Peppermint

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Stai attento, papà! ***
Capitolo 2: *** Le avventure di Torao, Rufio e Eustachio ***
Capitolo 3: *** Etciù ***
Capitolo 4: *** Ora di merenda ***
Capitolo 5: *** Neve ***
Capitolo 6: *** A casa con voi ***
Capitolo 7: *** Più siamo, meglio è ***
Capitolo 8: *** Capitolo bonus #1: Strategia vincente ***
Capitolo 9: *** Capitolo bonus #2: HO HO HO! ***
Capitolo 10: *** Quella notte, quattro anni fa ***



Capitolo 1
*** Stai attento, papà! ***


Giorno: 15 dicembre
Tema: Imprevisti
PromptA e B litigano, ma ad avere la peggio è l'albero di Natale. Come reagirà C?



 
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Era al 14 di via Flevance ed era una casa senza grandi pretese.
C’era abbastanza spazio per due persone e un cane e in realtà ci sarebbero state comodamente anche tre persone e un cane o quattro persone e un cane. Ma ci vivevano due persone e un cane e ci stavano bene.
Era accogliente, calda, disordinata solo in ben precisi angoli adibiti apposta per concedere ospitalità all’entropia e, benché chi ne conosceva solo superficialmente il proprietario non lo avrebbe mai detto e avrebbe anche avuto ragione, dal 25 novembre circa, addobbata per Natale.
D’altra parte al dottor Trafalgar D. Water Lawrence, chirurgo pediatrico al Kyros Memorial Hospital di Raftel, non sarebbe importato poi molto, di norma, delle decorazioni di Natale e anzi si guardava bene dal metterne di esterne perché no, non era proprio il tipo da ostentare e ne andava anche abbastanza della propria credibilità, per quanto dell’opinione altrui gli importasse meno che delle decorazioni di Natale.
Ma era importante che il Natale si sentisse entrando in casa, era importante che fosse calda e accogliente, per due, tre, quattro persone che fossero più un cane, almeno quanto era importante che per le feste ci fosse sempre un pacchetto di caramelle latte e menta piperita.
Non era importante per Law ma Law gli dava importanza e per questo lo stato entropico in cui versava in quel momento, e non in uno degli angoli adibiti a quello scopo, era ben più che un semplice imprevisto per lui.
Era un fottuto casino.
Perché per quanto ci fosse comodamente spazio per quattro persone più un cane, era evidente che la casa al 14 di Flevance Street non fosse assolutamente omologata per ospitare quella ginormica rottura di palle che rispondeva al nome di Eustass Kidd.
Ogni volta che andava lì succedeva qualcosa. E quella volta era successo un fottuto casino. Che poi non era sembrata una brutta idea, organizzarsi per far fare gli addobbi insieme ai bambini ma forse, dopotutto, non ci si stava così comodi al 14 di Flevance Street se il quarto era Eustass-ya.
Law non avrebbe nemmeno saputo risalire a com’era successo.
Come avevano iniziato a discutere, com’era degenerata, come Kidd fosse riuscito a provocarlo abbastanza da fargli venire voglia di scagliargli contro qualcosa, con la flemma e la compostezza che sempre lo contraddistinguevano, a meno che non ci fosse di mezzo suo cugino Rufy e la sua banda di amici da internare, una piaga per cui Law si era rassegnato non esserci cura. Fatto sta che per quanto pacato e composto, gli aveva tirato contro qualcosa, la prima cosa che gli era capitata sotto mano, che tutt’ora non aveva identificato e che non aveva avuto tempo di identificare neanche prima.
Prima, quando Kidd aveva schivato.
Prima, quando l’oggetto decisamente più pesante del previsto aveva colpito l’albero. Prima quando l’albero aveva pencolato, perso l’equilibrio e, sbeffeggiando il disperato tentativo dei due di frenare la sua caduta, era rovinato a terra e su di loro, con tutto il carico di decorazioni fragili e non.
Ora, mentre Law cercava di calcolare rapidamente la portata del danno, ancora lungo disteso in mezzo ai resti del misfatto esattamente come Kidd, che se c’era un davvero un dio da qualche parte come minimo sarebbe dovuto restare schiacciato dal finto abete, si chiese perché mai gli fosse venuta l’idea di invitare Kidd e David e, più in generale, di decorare casa.
Era sembrata una buona idea.
Era evidente che non lo era stata.
Che poi di per sé non sarebbe stato neppure così irreparabile. Fosse stato per lui, avrebbe pulito tutto, smontato l’albero e archiviato la questione addobbi per il resto della propria esistenza.
Fosse stato per lui.
Ma non era per lui.
«A-ehm»
L’aria sembrò pizzicare come la menta piperita sulla lingua quando quel singolo raschioso suono raggiunse le sue orecchie. Imitato alla perfezione, faceva lo stesso effetto che aveva sugli altri quando era lui a produrlo e gli sembrava una gran bastardata essere vittima dei suoi stessi vizi. O forse non erano tanto i suoi vizi quanto la creatura di quattro anni che li scrutava con profondo rimprovero dalla porta del salotto.
Law sapeva di essere in torto pieno. E sapeva anche di essere nella merda.
E si sarebbe rifiutato di farsi ridurre così da una bambina, se suddetta bambina non avesse avuto i suoi stessi identici occhi grigi e, in quel momento, la sua stessa identica espressione giudicante di quando disapprovava qualcosa o qualcuno.
Perché fosse stato per lui, non ci sarebbe stato nessun albero colpito e crollato per sbaglio nel loro salotto. Ma non era per lui.
Era per lei.
Era tutto per lei, le decorazioni di Natale, il pomeriggio con David, Bepo che lo fissava lingua a penzoloni e coda oscillante, chiaramente ignaro della tragedia che si stava consumando ai danni suoi e di Eustass-ya.
«E ora?» domandò la pulce, con lo stesso accondiscendente tono che usava lui quando qualcuno commetteva un errore.
«È stato un incidente» spiegò rimettendosi in ginocchio in mezzo alle palline distrutte, l’espressione immutata e il tono calmo.
«Gli incidenti non capitano se si sta attenti»
Incurante della morte e del pericolo, Kidd non provò neppure a trattenere un ghigno. «Cazzo Trafalgar, l’hai proprio traviata»
«E adesso che si fa?» domandò David, gli occhi blu spalancati sotto il ciuffo scarlatto.
«Andiamo a comprare delle nuove palline» rispose decisa la pulce e i due adulti sbiancarono.
Sapevano che non potevano scamparla. Sapevano anche che andare a comprare degli addobbi con due impiastri di quattro e cinque anni era una vera catastrofe. E peggio di tutto, sapevano che era tutta colpa loro.
«Vado a mettermi le scarpe» annunciò Laine, parlando più che altro a Bepo e David.
E pur in quella poco auspicabile situazione, Law si concesse per un brevissimo attimo il pensiero che non era stato poi così una pessima idea invitarli, quando David scosse il capo e con aria saputa mormorò rivolto a Eustass-ya: «Non posso perderti di vista un secondo, papà»
 

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Capitolo 2
*** Le avventure di Torao, Rufio e Eustachio ***


Giorno: 16 dicembre
Tema: Addobbi
Prompt
Comprare assieme le decorazioni natalizie
Note: Un grazie a Zomi per i nomi dei figli di Kidd.


 

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Era al 27 di via Zunisha ed era una minchioteca.
Law non l’avrebbe definita niente di meno, uno di quei posti dove si entra per comprare le batterie AAA a pochi spicci e finisce che serve metà negozio anche se non serve, perché costa tutto poco, e a furia di comprare roba che costa poco ci si lascia lo stipendio di un mese.
Law odiava quel genere di posti, non tanto per la furba idea di marketing che ci stava dietro ma per quanto la gente si facesse abbindolare. La stupidità lo urtava terribilmente e per questo era un arcano mistero cosa ci facesse in giro con quei due, più il suo pseudo-nipote, più sua figlia, più il suo cane.
Chi lo avesse conosciuto poco avrebbe potuto pensare che l’atmosfera natalizia, gli addobbi e le canzoni morbide come una coperta di pile a dicembre inoltrato lo addolcissero. Chi lo avesse pensato lo conosceva appunto poco. Ma finché Laine sgambettava sulle sue spalle, felice e natalizia, a Law andava bene così.
O meglio, sarebbe andata bene se fossero stati lui, sua figlia, il suo cane e anche il suo pseudo-nipote. Era tollerabile persino Eustass-ya, che alla fine l’albero aveva contribuito a distruggerlo, anche se Law non era, di norma, per il mal comune mezzo gaudio. Ma erano stati colpiti da una grandissima sfiga e poiché Law non era per il mal comune mezzo gaudio, appunto, il fatto di non essere solo nella sfiga non alleviava la pena.
E dire che, insomma, per una volta era stato anche dalla parte di Eustass-ya. Non avrebbe reagito diversamente, nella decisione presa ovviamente, non certo nella reazione in sé – lui mica era così violento e, soprattutto, prolisso – quando nel chiamare Sanji per chiedergli se poteva tenergli Harley più del previsto non aveva ricevuto risposta, né una chiamata di ritorno.
Ci sarebbe voluto andare anche lui, a controllare di persona le condizioni della propria figlia, tutt’al più che casa Vinsmoke/Sharpshooter era di strada. E come lo aveva ripagato l’universo per quel raro slancio di empatia?   
Con Rufy.
«…’na fionda gigante!»
«Woooh! Davvero?!»
«Usopp può inventare qualsiasi cosa!»
Rufy che era a casa di Sanji per proporre una non meglio identificata attività a Usopp, che però non c’era, e allora si era trattenuto nella speranza di strappare qualcosa da mangiare e a far divertire Harley con delle smorfie che prevedevano tutte, dalla prima all’ultima, almeno un dito infilato nella narice, quando non erano più dita e, purtroppo, sempre una singola narice. E là ancora sarebbe stato, a mettere a repentaglio la sanità mentale di un innocente e di Harley, se solo David, o meglio il suo ADHD, non si fosse fatto sfuggire dov'erano diretti.
Law avrebbe potuto dirgli di no. Law avrebbe dovuto dirgli di no quando Rufy si era illuminato d’immenso all’idea di poterli accompagnare in quel regno delle meraviglie per un bambino troppo cresciuto come lui.
Ma Law non aveva detto di no, a onor del vero non aveva detto nemmeno di sì. Law aveva solo detto che in macchina con lui non c’era posto e a quanto pareva Kidd era stato troppo impegnato a levarselo dalla faccia prima di soffocare per negargli un passaggio e quindi Rufy era lì con loro, a fare comunella con David e forse, nel giro di mezz’ora, a distruggere il negozio.
«Benvenuti al Mokomo Dukedom, non dimenticate il volantino e che la gioia del Natale sia con voi» li accolse una voce monotona, seguita dal trillo di un sonaglino.   
Law si bloccò e sollevò lentamente il sopracciglio, scambiando poi un’occhiata con Kidd, mentre Laine portava entrambe le manine alla bocca, ridacchiando divertita. 
«Non troppo entusiasmo, mi raccomando» incrociò le braccia al petto Kidd, facendo sollevare la testa ornata da un discutibile cappellino da elfo al commesso posizionato accanto alla porta.
«Ehi, ragazzi! Law! Ciao!»
«Shachi, che stai facendo? Dov’è Baby?» domandò Law, mentre Laine si sporgeva fin quasi a cadere per salutare Shachi teso a farsi dare ben volentieri un bacio.
«Ha la febbre a quaranta ma voleva venire lo stesso al lavoro. Ho dovuto prometterle che l’avrei sostituita all’accoglienza. Sai che non resisto quando una donna mi fa gli occhi a calamita» aggiunse di fronte allo svettante sopracciglio dell’amico, prima di tornare a dedicarsi al frutto dei suoi lombi. «Vero, bambolina?» le fece l’occhiolino.  
«Che cazzo vai a casa di un’appestata con la febbre a quaranta?»
«Mica sono andato da lei. Se una donna ti fa gli occhi a calamita lo capisci anche al telefono» si indignò quasi Shachi, anche perché per lui era una cosa abbastanza ovvia. «Allora, posso aiutarvi? Se un cliente ha bisogno posso staccarmi da questo sonaglino»
«Il cappello invece te lo hanno incollato in testa?» sghignazzò Kidd ma non è che il suo divertimento fosse destinato a lunga vita.
«Zio Kidd e papà hanno distrutto l’albero» sospirò Laine, appoggiandosi sulla testa del padre con il gomito e schiacciando la guancia contro al pugnetto in una posa annoiata. «Ora dobbiamo ricomparire le decorazioni» si accigliò un momento, turbata. «Ricomp… Ricrom…»
«Ricomprare?» suggerì Law.
«Sì, quello!» scivolò un po’ di lato per scoccargli un bacio sullo zigomo. «Grazie DOC!»
«Che fine ha fatto David?»
«È fuggito insieme al tuo cervello»
«Trafalgar, sono serio»
«Dove vuoi che sia andato? Siamo in un negozio di cianfrusaglie e Bepo è praticamente un cane baby-sitter. Non ti agitare che ti esplode la giugulare. Comunque, Shachi, dove sono le palline per gli alb…» fece per domandare Law, se non che Shachi aveva l’aria di non ascoltare affatto. Anzi, a dirla tutta aveva l’aria di uno a cui avessero appena comunicato di essere seduto su una bomba prossima all’esplosione. «Shachi?»
«Penso che Kidd abbia ragione, riguardo l’essere seri, Law» ribatté l’amico, allungando il collo oltre gli scaffali. «Oltre a David non vedo più neanche Rufy»
Law si concesse un momento per ringraziare, non era chiaro chi né cosa, di essere così bravo a dissimulare, perché la voglia di prendere e andarsene senza decorazioni e senza nemmeno Bepo, per un attimo lo travolse. A parte che il samoiedo sarebbe stato benissimo lì con Shachi, così come lo sarebbe stato con Pen, a loro avrebbe affidato qualsiasi cosa a occhi chiusi, a parte Laine. Ma no, non importava se era Natale e aveva distrutto l’albero tanto caro a sua figlia, non ce la poteva fare a tollerare un’altra idiozia di Rufy, non poteva e sapeva, con precisione matematica, che avrebbe combinato qualche danno, il contrario era semplicemente impossibile.
«Okay Shachi, allora noi cerchiamo da soli le decorazioni così tu e Eustass-ya potete andare a scovare Dav…»
«Non penso proprio» lo interruppe il commesso e Law si sbilanciò per un momento in avanti, l’occhio vitreo, destabilizzato dall’improvvisa assenza di peso sulle spalle, quando Shahci gli tolse sua figlia dalle mani senza nemmeno chiedere.
E la piccola traditrice si lasciava anche prendere senza protestare.
«Io e Laine andiamo a prendere le decorazioni, tanto le scegli tu, no bambolina? E voi due andate a controllare che fine hanno fatto quei due cataclismi ambulanti, possibilmente prima che distruggano il negozio»
«Mi stai dando un ordine?» domandò atono Law, fissando non molto amichevolmente l’amico e riuscendo al contempo, con una raffinata tecnica, a non perdere di vista Laine, le mani che prudevano per riprendersela.
«Papà, zio Shachi ha ragione. Tanto le scelgo io»
Law spostò gli occhi sulla piccola traditrice, che si meritava sempre più il titolo, conscio di non poter cedere. Non poteva dargliela vinta, non perché in fin dei conti l’obiezione di Shachi non fosse giusta ma perché ne andava della propria sanità mentale.
«Fidati di me»
Ma la sanità mentale era da tempo un ricordo, da quando aveva incrociato quegli occhi, grigi come i suoi ma più grandi e più caldi e più convincenti di qualsiasi ottima argomentazione, di cui lui sarebbe stato ancora campione indiscusso se solo non fosse diventato padre.
«Ti farebbe cantare l’inno nazionale saltellando su una gamba sola, cazzo!» lo apostrofò Kidd, mentre marciavano lungo una corsia, in direzione opposta a Shachi e Laine.
«E quindi? Non sei più contento che non devi occuparti da solo di Rufy? Anche se è colpa tua se è qui»
«Colpa mia?!»
«Non l’ho portato io in macchina»
«Neppure io, ci è salito di soppiatto e David lo ha coperto» masticò tra i denti, Kidd, ignorando l’occhiata del suo miglior nemico, mentre svoltavano in un’altra corsia, vuota tranne che per un dettaglio che riuscì a bloccare la loro avanzata. Law fissò pietrificato Bepo completamente avvolto da strenne arancioni, che non sembravano turbarlo più di tanto, e l’istinto omicida prese a montare dentro di lui, rischiando seriamente di esplodere nel modo pacato che Law aveva di esplodere o forse no, perché quando si trattava di Rufy ogni cosa era destinata al degenero. Compresa quella situazione. 
Proprio come per l’albero, Law non avrebbe saputo ricostruire la dinamica. Sapeva solo che un momento prima era stabile sulle gambe e in fissa sul suo cane, o quel che se ne intravedeva, e un momento dopo lottava per mantenere l’equilibrio senza schiantarsi su ogni scaffale della corsia, provocando una pioggia di decorazioni, suo cugino aggrappato al collo e una barba posticcia in faccia.
«Rufy cosa fai?» digrignò, cercando di districarsi, vagamente consapevole di Eustass-ya che annientava lo stesso tentativo di assalto ai suoi danni da parte di David, afferrando il pargolo per le caviglie e girandolo a testa in giù.
«Non è Rufy!» protestò il mini Eustass, dimenandosi senza perdere una briciola di entusiasmo. «È Lucy, il grande guerriero dell’arena!»
«E la mia barba mi rende superforte! Law, provatela anche tu!»
«Non la voglio!» perse le staffe il chirurgo, insieme a tutta la compostezza e credibilità che avesse mai avuto e non si poteva certo affermare fossero poche.
Sapeva che sarebbe andata a finire così, andava sempre a finire così con Rufy ma Law non era il tipo da rassegnarsi all’universo. Lui rivalutava, ponderava, cercava l’errore per non ripeterlo. Ed era certo che non avrebbe mai più lanciato un oggetto né a Eustass-ya né a nessun altro, in casa, quando c’era l’albero montato.
Perché, anche se a fine giornata ci aveva guadagnato una penna con una testa di orso polare all’estremità e Laine era felice come una Pasqua - che era una festa decisamente più gestibile - dei nuovi addobbi, Law dubitava che avrebbe facilmente dimenticato il giorno in cui era tornato a casa nei panni di Torao la Renna, in compagnia di Rufio il Folletto e Eustachio il Pupazzo di Neve.     

