Sette peccati

di Trilla
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gola ***
Capitolo 2: *** Accidia ***
Capitolo 3: *** Avarizia ***
Capitolo 4: *** Invidia ***
Capitolo 5: *** Lussuria ***
Capitolo 6: *** Superbia ***



Capitolo 1
*** Gola ***



Sette peccati:

Gola

-Matilde, santo cielo, smettila di rimpinzarti!- gridò la signora Ester a sua figlia. La ragazza continuava ad ingurgitare ogni briciola di cibo presente sul tavolo da cucina.
-Dai, ma'!- brontolò col suo vocione Matilde, riempiendosi il piatto di pasta al sugo -Ho fame!-.
Non era vero. Matilde non aveva fame, da un po' di tempo non ne provava più. Più o meno da quando i suoi genitori si erano separati ed era stata costretta ad andare a vivere con sua madre, che non faceva altro se non sgridarla tutto il giorno e prescriverle diete per dimagrire.
E Matilde non ne seguiva mai una! Cioè, le iniziava con tutta la buona volontà di portarle a termine, ma era più forte di lei: doveva mangiare! Che fosse per noia, per tristezza, per frustazione, per amore... non importava. Lei sapeva solo che mangiare le piaceva e la faceva sentire meglio quando stava male. E stava spesso male.
Matilde frequentava la seconda media; era bassa, con poco seno, aveva i capelli a caschetto color castano chiaro, come gli occhi, e gli occhiali tondi dalla montatura verde sul naso schiacciato. E un corpo enorme. Odiava tutto del suo fisico, specialmente quei rotoli di grasso sui suoi fianchi e gli accumuli di ciccia sul sedere e sulle braccia, cosicchè, qundo le muoveva, sembravano fatte di budino tanto ballonzolavano.
Ovviamente, i ragazzi suoi compagni di classe la prendevano in giro gridandole "cicciona" o "balena". Le ragazze invece l'avevano presa in simpatia, anche se riflettendoci su si capiva il motivo della loro gentilezza. Matilde era sicura che dentro di loro pensassero "E' così brutta, poverina! Perchè non dovrei esserle amica visto che non può farmi nulla?!". Così il suo senso di inadeguatezza aumentava e lei tornava a casa da scuola sognando il budino o il gelato che stavano nel frigo.
Sua madre tentava in tutti i modi di farla smettere. Le aveva fatto provare diversi tipi di sport, quali pallavolo, nuoto, judo, scherma e danza moderna, ma Matilde si era arresa pochi giorni dopo ad ognuna di queste discipline; l'aveva portata da quattro dietologhe diverse, ma non c'era stato verso di farle seguire per più di due giorni le diete prescritte; l'aveva portata da alcuni psicologi per capire qual era il motivo di così tanta ingordigia, ma Matilde era come una fortezza ed eludeva le domande degli psicologi con frasi neutrali. La signora Ester sapeva che in parte era anche colpa sua, della sua separazione col marito che, oltretutto, si limitava a dire che era meglio avere una figlia grassa che un'anoressica. L'ex-moglie sperava con tutto il cuore che avesse ragione.
Quella sera, dopo che Matilde ebbe mangiato tre piatti di pasta al sugo, due bistecche impanate e un intero salame, la signora Ester chiese alla figlia di venire con lei a portare giù il cane. "Chissà che non smaltisca almeno un quarto della cena di stasera..." pensava dentro di sè. Ma Matilde rifiutò; la signora mise il guinzaglio a Briciola, una piccola terrier nera, e si avviò sconsolata fuori dal condominio.
"Finalmente!" gioì Matilde dentro di sè. Quando sua madre la lasciava da sola poteva sfogarsi liberamente, senza darsi un contegno. Aprì il frigorifero in cucina: la prima cosa che le si stagliò davanti come una visione fu una torta-gelato alla panna e fragole. La prese e l'appoggiò sul tavolo, poi chiuse il frigo e ispezionò il resto della cucina. Dopo qualche minuto di ricerca e valutazione, sul tavolo della cucina erano disposti, oltre alla torta-gelato, tre budini alla vaniglia, una crepe alla nutella e zucchero a velo pre-confezionata, un intero barattolo di biscotti al miele, due focacce alle olive e un contenitore pieno di glassa rosa.
Matilde si sedette... e diede sfogo ai suoi mali. Si avventò sulla torta infilando la mano destra nella panna e portandosi la "fetta" alla bocca; nello stesso tempo la mano sinistra prendeva una focaccia e la portava alle labbra, dove i denti strapparono il pane e le olive. Il dolce sapore della panna e fragole e quello dell'olio e delle olive si confusero insieme mentre Matilde masticava e ingoiava il tutto. Con una mano sporca di panna e l'altra unta di olio aprì il barattolo dei biscotti, ne prese una manciata e se li ficcò in bocca, masticandoli insieme ai rimasugli di pizza e di fragole. Ebbe difficoltà ad aprire le confezioni dei budini, ma alla finè ci riuscì e usò la lingua per leccare il budino; la stessa sorte toccò agli altri due. Con la bocca sporca di panna e briciole, Matilde spremette la glassa rosa sulla focaccia rimasta e se la mangiò in due bocconi.

Una fitta al cuore la colse, come se un piccolo coltello o un ago glielo avesse trafitto.
Da un po' di tempo le succedeva, ma lei ignorava. Tanto durava poco.
Infatti, anche stavolta ignorò e continuò a mangiare.

Prese la crepe sporcando l'involucro trasparente di panna bianca e di miele e le diede un morso. Con un suono gutturale sputò subitò ciò che aveva sul tavolo. "Devo stare attenta..." pensò mentre toglieva dall'impasto un pezzo di carta. Per poco non se lo mangiava...
Dopo averla finita, prese il barattolo, ci spremette dentro il resto della glassa, lo sollevò sulla propria testa e fece scivolare nella sua bocca il resto dei biscotti.

Dolore. Un lama le frugò nella pancia, un coltello le pugnalò il cuore. Un formicolio alla mano sinistra risalì fino al braccio.

Matilde non aveva neanche la forza di urlare, le mancava il respiro. Si portò la mano destra al braccio sinistro, sporcandoselo. Poi sentì ancora più forte il dolore alla pancia e se la tenne stretta. Sentì un conato di vomito salirle per la gola. Chinò la schiena e vomitò.
Vomitò la torta-gelato, la crepe, le focacce, la glassa, i biscotti... e infine, con un singulto, una roba viscosa giallognola e nera. La sua bile. I suoi umori.
-Aaaah...- ansimò accasiandosi a terra, sui propri liquidi. Il formicolio si era fatto più intenso, si portò la mano destra tremante al petto.

*****************************************************************

La signora Ester tolse il guinzaglio a Briciola e aprì la porta di casa con le chiavi. La cagnolina sgattaiolò immediatamente in cucina, probabilmente per bere, mentre la donna si tolse la giacca e l'attaccò all'appendiabiti all'entrata. Tirò su col naso. La notte si stava facendo fresca... e cos'era quell'odore? La signora Ester annusò uno strano odore in casa sua. Era dolce e amaro, faceva storcere il naso e allo stesso tempo ti veniva voglia di annusarlo ancora.
Fu interrotta da un rumore disgustoso. Bricola aveva vomitato!
"Questi cuccioli!" pensò la signora Ester mentre si avviava di fretta in cucina "Chissà cos'avrà mangiato questa sciocchina..."
Si fermò sulla soglia. Odore acre nell'aria.
Non si seppe dire su cosa si concentrò lo sguardo della donna. Il fatto era che ogni cosa là dentro avrebbe fatto scappare via dal disgusto o almeno chiudere gli occhi. Ma una madre è una madre; non chiuse gli occhi, nè si voltò, nè fece qualche altra azione che implicava disgusto. Non c'era espessione in quel viso stanco.
Briciola aveva vomitato la sua cena sul viso di Matilde. Era ovvio che aveva assaggiato quella sostanza giallo-nera sul quale era stesa la ragazza; le aveva sporcato gli occhiali e un occhio, ancora aperto e terribilmente vitreo. C'erano altri liquidi oltre a quello giallo-nero, sostanze che la signora avrebbe poi identificato come i dolci che sporcavano il tavolo della cucina.

I medici dissero che un infarto l'aveva stroncata. Certo che alla sua età era un caso più unico che raro... Oltre all'infarto, si scoprì che Matilde soffriva di diabete potenziale ed era iperglicemica. I suoi valori arrivavano a 203. Il suo colesterolo era alle stelle, quasi inumano.
Uno dei medici fece una battuta di fronte ai genitori:
-Be', non che ci volesse un esperto, si poteva benissimo supporre ad occhio!-
Il padre di Matilde era un avvocato e il medico, dopo circa due mesi, divenne uno dei barboni che girava per le strade del quartiere.
Stranamente, da quella disgrazia, nacque un evento felice. Matilde lo avrebbe apprezzato: i suoi genitori si rimisero insieme. ll loro era un male comune e non poterono fare altro se non piangere insieme, alleviarsi il dolore a vicenda, un po' per volta.
Ebbero un bambino tempo dopo. Lo chiamarono Steven.
I coniugi erano pazzi di lui.
Quando mangiava era così uguale alla loro povera Matilde...


Waaaa! La mia prima horror!!! Be', diciamo che questa sembra più una splatter... Comunque all'inizio non era previsto un lieto fine per i genitori, anzi ci doveva essere un suicidio. Ma già ero abbastanza disgustata mentre scrivevo e non avevo proprio voglia di piangere. Di solito non metto qualcosa di me nelle mie fanfiction, ma qui c'è. Questo non vuol dire che io sia super grassa o iperglicemica, o che abbia gli occhiali e i capeli castani. Punto di più sugli episodi di vita vissuta... Oh, bè, chi vuole recensisca. Io penserò a un prossimo peccato.
Adieu.


Trilla.

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Capitolo 2
*** Accidia ***


Sette peccati:

Accidia

Ora vi racconterò una fiaba che le mamme di qualche tempo fa usavano per far lavorare i propri figliuoli. Ma forse è meglio, visto che questa è una fiaba, che incominci a narrare dicendo...

