Ritrovarsi al Grande Tempio di Atene

di MaikoxMilo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un luogo troppo grande per te ***
Capitolo 2: *** Una mano gentile ***
Capitolo 3: *** Il ciclamino ***
Capitolo 4: *** Sotto le mimose di marzo ***



Capitolo 1
*** Un luogo troppo grande per te ***


Capitolo 1: Un luogo troppo grande per te

 

 

 

Atene, novembre 1994

 

 

“E questo sarebbe il futuro Cavaliere di Aquarius? Sembra lo abbiano già pestato ripetutamente!”

“Con quel fisico così gracile non camperà un giorno!”

“Non è all’altezza… si regge maldestramente in piedi e la sua pelle è assai pallida. Non è idoneo a ricoprire un incarico così alto tra le schiere dei Dorati Custodi!”

“Ma almeno si sa perché è già conciato così?!?”

Di tutti quei discorsi, Camus, il futuro Aquarius, non capiva niente e, tutto sommato, neanche gli importava, continuando a farsi trascinare dalla mano del Vecchio Shion che, lento, incedeva davanti a lui, con la solita composta eleganza che la gente abbinava difficilmente ad un anziano, ma lui era il Grande Sacerdote di quel luogo, un uomo fuori dagli schemi, anche se, effettivamente, tutti gli abitanti del tempio lo erano.

Camus manteneva lo sguardo basso, del tutto incurante dalle occhiate curiose e dal vociare intorno a lui. Non uno guardava in faccia. Non uno era degno della sua attenzione. La gente del posto parlava una lingua strana, una lingua che lui, dal basso dei suoi 5 anni e ¾, non aveva mai udito. Non li comprendeva. Non era interessato a comprenderli.

Il viaggio era stato lungo ed estenuante. Le ferite gli facevano ancora male, le giunture erano scricchiolanti, i muscoli bruciavano ad ogni movimento, così come le ossa, che avvertiva come rotte, sebbene non fossero tali. Aveva dormito per larga parte del tragitto, prima in treno, poi in aereo, poi ancora in bus. Il nobile Shion era meticoloso negli spostamenti, non voleva attirare l’attenzione utilizzando i suoi poteri speciali, scelta strana, Camus non si ricordava perché. A dirla tutta, non si ricordava nemmeno il perché fosse così ferito e dolorante.

Ciò che però rammentava era che qualcosa gli si era rotto. Dentro. Facendolo precipitare nuovamente nel vortice di un mondo grigio e inconsistente; un mondo dal quale, questo lo rammentava, gli sembrava di essere fuggito, di essersi salvato. Nonostante questa consapevolezza, ora vi era nuovamente intessuto dolorosamente dentro. E non poteva uscirne.

“Camus, non preoccuparti se non capisci quello che dicono gli altri, imparerai molto presto a comunicare in greco con loro, del resto sei un bambino molto intelligente e dotato, ti sentirai frastornato, ma passerà in fretta, vedrai!” lo incoraggiò Shion, con un largo sorriso.

Il piccolo Camus gli regalò una fugace occhiata, poco prima di abbassare nuovamente il capo, amorfo. Shion sospirò, mordendosi un labbro. Un peccato… era stato un peccato mortale separarlo dalla sua famiglia, lo sapeva, ne avrebbe accettato e preso la colpa.

Camminarono ancora un po’ in silenzio, arrivando così ad un anfiteatro contornato da colonne greche. Lì si fermarono, permettendo così al piccolo Camus di guardarsi un po’ intorno, pur non manifestando emozioni. Era di sicuro affascinante il luogo, ma non importava dove, o con chi, fosse, era stato strappato da casa, ovunque andasse non percepiva altro che freddo, un gelo insidioso ed estenuante. Per questo Camus, il futuro Aquarius, non mostrava interesse per nulla, rimanendosene lì, chiuso e corrucciato nella sua intimità.

Poco dopo dei passi vicino a lui lo indirizzarono verso destra, permettendogli di distinguere un altro bambino, arrivato lì come dal nulla, leggero come una piuma.

“Maestro, sono felice che siate tornato! Non è da voi impiegare così tanto in una missione, ho avuto paura che vi fosse successo qualcosa!”

“Ciao, Mu, sono felice di vederti! Scusami se ho dovuto allontanarmi per un periodo di tempo così lungo, non sei abituato, ma ti vedo comunque in gran forma!” lo salutò affabile Shion, sorridendogli con dolcezza.

“Ho continuato gli allenamenti come mi avete ordinato. Tutto bene la missione?”

“Non avevo dubbi, Mu, sei un bambino molto meticoloso! E, per la missione, sì, ho avuto più difficoltà del previsto, ma alla fine ecco qui l’ultimo Cavaliere d’Oro mancante. I 12 sono finalmente riuniti!”

A questo punto gli occhioni verdi di Mu passarono a scrutare profondamente l’altro bambino in maniera gentile e discreta. Non era bello fissare gli altri per un lungo periodo, ma quel piccolo che sembrava in tutto e per tutto suo coetaneo aveva dei profondissimi occhi blu, grandi come pochi. Quegli occhi… avevano già certamente visto qualcosa di terribile, così vuoti ma al contempo così brillanti. Vi era l’universo, come in tutti loro futuri Cavalieri d’Oro, ma in quel bambino c’era forse qualcosa di più.

“Ciao, piacere! Io sono Mu! E tu come ti chiami?” gli chiese con gentilezza, allungando il braccio nella sua direzione e regalandogli un largo sorriso.

Non ottenne risposta, portandolo poco ad abbassare il braccio, dispiaciuto.

“Oh, Mu… non pretendete troppo da lui, non ora! Non capisce il greco ed è un bambino molto chiuso, gli ci vorrà del tempo per aprirsi. Si chiama Camus, è nato il tuo stesso anno ma a febbraio. Ho preferito farlo conoscere prima a te, visto che sei un bambino molto pacato e tranquillo, a differenza degli altri!”

“Ho capito, Maestro Shion! - sorrise sempre gentilmente Mu, tornando a concentrarsi sul nuovo arrivato – E’ un piacere conoscerti, Camus! Ti ci vorrà un po’ ma ti troverai bene qui, benvenuto a bordo!”

Il piccolo Camus di quei discorsi, non capiva un’acca, aveva intuito gli avesse rivolto una domanda, probabilmente per chiedergli chi fosse e Shion aveva risposto per lui, ma comunque, a dispetto del sorriso bonario, parlavano due lingue diverse e incompatibili.

“Mu, volevo portarlo io stesso all’undicesima casa dell’Acquario, ma i miei doveri mi obbligano a recarmi prima al Sacro Tempio di Atena. Puoi farlo tu al posto mio? Se vedi che è troppo stanco per fare tutte quelle scalinate, aiutalo, ne viene da una esperienza assai brutta. Se puoi non fargli domande!”

“Certo, Maestro!”

Parlavano la stessa incomprensibile lingua tra loro, cosa che fece isolare ancora di più Camus nel suo mondo, almeno finché Shion non tornò a parlare a lui, tramutando la sua parlata nuovamente in italiano, l’unico linguaggio comprensibile tra loro due, giacché il vecchio Shion non conosceva molto bene il francese.

“Camus, ti lascio nelle mani di Mu, puoi fidarti di lui, ti porterà nel luogo che, da ora in poi, chiamerai casa. Passerai lì la notte, un letto è stato adibito per te dalle inservienti. Domani, all’alba, mi recherò da te, ti farò fare un giro del luogo, spiegandoti come muoverti e ti darò tutte le informazioni che vorrai! Ci vediamo presto, piccolo!” gli disse, regalandogli una carezza sulla fronte che meravigliò non poco Mu, non avvezzo ad un simile spettacolo. Camus non disse niente, ma aveva capito. Annuì brevemente, poco prima di abbassare nuovamente il capo, estraneo a quell’ambiente per lui inospitale. Di casa ce ne era solo una, questo non sarebbe mai cambiato.

Aspettarono che il vecchio Shion se ne andasse, poi il piccolo Mu decise di prendere la parola, attirando così l’attenzione di Camus, ancora frastornato da tutti quegli avvenimenti. Il bimbo dagli occhi gentili e dalle strane macchie viola sulla fronte, che prendeva il nome di Mu, gli sorrise di nuovo genuinamente, tanto da far sorprendere non poco il piccolo e timido Cammy: come poteva lui, un bimbo suo pari, far sentire gli altri così bene con un semplice sorriso? Quale era il segreto? Lui… lo aveva dimenticato… aveva dimenticato come si sorrideva, si sentiva mutilo.

“Se sei riuscito a far aprire così spontaneamente il Maestro Shion devi essere un bimbo speciale, Camus! Spero che, quando ti abituerai a questo luogo, potremo diventare buoni amici!”

 

 

* * *

 

 

Erano le tre di pomeriggio quando la vedetta Aiolia, soprannominata Lia, diede l’allarme. Si diresse a tutta birra verso la spiaggia delle colonne antiche, dove sapeva per certo di trovare gli amici, intenti ad allenarsi, i più giudiziosi, o a giocare tra loro, del tutto presi dal loro ruolo di bambini e non di futuri sacri custodi della giustizia.

“Nuovo arrivato!!! Nuovo arrivato!!!” esclamò infatti il piccolo Leone, precipitandosi a capofitto contro Milo, il quale, intento a saltare la corda attaccata ad un ulivo, inciampò e finì a terra sopra l’amico di sempre.

“Eccola di nuovo qui la piaga disturbatrice… - lo salutò Shaka, aprendo un occhio. In effetti doveva imparare a stare con gli occhi chiusi per sviluppare il cosmo, ma non gli riusciva ancora bene, pertanto accolse la via di mezzo: una palpebra chiusa e l’altra aperta in una muta ma educata espressione di sorpresa – Cosa succede questa volta?”

Aiolia intanto stava sotto Milo, entrambi erano scoppiati a ridere per il modo in cui il leoncino era piombato sulla scena e l’amico gli era caduto addosso come un sacco di patate. Comprendendo che non avrebbe ottenuto subito una risposta, Shaka sospirò, chiudendo di nuovo gli occhi e muovendo la testa rassegnato. I suoi compagni erano davvero stupidi, certe volte. Come pronosticato, non ottenne più alcun segno, se non quando Aldebaran, un bambino assai alto e massiccio per la sua giovane età, non si avvicinò incuriosito.

“Lia, cosa hai visto per essere così tanto agitato?”

“Ah, giusto!!! Ho visto Mu accompagnare un bambino taciturno dai capelli blu su per le scale del tempio, deve essere l’ultimo Cavaliere d’Oro!” si ricordò Aiolia, dandosi una manata in faccia.

Di colpo quel discorso interessò Milo, che si ricompose subito e si alzò in piedi, desiderosa di carpire di più.

“Un nuovo amico?” chiese speranzoso, gli occhi praticamente a cuore alla sola idea di fare una nuova conoscenza. Era sempre così lui, sveglio, vivace e ottimista, era il più piccolo del gruppo, con i suoi 5 anni appena compiuti, ma di gran lunga uno di quelli più attivi e dinamici.

“Qu-questo non lo so… Non parlavano lui e Mu, e se un bambino non riesce a parlare con uno come lui, così gentile e affabile, non so se potrà aprire bocca con noi… - si chiese dubbioso Aiolia, improvvisamente corrucciato – Forse… forse ha dei problemi!”

“Naaaaaaaaah, Lia, vedrai che riusciremo a portarlo dalla nostra parte, sarà un nostro compagno, non possiamo non essere amici!” trillò felicemente Milo, tutto agitato. Fosse stato un cane avrebbe di sicuro scodinzolato.

“Non lo so, Milo, non so...”

“Cosa potrebbe mai andare storto? Vedrete che riusciremo a...”

“O forse vuole semplicemente farsi gli affari suoi! - lo troncò sul nascere Shaka, minatorio – Non è che tutti voglio diventare amici di tutti! Non è che tutti vogliono diventare amici tuoi, Milo!”

Milo per tutta risposta gli fece pernacchie e gli mostrò il didietro tutto traballante, ancora più certo delle sue convinzioni.

Shaka sospirò per l’ennesima volta, tornando a meditare, isolandosi nel suo mondo. Non si poteva dare attenzione agli animali ottusi e istintivi, pertanto lasciò perdere, sicuro di essere nel giusto e pertanto godendosi il beneficio della superiorità.

“Pensiamo a qualcosa per dargli il benvenuto, per farlo sentire subito a casa! Si sentirà solo, poverino!” propose ancora Milo, iperattivo come non mai: ormai farselo amico era diventata una questione irrinunciabile, così avrebbe gliela avrebbe fatta vedere a quel guastafeste di Shaka!

Aiolia fece per aprire bocca, a metà strada tra l’enfasi del compagno e gli ultimi dubbi che gli ronzavano in testa, ma l’arrivo dei bambini più grandi, Death Mask e Aphrodite, lo fece ammutolire all’istante. Ringhiò, un’unica volta.

“Se vi state riferendo al nuovo venuto, lo abbiamo visto anche noi! E’ un bel bambino, pallido ma strutturalmente perfetto, se non avesse quel grosso livido in faccia e non zoppicasse!” intervenne Aphrodite, di due anni superiore a loro, già un Cavaliere d’Oro nel portamento. Aveva visto il nuovo venuto mentre girava con l’amico Deathy per il tempio, perdendo tempo negli allenamenti, e lo aveva trovato adorabile, ma… troppo debole. Non era solito mischiarsi con gli altri, se non con il futuro Cancer, ma quell’argomento meritava un approfondimento generale.

“Come, un livido sul volto? Di già? Lo hanno… picchiato?” chiese Aldebaran, dispiaciuto dalla rivelazione, che così grande e grosso aveva anche un cuore grande, forse il più grande di tutti.

“Non ne sappiamo niente, però come ha detto Shaka, non sembra particolarmente portato al dialogo, non ha mai parlato a Mu, e lo abbiamo pedinato per un pezzo di strada” continuò Aphrodite, andando ad annusare un olivo nelle vicinanze, colpito dalla fragranza che emanava.

“Anche questo è un comportamento sbagliato!” lo redarguì Shaka, tornando per l’ennesima volta a contemplare qualcosa che gli altri non vedevano.

Milo, dal canto suo, si scaldò, scontento che gli amici non gli davano la giusta fiducia. D’accordo, magari il nuovo venuto era timido… e quindi? Lui lo avrebbe fatto parlare!

“Io sono sicuro che...”

“Meglio per te se lasci perdere, pidocchio! Non è utile per te né per noi perdere tempo a conoscere un morto!” si aggiunse spietatamente Death Mask, masticando un ramoscello d’albero con grande mostra dei denti. Era più alto dei piccoletti e di Aphrodite, forse addirittura aveva un anno in più rispetto a quest’ultimo ma non si pronunciava sull’effettiva età. In ogni caso, la sua frase infelice attirò le ire del gruppo dei piccoli e persino il fastidio di Shaka che, disturbato da una simile frase, aprì gli occhi e lo guardò torvamente.

“Ritira quello che hai detto!!!” urlò Milo, provando a dargli un calcio nello stinco, del tutto vano. Death Mask infatti lo aveva fermato con il solo palmo della mano, in modo da non farlo avvicinare, il tutto mentre la piccola furia umana si dimenava come un ossesso, roteando i pugni in aria e provando a rompere il muro, inutilmente.

“Non è gentile quello che hai detto, sai?” gli fece eco Aphrodite, infastidito dai suoi modi.

“Non è quello che hai pensato anche tu?”

“Sì, ma gli do una possibilità...”

“Vana! Ahahahahahahah!!!”

Milo intanto era sempre più furente, stava diventando un fatto personale, anche se non conosceva ancora quel bambino misterioso, ma gli stava intrinsecamente simpatico.

“Ce lo hanno insegnato… non è solo la prestanza fisica a contare per diventare Cavaliere d’Oro!” sciolinò magistralmente Aiolia, ricordando gli insegnamenti del fratello. Era fratello di un Dorato tra i più puri, se non le sapeva lui certe cose!!!

“Sì, ma è fatto proprio male! Mingherlino, pallido, tappo, già ferito… siamo seri, dai, quello, se gli soffi, vola via e tanti saluti!”

“E poi magari ti da un pugno in faccia e ti spacca quel naso orribile che ti ritrovi!!!” esclamò in tutta fretta Milo, ancora intento nel suo operato di picchiare il compagno più grande.

“Ehi, il mio bellissimo naso, chiunque lo tocchi, si troverà con due costole rotte – ribatté Death Mask, spingendo via il moccioso con l’ausilio del solo dito indice. Milo rotolò diversi metri più in là, subito soccorso da Aldebaran e Aiolia, grintosi – Vedete? Posso questo perché sono potente, se non si ha la forza sono solo parole al vento!” disse, tronfio e supponente.

“Brutto….” si rialzò Milo, desideroso di vendetta, ma Shaka intervenne, stavolta prontamente.

“Finitela con questa pagliacciata! Disturbate me, la quiete e i sassi con il vostro rumoreggiare bagordo e infantile! Il silenzio è sacro, va rispettato, se non si hanno cose intelligenti da dire, e voi non lo state facendo, anzi, non lo siete nemmeno!”

Ovviamente di quel discorso pochi capirono, ma fu abbastanza per far terminare quella ridicola litigata. Shaka poteva dirsi soddisfatto.

“Comunque era solo un consiglio: fate come volete ma non affezionatevi troppo, morirà presto!” disse come commiato, poco prima di fare un cenno ad Aphrodite e allontanarsi dai piccoletti con baldanza.

“Io non mi arrendo… ora questo bambino lo voglio proprio conoscere!” affermò Milo, sempre più certo delle sue convinzioni, ormai andava come un treno, non l’avrebbe fermato più nessuno.

Aldebaran e Aiolia si ritrovarono pienamente d’accordo, anche se con qualche remora in più. Non erano certi sarebbero diventati amici, ma conoscerlo quello sì, assolutamente, non c’era neanche da starci a pensare!

“Prima di tutto dobbiamo chiedere delucidazioni a Mu quando tornerà giù dalle Dodici Case, lui lo ha conosciuto direttamente e ha buon giudizio, così ci faremo una idea sul bimbo!” propose Aldebaran, pratico.

“Io non ho bisogno di queste sciocche meditazioni, me lo farò amico e...”

“Mediazioni, vorrai dire!” lo corresse Shaka, puntiglioso.

“Ed io cosa ho detto?! Meditazioni!”

“Lasciamo perdere che a venirti dietro divento scemo anche io!” sospirò Shaka, arreso, assumendo nuovamente la posizione del loto e disinteressandosi dei suoi giovani compagni.

“Tu non verrai con noi, Shaka?” chiese gentilmente Aldebaran, non volendo escludere nessuno, anche se, effettivamente, la futura Vergine si escludeva da sola.

“No, Aldy, grazie… è lampante che questo bambino abbia bisogno di stare da solo, non gli rovinerò questo progetto seguendo lo sciocco piano di Milo, che riuscirà solo a farlo chiudere a riccio di più, o peggio...”

“Ecco, bravo, non venire che intanto non ti vogliamo!”

“Milo!!!”

“E’ la verità! Se questo bambino è veramente così chiuso non serve la pedelleria di Shaka!”

“Pedanteria…. Pedanteria! Non usare termini che non sai neanche cosa significhino, li storpi e basta e passi per poco intelligente!”

“Meglio poco intelligente che senza cuore come te! E allora andiamo, miei prodi!” fece strada il piccolo Milo, mettendosi alla testa del piccolo gruppo di guerrieri e avventurieri, il cuore già ricolmo del desiderio di diventare amico del nuovo venuto. A tutti i costi!

 

 

* * *

 

 

Le tenebre erano calate presto quel giorno, portando la quiete in quel luogo misterioso e immenso, troppo immenso per lui. I dintorni erano calmi. Il suo animo no.

Aveva fatto il giro con il bambino di nome Mu, che gli aveva mostrato i templi e lo aveva accompagnato al suo, situato quasi in cima alla montagna; da lì si poteva godere di una vista senza eguali: là in fondo il mare, lontano vi erano le luci della grossa città di Atene che riflettevano il loro chiarore sulle nuvole -il piccolo Camus si ricordò che quel fenomeno veniva chiamato inquinamento luminoso- e poi ancora, dietro al tempio, la cima del monte, il bosco fitto che abbracciava quel luogo in un misto di fantasia e realtà. Sembrava tutto così magico, eppure non una di quelle cose riusciva ad emozionare il piccolo, seduto sugli scalini del tempio, avviluppato nella coperta che aveva portato da casa insieme a poche altre cose.

Era tutto meraviglioso, già, eppure davanti a tutta quell’immensità che pure lo affascinava, non provava altro che il nulla. Soffriva solo di una grande nostalgia e desiderio di tornare a casa, talmente tanto che gli veniva da piangere, ma non lo fece. Aveva promesso di non farlo mai più. Lo aveva promesso a sé stesso e… alla sorellina. Il pensiero tornò a lei e fu davvero difficile trattenere un singhiozzo dentro di lui, quasi come scacciare il pizzicore degli occhi. Si strinse ancora di più alla coperta per ricercare il calore, aveva indosso solo la maglietta e i pantaloni senza la sua felpa preferita, che non aveva portato con sé, esprimendo il desiderio di tenerla a casa. Forse avrebbe potuto riscaldare la sorellina, farle percepire la sua presenza, il suo odore, come lui percepiva quello di lei tramite quella stessa coperta, che aveva utilizzato molto spesso per coprire sé stesso e la sorellina quando si intrufolava nella culla per dormirle vicino. E poi… e poi il vecchio Shion gli aveva detto che presto si sarebbe abituato al gelo, perché lo avrebbe controllato, pertanto non occorreva coprirsi di più di così, doveva solo acclimatarsi.

Il bambino di nome Mu era stato molto gentile con lui, non parlavo la stessa lingua, ma si faceva capire a gesti, lo aveva pure preso per mano per rassicurarlo, e lui in tutto quello non aveva fatto assolutamente nulla, se non discostare lo sguardo timido. Mu, impavido, non si era scoraggiato, intestardendosi ancora di più, come un vero e proprio montone che non si scoraggiava al primo assalto fallito. Era stato paziente e gentile ma mai noioso, Camus gli avrebbe sorriso se solo avesse ricordato come fare. Dopo il breve giro turistico, lo aveva portato lì, come gli era stato detto dal vecchio Shion e, sempre cordialmente, se ne era andato, lasciandolo a tu per tu con i suoi pensieri, con le sue malinconie, con il suo mondo perduto. Lì era rimasto, muovendosi solo per prendere la coperta dallo zaino e avvolgersi, odorando ancora della fragranza di casa e del profumo di fiore di sua sorella, tenero e delicato come nessun altro. Si era ritrovato ben presto ad abbracciare la coperta e sdraiarsi sulle scalinate di quel tempio che avrebbe dovuto chiamare casa ma che non odorava di tale. Si era coricato senza aver curiosato in quel luogo magico, si era coricato e basta, chiudendo gli occhi e nascondendo il viso in quel tepore. Poteva ancora immaginare di essere là con sua sorella. Poteva. E si era addormentato aggrappandosi con tutto sé stesso a quel pensiero.

Nel tempio sottostante, intanto, la missione, capitanata da Milo procedeva a gonfie vere, Mu si era unito alla ciurma ed erano dunque quattro, non molti ma indispensabili, il piccolo Milo non poteva che essere gonfio di orgoglio: come comitato di accoglienza erano perfetti!

Ma qualcuno aveva dei dubbi…

“Amici, io non so se facciamo bene… Camus è molto schivo e timido, si trova in un ambiente nuovo e, come ho appurato io stesso oggi, tende a irrigidirsi in presenza di troppa gente!” fece notare Mu, un poco agitato dalla possibile reazione del bimbo.

“E’ per questo che siamo in 4! Abbiamo fatto fuori i rognosi come Shaka, i cattivi come Death Mask e i più grandi come Aiolos e Saga! Ci siamo solo noi, che siamo i migliori e i più simpatici!”

“Sarà… ma forse dovevate dar retta a Shaka quando vi ha consigliato di non andare!” continuò Mu, sempre più interdetto.

Si fidava del giudizio del bambino biondo; lui stesso, che aveva passato il pomeriggio con il piccolo Camus, condivideva la sua impressione. Era meglio non affrettare le tappe, ma Milo era ottuso e testardo come pochi, non seguiva mai i consigli degli altri.

“Lo conosciamo solamente! - provò a tranquillizzarlo Aiolia, dandogli una pacca sulla spalla – Sarà un nostro compagno, mi sembra giusto presentarci, poi se non vorrà diventare nostro amico ci mancherebbe, intanto noi...”

“Vorrà diventare sicuramente nostro amico!” esclamò categorico Milo, affrettando il passo per salire all’undicesima casa. Gli altri sospirarono sonoramente, a metà strada tra il divertito e il rassegnato: quando il loro amico si metteva in testa una cosa, o si fissava su un punto, non c’era verso di distoglierlo. Incorreggibile!

“Mu, come ti sembra questo Camus?” chiese incuriosito Aldebaran, sempre il primo interessato al parere dell’amico, considerato comunemente dal gruppetto come il più saggio e perspicace. Non per niente era stato scelto come allievo dal Grande Sacerdote Shion in persona!

Come vi ho detto, è molto chiuso, non parla la nostra lingua, ma ho avuto una buona impressione su di lui. In più il Maestro Shion si è lasciato andare ad un gesto di affetto e ad un sorriso sincero, cosa non di tutti i giorni! Deve essere un bimbo davvero speciale!”

“Se è così davvero lo voglio conoscere!” rispose il grosso e buono Aldebaran, trovando nuovo slancio.

“E penso che non ci vorrà molto, Aldy! Eccolo là!” affermò improvvisamente Aiolia, indicando un punto nel buio.

“Dove?! Dove?!?”

“Ssssssh, Milo! Abbassa il tono che lo svegli, sta dormendo!”

“Da qui vedi che dorme?!? UAU!!!”

La vista di Aiolia era straordinaria, riusciva a vedere sempre un po’ più in là degli altri, come un felino, spesso a distanze inimmaginabili. Sembrava un predatore innato.

Il piccolo gruppetto di esploratori ridusse la velocità di salita delle scale nell’ultimo tratto, sebbene Milo fremesse come un birillo colpito dalla palla. La luna era piena, per cui si poteva vedere con nitidezza. Spensero le torce.

Arrivarono finalmente all’undicesimo tempio e si diressero vicino al fagotto che aveva indicato Aiolia, mantennero le distanze per prudenza e, al contempo, per non far svegliare il bambino profondamente addormentato. Milo, non seppe nemmeno spiegare perché, ma avvertì il cuore accelerare di un colpo nello scorgere quel visetto pallido e menomato da un grosso livido violaceo. Ebbe immediatamente l’impulso di approcciarsi a lui per toccarlo, ma Mu, lesto, lo prese per un braccio, scuotendo la testa.

“Mu… è lui?” chiese Aiolia sottovoce, rapito a sua volta da quel visetto rischiarato dalla luna e in apparenza così fragile.

“Sì, è Camus… si è addormentato qui, dove l’ho lasciato, abbracciato alla coperta!” rispose Mu, accennando un passo nella direzione del piccolo.

Effettivamente era assai gracile di costituzione, in testa aveva una marea di capelli ribelli che però gli ricadevano tranquillamente sulle spalle, creando un ossimoro tra la cresta, così insubordinata, e gli altri ciuffi, che invece scendevano già dritti e composti. Era abbracciato alla coperta ma non più avvolto da essa. A giudicare dalla maglietta scomposta, troppo leggera per quel gelido novembre, non stava passando affatto sonni tranquilli.

“Non ha… non ha freddo?” chiese Aiolia, avvicinandosi a sua volta a quel corpicino raggomitolato su se stesso, con le mani intente a stringere la coperta che si era portato da casa e le ginocchia piegate verso il busto.

“Dovrà diventare Cavaliere di Aquarius, se non ricordo male, colui che presiede alle energie fredde, ma… ma è troppo prematuro adesso, rischia di ammalarsi!- biascicò Aldebaran, preoccupato per quel piccolo che, ad occhio e croce, era molto più fragile di lui – Aspettate qui, vado a trovare un’altra coperta dentro e gliela porto, perché non sembra volersi separare da quella!” si propose ancora, sparendo poco dopo tra le colonne.

“Che strano bimbo… non ho mai visto un possibile Cavaliere d’Oro così apparentemente indifeso, la sua espressione è sofferente e, cosa ancora più stramba, è riuscito a ad ammutolire Milo!” espose i suoi dubbi il giovane leone, teso.

Effettivamente il bambino dagli occhi azzurri, il più piccolo tra loro, stava in silenzio da un po’, più di quanto lo era mai stato. Sia Mu che Aiolia cominciarono a preoccuparsi.

“Ehi, Milo? Milo!” gli diedero poi delle gomitate, non ottenendo altre reazioni.

“E’ bellissimo, non trovate?”

I futuri Ariete e Leone si squadrarono, perplessi.

“Per gli dei, Milo, non dire cose strane ora!”

“No, è la verità… è bellissimo nella sua fragilità!”

“Ehm, bene… e… - biascicò Aiolia, inarcando un sopracciglio, poi però fu attirato dai movimenti del piccolo, che si stava cominciando ad agitare nel sonno – E ora cosa gli succede?”

“Incubi...” ne dedusse Mu, nello stesso momento in cui anche Aldebaran stava tornando con una coperta recuperata in uno degli armadi dell’undicesima casa. Vedendo che la situazione stava peggiorando, si precipitò da loro.

“E ora cosa ha il piccolo?”

“Urgh… urgh...”

“Sta avendo un brutto sogno, non so cosa sarebbe meglio fare per… Milo! Cosa combini?”

Il bambino dagli occhi azzurri aveva infatti annullato le distanze con il corpicino steso a poca distanza da loro, accarezzandogli leggermente i ciuffi sopra la fronte. La situazione parve bloccarsi, almeno finché Camus, rivoltandosi dall’altra parte in un gesto inconsapevole, non lo scacciò via.

“Sta proprio male...”

“Grazie, Milo, ce ne eravamo accorti, sai? La domanda è ‘cosa fare’? Avvertiamo i più grandi? Avvertiamo il Grande Sacerdote? Non dovremmo essere qui!” si chiese retoricamente Aiolia, agitato a sua volta da quell’avvenimento.

Camus nel frattempo si era girato in posizione supina, il respiro corto, rotto e gli occhi serrati in un’espressione sofferente, il visetto sudato. Nel compiere quel movimento, la maglia gli si era parzialmente sollevata, lasciando così intravedere, sul fianco sinistro, un segno violaceo che tutti i bambini, lo sapevano bene, non avrebbe dovuto esserci. Quel segno ingiurioso destò l’interesse di Milo che, quasi fremendo, avvicinò la sua mano a quella zona.

“Milo, stai attento! Camus è molto agitato, potrebbe farti male senza volerlo!”

“Bisogna vedere cosa ha, no? Altrimenti come lo aiutiamo?”

“Non sono cose di nostra pertinenza, non siamo curatori, inoltre credo che Camus sia già stato...”

“Non ha importanza, Mu! Sta male, voglio sapere perché e aiutarlo! Guardalo come sta soffrendo, non posso lasciarlo solo!” rispose ottuso Milo, prendendo tra le dita il tessuto della maglietta del piccolo e sollevandola un poco in modo da scoprire il pancino.

A quel gesto, tutti i futuri Cavalieri d’Oro presenti ammutolirono, percependo appena la gravità di quello che, molto probabilmente, il piccolo doveva aver passato prima di giungere lì. Solo Milo, fremendo, trovò il coraggio di aggiungere qualcosa.

“Qualche codardo deve averlo picchiato!” arrivò subito alla conclusione infervorandosi; conclusione che condivideva anche con gli altri suoi amici e compagni. Mu si intromise ancora una volta.

“Sì, quelli sono i segni di un pestaggio… ma, come puoi vedere tu stesso, Milo, l’ematoma è in lento ma graduale riassorbimento! Lo hanno già medicato, deve essere stato il Maestro Shion, non c’è nulla che possiamo fare meglio di lui!” gli fece notare con educazione.

