Il gioiello di Angmar

di Sinden
(/viewuser.php?uid=1060552)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Verso Isengard ***
Capitolo 2: *** Diamanti ***
Capitolo 3: *** L'Occhio del Drago ***
Capitolo 4: *** La via verso Est ***
Capitolo 5: *** Il ponte sul fiume ***
Capitolo 6: *** Hobbiville ***
Capitolo 7: *** Il principe e lo stregone ***
Capitolo 8: *** L'Anello dell'Ombra ***
Capitolo 9: *** Sogni ***
Capitolo 10: *** La sconosciuta ***
Capitolo 11: *** Morte a Midlothian ***
Capitolo 12: *** Fuga nella notte ***
Capitolo 13: *** Andriel ***
Capitolo 14: *** Farin ***
Capitolo 15: *** Eradan ***
Capitolo 16: *** Sfide ***
Capitolo 17: *** Nel villaggio di Arceto ***
Capitolo 18: *** Incontri nel bosco ***
Capitolo 19: *** L'ago della bilancia ***
Capitolo 20: *** Amicizie ***
Capitolo 21: *** La resa dei conti ***
Capitolo 22: *** 15 Aprile 2941 T.E. - Primo scontro ***
Capitolo 23: *** Guarigioni ***
Capitolo 24: *** Nuovi piani ***
Capitolo 25: *** Sospetti ***
Capitolo 26: *** 22 Aprile 2941 T.E. - Secondo scontro ***
Capitolo 27: *** Nella grotta ***
Capitolo 28: *** Urgost ***
Capitolo 29: *** Accordi ***
Capitolo 30: *** Amori ***
Capitolo 31: *** Nella Vecchia Foresta ***
Capitolo 32: *** Le nebbie del passato ***
Capitolo 33: *** Due lettere ***
Capitolo 34: *** Sortilegi ***
Capitolo 35: *** Una nuova partenza ***
Capitolo 36: *** Le Tumulilande ***
Capitolo 37: *** Verso la Valle degli Elfi ***
Capitolo 38: *** Incontri a Gran Burrone ***
Capitolo 39: *** Preparativi ***
Capitolo 40: *** Turbamenti ***
Capitolo 41: *** Un confronto inaspettato ***
Capitolo 42: *** Il Bianco Consiglio ***
Capitolo 43: *** Il risveglio del Re Stregone ***
Capitolo 44: *** Nohmus ***
Capitolo 45: *** Mattino ***
Capitolo 46: *** L'incidente della Valle Rossa ***
Capitolo 47: *** In volo ***
Capitolo 48: *** Nel mezzo del bosco ***
Capitolo 49: *** Il principe degli elfi ***
Capitolo 50: *** La fortezza del Re ***
Capitolo 51: *** Il Re senza Regina ***
Capitolo 52: *** Nel regno della foresta ***
Capitolo 53: *** Saenathra ***
Capitolo 54: *** Fuga verso Nord ***
Capitolo 55: *** Invisibilità ***
Capitolo 56: *** La figlia di Shelob ***
Capitolo 57: *** Dove è il principio ***
Capitolo 58: *** Di nuovo insieme ***
Capitolo 59: *** L'Aquila dorata ***



Capitolo 1
*** Verso Isengard ***


"Stai scherzando, vero?" chiese Heloise alla sorella Isadora. "...solo cinque persone?"

"Sì, mi hai sentito. Cinque allievi ogni cinque anni. E secondo tradizione, sono sempre tutti maschi." rispose Isadora, sbuffando. "...e ti ostini a sperare in quest'assurdità! Come credi di poter entrare in quel circolo?! Stai perdendo tempo."

Heloise avvertí la solita, pungente frustrazione manifestarsi in lei. Detestava quelle infinite discussioni. "Devo provarci. O me ne pentirò tutta la vita.  Ho promesso a papá che..." 

"...hai promesso a papá che ti saresti fatta una famiglia! Che avresti avuto figli, un futuro in cui costruire qualcosa! Perché non accetti la corte di Simenon, é un brav'uomo, e le sue finanze sono ottime. Ti ha sempre corteggiata e lo ha fatto con garbo! Ora che il suo commercio sta andando a gonfie vele desidera una moglie e figli. Con lui, staresti bene." insisté Isadora, gettando il canovaccio con cui asciugava i piatti sul lavello.

Heloise si girò dall'altra parte. Erano nella cucina di casa loro, una bella abitazione nella cittadina di Midlothian, a sud del Minhiriath, territorio una volta ricco di foreste, e, durante la Terza Era, martoriato da pestilenze, incendi e guerre. Rimanevano sparuti gruppi di umani ad abitarvi, fra i quali la famiglia Foley.

"Ah, che vuoi che mi importi di quel vecchio. Ha cinquantacinque anni. Preferirei passare la mia vita da sola che con quel barboso." replicò Heloise, stiracchiandosi. Aveva passato tutta la mattinata sui libri e la schiena le faceva male.

"Un barboso proprietario di tre ettari di terreno coltivato. Un agricoltore talmente ricco da poterti comprare quanti vestiti desideri." rispose Isadora. "Io mi sposerò l'anno prossimo e tu dovresti fare lo stesso. Papá non avrebbe voluto che tu diventassi una...una... studiosa! Che futuro vorresti costruirti, si può sapere?!"

Heloise guardò fuori dalla finestra. "Mamma non é ancora rientrata." mormorò. "Ma tra poco viene sera."

"Giá...passa tutto il giorno fuori a rammendare biancheria per due soldi. Conta su di noi per aiutarla, ora che é anziana. E tu...vuoi lasciarla per andare a Isengard. Sei un'incosciente e un'egoista!" rinfacciò Isadora, guardandosi le mani. Erano ruvide, rovinate. Non erano le mani di una signora. Ma lo sarebbe diventata di lí a un anno, una consorte devota e rispettata. Sam Pontipack si era proposto a lei tre mesi prima, e benché non fosse che un mugnaio, aveva un discreto gruzzolo da parte. Abbastanza soldi per mantenere una moglie.

Isadora odiava essere di peso alla loro madre, ma soprattutto odiava essere povera. Non c'era nulla di nobile nella povertá, solo umiliazioni e quella strisciante invidia che provava sempre quando incrociava per strada le ragazze più facoltose di Midlothian, graziose e civettuole nei loro bei vestiti nuovi. Ma con Sam sarebbe finito quell'inferno, e avrebbe potuto sostenere anche l'anziana signora Foley, che faceva la sarta e la domestica per dar da mangiare alle due figlie, ormai adulte.

"Perderai un anno della tua vita se insegui questa follia, Heloise." continuava Isadora. "Un maledetto anno."

"É la mia vita, dici bene Isa." rispose finalmente Heloise. "La mia vitaE decido io, della mia vita, cos'é giusto fare. Papà voleva che diventassi una persona istruita, e che diventassi esperta in medicina, e magia. Isengard é il luogo sede dell'Ordine degli Stregoni, Saruman il Bianco li comanda. I più grandi saggi ed eruditi vengono da lí. Ed é lí che devo andare."

"Oufff!!" sbuffò la sorella maggiore. "Non ti ammetteranno! E il viaggio verso quel territorio é lungo e pericoloso! Ma perché non stai qui e..."

"...falla finita, ho detto. Mamma sa già cosa voglio fare ed é d'accordo. Tu non sei mia madre!" rispose Heloise.

"Ma qualcuno deve pur dirti come stanno le cose. Tu rifiuti la realtá, sorella. Non vedi in che miseria siamo costrette a vivere? Nostro padre non ci ha lasciato che questa casa e la stalla là fuori. I soldi che guadagna mamma sono pochi e io faccio quel che posso con i lavori di cucito. Tu sei l'unica qui a non portare un centesimo a casa!" le disse Isadora. "... in che modo credi di procurarti i soldi per i libri? E per il viaggio e per il tuo sostentamento? E come pensi di superare la prova finale, che dá l'ammissione a Isengard? Dicono che devi preparare un saggio, scrivere un libro. Un saggio su un argomento non ancora trattato dalla scienza nota."

"Come sai queste cose?" chiese Heloise.

"Helmo del negozio dei liquori me lo disse. Un suo nipote ci ha provato cinque anni fa, e lo hanno respinto. La selezione é durissima e mai nessuna ragazza ha tentato. Isengard é un luogo dove formano e crescono maghi e Stregoni. Cosa vorresti diventare, una Strega??! Io non capisco." ribatté Isadora.

"Non una Strega. Una scienziata. Una persona in grado di curare malattie, studiare la Natura. Qui non abbiamo nemmeno un erborista, non ci sono dottori, i cittadini di questo posto rischiano di morire per una banale influenza. Potrei essere di aiuto alla comunitá, farlo diventare un lavoro." spiegó Heloise, con pazienza. Quelle diatribe con sua sorella terminavano sempre allo stesso modo: con un grande mal di testa reciproco e porte sbattute.

Isadora non concepiva altro che ciò che le avevano insegnato. Per lei, il destino di ogni donna perbene doveva essere quello di occuparsi di un uomo, dei marmocchi generati con quell'uomo, e tenere in ordine il focolare. Non riteneva che una ragazza potesse concedersi il lusso di ambire a qualcosa di più.

Ma Heloise sí, e come lei suo padre. Norman Foley era morto in guerra: non era stato un soldato, era stato una staffetta, uno di quei messaggeri che avevano l'incarico di galoppare da una trincea all'altra con i dispacci.

Quando era piccola, notando il suo amore per i libri e le illustrazioni, suo padre le aveva insegnato a leggere. Avevano iniziato con I racconti delle fate, ma una volta imparato, Heloise aveva mostrato un interesse molto piú deciso per i saggi scientifici, quei pochi che era riuscita a trovare nell'unica libreria di Midlothian.

La morte del loro padre aveva gettato la famigliola Foley nella più cupa difficoltà, soprattutto da un punto di vista economico. Norman mandava sempre a casa il compenso mensile che l'esercito di Gondor - l'unico che reclutava anche uomini di altri territori - gli elargiva, e non erano cifre irrisorie. Le staffette venivano pagate bene, dato il rischio del loro lavoro.

Una volta sole, Jemma e le sue due figlie erano state costrette ad affittare la grande stalla dietro casa, e con il ricavato riuscivano a mala pena ad andare avanti. La loro madre tirava su qualche soldo lavorando a servizio nelle abitazioni dei vicini, e Isadora aveva imparato a cucire per arrotondare le entrate, ma i soldi non bastavano mai e ora ci si metteva anche Heloise con le sue fregole da intellettuale.

Andare a Isengard, e prima attraversare da sola il fiume Brandivino e la Contea dei piccoli Hobbit? A Isadora pareva una pazzia.

"Non temere per i soldi. Troveró il modo. Ma voglio andare fino in fondo con questa faccenda." ripeté la giovane. "Almeno voglio provare."

"Quale modo? Avanti spiega." controbatté Isadora.

"...il vecchio Simenon é facoltoso, hai detto...mi faró dare i soldi da lui. Ho calcolato che dovrei disporre di almeno trecento monete d'oro per far fronte alle spese." ragionó Heloise.

"...trecento...e come pensi di fartele dare?" chiese la sorella maggiore.

"Simenon é innamorato di me, é vero. Troveró il modo." rispose Heloise, tormentando con le dita il pendaglio che teneva al collo.

"Non vorrai...Heloise!" la rimproveró Isadora. "É un brav'uomo. Non prenderti gioco di lui."

Heloise annuí. "Già, un bravo e ricco gentiluomo. Vedremo domattina se saprà anche essere generoso."

🌺🌺🌺

"Heloise! Che piacere vederti!" la salutò George Simenon, uscendo dalla sua piantagione con gli stivali pieni di fango.

Era un signore sorridente, un po' sovrappeso e con due lunghe basette grigie come i suoi capelli.

Heloise era andata a trovarlo, e per l'occasione aveva preso a prestito di nascosto  il vestito più grazioso di sua sorella, impegnata in quelle ore ad accudire i figli di una loro vicina.

"George! Da molto sentivo la vostra mancanza, dalla festa di mezza estate, ricordate?" lo salutò Heloise, smontando dal piccolo calesse di famiglia. "Vi avevo promesso che sarei venuta a trovarvi."

"Certo, ma... volevo venire a prenderti io. Mi spiace tu ti sia scomodata. Prego, reggiti a me!" si offrí Simenon, porgendole un braccio. C'era fango sulla strada, e l'ampia gonna di Heloise toccava terra. "Questo abito é cosí grazioso... lo sporcherai!"

"Oh, non potevo presentarmi a voi con un vecchio grembiule, non credete?!" chiese, nel suo tono più civettuolo.

"Ma tu saresti meravigliosa anche avvolta da una sacca di fustagno! Cara Heloise, fatti guardare..." le rispose George, tenendole le mano. "... sei sempre piú bella. Viene voglia di mangiarti!"

Heloise rise. "Mi stavo chiedendo... come puó un gentiluomo come George Simenon passare i suoi giorni con le ginocchia immerse nel fango? Non avete a noia il vostro lavoro nei campi?"

"Questa é la mia terra, e io la amo. La amo, come si ama una madre. Questa regione un tempo era attraversata da fitte foreste. Non si poteva coltivare nulla. Ma gli incendi hanno per certi versi favorito l'attività di noi agricoltori." George si chinó e raccolse un po' di terriccio in una mano. "La terra rossa di Midlothian. È sempre stata generosa con me, e io voglio dedicarle la mia vita. Perció no, non mi annoio qui."

"Beh, son certa che queste graziose piantine verdi e le carote e i pomodori corrispondano tutto il vostro affetto. Ma ditemi: non sentite la mancanza di un affetto vero, nella vostra vita?" chiese Heloise. I suoi occhi castani si fissarono in quelli grigi dell'uomo.

George restó a contemplarla con la bocca semiaperta, dopo quella domanda. Sembrava piacevolmente meravigliato. "Heloise... vuoi dire che... finalmente hai deciso di accettare la mia corte?"

"In veritá, ho pensato molto a voi. Voglio complimentarmi per la costanza del vostro sentimento, e per la discrezione con cui avete sempre mostrato interesse nei miei riguardi. E sono qui per parlarvi in modo sincero, ora." disse Heloise. "Ditemi George, sareste disposto ad esaudire un mio desiderio, dietro la promessa di prendere in seria considerazione l'ipotesi di un fidanzamento?"

George quasi si prostró in ginocchio. "Quello che desideri, cara! Chiedi ció che vuoi!" Il suo cuore sembró esplodergli nel petto. Heloise Foley era una bella ragazza, e giovane. Molto più giovane di lui.

In verità al vecchio Simenon garbava molto di più sua sorella Isadora, la bionda Isadora che con i suoi ricci dorati faceva impazzire mezza Midlothian. Ma era già promessa.

Heloise tuttavia aveva ereditato i bei lineamenti di sua madre, e aveva due intensi occhi castani. Per non parlare di quel corpo snello e perfettamente proporzionato.

"Ecco, mi servono trecento monete d'oro." disse Heloise.

George si riprese dall'emozione. Si levó dritto in piedi, con un'espressione confusa e un po' sospettosa.

"Non é una cifra da poco. Per farne cosa, posso chiedere?" le domandó.

"Ho un mio progetto, e mi servono quei soldi. Ve li restituiró appena potró. Voi dovete avere migliaia di monete, so che i vostri affari vanno a gonfie vele." azzardó Heloise.

"Non mi importa che me le restituirai. Ma vorrei sapere a che ti servono quei soldi." chiese ancora George. Sembrava un po' contrariato.

"Ecco, devo affrontare un lungo viaggio e un anno di permanenza in un luogo lontano. Mi servono fondi." rispose Heloise.

"Un...anno...lontana da qui?? Ma dove vuoi andare?" insisté George. "E perché dovrei darti il mio denaro a fondo perduto?"

"Oh ma...George!" rispose la ragazza, fingendo indignazione. "Rifiutereste un desiderio a me? Alla vostra possibile futura fidanzata?!"

Simenon si mise le mani sui fianchi, irritato. "Sentimi bene... io forse ho un debole per te ma non sono uno stupido! Sono un uomo d'affari e so riconoscere una fregatura." rispose George, in un tono improvvisamente severo. "Dovrei darti una cifra simile per vederti spiccare il volo e magari non tornare più? Chi mi assicura che ci fidanzeremo, dopo?"'

Heloise inarcó le sopracciglia, offesa. "Vi ho dato la mia parola."

"Non mi pare proprio. Hai detto forse. Beh, io non sono abituato a gettare il denaro dalla finestra. E non lo faró, per quanto invaghito io possa essere di te!" ribatté seccamente lui.

"Beh io credevo che aveste molta piú classe! Sono davvero delusa, George!" ribatté stizzita la giovane. Poi fece un passo indietro e lo squadró con astio. "Voi non siete un galantuomo, allora! Mi pento di essere venuta fin qui!" si allontanò, dirigendosi verso il calesse. "Trecento monete non sono che bazzecole per voi, non crediate che non lo sappia!"

"Sei venuta qui solo per i soldi. Ma tu non vali trecento monete d'oro!" le gridò George, amareggiato. "Avrei dovuto saperlo... voi ragazze Foley siete delle piccole pezzenti. Me lo dicevano, fareste qualsiasi cosa per denaro! E io come uno stupido non ho mai dato retta a quelle voci... ma non avrai nulla da me!"

Heloise non badò a quegli insulti e salí velocemente sul calesse. Poi in un impeto d'ira frustò il cavallo per spronarlo. "Non osate mai più importunarmi, George Simenon!" gli urlò, mentre si allontanava a gran velocità. "Non voglio più saperne di voi!"

"Razza di poveraccia...lascia che racconti in giro di questa conversazione e più nessun uomo di questo posto vorrà saperne di te..." mormorò fra sé Simenon. "....e nemmeno di tua sorella!" urlò.

Heloise frustò ancora il ronzino e si allontanò di gran carriera.

Dannato Simenon, aveva l'anima avuda e furba di tutti i commercianti. Quanto si era sbagliata sua sorella nel tesserle le sue lodi! Altro che gran signore...

"Già, ma devo trovare quei soldi... devo procurarmeli... ma dove...? Come?!" si chiese.

Poi guardò verso Est. Oltre il fiume Brandivino iniziava il territorio degli Hobbit.

Sarebbe stato già abbastanza complicato arrivare fin lí. 
Sarebbe stata tutta quanta una faccenda complicata.

Ma lei era determinata a diventare la prima maga della Terra e aveva abbastanza cervello e testardaggine da provarci.

Decise di chiedere consiglio a sua madre, più tardi quella sera.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Diamanti ***


"Heloise é odiosa! Non fa che perdere tempo con i suoi stupidi discorsi sul circolo degli Stregoni! Dovrebbe aiutarci, invece! Perché non la rimproveri mai, perché? Perché?!" sbottò Isadora, seduta al tavolo della cucina. Si mordicchiava nervosamente le unghie.

Sua madre era intenta a preparare una minestra con le verdure raccolte nell'orto dietro casa. Un invitante profumino già si era diffuso nell'ambiente. "Smettila, Isa. Sono stanca. Non affliggermi con questi discorsi." rispose Jemma.

"Stamane ha preso il mio vestito rosa e non é ancora rientrata! Se torna e vedo che me l'ha rovinato passerà dei guai. Quella piccola serpe..." proseguí la sorella. "É andata da Simenon, ne sono certa. Avrà civettato con lui per farsi dare il denaro. L'avesse almeno fatto per sfamarci!"

"Non dire cose sgradevoli su tua sorella." la redarguí la madre.

"Tu la preferisci, mamma! L'hai sempre preferita e la giustifichi in tutto! É talmente viziata ora che..." aggiunse Isadora, con le gote rosse dall'agitazione.

"Io amo entrambe. Non dire assurdità. Heloise ha appena vent'anni, Isadora. É naturale che sogni e speri in un futuro che appaghi i suoi talenti. Non vi é alcun male nella sua ansia di vivere." continuò Jemma, rimestando il brodo.

"...io ne ho ventitré! Anch'io sono giovane! Però ho compreso che prima di tutto bisogna pensare alla propria famiglia, cioé a te. Sto lavorando, é da quattro anni che ti aiuto e dopo il mio matrimonio ti manderò dei soldi, ogni mese. Lei invece non ha fatto altro che perdere le sue giornate seduta sotto gli alberi con questi stramaledetti libri!" Isadora afferrò uno dei volumi della sorella e lo scagliò in un angolo della cucina. "Ha la testa piena di segatura, e basta!"

"Ora smettila! Sei ingiusta e crudele con lei. Può essere invece che Heloise abbia una grande mente, un intelletto prezioso che va coltivato, ed é giusto che ci provi. Tuo padre avrebbe voluto cosí." intervenne Jemma, riempiendo il piatto della figlia. "Ma mi preoccupa che non sia ancora rientrata."

"Te lo dico io come andrà a finire: perderà tempo, perderá anni inutili e si ritroverà fra venti anni sola e triste! E si pentirà delle azioni che sta compiendo ora. Dovrebbe sfruttare la sua gioventù. A parte George, molti uomini le lanciano occhiate, l'ho notato. Dovrebbe approfittarne...ora." disse la sorella.

"Sei sempre stata tu quella corteggiata. Ricordi il tuo sedicesimo compleanno, quella scampagnata che facemmo vicino al fiume? Tutti quei ragazzi che ti ronzavano intorno!" disse sorridendo Jemma. "Oh, erano davvero bei tempi. Vostro padre era ancora con noi. La nostra famiglia era rispettata, e tu...tu avresti ancora potuto permetterti di avere un fidanzato dell'alta società. Ricordi? Io e Norman parlavamo di portarti a Gondor, a Minas Tirith. Lui voleva presentarti a corte."

Isadora alzò la mano. "No, mamma, non voglio ricordare. Quella ragazzina non c'é più. Nessuno dei miei sogni si é realizzato. Un fidanzato nobile...sposerò un mugnaio." sbottó, spezzettando il pane.

"Sam é buono e onesto. Non svilirlo. Vivrai serena con lui..." commentò la madre.

"Già, in mezzo a sacchi di farina e grano." sospirò Isadora.

"Sará meglio della vita che ho fatto io alla tua etá." rispose sua madre, accomodandosi al tavolo. "Certe volte è meglio la tranquillitá del lusso. E ringrazia Eru per la fortuna che ti é capitata."

D'improvviso, sentirono la porta di casa aprirsi: il forte cigolìo dei cardini arrugginiti annunció che Heloise era tornata. "Dovremo deciderci a far oliare questa porta..." disse la sua voce. "Isa? Mamma?" chiamó dal salotto.

"É pronto in tavola, sbrigati." rispose Jemma.

Heloise andó in cucina, controvoglia. Sapeva bene che si sarebbe scatenata un'altra sceneggiata con sua sorella, per l'abito rubato stavolta. In più, si era beccata un sonoro due di picche da quel tirchio di Simenon e quindi il suo umore era più burrascoso del mare in inverno.

"Ma dove sei stata?! E perché hai frugato nel mio armadio?!" l'aggredì infatti Isadora. Poi gli occhi le scesero sull'abito, e si sgranarono quando vide le condizioni dell'orlo. Era sporco e  incrostato di terra. "Guarda...guardaaa!!!" gridó. Si alzó e afferró la gonna, per esaminarla. "Il merletto é andato! Dovró buttarlo!!"

"Finiscila, quest'abito é vecchio di quattro anni." rispose Heloise.

"É uno dei pochi abiti che mi sono rimasti! Sai bene che non posso più permettermeli!!" piagnucolò sua sorella. "Oh mamma, lo vedi... lo vedi cosa fa?!!" poi afferrò Heloise per un braccio, stringendolo tanto da farle male. "...non t'azzardare più a prendere la mia roba!"

"Lasciami!" ribatté la sorella, divincolandosi.

"Ora basta, voi due. Tu togliti quel vestito e lascialo nella tinozza. Domani faró bollire dell'acqua e lo laveró. Non esiste macchia che non possa essere tolta. E smettete di comportarvi così! Non posso vedervi litigare in questo modo." le sgridó Jemma. "Quando io saró morta, non avrete che l'un l'altra. Non voglio ci siano conflitti fra voi."

"Non parlare così, mamma. Non mi piacciono simili discorsi." le disse Isadora. Poi squadró la sorella. "E poi...io non saró sola...io avró un marito e figli...io."

"Grandiosa prospettiva. Ti invidio molto, davvero." la prese in giro Heloise, slacciandosi il bustino. "Ma che brava la mia sorellona."

"Ho detto basta. Spogliati, cambiati e poi mettiti a tavola, Helli. E non voglio più discussioni, mi avete capito?!" ordinó Jemma.

"Non le chiedi nemmeno dov'é stata." sibiló Isadora.

"...tu mangia quel che ho preparato prima che si freddi. E sta' buona. Parleró con lei più tardi." rispose la madre.

Poi, dopo aver lasciato andare un lungo, esasperato sospiro, si preparó a cenare. Le mancava terribilmente suo marito in quelle circostanze. Le due figlie si volevano bene, ma avevano caratteri opposti ed erano sempre state litigiose sin dall'infanzia.

Ma di fronte a Norman non discutevano mai. Era come se il grandissimo affetto che entrambe provavano per il padre le mettesse in soggezione, e calmasse i loro spiriti. Da quando suo marito non c'era più, scene del genere si ripetevano con fastidiosa continuità. Forse anche perché mancava una figura maschile in casa, le sue due figlie erano sempre nervose come due gatte isteriche.

Isadora sembrò intuire i pensieri della madre. "Non vedo l'ora di andarmene da qui. La situazione è ormai ingestibile con lei. Rifiuta ogni mio suggerimento."

"Questo succede perché non sei gentile nei tuoi modi. Certe volte perfino io ho paura di parlare con te! " rispose la madre.

"Ma mi dà sui nervi, mamma. E' come se vivesse in una bolla di sapone, è fuori dalla realtà." ribatté Isadora, scrollando i ricci biondi. "Andare a Isengard... di tutte le stramberie che potevano venirle in mente, questa è la peggiore!"

"E se ci riuscisse? Potrebbe essere un  genio, per quel che ne sappiamo. Io credo che meriti un'opportunità. Inoltre... non mi va molto che sposi quel George come-si-chiama. Troppi anni di differenza." rispose Jemma.

"Beh, meglio no? Morirà in pochi anni. E lei sarebbe una vedova ricchissima e felice!" scherzò la sorella. Jemma ebbe la spiacevole sensazione che non stesse proprio scherzando, e preferì lasciar cadere la conversazione.

Delle volte, aveva l'impressione che le sue figlie fossero fin troppo ossessionate dai soldi, e giravano anche voci in città al riguardo. Del resto, vivere la gioventù in povertà, senza bei vestiti, cappellini o scarpe nuove era avvilente. Anche lei c'era passata, e aveva sperato di non far conoscere quell'amarezza alle sue ragazze. Purtroppo, la morte di suo marito aveva infranto quel sogno e a quel punto non le era restato che rimboccarsi le maniche.

Ma la dignità....no, quella non l'avrebbe persa né lei, né le sue due figliole. Sam Pontipack e Isadora si erano sempre piaciuti, e benché sospettasse che la sua ansia di sposarsi fosse frutto delle privazioni che subiva, Jemma sapeva che la sua figlia maggiore con lui sarebbe stata bene.

Ma l'idea che la giovanissima Heloise si unisse a un uomo che aveva ben trentacinque anni più di lei, e lo facesse solo per denaro, la gettava nello sconforto. Jemma pensó ai suoi genitori: erano umili contadini, ma sua madre non l'aveva allevata come una donna di facili costumi, né l'avrebbe fatto lei con Isa ed Helli.

E poi, un modo per aiutare la sua secondogenita c'era.

🌺🌺🌺

"Che hai fatto oggi?" chiese Jemma Foley alla sua figlia più giovane.

Dopo cena, Isadora era uscita per fare una passeggiata con Sam, e lei ed Helli erano in casa.

Jemma si sedette sul letto della camera che le due ragazze condividevano. Heloise si stava preparando ad andare a dormire, e si stava intrecciando i capelli alla consueta maniera. "Isadora che ti ha detto?" rispose la ragazza.

"Sei andata da quel tizio, da quel Simenon...é così?" chiese la madre.

"Sì. Ma mi sono fermata poco." rispose Helli. E non aggiunse altro. Jemma avvertì una punta di rabbia in quella risposta.

"Cosa é successo?" volle sapere.

"Gli ho chiesto un prestito. Pochi spicci, per uno come lui. Me li ha rifiutati, quel taccagno della malora..." si lamentó la giovane.

"In cambio di cosa?" insisté Jemma.

Heloise si giró a guardare la madre. Notó che aveva uno sguardo addolorato. "Non dirmi che ti sei offerta a lui..." mormoró la signora Foley.

"Certo che no! Mamma!" rispose Heloise, stupita e offesa. "Gli ho solo detto che...ecco...che avrei riflettuto sulla sua proposta di fidanzamento."

"Si é proposto a te?" chiese Jemma.

Heloise deglutì. "Non proprio...insomma gli ho detto che nel caso avesse chiesto la mia mano, ci avrei pensato su. A patto che mi desse quei soldi."

"Oh, no..." ribatté Jemma. "Non avresti dovuto."

"E perché?" chiese ingenuamente la figlia.

"Perché ora ti considera una donna da poco. Non si parla di soldi con gli uomini. Non sta bene. Ora la tua reputazione é rovinata." sospiró Jemma.

"Credevo non ci fosse nulla di male. Gli avevo perfin detto che era un prestito, mi ero offerta di ripagarlo. Quante storie!" sbottó Heloise, infilandosi la lunga camicia da notte.

"E dopo dove sei andata? Hai passato tutta la giornata fuori casa." continuó a chiedere Jemma.

"Ho camminato un po', ho cercato di farmi venire un'idea. Ho pensato di chiedere lavoro in qualche bottega, ma la mia partenza é imminente. Non ce la farei, lavorando, ad accumulare il denaro che mi serve in tempo." disse, sedendosi accanto alla madre. "Volevo chiedere un altro prestito, magari alla signora Hutton. Qualche volta io e Isadora andavamo a giocare nel suo giardino, da piccole. Forse mi aiuterà. Era molto affezionata a noi."

"E umiliarti ancor di più? No, lascia perdere." rispose Jemma. "Non chiedere mai la carità. Qualsiasi cosa ti capiti, non far leva sulla pietá del prossimo. Lascia che lo facciano gli storpi, i malati."

"Contavo su George... ero sicura che mi avrebbe dato quanto volevo. Ma non posso rinunciare al mio sogno, mamma... non posso!" disse Heloise, portandosi le mani al viso.

"Tu sei ambiziosa, perfin troppo... ma questo non é un male." rispose Jemma, carezzandole la nuca. "Credo di poterti aiutare."

Heloise ridestò la sua attenzione. "E come?"

Sua madre trasse un profondo respiro. "Norman mi fece promettere di ricorrere a questo in caso di estremo bisogno. Lui intendeva dire che avrei  dovuto usare questa risorsa se fossimo state sull'orlo di morir di fame... ma credo che sarebbe d'accordo."

Helli la guardò confusa. "Cosa?"

Da una tasca del grembiule, Jemma estrasse un fagottino. Era un normale pezzo di stoffa grigia, un po' consunta. Con delicatezza, ne aprí i lembi.

Al suo interno, c'era quel sembrava un antichissimo gioiello intagliato nel bronzo. Heloise si avvicinò alla madre per guardare meglio, e notò subito una pietra trasparente nel mezzo, e lo spettro di riflessi colorati che emanava non lasciava dubbi sulla sua natura.

Heloise non era un'esperta in pietre preziose, ma perfino un bambino l'avrebbe riconosciuta. "Mamma...é...é...un diamante?" chiese con la voce un po' tremante.

"Immagino di sí." rispose Jemma, rimirando la gemma. "Tuo padre disse di sí."

Helli non riusciva a togliere gli occhi da quell'oggetto straordinario. "...non può essere un diamante vero. É...é... enorme. Ma come...come é possibile che l'avesse papá...cioé, dove...?"

"Lo trovò un giorno. Mentre galoppava con il suo cavallo da una trincea a un'altra. O meglio... fu un regalo." terminò Jemma.

"Un regalo... ma da chi?" chiese esterrefatta Helli. Quel gioiello valeva quanto l'intera piantagione di George.

"Beh, successe una cosa a tuo padre... fece... un incontro." raccontò Jemma. "Me ne parlò solo una volta e poi non tornò più sull'argomento. Credo che i ricordi lo spaventassero. Anch'io mi sentii a disagio mentre me ne parlava."

"Ti prego, voglio sapere, mamma! Dimmi tutto." disse Heloise, prendendo in mano il gioiello. Era un grosso pendaglio di bronzo. "Ma che strana forma ha... non riesco a definirla...sembra un occhio, e il diamante é posto al centro, come fosse una pupilla."

"L'occhio di un serpente, pare." commentò Jemma.

Helli lo studiò meglio. "No." mormorò. "É l'occhio di un drago."

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** L'Occhio del Drago ***


"Tuo padre stava cavalcando attraverso la Valle Rossa, non distante da qui. Doveva raggiungere l'alto comando di Gondor, e rimanere in attesa di ordini. Passò attraverso un bosco, speranzoso che il fitto della foresta lo nascondesse dai nemici. Ma raggiunto un certo punto, il cavallo s'imbizzarrí. Era un animale buonissimo e mai prima di quel momento aveva dato problemi." raccontava Jemma a Heloise. 
"Comunque, Norman preferí smontare e proseguire a piedi, tirando il cavallo per le briglie. Mi disse di aver avvertito anche uno strano odore nell'aria, come di legno bruciato. Temette ci fosse un piccolo incendio in corso... e si guardò attorno. Vide una grotta. Era una vecchia cava per il deposito di legname. Ma... sembrava abitata." continuò la donna, stringendosi nello scialle. La figlia la vide rabbrividire. 
"C'era una piccola brace accesa, e intorno, avanzi di coniglio abbrustoliti. C'erano anche falci e rastrelli appoggiati a un masso, e qualche panno cencioso buttato lí ad asciugare. Tuo padre immaginò fosse un contadino solitario, o un pastore... ma si sbagliava."

Poi Jemma si fermò.

"Continua, mamma." la esortò Heloise.

"Ecco...Norman fece udire la sua presenza, chiese ad alta voce: chi vive qui? C'é nessuno?  E fu allora che quell'essere si riveló." disse Jemma. "Dapprima, sentì una voce. Era un voce di donna, stridula e sgradevole. Vieni avanti, disse. Norman sentì che sarebbe stato un errore entrare in quel posto oscuro, ma era curioso. Uno dei più grandi difetti di tuo padre era quella malsana curiosità, che hai in parte ereditato anche tu. Doveva sempre approfondire." disse Jemma, scuotendo il capo. "Avrebbe potuto lasciarci le penne, quel giorno."

"Ma chi era quella donna?" chiese con impazienza la ragazza. "e perché viveva sola in un bosco... in una cava?"

"Su chi fosse, rimase il mistero. Sul perché vivesse per conto suo, la risposta arrivó subito." disse Jemma. "Dopo che fu entrato, brandendo la spada, tuo padre vide subito una figura vestita di nero, seduta a quello che sembrava un tavolo. Aveva perfino un velo nero a coprirne il viso, ma s'intravvedevano i lineamenti. Era anziana, molto anziana. Di lei, solo le mani erano scoperte, mani ossute dalle lunghe unghie." raccontava Jemma.

Heloise ridacchió. "Mamma, sono un po' cresciuta per credere alle streghe. Non esistono streghe. E questa mi sa tanto di favola per spaventare i bambini."

"No, mia cara, non era una strega. Non come lo intendiamo noi. Era qualcos'altro, che aveva preso quelle sembianze." rispose Jemma, che non sorrideva per niente. Anzi, pareva molto scossa.

Helli tornó seria. "Cioé?"

"Lasciami raccontare tutto. Dicevo: tuo padre entró in quell'antro, e vide attornó alla donna misteriosa tutto un armamentario di strumenti degni di un torturatore, di un boia. Ecco, Norman ricordó di aver visto una mazza appuntita, una strana sfera con chiodi conficcati sulla superficie, e pugnali, lame, una lancia. E tutto sembrava antico. Antichissimo, disse lui." proseguì Jemma. "Chi sei tu? Chiese tuo padre. Perché possiedi questi oggetti? La donna lo guardó negli occhi e lui ebbe l'impressione che fossero bianchi. Senza iride, capisci?"'

"Sì. Forse era cieca." azzardó la figlia. Anche lei avvertì disagio.

"Forse. Disse: questi sono un dono del mio sposo. Mi appartengono. Me li ha lasciati. Adesso, sta arrivando il momento del suo risveglio. A Carn Dûm." rispose Jemma. "E verrà a riprenderseli. Si prenderà tutto, per darlo al suo...Signore."

"Carn Dûm...se non sbaglio, è la capitale del regno di Angmar. Su a Nord. Territorio maledetto." ricordó Heloise.

"Non so. Tuo padre non aveva mai sentito di una città chiamata così. Ma quella faccenda lo spaventava, così tentó di indietreggiare. A quel punto, la donna sollevó una mano e subito un masso cadde a chiudere l'uscita. Lo aveva intrappolato lì." disse Jemma. "E allora Norman minacció quella megera: fammi uscire da qui o ti faccio saltare la testa. Sono un soldato!" le gridó. "Lei si mise a ridere e si tolse quel sudicio velo dal volto. Era una specie di mummia, disse tuo padre che...ecco che sembrava tornata dall'oltretomba." disse Jemma. Aveva gli occhi sbarrati, come se raccontare quel fatto l'avesse trasportata lì, in quella grotta, con suo marito, diciott'anni prima. "...peró, non gli fece del male. Io sono la consorte del Re Stregone. Esiliata, mandata in mezzo a voi mortali in incognito, ad attendere il momento. Ad aspettare che qualcuno avesse avuto abbastanza fegato da entrare qui. Molti sono passati, prima di te. Alcuni son fuggiti subito, altri hanno tentato di uccidermi e le loro ossa sono sepolte là fuori. Ma tu, soldato senza nome, hai superato la prova. Per ora. gli rivelò. In realtà, Norman era fuori di sé dal terrore, ma non cedette al panico. Mi disse che tutto ció che voleva era rivedere me e voi due. Pregó i suoi déi per questo." raccontava Jemma. "Cosa vuoi da me, si puó sapere? le chiese. La vecchia si alzó e andó verso uno degli anfratti della grotta e prese uno scrigno, lo aprì ed estrasse questo oggetto." disse, alzando il pendaglio di bronzo. "Lo portó a tuo padre e gli bisbigliò: i Serpenti del Fuoco, tutti i Serpenti del Nord rispondono a questo gioiello. Tutti sono sottomessi all'Occhio. Portalo a Carn Dûm. E grande sarà la tua ricompensa. Diventerai oscenamente ricco, puoi credermi. Ma devi consegnarlo a..." poi Jemma si fermó. Non ricordava un nome.

"A chi, mamma?" rispose Helli, un po' scettica. La storia appena sentita era fin troppo incredibile.

"...é buffo...non ricordo quel nome. Rammento tutti i dettagli, ma non il nome..." Jemma corrugó la fronte, nello sforzo di ricordare. "... mi pare che iniziasse con la A."

Heloise guardó per qualche secondo la madre, perso nei suoi ricordi, poi sospiró. "Ma non ti aspetti che io creda a questo, vero?" le chiese. "Andiamo, mamma... sarebbe più onesto che tu ammettessi che papà l'ha rubato da qualche reggia."

A quel punto, Jemma si giró e le diede una sberla. Uno schiaffo veloce, secco, che lasció Heloise incredula e con una guancia dolorante. "Ma..." mormoró, portandosi una mano al viso.

"Non t'azzardare a dire così di tuo padre! Norman non era un ladro, quel che ti ho detto é verità!" le disse. "Se non vuoi credermi non importa."

"Beh no, non ci credo!" rispose la figlia, alzandosi in piedi. "Io credo nella scienza, lo sai. E quello che hai detto é privo di ogni logica!"

"Esistono infinite creature in questo mondo. Elfi, Nani... e gli Stregoni. Credi nella loro esistenza e non in questa storia? Io sono certa che quell'essere fosse malvagio, che provenisse da qualche dimensione a noi sconosciuta. Anche tuo padre tentó di rifiutare quell'eventualità, all'inizio. La prima volta che mi raccontó la faccenda, disse di aver pensato che fosse una vecchia pazza, una di quelle donne strambe che vengono allontanate dai paesi, e si isolano dal mondo. Ma, il fatto é che poi sparì. Dopo aver consegnato il gioiello a tuo padre, dopo avergli estorto la promessa di fare quanto detto, la caverna si riaprì e quella vecchia ... sparì in un bagliore. Lasció dietro di sé una nuvola di vapore. Letteralmente svanita." continuó Jemma. "Norman portó qui quest'affare e lo nascose. Conosceva il valore del diamante, temeva glielo rubassero. Decise che prima o poi ci avrebbe fatto comodo. Ovviamente, non ci pensò nemmeno ad andare in quel regno... Angmar. Considerò la faccenda un inaspettato dono di Eru. E ora... é giunto il momento di sfruttare questo dono."

Porse il fagottino alla figlia.

"Che ne dovrei fare?" chiese Heloise.

"Vendilo. Non qui, i nostri compaesani non devono sapere che l'avevamo, o anche loro penseranno che Norman era un ladro. Non voglio si scatenino ulteriori malelingue su di noi. Ascolta, portalo dagli Hobbit. Non sono ricchi come i Nani, ma alcune lore famiglie sono facoltose. E non sono abituati ad avere gioielli, farebbero follie per questo. Potrebbero fare una colletta e acquistarlo da te. Con il ricavato potrai pagarti tutti i tuoi studi, e ti avanzerebbe una montagna di denaro." spiegó Jemma. "...abbastanza per stare serena per sempre."

Helli esitó prima di prenderlo. "Non sarebbe corretto. Dovremmo venderlo per te, i soldi servono alla nostra famiglia."

"Già. E cosa succederebbe se la gente di qui ci vedesse improvvisamente coperte d'oro? Cosa penserebbero? No, la cosa va affrontata con discrezione. Tienilo tu, pensa per te ora. Più avanti mi aiuterai." rispose Jemma. "E senti quest'altra cosa: Isadora non deve sapere, intesi? Non farle vedere questo gioiello o pretenderà di impegnarlo subito e non ti dará nemmeno una moneta. Lei... beh, ho sempre saputo che avrebbe puntato al massimo a una vita da moglie. Ma tu...io vorrei che tu avessi un'opportunità, e son certa che tuo padre é d'accordo."

"É un grande sacrificio per te, questo. Non so se sia giusto." disse Heloise.

"Io voglio così. E questo chiude il discorso." rispose Jemma, alzandosi a sua volta. "Non svenderlo, e attenta che non te lo rubino." Poi, uscì dalla stanza.

🌺🌺🌺

"Buone notizie, sorella." annunció Isadora il mattino dopo, presentandosi a tavola per la colazione. "Ti ho trovato un lavoro!"

"Scusami? Che lavoro?" chiese Heloise.

"Sam dice che puoi lavorare per lui. Nella sua bottega. Serve una persona che si occupi di riempire i sacchi di farina, classificarli e poi tenere un po' di contabilità. Non male, vero?" disse Isa. "Due monete d'oro al giorno. Di questi tempi, c'é da ritenersi fortunati."

"Non mi interessa." taglió corto Helli. "Due monete al giorno... ci metterei cinque mesi ad accumularne trecento. E io parto domani."

"Parti...domani? Ma credevo ti servissero soldi. Dove li hai trovati?" chiese la sorella, basita.

"Affari miei. Ma non preoccuparti più di nulla. Ce la faró da sola." disse seccamente Heloise.

Isadora non sapeva che pensare. "Li hai chiesti a un altro signore? Sam ha sentito che George Simenon é furioso con te. Dice che lo hai ricattato!"

"...ricattato? Razza di bugiardo, imbecille!" imprecó Heloise. "Non é vero affatto!"

"... allora come hai avuto il denaro che ti serve? Non dirmi che parti senza un centesimo in tasca!" insisté Isadora.

"Non ho detto questo. Ho detto che non ci devi pensare tu. E dì a Sam di dare quell'impiego a un altro che ne ha bisogno." ribatté Heloise.

"Parti domani...mamma come ha reagito?" chiese la sorella.

"Sono d'accordo con Helli. É il momento di andare, per lei." rispose la voce della signora Foley. Si era alzata e aveva raggiunto le figlie in cucina. "Andrà tutto bene, Isadora, vedrai."

"Oh, io non mi preoccupo per lei. So bene che questa piccola volpe troverà il modo di cavarsela. Ma lasciarci qui sole, quando potrebbe lavorare da Sam e aiutarci... è terribilmente egoista, te ne rendi conto?" rispose Isadora.

"Se mi ammetteranno a Isengard, avrò realizzato un'impresa unica. E la mia vita, e la vostra, cambieranno. Vale la pena di provare." furono le parole di Helli, prima di alzarsi dal tavolo.

"Giá...se ti ammetteranno. Dici bene." la pungolò la sorella maggiore.

"Le strade della vita sono quasi sempre in salita, ma bisogna percorrerle." rispose Jemma, guardando verso Helli. "Il destino non sorride ai pavidi."

"Beh, ne ho abbastanza di questi proverbi. Ho del lavoro da sbrigare a casa dei Simmons." sbuffò Isa, sparecchiando la tavola. "Tornerò stasera, sul tardi. Mi preparerò da sola la cena, mamma, non preoccuparti. E tu," disse, girandosi verso la sorella. "...ti conviene non mettere niente di mio nel tuo bagaglio."

Heloise lanciò a sua madre uno sguardo che conteneva mille emozioni: paura, orgoglio, gratitudine, amore. Jemma ricambiò con un sorriso incoraggiante e un cenno della testa.
"Forza, andiamo di lá. Iniziamo a preparare la tua roba."

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** La via verso Est ***


L'indomani, Heloise si sveglió presto. Il bagaglio era già pronto: una pesante sacca che avrebbe caricato sulla schiena, con pochi vestiti, qualche provvista e un diamante grande quanto una noce.

A proposito del gioiello, la ragazza non credeva a una parola dei racconti di sua madre. Anzi, la storia le pareva di una banalità esagerata: la classica grotta isolata in un bosco, con la classica strega, e il classico incantesimo. Una trama ricorrente nei Racconti delle fate che leggeva da bambina. Ma la vita vera non era una fiaba e quindi doveva esserci sotto qualcosa di ben più prosaico.

Helli aveva il doloroso sospetto che suo padre avesse sottratto quella pietra a qualcuno: era un'ipotesi verosimile, il suo lavoro di messagero dell'esercito lo aveva condotto alla corte di diversi potenti, dove era solito rimanere ospite per giorni.  Forse aveva girovagato in una reggia e si era imbattuto in quell'ornamento, magari esposto in una teca. Forse la tentazione di andare contro i suoi princìpi pur di avere un oggetto così prezioso, con l'idea di rivenderlo e farci un mucchio di soldi per la sua famiglia, era stata irresistibile. Forse aveva allungato una mano e se l'era preso, e poi aveva giustificato con la moglie il suo atto disonesto buttandole lì la storiella della strega.

Helli aveva voluto molto bene a suo padre, ma non era così ingenua da non sapere che l'animo umano poteva essere corrotto, di fronte a una grande occasione.

Il fatto strano, peró, l'inconguenza con tutte le sue ipotesi, era che poi Norman non l'aveva rivenduto. L'aveva portato a casa, e l'aveva occultato in soffitta. Ne aveva paura, le aveva detto sua madre, quasi che quel pendaglio fosse caricato di un'energia negativa e andasse tenuto fuori portata il più possibile.

A Helli venne un principio di emicrania e decise di non pensarci più. L'unica cosa certa era che il monile andava portato via da Midlothian, e ceduto a qualcun altro per un bel mucchio di grana. Gli Hobbit, in effetti, potevano lasciarsi ingolosire da un tesoro come quello. Come diceva Jemma, non avevano gioielli. La loro ricchezza era la terra, da essa traevano i loro profitti, un po' come George Simenon. 
Un popolo contadino e semplice, e per questo facilmente corruttibile.

Proporre un affare del genere ai Nani sarebbe stata una pessima idea: conoscevano molto bene i diamanti, passavano la loro vita nelle miniere e nelle montagne alla loro ricerca e non si sarebbero impressionati di fronte al suo. Gli Elfi, d'altro canto, avrebbero usato la loro furbizia per sottrarglielo a un prezzo molto più basso del dovuto.

Andare a Minas Tirith o a Edoras per offrirlo a degli umani come lei, sarebbe stato un po' come tentare di venderlo lì a Midlothian. Rischioso. 
Le avrebbero chiesto come mai una ragazza così giovane possedeva un gioiello simile, le avrebbero dato della ladra, gliel'avrebbero tolto con la forza e magari imprigionata. Mai fidarsi della razza degli Uomini, la più infima della Terra dopo quella degli Orchi.

Comunque, prima di venderlo andava quantificato il suo valore.

Jemma aveva suggerito di non chiedere meno di cinquemila monete d'oro, ma a Helli sembrava poco. Per lei, a occhio croce ne valeva almeno diecimila, ma poteva scendere a otto.  Con un venticinquesimo di quella somma poteva sostenersi durante la preparazione per l'ammissione a Isengard e il resto, al suo ritorno, l'avrebbe dato a sua madre. 
Jemma Foley non sarebbe dovuta andare più a servizio da nessuno, questo era certo.

Si chiese quanto tempo sarebbe effettivamente passato prima del suo rientro a casa.

Heloise sapeva che ci volevano cinque anni per terminare la preparazione nella Torre d'Orthanc. Dopo questo periodo l'allievo diventava ufficialmente membro dell'Ordine degli Stregoni e benché non avrebbe mai avuto gli stessi poteri degli Istari - Saruman, Gandalf e gli altri - poteva comunque esercitare alcune importanti arti, fra cui la Medicina, la Chimica, l'Erboristeria, l'Astronomia e l'Alchimia.  Conoscenze rarissime in quel mondo e preziose. 

Un anno di ricerche era però necessario per scrivere quel saggio da presentare per l'ammissione. Ora che aveva trovato un modo per avere ingenti fondi, l'altro problema di Heloise era trovare un argomento per il suo scritto.

Un argomento non ancora trattato dalla scienza generale. Già, ma quale?

Aveva pensato di scrivere un libro sugli Elfi, una specie di sunto sulle varie razze. Non esistevano molti saggi su quel Popolo, perché raramente lasciavano che degli estranei entrassero nei loro confini.

Gran Burrone, Boscoverde, il Lindon, il Lothlórien erano territori pregni di storia e misticismo, in cui convivevano appartenenti a diverse stirpi. Proprio quest'aspetto della loro storia l'affascinava: l'interazione fra tutte quelle diverse linee di sangue. Il caso più emblematico era Boscoverde: governato da una famiglia Sindar, i cui sudditi erano semplici Elfi Silvani. Due popoli elfici che si erano fusi in armonia.

Ma, tutto sommato, era un tema semplice, noioso quasi. E non le andava molto a genio l'idea di passare del tempo con gli Elfi: erano furbi, e la loro magia era pericolosa. Non voleva smarrirsi in quel mondo con il rischio di rimanervi invischiata.

Poi, entrare a Isengard era un progetto ambizioso, e ancora più difficile per una donna. Isadora era petulante e ossessiva, ma su un punto aveva ragione: la sua condizione di femmina poteva essere un ostacolo non indifferente. Se l'immaginava Saruman ridere sotto la sua lunga barba bianca, alla notizia che una ragazza aveva fatto richiesta di ammissione al suo prestigiosissimo Ordine.

Doveva perció trovare un progetto più difficile, e magari rischioso. Qualcosa che nemmeno un uomo avrebbe tentato.

"Guarda, guarda...sei mattiniera oggi?" chiese proprio la voce di Isadora. Era sulla soglia della loro camera. Si era già vestita e preparata per andare a lavorare in una casa vicina.

Heloise le si avvicinó. "Non ci vedremo per un anno intero e forse più. Non voglio portare con me i ricordi delle nostre litigate. Perciò, salutiamoci come si deve." e fece per abbracciarla.

Ma la sorella la respinse. "Tu tornerai fra tre giorni al massimo. Affamata e avvilita. Non ce la farai nemmeno ad attraversare il fiume." le disse.

Helli si irrigidí. "Perché deve essere sempre cosí fra di noi? Tu sei mia sorella! Perché non m'incoraggi mai, posso saperlo?!" le rispose.

"Ah, davvero vuoi saperlo?" ribatté a sua volta Isa.

"Sí, lo voglio sapere adesso!" urlò Helli. "Mamma è con me e tu no. Non lo sei mai. Troverei più solidarietà in un ratto!"'

"Perché tu hai sempre e solo pensato a te stessa." rispose Isa. "... non c'é stata una sola volta, da quando papà se ne é andato, che tu ti sia offerta di aiutare me e mamma. Non ti ho mai vista rimboccarti le maniche."

"Lo sto facendo adesso, se non l'hai notato." disse Helli.

"Io ho notato solo che ti stai preparando a vagabondare per la Terra senza fare nulla di costruttivo. Quello che hai in mente é un sogno irrealizzabile e lo sai. Hai convinto nostra madre a stare dalla tua parte con le tue belle parole. Come facevi con papà..." rinfacciò Isadora.

"Lascia stare papá." sibiló Helli. "Sei cosí meschina da metterlo in mezzo perfino adesso."

"Meschina." ripeté Isa. "Non parlerei di meschinità se fossi in te. Non so come ti sei procurata quei soldi ma sono certa che disponi di qualche capitale e che mamma c'entra qualcosa. Ti avverto..." le disse, puntandole un dito contro. "... se scopro che hai qualche nostra proprietà e intendi sperperarla per pagarti questa vacanza...beh, ti conviene non tornare più a casa."

Heloise fece un sforzo immane per mantenere la calma. Doveva soprattutto tenere la bocca chiusa sul diamante. "Beh, se questo é l'atteggiamento che intendi avere, allora meglio farla breve. Ti saluto, sorella." rispose a denti stretti.

"Tre giorni. E tornerai strisciando a casa. Lo so io, e lo sai tu." disse Isa, e afferrato il soprabito, lo indossò e si preparò ad uscire.

"Sarò già lontana fra tre giorni!" le gridò Helli.

Poi si girò a guardare quella stanza vecchia e arredata in modo semplice che l'aveva ospitata per vent'anni. Guardò la finestra, da dove Isa sgattaiolava di nascosto quando lei e Sam s'incontravano di sera, prima che la loro relazione diventasse ufficiale. E lei, Heloise, che fingeva di dormire, e che non aveva mai fatto la spia con la loro madre.

Voleva bene a sua sorella. Le voleva bene, ma stava cominciando a nutrire qualche serio sospetto sul fatto che quell'affetto fosse ricambiato. Non si ricordava neanche l'ultima volta che avevano avuto una discussione serena.

L'accusava di essere un'egoista. Dovresti prenderti le tue responsabilità, le diceva sempre. Helli forse era giovane, ma era comunque arrivata a comprendere che la prima responsabilità una persona l'aveva verso se stessa, e che valeva la pena combattere, per realizzarsi.

"Esce senza nemmeno salutare..." borbottó Jemma, seguendo con lo sguardo Isa che chiuse sonoramente la porta dietro di sé. Poi si giró verso l'altra figlia:  "...scriverai?" chiese.

"Sì. Quando potró. Appena arrivata in un villaggio abitato cercheró qualcuno che ti porti la mia lettera. Ma non angustiarti se non ricevi messaggi. Io davvero non so cosa mi aspetta, mamma." rispose la ragazza.

"Sai che non potró fare a meno di preoccuparmi." ribatté Jemma, sospirando. "Ho perso vostro padre. Se dovesse succedere qualcosa anche a te..."

"Non mi puó succedere niente. Per lo meno, non dagli Hobbit. I mezz'uomini sono innocui come bambini. Mi preoccupa solo di non riuscire a vendere...ecco...quella cosa..." disse Heloise.

"Liberatene in fretta. Ma ricorda, una volta ottenuto il denaro sarai ancora più in pericolo. Una sacca contenente tutte quelle monete non passerà inosservata. Nascondila sotto il mantello." si raccomandó Jemma. "A qualche brigante puó far gola una ragazza giovane e piena d'oro."

"Lo so. Lo so. Tenere nascosti quei soldi sarà la vera impresa, sempre che riesca ad ottenerli. Non vorrei che entrambe stessimo sopravvalutando gli Hobbit. E se non avessero abbastanza denaro?" chiese Helli, dubbiosa.

"Oh, ne hanno, credimi." rispose sua madre. "Ma sono così risparmiatori da nasconderlo. Sono come delle formichine, e non per nulla vivono nella terra."

Un raggio di sole entró dalla finestra.

"Mamma, io devo andare adesso. Devo approfittare delle ore di luce." disse Helli. Sentí un fremito alla pancia.

"S-Sí." balbettò Jemma, che si era ripromessa di non commuoversi. "Prenderai il calesse...? Ah no, che domanda stupida..."

"Sta' calma. Vedrai che andrà  bene. Andrà tutto bene." tentò di rincuorarla la figlia.

Entrambe uscirono in giardino. Helli si caricò la sacca sulla schiena e mise una mano sulla porta dipinta di verde. "Casa...casa mia... chissà quando ti rivedrò." mormorò.

"Non metterla giù cosí dura! Forza. L'hai detto tu stessa: ora o mai più. Ho molta fiducia in te." le disse la madre, aprendo il cancelletto della staccionata che separava la loro proprietà dalla strada.

Heloise uscí un po' tremando. "Dunque, il fiume Brandivino é...é..."

"...a sinistra. Va' a sinistra. Segui il sentiero fino alla grande strada atteaverso le colline. Dovresti arrivare al fiume entro sera. Credo ci sia una chiatta in attesa per chi vuole attraversare. Dovrai pagare il barcaiolo, oppure condurla tu stessa." Spiegó Jemma. "E quando entri nel territorio della Contea, chiedi di parlare col capovillaggio. Gli Hobbit sono organizzati in modo semplice: poche famiglie hanno in mano il controllo delle loro comunità."

"Sì. Ho paura per come mi accoglieranno, mamma." disse Helli, guardando a Est. "Non ho mai incontrato altre genti. Altre razze, cioé."

"Ma tu vuoi diventare una scienziata. Allora preparati a incontrarne molte, di creature strane." rispose la madre, accompagnandola sul sentiero. "Tu sii gentile. Sempre, con tutti. E non avrai problemi."

"Lasciamoci qui. Non voglio che ti stanchi, torna a casa." disse Heloise, abbracciando Jemma. Si tennero strette per quel che sembrò un'eternità.

"Figlia mia, cara... Come mi mancherai!" singhiozzò la signora Foley.

Helli deglutí. Sentiva un groppo in gola pronto a trasformarsi in lacrime. Resistette. "Fa' il favore... salutami Isa. Io e lei non riusciamo più a parlarci. Spero che la distanza ci faccia bene."

"Ma certo. Te l'ho detto: siete sorelle, avrete sempre l'un l'altra." le disse Jemma, portandosi un lembo del grembiule agli occhi per asciugarli. "Buona fortuna, Heloise. Sii prudente, sta' attenta a... tu sai cosa. E non metterlo al collo, mi hai capito? Non indossarlo mai."

"Ovvio. Non andrei in giro con una pietra di quel valore. Qualcuno potrebbe decapitarmi solo per prenderla!" tentò di scherzare la ragazza. Ma vide che la madre non era in vena di ridere.

"Non é solo questo." disse infatti Jemma. "Io temo che quel pendaglio sia maledetto. Non si sa quali forze potrebbe richiamare."

"Ancora con quella storia? Io non ci credo. Quest'aggeggio viene da qualche scrigno di nobili e l'unico pericolo, semmai, é che qualcuno lo riconosca e mi faccia arrestare per furto." rispose Helli. "A presto, mamma. Ce la faró, vedrai."

Jemma Foley alzó una mano per salutare la figlia un'ultima volta, mentre la giovane si allontanava.  Poi, un po' vergognandosene, si accorse di provare una sorta di ... sollievo.

Non perché la figlia più giovane se ne stesse andando, e con lei i nervosismi e le tensioni che aleggiavano in casa ormai da quasi quattro anni, ma perché quella dannata pietra si stava allontanando con lei. E man mano che la figura di Heloise diventava più piccola all'orizzonte, la signora Foley si sentì improvvisamente, e finalmente, libera.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Il ponte sul fiume ***


Ma c'è un ponte, qui, pensò Heloise, mentre si dirigeva verso il fiume Brandivino. Mia madre deve essersene dimenticata. Il ponte costruito dai Dunedain ai tempi della gloria di Arnor. Il ponte che gli Hobbit furono incaricati di riscostruire e preservare dal Re dell'Arthedain nell'anno 1601 della Terza Era. Non devo per forza prendere il traghetto di Buckburgo.

Era partita da due giorni da Midlothian. Raggiungere il fiume era stato più difficoltoso di quanto immaginato. Nelle sere precedenti, aveva trovato vitto e alloggio in due case di contadini: in cambio del disbrigo di qualche faccenda domestica, le avevano dato ospitalità.

Nella prima casa in cui era stata, aveva trovato una donna con un bimbo appena nato. Il marito non c'era, perché era stato richiamato in servizio in una coorte dell'esercito di Gondor. Cosí la giovane Foley l'aveva aiutata a ripulire la piccola casa, che era un po' trascurata, e aveva ricevuto come compenso un piatto di zuppa e una branda al piano superiore. Provava un po' di dispiacere per quella neomamma, che si chiamava Amber e che doveva far fronte a una situazione non certo rosea: un bimbo di cui occuparsi, una casa da mandare avanti e il fatto di essere sola. E indifesa. Non erano bei tempi, e qualche ladruncolo avrebbe potuto intrufolarsi in casa sua in cerca di monete o, semplicemente, cibo. 
Amber le aveva chiesto di stare qualche giorno in più con lei, per aiutarla col bambino, in attesa del ritorno del marito, ma Helli aveva rifiutato. Non poteva perdere tempo.

Nella seconda fattoria, aveva trovato un ambiente umano diverso: era una bella famiglia, due coniugi con tre figli. L'avevano accolta subito e le avevano offerto una cena niente male. I due padroni di casa erano una coppia molto unita e innamorata, e parecchio religiosa. A tavola, non avevano fatto altro che parlare di Eru e di concetti come accoglienza altruismo. Una volta venuti a sapere del suo progetto di andare a Isengard, però, l'avevano un po' rimproverata.

"Non mi fiderei degli Stregoni. Sono pericolosi. Io dico che la loro magia viene direttamente da Morgoth. Dovresti starne lontana." le aveva detto il capofamiglia. "La magia è sempre e solo malvagia."

"Non è del tutto vero." si era permessa di replicare Helli. "Se è usata per curare malanni, o evitare guerre, o salvare genti dalla rovina, è benedetta."

"Benedetto è ciò che ci manda Eru. Il cibo su questa tavola, i nostri figli, la casa, la salute. Ma sono doni del nostro grande Padre. La magia degli Stregoni è evocare poteri oscuri che spesso portano calamità. Certo, é solo una mia opinione." aveva concluso l'uomo. Sua moglie aveva annuito.

Heloise aveva preferito non continuare la discussione, e dopo aver aiutato a lavare i piatti e sistemato la cucina, si era goduta quella notte nel comodo lettuccio che le avevano dato. La bambina più piccola era andata a dormire nel letto padronale con i genitori, e lei aveva condiviso la stanza con i due altri fratelli.

Una volta raggiunto il fiume, aveva sospirato di fronte alla sua acqua marroncina che ricordava per l'appunto il vino. Aveva già mal di gambe e di schiena, perché non era abituata a camminare cosí a lungo, e l'idea di prendere il traghetto - che altro non era che una chiatta di legno - non le andava molto a genio. Non era facile da governare, ci voleva forza nelle braccia e lei era una ragazza esile.

Ma poi le era sovvenuto il ricordo del ponte. Costruito dagli Uomini ben prima che gli Hobbit raggiungessero l'Eriador, collegava le due sponde. Il territorio degli Uomini a Ovest, e l'area occupata dagli Hobbit a Est.

Il problema era la presenza dei Confinieri: erano guardie armate di razza Hobbit, che avevano il compito di sorvegliare il ponte, date le segnalazioni su strane e inquietanti creature che ogni tanto lo attraversavano. Il traffico su quel percorso era sempre intenso, anche perché era un punto di transito per chi viaggiava sulla grande Via dell'Ovest, che collegava l'Eriador ai Monti Azzurri. I Confinieri controllavano i due lati del ponte e avevano il compito di accertarsi dell'identità dei più sospetti.

Lei era una ragazza umana con nient'altro che una sacca sulle spalle, e non riteneva ci fosse il pericolo di essere fermata e perquisita... ma doveva fare in fretta: una nuova sera stava arrivando, e il passaggio veniva chiuso dal tramonto all'alba.

Si guardò attorno. La foschia del pomeriggio non le permetteva di individuare la costruzione.

"Eppure deve esserci.... deve essere qui vicino..." disse fra sé. "Ma dove?!"

Sentí rumore di passi nelle vicinanze. Qualcuno era in arrivo, e non era solo. Più voci si alternavano in quella che suonava come una vivace discussione, in una lingua che Helli non aveva mai udito. Istintivamente, si nascose dietro il tronco di un albero.

Intravvide alcune sagome nella nebbiolina. Abbassandosi per vedere meglio, Helli realizzò che erano una dozzina di Nani. Forse erano diretti alla Grande Via ad Ovest, forse erano mercanti, forse erano cacciatori... benché non avesse mai sentito di Nani cacciatori.

Stavano litigando. Uno di loro estrasse una vecchia pergamena da una tasca della casacca e l'agitò davanti a tutti. Un altro, che sembrava il più giovane, indicò un punto oltre il bosco, e gridò qualcosa. Dalla gestualità, Helli comprese che stava insistendo perché seguissero tutti quella direzione. Si erano evidentemente persi. 

Non sapeva se palesare la sua presenza o no. I Nani non avevano fama di essere aggressivi o pericolosi. Badavano ai fatti propri e semmai, erano famosi per l'avarizia e la tendenza ad accumulare favolosi tesori. Però quei dodici erano anche i primi individui appartenenti a un'altra razza che Helli avesse mai incontrato. Tutta la sua conoscenza sugli altri popoli era limitata a ciò che aveva letto nei libri, ma la realtà poteva essere diversa. Decise di rimanere nascosta e aspettare che se ne andassero.

Improvvisamente, però, uno di loro la vide. Urló qualcosa in quella lingua strana, indicandola. Tutti si girarono verso di lei, che arrossí di imbarazzo e paura.

"Tu!" gridò quello che l'aveva vista. Era biondo e aveva due lunghi baffi intrecciati. "Chi é lá?! Fatti vedere!"

Heloise trasse un lungo respiro ed emerse dal suo nascondiglio.  I Nani borbottarono qualcosa e si guardarono l'un l'altro. Come lei non aveva mai incontrato gente della loro specie, anche loro probabilmente non avevano mai visto una donna umana. "Che facevi là dietro?" indagò il biondo.

"Parli la mia lingua?!" chiese lei, stupita.

"La giovane ci ha presi per degli ignoranti..." disse un altro, che indossava un grosso copricapo nero.

"Veniamo dai Monti Azzurri, abbiamo vissuto per anni in una comunità umana. Sí, parliamo la tua lingua." rispose un altro, il più anziano di tutti. Le sorrise. "Stiamo cercando un ponte. Tu puoi darci indicazioni? Non conosciamo questo territorio."

"Anch'io lo sto cercando, in verità." rispose lei.

L'anziano la osservò un po' deluso. "Allora non puoi aiutarci." Poi girò lo sguardo intorno. "Dicono sia alto e imponente, con tre arcate. É strano che non si veda da qui."

"Che cosa ci fa una ragazza... umana... da queste parti?" volle sapere il più giovane del
gruppo. Helli notò che la stava squadrando da capo a piedi.

"La stessa cosa che immagino dobbiate fare voi. Devo raggiungere la Contea degli Hobbit." ribatté lei.

"Che ne sai tu di quello che dobbiamo fare?" chiese un altro Nano, calvo e dalla lunga barba nera. Il più burbero.

"Un gruppo di Nani alla ricerca di un ponte da attraversare, e questo ponte conduce alla Contea. Non ci vuole un genio." rispose lei, senza scomporsi. L'altro grugní, infastidito.

"Apprezzo il sarcasmo. É per certi versi segno di sagacia. Ma mio fratello Dwalin no. Perdonalo, é sospettoso di natura." si scusó il più anziano.

"Tuo fratello Dwalin...e tu hai un nome?" chiese Heloise.

"Balin. Mi chiamo Balin." si presentó il Nano. "...tu come ti chiami?"

"Heloise." rispose semplicemente lei. "Heloise Foley."

"Ah... carino." le sorrise di nuovo l'altro.

"Ehm...scusate se interrompo questo idillio, ma dobbiamo cercare quel ponte!" intervenne il Nano che portava il buffo cappello. "Visto che lei non ci puó aiutare, dobbiamo chiedere a qualcun altro. La sera arriva!"

"Aspetta...guardate...guardate là!" disse Helli. Oltre la nebbia, iniziava a comparire qualcosa. Sembrava una torre.

"Eccolo, il maledetto!" esultó uno dei dodici.

"Vi dispiace se vi seguo? Mi sento più sicura...in compagnia. Specie ora che la luce se ne sta andando." osó chiedere lei.

"Vieni con noi, se ti fa piacere. Ma ti avverto: a volte i nostri modi non sono proprio gradevoli." scherzó Balin.

"Tu sei il loro capo, vero?" chiese la ragazza, mettendosi in marcia con i dodici Nani. Lei e Balin erano davanti agli altri.

"No. Sono solo il più anziano. Tuttavia, sì abbiamo un capo, il principe del nostro popolo. Ma ci raggiungerà più tardi." spiegó Balin.

"Ma da dove venite?" chiese ancora lei. "Cioé, so che i Monti Azzurri non sono territorio nanico. La vostra vera patria, qual'é?"

"La ragazza parla troppo, Balin! Dille di farsi i fatti suoi!" urló uno da dietro. Helli si giró, offesa.

"Ah, non ci badare. Te l'ho detto, la simpatia non ci appartiene!" rispose Balin. "Noi veniamo da Erebor. Ne hai mai sentito parlare?"

"Sicuro! Il grande regno del Nord Est!" rispose Heloise. "Un reame favoloso scavato nella Montagna Solitaria."

"Dici bene...favoloso." commentó Balin, con una punta di malinconia.

"Ma so che é disabitato da decenni. La vostra gente si é trasferita altrove." continuó lei.

"Non trasferita...cacciata via. Privata della propria casa con la forza." ribatté Balin, improvvisamente intristito.

"...cacciata...e da chi?" chiese ancora Helli.

"Questa mi ha stufato..." commentó uno dei dodici. "...non tiene il becco chiuso, sembra un dannato pappagallo." 
Helli lo ignoró.

"...Erebor non è proprio disabitata...una creatura si nasconde lì." spiegó Balin. Poi tacque, ed Helli non insisté con le domande, ma la faccenda la incuriosiva da matti.

Si diceva che Erebor fosse letteralmente piena d'oro. Il vecchio re Thror ne aveva accumulato tanto da far quasi scoppiare l'immenso antro della Montagna.

Un giorno, peró, era successo qualcosa.

Un problema. 
Leggenda diceva che i Nani avevano avuto un problema. Per questo erano scappati dal loro regno nella Montagna. La creatura di cui parlava Balin era probabilmente causa di quell'esodo disperato verso i Monti Azzurri.

Ma quale essere poteva costituire un pericolo così mostruoso da obbligare un'intera comunitá a spostarsi, a scappare?

Per qualche strano motivo, le venne in mente il gioiello che teneva nella sacca.

🌺🌺🌺

"Ci siamo!" annunció il Nano biondo, che si chiamava Fili.

Durante il tragitto, si erano tutti presentati, ma Helli non era riuscita a memorizzare i nomi. Gran bella vergogna, per una studiosa, aveva pensato. Comunque, aveva capito che nel gruppetto c'erano coppie di fratelli, che avevano nomi simili: Balin e Dwalin, Fili e il giovane Kili. E le era rimasto impresso anche il nome di Bofur, quello che portava il cappello. Degli altri, si era scordata.

All'ingresso del ponte, che era di proprietà degli Hobbit, c'erano otto piccoli soldati, armati di tutto punto. A lei venne da ridere nel vedere quei piccoletti tutti bardati, ma un'occhiataccia di uno le fece capire che non c'era proprio niente da ridere. Dopo una lunga discussione con Balin, gli otto ometti conclusero che quei visitatori, dodici Nani e una ragazza umana, non erano pericolose minacce per la pace della Contea. Si decisero a farli passare.

"Il problema non è la vostra gente." sentì un soldato dire a Fili, "...Elfi, Nani e Umani non ci preoccupano. Ma ultimamente sono arrivate lamentele sulla presenza di mostriciattoli nei Decumani. Strani esseri che si introducono nelle colline e combinano guai. Non capiamo da dove vengano."

"...Orchi, anche?" chiese Fili.

"No. No, quelli non ancora. Ma ci manca poco, ve lo dico io." rispose l'altro. "...affrettatevi, comunque. Stiamo per chiudere l'accesso al Ponte." disse l'Hobbit in armatura. "E quel Baggins...lo troverete nel Decumano Ovest, quello più ricco."

"Già...dove altro potrebbe vivere un presta-denaro?" chiese ironicamente uno dei soldati.

Heloise si fermò e drizzò le orecchie. Aveva sentito una parola che suonava meravigliosa per lei.

Un presta...denaro.

Allora doveva essere ricco. Un hobbit ricco che addirittura prestava denaro.

"Voi state cercando un Hobbit in particolare?" chiese a Dwalin, che la guardò torvo.

"Hmm. E se fosse?" le rispose.

"É una buffa coincidenza perché anch'io sono qui per cercare..." L'occhiata sospettosa di Dwalin la fece desistere dal continuare. "...niente. Lascia perdere." finí.

"Dobbiamo sbrigarci, avete capito? Anche tu! O rimarremo su questo ponte tutta la notte al freddo!" la esortò Bofur, prendendole la mano e tirandola.

"Hey! Piano, mi stacchi un braccio!" ribatté Heloise, che poi si massaggiò il polso.

Sí, in effetti quei Nani avevano pessime maniere, ma la faccenda stava assumendo una piega interessante. In fondo, l'incontro con loro poteva diventare importantissimo per lei. Decise di seguirli, e andare da quell'Hobbit presta-denaro, che magari si sarebbe dimostrato un po' più generoso di George Simenon.

A parte il fatto, che lei non era lí per chiedere prestiti. 
Era andata lí per vendere.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Hobbiville ***


"...scusate...qualcuno ha notato che la ragazza ci sta ancora seguendo?" chiese Bifur, cugino di Bofur. Tutti si fermarono.

Era ormai scesa la sera, e avevano fatto il loro ingresso ufficiale nella Contea, nel Decumano Ovest. Avevano trovato la strada maestra che collegava i due Decumani principali, e aiutati dalla luce della luna, si erano messi in marcia. Balin e gli altri erano convinti che l'umana se ne sarebbe andata per i fatti suoi, una volta attraversato il ponte, invece era ancora dietro a loro. In silenzio e in coda al gruppetto, li stava accompagnando.

"...ehm...scusami!" esclamó Balin, avvicinandosi a lei. "...c'è qualche motivo per cui ci segui?"

"Sì. Hai indovinato!" sorrise lei. "Sono davvero curiosa a proposito di quell'Hobbit che dovete incontrare."

Tutti i Nani si guardarono perplessi.

"...e.... perché?" chiese Balin.

Helli rispose: "Ecco, ho sentito che é un presta-denaro. E io avrei bisogno di parlargli."

Il Nano chiamato Ori, che aveva un taglio di capelli improbabile e un viso magro e scavato, intervenne: "Devi chiedergli denaro? A un Hobbit?"

"No, io vorrei vendergli una cosa. Una cosa che costa molto. Sono venuta fin qui per questo, per fare un affare. Stavo appunto cercando un Hobbit con buone disponibilità di soldi...e mi pare di aver capito che questo tizio da cui state andando ne abbia. Perció vi seguo...posso?" spiegó Helli, sperando che la faccenda non li allarmasse troppo. Doveva guadagnarsi la loro fiducia.

"Ragazza mia...temo di doverti dire di no. Anche noi stiamo andando da quel mezzuomo per una ragione. É un incontro segreto, e tra poco arriverà qualcuno di molto importante per parteciparvi. Non puoi venire con noi. Trovati un altro riccastro da spennare." la geló Balin. "Mi dispiace molto, davvero."

"Ma io non staró lì a lungo. Devo solo chiedergli se puó acquistare questa... questa cosa che porto con me. Non ho intenzione di immischiarmi nelle vostre faccende. Ti prego, é quasi notte... dove vuoi che me ne vada?" lo imploró Helli.

A quel punto, Balin tentennò. Si rivolse ai suoi compagni di viaggio e tutti iniziarono a parlare nella loro lingua. Helli sembró intuire che Balin e altri erano fermamente contrari alla sua presenza nel gruppetto, altri - come Kili e Fili - sembravano più bendisposti. Guardó uno a uno tutti i Nani e pregó Eru perché si convincessero a farla stare con loro. Poi ebbe un'idea.

"So cucinare! So cucinare in modo fenomenale! Se mi permettete di venire con voi, a casa di quell'Hobbit prepareró una cena coi fiocchi per tutti!" esclamó.

Si levó alto un aaaah!! di giubilo. Bombur, un Nano talmente grasso da ricordare un barile, fu subito d'accordo.

"Quand'è così... sei la benvenuta, carissima!" l'accolse quindi Nori. "Noi amiamo chi ama cucinare, vero?"

Helli sorrise di trionfo. I Nani adoravano peccare di gola e non resistevano mai alle tentazioni, quando si trattava di cibo.

"Un momento...sentite..." provó a intervenire Balin. Tutti gli altri lo zittirono.

"E dimmi...qual'é il piatto che ti riesce meglio?" chiese Oin, che non ci sentiva molto bene, al punto che per parlare con lui era necessario urlare.

"Che razza di idioti..." brontoló Dwalin, scuotendo il grosso capo. "Non pensate altro che a mangiare, mangiare, mangiare!"

Helli aveva spudoratamente mentito. Aveva provato a cucinare solo una volta in vita sua, ma le era venuta una minestra così salata da dare il voltastomaco e Isa aveva veramente dato di stomaco dopo una sola cucchiaiata. Ma non le era venuto in mente una balla migliore.

"Ehm...tacchino! Tacchino ripieno di castagne e prugne!" mentì.

Tutti le si fecero intorno, mentre il gruppo procedeva sul sentiero. "Continua! Continua! Poi, che altro?" chiese Kili, che le si era avvicinato un po' troppo. La stava anche guardando un po' troppo.

Balin seguiva in coda, preoccupato.

C'era qualcosa che non andava. In quella ragazza e in quello che si era caricata sulle spalle. Avvertiva un brivido alla base del collo, ogni volta che passava vicino a lei e alla sua sacca da viaggio.

La donna portava qualcosa con sé. Un oggetto che nessun umano avrebbe dovuto avere, men che meno una ragazza così giovane e fragile. Balin non riusciva a immaginare cosa fosse, ma l'istinto gli suggerì che lui e gli altri avevano fatto un incontro che sarebbe stato meglio evitare. E Thorin stava per raggiungerli nella Contea, aveva dato ordine di trovare casa Baggins e aspettarlo lì. Ma dovevano essere solo loro. Che avrebbe detto quando si sarebbe trovato fra i piedi una giovane mortale? Se la sarebbe presa con lui, che l'aveva portata lì.

"...poi, pesce e patate... pollo con limone e mandorle...e torte!!! So fare torte buonissime, mia sorella le adora." continuó lei, mentendo senza vergogna.

"Hai una sorella?" chiese Fili. "Com'é tua sorella?"  

Tutti risero.

Balin continuava a riflettere. C'era anche Gandalf con Thorin, Gandalf lo Stregone che aveva già fatto visita a quell'Hobbit, suo vecchio amico. Lo Stregone aveva proposto al loro principe di tornare ad Erebor, e recuperare il favoloso tesoro che il defunto re Thror aveva accumulato. In realtà, il sogno era quello di tornare padroni del regno sotto la montagna, ma c'era un ostacolo insormontabile che rendeva quel sogno un'utopia. Un ostacolo in carne, ossa e scaglie, che dormiva placido sotto quei milioni di monete. L'essere non avrebbe gradito per niente un'intrusione nella sua tana, e pazienza se la sua tana era la patria degli intrusi.

L'Hobbit, nelle intenzioni di Gandalf, doveva essere il fortunato ad entrare per primo ad Erebor. La bestia che viveva nella Montagna conosceva fin troppo bene l'odore dei Nani, ma quel Baggins non era un Nano, e poteva anche passare inosservato vicino al serpente del
Nord. Sempre che il mezzuomo avesse accettato, e la voce ufficiale era che avesse già detto un sonoro no grazie allo Stregone.

Dovevano perció andare a convincerlo di persona.

"In verità, il mio dolce preferito sarebbe la torta di mele, ma ho un debole per le marmellate...tu sai farle?" chiedeva Bofur alla ragazza.

Balin pensó che i suoi compagni di viaggio fossero un po' ingenui, tranne suo fratello Dwalin. Si erano lasciati prendere in giro da quell'umana. Aveva mentito grossolanamente per essere accettata nella loro compagnia, e nessuno se n'era accorto a parte loro due.

Peró é furba, pensó ancora Balin, con una punta d'ammirazione. E anche piuttosto coraggiosa, non ha paura a viaggiare da sola di questi tempi.

Balin si auguró che fosse anche abbastanza intelligente da levarsi dai piedi alla svelta.

🌺🌺🌺

Heloise non riusciva a credere ai suoi occhi.

Una volta arrivata a Hobbiville, la ragazza umana si guardó intorno meravigliata. Allora era vero che gli Hobbit abitavano nella terra. Le verdi collinette in cui erano state costruite le loro casupole erano bellissime, così pittoresche da togliere il fiato. E sotto la luce della luna, Helli ammiró i giardini tenuti con amore e profumati, le belle aiuole, i piccoli recinti che delimitavano le diverse proprietà, il fumo che usciva placido dai caminetti.

"...adorerei vivere qui!" disse a voce alta.

"Io no, per niente." commentó Bofur. "Queste casette sembrano strette come tane di topi. Dovremo abbassare la testa per entrare."

"Voi forse no. Io di sicuro." rispose lei. Si accorse di aver fatto una battuta infelice quando tutti si girarono a guardarla male.  "Scusate." farfuglió.

Poi Balin disse: "...allora...Via Saccoforino...dobbiamo cercarla."

"Per di qua. Seguitemi." disse Helli, avviandosi su un sentiero.

"Come sai che è quella la direzione?" chiese Kili. La ragazza gli piaceva da matti. Un po' alta, forse, ma era un difetto tutto sommato trascurabile.

"Non vedi quel cartello di legno? Inizia da qui!" rispose lei, giunta a un bivio. "Presto, muovetevi!"

"Balin, ma perché quella ci da' ordini?" chiese Gloin, infastidito. "E perché non le hai detto di andarsene al diavolo?"

"Al tempo, Gloin, al tempo..." rispose il vecchio Nano.

Arrivarono tutti sotto a un colle particolarmente elevato. Si capiva che doveva abitarci un Hobbit facoltoso: già dall'esterno si notava che l'abitazione era più grande delle altre, e non di poco.

"E ora che si fa?" chiese timidamente Oin.

"Dwalin, va' avanti tu. Bussa alla porta e presentati al tizio. Noi ti seguiamo." propose Balin.

Helli gli si avvicinó e gli bisbiglió in un orecchio: "...sei sicuro?"

Il Nano la guardó confuso. "Sicuro di cosa?"

"Non so se ti rendi conto che tuo fratello non è proprio il più simpatico della Compagnia. Vuoi mandare avanti lui?" ragionó Helli. "Dovresti bussare tu a quella porta, per primo."

"Mio fratello... che ha che non va?" chiese Balin. Lui e Helli si girarono a guardare Dwalin, che sputó a terra.

"... insomma, se io aprissi la porta di casa mia, e me lo trovassi sulla soglia... non mi sentirei tanto a mio agio." disse Helli.

"Sciocchezze." rispose il Nano. "Dwalin, avanti. Tocca a te." disse al fratello, poi si girò verso gli altri. "Voi, aspettate qui."

Il gruppetto osservò il Nano dalla barba nera salire i piccoli gradini che portavano alla porta rotonda, e poi bussare non proprio delicatamente. Videro che la porta si apriva e videro Dwalin presentarsi a qualcuno e fare un lungo inchino di cortesia. Poi entrò, un po' a forza. Non si vedeva il volto del padrone di casa. La porta si chiuse.

"Ecco, gli ha aperto. E adesso?" chiese Heloise.

"Ora aspettiamo. Vediamo che succede. Fra qualche minuto ci faremo avanti anche noi." spiegò Balin. "Ho mandato Dwalin apposta. Se gli avesse chiuse la porta in faccia, avremmo saputo che il viaggio qui è stato inutile. Ma quell'Hobbit deve avere un animo generoso, lo ha accolto in casa...nonostante, come dici tu, mio fratello non abbia certo l'aspetto di un Lord. È proprio quel tale di cui Gandalf ha parlato a Thorin."

Helli ebbe un sussulto. "Gandalf?!.... Gandalf?!!" esclamò. "Lo Stregone grigio?!! Cos'ha a che fare con questa storia?"

Gandalf il Grigio era uno degli eroi personali di Helli. Uno degli Istari. Un membro illustre di quell'Ordine a cui la giovane desiderava disperatamente appartenere. Secondo solo a Saruman, come importanza.

"Abbassa la voce, e che diamine!"  la zittí Balin. "...che ti prende?!"

Ma Heloise venne presa da un attacco di agitazione. "Conoscete sul serio Gandalf?"

"Non noi. Thorin...cioé... il nostro capo lo ha incontrato. È probabile che venga qui con lui, più tardi." rispose Balin, guardando verso la porta della casa.

Helli trasecolò ancora di più. "Cioé....verrà nella Contea? Gandalf, proprio lui?!!"

"Ragazza, é meglio che ti calmi. Ti ho detto che questa sarà una ...ehm...una riunione segreta...non dovresti nemmeno essere qui. Ora vado io. Fili e Kili, voi dopo di me. E a seguire gli altri. Tu," disse, rivolto a Helli. "...entra per ultima."

"S-s-sí. Oh grande Eru..." la ragazza si portó una mano al petto, inalando una boccata d'aria. "...Gandalf...conoscerò Gandalf..."

A quel punto, l'intera faccenda stava prendendo una piega da inaspettata a clamorosa. Helli sapeva tutto di Gandalf, e sapeva anche che era raro imbattersi in lui. Lo chiamavano il Grigio Pellegrino, perché vagava incessantemente per la Terra di Mezzo. Pensò immediatamente che avrebbe potuto aiutarla nel suo progetto di entrare a Isengard. Pensò anche che avrebbe potuto evitare di dover preparare quel saggio, magari poteva bastare l'intercessione di un Istari per l'ammissione. Avrebbe potuto presentarla a Saruman, avrebbe potuto....

Persa nei suoi sogni, non si era resa conto che Bofur le aveva fatto cenno di seguirli. "Maledizione, vuoi sbrigarti? Manchiamo solo noi!" le disse.

Bofur bussò, e tutti iniziarono a spingere gli uni sugli altri prima che il padrone di casa aprisse.

"Fermi...non cosí! Lo spaventerete!!" consigliò Heloise. Troppo tardi, quando la porta dipinta di verde si aprí, collassarono tutti a terra, formando una grottesca montagnola di braccia e gambe e teste.