C'era una volta, in un paese della Russia, un re molto pigro. Gli abitanti del suo regno lo chiamavano Re Fannullone, deridendolo.
Giravano molte voci sulla sua proverbiale pigrizia, in città: ad esempio, si diceva che al matrimonio del fratello minore egli avesse declinato l'invito dicendo "Fratello mio, sono stanco, perchè non vieni a sposarti qui da me?", suscitando l'ilarità della propria corte.
Un'altra voce, più macabra, raccontava della defunta moglie del re e del modo in cui era morta. Si diceva che la regina stesse sistemando dei fiori nei vasi sul balcone della torre più alta del castello; il re, nel frettempo, leggeva svogliatamente un libro sdraiato su un divano. Improvvisamente la regina lanciò un grido e il re, allarmato, andò alla finestra, alzò lo sguardo per vedere da chi proveniva l'urlo e con orrore scoprì la moglie che si teneva aggrappata alla ringhiera del balcone. Il re chiamò un valletto e gli disse di andare a chiamare le guardie e di recarsi immediatamente all'ultimo piano della torre più alta per salvare la sua sposa. Il valletto corse più veloce della luce e, arrivato al piano terra, chiamò i soldati che, veloci anch'essi come lampi, corsero su per le scale; passarono anche per il piano del re, che continuava a rimanere affacciato alla finestra. Quando arrivarono all'ultimo piano, le guardie e il valletto si affacciarono al balcone: la regina, ormai, giaceva a terra in una posa innaturale, con l'osso del ginocchio della gamba destra in fuori e un'aureola di sangue intorno ai riccioli biondi. Ai funerali il re pianse, poichè egli era pigro ma non senza cuore; tuttavia i suoi sudditi non lo rispettarono più da allora in poi, pensando che se il loro re, invece di mandare a chiamare guardie e valletto, si fosse precipitato su avrebbe salvato la regina.
Tuttavia girava un'altra versione dell'accaduto, la meno accreditata e forse la più veritiera: la regina soffriva da tempo di depressione a causa della perdita di un figlio, così si recò sulla torre più alta e si gettò da essa. Probabilmente il re stava davvero facendo altro in quel momento, forse assistì alla scena e chiamò le guardie, ma certamente non si recò lui di persona a salvarla.
Queste però erano solo voci, e nessuno avrebbe mai saputo la verità dato che il re non voleva ricordare quel triste evento.
In quei tempi i regni vicini erano sconvolti dai saccheggi ad opera di un consistente esercito di stranieri, barbari dai capelli neri e i turbanti venuti dalla Turchia con l'intenzione di conquistare la Bretagna. Fu così che il fratello del Re Fannullone chiese di essere convocato per parlare di questi barbari:
-Fratello mio, dobbiamo allearci e combattere contro di loro prima che arrivino qui!-
-Ma no, fratello!- ribattè il Re Fannullone che non aveva alcuna voglia di scendere in campo -Non è detto che questi barbari continuino a devastare la nostra terra. Potrebbero benissimo decidere di spostarsi...-
Il colloquio terminò pochi minuti dopo. Il Re Fannullone non voleva sentire ragioni, così il fratello rinunciò a combattere da solo.
"D'altronde" si disse il Re Fannullone "chi non preferirebbe restarsene a casa propria in panciolle, piuttosto che scendere in un campo di battaglia e togliere delle vite?". Così usava discolparsi il sovrano, in genere...
Arrivò però un brutto giorno. Circa due settimane dopo la sua visita, il regno del fratello del re venne devastato; il re mandò allora un servo per farsi dire che cosa ne era stato di suo fratello e della sua famiglia e in che condizioni era la città.
-Maestà, una cosa terribile!- annunciò il servo in preda all'orrore, quando fu di ritorno -Le case della città sono quasi tutte bruciate! Gli uomini sono stati mutilati dei loro arti, mentre alle donne è stata tagliata la testa! Tutti i neonati e i bambini della città sono stati accatastati in una montagna di corpi bruciati! E vostro fratello e la sua famiglia sono stati impalati davanti al palazzo reale. Vostro fratello era il più in alto e il suo palo era ricoperto d'oro; sua moglie era ricoperta di miele e gli insetti le divoravano la faccia; al figlio maggiore è stato reciso un braccio e perdeva sangue; il figlio minore era ancora vivo quando sono arrivato. Scivolava sempre più giù sul palo, che era stato unto di olio per facilitare la discesa, e si graffiava la faccia dal dolore. Purtroppo è morto poco dopo...-
Il re iniziò a piangere e ordinò ai suoi sudditi di vestirsi a lutto per il fratello per una settimana. Lo stesso giorno, uno dei ministri si fece avanti e chiese al re di viaggiare il più in fretta possibile a Roma, per chiedere aiuto alla chiesa cristiana di scacciare gli infedeli turchi. Ma il Re Fannullone rispose:
-Mio buon ministro, se lasciassi il mio paese adesso i barbari attaccherebbero! Non vorrai che lasci la capitale incustodita, vero?-
Il ministro dubitava, conoscendo la natura del suo sovrano, che la ragione fosse questa.
Il sesto giorno di quella settimana di lutto i barbari attaccarono.
Il loro capo era un uomo fiero e coraggioso. La sua crudeltà era citata nei libri e suscitava tra i suoi sudditi un misto di rispetto e timore, poichè sapevano che egli puniva dolorosamente chi commetteva dei crimini, e sapevano anche che era un uomo facile preda della rabbia. Era forse la nemesi del Re Fannullone, poichè scendeva sempre in battaglia con i suoi uomini, sempre il primo tra le sue fila, pronto ad abbattere i nemici e i suoi uomini codardi se voltavano la schiena alla battaglia.
A cavallo del suo arabo bianco, puntò la sciabola contro la città e gridò ai suoi uomini:
-ABBATTETELA!-
I soldati oltrepassarono il loro comandante e attaccarono.

**************************************************************
Il Re Fannullone strisciò sanguinante fino all'uscita del palazzo. I turchi avevano attaccato presto, troppo presto. Sarebbe dovuto andare a Roma a chiedere rinforzi, come il ministro gli aveva consigliato; a proposito del ministro, egli era nella sala del trono, un'ascia gli aveva reciso una parte della faccia e aveva tagliato a metà il bulbo oculare sinistro.
Il re si era slavato per miracolo. Guardò il alto, verso il cielo... e si sdegnò: come poteva quel cielo che assisteva alla disfatte della sua città essere così blu? E con quelle vezzose nuvole bianche, poi! Neanche il fumo degli incendi sembrava oscurarlo un po'...
Ancora a terra, si trovò improvvisamente faccia a faccia con degli stivali neri. Alzò ancora lo sguardo... e vide il suo carnefice.
Il capo dei turchi sorrideva, si sarebbe potuto dire, bonariamente. Chiuse gli occhi, sospirò, si stiracchiò le braccia e poi si guardò intorno soddisfatto.
-E' una bella giornata per una battaglia, vero?- chiese al re ai suoi piedi, senza guardarlo direttamente. Questo pensò che forse quel barbaro gli avrebbe risparmiato la vita; dopotutto, non sembrava poi così malvagio.
-Sei in grado di alzarti?- gli chiese ancora il turco.
-Sì, credo...- rispose il re sempre più speranzoso.
-Ah!- sbottò il comandante. Teneva nella mano destra la sua sciabola ancora grondante di sangue -Allora impugna la tua arma e combattiamo.-
Il re spalancò gli occhi impaurito e non osò muoversi da terra. Egli aveva un'arma, la portava sempre con sè: una spada dall'impugnatura d'oro, che però non usava oramai da anni!
-Ma... ma non vorrai combattere contro di me, che sono ferito così!- e accompagnò le parole ai gesti mostrando la schiena decorata di un lungo taglio. Ma il turco rise malignamente e rispose:
-So bene come ti sei procurato quel taglio, perchè l'uomo che ti ha colpito mi ha informato...- la sua voce, dapprima calma ma tonante, divenne sprezzante e disgustata -Sei scappato via, hai voltato le spalle! Sei un vigliacco!- e senza preavviso affondò la sciabola nella spalla destra del re, che gridò di dolore.
Il comandante turco chiamò e i suoi uomini e disse loro:
-Ceniamo qui stanotte! Preparate i pali...-
I soldati preparano un lungo palo sotto ordine del loro capo e lo cosparsero di olio. Poi vi incisero sopra delle tacche, al fine di aumentare il tempo dell'agonia della vittima rallentando la sua discesa; dopodichè si fecero portare il re, che aveva continuato a giacere sofferente.
I soldati lo fecero sdriare con la pancia a terra, gli legarono le mani dietro la schiena con una corda e la assicurarono a ciascuna delle caviglie dell'uomo, cosicchè quando tirarono le funi le gambe si divaricarono.
Quattro uomini sollevarono orizzontalmente il palo: era largo alla base e molto sottile in punta, dove era rivestito da una piccola copertura di metallo smussata. L'appoggiarono su due grossi cilindri usati come rulli per farlo scorrere.
Il re gemeva; non era molto cosciente di quel che gli stava succedendo, il dolore lo annebbiava. Senti qualcuno, sicuramente uno di turchi, che si inginocchiava dietro di lui e tagliare la stoffa dei calzoni in mezzo ai glutei. Si chiese quale orribile atto di violenza volessero infliggergli, quegli infedeli, ma non ebbe il tempo di darsi una risposta che un dolore acutissimo lo sovrastò. Senti l'ano bruciare ed ebbe l'impressione che la sua persona stesse per spaccarsi a metà, quando sentì un forte colpo e la cosa appuntita fini ancora più in profondità toccando l'intestino.
Il re urlava, piangeva, chiedeva pietà, la schiena era inarcata come quella di un delfino. Per far entrare il palo del corpo dell'uomo, uno dei soldati più robusti si era armato di un grosso e pesante martello e dava ripetuti colpi di mazza al palo; nel frattempo diceva agli uomini che tenevano la fune a cui erano legate le caviglie del re come tirarle, in modo tale che il suo corpo fosse nella posizione giusta per non dilaniare gli organi vitali.
Il re smise di urlare al terzo colpo. L'aria gli serviva solo per respirare perchè il palo appuntito aveva lacerato gli intestini. Non sapeva più neanche chi era, sentiva solo quel maledetto e atroce dolore che faceva pulsare tutto il suo corpo, anche se la parte che maggiormente gli doleva era l'ano che si allargava sempre di più mano a mano che il palo entrava.
Una protuberanza gli si formo sulla spalla destra, segno che l'asta era arrivata fino a lì e che doveva uscire in qualche modo: non si ebbe bisogno di incidere una croce sulla spalla, per prendere la mira, poichè si intravedeva, tra il sangue e i lembi di carne strappata, la punta di metallo del palo. Ancora due colpi e l'asta fuoriuscì dalla scapola del re, schizzando un po' di sangue su un soldato lì vicino (che si lamentò sonoramente) e lacerando la carne e la pelle.
Nel frattempo il capo dei turchi si era fatto imbandire una tavola davanti al palazzo, circondato da uomini e donne impalati. Rimaneva uno squarcio tra tutte quelle vittime, riservato al re che stavano portanto i soldati. Piantarono l'asta proprio davanti al banchetto del comandante turco.
Il re cominciò lentamente a scivolare verso la base del palo; il sangue gli colava dalla bocca, dall'ano e dalla spalla. Vide il turco mangiare la propria cena di gusto, incurante del fetore che emanavano i corpi dilaniati degli impalati. Ad un tratto questo si rivolse al re alzando una coppa di vino e dicendo:
-Brindo a te, Re Fannullone. No, anzi! Brindo alla tua pigrizia, che mi ha permesso di vincere questa battaglia. In effetti, il risultato non sarebbe stato lo stesso se ti fossi alleato con quel regno che abbiamo conquistato una settimana fa, o se avessi chiamato aiuti dalla vostra chiesa...-
Fu l'ultima cosa che il re sentì. Non abituato al dolore, vomitò un'ultima volta sangue e, roteando gl'occhi, morì.
Il comandante turco bevve un lungo sorso di vino, si pulì i baffi con un tovagliolo e poi aggiunse malinconicamente, guardando le nuvole bianche sopra di sè:
-Come vorrei che tutte le mie conquiste avvenissero sotto un cielo così blu!-