E aveva ragione. Il vistoso livido che pure copriva interamente il fianco sinistro di Camus fino ad arrivare quasi all’ombelico, andava da un colore violaceo ad uno giallognolo, fino a mischiarsi in tutto e per tutto con il colore della sua pelle sui bordi. Tuttavia non era il solo, altri ne aveva, di più piccole dimensioni e forse anche qualcuno sulla schiena, ma per saperlo avrebbero dovuto girarlo, e non era il caso.

“Che razza di bestia di Satana può averlo ridotto così?!?”

Milo spesso usava espressioni forti a cui il vero significato sfuggiva, a volte parlava per ‘sentito dire dei grandi’, perché i suoi genitori non li aveva mai conosciuti. Se una frase gli piaceva la utilizzava, punto, tanto poi ci avrebbero pensato Shaka o Mu a spiegarli il reale valore di quel modo dire.

“Non lo so, non ci è dato saperlo, l’importante è che stia presto meglio!” disse ancora Mu, mantenendo prudentemente le distanze come invece non faceva il piccolo Milo, che se ne stava lì, a rimirare quel livido abnorme per un esserino così piccolo e indifeso. Subito la rabbia, che non si era mai attenuata, montava come un temporale, facendogli stringere i denti e destare una furia cieca. Era vergognoso picchiare un bambino, ancora di più se così candido e delicato. Ebbe come la sensazione di un affronto insanabile che meritava di essere punito.

“Milo, dai, ricoprilo e spostati che gli mettiamo una coperta, o forse meglio portarlo nel letto?” chiese Aiolia, apprensivo, guardando Aldebaran.

“No, amici… io sono grosso e imbranato, non chiedetemi di spostare una creatura così fragile, ho paura di romperlo!” confidò Aldebaran, grattandosi la testa.

“E allora lo copriamo solo… Milo!” richiamò ancora una volta l’amico, in quel momento a gattoni sopra il dormiente. Continuava a tenergli la maglietta sollevata e a guardarlo intensamente, come se si trattasse di un suo tesoro prezioso appena ritrovato.

“Un attimo ancora… - biascicò il futuro Scorpione, del tutto preso da quello che stava facendo – Chi ti ha fatto del male, Camus? Cosa ti è successo?” gli domandò quasi lo avesse già conosciuto. Milo era sempre stato strano, sotto certi aspetti, ma per i suoi amici quella fu la prima volta che la sua stranezza oltrepassava gli schemi in quella maniera.

Il respiro del piccolo Camus era ora regolare e perfettamente bilanciato con i movimenti dell’addome, sembrava in fase di risveglio, Milo lo capì, per questo stette ancora lì, più del dovuto: voleva vedere assolutamente i suoi occhi, li voleva vedere ancora una volta e di nuovo, dopo moltissimo tempo. Automaticamente la mano libera si posò sul pancino di Camus, più caldo del dovuto. Ne ebbe una sensazione strana, invertita, e si ricordò di come, forse in un’altra vita, quello stesso tocco sulla sua, di pelle, fosse stato invece un refrigerio per lui, un’ancora di salvezza.

“Milo!!!”

“Forza! Apri gli occhi, li vorrei rivedere!” lo incitò ancora una volta, speranzoso.

E Camus fece quanto chiesto, lentamente, come guidato da un impulso più forte.

Milo sorrise raggiante: erano davvero blu, lo erano per davvero!!! Lo sapeva! Lo sapeva!!!

“C-ciao, Camus, io sono Mil...”

Ma Camus, focalizzandolo sopra di sé, cacciò un vero e proprio urlo e, per istinto, con il braccio sinistro, gli diede una gomitata dritta nel naso per spintonarlo via.

Quello che successe dopo, per Milo, fu un insieme confusionario e ricolmo di colori, i suoi amici Cavalieri d’Oro urlarono a loro volta, colti di sorpresa, lui si sentì il naso di colpo rovente ma trovò altresì buffa quella situazione che si era creata tra loro. Non vide cosa fece Camus, ma quando riuscì di nuovo a guardarlo, diversi metri più in là, era in piedi ritto con la coperta stretta sull’addome, come a volersi proteggere.

In tutto quel frastuono Milo, grondante di sangue dal naso, scoppiò a ridere a tutta forza, procurando nuovamente sconcerto in Aiolia, lanciato a soccorrerlo.

“Ma allora ce l’hai la forza, e che forza!!! Avevamo paura a muoverti perché sembravi così fragile, e invece!!!”

Que faisiez-vous?!?

Il sorriso di Milo si spense irrimediabilmente quando si accorse che non parlavano la stessa lingua. Quello era un grosso problema. Camus lo fissava sgomento dall’altra parte, il più lontano possibile da quella marmaglia che si era ritrovato aprendo gli occhi. Si sentiva violato da degli sconosciuti ed era una spiacevolissima sensazione. Non aveva sentito nulla fino a poco prima, ma riprendere la coscienza in quel modo lì, con un bambino che, oltre ad invadere il suo spazio vitale lo aveva pure toccato con noncuranza, lo ripugnava sopra ogni altra cosa. Si chiese come era stato possibile rendersene conto così tardi.

“Beh… lo hai fatto arrabbiare, ma almeno ora conosciamo il suo timbro vocale!” cercò di stemperare la tensione Mu, sentendosi colpevole dello stato emotivo del piccolo. Aveva fatto tutto Milo, era vero, ma era lui che ce lo aveva portato, eppure il Maestro Shion si era raccomandato di andarci con i piedi di piombo.

Pouvez-vous savoir qui vous êtes?!?”

“Credo si stia domandando chi siamo...”

“Mu!!! Ma allora tu lo capisci?!? Puoi comunicare con lui?!?” ribatté Milo, del tutto ammaliato, incurante di star continuando a perdere sangue dal naso.

“No, ma il tono mi fa presagire quello! - rispose, avvicinandosi all’amico – Ehi, Milo, vieni qua, che stai sanguinando!” lo acciuffò poi, premendogli un fazzoletto sul naso come un tampone.

“E’ francese… credo di averlo riconosciuto!”

“Lo sai parlare, Aldy?”

“No, mastico solo un po’ di italiano perché la nonna di mia madre era italiana, aspettate che ci provo, magari lo capisce di più che il greco!” si propose l’immenso e magnanimo toro, alzando le braccia in direzione di Camus con l’intento di mostrarsi il più amichevole possibile.

“Noi, ehm, amici… sei tu Camus, vero? Nuovo venuto?”

“Sono io, sì...” gli rispose prontamente il piccolo nella seconda lingua conosciuta, mantenendo comunque le distanze e non smettendo di guardarli torvamente.

Nel frattempo, nel gruppetto dietro, Milo era ammutolito dal fazzoletto, mentre Aiolia e Mu si scambiavano occhiate ricche di significato.

“Parla già perfettamente due lingue e ha solo 5 anni, potrebbe gareggiare con te, Mu! commentò Lia, ammirato.

“Il Maestro Shion aveva detto che era un essere speciale!”

Nel frattempo Aldebaran continuava, cercando di destreggiarsi alla ben meglio in quella lingua che conosceva appena, unico modo per comunicare col piccolo.

“Bene, noi siamo tuoi compagni: io Aldebaran, da sinistra a destra Aiolia, Milo, quello che hai colpito, e Mu. Siamo...”

“Non mi interessano i vostri nomi propri, cosa fate qui?” lo bloccò subito Camus, che sembrava ancora più inviperito rispetto a prima. Il dialogo non stava andando molto bene, lo capì pure il gruppetto dietro.

“...Conoscere te!”

“Bene… io non sono interessato, potete andare cortesemente via?”

Secco, lapidare. Aldebaran boccheggiò più volte, frastornato da quel tono così severo e dagli occhi così atrocemente freddi a dispetto dell’aspetto così fragile e debole.

“Scusaci davvero, noi...”

Ma Milo, sempre ottuso, come suo solito, si discostò dagli amici per avvicinarsi al bambino dagli occhi blu, per niente convinto di arrendersi.

Reste là!”gli intimò lapidario, allontanandosi di un balzo. Se già tutti quei bambini, ad eccezione di Mu, non gli ispiravano fiducia, meno di tutti avrebbe permesso che proprio lui si fosse ulteriormente avvicinato al suo spazio vitale, lui che aveva osato azzerarlo così impunemente.

“Camus, non avere paura di noi, siamo tuoi...”

“….amici!” concluse per lui Aldebaran, in italiano in modo che capisse.

“Amici? E chi vi conosce?! Io ho un altro concetto di amicizia, e voi state usando questo termine con noncuranza. Non siamo amici, non siamo nemmeno conoscenti! - esclamò Camus, punto sul vivo – E ora cortesemente andate via da qui, non voglio amici, voglio stare da solo!” troncò sul nascere ogni possibile rapporto, stringendo la copertina conto di sé e scappando all’interno del tempio, nelle stanze private, certo che nessuno lo avrebbe seguito.

E nessuno effettivamente lo seguì per quella notte, ma nei piani di Milo, il futuro Scorpio, tutti quegli avvenimenti furono tutt’altro che un deterrente, furono anzi da monito per dare il tutto e per tutto per entrare, o meglio, rientrare in quel cuore ferito e grondante di sangue che un tempo era stato tutto per lui.

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Non avendo già abbastanza storie da proseguire e pubblicare, eccomi con una nuova long, incentrata sulla crescita dei nostri amati Gold. Come scritto nella descrizione, essa, pur facendo parte della raccolta di Fic incentrate sulla mia serie principale, è fruibile a tutti, perché sono pochi i riferimenti che metterò in essa e quasi tutti convergeranno sul personaggio di Camus che, come al solito, è il protagonista.

Praticamente di lui viene mantenuta la datazione della mia serie (che lo vede nascere nel 1989) e il fatto che ha una sorella, mentre per i riferimenti sul perché delle sue condizioni fisiche, cosa comunque non pertinente ai fini della trama, vi devo rimandare a dei capitoli futuri della “Melodia della neve” ma questo, come detto, non influisce su questa storia, accessibile invece a tutti.

Ci sono invece dei riferimenti al Lost Canvas, come avete potuto leggere, perché io lo considero il vero passato dei Cavalieri d’Oro, mi perdonino i fan del Next Dimension...

Bene, per dovere di completezza, vi allego un breve schemino sulle età dei personaggi, se posso tratterò, chi più chi meno, tutti i Cavalieri d’Oro e i loro rispettivi rapporti. Ecco qui quindi le età dei personaggi ad ora:

 

Camus: 5 anni e ¾ (come ama ripetere lui XD)

Mu, Aldebaran, Shaka e Aiolia: 5 anni

Milo: 5 anni appena compiuti (per me è il più piccolo dei Gold)

Aphrodite: 7 anni

Death Mask: 8 anni (anche se non ama dirlo XD)

Shura: 8 anni

Saga: 13 anni

Aiolos: quasi 13

Shion e Dohko: più di 200 anni

 

Come sempre, ringrazio calorosamente tutti coloro che mi seguono e… al prossimo giro! ;)

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Capitolo 2
*** Una mano gentile ***


Capitolo 2: Una mano gentile

 

 

 

Il resto della notte trascorse tra sogni agitati, risvegli improvvisi e respiri corti, tanto che al sorgere dell’alba, nonostante un fastidioso raggio di sole gli ricadesse proprio sulla palpebra sinistra, gli occhi del piccolo Camus rimasero chiusi, assolutamente ciechi a tutto l’ambiente circostante. Una parte di lui era in attesa di aspettare il bacio del risveglio che gli donava sempre sua madre sulla fronte per incoraggiarlo ad accettare e vivere il nuovo giorno. Attese. Rifiutando di alzarsi senza quel particolare gesto, ma più il tempo passava più la sua mente, disillusa, si rendeva conto che l’attesa era vana, che quel bacio non sarebbe mai più arrivato.

Non arrivò infatti, ma al suo posto una mano gentile gli accarezzò i capelli, mentre, dalle briglie sciolte dell’inconscio, lentamente prendeva le redini la ragione, facendogli così aprire i suoi occhioni blu. Impiegò diverso tempo a focalizzare chi aveva davanti; gli sembrò, di primo acchito, la versione più adulta di uno dei bambini della combriccola della sera prima, quelli che lo avevano traumatizzato con la loro curiosità, ma si rese presto conto che sarebbe stato impossibile, che per quanto avesse dormito a lungo, non poteva essere passato così tanto tempo.

“Oh, ciao, piccolo, tu devi essere Camus, vero?”

Parlava tranquillamente italiano e lo stava accarezzando sulla testa, gesto che, malgrado il nuovo azzeramento della distanza di sicurezza avuto con uno sconosciuto, non gli dispiaceva, chissà, forse perché i vezzeggiamenti erano in tutto e per tutto simili a quelli di sua madre…

“Sì, sono io...” biascicò, esausto, raggomitolandosi ancora di più nella coperta che non aveva mai lasciato.

“Bene! Il Grande Sacerdote Shion mi ha chiesto di venirti a dare una controllata e di portarti su da lui, al tredicesimo tempio. Avrebbe voluto venire direttamente a trovarti, ma i suoi doveri lo obbligano a presenziare l’ultima casa. Pensi di riuscire ad alzarti?” gli sorrise, allontanandosi di un poco.

Camus annuì senza rispondere verbalmente, poi fece quanto chiesto, tremando appena. A quel punto lo sconosciuto, simile davvero enormemente ad uno dei bambini del giorno prima, si allontanò ancora di qualche passo. Il piccolo inarcò un sopracciglio, scettico: a che gioco voleva giocare?

“Scusami, riesci a venire fino a qua?”

Camus non capiva il motivo di una tale richiesta, ma fece ancora quanto chiesto, seppur con un pizzico di incertezza sulle gambe, ancora tremanti. Il dolore dei giorni scorsi si era molto attenuato, ma faceva ancora non poca fatica a deambulare. Comunque lo raggiunse alla svelta, notando, una volta avvicinato, che teneva una sacca sulle spalle.

“Bravo, piccolo! Scusami per le richieste secche e apparentemente prive di logica, ma avevo bisogno di valutare il tuo stato di salute. - gli disse cordiale, prima di presentarsi – Io sono Aiolos, vivo due case sotto di te, nella nona, quella del Sagittario, e sono il Cavaliere d’Oro di questo segno!”

Camus lo scrutò a fondo. Era giovante, ma era già un ragazzo alto, muscolo e pienamente formato. Aveva dei bellissimi occhi verdi; verdi come i pascoli di alta montagna, o forse un po’ più scuri, come le foglie di un agrifoglio, contornati da dei capelli castano scuro, corti, che però erano compostamente ordinati sulla testa. Emanava un’aura nobile, quasi quanto il vecchio Shion, non si poteva non provare un immane rispetto per lui. Camus fu rasserenato dall’incontro con quell’individuo: non andava d’accordo con i bambini della sua età, ma con quelli più grandi, o con I GRANDI in generale, sì...

Il giovane non smetteva di sorridergli, posando e aprendo la sacca al suo fianco, svelandone così il contenuto: degli abiti nuovi, in particolare due pantaloni di una felpa, tra maglie di vari colori, due felpe e una giacca per il freddo.

“Il nobile Shion si è preoccupato di prenderti qualcosa che ti andasse bene. In verità qui usiamo vestirci alla greca o in tenuta di addestramento, ma tu sei appena arrivato, c’è ancora tempo per questo, l’importante era comprarti altri abiti puliti! - gli spiegò, cominciando ad armeggiare con gli indumenti – Mmm, vediamo, questo no, non si abbina bene, che ne dici di questo?” chiese, mostrando un paio di pantaloni con due strisce laterali e una maglia grigia con davanti un marchio quadrato scuro e la scritta ‘adidas’. Non fece in tempo a finire la frase che scoppiò a ridere nel vedere l’espressione corrucciata e di disappunto del bambino.

Seriamente… cos’era quella roba?!?

“Posso capirti, ma è solo temporaneo! Il nobile Shion ha gusti un po’… suoi, diciamo, è della vecchia scuola, per cui ai bambini vanno messi abbigliamenti sportivi. Forse tu preferivi qualcosa più di classe?” ridacchiò il ragazzo, sempre allegro.

Camus non preferiva niente. Sarebbe stato allegramente con gli abiti che aveva portato da casa e quella coperta che profumava ancora del suo mondo perduto. Non gli importava di nient’altro, invece ecco lì, quel misterioso ragazzo che, per ordine del vecchio, doveva fargli cambiare i vestiti per forza! Si sarebbe opposto con tutte le sue forze, gli fu subito ben chiaro in testa!

“Io… sto bene con questo addosso!” cercò di imporsi, indietreggiando di un passo.

“Nessuno ti butterà via niente, Camus, ma dobbiamo lavare quegli abiti con cui hai fatto il viaggio per venire fino a qui, una volta puliti potrai rimetterli!” lo provò a rassicurare, sempre con quel sorriso nobile e fiero.

Camus abbassò lo sguardo, sempre sulla difensiva. Non aveva affatto voglia di separarsi completamente dal suo mondo finito in pezzi, ma si rendeva anche conto che la maglietta che indossava era sporca, avendoci dormito anche per terra, e così i pantaloni… effettivamente un bagno e un cambio d’abiti gli sarebbe piaciuto.

Aiolos non attese una eventuale risposta verbale, aveva capito che il piccolo non era un chiacchierone, ma vide nel rilassamento di quel corpicino in apparenza fragile, il segnale che indicava il permesso ad un suo nuovo ravvicinamento. Così infatti fece, inginocchiandosi poi davanti a lui. Camus non lo guardava in faccia, ma non si era più allontanato, rimanendo imbambolato a fissare il pavimento. Era molto chiuso e timido, anche il nobile Shion glielo aveva detto, ma aveva tirato un sospiro di sollievo quando aveva constatato che, malgrado gli avvertimenti sul mutismo del bimbo, un po’ gli aveva parlato. Un assoluto passo avanti!

“Facciamo così, Camus: ora ti cambio gli abiti e ti rimetto quelli nuovi, poi andiamo in bagno e li ripongo lì, nel lavandino, sotto i tuoi occhi. Li lavo, sempre sotto i tuoi occhi, e li metto ad asciugare, così puoi prenderli quando vuoi e indossarli di nuovo, va bene?” chiese gentilmente, mentre, prendendo il piccolo da sotto le ascelle, fece per togliergli gentilmente la maglietta.

Inaspettatamente Camus, a quel gesto appena accennato ma non ultimato, svicolò via, allontanandosi bruscamente ma fermandosi subito dopo, un po’ come un cucciolo pauroso. Aiolos si morse un labbro, convinto di aver sbagliato approccio e di aver perso l’occasione di creare un rapporto con lui, almeno finché il bimbo non si decise a parlare.

“V-va bene, ma… mi cambio io!” esclamò rosso in volto, il respiro corto, come se fosse sfuggito da una bestia marina.

Aiolos lo fissò profondamente, rimuginando sulla sua reazione. Camus non voleva essere toccato, era lampante; non era chiaro se però il problema fosse dipeso dal fatto che lui era uno sconosciuto, o se proprio era il bambino che odiava essere alla mercé di altri. O forse anche entrambi. Il punto era che aveva ricevuto l’ordine tassativo di controllare le ferite del piccolo e il suo stato di salute, il vecchio Shion non era stato chiaro in merito, non aveva spiegato perché fosse ridotto così, solo di visitarlo scrupolosamente, ma come fare, se non si faceva toccare?!

“Va bene, Camus, ti cambierai da solo, non è assolutamente un problema. Sei un bimbo molto indipendente, sai?” addolcì ulteriormente la sua espressione, sorridendo. Il piccolo non rispose, ma si avvicinò di un passo. Era un bambino atipico ma pur sempre un bimbo, era intrinsecamente portato ad avere rassicurazioni, soprattutto in un ambiente estraneo come quello.

“Ti cambierai da solo… - ripeté il Cavaliere, sempre affabile, sempre rassicurante – Ma il nobile Shion mi ha detto che sei ferito e di controllare le tue condizioni fisiche, come posso fare per adempiere al mio dovere e al contempo rassicurarti che, pur toccandoti, non ti farò niente?!”

“Io… io sto bene...”

“Non lo metto in dubbio, piccolo, lo vedo che sei molto forte e audace, ma si vede anche che stai soffrendo, lo si capisce dalla tua postura leggermente incurvata e dalle gambe che ti tremano!”

Camus non poté obiettare, aveva ragione, anche se non si ricordava minimamente perché, provava ancora dolore al fianco sinistro, ai muscoli, persino alle ossa.

“Ho… ho un livido sul fianco, in effetti, ma… non mi ricordo come me lo sono procurato!” ammise alla fine, rassegnato.

“Mi permetterai quindi di darci un’occhiata?”

“E’… è solo un livido...”

Cocciuto come pochi… beh, anche quella era una caratteristica indispensabile per adempiere ai sacri doveri di un Cavaliere d’Oro!

“Se è solo un livido, a maggior ragione sarà veloce la mia visita, no?”

Stavolta Camus non rispose di nuovo, ma rimase sempre fermo lì, le guance rosse, l’espressione distante. Aiolos tentò un nuovo avvicinamento, stavolta il piccolo non si allontanò, sebbene seguitava a rimanere sulla difensiva.

“Sarà brevissimo, te lo prometto!” lo rassicurò ancora una volta, sorridendogli.

“Farai davvero in fretta?” chiese conferma, titubante.

“Certo, ci puoi contare, il tempo per vederlo e studiarlo bene, ancora di più studiare le conseguenze su di te, dopo farai tutto da solo. Ti cambierai da te, come i grandi!”

“Io sono grande!”

“Ahahahah, non lo metto in dubbio!”

“No, davvero, dovresti vedere come sono grande se paragonato alla mia sorellina, così piccola e indifesa come un petalo di un fiore!”

A quel punto Aiolos si stupì, Camus gli aveva rivelato una cosa personale, si era genuinamente aperto senza alcuna costrizione, il Cavaliere non poté che esserne felice. Decise di non perdere l’occasione e continuare quel dialogo.

“Hai una sorellina più piccola, Camus?”

“Sì, l’ho anche cambiata, sai? Come i grandi! Per questo lo sono anche io!”

Aiolos sorrise davanti a quella rivelazione, permettendosi, in quel momento che il piccolo aveva abbassato le difese, rompendo la sua postura chiusa, di regalargli un buffetto sulla guancia. Era totalmente intenerito.

“Allora, come i grandi, ti farai dare una controllata, visto che non stai tanto bene?”

A quel punto Camus gli diede un’occhiata confusa, non capendo.

“Non sono i grandi che si prendono cura degli altri?” chiese, ingenuo.

“Certo, ma, vedi, anche i grandi hanno bisogno di un parere da chi è più esperto di loro. Essere grandi non significa solo prendersi cura degli altri, ma anche lasciare che gli altri si prendano cura di noi quando noi siamo impossibilitati a farlo per una qualche tipo di ragione”

Camus ci rimuginò su. Non aveva mai valutato quella prospettiva totalmente ribaltata, se ne meravigliò alquanto.

“Allora… allora la mia sorellina è più grande di me: accetta che le cambi il pannolino e che gli tolga il vestitino senza opporsi, anzi, sorride quando lo faccio!”

Aiolos ridacchiò ancora tra sé e sé, totalmente a suo agio. Parlava così spontaneamente della sua sorellina, doveva tenere molto a lei.

“Le vuoi molto bene, vero?”

“E’ parte di me...”

Espressione un po’ forte per un cucciolo d’uomo, ma rendeva perfettamente l’idea dell’immenso marasma di emozioni che provava il piccolo.

“Allora per questa volta, solo per questa volta, prendi esempio da lei. Accetta di essere ‘piccolo’ e fatti controllare quel livido. Sei in gamba, Camus, e coraggioso sopra ogni dire, questo non può cambiare in alcun modo!”

Al suono di quelle parole, e al ricordo della sorellina, gli occhi del piccolo Camus si illuminarono per un breve attimo, facendogli trovare la forza per affrontare quella prova più grande di lui.

“Sarò coraggioso come lei, quindi!” acconsentì alla fine, rimanendo ritto davanti ad Aiolos, ma discostando lo sguardo imbarazzato altrove.

“Bravo così, piccolo!” lo incoraggiò ancora Aiolos, regalandogli una veloce carezza, prima di procedere.

Gli prese delicatamente la maglia tra le dita della mano destra, sollevandogliela per vedere l’entità del danno. Camus non si scompose, ma avvertì con nitidezza il tremore crescere in lui. Essere grande, si ripeté, tornando nuovamente a pensare alla sorellina. Lei non tremava mai quando lui la cambiava, mai, anzi sorrideva, e lui non era più capace di farlo, ma almeno sarebbe stato degno di lei, del suo coraggio.

Aiolos fissò minuziosamente il livido, o meglio, il vero e proprio ematoma coronato da dei lividi intorno, era di grosse dimensioni, in riassorbimento, ma sempre grosso. Il piccolo doveva essere stato preso brutalmente a calci da qualcuno, non c’era altra spiegazione.

“Camus, girati leggermente a destra” gli chiese educatamente e il piccolo fece quanto chiesto, mostrando, letteralmente, il fianco.

No, non erano solo quell’ematoma lì a preoccuparlo, ma anche quelli dietro, che aveva sulla schiena, un vero e proprio pestaggio in piena regola, poiché, in quella parte, erano assai rarefatte le zone rimaste del colore naturale della pelle del piccolo, le altre passavano da un color violaceo intenso ad uno purpureo. Era davvero inconcepibile! Chi mai avrebbe osato fare una cosa del genere ad un bimbo così piccolo?!

“Chinati leggermente...”

Ancora una volta il piccolo seguì le istruzioni al limite dell’imbarazzo, ma con coraggio. Aiolos scoprì quel corpicino fino alle scapole, meravigliandosi ancora una volta del chiarore di quella pelle e al quantitativo di lividi, anche se taluni erano fortunatamente sulla via della guarigione. Poi lentamente, con tocco discreto e gentile ma ugualmente deciso, gli passò le dita sulla schiena, premendo su alcuni punti.

“Hai male qui?”

“N-non molto...”

Era lampante che Camus minimizzasse il suo stato, l’occhio di Aiolos aveva visto lungo già dalle prime battute del piccolo, ma non sembrava neanche troppo sofferente a quel tocco, facendogli ben sperare per una pronta guarigione. Diverso caso era invece, sicuramente, l’ematoma più esteso, quello sul fianco.

“Girati ancora verso di me, ho quasi finito!” lo incoraggiò, seguito come sempre docilmente dal piccolo. Il suo visetto infantile era rosso purpureo, l’espressione distante ma imbarazzata. Non c’era che dire, sembrava davvero fragile in apparenza, come una porcellana. Ma, si sapeva, spesso l’apparenza ingannava.

Aveva quasi finito ed era vero, ma occorreva controllare ancora una cosa. Riprese la maglietta tra le mani, stavolta con la sinistra e non con la destra, sollevandogliela fino al petto, poi, sempre lentamente, tastò la zona lesa, applicando una leggera pressione. Stavolta non ebbe nemmeno il tempo per chiedergli se avvertiva dolore, che Camus, letteralmente, si piegò in due, tanto che lo dovette sorreggere.

“Perdonami, non volevo farti del male, ma mi pare lampante che l’ematoma, per quanto in fase di guarigione, ti provochi ancora un dolore atroce, più che gli altri numerosi lividi!”

Il piccolo non rispose, ma si appoggiò alla sua spalla, gli occhi serrati e una smorfia di dolore a solcargli il viso candido. Aiolos lo ricoprì, trovandosi ben presto ad abbracciarlo per confortarlo.

“Ok, ho finito, sei stato bravissimo, Camus!”

“Sono stato… sono stato coraggioso come la mia sorellina?” gli chiese conferma, ancora adagiato a lui. Non ricambiò il gesto ma nemmeno si allontanò, rimanendo ancorato a lui con il respiro corto.

“Certamente, e so cosa fare per farti passare più in fretta quel brutto… livido!”

“Menomale… perché devo diventare forte per lei!

Aiolos rimase qualche secondo in attesa, soppesando quelle parole. Voleva diventare forte per la sorella, e lo sarebbe diventato, senza ombra di dubbio. L’amore fraterno poteva tutto, lo sapeva bene, perché anche lui era un fratello maggiore.

“Camus, riesci a cambiarti da solo nonostante il male? Devo portarti dal nobile Shion!”

Il bambino annuì meccanicamente, raddrizzandosi e prendendo il cambio di abiti con convinzione, nascondendosi poi dietro ad una colonna in fretta e furia.

 

 

* * *

 

 

Si era infine cambiato, sebbene quegli indumenti gli stessero larghi e non gli piacessero per niente, convincendosi a seguire il giovane di nome Aiolos su per le scale che lo avrebbero portato chissà dove.

Il ragazzo si era offerto di portarlo in braccio per non farlo stancare troppo, ma il piccolo Camus aveva velocemente rifiutato, preferendo camminare con le proprie gambe, sebbene un po’ traballanti. Aiolos non aveva insistito, limitandosi a prenderlo per mano e accompagnarlo, giacché sembrava comunque fidarsi di lui, quanto bastava per seguirlo. Era molto piccolo e gracile, 5 anni e ¾ aveva, come gli aveva ripetuto più volte, ma già in lui si scorgeva un indole fiera e nobile, assolutamente non propensa a chiedere l’aiuto degli altri. Sarebbe stato senza alcun dubbio un degno Cavaliere dell’Acquario, ma avrebbe dovuto imparare a fare affidamento sugli altri, per evitare così di finire in battaglia da solo ed essere più vulnerabile. Su quel versante ci sarebbe stato molto da lavorare, senza alcun dubbio.

Stavano salendo sulle scalinate che conducevano dalla Casa di Pisces al tredicesimo tempio, quando, in direzione opposta, impegnato quindi a scendere, Aiolos scorse un viso famigliare.

“Saga di Gemini!” lo salutò affabile, fermandosi a pochi passi da lui. Il Cavaliere dallo sguardo gentile come un dio, contraccambiò quel saluto amichevole, fermandosi a sua volta. Erano i due custodi delle dorate schiere più grandi.

“Aiolos di Sagitter, sono felice di vederti stamattina, dopo il nostro incontro amichevole di tre giorni fa non ti ho più incontrato e mi stavo cominciando a chiedere se il Grande Sacerdote non ti avesse mandato in qualche missione” gli spiegò, cordiale.

“Oh, no, nulla di tutto questo! Sono stato impegnato ad allenare Aiolia fino a ieri, mi riempe di orgoglio ogni giorno di più, dovresti vedere i miglioramenti che compie passo per passo!” gli spiegò, sorridendo.

“Se continuerai ad allenarlo con così tanta determinazione, diventerà un tuo pari, o forse ti supererà, stai all’occhio, ahahaha!”

“Non chiedo di meglio, ahahaha!

Cominciarono quindi a parlare di Grande Sacerdote, missioni, doveri e di altri nomi sconosciuti, cose che Camus non capiva e che non desiderava comprendere. Meglio per lui se avessero continuato a parlare dei fatti loro, in modo da lasciarlo solo con i suoi pensieri, che intanto ci stava bene, meglio che con chiunque altro.

Purtroppo venne il momento in cui l’attenzione del ragazzo possente con gli occhi verdi e i capelli lunghi, si concentrò su di lui, portandolo a nascondersi dietro le gambe di Aiolos.

“E lui chi sarebbe? Un tuo nuovo allievo?” chiese gentilmente Saga, regalandogli un sorriso dolcissimo e inquietantissimo al tempo stesso. Il piccolo ne ebbe timore e si ritrasse ancora di più.

“Oh, no, lui è Camus, sarà il futuro Cavaliere dell’Acquario”

“Dell’Acquario? Allora le dorate schiere sono finalmente complete!”

“Sì… a detta di Shion non avrà bisogno di chissà quali allenamenti, è una sorta di prodigio già ora!”