Helli vide il signor Baggins. Fulvo, vestito in modo decoroso, le sembrava un po' attempato e assolutamente a disagio per gli ospiti inattesi. Non sembrò accorgersi di lei.

Quando finalmente Bofur e gli altri riuscirono a rimettersi in piedi e ad entrare in casa, l'Hobbit fece per chiudere la porta. Ma Helli mise un piede nello stipite per bloccarla.

"Hey!!...un attimo, aspettate, per favore!" esclamò. "Ci sono anch'io!"

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Il principe e lo stregone ***


"Una...ragazza. Anche una ragazza." disse l'Hobbit, dopo che Heloise fu sgusciata dentro la sua abitazione. "Insomma..." si giró, urlando verso i Nani che già avevano iniziato a rovistare nella sua dispensa. "...si puó sapere chi vi invitati a casa mia?!"

Dwalin e Balin si erano serviti da soli, sotto gli occhi increduli del padrone di casa, ma adesso toccava agli altri sfamarsi. Dodici Nani in preda ai morsi della fame. Baggins disse mentalmente addio alle sue provviste.

"No, un attimo...scusate!" gli disse Helli. "Io non c'entro nulla con loro. Li ho conosciuti solo due ore fa. Li ho accompagnati perché volevo incontrarvi, signor....signor..."

"...Baggins. Bilbo Baggins." si presentó l'ometto. Dall'espressione, sembrava più che confuso. Smarrito, quasi. "Cosa posso fare per voi, signorina?" chiese, mentre con la coda dell'occhio seguiva Bombur che si era appropriato di tre grossi tomi di formaggio.

"Mi chiamo Heloise Foley, cittadina di Midlothian, nel distretto del Minhiriath..." si presentó lei, tutta d'un fiato. "Davvero lieta di conoscervi. Sono venuta fin qui per trovare un acquirente."

"Un...acquirente?!" chiese l'Hobbit.

"Hey, Heloise!" gridó Kili. La raggiunse all'ingresso. "Non dicevi che avresti cucinato per noi?"

"Non ora, ti prego. Prima vorrei parlare con B-Bilbo. Posso chiamarvi Bilbo?" chiese la ragazza, guardando il mezzuomo, che sospiró.

"Certo. Al bando le formalità...vista la situazione..." rispose lui, girando uno sguardo rassegnato sullo scempio che i Nani stavano facendo della sua dispensa.

"Stai scherzando, stiamo morendo di fame! Avevi promesso!" le rinfacció Kili.

"Promesso?! Promesso di mettere le mani sul mio cibo?" volle sapere l'Hobbit.

"Era un modo per convincerli a portarmi qui. Vi prego, io intendo disturbarvi solo pochi minuti, poi me ne andró, lo giuro su mia sorella!" disse lei, togliendosi dalle spalle la sacca. "Vorrei farvi una proposta. Ho un oggetto molto..."

"...dopo, dopo! Ora andiamo in cucina!" la interruppe Kili, tirandola per un braccio.

"Ahi! Ma la volete smettere di strattonarmi!" si lamentó Helli.

"Giusto, facci vedere cosa sai fare, donna della Gente Alta!" berció Bifur. Tutti seguirono Helli e Kili nella piccola cucina di Bilbo.

"Io adesso vorrei assaggiare quel tuo tacchino ripieno di prugne e castagne!" pretese Fili.

"Non posso prepararlo, ecco...come vedete non c'é il tacchino." rispose Helli, sperando di farli desistere. Ma fu inutile.

"Puoi farlo con il pollo." disse Ori, che poi, quando Heloise gli lanció un'occhiataccia, divenne paonazzo. Era il più timido del gruppo.

"Non c'é nemmeno quello. Sentite, io vorrei solo parlare con Bilbo Baggins qualche minuto. E poi prepareró qualcosa." provó a dire, ma tutti protestarono.

"Ma si che c'é, guarda qui. Ce n'è per tutti." disse Dwalin, gettando dodici polletti bell'e pelati sul gran tavolo. "Le dispense degli Hobbit nascondono molto più di quel che immagineresti."

Helli imprecó fra sé. "Non ci sono le prugne!" rispose ancora. Uno dei Nani mise sul tavolo un recipiente di susine secche. "Al diavolo...ma non ci sono le castagne!" disse Helli. Bifur mostró un sacchetto pieno. La ragazza si voltó esasperata verso l'Hobbit. "Di' un po', ma quanta roba hai in questa tana?!"

"Sono le provviste per l'inverno, capisci...ne avevo accumulate abbastanza per quattro mesi." rispose l'Hobbit, ormai inerme di fronte all'invasione di casa sua.

"Allora? Vogliamo vederti all'opera, giovane!" disse Balin, divertito. Sarebbe stato interessante vedere come se la sarebbe cavata quella piccola bugiarda.

Tutti i dodici Nani si radunarono dietro di lei, in assoluto silenzio. Il baccano e il trambusto che avevano portato in casa Baggins cessarono di colpo.

Helli chiuse gli occhi e inspiró una lunga boccata d'aria. Non sapeva neanche da che parte iniziare. Non aveva mai eviscerato un pollo e nemmeno si ricordava come veniva fatto da sua madre. Prese un lungo coltello e taglió la testolina. Poi si giró verso i Nani, che la osservavano scettici. Quindi, affondó la lama nel petto del pollastro e subito cuore e fegato scivolarono fuori. A Helli venne un conato. "Oh dèi...oh dèi che schifo." commentó.

"Ma sta facendo un casino con quel coltello!" sbottó Gloin.

"Bah, lascia perdere." le disse Bofur, che non si era ancora tolto il cappello. Le prese l'arnese dalle mani. "Tu...sei una bella furbacchiona, lo sai?" Poi inizió a lavorare sul pollo, con mano esperta. Anche gli altri Nani si misero all'opera, lasciando partire commenti su di lei come: ah, questi umani...tutti bugiardi oppure che razza di raccontaballe...

Balin le si avvicinó e le disse: "Le bugie hanno le gambe corte, cara. Anche più corte delle nostre."

Helli divenne perfino più rossa di Ori.
"Almeno, non essere d'intralcio." le disse Fili, che armeggiava attorno a un filone di salsicce. "Levati da qui." 
Tanto lei era imbranata in cucina, tanto quei Nani sembravano dei cuochi provetti: ognuno si dedicava a una portata, e nel breve fu imbandita una tavolata degna di un Re.

L'Hobbit era rimasto in disparte ad osservare gli ospiti inattesi che facevano razzia delle sue vivande, ma non poté trattenere un'espressione di meraviglia, quando vide che cena squisita avevano preparato.

Dopo un paio d'ore, si sentì un improvviso bussare alla porta di casa Baggins.

"Sarà Thorin. Finalmente!" esclamó Balin.

Bilbo corse ad aprire, e mentre il suo vecchio amico Gandalf faceva il suo ingresso nella casa, Heloise era intenta ad addentare una pannocchia abbrustolita.

"Devo dire che siete in gamba fra i fornelli. Non me l'aspettavo, sapete. Mai avrei immaginato che con quelle vostre mani tozze voi riusciste a..." poi si giró a osservare il nuovo arrivato, e quando realizzó chi c'era con loro in quella casa, la pannocchia le cadde di mano. Si alzó lentamente dal tavolo, mentre lo Stregone salutava la combriccola di Nani.

"E chi é questa ragazza?" chiese Gandalf, e le sue folte sopracciglia grigie di inarcarono dallo stupore.

Helli non riuscì a presentarsi. Lo stomaco le si era improvvisamente annodato, sentiva un'emozione indescrivibile percorrerle la schiena come una scossa, e riuscì solo a balbettare un ridicolo "buonasera" prima che un improvviso giramento di testa le facesse perdere i sensi. Cadde come un sacco di patate sotto al tavolo.

"Aiutatela, tiriamola su!" fu l'ordine di Gandalf. "Bilbo, porta dell'acqua. Qualcuno mi spiega cosa ci fa questa donna qui? Era una riunione segreta!" poi giró lo sguardo intorno. "E dov'é Thorin?"

"Arriverà." rispose Balin. "In quanto a lei, ha voluto seguirci fin qui per chissà che diamine di motivo. Ma ha promesso che se ne andrà alla svelta."

"Non tanto alla svelta, se non si riprende. Avreste dovuto tenerla fuori dai nostri affari." li rimproveró Gandalf. "Perché è svenuta?"

"Forse è l'emozione di averti incontrato. Sembrava entusiasta di conoscerti!" spiegó Bofur.

"...di conoscere me?" si stupì Gandalf. Intanto, Balin aveva messo alcuni stracci sotto la testa di Heloise. Bofur le faceva aria con il suo cappello.

"E che ne so! Ma questa non ha tutte le rotelle a posto, te lo dico io." rispose il Nano. "Quale donna umana con un po' di cervello se ne va in giro sola di questi tempi?"

"Cianciava di voler vendere qualcosa a questo signore..." disse Gloin, indicando Bilbo.

Gandalf guardó verso l'Hobbit, che si era chinato accanto a Helli, preoccupato per il suo malore.

"Non mi ha detto niente, Gandalf...cioè stava accennando a qualcosa, ma poi..." disse Bilbo.

"Ne parleremo dopo che si sarà ripresa. Qualsiasi cosa voglia da te, dovrai convincerla ad andarsene." rispose Gandalf. "La faccenda per cui ho convocato Thorin e i suoi congiunti è seria. Non ci servono...intrusi con orecchie indiscrete."

🌺🌺🌺

Kili asciugava con premura la fronte di Heloise, distesa su una piccolo sofà azzurro. Il Nano era particolarmente sensibile al fascino femminile, e quella ragazza ne aveva da vendere. Ma era anche un po' strana: a Balin era venuto uno spiacevole presentimento riguardo a lei. Ma l'anziano Nano era sospettoso e scettico come suo fratello riguardo a tutti e tutto, quindi Kili non aveva dato troppo peso ai suoi dubbi.

Helli aprì lentamente gli occhi.

"Che è successo..." mormorò.

"Sei svenuta, sta' calma. Sarà stata la fame, unita all'emozione." spiegó Kili.

"Emozione?! Emozione per cosa...?" poi si ricordó. "Gandalf!!" si levó seduta sul divanetto. "È ancora qui?"

"Sì. E non è arrivato da solo." disse Kili. "Il nostro capo,  Thorin, è giunto poco dopo il tuo malore. E...vorrebbero parlare con te."

"Ma io...io ero venuta qui per l'Hobbit." balbettó Heloise.

"Invece dovrai chiacchierare un po'  con me." disse Gandalf, facendo capolino nel piccolo salotto. "Dovrai dirmi perchè eri così ansiosa di incontrare il mio amico Bilbo, e perché hai mentito per farlo."

Helli si levó dritta in piedi, come in presenza di autorità. In effetti, Gandalf il Grigio era un autorità, per lei. "S -s- sono onoratissima di conoscervi, signor...ehm...illustre...Istari Gandalf." disse, chinando il capo. "Mi chiamo..."

"Heloise. Me l'hanno detto." continuò il vecchio mago.

"La donna è tocca..." bofonchió Bifur, che aveva osservato la scena da distanza. Si picchiettò la tempia con un dito."Più tocca di un vecchio orologio."

"Oh beh, questa deferenza non è necessaria, cara. Puoi chiamarmi Gandalf." sorrise lo Stregone, colpito da quella dimostrazione di stima. "Nessuno mi chiama Istari." e ridacchió.

"Ma io so tutto di voi. Conosco il vostro potere, la vostra storia." continuó Helli, emozionata. "L'Ordine degli Stregoni è il motivo per cui sono qui. Io sto progettando di entrare nella vostra congregazione per il prossimo quinquennio. Il mio scopo è andare alla Torre e tentare l'ammissione."  Riveló tutto con la stessa velocità con cui era collassata a terra.

Gandalf parve sorpreso. "L'ammissione...ah! Certo, tu parli della scuola della Torre d'Orthanc, riservata ai mortali. È vero, l' anno venturo reclutano nuove matricole. Me n'ero scordato." guardó Helli attentamente. "È una dura selezione, sai?"

"Sì. E so che nessuna ragazza ha mai tentato. Ma voglio provarci io. Esercitare la scienza è il mio sogno sin da piccola." spiegó lei. "Mi servono fondi. La mia famiglia purtroppo non puó aiutarmi. Mio padre è mancato quattro anni fa. Mia madre non è che una lavorante di casa. Devo in qualche modo procurarmi del denaro."

"Perció volevi rivolgerti a Bilbo?" chiese Gandalf.

"Sì. Mi è stato detto che è ricco. E ho qui qualcosa che forse gli piacerebbe possedere." disse Helli. "Kili, ti prego, passami la sacca."

"R-ricco!" si udì una voce: Bilbo, che origliava dietro un angolo, intervenne. "Chi l'ha detto che sono ricco?! E perchè mi tocca origliare in casa mia?"

Gandalf rise. "Vieni pure qui. La cosa riguarda anche te, ora."

"E anche me." disse il Principe di Erebor. Thorin Scudodiquercia fece la sua comparsa per la prima volta davanti ad Heloise.

Subito, la donna notó che aveva un carisma che gli altri suoi compari non avevano. Si vedeva lontano un miglio che era lui, il leader. Non era nemmeno troppo brutto, per essere un Nano: come Kili e Fili, aveva lineamenti da umano. Aveva occhi verdi e tristi.  I lunghi capelli neri erano lasciati liberi fino alla vita. Sembrava stanco e provato dal viaggio.

Helli non conosceva la storia della casata di Durin, ma sapeva che quel Thorin era figlio e nipote di due Re, e tanto le bastó per sentirsi in soggezione, come con Gandalf. Abbassó lo sguardo. "Onorata di conoscervi."

Il nobile Nano, freddo e marziale, si avvicinó a lei. "Ne vorrei sapere anch'io di più su questa storia. Siamo venuti qui per uno scopo, lo Stregone ci ha convocati. Ma non si era parlato della presenza di donne umane, mi pare."

"Non che sia una brutta cosa." intervenne Kili.

Helli prese coraggio. Si rivolse a Bilbo: "Ho sentito che sei un presta-denaro."

"Sì. Si puó dire così." confermó l'Hobbit.

"Anche noi umani abbiamo gente che fa il tuo lavoro nelle nostre comunità. Ma noi li chiamiamo custodi di fondi. In alcune grande città, hanno un altro nome: banchieri. Se disponi di molti soldi, puoi anche acquistare qualcosa di grande valore." spiegó Helli. "Ho qui un gioiello. Un diamante enorme."

Subito Thorin e Kili destarono la loro attenzione.

"...e vorrei vendertelo. La mia richiesta è di diecimila monete d'oro." finì la ragazza.

I due Nani si guardarono. Per un attimo, Thorin perse la sua composta alterigia e sorrise. "Non conosci il valore dei diamanti."

"Perché, dovrei chiedere di più?" ribattè lei.

"Vediamo di cosa si parla, intanto." le disse Kili.

Heloise rovistó nella sacca da viaggio ed estrasse il fagottino. Lo aprì davanti a tutti e tenne il pendaglio sollevato, per mostrarlo. "Il bronzo non vale granchè, ma la pietra è..."

"...straordinaria!" esclamó Kili. "Grande Eru...non ne ho mai visto uno così largo, e intagliato in modo così perfetto!"

"Diecimila monete d'oro?" commentó Thorin. "Questo ne vale un milione, ragazza."

Bilbo sudó freddo. "Non...non ti aspetti mica che io abbia un milione di monete?"

Helli si guardó attorno confusa. Notó che lo Stregone era impallidito. "Gandalf? Gandalf, cosa c'é?" gli domandó.

"Metti via immediatamente quell'affare!!" ordinó l'Istari. "Riavvolgilo in quello straccio!"

"Come...perché?!" chiese lei, spaventata.

"Fa' quello che ti dico, e voi..." comandó ai due Nani e a Bilbo. "Lasciateci soli."

Thorin lanció uno sguardo preoccupato e un po' seccato allo Stregone, ma fece quanto ordinato. Lui e gli altri due si ritirarono in cucina, dove il resto della ciurma stava ormai banchettando da ore.

Poi il Vecchio si giró verso Helli, che tremava come una foglia, il pendaglio ancora in mano. Sembrava arrabbiato. "Ora mi dirai dove hai trovato quella cosa. Mi dirai chi te l'ha data, o da dove l'hai rubata. Mi dirai quali sono le circostanze in cui ti sei imbattuta in quest'arma. Non tralasciare una virgola." le disse. "E non mentire. Me ne accorgerei e ti punirei. Se conosci gli Stregoni, sai che non è bene scherzare con noi, signora del Minhiariath."

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** L'Anello dell'Ombra ***


"Quello che tieni nascosto non è un banale pendaglio. Fu creato secoli fa a Carn Dûm, capitale del regno di Angmar. Ha un unico scopo: piegare la volontà dei serpenti del Nord. Sottometterli, farli diventare un'arma del possessore." spiegava lo Stregone grigio all'atterrita ragazza umana davanti a lui. "Chi ha quel gioiello, puó domare i Draghi. Tutti i Draghi ancora esistenti di questa Terra. Comprendi il pericolo?"

Heloise non riusciva a capacitarsi della situazione. "Io...no, non sapevo. Volevo solo venderlo. Non mi interessano che i soldi...non so nulla di Draghi..."

"Perché è nelle tue mani?" chiese Gandalf. "Da che so, il Mil fu custodito dalla consorte del Re Stregone di A...cioè, da un essere malvagio che dovrebbe essere sepolto con suo marito."

"Il Mil?!" chiese Helli.

"È il nome di quell'oggetto. Il nome completo sarebbe Mil Naur. In un'antica lingua che non useró qui, significa distruzione. Ora rispondimi: perché una donna di razza mortale che viene dal Minhiriath porta con sé il Mil?" rispose Gandalf. Cominciava a sentirsi spaventato. Possibile che Melthotiel, sotto mentite spoglie, si fosse introdotta nel Minhiriath, e fosse entrata in contatto con quella ragazza? Se la Regina Strega di Angmar ancora vagava in territori umani, c'era da aspettarsi una catastrofe. Il suo consorte era sepolto, il suo potere distrutto, ma poteva aver passato a lei tutta la sua forza malevola. E considerata le furbizia e la sapienza di Melthotiel, la faccenda rappresentava un pericolo enorme.

"M-m-mio padre lo trovó." balbettó Heloise. "E lo tenne custodito in una soffitta per gli ultimi diciotto anni. Io non so niente di Draghi, e nemmeno lui. Fu...fu un dono."

"Ascolta," rispose pazientemente Gandalf. "Non è davvero possibile che tuo padre abbia trovato questo oggetto, né che qualcuno glielo abbia donato. C'è sotto qualcos'altro e tu non vuoi dirmelo. Capisco che tu ora abbia paura, ma mi devi dire ogni cosa. Intendo anche il più assurdo, improbabile e, alle orecchie di altri, impossibile dettaglio che ti venga in mente su questa storia." 

Heloise scosse il capo. "È una vecchia storia che mio padre raccontó a mia madre...il ritrovamento di questa cosa, cioè. Io non ci ho mai creduto. Supponevo l'avesse rubato da qualche nobile palazzo." riveló.

"Tu, hai pensato che tuo padre fosse un ladro?" chiese Gandalf.

"Beh, la sua versione con mia madre fu assurda...insomma, le disse che una strega gliel'aveva regalato. Una strega cieca nascosta in una cava in un bosco. Chi poteva credergli?!" rispose Helli, imbarazzata. "Ho immaginato che l'avesse trafugato da qualche scrigno. Nessun uomo è immune alle tentazioni, anche se è doloroso pensare questo di un genitore. Mio padre, per lavoro, frequentava palazzi e fortini militari."

"E come è morto?" chiese Gandalf.

Helli guardó a terra. "La lancia di un nemico l'ha colpito alla schiena quattro anni fa." buttó lì, e lo Stregone provó una strana sensazione sentendo quelle parole. Ebbe l’impressione che fosse solo una mezza verità.

Gandalf sospiró. "Mi dispiace. Ma puoi stare certa che tuo padre non era un ladro." disse, girandole intorno. Doveva tenere il collo piegato per non toccare il soffitto. "Vi ha detto la verità."

"Cioè, che una vecchia sarebbe vissuta sola in un deposito di legname e che avrebbe custodito un diamante del valore di un milione di monete? Un gioiello che poi avrebbe regalato senza pensarci due volte a uno sconosciuto? Un'anziana donna che poi sarebbe svanita in una nuvola di vapore?" chiese Heloise.

"C'è molto di più in questa storia. Devo spiegarti un bel po' di cose perchè tu comprenda. La prima, è che quella non era una banale vecchietta con qualche rotella fuori posto. Quelle erano le sembianze prese per nascondersi. E certamente non era umana." inizió Gandalf.

"Cos'era, allora?" chiese Heloise, mentre sentiva tornare l'emicrania.

"Era un Elfo, una volta. Un Elfo femmina della stirpe dei Noldor. Grigi erano i suoi occhi, così come la sua pelle. Più bella rispetto agli altri Elfi. Non molto più giovane di Galadriel. Hai sentito parlare di Galadriel, vero?" raccontó Gandalf.

"Sì, la fattucchiera del Lothlórien. Una strega elfica di rara potenza." disse Heloise.

"Non una strega! Una Signora, la Signora degli Elfi del Lórien. Melthotiel Nalldhen è una strega. Scelse di essere una strega." ribatté Gandalf. "Ma inizialmente combatteva contro Morgoth, era nemica del Signore Oscuro, come tutti noi. Anzi, affiancó Fëanor nella sua battaglia contro i Balrog." Poi s'interruppe, perché vide l'espressione confusa di Helli. "...non conosci molto la storia, vero?"

"Sono più ferrata sulla scienza, in verità. Io credo nella logica." ribattè l'umana, consapevole che in tutta quella storia di logico non ci fosse un bel niente.

"Come Melthotiel. Anche lei, quando ancora era un Elfo, prediligeva l'uso della logica. Era intelligente, sai? Illuminata, potremmo dire." spiegava Gandalf. "Ma poi si perse. Pochi riuscivano a esserle amici, lei non sopportava i vacui discorsi e gli sciocchi. Preferì la solitudine, amava molto di più conversare con gli alti spiriti di Valinor, che con i suoi compagni di razza elfica."

"Ma cosa le è successo? Per quale motivo cambió schieramento? E chi è il Re Stregone?" chiese Helli.

"Durante una battaglia tremenda contro Morgoth, nella Seconda Era, venne colpita. La seconda battaglia del Beleriand." disse Gandalf, osservando Helli. Un grosso punto di domanda le si era disegnato sul viso. "...figliola, è difficile per me spiegarti tutto, se non conosci le basi della nostra millenaria storia."

"No, continuate, vi prego. Qualcosa so. Posso vedere quegli eventi, attraverso le vostre parole." lo esortó lei.

"Come vuoi, ma sarà complesso per te capire. E dammi pure del tu. Dicevo, Melthotiel venne colpita da una lama pregna del veleno di Morgoth. Ma resistette, e continuó a combattere. Fu proprio durante il suo impegno a fianco di Fëanor, che il veleno nero dell'Oscuro diede i suoi primi effetti." continuó le Stregone. "I suoi valori morali, la sua lealtà, perfino il suo aspetto fisico cambiarono. Trasformarono la sua anima in qualcosa di oscuro, di odioso. Cadde preda di un delirio, e quando si rialzó da terra, non era più la bella Melthotiel, era...una strega. E abbandonó gli Elfi, la sua razza." spiegava Gandalf. "Per tutta la Seconda Era, si nascose. Tutti si dimenticarono di lei. Ma aveva spie, spie ovunque,  che lavoravano per lei. Corvi, pipistrelli, rospi, insetti, serpi...tutte quelle infime creature. Le riportavano gli eventi del mondo, perchè lei puó comunicare anche con gli animali. L'evento più clamoroso che le fu riportato, fu la creazione dell'Anello. L'Anello che il primo servo di Morgoth, Sauron, forgió per controllare tutti gli altri."

Helli non capiva. "Non so nulla nemmeno di questo..."

"Beh, la tua ignoranza è qualcosa a cui dobbiamo senz'altro porre rimedio. Anche se riuscissi a entrare nella nostra scuola, Saruman ti farebbe accompagnare ai confini di Isengard senza troppi complimenti, se si accorgesse che sei così priva di cultura." la rimproveró lo Stregone.

Helli divenne rossa come un pomodoro.

"...comunque, in quel periodo venne forgiato un altro Anello, di cui pochissimi sono a conoscenza, e fra quegli eletti che sanno ora ci sei anche tu. In breve, l'Anello di Sauron è un'arma, ma lo è anche l'Anello dell' Ombra. Questo oggetto conferisce al suo portatore la capacità di sparire, assumere forme diverse, celare la propria presenza. Quando la Strega seppe che esisteva, lo pretese per sé." raccontó Gandalf. "E ora veniamo alla Terza Era. Il nostro tempo. Ed è in questo tempo, che compare sulla scena il Re Stregone di Angmar."

🌺🌺🌺

Gandalf proseguì descrivendo a Helli la storia dei Nazgûl, i Re umani corrotti da Sauron con gli Anelli, e del loro più autorevole e potente esponente, che aveva costruito nell'anno 1300 della Terza Era, il regno malvagio con capitale Carn Dûm, a Nord di Angmar. Si era autoeletto Re di quello sterminato e arido territorio, dove presto avevano fatto la loro comparsa gli Orchi. Dopo la prima sconfitta di Sauron, nella Guerra dell'Ultima Alleanza, il Re Stregone era sparito. Si diceva che il suo corpo, o quel che ne rimaneva, fosse tumulato proprio a Carn Dûm.

Ad Heloise inizió a girare la testa. Ebbe bisogno di un bicchier d'acqua.

"L'Anello di Sauron sta dando segni della sua presenza. Temevamo, o speravamo, fosse caduto nel Vuoto, dopo che un Re umano, Isildur, lo perse. Si sa che qualcosa, oggi, lo custodisce. Lo stanno cercando Sauron e i suoi seguaci, e anche Melthotiel lo vuole per sé. Consapevole che il suo aspetto, ormai peggio che sgradevole, potrebbe turbare e spaventare gli altri, nel timore di venire attaccata e uccisa, sta usando l'Anello dell'Ombra per assumere forme diverse. So che è stata a Minas Tirith, capitale di Gondor. Galadriel me l'ha detto. La Signora del Lórien avverte la sua presenza nel mondo, benché le due non si siano mai incontrate. Speravo che dopo la sua inutile permanenza fra gli umani del Sud, avesse rinunciato al suo scopo e fosse tornata ad Angmar, ma la vicenda di tuo padre mi conferma che è ancora fra noi." terminó Gandalf.

"Perché inutile? Era andata a Gondor per quale scopo?" chiese la ragazza.

"Perché Gondor è un regno vicino a Mordor. Perché voleva vedere con i suoi occhi la razza umana, e capire se è forte abbastanza da contrastare Sauron. Lei vuole l'Anello, e per farlo, ha bisogno di alleati. Non è seguace di Sauron come suo marito, vuole il suo potere, che è diverso. Dopo aver conosciuto la codardia degli Uomini, l'avarizia dei Nani e l'egoismo degli Elfi, ha abbandonato la corte di Minas Tirith, in cui è entrata travestita da grande dama. Speravo fosse tornata a Carn Dûm, e invece è ancora qui. E ha lasciato a un umano il Mil." disse Gandalf, sospirando. "Vuole scatenare una guerra mai vista."

"Il mio gioiello...l'ha usato lei?" continuó a chiedere Helli.

"Sì. L'ha usato molti decenni fa. L'ha usato per far del male ai Nani, i Nani di Erebor. Voleva punirli." spiegó Gandalf. "A Thrain, padre di Thorin, che è qui con noi, venne donato un Anello da Sauron. E lei, pazza di invidia, decise che la loro patria e i loro tesori dovevano in cambio essere suoi." Gandalf si giró verso Helli. "Non so dirti in che circostanza Melthotiel e il Re Stregone si incontrarono, ma quel che è certo che i loro spiriti corrotti e avvelenati trovarono un accordo, e decisero di unirsi. Il diamante che vedi fu una sorte di regalo di nozze per lei. Un dono carico di un potere."

"...comandare i Draghi." continuó Helli. Le venne in mente il discorso di Balin sulla Montagna Solitaria e sulla creatura che la occupava. Intuì subito. "...c'è un Drago. C'è un Drago dentro Erebor. E lo ha mandato lì lei."

"Esatto. Smaug. La Bestia si chiama Smaug." finì Gandalf. "È custode di Erebor, sorveglia il tesoro dei Nani. Per lei."

"Oh grande Eru..." esclamó Helli. "Perché ha dato questo diamante a un uomo anonimo? A mio padre?!"

"Ha dato un ordine a tuo padre, giusto? Ha pretesto che consegnasse il gioiello a qualcuno." continuó Gandalf.

"Sì, ma ti ho detto che mia madre non ricorda il nome. Disse solo che iniziava con la lettera A." sospiró Helli.

"Agandaûr. È quello il nome. Un condottiero, ha la sua residenza a Carn Dûm. Uno dei principali luogotenenti del Re Stregone. In vita fu un Numenoreano Nero, uno di quei Dunedain che scelsero di servire Sauron." spiegó Gandalf. "Ma cosa vorrà da lui?" si chiese.

"Gli disse di portare il ...il ...Mil da lui. E che avrebbe ricevuto una ricompensa. Poi disse a mio padre quello che mi ha detto tu, cioè che tutti i serpenti del Nord sono sottomessi al diamante. Forse spera che quell'Agandaûr si serva di un altro Drago." ragionó Helli. "Per qualche altro scopo."

"Non ce ne sono più molti in giro." mormoró Gandalf. "Smaug è dentro Erebor. Scatha è stato ucciso. Rimane Urgost, ma non si sa dove viva. È sparito da mille anni."

Helli si guardó intorno. La casa di Bilbo era così piccola, ma calda e accogliente. Le erano venuti i brividi sentendo parlare di Stregoni, Morgoth, Draghi, morte e distruzione. Ma quell'ambiente confortevole e intimo la calmó.

Sentì che in sala da pranzo i Nani stavano intonando delle canzoni. Canzoni tristi, su lontane terre e una patria abbandonata. Avevano nostalgia di casa.  La stessa che stava già iniziando a sentire lei. Si era ritrovata suo malgrado in una faccenda complicatissima e grande, troppo grande per lei.

Poi, si giró e fece a Gandalf la domanda che più l'angustiava. "Dimmi la verità, ti prego... cosa ne sarà adesso di me?"


_____________

Il personaggio di Melthotiel non è inventato da me.
L'ho trovato su questo sito: https://aminoapps.com/c/lotr/page/item/the-witch-queen-of-angmar/aGf8_IkW1k818o141Pzd3Bg6ZMdEw

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Sogni ***


"Dimmelo ancora: qual'è il tuo più grande sogno?" chiese Gandalf alla ragazza umana.

"Entrare alla Torre d'Orthanc, diventare una scienziata." rispose Heloise.

"Cosa sei disposta a fare per questo?" insisté lo Stregone.

"Tutto. Nei limiti del lecito." ribattè Helli.

"Anche accompagnare Thorin e gli altri nella loro avventura?" domandó Gandalf.

Helli sbarró gli occhi. "Cosa? Perché?!"

"Quell'oggetto che custodisci puó cambiare il corso degli eventi. Con uno strumento del genere, la questua dei Nani sarà senz'altro un successo. Entreresti con loro a Erebor, potresti ordinare a Smaug di andarsene, e lui obbedirà. Non ci saranno spargimenti di sangue. Sarebbe davvero perfetto." spiegó Gandalf.

"Questo vuol dire, ritardare il mio arrivo a Isengard. Imbarcarmi in una storia che non mi appartiene! Quanto ci vorrebbe per arrivare alla Montagna Solitaria, a piedi da qui? Tre mesi, sei? Un anno? Ci vogliono molte settimane solo per attraversare le miniere di Moria, figurarsi a arrivare fin lassù! Io non ho tempo da perdere, lo sai bene. La domanda di ammissione ha una scadenza ben precisa." rispose Helli, levandosi in piedi. Sbattè la testa contro il basso lampadario. "Non posso." aggiunse, massaggiandosi la fronte. "E poi, questa faccenda mi fa una paura dannata. Io...non sono che un'umile ragazza del Minhiriath, non voglio saperne di queste cose. Non c'entro niente con queste cose maledette!!"

"Hai ragione ad avere paura. Forze tremende sono in gioco, e purtroppo c'è il rischio che Melthotiel si stia preparando al ritorno del suo consorte. Quello che ha accennato a tuo padre mi preoccupa." ragionó lo Stregone.

"Ma...non è morto e sepolto?" chiese lei. Era terrorizzata.

"Il Re Stregone fu tumulato a Carn Dûm, ma si tratta di un non-morto. Gli Uomini trovarono il suo cadavere alle pendici del Monte Fato, e credettero fosse sconfitto. Avvolto in un sudario, incatenato, fu chiuso in una bara con la sua spada, e lì murato. Ma non era defunto, cioè...non come intendevano loro. Temo stia per risorgere. Lo spirito di Sauron lo riporterà in vita, e Agandaûr, il suo fido braccio armato, tornerà al suo servizio. La prima missione, sarà proprio quella di cercare e sottomettere un Serpente alato, un Drago sputa-fuoco, cioè." spiegó Gandalf. "Il diamante che tieni in quella sacca puó essere un flagello, se usato per scopi negativi. O un asso nella manica, se usato per fare del Bene. Ecco, permettere ai Nani di avere di nuovo una patria, liberando Erebor da Smaug, è una cosa buona. Sei d'accordo?"

Helli annuì.

"...lasciare che il Re Stregone di Angmar faccia uso di un Drago come arma di sterminio, è una cosa cattiva. Sei d'accordo anche su questo?" continuó Gandalf.

"Sì. Certo che lo sono." ribatté Heloise.

Gandalf sorrise: "Già. Dunque io credo che chi abbia ambizioni da scienziata, debba saper discernere fra bene e male. E credo anche che non debba essere una codarda. Se vuoi prepararti davvero a una vita di saggezza e sapienza, devi agire sempre con criterio. A partire da questa storia. Ci sei dentro, ormai."

"Io non voglio rischiare la mia vita per qualcosa che non mi riguarda!" sbottó invece lei. "Vuoi tu il Mil? Tienilo, dallo a Thorin, che se la sbrighi lui." e infiló la mano nella sacca, per estrarre di nuovo il pendaglio.

"E tu come ti procurerai il denaro?" continuó Gandalf. "Mi pare che il tuo problema non sarebbe risolto se cedessi il Mil Naur. In effetti, è la tua unica risorsa."

"Se dessi il gioiello a Thorin, se gli regalassi quest'arma straordinaria...tu, in cambio, potresti agevolare il mio ingresso all'Ordine." osó dire Helli. "È uno scambio equo, no?"

Gandalf corrugó la fronte. "Sarebbe un grave errore, invece. Saruman vorrebbe sapere perchè ho intercesso per te, costringendomi a dire la verità. Preferisco tenerlo all'oscuro di questa storia." rispose il Vecchio. "Non deve venirne a conoscenza."

"Perché?" chiese lei.

"Vedi...il capo del mio Ordine è saggio e potente. Ma qualcosa in lui è nascosto: sotto una superficie colta e profonda, si cela un animo debole. Molte volte ho avuto dubbi sulla sua rettitudine. Non voglio sappia che abbiamo trovato il Mil. Lo reclamerebbe per sè.  Ora senti la mia idea," continuó Gandalf. "...andrai con i Nani ad Erebor. Ne parleró a Thorin, lo convinceró. Sarai tu la custode del gioiello, è finito in mano tua per qualche disegno divino, e nessun altro deve averlo. Quando saremo entrati nella Montagna, e farai quello che ti ho chiesto, riceverai una ricca ricompensa. Quella che fu promessa a tuo padre. Denaro, monete sonanti di puro oro zecchino. Il nonno di Thorin, Thror, ne ha accumulate milioni."

"Ma il mio progetto... la Torre d'Orthanc... il tempo scorre, rischio di non farcela!" obiettó Helli.

"Devi preparare un saggio per l'ammissione.  Hai pensato al tema?" chiese Gandalf.

"Non ancora. Non so su cosa farlo. È un altro problema." si lamentó lei.

"Io dico che anche per questo il tuo gioiello potrebbe essere la soluzione." suggerì Gandalf.  "Rifletti."

Helli non capiva. "Un libro sui draghi? Si sa già molto su quelle creature."

"Sbagliato. Si suppone molto su di essi. Ma quale Uomo, Elfo o Nano ha mai avuto l'opportunità di avvicinarne uno?" chiese lo Stregone. "...nessuno è mai sopravvissuto per raccontarlo."

"Cioè...dovrei avvicinare Smaug? Ma tu sei pazzo!!" esclamó lei, poi si morse la lingua. "...perdonami, non volevo offendere!"

"Signorina Foley, hai un progetto molto ambizioso per una donna, l'hai detto tu stessa. Più grande è il sogno, più grosso dovrà essere il tuo fegato, cara. Certo, se ti presentassi a Saruman con un resoconto dettagliato sui Draghi, la loro natura, e se perfino riuscissi a comunicare con la Bestia...credo che passerebbe sopra a un lieve ritardo nella domanda di ammissione. E anche, alla tua appartenenza al sesso debole, come lo chiamano gli Uomini." chiarì Gandalf. "In realtà voi donne siete così forti. Quello che fate con il vostro corpo...creare la vita, farla nascere, nutrirla. Per me, l'aggettivo debole è del tutto inappropriato per descrivervi."

Helli sembró non aver sentito. "Parlare con un Drago?? perchè...parlano?!"

"Sì, e sono esseri molto intelligenti. Se non fossero creature del Male, sarebbero quasi affascinanti." ammise lo Stregone. "Con quel gioiello addosso, Smaug non ti farà del male. Sarà sottomesso a te come un agnellino."

"No. Non ci pensare. Ho molto rispetto per te, Gandalf. Posso solo sognare di diventare la metá di quello che sei tu. Ma questa è una cosa che davvero non riesco a fare. Ho troppa paura, non ne sarei all'altezza." rispose Helli. "Tenete voi la pietra. Insisto. Mi procureró i soldi in altro modo. Esco stasera stessa da questa storia. Non sarei neanche dovuta venire fin qui...." si agitó lei, camminando su e giù per il piccolo salotto. "...se quel maledetto George Simenon mi avesse dato quei soldi...ma sì, torneró indietro, li chiederó a lui. Ci fidanzeremo ufficialmente, me li darà dopo..."

"Heloise Foley!" sbottó lo Stregone.

La ragazza sussultó. I Nani, in sala da pranzo, smisero di cantare.

"... non so molto di te, ma quello che hai detto mi sa tanto di disonore. Vendersi a un uomo per soldi?! Meglio sarebbe, per una ragazza, farsi divorare da un Drago." la redarguì.

Helli di nuovo arrossì. "Non puoi costringermi a fare ció che non voglio. Non è la mia storia, questa, e non mi sento parte di questa impresa. Non sono preparata. Ho appena vent'anni, non voglio rischiare di morire per una cosa in cui non volevo nemmeno cacciarmi!!" disse, sull'orlo del pianto. "...ho paura, capisci!"

"Non morirai. Io seguiró i Nani, il mio potere proteggerà il loro avanzare. E non sarebbe male per te passare del tempo con uno Stregone...cara futura maga." le fece l'occhiolino, nel tentativo di incoraggiarla. "Vedere me all'opera. Sarebbe uno straordinario momento di formazione, per te. Una specie di tirocinio, direi quasi."

"...scienziata." mormoró lei, tirando su col naso.

"Scienziata, come vuoi. Non è stato un caso che ti ha portata qui. Delle volte il fato inaspettatamente tende la mano. Quest'intera faccenda potrebbe rivelarsi utile a tutti quanti noi, te inclusa." continuó Gandalf. "Non voltargli le spalle."

Poi guardó la donna umana, che sembrava molto confusa, ma forse un po' meno spaventata. Evidentemente stava valutando i possibili scenari. Il suo possibile tornaconto. Decise di darle una spintarella psicologica.

"...te lo chiedo di nuovo: cosa sei disposta a fare per realizzare il tuo  sogno? Per diventare... una di noi?"

🌺🌺🌺

"Signori," esordì Gandalf rivolto ai Nani, presentandosi nella sala da pranzo di casa Baggins con la giovane al suo fianco. "Devo parlarvi. Ho un annuncio da fare."

"Finalmente!" sospiró Bilbo. "Credevo aveste messo le radici nel mio salotto."

"Bilbo, con te parleró più tardi. E tu," disse lo Stregone, rivolto a Thorin. "Riguardo al nostro progetto, c'è una novità."

Il Nano osservó incuriosito Heloise. La ragazza abbassó lo sguardo, peggio che imbarazzata.

"Questa giovane si è offerta di venire con voi e me ad Erebor. Sarà una specie di...viaggio di formazione per lei." annunció Gandalf. "E la sua presenza sarà molto utile per noi."

Subito si alzarono proteste vigorose. Dwalin sbattè un pugno sulla tavola. "Questa è buona...questa è buona sul serio!! Che utilità avrebbe nella nostra Compagnia, una donna?! Rallenterà la marcia!" poi si giró verso Helli. "Senza offesa."

"Figurati." rispose lei, asciutta. Si era aspettata quella reazione.

"Gandalf, dovremmo parlarne almeno. Non capisco la tua decisione. Il mezzuomo e solo lui, doveva unirsi a noi." disse Thorin. Era l'unico ad aver mantenuto la calma, ma i suoi occhi tradivano sconcerto. "La nostra non sarà una scampagnata per raccogliere margherite."

"Lo so, lo so. Vi pare assurdo. Ma credetemi, benedirete questa sera, quando il momento verrà." promise il Vecchio. "Vi prego di avere  fiducia."

Thorin si avvicinó ad Helli. "Cos'è questa storia? È davvero quello che vuoi, venire con noi? Sai a cosa vai incontro?" le chiese.

Helli lo guardó negli occhi. "Io...ho un progetto. E seguirvi potrebbe aiutarmi a realizzarlo. So solo questo, e so che non mi arrenderó mai finchè non ci saró riuscita. Non so precisamente a cosa andró incontro, ma se vuoi adesso una risposta... sì, diciamo che sono pronta." rispose. Poi giró uno sguardo fiero sugli altri. "Non mi manca il carattere."

"E nemmeno la furbizia." intervenne Balin. "Per me è un errore, peró. Noi siamo Nani, abbiamo la scorza dura. Ma tu? Ce la farai a superare tutte le difficoltà che si presenteranno, fiorellino?"

Gli altri risero.

"Ci proveró. Questo lo prometto. Se mi farete tentare..." rispose Helli. "Voglio aiutarvi, e fare i miei interessi."

"Allora, lavorerai per noi. Non ti manca che un contratto. Come quello che abbiamo preparato per il signor Baggins. Lui verrà assunto come scassinatore...ma tu?" si chiese Kili.

"Come domatrice di Draghi." suggerì Gandalf.

Tutti si zittirono. 
Erano talmente basiti da non riuscire nemmeno a protestare.

Parló Thorin. "Cosa vuoi dire?" chiese a Gandalf.

"Quello che hai sentito. Una volta nella Montagna, andrà lei davanti a Smaug. Bilbo sarà l'apripista, Heloise domerà la Bestia. E non voglio sentire nè risate, nè domande. Preparatele quel contratto, forza! E sia ben specificato, che il suo pagamento sarà elargito solo dopo che il Drago lascerà Erebor." comandó Gandalf.

Thorin era incredulo. "Mandare lei davanti al Drago?! Gandalf," gli chiese. "...ma che stai dicendo?"

"Un milione di monete d'oro. Non è una grande cifra, considerando il tesoro di tuo nonno, dico bene?" continuó Gandalf. "Voi tornerete padroni di Erebor. E la ragazza sarà libera di proseguire con la sua vita."

I Nani erano perplessi. Si guardavano senza spiccicar parola.

"...allora, Mastro Balin. Volete redigere quel contratto per la signorina Foley, così che sia tutto regolare?" insistè Gandalf.

Balin si alzó dal tavolo, e chiese una pergamena, con penna d'oca e inchiostro, che Bilbo gli procuró. "Ci vorrà una mezz'ora." disse l'anziano Nano, scuotendo il capo. Che razza di pagliacciata era quella? Una donna al loro seguito?! Una donna che avrebbe dovuto domare quell'assassino di Smaug?! Forse Gandalf si era rincitrullito. Era anziano, dopo tutto. "...questo è ridicolo." bisbiglió a Thorin, mentre gli passava accanto.

Il principe di Erebor guardó Gandalf in silenzio, sperando di scorgere nel suo sguardo la risposta. Ma non riuscì che a cogliere un sorriso furbo e una strana luce, in quegli occhi celesti. E un messaggio, che il Vecchio gli trasmise col pensiero.

Fidati di me.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** La sconosciuta ***


"Scusate...qui c'è una postilla che non capisco." disse Heloise, rileggendo attentamente quella specie di contratto. Era scritto su una vecchia pergamena giallognola e firmato da Thorin in calce. "Dice: la sottoscritta s'impegna a non intrattenere rapporti impropri con nessun membro della Compagnia. Né ad accettare compensi in natura per il lavoro svolto."

Guardó verso Balin. Il vecchio Nano annuì. "Cosa c'è di poco chiaro?" le chiese.

Helli rilesse ad alta voce: "....a non intrattenere rapporti impropri con nessun membro della Compagnia." poi giró uno sguardo sugli altri. Qualcuno sghignazzó. "...questo è poco chiaro. Cosa intendi per rapporti impropri?"

"Credo tu abbia capito molto bene." ribattè Balin. "Vedi, è importante che l'impresa venga affrontata in modo serio, e con la massima...ehm...professionalità da tutti."

Helli guardó verso Thorin, che aveva un'espressione vagamente divertita. "...cioè, non penserete che io possa avere interessi di quel tipo verso qualcuno di voi?" disse. "Questa cosa mi offende."

"E perché no?" chiese Kili. "Cos'abbiamo che non va?"

"Cos'avete che non va?" ribattè lei. "Fammi iniziare: siete Nani, tanto per cominciare. Siete gli individui più grezzi che io abbia mai conosciuto. Siete maleducati, non avete la minima idea di cosa sia la galanteria, né di come si debba trattare una ragazza. E alcuni di voi sono anche maleodoranti."

A quel punto, si alzarono vivaci le proteste. "Scusate tanto, Baronessa, non sapevamo foste una nobildonna!" sbottó Bofur. "Permettetemi d'inchinarmi." e le fece una grossolana riverenza. Tutti scoppiarono a ridere.

"Carissima... " continuó Balin. "...la cosa non riguarda me, per raggiunti limiti di età. Ma sappiamo quali sono i fatti della vita. Una ragazza giovane, a stretto contatto con tredici Nani... siamo maschi, dopo tutto. No?"

Helli si giró verso Gandalf. "Ti prego. Intervieni." Era paonazza dall'imbarazzo.

"È una richiesta loro, io non interferisco." il vecchio Stregone pareva sul punto di mettersi a ridere.

"Io non firmo sotto una frase del genere! Sarebbe come ammettere di essere una sgual....una donna di facili costumi, insomma." si oppose Helli. "Togliete quella postilla."

"Firma." ordinó Thorin. "Facciamola finita. Ti sei offerta di seguirci, e Gandalf sostiene che la tua presenza sarà importante. Voglio fidarmi di lui. Ma questa avventura avrà le nostre regole. E dovrai rispettarle."

"Non sono una donna di quel tipo." Insistè Helli. "E se dovessi diventarlo, non inizierei certo con dei Nani."

"Le donne umane delle Montagne Azzurre non erano così sdegnose." commentó Dwalin. "Cercavano molto spesso la nostra...amicizia."

Di nuovo, tutti risero.

"Già...ti ricordi la moglie di quel tizio che allevava polli?" raccontó Fili. "Quella sì che..."

"Basta, ho detto." intervenne Thorin. Poi si avvicinó a Heloise. "Dovrai guadagnarti il nostro rispetto. Se sei così virtuosa come dici, non dovrebbe essere arduo, per te."

"Solo perchè sono femmina vi ritenete liberi di dubitare della mia moralità. È un'inaccettabile dimostrazione di ignoranza. Io non firmo. Togliete quella frase. O me ne vado con il mio gioiello." pretese lei, guardando verso lo Stregone. "Non scherzo. Lo venderó a qualcun altro. E poco mi importerà delle conseguenze."

Gandalf a quel punto tornó serio. "Balin," disse, rivolto al vecchio. "...ti prego, fa' quello che dice. Redigi un nuovo accordo. Helli è una studiosa, e sembra una giovane a modo. Non c'è bisogno di simili cavilli."

Il Nano sospiró. "Ma che razza di situazione...prima l'Hobbit...adesso dobbiamo sottostare ai capricci di una donna."

"Non mi sono mai sentita così umiliata." disse lei. "E le vostre madri... si vergognerebbero di voi." 

"Un po' permalosa..." commentó Kili. "...non prenderla a male. Come dice mio fratello, conosciamo le femmine della tua razza. Non che siate tutte fatte di quella pasta, certo, ma un buon numero sì."

"Evidentemente siete venuti a contatto con le peggiori." rispose Heloise.

"Seguimi, per favore." le intimó Thorin. "Devo parlarti in privato."

Helli si sentì a disagio a quella richiesta. Guardó Gandalf, che aggiunse: "Va' con lui. Non temere."

La ragazza seguì il Nano fuori da casa Baggins.

Sotto le stelle, Hobbiville sembrava davvero un territorio fatato.

"Quello che ci stiamo preparando a fare è molto importante. Per me, per i miei parenti là dentro, per tutta la mia gente. Non credo tu sappia cosa significa perdere la propria casa. Essere costretti a vivere in un luogo che non ti appartiene, e nel quale non riesci a integrarti. Per noi è stato così. Balin ti avrà spiegato la nostra situazione." esordì il Principe di Erebor.

"Sì. E so anche del Drago che vi ha obbligati a scappare." rispose l'umana. "Mi dispiace. È stata dura per voi, lo immagino."

"Quel mostro ha ucciso donne e bambini della mia gente, quando è entrato nel nostro regno. È stato un inferno, se lo vuoi sapere, e chi di noi è riuscito a sopravvivere puó ritenersi graziato." disse, guardandola torvo. " Comunque, non mi è chiaro perché Gandalf insiste a portarti con noi. Ma non voglio segreti." insisté Thorin. "Hai con te un gioiello. Di cosa si tratta, con esattezza?"

"Lo Stregone mi ha chiesto di mantenere il riserbo, per ora. Ma da quello che mi ha raccontato, questo diamante ha un potere. Non aggiungo altro, devi solo sapere che per il vostro progetto, quello che custodisco farebbe un'enorme differenza." Spiegó Helli.

"E per te? Tu che ci guadagni?" chiese Thorin. "A parte il denaro di mio nonno. Un milione di monete... spero tu ti renda conto di quante siano. Non riusciresti a trasportarle."

"Sì. Quei soldi saranno un problema, lo so. Dovró stare attenta a tutti i furfanti di questa Terra." disse Helli, osservando la luna. "... ma ho un sogno. Un sogno talmente assurdo e fragile, che basterebbe nulla per farlo fallire. E ci provo, ora che posso. Voglio diventare come Gandalf."

"E lo credi possibile?" chiese Thorin. "Diventare una Strega, o scienziata, non eleverà il tuo spirito come credi. Ti metterebbe solo in contatto con poteri che non potresti gestire. Tu sei debole, lo vedo."

"E come lo sai?" rispose Heloise, innervosita. "Tu non mi conosci."

Thorin sorrise, sardonico. "Hm. Ho sentito quello che ti ha detto il Vecchio, là dentro. Hai provato a chiedere soldi a un uomo della tua gente, in cambio della promessa di unirti a lui."

"Hai origliato!!" sbottó lei.

"Ti sei sentita mortificata per quella nota del contratto. Ma è esattamente quello che sei. Una ragazza disposta a vendersi una volta, lo puó fare ancora. È la tua natura. E io non mi fido di te, per questo ho fatto inserire quella postilla. Una donna d'onore non attira questi sospetti, ma una che ha rinunciato alla sua integritá, puó fare qualsiasi cosa...anche estorcere informazioni private a uno di noi, farsi dire qual è la via segreta per entrare in quella Montagna. In cambio di...beh, lo sai. E una volta lì, se è vero che puoi domare Smaug, potresti allearti a lui. Diventare tu stessa padrona del tesoro. E non mantenere l'impegno con noi." spiegó Thorin.

"Tu pensi questo di me?" rispose Helli, indignata.

"Sì." fu la risposta secca di Thorin. "Ti ho permesso di venire con noi, ma sappi questo: non hai la mia stima, nè la mia fiducia."

Heloise lo guardó male.

"...e togliti quell'espressione offesa dal viso. Sai che ho ragione. Ma lo Stregone crede in te, più forte dei miei dubbi, ora, è la sua sicurezza. Lo seguiró in questa idea. Sentimi bene, ora: guai a te, se tenterai qualche furbata." terminó Thorin. "Ho sopportato già molte amarezze in questi anni. E ora che forse ho trovato un modo per riportare il mio popolo a casa, non lasceró che nessuno ci ostacoli. O ci crei problemi. E se sarai intralcio, se non riuscirai a tenere il passo con noi, nessuno ti aiuterà. Sei responsabile di te stessa, ora."

"Quando Eru ha distribuito il dono della gentilezza, tu dovevi essere in ultima fila, a quanto pare."  ribattè lei, seccamente.

"...già. Così come per la capacità di tollerare il sarcasmo." aggiunse Thorin, prima di tornare in casa Baggins.

🌺🌺🌺

"Devo darle atto di avere del fegato." commentó Isadora, rammendando una camiciola da bambino. I coniugi Stutton le avevano dato della biancheria da sistemare. "Sono già quattro giorni che manca da casa. Credevo sarebbe tornata prima."

"Sei troppo dura con lei. Davvero non ti capisco. Siete due sorelle, dovreste volervi bene." disse Jemma, stirando un lenzuolo con un vecchio ferro a carbonella. "...quando eravate bambine era diverso. Eri sempre pronta a difenderla."

"Crescendo le persone cambiano, mamma. Io sono maturata, lei no. Ma non puó vivere nel mondo dei sogni per sempre. La vita reale è dura, lo capirà quando sarà tardi." borbottó la giovane.

"Credo che abbia preso in mano la sua vita, ora. Ci sta provando, sei d'accordo?" chiese Jemma.  "Forse il suo destino non è quello di sposarsi. Anche la signora Hutton non si è mai sposata, non mi pare se la passi male."

"Certo. Con tutti quei soldi, è erede di una famiglia nobile, anche se decaduta. Non ha mai dovuto lavorare. Quelle persone sono privilegiate. Noi no...cioè, lo eravamo. Ora non più. E una donna adulta sa in che realtà vive, si adegua. Helli porta avanti progetti assurdi." disse ancora Isa.

"C'è una tale acidità nelle tue parole... come se fossi invidiosa di lei." disse Jemma, posando il ferro e osservando la figlia. "... non sei invidiosa perché Helli ha talento, vero?"

"Invidiosa? Mi fa pena." ribatté Isa, scrollando le spalle. "Rinunciando all'amore non sa cosa si perde."

"Chi ha detto che vuole rinunciare? Sta solo dando più spazio ai suoi progetti, adesso. Ma in futuro, non è detto che non trovi la felicità anche nel privato." rispose la madre.

"Ah, e con chi? Con qualche Stregone vecchio e canuto? Chi potrebbe mai stare con lei, e sentirla mentre ciancia di insetti e organismi e forme di vita...come ha detto quella volta...allo stato primigenio? Ti ricordi quando ha portato quel cumulo di terra in casa e voleva costruirci un formicaio?? E quelle formiche si sono arrampicate nei nostri letti e abbiamo dovuto bruciare le lenzuola?!" ricordó Isa. "...ancora mi prude la schiena, a volte, quando ci penso. Mi ero svegliata con quegli insetti addosso!"

Jemma rise forte.

"Non c'è da ridere, mamma!" esclamó Isadora. "Adesso ridi...ma ti ricordi quanto ti arrabbiasti con lei?!"

"Forse allora aveva esagerato. Ma tutte le sue stramberie, come le chiami tu, sono solo conseguenza della sua sete di conoscenza. Tuo padre lo aveva capito. Mi dispiace che se ne sia andato prima di vederla partire per Isengard. Sarebbe orgoglioso di lei." sospiró Jemma.

Le due donne sentirono un improvviso bussare alla porta. Era mattino presto, era inusuale che ci fosse qualcuno in giro.

"...ma chi è?" sussultó Isadora.

Jemma andó ad aprire.

Si trovó di fronte una signora. Aveva il capo avvolto da un fazzoletto, abiti piuttosto miseri, e due occhi scuri e tristi. "Chi siete?" chiese la signora Foley.

"Perdonate... questa è casa Foley?" mormoró la donna. Aveva una vocetta flebile da bambina.

"Chi lo vuole sapere?" chiese ancora Jemma.

"Io devo trovare il signor Norman Foley. Potete dirmi se è qui, prego?" chiese la misteriosa visitatrice.

"Mio marito è mancato quattro anni. Per quale motivo lo cercate?...e per favore, ditemi chi siete." volle sapere Jemma.

"È morto?! Dove, come?!" chiese ansiosamente la donna. Sembrava piuttosto giovane, ma sotto il fazzoletto s'intravvedevano capelli grigi.

"Un brutto incidente, non lontano dal regno di Rohan. Lo avete conosciuto?" riveló Jemma.

"Molto tempo fa. Era un uomo tanto buono! Io gli chiesi un favore, ma..." poi scoppió a piangere. "Norman, il buon Norman... morto!! Non è possibile!"

Il pianto disperato della donna commosse Jemma. "Su, non fate così. È stato un dolore per tutti noi. Sembrate pallida, vi prego entrate. Vi prego." e spalancó l'uscio per far entrare la nuova ospite.

Isadora si avvicinó. Per prima cosa notó gli occhi della sconosciuta: erano grigi. Ma non un azzurro tendente al grigio. Erano proprio grigi, come la cenere nei camini. E anche la sua pelle, aveva un incarnato pallido, sembrava quello dei...cadaveri. Inoltre, nonostante stesse piangendo, non una lacrima solcava le sue guance.

Isadora provó un terrore saettante e gelido dentro di lei. Piccoli brivi le attraversarono la schiena partendo dalla base del collo. "Mamma..." riuscì a mormorare, prima che Jemma chiudesse l'uscio.

"Posso offrirvi un té? Isa, per favore, va' a..."

La signora Foley non riuscì a terminare la frase, perchè un'energia improvvisa e fortissima la scaraventó contro una delle pareti in pietra. Morì all'istante.

"....mammaaaaa!!!!" gridó Isa, correndo verso il corpo della madre.

Ma la sconosciuta la bloccó afferrandole il collo con una mano. Il fazzoletto cadde dal capo e riveló un volto segnato da cicatrici e rughe. Le orecchie a punta tradivano la sua appartenenza alla razza elfica. Gli occhi grigi si fissarono in quelli blu e terrorizzati di Isa. "Dov'è il mio diamante?!" ringhió l'essere, a pochi centimetri dal viso della giovane Foley.

"....cosa...io non so...." rispose Isa, con un filo di voce. L'Elfa oscura la stava strangolando.

"Il Mil Naur, idiota, che consegnai a tuo padre. Dove l'avete nascosto razza di pezzenti!!" ringhió ancora la Strega. "So che quel bugiardo non è andato ad Angmar come promesso. Se l'è tenuto per sé! Dove!!!" gridó ancora, stringendo il collo di Isa.

La ragazza tentó di liberarsi dalla presa, ma la creatura la strattonó. "Ce l'ha qualcuno di voi, tu lo sai! DIMMELO!!" 

"Io...non so... niente..." farfuglió la ragazza. "...mamma...."

" Tua madre è morta." disse la Strega.

Isa lasció andare un mugolio disperato. Chiuse gli occhi.

"...ti lascio in vita perché tu possa restituirmi quello che mio. Lo cercherai in questa topaia, e se non c'é, e se non saprai dirmi dov'é, raggiungerai presto la tua cara mamma. Mi hai capito?" disse la Strega. Isa continuava a singhiozzare. La Strega lasció la presa al collo e le afferró la faccia.

"Guardami. La tua vita è mia, adesso."

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Morte a Midlothian ***


Sam Pontipack era un ragazzo semplice. 
Non troppo intelligente, nè troppo stupido. Un giovane uomo nella media, con i capelli rossicci come la maggior parte degli abitanti di Midlothian. La madre di Isadora ed Heloise sosteneva che fosse l'acqua dei pozzi, che veniva raccolta e bevuta quasi mai senza filtrarla, a contenere qualche sostanza che faceva diventare rossi i capelli e le barbe degli uomini.

Sam era un giovanotto alto, lentigginoso, dalla pelle chiara e dagli occhi verdi. Aveva braccia robuste a furia di sollevare sacchi di farina, una cosa che faceva impazzire Isa. Aveva soprattutto un'indistruttibile fiducia nei dati di fatto: una cosa in comune con Helli. Entrambi amavano tenere i piedi saldi sulla Terra e chiamare le cose con il loro nome.

E quella situazione davanti a lui aveva un nome, e ben definito. Un maledetto omicidio, ecco cos'era la scena che si era presentata ai suoi occhi dopo essere entrato in casa Foley.

Come ogni mattina, era andato a prendere Isadora che lavorava nelle case degli abitanti della cittadina come sarta, e delle volte come tata per i bambini. Era mercoledì, ed era la giornata dedicata agli Stutton, che vivevano non lontano. A Sam piaceva accompagnare la sua ragazza a piedi e parlare con lei del più o del meno, prima di recarsi al lavoro in bottega.

Ma quel giorno, c'era qualcosa che non andava. La porta d'ingresso era aperta. Spalancata, per essere precisi. E Sam conosceva abbastanza la sua futura suocera da sapere che aveva una paura del diavolo di ladri e potenziali intrusi. Sprangava sempre quella porta verde.

Invece quel mercoledì l'uscio era aperto, con i cardini che cigolavano sonoramente al passaggio del vento.

E poi c'era qualcos'altro. Un odore dolciastro, fastidioso, che veniva dalla casa ed entrava dritto nelle sue narici. Tanfo di sangue rappreso. Lo stesso odore che Sam avvertiva sempre da bambino quando passava vicino allo scannatoio dei maiali.

"Ma cosa succede qui, in nome di Eru..." mormoró, avvicinandosi, mentre un orrendo presentimento gli riempì la mente.

Corse dentro, urlando: "Isaaa!!!"

Vuota. La casa era vuota. 
In cucina, intravvide un tavolo apparecchiato per la colazione, con una fetta di pane nero ancora inzuppata nel latte e il pentolino per il té sulla stufa. L'acqua bolliva già da molto.

Il piccolo salotto pareva in ordine, c'era un soprabito sul sofa, era di Jemma: quel vecchio mantello bordeaux e sgualcito a cui era affezionata. Giró lo sguardo verso destra, in direzione del camino, e fu lì che la vide.

Jemma Foley giaceva a pancia in su, a terra. Un laghetto rosso scuro (ilsuosanguequelloèilsuosangue) sotto il capo. Una profonda ferita che partiva dalla fronte e si estendeva fin sotto alla nuca le disegnava un grottesco sorriso sulla testa.

Aveva il cranio spaccato in due.

"Jemma!!! Aiuto!! Qualcuno venga quiii!!!" urló disperato, sperando che i vicini sentissero. Poi si gettó carponi a terra, vicino a lei, senza saper bene cosa fare. Provó a toccarle una guancia e si accorse che era gelida. Certo, in quelle condizioni non poteva essere viva. Ma lo stesso provó l'istinto di rianimarla. "Jemma?? Mi senti? Svegliati...oh ti prego...svegliati!" le disse, sentendosi uno stupido.

No, questa è morta. É morta sul serio. Qualcuno l'ha ammazzata sissignore qualcuno è entrato qui e le ha aperto la testa e ti conviene andare a cercare Isa e sperare che non abbia fatto la sua fine, pensó.

Si alzó e corse verso la porta, afferrando con rabbia gli stipiti. "C'é nessuno in questo dannato posto?! Venite, accorrete per carità!! Aiutatemi!!!" urló di nuovo.

"Hey, ma che diavolo hai da urlare!" starnazzó Otto Shelby, uno dei vicini, affacciandosi a una finestra del piano superiore di casa sua . "Stavamo dormendo, accidenti a te!"

"Hanno ucciso Jemma Foley!! Venite vi prego!!!" gridó di nuovo Sam.

Otto, a quelle parole, sgranó gli occhi e rientró, chiudendo sonoramente la finestra. Dopo una manciata di secondi, corse fuori in tenuta da camera e con un bastone in mano, con sua moglie che gli urlava di mettersi qualcosa addosso. Una visione comica, se non fosse stato tutto terribilmente serio.

"Chi ha ucciso Jemma?! Che stai dicendo, ragazzo?!" chiese a Sam, nel frattempo impallidito. Era corso nelle stanze di Jemma e delle due sorelle: entrambe erano state messe a soqquadro, ma erano vuote. Isa era sparita.

"In casa...è sdraiata a terra, in sala. Sangue...c'è così tanto sangue!" balbettó il giovane Pontipack. "Isa, non so dov'è Isa!!!"

"Sta' calmo...lascia che dia un'occhiata." gli rispose Otto, un signore sessantenne mezzo calvo e piuttosto in carne. "Va' a cercare la ragazza al piano di sopra, intanto."

"Se l'hanno uccisa oh signore se l'hanno uccisa impazzisco!" sbottó Sam, tremando da capo a piedi. Era strano vedere quel ragazzone grande e grosso tremare, era come vedere una quercia scossa dal vento.

"Va' su, muoviti! È la tua fidanzata, va' a cercarla. Io penso alla povera Jemma...che il cielo mi fulmini..." disse, impressionato dallo scempio lì in salotto. "...ma chi puó essere stato...chi puó fare una cosa così orrenda..."

Sam salì le scale due alla volta, mentre lo stomaco gli si giró nel ventre. La sua Isadora.

"Heloise!!" urló Otto. "...dov'è la più giovane?!"

"È partita." mormoró Sam, a voce talmente bassa che Otto non sentì. Era terrorizzato dalla possibilità di vedere la sua futura moglie nelle medesime condizioni della madre, con i ricci biondi zuppi del suo stesso sangue e gli splendidi occhi azzurri spalancati nello sguardo vitreo della morte.

"Dov'è la ragazza, la mora?" chiese ancora Otto.

"...quattro giorni fa..." sussurró Sam, entrando nella grande soffitta. "...è partita..."

Isa non c'era. Ma qualcuno era stato lì e aveva rovistato in tutti i bauli. Guardó le orme sul pavimento polveroso in legno: erano state più persone. E c'era roba in giro, vecchi stracci, coperte, suppellettili. Tutto era rimestato e gettato nei bauli alla bell'e meglio. Avevano cercato furiosamente qualcosa. Qualcosa che non avevano trovato.

"...allora, Sam!! È lì?? La tua ragazza...Isadora...è lassù?" chiese Otto, che aveva pietosamente coperto gli occhi di Jemma con un fazzoletto.

"No." rispose lui, con un sospiro. Poi urló: "NO!"

"Allora c'è speranza che sia viva. Forza, scendi e cerchiamo qualcuno che ci aiuti a portare fuori questa povera donna. Mai vista una cosa del genere, in sessant'anni che vivo qui." disse l'uomo. "Le sue figlie...povere ragazze, chi glielo dirà?!"

"Ma chi puó essere stato? E' gente semplice, cosa c'era da rubare qui?!" si disperó Sam.

"Non è detto che sia stato un ladro. Non avrebbe usato tale e tanta ferocia." ragionó Otto, osservando la macchia rossa sulla parete. "L'hanno scaraventata addosso al muro. Doveva essere un uomo fortissimo."

Sam non riusciva a smettere di pensare a Isa. "Dov'è la mia fidanzata? Che cosa vuole fare con lei!" si lamentó. "L'ha rapita....quel maledetto, chiunque sia... l'ha rapita!"

"Non pensare  al peggio. Forse è scappata. Magari è nascosta nel bosco, terrorizzata. Dobbiamo organizzare le ricerche...e un funerale per la povera Jemma." disse Otto. 

Ma Isadora non era fuggita e non era in un bosco e non era sola.

🌺🌺🌺

Come detto, Sam non era molto intelligente.
Perché se lo fosse stato, gli sarebbe venuto in mente di cercare anche nella stalla.

La sua amata era lì. Ed era in compagnia.

Melthotiel l'aveva trascinata in quella piccola costruzione in legno dietro casa, che la famiglia Foley affittava da quattro anni e nella quale, in quel momento, c'era solo il loro calesse, e il cavallo, Goliath.

Furiosa per non aver trovato quello che cercava in casa, dopo aver obbligato una sconvolta Isa a rovistare ovunque, Melthotiel l'aveva spinta anche a cercare nella paglia umida della stalla, e perfino nella mangiatoia di Goliath. La ragazza era piombata in un limbo personale: incapace di realizzare la morte della madre, tentava di convincersi che fosse tutto un grande incubo. Era pericolosamente vicina a perdere il lume della ragione. Come un automa, aveva messo le sue belle mani delicate in ogni sudicio angolo della stalla, alla ricerca del misterioso diamante che quella cosa grigia con le orecchie appuntite e gli occhi di ghiaccio le aveva ordinato di cercare.  

La Strega l'aveva interrotta quando aveva sentito i passi di Sam all'ingresso. Afferrata Isa per i capelli biondi, le aveva premuto una mano ossuta sulla bocca, intimandole di non fiatare. E visto che c'era, aveva ordinato anche a Goliath di non azzardarsi a nitrire, in un bisbiglio incomprensibile, ma comprensibilissimo per un animale.

Isa mugolava disperata, nel tentativo di richiamare l'attenzione del fidanzato, ma si era quietata all'istante, quando Melthotiel aveva piantato un'unghia lunga e affilata sulla giugulare.

"Zitta, umana, non vogliamo che quel babbeo ci trovi, vero? È il tuo uomo?" aveva chiesto la Strega.

Isa aveva annuito.

"Allora...vuoi che il tuo uomo faccia la fine di tua madre?" aveva chiesto la Strega.

"N-n..." aveva mugolato Isadora.

"Allora sta' buona. Se quel tizio entra qui, i suoi giorni saranno finiti. Mi hai capito?" sibiló l'Elfa.

Isa fece sì con la testa.

Le due donne, Melthotiel e Isadora, avevano atteso che Sam e Otto trasportassero fuori il cadavere di Jemma, aiutati da un gruppo di uomini accorsi ai richiami del giovane. Si sentì Myrtle, la moglie di Otto, urlare alla vista del corpo della signora Foley.

Isa inizió a piangere. Stava realizzando che era tutto vero.

"Non è qui!" sbraitó infine la Strega, guardandosi intorno. "Non è nemmeno qui." Lasció andare la ragazza, che cadde bocconi a terra. "Eppure deve esserci...tu!" disse, rivolta alla giovane. "...tu mi tieni nascosto qualcosa!"

"No, lo giuro...io non so...non so niente!" singhiozzó la giovane Foley. "Basta...ti prego...vattene..."

"Hai una sorella?" ringhió la Strega, che aveva visto un ritratto di famiglia in casa. C'erano due ragazze, in quel quadro. "Dov'é?"

"È partita...non è qui. Lei non sa niente." rispose Isadora, ma poi un pensiero le attraversó la mente

(...tu disponi di qualche capitale... non so come ti sei procurata quei soldi ma sono certa che disponi di qualche capitale e che mamma c'entra qualcosa!)

veloce come una freccia, le sovvenne quella discussione con sua sorella, il giorno della sua partenza. Il suo viso assunse un'espressione consapevole e fin troppo rivelatrice. E se Heloise...

Melthotiel se ne accorse. L'afferró per un braccio e la obbligó ad alzarsi. "Dove è andata, tua sorella. Voglio saperlo."

"Isengard. Vuole andare a Isengard." disse Isadora, di getto. "Ma lei non ha niente, è partita senza un centesimo!"

"I tuoi occhi suggeriscono un'altra cosa. Ce l'ha lei, non è così?!" ringhió la Strega.

"No! Diamanti?? Heloise non andrebbe mai in giro con un diamante! E a me non ha detto niente!" provó a mentire Isa.

"A guardarti sembri un'oca. Neppure io ti direi niente, se custodissi un segreto. Ma io credo che la tua sorellina abbia ció che cerco. E allora, io adesso devo cercare lei." ribattè sarcastica Melthotiel. "E sai una cosa? Tu verrai con me."

"No!! Lasciala stare! Mia sorella non puó avere niente di tuo!" gridó Isadora.  "Lasciami in pace! Lasciaci in pace!! Hai ucciso nostra madre!"

Melthotiel le mise una mano sulla fronte ed Isa perse i sensi. Cadde come un sacco di patate a terra.

La Strega si chinó su di lei.

"E invece dovrai venire con me, stupida bionda. Devo usarti come ostaggio, capisci. Vedremo quanto è forte il tuo legame con la sorellina. Mi darà il diamante, o io mi prenderó la tua vita. E tu," disse guardando Goliath. "...preparati a un lungo viaggio. Isengard. La giovane vuole diventare una maga, allora. Sai che ti dico? Ne vedrà di stregonerie. Ne vedrà quante ne vuole."

Senza fatica, caricó il corpo inerme di Isa sulla groppa di Goliath e con un semplice gesto fece spalancare il portone della stalla. Poi salì sul dorso dell'animale. "Va' ora. Andiamo dal mio vecchio amico... quel maghetto da quattro soldi..." Goliath lasció andare un altissimo nitrito e si lanció sulla strada che conduceva a Sud. "...il caro Saruman."

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Fuga nella notte ***


Heloise era sveglia.

La notte prima che sua madre Jemma venisse barbaramente uccisa nel salotto della loro casa di Midlothian, la figlia più giovane rifletteva sul suo futuro.

Non aveva firmato quel contratto.

I Nani si erano addormentati nella casa dell'Hobbit Bilbo Baggins: qualcuno era sdraiato sul pavimento, Kili dormiva steso su un tavolo, suo fratello Fili su una grande cassapanca, Dwalin aveva preferito appoggiarsi a una delle pareti e dormire seduto, ronfando a più non posso. Gandalf si era rannicchiato accanto al camino ancora scoppiettante e si era velocemente assopito, con gli occhi aperti.

Thorin aveva preferito accomodarsi su una poltrona trascinata vicino a una delle finestre e da lì controllava il vialetto, ma la stanchezza aveva avuto la meglio e dopo un po' aveva chiuso gli occhi.

Bilbo si era ritirato in camera sua. Anche lui, senza firmare il suo accordo.

Le due pergamene erano state poggiate su un mobile, una bella scrivania in legno d'acero piena di libri e scartoffie.

Heloise non poteva prendere sonno. L'Hobbit si era offerto di cederle il suo letto, dato che era una donna, ma lei aveva deciso di rimanere seduta su una delle sediole di quella casa scavata nelle colline. In silenzio, ascoltava il russare dei Nani e i grilli fuori in giardino, e sentiva la sua coscienza in subbuglio per quello che stava capitando. Era come un martellante mal di testa, una tensione che non riusciva a soffocare.

E nella mente, udiva una voce insistente e molesta, che continuava a ripeterle: io non voglio. E' una cosa troppo grande per me e io non voglio.

Aveva mentito a Thorin. Aveva detto di avere un sogno, e che quel sogno poteva realizzarsi seguendo lui e la sua Compagnia. Aveva mentito a un principe, a uno dei Nani più nobili della Terra di Mezzo.

Convinta dall'autorità di Gandalf, aveva preso un impegno che non voleva davvero prendersi.

Continuava a riflettere sui possibili risvolti di quella decisione: seguire i Nani in un'avventura lunga e molto rischiosa fino a Nord Est, spostarsi a piedi lungo crostoni di montagna, lunghissime vallate, boschi intricati magari senza mangiare per giorni, senza bere, con i suoi piedi che si sarebbero presto piagati, facendo fronte alle mille scomodità della situazione.

I Nani erano Nani.

Erano avvezzi a una vita grama: per la maggior parte erano minatori, passavano la loro vita nelle caverne in cerca di diamanti, come diceva Balin, avevano "la scorza dura". Potevano uccidere un cinghiale e cibarsi della sua carne cotta su qualche brace improvvisata, senza pulirla, e bere acqua dai rivoletti nei boschi e pazienza se era la sporca e insalubre acqua piovana.

Ma lei era abituata a ben altra vita. E se si fosse presa qualche infezione e si fosse ammalata? E se non fosse riuscita a tenere il passo, come detto da Thorin, e fosse caduta in un crepaccio, o si fosse storta qualche caviglia nel superare una serie di rocce, o si fosse fatta male in qualche modo? Chi avrebbe pensato a lei?

Il Nano era stato chiaro: affari tuoi.

Ti ferisci camminando? Affari tuoi.

Ti perdi in una delle foreste che certamente attraverseremo? Affari tuoi.

Svieni di fame perché ti rifiuterai di mangiare funghi crudi, che magari saranno l'unico pasto disponibile? Affari tuoi.

Ti si geleranno i piedi quando attraverseremo i passi di montagna innevati? Affari tuoi.

Più pensava a quella conversazione, più sentiva il sangue ghiacciarsi e la pressione scendere sotto i piedi.

Helli era curiosa, ma non aveva un cuore di leone.

Le responsabilità. Il suo grande problema era affrontare le responsabilità. E poche ore prima se ne era presa una bella grossa. Una gigantesca, a voler essere precisi.

Si ricordò tutti i litigi avuti con Isadora sul concetto di responsabilità: lei che s'innervosiva da matti quando Isa la rimproverava per la poca serietà con cui affrontava la vita quotidiana. Perdersi nei sogni non ti servirà a niente, ti farà solo diventare una debole...

No, non aveva detto debole. Aveva detto: pavida.

E le sensazioni che sentiva in quei minuti conducevano tutte a un'unica, avvilente conclusione: Heloise Foley era una codarda. Cioè, stava rivelando un animo vigliacco. E vile, perché sentiva anche la voce dell'istinto che le suggeriva di mettersi il suo soprabito, prendere la sacca, uscire di soppiatto e piantare tutti in asso. Le suggeriva di liberarsi in fretta di quel diamante, di venderlo a qualcuno, e di prendersi quei soldi. Poteva chiedere meno di un milione.

Del resto, aveva calcolato di disporre di ottomila monete d'oro a dir tanto.

Poi, come programmato sarebbe andata a Isengard, avrebbe fatto domanda di ammissione entro i tempi prestabiliti e poi si sarebbe messa sotto a cercare un argomento per il suo saggio, da presentare prima dell'immatricolazione vera e propria.

I Draghi non erano un grande argomento. Si sapeva già quasi tutto: erano due famiglie, gli sputa-fuoco e gli sputa-ghiaccio. I primi, molto più pericolosi. E si isolavano, vivevano sui picchi delle montagne e in caverne remote, lontani da tutto. E allora, perché disturbare il can che dorme? I più famosi erano stati uccisi, e quel Smaug...beh cosa avrebbe potuto imparare da un serpentone rimasto sessant'anni sotto a un cumulo di monete? Poteva anche essere morto. Tutto quel viaggio, quella fatica, per trovare magari  solo la sua carcassa. Tempo perso.

Sì certo, restava il piccolo particolare di Thorin e della sua gente esiliata. Restava l'impegno con lui, che era soprattutto morale. Ma in fondo la loro idea originaria era di cavarsela da soli, lei si era intrufolata nella faccenda e solo casualmente aveva con sé un'arma che - forse - poteva essere utile alla loro impresa. Così diceva l'Istari. Sentiva soggezione totale verso Gandalf e si fidava delle sue parole.

Magari era vero che c'era una potentissima strega Elfo in giro e che non aveva intenzioni proprio simpatiche verso il resto degli abitanti di Arda. Era forse anche vero che quel gioiello apparteneva a lei e che aveva un potere sui Draghi. Era possibile anche che se non l'avesse trovato sarebbe impazzita ancora di più di rabbia e lungo il suo peregrinare avrebbe lasciato macerie e morte dietro di sè.

Ad Heloise Foley non passò neanche per la mente che Melthotiel avrebbe potuto andare a casa sua e cercarlo lì, nell'abitazione dell'uomo a cui l'aveva dato.

Heloise pensò solo che le intenzioni di una Strega elfica, coniuge di un Re Stregone sepolto e ammuffito, non erano affar suo e non lo era nemmeno il sogno di Thorin.

Lei era una ventenne del Minhiriath, con un progetto preciso in mente e senza vocazione per le avventure.

Capì allora cosa doveva fare, l'unica cosa che una come lei poteva fare, benché quella scelta l'avrebbe fatta marchiare come infame nelle menti dei Nani, e le avrebbe fatto perdere la stima di Gandalf. Non sarebbe stata una sorpresa per Thorin, che l'aveva inquadrata subito per quello che era. Il principe di Erebor avrebbe scosso la testa alla notizia della sua fuga l'indomani, e avrebbe mormorato un triste:  "lo sapevo..." .

Il più silenziosamente possibile, si mise quindi il mantello. Poi, afferrata la sacca, camminò sulle punte dei piedi fino alla porta di casa Baggins. Aveva anche pensato di lasciare una lettera, una breve spiegazione sul suo cambiamento d'idea, ma ritenne sarebbe stato patetico. Stava scappando, poche storie, e non c'era nient'altro da chiarire.

Che ti devo dire Gandalf...non siamo tutti eroi...pensò, osservando da lontano la sagoma dello Stregone, che dormiva accanto al camino. Perdonami.

Poi aprì pian piano la porta e uscì. Vide un pony nel giardino di un vicino di Bilbo. Era un cavallino da traino, lo capiva perché la sua spina dorsale era incurvata, segno del giogo. Era un pony da lavoro nei campi. Decise che si sarebbe trasformato in mezzo di trasporto.

Con cautela, aprì il cancelletto del giardino e condusse fuori l'animale, che si fece un po' tirare, ma poi obbedì. Quindi, montò agilmente sulla piccola groppa, e lo esortò a muoversi. Sapeva in che direzione andare: guardò in alto, verso l'Orsa Maggiore, che splendeva come non mai. A Sud, tenendo la costellazione come riferimento. Aveva anche una bussola nella sacca, dono di un marinaio a sua sorella, incontrato quando Isadora si divertiva a flirtare con tutti i maschi sotto ai quarant'anni che transitavano da Midlothian - e prima che raggiungesse la pace dei sensi con Sam Pontipack. Isa ovviamente non sapeva che farsene della bussola, così l'aveva data a lei, alla sorellina scienziata che passava ore a studiare le stelle.

Io ho un progetto. Mi dispiace Thorin, mi dispiace davvero. Credimi, continuava a dire a se stessa, come per trovare un balsamo ai suoi sensi di colpa. Ho troppo da rischiare. Mia madre non deve più fare la domestica, devo tornare da lei con i soldi. Io voglio vivere in pace. E' troppo pericoloso, è troppo, troppo rischioso.

Poi, prima che l'alba arrivasse e tutti i galli dei pollai degli Hobbit iniziassero a dare la sveglia al circondario, uscì dalla Contea.

Non poteva sapere che di lì a qualche ora, la signora Foley avrebbe detto definitivamente addio alla sua vita da domestica, e alla sua mera esistenza in quel mondo.

🌺🌺🌺

"Ha avuto paura." fu il commento di Gandalf all'alba, dopo che Kili gli ebbe riportato della fuga notturna dell'umana. "Forse ci siamo aspettati troppo da lei." mormorò, rattristato.

Kili era ancora più deluso. "Ma sembrava così in gamba..."

"E' giovane. Troppo giovane..." disse ancora Gandalf, guardando verso Thorin.

Il principe di Erebor aveva un'aria canzonatoria, e per niente sorpresa. "Noi Nani non siamo mai troppo giovani per rischiare le nostre vite, però." rispose. "Gli Uomini mortali sono codardi, figuriamoci le loro donne."

"Non dire così. C'è tanto coraggio negli Uomini." ribattè Gandalf.

"Come no." aggiunse Thorin. "Comunque, Gandalf, la tua idea brillante è andata a farsi benedire. Dovremo fare da soli, e odio dover dire che me l'ero aspettato."

"La questione è ben più grave, adesso. C'è una ragazza umana  che sta vagando sola con un oggetto d'immenso potere. E anche Melthotiel è in giro..." riflettè lo Stregone. "Se la trova sarà una catastrofe."

"...chi?" domandò Thorin.

Gandalf si accorse di aver detto troppo. "Nulla, lascia perdere. Ma non ci voleva questa."

"E' andata verso Isengard. Lo sai questo, vero?" chiese Thorin.

"Sì. La direzione opposta a quella che dovremmo prendere noi." rispose l'anziano mago.

"Non ho intenzione di andare a cercarla. Nè ho intenzione di implorare l'Hobbit perché venga con noi. Il contratto è là, non l'ha firmato nemmeno lui." disse Thorin, indicando l'ordinata scrivania di Baggins.

"Bilbo verrà con noi. Vedrai. Noi dobbiamo partire adesso. Lasciamolo qui, sistemate la sua casa, di' ai tuoi di ripulire e riordinare la cucina e poi andiamocene. Al suo risveglio, prenderà la decisione giusta." lo rassicurò Gandalf.

"Non ci credo, Stregone. Già una volta hai sbagliato previsione." lo gelò Thorin. "Io penso che dovremo contare solo su noi stessi, non possiamo sperare nell'aiuto di altre razze."

"Purtroppo invece avremo bisogno di aiuto. E anche Heloise. E' stata spinta dalla paura ad andarsene, ma è stata egualmente sconsiderata ad andarsene da sola. Dovrò informare Galadriel, dirle di mandare i suoi Elfi a cercarla. E a proteggerla." rifletté Gandalf.

"E perché? Per quel gioiello?" chiese Thorin. "E' davvero così pericoloso?"

"Oh sì, amico mio. Nelle mani sbagliate, può essere un vero flagello." spiegò Gandalf. "E non mi resta che sperare che Heloise non lo venda alla persona sbagliata. A qualcuno che...sotto mentite spoglie... si faccia passare per un compratore onesto." Un piccolo brivido, visibile al Nano, attraversò il suo fragile corpo da anziano.

"Thorin," disse Gandalf. "...non ci resta che sperare. Un solo Drago è già un problema di non poco conto per il nostro  mondo...ma due..."

"Ma di che stai parlando, adesso? C'è solo Smaug dentro Erebor. Quale altro Drago dovrebbe esserci?" chiese Thorin. "Tutti gli altri grandi Draghi del fuoco sono morti."

"...ne manca uno...che vive nelle Montagne Grigie. Un altro sputa fuoco. Feroce e spietato, e molto più grande di Smaug." rivelò Gandalf. "E' ancora vivo, lo so. E' lui che la Regina Strega sta cercando. E' lui il suo futuro strumento."

"Non comprendo ciò che dici. Ma d'ora in avanti dovrai dirmi tutto. Niente segreti." impose Thorin. "Non mi piace non vederci chiaro."

"Sì...hai ragione. Però bada bene, dovrai tenere per te ciò che ti racconterò. Non una parola con i tuoi compari." pretese Gandalf. "C'è un'altra storia che procede parallelamente alla vostra, benché le due siano in fondo unite."

Thorin non capiva i ragionamenti dello Stregone. Sapeva solo che in quella faccenda era entrata e uscita una ragazzetta mortale altezzosa e un po' saccente, e che quell'incontro rischiava di ingarbugliare ancora di più tutta la maledetta storia.