 

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Capitolo 3
*** Etciù ***



Giorno: 17 dicembre
Tema: Tradizioni
Prompt: La leggenda del vischio

Note: Achtung! Capitolo doppio! Dopo i fiocchi di neve *** continuare la lettura.


 

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Era nel bel mezzo del parco Sabaody e solo i rafteliani la conoscevano con il suo vero nome, piazza Gyoncorde. Un ampio spiazzo ciottolato, che si trasformava ogni anno dai primi di novembre in una distesa di ghiaccio artificiale, meta per gruppi di amici, aspiranti pattinatori e famiglie.
Famiglie di ogni genere e dimensione, da quella fin troppo perfetta e finta a quella chiassosa, passando per l’allargata, dalla madre con tre figli e nipoti a rimorchio a un padre con solo una bambina e un cane, che però per quella volta non era andato con loro.
«…se c’è del vischio, cominci a starnutire!»
«Quando incontri l’anima gemella cominci a starnutire?» chiese conferma Law, finendo di assicurare per bene i ganci dei pattini a noleggio.
«Sì, esatto» annuì solenne Laine, contenendo l’entusiasmo che realmente provava, come sempre quando erano in mezzo a molta gente e non nell’intimità della loro casa o, al massimo, della loro famiglia. «Perché diventi allergenico al vischio»
«Allergico» Law la corresse con una dolcezza che Laine sapeva riconoscere nella sua voce e che a lui tanto bastava che la riconoscesse lei.
«La leggenda lo dice» riaffermò convinta e Law si concesse un ghigno così disteso da sembrare quasi un sorriso. Laine era così felice di essere lì a pattinare che a Law non veniva neanche voglia di precisare che non era affatto una leggenda a dirlo ma Izou e che non bisognava sempre credere a tutto ciò che Izou diceva, non tanto per rovinare il racconto inventato quanto per paura di quello che sarebbe potuto succedere se Laine si fosse fidata di tutto quello che Izou diceva.
Ma l’idea di portarli a pattinare era stata di Izou, che avrebbe potuto anche tenerselo per sé e Kikunojo ma invece aveva gentilmente esteso l’invito a Laine e David, e Law si sentiva stranamente ben disposto nei suoi confronti. Entro i suoi trafalgariani limiti.
«E se sei già allergico al vischio?» non resistette alla tentazione di minare anche solo in parte il racconto di Izou, tutt’al più che si trattava di una domanda più che ragionevole.
«Sanguini dal naso» rispose prontamente Laine, troppo prontamente, e Law non avrebbe saputo esprimere a parole l’orgoglio provato quando, nel sollevare la testa verso di lei, sua figlia piegò le labbra in un ghigno e annunciò: «Gliel’ho chiesto»
Santo Roger, era così fiero di lei. Si sentiva scoppiare di orgoglio.
«Forza» la incitò mentre smetteva di controllare compulsivamente la chiusura dei pattini e la afferrava sott’ascella per rimetterla in piedi. Le prese la mano, lasciando che trovasse da sola l’equilibrio sulle lame prima di avviarsi verso la pista ghiacciata, dove gli altri erano già riuniti.
«Zio Pen!» abbandonò la corazza di calma Laine, nonostante fossero ancora in mezzo a una folla, ma il suo zio preferito meritava tutto l’entusiasmo del mondo, e che gli altri vedessero pure. «Guarda, ho i pattini!» si sbracciò verso il rosso, intento a parlare con Izou e che subito si illuminò come le luci che decoravano tutta la vegetazione attorno nel vedere la nipote, almeno quanto la nipote si era illuminata a vedere lui.
«Ehi principessa! Ma come siamo belle, una vera fata dei ghiacci» si accovacciò per abbracciarla e farsi dare un bacio. «Sarà meglio che Kikunojo e David ti tengano d’occhio» lanciò un’eloquente occhiata verso il fratello di otto anni di Izou che si mise subito sull’attenti. E a proposito, che fine aveva fatto David?
Law non riuscì quasi a finire di produrre il pensiero che un tonfo metallico riecheggiò a pochi passi da loro, quando un bambino si schiantò contro il bordo di laminato della pista, ammaccandolo probabilmente dall’interno. Per un momento nessuno si mosse e fiatò, in attesa di veder spuntare due occhi blu sotto un ciuffo rosso fuoco dal bordo superiore mentre una mole imponente si avvicinava rapida da dietro.
«David, tutto bene?» frenò in mezzo al ghiaccio Killer, studiando il nipote che gli era stato affidato e da cui occhi sgranati trapelava un entusiasmo che lasciava spazio al dubbio che neanche si fosse accorto di essersi appena schiantato.
«Wow! Che figata! Kiku, Laine venite!» si aggrappò al bordo della pista saltellando a martello pneumatico, la mano dello zio Kira ben ancorata alla sua testa.
«Ha la stessa coordinazione di Kiddo-kun» scosse il capo Izou, gli occhi fissi su David, come anche gli altri due.
«Almeno David è solo un po’ iperattivo, Eustass-ya è proprio irrecuperabile»
«Speriamo che Harley abbia preso dalla mamma» intervenne anche Penguin.
«È lo stesso augurio che ci facciamo per quando tu avrai un figlio» lo omaggiò di un sorriso bastardo Killer. «Anzi, in realtà preghiamo proprio gli dei ogni giorno per questo»
«Ehi!»
«Papà andiamo?!» Laine si aggrappò alla mano di Law, troppo eccitata, ora, per riuscire a controllarsi e Law sapeva che avrebbe iniziato a schizzare da una parte all’altra appena messo piede sulla pista. D’altra parte Laine adorava il freddo, il ghiaccio, la neve e gli animali artici e Law non poteva che condividere, anche se solo mentalmente, l’entusiasmo di sua figlia. Non era come se non la capisse alla perfezione.
«Non allontanarti da Izou» si raccomandò all’ingresso del recinto di laminato, a cui tornò ad appoggiarsi di fianco a Pen, osservandola attento sfrecciare sul ghiaccio.  
«Lo sai che non scompare nel nulla anche se smetti di controllarla?»
«Mh?» Law si girò distrattamente verso Pen, la coda dell’occhio incollata alla piccola figura imbacuccata. «Ti ci metti anche tu ora?»
«Dico solo che puoi tirare un po’ il fiato, siamo qui tutti anche per lei» 
Law sollevò un sopracciglio. «Ne parli come se la cosa dovesse confortarmi» 
«Hai pensato alla mia proposta?» non si fece scoraggiare, Pen.
«Certo che sì, eri anche presente mentre ci pensavo. Ricordi? È stato quando me lo hai proposto» 
Pen si concesse un sospiro, nemmeno troppo trattenuto, staccando gli occhi dalla pista per girarsi completamente verso l’amico.
«Law, dovresti pensare un po’ anche a te stesso»
«Uscendo con la tua nuova collega?»
«Conoscere gente nuova fa parte del pensare a se stessi»
«Io conosco un sacco di gente Pen, mio malgrado, ed è già abbastanza impegnativo così, credimi» ironizzò quasi divertito, secondo i suoi trafalgariani standard, strappando un sorriso all’amico. 
«Ma se solo tu…»
«Dov’è Laine?» il tono di Law si fece improvvisamente serio e freddo, gelido, come l’aria che condensava il suo fiato in piccole nuvolette, come i suoi occhi che setacciavano la pista, preoccupati ma analitici e fermi.
Era troppo razionale per sbroccare prima del tempo, la pista era zeppa e Laine non raggiungeva il metro e dieci di altezza, ma per uno come Trafalgar Law, il controllato, sempre sul pezzo, calcolatore Trafalgar Law, averla anche solo persa di vista era già motivo di allarmismo e se qualcuno l’avesse toccata avrebbe segato la pista in due prima di permettere a chiunque di portargliela via.
Senza neanche pensare si lanciò dentro la recinzione in laminato, le suole che slittavano pericolosamente sul ghiaccio artificiale, ignorando i richiami di uno dei ragazzi a guardia che gli ricordava che non si poteva accedere senza pattini. Se era per quello, neanche si poteva parlare senza la lingua ma di tempo non ne aveva neppure per minacciare in quel momento.
E dire che lui i cuori li riportava a un ritmo regolare per lavoro ma il suo non sembrava tanto intenzionato a rallentare e gli sarebbe tanto piaciuto potersi raccontare che era lo sforzo di non perdere l’equilibrio e rovinare grugno al suolo ma allora non avrebbe dovuto provare quell’ondata di sollievo, una vera e propria scarica elettrica, nel riconoscere il cappellino con le orecchie a pochi metri. Smise di scivolare e pestò il ghiaccio con gli scarponcini per raggiungerla più in fretta, gli occhi fissi su di lei, mica le venisse in mente di sparire di nuovo a un battito di ciglia e non si chiese neppure perché fosse immobile, lei che non stava ferma neppure quando dormiva.
«Lain…»
«Ecco fatto, così non rischi più di perderla»
Law si fermò a un passo di distanza, spostando gli occhi su una figura accovacciata, di cui non vedeva granché, a parte il berretto rosso di lana e i guanti abbinati che lasciavano libere le punte delle dita, con cui stava assicurando meglio la sciarpa al collo di Laine.
«Sicura? Non vola più via?»    
«Garantito!» ricambiò il sorriso la sconosciuta, pizzicandole appena il naso. «Non sei qui da sola immagino»
«No, io…»
«Laine» si sbloccò finalmente Law, coprendo deciso l’ultimo passo, l’espressione severa. Non ci voleva una laurea per capire che la pulce non se n’era andata a spasso per divertimento ma se già Law non era bravo a gestire le emozioni, figuriamoci lo spavento che si era appena preso.
«DOC! La sciarpa, la sciarpa è volata via!» raccontò entusiasta dell’incredibile fenomeno.
«Ti avevo detto di non allontanarti da Izou» 
«Ma io…» sgranò gli occhi la bambina.
«Mi scusi»
Law alzò la testa di scatto e aprì la bocca per invitarla a non intromettersi ma così rimase per un attimo, giusto il tempo per rendersi conto che non riusciva a formulare la frase e richiudere le labbra.
Sorrideva.
Quella sconosciuta gli sorrideva e Law non era certo tipo da farsi abbindolare da un sorriso ma c’era qualcosa negli occhi blu di quella ragazza, di così sincero e di così gentile che Law era piuttosto certo che si sarebbe sentito uno stronzo a risponderle male. E la cosa sconvolgente era che Law era abituato e gli andava perfettamente a genio sentirsi uno stronzo, di solito.
«È stata colpa mia, l’ho fermata per ridarle la sciarpa» pattinò più vicina e un vago sentore di menta gli pizzicò le narici, liberando i suoi polmoni dall’ultima oncia di apprensione che si era materializzata in tempo zero nel suo petto, con il peso di un macigno.
«Capisco» mormorò Law, posando la mano sul capo della pulce, visto e considerato che i suoi occhi non sembravano intenzionati a distogliersi da lei.
Dio, ma che gli prendeva?!
«Hai ringraziato la signorina?»
«Koala» annuì appena la ragazza, abbassando gli occhi guizzanti di vita e allegria sulla piccola. «Mi chiamo Koala, Kay per gli amici»
Laine si illuminò, scivolando appena verso di lei e Koala si piegò subito in avanti, appoggiandosi al bordo della pista, per lasciarsi dare un bacio sulla guancia.
«Grazie Kay»
«Vischio! Vischio, solo tre berry a rametto!»
«È stato un piacere piccola»
«Oh ma guarda queste due belle signorine che si baciano! Che ne dite di un rametto di vischio a soli tre berry?!» un tizio dal naso lunghissimo e una barba posticcia da Babbo Natale si accostò al bordo della pista, offrendo il suo cesto di vimini carico di rametti accuratamente legati tra loro. Li smosse appena per mostrare la merce e un lieve refolo di vento soffiò tra di loro, diretto verso Law.
«Ehi che ne dici? Ne prendiamo un rametto così poi hai la scusa per farti dare un bacio dal… uhm, dal papà?» indagò sottovoce Koala, strappando una risata a Laine e lanciando una fuggevole occhiata a Law, già pronto a protestare, lo sguardo ancora severo.
«Sì d…»  
«Etciù!»
«Salute!» esclamò Koala, mentre consegnava tre monete da un berry l’una al venditore di vischio e il rametto di vischio a Laine. «Serve un fazzoletto?»
«No gr…» provò a rispondere Law, prima di venire interrotto da un altro starnuto.
Laine lo fissò con tanto d’occhi, poi guardò il rametto che teneva in mano, poi di nuovo suo padre e gli occhi le si fecero grandi come due fondi di bottiglia, portò una manina alla bocca, l’espressione meravigliata ed estatica, le guance arrossate.
Law ebbe giusto il tempo di accigliarsi e poi ricordare, di realizzare cos’era appena successo nella testa di sua figlia, prima che la persona meno adatta a piombare lì in quel momento, piombasse lì in quel momento.
«Ehi tutto a posto? Successo qualcosa?»
«Izou, Izou! Papà è diventato allergenico al vischio!» agitò il rametto nell’aria la pulce. «Ha conosciuto Kay ed è diventato allergenico al vischio!»
Gli occhi vitrei fissi su sua figlia e un moto di… qualcosa in corpo, Law non aveva bisogno di guardarlo. Sapeva che Izou stava sorridendo mefistofelico, per il semplice gusto di ciò che stava per fare.
«Oh ma non mi dire» incrociò le braccia il ragazzo, spostando lo sguardo da Laine a Law e per finire alla piccola ragazza che sostava lì accanto a loro. «Immagino che tu sia Kay»
«Sssì, in effetti, ma che…»
«Laine, vuoi raccontare a Kay la leggenda del vischio?»
«Oh sì! È una storia bellissima e…»
«Noi purtroppo dobbiamo andare» intervenne Law, caricandosi Laine su una spalla a sacco di patate.
«Cosa?! No! DOC mettimi giù!»
«Grazie ancora per l’aiuto, Koala»
«Papà!»
«Non farti ingannare, lui non ringrazia mai nessuno, quindi, in realtà, ti sta dicendo che è stato un piacere conoscerti» cantilenò Izou a una basita Koala, ignorando i grugniti di Law rivolti a lui. «Per lui e per il suo sottomarino allungabile, probabilmente»
Non fosse stato così impegnato ad allontanarsi il più in fretta possibile, Law gli avrebbe tirato volentieri la lama di un pattino.
Un piacere conoscerla un paio di balle. Era proprio quello che gli serviva, che andassero a raccontare a una perfetta sconosciuta che secondo loro si era preso un colpo di fulmine per lei.
Quando? Quando e come aveva potuto pensare che andare alla pista con Izou fosse una buona idea?