“Davvero? Sembra molto debole di costituzione a vederlo così… ma potrà rivelarci delle sorprese se è stato trovato dal Sommo Sacerdote!”

“Lo credo anche io, ho fiducia assoluta nel suo giudizio… - rivelò, annuendo con la testa, poi si rivolse direttamente al piccolo – Camus, lui è Saga, Cavaliere dei Gemelli, nonché futuro Grande Sacerdote!”

“Non dire così, Aiolos, così mi imbarazzi...” lo fermò Saga, visibilmente a disagio, regalando però un ampio sorriso.

“Sono serio, invece! Tu più di ogni altro meriteresti quel titolo, la tua nobiltà d’animo è riconosciuta dalla gente di Rodorio e da tutto il Santuario, sei come un dio sceso in Terra, nessuno sarebbe degno e capace più di te!”

Camus di quei discorsi non ci capiva molto, era esterno alle dinamiche del cosiddetto Santuario e fuori dai suoi schemi, riusciva solo ad afferrare che colui che aveva davanti sarebbe stato il successore del vecchio signore che lo aveva condotto lì, e che per una qualche ragione sorrideva sempre. Un sorriso forzatamente gentile e sinistro sopra ogni dire. Il piccolo se lo studiò a fondo, le sue movenze, i suoi gesti, provava interesse per lui, ma non riusciva a fidarsi pienamente, come invece era stato per Aiolos. Ad un certo punto lo vide inginocchiarsi davanti a lui, sempre con quel sorriso innaturale che si confondeva con il divino.

“Ciao, piccolo, è un piacere conoscerti, come ti ha detto il mio amico, io sono Saga e...” si presentò, facendo per accarezzargli la testa, ma Camus scappò istantaneamente, nascondendosi e acquattandosi dietro Aiolos, restio sopra ogni dire a quel contatto. Alzò le braccine verso il sorriso più aperto e gentile di Sagitter, sostegno sicuro, facendogli intendere che quello sì che era il momento per essere preso in braccio.

“Che strano… i bambini in genere mi adorano e si approcciano a me con naturalezza, sei il primo che mi stupisce...” commentò Saga, in un apparente tono neutro che però sforava il fastidio. Il piccolo se ne accorse, pertanto abbassò lo sguardo, non volendoci avere più niente a che fare, rifugiandosi nell’ampio petto di Aiolos, che lo aveva immediatamente preso in braccio, senza alcuna obiezione.

“Non prendertela, Saga, Camus è un bambino molto schivo, inoltre deve aver passato una brutta esperienza, perché è giunto qua con visibili segni di pestaggio...”

“Davvero? Me ne dispiace sinceramente...” disse Saga, inarcando un sopracciglio.

“Il Nobile Shion mi ha chiesto di visitarlo stamattina, lo sto portando su proprio per parlargli dello stato di salute del piccolo!” spiegò, regalando un buffetto sulla guancia del bambino, che proprio in quel momento lo guardava quasi con adorazione.

“Allora vi lascio proseguire, perché avrete di sicuro il vostro bel da fare!” si accomiatò Saga, riprendendo a scendere le scalinate del tempio senza più degnarli di uno sguardo.

 

 

* * *

 

 

“...Quindi mi confermi che il livido è in retrocessione e in fase di guarigione, giusto?” gli chiese stancamente Shion, seduto sullo scanno del tredicesimo tempio. Quel giorno si sentiva esausto e spossato più del solito, gli anni sulle sue spalle cominciavano a pesargli sempre di più, logorandolo ulteriormente.

Non importava che la sua gente avesse una aspettativa di vita ben più alta degli altri essere umani, non si sentiva più in grado di tenere i vessilli del Santuario ancora a lungo, avrebbe dovuto scegliere ben presto un successore, in modo da poter lasciar riposare finalmente le ossa.

“Sì, mio signore, ma il livido sul fianco gli duole ancora terribilmente, ho potuto sperimentarlo io stesso...” rispose pronto, abbassando il capo in segno di riverenza. Era in ginocchio per terra con la tenuta di addestramento, Shion medesimo gli aveva dato il permesso di non indossare le sacre vestigia per non spaventare il piccolo Camus, ancora non abituato ai rigori del Tempio.

“Non ti preoccupare di questo, predisporrò dei curatori che gli spalmino un unguento una o due volte al giorno finché non sarà guarito del tutto!”

“A tal proposito, Grande Sacerdote, il piccolo non ama farsi maneggiare e non ama essere toccato, c’è voluto un po’ a convincerlo a mostrare il fianco, non credo si lasci visitare dai curatori...” lo avvertì, franco.

“Lo so, me ne sono accorto anche io prima di portarlo qua… in tal caso puoi occupartene tu, Aiolos?”

Il Cavaliere del Sagittario alzò il capo, fissandolo con sorpresa in attesa di ulteriori spiegazioni che il Sommo Shion voleva dargli al più presto, ma che fu costretto a posticipare a seguito di numerosi colpi di tosse che gli stavano sconquassando i polmoni. Impiegò diverso tempo per rifiatare.

Aiolos non si scompose, rimase chino, in segno di rispetto. Era preoccupato enormemente per le sue sorti, soprattutto negli ultimi anni la clessidra della vita del nobile Shion sembrava svuotarsi più velocemente rispetto a prima, ma purtroppo non c’era nulla da fare. Aiolos lo sapeva. Un male incurabile aveva preso possesso di lui, lo erodeva, fino a causargli un malessere lento ma fatale.

“Nobile Shion, sembrate stremato… avete usato i vostri poteri per curare questo bambino? E’ per questo che state così male?”

“Non ti angustiare, Aiolos, è vero quanto hai detto, ma era l’unico modo per salvarlo. Lui… era conciato davvero male, mi capisci? Ho dato il tutto per tutto per recuperarlo, ma non è bastato, i miei poteri non sono più quelli di un tempo, per questo serviranno i curatori. Vorrei, di tutto cuore, che Camus si senta meglio il più velocemente possibile!” rispose il Grande Sacerdote, non appena in grado di parlare, scoccando un’occhiata al piccolo che si era addormentato lì vicino, appoggiato alla colonna, totalmente sfinito.

“Avete fatto quanto avete potuto, Nobile Shion, ma… chi lo ha ridotto così? E per quale motivo poi?”

“Questo non lo posso rivelare...”

“Capisco, scusate l’intromissione...”

“In ogni caso, Aiolos, ho bisogno di un favore: puoi prenderti cura di Camus in questi primi giorni che è al tempio? Portalo agli allenamenti con Aiolia, trattalo come se fosse un secondo fratello minore per te. Ha bisogno di cure, prima di intraprendere la strada che lo condurrà a diventare Cavaliere dell’Acquario, e penso che tu sia la persona giusta per fargli fare i primi passi. Di te si fida, l’ho ben visto quando siete arrivati qui in questa sala, ce lo avevi in braccio, ed è un’ottima cosa, la tua gentilezza deve averlo raggiunto nel profondo, altrimenti non si sarebbe mai fidato di te. Non in ultimo, parli bene l’italiano, requisito indispensabile per comunicare con lui, che conosce solo due lingue” rivelò le sue intenzioni il Nobile Shion, alzandosi lentamente per dirigersi verso il piccolo Camus, prenderlo quindi in braccio e approcciarsi nuovamente al Cavaliere del Sagittario.

Aiolos si alzò a sua volta, frastornato da quel gesto, fissando intensamente il viso del Grande Sacerdote. Le rughe erano ferocemente calcate in lui, i capelli sbiaditi, tendente al bianco in alcuni punti, ma quegli occhi rosati non erano mai cambiati dalla prima volta che li aveva scorti, da quando i suoi genitori, entrambi greci ma di origini italiane, avevano chiesto aiuto proprio al Sommo per salvare lui, ancora bambino, affetto da una malattia rara e incurabile. Quel giorno la sua mano rugosa e un poco ispida si era protratta ad aiutarlo, e lui l’aveva colta con il massimo della forza vitale propria di chi non si vuole arrendere alla morte.

“Aiolos, guardalo bene, come guardi il viso del tuo fratellino, o di Mu, o di Milo… - gli sussurrò Shion, riferendosi a Camus, in un leggerissimo trono tremante – Lui è il futuro, ma è anche il passato. Tu sei ancora giovane, forse non puoi capire pienamente...”

“Non posso capire pienamente ma lo leggo dai vostri occhi e dalle vostre intense parole, non c’è bisogno di aggiungere altro...”

Shion annuì, prima di proseguire.

“Tutti voi siete il futuro, ma anche il passato, io… vi conosco uno ad uno e so che può sembrare strano ma è così, vi conosco e, proprio per questo, non posso fare a meno di volervi bene come dei fratelli, scusami il bisticcio di parole, data l’età, so anche io che sarebbe più corretto dire ‘figli’, ma lascia che un vecchio finisca di sproloquiare sui suoi discorsi...”

“Non ha importanza la parola che utilizzate, sento calore nel mio petto indipendentemente da questo...” lo rassicuro Aiolos, sinceramente emozionato.

“Il futuro deve essere protetto, esso è la speranza che si annida nei nostri cuori, ci permette di andare avanti e di non arrenderci… proteggerai quindi questo piccolo frammento di futuro? Lo proteggerai insieme agli altri?”

“Certo, mio signore, avete la mia parola sul mio onore di Cavaliere!” giurò solennemente Aiolos, avendo l’impulso di inginocchiarsi ulteriormente, ma Shion non glielo permise, abbracciandolo invece teneramente. Camus stava proprio nel mezzo, non si riscosse e non si svegliò, ma fu come se il Sommo Shion abbracciasse anche lui.

“Ho la tua parola, Aiolos, grazie! Mi hai risollevato l’animo!”

 

Camus aveva accettato di essere preso in braccio, sempre meglio che finire tra le grinfie dell’amico di Aiolos che sorrideva sempre, ma non aveva previsto che si sarebbe addormentato da lì a breve e perdere così la cognizione del tempo. Si riprese solo dopo un po’ avvertendo di essere portato in braccio da qualcuno. Si stropicciò gli occhi e sbadigliò, tappandosi educatamente la bocca con le mani, poco prima di guardarsi intorno spaesato. Non era più in mezzo alle colonne greche del tempio, ma su un sentiero battuto stretto ai margini, intorno a lui vegetazione e il profumo distinguibile degli ulivi.

“Oh, Camus, ti sei svegliato!” lo salutò Aiolos, regalandogli un largo sorriso e permettendosi di donargli una carezza tra i capelli.

“Dove… sono?”

“Appena fuori dal Tempio, oggi ti porto a conoscere uno dei tuoi futuri compagni, prima di portarti alla Casa dell’Acquario e lasciarti riposare”

“Ok, se proprio devo...” si lasciò sfuggire Camus, sospirando sonoramente. Aiolos ridacchiò per la schiettezza, ma non se ne meravigliò, non più. Come aveva pensato fin dall’inizio, il piccolo avrebbe dovuto lavorare molto sulla socialità, forse lo scalino più ostico, dato il suo temperamento.

Finalmente raggiunse la casetta vicino alla spiaggia dove, durante gli addestramenti, si allenava con il fratello più piccolo quando non volevano essere interrotti. Il piccolo leoncino, da accordi, doveva essersi allenato per tutta la mattinata.

“Lia, vieni fuori, ti devo presentare un amico!” lo chiamò a gran voce, avvicinandosi verso la porta.

Al suono di “eccomi, fratellone”, una zazzera dai capelli castani si fiondò su di lui a braccia spalancate, fermandosi però di colpo quando riuscì a distinguere l’esserino che era tra le braccia del fratello. Si irrigidì di colpo, non visto, mentre Aiolos posava per terra Camus, tutto intento a scrutarlo con freddezza. Lo aveva riconosciuto. Faceva parte della combriccola di scapestrati che la sera prima avevano violato la sua casa e, soprattutto, violato lui, toccandolo impunemente senza che il piccolo avesse potuto fare qualcosa. Al solo pensiero se ne vergognò ulteriormente, ma non lo voleva dare a vedere, non in sua presenza.

“Aiolia, lui è Camus, il futuro Cavaliere dell’Acquario, sarà un tuo compagno e, per questi primi giorni di ambientazione, osserverà i nostri allenamenti” gli disse, tutto in un fiato, convinto che il fratellino, naturalmente propenso agli altri, sprizzasse energia da tutti i pori a quell’idea. Ma così non fu.

“Oh, ehm...” biascicò solo, grattandosi la testa a disagio.

Camus se ne stava lì, immobile a braccia conserte, squadrandolo da capo a piedi, un po’ come si poteva studiare un ragno schifoso che fortunatamente era stato trovato morto. Aiolos non se ne meravigliò, ma quello che per lui era sorprendente era la reazione del fratello più piccolo.

“Aiolia, tutto bene? Non è da te rimanere lì impalato quando conosci una nuova persona! E’ vero che parlate due lingue diverse, ma ci sono io qui che posso mediare, non fare il timido, fratellino quasi non ti riconosco più, sai?!” ridacchio Aiolos, cercando di stemperare la tensione.

Il piccolo leoncino non sapeva proprio come sbrogliarsi da quella situazione, non senza rivelare che, insieme agli altri amici, aveva disubbidito alle regole. Pertanto rimase lì, corrucciato, torturandosi le dita delle mani nervosamente.

“Aiolia…?” provò nuovamente a chiedere spiegazioni il fratello, ma fu il turno di Camus di parlare.

“E’ perché non è la prima volta che mi vede...”

Chiaro. Secco. Aiolia non capì cosa avesse detto al fratello maggiore in italiano, ma capì dallo sguardo di Aiolos, che saettò subito smarrito verso di lui, che avrebbe presto svuotato il sacco, quello spione!

“No, dannato! Zitto! Zitto!!! Ti prego, ti prego… non voglio perdere la faccia davanti a lui!!!” blaterò, sbracciandosi, ricordandosi poi che l’altro il greco non lo capiva affatto. Allora iniziò a gesticolare come un forsennato, coniugando i movimenti delle braccia con dei sonori “sssssssssshhh!!!”, versi che di sicuro non fecero fermare il piccolo Camus, anzi, lo portarono a proseguire nel suo discorso.

“Cosa intendi per…?”

“Che ieri sera lui – e lo indicò – e altri bambini sono venuti a trovarmi fuori dal tempio, hanno invaso il mio spazio vitale senza il mio permesso!” liquidò la faccenda Camus, un poco supponente nei modi.

A quel punto Aiolos sospirò, tornando a guardare il fratellino che, colto in fallo, cercava in ogni modo di non incrociare il suo sguardo.

“Aiolia, è vero quello che ha detto Camus?”

“S-sì… - balbettò, prima di trovare nuovo slancio – MA L’IDEA E’ STATA DI MILO, E’ LUI CHE SI E’ MESSO IN TESTA DI ANDARLO A TROVARE!!!”

Aiolos sospirò, apprestandosi poi a raggiungere il fratellino e posargli le mani sulle spalle. Voleva che lo guardasse negli occhi.

“Lia, tu sai che, se ti fai coinvolgere, anche tu ne sei responsabile, vero?”

“S-sì, ma...”

“Sapevi di non poterlo fare, vero?”

“Sì, fratellone...”

“Ma lo hai fatto comunque...”

“Milo voleva conoscerlo e… anche io...”

“Bene, e non c’è nulla di male in questo, ma… guarda attentamente Camus, guardalo ora!”

Aiolia fece quanto chiesto, anche se, in quel momento, provava solo una forte antipatia per quel bambino che stava per rovinare tutto, spifferando a suo fratello i fatti della sera prima. Poi però lo guardò meglio, vide il suo visetto pallido, solcato da un livido sulla guancia, vide i suoi occhi, sfuggenti, e la sua postura rigida: era a disagio anche in quel momento, non solo per la sera prima.

“Ti sembra che Camus la pensi come voi? Ti sembra che voglia conoscere altra gente?”

“N-no...”

“E infatti è così, Aiolia, Camus ha un vissuto diverso rispetto a quello tuo e di Milo, che siete naturalmente propensi a conoscere gli altri. Camus è chiuso, timido, probabilmente traumatizzato, impiegherà molto di più di voi ad aprirsi e voi dovete rispettarlo!”

“Non è che è solo un asociale e basta?!?”

“AIOLIA!”

“Scusa… scusa!”

“Anche fosse così come dici, bisogna sempre rispettare gli altri, i loro ritmi, il loro carattere, pensa se fossimo tutti uguali, se tutti fossero come te e Milo, cosa succederebbe?!”

“Che il mondo sarebbe fastidiosamente chiassoso!” rispose lesto Aiolia, cominciando a capire.

“E’ proprio così, fratellino! - ridacchiò sereno Aiolos, regalandogli un buffetto sulla guancia – Ora mangiamo qualcosa e poi faremo vedere a Camus i nostri allenamenti quotidiani, ne rimarrà carpito!”

Quelle sole parole fomentarono Aiolia, che saltellò più volte, brioso.

“Puoi contarci, fratellone!!!” esclamò, tutto contento.

Aiolos annuì, soddisfatto, tornando poi a concentrarsi su Camus, rimasto in disparte e sulle sue.

“Coraggio, Camus, vieni anche tu dentro, mangiamo qualcosa e poi ti inizierò alla strada per diventare Cavaliere!” lo incoraggiò, facendogli strada verso la porta.

Camus non disse niente ma lentamente si avvicinò a sua volta, fiancheggiando Aiolia senza però degnarlo di uno sguardo. A quel punto il leoncino si sentì in dovere di dargli un avvertimento tra i denti, anche se sapeva che non l’avrebbe compreso, giusto quanto bastava per marcare, per così dire, il territorio.

“Per questa volta va bene, Camus, ma la prossima volta che metterai di nuovo a rischio il rapporto tra me e mio fratello, te la vedrai con me in uno scontro ad armi pari!” esclamò tutto risoluto, in greco, con quel pizzico di boria che non guastava mai per far rispettare le gerarchie.

Camus sospirò, infastidito, prima di scoccargli una breve occhiata, gelida e impetuosa al tempo stesso.

Je suis désolé, je n’ai pas compris!

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Ed eccomi qui con il secondo capitolo, ho pensato e ripensato a lungo se pubblicarlo prima o dopo Capodanno, scegliendo alla fine la prima opzione, e quindi eccolo.

Innanzitutto un sonoro ringraziamento a tutti voi, questa storia è piaciuta molto già dal primo capitolo, da tempo non mi capitava di partire così bene con una storia, capisco le difficoltà: EFP è cambiato molto in questi anni, in più le mie storie sono il seguito delle prime che scrissi a partire dal 2011, quindi hanno l’aggravante, per così dire, che per capirle è di vitale importanza partire dalla Guerra per il Dominio del Mondo, cosa che, lo concepisco, non tutti sono disposti a fare.

Ad ogni modo questa storia, intessuta nella mia serie principale, ma fruibile a tutti, è partita davvero bene, spero possa continuare così!

In questo capitolo, che ha sempre Camus, come protagonista, vediamo interagire il piccolo con Aiolos, che avrà un ruolo determinante per la sua formazione, lo vedremo proseguendo in questa avventura. Compare anche Saga, il che mi da sempre un po’ il problema per la caratterizzazione, spero che, nella sua brevità nell’apparire, non sia andata troppo OOC. Che dire di Aiolia? Il piccolo stravede per il fratellone, lo si percepisce bene e, anche se non parte benissimo con Camus, diventerà suo amico, non preoccupatevi! :)

Direi di aver detto tutto anche questa volta, spero possiate gradire anche questo capitoletto, nel mentre colgo l’occasione per augurarvi un felice Capodanno nella speranza che il 2020 possa regalarci qualcosa di buono (io lo spero, in tutta franchezza! XD)

Al nuovo anno con il prossimo aggiornamento che probabilmente sarà sulla Melodia della Neve! Ciauuuuuu! :D

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Capitolo 3
*** Il ciclamino ***


Capitolo 3: Il ciclamino

 

 

“Uuuuuuh…. Urgh!”

“Stai tranquillo, Camus, hanno quasi finito, resisti ancora un po’!”

Il piccolo si girò nella direzione della voce gentile, andando oltre con lo sguardo e soffermandosi a scrutare il volto e il sorriso di Aiolos, seduto a suo fianco, le dita strette sulla sua manina, in quel momento ferocemente serrata nel palmo del Cavaliere.

Erano arrivati i guaritori, chiamati dallo stesso Shion, per visitarlo, e lui si era trovato costretto a farglielo fare, non avendo altre alternative.

Il fatto era che Camus non voleva.

Non voleva essere toccato. Non voleva che a farlo fossero degli estranei. Ma non aveva avuto scelta alcuna.

Lo avevano adagiato sul letto dell’undicesima casa e si erano chinati per toccarlo, ma lui, lesto, si era ribellato, prendendo a calci in faccia quello più vicino. Era intervenuto Aiolos a calmarlo, sussurrandogli parole di conforto e dicendo che quelle persone, che venivano per lui, erano lì solo per aiutarlo. Il piccolino era molto forte, nonostante il corpicino in apparenza così fragile, sferrava calci potenti e si dibatteva con tutto sé stesso, ma l’ematoma doveva essere trattato, in un modo nell’altro, per questo serviva la mano esperta dei curatori.

Il secondo tentativo era andato meglio, grazie alle rassicurazioni di Aiolos, che gli aveva preso la manina tra le sue, Camus si era calmato, permettendo così la visita preliminare. Gli avevano sollevato la maglietta fino al petto, mentre, con lo stetoscopio, uno dei due auscultava il cuore, che in quel frangente batteva all’impazzata, l’altro girovagava sul suo corpo. Il piccolo tremava, riflesso incondizionato forse del trauma che aveva subito prima di giungere lì, faceva tenerezza a vedersi e Aiolos percepì nitidamente il disagio dietro quei due occhioni spaventati.

“Sembra davvero così fragile, ma ha una forza… ahi! Vorrei fare di più per lui, che trema come una foglia, ma cosa si può fare? Noi vorremmo solo aiutarlo, ma non riesce a fidarsi, si irrigidisce al minimo tocco!” disse uno dei due curatori, quello che si era preso il calcio in faccia, tornando a chinarsi su di lui. Gli toccò lo stomaco e la pancia, applicando una leggera pressione nelle zone al di fuori dell’ematoma, non trovando rigonfiamenti o altro. Camus era teso come una corda di violino, provava dolore e, per celarlo, tentava di voltarsi dall’altra parte. Doveva pensare a qualcos’altro, a qualcosa di bello, con tutte le sue forze.

“Il cuoricino va bene, i battiti sono regolari, anche se veloci! - disse l’altro, tastando poi la zona un poco sotto con lo stetoscopio – Ora, Camus, prendi un profondo respiro e poi butta fuori tutta l’aria che puoi” gli disse con dolcezza. Aiolos ripeté lo stesso in italiano. Il piccolo fece quanto chiesto, rimanendo girato dall’altra parte sempre nel tentativo di nascondersi.

“Bravo così, piccolino!” si complimentò ancora il curatore, posando poi lo strumento lì di fianco e tirando fuori una crema a base di erbe.

“P-posso tirarmi giù la maglietta?” chiese quasi supplichevole Camus ad Aiolos, giacché gli altri due non parlavano italiano, vedendo che avevano smesso di visitarlo. Si sentiva a disagio, avrebbe voluto nascondersi, coprirsi, perché stare così, a pancia scoperta lo faceva sentire vulnerabile sopra ogni dire.

“No, piccolino, devi resistere ancora un po’ perché ti devono passare l’unguento sull’ematoma. Coraggio, sei bravissimo!” lo provò ad incoraggiare Aiolos, accarezzandogli la testolina.

“Non mi piace… non mi piace stare così! Qu-questi mi toccano la pancia, il petto, e schiacciano… fanno male!”

“Lo so, piccolino, ma è per il tuo bene!”

Camus sospirò, cercando di mettersi comodo, che tanto di alternative non ne aveva. Strinse ancora più forte la mano di Aiolos, unico appiglio in quella situazione, il Cavaliere non si ritrasse, anzi gli accarezzò la fronte e i capelli con gesto gentile, facendogli sentire la sua vicinanza. A quel punto il piccolo chiuse gli occhi, cercando, ancora più intensamente, di immaginarsi qualcosa che potesse distrarlo e non fargli percepire la vergogna crescente. Mani gentili gli passavano sulla pelle, distribuendo l’unguento che avrebbe dovuto accelerare il processo di guarigione. Camus capiva che erano lì per lui, per fargli del bene, ma non gli piaceva, proprio non gli piaceva essere toccato in quel modo, non gli piaceva quella posizione, quel senso di essere in balia di forze esterne che potessero disporre di lui. Impotente. Totalmente impotente. Gemette più volte, singhiozzando, ma non versò neanche una lacrima, gli si erano congelate nel petto nel momento esatto in cui era stato separato dalla sua famiglia.

Le mani smisero di passare sulla pelle, forse aspettando che la crema venisse assorbita. Qualcuno parlò in quella lingua strana che il piccolo non riusciva a comprendere, prima di udire la voce gentile di Aiolos.

“Camus, puoi girarti sul fianco destro? - gli chiese dolcemente, passandogli un dito di piuma sulla guancia – In questa maniera possono spalmarti la crema anche dietro, poi hanno finito!”

Il piccolo fece quanto chiesto, voltandosi e rannicchiandosi su sé stesso in posizione fetale, come a voler proteggere il pancino da ingerenze esterne. Si sentiva fragile.

“Sei davvero bravo, Camus!” si congratulò ancora Aiolos, non smettendo di accarezzarlo, prima di sollevargli la maglietta dietro per scoprirgli interamente la schiena, ancora vessata da quei fastidiosi lividi che però non gli facevano male come l’altro, erano solo fastidiosi. Il procedimento impiegò più tempo del previsto. Camus si rannicchiò ancora di più, incurvandosi su sé stesso, avvertì di nuovo il tondino freddo sulla schiena, per auscultargli gli organi vitali, gli fu nuovamente chiesto di prendere un profondo respiro, inspirare e poi buttare fuori l’aria. Fece quanto chiesto, sperando che fosse l’ultima, poco prima di sentire le loro mani passare sulla schiena quel solito unguento che profumava di selvatico. Li udì dirsi qualcosa fra loro, mentre, con le manine, si copriva il pancino, ancora scoperto in seguito alla visita. Quella posizione era persino peggiore della precedente, perché gli metteva in mostra sia l’intera schiena che la maggior parte del petto e dell’addome. Sembrava una vera e propria tortura cinese. Il suo respiro accelerò, frenetico.

“Può bastare così… - disse Aiolos, ad un certo punto, capendo il suo stato emotivo – sei stato bravissimo, piccolo!”

Camus non se lo fece ripetere due volte, liberato dalle mani dei curatori, si alzò subito, precipitandosi ad abbracciare Aiolos e stringersi così a lui, le palpebre chiuse. Era tutto tremante.

“E’ tutto finito per stamattina, guarirai presto!” lo incoraggiò ancora Aiolos, sistemandogli meglio la maglia, che era ancora stropicciata, poco prima di accarezzargli i capelli.

Camus non rispose, si limitò a stringersi ancora di più a lui, sollevato che tutto fosse finito. Si sentiva nuovamente stanco e fragile, cosa che non gli piaceva per niente. Sapeva che quel procedimento si sarebbe ripetuto, Aiolos lo aveva avvertito: non sarebbe bastata una seduta, ma almeno sei nell’arco di tre giorni per vedere dei vistosi miglioramenti. Tremò a quel pensiero, tornando a concentrarsi sul fatto che, almeno per quella mattinata, aveva finito.

“Il grosso ematoma e i lividi sono chiaramente causati da un grosso pestaggio. Chiunque lo abbia colpito, ha infierito su di lui più e più volte, doveva avercelo in odio, o essere infuriato, solo che non mi spiego come sia possibile che un esserino così minuscolo provochi una reazione così brutale. Si sa niente del passato del piccolo?” chiese intanto uno dei due curatori ad Aiolos. Parlavano in greco, pertanto Camus non li capì.

“Il nobile Shion ha detto che non può rivelare nulla circa il suo passato, che è troppo prematuro… quindi, no, non so assolutamente niente, ma mi fido del giudizio del Grande Sacerdote! Se ha valutato di non rivelarci niente, non posso che attenermi pedissequamente” rispose Aiolos, continuando ad accarezzare il piccolo per tranquillizzarlo.

“Avete pienamente ragione: probabilmente non venire a conoscenza di quello che gli è successo è meglio per tutti, soprattutto per il piccolo!”

“Lo penso anche io...”

“Bene, nobile Aiolos, qui noi, per stamattina, abbiamo finito, torneremo stasera per la seconda medicazione. Il frugoletto è molto forte, pensiamo che, con le giuste cure, nel giro di tre giorni, possa sentirsi meglio!” intervenne il curatore più anziano, inchinandosi in segno di ossequio prima di uscire con l’altro. Aiolos gli sorrise gentilmente, aspettando che se ne andassero prima di rivolgersi a Camus.

“Fra tre giorni starai meglio, piccolo! So che non ti piace essere toccato, ma se seguirai le cure, non sarà più necessario!” lo incoraggiò dolcemente, guardandolo in faccia e accorgendosi che si stava stropicciando gli occhi, stanco.

“Cosa ti succede, Camus, stai male?” gli chiese, scostandogli un ciuffo di capelli dalla fronte.

“Ho… ho sonno… - biascicò il bimbo, con un’espressione esausta e tirata a solcargli il visetto di cera – A-Aiolos, ho… ho tanto sonno, posso… posso dormire?” gli chiese timidamente, chiedendogli il permesso. Era impossibile non affezionarsi a quel piccoletto, era inconcepibile pensare che qualcuno, invece, là fuori, lo volesse morto.

Il Cavaliere di Sagitter sorrise in un moto di tenerezza, permettendo al piccolo di adagiarsi sulla spalla in posizione comoda.

“Ma certo, non c’è bisogno che mi chiedi il permesso, se hai sonno chiudi gli occhi e riposa, ci penso io a te!” lo rassicurò, vezzeggiandogli il viso.

Camus non se lo fece ripetere due volte e, nell’arco di appena una manciata di secondi, piombò istantaneamente in un sonno profondo, del tutto inconsapevole dell’ambiente intorno.

 

 

* * *

 

 

Quel pomeriggio, complice gli allenamenti intensi del fratello, Aiolia riuscì a raggiungere gli altri solo quando il sole cominciava già a calare, irradiando i dintorni con una luce arancione-rossiccia. Del resto, era la fine di novembre, le giornate erano corte e tutti i piccoli, futuri, Cavalieri d’Oro, avevano l’obbligo di rientrare a presiedere i propri templi, o le zone di pertinenza, entro un’ora esatta dopo il calare del sole. Nonostante questo, aveva ottenuto il permesso dal fratello di incontrarsi con gli altri per avere un po’ di svago, cosa che non si era fatto assolutamente ripetere.

Quando arrivò nella radura che era stata adibita a luogo di incontro dopo gli allenamenti, percepì già da distante che Milo stava litigando con Shaka, cosa non affatto rara, visto i due tipetti, mentre Mu e Aldebaran facevano come sempre da paciere, anche questo assai frequente. Era ancora distante per udirli, ma accelerò il suo suo moto, entrando di prepotenza nel discorso.

“… non ti è bastata la gomitata che ti ha dato Camus l’altra sera, ne vuoi guadagnare un’altra?! Sei proprio come quei cani che non capiscono gli ordini e continuano a ripetere gli stessi errori!” stava dicendo Shaka, sbuffando.

“No! No! E no! D’accordo, ho sbagliato approccio… UNA VOLTA! Ma ciò non toglie che Camus mi abbia avvertito, in qualche maniera, perché ha riaperto gli occhi per me! Io lo so! Non posso arrendermi per nessuna ragione al mondo!” aveva esclamato Milo, categorico, sempre più testardo. Era sicuro di quello che diceva, lo si poteva leggere negli occhi.

