro il sedile. Si passò una mano fra i capelli, prese il cellulare, poiché lo riteneva l’unico strumento in grado di tenerlo sveglio in lunghi viaggi in auto come quello che stava per affrontare. Inutilmente tentò di rimanere vigile mentre la pioggia batteva sul finestrino e con i polpastrelli ne riproduceva il ritmo. 
Il van si addentrò per le strade Parigine ed Harry dormiva beatamente sul sedile posteriore, il capo piegato sulla spalla, le mani sulle gambe stanche e molli. Fu svegliato da una brusca frenata, susseguita da un’imprecazione e da gesti che non riuscì a decifrare nel buio della macchina. L’autista scese, gli aprì lo sportello e si occupò delle valigie. Scese anche lui, le sue gambe lo sorreggevano appena, desiderava solamente andare in camera. Si occuparono di lui come avrebbero fatto con un bambino: gli portarono le valigie in stanza, non si preoccupò neanche del suo zaino, era stato caricato insieme alle altre. Prese la sua carta, salì in ascensore e pregò che fosse il più veloce possibile. In quella scatola argentata non percepiva nulla se non una grande confusione che ogni secondo lo destabilizzava maggiormente. L’ascensore si bloccò, le porte si aprirono, uscì velocemente. Si stupì della sua stessa velocità in quel corridoio troppo luminoso per i suoi occhi addormentati. Luci e decorazioni natalizie gli confondevano la vista, il buio al di là delle finestre si scontrava prepotente con l’illuminazione che lo circondava. Con la carta fra le mani iniziò a cercare la sua stanza, sfortunatamente non c’era nessuna 405 nei paraggi, eppure lui continuava imperterrito ad inserire la carta.
“È la 305” si avvicinò lentamente “le dispiace?” si voltò velocemente, sollevò poi lo sguardo sulla porta e socchiuse gli occhi. Li riaprì di nuovo, velocemente e quasi incredulo.
“Harry?” Livia stringeva in una mano le scarpe, nell’altra la piccola borsa rossa e le sue labbra fra i denti. Lo guardava senza battere ciglio, incredula e intrappolata in quel momento senza via d’uscita, con il petto che si alzava lentamente su e giù. 
“Livia?” aggrottò le sopracciglia, si stropicciò gli occhi “Livia cosa ci fai qui?”
“Viaggio gentilmente offerto dalla Hogan Lovells per questo Natale” si avvicinò a lui a passi lenti, i piedi scalzi ed il vestito che svolazzava sul pavimento “ed immagino che tu sia qui per l’ultima data del tuo tour, viaggio gentilmente offerto dal tuo pubblico.” Harry rise e si passò una mano fra i capelli. 
“Non sapevo fossi qui.” Le sorrise e si poggiò contro la porta.
“Ho dimenticato di dirtelo quando ci siamo visti a Roma” si avvicinò ed aprì la camera con la chiave, quella giusta “vuoi entrare?”

Bentrovati su quest schermi! Buon Primo Dicembre a voi lettori. Questa raccolta di episodi di vita é un progetto a me molto caro. Sarò qui per ventiquattro giorni e questo sarà per voi un calendario dell'avvento. Ci tengo moltissimo e lo custodisco gelosamente, è un regalo per una persona importante. Non estitate a lasciare una recensione, siete sempre i benvenuti. Grazie mille per l'attenzione, Zoe xx

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Capitolo 2
*** II ***


Il vestito sfiorava il pavimento, sembrava avesse paura di toccarlo. La stoffa rossa si confondeva fra quella delle coperte beige, sgualcite nell’angolo a destra del letto. Poco più lontano, le Louboutin stavano composte ai piedi della sedia rivestita di velluto blu chiaro e davanti a loro la piccola borsa rossa di Livia si poggiava su un fianco, stanca, ma non dimenticata. Il tavolino, originariamente accanto alla finestra, era stato spostato ed avvicinato al letto. La superficie era stata alterata dalle loro impronte, dall’alcool maldestramente versato dai loro bicchieri e dalle briciole del cibo che Harry aveva ordinato. 
Sebbene le tede pesanti fossero chiuse, un leggero fascio di luce si era fatto spazio oltre la finestra ed illuminava il tavolino, le coperte, il volto di Livia ed il petto nudo di Harry. La luce illuminava le sue spalle, parte della sua mano fra i capelli di lei ed i suoi occhi appena socchiusi per via del sole. Livia tentò di richiuderli e di ignorare il fastidio provocatole da quel leggero spiraglio fra il tessuto beige. Tuttavia, il suo sguardo finì sulla sveglia al lato del letto ed in un attimo sbarrò le pupille. 
12:47
Potevano essere le 12:47 di notte, quindi tredici minuti all’una e questo avrebbe voluto dire un’intera notte ancora per dormire. Quella luce? Quella luce non era niente di simile alla debole illuminazione dei lampioni, era il sole che le bussava alla spalla e la invitava a fare i conti con il disordine nella sua stanza. Non si fece prendere dal panico quando si rese conto di essere totalmente stesa sul petto nudo di Harry, ma non appena notò i suoi vestiti sulla poltrona ai piedi del letto ebbe un sussulto. Provò a sollevarsi una prima volta, ma dovette ritentare per via della sua mano fra i capelli. Non andò meglio, percepiva un peso indecifrabile sulla fronte ed un cerchio stringerle attorno al capo. Si lasciò andare contro il cuscino sospirando e massaggiandosi le palpebre. Il fatto che non trovò alcun residuo di trucco la rassicurò e provò nuovamente a sollevarsi: ciò voleva dire che aveva fatto una doccia, presumibilmente anche lavato i capelli – e lo notò subito dopo, quando si vide nello specchio, nuovamente riccia e con addosso una maglia che non era la sua. Cercò di contare almeno dieci secondi prima di svegliare Harry, ma nel frattempo il suo sguardo finì sul tavolino. Dovette contare i bicchieri e si vergognò del risultato ottenuto.
“Non ho mica bevuto da sola.” Parlò piano a se stessa. 
“Quando sono in tour non bevo.” Si voltò, sbarrò gli occhi. Tentò di colpire il volto di Harry con la mano aperta, lui si scansò e la bloccò.
“Giuro che non è colpa mia!” parlò prima che lei potesse replicare. 
“Allora vuoi dire che tutto questo l’ho ordinato da sola?” lui annuì e lasciò andare il suo polso che teneva stretto fra le dita.
“Tutto da sola, ma tutto sul mio conto, tranquilla.”
“Non sono tranquilla! Perché mi hai fatto ordinare tutto questo? Eri fuori di test- volevi portarmi al letto?!” aveva iniziato a parlare e a gesticolare alla velocità della luce, Harry si sollevò e la osservò comodamente poggiato alla testiera del letto.
“Ci vuole molto meno, Livia.” Sollevò le spalle. 
“Non stai migliorando la tua posizione.” Lo guardò seria e si scansò i capelli dal viso. 
“Hai bevuto mentre recuperavo il mio zaino, con la mia cena hai ordinato due drink.” Sbadigliò e le ultime due parole si mischiarono al suo sbadiglio. Livia lo guardava con occhi increduli. 
“Due.” Si voltò verso il tavolo e lo guardò per diversi istanti. C’erano altri tre bicchieri, non poteva veramente essere stata lei solamente. Erano fin troppo lontani dai suoi cocktail abituali, poteva constatarlo dalla forma dei bicchieri che stavano ordinati sulla superfice a specchio del tavolino dorato. 
“Ma io non bevo mentre sono in tour e tu ti sei gentilmente offerta di berlo per me.”
“L’ho fatto davvero?” tornò a guardarlo, Harry si scansò i ricci dal viso ed annuì, massaggiandosi le palpebre. 
“Poi ne ha chiesti altri tre.” Aggiunse con nonchalance. 
“Tre?” abbassò le spalle, quasi afflitta. Quella conversazione stava procedendo sempre peggio. 
“Come l’ultimo, per favore! Hai detto così.” Harry tentò di riprodurre la sua voce alticcia mentre Livia si copriva il volto con le mani, per riapparire dopo diversi secondi. 
“Erano tutti Martini?” Chiese spaventata. 
“Tranne il primo.” Rispose serenamente. 
“Devo essere andata fuori di testa con il primo.” Sussurrò e lui le sorrise appena. 
“Non ti sbagli. Però non mi hai raccontato niente che non sapessi.” Le accarezzò la mano sulla coperta e la strinse lievemente fra la sua. Lei lo guardò, ora più seria. 
“Cosa abbiamo fatto?” Era preoccupata e quasi tremava, Harry fece incrociare le loro dita, sorrise dolcemente.
“Una doccia.” Lei chiuse gli occhi nervosamente. Percepiva lo stomaco bruciarle all’idea di una doccia con lui, ma evidentemente era una reazione che poteva avere solo da sobria e non sarebbe stato possibile altrimenti la sera precedente. 
“Insieme?”
“Sì. O meglio, io ho lavato te, poi me.” Harry notò facilmente le diverse emozioni che si susseguirono sul suo volto e le accarezzò ancora il dorso della mano. 
“Dio Harry, sono imbarazzante.” Scosse il capo e si lasciò andare contro il materasso, strofinandosi il volto con le mani. 
“Eri molto dolce.” Le sorrise. Si spostò su un fianco e le accarezzò i ricci. Li prese fra i polpastrelli, osservandoli ed annusandoli. Lei lo scansò scherzosamente. 
“Ti ho detto qualcosa che non dovevo?” sollevò gli occhi sul suo volto, più in alto ed indietro rispetto al suo. 
“Mi hai dato un bacio, ma fingerò che sia stato casuale.” Lui sollevò le spalle e lei scosse il capo incredula. 
“Eravamo molto vicini?”
“Ti stavi addormentando, volevi… il bacio della buonanotte, alle cinque di mattina.” Risero insieme, Harry tornò sul suo cuscino e posò le mani sul suo petto scoperto. 
“Che idiota.”
“Eri molto dolce.” Ripeté e si voltò per guardarla. 
“Smettila!” mormorò stizzita, poi deglutì a disagio “Scusami, solo che… sai che non bevo mai e quando lo faccio non sono Martini.”
“Lo so, Livia, non c’è bisogno di spiegazioni.” Parlò piano, col volto accanto al suo. Livia annuì pensierosa e gli accarezzò una guancia.
“Grazie.” Mormorò vicino al suo volto, poi scivolò accanto al suo corpo, poggiandosi sulla sua spalla. Chiuse gli occhi e si lasciò stringere dal suo braccio caldo, Harry le accarezzava la spalla con la punta delle dita e la accompagnava verso altre ore di sonno.
Guardava il soffitto col petto leggero, incosciente delle telefonate che gli consumavano il cellulare, a pochi metri dal letto. Livia continuava ad avvicinarsi a lui con i palmi aperti, ad accarezzargli le gambe lasciate scoperte dai pantaloncini. Era certo che se non l’avesse bloccata in tempo sarebbero finiti fra le coperte senza alcuna vergogna, ma al mattino dopo si sarebbero risvegliati con numerosi ripensamenti e sensi di colpa. 
“Facciamo una doccia, che dici Livi?” le aveva proposto, allora. Le teneva il viso fra le mani, accanto al suo perché solo così l’avrebbe sentito. 
“Però mi spogli tu” lo aveva guardato negli occhi “e mi lavi tu” aveva sussurrato accanto alle sue labbra “e ti lavo io.”
Sul momento aveva deciso di assecondarla, ma ben presto lei stessa si era resa conto di non essere in grado di compiere nessuna azione senza essere sorretta. Harry le aveva tolto pazientemente il vestito rosso, posandolo sull’angolo del letto, dove giaceva ancora in quel momento, poteva vederlo. L’aveva portata con sé, seminuda, in bagno. Livia aveva perso gran parte delle energie che l’alcool le aveva trasmesso ed aveva smesso di parlare o di muoversi subito dopo. Sotto la doccia sembrava voler collaborare, silenziosamente aveva accarezzato il petto di Harry mentre lui le massaggiava la cute. Quando l’aveva avvolta nell’asciugamano lo aveva ringraziato con voce piccola e quando le aveva infilato gli slip e la maglia, aveva confessato: “Sei un gentiluomo, Harry.” 
Sorrise ripensandoci, lo guardava dal basso con il viso arrossato e gli occhi velati dal sonno. 
“Me lo dai il bacio della buonanotte?” gli aveva chiesto, quando l’aveva raggiunta sul letto. Harry aveva sorriso e posato le labbra sulle sue.
“Buonanotte.” Aveva sussurrato. 

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Capitolo 3
*** III ***


Aveva assecondato l’istinto e si era svegliata che era ancora buio. Aveva aperto le tende, socchiuso le finestre ed acceso la lampada sul comodino. Erano appena le sette e Livia aveva intenzione di trascorrere il suo penultimo giorno a Parigi fuori dal letto, lontana dalla camera d’hotel. La sera prima aveva preso una mappa della città dalla reception, l’aveva portata con sé in camera ed aveva segnato minuziosamente ogni località da visitare sulla carta plastificata. Sfortunatamente era caduta in un sonno profondo prima di poter definire un vero e proprio itinerario. 
Quel mattino, dopo essersi svegliata mentre la luna lasciava spazio al sole, sedeva alla scrivania con il laptop, la mappa, l’agenda e diverse penne colorate davanti a sé. Ultimò l’itinerario in pochi minuti, dimenticandosi della colazione ed ignorando il cellulare che vibrava alle sue spalle. La Torre Eiffel, i giardini del Trocadero, l’Arco di Trionfo ed infine il Louvre. Era ancora incerta se lasciarlo per ultimo, quando sentì bussare e balzò dalla sedia per la sorpresa. Si alzò e si diresse verso la porta a passi lenti. Non aveva ordinato nulla, non era certo l’orario delle pulizie, quindi intimorita aprì l’uscio.
“Buongiorno signorina” un signore paffuto, ma impeccabile nella sua divisa, la guardava con occhi stanchi ed amichevoli “la colazione è gentilmente offerta dall’ospite della camera 405. Posso portarla dentro?” strinse le mani attorno al manico del tavolino ed aspettò pazientemente il cenno che Livia fece col capo. 
“Sì”, rispose titubante “grazie mille.” Parlò confusa e si avvicinò al tavolino attentamente.
“Signorina?” la chiamò ancora. Livia sollevò subito lo sguardo verso di lui, sbatté le palpebre e cercò di concentrarsi sulla sua figura senza farsi distrarre ancora dal profumo che quel vassoio coperto emanava.
“Sì?” lo vide avvicinarsi a lei e prendere un bigliettino dal taschino. 
“Quasi dimenticavo” glielo porse con un sorriso, che lei ricambiò, ancora incerto “buon appetito.” La congedò, ed in pochi istanti fu al di là della porta. 
“Grazie ancora.” Mormorò, più a se stessa, lui non poteva udirla più. 
Livia non esitò altri minuti e lesse attentamente il bigliettino che ancora custodiva fra le mani, gelosamente. 
Ti aspetto alle nove davanti alla reception,
non puoi dormire a Parigi. 
Avrai bisogno di energie,
 mi sono accertato che tu ne abbia a sufficienza.
Buon appetito, non fare tardi. 
Sorrise dolcemente e solo in quel momento, quando prese il telefono per chiamarlo e ringraziarlo, si rese conto dei suoi numerosi tentativi di rintracciarla in quella mattinata. Decise di rimandare i ringraziamenti a più tardi, a pochi minuti più in là. Sollevò il vassoio e venne investita da un dolce profumo invitante.
 
Harry osservava smarrito e spensierato l’arazzo alle spalle dei receptionist. Era un arazzo? Era un quadro? Era un arazzo incorniciato? Teneva le mani nelle tasche del cappotto e con i polpastrelli teneva il ritmo della musica che risuonava delicatamente nell’ampia sala. Sembrava essere stato danneggiato, i colori delle figure non erano chiari, quest’ultime non erano perfettamente definite. Il drappeggio dei loro abiti era, diversamente, colorato con tinte vivaci, come lo sfondo verde della natura alle loro spalle. Il suo sguardo si soffermò per diversi secondi anche sui fiori posti sull’angolo della scrivania: il pensiero che potessero essere finti lo distrasse dall’arazzo/quadro che aveva osservato fino a quel momento. Soprattutto, lo distrasse da Livia che usciva dall’ascensore e si avvicinava sorridente a lui. Lo osservava divertita, quell’espressione corrucciata sul volto lo faceva sembrare un bambino più che un uomo. Si fece ancora più vicina e posò la mano sul suo braccio, baciandogli delicatamente una guancia. 
“Grazie.” Sorrise quando lui la notò e si voltò verso di lui. 
“Buongiorno,” le rispose e strinse la mano di lei sul suo braccio “sei pronta?”
“Ho abbastanza energie, almeno credo.” Rise divertita, lui con lei.
“Ti posso assicurare che è esattamente così.” Insieme si avviarono verso la porta scorrevole che li avrebbe lasciati uscire, ma lei si bloccò improvvisamente. Harry si voltò verso Livia puntando il suo sguardo interrogativo in quello di lei.
“E se ci vedessero insieme?” domandò preoccupata. 
“Sei un avvocato, puoi far causa a tutti i tabloid che ci vogliono in prima copertina.” Le rispose con serenamente. Lei rise, lui le accarezzò il volto delicatamente. 
“Sto uscendo dal letto solo per te, bramavo questi giorni come assoluto riposo, ma non so starti lontano quando sei nei dintorni.” Confessò e sollevò le spalle con rassegnazione. Livia gli rivolse un sorriso affettuoso, si avvicinò alla sua guancia e vi lasciò un bacio delicato. 
“Grazie” ripeté “grazie mille.” Si guardò attorno, osservò la strada trafficata e tornò a guardare Harry. 
Metro?” Domandò, imitando l’accento francese, che fece voltare una signora verso di lei, quasi indignata. Entrambi risero alla sua espressione, poi Harry le indicò un punto non lontano da loro. 
“Si chiama Yvan e ci accompagnerà, senza lasciarci un attimo. Non è la mia guardia del corpo, semplicemente il mio autista, ma oggi sarà entrambi perché potrei aver accidentalmente prenotato due biglietti per il Louvre e non è molto sicuro andarci da soli.” Livia lo guardò a disagio, pronta a replicare, ma lui la anticipò. 
“Il Louvre, Livia. Le Louvre” imitò anche lui il francese “non puoi dire di no.” Lei scosse il capo.
“Non posso” confessò sottovoce, lui rise e la portò con sé verso la macchina “come posso ringraziarti?”
“Essendo felice” aprì la portiera per lei “accompagnandomi in un paio di negozi che devo vedere prima delle prove del concerto” lei sorrise ad annuì, aveva previsto qualcosa di simile “e venendo alle prove del concerto, magari?” sorrise, sedendosi accanto a lei. Si avvicinò a Yvan e questi partì immediatamente. 
“Posso farlo.” Affermò, voltata verso il finestrino.
“Allora posso offrirti anche il pranzo.” Le accarezzò la gamba, lei gli colpì la mano.
“Harry!” Lo rimproverò, certamente non per la mano. 
“Livia, non ci vediamo mai e quando ci vediamo siamo sempre da te.” Si appoggiò al sedile, la strinse contro il suo petto. Livia sospirò e incastrò i polpastrelli fra il tessuto del suo maglione. 
“Non dovrebbe essere un problema per te, se non lo è per me.” Le lasciò un bacio fra i capelli ed avviò la musica nel piccolo abitacolo. Livia sollevò lo sguardo verso di lui, che sorrise. Lei scosse il capo e tornò a poggiarsi sul suo maglione ed a tracciane la trama con le unghie. 
 
“Dicono che Champoiseau fosse attratto dal seno in maniera ossessiva.” Sussurrò voltandosi verso di lui “È la mia preferita.” Mormorò, quando si fece più vicino. Guardava la Nike di Samotracia con occhi sognanti ed Harry sorrideva alla vista di una Livia tanto insolitamente spontanea.
“Non lo biasimo” entrambi risero, lui si avvicinò ulteriormente “credevo fosse Amore e Psiche.” Livia scosse il capo, lui la osservò interrogativo. 
“Quella non vale” sollevò le spalle “guarda, sembra che sia sempre pronta a spiccare il volo, Harry.” Tornò a voltarsi e lo avvicinò a sé, stringendogli la mano. 
“Ha le ali per farlo, forse ha solamente paura.” Sussurrò accanto al suo orecchio. Livia sollevò per un attimo gli occhi nei suoi, poi li allontanò e raggiunse il suo sguardo sulla maestosa statua di marmo che li vegliava dall’alto. 
 
Livia aveva insistito perché pranzassero nel ristorante del museo: era una sua personalissima usanza, era solita farlo perché, lei diceva, chiudeva la visita con bellezza. Harry non si era imposto, sorridente aveva accettato la sua proposta solo per vederla sorridente negli attimi successivi. 
Durante il pranzo avevano parlato d’arte e di musica – anche la musica è arte, aveva detto lui, e Livia non aveva osato replicare. Prima di lasciare il museo avevano speso un’altra ora nel negozio di souvenir ed entrambi ne erano usciti a mani piene. Livia diventava una bambina in posti come quello, Harry poteva dire senza vergogna di perdere tutta la sua dignità fra quelle tele a basso costo e quelle inutili matite, ma così belle, che non avrebbe mai usato. 
L’aveva portata sugli Champs-Élysées, ed entrambi incantati dalle luci natalizie che già costellavano la famosa avenue parigina, avevano passeggiato per gran parte del pomeriggio. Inevitabilmente avevano speso molto del loro tempo, e denaro, in alcune delle boutique più prestigiose, ma il tutto non era stato seguito da alcun rimpianto. Era Harry a portare il maggior numero di buste con sé, Livia custodiva gelosamente la borsa di Chanel nelle mani e temeva anche lo sguardo dei passanti.
“Non ti ruberanno un profumo, Livia.”
“Potrebbe entrarci una borsa qui dentro!”
 
L’AccorHotels Arena la incantava come il resto degli edifici che aveva avuto modo di vedere in quella lunghissima giornata, e si chiedeva come fosse possibile che a Parigi ogni cosa la incantasse in quel modo. 
“Sembra emergere dalla natura” disse Harry “ma ci sono molti altri motivi per cui la adoro.”
“Come ad esempio?” Lui sorrise e la curiosità di Livia aumentò in pochi secondi.
“Cosa c’è?” Incalzò. Harry si avvicinò al suo corpo infreddolito, Livia si scontro col muro freddo del backstage. 
“Vieni al concerto domani?"

Salve a tutti, cari lettori! Spero che la lettura scorra per voi piacevole, come per me la stesura di queste pagine. Non esitate a lasciare la vostra opinione se vi va. Vi ricordo che gli aggiornamenti saranno quotidiani, questo è il vostro calendario dell'avvento. Un bacio e a domani, Zoe xx

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Capitolo 4
*** IV ***


L’autista, Harry si era accertato che Livia arrivasse lì senza perdersi, l’aveva lasciata davanti all’ingresso e l’aveva salutata con un cenno della mano. Lei aveva gentilmente risposto in perfetto francese, ma lui era già ripartito. Rimpiangeva Yvan, la sua gentilezza e la musica che li aveva accompagnati nel giorno precedente. Era anche lui fermo all’entrata e non esitò a salutarla non appena la vide. Livia ricambiò, gli occhi grandi appena lo inquadrarono e corse accanto a lui. 
“Ti ha fatto arrivare in ritardo, le prove sono iniziate da un bel po’” la avvisò e la scortò all’interno. 
“Ci sono molte fan?” sollevò lo sguardo verso di lui e chiuse l’ombrello. Il diluvio aveva reso Parigi un’enorme e morbida nuvola, sospesa e vivida come in un sogno. I suoi capelli ricci avevano sofferto per l’intera giornata, stretti in un elastico e nascosti nel cappello.
“Alcune, vieni, ti indico il posto meno sospetto.” Yvan la guidò all’interno di quello spazio, immenso e spaventoso da metterla in soggezione, anche se era abbastanza certa di non dover essere lei ad esibirsi quella sera. 
Livia entrò nell’arena esattamente come il giorno precedente e lasciò che i suoi occhi balzassero sui dettagli che diverse ore prima non era stata capace di captare. Il palco era perfettamente in piedi, ora nessuno lavorava più al suo allestimento e poteva udire senza alcun rumore la voce di Harry attraverso le casse poste ai vari angoli della struttura. Yvan la lasciò sedere ad una distanza sufficiente dalle fan, lontana da occhi indiscreti, ma ancora vicina da poter vedere quelli di Harry sorridere dopo averla inquadrata. Sedeva composta ed incredula, curiosa ed affascinata da quello che la circondava. Non ricordava i concerti della sua adolescenza, a dire la verità erano stati pochissimi e durante gli anni dell’università non aveva avuto modo di prendere parte a nessun evento simile. Il lavoro l’aveva rapita, letteralmente intrappolata senza mai rilasciarla e nel tempo libero non avrebbe avuto le energie sufficienti per un concerto. Ascoltava Harry cantare, dirigere il soundcheck con dei gesti veloci e precisi a chi di dovere. Non si accorgeva del cambiamento, il suo orecchio inesperto lo avvertiva sempre dopo doversi istanti. Le fans, al disotto del palco, sembravano notare ogni singola variazione e celebrarla con un applauso o scambiando parole veloci senza dare troppo nell’occhio. 
La musica si fermò, Harry posizionò il microfono sull’asta e si allontanò per sedersi sul bordo del palco. Scambio poche parole con le fans, alle sue spalle i tecnici allestivano gli strumenti per la band che in poche ore avrebbe aperto il concerto. Livia non ne conosceva il nome, li aveva cercati su internet per informarsi se conoscesse qualche loro canzone, fallendo miseramente. Aveva appreso che fossero una band largamente conosciuta, principalmente in America e sorrise al pensiero di questi giovani ragazzi che, grazie ad Harry, potevano ora avere anche un nome in Europa. 
La sua gentilezza e cura nella scelta di cose simili la colpiva spesso, ricordandole quanto fosse fortunata ad avere accanto una persona come lui. Inevitabilmente il successo l’aveva toccato e cambiato, succede a tutti ed è impossibile evitarlo. In Harry aveva avuto risvolti positivi e lei ne era, innocentemente ed in maniera completamente disinteressata, fiera. Non che lo avesse conosciuto per molto tempo, prima che un uragano di giovani ragazze lo sommergesse. Nell’anno che era trascorso dall’inizio della loro conoscenza a quel momento, si erano incontrati ben poco, ma entrambi erano stati sin dal primo momento estremamente trasparenti. 
“Livia?” Era nuovamente Yvan al suo fianco, nuovamente le porgeva la mano e lei la prendeva senza esitare.
“Nel backstage ci sono fans?” si guardò attorno preoccupata.
“Non ti lascio mica mangiare dagli squali.” Sentì la sua voce alle sue spalle e si voltò, regalandogli un dolcissimo sorriso carico d’entusiasmo. 
 
Harry aveva vissuto l’intera giornata in funzione di quella serata. La sveglia era suonata presto, l’allenamento sarebbe iniziato prima del solito. Come sempre si sarebbe dovuto recare sul luogo del concerto prima di pranzo, poi tornare in albergo per tentare di mangiare il pasto permesso dal personal trainer senza inciampare in snack che non avrebbe potuto permettersi. Avrebbe potuto riposare per diverse ore, ma quel giorno le aveva impiegate per spiegare a Livia come arrivare: si era arreso nel mezzo della conversazione ed aveva chiamato un autista per lei. Il tempo libero, libero da Livia, l’aveva trascorso in dormiveglia, sentiva melodie e parole ronzargli per la testa e non era in grado di ignorarle. Molti pensieri si erano aggiunti all’idea delle canzoni che già gli abitava la mente. Accadeva spesso che a poche ore da un concerto sentisse la pressione accumularsi sul petto, l’ansia delle aspettative bussargli alla porta e metterlo k.o. quando già ci aveva pensato il suo personal trainer quella mattina. Pensava al suo pubblico, pensava a Parigi e pensava all’ultima data di un’estenuante tournée europea. In alcuni momenti si rasserenava, quando l’immagine di New York si faceva spazio nitidamente fra le sue paranoie. Ci sarebbe stato il Natale, l’ansia del nuovo anno alle porte ed i buoni propositi. E nuovamente l’angoscia per un nuovo anno lo attanagliava, si ripresentava sotto ogni sua forma per ogni suo progetto. Non aveva altro modo di lasciarla andare se non una doccia, una doccia calda, ma solamente dopo una lunga corsa per le fredde strade di Parigi. Non aveva notato tutto quel freddo il giorno prima, era la solitudine di quel momento che rendeva la città tanto grigia e sfocata.
 
