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di Miryel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Talk About You ***
Capitolo 2: *** Stardust ***
Capitolo 3: *** Good Guys ***
Capitolo 4: *** Staring At The Sun ***



Capitolo 1
*** Talk About You ***


[ Harley Keener X Peter Parker - Post EndGame - Past Tony x Peter -  Angst/Malinconico - word count: 3021 ]

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Connected



« Why don't you like me without make me try? »
Mika - Grace Kelly
 



Capitolo I. Talk About You
 

Se c'è una cosa che Harley ha capito, è che chiedere a Peter come sta, implicherà sempre la stessa, medesima bugia.

«Sto bene.»

Peter però non sta bene; non sempre, almeno. Lo dicono i suoi occhi, che a volte si abbassano e guardano la terra, e Harley sa perfettamente quale sia il suo pensiero costante – incessante, in quei momenti e, per quanto forse ne stia soffrendo meno, può capirlo in parte. Vorrebbe dargli una mano. Aiutarlo a vincere quel lutto che proprio non riesce a cacciar via dall'anima, dal cuore e dalle dita. Quelle stesse che tremano, ogni volta che lo vede stringerle intorno alle ginocchia, quando sono a casa Stark e tengono compagnia a Morgan, seduti su quello stesso divanetto, ogni santo mercoledì, di ogni settimana, di ogni mese, da quel giorno. Harley lo guarda sorridere verso quella piccola bimba, che porta con sé troppe cose che era Tony Stark, e ogni volta che prova ad aprire bocca per chiedere a Peter cosa c'è che non va, blocca sul nascere quell'intento, perché dopotutto la risposta la sa già. Perché Peter è spento. Grigio. Vuoto.

Harley ha sicuramente adorato Tony. Lo ha rispettato, lo ha ammirato, lo ha amato, ma non nello stesso modo – né con la stessa intensità, con cui Peter Parker lo ha fatto – e con cui probabilmente lo sta ancora facendo. Nessuno gli ha detto come sono andate le cose davvero, tra di loro, ma non è difficile capire che, per Tony, Peter è stato molto più di un allievo, un pupillo, un figlio adottivo. Peter è stato un amante e Harley, in qualche modo, è meno sorpreso di quanto si sarebbe aspettato, di quel fatto. In quei cinque anni in cui quel ragazzo è scomparso, Tony gli ha parlato di lui, e lo ha sempre fatto dandogli l'impressione che ne avesse un urgente bisogno. Qualcosa che non poteva reprimere e, per quanto inizialmente Harley si fosse sentito rimpiazzato, quella sensazione era subito scomparsa quando aveva capito che c'era stato altro tra di loro e aveva rispettato quel sentimento senza sfilacciare via un solo commento dalla bocca. Senza giudicare; e non lo aveva fatto nemmeno nella propria testa. Non ne era stato in grado.

«Rimanete per cena?», chiede Pepper, con un sorriso speranzoso che le vibra sul viso. Si vede che ha bisogno di compagnia, che la solitudine la schiaccia e le ricorda quanto quella casa abbia perso un grosso pezzo di sé, da quando suo marito è morto. Harley sorride e apre la bocca, ma Peter è più veloce e lo batte sul tempo.

«No, non... io vado. Domani ho una verifica e mi piacerebbe poter ripassare qualcosa, almeno prima di andare a dormire. La ringrazio per l'invito però, signorina Potts», dice e l'oscuro alone che lo avvolge, sembra più schiacciante del solito. Da quando Tony è morto, il vuoto lasciato – difficile da colmare, è enorme, gigantesco, mastodontico; eppure ogni giorno le cose sembrano andare meglio; eppure tutti sembrano, pian piano, accettare quella mancanza – o meglio, abituarsi al fatto che Tony non ritornerà più e che bisognerà farsene molto presto una dannata ragione. Tutti ci stanno provando, tutti ci stanno riuscendo, tranne Peter. Peter va a ritroso. Più Harley ha l'occasione di incontrarlo, più lo vede livido di una profonda e incalcolabile tristezza e apatia. Più lo guarda in viso, più lo vede morire dentro. Non riconosce nei suoi occhi quella luce che Tony gli ha mostrato in alcune foto che lo ritraevano. Non ha lo stesso sorriso spensierato che gli ha visto in quegli scatti, tenuti con amore, in cornici di legno semplici ma che sanno di casa. Harley ha conosciuto Peter nel momento in cui Peter ha smesso di vivere davvero e, la sua più grande curiosità, è poter incontrare un giorno la persona che Tony gli ha presentato nei suoi racconti e non una mera ombra di se stesso.

Pepper smorza il suo sorriso, afflitta; sola. «Capisco. La scuola viene sempre prima di tutto, ma domenica c'è il pranzo della commemorazione. Non puoi mancare, Peter!», esclama, e attende speranzosa un suo sì, che arriva semplicemente con un segno di assenso fatto con il capo, poi Peter si alza in piedi e sospira. Vuole andare via, ed è il linguaggio del corpo a dimostrarlo per lui. Harley sa che, se dovesse chiedergli ora, in questo momento, come sta, Peter risponderebbe – mentendo di fronte a quei palesi segnali di malessere – che sta bene. Mai stato meglio. Sto benissimo. Una favola.

Harley si alza. Sospira anche lui e Morgan li guarda. Poggia a terra un cavallo di peluche con cui stava giocando e mette il broncio. Odia vederli andare via – glielo ha detto una volta – e, sebbene vorrebbe seriamente restare, Harley sa che ha bisogno di parlare con Peter e chiedergli trasparenza, perché lo vuole sentire ammettere che no, non sta bene. Per niente.

«Andate via?», chiede Morgan e, meccanicamente, sia lui che Peter abbassano la testa per incontrare i suoi occhi e le lasciano un tenero sorriso da ammirare come scusa per quella fuga.

«Non possono restare qui tutto il giorno, Maguna. Le persone hanno anche degli impegni da rispettare», la redarguisce Pepper e lei sbuffa e alza gli occhi al cielo. La miglior rappresentazione di Tony che Harley abbia mai visto in vita sua. Lo fa sorridere, e a Peter lo oscura.

«Torneremo presto», le promette Harley e annuisce per sembrare più convincente, mentre l'altro lo imita e poi si affretta a recuperare la giacca e lo zaino da sopra il divano. Peter sembra sempre claustrofobico, quando è lì dentro, e forse lo è davvero. Forse ne ha tutte le ragioni.

«Signorina Potts, io...»

«Lo so, Peter. Lo so... e non preoccuparti. Fate già tanto e per quanto vorrei avervi qui ogni minuto del mio tempo, non posso trattenervi con la forza. Piuttosto, non fatemi preoccupare, voi due! Mandatemi il solito messaggio, quando sarete a casa», sorride lei, e indica entrambi con l'indice, materna. Harley le fa l'occhiolino e, insieme a Peter, raggiunge la porta d'uscita. Appena la spalanca trova il buio che li accoglie. L'inverno ha accorciato le giornate e, malgrado siano appena le sei del pomeriggio, sembra quasi che la notte sia ad un passo da loro. Fa un freddo tremendo; si chiude nel cappotto e nella sciarpa e, rabbrividendo, si affianca ad un Peter assorto, che come sempre non spezza la quiete ma la arricchisce con un caos fatto di silenzio e solitudine. Quella di entrambi. Quella che non riesce proprio a far trovare loro un punto di incontro. Quello che Harley cerca da tempo e che Peter non gli permette di trovare. Troppo chiuso nel suo mondo e aperto all'universo di chissà quale fantasia irreale. Forse dove Tony Stark è ancora vivo e gli dona l'amore che cerca, che ha avuto e che non potrà mai più riavere indietro. Deve essere terribile. Deve essere doloroso. Deve essere incalcolabile, e Harley non può capire un briciolo di quello che prova, anche se vorrebbe.

«Quindi hai un esame, domani», cerca di attaccare bottone. Così, per fare due chiacchiere e tastare il terreno. Peter annuisce e gli lancia solo uno sguardo laterale, che si macchia per un attimo di una coscienza che subito lo abbandona.

«Sì.»

«Importante? Roba da capogiro?»

«Fisica e Chimica.»

«Tu non sei quello che eccelle paurosamente in tutte le materie scientifiche? Dovrebbe essere una passeggiata, no?»

Peter alza un sopracciglio, che si incastra nella fronte aggrottata di paura. «Chi te lo ha detto?»

Harley alza le spalle, e solo a metà frase si rende conto dello sbaglio indecente che sta facendo. «Tony», dice e se lo avesse colpito con un colpo di pistola, lo avrebbe ferito di certo meno. «Mi dispiace», prova a rimediare, lapidario, ma Peter è già altrove. Si è fermato, ha sbarrato gli occhi e lo fissa come se fosse un mostro senza cuore; gli butta addosso tutta l'insofferenza che ha dentro, poi chiude gli occhi con dolore e ricomincia a camminare, stringendo tra le dita le spalline dello zaino. Sta scappando. Fugge dai suoi fantasmi, anche quando questi vengono nominati e basta. Fugge dalla realtà, dalla finzione e dal passato ma, soprattutto, Peter sfugge dalla vita perché non vuole che torni a dargli qualcosa in cui credere. Gli ha letto tutto questo in un solo sguardo fugace, ricco di terrore e di rabbia ma anche di una infinita, deprimente e ingiusta apatia. Ha provato per un attimo qualcosa, poi di nuovo niente. Tony Stark è morto e gli ha portato via persino l'anima e il cuore. O meglio, Peter ha lasciato che lo facesse, sotterrando con lui la sua intera coscienza e annullandosi.

«Peter! Andiamo! Aspetta!» Lo rincorre e Peter accelera solo il passo. Hanno già affrontato quell'argomento e non vuole tornarci, Harley lo sa. Peter non sopporta che, in quei cinque anni, Tony abbia parlato di lui ad altre persone, desideroso di riabbracciarlo e riaverlo indietro, per poi morirgli davanti poco dopo, senza dargli la possibilità di dirgli niente. Niente di niente. Nemmeno uno stupido ma significativo grazie. Non gli ha detto tutte queste cose, ma a Harley è bastato immedesimarsi un secondo in un ragazzo innamorato che perde l'amore della sua vita sotto al proprio naso, senza poter fare niente per salvarlo.

«Non è colpa tua. Lo sai... non... non sei tu il problema», gli dice Peter e non si ferma. Di nuovo sta giustificando le azioni degli altri; di nuovo si fa carico di pesi che non dovrebbe sostenere; che non sono suoi. Peter si sente responsabile nei confronti della perdita di Tony e delle conseguenze che questa ha portato. Peter si sente il mondo contro, perché se solo avesse trovato il modo di fermare Thanos – di difendere quel guanto, Tony sarebbe ancora lì con loro. Con tutti loro, e invece il mondo è salvo, ma senza il suo guardiano migliore. L'uomo migliore.

Harley lo sa, perché è Pepper ad averglielo confidato, che quei pensieri annebbiano la sua psiche.

«Non è colpa di nessuno, né mia, né tantomeno tua. Non era intenzionale e non credevo che l'argomento fosse ancora tabù. Non era più uscito il suo nome da mesi.»

«Va bene così, davvero. Mi passerà», cerca di rassicurarlo e gli fa una rabbia che Harley non credeva di poter provare mai, in vita sua. Vorrebbe tirargli un pugno e incitarlo a reagire, ma fa talmente male vederlo così in bilico tra la vita e la morte, che l'unica cosa che riesce a fare è tentare di fermarlo prendendolo per un braccio, senza alcun successo.

«Peter, per favore, fermati!», dice, frustrato. Sbuffa, scocciato, vinto da quell'insofferenza che l'altro gli sta buttando addosso con una carica talmente schiacciante, che è quasi difficile da sopportare sulle spalle. «Hai bisogno di aiuto, ed è evidente! Sto solo cercando di essere utile a qualcosa.»

Peter allora si ferma. Gli dà le spalle per qualche secondo; un tempo che a Harley sembra un misto tra l'eternità ed un istante. Quando si volta gli regala l'espressione più gelida del mondo. Così priva di sentimenti positivi, che fa quasi paura. Fa quasi più tristezza. «Utile?», esordisce Peter, poi distoglie lo sguardo, «Chi sei tu, per pretendere di potermi aiutare?»

«Non sono nessuno e non ho alcuna pretesa. Il mio è un tentativo di darti una mano.»

Peter serra la mascella e continua a non guardarlo, poi apre la bocca, la richiude e di nuovo la riapre. «Non sto reggendo alcun peso. Sto cercando di assimilare quello che è successo, come tutti voi. Perché pensate tutti che io non ci stia riuscendo?»

«Perché di fatto è così, Peter! Tu non ci stai riuscendo! Pretendere di farci – di farmi credere che sia così, è ridicolo.» Gli sbatte addosso la verità; fa un passo verso di lui e gli punta un dito contro. Peter fa un passo indietro e deglutisce aria, esposto. Smascherato. Harley sente qualcosa premergli tra il cuore e i polmoni.