Ma il cielo è seeempre più blu! Non so come mai, ma ho trovato tantissimi spunti comici per questa storia. Sapete quando il capo dei turchi grida ai suoi uomini "Abbattetela!", rivolto alla città? Ecco, lì all'inizio avevo pensato di scrivere:
A cavallo del suo arabo bianco, puntò la sciabola contro la città e gridò ai suoi uomini:
-THIS IS SPARTAAA!-

Ok! Basta con le scemenze XD Ecco un altro peccato: l'accidia, la pigrizia! Aaah, Dio solo sa quanto ne soffro! Ma lasciatemi ordunque (influenzata dallo stile di scrittura fiabesco...) alcune cosette su questa novella:
1) All'inizio ho collocato il regno del re in Russia. Forse, alcuni di voi (quelli che si divertono con la settimana enigmistica) hanno notato che non ho chiamato il re Zar, nonostante ci si trovi in Russia. E' presto detto il perchè non l'ho fatto: il termine Zar, da come spiega Wikipedia, fu usato per la prima volta nel 1700 e qualcosa ad opera di un imperatore per definire la sua stirpe. E da lì in poi è storia.
Siccome desideravo aggiungere nella storia il personaggio di cui parlerò qui sotto ho pensato che il regno del re fosse durante il 1460 o giù di lì... Ecco perchè non uso questo termine.
2) Come ho detto sopra, la storia è ambientata nel 1460 o giù di lì, ovvero il periodo in cui una certa figura storica viveva il suo tempo. La storia e la psicologia di quest'uomo mi hanno sempre affascinato, e ho pensato sempre come sarebbe stato averlo nel nostro tempo come politico... comunque si tratta di Vlad III di Valacchia, o Vlad Tepes, o Vlad l'Impalatore, o Dracula (ma questo nome lasciamolo perdere...). Costui, che secondo le leggende è il vampiro per eccellenza, durante il suo regno ha compiuto terribili atti di  crudeltà: chi si macchiava di tradimento o di qualsiasi altro crimine veniva impalato; chi non gli andava a genio, lo faceva arrabbiare, gli faceva torto anche inconsapevolmente veniva impalato. Vlad aveva persino inventato vari metodi per impalare le persone a seconda della classe a cui appartenevano e aveva preso abitudine di banchettare vicino agli impalati (il banchetto dove viene impalato il re... U_U), perchè voleva vederli soffrire. Aveva un grande (e molto personale) senso della giustizia: gradiva le persone pronte di mente, gli spiritosi e premiava il coraggio dei suoi soldati se quisti non avevano arretrato di fronte al nemico. Amava anche i complimenti, ma se scadevano in adulazione si arrabbiava e, volgarmente detto, erano cazzi! Nonostante questa crudeltà e il timore che incuteva, Vlad era anche un grande condottiere, coraggioso fino all'estremo e un buon marito: amò tantissimo la prima moglie, ma purtroppo questa si suicidò buttandosi da una torre per non farsi prendere dagli invasori (mi sono ispirata a questo episodio per il suicidio della moglie del re), e Vlad divenne, se possibile, ancora più crudele.
Fatto questo piccolo riassuntino posso affermare che il condottiero dei Turchi che invadono la città del re è liberamente ispirato alla figura di quel grande uomo morto troppo presto che era Vlad III.



RECENSIONIIIII:

violettamiciamiao: Spero davvero che Steven non faccia la stessa fine, piuttosto... non dovrebbe visto hce i genitori non si sono separati... Boh! Questa storia mi è uscita di getto, quindi... :D

nikoletta89: Come ho risposto a violetta non dovrebbe succedere, la situazione è diversa, ma dopotutto chi può dirlo! Mwuahahahahahaha!!!! *o* E grazie per aver detto che la scena è stata disgustata, era quello che volevo ottenere! ;-) (ps: per capire cosa si provava ho provato a mangiare un KitKat e un pezzo di pizza bianca insieme! Buono!)

XXManu: Dopotutto non si dice sempre "la colpa è dei genitori?" U_U Comunque all'inizio non volevo che i genitori fossero una figura negativa, specialmente la madre.  Mi sono ispirata molto alla madre di una mia amica anoressica, che tentava in tutti i modi di aiutarla, ma la figlia ignorava i suoi sforzi. E nonostante questo la madre continuava a consigliarla... Forse la vera figura negativa è il padre, che non ha fatto niente! O_o

Miss_Juls_giu: grazie per il consiglio, come vedi l'ho seguito! In questa storia è messo una figura per me molto importante! :D Non credo però che nelle altre mie precedenti ne troverai molte: erano tutte fanfic di manga e anime e tutte demenziali! XD

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Capitolo 3
*** Avarizia ***



Sette peccati:

Avarizia

-Ciccio, passa!!- gridò Cremino correndo a perdifiato verso il compagno. Ciccio però passò la palla a Uccia, che trovandosi davanti alla porta segnò un potentissimo goal.
Cremino sbattè a terra il cappello e ci saltò sopra dalla rabbia.
-Non è possibile, non è possibile!- urlò fuori dai gangheri -Non me la passi mai, tu!-
-E' che non eri vicino alla porta...- si scusò Ciccio, poi aggiunse guardando Uccia -Complimenti, bel tiro!-
-I suoi calci potrebbero abbattere un muro di mattoni!- scherzò Man. Uccia sorrise lusingata e si lisciò il vestito nero.
La piccola partita di calcio si era conclusa, i bambini tornarono a casa e mangiarono a sazietà un caldo pasto, dopodichè furono messi a letto dai loro genitori che gli diedero il bacio della buonanotte e augurarono loro di fare dei bellissimi sogni.
Vorrei poter scrivere questo.
Purtroppo è mio triste compito raccontare la vicenda come si è svolta realmente, presentare i personaggi come sono in realtà.
Quindi, quei bambini non tornarono mai a casa dalle loro famiglie, perchè non ne avevano. Il loro campo di calcio era la strada, la palla una lattina e la porta un muro pieno di graffiti.
Orfani, tutti quelli citati all'inizio. Orfani quelli che citerò tra poco. Orfani tutti loro.
Vivevano per la strada già da cinque anni, tutti insieme. Un gruppo formato da sette monelli.
Si erano dati dei soprannomi a vicenda, visto che, di solito, chi vive vagabondo come loro tra i vicoli di una città non usa mai il nome con cui è stato chiamato dai genitori. E comunque far sapere il tuo vero nome in un ambiente come quello è pericoloso.
Loro erano i figli della strada, i figli della città, come affermava sempre Man.
Ecco, comincerò a descriverli partendo dal più grande di loro, il capo: Man. Era un ragazzotto sui quattordici anni, muscoloso e sempre con il viso pieno di lividi, segno che le risse erano il suo pane quitidiano. Man si occupava quasi a tempo pieno di una bimbetta bionda di appena cinque anni, Lea, che trattava come una sorellina. L'aveva trovata una sera, circa quattro anni fa, dentro un cassonetto e da allora se ne era occupato.
Il miglior amico di Man si chiamava Ciccio ed era, possiamo dire, il vice capitano della banda. Come s'intuisce dal soprannome, Ciccio era tutto lardo, e nessuno ne capiva il motivo perchè non mangiava quasi mai, essendo un poveraccio come gli altri.
Il ragazzino chiamato Cremino era un po' il classico monello della strada: aveva la giacca di quarta o quinta mano, un grosso basco rattoppato sulla testa, i pantaloncini sfrangiati e le scarpe rotte. Ed era una testa calda. Lui ed Uccia bisticciavano spesso, nonostante fossero cugini.
Uccia era una ragazzina coi capelli corti, neri e unti. Aveva due grandi occhiaie sotto gli occhi, anch'essi neri, ed era una specie di maschiaccio. Sapeva di essere cugina di Cremino perchè ricordava la modesta abitazione dei suoi genitori andare in fiamme e il bambino gridare "Zio, zia!"; comunque allora aveva solo sei anni e i ricordi riguardo a questo erano confusi. Cremino era più piccolo di lei di tre anni e non ricordava di certo.
Un'altra componente femminile del gruppo era Lulu. La bambina di soli undici anni era stata particolarmente sfortunata nella sua breve vita: una sera di qualche anno fa un ratto le aveva morso il ginocchio destro e quella notte stessa la ferita si era infettata, facendo diventare l'arto rosso e pulsante. I suoi amici avevano provato a chiamare un dottore, ma questo si era rifiutato di fare qualsiasi cosa perchè sapeva che non sarebbe stato pagato. Giuppa le recise la gamba con un coltello da cucina. Ci vollero un'ora intera per tagliarla tutta e Lulu per poco non moriva da dolore; ma adesso era lì, ad assistere a tutte le partite di calcio dei suoi compagni, munita di stampella e benda a coprire la parte monca.
A proposito di Giuppa, era una ragazza dagli occhi a mandorla vestita di capi di vario genere. Non parlava mai, infatti i suoi amici pensavano non conoscesse la loro lingua nonostante aiutasse sempre quando c'erano dei guai, come nel caso di Lulu. Stava sempre in disparte e giocava con una specie di peluche bianco, forse un pesce, con gli occhi di bottone.
Questi orfanelli usavano giocare spesso davanti ad una casa di cemento grigio piuttosto cadente, piena di crepe e dalle persiane rotte.
In quella casa abitava un vecchio, il signor Stuart Bennet, un uomo che odiava con tutto se stesso quei bambini. Diverse volte uno di quelli là, il più grasso, aveva bussato alla sua porta a chiedere l'elemosina, ma naturalmente lui gli aveva dato una sberla, o un calcio, gridando: "Vai a lavorare, ragazzaccio!".
Non aveva soldi da dare a quei perdigiorno.
Lui non aveva soldi da dare a nessuno!
Il signor Bennet si alzò e attraversò la cucina arrancando sulle gambe tremolanti. Si fermò davanti a un grosso quadro raffigurante delle donne seminude che si lavavano in una fontana al chiaro di luna. L'aveva dipinta lui, quella tela. Prese il quadro e lo posò a terra delicatamente; poi aprì uno sportellino nella parete, aiutandosi con le unghie delle mani: una cassaforte nascosta. Lì teneva i suoi assegni, le banconote, le carte di credito e i gioielli della defunta moglie. Guardò il tutto con occhi luccicanti e un sorriso sdentato sulle labbra raggrinzite. Richiude l'aperutra e coprì il tutto con il dipinto.