“Ti piace?” Chiuse la porta del camerino e la guardò sedersi composta sul divano in pelle davanti allo specchio. Il camerino rispecchiava ogni lato della sua personalità eclettica e stravagante, Livia era attratta dai colori accesi degli abiti appesi allo stand alla sua sinistra. 
“Tanto, anche se non vedo l’ora di poterlo vedere meglio con le luci.” Spostò lo sguardo su di lui, sorridendogli e tornando a distrarsi con i dettagli nel camerino. 
“Hai ragione. Sembra un altro posto.” La raggiunse sul divano e le accarezzò affettuosamente il ginocchio.
“Hai mangiato?” Fece sovrapporre le loro mani, Harry fece intrecciare le loro dita e la sentì ridere, prima di rispondere. 
“No, ho qualcosa con me.” Spostò lo sguardo dalle loro mani al suo volto e sorrise. 
“Mangia con me, vieni.” Si sollevò in piedi, rompendo il contatto fra le loro dita, staccando le loro mani. Entrambi rimasero in silenzio per diversi istanti, prima che Livia decise di rompere l’imbarazzo creatosi fra di loro. 
“Ma tu devi essere in forze per il concerto!”
“Non mangio quasi mai tutto quello che mi danno.” Si poggiò con i palmi al tavolo alle sue spalle, stringendo le mani sul bordo. Non era sempre facile mandare giù ogni cosa che gli veniva prescritta, imposta e messa davanti. 
“Sei agitato?” Livia sollevò il sopracciglio, non udì alcuna risposta. Si alzò dal divano e lo raggiunse, accarezzandogli una spalla. Harry sollevò lo sguardo dai suoi piedi, la guardò senza parlare per diversi istanti. Volontariamente prolungarono quel momento di silenzio per guardarsi e capirsi senza dover aggiungere parole per riempire spazi vuoti. 
“Anche. Ultima offerta per il mio cibo, accetti?” Livia rise e scosse il capo. 
“Rifiuto! Devi mangiare tu.” Harry rise più forte e la strinse affettuosamente, scompigliandole i capelli. 
 
“Allora dopo vieni a cena fuori con me?” Aggiustò l’auricolare dietro l’orecchio sotto lo sguardo attento ed affascinato di Livia. Il completo di Saint Laurent brillava anche nel buio del backstage ed Harry non smetteva di muoversi, adorava anche lui vederlo brillare in quel modo. 
“Domattina ho l’aereo prestissimo, mi garantisci che riuscirò a prenderlo?” si avvicinò a lui, qualcuno passò fra di loro indicando al ragazzo che mancavano esattamente tre minuti all’inizio della performance. 
“È un aereo per Londra, ce ne sono mille e c’è anche un treno da qui!” Si voltò verso di lei con un sorriso sghembo e sfacciato, Livia scosse il capo e tentò di replicare, quando lui si fece ancora più vicino a lei. 
“Veramente…”
“Allora? Dopo il concerto? Ti aspetto qui, andiamo in un bel posto.” Ancora un segno a ricordargli che mancavano due minuti. Lui annuì distratto e tornò a guardarla. 
“In un bel posto?” Chiese e cercò di evitare il suo sguardo impaziente ed interrogatorio. 
“Non l’ho detto solo per convincerti, è bello sul serio.” Strinse la presa sulla sua schiena e la avvicinò a sé per permettere ai tecnici nel backstage di poter lavorare senza intralci. 
Livia sorrise ed arrossì, qualcuno le illuminò il volto con una torcia e si avvicinò ulteriormente al petto di Harry. Teneva ancora la mano ferma e salda sulla parte bassa della sua schiena. La torcia puntò il suo volto, Harry annuì all’ennesimo richiamo a salire sul palco. 
Livia sollevò lo sguardo nel suo, poté udire il clamore del pubblico al di là dello schermo. Gli prese il volto fra le mani, si sollevò sulle punte e premette le labbra contro le sue. La mano di Harry la attirò velocemente a sé, mentre con l’altra, occupata dal microfono, le accarezzava una guancia. Livia si scansò quando vide nuovamente la luce illuminarle il volto, scese dalle punte e si allontanò. Harry la guardava e sorrideva, qualcuno lo trascinava verso il palco. Livia corse velocemente verso di lui e gli pulì il rossetto dalle labbra. 
“Buona fortuna.” Sorrise e vide lui ricambiare, prima di fare un cenno con la mano che la fece ridere. 

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Capitolo 5
*** V ***


Il vento fischiava fortissimo fuori dall’arena, Livia tentava in ogni modo di coprire il volto, ma falliva ad ogni tentativo. Harry le prese la mano e la guidò fra i fotografi, aprì lo sportello e la lasciò entrare nel van. Richiuse lo sportello, Livia si guardò attorno smarrita quando si accorse che lui non era accanto a lei, ma fuori. Parlava animatamente, poteva dirlo dal modo in cui gesticolava, tanto animatamente da sembrare spazientito. Nel van sedeva solamente l’autista, l’ennesimo sconosciuto che la vedeva accanto ad Harry quel giorno – e che probabilmente non aveva esitato a porsi domande. 
 
“Le foto” li guardò attentamente, cercando di non risultare rude o maleducato, tenendo un tono di voce moderato “le foto vanno cancellate immediatamente. È una mia amica e non merita di finire in prima pagina.” La piccola folla di paparazzi lo ascoltava vociferando.
“Per favore” continuò “non voglio procedere per alcuna via legale.” Ci avrebbe pensato Livia in ogni caso, non avrebbe mai accettato che qualcosa del genere accadesse, non di nuovo. Probabilmente lo avrebbe anche ricoperto d’insulti per aver assistito silenziosamente ad un evento del genere, ma Harry stava evitando che tutto quello potesse accadere, cercando di avere una pacifica conversazione con i media. Non sarebbe stata la prima volta per loro due, ed Harry ricordava con amarezza come fossero finite le altre. Finite, appunto e temeva che accadesse anche allora. Vide Yvan raggiungerlo e subito si avvicinò a lui. Gli spiegò brevemente e con parole veloci quale fosse il problema. Lo sguardo dell’uomo si fece sempre più serio man mano che si avvicinava ai paparazzi. Quando iniziò a parlare con loro, Harry era fortunatamente già nel van.
“Cosa succede?” Livia si voltò verso di lui non appena lui chiuse lo sportello. Harry si passò una mano fra i capelli, nervoso e spazientito, cercando di lasciar morire la conversazione.
“È tutto sotto controllo, Livia.” 
“Non ho dubbi, ma” esitò e lo guardò negli occhi “cosa succede?” Insistette e gli strattonò il braccio perché potesse guardarla.
“Vogliamo andare Marcel? 15 Rue Lamennais.” Si avvicinò all’uomo seduto davanti a lui, il quale non esitò a partire non appena Harry finì la frase. 
“Harry?” Lo richiamò ancora, stringendo la mano forte attorno al suo braccio. Si voltò verso di lei, nei suoi occhi Livia lesse preoccupazione ed ammarezza. Mollò la presa sul suo braccio.          
“Ti piacerà.” Poggiò una mano sulla sua gamba e la accarezzò per rilassarla. Livia socchiuse gli occhi e sovrappose la mano alla sua. Harry fece intrecciare le loro dita, socchiuse gli occhi a sua volta e la sentì farsi vicina. La strinse al suo petto e le lasciò un bacio fra i capelli.
“Ti è piaciuto il concerto?” Chiese mentre le accarezzava ancora la coscia. Lei annuì e sollevò il volto, ritrovandosi fin troppo vicina al suo.
“Molto. Hai superato tutte le mie aspettative, non ne avevo di altissime per un primo tour.” Risero insieme, Livia sinceramente imbarazzata, Harry divertito. 
“Grazie, è l’ultima tappa” la guardò e lei arrossì illuminata dai lampioni della strada “mi sono impegnato, sono stato bravino, puoi dirlo.” Fermò la mano sulla sua coscia, la strinse lievemente e la sollevò. Livia seguì i suoi movimenti, non sollevando mai lo sguardo dalla sua mano mentre si faceva sempre più vicina al suo volto.
“Sei stato bravino.” Sussurrò, prima che potesse baciarla di nuovo. 
Livia trascorse quei velocissimi venti minuti sul petto di Harry e lo sguardo al di fuori del finestrino. Osservava Parigi scorrerle sotto gli occhi mentre veniva abbracciata dalla notte e brillava nelle mille luci che la ornavano, ignara di tanta bellezza, pensando d’essere semplicemente una città che stava andando a dormire. 
Harry trascorse quei velocissimi venti minuti accanto a Livia, accarezzandole i capelli ricci e cercando di stare al passo con la velocità della macchina, tentando di adeguare il suo sguardo a quella rapidità.
Aveva visto così tante volte Parigi da ricordarla senza problemi, ma ancora la guardava incantato, sempre come se la vedesse in quel momento per la prima volta nella sua vita. Livia rimaneva in silenzio mentre sottovoce le raccontava della città di notte, di quello che aveva fatto o che avrebbe voluto fare se avesse potuto e non avesse rischiato di ritrovarsi con fotografi e giornalisti fra i piedi. 
“Passerei l’intera notte sveglio e vagherei per Parigi senza paura. Non devi avere paura quando sei qui, perché Parigi si prende cura di te. È così fredda perché” ci pensò qualche istante, Livia lo guardò divertita e con sguardo interrogativo “perché è la mamma di tanti turisti e non si può affezionare a tutti, perché non tutti la trattano bene, ecco perché.” Sorrise divertita e tornò a poggiarsi contro il suo petto, a perdersi al di là del finestrino. 
“Vorrei che potessimo camminare tutta la notte per Parigi, anche solo un minuto. Sarebbe la nostra notte, Harry, definitivamente.”
 
“Taillevent, si presume sia stato il primo cuoco a scrivere un libro di ricette. Era per Carlo V.” La aiutò a scendere dal van e congedò gentilmente Maurice. Livia alternò lo sguardo fra l’entrata del ristorante ed il van che sfrecciava alle sue spalle. Si voltò vero di lui, nuovamente corrucciata in volto.
“Come pensi di tornare?” Chiese quasi ridendo.
“A piedi? Siamo dietro l’angolo Livia, non preoccuparti.” Le prese la mano e sorrise guidandola nel ristorante, rimanendo sempre ad un passo da lei per poterla guardare mentre il suo sguardo si perdeva fra quelle mura preziosamente ornate.
 
Continuava a perdersi e distrarsi dal momento in cui aveva messo piede nel ristorante, i suoi occhi balzavano ininterrottamente su ogni oggetto che la circondava ed Harry non poteva far altro che guardarla ed assecondarla, imprimendo occasionalmente i dettagli del suo volto nella sua memoria. Livia si guardava attorno a disagio, gli occhi grandi ed increduli non si capacitavano di tanta bellezza.
“Non sono vestita in maniera adeguata.” Gli aveva detto, rimproverandolo poi perché non l’avesse avvisata precedentemente, con un minimo d’anticipo, aveva detto. Harry le aveva risposto che in realtà a loro importava poco di quello che aveva addosso, l’avrebbero servita silenziosamente senza porre alcuna domanda. Li avrebbe sfidati, Livia, a non porre alcuna domanda. Cosa ci faceva Harry Styles, con una donna, in uno dei ristoranti più rinomati di Parigi dopo l’orario di chiusura? Non avrebbero certamente porto nessuna domanda a loro due, ma silenziosamente non avrebbero esitato. 
“E sono aperti a quest’ora solo per te?”
“Per te, Livia.”
“Per noi!” sussurrò stizzita.
“Smettila, guardati attorno, guarda dove siamo. Litigare perché stanno lavorando per noi o perché pagherò il conto non è la mia attuale priorità.”
“Non voglio contraddirti, tantomeno sul conto.” Harry rise e Livia lo seguì, imbarazzata, prima di tornare a guardarsi attorno. Leggere il menu si era rivelata un’ardua prova, aveva scelto così di ignorarlo e lasciar fare ad Harry che, non sorprendentemente, conosceva metà delle portate.
Il bianco delle pareti sfuggiva ai suoi occhi, la luminosità in quella sala era al minimo, l’unica fonte di luce era una piccola candela posta al centro del tavolo. Li guardava, osservava entrambi in attesa di una mossa, ma nessuno dei due aveva mosso un dito da quando si erano seduti. Il cameriere alle loro spalle aspettava impaziente di potersi avvicinare - con discrezione!, gli avevano detto. 
Non appena arrivò accanto a loro, Harry aprì il menu, Livia lo chiuse e glielo porse attenta a non urtare niente di quello che sedeva leggiadro sul tavolo – i bicchieri, i calici, la candela, i fiori, la bottiglia d’acqua. 
“Château Pape Clément.” Iniziò, il cameriere svelto prese appunti e Livia sorrise imbarazzata quando Harry si voltò verso di lei e sorrise divertito. Era certa che fosse un vino rosso, prese a preoccuparsi. La sicurezza che non avrebbe bevuto da sola la rasserenò subito dopo. 
“Poireau en croûte de sel truffé.” Tornò serio per l’antipasto, Livia aveva già dimenticato cosa fosse e sorrise al cameriere quando si voltò verso di lei. Non proferì parola, indicò Harry per continuare con le portate. 
 “Perdreau de chasse à l’étouffée de garrigue.” Scriva ancora più velocemente ed attentamente, Harry parlava tanto bene il francese da non commettere neanche un singolo errore nel parlato e non gli lasciava quasi tempo di completare una frase che era già pronto con un nuovo ordine. 
“Ris de veau laqué.” Il cameriere annuì e non appena chiese se avessero voluto altro, Harry aggiunse.
“Baba agrumes, citronnelle, saveurs végétales.” 
“Cos’è?” Sussurrò Livia.
“Dessert.” Le sorrise. Porse i menu al cameriere e lo congedò gentilmente. Tornò a voltarsi verso di lei, lo guardava assorta ed in silenzio.
“Allora, ti piace?”
 
La cena era stata meno imbarazzante di quello che Livia aveva timorosamente previsto ed era andata avanti senza alcuna interruzione degna di nota – il fatto che un po’ del suo vino fosse ora sulla sua maglia era stato semplicemente una sciocca coincidenza, dovuta alla sua incredibile goffaggine. Harry ne rimaneva sempre divertito, non aggiungeva mai alcun commento che potesse aggravare la situazione. Si era reso conto da solo e molto tempo prima, di quanto fosse difficile stare al passo con una vita alla quale non si è abituati. 
Le teneva la mano stretta nella sua, la riscaldava nella tasca del cappotto mentre Livia teneva l’altra legata al suo braccio. Finalmente passeggiavano per Parigi, di notte, mentre il freddo li avvicinava sempre di più, fin quando le loro ombre diventarono una sola. Livia sorrise guardandola, Harry osservava entrambe dell’alto gioendo inspiegabilmente all’innocenza di Livia, all’innocenza di quel momento. Nessuno avrebbe voluto che finisse, chi li guardava per strada, loro due, il portiere dell’hotel che li vide arrivare stretti l’uno all’altra. Camminavano e parlavano sottovoce, ridevano piano e senza dare nell’occhio. C’era sempre qualcuno che li osservava, le luci della luna e dei lampioni erano un solo riflettore sui loro corpi che calpestavano leggeri le strade della capitale francese. 
“Non salire, non sopporterei di partire domattina e lasciarti qui.”
“Lo fai spesso, Livia.”
“Vorrei non doverlo fare più, Harry.”

Bentrovati! Spero che la lettura scorra sempre piacevole. I nostri giorni parigini giungono al termine, rimanete con Harry e Livia per la prossima destinazione. Un bacio, Zoe xx

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Capitolo 6
*** VI ***


Tastes like strawberries on a summer evenin'
And it sounds just like a song
I want your belly and that summer feelin'
I don't know if I could ever go without
L’estate dello stesso anno, Los Angeles
 
“Vieni qui.” Harry le cinse la schiena col braccio destro, avvicinandola a sé. Livia, seduta sulle sue gambe, lasciò il cellulare scivolare alle sue spalle. Si fece più vicina alla sua mano sinistra e prese un morso della fragola che teneva rivolta verso le sue labbra.
“Grazie.” Disse piano, coprendo la bocca con il dorso della mano. Harry la guardò, poi scosse il capo ed asserì. 
“Non si parla a bocca piena.” Livia rise e tornò a coprire la bocca con il palmo della mano, il tono apparentemente serio di Harry la divertiva, soprattutto perché ogni volta tentava una faccia diversa e minacciosa. Finiva sempre a ridere anche lui. Fece salire lentamente la mano sulla sua coscia calda, baciata fin troppo dal sole in quel giorno passato in spiaggia senza troppa attenzione.
“Piano” sussurrò Livia “non vorrai vedermi piangere di nuovo.”
“Livia, tu sei una tonta.” Disse, continuando ad accarezzarle la pelle arrossata, ora più gentilmente, posandovi delicatamente i polpastrelli. Per diversi istanti il suo sguardo si soffermò sulle sue mani, sulla sua gamba, ma subito lo distolse e tornò a guardarlo negli occhi. 
“Puoi mettermi un po’ di crema, dopo?” chiese innocentemente. 
 
Il caldo inaspettato di quella giornata li aveva colti senza pietà e la spiaggia affollata era sembrata l’unica soluzione, dopo che entrambi si erano svegliati per il caldo che entrava dalla finestra senza lasciar tregua. Sebbene Harry avesse indossato più volte la protezione solare e glielo avesse ricordato ad ogni uso, Livia l’aveva ignorata credendo di poter sfidare il sole di Los Angeles, sfacciata e prepotente. Non erano due sue caratteristiche molto evidenti, ma in spiaggia avrebbe dato di tutto pur di ottenere un’abbronzatura da far invidia. Harry l’aveva richiamata più volte sotto l’ombrellone, lontana dall’acqua, soprattutto dalle onde che diceva di voler cavalcare. Nel pomeriggio l’aveva assecondata ed insieme avevano surfato fino al tramonto. Livia sedeva sulla sua tavola noleggiata, Harry le mostrava come fare sulla tavola che aveva comprato e mai usato – quante cose inutili che hai, gli aveva detto proprio quella mattina. Successivamente si alzava e provava anche lei le sue stesse mosse, fallendo occasionalmente e finendo sott’acqua. Ad ogni tentativo andato storto, Harry cercava di rialzarla, ma Livia tornava da sola sui suoi piedi, poi chiedeva aiuto per risalire sulla tavola. 
“Certo che questo non è il costume adatto, Livia.”
“Perché mi vedono tutti?”
“Perché ti vedono tutti.” Lei aveva riso, si era voltata verso di lui che la manteneva in una giusta postura e l’aveva baciato ad occhi chiusi, tenendogli il viso fra le mani umide. 
 
Rientrati in casa, avevano fatto una doccia e Livia si era resa conto della mostruosa bruciatura acquisita quel giorno solamente quando Harry le aveva sfilato il costume, lasciandolo cadere a terra pesantemente.
“Hai un po’ di crema?” gli aveva chiesto, una volta finiti insieme sotto il getto tiepido della doccia. 
“Un po’? Livia, qui c’è bisogno di un intero flacone.” Le aveva passato la spugna sulle spalle, ma l’aveva vista subito sobbalzare e farsi più vicina a lui tenendosi alle sue braccia “Va tutto bene?” le aveva chiesto, gli occhi preoccupati fissi nei suoi. Lei aveva annuito debolmente, sollevato infine gli occhi velati sui suoi. Voleva maledirsi, sentiva pizzicare dovunque. 
“Non usare la spugna, è troppo… ruvida.” Aveva sussurrato accanto alle sue labbra. Harry aveva posato le mani ai lati del suo corpo, le aveva fatte risalire accanto al suo seno. 
“Posso usare le mani?” aveva detto piano, anche lui sulle sue labbra. Livia lasciò il suo sguardo vagare sul suo volto così vicino, poi sorrise, annuendo.
“Sì,” gli aveva accarezzato il volto, i polpastrelli contro il suo viso bagnato raccoglievano goccioline d’acqua “sì, puoi usarle.” 
 
Dopo la doccia l’aveva aiutata con la crema e subito dopo avevano cenato nella sua veranda, la luce fioca dei lampioni sui loro volti e le loro menti leggere.
In quel momento sedevano sul suo divano, Livia più precisamente sulle sue gambe. Guardavano un documentario, ma la concentrazione di entrambi diminuiva maggiormente ogni secondo. Livia si distraeva molto facilmente, Harry si distraeva per colpa di Livia, che adorava intrattenersi pizzicandogli la pelle abbronzata. Teneva il capo appoggiato alla sua spalla e pazientemente lo ascoltava mentre le ripeteva “posso finire almeno questa parte?”
“Me l’hai detto cento volte!” si sollevò dalle sue gambe ed incrociò le braccia al petto. Harry sollevò lo sguardo nel suo e sorrise divertito.
“Che fai, Livi?” poggiò i gomiti sulle ginocchia e la guardò ancora. I capelli ricci le cadevano sulle spalle ora meno rosse e lasciate nude dalla canottiera che indossava. I suoi pantaloncini le stavano esageratamente grandi, ma aveva insistito per indossarli ed in quel momento era veramente buffa. 
“Ti ignoro, come fai tu con me.” Voltò le spalle, con un esilarante fare da bambina che fece ridere Harry. La sua reazione la fece voltare indispettita. Si avvicinò a lui e gli prese il volto in una mano.
“Non ridere di me.” Aggrottò le sopracciglia, ma rilassò l’espressione e le spalle subito dopo. 
“Stai facendo la bambina.” Scosse il capo, lei allontanò la mano dal suo volto. Si sedette sulle sue gambe, tenendo le sue ai lati, lasciandole toccare il pavimento. 
“Scusami se non voglio guardare un noiosissimo documentario, questa sera.” Sussurrò, accarezzandogli con i polpastrelli la mandibola. Lui mosse il capo verso la punta delle sue dita, lasciandovi un bacio.
“Non è noioso.” Parlò semplicemente, accarezzandole la parte bassa della schiena.
“È noioso perché potremmo fare altro.” Disse allora lei, spostando lo sguardo nelle sue pupille verdi. 
Come accadeva ogni volta, entrambi cedettero e caddero alla mercé l’uno dell’altro. Succedeva senza che se ne accorgessero, mentre il mattino dopo i risentimenti erano evidenti, ma a Los Angeles passavano velocemente, sempre, o quasi. 
 
La camera da letto di Harry era immersa nel buio, salvo per una lampada che stava ad illuminare i loro corpi dall’alto, come un riflettore puntato su di loro, al centro della scena. La luce si inseriva fra i ricci disordinati sulla sua fronte e sulle mani di Livia che si stringevano attorno a lui, man mano che scendeva sul suo ventre ed oltre, verso le sue cosce nude ed abbronzate. I polpastrelli soffici di Harry scorrevano sulla sua pelle nuda e la accarezzavano senza vergogna, la sua bocca la baciava allo stesso modo, mordendola occasionalmente, dove la carne era più soffice. Le mani di Livia rimasero saldamente strette fra i suoi capelli, non voleva lasciar trapelare alcun suono dalle sue labbra, ma a lungo andare fu impossibile trattenersi. La sua pelle, così accaldata per via del sole, a causa del tocco di Harry sembrava prender fuoco, come le sue guance nello sforzo di trattenere ogni segno di approvazione nei suoi confronti. Rafforzò la presa sulla sua nuca quando la baciò senza pudore al disotto degli slip, gli tirò i capelli alla base del collo. Sollevò il volto dalle sue gambe, la guardò sorridendo. Le sfilò velocemente gli slip per poi tornare nella posizione precedente, Livia lo bloccò prima che potesse abbassarsi su di lei. Riuscì a ribaltare le posizioni, si sedette sulle sue gambe e premette le labbra contro le sue. Nel baciò Harry tentò di liberarla dal reggiseno, ma fallì miseramente e Livia si scansò dalla sua presa. Scese lungo il suo corpo con la sua stessa lentezza estenuante, gli accarezzò le gambe abbronzate con i polpastrelli delicati e lambì il suo addome con baci e morsi dove la pelle tesa era più soffice sotto le sue labbra dischiuse. Arrossì quando avvertì le dita di Harry intrecciarsi fra i suoi capelli ed avvicinarla al suo volto. Lo guardò e l’intraprendenza mostrata fino a qualche istante prima svanì, Livia lo baciò ad occhi chiusi sentendone un bisogno impellente. Harry ricambiò con la stessa necessità, riuscendo a slacciarle il reggiseno, mentre lei lo liberava dai boxer. 
“Livia, nessun ripensamento” chiuse il cassetto “nessun ripensamento, promettimelo.” Parlò accanto al suo orecchio, ma pronunciò queste ultime parole guardandola negli occhi. Livia prese il preservativo dalle sue mani, lo aprì tremando per nessuna ragione che in quel momento era in grado di darsi. 
“Nessun ripensamento, Harry. Ti prometto che non ci sarà alcun ripensamento.” Sussurrò sulle sue labbra, prima di sentirlo scivolare dentro di lei subito dopo. Lo strinse a sé con gli occhi socchiusi, circondandogli le spalle con le braccia. Sentiva il bisogno inspiegabile di averlo vicino, più di quanto in realtà già lo fosse. Livia assecondava ogni suo movimento, Harry cercava di non pesarle, di non dolerle sulla pelle bruciata da sole, ma allo stesso tempo di prendersi cura di lei nel giusto modo, di dedicarle ogni attenzione. In quella danza di movimenti sconnessi, i loro corpi trovarono un ritmo silenziosamente pattuito, le loro mani non smisero per un istante di cercarsi. Le loro bocche si allontanavano a fatica, solamente quando da esse si liberavano sospiri e gemiti, nell’aria calda che li circondava. 
C’era altro nell’andare al letto, quello che i continui ripensamenti non si stancavano mai di sottolineare. Riguardava entrambi, le loro paure ed i loro timori del passato, tutti fantasmi di una vita vissuta e non ancora superata. Sebbene Livia glielo promettesse ogni volta, il mattino dopo ogni cosa tornava nera, il mondo più difficile da affrontare una volta aperti gli occhi. Harry ingoiava quei sensi di colpa con la sua colazione, solitamente da solo, anzi sempre e nella maggior parte dei casi davanti ad un film strappalacrime – doveva sforzarsi di piangere, doveva lasciare che le sue emozioni fluissero via dal suo corpo e non lo intossicassero. Livia piangeva ogni volta in taxi, quando usciva dalla porta di casa ed andava in aeroporto, pronta a salire sull’aereo verso casa. A Los Angeles i ripensamenti non c’erano mai, o quasi. 
La mattina successiva Harry si svegliò, un forte mal di testa a pungergli la fronte. Si erano addormentati tardi, Livia gli aveva detto del suo volo la mattina successiva, avevano litigato ed erano finiti al letto, di nuovo. Quando lei era andata via, Harry non aveva sentito assolutamente nulla. Volava via veloce e silenziosa, una farfalla che si liberava veloce nella sua casa ora vuota. Era abituato a quei risvegli, non lo sorprendevano quasi più, ma gli lasciavano un’amarezza familiare in bocca. Si guardò attorno senza accendere alcuna luce, un lieve spiraglio di sole illuminava la stanza, trapelato timidamente dalla finestra. Notò il suo bigliettino sul cuscino, anche quella era una sua personalissima usanza e tradizione – come mangiare nel ristorante del museo subito dopo aver concluso una visita. Non esitò ad accartocciarlo e gettarlo dall’altro lato della stanza – questo accadeva raramente. Prese il cellulare e, noncurante di qualsiasi conseguenza, pentendosene l’istante successivo, le inviò un messaggio che, tuttavia, non cancellò. 
 
“Ogni volta che mi lasci solo, mi ricordi quanto irrazionalmente si possa amare qualcuno.”

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Capitolo 7
*** VII ***


Livia era atterrata a New York con inaspettato anticipo. Ad aspettarla in aeroporto non c’era nessuno, ad aspettarla a casa probabilmente il proprietario annoiato con le chiavi in mano. Perché Natale a New York? Perché era nella sua lista-delle-cose-da-fare-prima-di-eccetera, e quell’anno aveva deciso di volerlo realizzare. Aveva invitato parte della sua famiglia italiana, gli amici ed alcuni dei colleghi londinesi. Recuperò le valigie, ma solamente dopo aver mostrato la sua fotografia imbarazzante sul passaporto al poliziotto che la interrogava con lo sguardo, alla dogana. Spostava gli occhi dal passaporto a Livia, e viceversa, quelle due persone sembravano così diverse eppure dovevano essere la stessa. Livia sorrideva imbarazzata, spostava gli occhiali dal naso per rendersi più riconoscibile, lui annuiva e digitava le informazioni sul computer. Dopo l’iniziale freddezza, la salutò con un piccolo sorriso e lei non perse tempo e corse verso il rullo alla sua destra. Sorpassate le porte, vide le sue valigie ruotare indisturbate, immacolate. Si avvicinò silenziosamente e le sollevò, una dopo l’altra, posandole poi sul carrello assieme alla sua borsa e al suo borsone – Livia non era in grado di viaggiare leggera. Chiamare l’attenzione del taxi, salire a bordo e non dimenticare nulla in aeroporto o sul carrello era stato difficile ed imbarazzante: un po’ per il fuso orario, un po’ per la sua mente sbadata, un po’ per la stanchezza ed i sensi di colpa, Livia desiderava solamente sedere nell’ampio salone della sua casa Newyorkese – affittata. 
Quella mattina il taxi camminava lentamente, fermandosi ricorrentemente nel traffico. Il tassista continuava a voltarsi verso Livia, scusandosi; lei annuiva silenziosamente con un sorriso dolce sulle labbra. Non era molto dispiaciuta, se non fosse stato per il sonno avrebbe continuato il tour della città per altri minuti ancora. Era grata per il sole ed il cielo libero dalle nuvole, azzurro, ma freddo da farle battere i denti. Lo guardava con gli occhi velati da qualche lacrima codarda, le pupille scure liquide e le labbra tremanti, ma silenziose. La commozione ed il rimpianto le scuotevano il petto, mentre la città le scorreva davanti al volto arrossato dall’aria calda nell’abitacolo. Livia giocava impazientemente con le mani, ignorando il cellulare che squillava nella sua tasca. Desiderava solamente sedere nell’ampio salone della sua casa Newyorkese – affittata. 
 