«Tu non mi conosci. Non puoi saperlo. Non lo sai. Non sai niente, Harley», risponde Peter, con una calma quasi irreale che tenta di celare accuse infondate e Harley vorrebbe ridere, di fronte a quella frase.

Si lascia sfuggire un sorriso amaro. «Come se ci fosse bisogno di conoscerti, per sapere cosa provi. Sei un libro aperto. I tuoi occhi parlano per te. Lo hanno fatto dal primo momento in cui ci siamo stretti la mano, quel giorno, al funerale!»

«Perché? Perché più non voglio parlare di lui, più pretendete che io lo faccia? Voglio solo che non se ne parli, che si eviti l'argomento! Perché è così difficile da capire?», dice Peter, gli occhi stretti a trattenere il dolore e la voglia di scappare via lontano ma che, il suo sconfinato senso di giustizia, non gli permette di fare.

«Non è difficile da capire, ma da accettare! Non è il modo di affrontare la cosa, quello che stai adottando. Stai rimandando qualcosa che dovresti combattere, non seppellire sotto strati, su strati di sabbia! Così è solo peggio. Sempre peggio.» Scende il silenzio, dopo quel rimbombo di parole che Harley si è lasciato sfuggire con una profonda e inammissibile arroganza. Non sa chi sia Peter; non quello vero, almeno. Non quello di cui Tony gli ha parlato così tanto, quando i loro incontri erano diventati più frequenti, dopo che le sparizioni avevano lasciato un vuoto troppo grande, da colmare. Peter, Peter, Peter, sì parlava sempre e solo di lui. A volte era stato quasi frustrante.

«Lo so. So cosa sto facendo, so che è deleterio, so che non sto combattendo il dolore ma non ci riesco e né tu, né nessun altro, potrete cambiare le cose. Non ci sto nemmeno provando, perché non voglio provare. Non voglio superarla. Non voglio stare meglio. Io voglio solo essere lasciato in pace e vorrei che rispettassi questo mio volere, evitando di parlare di cosa è successo e di cosa è meglio per me. Non lo sai. Tu non lo sai, e non puoi saperlo. Mi dispiace deluderti, ma è così», risponde Peter, chiude la bocca e sembra non aver detto tutto, ma non continua. Sospira, e attende. Attende qualcosa che Harley non gli dirà, perché con tutta sincerità, non sa cosa dire. O meglio, sa che ogni cosa, ogni tentativo di avvicinamento, inesorabilmente lo porterà ancora più lontano.

Harley non sa perché ha preso così a cuore lo stato emotivo di Peter. Non lo conosce così bene, ed è vero, ma forse sono stati i racconti di Tony ad aver distorto la realtà e avergli messo in testa quel tarlo. Ha davanti una persona così corrosa dal dolore, da aver perduto la propria via, e forse Harley è solo deluso perché non ha di fronte chi pensava che fosse, anche se dubita che questa sia la vera ragione.

«D'accordo.» Prova con l'accondiscendenza. Annuisce e poi sospira, passandosi una mano tra i capelli, poi si chiude nel cappotto. «Sì, okay. Hai ragione», continua e Peter alza un sopracciglio, forse perché quell'assecondamento non se lo aspettava. Forse perché, una parte del suo cuore, sperava che Harley potesse combattere di più, quella battaglia contro i suoi demoni. «Ti lascio in pace, promesso.»

«Harley...»

«Dico sul serio, Peter. Non posso sapere cosa stai passando. Per me non è lo stesso. E, se davvero avessi bisogno d'aiuto, di certo non lo vorresti da qualcuno che conosci a malapena. Sto peccando di arroganza, e non è quello che voglio, quindi scusami», dice. Gli lascia un sorriso di circostanza e poi lo supera, convinto che assecondarlo sia un'arma a doppio taglio infinitamente pericolosa, ma è l'unica che ha. L'unica che gli viene in mente di usare. Si avvia da solo, verso la fermata dell'autobus. Peter è ancora immobile dietro di lui. Sente i suoi occhi addosso. Qualcosa si è rotto o, forse, si è risanato. Harley lo spera con tutto se stesso. Non si volta, continua a camminare, con la speranza di tornare a casa e trovare un suo messaggio, di qualunque tipo, che gli dice che ha bisogno d'aiuto e che lo vorrebbe da lui. È un visionario, se pensa una cosa del genere, ma vuole aggrapparsi a qualcosa, ad una speranza, sebbene non sappia ancora perché Peter gli è così caro. Forse è solo empatia, o forse semplicemente vorrebbe aiutarlo a reagire, perché sa che è quello che anche Tony vorrebbe.

«Harley», ripete Peter, e lo raggiunge. Gli si affianca.

«Che c'è? Ti sto lasciando in pace!», gli risponde, ma non riesce a trattenere un sorriso che gli illumina il cuore, quando Peter gliene regala uno impacciato, che però si perde subito nell'ombra oscura di Tony Stark. Quella che gli grava addosso.

Peter alza le spalle. «Lo so, ma prendiamo lo stesso autobus, che senso ha dividersi?», si giustifica, e sembra quasi che qualcosa si sia smosso; che qualcosa abbia rovesciato per un attimo quella delicata situazione, pronta a spezzarsi con solo un dannato, stupido passo falso. Eppure quell'ombra è sempre lì, a pesare su di loro. Come un muro che li divide, inesorabilmente, rafforzandosi ogni volta che riescono a compiere un passo, l'uno verso l'altro. È Tony; è il suo ricordo, Harley lo sa. Perché, malgrado tutto, pensare a Peter come il ragazzo di cui Iron-Man gli ha parlato, gli ha fatto sempre credere che qualcosa potesse unirli e che, per qualche ragione, era convinto che, in quel ragazzo, avrebbe di sicuro trovato un amico. Invece Tony li ha fatti incontrare e, sempre lui, sta facendo di tutto per dividerli e questo Harley quasi non è in grado di perdonarglielo. La cosa paradossale, è che non sa nemmeno il perché.

Finiscono per tacere, su quell'autobus, mentre il tragitto verso casa è troppo lungo, accompagnato da quel silenzio. Eppure qualcosa è cambiato, e Harley non sa se ha inesorabilmente spezzato qualcosa o ha iniziato a risanarla, in quel cuore arido che Peter Parker si porta nel petto e che, con un po' di speranza, non ha mai davvero smesso di battere.


Fine Capitolo I


 



 

Angolo angoloso di Miryel:
Per quanto Tony e Peter siano in assoluto la mia OTP suprema – e, dopo circa una ventina di storie immagino ve ne siate accorti un po' tutti –, ammetto con tutta me stessa che, dopo la visione di End Game e aver visto Harley tornare nell'universo dell'MCU, me lo ha fatto un pochino shippare con Peter. La morte di Tony rappresenta per me qualcosa che è più simile a un velo nero sul cuore, per tante motivazioni: una fra queste, Peter che resta solo. Ho deciso così, qualche tempo fa, di rivedere di nuovo tutti i film e, tra questi, c'era il discutibilissimo IronMan 3, che molti di noi vorremmo non fosse mai esistito, ma Harley... Harley è un personaggio che personalmente ho adorato, anche la sua caratterizzazione e il suo legame con Tony sono state gestite magistralmente. Così, come ho fatto con Tony giovane – tentando di plasmarlo adolescente e dargli quei toni spavaldi e arroganti di sempre, ma con una vita di esperienze in meno sulle spalle, ho deciso di fare lo stesso con Harley. Nel corso del tempo è cresciuto, e nel mio headcanon non è sparito con lo schiocco. Questo lo ha reso più grande di Peter. Ho cercato di ricreare quel suo carattere diretto, intelligente e giusto che si vede nel film, maturandolo. Ci ho provato, e spero che questa minilong possa destare il vostro interesse per una coppia un po' particolare, sicuramente diversa, che però a mio parere ha del potenziale e di cui mi è piaciuto scrivere. 
Non vi tratterrò ancora, e vi invito a lasciare un commentino per farmi sapere cosa ne pensate ♥ Ringrazio Mika per aver scritto le stupende canzoni che accompagneranno questa minilong ♥
Un esperimento diverso che di certo non oscura, cancella, dimentica dal mio cuore la mia OTP suprema che, comunque, è presente fortissima anche qui. 
A venerdì prossimo,
Miry
 

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Capitolo 2
*** Stardust ***


[ Harley Keener X Peter Parker - Post EndGame - Past Tony x Peter -  Angst/Malinconico - word count: 4327 ]

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« Why don't you like me without make me try? »
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Capitolo II. Stardust
 

  È passato un anno esatto e le cose non hanno fatto altro che peggiorare; almeno per Peter Parker, sta andando così. La cosa paradossale è che, se non è Spider-Man a fare un passo avanti, sembra che quasi nessuno ci riesca. Harley non si capacita di come sia possibile, ma Peter sembra – e in effetti è – il centro di tutto. Sembra quasi che abbia rimpiazzato Tony, ma non ne è consapevole. Forse è meglio così. Sono tutti dannatamente coscienti che quel ragazzo, in qualsivoglia modo, abbia avuto un legame speciale con Iron-Man, che è andato oltre ogni immaginazione – in qualunque senso lo si volesse interpretare, ma tutti hanno travisato la realtà dei fatti. Tutti a parte Harley e Pepper, e sapere quali siano i veri sentimenti di Peter, fa molto più male di quanto dovrebbe. Per questo motivo Harley ha avuto bisogno di raggiungere il cottage degli Stark, prima dell'arrivo di Spider-Man. Ha bisogno della signorina Potts – signora Stark, in realtà, ma è così difficile chiamarla a quel modo – e di condividere insieme quella cosa che sanno, ma che nessuno dei due ha mai avuto il coraggio di affrontare e di ammettere all’altro.

 «Mi dà l'impressione di essere inarrivabile. Mi tende la mano perché vuole aiuto e poi la tira via. Ogni volta che sembriamo arrivare ad un punto di svolta, fa dieci passi indietro. Non so che devo fare, con lui.»

  Pepper sospira. Si siede su una delle sedie in vimini che decorano la veranda che dà  sul lago – di fronte a lui. Harley la guarda. Poggia i gomiti sulle ginocchia e congiunge le mani. Si allunga verso di lei, in attesa di un poco di saggezza che, dal basso dei suoi ventitré anni, non può possedere. Harley è stato fortunato. Non è stato vittima dello schiocco di Thanos. A differenza di molti altri – a differenza di Peter, non ha perso cinque anni della sua vita, in un secondo durato troppo, per chi è rimasto.

 «Stiamo cercando tutti di metterci del nostro. È ovvio che non è facile per nessuno ma, per quanto il dolore della perdita di Tony mi faccia male come il primo giorno, ho Morgan con me. Lei è tutto ciò che mi spinge a non crollare. Ma Peter... cosa gli è rimasto?»

  Una vita davanti, risponderebbe Harley, se solo avesse un briciolo di coraggio nel farlo, e invece sospira. Abbassa la testa e si guarda la punta delle scarpe nere, laccate, eleganti. Porta lo stesso abito nero che indossava al funerale di Tony Stark. È passato un anno preciso da quel giorno, e sono lì per non dimenticarlo. Come se fosse possibile... un anno senza Iron-Man. Sembra assurdo solo immaginarlo.

 «Era davvero un rapporto così stretto?», azzarda, anche se sa la risposta.

Pepper lo fissa. Serra le labbra. Si rizza sulla schiena e incrocia le dita tremanti tra di loro. Se le guarda, poi, cercando una risposta da dargli, aprendo la bocca un paio di volte, senza riuscirci. Gioca con la fede nuziale. Sembra quasi un mantra. «Più di quanto tu possa immaginare», risponde, imperterrita con gli occhi rivolti in basso, «Tra loro c'era molto più del rispetto, dell'affetto... c'era amore

  «Come immaginavo», risponde Harley, secco e sospira di nuovo. Un senso di fastidio e incomprensione lo pervade.

  «È una confidenza, Harley, che vorrei rimanesse tra noi. Non... non voglio che gli altri sappiano. È un peso troppo grande, per lui... e per me. Non ce l'ho con Peter, nemmeno con Tony, ma è stato un rospo esageratamente doloroso, da buttare giù. Tony ha fatto cose peggiori di questo e io non lo vedo nemmeno più come un tradimento. Non posso provare rancore solo perché non ero l'unica che ha amato.» Pepper si posa una mano sullo sterno. Harley non sa che dire, ed è per questo che resta muto. Vorrebbe prenderle una mano e dirle che capisce, ma la verità è che non è così. Non può capire. È solo un ragazzo appena affacciato all'età adulta, che spera con tutto il cuore di sanare qualcosa nell'animo spezzato di Peter, anche se questi non vuole.

  «Rimarrà tra me e te, Pepper. Ovviamente», la rassicura, con un sorriso. «E forse dovrei semplicemente farmi da parte. Io e Peter non siamo così in confidenza, dopotutto.»