“Lo stavi SPOGLIANDO, Milo! Si è ritrovato con la pancia scoperta davanti ad una marmaglia di estranei! Sei stato indelicato sopra ogni dire, grazie che Camus si è svegliato, cos’altro poteva fare?! Ancora che ti ha dato solo una gomitata!” lo rimproverò ancora Shaka, aprendo improvvisamente entrambi gli occhi e facendo prendere un colpo a Milo che all’improvviso si sentì piccolo piccolo e tutto vergognoso.

“Ciao! Cosa succede?” intervenne finalmente Aiolia, desideroso di recuperare il filo della matassa di quel discorso.

“Shaka sta sgridando Milo, e di riflesso noi, per ciò che abbiamo fatto a Camus, mentre Milo continua ottusamente a dire che aveva sentito il suo richiamo di aiuto, e che non poteva in alcun modo lasciarlo solo...” sciolinò velocemente Aldebaran, dubbioso.

“Ah… un visionario! Milo è sempre stato un po’ così!” la prese sul ridere Aiolia, ridacchiando sommessamente.

Nel frattempo il battibecco tra la futura Vergine e il futuro Scorpione, si era di molto attenuato, perché Milo, sfoggiando la sua migliore espressione da cane bastonato, si era messo a piangere.

“I-io… io volevo solo… aiutarlo!” pigolò Milo, gli occhioni lucidi, il naso incerottato e le labbra frementi, come se fosse sul punto di singhiozzare.

“E lo hai fatto nel modo sbagliato, Milo...”

Ma… ma le mie erano… buone intenzioni...”

“Che non sono state capite, però… Milo, dovresti aver imparato che non tutti ragionano come te!”

Shaka gli continuava a rispondere prontamente, ma la lenta e graduale opera di addolcimento stava facendo il suo fatale effetto, imbrigliando anche uno della personalità del biondino.

Sigh… T-ti prego… aiutami a fare breccia nel suo cuore...

“Ma io non lo conosco! Come faccio a…?”

Daaaaaai, ti pregooooooo, io gli voglio bene, è mio amico e...

“Ma come puoi voler bene ad un bimbo che hai appena visto?!? E poi l’amicizia non esiste, se non è equamente distribuita tra due individui, e da quello che hai detto Camus non prova lo stesso!” gli fece notare Shaka, pratico.

“Siamo destinati, io e lui!” riprese Milo con nuovo slancio, ricacciando indietro le lacrime.

“Ma senti questo!” commentò Shaka, tornando ad essere esasperato.

“Oh, ne è proprio convinto, eh!” sogghigno Aiolia, furbo, sicuro che se Milo avesse davvero conosciuto quel Camus, in tutta la sua antipatia, i pensieri positivi sarebbero stati ritrattati.

“Mi chiedo se… se ci sia un fondo di verità nelle parole di Milo...” prese parola Mu, vagliando una nuova ipotesi.

“Cosa intendi?” lo interrogò lesto Aldebaran, curioso del suo punto di vista.

“Che il Sommo Shion è reduce della scorsa Guerra Sacra, ogni tanto mi racconta delle sue convinzioni che i suoi precedenti compagni, ad eccezione del Vecchio Maestro Dohko, possano essere, in qualche modo, la stessa essenza di questi...”

“Reincarnazione? - le parole di Mu destarono l’interesse di Shaka, ora attento più che mai a scrutarlo con quegli occhi azzurro cielo limpido che si ritrovava – Saremmo reincarnazioni?”

“Qualcosa di simile...”

“Mu… - di colpo Shaka si fece ancora più serio di quanto già non fosse di suo – esiste la reincarnazione nel Buddismo, ma ha tutt’altri connotati rispetto a quello che mi stai...”

“Chissenefrega delle rincornozioni! Io voglio diventare amico di Camus!” si fece sentire Milo, furioso che la sua richiesta di aiuto fosse stata messa da parte. Quella parola era troppo complicata per lui ed era ininfluente rispetto ai suoi pensieri. Lui e Camus avrebbero potuto essere chiamati con qualsiasi nome, non aveva la benché minima importanza, solo una cosa contava: recuperare il suo cuore smarrito.

“Al solito un citrullo ragiona come citrullo… Mu, l’argomento mi interessa, ne parleremo a a parte io e te, ok?” commentò Shaka, chiudendo nuovamente gli occhi e isolandosi, che tanto con quello sciocco di Milo il fiato si perdeva e basta.

Fu il turno di Aiolia di prendere parola, accorgendosi che non aveva ancora avvertito gli amici di un fatto molto importante. Sorrise contento, presagendo già che il suo migliore amico si sarebbe eroso dall’invidia.

“Piuttosto, ho un annuncio da fare...” incominciò, strofinandosi sornione il nasino. Tutti gli occhi furono puntati su di lui, tranne ovviamente Shaka nuovamente intento a meditare.

“Cosacosacosacosa???” lo incentivò Milo, saltando come una molla.

“Camus è a casa mia e di mio fratello!”

“Davvero, Lia? Come...” iniziò Aldebaran, incuriosito, ma fu interrotto dalla lippa Milo che, prendendo la rincorsa, balzò addosso ad Aiolia, facendolo finire a terra.

“Lia! Lia! Lia! Ti prego, ti prego, ti prego! Fammelo vedere!!! Chiedi ad Aiolos se posso… no, aspetta! Gli farò io una sorpresa, uno di questi giorni! Posso? Posso? Posso?!?”

Aiolia tentò di mettersi quanto meno seduto, giacché Milo dondolava euforico e pendeva dalle sue labbra. Lo guardava con adorazione ed era iperattivo, pensando già alle tremila e una sorprese che avrebbe potuto riservare al nuovo arrivato.

“Dopo i fatti dell’altra sera… non è una buona idea, Milo!” gli consigliò invece Mu, dispiaciuto.

Milo fece per aprire bocca e cominciare a parlare a macchinetta, ma fu intercettato da Aiolia.

“Questa volta devo dare ragione a Mu, e poi Camus sta ancora male… dorme un sacco!”

“COSA?!?”

“Il piccolino prova ancora così tanto dolore?” chiese a sua volta Aldebaran, superando lo schiamazzo di Milo che si era impietrito sul posto.

“Non lo so bene… ci sta dietro Aiolos...” mormorò il leoncino, non nascondendo un certo disappunto. Lui non voleva avere nulla a che farci con quello, in tutta franchezza era anche geloso delle attenzioni che il fratello maggiore riversava su di lui, che era un estraneo, ma tentò di essere più sincero possibile.

“Come mai è da voi?” chiese Mu, avvicinandosi.

“Glielo ha affidato il Grande Sacerdote in persona… pare che stiano trattando i lividi. Stamattina sono andati dai curatori, quando sono tornati Camus stava dormendo, non si è più svegliato da allora...” spiegò Aiolia, rimuginandoci sopra.

“Non si è più… svegliato? Non è un buon segno, è indizio di debolezza...” sussurrò invece Aldeberan, desiderando aiutare quel piccoletto così fragile.

“Aiolos lo ha cambiato oggi pomeriggio… gli ha pure comprato un pigiama nuovo, cioè, vi rendete conto?! Sono io il suo fratellino!” si lamentò tuttavia, sbuffando, desiderando condividere con gli amici il suo disappunto, che però non fu accolto, perché gli altri erano concentrati sulle condizioni di salute dell’ultimo arrivato.

“Si fa… toccare da Aiolos?” chiese Milo, geloso, continuando a muoversi come una molla appena usata.

“Sì… ma del resto il mio fratellone è il più puro e nobile del Santuario, non c’è da meravigliarsi!” disse il leoncino, orgoglioso, crogiolandosi in quella verità.

Sa avesse potuto, il piccolo Scorpione, si sarebbe morso le mani: Camus aveva concesso ad Aiolos, e non a lui, di essere toccato, si sentiva ferito e deluso senza saperne il reale motivo. Ancora di più però era il suo malessere a preoccuparlo notevolmente, doveva fare qualcosa, a tutti i costi, forse così anche il nuovo arrivato si sarebbe accorto di lui, concedendogli così la sua fiducia.

“Hai detto che dorme… da stamattina? E’ così grave?” gli chiese, sforzandosi di ricacciare indietro la gelosia per Aiolos, che aveva un così alto privilegio. Aiolia tornò a grattarsi la testa a disagio, dopo l’exploit sulla grandiosa destrezza e grandezza di suo fratello non aveva altri argomenti per far pendere Milo dalle sue labbra, e il suo amico si era fissato con quel Camus, provò un velato fastidio.

“Quando me ne sono andato, dormiva ancora tra le coperte. Come vi ho detto, non si è più svegliato da stamattina, ma stasera dovrà tornare dai curatori, quindi presumo che sarà vigile...” biascicò il leoncino, discostando lo sguardo.

“Devo aiutarlo, poverino! - si raddrizzò Milo, una nuova luce negli occhi, si fissò sul futuro Ariete, ricercando il suo sostegno – Mu, tu dici spesso che esistono erbe curative, dove poss...”

“Che cosa hai intenzione di fare, Milo?” lo fermò immediatamente Shaka, facendo saettare i suoi occhi nella sua direzione, assottigliandoli.

“Niente che ti riguarda! - gli fece linguaccia l’altro, tornando a concentrarsi sull’amico, rimasto perplesso – Allora, Mu? Sei allievo del Grande Shion, vero? Tu saprai senz’altro...”

“Forse non hai ben capito… - si oppose ancora Shaka, alzandosi in piedi, gesto alquanto raro per lui, che non presagiva nulla di buono – I curatori si stanno già occupando dei lividi, cosa pensi di poter fare tu? Non sai nulla di rimedi e...”

“Mu, ti prego, dammi una pista da seguire, ed io...”

“Guardami quando ti parlo e non fare finta di non vedermi!” esclamò il biondo, stizzito più che mai dall’atteggiamento del compagno, tremava per la rabbia, Milo era riuscito a farlo spazientire, dote non da tutti.

“Non ti guardo e non ti considero, sei solo una mosca fastidiosa adesso!”

“Ma tu guarda questo!” ripeté, cercando di ricomporsi, che doveva elevarsi sopra le umani pulsioni, invece di scendere al livello di Milo, ma era impossibile allo stato attuale della sua esperienza.

“M-Milo… - prese in fine parola Mu, un poco più insicuro ma consapevole della sua posizione – Forse per una volta dovresti ascoltare Shaka, non possiamo fare nulla di più dei curatori, aspettiamo fiduciosi, vedrai che Camus starà meglio!” gli fece notare, ma si morse subito le labbra quando vide l’espressione ferita dell’amico.

“Mu, pure tu… non ci posso credere!” biascicò, apparentemente rassegnato, incassando la testa tra le spalle e scrollando la testa.

“M-Milo, io...”

Ma l’attenzione non era più su di lui. Il più piccolo scattò davanti ad Aldebaran, guardandolo supplichevole e con occhi lucidi.

“Aldy, tu almeno mi aiuterai? Sei buono come il pane, lo so! Aiutami, ti prego!”

“Lo… lo farei, Milo, se fosse davvero necessario, ma c’è già chi, molto più esperto di noi, si sta occupando di lui. Non è solo, dobbiamo solo confidare...”

“UFF, MA COSA VI STA SUCCEDENDO A TUTTI?!?” urlo ad un certo punto il bimbo, sempre più offeso dalle parole degli amici.

“Non sta succedendo niente, Milo, semplicemente ragionano, cosa che a te è ancora oscura!” affermò risoluto Shaka, sempre con gli occhi profondi rivolti verso di lui, era quasi spietato, forse più del necessario, ma doveva fermarlo. Uscire dal tempio per un motivo così futile era pericoloso e rischioso, doveva dissuaderlo con ogni mezzo in suo possesso, ma conosceva bene la sua testardaggine senza freni.

“Siete tutti così senza cuore, ma io non mi arrenderò, troverò un modo per farlo stare meglio!” disse, sicuro di sé, poco prima di fuggire via.

Le esclamazioni dietro di lui, prodotte dai suoi giovani compagni, svanirono in un lampo, lasciando la sua mente libera di ragionare, come diceva Shaka. Si recò al suo tempio, si cambiò, senza neppure mangiare, e si buttò a letto dopo aver fatto pipi, il suo cervello libero di funzionare e indirizzarsi su una possibile soluzione. Si addormentò così, dopo un’oretta, rannicchiato sul fianco sinistro, la mente ancora in fibrillazione e perennemente in funzione. Fu una notte agitata, fatta di risvegli e di sogni strani, passò lentamente, ma, una volta terminata, lo lasciò carico di idee e nuovi spunti.

Il giorno seguente gli aspettavano gli allenamenti. Non ci andò, sicuro che i suoi amici non si sarebbero nemmeno preoccupati per lui, visto il trattamento che gli avevano riservato (offeso era offeso, eccome se lo era!), recandosi invece nel bosco nelle vicinanze del tempio.

“Se loro non mi aiutano seguirò il mio cuore, non ho bisogno di loro!” si disse, inerpicandosi per il sentierino.

Era un bosco fatto di saliscendi, scuro, profondo, copriva tutto il versante a sud del Santuario e, in certi tratti, assumeva pendenze considerevoli, soprattutto per un bambino di 5 anni. Milo non si diede per vinto, proseguendo guidato dal cuore, e solo da esso. Non conosceva erbe medicinali, non conosceva quel luogo, così estraneo all’isola che gli aveva dato i natali, ma aveva tutte le intenzioni di proseguire, di non demordere, una intuizione gli sarebbe venuta prima o poi, lo sapeva.

Lo pensò intensamente per una un’ora, prima di ritrovarsi a vagare smarrito per quel bosco tutto uguale, i lacrimoni agli occhi. Si era perso, gli alberi non davano presenze sicure, anzi, sembravano minacciosi. I rumori del sottobosco erano a volte intensi e prolungati, altre repentini. Lo spaventavano. Lo terrorizzavano. Ogni tanto, un fruscio a poca distanza da lui, gli faceva prendere le rincorse, totalmente in panico, ciò gli faceva perdere ancora di più l’orientamento, confondendolo maggiormente. Gli sembrò di camminare per ore e ore, la stanchezza cominciava a farsi sentire. Si accasciò infine vicino ad una roccia, esausto. Cominciava davvero a sentire la mancanza dei suoi amici, persino di quella piattola di Shaka che voleva avere sempre ragione su tutto. Li avrebbe voluti lì, tutti, nessuno escluso, odiava stare da solo, poiché lo era già stato nel momento in cui si era formato il suo primo ricordo nella sua giovane mente. Solo…

Non aveva ricordi suoi propri genitori Milo, il futuro Scorpio, non conosceva le sembianze dei loro visi, né il delinearsi del loro sorriso, l’unica cosa che rammentava era un profumo di latte e un calore vivo e sincero, che tuttavia si era spezzato, lasciando lui in un buio perpetuo. Morti, gli avevano detto così. Suoni e contorni indefiniti si era succeduti, fino a quando, forse a due anni abbondanti, o addirittura a tre, era stato colto dalle mani di un signore e della propria figlioccia, se così si poteva definire quella giovane ragazzina dalla pelle ombrosa e i lineamenti slanciati, e loro lo avevano portato al tempio, dove aveva conosciuto Aiolia, subito diventato amico intimo e, mano a mano che arrivavano anche gli altri piccoli futuri Cavalieri d’Oro, si era finalmente ricreato un prototipo di famiglia. Li vedeva tutti come fratelli sinceri, di sangue, non acquisiti, e gli voleva bene, un bene dell’anima. A tutti. Nessuno escluso.

Tirò su con il naso, rannicchiato vicino ad un sasso, infreddolito e tremante. Si sentiva solo e abbandonato, cominciò a pensare che avrebbe dovuto ascoltare Shaka, o fidarsi di Mu, invece di precipitarsi in quel luogo sinistro senza dire niente a nessuno. Ora era lì, perso, non sapeva quanto fosse passato, ma era consapevole che le giornate, in novembre, erano corte; se non avesse trovato il coraggio di muoversi sarebbe rimasto lì e poi morto di freddo. Lo avrebbero trovato congelato il giorno dopo, o forse anni... e lui odiava il ghiaccio.

Era quasi sul punto di scoppiare a piangere a squarciagola, spaventatissimo, quando una brezza leggera, non fredda, ma fresca, gli solleticò la fronte e i capelli ribelli. Sbatté più volte le palpebre e la seguì, fiducioso, recuperando nuovo vigore. Sembrava quasi palpabile, quella brezza, come se appartenesse a qualcuno di famigliare. Non ne perse più la traccia, ed essa lo guidò fino ad una cascatella nella roccia che formava un piccolo laghetto cristallino. Milo era incredulo per ciò che vedeva, si diede due pizzicotti sulle guance, ma quel posto incredibile non scompariva, era ben nitido davanti a sé. Si guardò comunque intorno, confuso, non vedendo più quel ragazzo dai lunghi capelli verdi che lo aveva accompagnato fin lì tramite quella brezza fresca. Aveva assistito a quel prodigioso che si era inginocchiato in un punto ben definito, dandogli le spalle, per indicargli poi un qualcosa di molto importante che stava a terra, sotto ad un tronco, prima di… PUFF, sparire del nulla. Non vi era più traccia di lui, eppure il piccolo Milo giurò di udire una voce risuonargli melodiosamente in testa.

 

So che, in qualche modo, il tuo cuore lo ricorderà, sei sempre stato più abile di me… a perseverare!

 

Ricordare, d’accordo, ma cosa doveva ricordare? Milo si diresse, ballonzolando, verso la direzione indicata, la testa che gli doleva e un raro senso di vertigini, ritrovandosi così davanti ad una manciata di fiori di forma strana color lilla, tendenti all’ingiù. Ne fu sinceramente sorpreso, non avrebbe mai pensato che quella stagione così fredda e apparentemente priva di vita, contenesse, dentro di sé, l’impronta della vita stessa, al punto tale da permettere ai fiori di sbocciare. Rimase una serie di minuti a guardarli, come carpito dalle loro sembianze, prima di ridestarsi di nuovo pienamente e rendersi conto che, vicino al laghetto e alla cascata rocciosa, vi era un prato immenso di trifogli di un bel colore verde scuro. Immediatamente si ricordò che il quadrifoglio, più raro, poteva trovarsi lì in mezzo, e che da sempre portava fortuna. Si illuminò: ecco di cosa aveva bisogno Camus, di tanta, tanta fortuna, da quel momento in avanti, visto quello che aveva patito, e lui gliela avrebbe portata a secchielli, cosicché sarebbe guarito subito! La speranza fece battere all’impazzata il cuore del giovane Scorpione che, tutto frenetico, prese a ricercare la rara piantina nei dintorni. Ne voleva una tonnellata, perché serviva una tonnellata di fortuna per il piccolo nuovo arrivato, non ne poteva fare a meno. Tuttavia poco dopo si rese conto che l’impresa era più ardua del previsto, perché gli esemplari erano una minoranza rispetto al trifoglio. Decise quindi di raccogliere anche quest’ultimo, forse aveva meno efficacia che il quadrifoglio, ma gli avrebbe portato fortuna comunque e i suoi forzi sarebbero stati ricompensati.

Si attardò non poco in quel compito, terminandolo solo quando si rese conto che la luce del sole, già fioca a seguito della boscaglia, decresceva sempre di più. A quel punto si ritenne più che soddisfatto, riprendendo a seguire il venticello fresco, anche se non più visibile, e ritrovando, grazie a lui, la strada di casa, uscendo così nella radura. Le ombre si allungavano sempre più, ma il suo dovere lo aveva fatto, ora non restava che trovare un modo per avvicinarsi a Camus e consegnarglielo, sapeva che quella sarebbe stata la parte più difficile, ma non si sarebbe arreso e lo avrebbe raggiunto, lo aveva promesso quel lontano giorno.

 

Se il tuo cuore si smarrirà, dovunque esso si smarrirà, non devi preoccuparti! Ci sarò io, ti raggiungerò, dovunque sarai, e ti riporterò a casa…

 

Annuì fiero, tutto gongolante tra sé e sé, tanto che non si accorse che in quella radura non era il solo, e che l’altro era piuttosto infastidito di vederlo. Gli si posizionò davanti, mettendo le mani sui fianchi e sfoderando il suo miglior sorriso canzonatorio, ma il piccolo Scorpione non lo calcolò e, intravedendo un ostacolo senza darci il giusto peso, ancora intento ad osservare il mazzetto di trifogli e quadrifogli nella sacca, semplicemente si spostò di lato, come se nulla fosse. Un affronto che non era tollerabile.

L’attenzione di Milo era tutta concentrata a non danneggiare il grande tesoro che portava in grembo, tanto da non rendersi conto di niente, se non quando, colpito vilmente sul fianco, si accasciò a terra, perdendo la presa sulle piantine. Per non schiacciarle le aveva sollevate con le braccine, facendosi male lui.

“Finalmente, moccioso! E ringrazia che non rincaro la dose, non si passa senza degnare di uno sguardo il grande Death Mask!” affermò il bambino più grande, sovrastandolo di mole. Milo non gli diede retta, tornando a guardare il pacchettino nel timore che si potesse essere danneggiato. Fortunatamente ciò non sembrava essere successo.

“Menomale… per fortuna!”

“Ehi, ancora non mi guardi?!”

“Ti ho… ti ho visto, Death Mask, ma ho faccende più urgenti che darti attenzioni ora, scusami...” gli disse distrattamente, alzandosi in piedi e proseguendo il cammino come se niente fosse.

Qualunque cosa avrebbe potuto essere quell’affare, sarebbe stato necessario toglierglielo per avere una reazione alle sue provocazioni. Se c’era una cosa che Death Mask del Cancro non digeriva, era la mancanza di rispetto nei suoi confronti, una questione su cui era necessario educare i più piccoli, o meglio rieducare. Sbuffò contrariato, apprestandosi a strappargli di mano quella sacca per lui così tanto importante. Fu un gioco da ragazzi, Milo era più piccolo e più basso di lui, che invece era ben più alto e massiccio: in un lampo gli balzò davanti, afferrando la sacca, spintonandolo con foga. Il bambino si ritrovò di nuovo per terra, stavolta sbatté la schiena, mugolando per il dolore.

“Si può sapere cosa è ‘sto aggeggio?” lo scrutò Cancer, pensandolo un qualche tipo di tesoro che il moccioso aveva avuto la fortuna di trovare.

“Ridammelo, bruto!!!” urlò l’altro, una volta capito che glielo aveva rubato. Si alzò velocemente in piedi, tutto intento ad attaccarlo ma Death Mask, come di consueto, lo fermò con un’unica mano.

“Ma che minchia sono queste?! Foglie?!” continuò, scurrile, quasi disgustato e deluso da quella scoperta. Milo non lo aveva calcolato per un mucchio di piantine rinsecchite. Peggio! Si era allontanato dal Tempio, in subbuglio, per un motivo simile, cosa aveva nella testa, carciofi?!

“Di’, ma quanto sei stupido?!? E’ da stamattina che il futuro montone e il gattino spelacchiato ti stanno cercando, preoccupati per la tua assenza! Quei due hanno mandato a soqquadro l’intero Santuario per te, e tu vai a raccogliere foglie inutili per tutto il giorno?! Ok, che sei scemo, ma così hai raggiunto un nuovo livello!”

Ma Milo non lo stava ascoltando, sempre più arrabbiato dell’intromissione di quell’essere spregevole. Si dimenò ancora ma non riusciva a raggiungerlo, sebbene il suo intento fosse quello di graffiare la faccia affilata di Death Mask che aveva osato mettere le mani su un tesoro sacro che lui doveva consegnare a Camus.

“Lasciami!!! Lascialo!!! Non è mio! E’ per Camus, lascialo!!!” ripeté più volte, facendo roteare i pugni, del tutto vano.

“Per l’ameba, eh? Immagino che sarà commosso, guarda! - lo lusingò falsamente, sorridendo meschinamente, prima di proseguire – Li butterà nella prima pattumiera e tanti saluti, ahahahah!!!”

“Non osare!!! Non osare, grrrrrr!!!” ringhiò la piccola furia, sempre più furente. Errore mortale mettersi tra lui e i suoi propositi.

Death Mask intanto si era lasciato andare ad una sonora risata.

“Sei talmente scemo che pensi che qualcuno possa apprezzare il tuo regalo fatto di foglie rinsecchite che marceranno da qui a breve, sei un vero spas... AAAARGH!!!”

Non riuscì a terminare la frase, Milo lo aveva morso con violenza, non trovando altro modo per opporsi, cosa che lo fece imbestialire e perdere il controllo.

“Ma-maledetto!!!” ululò, indignato, dandogli un sonoro affondo tra le costole che lo fece cadere per terra come un sacco di patate. Poco dopo si buttò sopra di lui, bloccandolo con la sua mole per impartirgli una sonora lezione, di quelle che non si dimenticano. Il pacchetto insulso cadde ai suoi piedi, ormai non più oggetto dei suoi interessi. Cominciò quindi a tirare pugni con l’intento di colpire quel bambino arrogante e presuntuoso che gli aveva mancato di rispetto, non una volta, ma tre in un colpo solo e che, solo per quello, meritava il suo disprezzo. Milo era in posizione di forte svantaggio, ma parava alla ben meglio i pugni, proteggendosi il volto visibilmente sofferente. Death Mask decise quindi di cambiare tattica. Gli affondò una veloce gomitata precisamente nello sterno, abbastanza intensa da mozzargli il respiro di netto e portare le sue manine a coprirsi lo stomaco, in preda al dolore. Era il momento giusto per arrivare al viso, ormai privo di protezione.

“Mettiti comodo, questo è solo l’inizio della lezione, pagherai sulla tua pelle cosa significa mancare di rispetto al grandioso...”

Ma si rese conto che entrambe le braccia erano bloccate e infreddolite, tanto da impedirgli ogni più piccolo movimento. Per un solo istante pensò a Saga, o qualche altro Cavaliere d’Oro più grande di lui che aveva visto la scena ed era intervenuto. Effettivamente si era lasciato un po’ troppo andare, forse aveva esagerato a prendersela con quel bamboccio arrogante, gli capitava spesso di perdere il controllo per l’ira e, quando succedeva, si comportava come il suo schifosissimo padre, l’essere che odiava di più al mondo e che gli aveva insegnato a reagire in un unico modo: picchiando fino ad eliminare il nemico. Perché il più forte vinceva. Sempre. Accadeva in natura. Accadeva tra gli umani.

Per un secondo si pentì di quanto aveva fatto, liberando la presa su Milo il quale, affannato, tentava disperatamente di recuperare l’ossigeno che gli era stato sottratto con la forza.

Arrete, froussard!”

Un suono di una voce mai udita lo raggiunse, portandolo ad alzarsi in piedi. Non lo aveva riconosciuto, ma aveva identificato la lingua, il che gli fece comprendere subito chi fosse intervenuto. In quel momento avrebbe avuto a che fare, non con uno, ma ben due pusillanimi.

“Il nuovo venuto, suppongo, eh?” si ritrovò a dire, producendo un suono gutturale. La sua attenzione si spostò da Milo, ancora intento a recuperare fiato, al secondo bambino, a piedi a poca distanza da lui che lo scrutava con aria indignata e seria. Cosa ci facesse lì era un mistero, ma Death Mask decise di procedere con educazione come primo approccio.

“Non parli la mia lingua? Hai un bel livido qui!” gli disse, nel suo dialetto di origine, indicandosi la guancia per fargli comprendere il messaggio. L’interpellato, dopo la prima esternazione chiaramente minacciosa, anche se il futuro Cancer non aveva capito un’acca, non parlava più, limitandosi a guardarlo torvamente con espressione sempre più disgustata.

“Andiamo bene, manco parla, quest’altro scemo...” sospirò teatralmente, studiandolo a sua volta. Era pallido in volto come la prima volta che lo aveva visto di sfuggita, il corpo gracile, la statura assai più bassa della sua. Non era e non poteva essere una minaccia, né un aiuto, visto che nella sua combriccola di agile e veloce c’era già Aphrodite, e bastava. Tentò nuovamente di farlo parlare, ponendogli delle domande.

“Ti chiami Camus, giusto?”

“...”

“Ma sai articolare vocalizzi al di là delle parole che hai usato prima?!?”

“...”

“Minchia, oh, sei handicappato, forse?!”

“...”

“Autistico?!”

“...”

Sospirò, affranto e spazientito al tempo stesso. Le aveva provate tutte, gesticolando come un matto, ma quello lì non comunicava, rimanendo a fissarlo con quei due occhi di ghiaccio che si ritrovava. Caso perso. Malato mentale. O qualcosa di simile.

“Camus!!! Vai via di qui, Death Mask è un bimbo cattivo e tu sei già ferito!!!” aveva preso a schiamazzare intanto Milo, appena ripresosi. Ovviamente parlava in greco e quello non lo comprendeva, oltre ad essere un vero e proprio afasico. A stare con loro ci si rincretiniva, meglio perderli che trovarli!

Lo sdegno e la faccia schifata del bambino dagli occhi blu, poi, erano degni del popolo di merda a cui apparteneva, il futuro Cancer non riuscì più a trattenersi.

“Che palle! Ecco perché odio i francesi, tutti con il naso all’insù e la puzza sotto il naso, quando invece siete degli schifosissimi mangialumache!” esclamò, sputando per terra per esemplificare il rigetto verso quel popolo di presuntuosi.

A quelle parole Camus inarcò un sopracciglio, decidendo finalmente di parlare.

“Che combinazione! Io invece non sopporto i bulli come te!”

Death Mask sgranò gli occhi, incredulo. Quell’essere lo aveva ingannato fino a quel momento, fingendo un mutismo che invece non possedeva. Era francese, sì, ma era anche italiano, vista la straordinaria padronanza lessicale che aveva in entrambe le lingue, quindi, prima, non gli rispondeva intenzionalmente, pur comprendendolo pienamente, il che lo fece indignare ancora di più.

“Un franco-italiano? Da che famiglia discendi?”

“Non sono cose che ti riguardano!”

Irritante era dire poco, a Death Mask prudevano le mani, desiderando spaccargli quel bel faccino e al diavolo il fatto che fosse già ferito, ma provò a giocare ancora un’ultima carta diplomatica.

“Perché sei venuto qui? Ti sei messo anche tu a cercare questo bambino, oppure…?”

“Neanche questo ti riguarda!”

“Perfetto… - biascicò, in apparente tono tranquillo, prima di gettarsi addosso a Milo, ancora per terra, afferrarlo malamente con le braccia fino a sollevarlo da terra, e schiacciargli volutamente il collo per fargli mancare il respiro – Neanche a te riguardano le sorti di questo moccioso, dico male?!” sbottò, quasi sadico, ben consapevole di averlo in suo potere. A Milo mancò il fiato e tossì, ricercando assiduamente la poca aria che aveva a disposizione. Non poteva fare niente in quella posizione, i piedi erano sollevati da terra, le braccine arpionavo con tutte le forze le vesti di Death Mask, che tuttavia avvertiva meno di un prurito. Lui conduceva il gioco contro quei due nanerottoli, lui solo.

Camus nel frattempo aveva incrinato irrimediabilmente la sua espressione contenuta in una di muta sorpresa e sconcerto, cominciando invece a provare una certa, quanto strana, preoccupazione crescente. Qualcosa nel vedere la sofferenza di quel bambino aveva fatto scemare il suo contegno, rompendo così la sua calma. Non ne comprendeva il motivo, come non comprendeva la ragione che lo aveva spinto lì nell’udire un dolce richiamo in quel luogo sconosciuto ma assurdamente famigliare. C’era già stato lì, ne era sempre più convinto e… e quel Milo era con lui. Erano stati amici… un tempo... ma non era solo quello...

Di nuovo guardò l’altro bambino, del tutto in balia degli eventi. Vederlo così fragile, preda di un essere più forte di lui, che infieriva senza pietà, dava continue scariche di adrenalina al suo corpo. Immagini sfocate, sensazioni spiacevoli… il non poter fare nulla per aiutare chi voleva bene… e, tra tutti, quei… quei due occhi neri e spietati che si affacciavano alla sua mente, facendolo tremare di paura. Era spaventato, non per sé stesso, non per la situazione di Deja vù, ma per l’altro, per Milo,e non si spiegava perché. Non era riuscito a proteggere la sorellina da quegli occhi scuri e diabolici, in quel momento era nella stessa situazione, si sentiva sempre più frenetico, sempre più fuori controllo…

“La-lascialo stare, è innocente!” biascicò, livido, alzando una mano tremante nella sua direzione. Bastava volerlo, e il colpo sarebbe partito.