Harry era salito in aereo facendosi spazio fra fan e fotografi, che aspettavano solamente di ritrarlo stanco ed infreddolito quella mattina di dicembre, in una Parigi fredda ed ora a lui ostile. L’aereo era sorprendentemente in orario e l’idea di arrivare in tempo per cena lo rasserenò il minimo per rilassarsi conto il sedile e lasciarsi andare ad un sonno profondo che sarebbe durato gran parte del viaggio. Nessuno aveva osato disturbarlo, stretto nelle sue stesse braccia, in quella sua sciarpa calda, su quel sedile scomodo. Teneva gli occhi chiusi nonostante la sua mente non smettesse di parlargli, di ricordargli quanto fosse solo in quel momento. L’avrebbe voluta spegnere, cercava di dormire per lasciare andare ogni pensiero negativo. Si arrese e, senza farsi ulteriori domande, decise di avviare un film romantico e strappalacrime sul monitor davanti a sé. L’avrebbe accompagnato a New York, il sedile accanto era rimasto vuoto.
 
La sera precedente aveva lasciato in entrambi una serie scoordinata di emozioni contrastanti e disordinate. Livia lo aveva invitato a non salire, Harry aveva obbedito silenziosamente. Diversi minuti dopo l’aveva chiamato ed avevano trascorso l’intera notte al telefono, fino ad addormentarsi. Lei era caduta in un sonno profondo mentre lui le raccontava tutto quello che avrebbero potuto fare insieme a New York, se solo lei lo avesse potuto sentire, se solo fosse stata sveglia per ascoltare il suo racconto irrealizzabile. Dormiva serenamente, Harry poteva sentirlo dal suo respiro calmo, ma decise di finire almeno il loro pomeriggio al Rockefeller Centre, prima di chiudere la telefonata e ricordarle, con un messaggio, che aveva con sé due biglietti per New York. Il mattino dopo Livia ignorò quelle sue parole e svelta abbandonò l’hotel, diretta in aeroporto, su un taxi scomodo e freddo. Della notte trascorsa al telefono con Harry ricordava la sua voce calda e rassicurante quando lei gli parlava delle sue paure, le ansie di non riuscire a raggiungere nessuno dei suoi obiettivi lavorativi. La rasserenava ed un po’ scherzava con le sue parole, ogni volta le ricordava dove fosse in quel momento e perché, come ci era arrivata e non mancava di aggiungere che fosse fiero di lei. Quando lui le confessava qualche timore, Livia sentiva il cuore stringersi in petto e lo rassicurava ricordandogli la strada che aveva percorso, da solo, fino a quell’hotel parigino che lo ospitava con i più grandi sfarzi ed elogi. In quei momenti gli raccontava sempre della prima impressione che lui aveva avuto su di lei.
 
Entrata in casa sua per la prima volta quel mattino grigio di settembre, a soli quindici anni, la prima cosa che aveva notato era stata la trama bizzarra del suo maglione quando lui si era avvicinato a lei per aiutarla con le valigie. L’idea di trascorrere un intero anno in una casa di sconosciuti le era sembrata meno terribile in quel momento, la paura era svanita quando l’aveva abbracciata affettuosamente e le aveva parlato in italiano, imbarazzandosi. Le aveva subito ricordato quello che di più simile ci fosse alla famiglia e non smetteva di provarlo ogni giorno che lei passava in quella casa. Le raccontava storie della loro tradizione mentre insieme cucinavano cibo tipico del posto e lei cercava di fare lo stesso con la sua tradizione, seppur timidamente.
Ricordava Harry giovane e pieno di energie, con mille interessi che lo distraevano dallo studio, mille interessi che cercava di trasmettere anche a lei, portandola con sé nella sua camera e spendendo pomeriggi interi a parlare ininterrottamente. Livia doveva ringraziarlo per il suo inglese fluente, ogni giorno imparava con lui nuove parole e nuovi interessi. Occasionalmente lo sentiva cantare e sorrideva quando lui lo faceva di nascosto da tutti, ma portava Livia in camera sua. Le diceva “tu sei il mio giudice imparziale, mamma e Gemma mi amano troppo per dirmi che sto sbagliando.” A volte, anche lei lasciava sfuggire qualche giudizio, pur di vederlo sorridere contento e soddisfatto di sé. 
Quando Harry l’aveva vista per la prima volta, Livia indossava degli imbarazzantissimi occhiali trasparenti dalle lenti profonde dai quali era attratto ed incuriosito. Il pomeriggio stesso del loro primo incontro le chiese di indossarli, Livia glieli cedette nonostante ne fosse incredibilmente gelosa. 
Harry la ricordava piccola ed intraprendente, mentre lui cercava di crescere più velocemente di quanto lei volesse per se stessa. La portava ovunque andasse, Gemma era troppo grande e loro avevano esattamente la stessa età – lei era nata pochi mesi dopo di lui e non mancava mai di sottolinearlo. 
Aveva trascorso con lei l’ultimo anno prima di spiccare il volo, su in alto nelle classifiche ed in giro per il mondo. Era così grato a Livia, grato alla sua perpetua vicinanza nei momenti di sconforto. Gli era rimasta fedelmente a fianco, silenziosamente. Avevano i loro segreti ed anche quelli rimanevano custoditi nel buio della camera di Harry, al secondo piano di casa sua, nel buio e nel silenzio di un’innocenza rimasta per entrambi nel passato. 

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Capitolo 8
*** VIII ***


I giorni newyorkesi si erano rivelati più stressanti delle sue precedenti previsioni: le registrazioni di alcune esibizioni erano state rimandate e riorganizzate in orari impensabili, quando il suo unico desiderio era quello di rilassarsi e resettare la mente prima del nuovo anno. Harry non aveva mai amato particolarmente New York, ne era attratto, ma la guardava con diffidenza. Era ostile al suo animo londinese, allo stesso tempo lo accoglieva sempre soleggiata, seppur fredda. Aveva registrato delle esibizioni durante la sua prima settimana, alcuni sketch per la città, lasciando trapelare al di là della telecamera sorrisi e serenità. Cercava di abituarsi all’idea che sarebbe dovuto rimanere lì fino alla fine dell’anno, fino all’inizio di quello nuovo, ed al fatto che gran parte di quel tempo lo avesse trascorso da solo. Era stata totalmente sua la decisione di ospitare amici, parenti e colleghi per l’ultimo giorno dell’anno e non poteva pentirsene due settimane prima. Aveva organizzato la cena nei mesi precedenti, liberi dal tour, lasciando ai suoi segretari indicazioni specifiche, rivelandosi più intransigente del solito. Odiava sbagliare, così perfezionista detestava che un evento da lui organizzato potesse finire in prima pagina come un fallimento, che passasse come una noia mortale nei salotti newyorkesi. Non si trattava più della sua fama da cantante, negli ultimi anni molte volte era stata messa in discussione la sua personalità ed Harry non poteva accettarlo. Aveva un unico obbiettivo: voleva rendere un’immagine quanto più chiara e sincera di se stesso, senza vergogna o ripensamenti – almeno in quello, si era detto, niente ripensamenti e più sicurezza. 
A Livia pensava occasionalmente, quando la sera prima di dormire ricordava quanto fossero lontani, a quanto lei lo avesse voluto allontanare. Si chiedeva perché lei non avesse mai affrontato le paure che si erano intromesse fra di loro, perché così poca intraprendenza? Si rispondeva che forse per lei non ne valeva la pena, per Livia non era necessario lottare per loro due, superare le sue paure per cosa? Allo stesso tempo interrogava se stesso e si chiedeva se mai avesse superato i suoi muri, cercato di abbatterli facendosi forza sul forte sentimento che provava nei suoi confronti e che irrimediabilmente ed incondizionatamente a lei lo legava. Conosceva tante donne, aveva avuto modo di conoscerne talmente tante che forse aveva perso il conto, dimenticato i loro volti. Livia rimaneva vivida nella sua memoria ed ogni volta che se ne andava, lasciandolo solo, la sua immagine si coloriva ulteriormente e lui non riusciva a spiegarselo. 
 
Entrata nella sua casa newyorkese – affittata – solamente due giorni prima, Livia aveva trascorso le sue prime ore fra quelle mura in cerca di decorazioni natalizie con cui trasformarla. Cosa ne sarebbe stato di tutte quelle, quando lei sarebbe tornata a Londra? Aveva pensato di donarle, per questo i sensi di colpa erano diminuiti quando si era resa conto di aver esagerato con le lucine e le ghirlande. L’appartamento, situato nel cuore della città, l’aveva accolta calorosamente. I colori pastello delle pareti e degli arredi la invitavano ad entrare senza paura e la facevano sentire a casa, ricordandole le tinte chiare del suo piccolo studio londinese. La stanza che preferiva era il salotto, non troppo grande, ma arredato come lei avrebbe fatto. Un’intera parete era occupata da librerie, colme e pesanti: non sarebbe riuscita a leggere neanche uno di quei libri lì disposti ordinatamente, ma adorava osservarli durante le pause dal lavoro. La lontananza non le impediva di contribuire alla fitta mole lavorativa che aveva lasciato a casa e nel suo ufficio, cercava di tenere tutto sotto controllo, la sua mente occupata. C’erano momenti, durante la giornata, in cui d’improvviso veniva assalita dalla consapevolezza che Harry fosse lì, forse poco distante da lei, ma nella sua stesa città. Voleva correre via, si sentiva prendere dal malessere in quella casa tanto grande e si diceva che non poteva succedere, non ancora, almeno non a ancora per lui. 
Trascorreva le giornate secondo una routine che aveva prefissato appena arrivata, cercando di unire la giusta produttività all’organizzazione ed al riposo. Un po’ come un automa, Livia cercava di focalizzarsi sull’arrivo della sua famiglia, sulla cena di Natale che avrebbe voluto organizzare da sempre. A questo alternava il lavoro e le chiamate con Londra, raramente ascoltava la radio, la musica o la televisione. Era tutto un sottofondo ai suoi giorni d’impegno e solitudine, che tuttavia cercava di mascherare, solamente per se stessa e per le sue e solamente sue convinzioni. Non cercava Harry quando passeggiava, ma sperava silenziosamente e di nascosto dalla sua mente, di incontrarlo per caso, di invitarlo per un caffè e di parlare con lui come se nulla fosse successo. La sua codardia la stupiva, la consapevolezza la assaliva ogni sera, mentre cenava da sola e leggeva le notizie. Inciampava nelle sue foto per la città, lo vedeva felice, sembrava rilassato e nuovamente tornava a desiderare di non incontrarlo, sperava di poter fuggire. Si interrogava e chiedeva a se stessa quanto in realtà valesse la pena sentire simili sensazioni, provare tali emozioni da dover mentire alla sua stessa persona. Perché la paura, perché lo spavento, perché le corse ed i pianti in taxi. Tutto la tormentava e le domande la assalivano. 
Preferiva camminare in casa a piedi scalzi, profumava ancora delle pulizie effettuate prima del suo arrivo e del diffusore che aveva comprato il primo giorno e posto all’ingresso. Quando saliva le scale, le piaceva immaginare di accedere ad un piano sempre nuovo, in quella casa così grade ogni giorno poteva scoprire delle novità interessanti che quotidianamente la rallegravano. Quando scendeva le scale, lo faceva in punta di piedi ed in quel suo modo di fare rivedeva la bambina che era in sé, lontana da lei da molto tempo. Amava la nuova cucina, le pareti gialle ed i mobili in legno, le rifiniture delicate e precise che avrebbe osservato per ore. Si aggirava tra quelle mura curiosa e sempre pronta a scoprire dell’altro, perché incredibilmente c’era qualcosa ad aspettarla ogni volta, cogliendola di sorpresa. 
Aveva lasciato alcune delle sue valigie ancora chiuse, decidendo di vivere con il solo ausilio del borsone in quei primi giorni nell’Upper East Side – suonava così Blair Waldorf quando ne parlava ai suoi amici, lo riconosceva ed un po’ se ne vergognava. Si rese conto di poter utilizzare quei vestiti per molto più a lungo e si domandò il motivo per cui avesse portato con sé altre due valigie. “Non hai la lavatrice, Livia, e non sei in grado di stirare senza bruciare un panno.” Ricordava a se stessa. 
Decise di aprirle e svuotarle per riempire l’armadio, affascinata dall’idea che per più di due settimane quella sarebbe stata la sua casa. Se i suoi vestiti erano nell’armadio, era automaticamente e senza alcun dubbio casa sua: era una regola che aveva stabilito negli anni, trasferendosi continuamente. Ripose ordinatamente le sue Louboutin sul pavimento, accanto al tappeto posto ai piedi del letto. Decise di lasciarle lì per contemplarle ogni tanto – le scarpe erano una sua personalissima debolezza e per quelle decolleté nere Livia aveva un noto batticuore. Tristemente non trovò il suo abito rosso, quello era stato riconsegnato all’atelier che glielo aveva lasciato in prestito per la cena, con tanto di bigliettino di ringraziamento. Sistemò ordinatamente ogni cosa, trascorse tre quarti d’ora impegnata in quell’attività terapeutica e rilassante. 
Trovò il maglione natalizio di Harry sul fondo della sua seconda valigia. Perse un battito, fu a disagio con se stessa per diversi minuti, tutti quelli trascorsi ad osservarlo senza muoversi, non ascoltandosi e cercando di annullarsi. Non voleva sentire nulla, ma quel maglione le aveva ricordato molto più di quello che volesse. In pochi istanti le tornò in mente il Natale passato, trascorso con Harry nella sua casa materna. Anne gli aveva confessato quanto le mancasse e lui l’aveva convinta a raggiungerli per pochi giorni. Il maglione sedeva indisturbato sul fondo della valigia, guardava Livia timidamente e lei ricambiava allo stesso modo il suo sguardo. Non era di certo intimorito, era Livia ad essere spaventata. Sollevò lo sguardo dal pavimento, prese il cellulare e lo fece voltare fra le sue mani, vi picchiettò un ritmo immaginario con le dita mentre a piccoli passi percorreva la camera. 
Scattò una foto, l’allegò ad un messaggio ed al suo indirizzo, col suo nome. Inviò, senza ripensamenti. 

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Capitolo 9
*** IX ***


24 Dicembre
 
Non poteva odorare la cannella, ma poteva udire il focolare scoppiettare, in casa poteva provare emozioni simili a quelle Parigine, nonostante fosse ancora sola e la casa fosse perfettamente in ordine, senza chiasso e musica ad alterarne la perfezione. 
L’appartamento era stato decorato da Livia con dedizione ed impegno. Aveva deciso di mantenere un solo tema, scegliendo il bianco come colore predominante – avrebbe reso la casa in perfetta armonia con l’esterno sommerso dalla neve. Completò l’allestimento la mattina della Vigilia di Natale, poche ore prima dell’arrivo della sua famiglia ed il resto dei suoi ospiti.
Il corrimano era cinto da una folta ghirlanda verde, a sua volta decorata con lucine gialle ed intermittenza – Livia le aveva impostate in modo che si accendessero e spegnessero lentamente, senza dare troppo nell’occhio. Aveva aggiunto dei piccoli fiocchi rossi seguendo la trama delle lucine ed insieme avrebbero guidato gli ospiti al piano superiore per il bagno e le camere, in caso di estrema necessità. Aveva disposto, rispettivamente, un pinguino, un orso polare, una renna ed un Babbo Natale di pezza alla base delle scale, davanti alla porta che conduceva alla seconda rampa, e davanti alle porte. Si consolava pensando che avrebbe donato tutte quelle decorazioni, aveva speso fin troppo tempo e denaro, ma non se ne pentiva se c’era quel pensiero a consolarla. L’albero di Natale era posizionato accanto al pianoforte, all’ingresso. Sperava che qualcuno sapesse come suonarlo, sarebbe stato un momento memorabile nella sua nuova casa – affittata. Era decorato con palline rosse e dorate, ornato da festoni e fiocchi bianchi. Lo guardava con una certa punta d’orgoglio e si vedeva in piedi accanto ad esso ad accogliere i suoi ospiti. Il soggiorno e la libreria avevano ricevuto attenzioni speciali, con ghirlande e candele ad illuminarle. C’era una grande ghirlanda anche sul portone d’ingresso, decorata con fiocchi rossi. Era stata la prima cosa che i suoi genitori avevano notato non appena le porte dell’ascensore si erano aperte, lasciando modo ai loro occhi di posarsi su di essa ed osservarla stupiti. Non era la sua bellezza ed eleganza, ma il semplice fatto che fosse tutto ad opera di Livia e di nessun’altro ad ammaliarli. Non era mai stata una persona creativa ed incline a decorazioni sfarzose, ma aveva imparato ad amare il Natale dopo il primo trascorso in Inghilterra, nel suo studio Londinese. Di conseguenza non aveva potuto fare a meno di portare con sé a New York lo spirito inglese che l’aveva contagiata. Con lei c’era anche il suo maglione natalizio, ma lui non le aveva risposto e Livia aveva continuato ad ignorare il senso di disagio che provava ogni volta che lo vedeva piegato sulla sedia ai piedi del letto. Aveva reagito a quel rifiuto decorando la casa al meglio, per se stessa, per i suoi ospiti e per la convinzione che prima o poi avrebbe bussato alla sua porta chiedendole il maglione piegato sulla sedia ai piedi del letto. Simili pensieri patetici le offuscavano la mente quando doveva rimanere lucida, specialmente davanti alla sua famiglia.
Fece un ultimo giro della casa prima di una lunga doccia calda, prima di prepararsi e presentarsi al suo pubblico come una perfetta padrona di casa – affittata. 
 
“Che bella casa che hai trovato, Livietta.” Il papà teneva fra le mani un bicchiere di spumante, elegante e posato. Livia gli sorrise e gli accarezzò una guancia prima di rispondere. 
“Grazie, papà. C’è parte del mio lavoro dell’ultimo anno in questa casa, ne sono molto gelosa.” Gli pizzicò la guancia e si allontanò per controllare la cena, in forno. Gran parte degli ospiti era già arrivata, alcuni affollavano il soggiorno, altri la cucina nel tentativo di aiutarla con la cena che aveva deciso di ultimare in totale autonomia.
“Io ne sarei molto fiera.” Sua madre si avvicinò a lei e sorrise dolcemente, sistemandole una ciocca di capelli dietro le spalle, lasciando che i suoi ricci sfiorassero la stoffa vellutata del suo abito rosso. Livia ricambiò il suo sorriso affettuoso e subito venne stretta in un caldo e forte abbraccio, fatto d’amore e braccia materne, incredibilmente accoglienti. 
Si guardava attorno fieramente e gelosamente, esattamente come le aveva suggerito la mamma e come lei stessa aveva confessato a suo papà. Tutto quello era opera sua e non esitò ad annunciare un brindisi in onore di quella serata. Tutti si unirono, anche il suo collega seduto al piano ed improvvisatosi pianista. Li guardava tutti con grande riconoscenza, un sorriso dolce in volto, le sue labbra pitturate di rosso dimostravano tanta serenità, così diritte all’insù. E tutti ricambiavano il suo sorriso, lieti e grati per una personalità simile, quella dolce e sincera di Livia. 
 
Harry aveva certamente ricevuto il messaggio, visualizzato il messaggio ed ignorato il messaggio, non prima di aver segnato il suo indirizzo nell’agenda ed aver deciso di ignorare anche questo. Sei qui a New York, in questo costosissimo-ma-non-per-te albergo tutto solo, Harry, perché Livia non pensa ne valga la pena di lottare per voi due ed ha deciso di partire per New York da sola. Quei pensieri tanto stolti gli provocavano inspiegabili ed incurabili mal di testa, cercava di evitarli e di arrovellarsi tanto su domande così faticose. Nei giorni successivi alle registrazioni, al lavoro ed alle interviste, Harry aveva deciso di prendersi cura di se stesso, inaugurando così uno dei propositi per il nuovo anno con qualche giorno in anticipo. Fiero di se stesso, aveva mantenuto un ritmo costante diligentemente, fin quando il giorno della Vigilia di Natale si era ritrovato completamente solo, senza alcun impegno. Oh, gli inviti strabordavano e la sua casella delle e-mail da leggere era colma ed esausta. Tutti volevano Harry Styles a Natale, ma evidentemente Harry Styles non voleva nessuno di tutti loro con lui. Si svegliò di cattivo umore e cercò di allontanare quella sensazione correndo, poi nuotando e finendo per trascorrere l’intera mattinata in palestra. C’era qualcosa che poteva pur funzionare sul suo umore precario, semplicemente non riusciva a trovarlo, forse aveva il suo indirizzo, ma preferiva tenerlo in agenda ed ignorarlo.
Da quanto tempo sei cosi orgoglioso?, si chiese, guardandosi allo specchio, un solo asciugamano legato in vita ed il petto nudo e gocciolante. Cercava motivazioni reali, non voleva limitarsi a definizioni come “sei uno stupido”, “sei un bambino”, “sei infantile”, “sei sostenuto”, perché erano etichette facilmente adattabili su ognuno e molte volte si erano adagiate scomodamente accanto al suo nome. Andiamo, perché tutto questo orgoglio, Harry? Posò le mani sullo specchio, la fronte contro di esso ed inspirò profondamente. Per niente al mondo avrebbe desiderato una punta d’orgoglio nel suo corpo, avrebbe fatto qualsiasi cosa per liberarsene, se solo fosse stato in grado di muoversi ed uscire da quelle quattro mura che ormai erano per lui un rifugio insicuro. Guardò ancora una volta la stanza spoglia da qualsiasi addobbo, la neve che cadeva lente al di là della finestra e le decorazioni che ornavano bar, ristoranti e negozi. Avrebbe trascorso il giorno pattinando al Rockefeller Centre, sicuro dell’assenza dei giornali e dei fotografi, ma Livia non era con lui e non aveva mai amato pattinare da solo. Se fosse caduto, nessuno avrebbe riso per poi risollevarlo. Uscì, i capelli ancora bagnati sulla nuca ed un cappellino scuro a ripararli dal freddo. In mano, la sua agenda. 
 
Era da poco scoccata la mezzanotte, New York festeggiava il Natale e la neve la ricopriva lentamente, dolce e silenziosa. La casa di Livia profumava di cioccolata calda e dolci alle noci, quelli che sua mamma aveva portato per lei dall’Italia. L’aria calda ed accogliente era palpabile in ogni angolo di quella casa e nessuno era da solo, tutti parlavano animatamente e gioiosamente, e lo sguardo di Livia si posava su ognuno dei loro volti felici, serenamente. Tutto procedeva ordinatamente, secondo le sue modestissime aspettative. I suoi colleghi inglesi avevano apprezzato la sua cena più di quanto potesse immaginare, mentre sul successo delle bevande non aveva avuto dubbi. La mamma era rimasta al suo fianco per tutta la durata della cena, aiutandola, ma non soffocandola. Livia le doveva anche quello, ogni cosa e ne era pienamente riconoscente. Il fatto che non l’avesse lasciata neanche per un istante, dal momento in cui era entrata in quella casa al momento in cui ne era uscita, le aveva scaldato il cuore per tutta la serata ed aveva distolto la sua mente da pensieri superflui.
Prese le loro giacche dalla sua stanza, il suo sguardò inciampò nel maglione, ma scese velocemente le scale per vedere i genitori che la aspettavano sulla porta. Li aiutò, li attese mentre finivano di prepararsi e li strinse quando furono pronti a salutarla verso l’indomani. 
“Thomas ha dimenticato qui il suo zaino, sta tornando a riprenderlo.” Bloccò il cellulare e si avvicinò alla porta non appena sentì il campanello suonare. 
Harry stava in piedi sulla soglia della porta, il naso rosso e le labbra dello stesso vivido colore. Guardava Livia senza battere ciglio, provando un forte disagio alla vista dei genitori alle sue spalle, che per diversi istanti lo tentò a voltare i tacchi andarsene. 
“Harry?” Livia si avvicinò a lui, socchiudendo la porta alle sue spalle. 
“Livia” sputò fuori, quasi urlando, la ragazza davanti a lui aggrottò un sopracciglio “Livia” ripeté, più calmo “Livia, sono… sono ancora in tempo?” la porta alle spalle di Livia si aprì, timidamente ne uscirono i genitori, salutando entrambi. 
Livia attese che fossero sufficientemente lontani, poi senza parlare lasciò ad Harry spazio per entrare. Il calore lo investì immediatamente, come una folata di vento caldo sul volto ed i suoi occhi balzarono su ogni decorazione, luce, pupazzo di stoffa, prima di fermarsi su Livia, che silenziosamente lo osservava. Il suo sguardo rimase su di lei più a lungo e le sue pupille verdi si spostarono lentamente sul suo corpo, soffermandosi sulle curve messe in risalto dal velluto rosso e finirono sul suo volto, evitando il suo sguardo interrogativo. 
“Vuoi darmi la giacca?” Livia si avvicinò a lui, le mani le tremavano a mezz’aria, ad un passo dal suo corpo. Posò i polpastrelli attorno al suo braccio, lo accarezzò col pollice. Si fermarono entrambi in quel momento, Harry le circondò il polso e la avvicinò a sé.
“Harry” lo richiamò, stringendo ulteriormente le dita attorno al suo braccio “Harry” Gli sollevò il volto, stringendolo nella sua mano “che ci fai qui, oggi?”
“Non volevo stare con nessun altro” deglutì “posso stare con te?”
Livia non lo lasciò parlare ancora, si fece più vicina alla sua bocca e lo baciò. Le braccia di Harry la cinsero immediatamente, stringendola forte al suo corpo, quasi a volerne imprimere la forma sul suo. 