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Giorno: 17 dicembre
Tema: Tradizioni
Prompt:
Cenone di Natale ----> Prompt riadattato


 
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Era al 10 di via dei Rivoluzionari e per Law era una seconda casa. Sapeva dove trovare le stoviglie in cucina, il guardaroba all’ingresso, gli asciugamani in bagno e persino le luci di Natale nel garage.
Certo era merito della sua incredibile capacità mnemonica ma dipendeva anche innegabilmente dal fatto di aver frequentato quella casa sin dall’infanzia. Lui e Sabo erano cresciuti insieme, amici prima che cugini, e la porta degli zii era sempre stata aperta per lui e per Lamy, per amor di precisione proprio spalancata fin quasi a scardinarla da Rufy a ogni sua visita. Ragion per cui, Law non avrebbe mai potuto declinare l’invito annuale della zia alla cena di Natale, che si teneva sempre l’ultimo sabato di novembre o il primo di dicembre. Solo un anno l’aveva persa perché di turno e aveva dovuto ammettere, solo con se stesso, solo internamente, che quel Natale gli era mancato qualcosa.
Non che Law desse molta importanza al Natale. Anzi a lui del Natale importava poco o niente ma la sua famiglia era altra faccenda soprattutto da quando, quattro anni prima, il suo concetto di “famiglia” aveva subito un brusco cambiamento.
Certo reputava quello della zia di estendere l’invito indiscriminatamente a qualunque amico di figli e nipoti un po’ un brutto vizio, ma almeno Laine poteva divertirsi con David e Kiku e tutti gli zii ed era per lui un raro momento di totale relax.
­«Anche tu?»
«Anche io cosa?» domandò Sabo, appoggiato con il gomito alla mensola del caminetto, da cui pendevano calze a motivi jaquard e dove le foto di famiglia erano state decorate con mollette a forma di renne, folletti e pupazzi di neve.
«Beh…» Law distolse lo sguardo grigio e analitico dai vari Torao, Rufio e Eustachio in miniatura, riportandoli sul cugino. «Anche Pen ha una nuova collega, ma spero tu non me ne stia parlando con il suo stesso intento»
«Oh cugino» sorrise Sabo con faccia da schiaffi. «È grandiosa, non potrei mai cercare di accoppiarla con te» scosse appena il capo, lasciando ondeggiare le ciocche bionde e per quanto sinceramente non interessato a nessuna relazione amorosa, Law non poté non provare un moto di lieve fastidio a quelle parole, che graffiavano nonostante tutto il suo orgoglio maschile.
Sollevò un sopracciglio, perfettamente consapevole di come e dove colpire e senza il minimo scrupolo nel farlo. «Ishley lo sa, che è così grandiosa?»
Il sorriso si congelò sul volto di Sabo che, occhi vitrei, si voltò lentamente a fronteggiarlo. «Che stai insinuando? Lo sai che io ho occhi solo per Ish»
«Oh sì, io lo so» ghignò bastardo Law, appoggiandosi a sua volta alla mensola del caminetto. «E so anche che la tua collega è grandiosa, l’hai elogiata anche con lei per caso?»
Law contò mentalmente fino a tre e poi si spalmò di più contro il camino mentre Sabo lo superava senza un’altra parola, lanciandosi alla ricerca di Ishley con l’intento di fare cosa non era chiaro. Dichiararsi, magari, sarebbe anche stata ora dopo quattro mesi a struggersi. E dire che in tutte le altre cose della vita era così sicuro di sé.  
«Sabo, tesoro» lo richiamò proprio in quel momento la zia Betty, uscendo dalla cucina attraverso l’arco ricoperto da una ghirlanda traboccante di decorazioni, a ritmo della musica natalizia che si diffondeva al giusto volume, tra le accoglienti mura e gli ospiti riuniti in gruppetti qua e là.
«Mamma, scusa ora non p…»
«Deve essere arrivata la tua amica» lo interruppe lei, con quel tono che non dava spazio a repliche e Sabo si voltò quasi spaesato verso la porta di casa, manco fossero le fauci di un mostro pronto a divorarlo anziché, appunto, la porta di casa.
Con un sospiro appena accennato, Law si staccò dal caminetto e fece un cenno a Sabo di andare, che ci pensava lui ad accogliere l’ospite, avviandosi poi con passo flemmatico e Bepo alle calcagna in tempo zero. Cosa gli toccava fare per quell’imbecille. Pure gli onori di casa e l’educato con una sconosciuta.
Lanciò un’occhiata di ammonimento a Bepo, che facesse il bravo e non saltasse addosso, prima di afferrare la maniglia e aprire, ritrovandosi il campo visivo invaso da tanto rosso e frizzante menta nell’aria.
Un cappellino di lana, dall’aria singolarmente famigliare, seguito da un paio di occhi blu e un sorriso, che lo lasciarono per un attimo interdetto. Law non era tipo da confondere sogno con realtà, era troppo razionale per non sapere quando stava sognando e quando era sveglio ma per un attimo si chiese se non fosse tutto prodotto dell’attività onirica del suo cervello. Perché sul serio, per la legge dei grandi numeri, come poteva la sconosciuta della pista di pattinaggio essere proprio lì, alla porta della casa dei suoi zii?
«Ciao»
Law sbatté le palpebre un paio di volte, risvegliato non tanto dal saluto quanto dal tono con cui gli era stato porto, un soffio quasi incredulo e piacevolmente sorpreso.
«Ciao» riuscì a ribattere solo dopo che Bepo gli ebbe dato una testata al polpaccio.
«Che sorpresa» continuò a sorridere imperterrita Koala e Law fece finta di non ricordarsi perfettamente il suo nome.
«Sei la nuova collega di Sabo?»
«Beccata» inclinò appena il capo di lato. «E tu sei…?»
«Law» allungò il braccio e un istante dopo sgranò impercettibilmente gli occhi di fronte alla propria mano tesa perché, onestamente, non sapeva cosa stesse facendo, come non lo sapeva Bepo che si sdraiò coprendosi il muso con una zampa.
«Piacere di conoscerti Law» Koala ricambiò così prontamente il gesto da non dargli neanche il tempo di provare imbarazzo. «Ufficialmente per lo meno. Io sono Koala»
«Sì, mi ricordo» annuì Law, tornato alla modalità analitica e impassibile.
Un guizzo balenò nello sguardo della ragazza, che incrociò le braccia sotto al seno. «Tu, comunque, posso affermare con sicurezza che non sei un collega di Sabo»
Law si appellò a tutto il proprio autocontrollo per non accigliarsi. Il fatto era che Koala sembrava davvero felice di vederlo, contenta di essere lì a parlare con lui, anche se fuori al freddo, e per quanto non fosse la prima donna né sarebbe stata l’ultima a mostrare apprezzamento in sua presenza, alla pista avevano interagito quasi niente e dubitava Koala fosse andata a pattinare per rimorchiare. Quindi sì, insomma, era un po’ difficile capire perché mai la ragazza si comportasse come se lui le piacesse davvero.
«Sono suo cugino»
«Ah» Koala socchiuse appena gli occhi. «Allora credo proprio mi abbia parlato di te»
Law sollevò un sopracciglio, non gli era chiaro se volesse essere una provocazione ma era certo che con Sabo bisognava sempre prendere ciò che diceva con le pinze, una precisazione che stava per fare a scanso di equivoci, quando Bepo abbaiò impaziente ai piedi del padrone, guaendo subito dopo una scusa del tutto non necessaria, dato che il samoiedo aveva centrato il punto.
Koala cominciava a tremare e Law si diede mentalmente del deficiente. Non che lei avesse smesso di sorridere.
«Prego, accomodati» si scostò di lato, osservandola scivolare a un centimetro da lui e non fece in tempo a richiudere la porta che la voce più bella e dolce che avesse mai sentito risuonò entusiasta.
«Kay?!»
«Piccola, ciao!» le andò incontro Koala, senza neanche togliersi il cappotto mentre Law scambiava un’occhiata con Bepo e annuiva. Potevano fidarsi e comunque erano in territorio amico, erano avvantaggiati.
Il cuore stranamente leggero, Law si richiuse l’uscio alle spalle senza accompagnarlo e il lieve tonfo fece tremare il vischio appeso sopra la porta, liberando l’odore nell’aria.
«Etciù»
«Salute!» Koala non esitò, in un dejà-vu di due giorni prima alla pista, che sarebbe stato perfetto se avesse fatto in tempo ad aggiungere:
«Serve un fazzoletto, DOC?»
Ma non era stata lei ad aggiungerlo, chiaramente non poteva essere stata lei, per quanto socievole non erano abbastanza in confidenza perché lei lo chiamasse DOC, che non stava affatto per dottore ma per “disturbo ossessivo compulsivo”, un soprannome coniato con cura per lui proprio da chi lo aveva appena utilizzato, appoggiandosi a peso morto sulla sua spalla, dopo avergli immancabilmente palpato una chiappa.
Law le lanciò un’occhiata assassina in tralice mentre Koala sorrideva alla nuova arrivata, cercando di incastrarla nel quadro con discrezione, così da non fare gaffe, soprattutto perché Laine non sembrava dell’idea di mollare la sua gamba e, se quella era la compagna di Law, la situazione si faceva sempre più fuori luogo ogni secondo che passava.
Ricordava distintamente di aver sentito Laine chiamarlo proprio con quello stesso soprannome e la donna lo guardava con uno sguardo famelico, affamato, quasi fosse stato una fetta di pizza.
«Bonney, puoi evitare?»
«Perché? Mica è tesoro nazionale» Bonney si appoggiò con il mento al braccio abbandonato sulla sua spalla. «Un uccellino mi ha raccontato una leggenda adorabile»
«La leggenda del vischio?» domandò Laine, che intanto si era lanciata su Bepo e stava facendo treccine con il pelo del suo collo.
«Proprio quella, scricciolo» annuì Bonney per poi alzare lo sguardo su Koala, senza cambiare di una virgola la propria espressione. «Non mi presenti la tua amica, Law?»
Law trattenne un grugnito e si fece un appunto mentale di portare Izou, Pen e Killer alla morte più lenta e dolorosa che gli riuscisse immaginare e poco importava se uno di loro era il padrino e tutore legale di Laine. Avrebbe trovato a chi affidarla in alternativa.
«Bonney, lei è Koala. Koala, lei è Bonney ed è…»
«Single. Casomai la cosa possa interessarti»
Un guizzo tornò ad attraversare gli occhi di Koala che, sinceramente, non aveva motivo di provare tutta quella speranza e quel sollievo eppure non riuscì proprio a impedirselo, mentre lanciava una fugace occhiata a Law e poi tornava su Bonney per rispondere: «Trovo sia un’informazione interessante per quanto io non sia interessata», facendo inarcare entrambe le sopracciglia a Bonney.
«Sagace. E ovviamente etero» sbuffò. «Tutta tua, chirurgo»
«Ma voi non…» non riuscì più a trattenersi Koala, indicandoli discreta con l’indice, giustamente perplessa dalla mano di Bonney che non si era ancora scollata dalla chiappa di Law.
«Che?!» si stranì Bonney, dopo un momento di condivisa interdizione con il suo collega dal bisturi facile. «Oh dio no» mormorò attraverso un sorriso congelato. «Mi ammazzerei»
«Bonney»
«No, Polvere di Stelle, io e lui non stiamo insieme. A dirla tutta né io né lui stiamo con nessuno, io perché sono sfigata e lui perché non abbiamo ancora trovato una santa che se lo prenda» annuì solenne provocando un risolino che Laine cercò di soffocare contro il pelo candido.
«Anche zia Ikka lo dice sempre!» esclamò poi, senza lasciar andare Bepo che si stava godendo le coccole a occhi socchiusi e lingua penzoloni.
«Ma davvero scricciolo? Perché non mi ci accompagni, da zia Ikka, che non l’ho ancora salutata?»
«Certo!» si rimise in piedi Laine, pronta a fare gli onori di casa. «Bepo andiamo?» sgambettò via, lasciando così il genitore completamente solo con il proprio ben celato imbarazzo, Koala e le canzoni di Natale di zia Betty a fare da sottofondo.    
Law non era tipo da restare senza parole. A volte non parlava deliberatamente, quasi sempre era laconico e conciso, ma restare senza parole, quello non gli capitava mai.
D’altro canto, per tutto c’era una prima volta, anche se non era quella perché poteva benissimo offrirsi di appenderle il cappotto e così facendo la questione sarebbe stata chiusa e la sua faccia salva.
«Dunque, Koala, se vuoi dar…»
«È davvero una bambina eccezionale» lo interruppe però Koala, senza realizzare che lo aveva interrotto. «È come se emanasse luce, solo a stare con lei ti senti più vivo»
E la prima volta arrivò così, senza preavviso, prendendolo tra capo e collo, perché una perfetta sconosciuta che aveva visto sua figlia per tredici minuti totali, aveva appena descritto alla perfezione e con disarmante semplicità quello che lui sentiva per Laine, che mai era riuscito ad esprimere o anche solo definire, neppure con se stesso. E lo condivideva. E lui sapeva che Laine era eccezionale ma che lo vedesse anche il resto del mondo, gli riempiva il cuore.
«Credo che anche lei stia volentieri con te» sentenziò e non era neanche una risposta. Era una constatazione e neanche sapeva perché l’avesse fatta ad alta voce. Ma Law conosceva Laine come nessun’altro e stava solo affermando ciò che vedeva, non c’erano significati nascosti o secondi fini.
«Se ti serve una baby-sitter ogni tanto, tienimi in considerazione» ribatté Koala, senza neanche mezza esitazione. «O anche se ci sei tu, insomma io sono libera e disponibile»
Il sopracciglio di Law si alzò con lentezza esasperante a quelle ultime parole, che arrivarono al cervello della loro proprietaria a scoppio leggermente ritardato ma ci arrivarono tuttavia, e Koala sgranò gli occhi mentre le guance le si coloravano progressivamente di un rosso sempre più intenso.
Oh… Santo… Roger… Che aveva detto?!
«Ah io… i-io credo che sia il caso che vada a posare il, il… ecco» indicò un lembo della mantellina grigia di panno.
«Cappotto»
«Il cappotto! Esatto! Sì! E poi devo salutare Sabo e… e… insomma io vado. Grazie ancora per l’accoglienza e tutto… il resto» si dileguò con un ultimo sorriso, il volto in fiamme e gli occhi fissi di fronte a sé.
Il che era un vero peccato.
Se si fosse voltata giusto un altro istante sarebbe bastato. Bastato per vederlo ghignare, con più soddisfazione di quanto a Law sarebbe piaciuto ammettere, e per vedere il suo naso arricciarsi. E se si fosse trattenuta ancora un momento sarebbe bastato per sentire il suo sonoro starnuto, quando un lieve refolo di vento, infiltratosi da chissà che spiffero, agitò il vischio sopra la porta.
  

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Capitolo 4
*** Ora di merenda ***


 
Giorno: 18 dicembre
Tema: Regali
Prompt: Babbo Natale Segreto

Note: Per colpa di una bellissima fanart, si è fatta strada nella mia testa l'idea di imparentare Ishley e Ikkaku, e siccome mi capitava a fagiolo per questo capitolo, ho lasciato che succedesse. I regret nothing e anzi grazie ai miei amati lettori! Page. 
 

