Poisonous.

di _fixiall12_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno. ***
Capitolo 2: *** Due. ***
Capitolo 3: *** Tre. ***



Capitolo 1
*** Uno. ***


Fissavo ogni suo minimo movimento cercando di capire se fosse tutto frutto della mia immaginazione oppure no. Solo quando abbassò la testa stringendosi con le mani il collo capii. Era lui perchè quel gesto lo ripeteva in continuazione quando stava male o semplicemente per scaricarsi.
Non riuscivo a respirare, sentivo il petto alzarsi e abbassarsi con fatica come se ci fosse qualcosa a bloccare il passaggio dell’aria. Le mani mi tremavano, sentivo le gambe molli, come se non potessero reggere il mio stesso peso, il cuore che mi esplodeva nel petto, la mente vuota.
Sentivo una stratta dolorosa alla gola che mi costringeva a respirare velocemente per cercare una boccata d’ossigeno. Avevo l’istinto di piangere e scappare via.
Con quel briciolo di forza che mi era rimasta mi avvicinai, tanto da riuscire a sentire la suola della sua scarpa sbattere ripetutamente sul pavimento, a vedere i piccoli nei sul collo, il segno che le vertebre sporgenti gli lasciavano o il forte odore di fumo che la sua pelle emanava. Chissà quante sigarette doveva aver fumato prima di arrivare qui, prima di prendere coraggio e venire di nuovo da me.
Ero a un passo da lui, mi schiarii la voce prima che sollevasse la testa e che si alzasse di scatto facendo cadere la tazza, per fortuna vuota, sul tavolo. Mormorò qualcosa che non riuscii a capire, recuperando il bicchiere e posandolo lontano dalle sue mani. Era così nervoso che quasi mi faceva tenerezza.
“Ciao” Disse dopo poco, con la voce decisa. Forzai un sorriso rimanendo in piedi difronte a lui. Cercò più volte di dire qualcosa, ma poi rimaneva in silenzio. Avrebbe potuto dirmi qualunque cosa, anche la più banale, mi sarebbe bastato.
Per quanto volessi farlo, non riuscivo a non guardarlo, ne sentivo il bisogno. Il corpo da ragazzo aveva lasciato spazio a quello da uomo, a quello molto più muscoloso e definito, ma non era cambiato granché e questa cosa mi tranquillizzava. I capelli neri erano sempre spettinati e sparsi ovunque, la cicatrice sul sopracciglio sinistro era sempre lì, ben visibile, aveva sempre quella fossetta sul mento che io trovavo adorabile, le labbra piene di tagli e rosse per quanto se le mordesse, le guance non erano più scavate come un tempo ma sotto gli occhi aveva le solite occhiaie che gli segnavano il volto. Erano quasi un segno di quanto qualcosa dentro di lui combattesse per uscire, quel qualcosa che non lo faceva dormire la notte, che lo costringeva a stare sveglio e a pensare a tutti i suoi sbagli, a tutto quello che avrebbe potuto fare e non fare. Aveva sempre quell’accenno di barba, quel modo di sorridere che mi piaceva tanto.
“Dai, siediti” disse indicando la sedia che era a pochi centimetri da me, non lo ascoltai.
“Quando sei uscito?” Mi sentii quasi troppo invadente nel chiederglielo ma era come se le parole fossero uscite da sole, senza che io potessi controllarle. Magari se ci avessi pensato, avrei potuto dirgli qualcos’altro. In tutti quei mesi avevo pensato molto, ero arrivata a molte conclusioni per poi tornare sempre al punto di partenza, e magari lui mi avrebbe potuto aiutare a fare chiarezza.