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Capitolo 10
*** X ***


Si erano addormentati entrambi sulla poltrona accanto al camino, Livia era stretta fra le sue braccia e teneva le mani sul suo petto, dove era più facile sentirlo alzarsi ed abbassarsi. Harry l’aveva vista addormentarsi mentre continuava a raccontargli della giornata trascorsa e di come la sua cena fosse stata un successo al quale, gli aveva ripetuto più volte, avrebbe potuto assistere se solo si fosse presentato prima. Non riuscì a ribadirlo ancora, si era addormentata e lui si era accertato che niente la disturbasse, neanche la sua presenza. Cercando di alzarsi e portarla al piano superiore, l’aveva svegliata e per evitare che potesse ripetersi aveva trascorso la notte scomodamente seduto su quella poltroncina, mentre Livia gli respirava sul collo. Alla fine, aveva ceduto alla stanchezza, riposato anche lui senza svegliarsi per diverse ore, fin quando un forte rumore lo fece balzare dallo schienale, quasi cadere dalla poltrona. Livia non era più sulle sue gambe e fra le sue braccia, ma poteva essere certo del fatto che, almeno quella volta, lei non fosse andata via. La vide entrare sommessamente nel soggiorno, fra le mani teneva un vassoio di legno, sul quale a prima vista individuò dei cornetti e del caffè. Non appena lo notò sveglio si scusò con lo sguardo, posò il vassoio accanto alla poltrona e si avvicinò a lui.
“Scusami, non volevo svegliarti Harry.” Lui scosse il capo, la avvicinò a sé sfiorandole la guancia con i polpastrelli. Lo guardò arrossendo prima di chinarsi ulteriormente sul suo volto e baciarlo sulle labbra. Si scansò subito dopo, Harry ancora la guardava e le accarezzava la guancia.
“Buongiorno, Livia.” Sussurrò, divertito dalla sua incredulità nel pronunciare quelle parole dopo una notte trascorsa con lei. Un sorriso genuino gli apparì sul volto, Livia lo guardava senza farsi troppe domande, godendosi quegli attimi che sapeva bene essere precari – a causa di entrambi. 
Si era addormentata senza rendersene conto, appena aperto gli occhi si era ritrovata fra le sue braccia ed aveva sentito la paura salirle sullo stomaco. Harry dormiva sereno accanto a lei, entrambi avevano i loro vestiti addosso, decise di alzarsi, preparare la colazione per calmarsi, lasciandolo solamente dopo aver impresso vividamente la sua immagine nella sua mente e memoria. Temeva se stessa ed i suoi pensieri in quei momenti, il passato ed i risvegli insieme. 
Ricordava quel giorno vividamente nella sua mente e spesso, quando le tornava alla memoria senza che lei lo richiamasse, doveva mandarlo via scuotendo il capo o pizzicandosi, concentrandosi su altro pur di lasciarlo andare. Si era svegliata credendo di dormire ancora sul suo petto, cercando non appena aperti gli occhi il suo corpo fra le coperte. La camera d’albergo era vuota, ogni traccia di Harry cancellata da lui stesso. Aveva pianto stretta fra le coperte dopo aver letto le sue parole scritte su un post-it e non appena trovata la forza era uscita da quella stanza il più velocemente possibile, cercando di cancellare ogni traccia di quella notte dal suo corpo e dalla sua memoria. La prima volta che Harry l’aveva invitata a Los Angeles le trattative per la casa erano ancora in corso ed avevano alloggiato per una sola notte in albergo. Fra quelle quattro mura avevano trascorso una delle migliori notti della loro vita, fino a quel momento l’unica senza ripensamenti da parte di Livia. Sopraffatta dalle emozioni, gli aveva confessato anche la più piccola che sentiva, finendo poi per dichiarare un sentimento che fino a quel momento aveva ritenuto più grande del suo corpo – era ancora più minuto fra le braccia di Harry. Si era svegliata sentendo freddo, lasciata nuda dal suo corpo che era fuggito via dalla porta davanti a quelle dichiarazioni che reciprocamente non avevano esitato a rilasciare. 
Quando Harry la vedeva accanto a lei, il mattino dopo, la svegliava con un sorriso disteso sul volto rilassato, la viziava con gesti dolci e Livia si crogiolava in quelle attenzioni con moderazione. La convinzione che Livia lo avesse perdonato lo lasciava spensierato per diversi attimi, ma poi i sensi di colpa tornavano ad affollargli la mente e non poteva fare a meno di continuare con quel suo atteggiamento per farli andar via. 
Entrambi riconobbero i rispettivi pensieri nel silenzio della colazione, fu Harry – Harry ed i suoi sensi di colpa – ad interromperlo.
“Andiamo a pattinare oggi?” Livia sollevò lo sguardo dalla tazza di caffè stretta nelle sue mani, gli occhi grandi si puntarono su di lui ed un’espressione divertita le si dipinse sul volto. 
“Ho paura, non l’ho mai fatto ed il mio equilibrio è precario, Harry.” Rise, tornando a bere e scuotendo il capo, categorica. 
“Vuoi dirmi che ti rifiuti di pattinare a New York il giorno di Natale?” si avvicinò a lei, le sollevò il volto con l’indice “Al Rockefeller Centre.” Specificò con enfasi. 
“Ti dico che non voglio rompermi una gamba prima del nuovo anno!” esclamò, ancora divertita, rannicchiandosi contro la poltrona e scansando la mano di lui dal suo volto. 
“Non accadrà!” le strinse la mano e Livia non riuscì a trattenere una risata al suo atteggiamento insistente “Ti tieni al corrimano, ti tengo io.” Fece intrecciare le loro dita, Livia le guardò per alcuni istanti, poi spostò lo sguardo sul suo volto impaziente. 
“Se mi rompo una gamba mi paghi tu le spese mediche.” Affermò, giocando con le sue dita. Harry le accarezzò con i polpastrelli, le graffiò e tornò a stringerle. 
“Poi mi prendo anche cura di te quando sarai ferma ed immobile al letto.” Sorrise, ma lei abbassò lo sguardo. 
“Dipenderà dalla mia voglia di vederti, dopo avermi convinta a farlo e cadere.” I loro volti si sollevarono insieme, i loro sguardi si scontrarono, entrambi sorrisero insieme. Harry scosse il capo, poi si avvicinò ancora per premere le labbra sorridenti sulle sue dischiuse. 
 
L’affluenza era minore rispetto agli altri giorni, ma la magia nel centro della città era indubbiamente maggiore. New York sembrava racchiusa in un’enorme palla di vetro scossa da un bambino ad ogni fiocco di neve, Livia la guardava incantata ed Harry si sentiva sereno ed a suo agio in quella città come poche volte era accaduto. Camminavano l’uno accanto all’altro, le mani sparate da uno soffio di vento freddo, le loro ombre a tratti si univano ed uno dei due sorrideva notandolo. 
Giunti a destinazione, era ben evidente chi fra i due fosse il più entusiasta ed il fatto che non facesse nulla per mascherarlo divertiva Livia incredibilmente. L’aveva aiutata ad indossare i pattini, poi aveva pensato ad i suoi mentre lei lo attendeva seduta e tremante, nel vano tentativo di riscaldare le mani. La guidò in pista tenendone una fra le sue, mostrando un equilibrio perfetto, ma Livia continuava a tremare fra le sue braccia. 
“Non hai dei guanti?” le chiese preoccupato, entrambi si avvicinarono al corrimano prima di riprendere a muoversi. 
“Li ho dimenticati” sollevò le spalle, perse l’equilibrio ed Harry la strinse velocemente “posso pattinare senza.” Si voltò verso di lui e sorrise per rassicurarlo. Tornò a fronteggiarlo, lui la attirò più vicina a sé. 
“Vieni” sfilò entrambi i guanti “tieni.” Glieli porse, allontanandosi dal resto delle persone, per fare in modo che lei li indossasse.
“No!” glieli restituì velocemente “Sono tuoi, Harry.”
“Vogliamo fare uno per uno?” le porse un singolo guanto, la vide sorridere “Pari.” Sorrise anche lui quando lei lo prese per indossarlo. 
“Grazie.” La avvicinò nuovamente, prendendo la mano libera dal guanto nella sua più calda ed avvicinandola al suo corpo mentre la guidava, lasciandola occasionalmente. 
“Vieni qui, tieniti a me, non voglio che ti rovini sul ghiaccio.”
“Lo temi anche tu, sei un bugiardo.” Si voltò verso di lui e gli pizzicò il braccio, nonostante fosse piuttosto sicura che per lo spessore dei vestiti non avrebbe potuto avvertire alcun fastidio. La guardò divertito e continuò a muoversi per poi raggiungerla, fermandosi davanti a lei. 
“Devi venire alla mia festa per Capodanno, Livia.” La avvicinò a sé tenendola per i fianchi, Livia lo ascoltò prima di ribattere e scuotere il capo. 
“Harry, ci saranno tutti.” Mormorò stringendogli le braccia. 
“Devi esserci anche tu, Livia.” Deglutì “La sera ed il mattino dopo.”

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Capitolo 11
*** XI ***


Quando lo staff del The Roof era stato contattato dal segretario personale di Harry Styles, aveva impiegato qualche minuto a realizzare che non fosse uno scherzo. Harry Styles voleva veramente organizzare un party per l’ultima notte dell’anno nel suo locale ed i suoi collaboratori lo chiamavano per verificare la disponibilità ed iniziare a fornire le indicazioni necessarie. Harry era stato categorico ed intransigente sull’arredamento, l’allestimento ed il menu: si era rivelato un vero e proprio tour de force per tutti i suoi assistenti, ma per lui in primo luogo, raramente le compagnie lo prendevano sul serio quando chiamava per informazioni e doveva spesso recarsi lì di persona per confermare la sua identità. Tuttavia, il risultato era stato tutt’altro che deludente e, a poche ore dall’inizio della festa Harry poteva già dirsi soddisfatto del risultato. Era arrivato sul luogo dell’evento con un netto anticipo, non voleva perdersi l’allestimento ed aveva collaborato lui stesso alla decorazione di alcune delle zone del locale. Prestando maniacale attenzione al completo che indossava, aveva preparato il photobooth – lo preferiva fra tutti i piccoli angoli diversamente allestiti. Aveva disposto le polaroid sulla tovaglia dorata e tutt’attorno aveva intrecciato delle lucine multicolore; era così eccentrico, lo adorava. Aveva sparso sul tavolo molteplici ricariche per le fotografie istantanee, sistemato disordinatamente dei pennarelli per indicare la data su ognuna delle fotografie, poi si era allontanato per osservare il risultato, soddisfatto. 
Si avvicinò al vetro della finestra, guardò in basso, senza paura. Poi si voltò ed osservò quello che lo circondava, la paura di un possibile fallimento si fece da parte, lasciando spazio alla fierezza e l’impazienza per l’arrivo degli ospiti. 
 
La ricerca dell’abito perfetto si era rivelata futile e le aveva portato via più tempo di quanto avesse previsto. Livia aveva cercato con affanno cosa indossare per potersi sentire al pari con il resto degli ospiti – sull’elenco di Harry aveva letto solamente grandi nomi ed aveva deciso di chiuderlo prima che l’ansia potesse mangiarla. L’aveva tranquillizzata, rassicurata, dicendole che qualsiasi cosa avrebbe messo non avrebbe cambiato il modo che gli altri avrebbero avuto di guardarla. Le aveva detto, staremo insieme tutta la sera, ti guarderanno comunque e probabilmente alla maggioranza non piacerai solo perché mi starai vicina, l’importante è che tu piaccia a te stessa. Non vuoi che piaccia un po’ neanche a te?, gli aveva chiesto. Lui aveva sorriso e scosso il capo, infondo sapeva benissimo che non avrebbe mai indossato nulla che non rispettasse i suoi gusti. Aveva raccolto informazioni necessarie per poter decidere, principalmente chiedendo quale sarebbe stato il tema o il colore predominante. Oro, le aveva detto e Livia aveva, da quel momento, eliminato qualsiasi altro colore dalla sua mente, focalizzandosi sull’eccentricità e l’appariscenza. Sfortunatamente quelle due qualità non la caratterizzavano affatto, non la definivano e non facevano per lei. Dopo giorni di dubbi, chiusa in casa, seduta sulla poltrona e fissa davanti al suo laptop, aveva deciso di lasciare casa ed uscire e cercare l’abito di persona. Abito? Forse dei pantaloni sarebbero stati più appropriati, se qualcuno avesse scattato una fotografia di loro due non avrebbe voluto vedersi mezza nuda e stretta in un fazzoletto di stoffa.
Lasciò da parte quei pensieri, da soli svanirono davanti ad una vetrina elegantemente allestita, non lontana da casa sua. L’abito dorato guardava Livia, lei ricambiava il suo sguardo dubitando della sua bellezza. Era bastato notare la lunghezza per convincerla ad entrare nel negozio. Ignorando le molteplici vocine nella sua testa, lo provò e si guardò nello specchio soddisfatta. I dubbi e la fatica si erano fatti da parte, l’affanno era svanito nel momento esatto in cui aveva osservato la sua figura nello specchio. Era la mattina dell’ultimo giorno dell’anno, Livia aveva il suo vestito in tempo. 
 
Livia entrò quando nessuno degli ospiti era ancora arrivato, Harry era al centro del locale e salutava alcuni degli ultimi aiutanti pronti ad andarsene. Rimase in disparte, attendendo che lui si accorgesse di lei, nel frattempo persa ad osservare il lavoro meticoloso che aveva realizzato, provando solamente ad immaginare l’impegno impiegato. La cura maniacale per i dettagli la stupì dal primo istante, era impressionante sia all’interno che all’esterno. I colori, le rifiniture e la decisione di un arredamento novo per una sola notte, l’occhio e la mano di Harry erano inconfondibili. Chi avrebbe curato così tanto l’esterno, date le temperature newyorkesi ed il costante rischio di una nevicata, se non lui? Accanto all’entrata notò le polaroid ed il resto del tavolino allestito per il photobooth con parrucche, maschere e numerosi altri accessori. Si avvicinò silenziosamente, per quanto fosse possibile dato le Louboutin ai suoi piedi e ne prese una fra le mani. Cercando ancora di rimanere in incognito, si fece più vicina ad Harry, ancora al centro della stanza, di spalle. Scattò una foto non appena lui si voltò verso di lei, incredulo e con un sorriso felice sulle labbra.
“Livi.” Si avvicinò a lei e le accarezzò una guancia mentre tenevano entrambi il volto chinato in attesa del risultato della fotografia appena scattata. Non appena fu emessa dalla macchinetta, Livia la prese entusiasta, sventolandola davanti ai suoi occhi ed al suo volto sorridente e divertito. 
“Harry!” esclamò, indicandolo sulla pellicola. Una delle sue mani gli scompigliò i capelli sulla fronte, lui la mosse via, ora meno divertito. Avvicinò Livia a sé e premette la bocca contro la sua. 
“Non toccarmi i capelli” parlò sulle sue labbra, prima di allontanarsi e prenderle una mano “fatti vedere” la fece ruotare su se stessa, scuotendo il capo “sei splendida.” Sussurrò, lei arrossì e distolse lo sguardo. Il vestito le stringeva la parte superiore del corpo, cadendole morbido lungo le gambe e sfiorando il pavimento. La luce che emanava non lasciava indifferenti, Harry ne era rapito e la guardava colpito. Si avvicinò lentamente a lei, ma lo bloccò prontamente. Posò una mano sul suo peto scoperto dalla camicia, gli accarezzò il collo e si posò sulla sua guancia. Col pollice gli pulì via il rossetto dalle labbra.
“Non baciarmi, mi odieranno ancora di più.” Sussurrò. 
 
L’arrivo degli ospiti si era rivelata una vera e propria sfilata, una gara al vestito migliore alla quale Livia aveva assistito spaventata e divertita. Nessuno la guardava con particolare attenzione, se non gli occhi di Harry costantemente puntati su di lei. Li sentiva e la rassicuravano, anche quando uno sconosciuto si avvicinava a lei ed iniziava a parlarle – solamente dopo qualche battuta la sua personalità si rivelava ai suoi occhi e Livia tentava di continuare la conversazione ignorando il fatto che davanti a lei ci fosse il direttore di una notissima rivista di moda. C’erano personalità note anche a lei, ma le evitava e quando vedeva Harry parlare loro con tanta calma, si stupiva del suo autocontrollo. Quel mondo era così grande e dispersivo, confusionario, la confondeva e la ammaliava allo stesso tempo. La disinvoltura con cui due persone potevano passare del ridere all’odiarsi in pochi attimi la stupiva, osservava tutti tanto silenziosamente ed in disparte da potersene accorgere senza che loro la notassero. 
Vide entrare una ragazza di cui ignorava il nome, ma la cui immagine le era nota, tanto era sparsa per tutta la città. Harry la accolse calorosamente, la strinse in un abbraccio e le accarezzò le spalle non appena si allontanarono. Lei lasciò tracce del suo rossetto sulla sua guancia, dopo un bacio lì premuto con tanta enfasi – Livia strinse le mani attorno al bicchiere. Le fu impossibile udire qualsiasi cosa si stessero dicendo, ma poté notare una felicità non mascherata sul volto di Harry alle parole di lei. 
“Camilla” sussurrò una voce sconosciuta alle sue orecchie “è una sua cara amica.” Livia si voltò ed un volto noto le era tanto vicino da sfiorare il suo. 
“Se continuerai a guardarli così si consumeranno, non scopano più stai tranquilla, sono entrambi sul mercato!” Esclamò, si voltò e camminò via ancheggiando. Livia stringeva il bicchiere fra le mani, gli occhi le pizzicavano leggermente e sentiva i brividi ricoprirle le braccia. Si liberò le mani sul primo vassoio che incontrò, poi uscì sul terrazzo, ignorando la musica che risuonava insopportabilmente alta all’interno. 
Harry aveva perso d’occhio la figura di Livia da pochi istanti, ma già la cercava affannandosi fra la folla. Veniva fermato da chiunque incontrasse, era costretto a fermarsi, ascoltarli, ma finiva per liquidarli con pochissimi minuti. Si chiedeva dove fosse, se fosse stata tanto sconsiderata da mettersi all’aperto. Sedeva su un divanetto, accanto a lei delle persone di cui lui non ricordava il nome. La riconobbe dall’abito, le dava le spalle e credeva che i suoi occhi curiosi fossero fermi sullo skyline della città. 
“Livia” posò una mano sulla sua spalla coperta “che ci fai qui?” lei si voltò, sbatté le palpebre e mise a fuoco il suo viso, vicinissimo al suo. 
“Harry” mormorò a disagio “guardo” deglutì “guardo fuori, dentro c’è troppa confusione.” Parlò sommessamente e gli strinse la mano sulla sua spalla, prima di allontanarla. 
“È normale che ci sia, è una festa, dai, torna dentro.” La guardò, porgendole la mano, ma non vedendola reagire si sedette accanto a lei. 
“Cosa c’è?” le chiese, facendosi più vicino al suo corpo ed accarezzandole delicatamente il tessuto del vestito. 
“Chi è Camilla, Harry?” sussurrò, guardandolo dritto negli occhi.
“Un’amica, Livia.” Rispose tranquillamente, ma sentendo già dentro di sé il nervosismo accumularsi. 
“Come me?” chiese con una nota sarcastica nella voce.
“No” parlò spazientito, verso il suo corpo infreddolito “perché vuoi sapere chi è Camilla?” le domandò a bassa voce, incredulo. 
“Perché” parlò sommessamente “perché sembravate così felici di vedervi.” Affermò, guardandolo negli occhi, senza paura. 
“È qui con suo marito, Livia.” 
“Harry.” Lo interruppe, prima di udire ulteriori giustificazioni che l’avrebbero solamente convinta ulteriormente a lasciare il locale e tornarsene a casa. 
“È incinta” sussurrò “e per quanto tutti volessero che fosse mio per provare che almeno una volta sono andato al letto con lei, sono felice di dirti che non lo è. Come diamine hai potuto credere a delle voci e non a me?” le domandò, ora arrabbiato, ed in piedi, lontano da lei. 
“Scusami, io… ero convinta che fosse davvero più di un’amica e che-” provò a replicare, alzandosi e raggiungendolo, ma lui era già ontano da lei. Cercò di afferrargli il braccio, Harry lo ritirò e si allontanò ulteriormente, non prima di sussurrarle accanto all’orecchio parole che la fecero rabbrividire. 
“Cosa, Livia? Allora non vuoi proprio capire nulla, assolutamente nulla, non riesci a capirlo, continui ad ignorarlo e ad ignorarmi?” la consapevolezza della sua debolezza colpì Livia forte nello stomaco e le riempì gli occhi di lacrime codarde che ignorò, rimanendo fuori, al freddo ed inosservata. Neanche gli occhi di Harry la guardavano più, non la rassicuravano più. 
 
La mezzanotte era vicina ed il nuovo anno con lei, la spaventava e la rasserenava, poteva lasciare tutto alle spalle il mattino dopo ed ignorare qualsiasi evento con la scusa plausibile che fosse rimasto chiuso nel passato e le fosse lecito ignorarlo. Tuttavia, decise saggiamente di lasciare la codardia nell’anno che si stava per concludere e di portare con lei ogni evento che con codardia aveva affrontato. La folla degli ospiti era riunita nel terrazzo, i camerieri distribuivano i bicchieri per il brindisi a chiunque vi accedesse. Livia ne prese due, cercando Harry nella mischia con gli occhi che balzavano veloci fra le figure lì riunite. Aveva sempre meno tempo ed in quel momento avrebbe voluto fermarlo, se solo avesse potuto. In quel momento ringraziò i brillantini sulla sua giacca e si avvicinò a lui, stringendogli il braccio.
“Harry.” Mormorò, strattonandolo.
“Non ora, Livia.” Tornò a parlare con chiunque avesse difronte, Livia lo ignorò e lo strattonò più forte. Fu costretto a voltarsi, Livia gli porse il bicchiere sospirando. Si avvicinò a lui tremando, Harry istintivamente le accarezzò le braccia. 
“Livia, perché?” sussurrò quando lei sollevò lo sguardo.
“Non voglio ignorarti ed ignorarmi, non più Harry.” Deglutì, posò una mano sulla sua nuca, gli strinse i capelli e scosse il capo. Harry si chinò sul suo volto, fece scontrare le loro fronti.
“Livia, non ripensarci domattina.”
“No,” sussurrò “neanche adesso, no, Harry” bloccò il fiume veloce di parole che le affollava la mente “è irrazionale e lo voglio così, senza cercare di spiegarmelo, non riuscendoci ed ignorandolo.” I suoi occhi si spostarono velocemente dal conto alla rovescia alle spalle di lui ai suoi occhi. Harry si chinò sul suo volto e fece scontrare le loro labbra prima che la mezzanotte potesse scoccare, nella confusione generale dell’arrivo del nuovo anno.
“Ti amo, come puoi ancora ignorarlo, Livia?”

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Capitolo 12
*** XII ***


Choose your words cause there's no antidote
For this curse
Oh, what's it waiting for?
Must this hurt you just before you go?
 
La neve scendeva silenziosamente, posandosi sul balcone ed accarezzando il vetro delle finestre, sul quale stavano poggiate delicate le mani di Livia, assorta nel panorama di fronte a sé. Poteva vedere la quinta strada in festa e le persone sorridere alla neve che cadeva sui loro volti, alzare sguardo ed occasionalmente incontrare il suo, curioso. Nel silenzio della stanza i suoi occhi curiosi cercavano il rumore al di là della finestra e venivano accontentati dalle luci instancabili della città. Con il capo poggiato al petto di Harry, cinta dalle sue braccia sulle quali posava le sue mani, Livia osservava la città svegliarsi e salutarla, salutare le persone in strada. Occasionalmente aumentava la stretta e socchiudeva gli occhi sentendo Harry ricambiare quel gesto. Poi si voltava, lo guardava dal basso dei suoi piedi scalzi e lo baciava a labbra chiuse, per tornare ad osservare cosa accadesse al di fuori della finestra.
“Ti amo, mi ami anche tu?”
 
Lasciare la festa si era rivelato più semplice di quanto avessero previsto, passarono talmente inosservati fra gli ospiti che nessuno si chiese, alla fine del party, dove fosse finito Harry e perché all’improvviso ci fosse qualcuno al suo posto perfettamente sobrio a salutarli sulla porta. Aveva chiamato Richard subito dopo la mezzanotte, cercandolo con affanno fra gli ospiti che affollavano la terrazza. Non c’era stato bisogno di molte parole, lui aveva capito e preso il suo posto e le redini della serata senza esitare. Lo staff seguiva diligentemente le sue indicazioni ed Harry lasciò il locale senza preoccupazione, con la mano di Livia stretta nella sua. 
Erano giunti in hotel poco prima dell’una del mattino, a piedi ed infreddoliti per le strade di una New York in festa. Harry camminava velocemente, tenendo Livia stretta a sé, impaurito che fra quella folla lei potesse sfuggirgli e sparire. Lei lo seguiva attentamente, rallentando quando il suo sguardo si fermava sulle persone sulla sesta strada, poi la quinta. Lui si fermava con lei, scambiavano auguri con persone sconosciute e tornavano a camminare per poi fermarsi, continuando così fin quando non giunsero al Plaza. Sembrava che li attendesse, maestoso e silenzioso, e che volesse aprire le sue porte a loro due, stretti l’uno all’altra ed impazienti di esserlo ancora per un po’. 
La Edwardian Suite li accolse già illuminata e riscaldata, pronta ad avvolgerli in un abbraccio che in poco li avrebbe sollevati dal freddo delle strade della città. Livia entrò per prima, Harry la seguì non appena si scansò dalla porta, solamente dopo aver dato uno sguardo d’insieme all’intera stanza. Posò le mani sulle sue spalle, fermandosi dietro di lei. Fece lentamente scivolare il cappotto lungo le sue braccia e la sua schiena, liberandola pazientemente dal capo che la teneva al caldo. Livia lo aiutò discretamente, continuando a curiosare con gli occhi negli angoli di quella stanza immacolata, volendo interrogarlo, ma non sapendo cosa chiedere. La schiena scoperta dal vestito si rivelò agli occhi di Harry candida più delle lenzuola che fasciavano dolcemente il letto, con le mani ancora ferme sulle sue spalle le si avvicinò e la baciò fra le scapole. Livia sobbalzò al contatto ed al contrasto forte fra i loro corpi. Si voltò verso Harry, la guardava senza chiedere nulla, era convinta che la osservasse silenziosamente aspettando una sua reazione a tutto quello. Scese dalle scarpe, facendosi ancora più vicina al suo corpo stante e maestoso. Teneva le mani lungo i fianchi mentre Livia lo liberava dal cappotto e gli accarezzava le braccia, poi gli sfilava la ciacca e sfiorava delicatamente con i polpastrelli il tessuto della camicia nera dagli intrecci dorati. La sensazione del tessuto le solleticava la pelle, continuava a muovervi i polpastrelli, salendo sul suo braccio, fino a raggiungere la spalla e stringerla per tenersi. Si sollevò sulle punte e fece scontrare le loro labbra, sentendo Harry ricambiare immediatamente, avvolgendo i palmi attorno alla parte bassa della sua schiena. La portò più vicina a sé, Livia posò la punta dei piedi sulle sue scarpe e gli cinse il collo con le braccia, portandolo il basso verso di sé. La bocca di Harry lasciò la sua e scese verso il collo, baciandolo freneticamente, fino a giungere alla scolatura del vestito, dove si soffermò con lentezza. Le sue mani ancora la stringevano, salirono lentamente verso i lati del suo seno e si fermarono lì, mentre quelle di Livia lo avevano liberato dalla camicia che ora giaceva a terra. Gli accarezzò velocemente il petto, tenendosi di nuovo alle sue spalle per posare numerosi baci sulle sue labbra, mentre invano tentava di sfilarle il vestito. 
“Harry” si scansò dal suo volto, accarezzandolo “si apre da dietro, non romperlo.” Sussurrò accanto al suo orecchio, voltandosi subito dopo. Camminò a passi lenti verso il letto, lui la seguì velocemente e posò i palmi ai lati del suo corpo non appena fu ferma. Livia teneva il volto chinato di lato per poter osservare Harry, quasi volesse spiarlo mentre la spogliava. Lo sguardo era fisso su di lei e concentrato sul suo vestito, i capelli gli scendevano disordinati sulla fronte. Le mani gli tremavano, tirò via i bottoni dalle asole con i polpastrelli e si allontanò per far scivolare il vestito lungo il corpo di lei. Partì dalle spalle e lo spinse verso le braccia, percorrendo la pelle di Livia con i palmi aperti, rimanendo poggiato alla sua spalla, accanto al suo collo che lambiva generosamente con le labbra aperte. Una mano di lei si strinse fra i suoi capelli, sollevandoli dalla sua fronte ed accarezzandoli quando le mani di lui la liberarono definitivamente dell’abito, oramai ai suoi piedi. Decise di non muoversi, avvertiva il petto di Harry abbassarsi ed alzarsi irregolarmente a contatto con la sua schiena e si lasciò andare contro di esso, socchiudendo gli occhi mentre i polpastrelli di lui le sfioravano il seno scoperto ed il ventre nudo, scendendo in basso oltre gli slip. La mano fra i suoi capelli si muoveva lentamente, avvicinando il volto di Harry al suo e baciandolo quando le loro labbra si facevano tanto vicine da essere impossibile resistere. Livia si voltò fra e sue braccia, Harry allontanò le mani da lei e le strinse entrambe sui suoi fianchi, sollevandola e portandola sul letto, Livia sistemò le gambe ai lati delle sue. Lui stava seduto e la guardava dal basso, lasciando baci rari sulla sua pelle che vedeva arrossarsi sempre di più. Le mani di Livia si mossero insicure sul suo petto, i suoi polpastrelli sfiorarono delicatamente il contorno della farfalla sul suo ventre, Harry fece scontrare le loro labbra e le sue mani scivolarono sul fondoschiena di Livia nel tentativo di portarla più vicina a sé, stringendola al suo corpo caldo. Sbottonò i pantaloni del completo e li abbassò oltre le cosce.
“Non romperli Livi, è Gucci.” Sussurrò divertito al suo orecchio. Entrambi risero e la tensione scivolò in quell’istante via dai loro corpi, lasciandoli allora più nudi di quanto già fossero. Livia finì dopo qualche istante sul materasso, lontana dal corpo di Harry impegnato a liberarsi dai pantaloni e dalle scarpe. Tornò velocemente su di lei, accarezzandole il volto facendo sfiorare i loro nasi. Entrambi socchiusero gli occhi ed assaporarono quel momento fra le labbra schiuse che si scontravano incessantemente, quando i loro bacini impazienti si toccavano e le loro dita si stringevano più forti sulla loro pelle. 
“Rimani qui, Livia, rimani qui con me.”
“Anche tu. Harry, io-” con un baciò sigillò silenziosamente quella promessa e velocemente la liberò dagli slip, non lasciandola concludere. Livia si strinse a lui nel fallace tentativo di soffocare gli ansimi provocati dalla mano fra i loro corpi, che cercava di allontanare. Harry le accarezzò la coscia nuda con l’altra mano, ed in quella distrazione Livia allontanò l’altra da lei, stringendogli il polso. Si chinò sul suo corpo e la baciò delicatamente, poteva avvertire il suo respiro regolarizzarsi sempre di più ad ogni bacio che posava sul suo petto. Le mani di Livia calarono i boxer lungo le sue gambe, Harry se ne sbarazzò velocemente e tornò sul suo corpo nudo. Entrambi si presero del tempo per osservarsi l’un l’altro. Livia gli accarezzava i capelli con i palmi tremanti, lo guardava dolcemente ed arrendevolmente, gli occhi liquidi e le gote arrossate. Non aveva molto a cui pensare, non c’era alcun ripensamento che potesse fermarla in quel momento e tutta la sua codardia sembrava essere sparita dal suo corpo, liberandola. Harry le sfiorava le gambe a mani aperte, passandovi delicatamente i polpastrelli ed avvertendo i brividi che si formavano al contatto con le loro pelli. Nessuno dei due cercava in nessun modo di coprirsi nonostante la luce emanata dalla piccola lampadina potesse rivelare più di quanto volessero per sentirsi a proprio agio. Gli occhi lucidi di Harry erano ben visibili, la luce gli illuminava il volto e si inseriva fra i suoi capelli. Tremava al solo pensiero di perderla ed ogni volta che lo assaliva, lo scacciava via con un bacio premuto forte sulla bocca di lei, pronta sempre a ricambiarlo e ad accogliere le sue labbra rosse e gonfie. Livia lo portò su di sé, abbassandolo verso il suo corpo e baciandogli le labbra, mozzandogli un respiro.
“Stammi accanto” sussurrò “stammi accanto, Harry.” Ripeté quando lui spostò lo sguardo sul suo volto preoccupato. Annuì debolmente e si chinò ancora. Le era tanto vicino da poter avvertire i loro respiri mischiarsi e scontrarsi sul viso dell’altro.
“Livia sarei un folle ad andarmene e lasciarti andare.” Parlò sulle sue labbra e la vide sorridere appena.
“Sai che sono tua?” Lo guardò negli occhi, Harry annuì e la baciò ad occhi chiusi. Scivolò dolcemente dentro di lei, stringendola al suo corpo e sentendola tremare fra le sue braccia. Livia si allontanò dalla sua spalla, gli prese il volto fra le mani e con quel bacio sigillò silenziosamente la sua promessa, il loro patto, che quella volta non sarebbe durato per un’unica notte. 
 