"Senti," disse, rivolto allo Stregone, "...noi ora ce ne andiamo. E se quell'Hobbit vuole seguirci, meglio che si svegli in fretta. Io ho l'impressione che tutto questo per voi sia un dannato gioco. Ma non lo è per me. Nè per i miei parenti. Non accetterò altre stupidaggini. Forza!" comandò ai suoi Nani. "...rimettete a posto questa tana per topi e prendete le vostre cose. Abbiamo già perso troppe ore qui."

Gandalf non osò replicare. Con Heloise aveva fatto un buco nell'acqua e anche bello profondo. Ma sapeva che  Bilbo non l'avrebbe deluso. Non il suo vecchio amico.

A quel punto, la sua preoccupazione era capire dove fosse la ragazza, e come evitare che lei  la trovasse. Chiuse gli occhi e si concentrò.

Subito nella mente gli apparvero gli imponenti e luminosi alberi di Caras Galadhon. 

Galadriel era già in ascolto.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Andriel ***


Andriel era concentrata sulla sua avversaria.

Il corpo teso, i muscoli rigidi nella foga del duello, i capelli biondi già madidi di sudore e il petto che si alzava e abbassava per sostenere il respiro ormai affannoso.

Eulalie la stava battendo. Una sonora lezione, le stava dando, altrochè.

E non era neanche la prima volta: Eulalie era una delle migliori spadaccine dell'esercito di Gran Burrone, talmente agile e precisa nei movimenti da essere diventata la punta di diamante della Compagnia di Nohmus, uno dei Comandanti. Nonché suo fratello.

Ed era anche fisicamente più dotata di Andriel, più alta di lei, più tonica, più snella. I capelli neri come pece elegantemente raccolti in una treccia, incorniciavano un viso dal bell'ovale definito. I suoi occhi castani erano ardenti come piccole braci.

Andriel l'aveva sfidata infinite volte e la maggior parte delle esercitazioni terminava con lei ridotta a chiedere la sospensione del duello. Ma non si rassegnava al pensiero: è più brava di me. Era tutta questione di concentrazione, e l'Elfa bionda era più che sicura che non riuscisse mai a mettercene abbastanza.

Per fortuna, le due erano amiche ed Eulalie accettava di buon grado di aiutare l'altra a migliorarsi.

Ma quel giovedì pomeriggio Andriel aveva buscato la lezione più dolorosa, con tanto di taglio all'avambraccio sinistro. La ferita sanguinava e pulsava.

"Direi che è finita qui." disse Eulalie, "...devi farti medicare, adesso."

"Non se ne parla." rispose Andriel, stringendo i denti dal dolore. " Vieni avanti, che ho ancora qualcosa da darti."

Eulalie rise forte. "Dici? Vedi, mi sa tanto che sono io quella ad avertene date un sacco e una sporta! Avanti, va' dal guaritore. Ti darò la rivincita un altro giorno...l'ennesima rivincita."

"Non ridere! Io posso continuare..." la esortò Andriel, che in realtà stava già barcollando dal dolore e dalla stanchezza.

"No." tagliò corto l'amica, gettando la spada a terra e avvicinandosi a lei. "Fammi vedere...è una ferita da non sottovalutare. S'infetterà se non ti fai curare."

Andriel abbassò la spada e sospirò di frustrazione. "Non è necessario interrompere il nostro allenamento...andiamo Eu..."

"Sembri una bambina capricciosa!" la prese in giro Eulalie. "Arriverà il momento in cui mi metterai al tappeto. Devi avere pazienza, sei ancora acerba come guerriera. Non dimenticare che io ho duemila anni di vita e di esperienza più di te."

"Elrond dice che sono già molto brava per la mia età, e che ho un grosso potenziale!" protestò l'altra. " Solo che, non diventerò mai una grande combattente se nessuno mi aiuta!"

"Quante volte ci siamo battute, io e te? Cento, duecento? Non dire che non ti voglio aiutare, per favore. Sai che è una bugia." rispose Eulalie con un sorriso, fasciandole il braccio con la sua fusciacca.

"Andriel!" esclamò una voce autoritaria che le due Elfe conoscevano bene. Entrambe scattarono sull'attenti.

Nohmus comparve dal nulla, nella sua uniforme nera come i suoi lunghissimi capelli. Gli occhi scuri e penetranti già strizzati in una smorfia di rimprovero.

"Agli ordini!" dissero all'unisono le due ragazze.

L'Elfo si avvicinò alla bionda, osservando la ferita. "Cos'è successo?" chiese, pur conoscendo la risposta. Un'altra volta. Andriel aveva sfidato Eulalie un'altra maledetta volta, nonostante le avesse vietato di battersi con lei. Era cocciuta, quella piccola ribelle. Non poteva reggere il confronto con una delle guerriere più letali del loro esercito e lo sapeva, tuttavia non resisteva alla tentazione di mettersi alla prova e puntualmente ne usciva malconcia.

"Quale parte dell'ordine non ti è chiaro, Soldato? Non ti avevo vietato di esercitarti con Eulalie? Non ti avevo esortato ad allenarti con avversari alla tua portata? Tu non sei ancora al suo livello." la rimproverò Nohmus. Poi si voltò verso Eulalie, che teneva gli occhi bassi. Sarebbe toccata a lei la lavata di capo, adesso. "E tu... mi avevi promesso che non l'avresti più assecondata. Hai disobbedito, e questo mi addolora."

"Perdonate, Comandante. L'ho fatto per amicizia. Ma d'ora in poi..." replicò la guerriera.

"Amicizia... devo ricordarti che non ci sono amici nell'esercito? Solo compagni d'armi. E ferire una delle nostre spadaccine proprio adesso che il nostro schieramento è già decimato è incredibilmente irresponsabile." la riprese Nohmus.

Le due stettero in silenzio, a subire i rimproveri. Di solito si allenavano di nascosto per sfuggire al controllo di Nohmus, che aveva occhi acuti come quelli di un falco, ma quel giovedì Andriel aveva avuto la geniale pensata di battersi in uno spiazzo sotto al sole, per godersi quei caldi raggi sul viso. Sotto gli occhi di tutti.

"...comunque, ti stavo cercando perché Lord Elrond deve parlarti." spiegò Nohmus all'Elfa bionda. "Va' da lui. Pare sia urgente. E dopo, fatti curare quello sbrego sul braccio. Muoviti!"

Andriel non se lo fece ripetere due volte e scattò verso la parte più popolosa di Gran Burrone, reggendosi il braccio.

Nohmus si girò vero Eulalie, con l'espressione corrucciata ma anche un po' curiosa. "Allora, come la trovi?"

"Fenomenale per la sua età. E' ancora un po' irruente, non riflette mentre combatte, usa l'istinto e non ha ancora i nervi saldi. Per questo ha abbassato la guardia e l'ho ferita. Ma non ha paura di niente, ha cuore e grinta. Può diventare anche più brava di me, fra qualche anno." disse Eulalie.

"Tu credi?" rispose Nohmus con un sorrisetto. "Ciò significa che il tuo posto di Comandante in seconda delle nostre coorti è minacciato. Sai che la tua promozione è prossima."

"Non mi stupirebbe se ci riuscisse lei prima di me. È tenace, fratello." ribattè Eulalie.

"Elrond ha grandiose aspettative su quella giovane Elfa. Mi auguro che non lo deluda." aggiunse Nohmus, osservando i salici mossi dal vento. "E ricorda che la nostra parentela non significa niente nell'esercito. Non chiamarmi fratello."

"Ma non c'è nessuno qui..." protestó Eulalie, che si beccó di rimando un'occhiataccia di Nohmus. "Ufff. Beh, Elrond crede in lei, è vero. L'ha addestrata lui, in persona. Le ha insegnato tutti i poteri curativi che conosce. Le ha insegnato a battersi con il bastone, arma in cui è davvero la migliore fra tutti noi. L'ha presa sotto la sua ala protettiva da quando è arrivata qui. Sono sicura che diventerà una grande guerriera." continuó Eulalie.

"Già...ma vedo in lei poca predisposizione agli studi. Elrond insiste perché impari la storia e i miti del nostro popolo, ma non pare applicarsi. E' già una buona maga, ma rifiuta di diventare erudita. E tu sai che qui a Gran Burrone l'intelletto è quasi più apprezzato che l'abilità in battaglia." rispose Nohmus. "Tu sei sua amica, dici. Dovresti allora capire di cosa ha davvero bisogno. Aiutala a migliorarsi in tutto, prima che nell'uso della spada, nell'uso della mente. Solo dopo, sarà davvero pronta ad avvicinarsi a te."

"Sarà fatto, Comandante." assicurò Eulalie, chinando il capo.

🌺🌺🌺

Elrond osservava sua figlia Arwen giocare con le bamboline di stoffa in camera sua. Le aveva buttate tutte all'aria dopo averle tolte dal baule, e come sempre si divertiva a sciogliere i nastri dei loro capelli stopposi e rifare le acconciature. Freya, la donna Elfo che si prendeva cura di lei, la osservava con aria dolce e di tanto in tanto leggeva il suo libro, seduta su un sofa della cameretta regale.

Gli mancava moltissimo sua moglie, ma non più di quanto mancasse ad Arwen una madre.

Sentì qualcuno schiarirsi la gola dietro di lui. Si girò.

"Andriel!" la salutò il Signore di Imladris.

"Lord Elrond, mi avete fatta chiamare." replicò lei, chinando il capo.

Lo sguardo dell'Elfo scese sulla fasciatura. "Un'altra esercitazione finita male con Eulalie?"

Lei annuì, un po' a disagio.

"Non dovresti, lo sai. Farete ammattire il povero Nohmus. Vieni qui." la esortò lui. "Osserva."

L'Elfa si avvicinò e sbirciò nella bella camera della principessina.

"Non trovi che somigli straordinariamente a Aerin?" chiese Elrond, parlando della seconda moglie umana. La sua amatissima, e defunta, sposa mortale.

"Sì, ha i suoi occhi. E i suoi capelli." confermò Andriel. "E' davvero bellissima."

"Già, ed è molto sveglia sai? Pensa ieri mi ha chiesto perché il sole nasce e tramonta. Continuava a farmi domande sulle stagioni e sul perché in inverno c'è la neve e d'estate fa così caldo. Abbiamo parlato per un'ora." rispose Elrond divertito.

"Diventerà senz'altro saggia e colta come voi." disse Andriel.

"Quello che ti rifiuti di essere tu, insomma." la rimbeccò Elrond.

L'Elfa bionda s'irrigidì. Aveva già subito un rimprovero da Nohmus, non poteva sopportare una seconda paternale da Elrond.

"...mi riferiscono che i libri in camera tua prendono polvere." disse infatti il nobile Elfo. "Ti annoia lo studio?"

"No, è che non ci sono portata. Cioè, io leggo e rileggo i saggi sulla nostra storia e sulle nostre tradizioni, ma non mi sembrano importanti. Insomma, io sono una maga, mi intendo di Natura, di magia, di erbe curative. E combatto. A che mi serve il resto?" osò dire.

"Andriel, la storia è la base del sapere, sono le nostre radici. Comprendere perché certe cose sono successe e il punto di partenza per affrontare il presente. Mi dispiace saperti così pigra." la sgridò Elrond.

L'Elfa si sentì in imbarazzo. "Come desiderate, mi applicherò di più. Da stasera." promise comunque.

"Non c'è tempo, ora. Non ti ho convocata per parlare della tua erudizione." disse Elrond, avvicinandosi a lei. Le prese delicatamente il braccio fasciato fra le mani. Subito un'intensa aura di luce si sprigionò attorno all'arto ferito di Andriel, che gemette. Faceva un po' male. Ma non appena Elrond ebbe lasciato la presa, non sentì più nulla.

Tolse la fasciatura e vide che l'avambraccio era tornato candido e sano. La ferita era svanita.

"Grazie, mio Signore." disse l'Elfa.

"Lo sapresti fare anche tu, vero?" chiese lui.

"Certo. Mi avete insegnato tutto sull'arte della guarigione." confermò l'Elfa.

"Ottimo. Dovrai fare tesoro di ciò che ti ho trasmesso. Perché ho una missione per te." le annunciò Elrond, sedendosi alla sua grande scrivania. Erano andati entrambi nella sala dei consigli.

Andriel si stupì. "Una missione, per me?" chiese. "Non sono mai andata in missione da sola."

"Non avrai paura spero." ribatté Elrond. "Ritengo sia giunto il momento di metterti alla prova. E' tutto sommato facile come lavoro." Poi indicò una sedia. "Accomodati, ora. E ascolta."

Andriel si sedette alla scivania. "Allora, di cosa si tratta?"

"Abbiamo un problema. Dama Galadriel si è messa in contatto psichico con Mithrandir, lo Stregone grigio, e poi con me. Dobbiamo trovare una ragazza umana che si sta dirigendo verso Isengard. Ha un progetto, vuole diventare una maga, vuole frequentare la scuola per Stregoni all'interno della Torre d'Orthanc. È simile a te, pare." sorrise Elrond. "Ma non puó badare a se stessa, non sa combattere. Purtroppo, ha con sè un oggetto molto, molto pericoloso. Gandalf teme che la donna non si renda pienamente conto del pericolo, anche se gliel'ha spiegato." esordì Elrond.

"Questi mortali..." scosse il capo l'Elfa.

"Esatto. E' ingenua e soprattutto indifesa. Tu devi trovarla e condurla qui, o nel Lòrien. Deve essere al più presto messa al sicuro. Galadriel vuole qualcuno di assoluta fiducia." spiegò Elrond.

"Perché non manda uno dei suoi, allora?" chiese Andriel.

"Vuole una guerriera femmina. E giovane. La ragazza è spaventata, non si fiderebbe di un gruppo di Elfi maschi tutti armati. E' già scappata da Mithrandir e da una Compagnia di Nani. Un Elfo femmina come te, ha un aspetto più rassicurante. Vi intenderete, del resto se tu fossi una mortale avresti circa vent'anni, come lei. Andriel, ascolta," continuò Elrond. "...è di vitale importanza che l'umana si fidi di te, che ti segua. Capisci?"

"E' tutto chiaro. Ma cos'è quell'oggetto?" volle sapere Andriel.

"Preferisco non dirtelo. Devi solo preoccuparti di rintracciare la ragazza e portarla a me o a Galadriel. E' probabile che sia ferita, nessuno sa cosa le stia succedendo in questi minuti. E' utile che tu possegga poteri curativi." terminò l'Elfo. "...allora: mi posso fidare?"

"Farò del mio meglio. Lo giuro." accettò lei.

"Ne sono certo. La donna proviene dalla Contea degli Hobbit, è diretta verso Isengard; dovrai tentare di intercettarla prima. E sappi che qualcun altro è sulle sue tracce." Elrond si fece improvvisamente serio. "Uno della tua razza, un Elfo femmina dei Noldor. Che ora, non è più nemmeno degno di essere chiamato Elfo. Sta' attenta, Andriel, un grandissimo nemico è sulla tua via. Galadriel sente che è ancora lontana dalla mortale, ma la sta cercando. Trovala prima di quell'essere."

"Chi è, posso saperlo?" chiese lei, preoccupata.

"Una Strega, un vera Strega. Tu hai imparato il lato luminoso e buono della magia, lei è padrona solo delle arti oscure. Ma i tuoi poteri, ciò che ti ho insegnato, proteggeranno sia la ragazza che te. Perciò affrettati, devi assolutamente raggiungerla prima di...beh, di quella creatura maledetta." la esortò Elrond.

"Va bene, prendo le mappe e parto all'stante. Ci riuscirò, vedrete." disse Andriel, cercando di tenere a bada l'ansia di quella che era la sua prima missione seria. Un banco di prova di tutto rispetto.

"Non perdere tempo, quando la trovi. Conducila al sicuro." si raccomandò l'Elfo. "...e se vorrà mostrarti l'oggetto che custodisce, tu dille di metterlo via. Non toccarlo mai. Mi hai capito? Mai."

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Farin ***


Passato un giorno dalla sua fuga da Hobbiville, Heloise era riuscita a fare solo quaranta miglia, prima che quel pigro pony dei campi si arrendesse alla stanchezza.

Erano entrati nel bosco Cet, a nord - est della cittadina di Brea. Mancava poco ad arrivare all'insediamento di Arceto, un altro villaggio che sorgeva tra i suoi alberi. Ma il cavallo non ne volle sapere di fare mezzo metro in più e si immobilizzò proprio vicino a un ruscello. Diverse piante di ficus ornavano le sponde.

Erano quasi le sei di sera, Helli lo capiva dall'ombra degli arbusti sul terreno. Si era fermata un paio d'ore durante il tragitto, per provare a dormire un pochino, ma era riuscita ad assopirsi solo qualche minuto. Le faceva male la testa dal sonno accumulato. Non desiderava altro che trovare una brava anima disposta a darle un letto decente e chissà, magari anche un bel po' di grana per il suo gioiello.

"Avanti, bestiaccia, non fermarti adesso!" comandò al cavallino, che non si mosse. "Voglio arrivare ad Arceto, dalle mappe manca poco."

Ma il pony sembrava risoluto a non procedere. Helli sospirò, e smontò. "Dormirò all'aperto anche stasera." si sorprese a brontolare. " E non c'è neanche una caverna, un riparo... "

Si avvicinò al ruscello, per riempire la sua borraccia d'acqua, ormai vuota. Passando vicino ai ficus, notò uno strano fenomeno: sul terriccio bruno c'era una lunghissima fila di formiche indaffarate. Subito Helli si rannicchiò a terra, affascinata. Adorava osservare gli insetti, in special modo le formiche. Le considerava straordinariamente intelligenti. Una volta ci aveva addirittura provato, a costruire il suo formicaio personale. Un'intera comunità di formiche rosse, che Helli riteneva fossero le più aggressive di tutta la loro specie e che voleva studiare. Aveva costruito con diverse listarelle di legno una sorta di rudimentale recinto in camera sua e di Isa, e l'aveva riempito di terra, e aveva poi raccolto una decina di formiche rosse e le aveva posizionate sulla cima del cumulo, per vedere cosa avrebbero fatto.

Ci avevano messo poco a scavare cuniculi e a dar vita alla loro micro società. Un esperimento che Helli aveva portato avanti con dedizione e attenzione, e che era fallito miseramente quando le formiche, stufe della costrizione in quel recinto, avevano pensato di esplorare l'universo circostante e si erano arrampicate sul letto di Isa nottetempo, per poi infilarsi sotto le coperte. Quello che era successo dopo, facile immaginarlo: sua sorella si era destata bruscamente all'alba con una miriade di punturine rosse su tutto il corpo, e aveva iniziato a gridare e a piangere. La loro madre era corsa in camera con una scopa e aveva gettato tutto il formicaio di Helli in una sacca di juta e, una volta portata in cortile, le aveva dato fuoco. Con essa, anche le lenzuola del letto di Isadora.

Heloise si era domandata perché le formiche avessero preso di mira la sorella e non lei, e aveva trovato la risposta in quell'unguento alla vaniglia di cui Isa si cospargeva dopo il bagno. Attratte dal profumo, avevano invaso il letto.

Naturalmente, la conseguenza immediata era stata una dura sgridata da sua madre, e il divieto di entrare in camera per un mese. Si era rassegnata a dormire sul divano, ma aveva anche scoperto qualcosa in più su quegli insetti così straordinariamente sociali: avevano il senso dell'olfatto.

Quel piccolo esperimento in casa sua, comunque, impallidiva rispetto alla scena che Heloise si trovò ad osservare sulle rive di quel ruscello.

Le formiche stavolta erano nere, e più grandi del normale. C'era tutta un'organizzazione: due lunghissime file univano il formicaio - che Helli individuò sotto a un masso, a tre metri di distanza - a uno dei tronchi dei ficus. Una fila, quella che tornava alla loro tana, era interamente composta da formiche operaie, che reggevano tra le tenaglie piccoli pezzi verdi di foglie. Avvicinandosi, vide che sul tronco e fra i rami ce n'erano molte altre: alcune erano addette al taglio delle foglioline, altre, a terra, raccoglievano i pezzi caduti e li portavano via. Ma l'aspetto più straordinario era la presenza di formiche guardiane: riconoscibili perché sul piccolo capo avevano una striscia grigia. Queste stavano nel mezzo delle due colonne di operaie e controllavano il traffico, e quando si formavano ingorghi per via del movimento continuo, spingevano le operaie e le riportavano in formazione. A un certo punto, una delle formiche fece chissà cosa di sbagliato, e venne obbligate dalle guardiane a uscire dalla fila; venne successivamente fatta a pezzi dalle altre. Le due guardiane poi fecero uscire un'altra operaia e la obbligarono a sotterrare i resti della prima.

Helli non riusciva a crederci. "E' assurdo..." mormorò. Sarebbe rimasta ore ad osservare quella straordinaria macchina industriosa, quando un suono alto e prolungato la fece sussultare. Anche il pony s'innervosì.

Riconobbe quel verso. Era un gallo di bosco, anche detto hocco*. Era strano che ce ne fosse uno così vicino, poichè avevano paura degli uomini e preferivano nascondersi nelle sterpaglie. L'intensità del suo richiamo le suggerì che era vicinissimo. Forse era intrappolato.

Si decise a cercarlo.

Non ci mise molto a trovare lo sfortunato uccello: era in effetti caduto in una trappola, una rete che era stata posizionata fra i rami, e nella quale le sue ali si erano impigliate. Stava anche rischiando di morire strangolato, perché la testa era stretta dalle maglie. Helli aveva con sé un piccolo pugnale, e si avvicinò con l'idea di tagliare la rete, ma l'hocco gridò spaventato. Un grido che avrebbe potuto attrarre qualcuno, magari il cacciatore che aveva messo lì la trappola, e la cosa era rischiosa: trovarsi sola in un bosco con un uomo, all'imbrunire, poteva avere risvolti non proprio gradevoli, per una ragazza. Tentò di calmare l'animale.

"No! Ora sta' buono, eh...sta' buono che ti aiuto..." gli sussurrò, tagliando una delle corde di quella spessa rete. Ma il volatile iniziò ad agitarsi sempre di più e a gridare temendo forse di venire sgozzato, finché il suo peso non fece cadere la rete. Finì a terra, e iniziò subito a dimenarsi.

"Fermo, stai fermo..." disse Helli spazientita, e finalmente riuscì a sciogliere tutta la rete. L'hocco allungò il collo per darle una beccata, e per un soffio non la prese. "Bella gratitudine, amico!"

"Ma si può sapere cosa stai facendo!" sbottò qualcuno, dal fitto del bosco. Helli si guardò intorno spaventata. Era una voce maschile e parecchio burbera. Le venne in mente Dwalin. "La mia cena...la mia ceeeena!" imprecò l'individuo misterioso. "Ci ho messo tre giorni a catturarne uno, razza di stupida!"

"Chi è?! Chi c'è?!" gridò Heloise.

Dai cespugli apparve un Nano.

Più alto e più magro rispetto a Thorin e ai suoi compagni, ma sempre un Nano. E sembrava piuttosto vecchio: non aveva capelli bianchi come Balin, ma rughe profonde solcavano il suo viso. Aveva una lunga barba rossiccia e composta a treccia. Non indossava elmi né corazze, ma si vedeva che era, o era stato, un guerriero.

L'hocco, nel frattempo, scappò via di gran carriera, zompettando sul terreno. Helli immaginò che si fosse rotto un'ala.

"Ecco! Un'altra serata a mangiare radici!" si lamentò di nuovo il Nano. "Chi sei? Perché hai liberato quel gallo?!" disse, rivolto a Heloise.

"Scusatemi, veramente scusatemi...non sapevo." balbettò lei, arretrando un po'. Il Nano era armato di una piccola ascia. "Ho sentito il richiamo, credevo fosse rimasto intrappolato... "

"Ma certo che era intrappolato! Ho messo lì apposta questa rete..." rispose il Nano, raccogliendo da terra quella matassa ingarbugliata. "...e me l'hai anche fatta a pezzi!"

"Io non sapevo fosse la vostra cena, davvero." tentò di scusarsi lei.

"Comunque quella bestia non andrà lontano...si è ferita. E' spacciato. La sua carcassa se la mangerà qualche faina! E io a bocca asciutta! Bah." brontolò il Nano. "Che stupida..."

Heloise non sapeva come rimediare. "Posso fare qualcosa?... cioè...magari posso aiutarvi a raccogliere radici, o frutti. Anche io ho fame. Dovrò dormire qui, stanotte." gli disse. "Sono diretta ad Arceto."

"Arceto? No, non ci andrei se fossi in te." ribatté il Nano.

"Cosa volete dire?" s'informó Helli.

"Quella cittadina è in un gran brutto momento, sono in carestia. Non troverai niente lì, solo gente disperata." borbottò il Nano. "Ci sono passato ieri."

Lei sospirò. "Accidenti, speravo di fermarmi da loro almeno un giorno." disse. "...perdonate, non mi sono presentata: mi chiamo Heloise Foley."

"E che diavolo mi importa?" rispose il Nano.

L'umana rimase interdetta. "Beh, credo sia almeno cortese presentarsi. Ma dimenticavo che voi Nani non siete avvezzi alle cortesie."

"Per ora tu sei solo quella che mi ha fatto perdere un gallo bello grasso ...che sarebbe finito arrosto. Dopo tre giorni in cui mi sto cibando solo di cicoria come un coniglio! Ah!" il Nano sentì lo stomaco brontolare. "...magari trovassi un coniglio, o una lepre!"

"Vi ho detto che sono dispiaciuta. E comunque uccidere un hocco è un gran peccato. Un crimine, quasi." disse la ragazza.

"Cosa? E perché?" chiese il Nano, preparandosi ad accendere un falò. "...e farai meglio almeno a procurarmi dei rami secchi, se altro non sai fare, donna."

Heloise tenne a bada il nervosismo. Aveva appena scaricato tredici Nani sgarbati ed era incappata in un altro, forse ancora più antipatico.

"...perché gli hocco, o galli di bosco, sono animali molto utili, e rari. Sapete che se un hocco viene catturato e messo in un pollaio, diventa subito il protettore del pollaio? L'ho letto su un libro. Proprio così: si mette a sorvegliare le galline, riesce a contare quante sono e quando una di loro scappa la rincorre e la obbliga e tornare nel recinto. Non solo: quando vede un rapace in cielo, un aquila o un falco, fa nascondere tutte le galline e lo affronta da solo. Non abbandona mai più il pollaio. E voi stavate per arrostire una bestia così straordinaria!" raccontò Helli. "...liberarlo era il minimo."

"Tanto quello è già a terra agonizzante, con un'ala rotta, probabilmente. Il tuo intervento è stato inutile." la gelò il Nano. "Farin."

"Come?!" chiese lei.

"Mi chiamo Farin**. Molto poco lieto di conoscerti, cara." disse lui.

🌺🌺🌺

Farin si dimostrò comunque più generoso di quanto Helli si sarebbe aspettata. Le permise di accovacciarsi accanto al fuoco e di consumare quel po' di frutta che aveva recuperato nei giorni precedenti.

Una cosa che la donna stava imparando sui Nani, era che erano ostici e ruvidi nei modi, ma erano onesti e avevano un animo tutto sommato buono. Però, era strano vedere un Nano vivere in solitudine. Come popolo, erano molto uniti ai ceppi famigliari e alle loro comunità.

Decise di approfondire.

"Perché sei qui, cioè qui solo in questo bosco?" chiese, dandogli del tu.

"Non vivo qui. Sono di passaggio. Vengo dal Dunland." rispose Farin, ingurgitando una mela quasi intera. "Un territorio vicino alle Montagne Nebbiose."

"La tua gente vive lì?" chiese lei. La serata era fredda, ma il fuoco della brace riscaldava entrambi. Helli aveva già le guance rosse, anche perché Farin le aveva offerto un po' della sua birra, e si sentiva vagamente brilla.

"No. La mia gente, quello che ne resta, vive sui Monti Azzurri. Solo io e il mio Re siamo scappati nel Dunland. Ed ora è sparito anche lui." raccontò il Nano.

Helli si ricordò di Thorin. "Vuoi dire che anche tu vieni da Erebor?" chiese.

Farin si girò a guardarla sorpreso. "Che significa anche tu? Chi altro hai incontrato?"

Heloise non sapeva se dirgli dei Nani incontrati a casa Baggins. Erano in missione segreta, così le avevano spiegato, e raccontare a Farin del loro incontro poteva essere sbagliato. Si era già cacciata in una situazione potenzialmente pericolosa e ne era uscita per il rotto della cuffia.

Optò per una sana menzogna.

"...beh io vengo dal Minhirath. Qualche Nano è passato dalle nostre parti, per acquistare prodotti della terra. Hanno raccontato alla mia gente la vostra storia. Ho saputo che c'è stato un grande esodo dalla Montagna Solitaria." disse lei.

"Menti." rispose Farin, guardandola storto. "La stirpe di Durin si è interamente spostata a Nord Ovest, Thorin Scudodiquercia incluso. Il figlio di Re Thrain."

Helli ripetè. "No, è vero... so che un Drago ha invaso la vostra patria. E che ha combinato un sacco di guai lì dentro."

Farin si alzò in piedi. "Un sacco...di guai? La mia gente è morta. Io ero lì. Per caso non venni investito dalle sue fiamme. Mia moglie non fu altrettanto fortunata."

Helli si dispiacque. "E' terribile, lo so." Pensò al gioiello che teneva nella sacca. L'oggetto che aveva dato inizio a quello sterminio.

"Ma che vuoi saperne, tu?" sbottò Farin. "Io ero il più valoroso dei guerrieri di re Thrain. Il più coraggioso. Ma non riuscii a far niente di fronte a quel mostro. Non esiste maledizione, in nanico, elfico, o lingua comune che io possa usare per quel...Smaug." disse, stringendo i denti dalla rabbia. "Morirò senza rivedere la Montagna libera. Lo so."

La ragazza non osò dirgli del piano di Thorin e degli altri. Provò comunque a consolarlo. "Beh, questo non è detto. Forse il Drago non è più nemmeno in vita. Io credo che Eru non possa permettere un simile abominio. Cioè, gli dèi troveranno il modo di ridarvi la vostra casa."

Farin sorrise, con una punta di amarezza. "Non ci spero più, cara ragazza. Il mondo sta per cadere in mano agli Uomini. E gli Uomini hanno dimostrato già una volta la loro debolezza. La tua gente consegnerà il mondo a Sauron, che si servirà dei Draghi, fino a quando tutto non sarà ridotto in cenere. Allora avrà vinto."

"Ma perché dici questo..." disse Helli, tremando un po'.

"Sto andando a Nord. Sto andando verso le Montagne Grigie. Dicono che un'altra bestia viva lì. Anche più feroce di Smaug. Devo ucciderla prima che possa venire usata per fare altro male. Anche se sono vecchio, anche se non ho più l'energia di un tempo. Ma se devo morire, morirò provando a difendere questo mondo." rivelò Farin. "Con la morte di mia moglie, comunque, nulla mi tiene più ancorato a questa vita."

Heloise rimase a bocca aperta. "Vorresti uccidere un Drago enorme da solo? Non mi sembra...possibile...ecco..."

"Sì, un modo c'è. Bisogna colpirlo al cuore. Un colpo profondo, che riesca a oltrepassare le sue scaglie. Ne basta uno." disse Farin, infervorandosi. "E io ero il più bravo nel combattimento ravvicinato. Il più letale, nel maneggiare una lancia."

L'umana osò obiettare. "Ma, ciò presuppone che tu debba avvicinarti. Come pensi di fare?"

Il Nano non aveva sentito, perso nelle sue fantasie di vendetta. "Non una di quelle bestie rimarrà viva..." mormorò fra sè.

"...come pensi di avvicinarti?" chiese di nuovo lei.

Farin si risvegliò dal sogno a occhi aperti. "Eh? Non lo so." rispose semplicemente.

"Non lo sai?" ripetè Helli. Dopo aver combinato quasi niente nella sua breve vita, aveva pensato delle volte di essere nient'altro che una sconclusionata, come diceva Isa. Ma quel Farin la batteva alla grande.  Andare da solo a uccidere un Drago. Roba da matti.   "Senti...perché non ci mettiamo a dormire?" propose.

"E tu dove sei diretta, se posso sapere? Non me l'hai detto." indagò il Nano, per niente in vena di dormire.

"A Isengard. Voglio diventare una scienziata, un' esperta di pozioni e..." iniziò a spiegare, ma Farin scoppiò in un riso forsennato.

Helli si zittì, offesa.

"Una cheee?!!" riuscì a dire fra le risate. "Non ti basterà intenderti di galli di bosco e di formiche per entrare nel circolo di Saruman! Quel vecchio stregone vede le donne come fumo negli occhi, si dice!"

"Non ho intenzione di subire il tuo sarcasmo. Ho sonno. Domattina ci saluteremo. Ora vorrei dormire, scusa." tagliò corto Helli, sistemando la sua sacca a mo' di cuscino e stendendosi. Il mantello le servì da coperta. "Posso fidarmi di te, spero."

"Fidarti in che senso?" chiese Farin, asciugandosi una lacrima sgorgata per il troppo ridere.

"Non mi salterai addosso mentre dormo, vero?" rispose lei. Ma sapeva che era una domanda inutile, quel Nano sembrava un tipo corretto.

"Ti piacerebbe." ribattè lui, divertito. "Dormi tranquilla, umana. Ho chiuso con certi sollazzi."

"Va' all'inferno." sussurrò lei sottovoce. Si girò su un fianco, e poi lasciò che la notte l'avvolgesse come un abbraccio.

⬇️⬇️⬇️

*Questo capitolo è in parte ispirato dal romanzo Papillon di Henri Charrière (es. descrizione formicaio, e incontro con un gallo di bosco)
** Il personaggio di Farin, in origine, è il nonno di Balin, Dwalin, Oin, Gloin. Nella mia storia questa parentela non c'é.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Eradan ***


Il villaggio di Arceto era un luogo desolato e spento.

Nonostante i suggerimenti di Farin, Heloise aveva  deciso di raggiungere quel paesello di contadini, anche perché si trovava lungo il percorso che attraversava il Bosco Cet: cercare una via alternativa avrebbe significato camminare fino a chissà quanto. Anzi, deviando l’itinerario poteva finire entro i confini della città di Brea, che la ragazza voleva evitare a tutti i costi. Si diceva che Brea fosse piena di ladri e gente da cui guardarsi le spalle, e non era davvero il caso di andar fin lì sola e con una pietra preziosa nella sacca. Se doveva elemosinare del cibo e un letto, meglio farlo fra gente povera, che non fra delinquenti.

Il Nano le aveva dato il buongiorno con un grugnito, quel mattino, e quando Helli gli aveva chiesto indicazioni per trovare la bottega di un orafo o di un qualsiasi commerciante ricco abbastanza da fare un grosso investimento, Farin aveva preteso di sapere di più. La ragazza però non aveva rivelato nulla riguardo al gioiello, si era limitata a ringraziarlo per la frutta e per averle permesso di dormire accanto al fuoco e si era definitivamente allontanata. Gli aveva anche augurato buona fortuna per la sua missione impossibile alla ricerca del Drago misterioso.

Comprese gli ammonimenti del suo nuovo amico solo quando incrociò i primi abitanti di Arceto. 

Era gente che sembrava aver perso tutto. Parevano sopravvissuti a un saccheggio, a una guerra. Notò che non c'erano animali in giro, i soliti animali da fattoria che spesso venivano lasciati liberi nei villaggi: oche, galline, muli. Nulla. C'erano solo gruppi di spauriti umani, vestiti di stracci, e con gli occhi spiritati e circondati da brune occhiaie. Heloise avvertì una spiacevolissima sensazione. Alcuni ragazzini la spiavano da dietro un muro.

Vide una donna. Era in piedi vicino a una pompa manuale per l'acqua, costruita vicino a un vecchio pozzo. Non si capiva bene dove stesse guardando, era di sicuro  immersa in pensieri privati e dolorosi.

La ragazza si avvicinò, tirando il pony per le briglie. "Signora..." provò a dirle. "...scusate, signora?"

La donna si girò pian piano a osservarla. Era spettinata, e sembrava giovane. Non era smunta come gli altri, segno che aveva provviste da qualche parte.

"Cerco del cibo e un posto in cui passare la notte. Potete indicarmi una locanda per stasera? Se ce n'è una qui?" osò chiedere Helli, non molto sicura del senso della sua domanda. Una locanda in un postaccio del genere?  Immaginò la risposta, che difatti arrivò impietosa.

"Non ci sono locande né taverne. Ma io ho scorte di cibo." rispose la donna. Helli sorrise, mentre un po' di speranza si fece largo dentro di lei. "... se ti dico dove tengo le provviste, tu non lo vai a dire in giro, vero?" farfugliò la donna.

"Assolutamente no! Ve lo giuro!" rispose Helli, alzando una mano in segno di promessa.

"Io avevo molto cibo, per me e per Angus. Il mio bambino. Adesso mi è rimasto il latte." continuò la donna. "Latte ne ho, sì."

Helli si era aspettata qualcosa di più. Del pane, magari un po' di formaggio. Ma decise che  anche un po' di latte andava bene, in fondo non aveva neanche monete con cui pagare. "Va bene. Vi ringrazio." rispose.

A quel punto, la donna iniziò a slacciarsi la camicia nera e sgualcita. Mostrò un seno nudo, e gonfio. "Questo era per Angus. Ma me l'hanno ucciso, il mio bambino. E adesso a chi lo dò questo latte? A chi lo dò?" disse la donna, in una grottesca e straziante cantilena.

Helli rimase pietrificata.  Quella donna era evidentemente impazzita dal dolore. Fece cenno di no con la testa, arretrando.

"Non mi serve... ormai Angus non c'è più." disse ancora la donna, mimando uno sgozzamento. "...così hanno fatto, lo hanno ucciso come un agnellino."

Con un gesto brusco, Helli tirò il pony, che per fortuna la seguì senza ricalcitrare, e si diresse verso il centro della piazza deserta, ancora sconvolta per la scena. "Ma cos'è successo qui..." si chiese.

Vide un'altra cosa che non le piacque, mentre la sfortunata donna si trascinava di nuovo vicino al pozzo.* I ragazzini che la stavano spiando da dietro al muro si erano avvicinati. Erano in cinque, magri, quasi scheletrici, ma negli occhi avevano un lampo di ferocia che la spaventò.

Non guardavano lei. Guardavano il suo pony.

"E' bello grasso il tuo cavallino." fece uno, il capo della piccola banda. "E' stato nutrito bene,eh?"

"Ma che vuoi?" chiese Helli.

"Senti, ce lo dai? Tanto è un pony, a te non serve per viaggiare. Si stancano presto." rispose il ragazzetto. "Ma a noi sì che farebbe comodo."

Gli altri risero. Uno disse: "Eccome se ci serve..."

"Perché dovrei darti il mio cavallo?" ribatté lei, dimenticandosi che l'aveva a sua volta rubato a un ignaro abitante della Contea Hobbit.

"Perché abbiamo fame. Sai quante bistecche ci vengono fuori con un pony?" rispose il ragazzo, con l'aria più tranquilla del mondo. "Qui siamo messi un po' male. Guardati in giro, non vorrai essere così egoista?"

"Già." aggiunse un terzo, mettendosi dietro di lei. "...e in questa grossa sacca che cos'hai? Farina? O magari pane?" disse, strattonando il suo bagaglio per strapparglielo dalle spalle.

Heloise si girò e gli diede un ceffone. Non ci aveva messo troppa forza, ma il ragazzetto era talmente magro che tanto bastò per farlo cadere a terra. Era furiosa. Si girò verso il capo del gruppetto. "Se non ti allontani subito ti dò una lezione che non ti scorderai, razza di pezzentello da quattro soldi!" ringhiò. "Azzardati a toccare il mio pony e sei morto prima che la fame ti porti via!"

A quelle parole, i quattro ancora in piedi si avventarono su di lei come cani rabbiosi. Uno le bloccò i polsi, un altro le tirò giù a forza la sacca dalla schiena e un altro tentò di condurre via il pony per le briglie. O meglio ci provò, perchè il cavallino, nel suo istinto animalesco, si oppose con tutta la forza.

Helli urlava di rabbia, ma anche di dolore. Le stavano facendo male, e i paesani lì intorno si stavano guardando bene dall'intervenire. "Aiuto...!! Lasciatemi, ladri, lasciatemi!!" gridò.

Poi, improvvisamente il ragazzo che comandava quella combriccola di delinquenti impallidì, e lasciò la presa. Helli vide che anche gli altri si erano allarmati. Stavano guardando qualcuno alle sue spalle. In un lampo, con la stessa velocità con cui l'avevano aggredita, scapparono tutti via.

Si girò subito e vide un uomo.

Alto, prestante, i capelli neri lunghi a mezzo collo e barba di qualche giorno. Portava una massiccia spada appesa in vita, che non aveva nemmeno estratto dalla fodera. Aveva solo poggiato una mano sull'impugnatura, e ora osservava i cinque ragazzi correre via.

Si avvicinò. "Cosa ci fai in un posto del genere, sola?" volle sapere l'uomo. Aveva un tono di voce calmo, ma deciso. Poteva avere sui trentacinque anni. Occhi scuri e intensi si posarono prima su di lei, poi sul cavallino. "Allora? Volevi farti uccidere?" le chiese di nuovo.

"Io...grazie!! Grazie di cuore!" rispose lei. "Non so chi siete, ma il vostro arrivo ha spaventato quegli idioti. "

"Non sono idioti. Conoscevo quei ragazzi da quando erano bambini, anni fa. Non sono nati cattivi." rispose lui. "Sono vittime di questi mesi di dolore. Tieni." le disse, allungandole una chiave. Era grossa e ruvida di ruggine. "Là in fondo c'é una stalla, conduci lì il tuo animale. Anche il mio cavallo è lì dentro. Eogan!" chiamò ad alta voce. Arrivò di corsa un garzone di bottega, o così sembrava.

"Sire Eradan! Ditemi!" rispose il ragazzo, asciugandosi le mani con un grembiule.

"Accompagna questa ragazza alla mia stalla, sta' attento che nessuno vi segua. Il suo pony verrà messo col mio cavallo, accertati che chiuda il lucchetto del portone, dopo." ordinò quell'uomo, che finalmente aveva un nome.

"Sarà fatto!" promise il ragazzo.

"Hai fame, immagino. Sei una forestiera." le chiese Eradan.

"Sì, in effetti sì. Ma mi è stato detto che non ci sono luoghi di ristoro qui." confermò lei.

"No. Ma il nostro Eogan e la sua brava madre ti prepareranno qualcosa. Hanno anche un paio di stanze libere in casa.  Anch'io dormo da loro, quando passo di qui." le disse l'uomo. "Vero?" chiese al ragazzo, che sorrise e annuì.

"Sì ma io non posso pagare. Non ho nulla, purtroppo." si scusò lei.

"Beh hai due mani, e mi sembri in salute. Aiuterai la madre di Eogan in qualche faccenda. Ti sembra accettabile?" propose Eradan.

"Sicuro, questo posso farlo. E grazie ancora! Sire...Eradan." rispose lei, chinando il capo.

"Non chinare il capo, non sono un cavaliere. Stasera mi racconterai da dove vieni e perché pensavi di trovare qualcosa in questo luogo dimenticato da Eru." ribatté Eradan, che poi le girò le spalle. "Fa' attenzione a quella sacca. "

"Vieni. Sbrighiamoci prima che quei cinque tornino all'assalto." la esortò Eogan. "Sai, il loro capo, Nathan, una volta era il mio migliore amico. Guarda che è diventato...non riesco a crederci."

"Qui ha tutta l'aria di essere passato un tornado. Ma che cosa vi è capitato?" chiese lei, affrettandosi col pony, nel frattempo tornato docile.

"No. Non un tornado." rispose Eogan. " Qui è passato l'inferno."

🌺🌺🌺

Andriel studiava la mappa con tutte le annotazioni di Elrond.

Si domandò a che punto fosse arrivata l'umana. Non poteva essersi allontanata troppo dalla Contea, sulla strada verso Isengard, c'erano due villaggi: Arceto  e Brea.

L'Elfa si augurò che non si fosse fermata ad Arceto. Quattro mesi prima quella cittadina fra i boschi  era stata razziata da un gruppo di Orchi. Un gruppo sostanzioso, almeno cinquanta mostriciattoli. La faccenda era stata riferita ad Elrond, che gliel'aveva raccontata con dovizia di particolari. Le aveva detto che i contadini del paesello, gente semplice incapace di combattere e difendersi, avevano subìto ogni tipo di violenza. Incluso lo strazio di vedere uccisi molti bambini, fra cui qualche neonato. Avevano anche distrutto coltivazioni, devastato i pochi allevamenti di bovini, bruciato case. Solo per il gusto di portare fame e disperazione fra gli umani.

Era probabile che quegli Orchi non avessero puntato intenzionalmente al villaggio, ma l'avessero attraversato mentre erano in cammino per raggiungere qualche altra destinazione. Forse Rohan o Gondor. O magari Mordor. Ed erano degli esploratori, non un vero esercito. Il signore di Imladris era più che certo che provenissero da Nord, dal regno di Angmar, e questo l'aveva fatto preoccupare.

Gli Orchi di Carn Dum non si allontanavano mai dal Nord, e il fatto che un gruppo si fosse avventurato a Sud poteva voler dire una sola cosa: qualcosa aveva ordinato loro di farlo. Elrond aveva il sospetto che il Re Stregone di Angmar si fosse risvegliato, e avesse recuperato il potere supremo in quel territorio. Forse stava tentando di ricostruire l'alleanza con lo spirito di Sauron, che aleggiava su Mordor, e aveva inviato a Sud un manipolo dei suoi mostri per accertarsi della situazione. Per capire a che punto fosse il tentativo di Sauron di ricostruire un suo esercito a Mordor.  Elrond era piuttosto fiducioso che gli Orchi non potessero ancora tentare un attacco coordinato a tutta la Terra di Mezzo, perché il loro numero, contando sia quelli di Angmar che quelli di Mordor, era ancora troppo basso. A meno che Sauron non avesse trovato il modo di moltiplicarne il numero. O che avesse in serbo un'arma di incontenibile potenza. Come un Drago, o peggio ancora due Draghi.  Era assolutamente intuibile perchè Melthotiel stesse cercando il Mil Naur. Il Mil era la chiave per tentare di regalare a Sauron, tramite suo marito il Re Stregone, l'autorità totale sui serpenti del Nord, creature che nel tempo si erano isolate dal mondo e che non volevano padroni, benché creati in origine da Morgoth. Creature feroci ed enormi che in pochi secondi potevano incenerire interi villaggi.

Quell'oggetto pericolosissimo era in mano a una ragazza che tutto era fuorché affidabile, e ancora peggio, inconsapevole del rischio che stava affrontando a sua volta. 

Il nobile Elfo non aveva condiviso le sue preoccupazioni con Andriel, le aveva solo detto di cercare Heloise e di metterla al sicuro. Ma se la ragazza si fosse recata ad Arceto, in mezzo a quei disperati che ormai erano i suoi abitanti, non sarebbe stata per niente al sicuro. Potevano aggredirla.

Un pettirosso si mise a cantare su un ramo lì vicino. Andriel alzò lo sguardo e fece un fischietto. Subito il volatile volò fino al lei, posandosi sulla sua mano.

"Ho bisogno di te, amico." gli disse l'Elfa. "Mi dovrai aiutare a uscire da questo groviglio di vegetazione. Purtroppo mi sono persa." ammise, un po' vergognandosi. "Vola sopra la sommità degli alberi e guarda intorno a te. Dirigiti verso il fumo dei camini, io ti seguirò. Arceto deve essere laggiù." gli ordinò. Gli Elfi sapevano comunicare con la Natura, e il pettirosso non la deluse. Volò in verticale e rimase immobile in aria per qualche secondo, poi finalmente puntò dritto in una direzione.

L'Elfa scattò e sparì fra i cespugli.


____
 

* Anche in questo capitolo, c'è un riferimento a un romanzo famoso: la scena della madre impazzita che offre il suo seno per il latte è ispirata a un episodio de La ciociara di Alberto Moravia.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Sfide ***


Heloise era immersa nell'acqua calda della tinozza di casa Quincy, in quella specie di sgabuzzino che era la stanza da bagno. Un vapore acqueo già si era elevato nell'aria appannando gli specchi. Aveva tolto il gioiello dalla sacca, per paura che quell'Eradan perquisisse di nascosto il suo bagaglio.

Non sapeva se fidarsi di lui.

Il giovane Eogan sosteneva che fosse una persona di valore e di grande e nobile animo, ma a lei dava soprattutto l'impressione di un vagabondo. Sicuramente coraggioso, ma pur sempre un uomo randagio, senza dimora, nè un ruolo definito in quel mondo. Non sapeva molto dei Dunedain, a parte il fatto che discendevano in parte dagli Elfi e avevano un'aspettativa di vita molto elevata.

Settantacinque anni, aveva. Helli non riusciva a crederci.

Osservava il fagottino contenente il gioiello; l'aveva posto su un treppiede vicino alla tinozza, per averlo a portata di mano. Non l'aveva più maneggiato dopo la sua fuga da casa Baggins, perché un po' le faceva paura. Quello che le aveva raccontato Gandalf sulla Strega che furiosamente era alla sua ricerca le faceva venire i brividi.  C'era una creatura pericolosa sulle sue tracce, e solo Eru sapeva dove fosse in quel momento. Magari era lì, ad Arceto, travestita da paesana; magari era quella donna che le aveva offerto il suo seno; magari era la stessa Rosa Quincy. Poteva essere ovunque, poteva aver assunto le forme di chiunque. Secondo Gandalf, non c'era limite a quello che poteva fare. E stava cercando lei.

Sentì la pelle accapponarsi sulle braccia. Non era stata in effetti un grande pensata quella di essersi messa in marcia da sola attraverso quel territorio. Isengard era ancora notevolmente lontana. Ma ormai si era messa in gioco e doveva arrivare fino alla fine, tornare indietro era fuori discussione. Aveva messo la sua vita in mano a Eru ed ai Valar e non le restava che sperare nella loro protezione. 

D'improvviso, la tenda che separava la stanza dal bagno dal corridoio principale venne violentemente tirata.

Apparve Eradan.

"Fuori di qui!" urló subito Helli, afferrando il fagottino col gioiello e nascondendolo dietro la schiena, nell'acqua. Prese anche uno dei panni che Rosa le aveva dato per asciugarsi e si coprì il corpo. La tela s'inzuppó subito d'acqua. "Ma siete ammattito?!"

Eradan non rispose, prese lo sgabellino e lo trascinó a sè, poi si sedette vicino alla tinozza.

"Avete capito cosa ho detto?! Uscite! Non vedete che sto facendo il bagno?!" strilló ancora Helli, arrossendo. "Rosa!"

"Inutile che la chiami. Ho come l'impressione che tu non le stia particolarmente simpatica. In quanto a Eogan, sapendo che sono qui non verrá mai. Al contrario di te, il ragazzo si fida del sottoscritto." disse il ramingo. "Perció, calmati ragazza."

"Per favore, vi chiedo ancora di uscire." rispose Heloise, tentando di mantenere il controllo. Si sentiva come violata da quell'intrusione. Era in una vasca ed era nuda. "Non riesco a credere che siate così irrispettoso."

"Normalmente avresti ragione. Questo comportamento non mi appartiene. Ma queste non sono circostanze normali." spiegó l'uomo, chinandosi in avanti. La guardava negli occhi. "Ho come l'impressione che qui qualcosa non torni. Il fatto che tu abbia nascosto qualcosa dietro la schiena mi fa capire che c'ho visto giusto. Perció, devo farti due domande ora, e mi aspetto sincerità da te."

"Quali? Cosa volete sapere?" rispose Helli. Era come una cerbiatta in trappola, messa all'angolo da un cane da caccia.

"Primo: cosa nascondi lì? Mostrami quell'oggetto." chiese Eradan.

"Niente che debba interessarvi. È un ricordo di famiglia, null'altro." fu la risposta della ragazza.

"Non... mentirmi. Non ti affanneresti a tenerlo così stretto in pugno se fosse un oggetto qualsiasi. Voglio vedere cos'é." le disse pazientemente il ramingo.

"Devo dirvi di no." ribatté Helli, iniziando ad avere paura. "Io vi chiedo di rispettare la mia volontà. Vi prego, ancora una volta, di lasciarmi sola."

"Beh, mettiamola così..." sospiró Eradan. "...se non mi mostri quella cosa, metteró una mano nell'acqua e te la strapperó con la forza. E pazienza se nel mentre toccheró qualcosa che non devo toccare."

Helli sentì la paura lasciar posto alla rabbia. "Questa è una violenza bella e buona!!" ringhió. Ebbe l'impulso di mollargli una sberla, ma aveva entrambe le mani occupate e si trattenne. "Uscite...da...qui."

"D'accordo. Non mi lasci scelta." fece Eradan e si sedette sul bordo della tinozza. Non sembrava per niente convinto a lasciarla in pace.

"No!! No. Fermo." si arrese lei. "Va bene." estrasse la mano dall'acqua e gli porse il fagotto gocciolante. "Che gli dèi vi maledicano." sibiló.

"Sono sicuro che ti ascolteranno." rispose lui, serafico. Poi tornó a sedersi sul treppiede. Aprì lentamente quello straccio zuppo d'acqua e sgranó gli occhi quando il Mil Naur splendette nel suo palmo. "Ma guarda. Guarda, guarda, guarda cosa abbiamo qui..." mormoró.  Poi si giró a guardarla. "...un'umile ragazza del Minhiriath, eh? Questo è un gioiello da regina. Se Rosa lo vedesse..."

"Non deve vederlo!!" sbottó Helli. "Avete capito?! Guai se questo oggetto finisce nelle mani di qualcuno, a parte voi. Se siete un uomo d'onore dovete prometterlo!!"

"Certo. Ti potrebbero uccidere in questo luogo, se sapessero che ce l'hai addosso. Venderlo vorrebbe dire farci tanti soldi da risollevare l'economia dell'intero paese. È un gemma straordinaria." disse Eradan, rapito. Provó a toccare con la punta delle dita il diamante.

A quel punto, successe qualcosa. Fu come se l'uomo fosse colpito da una violentissima fitta alla testa. Urló, e il suo corpo si contorse in uno spasmo atroce. Cadde dal treppiede. Si portó le mani al viso. Il gioiello rotoló  a terra, ed Heloise lo prese subito.

"Cosa vi succede?!! Rosa!! Eogan!!!" chiamó la ragazza.

"No!!" le disse Eradan. "No. Zitta, mi sta passando."

Si portó una mano al viso. Aveva avvertito come una dozzina di lame penetrare le sue tempie. Un dolore incredibile, mai provato nella sua lunga vita.

"Che succede lì dentro?!" si sentì Rosa chiedere. Si era fermata fuori dalla stanza, forse imbarazzata che quei due fossero lì dentro insieme. Infatti poi aggiunse. "Hey Eradan... casa mia non è un bordello. Che combinate?'

"Niente Rosa, va tutto bene." disse lui, facendo cenno a Helli di dire la sua.

"Sì, signora. Sire Eradan mi sta solo aiutando a riempire la vasca. È caduto un secchio." mentì la ragazza.

"Ma se te l'ha riempita Eogan!" sputó Rosa. Poi decise di non approfondire. In fondo, quel giorno il ramingo le aveva dato dieci monete d'oro, pagando anche il pernottamento della ragazza, quindi decise di chiudere un occhio. "Beh, affari vostri....ma che mio figlio non vi senta, capito?!" 

Helli si sentì terribilmente a disagio. Guardó Eradan, che si era faticosamente messo a sedere sul pavimento in legno. Aveva appoggiato la schiena a una parete, ma sembrava ancora sconvolto. 

"Cosa vi è capitato?" chiese Helli. Stringeva ancora il telo al corpo, per nascondere la sua nudità.

"Quell'affare è maledetto." le disse Eradan. "Perché ce l'hai tu?"

"Non posso dirvelo. Io vi chiedo di dimenticare quello che é appena successo. Scordatevi quello che avete visto." lo supplicó Helli. "Meglio per tutti, credetemi."

"No. Questa é una cosa che non posso fare. Ho giurato alla mia gente di contribuire a difendere questo mondo. E tu stai vagando con qualcosa di pericoloso. Ora rispondi alla seconda domanda: come, e quando, hai conosciuto Gandalf il Grigio. Non uscirai da quella vasca a meno che non mi prometti di dirmi tutto." le disse Eradan. "Tutto, dall'inizio."

🌺🌺🌺

Dopo aver ottenuto la promessa di una spiegazione, Eradan le diede il tempo di uscire dalla tinozza, asciugarsi, e mettersi qualcosa addosso. L'aspettava in cucina.

Rosa e suo figlio erano andati a dormire.

La ragazza lo raggiunse, un po' esitando. Aveva di nuovo messo via la gemma.

"Siediti." le intimó Eradan. "Mi sembrava strano che una giovane donna stesse attraversando queste aree pericolose, sola e indifesa. Non parlarmi di Saruman o scuole a Isengard. Basta favole. Voglio la verità."

"Ma è quella la verità!" sbottó Helli. "Sto andando lì, e il mio progetto è quello. Non è una fandonia."

"E che c'entra un diamante inestimabile carico di magia nera, con tutto ció? É un omaggio a Saruman, per corromperlo?" chiese ironicamente il Dunedain.

"No. Questa è una cosa che è finita in mano mia per caso. Era nascosta nella soffita di casa nostra, io non ne ho mai saputo niente. Mio padre la ricevette in dono molti anni fa da una...donna...che aveva...incontrato un giorno, mentre era in missione. Non ho fondi per finanziare i miei studi. Mia madre ha deciso di darmelo, con l'idea di rivenderlo e farci dei soldi. Ecco. Questa è la spiegazione." terminó Helli, sperando fosse sufficiente.

"Tu non hai molta considerazione per il mio intelletto, vero?" le chiese Eradan. "Credi che basti questo?"

"Io credo che dovreste farvi gli affari vostri. Non avete diritto di indagare sulla mia vita. Non siete un legislatore o una guardia e io non sono in arresto!" sbottó lei.

"Potrei arrestarti. Tu porti con te un oggetto che puó fare del male agli altri. A me ne ha fatto, solo sfiorandolo." ribatté Eradan. "Voglio sapere tutto."

"Ho paura delle conseguenze, se vi dicessi tutto." mormoró Helli, guardando altrove. Il suo sguardo venne attirato da un vasetto pieno di rametti di rosmarino. Anche sua madre Jemma teneva sempre rosmarino in cucina. Le piaceva il profumo, diceva. 
Le mancava sua madre.

"Allora c'è sotto qualcosa di davvero grosso." disse Eradan. "Ascoltami: tu sei sola. Non puoi andartene in giro in questo mondo con quella cosa addosso e senza protezione. Devi fidarti di me. Non voglio farti del male o rubartelo. Ma devi dirmi ogni cosa."

Helli lo guardó negli occhi castani e colse la stessa sincerità dello sguardo di Gandalf. Questo la incoraggió, e poi in fondo aveva bisogno di un confidente. Era piena di paura ed era inutile nasconderlo.

"Questa cosa puó fare del male anche a te." continuó Eradan.

Helli si decise.

"Dunque..." inizió a raccontare. "...come vi dicevo, mia madre mi ha dato questo oggetto. Il giorno dopo mi sono messa in viaggio per la Contea degli Hobbit. Credevo di trovare lì un compratore, ma poi..." e proseguì con il racconto, mentre fuori i grilli iniziavano il loro concerto notturno.

🌺🌺🌺

Alla fine dei racconti, Eradan si alzó in piedi. Si passó una mano fra i capelli folti, come se con quel gesto volesse spazzar via pensieri opprimenti e angosciosi. Pensieri nuovi.

Helli era seduta al tavolo, con gli occhi bassi. Sentì un cri cri molto vicino, forse un grillo era entrato in casa.

"Quello che mi hai detto è grave. La faccenda in cui sei caduta è molto seria." esordì Eradan, dopo quel silenzio.

"Immagino sia fuori discussione andarmene domani, vero?" disse lei, rassegnata. "Adesso cosa mi chiederete? Di usare questo gioiello per qualche altro scopo, come volevano fare i Nani?"

"Sì. Precisamente." confermó Eradan. "Non hai scelta."

"Oh!!" sbottó Helli, disperata, alzandosi dalla sedia. "Ma perché...perché doveva capitarmi questo?!!!"

"Fa' silenzio." le disse Eradan, portandosi un dito alla bocca. Indicó le camere, oltre il corridoio. "Non svegliarli. Tu riesci a toccarlo vero?"

"Eh?" chiese Heloise. "Il diamante, dite? Sì."

"Non reagisce in quel modo a te. Vuol dire che doveva finire in mano tua. Tua madre lo ha mai toccato? La pietra voglio dire, non la decorazione in bronzo che la circonda." chiese l'uomo.

La ragazza ci pensó un po' su. "Quando me lo mostró, lo prese dal pendaglio. Non sfioró la pietra."

"Questo vuol dire che sapeva." le disse Eradan. "Sapeva che era caricato di una forza negativa. E te l'ha dato lo stesso."

Helli lo osservó. "Cosa volete dire con questo?"

L'uomo la contempló per qualche istante. Poi rispose. "Niente. Niente."

"Insinuereste che mia madre mi ha messo volontariamente in una situazione di pericolo?" chiese Helli, di nuovo innervosita. "Come osate?!"

"Non ho detto questo. Ho detto che probabilmente sapeva della natura di quel gioiello e che te l'ha dato. Senza pensare ai possibili rischi." ribattè Eradan.

"Non mi piace il vostro tono." sbottó Helli. "Non mi piacciono le dietrologie e non mi piace stare qui ad ascoltarvi. Io domani me ne vado. Non pensate di trattenermi."

"Tu sei custode di un oggetto che puó cambiare la storia del nostro mondo. Non capisci il potere che deriva dalla capacità di domare i Draghi, di piegarli alla tua volontà?" le disse Eradan. "Possono essere usati come arma di sterminio. Anche contro gli Orchi. Un Drago come Urgost, schierato dalla parte del giusto, del bene, puó liberare il mondo da quei mostri orribili. Riesci a comprendere cosa intendo?"

Helli si portó le mani alle orecchie. "No. No. Io ho una mia vita a cui pensare. Non mi voglio immischiare in cose che non mi appartengono! Non volevo nemmeno entrarci in tutto questo." poi guardó Eradan. "Se non c'è riuscito Gandalf a fermarmi, non pensate di farlo voi."

"Mi hai parlato di Susan Abbott. La donna che si è scoperta il seno davanti a te. Due anni fa era la ragazza più gioiosa e altruista del villaggio. Un'anima speciale. Quando è rimasta incinta, scoppiava di felicità. Angus era un bambino bellissimo, e sano. Ma poi una notte sono piombate qui quelle bestie e hanno fatto quello sai. Hai visto, ora, cosa è diventata Susan? L'hai guardata negli occhi?" le disse Eradan. "Vuoi che succeda ancora, e ancora, ad altre donne, ad altre madri? Magari a te, in futuro?"

"Ci pensi il grande Eru a salvare i suoi figli. Se gli Orchi esistono, è perché lui li ha messi in questo mondo." replicó lei, gelida.

"No, non lui. Morgoth." disse Eradan. "L'Oscuro ha creato anche i Draghi. Ma nel suo desiderio di onnipotenza ha fatto un errore. I Draghi si sono inaspettatamente ribellati. Hanno deciso di non avere più padroni. Per rimediare a quell'errore, ne ha commesso un altro: ha fatto in modo che venisse creato uno strumento per controllarli, e l'ha messo in mano a una Strega, che l'ha ingenuamente consegnato a un umano. Terzo errore. E adesso ce l'hai tu. Ora, vuoi commettere il quarto errore, facendoti trovare da quell'essere... o vuoi fare la cosa giusta, usandolo contro il suo creatore?"

"Io voglio andare a Isengard. Diventare una scienziata. E basta." rispose ostinatamente lei, come non avesse sentito. "Lo faró con o senza quel gioiello, a questo punto. Tenetelo voi. Ne ho abbastanza."

"Il Mil Naur risponde solo a te... per qualche motivo. E tu solo lo puoi usare. Tu, o quella Melthotiel. Questo equivale a dire che non hai scelta." rispose Eradan. "Credo che tu sia una specie di eletta. I Valar ti hanno incaricata di questo, non puoi tirarti indietro."

"Oh sì, che posso!" rispose lei. "Io domani me ne vado, e con questo non c'è altro da dire."

"Se credi di sgattaiolare fuori da questa casa come hai fatto nella Contea, ti sbagli. Posso stare sveglio tutta la notte a controllarti." le disse Eradan. "Tu domani non te ne andrai a Sud, verrai con me. Andremo a cercare Farin. Ci condurrá attraverso le Montagne Grigie. E lì faremo quello che dobbiamo fare."

"Nemmeno per sogno!" urló Helli.

"Bene. Sfida accettata. Vedremo quanto è forte la tua volontà, Heloise Foley." terminó Eradan. "Tempo di accettare le responsabilità, ragazza mia. Non ci saranno vie di fuga, stavolta." 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Nel villaggio di Arceto ***


"...quell'uomo, Eradan...cosa puoi dirmi di lui?" chiese Helli ad Eogan, mentre sedeva al tavolo della cucina della casa, all'interno di un vecchio palazzo. Uno dei pochi edifici di Arceto ancora in buone condizioni.

La ragazza aveva scoperto che Eogan e sua madre gestivano una sorta di pensioncina di famiglia: per cinque monete al giorno davano vitto e alloggio a chi transitava dal villaggio. La madre del giovane era fuori casa, così il ragazzetto aveva preparato qualcosa di veloce per la nuova ospite: due uova sbattute e un po' di pancetta, quella che era rimasta. Non avevano più molte provviste, perciò la madre era uscita per recuperarle.

"Sire Eradan è un Ramingo del Nord.  Prestava servizio come guardia di confine alla Contea degli Hobbit, diverse miglia da qui. Qualche volta veniva  ad Arceto,  per avere un letto e un buon pasto, così i miei lo hanno conosciuto. I Raminghi solitamente vivono alla giornata, dormono nei boschi, si cibano di ciò che trovano. " spiegò Eogan, mettendo in tavola una bottiglia  d'acqua. "E' un uomo misterioso, non so molto altro di lui. Lo conosco da anni, da quando è iniziata la sua carica di confiniere, ma a me non ha mai detto nulla sulla sua vita prima di venire qui. Si vocifera comunque che sia un Dunedain."

"Un Dunedain..." ripeté Heloise. "...ma non sono quegli Uomini benedetti con la lunga vita?"

"Già. I pettegolezzi su di lui sono nati proprio perché gli anni passano, ma non invecchia  mai. Sai quanti inverni dicono che abbia?" chiese Eogan, con un' espressione furba. Aveva anche abbassato il tono della voce, quasi le stesse per rivelare il più clamoroso dei segreti.

"Quanti?" volle sapere lei.

"Settantacinque." rispose Eogan.

"...ma vuoi scherzare?! Quello non ne dimostra nemmeno quaranta..." chiese Helli, sbalordita.

"Farai meglio a crederci. Lo ha anche confessato a mio padre." disse il ragazzetto. Poi, pensando al padre, s'intristì.  Nella stalla, le aveva raccontato che il suo vecchio era stato una delle povere vittime degli Orchi, quattro mesi prima: l'uomo purtroppo non era morto sul colpo, era stato ferito al petto, e aveva passato nove terribili giorni di agonia a letto, prima di spirare. Con un enorme sforzo psicologico, sua madre aveva trovato il modo di reagire alla tragedia; insieme al figlio, aveva trasformato la casa in un piccolo ostello, e con il ricavato i due  andavano avanti. Ma erano tempi difficili, nessuno più metteva piede ad Arceto, e i guadagni dipendevano essenzialmente dalla generosità di Eradan.

"E perché si è allontanato dalla Contea? Non dovrebbe essere lì a sorvegliarne i confini, ora?" chiese Helli.

"Non era ad Arceto quando gli Orchi ci hanno attaccati. Ma lo ha saputo ed in fretta è corso qui. Dopo aver visto il disastro ha deciso di rimanere, nel  caso quei mostri fossero tornati. Per proteggerci." rispose il ragazzo. "Ha grande senso dell'onore, come tutti quelli della sua razza. E poi, gli Hobbit hanno già le loro guardie."

"Orchi... non posso pensarci. Non credevo attaccassero gli Umani...insomma, non di questi tempi." riflettè lei.

" Sai cosa mi diceva sempre mia mamma quando ero piccolo? Che i mostri non esistono. Invece esistono." rispose Eogan, appoggiato al lavello. "Devo ringraziare proprio la prontezza di mia madre, che sbarrò la porta e le finestre, quel giorno. O saremmo morti tutti e tre."

Non  appena l'ebbe nominata, la padrona di casa fece il suo ingresso, spalancando la porta con una spinta. Reggeva due grossi cesti pieni di vivande, coperti da due teli. "...mai una volta che vieni ad aiutarmi eh? La prossima volta ci vai tu da Henrik. Sono stufa di portare pesi come un mulo!" si lamentò col figlio.

Era una donna piuttosto bassa, ma all'apparenza energica, poteva avere una cinquantina d'anni. Bionda, con due occhi azzurri e scintillanti. Si accorse di Heloise, che si alzò in segno di rispetto. "Lei chi è?" chiese subito.

"Lei si chiama Heloise Foley. E' un piacere conoscervi. Sono qui per approfittare della vostra ospitalità, signora." rispose la ragazza. "Sire Eradan mi ha detto che posso dormire qui stanotte."

La donna fece una smorfia. "Ha!  Eradan è ora il padrone di casa mia, che può permettersi d'invitare chi gli pare?" chiese, poggiando le ceste sul tavolo, aiutata da Eogan. "Qui non c'è ospitalità gratuita, signorina. Qui se vuoi un letto devi pagare."

Heloise s'innervosì di fronte a quei modi. "Purtroppo io non posso pagare, signora. Non ho denaro. Ma potrei lavorare per sdebitarmi." propose. "Starò qui solo questa notte, e ho bisogno di dormire su di un vero letto. Questa mattina mi sono svegliata in un bosco. Non passerò un'altra notte all'addiaccio. Ve ne prego."

La donna inarcò un sopracciglio. "No, non si può... non ho bisogno di lavoranti. Qui non ci sono che quattro camere, posso rassettarle da sola. Posso lavare i piatti da sola e pulire la casa da sola. Non ho bisogno di te."

"Mamma... stavano per aggredirla, prima. Nathan e i suoi amici. Volevano derubarla del pony con cui è venuta qui e del suo bagaglio. E' quasi sera, se la cacci fuori di casa sai cosa potrebbe succederle?" intervenne Eogan. "Ti aiuterà a pulire la casa. Lo dici sempre, che è ora di fare una bella pulizia generale. Ti darà una mano."

"Casa nostra è già pulita, sciocco. Non possiamo dar da mangiare a chiunque. Lo vedi come scarseggiano i viveri? Henrik dice che fa fatica a recuperarli... i mercanti di Brea non vogliono più fargli credito. Vogliono i soldi! Ci serve gente che possa pagare, e questa ragazza non ha soldi. Questo chiude la discussione." poi si girò verso Helli. "Mi dispiace."

Heloise sospirò e si guardò intorno. Notò una macchiolina su un muro. Si avvicinò per osservare meglio: era un insetto argenteo e oblungo, con due antenne sul capo e tre sulla coda. Era lungo mezzo centimetro.

Le venne un'idea. "Dite che la vostra casa è pulita...ne siete proprio sicura?" chiese alla donna.

La madre di Eogan la guardò con fastidio. "Ma certo. Perché? Che hai da dire su casa mia?"

Heloise prese un pezzetto di carta e raccolse delicatamente l'insetto. Poi lo portò vicino al ragazzo. "Ne avete molti di questi animaletti in casa?" gli domandò.

Eogan aggrottò le sopracciglia, confuso, ma rispose: " Sì, ne vedo un po' in giro. La dispensa ne è piena. Sono insetti comuni nelle case."

"Esatto. Il loro nome scientifico è lepisma saccharina. Anche conosciuti come pesciolini d'argento, per via del colore. Si nutrono di zucchero, patate, fagioli e altri legumi. Ma non disdegnano di rosicchiare anche cotone, lino, seta, la carta dei libri. Avete avuto danni ad alimenti e vestiti di recente?" chiese la ragazza.

Eogan ci pensò un po' su, poi rispose. "Sì. Tre giorni fa abbiamo dovuto gettare via un intero sacco di patate. Erano rovinate, come mordicchiate da qualcosa. E nello zucchero delle volte troviamo proprio quegli insetti. Poi, una vestaglia di mamma è stata attaccata dalle tarme...un paio di miei pantaloni... qualche calzino..."

"Non dalle tarme. Da questi  insettini." rispose Helli, che poi soffiò la creaturina nel lavello. "Signora, casa vostra andrebbe disinfestata. Ci vogliono acqua e aceto. Bisogna passarlo sui muri, specie in corrispondenza delle crepe. Armadi, mobili, tutte le superfici. O questi insetti continueranno a fare razzia."

"E tu chi saresti, una specie di scienziata?" chiese la donna, scettica.

"No. Ma vorrei diventarlo. Ora vediamo questa dispensa." ribatté Helli, aprendo un mobile. C'erano diversi sacchi farina, bianca e gialla. Subito alcune farfalline piccolissime volarono fuori. "Oh benedetti dèi! E' piena anche di tarme!"

Eogan rise. "Te l'avevo detto!"

"Ma questo non è normale. Le tarme depositano le loro uova nella farina, contaminandola! Vorreste fare del pane con questa roba? Anche qui, bisogna gettare via questi sacchi, comprare farina nuova e sistemare foglie di alloro nella dispensa. E' un repellente naturale." spiegò Helli.

"Gettare via...comprare...di', hai sentito il mio discorso di prima? Ci servono soldi, clienti.  O credi che il nostro poco cibo sia un regalo di qualche benefattore? " sbottò la padrona di casa.

"Signora, non troverete viandanti disposti a pagare finché la vostra casa sarà un dannato rifugio per gli insetti. Finché offrirete loro pane ripieno di larve. Io vi aiuterò a disinfettare tutto, e in cambio mi farete stare qui. Per stanotte, poi, come promesso, domani me ne andrò." propose Heloise. Era l'ultima carta che poteva giocarsi e pregò perché la donna accettasse.

Eogan disse la sua. "Mamma, credo che abbia ragione. E' da un po' che ci stavamo chiedendo perché la verdura marcisce così velocemente in casa, ricordi? Forse il problema è davvero questo.  Permettile di fare quello che dice. In ogni caso, un po' di pulizia male non farà."

La donna rimase in silenzio qualche attimo, poi annuì. "E va bene. Non mi garba che tu stia qui senza darmi un centesimo... ma se puoi tornarmi utile, ti permetto di rimanere. Inoltre, a pensarci bene, non voglio fare arrabbiare Eradan, è l'unico che ci dà del denaro. Ma tutto il lavoro che hai descritto, dovrai farlo tu, intesi? Pulisci pure, se credi. Ma lo farai da sola, io altro da sbrigare." terminò la donna. Poi iniziò a sistemare le provviste.

"D'accordo. Grazie, signora." rispose Helli, sollevata. Poi guardò il ragazzo. "Avete aceto?"

"Sì, quello non manca davvero! Ma voglio aiutarti. E' interessante ciò che hai detto. T'intendi d'insetti?" le chiese lui.

"Come di molte altre cose. Amo lo studio della natura, e come vedi, conoscere i suoi elementi può tornare parecchio utile." rispose Heloise, rimboccandosi le maniche. "Allora...cominciamo dal pavimento.  Serve uno straccio, una scopa... e solleviamo tutte queste sedie."

🌺🌺🌺

Eradan arrivò all'imbrunire.

Aveva perlustrato come sempre il villaggio in lungo e in largo, per controllare la situazione.

Arceto era allo sbando. La povertà generata dall'aggressione degli Orchi aveva reso quella che una volta era una pacifica cittadina, in un postaccio quasi peggiore di Brea.

Aveva sperato, aveva pregato che i raccolti tornassero ad essere fruttuosi, dopo che i contadini avevano piantato di nuovo le sementi, e arato i campi, ma la verdura non si decideva a crescere, quasi che il veleno lasciato dagli Orchi avesse impregnato la terra in modo irrimediabile.

Molti cittadini, inclusa Rosa Quincy, la madre di Eogan, dovevano ricorrere al mercato nero per portare cibo in tavola, e acquistare da approfittatori merce presa in altre località, ad un prezzo più alto del dovuto. Ad Arceto non c'erano governatori, né capi villaggio. Era una comunità di piccole dimensioni che si era sempre autogestita...ma in quei giorni era sprofondata nel caos più totale.

Eradan aveva un suo ruolo in quella cittadina, benché non ufficiale.

Tutti lo conoscevano, tutti lo rispettavano. La presenza di un uomo di spada in paese tranquillizzava gli animi e aveva sempre evitato saccheggi e crimini.

Fino a quel giorno. Fino a quando, cioè, un ragazza sconosciuta era entrata nei confini in cerca di cibo e di un letto, ed era stata quasi ferita e derubata da Nathan e dai suoi amici.

Quello non andava bene per niente. Era allarmante che ragazzi di sedici anni, che Eradan aveva visto crescere buoni, anche se  un po' scavezzacollo, si fossero trasformati in potenziali ladri e forse assassini. Voleva dire che l'intera comunità era precipitata in un vortice di paura, smarrimento e mancanza di speranza.

Eradan sapeva bene che gente disperata, che non aveva più niente da perdere, ci metteva poco a perdere anche l'umanità. In cambio di un po' di farina andata a male, magari.

Entrò in casa come sempre senza bussare. Sapeva che Rosa non si sarebbe arrabbiata, in fondo si conoscevano da vent'anni e lui era quasi di famiglia.

Sentì nell'aria odore acre di aceto.

Vide che il pavimento era stato tirato a lucido, così come i mobili e  anche le finestre. Notò un generale ordine in cucina.

"C'è nessuno? Eogan? Rosa?" chiamò.

Arrivò la ragazza. Sembrava stanca e aveva i capelli raccolti in un crocchio.

Eradan sorrise, prendendo una mela. "Rosa ti ha messo sotto, eh?"

"Beh, sto facendo quello che avete consigliato: la domestica." rispose lei, sciogliendosi i capelli.

"Chi non lavora, non mangia. E' una legge vecchia come il mondo. Me lo diceva sempre mia madre."  rispose Eradan, addentando il frutto e sedendosi. "Dove sono quei due?"

"Stanno vuotando i loro armadi, devono pulire i guardaroba. Sono pieni di tarme." rispose lei. Prese qualche pezzo di legno e lo gettò nel camino. Poi afferrò due pietre focaie e tentò di far divampare un fuocherello, ma non ci riuscì.

"Lascia, faccio io." si offrì Eradan, alzandosi. "Allora, mi vuoi dire chi sei, e perché il tuo cervello ti ha consigliato di venire ad Arceto? Sono curioso."

Heloise sorrise. "...questa sarà le ventesima volta che mi presento, da quando ho lasciato casa mia...mi chiamo Heloise Foley, vengo da Midlothian, un distretto del..."

"...Minhiariath. Sì, lo so. Conosco la tua terra. La terra rossa e fertilissima del Minhiriath." la interruppe l'uomo.

"Proprio così. Ci siete passato?" chiese lei.

"Sì, anni fa. Molti anni fa. Dopo che i grandi incendi avevano devastato le vostre belle foreste." spiegò Eradan. "Ricordo terra rossa, sembrava arida. Ma poi si è rivelata ottima per le coltivazioni."

"Ricordate bene. Gli agricoltori hanno fatto fortuna da noi." continuò Heloise, rimestando il carbone.

"Deduco che tu non sia figlia di agricoltori, se sei in questa situazione. Non mi sembri baciata dalla fortuna." scherzò Eradan.  "E dove te ne vai, con un pony?"

"A Isengard. Vorrei entrare nel circolo degli Stregoni, di cui Saruman il bianco è il leader.  C'è una scuola nella Torre d'Orthanc, riservata ai mortali. Vorrei imparare la Medicina, e altre scienze. Vorrei soprattutto tornare a casa mia con un bel po' di denaro, e aiutare mia madre che vive di lavoro servile. Vorrei finalmente un po' di tranquillità per la mia famiglia. Spero la mia spiegazione si esaustiva a sufficienza, sire."  spiegò stancamente Helli. Si passò una mano sul viso. "E se state per dire che una donna non ce la farà mai a riuscire in un'impresa simile, vi prego di tenere questo pensiero per voi. Ho bisogno di un po' di speranza."

"Non voglio togliertela." sorrise Eradan. "Ma mentirei se dicessi che vedo un futuro roseo per te, se questi sono i tuoi intendimenti.   Saruman è uno Stregone tradizionalista, di vedute molto strette, da quel che so. Ha grande potere, ma sembra mancare di elasticità mentale. Non so come reagirebbe se vedesse una ragazza fra le fila dei suoi studenti."

"Ecco, proprio questo intendevo. Ho già sentiti questi discorsi; prima mia sorella, poi un gruppo di Nani, poi quel Nano che vive nel bosco...ora voi. C'è come un desiderio generale di rovinare i sogni altrui in questo mondo. Mi domando perché." borbottò lei.

"Forse perchè ci vuole molto coraggio per seguire un sogno. E magari, chissà, chi dimostra tale coraggio si circonda di invidia." rifletté Eradan. "Hai conosciuto Farin."

Heloise rimase basita. "Anche voi lo conoscete?"

"Sì. E' passato di qui l'altro ieri. E' un Nano nobile, sai? Un vecchio, coriaceo guerriero. Leale servitore di Re Thrain." spiegò Eradan.

"Me l'ha detto. Beh, sarà anche nobile, ma non è certo saggio. Vorrebbe andare a stanare un Drago da solo." disse Heloise, osservando le fiamme del camino. "Uno sputa-fuoco. Roba da pazzi."

"Quasi quanto tentare di entrare nella congregazione di Saruman. Ognuno ha i suoi sogni, ragazza. E poi, Farin sa quello che fa. Conosce bene le Montagne Grigie." rispose Eradan.

"Allora ci credete anche voi? Che esista un Drago lassù?" chiese Helli. "Che esista un altro Drago oltre a Smaug?"

"Conosci anche la storia di Erebor." le disse Eradan. Ebbe l'impressione che la ragazza nascondesse qualcosa. Poi continuò : "Certo che c'è, e so anche come si chiama." rispose, poi anch'egli guardò il fuoco. "Urgost. La Bestia si chiama Urgost. Ed è vivo."

"Urgost...me l'aveva detto Gandalf." mormorò la ragazza, sedendosi sul bordo in pietra del camino.

Eradan si girò verso di lei. "...hai detto il nome di uno Stregone. Conosci Gandalf il Grigio?"

Helli si morse la lingua.  "No! No, no! Avete capito male. Non  conosco nessuno, nessuno." poi velocemente si alzò, come preda di un attacco d'ansia.

A quel punto, Eradan ebbe la certezza che stesse nascondendo qualcosa.

"...Eogan, signora Rosa! Eradan è tornato. Tempo di preparare la cena!" chiamò Helli.

I due arrivarono. Rosa Quincy salutò il vecchio amico. "Eccoti. Ti devo ringraziare per l'ospite inattesa. Una bocca in più da sfamare."

"Direi che la ragazza si è ampiamente sdebitata. Mai vista la cucina più ordinata di così." ribatté l'uomo.

"E una gran puzza d'aceto che se ne andrà fra dieci giorni, sono pronta a scommetterci." rispose Rosa.

"Mamma stai sempre a brontolare, che noia!" si lamentò Eogan.

"Tu chiudi la bocca. Comunque, patti chiari: l'ospite domani leva le tende." terminò Rosa. "Si era detto così."

"Certo. L'ho promesso mi pare. Dopo cena vorrei fare un bagno. Mi fate la carità di usare la vostra tinozza, dato che ho pulito da cima a fondo anche quella?" chiese la ragazza.

"Sì, ma poi dovrai ripulirla una seconda volta. Con la lisciva." sorrise perfidamente Rosa. “Brucia un po’ la pelle, ma sai, toglie gli aloni che è una meraviglia.”

Helli tenne a freno la lingua, in uno sforzo così evidente di non risponderle male, che quasi fece scoppiare a ridere Eradan.

Decise che la conversazione con la ragazza sarebbe proseguita dopo cena. Heloise stava nascondendo troppe cose e la sua lunga vita da Dunedain gli aveva insegnato che chi molto nascondeva, molto aveva da rischiare.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Incontri nel bosco ***


Un grillo volava veloce nell'aria della notte.

Dopo essere stato in casa Quincy, dopo aver percepito con i suoi sensi la conversazione fra il Ramingo e la ragazza umana, dopo aver rischiato di farsi scoprire da Helli, aveva tolto il disturbo, passando attraverso una crepa nel soffitto.

Volava attraverso la bruma notturna, sotto al mantello blu della notte, orientandosi con la luna.

La sua padrona lo aspettava, in una grotta nei pressi di Tharbad, città costruita sul fiume Inondagrigio.

Melthotiel era arrivata quasi all'Enedwaith, sterminato territorio oltre al quale si elevava la città di Isengard, meta di quella sciocca umana. La più giovane delle ragazze Foley aveva quattro giorni di vantaggio su di lei, e la Strega si chiese se fosse già arrivata alla corte di Saruman. 

Melthotiel guardó l'altra umana, il suo ostaggio. La più grande di quelle due dannate sorelle che si erano messe fra lei e il sogno di riportare il Mil Naur ad Angmar. Agandaûr, il fidato luogotenente di suo marito, la stava aspettando, per poter partire nella sua missione più importante: trovare il Drago Urgost e tramite lui attaccare tutti i territori elfici, nanici e umani che ostinatamente si opponevano al grande Signore di Mordor.

Le supposizioni di Elrond erano corrette: il Re Stregone si era risvegliato, ma non aveva ancora tratto a sé tutta l'energia necessaria per svolgere da solo il compito. Era debole, ancora vivo in lui il ricordo di Glorfindel, quel Signore elfico così forte da contrastarlo e vincerlo. Il suo rifugio era ad Angmar, fra i suoi Orchi. Un regno antichissimo, ma non morto, che andava nuovamente fatto proliferare.

Dopo la prima sconfitta di Sauron, alle pendici del Monte Fato, la Regina Strega Melthotiel era stata abbastanza furba da fuggire da Angmar, per non fare la sciagurata fine del consorte; si era nascosta con il Mil Naur nel mondo. Travestita da un milione di cose diverse, era sempre riuscita a non farsi scoprire, e aveva avuto un bel po' di tempo per studiare la situazione della Terra di Mezzo, e pianificare la sua strategia.

Voleva l'Unico Anello, che a quel tempo era nascosto chissà dove. Custodito da qualcosa, o qualcuno. Il suo scopo era terrorizzare quello sconosciuto portatore e obbligarlo a venire allo scoperto. Aveva ragionato sulle possibile eventualità: l'Anello doveva per forza essere finito nelle mani di un Uomo, o un Elfo, o un Nano. Le tre comunità principali di Arda. Solo i tre più grandi popoli potevano avere abbastanza forza e sapienza per nasconderlo. Non le era neanche passato per la mente che potesse essere un Hobbit.

Non riteneva neppure che il custode fosse Elrond, o Galadriel. Troppo intelligenti per non capire il rischio e troppo nobili per farsi corrompere, l'avrebbero distrutto. Era assai più probabile che fosse nelle mani di un Uomo: gli Uomini erano più facili da sedurre con la promessa del potere, e dopo la morte di Isildur, era più che ragionevole pensare che l'avesse trovato un suo simile, che forse lo aveva chiuso in uno scrigno.

Usare il Drago Urgost come minaccia avrebbe fatto prendere una bella strizza a qualsiasi Re o Governatore, che magari nel tentativo di proteggere il suo territorio da un incendio e la sua gente da una carneficina, avrebbe riconsegnato l'Anello nelle mani giuste. Le sue.