Il suo sguardo era fisso su di me, mi sentivo a disagio, avrei voluto solo urlargli in faccia quanto fossi arrabbiata quanto lo amassi ancora dopo tutto quel tempo, quanto stavo male per colpa sua.
“Questo pomeriggio. Avevo-” Si bloccò sistemandosi meglio sul posto per poi continuare. “ Avevo pensato di chiedere a mia sorella di dirtelo, ma non mi è sembrato il caso.” Aveva ragione, anche se avessi saputo che quel pomeriggio sarebbe uscito dal centro non sarei comunque andata. Un po’ per orgoglio, un po’ per vergogna, un po’ per amore, verso me stessa.
Lui mi aveva distrutta, usata per i suoi comodi, così, come se io non contassi nulla, come se ogni cosa che avevamo passato insieme non fosse stata importante, come se io non fossi stata un minimo importante da meritare delle spiegazioni. Avremmo potuto affrontare insieme i suoi problemi, ma come al solito lui aveva deciso tutto da solo.
Per quanto mi sforzassi, però, non riuscivo ad essere arrabbiata. Era questo che mi sconcertava, dopo tutto il dolore, i pianti, le urla, la disperazione io provavo ancora dei sentimenti forti per lui. Cercai di non piangere, di non dare troppo spazio alla emozioni che stavo provando in quel momento. Avrei voluto spaccargli la faccia, riempirlo di pugni, ma allo stesso tempo avrei voluto abbracciarlo, baciarlo, toccarlo, dirgli che non aveva più alcun motivo di scappare, che se gli bastavo, saremmo potuti uscire da tutto quello insieme.
Abbassò gli occhi sbuffando leggermente. Magari voleva dirmi qualcosa, magari no. Si avvicinò piano stringendo le sue mani con le sue così grandi in confronto, con cautela, come se avesse paura di farmi del male. Sentii brividi crescermi su per la schiena, il suo tocco ancora aveva un grande effetto su di me e odiavo questa cosa. Osservavo confusa il punto in cui eravamo collegati, guardavo le sue dita lunghe e non troppo fine. Pensavo a come quelle mani mi avevano toccato per anni, a come mi sentivo appena mi sfiorava la pelle, a come mi stavo sentendo in quel momento. Non erano le stesse sensazioni, provavo disagio, sentivo il bisogno di scacciarle via, non volevo che mi toccasse, non come prima. Sentivo una pressione farsi sempre più insistente sul petto e le sue mani strette intorno alle mie stavano cominciando a soffocarmi, mi allontanai.
“Mi stanno-” feci segno alle mie spalle “ Mi stanno aspettando, devo tornare a a lavorare." Dissi presa dal panico, stavo per crollare e non potevo permetterlo. Avevo promesso a me stessa che non avrei mai e poi mai pianto di nuovo per lui. Col tempo non avrei più sentito la sua sua mancanza così insistente, non avrei più avuto bisogno della sua presenza per addormentarmi, per svegliarmi, per fare qualsiasi cosa. Sarei andata avanti con la mia vita, con o senza di lui. Ma ora che lui era qui, davanti a me, tutti quei pensieri mi sembravano così vuoti e senza significato.
Cercai di uscire dalla piccola bolla che avevamo formato intorno a noi, fatta di ricordi, di speranza, di sentimenti repressi, di amore, rabbia, odio. Mi sentivo oppressa, per un momento ebbi paura di lui e di quello che avrebbe potuto farmi, perchè sapevo che sarebbe bastata una parola per farmi cedere.