Stretto a lei in quel modo, Harry ricordò la ormai remota sensazione di benessere che la vicinanza incondizionata di Livia era solita provocargli in quell’anno vissuto insieme. Il solo calore della sua persona era in grado di sollevarlo da terra, riportandolo a tentare per la strada giusta. Ne era dipendente e non avrebbe saputo dire se in maniera giusta o sbagliata, semplicemente dipendeva da Livia come non avrebbe mai voluto dipendere da nessuno, ma lasciandosi andare come non avrebbe saputo fare con nessun altro. 
Stretta a lui così forte, Livia sentiva le emozioni di Harry percorrergli il petto nudo e leggermente sudato. A lei preferiva non pensare, ma era inevitabile notare come e quanto la sua vicinanza influisse sulla sua personalità, non cambiandola, semplicemente rivelandola e mettendola allo scoperto. Livia usciva da suo bozzolo e diventava una bellissima farfalla che volava senza paura sotto lo sguardo vigile di Harry, che la osservava ammirandola. Socchiuse gli occhi ed aumentò la presa sul suo braccio, muovendosi contro il suo petto. Sentiva chiaramente le emozioni anche nel suo, non voleva ignorarle più. 

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Capitolo 13
*** XIII ***


LOS ANGELES, UN ANNO DOPO 
 
La casa di Harry la accoglieva nel modo migliore, come se la aspettasse impaziente di farsi perdonare. Livia la preferiva alla sua casa londinese, fra quelle mura Harry era più sereno e lei ammirava la leggerezza e spensieratezza che lo rendevano più bello di quanto in realtà già fosse. La casa era tanto grande che riuscire a decorala per Natale sembrava ogni volta un’impresa impossibile, per questo Harry preferiva lasciarla spoglia o trascorrere Natale fuori, possibilmente a Londra, con sua mamma e sua sorella. Quell’anno la scrittura del disco lo avrebbe trattenuto in America fino a pochi giorni prima dell’inizio dei festeggiamenti, dunque si era arreso alla sua volontà ed a quella di Livia, decidendo di decorare la casa insieme a lei nei momenti liberi e lontani dallo studio. Un abete decorato in rosso ed oro illuminava l’ingresso, ai suoi piedi giacevano delle scatole e delle buste già colme di doni. Una ghirlanda era appesa alla porta principale, altre erano sparse sul tavolo in soggiorno, in sala da pranzo ed in cucina – Livia si era accertata che tutte rispettassero il gusto e l’eccentricità di Harry e di quella casa, non rinunciando mai ad un tocco d’oro. Aveva optato per decorare anche il corrimano delle scale, in una giornata trascorsa totalmente da sola, ed al rientro Harry aveva reagito sorprendentemente bene. C’era qualcosa di entrambi in quella casa, per la prima volta. Entrambi vi guardavano gioendo silenziosamente, senza rivelare troppo dell’emozione che sentivano nascere e crescere in loro. 
L’inquietudine che il processo di scrittura gli provocava non lasciava Livia indifferente, per questo cercava di stargli accanto senza pesargli troppo, nonostante fosse stato lui ad invitarla. Aveva colto l’occasione di un suo viaggio di lavoro per raggiungerla e portarla con sé, lontano da ogni riflettore avrebbe potuto dedicarle tutto il tempo a disposizione al di fuori dalla stesura del disco. Desiderava averla accanto in quei giorni di dicembre in cui sentiva l’aria natalizia spargersi ovunque, necessitava la compagnia di Livia per lasciare che questa si facesse spazio anche in lui e nel suo cuore. Livia aveva accettato titubante, nell’ultimo anno i loro incontri si erano indubbiamente intensificati e lasciarsi andare era diventato più difficile, tuttavia la lontananza li strappava l’un l’altro ogni volta. Aveva colto quell’occasione con rinnovato sollievo, date le settimane di lontananza che avevano trascorso nel dubbio della loro precarietà. 
Nonostante i sentimenti da ambo le parti fossero esplicitamente chiari, non era stato facile conciliare la vita sentimentale a quella reale, un incessante turbinio di eventi ed emozioni incontrollate all’interno del quale entrambi rimanevano la rispettiva costante, seppur a distanza. Non era sempre chiaro o esplicito, nessuno dei due era abituato a condividere più di qualche giorno insieme ed utilizzare i messaggi e le chiamate era una rarità, e molto spesso se ne servivano per discutere, litigare fino a piangere e ad ignorarsi. Trovarsi al telefono o in videochiamata ad orari inconsueti era una novità destabilizzante che aveva impiegato diverso tempo per solidificarsi nelle loro giornate. La rarità era diventata una routine nell’impegno e nella distanza, nel lavoro e nella lontananza. Cercavano di ridurla quando fosse possibile, ed in quei giorni la normalità della loro quotidianità condivisa li stupiva, come in quel tempo che trascorrevano insieme a Los Angeles. 
Era lì da meno di una settimana, ma Livia aveva già fatto quegli spazi propri, organizzandosi per lavorare durante l’assenza di Harry e dedicandosi esclusivamente a lui al suo ritorno, eccezion fatta per due di quei giorni in cui il lavoro era stato fin troppo e lui le era rimasto accanto, accudendola e non chiedendo nulla in cambio. Era dicembre inoltrato e la data del loro rientro a Londra era ancora incerta. O meglio, Livia aveva già acquistato un biglietto per il ritorno, Harry non ancora e quel silenzioso timore d’essere abbandonato lo tormentava e lo seguiva in studio. Cercava di accelerare i ritmi della produzione, ma un album richiedeva tempo, come le sue esigenze. Si era detto che per Natale avrebbe avuto un po’ di tregua e l’avrebbe concessa anche ai suoi collaboratori, ma in quei giorni l’accanimento sul lavoro era sempre più crescente. Non sapeva se fosse l’emozione provocata dalla presenza di Livia o l’attesa e l’aspettativa del ritorno a renderlo tanto frenetico e produttivo. Dava il massimo, chiedeva il massimo in quelle ore che desiderava trascorrere in pochi istanti. 
Teneva tutto il suo lavoro segreto, non le aveva permesso di ascoltare nulla, se non pochi accordi che lei aveva potuto udire in quelle rare volte in cui lui provava in casa. Lei non chiedeva nulla e rimaneva nel suo, lo vedeva annotare delle parole frettolosamente e scarabocchiare disordinatamente sulla sua agendina. Ricordava quando, dopo l’uscita del primo disco, lui aveva lasciato che lei la leggesse. In quel momento, ricordava sempre con piacere, aveva percepito quando a fondo si potesse scendere, perderesti nei meandri di una persona e della sua complessa ed articolata personalità. Era successo anni prima e molto era cambiato per loro due, ma Livia custodiva gelosamente quel ricordo, sicura del fatto che fosse stato un trattamento unicamente riservato a lei. Non si sbagliava, ma lui non lo aveva mai ammesso apertamente. 
Quel sabato pomeriggio era trascorso all’insegna del lavoro per entrambi, mentre le carte aumentavano per Livia in casa di Harry, lui lavorava a finalizzare una canzone scritta ormai un anno prima. Era certa che sarebbe tornato in ritardo anche quella sera, ma era sabato e non voleva privarsi della sua compagnia anche quel giorno. Decise di chiamare un taxi e raggiungerlo in studio. Era dubbiosa sull’esito della sua sorpresa, immaginava che la sicurezza l’avrebbe respinta non appena avesse tentato di accedervi, ma decise di provare. Prima di raggiungerlo, fece una breve sosta in un caffè poco lontano, pensando che lui avesse bisogno di una pausa – conoscendolo, l’aveva indubbiamente saltata. 
Si presentò all’uscio intimorita ed imbarazzata, la sua guardia del corpo la guardava quasi divertita. La sciarpa ed il cappello lasciavano intravedere solamente gli occhi ed il naso, dovette scansarla dalle labbra per parlare cercando di non balbettare – un freddo insolito avvolgeva Los Angeles, Livia non ne era abituata. La lasciò entrare senza troppe domande, l’aveva già vista e gli occhi dolci di Livia lo avevano convinto a lasciarla passare. La seguì con lo sguardo mentre percorreva insicura i corridoi illuminati ed insonorizzati. Notò con sorpresa che una delle porte gelosamente chiuse era semiaperta, sbirciò indisturbata. Vide solamente la moquette sul pavimento, nient’altro se non fogli a terra e la voce di Harry che improvvisamente ruppe il silenzio. Sorrise alle sue parole di disperazione, dalla sua voce percepiva tutta la stanchezza accumulata. Bussò lievemente e, non attendendo una risposta, aprì la porta ed entrò nella piccola stanza disordinata. Quattro occhi si puntarono su di lei, quelli sorpresi Harry e del suo collaboratore.
“Ciao,” sussurrò timidamente “disturbo?” deglutì, guardando solamente il ragazzo, il cui sguardo si era ormai addolcito. Mostrò la tazza coperta che teneva fra le mani ed Harry invitò il suo collaboratore ad uscire, per lasciarli soli.
Livia si avvicinò a lui non appena sentì la porta chiudersi, chinandosi sulle sue labbra. Harry le cinse dolcemente i fianchi e la attirò sulle sue gambe, baciandola socchiudendo gli occhi. 
“Ciao Livi” le accarezzò dolcemente una guancia, intrecciando i suoi capelli nei suoi polpastrelli “che ci fai qui, sei venuta a sbirciarmi?” lei sorrise ed arrossì, porgendogli la tazza che teneva fra le mani. 
“Tè alla menta” gli baciò le labbra, accarezzandogli la barba incolta “posso farti la barba quando torni a casa o vuoi continuare ad andare avanti così?” gli pizzicò lo zigomo e lui rise, stringendo la presa sui suoi fianchi. Livia si avvicinò ancora a lui, baciandolo lentamente e giocando con le sue labbra sorridenti. 
“Che c’è, ti faccio il solletico?” le chiese, divertito. 
“No, sei trasandato e non sono abituata.” Sorrise dolcemente, accarezzandogli le labbra. 
“Per quanto ancora vuoi starmi accanto?” domandò, spostando i palmi sulla sua schiena ed accarezzandola delicatamente. 
“Perché?” sussurrò, accarezzandogli ancora la barba “tanto.” Deglutì e sollevò lo sguardo nel suo, sorrisero entrambi, prima che Harry potesse parlare nuovamente. 
“Allora dovrai abituarti, Livi.” 

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Capitolo 14
*** XIV ***


Fra le quattro mura della sua casa americana, Harry percepiva un inusuale spirito natalizio. Non era abituato a vederla tanto addobbata, a tornare a casa ed inciampare in una delle decorazioni poste all’ingresso. Non sentiva di dover biasimare Livia, che puntualmente si voltava verso di lui ridendo, chiudendo subito dopo il pc e lasciandosi alle spalle il lavoro della giornata che, con l’arrivo di Harry a casa, era ufficialmente giunta al termine. Respirava quell’atmosfera a pieni polmoni, contento di poter vedere la sua casa pronta per gli imminenti festeggiamenti che, tuttavia, erano fortemente segnati dalla precarietà del suo lavoro. Preferiva non pensarci, voleva dare il massimo nelle ore che trascorreva in studio, per poi lasciare che la tensione scivolasse via una volta varcato l’uscio. Riconosceva che la presenza di Livia lo aiutasse, la prospettiva della sua presenza al ritorno lo spronava a non lasciare nulla indietro, ad una precisione ancor più maniacale del solito. I suoi collaboratori ne erano stupiti, ma assecondavano quel rinnovato entusiasmo. Harry emanava una nuova luce, rara nella maniera più assoluta, che gli percorreva il volto poche volte in compagnia di altre persone. Era incontenibile e quell’ammasso di emozioni sfociava in una produzione mozzafiato, che ogni giorno di più lasciava tutti nello studio senza parole. La sua energia travolgente alleggeriva il peso di quelle ore infinite e lui non era l’unico ad esserne grato, l’aria era più leggera per tutti e diversamente dai primi giorni di produzione, era possibile vedere molteplici sorrisi in quello studio. Non menzionava mai Livia davanti agli altri, ma lasciava intendere che ci fosse qualcuno. Quando la sera si faceva troppo tardi, era impossibile ignorare la sua smania nel voler tornare a casa. Non diceva nulla, rimaneva in silenzio e continuava a lavorare, ma presto poiché evidente agli occhi di tutti, alcuni suggerivano di smettere e lui li assecondava senza problemi. Non voleva che Livia intralciasse quel processo, lo stava aiutando ad insaputa di entrambi e preferiva che rimanesse nascosta anche a chi lo circondava. C’era una precarietà difficile nel loro rapporto, una sottile linea che li divideva dal precipitare: precipitare insieme o da soli. Questa linea sottile si faceva sempre più vivida ai suoi occhi man mano che il desiderio di precipitare con Livia si faceva più forte. Non voleva precipitare da solo, non voleva che nuovamente si separassero dolorosamente ed in cuor suo sentiva la costante necessità di averla accanto. Doveva sempre ignorarla, erano così lontani e pieni di ambizioni che sarebbe stato impossibile conciliare i loro lavori per rimanere insieme. Harry piombava nella paura del rifiuto, davanti ad una proposta simile. Si diceva disposto a lasciar andare qualcosa, ma non credeva che, realmente, sarebbe stato capace. Dunque, non biasimava Livia e la sua ambizione, il suo desiderio di crescere nonostante fosse incredibilmente in alto già da giovane. Si guardava, la guardava, erano in alto entrambi ed erano così giovani che non potevano fermarsi. L’avrebbero mai sacrificato?
Le giornate a Los Angeles erano senza tempo, Livia era convinta del fatto che le lancette smettessero di muoversi nell’esatto istante in cui lei metteva piede fuori dall’aereo. In casa con Harry perdeva totalmente la concezione del tempo, la sua presenza era forviante e finiva a dormire ad orari assurdi senza rendersene conto. Tuttavia, quel dicembre trascorso lontano da casa, ma con il lavoro in valigia, aveva proprio per quest’ultimo inciso un aspetto diverso. Le sue giornate iniziavano con la sveglia di Harry, sempre puntuale alle sette ogni mattina. Non voleva ignorarla, la assecondava e si svegliava con lui. Alle otto in punto avrebbe dovuto essere in studio, lei gli ripeteva di svegliarsi più tardi, ma in fondo apprezzava il fatto che la sua sveglia suonasse prima affinché trascorressero del tempo insieme. Il risveglio era lento, e Livia, abituata alla frenesia dei suoi giorni, lo viveva con spensieratezza e leggerezza. Sentiva di fluttuare su quel materasso come su una nuvola, mai sola, sempre con Harry al suo fianco. Vederlo andar via per lavorare le lasciava un’amarezza alla quale non era per nulla abituata e, per evitare domande scomode, iniziava a lavorare ignorando il tempo. Era convinta del fatto che non esistesse, ogni suo ritmo era condannato a perdersi. Saltava il pranzo, assecondando la fame quando non poteva farne più a meno, ma poi tornava immediatamente a lavorare senza sosta. Le ore trascorrevano, ma Livia ignorava anche l’orologio che teneva al polso. Per colpa del fuso orario, riceveva o eseguiva chiamate da o per Londra ad orari totalmente inusuali, i soli che lei potesse rispettare. Subito dopo tornava alla normalità, all’anormale percezione delle sue giornate, scandite dal risveglio con Harry e dal suo rientro. Il primo determinava l’inizio della giornata lavorativa, il secondo l’irrimediabile fine. Nel tempo trascorso da sola, sentiva sempre di più quella casa come parte di sé, ma non ne trovava una ragione immediata. Credeva che fosse per via del Natale e delle decorazioni che lei stessa aveva cercato e posizionato senza l’aiuto del padrone di casa; d’altra parte, pensava al fatto che i suoi vestiti non giacessero nella sua valigia, ma nell’armadio di Harry. Aveva in mente quel pensiero costante, che sempre le ricordava che, se i suoi vestiti fossero stati in un armadio durante un soggiorno, automaticamente sarebbe stato come essere a casa. Ad Harry non l’aveva mai detto, non l’avrebbe fatto facilmente, ma era spesso commossa nel notare le loro cose fra le stesse mura. Ciò che la sorprendeva e la meravigliava era la vista delle loro personalità che si influenzavano e mescolavano in quella casa lontana dalla realtà, per entrambi. Los Angeles aveva sempre rappresentato per lei una realtà non solamente atemporale, ma anche adimensionale. La concretezza della loro realtà era per lei inspiegabilmente astratta, non aveva le parole necessarie e sufficienti per esprimere le emozioni che sentiva nel vedere le loro persone crescere insieme, come per diventare una sola, pensava alle loro ombre di notte. Teneva ogni sensazione per sé e la custodiva gelosamente, molto spesso anche dagli occhi di Harry. Non temeva il suo rifiuto, temeva la sua esposizione.
Era lunedì e Livia era consapevole che, di lunedì, si lavorasse meno degli altri giorni. Lui era solito tornare poco dopo le sette, con sé la sua agendina e solitamente un dolce per la loro serata – avevano deciso di trascorrerla davanti alla tv, il lunedì era tutto all’insegna del cinema. Harry le aveva suggerito dei film e li avevano guardati insieme, un’attività così semplice, ma per Livia lontana ormai data la sua fame di lavoro. Con Harry quest’ultima si acquietava e lentamente questa consapevolezza si faceva spazio in lei, che spaventata la metteva da parte con severità. Quel lunedì Livia non vide Harry varcare l’uscio né poco dopo le sette, tantomeno poco dopo le otto. Impossibilitata dal contattarlo, le aveva detto che in studio non le avrebbe mai risposto, girava in tondo nel soggiorno controllando continuamente la finestra, i messaggi ed infine l’orologio che la angosciava sulla parete. Harry entrò in casa solamente alle nove e Livia fece scivolar via tutta la preoccupazione che sentiva. La liberò con un bacio che prepotentemente gli stampò sulle labbra non appena lo vide, correndo fra le sue braccia che non esitarono ad accoglierla. 
“Che cosa stavi facendo?” gli prese il volto fra le mani, avvicinandolo al suo “Potevi scrivermi un messaggio, sei uno sconsiderato!” lui rise, poi la sollevò e la portò con sé sul divano. Si sedette tenendola sulle sue gambe, liberandosi della sua tote bag e della giacca. 
“Lavoravo.” Sorrise e sollevò le spalle. Lei lo guardò severa, ancora con le mani sul suo volto.
“Lavoravo ad una sorpresa” il suo sorriso si fece più grande, il volto di Livia interrogativo “per te.” Lentamente anche Livia si rilassò sulle sue gambe, accarezzandogli il petto coperto dal suo maglione colorato.
“Cosa c’è?” sorrise imbarazzata, quando dolcemente le porse la sua borsa di tela bianca. Lei la prese fra le mani, scuotendola e sbarrando gli occhi al rumore che percepì così vivido e vicino. Liberò velocemente la scatola dalla tela, rivelando ai suoi occhi una piccola casina di legno colorata nei dettagli. Sbatté le palpebre affascinata, alternando il suo sguardo fra Harry e l’oggetto che teneva fra le mani incredule. Lo scosse ancora, poi sorrise divertita e tornò a guardare lui che la ammirava silenziosamente. In petto avvertiva un turbinio inspiegabile di emozioni positive, i suoi occhi inquadravano Livia e la sua felicità, subito si intensificavano. Teneva le mani posate sulle sue gambe, la accarezzava e la vedeva commuoversi.
“Credo che fosse l’unica cosa a mancare in questa casa, non trovi Livi?” Lei annuì commossa e lo baciò ancora. 
Livia aprì la prima casella di quel dolcissimo calendario dell’avvento con i loro nomi scritti sulla porta della piccola casa, ne estrasse un cioccolatino. Lo scartò delicatamente e lo avvicinò alle labbra di Harry. 
“Grazie.” Sussurrò. 

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Capitolo 15
*** XV ***


I risvegli erano ancora più lenti e piacevoli la domenica mattina, l’unico giorno esclusivamente dedicato a loro due e lontano dal lavoro. Lasciavano che fosse la luce naturale a svegliarli, eliminavano ognuna delle molteplici sveglie impostate per la settimana e rimanevano nel letto tanto a lungo da condividere la concezione atemporale in cui era immersa la casa di Harry. Lontani dalla città e vicini al mare, vivevano nella quiete e nel silenzio unicamente interrotti dal suono delle onde fuori dalla finestra. La camera da letto dava su un ampio giardino, questo finiva a strapiombo su una scogliera. Sotto l’immenso, il mare che non lo spaventava più, ma che nei giorni di solitudine lo faceva sentire a casa. Livia guardava all’esterno con diffidenza, non amava la sensazione di vuoto che la assaliva ogni volta che guardava in basso, la spingeva immediatamente indietro, si voltava e si allontanava velocemente, nonostante ci fosse Harry al suo fianco. 
La domenica mattina rifiutava il tempo, i ritmi ed ogni abitudine, lasciando spazio ad una routine sempre diversa. Come se volesse evitar loro un risveglio brusco e doloroso, la luce illuminava la stanza timida, posandosi sul letto, poi sui loro corpi ed infine sui loro volti. Solitamente il primo a svegliarsi era Harry, indispettito dal fatto che la luce colpisse prima i suoi occhi e mai Livia. Solitamente dormiva stretta a lui, col capo contro il suo petto nudo ed i polpastrelli delicatamente posati sulla farfalla che aveva tatuata sul ventre. Sapeva che lei voleva essere subito svegliata, ma prima si concedeva del tempo per osservarla, controllare eventuali e-mail – il lavoro era da parte per Livia, per Harry non lo sarebbe stato mai. Si accertava così che nulla potesse ostacolarli, prima di svegliarla e concederle una giornata interamente dedicata al relax. Era la seconda domenica che trascorrevano insieme, Harry sperava solamente che fosse diversa della precedente, iniziata al meglio, ma conclusasi con una litigata totalmente inaspettata. Per quel motivo, aveva deciso di non fare alcun programma che fosse al di fuori di quelle quattro mura, volendo in ogni modo evitare l’occhio indiscreto di giornalisti e paparazzi – era diventato il motivo principale delle loro litigate. 
Livia dormiva indisturbata sul suo petto, la mano ancora ferma sulla sua farfalla. La prese delicatamente fra i polpastrelli e la portò alle labbra, baciandole la punta delle dita. Fece scorrere la mano lungo la sua, stringendole il polso ed accarezzandole il braccio lasciato nudo dalla sua maglia. Svegliarsi accanto ad Harry era un’abitudine tutta nuova, come il resto della routine che si erano costruiti attorno in quei giorni americani e non solo. Sentiva le sue dita intrecciarsi fra i suoi capelli, percorrere la sua pelle nuda ed avvertiva il bisogno di stringersi ulteriormente al suo corpo caldo. Spesso lui tirava su le coperte sui loro corpi, in quei giorni aveva imparato quanto, al risveglio, lei fosse freddolosa ed odiasse svegliarsi in quel modo. Livia avvertiva ognuna di quelle accortezze come una carezza sempre più delicata ed il risveglio avveniva tanto spontaneo quanto piacevole. 
Strinse gli occhi, si fece più vicina a lui e strofinò la punta del naso contro il suo petto; Harry rise e le sollevò il viso col palmo aperto. La vide sbattere le palpebre, Livia si abituò subito alla luce che giocava con i suoi ricci disordinati sulla fronte. Spostò lentamente la mano dal ventre al suo petto, finendo sulla sua fronte, per smuovergli i capelli. La presa di Harry sulla sua schiena si rafforzò, la strinse a sé e si fece più vicino al suo volto. Livia lo raggiunse e lasciò un piccolo bacio sulle sue labbra dischiuse, accarezzandogli ancora i ricci disordinati. 
“È domenica!”
 
Aprire il calendario dell’avvento era un momento nuovo della loro routine mattutina. Harry lo teneva fermo fra le mani, Livia apriva il cassettino e a giorni alterni ne mangiavano il contenuto. 
“Mangialo tu” si avvicinò al volto di Livia dopo aver scartato il cioccolatino, tenendolo fra la punta del pollice e dell’indice “io l’ho mangiato ieri.” Sorrise e lo avvicinò alle sue labbra. Lo guardava con innocente malizia mentre si faceva più vicina a lui. 
“Cioccolato bianco?!” esclamò incredula “Lo mangio di certo.” Harry la osservò divertito mentre ne prendeva metà, lasciando il resto nella sua mano “Tieni, so che lo ami e ne vuoi un po’.” Lo prese dalle sue dita e lo strinse nelle sue, avvicinandolo alla sua bocca. Posò un bacio innocente sul suo labbro inferiore, sorrise e lasciò il cioccolatino fra le sue labbra. 
Presero quel momento e persero diversi istanti per osservarsi mentre pensavano silenziosamente la stessa cosa, troppo impegnati a tenerla nascosta l’un l’altro per dirsela. Livia era sempre più orgogliosa di Harry, che molto più facilmente cedeva a lei ed ai suoi pensieri silenziosi. Era capace di leggerle la mente senza paura di sbagliare, ai suoi occhi era sempre fin troppo chiara nonostante cercasse di nascondersi. 
 
“Ho prenotato il volo per Londra.” Livia sollevò lo sguardo dal libro stretto fra le mani e lo posò esclusivamente su Harry. Lo chiuse, tenendo il segno delle pagine con una matita infilata fra di esse. Si distese sulla poltrona e lo guardò farsi più vicino, sedersi accanto a lei e guardarla silenziosamente. 
“Siamo sullo stesso?” domandò, allungandosi in avanti ed avvicinando le mani alle sue, facendo intrecciare le loro dita. Harry esitò, giocò titubante con i suoi polpastrelli e solo infine sollevò lo sguardo su Livia, facendo incontrare i loro occhi, i suoi più insicuri. 
“Ma non siamo vicini, sai com-” sospirò quando sentì la voce di Livia interromperlo, ma strinse più forte le mani attorno a quelle di lei prima che potesse sfuggirgli, scivolare via da lui come lei rischiava di fare in quelle circostanze.
“Lo so, Harry” deglutì “ma almeno torniamo insieme.” Sorrise debolmente, sollevando gli occhi nei suoi e rassicurandoli silenziosamente. Con i polpastrelli gli percorse le nocche, finendo attorno al polso che strinse fra le dita. Harry venne immediatamente rassicurato dal contatto fra le loro pelli, Livia non stava scivolando via, ma sempre più scendeva lungo le sue braccia e si stringeva ad esse al disotto del maglione.
“Grazie per la pazienza.” Sussurrò, facendo scontrare le fronti. Livia si avvicinò ulteriormente, fece sfiorare i loro nasi e provocò un sorriso incontrollato sul volto di Harry. 
“Grazie a te” gli baciò piano le labbra, allontanandosi appena “per tutto il resto.” Sorrise, prima di baciarlo nuovamente. 
Fu Harry a scansarsi, ma lo fece sorridendo, nonostante Livia lo guardasse con un cipiglio interrogativo sul volto, incapace di spiegarsi perché si fosse allontanato così improvvisamente. 
“A proposito” prese un foglio dalla tasca posteriore dei jeans “sorpresa?” glielo mostrò, aveva il suo nome scritto sopra. Lei sorrise alla vista della sua calligrafia disordinata, era quella di un bambino e non aveva nulla a che vedere con la sua ordinata, precisa ed intimidatoria. 
“Per me?” sollevò lo sguardo dal foglio che rigirava fra le mani, guardando lui che non aspettava altro che lei lo aprisse. 
“Non vedo nessun’altra Livia qui.” Sollevò le spalle, fra il divertito ed il rassegnato, una punta d’impazienza nella sua voce e nel modo in cui molleggiava le gambe. Lei scosse il capo e lo rigirò un’ultima volta fra le mani emozionate. 
“Apro.”
June Mountain
The Ahwahnee
Per Livia (ed Harry)
P.S.: non è un regalo di Natale. 