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Era al 21 di via Acacia e da un paio di mesi ci si respirava aria nuova. Non che i precedenti inquilini fossero soggetti sgradevoli ma, da quando c’era lei, la porta era sempre aperta, contro le più basilari regole di salvaguardia della propria persona e sicurezza generale.
Forse sarebbe dovuta essere più cauta, forse semplicemente più selettiva, fatto sta che Koala finiva per invitare pure i venditori ambulanti a prendere il caffè a volte. E forse non era affatto eccesso di altruismo, forse era proprio una strategia e pure vincente, perché suddetti venditori restavano così destabilizzati da tanta gentilezza che finivano per perdere qualsiasi velleità di tentare di fregarla e venderle alcunché. Senza contare che, comunque, tanto non ci sarebbero riusciti, a fregarla.
Jean-Bart, però, non era un venditore ambulante, né l’elettricista, né il tecnico del wifi. Jean-Bart era il primo vicino con cui Koala aveva allacciato rapporti giunta nel quartiere, il gigante buono che le aveva portato dei muffin un po’ ammaccati e le aveva spiegato come funzionava la differenziata e il servizio ritiro pacchi di cui si occupava l’edicola. Che Jean-Bart fosse lì da lei non era affatto strano.
Ben più singolare era la presenza di Sabo non perché non fosse ben accetto ma perché molto semplicemente Koala non lo aveva invitato, non avevano in programma di vedersi per un breefing lavorativo e, in poche spicce parole, era lui a essere piombato lì senza preavviso.
Con Laine.
Dire che la visione della piccola non avesse illuminato la giornata a Koala e reso l’inattesa visita ancor più gradita sarebbe stata un’abominevole bugia e, nel giro di una manciata di minuti, Jean-Bart aveva capito perché.
«Ma tu sei proprio grande così?»
La creatura lo fissava con gli occhi grigi più caldi e luminosi che avesse mai visto e a Jean-Bart i bambini piacevano, a parte Shalulia, la viziatissima figlia del suo capo, ma quella pignetta era davvero irresistibile.
«Magari sei tu che sei piccola» le fece notare, abbassandosi con il busto, il braccio appoggiato al ginocchio, senza alzarsi dal divano perché, se già lo vedeva enorme da seduto, figurarsi da in piedi.
«Sì io sono piccola ma tu sei lo stesso un sacco grande» non si scompose Laine e accostò più il viso al suo, in confidenza. «Dimmi la verità, la verdura non c’entra vero?»
«Okay, quindi riassumendo…» Laine si girò di scatto al suono della sua voce, quando Koala rientrò in salotto con un vassoio e Sabo alle calcagna. «Tu volevi fare un regalo a Ishley e approfittarne per dichiararti, finalmente aggiungerei, ma l’hai pescata al Babbo Natale Segreto dell’altra sera a casa dei tuoi e quindi ora il tuo regalo rischia di sembrare un obbligo e non spontaneo e, oltre a questo, hai scoperto che Drake le farà un regalo con il tuo stesso intento e tu non puoi assolutamente permetterti di essere da meno perché  lei è la prima donna che ti fa sentire come se potessi gettarti nel fuoco senza bruciare» concluse girandosi verso di loro, con un sorrisetto che era tutto un programma per Jean-Bart e un occhiolino a Laine, che fremette appena prima di arrampicarsi sulla gamba del gigante, venendo accolta senza neanche chiedere permesso.
«La tua capacità di afferrare il fulcro è commovente, Kay» sospirò il biondo, accomodandosi al tavolo.
«Io li shippo lo sai?»
Jean-Bart riportò l’attenzione su Laine, al sicuro nella sua presa e corrugò le sopracciglia già molto vicine di loro. «Li shippi?»
Laine si strinse nelle spalle, annuendo. «Non so cosa vuol dire ma quando dico che io voglio zio Sabo e Ishley insieme, Izou dice che li shippo. Anche Marco li shippa»
«Sabo non vedo il problema, le hai preso un bellissimo regalo, fai comunque come avevi pensato»
«Ma perde di valore!»
«Non se ti dichiari»
«Drake potrebbe giocare d’anticipo, io devo per forza aspettare»
«Ehi» Jean-Bart fece saltare appena la pignetta sulla propria gamba. «Non preoccuparti, ora ci pensa Kay a loro»
Laine gli sorrise come il sole di luglio, sistemandosi meglio contro il suo braccio che era più o meno lungo quanto lei. «Secondo te Kay può pensare anche al mio DOC?»
«…’nderle un altro regalo per il Babbo Natale Segreto e giocare di anticipo tu con quello che le hai già comprato, che ne dici?»
Sabo sgranò gli occhi, allontanando lentamente le mani dal suo viso, stringendo poi l’aria vicino a quello di Koala, come a volerlo afferrare tra i propri palmi senza osare tanto però. «Ma tu… tu sei un genio!»
«Bastasse così poco, sarei già imperatrice dell’universo»
«Kay è perfetto! Dobbiamo andare a prenderle un altro regalo subito! Prima ce l’ho e prima posso agire e…»  
«Dobbiamo?»
«Non vorrai abbandonarmi nel momento del bisogno» sfoderò il suo peggior sorriso da schiaffi il biondo e Koala non riuscì a trattenere un sospiro, ruotando piano verso gli altri due ospiti.
«Ma se le sorridesse così, non sarebbe abbastanza?» domandò, facendo ridere Laine. «Jean-Bart…»
«Se non do fastidio un giro al centro commerciale io me lo faccio volentieri» la anticipò il gigante e Koala sorrise ancora di più all’idea di quella gita inaspettata.
 

***
 

Era al 147 di piazza Tontatta, si chiamava Green Bit e Law aveva programmato di essere lì, quel giorno e a quell’ora. Lo aveva programmato con cura, aveva affidato Laine e Bepo agli zii e si era organizzato per la missione più importante dell’anno.
Prendere il regalo a sua figlia.
Era l’unica occasione in cui accettava senza riluttanza di separarsi da lei, era l’unica situazione in cui trovava vagamente tollerabile recarsi al centro commerciale. L’universo, però, aveva deciso di mettere la sua pazienza e il suo stato relativamente zen, che coincideva più che altro con una vaga rassegnazione mista a tutta la velleità possibile di non metterci una vita, a dura prova.
Al sesto sospiro, quasi rimpiangeva il giro al Mokomo Dukedom con Rufy e Eustass-ya. Quasi.
«Peccato che Lamy aveva già un altro impegno»
«Se Lamy non avesse avuto un altro impegno, ci sarei venuto con lei»
«Ehi!»
Law evitò magistralmente il tentativo di pizzico dietro l’orecchio, conscio di esserselo cercato. In fondo Ishley poteva essere un aiuto davvero inestimabile. Tutto dipendeva da dove aveva la testa in quel momento, certo.
«Non capisco perché fai sempre il robboso»
«Perché sembri aver scambiato la spedizione regalo per un giro di shopping, Sugar, e perché io non ti avevo invitato a venire»
Sugar sollevò un’occhiata totalmente atona sul cugino, sfilando e rinfilando in bocca il lecca lecca all’uvaspina con uno schiocco. «Muori» augurò senz’ombra di fastidio né offesa e Law avrebbe potuto anche pensare che un po’ lo fosse, offesa, se quello non fosse stato il suo leitmotiv sin dall’infanzia. Che poi, tutto sommato, Law doveva ammettere di condividere con lei l’odio per il Natale, la gente, la stupidità e che,  quindi, ci sarebbe anche potuto andare piuttosto d’accordo, se solo quel giorno in particolare non avesse avuto disperatamente bisogno di spirito natalizio, che, però, appunto, aveva già un altro impegno.
«Quindi hai già qualche idea?» domandò Ishley, veleggiando per l’ampio corridoio addobbato, incapace di mantenere l’attenzione sulla stessa vetrina per più di sette secondi.
Law morse un sospiro. Lo sapeva, che sarebbe andata così. Era così da due mesi ormai, da quando Ishley aveva realizzato di provare qualcosa per Sabo e non credeva, Law, che fosse casuale il fatto di perdere del tutto la sua attenzione in prossimità di tutti i negozi che esponevano merce maschile. Gli stava cercando un regalo e tanti cari saluti alla sua speranza di fare presto.
Un miracolo ci voleva, ecco cosa.
«…’ao la renna, Rufio il folletto e Eustachio il pupazzo di neve»
Law si fermò e girò perplesso verso la fonte di quel suono che sì, coincideva in effetti con un miracolo, anche se non sapeva se quello da lui richiesto.
«Ma è Sabo?»
«Quanto è piccolo il mondo» commentò Sugar, per poi riflettere sulle proprie parole e sospirare per la settima volta. «Chissà quando si potrà cambiare galassia»
«Ti lamenteresti della solitudine» le fece notare Ishley e Law non si distrasse neppure per darle ragione, in attesa che i tre fossero abbastanza vicini da farsi notare o venire notato.
«Papà?» il cuore di Law si allargò quando Laine si illuminò a riconoscerlo, con contenuto entusiasmo perché erano pur sempre in un luogo pubblico e affollato, ma con l’espressione più felice dipinta in volto. «Papà, ciao!»
«Ehi Law! Anche tu qui?»
Law rimase impassibile, spostando gli occhi da sua figlia a suo cugino, con una fugace occhiata al gigante che li accompagnava e di nuovo a suo cugino. Si augurava che Sabo non avesse nemmeno parlato con i suoi, perché se si stupiva di trovarlo lì, pur sapendo che ci era andato appositamente quel giorno, appositamente senza Laine, che credeva ancora a Babbo Natale, appositamente per comprarle il regalo che doveva restare un segreto, non era detto che avrebbe risposto di se stesso.
«Bepo?»
«Rimasto dai miei, c’era Rufy e lo sai che di me si fida»
«Zio Sabo, guarda! C’è Ish!»
Il tempo si fermò per un attimo, mentre Sabo prendeva a splendere di luce propria e Ishley a momenti si liquefaceva  ai suoi piedi. E Sugar sospirava per l’ottava volta.
«Oh sant’iddio»
«Cosa fai qui?» fluttuò verso di lui Ishley, guardandolo come fosse stato il suo sole ma solo dopo aver quasi incenerito Sugar.
«Devo prendere il regalo per il Babbo Natale Segreto»
«Oh! E chi ti è capitato?»   
«Ah beh ecco…» si accarezzò il coppino con una mano, prima di sollevare il capo e farsi improvvisamente serio e Law sapeva, conosceva inequivocabilmente il segnale di “discutibile idea in arrivo”. Non che avrebbe fatto in tempo a intervenire nemmeno se avesse voluto. «Ikkaku» rispose convinto e Law non fece un plissé. Sapeva che gli era uscita Ishley ma voleva vedere dove sarebbe andato a parare. «Mi accompagni? Sono sicuro che puoi consigliarmi meglio di chiunque, insomma è tua cugina avrete gusti simili»
Law sollevò il sopracciglio. Okay, voleva farsi consigliare da Ishley il regalo che le avrebbe fatto. O era un perfetto imbecille o era un genio totale, per una conclusione definitiva si riservava il diritto di aspettare. C’era solo un dettaglio. Ishley doveva aiutare lui.
«Papà, io vengo con te»
«No, Laine, devo fare una cosa e tu non puoi venire» grugnì Law, perché odiava dirle di no e non ci sarebbe stato nemmeno costretto se Laine fosse rimasta dove l’aveva lasciata.
«Posso pensarci io alla pignetta»
«Tu, un perfetto sconosciuto che non ho mai visto prima?»
«Si chiama Ban-Arnd»
«Jean-Bart, Sabo. Mi chiamo Jean-Bart»
«Vado con loro» si offrì Sugar e Law si voltò a guardarla.
«Forse preferisco il perfetto sconosciuto che non ho mai visto prima. E comunque Sabo, Ishley deve aiutare me»
«Beh ma c’è anche Sugar» argomentò Ishley, per nulla intenzionata a mollare il fianco di Sabo.
«Ah no, io non voglio saperne. Ma può sempre aiutarti lei»
«Lei chi?» cominciò a spazientirsi Law.
«Lei» insistette Sugar, indicando poco oltre il gruppo una ragazza con un caschetto caramello, berretto rosso e sguardo estremamente divertito, intenta a osservare la scena. 
«Mi sono persa qualcosa?» domandò spigliata come sempre e per quanto Law continuasse a trovare confusionaria la dinamica dei fatti provò un moto di autentico sollievo.
Forse Laine non era il miracolo che aveva chiesto in quel momento ma si era di certo portata dietro qualcuno che, grazie al cielo, lo poteva davvero aiutare.
 

***
 

Era ancora al 147 di piazza Tontatta, al Green Bit, ma Law si sentiva un uomo nuovo. Ce l’aveva fatta. Non nel senso che era riuscito a comprare entro quel pomeriggio il regalo a Laine, obiettivo che si era prefissato e quindi era già scontato che sarebbe stato raggiunto.
Ma Law non era riuscito semplicemente a trovare il regalo a Laine, lo aveva fatto in breve tempo, era pienamente soddisfatto della scelta e la sua sanità mentale appariva intatta.
Ancora non capiva come fosse stato possibile, perché Law aveva ormai rinunciato ad avere un reale o comunque pieno controllo della propria vita come sempre era stato fino a quattro anni prima, ma si rendeva conto di dover ringraziare Sugar, dover ringraziare Sabo e dover ringraziare Koala, cosa che si apprestava in effetti a fare.
«Contento?» gli sorrise appena Law si girò a guardarla. «Sono sicura che li adorerà» aggiunse quando Law, dopo un momento di interdizione, annuì secco. Fece di nuovo per parlare ma stavolta fu il vibro del cellulare a interromperlo.
«Sugar dice che lei, Jean-Bart e Laine sono alla slitta nel secondo atrio»
«Direi che è un buon momento per raggiungerli. Se vuoi tengo io il sacchetto così se Laine chiede diciamo che è roba mia?»
«Buona idea» concesse il chirurgo, prendendo a camminare al suo fianco lungo l’ampio corridoio, costellato di luci e vetrine. «Allora, questo Jean-Bart…» ficcò le mani nelle tasche del cappotto.
«Vicino di casa, è stato il mio punto di riferimento quando mi sono trasferita nel quartiere»
«Via Acacia, giusto?»
«Che memoria, dottore!» socchiuse appena gli occhi Koala con una punta di malizia, facendolo ghignare. «È giusto»
«Beh…» cominciò Law, con tutto l’intento di provocarla ma non nel modo in cui era solito provocare chiunque, se ne rendeva conto e si rendeva anche conto che la cosa lo faceva sentire bene, per quanto insolita e destabilizzante fosse. Tuttavia quel giorno la sua indole non sembrava trovare spazio per potersi liberamente esprimere, almeno quando nell’individuare il trio alla slitta, i suoi occhi intercettarono qualcosa che assorbì tutta la sua incredula attenzione, così come quella di Koala, di Sugar, di Jean-Bart e di Laine.
Perché a meno di non essere impazzito, i due che si stavano passionalmente baciando nel bel mezzo del centro commerciale erano proprio Sabo e Ishley e chissà se si ricordavano di essere in un luogo pubblico e pieno di minori. Ma che rischiassero pure una denuncia per atti osceni, era talmente ora che uscissero da quel loop di indecisione e attesa che non sarebbe importato un fico secco a nessuno.
Il ghigno di Law si trasformò quasi in un sorriso mentre Laine lanciava le braccia al soffitto in un silenzioso gesto di esultanza, Sugar sospirava un “Finalmente” e Jean-Bart scuoteva il capo con l’aria di essere quasi commosso. Law si stampò per bene in testa l’espressione di sua figlia in quel momento e poi sbirciò verso Koala, trovandola a osservare la scena divertita e grata all’universo per quella svolta almeno quanto lui, due dita posate sulle labbra.
«Grazie»
Koala si girò piano a guardarlo, lievemente sorpresa e neanche Law, in realtà, avrebbe saputo dire con precisione per cosa la stesse ringraziando. «È stato un piacere» allargò appena le mani, lei.
«No davvero. Ti devo un favore» insistette serio il chirurgo.
«Okay» mormorò Koala, lo sguardo dolce e acceso. «Se vuoi, a me andrebbe proprio una cioccolata»
Stranamente, Law non ci dovette riflettere nemmeno un attimo. Anche a lui andava la cioccolata, sicuramente andava anche a Laine e a Sugar. Forse anche a Ishley e a Sabo se non avevano troppa fretta di trovare un luogo appartato e munito di superfici orizzontali. E magari andava anche a Jean-Bart.
Sì, era una bella idea, una cioccolata.
E poi era anche ora di merenda.
 

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Capitolo 5
*** Neve ***


Giorno: 19 dicembre
Tema: Neve 
Prompt
A e B sono davanti al camino mentre fuori nevica + Battaglia a palle di neve
Note: Grazie a Zomi per il supporto, consigli e pazienza e grazie a tutti voi che leggete! Page. 

 

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Non era stata solo una cioccolata.
Ce n’era stata più di una e non solo cioccolata. C’era stato un cinema, qualche caffè, persino una cena. Law non si era sbagliato, a Laine piaceva tanto stare con Koala, quanto a Koala piaceva stare con Laine. Si adoravano.
Quello che non aveva messo in conto, che non pensava di arrivare a sentire così intensamente, era quanto a lui piacesse stare con Koala. Ed era chiaro che anche in quel caso fosse reciproco.
Per questo c’erano state più cioccolate e un cinema e qualche caffè e persino una cena. E poi c’era stata la sera prima e il risveglio quel mattino.
Aveva parcheggiato tra il 104 e il 106 di Spider Miles ed era scesa fino a via Flevance a piedi, perché  se zia Ikka si metteva in testa di andare a trovare la sua nipotina, non c’era cataclisma che tenesse. E Law, che mai dormiva oltre le otto antimeridiane, si svegliò così di soprassalto per il campanello che nemmeno si accorse di essere solo in mutande e maglietta mentre apriva la porta. Che poi mica erano affari degli altri come se ne stava a casa sua, ovviamente, anche se era metà dicembre ed era venuto giù un metro di neve e quindi, sicuramente, David e Laine avrebbero chiesto di giocare insieme.
«Sono lusingata ma sempre lesbica, Cap, lo sai sì?»
Law lo sapeva. Sapeva anche che gli stava sfuggendo qualcosa e Ikkaku accorse in suo aiuto, sporgendosi platealmente per guardare meglio, oltre il suo braccio teso, Koala che ancora dormiva sul piumone, evocativamente vestita solo con una felpa del padrone di casa.