“Non sono cose che ti riguardano, giusto?! - fece linguaccia quel verme, tronfio di avere la situazione a suo vantaggio – Oppure lo sono?! Perché, se così fosse, devi rispondere prima alle due domande che ho fatto! Io sono il Grande Death Mask, chiunque mi manchi di rispetto finirà come questo insignificante botolo!” lo squadrò poi, sorridendo sinistramente, aumentando la stretta e facendo uggiolare Milo da dolore.

“La-lascialo, ho detto!”

“Non sento, moccioso! Ti ricordo che mi dev...”

Ma si bloccò, vedendo passare qualcosa di piccolo e bianco davanti alle sue iridi, poi un altro, e un altro ancora, era sempre più fitto. Si guardò spaesato intorno, rendendosi conto che non era una illusione, stava davvero… nevicando, il terreno sotto di sé stava già ghiacciando, investito da una gelata improvvisa e distruttiva. Sbatté più volte le palpebre, incredulo, riconoscendo davanti a sé un cosmo piuttosto potente in piena espansione. Era il nuovo arrivato a produrre quel fenomeno… realizzò infine, lui che, ad appena 5 anni, aveva già un potere pienamente sviluppato ma potenzialmente fuori controllo. Un microbo.. in possesso di una forza simile!Fremette, ma non indietreggiò, non ne era degno.

“E… e così sei un piccolo miracolo, a quanto pare… sei il primo a venire qui potendo usufruire già del proprio potere, per noi altri c’è voluto più tempo, e tu… tu sei autodidatta!” lo elogiò comunque morbidamente, stringendo i denti. Non era solito fare apprezzamenti, ma quella pulce schifosa aveva tutte le ragioni per aver attirato l’interesse di Shion ed essere sotto la sua protezione.

Camus tuttavia non lo ascoltava, non sembrava nemmeno in sé, così assorto nel creare quei meravigliosi, quanto spietati, cristalli di ghiaccio. La mano era sempre protratta verso l’avversario, che teneva ancora il bambino in ostaggio, emanava una luce azzurrina sempre più intensa. Avrebbe potuto creare qualcosa, qualsiasi cosa, da una lancia, ad un pugnale, ad un animale feroce formato dal gelo che lo avrebbe poi attaccato, o fatto scappare, liberando così Milo.

Era del tutto concentrato a pensare a cosa dare forma, dove colpire… perché limitarsi a spaventarlo quando avrebbe potuto colpirlo e ferirlo?! Perché trattenersi?! Quell’essere non aveva avuto pietà alcuna di una creatura più debole di lui, meritava una lezione e lui poteva dargliela, eccome se poteva… avrebbe potuto trafiggerlo, fargli uscire il sangue. Decise.

La luce azzurrina traballò nuovamente, destando l’interesse del futuro Cancer, che non si spiegava cosa avesse in testa quello scemo che, non contento di aver fatto nevicare, faceva pure ondeggiare quella luce. Dall’alto dei suoi 8 anni era totalmente incapace di comprendere il pericolo che pendeva su di lui, era totalmente inconcepibile che una mezza tacca come quella potesse anche solo toccarlo, così gracile e minuto, eppure… eppure aveva dimenticato una cosa, la più importante: non era solo la capacità fisica a decretare la propria sorte in una battaglia… Errore madornale in guerra, ma, in fondo, persino Death Mask era ancora un bambino inesperto.

Camus infine aveva deciso, gli avrebbe dato una lezione, lo avrebbe fatto con tutti i suoi poteri misteriosi e incontrollabili… avrebbe protetto Milo, come, sempre grazie a quella dote naturale, aveva protetto la sorella da…

Ma si fermò a quell’ultimo pensiero, un vuoto improvviso nella sua mente, al quale si accostò una sensazione di smarrimento, panico e poi paura. Rimase lì, sgomento, il respiro ad un tratto rotto. Tentennò. Se avesse sbagliato la direzione del colpo avrebbe colpito l’altro bambino, ferendolo, o peggio, uccidendolo. Non aveva fatto il controllo dalla sua parte, solo un potere viscerale, di difficile padronanza, che ancora una volta si sarebbe rivelato ben più forte di lui. Non poteva rischiare.

Non ebbe comunque il tempo per starci a pensare ancora, perché, percependo appena un fascio insostenibilmente luminoso, si trovò schiacciato a terra subito dopo, la faccia nella neve, la presa ferrea sopra di lui, che lo opprimeva ancora di più, non gridò, tentando invece di girarsi per vedere chi fosse intervenuto, invano. Rispose Death Mask al posto suo.

“Sa-Saga di Gemini!” esclamò, stavolta indietreggiando non di poco.

“Death Mask, libera Milo! Le vostre baruffe sono uscite fuori dagli schermi consentiti, così lo rischi di soffocare...” lo avvertì, alzando lo sguardo penetrante e aguzzo su di luì.

“A-agli ordini, mio signore!” gli disse, affrettandosi a fare quanto chiesto. Milo cadde per terra e annaspò, cercando per l’ennesima volta di recuperare ossigeno.

“Per quanto concerne te, Camus… sei nuovo qui, non conosci ancora le regole, ma ne hai infrante almeno un paio, penso sia necessaria una lezione per farti ben capire dove ti trovi, perché non sei più a casa tua, non puoi fare come credi!” lo ammonì, squadrandolo con sdegno. Il piccolo si costrinse a guardarlo negli occhi, malgrado il dolore crescente al fianco e alla schiena, non c’era esitazione in lui, i suoi occhi blu lo sfidavano temerari, la sicurezza di chi era convinto di essere nel giusto.

Il futuro Aquarius era allegramente fottuto prima di diventare Cavaliere… questo pensò Death Mask mentre, indietreggiando ancora, si preparava a pregustarsi la scena. Nessuno poteva mettersi contro Saga di Gemini, il Cavaliere d’Oro più forte, il dio sceso in terra, la benevolenza e la malevolenza fatta persona. Tutti gli portavano rispetto, lui compreso, era impossibile non farlo, dato i suoi muscoli ben delineati, il temperamento sublime in tutto, e la fierezza impersonificata che lo contraddistingueva. Era da pazzi opporsi, persino con un semplice sguardo, poteva farlo giusto Camus perché ignaro e appena giunto lì, farlo equivaleva ad una condanna a morte.

“Ti sei allontanato dal Tempio senza permesso e hai ingaggiato battaglia con un tuo pari al di fuori degli allenamenti, non so se ne saggi la gravità, futuro Aquarius!” lo rimproverò ancora Saga, dandogli una occhiata d’avvertimento, più torva che mai.

Camus non comprese cosa avesse detto nello specifico, ma capì che aveva infranto una qualche regola e che il Cavaliere di Gemini era intervenuto contro di lui. Rimase comunque sulle sue posizioni, continuando a sfidarlo con lo sguardo. Non aveva paura. Non cedeva. Era il primo, tra i bambini e gli adulti, a farlo.

“Ho agito come meglio credevo, ben consapevole della legge morale in me, non mi importa delle vostre regole!” gli buttò lì, con altrettanta fierezza. A Saga non piacque per niente quella reazione.

“Cosa ha detto?” chiese delucidazioni a Death Mask in greco, consapevole che parlassero la stessa lingua.

“Che in sostanza fa quello che vuole perché segue il suo cervello e non sciocchi regolamenti o ordini al di fuori di lui e che non comprende!” disse, esemplificando anche ciò che il piccolo aveva sottinteso tramite il suo tono aspro. Di fegato ne aveva, e neanche poco, di questo il futuro Cancer gli doveva dare atto, ma non lo aiutava nella sua posizione, anzi, la peggiorava...

“Molto bene...” sbuffò, falsamente indulgente, poco prima di schiacciarlo ancora di più a terra, in mezzo a quella neve che lui stesso aveva creato. Camus non riuscì più a trattenere un gemito a quel gesto, stringendo gli occhi a causa del dolore crescente.

Milo si stava cominciando a riprendere, anche se ancora non riusciva ad alzarsi in piedi. Voleva intervenire per aiutarlo con tutte le sue forze, ma le gambine non lo reggevano affatto, le sentiva molli, deboli, ma non poteva comunque permettere che gli facesse male, anche se non sapeva come agire. Fortunatamente intervenne una quarta forza.

“Saga, stai esagerando! Ti ricordo che Camus è ancora ferito ed è sotto la protezione del Nobile Shion!” affermò una voce gentile ma al contempo decisa, mentre alcuni passi nella neve si avvicinavano sempre di più. Milo accolse i nuovi arrivati con gli occhi brillanti e una nuova speranza nel cuore.

“Aiolos… sei troppo indulgente, non finirò mai di ripeterlo...” commentò Saga, allentando la presa su quel corpicino fragile per poi alzarsi in piedi. Gli occhi puntati sul terzetto appena sopraggiunto: il Cavaliere di Sagitter, suo fratello Aiolia e il piccolo Mu.

Aiolos non disse più niente, ma, lasciati indietro gli altri due bambini, si diresse verso Camus, ancora steso per terra con gli occhi serrati, posandogli una mano sulle spalle.

“Va meglio?”gli chiese dolcemente, sfoggiando il solito sorriso in grado di tranquillizzare il piccolo.

“S-sì, grazie a te...” riuscì a dire Camus, riaprendo faticosamente gli occhi e facendosi prendere docilmente in braccio. Rimase lì, le mani in grembo, ad aspettare che il dolore passasse. Era esausto. Di nuovo. Si arrabbiò solo a quel pensiero.

“Aiolos… Camus ha infranto almeno due regole importantissime del Santuario, capisco sia qui da poco, ma...”

“Non è forse lo stesso che ha fatto Death Mask?!” ribatté subito Sagitter, serio in volto. Il nominato si grattò la testa, a disagio, mentre Saga serrò la mascella, infastidito, riprendendosi subito dopo.

“E’ anche quello che ha fatto Milo, se per questo… ma l’unico che stava attaccando, con quel cosmo offensivo, era Camus. Sono sopraggiunto prima che accadesse l’imponderabile!”

“Camus è dotato di poteri già ampi che non riesce ancora a controllare, è qui solo da pochi giorni, inoltre dubito che, senza una ragione apparente, sia intervenuto in maniera così ostile, un motivo deve esserci stato… Concedigli il perdono, per una volta, Saga, non si ripeterà più, garantisco io con la mia vita! Non sapeva delle leggi del Santuario, il Nobile Shion deve ancora parlargli, ma non sta molto bene da quando è tornato al Tempio con il piccolo!” spiegò Aiolos, guardando intensamente il compagno. Non indietreggiava di un solo passo per difendere quel bambino, eppure, persino lì, sembrava servizievole come un qualunque soldato semplice, del tutto dimentico del suo importantissimo ruolo, disposto all’estremo sacrifico per difendere i più deboli, come uno qualsiasi.

 

Ma tu non sei uno qualsiasi, Aiolos! Quando smetterai di metterti in secondo piano?! Quando finirai di essere così umile?! Sei uno dei Dodici Custodi del Tempio, la tua sudditanza agli altri, malgrado il tuo status, mi ripugna e mi affascina allo stesso tempo. Anche io… anche io vorrei essere in grado di esercitare la giustizia come fai tu…

 

Saga sospirò, ricacciando indietro quei pensieri e distogliendo l’attenzione dal compagno d’armi e dal bambino che portava in braccio. Si avviò verso Milo, proferendo comunque un’ultima frase rivolta all’amico.

“D’accordo, Aiolos! Confido che renderai questo bambino indisciplinato un vero difensore della giustizia!” acconsentì, intento a risolvere l’ultima questione in sospeso.

Death Mask si prese male nel vederselo arrivare lì, cominciò a tremare a più non posso, cercando in fretta delle spiegazioni al suo comportamento. Ne andava della sua pelle, Saga avrebbe potuto uccidere chiunque con uno schiocco di dita, persino una dea come Atena, che invece avrebbero poi dovuto scioccamente proteggere. Si rilassò solo quando vive che la sua attenzione non era su di lui ma su quell’altro nanerottolo.

“E tu, Milo? Che motivazioni hai per tua fuga? Hai mandato il Santuario in subbuglio con la tua scomparsa… quando Aiolia e Mu sono venuti ad avvertirci che eri sparito, non eri più rintracciabile, perché fuori dai confini sacri del Santuario… dovresti sapere che è vietato uscirne senza permesso, ciò equivale a tradimento, ed è punibile con la morte!” asserì, senza pietà, né mezzi termini, inginocchiandosi proprio davanti a lui.

Era imponente a confronto del piccolo Milo, che infatti si fece piccolo piccolo e si acquattò, spaventato. Ingoiò a vuoto, tutto tremante. Anche lui avrebbe avuto il coraggio di dire al Cavaliere di Gemini che aveva solo seguito, nel suo caso, non la propria legge interiore, bensì il proprio cuore?! Lo avrebbe avuto?! Camus lo aveva espresso senza esitare, affrontandolo anche visivamente, ci sarebbe riuscito anche lui?!

“Uhm, io...”

“Lo ha fatto per Camus!!!” intervenne lesto Aiolia, frapponendosi tra il piccolo e il Cavaliere, seguito a ruota da Mu, che si affiancò al lato in modo da fare fronte comune per difendere il futuro Scorpione. A Milo vennero i lacrimoni agli occhi.

“A-amici...”

“Per Camus? Cosa intendete?” volle sapere ancora Saga, inarcando un sopracciglio.

“Ha letto su un libro che esistono delle erbe medicinali che accelerano il processo di guarigione e ha provato a cercarle nel bosco!” spiegò Aiolia, apprensivo, alzando le braccia per esemplificare la sua volontà di difendere l’amico.

“E’ così, Nobile Saga, dovete crederci! Milo ha un cuore grande, voleva solo aiutare, per farlo è andato contro le regole, è vero, ma non lo ha fatto intenzionalmente. Non ci ha proprio pensato perché era preoccupato per le condizioni di Camus!” continuò Mu, pacato come sempre, ma ugualmente desideroso di difenderlo a spada tratta.

Saga gli regalò un’occhiata indecifrabile, che fece atterrire tutti e tre in un colpo solo, poi alzò le braccia in alto, come a voler attaccare. Aiolia e Mu si strinsero l’un l’altro, non retrocedendo di un passo, ma erano visibilmente spaventati e chiusero gli occhi, intimiditi dalle conseguenze che avrebbero potuto subire. Tuttavia l’unica cosa che avvertirono, furono le ampie mani di Saga, un poco rudi, accarezzargli con forza i capelli. Riaprirono gli occhi, increduli.

“La collaborazione e la lealtà tra compagni d’armi è un’altra delle doti indispensabili per diventare protettori della giustizia! - affermò, soddisfatto, sorridendogli, anche se un poco forzatamente – Ma non dimenticate, futuri Cavalieri, che le regole vanno rispettate sempre e comunque. Voi combatterete per un ideale, la vostra vita verterà su quello, non scordatelo mai!” gli regalò parole sincere, ma dense di rammarico. Poco dopo si allontanò senza dire più niente. Death Mask, non desiderando più rimanere in quell’atmosfera per lui soffocante, si affrettò a seguirlo senza dire nient’altro.

Milo, finalmente liberato da tutto, scoppiò in lacrime per sfogare la tensione accumulata.

“Buaaaaaaah!!! MUUUUU!!! LIAAAAAA!!! - li chiamò, disperato, abbarbicandosi a loro nella sua solita morsa scorpionifera – Ho avuto tanta paura!!! Pensavo che mi aveste abbandonato, dopo ieri, invece… invece… Sigh!”

“Tu non ragioni mai, Milo, dovresti pensare un po’ di più, eviteresti un sacco di guai! - lo redarguì teneramente Mu, abbracciandolo a sua volta – Ma sono felice che ti abbiamo ritrovato e che tutto si sia sistemato!”

“Sei uno sciocco, Milo, ma hai un cuore grande, non ti abbandoneremmo per nessuna ragione al mondo!” gli fece eco Aiolia, regalandogli un largo sorriso e chiudendo gli occhi per assaporare meglio quella stretta.

“Vi voglio bene… vi voglio così tanto bene!!!” esclamò ancora, strusciandosi su di loro.

“Sì, ehm, Milo, però così...” tentò di spiegare Mu, sempre gentilmente, profondamente a disagio. Fortunatamente Aiolia fu più diretto.

“MA CHE SCHIFO, MILO, MI ATTACCHI IL TUO MOCCICO COSI’, BLEAH!!!”

E scoppiarono tutti a ridere, teneramente ricongiunti.

Aiolos sorrise a quella scena, vedendoli così affiatati. Gli sarebbe piaciuto che anche Camus potesse unirsi a loro, anche il piccolo aveva un buon cuore, sebbene quasi totalmente congelato, lo percepiva, eppure non riusciva ad amalgamarsi a quel gruppo, così refrattario al contatto e alle relazioni interpersonali. Gli ci sarebbe voluto tempo. Tanto tempo.

“Camus, come ti senti? Vuoi che ti faccia scendere, così puoi raggiungere gli altri?” gli chiese, guardandolo negli occhi. Sembrava molto stanco e nuovamente assonnato ma non voleva cedere al sonno.

“Sto meglio. Il peggio è passato, non c’è bisogno che io mi unisca a loro, va bene così!” disse, socchiudendo gli occhi e appoggiandosi al petto di Aiolos, non potendo più resistere alla stanchezza, ma un nuovo urlo di Milo, lo fece ridestare con uno scossone, spingendolo a guardare nella sua direzione.

“GIUSTO! STAVO QUASI PER DIMENTICARMELO!”

L’esagitato futuro Scorpio, cercò per terra quanto aveva perso nella colluttazione con Death Mask. Trovandolo a poca distanza, lo prese con le manine, lo guardò, trasse un sospiro di sollievo nel vederlo intatto, poi si recò in corsa davanti ad Aiolos, il quale lo fissò sorpreso, lo stesso fece Camus, con quel suo solito cipiglio di apparente impassibilità.

“Ca-Camus… - lo chiamò, tutto emozionato, arrossendo – Qu-questo è per te, scusami per il mio comportamento dell’altro giorno e… spero guarirai presto!” balbettò, porgendo il pacchetto. Il futuro Aquarius non lo prese subito, esitò, non comprendendo quelle parole, ma percependo l’imbarazzo in lui, lo fece Aiolos al suo posto.

“Grazie, Milo, quando starà meglio glielo darò, non ti preoccupare, vedrai che, grazie ai curatori, si rimetterà presto e potrete diventare amici!” gli sorrise, gentile, afferrando l’oggetto con la mano libera.

Milo annuì e abbassò lo sguardo, le labbra tremanti, poi corse via, seguito a ruota da Mu e Aiolia, il quale dopo un “ci vediamo a casa, fratellone!” sparì in un lampo.

Non dissero più niente per un po’, Aiolos intento a passeggiare nella luce morente del giorno che languiva (il sole ormai era già per metà sotto l’orizzonte!), Camus confuso dalla reazione di quel Milo e, ancora di più, dal suo istinto di proteggerlo, malgrado i rapporti fra loro non fossero partiti in maniera eccelsa.

“Aiolos… - trovò infine il coraggio di chiedere, corrucciato – Cosa ti ha detto quel bambino?”

“Che si scusa per il suo comportamento dell’altro giorno e che si augura che tu possa guarire presto!” gli tradusse in italiano, sempre in tono affabile.

“Oh… - sussurrò, ammutolito, prima di una lunga pausa, poi continuò – Posso… posso vederlo?”

Aiolos acconsentì, passandoglielo tra manine ancora terribilmente fredde. La tempesta di neve era passata veloce come era venuta, il giovane Cavaliere sapeva che era stato Camus a crearla, il come però era oscuro. Non era solo una dote del suo cosmo, era molto di più, una benedizione… nonché maledizione! Tutti al Tempio e nei suoi dintorni, si erano accorti di quell’improvviso evento, occorreva allenare in fretta il piccolo e renderlo padrone di quel potere troppo incontrollabile per quel corpicino in apparenza fragile. Si ritrovò a pensare a Shion, al suo tacere sulle circostanze che lo avevano condotto al Santuario, ma ora sapeva, Aiolos, che parte di quelle circostanze erano sicuramente causate da quell’energia che sembrava scaturirgli in maniera innata.

Camus nel frattempo frugava in quel regalo strano che gli aveva dato quel bambino altrettanto strano, e più comprendeva cosa fosse più provava disappunto. Sospirò teatralmente, continuando ad accarezzare con la manina quelle foglie verde scuro che presto sarebbero diventate gialle.

“Quello… quello è proprio scemo!” commentò, sbuffando, sempre più infastidito. Aiolos rise di gusto: non sarebbe stato facile per Milo fare breccia nel suo cuore, non con quel temperamento assolutamente inflessibile.

“Non ti aggrada il regalo?” gli chiese, non vedendo con gli occhi cosa fosse.

“Non è che non mi aggrada, è che ha estirpato dal terreno una grande quantità di trifogli e quadrifogli che potevano continuare a vivere liberamente nel bosco. Non era necessario!”

“Li preferisci vedere nel loro ambiente naturale?”domandò ancora Aiolos, sempre più interessato.

“Sì, stanno bene dove sono… tutti gli esseri viventi meritano di vivere in piena libertà, piante, animali, umani… non voglio che tocchi a loro il destino che è toccato a me, ognuno dovrebbe avere il diritto di scegliere della propria vita! Queste piantine avevano scelto quel bosco, poi è arrivato Milo, e le ha private della loro scelta. Non è giusto!” confessò, avvertendosi molto affine a quei piccoli trifogli che sentiva palpabili sotto le dita: anche lui aveva scelto chi proteggere, ma gli era stato impedito.

Aiolos sorrise, meravigliandosi solo un po’. Camus era un bimbo speciale, non c’era dubbio, aveva pensieri profondi per uno della sua età. Era molto sensibile nei confronti di piante e animali, nonché di cosa considerasse delicato e bisognoso della sua protezione.

“Camus, Milo non lo ha fatto con cattiveria… sai che, si dice, portino fortuna, i quadrifogli, vero? Probabilmente era il suo modo per augurarti di guarire presto!” provò a difenderlo, intenerito. Camus non rispose.

“Sai, ogni essere vivente agisce a suo modo, il tuo pensiero è rispettabile e rivela il bimbo meraviglioso e prodigioso che sei, ma non tutti vedono le cose come le vedi tu. Gli altri pensieri sono comunque degni di essere ascoltati...”

Camus continuò a non rispondere, sembrava paralizzato. La sua attenzione era tutta concentrata su un qualcosa che agli occhi di Aiolos sfuggiva ancora una volta, Quel qualcosa era tenuto tra le due manine e accarezzato con il doppio della delicatezza e dell’intensità.

“Piccolo, cosa c’è adesso?”

Camus continuò a non rispondere, ma tirò fuori dal pacchetto un grazioso fiore rosa, meraviglioso, un piccolo gioiello di bosco.

“Oh, quello è un ciclamino, un fiore invernale raro per questi posti! E’ un peccato averlo preso, è una specie protetta, ma il piccolo Milo non lo poteva sapere! - lo riconobbe Aiolos, affascinato – Stai attento, Camus, maneggialo con attenzione, è...”

“…è velenoso, lo so… - biascicò il bimbo, sinceramente emozionato, la voce gli usciva a fatica, le labbra tremavano, si riprese giusto per farfugliare ancora qualcosa che il giovane Cavaliere non capì pienamente – Il ciclamino è velenoso, sì, soprattutto le radici… glielo avevo già detto, ma…”

“Ma?”

Il cuore del piccolo Camus perse un battito, un mare di emozioni lo invase, spietate, stremandolo ancora di più.

“Mi aveva detto che gli si confaceva… lui, il veleno, il fatto che nascesse in inverno… era…” non disse più niente perché crollò addormentato, il fiore ancora in mano, la testa reclinata sulla spalla del Cavaliere, l’altro braccio a penzoloni nel vuoto, le dita semi aperte. Avrebbe dormito per una serie di ore ininterrottamente, preda di sogni che al risveglio non avrebbe più ricordato. La sua mente non avrebbe potuto ricordarlo in alcun modo. Non il suo cuore, appena ritrovato e palpitante nel petto di una nuova energia...

 

 

Ma porca di quella…!”

Era ruzzolato giù dalla cascata e si era fatto male, del tutto impossibilitato a rialzarsi nell’immediato, complice il suo cuore malfunzionante. Si sentiva le gambe deboli, non lo avrebbero sorretto e lo sapeva, e ciò era perennemente irritante, come le sue condizioni.

Era quindi rimasto lì, stremato ma vigile, le chiappe nell’acqua e la sensazione di bagnato. Attese. Attese di riprendersi, ma il suo cuore non ne voleva sapere di recuperare, continuando a dibattersi irregolarmente, procurandogli un male intenso al petto.

Ok, forse aveva esagerato a volere da lui così tanto… forse aveva esagerato a pretendere che quello pompasse nella maniera corretta solo quando, il giorno prima, aveva avuto un attacco dei suoi, forse…

CARDIA!”

Una voce famigliare sopra la sua testa gli diede una nuova speranza. Alzò il capo e gli occhi verso le rocce che permettevano al rio di cadere sotto forma di cascata, e vi scorse delle iridi blu dense di preoccupazione.

DEGEL!- urlò di rimando, genuinamente felice – Mio salvatore!” lo prese poi in giro, ridacchiando.

Nel frattempo, la figura ancora impacciata e inesperta di colui che poi sarebbe diventato ‘l’uomo più intelligente che il Grande Tempio avesse mai ospitato’, balzò agilmente giù da quella altura, atterrando al suo fianco con assai pochi schizzi d’acqua, quasi fosse formato lui stesso da quell’elemento.

Cardia gli sorrise raggiante, ma era consapevole di essere ridotto peggio di uno straccio, di sicuro la paternale sarebbe arrivata tra… meno tre… meno due… meno uno…

Cos’hai esattamente nel cervello, le farfalle?!? L’altro giorno sei stato male, Cardia, hai ancora lo scompenso cardiaco, e hai la brillante idea di passeggiare nel bosco e sparire! Non ti abbiamo più trovato al Tempio, siamo tutti in parapiglia, e tu… e tu...”

Che ne dici di darmi una mano, invece di stare lì a recriminare? Hai 13 anni ma brontoli come un vecchio!” lo fermò subito lui, che di essere sgridato non ne aveva voglia.

Dégel sospirò, facendo sfoggio della sua enorme pazienza, poi, coniugando tutte le sue forze per trascinare l’amico fuori dall’acqua, lo prese da sotto le ascelle e riuscì finalmente a farlo sedere all’asciutto, vicino al laghetto, sotto un albero.

Non… non riesci nemmeno a muoverti e sei voluto venire qui da solo… che scriteriato che sei!” si sentì ancora di aggiungere, sedendosi al suo fianco per mascherare il tremore della voce.

Eri preoccupato, eh?!” lo punzecchiò l’altro, ridacchiando. Il Cavaliere dell’Acquario non disse niente, sfortuna per lui, l’amico riusciva benissimo a leggere tra le cose non dette.

Rimasero in silenzio per un po’, i suoni del bosco intorno a loro… Cardia non era ancora in grado di reggersi in piedi da solo, ma dovevano tornare al Tempio in qualche modo, altrimenti anche Dégel sarebbe passato per disperso. Il cocco del Grande Sacerdote che scompariva a sua volta per essersi messo in testa di rimanere al suo fianco… lo Scorpione non lo poteva permettere, pertanto fu quasi tentato di dire all’amico di tornare indietro da solo, che lui se la sarebbe cavata, come sempre, ma l’attenzione di Dégel era verso il terreno indurito dal freddo.

Sei tra le nuvole ora? Non pensare a me, Déggy… - disse quel vezzeggiativo perché sapeva che lo odiava – Io me la posso cavare anche...”

Guarda, Cardia, una pianta di ciclamino...”

Cardia inarcò un sopracciglio e fece una smorfia, di cose strane il compagno ne diceva eccome, ma quella era la prima volta che saltava di palo in frasca a quella maniera, si vedeva che la sua vicinanza lo ammattiva. Decise comunque di seguirlo nel discorso.

Quei… quei fiori a tubero di color lilla?” chiese conferma lui, curioso di vedere dove volesse andare a parare.

Nello stesso momento un tenero sorriso si fece strada sul viso di Dégel, del tutto intento ad accarezzarne i petali come se ne percepisse il senso della vita. Era proprio bizzarro!

Il ciclamino è un fiore invernale e, per quanto splendido, possiede del veleno, soprattutto nelle radici. In tempi antichi, a causa della sua forma che ricorda l’utero femminile, era considerato funzionante per procurare l’innamoramento e atto e facilitare il concepimento nelle donne. Plinio il Vecchio...”

Divento io vecchio qui a sentire i tuoi sproloqui! Per carità, fermati, Dégel, che poi mi parti in quarta con le spiegazioni ed io sto troppo male per ascoltarti… ouch!” lo fermò, esemplificando un malessere che già c’era ma che lui accentuava nella pallida speranza di troncare sul nascere le descrizioni non richieste.

Dégel rimase quindi zitto e infastidito (oh, se era adorabile con quell’espressione di disappunto stampata in viso!) continuando a concentrarsi sul fiore che gli dava molte più soddisfazioni rispetto a lui. Cardia ridacchiò sommessamente, riprendendo parte di quel discorso.

Però… mi piace quel fiore! - gli confidò, approcciandosi a lui con le forze residue. Dégel gli scambiò una occhiata in tralice – Hai detto che nasce nella brutta stagione e che è velenoso, giusto?”

Corretto. Ma se tu mi avessi fatto finire di spiegare, avrei potuto dirti anche...”

Ma Cardia non lo lasciava MAI finire di spiegare, era tempo perso.

Mi si addice. Mi si si addice molto!!!”

Cardia, cosa stai…?”

Quel fiore è in grado di nascere nella stagione più impietosa di tutti, vince il gelo, e ci ricorda che, persino in mezzo al freddo, quando tutto sembra oscuro, privo di luce e i colori non sono più percettibili, qualcosa può nascere, o meglio, rinascere...”

Dégel sbuffò, infastidito.

Interrompi i miei discorsi per parlare di favoleggiamenti, sei davvero uno screanzato, Cardia!”affermò, ma il suo tono era dolce e il sorriso sincero.

Ti ho interrotto per dirti una cosa importante, più importante sicuramente dei tuoi ragionamenti privi di anima e fini a sé stessi!”

Dégel stavolta tacque, volendo vedere dove volesse andare a parare il suo amico. Cardia si concesse una lunga pausa, prima di svelare cosa serbava dentro di sé.

Io sarò questo ciclamino per te… - gli rivelò in un soffio, che era abbastanza imbarazzante dire quelle cose lì, accolse l’occhiata ancora più sbalordita dell’amico, prima di continuare – Se il tuo cuore si smarrirà nella notte più lunga, nel freddo più persistente, ovunque esso si smarrirà, non devi preoccuparti: ci sarò io, ti raggiungerò, dovunque sarai, e ti riporterò a casa, facendoti lentamente rammentare quanto sia bello vivere… esattamente come il ciclamino ricorda all’inverno che, persino nel grembo della stagione più impietosa di tutte, può nascere qualcosa!” concluse, prendendo un profondo respiro. Le forze stavano tornando, presto avrebbe potuto muoversi. Tornò a guardare divertito Dégel, che era arrossito e lo squadrava con espressione sbigottita, di sicuro non aspettandosi quella confessione.

Ca-Cardia, sei proprio… - si ricompose, fingendo nuovamente fastidio - … scemo! Come puoi pensare che il mio cuore si perda, che dimentichi il calore dei sentimenti, o, più in generale, che dimentichi ciò che tu sei per me, ciò che le persone che amo sono per me! E’… è veramente assurdo! SEI assurdo!” farfugliò, sempre più imbarazzato, tornando a concentrarsi sui petali di quel fiore delicato.