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Capitolo 16
*** XVI ***


Le June Mountains distavano esattamente cinque ore e trentuno minuti da Los Angeles e, nonostante Harry le avesse proposto di optare per un viaggio in aereo, Livia aveva preferito la macchina. Segretamente Harry sperava in quella decisione, ma le aveva proposto l’aereo perché mai si sarebbe sognato di costringerla ad un percorso tanto lungo in strade che lei non conosceva. Non che lui ne fosse molto più esperto, ma con lei al suo fianco acquisiva una maggiore sicurezza davanti alla paura dell’ignoto delle strade americane. Avevano preparato le valigie in una sera, quella domenica sera, includendo il necessario ed escludendo il lavoro, il computer ed ogni pensiero a questi collegato. Harry si era occupato di portare tutto in macchina, Livia si era premurata di raccogliere un numero di spuntini e bevande sufficienti ad accompagnarli in quel viaggio che, sapeva bene, li avrebbe stancati e messi alla prova. 
Non nascondeva la paura che le cose potessero andare per il verso sbagliato. La rara possibilità di trascorrere del tempo assieme era diventata un’abitudine, ma il timore ancora li spaventava e li separava quando non volevano star lontani. Livia viveva quei giorni nella spensieratezza mista ad un’inquietudine sempre crescente. I loro giorni insieme sarebbero presto giunti al termine, Londra si sarebbe nuovamente imposta fra di loro e su di loro, separandoli ed allontanandoli. Harry si concedeva alla felicità che provava, senza paura che questa potesse esaurirsi, convinto del fatto che con Livia al suo fianco quella non sarebbe mai stata una sensazione temporanea. Era consapevole e cosciente che presto Londra sarebbe tornata a dividerli, condivideva in cuor suo le paure di Livia, nonostante lei le tenesse silenziosamente per sé. Nei loro giorni americani, Harry non aveva mai smesso di pensare a come mantenere invariata quella condizione di serenità costante, non solo per sé, ma per entrambi. Osservava spesso Livia fra le mura della sua casa americana, così diversa dalla sua casa inglese in cui lei era entrata pochissime volte. La lontananza dall’Inghilterra la alleggeriva e la addolciva, la scaricava da responsabilità incombenti e da pressioni che era lei stessa ad imporsi.
Entrambi lontani dalla confusione e racchiusi in quella bolla atemporale ed adimensionale che solo Los Angeles poteva regalare, vivevano quei giorni in un’esatta simbiosi fatta di emozioni e sensazioni, inestimabile. Non nascondevano la felicità, ma la vivevano con la costante paura che potesse improvvisamente esaurirsi.
 
Le piaceva vederlo guidare e concentrarsi sulla strada, in generale preferiva soffermarsi sui suoi dettagli in quei momenti strappati alla normalità, che in altri più comunemente sublimati, in cui la sua bellezza e la delicatezza dei sui lineamenti sarebbero risaltate senza fatica. Harry canticchiava una canzone che lei non conosceva, ma ne aveva facilmente imparato la melodia ed il ritmo sentendola da lui, concentrandosi sul suo costante picchiettare sulla sua gamba o sul suo palmo aperto sulla coscia. 
But I can feel it take a hold” si voltò verso di lei, sorridendo “I can feel you take control” le strinse la mano nella sua, facendo intrecciare le loro dita “Of who I am, and all I've ever known” le accarezzò delicatamente il dorso della mano, Livia strinse la sua prontamente e si avvicinò a lui per posare un bacio a labbra aperte sulla sua guancia. Gli sfiorò lo zigomo con la punta del naso, socchiudendo gli occhi quando avvertì un sorriso formarsi sul suo volto. Posò allora un altro bacio all’angolo della sua bocca e tornò a sedersi, composta, prima che lui la attirasse nuovamente a sé per premere le labbra contro le sue. 
Lovin' you's the antidote” sussurrò al suo orecchio. Livia si allontanò arrossendo, aumentando la presa sulla sua mano e spostando la sua mano libera lungo il suo braccio, posando il capo sulla sua spalla. 
La vicinanza di Livia era la costante che in quei giorni più lo rassicurava, tanto da sciogliere la tensione provocata dall’imminente finalizzazione del processo di produzione del disco. La sua musica e le sue parole gli aleggiavano nella mente e non riusciva a tenerle nascoste a Livia che gli stava accanto in silenzio, aspettando e rispettando ogni suo tempo. Era per lei, erano per lei. 
 
Lo staff dell’Ahwahnee li aveva accolti con discrezione e sin dal primo momento, entrambi avevano apprezzato la loro premura nell’aver creato attorno a loro un ambiente sicuro e lontano da sguardi ed occhiate poco piacevoli. Harry si era raccomandato, occupandosi di gestire la prenotazione per telefono, senza intermediari e rinunciando alla comodità di una semplice e-mail. La normalità con cui vennero accolti sorprese Livia, ma non lui che lo aveva esplicitamente chiesto. Non voleva troppe cerimonie, ma assicurare alla persona al suo fianco la naturalezza e la semplicità che con lui aveva spesso desiderato, ma raramente ottenuto. Si guardava attorno piacevolmente stupita ed assecondava lo sguardo gentile di chi si era occupato della macchina e delle loro valigie. 
La camera che Harry aveva scelto era situata al piano terra e per questo immersa nella neve. Al di fuori della finestra non potevano vedere nulla se non una fitta distesa bianca di neve spessa, ma Livia non ne era impaurita. La guardava affascinata e ricordava con piacere i ricordi di una lei bambina, che nonostante tutto non aveva mai imparato a sciare o a superare la paura delle altezze sulla seggiovia. La stanza era calda ed accogliente, come poche in cui era stata con Harry. Si trattava spesso di suites lussuose, spesso in quelle si sentiva a disagio e non riusciva ad allontanare quella sensazione fino alla fine del pernottamento. La semplicità degli arredi donava una dolce ed intima aria di casa, il legno delle pareti, in forte contrasto con le vetrate, la faceva sentire al sicuro in quella che sembrava essere per lei un’enorme palla di vetro in cui la neve non smetteva mai di cadere. 
Harry la osservava perdersi in quei dettagli e rimaneva sempre più affascinato dalla sua innocenza, positiva, dalla sua capacità di restare ammaliata dalla semplicità. Rimaneva in silenzio mentre notava i suoi occhi balzare da un dettaglio all’altro con velocità e curiosità inarrestabile. 
“C’è un camino, Harry, guarda!” si voltò subito verso di lui, notando il caminetto accanto all’entrata. Lo avvicinò a sé, Harry le cinse i fianchi rimanendo dietro di lei. 
“Lo so” rise appena “L’ho scelta io.” Le pizzicò scherzosamente la pelle della pancia e subito la vide voltarsi fra le sue braccia, fronteggiandolo.
“Vuoi sciare, quindi?” chiese con un cipiglio in volto, temendo già una risposta positiva da parte di lui, che la guardava divertito. 
“Potremmo anche evitare di romperci una gamba, che dici?” aumentò la presa sui suoi fianchi e Livia si rilassò immediatamente. 
“E cosa mi proponi di fare?” posò una mano sul suo petto, lo accarezzò in attesa della sua risposta “Non voglio pattinare!” esclamò, ricordandosi improvvisamente delle loro avventure newyorkesi dell’anno precedente. 
“Sei mai andata giù con una slitta?” le domandò, notando la confusione formarsi nuovamente sul suo voto. 
“Una slitta?!”
“Ne affittiamo una, c’è una discesa non troppo ripida.” Le scansò i ricci dal viso ancora confuso, lei sollevò lo sguardo dal suo e sorrise divertita. 
“E tu sei sicuro che non ci romperemo una gamba?”
“Più che sicuro, Livi.” Sorrise a quel nomignolo, gli accarezzò il braccio coperto che la cingeva. 
“Mi tieni a Los Angeles se mi faccio male.” Sussurrò avvicinandosi alle sue labbra.
“Non tentarmi.” Mormorò, le sue parole si scontrarono contro la pelle fredda di Livia.
 
Livia non aveva contestato ulteriormente ed aveva seguito Harry nella scelta della slitta. Aveva addosso un’imbarazzantissima tuta da neve dai colori inusuali, troppo sgargianti per i suoi gusti, ma era l’unica che erano riusciti a trovare in poco tempo in uno dei negozi nell’hotel. Lui ne indossava una altrettanto eccentrica, ma non gli provocava alcun problema.
La conversazione fra Harry e l’addetto all’affitto dell’attrezzatura fu estremamente esilarante, Livia tentò di non ridere ad ogni parola dello sconosciuto davanti a loro, indubbiamente più esigente di Harry. Era imbarazzato da tanta premura, convinto che l’uomo non lo avesse riconosciuto. Finì per consigliare ad entrambi la slitta più grande, per lui più sicura e gliela porse solamente dopo essersi premurato, per l’ennesima volta, che entrambi indossassero un caschetto protettivo. 
I ricci di Livia faticavano a rimanere fermi in uno spazio tanto piccolo, Harry la guardava divertito mentre tentava allo stesso modo di domare i suoi. 
“Ti piacerà, Livi, e vorrai rifarlo da capo.” 
“Non ci scommetto.” Lo guardò severamente, lui rispose con un sorriso divertito e spiritoso sul volto arrossato dal freddo. 
“Io ne sono quasi certo” si sedette sula slitta e la osservò dal basso, indicandole il posto libero davanti a lui “mettiti davanti.”
“Harry.” La severità nel suo sguardo si intensificò. 
“Ascoltami!” sollevò gli occhiali dal volto e la guardò, ancora seduto in basso “Tu sei davanti, io tengo comunque le redini e ti assicuro che riusciamo a scivolare giù facilmente.” Sollevò le spalle, era tutto tanto facile per lui e Livia non se ne capacitava. Era sempre più titubante, lui divertito. 
Era tentata dal chiedergli la ragione per cui continuasse ancora a fidarsi di lui, nonostante quella fosse un’idea folle da assecondare. Tuttavia, rimase in silenzio e non disse nulla, consapevole del perché del suo comportamento senza alcuna eccezione nei suoi confronti – la tenne per sé. 
“Pronta?” le domandò, una volta che lei fu seduta davanti a lui “Hai così tanta paura?” si avvicinò al suo orecchio e le strinse una mano nella sua. 
“Forse?” domandò sorridendo timidamente “Ma tu tienimi.” Sollevò lo sguardo nel suo e vide gli occhi di Harry farsi più scuri e concentrati nei suoi. 
“Ti tengo, Livia.” 
 
Il pomeriggio si era rivelato più stancante del previsto e Livia, assecondando le previsioni di Harry, lo aveva costretto a scendere molteplici volte, dimenticandosi totalmente della paura di rimanere bloccata a Los Angeles con una gamba rotta. Non aveva ceduto all’idea di sciare, a quella non si sarebbe mai piegata. 
Erano tornati in hotel solamente dopo il tramonto, spogliandosi disordinatamente sul pavimento della stanza e finendo nudi davanti al caminetto che illuminava tremante i loro corpi, che diventavano uno solo. Era sera, la stanza era immersa nel buio che traspariva dalle finestre e la sola fiamma del camino diffondeva una luce timida, ma sufficiente per loro ed i loro corpi insicuri e sempre più vicini. La luce li accompagnava ed il calore da essa emanato scioglieva la paura posandosi sule loro pelli d’oca, rendendo le loro mani sempre impazienti, incandescenti. 
Vista dal basso, Livia sembrava detenere su di lui un potere ancora maggiore del normale, sulle sue gambe acquisiva un’insolita e misteriosa aria di autorità alla quale Harry si piegava e cedeva automaticamente, incapace di ribellarsi. 
Sotto il suo sguardo attento, Livia percepiva ogni timore scivolare e la necessità di fondersi con lui si faceva sempre più forte. Poggiò la fronte contro la sua, socchiuse gli occhi, quella vicinanza era la maniera più semplice per esprimere quello che a parole non sarebbe riuscita – in quel momento come in qualsiasi altro. Sentiva le mani di Harry correre senza timore sul suo corpo, stringerla a sé per paura che da un momento all’altro potesse scivolare via. Lei si aggrappava a lui, mormorando gli chiedeva di tenerla stretta a sé. 
 
Solo dopo cena tornarono accanto al caminetto, ora vestiti – Livia con un eccentrico maglione Gucci che non le apparteneva a fasciarle l’intera figura infreddolita. Parlando si addormentarono, nuovamente con la sola fiamma ad illuminarli e riscaldarli. La precarietà di quel piccolo focolare era tanto grande che sembrava sormontare la loro, sormontare le paure ed i timori di Livia che, poco dopo, aveva aperto gli occhi e davanti a sé aveva visto il buio della notte inghiottirli. Si sfilò dalla presa di Harry cercando la lampada sul comodino, pronta ad infilarsi fra le coperte e portarlo con sé. Passò la mano sul lenzuolo immacolato, spostò la coperta che ai suoi occhi rivelò ciò che mai avrebbe desiderato vedere, in particolar modo in un momento come quello. 
Una scatolina di velluto blu giaceva indisturbata sul materasso, le mani tremanti di Livia la aprirono e la richiusero in un istante, i suoi occhi ne ignorarono il contenuto per quanto fosse possibile ad una vista tanto attenta quanto riluttante. Aveva iniziato a respirare irregolarmente, a piangere senza rendersi conto delle lacrime che scendevano sulle sue guance arrossate e sulle sue labbra mosse dai singhiozzi silenziosi che tentava in ogni modo di reprimere. Harry dormiva ancora indisturbato e lei non avrebbe voluto per nulla al mondo svegliarlo col suo pianto e le sue lacrime codarde. 
Non voleva che quello si imponesse su di loro e li legasse quando non erano pronti a farlo, allo stesso tempo desiderava una stabilità in grado di permettere ad entrambi di non separarsi più. Vedeva l’immagine nitida di quell’anello sempre più ricorrente nella sua mente e la testa prendeva a girarle, incontrollata. Perché aveva scelto quello, perché lo aveva fatto in quel momento, le domande si sovrapponevano alla visione dei momenti precedenti in un turbinio di sensazioni nauseanti che impedivano alle lacrime di interrompersi sul suo volto sempre più rosso. 
 
Harry dormiva ancora e Livia piangeva in taxi, diretta in aeroporto. 

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Capitolo 17
*** XVII ***


L’aeroporto distava esattamente trentuno minuti dall’hotel, ed Harry non aveva esitato a fornire quell’indicazione al tassista non appena salito a bordo della sua vettura. 
Aveva aperto gli occhi solamente pochi minuti dopo la sua fuga, svegliato dal vuoto che avvertiva accanto a sé. L’aveva cercata in camera ed in bagno, una paura tanto familiare quanto inaspettata lo muoveva fra quelle mura, rendendolo incapace di mantenere un minimo di lucidità. Non comprese le ragioni di Livia fin quando, pronto a lasciar andare ogni speranza, aveva notato le coperte stropicciate. Le aveva sollevate ed aveva iniziato a maledirsi una volta trovata la scatolina blu. Le accuse verso se stesso si moltiplicarono nel momento in cui si rese conto che, sin da subito, avrebbe dovuto pensare a quello. Tuttavia, la paura che lo muoveva, lo fece vestire e lo spinse fuori dalla stanza, dirigendolo come un automa verso i taxi, verso l’aeroporto. Il terrore di perdere Livia per una tale incomprensione lo attanagliava e gli rendeva le gambe molli. Si chiedeva se veramente avesse avuto il coraggio di partire, ma soprattutto se veramente lui avesse saputo concretizzare quello che le aveva tenuto nascosto in quel tempo, compresa la scatolina che stringeva e rigirava fra le mani. 
 
Livia non aveva avuto alcuna difficoltà nel rintracciare un taxi. Senza pensarci ancora gli aveva indicato l’aeroporto come destinazione finale e si era gettata sul sedile, piangendo. Trascorse quei trentuno minuti nell’assordante silenzio dei suoi singhiozzi sommessi, la mente vuota ed ancora incredula. Non riusciva a spiegarsi perché mai Harry avesse attentato una simile idea in giorni calmi come quelli, perché avesse voluto mettere a rischio il loro equilibrio già fortemente precario. L’immagine dell’anello le ritornava nitida in mente ed i singhiozzi la smuovevano ancora, senza darle tregua. Riusciva solamente a colpevolizzarlo per un gesto tanto avventato, non rendendosi conto delle sue colpe, nascondendole a se stessa. Le tornavano alla memoria e la schiacciavano contro il sedile, si rimproverava per aver preferito il silenzio troppe volte, per non aver parlato quando avrebbe dovuto, per non aver giocato a carte scoperte – non per Harry e basta, non per Livia e basta, ma per entrambi. Ciò che era venuto a mancare, in quello, era stata la fiducia nei suoi confronti, la fiducia di Livia nei confronti delle proprie emozioni e sensazioni, che aveva assecondato tenendo costantemente per mano la paura di precipitare. In lei quella linea sottile non era nitida quanto in Harry, Livia percepiva un timore perpetuo, non la abbandonava mai. 
 
Harry era svincolato dalla paura, rassicurato dalla felicità costante provocata dalla presenza invariata di Livia al suo fianco in quei giorni. Quella brusca svolta degli eventi, il modo in cui il fato si era divertito a giocare con entrambi lo aveva sconvolto senza lasciargli il tempo di realizzare, ancora una volta, quanto fosse debole il loro equilibrio e quanto fosse sottile la linea che li divideva dal precipitare: soli o insieme. Riuscì a pensarci in quei trentuno minuti in cui le gambe gli divennero gelatina e le mani non smisero di tremargli. Fu assalito da una consapevolezza schiacciante, che per diversi attimi lo tentò a voltarsi e tornare indietro. Harry era pronto a precipitare con Livia, ma lei non era pronta a precipitare con lui – non l’avrebbe mai ammesso, almeno, ma di questo Harry non ne era consapevole e poteva unicamente vedere tutto nero davanti a lui. Il terrore di perderla ancora lo muoveva, sembrava far accelerare la macchina che camminava indisturbata verso l’aeroporto. La strada fuori era deserta, Harry percepì un simile vuoto dopo aver compreso, con amarezza, che colpa della dipartita di Livia fosse stata anche la sua distrazione.
Porse le banconote al tassista, lasciò che tenesse il resto e corse nell’aeroporto. Ancora non si capacitava della possibilità che lei avesse potuto acquistare un volo all’ultimo minuto. Diretto dove, poi? Londra? Los Angeles? Quell’aeroporto non l’avrebbe mai portata a Londra, quella certezza lo spinse a cercarla senza sosta nei gate semivuoti. Non prestò molta attenzione al tabellone delle partenze, la cercò inizialmente nei bar, ma si arrese alla sua determinazione e controllò le partenze. Nulla l’avrebbe portata a Londra senza passare per Los Angeles, dunque la ricerca di Livia proseguì affannata nei gate lì diretti. 
Quando vide Livia, da lontano, ma sufficientemente vicino da riconoscerla, lei era in fila per i controlli di sicurezza. Teneva il passaporto stretto in una mano, non c’erano molte persone attorno a lei e, nonostante le sue gambe fossero pura gelatina, Harry la raggiunse senza difficoltà.
Era pronta a lasciare la giacca e gli stivali nell’apposito recipiente, ma Harry si parò inaspettatamente davanti ai suoi occhi. Erano ancora lucidi ed arrossati, increduli alla vista del volto infreddolito che la sovrastava.
“Livia, non partire, ascoltami.” Tentò di posare le mani sui fianchi di lei, avvicinandola al suo corpo, ma Livia continuava a muoversi e gli fu difficile rafforzare la presa su di lei. 
“Harry, lasciami andare.” Scansò le sue mani e cercò di sorpassarlo. Lui la fronteggiò ancora, riuscendo definitivamente a bloccarla. 
“No, Livia.” Premette i polpastrelli sul suo maglione, sentendola mancare un respiro “Non ti lascio andare, io ti tengo Livia, non dimenticarlo mai. Ti tengo forte, ti tengo su, ti tengo stretta a me.”
“Harry…” mormorò, gli occhi tornarono lucidi e la voce le tremò nuovamente. Posò la mano su quella di Harry sul suo fianco destro, cercando di allontanarlo. La sua presa si intensificò, strattonò Livia verso di sé, pentendosi subito del suo movimento avventato. Scansò immediatamente le mani da lei, lasciò che si allontanasse di pochi passi. 
“Livia.” Deglutì. 
Livia cercava di osservarlo fra le lacrime che le appannavano la vista. Harry stava in piedi davanti a lei, le braccia lungo i fianchi, il volto stremato e gli occhi stanchi che la fissavano incessantemente. Poteva leggervi, nonostante l’immagine liquida che l’occhio le restituiva, una domanda silenziosamente esplicita. 
Batté le palpebre, una lacrima rotolò sulla sua guancia e si blocco sulle sue labbra tremanti. Asciugò quelle che seguirono e recuperò le sue cose, voltando le spalle ad Harry che non aveva smesso di guardarla. Il cuore cessò di battere incessantemente, la smania che percepiva e gli faceva tremare il petto scemò quando lei gli voltò le spalle. Nonostante credesse di non esserne in grado, Harry iniziò a piangere davanti agli agenti della sicurezza, alle persone in fila ed alle spalle di Livia. Per tutte le volte che l’aveva stretta a sé, non avrebbe mai immaginato che sarebbe scivolata via da lui in quel modo. Si era premurato di tenerla, al sicuro, stretta a sé, in alto fra le sue priorità, ma Livia in quel momento scivolava via dalla sua presa attenta e precipitava, da sola, via e lontana da lui. Gli voltava le spalle e chiudeva a lui le porte del suo cuore sempre state socchiuse. Harry rideva amaramente al pensiero che Livia detenesse la chiave del suo, inconsapevolmente, nello stesso modo in cui lui gliela aveva concessa. 
La vide posare le sue cose sul vassoio, pronte per essere ispezionate, e decise che poteva bastare. Risparmiando ai suoi occhi ed al suo cuore una vista tanto atroce, anche Harry voltò le spalle a Livia. Si mosse a passi lenti, recuperando adagio la percezione dei suoi sensi, iniziando a singhiozzare, avvertendo il dolore attanagliarlo e stringerlo, mozzandogli così il respiro – gli era impossibile non sussultare ogni volta che qualche lacrima gli cadeva lungo le guance e si fermava sulle sue labbra.
Fu pio nei confronti di se stesso e col giusto tempo apprese la consapevolezza che Livia non gli sarebbe più stata accanto. Nonostante gli spasmi lo scuotessero incessantemente, camminava su una linea dritta e precisa verso l’uscita, mentre la sua mente lentamente realizzava che la perpetua felicità provocata dalla sua costante presenza, non sarebbe stata più la stessa. Ci sarebbe stata? Non voleva neanche trovare una risposta a quella domanda. Semplicemente, continuò per la sua linea dritta, uscendo dall’aeroporto, noncurante del freddo che lo avvolse una volta varcata l’uscita. Sollevò lo sguardo da terra, il vento gli mosse i capelli e della neve si posò sulle sue guance rosse. 
“Harry?”
 

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Capitolo 18
*** XVIII ***


Sweet creature
We're running through the garden
Oh, where nothing bothered us
But we're still young
I always think about you and how we don't speak enough
 
Per ogni volta che Livia aveva ignorato una sua sensazione, si era fatta più vicina ad Harry. Aveva costruito un muro emotivo che li separava ed al contempo cercava di abbatterlo – cercavano, Harry instancabilmente e senza tregua, anche privo di forze. Convinta del fatto che la giusta distanza l’avrebbe aiutata ad elaborare la lontananza ed il fato imprevedibile, lavorava sempre più strenuamente a questa costruzione che, al contempo, demoliva ogni volta che i loro cuori si facevano vicini. Livia viveva con questa perpetua contraddizione ed inquietudine, privata della spensieratezza e la serenità necessarie per dimenarsi sul filo sottile su cui lei ed Harry camminavano, si dimenavano, si arrotolavano, si ridestavano e riprendevano così da capo. Differentemente da lui, alla fine non aveva mai visto un dirupo da cui precipitare, Livia avrebbe continuato a camminare su quel filo tanto sottile da sola. Era convinta di potersi elevare, sollevare e liberare al di sopra di quella linea sottile, ma dimenticava il peso delle inquietudini che la teneva ancorata al suolo – o a quella linea tanto sottile, a quel filo poco spesso. 
Di Harry, e di loro due, Livia parlava raramente ed a poche persone fidate. Nulla la spaventava di più che veder concretizzata quella situazione con parole. Inoltre, era ben convinta che non avrebbe saputo quali usare, nonostante nei libri ne leggesse continuamente e, ne era certa, ne avesse incontrate di adeguate nel suo cammino. In cuor suo c’era tanta consapevolezza, ma questa svaniva alle porte della mente cosciente. Suddivideva la sua mente dal suo cuore, la mente cosciente da quella incosciente. Solamente questo suo modo di fare la mandava fuori di testa, ma non era in grado di cambiarlo, modificarlo e plasmarlo per tutti i cambiamenti che negli anni aveva vissuto. Plasmarlo, renderlo su misura e farlo calzare a pennello su lei ed Harry, pensava fosse troppo e quella indiscussa precarietà la rendeva spaventosamente codarda, anche ai suoi stessi occhi. Se lo ripeteva sempre, sei codarda, Livia oppure esci dalla caverna!, ricordando le lezioni di filosofia al liceo. Rimanere chiusa nella mente cosciente era indubbiamente la cosa più incosciente che Livia potesse fare, eppure continuava senza ripensamenti, solo tanti tormenti che, nonostante tutto, non la convincevano ad invertire la rotta. 
In momenti tanto difficili come quello lì, mentre era ferma in aeroporto, davanti all’addetta della sicurezza che le controllava i vestiti e le ispezionava le braccia, tutte le dualità di Livia venivano a galla, la sua polarità emergeva e si posizionava chiaramente davanti ai suoi occhi che avrebbero preferito ignorarla. Continuava a sbattere le palpebre: un po’ per il sonno, un po’ per quel pensiero, un po’ per le lacrime. Di tutto quello avrebbe volentieri assecondato il sonno, ma era l’unico che riuscisse ad ignorare. I pensieri e le sensazioni relative ad Harry le tornavano alla mente a tratti intervallati dall’immagine della scatolina blu e dell’anello, alla quale da poco si era aggiunto il viso arrossato ed addolorato di Harry che la guardava senza più parlare davanti ai rulli della sicurezza. Il continuo tormento che tutto ciò le provocava le rendeva impossibile non piangere, tuttavia era costretta a farlo data la presenza di tanti estranei attorno a lei, dato il suo orgoglio e la sua codardia.
Mentre ancora veniva ispezionata a fondo, Livia ripensò ai quei giorni di circa un anno prima, lasciando che la mente cosciente ripescasse gli ultimi momenti del trentuno dicembre scorso. Ricordò, con amarezza, la litigata scoppiata fra lei ed Harry. Ripensò, con rinnovato stupore, a quella promessa che aveva fatto a se stessa: niente più codardia in questo nuovo anno, Livia; poi alla promessa fatta ad Harry: non voglio più ignorarti, non voglio più ignorarmi. La codardia e la mente cosciente avevano lavorato insieme, anche negli ultimi dodici mesi, e lei non era stata capace di tener testa a nessuna delle due, aveva infranto la promessa fatta a se stessa, la promessa fatta ad Harry. Credeva che pronunciando quelle parole tutto sarebbe stato più facile, le sue consapevolezze erano in quel momento chiare ed esplicite ad entrambi e lei era convinta del fatto che, uscite dalla sua mente, uscite dalla sua bocca ed articolate attentamente dalle sue labbra, ora fossero realtà realizzabile, non più astratta. Nel momento in cui aveva detto ad Harry: non voglio ignorarti, non voglio ignorarmi, Livia aveva esplicitato il necessario per poter stare accanto ad Harry sena ripensamenti e paure, come una gentile concessione e giustificazione a stessa, che sarebbe però durata pochi giorni. Circa un anno dopo, tutto quello era svanito e nessuna delle sue risoluzioni era stata messa in atto, portando a qualcosa che fosse realmente concreto e che lei potesse toccar con mano. Vedeva in Harry tutta la decisione che in lei era impensabile ed inimmaginabile, ma quella non poteva bastare per entrambi, temeva che non fosse sufficiente neanche a lui stesso. 
Tornò ai suoi sensi non appena le dissero che era tutto apposto, con lei non c’era alcun problema e che poteva tranquillamente proseguire verso la partenza. Prese la sua giacca e gli stivali, li indossò e corse esattamente nella direzione opposta. Non poteva essere passato troppo tempo, Harry era ancora lì e lei ne era certa – portava con sé quella certezza nella corsa verso l’uscita dell’aeroporto e la custodiva gelosamente, ma tremante. In quei minuti trascorsi a correre, Livia non pensò alla possibilità che lui non potesse essere più lì, velocizzò notevolmente i suoi passi e riconobbe la sua giacca a quadri appena fuori le porte scorrevoli. 
“Harry?”
Posò una mano sul suo braccio, lo strinse, ma non lo strattonò. Attese che Harry si voltasse verso di lei, gli occhi la guardavano increduli e nel suo volto le emozioni si rincorrevano strenuamente.
“Livia.” Deglutì e non staccò gli occhi da lei, che scossa dal respiro accelerato lo guardava senza parlare. Strinse ancora la mano sul suo braccio, lui posò la mano sulla sua. Tremò a quel contatto, poi prese un respiro profondo.
“So che non dovresti fidarti di me, eppure continui a farlo e ad assecondarmi, nonostante le mie fughe continue da noi.” Sollevò gli occhi, incontrando i suoi fissi sulla sua figura infreddolita.
“Circa un anno fa ti ho promesso che non ti avrei più ignorato, ho anche promesso che non avrei più ignorato i miei sentimenti e che avrei messo da parte la codardia che mi attanaglia e mi allontana da te, sempre. Non sono stata in grado di fare niente di simile, ho mentito a me stessa, ho mentito a te” la voce si spezzò su quelle parole e Livia aumentò la presa sul braccio di Harry, che la avvicinò a sé “ho rotto ogni promessa che ero certa avrei potuto portare avanti da sola, non ne sono stata capace e non me lo perdonerò mai.” In quel momento si allontanò da lui, mosse diversi passi indietro e sollevò il volto, pronunciando quelle parole con fermezza, mentre la voce tentava di spezzarsi ad ogni respiro “Come credi ancora in me se non so mantenere queste piccole promesse? Come credi che io possa mantenerne” gli occhi di lei si annebbiarono “un’altra? Un’altra più grande, Harry.” Batté le palpebre ed una lacrima calda le rotolò sul viso infreddolito. La allontanò velocemente, mentre Harry si fece più vicino a lei. 
“Ho comprato questo anello diversi mesi fa, Livia, ancora prima di chiederti di venire a Los Angeles con me.” Aprì la scatolina, l’anello brillò alla luce giorno che nasceva alle loro spalle “L’ho comprato preso dall’istinto, spinto dalla sua bellezza e dall’idea di vederlo su di te.” Sorrise amaramente ad allontanò le lacrime ai lati degli occhi “In quest’ultimo anno ho fatto di tutto per tenerti stretta a me, ho cercato in ogni modo di tenerti, tenerti in tutti i modi in cui tu meriti di essere tenuta: stretta a me, in alto fra le mie priorità e…” la guardò, sinceramente e arrendevolmente negli occhi “tenerti, Livia, legarti a me. Ho visto questo anello ed ho pensato che sarebbe stato l’unico modo per legarti a me nonostante la distanza, tenerti vicina nonostante gli spazi incolmabili che spesso ci dividono. Non voglio chiederti di sposarmi” sorrise ed abbassò lo sguardo verso l’anello; Livia lo guardò senza capire e si fece più vicina a lui “o meglio, vorrei che tu un giorno lo facessi, ma non voglio che tu mi risponda ora. Sono convinto di volere te, consapevole dei continui rovesci del fato, ma sono anche convinto di volerti aspettare, di aspettarti sempre.” Sollevò le spalle e si avvicinò ancora alla figura minuta di Livia, che lo raggiunse a metà strada “Volevo solamente accertarmi che tu fossi legata a me e che tu fossi cosciente che io ti avrei sempre tenuta, sempre, senza mai lasciarti scivolare ancora via da me.” Fece una pausa e tornò a guardarla. Gli ohi di entrambi erano appannati da lacrime timide di rivelarsi e lasciarsi andare sui loro volti infreddoliti.
“Avrei voluto dirti tutto questo con più calma, ma” sospirò, passando nervosamente una mano fra i capelli disordinati ed umidi “Dio, ero convinto di non esserne capace.” Entrambi furono mossi l’uno più vicino all’altro, istintivamente si strinsero le mani. Livia si fece più vicina, ma Harry si allontanò. Posò una mano sulla sua spalla, le accarezzò il braccio coperto dalla giacca e le strinse la mano sinistra nella sua. Col solo ausilio della mano libera prese l’anello dalla scatolina di velluto blu, sotto lo sguardo attento di Livia, il cui cuore batteva incessantemente. Rimase in piedi davanti a lei, si fece più vicino e lasciò che, ancora una volta, i loro occhi si scontrassero. Sembrò meno doloroso per entrambi. 
“Non scappare più da me.”
Sweet creature
Had another talk about where it's going wrong
But we're still young
We don't know where we're going
But we know where we belong