 
Non era stata proprio una cena, dopo un’altra escursione forzata e non programmata al Green Bit. Law le aveva chiesto di nuovo una mano poi le aveva proposto di andare da loro a mangiare, perché sapeva che Laine ne sarebbe stata felice e perché anche a lui, in fondo, avrebbe fatto piacere ma non era stata proprio una cena, più un mettere insieme qualcosa con quello che c’era in frigo.
Qualunque cosa fosse, era finita davanti al camino elettrico, con un piumone buttato sul pavimento e loro due che rubavano tempo e vita come due ladri, per non svegliare Laine né Bepo. Law non ricordava quand’era stata l’ultima volta che era rimasto steso di fianco a una donna dopo averci fatto l’amore. Ma con Koala gli sembrava tutto naturale, anche essere in tre in una casa che era sempre stata per massimo due più un cane.
E se avesse avuto tempo di soffermarsi a rifletterci, si sarebbe accorto che non era così semplice come sembrava ma neanche quella volta ai suoi pensieri era stato concesso il tempo di quantomeno formarsi.
«Devo andare»
Lo aveva annunciato muovendosi appena, stiracchiando un po’ i muscoli, senza dare segno di volersi davvero districare dalle sue braccia e Law era tornato alla realtà prima di rischiare di partire per tegolandia. Perché sì, poteva trovarsi in una situazione nuova e destabilizzante ma non aveva perso la capacità di leggere il linguaggio del corpo e il corpo di Koala non sembrava affatto pensarla come la sua bocca.
«Inizia a nevicare» aveva spiegato con un sorriso e Law aveva lanciato solo una rapida occhiata ai fiocchi di neve che cominciavano a scendere morbidi e silenziosi oltre il vetro, per puro istinto, perché la verità era che non gli sarebbe fregato neppure se ci fosse stato un tornado. Anche se la neve faceva al caso suo e poteva essere un’alleata.
«Allora non è il caso che vai. Con la neve meglio non muoversi in macchina e per andare a piedi ormai è tardi»
Koala si era allontanata appena da lui, per poterlo guardare meglio, uno sguardo sorpreso ma anche speranzoso, un’immancabile sorriso un po’ di scherno ma anche lusingato.
«Vuoi che resti?»
«È una così brutta prospettiva?» aveva ghignato Law. Aveva ghignato per sedurla ma anche per celare il timore che sì, fosse una brutta prospettiva davvero. Ma il ghigno si era disteso quando Koala per tutta risposta se l’era tirato addosso per baciarlo, riannullare ogni distanza tra i loro corpi, rifare l’amore.
Era così caldo in casa, davanti al camino, avvolti nel piumone, pelle contro pelle. Si stava così bene che Law non si sarebbe schiodato da lì se non per una ragione al mondo.
«Papà?»
Erano schizzati seduti tutti e due, una coppia regredita alla pubescenza e quasi colta in flagrante da una bambina di quattro anni, ma Laine non era uscita dalla sua stanza, lo cercava senza avventurarsi in corridoio.
«Laine, stai bene?»
«Ho fatto un brutto sogno»
Si era infilato i boxer che già si rimetteva in piedi, la maglietta gliel’aveva passata Koala e per fortuna che l’attività onirica di sua figlia aveva designato la sua camera da letto come unico luogo sicuro della casa, trattenendola dall’uscire a cercarlo oltre la soglia.
«Torno appena riesco»  
«Non preoccuparti, pensa a lei. Io non vado da nessuna parte»
Law si era concesso di trattenersi a guardarla, nuda e illuminata dalla luce artificiale del caminetto, un solo momento, non meno impaziente di correre dalla sua bambina ma un po’ dispiaciuto di non avere il dono dell’ubiquità.  
«Hai intenzione di restare?» l’aveva provocata.
«Non vorrai mandarmi via durante una bufera di neve. La macchina non è sicura e per andare a piedi è tardi»
E Trafalgar Law aveva sorriso, un sorriso storto, che non si distingueva poi molto dal suo ghigno di fabbrica, o almeno così lui credeva, e Koala aveva davvero aspettato, tutto il tempo necessario perché Laine riuscisse a riaddormentarsi, al sicuro tra le braccia del papà e con Bepo a fare da guardia.
Aveva aspettato e quando Law era tornato da lei l’aveva trovata vestita con la sua felpa, ancora sul piumone davanti al camino, addormentata. E mentre fuori la neve aumentava e Law si stendeva al suo fianco e la prendeva tra le braccia e si lasciava andare al tepore piacevole che lo circondava, per un attimo si concesse il pensiero che così andava davvero molto molto bene.


 
«Così va bene?!?»
«È perfetto, principessa!»
Ikkaku era una persona diffidente, lo era sempre stata e aveva i suoi buoni motivi. Certo forse quella volta che aveva velatamente accusato Rufy di volere che Law lo accompagnasse a Dressrosa per incastrarlo e farsi passare da lui il test di ammissione alla Coliseum University aveva un filino esagerato. Insomma, pensandoci bene, chi mai avrebbe pensato che a Rufy importasse così tanto andare all’università?
Purtuttavia, Ikkaku aveva le sue buone ragioni e non le si poteva fare una colpa per questo, per essersi fatta bastare per anni Ishley nonostante la differenza di età, proibitiva in alcuni momenti della vita, e per averci messo il tempo che ci aveva messo, al liceo, ad aprirsi con Law, Pen e Shachi.
E da brava diffidente patologica era anche molto gelosa del proprio piccolo, prezioso mondo ma non per questo era cieca o cattiva. Non per questo provava fastidio preventivo verso la nuova arrivata. Ne avrebbe provato se avesse avuto l’impressione che Koala, quel piccolo mondo, potesse distruggerlo. Solo che era alquanto difficile pensare una cosa del genere se si metteva a ridere quando Bepo accorreva a leccarle la faccia mentre era distesa a disegnare un angelo nella neve e poi si alleava con Laine contro Shachi e Pen. Era difficile crederlo se invitava Uni e Clione, due ragazzini del quartiere, a unirsi a loro e se rincorreva David. Era praticamente impossibile anche solo temerlo se Law si ostinava a guardarla con quel mezzo sorriso sulla faccia di cui non era nemmeno consapevole, un sorriso dedicato solo alle persone per lui realmente importanti, e a Bepo ovviamente.
«Papà così non vale!!!»
«Questa me la paghi, Law!»
Ikkaku ne sapeva qualcosa, lo conosceva bene. Law e il suo mezzo sorriso e il suo sguardo attento che, una volta tanto, non presentava neppure un’ombra di apprensione.
«Bepo no!»  
«Attenti!!»
Sì, Ikkaku lo conosceva bene e non era tanto averlo trovato in una situazione che parlava per sé quella mattina né che Laine avesse fatto carte false perché Koala restasse a giocare a palle di neve. Era come l’aveva aiutata a rimettersi in piedi, come si stava, una volta tanto, divertendo senza riserve.
Non conosceva Koala, non sapeva ancora se fidarsi di lei anche se non le dava fastidio, neppure a pelle.
«Zia Ikka, facciamo maschi contro femmine! Però Bepo è con noi!»
Ma conosceva Law e conosceva la diffidenza e sperava che il suo di lato diffidente se ne stesse buono per una volta, che Law si concedesse di afferrare quella felicità che sembrava essere finalmente a portata di mano.
Purtroppo però, Ikkaku era una persona diffidente e conosceva bene Law. E, anche se non ci voleva pensare, perché oltretutto era il momento di concentrarsi sulla battaglia di palle di neve, diffidava anche delle sue stesse speranze.   
 
 
 

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Capitolo 6
*** A casa con voi ***


 
Giorno: 20 dicembre
Tema: A Natale siamo tutti più buoni
Prompt
”Ho sempre odiato il Natale" (Bonus: "ma da oggi è la mia festa preferita") ---> Prompt riadattato. 

 



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Si fermò di fronte al 37 di via Flevance, il fiato grosso e l’orlo dei jeans zuppo. Non aveva una meta precisa e da casa si era allontanato già abbastanza, soprattutto considerato che ci doveva tornare e presto.
Non sapeva dare un nome a quello che si era impossessato di lui ma dire che non sapeva cosa gli fosse preso, sarebbe stata una mastodontica bugia.
E non andava bene.
                             
Non andava bene per niente.
Fermo nell’ingresso di casa sua, ascoltava le voci provenienti dalla cucina, le risate e non andava bene per niente. Quello che provava nel sentirle non andava bene per niente.
All’inizio si era solo sorpreso, perché sì, si era dimenticato quel piccolo dettaglio che era la Vigilia, visto che in reparto con i marmocchi avevano festeggiato due giorni prima. Nel ricordarselo, che giorno era, non era più così strano che suo padre e sua sorella fossero lì, così come non era strano che ci fosse Koala. Glielo aveva chiesto lui, se poteva stare con Laine, erano tre anni che quel turno gli veniva risparmiato ma non era più l’unico con una bambina a casa. Al contempo era tradizione che Cora e Lamy trascorressero la serata con loro e non dovevano essere arrivati da tanto, trovando qualcuno ad aprire loro la porta.
No, non c’era niente di strano e inspiegabile, ma una volta incasellati tutti i pezzi, l’effetto che gli fece quell’inattesa riunione non fu per niente piacevole. Law l’avrebbe definita più una tranvata tra capo e collo.
«Nonno, non ti avvicinare ai fornelli»
«Ma sono curioso di vedere cosa state preparando di buono»
«È una ricetta di Kay. Con il riso e niente pane, così piace anche a papà!»
«Kay posso aiutarti?»
«Oh Lamy grazie, mi passi quel piatto?»
«Zia Lamy ma tu e zio Pen perché non state insieme?» 
«Cosa?!»
«Ehi, pulce, e questi cosa sono?!»
«Biscotti che abbiamo fatto con David. Hanno il cuore bianco»
Qualcosa scattò dentro di lui e nelle sue gambe che lo portarono quasi autonomamente di nuovo fuori di casa. Forse non avrebbe dovuto sbattere la porta ma che differenza avrebbe fatto? Sapevano tutti che quando aveva un momento no andava lasciato da solo.
 
Da solo in mezzo alla neve, con solo la luce di un lampione e un abbaiare lontano a fargli compagnia, senza riuscire a bloccare il flusso dei propri pensieri.
Non andava bene per niente. Si era illuso e cullato per giorni in qualcosa che non poteva incastrarsi con la sua realtà e se ne era appena reso conto.
E dire che sarebbe bastato pensarci meglio, rifletterci un po’ di più, attenersi al piano. Aveva delle responsabilità e non poteva, Law non poteva lasciarsi sopraffare da niente e da nessuno. Doveva scegliere con più cura e attenzione chi fare entrare nella loro vita e con che ruolo, soprattutto.
«Law»
Ma lei, lei era una dannatissima incognita, era una mina vagante fuori dal suo controllo e Law non poteva permetterlo, non poteva permettere che il suo cuore facesse le capriole solo a sentire la sua voce, a rendersi conto che lo aveva seguito e che era proprio lì, dietro di lui.
«Koala mi dispiace» tenne gli occhi puntati nella penombra, grigi come il cielo di quel pomeriggio che non smetteva di regalare fiocchi di neve, così morbidi e silenziosi da riuscire a coprire anche il male che provava, almeno al resto del mondo. Occhi grigi che si girarono a guardarla solo quando Law fu certo che non lasciassero trasparire nulla di quello che sentiva davvero, vuoti e atoni, come la sua voce. «Non possiamo continuare, non funzionerebbe»
La superò senza un’altra parola, ora pronto a tornare a casa. Non c’era altro da dire. Lei lo avrebbe odiato, Sabo avrebbe disapprovato, i ragazzi si sarebbero lamentati chiedendo perché, Ikkaku si sarebbe limitata a fare una smorfia e Ishley gli avrebbe attaccato una pezza infinita a suon di ironiche battutine. Ma la sua unica preoccupazione, francamente, era come l’avrebbe presa Laine.
Non bene, questo era certo, ma era meglio ora che poi, ora che poteva restare solo un bel ricordo di un Natale un po’ diverso dagli altri. Senza soffrire, senza lacrime e dolore.
«No»
Lo scarponcino inchiodò nel morbido e candido suolo. Una sola sillaba non sarebbe mai riuscita a fermarlo se non fosse stata pronunciata con tutta quella determinazione e al tempo stesso con tutta quella dolcezza.
«Non ti lascio andare via così»
«Non è una decisione che puoi prendere tu»
«Sì, se decido di lottare per quello che è mio»
«Sei fuori strada, Koala, non c’è niente di tuo per cui lottare, mi dispiace»
«Bugiardo»
Law sgranò gli occhi, il fiato sospeso. Okay, d’accordo. Se era quello che voleva, che la ferisse perché ci desse un taglio non vedeva l’ora di accontentarla.  
«Cerchiamo di chiarirti un punto…» si voltò di nuovo a fronteggiarla, gli occhi vitrei di rabbia e forse, solo un po’, anche di paura. «…sì, sei stata molto gentile ad aiutarmi con i regali e te ne sono grato e non posso certo affermare che sia stato brutto fare sesso con te ma non ci sono significati nascosti. Forse ti sei illusa perché piaci a Laine ma a Laine piace un sacco di gente e non vuol dire che io e te siamo qualcosa, né che io desideri qualcuno che mi accoglie a casa la sera e si preoccupa di cercare un menù a me gradito, solo perché è la Vigilia di Natale, come se un numero sul calendario non rendesse questo giorno schifosamente uguale a tutti gli altri. Non voglio qualcuno che si prenda cura di me, io me la cavo benissimo da solo e così voglio continuare a fare, d’accordo?» sibilò, ogni parola che lasciava le sue labbra veleno che gli bruciava la lingua e il cuore. E dire che avrebbe dovuto fare male a lei, mandarla via e invece Koala non sembrava dell’idea di nemmeno distogliere lo sguardo e con quello sguardo, che si ostinava a non distogliere, sembrava quasi a Law che lo stesse abbracciando e un brivido, che non c’entrava niente con il freddo, lo scosse. 
«Non è colpa tua»
Si accigliò, senza abbandonare l’espressione furente. «Cosa?»
«Non è colpa tua» Koala prese un profondo respiro. «Non è colpa tua se la mamma di Laine non è con voi»
Per un attimo a Law sembrò di essere stato svuotato di qualsiasi cosa. Ossigeno, autocontrollo, sentimenti positivi che aveva mai provato per quella ragazza. Si lanciò in avanti, le braccia tese a prenderla per le spalle, a stringere più forte che poteva. Che sentisse, che sentisse quanto male poteva farle.
«Tu non sai neppure di cosa stai parlando»
«Io so che non sei affatto solo ma sembra che tu voglia sentirtici. Come se dovessi punirti per qualcosa, ripagare un debito ma non è colpa tua. Qualunque cosa sia successa, sono sicura che non potevi farci niente, perché se avessi potuto so che lo avresti fatto»
La presa di Law sulle sue spalle aumentò quando lei gli sorrise appena, con fiducia. «Vuoi saperlo cos’è successo, mh?! Vuoi la verità? Ti accontento subito. La verità è che io non so nemmeno chi sia sua madre, quale delle tante con cui sono andato a letto e quella volta, a quanto pare, non ho messo il fottuto preservativo. Me l’ha parcheggiata fuori dalla porta la Vigilia di Natale, con un biglietto con scritto il suo nome e il suo stato di salute, senza farsi vedere né presentarsi, né uno straccio di messaggio per me e io non mi sono mai neppure preoccupato di cercarla. Quando guardo Laine, non vedo somiglianze con nessuno che io ricordi, né fisiche o altro. Io non saprei neppure dirle chi sia, sua madre!»
«È lei che non l’ha voluta»
«È con me perché io non ho comunque avuto scelta»
«Certo che avevi una scelta e l’hai presa. E so che non te ne sei mai pentito, te lo si legge in faccia. Ogni volta che la guardi, che le parli, che lei ti parla. Ce lo hai scritto su tutto il viso quanto la ami e che è il regalo più bello che tu abbia mai ricevuto» Law la fissò un lungo istante, senza neanche vederla, ma non riusciva comunque a muoversi, per voltarle le spalle e tornare indietro come avrebbe dovuto fare. La sua voce era abbastanza per tenerlo inchiodato lì, ne voleva ancora e di più, voleva starla a sentire. «E tu lo sei per lei. Sei un padre eccezionale e lei lo sa e ti ama e ti amerà sempre. Non hai bisogno di non sbagliare mai»
I polmoni di Law ripresero a espandersi molto lentamente, il cervello a ragionare anche se faceva ancora tutto male, il petto, la testa.
«Se ti faccio restare, non le basterò più. Ma quando te ne andrai, sarò io a doverle dare una spiegazione e a guardarla soffrire»
«Io non me ne vado»
«Tu non puoi sapere cosa succederà domani. Nessuno lo sa» sembrò quasi accusarla, lapidario.
Eppure Law non aveva ancora mollato la presa e non stringeva più per fare male. Con estrema cautela, Koala sollevò la mano, fino a sfiorargli la guancia ispida di barba con due dita.
«Hai ragione. Ma non è nei miei piani andare da nessuna parte. Mi sono bastati cinque minuti per iniziare ad amare quella bambina e io credo… credo di essere sulla buona strada per iniziare ad amare anche il suo papà»
Le gambe tornarono stabili, e più Koala gli sorrideva più Law aveva l’impressione, a tratti abbastanza spaventosa in realtà, che la felicità che trapelava dal suo volto non c’entrasse niente con la convinzione di essere ricambiata, perché in effetti Koala non sapeva affatto se il suo sentimento fosse reciproco o meno. Ma il solo fatto che fosse lì, quel sentimento, che lei si fosse accorta di provarlo la rendeva felice. Come un dono offerto senza pretendere niente in cambio.
E Law non aveva idea di come avrebbe fatto a gestire una cosa così. Non credeva di esserne in grado.
«So che sono solo venti giorni e non mi aspetto niente ma voglio che tu sappia che io non…» la voce le si spense in un sospiro nel ritrovarsi avvolta nell’abbraccio più caldo, rassicurante e bisognoso che avesse mai ricevuto e dato in vita sua. Spostò le mani e si tese per accostare meglio il suo viso al suo, per non perdersi neanche un respiro.
«Io odio il Natale»
Law odiava il Natale. L’atmosfera di festa, le canzoni, le luci.
Odiava fare gli addobbi con sua figlia e con David, andarli a comprare con Eustass-ya e Rufy, odiava la pista di pattinaggio, le feste, i regali da fare, Sugar che si aggregava a forza, bere la cioccolata, giocare a palle di neve, fare l’amore davanti al camino, la cena della Vigilia.
Law odiava il Natale e come si sentiva nel periodo che lo precedeva. Perché non sapeva come gestirlo. Non sapeva come ringraziare per tutte quelle sensazioni, per non essere solo.
Per l’amore, per la ragazza che stringeva tra le braccia.
Per Laine.
«Odio il Natale perché è la mia festa preferita»
Lo era da quattro anni, da quando aveva ricevuto il regalo più bello che ancora non aveva capito come contraccambiare.
E ora se ne ritrovava un altro per le mani.
Ma forse il segreto era non gestire un bel niente. Era accettare senza sentirsi per forza in dovere di ricambiare. Fare del proprio meglio, forse, bastava.
Koala sorrise contro il suo collo, girando appena il viso. «È un valido motivo» soffiò un refolo di condensa che raggiunse le narici di Law.
«Sai di menta piperita»
«È una delle caramelle di Laine. Mi ha detto che sono solo per le persone speciali»
Law la strinse più forte e rabbrividì di nuovo, e neanche questa volta c’entrava niente con il freddo.
Era che voleva la sua bambina. Voleva andare a casa.
E voleva andarci con Kay.