Cardia sghignazzò, sempre più divertito dai patetici tentativi dell’amico di mascherare le sue reali emozioni dietro quelle parole pronunciate in un plateale subbuglio che non riusciva a trattenere.

Se dovesse succedere, non hai di che temere: io sarò con te!” affermò ancora, alzandosi finalmente in piedi, anche se con non poca fatica.

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Ed eccoci qui con il terzo capitolo, ben più lungo dei precedenti. Perdonatemi, ma ero parecchio ispirata, c’erano tante cose che volevo raccontare e, alla fine, come di consueto, mi sono lasciata andare. Sono molto soddisfatta! :)

Avevo detto che ci sarebbero stati i riferimenti ai personaggi del Lost Canvas, ed eccoli qui, anche se non saranno certo i soli, sono partita da Dégel e Cardia, personaggi assai importanti nella serie che sto portando avanti. In questo caso ho accostato il ciclamino a Cardia/Milo, sfruttandolo per una promessa che il Cavaliere d’Oro di Scorpio del XVIII secolo aveva fatto all’amico Dégel quando ancora erano molto giovani. Milo ha delle evidenti rimembranze sulla sua vita passata, ma ce le ha anche Camus, in fondo al suo cuore congelato, queste si ridurranno fino a scomparire con la crescita, come dice una leggenda sulle reincarnazioni che mi ha sempre affascinata, ma intanto sono state indispensabili per farli avvicinare almeno un po’.

Per quanto concerne la prima parte, invece, quella della medicazione dei lividi Camus, chi legge, o ha letto, la mia serie principale, avrà forse notato che ci sono delle vere e proprio similitudini con il capitolo 19 de “La guerra per il dominio del mondo”, gli atteggiamenti e le reazioni del Camus di quasi 6 anni non sono molto diverse da quelle che avrà a 22 anni, potrebbe sembrare una quisquilia (per forza, mi direte, è la stessa persona però più grande! XD) ma, in verità la questione è molto più profonda di quanto sembri, ed indica una peculiarità caratteriale che si manterrà con la crescita. Trovo che Camus sia molto delicato come un petalo di un fiore, adoro descriverlo in situazioni simili!

Nel capitolo appaiono anche Saga, quell’attaccabrighe di Death Mask, Aiolia e Mu che fanno fronte comune, e Aiolos. Ognuno di loro ha avuto un ruolo in questo capitolo, spero di averli descritti bene, soprattutto Germini che mi da sempre così tanti problemi e che in questo capitolo, per la prima volta in assoluto, ci regala un excursus sui suoi pensieri su Sagitter.

Dovrei aver detto tutto! Come al solito ringrazio chi segue e/o recensisce e via dicendo, spero possa piacere anche quest’ultimo capitolo! :)

P.s: nel prossimo dovrebbe apparire anche Shura, l’unico Cavaliere di cui non ho ancora trattato, a parte Dohko che però è altrove. Alla prossima! :)

 

 

 

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Capitolo 4
*** Sotto le mimose di marzo ***


Capitolo 4: Sotto le mimose di marzo

 

 

 

Un albero di ulivo venne tranciato di netto, in un frastuono assordante. Si udì un sibilo nel vento, il pianto dell’albero morente, ma ancora prima di poter toccare il suolo, venne distrutto in mille pezzi. Venne atomizzato. Come si sarebbero atomizzati i suoi nemici. Qualunque. Nemico.

Uuuuuuuuuuurrrrrf…. Uaaaaaaaaaaaaargh!!!”

Diede un calcio contro il suolo, formando un nuovo solco, più ampio. Non riusciva più a trattenersi, doveva distruggere. Distruggere. Distruggere.

Gli partì un colpo dalla mano. Ampio. Imprevedibile. Andò a fracassarsi contro una parere di roccia, aprendo una fenditura nella medesima.

A quel punto, solo a quel punto, Saga di Gemini crollò a terra, le mani tra i capelli. Si strappò alcuni ciuffi, urlando a squarciagola ancora una volta. Fortunatamente aveva resistito fino a giungere in un luogo isolato, lontano da occhi indiscreti, ma non lontano da quelle iridi iniettate di sangue che lo fissavano spietate, perforandogli la mente e portandolo quasi alla pazzia.

Lui era lì. Era SEMPRE lì, con lui. Non importava quanto si opponesse, non vi era scampo alcuno. DeboleDebole

DEBOLE! - gli frastornò le orecchie, e Saga ebbe l’impressione che i suoi neuroni implodessero solo per via di quella parola – Ti sei fatto mettere i piedi in testa da un marmocchio appena giunto qui di soli 5 anni; un marmocchio che si regge a stento in piedi! Che pavido coniglio che sei!”

T-TACI...”

Gli occhi, ancora verdi, ma parzialmente tinti di rosso di Saga, si aprirono al limite dell’umano possibile, mentre alcuni ciuffi si facevano grigi, persino quelli strappati che stringeva tra le mani tremanti.

Che ne è del tuo status di quasi dio, se un unico moccioso riesce a tenerti testa?! Che ne è della tua virilità?! O del tuo essere Cavaliere?! Dovresti ristabilire il tuo onore, lo sai, vero? E vi è solo un modo...”

NO! NO! Basta! Basta!!!”

Uccidili! Uccidili entrambi!

NO!”

Sei anche un codardo pezzente… UCCIDILI!”

Nooooo!”

Uccidi Camus e poi passa ad Aiolos, avrai così la strada spianata!”

A-Aiolos è un preziosissimo compagno e un amico fedele, non gli… non gli farò mai del male… MAI! E Camus… Camus sarà un mio parigrado… è appena giunto qui, non sapeva delle regole, non sapeva… Urgh!”

Sei troppo accondiscendente, nonché… PEZZENTE! Come pensi di assurgere al ruolo di Grande Sacerdote se permani a rimanere il vigliacco che sei, eh?!”

Il… il Nobile Shion sceglierà me, lo sa anche lui che sono il più idoneo, il più forte, potrò così proteggere i miei preziosi compagni, i miei… UAAAAAAARGH!!!”

Latrò, mentre il suo cosmo, letteralmente, implose. Picchiò la fronte più e più volte contro il terreno, sbattendola con sempre maggior intensità, poi rimase lì, immobile, il sangue sul terreno, le dita che stringevano con sempre maggiori foga la nuda terra. Singhiozzò. E il tempo parve fermarsi.

Death Mask, dalla sua posizione dietro uno sperone di roccia, assisteva a tutto quello in un crescendo di terrore, tachicardia e sgomento. Era totalmente pietrificato, la mano sinistra a tapparsi la bocca nella paura che il suo respiro accelerato lo potesse far individuale da quella bestia umana che era, e non era, Saga di Gemini. Le gambe molli e tremanti non lo reggevano che per un fortuito caso del destino.

Dopo la colluttazione che aveva avuto con quel marmocchio di Milo e il conseguente intervento del francese impertinente, si era messo a seguire Saga, desideroso di sparire dagli occhi, ricolmi di senso di giustizia, di Aiolos, che non riusciva a tollerare. Saga, in un primo momento, glielo aveva permesso, ma poi, girandosi di lato in modo da celarsi il volto, gli aveva espressamente ordinato di tornare al Tempio e, con il respiro più affannoso del solito, si era allontanato il più in fretta possibile da lui. Ovviamente Death Mask non gli aveva dato retta e, ben sapendo come non farsi notare, lo aveva seguito, nascondendosi poi in un anfratto laddove il Cavaliere di Gemini si era arrestato, ovvero una radura dimenticata dalle divinità ben distante dal Santuario.

Da lì il degenero.

Death Mask aveva sussultato nell’udire la domanda contingente di Gemini: “Cosa diavolo fai ancora qui?!?”, credendo di essere stato sgamato fin da subito, ma immediatamente dopo si era accorto che non si era rivolto a lui, ma a chi, quindi, che non c’era nessuno? Si era guardato intorno, attonito, mentre un’altra voce rispondeva, cominciando così l’andirivieni tra sé e l’altro.

Il punto era che questo altro era lo stesso Saga, con voce più profonda e spietata, quasi gutturale, ma sempre lui.

A Death Mask si erano immediatamente rizzati i peli che ancora non aveva, mentre al Cavaliere di Gemini toccava subire un’ingrata, quanto misteriosa, sorte.

Li aveva visti distintamente, quei capelli che a volte si alzavano come vampe infuocate.

Si erano tinti di grigio.

Poi di nuovo di viola.

Di grigio. Sempre più scuro.

Viola.

Saga sembrava impazzito, si muoveva come una tarantola, distruggeva cose intorno a sé, latrava come una bestia ferita.

Si rese conto di aver commesso una immane cazzata a seguirlo, avrebbe voluto andarsene, scappare, ma le gambe non si muovevano e l’istinto di autoconservazione gli sussurrava di non dare le spalle a quel la folle bestia.

Poi successe.

Saga di Gemini si alzò in piedi, nuovamente con i suoi capelli, la stravagante alternanza di colori era terminata. Forse ne era uscito vincitore. Death Mask trasse un profondo respiro, il secondo prima di ricredersi.

Ti ho visto… - sibilò, spietato, mentre, in un lampo di luce, i capelli tornavano grigi – GALAXIAN EXPLOSION!!!”

Death Mask ebbe appena il tempo di scansarsi sulla destra, prima di essere investito non dal colpo medesimo ma dal suo rinculo, nonché da innumerevoli pietre taglienti che, sopraffatte da quell’insano potere, esplodevano in tutte le direzioni immaginabili. Provò dei bruciori netti sulla pelle, rotolò più in là, dolorante, non riuscendo nell’immediato ad alzarsi, acciaccato com’era. Come poteva esistere un colpo così devastante, si domandò, steso per terra, il volto, incredulo in direzione dell’insenatura che era stata disintegrata. Tremò dalla paura, di nuovo, mentre la figura di quello che avrebbe dovuto essere Saga di Gemini si avvicinava a lui, con passo pesante.

Death Mask non era ancora sicuro di non avere qualche osso fratturato, provava dolore al petto, tanto che ogni espirazione lo faceva piegare quasi in due. L’altro incombeva sempre di più.

Quale peccato, neo Cavaliere di Cancer… dovrò eliminarti per aver scoperto il mio segreto, lo sai questo, vero?”

Gli occhi blu di Death Mask erano vitrei, spalancati verso l’ignoto, scioccati. Non aveva le forze per muoversi, solo per assistere, come se fosse stato cavato fuori dal suo corpo, alla fine che sopraggiungeva per mano del Cavaliere di Gemini. Si sentì gli occhi lacrimare, in un misto tra la rabbia senza fine e il terrore della preda in trappola, mentre l’altro, alzando le braccia sopra alla testa, si apprestava a scagliare una nuova, devastante, Galaxian Explosion, che, molto probabilmente, avrebbe polverizzato il suo corpo ancora infantile. Serrò la mascella, mentre una sensazione altrettanto famigliare di categorico rifiuto verso la morte gli perforava il cervello, sibilando.

Il colpo stava per essere scagliato, le lacrime capricciose gli scivolarono sul volto, mentre, chiudendo disperatamente gli occhi, l’immagine mentale di colui che un tempo aveva considerato un padre, si frappose a quella del Cavaliere di Gemini. L’energia cosmica stava per essere rilasciata nello stesso momento in cui, ironia della sorte, nella sua mente, quel verme che aveva chiamato ‘papà’, alzava sopra di sé il bastone con cui, da piccolissimo, lo percuoteva spesso.

NON VOGLIO MORIRE!!!”

 

“Non voglio morire, nooooooooooooo!!!” urlò, alzandosi a sedere di scatto, il fiato corto. Vi scorse il mare, oltre l’infinito, il mare blu e una giornata splendida, primaverile, assolutamente degna di marzo, il mese in cui si trovavano.

Stava giusto per chiedersi cosa ci facesse lì in quella beatitudine e se non fosse morto per davvero, chissà, magari quella era la sua idea di Paradiso, ma il viso elegante e sinuoso di Aphrodite entrò prepotentemente nel suo campo visivo, dandogli la certezza che non fosse certo passato a miglior vita, trovandosi ancora dentro i confini del Tempio.

“Deathy, nessuno ti vuole uccidere, qui, che succede?” gli chiese il da poco eletto Cavaliere dei Pesci, inarcando gentilmente un sopracciglio in attesa di spiegazioni.

Death Mask se lo ritrovò quasi appiccicato, a gattoni ad un pelo dal naso. Ingurgitò saliva a vuoto, ancora incredulo. Stava bene e respirava, era stato quindi solo un incubo, sebbene ricorrente.

“Ah, sei tu, Aphrodite, suppongo di non essere in Paradiso, visto che ho il tuo brutto muso davanti. Stavo facendo solo un sogno!” si affrettò a tranquillizzarlo, recuperando due toni della voce e la solita, consueta, maleducazione con cui trattava anche gli intimi, come un rito. Il suo amico parve risentirsi.

“Brutto? Io non credo! Pare il viso di un angelo caduto dal cielo, non trovi?” si celebrò l’altro, adulandosi da solo, accarezzandosi il visetto un poco femminile come se fosse il bene più prezioso in suo possesso. E così era davvero.

“No, non trovo!”

“Fa lo stesso, crescendo capirai! - lo perdonò, sorridendo in maniera sinistra – Ma hai fatto preoccupare me e Shura, vedi? Ha addirittura smesso di allenarsi!” lo indicò, solare.

Effettivamente il cornuto della decima casa, così lo chiamava amichevolmente, era rimasto immobile, le braccia ancora protese, a fissarlo di sottecchi di profilo, salvo poi ricominciare ad allenarsi con i fendenti da dove aveva lasciato.

Il respiro di Death Mask non era ancora tornato alla normalità. Si massaggio la fronte per poi scendere fino alle guance e premere sulla pelle: dei, che terribile incubo!

“E’ da un po’ che sei inquieto, Masky, da un paio di mesi… è forse successo qualcosa?” indagò Aphrodite, sedendosi al suo fianco, una margherita in mano che annusava ogni tanto.

Il punto era che glielo avrebbe pure voluto dure, all’amico di sempre, ciò che turbava la sua psiche, ciò che aveva visto quel giorno, ma non poteva, lo aveva promesso.

“Pensavo a quel bastardo di mio padre, che possa marcire nella tomba!” affermò solo, iracondo, sputando per terra al solo rammentarlo, provandone disgusto.

Quel giorno l’immagine di suo padre si era frapposta a quella della belva umana Saga, portandogli le stesse, spietate, sensazioni che gli dava lui, quell’essere viscido che gli aveva affibbiato il soprannome Death Mask appena nato, portandolo, quasi, a dimenticarsi del nome di battesimo. Quell’essere disgustoso che, dopo la morte di sua madre a seguito del parto, aveva preso ad alcolizzarsi come uno stronzo qualsiasi, dimenticandosi che aveva un figlio. Anzi no. Non lo aveva affatto dimenticato, non quando tornava ubriaco a casa, nella sua Siracusa, e lo picchiava con impeto crescente ogni sera tutte le sere, incurante degli strilli della bambinaia che, più di una volta, per proteggere lui, le aveva prese in sua vece.

Per certi versi, sarebbe stato meglio che si fosse dimenticato di lui, perché non lo aveva gettato nell’immondizia allora, facendola finita già in partenza? Perché lo aveva cresciuto e nutrito abbastanza per farlo sopravvivere, a quale scopo?! Per essere il suo punchball personale?! Che figlio della merda!

“Deathy, quell’essere è morto, non ti nuocerà più, lo sai bene…”

“Certo che lo so, sono stato IO ad ucciderlo!” gli ricordò, ghignando, rammentandosi, con particolare gioia, di come ciò fosse successo senza avere il benché minimo rimpianto.

“C’è… c’è qualcos’altro in te, che ti inquieta, lo sento...” riprovò Aphrodite, probabilmente captando qualcosa. Era bravo con la psiche umana, non c’era che dire!

“I fatti miei ci sono!” lo bloccò comunque subito, non potendo permettersi di confidarsi. Tornò giù, su quell’erba corta che cominciava a crescere, in cima ad una scogliera dotata di una vista senza pari. Aphrodite seguì i suoi intenti, tornando a contemplare le nuvole.

“Come preferisci!” non insistette, posandosi la margherita tra i capelli e socchiudendo gli occhi, assaporando l’odorosa primavera, la sua stagione preferita, che gli aveva dato i natali proprio nel mese di Marzo, come Venere uscita dalle acque in tutta la sua magnificenza, così lui, un fiore che allieta l’ultimo freddo residuo destinato a lasciare il passo.

Death Mask invece rimase piuttosto vigile, mentre l’altro, Shura, il cornuto, continuava a scagliare fendenti, ligio al dovere. Poco dopo avvertì il respiro dell’amico Aphrodite farsi più intenso, probabilmente si era addormentato.

Contro la sua volontà, venne di nuovo sbalzato a quel giorno in cui aveva visto emergere la vera natura del Cavaliere di Gemini. Trasalì a quel pensiero, tentando di scacciare quei ricordi, che tuttavia lo investirono in pieno, come un pugno nello stomaco. Chiuse i suoi occhi per riaprirli in un altro tempo.

 

D-Death Mask, ti avevo detto di andartene...”

La voce di Saga era tornata quella di sempre, così come i colori che gli erano consoni, ma il piccolo Deathy era sempre steso a terra, immobile, gli occhi allucinati, il tremore ancora persistente in lui.

Sa-Saga!” balbettò, vedendo che si era danneggiato l’intero braccio sinistro per impedire, con ogni probabilità, a lui di finire ammazzato dal suo altro io. Death Mask trasalì con ancora più forza, finalmente riuscendo a rimettersi seduto.

Va-Vattene, ora… userò la mia tecnica speciale sul mio cervello per dimenticarmi di averti visto qui, ma… ma...”

Sembrava soffrire molto, non del tutto in sé, si coprì gli occhi con la mano sana, il suo corpo era scosso dai sussulti.

Ma… ma, Signore, voi… voi sembrate soffrire molto, e...” si era messo finalmente in piedi ma non riusciva né ad avanzare né a retrocedere, ancora totalmente sconvolto.

Non ha importanza, ora… vai… VAI! Ma promettimi che non ne farai parola con nessuno, è per il tuo bene!”

Signorsì, Signore!” affermò immediatamente, utilizzando un gergo che adoperava con suo padre quando doveva eseguire degli ordini. Perché lo odiava, con tutto sé stesso, ma ne era succube, come, ormai, lo era diventato anche di Saga di Gemini, della sua forza.

Così forte, per l’appunto… eppure un fantoccio di sé stesso. Nient’altro che un’ombra.

Alla fine comunque aveva messo le ali ai piedi ed era sparito, quasi vaporizzandosi nell’aria, con il disperato intento di ricacciare fuori da sé ciò che aveva visto. Speranza vana, ormai ne era vittima, un po’ come gli occhi della Gorgone, implacabili.

Ne era vittima e avrebbe continuato ad esserlo, perché non c’era via di fuga, i forti schiacciavano i più deboli, come suo padre aveva schiacciato lui, come Saga avrebbe potuto schiacciare chiunque. Il segreto di quella vita era la forza, acquisiscila, e dominerai sugli altri, perdila, e diventerai preda, né più né meno.

 

Saga di Gemini era uno dei Forti, ma soffriva di un grosso disturbo della personalità, di questo Death Mask ne era più che sicuro, perché lo aveva visto con i suoi stessi occhi. Ma quanto fosse destabilizzante e invalidante quel malessere era ancora tutto da scoprire, cosa che Cancer non voleva di certo approfondire, gli era bastato rischiare la pelle quell’unica volta, meglio stare il più lontano possibile da lui. Tuttavia, in un certo senso, ne era anche insanabilmente attratto, come le falene verso la luce delle lampade. Quante personalità aveva, in tutto, Saga? Solo due, una buona e una cattiva, come il segno che lo rappresentava? O… di più? Si chiese se, in qualche modo, avesse potuto trarre giovamento da quella situazione, essendo lui il solo a sapere di quel segreto. Lui era debole, come sua madre, morta per uno stupidissimo parto, per averlo messo al mondo, ma… nulla vietava ad un debole di imparare a prevaricare sugli altri e raggiungere così la vetta, giusto?!

Si rimise a sedere, guardando con interesse gli allenamenti di Shura, che da quella mattina non si era fermato un attimo a rifiatare, neanche per pranzare, ed erano già le tre del pomeriggio.

“Ehi, cumpa, potresti pure prendere una pausa ogni tanto, non ti farebbe male!”

“Non c’è pausa per un Cavaliere di Atena, solo il sentiero della forza. E la forza è giustizia!” gli rispose l’altro, non degnandolo neanche di uno sguardo e lanciando due fendenti contro una roccia, velocissimi, uno verticale e l’altro orizzontale.

Beh, aveva ragione, ma che palle il cornuto del decimo tempio, troppo serioso in tutto e per tutto. Ancora si chiese cosa ci avesse trovato in lui. Rimuginandoci sopra, la risposta fu immediata: la forza fisica e la straordinaria lestezza nel colpire!

“Un Cavaliere di Atena sfinito sai come la percorre la giustizia che vai dicendo? Come un martire, perché muore sul campo!”

Shura lo fulminò con lo sguardo, tornando ben presto alle sue faccende, come se nessuno lo avesse mai interrotto.

Death Mask sospirò. Certo che doveva essere parecchio forte per entrare nelle sue grazie senza avere il più pallido senso dell’umorismo eh, veramente assurdo! Buttò un occhio giù dalla scogliera, sulla spiaggia, dove sapeva bene che vi avrebbe scorto ii marmocchi aspiranti Cavalieri d’Oro, che si recavano lì sempre a quell’ora a giocare a palla, e infatti…

Sogghignò, individuando, tra loro, una chioma blu, fin troppo appariscente. Quella mezza tacca di nome Camus, alla fine dei giochi, si era unito al branco di lupetti più giovani, anche se, a onor del vero, da quanto aveva potuto appurare, osservandoli di nascosto di tanto in tanto, non spiccicava parola. Del resto, da buon franco-italiano, il greco non lo conosceva. Non si sapeva bene come, ma era entrato subito nelle grazie di Shaka, cosa assai rara, stante la sua plateale asocialità, ma il francese era risultato un’eccezione.

Death Mask li aveva uditi, un giorno di gennaio, lui e Mu, che camminavano fianco a fianco, diretti al tredicesimo tempio. La futura Vergine si era lasciata andare a pallidi complimenti sul futuro Acquario, cosa assai rara, soprattutto se proferita dalle sue divine labbra.

“Trovo che Camus sia stato un ottimo acquisto! - si era lasciato trasportare Shaka, sorridendo all’amico fedele, il quale aveva la consueta espressione gentile stampata in volto – E’ educato e composto, fa valere le sue ragioni con i gesti e mai con parole vane, sa farsi rispettare e, cosa ancora più importante… non parla, sta zitto!”

A quel punto Mu aveva ridacchiato tra sé e sé, concedendosi una manifestazione di ilarità nel vedere, ancora una volta, il carattere distintivo del futuro custode della sesta casa.

“Ma Shaka… Camus non parla la nostra lingua, in tutta onestà, da quando è qui non ricordo che poche sillabe pronunciate da lui nei nostro confronti, di certo, solo questo, fa molto!”

“Appunto! Non conosce la lingua, tanto di cappello, ma è proprio la sua essenza ad essere così. Io… scandagliando il suo inconscio, la prima volta che Aiolos me lo ha presentato, l’ho potuta ben vedere, è un bambino che conosce l’importanza del silenzio, è molto riflessivo e… ci voleva, visto che Aiolia e Milo sono solo due, ma fanno un baccano più che superfluo, come se fossero in 10! Menomale che è giunto Camus a compensare, credimi, lo apprezzo davvero tantissimo!”

“Perché non parla?” aveva ridacchiato ancora Mu, sempre più divertito.

“Quello è di sicuro fondamentale!”

Death Mask, origliandoli, non era riuscito a non pensare ad altro che “Contento tu, il mondo è bello perché è vario, anzi avariato!”

Effettivamente per lui una delle (tante) cose che risultavano indigeribili al suo palato sopraffino erano i bambini, in generale, ok, ma soprattutto quelli affetti da finto mutismo. Erano una rogna bella e buona, li avrebbe presi a pedate nel didietro, soprattutto quel Camus, che lo aveva osato affrontare direttamente, anche se, doveva ammetterlo, fegato ne aveva dimostrato.

Ridacchiò sommessamente nel vedere gli altri futuri Cavalieri d’Oro posizionarsi in cerchio per giocare finalmente a palla, dalla sua ubicazione li poteva sovrastare totalmente, come era giusto che fosse.

“Ehi, caprone, finiscila di smollare fendenti come se non ci fosse un domani, e vieni un attimo qua!”

Shura non accolse subito l’invito, troppo intento ad allenarsi a tracciare il solco perfetto con la sua spada che conteneva nel braccio, ma all’ennesimo richiamo del compagno, capendo che non lo avrebbe lasciato stare, sospirò e si permise un attimo di pausa, avvicinandosi a loro. Aphrodite era ancora bellamente addormentato per terra, non si mosse, completamente rilassato.

“Cosa vuoi?”

“Cumpa, guardali là gli sgorbietti futuri Cavalieri d’Oro. Guardali come si divertono, e tu che ti ostini a non darti requie! Saranno nostri futuri compagni, ma appena possono si riuniscono per giocare… non ti sembra un valido motivo per darti un po’ di riposo?”

Shura rimase per qualche istante ad osservali, c’erano tutti i più piccoli, Mu, Aldebaran, Aiolia, Shaka, Milo e il nuovo venuto, Camus, suo vicino di casa con il quale però non aveva che scambiato pochi, formali, saluti. Il bimbo parlava in francese e il Cavaliere di Capricorn, stante la somiglianza di quella lingua con la sua, qualcosa comprendeva; e aveva compreso che gli dava del ‘voi’, probabilmente reputandolo molto più grande, quando invece si passavano solo pochi anni. Il futuro Aquarius manteneva sempre, e pur sempre, le distanze con chiunque, quello gli era saltato all’occhio subito, ma non aveva indagato ulteriormente. Shura non si trovava male, anzi, provava proprio simpatia per lui, ma non era nella sua indole approfondire i rapporti, cosa che, molto probabilmente condivideva con il suo vicino di tempio. Meglio, si era istantaneamente creato un mutuo accordo tra loro, ognuno si faceva i fatti propri.

Li guardò disporsi nuovamente in cerchio, lanciandosi la palla come dei bambini normali. Tutti loro giocavano, persino Shaka, restio a farsi coinvolgere, e il nuovo venuto, che sebbene non sembrasse totalmente a suo agio, non si risparmiava nel ribattere la palla, quasi come se fosse una valvola di sfogo.

Inarcò un sopracciglio, sospirò, prima di tornare a concentrarsi sull’allenamento, che era di vitale importanza.

“Loro sono ancora piccoli, possono permetterselo. Io no!” asserì, senza un minimo di esitazione, riprendendo a sferrare fendenti.

A quel punto Death Mash aprì le braccia platealmente, scoccando un’occhiata al cielo come a chiedere un aiuto divino.

“Un figlio dei fiori… - disse, riferendosi ad Aphrodite vicino a lui bellamente appisolato – E uno che non sa cosa significa divertirsi...” continuò indicandolo con una pernacchia.

“Uhmpf, mi deconcentri così!” si lamentò Shura, desiderando scacciarlo come si faceva con le mosche.

“Davvero un’ottima compagnia, mi sono scelto!” constatò, arrendendosi a quella verità e sdraiandosi a sua volta, il sole a rischiarargli il volto, tiepido. Era marzo e si stava come i re, per un secondo, poco prima di addormentarsi, Death Mask volle che quell’istante si perpetuasse nel tempo.

 

Nella spiaggia di sotto intanto, i futuri Cavalieri d’Oro si lanciavano con foga la palla, concentrandosi solo sul divertimento. Le giornate avevano preso ad allungarsi esponenzialmente e, con esse, il tempo da poter dedicare anche ai giochi, oltre che agli allenamenti.

Era tardo pomeriggio, ma il sole era ancora abbastanza alto nel cielo, trionfando così sulle tenebre e rendendo di ottimo umore sia Aiolia che Milo, che adoravano quella stagione, quel tepore che già si percepiva e che sarebbe sicuramente aumentato con l’avvicinarsi dell’estate.

“A te, Milo!”

“No, a te, Lia!”

“Di nuovo a te!”

“No, a te!”

“Sono più bravo io!”

“No, io!!!”

Mu e Shaka, seguiti da Aldebaran, si scambiarono un’occhiata conciliante tra loro, che valeva più di mille parole: eccoli che ricominciavano!

Il futuro Leone e il futuro Scorpione, come accadeva di frequente, avevano preso il gioco sul personale, come una sfida tra loro, senza più considerare gli altri bambini. Avevano quindi smesso di passare la palla anche a loro, concentrandosi solo l’uno nei confronti degli altri. Aldebaran provò ad intromettersi, tentando di attirare la loro attenzione ma ottenendo solo lo sguardo allibito di Camus che ancora non si era abituato a quel tram-tram di cui invece i compagni erano ormai avvezzi.

“Eddai, ragazzi, ci siamo anche noi!”

Tutto inutile, Milo e Aiolia, guadandosi in cagnesco, quasi ringhiando, avevano preso a lanciarsi palle sempre più potenti, ignorando le lamentele degli altri.

“Siamo alle solite!” sbuffò Shaka, sedendosi a gambe incrociate sulla spiaggia e disinteressandosi a quella stupida lotta che poteva essere attuata solo da due ignoranti come loro.

“Non vale con i piedi!” si lamentò subito Aiolia, fermando la palla, colto impreparato dal colpo di Milo, che, perdendo la presa con le mani, aveva rimediato con un colpo di punta, meravigliando non poco il futuro leoncino.

“Ehe! In cerca di more e in guerra tutto è lecito! - disse l’altro, soddisfatto del suo operato, strofinandosi il nasino con l’indice, ma dovendo preoccuparsi subito di schivare una cannonata di Aiolia che non voleva certo essere lasciato indietro – Ehi, Lia, se mi beccavi mi facevi male!” si lagnò poi, mettendo sul il broncio, mentre la palla, non trovando ostacoli, proseguiva la sua parabola.

“Santa pazienza, ancora straparla… - sbuffò Shaka, massaggiandosi teatralmente la fronte – SI DICE IN AMORE, MILO, NON IN CERCA DI MORE!!!”

“Eh??? Davvero??? Non sono le more?!”

“No...”

Il bimbo sembrava incredulo, mentre, dimenticandosi della palla, ormai proiettata verso il largo, nel mare, si gettava in ginocchio vicino a Shaka, avvicinandosi al suo volto talmente tanto da costringere la futura Vergine a sobbalzare, aprire gli occhi e bloccarlo con le due manine perché davvero era troppo vicino.

“C-cosa c’è, ora?” chiese, arrossendo vistosamente, implorando una tacita richiesta a Mu e Aldebaran, che invece sogghignavano, furbetti.

“Sei sicuro che fosse amore?” chiese ancora Milo, puntando gli occhioni azzurri in quelli del biondo con una intensità tale che sembrava di essere attirati da una calamita. E invece era una calamità, quel bambino!

“C-certo! Le so le cose io!!!”

“Perché l’amore dovrebbe essere più importante delle more? Siamo sicuri???”

“Ma che domande fai, Milo???”

“Perché a me piacciono tanto le more! Ci si può abbuffare e non si è mai sazi! - tentò di spiegarsi, imitando il gesto di prenderne una manciata e sbranarsene in quattro e quattr’otto – Così, vedi?!”

“Non fare versi animaleschi e non sputacchiare, Milo! Mi fa schifo! Non hai un goccio di eleganza, eh?! Perché non impari un po’ da Camus?!” lo redarguì Shaka, alzandosi, mollandolo lì, su due piedi, e allontanandosi, tutto disgustato.