Melthotiel pregustava il momento in cui l'Unico sarebbe finito tra le sue grinfie, come già era l'Anello dell'Ombra. E poi...già, e poi? Che ne avrebbe fatto?

Su questo, era ancora dubbiosa. Consegnarlo a Sauron, era la scelta più ovvia... ma la Strega non era del tutto convinta. Anche lei lo desiderava, per sé. 
Con quel cerchietto d'oro fra le due mani, sarebbe diventata lei la dominatrice del mondo. Un pensiero talmente esaltante da strapparle un ghigno.

"Hmmm....hmm..." si lamentó la donna bionda. Isadora aveva le mani legate dietro la schiena, era sdraiata in un angolo della grotta, e si contorceva per gli spasmi della fame e per il dolore insopportabile alle articolazioni. Aveva anche un lurido pezzo di stoffa sulla bocca, legato dietro la testa.

"Fa' silenzio!" ordinó Melthotiel, mollandole un calcio negli stinchi. Poi prese un coscia del coniglio che aveva arrostito su un faló improvvisato, e gliela lanció. "Mangia questo, se hai fame."

Isa la imploró con gli occhi di toglierle il bavaglio.

La Strega si avvicinó e le strappó lo straccio dal viso. "...ma se ti azzardi a fare un fiato, sai che ti succede." la minacció.

Non era stato facile gestire l'umana: Isadora in quei tre giorni l'aveva insultata, maledetta, aveva invocato i Valar, aveva pianto, aveva urlato. Melthotiel l'aveva ridotta in stato d'incoscienza per quasi tutto il tempo, ma non poteva ucciderla. La ragazza doveva vivere, ed essere usata come ostaggio.

"...liberami i polsi, ti prego. Mi fanno...male..." sussurró Isadora. Aveva del terriccio sul viso e i bei capelli biondi avevano assunto un colore giallognolo, più simile alla paglia. Era smunta e debole. 

"Scordatelo." sibiló Melthotiel. "Ed é inutile che preghi. Sei viva perché al momento mi servi. Ma potrei toglierti dalla faccia della Terra in un batter d'occhio, se decidessi di cambiare piano."

"Come posso mangiare se..." continuó Isa.

"Arrangiati. Fa' come i cani: strappano la carne a morsi dalle ossa." sorrise la Strega. "Non sei molto diversa da un cane, a ben vedere."

Improvvisamente, un insettino voló nella grotta e si posó su una delle pareti. "Eccoti." commentó la Strega.

Isa alzó la testa per vedere cosa stesse succedendo. Era appena entrata quella che sembrava una cavalletta verde, o un grillo. Aveva sempre avuto la nausea e il terrore degli insetti, ma era niente rispetto a quell'orrore indicibile che sentiva per la sua aguzzina. Quell'essere era tutto ció di cui erano fatti gli incubi: il suo viso cinereo e raggrinzito, i suoi capelli grigi e quegli occhi vitrei e senza luce, che tradivano l'assenza di un'anima. Forse la Strega era stata un Elfo, come dimostravano le orecchie a punta, ma di quella nobile e leggiadra razza non le restava null'altro.

"Allora, quali nuove?" chiese la Strega al grillo. L'insetto inizió il suo canto.

Isa vide la Strega assumere un'aria via via sorpresa, accigliata, e infine furiosa. Vide le sue mani lunghe e magre stringere i pugni e agitarli nell'aria. Subito una serie di piccole saette scaturirono dalle nocche e colpirono la roccia.

"Aaaahh!!! Quell'inutile impiastro!!!" ringhió Melthotiel. "Stupidi, schifosi umani!!!"

Isa si levó a sedere spaventata, e cercó di trascinarsi in un angolo ancora più lontano. Ma la Strega si scaglió su di lei in un baleno: l'afferró per il collo di nuovo, come aveva fatto in casa Foley. "La tua cara sorellina non è mai arrivata a Isengard. E ha spifferato tutto a un Dunedain!! Mi hai sentito?! Adesso quello la protegge!!" le gridó. "Siete due imbecilli, tu e lei! Come vostro padre!"

Detto ció, spinse la testa di Isa contro il muro, così forte da farle perdere i sensi. Poi si giró e scaglió una delle sue saette contro il grillo, che finì a terra stecchito.

Tentó di ritrovare la calma. A quel punto, doveva modificare i suoi piani. Doveva inseguire la ragazza che stava per andare a Nord, con quel Ramingo. Un Dunedain era una brutta gatta da pelare. Erano guerrieri molto pericolosi e scaltri. Quel tizio sapeva del Mil Naur e sapeva del suo potere. La faccenda era preoccupante: quei due umani non dovevano assolutamente trovare Urgost  prima di lei, o l'avrebbero sottomesso, e non certo per servire Sauron. Un Drago schierato dalla parte sbagliata, era un nemico oltre ogni capacità.

Aveva già commesso un errore madornale a fidarsi di un umano, il padre di quella Heloise e dell'altra. Non poteva permettersi di commetterne un altro.

🌺🌺🌺

"Questo é un errore, sappilo." disse Helli ad Eradan, mentre attraversavano di nuovo il Bosco Cet. Avevano abbandonato Arceto all'alba. Il Ramingo aveva lasciato una ventina di monete sul tavolo della cucina di Rosa. Non avrebbero trovato facilmente nuovi clienti, e così le aveva lasciato un po' di che vivere.

"Ne ho commessi molti nella vita...uno più uno meno..." rispose l'uomo. "Dovrai trovare un vero cavallo. I pony non reggono le lunghe distanze."

"Si ma questa volta hai coinvolto anche me. È tutto così sbagliato." brontoló di nuovo la ragazza.

"Credo che tu non abbia compreso la faccenda in cui sei caduta. A questo punto, devi fare la volontà dei Valar." ribattè Eradan. "Io mi considererei onorato, al tuo posto."

"Diciamo piuttosto che hai deciso tu per me!  So solo questo!" si sfogó Helli. "Mi stai obbligando a seguirti!"

Eradan fermó il cavallo. "Ragazza, non penserai di lamentarti in questo modo fino a quando sarà finita?" le chiese. "Sappi che la mia pazienza ha un limite. Non è per piacere che ti accompagno, ma per senso dell'onore. Lasciarti sola è fuori discussione.... Farin deve essere ancora in giro." continuó, guardandosi attorno. 
"Dobbiamo trovarlo."

"Non era in questa zona. Era più a Nord. E chissà adesso fino a dove si é spinto." lo informó Helli.

"Non puó essere lontano. Mi ha detto di voler rimanere nei paraggi fino ai primi caldi." ragionó Eradan. "Guarda!"

Indicó una brace spenta. Qualcuno era stato lì. Eradan scese da cavallo e osservó la cenere. Era bagnata.

"Hanno spento il fuoco con dell'acqua, quando ci hanno sentiti arrivare. Non è il Nano, avrebbe riconosciuto la mia voce." disse Eradan. "Smonta dal pony e stammi vicino. Svelta! E tieni sulle spalle la sacca. Ben legata."

Estrasse la spada e si guardó in giro. Helli nel frattempo corse da lui. "Chi puó essere?" chiese, spaventata.

"Non lo so. Ma se si nasconde, non ha buone intenzioni, o ha paura." rispose l'uomo. "Chi c'é qui?! Venite fuori!"

Nessun movimento. Helli inizió a tremare. Un leggero venticello inizió a farsi largo fra le fronde. L'atmosfera le sembrava irreale.

"Senti... forse se ne sono andati. Perché non ci rimettiamo in marcia?" propose a Eradan.

"No. Chiunque sia, è lì dentro." disse Eradan, indicando con la testa il fitto del bosco. "É lì dentro e ci sta osservando."

Uno stormo di passeri si alzó in volo e sparì nel cielo. Un pettirosso, invece, si posó su un ramo lì vicino. Helli lo guardó: era piuttosto grosso e aveva una macchia vermiglia sul petto. Un maschio.

"Che strano... un pettirosso in questa stagione. Sono uccelli che amano l' inverno." commentó.

L'uccellino inizió a gorgheggiare. Un canto melodioso, composto da brevi frasi e fischiettii, simile a quello dell'usignolo. Sembrava stesse chiamando qualcuno.

Un improvviso fragore alle loro spalle fece sobbalzare i due. Qualcosa era letteralmente volato giù da un ramo e si era rannicchiato a terra, avvolto da un mantello verde. Arco e frecce sulla schiena, il cappuccio tirato su a coprire il volto.

Una mano delicata poggiata a terra, per sostenersi.

"Un Elfo." commentó subito Eradan. "Chi sei?" chiese poi, a voce alta.

La creatura di levó in piedi. Non era molto alta ed era snella, e prima ancora che scoprisse il viso, Helli intuì che era una femmina.

"Mi chiamo Andriel." si presentó l'Elfa, abbassando la cappa del mantello. "La ragazza deve venire con me."

Heloise ed Eradan si guardarono sorpresi.

"Non lo ripeteró un'altra volta: la ragazza deve seguirmi. É la decisione di Lord Elrond, Signore di Imladris." disse Andriel, avvicinandosi ai due. I suoi occhi incontrarono quelli di Heloise. "Tu corri un enorme pericolo. Sono qui per condurti da Dama Galadriel, nel Lothlórien."

"Lo sappiamo anche noi che é in un grande pericolo. Ma devo dirti di no. Abbiamo un piano, sono certo che Elrond sarebbe d'accordo." disse Eradan.

Con un movimento fulmineo, Andriel prese l'arco e puntó una freccia contro Eradan. "Allora non mi hai capito. Lei...viene...con me. Sono questi i miei ordini."

"Buona con quell'arma." le disse il Dunedain, alzando le mani. "Non sono nemico tuo."

"Chiunque si opponga alle parole di Lord Elrond é di fatto un mio nemico." disse l'Elfa.

"Elrond non é il padrone del mondo. Non devo sottostare alle sue decisioni. Abbassa...quell'arco." disse ancora Eradan. "Ora lascia che ti spieghi..."

"Eradan!!!! Razza di brigante!!! Che piacere rivederti!" si sentì una voce urlare. Uno dei cespugli venne schiantato al suolo. Apparve Farin, felice per aver appena catturato un paio di lepri. Vide Helli. "Ma guarda, é piccolo il mondo, eh? Ancora tu?"

"Sì, piccolo e troppo affollato." ribattè l'Elfa. Poi si rivolse a Helli. "Tu, seguimi."

"Cosa ci fa qui un Elfo femmina? Non è territorio vostro, questo." chiese Farin, sprezzante. "E chi diavolo ha spento il mio faló?!"

"Non è nemmeno territorio tuo, Nano." rispose Andriel. Poi guardó la ragazza, stretta a Eradan. "Sei sorda, mortale? Vieni con me."

Il Ramingo si scostó, per guardare l'umana negli occhi. Vide tutta la sua paura traboccare da quelle iridi scure.

"La portatrice del gioiello deve scegliere. Sai quello che devi fare. Devi venire sulle Montagne Grigie." le disse il Ramingo, porgendole la mano. "Segui me."

"Le Montagne Grigie? Anche voi?" chiese Farin. "Cos'é questa storia?"

"Una storia che finisce qui. Ho ordine di condurre la donna umana al sicuro. Tu..." comandó a Helli. "...fidati. Allontanati da quest'uomo e vieni con me. Non dovrai preoccuparti più di niente dopo."

Circondata da quei tre, la ragazza venne travolta dal panico. Lo stesso che aveva sentito in casa Baggins. E di nuovo, di fronte a una scelta,  fece quello che la sua natura le suggeriva sempre di fare.

Giró i tacchi e scappó a perdifiato nel bosco.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** L'ago della bilancia ***


La prima a lanciarsi al suo inseguimento fu Andriel.

In pochi secondi riuscì a raggiungerla e ad afferrarla per un polso. Cercó di non stringere troppo per non farle male, ma l'umana si divincolava, e l'Elfa fu obbligata a tirarla con forza. "Lasciami!!" urló Heloise. "Lasciami subito!"

"Ferma! Ferma, o sentirai dolore!" le disse l'Elfa. "Non puoi scappare da me, smetti di agitarti!"

Helli si giró a guardarla. "Ma chi sei? Chi sei tu??!" le chiese, i suoi occhi castani spalancati e sconvolti. Poi un sospetto la colse. "... tu sei lei, vero? Oh Valar aiutatemi... tu sei LEI!!!" gridó.

"Cosa... di che parli? Io mi chiamo Andriel, appartengo all'esercito di Lord Elrond." ripeté l'Elfa, mollando il polso dell'umana. "Calmati adesso, e parliamo."

"NO! Sei Melthotiel, travestita! Sei qui per uccidermi e portare via il gioiello!! Ma non te lo lascerò fare...non te lo lasceró...fare..." sibiló Helli. La sua espressione era cambiata, da impaurita a rabbiosa. "Stammi lontana, hai capito?"

Detto ció, l'umana arretró di qualche passo. Nel frattempo arrivó Eradan, seguito da Farin. "Sta' buona, Heloise. Va tutto bene, calmati." Le disse il Ramingo, parlando lentamente per tranquillizzarla. "Ti metterai in grave pericolo se scappi attraverso il bosco, qui intorno è pieno di fosse nascoste."

"É vero, l'altro giorno ci stavo per finire dentro anch'io." confermó Farin. "E ci sono serpenti velenosi fra i massi. Per non parlare dei rovi. Non è una bella idea correre a perdifiato in questo intrico di vegetazione."

"Ma chi siete voi tre? Cosa volete? Perché non mi lasciate in pace?!!" gridó ancora la donna. Aveva messo da parte la sua capacità di autocontrollo, così come la sua fiducia nella logica. Quei tre davanti a lei le sembravano improvvisamente nemici. "Nessuno di voi, né Gandalf o Thorin... nessuno puó eleggersi padrone della mia vita!!! Non faró quello che volete voi! Non verró in nessun posto con voi! Lasciatemi andare!"

"Thorin Scudodiquercia? Che c'entra Thorin, lo hai conosciuto?" chiese Farin, stupito.

Helli lo ignoró. "... a Isengard. Lì devo andare. Ed è lì che andró." disse di nuovo. "Non me lo impedirete. E tu..." disse, rivolta ad Andriel. "...che tu sia un soldato o una strega elfica... non faró niente di ció che mi ordinerai."

"Non sono una strega, e non so di che parli." rispose Andriel. "Guardami. Non sono tua nemica."

Helli fissó gli occhi celesti dell'Elfa. Sembrava giovane, nella prospettiva di uno della sua razza: probabilmente aveva superato il migliaio di anni. Il suo viso e il suo lieve sorriso lasciavano trasparire sincerità e grazia. Ma poteva essere un trucco. Gandalf era stato chiaro su Melthotiel: poteva assumere forme diverse ed era scaltra nell'attirarsi la fiducia del prossimo.

"Questo Elfo femmina non ha nulla a che vedere con la creatura che ti dà la caccia." intervenne Eradan.

"Come lo sai?" rispose Helli.

"Ti avrebbe già strappato di dosso quello che hai, e sai a cosa mi riferisco. Credo che l'abbia inviata davvero Sire Elrond di Gran Burrone. Indossa una tunica con i simboli del suo esercito." ribatté Eradan. Stava guardando Andriel attentamente.

"Grazie per la fiducia, mortale. Ma la ragazza viene con me. È stato deciso così, e così sarà fatto." disse l'Elfa.

"Ma deciso da chi? Da chiiii??!" Helli scoppió in lacrime. Si portó le mani al viso. "Vi prego: la mia vita è giá stata orribile... mio padre è morto anni fa... mia sorella e mia madre vivono in povertà... mia sorella... dovrà sposare un povero babbeo solo perché ha qualche soldo da parte... stavo anch'io per darmi a un vecchio bavoso... per soldi. Io ho un sogno, voglio..."

"... diventare una scienziata." dissero Eradan e Farin all'unisono.

"Lo hai ripetuto abbastanza. Comprendo le difficoltà della tua vita. Ma qui é in corso qualcosa di grave. Se Elrond ha mandato un suo soldato a proteggerti c'é un motivo. Metti da parte te stessa e i tuoi progetti, ora." disse Eradan. "É il destino di tutta la nostra Terra ad essere minacciato. Finché tu vaghi senza protezione, questo pericolo incombe. Ti prego di riflettere."

"E non è Saruman la persona giusta a cui affidarsi. Il mio signore Elrond dubita di lui." aggiunse Andriel. "Dubita della sua onestà. Dicono che il suo animo sia corrotto."

"Quel vecchio bacucco non è mai piaciuto nemmeno a Thrain, il mio Re. Diceva che ha un'ambizione smisurata." Commentó anche Farin. "E ben poco degna di un Istari."

Heloise si passó una mano sul viso bagnato di lacrime. Singhiozzava senza sosta.

Andriel si avvicinó. "So che hai paura. Ti capisco. Voi umani siete fragili, Elrond lo ripete in continuazione. Ma sei arrivata fin qui, c'é anche tanta forza in te. Lo sento. Ti condurró nel Lothlórien, i suoi confini sono protetti dal grande potere di Dama Galadriel." poi osservó Eradan. "Non oserai metterti contro Galadriel? Si aspetta che la donna venga portata nel suo territorio. Se lei e Lord Celeborn non ci vedono arrivare, manderanno i loro arcieri a cercarci." 

Eradan guardó in basso, a terra. Doveva capitolare: ignorare un ordine di Elrond era una cosa, ma sfidare la volontà della più potente strega elfo al mondo era un'altra. Galadriel non era qualcuno a cui voltare le spalle senza conseguenze.

"E va bene. Ma io vengo con voi." disse. "Nel caso la creatura che insegue questa ragazza vi trovasse. Non ce la faresti da sola, ad affrontarla."

"Se desideri, non te lo impediró." rispose Andriel.

"Hey! Ma perché prima parlavate di andare sulle Montagne Grigie? E perché questa donna conosce Thorin?" intervenne Farin.

"... io non so più... non so più che fare." sospiró Helli.

"Quando si è confusi, si deve ascoltare chi é più saggio. Andremo nel Lórien, lì ti confronterai con la Signora degli Elfi. Lei ti dirà cosa fare." rispose Eradan. "Poi, quando sarai al sicuro, e quell'oggetto sarà messo in condizione di non nuocere, io me ne andró. Se Dama Galadriel non vorrà usarlo, non mi opporró alle sue decisioni."

"Scusate! Qualcuno vuole rispondermi? Ho fatto una domanda!" chiese stizzito Farin.

"Il Nano non riesce a tenere la bocca chiusa." disse Andriel. "Ma che novità..."

"Non voglio risposte da te. Nessuno crede alle fandonie degli Elfi." ribatté Farin, burbero.

"Stanne fuori, amico mio." consiglió Eradan. "È una brutta faccenda, ma tu per ora non ne hai niente a che vedere."

"Eh no!" sbottó Farin. Indicó Heloise, ormai rassegnata. "... questa ha conosciuto Thorin, non é vero? Voglio sapere dove lo hai incontrato! É qui, nei paraggi? Re Thrain è sparito. Io e lui abbiamo vagato per il Dunland, ma è scomparso anni fa, mentre io ero in missione. Temo sia stato ucciso. Devo informare suo figlio, il principe. Credevo vivesse sui Monti Azzurri, ma questa ragazza viene dal Minhiriath. Deve averlo incontrato non lontano da qui. Perché non me lo hai detto?" chiese ad Heloise.

"Thorin è in missione segreta con dodici altri Nani. L'ho incontrato nella Contea Hobbit." farfuglió Heloise. "Ora peró, non so dove sia. Lui e gli altri vogliono tornare ad Erebor."

"Ohh! Erebor!" Esclamó Farin. "I Valar siano benedetti!! Sapevo, sapevo che Thorin ci avrebbe provato! Vuole tornare nella nostra patria!"

"Sentite, perché intanto non ci mettiamo in cammino e voi due parlate mentre siamo in marcia?" propose Andriel. "Puoi venire nel Lórien anche tu. Ma sappi, che i Nani lì non sono bene accolti."

"Gli Elfi dovrebbero sentirsi onorati di avere un Nano come ospite!" grugnì Farin. "Ma se Thorin è diretto ad Erebor devo raggiungerlo. Vuole uccidere Smaug. E voglio esserci anch'io, quando valicherà la soglia del nostro regno!"

"Sarebbe bene che tu venissi con noi, invece. Un guerriero come te ci puó fare comodo. Il Lothlórien è nella stessa direzione di Erebor, verso Est. Anzi..." chiese Eradan ad Andriel. "... non sarebbe più opportuno portare la ragazza a Gran Burrone? É più vicino, e non ci sarebbero le Montagne Nebbiose da attraversare."

"Elrond preferisce che la donna vada  nel Lórien. Credo non voglia avvelenare Imladris con la negatività dell'oggetto che ha con sé. Teme possa attirare pericoli verso il nostro popolo, credo." spiegó Andriel.

"Ah! Che rivelazione!" esclamó Farin. "Il temerario Elrond che teme i pericoli!"

"Fa' silenzio! Il mio signore non é un codardo! Le sue decisioni sono sempre le più giuste." sbottó Andriel.

"Smettetela. Un lungo viaggio ci attende. Risparmiate le energie. Tu, sei pronta?" chiese l’uomo a Heloise.

"Ho scelta?" ribatté lei.

"Dovresti averlo capito, ormai." Eradan sorrise. "No."

🌺🌺🌺

"C'é una cosa che non mi torna, in tutta questa faccenda." disse all'improvviso Heloise, mentre erano in cammino. "Perché quella Strega ha dato il Mil Naur a mio padre? Perché ha coinvolto un uomo che non c'entrava niente? Perché non é andata di persona a cercare Urgost?"

Andriel era davanti a tutti, staccata di diversi metri dal gruppetto. Il Nano seguiva in coda. Continuava a girarsi, per assicurarsi che non fossero seguiti.

"Me lo sono chiesto anch'io, dopo che mi hai raccontato la storia. Una spiegazione puó essere che voleva coinvolgere un umano. Lo ha fatto di proposito per compromettere la tua razza." rispose Eradan.

"Compromettere? Cosa intendi?" indagó Helli. Si chiese cosa stesse facendo sua madre in quel momento e le venne un groppo in gola. Forse era a casa a stirare le lenzuola dei vicini e ad immaginarsi la giovane figlia in fila per far domanda a Isengard.

"Ascolta: in questo mondo esistono le forze del Bene, rappresentate da Elfi, Nani, Spiriti fatati, come gli Ent, e altre creature figlie di Eru. Ed esistono i Popoli del Male, figli di Morgoth: Orchi e Orchetti, Goblin, Balrog e così via. Queste due fazioni sono in perenne conflitto per occupare la nostra verde Terra. E poi ci sono gli Uomini. Una terza forza che é sempre stata una sorta di ago della bilancia: alcuni schierati dalla parte giusta... penso a Rohan, Gondor. E altri, che purtroppo si sono lasciati sedurre dal Male: gli Haradrim del Sud, i mercenari dell'Est, i pirati. Sauron e i suoi schiavi cercano da sempre di tirare la razza umana dalla loro parte in modo definitivo. Perché sanno che gli Uomini hanno risorse, sono forti. Vogliono che gli Uomini tradiscano gli altri popoli liberi. Vogliono che gli Elfi li disprezzino, li allontanino." spiegó Eradan. "Vogliono l'isolamento degli umani, in modo da risucchiarli nel suo vortice."

"Continuo a non comprendere, scusa." disse Helli.

"Se tuo padre avesse fatto quanto ordinato dalla Strega, se avesse portato il Mil Naur ad Angmar e l'avesse consegnato ad Agandâur, avrebbe messo un'arma potentissima nelle mani di Sauron. Elrond e Galadriel l'avrebbero saputo. Avrebbero concluso che la razza umana è diventata complice delle forze oscure. Avrebbero perso la loro fiducia nella tua gente. Capisci?" disse Eradan.

Helli annuì. Poco a poco il quadro diventava chiaro. "Sì, forse sì."

"Ma tuo padre per fortuna non ha obbedito. Mosso dalla tentazione di rivendere il diamante, l'ha tenuto per sé. Ha peccato di avidità, ma ha fatto la scelta più giusta." commentó Eradan.

"Ma non l'ha venduto." disse Heloise.

"No, perché ha capito che l'oggetto é maledetto. Non so se per paura o per onore, non l'ha fatto uscire dalla vostra soffitta. Non ha esposto il mondo al pericolo che porta con sé." aggiunse il Ramingo. "Melthotiel ha cercato di giocare d'astuzia, ma ha finito per farsi scacco matto da sola. Per ora. A meno che non sia tu ad aiutarla."

Heloise annuì.

"Ti é chiaro ora perché non possiamo lasciarti sola? Non é una limitazione alla tua libertà, esci da questa mentalità individualista. É molto più complesso." aggiunse Eradan. 

"E perché io posso toccare la pietra?" chiese ancora Heloise. "Perché su di me non ha effetti nefasti?"

"Questo é da capire. Non ti so dare una risposta." ribatté Eradan. "Forse Galadriel lo sa."

I quattro rimasero in silenzio, mentre proseguivano sui sentieri dei boschi.

Andriel si fermó bruscamente.

"Che c'é?" chiese Eradan.

"Qualcosa." rispose l'Elfa. "Qualcosa in avvicinamento."

"Un pericolo?" chiese il Ramingo.

"Forse. Forse no. Non distinguo da qui." poi si zittì. "La ragazza... stalle vicino. Io vado a vedere." e scattó oltre un masso, saltandolo con la stessa agilità di una gazzella.

Helli si nascose dietro Eradan, mentre Farin li raggiungeva. "Allora, che avete?" chiese il Nano.

"Silenzio, Farin. L'Elfo femmina ha avvertito qualcosa..." gli disse Helli. "Credo che..."

"Venite qui!!" si sentì la voce di Andriel, chiamare. "E dite al Nano di sbrigarsi!"

 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Amicizie ***


"Che mi venga un....sono Troll!"  esclamó subito Farin. "Sono stati tramutati in pietra, ma erano Troll in carne ed ossa."

In uno spiazzo oltre il grande masso che Andriel aveva scavalcato con destrezza, comparvero infatti tre enormi statue. Grigie, e insozzate da un po' di guano degli uccelli; i contorni non lasciavano dubbi, erano tre appartenenti a una specie vagamente umanoide, ma di spropositate dimensioni. Tre Troll di montagna.

Heloise soffocó un grido appena si trovó di fronte a quei grotteschi monumenti: aveva letto molto sui Troll e sapeva che, di tutte le creature che abitavano Arda, fossero fra le più pericolose. Aggressivi, stupidi, sempre affamati e soprattutto enormi, avevano paura solo della luce del sole. Vivevano nelle caverne, oppure, se uscivano all'aperto, lo facevano solo di notte, per approfittare dell'oscurità. Non avrebbe mai immaginato di trovarsene addirittura tre davanti, seppur in forma inanimata. "Allora è vero! Si trasformano in pietra con la luce..." mormoró, meravigliata.

Ma non fu solo questa visione a lasciare a bocca aperta il gruppetto : nei pressi delle statue, sparpagliate in giro, c'erano sacche e funi. Qualcosa era stato intrappolato dai tre mostri, ma era riuscito a fuggire, forse poco prima che il sole facesse capolino. Eradan guardó a terra e vide tracce di zoccoli equini. "Sono passati dei cavalli qui. Le orme sono piccole... erano pony."

Helli osservó una casacca buttata a terra come uno straccio zuppo di fango. "L'ho già vista... era di Oin!" esclamó. "I Nani, e Gandalf... devono essere stati qui!"

"Sì, lo penso anch'io." confermó Andriel, che raccattó da terra un vecchio fazzoletto. "Hey tu...Nano... riconosci questi simboli?" e lanció a Farin il pezzo di stoffa.

Farin l'afferró al volo e studió la decorazione. "Sì, è il simbolo della casata di Durin. Due martelli incrociati sopra un'incudine." poi sospiró. "Thorin e gli altri devono essere giunti fin qui!! Forse ieri notte. Accidenti! L'ho perso per un pelo!"

"La luce dell'alba ha ucciso i Troll." ragionó Eradan. "Credo abbiano catturato i tuoi amichetti per farsi una bella mangiata, ma gli è andata male." Guardó verso resti del faló, su cui i Troll volevano probabilmente arrostire i tredici Nani.

"Allora possono essere vicini. Possono essere nei paraggi.. con Gandalf!" disse Heloise. Già, e se si fossero ritrovati? Se avessero trovato lei, la fuggiasca? Bastó il pensiero per riempirla di imbarazzo e paura.

"No... tu non conosci la mia razza... siamo ottimi camminatori... purtroppo sono già lontani." aggiunse Farin. "Oh, come avrei voluto parlare con il nostro principe! Ho molto da dirgli."

"Beh, se non altro sappiamo che sono passati di qui, e che per ora sono vivi. É già qualcosa, Farin. Forse ad Erebor vi rivedrete." disse Helli. "Non riesco nemmeno a pensarci... la Montagna Solitaria é lontanissima. Quanto ci metteremo?"

"Un mese, credo. Camminando spediti." ribattè il ramingo. "Tre settimane per raggiungere il Lórien, invece."

"Cooosa??!" sbottó Helli. "Ma é un'infinitá!!"

"Non fingere di cadere dalle nuvole. Hai delle mappe, sai bene qual'é la distanza. E non voglio lamentele. Inizio ad essere stanco della tua petulanza, giovane. Ormai questa cosa va portata a termine." la rimbrottó Eradan. "... la nostra missione è portarti lì."

"Un mese... a Isengard chiuderanno le selezioni... un mese..." piagnucoló Helli.

Eradan si stupì. "Di'... ma non sai pensare ad altro?? C'é un essere maledetto che ti sta inseguendo, porti con te un oggetto potentissimo... e non fai che rammaricarti per quella scuola di stregoneria? Credo davvero che tu debba rivedere le tue priorità."

"Scuola di magia?" chiese Andriel, mentre i quattro si rimettevano in cammino. "Di cosa parlate?"

"Heloise vuole diventare la versione femminile di Gandalf il Grigio." spiegó  Eradan. "Ti starebbe bene il cappello a punta."

Farin scoppió in una risata.

"Ti dispiace lasciar spiegare me?!" ribattè Helli, un po' rossa in viso. "Nella Torre d'Orthanc, a Isengard, ogni cinque anni Saruman e gli altri Saggi aprono le selezioni per la formazione di nuovi Maghi di razza mortale, o Maghe... nel mio caso... anche se non ci sono mai state allieve donne."

"...fai prima a dire Strega." aggiunse Farin. "Maga è quasi un complimento..."

"...io preferisco pensare che sia una scuola preparatoria per scienziati, medici, guaritori... insomma, un circolo che sforna gente erudita, colta, che conosca i segreti della natura..." continuó Helli.

"Lo trovo un progetto delizioso. È bello che tu abbia questi interessi. Non molti umani si intendono di guarigione e dei poteri della Natura." sorrise Andriel. "Lord Elrond mi ha insegnato tutto sulle erbe curative."

"Davvero?!" si illuminó Heloise. "Allora, forse puoi darmi qualche lezione..."

"Se saprai ascoltare, volentieri. Ma perché Saruman ha aperto questa possibilità agli umani? Qual'é il suo tornaconto? Chiede un compenso in cambio?" indagó Andriel.

"No. In realtà ogni studente é ammesso gratuitamente, bisogna solo preparare un saggio su un argomento non ancora approfondito dai volumi esistenti nella grande biblioteca di Isengard. Una specie di ricerca. Peró servono fondi per mantenersi, sai, cibo, libri... questi si pagano. E credo ci siano tasse per l'alloggio. Poi, io non so molto, ho raccolto solo voci. Intendevo scoprire tutto una volta lì."  continuó Helli.

"É ben strano... che Saruman sia così filantropo da diffondere conoscenza preziosa e arcana senza nulla in cambio. Bisognerebbe capire esattamente cosa viene insegnato laggiù. Hai mai conosciuto qualcuno tornato da quella Torre?" chiese Andriel.

"No. Si dice che alcuni ex studenti spariscano improvvisamente. Ma sono voci, ripeto." rispose Helli.

"Io dico che dovresti starne lontana." intervenne Eradan.

"Anch'io." aggiunse Farin. "Fossi in te, terrei le distanze da Isengard. Quel posto ha qualcosa di malefico."

"Ma tu non sei me. E Saruman è saggio e potente. L'ho sempre ammirato, come Gandalf." rispose Helli. "Certo, se tarderó così tanto i miei progetti andranno a farsi benedire."

"Potresti riprovarci fra altri cinque anni." consiglió il Nano.

"No. Ora o mai più. Fra cinque anni potrei aver perso ogni entusiasmo. Oppure, potrei anche non essere più in vita." rispose la ragazza. "Se c'é una cosa che sto capendo ultimamente, é che la nostra vita é sempre in cambiamento. E il cambiamento é un'onda che puó sospingerti, o affondarti."

"Facciamo della filosofia, eh? Io sto iniziando ad avere fame, piuttosto." borbottó Farin. "Dovremo pensare a dove accamparci, stanotte."

"É presto! Non é nemmeno mezzodì!" rispose Eradan. "Ogni giorno dovremo camminare almeno dieci ore, sappiatelo. E con pause solo per dormire o mangiare."

"Non credo di reggere, se questo é il piano." protestó Helli.

"Vallo a dire a Melthotiel." ribatté il ramingo. "Lei non si stanca mai, temo."

"Se la incontrassimo, tu saresti in grado di difenderci tutti?" chiese l'umana. Improvvisamente, un guizzo di paura saettó nello stomaco.

Eradan rimase zitto qualche secondo. "Non lo so. Non lo so davvero." rispose infine. "Adesso basta con le chiacchiere. Molta strada é ancora da percorrere. E le Montagne Nebbiose sono un ostacolo che dovremo superare. Non sarà facile."

"Dobbiamo passare dal Reame di Nanosterro!" suggerì Farin.

"...cosa?" domandó Helli.

"...le miniere di Moria." chiarì il ramingo. "Ma non é una buona idea."

"Perché no? Sono un ottimo passaggio, caldo e asciutto. Non vorrai attraversare picchi di montagna innevati? La ragazza non ce la farebbe." replicó Farin.

"Quelle miniere sono infestate da un numero elevatissimo di Orchi e Goblin. E si dice che anche un Balrog si nasconda lì. Questo chiude la questione." rispose Eradan, seccamente.

"Sciocchezze! La mia gente vive nelle caverne di Moria e non é mai arrivata notizia di ció che dici." protestó Farin.

"Già, Eradan ha ragione. Dobbiamo trovare un'altra via. Io posso camminare sulla neve, il gelo non mi infastidisce." disse Andriel. "Heloise puó coprirsi, le daró il mio mantello, é un tessuto elfico che isola il corpo da temperature troppo rigide o troppo elevate."

"Grazie Andriel. Sei gentile." disse l'umana.  "E scusa se all'inizio dubitavo di te."

"Capisco le tue paure. Quello che stai affrontando non é facile. Anch'io avrei timore di tutti. Perció non scusarti." sorrise l'Elfa.

"Adesso basta. Risparmiate le energie, d'ora in avanti. E camminate." le interruppe Eradan. "Ci sarà tempo per le chiacchiere questa sera."

🌺🌺🌺

Andriel non riusciva a dormire.

Giunto il tramonto, si erano accampati nei pressi di uno stagno, circondato da rocce e muschio. Buon posto dove nascondersi. E poi, il muschio era soffice, comodo per dormirci sopra.

Eradan e Farin avevano consumato una cena abbondante, avevano trovato un nido di quaglia da cui avevano rubato le uova, e avevano catturato un fagiano, subito finito arrosto.

Helli aveva mangiato poco; non amava la carne e si era limitata a sgranocchiare un po' di pane elfico offertole da Andriel.

I due maschi del gruppo, Uomo e Nano, si erano poi rannicchiati accanto a una roccia particolarmente imponente e si erano addormentati all'istante. Erano distrutti dalla fatica.

Ma l'Elfa non dormiva. Troppe preoccupazioni, troppi pensieri. Tanto per cominciare, non aveva ancora capito chi fosse quella Melthotiel di cui parlavano gli altri. Elrond le aveva spiegato che una temibile Strega elfo era sulle tracce dell'umana, ma quel nome, Melthotiel, non le diceva nulla, e questo la preoccupava. Avesse saputo nel dettaglio chi era la loro antagonista, avrebbe preparato un piano per difendere la donna.

L'unica cosa certa era che aveva poteri magici, e che se li avesse usati, quell'Eradan ben poco avrebbe potuto fare per proteggere tutti loro, nonostante la fiducia di Heloise. 
Poteri terrificanti, per la precisione.

"Non dormi?" chiese una voce femminile.

Andriel si giró. "Noi Elfi non necessitiamo di un lungo riposo. Ma tu dovresti."

Heloise si sedette vicino a lei. La luna illuminava la superficie dello stagno con mille riflessi argentati. Una visione fatata. Odore di muschio, gelsomino e funghi pervadeva l'aria. Alcune rane gracidavano, ma s'interruppero quando la donna ricominció a parlare.

"Non so molto di voi Elfi. Volevo scrivere quel saggio su di voi, ma non credo di averne la forza." disse Helli.

"Perché?" chiese l'Elfa.

"Siete troppo complicati da capire. E forse mi fate paura." rispose la ragazza.

"Paura? Credi che ti faremmo del male?" ribatté Andriel. "Non siamo malvagi."

"Questo lo so. Ma c'é un'aura di magia e mistero che vi circonda, e ho paura di perdermi in essa." disse Helli. "Quella Melthotiel, ad esempio, era un Elfo. Della stirpe dei Noldor, come Galadriel."

"E come me." aggiunse Andriel.

"Come si capisce l'appartenenza a una stirpe o a un'altra?" chiese Helli, curiosa.

"É un lungo discorso. Mi limiteró a dirti che delle volte alcune caratteristiche fisiche tradiscono il nostro sangue. Spesso i Noldor, ad esempio, hanno capelli biondi. Come i miei. Altri hanno capelli color argento, come i Sindar di Boscoverde. Ma non vale per tutti." spiegó Andriel. "Ci sono sempre delle eccezioni."

"É vero che voi Elfi vi sposate una sola volta nella vita? Che avete solo un compagno e che se questi muore, vi lasciate morire con lui, o con lei? Che non reggete al dolore?" chiese Heloise.

"Sì, é vero. Come lo sai?" rispose Andriel.

"É una cosa che ho letto. E la trovo così romantica! 
Il vero amore é solo uno, avete ragione. Noi umani purtroppo non ci comportiamo così." aggiunse Heloise. "Siamo più superficiali."

"Cioé?" chiese Andriel. "Avete più di un amore in vita? Lo trovo strano, incomprensibile."

"Mia sorella avrebbe qualcosa da dirti in proposito. Io la rimproveravo perché civettava con troppi ragazzi, e lei mi diceva: non tutte le donne sono pezzi di ghiaccio come te." Raccontó Helli. "Quanto la detestavo quando diceva così... ma ora quasi mi manca."

Le due rimasero in silenzio per un po', ascoltando le rane e i grilli.

"Tu hai un marito o un compagno a Gran Burrone?" chiese Helli, all'improvviso.

Andriel si sentì a disagio a quella domanda. Gli Elfi erano più discreti, fra loro non si parlava liberamente della propria vita privata. Ma comprese che per quell'umana poteva essere diverso.

"No." rispose, perció.

"Nessun affetto?" insisté Heloise.

"Ho un'amica, con cui passo molto tempo. Si chiama Eulalie. Ottima guerriera." rispose Andriel.

"Un'amica...?" chiese Helli. 

Dal nulla, le venne in mente un'immagine: la vecchia casa rosa col tetto color prugna sulla collina ad Ovest di Midlothian.

Cora e Alice. Le due amiche che vivevano insieme in quella casa. Il loro praticello pulito, tenuto con cura, ornato da quelle bellissime piante di iris blu, che in primavera erano uno spettacolo.

Cora e Alice, che venivano additate e prese in giro da tutto il villaggio, e finché Helli era stata una bambina non aveva capito il perché.  Non capiva perché la gente malignasse alle loro spalle e le chiamasse deviate malate, e perché un sabato, in una drogheria, il vecchio Simon Cowell avesse sputato sulla povera Alice, mentre le era passato accanto. E perché un giorno era comparsa la scritta

(MORTE AI DEPRAVATI!)

sul muro rosa della loro casa. E perché lo stesso giorno le belle piante fossero state strappate da qualche ignoto vandalo.

Aveva chiesto a Jemma cosa volesse dire quella parola, che le sembrava molto brutta, e il perché di tutto quell'odio palese verso le due donne, e sua madre le aveva detto che erano amiche speciali e che si volevano un gran bene, lasciandola più confusa di prima. Aveva saputo tutto da Isadora, che senza mezzi termini le aveva spiegato cosa volesse dire speciali.

Comunque, le due erano state costrette a far le valigie e ad andarsene un giorno, esasperate da quell'ostilità. Via, lontano da Midlothian e in cerca di territori di più larghe vedute.

"...sì, é mia amica. Sai che vuol dire amica?" continuó Andriel.

Helli ridestó la sua attenzione. "Sì, ero distratta, scusa. Beh, bello che tu abbia una buona amica." rispose, chiedendosi se fra gli Elfi e Nani esistessero storie di amicizie speciali, e se anche loro subissero la stessa grande discriminazione.

Ma certo che no, si rispose da sola.

"Segui il mio consiglio, va' a riposare. Io faccio la guardia per tutti." la esortó Andriel.

"D'accordo. Buona notte, Andriel." sbadiglió Helli.

"Notte a te, mortale." rispose l'Elfa, e poi scaglió un sasso nello stagno. Un grosso rospo saltó fuori infastidito, e si diresse a saltelli verso il bosco.

"...ma dove se ne va, quello?" si chiese Andriel, seguendolo brevemente con lo sguardo, poi tornó ad osservare l'acqua. "Occhio a non andare dritto tra le fauci di un serpente, amico." mormoró. Poi udì come un fischio flebile, lontano, quasi ultraterreno. Immaginó fosse il vento e non ci diede peso.

Già lontano da lei, e dallo stagno, il rospo continuava a saltellare flaccido sul terreno. Non aveva nessuna intenzione di farsi trovare da un serpente, o da qualsiasi altro predatore.

Da bravo servitore, stava rispondendo al richiamo della sua padrona.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** La resa dei conti ***


"Te lo ripeto, Farin. Le miniere di Moria non sono la soluzione. Quelle grotte sotterranee sono piene di Goblin." diceva Eradan al compagno di viaggio, mentre i quattro si apprestavano a superare un fiumiciattolo che attraversava la landa davanti a loro. Con fatica, il ramingo stava trascinando un tronchetto d'albero vicino alla riva, da usare come passerella. "Avanti, aiutami con questa roba."

Con un fenomenale balzo, Andriel atterró sulla riva opposta. "Cercate di fare arrivare qui un'estremità!" gridó ai due.

Helli volle dare una mano, ma Eradan la scostó. "Allontanati. Questo non é lavoro da ragazze."

"Hey, potresti anche essere più gentile. Volevo aiutarvi a sospingerlo in acqua." protestó.

"Tu pensa a tutti i nostri bagagli. E sta' attenta al tuo, soprattutto." le rispose lui.

"Attenta a cosa? Non vedi che non c'é nessuno qui?" chiese Heloise.

"Ti sbagli." ribatté Eradan. Poi indicó il cielo. Un grosso corvo volteggiava gracidando sopra di loro. Spariva tra le cime degli alberi, di tanto in tanto, poi riappariva.

"Allora? Un corvo. Che c'é di strano?" chiese la ragazza.

"Quello ci sta controllando. É una spia." spiegó con pazienza Eradan. Il ramingo era convinto che la donna non avesse ancora pienamente capito chi era la creatura che dava loro la caccia, e di quali infiniti espedienti poteva far uso per individuarli. Primo fra tutti, sguinzagliare i suoi servi del regno animale.

"Non starai esagerando? Non é che un comune corvaccio." sorrise Helli. "Sai, sono uccelli voraci. Forse è attratto dalla possibilità di avere cibo da noi."

"I corvi volano sempre in gruppo. Dovresti saperlo, cara esperta della Natura. Quello lassù invece si sta comportando come un rapace, vola in circolo e ci tiene d'occhio." rispose Eradan.

Lui e Farin spinsero il tronco in acqua, dirigendolo verso Andriel, che riuscì ad afferrare un'estremità e la issó non senza fatica sulla riva. Farin si stupì della sua forza.

"Ecco. Ora attraversatelo." li esortó l'Elfa. "Fate presto."

Helli era ancora concentrata sul nero volatile. In effetti, si comportava in maniera anomala. Sorvolava il punto in cui erano loro, come se volesse sincerarsi che non sparissero. D'istinto, la donna afferró un sasso e lo scaraventó in aria. "Va' via! Sció!" gridó.

"Lascia fare a me." intervenne Andriel. Incoccata una freccia nel suo arco, lasció partire il dardo che riuscì a sfiorare l'ala sinistra del corvo. Tanto bastó a convincerlo a sparire sul serio.

"Forza, attraversa, ora." la esortó Eradan. "Non perdiamo tempo."

La ragazza mise un piede sul quel grosso, e instabile, pezzo di legno. Lo sentì cedere sotto di lei. "Qui finisce male..." balbettó.

"Reggerà, non temere!" disse Andriel.

Con una preghiera mentale, Helli prese coraggio e zompettó lungo il tronco, per arrivare finalmente sull'altra sponda.

"Se ti spaventi per così poco, dovremo portarti in spalla attraverso le Montagne Nebbiose. Non  hai idea di quanti crepacci e burroni ci siano lassù!" disse Farin, camminando spedito sul tronco.  Fu seguito da Eradan, che poi fece scivolare l'alberello in acqua con un calcio.

"Perché l'hai fatto?" chiese Helli.

"Così, qualsiasi cosa ci segua, dovrà trovare un altro passaggio." spiegó l'uomo.

"Cosa dicevi sulle miniere di Moria? Cosa sarebbero i Goblin?" chiese la ragazza.

"Sono brutti parassiti delle Montagne. Sono come gli Orchi, ma più agili." raccontó Farin. "E sono alti come noi Nani."

"Non è proprio così. I Goblin non sopportano la luce del sole, gli Orchi sì. Inoltre, i Goblin possono arrampicarsi anche su pareti scoscese, gli Orchi non sono altrettanto abili." aggiunse Andriel. "Entrambe le razze sono mangia-carne. Con una predilezione per quella umana."

"E vivono nelle caverne delle Montagne?" chiese Helli, un po' impaurita. "Se é così, non passeremo da Moria, questo é poco ma sicuro!"

"Ah, grave errore! Te ne renderai conto quando i tuoi piedi affonderanno nella neve, e ti si ghiacceranno!" borbottó Farin.

"Siamo nel mese di Aprile, é primavera. Magari un bel po' di neve si é giá sciolta!" azzardó Helli.

Gli altri tre ridacchiarono.

"A quelle altitudini, la neve non se ne va mai." disse Andriel. "Ma non esiste altra via. Senti..." proseguì, rivolta a Heloise. "... stammi vicino, ora. Vorrei parlarti."

Le due donne si misero in testa al gruppetto. Eradan e Farin le osservarono, un po' perplessi.

"Cosa puoi dirmi su Melthotiel? É una faccenda di cui non so niente. Non ho mai sentito questo nome. Con me Sire Elrond ha mantenuto il riserbo. Ma ho bisogno di sapere." chiese l'Elfa.

Helli allora le raccontó tutta la conversazione avuta con Gandalf, quella sera in casa Baggins, e quello che l'Istari le aveva detto sulla Regina Strega di Angmar e sul Mil Naur.

Alla fine delle spiegazioni, Andriel sembró preda di un'improvvisa angoscia. "Quel gioiello..." mormoró. "... devo vederlo. Devo vederlo con i miei occhi."

Si voltó verso l'Uomo e il Nano, che seguivano a pochi metri. "...la ragazza ha bisogno di cinque minuti di riposo. Ha dolori al ventre." disse loro.

"Cosa?! Ma non é vero!" obiettó Helli.

L'Elfa le fece l'occhiolino. "Sì, é vero. Dovresti riposare, lo sai."

Eradan si avvicinó. "Qual'é il problema?"

"Cose da donne." taglió corto Andriel.

Il ramingo abbassó gli occhi, un po' a disagio. "Capisco. Va bene. Ma non più di cinque minuti. Non é territorio sicuro, questo."

Andriel annuì e, dopo aver afferrato una confusa Heloise per il polso, la tiró verso una grande cespuglio giallo di gaggia. Si accovacciarono dietro di esso. "Ma che ti è preso?" chiese Heloise.

 

"Mostrami il diamante." bisbiglió Andriel. Aveva un'espressione tesa e preoccupata.

Un po' tentennando, Helli insinuó una mano nella sacca ed estrasse il fagottino.  Aprì l'involucro. 

Andriel sgranó gli occhi di fronte alla magnificenza della pietra. "Allora, é questo il nostro problema."

"Sì. Ti giuro, vorrei gettarlo in un fiume e dimenticarmene. Mi sta rovinando la vita." si lamentó la donna.

Andriel avvertì l'impulso di sfiorare la gemma. "Sire Elrond mi ha detto di non toccarla... eppure, forte é la tentazione..." Era come ipnotizzata dai suoi riflessi.

Helli strinse il gioiello al petto. "Ha ragione. Non devi avvicinarti. Ti farebbe del male, come ne ha fatto a Eradan. C'é una maledizione su questo diamante."

"Eppure tu puoi tenerlo in pugno." disse Andriel. "Perché?"

"Questo non lo so." rispose Helli. Poi si alzó in piedi. "Ora l'hai visto, torniamo dagli altri."

Andriel si alzó a sua volta. "Questa faccenda peró va chiarita. Se la pietra è stata caricata di un potere così immenso da domare i Draghi, è stata anche investita di un contro-incantesimo per impedire ad altri al di fuori di Melthotiel di usarla. Perché tu puoi portarla su di te? Perché non ti respinge?" chiese l'Elfa. "È come se..."

"Che fate, voi due?" sbottó Farin. Lui ed Eradan si erano nel frattempo messi alla ricerca di bacche e frutti. "Non vorrete aspettare l'inverno là dietro?"

"Arriviamo!" rispose Helli, dopo aver messo via l'oggetto maledetto. I suoi occhi incontrarono ancora quelli di Andriel. "Questa storia mi sta consumando, credimi."

"Sì. Lo vedo." rispose l'Elfa. "Ma non ho una bella sensazione, se vuoi la verità. Ed hai ragione ad avere paura."

"Credi che ce la faremo ad arrivare nel Lórien?" chiese Helli.

"Me lo auguro con tutto il cuore. Perché se quella Strega Elfo ci raggiunge, e se la descrizione di Gandalf su di lei corrisponde a verità, nessuno di noi tre potrà proteggerti." fu la poco rassicurante risposta di Andriel di Gran Burrone. "Non esiste niente di più micidiale di un Elfo che si è venduto a Morgoth."

"Ma non è stata una sua scelta. Melthotiel era una creatura benevola, all'inizio. Combatteva con coraggio contro gli esseri oscuri, così disse Gandalf. Se quella lama morgul non l'avesse infettata..." obiettó Helli.

"Sbagli. La sua é stata una decisione. Ha preferito perdersi nel Male. Non succede spesso a noi Elfi, ma a volte sì. Alcuni di noi si lasciano sedurre dal potere di Morgoth." replicó Andriel. "E quando succede, meglio sarebbe per noi andare incontro alla morte, che vivere nell'odio. L'odio é un sentimento che dovrebbe stare sempre fuori dalla nostra vita."

"Forse puó essere aiutata. Forse è recuperabile." azzardó Heloise. "Forse se qualcuno le parlasse, le facesse ricordare chi era..."

"No!" sbottó Andriel. Guardó Helli negli occhi. "Non ci pensare neanche capito?! Se dovessimo incontrarla, non tenterai nessun dialogo con lei. Nessun contatto. Ormai é un démone. Si è persa per sempre."

🌺🌺🌺

Erano giunti nei pressi dell'ennesimo bosco.

Questa volta non era un intrico di sterpaglie come nella zona di Arceto: gli alberi erano quasi tutti tigli, ben distanziati e già carichi delle loro gemme biancastre. Il fiorire della primavera aveva regalato alla piccola foresta un abbagliante color smeraldo, punteggiato da qualche croco violaceo sul terreno e dalle moltissime primule giallo vaniglia.

        

"Ah, che pace. Qui mi fermerei volentieri stanotte." osservó Heloise, inalando il piacevole aroma di muschietto.

"Invece proseguiremo fino alla collina dei conigli. Mancano ancora tre ore, più o meno. Giusto in tempo per vedere il calar del sole." disse Eradan.

"Collina dei conigli? Non ci vive nemmeno un coniglio lì. Che razza di nome." commentó Farin.

"L'hanno chiamata così perché un tempo le lepri ci scavavano i loro cuniculi. Poi gli Uomini l'hanno scoperto, e le hanno sterminate per la carne e le pellicce. Che cosa orribile." commentó l'Elfa, con una smorfia.

"Voi Elfi non mangiate carne, lo so." disse Helli, asciugandosi la fronte. "Siete...ehm... vegetariani."

"Chi l'ha detto? Non é vero affatto." rispose Andriel. "Noi Elfi cacciamo, anche. Cioé, evitiamo di togliere la vita inutilmente ad altre creature, ma a volte consumiamo carne."

"Davvero? Era la mia unica certezza riguardo a voi." rispose Helli. "Ma tu pensa..."

"Cosa ho detto riguardo al chiacchierare?" intervenne Eradan. "Questa non é una gita di piacere, tesoro."

"Non chiamarmi tesoroNon sono la tua..." ribatté Helli, stizzita.

"...la mia....?" disse Eradan, divertito.

"...non prenderti confidenze, insomma." aggiunse Helli, "Non mi sembra di avertene date. Così come nessuno qui ti ha eletto capo."

Eradan rise. "Questo é vero. Ma ci vuole qualcuno che ti ricordi, ogni tanto, in che situazione ci troviamo."

Andriel si fermó all'improvviso, come giá successo nel posto dove avevano scoperto i Troll di pietra. Le sue orecchie a punta letteralmente si drizzarono. Il suo volto assunse un'espressione ferina.

"Adesso che c'é?!" chiese spazientito il Nano. "Mai avere un Elfo come compagno di viaggio! Si allarmano per ogni minimo fruscìo di vento!"

Andriel alzó una mano per zittirlo. "Silenzio. Fate assoluto silenzio, tutti."

Nessuno fra Eradan, Helli e Farin osó fiatare. Perfino il Nano aveva smesso di borbottare.

"Non lo sentite?" chiese Andriel.

"Cosa...?" disse Eradan.

"Questo suono." furono le parole dell'Elfa. "Questo grido."

I tre si misero in ascolto, ma a parte gli usignoli e il rumore lieve delle foglie trascinate dalla brezza, non colsero niente.

"Bah. Qui non c'é niente." esclamó Farin.

"No. Ascoltate." insisté Andriel. "É lontano. Lontano."

Eradan sentì in effetti un suono. Sembrava dapprima un uggiolio, come quello di un cucciolo di cane spaventato. Ma non era un animale.

Il suono divenne più acuto, e lo avvertirono anche Heloise e Farin. Era uno strillo, una voce umana che gridava.

"É una donna. É la voce di una donna che chiede aiuto!!" disse Andriel.

"Dobbiamo trovarla." disse Eradan, poi guardó Heloise. "Tu sta' qui con Farin."

"No, sto io con lei. I miei poteri sono più utili a proteggerla dell'ascia di questo Nano. Andate voi a vedere di che si tratta." disse invece Andriel. "Potrebbe anche essere una trappola, Eru non voglia."

Helli sembrava concentrata su quel suono. C'era qualcosa in quella voce che strillava, che le sembrava tremendamente familiare. Non riusciva a capire perché, ma la pelle delle sue braccia si era accapponata e sentiva un brivido freddo alla base del collo.

"Heloise, che ti prende?!" le chiese Andriel. "Sei impallidita."

"La conosco. Questa voce...la conosco." rispose l'umana.

Uno nuovo grido, stavolta così alto da far spaventare un intero stormo di uccelli, che prese il volo da uno degli alberi.

Fu quello il momento in cui Heloise Foley realizzó.

Si portó le mani fra i capelli, e i suoi occhi si spalancarono.

Non è possibile. 
Non è possibile. 
Non è possibile. 

Senza un attimo di esitazione, inizió a correre fra gli alberi, in direzione di quella voce disperata.

"ISAAAAA!!!" urló.

"Oh benedetti dèi... seguiamola!!" ordinó Eradan agli altri. I tre si lanciarono dietro l'umana.

All'ombra di una maestosa quercia nel mezzo del bosco, la Regina Strega era finalmente pronta per la sua mossa.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** 15 Aprile 2941 T.E. - Primo scontro ***


La scena che Heloise si trovò davanti, quando raggiunse il punto da cui provenivano le grida, le fece accapponare la pelle.

Quella era sul serio sua sorella.

Isadora, che invece di essere a Midltohian a sognare di sposarsi con Sam Pontipack, era riversa a terra, sotto a una quercia. Due tronchi d'albero divelti dal terreno erano stati poggiati uno sull'altro e i polsi di sua sorella erano bloccati nel mezzo. Aveva entrambe le braccia volte all'indietro, e da lontano Helli riuscì a vedere i rivoletti di sangue che già solcavano la pelle bianca, giù fino alle spalle.

Isadora era pallida, immobile: sembrava un'enorme bambola buttata su un prato, sporca di fango e con il suo vestito ormai ridotto a uno straccio. I riccioli dorati erano un ricordo, sembrava quasi che stesse indossando una parrucca fatta con la paglia. Non gridava, nè si muoveva, come se lo shock della situazione l'avesse privata di ogni capacità di reazione.

Heloise ci mise qualche secondo a realizzare che non si trattava di uno spaventoso incubo.

"Oh Eru...oh signore mio..." mormorò. "ISA!"

Le corse incontro, mentre Eradan e gli altri la seguivano  a breve distanza.

La ragazza aprì gli occhi e vide Helli. "Aiutami..." fu il suo sussurro strozzato. "Aiutami Helli...ti prego...quella cosa...quella cosa vuole uccidermi..."

Farin si fermò, basito. "Giuro su noi  Lungobarbi...mai ho visto una scena del genere!"

Andriel subito si guardò intorno: fra le fronde ed i cespugli,  e sotto l'imponente quercia, sembrava non esserci anima viva a parte la sorella dell'umana, ma il suo istinto le suggerì di procedere con cautela.

"Aspettate! Non così in fretta." disse a voce alta. "Non siamo soli, qui."

"Eradan!!...aiutami, per favore...Farin, per carità...togliete questo tronco!!" gridò Helli agli altri. Era ormai a pochi metri da Isadora, quando la loro nemica fece la sua comparsa.

Fu letteralmente un'apparizione: da un'improvvisa nube di vapore, sopra il tronco che teneva bloccata Isadora, comparve una forma umana... poi, piano piano, quando la nube grigia si dissolse, l'essere rivelò il suo vero aspetto. Era un Elfo ed era femmina, ma...era vecchia. Molto vecchia. Indossava un cencioso abito nero, lungo fino ai piedi. Un velo rosso fuoco le copriva parzialmente il capo.

        

"Ma che gruppetto delizioso!"  esordì la Strega, lasciando poi partire una risata.

Helli urlò.

Eradan non sospettava neanche, prima di trovarsi quella creatura davanti, che gli Elfi potessero invecchiare a quel modo. La pelle di Melthotiel era quasi priva di colore, piena di rughe che l'attraversavano come una grottesca ragnatela. Le sue orecchie appuntite non erano graziose come quelle degli Elfi, ma erano raggrinzite e cadenti, come quelle degli Orchi. Il suo naso, che forse un tempo era all'insù, si piegava aquilino, a darle un'espressione da autentica megera.  I capelli erano raccolti in due spesse trecce attaccate al cranio, la chioma era brizzolata.

Ma furono gli occhi ad impressionare il ramingo più del resto.

Erano grigi. Eradan nella sua lunga vita aveva conosciuto un'infinità di Uomini, Nani, Hobbit e anche Elfi, e aveva visto tutte le varianti di colore possibili, nelle iridi dei loro occhi. Ne aveva visti di castani,nocciola, verde palude, smeraldo, azzurri, blu, cerulei, perfino neri. E c'era stata quella meravigliosa ragazza Elfo che veniva dal Lòrien, incontrata in una notte d'estate, che aveva gli occhi di uno straordinario colore viola. 

Ma grigi...non ne aveva mai visti. Grigi come la cenere delle braci spente. E spenta doveva essere anche l'anima di quella creatura, perché nessuna luce veniva dal suo sguardo.

"Ferma dove sei, sorellina." gracchiò la Strega, alzando una mano. "Un solo metro in più e incenerisco la bionda qui sotto."

Helli indietreggiò di qualche passo, mentre Isa girava uno sguardo implorante su di lei. "Dalle quel diamante, vuole un diamante...io non ne so niente, non ne so niente!!" iniziò a piangere. "Helli, ha ucciso..."

Isadora  non riuscì a terminare la frase, perché con un salto Melthotiel fece affondare il tronco ancora di più sui polsi già feriti della ragazza. Isa urlò, il dolore fu tremendo.

"Ferma!! Basta!!" la implorò Heloise. "Va bene,  questo affare maledetto...prenditelo e sparisci!" gridò, togliendosi la sacca dalle spalle e poggiandola a terra. Poi iniziò a rovistare affannosamente alla ricerca del fagottino.

"NO!" la fermò Andriel. "No, non darglielo. Condannerai questa Terra alla rovina!"

"Chi abbiamo qui?!" rise Melthotiel. "Un Elfo femmina...di razza Noldor per di più... uno della mia stirpe, nientemeno. Resto sempre senza parole di fronte a queste dimostrazioni di superbia: già ai miei tempi mi veniva insegnato che noi Noldor siamo superiori a tutti gli altri Elfi.  Che possiamo invocare  il diritto, in base a questa presunta superiorità intellettuale, di elargire consigli e suggerimenti agli altri poveri idioti che occupano la Terra. Vedo che segui anche tu questo princìpio. Credi di poterti presentare davanti a me e contrastarmi in qualche modo?" 

"Tu sei una vergogna per la nostra razza. Dovresti solo lasciare questo mondo e avere la dignità di farlo di tua iniziativa." rispose Andriel, per niente spaventata.

Melthotiel rise di nuovo. "Io non penso, sai? Piuttosto, sarà quest'umana sdraiata a terra a lasciare presto questo mondo, se la sua sorellina non mi cede quella cosa che sappiamo." Poi guardò verso Helli. "E ti conviene farlo in fretta, perché questa ragazza bionda si sta indebolendo...sempre di più...fra qualche minuto il suo cuore smetterà di battere. Lo sento."

Eradan intervenne. "Andriel ha ragione, Heloise. Non cedere. Non cedere, adesso. O avrà vinto."

"Non lo vedi cosa sta facendo a mia sorella!!" gridò Helli. "Dovrei lasciare che la uccida?!"

"Non lo farà." rispose Andriel, che continuava a fissare Melthotiel negli occhi. "La sua è una sceneggiata, perché tu ti arrenda!"

Melthotiel di nuovo saltò sul tronco, facendo gridare Isa ancora più forte.

"Mi sa che non hai capito la situazione, umana: voglio il Mil Naur e lo voglio ora. Perciò dammelo. Non ci sarà un terzo ammonimento. Apri le orecchie, se la continuazione della vita di tua sorella a cuore ti sta, metti la mano in quella sacca e tira fuori ciò che è mio." comandò, mentre il suo sorriso beffardo lasciava posto a una smorfia vagamente risentita. Stava cominciando a innervosirsi. "Non scherzare con me."

Di fronte alla disperazione e all'agonia di Isa, Helli si arrese. Prese il fagotto sgualcito e allungò un braccio verso la Strega. "Tieni, strozzatici!" ringhiò.

"Ferma, ho detto!"  sbottò Andriel. Poi afferrò il polso di Helli con una mano, e la obbligò ad abbassare il braccio. "Ma non ti sei chiesta perché non ti ha ancora strappato il diamante di mano?? Non ti sei chiesta perché pretende che tu glielo ceda di tua spontanea volontà?" le disse.

Helli si sentì per un attimo confusa da quella domanda. "Cosa vuoi dire...? Io..."

"Adesso mi hai stufato." esclamò Melthotiel, e fece partire dal palmo della mano una specie di saetta verso Andriel che venne colpita in pieno, e finì contro un albero. "Devi scusare l'Elfo femmina, sai la nostra è una razza afflitta da uno strano morbo: la malattia di non farsi gli affari propri. Ma adesso l'ho fatta tacere, e tu... dammi...il Mil Naur." e allungò la sua mano dai lunghi artigli verso Helli. "Poi, tu e tua sorella potrete andarvene dove meglio credete. Te lo giuro."

"Ascoltami!" gridò Andriel, mentre Eradan l'aiutava a rialzarsi. "Ho capito tutto, Heloise! Ho capito perché solo tu puoi toccare il diamante. Non devi darglielo. Non ti ucciderà, nè farà del male a tua sorella. Ma devi resistere!"

"Sì, forse sto cominciando a intuire anch'io. Devi essere forte ora Heloise!" aggiunse anche Eradan.

Helli si girò a guardarli. "Mia sorella, non posso..."  scosse la testa. "...voi non potete chiedermi di..."

"Se tu adesso glielo regali, avrà vinto." disse Andriel. "E non sarà solo tua sorella a morire, puoi credermi."

🌺🌺🌺

"Heloise, ricordi cosa mi hai detto? Il discorso di Gandalf? Il diamante fu un regalo del Re Stregone a sua moglie, un regalo... il suo potere può essere esercitato solo dalla persona a cui viene regalato! Lei non può utilizzarlo se non glielo cedi! Per questo non te lo strapperà di mano con la forza... perchè se lo facesse sarebbe un furto,e il diamante perderebbe il potere di domare i Draghi. Sarebbe inutile possederlo, a quel punto, ti è chiaro?!"  spiegò Eradan, tutto d'un fiato.  "E non ucciderà tua sorella, perché se lo facesse tu non avresti più niente da perdere, e terresti il Mil Naur per te. Ti sta solo terrorizzando, perché crede che tu sia debole!"  

Una nuova saetta colpi il petto del ramingo, che stramazzò al suolo. Farin si precipitò ad aiutarlo. 

"Esattamente. Tua madre te lo ha ceduto, perchè tu ne facessi buon uso, e ora tu sei la legittima proprietaria, come lo è stato tuo padre per tutti gli anni in cui lo ha custodito. È stata Melthotiel la prima a cederlo, e ora non è più sua proprietà! Fu creato per lei, ora peró è tuo!" disse anche Andriel. "...e in quanto a te, tu ormai non sei più niente, Melthotiel Nalldhen. Sei solo ombra. Sparisci." comandò alla Strega.

La Strega elfo sorrise di nuovo, ma era un sorriso amaro, contrariato perché il suo piano era stato smascherato. "Davvero non vuoi chiudere la bocca. Suppongo che sia stato Elrond a insegnarti questa presunzione. Vediamo se ti ha anche insegnato a salvarti la vita."

Unì entrambe le sue mani ossute e si preparò a lasciar partire l'attacco finale, che nelle sue intenzioni doveva spedire Andriel dritta nelle aule di Mandos. Ma aveva fatto male i conti.

Anche Andriel aveva qualche magia nella manica.

Unì a sua volta le mani e chiuse gli occhi. Un'aura di luce, dal tenue colore rosa, avvolse prima il corpo dell'Elfa, poi si allungò sul prato e inglobò anche Heloise, Eradan e Farin. Sembrava che Andriel avesse generato una grossa bolla di sapone immateriale, che lentamente si allungava sul terreno. In direzione di Isa.

"Cos'è questo?" volle sapere Farin, un po' spaventato. Ne aveva viste abbastanza di diavolerie, per quel giorno.

"Uno schermo protettivo. Ma non ho forza a sufficienza per farlo durare molti minuti." rispose Andriel, concentrata. "Appena riesco ad avvolgere con esso tua sorella, portatela via."

"Magia elementare, Elfetta. Magia elementare." la derise Melthotiel. "Sta' a guardare."

Dalle sue mani partì un'altra serie di saette, che si infransero contro l'aura di Andriel, rimbalzando all'indietro. Andriel barcollò.

"Non durerai nemmeno un minuto con questo giochetto." disse la Strega. Ripetè l'attacco, violento,  e stavolta Andriel fece un passo indietro. La forza di Melthotiel era generata direttamente da Morgoth, ed era più potente della sua.

"Forza Andriel, arriviamo alla sorella di Heloise." la incoraggiò Eradan. "Raccogli tutta la tua energia interiore. Non avremo una seconda occasione."

Andriel chiuse di nuovo gli occhi e avanzò faticosamente sul terreno, spingendo quell'aura in avanti, di qualche centimetro.

"Non ce la farà." si disperò Helli. "Non ce la farà!"

"Aiutiamola. Venite qui." ordinò Eradan. Poi le mise una mano sulla spalla, ed Helli fece altrettanto. Farin le toccò un braccio.

"Pensate a tutto ciò che amate a questo mondo. A tutto ciò che di buono c'è per voi su questa Terra." disse Andriel.  Sembrò che la luce aumentasse di intensità.

Melthotiel continuava con i suoi attacchi, che inziarono a rimbalzare indietro fino  a sfiorarla. Urlò di frustrazione.

I piedi di Isadora erano vicini, e finalmente la luce elfica riuscì a sfiorarli. "Uno sforzo Andriel, ancor uno." la esortò Eradan.

I quattro spinsero in avanti quel muro benefico e invisibile, che avvolse entrambe le gambe di Isadora.

Farin si precipitò ad afferrarla per le caviglie. "Tiriamola indietro, svelti!"

"No! Ha i polsi bloccati, le farai male!" lo fermò Helli. Nel frattempo, Isa aveva perso i sensi.

Melthotiel gridò di rabbia e scagliò un'altra tornata di fulmini violenti sullo schermo di Andriel.

L'Elfa si lamentò. "E' troppo forte...troppo per me."

"Tutti insieme, avanti!" gridò allora Eradan e i suoi compagni sorressero Andriel in quell'ultimo affondo. L'aura avanzò di un metro abbondante e finalmente Isadora ne fu investita. Helli e Farin corsero a liberarle i polsi, ed Eradan la prese in braccio.

"Hai perso, Melthotiel. Sparisci nel Vuoto!! Non..."  esultò Andriel, ma poi cadde a terra, esausta. L'aura si dissolse, proprio come una bolla di sapone.

"E se non ti fosse chiaro il concetto..." aggiunse Farin, alzando l'ascia sopra la testa."...permettimi di aiutarti a comprenderlo!"  Detto questo, scagliò la sua ascia contro la  Strega sconfitta.

Melthotiel sparì prima che l'arma di Farin la raggiungesse, ma stavolta non diventò una nube di vapore: divenne lei stessa una saetta e dopo essere rimbalzata contro un tronco e poi contro una roccia, s'infiló in mezzo al bosco, lasciandosi dietro il suono di una risata beffarda.

Non era finita affatto la faccenda, voleva dire quella risata. Solo rimandata.

"A-HAAA!!" gridò Farin. "A mai più rivederci, vecchiaccia!!"

Ma il sorriso scomparve dal suo volto quando vide sia Andriel che Isadora a terra inconscienti.

Heloise piangeva accanto alla sorella, Eradan stava assistendo Andriel.

"Come stanno?" chiese il Nano.

"Entrambe sono sull'orlo del baratro." rispose Eradan. "Abbiamo poco tempo per salvarle."

 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Guarigioni ***


"Isa...! Isa!!!" gridava Helli, cercando di scuotere la sorella incosciente. "Sta perdendo sangue!"

"Fasciale i polsi, intanto." le disse Eradan, mentre sollevava la testa di Andriel e poggiava la sua giacca sotto di essa, a mo' di cuscino. L'Elfa aveva ripreso conoscenza ma era pallida, le sue labbra erano senza colore, quasi che avesse perso ogni scintilla di vita.

"Heloise..." mormoró Andriel.

"Vieni qui, ti sta chiamando!" disse Farin.

La ragazza sistemó come potè dei pezzi di stoffa strappati dall'abito di Isa attorno ai suoi polsi, e si avvicinó all'Elfa riversa sul terreno.

"...devo recuperare le forze. Poi penseró io a curare tua sorella... ma devi aiutarmi tu adesso." riuscì a dire Andriel. "Va' nel bosco e trova... l'erba pennina... sai com'è fatta, vero?"

"L'Achillea? Si, si so cos'è." confermó Helli.

"Porta qui qualche mazzo e di' al Nano di usare uno dei suoi recipienti per far bollire l'acqua...c'è un fiume laggiù. Digli di...di far scaldare l'acqua del fiume. Ha poteri benefici su noi Elfi. Svelta!" disse Andriel.

"Va bene..." rispose Helli. "Farin!"

"Ho sentito! Ho sentito...ah, mi tocca salvare la vita a un Elfo." borbottó il Nano. "Eradan, accendi un fuoco, intanto!"

I tre si misero all'opera, ognuno col suo compito. Farin rovistó nel suo saccone ed estrasse un piccolo pentolino di rame, che normalmente usava per far lessare i tuberi e le radici che trovava in giro, poi corse verso la corrente d'acqua lì nelle vicinanze. 
Eradan recuperó alcuni rami secchi e dopo qualche minuto riuscì ad appiccare un piccolo faló.

Heloise si lanció nel bosco, verso il punto in cui la vegetazione diventava più fitta. 
"Achillea... com'è fatta??...com'è..." si chiese, in uno sforzo di ricordare le sue letture di erbologia.

"...ah sì... i fiori bianchi, a forma di fiocco di neve...ora ricordo." mormoró, mentre si guardava intorno.

Non c'era peró traccia di quella pianta. Nella boscaglia non c'erano che alberi, cespugli, un tappeto di foglie sul terriccio bruno, qualche fungo, qualche castagna.

"Ma ci deve essere! Ci deve essere! Cresce dappertutto!" si lamentó Helli, mentre sentiva il cuore tuonarle nel petto.

Sua sorella rischiava la vita. Aveva perso molto sangue, e Andriel aveva investito molta della sua energia nello scontro con Melthotiel. Le due donne erano in bilico su un filo sottilissimo, e un secondo in più o in meno poteva fare la differenza.

Tutto dipendeva da lei, dall'irresponsabile e immatura Heloise Foley che in quel momento si era caricata di una responsabilità gigantesca. Quella volta peró, la vecchia vocina dell'inconscio che le suggeriva sempre di darsela a gambe se ne stava zitta e buona. C'era in gioco la vita di sua sorella, e scappare era semplicemente fuori discussione.

Alzó qualche cespuglio, buttó all'aria i cumuli di foglie che si depositavano sotto agli alberi, guardó fra i massi e sobbalzó quando una vipera scattó in avanti, disturbata dall'intrusione nel suo mondo. In altre circostanze, la vista di un rettile a pochi metri da lei sarebbe stata una scoperta affascinante, e magari si sarebbe seduta su un masso per osservarne i movimenti e prendere appunti, ma non in quei minuti. Era come se la tensione per la sorte di Isadora le avesse dato una potente carica: si sentiva sveglissima, e all'erta.

Finalmente, dietro a un albero dalle radici enormi, trovó il suo tesoro: le piantine di Achillea erano lì, un bel mazzo pronto ad essere colto. Helli strappó quel ciuffetto di fiorellini bianchi, e tornó in fretta sul luogo dello scontro.

"Ottimo." sussurró Andriel. "Aspettiamo che l'acqua bolla, poi...getta quella pianta nel recipiente. Lasciala immersa fino a quando l'acqua diventa verde. Devo berne il succo, capisci?"

"D'accordo. Tu resisti!" rispose Helli. Fece quanto detto dall'Elfa, e poi lanció uno sguardo verso Isa, riversa a terra e ancora priva di conoscenza.

Eradan era chino su di lei. "Il sangue si è fermato. Ma è debolissima." le disse. "Si sta perdendo nel Vuoto."

Heloise scoppió a piangere. Aveva pensato cose orribili su Isa in passato, avevano litigato infinite volte, si erano insultate e qualche volta erano perfino volate sberle, ma non avrebbe mai desiderato che qualcosa di veramente brutto potesse capitarle. E la loro madre, sarebbe impazzita di dolore se l'avesse saputo.

Helli si trovó a pensare a sua madre.

Se Melthotiel era andata a casa Foley doveva aver per forza incontrato anche Jemma. Aveva rapito Isa... ma che ne aveva fatto della loro madre?  Un nuovo panico, ancora più violento, la colpì al cuore.

"Hey! Quell'acqua è diventata una brodaglia! Credo che l'Elfa intendesse questo." sbottó Farin.

Helli si avvicinó al faló e vide infatti che il contenuto del recipiente era cambiato: le piantine si erano come dissolte, ed erano diventate una specie di liquido verde melma, con uno strano odore.

"Leva quell'affare dal fuoco." disse Andriel, provando a puntellarsi sui gomiti. Respirava con gran fatica. "Prendi un pezzo di stoffa e immergilo nell'acqua e dammelo."

Helli eseguì tutto alla lettera. L'Elfa prese la pezzuola intrisa di quello strano liquido verdastro e se la portó alle labbra. Riuscì così a berne un po'. "Ancora." ordinó poi.

Heloise passó per tre volte la pezza bagnata ad Andriel: in effetti, dopo ogni goccia che l'Elfa beveva, sembrava tornarle il colorito in volto. Quando fu abbastanza in forze, si mise seduta.

"Mi gira la testa. Ma il peggio è passato. Sei stata brava." disse ad Heloise, che peró sembrava tesissima. Non era solo preoccupazione per la sorella. "...che c'é?"

"Melthotiel è stata a casa nostra. Ha preso mia sorella...ma mia madre?! Ho paura che le abbia fatto del male!!" inizió a piagnucolare.

Eradan e Farin si scambiarono un'occhiata. Era più che probabile.

"...ora non pensarci. Aiutami ad alzarmi e pensiamo a tua sorella. Dovrebbe essermi rimasta un po' di energia per guarire le sue ferite ai polsi." disse Andriel.

"Sei sicura? E se non dovessi farcela? Forse è meglio attendere che tu ti sia completamente ripresa." obiettó Helli.

"No. Ogni secondo che passa tua sorella rischia di non svegliarsi mai più. Dobbiamo muoverci." ribattè Andriel, che si sorresse ad Heloise. Le due si avvicinarono a Isa.

"Eradan, ora... toglile quelle fasciature." disse Andriel. "Se sono solo abrasioni posso guarirla, ma se avesse i polsi spezzati non potró fare nulla."

Il ramingo ed Heloise tolsero con delicatezza i pezzi di tessuto ormai rossi di sangue dalle mani di Isa. Helli sentì un tuffo al cuore nel vedere come era ridotta la sorella. Era così pallida che quelle lievi lentiggini che aveva sul naso risaltavano ancora di più.

Andriel si concentró e inizió a parlare in elfico. Mise le mani sulle ferite di Isadora e dopo qualche istante, la ragazza inizió a sbattere le palpebre. Si stava risvegliando.

"Cosa succede...brucia..." disse con un filo di voce. Poi mugoló di dolore.

"Isa!" sbottó Helli, carezzandole il viso.

"Lascia che Andriel finisca." la fermó Eradan.

L'Elfa continuava con la cantilena nella sua lingua. Ad ogni minuto che passava, peró, i tagli sui polsi della giovane umana sembrava richiudersi. Un prodigio che affascinó Eradan e commosse Helli. Gli Elfi erano veramente creature eccezionali.

Terminata la sua magia, le braccia di Isadora non presentavano più alcuna ferita, nè tumefazione. Rimaneva il sangue rappreso, come ricordo di quell'orribile esperienza.

"Heloise, lava via quel sangue." disse Andriel. "E portatele del cibo. Frutti, castagne, radici...qualsiasi cosa. Ora deve recuperare, e sará difficile per lei."

"Helli..." mormoró Isa.

"Potremmo pescare qualche pesce di fiume!" propose Farin. "Tanto non ci muoveremo di qui finché la donna non sarà in grado di alzarsi. Tanto vale accamparci."

"Helli, ascolta..." sussurró di nuovo Isa.

"No. Quell'essere malvagio potrebbe tornare, magari di notte. Costruiremo un trasporto, una barella per la ragazza. Io e te, Farin, la trasporteremo. Ma dobbiamo lasciare questo posto. Abbiamo un paio d'ore al massimo." ribattè Eradan. "Il tramonto arriverá prima che ce ne accorgiamo."

"Ma dove vorresti andare con mia sorella ridotta così!" urló Helli, sull'orlo di una crisi di nervi. Era così tesa per i recenti avvenimenti che le scoppiata una tremenda emicrania.

"Torneremo indietro, ad Arceto, e lasceremo Isadora con Rosa ed Eogan. Si prenderanno buona cura di lei. Poi, una volta ripresa, Eogan la riaccompagnerà a Midlothian, da vostra madre. Non c'è altra soluzione." disse Eradan. "Non puó venire con noi nel Lórien."

"NO!" gridó Isa. Afferró la mano di sua sorella. "Helli nostra madre...."

"Tornare indietro?!!" sbottó Farin. "Ragazzi, mi sembrate un po' confusi. Ti rendi conto della distanza da qui a quel villaggio? Tanto vale portarla a Gran Burrone.  Almeno gli Elfi la rimetteranno in sesto."

"Questo è fuori discussione. Il Mil Naur non puó arrivare fin lá." si oppose Andriel.

"Cosa? Cos'è successo a nostra madre?" chiese Helli, mentre quel fastidioso senso di panico si univa all'emicrania.

"Quella Strega l'ha uccisa, Helli." riveló infine Isa. "É morta."

🌺🌺🌺

La prima cosa che vide Heloise, quando riaprì le palpebre, furono gli occhi celesti di Andriel, chinata su di lei.

"Si è risvegliata." annunció l'Elfa agli altri.

"Mi sono addormentata?" chiese Helli, che non sapeva più dove si trovasse.

"No, cara. Sei svenuta. Ma ti ho fatto bere un po' di quell'estratto di Achillea. Funziona anche sugli umani." sorrise Andriel. Ma era un sorriso amaro, che nascondeva qualcosa.

"Svenuta?!" si stupì Helli. "E perché?!"

Poi giró uno sguardo attorno, e vide Farin accovacciato vicino al faló, intento a piantare dei rami nel terreno. Si stava preparando ad abbrustolire il pesce. Evidentemente, mentre era incosciente, avevano infine deciso di accamparsi lì. Il Nano le lanció un'occhiata carica di dispiacere, poi abbassó lo sguardo.

Poi vide Isa seduta con la schiena appoggiata a un tronco, l'espressione persa nel vuoto. 
Non vide Eradan.

"E' andato nel bosco a cercare materiale con cui costruire quella barella. Mi ha detto di starti vicino. Helli... mi duole terribilmente." le disse Andriel, con lo sguardo accigliato.

"Per cosa?" chiese la ragazza. Poi mise a fuoco.

Nostra madre...é morta.

Non si mise a piangere, come una persona normale avrebbe fatto alla notizia della morte della madre. Alla notizia di essere diventata orfana. Non si mise a urlare disperata, come Andriel si era immaginata. Reagì di nuovo alla notizia con uno strano mutismo, come non volesse accettare la situazione. Lo shock iniziale le aveva fatto perdere i sensi, quello era il modo in cui il suo intelletto aveva respinto la notizia. Un black-out.

In fondo se l'era aspettato. Se l'era aspettato nel momento stesso in cui aveva visto Isadora fra le grinfie di quella Strega. Il Male incarnato era arrivato fino a casa loro e non ci sarebbe stato modo che la fragile e anziana Jemma Foley fosse sopravvissuta.

Andriel non capiva la reazione della ragazza. Era strano, inconcepibile, non vederla versare una lacrima.

"Come ti senti?" le chiese.

"Benissimo, Andriel. Tutto a posto. Dobbiamo pensare a mia sorella. Devo fare in modo che torni a casa nostra. Poi, mia madre la curerà. Qualcuno dovrebbe venire fin qui a prenderla." rispose Helli.

"Tua madre?! Ma...Heloise..." obiettó Andriel.

"Ho detto che deve tornare a casa nostra. Va bene?" insisté Helli.

Andriel comprese che la ragazza aveva bisogno di tempo per accettare quella disgrazia. Non era facile, per un'umana così giovane. Lei lo sapeva: anche lei senza genitori, era stata trovata da Lord Elrond quando era piccolissima. Portata a Gran Burrone, era stata adottata da quella comunità.  Era dura essere soli al mondo. E solo Eru sapeva se sua sorella Isadora si sarebbe mai ritrovata. Per ora, sembrava aver perso il contatto con la realtà. Era certamente il momento più duro nella vita di quelle due umane.

"Certo. Sono d'accordo. Ma tua sorella è ancora sconvolta. Devi parlarle, ora. Fatevi forza." consiglió Andriel.

Helli annuì, e, sorretta dall’Elfa tornata pienamente in forze, andó a sedersi accanto a Isa.

"É tutta colpa tua." mormoró Isadora.

"Come?" chiese Helli, confusa.

"Hai tu quel gioiello, vero? Te lo sei portato via." continuó Isa, guardando verso il cielo. "Mamma é morta perché te lo sei preso. Se fosse stato in casa, quella Strega non le avrebbe fatto niente!! Tu e i tuoi stupidi progetti!"

Helli si portó le mani alle tempie "Non continuare. Non ne voglio parlare. Tu non stai bene, Isa . Ma troveró un modo per farti tornare a casa. Sistemeró tutto, vedrai..."

"Tu?!! Fammi il piacere!! Cosa vorresti sistemare, tu?! Sai soltanto fare disastri!!" e finalmente scoppió in un pianto liberstorio. "Oh Helli, é stato orribile!!"

"Zitta! Zitta ti prego!!" la imploró Heloise. "Manderó un messaggio a Sam in qualche modo. Lo faró venire qui, ti verrà a prendere!"

"Oh ma che dici!!!!" gridó Isa, levandosi in piedi, ma un giramento di testa la obbligó a sedersi di nuovo. "Come credi di fare??! Non c'é soluzione, è finita!! La nostra vita é rovinata, mi hai sentito!"

Farin si giró a guardare le due donne. Sembravano due pazze.

"Vedrai, tornerai a casa nostra in men che non si dica. Non cedere, ti prego!" disse Helli, e fece per abbracciarla. 
Ma Isa la respinse.

"Io non ci torno a casa, hai capito!! In mezzo a tutto quel sangue, dove nostra madre é morta!  Non ci torno più a casa!!!" gridó di nuovo.

"Che succede qui?" chiese Eradan, allertato da tutte quelle grida. Aveva con sé diverse assi di legno. "State calme, tutte e due."

"E questo chi é?!" sbottó Isa. "Chi sono questi?!" 

"Sono i miei compagni di viaggio. Lei é Andriel, un Elfo. Lui é Farin, un Nano guerriero. E lui è Sire Eradan, un rami...cioè, un Dunedain. Sono miei amici, mi hanno aiutato, e aiuteranno anche te." rispose Helli.  Notó che Isa aveva ritrovato il tono polemico e petulante di sempre, e questo la confortó. Almeno stava reagendo

Sua sorella fece cenno di no col capo.

"Sì vedrai. Ne verremo fuori, credimi." cercó di rincuorarla Helli.

"Io credo solo che questa sia l'ultima delle tue follie. E hai trascinato dentro anche me e mamma. Non capisci che mai più nulla sarà come prima?" chiese Isadora.