  È lei, a prendergli una mano. La stringe. «Per questo forse hai qualche possibilità di riuscirci. Noi accendiamo troppi ricordo, nel suo cuore. Tu sei una ventata di freschezza, nella sua vita. Non dico che questo lo aiuterà, ma provarci non è del tutto sbagliato e, se ci tieni, non dovresti demordere. Più male di così non può stare, no?», sorride. Sono parole terribili. Ha appena dipinto Peter come un ameba senza cuore, senza speranza e senza obiettivi ma dopotutto è la verità. Può davvero cadere più in basso di così? No, forse no... «Ah, ecco i ragazzi!», esclama Pepper e si alza, con un sorriso. I pensieri di Harley sono interrotti dal suono di uno sportello che si chiude e la imita. Vede facce familiari – ma non troppo, raggiungerli. Sorrisi malinconici e di circostanza. Abiti neri e occhi vuoti, tornati indietro ad un anno prima; occhi di qualcuno che, Tony Stark, lo ha visto morire per salvare l'universo. Fa male.

...

  Sono riuniti tutti a tavola. Pepper ha appena servito il dolce e un paio di liquori, che non tutti hanno deciso di bere, ma che fanno atmosfera. Una sorta di tentativo di alleggerire quella tristezza che si è creata, perché sì, l'argomento di quel pranzo è stato uno solo: Tony Stark. Ognuno di loro ha condiviso un pezzo di storia; c'è chi lo ha fatto con affetto, chi lo ha fatto piangendo e chi, più spensierato, lo ha fatto ridendo, raccontando aneddoti interessanti, che non hanno di certo smorzato la malinconia, ma hanno rinfrancato un poco l'animo di quella giornata. Steve ha stancamente raccontato del suo rapporto controverso con Tony. Anni di dissapori, dimenticati in una stretta di mano, lasciata indietro nel 2012, quando insieme hanno deciso di recuperare il Tesseract in un tempo ancora più lontano; esattamente in quello stesso anno dove Steve – come ha raccontato più di una volta – ha capito che la sua seconda opportunità con Peggy, se la meritava. Lo ha raccontato di nuovo, con un sorriso dolce ad accentuare le rughe di quella vecchiaia a cui nessuno ancora riesce ad abituarsi.

  «È stato grazie a Tony. Se non avesse scelto di farsi una famiglia, io non avrei mai pensato di scegliere la stessa strada per me», ammette, e abbassa la testa sul suo dolce. Gli trema la voce. Per l'emozione e per la vecchiaia. Harley distoglie lo sguardo, perché fa quasi male vederlo così inerme. Avrebbe voluto conoscerlo in tempi migliori, non può non ammetterlo persino a se stesso. «Ho avuto la mia seconda possibilità.»

  «Ci sono treni che passano una volta sola, Steve», sorride Pepper, e gli posa una mano sul braccio, mentre tiene dentro tutto il dolore – quello di tutti, e lo conserva per dopo, quando resterà sola e esploderà in un pianto disperato, ma necessario. Harley la guarda come se potesse farsi carico di un poco di quel male, ma lei non glielo permette.

 «Che mi dici di te?»

 «Io?», chiede, quando si rende conto che tutto il tavolo lo sta guardando. Quando Sam Wilson annuisce, Harley incrocia le braccia al petto; si mette più comodo sulla sedia e alza un sopracciglio. «Non ho molto da dire, in realtà.»

 «La storia della pistola spara-patate, no? Quella è sempre divertente», lo incalza Steve, e lui alza gli occhi al cielo. Sbuffa divertito e vorrebbe solo che la smettessero di trattarlo come se, di fatto, fosse davvero parte di quel nucleo familiare che gli Avengers erano.

 «Ah, andiamo! Non vale metà delle storie raccontate fino ad ora. Oltretutto l'avete sentita un milione di volte.»

 «Credo che molti di loro non l'abbiano mai sentita!», ridacchia Pepper, poi si volta alla sua destra, «Vero Strange? Peter?», si blocca. Sì guarda intorno. «Peter?», ripete, confusa.

  Cala il silenzio. La sedia che fino a poco prima era occupata da Spider-Man – silenzioso e assorto, è ora vuota. Si era rintanato in un angolo remoto del tavolo, col solo ed unico tentativo di risultare invisibile e, di fatto, era stato così. Glielo avevano permesso, in realtà, lasciandolo nel suo doloroso silenzio e, nessuno di loro aveva cercato di coinvolgerlo, perché di fatto non era quello che Peter voleva, in quel momento.

 «Si è alzato poco fa, chiedendo scusa e dicendo che sarebbe tornato presto», spiega Stephen; Pepper guarda Harley, che ricambia e sospira. Non è irritato all'idea di dover andare a recuperarlo, lo infastidisce di più la consapevolezza che non è quello che Peter vuole. 

 «Vado a vedere come sta», dice e ha di nuovo gli occhi di tutti puntati addosso. Così fugge, si dilegua, cerca l'aria che ha appena compreso di abbisognare. Esce dalla porta del loft e se la chiude alle spalle. Una brezza gelida lo inonda. Si chiude nelle spalle. Fa frizione con le mani contro le braccia per darsi un poco di calore, e lo cerca con lo sguardo, che vaga dalla piccola banchina che dà sul lago, fino al boschetto poco lontano. Scende le scalette di legno, si inoltra in quel marasma di fusti e foglie secche, e lo vede. È appoggiato con una mano sul tronco di una quercia, mentre l'altra è aperta contro lo sterno. È piegato in due, e sta vomitando. Ansia, terrore, angoscia, senso di impotenza. Tutte sensazioni che Harley ha provato un tempo, quando era bambino, ma che in Peter può capire in parte. Lo raggiunge, anche se sa che lo caccerà via e gli dirà la solita, fastidiosa bugia di sempre.

 «Peter?», lo chiama. Lui si volta leggermente a guardarlo, dopo aver tossito e essersi passato il dorso della mano sulla bocca, per pulirla. Distoglie subito lo sguardo, e Harley non ferma quel cammino che lo sta conducendo da lui. Gli posa una mano sulla schiena e la accarezza. Non vuole dire niente, vuole solo aiutarlo. 

 «Sto bene», farfuglia, e Harley schiocca la lingua e guarda altrove, per non dover guardare ancora quel volto devastato, che mente a se stesso e agli altri, solo per non ammettere che fa tutto dannatamente schifo.

 «No che non stai bene. Come pretendi che possa crederti? Sei uno straccio. Vieni.» Lo prende per le spalle. Lo invita con gentilezza a posarle contro il tronco di un albero vicino. Gli sposta i capelli da davanti la fronte e lo studia. Peter boccheggia ansia, e il suo petto balla una danza macabra, fuori tempo. Non lo guarda. Ovvio. Come se lo avesse mai fatto davvero, da quando lo ha conosciuto...

 «Parlami», lo incalza.

 «Qualcosa deve avermi fatto male», cerca di giustificarsi, dando la colpa al cibo e non al suo destino avverso.

 «Qualcosa nei sentimenti, sì», lo canzona, e lo fa pur sapendo che non riceverà una sola reazione, da lui. Che sia rabbia, tristezza, allegria... non reagirà mai. Harley sa che Peter ha lo stomaco aggrovigliato per troppi motivi, legati a quel lutto, a quel pranzo, a quei ricordi e al fatto che i suoi – quelli che comprendono Tony, sono indicibili, indecenti e qualcosa di cui vergognarsi. Qualcosa di cui non parlerà mai con nessuno. «Che c'è?»

 «C'è che non sarei dovuto venire», ammette. Alza le braccia e si stropiccia gli occhi con i polpastrelli. Non riemerge. Resta così, arginato e nascosto, mentre grugnisce e apre un po' il cuore. «È stata una pessima idea. Non oggi, non con tutti quanti. Sto rovinando tutto.»

 «Non stai rovinando niente. E sì, saresti dovuto venire. Per Pepper, che ci teneva; per Morgan, ma soprattutto per te.»

  Peter sbuffa divertito, anche se nel cuore non lo è per niente. «Non c'è niente di buono, qui, per me.»

 «Continuare a sotterrare i tuoi demoni sotto al tappeto non servirà a niente, Peter. Scappare deteriora solo le cose. Affronta questo problema e tenta almeno di superarlo, o non ne uscirai mai.»

 «Ti ho già detto che tu non sai niente, di me», sibila Spider-man, e qualcosa di simile alla collera gli si specchia nelle membrane oculari, per un istante quasi impercettibile; poi tornano a velarsi di altre cose. Lo osserva inerme ricacciare nel petto lacrime ingiuste. «Non sai come sto, non sai cosa sto provando e, come ti ho detto, non ho alcuna intenzione né di superarla, né di affrontarla. Sto bene così.»

  Harley sospira. Chiude gli occhi, trattiene un pugno tra le dita, che vorrebbe poter elargire su quel viso già rotto, e spaccarlo definitivamente. Chissà se sotto quello strato di vittimismo e insofferenza c'è il vero Peter... quello che sorride sempre, quello che ha sempre la battuta pronta, quello che ha cuore solo per gli altri e si ama poco, ma splende. Quello di cui Tony gli ha parlato tanto. Forse troppo. Fa così male...

 «Questo non è stare bene, te ne rendi conto da solo?», chiede, a denti stretti e istintivamente alza il braccio nell’intento di prenderlo per il colletto e strattonarlo. Peter è più veloce. Gli stringe le dita intorno al polso e lo ferma prima ancora che lui possa farlo. Harley rimane spiazzato; dai suoi sensi e dalla stretta. Sgrana gli occhi e lo guarda inerme. Peter è più forte di lui, e non può farci niente. È una forza che non può reprimere, fa parte di lui. Di lui soltanto.

 «Sto bene», sillaba, dopo istanti di silenzio passati solo a guardarsi; a chiedersi chi sarebbe stato il primo a interrompere quel contatto visivo. «E non chiedermelo più… fallo per te.» Si addolcisce poi, e abbassa lo sguardo. Perde quella vena rabbiosa e ne acquisisce una più perentoria, più sofferta. Più premurosa.

  Harley sussulta. «Per me?», chiede, confuso. 

  L’altro sospira. «Senti, Harley... so che vuoi aiutarmi, so che vuoi starmi vicino, so che vuoi diventare mio amico, ma non sono la persona che tu pensi io sia. Ho una parte oscura che non voglio che tu veda mai. Non voglio che tu sappia... non voglio che tu sappia cosa... cosa io...»

 «È qui che sbagli. Io so. Io lo so... l'ho capito. Peter, non sono stupido. Quella di cui parli non è una parte oscura, è qualcosa che non puoi controllare. Nessuno può.»

  Peter scuote la testa. «Non hai capito davvero, allora.»

 «Lo amavi», sbotta e Peter gli lascia andare il polso. Lo guarda come se gli avesse appena infilato una lama nel cuore, poi nasconde il viso tra le mani. «E lui amava te. Cosa c'è di oscuro, in una cosa così?» Gli stringe gentilmente le dita intorno alle braccia. Lo invita a liberare il viso. Peter non fa resistenza, ma tiene gli occhi chiusi. È livido di vergogna, di paura, di ansia e rabbia. Sentimenti contrastanti, ma almeno sta provando qualcosa. Vorrebbe dirgli di aprire gli occhi e di affrontare la realtà. Gli ha confidato di sapere, nel solo ed unico tentativo di dimostrargli che no, non lo sta giudicando e che sì, vuole aiutarlo a trovare un appiglio. Vuole essere il suo appiglio. Lo vorrebbe con tutto il suo cuore.

 «State litigando?» La voce pura e squillante di Morgan rompe l'aria, e Harley vede Peter spalancare gli occhi sui suoi, distrutto dall'impatto che quella bambina ha su di lui. 

 «No, Maguna.» Peter sorride. Si slaccia dalla prigione in cui Harley è consapevole di averlo chiuso, e spezza la maschera solo per lei. Per lei soltanto. Il vero Spider-Man emerge e Harley lo guarda. Lo guarda e basta. «Parlavamo, e tu non dovresti essere qui, con questo freddo.» Lei si avvicina e lui si piega sulle ginocchia, per poterla fronteggiare.

 «Voglio giocare a acchiappa il ragno», ammette la piccola e Peter non riesce a trattenere un guizzo divertito, che gli fa vibrare le guance.

 «Okay, va a prendere un cappotto. Io mi do una rinfrescata alla faccia, ci vediamo qui fuori tra cinque minuti, va bene? Non un minuto di più», le dice; le passa una mano tra i capelli e lei annuisce, poi scappa via, ridendo. Come se Tony, lei, non l'avesse mai perso. Come se, in effetti, trovasse suo padre in ogni persona che le dedica attenzioni. Forse è così.

  Harley ha taciuto, ma avrebbe voluto dire molte cose, quando ha visto Peter splendere, per un solo, dannato attimo. Durato troppo poco – o forse abbastanza, per consapevolizzare perché gli sia così a cuore, quel ragazzo a metà. Poi però Peter si spegne di nuovo. Morgan sparisce in casa, e con lei porta via il sole e la spensieratezza, anche quella fasulla, di qualcuno che non ne possiede più. Harley sente i suoi occhi addosso, e non sa che dire. Ha paura. Paura di non sapere davvero chi ha davanti.