Lo sguardo smarrito di Milo navigò fino a Camus, il quale ricambiò, probabilmente non capendo minimamente cosa c’entrasse nel discorso.

“Ma io...”

Di nuovo la faccia da funerale, mentre le labbra gli tremarono, rendendolo, se possibile, con un’espressione ancora più stupida.

“Sapete, ragazzi, mio nonno diceva che con l’amore accade uguale. Lo provi, lo riprovi e poi ti abbuffi, non ne sei mai sazio!” si intromise Aldebaran, che aveva vissuto i primi anni con i nonni, sentendosi un dispensatore di pillole di saggezza. Chiuse e riaprì gli occhi, ammiccando, ma si accorse che tutti i suoi compagni lo guardavano, straniti.

“Cosa… cosa significa?” si chiese Aiolia, sbigottito.

“Le more… - ripeté Milo, chiudendo il pugno di sinistra – e l’amore… la stessa cosa?” domandò Milo, chiudendo anche l’altra mano prima di aprire la bocca meravigliato.

“Che significa, Al?”

Anche Mu sembrava sinceramente incuriosito, si era fatto tutto serio, probabilmente non avendo mai sentito una cosa simile.

“E-ecco, io… - Aldebaran si grattò la testa a disagio – Bo! Ahahahaha!!!” scoppiò poi a ridere per scacciare l’imbarazzo.

“Ehi, io non capisco! - insistette Milo, che non se ne lasciava scappare una – L’amore si mangia come le more?!”

“Ma no, stupido scemo! - lo sgridò Shaka, impietosito da tanta ingenuità – Possibile che nessuno di voi abbia capito?” li squadrò uno ad uno, soffermandosi su Mu, il quale, con sua somma delusione, non dimostrava comunque di aver afferrato il concetto.

Solo Camus non sembrava interessato alla faccenda, limitandosi a guardarli ma non dicendo comunque niente, come al solito. Avrebbero quindi dovuti essere illuminati, tutti. Shaka si sentì investito da quella missione divina.

“Il nonno di Aldebaran si riferiva all’amore tra maschi e femmine...”

Occhiate di sbigottimento dalle altre parti, non capenti. Nessuno, a parte la futura Vergine, sembrava sapere qualcosa, si concentrarono quindi su di lui.

“L’amore tra maschi e femmine!!!” insistette Shaka, un poco spazientito.

“Ehm, e quindi?”

“Come, e quindi???”

“Il paragone, cosa ci azzecca?” chiese Aldebaran, corrucciato.

“B-beh… quello che si fa tra maschi e femmine!!!”

“Lia, cosa si fa tra maschi e femmine?” chiese Milo, non soddisfatto dalle risposte dell’amico.

“Perché lo chiedi a me?! Cosa c’entro io?!”

“Tu lo devi sapere!”

“No che non lo so!!!”

“Ma tuo fratello sì, è più grande di noi, no?!”

“F-forse lui lo sa ma… - Aiolia picchiettò i due indici uno con l’altro, imbarazzato – Non glielo ho mai chiesto!” ammise.

“Quindi dobbiamo chiederlo ad Aiolos?” chiese conferma Mu, interessato all’argomento.

“Per forza, nessuno di noi qui sa...”

“Io lo so, ma non mi fate mai parlare!” esclamò Shaka, infastidito da non essere più il centro dell’attenzione.

“Ma tu parli tanto, Shaka, ma non lo sai! Aiolos lo sa sicuramente, forse anche Saga!” insistette Milo, offendendolo ancora di più.

“Lo so, ti dico!!!”

“Ah sì, e allora cosa fanno maschi e femmine?!” gli chiese direttamente, squadrandolo con un sopracciglio inarcato.

“E-ecco… i bambini!”

“I BAMBINI??!?” ripeterono in coro a gran voce i quattro, facendo prendere un sonoro risalto al povero Shaka, che tuttavia si ricompose subito, impettendosi.

“Sì, esatto! Ve lo avevo detto che io so, non sono ignorante come voi e… ehi, ma mi state ascoltando?!”

Tutto inutile. Perle ai porci. Di nuovo. Perché i suoi compagni, completamente increduli, avevano preso a parlare fitto fitto tra loro.

“Mi state dicendo che l’amore plasma i bambini?! E come… come ci riesce?!” strabuzzava gli occhi Aiolia, sbracciandosi.

“Non era la cicogna, a portarci?” domandò ingenuamente Milo, la bocca spalancata in una ‘o’ incredula.

“Ma no, Milo, quella era una favola, lo sanno tutti!” gli fece notare pacatamente Mu, dubbioso.

“A me la nonna ha sempre detto che nasciamo sotto i cavoli!”

“I cavoli? Perché non i corbezzoli?!”

“Milo!!! Cosa c’entrano i corbezzoli?!”

“Sono più buoni!”

“Io non ce la posso fare...” sospirò tra sé e sé Shaka, ringraziando comunque che l’interesse si era allontanato da lui, perché effettivamente, se gli avessero posto altre domande per approfondire non ne sarebbe venuto a capo, perché sapeva solo quello.

Le argomentazioni sul discorso bambini continuarono per una serie di minuti, i piccoli non sembravano convinti della veridicità delle parole di Shaka, continuavano a trovare più romantico che fossero nati dal terreno, come le piante e i fiori e che poi fossero portati a casa, puliti e lavati, anche se Milo continuava ad insistere che era più bello ancora nascere su una pianta di corbezzolo invece che da terra. Beata ignoranza! La futura Vergine si disinteressò in fretta di quei discorsi, di gente che veniva toccata dalla luce e che però continuava a rifiutare quel miracolo, continuando a perdersi nelle tenebre dell’ignoranza. Che pena!

“Comunque, ragazzi… - il tono di Aldebaran si era fatto funereo, mentre guardava tristemente il mare – Abbiamo perso la nostra quinta palla di questa settimana...”

Tutti sussultarono e si ammutolirono, mentre il pensiero della caduta, tale Tina, così l’avevano appellata, si faceva strada in loro. Saga si sarebbe arrabbiato tantissimo, era più che certo.

“Questa è l’ultima, ve la affido! Dimostratemi di essere dei futuri, degni, Cavalieri d’Oro e riportatela indietro sana e salva” aveva detto, guardandoli uno ad uno negli occhi prima di affidargli la prima, vera missione della loro vita.

Solo che la prima, Brina, si era bucata in un cancello.

La seconda, Magrina, perché era mezza sgonfia, era finita in una proprietà privata e la vecchia signora gliela aveva bucata davanti agli occhi.

La terza Sbirulina, nome scelto da Shaka, l’avevano smarrita tra le fratte di un bosco.

La quarta, Mina, aveva preso il largo per l’alto oceano, chissà quali avventure stava vivendo.

E, infine, l’ultima, la Tina, appunto, l’aveva seguita nell’avventura, lasciando i futuri Cavalieri d’Oro soli e sconsolati a rimpiangerla.

La missione era ordunque fallita, il Cavaliere di Gemini, venerato da tutti, avrebbe fatto una leva a tutti quanti, forse escludendo il solo Shaka per motivi sconosciuti ai bimbi.

“Dunque… preghiamo! - tossicchiò in tono alto Aldebaran, chiudendo gli occhi prima di utilizzare il tono più solenne che possedesse – Qui, sulla riva di questo mare, accomiatiamoci dalla nostra eroica compagna Tina, che ci ha donato giorni… coff, coff, volevo dire, ore di felice divertimento. E’ triste dirle addio ora, dopo questo tempo, seppur breve, trascorso a giocare con lei, ma cerchiamo comunque di immaginarcela mentre, con il sorriso sulle labbra...”

“Aldy, le palle non sorridono...” gli fece notare Mu, dandogli una veloce gomitata.

“Massì che sorrideva, aveva quel segno ricurvo che sembrava una bocca, no?” controbatté lesto Aiolia, indicando con i due indici le sue labbra prima di incurvarle all’insù.

“Dicevo… coff, coff – riprese il discorso solenne Aldebaran, recuperando due toni di voce per sovrastare gli altri – In memoria dei momenti trascorsi in sua compagnia, eleviamo una preghiera verso il cielo, per augurarle ogni bene da qui al futuro!” sancì, prima di congiungere le mani in segno di preghiera e chiudere gli occhi, seguito dagli altri.

Shaka inarcò un sopracciglio nell’assistere a quella scena, chiedendosi chi glielo avesse fatto fare di finire lì, in quel gruppo di bambini ottusi e totalmente immaturi che si perdevano in cose futili. Sospirò teatralmente, pensando che, almeno, sarebbe regnato un po’ di silenzio per quei due minuti della giornata, permettendo così a lui di pregare veramente per cose importanti e non di certo per una stupidissima palla.

Ebbe appena il tempo di rilassarsi impercettibilmente che subito una voce insopportabilissima gli squillò nelle orecchie.

“Ehm, amici?”

Nessuna risposta, Shaka contrasse appena le palpebre, ma non le riaprì, pregustando il fatto che i compagni non stessero degnando di una sola parola Milo. Era l’ora.

“Ehi! Ehiiii! Mu! Shaka! Lia! Al!”

“Milo… - lo riprese pacatamente il primo, ancora intento nella preghiera, senza smuoversi dalla sua posizione – Non riesci a stare zitto neanche in momenti simili? Stiamo dicendo addio a Tina!”

“Non voglio mancare di rispetto a Tina, ma… ma… - il bimbo si guardava spaesato intorno – Dov’è Camus?”

Quell’ultima domanda fece aprire gli occhi a tutti, Shaka compreso, si osservarono spaesati intorno. Effettivamente del Francese non c’era alcuna traccia. Sparito. Volatilizzato.

“E’ andato anche lui con Tina, si è tolto dalle scatole, era l’ora!” commentò Aiolia, affatto allarmato, ricevendo però le occhiate severe degli altri.

“Non c’è da scherzare, Lia! Camus è l’ultimo arrivato, se Tina sparisce è un conto ma lui… lui no!” lo sgridò Mu, preoccupato per le sorti del compagno.

“A me sta più simpatica Tina che lui!” sbuffò il leoncino, gonfiando le gote. Mu fece per riprenderlo ulteriormente ma Aldebaran saltò su, indicando un punto più in là vicino alla battigia.

“Là! Là! Guardate!!!” li avvertì, prima di correre seguito dagli altri. Raggiunto il bagnasciuga, si chinarono verso l’oggetto indicato dal futuro Toro. Tra tutti i presenti, però, solo Milo ebbe l’istinto di raccoglierli e stringerli al sé, sgranando gli occhi ricolmi di paura.

“Queste sono...”

“...le scarpe di Camus, sì, con dentro le sue calze, non c’è alcun dubbio!” terminò Mu al posto di Aiolia, gettando un’occhiata di panico verso il mare, ancora tremendamente mosso dopo la sciroccata della sera precedente.

Oltre a prendersi cura della palla, in effetti, i grandi avevano categoricamente vietato loro di buttarsi in acqua, ben consapevoli che sarebbe stato ancora piuttosto mosso.

Ingoiarono a vuoto, rimanendo fissi a contemplare la distesa marina…

“Ragazzi, non è che Camus…?” si raschiò la gola Aldebaran, le mani gli si mossero d’istinto a pregare, di nuovo.

“N-no, dai, non può essere stato così...”

“BUAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHH!!!” il pianto isterico di Milo gelò tutti sul posto, mentre le parole di Shaka rotolarono a vuoto.

“E’ MORTO! CAMUS E’ ANNEGATO!!! CAMUS!!! CAMUUUUUUUS!!!” urlava intanto il piccolo Scorpione, angosciato da quella consapevolezza, buttandosi a terra e stringendo con tutte le forze le sue scarpe al petto, come se fossero l’ultimo ricordo di un defunto.

“M-Milo, d-dai, f-forse non si è… buttato...”

“MA LE SUE SCARPE SONO QUI!!! SIGH! SOB! PERCHE’, CAMUS??? PERCHE’ LO HAI FATTO?!? NON DOVEVI SACRIFICARTI PER TINA! LEI ERA UNA PALLA, TU UN BAMBINO, BUAAAAAAAA!!!”

Mu e Shaka erano come impietriti sul posto, persino Aiolia osservava sconvolto il mare che se lo era inghiottito, pensando già a cosa caspiterina raccontare a suo fratello Aiolos, che se lo era preso così a cuore.

“Ragazzi, io mi butto! - saltò su Aldebaran, sfilandosi di riflesso la maglietta prima di accennare un passo verso la distesa marina – Forse non è troppo tardi, forse sta affondando, se lo troviamo possiamo ancora recuperarlo!” esclamò, tentando di reagire. Del resto, dopo Mu e lo stesso Camus, era il più vecchio lì, aveva delle responsabilità, e il fisico, per trarre in salvo il compagno, ma fu proprio il suo più caro amico a fermarlo di riflesso, prendendolo per mano.

“No, Al, pensa, pensiamo! Se vai in acqua tu e vieni portato via dalle onde, noi non saremmo in grado di salvarti e, oltre a Camus, saresti anche tu in pericolo!”

“E quindi lo abbandoniamo. Mu?! Non si fa così tra compagni, non si fa così tra amici!” ribatté lui, quasi trascinandoselo dietro da quanto avesse fretta di intervenire.

“N-no certo che no, ma dobbiamo pensare, dobbiamo...”

“BUAAAAAAAAAAAAAAAAA, CAMUUUUUS!!!”

“Non c’è tempo in questo caso, Mu! - intervenne anche Shaka, inaspettatamente apprensivo, come raramente dimostrava – Più Camus ingurgita acqua più sarà difficile fargliela sputare, questa volta dobbiamo agire, non aspettare!”

I suoi occhi erano limpidi e trasparenti, lasciavano trapelare il timore, cosa rara, ma il futuro Aries sapeva quanto Shaka, checché non lo ammettesse mai, teneva ai suoi compagni.

“Oh, Shaka!”

“Lia, sei con noi?!”

“Quello è proprio scemo ad essersi buttato… - commentò il fratello di Aiolos con lo sguardo leonino prima di togliersi a sua volta la maglietta, pronto – Sono dei vostri!”

“Milo?”

“BUAAAAAAAAAAA! E’ TARDI! E’ TARDI PER TUTTO!!!”

“Ripigliati, razza di scemo, e impara a sentire qualcos’altro oltre al baccano della tua bocca! Non senti il microcosmo di Camus, lui è ancora vivo e...”

“E’ TARDI!!! TROPPO TARDI!!! CAAAAAM...”

“E BASTA, RAZZA DI TONTO! - gli mollò uno schiaffo Shaka, perdendo per la prima volta la pazienza, prima di scrollarlo allo scopo di avere una reazione da parte sua che non fossero gli strilli del tutto inutili– Concentrati insieme a noi e proviamo a...”

Qu’est-ce qui se passe? Vous faites un bruit!

Come dal nulla, dagli scogli verso la loro direzione, sbucò proprio Camus che, con tanto di sopracciglio inarcato e di piega delle labbra che manifestava disappunto, si avvicinò a loro come se nulla fosse, i piedi nudi, gli indumenti gocciolanti e la Tina sotto il braccio.

Le bocce di tutti gli altri bimbi, ancora predisposti in semi-cerchio pronti ad intervenire, si spalancarono più o meno simultaneamente, Shaka compreso.

Camus non disse più niente, semplicemente mosse ancora qualche passo sulla sabbia, prima di far rotolare la palla verso di loro, ancora sbigottiti, e sedersi in contemplazione del mare.

Tutto quel baccano lo aveva infastidito non poco, erano piuttosto chiassosi i suoi compagni, non ci si ritrovava completamente, non erano maturi come Aiolos, con cui invece si dilungava a parlare, ma a lui era toccato il gruppo dei piccoli, anche se erano suoi coetanei, e in quei mesi un poco si era avvezzato alla loro esuberanza. Solo un poco però.

“CAMUS!!!”

Di nuovo un urlo univoco che lo fece trasalire. La Tina abbandonata sulla spiaggia, mentre i suoi compagni, del tutto incuranti di lei, con l’eccezione di Aiolia, rimasto ritto a guardarlo con quasi astio, si precipitavano verso di lui. Camus si ritrovò ben presto circondato da loro, pregò che non lo toccassero, perché ormai, sperava, loro dovevano aver capito che non era tipo da grandi effusioni. Tutti fortunatamente rispettarono quel suo desiderio che era ben manifesto dalla sua postura, attorniandolo senza però toccarlo, tutti ad eccezione di Milo, il solito, che infatti gli saltò addosso, stritolandolo in un abbraccio che lo fece irrigidire di colpo.

Davvero quello non capiva niente, oh!

Il piccolo Milo fu su di lui, mentre gli altri, sollevati, si complimentavano per lui per l’impresa compiuta, chi con larghi sorrisi, chi annuendo con la testa, portando lui a fissarli sbigottiti, cercando al contempo di sfuggire alla presa del piccolo Scorpione che non lo mollava un attimo. Non importava se percepisse la rigidità del suo corpo, non importava se sapeva benissimo che il piccolo Camus non avesse alcun piacere ad essere stretto così, lui continuava, singhiozzando felice, smoccicandolo nel ripetere che lo credeva morto, che si era spaventato da morire di non farlo mai più, che lui era molto più importante della Tina.

Il futuro Aquarius era allibito: davvero erano stati così in ansia per lui? Per quale ragione? Fissò spaesato il mare agitato, effettivamente sembrava minaccioso, ma a lui l’acqua, il nuotare, piaceva parecchio, come se fosse nato per quello. Possibile che… avevano avuto paura che annegasse? Era la prima volta che qualcuno, oltre alla sua famiglia, si dimostrava genuinamente preoccupato per lui…

“Milo, lascialo, per favore… non vedi quanto è imbarazzato?! - finalmente Aldebaran prese di peso quell’esserino che non aveva smesso un secondo di stringerlo a sé, trasmettendogli anche tutta la fifa che aveva provato in quei momenti in cui era sparito. Sbatté le palpebre – Però ha ragione lui, Camus, non farlo più o, se lo devi fare… chiedi aiuto a noi, intesi?” gli fece l’occhiolino, finalmente rilassato.

Chiedere aiuto… a loro? Quando, all’asilo, aveva fatto sempre tutto da solo perché gli altri lo lasciavano in disparte, picchiandolo persino, a volte?

Il piccolo Camus era sempre più incredulo.

“Aldy ha ragione, sei stato eccezionale, Camus, ma ti sei allontanato senza dirci niente, abbiamo creduto che tu fossi… - Mu, prese un profondo respiro, scrollando la testa – Non importa, stai bene, solo questo conta!”

Stare… bene, quindi davvero si erano preoccupati per lui… sinceramente?

“Ma per favore! Sarai contento adesso che hai dato spettacolo e sei entrato nelle grazie, non solo di mio fratello, ma anche degli altri!”

Il tono di accusa giunse alle sue orecchie, portandolo istintivamente ad alzarsi e guardare dritto negli occhi il suo possessore, che ricambiava con un’occhiata ferina.

“Aiolia, ma cosa…?”

Il piccolo leoncino, non degnando il tentativo paciere di Mu, si avvicinò temerario al gruppo, non scostando il viso da quello di Camus, che non lo abbassava nemmeno per idea, e quello lo irritava ancora di più. Quel bimbo dagli occhi blu sembrava non aver paura di nulla, affrontava con piglio deciso persino uno come Saga e, cosa ancora più grave, faceva strage di cuori tra i suoi coetanei e i ragazzi più grandi. Il tutto mantenendo quella sua compostezza aliena per appartenere ad un bambino di soli 6 anni, con quella imperturbabilità assolutamente non umana.

“Ti conosco, Mascherino, ho visto come ti atteggi con mio fratello! Sembra che non ti importa di niente e nessuno, ma cerchi, come tutti, l’appoggio degli altri, fingendo però che non ti tanga!”

Camus avrebbe voluto rispondergli che lui, del sostegno degli altri, non gli importava un fico secco, non lo cercava, semplicemente la palla era caduta in acqua e invece di perdere tempo in chiacchiere era andata a recuperarla. Fine.

“Cerchi l’appoggio degli altri… - sottolineò ancora Aiolia, puntandogli il dito contro – ma poi lo schifi, con questa tua boria senza freni… mi fai proprio arrabbiare, ancora di più perché ci riesci, tu, stai piacendo a tutti qui al Tempio! Non hai capito però che ottieni successo solo perché sei giunto qui ferito e dolorante, e ai grandi piacciono queste cose, solo per questo, solo per questo tu...”

Aiolia avrebbe voluto continuare, sputargli addosso tutta la gelosia che provava per lui, anche se si rendeva conto che era ingiustificata, anche se si rendeva conto che fosse sbagliato, ma… che rabbia!!!

Si sentì avvampare, mentre le parole per continuare gli sfuggivano dalla mente, e ciò lo faceva infuriare di più. Quello poi non ribatteva, non diceva nulla, e, ok, il greco non lo parlava ancora, non poteva riprodurlo, ma… ma…

“Ehi, dove credi di andare?! - gli chiese, vedendolo alzarsi e andarsene, senza più essere degnato di uno sguardo – Guarda che quello che hai fatto tu oggi lo posso fare anche io, c-ci posso riuscire, ci...”

“Aiolia, smettila…” lo fermò Shaka, trattenendolo per il polso, giacché l’impetuoso leoncino stava per corrergli dietro, affatto propenso a lasciar perdere.

“Non sei tu che dici che non rispondere è maleducazione? Se lo fa lui va bene?” lo incalzò Aiolia, più seccato del solito, ancora più arrabbiato da avergliela data vinta ancora una volta.

“Corretto. Ma a volte, invece, è la miglior forma di educazione...” disse solo la futura Vergine, chiudendo gli occhioni turchesi, prima intenti ad osservare Camus andarsene, per poi sedersi nella posizione del loto senza più proferire parola. Quella giornata si sarebbe conclusa così, rovinata, per colpa di una gelosia fin troppo accentuata.

 

 

* * *

 

 

15 marzo 1995

 

 

Quel giorno l’allenamento era stato più tosto del solito. Con l’avanzare dei giorni e della loro esperienza, i grandi, sotto ordine di Shion, pretendevano sempre di più nell’addestramento, strappando conseguentemente il tempo che loro, i piccoli, potevano riservare ai giochi. Nonostante questo, il bisogno di vedersi per trascorrere un po’ di tempo insieme come dei normali bambini si faceva sentire, ed era la forza motore di Milo che, proprio quel pomeriggio, con il sole ancora alto e una giornata dalla limpidezza spaziale, si stava dirigendo all’appuntamento sulla spiaggia insieme agli altri.

Si sentiva tutte le ossa rotte, compiva movimenti rotatori con le braccia per sgranchirsele, mentre procedeva a zig-zag e sbadigliava, sintomo dello scarso riposo di quei giorni, ma non era da lui impigrirsi, per cui, con uno sforzo non da poco, stropicciava il suo volto per prepararsi all’incontro con gli altri. Doveva sfoggiare il suo più bel sorriso.

Finalmente giunse al luogo prestabilito, subito i suoi occhi abbracciarono il mare che gli diede tutta la carica necessaria. Vide gli altri in lontananza, fedeli compagni nella resistenza agli allenamenti, e subito si precipitò da loro, le braccia larghe e tutto il brio in suo possesso.

Anche gli altri fecero del loro meglio per ricambiare quella vitalità, ma solo Aiolia, pimpante come lui, ricambiò il suo poderoso abbraccio.

Quel giorno mancava Aldy, il solo, perché, a quanto sembrava, era parecchio sotto con gli allenamenti fisici, talmente tanto da crollare addormentato una volta finito. La sua assenza si sentiva, Milo mise su il broncio, mentre, dopo un breve giro a parabola, constatò che mancava pure Camus. La cosa gli dispiacque ancora di più, se possibile, ma non era una novità, il Francese, dopo la rabbia del leoncino alcuni giorni prima, non si era più fatto vivo tra loro, tornando a starsene in disparte, lontano da tutti e tutto.

Un passo avanti, cinque indietro… si ritrovò a constatare il futuro Scorpione, mentre, perdendo improvvisamente il brio che si era forzato di mantenere, si sedette buono buono sulla sabbia, disegnando cerchi con l’indice, che avrebbe poi usato per attaccare e colpire, così gli era stato detto.

Assurdo… come si poteva attaccare con il solo indice, si chiese.

“Camus non viene neanche oggi?” chiese Shaka, ad occhi chiusi, dando comunque un’occhiata (solo lui era in grado di dare le occhiate anche a palpebre abbassate!!!) ad Aiolia.

“Perché… lo chiedete sempre a me?!” ribatté l’altro infastidito, guardando altrove.

“Sai com’è… non è più venuto per causa tua, inoltre vive ancora da voi!”

“Ora non datemi colpe che non mi spettano, non è più venuto perché è un dissociato, non per altro!”

“Sarà… ma sai cosa significa almeno quella parola?!”

“Non mi dare noia, Shaka!”

“Sigh, ma a me manca…” si lasciò sfuggire Milo, imbronciato ai loro piedi, ben meno luminoso del solito.

“Come può mancarti se neanche parla?!”

“Sigh, ma si sente quando non c’è...” insistette ancora Milo, gli occhi lucidi. Gli era venuta voglia di tornare a casa e non sapeva spiegarsi il motivo.

“Uff… - Aiolia sospirò affranto, mentre guardava la punta dei piedi. Un poco si sentiva in colpa, doveva ammetterlo – E’ da giorni che chiede a mio fratello, in italiano, se conosce un posto dove ci sono le mimose...”

“Le… mimose?” chiese delucidazioni Shaka, aggrottando la fronte.

“Le mamilose? Si riferisce a sua mamma? Le manca sua madre?” chiese ingenuamente Milo, di colpo tutto interessato alla faccenda.

“Milo! Quest’anno compirai 6 anni, quando imparerai a parlare bene e a capire al volo?! - sospirò Shaka, sempre pronto a pungolarlo – Le mimose! Sai, quegli alberi dai fiori gialli, tra i primi a sbocciare, che emanano un profumo intenso?”

“Aaaaaah quelli!!! Ho capito!”

“Già… - prese parola Aiolia, facendo spallucce – Ancora non capisco molto l’italiano, ma è piuttosto insistente, lo chiede spesso”

“Ma le mimose in questa stagione...”

“Esatto, Mu… sono già appassite! Infatti proprio non capisco come si faccia venire certe idee, è strano, bah! - scrollo il capo Aiolia, sentendosi tanto superiore rispetto a lui – Tutti sanno che le mimose nascono in febbraio qui in Grecia, anche prima, a volte, come può sperare di trovarne anche solo u...”

“NO, NON E’ COSI! CE NE E’ UNA!!!”

Il gridolino esagitato di Milo fece sussultare tutti i presenti, che si voltarono sorpresi verso di lui, che si era improvvisamente illuminato, ed era appena scattato in piedi, ondeggiando come se avesse trovato la soluzione a tutti i mali del mondo.

“Milo, ma cosa stai dic...”

Ma il bimbo si era messo a correre a perdifiato in una direzione precisa, prima di rendersi conto che se ne stava andando senza salutare e tornando quindi indietro, il corpo sempre in movimento come se non riuscisse a star fermo.

“Mi sono ricordato che ho da fare oggi, amici! Ci vediamo domani, va bene?”

“Ma cos…? Ci abbandoni anche tu dopo essere venuto qui?” chiese Aiolia, dispiaciuto, mentre Shaka e Mu si scambiavano occhiate incredule.

“Sì, scusate! Mi farò perdonare, ok?” congiunse le mani a preghiera, chinandosi poi verso di loro per poi fare dietrofront e sparire in un lampo.

Aveva capito dove si era recato Camus e, insieme, aveva anche capito perché in quei giorni non era più venuto a giocare. Non comprendeva perché cercasse le mimose, quello no, ma glielo avrebbe chiesto in qualche modo e la trovava una cosa molto poetica e delicata.

Milo corse più che poté, il cuore a mille, imboccò una stradina poco frequentata, poi una salita, che costeggiava un gruppo di ulivi secolari, poi ancora un’altra viuzza polverosa, una nuova salita, che portava alla Scogliera del Grande Albero, soprannominata da lui stesso così. Il Grande Albero in particolare era proprio una ‘Mamilosa’ come la chiamava lui, il buon vecchio Adelpho, quando veniva a trovarlo al Tempio, gli aveva parlato spesso di quel fiore profumato che era accostato alla figura femminile per eccellenza: la mamma.

Certo, Milo non sapeva cosa significasse avere una mamma, era orfano, ma quel calore che Adelpho lasciava trapelare fuori da sé lo accostava ad una entità buona, dolce e rassicurante.

Con il cuore ancora più trepidante, ultimò la salita più irta, fermandosi un poco una volta giunto alla sommità per rifiatare, piegato in avanti in carenza di ossigeno. Il sole era ancora tiepido, faceva un “prrrrrrrr” (altra espressione onomatopeica ideata da lui per definire una gioia e un piacere immane) che lo rendevano felice di vivere.

Una volta ripresosi, si raddrizzò, buttando un occhio sotto il grande albero dove vi scorse proprio colui che stava cercando: goal!

Senza esitazione, si mise nuovamente a correre con l’intenzione di manifestare fisicamente quanto fosse contento di vederlo, anche se sapeva che il Francese non apprezzava particolarmente quell’atto. Stava già per chiamarlo a braccia spalancate, ma qualcosa di solenne lo fece ammutolire all’istante. Nell’avvicinarsi a lui, infatti aveva inquadrato la posizione in cui Camus sostava e, ancora di più -Milo si era stropicciato gli occhi, totalmente incredulo!- aveva scorto qualcosa di ancora più prezioso che non credeva nemmeno possibile. La bocca gli si spalancò in un ‘o’ muto, mentre le gambe, quasi sopraffatte rischiarono di farlo cadere.

Camus non lo aveva ancora visto, girato di spalle com’era, con quel suo profilo ancora infantile ma quasi etereo, candido, come purissima neve, la fronte appoggiata sul tronco dell’immenso albero che accarezzava con le dita minute, come se ci stesse parlando, i fiori penduli che gli solleticavano la pelle del viso o i capelli, come se il Grande Albero medesimo lo stesse accogliendo e accarezzando con i suoi immensi rami dorati dal sole, in una cascata di giallo e verde intenso, che celavano il miracolo: stava sorridendo.

Camus sapeva sorridere! E il suo sorriso era quando di più bello Milo avesse mai visto in vita sua, emanava un calore ancestrale, formidabile, che non gli permetteva in alcun modo di discostare lo sguardo da lui, completamente rapito.

Joyeux anniversaire, ma petite!”

Sentì pronunciare dalle sue labbra in francese, in un tono dolce e rassicurante al tempo stesso, seguito poi da una serie di altre parole che Milo non comprendeva, ma che lo attiravano come una calamita. Sembrava quasi che Camus stesse pregando l’albero, il Grande Albero, di portare lontano quel messaggio, quel calore che lui stava provando e che era rivolto ad un’altra persona, questo Milo lo aveva capito, come aveva capito che aveva fatto gli auguri a qualcuno; a qualcuno di molto importante per lui. Non conoscere però il resto gli bruciava parecchio, lo faceva morire dalla curiosità, riportandogli nuovamente l’istinto di abbracciarlo, perché Camus sembrava molto delicato in quel momento, una mossa sbagliata e si sarebbe infranto, lo percepiva dal suo tono che, con l’avanzare delle sue parole, si faceva sempre più basso e frazionario.

Camus sorrideva, ma era molto triste, lo sentiva dentro il suo cuore. Si rattristò anche lui, mentre, torturandosi le mani, abbassava lo sguardo, non sapendo bene come agire.

In quell’istante, la brezza leggera si fece un poco più intensa, potando via alcuni fiori di mimosa che si persero nel vuoto della scogliera.

Era un momento solenne, Camus non gli avrebbe perdonato un’intromissione, ma Milo desiderava a sua volta che il messaggio potesse arrivare alla persona a cui Camus si stava rivolgendo, pertanto, in religioso silenzio, senza fare il più piccolo rumore, si avvicinò all’enorme tronco, affiancandosi al bimbo dagli occhi blu per poi circondare con le sue braccia la corteccia e posare a sua volta la fronte su essa.