"Ragazza, perdere la speranza e lasciarsi andare é la più facile delle scelte. Ci vuole più coraggio ad essere forti e a combattere, quando tutto sembra finito." le disse Eradan. Squadró Isadora: non somigliava per niente ad Heloise, né fisicamente né caratterialmente. "Staremo qui stanotte: non posso pensare di spostarvi in queste condizioni. Vorrá dire che io, Farin e Andriel staremo svegli, e faremo la guardia a turno. Domani decideremo cosa fare con te. Siamo diretti oltre le Montagne Nebbiose, in un territorio protetto da magia elfica; tua sorella Heloise va condotta lì. Ma tu non puoi seguirci. É un problema."

"Non torno a casa. Casa...é l'ultimo posto in cui voglio stare. L'ultimo posto." mormoró Isa, passandosi una mano sul viso.

Farin e Eradan si guardarono: quel commento sottintendeva qualcosa di impossibile. Non puó venire con noi, si disse mentalmente Eradan.

"Beh, andiamo almeno a pescare, visto che dobbiamo fermarci qui." sbottó Farin, con la sua consueta noncuranza. "...maledizione!"

"Cosa c'é?" chiese Andriel.

"...amo e lenza." sospiró Farin. "Li ho dimenticati."

 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Nuovi piani ***


Le due sorelle Foley erano riuscite a prendere sonno.

Schiena contro schiena, immobili alla luce del faló notturno, lasciavano che la notte le facesse sprofondare nell'oblìo del sonno.

Non volevano pensare, nessuna delle due voleva lasciarsi andare ai ricordi: Midlothian, la loro madre Jemma, la casa grande e isolata in cui vivevano, le colline lì attorno. La terra rossa del loro paese.

Isadora aveva faticosamente accettato la tragedia, e dopo essere stata giorni e notti in compagnia di uno degli esseri più malefici della Terra di Mezzo, aveva lasciato dietro di sé il carattere frivolo e capriccioso che era il suo tratto distintivo. Tutti i problemi che aveva avuto fino al suo incontro con Melthotiel, le erano improvvisamente sembrati sciocchezze: la mancanza di begli abiti nel suo armadio, un fidanzato di modeste origini e impiego umile, la seccatura di dover lavorare come domestica nelle case dei vicini. Tutte cose che l'avevano sempre riempita di afflizione... fino a qualche giorno prima. Ripensando a quegli orrendi momenti vissuti con la Strega, quei ricordi lontani le sembravano un passato quasi piacevole, a cui aggrapparsi con nostalgia. Un passato in cui sua madre era ancora viva.

Heloise non aveva ancora elaborato appieno la faccenda. L'unico punto di riferimento affettivo a quel mondo, dopo la morte del padre, era stata Jemma. E ora non c'era più. La ragazza era in una fase di disorientamento, con fatica avrebbe trovato di nuovo il controllo.

La comparsa improvvisa di sua sorella Isadora aveva complicato ancora di più la situazione: erano in missione, ed Isa non poteva unirsi ai quattro. Non era abituata ad affrontare le scomodità di un viaggio, a superare i pericoli, a confrontarsi con eventi problematici. Era troppo delicata.
Helli non riusciva a credere che fosse sopravvissuta al rapimento di quella Strega elfo. O meglio, non capiva come non fosse del tutto impazzita: qualche rotella nel suo ingranaggio mentale doveva essersi fusa nello shock, era evidente dal suo sguardo, ma aveva anche mantenuto una certa lucidità. Quella reazione, comunque, sarebbe durata poco, presto la disperazione avrebbe portato con sé una lunga fase depressiva, che non avrebbe risparmiato nemmeno Helli.  Erano orfane, e lo erano diventate nel modo più drammatico.

Per quanto riguardava il presente, il problema immediato era che farne della maggiore delle Foley. Anche Eradan ci pensava. Osservando i respiri profondi e lenti delle due sorelle addormentate, il ramingo cercava di farsi venire un'idea. La soluzione più giusta sarebbe stata che quel tizio di cui parlava Heloise, quel Sam, fidanzato della sorella, fosse giunto lì a prenderla. Già, ma come informarlo?

Accompagnare Isadora a casa era un'ipotesi altrettanto difficile.  Né lui né Farin potevano tornare a Midlothian. Avrebbero lasciato Andriel sola a occuparsi di Heloise, con quello spirito malvagio ancora in giro. Ancora sulle loro tracce. L'Elfa era forte, ma era quasi stata uccisa dal primo scontro con Melthotiel, e ne era venuta fuori grazie al loro aiuto.

Eradan pensó ai villaggi nei dintorni: il più vicino era a sedici miglia da lì, una distanza troppo grande per trasportare una ragazza inferma. E comunque, alle cure di chi avrebbero lasciato Isadora? A qualche sconosciuto? Heloise si sarebbe opposta.   Si passó una mano nei capelli, esasperato. Era una bella grana da affrontare.

"Già, questa non ci voleva." disse Andriel, dietro di lui. Si era accorta delle preoccupazioni di Eradan, perché erano anche le sue. "Condurre Heloise nel Lórien sarebbe stato già problematico. E ora anche quest'altra."

"Non puó venire con noi. Questo é certo." rispose Eradan.

"E cosa suggerisci?" chiese l' Elfa.

Eradan rimase zitto qualche secondo, ad ammirare il fuoco. Le sue iridi castane sembravano rosse, al riflesso delle fiamme.  "Una soluzione l'avrei. E riguarda te."

"Spiegati." lo esortó Andriel.

"Heloise potrebbe cederti il Mil Naur. Diventeresti tu la nuova proprietaria. Andrai da sola nel Lórien e lo affiderai alla custodia di Galadriel. Io e Farin andremo con le due ragazze a Midlothian. Devono essere tolte da questa storia. É troppo grande per loro." disse Eradan.

Andriel sorrise amaramente. "Giá, sempre gli Elfi in prima linea, vero? Pronti al sacrificio."

"Ti ho vista in azione. Puoi opporti a quell'essere, contrastarla. Hai sufficiente magia a disposizione." disse Eradan. "E sei veloce, furba. Melthotiel non riuscirà a individuarti, se fai alla svelta."

"Oh si che lo farà. E lo sai." rispose Andriel, guardando le stelle. "Mi troverà ovunque. E riuscirà a prendersi questo gioiello, dopo avermi torturata per farselo consegnare."

"Io credo che ci sia una speranza. Hai molte più probabilità tu di tutti noi insieme. Forse se ci fosse stata solo Heloise avremmo potuto farcela, ma sua sorella è ridotta male, é debole. Ci ostacolerà nel cammino. La sua presenza rallenterà il nostro procedere, e potrebbe diventare un nuovo bersaglio per la Strega. Attaccherebbe lei per ricattare di nuovo sua sorella." spiegó Eradan.

"Io moriró, se andró da sola. Questo é ció che mi stai suggerendo. E puoi mascherare quanto vuoi questa verità, ma e' così. Da sola non posso affrontare una creatura che ha in sé il potere di Morgoth." sospiró Andriel.

"Lo hai già fatto una volta." disse l'uomo.

"Perché c'eravate voi. Perché non ero sola." ribatté Andriel.

"Io credo in te. Spero in te." rispose Eradan. "Voi Elfi siete il popolo eletto di questo mondo. Trovate sempre un modo."

Andriel sorrise di nuovo. Poi, con un gesto lento, poggió una mano su una spalla dell'uomo. "Tu speri solo di uscire da questa faccenda e salvarti la vita. Non ti biasimo, abbiamo tutti paura. Ma non venirmi a dire, che credi davvero che io sia più forte di quel démone. Non dopo quello che hai visto oggi."

Eradan abbassó lo sguardo.

"...ecco, come volevasi dimostrare." disse Andriel. "Va' a dormire, ramingo del Nord. Faccio io la guardia fino all'alba."

"Sai cosa succede se il diamante torna nelle mani della Strega Elfo?" le chiese Eradan. "Lo consegnerà ai servi di Sauron, lo useranno per scatenare un Drago al cui confronto Smaug non é che un verme. Un Drago che distruggerà tutto: Rohan, Gondor, Gran Burrone, il Lórien, Boscoverde. Il drago chiamato Urgost ha una potenza distruttiva simile solo a quella di Ancalagon il Nero, che fu ucciso da Ërendil. É nascosto da millenni, ma Melthotiel sa dove si trova. Lo userá per fare terra bruciata di questo mondo. Se noi cinque proseguiamo nel viaggio, le possibilità che riesca nel suo intento sono elevate. Se vai tu sola, non sarà così facile per lei. Riflettici, capirai che ho ragione."

"Mi impressionano le tue convinzioni. Credi di avere ragione? Curioso, pensavo che solo Eru avesse il dono dell'onniscienza." rispose Andriel, con una smorfia.

"Hm." sorrise Eradan. "L'ironia non appartiene agli Elfi. Non farne inutile uso." detto ció, andó a coricarsi sotto a un albero.

E nemmeno la stupidità ci appartiene, pensó Andriel. Non andró incontro alla morte perché tu possa salvarti.

🌺🌺🌺

L'indomani Eradan si sveglió con uno strano senso di colpa.

Non gli era piaciuta la conversazione fra lui e l'Elfo femmina. Andriel aveva ragione su un punto: tutta quella storia lo riempiva di angoscia, e avrebbe voluto uscirne il prima possibile.  Si era offerto di scortare l'umana verso il territorio degli Elfi, e lo aveva fatto mosso dal suo senso del dovere e dall'onore. Poi, peró, di fronte a una dimostrazione di quel che poteva fare la loro nemica, aveva concluso che si trattava di un'avversaria oltre le loro possibilità. Come diceva Andriel, avevano vinto il primo scontro, ma perché erano tutti insieme e avevano colto Melthotiel di sprovvista. Ma la volta successiva, quel demonio in forma di Elfo avrebbe potuto escogitare un'altra aggressione. Un attacco diverso.

E così, aveva passato la palla ad Andriel. 
Non era stata una proposta onorevole, per uno come lui, lo ammetteva. I Dunedain non avevano nel vocabolario la parola vigliaccheria, e non voleva essere lui il primo a mettercela, tuttavia non riusciva a non ripensare agli occhi grigi e feroci della consorte del Re Stregone: non si sarebbe fermata davanti a niente.  Molto probabilmente, in uno scontro con Andriel, l'avrebbe distrutta. E prima, l'avrebbe obbligata con le cattive a cederle il diamante. Ma che altro restava da tentare? 

Si alzó in piedi, era l'alba. 
Vide una figura da lontano, immersa fino alle ginocchia nell'acqua di fiume.

Era Isadora, e si stava lavando. Ancora vestita di stracci, aveva provato a riassettarsi i capelli e cercava di strofinare braccia e gambe con le mani, per togliere le  incrostazioni di fango.

Eradan si avvicinó alla riva del fiume. "Buongiorno."

Isa si voltó subito, spaventata. Poi si rilassó, vedendo Eradan.

"Come ti senti?" chiese il Dunedain. "Sei riuscita a dormire?"

"Come un maledetto straccio, ecco come sto." Sbottó Isa, rabbrividendo per la corrente gelida.

"Almeno riesci a stare in piedi. É già qualcosa." rispose Eradan.

"Vorrei sapere dove siamo." disse Isadora, senza voltarsi. "E dove siamo diretti."

"Siamo in una radura a metà strada fra il tuo territorio e il Dunland. Ma torneremo indietro, non ti preoccupare." spiegó Eradan.

Isa finalmente si giró a guardarlo. "Cosa vuole dire indietro? Io non torno a casa, ho detto! Non torno mai più in quella casa."

"Hai un uomo. Vivrai con lui, e per qualche tempo tua sorella starà con te. E la migliore delle soluzioni." disse Eradan. "Il vostro viaggio finisce qui, e vorrei dirti che sono dispiaciuto per quello che vi é capitato. So che la tua famiglia era stata già colpita duramente. So di vostro padre."

"E quell'affare? Quel gioiello? Che ne farete?" chiese Isadora. Un ricciolo biondo le cadde sul viso. Eradan pensó che fosse graziosa.

"Che ti importa? É storia finita per te. Uno di noi lo porterà al sicuro. Dimenticatene." consiglió l'uomo.

"Dimenticarmi?!" ripeté Isa. Poi attraversó l'acqua a grandi falcate per raggiungere la sponda. Il fondale era basso.

La ragazza aveva gli occhi scintillanti e le guance rosse. "Mia madre é stata assassinata! Non lo capisci cosa ci é  successo?! Tu credi che Sam sia pronto a prendermi con sé? Sarà certamente stato avvertito, qualcuno avrá trovato il cadavere. Uno dei nostri vicini, magari. E io e Heloise siamo scomparse. Daranno la colpa a noi!!"

Eradan rimase interdetto. "No. Non lo credo. Perché dovrebbero accusarvi di aver ucciso vostra madre?!"

"Chi altro potrebbero incriminare? Noi vivevamo con lei. Solo noi. E non ci sono mai stati omicidi a Midlothian. Non ci sono delinquenti da noi. Chi crederebbe alla storia della Strega misteriosa, se io ed Heloise ci presentassimo lì? Che cosa potremmo raccontare, per giustificare la nostra assenza?" disse Isadora.

Eradan rifletté un secondo. La ragazza non diceva assurditá. Era vero: sicuramente il cadavere della loro madre era stato trovato. Le due figlie erano scomparse. Una volta tornate a Midlothian, sarebbero state interrogate dalle autorità del luogo, e cosa avrebbero risposto?

"Questo é vero." mormoró Eradan.

"Non sono sopravvissuta a una creatura infernale per finire in una cella." disse Isadora, uscendo dall'acqua. "Non ci torno lì. Non subito, per lo meno."

"Come vanno i polsi?" chiese Eradan. La ragazza era più intelligente di quello che avrebbe pensato. A sentire Heloise, sua sorella era una specie di vacua bambola bionda, invece aveva rivelato un'indole piuttosto arguta. E sembrava essersi ripresa.

Forse si puó tentare, pensó.

"Sono sparite le ferite. Ma a fatica muovo le mani. Non sono neanche riuscita a lavarmi!" si lamentó, provando a strizzare la gonna dell'abito lacero.

"Senti," disse Eradan, avvicinandosi a lei. "Ora voglio farti una domanda, e ti prego di rispondere con sincerità. Te la sentiresti di camminare per miglia e miglia, attraversando Montagne ghiacciate, valli assolate, e rimanere a digiuno forse per giorni, con il rischio di incontrare di nuovo quella Strega?"

Isadora non impiegó nemmeno un secondo a rispondere. "Te lo ripeto: io non voglio finire in una cella."

"Questo per me equivale a un . Ma se vieni con noi, non devi esserci d'intralcio. Intesi?" le chiese, guardandola negli occhi. "Sto provando a trovare una soluzione a questo problema. Una soluzione che sia accettabile per tutti. Ma ho bisogno di aiuto."

Isa serró le labbra, presa da un'improvvisa tristezza. Da qualsiasi angolatura, vedeva solo un vicolo cieco. Ma quel tizio le dava l'impressione di essere affidabile, e perlomeno onesto. Era un guerriero. Lo osservó di nuovo: entrambi provarono uno strano brivido in quel momento, durante quell'occhiata prolungata.

"Ci proveró." disse infine Isa. "Del resto se c'é riuscita quell'impiastro di Helli posso farlo anch'io."

"Perché covi risentimento verso di lei? Heloise mi ha detto che non andate d'accordo." volle sapere Eradan.

"...e immagino abbia aggiunto che sono io la causa, eh? Il famoso caratteraccio di Isadora." ribatté la ragazza. "Te lo dico io perché: da quando nostro padre è stato ucciso, mia sorella non ha fatto altro che vivere con la testa fra le nuvole. Prima si é immersa in decine di libri, poi le sono venute strane manie verso gli insetti, e poi quest'idea balzana di andare a fare la maga!! Tu non hai idea di cosa abbiamo dovuto fare io e mia madre per portare qualcosa sul tavolo tutte le sere. Tu non sai cosa vuol dire saltare un pasto quasi ogni giorno. E nemmeno lei. Con la scusa che é la più giovane, se l'é sempre svignata, anziché fare la sua parte. E mia madre l'assecondava. Le sue passioni, i suoi talenti, i suoi sogni! Ma dei miei sogni, è mai importato a qualcuno, secondo te? No, te lo dico io. E guarda adesso... guarda in che guaio ci ha messi!!"

"Tua sorella non é causa di questa situazione. Il Male che vive nella Terra di Mezzo ogni tanto dà segni della sua esistenza, e purtroppo ha ferito la vostra famiglia. Non é colpa di nessuno." rispose Eradan.

"La difendi perché ha preso in giro anche te con la sua finta innocenza, vero? Tu non sai quant'é furba, la piccola. Ma io sì la conosco. Certo, é mia sorella, non posso odiarla. Ma io vedo cose che altri non vedono. Io so com'é fatta." rispose Isa.

"E tu?" chiese Eradan. "Tu come sei?"

A quella domanda, Isa si zittì. Guardó Eradan, che sembrava stranamente compiaciuto di quell'improvviso silenzio fra di loro.

Nel frattempo, la luce del mattino si era fatta più intensa.

"Il sole, finalmente." disse il ramingo. "Dobbiamo svegliare gli altri, e riprendere il cammino."

"Eradan! Il sole!" chiamó Andriel, dall'accampamento improvvisato.

"Arriviamo!"  il ramingo si giró a guardare Isadora.  "Allora, sei pronta?"

"Ho scelta?" chiese la ragazza.

Eradan sorrise e scosse la testa. "Tu e tua sorella siete più simili di quanto pensiate." Poi tornó serio "No. Ora tu e lei non avete più nemmeno l'ombra di una scelta. Prego i Valar che siate entrambe all'altezza di ció che ci aspetta."

 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Sospetti ***


Olson Kirby rimirava il suo bicchiere pieno di liquore alle erbe, gentile omaggio di Helmo.

Era il suo compleanno, settant'anni tondi tondi passati a Midlothian. Non si era mai mosso da lì, del resto non ne aveva motivo: aveva ereditato un capitale da suo padre, defunto Capo del Consiglio cittadino, e viveva nell'agiatezza da quando era bambino. Insieme ai soldi, alla morte del genitore aveva ereditato anche il suo ruolo. Era una sorte di Governatore, ma non investito dei pieni poteri dei Governatori. Midlothian era un eccellente esempio di democrazia: non un singolo cittadino era escluso dalle decisioni che riguardavano il territorio, e Olson era essenzialmente colui che controllava questo equilibrio sociale faticosamente costruito da suo padre.

Non era difficile, Midlothian era una cittadina tranquilla e isolata del Minhiriath, zeppa di agricoltori che si erano arricchiti negli anni e di famiglie che vivevano in relativa pace.

Almeno, fino a quel tragico giorno di Aprile in cui Jemma Foley era stata trovata in un lago di sangue da Sam Pontipack. Fino al giorno in cui, oltre all'omicidio, era stata denunciata la scomparsa delle sue due ragazze ancora giovanissime.

Quello era un grattacapo coi fiocchi. Olson aveva fatto chiamare Otto Shelby e il figlio di Timothy Pontipack come testimoni, perché voleva vederci chiaro in quella tremenda faccenda che stava gettando scompiglio nella città. Molte famiglie spaventate erano già state da lui per capire cosa stesse succedendo e per chiedergli se non fosse il caso di sprangarsi in casa. Girava voce che un pazzo omicida fosse tra di loro, e in molti erano terrorizzati.

I due uomini erano stati i primi ad accorrere sul luogo dell'omicidio e i primi a vedere le condizioni di Jemma e le tracce sparse per la casa. Samuel Pontipack era sconvolto per la scomparsa della più grande delle Foley, sua fidanzata. Ripeteva che qualcuno l'aveva rapita e non c'era verso di fargli cambiare idea.

Olson non sapeva che pensare. Non erano mai capitate cose del genere in quel villaggio e non sapeva come affrontare la questione. Il comitato cittadino lo aveva invitato ad allertare le guardie, a raddoppiare i turni di ronda cittadina, a chiudere le entrate al villaggio. Come se ci fossero state mura, attorno a Midlothian. C'era solo un passaggio ufficiale da cui entravano e uscivano i mercanti il giovedì, controllato da un paio di soldati che chiedevano il pedaggio.

La città era circondata da campi aperti e qualsiasi uomo, o bestia, responsabile della fine di Jemma con tutta probabilità se l'era già data a gambe.

"Te lo ripeto, amico mio: qui c'entra qualche squilibrato." disse Otto, camminando su e giù per la sala privata di Olson, nel palazzetto civico in mezzo al paese. "Qualche maniaco omicida, assetato di sangue. Non esiste giustificazione per tale e tanta ferocia."

"Mi hai detto che la casa è stata messa a soqquadro. Che qualcuno ha rovistato ovunque." disse Olson, versandosi un altro po' di liquore marrone.

"Si', ma non c'è modo di capire se abbiano rubato qualcosa. Io non so quali fossero le proprietà dei Foley." replicò Otto. "Non era una famiglia che se la passava bene. Ho sempre visto Jemma e le due ragazze arrabattarsi per comparare cibo e fare fronte alle spese. Almeno, la più grande delle due. "

"Forse nascondevano delle proprietà. Sai, molti paesani sono soliti tenere soldi contanti in casa, nei posti più impensati, per i periodi di emergenza. Che so, in un vaso, sotto a un materasso, perfino nelle stalle. E' possibile che Norman abbia lasciato qualche capitale nascosto?" chiese Olson. "...ah, scusa. Non ti ho offerto il liquore. Ne vuoi un bicchiere?"

"No, grazie. Da quando ho avuto quel brutto colpo al cuore mia moglie mi impedisce di bere. Comunque, quelle tre donne vivevano in emergenza da quattro anni, dalla morte di Foley. Se avessero avuto del denaro lo avrebbero tirato fuori prima. Mia moglie Myrtle sostiene che ultimamente si vestivano con abiti consunti, perfino. Nessuna donna con qualche moneta in tasca rinuncia a comprarsi perlomeno abiti decenti. Specie la bionda, Isadora. Era piuttosto frivola." rispose Otto.

"Non è vero!" sbottò Sam, seduto in disparte accanto alla finestra. Non aveva quasi più dormito da quel giorno in cui era entrato in casa Foley. Era pallido e aveva due brutti cerchi scuri attorno agli occhi. "Isa ha sempre lavorato, e duramente anche! Ha sempre pensato alla loro madre. Sempre..."

"Certo, ma era anche parecchio vanitosa, Sam. Ed è comprensibile, era molto graziosa. Non credo che se avesse avuto denaro da parte non l'avrebbe speso per conciarsi un po' meglio." gli disse Otto. "Volevo dire solo questo."

"Perché parli di lei al passato, come fosse morta?!" sbottò sam. "Non è morta, hai capito?! E' solo scomparsa, ma tornerà. O la troveremo. E' viva!"

"Ma certo, certo." disse bonariamente Otto, dandogli una lieve pacca sulla spalla.

"Non commiserarmi!" esclamò Sam, alzandosi in piedi. "E se voi non volete fare niente, andrò io a cercarla!"

"Sam , ne abbiamo già parlato. Da solo non puoi fare nulla. Anche ammettendo che sia ancora viva, non sappiamo dove sia, né dove sia diretta o dove la stiano portando quei rapitori di cui parli. Questi non sono tempi per andarsene in giro da soli, anche se comprendo la tua angoscia. Qualche mese fa un gruppo di Orchi ha aggredito Arceto. Hanno fatto un disastro laggiù. Qualcosa di malefico si è risvegliato e sta minacciando i territori umani. Sta' qui, continua a prenderti cura dell'attività di tuo padre. E nel tempo tutto si sistemerà, vedrai." cercò di rabbonirlo Olson.

"Nel tempo?!" ringhiò Sam. "Che razza di discorsi sono? Io dovrei dormire la notte tranquillo mentre la donna che ho deciso di sposare è sola e indifesa a subìre chissà che! Voi siete dei vigliacchi, tutti quanti!"

"Adesso non esagerare. Olson ha ragione, siamo di fronte ad un evento mai capitato qui, e la cosa più sbagliata da fare è lasciarsi prendere dalle emozioni. Serve calma, e lucidità. So che è difficile per te, ma ti prego di riflettere. Non te ne puoi andare in giro da solo a dare la caccia a qualcosa che non conosci." intervenne Otto.

Sam fece una smorfia di disgusto. "Codardi." poi si diresse verso la porta. "Codardi!"

Detto questo, spalancò l'uscio e sparì.

"Testa calda." commentò Olson, scuotendo il capo.

"C'è da capirlo: è molto innamorato di quella ragazza." rispose Otto.

"Ed è ricambiato?" chiese Olson.

Otto si stupì a quella domanda. "In che senso?"

Olson si versò il terzo bicchierino di liquore. Poi si avvicinò alla finestra. "Ho sentito...ehm...storie sulle due sorelle Foley. Pare che fossero molto attratte dal denaro. Come del resto tu stesso hai confermato poco fa. Chissà se Isadora è seriamente invaghita di quel sempliciotto o punta al denaro della loro attività. I Pontipack sono mugnai, ma abbastanza facoltosi."

"Non è cosa carina da pensare, amico mio" commentò Otto.

"Lo sai che ho ragione. Sono pettegolezzi che hai raccolto anche tu, avanti. Lo sai di che pasta sono fatte quelle due. E anche George Simenon me l'ha ribadito proprio ieri." replicò Olson.

"Simenon, l'agricoltore? Che c'entra lui?" volle sapere Otto.

Il vecchio Kirby si girò a guardarlo. "Sapevi che la più giovane, Heloise, si è offerta a lui in cambio di denaro? Anzi, per essere precisi, voleva estorcergli un mucchio di grana. Almeno, questa è la versione di quel tale."

"Ma vuoi scherzare..." Otto era allibito.

"No, per niente. A quanto pare, dietro la promessa di un fidanzamento la ragazza avrebbe chiesto a Simenon trecento monete d'oro. L'ha fatto passare per un prestito, ma ha aggiunto che sarebbe partita subito dopo per star via un anno. George l'ha mandata a quel paese, e con piena ragione, direi." spiegò Olson. "Pensa, ha avuto perfino la faccia tosta di indignarsi, al suo rifiuto."

Shelby rimase interdetto. "No, non sapevo questo. Ma mi pare strano, Heloise sembrava interessata solo ai suoi studi, passeggiava senza sosta nei boschi per osservare la natura, diceva lei. Quante discussioni ho sentito in quella famiglia! Spesso con la sorella maggiore. L'accusava di non lavorare."

"Perché lavorare, quando è più facile ricattare uomini ricchi e un po' in là con gli anni...?" aggiunse Olson.

Otto lo guardò. "No. No, senti, forse hai capito male. Quel Simenon in passato ha importunato altre giovani qui a Midlothian. E' uno di quegli uomini che non si rassegnano al passare degli anni e credono di potersi permettere una compagna che abbia la metà dei suoi anni. E' un laido vecchiaccio, se vuoi la mia opinione. Certo, Heloise Foley è una ragazza molto particolare, aveva interessi che le donne normalmente non hanno...ma credo che tu sia ingiusto nei suoi confronti. E' una brava giovane."

Olson inarcò un sopracciglio, scettico. "Beh, senti questa: io ho una nipote dell'età di quell'Heloise, vent'anni. Se sapessi che la mia Jade se ne va in giro a fare certe proposte agli uomini mi sentirei terribilmente mortificato. Le brave giovani non contrattano fidanzamenti con gli uomini."

"Insomma, stai dicendo che la minore delle Foley è una prostituta?" chiese Otto. "Ora esageri sul serio."

"Sto dicendo che delle volte la povertà tira fuori il peggio dalle persone. Specie, nelle persone un po' particolari, come l'hai definita tu. Chissà cosa diavolo passa per la testa della gente." ribattè Olson.

Shelby a quel punto si avvicinò di qualche passo al suo amico. "Hey Olson...ma che stai insinuando con questi giri di parole?"

Kirby sorseggiò il suo liquore e poi fece schioccare la lingua. "Forse Jemma Foley aveva qualcosa di prezioso. Magari non monete, magari qualcos'altro. E magari sua figlia voleva questa cosa, questo... bene prezioso."

Otto rimase in silenzio per diversi secondi. "...adesso, vuoi per caso dire che Heloise Foley ha ucciso sua madre?"

L'accusa di Olson era folle, inconcepibile. Ma guardandolo in faccia, Otto capì che intendeva esattamente quello. "Voglio dire che una donna, madre di famiglia, è stata uccisa in questo tranquillo e noioso villaggio, in cui mai nulla del genere è capitato da che io sono al mondo. Voglio dire che una delle sue due figlie non ha tutti i venerdì a posto e che ci sono precedenti nei suoi confronti. George Simenon ha giurato che quella gli ha chiesto soldi in cambio di mettersi una fede al dito. In cambio di dormire con lui. Allora, permettimi di avere qualche dubbio." spiegò Olson, nel tono più tranquillo al mondo.

"Sai, credo che dovresti posare il bicchiere e farla finita con quel liquore. Stai iniziando a dare i numeri." ribattè Otto. "Ora ti dico io una cosa: sono entrato in quella casa dopo Sam e ho visto. Ho visto una donna riversa a terra con la testa spaccata e una grande chiazza rossa su una delle pareti. Sai cosa vuol dire questo? Vuol dire che quella povera Jemma è stata scaraventata senza pietà contro il muro. Tu ora mi stai dicendo, che la piccola Heloise Foley che ha due steli di fiore al posto delle braccia può aver fatto una cosa simile?"

"E chi l'ha detto che è morta così? Potrebbe essere stata colpita prima. E quella macchia può essere stata lasciata intenzionalmente per sviare i sospetti." insisté Olson. "Credimi, Otto: c'è tanto male in questo mondo. E non sempre si riesce a riconoscerlo. Delle volte, si nasconde dietro il sorriso dolce di una ragazza."

Shelby scosse la testa. Non riusciva a crede che Olson potesse farsi venire sospetti tanto assurdi. Eppure, era un uomo intelligente, colto. "Tu sei ubriaco." mormorò. "Quella povera donna..."

"Già. Jemma Foley è l'unica che sa come sono andati i fatti, ma purtroppo ora giace sei piedi sotto terra con suo marito. E questo ci obbliga a trovare una spiegazione da soli. La mia spiegazione, è che finché non verrà fuori questo misterioso assassino di cui parli, la principale indiziata è sua figlia Heloise. Farò emettere un'ordinanza di cattura nei suoi confronti. Se si ripresenta qui, l'arresteremo e la obbligheremo a fornire una versione." disse Olson.

Otto credette di non aver capito bene. "Cosa?! Ma su che basi? Heloise era partita quattro giorni prima dell'omicidio! Allora sua sorella è ancora più incriminabile, era in casa con Jemma quel giorno." obiettò.

"Ma su Heloise ci sono precedenti che lasciano ragionevolmente credere che avesse un'ossessione malsana per il denaro. George Simenon testimonierà a proposito del loro incontro. E ti dico cos'altro farò: i cittadini mi hanno chiesto di aumentare la sorveglianza ai confini. Sarà fatto. Questo vuol dire, che nessuno uscirà da Midlothian, per nessun motivo. Chi lo farà, verrà bandito. Vallo pure a dire a Sam Pontipack, in caso gli venisse in mente di fare l'eroe e andare a cercare la sua bella. Nessuno esce da questa città, e nessuno entra." rispose Olson.

Otto colse un lampo di angoscia nel suo sguardo. "Sbagli. Stai commettendo un errore terribile a fare di Heloise un capro espiatorio. Non è stata lei." gli afferrò un braccio. "....ma che ti prende, amico? L'Olson Kirby che conosco io è molto più saggio di così."

Finalmente il vecchio rivelò le sue sensazioni. Otto lo sentì tremare.  "Ho paura, Otto. Si è svegliato qualcosa di antico, di malvagio in questo mondo. Arceto è stata attaccata, quel villaggio non è distante da qui. Se gli Orchi ci raggiungono faremo la fine di quei poveri disgraziati. Ci faranno a pezzi. Non abbiamo un esercito, o invalicabili mura che ci proteggano. Siamo indifesi. E io devo... devo fare del mio meglio per impedire...per impedire che queste creature maledette arrivino da noi. Non voglio che il Male arrivi qui."

"E' già arrivato, ha distrutto una famiglia. E tu vuoi dare a quelle due ragazze il colpo di grazia. Lo sai questo?" gli rispose Shelby.

Olson mostrò un'espressione accigliata, colpevole, confusa. Ma subito si rimise la maschera del freddo politico. "Chiudiamo i confini. Aumentiamo la sorveglianza. E in quanto a quelle due ragazze, meglio che non si facciano rivedere. Così sia fatto."

 

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** 22 Aprile 2941 T.E. - Secondo scontro ***


"Quando Heloise è nata, avevo tre anni. Non rammento ovviamente quel giorno, ma ho comunque vaghi ricordi della nostra prima infanzia. Io la trattavo come fosse stata la mia bambola preferita e non permettevo a nessuno di avvicinarsi a lei, nemmeno a mia madre, quasi. Ero molto protettiva, perché sapevo che era indifesa." raccontava Isadora ad Eradan.

Erano passati sette giorni dal loro scontro con Melthotiel. Isa aveva dimostrato una straordinaria capacità di recupero, aveva ripreso forza e lucidità. Eradan era stupito, ma iniziava seriamente a preoccuparsi per l'altra sorella. Helli non aveva quasi più parlato in quei giorni: l'aveva sorpresa a singhiozzare, una notte, mentre gli altri dormivano e lui era di guardia. Non aveva voluto disturbarla, perché probabilmente stava ripensando a sua madre e con fatica provava a elaborare il dolore.

La Strega elfo non si era fatta viva, ma il Ramingo sapeva che era questione di tempo: umiliata nel primo scontro, era alla ricerca di un nuovo modo per rimettere le sue lunghe dita sul Mil Naur.

Erano riusciti ad avanzare diverse miglia in direzione delle Montagne Nebbiose, che ora comparivano all'orizzonte, nascoste dietro un fitto banco di bruma.
Si erano fermati per rifocillarsi vicino ai numerosi ruscelletti che attraversavano la pianura.

Helli si stava lavando le gambe sporche di terriccio nell'acqua cristallina. Eradan notó che era dimagrita. Lei e sua sorella erano state costrette a tagliare le gonne dei loro abiti fin sopra le ginocchia, per camminar più svelte, ma non avevano fatto i conti con i cespugli di lamponi e bacche presenti nei boschi: le loro foglie piene di spine le avevano graffiate. Isa tentava di trovare sollievo lasciando le gambe immerse nell'acqua corrente, mentre era seduta su un masso. Eradan l'aveva raggiunta con una ciotola piena di farro, preso dalle infinite provviste di Farin.

"Anche tu eri indifesa. Eravate due bambine, con un padre sempre in missione e lontano." rispose l'uomo. "Immagino sia stata dura."

"Mia madre era una donna in gamba. Un po' timida, forse, e molto innamorata di mio padre. Quando lui non c'era, controllava lei l'andamento della casa. Non ci ha mai fatto mancare nulla." ribatté Isa. "Mentre io e Helli crescevamo, la osservavo: mi auguravo che diventasse una ragazza carina.  Hai notato una cosa? Le donne brutte sono tutte infelici."

Eradan non rispose subito a quell'osservazione. Non era d'accordo. "Non ti saprei dire. Mia madre non era certo una bellezza, eppure non l'ho mai vista triste."

"Beh, io invece l'ho capito presto come va il mondo. Se hai un viso grazioso puoi avere ció che vuoi. Altrimenti, fai molta più fatica. E alla fine cosa vogliono tutte le ragazze? Un fidanzato." continuó Isa.

Anche in quel caso, Eradan non parve convinto. "Credo tu stia generalizzando un po'. Tua sorella, ad esempio, non mi pare abbia queste necessità."

"Appunto! Questo mi faceva preoccupare. Insomma, quando è arrivata ai tredici anni, immaginavo iniziasse con le prime cottarelle per i ragazzini... invece niente. Ci crederesti? Passava i suoi pomeriggi nelle stalle a osservare le vacche che partorivano. Diceva che fosse una cosa affascinante!" raccontó Isa.

Eradan rise forte.

"... non c'è granchè da ridere, sai? Io la trovavo una cosa disgustosa! La esortavo a uscire, a farsi degli amici nuovi a frequentare qualche ragazzetto..." continuó Isa.

"Come facevi tu?" chiese Eradan, ironico.

"Sì. Certo. E mi divertivo molto. Hai qualcosa da obiettare?" rispose malamente Isa.

"Oh no. Non mi permetterei mai. Immagino la scena: tu seduta con un bellissimo abito a fiori nel mezzo di un prato e attorno a te, una cerchia di spasimanti pronti a esaudire ogni tuo capriccio!" scherzó il ramingo.

"Già. Hai indovinato, tranne che per l'abito. Non ne ho mai avuto uno bellissimo." confermó Isadora. "Comunque, anche Helli avrebbe potuto vivere la sua gioventù così, anziché... costruire formicai e studiare ogni stupido animale da fattoria!"

"Significa che è curiosa, intelligente. Non c'è alcun male in questo. Anzi." rispose Eradan.

"Parli come  mia madre. I miei genitori non si sono mai preoccupati per il suo modo di vivere, ma io sì. Ho anche temuto che fosse pazza." poi Isadora s'intristì. "...ho avuto tanta paura per lei. Ho avuto paura che vivesse una vita arida, priva delle gioie che sperimentano le ragazze. Per questo ero dura , perché volevo vederla uscire da quei sogni strampalati e provare a conoscere quello che l'amore puó offrire. Si è persa già molto. Ma lei è diventata ostile verso di me, ha cominciato a rispondermi sempre peggio. Allora l'ho lasciata in pace, mi sono detta è una sua scelta, ne pagherá le conseguenze. Oh sì, eccome se le ha pagate. Le stiamo pagando entrambe."

"Ora sei ingiusta. Melthotiel non ha nulla a che vedere con lei. È uno spirito malvagio che purtroppo ha incrociato le vostre vite, e se Heloise e il gioiello fossero stati in casa, quel giorno, l'avrebbe sottratto e poi vi avrebbe uccise tutte e tre. Forse é un bene che tua sorella si sia allontanata col Mil Naur. Almeno voi due siete vive." obiettó Eradan.

Isa non replicó.

"... allora, quando pensi di poter tornare a Midlothian? Quel Sam ti starà aspettando." chiese Eradan.

"Che aspetti pure. Ora non é davvero il momento." mormoró Isadora, scuotendo i piedi nell'acqua.

"Ho come l'impressione che non ti manchi molto, il tuo... fidanzato." motteggió Eradan.

"Certo che mi manca!" replicó Isa, girandosi a guardarlo storto. " Solo che... "

"...che  puoi fare tranquillamente a meno di lui." terminó Eradan. Poi si alzó e si stiracchió le braccia.

"Non mi piace il tuo tono, Ramingo. Ti consiglierei di badare ai fatti tuoi." lo sfidó Isa.

"Questi sono precisamente fatti miei." sorrise Eradan.

"Che vuoi dire?" chiese Isa.

"Niente. Tempo al tempo." concluse Eradan. 
"Hey voi!"

Andriel e Farin, che stavano raccogliendo sacchi e vettovaglie, si girarono. "Basta indugiare qui. Rimettiamoci in cammino. Ci attendono le paludi di Sachem, fra qualche miglio, ed è meglio attraversarle quando c'é luce."

Guardó lontano, nel punto dove Heloise si era fermata a rinfrescarsi. "Qualcuno vada a chiamarla."

🌺🌺🌺

Le paludi di Sachem erano un passaggio obbligatorio per arrivare ai piedi delle Montagne Nebbiose.

Troppo vaste per essere aggirate, l'unica alternativa era passarci in mezzo, stando attenti a non scivolare in quelle pozze verdi e profonde. Un intero popolo di rospi e rane aveva costruito lì il proprio regno. Isa calpestó una delle rane e il suono liquido di quel corpo anfibio ridotto in poltiglia le fece quasi dar di stomaco.

"Avresti fatto meglio a costruire quella barella! Almeno mi avresti trasportata e non avrei dovuto camminare in mezzo a questi...a questi...cosi!" Si lamentó la bionda ragazza. "Ah, che schiiifo!"

"Sta' attenta a dove metti i piedi." le disse Eradan, sorreggendola per il gomito.

Dietro di loro, a qualche metro di distanza, Farin e Andriel aiutavano Heloise.

"Di'... non ti pare che tua sorella ed Eradan passino molto tempo insieme?" chiese il Nano.

Helli guardó i due davanti a lei. No, non se ne era accorta, persa com'era nel suo oblìo. "Tu dici?!"

"L'ho notato anch'io." confermó Andriel. "Pare che tua sorella abbia catturato un altro pesce nella sua rete. Avevi ragione su di lei."

"Puó essere. Non m'importa molto." sospiró Heloise.

"Come stai?" chiese Andriel.

"Frastornata. Spaventata." rispose Helli. "Se penso che ho voltato le spalle a Gandalf e Thorin perché temevo quello che sarebbe potuto succedere con loro... e ora mi trovo in una situazione molto peggiore."

"Come hai trovato Thorin? In forma?" volle sapere Farin.

"Sì. Un po' affaticato, stanco, ma stava bene, direi." rispose l'umana.

"Il nostro principe ha in comune con te il fatto di aver vissuto molti dispiaceri, suo nonno ucciso davanti a lui e suo padre... scomparso." sospiró Farin. "La sua famiglia annichilita."

"Non ha moglie? E' piuttosto affascinante... per essere un Nano." chiese Helli.

"Ha! Sì riscuoteva parecchio successo da giovane... molte ammiratrici fra le nostre donne." rise Farin. "Comunque sì, è sposato."

"E sua moglie è bella?" chiese ancora Helli.

"Oh, un vero splendore...nella prospettiva di una Nana, certo." rispose Farin.

"Il che vuol dire che avrà baffi e barba, come minimo. Sai, trovo curioso che le differenze di genere fra Nani maschi e femmine siano così poche." lo prese in giro Andriel.

"Senti chi parla! Giuro non ho mai visto un Elfo maschio che somigli davvero a un maschio, in vita mia! Tutti con quegli zigomi marcati e quella pelle liscia. È davvero un miracolo che riusciate a riprodurvi!" ribatté Farin.

Quella battuta fece ridere Heloise.

"...ti ho strappato un sorriso! Mi fa piacere, finalmente!" si compiacque il Nano.

Poi, i tre si bloccarono perché Eradan e Isa si erano fermati a osservare qualcosa. Isa fece per lanciarsi in avanti, ma Eradan la tenne per un braccio.

"Che c'é?" chiese Andriel.

Poi la vide. 
C'era una donna a dieci metri da loro. Una donna vestita con un lungo mantello bordeaux, e i capelli raccolti a crocchio dietro la nuca. Una donna minuta e fragile, con gli occhi spaventati e le spalle curve. Somigliava ad Heloise.

"Mamma..." si lasció scappare infatti la più giovane delle Foley. "Mamma..."

Jemma Foley osservava le figlie con uno sguardo addolorato, accigliato, accusatorio.

"Mi avete abbandonata." disse. La voce era la sua e Heloise ed Isa urlarono.

"Ferme. Quella non è vostra madre." disse Eradan.

"Mi avete lasciata da sola. Come avete potuto." disse ancora Jemma.

Isa si portó entrambe le mani alla bocca, per soffocare un grido.

"Ma vi perdono. Venite da me ora. Tutte e due. Qui, fra le mie braccia! Heloise!" imploró Jemma. "Figlia mia, sono viva!"

Heloise fece un passo in avanti, ma Andriel la trattenne per la vita. "No. É lei. Sta cercando di far leva sul tuo dolore. Non crederle!"

"Heloise, tesoro, vieni qui! Ho avuto paura! Come hai potuto?" pianse ancora Jemma. "Lasciarmi sola!"

"Mamma!!" gridó Helli, divincolandosi da Andriel.

"Non é nostra madre!" urló allora Isa. "L'ho vista morire, ero lì!! Nostra madre é morta! E l'hai uccisa tu, carogna! Va' via! Hai capito, schifoso essere vattene!!" detto ció, afferró una pietra e la scaglió contro l'entità. Il sasso attraversó il corpo immateriale di Jemma e finì dall'altra parte.

Andriel lanció uno dei suoi attacchi magici, un lungo fascio di luce simile a un fulmine, ma  Melthotiel, una volta assunte di nuovo le sue forme, lo paró senza sforzo. "Quanto pensate di poter resistere, voi cinque?! Vi faró impazzire, capito?! Oh sì, non c'ê limite a quello che posso fare!! Finché...non mi darete il mio gioiello!" gracchió la Strega.

Heloise crolló bocconi a terra e inizió a piangere.

"Non c'é niente di tuo, qui. E non illuderti, nessuno è disposto a cedere. Sarai tu ad impazzire, alla fine." le gridó Eradan. "Va' via, o ti daremo un'altra lezione. Tutti insieme."

Di nuovo, come era apparsa fra la nebbia, la Strega svanì.

Heloise era a terra, le mani premute sulle orecchie, scossa dal tremito del pianto. "Io non posso continuare! Non posso, non voglio più questo affare maledetto, non lo voglio più!!"

"Calma. Sapevamo che ci avrebbe riprovato. E voi due sarete il suo bersaglio. Il suo ora é un attacco psicologico, e potente. Ma non puó danneggiarvi se resisti!" le disse Andriel. "Alzati, ora!"

"Nooo! Basta!!!" gridó Helli. Frugó affannosamente nella sua sacca e trovó il fagotto con il Mil Naur. "Basta!"

Lo lanció lontano. Finì in una delle pozzanghere e affondó mollemente.

"Ma che hai fatto!" esclamó Eradan. "Perché?!"

"Che se lo tenga lei." disse Helli. "Io ho chiuso con questa storia."

"Accidenti." disse Andriel.  "Ora dovremo recuperarlo. In quelle sabbie mobili."

Isa corse verso Heloise e le molló una sberla. "Brutta  codarda! Tu non rinunci a un bel niente, hai capito! Non dopo che nostra madre é morta! Non dopo quello che ho passato io!! Mi hai stancato con le tue pazzie!" le gridó.

Eradan si precipitó ad afferrarla per le braccia. "Smettila! State buone!"

"Non ti importa niente di me! Non ti importa niente, Isa! E ora che hai trovato un nuovo cavalier servente sei felice, vero?" rispose Helli, ormai totalmente priva di freni. "Ora é tutto a posto per te!"

Eradan la guardó confuso. Poi il suo sguardo divenne severo. "Mi verrebbe voglia di lasciar andare tua sorella, e guardarla mentre te le suona di santa ragione. Forse meriti davvero un paio di schiaffi!"

"Sii paziente. La ragazza è sconvolta." intervenne Andriel. "Dalle tempo, per favore."

Isa venne trascinata da Eradan lontano, mentre Andriel e Farin osservavano Heloise.

"Io me ne torno a casa mia. Tanto quell'affare ormai é affondato. É finita." annunció Heloise, sprezzante.

"Non é affondato. Queste sono pozze concave, hanno un fondo. Bisogna cercarlo." disse Farin.

"Beh, tanti auguri. Buona fortuna." rispose lei.

"No. Lo hai lanciato tu, lo cercherai tu." le disse Andriel. "E mi accerteró che tu non esca da quella pozza finché non  l'hai trovato."

"Andriel..." disse Heloise, guardandola stupita.

"Vedi, credo che Eradan abbia ragione su un punto: ci vuole più severità con te. Come il mio comandante Nohmus diceva sempre alla mia amica Eulalie, riferendosi a me: disciplinala." rispose Andriel. "Perció, al lavoro, mortale."

 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Nella grotta ***


"Potreste anche aiutarmi, accidenti a voi!" imprecó Helli, immersa quasi completamente nell'acqua marrone.

Due ore erano passate da quando, in un impeto di rabbia ed esasperazione, aveva gettato il Mil Naur nella pozza. Immersa fino al collo nell'acqua fangosa, tentava di scandagliare con le punte dei piedi il fondale.

"Tu hai fatto il danno, tu rimedi." la zittì Eradan, preoccupato per il calar della sera. Non potevano passare la notte nelle paludi di Sachem.

"Spero che tu abbia imparato la lezione, almeno stavolta!" gridó Isadora da lontano. Si era arrampicata su un masso che si ergeva solitario fra quelle conche, per sfuggire all'assedio di rane e rospi.

L'acqua in cui era sprofondata Helli era maleodorante, piena di fango e di uova di rana, che di lì a qualche giorno sarebbero diventate girini.  Qualche ninfea punteggiava la superficie.

"Perdiamo tempo... qui non c'é niente!  Quell'oggetto é sparito in profondità. Non c'é altro da fare, te l'ho detto! Perché insisti?!" sbraitó la ragazza, rivolta ad Eradan.

"Sì, che c'é. É solo che non ti impegni abbastanza." le disse Andriel, tenendola per la mano. "Concentrati. I tuoi piedi lo troveranno prima o poi."

"Fai presto a parlare. Intanto ci sono io qua dentro!" Si lamentó Helli. "Non voglio neanche immaginare che razza di creature vivano in quest'acqua."

"Sei tu l'esperta in Natura, dovresti saperlo, no? Beh, se vuoi la mia opinione, penso che qualche sanguisuga si sia già attaccata alle tue gambe!" la derise Farin.

Helli cacció un urlo che riecheggió nella sterminata palude.  Eradan e Andriel risero di gusto. "Calma... non ci sono mai le sanguisughe nel fango." le disse l'Elfa bionda.

"Davvero spiritoso!" disse Heloise. "Ti voglio vedere la prossima volta che avrai bisogno di aiuto per staccare frutti dagli alberi perché non ci arrivi...non ti azzardare a chiedere il mio aiuto, Nano!"

Poi si accorse che le dita del piede destro avevano sfiorato qualcosa. A un secondo tocco, realizzó che era una pezza di tessuto. "Hey fermi tutti! Credo di averlo trovato!" annunció. Faticosamente, afferró con entrambi i piedi il fagottino e lo tiró in alto, attraverso la fanghiglia. "Eccolo!"

Andriel la aiutó a uscire dalla conca, issandola per le ascelle. Eradan e Farin la tennero finché non fu in grado di mettersi in piedi. "Apri questo straccio. Dobbiamo accertarci che non sia scivolato fuori." le intimó l'Uomo.

Con le mani sporche di terra e liquame, Helli scostó i lembi e il Mil Naur splendette di fronte a tutti.

"Accidenti... per trovare un diamante del genere, noi Nani dobbiamo passare mesi e mesi fra le Montagne. Mi domando dove l'abbiano scovato." commentó Farin.

"A Carn Dûm. Il gioiello e la sua decorazione sono stati forgiati lì." raccontó Andriel. "Angmar... quel regno infestato dal Male. Rimettilo via, forza. La sua sola vista puó nuocerci."

"É gigantesco! Pensa a quale meravigliosa collana ci verrebbe fuori!" aggiunse Isa, nel frattempo avvicinatasi. "Non posso credere che fosse nascosto in casa nostra per tutti questi anni. Se l'avessi saputo..."

"É un bene che sia rimasto nella vostra soffitta. Se l'aveste trovato...vi avrebbe rovinato la vita." disse Andriel.

"Ce l'ha gia rovinata." Helli rispose. "Questa pezza di stoffa é piena di fango. Devo trovare un altro involucro."

"Perché non lo metti al collo?" disse Eradan.  "Così non rischi di perderlo. E su di te non ha effetti."

"No, Eradan..." intervenne l'Elfa.

"Helli puó abbottonarsi la blusa fino al collo. Lo nasconderà." disse il ramingo.

"Indossarlo? Ma..." balbettó la ragazza.  "E se Melthotiel..."

"Lo sa che sei tu la proprietaria, ormai. E non puó strappartelo con la forza. È più sicuro addosso a te, che in una sacca. Immagina se dovessi perderla, o ti cadesse in un crepaccio. Stiamo per arrivare alle Montagne Nebbiose, ci saranno burroni da costeggiare." spiegó Eradan.

"E va bene..." sospiró Helli. "... tanto peggio di così...Peró che schifo, sono piena di fango...devo lavarmi."

Appena pronunciate queste parole, eruppe un tuono in lontananza che li fece sussultare. Il cielo era anche diventato plumbeo, e un'aria fredda e fastidiosa avvolse i cinque.

"Maledizione...lo sapevo." mormoró Eradan. "Questa è stagione di piogge. Bisogna trovare un riparo, svelti!"

Ma non furono veloci abbastanza: uno scroscio d'acqua improvviso inzuppó i viaggiatori dalla testa ai piedi.

"Ci mancava solo questa! Solo questa ci mancava!" sbottó Isadora, coprendosi la testa con le mani.

"Là sotto! Seguitemi!" esclamó Andriel, dirigendosi verso il masso. C'era una piccola grotta alla base.

"Ma ci staremo tutti? Sembra un buco!" gridó Farin.

"Sì, saremo un po' stretti... ma c'é posto!" rispose l'Elfa, giá sgusciata dentro. "L'ambiente è asciutto."

Entrarono tutti, prima le due ragazze, Eradan e Farin per ultimi.

"C'è cattivo odore qui." osservó subito Isa.

"Ci sarà passato qualche animale. Non metterti a fare la schizzinosa adesso." la rimbeccò sua sorella, che aveva beneficiato della pioggia improvvisa per togliersi il sudiciume di dosso.

"Farin, aiutami ad accendere un fuoco." disse Eradan. Prese dal bagaglio del Nano due pietre pomici che Farin usava per togliersi le abrasioni da mani e dai piedi, e le strofinò una sull'altra. Diede fuoco ad un cumulo di foglie morte ammucchiate in un angolo, e subito divampò un piccolo faló. Una calda luce arancione illuminó l'interno della grotta.

"Ma tu guarda... qua dentro troverebbe rifugio un intero branco di..." cominció a dire Farin, ma le parole gli morirono in gola. Aprì la bocca in una grande O di stupore, misto forse a disgusto.

Isadora si giró a guardare cosa avesse attratto l'attenzione del Nano e le sfuggì un eeeeek! di ribrezzo. "Cos'è quello, uno scheletro??!" piagnucoló, trascinandosi accanto a Eradan.

"Sì. Di un Orco, pare." rispose il ramingo. Prese un bastone trovato nella grotta e con la punta toccó il cranio deforme. Lo scheletro era in posizione seduta, in un angolo, con le ginocchia piegate contro le costole. Il teschio ruzzoló giù dal collo.

"Chissà di cosa è morto." commentó Farin.

"Non lo voglio sapere!" ribattè Isa.

"Hey, Eradan... non è che questa grotta è la tana di qualcosa?!" chiese Heloise, tremando. "E quell'Orco è stato un ... un... pasto?"

A quelle parole, Isa si strinse ancora di più al ramingo, che non sembró affatto dispiaciuto. 
"Voglio uscire di qui... meglio buscarsi la pioggia... non voglio stare qui!" mugoló la ragazza.

"Calmi. Fatemi dare una controllata." intervenne Andriel. Prese un pezzo di legno marcio e gli diede fuoco; con quella specie di torcia, camminó verso l'interno della grotta.

"Sta' attenta, ti prego!" disse Helli.

Andriel avanzó di qualche passo, tenendo la schiena incurvata perchè il soffitto era basso; allungó un braccio per illuminare il piccolo passaggio, ma poi tornó indietro. "Non c'è nulla. Solo una grande puzza. Quest'Orco deve essere rimasto qui a lungo. Forse è morto di fame."

"Già. Ma perché?" si chiese Farin. "Si è lasciato morire."

"Non lo so. L'importante è che non ci siano altri ospiti, oltre a noi. Ora aspettiamo che la pioggia cessi." rispose Eradan. Si tolse il mantello e avvolse Isa con esso. "Usalo per scaldarti."

Ad Helli non sfuggì la smorfia di compiacimento della sorella. Sì, fra quei due stava succedendo qualcosa e solo un cieco non lo avrebbe notato.

"Avresti un mantello di scorta per me?" chiese provocatoriamente Helli. Sia Eradan che Isa la guardarono, un po' sorpresi e un po' imbarazzati.

"Mettiti vicino al fuoco." suggerì la sorella, stizzita. "Non sei contenta di essere così a contatto con la Natura? Non era questa la tua massima aspirazione? Orchi, Nani, Elfi... il mondo dei sogni per te, no?"

"Smettete voi due, vi prego." disse Eradan. "Siamo già abbastanza in difficoltà."

"Come siete riuscite a crescere insieme?" volle sapere Farin. "Siete come il Sole e la Luna."

"Vuoi dire come il fuoco e il ghiaccio." lo corresse Isa.

Andriel sorrise. "Sì... diverse... ma così simili."

🌺🌺🌺

L'acquazzone duró fino a tarda sera e proseguì fino all'alba, con brevi intervalli. Ai cinque non restó altro da fare che passare la notte in quello spazio angusto sotto al masso.

Helli si accovacció accanto al fuoco, per far asciugare i vestiti. Prese sonno quasi subito.
Isa ed Eradan dormivano rannicchiati uno accanto all'altro. 
Andriel, come al solito, decise di restare sveglia tutta la notte, a sorvegliare l'entrata della grotta. 
Farin, dopo aver dato un calcio allo scheletro, si mise al suo posto e inizió a russare in un baleno.

Helli fece uno strano sogno.
Era in una radura deserta, e vagava da sola. Disperatamente, cercava Eradan, Isa e gli altri, ma era come se l'avessero abbandonata. 
Poi, d'improvviso, un'ombra nera nel cielo: gigantesca, oscuró completamente il sole. Nel sogno, Helli si trovó a pensare che poteva essere un'eclissi, quello strano fenomeno di cui aveva letto nei libri, quando la Luna decideva di rubare la scena al Sole, e si metteva davanti ad esso. Ma poi, una folata di vento improvviso l'aveva quasi fatta cadere a terra.

Non era vento.

Era una spaventosa massa d'aria spostata da ali altrettanto spaventose. Le ali di una Bestia enorme.

Helli, nel sogno, guardó in aria e vide solo una sterminata serie di scaglie biancastre sopra di lei: era come se un serpente gigante si fosse librato in volo. E poi, la coda, una coda lunghissima e irta di spine che si abbassó pericolosamente, forse con l'intento di colpirla. La Heloise del sogno cominció a correre, ma si accorse che le sue gambe non si muovevano. Si sforzava, ci provava, ma non avanzava di un centimetro. Intanto la Bestia si era rivelata per quello che era: un Drago mostruosamente grande. Un vero colosso munito di ali.

Lo vide girarsi in volo e puntare il muso verso di lei; poi vide le fauci aprirsi e il petto gonfiarsi in attesa di sputare una fontana di fuoco. Era talmente grande da eguagliare le dimensioni di una montagna.

Urgost, si lasció scappare lei. La sua voce nel sogno era un sussurro, non era nemmeno una voce, ma il Drago sentì lo stesso.

"Conosci il mio nome."

A quel punto, Helli si destó di soprassalto.

Isa si sveglió con lei. "Che c'é, cosa c'é?" chiese spaventata.

Andriel si avvicinó subito. "Tutto bene?"

"Un incubo. Un incubo terribile." rispose Helli.

Anche Eradan si era svegliato. "Non è nemmeno l'alba. Sta' tranquilla, e torna a dormire."

"Ho capito com'è morto l'Orco." disse invece Heloise. "So perché si é lasciato morire."

"Oh...signore mio..." si lamentó Isa, portandosi una mano alla testa. "... non si puó avere un po' di tranquillità..."

"Si era nascosto qui. Aveva paura ad uscire dalla grotta. Perché fuori c'era un predatore." spiegó Helli.

"Cosa? Che predatore?" chiese Eradan.

"Urgost non è sulle Montagne Grigie. É qui in giro. Ha raggiunto le Montagne Nebbiose." disse Heloise. "Ne sono certa."

"Come lo sai?" volle sapere Andriel.

"Chi é Urgost, adesso?" continuava Isa, con la sua cantilena. "Mi vuoi dire di che stramaledetto cavolo parli?"

"Un Drago. Credo abbia sorvolato queste paludi in cerca di cibo. Ha ucciso chi gli capitava, anche Orchi. Questo scheletro appartiene a uno che è riuscito a scappare." spiegó Helli.

"Ma come puoi esserne certa?" indagó Eradan.

Farin continuava a dormire, il suo sonno era così pesante che il chiacchiericcio dei quattro non l'aveva nemmeno scosso.

"Lo so e basta!" taglió corto Helli, poi si slacció la blusa e mostró il diamante. "Questo gioiello mi ha fatto vedere come sono andate le cose. È un diamante collegato ai Draghi, vero? Credo che quando uno di quegli esseri è nei paraggi il Mil avverta il portatore, lo ha fatto tramite un sogno, mentre dormivo. E domattina dobbiamo camminare veloci come saette e andarcene da qui. Inoltre, dobbiamo trovare un altro passaggio. Non cammineró attraverso le Montagne."

"E dove vorresti andare? Il Lothlórien è oltre i Monti, non ci sono scorciatoie." le rispose Eradan. "Hai solo fatto un brutto sogno. Ora mantieni la calma."

"No, credo di saperne già molto su quello che succede. Qui ci sono in gioco forze arcane, questo gioiello è pregno di magia nera. E mi sta dicendo cosa fare. Mi sta dicendo di stare attenta." continuó la ragazza.  "Dobbiamo aggirare i Monti, Eradan. Ti prego di ascoltarmi. Qualcuno si faccia venire un'idea." continuó Helli. "Perché quanto è vero Eru, io non..."

Sentirono una vibrazione improvvisa nel terreno, che fece muovere perfino il masso.

A quel punto, Farin si sveglió. "Cos'è stato?!!" esclamó. "Un terremoto?!"

Una seconda vibrazione fece gridare Isa.

Tutti e cinque guardarono verso l'uscita del loro rifugio e videro decine e decine di rospi e rane zompettare di gran carriera verso un'unica direzione. Qualcuno entró nella grotta con loro.

"Cosa succede, per carità..." mugoló Isa.

Andriel si avvicinó all'uscita e provó a sporgere la testa. Arretró subito.

Si giró a guardarli e fu allora che Helli si spaventó sul serio: quando vide gli occhi terrorizzati dell'Elfa, che di solito era così coraggiosa.

"Cosa..." inizió a chiedere la più giovane delle Foley.

Eradan le chiuse la bocca con una mano.

"Zitti tutti, ora. Nessuno fiati." raccomandó l'Elfa. "Siamo nei guai."

 

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Urgost ***


"Cosa c'è la fuori?" bisbiglió Eradan.

Andriel aveva visto solo una piccola parte della mostruosità che era atterrata a pochi metri dal loro nascondiglio. Aveva sporto la testa e con la coda dell'occhio aveva riconosciuto la parte finale di un'ala. Un'ala nera, una membrana senza piume né penne, che poteva appartenere a un pipistrello. Solo che quello là fuori era ben altra cosa che un pipistrello.

Un fulmine aveva illuminato con la sua luce azzurrognola quella creatura e tanto era bastato all'Elfa per farla indietreggiare.

"Dra-go." disse Andriel, in un altro bisbiglio.

"Lo sapevo..." inizió a piangere Helli. "Lo ha sentito. Ha sentito il richiamo del diamante."

"Silenzio." comandó Eradan. "Farin, spegni quel fuoco."

Il Nano buttó la sua casacca sul piccolo faló, che morì velocemente.

"Tanto lo sa che siamo qui..." continuava Helli. "Ci schiaccerà con una zampa! O ci farà arrosto."

Isa nascose la faccia sul petto del ramingo per soffocare un urlo. L'uomo rivolse ad Heloise uno sguardo di rimprovero. "Non è detto. Se stiamo calmi, potrebbe andarsene." sussurró di nuovo. "Perció... stiamo...calmi."

Nel silenzio generale, sentirono un suono strano. Come lo sbuffo di un mantice.

"É il suo respiro." disse sottovoce Farin. "Deve essere gigantesco."

Ascoltarono in silenzio i rumori provenienti dall'esterno. C'era il leggero ticchettio della pioggia, che si era un po' calmata. C'era quello strano suono. Le rane avevano smesso di gracidare. Era un'atmosfera surreale, terrificante, come se tutte le creature nel raggio di un chilometro fossero in silente attesa di qualcosa. Tutte, tranne quella che era appena arrivata. Quella era alla ricerca di qualcosa.

Un altro tonfo, un'altra vibrazione, stavolta vicina.

Isa aveva ghermito le braccia di Eradan, tanto forte da fargli male, ma l'uomo resisté stoicamente alla tentazione di urlare. Era spaventata, poteva capirla. E lo era anche lui.

"Che fa?! Che sta facendo?" mugoló Helli.

"Sta studiando la situazione. O forse aspetta che usciamo allo scoperto." disse Andriel.

"Allora sa che siamo qui. Sa che ci siamo!" bisbiglió Isadora.

"Non lo so. I Draghi sono molto intelligenti. E Urgost é uno dei più antichi." rispose l'Elfa.

"Non voglio morire. Non voglio morire!" disse Isadora. Eradan le chiuse la bocca con una mano.

"Forse dovrei uscire." azzardó Helli.

"Cosa?!" ribatté Eradan. "Ma che dici?!"

"Il Mil Naur puó domare i Draghi, no? Allora non mi fará niente. Anzi, mi obbedirà. Gli diró di andarsene." ribatté Helli.

"É una cosa che non sappiamo, ancora. Lo abbiamo supposto... ma se così non fosse?" disse Farin. "Ti inghiottirà come mollica di pane. Fate uscire me. Non vedo l'ora di dargli una lezione... a questa bestia orrenda. Lui e tutti i Draghi!"

"Farin, smettila. Smettetela tutti." disse Andriel.

"E che vorresti fare, stare qui come ha fatto quell'Orco? Morire di stenti?" rispose Heloise.

Andriel le fece cenno di abbassare la voce.

"Non vai da nessuna parte!" gridó Isadora, dopo essersi divincolata da Eradan. "Così dopo aver perso nostra madre, perderó anche mia sorella!"

Heloise si sorprese nel sentire quelle parole: allora significava che Isa aveva, in fondo, un po' di affetto per lei. Avrebbe dovuto essere una cosa scontata, ma la giovane Foley improvvisamente realizzó che non lo era. In quel momento, capì quanto fosse danneggiato il rapporto fra di loro. 

"Qualcosa dobbiamo fare, Isa. Se là fuori c'è un Drago, non ne usciremo vivi, solo aspettando. E io ho uno strumento che forse puó aiutarci a non morire tutti insieme oggi. Allora, che ne dite?" chiese Helli agli altri tre.

Scoprì in sé un coraggio inaspettato. Aveva piantato in asso Thorin e gli altri perché aveva temuto di fare un viaggio scomodo con loro, e tutt'a un tratto era disposta a pararsi di fronte un Drago millenario e probabilmente affamato. La vita aveva risvolti ben strani, a volte.

Un nuovo rumore li fece sobbalzare. Guardarono in alto, sul soffitto in pietra e colsero una vibrazione leggera. "Questo masso si muove." disse Isadora. 

"É qua sopra!" sbottó Farin. "É furbo l'amico. É sopra il masso, sta cercando di capire se c'é qualcosa sotto! Ci ha individuati, ma non ne è sicuro!"

"Allora nessuno si muova. Neanche tu." disse Eradan, rivolto ad Helli. "Stiamo qui, forse se ne andrà da solo."

Tutti rimasero immobili. 
La vibrazione cessó. 
Non si sentì più alcun rumore, nemmeno quel soffio pesante che ricordava un mantice. 
Si sentiva solo la pioggia.

Passó un minuto. 
Niente.

Helli avvertiva il pulsare del suo cuore nelle orecchie, e tentó di controllare il respiro. Non si era mai sentita tanto annichilita dal terrore, nemmeno di fronte a Melthotiel.

Già, Melthotiel.

Dov'era in quei minuti? Perché non aveva fatto la sua comparsa? Eppure era una situazione ideale per lei. Urgost era lì. O forse era anch'ella terrorizzata? Del resto non aveva potere su di lui in quel momento. Il Mil Naur non era più in mano sua. Ce l'aveva lei.

Passó un buon quarto d'ora, senza che nulla succedesse. I cinque tentavano di non muoversi e avevano serrato le bocche.

"Hey... e se quello se ne fosse andato?" osó dire Farin, rompendo il silenzio.

"Niente affatto." rispose Andriel, indicando il soffitto "È qua sopra. E ci sta braccando. Come un gatto coi topi."

"Moriremo come quell'Orco. Se stiamo qui, in ogni caso, noi..." inizió a dire Helli, ma non potè finire la frase. Una forza terribile strappó via il masso sopra di loro e lo fece volare in aria, lontano.

Rimasero esposti alla pioggia, al vento, e a quell'essere.

Isadora, appena lo vide, urló a pieni polmoni. 
Eradan estrasse la spada, sapendo che era inutile. 
Farin rimase senza parole, impressionato. 
Andriel si preparó a usare un nuovo schermo protettivo, non troppo sicura che contro quella cosa avrebbe funzionato. 
Helli si chiese perché la sua vita fosse così disgraziata. Stava per morire, ne era sicura. A vent'anni esatti. Non c'era modo di vedere la luce del giorno dopo. Non potevano sopravvivere, non quella volta.

Urgost era indefinibile. 
Aveva sentito parlare di Smaug, il Drago che viveva dentro Erebor, e aveva letto che era alto venti metri, con un'apertura alare di quaranta. A un'occhiata veloce, Helli calcoló che Urgost doveva essere alto almeno centocinquanta. Le ali, in quel momento ripiegate sul dorso, potevano coprire le paludi in tutta la loro estensione. I fulmini illuminavano a sprazzi la notte nera, e con quella luce intermittente la ragazza notó tutti i dettagli: la Bestia aveva il capo ricoperto di spine, gli occhi gialli e fiammeggianti, la testa sembrava quella di una vipera nella forma leggermente triangolare. Le file di denti ricordarono a Helli le illustrazioni di misteriosi mostri marini avvistati vicino alle sponde del Lindon, che venivano chiamati squali. Il corpo era ricoperto di robuste scaglie rossastre. La mandibola, se si fosse aperta del tutto, avrebbe inghiottito senza difficoltà la loro casa di Midlothian.

"Siamo spacciati." farfuglió Farin, che aveva messo da parte tutta la sua baldanza.

Il Drago piegó la testa da un lato, come facevano i cani quando erano incuriositi da qualcosa. "Eccovi qui."

I cinque indietreggiarono al suono di quella voce. 
Aveva parlato.

"I cinque impavidi." continuó la Bestia.

🌺🌺🌺

"Ha parlato? Ha parlato!" urló Isadora. Poi perse i sensi di nuovo, sorretta da Eradan.

Andriel provó a mettersi davanti a loro, per usare la sua magia.

"Non ci provare, Elfo. Sarebbe inutile." disse Urgost, accovacciandosi sul terreno. Le paludi vennero scosse sotto al peso di quell'essere. "E poi, non voglio farvi del male."

Eradan ed Helli si guardarono. Farin impugnó la sua ascia, sentendo l'odio traboccare in lui. "Assassino!" gli urló. "Tu, Smaug e Scatha avete portato distruzione sulle roccaforti naniche delle Montagne Grigie! Pagherai per aver sterminato la mia gente, su a Nord."

"Storia antica. Una faccenda di mille anni fa. E tu non puoi accusarmi di nulla. Ho occupato un vostro regno, è vero, ma era già abbandonato." rispose Urgost, mentre le nuvole cariche di pioggia ormai si stavano allontanando, lasciando posto alla luce lunare.

"Balle! So cosa hai fatto! So cosa avete fatto, tu e gli altri della tua razza!" gridó ancora Farin. Sollevó l'ascia in alto. "Non mi importa di morire... ma mia moglie.. la mia gente... devono essere vendicati."

"E come pensi di fare? Scagliandomi addosso quell'affare?" chiese il Drago. "I Nani passano per un popolo di stupidi minatori, non confermarlo con quest'azione. Prova a usare un po' di cervello."

Helli riflettè su questa frase. Era vero, per uscire da quella situazione non servivano nè la magia, nè tantomeno la forza. Forse si poteva provare con la furbizia.

Si fece venire in mente le sue letture sui Draghi. Intanto, quello davanti a lei apparteneva agli sputa-fuoco. Non una grande notizia, perché erano notoriamente carnivori, e ferocissimi, molto più degli sputa-ghiaccio. E poi, aveva letto che i Draghi erano avari, e vanitosi. Terribilmente vanitosi.

Tentó questa strada. "Sei una creatura maestosa, Urgost. Sono impressionata dalla tua magnificenza." gridó Heloise, facendo un passo avanti.

Eradan si giró a guardarla sorpreso, mentre, in ginocchio, tentava di ridestare Isadora.

"Farin si sbaglia. Tu non puoi essere paragonato a Smaug. Sei molto più... più... possente e ...e..."  si giró a guardare Andriel, per farsi dare un suggerimento.

"E intelligente, puoi aggiungere." disse Urgost. "Abbastanza da apprezzare i tuoi tentativi di lusinghe. Conosci i punti deboli della mia razza, allora. Buon per te."

"Sono certa che nella tua immensità tu sappia che sarebbe sbagliato ucciderci. Noi non siamo che miseri esseri, rispetto a te. Sarebbe poco onorevole farci a pezzi. Sarebbe troppo facile. Tu meriti...ecco... prede migliori" continuó Helli.

Urgost aprì le fauci. Helli e gli altri si prepararono al peggio. Eradan chiuse gli occhi e strinse a sè Isa, ancora incosciente. "Maledizione." mormoró.

Ma il Drago emise un verso assordante e gutturale. Heloise capì che stava ridendo.

"Tu possiedi il Mil Naur. Questo mi impedisce di farti del male. Te ne sei dimenticata, umana." disse infine, dopo quell'attacco di risa. "Ma è stato divertente sentirti insultare la tua razza e i tuoi compagni, per salvarti la vita. Voi umani siete pronti a qualsiasi umiliazione, per sopravvivere."

Helli arrossì. Poi si slacció la blusa e mostro il gioiello. Urgost spalancó gli occhi.

"Esatto. È mio. Questo significa che posso sottometterti giusto?" chiese Helli.

"Per questo scopo è stato creato." confermó Urgost. "Ma ci andrei cauta, se fossi in te."

"Invece ti comando di andartene. Va' via!!" gridó Heloise.

"Certo. Sono tenuto ad obbedirti. Ma non vuoi sentire la mia storia, prima?" chiese Urgost, abbassando la testa verso di lei. Helli ebbe l'impressione che si stesse accucciando, proprio come un cane. "Ho avuto una conversazione interessante, qualche mese fa. Con un fantasma. Quello che una volta era un uomo. Mi ha fatto una proposta, che ho rifiutato. Ma vedendovi qui, mi è venuta un'idea. Forse posso farvi io una proposta."

"Cosa vuoi dire?" chiese Eradan. "Con chi hai parlato?"

"Un antico condottiero, che mi ha scovato nel mio nascondiglio a Nord. Un servo, ora. Servo di Sauron. E del Re Stregone e di sua moglie, che vi sta alle costole. Forse avete già sentito il suo nome." rispose Urgost. Un grosso uccello passó sopra di lui e il Drago, in un lampo, alzó il collo e lo fece sparire fra le sue fauci.

Helli rabbrividì.

"Sono affamato, é vero. Ricorda che non posso uccidere te, ma il discorso non vale per i tuoi amici, né per tua sorella. Perció ascolta." minacció Urgost.

"Quale nome?" chiese la ragazza, tremando. "Di chi parli?"

Il Drago spostó lo sguardo su di lei. "Ora non è che uno spettro. In vita, era conosciuto come Agandâur."

"Sì ho già sentito questo nome." confermó Heloise. "Va' avanti." 

"Voleva che servissi Sauron, mi ha promesso in cambio la città di Nordinbad. Ma gli risposto che non voglio padroni e che quella città non ha ricchezze né tesori. C'é una sola cosa che voglio, e forse la posso avere tramite voi." ribatté il Drago. "Siete stati abbastanza in gamba da arrivare fin qui. Forse potete aver voglia di fare un ulteriore sforzo."

"Cosa?" chiese Eradan, interdetto. La faccenda stava assumendo una piega assurda. Stavano prendendo accordi con un Drago.

La Bestia sembró sorridere. "Voglio un regno tutto mio. Voglio il totale controllo di Angmar... e voglio la fortezza di Carn Dûm."



_____

Dall'inizio di questa long, non ho specificato che i tre protagonisti - Eradan, Farin e Andriel - sono effettivamente personaggi di un videogioco ispirato a LOTR: La guerra del Nord. Stesso discorso per il drago Urgost. Io ho aggiunto il Mil Naur, le due ragazze e i personaggi di Midlothian a una trama già impostata.  
Colgo l'occasione per ringraziare chi ha inserito la storia nei preferiti/ricordati.

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Accordi ***


"Ho lasciato le Montagne Grigie per venire qui. Ho sentito il richiamo del Mil Naur. Sono incatenato alla sua volontà, ma ció non significa che sia per sempre." inizió a spiegare il Drago. "Melthotiel e il Re Stregone hanno creduto di creare uno strumento per controllarci tutti, ma non hanno riflettuto sulla nostra capacità di autodeterminazione. Non voglio padroni, e non voglio essere schiavo di alcuno. Perció ho riflettuto su una possibilità, per soddisfare sia i miei che i vostri bisogni. Andrete a Nord, nel regno di Angmar, e lì farete il lavoro sporco che non posso fare io: eliminerete proprio Agandaûr." ruggì Urgost. "In attesa che il Re Stregone si risvegli del tutto, ha lui il comando del Regno. E deve essere eliminato. È venuto da me, ma non era in possesso del Mil. Non ha potuto sottomettermi, e si è ritirato di nuovo nella sua fortezza. Ma voglio insediarmi io lassù."

Eradan lo guardò confuso. "Il lavoro sporco che non vuoi fare tu? E perché dovremmo farlo noi?"   Stava ancora stringendo a sé Isadora, che non ne voleva sapere di riprendersi. "...cosa ne verrebbe in tasca a noi?"

Heloise era impressionata dalla maestosa creatura davanti a loro, ma iniziava a sentirsi un po' meno spaventata. Sembrava che con quel Drago si potesse addirittura ragionare.

Farin teneva a bada l'odio verso la Bestia, perché voleva vedere dove sarebbe andata a finire quella faccenda. "Non farti ingannare, Eradan! Questi esseri sono più furbi di quanto tu creda. E non sono mai generosi, non abboccare a nessuna delle sue offerte!"

Andriel studiava la situazione, ma era confusa: se Elrond fosse stato lì con loro, sarebbe stato egualmente basito. Da quando i Draghi avvicinavano a quel modo le altre creature? Come mai non li aveva ancora divorati in un sol boccone? Perché stava intavolando una conversazione con Eradan?  E perché li stava incoraggiando a iniziare una missione assurda?

Urgost non badò ai commenti del Nano e inclinò la testa all'indietro, facendo partire verso il cielo una lunghissima fiammata, che lo illuminò completamente. Era davvero gigantesco, e Helli istintivamente si rifugiò dietro al Ramingo. "Quello ci ammazza tutti!" mugolò disperata.

"Aspetta. Vediamo dove vuole arrivare. Bada a tua sorella." disse l'Uomo. Detto ciò, si alzò in piedi e fece qualche passo verso il mostro.

"Quello che chiedi è un grosso impegno da parte nostra. Perché dovremmo farlo? Come mai non hai ucciso tu Agandaûr, quando ne avevi l'opportunità?" chiese Eradan.

"Perché se lo facessi scatenerei l'ira di Sauron contro di me. Agandaûr, il Re Stregone e sua moglie sono servi suoi. Se ne uccidessi uno, o tutti, l'Oscuro si vendicherebbe! E io non temo nessuna creatura al mondo...tranne lui, e Morgoth. Loro crearono noi Draghi, loro possono eliminarci. D'altro canto..." continuò la Bestia, abbassando di nuovo il capo. "...se lo faceste voi... io non subirei alcuna punizione. E in cambio, vi prometto che rimarrò neutrale quando ci sarà la guerra dei popoli liberi contro le legioni di Sauron. Non farà uso di me, lo prometto. Rimarrò nella roccaforte di Carn Dûm, e non disturberò nessuno. I destini della Terra non mi riguarderanno, se posso avere un mio regno." spiegò l'essere. "Affare fatto?"

"Ma nemmeno per sogno!" gridò Farin. "Per chi ci hai presi, per delle vittime sacrificali?"

"Non è con un Nano che sto prendendo accordi." ringhiò Urgost, mostrando le zanne micidiali.

"Ma Farin ha ragione. Tu vuoi che noi cinque, fra cui due donne disarmate e indifese, si vada nel Regno del Nord a sfidare un Nazgûl? E credi che riusciremmo ad avere la meglio? Per cosa, poi, solo per una tua promessa di rimanere nascosto agli occhi del mondo per altri mille anni?" chiese Eradan.

"Non è cosa da poco. Una  mia promessa di neutralità varrà molto per i popoli liberi, se Sauron scatenerà la sua guerra. E lo farà, oh sì! Vi accorgerete della bontà di questo accordo, quando Angmar sotto il mio controllo non invierá alcun esercito di Orchi a sostegno di Mordor. Inoltre..." guardò verso Heloise. "Il Mil Naur perderà ogni potere malefico. Ora solo la portatrice può toccarlo, vero? Questa maledizione finirà. Nessun Drago sarà più soggetto al suo potere, nessun mortale soffrirà a causa sua. Sarà un semplice diamante. Potrai venderlo, cara signora. E secondo me, un diamante di quelle dimensioni dovrebbe farti ottenere un gran bel gruzzolo di monete d'oro. Quasi grande quanto quello in cui si sta rotolando Smaug, dentro Erebor.  E voglio mettere su un piatto una terza offerta, se questo non fosse sufficiente: tu, umana, porti il diamante e questo ti conferisce un privilegio. Puoi chiedere un favore. Cosa vuoi da me, in cambio?"

Heloise venne colta alla sprovvista da quella domanda. Andriel, Farin ed Eradan la guardarono.

"Cosa desideri più di ogni altra cosa?" chiese la Bestia.

Subito la Torre d'Orthanc, a Isengard, le comparve nella mente. Tutta la maledetta storia era partita dal suo desiderio di entrare nella scuola di Saruman, e lì doveva finire. In un modo o nell'altro. 
Un'idea terribile e tentalizzante la colse.

"La conoscenza." rispose, senza esitazione. Si alzò in piedi. "Voglio un argomento. Voglio saperne di più su voi Draghi. Voglio che tu mi permetta di entrare nella tua tana, ovunque si trovi, e vedere i tuoi tesori."

Nessuno al  mondo, nella storia della Terra di Mezzo, era mai entrato nella tana di un Drago. Nessuno.

Se fosse riuscita a preparare un saggio al riguardo, corredato magari di segreti su quella razza antica presi direttamente da Urgost, Saruman si sarebbe inginocchiato davanti a lei e le avrebbe offerto un posto di tutto rispetto nella sua cerchia.

"Ma Heloise...che stai dicendo!" disse Eradan, costernato. "Hai idea di cosa..."

"Ha- Ha!" sbottò il Drago, in un tentativo di risata. "Concesso. Uccidete il condottiero fantasma, e avrai libero accesso alla mia tana...sulle Montagne Grigie. Sempre che...tu riesca ad arrivarci!"

Eradan scosse il capo. Figurarsi se sarebbero mai arrivati a quel picco isolato fra le Montagne del Nord, le più ghiacciate del loro mondo, dove si trovava il rifugio di quell'essere. Inoltre quella sciocca aveva inconsapevolmente sancito un patto irrevocabile col Drago. A quel punto, erano fregati.

"E vi do un consiglio, prima che partiate per l'impresa: tutti dovete essere preparati a combattere. Tutti, anche le donne. Trovate delle armi." concluse il Drago.

"Un momento, nessuno ha detto che partiremo, mi pare. Nessuno ti ha promesso un bel niente!" sbottò Farin.

"Sì, invece. L'accordo c'è. Lo ha fatto Heloise." disse mestamente Andriel.

"Esatto. La portatrice ha fatto un'offerta, che io ho accettato. Ora siete vincolati a questo impegno." confermò il Drago. "Potrei arrostirvi, ma oggi sono magnanimo. Perché mi servite. Perciò, non sputare su tale fortuna, Nano di Erebor...Erebor....hm, scommetto che Smaug si sta divertendo un modo in casa vostra. "

"Meglio per te se non continui." ringhiò Farin, brandendo l'ascia.

"Altrimenti?" lo derise Urgost.

Eradan mise una mano sul braccio del Nano, per calmarlo.

"Dirigetevi verso le Tumulilande. Cercate le lame degli spettri. Sono spade letali per qualsiasi servo di Sauron. Orchi, Goblin e Nazgûl.  Così armati, sarà facile farvi largo verso Carn Dûm." suggerì la Bestia.

"Le Tumulilande sono nella Vecchia Foresta. Dovremo andare a Nord, tornare sui nostri passi." osservò Andriel.

L'Elfa si sentiva demoralizzata, aveva fallito. Lord Elrond le aveva dato l'incarico di trovare l'umana e condurla da Galadriel. Ora si erano cacciati in una situazione di non ritorno, e quella che doveva essere la sua prima missione rischiava di diventare l'ultima. Si augurò che Elrond ricevesse in qualche modo notizia di quello che stava capitando e prendesse provvedimenti. Si augurò che mandasse Nohmus e Eulalie a cercarla. Avevi ragione, amica mia. Non sono ancora pronta per le grandi avventure, pensò.

"Se facciamo ciò che dici... che ne sarà di Melthotiel? Ci sta dando la caccia." chiese improvvisamente Helli.

"Oh... lei? Fossi in voi non mi preoccuperei. Voleva arrivare a me prima di chiunque altro, ha perso. Ora ho un accordo, ed è con te. La Strega consorte tornerà da suo marito e lì attenderanno gli eventi. Io credo che non la vedrete più." rispose il Drago. "E adesso... meglio che vi reggiate forte."

Con queste parole, aprì le immense ali in tutta la loro estensione e si preparò a spiccare il volo. "Ti aspetto a casa mia, donna umana! E sarà meglio che mi portiate la testa di Agandaûr su uno scudo!" rise il Drago e sbattè le estremità. Una poderosa folata d'aria investì i cinque che vennero spostati dal punto in cui si trovarono. Helli cadde perfino a terra.  Con un rumore secco di membrane in tensione e ossa scricchiolanti, Urgost s'involò e sparì nella notte, tornata serena.

🌺🌺🌺

"Qualcuno mi dica che non abbiamo preso accordi con un Drago! Qualcuno me lo dica, accidenti!" sbraitó Farin.

"Parla con la ragazza. Ha fatto tutto lei." rispose seccamente Eradan.

Helli era china su Isadora, e le tamponava delicatamente la fronte con una pezza di stoffa. "Avevamo scelta?" ribatté.

"Certo. Avevi scelta. E hai scelto con egoismo. Hai pensato solo a quel tuo progetto, senza mettere in conto i rischi per noi. Potevi dirgli di no." disse Eradan.

"Vi avrebbe uccisi. Non me, ma voi sì. Lo sai." rispose Helli. "Perció piantala con quel tono!"

"Tu non sai in che pasticcio ci hai messi. Andare nelle Tumulilande? Quel posto è un cimitero. Ed è infestato da spettri." disse Eradan, tirando un calcio a un cespuglio di giunchi. "E Angmar!! Ci vorranno settimane per arrivare a Nord!"

"Cos'è questa storia delle lame? Di che parlava Urgost?" volle sapere Helli.

"Sono daghe da fianco forgiate dai Dunedain, all'inizio di questa Era. Sono le uniche lame create dagli Uomini in grado di ferire i Nazgûl." spiegó  Andriel. "E sono custodite dagli spettri dei tumuli."

"Perció non ci andremo. Ne ho visti abbastanza di spettri per questa vita." borbottó Farin.

"Gli spettri dei tumuli...cosa sono?" continuó Heloise.

"Creature di tenebra. Orribili. Evocate dal Re Stregone come vendetta per la resistenza dei Dunedain alla sua avanzata. Le lame di cui parlava Urgost sono custodite in una tomba. E ogni loculo è infestato da uno spettro. Per impadronirsi delle spade, bisogna scoperchiare la tomba. Così dice la leggenda." spiegó Andriel.