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Capitolo 7
*** Più siamo, meglio è ***


Giorno: 21 dicembre
Tema: A Natale siamo davvero tutti più buoni
PromptA non sa dove passare il Natale (per qualsiasi motivo) e B lo invita a casa sua

 
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Era al 17 di via Flevance e stava esattamente di fronte al 14, proprio come in quel momento Law stava di fronte a quella porta, in attesa dopo aver bussato.
Non sapeva neanche lui cosa gli fosse preso, stavolta non lo sapeva davvero, ma tornando a casa con Koala ben appiccicata al fianco l’idea si era formata nel suo cranio e non voleva andarsene. Così aveva attraversato la strada, percorso il vialetto, salito le scale e bussato.
«Magari non è a casa»
«O forse fa finta» ribatté prontamente Law e non che avesse molto da suonare infastidito. In fin dei conti, Crocus Melville era sempre stato il ritratto di ciò che lui stesso sarebbe potuto diventare e in quanto alla metodologia di trattamento degli scocciatori Crocus era indubbiamente un modello da seguire, secondo lui.
Solo che per una volta che Law si presentava alla sua porta con buone intenzioni, gli scocciava venire trattato come uno scocciatore e per questo fu grato di sentire la serratura schioccare. Almeno finché la faccia di Crocus non apparve allo spiraglio, truce come sempre, e Law si vide costretto a mordere un sospiro.
«Ciao Crocus»
«Lawrence» lo accolse senza nessuna verve. «Posso aiutarti?»
Ora, non è che lui e Crocus fossero esattamente in cattivi rapporti ma neppure esattamente in buoni. Si poteva dire che entrambi non fossero in particolari rapporti l’uno con l’altro e in generale con il resto del vicinato ed era già una cosa in comune in più che avevano tra loro rispetto che con il resto dei residenti della via.
Non si scambiavano dolci - non li cucinavano proprio -, uova prossime alla scadenza né inutili chiacchiere. Crocus gli aveva ceduto il suo vecchio sfigmomanometro ma più che altro per liberarsene e Law fingeva di non sapere che Laine andava a portargli il giornale quasi tutti i giorni quando Law aveva finito di leggerlo, perché apparentemente al vecchio piaceva leggere le stesse notizie su quotidiani diversi.
Era un quieto vivere, un non disprezzarsi che era già tanto per due soggetti come loro, e anche un affidarsi qualcosa che aveva o aveva avuto valore, senza per questo arrivare a stimarsi a vicenda. Almeno non esplicitamente e ad alta voce.
Quel che era certo è che si somigliavano abbastanza da capirsi e Law sapeva che a Crocus, starsene per gli affari suoi non pesava, neppure alla Vigilia di Natale che era alla fin fine un giorno come un altro. Eppure, quella sera, Law aveva l’impressione che per quanto non ricevere nessun invito non gli facesse alcun male, riceverne uno avrebbe comunque fatto bene. A Crocus.
A lui, porgerlo, che venisse rifiutato o meno.
«Mi chiedevo se volessi unirti a noi per cena» parlò asciutto Law, serissimo, senza pause e, quando Crocus dopo un momento arcuò entrambe le sopracciglia, l’espressione non esattamente convinta, Law lo imitò come un perfetto riflesso.
«Hai preso un colpo in testa?»
«Hai ragione è un’idea senza senso buona serata» fece dietro front e sarebbe andato a casa per direttissima se Kay non fosse stata lì, dietro di lui, con un sorriso e un lieve, innamorato rimprovero nello sguardo.
Law roteò gli occhi senza farsi vedere dal vicino e tornò sui propri passi, incrociando nuovamente l’espressione piatta di Crocus. Roger, ma anche lui era tanto fastidioso quando faceva così?!
«Ci farebbe davvero piacere. E puoi portarti Lagoon se vuoi» concesse.
Bepo andava pazzo per quello stupido gatto blu sovrappeso con il vizio di prendere a testate chiunque finché non beccava coccole, ed era Natale anche per loro, no?
«La piccola c’è?»
Law avrebbe voluto alzare un sopracciglio, mostrarsi scettico, fargli notare che era una domanda senza molto senso. Insomma, dove altro sarebbe dovuta essere?
Eppure anche a lui suonava come una questione abbastanza fondamentale e una condizione imprescindibile. Sì, la piccola c’era. Per fortuna.
«Sì, ovvio»
«Mh» mugugnò Crocus, quella che chiaramente non era una risposta.
Law si massaggiò mentalmente le tempie, imponendosi la calma. Era quasi Natale, era quasi Natale. Uno smembramento sarebbe stato davvero fuori luogo. Poi si era appena riconciliato con Koala, che per inciso Crocus stava squadrando dalla testa ai piedi e aveva pure aperto di più la porta per vederla meglio. Che aveva da guardare?
«Piacere, io sono Koala. Koala Surebo» si fece avanti, una mano tesa che tanto, Law lo sapeva, non sarebbe stata afferrata.
«Ci vedremo spesso?»    
Stavolta il sopracciglio di Law schizzò verso l’alto. Si era appena ricordato perché non ci parlava mai, era sfinente.
«Beh ecco…»titubò Koala.
«Sì» annunciò deciso Law e avrebbe pagato perché Koala lo guardasse sempre come lo guardava in quel momento. «La vedrai spesso»
Crocus annuì un cenno di comprensione verso Law e poi tornò su Koala.  
«Io sono Crocus Melville, settant’un anni, gemelli, gruppo sanguigno AB. Molto obbligato» snocciolò, prima di richiudere loro la porta in faccia, lasciandoli lì, una interdetta, l’altro omicida.
«Ma…» mormorò Koala dopo un momento. «…quindi viene a cena o no?»
«Tu lo sai?» sibilò Law, la voce appena tremante. Forse il veto sulle smembramento perché era Natale si poteva anche sospendere. «Credo di no, comunque» sentenziò dopo un momento il chirurgo, incastrando saldamente la propria mano nella sua, con l’intento di andare ma fece appena in tempo a mettere un piede sul primo scalino che la porta del 17 di via Flevance si riaprì. Crocus uscì ben infagottato nella giacca, Lagoon sotto braccio che si guardava intorno con gli occhi gialli spalancati, cercando di capire cosa stesse succedendo.
«Comunque Lawrence, hai cambiato marca di caramelle? Le ultime che mi ha offerto tua figlia mi sembravano un po’ diverse da quelle che mi piacciono»
«Che piacciono a te?!»
Per un attimo Law si chiese perché mai continuasse a seguire l’istinto anche quando gli suggeriva idee che sembravano buone ma palesemente non lo erano, ma l’attimo durò giusto il tempo di attraversare la strada ed entrare in casa. Non avevano ancora richiuso la porta che una testolina ramata e due occhi grigi fecero capolino all’ingresso, più preoccupati di quanto Law avrebbe mai voluto vedere, ancor meno sapendo di essere stato lui a causare quello stato d’animo.
«Papà» gli corse incontro, le braccia tese per aggrapparsi a una sua gamba, non fosse mai che gli venisse in mente di andarsene di nuovo. Ma Law era pronto e si chinò al momento giusto per afferrarla e caricarsela in braccio e non riusciva a smettere di stupirsi di quanto fosse bella la sensazione di quelle manine minuscole che si aggrappavano a lui come se fosse il suo porto sicuro.
«Io e Kay siamo andati a chiamare una persona per invitarla a mangiare con noi» spiegò, ringraziando di avere una scusa così perfetta da presentare su un piatto d’argento.
Laine sollevò il musetto dal suo collo e lo guardò interrogativo, cercando poi oltre la spalla del papà.
«Crocus!» si illuminò nel riconoscere il dirimpettaio, intento a togliersi la giacca con l’aiuto di Koala. «Ciao!»
«E c’è anche Lagoon» la fece saltare appena contro la sua anca, indicandole con il capo il gattone che già dava testate a qualunque superficie verticale disponibile e soprattutto alle zampe di Bepo, che era arrivato subito dietro alla padroncina e ora annusava l’altro sacco di pulci con il suo naso enorme. Laine sorrise ancora di più e Law si piegò a darle un bacio tra i capelli.
Dio, si stava così bene a casa. Non gli dava fastidio neppure il sottofondo musicale natalizio, sicuramente una playlist di Lamy, ci metteva la mano sul fuoco.
«Dimmi Laine, hai fatto la brava?» domandò Crocus fermandosi davanti a lei e a Law non sfuggì come Laine cercasse per un attimo Koala, in attesa del suo assenso per rispondere che sì, aveva fatto la brava. Era stata con lei quel pomeriggio, solo Koala poteva dirlo, se aveva fatto la brava, giusto?! «Ottimo» sentenziò il vegliardo, avanzando poi per raggiungere la cucina.
«No ma prego, fa pure come se fossi a casa tua»
«Lo stavo già facendo, Lawrence, ma grazie per la precisazione»
Il vuoto fu tutto quello che vide per un attimo. Lo avrebbe ucciso. Prima o poi lo avrebbe… Law si girò a guardarla, quando Koala lo baciò piano sul braccio attraverso la felpa, prima di allungarsi ad accarezzare Laine per poi proseguire a sua volta verso la cucina e a Law bastò uno sguardo d’intesa con sua figlia per seguirli a ruota.
«…’chio mio, che piacere averti con noi!»
«Io sarei stato più felice di non rischiare la vita, ma confido che basti tenerti lontano dalle fonti di calore. Sicuri ci sia abbastanza per tutti? Non voglio imporre la mia presenza»
«Non preoccuparti Crocus, abbiamo fatto riso per un esercito, ci sono sfuggite le dosi di mano» rise Koala, mentre Law si sedeva tra lei e Lamy, Laine ancora in braccio.   
«Ehi tutto bene?»
Law si girò verso sua sorella, che lo guardava con i suoi occhi limpidi carichi di affetto e un po’ in apprensione. «Tutto bene» confermò, sporgendosi a baciarla sul capo come con Laine poco prima. «C’è del gelato in congelatore» la avvisò.
Lamy si accigliò. «Al ventiquattro di dicembre?»
«Credevo non esistesse stagione per il gelato» la citò con uno sguardo eloquente a cui Lamy rispose sgranando gli occhi e scoppiando poi a ridere dopo un momento appena di stupore.
«Hai ragione fratellone»
Law se ne rimase per un momento a osservare come le si arricciava il naso quando rideva, una caratteristica che Laine aveva ereditato dalla zia, o forse da lui. Difficile dirlo, non sapeva come fosse la sua faccia quando rideva.
Però sapeva che era bello sentir ridere Lamy, sentir ridere Koala e sentir ridere Laine. E forse, per quell’anno, ne voleva anche di più.
«Scusatemi un momento» dichiarò alzandosi in piedi, lasciando Laine sulla propria sedia, dove aveva tutte le intenzioni di tornare. Certi vizi, come mangiare standogli in braccio, non glieli aveva mai dati ma doveva ammettere che era lui, quella sera, ad aver bisogno di essere un po’ viziato. «Torno subito» assicurò, stringendo una spalla a Koala mentre le passava dietro e trovando la sua mano a sfiorargli il dorso.
Con un movimento fluido estrasse il cellulare ancora in tasca, mentre scivolava fuori dalla cucina. Fece qualche passo a caso, lasciando oscillare il pollice sopra lo schermo ancora scuro e si concesse un profondo, profondo sospiro. Non riusciva a credere a quello che stava per fare.
Sbloccò la tastiera e scrisse rapido il messaggio, le voci nella stanza accanto che crescevano in intensità e sfociavano in risate e proprio un attimo prima di inviare, l’inconfondibile rumore di un piatto che andava in frantumi lo distolse da ciò che stava facendo, riportandolo sui propri passi.  
«Non mi sono praticamente mosso!» stava protestando Cora, mentre scostava la sedia per raccogliere i cocci del piatto che aveva avuto la sventura di capitare sul suo cammino.
«Papà, fermo, ci penso io!» lo bloccò Lamy con una nota d’urgenza nella voce.
«Cora non preoccuparti, davvero, può capitare» intervenne anche Koala che si era già alzata a recuperare la scopa, mentre Crocus metteva qualcosa nel piatto di Laine.
«Ne vuoi ancora?»
«No così va bene»
«Koala ti verso un po’ d’acqua»
«Grazie Cora»
«Naturale o frizzante?»
«Quella nella bottiglia di plastica andrà benissimo»
Law li osservò, protetto dall’ombra del corridoio, le labbra piegate in un sorriso sghembo.
L’uomo che aveva cresciuto lui e sua sorella, che Lamy chiamava papà ad alta voce e Law solo nella sua testa. Il vicino di casa che era uno dei pochi a cui si sentisse davvero tranquillo ad affidare sua figlia. La donna incontrata per caso poche settimane prima, che già sapeva dove trovare tutto il necessario per preparargli la cena  e curargli il cuore. La ragazza con il suo stesso sangue ma con uno spirito così tanto più luminoso, da riuscire a illuminare un po' anche lui.
La bambina che li teneva tutti insieme come la colla.
Sapeva cosa sembravano visti da fuori, esattamente ciò che erano. Una famiglia riunita per Natale.
Senza più esitare, Law pigiò il tasto di invio, spedendo il messaggio in modalità multidestinatario. Con quella bella pensata, ne era consapevole, Natale non sarebbe più stato lo stesso.
 