“Per favore, Grande Albero, non so cosa vi siate detti, ma porta il messaggio a lei, per favore!”

A lei… Milo sentiva che si trattasse di una femmina, non seppe bene perché. Rimase con gli occhi chiusi per una serie di secondi, concentrando le sue forze per condurre i petali là dove dovevano essere portati, al di là del mare. Poi, lentamente, riaprì le palpebre, che si incontrarono con quelle perplesse e un poco spalancante di Camus, che lo fissava a bocca aperta, un poco rosso in viso, per l’imbarazzo.

Oho!

Milo quasi saltò nell’accorgersi che il compagno lo stava squadrando da capo a piedi, a metà strada tra il mal disposto per essere stato visto in una simile tenuta e l’incerto.

“Oh, ehm, scusami… SCUSAMI, n-non… - cercava di farsi perdonare lui, prima di ricordarsi che non capiva il greco e mettersi a tossicchiare – Aspetta solo un attimo, Camus, ehm… ecco… ma dov’è?”

Si era messo a cercare qualcosa tra le tasche, non trovandolo. Si diede una sberla sulla guancia, prima di ricordare dove l’avesse infilato e, pertanto, continuare la ricerca nello zaino che aveva con sé. Camus, neanche starlo a dire, nel frattempo si era allontanato, rosso in volto, dandogli la schiena e chiudendosi a riccio nell’osservare il mare, come se si fosse sentito scoperto, fragile, come in verità era per davvero, ma come non voleva dimostrare a nessuno.

“Eccolo!” si riscosse finalmente Milo, avendo individuato quanto cercava ed estraendo quindi un quadernetto di dimensioni ridotte, prima di cacciare la sacca da una parte e aprire quello con tutte le dovute attenzioni.

“Eh, dunque… allor… - quasi si slogò la mascella nel tentare di ripetere l’accento francese che non possedeva – Ah, ehm comment tu… no, aspe!”

Affinò lo sguardo, impegnandosi al massimo, individuando una frase che poteva rivelarsi utile.

“Tu t’appelle… erk, no elle s’appel...”

“...”

Forse chiedere subito come si fosse chiamata lei era troppo prematuro, decise di prendere alla larga, molto alla larga.

“Donc… ehm, Je t’aie vu… avant, no… indietr… sigh!”

I suoi sforzi; gli sforzi che aveva fatto in quei mesi per spiccicare parola in francese e farsi comprendere da lui, sembravano del tutto andati a vuoto. Se si concentrava sulla pronuncia, dimenticava la parola, se la esprimeva, l’accento gli usciva greco… c’era proprio da piangere e Camus rimaneva fermo immobile, a dargli la schiena.

“Sigh… Perdonne-me pour… per questo, Camus! Non vulev fart ici, non volevo intromettermi in un momento così… BUAAAAAAAA!”

Si era di nuovo messo a piangere… Camus si ritrovò a sospirare profondamente, mentre lentamente si girava verso di lui, studiandolo ancora una volta con quegli immensi occhi blu.

Milo aveva una faccia da funerale, quasi singhiozzava da quanto gli dispiacesse aver rovinato tutto. Faceva pena, senza mezzi termini. Ragion per cui il futuro Acquario, tornado a concentrarsi sul confine tra mare e cielo, decise, per la prima volta, di rivolgergli parola.

“Esprimiti pure in greco, non c’è bisogno di straparlare nella mia lingua natia, se non la conosci...”

Milo si sentì come colpito da un fulmine. Lo fissò incredulo con faccia ebete e tanto di bocca spalancata. Si stropicciò gli occhi, si diede i pizzicotti, convinto di trovarsi in un sogno.

“E-eh?!”

“Ho detto di parlare pure nella tua lingua madre senza per forzare storpiare la mia, di lingua. Non occorre, riesco a capirti!”

E da quando?! Da quando parlava greco, se erano stati mesi in cui o non si esprimeva affatto, o parlava in francese, al massimo in italiano con Aiolos. Cos’era quell’improvviso miracolo?!

“E… e da… da...” balbettava per l’emozione, stava avendo il primo dialogo civile con quel bambino che lo aveva catturato dal primo sguardo, sebbene continuasse a guardare altrove, il mare, probabilmente per nascondere il suo malessere, che invece era ben tangibile.

“Da quando, mi chiedi? - finì Camus per lui, continuando a non voltarsi – E’ da più di un mese. Ho scoperto di leggere le iscrizioni in greco antico senza alcuna difficoltà, da lì sono arrivato al moderno. All’inizio dovevo sforzarmi un po’ per riuscirci, mi sono allenato molto sui libri, ma alla fine ce l’ho fatta, grazie anche ad Aiolos”

“Quindi l’altro giorno, sulla spiaggia...”

“Capivo quello che dicevate, sì...”

“E allora perché...”

“Non avevo voglia di parlarvi, tutto qui”

“Oh… - Milo era sinceramente sbalordito, lui non conosceva che il greco a malapena e aveva ancora difficoltà a pronunciare alcuni termini, Camus invece padroneggiava già pienamente due lingue e stava per abbracciare la terza – S-sei un poligola allora!!!” trillò vivace, regalandogli un largo sorriso.

“S-sono un…?!”

Camus si era voltato verso di lui, non capendo, i suoi occhi finalmente si erano incontrati con quelli vivaci di Milo, azzurri come il cielo sereno, non come i suoi, che rassomigliavano ad un mare tempestoso.

“Uno che sa tante lingue!” si sbracciò ancora il futuro Scorpione, puntellandosi sulle dita dei piedi e allargando le braccia.

In verità aveva nuovamente avuto l’impulso di correre ad abbracciarlo, ma si era trattenuto, anche se a stento, perché sapeva che l’altro bambino mal tollerava il contatto fisico, e Shaka lo sgridava ogni volta.

“Poliglotta, volevi dire?”

“Poli-giotto?!” ripeté Milo, incartandosi sulle parole.

“Lascia perdere...” sbuffò l’altro, discostando lo sguardo e tornando sotto la mimosa, che accarezzò, lieve, con le manine, prima di poggiare nuovamente la fronte sopra l’immenso tronco.

Il suo corpo palpitava, come uno scricciolo nel nido, impossibile sbagliarsi, Milo giurò di aver visto uno strano luccichio negli occhi, come di pianto trattenuto. Lui sapeva di essere un po’ tonto, ma altresì era consapevole di possedere una particolare dote di comprendere i sentimenti degli altri, e con quel bambino gli riusciva perfino meglio!

“Perché… sei così triste?” chiese di riflesso, accennando un passo nella sua direzione per provare ad essergli di conforto. Purtroppo la reazione che ottenne fu di concreta opposizione.

“IO NON SONO TRISTE!” esclamò l’altro, voltandosi di scatto, guardandolo con astio. Aveva fatto centro invece, e questo lo irritava ancora di più, perché significava che la sua apparente compostezza era stata facilmente incrinata da un misero bambino più piccolo di lui che non sapeva neanche parlare correttamente una lingua. Imperdonabile essersi mostrato così fragile!

Sì che lo sei… sei molto triste da quando sei giunto qui, Camus, lo percepisco bene, come se qualcosa ti fosse stato strappato con la forza. Scappi da tutti, anche quando sei in mezzo a noi sei altrove ed io, non so perché, lo percepisco bene, come se ti avessi sempre conosciuto e fossi un libro aperto per me.

Milo sospirò, decidendo di proseguire per gradi, con calma, perché quel bambino dagli occhi blu e malinconici era finito in mezzo a loro, malmenato e picchiato quasi a morte, ma mai un secondo si era mostrato fragile, se non quando dormiva oppure fino pochi minuti prima, quando sorrideva a quell’albero e lo accarezzava con gentilezza, preda di un ricordo che gli faceva male.

“Lei… chi è?” chiese, un poco titubante, ma determinato.

“Lei… chi?” prese tempo Camus, guardingo, sentendosi esposto.

“La persona a cui ti sei rivolto prima, con quel sorriso, come se la mamilosa potesse portare il tuo messaggio...”

Camus avrebbe voluto dirgli schiettamente che non erano affari suoi, rimproverandosi per aver abbassato così la guardia ed essersi così mostrato fragile, ma quelle poche parole, invece, quel genuino desiderio di sapere e, forse, di essergli di conforto, lo avevano fatto vacillare paurosamente, abbattendo poi ogni sua difesa. Si lasciò cadere ai piedi del grande albero, la schiena contro il tronco, le ginocchia piegate verso il petto, chiuso all’intero mondo. Ma non a Milo, non più, né alla grande mimosa accarezzata dal vento.

“La mia… sorellina” disse infine, nascondendosi ancora di più il viso tra le braccia. Appariva appena, con quei ciuffi che sembravano un riccio, con quello sguardo dolente, spento, infinitamente triste, che continuava a fissare il mare che probabilmente lo divideva da lei.

“Hai una sorella più piccola… non lo sapevo!” mormorò Milo, con una dolcezza nel tono di voce che Camus percepì forte dentro di sé, sebbene tentasse di non dimostrarlo. Lo vide poi avvicinarsi a lui per sedersi a poca distanza, rispettando i suoi spazi, la schiena a sua volta contro il tronco e lo sguardo rivolto alle fronde odorose e colorate di giallo.

“Io, sai… non ho mai conosciuto i miei, non so cosa si prova ad averli, tanto meno posso immaginare cosa significhi avere una sorellina” si confidò, sorridendo tristemente.

Camus non disse niente ma lo ascoltava con attenzione mentre parlava della sua breve vita senza vergogna né problema alcuno. Era inconcepibile per lui, aveva capito che il bambino dagli occhi azzurri e i capelli ribelli amasse chiacchierare, ma non al punto di parlare della sua vita, dei suoi segreti, perfino delle cose più vergognose, come quando si era fatto la popò addosso dopo un incubo e Saga di Gemini aveva dovuto pulirlo. Non aveva esitazione alcuna ad esporsi, e questo lo frastornava fin nel profondo. Si fidava di lui senza conoscerlo, come era possibile?! Come ci riusciva?!

Milo era stato preso sotto l’ala protettiva di un certo Adelpho fin da piccolissimo proprio perché i suoi erano morti poco dopo la sua nascita. Questo signore era intrallazzato con il Santuario e con Shion, a quanto pareva, ciò aveva promesso al piccolo di crescere lì, insieme ad Aiolia e Aiolos, greci anche loro, e ovviamente alo stesso Saga di Gemini. Quella era stata la vita di Milo, il futuro Scorpio, fino ad allora, strappato dagli affetti prima che se lo potesse ricordare. Camus tremò appena.

“Sai, Adelpho… lui è un grande, è grazie a lui che...”

“Perché… mi stai raccontando tutto questo?” chiese di getto Camus ad un certo punto, a disagio, trovando finalmente il coraggio di guardarlo in faccia.

Milo lo fisso stupito, frastornato quasi quanto lui nell’aver udito quella semplice domanda che non capiva.

“E perché siamo compagni, no? E amici...”

Sembrava così naturale nell’esporre un qualcosa che per lui era un’ovvietà, ma ciò sconvolgeva solo di più il giovane cuore del piccolo Camus.

“Noi non… uff – sospirò, sentendosi ancora più esposto, osservando un ramoscello dell’albero ondeggiare per il vento. Era così bello… - La fai troppo semplice, non si diventa amici così, su due piedi!”

“Questo vale per te, certo, per me lo sei già, Camus!”

“Per-perché?! I-io non… mi conosci solo da pochi mesi...”

“Tutti quelli che vengono qui sono miei fratelli; i fratelli che non ho potuto avere, ma tu sei diverso, Camus, sei… speciale e… e non lo so spiegare in altro modo ma ti conosco, sento di conoscerti da una vita. Per te non è uguale?!”

“N-no! Non ti ho mai visto prima di giungere qua!” esclamò, riottoso, sebbene conscio di star dicendo una frottola. Non era così, aveva avuto modo di pensarci molto in quei pochi mesi, anche lui aveva avuto la stessa sensazione. E quel ciclamino che gli aveva regalato, che lui aveva provato a ripiantare nella speranza che si potesse salvare, anche quel fiore gli diceva qualcosa, aveva una certa simbologia, ma ammetterlo non era propriamente possibile.

“Pazienza… prenditi il tempo che vuoi, io sono qui!” mormorò ancora Milo, con naturalezza.

Camus sgranò gli occhi a quella frase, fissandolo con sempre maggior sbigottimento. Sono qui. Era lì, già, con lui. Forse non era solo, sebbene si costringesse ad esserlo.

“Milo…”

Anche Milo sgranò gli occhi, esterrefatto, quella era la prima volta che lo chiamava per nome, ciò gli procurò un’emozione fortissima. Miloù era così strana quella pronuncia in francese, con quella I così stretta e con la O che invece si prolungava, camuffandosi quasi in una U… così buffo, gli piaceva particolarmente come suonava.

“Perché l’altro giorno, quando pensavi che mi avesse inghiottito il mare, hai gridato e pianto così tanto?! - gli chiese, imbarazzato, prima di ingoiare a vuoto – Perché mi hai… abbracciato, quando mi hai visto?!”

“Perché…? Davvero non lo riesci a capire, Camus?”

Il futuro Acquario non resse quello sguardo così limpido, chiudendosi ancora di più a riccio, le ginocchia sempre tenute dalle braccia e nascondendo il visetto per la vergogna.

“No, non lo capisco… - ammise, con difficoltà, prima di farsi forza.

“Pensavo tu fossi morto e avevo paura...”

“Perché?”

“Adelpho mi ha detto che succede così quando vuoi tanto bene a qualcuno… poi hai paura di perderlo!”

“E tu hai paura di perdermi… perché? - chiese ancora Camus, sempre più in difficoltà, prima di arrivare, tremante, alla conclusione – E’ perché mi consideri tuo amico?”

Milo sorrise ma non rispose, per la prima volta in vita sua privilegiò il silenzio, tornando a guardare il grande albero di mimose, annusandone il profumo, che gli pervase le narici. Rimasero in silenzio così per un po’, senza bisogno di parlare, Milo manteneva le distanze, Camus, per la prima volta, sentì l’impulso di accorciarle quelle stesse distanze, ma si trattenne.

“Sei… fatto strano!” la buttò lì, un poco nervoso.

“Me lo dicono in tanti!” Milo gli rivolse un largo sorriso, prima di mettersi a canticchiare nel godersi l’aria tersa di quel giorno di metà marzo.

Già, era fatto strano… Camus ne era assolutamente sicuro, nessun altro bambino si era mai comportato così con lui, all’asilo lo picchiavano e lo prendevano in giro perché non parlava e aveva difficoltà a socializzare. Probabilmente lo consideravano strano, ma in una maniera cattiva, e lo isolavano. Milo invece era uno strano ma buono, non sembrava demordere, nonostante gli atteggiamenti quasi brutali di Shaka, nonostante alcuni grandi, lo aveva ben notato, storcevano il naso quando lo vedevano. Ma a quel bambino dagli occhi limpidi e profondamente turchesi, non gli importava, lui era semplicemente Milo.

Camus si ritrovò a sospirare, il viso nuovamente parzialmente nascosto nelle ginocchia. Per la prima volta in vita sua da quando era stato separato dalla famiglia, si accorse di avere il bisogno di esprimere ciò che sentiva.

“Mi… manca… tanto...” si raschiò la gola, mordendosi spietatamente le labbra per evitare di piangere. Provare a spiegare il vuoto che sentiva, sì, ma le lacrime no, le odiava, ed erano inutili.

“La tua sorellina?” chiese Milo, in tono dolce, avvicinandosi di qualche centimetro a lui, pur continuando a non toccarlo.

“S-sì...”

“Vuoi parlarmene?”

“N-no, fa male...”

Non sapeva neanche lui cosa fare o dire. Avrebbe voluto, in fondo, ma qualcosa lo tratteneva. Un brivido lo colse. Per quanto Milo fosse dotato di pazienza, presto si sarebbe stufato, lo avrebbe lasciato lì, solo, e avrebbe avuto tutte le ragioni per farlo. Ci provava per davvero a tentare di liberarlo dal guscio, ma lui continuava ad essere chiuso al mondo. Aveva paura; aveva paura che se andasse. Non voleva, ma…

Qualcosa gli toccò la manina, sussultò per la sorpresa, mentre le dita di Milo gli accarezzavano delicatamente il palmo: si era avvicinato ulteriormente a lui, ne poteva percepire il calore.

“Lo so che fa male, ma, forse, se ne parli, ti sembrerà di averla vicina...” ipotizzò lui, sorridendo sempre con infinita pazienza e una dolcezza che lo frastornava.

Camus non rispose subito, ma si lasciò toccare da lui, quasi cullare.

“L-ho persa… non tornerà più indietro, n-non ha senso che io mi strugga!” biascicò, teso.

Milo non sapeva bene cosa potesse significarsi struggersi, Camus, per la giovane età che aveva, 6 anni da poco compiuti, possedeva un vocabolario illimitato, come un prodigio. Lo ammirava sinceramente.

“Quanti anni ha?”

“Cinque meno di me, compie un anno oggi...” rispose Camus e, per un breve istante, tornò anche quel suo sorriso che sembrava rivolgere solo alla sorellina.

“Oh, è piccolissima! Come è fatta?”

“Sì, è piccina, è… molto delicata! - ammise, sempre con quel sorriso triste e un’espressione dolcissima – Quando è nata aveva gli occhioni scurissimi, sembravano neri...”

“E ora?”

“Blu… come i miei!” rispose, con una punta di orgoglio, come se averli dello stesso colore fosse una cosa importante. Lo era, per lui, infinitamente!”

“Sa parlare?!”

“N-no, è presto per lei, fa versi strani, tipo ‘ugeeee’, cose così, ma, dentro di me, e solo a me, parla… - rispose, convinto, prima di mordersi il labbro inferiore e assumere un’espressione dolente – Parlava… prima che ci separassimo”

Sembrava una frase priva di senso; una di quelle frasi in cui i grandi avrebbero storto il naso, scrollando poi il capo e sussurrando tra i denti un “bambini...” probabilmente con un sonoro sbuffo, ma Milo comprese subito il suo reale significato.

“Riesce a parlare al tuo io interno con il suo...” disse, ammirato.

“Qualcosa del genere...”

“SIETE ENTRAMBI SPECIALI ALLORA! Perché lei non è qui?!”

“N-non lo so...” biascicò Camus con difficoltà, sentendo improvvisamente le orecchie pulsare con forza. Un frastuono fastidioso stava prendendo le redini della sua testa, tamburellava da tempia a tempia, facendolo sentire male. Si mise una mano, e poi l’altra tra i capelli. Milo non parve capire subito il suo malessere, forse perché un gruppo di rondini aveva cominciato a volteggiare sopra le loro teste, attirando la sua attenzione.

“Cosa vi è successo per essere separati?”

“I-io...”

“Perché tu sì e lei no? Se comunicate tramite i vostri io, il Nobile Shion avrebbe dovuto portare qui anche lei...”

“N-non...” si passava le mani sulla fronte, sempre più affaticato, qualcosa aveva preso a vorticare nella sua testa, sempre più veloce. Per quanto si sforzasse, non riusciva a trovare una risposta a quelle domande. Nulla. Il vuoto. La frattura, impossibile riavvolgere il filo, si era smarrito.

“Camus… - la voce di Milo gli giunse appena, a stento la udì – Non ti ho fatto la domanda più importante: come si chiama lei?”

In quell’istante qualcosa si ruppe dentro di lui, si sentì precipitare nel vuoto, al limite della sofferenza. Il piccolo Milo ebbe appena il tempo di voltarsi verso di lui e sgranare gli occhi e di rendersi conto di quanto si sentisse male, prima di avvertire il suo urlo propagarsi oltre le fronde del Grande Albero.

“CAMUS!” lo chiamò, correndo ad abbracciarlo, perché il bimbo aveva preso a dimenarsi, desiderando quasi prendere a testate l’albero per dare freno ad un dolore che, a giudicare da come si divincolava, percepiva forte e chiaro dentro di sé.

“Camus, mi dispiace! Io… io… non volevo! TI PREGO, CALMATI!”

Ma il piccolo, vittima degli incubi, non riusciva a udirlo, stringendo convulsamente le manine e respirando a scatti, come se qualcosa gli bloccasse la gola. Non c’era più il Grande Albero, davanti a lui, non c’era più Milo, al suo fianco, né il ricordo della sorellina ad alleviargli un poco l’animo, no, vi era solo il buio, e dolore, qualcuno che lo prendeva a calci, qualcuno di cui non riconosceva il volto, ma la risata, quella sì, era impressa a marchio nei suoi timpani!

Qualcuno lo colpiva con foga, per fargli male, a lui e alla sorellina, qualcuno era giunto per ucciderla, già, uccidere lei, la sua…

Tentò di chiamarla per nome per farle forza. Si ricordava che l’aveva stretta al suo petto per proteggerla da qualcuno di maligno, di aver avuto paura di perderla, e ancora… i suoi pianti…

Provò a farsi forza, sforzandosi di far uscire la voce per raggiungerla, ma… raggiungere chi?! Si accorse, con una nuova punta di terrore, di non avere più un nome da abbinare a lei, che pure era ben nitida nelle sue memorie, un fagottino profumato di mimosa, delicato come il significato stesso della vita medesima.

Già… la sua figura c’era, ancora, ma svaniva sempre di più tra le sue braccia, fino a dissolversi. Aveva perso per sempre il suo nome, come era possibile?! Lei, che era così importante per lui, lei… persa come polvere nel vento.

Camus singhiozzò senza lacrime. Si accorse appena di essere sorretto da qualcuno. Sebbene fosse adagiato su un fianco, avvertiva un braccio sotto di sé, con enorme sforzo gli strinse le dita, come dare ad un freno a quel dolore. Riaprì faticosamente gli occhi.

“Camus?!” chiese speranzoso Milo, spaventato a morte da una tale reazione.

“L-l’ho persa...” biascicò a stento, il respiro rotto.

“C-chi?” non sapeva se continuare a parlargli per mantenerlo vigile o cos’altro, si spaventò ancora di più.

“L-lei, la mia sorellina… - sussurrò, sofferente, producendo un lungo sospiro – Ho smarrito il suo nome...” riuscì ancora a dire, prima di perdere coscienza.

 

 

* * *

 

 

Milo si sentiva dannatamente in colpa per quello che aveva fatto. Non si era accorto che Camus si era sentito così male, e aveva continuato a porre quesiti su quesiti, finché il bambino non era crollato.

Ora si trovava lì, le mani strette alle ginocchia, nel soggiorno della casa di Aiolos, sotto gli occhi la porta della camera chiusa, perché Milo, coniugando tutte le sue forze da cinquenne lo aveva preso in spalla e condotto dal Cavaliere del Sagittario, che lo aveva portato in camera per visitarlo. Aiolia, invece, pur presente quando lui era giunto, se ne era andato sbuffando, probabilmente geloso delle attenzioni che il fratello maggiore riservava al nuovo venuto. Era rimasto quindi da solo a ciondolare con il busto e muovere nervosamente le gambe. Solo con i suoi pensieri.

Finalmente Aiolos uscì dalla porta, lasciandola socchiusa. Inutile dire che si fiondò istantaneamente nella sua direzione.

“Come sta?!” chiese, con le lacrime agli occhi.

Aiolos gli sorrise con dolcezza, prima di chinarsi verso di lui e passargli una mano tra i capelli.

“Bene. Non ti preoccupare, ora sta dormendo!”

“Ma prima...”

“Prima, da quanto mi hai riferito, ha avuto una brutta crisi, ma si è risolta nel migliore dei modi, non corre alcun rischio per la salute, i lividi sul sul suo corpo sono ormai guariti!”

“Fiuuuu… menomale!” buttò fuori aria, mentre le gambine gli facevano ‘giacomo giacomo’.

“Però è necessario chiarire un punto, Milo… - la voce di Aiolos aveva assunto una sfumatura severa, mentre cercava il suo sguardo – Camus, lo hai ben visto da te, ne viene da una brutta esperienza a noi sconosciuta, sarebbe meglio non chiedergli troppo circa il suo passato, mi intendi?”

“I-io… non volevo! Stavamo parlando e lui…”

“Lo so, birbantello! - la voce di Aiolos era tornata dolce di consueto, mentre gli passava la mano tra i capelli – Comunque sei stato bravo a dialogare con lui, sei stato il primo bambino a farlo!”

“Mi ha parlato di sua sorella, ci tiene davvero tantissimo a lei, perché il Nobile Shion non ha portato qui anche lei?! Camus starebbe molto meglio!”

“Non lo so, piccoletto, ma se il Nobile Shion ha pensato che fosse meglio così, una ragione ci deve essere, no?! Lui è vecchio e saggio, vede molto più in là di noi!”

Milo annuì con poca convinzione, desiderava sapere qualcosa in più, ma era impossibile. Rialzò il visetto un poco corrucciato, ricercando l’attenzione di Aiolos.

“Posso… vederlo? Vorrei stare un po’ con lui” chiese, riferendosi a Camus.

“Dorme, Milo...”

“Non lo disturberò, giurin giurello, ti prego!” insistette, quasi saltando sul posto.

Aiolos si lasciò scappare una risata: “Va bene, allora, ma cinque minuti massimo, ok? Anche perché si sta facendo buio, devi tornare a casa!” lo avvertì, lasciando la porta per permettergli di entrare.

Il piccolo non se lo fece ripetere due volte, con gli occhioni luminosi annuì, entrando poi nella camera e rinchiudendosi la porta alle spalle.

La stanza era in penombra, sufficientemente chiara per muoversi da non rendere necessaria la luce artificiale, ma al contempo abbastanza scura da rendere l’atmosfera ovattata e tranquilla. Camus era steso sul grande letto singolo, si percepiva il suo profondo respiro, Milo prese una sedia e, issandosi, prese posto al suo fianco, guardandolo con attenzione. Le coperte lo coprivano parzialmente, indossava un pigiama blu a pois che, rispetto al suo corpicino, sembrava grande almeno il doppio. Un braccio tirato su, adagiato vicino al suo visetto, piegato a formare una elle al contrario, l’altra mano tratteneva le coperte, quasi le stringeva, come se, nella sua mente, tenesse stretto qualcos’altro. L’espressione non era affatto lieta.

Le dita di Milo si mossero istintivamente a scostargli gentilmente un ciuffo dalla fronte, gesto avvertito dal piccolo, che si mosse appena, infastidito, serrando difficoltosamente le palpebre: stava avendo un incubo, probabilmente sulla sorellina, era così lampante. Doveva mancargli parecchio…

Ad un certo punto, Camus si girò con stizza, dandogli le spalle e calciando via le coperte del letto, che gli davano fastidio, o chissà, forse, sempre nell’incubo, cercava di sfuggire a qualcuno. Il gesto scoprì parte della schiena, chiara come una falce di luna. Fortunatamente le cure del Tempio avevano sortito effetto, di quegli orrendi lividi non era rimasta che un’ombra appena accennata destinata a sparire, ma era lampante che il trauma fosse ancora ben vivo in lui. Milo fece per chinarsi verso di lui e ricoprirlo, ma nello stesso momento Camus si voltò di nuovo verso di lui, sempre calciando comunque le coperte. Sembrava fare le baruffe.

“Mmmm-o”

Era un ‘no’ o un buffo tentativo di chiamare il suo nome?! Comunque lo aveva espresso in un tono talmente impastato che gli aveva subito procurato una risatina tra sé e sé. Milo gli raccolse pazientemente le coperte, sistemandogliele sopra in modo da tenere fuori solo le mani. Prese un profondo respiro, rimanendo a guardarlo per tutti i minuti successivi. Così fragile, così malinconico… e aveva già subito una sofferenza atroce in quei pochi anni di vita.

...anzi, di più, Milo sapeva bene che c’era un motivo se il piccolo Camus era messo così, lo sentiva dentro di sé, come verità sussurrata alla sua anima. Provò l’impulso di alleviargli le sofferenze, di rivederlo sorridere ancora una volta, come gli aveva visto fare sotto l’albero di mimose.

Il vero sorriso di Camus, il vero sé stesso.

Scese dalla sedia rendendosi conto che fuori si stava facendo buio e che avrebbe dovuto rincasare, si diresse quindi dalla porta di uscita, fermandosi per una manciata di secondi a riflettere. Camus aveva bisogno della sorellina, ma Aiolos gli aveva consigliato di lasciar perdere, di non far riaffiorare un passato che avrebbe potuto solo farlo soffrire di più. Il bambino non si ricordava più il nome della sorellina, e questo era straziante. Che fare, dunque? Non c’era neanche bisogno di chiederselo, la risposta era certa dentro di lui, ma le sue dimensioni ridotte ostruivano non poco. Pazienza, ci sarebbe voluto tempo, ma ci sarebbe riuscito prima o poi.

“So che ti manca molto, Camus, l-lo… lo sento, capisci? - chiese retoricamente, ben sapendo che non poteva udirlo – E’ come se ti mancasse metà, forse anche di più, di te stesso...”

Già, lo avvertiva dentro di sé, quasi percependo una parte del suo dolore, rendeva difficile la respirazione, a lui, figurarsi a Camus!

“Aiolos mi ha consigliato di seppellire il passato per non farti male ma io non sono d’accordo, non posso accettarlo in nessun modo, per cui… lascia che ti faccia una promessa! – prese un nuovo, più profondo, respiro, forzando le sue corde vocali a manifestare una voce determinata e sicura – Io… la troverò! Troverò la sorella di cui tu hai smarrito il nome, la troverò e te la riporterò, prima o poi, giurin giurello! Sarai felice, tornerai a sorridere!” compì una promessa solenne, mentre gli occhi gli si illuminarono di una strana luce ricolma di determinazione.

Lasciò quella stanza con una nuova consapevolezza nel cuore, ci sarebbe riuscito, in un modo o nell’altro.

Era una promessa.

Una promessa che avrebbe aspettato anni, per essere adempiuta, ma che avrebbe mantenuto… a qualunque costo!

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

E rieccomi in questa storia, che ho tenuto ferma per troppo tempo.

In questo capitolo ho voluto tirare fuori dal cappello, chi più chi meno, tutti, ma proprio tutti i Gold (tranne Dohko che però comparirà anche lui prima o poi, abbiate fede!), ad ognuno di loro vorrei dare una storia, un vissuto e, sebbene il focus rimanga su Camus, qui avete potuto vedere qualcosa in più su Deathy, che approfondirò in questa e nella altre storie. Lui, insieme ai compagni Aphro e Shura è già Gold, (è più grande del gruppo dei piccoli), e qui ho messo le base sul rapporto che avrà poi con Saga di Gemini.

Al solito, sebbene si possa reggere come storia a parte, i riferimenti alle altre storie ci sono sempre e comunque, chi legge tutto le potrà ben scorgere: questo capitolo si rifà al 12 della Sonia’s side story, in cui Milo, diciottenne, parlerà ad Aiolia proprio di come sia nata l’amicizia con Camus, appunto, come prende il titolo, sotto le mimose di marzo :)

Una precisazione: Camus ha scoperto di saper leggere il greco, anche qui la spiegazione c’è, nella mia serie, cioè che, per come ho imbastito il personaggio, lui è un semi-dio, ha quindi facilità ad apprendere tale lingua, oltre ad essere una sorta di genio.

Milo, al termine del capitolo fa una promessa a Camus, quello di riportargli la sorella… cosa che effettivamente mantiene, con i suoi tempi, dopo anni, ma che mantiene, proprio come si legge nella Guerra per il dominio del Mondo! ;)

Grazie a tutti come sempre, ho tanto da scrivere, come sapete, dovendo portare avanti più storie, spero comunque di non farvi aspettare un altro anno per l’aggiornamento di questa, i piccoli Gold portano sempre una ventata di brio, almeno per me, mi diverto molto a scrivere di loro ^_^

 

 

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