Aprirò una parentesi per spiegare come mai il signor Bennet era ridotto a fare quella vita povera, nonostante egli possedesse tutti quei soldi.
Stuart Bennet, durante i suoi fiorenti ventinove anni, investì tutto ciò che possedeva (centosessantamila dollari) in un negozio di abbigliamento femminile. In dodici anni il suo patrimonio si moltiplicò per circa dieci o undici volte; nel frattempo egli viveva con trecento dollari al mese, perchè voleva a tutti i costi risparmiare. Non mancò inoltre di sposarsi con una ricca vedova francese: madame Danuve, di otto anni più grande del signor Bennet e anche otto volte più ricca.
Purtroppo però la donna venne a mancare poco dopo il loro quarto anniversario, a causa di un incidente autostradale.
Così il signor Bennet divenne erede universale, in quanto madame Danuve (o Bennet che dir si voglia) non aveva nè figli, nè nipoti, e i suoi altri parenti erano quasi tutti anziani in punto di morte.
Facendo una stima, il patrimonio del signor Bennet a quarantacinque anni sfiorava i due miliardi di dollari;  ma l'uomo non era soddisfatto e continuò a fare economia, a non prestare nulla dei suoi averi e a guadagnare ancora, sempre di più.
Verso i sessant'anni ritirò tutta la somma che aveva depositato in banca e la nascose in diversi punti della casa. Il primo nascondiglio era l'apertura dietro al quadro dove teneva poche cose; il secondo una botola nel pavimento del salottino che conduceva ad una stanza piena di mazzi di banconote; il terzo era al secondo piano, sotto il vecchio letto sfondato e sporco; il quarto ed ultimo era nella cantina, in una botte di vino, che di liquido non aveva nulla. Erano in realtà nascondigli banali, ma considerando il posto in cui viveva, le condizioni della casa sia all'esterno che all'interno nessuno avrebbe mai potuto sospettare che il signor Bennet teneva nella dua povera dimora più di quattro miliardi in monete, banconote, gioielli e piccole opere d'arte.
Passavano gli anni e l'uomo accumulava sempre più denaro, senza spendere mai un soldo nè per se stesso, nè per gli altri.
L'avarizia è un sinonimo di cattiveria verso il prossimo, e si paga.

Ritorniamo alla banda di monelli: quel giorno stavano gironzolando intorno alla casa del signor Bennet, chiamato comunemente da loro "il vecchio". Erano affamati, assetati e arrabbiati. I bambini in queste condizioni di solito si distraggono facendo scherzi agli adulti; ma i bambini cresciuti nella strada non scherzano mai, perchè non se lo possono permettere. In un ambiente crudele anche con dei bambini come loro non si può scherzare su nulla, perchè tutto è una questione di sopravvivenza.
Così i sette amici decisero di infastidire il vecchio a modo loro. Pensarono di distruggergli la casa.
Ciccio, che tra di loro ne sapeva di più sul signor Bennet, disse a Cremino di di suonare il campanello e distrarlo. Gli altri passarono dal retro dell'abitazione, dove a un metro di altezza c'era una finestra dai vetri rotti; Man diede un forte pugno ai pochi vetri ancora intatti. Si fece male, ma per lui era una cosa abbastanza normale rompere vetri e legno a mani nude, lo aveva imparato dagli adulti ladri di professione.
Dopo che tutti e sei i ragazzi furono entrati Ciccio andò a vedere se dall'altra parte della casa Cremino stava ancora parlando con il vecchio.
Il ragazzino stava infatti ancora trattenendo il signor Bennet con qualche scusa:
-Mi può dare un pezzo di pane per i miei fratellini?-
-Non ho pane, nè altro per te, ragazzo!- berciò il vecchio e tentò di chiudere la porta, ma Cremino la fermò con un piede e una mano.
-La prego signore, non mangiamo da giorni...- supplicò. Spostò lo sguardo oltre il vecchio e vide il suo compagno Ciccio sulla soglia della porta che gli faceva cenno di venire via, perchè erano già entrati tutti. Il ragazzino fece un mezzo sorriso, ma prima che potesse togliere la mano mano dalla porta il vecchio, senza alcun preavviso, gli recise tre dita.
Cremino strizzò gl'occhi e urlò tenendosi la mano sanguinante. Alzò poi lo sguardo verso il signor Bennet che stringeva tra le dita scheletriche un taglierino.
-Sparisci se non vuoi che ti tagli tutta la mano, criminale!- minacciò. Un vaso gli si spaccò in testa, lasciandogli il cranio pieno di schegge; si voltò e vide quel bambino grasso che cercava sempre elemosina da lui con uno sguardo minaccioso sul volto. Iniziò a sgorgargli un po' di sangue sulla fronte e sull'orecchio.
Pieno di rabbia si avventò su Ciccio urlando con la voce roca e con il taglierino puntato alla tempia del ragazzo.
Ma Cremino era ancora là, anche se soffriva. Ed era arrabbiato. Saltò e si aggrappò al vecchio stringendolo per la gola; il signor Bennet preso alla sprovvista si dimenò come poteva, data la sua età, poi col taglierino iniziò ad accoltellare la schiena di Cremino, che continuava comunque a strozzare il vecchio.
Ciccio intervenne e prese il braccio del signor Bennet voltandolo in senso antiorario e spezzandoglielo. Il fragile e rachitico braccio del vecchio cadde a terra inzuppando i piedi di Ciccio, seguito da un urlo di dolore.
Il signor Bennet cadde a terra. Per un vecchio è faticoso persino respirare, è quindi inutile dire che l'uomo ormai non riusciva neppure più ad alzarsi e si limitava a tenere la parte monca e sanguinante, gemendo.
Però, come ho già detto prima, i bambini cresciuti nella strada non scherzano, nè conoscono mezze misure.
Quando Man, Lea, Uccia, Giuppa e Lulu entrarono nel piccolo salottino trovarono Ciccio che cercava di aiutare alla bell'e meglio Cremino, che perdeva sangue dalla mano e dalla schiena.
Man guardò il vecchio che ancora gemeva dolorante con gli occhi chiusi; guardò il suo braccio oramai bianco e scheletrico e poi tornò con lo sguardo sul vecchio.
Non c'era pietà nel loro mondo. Per nessuno. Il signor Bennet lo aveva appena dimostrato tagliando le dita a Cremino e accoltellandolo. Evidentemente non era l'unico ad aver pensato questo, perchè anche gli altri guardavano minacciosi il vecchio.
-Va' in bagno a cercare delle bende per Cremino.- disse Man a Lea -Noi ci dobbiamo occupare di una cosa...-
Lea ubbidì e corse a cercare il bagno. Aveva una mezza idea di quello che stava per succedere; Man l'aveva mandata via altre volte quando faceva qualcosa di strano o brutto e non voleva che lei vedesse; ecco perchè voleva così tanto bene al suo fratellone, perchè la proteggeva!
Man aveva sferrato un calcio nello stomaco del vecchio non appena la bambina era uscita dal salotto. Uccia lo tirò su per i capelli e gli mollò un potente calcio sulla bocca, facendogli cadere i pochi denti che aveva ancora. Il signor Bennet gridò tenendo gli occhi chiusi.
-Hehe, l'avevo detto io che i tuoi calci potrebbero abbattere un muro di mattoni!- disse Man. Uccia sorrise compiaciuta in risposta e passò il vecchio a Giuppa.
Calò il silenzio. Giuppa aveva dimostrato ai suoi compagni di avere nervi d'acciaio per essere una ragazzina. Aveva tagliato la gamba infettata di Lulu senza voltare lo sguardo una volta e senza fermarsi mai, neanche per fare una pausa. Quando volevano fare veramente del male a qualcuno, Man chiedeva sempre aiuto a lei.
Giuppa lasciò il vecchio per terra, pallido, smorto, sporco di sudore e di sangue. Andò in cucina accanto al solottino ne uscì pochi secondi dopo con un enorme coltello seghettato tra le mani
Si diresse verso il vecchio e senza dire una parola lo prese per i pochi capelli che aveva, lo sollevò alla sua altezza e gli cavò i bulbi oculari infilzandoli e tirandoli via con il coltello.
Il signor Bennet urlò, gridò con tutto il fiato che aveva in gola, come non aveva mai fatto. E morì.
Troppo dolore per un povero vecchio di settantanove anni.