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Capitolo 2
*** Due. ***


“Mi stanno-” feci segno alle mie spalle “ Mi stanno aspettando, devo tornare a a lavorare.” dissi presa dal panico, stavo per crollare e non potevo permetterlo. Avevo promesso a me stessa che non avrei mai e poi mai pianto di nuovo per lui. Col tempo non avrei più sentito la sua sua mancanza così insistente, non avrei più avuto bisogno della sua presenza per addormentarmi, per svegliarmi, per fare qualsiasi cosa. Sarei andata avanti con la mia vita, con o senza di lui. Ma ora che lui era qui, davanti a me, tutti quei pensieri mi sembravano così vuoti e senza significato. Cercai di uscire dalla piccola bolla che avevamo formato intorno a noi, fatta di ricordi, di speranza, di sentimenti repressi, di amore, rabbia, odio. Mi sentivo oppressa, per un momento ebbi paura di lui e di quello che avrebbe potuto farmi, perchè sapevo che sarebbe bastata una parola per farmi cedere.
“Resta ancora un po’, ho così tante cose da dirti.”
Volevo scappare da tutta quella situazione, volevo uscire e respirare aria pulita, scacciare via tutti quei ripensamenti inutili che avevo in testa. Ma lui sembrava non capire, mi teneva stretta per un braccio e non aveva intenzione di lasciarmi. Continuava a guardarmi con quegli occhi vuoti, con quello sguardo freddo aspettando qualche segno che gli facesse capire che non stavo facendo sul serio.
La ferita sul suo labbro aveva cominciato a sanguinare, la osservavo e pensavo a quanto tutta quella situazione stesse facendo male non solo a me, ma a entrambi. Avrebbe dovuto andarsene lui, ero sicura che non gli sarebbe pesato, come lo aveva fatto in precedenza avrebbe potuto farlo una seconda volta. Io non ne ero capace, c’era sempre qualcosa che mi legava a Lochan e più cercavo di allontanarmi più mi tirava a lui. O forse era proprio lui, che conosceva tutti i miei punti deboli, che sapeva come prendermi, che sapeva che una parola dolce, un sussurro, una carezza sarebbero bastati a farmi smettere di ragionare. Era proprio lui la mia rovina, senza mezzi termini, come era capace di farmi sentire la persona più felice e amata al mondo, di farmi toccare il cielo con un dito, lo era di distruggermi, di togliermi il respiro, di farmi sentire inutile e sola. Lochan era fatto così. Scontroso e aggressivo, dolce e premuroso. A suo piacimento avrebbe potuto buttarmi a terra e strapparmi il cuore dal petto e farlo in mille pezzi, oppure riempirmi di baci.
Avevo sopportato questo suo comportamento per anni ma a lungo andare stavo cominciando a stare male anche io, il suo dolore stava diventando il mio. Soffrivo perchè tutto era diventato più importante di me, mi dava buca per andare dai suoi amici o se veniva era così fatto da non reggersi in piedi, mi mentiva su ogni cosa, soffrivo perchè io lo amavo tanto da poter morire per lui ma non ero corrisposta, non più, o almeno così dava a vedere. Avevo anche cercato di farlo smettere, di fargli capire che così non poteva continuare. Delle volte sembrava ascoltarmi, per un po’ era tutt’altra persona, sembrava il Lochan di cui mi ero innamorata. Però non passava molto prima che tutto tornava come prima.
Mi prometteva sempre ‘Da domani smetto, lo giuro, lo farò per te, non posso permettere che questa cosa si metta tra di noi. Non sopporterei di vivere senza di te.’ Era la sua solita frase che ogni volta mi rifilava e a cui credevo sempre, ogni volta lo perdonavo perchè non avevo il coraggio di lasciarlo andare, avevo paura di soffrire più di quanto non lo stessi già facendo. Ma poi il giorno dopo evitava le mie chiamata, non si faceva vedere, spariva dalla circolazione perchè si vergognava, perchè non era riuscito a mantenere la promessa, perchè mi aveva dato un’ulteriore conferma di quanto quella roba per lui fosse più importante, di quanto in realtà tenesse a me.
C’erano, però, anche dei bei momenti, che conservavo con cura, di cui avrei voluto non dimenticarmi mai, di quando lui era pulito, quando sembrava amarmi davvero, come diceva. Momenti in cui rideva, in cui mi stringeva così forte da farmi mancare l’aria, in cui potevo baciarlo senza che lui si ritirasse.
Erano belle giornate quelle. Andavamo al parco ci sdraiavamo sull’erba e rimanevamo così abbracciati a non fare nulla in particolare, parlavamo e ci dedicavamo quelle attenzioni che mi mancavano così tanto. Oppure andavamo al cinema, ma il film lo guardavamo poco, andavamo al bowling perchè a lui piaceva tanto, al ristorante a festeggiare chissà cosa, forse proprio la sua felicità di quel momento ma anche la mia. Andavamo al mare, anche se faceva freddo ci buttavamo in acqua e ci rimanevamo fino a quando non sentivamo più le dita delle mani e dei piedi, andavamo a casa sua o mia, poco importava, a sfiorarci, a baciarci la pelle nuda fino ai brividi, a fare l’amore.
Quei momenti però erano diventati così rari che le urla, gli scatti di ira, le scenate di gelosia prevalevano su quei giorni felici che piano piano cominciarono a scomparire.
La nostra storia era finita da tempo ma io non riuscivo a capirlo, per me era sempre uguale, pensavo sempre di poterlo aiutare, che con il mio amore lui sicuramente sarebbe stato meglio, ero così cieca da non rendermi conto dell’assurdità dei miei pensieri o delle mie azioni. Nessuno avrebbe potuto aiutarlo, tutto dipendeva da lui. Dopo essere stato sfiorato dalla morte evidentemente lo aveva capito; aveva capito che era stato baciato dalla fortuna e che se avesse continuato non ci sarebbe stata una seconda volta.
Pensavo al perchè fosse tornato, perchè fosse venuto da me proprio quel giorno, perchè mi stesse facendo questo. Pregavo il mio corpo di reagire, di trovare la forza per tirargli un calcio, uno schiaffo o qualsiasi altra cosa pur di farmi andare via. Ma niente, rimanevo lì a guardarlo, a osservarlo da vicino come una volta.
Riuscivo a sentire il suo respiro sulla mia fronte, la sua stretta farsi sempre più forte, il suo odore così forte da farmi girare da testa. E se fosse stato tutto un’allucinazione? E se lui non fosse stato davvero davanti a me, a stringermi? Avevo paura che da un momento all’atro tutto intorno a noi si si sarebbe sgretolato, che i muri e il pavimento avrebbero ceduto, e che io sarei rimasta sola, circondata dal vuoto.