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Capitolo 19
*** XIX ***


I’d say my house in London is the most homely that I feel anywhere
 
Londra li aveva accolti insolitamente silenziosa e soleggiata, illuminando i loro volti stanchi con le prime luci del giorno. Ritornarvi era come approdare in un porto sicuro per entrambi, Harry lo sentiva maggiormente ed ogni volta che atterrava a Londra e respirava l’aria di casa, era ancora incredulo. Livia sentiva fortemente la mancanza della città quando ne era lontana e tornarvi la faceva sempre sentire a casa ed al sicuro, come se a Londra ogni ansia e timore decadesse automaticamente. 
Tornare insieme nella città era qualcosa che non avevano mai provato, che si verificava per la prima volta quel mattino freddo e luminoso, dopo aver condiviso nella reciproca compagnia diverse settimane. Avevano trascorso il viaggio insieme, ma avevano lasciato l’aereo separatamente, per rincontrarsi qualche momento più tardi al di fuori dell’aeroporto. I loro occhi stremati faticavano a rimanere aperti, tuttavia i loro volti rimanevano felici ed imperturbati dalla stanchezza, sorridenti l’uno davanti all’altra. 
“Torni direttamente a casa?” Harry abbassò gli occhiali da sole sugli occhi e la guardò dall’alto, era così bassa rispetto a lui e lo divertiva ogni volta. 
“Dove vuoi che vada?” si accorse del suo sorriso sghembo e gli pizzicò il braccio, tornando poi ad afferrare la valigia con le mani infreddolite. 
“Da me?” sorrise, avvicinandosi e scansandole i ricci sfuggiti dal cappello. Lei gli afferrò la mano calda, stringendola nella sua e baciandovi il palmo soffice, posandola poi sulla sua guancia fredda. 
“Da te? È la Vigilia di Natale, non vai da Anne?”
“Parto domattina” le accarezzò il volto, sfiorandole gli zigomi arrossati col pollice “e tu non torni a casa?”
“Quest’anno sono ferma qui.” Sollevò le spalle e si fece più vicina a lui. 
“Allora parti con me domattina anche tu, Livi.” Lui la imitò, accarezzandole la parte bassa della schiena, mentre ancora teneva il suo volto nella mano e non cessava di accarezzarlo. 
“Semplice così?” Rise gli baciò nuovamente il palmo. 
“Molto più di quanto immagini. Posso avvertire di aggiungere subito un posto per te, posso?”
“Harry…”
“Non posso lasciarti sola a Natale” deglutì e si fece serio, spostando lo sguardo sul suo volto corrucciato “non chiedermi di lasciarti sola a Natale, non riesco a farlo per gran parte dei restanti giorni dell’anno.”
“Allora portami con te per Natale” sussurrò “ed anche per un po’ degli altri giorni, se ti va.” 
Harry sorrise chinandosi sul suo volto e le lasciò un bacio delicato sulle labbra rosse. Prese subito il telefono dalla tasca, mostrandole fieramente il numero di Anne sullo schermo e portandola accanto a sé per stringerla. 
 
Arrivarono nella sua casa Londinese e, con grande sorpresa, Livia notò che nulla era cambiato.
Vi era stata poche volte prima, ma tutto era rimasto uguale ed al suo posto, invariato. La staticità di quell’ambiente le trasmise un’insolita familiarità, in ogni cosa lì c’era Harry e dov’era lui, si ritrovava anche lei. Erano soli e non c’era nessuno ad intralciare la loro intimità, né una guardia del corpo, tantomeno una donna di servizio – Harry non aveva mai avuto un buon rapporto con nessuna ed aveva deposto le armi al secondo tentativo. Livia si guardò attorno ed il suo sguardo curioso cadde su delle foto sparse disordinatamente sul tavolino da caffè, davanti al divano. 
“Vuoi del tè?” sentì il portone sbattere e fu distratta da Harry che si liberava delle scarpe, accanto all’ingresso. Era un’abitudine che le aveva trasmesso sin dal primo momento, soprattutto perché non le lasciava mai disordinate, ma le riponeva con cura l’una accanto all’altra. Passò accanto a lei e le lasciò un bacio sulla fronte, stringendole il fianco fra le dita. Livia sorrise a quel contatto non più estraneo, lasciandosi andare contro il suo petto, prima che lui potesse baciarla ancora, prima di arrivare in cucina. 
“Sì, grazie.” Si sedette ed ignorò le ulteriori domande di Harry, frugando fra quelle polaroid che riconobbe essere del Capodanno passato. Vide i loro volti sorridenti spuntare fra le altre, accanto ad una fotografia di Harry che ricordò di aver scattato lei stessa. Nella prima polaroid, entrambi sedevano sul letto disfatto dell’hotel che li aveva ospitati quella notte, seminudi e stretti l’uno all’altra con gli occhi luminosi. Harry le mordeva la guancia, Livia gli stringeva il braccio e cercava di nascondersi dal flash troppo forte della fotocamera. Un sorriso spontaneo si dipinse sul suo volto, ora più arrossato perché esposto a numerosi altri scatti di quella stessa notte. Molte di quelle non erano più polaroid, ma Harry le aveva sviluppate nello stesso formato; ricordava lui che scattava con la sua macchina fotografica stretta fra le mani, mentre Livia cercava di sfuggirgli. Nel momento in cui lei l’aveva presa in mano, dopo tanti ‘per favore’, Harry non aveva esitato a posare e ricordava ogni foto scattata quella notte, ma non ne vedeva alcuna fra quelle lì disposte. 
Harry arrivò silenziosamente alle sue spalle, ma senza spaventarla. Aveva un modo di fare sempre molto pacato e Livia si era abituata al suo silenzio nei loro giorni americani. 
“Per te” si sedette accanto a lei, porgendole la tazza calda, che Livia subito afferrò “quella sei tu.” Indicò una delle pellicole sul tavolino e si rilassò contro il cuscino, portando un braccio dietro il capo. 
“Lo so” prese un sorso di tè “e perché tu non ci sei?”
“Perché preferivo ci fossi tu.” Sollevò le spalle e Livia sorrise a tanta spontaneità. 
“Pensavo le avessi perse, o che non le avessi più sviluppate.”
“L’ho fatto subito dopo essere tornato a Londra, le nostre sono rimaste qui da quel giorno.” Avvicinò la mano a quella libera di lei, stringendola e facendo intrecciare le loro dita. Livia gli pizzicò la pelle, prima di spostarsi sulle sue gambe. Sistemo le sue ai lati del suo bacino, subito sentì le mani di Harry raggiungere ed accarezzarle la schiena. 
“Allora sei un ragazzo pigro e disordinato che non sa dove metterle.” Gli pizzicò scherzosamente una guancia “Credevo fosse una mossa romantica.” Spostò lo sguardo nel suo e prese un altro sorso di tè. 
“Lo è” sorrise divertito “lo sai che ti amo, Livi. Le tengo qui per quando faccio colazione da solo e tu non ci sei.”
“Anche io ti amo.” Sussurrò subito dopo, non pentendosi, ma pensando a quelle parole con tanto stupore ed incredulità. 
“Io di più.” Ammise, ancora divertito, in quel momento anche sorpreso dalla sua spontaneità nel pronunciare quelle parole. 
“Sì? Anche io ho una nostra foto sul frigorifero!” esclamò, prima di ridere con lui.
“Avevo sedici anni, Livia, e sono tremendo in quella lì.” Sospirò, le sue mani stavano ancora sulla sua schiena e la accarezzavano a palmi aperti. 
“Ma” finse stupore ed incrociò le braccia al petto “ma è la mia preferita. Ti ricordi cosa-”
“Certo.” Le interruppe velocemente, facendo scontrare i loro sguardi. In quel momento nessuno parlò, Livia sorrise soltanto ed Harry la seguì. Entrambi sentirono il cuore mancare un battito a quel momento ricordato con tanto riserbo. 
“Già.” Livia si allontanò dalle sue gambe, sedendosi nuovamente sul cuscino e posando la tazza sul tavolino, preoccupandosi che fosse sufficientemente lontana dalle fotografie. 
“Penso di dovertela.” Iniziò Harry, seduto alle sue spalle. Scansò la schiena dal materasso e poggiò i gomiti sulle ginocchia, vedendo il viso di Livia raggiungerlo poco dopo. 
“Cosa?” sussurrò, poi deglutì, quasi a disagio davanti a quella sua serietà improvvisa.
“La certezza che ci sei stata sempre e solo tu, Livia.” 

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Capitolo 20
*** XX ***


Un anno dopo, dicembre. 
 
Il tempo a Londra trascorreva e si faceva sentire, l’incessante andare delle lancette scandiva ogni istante di una vita frenetica ed incontrollata, che scorreva sotto un cielo spesso ostile e nuvoloso. La città viveva al suo ritmo che non conosceva eccezioni, un ritmo costante e perpetuo che cadenzava l’esistenza di ognuno. Nulla mai cambiava a Londra se non il tempo, ogni altra cosa rimaneva invariata e cadeva perfettamente nel medesimo istante ogni giorno. Nessuno ne era annoiato e la monotonia non affliggeva mai i Londinesi, abituati ad una realtà priva di eccezioni nella loro città. Il trascorrere del tempo diveniva soggettivo ed ognuno viveva la vita secondo il proprio, la città li avrebbe sempre serviti allo stesso modo. La metropolitana avrebbe seguito sempre gli stessi orari e loro sarebbero arrivati in tempo al lavoro, la città li avrebbe sempre assecondati ed aspettati. 
 
Livia viveva la quotidianità monotona di Londra ogni momento eternamente grata di essere sufficientemente lontana dalla frenesia della sua città natale. Nonostante ne sentisse la mancanza costantemente, era grata di aver trovato in Londra quello che di più simile c’era a casa e di aver trovato lì il ritmo giusto a cui adattare la sua esistenza. Non vivevano in simbiosi, Livia in quello era indubbiamente più vicina alla frenesia di Roma e lontana all’ordinarietà di Londra, ma insieme collaboravano a creare un ritmo che fosse il più adatto per una convivenza pacifica. 
I giorni di riposo erano giorni dedicati a Londra e a Livia, dunque Harry lasciava Los Angeles ed il lavoro per correre da entrambe non appena gli era possibile. L’ultimo anno non aveva visto pause, gli impegni incalzavano minacciosamente ogni istante. L’album era stato ultimato ed ormai era pronto al rilascio, aspettava quella data con impazienza e frenesia. Harry guardava a quel momento con diffidenza e paura, ma non appena atterrava a Londra le sentiva scivolare via. 
Londra era diventata casa ancora di più dal momento in cui, diversi mesi prima, lui e Livia avevano deciso di renderla la loro. 
Era successo con la stessa spontaneità che li aveva sempre contraddistinti, ma non senza silenzi ed inutili dubbi. Harry e Livia avevano pensato a lungo a quella possibilità e l’avevano rivelata l’un l’altra solamente quando, quell’estate lontana da Londra, erano insieme a Los Angeles. Era stata Livia ad avanzare la proposta, con grande sorpresa da parte di entrambi. 
“Sarebbe più… comodo, ma non solamente questo. Potremmo farlo perché quelle rare volte che tu sei a Londra siamo sempre insieme e non vedo perché non possiamo farlo in una casa che condividiamo.” Aveva lasciato che le parole uscissero tutte d’un fiato, pentendosene immediatamente, ma sollevandosi l’istante successivo quando Harry si era voltato verso di lei ed aveva sorriso, annuendo. Quel momento era diventato, sin dal primo istante, focale nelle loro vite separate e nella loro esistenza insieme. Era difficile per Livia dimenticare l’espressione dolce di Harry, quando si era voltato verso di lei; per lui era ancora più complesso lasciar andare gli occhi emozionati di Livia e la sua voce tremante d’insicurezza nel pronunciare quelle parole tutte d’un fiato. C’era fra di loro tutta l’innocenza e la spontaneità della giovinezza libera d’amarsi senza freni e paure, senza il timore di poter precipitare giù da un dirupo senza essere sorretti. C’era fra di loro tutta la libertà sprigionata da quegli anni trascorsi nel buio e nel silenzio deleterio. C’era fra di loro tutta la frenesia d’un amore che voleva essere vissuto come tale, etichettato come sentimento perfetto, svincolato da ogni lontananza. 
Della casa si erano innamorati sin dal primo istante in cui vi avevano messo piede. L’attico era situato nel cuore della città e Livia ed Harry l’avevano posizionato ai vertici della loro lista già per quel motivo. La semplicità degli spazi, poi, li aveva rapiti subito dopo aver completato un primo giro assieme all’agente immobiliare. Harry lo ascoltava attento, Livia già immaginava come arredare ogni angolo, già fermamente convinta del fatto che sarebbe subito stata loro. Quando aveva chiesto loro un’opinione, Harry aveva letto negli occhi della ragazza accanto a sé la più sincera certezza, libera da esitazioni di ogni sorta. Livia già vedeva quegli spazi diventare i loro ed Harry lo capì subito.  
 
Da quei primi giorni di settembre erano trascorsi diversi mesi e dicembre era ormai alle porte, vicino e silenzioso come la neve che cadeva su Londra. Imbiancava la città ed i suoi monumenti, divertiva i turisti ed annoiava gli abitanti fermi nel traffico, tuttavia lasciando loro un sorriso quando, una volta rientrati a casa, potevano osservare il manto bianco dalla finestra, accanto al caminetto e stretti ai propri cari.  
La neve imbiancava la città ed i suoi monumenti, Livia e l’innumerevole quantità di scatoloni che in quei giorni aveva trasportato da casa sua, alla loro. Nonostante Harry avesse proposto l’aiuto di una ditta specializzata per entrambi, Livia aveva rifiutato categoricamente ed aveva iniziato con il trasloco addirittura dei giorni prima che lui tornasse in città. Non voleva che nessuno mettesse le mani sulle sue cose, aveva sempre eseguito ogni trasloco da sola e detestava l’idea che qualcuno potesse metter mano sui suoi pochissimi averi. Livia possedeva un numero assai limitato di oggetti, tutti stipati nel suo studio londinese ed impazienti di avere uno spazio per loro nella nuova casa che li aspettava. Aveva acquisito una praticità notevole in quegli anni trascorsi da sola, imparando a rinunciare a qualsiasi cianfrusaglia e dedicando tutto lo spazio che aveva a libri e DVD, al dovere e al diletto. Era impaziente di vederli vivere una nuova vita nella nuova casa sua e di Harry ed attendeva quei primi giorni e momenti insieme con grande trepidazione.
Non appena tornato in città, Harry aveva raggiunto Livia nella loro nuova casa. Era la prima volta che riferiva quell’indirizzo al tassista e nell’esatto momento in cui l’aveva pronunciato una scia di brividi di fierezza gli aveva percorso la schiena. Stringeva impaziente il manico del borsone fra le mani. Non vedeva Livia da due settimane e, nonostante fosse abituato a distanze prolungatesi per periodi molto più estesi, in quel momento sentiva di lei una mancanza incolmabile. 
Livia lo aspettava sorridente ed infreddolita presso la porta del palazzo e quando lo vide arrivare gli occhi le si illuminarono immediatamente, come le sue gambe che iniziarono a correre per raggiungerlo. Rimase fermo a pochi passi da lei e la strinse fra le braccia non appena lei fu più vicina, sollevandola e facendola volteggiare per qualche secondo. Non appena i piedi di Livia toccarono terra, lei si sollevò sulle punte e fece scontrare le loro bocche impazienti. 
“Sono qui, sono tornato in tempo.” Sussurrò sulle sue labbra sorridenti, accarezzandole dolcemente la guancia che lei posò sul suo palmo.
“In tempo per?” 
“Per sistemare insieme le nostre cose, Livi.” Entrambi sorrisero nuovamente e Livia si scansò dalla sua presa stretta sulla sua schiena.
“Credevo ci pensasse la ditta che non mi ha lasciato un attimo di pace in questi giorni.” aggrottò le sopracciglia e gli sistemò la sciarpa attorno al collo “Mi rubavano sempre l’ascensore!” esclamò scatenando in lui una risata spontanea e divertita. 
“Ti avevo detto che avresti dovuto lasciarli fare.” Le scansò i capelli dal volto e la guardò ancora divertito. 
“No, le mie cose sono tutte in salone pronte per uscire dagli scatoloni.”
“Anche le mie, no?” domandò, interrogativo. 
“Sì, ma le mie le ho portate io.”
“Dio Livia!” esclamò, pizzicandole il fianco e facendola sobbalzare, non prima che gli avesse pizzicato a sua volta il dorso della mano. 
“Saliamo?” domandò, avvicinandosi al suo corpo infreddolito. Harry la strinse ancora, annuendo lievemente mentre lei lo baciava di nuovo. 
“Posso prendere le valigie? Oppure devo rimanere senza vestiti?”
“Fa troppo freddo, altrimenti ti avrei detto di sì.” Entrambi risero, poi insieme si avvicinarono al taxi e recuperarono le sue valigie. Insieme aprirono il portone, salirono in ascensore. 
 
Aperta la porta, la luce proveniente dalle vetrate che circondavano la casa lì investì. Livia entrò per prima, stringendo la mano di Harry e portandolo con sé. Lui si chiuse la porta alle spalle e subito le cinse i fianchi, posando il capo sulla sua spalla. Rimasero entrambi in silenzio per diversi istanti, facendo volteggiare i loro sguardi fra i lampadari sul soffitto, le pareti e gli arredi che avevano scelto insieme nonostante la perpetua distanza. Ogni oggetto in quella casa aveva una storia e ogni altro che vi sarebbe entrato avrebbe avuto la sua. Quella casa costudiva una grande storia e mille storie in sé da raccontare un giorno tutte d’un fiato o davanti al caminetto a più riprese. 
 
“Harry?” ancora stretta a lui, sollevò il capo e cercò il suo sguardo, posando una mano sulla sua guancia e facendolo voltare verso di sé. Lui abbassò gli occhi sereni e sorrise guardandola.
“Sì?” 
“Sì.” Lei annuì, stringendogli la mano che lui teneva sul suo fianco.
“Sì?” domandò non capendo, ma sbattendo le palpebre non appena vide Livia estrarre una collana dal maglione che aveva addosso. L’anello brillò nella luce di quel mattino nella loro nuova casa e si rifletté nei loro occhi e sui loro volti emozionati.
“Sì, Harry.”

Bentornati! Scusatemi per la lunghissima assenza, ma l'università si é nuovamente messa fra me e la scrittura e ci ha allontanate per questo lunghissimo mese. Spero siate felici di leggere nuovamente di Harry e Livia, nonostante ora manchino solamente quattro capitoli alla conclusione delle loro vicende. Grazie per il vostro supporto, lasciate pure un commento se vi va! Ci vediamo presto, Zoe xx

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Capitolo 21
*** XXI ***


La neve avvolgeva la città ed una tiepida luce la illuminava, il sole addolciva il risveglio degli abitanti di una Londra magica ed ancora silenziosa. Dicembre scorreva lento ed i giorni si susseguivano scanditi dall’impazienza, con il Natale alle porte e l’aspettativa del tempo libero da dedicare alla famiglia. 
La città si muoveva senza mai fermarsi, il suo ritmo rimaneva invariato ed imperturbato e nessuno le sfuggiva. Fatta eccezione per Harry, tutti a Londra vivevano la frenesia di dicembre con entusiasmo, lasciando da parte la pesantezza o la negatività che minacciavano le loro giornate. In quei giorni di pausa lontano da ogni sorta di attenzione mediatica e viziato dalle attenzioni di Livia, Harry riscopriva pian piano la bellezza della quotidianità e della convivenza nella loro nuova casa. 
Tornò ad apprezzare i risvegli lenti. Nonostante entrambi sapessero che quelli fossero riservati esclusivamente a Los Angeles, a Londra insieme e nella loro nuova casa si lasciavano trasportare dal piacere di un risveglio più dolce fra le coperte calde. Ritrovò la sorpresa nei gesti inaspettati, che in una vita trascorsa in viaggio o da solo aveva dimenticato; l’aroma della menta sprigionata dal tè invadeva la cucina al mattino ed al rientro di Livia, quando lo sorseggiavano insieme. Harry in pochi giorni comprese che nulla di quello era indispensabile, necessario, fondamentale e che lui ne avrebbe avuto bisogno solamente con Livia accanto. 
Nonostante lei fosse impegnata con il lavoro e trascorresse gran parte della giornata lontana da lui, in quella casa la sua presenza era sempre palpabile. Era una persona ordinata, ma nella frenesia del mattino dimenticava le pantofole nel soggiorno ed Harry le trovava spesso ai piedi del divano, quelle rare volte in cui, durante la mattinata, usciva dal suo studio e si concedeva delle pause. Nel pomeriggio trascorreva diverse ore in palestra prima del suo rientro e, recuperando l’abbigliamento adatto dalla cabina armadio, si scontrava con le stampelle che Livia aveva lasciato quel mattino con dei cambi che non avrebbe indossato. Guardava a tutto quello con timore e serenità, spaventato dall’idea di non potersi abituare mentre, lentamente, quella diventava la sua quotidianità e non gli era più facile ignorarne il bisogno. 
Cercava di rientrare a casa prima delle sette, voleva trascorrere del tempo con Harry prima di cena perché consapevole che più tardi i suoi occhi non avrebbero resistito e lei avrebbe ceduto al sonno, addormentandosi sul divano, poggiata sulla sua spalla mentre insieme guardavano un film. In quei momenti prima di cena lasciava che lui sciogliesse ogni granello di tensione accumulatosi nel suo corpo durante la giornata e lo ascoltava raccontarle la propria. Raramente aggiungeva dei dettagli riguardo la sua giornata lavorativa, preferiva ascoltarlo e quando le chiedeva “e tu?”, lei raccontava solo i tratti più salienti di quelle ore intense. La bellezza di quei momenti consisteva nell’ascoltare la voce calda di Harry che la cullava e rilassava, rigenerandola. 
La convivenza e la condivisione avevano da sempre intimorito Livia, l’idea l’aveva lasciata in dubbio e non si era mai esporta. Quando l’aveva proposto ad Harry, non si era scontrata solamente con la sorpresa di lui, ma anche con la sua stessa incredulità. La necessità di avere qualcuno che fosse tanto vicino la confondeva, ma nello stesso momento sentiva che quella fosse necessariamente la strada da prendere, perché ad Harry non voleva più star lontana. Le distanze incolmabili che si mettevano fra di loro ogni volta, non venivano mai risanate completamente da pochi giorni trascorsi assieme e finivano per trascorrere settimane l’uno a casa dell’altro. Ora che erano in una casa loro, Livia sentiva meno la sua lontananza in quei giorni interminabili, ed al suo ritorno era certa che le sarebbe stato accanto per un tempo che avrebbe ignorato qualsiasi legge dettata dalle lancette dell’orologio. Per questo ignorava il suo disordine ed assecondava le sue abitudini più bizzarre, condividendo con lui le sue. Lui le assecondava ugualmente ed insieme si riscoprivano sotto una nuova luce, trovando il piacere di trascorrere quei momenti insieme. 
 
La finestra della camera da letto volgeva sulla città innevata e la luce si faceva spazio timidamente fra le tende socchiuse, illuminando i loro corpi appena svegli intenti a lasciare le coperte, pronti per una nuova giornata. 
“Guarda quanta neve, Harry, vieni!” Esclamò Livia, in piedi davanti alla grande vetrata e stretta nella coperta. Uscì dal bagno ancora in accappatoio e la raggiunse, posando le mani sulle sue spalle coperte. 
“Sei ancora sicura di poter andare al lavoro con queste condizioni?” Livia spostò gli occhi nei suoi, poi tornò a guardare la neve che scendeva incessantemente. 
“Speravo di sì, ma credo di dover rimanere confinata in casa.”
“Non è un piacere?” Le chiese, solleticandole il braccio. Lei tornò a guardarlo, nascondendo un sorriso sul volto divertito. 
“Non è un piacere chiedere un giorno di ferie, ma è indubbiamente un piacere rimanere a casa con te.” Gli accarezzò le braccia coperte, poi gli prese le mani, stringendole e baciandogli le nocche. Harry memorizzava quei gesti sempre con estrema delicatezza, spesso preso di sprovvista e completamente sorpreso da quelle attenzioni. 
“Sì? Ho un’idea.” Svincolò le mani dalla presa di lei e le fece scivolare lungo la sua schiena, avvicinandola al suo corpo ed al suo petto ancora umido.
“Sentiamo.”
“Siamo a metà dicembre, le decorazioni che hai iniziato ad ordinare ad agosto mi stanno soffocando nello studio e molto probabilmente siamo gli unici senza un albero di Natale in tutta Londra.” Lei sorrise alla sua precisazione, nonostante fosse consapevole di aver esagerato con quelle decorazioni, nonostante continuasse a comprarle. Sarebbe stato il loro primo Natale in quella casa tutta loro e non era facile per lei contenere la felicità che l’idea della loro casa addobbata le recava, bastava il minimo pensiero. 
“Vuoi farlo oggi?” Gli chiese, accarezzandogli il volto ancora umido e la fronte ricoperta dalle goccioline rilasciate dai suoi capelli disordinati sulla fronte. 
“Sei confinata in casa, Livi, non hai molta scelta.”
“Devo assecondarti.” Posò una mano sulla sua guancia. 
“Devi assecondarmi, già.” Lui voltò appena il capo e le lasciò un bacio delicato sul palmo soffice.
“Però tu monti le luci.” Posò entrambe le mani sul suo viso, portando i loro sguardi ad incontrarsi. 
“A patto che tu poi le smonti.” Ribatté Harry.
“Solo se tu mi aiuti, perché saranno molto in alto.”
“D’accordo” sospirò “altro?” Sorrise, consapevole della sua incapacità nel negarle qualsiasi cosa. 
“Un bacio.” Sussurrò vicina al suo volto. 
“Sempre con estremo piacere, Livi.” Harry si chinò sulle sue labbra e le unì alle sue in un bacio silenzioso, accarezzandole il volto con i polpastrelli e sentendo Livia sorridergli sulla pelle. 
 