******************************************************
-Tira, tira!- incitò Lulu con le stampelle alzate in aria.
Man scartò gli avversari con abilità e tirò.
-GOAAAAL!!!- gridò felice Lea dalla panchina. Cremino, in porta, sorrise divertito nonstante la sconfitta subita. Le ferite sulla schiena si erano chiuse e Giuppa gli aveva ricucito le dita alle mani con incredibile maestria. Non riusciva a muoverle ed erano leggermente più pallide del resto della mano, ma le aveva attaccate e questo era l'importante.
Ciccio gongolò verso Uccia e la prese un po' in giro:
-Ahah! Noi abbiamo vinto! Noi abbiamo vinto!- cantilenò.
-Sì, ma soltanto di un punto!- ribattè Cremino.
Man sorrise al compagno e si complimentò con lui:
-Bravo Cremino, sei cresciuto! Una volta se perdevi ti arrabbiavi...-.
Il ragazzino arrossì ai complimenti del grande Man. Ciccio intanto ballava facendo rimbalzare la sua grossa pancia.
Uccia sbuffò infastidita dal suo comportamento e disse:
-Dai, andiamo dentro a prenderci una birra, che ho sete...-
-Sì, sì, anch'io!- gridò Lea saltando giù dalla panchina e avviandosi insieme Uccia verso la c
asa in cemento grigio, tutta rotta e cadente.
-Tu non puoi bere la birra, sei troppo piccola!- la rimproverò Man. Poi, vedendola mettere il broncio, la prese in braccio e le disse ancora -Quando avrai dieci anni te la farò bere, okay?-
Anche Cremino e Lulu si avviarono verso la casa sorridendo felici. Ciccio smise di ballare e stiracchiandosi disse a Giuppa:
-Prendi la palla e rientriamo anche noi. Ho un po' di fame...-
Giuppa sollevò le spalle e sospirò. Andò verso la rete, si chinò e prese la testa livida e piena di sangue raggrumato del signor Bennet; si rialzò e corse sorridendo verso la sua nuova casa.




Hello!!! Devo ammettere che questo capitolo non mi piace molto, ma non sapevo che inventarmi con il peccato dell'invidia. Chissà se un giorno i bambini troveranno i soldi del vecchio... Pensate che l'ha letto anche mio padre (l'idea della birra è sua) questo racconto, e straordinariamente ha continuato a ridere tutto il tempo. :D Cioè, pensavo che mi avrebbe considerata una matta con manie omicide e mi avrebbe fatta vedere da uno psicologo per prevenire il mio futuro da serial killer XD Vabbè, non mi resta altro da dire se non che il finale in cui giocano a calcio l'ho preso da Hostel II (quel film è tutto un vomito!).

RECENSIONIIIII (madonna, quante!):

nikoletta89: Wow! Per fortuna non sei l'unica ad aver capito che quello era Vlad... Be' immagino di aver lasciato molti indizi. Si vede che mi piace come personaggio storico? :D Comunque non ti consiglio di provare a mangiare kit-kat e pizza bianca, specie se quest'ultima è piana di olio. Ti fa venire la nause dopo un po'...

lagadema: Personalmente se ci fosse uno così ai giorni nostri sarei felice, perchè tu pensa che allora si adottavano questi metodi crudeli come l'impalamento e le torture, mentre adesso noi utilizziamo la galera, o le multe. E qui in Italia servirebbe un po' di giustizia...

VioletNana: XD l'incantesimo di appello! Pensa che io lo facevo per far venire a me i bicchieri d'acqua sul tavolo, mentre ero stesa nel letto! Gridavo "Accio bicchiere! Accio bicchiere!", poi arrivava mia mamma e me li dava lei... be', però funzionava! O_o Riguardo al capitolo della lussuria, ho già in mente la maggior parte del racconto! *_*

Miss_Juls_giu: Lol! Ecco ilm prossimo peccato: l'avarizia! :D Francamente io non vedo l'ora di scrivere il peccato della lussuria, che sarà probabilmente a rating rosso (ma nn lo cambio perchè voglio che anche chi non è registrato su EFP legga...). Lol! Continua a seguirmi! X3

violettamiciamiao: Io ho odiato quel re! E ho amato quel condottiero! Anzi, in realtà non ho odiato il re... ero molto indifferente... Oh, vabbè, sono molto confusa in questo momento! E poi io sono una pigra cronica, sarebbe stupido se io odiasso qualcuno che è pigro come me, no? :D

incasinata: OMG! Anche in questa sezione! :D Non preoccuparti per il commento triste dell'altro capitolo, non mi sono mica offesa! XD Comunque solo perchè scrivo storie horror non vuol dire che io sia triste, anzi! Scriverle mi rende felice (mmmh, sembra il discorso di una sadica).

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Capitolo 4
*** Invidia ***



Sette peccati:

Invidia

Urla.
Qualcuno sta urlando.
I primi pensieri che passarono per la sua mente furono quelli. Non il dolore al petto, non l'odore di sangue nell'aria, ma le strazianti grida che gli trapanavano il cervello.
Riaprì gli occhi e si accorse di essere nudo, sdraiato su un pavimento color rosso vivo, come i muscoli senza pelle di una persona. Al tatto era leggermente viscoso e sembrava davvero la carne di una persona!
Si rialzò pulendosi le mani sul petto e fu allorà che lo notò: un buco. Un buco all'altezza del cuore, dove prima gli faceva male, un piccolo buco nero di sangue coagulato.
Spaventato, emise un gemito e infilò un dito tremante nell'apertura; tastò qualcosa di morbido e carnoso, ma si fermò subito perchè sentì un dolore pulsante al cuore... o a quel che ne era rimasto.
-Benvenuto peccatore.- disse una voce dietro di lui.
Si voltò e si parò gli occhi con la mano perchè una luce troppo pura e bianca lo accecò immediatamente. La voce continuò, calda, gentile e benevola:
-Seguimi, uomo. Ti porterò in un luogo in cui potrai espiare i tuoi peccati e ascendere al cielo.-
Si stropicciò gli occhi e finalmente vide l'essere a cui apparteneva la voce: non sapeva definirne il sesso tanto era bello, ma era alto, dai capelli lunghissimi e castani e gli porgeva la mano destra dalle dita lunghe e affusolate. Aveva la carnagione chiara e gli occhi luminosi, non si sarebbe potuto dire di che colore, erano semplicemente due pozzi d'acqua limpida. Tutta la sua figura emanava calma, speranza e un dolce tepore simile a quello di una madre.
In un'improvviso attacco d'invidia desiderò poter togliere quei begli'occhi trasparenti alla creatura e tenerli per sè.
E fu in quel momento che,
senza sapere nulla di quella creatura, capì che era un angelo. E capì anche di non essere più in vita.
Delle urla più forti lo distolsero dalla piacevole contemplazione dell'essere superiore, riportandolo alla realtà e facendo sorgere nuovi interrogativi.
-Che posto è questo?- chiese.
L'angelo aprì le armoniose labbra e rispose con voce ferma:
-Il Purgatorio.-
-E come mai sono al Purgatorio? Sono morto?-
-Sì.-
Si toccò il petto, dove aveva scoperto quel buco e trattenne il fiato. Poi si accorse che non respirava. Non aveva respirato già da quando si era svegliato...
-Ma io chi sono?- chiese più a se stesso che all'angelo, ma questo rispose comunque.
-Ora non sai chi sei e hai perso te stesso, ma qui ti ritroverai.-
-Tu puoi dirmi chi sono, vero?- ma l'angelo sorrise e gli occhi sembrarono per un istante pozze d'acqua stagnante.
-Se sei qui- rispose -vuol dire che sei un peccatore, più precisamente un invidioso.-
-Invidioso...?- ripetè il ragazzo.
-Tu hai desiderato possedere qualcosa che non avevi, e hai desiderato che chi l'aveva lo perdesse, così da essere come te.- spiegò con calma l'angelo -Qui non importa chi sei, ma cosa hai fatto e cosa puoi fare per rimediare.-
Il ragazzo si morse il labbro inferiore e si tastò di nuovo il petto, chiedendosi come mai non si sentiva particolarnente spaventato o agitato dopo essersi dimenticato il suo nome, aver appreso di essere morto e che stava probabilmente per essere punito. Probabilmente era la presenza di quella creatura celeste ed eterea che gli sorrideva e lo guardava con compassione.
-Ma tu chi sei?- chiese infine.
La creatura luminosa rispose:
-Sono Rachmiel, l'angelo della misericordia dovuta alla compassione per la miseria altrui. Basta parole adesso, è tardi e devi iniziare ad espiare i tuoi peccati...-
Rachmiel tese ancora la candida mano al ragazzo e questi la prese timoroso. Si avviarono lentamente lungo un tunnel rosso come le carni degli uomini, accompagnati da urla continue.

******************************************************
Non seppe dire dopo quanto uscirono fuori dal tunnel. Gli sembrva, in effetti, di non sapere più nulla, di non avere più certezze. C'era solo il sommo Rachmiel a sostenerlo e a guidarlo, l'unica sua fonte di speranza in quel momento.
Ancora, non sapeva cosa aspettarsi, ma la scena che vide alla fine di quel tunnel di morte lo scioccò ed inorridì allo stesso tempo: su di un lungo ponte di pietra stavano migliaia di uomini e donne in fila per uno, corpi nudi si contorcevano e gridavano. Gridavano  gli uni alle orecchie degli  altri senza un apparente motivo.  Il ragazzo notò che tutte le persone avevano gli occhi cuciti con fil di ferro e le mani mozzate.
Si girò spaventato verso l'angelo, in cerca di rassicurazione:
-Cosa... che cosa...?- indicò con mano tremante quei copri sofferenti che gridavano e si cercavano  tra di loro -...perchè...?-
L'angelo Rachmiel sorrise e rispose:
-Perchè urlano? Perchè sono stati cuciti loro gl'occhi? Perchè sono state mozzate loro le mani?-
Il ragazzo pianse un poco e annuì e Rachmiel proseguì:
-Questi che vedi sono gli invidiosi. Uomini che nella loro vita hanno desiderato possedere la roba d'altri e hanno augurato loro sventura, come hai fatto tu.-
Tra le mani dell'angelo apparve una lama scura e lucida che creava una strana contrapposizione con la purezza della luce emanata dall'angelo; Rachmiel la impugnò con forza e, senza alcun preavviso, recise le mani del ragazzo.
Pianse calde lacrime, urlando disperatamente e chiedendosi il perchè di quel gesto da parte di una creatura tanto bella e amorevole; si guardò le ferite dal quale il sangue sgorgava a fiotti. Poteva vedere al centro l'osso bianco che spiccava tra il colori accesi dei tendini e dei muscoli Guardò l'angelo con una supplica negli'occhi.
Rachmiel sorrise dolcemente, sembrava emanare ancora più luce.
-Non preoccuparti. La punizione potrà essere dura e penosa, ma alla fine andrai in Paradiso.- e detto questo tra le sue mani comparirono un lungo ago d'argento e del fil di ferro. Rachmiel inserì il filo nella cruna dell'ago con estrema facilità, come se invece di ferro stesse usando comunissimo spago. Il ragazzop tentò di scappare attraverso il tunnel di carne, ma ecco che arrivarono altri angeli, bellissimi, luminosi, celestiali, e gli tennero ferme le gambe e le braccia.
Ed ecco la punta dell'ago che penetrava nelle sue morbide e fragili palpebre, bucando addirittura gli occhi. Urlò, chiese pietà, ma le creature sovrannaturali gli risposero dicendo che era per la sua salvezza e il suo bene. Tuttavia il ragazzo trovò incredibile il modo in cui la mano di un angelo potesse essere tanto pesante, e continuò a supplicare che smettessero.
Dopo circa qualche minuto di sofferenza, sentì qualcosa di caldo e liquido che colava lungo le sue guance. Sangue. Gemette spaventato quando si sentì sollevare dagli angeli e appoggiare su una strada di pietra stretta, accalcato a dei corpi ululanti.
Il panico si impossessò di lui e iniziò ad agitarsi sfiorando a tentoni ciò che lo circondava, ma senza le mani le sue percezioni erano diminuite moltissimo e senza la vista tutto lo spaventava e lo rendeva insicuro.
Così capì perchè tutti gridavano. In quell'infinito buio che li circondava, quegli uomini avevano bisogno di un qualcosa che li tenesse a contatto con la realtà e non li facesse perdere nell'oblio.
Allora prese fiato e cominciò a rulare con tutta la sua voce, ricordandosi le ultime cose che aveva visto per prima della sua punizione: gl'occhi dell'angelo.
Lo sguardo di Rachmiel era liquido come acqua. Acqua stagnante.
 