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Capitolo 3
*** Tre. ***


Lo osservavo mentre stravaccato sulla sedia, scarabocchiava distrattamente il tovagliolino che teneva tra le mani.
Era tornato ormai da più di una settimana e da più di una settimana non gli rivolgevo la parola. Mi cercava, mi scriveva, veniva a casa ma io non avevo il coraggio di rispondergli. Avevo paura, era successo tutto così velocemente che non avevo ancora elaborato il fatto che lui fosse davvero davanti a me, che fosse tornato. Anche se era impossibile non pensarci, dato che ovunque andassi lui era presente.

Ma comunque il pensiero che lui ci stava provando così seriamente, che mi cercava, che pensava a me mi faceva quasi stare meglio. Era come se mi sentissi ricambiata, come se lui stesse provando quello che avevo provato io per così tanto tempo. Non era nessuna sottospecie di vendetta ma semplicemente mi faceva piacere il fatto che in una piccola parte della sua mente ci fossi anche io.
Il bar era pieno di gente, ma il mio sguardo cadeva solo e soltanto su di lui, continuamente, non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso. Osservavo come impugnava la penna, come teneva piegata la testa mentre scriveva, come i capelli neri gli ricadevano sulla fronte. Mi concentravo sul suo viso cercando qualche particolare che potesse farmi dire di non conoscerlo. Ma in realtà all'esterno era il Lochan di sempre. Era sempre il solito, quello che piaceva alle ragazze, che portava le felpe sette giorni su sette, che odiava il telefono perchè 'preferisco guardarti negli occhi che scriverti un messaggio'.
Sembrava comunque essere cambiato in meglio, certo, il suo atteggiamento era più disponibile e gentile, sorrideva più spesso ma qualcosa era rimasto, una parte cattiva, qualcosa che non lo lasciava respirare, qualcosa con cui lottava da anni. Non era così facile guarire, tornare alla vecchia vita, questo è certo. Lo conoscevo troppo bene da dire che qualcosa prima poi sarebbe esploso, avrebbe combattuto con le unghie e con i denti per uscire e non sarebbe finita bene.