 «Ecco cosa c'è di oscuro, Harley... tutto questo.» Non c'è alcuna rabbia, alcun astio, alcun rancore in quella frase. Peter arriccia le labbra e gli lascia ammirare solo il vuoto che ritorna nei suoi occhi, poi si volta e se ne va; lo lascia lì, con mille domande, che non avranno mai una risposta, a quanto pare. Eppure ce n'è una, che gli tartassa la testa, e che gli stringe le meningi come se fosse una morsa; una corda troppo stretta intorno all'anima e al cuore.

  Cosa c'è di oscuro, in qualcuno che sa amare così tanto – incondizionatamente – come fai tu, Peter?
 

 



  Harley ha imparato ad osservare, piuttosto che parlare. Lo ha imparato quando Peter ha tolto la maschera, e si è mostrato a Morgan con quel sorriso quasi sincero, che è durato un solo attimo. Un istante solo, ma che non dimenticherà tanto presto. Ha imparato ad osservare, ed è per questo che lo fa anche ora. Una tazza di caffé bollente stretta tra le dita, e gli occhi puntati su quella finestrella della cucina, che dà sulla veranda. Seduti sulle scalette di fuori, a giocare a un gioco tutto loro, ci sono Peter e Morgan. Ridono, si spintonano, e fingono di aver dimenticato perché sono lì.

  «Qualcuno si è ricordato come si sorride.» La voce di Pepper lo ridesta. Harley si volta e la trova intenta a sistemare le posate nella lavastoviglie. Vorrebbe aiutarla, ma nota che ha già finito e che la sta caricando.

  «Quando è con Morgan, riesce a farlo quasi spontaneamente.»

  «Io parlavo di te», risponde lei, e lui alza le sopracciglia, preso in contropiede. Non si è reso conto di aver osservato Peter e Morgan con un sorriso sulle labbra; sa solo che sì, è decisamente più sollevato e alleggerito nel vederli giocare, ma il suo stato d'animo è ancora pervaso da una nube di incertezze. Sa esattamente cosa sta succedendo, nella testa e nel cuore, ma non riesce ad ammetterlo nemmeno a se stesso. Ha troppa paura di quello che sa di provare.

  «Non me n'ero nemmeno accorto», ammette. Si passa una mano tra i capelli e sospira. Ora sa di star sorridendo, perché i muscoli della mandibola gli ricordano che non lo faceva da troppo. Pepper si siede su una sedia. Cigola e stride, quasi ferisce le orecchie. Harley cerca di leggere il labbiale di Peter. Il ragno ti ha presa, ha detto la sua bocca, e poi ha fatto il solletico sulla pancia di Morgan, che ha iniziato a ridere.

  «Vuoi aiutarlo, ma non cadere nel baratro della sofferenza, Harley. Vi ritroverete a sprofondare nell'ombra, e non è quello che vuoi. Un giorno ti tenderà la mano e riemergerete insieme», gli dice, saggia. Parole che lo colpiscono, ma non così tanto da dissuaderlo dal suo obiettivo di salvare Peter. Vuole e così sarà. Lo deve a tutti, lo deve a Tony ma, soprattutto, lo deve a se stesso.

  «Credo che mi piaccia.» Lo dice senza alcuna remora. Ha ammesso quel fatto a Pepper e a lui; si sente meglio, ma sa con certezza che quell'ammissione non porterà altro che problemi, d'ora in avanti. Continua a guardare fuori, e lo stomaco gli si accartoccia. Vede Peter e nient'altro. Non vede nemmeno Morgan. Vede solo lui.

  «Ti piace? In che modo ti piace?», azzarda Pepper e lui non può mentire più.

  «In quel modo.» La tristezza esplode sul viso dolce e distrutto della signorina Potts. Ha gli occhi bassi. Un sorriso così triste, che fa male al cuore.

  «Peter piace proprio a tutti...», mormora.

  Harley arriccia le labbra. «Mi dispiace, non avrei dovuto dirtelo.»

  «No, è okay. Dopotutto è impossibile non volergli bene o... innamorarsene perdutamente, immagino. È un ragazzo meraviglioso, non posso nasconderlo. L'ho conosciuto in tempi in cui lo avresti trovato irresistibile. Quando c'era Tony, Peter brillava. Se ci penso ora, mi rendo conto che era inevitabile, che tra loro la cosa fosse reciproca. Si sono fatti del bene a vicenda.»

  «Pepper», la chiama. Si siede lapidario accanto a lei. Le prende la mano che ha appoggiato al tavolino e la stringe forte. La implora di guardarlo e quando lei lo fa, serra la mascella, alla ricerca delle parole giuste da dirle. «Non credere che Tony non provasse lo stesso, per te. Ti ha amata come nessun'altra. Lo sai, che è così.»

  Lei sbuffa una risata, visibilmente rincuorata da quelle parole. Inclina la testa di lato e il suo sorriso triste si vela di un pizzico di felicità e bei ricordi. «Lo so. È il motivo per cui non ce l'ho né con lui, né con Peter. È stato un amore diverso. Non ci ha condivisi. Ci ha amato entrambi. È stato difficile da assimilare, ma Tony era Tony... o lo accettavi così o lo perdevi per sempre. Non l'ho mai perso, e nemmeno Peter, ma tu... non fartene una malattia, Harley.»

  «Lo so che non è esattamente il momento giusto, per farmelo piacere, ma dubito che certe cose possano accadere con una certa logica», cerca di sorridere e il viso di Pepper è attraversato da un guizzo divertito. «Non mi importa se per lui è lo stesso o no. Io lo voglio solo aiutare, Pepper... so che è come chiedere la luna, ma se non ci provo nemmeno, lo rimpiangerò per tutta la vita.»

  «Mi sembra di sentir parlare Tony, lo sai?», ammette lei, poi gli passa una mano tra i capelli che poi blocca sulla sua guancia; così materna... Harley sente il cuore colmo di sensazioni che non provava da troppo. «Aiutalo. Se ci riuscirai, te ne sarò immensamente grata. Armati di pazienza, perché le persone che perdono un amore, non tornano a galla con facilità.»

  «Però tu ci stai riuscendo. Come?»

  «Non è esattamente così semplice, ma io ho Morgan. Lei è tutto, per me. Lei è il mio centro. Il mio obiettivo. Il mio Tony.»

  «Non voglio essere il Tony di Peter», replica lapidario, e sa di aver usato un tono amaro, in quella laconica risposta.

  Pepper accenna un diniego della testa. Poggia un gomito al tavolo e si passa una mano tra i capelli. «No. Io ho avuto la mia famiglia. Ho una figlia da crescere, una vita da portare avanti per lei. Peter ha un'esistenza intera, davanti. Sii quello che devi essere, ma liberalo dall'ombra di Tony, semmai dovesse ricambiare quello che provi.»

  Harley rimane spiazzato da quella risposta. Sa che riuscire ad estirpare il fantasma di Tony, dall'animo di Peter, sarà l'impresa più ardua che dovrà affrontare in vita sua. Dovrà accettare, nel fortunato e assurdo caso in cui il ragazzo del Queens decida di andare avanti – e decida di farlo con lui, che Tony c'è stato ed è stato importante ma che, prima o poi, dovrà far parte del passato. Non vuole che lo dimentichi, vuole solo che consapevolizzi che non tornerà più e che la vita, dopotutto, va avanti e va vissuta lo stesso. Fino alla morte. Apre la bocca per parlare, ma la porta della veranda si apre. Peter e Morgan tornano dentro, e sorridono. Hanno le guance rosse per il freddo, ma entrambi hanno gli occhi di chi si è divertito e ha dimenticato per un attimo. Harley incontra lo sguardo di Peter, solo per un istante, poi Spider-Man arriccia le labbra e nasconde di nuovo se stesso. 

  «Fa troppo freddo per mangiare un ghiacciolo?», chiede Peter e Pepper si esibisce in uno schiocco della lingua, fintamente indignato.

  «Perché non bevete un buon té, come farebbe chiunque, con questo freddo?»

  Spider-Man ridacchia. Morgan gli stringe la mano e lo guarda come se non esistesse nient'altro che lui, in quella tiepida cucina. «Perché noi non siamo chiunque, vero Maguna?» La piccola Stark annuisce. Pepper ci rinuncia, ma reprime un sorriso che gli occhi non celano. «Vieni a prenderne uno con noi, Harley?»

  «Sì, perché no. Con questo caldo...», ironizza ed è felice che Peter non abbia abbandonato quello sguardo un po' più presente. «Vi raggiungo subito.» Li vede sparire dietro la porta della cucina; li segue con lo sguardo e si alza in piedi. Non vuole lasciare Pepper da sola, ma è la prima volta che Peter reclama la sua presenza, e non vuole perdere l'occasione di passare del tempo con lui, quando è un po' più sereno del solito.

  «Non pensarci troppo e fai quello che senti. Non dimenticare di sorridere, però.» Pepper lo ridesta dai suoi pensieri. È diventata la sua confidente e la sua luce nel buio. Sa che può contare su di lei, sebbene non vorrebbe appesantirla con le sue fisime e i suoi dubbi che gli stringono l'anima in una morsa.

  «Ci proverò», sospira, ma le regala un sorriso, poi fa per andare, ma lei lo ferma.

  «Ah, e ricordati che non sarà semplice. Hai una rivale in amore: Morgan. Non te lo cederà, tanto facilmente, il suo Spider-Man.»

 


Fine Capitolo II


 



 

Angolo angoloso di Miryel:
Ma salve! Che bello trovarvi anche in questo secondo capitolo *__* Non ci speravo che la coppia, malgrado la novità, ha riscosso un discreto apprezzamento. Grazie davvero!
Per il resto, vorrei dire un paio di cose, su questa storia.
Molti di voi mi hanno chiesto se Pepper, in effetti, fosse a conoscenza della relazione "segreta" tra Peter e Tony. In questo capitolo si viene a scoprire che sì, la donna ne era consapevole e questo mi riporta a un'altra cosa che vorrei specificare:
molte delle mie storie hanno un legame e, questa, non è da meno. Protocollo Speranza dà a Peter Parker un nuovo motivo per andare avanti, ma non farò spoiler nel caso qualcuno voglia recuperarla... qui, è come se fosse un diretto seguito di quella storia, come se Protocollo Speranza si fosse ramificata in due parti: una si conclude con Almeno Tu Nell'universo e l'altra con questa qui. 
In sostanza, mi piaceva l'idea di sperimentare su questa coppia, ma non potevo in primis staccarmi da Peter e Tony, perché non ne ho né la forza, né la capacità, ma poteva comunque esistere un seguito felice. Tony non c'è più, ma la vita per Peter continua... e, malgrado tutto, si deve andare avanti.
Ora la smetto di cianciare come sempre e vi invito a lasciarmi un commentino, se vi va, che fa sempre piacere ♥
Al prossimo capitolo, gente di mare!
Miry
 

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Capitolo 3
*** Good Guys ***


[ Harley Keener X Peter Parker - Post EndGame - Past Tony x Peter -  Angst/Malinconico - word count: 4559 ]

We Are
Connected



« Why don't you like me without make me try? »
Mika - Grace Kelly
 



Capitolo III. Good Guys
 

 

 

  Harley si stupisce sempre di come Peter cambi, vicino a Morgan. A volte ha la sensazione che si senta in dovere di starle accanto; di accompagnarla in quella crescita, privata di suo padre. Come se, in qualche modo, potesse colmare quel vuoto che Tony ha lasciato ma, la verità, è che Peter si sente profondamente in colpa, e ha bisogno di espiare le sue colpe e questo, Harley, lo ha capito dal primo momento in cui l’ha visto, quel giorno al funerale. Quelle colpe di cui è convinto di dover pagare un prezzo, quando l'unica cosa che ha fatto è stato amare ed essere amato a sua volta. Non ha rubato niente a nessuno, men che meno a Morgan e Pepper. 

  Lo osserva staccare un pezzo di ghiacciolo con i denti, mentre Morgan è troppo concentrata a guardare i cartoni animati in TV. Ogni tanto indica un personaggio e ride, con la spensieratezza di una bambina che, dopotutto, merita di essere felice, malgrado abbia perso già così tanto. Malgrado porti il peso inconsapevole di aver avuto un padre che ha salvato il mondo, e che lo ha fatto anche per lei. Peter la asseconda, ridendo anche lui, velato sempre, costantemente, di quell'ombra oscura e pesante. Qualcosa che Harley vorrebbe estirpargli, come se fosse una radice morta.

  «Pepper mi ha detto che dormi qui, stanotte», dice Harley, e lo fa per parlare. 

  «Sì, Morgan ha insistito. Siccome domani non ho scuola, ho deciso di restare. Tu torni a casa?»

  «Non lo so. Potrei anche restare, perché no.»

  «Sì, resta! Per favore!», lo implora Morgan, ancora il viso rivolto al televisore, ma sempre così sveglia e attenta da riuscire a fare molte più cose insieme. Come Tony. Esattamente come Tony.