 




Benvenuti all'inferno di Dante!!! Mwuahahahaha!!! Forse c'era chi si aspettava di trovare il capitolo sulla Lussuria dopo un periodo di tanta inattività, giusto per farmi perdonare... e invece no! Orsù, eccovi l'invidia (finalmente ho trovato qualcosa da scriverci su!), un sentimento che accomuna spesso noi (me, perlomeno, ho 16 anni) adolescenti! Quante volte ho desiderato possedere il ragazzo di una mia amica... Va bene, la finisco qui... Solo una cosa: sono molto felce che ci siano molte persone che recensiscono, ma perchè recensire solo il capitolo 1? Avrà tipo 9 recensioni... Be', comunque risponderò anche a quelli che sono arrivati in ritardo, perchè ho tipo tre mesi di ritardo da farmi perdonare :)
Ps: perdonate gli errori di ortografia, ma ero troppo stanca e non avevo voglia di rileggere il capitolo ç_ç

RECENSIONIIIII (sigla di uomini e donne!):

nikoletta89: Eeeeh, anch'io spero vivamente che lo trovino, il tesoro :) Io adoro i bambini, ma mi piacciono anche gli anziani... però i bambini sono più pucciosi... ç_ç

lagadema: non sei l'unica ad avermi chiesto un seguito per questo capitolo, in effetti sarebbe bello esplorare meglio la psiche dei bambini e mostrare lati umani di entrambe le parti (quella di Bennet e degli orfani)...  ma sinceramente non so se voglio cimentarmi in un'impresa simile per adesso, perchè ho unìaltra fanfiction semi-infinita da continuare... :-P Riguardo ai tuoi, dovresti provare a fargli leggere qualcosa, scometto che ti approverebbero!

VioletNana: XD La scarsità di magia in famiglia! Ti capisco, ti capisco... I mie hanno l'immaginazione degna di un tubero, ma mi supportano, quindi va bene... La crudeltà dei bambini deriva dal mondo in cui sono vissuti. Avendo subito molte violenze (ovviamente non citate e non scritte altrimenti la one-shot sarebbe diventata una "Storia Infinita 2"), per loro è normale vendicarsi di torti subiti commettendo crimini quali l'omicidio; inoltre la molla che ha fatto scattare tutto è stato l'attacco del vecchio che ha tagliato le dita a Cremino. Comunque, ho già detto che quel peccato non mi ispirava particolarmente (come l'invidia e la superbia), perciò... :-)

incasinata: I bambini sono bellissimi! Io adoro i bambini! Quelli sotto i 10 anni, però... Comunque, spero che questo capitolo sia stato di tuo gradimento (oddio, non contiene molte scene splatter, però...). Non ho capito la cosa del postino... i bambini non hanno mica mangiato il vecchio!

Rigrazio in ultimo (ma non per importanza) lily483, la mia cara amica che ho quasi obbligato a leggere i capitoli di Sette Peccati (ti chiedo della perdoni, come direbbe la Sonego!), Pluma che ringrazio per i complimenti, Suigetsu_92 e tutti gli altri che hanno letto la fanfiction. Continuate a seguirla! Prossimo peccato: LUSSURIA (finalmenteeee! :D)

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Capitolo 5
*** Lussuria ***


Lussuria 7 peccati
Sette peccati:

Lussuria

-Cazzo! Questo pullman è sempre in ritardo!-
Una ragazza sui diciassette anni calciò rabbiosamente il bidone accanto a sè. Erano le 23:30 e stava aspettando alla fermata del pullman da quasi venti minuti.
Era tutto il giorno che andava di qua e di là per Berlino; si era incontrata con tutti i suoi ragazzi (ben 12) e aveva dato ad ognuno di loro uno speciale ricordo di sè. Alcune sue amiche non capivano come mai si comportasse in quel modo; la ragazza, da parte sua, dichiarava sempre di essere giovane e volersi divertire.
Prese il cellulare dalla tasca del giubbotto sbuffando, compose il numero di suo padre e si portò il telefono all'orecchio.
-Papà?- dall'altra parte il genitore rispose adirato -Lo so che è tardi, ma il pullman non arriva! Senti c'è un hotel qui vicino...- si fermò e, mentre aspettava che suo padre finisse di gridarle contro tutta la sua preoccupazione, si voltò sospirando e vide un piccolo ostello che illuminava il quartiere. -Papà, ascoltami, ho avuto un'idea. C'è un ostello qui davanti a me. Posso dormirci stasera e domattina torno a casa...- ripetè ancora.
Suo padre dall'altro capo del telefono non sembrava molto d'accordo, ma dopo varie rassicurazioni della figlia si decise a darle il proprio permesso.
Greta, poichè questo era il suo nome, si avviò in fretta all'ostello. L'insegna recitava "Geiße
l Hostel", nome non particolarmente rassicurante, a suo dire*.
Strinse il portafoglio che aveva in tasca e, arrivata alla soglia, aprì la porta di legno massiccio.
Dentro l'ambiente era molto più caldo e rassicurante di ciò che si aspettava: c'erano molte finestre lunghe e rettangolari; un lampadario illuminava quasi tutta la sala accettazioni con una forte luce gialla e, accanto al bancone della reception, c'era un tavolo di legno di ciliegio attorniato da sedie di paglia.
Greta andò verso il bancone, dietro al quale stava una donna con dei grossi occhiali dalle montature verdi e i capelli ricci.
-Scusi, vorrei prenotare una stanza.-
Continuava a leggere interessata una rivista di Playboy e non aveva alzato lo sguardo nemmeno all'ingresso di Greta. Tuttavia, prese il registro da sotto il bancone, una penna, una chiave dallo scompartimento dietro di sè e posò il tutto davanti alla ragazza.
-Nome e cognome. La stanza è la numero 123. Le scale sono a destra.-
Greta alzò le sopracciglia e arrossì un po', ma ritenendosi fortunata che quella donna non le avesse chiesto l'età o se fosse accompagnata da un maggiorenne firmò velocemente il registro.
-Sono 10 euro.- disse ancora la commessa. Greta prese il portafoglio e notò lieta di avere con sè ancora 25 euro. Pagò, dopodichè prese la chiave e salì le scale a destra della reception.
Al piano superiore, quasi alla fine di un lungo corridoio pieno di porte rosse, trovò la propria stanza. La aprì, aspettandosi di vedere un ambiente simile all'ingresso dell'ostello.
La stanza 123 era in efetti piuttosto informale. C'era un bagno vicino alla porta, due letti a castello ben rifatti e, su uno di essi, una pila di asciugamani puliti; c'era anche un piccolo balcone che dava sul parco, e da quello Greta dedusse che la stanza si affacciava sulla parte posteriore dell'ostello.
Non male! pensò tra sè la ragazza E fortunatamente non dovrò dividere la stanza con nessuno.
Non avendo nessun altro vestito con sè se non quelli che indossava (degli scarponi, una gonna lunga nera, una maglia verde scuro e il giubbotto nero) decise che per una notte avrebbe potuto tralasciare la propria igiene personale; si tolse quindi il giubbotto, mettendo il primo sul letto dove c'erano gli asciugamani. Si tolse anche le scarpe e le mise sotto al letto; non osò togliersi nient'altro perchè faceva troppo freddo...
Il rombo di un tuono scosse la stanza. Greta si portò una mano al petto per lo spavento improvviso, poi, dandosi della stupida, diede uno sguardo al balcone dove delle piccole goccioline avevano iniziato a battere.
Meno male che ho trovato questo albergo, altrimenti avrei dovuto aspettare sotto la piggia!
Greta si buttò su uno dei letti con il cellulare e rimase distesa a guardare il materasso dell'altro letto sopra di sè. Non aveva fame nè sonno, ma desiderava intensamente che quella notte passasse in fretta; prese il cellulare che aveva appoggiato accanto al proprio viso con l'intenzione di chiamare una delle sue amiche e farsi consolare, ma si accorse che nella stanza non c'era campo.
-Che strano...- mormorò tra sè -Sarà per via del temporale?-
Posò l'apparecchio sospirando e allargò le braccia. Le dita della sua mano sinistra si infilarono per noia nello spazio che c'era tra il letto e la parete e toccarono le assi legnose che sostenevano il materasso. Greta non lo registrò subito, ma sentiva dei segni grezzi incisi sopra, come una scritta o dei graffi. Incuriosita, la ragazza si girò alla propria sinistra e illuminò con il cellulare lo spazio scuro: era incisa una scritta che sembrava essere stata fatta con qualcosa di sottile e appuntito, forse erano stati dei graffi.

Die Flagellanten nahm mich mit

Greta lesse e rilesse la frase, ma non ne capì il senso.
Sentì un tonfo sopra di sè e si voltò impaurita verso la porta.
Che scema che sono! pensò tra sè Se il rumore veniva da sopra, perchè ho guardato la porta?
Perchè non c'è un altro piano oltre a questo... rispose il suo senno di poi.
E fu allora che il vetro del balcone andò in pezzi.