"Ti pare facile?" sbottó Farin. "Qualcuno mi dica che è tutto un incubo! Oh Thorin! Dovrei essere con te adesso... e guarda in cosa mi sono cacciato!"

"Sentite..." disse Helli, girando uno sguardo su tutti. "Mi dispiace se vi ho messo ancora di più nei guai. Mi dispiace se ho fatto una scelta sbagliata. Ma ormai é andata così. E quindi conviene accettarlo. É una situazione che va accettata. Cerchiamo di uscirne."

"Ma pensa..." ribattè Eradan. "Non eri tu quella che ha lanciato il diamante in una pozza urlando é finita, basta, non ne posso più?! Cos'é, improvvisamente ti scopri impavida?"

"Non prendermi in giro." gli rispose Helli. "Sto cambiando. Si... sento che sto cambiando. Credo di non avere più paura."

"Tu stai solo pensando a quella scuola. Sei felice perché ora hai un mezzo per entrarci!" le rinfacció Eradan. "Ma in cosa ci hai trascinati... non te ne rendi nemmeno conto. Io volevo proteggerti da uno spirito malvagio. E ora moriró per una tua scelta egoistica."

Detto questo, il Ramingo si avvió a lunghe falcate verso il buio della notte.

"No, senti...dove vai, Eradan!!" lo chiamó Heloise.

"...Eradan..." rantoló Isa. Si stava risvegliando.

"Isa!" esclamó Helli, chinandosi e prendendole la mano. "Come ti senti? Parlami!"

"Heloise...ma... cosa....cos'era quello?" chiese, in una specie di bisbiglio. Sentiva la gola bruciare.

"Niente. Parleremo dopo. Mettiti in piedi, ce la fai?" disse Helli, tentando di sorreggerla. 
Con fatica, Isa si mise seduta. Si portó la mano alla gola. "Un forte bruciore. La gola."

"È perché hai preso la pioggia. E poi sei svenuta. Ma ora non piove più. Andriel!" chiamó Helli. "Andriel...mia sorella, per favore aiutala."

"Sta bene." rispose l' Elfa, brusca.

Helli si stupì di quel tono . "Ma potrebbe venirle la febbre. Non potresti usare i tuoi poteri curativi per aiutarla?"

"Usare la magia toglie energia al mio corpo. Non posso sprecarla tutta per voi. Una febbre non ha mai ucciso nessuno." concluse, e poi si giró e seguì Eradan.

Isa guardó sua sorella. "Che succede?"

Helli si rivolse al Nano. "Farin, per favore, potresti aiutarmi con Isa? Vorrei prepararle un altro infuso di erba pennina, so come si fa adesso. Mi daresti quel recipiente che..."

Ma il Nano voltó le spalle alle ragazze e seguì i due compagni.

"Ma che fanno? Perché si comportano così?" chiese Isa.

Helli sospiró. Si sedette con la sorella.

"Senti...devo dirti una cosa. E...non ti piacerà."

"Cosa?!" chiese Isa, subito angosciata.

Helli deglutì. "Partiamo per un'altra avventura."

 

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Amori ***


Farin, Eradan e Andriel discutevano sui recenti avvenimenti, sotto la luce della luna.

Avevano lasciato le due sorelle sole, irritati tutti e tre dal comportamento della più giovane.

Si sentivano traditi, presi in giro. Avevano accettato di scortare Heloise nel Lothlòrien, avevano combattuto per lei e per Isadora, si erano quasi giocati la pelle. Per cosa? Per vedere le loro esistenze messe in gravissimo pericolo dall'avventatezza di quella piccola egoista.

"Sentite, battiamocela e basta. Ma che ne parliamo a fare?" chiese Farin, il più nervoso. "Nessuno di noi deve niente a quelle ragazze. Abbiamo fatto quello che potevano, e quell'impudente ci ha ripagati in questo modo."

"Sai che non possiamo lasciarle sole. Non ce la farebbero mai ad arrivare ad Angmar." rispose Eradan, mettendosi le mani sui fianchi. Iniziò a camminare avanti e indietro sul praticello umido di pioggia. Le rane avevano fatto la loro ricomparsa e stavano iniziando con il loro gracidare insistente.

"Se credi che io intenda mantenere un accordo con un Drago, hai fatto male i conti. Non ho intenzione di andare a Carn Dûm a fargli un piacere! E' già abbastanza disonorevole che io non sia riuscito a ucciderlo questa sera! E dire che l'avevo giurato sulla lapide di mia moglie, sulla mia gente!" si lamentò Farin, sputando a terra. "Ho vergogna di me."

"Dici cose senza senso." intervenne Andriel. "Non avresti mai potuto ucciderlo. Non riusciresti neanche a scalfirlo. Non ingiuriare te stesso."

"Esatto. Non si può uccidere un Drago." confermò Eradan. "In effetti, solo Sauron potrebbe."

"Oh sì...si può. Mentre dorme. Bisogna avvicinarlo con una lancia dalla punta di ferro e conficcargliela nel cuore!" rispose Farin. "Questo avevo giurato."

"Beh, direi che non è stato possibile, dato che la Bestia non stava dormendo poco fa. Era qui, sveglia e inferocita, e ci avrebbe divorati. In questo, la ragazza ha ragione." disse Andriel. "Eradan, io credo, pensandoci, che non ci fossero alternative."

"Sì che c'erano. Heloise ha il Mil Naur. Poteva comandargli di andarsene." sbottò il ramingo.

"Ci ha provato...l'hai sentita..." mormorò l'Elfa.

"No, quando ha capito che poteva trarne profitto ha preferito accordarsi. Ma non ha pensato a noi." disse Eradan. "Ci ha traditi."

"Che facciamo, allora?" chiese Andriel. "Oltretutto, Dama Galadriel non vedendoci arrivare invierà i suoi soldati. Ne sono certa. Magari dovremmo aspettarli, ci serviranno rinforzi, se andremo ad Angmar."

"Non ci andremo affatto, non l'hai capito?!" sbottò Farin.

L'Elfa si girò a guardarlo. "L'accordo con il Drago è preso. Non si torna indietro."

"Perché? Cosa rischiamo se non lo portiamo a compimento?" chiese il Nano.

Eradan sospirò. "Il Drago la cercherà. La cercherà ovunque ed eliminerà dalla faccia della Terra tutti coloro che le saranno vicini. A cominciare da sua sorella. E poi, quelli che tenteranno di nasconderla."

" E a lei? E a lei che farà?" chiese ancora Farin.

"Non può ucciderla direttamente, perché é la portatrice del gioiello. Perciò, la trascinerà nella sua tana e lì...beh lascerà che muoia da sè, di fame." spiegò Andriel. "Urgost scatenerà un inferno fra gli Uomini per trovarla, se la ragazza non mantiene la promessa."

"Le promesse sono sacre per i Draghi. Anche loro hanno un codice d'onore." disse Eradan, afflitto. "Come Melthotiel ha ucciso la madre delle ragazze per vendicarsi del loro padre. Gli esseri malvagi non dimenticano gli affronti. Non conoscono il perdono."

"Che stupidaggine!" imprecò Farin. "Beh, non contate su di me. Io me ne vado. Non voglio entrare in un'impresa che ha come fine quella di aiutare un maledetto Drago!"

"E che farai? Tornerai nel Dunland, a fare il solitario? Ci servi, Farin." disse Eradan. "Mi preoccupa quello che potrebbe capitarci nelle Tumulilande. Dobbiamo stare uniti."

"Ti dico subito quello che farò: andrò verso Erebor, con un po' di fortuna incontrerò Thorin e gli altri. Li aiuterò ad eliminare Smaug, se questo è il loro scopo. Non indietreggerò anche davanti a lui."

"Non ce la farai. Il rischio di perdersi attraverso le Montagne Nebbiose è elevato per un Nano che si muove da solo." gli disse Andriel.

"Credi che ti darò ascolto? Cosa ne sa un'Elfa che non ha mai messo piede fuori da Gran Burrone? Tieniti i tuoi consigli." borbottò il Nano.

"Gran Burrone..." mormorò Eradan. "Già...Gran Burrone è sulla strada per Angmar..."

Andriel si avvicinò al ramingo. "Non ci pensare. Lord Elrond non vuole che il gioiello venga portato entro i nostri confini."

"Ma Isadora non può venire in quel regno maledetto. Dobbiamo lasciarla con gli Elfi. Sono certo che Elrond capirà." rispose il ramingo.

"Insomma...mi volete dire che vi volete imbarcare sul serio in questa avventura?" chiese ancora Farin.

Eradan lo guardò. "Amico mio, per quanto quella ragazza non si meriti il mio aiuto, sono tenuta a seguirla anche questa volta. Me lo impone il mio onore. E ti chiedo, vi chiedo, per favore... di aiutarmi. Se stiamo uniti, ce la faremo. Abbiamo respinto Melthotiel, ma un Nazgûl come Agandaûr è un avversario ancora più feroce. Questa volta non basterà la magia di Andriel, nè la tua ascia né la mia spada. Ci sono miglia e miglia da percorrere e nuovi nemici da incontrare. Ti vergogni per non essere riuscito a uccidere Urgost...e allora ti chiedo di mostrare il tuo valore, seguendomi e aiutandomi, per quanto ti sarà possibile. Te lo chiedo per piacere, Farin."

Andriel gli mise una mano sulla spalla. "Sai che puoi contare su di me."

Eradan annuì e guardò il Nano, che si era voltato a osservare le stelle. "Hilin..." sussurrò.

"Cosa?" chiese l'Uomo. "Cosa dici?"

"Hilin...il nome di mia moglie. Mi diceva sempre che quando un nostro caro muore, lo possiamo ritrovare nelle stelle."

"Anche noi Elfi lo crediamo. La luce delle stelle è sacra nel nostro mondo." disse Andriel.

"...mi chiedo cosa mi consiglierebbe di fare." continuò Farin. "...mi chiedo sempre se è fiera di me."

"Rendila fiera, allora. Ti ha conosciuto come grande combattente. Dimostrale che lo sei davvero. Ti guarda da lassù." lo esortò Eradan.

"Era così gentile. Buona con tutti, e paziente con me. Non abbiamo avuto figli, purtroppo. Un suo grande cruccio, era quello di non avermi reso padre." continuò Farin, immerso nei suoi dolorosi ricordi.

"Senti, Farin. Ognuno ha la sua storia, la sua...meta in questo mondo. E io credo che Eru ti abbia lasciato in vita per dare il contributo alla pace della Terra di Mezzo. Aiutaci, allora." diceva Eradan. "Avrai tutto il tempo di ritrovare Thorin, il tuo Principe. E andrai di fronte a lui da eroe. E ritroverai anche Hilin...tua moglie...un giorno. E sarà orgogliosa di ciò che hai fatto in vita."

Questo servì da tonico per il Nano. Si girò, gli occhi lucidi dal pianto trattenuto. "E va bene, mascalzone. Mi hai convinto." annunciò.

Eradan sorrise. "Grazie. Grazie, amico."

"Ma non andrò in nessuna tana di nessun Drago! Intesi?!" sbottò l'altro, tornato burbero.

"No, questo non te lo chiederò. E poi, è la ragazza a doverci andare, non noi. La accompagneremo sulle Montagne Grigie, dopo aver ucciso Agandaur, e lì...beh, dovrà mettere la sua vita in mano ai Valar." chiarì il ramingo. "Ha voluto fare un accordo...sarà lei a doversi presentare davanti al Drago."

"Eradan..." tentò di obiettare Andriel.

"Il mio onore si ferma dove inizia il suo egoismo. Il suo sogno è andare a Isengard, non vede altro che questo. Non le importa di noi, e forse nemmeno di Isadora. Ma ci sarà uno scotto da pagare, uno scotto che ha deciso lei stessa. Io non m'immischierò nei suoi progetti." ripose il ramingo. "Vedremo fino a dove è disposta ad arrivare per realizzare un sogno."

🌺🌺🌺

"Sei sorpreso?" chiese Isa ad Eradan.

L'alba era appena arrivata e il ramingo sgranocchiava una mela, seduto accanto a un piccolo stagno.

La bionda Foley l'aveva raggiunto, stringendo sulle spalle il mantello prestatole dall'uomo per riscaldarsi.

"Scusa?" chiese Eradan, girandosi.

"Dico: sei sorpreso dal comportamento di Helli?" chiese di nuovo Isa. "Non te l'avevo detto, che è furba?"

Eradan sospirò. "Non sono in vena di fare discorsi simili. Altri pensieri mi affliggono. Dobbiamo metterci in marcia verso un territorio pericoloso. Ci saranno creature spaventose laggiù. E voi due non siete preparate."

Isa afferrò la mela mezza mangiata dalla mano del ramingo e le diede un morso. Poi lo guardò, con un sorriso un po' impertinente.

"Ci sono ancora provviste." disse Eradan, divertito.

"Già, ma io volevo questa." rispose lei, ingoiando il boccone . "Ti ringrazio per la tua pazienza, con tutte e due. Se non ci fossi tu, non so che farei. Mia sorella è ingestibile, lo dicevo sempre a mia madre."

"Tu ti fermerai nel territorio di Imladris, dagli Elfi. L'ho già detto ad Andriel. Sarai al sicuro, è un regno pacifico e Lord Elrond..." disse Eradan.

"Perché?" chiese Isadora, improvvisamente rabbuiata.

"Perché cosa?" non capì Eradan.

"Il motivo per cui non posso venire con voi, vorrei sapere." continuò la ragazza.

"Scherzi? Vorresti proseguire fino al Regno del Nord? Non sai cos'è Angmar. Tua sorella deve andarci, non tu." spiegò Eradan, un po' sorpreso dal quella reazione. "Anzi, pensavo di proporre a Elrond di farti scortare a Midlothian da due suoi Elfi soldato. E' tempo che torni dalla tua gente. Non hai nemmeno assistito al funerale di tua madre...e la vostra casa...le vostre proprietà...sono lasciate incustodite."

Isa si girò dall'altra parte, stizzita. "Ci starà pensando Sam a casa mia. Lui e suo padre avranno sistemato ogni cosa. Comunque, non avevamo molto di nostro, lì. Solo una casa, una stalla e un cavallo."

"Il tuo fidanzato sarà in gran pena per te. Nemmeno questo ti convince a tornare?" chiese Eradan.

Isa scosse la testa, poi tornò a guardarlo. "Parli spesso di Sam, ho notato. Perché?"

"Perché mi incuriosisce il fatto che tu, al contrario, non ne parli mai. Non ti sei promessa a lui?" chiese il ramingo.

"A Midlothian avevo una vita. Una madre, un uomo che mi amava, dei progetti. Adesso non c'è più niente. E' svanito tutto nel momento in cui quella Strega mi ha rapita. Mi sembra un passato lontano. E...non so se ho più voglia di tornarci." spiegò Isadora. "Inoltre ti ricordi cosa ho detto? In quel paese io e mia sorella siamo forse ricercate. Non mi consegnerò alle guardie."

"E allora che intendi fare, quando tutto sarà finito?" insisté Eradan. "Dove andrai?"

"Questo dipende, dal modo in cui finirà." terminò Isadora. "Il futuro non è scritto."

"No." convenne il ramingo. "Questo è vero."

"Se tutto andasse per il meglio, mia sorella venderà il diamante, andrà a Isengard a fare la maga e voglio sperare che mi lasci qualcosa per vivere. Magari potrei andare a Gondor. Mio padre sognava di portarmi a Minas Tirith. Potrei comprare una casa lì, iniziare da capo." ragionò Isa.

"Quel Sam ti verrà a cercare." disse Eradan, sorridendo.

"E come lo sai?" chiese Isa.

"Io lo farei, al posto suo." concluse l'uomo, girandosi verso gli altri. "Preparatevi. Andriel! Farin!"

"...tu lo faresti?" ripetè Isa, avvicinandosi.

"Sì." disse Eradan. "Fino in capo al mondo."

Isa scoppiò a ridere. "Ne ho ricevute di dichiarazioni, ma come questa..."

"Non è una dichiarazione. Mi hai sentito fare una dichiarazione?! Io la chiamerei piuttosto, un'ipotesi. Va' a chiamare tua sorella, svelta." le disse Eradan.

"Certo, bravo. Nega, adesso." sorrise Isa, mordendosi il labbro inferiore. "...ma ormai l'hai detto!"

"Isadora, è tardi. Sbrighiamoci." continuò il ramingo, tenendo a bada l'impulso di abbracciarla.

"Hmmm...come vuoi. Ma sei davvero una frana come spasimante!" rise Isa, allontanandosi per chiamare la sorella, che dormiva ancora.

Helli non aveva chiuso occhio fino all'alba, tormentata dai sensi di colpa e dall'agitazione per essersi trovata faccia a faccia col Drago. Era riuscita ad assopirsi poco prima del sorgere del sole.

"Sveglia!" la destò Isa, strattonandole un po' le spalle."Si parte."

"Eh? Cosa?"mugolò la ragazza, strofinandosi gli occhi.

"Eradan vuole mettersi in marcia. Prendi le tue cose." continuò la sorella.

"Cioè, ha deciso di tornare a parlarci?" chiese Helli, mettendosi seduta. Guardò la posizione del sole. "Ho dormito solo un'ora."

"Credo che si sia rassegnato alla tua pazzia. Come tutti, ormai." sorrise Isadora.

Heloise notò che sua sorella aveva un'aria quasi radiosa.

"...sembri diversa." le disse infatti.

"Cioè?" chiese l'altra, riempiendo la sacca di Helli con qualche frutto. "Anch'io ho bisogno di un bagaglio."

"Sei...luminosa. Hai un'aria felice." osservò Helli.

"Sarò davvero felice quando potrò immergermi in una tinozza d'acqua calda, con sali da bagno alla rosa e una bella spazzola di crine per lavarmi la schiena. Avanti, in piedi. Ci aspetta una lunga camminata. Chissà dove finiremo stavolta?" cinguettò sua sorella.

"Non capisco. Fino a ieri sembravi sull'orlo dell'esaurimento e adesso la vivi quasi come un a gita di piacere." continuò Helli, levandosi in piedi.

"Beh ci siamo dentro ormai. Meglio guardare il lato positivo!" ribattè l'altra.

"Quale lato positivo?" chiese Helli. Ma Isa non rispose e si allontanò, stando attenta a non mettere i piedi nella melma. "Quale lato positivo?" le gridò Helli da dietro.

Poi la più giovane delle Foley guardò in alto, verso il cielo. Pensò a sua madre. Aveva evitato di pensare a Jemma in quei giorni, per non lasciarsi andare alla commozione e perché in fondo aspettava di visitare la sua tomba, un giorno il meno lontano possibile, e scoppiare in un pianto liberatorio solo in quel momento. Ma ebbe quasi una visione, mentre osservava le nuvole leggere del mattino: vide i lineamenti di sua madre in quel bianco. E una frase le sfuggì dalle labbra.

"Sai mamma? Penso che Isa sia innamorata."

 

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Nella Vecchia Foresta ***


Cora osservava afflitta quella porzione di terreno bruno che non si decideva a popolarsi di Iris blu. Le sue piante preferite.

Eppure aveva fatto tutto come da procedura: aveva atteso l'inizio della primavera, aveva scelto una parte del giardino con terra soffice e ben drenante, aveva piantato i bulbi a tre palmi uno dall'altro, aveva mantenuto umido il terreno. Ma le piantine non venivano su.

Sospirò pensando alla bellezza dei suoi fiori quando viveva ancora a Midlothian.  Otto anni erano passati dal suo trasferimento nella Vecchia Foresta e ancora non era riuscita a ricreare quel bell'ambiente bucolico che aveva caratterizzato la sua prima casa.

In un gesto di frustrazione, gettó la vanghetta a terra e si sedette su un ceppo di legno. Sbuffó sonoramente.

"Ancora con quegli iris?!" urló Alice, dall'orto. Aveva tirato su la gonna fino alle ginocchia, mentre esaminava le nuove foglioline verdi appena spuntate dalla terra. "Te l'ho detto, hai innaffiato troppo! I bulbi saranno marci!"

"No. É che non passano i raggi del sole attraverso i rami." rispose Cora, alzando lo sguardo a guardare le fronde degli alberi. "I fiori hanno bisogno del calore del sole."

"Cos'hai detto?! Non sento!" ribatté Alice. "Hey, i semi che mi ha dato quell'hobbit hanno attecchito! Avremo le carote quest'estate!" annunciò, raggiante.    

"Tanto mi fanno schifo." rispose Cora. Pensó che sarebbe dovuta tornare nel villaggio di Brèa e trovare il piccolo mercante della Contea, quell'Angus Biancoriccio che vendeva bulbi di fiori e sementi agli Uomini.

Biancoriccio, pensó Cora, che cognomi stupidi hanno quei piccoletti.

"Ma la finisci di bofonchiare?" le disse Alice, avvicinandosi. Aveva mani e avambracci sporchi di terriccio d'orto. Si passó il dorso della mano su una guancia, per scostare una ciocca di capelli biondo miele.

Cora si alzó in piedi, con una smorfia. Il punto più basso della sua schiena esplose in una fitta dolorosa, e la donna gemette. Era sicura che fossero i reumi. Da una settimana  aveva compiuto quarant'anni e cominciava a sentire dolore alla schiena, quando si alzava bruscamente. Era il suo fisico che pian piano dava segni di cedimento.

"E' quel dolore? Non ti avevo consigliato di mettere impacchi caldi sulla schiena? Con mia madre funzionava." le disse Alice.

"Beh, siamo ridotte a prendere esempio da tua madre. Che gioia..." grugnì Cora, che per la signora Huxley non provava un briciolo di simpatia. Non dopo che quest'ultima le aveva puntato un forcone da fieno contro minacciando di lasciar stare la sua Alice.

"O troviamo un rimedio, o saremo costrette ad andare da uno speziale. E ad andarci insieme. Sai cosa vuol dire?" le chiese Alice.

"Non essere sciocca. Semmai, ci andrei da sola. E poi, è solo un dolorino. Passerà con i primi caldi. La Foresta é umida, le ultime piogge hanno creato un ambiente malsano attorno a casa nostra. Specie quel temporale dell'altra sera." rispose Cora, massaggiandosi i lombi. "Vieni qui."

Alice si avvicinó. Con una manica dell'abito, Cora le pulì la guancia sporca. "Non mi piace vederti tutta scombinata. Mi piace vederti carina." le disse.

La donna bionda sorrise, e poi depositó un leggero bacio sulle labbra dell'altra. "Vale anche per me, anzi..." aggiunse, poggiando le mani prima sui fianchi, poi facendole scivolare in alto, sul petto di Cora. "... abbiamo fatto abbastanza le contadine per oggi. Che ne dici di un po' di svago? Me lo merito, non credi?"

"Non adesso." la fermó Cora, afferrandole i polsi. "Sto pensando che finché c'é luce vorrei andare a Brèa. Se mi sbrigo, posso tornare prima di cena."

"A Brèa?! Oh santa pazienza! Lascia perdere quei fiori, ci penseremo più avanti! E poi, chi l'ha stabilito che questo giardino deve essere la copia di quello che avevamo a Midlothian? Perché vivi immersa nei ricordi?" reagì Alice, indispettita. "Tutti le primavere questa storia."

"Perché amavo quella vecchia casa. Stavo bene lì. L'avevo dipinta tutta di rosa, io da sola. Avevo curato tutto nei minimi dettagli. Era casa mia." rispose Cora, osservando l'abitazione che le ospitava lì nella Vecchia Foresta.

Non era male, una sorta di piccola baita tutta di legno, che lei, Alice e qualche contadino pagato profumatamente per aiutarle, avevano messo in piedi in pochi mesi, otto anni prima.  Dopo la loro fuga dal Minhiriath, dove la loro relazione sentimentale non era stata affatto compresa, ma al contrario osteggiata, stigmatizzata e infine motivo di vere e proprie aggressioni nei loro confronti. Se lo ricordava bene, il giorno in cui quel vecchio schifoso bastardo di Simon Cowell aveva sputato addosso ad Alice, in drogheria, e lei, Cora, furiosa lo aveva raggiunto a casa e lo aveva minacciato di tagliargli via il coso con una falce se solo ci avesse riprovato.

Quella baita in mezzo ai boschi era tutto sommato accogliente, tenuta con cura e le due donne ci avevano messo tutto il loro impegno per renderla un nido d'amore.

Ma a Cora continuava a non piacere. Non riusciva a percepire lo stesso calore che sentiva nella loro villetta rosa di Midlothian.

La verità era che il paese, quel paese contadino e bigotto, le mancava. 
Era nata lì. 
Era terra sua. 
La terra rossa di Midlothian.

"Alice...c'è una cosa di cui ti dovrei parlare." disse allora Cora.

"Quale." chiese l'altra, mentre la solita espressione ansiosa giá le compariva sul volto pallido. Era più giovane di dieci anni della sua compagna, ed era anche più insicura. Molto più insicura e fragile.

"Credo che ...ecco...continuare questo tipo di vita non vada bene. Siamo troppo sole. Troppo isolate, qui." spiegó Cora. "É una cosa a cui penso spesso."

Alice deglutì. "Cosa significa? Cosa c'é che non va qui?"

"Dobbiamo tornare alla civiltà. Insomma, dopo otto anni credo che dovremmo tornare a vivere in una comunità. Smettere di fare le eremite. Capisci?" continuó la donna bruna. Si tolse il laccio che teneva legati i suoi meravigliosi capelli mori e ondulati. Le caddero giù fino ai fianchi. Una cosa che la rallegrava, era che non avesse nemmeno un capello bianco. Nemmeno uno, nonostante le quattro decadi di vita.

Alice si morse l'interno delle guance. Cora riconobbe in quella smorfia un prossimo sbotto di rabbia. Che infatti arrivó.

"Insomma, sei stufa di me? Della vita che fai con me?! Questo vuoi dire?!" gridó la bionda.

"Piantala! Non fraintendere! Non ho detto questo!" rispose subito Cora. "Ti amo più della mia vita... ma ho bisogno anche di altro! Contatti umani, tornare a parlare con la gente, andare in una bottega a fare acquisti! Le cose normali, voglio dire."

"Normali?!" sbottó Alice. "Usi questa parola?! Quante volte siamo state definite anormali io e te? Quante volte, Cora, in quell'inutile paese ci hanno fatto sentire sporche e malate! E tu vuoi tornare lì?!"

"Siamo scappate!" rispose Cora. "É questa la verità. Come due vigliacche. Tu mi hai convinta ad andarmene."

Suonó come un'accusa, che parve colpire Alice con la stessa forza di un ceffone. Aprì la bocca incredula, senza tuttavia riuscire a replicare.

"Scusami." disse Cora, subito pentita.
Sapeva di averla ferita.

La sua compagna odiava ferocemente Midlothian, e non solo per l'episodio di Simon Cowell. Per i pettegolezzi, le occhiate di traverso dei cittadini, i risolini quando le due passeggiavano insieme. Per quel brutto atto di vandalismo ai danni di casa loro, quegli insulti scritti su uno dei muri.

E soprattutto... per Isadora Foley.

Alice detestava la più grande di quelle due dannate sorelle con tutta se stessa. Un odio che non aveva confini, perché era stata lei a diffondere maldicenze e insinuazioni su loro due. Era stata lei a sorprenderle mentre si stavano baciando dietro a un cespuglio, quando ancora non vivevano insieme e Alice aveva appena vent'anni. Entrambe stavano lentamente e dolcemente scoprendo la loro natura, erano i primi timidi approcci, le prime uscite clandestine, i primi incontri lontano da occhi indiscreti.

Ma quell'oca bionda, figlia di Norman Foley, le aveva scoperte, mentre a sua volta cercava un punto per appartarsi con un ragazzo. Isadora aveva tredici anni al tempo, ma già scodinzolava attorno ai maschietti della città come una gatta in calore. Precoce a dir poco.

E velenosa come una serpe, aveva raccontato in giro quello che aveva visto, prima a sua madre Jemma, e poi a tutte le comari di Midlothian. Da quel momento, era iniziato il loro calvario sociale.

Alice le aveva detto di detestare quella ragazza al punto che sarebbe stata capace di cavarle personalmente gli occhi. E lo avrebbe fatto, magari, se non ci fosse stata Cora a tenere a bada la sua furia vendicativa. Alice era esile e fragile, ma poteva tirar fuori un caratteraccio inaspettato, se provocata. Sembrava una farfalla che improvvisamente si trasformava in vespa, le aveva detto una volta, facendola ridere.

"Non so perché dici queste cose, ma ascoltami..." rispose Alice. "...ascoltami bene. Io non torneró mai a Midlothian. Mai. E se tu vorrai tornarci, io resteró qui. Sola, piuttosto. Ma non mi trascinerai mai più laggiù. Te lo giuro, Cora."

"Lo so." si arrese l'altra. "Ma potremmo considerare altre destinazioni. Una grande città, moderna. Minas Tirith, ad esempio. Due come noi, lì non verrebbero nemmeno notate. Ci sono migliaia di abitanti."

Alice alzó gli occhi al cielo. Deglutì di nuovo. "Io da qui non me ne vado. Non me ne vado da nessuna parte."

Cora decise di lasciar perdere per il momento. Convincere Alice a tornare alla civiltà sarebbe stara un'impresa durissima, ma ci avrebbe provato. Mica potevano invecchiare da sole, in un bosco. Presto o tardi avrebbero avuto bisogno di aiuto. Cosa sarebbe successo se una delle due si fosse gravemente malata, ad esempio? O se ci fosse stato un incindente? Chi avrebbe pensato all'altra? Inoltre, due donne sole in una zona isolata non erano certo al sicuro. C'erano briganti in giro. Ladri, gente senza scrupoli. Nulla era capitato in quegli otto anni ma ció non voleva dire che non sarebbe potuto succedere.

Rabbrividì all'idea.

"Va bene, tesoro. Basta, non parliamone più." disse Cora, avvicinandosi a lei e dandole una carezza. "Dai, torniamo in casa e prepariamoci un té. Vorrà dire che andró a Brea un altro giorno. Comunque, é già pomeriggio."

Alice tiró su col naso e annuì. "Non vuoi lasciarmi, vero?" mugoló.

"Amore, guardami." disse l'altra, sollevandole il mento con un dito. "Non ti lasceró mai. Te l'ho promesso, no? E l'ho detto anche a tua madre. Niente ci dividerà."

Alice chiuse gli occhi. "Sì...bene, perché se tu dovessi..."

Non finì la frase, perché il suono secco di un ramo spezzato fece sobbalzare entrambe. Si guardarono intorno spaventate.

"Oddio, cos'é?!" chiese Alice.

"Calma, sará un altro cerbiatto." provó a tranquillizzarla Cora.

La donna scrutó fra i tronchi d'albero e le parve di distinguere una forma. Una forma umana, e dalle proporzioni della sagoma, capì che era di sesso maschile. 
Subito l'istinto la mise sull'attenti.

Un uomo. Un uomo in una zona isolata con due donne sole. Pericolo.

"Svelta, va' in casa." comandó ad Alice. "Corri in casa e spranga la porta. Abbiamo un visitatore. Ci penso io."

"Non ti lascio sola." balbettó l'altra. Le sue pupille si erano allargate dal terrore.

"Ho detto...va' in casa. Magari é un contadino o un mendicante. Per favore. Alice!" insisté Cora.

Alice obbedì. Corse su per le scalinata di legno e chiuse sonoramente la porta. Poi si avvicinó a una finestra e spió fuori.

"Chi è là?!" urló Cora, cercando con lo sguardo un'arma. C'era un rastrello poggiato a una parete della casa, e una piccola ascia conficcata in un ciocco di legno, a due passi da lei. Si mosse lentamente verso quest'ultimo.

"Fermatevi, vengo in pace." disse una voce, e d'un tratto i cespugli si mossero.

Fece la sua comparsa un uomo alto, prestante, che poteva avere sui trentacinque anni. Dalla lunga spada portata a spalla, Cora capì che era un guerriero. Di nuovo l'istinto la mise in agitazione.

"Senti...non abbiamo niente qui. Che vuoi?" gli chiese, sforzandosi di non tremare.

"Niente di quello che pensate." rispose l'altro. Aveva la barba lunga e pareva stanco. "Sono in viaggio con quattro compagni. Due sono ragazze, sono nel bosco e stanno aspettando un mio segnale per venire avanti. Cerchiamo solo acqua fresca e un giaciglio per stanotte. Da tre giorni siamo partiti dalle paludi di Sachem, siamo diretti a Nord. É stagione di piogge e temo stanotte arriverà un altro acquazzone. Ci serve un riparo, anche una stalla va bene. Con umiltà chiediamo il vostro aiuto, mia signora."

Cora rifletté un attimo. Si giró a guardare verso Alice, che dall'interno della casa osservava la situazione, preoccupata.

"Ce ne andremo domattina. Lo prometto." continuó l'uomo. "Io mi chiamo Eradan. Onorato di conoscervi, signora."

 

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Le nebbie del passato ***


"Ma io quella la conosco!" esclamó Isadora, sbirciando da dietro un tronco d'albero i movimenti di Eradan e della signora a cui aveva chiesto aiuto. "Non dimentico mai un volto..."

Heloise guardó a sua volta. La donna, alta e mora, in effetti aveva una fisionomia familiare. Indossava un abito giallo, un po' sporco di terra, e un grembiule lurido. Aveva lunghi capelli lasciati liberi fino alla vita, e due occhi scuri. Non mise subito a fuoco la sua identità, però. "Io non saprei, mi pare di conoscere i suoi lineamenti, sebbene non li associ a un nome."

"Ma sì! Cora Jennings!" rispose sua sorella. "Una delle due viscide che abitavano in quella villa rosa."

"Vuoi dire le due amanti?!" comprese Helli. "Sono sparite da otto anni da Midlothian!!"

"...e sono finite qui, evidentemente." ribattè Isa. "Quelle mi odiano. È incredibile! L'unica casa nei dintorni...ed è abitata da loro!"

"Perché ti odiano?" volle sapere Andriel. "Che storia è?"

"Sono due nostre ex compaesane. Vivono un amore particolare, si puó dire. Stanno insieme come coppia. Isa le sorprese mentre erano appartate, e andó a spettegolare su di loro, smascherando la loro storia. Il paese intero le prese in odio, e furono costrette a scappare due anni dopo." spiegó Helli.

"Non é vero! Non fu colpa mia! Tutta la gente di Midlothian sapeva già." rispose Isa, risentita. "Piantala di farmi passare per una disgraziata. E poi, non erano obbligate ad andarsene. Fu una scelta."

"Certo, perché secondo te sarebbe stato facile continuare a vivere in paese, circondate da quel disprezzo?" ribattè Helli.

"Ma tu senti che storie..." commentó Farin. "Cose del genere fra i Nani non esistono proprio! Due donne innamorate!"

"Se mi riconoscono, non ci aiuteranno." disse Isa.

"Se ti riconoscono, rischi la pelle, sorella. La bionda, Alice, te l'ha giurata, ricordi?" aggiunse Helli.

"Già, quella pazza." confermó Isa. "Forse é meglio che io non mi faccia avanti. E nemmeno tu."

"E che vorreste fare, dormire nel bosco? Pioverà stasera. Lo sento nell'aria." disse Andriel.

"Magari si sono dimenticare di voi!" azzardó Farin. "Magari hanno perdonato!"

"Ha! Non ci scommetterei." rispose Helli.

Sentirono Eradan chiamare. "Venite avanti! Forza!" e fece un ampio gesto con il braccio.

"Che facciamo?" chiese Heloise.

"Non siate codarde! Non avete tremato di fronte a un Drago nè di fronte a Melthotiel! Temete due donne?!" le esortó Farin.

"Non conosci Alice Huxley..." mormoró Isa. "...comunque, sono passati otto anni. Puó essere che abbiano davvero dimenticato. E poi, in fondo ero una ragazzina. Non possono incolparmi di nulla."

"Beh, auguratelo." le disse Helli, credendoci poco. "Allora andiamo. E che Eru ce la mandi buona."

I quattro si fecero largo attraverso le fronde e i cespugli di quella porzione di boschetto. Davanti Andriel e Farin, dietro le due sorelle. Procedevano con cautela.

Eradan si voltó verso di loro.
"Ascoltate. Questa signora si chiama Cora. Dice che possiamo dormire nella stalla per stanotte, è asciutta e calda. Forse riuscirà a rimediarci del cibo, anche." annunció. "Noi le daremo una mano in qualche faccenda per sdebitarci, e magari..." 
Poi si fermó.

Osservò il viso di Cora, che era diventato rosso. I suoi occhi brillavano, e da essi traspariva una rabbiosa incredulitá.

Ma non guardava lui. Guardava Isa.

"Non posso crederci." mormoró la donna. "Le due Foley."

"Salve Cora." disse Isa. 
"Salve Cora." aggiunse anche Heloise, con il sorriso più sincero che riuscì a mostrare. "Come...come stai?"

La donna non rispose, il suo sguardo era duro. Eradan si preoccupó. Qualcosa stava andando per il verso sbagliato.

"Ma vi conoscete?" chiese.

"Oh sì." sibiló la donna. "Eccome."

"Cora, senti, siamo in difficoltá." disse di getto Helli, facendo un passo in avanti. "So che non hai simpatia per noi, ma ti chiedo di aiutarci. Ti prego. Siamo sporche, stanche e affamate. Non sai quello che abbiamo passato."

"Aiutarvi..." sussurrò Cora, senza togliere gli occhi da Isa, che ricambiava quello sguardo con fierezza. "...che faccia tosta. Come ci ha aiutato tua sorella, dieci anni fa?"

Helli sospiró. "Cora, tu non puoi immaginare quello che ci sta capitando." poi giunse le mani, come in preghiera. "Io ti scongiuro..."

"Non implorare. É inutile." intervenne Isadora. "Non farà mai niente per noi. Non c'é caritá nel suo cuore."

"Tu...stai zitta." le disse Cora. "Ho passato gli ultimi dieci inverni a cercare di perdonare una ragazzina. Una piccola vipera che ci fece del male sapendo di farlo. Una stupida viziata senza cervello. E ci sono quasi riuscita. Mi sono detta: era piccola, non sapeva quello che faceva. Non poteva prevedere le conseguenze delle sue chiacchiere fra la gente. Non era abbastanza matura. Ma ora eccoti qui. Una donna adulta, bella cresciuta. E non sei cambiata di una virgola. Ancora quello sguardo arrogante, ancora quell'orgoglio..."

"Cora, sono successe cose nel frattempo. Nostro padre è stato ucciso quattro anni fa." disse Helli. 

"L'ho saputo." ribattè l'altra, freddamente. "E ho saputo che tu ti sei messa a fare la domestica, hm?" disse, rivolta a Isa. "...che divertimento! Avrei pagato per vederti fare la serva."

"Puoi divertirti con me finché ti pare. Ma non mi farai sentire in colpa. Io non feci niente a te e ad Alice. Non dissi nulla in giro che i vostri comportamenti non rivelassero già." rispose Isa.

"Bugiarda..." mormoró Cora.

"Sono successe altre cose..." continuó Helli. "Siamo cambiate, credimi! Anche Isadora. La nostra vita è sconvolta, ora!"

"Tu non c'entri niente. Non c'è malanimo fra noi e te, Helli." rispose Cora, finalmente guardandola. "Avevi dieci anni all'epoca. Lo so bene."

Eradan, Andriel e Farin nel frattempo non osavano fiatare. C'era una tensione altissima fra quelle tre donne umane.

"Non avrete aiuto qui, comunque." terminó Cora. "E adesso fuori dalla mia proprietà. Tutti voi."

"Cora!" sbottó Isa. "Nostra madre è morta! Assassinata, davanti a me. Siamo orfane. Siamo state aggredite da un essere venuto direttamente dalle tenebre. Io personalmente ho vissuto l'inferno. Ho guardato un demonio negli occhi, e ancora non mi capacito di essere viva. Se questo non basta a soddisfare la tua voglia di rivalsa verso di me, allora non so proprio che fare. Non ti resta che uccidermi, ti pare?"

Helli si sentì male a quelle parole. Dovette girarsi per non tradire le lacrime che sentì sgorgarle dagli occhi.

Cora rimase interdetta. Guardó Isa, poi gli altri. Era tutto vero, i loro sguardi confermavano la versione della maggiore delle Foley. Si sentì confusa.

"...ma...che vi è capitato?" chiese.

Un improvviso fragore eruppe dalla casa. Alice aveva spalancato la porta d'ingresso e corse giù per le scale esterne. Sembrava furiosa.

"Tu..." sibiló.

Cora si preparó al peggio, mentre la sua compagna puntava decisa verso Isadora Foley.

"Tu..." sputó ancora Alice.

"Alice!" gridó Helli.

"TU!!!" urló la ragazza, scagliandosi verso Isa. Eradan si mise fra le due. Cora riuscì ad afferrare la sua amante per la vita, e a tirarla violentemente indietro.

"Sta' ferma! Basta!" le gridó.

"Lasciami!!" sbraitó l'altra, tentando di divincolarsi. Puntó un dito verso Isa. "Che gli dèi ti fulminino!!! Hai l'impudenza di venire a casa nostra! Di venire fino a qui!!!"

Isadora si nascose dietro a Eradan. "...andiamocene, ti prego!"

"No." disse il ramingo. "Aspetta."

"Fuori dal nostro terreno!!!" urló Alice. "Fuori, o ti pianto quell'ascia nella testa!!"

"Ascoltami, tesoro, calmati!" tentó di tranquillizzarla Cora.

Alice si giró verso di lei. "Perché non l'hai presa a calci nel sedere, Cora? Perché quella si permette di parlare con te? Perché non le hai sputato in faccia?!"

"Perché voglio ascoltare cos'ha da dire. È successo qualcosa di grave, Alice. Jemma Foley è stata uccisa." le disse Cora.

Alice la guardó negli occhi. "Eh?? Jemma?!"

"Sì. Così mi ha detto Isadora. E credo sia vero." aggiunse Cora. "Voglio solo sapere che cosa è capitato. Cosa sta succedendo a Midlothian. Ti prego. Calma."

Alice sembró quietarsi. Aveva ancora gli occhi spiritati di chi è travolto dall'odio, ma aveva smesso di dimenarsi. "Mi lasci parlare con loro? Posso?" le chiese la compagna.

Alice annuì. "Ma quella maledetta e i suoi amici in casa nostra non ci entrano, mi hai capito bene?"

🌺🌺🌺

I cinque vennero accompagnati alla stalla delle due donne. Dentro c'era un mulo, che placido mangiava la sua biada, e un paio di cavalli da tiro.

"Almeno l'ambiente è caldo." commentó Farin.

"Non vi chiediamo del cibo, ma almeno un po' d'acqua. Vi prego." chiese Eradan a Cora.  Lei non rispose, e uscì dal locale.

"Hmm, gran bella situazione." disse Andriel.

"Per una volta, la colpa non è mia." rispose Helli, con un mezzo sorriso.

"Ti ho detto di piantarla." ribattè stizzita Isadora.

"Cosa credete che faranno quelle due?" chiese Farin. "Non è che la bionda darà fuoco alla stalla, mentre noi dormiamo?"

"Potrebbe anche." disse Isa. "Pazza com'é. L'avete vista, no?"

"Beh, dovremo fare i bravi, mentre siamo qui. Dare meno disturbo possibile."  replicó Eradan.

"È incredibile averle trovate qui. Ecco dov'erano finite." mormoró Helli, osservando l'orto. Era curato, e già in fiore. Si erano costruite un loro mondo personale, dopo essere fuggite dal paese. Un loro piccolo regno.

"Cora è invecchiata." aggiunse Isa. "Era una gran bellezza da giovane. Gli uomini le facevano la corte."

"Che strano scherzo del destino!" ridacchió Farin. "Una donna desiderata dagli uomini, che non desidera gli uomini."

"E ha poca simpatia per i Nani." si sentì una voce. Cora era arrivata, con un cesto di frutta e un piccolo recipiente fumante. "Qui c'è uno stufato. E un avanzo di ieri, ma è abbastanza per sfamarvi. Per l'acqua c'è il pozzo là fuori."

"Vi ringrazio infinitamente!!" esclamó Eradan. "Siate benedetta." poi passó una mela a Isa.

Cora colse lo sguardo fra i due. 
"Non ti è passato il vizio, eh?" disse ironicamente a Isadora. "Questo è il tuo ultimo amichetto?"

La maggiore delle Foley si morse la lingua. Non era davvero il caso di risponderle male.

"...ma hai imparato a essere cauta. Buon per te." commentó la donna. "Allora, che vi è successo?"

Eradan, Farin, Andriel e Isa guardarono Helli. "Prego. Racconta tu, studiosa." la esortó l'uomo. "Quanto a me, non credo di averne la forza. Ho solo bisogno di sedermi."

Helli inaló una boccata d'aria e si apprestó a dire tutto. Si sedettero tutti su secchi di legno capovolti. Farin s'impadronì subito dello stufato, ma Eradan si oppose. "La carne serve alle ragazze. Devono recuperare energie."

"E io no?!!" protestó Farin, ma poi si rassegnó ad addentare una mela.

"Allora, tempo fa ho preso la decisione di andare a Isengard. C'è una scuola per Stregoni di razza mortale, laggiù. Volevo e voglio diventare una scienziata." inizió Heloise.

"Già. Mi ricordo la piccola Helli china in mezzo alla strada a osservare le formiche." disse Cora. Un mezzo sorriso attraversó il suo volto. Poi guardó Isadora, che con riluttanza odorava lo stufato. "Non è avvelenato. Non temere."

"Sì, comunque... mi servivano fondi. Dopo la morte di nostro padre ce la siamo passata male, Cora. Lo avrai sentito dire. Isa e mia madre lavoravano a servizio dai vicini. Quindi in casa non c'era denaro. Ma mio padre anni prima aveva nascosto in soffitta un oggetto, um gioiello, regalo di una donna misteriosa. Solo di recente abbiamo scoperto la sua orrenda identità."

Heloise proseguì raccontando del suo incontro con i Nani, con Bilbo e con Gandalf; continuó parlando della fuga da Hobbiville e dei successivi incontri con Farin, Eradan e Andriel; descrisse il giorno del ritrovamento di Isadora e degli scontri con la strega elfica Melthotiel; e infine raccontó l'incredibile notte in cui il drago Urgost aveva fatto un patto con lei.

Alla fine della tirata, Cora non sapeva che pensare. Giró uno sguardo su tutti e negli occhi di tutti lesse la verità. Era successo davvero. Tutto quanto.

"So che fai fatica a crederci, specie per la storia del Drago. Ma così è andata." terminó Helli.

"No. La storia di Urgost è l'unica cosa a cui credo ciecamente." disse invece Cora. "Perché l'ho visto anch'io."

"Ma di che parli?" volle sapere Eradan. "Quando?"

"Proprio cinque giorni fa. Ero in giardino, stavo curando i miei fiori. D'un tratto, una folata di vento fortissimo ha scosso i rami, una cascata di foglie mi è piovuta sulla testa. Ho guardato in alto, proprio in quel momento un'ombra gigantesca è passata sopra di me. Le fronde mi hanno impedito di vedere il suo corpo per intero, ma ho nitidamente scorto la fine della coda. Era un Drago, senza dubbio. Enorme. Sono corsa in casa, mai ho provato in terrore simile. Alice dormiva. Ho temuto che incendiasse la nostra casa, ho temuto che ci schiacciasse con il suo peso. Per un quarto d'ora sono rimasta con le spalle contro la porta d'entrata, immobile. Sono uscita quando ho compreso che se n'era andato.  Non gli interessava questa casa, nè noi."  raccontó Cora.

"No, stava rispondendo al richiamo del Mil Naur." disse Andriel.

"Quel diamante di cui mi hai parlato?" chiese Cora.

"Sì." Helli si sbottonó la camicetta. "Questo."

Cora spalancó gli occhi di fronte a quella gemma stupefacente. "...ma è incredibile!"

"Notevole pietruzza, vero?" scherzó Farin. "E che non ti passi per la testa di rubarglielo, cara signora."

"Non sono una ladra." rispose la donna, guardandolo storto.

"Bene, perché se solo allungherai una mano per sfiorarlo, ti manderà in pappa il cervello. Chiedi ad Eradan, se vuoi." continuó il Nano.

"Non ci tengo a mettere alla prova le tue parole, Nano." ribattè Cora. "Ma non capisco come pensiate di andare ad Angmar. Il solo fatto di attraversare le Tumulilande è folle. Lo sapete cosa si dice di quel territorio, credo."

"Sì. È infestato da spettri." disse Andriel.

"Precisamente. Io e Alice abbiamo scelto di vivere in questa porzione di Foresta proprio perché è vicina al vecchio cimitero dei Dunedain. Pochi osano spingersi fin qui. Qui avremmo trovato sufficiente protezione dai pettegolezzi." continuó la donna, girandosi verso Isadora.

"Lo so. Non sarà facile. Ma un accordo è stato preso e non si torna indietro." Eradan ammise. "Questa storia in qualche modo deve finire."

Cora scosse la testa. "Certo, è davvero tutto assurdo. Non c'é limite a ció che Eru puó fare dei suoi figli." poi osservó le due sorelle. Isadora ed Heloise non avevano un bell'aspetto. Si vedeva che avevano sofferto, specie la più giovane. Erano sporche, malandate.

"Sentite, voi due." si rivolse a entrambe. "Proveró a convincere Alice a farvi entrare in casa, almeno per un veloce bagno nella nostra tinozza. Sinceramente, mi fate pena."

"Oh sì! Sì, ti prego!" esplose Isa. "Sono così conciata che ho nausea di me!!"

"E fai bene." la geló Cora. Poi sospiró. "Ci provo. Non sarà facile convincere Alice. Aspettate qui."

Si alzó e lasció la stalla.

"Eru la benedica." disse Helli. "Esistono ancora persone generose a questo mondo. Spero tu ti senta in colpa, Isa. Hai ferito una brava persona."

"Una parola in più...una sola parola in più, avanti, ti sfido." sbottó Isa. "Sono stanca e affamata. Non continuare con quel tono Helli! Ne ho abbastanza di..."

Sentirono un tuono in lontananza. "Sta per piovere" commentó Eradan. Poi guardó il soffitto della stalla. Le assi del tetto non sembravano recenti, c'erano alcune fessure. "...mi domando se saremo protetti qui dentro. Il legno è marcio, in parte."

Il primo scroscio, intenso, confermò i timori del ramingo. L'acqua iniziò subito a gocciolare dentro.

"Ah che bellezza!" sbuffò Isadora. "Solo questa ci mancava."

I cinque si radunarono in un punto ancora asciutto. "Non possiamo passare la notte qui." mormoró Helli. Le era scoppiata di nuovo l'emicrania, e sentiva un fastidioso dolore a un piede.

Dopo una decina di minuti, Cora fece la sua ricomparsa. Si era messa un canovaccio in testa, per ripararsi dalla pioggia.

"Potete entrare in casa." annunciò. "Tutti."

"Grazie! Oh Cora, grazie infinite!!!" esclamò Helli, giungendo le mani.

"Sì ma... domani ve ne andate, intesi? Voi, il vostro gioiello, i vostri problemi. Lontano da qui." chiarì lei.

"Promesso." fu la risposta del ramingo.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Due lettere ***


"Questa non te la perdono." disse Alice, mentre nervosamente asciugava i piatti nel lavello di marmo. "Non avresti dovuto."

"Piantala Alice. Cosa avrei dovuto fare, lasciare quei cinque a gelare e ad inzupparsi nella stalla?" rispose la sua compagna, posando il recipiente vuoto sul tavolo. Lo stufato era stato consumato in  un baleno.

Alice sbattè lo strofinaccio sul ripiano, stizzita. "Ti rendi conto a chi stai dando ospitalità?! A chi ci ha rovinate."

"Sto compiendo un atto caritatevole verso gente in difficoltà. Io la vedo a questo modo. E non farebbe male neanche a te riconsiderare la situazione. Jemma è stata uccisa. E quelle due sono state travolte da una serie di eventi incredibili. Non me la sento proprio di voltar loro le spalle." ribattè Cora. "E mi spiace saperti così cinica, Alice."

"Va bene.  Facciamo recitare a me la parte della cattiva. Splendido." disse Alice.

"Oh per favore. Ora sei anche infantile." la rimproverò Cora. "Solo una notte. Staranno qui solo una notte. I due maschi dormiranno nella dispensa, è asciutta e calda. Le donne staranno in salotto, sui divani. E domattina se ne andranno." 

"Beh, io mi chiuderò in camera, non voglio neanche incrociarle. E che non si azzardino a chiedermi qualcosa." terminò Alice.

"Invece dovrei proprio chiedervi una cosa." disse Heloise, sulla porta della cucina. Aveva ascoltato, non notata, tutta la conversazione. Pareva a disagio. "...io e Isadora vorremmo lavarci. Avete una tinozza, vero? Posso sapere come riempirla d'acqua calda?"

Alice non rispose e si girò di schiena.

Toccò a Cora replicare. "Bisogna mettere quel pentolone sul fuoco, aspettare che l'acqua si scaldi. Poi lo porteremo nella piccola stanza da bagno, è in fondo al corridoio. La tinozza è lì."

Alice sbuffò sonoramente.

Helli arrossì. "Grazie Cora. E...scusa per il disagio. Scusaci davvero, puliremo tutto, dopo." rispose, poi chiamò: "Isa, forza, vieni qui. Aiutami."

Isadora, che aspettava in corridoio, entrò in cucina. Le due ragazze afferrarono il pesante recipiente in rame e lo trascinarono fuori.

"...dovrete riempirlo con i secchi d'acqua vicini al pozzo." suggerì Cora. "Vi bagnerete con questa pioggia. C'è un telo di cerata all'ingresso, copritevi."

"Come sei premurosa." commentò acidamente Alice.

Isa la guardò male. Helli le pizzicò un braccio come a dire: lascia perdere.

Cora osservò le due ragazze darsi da fare con il pesante pentolone. Le seguì con lo sguardo dalla finestra, mentre sotto la pioggia scrosciante correvano verso il pozzo, coperte alla bell'e meglio da quella tela nera.

"...potresti essere più gentile, Alice. Non è necessario essere scortesi." la sgridò.

"Di', ti interessano quelle due?" la provocò la compagna. "Com'è che dimostri tutta questa affabilità improvvisa? Ti piacciono?"

"Sei ridicola." disse Cora.

"Io me ne vado in camera. Quando riterrai opportuno venire a dormire, non svegliarmi." bofonchiò l'altra, dirigendosi verso il corridoio.

"Ma dove te ne vai, sono le sette di sera. Aiutami a preparare la cena per tutti." la fermò Cora.

Alice si girò appena. "Una...cena?? Hanno già approfittato delle nostre scorte, o no?"

"Un avanzo di stufato e quattro mele. Non è molto. Abbiamo farina, verdure fresche, possiamo fare del pane, e una minestra." disse Cora.

"Buon lavoro, allora. Io  non faccio la cuoca nè la cameriera per quella serpe." con quest'ultimo commento, Alice si ritirò nella grande camera che lei e Cora occupavano.

"Stupida." sussurrò la bruna padrona di casa. Poi si passò una mano fra i capelli. "...dovrò fare tutto da sola."

"Signora." disse una voce maschile dietro di lei.  Eradan entrò in cucina. "Non disturbatevi, vi prego. Siamo sazi."

"Dammi del tu. Non sono molto più vecchia di te." sorrise lei.

"Ne dubito." rispose Eradan.

"Cosa vuoi dire?" chiese la donna. "  E guarda che le due sorelle là fuori hanno bisogno di aiuto." aggiunse.

"Già. Solo un attimo." disse il ramingo, e in un lampo fu fuori. Cora ammirò il modo cavalleresco con cui si offrì di portare i secchi da solo, risparmiando alle due donne la fatica, e incurante della pioggia. Non c'è che dire Isadora, pensò allora, stavolta te ne sei trovata uno coi fiocchi.

I tre riempirono con fatica il pentolone di rame e lo posizionarono sul fuoco.

"Accidenti che lavoraccio!" si lamentò Isa. "Il camino dovrebbe stare nella stanza da bagno. Ora dovremo anche trasportare il recipiente di là, una volta che l'acqua sarà calda."

"La prossima volta che sarò costretta a cambiare casa chiederò la tua consulenza sull'arredamento." rispose Cora. Ai tre non sfuggì il tono sarcastico della risposta.

"Non era una critica. Era solo un'osservazione." aggiunse Isa.

"Come no. Tenete questi." replicò Cora, aprendo una credenza. Tirò fuori due pezzi di sapone biancastro e una bottiglietta con del liquido denso e roseo al suo interno. "Li produciamo noi. Anche la lozione per i capelli, la fa Alice. E' ottima, ottenuta con petali di rosa misti a olio di mandorla, latte e albume d'uova."

Helli prese tutto. "Ti siamo grate. Stai facendo qualcosa di importante per noi. Non lo dimenticherò, vedrai."

"Risparmiati le moine, l'avrei fatto anche per altri. Ma che Alice non vi veda con il suo infuso, o passerò un brutto quarto d'ora." rispose la donna. "Dov'è il Nano? E l'Elfo femmina?"

"Sono in salotto, stanno cercando di capire come funzione il tuo orologio a muro." sorrise Eradan. "Non ne hanno mai visto uno, credo."

"Sto preparando del pane. Magari l'Elfa può darmi una mano. Si dice che il loro cibo sia ottimo, specie il pane." ragionò Cora. "Il Nano può pelare le patate."

"Alice è sparita?" chiese Helli.

"Sì. E fossi in te non me ne dispiacerei. Non credo sarebbe una compagnia piacevole." ribattè la donna mora, soppesando i sacchetti di farina.

"L'acqua sta quasi bollendo, ci siamo." notò Isadora. "Togliamolo dal fuoco."

Pochi minuti dopo le due ragazze si chiusero nella stanzina da bagno, lasciando il ramingo e Cora in cucina a parlarsi. Giunsero Farin e Andriel e insieme iniziarono a darsi da fare.

Eradan non riusciva a ricordare l'ultima volta in cui era stato in una vera cucina, in una vera casa.  Solo da Rosa Quincy aveva avvertito lo stesso calore domestico.

La casa delle due donne era interamente in legno, incluse le pareti. Solo l'ampio camino era in pietra. Le travi a vista la facevano sembrare un rifugio di montagna. Le finestre erano state realizzate male, il vetro non era stato posizionato in modo accurato negli infissi e il vento fischiava attraverso. "L'avete costruita voi questa casa?" chiese.

"Con l'aiuto di qualche contadino." ribattè Cora. "Avrai certamente notato che questa non è opera di un costruttore professionista. Quando siamo arrivate non era che un rudere. Solo il camino era intatto. Attorno ad esso abbiamo costruito il resto."

"C'è troppo legno. Non temete che possa andare  a fuoco?" chiese Farin, pelando malamente le patate.

"Non mi preoccupo di questo. E comunque, non c'è grande alternativa. Costruirne una in pietra è troppo impegnativo. E poi..." continuò lei, "...è una casa temporanea. Non rimarremo  a lungo."

"E dove volete andare, se posso chiedere?" s'informò Eradan.

"Non so ancora. Gondor...o qualche città ad Ovest. Ma io non resto qui." rispose Cora. "Non passerò un altro inverno in questa foresta. Accidenti...è finito il lievito!" imprecò, osservando un cassetto vuoto.

"Non importa." disse Andriel, mentre impastava acqua e farina. "...per fare il lembas non è necessario."

"Non mangerò pane elfico. Sa di cartone." borbottò Farin.

"Tu sta' attento a come maneggi quella verdura. Stai rovinando tutte le patate!" rispose l'Elfa, offesa.

Cora rise. "Strani compagni di viaggio, ramingo."

"Ma molto preziosi." disse Eradan.

"Cosa dicevi sulla tua età?" volle sapere lei, mentre toglieva i piatti dalla credenza. "Non puoi essere più attempato di me."

"Ho settantacinque anni." replicò Eradan

Cora quasi fece cadere i piatti sul pavimento in legno. "Scusa?"

"Ma che dici...non ne compi settantasei a maggio?" lo corresse Farin.

Eradan alzò le sopracciglia e annuì. "Eh sì."

"Vuoi dire che tu sei...un Dunedain? Gli Uomini graziati con la lunga vita?!" disse lei, sbalordita. "Non credevo esisteste ancora."

"Siamo in pochi." disse Eradan. " E pochi sanno riconoscerci."

"Ho sentito parlare moltissimo della tua razza. Ma non ne ho mai conosciuto uno." continuò Cora. "Dicono che viviate come randagi."

"Dicono il vero." confermò Eradan.

La donna sospirò. "Ti sei cacciato in un brutto affare, sembra. Tutti voi. Ma perché?"

Eradan, Farin e Andriel si guardarono.

"Perché facciamo parte di questo mondo. E non possiamo ignorare che qualcosa lo sta minacciando. Lasciare Heloise da sola sarebbe stato peggio che miserabile." disse l'Elfa. "E pericoloso per tutti noi. Il diamante sarebbe già finito nelle mani della Strega a quest'ora. E credo che noi non saremmo qui a parlare."

"Oh, non metto in dubbio la vostra nobiltà d'animo." rispose Cora. Poi osservò il ramingo. "...ma non c'è solo questo, giusto?"

Eradan comprese il significato dietro l'occhiata maliziosa della donna. Vide Isadora nei suoi occhi e vide che le era tutto chiaro quello che stava succedendo fra loro due.

"Te lo ripeto: ti sei cacciato in un bruttissimo affare." disse Cora. "Le...streghe... possono avere molte forme."

🌺🌺🌺

"Entra prima tu." disse stancamente Helli ad Isa, portando i teli prestati da Cora nella stanza da bagno.

"Sei sicura?" chiese l'altra che si stava già spogliando. Non vedeva l'ora di immergersi in quell'acqua profumata.

"Sì. Non ho intenzione di riempire di nuovo la tinozza dopo che avrai finito. Sono troppo stanca, faremo un bagno breve e useremo la stessa acqua." ribattè Helli, sedendosi sullo sgabello e togliendosi le scarpe. Una fitta di dolore l'attraversó tutta. Guardó i suoi piedi, e vide da dove veniva. Aveva un'abrasione sotto alla pianta del piede, circondata da un alone bluastro. La premette con un dito e vide le stelle. "Ahia, che male..."

"Eeew...ma come te lo sei fatto?" chiese la sorella, che era lentamente entrata nella tinozza fumante. "Quest'acqua è bollente!!" si lamentó.

"Credo mentre ero immersa nella palude, alla ricerca del diamante. Devo essermi ferita in qualche modo. Dopo chiederó ad Andriel di darci un'occhiata." ribattè la ragazza. "Sono ridotta così male..."

"Anch'io. Ho graffi ovunque. E lividi sulle gambe. Che incubo orribile..." aggiunse Isadora, tentando di districarsi i bei ricci biondi. S'immerse con tutta la testa nell'acqua e ne uscì dopo qualche secondo. "Passami quell'unguento per capelli."

Helli le porse la bottiglietta. "Dovremo sdebitarci con quelle due. Lo sai, vero?"

"Io non vedo l'ora di andarmene. Alice mi mette i brividi." disse la sorella.

"Sssst. Non farti sentire. Non mi pare una buona idea." le consiglió Helli.

"Sua madre era molto amica della nostra, te lo ricordi? E qualche volta, quando veniva in visita, ascoltavo le loro chiacchiere. So perché Alice è così." riveló Isa, a bassa voce.

"Così come?" chiese Helli.

"Insomma, so perchè preferisce le donne." aggiunse Isadora. "Non è una bella storia."

"Cosa vuoi dire?" indagó Helli.

"Alice non ha questa natura. Non è come Cora. Lei, non ha mai mostrato interesse per gli uomini. Mai. È nata con quelle tendenze. Ma Alice... no. Ci è diventata." spiegó Isa. "Ha subìto una brutta violenza a quindici anni. Non so chi sia stato, non uno del paese comunque. Sua madre quel giorno non era in casa e qualcuno si è introdotto nella loro abitazione, e ha fatto quello che voleva con lei. Subito dopo, Alice si è chiusa, si è sbarrata in casa. Non ne è uscita prima di sei mesi. Sua madre era disperata. Era vedova, con una figlia ridotta a quel modo." raccontó Isadora.

"Oddio...è terribile." commentó Helli.

"E poi nella sua vita è arrivata Cora. Si sono messe insieme, in lei ha trovato un rifugio. Credo che si sia auto convinta di preferire le donne, per scappare dagli uomini, capisci." disse Isa.

"Alla luce di questo, è ancora più brutto quello che hai fatto. Alice aveva già sofferto, tu le hai tirato un colpo basso. È comprensibile il suo rancore." aggiunse Helli. "Se sapevi tutto di lei, dovevi lasciar stare quelle due."

"Non sapevo, l'ho scoperto dopo. Dopo che si sono trasferite qui. La madre di Alice detestava Cora. La chiamava pervertita e l'accusava di aver abusato di sua figlia, della sua fragilità psicologica. È arrivata al punto di minacciarla, ha raccontato anche questo a nostra madre. E francamente, sospetto che dietro quei vandalismi verso la sua abitazione, a Midlothian, ci fosse proprio lei. Non mi stupirei se la signora Huxley abbia pagato qualche disgraziato per dare una bella lezione a Cora." disse Isadora.

"Non immaginavo niente di simile. Che cosa penosa. Povera ragazza." s'intristì Helli.

Isadora odoró l'aroma dell'unguento sulle due mani. "Che buon profumo..."

"...già, sa di rosa e mandorla." convenne Helli.

Isa si toccó i capelli. "E lascia la chioma morbida. Con tutte le sue disgrazie, almeno Alice ha un talento."

"Ma... secondo te chi puó averle fatto del male? E dici che a Cora l'ha raccontato?" chiese Helli.

"Credo di sì. Se stanno insieme da dieci anni, prima o poi quella storia sarà venuta fuori. Su chi è stato, Alice non ha mai detto niente. Hanno provato a interrogarla, ma lei non ha mai spiccicato parola. Dopo il fattaccio, sua madre le chiese di disegnare il suo volto, almeno per avere un indizio da dare alle guardie. Ma tutto quello che Alice riuscì a fare, fu scrivere due lettere su un foglio bianco. E basta." raccontó Isadora, districandosi i capelli con un pettinino di legno.

"Due lettere?" chiese Heloise, "...quali?"

"Una G. ...e una S." rispose la sorella.

         

 

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Sortilegi ***


"Questa non è una ferita normale." disse Andriel, esaminando con cura il piede destro di Heloise. "È un sortilegio".

Le due Foley si erano lavate, sistemate i capelli in due semplici crocchi ed erano andate insieme agli altri nel piccolo salotto di Cora, dopo il pasto in casa Jennings/Huxley.

La donna aveva scaldato sul fuoco sei calici di vetro e li aveva riempiti di rum per poi offrirli a tutti come dopocena. Alice non ne aveva voluto sapere di uscire dalla camera.

Seduta sullo scomodo divanetto, con il piede poggiato su un cuscino a terra, Helli sentì il cuore mancare di un battito. "...un cosa?"

"Una maledizione, una magia negativa." spiegó l'Elfa. "Non posso guarirla. È destinata a peggiorare."

Eradan si alzó in piedi. "Ma perchè? E chi è stato? Melthotiel?"

"No. È stato Urgost." rispose Andriel. "Avevo letto qualcosa a riguardo, a Gran Burrone. Quando un Drago prende un accordo con qualche altra creatura, deve sincerarsi che venga portato a termine. Allora lancia una maledizione sullo sfortunato essere. Una malattia, oppure la lenta discesa verso la pazzia. Speravo tu fossi stata risparmiata, invece no."

Helli si portó una mano al viso. "Oh Eru...ma cos'ho fatto di male...anche questo..."

"Funziona come una sorta di clessidra, comprendi? Se tu non eliminerai Agandaûr, ad Angmar, e non lo farai entro un tempo prestabilito, morirai. La ferita si allargherà e ti consumerà prima il piede, poi la gamba e poi..." continuó Andriel.

"Oh santo cielo..." mormoró Cora, impressionata.

"Basta! Ho capito!" la interruppe rabbiosamente Helli.  "Ho capito...ma perché???"

"Credevi che un Drago si fidasse solo della tua parola? Non ti avevo detto che razza di creature sono? Non l'avevo detto a tutti voi?!!" sbottó Farin. "Non credete mai ai Nani, vero?"

"Ma come spera che io possa andare fin lassù con un piede in cancrena?!" piagnucoló Helli. "Non ha senso!!"

"Non spera un bel niente. Non sono problemi suoi. Solo tuoi, purtroppo." sospiró Eradan. "E nostri." 

"Beh, e adesso che si fa? Che accidenti si fa adesso?!" esclamó Isadora.

"Calma. Dovremo passare da Gran Burrone. Non ci resta che sperare che il mio Signore Elrond abbia una cura. Forse il suo potere puó eliminare l'incantesimo." ragionó Andriel.  "Certo, sarà difficile... si dice che le magie malefiche dei Draghi non abbiano difesa..."

"Non credo di avere più la forza di lottare. Questo è il colpo definitivo. Non ce la faró." concluse Helli. Il capo chino, le mani raccolte in grembo, contemplava con dolente rassegnazione la sua sorte.

"Smettila. C'è sempre un modo. Finché sei viva, e hai amici, puoi venirne fuori. Andriel ha ragione, Elrond è un Elfo molto potente. Farà senz'altro qualcosa." tentó di rassicurarla Eradan. "Questa faccenda era già abbastanza complicata anche senza l'ennesimo problema..."

"E ci sono le Tumulilande ancora da attraversare." disse Andriel.

"Passeremo di lì, ma non scoperchieremo nessuna tomba. Possiamo fare a meno delle lame." spiegó Eradan. "Non ci servono."

"Il Drago ha detto..." mormoró Isadora.

"Urgost ha suggerito di prenderle. Ma la decisione spetta a noi. Le Tumulilande sono territorio pericoloso già di per sè. E intoccabile, per noi Dunedain. I nostri antenati riposano lì. Non ho intenzione di dissacrare neanche un loculo. Attraverseremo quell'area in silenzio, cercando di passare inosservati." terminó il ramingo. "E poi, ci aspetta Gran Burrone. Molto dipenderà da quello che succederà lassù. Dagli Elfi."

"Certo che, è proprio una gran brutta storia." commentó Cora. "Non credevo che avrei detto una cosa simile, ma mi dispiace per voi due."

"Come a me dispiace per quello che è successo a te e ad Alice. Specie ad Alice." disse Heloise.

Cora la guardó, un'improvvisa severità attraversò i suoi occhi. "Che ne sai di Alice?"

"So abbastanza. E ... mi dispiace." disse Helli.

Cora si alzó in piedi e poggió il bicchiere vuoto su un mobile. "Sta bene ora. È passato. Non si rivanga nel passato. Certe ferite rimangono sempre nel nostro spirito, ma il tempo puó guarirle. Un po' il contrario di quello che capita a te, ora."

"Perché non tornate a Midlothian?" chiese la ragazza.

Cora si stupì. "Ti pare una domanda da fare?"

"Beh, la vostra casa ora è dei Whitakers. L'hanno ridipinta di bianco. I tuoi Iris... strappati via. È un peccato, a me piaceva la tua villetta. Era deliziosa." disse Helli.

Cora scosse la testa. "Ah...i Whitakers...quei bifolchi..."

"...sì, fanno razzolare galline e oche fin sul patio." aggiunse Isa. "Sono dei poveracci disgraziati, so che Olson Kirby voleva farli cacciare dalla città."

"...e invece fuori dalla città ci siamo finite io e Alice, vero? Chissà chi dobbiamo ringraziare." disse Cora, acida.

Isadora distolse lo sguardo da lei.

"La madre di Alice...Rhonda...come sta?" chiese la donna.

"Un po' di acciacchi dovuti all'età, ma bene, direi." rispose Helli. "Alice è fortunata, ha ancora una madre."

"Fortunata non è la parola esatta. Non basta il legame di sangue perchè ci sia amore." ribattè la donna.

"Non credi che peró Alice dovrebbe rivederla? Insomma...se dovesse capitarle qualcosa...è sempre sua madre." obiettó Helli.

"Non abbiamo niente a Midlothian. Niente. Se tornassimo, non ci sarebbe un cane disposto ad affittarci una casa. E poi, io ho un progetto." rispose Cora. "Vorrei iniziare un commercio."

"Di cosa? Verdura?" chiese Farin.

"No. Di prodotti naturali per il corpo e i capelli. Avete provato il nostro sapone e la lozione di Alice. Sapete che è roba di qualità." spiegó la donna.

"È ottima." riconobbe Isadora. Il profumo dei suoi ricci era avvertibile nella stanza.

"In una grossa città potremmo produrli in grande quantità. E venderli. Faremmo affari, credo." fisse Cora.

"Ma vi servono fondi per aprire un commercio. L'affitto di una bottega, l'acquisto di ingredienti e qualche garzone, che andrebbe pagato. Ne avete?" chiese Isadora. "Sam spende circa cinquanta monete d'oro al mese per mantenere il laboratorio."

"Chi è Sam?" volle sapere la donna.

"Sam Pontipack, figlio del mugnaio. È il fidanzato di Isadora." disse Helli, beccandosi una gomitata dalla sorella.

Cora scoppió a ridere, poi guardó Eradan, che pareva in leggero imbarazzo. "Ah sì?! Ma tu pensa... ma pensa un po'!! Insomma, è vero che il lupo non perda mai il vizio eh?" e rise di nuovo.

"Comunque è una buona idea." disse Helli. "Potreste diventare artigiane famose."

"Sì... ma tua sorella ha ragione. In realtà, non abbiamo molti soldi. Avevo dei risparmi, sono quasi del tutto erosi dopo otto anni qui. Ogni tanto vendiamo verdura a Brea, ma non ci guadagnamo granché. Ma troveró un modo. Ho un sogno, e lo voglio realizzare." disse Cora.

"Come me. È bello avere sogni, vero?" chiese Heloise. "Per cosa vale la pena vivere, sennó?"

"Sì certo. Tutto molto bello. Con il piccolo particolare che qui abbiamo in corso una vera e propria sfida al soprannaturale, e non credo siamo in vantaggio." brontoló Farin. Era anche un po' ubriaco per via del liquore. "Muoio di sonno. Spero la tua dispensa sia confortevole."

"Sì. E io spero che le mie provviste non spariscano domattina, intesi?" ribattè Cora.

"Ritiriamoci, allora. Dobbiamo riposare, specie le ragazze. Ti ringrazio per tutto, Cora. Per il cibo, e il riparo." disse Eradan. "Toglieremo il disturbo domattina."

Cora annuì e ritiró i bicchieri. "Che il cielo vi mandi un po' di fortuna. Ne avrete bisogno."

Tutti si alzarono e si preparano alla notte. Andriel, al solito, scelse di rimanere sveglia, per fare la guardia.

Helli seguì Cora in cucina, portandole il suo bicchiere. "Senti..." le disse.

Cora si voltó. "Che vuoi?"

"...riguardo ad Alice... sei sicura che sia davvero questo ció che vuole? Cioè, vivere qui...con te?" chiese.

Cora comprese il senso della domanda. E si sentì ferita. "Vuoi dire anche tu che la sto obbligando?"

"No. Ma forse non è la vita giusta per lei, questa. Te lo sei fatto questo scrupolo?" insisté Helli. "Non sono affari miei, lo so. Ma non posso fare a meno di chiedermelo."

Cora deglutì. Di nuovo quelle accuse. "Ho già subìto queste domande da Rhonda Huxley, e senti la mia risposta: Alice è serena, con me. Ride. È tornata ad amare la vita. Non è come l'hai vista questo pomeriggio. È felice, qui. A Midlothian ha conosciuto solo violenza."

"Va bene. Scusa se te lo chiesto. Non avrei dovuto." rispose Helli. "Buona notte, Cora."

Lasció la bruna donna sola in cucina, a rimirare il fuoco lento del camino.

🌺🌺🌺

Una volta ritiratasi in camera, la padrona di casa si spoglió e si coricó a letto, spostando leggermente Alice, addormentata, per farsi posto.

La sua compagna non aveva nemmeno cenato. Irritata per la presenza di Isadora Foley in casa loro, aveva mantenuto uno sdegnoso distacco. E non sarebbe uscita finché quelli non se ne sarebbero andati, Cora poteva giurarci.

Così faceva Alice, quando era turbata da qualcosa. Si nascondeva. Esattamente come aveva fatto quindici anni prima, dopo quella brutta cosa successa a Midlothian. Quella brutta cosa che l'aveva segnata per sempre.

Cora aveva mentito alla giovane Foley. Alice non era serena per niente. Lo sapeva bene, lei.

Ancora si svegliava la notte, sudata, quando gli incubi le facevano visita. Delle volte urlava.

Cora le voleva bene, molto bene, era attratta dalla sua gioventù, dalla sua innocenza, dalle sue infinite fragilità. Ma quando erano a letto insieme, avvertiva il disagio della compagna.

Alice era affamata di protezione, non di amore fisico. Quest'ultimo, non avrebbe mai più potuto riservarlo a un uomo. Teneva le distanze dagli uomini, e probabilmente anche la presenza in casa di Eradan e del Nano la disturbava.

Molte volte, Cora, si era posta la fatidica domanda : ma mi ama davvero?

E la risposta era sempre stata un avvilente no.

Ma cosa avrebbe dovuto fare, lei? Lasciarla sola, di nuovo? Riportarla a Midlothian, da quella madre che l'aveva lasciata in casa senza ricordarsi di chiudere la porta col chiavistello, che non l'aveva protetta?

E a poco erano valsi i pianti disperati di Rhonda, i suoi sensi di colpa postumi, le sue scuse alla figlia, che per sei mesi non aveva messo piede fuori di casa. Alice aveva iniziato a odiare Midlothian e se non fosse stato per Cora chissà cosa avrebbe fatto. Forse avrebbe detto addio al mondo, di sua iniziativa.

Era sopravvissuta, era andata avanti. Peró non era felice. Viva, ma oppressa dai ricordi.

Davvero intelligente, Heloise Foley. Era sempre stata sveglia, fin da piccola. Non era affatto sorprendente che avesse capito tutto. Probabilmente sua sorella l'aveva messa al corrente della brutta storia di Alice, del resto Jemma e Rhonda erano state ottime amiche.

Voleva diventare una scienziata, aveva un sogno assurdo. Ben più assurdo del suo. Entrambe necessitavano di denaro, ma per ottenerlo la ragazza si era cacciata in una tragedia vera e propria.

Rifletté su ció che le aveva detto su George Simenon e sul prestito rifiutato. Che razza di maiale, quel tizio. Correre dietro a una ventenne. Poteva essere sua figlia.

Aveva avuto seri sospetti su di lui. Le due lettere vergate da Alice su quel foglio erano state una G e una S. 
Potevano essere tranquillamente le iniziali di quel tale. Un tizio da sempre attratto dalle giovanissime.

Il fatto, peró, era che Simenon era un agricoltore molto conosciuto, un contadinotto arricchito che aveva dedicato grande parte della sua vita alle coltivazioni. Aveva acquistato il suo primo ettaro di terra proprio l'anno dell'aggressione ad Alice.

Non faceva che lavorare, non se lo immaginava come brutale aguzzino di un'adolescente.

Peró, quello che era successo alla ragazza Foley aveva dato una potente, nuova spinta ai suoi sospetti.

Cora Jennings decise che avrebbe parlato ancora ad Heloise, il giorno seguente.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Una nuova partenza ***


"Buongiorno."

Cora entró in soggiorno alle otto e mezza del mattino seguente, e aprì le persiane delle due finestre. I raggi intensi del sole mattutino inondarono il locale.

Aveva smesso di piovere. "C'é un arcobaleno straordinario fuori. Guardate!" disse la donna.

Andriel si era assopita su una poltrona, e si destó subito, strofinandosi gli occhi. "È mattino. Accidenti, mi sono addormentata!"

"Volevi star sveglia tutta la notte? A proposito, non hai usato la nostra tinozza. Voi Elfi non vi lavate? Nemmeno le femmine?" chiese Cora. Aveva preparato del latte caldo e un po' di caffé fatto con l'orzo, l'aroma arrivava fino in salotto.

"Noi ci laviamo nei ruscelli, sotto la pioggia, nei laghi. La Natura ci dà ció di cui abbiamo bisogno." rispose l'Elfa, scuotendo leggermente Heloise, ancora addormentata su uno dei divani.

"Hmmm..." mugoló Isadora, stesa sull'altro sofa. "Sam... chiudi quelle dannate finestre, ho sonno..."

Andriel e Cora risero. 
"Che il tuo bel ramingo non ti senta..." disse l'umana.

Isa aprì del tutto gli occhi e realizzó dov'era. Sbuffó stizzita.

"In cucina ho preparato qualcosa per la colazione. Pane di segale e marmellata. Sveglia la tua sorellina." le disse Cora.

"Sei gentile. Non abbiamo di che ripagarti peró. Questo lo sai?" disse Isa, infilandosi il vestito ormai consunto.

"Sai, a volte le persone fanno del bene solo per il gusto di farlo. Così come altre fanno del male per il gusto di farlo." replicó sarcasticamente la donna.

"Servirebbe a qualcosa dirti che mi dispiace?" le chiese Isadora.

"Ora come ora? Non direi. Ma apprezzo il tentativo." ribattè l'altra. "Ho bisogno di parlare con Heloise. Prima di partire, datemi qualche minuto con lei."

Helli aprì gli occhi in quell'istante. "Buongiorno." borbottó sbadigliando. "Quanta luce..."

"Eru benedice la vostra avventura con il sole. Consideratevi fortunati." commentó Cora. "Andate in cucina, prima che il latte si freddi."

"Anche la colazione?! Cora...io davvero non so come ringraziarti." disse Helli, levandosi seduta.

"Tu ed io dobbiamo parlare, dopo. Mi ricambierai rispondendo sinceramente a qualche domanda che devo farti." disse Cora, sprimacciando i cuscini.

Isadora andó verso la grande stanza della dispensa. "Devo svegliare quei due."

"Il Nano e il tuo bello sono svegli da un pezzo. Sono andati loro nella stalla a mungere la mia mucca stamane. Ora stanno cercando legna per il camino, qua fuori." la informó Cora. "Siamo tutte donne in casa, in questo momento."

"Già, il paradiso per te..." commentó a bassa voce Isadora.

Cora sentì, ma la ignoró. Doveva mantenere la calma, specie perché le interessava molto il confronto con Helli. "Alice é in cucina. Fossi in voi, eviterei di rivolgerle la parola. Siamo in un momento di pace, ma basta un attimo per spezzarla. Siate caute. Specie tu, bionda." disse, rivolta ad Isa.

"Vuoi dire che rischio la pelle se vado di là? No, tanto per sapere." chiese Isadora.

"Voglio dire che devi essere cauta. E quando dico cauta, intendo che non devi chiederle niente, non devi parlare, e non devi guardarla negli occhi. Ti é chiaro? Lo dico per il tuo bene, sai?" ribattè Cora. "E non lasciare che i miei modi incomprensibilmente gentili verso di te ti traggano in inganno. Non c'è benevolenza in questa casa per te. Da parte di nessuna di noi. Io sono solo più brava nel tenere i nervi a posto. Ma Alice non é come me. Non é per niente come me."

"Lo so bene." replicó Isa.

"Ottimo. E adesso, vai a goderti la tua colazione, spiona." continuó Cora.

La maggiore delle Foley si avvió con riluttanza verso la cucina. Aveva fame, comunque, e una tazza di latte caldo la gradiva eccome, dopo giorni passati ad abbeverarsi nei ruscelli.

"Vado con lei." disse Helli. "Andriel, anche tu."

"Sì, brava. E poi ricordati la nostra chiacchierata." aggiunse Cora. "È importante."

Le tre donne andarono nella cucina che profumava d'orzo e di lavanda.

Alice era girata di spalle, intenta a tagliare del pane. Reggeva un coltello seghettato, e quella visione non piacque per niente a Helli.

L'Elfa indovinó i suoi pensieri. "Non aver paura. Ci sono io."

Le due sorelle si accomodarono al tavolo in assoluto silenzio.

Helli osservava l'esile e minuta Alice Huxley, che con calma apparente tagliava quella grossa pagnotta scura. I suoi polsi fragili, il collo sottile, la schiena stretta e delicata. Immaginó che il suo aggressore doveva aver fatto ben poca fatica ad approfittarsi di lei. Non avrebbe mai potuto difendersi da sola. Provó una pena fortissima.

"Alice..." disse d'improvviso. Isa la guardó allarmata e le pizzicó un fianco. Helli non ci badó.

"Alice...volevo dirti..." continuó la ragazza mora. "...sei davvero brava a preparare unguenti. È buonissimo, quello per i capelli, cioè."

Isadora spalancó gli occhi. Non dirle che l'abbiamo usato! implorava il suo sguardo.

"...dovreste davvero venderlo." continuó Helli.

"Ve l'ha dato Cora?" chiese d'improvviso Alice, senza voltarsi. Stava spalmando quella che sembrava confettura d'albicocca su una fetta di pane.

"Sì. Ed è favoloso. Hai un grande talento." disse Heloise, felice di aver iniziato un dialogo con lei.

Isa teneva gli occhi bassi, e consumava la sua colazione più velocemente possibile. Heloise non sapeva tenere il becco chiuso, nemmeno dopo mille avvertimenti.

Non le piaceva quella situazione e non le piaceva sentirsi in pericolo. Speró che Eradan rientrasse in casa al più presto.

Alice finalmente si giró. Fece passare uno sguardo freddo e spietato su entrambe le ragazze. Osservó l'Elfo femmina, che stava in piedi accanto al camino, gli occhi fissi su di lei. Aveva un piccolo pugnale alla cinta, e l'avrebbe usato in un baleno se l'avesse vista tentare un'aggressione a Isa. O a entrambe.

"Beh, fate pure senza complimenti. Cora ha deciso che la nostra casa è diventata la vostra casa, a quanto pare. Servitevi pure. Volete anche qualche mio vestito?" chiese rabbiosamente.

"Alice, non vogliamo niente. E ce ne andremo subito. Non ci vedrai più, te lo prometto." le disse Heloise.

Isa deglutì male e diede due colpi di tosse. Decise che ne aveva avuto sbbastanza. "Ho finito. Helli, lava tu la mia tazza, io vado a chiamare Eradan. Dobbiamo proprio andare adesso." e sgusció fuori dalla cucina, tirando un sospirone di sollievo. Solo Melthotiel l'aveva riempita di terrore e ansia più di Alice Huxley. 

"Codarda." ghignó, Alice. "Oltre che spia."

"Senti, per quello che vale, ti chiedo scusa. Anche a nome di Isadora. Scusaci, ti prego." disse Helli. "La nostra famiglia ti ha ferito."

"Va' all'inferno tu e le scuse. E non parlare a nome di quell'altra. Non si scuserebbe mai." sibiló Alice.

A quel punto, Helli decise di andare un passo oltre. "Andriel..." si rivolse all'Elfa. "... lasciaci sole. Ti prego."

"No." rispose Andriel. "Non mi pare il caso."

"Te lo chiedo, invece. Non mi capiterà niente. Ma devo parlarle in privato." ripetè Heloise. "Va', per piacere."

Andriel squadró Alice. "Ma se succede qualcosa, entreró qui in un baleno." promise comunque.

L'Elfa uscì e Helli chiuse la porta dietro di lei.

"Che diavolo hai da dirmi?" ringhió Alice, guardandola sottecchi.

"Alice, so tutto. Quello che ti è successo a Midlothian, voglio dire." esordì Helli. "È orribile. Volevo dirti che sono addolorata. Nessuna ragazza al mondo dovrebbe vivere una cosa simile. Anche per questo mi dispiace per ció che ha fatto Isa. Ti ha ferita due volte. Doveva lasciarvi in pace, te e Cora. Sono sua sorella e ti chiedo perdono. La mia coscienza non è in pace da quando ho saputo."