  «Non puoi dire di no a Morgan», dice Peter, e alza le spalle, con un sorrisetto a solcargli il viso. Le guance gonfie che gli risaltano gli zigomi non troppo pronunciati e che lo rendono, in qualche modo, dolce come un bel sogno. Harley è convinto che, quella stramaledetta cotta che si è preso, lo porterà alla rovina, solo perché Peter non ricambierà mai e, di conseguenza, gli spezzerà il cuore. Lo sa. E sa che non è colpa di nessuno. I sentimenti non si gestiscono, così come i lutti. Si chiede solo se, nel fortunato caso in cui Tony non fosse morto, avrebbe avuto qualche possibilità di stare con lui. No, che domande? Se Tony fosse vivo, Peter sarebbe ancora devoto, legato, un tutt'uno con lui. Il destino non li vuole insieme, in nessun caso, e Harley dovrebbe solo cercare di dimenticare cosa sta provando, e sorvolare, cercare di focalizzarsi su altro come, per esempio, tentare anche solo di farselo amico. Sì, perché Peter è troppo prezioso, troppo importante, per non pretendere e sperare di averlo nella sua vita, in qualunque modo. Non riesce più ad immaginarla, una vita senza di lui.

  Sorride; si impone di farlo. Si passa una mano tra i capelli. «E sia. Dopotutto non ho di meglio da fare, domani. Posso approfittarne e restare qui con voi, a bighellonare.»

  «Ottima scelta.» Peter glielo dice, ma non sa se lo pensa davvero. Lo osserva tornare a guardare i cartoni con Morgan e staccare un altro pezzo del suo ghiacciolo con i denti, poi qualche minuto dopo la piccola si addormenta e Harley combatte per non addormentarsi anche lui. Peter, accanto a lui, gioca con il cellulare. Ha abbassato il volume della TV, siccome nessuno la sta più guardando ed è tornato a isolarsi nel suo mondo, intriso di taglienti spine che non permettono a nessuno di avvicinarsi.

  «Manca ancora un sacco all'ora di cena. Ti va di fare qualcosa?», azzarda e Peter alza gli occhi sui suoi, confuso. Preso di sorpresa. Fuoriluogo.

  «Tipo?», chiede, e deglutisce.

  «Temo non ci sia molto più da fare che chiacchierare, immagino. In questa casa manca qualche gioco da tavola. La prossima volta ne porterò uno, ne ho una marea.»

  Peter gli lascia ammirare un mezzo sorriso che, nella testa di Harley, sembra quasi di sollievo. Non sa se sia così per davvero, ma spera di aver alleggerito un po' l'atmosfera. Non vuole che Peter lo veda come una minaccia, ma come un'ancora di salvataggio. Quello che, egoisticamente, Harley vorrebbe essere.

  «Non è una cattiva idea. Pepper si presterebbe, ogni tanto, a giocare con noi.»

  «Pepper farebbe qualsiasi cosa, insieme a noi. Ci adora», sorride Harley, ma quello di Peter si spegne. Si sente un completo idiota ad aver detto una cosa del genere. È ovvio che i sensi di colpa di Spider-Man implicano anche la convinzione che, la moglie dell'uomo che ama, non lo adori per niente, anzi. Forse lo odia a morte. «Che c'è?»

  «Nulla.» Alza il solito muro. «Comunque non lo so, che potremmo inventarci. E chiacchierare non è esattamente qualcosa che mi va di fare, ultimamente.»

  «Capito.» Harley sbuffa. Tira fuori il telefono e lo sblocca, cercando di trovare una distrazione che non lo spinga a prenderlo di petto un'altra volta e spronarlo a reagire, come vorrebbe. Peter non vuole, gli ha detto di tenersene fuori e lui così farà, ma è difficile.

  «Però... tu puoi parlare, se ne hai voglia.»

  Harley alza la testa dal telefono e arriccia le labbra. Vorrebbe dirgli che non ha voglia di parlare con qualcuno che, a quanto pare, non gli risponderà nemmeno ma quell'intento si blocca, quando incontra i suoi occhi castani. Profondi e caldi come non li ha mai visti. Quasi una novità. Vorrebbe dirgli che occhi così non li ha mai visti da nessuna parte e che, se non la smette di guardarlo a quel modo, finirà per innamorarsene. Forse è già successo, Harley non lo sa. Sa solo che lo stomaco gli si aggroviglia ogni volta che incontra la sua anima.

  «Mi piace parlare, se qualcuno mi ascolta.»

  «Io ti ascolto. Anche se non ho voglia di parlare di me, non significa che non sia interessato. Sto cercando di... di aprirmi un po'; un minimo. Sono un disastro e non ci riuscirò mai, ma da qualche parte devo pur iniziare.»

  «No, va bene! Insomma... già questo significa tantissimo, Peter. Non voglio romperti le scatole e costringerti a parlare di te, ma se vuoi che parli io, non ho problemi. So chiacchierare, se mi impegno», cerca di ironizzare. Si rizza sul divano, abbandonando quella posa scomoda che aveva adottato e Peter annuisce,  «Non so di cosa, ma parlo volentieri se ti va di sentire quello che ha da dire un ragazzino di campagna».

  «Non credo vi sia molta differenza tra me e te, e io sono in città... Mi trattano spesso come se fossi un alieno. Stesso disagio, ti capisco», ammette Peter.

  «Sei un campagnolo della città», lo canzona e Peter fa roteare gli occhi al cielo, fingendosi scocciato.

  «Solo uno sfigato. Nulla più.»

  «Non è quello che sembri. No, decisamente.»

  Cala il silenzio e con lui lo sguardo di Peter. Sembra quasi felice di sentirgli dire quella bugia. Attende che alzi di nuovo lo sguardo e gli regali quegli occhi quasi spensierati che prima gli ha rivolto; invece no. Peter sospira e ricambia di nuovo, spento, schiacciato, triste, solo e privo di qualsiasi altra emozione che non sia un senso di inadeguatezza, troppo forte per non far male all'anima.

  «So che mi pentirò amaramente per questa domanda ma... che ti ha detto, lui, di me?»

  Il tempo si spezza. Il cuore di Harley con lui. Ogni espressione rilassata sul suo viso si contrae insieme ai sui muscoli facciali e indurisce la mascella. Lui, Peter e l'altro. Gli fa così rabbia... vorrebbe alzarsi e andare via ma Peter e i suoi occhi vuoti lo bloccano lì, come se una catena invisibile l'avesse braccato. Non vuole fargli del male ma, sia decidendo di non parlare di Tony, sia decidendo di farlo, sa che non porterà a niente di buono. Eppure lo sapeva, che prima o poi quella domanda, Peter, gliel'avrebbe fatta.

  «Sei proprio sicuro di volerlo sapere?», gli chiede e, dopo qualche secondo passato a guardare altro, Peter annuisce. «Tante cose. Molte cose. Parlava di te, spesso e volentieri, almeno con me. Ogni volta che ci dedicavamo a qualche progetto, non c'era occasione che non ti nominasse.»

  «L'ho deluso.»

  Harley sospira e trattiene un grugnito. «Gli mancavi, Peter. Gli mancavi più di chiunque altro. Parlava di te perché aveva bisogno di mantenere il tuo ricordo vivo. Per se stesso. E aver sentito parlare di te così tanto a volte mi fa sembrare come se... come se ti conoscessi da una vita. Ho cominciato a pensare di rivolerti indietro anche io, pur non conoscendoti, solo per scoprire perché ti nominasse ogni volta», sorride, cercando di alleggerire quell'atmosfera, che rimane satura di Tony – che evita di nominare, solo perché Peter, da quando si conoscono, non l'ha mai fatto.

  «Non sono proprio chi ti aspettavi che fossi, vero?»

  «No, ma sono certo che prima o poi incontrerò quella persona.»

  Peter sospira. «Non accadrà mai, Harley. Sai che è così. Questa cosa mi ha segnato a vita. Non sono più quello di cui lui ti ha parlato. Non più.»

  Il silenzio scende di nuovo e si guardano. Si guardano come se Peter gli stesse dicendo che ha bisogno di lui, ma che non ha il coraggio di ammetterlo. Si guardano come se Harley potesse infilarsi nel suo petto e permettergli di tornare a far battere il cuore, come una volta. Di nuovo. 

  «Voglio aiutarti, Peter. Lasciamelo fare», esordisce, poi si umetta le labbra. «Per favore.»

  «Non esiste che tu ci riesca.»

  «Invece sì! Fammi solo provare, dammi una sola, cazzo di possibilità», insiste, e gli posa una mano sulla guancia, di istinto, solo perché quel viso intriso di dolore sembra chiedere questo: gesti, parole e sguardi che possano rassicurarlo; che possano convincerlo a fargli spazio e non restare più solo. Peter strabuzza gli occhi, di fronte a quel gesto. Per un attimo le sue pupille color autunno si illuminano di qualcosa che Harley non sa comprendere, ma non è tristezza. Poi lo scansa, con un gesto della mano, come se fosse una mosca, un insetto e abbassa le ciglia. Boccheggia qualcosa e, lanciandogli un'ultima, irosa occhiata, si alza e va via. Sfugge di nuovo dai sentimenti, dalle possibilità e dalla vita. 

  Vorrebbe fermarlo, ma non ce la fa. Non ne ha né la forza né il diritto. Eppure, in quella breve occhiata che Peter gli ha lanciato – pregna d'odio e di rancore – Harley ci ha visto altro e, buon dio, se è davvero quello che pensa allora forse ha qualche speranza. Se non sarà così, gli si spezzerà il cuore ma... ma per Peter, forse, ne vale di certo la pena.

 


 

  Peter non gli vuole parlare. Harley lo ha capito dal momento esatto in cui gli ha infilato gli occhi nei suoi e ci ha visto un mondo – per un attimo, che Peter non avrebbe mai voluto lasciargli varcare. Non lo ha fatto, difatti. Gli ha subito chiuso le porte della sua anima, abbassando la folta corolla di ciglia, verso il basso. Poi è scappato. Prima con la mente, poi con il corpo e poi... e poi lo ha evitato tutto il giorno, restando comunque in quella casa, solo per Morgan. Sempre e solo per lei. Ora la casa è silenziosa. Le padrone di casa dormono. Pepper si è addormentata in salotto, leggendo un vecchio libro di cucina. Harley l'ha svegliata per invitarla a raggiungere la sua stanza. Un po' perché l'ha vista in quella posizione scomoda, un po' perché vuole che, al piano di sotto, ci siano solo lui e Peter. Nessun altro. Le cose si sono decisamente incrinate, tra di loro e, malgrado non sia così stupito della cosa, Harley non riesce a capacitarsi del perché. Vuole solo delle risposte, da lui. Vuole solo sapere cosa ne è del loro rapporto. Vuole solo sincerarsi che, dopotutto, Peter non lo vuole. Né come amante, né come amico, né come semplice compagnia, quando sono in quella casa che a volte è troppo vuota, e a volte troppo piena. Harley vuole solo capire cosa farne, di quei sentimenti che si porta dietro. Non è un tipo che si strugge, piuttosto preferisce chiarire le questioni che lo lasciano in sospeso – a metà, e che lo fanno andare letteralmente nel pallone. E ora Peter è lì, a lavare i piatti con aria assorta. Tiene gli occhi bassi sulle stoviglie di cui si sta occupando, ogni tanto butta via un sospiro dalle labbra, troppo convinto che nessuno lo stia guardando dalla porta della cucina.

  «Peter?», lo chiama, e lui sussulta. Si volta e chiude gli occhi, spazientito.

  «Dio, mi hai fatto prendere un colpo.» Harley si avvicina. Poggia la schiena contro il piano della cucina e incrocia le braccia al petto. Si sente uno stronzo infame, ad averlo braccato lì. Peter ha le mani infilate nel lavandino colmo d'acqua, e non può scappare più. Non finché non avrà finito con quella mansione che sì, stasera è di sua competenza, secondo i turni di Pepper. Lo ha messo spalle al muro, non ne va fiero, ma è l'unico modo per affrontarlo. Per affrontarsi.

  «Eri tutto assorto», cerca di sdrammatizzare, sorridendo appena. Peter non lo guarda nemmeno e continua, impacciato, a lavare i piatti. Sta visibilmente cercando di velocizzare la cosa, sperando che Harley non se ne accorga. Stolto. Come se non lo osservasse abbastanza, da accorgersi di certi dettagli.

  «Non che possa fare niente di meglio che pensare, in certe situazioni», sospira Peter, e Harley sbuffa.

  «Come se non facessi altro, durante la giornata, che questo. Ti riempi la testa di pensieri e non stacchi mai. Come accidenti fai a non impazzire?» 

  Peter fissa l'acqua che gli nasconde metà avambracci. Ha indurito la mascella e ha il desiderio di restare solo e porre fine a quella conversazione, durata già troppo. Harley lo sa, che è così. Lo sapeva anche prima di presentarsi in quella maledetta cucina.

  «Harley, che cosa vuoi?»  

  «Solo sapere cosa ti frulla in quella testa.» 