Senza neanche rendermene conto continuavo a mettere il suo dolore davanti a tutto, anche se mi ero ripromessa di non farlo. Dovevo capire che se continuavo così non sarei mai riuscita a staccarmi da lui. Ma, volevo davvero farlo?

Cercai di scacciare quei pensieri dalla mente, non potevo non pensare a lui senza che dei ripensamenti sulle decisioni che avevo preso, si presentassero.
Le sopracciglia gli si unirono in un cipiglio quando si cominciò a sentire osservato, con lo sguardo perso e minaccioso si guardava intorno, e non passò molto prima che mi scoprì. Avrei potuto benissimo distogliere lo sguardo, far finta di nulla, ma non mi importava, volevo che mi vedesse. Così rimasi immobile, incapace di fare qualsiasi cosa. Incapace di allontanarmi da quella figura così familiare.

Mi scrutava, mi penetrava con quegli occhi marroni che erano tutto tranne che banali, erano caldi tanto da farti sentire al sicuro, a casa.
“Signorina?” la voce di un cliente mi fece tornare alla realtà, persa com’ero nei miei pensieri, il poveretto doveva aver aspettato un bel po’ quel caffè. Mi scusai e dopo averlo servito ripresi ad armeggiare dietro al bancone, cercando di non abbandonarmi di nuovo alla tentazione di guardarlo, senza però riuscirci.
I suoi tratti si erano addolciti, la fronte rilassata. Mi rivolse un sorriso sghembo, uno dei suoi, non quello da rubacuori e neanche quello intimidatorio, uno di quelli per me, che rivolgeva solo a me e a nessun altro che mi faceva tremare, che mi faceva tornare la voglia di viverlo, fino in fondo. Una fossetta si presentò sulla guancia destra, non ricambiai ma questo non lo scoraggiò.
Notai che l’occhio sinistro era più gonfio, segno che quella notte doveva averla passata alzato, che i capelli erano più spettinati del solito, che un accenno di barba gli ricopriva le guance ormai non più scavate come una volta. Quasi mi sentii sollevata pensando che ormai era in salute, stava bene. 
Riposò la mano sul tovagliolo di carta calcando con la penna per scrivere qualcosa passandosi lento la lingua sulle labbra secche, bagnandole, i tagli sanguinanti della volta scorsa ormai erano quasi del tutto scomparsi. 
L’occhio poco dopo mi cadde sulle sue Nike sporche di fango. Quella mattina aveva sicuramente preso la via più lunga, quella che passava per il parco, per la parte più desolata e incolta.
Avrebbe potuto semplicemente prendere la macchina e in cinque minuti essere qui, ma aveva preferito farsi più di venti minuti a piedi, come era suo solito.
Poteva mettere un po’ di ansia se vista da lontano, una strada buia con i lampioni rotti, i fili d’erba secchi, le panchine piene di scritte, mura di edifici mai completati, ma a lui non importava, credo la amasse per il semplice fatto che il terreno era segnato solo dai suoi passi pesanti; la sentiva quasi come un posto suo, dove poteva stare solo.

Riportai l’attenzione sul suo viso quando alzò il foglio. Mi ci volle qualche secondo per inquadrare bene la parola tra tutte quelle scritte, quei disegni, quelle cancellature.
Ciao.
Anche se stavo cercando di mantenere una facciata da dura tutta la mia maschera crollò e sorrisi, con un semplice ciao scritto su un foglio spiegazzato e sporco di inchiostro.
Ciao.
Gli mimai con le labbra, portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio ma subito mi incupii rendendomi conto della mia reazione: Il cuore a mille, il petto colmo di speranza e felicità. 

Mi girai di scatto tornando al mio lavoro.
 Mi sentivo così stupida, ad ogni mio passo in avanti ne facevo venti indietro.

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