******************************************************
Greta pianse. Il Flagellante la punì fustigandola con il proprio flagello.
Tutt'intorno, le mura della stanza erano macchiate di gocce di sangue e il pavimento era pieno di sperma e altro sangue.
Il Flagellante prese la ragazza per i capelli e le avvicinò il viso alla propria erezione, in cui erano infilati dei piccoli chiodi ormai arruginiti dal tempo.
A Greta sembrava di essere finita in un incubo e di non potersi più svegliare...
Quell'essere immondo l'aveva torturata per ore: aveva un occhio sanguinante e la schiena era piena di profonde ferite rosse.
Il Flagellante schizzò il liquido bianco in faccia a Greta, poi la prese per le gambe e la violentò con rabbia; Greta sentiva la sua vagina frantumarsi: i chiodi le raschiavano le labbra e le pareti e i colpi erano troppo violenti. Tuttavia non urlò, ma si limitò a piangere silenziosamente conscia che se avesse fatto uscire un singolo suono dalla bocca quel mostro l'avrebbe frustata.
Finito l'amplesso, il Flagellante prese il braccio destro di Greta e tirò forte verso di sè, spezzandolo. La ragazza non potè impedirsi di urlare questa volta, ma la creatura la ignorò e tirò fuori un coltellino da una delle tasche dei calzoni; con orrore di Greta, squarciò la pancia della ragazza e tirò via la pelle, lasciando che le costole e l'intestino della ragazza venissero allo scoperto.
Quindi la prese nuovamente e venne dentro di lei, ovvero sull'utero quasi scoperto. Greta roteò gli occhi all'indietro e vomitò sangue. La sua mente era una nebbia rossa e ciò che usciva dalla sua bocca erano grida di dolore e parole senza senso.
Con un ultimo sforzo, graffiò il pavimento in legno con le unghie e scrisse:
Die Flagellanten nahm mich mit.

Il "Geißel Hostel" è un ostello speciale.
Esiste da circa due secoli. In principio era un monastero dove vigevano il pudore e
la severità; col tempo questi valori vennero condizionati da un movimento proveniente
dall'Italia: l'autoflagellazione.
Così i monaci divennero flagellanti e si fecero chiamare "I disciplinati di Cristo".
Viaggiavano per il paese punendosi per i peccati delle genti e per i loro, fino a che
la chiesa non li definì degli eretici.
Il monastero fu distrutto e divenne una Casa di tolleranza dove uomini e donne
davano sfogo ai propri istinti.
Per punire la loro lussuria, un Flagellante ritornò dal mondo dei morti e
uccise tutti i peccatori.
La Casa di tolleranza divenne infine un ostello, ma il Flagellante potè continuare il proprio lavoro.
Si dice, infatti, che il
"Geißel Hostel" attiri i lussuriosi per punirli dei loro peccati.



*
Geißel
significa flagello in tedesco.


Pardonnez-moi!!! Je suis un retard!!! Meriterei di essere fustigata come la protagonista della storiaaa! Chiedo il vostro più umile perdono. Scommetto che una storia così non ve la aspettavate e vi chiederete: Ma che piffero c'entra con la lussuria, di cui c'è soltanto un qualche vago riferimento? E io risponderò: Cacchi miei!
Allora, la frase in tedesco significa "I flagellanti mi portarono via". Non studio ancora questa lingua, in quanto la farò il prossimo anno in terza, ma ho usato un traduttore online e quindi dovrebbe essere più o meno giusta... Comunque fatemi sapere se non lo è. La figura del flagellante me la immagino come un'illustrazione di Keith Thompson (artista eccellente secondo me), che potete trovare qui: http://www.keiththompsonart.com/pages/flagellant.html
Per saperne di più sui Flagellanti guardatevi (o leggetevi) Il codice Da Vinci oppure andate su quel link che vi ho messo (che vi condurrà alla vecchia Wikipedia). Ovviamente la cosa dell'ostello è tutta inventata! Non andate in Germania a cercare strane leggende sui Flagellanti e su un loro monastero che poi divenne un bordello! XD
Ringrazio Enlin per avermi invogliato a scrivere e adesso passo lollosamente alle recensioni....

VioletNana: Il povero peccatore aveva invidiato un ragazzo con un cellulare più figo del suo! U-U No, scherzo. Lascio la possibilità di decidere ai lettori sull'oggetto dell'invidia del tipo. O era una tipa? Scommetto che non l'ho scritto! Bene, toccherà al lettore deciderne il sesso (a meno che non ci sia già e io lo abbia dimenticato). Grazie per i complimenti, lol!

SweetKiller: Mi piace il tuo nick. Grazie per i complimenti e lo so che il capitolo sull'avarizia è venuto molto a minchia, diciamo. Non piace nemmeno a me, figurati :) Spero che abbia trovato interessante questo capitolo, però, perchè io mi sono divertita a scriverlo!

Araluna: E infatti mi diverto abbastanza, ma non per i motivi strani che pensi tu, anzi! Ad esempio in questo capitolo mi sono divertita a scrivere la parte centrale, quella dove trova la scritta, e la storia delll'ostello. :D Molto probabilmente ci saranno degli errori anche in questo capitolo, per il semplice fatto che l'ho scritto in una giornata e non avevo voglia di rileggerlo, hehe! XD

lagadema: Anche il tuo nick è molto bello, anche se non ne conosco il significato... Comunque sono felice che mi aspettassi con ansia. In effetti "Sette Peccati" ha riscosso molto, molto, molto, ma molto più successo di quanto mi aspettassi per un originale. Mi dispiace per i tuoi, ma sai neanche i miei lo sanno usare il pc, sono io che li trascino :) Grazie per continuare a seguirmi!

Sif: Il primo capitolo di questa ff è un capolavoro che non si ripeterà mai più, ahimè. Molti si sono complimentati e ne sono stata davvero commossa, perchè era il mio primo tentativo di horror, come ho già detto in altre recensioni.E sono felice che il capitolo sull'invidia ti abbia fatto paura, perchè è stato scritto con questo scopo! :D In questo invece ero io che mi stavo cagando sotto (volgarmente detto) perchè io ho esattamente lo stesso balconcino che ho descritto nella storia mentre scrivevo avevo le tende tirate, mi riflettevo e ogni tanto gettavo occhiate angosciose ai vetri, sperando che nessun Flagellante li spaccasse. XD

Enlin: La birra è stata un'idea di mio padre, a simboleggiare che i bambini si credevano degli adulti, tipo... Vabbè, non ci pensare troppo, era un'idea stupida! Ho ricevuto la tua ultima email, anche se non ti ho risposto. Grazie per aver seguito la mia ff così assiduamente, diciamo. Mi ha fatto molto piacere ç_ç

binky: Biancaaaa! Che recensisce una mia ff!!! Nuoooo! Lo dirò ad Anna. Io non sono crudele, è che mi disegnano così! XD No, comunque io non farei del male nemmeno a una mosca, sono una ragazza abbastanza tranquilla. Anna te lo confermerà! Sono felice che ti siabo piaciute le descrizioni. Trovo che sia molto difficile far spaventare le persone attraverso dei racconti scritti perchè non è come guardare un film, in cui hai delle immagini. Spero di esserci riuscita, in ogni caso... :) Continua a seguirmi se vuoi, please! :-*

Raim: E così anche tu hai recensito queste horror, lol. Non pensavo saresti mai andata a leggerle, perchp trovo che non siano nel tuo stile. Ti vedo più per ff drammatiche o introspettive. U_U L'angelo è in realtà un bishonen (parlando in termini manga) crudele, tipo Rukawa che ride (eeeh? ma quando mai???), capelli biondi e occhi acquosi a parte. Alla fine sabato non abbiamo parlato di cadaveri! XD Spero ti piaccia questo capitolo, bellaaaaaa!!!
 

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Capitolo 6
*** Superbia ***


Lussuria 7 peccati
Sette peccati:

Superbia


11 Dicembre 1878

Caro fratello,

Spero che questa mia ti arrivi prima che l'inverno finisca, altrimenti sarà troppo tardi.
So che questa lettera verrà letta da tua moglie e tu la ignorerai: è passata troppa acqua sotto i nostri vecchi ponti, non potrai mai perdonarmi dopo tutto cià che è successo.
Tuttavia, eccomi qui a scrivere una lettera di perdono: per i miei atti osceni contro nostra sorella, per il male contro di te, per la mia vanagloriosa stupidità. Per la mia superbia.
Ti chiederai, o melgio, tua moglie si chiederà cosa ha a che fare nostra sorella Elena in questa storia.
Lascia che io riveli la parte più infima di me stesso, fratello adorato.