Alice la guardava senza mostrare emozioni. "Sai tutto..." ripeté.

"Sì. Capisco perché non vuoi tornare a Midlothian. È comprensibile. Mia sorella, con i suoi  pettegolezzi vi ha esposte..." disse Heloise.

"Tu non sai un bel niente!" urló Alice. "Un bel niente..."  Si passó le mani sul viso e le premette sulle tempie. "Non ne voglio più parlare. Mai più." disse in un bisbiglio.

"Lo so. Certo. Scusami." rispose Heloise. "Ti auguro di riuscire a dimenticare."

Si giró e fece per aprire la porta. Tempo di levare le tende sul serio.

"Ferma lì dove sei." disse peró Alice.

Heloise si giró a guardarla e vide che aveva ripreso in mano il coltello. Un brivido le corse lungo la schiena.

"Non te la cavi così..."

🌺🌺🌺

"Tu vieni qui, ti permetti di aprire i cassetti della mia memoria, e di rovistare senza chiedere il permesso. E poi, vorresti che dimenticassi??" le disse Alice.

Helli indietreggió. "No, senti...volevo solo..."

"Cosa?! Lavarti la coscienza? O speravi che questa sceneggiata bastasse perchè io potessi perdonare tua sorella?! Che Eru la stramaledica!" sbraitó Alice. Fece un passo verso Heloise. "E credi che tu e tua sorella abbiate questa grande importanza per me?"

"No. No, assolutamente!" si difese Helli. Aveva paura.

"Giusto! Perchè le uniche persone che contano qui dentro, siamo io e Cora. Io e lei. Tu e la tua cara sorella siete meno di niente. Meno di niente." diceva Alice. "Tu non me la porterai via."

"Portartela via?! Ma che vuoi dire?!" chiese Helli, confusa.

"So cosa vuoi fare. Tu vuoi che Cora torni a Midlothian e lo uccida. Vuoi metterle questo tarlo nella testa, vero? Così la sbatteranno in galera e ci separeranno!" continuava Alice.

"Non so di cosa parli." disse Heloise. "Metti giù quel coltello, ora."

"Non te lo lascio fare..." biascicava Alice. "...non lo farai. È stata mia madre a mandarti qui, lo so."

"No." disse Helli, alzando le mani. "Ti giuro, no. E non capisco di cosa parli!!"

La porta improvvisamente si aprì. Apparve Cora, agitata. "Che succede qui?" 
Andriel era dietro di lei, il pugnale già saldo nella mano destra.

Helli corse fuori. "Non lo so. Dice cosa che non capisco!"

La donna si giró verso l'amante. "Voglio che metti giù quell'affare, Alice. Adesso."

La bionda ragazza chiuse gli occhi e lentamente inspiró aria nei polmoni. Heloise avvertì un altro brivido. Aveva rischiato grosso.

"Ora." comandó di nuovo la compagna.

Finalmente, Alice si giró e pose il coltellaccio sul bordo del lavello. Senza dire una parola, si ritiró di nuovo in camera.

"Cosa avevo detto?" chiese Cora ad Heloise. "Perché vi siete parlate?"

" Io... non credevo..." mugoló Heloise. "Andava tutto bene, poi se ne è venuta fuori con discorsi incomprensibili."

"Di che avete discusso?" volle sapere l'altra.

Helli deglutì. "Di quella cosa... cioè, di quel fatto a Midlothian... volevo solo dirle che mi dispiace."

Cora alzó gli occhi al cielo. "Oh Valar!!" poi la guardó. I suoi occhi erano carichi di rimprovero. "Cosa ti è saltato in mente?!"

"Perdonami. Ho sbagliato!" si scusó Helli. "Ma non capisco cos'ha detto... lei mi stava parlando di qualcuno..."

Cora rimase in silenzio qualche attimo. "Beh, ora invece parlerai con me. Adesso ne ho ancora più motivo.  Seguimi." si giró verso l'Elfa. "Lei sola. Non temere, non rischia niente."

Le due andarono fuori, sul grande patio. Nessuno avrebbe ascoltato la loro conversazione lì.

"Che c'è?" chiese Heloise preoccupata.

"Quel George Simenon. Devo chiederti di lui." inizió Cora.

"Perché?" chiese la ragazza.

"Ascolta: tu potresti giurare su tua sorella, che quel tale sia una brava persona?" continuó Cora.

"Non capisco..." chiese Helli.

"Sì che capisci. Quello ha fatto il porco con te, e temo con altre ragazze. Voglio sapere, se sei pronta a giurare che Simenon non avrebbe mai fatto a nessuna donna quello che qualcuno ha fatto ad Alice." disse Cora, andando al sodo.

Helli finalmente comprese. "Questo pensi?! Che sia stato lui?!"

"Non lo penso. É una supposizione per ora. Rispondimi." insisté la donna.

Heloise si trovó spiazzata alla domanda. Non le sembrava possibile, ma nemmeno immaginabile. Sì, certo che a George piacevano le giovincelle. Era un fatto noto in paese. Lydia Bannon le aveva raccontato che una volta, mentre si faceva il bagno, lo aveva visto spiarla fuori dalla finestra, nascosto dietro un cespuglio. Aveva strillato come una matta, e lui era scappato. Quando era successo? Cinque anni prima, le pareva.

A Midlothian giravano voci su di lui e sulle sue preferenze in fatto di donne, ma voci su violenze vere e proprie no. Mai. E poi, era diventato ricco grazie alle coltivazioni, era entrato nell'élite di Midlothian grazie alle ingenti tasse che versava al comitato cittadino. Era un lavoratore rispettato.

Eppure, si ricordava gli occhi affamati e porcini con cui la guardava sempre, e con cui l'aveva osservata anche il giorno del loro incontro, quando gli aveva chiesto il prestito. Era uno sguardo che la metteva  a disagio.

"Allora? Ti sei incantata?" la pungoló Cora.

"Non ti so dire, Cora. Accusarlo di una cosa simile mi pare esagerato. Certo, ha manie strane verso ragazze molto giovani." ammise Helli.

"Ma potrebbe aver usato violenza su qualcuna? Riflettici." disse Cora.

Helli sospiró. "Non so. No..." disse infine. "Direi di no."

Cora esaló un lungo sbuffo di esasperazione. Si portó una mano alla fronte. "Questa storia mi fa impazzire."

"Non puoi andare a Midlothian e accusare qualcuno di una cosa del genere. Non dopo quindici anni, comunque." azzardó Heloise. "Non ci sono riscontri fisici. E Alice non dirà mai una parola."

"Lo so bene. Si ostina a non parlare. Ma qualcuno è stato e Simenon è sulla mia lista dei sospettati." rispose l'altra.

"Per le lettere G e S?" chiese Helli. "È un notevole indizio, in effetti. Lo collega a lui."

"Quelle, e altro. La tua storia conferma che il tizio è un pervertito. Voleva una ragazzina per moglie, in pratica." commentó Cora.

Helli scosse il capo. "Ma non è sufficiente. Purtroppo, solo Alice puó incolpare qualcuno, e anche in quel caso, bisogna vedere chi sarà disposto a crederle."

"Non sarà mai felice se non ottiene vendetta. Se chi le ha fatto del male non verrá punito." mormoró Cora.

Heloise non sapeva che dire. Le dispiaceva per la ragazza, ma anche per Cora. Quella donna era sinceramente innamorata della sua compagna e voleva il suo bene. Come aiutarle?

Ma non era un problema suo. Lei, di problemi ne aveva fin troppi.

"Hey!" chiamó Eradan. Lui e Farin stavano tornando dal bosco: si erano caricato tre fasci di legname a testa sulla schiena. "Questa è ben poca cosa come compenso per l'ospitalità... ma io e Farin abbiamo raccolto abbastanza legna per settimane. Non dovrete uscire a prenderla per un bel po', Cora."

"Grazie. Apprezzo il gesto." rispose stancamente lei.

"Ce ne andiamo, Helli. Isadora è già pronta. Prendi le tue cose." la esortó. "Ora ci aspetta un territorio assai più inospitale."

"Sì, vado." rispose, lei e corse in casa.

Qualche minuto più tardi, i cinque viaggiatori si trovarono nel cortile. Salutarono Cora, la ringraziarono ancora, e la donna li rifornì di qualche verdura fresca presa dall'orto. Cose che potevano cucinare in viaggio.

Prima di sparire nel bosco, Helli si giró verso la casa, per lanciare un ultimo sguardo. Notó una figura alla finestra.

Alice.

Alzó una mano in segno di saluto.

Non ci fu risposta.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** Le Tumulilande ***


"Tyn Gorthad".

Helli e Isa si girarono verso Eradan.

"Cosa hai detto?" chiese la maggiore delle Foley.

"Da questo punto inizia il territorio chiamato Tyn Gorthad, o Tumulilande nella lingua corrente. Dovremo stare in guardia, ora." rispose il ramingo, preoccupato. "Eru non voglia che gli spettri ci attacchino."

Di fronte a loro, una nebbia fittissima copriva le numerose colline come un mantello bianco. Era difficile scorgere attraverso quel banco di aria umida, il crepuscolo imminente aveva portato via anche la luce del sole.

Due giorni di cammino c'erano voluti dalla casa di Cora a quel territorio lugubre.

"Capisco perché nessuno si avventura qui. Questo postaccio dà sul serio i brividi." commentó Farin.

"Ascoltate, ora. Questo luogo è benedetto e maledetto allo stesso tempo. Prima di proseguire, devo raccontarvi la sua storia." continuó l'Uomo. "È un territorio pieno di tumuli funerari, lo sapete già. Qui giacciono i corpi di grandi Re e Dunedain. Troveremo monumenti, lapidi, pietre votive e steli funerarie lungo il tragitto. Ci sono anche rovine di un'antica città, capitale del regno del Cardolan, un reame non più esistente. Qui non ci sono abitanti in carne e ossa. Ogni tanto qualche Dunedain giunge qui a onorare i defunti, ma non vi sono esseri viventi. Ci sono solo i fantasmi."

Isa rabbrividì e strinse i lembi del mantello sul petto. Faceva anche freddo.

"Questi spiriti maligni sono stati evocati dal Re Stregone di Angmar, consorte di Melthotiel. Lo fece come vendetta, furioso per la resistenza che i Dunedain gli opposero dopo l'invasione di Angmar, secoli fa. La sua punizione fu evocare questi esseri maligni, che hanno preso possesso dei tumuli.  Ora, quello che dobbiamo fare noi, è passare attraverso il territorio in silenzio, con calma. Ritengo ce la faremo in poche ore. Ne usciremo a notte fonda, ma ne usciremo vivi. Qualsiasi rumore, qualsiasi lamento sentiate, non avvicinatevi. È un trucco degli spettri per attirarvi verso le tombe, e lì vi faranno sparire. Avete capito? Stiamo uniti. E uniti ne verremo fuori."  

Farin e Andriel annuirono. Helli e Isa si avvicinarono l'una all'altra.

"Quando finirà quest'incubo?!..." mugoló la bionda Foley. "Io sto impazzendo!"

"Coraggio, Isa. È l'ultima prova. Poi c'è la valle di Imladris. Gli Elfi. Elrond. Tutto sarà diverso lì." provó a rincuorarla Heloise. Avvertì una fitta a un piede e per poco non perse l'equilibrio.

"Come va la ferita?" s'informó Andriel. "É dolorosa, immagino."

"Un dolore che non dà tregua. Come una mezza dozzina di spilli nel piede. Spero davvero che Elrond abbia una cura. Non ce la faró senza aiuto!" si lamentó la ragazza.

"Il mio signore è potente e saggio. Ti aiuterà, vedrai. Reggiti a me." le disse l'Elfa, porgendole un avambraccio.

"Farin, accendi un paio di torce. Io ne terró una, tu l'altra. Saremo due gruppi: io e Isadora davanti, tu, Andriel e Heloise dietro di noi. È importante che la ragazza venga protetta il più possibile." comandó Eradan.

"E io no?" rispose Isa.

"Tu sta' vicino a me. Questo basta." sorrise l'Uomo. "Ci muoveremo verso Nord. Helli, hai detto di avere una bussola, non è così?"

"Sì! Eccola..." rispose lei, rovistando nelle tasche del mantello di grezza lana, altro dono di Cora. Qualsiasi cosa sarebbe successa, si era ripromessa che avrebbe trovato il modo di sdebitarsi con quella donna. Era stata generosa oltre ogni dire.

Porse l'oggetto al ramingo.

"La bussola di Rory, quel marinaio che avevo conosciuto tempo fa. Credevo l'avessi persa." commentó Isa.

Eradan la squadró. "A quanto pare, la tua frenetica vita sentimentale ci sta tornando utile."

Helli rise. "Ah, é un colpo basso questo!"

Isa rimase interdetta da quella battuta, mentre si metteva in marcia accanto all'uomo. "Non è carino quello che hai detto."

"Sai, c'é una cosa che non capisco di te. Non riesco proprio a comprendere come tu possa civettare con così tanti uomini senza innamorarti di nessuno." continuó Eradan. Nascose un sorriso.

"Chi ti ha detto che non mi innamoro?" rispose malamente Isa. "Così volgare da parte tua fare queste insinuazioni. E lasciami!" sbottó, divincolandosi dalla stretta dell Uomo, che la sorreggeva per il gomito.

"Stiamo vicini, ho detto. E stiamo in silenzio." disse il ramingo.

"Già! A cominciare da te, peró! Ti conviene tenere a freno quella lingua per le prossime ore." gli disse la ragazza. Offesa.

Helli e Andriel sghignazzarono. "Isa è permalosa, Eradan. Ti terrá il muso per una settimana buona!" disse la giovane Foley.

"...figuriamoci se ho bisogno di sentirmi schernire da uno come te. Da un...vagabondo..." continuava a bofonchiare Isa, rossa in viso. Non si era aspettata una simile ironia proprio da lui. La cosa la feriva.

Si addentrarono nel banco di bruma, strizzando gli occhi perché la nebbia li irritava. Vennero investiti da una folata gelida.

"Accidenti, è ghiacciato qui!" disse Helli, stringendosi nel mantello rosso.

"Sono le nuvole...si sono abbassate fino al suolo. Non è solo nebbia. Sembra vogliano sbarrare il nostro cammino." commentó Andriel, osservando il cielo.

"Beh, dobbiamo proseguire. Anche a costo di combattere contro la Natura." replicó il ramingo.

Le torce non servivano a granché. Le loro fiammelle servivano solo a illuminare qualche metro davanti al gruppo, ma la visibilitá era comunque bassa.

"Inciamperemo in qualche loculo, se non stiamo attenti. Qui è pieno di fosse e collinette." brontoló Farin.

"Per questo dobbiamo stare vicini." rispose l'Uomo, tenendo sott'occhio la bussola. Indicava il Nord, ma per raggiungere il regno di Elrond potevano ancora esserci mille ostacoli. Era una situazione molto rischiosa.

Prese Isadora per la mano. "Lasciami, ho detto!" sbottó lei.

"Buona, ora. Mi manderai al diavolo più tardi. Adesso dobbiamo andarci cauti. Seguimi, metti i piedi esattamente dove li metto io. E non agitarti." tentó di rabbonirla. Sentì la sua mano fredda e capì che doveva essere terrorizzata.

Passarono accanto a un tumulo particolarmente elevato. La terra era smossa, sembrava essere stato da scavato solo qualche giorno prima.

"...questo è strano." mormoró Eradan, guardandolo. Anche gli altri si erano fermati. "...sembra una sepoltura fatta di recente."

"E non puó essere?" chiese Farin.

"No. I morti sepolti qui persero la vita durante la Prima Era. È un cimitero antico, non più in uso. Chi puó esserci qui sotto?" chiese Eradan, osservando intorno. Sì, la terra sembrava proprio lavorata da poco.

Sentì un fruscìo. E poi un sussurro.

Andriel drizzó le orecchie. "Avete sentito?!" chiese.

Eradan alzó la mano. "Sì. Fate silenzio, ora."

Di nuovo un fruscìo, e poi quattro colpi ben assestati. Era un rumore ovattato, sordo.

"Ma cos'é?!" esclamó Isa, avvicinandosi ad Helli.

"C'é qualcuno o qualcosa sepolto qui! Qualcosa di vivo!" disse Farin.

I cinque cercarono di cogliere ogni minimo suono, ogni frequenza proveniente dal fondo della terra. Eradan si chinó sul cumulo e poggió l'orecchio sulla montagnola. Poi si rizzó in piedi, allarmato.

"Leviamo questa terra!! Tutti!! Subito!!" comandó, e di mise a scavare con le mani.

"Coooosa!!" esclamó Isa. "Avevi detto..."

"Ci sono due persone qua sotto! Sono vive!" gridó Eradan, girandosi. "Veloci!! Presto!!!"

"Fate quello che dice!" intervenne anche Andriel, e usó il suo pugnale per scavate profondi solchi nel tumulo.

Tutti e cinque allora iniziarono a smuovere grossi blocchi terra, con le mani o con strumenti improvvisati, e in breve la grossa pietra che copriva l'entrata della tomba fu ben visibile.

"Farin, aiutami. Dobbiamo sollevarla!" disse Eradan.

"Non mi sembra una buona idea! Per niente!! Avevi parlato di spettri!" piagnucoló Isa, nascondendosi dietro Helli. "Scusa, non lo hai sentito anche tu dire di non lasciarci incantare da lamenti o voci?! Sono stufa e arcistufa di voi pazzi! Prima dite una cosa e poi..."

"Zitta, Isa!" la interruppe Heloise.

Il Nano usó tutta la forza delle sue tozze braccia per spingere il grosso masso squadrato quel tanto che bastava per sbirciare all'interno, ma subito quattro mani magre e bianche sbucarono dalla tomba.

Le due ragazze Foley urlarono di terrore.

"Aiutateci per pietà!!" disse una voce strozzata. "Fateci uscire, chiunque voi siate!!"

Eradan e Farin spinsero via la pietra funeraria stringendo i denti, e finalmente i misteriosi ospiti del loculo emersero.

Erano due uomini. Uno bruno, l'altro biondo. Parevano avere la stessa età che dimostrava Eradan, ma i lineamenti non si distinguevano per via del terriccio che copriva i loro volti. Iniziarono a sputare e tossire, mentre il ramingo e Farin li aiutavano a uscire, issandoli dalle ascelle.

"Ma tu guarda che sorpresa." commentó il Nano. "Proprio vero che non si sa mai cosa aspettarsi ogni giorno."

I due continuavano a inalare aria fresca, mentre i loro corpi erano scossi dagli spasmi della tosse.

"...Eru...vi benedica..." riuscì a dire il biondo.

"Helli! Dell'acqua per favore!" disse Eradan. "La bisaccia! Presto!"

Heloise corse a portare la bisaccia che aveva riempito al pozzo di Cora. I due bevvero in un lampo quell'acqua pulita e fresca.

"I vostri nomi." chiese infine Eradan, quando i due sembrarono essersi ripresi.

"Io sono Luin..." disse il biondo. Si lavó la faccia con l'acqua. "...lui è Kilaran. Siamo Dunedain e...ci avevano rapiti."

🌺🌺🌺

"Oh signore...ditemi che non è vero...ditemi che é un incubo..." era la continua cantilena di Isa.

Eradan aveva acceso un faló con le torce, accanto al tumulo divelto, per permettere ai due uomini di riscaldarsi. Avevano velocemente bollito qualche verdura dell'orto di Cora, che Luin e Kilaran ingoiarono come lupi affamati.

"...chi sono questi due?! Si puó sapere? Sono così stanca di tutte queste sorprese ..." continuava Isadora.

"Basta! Abbi pazienza, per favore! Che ti costa!" le disse Helli. Anche lei aveva i nervi a pezzi, ma cedere e disperarsi non era un'alternativa.

"Perché eravate giunti qui?" chiese Eradan ai due.

Luin ingoió un pezzo di bietola bollita e alzó lo sguardo su di lui. Aveva occhi azzurri come il ghiaccio e una leggera barba bionda come i capelli, che incorniciavano un volto affilato, duro. 
"Tre giorni fa siamo arrivati qui per onorare i nostri morti. Io e Kilaran viviamo ad Est, ai margini del Reame Boscoso degli Elfi Silvani. Lassù qualcosa di malefico si è risvegliato. Strane creature, ragni di dimensioni enormi, hanno preso possesso della parte meridionale della Foresta. Abbiamo aiutato gli Elfi a eliminare qualche nido. In cambio, ci hanno dato cibo e occasionale riparo."

Farin commentó: "Strano. Re Thranduil non è così generoso, di solito."

"Il Re Elfo é preoccupato. Non puó tenere testa a tutti quegli insetti, si riproducono con incredibile velocità. Vengono da Dól Guldur." raccontó Luin.

"L'antica fortezza di Re Oropher, padre di Thranduil. Si dice che un Nazgûl ne abbia preso possesso." commentó Andriel.

"Lui...e non solo. A quanto pare, c'é un entità ancora più malvagia fra le sue rovine. Il piano mio e di Kilaran era andare proprio in quella fortezza, dopo essere passati di qui. E dare un'occhiata." continuó Luin. "Ma qualcosa ci ha trattenuti qui. Qualcosa che sapeva del nostro intento."

"Gli spettri, vuoi dire? Ma cos'è successo?" chiese Eradan.

"Dovevamo aspettarcelo. Sapevamo entrambi che questo posto è infestato, ma non credevamo ci avrebbero rapiti. Sembravano leggende, e basta. Chi avrebbe mai potuto credere... Comunque, stavamo in piedi davanti ai monumenti dei nostri morti." intervenne Kilaran. Aveva occhi marroni e intensi, barba e basette. Nel complesso, sembrava più rude di Luin. "...avevo appena acceso un fuoco davanti alla tomba di un mio antenato e poi...l'ho visto. Ho visto dapprima una nube grigia avvicinarsi a me, poi sono spuntate le braccia le mani e un orrendo viso. Ha aperto quel buco che aveva per bocca e ne é uscito un vapore. Ho perso i sensi, e mi sono risvegliato nella terra. Con Luin."

L'altro annuì. "Quello che é successo anche a me. Ci hanno avvelenato con qualcosa."

"E vi hanno trascinati nella tomba?! E siete rimasti sotto terra per tre giorni?!" chiese Helli incredula. "Ma... come avete resistito?"

"C'é una specie di grotta lì sotto, le bare dei Dunedain giacciono una accanto all'altra. Le tombe nei tumuli sono grandi caverne sotterranee. Non c'era luce, ma io e Kilaran avevamo strumenti per accendere un fuoco, ce li portiamo sempre con noi. Pietre pomici, cioé, qualche legno l'abbiamo trovato lì sotto. Viviamo come raminghi e siamo allenati alla vita all'aperto. Questa é stata la nostra salvezza." rispose Luin. "Per il cibo, ci siamo nutriti con le nostre poche scorte e qualche radice. Il problema é stata l'acqua. É finita quasi subito, se voi non foste arrivati, ci avremmo lasciato la pelle."

Eradan sospiró. "Avete visto lame, o spade, là sotto?"

Kilaran ghignó. "Le lame dei tumuli, vuoi dire? No. O le avremmo prese, puoi starne certo. Molti vengono fin qui per cercarle. Ma non si sa in quale tomba siano custodite."

"E voi che ci fate da queste parti?" chiese Luin. "Con due donne?"

"Stiamo andando a Gran Burrone, dagli Elfi. Verrete con noi. Elrond penserà a rimettere in sesto anche voi, e poi proseguirete per l'Est." disse Eradan. "Altro non posso dirvi, perdonatemi."

Luin e Kilaran si guardarono. Poi girarono gli sguardi sulle due sorelle. "No, ce ne andiamo subito nel nostro territorio, ora stiamo meglio. E voi...vi siete messi in qualche guaio?" chiese il moro. "Davvero inconsueto trovare un'Elfa, un Nano e uno di noi in viaggio insieme."

"Riduttivo chiamarlo guaio..." borbottó Farin.

"Diciamo solo che, se voi siete passati a un metro dall'inferno, noi ci siamo dentro in pieno, amici miei." replicó il ramingo. "Siete abbastanza in forze, ora?"

"Puoi scommetterci, posso reggermi in piedi e lasciare questo posto maledetto." rispose Kilaran, alzandosi. "...prima che loro tornino. Vengono di notte, per lo più."

"Ottimo. Isa, Helli! Ce ne andiamo." disse Eradan, rivolto alle ragazze. "In piedi anche voi, forza."

"Signorsì, capitano!" urló Isadora. "Agli ordini!...capitano dei miei stivali." bofonchió.

"Hey!" chiese Helli, avvicinandosi ad Andriel. Poi bisbiglió: "...possiamo fidarci di quei due?"

"Se Eradan si fida, lo faremo anche noi. Sono della sua stessa razza."

"Beh anche Morgoth era uno dei Valar, e guarda che é diventato!" obiettó Helli.

Andriel sorrise. "Hai ragione su questo. Purtroppo il confine fra bene e male é labile.  Ma se smettiamo di aver fiducia gli uni negli altri, ci avviciniamo al male. E noi dobbiamo rimanere ben salde dalla parte opposta. Cerchiamo di essere ottimiste. Imladris é vicina. La amerai, il mio territorio é magico, credimi."

"Lo so. A questo pensiero mi aggrappo per non cedere." commentó Helli. "Ma è dura, sai? Per una ragazza cresciuta in un noioso paese del Minhiariath, tutto questo è sconvolgente."

"A quest'ora dovresti essere nella Torre d'Orthanc a fare la fila per presentarti a Saruman. Peró, in fondo, questa esperienza potrebbe tornarti utile. E insegnarti più di quello che avresti imparato là." commentó l'Elfa.

"Mi chiedo dov'é Thorin." disse Helli, incamminandosi dietro gli altri. "Penso spesso a lui. Mi sento in colpa. L'ho tradito."

"Se c'é una cosa che so sul mio principe, é che é testardo e ostinato. Ma sa perdonare. Perdonerà anche te." commentó Farin, che aveva ascoltato la conversazione. "E poi, comunque, difficilmente lo rivedrai."

"Già." concluse la ragazza. "E un po' mi dispiace. Sarà già arrivato ad Erebor. Avrà portato a termine la sua avventura, ormai."

"Vuoi scherzare? Sai quanto è lontana Erebor? Gli ci vorranno ancora mesi." replicò Farin.

Ma Thorin Scudodiquercia e i suoi Nani non erano arrivati ad Erebor e non avevano per niente completato la missione e non erano lontani. 

La valle di Imladris si stava preparando ad accogliere molti nuovi ospiti.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** Verso la Valle degli Elfi ***


"Proseguite per quella direzione. E se avete l'impressione che qualcosa sia alle vostre calcagna, correte! E non voltatevi!" stava spiegando Luin ad Eradan e agli altri. "Noi taglieremo per questa scorciatoia. Esiste un sentiero che ci porterà all'uscita orientale."

"Questo posto sa di morte. Mi domando quando finirà questa maledizione. Non ci permettono di onorare i nostri antenati." aggiunse Kilaran, sputando a terra. "Possa Eru punire i responsabili."

"Chi è il vostro comandante?" volle sapere Eradan.

"Halbarad. Ma sarebbe Arathorn II, l'erede di Isildur. Egli peró vaga solitario da più di due anni." rispose Kilaran.

"Erede di Isildur... quella vecchia casata polverosa. Si estinguerà presto." borbottó Farin.

"Non dire così. Arathorn ha un figlio, che ora ha dieci anni. Ma tutti noi riponiamo grandi speranze in lui." replicó Luin. "Tornerà un Re a Minas Tirith, vedrete."

"Sono pie illusioni, giovanotto. Ma cullatevi pure nei sogni." rispose il Nano, rimettendosi in cammino. "Allora... ce ne andiamo da questo schifo di posto o no?!"

Le due ragazze ed Andriel lo seguirono. Eradan si voltó un ultima volta. "Buona fortuna, amici. Che Eru assista tutti noi."

"Grazie di tutto. Ci avete salvato, lo diremo al capitano Halbarad. Fatti vedere dalle nostre parti, ad Est. Non é escluso che ci sia bisogno di rinforzi, molto presto." lo salutó Kilaran, stringendogli la mano.

Detto ció, i Raminghi sparirono nella nebbia ed Eradan un po' dispiacque. Gli avrebbe fatto gran comodo la presenza di due Dunedain nel gruppo. Due validi guerrieri. Solo Eru poteva sapere che razza di nemici avrebbero potuto ancora incontrare.

Elrond e il suo bel regno erano lontani. Ben tre giorni di cammino sarebbero stati necessari per arrivar fin lá. 
Eradan temeva per le ragazze. Temeva per Heloise e per Isadora. Non sapevano difendersi, erano del
tutto impreparate a un'avventura del genere e si stupiva che fossero arrivate fin lì.

E poi, c'era un'altra questione. Isadora si stava affezionando troppo a lui. Lo capiva dal suo sguardo, dal suo tendere il corpo nella sua direzione ogni volta che stavano vicini, dalle mille attenzioni che gli riservava. In quel momento gli stava tenendo il broncio, ma l'uomo sapeva bene che la ragazza si stava perdendo nell'oblìo dell'infatuazione e questo non andava bene per niente.

Certo, anche a lui piaceva. E parecchio. Isa era bella, il suo viso aveva stregato lui come probabilmente una buona quantità di uomini di Midlothian... ma non era solo questo. Era fragile, eppure forte; era delicata, ma non mostrava paura nei momenti cruciali; era frivola, ma anche piuttosto ragionatrice. Era sensuale. La sua voce era come il miagolìo languido di un gatto, che si struscia sulle gambe del padrone per essere accarezzato.

Aveva fatto ricorso a tutto il suo auto-controllo per non avvicinarsi troppo a lei, ma non era riuscito a nascondere l'attrazione e Isa lo aveva colto.

Ma lui non poteva illuderla. Non c'era nessun modo perché potessero vivere un'autentica storia d'amore ed Eradan ne era ben conscio.  Toccava a lui smorzare quella passione appena nata. Spegnerla, prima che divampasse. Forse era già tardi.

"Cos'é questa storia dell'erede di Isildur?"

La voce di Helli lo riportó alla realtà. Si era avvicinata a lui, mentre il gruppetto camminava.

"...cosa vuol dire che tornerà un Re a Minas Tirith? Ma Gondor non è retta da un Sovrintendente?"

"Sì. Ecthelion. Ma in origine era un reame vasto e potente. Con un Re. Non mi dire che non lo sai, studiosa." la prese in giro il Ramingo.

"So poco. Credevo che Gondor fosse un territorio sotto giurisdizione di Ecthelion per diritto. Quindi esiste una famiglia reale che puó reclamare una corona?!" chiese lei.

"Non una famiglia. Una linea di sangue. I Dunedain hanno quel sangue. E fra di essi, esiste un bambino che puó in effetti aspirare al trono. L'ultimo discendente di Isildur, primogenito di Elendil, il fondatore dei regni di Arnor e Gondor." spiegó il ramingo. "Ma nessuno puó sapere se questo bambino, crescendo, mostrerà qualità adatte a fare il Re. Il sangue non é sufficiente, purtroppo."

"Affascinante." commentó Heloise. "E così romantico! Un Re perduto."

"Ve lo ripeto: nessun uomo salirà più al trono di Gondor. Gli Uomini non si sono mostrati all'altezza, e i Valar hanno punito la loro debolezza." disse ancora Farin.

"Ma a cosa ti riferisci?" chiese la ragazza.

"Tu non sai del tradimento di Isildur, vero?" intervenne Andriel. "Il mio signore Elrond era lì, all'interno del Monte Fato, quando il Re fece la sua scelta. Vide tutto con i suoi occhi."

"Non so nulla. La Storia non mi ha mai appassionata." ammise Helli, un po' a disagio.

"Come me. Noi amiamo la scienza, la magia, vero? Mi rimproveravano a Gan Burrone, per la mia poca cultura." confessó Andriel. "Specie Elrond. Quanto aveva ragione..."

"Comunque, ora sono curiosa. Cos'é questa faccenda del Monte Fato?" continuó Heloise.

"Scusate!" intervenne Isa. "Non si era detto di stare zitti? Vi ricordo che siamo ancora in questo cimitero!"

"Hai ragione. Basta ora con le chiacchiere. Tenetele per dopo. Ora pensiamo a uscire da questi confini." 
disse Eradan, alzando la torcia. "E pregate."

Tutti si zittirono. 
Il gelo era pungente e le due ragazze, che avevano una buona porzione di gambe scoperte, rabbrividivano. Il naso di Helli era freddissimo, come le guance.

Sentirono un verso improvviso, come il bubolare di un gufo, molto vicino. 
Isa ebbe un singulto di paura.

"Proseguiamo. È solo un rapace notturno." disse Eradan.

"Tu c- credi?" balbettó Isadora.

"Non voltiamoci. Avete sentito quel Dunedain. Non voltiamoci." ripeté Farin.

Il rumore sordo dei loro passi sul terriccio umido dava alla situazione una nota ancora più sinistra. Bianche lapide, coperte parzialmente da erbacce rampicanti, costeggiavano il sentiero principale. Helli provava a leggere i nomi dei defunti su quelle pietre, ma era un alfabeto a lei sconosciuto. Sapeva solo che erano moltissimi.

"Molta gente ha dato la vita per questo mondo." rifletté ad alta voce.

"Sì. La mia razza ha versato sangue per la libertà della Terra di Mezzo. Non c'é stata ricompensa, peró." rispose amaramente Eradan.

"A tempo debito, vi sarà resa giustizia. Elrond dice sempre che il futuro Re degli Uomini sarà un Dunedain." disse Andriel. "Forse davvero il figlio di quell'Arathorn... mi pareva infatti che il nostro Signore avesse accolto un bambino figlio di un Ramingo, insieme a sua madre, a Gran Burrone. Credo sia ancora nei nostri confini."

"Questo é interessante. Ho tanto bisogno di parlare con il tuo signore, in effetti." replicó Eradan. "Non ho mai avuto l'onore."

Sentirono un nuovo rumore nella notte. Un sibilo, quasi, un fischio prolungato, e soffocato.

"...questo peró non era un animale!" sbottó Farin. Si giró, ascia in mano. "Oh..."

Anche Eradan si voltó, e sgranó gli occhi. "Correte!!!"

Tutti scattarono all'istante. 
"Che c'é?! Cosa c'è dietro di noi?!!" gridó Isadora.

Il ramingo le afferró la mano. "Non voltarti! Corri e non voltarti!"

All'improvviso, Heloise sentì qualcosa aggrapparsi al suo mantello. E tirare.

"Il mantello!! Ha afferrato il mio mantello!" urló disperata.

Subito Andriel corse in suo aiuto: con il pugnale, taglió in due la cordicella annodata sotto al mento di Helli, che chiudeva i lembi del soprabito. Anche l'Elfa vide qualcosa. Nei suoi occhi comparve lo stesso sguardo atterrito che aveva mostrato quando Urgost si era parato innanzi a loro.

"Ora corri!! E non guardare dietro di te!" le disse, afferrandole il polso. "Eradan! Trova l'uscita, presto!"

Il Ramingo, aiutato da quel poco di luce lunare che faceva capolino fra le basse nubi, vide la spianata che costituiva il confine del cimitero. Territorio sicuro, finalmente.

"Ci siamo quasi! Forza!" esortó gli altri. Tutti lo seguirono, correndo come disperati.

Finalmente un verde e morbido prato li accolse. "Siamo fuori! Ce l'abbiamo fatta!" annunció Andriel.

Helli e Isa crollarono a terra, ansimando per lo sforzo. Il dolore al piede era lancinante. La mora Foley sollevó lo sguardo e per un secondo vide cosa aveva dato loro la caccia: un essere fatto di nebbia e di odio, un essere immateriale con lunghe braccia e lunghe dita, e con orbite nere come la pece. L'essere si dissolse subito.

"Oh Eru...oh... ma cosa era quello?" disse, sconvolta.

"Uno spettro dei Tumuli. Forza, andiamocene ora. La notte è nella sua ora più buia. E nemmeno qui è sicuro." rispose Eradan, passandosi il dorso della mano sulle labbra. Erano secche, aride. Il terrore lo aveva annichilito, come gli altri. "Resistete fino all'alba."

🌺🌺🌺

La visione delle alte cascate della Valle di Imladris furono la cosa più meravigliosa al mondo, agli occhi di Eradan. Poggió una mano sul masso accanto a lui, e nella luce dell'alba del terzo giorno, si lasció andare a un sospiro di sollievo. "Che gli déi siano ringraziati." mormoró. Poi si giró: "Ci siamo!"

Andriel saltó sul masso e mise una mano davanti ai delicati occhi blu, per coprirli dal riverbero del sole. "Casa! Casa mia! Finalmente!" gioì.

Le due sorelle Foley sopraggiunsero. Erano stanchissime, scarmigliate, provate dai recenti avvenimenti. Ma un luminoso sorriso si dipinse sul volto della più giovane, alla vista del regno elfico.

"Isa! Gli Elfi! Sarà bellissimo, vedrai!" disse alla sorella, che accolse la notizia con una smorfia. Dopo tutto quello che avevano passato, ci voleva ben altro per entusiasmarla.

"Seguitemi!" cinguettó Andriel, mostrando loro un sentieri stretto fra i sassi. "Ci vorranno una decina di minuti."

Farin sbuffó. "Pfffff. Avrei quasi quasi preferito quel cimitero... andare dagli Elfi, ospite per di più."

Eradan gli si avvicinó. "Hey Farin, che comportamento intendi avere con Elrond? Non penserai di essere scortese? Abbiamo disperatamente bisogno del loro aiuto."

"Lo so. Lo so. Ma io non mi prostrerò davanti a nessun Elfo, capito? Un Nano non puó abbassarsi a tanto." grugnì l'altro.

"Nessuno te lo chiede. Ti chiedo solo di mostrare cortesia. Questo puoi farlo?" chiese il Ramingo. 

"Ci proverò." promise l'altro, un po' forzatamente.

"Bene. É già qualcosa. Teniamoci le nostre antipatie di ...ehm... razza per un'altra occasione." continuó Eradan.

"Il mio signore darà aiuto a chi lo chiede. Anche a chi non ama noi Elfi." Commentó Andriel senza voltarsi. Le sue finissime orecchie avevano colto la conversazione. "Vi ho portato con me. La mia parola garantirà per voi."

Una freccia nera si conficcó ai piedi della guerriera, che sobbalzó.

Da dietro un tronco d'albero, consumato dai tarli e dal tempo, comparve un soldato. Alto, lunghi capelli neri che gli incorniciavano un volto stranamente marcato per uno della sua razza, indossava un'uniforme nera, con bordature dorate.

Li osservava con freddo stupore.

"Tu dici?" furono le sue prime parole, al gruppetto sorpreso. "Non sono sicuro che Lord Elrond sarà soddisfatto, nel vederti tornare così presto."

"Nohmus!!" esclamó Andriel. "Comandante!"

Farin alzó l'ascia, minaccioso, ma Eradan gli intimó di abbassarla. Si avvicinò all'Elfo soldato e abbassò la testa. "Umilmente chiediamo di entrare nei vostri confini,  Capitano. Abbiamo bisogno del vostro aiuto. Il mio nome é Eradan, figlio di Ardalan di Arnor. Sono un Dunedain. Sulla mia razza, giuro di venire qui in pace."

"Questo è da vedersi. Tutti voi siete da questo istante sottoposti alle leggi di Imladris." rispose Nohmus.

"Questo é certo." terminó Eradan. "Le rispetteremo."

Altri Elfi soldato sopraggiunsero e circondarono il gruppetto. Le due sorelle si avvicinarono l'una all'altra. Impaurite.

Nohmus osservó Farin. "Un altro Nano..." commentó.

"Un altro? Di chi parli?"'chiese Farin.

"Thorin Scudodiquercia è giunto qui poche ore fa. Lui e altri dodici della sua gente. Si stanno ristorando ora." rispose freddamente Nohmus.

Helli spalancó la bocca incredula, come Farin.

"Thorin?" mormoró il Nano. "Thoriiiin!!" gridó e si lanció di corsa verso il territorio di Elrond.

"Ma che gli prende?" chiese il Capitano elfico.

"É il principe del suo popolo." gli disse Andriel. "E non lo vede da sessant'anni."

"Seguitelo." intimó Nohmus a due dei suoi, che scattarono dietro al Nano. 
I soldati si fecero più vicino agli altri viaggiatori, con l'intento di perquisirli. Helli strinse la blusa sotto alla gola, per nascondere il Mil Naur. Lo portava ancora al collo.

"Non é necessaria una perquisizione, non portiamo nulla di pericoloso con noi." intervenne Eradan. "E vi ho detto che siamo solo in cerca di ristoro."

"Sono le regole, Eradan. Nessuno puó entrare ad Imladris armato. Ti prego di consegnare la spada ai nostri soldati." lo esortó Andriel. "Ti sarà resa, dopo."

Con un sospiro, Eradan fece quanto detto.

Si accorse che un soldato si era avvicinato ad Helli, che lo guardava spaventata.

"Cosa hai lì? Che nascondi?" chiese l'Elfo arciere.

"Niente, é una collana. Tutto qui." provó a dire la ragazza. L'Elfo si giró verso Nohmus. Gli disse qualcosa in elfico.

Andriel provó ad intervenire. "Lasciateci passare, Capitano. Le due donne umane sono a pezzi."

Ma il comandante elfico non rispose. Si avvicinó a sua volta ad Heloise, e afferró delicatamente le sue mani. La ragazza avvertì un brivido a quel contatto. L"Elfo la costrinse ad aprire i lembi della blusa, e scosse la testa alla vista del Mil. "Andriel..." mormoró. "...questo non puó entrare nel nostro regno. É un oggetto malefico."

"Lord Elrond sa tutto. Fidati di me. Ti prego, facci entrare." insisté l'Elfa. "Non immagini cosa abbiamo passato."

Il comandante tentennò qualche istante, poi la vista delle ragazze magre e pallide lo impietosì.  "Va bene. Ma la responsabilità sarà tua." ribatté Nohmus. "Avanti."

 

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** Incontri a Gran Burrone ***


"Le cucine sono sotto pressione, abbiamo quasi terminato il vino." disse Lindir a Lord Elrond, mentre entrambi camminavano lungo i vialetti in fiore di Gran Burrone. I Nani erano arrivati da poche ore e il territorio degli Elfi era già in subbuglio. "...quanto credete che rimarranno qui?"

"Questo è ancora da decidersi." rispose il Signore di Imladris, pensieroso. Entrambi si fermarono a pochi metri dalla grande fontana di Lilith, che Thorin e i suoi avevano evidentemente scambiato per una vasca da bagno personale. Lindir dovette reprimere un giramento di stomaco, quando vide i tredici ospiti completamente nudi, a mollo nella bella fontana del Regno.

"Quando se ne andranno, assicurati che l'acqua venga purificata, Lindir." commentò Elrond, sospirando.

"Lord Elrond! Signore!" gridò uno dei soldati di vedetta all'entrata del reame. Aveva lasciato la postazione e stava correndo verso di loro. Li raggiunse e chinò il capo. "Riferisco che un altro Nano si è presentato all'entrata orientale. Sostiene di appartenere al popolo di Erebor. Pretende di incontrare Thorin, figlio di Thrain!"

"Un altro? E perché è giunto qui solo ora?" chiese Elrond, affrettandosi con Lindir verso l'entrata ad Est. "Dopo gli altri?"

"L'abbiamo interrogato ma non vuole risponderci. Insiste nel voler parlare solo al suo Principe! A quanto dicono i due che l'hanno seguito, il capitano Nohmus l'ha incontrato sul sentiero che sbuca dalle Montagne, e poi l'ha fatto scortare qui." rispose concitato l'Elfo in armatura. "Afferma che altri viaggiatori sono con lui, e che giungeranno a breve."

"Altri Nani?" chiese Lindir, già in fibrillazione. Non sopportava i Nani, men che meno quelli appena arrivati. Erano chiassosi, maleducati e ingordi di qualsiasi cosa.

Con infinita generosità, Elrond aveva permesso a loro e allo Stregone di entrare nei loro confini e trovare ristoro, e con l'Hobbit avevano già consumato gran parte delle scorte di cibo. Avevano anche trovato il coraggio di lamentarsi per la mancanza di carne. Un comportamento inaudito nella cultura degli Elfi e Lindir trovava incomprensibile come il suo Signore lo tollerasse.

"No, credo siano umani. Il Nano parlava di un Ramingo e di due ragazze." spiegò ancora l'Elfo. Intanto, erano finalmente arrivati alla soglia della grande scalinata che conduceva al cancello orientale. Dall'alto, misero a fuoco il nuovo arrivato.

"Uno dei Lungobarbi." commentò Elrond. "Sì, è vero. Appartiene alla gente di Re Thror."

"Fatemi passare, vi dico! Voglio incontrare Thorin!" continuava a sbraitare Farin, faticosamente trattenuto per le braccia da due guardie. "Il principe del mio popolo è nel vostro territorio, ho il diritto di vederlo!"

"Nessuno ti priverà di questo diritto, mastro Nano. Ma brandire un'ascia con intenti bellicosi non è una buona idea, qui." lo accolse Elrond, scendendo le scale.

"Sei tu che comandi??" lo aggredì Farin.

Elrond annuì, sorridendo. "Sì, sono io che comando."  Poi si volse verso le guardie. "E comando ai nostri soldati di lasciare il Nano."

I due Elfi lo guardarono perplessi. "Ma...Lord Elrond..." tentò di dire Lindir.

"Non temere. Il nostro ospite non compirà azioni sconsiderate. La comunità di Erebor ha grande onore e dignità. Dico bene?" rispose il nobile Elfo.

"Dici più che bene!" ribatté Farin, aggiustandosi l'elmo. "Allora tu sei il famoso Lord Elrond. Beh, tanto piacere. Farin, mi chiamo. Sono una guardia di Re Thror, e poi fedele servitore di suo figlio, Thrain...cioè, lo ero. Chiedo solo di parlare con Thorin Scudodiquercia. Da molti decenni non lo vedo."

"Lo so. Ma vedi, il tuo nobile principe in questo momento è impegnato in faccende ben poco nobili. Rimarresti alquanto deluso se tu lo vedessi con nient'altro che la sua pelle addosso mentre si lava in una delle nostre fontane." spiegò Elrond, sforzandosi di non ridere. "...da poche ore lui e altri dodici della tua razza sono arrivati da noi. Se posso suggerire, cosa ne diresti se prima di incontrare Thorin ti offrissimo una tinozza di acqua calda e qualche indumento della tua misura, di modo che questa sera, a cena, tu gli faccia una grande sorpresa?"

Farin ci pensò su. "Hm? Una sorpresa..." poi scoppiò a ridere. "...ma sì, gli farò una grande sorpresa. Una che non si aspetta davvero! E sia!"

"Prima però, dimmi chi ti sta seguendo. Chi c'è d'altri con te?" volle sapere Elrond, mentre Lindir si avviava a dare ordine ti preparare un bagno per il Nano, imprecando fra sè.

"Uno dei tuoi. Un Elfo femmina di nome Andriel. E un Dunedain, Eradan è il suo nome. E con loro, due ragazze. Una porta con sè qualcosa di pericoloso, ti avverto." replicò Farin.

Elrond rimase di sasso. "Andriel? E' giunta qui con la giovane custode del Mil Naur?!"

Farin lo squadrò. "Tu sapevi già di questa storia? Come..."

"L'avevo mandata in missione per rintracciare l'umana e accompagnarla da Galadriel. I suoi ordini non erano di portare lei e il gioiello qui." disse Elrond, rabbuiato.

"Ah...sì. Ora ricordo. Andriel disse che quel diamante ti fa paura." commentò Farin.

Elrond lo guardò di traverso. "Non voglio che attragga quel Drago a Imladris. Non avremmo difese contro un serpente del Nord."

"Non c'è pericolo, Signore degli Elfi. E' troppo tardi. La Bestia ha già avuto quello che voleva dall'umana." ribattè Farin.

"Cosa? Il Drago Urgost ha già incrociato il vostro cammino? E cosa ha avuto dalla ragazza mortale?" chiese Elrond. Era costernato.

"Una promessa." fu la risposta di Farin. "Un accordo, mio Signore."

🌺🌺🌺

"Toh, finalmente un luogo che ha un'aria vagamente civile." disse Isadora, attraversando con gli altri il ponte in precedenza percorso da Farin. Erano giunti all'entrata del reame di Elrond diversi minuti dopo il Nano.

Nohmus guidava il gruppetto.

"Gli Elfi della nostra sartoria vi daranno abiti nuovi. Vi offriremo acqua calda per lavarvi e cibo per rimettervi in forze. Non é nemmeno escluso che stanotte dormirete in comodi letti." disse premurosamente Andriel.

"Questo sarà deciso da Elrond." commentó Nohmus senza voltarsi. "Non promettere a nome suo, Andriel. Non hai questa autorità."

"Sì, Capitano, lo so. Ma le ragazze hanno bisogno di un po' di fiducia." replicó l'Elfa. "Ho desiderio di parlare con Eulalie. Dov'é?"

"Dovrai attendere, allora. Lei é in spedizione a Ovest, con una nostra compagine. Voci sono arrivate, di Orchi esploratori. Si spingono fino ai nostri confini con i loro Mannari." raccontó Nohmus.

"Qualcosa di grosso é in arrivo. Troppo creature malvagie si stanno risvegliando. Streghe, Spettri, Draghi, Orchi..." pensó Eradan a voce alta.

"Vero. É terribile." rabbrividì Helli.

"E tu te ne volevi andare a Isengard tutta sola, eh?" le disse Isadora. "Pazza scriteriata."

"Fermi, ora." comandó Nohmus, non appena i quattro giunsero sul grande patio di Elrond. "Attendete qui."

Helli osservó l'Elfo che percorreva uno ad uno quegli scalini contornati da eleganti piante d'edera, e spariva.

"Di', la smetti di fissarlo?" bisbiglió Isa dietro di lei.

Helli si giró. "Ma di che parli?"

"Quel tizio, il Capitano. Non gli togli gli occhi di dosso." continuó l'altra.

"Ma che vuoi?" chiese Helli, infastidita.

"Il miracolo finalmente si é compiuto. Abbiamo trovato un maschio che attira il tuo interesse." replicó la sorella, con un sorrisetto. "Andriel!"

L'Elfa si avvicinó. "Che c'é?"

"Quel vostro comandante, quanti secoli ha?" chiese Isa.

"Nohmus? Ha duemila novecento anni. Perché?" rispose la guerriera.

Isa ridacchió. "Beh, un po' attempato, forse. Ma carino."

"Ma che dite?" chiese Andriel, confusa.

"Niente. Isa è frastornata dalla stanchezza. Straparla." replicó rabbiosamente Helli. "Ti pare il caso, in questo momento?!"

"E ha un'Elfa...una compagna, una moglie?" continuava Isadora.

"No. Non ha ancora preso moglie. Ma si puó sapere cosa borbottate?" indagó Andriel.

"Helli ci sta facendo un pensiero, credo." disse Isadora, ricevendo un pizzicotto su un fianco dalla sorella.

"É incredibile, non sai pensare ad altro. Sei davvero ridicola, Isa. Sembra che ragioni col basso ventre ogni volta." l'aggredì Helli.

"Ti va male, allora. Nohmus non ha simpatia per i mortali." intervenne Andriel, ridendo. "Non ci pensare neanche."

"Anche tu ti ci metti!" sbottó Helli, rossa in viso. "Mi deludi Andriel!"

"Sono d'accordo con te." disse una voce ferma e pacata. Veniva dall'alto.

Lord Elrond apparve dalla scalinata. "Anch'io sono sorpreso da Andriel. E non in positivo."

"Mio Signore!" esclamó l'Elfa. "Siamo stati costretti a venire qui. Dopo una serie incredibile di eventi imprevisti. Molto ho da dirvi."

"E lo farai tra poco. In quanto a voi..." replicó l'Elfo, parlando ad Eradan e alle due ragazze. "...come già abbiamo fatto con il vostro amico, vi offriremo vivande, e una sistemazione consona. Abiti e giacigli per la notte. Giunta la sera, ceneremo insieme e discuteremo su quello che sta capitando in questo mondo. Altri ospiti sono qui."

Helli venne presa da un improvviso attacco d'ansia, pensando a Thorin.

Era lì.

Si sarebbero rivisti e lei era più che certa che non avrebbe retto il suo sguardo accusatorio. Era fuggita, aveva piantato i Nani in asso scappando nottetempo come una ladra.

"Sanno i vostri ospiti, che ci siamo anche noi?" chiese Eradan. "E a proposito, é per me un onore conoscervi, Lord Elrond."

"Lo é anche per me, Eradan. É questo il tuo nome, me l'ha detto Farin. In passato altri Dunedain hanno cercato rifugio qui." lo salutó Elrond. "E no, Thorin e gli altri sono ancora all'oscuro a proposito del vostro arrivo. Vorrei fosse una sorpresa."

"Gandalf, lo Stregone, é qui anch'egli?" chiese Helli. "E l'Hobbit, ehm...Bilbo?"

"Naturalmente." confermó Elrond. "So che li conosci. Heloise é il tuo nome, vero? Un fardello non indifferente grava su di te. Quel diamante malefico, tienilo al collo. Su di te non ha effetti, questo è positivo, ma che nessuno dei miei Elfi gli si avvicini. Non possiamo custodirlo noi. E ora, andate a godervi il vostro riposo e a prepararvi per la cena. Le nostre dame elfiche avranno cura di tutti voi. Immagino quali fatiche e paure abbiate vissuto."

Anche Gandalf, pensó Helli, tremando. Che figura, che figura orribile ho fatto! E tutti gli altri Nani...

Provó il vecchio istinto di darsela a gambe. Cosa poteva dire a Gandalf e Thorin? Come poteva guardarli negli occhi?

Devo scusarmi. Devo farlo in modo da non sembrare patetica. Devo mantenere una dignità. Già. Ma che diró a quei due, che diró...?

"Allora, ti muovi? Voglio una vasca d'acqua calda, voglio un bell'abito in seta e un buon profumo alla mirra e voglio cibo. Non stare qui impalata a rimuginare!" le disse Isadora, dandole una spinta sulla schiena.

Alcune donne elfo le stavano conducendo verso delle belle sale con pareti dipinte di rosa.

"Isa, tieni quella linguaccia a freno. Non provocare gli Elfi. Non lasciarti ingannare dai loro modi, guarda che hanno una magia...cioè, possono anche diventare pericolosi." bisbiglió Helli.

"Ah sì? Beh, dopo aver passato qualche giorno con una Strega, aver visto un Drago a cinque metri da me, e aver condiviso una casa con Alice Huxley non credere che bastino un paio di folletti per spaventarmi. Piuttosto...guarda che begli abiti hanno le loro donne!" disse Isa, rapita dall'eleganza dei mantelli di velluto delle dame elfiche.

"Io penso che Elrond debba esaminare la mia ferita al piede. Mi sta facendo impazzire." si lamentó Helli, un po' zoppicando. "E penso all'umiliazione che subiró stasera."

"Mi fai venire mal di testa con i tuoi borbottii. Forse abbiamo trovato un posto dove verremo trattate con decenza. E io voglio godermi tutto." rispose Isa, guardando il ricco arredamento. "Guarda, un vaso di cipria! Hanno la cipria, perfino!!"

"Dama Isadora e Dama Heloise, vi prego di seguirci per il bagno e la vestizione. Da questa parte." disse una ragazza Elfo dalle lunghissime trecce castane.

"Dama??! Dama!!! Ci pensi, mi chiamano Dama!" trilló Isa, eccitata come una ragazzina.

"Oh ti prego..." sospiró la sorella.

Poi osservó il sole che splendeva alto, era quasi mezzodì. Un po' caldo il clima per un bagno, ma Helli riconosceva di essere distrutta, aveva bisogno di rilassarsi e magari dormire qualche ora.

Le donne elfo giunsero con abiti per le sorelle. "Questo è strepitoso! Oh Helli, guarda!!"
disse Isa, toccando la stoffa di una veste color cielo. "Ma anche questo!" disse, carezzando un morbido velluto color bosco.

"Tenete, un omaggio per voi, Dama Heloise." disse un'Elfa. Reggeva una gruccia in legno con appeso un favoloso abito quasi trasparente, leggero come l'aria.

"Un po' rivelatore, non credi?" osservó Isa. "Si vede tutto, se lo indossi."

"E chi lo ha scelto, se posso chiedere?" indagó Heloise. "Cosa vuol dire che é per me?"

"Il nostro comandante ve lo manda." aggiunse l'Elfa. "E sarebbe grandemente deluso se non lo indossaste, ha aggiunto."

_________

Vorrei ringraziare i lettori assidui di questa storia e anche chi è andato a leggere quelle pubblicate da me in precedenza. Ribadisco che questa particolare long è stata ispirata, oltre che dai film di Peter Jackson, anche dalla trama del videogioco La Guerra del Nord.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** Preparativi ***


 

"... questo è da non credersi. Davvero hai affrontato e sconfitto Melthotiel?"  chiese Elrond ad Andriel. 
Erano nella grande sala principale della sua residenza, elegantemente arredata.

L'Elfa provava un insopportabile imbarazzo in quei minuti, perché doveva giustificare al suo Signore il fallimento della missione. Della sua prima missione.

"Con l'aiuto degli altri, sì. Sono riuscita a ricacciarla nella sua dimensione una volta. La seconda volta che ci ha attaccati, di sua volontà è sparita. Ma non mi quadra, lord Elrond. Non puó aver rinunciato così facilmente." rispose Andriel.

"Se Heloise ha preso un accordo con Urgost, la Strega Elfo non puó più fare niente. L'umana è in vantaggio, ha il Mil Naur e l'ha usato prima di lei. Lo spirito di Melthotiel è probabilmente tornato a Carn Dum, lì attende il risveglio del suo sposo. E nel frattempo ha lasciato il governo delle legioni ad Agandaûr. Sì, tutto ha un senso visto in questa prospettiva." ragionó Elrond. "Ma Heloise ha condannato sé stessa. Lo sai, vero?"

"Ne sono consapevole. Questa missione richiederà il suo sacrificio. Uccidere Agandaûr sarà impresa difficilissima giá di per sé, ma anche dovessimo riuscirci, trovare la tana di Urgost sarà impossibile. Nessuno sa dove viva." disse Andriel. "Ma se non andrà da lui con la testa del condottiero Nazgûl, sarà la Bestia ad andare da lei. Anche se si nascondesse la troverà. La troverà ovunque."

"Radagast il Bruno conosce il luogo dove il Drago si nasconde." commentó l'Elfo. "Ma quello Stregone vive a Bosco Atro. Sarà necessario rintracciarlo per avere informazioni."

Andriel si portó una mano alla fronte. "È tutto troppo complicato. Non se ne esce, Lord Elrond."

"É stato un errore dell'umana. Come mi hai raccontato, é consumata dal desiderio di entrare nella Torre d'Orthanc. Questo ha offuscato la sua capacità di discernimento. L'ha spinta verso un destino orribile." rifletté l'Elfo.

"Lei non ha tutte le colpe. Se fossi stata più determinata nel condurla da Galadriel... ci siamo fermati troppe volte." sospiró Andriel.

"Hai fatto quanto in tuo potere. Hai fatto molto. Mi devi anzi perdonare se sono stato brusco, prima." le rispose Elrond, dandole una delicata carezza.

"Ma dovró seguirla fino ad Angmar. Non posso lasciarla sola. Ci sono dentro anch'io, ormai." ribatté Andriel.

"Temo che prima dovrete raggiungere Radagast. É fondamentale che lo Stregone vi sveli il luogo esatto ove é celato l'antro di Urgost. O sarà tutto inutile." le disse Elrond.

"Ci metteremo troppo tempo!" obiettó Andriel. "Attraversare le Montagne Nebbiose, ci vogliono settimane! C'é un'altra cosa di cui non vi ho parlato. Helli ha una maledizione sul suo corpo. É stato il Serpente del Nord. Ha lanciato un sortilegio sul suo piede, la sta consumando.  Presto si allargherá alla gamba, rischierà molto se non elimina Agandaûr entro un tempo stabilito."

Elrond aggrottó le sopracciglia. "Un cosa?"

"...un maleficio. I malefici dei Draghi. Al riguardo, avevo letto alcune storie su un libro." spiegó Andriel. "É una brutta abrasione al piede destro. Ma so che presto divorerà tutto il suo corpo. Non ho potuto guarirla."

"Vorrei vederla." disse Elrond, brusco. "Subito."

🌺🌺🌺

Seduta su un bel canapé viola, Heloise lasciava che il Signore di Gran Burrone, il potente e millenario Lord Elrond, esaminasse la sua ferita. Un brutto livido bluastro si estendeva da sotto la pianta fino a quasi la caviglia.

"Cosa ne pensate, mio Signore?" chiese Andriel.

"Penso che per l'ennesima volta la tua mancanza di applicazione negli studi si sia resa evidente." disse Elrond.

Andriel ed Heloise lo guardavano confuse.

"Non... capisco..." balbettò l'Elfa.

"In quale libro, esattamente, hai trovato scritto che i Draghi possono lanciare incantesimi?!" chiese pacato l'Elfo.

"Ehm...ecco..." Andriel ci pensó un po' su. "... mi sembra..."

"...sì?" insistè Elrond.

Andriel lo guardó avvilita. "Non me lo ricordo più."

"Non te lo ricordi più..." ripeté Elrond. "Non te lo puoi ricordare, Andriel, perché non é vero."

"Come?! ma sì, ne sono sicura!" sbottó Andriel.

"Tu confondi i Draghi con i Lunghi Vermi. Questi ultimi sono simili ai Draghi, ma sono privi sia di ali che di gambe e si muovono strisciando i loro corpi sul terreno o sull'acqua. Possono sputare veleno e se il veleno tocca la pelle di un malcapitato, questi sviluppa ferite come quella di Heloise." raccontó Elrond. "É probabile che tu abbia letto questo, in un libro preso con noncuranza da una pila di altri libri."

Andriel provó una vergogna lancinante. "Oh... mi dispiace."

"Non dispiacerti, figurati. Diciamo, che io ho solo passato gli ultimi giorni angosciata all'idea di vedermi amputata una gamba. Ma non importa, tutti sbagliamo." disse Heloise.

Elrond sorrise. "Alla tua amica mortale non manca l'ironia. É una qualità che apprezzo. Altri si sarebbero molto adirati con te, Andriel."

"In verità, Andriel mi ha salvato la vita. E anche quella di mia sorella. Davvero non c'é nulla che possa rimproverarle. Ma allora cos'é questa ferita?" chiese l'umana.

"Una banale infezione. Devi esserti graffiata lungo
il cammino e aver immerso i piedi nel fango delle paludi non ha aiutato. Un nostro Guaritore ti applicherà dell'estratto di alcune erbe molto efficaci." le disse Elrond.

"Vi ringrazio!" sospiró la mortale, appoggiandosi allo schienale del piccolo divano. "Un problema in meno."

"Non riesco a credere di essere stata così stupida." disse Andriel, afflitta.

"Comprendi ora tutti i miei discorsi sull'importanza dello studio? Non é un passatempo." aggiunse Elrond. "E questo vale anche per te, Heloise. Cosa ti ha spinto verso Isengard, perché sei così ostinata?"

"Perchè credo che dentro di me ci sia più di una donna che ha come unico destino quello di sposarsi. Questo puó andar bene per mia sorella, ma non per me. Non voglio soffocare in una vita monotona al servizio di un uomo." rispose Helli. "So che voi Elfi non potete capirlo. Le vostre donne possono combattere, mi è stato detto. Possono studiare, anzi, devono farlo. Ma per noi umani non va così. Se non ti sposi entro una certa età, se non fai figli, se non passi i brevi anni della tua vita a servizio dei figli... non sei una persona compiuta. Ma io ho sempre respinto questa visione delle cose. E continuerò a farlo."

"Comprendo le tue infelicità. Ma ció non toglie che sei stata avventata. Anche se tutta la faccenda del Mil Naur non fosse esistita, anche se tu avessi trovato il modo di raggiungere Isengard, quale credi sarebbe stata la reazione di Saruman?" chiese Elrond. "Speravi davvero che ti accogliesse nel suo Ordine?"

"Ci avrei provato. Dopo aver preparato un saggio adeguato, almeno ci avrei provato!" replicó Helli.

"Così poco conosci lo Stregone bianco, ragazza mia." sospiró Elrond.

"Lord Elrond, sentite..." disse l'umana, alzandosi e avvicinandosi a lui. "... vi parlo ora, poiché mia sorella non é qui. Non voglio che senta. Vi chiedo la grazia di aver cura di Isadora. Lei non verrà ad Angmar, non ce la farebbe. Resterà qui, con il vostro consenso, spero."

"Avete una casa nella città di Midlothian." disse Elrond.

"...sì, ma non possiamo tornare. Andriel vi ha messo al corrente della situazione, credo. Nostra madre non c'è più. E io credo che abbiano dato la colpa della sua fine a noi. É quasi sicuro che siamo ricercate, ora. Isa non deve tornare lì." spiegó Helli. "Se io dovessi morire in quel Regno maledetto, a Nord, pensate a lei."

"Non dire questo." replicó l'Elfo. "Non pensare alla morte."

"Oh, non fingete, vi prego. Vi prego. Sapete bene che mi sono cacciata in un tunnel senza uscita. Vedete, per tutta la vita ho avuto la sensazione di essere una reietta. Una strana ragazza, inconcludente. Nulla ho fatto di utile, né di buono. Ho trascinato la mia famiglia in un buco nero." disse Heloise. Le sfuggì un singhiozzo.

"Se tu non fossi andata via col diamante, Melthotiel avrebbe eliminato te e tua sorella, oltre che vostra madre. L'ha lasciata in vita per usarla come ostaggio, e in vita é rimasta. É qui, con te. Questo è senz'altro una cosa che dovrebbe sollevarti da ogni rimorso." provó a rincuorarla Elrond. "Non essere eccessivamente dura con te stessa."

"...ma non voglio rovinare tutto. Mia sorella deve continuare a vivere. Il rapporto fra me e lei non é dei migliori, cioé...non come dovrebbe esserlo fra sorelle. Ma ha il mio sangue. E voglio che viva la vita che ha sognato. Almeno lei." aggiunse Helli. "Promettetelo, vi imploro."

Elrond la guardó negli occhi, due occhi castani e così espressivi. Annuì. "Faró come dici. Finchè desidererà stare qui, le daremo rifugio."

"Grazie. Dal profondo del cuore. Grazie." disse Helli, chinando il capo.

🌺🌺🌺

"Cos'é quell'abito?" chiese Isadora ad Helli. "Perché non indossi quello che ti ha regalato il bel Capitano? E a proposito..." cinguettó, mostrando l'acconciatura. "...guarda che lavoro sublime hanno fatto con i miei capelli le dame elfiche."

"Stai molto bene, é vero." ammise Helli.

Sua sorella era a dir poco radiosa in quel vestito color rosa antico che le avevano portato. I capelli intrecciati e ornati con nastri di seta, le davano un aspetto che nulla aveva da invidiare alle pur bellissime donne elfo.  

"Sai cosa mi hanno detto? Che ho capelli color dell'oro!! Me li invidiano, ci pensi?!" disse ancora Isa. "Questo posto é meraviglioso, avevi ragione."

"Sono felice che tu stia bene qui. Davvero felice." disse Helli.

Era arrivato il tramonto. Si stavano preparando per la famosa cena che di lì a un'ora sarebbe iniziata. Helli sentiva la martellante voce della sua coscienza risvegliarsi, quando si accorse che poco mancava all'incontro con Gandalf e gli altri.

Elrond aveva assegnato a lei, Isa, Eradan e Farin degli alloggi lontani dalla sua residenza, in un luogo sufficientemente isolato in modo che non avrebbero potuto essere notati da Thorin e compagnia. L'Elfo voleva che i viaggiatori si prendessero qualche ora per loro stessi, in modo da affrontare, ognuno in tranquillità, i ricordi di quello che avevano passato. Così da ristorare la mente, prima che lo stomaco.

"È permesso?" sentì una voce lieve. 
Andriel era comparsa all'entrata della grande stanza che lei e Isa condividevano. Senza armatura né arco e frecce, la sua grazia di Elfo femmina era ancora più evidente.

"Andriel!" disse Helli. "Sembri diversa senza uniforme da soldato."

"Depongo le armi per stasera. Ogni tanto ci é concesso. Stai meglio?" chiese l'Elfa.

"Sì, il Guaritore mandato da Elrond ha medicato il mio piede. Non mi fa quasi più male." rispose la ragazza.

"Delizioso l'abito che indossi." commentó l'Elfa. 
Era semplice, bianco e con una catenella d'argento alla vita.

"Ma sai cosa é successo? Il tuo comandante le ha mandato questo!" rise Isa, mostrando la veste semi trasparente appesa a un'anta dell'armadio. "Che te ne pare? Un messaggio ben chiaro, eh?"

Helli arrossì.

"... e perché non lo metti?" chiese Andriel. Aveva uno strano sorriso.

"Dico, sei seria? E puoi riferire al tuo capitano che non ho gradito questo regalo!" sbottó Helli. "Per chi mi ha presa?"

Andriel scoppió in una fragorosa risata. "Non te l'ha mandato Nohmus! Te l'ho fatto portare io! Era solo uno scherzo!"

"Che delusione!" si lamentó Isa. "E io che speravo che finalmente un uomo...cioé...un Elfo...insomma, qualcuno la svegliasse dal suo torpore."

"Ma perché?" esclamó Helli, stizzita. "Che fai, ti diverti anche tu a stuzzicarmi?"

"Scusami...era solo per divertirci un po'. Imani é stata al gioco, le ho detto di dirti che Nohmus lo mandava. Sei così cupa, volevo darti una scossa. Figurarsi se il nostro Capitano farebbe una cosa simile... é molto severo, sai?" spiegó l'Elfa.

"Divertente. Ah sì, un vero spasso..." disse Heloise. "...Andriel, sai, non ho davvero voglia di partecipare a questa cena."

"Per Thorin?" chiese l'Elfa. "Temi il suo giudizio, lo so. Ma quello che é fatto é fatto."

"E Gandalf. Mi sento in colpa quasi fossi una ladra. É una sensazione orrenda." confessó Helli.

"Nulla deve farti sentire così. Non hai fatto niente di sbagliato. Hai solo avuto paura, ed é comprensibile." le disse Andriel. "Capiranno, vedrai."

"Non é questo. É che per la prima volta, avevo fatto una promessa a qualcuno. Avevo giurato di andare fino in fondo. E li ho abbandonati, ho capito di essere debole. É come se avessi tradito anche una parte di me." spiegó Heloise. "Mi sento davvero mortificata."

Isa sbuffó. "Sei pesante, sai?"

Helli la ignoró. "Non mi sento bene con me stessa, questa é la verità."

"Farin muore dalla voglia di parlare col suo principe. Mi ha mandato a chiedervi se siete pronte. É un momento importantissimo per lui. Non facciamolo aspettare." disse Andriel. "Metti da parte il tuo malumore, e fai qualcosa per un amico, stasera. Va bene?"

Helli la guardó. Andriel aveva una sguardo buono, comprensivo. 
"Sì. Mi pare giusto." le rispose.

"Brava. Tutti abbiamo fatto errori in vita Helli. Guarda me, che ho più di duemila anni, quanti credi ne abbia commessi? Non ho forse sbagliato giudizio sulla tua ferita? Non siamo esseri perfetti. E dobbiamo andare avanti." le disse l'Elfa.  Sentirono il suono dei flauti. "Elrond sta chiamando. Coraggio."

 

Ritorna all'indice


Capitolo 40
*** Turbamenti ***


Farin non poteva nascondere l'impazienza. Si era lavato anche barba e capelli, e aveva ricevuto dagli Elfi indumenti nuovi adattati alla sua altezza.

Osservandolo mentre non aveva né elmo né ascia in mano, Helli pensó che i suoi anni si vedevano tutti. Era un vecchio, coriaceo Nano, emozionato come un bambino in quel momento.

"Allora, ci muoviamo?" li esortó lui. Il gruppetto, con Andriel e le due ragazze in testa, camminava attraverso i bei colonnati del regno di Elrond. Heloise si gustava la pace di quel luogo, all'interno dei suoi confini si sentiva assolutamente sicura. Niente li avrebbe importunati lì.

Eradan a sua volta aveva deposto la spada e la tenuta da ramingo e si era ristorato per qualche ora, fra le vasche naturali di acqua salmastra del reame. Osservava Isadora e non poteva fare a meno di pensare che fosse più bella che mai, quella sera. Ma non poteva dirglielo. Era determinato a mettere la parola fine a quell'abbozzo di storia d'amore che stavano vivendo, anche perché di lì a poco sarebbe partito di nuovo, alla volta di Angmar, con Helli e gli altri.

Non riuscì comunque a trattenere l'impulso di prenderla in giro. "Davvero adorabile quell'abito." le disse, avvicinandosi. "Le donne elfo moriranno d'invidia alla tua vista."

"Non parlarmi. Sono ancora arrabbiata con te." fu la risposta della bionda ragazza. Eradan potè avvertire la fragranza dei suoi capelli.

"Solo perché dico la verità? Sei permalosa. Caratteristica comune fra le ragazze altezzose." ribatté Eradan.

"...e insisti. Davvero grande deve essere il tuo ego, se credi di poter giudicare gli altri a tuo piacimento." rispose Isadora, a denti stretti.

Helli e Andriel si girarono, divertite da quello scambio di battute.

"Che succede?" chiese l'Elfa. "Il vostro idillio é già finito?"

"Non c'era nessun idillio." ribattè Isa, mentendo. "Né prima, né tantomeno ora."

Helli e Andriel risero. "Non é raro con te, vero? Ti infiammi e poi ti raffreddi.  Non ti affliggere Eradan, non credere di essere il primo!" scherzó Heloise.

"Piantala, tu! Preoccupati dei tuoi intrallazzi con i Draghi, piuttosto!" rispose Isa.

"Mi preoccupo, sì, e tanto!" replicó la sorella. "Non passa giorno senza che ci pensi."

"Ascoltate!"'esclamó Farin. "Qualcuno canta!"

Avvertirono infatti suoni e schiamazzi provenire dal luogo ove Elrond aveva fatto preparare il banchetto. Era più un berciare, che un canto melodioso, e ad Helli parve riconoscere una voce, che si levava sulle 
altre.

"É Bofur!!" disse subito.

"C'è una locanda, un'allegra locanda,
Sotto un vecchio colle grigio,
Ove la birra è così scura,
Che anche l'Uomo della Luna
E' sceso un giorno a berne un sorso."

"Un Nano! Sì, puó essere solo un Nano!" esclamó Farin, correndo verso la grande terrazza di Elrond.

"Ma dove corre quel matto!" rise Andriel.

"Lo stalliere ha un gatto brillo,
Che suona un violino a tre corde;
Su e giù scorre l'archetto,
Stridulo a volte, a volte cheto,
Ed a volte solo un trillo."

"L'oste invece ha un cagnolino
A cui piacciono gli scherzi;
Se gli altri ridono, davanti al camino,
Rizza l'orecchio ad ogni battuta...."

Farin balzó improvvisamente sulla scena, davanti a tutti.

"...sghignazzando come un mattaccino!!" * finì.

Tutti, inclusi gli Elfi presenti, rimasero di sasso alla sua comparsa. Helli e gli altri si avvicinarono alla scena, e videro dodici Nani seduti attorno a un piccolo tavolo pieno di verdure e di pane elfico, tutto allegramente gettato all'aria. Avevano appena terminato una battaglia col cibo, pareva, e Bofur stava intrattenendo tutti con una canzoncina della loro gente. Almeno, fino all'arrivo di Farin.

Balin si mise faticosamente in piedi. "Farin!!!" urló, poi corse ad abbracciarlo. "Non posso crederci!" esclamó l'anziano Nano, che si ricordava molto bene di lui. I più giovani, Fili e Kili e alcuni altri, non riuscivano invece a metterlo a fuoco. Iniziarono i borbottii.

"Ma chi é?"

"É uno delle nostra gente!"

"Ma certo, é il vecchio Farin! Lo credevo morto e sepolto!"

Helli si nascose dietro una colonna, vittima all'improvviso di un attacco di vergogna. 
Erano tutti lì.

Sbirció e vide Thorin seduto al tavolo di Elrond, con Gandalf e il signore elfico accanto a lui. Girando lo sguardo intorno, notó anche Bilbo Baggins, seduto a un secondo tavolo con i Nani e del tutto sorpreso dalla situazione.

"Signori!" annunció Balin, asciugandosi una lacrima. "É incredibilmente giunto qui Farin, vecchia guardia di Erebor. Alcuni di voi non si ricorderanno di lui, ma posso garantirvi che uno dei più degni rappresentanti del nostro popolo. Un grande, coraggioso guerriero."

"Guardia di Erebor. Forte come la roccia, saldo come un pilastro. Eccome se mi ricordo." lo salutó Thorin, alzandosi dalla sedia e avvicinandosi al Nano, che chinó la testa, emozionato. "Sessant'anni...sono passati sessant'anni da quando parlammo l'ultima volta, soldato."

Farin non resistette più e abbracció Thorin di slancio. "Grande principe!" esclamó. "Ho pregato per vedere questo giorno!"

Thorin ricambió l'abbraccio del vecchio Nano, e poi lo guardó stupito. "Ma come é possibile che tu sia qui?!"

"Un'avventura assurda ho vissuto, insieme ad altri quattro compagni! Molte cose ti devo dire, Thorin. Anche su...tuo padre." riveló Farin, mentre le lacrime scorrevano abbondanti fin sopra la barba.

"Mio padre?!" chiese Thorin. "Mio padre é morto."

"Oh no. No, principe." rispose Farin.

"Hey, ma come sei conciato? Con quegli indumenti elfici sembri un damerino!" lo schernì Dwalin. "Siediti con noi, Farin! E raccontaci!"

"Sì. Ora cena in pace. Dopo mi dirai tutto." lo incoraggió Thorin.

Farin non pareva ancora capacitarsi di avere Thorin lì davanti. "Ho vagato per il Dunland tutti questi decenni. Non credevo avrei mai rivisto la mia razza." singhiozzó ancora. "... ma sei davvero tu?"

"Vino!" chiese il Principe di Erebor agli Elfi. "Portate vino per il nostro amico!"

Gli Elfi che servivano le vivande ai tavoli lo guardarono male, udendo quel tono perentorio, ma un'occhiata di Elrond li convinse.

"Questo cibo elfico é pessimo, ti avverto. É solo verdura e pane, pane e verdura!" intervenne Ori.

"Il fatto di avervi trovato basta a riempirmi di gioia, amici." rispose Farin. "La mia gente, finalmente! Vi sapevo sui Monti Azzurri."

"Da lì veniamo, infatti." rispose Bofur, dopo essersi ricomposto. Sembravano tutti un po' brilli. "Anche noi siamo nel mezzo di un'avventura, sai?"

Eradan aveva osservato con un sorriso tutta la scena. Poi si giró verso le ragazze. "Non so voi, ma io muoio di fame. Uniamoci al banchetto, forza."

"Io siederó al tavolo di Lord Elrond. Non ho intenzione di gozzovigliare con quei Nani." disse Isa, dirigendosi con Eradan verso il centro della terrazza.

"Vi presento altri ospiti." annunció il signore di Imladris. "Eradan, un Dunedain. Andriel, un mio soldato. E la signorina Isadora Foley, della città di Midlothian, nel Minhiariath. Anche loro hanno chiesto il nostro aiuto, e noi siamo felici di darglielo."

Gandalf si alzó, abbozzando un baciamano ad Isa.

Ma nel frattempo, un nuovo, raggelante silenzio era piombato. Helli lo avvertì fino al midollo.

Foley.

I Nani conoscevano quel cognome. Infatti, tutti, incluso Thorin, iniziarono a guardarsi intorno.

"Come hai detto che si chiama la ragazza?" chiese la voce di Bilbo.

"Isadora!" scandì lei, accomodandosi al tavolo, un po' distante da Eradan.

"Abbiamo già conosciuto una donna che portava questo cognome." intervenne Balin. "...Foley. Una ragazza dai capelli scuri."

"Lo so." disse Elrond. "E difatti manca un commensale a questa tavola."

🌺🌺🌺

"Heloise, vieni avanti!" la chiamó Elrond. "Unisciti a noi."

Tutti si voltarono nella sua direzione. 
Con uno sforzo, l'umana mise un piede davanti all'altro e inizió a camminare. Devo farcela, stavolta non posso scappare. La frittata é fatta e non mi resta che ingoiarla.

Tenne gli occhi bassi, ma le orecchie udirono comunque i mormorii dei Nani.

"Non ci credo!"

"É la donna che doveva venire con noi!"

"É ricomparsa alla fine!"

Sentiva il suo corpo rigido dalla tensione, e una spiacevole sensazione di panico salirle fino in gola. Affrontare lo sguardo di Thorin. Quello sarebbe stato l'ostacolo più duro.

"Ti muovi?! Ho fame!" le gridó Isadora, che subito dopo inizió a riempirsi un piatto di insalata e noci. "Al diavolo le buone maniere. Sto svenendo!"

Gandalf fu gentile nel rivolgerle la parola. "Heloise! Credevamo ti fossi perduta!"

La ragazza alzó gli occhi su di lui. Lo Stregone lesse imbarazzo in quelle iridi castane. "Sei viva e hai protetto il diamante, ne sono lieto."

"Dove te n'eri andata?" chiese Kili, alzandosi in piedi. Era felice di vederla. "Ero preoccupato, sai?"

"Sto bene." furono le sue prime parole. Deglutì, e sentì la gola secca.

Gli altri Nani, comunque, non sembravano arrabbiati. La guardavano con comprensione e  indulgenza. Tranne Dwalin, naturalmente: lui conservava l'aria burbera che Helli ben ricordava.

"Accomodati. Non c'é ostilità qui." aggiunse Elrond, facendole cenno di sedersi.

Fu allora che i suoi occhi incrociarono quelli di Thorin. E vide che Elrond si stava sbagliando: il nobile Nano aveva un'aria infastidita, fredda,  il suo atteggiamento lasciava trasparire niente più che avversione per lei.

Helli si sentì male a quello sguardo. Era il momento delle scuse, dell sua pubblica ammissione di fallimento. E non ci sarebbero state vie di fuga.

"Perdonami." gli disse, in un sussurro. "Perdonami."

Thorin fece tanto di sollevare un sopracciglio, sarcastico, ma non replicó.

"Vi ho traditi." continuó Helli, mentre Isa e gli altri commensali ascoltavano, un po' imbarazzati. 
"Ti ho deluso, lo so."

"No." rispose Thorin. "Ti sei comportata esattamente come mi ero aspettato. Perció non sono deluso."

Helli sentì come una stilettata al cuore.

"Thorin, ne abbiamo già parlato. Non sappiamo cosa ha vissuto questa ragazza dentro di sé. Non giudichiamola, ti prego." intervenne Gandalf.

Il Nano si volse verso lo Stregone. "Dalle mie parti si chiama codardia. I tuoi giri di parole sono dettati dalla pietà verso di lei, Gandalf, ma sappiamo entrambi che la donna é una debole. Lo avevo capito subito, ma hai voluto insistere. Tu credevi in lei, non io. Ed a te che dovrebbe le sue scuse."

"Nessuno é immune dall'errore. Voi Nani giudicate con molta facilità gli altri, ma raramente ammettete le vostre debolezze. Questa ragazza é giovane, e non é una codarda. Andriel mi ha raccontato attraverso cosa sono passati. Qualcosa che farebbe paura anche a te, Principe." disse Elrond. "Non merita il tuo disprezzo."

Thorin decise di non continuare la discussione. "Con permesso." disse rabbiosamente, e poi si alzó e si allontanó dal tavolo. Andó a parlottare con Balin.

"Helli, ora siedi, ti prego. Devi cenare, sei pallida. Thorin ha bisogno di tempo." le disse benevolmente Gandalf.

Heloise si decise a mettersi seduta, anche se le sue gambe non volevano saperne. Le era perfino passato l'appetito.

Eradan si accorse del suo malessere. "Lascia i pensieri tristi da parte, adesso. Questa é una serata felice, per tanti motivi. Tutto si aggiusterà col tempo."  poi le prese la mano e la strinse.

"Allora, i Nani sono in missione verso Erebor, ho saputo. Per affrontare Smaug. Invece, voi un Drago l'avete già incontrato. Davvero un'assurda coincidenza." inizió Elrond. "Tempi duri vi aspettano. Non si rescinde un accordo con una delle Bestie alate del Nord."

"Ne siamo al corrente." intervenne Eradan. "Lord Elrond, lungo il nostro tragitto abbiamo incontrato due altri Dunedain. Soldati del comandante Arathorn. Ha un figlio, hanno detto."

"Sì, il piccolo Aragorn. Ho dato a lui e a sua madre rifugio qui. L'ho ribattezzato Estel, un nome elfico che puó tenere celata la sua identità." confermó Elrond. "Il bambino non sa di appartenere alla stirpe di Isildur. Suo padre é morto quando aveva due anni."

"Morto?!" si stupì Eradan. "Luin e Kilaran, i due raminghi, mi hanno detto che é disperso, ma non che é morto."

"Ti hanno informato male." lo corresse Elrond. "Arathorn é stato ucciso da un Orco. Molta confusione regna fra i Dunedain. I loro capitani vengono uccisi, ma sono considerati semplicemente dispersi. Credo, per non diffondere il panico."

"E il bambino é qui?" chiese Eradan. "Vorrei incontrarlo."

"Non credo sia una buona idea. Aragorn non deve sapere di chi é figlio. Non fino a quando giungerà il momento. Ora é troppo giovane." si oppose Elrond.

Eradan sospiró, un po' deluso.

"Lord Elrond..." mormoró Helli. "... io non credo di avere la forza di continuare."

Tutti la guardarono. 
"Heloise..." disse Gandalf.

"Non é roba per me, questa. Thorin ha ragione, non ho abbastanza fegato. Voi siete molto potente mi hanno detto. Certamente conoscete un modo per liberarmi da questo impegno con Urgost. Io non posso farcela. Spezzate l'accordo, vi prego. So che potete." imploró Helli. "Non credo di voler più andare a Isengard. Non credo di voler essere più niente."

Elrond la guardava con gravità. Rimase pensieroso qualche istante, poi le disse. "Non prendere decisioni affrettate. E non cedere, ora. Dopo cena, c'é qualcuno che devi incontrare."

⬇️⬇️⬇️
La filastrocca in grassetto è  opera originale di Tolkien.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 41
*** Un confronto inaspettato ***


La visione della luna piena che splendeva e illuminava tutta la valle di Imladris non riusciva a impressionare Thorin. 
Ne aveva viste centinaia di notti come quella, sui Monti Azzurri. Anzi, dalle montagne del Nord lo splendore lunare era ancora più spettacolare, perché il corpo celeste sembrava più grande, e più abbagliante.

Sentiva lo scroscio delle cascate che gettavano acqua nei burroni lì attorno, sentiva il frinire di qualche grillo e il verso di un assiolo, lontano.

La quiete di Gran Burrone lo innervosiva. Tutto, del territorio degli Elfi lo innervosiva. 
Gli Elfi non gli piacevano. Nonostante l'altruismo di Elrond e la pazienza dimostrata dai suoi sudditi verso gli altri Nani, che tutto erano stati in quelle ore tranne che ospiti rispettosi ed educati.

C'era una strisciante presunzione nel comportamento degli Elfi che lo irritava. Sapeva bene che quel popolo si considerava l'eletto della Terra di mezzo, in qualche modo. Figli amati da Eru, guardavano con alterigia le altre razze. Specie i Nani.

Ma Thorin aveva troppo orgoglio dentro di sé, troppa dignità, per reggere quelle occhiate di traverso senza batter ciglio.