  «Vuoi sapere a cosa penso?»  Peter sbuffa divertito, sebbene non lo sia per niente. Un piccolo sorriso amaro gli si spalanca sul lato sinistro del viso – l'unico che Harley può vedere, da quella angolazione – che fa quasi paura. «Come se non lo sapessi, a chi è rivolto il mio pensiero. Costantemente, incessantemente, da un anno a questa parte. Lo sai.» 

  Harley è quasi stufo, di sentirlo vittimizzarsi a quel modo, con una rabbia addosso che taglia l'aria e si autoinfligge dolore, consapevole forse di meritarlo, di doverlo provare.

  «Costantemente?», chiede, e non è stato gentile ma anche avesse voluto esserlo, non ci sarebbe mai riuscito. Peter lo guarda di sguincio, e gli riserva un'occhiata che, per qualche secondo brilla di qualcosa. Qualcosa di vivo. Poi muore di nuovo sotto le sue ciglia abbassate.

  «Quasi ogni istante.» E quel quasi, ha troppi sapori diversi, sotto la lingua di Harley. Suoni scompagnati che non hanno nulla a che vedere l'uno con l'altro. Quel quasi è una mera speranza, in un oceano di paure; dopotutto, sta solo travisando cose che non esisteranno mai. Come un interesse reciproco. Come se fosse lui, l'altro pensiero, al di fuori di Tony Stark.

  «Non pensi solo a Tony, quindi», dice, e Peter sussulta. Chiude gli occhi. Il dolore gli attraversa le guance, che serra tra i denti.

  «Harley...», lo ammonisce, e lui stacca la schiena dal piano della cucina e si avvicina. Peter è inerme, con le mani ancora infilate nell'acqua, che continua a non guardarlo.

  «Cosa? Peter, da quando ti conosco non ho mai sentito uscire il suo nome della tua bocca. Continuo a pensare che sia un modo tutto tuo di esorcizzare la cosa, e lo accetto, ma non puoi pretendere che anche io smetta di usarlo solo perché a te non va di ascoltarlo!», lo redarguisce e Peter, infine, tira via le mani dal lavandino. Sono fradice e raggrinzite. Le stringe tremanti contro il piano della cucina. Eppure, continua a non guardarlo ed è questo a fare più rabbia.

  «Non ho detto che tu non deb-»  

  «E allora cosa vuoi? Ogni volta che sentirai il suo nome dovrai reagire in questo modo? Tony Stark non è la tua maledizione, non è il tuo maleficio. È stata una persona importante nella tua vita, e cercare di non parlare di lui ma tenertelo solo nella testa, non farà altro che logorarti. Vuoi davvero questo? Vuoi un'esistenza basata su questo?»

  «Non ne voglio parlare. Lo sai. Sai che è così!», quasi urla, cercando di mantenere un tono basso, solo perché al piano di sopra ci sono due persone innocenti e ignare, che dormono e non sanno niente. Perché, malgrado tutto, Peter il rispetto per il prossimo lo mantiene vivo, anche se il resto di sé è appassito. Lo guarda. Finalmente lo guarda. Aggrotta le sopracciglia e crolla. «Per favore... ti prego... non farmi parlare di lui. Non con te...»  

  «Non con me?», chiede Harley, e resta appeso da qualche parte in quella conversazione, dove non sa più che sta  succedendo e cosa Peter voglia da lui. «Cosa c'è di sbagliato, nel parlarne con me?» 

  «C'è che non voglio e basta! Non... non voglio che tu...» Peter si blocca. Arriccia le labbra. Sospira contro il vuoto, chiude gli occhi  e trema. Non piange, non ci riesce, non sa farlo più e Harley ha zero potere sulla sua anima, che si strugge e si dispera, sotto strati troppo spessi di un'apatia insopportabile. Peter si volta. Torna a fronteggiare il lavandino, ormai colmo di acqua gelida e posate abbandonate nel fondo. 

  «Peter?», lo chiama Harley, e Peter non lo asseconda. «Peter?», ripete.

  «Lasciami in pace...», mormora Spider-Man, e arriccia il naso. Fugge ancora dal suo sguardo. Harley, per ripicca, si avvicina e lo guarda ancora più intensamente. Peter è un vigliacco. Non fa altro che fuggire. Scappa dalla possibilità di convivere con quel dolore e non perché gli sta bene così, ma perché ha paura di andare avanti e affrontare una vita diversa. Una vita senza Tony, che forse non è mai riuscito a concepire. Nemmeno per assurdo. «Per favore.» 

  Harley gli poggia una mano sul braccio. Stringe. Sa che non può fargli male; che Peter è un vigliacco ma è anche Spider-Man e ha il potere di liberarsi di lui in almeno dieci modi diversi. Eppure non lo fa. Gli lancia un'occhiata spinosa, intensa, che sa di paura, rabbia e tristezza. Sa di qualcosa, che non è quell'apatia che Harley è stato costretto a vedere perenne sul suo viso fino a ieri. 

  «Sono preoccupato per te.» Inclina la testa di lato. Continua a stringere il suo braccio tra le dita. Peter persegue a lanciargli sguardi taglienti, senza reagire. 

  «Non... non voglio che tu lo faccia. Te l'ho detto. Non mi serve il tuo aiuto. Non ho bisogno di aiuto.»

  «E di cosa hai bisogno, allora? Cosa vuoi, Peter? Una volta per tutte.»

  Peter sprofonda nei suoi occhi per un lungo e doloroso istante. Boccheggia un paio di frasi sconnesse, prima di sospirare e raccattare alla cieca un canovaccio per asciugarsi le mani. Le sfrega contro il tessuto e scuote la testa. 

  «Peter?», lo incalza. 

  «Lo sai, cosa voglio», risponde, lapidario. 

  Harley si appoggia di nuovo al piano della cucina. Incrocia le braccia al petto e alza gli occhi al cielo. «No, se lo sapessi davvero non sarei qui a chiedertelo.»

  «No, tu lo sai! Vuoi solo che sia io a dirtelo. E io non voglio farlo. Per favore... non ci riesco.» Peter aggrotta le sopracciglia. La sua infelicità e confusione è plasmata come un quadro impressionista sul suo viso. Corre via con lo sguardo ma non ci riesce davvero, quando poi gli riserva un'occhiata che Harley non sa definire. Allora muove un piede verso di lui. Gli prende le spalle e lo costringe a girarsi. Lo costringe a fare tutto ciò che lui non vorrebbe. Esternare sentimenti che Peter non vuole travasare, come acqua in un vaso, in un cuore diverso da quello di Tony. Forse. Non ne è certo. Non lo sa ancora. Allora gli affonda gli occhi nei suoi e tenta — ci prova, a dargli qualcosa in cui provare almeno a credere. Un futuro. Una possibilità.

  «Non ho intenzione di farti dire quello che non vuoi. Non adesso. Però, Peter, so che le cose stanno iniziando a cambiare. Tu non vuoi, ma è così. Dovresti solo iniziare a provare ad assecondare quello che vuoi.»

  «Io so solo cosa non voglio. E quello che voglio, invece, non posso riaverlo indietro.» Lo dice con una tristezza infinita. Lo dice come se non ci fosse un futuro. Lo dice come se gli stesse chiedendo di darglielo lui, qualcosa in cui credere. Allora Harley esita, e gli posa prima una mano sulla guancia e poi l'altra. Aspetta un segnale che non arriva, ma Peter non lo scansa nemmeno. Non sa se è d'accordo o solo terrorizzato. Ma non ha più importanza. Hanno fatto un passo troppo lungo, con quegli sguardi, e ora non si torna indietro. 

  Gli sfiora le labbra. Le pizzica. Le assapora, aspetta e poi lo guarda. Gli carezza la pelle, e gli pianta le dita in mezzo ai capelli, quando è Peter a chiedergli, in silenzio, di non scansarsi. E quel bacio, allora, diventa reale. Diventa palpabile, non più un sogno o un mero desiderio nascosto e bramato da lontano. Peter si appoggia con la schiena al piano della cucina, ma gli stringe le dita intorno ai fianchi. Lo asseconda, con una disperata urgenza di succhiargli via un po' di felicità. Qualche pensiero positivo che, per una volta, non viene adombrato dalla presenza costante e distruttiva di Tony Stark. 

  Harley sa benissimo che, quell'istante, durerà troppo poco e che, sicuro, Peter non riuscirà ad accettarlo. E quando l'intensità di quel bacio si fa più dolce e più intensa, Spider-Man lo scansa con uno spintone e Harley non è poi così sorpreso. Harley non è Tony Stark. Non può fare quello che l'uomo faceva, pretendendo di ricevere in cambio lo stesso. E, per quanto non sia facile da accettare, è meno sorpreso e schiacciato di quanto dovrebbe. Ha fatto quel passo solo ed esclusivamente perché era il momento. Ma, di fatto, non lo è più. 

  Peter si asciuga la bocca. La pulisce col dorso della mano. Come se, effettivamente, quel bacio avesse contaminato tutti quelli che Tony gli ha dato. Come se avesse cancellato quelli che, nella sua memoria, restano impressi sulle sue labbra come un tatuaggio all'inchiostro di veleno. Ha gli occhi sbarrati e una ciocca di capelli che gli cade sugli occhi.

  «Peter?»

  Peter non gli dà l'attenzione che cerca. Sprofonda, sempre più giù, in un abisso dal quale Harley avrebbe voluto tirarlo fuori. Con quel bacio quel ragazzo gli ha teso di nuovo la mano, lui lo ha afferrato, poi gli è scivolato via, inesorabilmente, dalle dita. 

  «Peter.»

  «Ti prego, ti supplico... va' via.» Lo guarda. Alza la folta corolla di ciglia e gli dona una luce, che Peter è inconsapevole di aver accesso in quelle castane, brillanti, sfere luminose che gli fanno da occhi. Harley si perde. Si perde sempre, quando lo guarda. Gli prende una mano. Lascia scivolare le falangi nelle sue. Le stringe — anche se, Peter, non fa lo stesso. Resta immobile nel suo dolore e per quanto gli abbia chiesto di andar via, continua a non scansarlo. Continua a lanciargli sguardi che poi distoglie. Continua a chiedergli di rimanere e di allontanarsi da lui. Peter non sa cosa vuole.

  No. Non è vero: sa esattamente cosa vuole, ma ne è terrorizzato. 

  Harley lo spinge contro il piano della cucina. Torna a baciarlo. Peter gli si aggrappa immediatamente alle spalle. Ricambia. Saliva e brividi si fondono di nuovo. Sono così vicini — così attaccati l'uno al cuore dell'altro, che il suo si accartoccia e fa un male spaventoso. Harley si stacca e Peter lo reclama ancora. Gli fa scorrere una mano dietro la nuca e gli affonda le labbra nelle sue, in un carnale, disperato, urgente bisogno di sentirsi — con lui, una cosa sola. Forse perché Peter è diviso. Spezzato, da quando Tony è morto. Molto più di chiunque altro. E magari — Harley lo sa, è un arrogante a pensarlo — lui può rimpiazzare finalmente quella metà mancante. 

  Se lo porta più vicino. Gli esplora la bocca con la lingua umida di libido, libera da un desiderio che è diventato realtà. Qualcosa che trema ancora, che è instabile, ma — perlomeno, ha una base che prima non c'era. Peter gli stringe le braccia intorno al collo. Vuole di più, ma chiede anche distanza. Il suo corpo vuole una cosa, e la sua mente ne vuole un'altra. E il cuore? 

  Che cosa vuole il tuo cuore, Peter?

  Si staccano. Un rivolo di saliva li tiene incatenati in quell'assurda e inaspettata follia che hanno appena condiviso, sotto le luci soffuse dei faretti abbassati della cucina. Avvinghiati con l'anima e col corpo, premuti contro il piano di marmo che fa male alla schiena.

  Peter lo guarda stupito e impaurito. Lo guarda con le labbra umide di chi ha lasciato scivolare via tutto. Tutto quello che avrebbe voluto a parole, ma che non era in grado di fare. Harley gli carezza leggermente la punta del naso col suo. Peter alza le ciglia sui suoi occhi. Poggia la fronte alla sua. 

  «Che sto facendo...?», gli chiede. Harley gli dà un leggero e velenoso bacio a fior di labbra, solo per ricordargli che non ha ucciso nessuno, per aver baciato qualcun altro che non è Tony Stark.

  «Non lo stai tradendo. Non lo stai deludendo. Non lo stai dimenticando.» Harley glielo dice sulle labbra. Gli stringe le dita intorno ai fianchi. Se lo spinge contro. Trattiene un mugugno tra le labbra. Peter fa male. Peter gli fa un male cane. Lo stringe. Gli chiede tacitamente di non lasciarlo solo. Di non lasciarselo scivolare via dalle dita, come è successo con Tony. Harley lo asseconda. Alza la testa. Il naso incontra i capelli di Peter. Inala il suo odore e lo fa suo. Gli lascia un bacio sulla testa e sospira. Sa che per Peter è difficile accettare quei cambiamenti. Sa che Peter non dimenticherà mai Iron-Man ma sa anche che, quella paura, è data dal fatto che, per fortuna, Peter vede lui e Tony come due persone diverse e che, di conseguenza, Harley non dovrà essere il Tony di nessuno. Peter alza la testa e cerca nei suoi occhi la risposta alla domanda che gli ha posto. Si guardano così intensamente che il tempo, quasi, sembra fermarsi. 