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Capitolo 8
*** Capitolo bonus #1: Strategia vincente ***


Giorno: 22 dicembre
Tema: Natale in rosso
Prompt: A si traveste da Babbo Natale (o Mamma Natale!) sexy ---> Prompt riadattato
Note: Per chi magari è curioso di sapere cosa è successo tra Sabo e Ish al centro commerciale. [Reprise cap. 4]

 

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Sabo era certo che fosse una buona idea. Non per forza una strategia vincente, ma almeno una buona idea. Doveva solo farsi segnalare una cavolata più o meno natalizia che Ishley apprezzasse per il Babbo Natale Segreto proprio dalla diretta interessata. Tanto il regalo vero ce lo aveva già e la scusa di Ikkaku gli era parsa perfetta.
E allora com’è che erano finiti al negozio di intimo? Non è che Ish voleva fargli comprare uno di quei perizomi confezionati dentro la pallina di plastica o qualcosa del genere vero? Sarebbe stato il genere di Ikka, per carità, che fosse lesbica era secondario, ma darlo poi a lei forse non era esattamente il panorama che si era immaginato per dichiararsi. Non che si lamentasse di aver girato ogni singolo negozio, era stato tutto tempo in più con lei, in fondo e per Sabo era il regalo più bello.
«Ehm, Ish, perdonami ma…»
Si sentiva un deficiente. E odiava sentirsi così. Lui era un tipo romantico, dal gesto cavalleresco facile, ci sapeva fare ma se si trattava di regali regrediva a livello pivellino.
«Dimmi» lo invitò lei con un sorriso stupendo e Sabo avrebbe tanto voluto raccontarsi che era per quel sorriso che non riusciva a proferire la domanda. Ma la verità è che si era bloccato perché Ishley aveva in mano un paio di boxer maschili. Perché Ishley stava guardando l’intimo maschile? A chi è che doveva fare il regalo e perché proprio dei boxer?! Erano una cosa… intima appunto. Non erano un regalo da Babbo Natale Segreto, erano un regalo da fidanzata.
«Ti servono dei pantaloncini per dormire?» mise su il suo sorriso più bastardo e seduttore, deciso a non farsi frenare dalla menata che stava prendendo forma nella sua testa.
Non avrebbe perso senza lottare, questo era poco ma sicuro.
«A te piacciono?» chiese anziché rispondere lei, osservando con attenzione il davanti del capo e Sabo tornò serio e prese un profondo respiro.
«A me sì ma poi dipende a chi devi regalarli» ribatté lievemente in panico, senza darlo a vedere. Doveva scoprire per chi erano, assolutamente. «A tal proposito, a chi devi regalar…»
«Se fossi il mio Babbo Natale Segreto non chiederei di meglio che averti sotto l’albero con solo questi e un cappellino natalizio addosso»
Sabo ci mise un momento a metabolizzare, decisamente quel sorriso malizioso che tanto contrastava con la sua espressione trasognata non aiutava la connessione delle sue povere sinapsi, ma quando capì che Ishley aveva sì pensato ad alta voce ma che stava parlando di lui, fu decisamente costretto a richiudere gli ultimi bottoni del cappotto.
Aveva sentito bene? Aveva capito bene?
A giudicare da come Ishley fissava ora il vuoto, metabolizzando a sua volta cos’aveva appena detto e ad alta voce, sì, aveva sentito e capito bene.
«Ehi guarda!» esclamò di punto in bianco senza quasi fare un plissé. I boxer ricaddero sul tavolo e Ishley stese il braccio, sperando davvero che Sabo seguisse il movimento e smettesse di fissarla come una creatura mitologica che aveva appena fatto una figura di merda. Che poi era anche vero, a parte la mitologia. «C’è Sugar! Aspetta che le chiedo dove ci ritroviamo»
Schizzò fuori dal negozio  e Sabo si trattenne solo un secondo a memorizzare per bene i boxer che di lì a poco una commessa avrebbe accuratamente risistemato in mezzo a tutti gli altri, prima di voltarsi e seguirla, raggiungendola grazie alla sua falcata a pochi metri dalla porta dello store di intimo, il cuore che aumentava il ritmo e un sorriso che si disegnava progressivamente su quella sua faccia da schiaffi, ora sollevata e soddisfatta.
Roger, adorava il Natale!
«Ish!»
«Sai cosa pensavo? Perché non le prendi una bella Yan…»
Come facesse Sabo a strattonare la gente con delicatezza, Ishley se lo era sempre chiesto ma, un attimo dopo, non fu più in grado di chiedersi più un bel niente perché Sabo, nel bel mezzo del centro commerciale, la stava baciando, dopo due mesi di attesa per lei e quattro per lui e a nessuno dei due sarebbe potuto fregare un accidente di niente del Babbo Natale Segreto, della gente che li guardava e neanche della fine del mondo imminente.
E quando Ishley gli si aggrappò addosso, Sabo si premurò di approfondire più che poteva il bacio, per rubarle tutto il respiro che gli era concesso prima di doversi per forza staccare da lei, a meno di non voler asfissiare.
«…kee Candle» finì la frase in un soffio Ishley, completamente rapita e vagamente instabile, non fosse stato per le sue braccia a tenerla su e stringerla.
«Ottima idea» le sorrise Sabo, il suo mento tra due dita, prima di ricominciare a baciarla con sua ben felice partecipazione e il gradevole pensiero che, ehi!, la sua strategia aveva funzionato alla grande!
Ora, per il Babbo Natale Segreto, sapeva esattamente cosa regalarle.  
 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo bonus #2: HO HO HO! ***


Giorno: 23 dicembre
Tema: Natale alternativo
Prompt: Via di mezzo tra "Natale al pronto soccorso" e "Natale in ufficio", praticamente è "Natale al lavoro", in ospedale ma non in pronto soccorso
Note: In altre parole i festeggiamenti al reparto di pediatria al Kyros Memorial Hospital. 

 
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Law se l’era cercata, sapeva di essersela cercata.
Sapeva che ogni azione provoca una conseguenza, sapeva che ogni scelta andava ben riflettuta e valutata in tutte le sue possibili sfaccettature e future evoluzioni e lui lo faceva, come se da ne fosse dipeso il destino del mondo.
Lo faceva e lo aveva fatto anche quando si era deciso di organizzare internamente la clown therapy, senza per forza appoggiarsi al gruppo esterno di volontari che riusciva a recarsi lì solo una settimana ogni due. L’avevano presa in mano loro, si erano rimboccati le maniche, procurati il necessario, finché era diventato un appuntamento fisso due giorni a settimana, con medici, infermieri e OS che lavoravano vestiti nei peggio modi.
Law si era adoperato e ci aveva messo cura e attenzione al dettaglio ma da parte sua un paio di baffi posticci da hipster era stato il massimo che aveva concesso. I bambini poi, sembravano adorarli senza chiedere di più.
Ma in cuor suo, Law sapeva che primo o dopo, in qualche modo, avrebbero cercato di attentare al suo desiderio di mantenere un tono e una dignità e, più nello specifico, di non farsi coinvolgere dalle boiate di Izou. Lo aveva sempre saputo ma mai, neppure nei suoi più reconditi incubi, o comunque poco gradevoli sogni, avrebbe scommesso o immaginato che arrivassero a tanto.
«Law, figliolo…»
«Non chiamarmi “figliolo”»
Che arrivassero a coinvolgere il Capo, era veramente più di quanto Law gli avrebbe creduti capaci.
«Abbiamo estratto» insistette Ray, intoccato dallo sguardo truce del dipendente.
Francamente Law in quel momento lo odiava con ogni fibra del proprio essere. Insomma, a parte che sapeva benissimo che non c’era stata nessuna estrazione ma poi gli sembrava anche di essere abbastanza zelante e di impegnarsi all’esasperazione nel proprio lavoro. Non era abbastanza? Pure quello gli toccava?
«È solo un costume e solo per un’ora»
«Non è solo un costume» lo fulminò con un’occhiata assassina, lui e il suo stramaledettissimo ghigno.
Era ciò che implicava, era un’ora a prendere in braccio bambini e ascoltare i loro desideri per Natale e non che non lo meritassero ma lui era per fare il proprio lavoro, dannazione!, quello vero, quello per cui aveva studiato.
«Dimmi se ti prude Law» si raccomandò Izou, fin troppo divertito, guadagnandosi tutta la sua omicida attenzione, che comunque sembravano tutti fare a gara per condividere.
«A me qualcosa prude a guardarlo così, ma non è la barba posticcia» commentò Praline, dietro al banco accettazione del reparto insieme a Marco, che manteneva l’espressione impassibile ma i cui occhi brillavano come quelli del fanboy mancato che era.
«Ehi Law! Sei un cioccolatino da scartare vestito così!»
«Fottiti Bon» la omaggiò di un bel dito medio mentre passava oltre insieme a Yonji, che ghignava a più non posso, il bastardo.
Che poi qualcuno avrebbe dovuto spiegargli cosa ci trovavano Bonney e Praline in un costume da Santa Claus infeltrito.
«Non ha un po’ poca pancia per fare Babbo Natale?»
Oh Santo Roger! Pure Benn ci si metteva adesso?! Come se poi fosse quella la faccenda rilevante! 
«Di sicuro potrebbe essere più pompato in generale per la gioia dei miei occhi» si spalmò sul banco Praline, occhiando e squadrando la possente figura di Benn.
«Beh è un Babbo Natale giovane, infatti ha ancora le sopracciglia scure. Può andare come spiegazione» si strinse nelle spalle Marco che, evidentemente, sentiva il bisogno di dare il proprio contributo perché Law percepisse ancora meglio in che covo di emeriti imbecilli si ritrovava a lavorare.
«Quindi non gliele ricopro con l’ovatta?» Izou si bloccò nel trafficare in uno dei carrellini lì vicino.
«Non t’azzardare»
«Law, non farmi lo sguardo tenebroso» sogghignò con malizia il moro, lasciando per lo meno perdere l’ovatta. «Bene, ora proviamo la risata»
Il sopracciglio, scuro e non ricoperto da alcunché, si sollevò piano a quelle parole.
«Prego?»
«Oh dai, lo sai! La risata! HO HO HO! E falla bella aspirata, mi raccomando. Allora, pronti e…»
«Io non faccio nessuna risata»
Izou sbatté le palpebre interdetto. «Ma come no? Ma non saresti credibile!» protestò Izou, accigliandosi e l’iride grigia del chirurgo si fece sempre più vitrea.
Non sarebbe stato credibile?! Ma davvero?! Cos’aveva cercato di far notare a tutti nell’ultima mezz’ora?!
«Izou sei nell’inquadratura, un sorriso per la stampa! Tu Law resta serio, viene spaziale così!»
«Ace, non m’importa se Laine stravede per te e se sei il miglior paramedico che abbiamo, posa il cellulare o giuro che la prossima autopsia sarà sul tuo corpo, non necessariamente cadavere»
«Sei il miglior Babbo Natale del mondo» gli sorrise il moro, per la gioia di Ray ovviamente.
 «Vero?! Gliel’ho detto anche io» commentò infatti mellifluo il Capo e Law sentì distintamente che o se ne andava, o se ne andava, o commetteva una strage. Meglio se se ne andava.
«Law, ehi aspetta» lo richiamò però Izou, fatti appena due passi. «La risata»
«Sono un Babbo Natale giovane, con le sopracciglia scure e senza pancia quindi non ci vedo niente di incoerente se non faccio nessuna risata, tutto chiaro?» macinò a denti stretti senza voltarsi e fu costretto ad aumentare il passo quando sentì Ray commentare, neanche sottovoce ovviamente: «Beh almeno si è autodefinito Babbo Natale, è già un passo avanti»
Li odiava tutti e non era minimamente intenzionato a dar loro soddisfazione. Ma doveva davvero pregare che il piccolo Chopper non lo riconoscesse, evenienza praticamente certa, e non gli chiedesse di fare la risata.
In quel caso, lo sapeva, sarebbe stato fottuto.

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Capitolo 10
*** Quella notte, quattro anni fa ***


Giorno: 24 dicembre
Tema: Tema libero
Prompt: Il primo Natale con te 
Note: Questa storia è nata per caso. Doveva essere una OS e si è trasformata in questa raccolta/long e arrivando da un periodo terribile per la mia ispirazione, trovarmi così stimolata e motivata è stato un gran bel regalo di Natale. Ci tengo quindi a ringraziare tutti coloro che mi hanno supportato, nello specifico Zomi, che anche qui come nell'altra raccolta ha ascoltato sempre i miei dubbi, con un consiglio sempre pronto, Rika e la connessione telepatica, An11na e Kira. Le vostre parole sono state qualcosa di indicibilmente bello da leggere. Voglio ringraziare anche chi ha solo letto, preferito e seguito e naturalmente il FairyPiece per aver organizzato l'evento. 
E naturalmente, buona Vigilia e buon Natale a tutti. 



 
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Era al 14 di via Flevance ed era una casa senza grandi pretese. Law ci si era trasferito da poco e forse era un po’ grande per una persona sola, ma contava di trovarsi un coinquilino al più presto. D’altronde non poteva continuare a condividere quella specie di loculo, chiamato appartamento dal padrone di casa, con Monet e Caesar, ne andava della sua sanità mentale.
Quell’occasione si era presentata quasi da sola e Law, semplicemente, l’aveva colta.
Non che fino a quel momento se la fosse goduta o vissuta granché, non l’aveva neanche addobbata, era stata Lamy a portargli un alberello già decorato e un paio di cianfrusaglie da piazzare giusto in entrata e in salotto. L’aveva ringraziata senza comunque metterci mano. Non era il tipo e si fidava del suo buon gusto e poi, davvero, ci stava poco.
I turni in ospedale erano tosti e lui se li rendeva tali anche quando non lo erano, anche perché non era come se avesse qualcosa da fare a casa, e quel giorno non era stato da meno, sebbene fosse la Vigilia di Natale. Non che lui pensasse che il fatto di essere il ventiquattro dicembre rendesse il giorno diverso da tutti gli altri però, sì, c’era da dire che non se l’era andato a cercare apposta. Fosse stato di riposo o con un turno più breve, avrebbe saputo che fare, d’altronde la cena con sua sorella e suo padre era un appuntamento fisso e certo per la Vigilia. Tant’è che gli era capitato il turno e lo aveva preso come un qualsiasi altro turno.
Lamy e Cora sarebbero comunque arrivati da lui nel giro di un’ora o poco meno, per andare insieme al rito di mezzanotte.
Erano le dieci e quarantaquattro minuti quando entrò in casa con un profondo respiro.
 