Gran parte delle decorazioni si trovavano nello studio di Harry per comodità, ma solamente a parere di Livia. Per lui era diventata una costrizione ormai divertente ed alla quale era più che abituato, ma sentiva la necessità di uno spazio più libero e l’idea di vederle tutte disposte nella loro casa non gli dispiaceva affatto. 
Come accordato, Harry si occupò delle luci. Ce ne erano a sufficienza per l’albero, il corrimano delle diverse scalinate e l’esterno, dove, tuttavia, non mise piede perché la neve non aveva ancora smesso di cadere su Londra. Guardava oltre le vetrate e si sentiva finalmente a casa, più che al completo con Livia al suo fianco. Tutto quello di cui aveva bisogno era lì e ne avrebbe potuto godere quando avrebbe voluto: c’era la sua città, la sua casa, la sua donna ed era circondato da un amore tanto forte e tanto palpabile. 
Livia si occupò dell’abete, posizionandolo accanto al divano e vicino alla vetrata in fondo al salone. Aveva aperto i rami e li aveva dispiegati ordinatamente e, mentre Harry sistemava il filo di luci colorate, lei aveva portato le palline e lo scatolone con le restanti decorazioni. Non aveva resistito ed aveva comprato delle statuine con cui decorare i diversi angoli della loro casa. Intenta a posizionarle attentamente, ricordò il Natale di diversi anni prima, trascorso a New York. Le tornarono alla mente le immagini della casa nell’Upper East Side, che aveva voluto addobbare da sola e con la massima dedizione, donandole alla fine un’aria sufficientemente natalizia, calda e familiare. Di quelle ore trascorse ad allestirla ricordava come la solitudine non cessava di tentarla. Ricordava bene anche come lei avesse saputo scacciarla e fosse stata in grado di muoversi, seppur difficilmente, in quel sentimento che in quei momenti faticava a riconoscere e che in quegli esatti istanti londinesi sentiva ormai lontano ed estraneo. Si voltò, vide Harry camminare verso di lei e sedersi al suo fianco. La guardò con occhi sorridenti, ma non disse nulla e Livia rimase in silenzio. Gli prese la mano ed insieme sollevarono lo sguardo sull’abete nella loro casa londinese, tornando poi a guardarsi l’un l’altra. Istintivamente sorrisero e senza alcuna esitazione si stesero sul tappeto dietro di loro, poggiandovi la schiena e chiudendo gli occhi, stringendosi le mani.

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Capitolo 22
*** XXII ***


Due anni dopo, dicembre.
 
La neve avvolgeva la città ed una tiepida luce la illuminava, il sole addolciva il risveglio degli abitanti di una Londra magica ed ancora silenziosa. Dicembre scorreva lento ed i giorni si susseguivano scanditi dall’impazienza, con il Natale alle porte e l’aspettativa del tempo libero da dedicare alla famiglia. 
“Guarda quanta neve, papà, vieni!” Esclamò Livia, in piedi davanti alla grande vetrata e stretta nella coperta. Stretta fra le sue braccia c’era Tessa, un fagottino di coccole e d’amore che si sporgeva impaziente verso la vetrata, toccandone la superficie fredda con la punta delle dita. I suoi occhi curiosi vagavano al di là del vetro, spostandosi poi per brevi istanti su quelli di Livia, ma tornando a guardare ciò che la attirava di più. La neve che scendeva dolce e delicata si rifletteva nelle sue piccole pupille scure e la faceva sorridere, le provocava una tenera risata colorata. 
Harry le raggiunse, attento a non inciampare in nessuno dei numerosi giochini che invadevano il pavimento, una serie di, apparentemente innocenti, minacce di stoffa. Affiancò Livia e le lasciò un tenero bacio sulla tempia che venne subito ricambiato da un sorriso sereno. 
Tessa si muoveva incessantemente fra le sue braccia, strette forte attorno a lei, quando quell’incessante impazienza venne subito placata dalla vista del volto di Harry. Sul suo viso si dipinse una timida espressione incredula, sorpresa, accompagnata da un risolino che nacque spontaneo anche fra i suoi genitori. Allungò le braccia verso di lui, Harry la prese senza esitare mentre Livia le sistemava parte del pigiama sollevatosi nello spostamento. La sua mano piccola e forte si strinse attorno al tessuto pesante del suo maglione, l’altra continuava a puntare la vetrata davanti a loro, mentre faticosamente Tessa cercava le parole per comunicare i suoi pensieri di bambina. Harry la avvicinò ulteriormente alla vetrata, permettendole di posarvi interamente la piccola mano. 
“Quanta neve, Tess, hai visto?” domandò, ricevendo come risposta una serie di versi sconnessi, l’invano tentativo della sua bambina. Livia li guardava, in piedi un passo indietro rispetto ad entrambi. Li ascoltò comunicare e silenziosamente prese la polaroid dal comodino. Scattò indisturbata diverse pellicole, osservandone il risultato entusiasta ed a cuor leggero, avvertendo l’armonia che si celava nella città invadere la stanza ed avvolgerli. 
 
Tessa era arrivata in un momento pieno d’impegni discografici e lavorativi e non avevano esitato a definirla, sin dall’inizio, un fulmine a ciel sereno. In realtà, il cielo era in tempesta e lei era il suo raggio di sole. 
Nelle loro vite frenetiche e dedite ai piaceri della giovinezza, della vita di coppa immersa nel mare della spensieratezza più assoluta, dove le responsabilità si presentavano al lavoro ed al lavoro soltanto, Harry e Livia non avevano previsto l’arrivo di un bambino. Era un discorso da loro mai intrapreso fino al momento della scoperta, del test e delle analisi, una discussione lasciata ad anni più maturi e meno spensierati. Una responsabilità che rappresentava per loro una paura costante, quella di perderla, di perdersi, di fallire, di lasciarsi andare e di riprendere a fuggire, sentendosi non più legati l’uno all’altra ed avvertendo uno spazio sempre più grande fra di loro. Nella loro esistenza insieme erano certi di aver trovato elementi di gran lunga più importanti, tanto che il pensiero di quello che stava accadendo sotto ai loro occhi lasciava in loro un senso di amarezza nei confronti di un passato che sentivano già lontano. 
 
Realizzare quello che sarebbe successo di lì ad una manciata di mesi, perché nove mesi nella sua vita non erano mai stati tanto lunghi, ma sempre scanditi da un ritmo frenetico ed incessante, era stato il primo ostacolo per Harry. A quello si era sommato il terrore di veder Livia scappare di nuovo, la avvertiva già scivolare via dalla sua presa ed allontanarsi nel fallito tentativo di gestire quel cambiamento da sola. Non sarebbe mai stata capace, tanto era diventata dipendente dalla sua presenza negli ultimi anni. 
Detestava l’idea, ripudiava il fatto che dovesse ammetterlo a se stessa, allontanava e scacciava via quel pensiero ogni volta che sentiva la necessità impellente della sua presenza accanto. Livia era ancora insicura sull’amore, conosceva solo quello che provava nei confronti di Harry e non credeva che potesse estendersi ed ingrandirsi verso qualcuno che non fosse lui. Il loro equilibro era fondato su loro due ed il pensiero che qualcuno potesse stravolgerlo da un momento all’altro la terrorizzava e le ricordava anni lontani, ormai dimenticati in un ripostiglio lontano della sua mente. D’altra parte, le era impossibile non sentirsi egoista nei suoi confronti, nei confronti di Harry e di quel bambino che aveva paura di conoscere. 
C’era di nuovo in loro quella sottile linea di incertezze a dividerli da un salto nel vuoto che, quella volta, non avrebbero saputo affrontare da soli. 
Erano usciti dal silenzio delle loro menti, camminando su quella linea sottile con la costante paura di cadere, ma tenendosi la mano. 
 
Tessa era arrivata, un delicatissimo raggio di sole in un cielo in tempesta nella loro vita insieme, nella loro casa londinese. 
Non parlava molto, ma chiamava i suoi genitori con dei versi ormai noti ai loro cuori, quelli di tutti e tre. Mangiava, mangiava tantissimo ed avrebbe assaggiato tutto quello che c’era in tavola dal piatto dei suoi genitori, che spesso e volentieri la tenevano sulle gambe nell’unico momento calmo delle loro giornate. Camminava e spesso inciampava, certa che qualcuno l’avrebbe sempre risollevata; seguiva i suoi genitori per casa, incerta se guardare il pavimento o loro, non sapendo dove posare lo sguardo curioso. Era curiosa come Livia ed i suoi piccoli occhi, vispi e sorridenti, avrebbero convinto anche il cuore più incerto. Era instancabile come Harry ed il rumore dei suoi piccoli piedi veloci sul pavimento metteva tutti sull’attenti: “Dove sei Tessa?” “Non ti vedo, vieni qui!” “Sei una monella, dove ti sei nascosta?”.
 
Tessa aveva appena un anno, figlia di dicembre, nata per riscaldare il mese più freddo.
Era diventato il raggio di sole che al mattino presto li svegliava ancor prima che al di là della finestra facesse giorno, che in un modo o nell’altro brillava anche di notte e li stancava, spesso li innervosiva, prima di tornare a calmarsi facendoli riaddormentare stretti insieme. Tutti e tre.

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Capitolo 23
*** XXIII ***


New York, lo stesso anno
 
Le piccole manine di Tessa si muovevano disordinatamente sui tasti del pianoforte, emettendo rumori inusuali piuttosto che musica e provocandole una risata spontanea, che risuonava nel salotto. I ricci scuri le cadevano sulla fronte chiara ed innocente, di bambina, e seguivano ogni suo movimento vivace e scoordinato. Premeva i tasti bianchi con insistenza, a tratti allungandosi verso quelli neri, cercando di svincolarsi dalla salda presa di Harry. La teneva sulle sue gambe, con una sola mano premuta sul suo pancino, la teneva vicina a sé ed impediva che scivolasse. Ad ogni tentativo fallito, Tessa cercava di allontanarlo stringendogli le dita, ma Harry la attirava nuovamente a sé. Alla fine, ridevano entrambi e, mentre Harry cercava di comporre con la mano libera, Tessa muoveva entrambe le sue sui tasti, distraendolo. 
Livia li guardava silenziosamente, seduta su uno scalino e sporgendosi dal corrimano. Le mani di Harry si muovevano fra il pianoforte, Tessa, la penna ed il suo taccuino, in una confusione disordinata di movimenti che riusciva incredibilmente a dominare col sorriso sulle labbra. Ogni tanto rispondeva ai versi sconnessi della sua bambina. Tentava di raccontarle cosa aveva in mente, e lei provava a rispondergli a modo suo per poi tornare a muovere le manine accanto alle sue sui tasti. Il corpo piccolo di Tessa si incastrava perfettamente con la curva formata dal quello seduto di Harry, le sembrava che lei fosse una riproduzione in scala più piccola di lui che la teneva sulle sue gambe. Non era abituata a scene simili, quelle rare volte in cui vi assisteva il cuore le batteva sereno nel petto ed il suo volto si rilassava e perdeva ogni segno di preoccupazione. La mente tornava ai primi mesi di Tessa, ancora sconosciuta dentro di sé e le confermava, ogni volta, di aver fatto la scelta giusta. 
“Dovresti inserire le melodie di Tessa nel tuo nuovo album” scese gli ultimi scalini e li raggiunse sorridente “vero? Sei d’accordo Tess?” posò le mani sulle spalle di Harry, massaggiandole e sentendo una mano delle sue raggiungerla. L’altra rimase salda attorno al corpo di Tessa, in quel momento col volto verso l’alto e gli occhi sorridenti in quelli della sua mamma. 
“Ben svegliata.” Lo sguardo di lui si sollevò verso i suoi occhi e la sua mano scese ad accarezzarle le gambe scoperte. Sorrisero entrambi, e Livia si chinò per premere un bacio sulle sue labbra. Si allontanarono, ancora sorridenti e sereni. 
“Grazie a voi del risveglio.” Lo raggiunse sullo sgabello, accarezzando la manina di Tessa e spostandola sulle sue gambe, mentre la più piccola la guardava assorta. Le sistemò i capelli ai lati delle orecchie e le lasciò un bacio sulla fronte, augurando il buongiorno anche a lei. 
“Volevo che fosse meno irruento.” Confessò Harry, voltandosi verso di loro e chiudendo il pianoforte. Lasciò la sua penna ed il taccuino chiuso sul piano, osservando gli occhi curiosi di Livia. Incontrò il suo sguardo, ma lei lo distolse immediatamente, colta a sbirciare nel suo lavoro.
“A me piacciono anche così.” Tornò a guardarlo, annuendo convinta “Ho scelto la casa col pianoforte solo per questo.”
“Speravi di essere svegliata dalle dolci melodie di Tessa?” non appena sentì il suo nome, sollevò lo sguardo e puntò il dito verso Harry, che le afferrò la manina stringendola nelle sue. 
“Speravo nelle tue, ma magari lei ha già preso parte del tuo talento.” Entrambi risero, abbassando insieme lo sguardo verso la bambina fra di loro. Livia le accarezzò i capelli e Tessa sollevò lo sguardo, sorpresa. Harry si avvicinò al suo volto, le accarezzò una guancia soffice e Livia sollevò gli occhi nei suoi. Lui sorrise e le fu impossibile non ricambiare, prima di allungarsi verso di lui e lasciare un bacio casto sulle sue labbra. 
 
L’indomani sarebbe stato il primo compleanno di Tessa e solo dopo quattro giorni avrebbero festeggiato il Natale. Quei giorni newyorkesi non erano stati pianificati se non all’ultimo momento e di fretta, come loro due erano soliti fare. Non avevano in mente nulla di grande per il primo compleanno di Tessa, e certamente non avrebbero realizzato una festa da capogiro in poche settimane. Non c’era nulla di programmato neanche per il loro Natale, se non del tempo con le loro famiglie. Avevano deciso di rimandarlo al nuovo anno, ai primi giorni di gennaio, per trascorrere delle settimane soli. Soli, loro tre. 
Così Harry aveva prenotato il volo e Livia aveva cercato una casa per loro – loro tre. Era tentata di visitare nuovamente quella che diversi anni fa era stata la sua, la sua casa newyorkese – affittata. Tuttavia, dopo vari falliti tentativi di rintracciarla sul database, Livia aveva scoperto che quella casa era stata venduta. Ne era rimasta felice ed aveva continuato la sua ricerca con serenità: quella casa e quei giorni avevano significato molto per loro e desiderava che fosse così anche per altri. 
Quella che aveva scelto era ugualmente situata nell’Upper East Side, ma decisamente più grande e spaziosa. C’era Tessa con loro e, se le avessero chiesto di quantificare lo spazio che quella bambina occupava, Livia avrebbe risposto che neanche quella casa sarebbe stata abbastanza. La sua stanza preferita era la loro stanza da letto, circondata da vetrate che lasciavano accesso alla luce naturale. La stanza si illuminava non appena spuntava il sole e li svegliava gradualmente, accompagnandoli nell’inizio di un nuovo giorno. 
Nell’ultimo anno, i loro giorni non erano mai stati uguali. Se negli anni trascorsi insieme avessero stabilito una routine, sarebbero bastati quegli ultimi trecentosessantacinque giorni a rivoluzionarla, ogni volta diversamente. Livia, amante della routine, aveva iniziato ad ignorarla dal primo momento in cui Tessa l’aveva rivoluzionata per loro. Harry si era lasciato trasportare dalla corrente governata dall’indomabile Tessa, così piccola ma determinante. 
 
A distanza di un anno dal suo arrivo, Harry guardava Tessa con la stessa incredulità del primo giorno in cui l’aveva vista. Nei primi mesi insieme lo lasciava raramente andare e si rilassava facilmente solamente fra le braccia del papà. Il cambiamento minacciava di schiacciare Livia e la sua agitazione era facilmente palpabile, ma Harry la aiutò a sollevare quel masso che incombeva su entrambi. Aveva lasciato che il superfluo rimanesse alle loro spalle, concentrato a calibrare il peso del cambiamento sulle loro vite giovani, impreparate ed immature. 
Guardava Tessa e rivedeva in lei i loro volti, i loro cuori, i loro litigi, i loro sacrifici ed il loro impegno – vedeva loro. 
 
Il mattino seguente la sveglia era suonata in anticipo per entrambi e non per Tessa, che continuava a riposare, mentre i suoi genitori si affaccendavano in cucina. 
Livia posò sulla penisola una tovaglia colorata e sgargiante, Harry vi posizionò tre piattini e tre bicchieri. Entrambi, insieme, disposero dei pacchi abilmente incartati e decorati al lato del loro semplice allestimento. 
“Credi che lo capirà?” Livia lasciò spazio ai suoi dubbi, cercando gli occhi di Harry. Teneva fra le mani la sua telecamera e tentava di posizionarla in equilibrio su un treppiedi improvvisato.
“Ha imparato a soffiare le candele in camera, forse sì?” la guardò e sorrise, vedendola avvicinarsi e raggiungerlo. 
“Ma capirà che lo stiamo facendo per lei? Che è per il suo compleanno, che sta diventando grande?” Livia posò le mani sulle sue e lo aiutò a regolare quell’equilibrio precario.
“Non capirà tutto questo, ma ne sarà indubbiamente felice” Harry si sollevò, osservando la telecamera in posizione ed avvicinandosi a Livia “e noi lo documenteremo, così non potrà dimenticarlo.” Le prese il volto fra le mani, scrutandole gli occhi scuri ed impazienti. Lo leggeva da quelli, ed era facile leggerlo da quelli, che non aspettava altro che vedere la loro bambina sveglia e curiosa davanti a quello che avevano preparato per lei. Le lasciò un bacio rassicurante sulla fronte e la guardò ancora. Notò i suoi occhi cambiare gradualmente, farsi più sicuri ed avvertì aumentare la presa di lei sulle sue braccia. La accolse subito, la sentì sorridere su di sé ed accanto al suo cuore. 
Livia si avvicinò al suo torace coperto, accarezzandogli le braccia e lasciando andare il capo contro il suo petto. Chiuse gli occhi e sentì il suo cuore calmo batterle contro l’orecchio, sollevare il tessuto della maglia sul quale lei premeva delicatamente la mano destra. Socchiuse gli occhi, strofinando la guancia contro il suo petto, prima di sollevare il volto verso il suo. 
“È tutto nostro, Harry.”
“Tutta nostra questa felicità, Livi, è tutta nostra.”

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Capitolo 24
*** XXIV ***


A Roberta: senza la nostra amicizia, molte pagine sarebbero rimaste in bianco. 
Qualche Dicembre fa a Londra
There's things that we'll never know
 
La casa aveva un’aria poco familiare: i mobili incellofanati, le loro vite chiuse negli scatoloni. Le stanze ancora vuote risuonavano della loro ansia di riempirle, di svuotare gli scatoloni e dipingere quella casa con i colori delle loro esistenze che diventavano una. Le luci di Londra illuminavano le pareti spoglie, infiltrandosi fra le vetrate, riflettendo le ombre dei loro corpi seduti a terra contro la parete. Le vetrate circondavano l’intero salotto e la cucina perché la luce non mancasse mai, neanche di notte e neanche in quel momento. 
Livia sedeva a terra, sulle gambe teneva un cartone contenente la sua pizza ormai fredda. 
Harry sedeva accanto a lei, teneva una tazza di tè in una mano e nell’altra la mano di Livia, le spalle contro il muro che ancora profumava di pittura fresca. 
La luce del pc creava ombre divertenti sui loro volti stanchi, ma sereni, e quel film non sbagliava neanche una volta a farli ridere dopo una lunga giornata come quella. Non tutte le lunghe giornate li lasciavano con la stessa soddisfazione, molto spesso a loro rimaneva solo un vuoto incolmabile ed un senso di sfinitezza che non sapeva placarsi, se non dormendo. 
“Ogni volta spero che non lo faccia, ma finisce sempre così.” Livia rise non appena partirono i titoli di coda, spostando lo sguardo sul volto di Harry. Quella poca luce lo illuminava e ne evidenziava la barba incolta ed i capelli disordinati, un po’ sporchi, legati malamente con uno degli elastici di Livia. 
“Come se non l’avessi già visto dieci volte.” Lasciò la tazza a terra e si volto verso di lei, china davanti al pc, sorridente davanti alla scarsa luce dello schermo. I nei e le macchioline rosse sul suo viso erano tuttavia evidenti, nonostante il buio tentasse di nasconderle. 
“Dieci volte solo con te.” Chiuse lo schermo del pc, poi nel buio si spostò sulle gambe di Harry. Le afferrò prontamente i fianchi e li accarezzò al di sotto della maglia, solleticandole la pelle nuda e provocandole un risolino spontaneo. Risuonò immediatamente in quella casa senza tende ed entrambi risero più forte, aumentando l’eco delle loro risate felici nella notte buia. 
“Livi, dovremmo accendere la luce ora.” Continuava ad accarezzarle la pelle e la guardava cercando il suo volto, sapendo benissimo dove trovarlo. Livia era sempre più vicina a lui e ne avvertiva il respiro sulle guance. 
“Possiamo usare questa fino al bagno? Voglio fare una doccia.” Accese la torcia del cellulare, mostrandogliela fieramente. Illuminò i suoi occhi verdi e lui la scansò immediatamente – mormorando ‘mi hai acciecato!’, ma tornando subito ad accarezzarle la pelle. 
“Da sola?” Livia nascose il cellulare, Harry rise e la sistemò ancora sulle sue gambe.
“Non vedi quanto è buio? Ho paura a farla da sola.”
“Vorrà dire che-”
“Posso farti la barba?” Prese il cellulare e gli illuminò il volto, ma Harry le scansò immediatamente le mani, spostando le sue dalla pelle dei suoi fianchi soffici. 
“No, Livi, non al buio e non stasera.” Sorrise. Livia illuminò anche quel sorriso lì e spontaneamente uno altrettanto felice le comparve sul volto. 
“Allora mi accontenterò di lavarti i capelli.” Sussurrò, accarezzandoli e liberandoli dal suo elastico. Gli massaggiò la cute con i polpastrelli delicati, avvicinando così i loro volti. 
Livia premette le labbra contro le sue ed Harry la sollevò prontamente, stringendo le mani grandi e forti contro i suoi glutei. Si diresse scalzo verso il bagno, sentiva le labbra di Livia sulle sue, ed i suoi polpastrelli ora gli scompigliavano lo stomaco e la mente.
 
Crisp trepidation
I'll try to shake this soon
Spreading you open
Is the only way of knowing you
 
Nella doccia non c’era stato spazio per i capelli di nessuno. I loro corpi s’erano fusi, incapaci di riconoscersi nel buio, confusi dal vapore che riempiva la doccia. 
Quella casa accorciava ogni distanza fra di loro, la eliminava, ogni lontananza era nulla. Loro erano in quella casa, vi erano stati dal primo istante ed ogni singola particella dei loro corpi sarebbe rimasta impressa fra quelle quattro mura. Non erano di nessun altro se non loro, e quello spazio apparteneva alle loro vite che diventavano una, lasciava la distanza sull’uscio senza lasciarla entrare. Fra quelle quattro mura non ci sarebbe mai stato spazio per la lontananza, ogni angolo l’avrebbe colmata di loro. Un profumo, una foto, un maglione fuori posto. 
 
Put a price on emotion
 
Il letto era posizionato contro la parete ed era l’unico mobile presente nella loro camera. A terra c’erano le loro valigie disordinate, ma mancavano i comodini e le lampade sedevano luminose sul tappeto. La luce arrivava forte su di loro e li illuminava mischiandosi alla miriade di luci che Londra proiettava prepotente contro le vetrate e sulle pareti.
Erano sdraiati sul materasso, stretti fra le lenzuola nuove, coperti solo dall’intimo e dai loro profumi. Fra le quattro pareti risuonavano le loro voci, piccoli sussurri che uscivano fitti dalle loro labbra impazienti. Non sapevano cosa dirsi o raccontarsi, così si dissero e si raccontarono tutto, colmando l’assenza, ogni istante sempre di più. La loro presenza era vivida e forte, palpabile e totalizzante anche in una casa spoglia come quella. 
“Domattina voglio iniziare dalla cucina, così non siamo costretti ad ordinare per il resto dei nostri giorni.” Harry posò la coperta sulle sue spalle e Livia si strinse prontamente al suo petto, facendo scorrere i polpastrelli sulla sua pelle morbida. 
“Vorrà dire che inventeremo altre scuse per farlo.” Livia annuì senza pensarci due volte ed entrambi risero a quella comune consapevolezza. 
Poco dopo calò il silenzio, Harry giocava con i suoi capelli e Livia si sarebbe addormentata in una manciata di secondi se lui non avesse smesso. 
“Ho aperto uno scatolone prima.” Sussurrò quasi impercettibilmente. Nel vuoto la sua voce suonò più forte e Livia lo guardò confusa. 
“Cosa non trovavi?” aggrottò le sopracciglia. Si scansò dal suo petto quando lo vide allungarsi verso il pavimento. Sedette contro la testiera del letto, attenendo che anche lui facesse lo stesso. Riaccese la luce della lampada sul tappeto e raggiunse Livia. Tra le mani teneva un taccuino che aveva anche la copertina piena di disegni e parole – i suoi disegni, le sue parole, ogni sua forma d’arte. Livia lo guardò curiosa, spostando lo sguardo dal volto corrucciato di Harry, alle sue mani incerte, posandolo infine sul taccuino gonfio, colmo d’inchiostro. 
“Stavo cercando questo” deglutì, rigirandolo fra le mani e stringendolo nella mano sinistra – quella vicina a Livia “questo taccuino qui.” Sollevò lo sguardo. La sua voce si era abbassata diventando roca ed incerta. Livia conosceva quei rapidi cambiamenti ed assecondò anche quello lì. 
“Cosa vuoi farci? C’è della musica?” chiese apprensiva, accarezzandogli il braccio con la punta delle dita. Gli sfiorò la guancia con la punta del naso, ma Harry si scansò, prima di voltarsi verso di lei. 
“C’è sempre della musica, Livi” sussurrò “qui dentro, come in tutte le cose” poi si schiarì la voce e parlò tutto d’un fiato davanti agli occhi di Livia, che si facevano man mano sempre più velati “e come in te, in noi. Qui c’è tutta la nostra musica, non è mai stata mia, neanche per un istante ho pesato che potesse appartenere a me o ad una determinata città. È nostra, ma è principalmente tua e di Parigi, New York, Los Angeles, Londra, di tutte le città in cui ci siamo voluti o ci siamo incontrati per caso. Non voglio che sia di nessun altro se non tuo, perché dentro ci sono io che tuo lo sarò per sempre. Perché dentro ci siamo noi e per me saremo per sempre indelebili, più di qualsiasi tatuaggio che ho sulla pelle – quelli posso cancellarli se voglio. Tu, Livia, mi sei dentro e sarà così, sempre.” Le prese la mano e la aprì nella sua. Vi poggiò il taccuino e la richiuse, stringendola, forte, nella sua. “Buon Natale, Livi.”
C’era da sempre, fra Harry e Livia, una precarietà difficile, una sottile linea che li divideva dal precipitare: precipitare insieme o da soli. Era vivida in Harry, confusa in Livia. Per molto tempo si erano chiesti come superarla, se precipitando da soli o se precipitando tenendosi la mano. 
 
We'll be a fine line
We'll be alright

 
Se siete arrivati fin qui, ci tengo a ringraziavi di cuore. Lo faccio dal profondo del mio cuore, scusandomi per il ritardo nella pubblicazione di questo epilogo, ma sperando, allo stesso tempo, di avervi regalato ciò che avreste voluto leggere. Ci sono stati diversi imprevisti in questo percorso tortuoso e chi, meglio di Harry e Livia, può insegnarcelo? Vi lascio Harry e Livia come un regalo di cui sono gelosa, ma che non riesco a tenere per me. Vi ringrazio tutti per aver letto, ringrazio chi ha recensito e chi vorrà recensire in futuro. 
Spero di tornare presto, Zoe xx

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