In quelle afose giornate di giugno stavamo sdraiati tutti e tre al sole sulle rive del lago di Como; ricordi come Elena cantava le sue dolci canzoni su Genova, la città nella quale eravamo nati? Io adoravo ascoltarla cantare: la sua voce era melodiosa e intonata come quella di una rondine, e come una rondine nostra sorella volava felice e leggiadra portando la primavera nel cuore di chi l'amava.
Tu sai bene che io, allora un giovane ragazzo sui vent'anni, ero molto geloso di Elena; quante litigate abbiamo fatto per lei, quanti pugni ci siamo dati per avere l'onore di accompagnarla alle lezioni di canto!
Ed Elena sembrava giore di questa contesa. Ha sempre avuto un'alta considerazione di sè, come me d'altronde. Ahimè, fratello mio! Se solo tu ed Elena non mi aveste lodato sempre per i miei voti all'Università o per le mie creazioni in vetro,
questa superbia, regina dei vizi e dell'immoralità, forse non mi avrebbe mai sfiorato, nostra sorella sarebbe ancora viva e la mia anima sarebbe intatta. E soprattutto, avrei accanto a me il mio adorato fratello dal quale mi sono separato diec'anni or sono.
Ma via! Ormai tutto è successo e il tempo non scorre all'indietro.
Ricordo che la mia superbia crebbe al punto in cui mi offendevo ogli qual volta Elena passava un po' di tempo con te invece che con me; mi chiedevo come potesse scegliere te all'uomo di successo e di bell'aspetto quale ero.
Pretendevo l'attenzione di nostra sorella tutta per me e guai a chi ribatteva! Elena da parte sua, non voleva lasciarti da parte e, come ho già scritto, anch'essa era talmente superba che non riusciva a credere che io volessi comandarla e gestirla a quel modo. Tu non ribattevi più; probabilmente ti eri abituato a questo mio nuovo atteggiamento e ti limitavi a restartene in disparte, ad allontanarti sempre di più da noi.
Fuggivi da una stanza ogni qual volta vi entravo, evitavi persino di parlarmi. Questo mi rendeva furioso: come potevi non sopportare la mia presenza quando ero un uomo così buono e giusto?! Io mi credevo perfetto e pensavo che fossi uno stolto. Dubitavo, anzi, che tu fossi davvero mio fratello per quanto eravamo diversi: io avevo da poco aperto un negozio di vasi e ceramiche che andava già a gonfie vele, mentre tu eri un compositore fallito.
Una sera decisi di portare Elena con me a teatro, ma all'uscita, quando le dissi di venire in montagna con me l'indomani, ella si ribellò. Finalmente ebbe il coraggio di dirmi quello che ero diventato: un uomo da disprezzare, vergognosamente vanesio e superbo.
Persi la testa, le tappai la bocca e la portai dietro ad un vicolo.
Perdonami fratello mio, perdonami! Quella notte io commisi un atto orribile di cui, cosa peggiore, mi vergognai solo anni dopo: la violentai.
Lo stesso sangue ci scorreva nelle vene e tuttavia io la obbligai a ricevere il mio seme. Adesso sai perchè Elena partì dalla casa paterna così all'improvviso: io decisi che doveva nascondersi in una delle mie case fuori città, nessuno doveva scoprire ciò che era successo quella notte. Ti ricorderai che anche io partii pochi giorni dopo, dicendo che avevo aperto altri negozi oltre la Lombardia.
Fu l'inizio di una vita vergognosa e squallida per Elena: viveva con me a Barcellona, era la mia sorella folle di giorno e la mia amante di notte. Sei mesi dopo il nostro trasferimento nella città rimase incinta; non me lo confessò, ma dopo quattro mesi notai che il ventre era gonfiato e capii. Spaventato e infuriato dal fatto che mi avesse tenuta nascosta una cosa tanto importante, la picchiai e la torturai fino a che non abortì. Ricordo che le tirai un pugno nella pancia e sentì chiaramente il piccolo corpo del feto dentro di lei.
Dopo quell'episodio diventai un animale. Ogni scusa era buona per torturarla: se non aveva pulito bene la stanza, se non aveva ancora preparato la cena...
Elena sembrava morta. Respirava, ma dentro era morta. Io me ne accorgevo, ma ignoravo tutto, non m'importava nulla!
Passarono due anni ed Elena era rimasta di nuovo incinta. Decisi di farla partorire: se riuscivo a controllare la sua vita, avrei potuto farlo benissimo anche con quella dei nostri figli. Nacquero due gemelli. Non avevano un nome, o almeno io non glieli diedi. Ho saputo il nome di uno di loro solo poco fa.
Passarono altri quattro lunghi anni. Sentivo la tua mancanza. Vedevo crescere quei bambini con il terrore negli occhi e iniziavo lentamente ad accorgermi di ciò che avevo fatto, di ciò che ero diventato.
Provai a scriverti delle lettere nella quale chiedevo come stavi, ma mi venivano tutte rispedite indietro. Elena si ammalò di tubercolosi l'inverno successivo, uno dei gemelli era cresciuto male, era storpio: aveva un braccio più corto dell'altro e una mano con sei dita. Era quello che mi guardava di più, che cercava un aiuto silenzioso. Comprai delle medicine e le diedi ad Elena, ma non avevo considerato il fatto che non volesse più vivere...
Il bambino sano morì poco tempo dopo, non si sa per quale motivo. Forse era sano solo all'apparenza, forse aveva problemi cardiaci. Fatto sta che una notte lo trovai davanti alla porta della mia camera con la bava alla bocca e gli occhi voltati all'indietro, bianchi. Credo che il fratello storpio sapesse qualcosa, ma non disse mai nulla. Non li sentii mai parlare, quei bambini. E anche Elena non parlava più, nè mangiava o si muoveva più.
Passarono altri anni nei quali Elena viveva come un vegetale, accudita dal figlioletto storpio, fino ad un mese fa.
Un mese fa, novembre, quando tutta la mia coscienza si è risvegliata definitivamente e i miei occhi si sono aperti. Che cosa ho fatto, fratello?! Ho avuto due figli da mia sorella, ne ho lasciato morire uno e ignorato l'altro! Ho ucciso lentamente la mia amata Elena, la mia migliore amica insieme a te nell'infanzia, la mia famiglia!
Ho preso una decisione, ieri. Ho scoperto da poco, un mese circa, di avere un male incurabile all'addome, una macchia scura che all'inizio sembrava un neo ma adesso è diventato della grandezza del pugno di un neonato. So di non avere speranze, perciò ho confessato tutto in questa lettera: voglio che almeno alla fine la mia anima si purifichi in parte delle mie azioni.

Fratello mio, o moglie di mio fratello, chiunque tu sia e che stai leggendo la mia missiva in questo momento, ti chiedo di recarti a Parigi, Rue des Acacias 13, primo piano alla porta con il nome di Lambruge (cambiai nome quando mi trasferii da Barcellona a Parigi, tre anni fa). Troverai le chiavi allegate alla lettera. La chiave più piccola apre la porta della cantina: lì dentro troverai la cara Elena, morta due giorni fa e che non ho avuto tempo di sepellire, e accanto il figlio storpio. In questo unico mese ho avuto molte cose da fare: ho depositato tutto il mio denaro in banca e l'ho intestato a te, fratello; ho comprato molti viveri affinchè il bambino possa sopravvivere fino al tuo arrivo quest'inverno; ho comprato un acido corrosivo che berrò dopo aver scritto questa lettera. Mi farà morire tra i più atroci dolori, non di certo paragonabili a quelli che ho inferto a mia sorella e i miei figli. Ti prego, tu che stai leggendo questa lettera, prenditi cura di questo bambino sfortunato, o dallo in custodia a persone buone. Ha già sofferto troppo nella sua breve vita!
Sai, fratello, ho chiesto al bambino il suo nome oggi, quando gli ho portato da mangiare. Era sorpreso perchè non gli avevo mai sorriso o rivolto la parola. E lui sa parlare, sai? E come parla bene, com'è educato e gentile! Vuoi sapere il suo nome?
Si chiama Emanuele, fratello mio. Come te.

Con le più ardenti speranze e supplicando il tuo perdono,

Giacomo
 



Perdonatemi! Ho smesso di scrivere a causa della depressione indotta da vari problemi che ho avuto su EFP (del tipo, mi hanno segnalato due fanfiction e le hanno cancellate...) e sono diventata parte della redazione del giornalino della mia scuola e ogni mese dovevo inventtarmi qualcosa di nuovo sia in vignette che articoli... Comunque ora sono tornata piena di idee grazie a Saw VI e tutti gli altri Saw, che ho rivisto; purtroppo la fanfiction sta per finire... sigh! Manca un capitolo! ç_ç
Non siate tristi, mettete via i fazzoletti. Ho intenzione di scrivere una piccola raccolta su anzune leggende metropolitane che mi hanno appassionata (ne ho giusto una in mente... ma no, prima devo finire il capitolo dell'Ira, già in cantiere da un pezzo)! Comunque, che ne pensate di questo capitolo epistolare? Ovviamente la via di Parigi è inventata... Perdonate gli errori di battitura che, ovviamente, saranno molti!
Mi sono ispirata leggermente alla storia del mostro di Amstetten, una triste e sconvolgente realtà.

Detto tutto questa pappardella di roba, passiamo alle recensioni:

VioletNana: Come fai a leggere ad alta voce in casa da sola??? Io dei problemi veramente grandi quando devo esercitarmi a recitare poesie (faccio poesia al liceo, ahimè!)... Eeeeh, gli errori di battitura ci saranno sempre, fino a quando non mi ricorderò dove li ho letti e allora li correggerò; comunque, sai che pensavo proprio a Silent Hill quando ho scritto Lussuria? In fondo anche la città attirava persone malvagie o "che se lo meritano". Ricordo infatti che in uno dei videogiochi c'era una bambina che vedeva Silent Hill come una città normale... Grazie ancora per i complimenti, spero ti sia piaciuto anche questo capitolo!

nikoletta89: Grazie dei complimenti, la mia fantasia semi-malata ti fa un inchino e ti prega di seguirla ancora, come sempre! :)

Enlin: Io e mio padre ti ringraziamo per i bei complimenti che fai ogni volta! Il mio professore dice che sono anche troppo colloquiale, ma è più forte di me! D'altronde, scrivere con un registro alto in una fanfiction splatter mi sembra davvero poco azzeccato... E il "venire" l'ho messo perchè non sapevo che altro mettere! XD Perdonami, non ho mai scritto nemmeno accenni porno, figuriamoci delle scene! Mi spieghi cosa vuol dire violenza alla Cannibal Corpse? Purtroppo non ho mai visto il film, nè intendo vederlo senza qualcuno accanto a me... Aspetto con ansia la tua recensione! ^^

Sweetkiller: Avevo iniziato a leggere il Codice Da vinci, ma ho smesso quando sono arrivata alla parte del monaco biondo che si fustigava XD L'ho trovavo noioso... Comunque grazie per i complimenti, ti prego di continuare a seguirmi!

Clonexazz81: Cambiati 'sto nome perchè davvero non riesco nè a scriverlo nè a pronunciarlo! Come noterai, forse, dalla data anch'io smarrii la retta via e mi ritrovai per una selva oscura. Non badare troppo alle regole delle recensioni, nessuno le rispetta mai! :D

lagadema: è davvero un nick bellissimo ed è probabile che te lo ruberò :D Scherzavo! Grazie per i tuoi complimenti e per aver recensito anche questo capitolo! Spero lascerai un piccolo commento anche in questo, magari ti becchi un punto... Ma poi a che servono questi punti? O_o

anythingforyou: Grazie per la tua correzione (che non ricordo se ho già aggiunto al capitolo, forse no...)! Grazie anche per i tuoi complimenti, sono sempre graditi! ^_^

Sif: Ovviamente qui le colpe sono esagerate al massimo! Io non credo che una ragazza che si fa tanti maschi solo per divertirsi meriti la morte... o forse lo penso?! Magari una piccola frustata ci sta... Vabbè, passiamo ai ringraziamenti: grazie! Ho finito... XD Se mi prometti che, nonostante i miei enormi ritardi, continuerai a leggerai questi ultimi due capitoli prometto che non ti farò mai più battute scialbe come questa!

desirepellegrino: Ti ringrazione per la tua recensione al capitolo dell'Accidia! Spero che tu abbia gradito anche questo e, inquanto alla pubblicazione di queste storie, forse se non le avessi pubblicate qui avrei potuto farlo XD Comunque ci sono buone possibilità che io mandi qualcosa ad una casa editrice... Poi si vedrà. Continua a seguirmi, grazie!

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