Era sempre al 14 di via Flevance e nessuno dormiva mai fino a particolarmente tardi in quella casa, né Law che era una creatura non propriamente diurna ma neanche notturna, né Laine che per fortuna non soffriva di insonnia ma era da sempre una bambina molto mattiniera e nemmeno Bepo che viveva la sua esistenza nella costante eccitazione del pensiero che gli dava il suo sacro ciclo di “cibo, coccole, passeggiata”, ciclo che prima iniziava meglio era.
Sarebbe bastato quello per poter affermare che quella mattina, la mattina di quel venticinque dicembre, si respirava un’aria diversa al 14 di via Flevance.
Perché c’era la volontà, tra tutti proprio del padrone di casa, di starsene a letto a poltrire insieme alla sua fidanzata, sì quella era la sua fidanzata, anche fino a tardi, volendo. Se solo qualcuno non avesse avuto altri piani.
«È passato, è passato!!! Nonno, è passato Babbo Natale e ha mangiato i biscotti e ha lasciato i regali! E ha anche rovesciato tutto il latte!»
«Ma davvero? Chissà come ha fatto!»
«Ehi pulce!»
«Zia Lamy, guarda, ci sono i regali! Papà! Kay!»
La porta si spalancò e Law aprì rassegnato un occhio, trovando Koala già sveglia e sorridente, e non aveva dubbi che fosse l’entusiasmo di Laine il motivo di quel sorriso.
«Papà!»
Come una piccola palla di cannone, Laine si lanciò sul letto, un attimo dopo il suono inconfondibile di quattro zampe che slittavano sul pavimento e Law si mise seduto appena in tempo per afferrare al volo Bepo, prima che ribaltasse tutti giù dal materasso.
«Dobbiamo andare ad aprire i regali!» saltellò Laine, ottenendo un ululato di assenso. «Ce ne sono tanti tanti, dobbiamo andare ad aprire i regali!»  ribadì, lanciandosi di nuovo verso il salotto, Bepo alle calcagna non prima di aver dato accuratamente il buongiorno a Law con una bella leccata su tutta al faccia.
Incapace di restare serio, Law si girò lentamente verso Koala che si strinse nelle spalle.
«Dobbiamo andare ad aprire i regali» affermò a sua volta, baciandolo sul collo. «E tu anche a lavarti la faccia»
 
Si stava asciugando il viso da una meritata rinfrescata quando il campanello suonò, alle dieci e quarantasette minuti. Law lanciò un’occhiata al proprio riflesso e, senza posare l’asciugamano, tornò all’ingresso finendo di tamponarsi la pelle dalle rigeneranti gocce d’acqua.
Gli sembrava strano che fossero già arrivati, si era accordato per le undici e mezza e suo padre tendeva a essere un po’ ritardatario. Un po’ tanto. Ma magari i miracoli di Natale esistevano.
Stava già per concedersi un commento salace che, aperta la porta, la voce non lasciò neppure il suo diaframma e l’espressione gli si fece più perplessa che mai.
Non c’era nessuno. Eppure lui era certo di aver sentito il campanello. Si guardò intorno nell’aria fredda e densa ma no, non c’era nessuno neppure che si stesse allontanando. Forse erano stati quei due bambinetti, Clione e Uni, a quanto pareva adoravano fare scherzi di quel genere. Con un sonoro schiocco di lingua, Law fece per rientrare in casa, salvo venire pietrificato da un brivido che gli corse lungo tutta la colonna vertebrale nel sentire quel suono.
Era stato… era un vagito?!
Per un attimo, Law non volle girarsi. I gatti a volte facevano suoni che ricordavano il pianto di un bambino e si sarebbe voluto cullare nell’illusione che fosse stato Lagoon, il gatto del dirimpettaio, se solo lui con i bambini non ci avesse lavorato così a stretto contatto da non potersi confondere.
Strusciò le suole nel rigirarsi, gli occhi ora puntati in basso, all’altezza dei suoi piedi, dove non aveva guardato e dove un ovetto era appoggiato subito fuori dalla porta di casa, sullo zerbino.
Ci mise meno di un decimo di secondo a reagire, il suo corpo prima ancora del suo cervello. Scattò in avanti, afferrando l’ovetto per la maniglia e tirandolo in casa, lo portò veloce in salotto e poi, ancora più velocemente corse di nuovo all’esterno, osservando con più attenzione e il fiato grosso intorno a sé. Ma non c’era nessuno, non che lui vedesse, e forse avrebbe dovuto controllare meglio lungo la via, dietro a qualche siepe, a un albero, a una cassetta della posta.
Ma da dentro casa un’altra serie di vagiti cominciarono a risuonare e qualcosa, l’istinto, la deformazione professionale o forse il cuore, aveva obbligato Trafalgar Law a rientrare immediatamente e correre dalla creatura. Pur sconvolto e scioccato, gli era già chiaro quali fossero le priorità da rispettare.
 
I regali non erano di più di quelli degli anni passati ma agli occhi di Laine erano tanti tanti. Laine sapeva sempre accrescere il valore di quello che aveva attorno, dopotutto, e non erano solo pensieri di un padre follemente innamorato di sua figlia ed eccessivamente orgoglioso.
Insomma, due anni prima, per farle uno scherzo, Pen e Shachi le avevano regalato una banana incartata e Laine ne era stata così felice che aveva voluto divorarla immediatamente, dividendola con Bepo.
Quell’anno comunque, Shachi e Pen non avevano regalato neppure per scherzo nessun frutto o ortaggio a loro nipote, non a giudicare dalle dimensione dei pacchetti, in mezzo a cui Laine era già seduta insieme a Bepo e a Lamy, sotto gli occhi attenti di Cora, che vista l’idea improvvisa di Law della sera prima si erano fermati a dormire lì, sua sorella in camera con la nipotina, suo padre sul divano-letto, da cui nel sonno doveva aver tirato un calcio al bicchiere del latte.
Ordinaria amministrazione.
«Papà, posso iniziare?»
Law annuì e si sedette sul divano di fianco a suo padre per godersi lo spettacolo, mentre anche Koala si avvicinava per aiutare la pulce a leggere i bigliettini, su cui Babbo Natale aveva accuratamente segnalato quale zio avesse richiesto questo o quel regalo, e scartare i pacchetti, in una perfetta catena di montaggio con Lamy e Bepo, addetto a distruggere la carta colorata man mano che veniva appallottolata accanto all’albero.
Un gioco di costruzioni da zio Kidd e famiglia, uno zainetto nuovo per l’asilo a forma di pinguino da zia Ikka e Ish, l’accappatoio con i cuori da zia Lamy, le ciabatte abbinate da Sugar, dal nonno un pupazzo di orsetto polare a grandezza praticamente naturale e vestitino e calze, per la giornata di festa, da zia Betty e zio Dragon.
«E questo? Cosa c’è scritto?»
 
 Law lesse e rilesse il biglietto, incapace di mettere insieme il senso di quello che diceva.
Non che dicesse molto e fosse difficile capire. Si chiamava Laine, aveva circa tre mesi e mezzo e a quanto pareva era perfettamente in salute. C’era un riferimento a del latte artificiale, pannolini e la sua cartella clinica e Law era vagamente consapevole di dover ricontrollare fuori dalla porta, perché sicuramente si era perso dei pezzi.
Ma il pezzo più importante lo stava perdendo lì. Perché se era uno scherzo davvero, allora era di pessimo gusto. Ma se era la realtà allora era difficile crederci. Credere di avere una figlia.
 
«Il biglietto dice che questo te lo ha portato su richiesta del papà»
Laine trattenne il fiato e Cora sorrise, perché lui lo aveva sentito bene, suo figlio accanto a sé, fare altrettanto. Era una vista più unica che rara, Law anche solo vagamente impaziente per qualcosa ma nessuno si sarebbe mai sognato di farglielo presente. Quella era un momento suo e di Laine, a cui loro avevano il privilegio di assistere e tutti avrebbero finto di non aver notato niente di strano, purché restasse di loro due soltanto.
«Pattini?» Laine spalancò gli occhi alzandoli sul papà.
 
Erano identici ai suoi. Era difficile credere che quella piccola cosina sotto alla coperta di lana, che ora non piangeva più ma si guardava intorno curiosa, fosse sua figlia ma gli occhi. Gli occhi di quella bambina era identici ai suoi, al punto da non lasciare spazio a dubbi.
Law non era stupido, sapeva che il colore grigio poteva cambiare e molto probabilmente sarebbe cambiato ma non era solo il colore. Era il taglio e l’espressione. Fissandola negli occhi era come vedersi allo specchio e qualcosa in lui si smosse con la potenza di un terremoto.
Fu come se il mondo si fosse ribaltato sottosopra eppure Trafalgar Law aveva appena trovato il proprio baricentro e si sentiva così perfettamente in equilibrio, come mai nella vita, che sarebbe riuscito a restare con i piedi incollati al soffitto e a testa in giù, senza cadere.
Così, lo facevano sentire gli occhi di quella creatura. Al centro esatto di un tutto di cui, non lo aveva ancora nemmeno deciso e già lo sapeva, voleva fare parte.
 
«Pattini per il ghiaccio!» ripeté la pulce, tornando a guardare la coppia di calzature dotate di lama, con un po’ di pelliccia sul bordo superiore e un disegno di fiocchi di neve sul fianco.
Erano i più belli del negozio secondo la commessa e i più adatti a Laine secondo lui, e Koala gli aveva dato ragione, ma era a Laine che dovevano piacere e poco ci mancò che Law cominciasse a torturarsi le mani che Laine rialzò di nuovo la testa e corse da lui, lasciando perdere i pattini, un pacchetto ancora incartato sotto l’albero, qualsiasi cosa che non fosse la più importante in quel momento.
«Sono bellissimi, grazie! Grazie papà!» sgambettò felice nell’aria, mentre Law se la prendeva in braccio e si appoggiava allo schienale. «Ti voglio bene»
 
Law lasciò finalmente perdere il biglietto e abbassò gli occhi alle proprie mani. Erano mani capaci, tatuate, che lui considerava vuote e inutili quando non teneva in mano un bisturi. In quel momento però, gli importava solo del fatto che erano fredde.
Appoggiò i palmi uno contro l’altro e prese a sfregare, mentre si avvicinava all’ovetto, da cui la bambina lo fissava ora in silenzio ma attenta. Attenta proprio come lui davanti a qualcosa che non conosceva e voleva conoscere.
Fu solo quando decise che erano abbastanza calde che, con la stessa cautela con cui avrebbe maneggiato un oggetto di cristallo o un attrezzo in sala operatoria, Law scostò la coperta e posò le mani ai fianchi della neonata. Provò a famigliarizzare con la sensazione della ciniglia e di quel corpicino così piccolo tra le mani e si sarebbe preso tutto il tempo, anche una mezz’ora, se solo Laine non avesse emesso un altro vagito, stavolta sembrava impazienza. E senza sapere come, Trafalgar Law ce l’aveva tra le braccia, contro il suo petto, a respirare il suo profumo di ovatta e neve.
 
«Ehi pulce, c’è ancora un pacchetto»
Laine si girò senza dare segni di voler scendere dalle gambe di suo padre e non ce ne sarebbe stato comunque bisogno perché Koala si era già avvicinata al divano con il regalo tra le mani.
«Questo è da parte mia. Lo so perché Babbo Natale ha usato il sacchetto che gli ho mandato per confezionarlo» glielo tese, mentre cercava Law con gli occhi, in cui si leggeva facilmente la domanda inespressa se andava bene così, se non era un problema che si fosse azzardata a fare un regalo alla piccola.
«Wow!» spalancò gli occhi Laine, estraendo il cappottino imbottito lilla che al negozio di pattinaggio, sul manichino era abbinato proprio ai pattini che Law aveva poi comprato. «È bello come il regalo di zia Lamy! Posso metterlo con i tuoi pattini, papà?»
«Certo che sì» rispose senza esitare Law, gli occhi ancora fermi in quelli di Koala, per risponderle che sì, certo che andava bene, certo che non era un problema se faceva un regalo a Laine per Natale. Che, anzi, sperava davvero tanto che quello fosse il primo di una lunga serie e forse se ne sarebbe anche fregato di tutto il resto e si sarebbe chinato a baciarla, tanto si sentiva per una volta completo e felice, se il campanello non avesse suonato proprio in quel momento.
 
«È aperto» avvisò, senza la minima intenzione di schiodarsi dalla poltrona e sapeva che di lì a poco avrebbe dovuto rispondere a parecchie domande, ma Laine stava giocando con i cordini della sua felpa e Law non l’avrebbe interrotta, non ora che aveva trovato l’incastro perfetto tra la bambina e il proprio avambraccio.
«Law? Law ma che succede?»
«Law, ragazzo mio, sai che fuori dalla tua porta c’è del latte artificiale e pacchi di pann… Oh Santo Roger»
 
«Ma cos’è?» sussurrò Laine di fronte al gigantesco pacchetto che occupava in larghezza quasi tutto lo spazio dell’uscio. A occhio entrava per un pelo ma prima Shachi e Pen dovevano sollevarsi dal regalo a cui se ne stavano appoggiati con fare rilassato, in una pessima imitazione dei gemelli Weasley.
«Probabilmente non passava dal camino e Babbo Natale lo ha lasciato qui» spiegò con fare saputo Pen, strappando un’occhiata molto scettica a Law.
«Se vuoi, bambolina, lo portiamo dentro noi, anche perché glielo abbiamo chiesto noi di portartelo» Shachi si sporse verso Laine, che ascoltava rapita gli zii.
«Noi, insieme a zio Sabo, Rufy e zio Ace» precisò Pen, mentre insieme a Shachi spingevano il gigantesco regalo dentro casa.
«Ma si può sapere che cos’è?» domandò Law avvicinandosi a Pen più che poteva per non farsi sentire da Laine.
«Una casetta igloo con le palline colorate. Va bene no?»
«Oh sì» Law non riuscì a trattenere un ghigno di scherno. «Bepo ne andrà pazzo»
Pen lo fulminò con un’occhiata ma poco ci mancò che si mettesse a ridere e Law gli diede una cosa vagamente simile a una pacca sulla spalla prima di accostarsi alla porta per accogliere anche il resto degli ospiti che arrivava in processione dal vialetto, capitanati da un esagitato David e fila chiusa da zia Betty e zio Dragon, passando per Sabo con Ish sottobraccio, affiancati da Rufy e Sugar, Ace che mostrava qualcosa a Ikka sul cellulare, Kidd con Harley sulle spalle e Nojiko accanto e, dulcis in fundo Crocus con Lagoon.
Tutti.
Trafalgar Law li aveva invitati tutti in uno slancio di non sapeva neanche lui cosa, suggerendo di portare, se volevano, ciò che probabilmente avevano già preparato per il pranzo, così da non sprecare cibo visto l’invito all’ultimo minuto anche se lui, Lamy e Kay avevano cucinato fino a notte inoltrata. E tutti avevano accettato, tutti avevano detto di sì a quel primo, inaspettato Natale al 14 di via Flevance.
Erano tutti lì, tutta la sua stramba, malassortita, disfunzionale ma insostituibile famiglia.
«Ehi Torao!!!»
«Rufio»

Ciò che più Law apprezzava della sua famiglia, era che, per pressante che fosse, sapeva quando non fare domande. Quella decisamente era una di quelle volte e Law non avrebbe saputo quale entità superiore ringraziare per quella cortesia ma, dopotutto, era comunque troppo preso per pensarci.
Certo col senno del poi si sarebbe reso conto di quanto fosse stato encomiabile, per Cora e Lamy, aiutarlo senza farsi sopraffare dalla presenza di una neonata di cui non era chiara la provenienza e il perché fosse lì, mentre lo aiutavano a cambiarle il pannolino e preparare un biberon di latte artificiale, che comunque l’indomani sarebbe andato a vedere se ce n’era uno di miglior qualità in reparto da lui. Quello non lo convinceva o forse era solo in paranoia.
   
«Queste sono per la piccola»
«Grazie Crocus» Law lo ringraziò quasi con calore, accettando il sacchetto natalizio che gli porgeva il vicino che, fatti due passi, tornò indietro.
«Segnati la marca, che queste sono quelle buone» lo ammonì con sguardo adombrato per poi dileguarsi definitivamente e Law provò quasi l’impulso di sorridere. 
«Ehi cugino» Sabo lo prese per le spalle, spuntando da dietro, dopo aver appeso la giacca. «Ma che ti è successo? Volevi far nevicare ancora di più?»
Law sollevò un sopracciglio e un angolo della bocca. «E a te?» lo schernì, occhiando eloquente verso Ishley, raggiante come non mai mentre chiacchierava con Lamy e Sugar.
«Oh beh…» sorrise Sabo. «Diciamo che ho fatto centro pieno con il regalo del Babbo Natale Segreto» mormorò criptico ma con un sorriso che parlava per lui.
«Non voglio i dettagli» mise in chiaro il chirurgo.
«Io invece dopo averti visto vestito da Santa Claus, i dettagli li voglio tutti, Ace non è stato abbastanza esaustivo. Per il resto chiederò direttamente a Kay» gli diede una goliardica e gentile pacca Sabo, allontanandosi per raggiungere gli altri, mentre Laine chiedeva a Koala di aiutarla a mettere il vestitino e le calze nuove.
Law avrebbe voluto grugnire. Ma mentre richiudeva la porta prima di tornare dai propri ospiti, tutto quello che riuscì a fare fu scuotere la testa divertito.
No, decisamente le cose non sarebbero state mai più come prima.
  
Non sarebbero andati al rito, era chiaro. Ma Law si stupì che fosse già arrivata la mezzanotte, quando sentì i cori natalizi in fondo alla strada.
Riportò gli occhi sulla creatura posizionata tra il suo braccio e il suo petto, accomodandosi meglio sulla poltrona, ascoltando Lamy che canticchiava mentre preparava un po’ di the.
Era Natale.
Laine dormiva serena tra le sue braccia.
 
Trafalgar Law non avrebbe potuto chiedere di meglio.
 
 

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