  «No? E allora cosa sto facendo?», gli chiede, e ha gli occhi lucidi. Eppure non lo lascia andare, sembra libero. Lo stringe ancora, e ci si aggrappa come un'ancora. Quella che Harley avrebbe voluto essere per lui.

  Gli lascia un sorriso da ammirare. Gli scosta una ciocca di capelli da davanti al viso e prima di dargli un altro bacio, gli risponde con l'unica risposta possibile. «Stai andando avanti.»

 
 


Fine Capitolo III


 



 

Angolo angoloso di Miryel:
Ma salve, gente di Mare! Come la va? 
Ebbene, siamo giunti al penultimo capitolo di questa piccina, picciò minilong, dedicata a questa inusuale ma interessante – almeno per me, coppia! Sono felice di vedere che l'apprezzamento ci sia ancora e spero che, con questo capitolo praticamente risolutivo nei riguardi dei sentimenti che albergano questi due giovani da molto, vi sia piaciuto.
La mia idea è quella che, un amore, non nasce dal nulla... certo. Ma da qualce parte, si aggrappa già dal primo sguardo. Quando qualcuno ti entra nella vita, così, all'improvviso, specie dopo un colpo forte come quello che Peter ha vissuto, e questa persona è potenzialmente affine a te, non può rimanerti indifferente. Il capitolo serve un po' a spiegare questo lato di Peter, che tra tutte le sue paturnie, le sue sofferenze, c'era questo immenso, spropositato senso di colpa nei riguardi non solo del non aver salvato Tony, ma di nutrire un interesse sentimentale per qualcun altro. una sorta di tradimento del cuore... che non c'è. Come Tony. Non c'è più e rimarrà il suo ricordo, ma non si va avanti senza niente di concreto trale dita... e, non sapete quanto dolore ho nel cuore, nel sostenere tutto questo ma... si deve andare avanti, quando ciò che avevamo di più caro non c'è più. Harley non è il Tony di Peter, e questo è proprio ciò che spaventa il nostro amichevole Spider-Man di quartiere. Amare, volere, baciare qualcuno che non è l'amore della sua vita, sembra quasi una vergogna, ma ha fatto un passo importante e, col prossimo capitolo, scoprirete quanto è stato grande ♥
Grazie a tutti, come sempre, per il vostro sostegno e le vostre parole! Sono la mia benzina!
Se vi va, lasciatemi un commentino anche a questo ♥
un abbraccio,
Miry
 

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Capitolo 4
*** Staring At The Sun ***


[ Harley Keener X Peter Parker - Post EndGame - Past Tony x Peter -  Angst/Malinconico - word count: 3548 ]

We Are
Connected

Graphic by Lightning ♥

« Why don't you like me without make me try? »
Mika - Grace Kelly
 



Capitolo IV. Staring At The Sun
 

 

Stringe la mano ad ognuno di loro, accennando un sorriso, sebbene sia convinto che negli occhi degli altri possa vedere lo specchio dei suoi: tristi e vuoti. Increduli, anche. Steve gli dà una pacca sulla spalla, poi sparisce tra la folla. Happy gli arruffa i capelli, Morgan gli stringe una gamba, con gli occhi strizzati dal dolore. Pepper gli lascia un sorriso dolce da ammirare, come se fosse lui, quello che ha appena perso un pezzo di cuore. Gli carezza una guancia, poi se ne va, e lo lascia lì, da solo, perché Harley di fatto, conosce solo lei e conosceva Tony. Gli altri sono solo un contorno che hanno fatto parte della vita incredibile di Iron-Man ma che, come lui, hanno avuto un ruolo importante. Sospira e si volta verso le scale. Il buffet del funerale lo attende, anche se sa che non mangerà niente. Ed è lì che lo vede, isolato e assorto, seduto sul dondolo sotto la veranda, però immobile. Statico. Spento come se fosse morte anche lui. 

Si avvicina solo perché c’è una forza magnetica, che gli dice di farlo. Non sa chi sia, non lo ha mai visto prima, ma è consapevole che si tratti di lui. Di quel ragazzo di cui Tony ha parlato fino a sfinirlo, certe volte, raccontandogli troppe cose, velato da una tristezza che nemmeno un uomo così capace di celare il dolore, era in grado di ammansire. 

«Ciao.» Ha il tono spento di chi vive una giornata senza alcuno stimolo. Tony ha spento la gioia, l’allegria e tutto il resto, con la sua dipartita. Si è portato dietro l’anima di tutti. Sarà difficile riappropriarsene. Il ragazzo di fronte a lui alza lo sguardo. Ha due occhi castani schermati da un milione di paturnie e sofferenza. Non è nemmeno incredulo, come lo sono gli altri. È intrappolato nel buio. Harley può vederlo sprofondare, ogni secondo di più.

«Ciao», risponde quello, poi torna a guardarsi le mani, che si sta tartassando strappando via le pellicine. Tremano. 

«Tu devi essere Peter», gli dice, e allo sguardo interrogativo dell’altro, gli mostra la mano. «Io sono Harley Keener. Non so se Tony ti ha mai parlato di me.» 

L’altro sussulta, e Harley scopre solo qualche tempo dopo, che lo ha fatto a causa di quel nome;lo scoprirà solo più avanti, quando inizieranno a vedersi più spesso, ospiti di quella casa, che chiede tacitamente di essere riempita. 

«Sì, sono Peter.» Risponde alla stretta, con un’enfasi rubata dalla tristezza: nulla. «Sì, mi ha parlato di te», dice, laconico, ma non aggiunge altro. Torna a guardarsi le mani, e a tartassarle. Sembra quasi una punizione; sembra quasi un modo per travasare il dolore altrove, lontano dalla testa e dal cuore. Harley non sa che dire, o cosa fare. L’unico pensiero che lo attanaglia è l’idea che finalmente, dopo cinque anni, sa chi è Peter e, la delusione, è che non ha davanti chi pensava che fosse. Ovvio. Non può pretendere che, in un contesto del genere, Peter possa dimostrarsi la persona amabile, dolce, allegra e casinista di cui Tony gli ha parlato, ma… se negli altri ha visto una personalità diversa, chiusa per un giorno solo in una gabbia di dolore, in Peter non ha visto lo stesso. È un guscio vuoto, un contenitore d’aria tossica. 

È Peter, ma non è Peter. Non splende. E forse non splenderà mai più.

Tony Stark, quel bagliore immenso, lo ha portato via con lui. 

 


 

Gli occhi di Peter, sono luminosi come il sole, ora che lo guarda disteso sotto di lui; mentre gli accarezza i capelli e gli sfiora la punta del naso col proprio. Harley non riesce a distogliere lo sguardo dal suo, e l'altro gli sospira l'urgenza sulle labbra; gli chiede un bacio, che non può negargli. Gli tocca la bocca, la punge con la sua e ha un brivido lungo la schiena. No, non riesce a distogliere lo sguardo nemmeno quando Peter gli stringe una mano intorno alla maglietta e se lo spinge contro. Nemmeno quando alza di poco il bacino, per dirgli cose che a voce non gli chiederebbe mai. Tipo che ha il permesso di andare oltre, di dedicarsi a lui in modo totale; di prendersi quello che vuole, siccome ha lo stesso desiderio. Peter annuisce, quando la mano di Harley si insinua sotto la sua maglietta e gli prende un fianco tra le dita e lo sente inarcarsi sotto di lui. Gli chiede un altro bacio e Harley obbedisce come se non potesse fare altrimenti. Effettivamente, non vuole altro che quello.

Gli sfila via la maglia e quando se ne sbarazza, torna a baciarlo con una irruenza incontrollata. Peter lo imita e gli toglie la sua, gettandola lontano, chissà dove; un problema di dopo. Rimanderanno tutto a dopo, ora c'è altro a cui pensare. Primo fra tutti, trattenere sospiri indecenti e dimenticare tutto il resto. Harley si appropria del suo collo, lo morde e Peter puntella i gomiti sul materasso, alzando leggermente la schiena per permetterglielo; gli sta dando modo di fare tutto ciò che vuole, ora che è libero da quell'ombra oscura che lo avvolgeva, e che è riuscito a lasciar andare, anche se si tratta di un momento solo, probabilmente. Harley ha paura che non durerà per sempre, che domani saranno di nuovo punto e a capo. Che domani Tony Stark tornerà a minare quella quiete – che così quiete non è – e li dividerà ancora, e ancora, e ancora...

Gli slaccia i pantaloni; Peter sospira frustrato, per questo Harley glieli sfila via con un solo gesto e, poco dopo, fa lo stesso con i suoi. Hanno addosso boxer e pelle; ogni volta che la sua incontra quella di Peter, Harley trattiene il respiro. Scende il silenzio, rotto solo dal loro respiro fuso. Si guardano, si catturano i visi tra le mani, e si chiedono tacitamente se proseguire è la scelta giusta.

Gli occhi di Peter sono ancora luminosi come il sole. Questo significa che è giusta. Lo è sempre stata.

Si scambiano piccoli, leggeri baci sulle labbra che sembrano tanto puri quanto carichi di bollori adolescenziali, che entrambi sanno di non provare da troppo. Hanno bruciato le tappe molto tempo fa, chi in un modo e chi in un altro. Hanno avuto vite troppo distaccate, troppo lontane da quelle dei ragazzi come loro, spensierati e liberi da tumulti logoranti e angosciosi, come il continuo senso di abbandono che tutti e due hanno provato e che, inesorabilmente, non riescono a scrollarsi di dosso, pur volendo.

L'unico modo è andare avanti comunque, anche se a volte non si ha la forza di farlo. Quel giorno però è diverso e quel giorno fa da manifesto a quella forza d'animo che non sempre è presente. Harley allora lo fa stendere sotto di lui e lo sovrasta. Peter apre le gambe e lo accoglie gemendo nel suo orecchio, quando si china per baciargli il collo e annaspare il suo profumo di cocco e vaniglia. Un mix pungente e dolcissimo, di cui Harley è succube ormai da mesi. Esplora l'incavo della sua spalla con la punta del naso, poi scende e gli lascia baci umidi sul petto e traccia una linea immaginaria con la lingua, di tanto in tanto. Incontra l'elastico dei suoi boxer e lo tira con i denti. Si ferma.

Peter gli stringe le dita intorno ai capelli, in un riflesso incondizionato, e Harley alza la testa per guardarlo, perché quel tocco è deciso, ma non ha alcun motivo di fargli male; o di fermarlo. No. Né il corpo né gli occhi di Peter vogliono questo. Questi ultimi sono umidi e pregni di urgenza, di desiderio e hanno valicato quel punto di non ritorno dove c'è quella minuscola possibilità che possa decidere di fermare tutto e porre già fine a quell'intento.

Allora Harley non si ferma e si delizia di quei mugugni di piacere, strozzati da una mano che Peter non smette di mordersi, per smorzare rumori indecenti e gradevoli, graffianti. Caldi. Qualcosa che Harley ascolterebbe per ore, come una canzone che dà assuefazione e la si vorrebbe ascoltare all'infinito.

Poi si ritrovano ad essere una cosa sola. Movimenti che ondeggiano in sincrono, che chiedono di più e lo chiedono con una disperata necessità. Gli bacerebbe le labbra fino a morire, se potesse e Peter splende, quando inarca la schiena sotto di lui, e lo stringe in una morsa che è tanto inaspettata, da spaccargli il cuore.
 



Harley guarda il soffitto. Peter ha gli occhi chiusi e la testa appoggiata alla sua. Le coperte aggrovigliate intorno alle gambe sono solo un cumulo di stoffa, testimone di quella notte che sta trascorrendo in silenzio, dopo troppi gemiti strozzati in baci bagnati. Alza una mano per carezzargli i capelli. Peter si stringe di più contro di lui, come un gatto che approva delle coccole e non vuole darlo a vedere, ma che il linguaggio del suo corpo tradisce. Lo sorprende alzando di poco la testa e lasciandogli un bacio sotto al mento. Altri brividi, e vorrebbe tornare sotto quel cumulo di coperte e diventare un tutt'uno.

«A che pensi?», gli chiede Peter, con un sussurro. La voce rauca di chi ha taciuto per troppo.

«A tante cose. Tu?»

«A tante cose.» Harley si gira a guardarlo. Sta sorridendo, anche se il suo viso è velato di una leggera malinconia che – è inevitabile, non lo abbandonerà molto presto. Non importa, Harley è paziente, anche se non credeva potesse esserlo tanto. Ha aspettato mesi prima di tirargli fuori qualcosa e ora sono lì, in un letto minuscolo, fatto per una persona sola, a condividere battiti del cuore e respiri spezzati, dopo aver fatto l'amore e aver fuso gli sguardi per ore. Quelli da cui Peter era più propenso a fuggire, fino a qualche ora fa. Ora gli affonda le iridi castane nelle sue – celesti, così differenti da quelle dell'altro – e sembra quasi non voglia tornare più a galla. Ha trovato l'appiglio che Harley ha tentato di mostrargli troppe volte; per cui Peter si è finto cieco per colpa di quell'incessante, terribile, angoscioso pensiero di non poter più amare nessun altro, dopo Tony. Harley sa che non lo eguaglierà mai, ma... questo non significa che non sia importante lo stesso. Non è una riserva, una ruota di scorta. È il dopo. Un dopo che, con un po' di fortuna, riuscirà a salvare Peter e lasciare che torni ad essere ciò che deve. Piano piano, ma sa che accadrà.

«Come ti senti?», gli chiede, e Peter non risponde. Non subito. Alza un braccio e lo appoggia sulla fronte. Fissa il soffitto e anche Harley torna a farlo. Lo lascia pensare; non pretende che gli risponda subito, non alle domande alla quale ha sempre risposto in modo positivo, ma solo per non sforzarsi di tirare fuori la verità e ammettere troppe cose. Ora sta soppesando quelle parole, e sta cercando quelle giuste per ribattere. Anche se ci vorrà un'eternità, a ricevere la risposta che cerca, Harley sa che dopotutto sarà per una volta sincera e ne varrà la pena.

«Libero da una catena», ammette Peter, e sono passati minuti interi. «Non sto bene, ma nemmeno male e non sono pentito. Tu mi piaci, Harley. Inutile nasconderlo, no?», dice, ma la sua voce è atona.

«Ma questo non significa che tu debba necessariamente sentirti pronto per ricominciare con qualcun altro. Non subito, almeno.» Fa un male cane dirgli una cosa del genere e dargli la libertà di scelta, ma è quello che vuole ed è quello che è giusto. Non esiste che gli imponga di stare con lui e condividere insieme il loro tempo per forza, anche se è quello che vorrebbe. «Però sapere che è reciproco è un bel passo avanti, lo ammetto.»

«Sì, lo è. Ho tentato così tanto di sopperire tutto questo, solo perché non lo trovavo giusto nei suoi confronti. Come se lui potesse avercela con me, ovunque sia, per averlo messo da parte...» Imperterrito, non riesce ancora a chiamarlo per nome, malgrado si senta libero da un peso e dalla prigionia di quella personalità forte che era Tony Stark. Ma Iron-Man non era solo questo; era qualcuno che ha dato a Peter tanti di quei motivi per cui credere ancora in se stesso, che alla fine se li è portati con lui nella tomba, per sempre. Ma Peter è vivo, continua ad andare avanti, a provare sentimenti, a respirare aria e a vedere come le cose evolvono e mutano senza che lui possa farci niente. Può solo lasciarsi trascinare, buttare giù il groppone e proseguire, anche senza Tony accanto perché, peggio di morire, c'è vivere senza essere vivi. Quello è peggio di qualunque altra cosa.

«Come ti ho detto, non lo stai dimenticando. E nemmeno tradendo. È difficile, Peter. Lo so... ma stai andando avanti e, a mio parere, è il regalo più bello che tu possa fargli. Lo so che, detto da uno che prova qualcosa per te sembra quasi un tentativo di convincerti per un motivo egoistico, ma lo penso davvero. Penso che lui non ti voglia vedere statico, in un punto, come se non ci fosse altro; come se il passato fosse l'unica vita che hai davvero vissuto.»

«Non penso che il tuo sia un pensiero egoistico. Tu pensi che io non abbia visto quello che hai cercato di fare per me, in tutto questo tempo? La verità è che lo so meglio di chiunque altro», dice Peter e cerca i suoi occhi, di nuovo. Harley glieli lascia ammirare, girandosi verso di lui. Gli guarda le labbra e le vorrebbe baciare ancora, se solo non stessero parlando di altro... di qualcun altro. «Non sarei qui, altrimenti», gli risponde ancora, come se avesse letto nel suo sguardo quella domanda che avrebbe voluto fargli.

Harley sorride. Si lascia scappare uno sbuffo divertito e gli cattura la bocca nella sua. Peter muove i piedi e non sembra nemmeno accorgersene. Si mettono su un fianco e si baciano ancora e ancora e ancora... c'è odore di libertà e di malinconia ma, invece di schiacciare il resto, quest'ultima si tiene in piedi perfettamente in equilibrio col resto dei sentimenti. Il cuore di Harley batte forte, e ha la sensazione che possa scoppiargli da un momento all'altro. Peter lo sovrasta. Gli sale a cavalcioni e piega la schiena per ammirarlo negli occhi. Si perdono ancora, e scappa a entrambi un sorriso e, quel velo nero, si sfibra via dal soffitto e evapora, si dissolve. Ogni tanto tornerà, Harley lo sa, ma ora come ora, vuole solo perdersi a contemplare quel sole che gli splende addosso, e che gli chiede di guardarlo sorgere.
 



Harley stringe le dita intorno alla tazza sbeccata, inebriato per un attimo dal calore che il contenuto sprigiona contro la ceramica. Porta sopra il logo della Stark Industries. Sbuffa una risata, mentre la guarda, poi alza gli occhi verso il cielo e ammira le stelle nascoste dietro ad un velo di nebbia, che sembrano tante, piccole luci di Natale, che in qualche modo, portano calore. Quello che, per un attimo, ha temuto di non sentire mai più nel petto. Sorride leggermente.

È seduto sui gradini di legno, quelli che portano alla porta d'ingresso della cucina. Quelli che, di solito, ospitano Morgan e Peter, nei loro giochi spensierati. Quei pochi momenti in cui Peter è, ineccepibilmente, se stesso. Quello che, a quanto pare, ha rubato il suo cuore e se lo sta tenendo gelosamente tra le dita.

"Fai pure, tienitelo per te!", vorrebbe dirgli, ma non serve. Non più.

Inclina la testa e guarda una timida luna che fa capolino tra uno squarcio di nuvole. Si perde a contemplarla, poi sussulta. La porta della veranda si è appena chiusa e, quando gira leggermente lo sguardo, Peter lo sta raggiungendo. Ha anche lui una tazza di tè caldo tra le mani. Sorride e gli si siede accanto. Si guardano e non parlano. Non ce n'è bisogno. Non più. Non sempre. C'è altro che parla per loro; gli sguardi che non sfuggono più, per esempio.

«È un sorriso quello?», gli chiede Harley e Peter sbuffa divertito, e guarda per un attimo altrove.

«Sì. Credo di sì.»

«È il primo che ti vedo fare dal vivo, in carne ed ossa. Gli altri erano tutti in quelle foto che Tony non faceva altro che incorniciare e mettere ovunque», ammette, e ha quella confidenza in gola da mesi; forse da quando lo conosce. Ha pronunciato quel nome. Peter ha tirato un sospiro profondo e lungo, ma i suoi occhi non hanno smesso di brillare, stavolta.

«Lo facevo di certo più spesso, una volta. Questo non significa però che non debba succedere più. Ci sono cose che pesano, Harley. Però poi ci si abitua a portarli, certi fardelli, ad un certo punto. È già successo, e succederà di nuovo», dice Peter, e si morde il labbro inferiore. Accorcia le distanze e reclama un bacio a fior di labbra, che Harley non riesce a non concedergli; lo vuole anche lui. Gli passa una mano tra i capelli e sorride, perdendosi ancora nei suoi occhi castani.

«Inquieto giace il capo che porta la Corona», risponde, e Peter sussulta.

«Quella frase Tony me la ripeteva in continuazione.»

«Anche a me», confessa Harley e, anche se vorrebbe, non dice nulla del fatto che Peter abbia infine trovato il coraggio di dire quel nome. «Una di quelle frasi che lo facevano sentire terribilmente intellettuale, immagino!»

Peter ridacchia. Lo fa con una malinconica spensieratezza, ma lo fa. È un sollievo immenso, gigantesco, che spacca catene e libera porte. Che distrugge muri, li sfascia e lascia spazio, infine, alla possibilità di condividere insieme qualcosa che è stato e che non tornerà più. Qualcosa che è impossibile dimenticare, anche se a volte entrambi vorrebbero, ma per motivi troppo diversi.

Si zittiscono e si guardano. Ci sono troppe cose che Harley vorrebbe dirgli ma che non può ancora lasciar andare via. Hanno fatto un passo avanti, forse due, anche tre, ma non è il momento perché Peter, dopotutto, non è ancora tornato totalmente da quella battaglia; parte di lui è ancora lì, inginocchiata a guardare Tony Stark morire e a tirargli via una parte di cuore che comunque – Harley lo sa – gli apparteneva. Gli appartiene ancora. Gli apparterrà sempre.

Dovrà convivere con quel fardello, se vuole stare con lui. Sa che pian piano le cose miglioreranno, e questa è la parte più difficile, ma Harley non vuole fallire e, soprattutto, non vuole essere l'ennesima persona a cui Peter si lega e che poi, inesorabilmente, lo lascia solo in quel maledetto mondo senza pietà alcuna, per quel cuore incantevole.

«Che altro ti diceva?», chiede Peter, incuriosito e Harley gli stringe la mano, con estrema delicatezza, solo perché ha una fottuta paura di romperlo.

Fa una pausa, poi torna a sorridere e, esitando un secondo, infine dice, «Siamo connessi».

«E lo eravate?» Peter non sembra geloso, mentre lo chiede, anche se Harley ha paura di sì. Hanno fatto l'amore, un'ora fa, e sembra impensabile che possa esserlo ma, dopotutto, quella non è una situazione ordinaria. Loro non sono due semplici adolescenti che ardono di passione e basta. Sono due ragazzi già adulti, che gridano con tutto il cuore di poter vivere, anche solo per un attimo, la spensieratezza di cui sono stati privati.

Harley non risponde subito. La risposta che vorrebbe dargli è molto più complessa di quel che poi riesce a dire. Vorrebbe dirgli che lo erano, ma non nello stesso modo con cui lo sono stati Peter e Tony. Vorrebbe dirgli che tutti, in un modo o nell'altro, sono stati connessi con quell’uomo. Perché lui ha voluto che fosse così e lo ha permesso a quelle poche persone di cui si fidava. Vorrebbe dirgli che quella connessione non ha nulla più che un significato allegorico, forse qualcosa di paterno, nella mente contorta e incredibilmente complesso che è stata parte di Tony Stark. Vorrebbe dirgli tutto questo, ma non lo fa. Allora gli stringe di più la mano, e spinge le labbra contro le sue; gli ruba un bacio e poi un altro.

«Molto più ora di quanto lo fossimo prima», ammette e spera che Peter abbia capito che, dopotutto, è lui la connessione tra Harley e Tony. Forse lo è sempre stato, se esiste davvero un destino già scritto.

Ha capito, perché sta sorridendo. Ha abbassato lo sguardo, e le guance gli si sono tinte di rosso. Non per il freddo, ma per qualcosa che non può nascondere nemmeno lui. Harley gli alza il mento con l'ausilio di due dita, e cedono ad un altro bacio che ha un sapore diverso, ora come ora. Quando si dividono si guardano negli occhi e si perdono in sguardi sicuri, poi alzano la testa e guardano le stelle. Il vento ha soffiato via le nuvole, rivelando un manto blu che ora fa loro da coperta. Le mani ancora strette l'una nell'altra e in quella notte inaspettata che hanno appena vissuto, c'è racchiusa la promessa che, da qui al domani, niente sarà più come prima. Non più.

Sono connessi e niente al mondo potrà cambiare quel fatto.


Fine



 



 

Angolo angoloso di Miryel:

Ebbene sì.... ebbene sì, ho concluso questa storia e, malgrado io abbia cambiato qualcosa in corso d'opera, è esattamente come volevo che finisse; Il titolo non era casuale. Fino alla fine ero convinta che Tony fosse la connessione tra i due, invece mentre scrivevo ho consapevolizzato che, dopotutto, è Peter il legame. È Peter che è sparito e, nel mio headcanon, è diventato materiale di discussione tra Harley e Tony.

Questa coppia mi piace davvero moltissimo, e sono certa che presto tornerò a scrivere su di loro, magari qualcosa di più allegro e meno canonico. Magari qualcosa che mi aiuti anche a studiare meglio l'introspezione di Harley che ho dovuto costruire sulla base di lui bambino, che è l'unica fonte che ho. Spero che la mia visione personale di lui vi abbia convinti e che, se ne scriverò ancora in futuro, lo riconoscerete (e questo starà ovviamente a me, ma mi impegnerò, giuro).

Sperando che la storia vi sia piaciuta e che abbiate visto in loro quel potenziale che ho visto io, quando ho iniziato inconsapevolmente a shipparli. Grazie a tutti coloro che mi hanno supportato, sopportato, letto e commentato. È solo grazie a voi se ho avuto il coraggio di continuarla e, infine, concluderla.

Alla prossima avventura insieme, grazie mille di tutto, ringrazio Mika per aver accompagnato con le sue canzoni, questa storia 🖤

A presto,

Miry

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