Non gli era andata a genio l'osservazione di Elrond sulla sua gente. Aveva dato a lui e agli altri degli sputasentenze, lo aveva criticato per aver chiamato debole la ragazza umana. Per aver detto la verità. 
Non aveva voluto discutere col signore elfico se non altro per una questione di riconoscenza, in fondo li aveva sfamati e aveva permesso loro di pernottare al sicuro nei suoi confini. Aveva accolto Farin con tutti gli onori. Il principe di Erebor si era perció alzato dal tavolo e aveva evitato un alterco con l'Elfo e con Gandalf. Ma gli era costato molto, perché la calma non era certo una sua qualità innata.

Anche lo Stregone si era mostrato inaspettatamente benevolo con la donna. Eppure Thorin ricordava la delusione nei suoi occhi, la mattina della loro partenza da casa Baggins, dopo aver scoperto che la giovane era fuggita. Ma perché non l'aveva rimproverata? Era scappata dopo aver dato la sua parola a lui, ed a Gandalf il Grigio, verso il quale oltretutto nutriva enorme stima.

Lo Stregone e l'Elfo avevano entrambi una predisposizione al perdono e alla tolleranza che invece non facevano parte del bagaglio caratteriale di Thorin.

Se fosse stato per lui, quella ragazzetta avrebbe passato la notte all'addiaccio in qualche caverna, di certo non le avrebbe concesso una vasca in marmo per lavarsi, olii, profumi, abiti e due ancelle ad assisterla. Se c'erano due cose che il signore nanico non sopportava erano l'immaturità e la vigliaccheria, anche se in fondo il fatto che la ragazza non si fosse unita alla sua Compagnia gli aveva risparmiato delle seccature.

C'erano state grane di vario tipo lungo il 
tragitto fino a Gran Burrone: i tre Troll che avevano pensato di farsi una cena a base di carne di Nano, dai quali erano fuggiti grazie a Gandalf, l'inseguimento degli Orchi in groppa ai loro mannari... e quel buffo Stregone, Radagast, con i suoi racconti sul misterioso Negromante che occupava la fortezza di Dol Guldur. 
Se Heloise fosse stata con loro durante tutto questo, molto probabilmente non sarebbe sopravvissuta alla paura, agli scontri coi nemici, ai pericoli.

Ma li aveva abbandonati. Aveva con sè un oggetto importante per il loro scopo, qualcosa che avrebbe potuto aiutarli davvero, e li aveva lasciati con un pugno di mosche in mano. Dopo avere promesso. Quello aveva fatto indispettire Thorin più di ogni altra cosa. La mancanza di rispetto verso il patto che aveva lei stessa sancito.

Sentì un rumore di passi dietro di lui. Si giró.

Nel suo abito bianco come il latte e sotto i raggi di luna, Helli sembrava un fantasma. E pareva triste, mortificata.

"Quella é tua sorella?", chiese Thorin, con indifferenza. "Non vi somigliate."

"Isadora è la copia di mio padre. Io somiglio a mia madre." rispose lei, sorpresa che lui avesse parlato per primo. "Hai ragione ad avercela con me."

"Non ce l'ho con te, te l'ho detto." rispose il Nano. "So bene che non ci si puó aspettare molto da voi mortali umani. Ho visto di che pasta siete fatti, sui Monti Azzurri. Io e la mia gente viviamo a stretto contatto con una comunità umana, lassù. Gli uomini non fanno che litigare, cercare di fregarsi a vicenda e rubare gli uni agli altri. Le donne.... beh, non farmi continuare. Tu non sei diversa." 

"Che posso dire Thorin, hai ragione. Ricordo la nostra conversazione sotto le  stelle della Contea. Ho scoperto di non essere adatta alle avventure. Non ce l'avrei  mai fatta ad arrivare ad Erebor. Come non ce la faró ad andare ad Angmar e portare a termine il mio impegno. Lo so." commentó mestamente lei.

Thorin si sorprese. "Angmar? Che devi fare in quel regno?"

"Una missione ancora più assurda rispetto a quella che avrei accettato se...se avessi firmato il tuo contratto. Tu devi affrontare Smaug. Io ho già affrontato un altro Drago, Urgost. E con la Bestia ho sancito un patto." rispose Helli.

Thorin aggrottó le sopracciglia. "Hai bevuto, per caso? Vuoi farmi credere di aver incontrato, e parlato, con un Drago?"

"Chiedi a Farin, se non mi credi. Lui c'era, con gli altri. Non sai attraverso cosa siamo passati." sospiró Heloise. "Non puoi nemmeno immaginarlo."

"Elrond e Gandalf sostengono infatti che siete tutti reduci da eventi straordinari. Ma non crederó mai che abbiate incontrato un Drago. Vi avrebbe divorati, fatti a pezzi. Non si ragiona con quelle creature." ribatté Thorin. Poi si fermó un attimo. "A meno che..."

Helli annuì. "Sì. Il Mil Naur, questo diamante che porto al collo, ha il potere di controllarli. Di impedire che facciano del male al portatore. Questo é il motivo per cui siamo tutti e cinque ancora in vita. Questo é il motivo per cui Gandalf insisteva perché io venissi con voi. Per usarlo contro Smaug, per obbligarlo ad andarsene da Erebor. E forse avrebbe funzionato. In effetti, ho potuto parlare con quell'essere. Sebbene, quello che ho detto ci ha cacciati tutti in un mare di guai."

"Cosa?! Cosa...gli hai detto?" volle sapere il Nano, i suoi occhi verdi che brillavano di curiosità improvvisa. "E di che diavolo parli? Lo Stregone non mi ha detto nulla su quel diamante. Nulla di preciso, cioé."

"Gli ha dato la sua parola." disse la voce di Gandalf. Non visto, aveva spiato la conversazione fra i due. Emerse da dietro una delle colonne. "Ha fatto con lui un accordo molto simile a quello che la ragazza stava per fare con te, Thorin. Solo che... stavolta non ci saranno fughe notturne a levarla dall'impiccio. Non si scappa dai Draghi."

Thorin non capiva. "Una promessa? Di che tipo?"

"Non è il momento di parlarne, ora. Ormai la cosa non ti puó più riguardare, amico mio. Heloise è attesa altrove. Due persone desiderano parlare con lei. Scusaci, Thorin." lo interruppe Gandalf. Poi guardó la donna. "Dovrai ripetere la tua storia a chi molto desidera ascoltarla, ragazza."

"Un attimo." disse lei. "Thorin... ti chiedo scusa, di nuovo. Perdona questa stupida. O non dormirò più serena la notte."

"Dormi pure fra due guanciali, signorina Foley. Se riuscirai a farlo, nelle prossime settimane.  In quanto al mio perdono, non ti devo niente. Poichè come ho detto, nulla di inaspettato è successo." la geló Thorin. "E in quanto a te, amico, niente mi terrai nascosto d'ora in poi." grugnì a Gandalf. "Te l'avevo già detto. Basta segreti."

"E va bene. Me lo merito." sospiró Helli. "Ma mi addolora quello che ho fatto. Volevo che tu lo sapessi."

"E perché, che ti importa del mio giudizio?" chiese Thorin.

"Perché ti rispetto. Da quando ti ho incontrato. Dal primo istante. Ho visto tanta nobiltà in te." rispose Helli. "Non credevo potesse essercene in un..."

"...in un Nano?" Thorin finì per lei. Poi il suo classico ghigno sarcastico fece capolino da sotto la barba. 
"Buona fortuna per la tua missione, qualunque sia. Ne avrai bisogno, donna umana."

🌺🌺🌺

Gandalf la condusse su un sentiero stretto e lastricato da tante pietruzze bianche, che sembravano brillare sotto alla luna.

"Chi vuole incontrarmi? Ti prego, dimmelo." Imploró Heloise. "Questa notte vorrei solo riposare. Non credo di riuscire a parlare con chicchessia. Ho ritenuto giusto scusarmi con Thorin, ma non credo di poter sopportare altre conversazioni stasera. Mi sento... come se stessi per andare in mille pezzi."

"Lo comprendo. Ma è di vitale importanza che tu veda queste persone. Vengono da molto lontano. E sono preoccupate." le disse lo Stregone. "Sono venute qui per te...e per un altro motivo."

"Da lontano? E come hanno fatto ad essere già qui? Io e gli altri siamo giunti oggi a mezzodì..." chiese Helli.

Gandalf sorrise. "Beh, queste persone diciamo...sanno come muoversi attraverso il tempo e lo spazio. Non sono arrivati a piedi."

Heloise era sempre più costernata. "Allora non sono umani. Gandalf, ti scongiuro..."

"Ora raccogli tutte le tue energie. Fa' un bel respiro e...prometti di non perdere il controllo. Forte potrebbe essere la tua emozione, quando ti presenteró agli altri." le disse il Vecchio.

"Prima vorrei chiederti una cosa: perché non sei arrabbiato con me?" gli disse Helli, fermandosi sul sentiero. "Temevo l'incontro con te e Thorin. Mi vergognavo molto. Ma tu...hai sempre quell'aria buona e comprensiva...perché?"

"Ti stupisce, non é così?  Helli, la tua fuga è stata per me un atto di grande umiltà. Thorin lo giudica vigliacco, ma io credo che tu abbia semplicemente scavato nella tua coscienza, e abbia visto che in quel momento non eri pronta. Ed è vero, é probabile che non saresti stata al passo con noi se ci avessi seguito. Anche se, quello che Farin ha raccontato ad Elrond dimostra che hai molto coraggio. Non credo tu abbia idea della reale potenza di Melthotiel. Non hai avuto paura, davanti a lei."  spiegó Gandalf.

"Oh sì, invece. E molta. Andriel ci ha protetti da lei. Io non ho fatto che tremare." riveló Helli.

"Non é vero. Hai resistito. In entrambi i suoi attacchi, hai resistito. Non ti sei lasciata convincere a darle il diamante. Un uomo, al tuo posto, avrebbe ceduto." le disse Gandalf. "La Strega Elfo sa usare il suo potere mentale per terrorizzare gli altri. Ma non te. Per non parlare del fatto che ti sei retta sulle tue gambe dinanzi ad Urgost. Quel Drago colossale. Altri sarebbero svenuti dal terrore, sai?"

Helli guardó altrove. "Io mi sento codarda. E questo è tutto. Non ce la faró ad andare il quel Regno, e uccidere Agandaûr. Scapperó ancora, lo so."

"Diciamo, che fino ad ora hai scelto la strada della fuga. Hai scelto la parte più umana di te stessa. Ma non è detto che la cosa ti debba piacere." le disse Gandalf. "E ora andiamo."

Heloise ricacció giù un singhiozzo e seguì Gandalf verso una struttura circolare, che ricordava un gazebo da giardino, ma più largo e imponente. Vide che Lord Elrond era seduto su una delle panche in pietra, pensieroso. La luce della luna bastava ad illuminare quel luogo quasi a giorno.

Gandalf camminava davanti a lei, e non appena mise piede sul pavimento in marmo decorato della struttura, annunció: "La ragazza é qui."

La prima cosa che Helli vide, fu una cascata di lunghissimi, e meravigliosi, capelli biondi. Una figura femminile si stagliava all'orizzonte, le dava le spalle ed era immersa nella visione di quel panorama magico. Una veste lunga e bianca avvolgeva quel corpo alto e delicato, e il capo era ornato da un diadema che pareva molto prezioso.

Era un Elfo femmina, ma doveva essere importante. Non la vedeva in faccia, ma la regale postura le suggeriva che quella davanti a lei era ben più che una semplice conoscente in visita.

Giró lo sguardo a destra e i suoi occhi incrociarono quelli scuri e severi di un uomo anziano, seduto su un altro seggio in pietra. Un uomo molto, molto anziano, la cui lunghissima barba candida, come i capelli, gli si raggomitolava in grembo. 

Helli si voltó verso Gandalf, confusa.

"Vi presento la custode del Mil Naur, una ragazza del territorio del Minhiariath. Ha affrontato Melthotiel..." a quel punto, la donna Elfo si giró e Helli vide la sua bellezza, paragonabile a null'altro avesse mai visto. ".... è sfuggita agli spettri dei Tumuli, e ha stretto un patto con il Drago Urgost. Un'umana speciale, non ne convenite? Heloise é il suo nome."

"Speciale?" commentó l'altro anziano. La guardava con un'espressione a metá strada fra l'annoiato e l'infastidito. "Io direi terribilmente ordinaria, invece."

Helli s'irritó.

"Prima di insultarmi, mi usereste la cortesia di dirmi il vostro nome?" gli chiese, con tono stizzito.

"Oh che sbadato!" esclamó Gandalf. "Nella foga del momento, ho dimenticato di terminare le presentazioni. Cara, lascia che ti presenti Dama Galadriel, del Lothlórien. E costui é Saruman il Bianco."

Helli sentì il cuore perdere un battito.

Come? chiese la voce del suo inconscio. Chi?

"...e, non credo di doverti spiegare chi sono." terminó Gandalf.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 42
*** Il Bianco Consiglio ***


Isadora era affamata.

La cena non l'aveva soddisfatta. Troppa verdura, e il pane elfico non le era mai andato a genio. Ne aveva assaggiato un po' durante il viaggio, ma lo stomaco le si era gonfiato al punto da farla sembrare incinta. Non ne aveva più voluto sapere di quella roba. 
Si chiese come facessero gli Elfi ad andare avanti con una dieta esclusivamente vegetariana. Andriel aveva detto a sua sorella che la sua gente si cibava anche di carne, ma al banchetto di Elrond non ne aveva vista neanche un po'. Tutto quello che era riuscita a mettere sotto i denti erano stati legumi e foglie di insalata insapore.

Era tornata in camera, ma lo stomaco brontolava. Si guardó allo specchio: non aveva intenzione di disfare quella bella acconciatura prima di andare a dormire, era così elaborata che sarebbe stato un peccato.

E ad Eradan era piaciuta.

Isa non riusciva a dare un nome alle sue sensazioni riguardo al ramingo. Quello che provava, era un misto di attrazione e fastidio per i suoi modi bruschi e vagamente sarcastici verso di lei. Era ammaliata dal suo coraggio e dal suo carisma. Dopo tutto, Eradan era il primo guerriero che avesse mai conosciuto, il primo uomo davvero in gamba e forte che aveva incrociato sul suo cammino.

Sam Pontipack, al confronto, era poco più che un ragazzo. Un banale allocco innamorato di lei, ma non un vero uomo. Negli ultimi, burrascosi giorni, si era accorta che pensare al suo fidanzato non le dava più alcuna emozione. Non si sentiva più nemmeno impegnata.

Il fatto spiacevole, peró, era che lasciarsi andare a un vero sentimento per il Dunedain sembrava una scelta pericolosa. Intanto, Eradan aveva improvvisamente iniziato a tenere le distanze da lei.   L'esperienza di Isa in fatto di uomini le aveva insegnato che quelli erano segnali da non sottovalutare. Se c'era una cosa che la più grande delle Foley sapeva, era che quando un uomo desiderava sul serio una donna, faceva di tutto per conquistarla. Invece Eradan le rivolgeva la parola solo lo stretto necessario, e spesso per prenderla in giro. Davvero molto lontano dal comportamento di un uomo innamorato o interessato.

Aveva creduto, aveva sperato, aveva forse frainteso certi suoi atteggiamenti. Ma adesso era tempo di guardare le cose in faccia. E la verità, in fondo, la feriva nell'orgoglio. Non era mai stata respinta da un uomo, mai. 
Lei, al contrario, aveva dato il foglio di via a diversi spasimanti e come ci rimanevano male! Non avrebbe mai creduto che sarebbe toccato anche a lei, un giorno.

Sentì bussare alla porta della stanza che lei ed Helli condividevano. Pensó fosse la sorella.

"Avanti, entra. Che fai lì fuori?" chiese stancamente.

"È così facile entrare in camera tua?" chiese una voce maschile al di là della porta.

Isa si mise in piedi. "Va' via. Che hai ancora da dirmi?" sbottó, mentre le guance diventavano rosse.

"Ho qui una cosa che potrebbe interessarti. Profuma di cioccolato e zenzero. Ma se non la vuoi..." continuó Eradan.

Isa corse a spalancare la porta. 
Vide il ramingo che reggeva un piatto di porcellana, con sopra qualcosa che somigliava molto a una torta al cioccolato. Senza indugiare, Isa prese una fetta e si riempì la bocca. La sensazione che provó fu meravigliosa.

"Eru ti benedica!!" esclamó, con la bocca piena. "Non ci credo...ma dove l'hai trovata??"

"Nelle cucine degli Elfi. Hanno nascosto le cose più buone, credo per evitare che i Nani facciano razzia." rispose divertito l'uomo.

"Oddio...è favolosa!" disse Isa, estasiata. "Grazie!!"

"La cena non è stata granchè, lo so." ribatté il ramingo. "E sapevo che eri ancora affamata. Stavi andando a dormire?"

Isa annuì, masticando goffamente.

"...così presto?" insisté l'uomo.

La ragazza deglutì. "Sono stanca, se permetti. Questa notte dormiró in un vero letto, con vere lenzuola e veri cuscini. E ho intenzione di farlo fino a domani."

"Hai parlato con tua sorella?" chiese Eradan. 
Entró in camera e chiuse la porta.

"A che proposito?" ribattè Isadora, mentre si portava alla bocca un altro pezzo di quell'ottimo dolce.

"Partiremo, a breve. E tu starai qui. Elrond è d'accordo." le disse Eradan.

Isa lo guardó. I suoi occhi azzurri si spalancarono. 
"Perché? No, non voglio!!"

L'uomo le si avvicinó e le tolse con un fazzoletto preso dalla tasca una macchiolina di cacao che le era rimasta sul labbro. "Perché così è stato deciso. Si sta per aprire un nuovo capitolo in tutta questa faccenda. E tu non potrai farne parte. È troppo pericoloso,"

"Se lo è per me, lo è anche per mia sorella!! Non vi fate scrupoli su di lei?" sbottó Isa.

"Non capisci. È stata Heloise ad avere scrupoli su di te. Lei ha chiesto ad Elrond di farti rimanere qui. Teme per la tua vita." le disse Eradan. "E ha ragione."

Isa venne colta dal panico. "...mi lasciate sola, cioè?! Qui?? E che dovrei fare qui con questi Elfi!! No, non mi sta bene!" protestó con veemenza. "Avete deciso per me!"

"Isadora, non essere stupida, per l'amore del cielo! Cosa credi di fare? Venire con noi è inutile, comunque, non sei tu la persona che ha fatto accordi con il drago. Tua sorella ha scelto di cacciarsi in questo problema e tua sorella ne deve venire fuori. Ma tu, tu rischieresti solo la vita. E per nulla." tentó di farla ragionare il ramingo. "Helli non vuole questo. Vuole che tu sia felice. E viva."

"Felice?!" rispose Isa. "Felice di essere sola al mondo? Tu sai già che Helli non tornerà, vero?"

Eradan guardó oltre una delle finestre. "Ci sono poche possibilità."

Isa inizió a tremare. "Insomma, stai parlando di una missione suicida?"

"Non lo so!" esclamó lui. "Non lo so. Ci sono troppi elementi in gioco. Tua sorella è in possesso di un'arma. Ormai l'hai capito. E quello che capiterà ad Angmar puó distruggere la sua vita, o renderla meravigliosa. Se il drago mantiene il suo accordo, se tutto va come dovrebbe, Helli passerà la sua esistenza a benedire questa avventura. Sareste entrambe ricche. Lei andrebbe in quella scuola che tanto desidera frequentare. Rivenderebbe il diamante e sareste coperte d'oro. Vale la pena provare, no?"

"Oppure potrebbe non averla nemmeno più, una vita. E io sarei perduta." commentó Isa. "Una scommessa tragica."

"Elrond non ti caccerebbe via. Ti terrebbe qui. Non aver paura." le disse Eradan. "Non c'è in gioco il tuo futuro."

"E tu?" chiese lei. "Tu che hai da guadagnare in tutto ció? Perché non lasci che Elrond sbrighi la faccenda da solo? So poco di lui, ma ho capito che è un Elfo antico e molto importante. Possibile che non trovi un modo per evitare..."

"Non si puó. Elrond non ha sufficiente potere per togliere tua sorella dall'impiccio. Vedi, i draghi furono creati da Morgoth. Sono creature che popolano questa Terra da moltissimo tempo. Dalla sua genesi, si puó dire. Non è paragonabile la vita di una di queste bestie a quella di Elrond, o di qualsiasi altro Elfo. Non so come spiegartelo, ma sappi che l'unico modo per chiudere questa storia è che Helli faccia quanto ha promesso. O ci provi, almeno." raccontó Eradan. "Io e Andriel andremo con lei. Non sono sicuro che Farin ci seguirà. Ora che si è ricongiunto con Thorin, potrebbe scegliere di unirsi agli altri."

"Non hai risposto alla domanda. Perché vuoi andare con lei? Non sei obbligato." disse Isa.

"Sì, lo sono. Io discendo dai Dunedain del perduto reame di Arnor, i cui Re avevano il compito di difendere i loro territori dalle forze mosse dal Re Stregone di Angmar. Sono un Dunedain del
Nord. È nel nostro codice combattere contro il regno di Angmar." riveló finalmente Eradan. "Capisci, ora, perché non posso lasciare tua sorella sola?"

Isa lo guardava come se non ci avesse capito nulla. "Non mi intendo di queste cose. Non so chi è la tua gente...chi sono i Dunedain, o come diavolo vi chiamate. So solo che vuoi portarti via mia sorella, e lasciarmi sola!!"

"Te la caverai. Anche succedesse il peggio...te la caverai. Bella come sei, troverai un uomo disposto a darti tutto di lui, ed avere cura di te." le disse Eradan.

"Non fai che ripetere queste cose! Ma per chi mi hai presa?!" rinfacció Isa. "Non sono quella che pensi. Non sono una di quelle!!"

"Certo, certo. Riformulo la frase." disse bonariamente Eradan. "Sono sicuro che incontrerai un uomo di cui ti innamorerai pazzamente e sarai felice con lui. Ti va meglio così?"

"Chi ti dice che non l'abbia già incontrato?" mormoró Isadora, con le labbra che le tremavano.

Eradan rimase in silenzio a quella frase. I suoi occhi scrutarono in quelli della ragazza e vi scovarono la verità più scomoda.

"Isadora..." disse, infine. "...ne abbiamo giá parlato. Sono sciocchezze. Tu non provi che ammirazione per me."

"Ma la smetti di ragionare al mio posto?!" esclamó lei. "Come puoi dire che non sarebbe una cosa giusta?"

"Io sono un ramingo. Vivresti con me, come vivo io? Dormendo in grotte oscure, mangiando quando capita? Senza un soldo, o bei vestiti o le belle comodità che hai desiderato tutta la vita? Anche se io tornassi da Angmar vivo, non potremmo mai stare insieme. Lo sai. Perció falla finita con queste fantasie. Pensa a te stessa. Al tuo futuro." tentó di rabbonirla lui, senza credere a quello che diceva.

"Bugiardo. Tu mi ami. Ammettilo!" gli disse lei, avvicinandosi. "Ammettilo, finalmente."

"E dare soddisfazione al tuo ego smisurato?" sorrise lui. "No, cara. Vedi, per la prima volta ti stai confrontando con un uomo che non è disposto a cadere ai tuoi piedi. Capisco che la cosa ti irriti. Ma così va la vita. Delle volte, noi..."

Non riuscì a finire la frase, perché Isadora gli buttó le braccia al collo e gli impose un bacio lungo, travolgente.

Si staccó da lei. "Lasciami stare. Non mi piacciono le donne troppo aggressive." le disse, con un mezzo sorriso.

Ma ormai Isa non aveva più freni. Le sue labbra morbide esplorarono il collo del ramingo, che tutto ad un tratto non fu più sicuro dei suoi princìpi. "...e a me non piacciono gli arroganti..."

Entrambi crollarono sul letto. In un lampo, il bel vestito rosa della ragazza e la casacca verde del Dunedain finirono sul pavimento.

Poi, un dubbio colse Isadora. "Hey..." disse ad Eradan, del tutto arreso a quelle sensazioni che tanto gli erano mancate. "...hai chiuso a chiave la porta?"

🌺🌺🌺

Heloise per un breve momento non era riuscita a inalare nemmeno l'aria. Il suo respiro si era fermato, e aveva temuto che le si fermasse anche il cuore.

Un bell'infarto era ció che ci voleva, per terminare degnamente l'avventura.

Era stata la voce suadente di Elrond, a riportarla alla realtà.

"Sorpresa?" aveva chiesto il signore elfico. "Ció che ti è capitato è arrivato a molte orecchie. Anche alle loro."

Heloise aveva abbassato lo sguardo. L'incontro con Thorin l'aveva riempita di imbarazzo, ma era una sensazione nemmeno paragonabile a quella che provava in quel momento.

Saruman.

Era lì, a un metro e mezzo da lei. Lo Stregone bianco, simbolo del suo più grande sogno.

"Questa ragazza è molto arguta e sveglia, amici miei. E ambiziosa. Smisuratamente ambiziosa. Heloise, vuoi che illustri io i tuoi progetti?" chiese Gandalf, consapevole dello stato emotivo della donna. "Dama Galadriel e Saruman sanno cosa hai passato, ma non sanno perché ti sei cacciata in tutto questo. Meglio chiarire, non trovi?"

Heloise alzó gli occhi per incontrate quelli  della Signora del Lórien, ed ebbe la sensazione che sapesse tutto di lei. I suoi occhi celesti erano pieni di comprensione.

Helli annuì, ma di nuovo l'impulso di scappare bussó alle porte della sua mente.

"Heloise desidera chiedere l'ammissione alla Torre d'Orthanc, Saruman. La tua scuola per maghi mortali. Vuole diventare una tua accolita." disse Gandalf.

"Questa è buona. Più che ambizione, la chiamerei utopia." rispose Saruman. "Non ci sono mai state donne nella mia scuola, e mai ce ne saranno."

Helli osó guardarlo. Gli occhi di Saruman erano molto diversi da quelli di Galadriel. Erano freddi, due pietre nere, nelle quali non era possibile scorgere nulla. Nè indulgenza, nè bontà, nè comprensione.

Non le piacque quello sguardo, e le ricordó vagamente quello crudele e grigio di Melthotiel.

"Le donne sono incapaci di gestire qualsiasi emozione, figurarsi le arti magiche. Sono deboli, o manipolatrici. Sono infingarde, o troppo ingenue. E si fanno sedurre facilmente dai poteri oscuri. Come Melthotiel, del resto." fu la sdegnosa spiegazione dello Stregone. "La scienza non é cosa da femmine."

Helli provó l'impulso di rispondere, ma troppo forte era la soggezione verso Saruman. Cercó dunque solidarietà femminile negli occhi di Galadriel, e scoprì che non  ne avrebbe trovata.

Del resto, Galadriel non era una donna. Era una specie di entità a sè stante, un Elfo femmina che racchiudeva in lei un enorme potere, apparteneva a un piano metafisico distante anni luce da quello di Heloise Foley.

Perció, si rassegnó a ingoiare il rospo.

"Un attimo." intervenne Elrond. "Qui è in corso qualcosa di molto importante. La ragazza ha dato il via a tutto ció, con il suo accordo con il drago. Converrebbe discuterne almeno. Credo che meriti più rispetto da parte nostra."

"È vero." convenne Galadriel. Finalmente Helli udì la sua voce.

La donna Elfo si avvicinó a lei e le sollevó il mento con un dito. "Hai fatto una scelta molto coraggiosa. E non credere neanche per un attimo, che sia stata stupida."

 

Ritorna all'indice


Capitolo 43
*** Il risveglio del Re Stregone ***


"Amici," esordì Gandalf. "...credo sia il caso di riassumere la situazione. Questa ragazza é entrata in possesso del Mil Naur. Sapete qual'é il potere insito nel diamante. Ha stretto successivamente un accordo con Urgost, un Drago rosso delle epoche oscure. Non ci sono modi per rescindere un patto con quelle creature. La promessa di Helli é stata quella di andare fino al regno di Angmar, che ora é un cumulo di pietra. Dovrà scovare Agandaûr, uno dei più fidi combattenti dell'esercito del Re Stregone. Trovarlo ed eliminarlo. Dopo che avrà fatto questo, l'intento del Drago é occupare la fortezza di Gundabad, che delimita i confini di quel regno, e da lì assumere il controllo di tutto quel vasto territorio. In cambio, ha garantito la neutralità di Angmar nella guerra che Sauron vuole dichiarare al nostro mondo."

"Una cosa folle." commentó Saruman. Poi si giró a squadrare la donna. "E tu credi di riuscirci?"

Helli non osó rispondere.

"Che lo creda o meno non ha importanza. Ormai ha dato la sua parola. Bisogna capire cosa possiamo fare per lei." ribatté Gandalf.

"Niente." lo zittì Saruman. "Non c'é incantesimo al mondo che possa salvarle la pelle."

"Ma se Urgost prevede una guerra, é perché sa già qualcosa. Vuol dire che Sauron, il suo spirito, ha dato segni di risveglio." rispose Gandalf. "Questo é preoccupante."

"Sauron é sconfitto. Non puó più recuperare la sua forma fisica." obiettó Saruman.

"Gandalf, per quattrocento anni abbiamo vissuto in pace. Una pace dura da mantenere, per difendere la quale abbiamo dato tutto ció che potevamo." intervenne Elrond.

"Pace?!" chiese stupito lo Stregone. "Ti pare che siano tempi di pace? Orchi distruggono villaggi e uccidono gli umani. Avrete sentito parlare di Arceto, vero? Troll di montagna che escono dalle loro grotte e si avvicinano a cittadine popolate, io li ho visti!"

"Difficilmente questi episodi si possono definire un preludio alla guerra, lo sai." disse Elrond.

"Esatto. Perché cercare un problema dove non c'é?!" disse anche Saruman.

"Lasciatelo finire." disse Galadriel.

Helli avvertì un brivido quando sentì di nuovo la sua voce. Era pacifica, ma autoritaria. Aveva dato un comando, senza che lo facesse sembrare un comando.

"Parlando di Draghi, é stata Melthotiel a ordinare a Smaug di andare ad Erebor, di invaderla, per sorvegliare il tesoro. C'é una forza negativa che si sta servendo del Drago, e dietro l'energia di Melthotiel c'è quella di Morgoth. Sapete che si é unita alle sue schiere millenni fa. Noi possiamo scegliere di non vedere questo, ma alla lunga non potremo ignorarlo. Perché se la distruzione di Erebor ha dato il via a questo, presto si estenderá a Boscoverde, a Gran Burrone, al Lothlórien. E a tutti i territori degli uomini."  continuó Gandalf.

"Bene, allora dicci quali evidenze hai per affermare che é una guerra é in arrivo." lo esortó ironicamente Saruman.

"Voci si sono diffuse ormai su una presenza malvagia a Dol Guldur. Parlano di un Negromante." riveló Gandalf.

"Queste sono leggende che di tanto in tanto si ripropongono. Ne ho sentito parlare anch'io. Ma ritengo che questo Negromante, non sia che un mortale, che si diletta di arti magiche." commentó Saruman.

"Forse uno uscito dalla tua scuola, Saruman?" chiese Gandalf. "Sai cosa si dice dei tuoi vecchi allievi. Molti scompaiono e non si sa dove finiscano."  osó dire Gandalf.

"Chi esce dalla Torre d'Orthanc non ha che un futuro pieno di sapienza a saggezza davanti a sé. Non vengono istruiti stregoni malvagi da me." rispose stizzito l'altro.

Gandalf preferì non continuare. Dopo tutto, Saruman era il capo del suo ordine. Gli doveva rispetto. Ma lui sapeva bene cosa c’era, nell’oscurità di Dól Guldur. Perché c’era stato, molti mesi prima, e aveva visto. E quella nebbia scura che si era parata innanzi a lui, e quell’ombra e la forma di quell’ombra...non lasciavano molti dubbi. Ma doveva fingere di non sapere. Almeno, in presenza del suo capo.

"... tuttavia, Radagast sostiene che a Dol Guldur viva un..." aggiunse, allora.

"Radagast?! Non parlarmi di lui. Vaga come un randagio a Boscoverde e si perde nell'uso di sostanze che gli annebbiano la mente.  Molte volte gli ho consigliato di darsi una regolata. Non é onorevole per un Istari vivere a quel modo. Il fatto che Radagast dica che a Dol Guldur esista un...un...Negromante è la prova che siano tutte sciocchezze." lo fermó Saruman.

"Anch'io l'ho sentito dire." mormoró Heloise. Finalmente era riuscita a sollevare lo sguardo.

Tutti, inclusa Galadriel, si voltarono a guardarla.

"Cosa?" chiese Gandalf. "Cosa, hai sentito dire?"

"Nelle Tumulilande io e gli altri abbiamo incontrato due Dunedain. Luin e Kilaran si chiamavano. Uno di loro, ci ha informati che il loro intento era quello di andare proprio a Dol Guldur, per dare un'occhiata, disse. Hanno sentito voci riguardo al Negromante." disse Helli.

"Ecco! Visto?" esclamó Gandalf.

"Sono solo leggende incontrollate, ve lo ripeto. Come quella che vuole due Silmaril dispersi nel nostro mondo: uno sarebbe custodito ad Erebor. Ricordate che si diceva fosse l'Archengemma di Thror? Ma quella pietra non ha niente a che vedere, ovviamente." disse Saruman.

Helli notó che Saruman si mostrava molto cinico e indifferente a tutte le obiezioni di Gandalf. Si chiese come potesse essere così superficiale. Era strano.

Intanto, Galadriel si era avvicinata a Gandalf. Non parlava, ma Helli ebbe la sensazione che i due stessero comunicando per via psichica, col pensiero.  Dopo essersi scambiati uno sguardo, Gandalf poggió sul tavolo di marmo bianco quel che sembrava un lurido cumulo di stracci. Ma conteneva un oggetto. Dalla forma allungata che s'intravvedeva dal tessuto, non ci volle un genio per intuire che fosse una spada.

Elrond subito si mostró incuriosito da quell'affare e aprì i lembi dell'involucro. Comparve infatti una spada nera, appuntita.

"Una lama morgul!" commentó il signore elfico, attonito.

"Forgiata dal Re Stregone di Angmar." disse Galadriel. 

"Radagast l'ha trovata a Dol Guldur. Ti basta come evidenza, Saruman?"' chiese Gandalf.

"Dovrebbe essere sepolta con il suo proprietario. Come puó essere tornata alla luce?" ragionó Galadriel. "E se quell'essere si fosse giá risvegliato? A nostra insaputa."

"Non è da escludere. Dopo tutto, sua moglie vaga indisturbata per la Terra. Ed è sparita da un po'. Forse per ricongiungersi a lui?" si domandó Gandalf. "Sarebbe tragico."

"Che prove abbiamo che questo oggetto venga da Angmar?" fu l'ennesima obiezione di Saruman. "Potrebbe essere una spada perduta da un Orco."

Helli, pur con tutta la soggezione che provava verso di lui, cominció a innervosirsi.

"Voi cercate grane inutili. E a proposito di Thorin Scudodiquercia, io sono contrario a questa impresa dei Nani, Gandalf. Rischiamo di provocare forze che non devono essere toccate. Smaug ha occupato la Montagna e non possiamo che aspettare che muoia da sè. O che se ne vada. Entrare a Erebor lo farebbe infuriare e che Eru ci salvi, se succedesse." continuó Saruman.

"E in quanto a Urgost ed Heloise?" chiese Gandalf. "Qui la faccenda é più complessa."

Lo Stregone bianco osservó la ragazza e inarcó un folto sopracciglio nero. 
"La cosa non mi riguarda."

🌺🌺🌺

"Cerchiamo di essere lucidi, e realisti." disse Elrond. "Cosa sappiamo dei Draghi? Che erano esseri malvagi, creati da Morgoth, ma presto hanno preteso una sorta di indipendenza. Non hanno voluto più padroni. Per riportarli nelle loro fila, il Re Stregone ha creato il Mil Naur e ha evocato Morgoth poiché lo impregnasse del suo potere. Lo ha poi donato a sua moglie, che lo ha usato per spingere Smaug a invadere Erebor. E per un errore della Regina Strega, il diamante é finito fra gli Uomini, che non l'hanno usato. Almeno, non prima che nella storia sbucasse questa esile giovane."

Si voltó verso Heloise, rossa come un pomodoro.

"Ma Urgost non é sottomesso a Sauron. Non vuole servirlo, insomma. Teme solo il suo potere." la ragazza riveló, "...per questo vuole che sia io, con Eradan e gli altri, a eliminare Agandaûr. Ha paura che Sauron possa vendicarsi. Lo ha detto chiaramente."

"Ti credo." rispose Elrond. "E credo che Urgost sia stato sincero. E' davvero probabile che voglia il dominio totale su Angmar. I Draghi sono terribilmente attratti dai tesori in oro... e dal potere."

"In effetti, se il Drago avesse pieno controllo su Angmar, e impedisse a quel regno di unirsi a Mordor, le forze di Sauron sarebbero dimezzate." commentó Gandalf. "Con Angmar fuori dai giochi, il pericolo sarebbe molto meno grave."

"Ma sentite cosa dite? Chi vi assicura che un Drago mantenga una parola? Se gli lasciaste il dominio di Gundabad, potrebbe al contrario scatenare con il Re Stregone una catastrofe. Allearsi a lui, infine." reagì Saruman. "Io dico che questa ragazza deve rispondere delle sue azioni, e non dobbiamo intervenire, nè aiutarla.  Vada a Carn Dûm, se crede, ma non dobbiamo immischiarci. Tanto, difficilmente tornerà. Viva."

Heloise si sentì ferita a quelle parole. Si sforzó di rispondere. "Illustre Saruman, avevo un sogno. Per seguire quel sogno, mi sono cacciata in un guaio gigantesco. Ma dopo avervi conosciuto, capisco di essere stata una stupida."

Saruman la guardó severamente.

"...io credevo voi foste saggio, ma soprattutto giusto. Credevo sapeste prevedere e riconoscere tutti i pericoli che possono minacciare questo mondo. Volevo la vostra stessa sagacia. Il vostro intelletto. Ammiravo gli Stregoni. Ma non avrei mai creduto che foste così superficiale."

"Come mi hai chiamato?!" chiese costernato il vecchio mago.

"...superficiale. Tutto quello che ha detto Gandalf é vero. E se non bastano le sue opinioni, io ero là, e ho visto. Ho sentito il Drago parlare, so cosa vuole. Se afferma che una guerra sta per arrivare, vuol dire che é vero. E mi ha detto di non volerne far parte, offre la neutralità in cambio di Angmar. Perché avrebbe mentito? Perché ha lasciato vivi Eradan e gli altri? Vuole che terminiamo l'impresa. Vuole che Agandaûr venga eliminato. Voi, peró, non fate che chiudere occhi e orecchie davanti a tutto. É un comportamento che davvero non mi aspettavo e che non fa onore all'immagine di Saruman che avevo in mente."

Saruman socchiuse gli occhi. "Attenta, giovane. Non si parla a me in questo modo."

"Heloise," intervenne Elrond. "Hai ancora quel sogno dentro di te, vero? Tu vuoi ancora entrare nel circolo dei grandi sapienti della Terra di Mezzo?"

Helli chiuse gli occhi. "Voglio la conoscenza, e voglio padroneggiare la scienza. Sì. Alla luce di tutto quel che succede, ancora di più. Ma non più a Isengard, a questo punto."

"Su questo ci puoi giurare." sibiló Saruman.

"Allora, te la offro io." disse Elrond. "Se credi di esser nel giusto, se credi alle parole e alle promesse di un Drago, se tornerai vittoriosa, se il tuo agire aiuterà questo mondo in qualche modo... saró io il tuo precettore. Nella Torre d'Orthanc avresti imparato molto, ma non più di quello che impareresti qui."

"Ha!" sbottó Saruman. "Elrond non ha di meglio da fare che diventare tutore di una ragazza impudente?"

"Se la ragazza ha ragione, una mossa importantissima verrà compiuta. Neutralizzare l'influsso del Re Stregone su Angmar sarebbe una piccola vittoria già di per sè. Nemmeno lui oserebbe affrontare un Drago." ragionó Elrond.

Helli vide Gandalf sorridere di trionfo.

"Ma come potrete arrivare fin lassù? E scovare l'antro di Urgost?" chiese Galadriel.

"Volando." disse Gandalf. "É l'unico modo. E volando arriveranno velocemente oltre le Montagne Nebbiose, c'é Radagast da trovare a Bosco Atro. Se non fornisce loro indicazione su come individuare la tana del Drago, sarà tutto inutile. Solo lui, lo sa."

"Vo-lando?" ripetè Heloise. "Cioè?"

"Thranduil li farebbe arrestare se gironzolano nel suo territorio. Non ama gli intrusi e ancora meno i segreti. Li rinchiuderà fino a quando gli diranno perchè sono entrati nei suoi confini, e quando scoprirà che c'è di mezzo un Drago... che vogliono aiutare un Drago...non li libererà più. Lo sapete cosa gli è successo a Dagorlad, contro un Drago. Lo ha sfigurato." commentó Saruman. "Odia quelle bestie."

"Non succederà. Thranduil non saprà che Eradan e gli altri saranno passati dal suo territorio." ribattè Gandalf.

"...mi spieghi cosa vuol dire che...voleremo?" aggiunse Heloise, agitata.

"Ho molti assi nella manica, cara mia." disse Gandalf, facendole l'occhiolino. "Molti amici, fra le mille creature di Arda."

 

Ritorna all'indice


Capitolo 44
*** Nohmus ***


Heloise decise che ne aveva avuto abbastanza per quella notte.
L'incontro con Galadriel e Saruman l'aveva del tutto spossata. Le tempie le pulsavano dolorosamente e un nuovo pensiero assillante aveva ghermito la sua coscienza come gli artigli di un falco.

Allora succederà davvero. Dovró sul serio andare fino in fondo a questa storia. Non ci sono scorciatoie.

Si era augurata con tutto il cuore che Elrond trovasse una soluzione. O Galadriel. Si era augurata che i due potenti Elfi la levassero da quell'intrico di rovi in cui era caduta. Ma non c'erano più speranze. Era affar suo, ormai. Era un destino immodificabile.

Tutto a causa del suo sogno, entrare nella Torre D'Orthanc che ora non le sembrava più "la grande impresa".

Era bastato conoscere Saruman, per spezzare l'illusione. Quel canuto uomo davanti a lei non le era affatto parso saggio, nè carismatico, nè generoso. Al contrario, aveva fatto nascere in Helli un insopportabile disagio.

C'era qualcosa di malefico nello Stregone.

Non era  come Gandalf, non aveva la sua aura rassicurante, e non le dava  l'impressione di stare dalla parte giusta della Terra di Mezzo. Peró era anche il capo dell'Ordine a cui Helli aveva desiderato appartenere, e quell'improvvisa presa di coscienza l'aveva fatta sprofondare ancora di più nella confusione.

Ho mandato alla malora la mia vita. E l'ho fatto per il motivo sbagliato.

Gandalf, a conclusione del concilio, se n'era venuto fuori con la proposta di far uso delle Grandi Aquile, con le quali aveva un rapporto piuttosto amichevole, a detta sua. Riteneva che cavalcare quelle creature sarebbe stato il modo più rapido per arrivare a Bosco Atro dove viveva Radagast il bruno.

Heloise aveva letto qualcosa sulle Aquile, giganteschi rapaci che si supponeva fossero Maiar in forma animale. Aveva letto di Thorondor, il re di quegli esseri, e dei suoi due figli Gwaihir e Landroval. Gandalf sperava di affidare proprio a questi due fratelli il compito di trasportare Eradan, Helli e Andriel fino a Bosco Atro. Restava da capire se Farin si sarebbe unito alla nuova missione, o se avrebbe scelto di seguire Thorin verso Erebor.

Ma il piano di Gandalf poteva anche andare alle ortiche, perché quegli immensi uccelli non erano servi degli Stregoni, avevano anzi una grande dignità. Non regalavano il loro aiuto. Potevano anche non rispondere al richiamo del mago. In tal caso, l'impresa da difficilissima darebbe divenuta impossibile. Arrivare a piedi al territorio di Thranduil avrebbe richiesto settimane e settimane di cammino.

Urgost non avrebbe aspettato troppo. Non aveva dato un limite di tempo per terminare l'impresa, ma Elrond li aveva ammoniti che i Draghi non avevano pazienza, ed erano sordi alle giustificazioni.

Doveva darsi una mossa.

Helli si portó le mani al viso, esasperata. Pensó che sarebbe morta a vent'anni. Pensó che la vita era stata ingiusta verso di lei e che il detto "prima o poi la ruota gira", andava bene solo per il mondo dei sogni. Nel mondo vero la ruota non girava mai per il verso giusto, anzi, nelle ultime settimane aveva iniziato anche a cigolare sonoramente. Penso ai suoi genitori, entrambi morti senza che avesse potuto salutarli per l'ultima volta.

Pensó a Isa. Realizzó che sua sorella aveva già conosciuto l'amore svariate volte, e lei mai, e che comunque Isadora avrebbe continuato con la sua vita, soddisfatta e appagata, mentre lei sarebbe morta senza aver mai conosciuto la felicità.
Provó invidia verso la sorella e se ne vergognó.   Erano pensieri così stupidi, date le circostanze.

Arrivata alla porta della camera che condivideva con lei, provó ad abbassare l'elegante maniglia a forma di foglia, e si  accorse che era bloccata.
Isa aveva chiuso la porta a chiave.

Helli fece per bussare, stupita, e poi si fermó.

Eradan è con lei.

Ma certo, era stata solo questione di tempo prima che capitasse. Quei due si erano mangiati con gli occhi praticamente dal primo incontro.

Helli di nuovo sentì un fiotto gelido scorrerle lungo la schiena. Quella brutta gelosia che provava sempre quando Isa incideva un'altra tacca sul suo segna punti personale e lei rimaneva a zero.

Alzó il pugno per picchiarlo furiosamente contro la porta e interrompere quello che stavano facendo, qualsiasi cosa stessero facendo. Ma riuscì a controllarsi.

Non essere patetica. Va' a cercarti un altro posto dove dormire e lasciali in pace. Potrebbero non vedersi mai più. Fu aggrappandosi a questo pensiero che si trattenne dal fare la guastafeste.

Inaló un lungo respiro e si allontanó lentamente dalla porta decorata con simboli elfici. 

Già, ma anch'io potrei morire. E chi sentirà la mia mancanza? Chi penserà a me? si chiese, conoscendo la risposta.

Nessuno.
Certo Isadora avrebbe sofferto, era sua sorella dopo tutto. Ma la conosceva abbastanza da sapere che avrebbe trovato modo di risollevarsi e andare avanti, del resto aveva assistito al brutale omicidio della loro madre e questo non le aveva impedito di trovarsi un amante nuovo di zecca qualche settimana dopo, con il quale stava testando la resistenza del mobilio di Elrond, probabilmente.

Andó verso una balaustra bianca, che proteggeva da un dislivello inferiore. Osservó la notte e le alte cascate, che sembravano non avere un fondo.

E allora perché non risolvere la faccenda a modo mio? Facendo quello che ho sempre fatto? Scappando? si chiese.

Gettarsi da uno di quei crepacci le parve d'improvviso una soluzione più che accettabile. La sua morte per suicidio avrebbe spezzato il patto col drago. Il Mil Naur sarebbe precipitato giù con lei e sarebbe sparito agli occhi del mondo. Sua sorella non avrebbe dovuto separarsi da Eradan.

E in quanto ad Urgost, Agandaûr e i due malefici coniugi regnanti ad Angmar...beh, affari loro. Che trovassero pure un altro umano da torturare. In fondo, lei che c'entrava? Il male era sempre esistito nella Terra di Mezzo e i popoli liberi convivevano con esso fin dalla creazione. Tanto, Sauron presto o tardi avrebbe fatto la sua mossa, e che Angmar fosse stata al fianco di Mordor o meno, le cose non sarebbero granché cambiate. 

"Non dormi?" chiese una voce, facendola urlare dallo spavento. Si giró.

Nohmus era a due passi da lei, le mani giunte dietro la schiena, lo sguardo indagatore.

"Lord Elrond vi ha dato camere elegantemente arredate.  Non hai gradito la sistemazione?" chiese il soldato.

Helli deglutì. "Sì è meravigliosa. Ma non posso dormirci, adesso."

"Cosa te lo impedisce?" volle sapere l'Elfo.

"La condivido con mia sorella e ora lei... la condivide con qualcun altro, ecco." ammise Heloise. Di nuovo, avvertì un brivido sulla schiena, ma stavolta non fu una sensazione sgradita.

"Il ramingo, suppongo. Se la intendono. L'hanno notato tutti." commentó Nohmus, poggiando le mani sulla balaustra. "E ti ha lasciata fuori, a dormire all'aperto."

"Tanto non ho sonno." rispose Helli.

"Ho sentito qualcosa a proposito di te. Dicono che hai una maledizione addosso. Che te la sei cercata." disse Nohmus.

"Dicono il vero." ammise Helli. "Ma forse ho trovato il modo per liberarmene."
Poi i suoi occhi fissarono di nuovo il fondo del burrone.

"Togliendoti la vita, cioè." aggiunse Nohmus. "Ti leggo negli occhi quest'idea terribile. Nessuno puó gettar via ció che Eru gli ha donato. Commetteresti un grande delitto. Il più grave."

"Con tutto il rispetto, Comandante, tu non sai cosa sento dentro di me. E in quanto a Eru, non ha a cuore i suoi figli, se permette ai figli di Morgoth di spadroneggiare su questa Terra." reagì lei. "La mia vita è un problema unico. Lo è per me, e per altri. Sarebbe un gesto d'onore andarmene."

Nohmus tornó a guardarla con i suoi profondi occhi scuri, neri come la notte.
"Tu non sei così. Non credo tu abbia mai fatto discorsi simili, prima d'ora. Vero?"

"Negli ultimi giorni il mio umore è peggiorato, sì. Forse sto lentamente realizzando cosa mi è capitato. Forse prima non volevo vedere." ribattè la donna.

"No non sei tu. É quella pietra. Perché la porti al collo? Chi ti ha consigliato di tenerla contatto con la tua pelle?" chiese Nohmus, togliendosi la fusciacca dalla vita. "Lascia che ti aiuti." 

"Eradan mi disse di indossarla,  per non perderla e perché tanto su di me non ha effetti." rispose Helli.

"Falso. Ti sta avvelenando la mente.  Quel diamante è carico di magia negativa. L'ho capito appena lo vidi. Avvolgilo in questa." spiegó Nohmus, togliendole la collana. Poi fece un piccolo fagotto e lo porse alla ragazza. "E non toccarla più. Fino a che quel potere nero sia stato eliminato."

Helli si accorse che il mal di testa era d'improvviso svanito. Si sentì alleggerita. "Mi sento meglio, infatti."

"Voi umani siete capaci delle più grandi idiozie. Indossare un oggetto maledetto e credere di esserne immuni." commentó l'Elfo.

"Tu non hai simpatia per la mia razza. Andriel me l'ha detto. Perché?" chiese Heloise, che non si sentiva più tanto in vena di tuffarsi dai burroni.

"Siete sciocchi, e per lo più ignoranti. Avidi o furbi, vigliacchi o arroganti. Non conoscete moderazione, spiritualità, o desiderio di contemplare la bellezza della Natura. Sapete solo fare i vostri interessi. Egoisti, pavidi, deboli..." disse Nohmus, guardando la luna.

"Hey, non ti pare di esagerare? Io amo la sapienza, anelo a imparare! Era il mio progetto, prima di..." lo fermó Helli.

"Sì, Elrond mi ha informato della promessa che ti ha fatto. Diventerà il tuo precettore, se tornerai da questa misteriosa missione di cui non mi ha voluto parlare.  Elrond ha educato e istruito Andriel prima di te. Ma ha avuto mille anni per farlo e ancora la sua formazione non è completa." le disse Nohmus.

"Incoraggiante, davvero." disse Helli. "Sai, non si dovrebbe parlare a questo modo a una persona che sta facendo l'equilibrista sull'orlo della depressione."

Nohmus la guardó di nuovo, severamente. Poi Helli ebbe l'impressione che un angolo della sua bocca di incurvasse un poco, come a trattenere un sorriso. Quell'Elfo non era certo gioviale. Bellissimo da togliere il fiato, ma certo non un simpaticone. Forse il suo ruolo di austero capitano gli impediva di lasciarsi andare.

"Seguimi." le disse, d'improvviso.

"Dove?" chiese la ragazza.

"Vuoi sul serio dormire all'aperto? Imladris è un luogo protetto, ma non dal freddo." aggiunse l'Elfo. "Ti assegneró un altro alloggio per stanotte."

Helli seguì con un po' di ansia il Comandante che la condusse attraverso viottoli e cespugli fino a una grande costruzione, la più grande di quel regno. C'era una moltitudine di balconate, segno che era abitata da molti Elfi. Ognuno col suo spazio.

Una scala stretta conduceva a un piano superiore.

"Qui dentro vivono molti di noi. Noterai il silenzio. Amiamo il silenzio della notte. Non disturbarlo, perció." diceva il Capitano, incamminandosi verso un corridoio illuminato da una fila di candele. Si fermó davanti a una porta. La aprì senza usare alcuna chiave.

"Dormirai qui. È il mio alloggio. Io sono di ronda fino all'alba. Domattina, il sole penserà a svegliarti." le disse Nohmus.

Helli divenne rossa. "Addirittura nel tuo... mi spiace dare disturbo, non era necessario."

"Non lo faccio per te. Ho un compito. Elrond si è raccomandato di tenervi d'occhio. Tutti voi. È mia responsabilità. Non posso lasciare che vaghi per il nostro regno a notte fonda e con strane idee in testa. Dormi qui stanotte, e domattina partirai. Lì c'è dell'acqua. Buon riposo." le disse il Comandante, freddamente, e poi chiuse la porta.

"Posso almeno..." disse Helli, ma la frase le morì in gola. Nohmus si era già allontanato.

...ringraziarti?

Giró lo sguardo intorno e si ritrovó a pensare che quell'esperienza si stava in fondo rivelando educativa. Non immaginava come fosse l'antro di Urgost, ma almeno aveva scoperto com'erano le camere degli Elfi. Quella che avevano dato a lei e Isa era stata adattata a ospitare due umane, avevano aggiunto specchi, qualche sedia, perfino una toeletta completa.

L'alloggio di Nohmus era molto più spartano. Un letto, un catino con acqua fresca, una finestra senza vetri, ma con pannelli in legno per arginare il freddo e la luce del sole. E una piccola brace in quel momento spenta, all'interno di un abbozzo di camino. E libri, disposti sugli scaffali a muro. Molti libri. Fine.

Immaginó che quello fosse uno spazio solo per dormire e meditare. Era intuibile il perché dello scarno arredamento. Una specie di tana.

"Beh, dato che sono qui, tanto vale provare a dormire." disse ad alta voce Helli. Tale era il silenzio, che le sembró di avere urlato. Poggió il fagotto contenente il Mil su uno degli scaffali.

Si avvicinó al catino e con una mano si portó dell'acqua alla bocca. Non era abituata a bere a quel modo e l'acqua le andó di traverso, si ritrovó a tossire come una forsennata. Ci riprovó e la seconda volta l'acqua andó giù liscia.

Si spoglió e s'infiló nelle coperte. Non faceva freddo, nonostante l'assenza di vetri alle finestre. Appena chiuse gli occhi, l'abbraccio del sonno la fece sprofondare nelle tenebre, senza un mormorìo di protesta.
Helli dormì.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 45
*** Mattino ***


Riaffioró dall'oblìo del sonno un bel po' di ore dopo, consapevole solo di questo: il sole si era affacciato alle finestre senza vetri esposte ad ovest e lei era piena di appetito. E di paura... per qualcosa che sulle prime non ricordó. Poi il fumo del dormiveglia svanì e le sovvenne: stava per partire per un viaggio pericolosissimo e c'erano serie possibilità che quello fosse il suo ultimo risveglio in un vero letto.

Si issó, spingendo così decisamente con le gambe da fare cadere il lenzuolo al lato del giaciglio. Era comodo, quel materasso elfico. Si chiese se Nohmus l'avesse riempito di piume d'oca o che altro. La sua schiena aveva tratto giovamento dal riposo confortevole, e anche le sue tempie avevano ritrovato la pace dei sensi. Niente emicranie, niente fitte.

Ma aveva fame. Come Isadora, anche Heloise non aveva goduto granchè della cena elfica. Insalata, cereali e ancora insalata. E vino, che di certo non aveva calmato gli spasmi dello stomaco.  Abbandonó la testa all'indietro sul guanciale e chiuse gli occhi. Le venne voglia di addormentarsi ancora, ma si ricordó che poteva arrivare qualcuno improvvisamente. Qualcuno con lunghi capelli corvini e profondi occhi neri, e un viso dalla bellezza abbagliante. Già, e cosa avrebbe fatto se l'avesse vista lì, svestita e addormentata nel suo letto?  C'era poco da aver paura, gli Elfi non passavano per creature pericolose in quel senso, o schiavi degli istinti carnali come potevano essere certi Uomini... ma non si poteva mai sapere.

Non che ti dispiacerebbe, vero? Sentì la voce squillante di Isa nella mente. È tempo che inizi anche tu, sorella. Ti ostini a rimanere casta e pura ma la vedo dura. In fondo, abbiamo lo stesso sangue, non puoi essere tanto diversa da me.

"Sì, invece!" gridó Helli. "Sta' zitta! Zitta, per la miseria."

Basta. Devo alzarmi subito, pensó immediatamente dopo.

Compì uno sforzo mentale notevole per uscire dalla fase del dormiveglia, e il risultato fu uno spasmo corporeo che la fece vibrare fino alle ginocchia.

Si alzó in piedi, portandosi entrambe le mani alla fronte perché vide il pavimento girare sotto di sè, e poi riuscì a raccattare il suo abito color latte e ad infilarselo.
Andó verso una delle finestre e aprì un'anta di legno: il sole irruppe nella stanza illuminandola.

Il clima di Aprile era ancora piuttosto freddo, ma i raggi violenti del sole portarono con loro un inaspettato calore.

"L'alba." commentó Helli.

"No. È già la decima." sentì dietro di sè. Con un suono sgradevole simile a uno schiocco, un singulto di paura le eruppe dalla faringe. Si voltó e vide Nohmus. Era entrato nella stanza qualche secondo dopo la sua levata. Tempismo perfetto.

"Dì, potresti smetterla di sgattaiolare alle mie spalle?!" protestó lei, sistemandosi goffamente i capelli.

"Questa è la mia abitazione, te lo ricordo. Entro quando e come voglio." rispose l'Elfo. Non sembrava stanco dalla nottata passata di guardia. Ma Helli aveva saputo da Andriel che gli Elfi dormivano pochissimo e potevano passare anche diversi giorni senza chiudere occhio. Perció non si stupì.

"...e che vuol dire che è la decima?" chiese allora.

"La decima ora. Così mi hanno detto che calcolate il tempo voi mortali." ribattè il Capitano.

"Ah, le dieci del mattino intendi...maledizione, è tardi." riflettè Helli.

"È successa una cosa. I Nani sono fuggiti questa notte." annunció Nohmus, con noncuranza. "Il tuo amico è ancora qui, peró. Quello arrivato con voi."

Helli spalancó la bocca. "Thorin e gli altri?! Ma perché?"

"Non lo sappiamo. Lindir ha portato la notizia, li ha visti allontanarsi di gran carriera dal cancello occidentale. So che Thorin aveva scambiato alcune parole con Lord Elrond, qualche ora prima. E che era uscito irritato da quell'incontro. Non c'è da stupirsi... sono Nani. E perció pazzi di natura."  commentó freddamente Nohmus. "Lo Stregone è rimasto."

"Ma non eri di guardia? Te li sei fatti scappare...o forse... hai lasciato che fuggissero?" chiese Helli.

Nohmus inarcó un sopracciglio, piccato. "Ero in un'altra parte del regno quando è successo. Avrai notato l'estensione di Rivendell, suppongo."

"E Gandalf... è rimasto per richiamare le Grandi Aquile. Per me, e per Eradan. Voleremo su quegli esseri, questa è la sua idea." esclamó Helli, rabbrividendo. "È tutto così irreale!"

"Mi sembri molto confusa. Attenta. Dovrai avere sangue freddo d'ora in poi. Più di quanto credi." le disse Nohmus. "Credo ti stiano aspettando. Affrettati."

"Senti... ti vorrei ringraziare. Per l'ospitalità, cioè. Anche se l'hai fatto per dovere, è stato un gesto importante. Non so dove avrei dormito altrimenti. E avevo davvero bisogno di riposare." disse lei. "Se mi permetti, vorrei riassettare il letto. Non mi va di lasciarti l'alloggio in disordine." continuó la donna.

"Lascia stare. Tanto brucerò le lenzuola." rispose Nohmus, senza muovere un muscolo facciale.

"...come?" chiese Helli, interdetta.

"Ci ha dormito un umano." continuó l'Elfo.

La ragazza rimase inebetita da quelle parole. Studió la creatura, per vedere se stesse scherzando o meno. "Sei serio?"

"Ho l'aria di uno che non lo è?" ribattè Nohmus. "E ora fuori, svelta. Va' a chiamare tua sorella. A quanto pare lei e il Dunedain ancora non si sono visti."

Helli lentamente uscì dalla camera, lasciando Nohmus sulla soglia. Poi si voltó. "...bruci le lenzuola perchè ci ho dormito io?" gli chiese, ancora incredula.

Un sorriso vero, allora, si distese finalmente sul bel viso del Comandante di Rivendell. Helli capì che era stata una burla per provocarla. "Stupido!" gli gridó e corse via.

"Sì forse lo sono." commentó Nohmus, dopo che la ragazza fu sparita dalla sua vista. Quella gli si sarebbe lanciata fra le braccia all'istante, lo aveva capito. E la scusa di sistemare il letto, era un pretesto per rimanere ancora un po' con lui. E magari finire per mandarlo all'aria sul serio, il letto. Che sciocca.
Erano così le umane: frivole e superficiale e deboli, quando si parlava di cedere alla lussuria. Ed era cosa nota fra gli Elfi, che farsi due capriole con una di quella razza era un grande spasso. Quella volta che Aléan era stato nel villaggio di Brèa per comprare sementi e aveva finito per essere letteralmente trascinato nella casa di una ragazza del posto...come si chiamava?
Ah sì, Lisel, si rispose.

Gli aveva raccontato che l'avevano fatto tutta la notte e la ragazza era svenuta tre volte e che la seconda gli era venuta la tentazione di darsela a gambe, temendo fosse morta. No, le donne umane non sopportavano la frenetica sessualità degli Elfi. Ma a lui comunque era piaciuto , aveva detto. E anche a quella Lisel, che il giorno dopo aveva raccontato tutto a mezzo paese.

Nohmus non era fatto così. Uno qualsiasi dei suoi soldati avrebbe approfittato della situazione di avere un'umana cotta di lui in camera sua, e se ne sarebbe vantato. Ma non lui, il gelido Nohmus di fronte a cui perfino sua sorella Eulalie tremava.

E poi, non ne aveva voglia. Quel mattino Elrond lo aveva informato che gli sarebbe toccato partire con la sua compagnia verso i territori del Nord, alla ricerca proprio di Eulalie e degli altri, che ancora non erano tornati dalle perlustrazioni. Una grana bella e buona.

Guardó la stanza, il catino d'acqua da cui la donna doveva aver bevuto, perché qualche macchiolina d'acqua era rimasta sul pavimento. Si stiracchió le braccia e si tolse finalmente la casacca nera. Si sedette sul letto e avvertì un profumo di vaniglia, probabilmente lasciato dall'umana.

Nohmus aveva sensi sviluppati e grande abilità nel cogliere i dettagli di ció che lo circondava, ma non in quegli attimi. Era stranamente stanco, e vagamente amareggiato. Per cosa, non sapeva con precisione.

La voglia di assopirsi infine prese il sopravvento e quando si coricó sulle lenzuola sfatte, e guardó un ultima volta il soffitto e gli scaffali colmi di libri sui muri, non si accorse del fagottino rimasto su uno di essi.

🌺🌺🌺

"Che fai...perché ti sei già vestito?" chiese Isadora, ancora assonnata. Una mano candida si alzó per accarezzare la fronte. Sentì i suoi capelli tutti sparsi sul guanciale. La bella acconciatura elfica non aveva retto a una notte di passione. Peccato, pensó. Era una meraviglia.

"È già alto il sole. Gli accordi con lo Stregone erano di vederci dopo l'alba." rispose Eradan, legandosi la cinta alla vita.

"No. Decisamente non mi piace così." si lamentó Isadora. Seduta sul letto, si coprì i seni col lenzuolo.

Questo divertì il ramingo. "Perché ti copri? Ho già visto le tue grazie."

Isa non abboccó al tono scherzoso. "Non mi piace che lasci il letto mentre dormo. Te ne volevi andare in silenzio?"

"Devo presentarmi con tua sorella da Gandalf. È tempo di partire. Ed Heloise...sa il cielo dove avrà dormito." osservó Eradan. "Non ci pensi?"

"Avrà passato la nottata a chiacchierare con lo Stregone e l'Elfo...Elrond. Un sogno, per lei. Non mi preoccupo, no. Ma torno a dirti, che non mi piace che te ne vai così." insisté Isa.

"Hey," rispose Eradan, fissandola negli occhi. "Sapevamo com'era la storia. E' stato un capriccio per entrambi. Ma non significa che stiamo insieme."

Isa balzó in piedi, avvolgendosi con il lenzuolo. "Tu non puoi usarmi e poi buttarmi via. Lo capisci, questo? Lo capisci?" sembrava arrabbiata e ferita. "Non ricordi cosa mi hai detto stanotte? Hai detto che credi di amarmi!"

Eradan resse lo sguardo. "Credo di non aver mai provato per nessuna quello che provo per te. Questo ti ho detto. Ed è un tantino diverso."

Isa incurvó le labbra, nella smorfia di una bimba imbronciata. "Non puoi fare l'amore con una donna, e lasciarla il giorno dopo."

"Lo sapevi. E ti andava bene. Ora non affliggermi, ti prego. E poi, questa cosa non dipende da me. Lo Stregone vuole provare a convocare oggi le Grandi Aquile, se rispondono al richiamo, dovremo partire. Non attenderanno." si giustificó Eradan. "Basta, Isa. Tu stai qui. E sarai al sicuro."

"Sei un vigliacco. Come osi trattarmi così, come fossi una zavorra?" sibiló Isa.

Eradan sospiró.
"E va bene, insultami. Odiami. Ma ora lascia che esca da qui."

"Mai nella mia vita, ho permesso a un uomo di entrare nel mio letto e lasciarmi il giorno dopo." disse Isadora. Negli occhi celesti le lacrime avevano lasciato il posto a un luccichio di rabbia.

"Scusa, faccio fatica a crederci." fu la risposta del Dunedain, che poi non reagì alla sberla che arrivó fulminea.

La verità è che stava indossando la maschera del seduttore senza scrupoli, ma niente era più lontano dai suoi reali sentimenti. Si era sul serio innamorato di lei, ma la cosa andava chiusa subito. Stava per partire e probabilmente, o certamente, non sarebbe tornato. Preferiva credere che Isa, se si fossero lasciati con un litigio, avrebbe presto dimenticato le ore spese con lui, e nel tempo avrebbe trovato un nuovo amore, stavolta definitivo. Se invece avesse scelto una melodrammatica promessa d'amore eterno, lei avrebbe speso i giorni, mesi e anni successivi nella speranza di vederlo tornare. Sempre col dubbio nel cuore: è morto, o é vivo, lontano da me? Magari con un'altra?

No, non poteva condannare Isa a questo. Sarebbe stato troppo crudele. Troppo egoista.

"Ti auguro il meglio dalla vita. E lo otterrai, ne sono certo. Buona fortuna." le disse allora, in tono freddo. "E grazie per quello che mi hai dato stanotte. È stato molto bello."

"Non posso crederci..." mormoró Isa. "Lo stai facendo davvero."

Eradan si giró e aprì la porta.

Apparve Helli, il braccio alzato e il pugno chiuso. Stava per bussare. Eradan non disse niente, e abbassó lo sguardo, imbarazzato e un po' triste.

"Beh, almeno siete svegli." commentó lei.

"Scusaci. Non avremmo dovuto." disse Eradan.

"Figurati. Tutto previsto." replicó seccamente Helli.

"Sì, comunque...Gandalf attende. Vieni alla rotonda del Bianco Consiglio appena puoi. E porta l'essenziale con te. Andriel starà aspettando, anche lei." ribatté Eradan.

"I Nani sono scappati, lo sai?" annunció Helli.

Eradan aggrottó le sopracciglia. "Quando?"

"Stanotte. Ma non Farin. Lui è rimasto ho saputo." continuó la ragazza. "Ti consiglio di cercarlo e parlare con lui."

Eradan annuì. "E tu, sta' un po' vicina a tua sorella. Ha bisogno di te. Ma poi salutatevi."
detto ció, sparì entro uno dei corridoi.

Helli entró nella camera e chiuse la porta. Vide Isa seduta alla toeletta, che provava invano a intrecciare i capelli come avevano fatto le dame elfiche. Vide che singhiozzava.

"Che fai?" le chiese, avvicinandosi.

Sentì la sorella tirare su col naso. "Provo a rimettermi in ordine...ahi!" le sfuggì. Si era punta con un fermaglio. Prese l'oggetto e lo scaglió in un angolo della stanza. "...questi aggeggi della malora!"

"Che ti prende?" insistè Helli. Una domanda fin troppo stupida, dalla risposta scontata. "È successo qualcosa di brutto...cioè, con Eradan?"

"No. Tutto a posto. Tutto a meraviglia." rispose Isa. Un tono falso e affrettato. Si asciugò una guancia col palmo della mano. "E tu che hai fatto? Hai dormito fuori, mi dispiace."

"Ho trovato un'altra sistemazione. Uno degli Elfi mi ha fatto stare in camera sua.  Sai, il Comandante." raccontó Helli, sedendosi sul letto. Provó disagio nell'immaginare cosa poteva essere successo, su quel letto.

Isa si giró. "Hai dormito con un  Elfo?!"

"No. Mi ha ceduto il suo letto. Ma lui é rimasto fuori tutta la notte. In perlustrazione." rispose lei, notando gli occhi rossi di Isadora. Le dispiaceva per lei.

Isa sorrise e scosse il capo. "É incredibile Helli. Sei riuscita nell'impresa di passare la notte da sola, la prima volta che hai dormito nel letto di un maschio."      

Ad Helli non piacque il vago sarcasmo di quel commento. Ma decise di lasciar correre. Isa stava con fatica provando a ingoiare un gran brutto rospo. Uno dei peggiori, per le donne. Sedotta e abbandonata.

"Senti, sai che probabilmente oggi partirò. Ho paura. Ho davvero paura." disse. "Ma ho chiesto a Elrond di tenerti qui, in caso non dovessi tornare. Col tempo, poi, troverai la tua strada. Magari gli Elfi ti daranno dell'oro per aiutarti a trasferirti a Gondor, se vuoi."

"Siete tutti così solerti a pianificare il mio futuro. Tutti così premurosi." Commentó acidamente Isa. "Ma io non mi faccio dire cosa devo fare. Nessuno me lo deve dire."

"Ma che vai dicendo? Considerate le circostanze, ti è capitata una fortuna incredibile. Questo regno elfico é un posto meraviglioso. Starai bene." obiettó Helli.

"Saró sola!" ribatté Isa. "Ma tanto a voi va bene così. Mi scaricate e siete in pace con voi stessi."

"Un attimo. Io sto partendo per un viaggio in cui c'é in gioco la mia vita. Tu starai qui fra comodità e guanciali e profumi! Come puoi dire che ti stiamo scaricando?!" replicó Helli.

"Te la sei cercata, l' hai voluto tu!" rispose Isa. Si alzó in piedi. "Tutto per quell'accidenti di sogno di fare la maga!!"

Helli si sentì ferita. "Io voglio imparare, sì. Voglio crescere. Voglio avere una cultura. Se tornassi, Lord Elrond ha promesso che..."

"E in cosa vorresti specializzarti, eh? In come fare la civetta per ottenere ció che vuoi? Ma te lo sei scordata quello che hai provato a fare con George Simenon? E adesso ti stai trascinando dietro anche Eradan con  le tue moine?! Credi che non lo veda?!!" sbraitó Isa.

Helli non capiva quella reazione. "Ma di che stai parlando, che c'entra Eradan?!"

"C'entra!" sbottó Isa. "Sapevi che non ti avrebbe lasciato. É un uomo d'onore. E lo trascinerai verso la morte. Di' un po', Elrond vuole anche insegnarti a fare la... ?" ebbe abbastanza pudore da ricacciare giù l'insulto. Ma era intuibile.

"Hah...no, c'è già una grande professionista qui a Rivendell." rispose Helli. Si pentì subito di quelle parole, quando vide negli occhi della sorella un lampo di dolore.
"...scusa." disse subito.

"Questo pensate tutti di me." commentó amaramente Isadora.

"Scusa, Isa. Sai che non lo intendevo." aggiunse Helli.

Isadora non rispose e mestamente si sedette sulla seggiola della toeletta. "Io non sono quella che credi. Nè quella che crede lui." mormoró.

"Sei innamorata, vero? E pensi che Eradan non lo sappia." intuì Helli. "Sbagli."

"Ne ho abbastanza di essere trattata così. Per una volta, avevo creduto di aver trovato...invece, è come tutti gli altri..." continuó Isa.

"No. Ti vuole bene." provó a rincuorarla la sorella. "Non vuole che tu soffra. E francamente credo sia il comportamento giusto. Rifletti."

Isa tornó a guardarla. I suoi occhi si abbassarono sul petto di Helli. Notó che mancava qualcosa.  "La pietra...dov'è la pietra?"

 

Ritorna all'indice


Capitolo 46
*** L'incidente della Valle Rossa ***


Eradan tentó di impedirsi di pensare.

Levarsi Isa dalla testa sarebbe stato più difficile che privarsi di un pezzo di cuore, ma quella mattina sarebbe iniziata una nuova avventura, l'ennesimo viaggio verso probabili nuovi pericoli e una quasi certa fine invereconda. Maledisse fra sé il giorno in cui aveva incontrato Helli ad Arceto e le aveva proposto di passare la notte a casa di Rosa Quincy. Avrebbe dovuto lasciarla per i fatti suoi. Sì, magari Nathan e i suoi amici le avrebbero preso il pony, ma sarebbe finita lì. Si sarebbe arrangiata, lei, i suoi problemi, il suo dannato diamante. Lontana da lui. Ma poi si vergognó di quei pensieri.

E si rammaricò anche di aver lasciato Isadora in quel modo, ma non ci poteva essere spazio nella sua mente per l'amore e altri grattacapi. Non in quei momenti, comunque.

Guardó il cielo e si rallegró nel realizzare quanta  luce c'era, quel giorno. La primavera era arrivata infine con tutto il suo fiorire, e la visione del cielo terso e delle rade nuvole bianche, gli portó un barlume di ottimismo. C'era poco da stare allegri, considerata la questione in corso, ma intanto erano ancora tutti vivi. E non era poco.

Aveva trovato Farin mentre stava raggiungendo la rotonda del Bianco Consiglio, luogo che Gandalf aveva scelto per provare a chiamare a sé le Grandi Aquile.

Il Nano sedeva assorto alla tavola che la sera prima era stata occupata dal padrone di casa, Elrond, e dagli ospiti più illustri. Ma nessuno era lì a fargli compagnia. Senza elmo, il grosso capo reclinato, Eradan ebbe l'impressione che dinanzi a lui ci fosse una creatura avvilita, sconfitta.

C'era un silenzio profondo, disturbato solo dal canto di qualche usignolo e dal cheto passeggiare degli Elfi, presi dalle loro meditazioni.

"Farin?" chiamó il ramingo.

Il Nano sollevò lo sguardo. "Nottataccia, eh?" rispose ironico, facendogli cenno di sedersi con lui. "Tu e la bionda non vi siete risparmiati, a giudicare dal tuo viso tirato."

Ma Eradan preferì rimanere in piedi e cambió argomento. "Ho saputo della fuga di Thorin."

"Nessuna fuga, amico mio. Thorin e gli altri sono stati spinti da Gandalf ad andarsene. Ha consigliato loro di passare attraverso le Montagne Nebbiose, e ha promesso che li raggiungerà più tardi.  Non ha detto nulla ad Elrond e a Galadriel perché erano contrari alla loro partenza. E  quel Saruman..." disse Farin, con una smorfia. "... ha fatto di tutto per convincere Gandalf a lasciar perdere. Ripeteva che tentare di entrare ad Erebor e provocare Smaug sarebbe un errore...bugiardo...Vuoi sapere cosa penso? Penso che quel vecchiaccio sia in combutta con il Negromante di Dol Guldur... sempre che sia un Negromante."

"Che vuoi dire?" chiese Eradan.

"Ho parlato con Gandalf, e mi ha dato la più terribile delle notizie. Il mio re, Thrain, è morto. Io credevo fosse disperso, ne ero sicuro...contavo di ritrovarlo...ma erano sciocche speranze. Lo stregone l'ha visto trascinato dalle lunghe mani nere di quell'essere. È stato anch'egli alla Fortezza, tempo fa, e ha incontrato, come Kilaran e Luin sostenevano, un'entità oscura. Era andato per indagare, e ha trovato il padre di Thorin...impazzito, ridotto a...a una bestia. Vagava per Dol Guldur, istupidito dal veleno di quel fantasma che ha preso possesso del luogo.  Poi è apparso quello che chiamano il Negromante, ma temo abbia un altro nome, e si è preso Thrain. Avrei dovuto essere lì a difenderlo!!" si lamentó Farin, guardando il cielo. "È stato Thrain a consegnare a Gandalf la mappa e la chiave per trovare l'entrata segreta di Erebor. Solo dopo, Gandalf si è messo alla ricerca di Thorin, per proporgli di tornare a impadronirsi di casa nostra, la Montagna Solitaria." a quel punto, Farin lasció la sedia e camminó verso il grande albero che troneggiava al centro del patio. "E questa notte, Thorin ha chiesto consiglio a Elrond su come interpretare le iscrizioni della mappa. Ora sanno qualcosa in più, ed il ritorno nel nostro regno forse è più vicino. Questo mi rallegra." sospiró. "Comunque... quella cosa che vive a Dol Guldur, non ha nulla a che vedere un maledetto Negromante...Saruman ha tentato di convincere gli altri di questo, ma il nemico che si nasconde lì non è un semplice nemico...è il Nemico."

Eradan ci pensó un po' su.
Poi capì.
"No. Non puó essere, Sauron ha perso la sua forma fisica. É disperso nel Vuoto."

"Ma lo Stregone ha visto...ha visto l'Occhio, fra le nebbie della Fortezza." continuó Farin, come perso in una visione.

"L'Occhio...spiegati meglio." lo esortó Eradan. Di colpo la sua tranquillità era svanita.

Il Nano si giró verso di lui. "Voglio dire che questa missione, quest'intera avventura, rischia di trasformarsi in qualcosa più grande di noi. Ci sono in gioco forze che non avevamo previsto, amico mio." rispose. "Credevamo di aver passato il peggio respingendo Melthotiel. Ma non abbiamo nemmeno immaginato che potesse esserci...ancora lui, in questo mondo...e noi stiamo per andare proprio lì, a Bosco Atro...la Fortezza si erge ai suoi margini, lo sai."

"E perché tu sei qui, allora?" volle sapere l'Uomo. "Perché sei rimasto con noi? Avresti potuto unirti si Nani, la loro missione è meno rischiosa della nostra."

Farin si passó una grossa mano sulla fronte rugosa. "Ne ho parlato con Thorin. Lui, beh, lui voleva che li seguissi, che mi unissi al viaggio verso Erebor...e anche Balin. Ma..."

"...ma?" insistè Eradan.

Il Dunedain notó come i suoi occhi fossero infossati nelle orbite, e arrossati, quasi fosse reduce da una notte di infiniti tormenti ed elucubrazioni. Probabilmente lo era.

"... ma poi ho ripensato alle volte in cui mi hai aiutato, sai, quando dormivo nei boschi, ed ero ancora un solitario. Quando mi portasti cibo, e medicamenti dal villaggio di Arceto. Ricordi? Non mi hai mai fatto mancare il tuo aiuto. E i Nani sono pieni d'onore, non dimenticano i favori che ricevono. Non posso abbandonarvi, adesso. Tu e l'Elfa siete in gamba, ma in due  non ce la farete ad affrontare un'impresa simile, e a proteggere la ragazza.  Per quanto... non sono che un miserabile vecchio ormai."  confessó Farin. "E forse inutile."

"Non dire sciocchezze.  Nessun guerriero nanico che io conosca ha il tuo coraggio." lo rincuorò Eradan, mettendogli una mano su una spalla.

"Ne conosci molti?" chiese Farin.

Eradan esitó un attimo, poi rise. "No, in veritá. Ma ho visto quanta considerazione Thorin e gli altri hanno mostrato verso di te. Non credo che il nipote di Thror riservi la sua stima a chiunque."   

"Thorin ha capito il mio stato d'animo. E mi ha lasciato libero di decidere. Ti aspettiamo ad Erebor, soldato. Casa nostra. Sono state queste le sue ultime parole." aggiunse Farin.

"...e ad Erebor arriverai. E la troverai libera. Sarà di nuovo casa vostra. Il principe del tuo popolo ce la farà. É forte e tenace." disse Eradan.

Farin non trattenne un sorriso carico di amarezza. "Il Re, vorrai dire. Thorin è ora il principale aspirante al trono, ma deve arrivarci, prima. Sì... se Eru accompagnerà queste missioni c'é qualche speranza. Intanto, ha fatto uscire il sole."

"Dov'é Andriel, a proposito?" chiese il ramingo.  

"A colloquio con Elrond. E la ragazza, Heloise?" domandó Farin.

"Arriva tra poco. Gandalf starà provando a rintracciare Gwaihir e Landroval. Mi chiedo se risponderanno al suo richiamo." ribatté Eradan.

"Sono già qui. Per la miseria, non ho mai visto creature simili!! Cioè, avevo sentito parlare delle Aquile, ma quegli esseri sono incredibilmente grandi! E pericolosi, se vuoi la mia opinione. Non mi avvicinerò ai loro becchi, puoi giurarci!" rispose Farin.

"Sono giá qui?!" esclamó il ramingo.

"Oh sì. Sono arrivate all'alba, avresti dovuto vederle in volo. Uno spettacolo. Gandalf le sta trattenendo in attesa che ci presentiamo tutti. Aspettavo te. Ma la ragazza deve muoversi!" ribattè il Nano.

"Vado a chiamarla! Tu va' da lui, per favore, e di' che attenda ancora un po'. Maledizione...speravo di avere ancora un po' di tempo..." si lamentó Eradan.

Fece appena due passi in direzione della parte di Rivendell destinata agli alloggi, che Helli gli comparve innanzi. Aveva la sua vecchia sacca sulle spalle e indossava una tunica elfica, adatta per muoversi agilmente. Aveva anche arco e frecce sulle spalle.

"Hey... eccoti. Chi ti ha dato quelle armi?" chiese Eradan, stupito.

"Andriel, ha detto che questo arco puó essere usato anche da chi non ha esperienza come arciere. Cioè, lo usano gli Elfi per addestrare i loro cadetti." spiegó Helli. "Vedi, la corda non è rigida. Posso maneggiarlo, ci ho già provato. La mia mira non è buona, ma migliorerò. Comunque, mi serviva un'arma."

"Molto arguta la nostra Andriel. Ma dov'é?" chiese il ramingo.

"Buongiorno a voi!" si udì una voce femminile e decisa. Andriel comparve finalmente, seguita da Elrond.
"É tardi, purtroppo. Gandalf sarà arrabbiato."

"Se conosco bene Mithrandir, nulla puó farlo davvero arrabbiare. Tranne naturalmente chi dimentica le cose." disse l'Elfo, guardando Heloise. "Hai lasciato il Mil Naur nella camera di Nohmus. So che te l'ha riportato in fretta e furia. Ragazza, se ti definisci una studiosa dovresti esercitare la memoria. Non sono sbadataggini consentite, queste." la rimproveró.

Helli arrossì. "Mi dispiace. Non succederà più."

"Puoi ringraziare l'assennatezza dei miei soldati. Nohmus si è svegliato, turbato dall'energia negativa che sentiva nel suo alloggio, e ha trovato il diamante su uno dei suoi mobili. Non sapevo avessi dormito lì." continuó Elrond, aggrottando le sopracciglia.
Eradan, a sua volta, mostró sorpresa. "Allora te la sei cavata egregiamente stanotte. E io che ero in pensiero!"
La ragazza fece una smorfia. "L'Elfo ha evitato che dormissi all'addiaccio, ma lui era di guardia, ha passato la nottata fuori. Se lo vuoi sapere."

Elrond ed Eradan risero. "Non sono fatti che ci riguardino. Ma se il gioiello fosse rimasto qui, l'unica protezione che avete contro Urgost sarebbe sparita. Tienilo sempre sott'occhio. Ora dov'é?" chiese l'Elfo.

"L'ho messo nella sacca, avvolto da un pezzo di cuoio. Nohmus dice che non devo indossarlo. Credo abbia ragione." spiegó Helli. "Ma prometto che staró attenta, Lord Elrond."

"Ricordi il nostro patto? Torna da questa missione e tutti i tesori della sapienza di cui disponiamo saranno tuoi. E di essi, poi, farai ció che credi. Ne hai già stretti due di accordi, con Thorin e con Urgost. Questo é il terzo, ma in questo puoi credere." le disse Elrond. "Ho discusso con gli altri di te e della tua storia. Saruman non é affatto convinto che ce la farai, ma Galadriel sì. Ha scorto in te molta forza, e passione per i tuoi ideali. Ricorda, avere la fiducia di Galadriel é un grande privilegio. Raramente sbaglia giudizio."

"Faró del mio meglio." promise Helli.

"Temo che il tuo meglio non sarà sufficiente. Devi andare oltre quelli che credi i tuoi limiti. Primo fra tutti, la paura di fallire. Il fallimento e le cadute sono parte del nostro percorso. Non ti spaventare se cadi. Ma continua a camminare. E non voltarti indietro. Non pensare a tua sorella, starà bene con noi. Non preoccuparti di nulla, Heloise Foley, ma solo del tuo scopo." continuó l'Elfo.

"Non ho trovo le parole per ringraziarvi. Perció, mi limito a promettere che seguiró i vostri consigli." disse Helli, con il groppo in gola. "...fino alla fine."

"Voglio riporre la mia fiducia in te. Ma non nascondo la mia preoccupazione. Qui c'é qualcosa che ci sfugge. Qualcosa che non torna. Un brutto sospetto ha avvolto me, Galadriel e Gandalf. So che andrete a Bosco Atro a cercare Radagast il Bruno. State lontani da Dol Guldur, mi sono spiegato?" disse Elrond, voltandosi verso Eradan. "Nessuno si avvicini a quelle mura diroccate, finchè non sarà stabilito cosa vive lì."

"Capisco cosa intendete, Lord Elrond." rispose Eradan. "Ho sentito la teoria che circonda quel luogo. E davvero non é mio intento dimostrarla."

"Bene, allora." annuì Elrond. "Dopo aver ottenuto da Radagast indicazioni sulla tana del drago Urgost, dovrete dirigervi a Nord, per raggiungere Angmar. Questa volta non avrete a disposizione le Aquile, quindi non vi resterà che attraversare le Montagne Nebbiose nel loro punto più settentrionale. Non sarà piacevole, c'è il ghiaccio che non si scioglie mai lassù. Ma non esistono scorciatoie. E dopo...che Eru vi aiuti."

Arrivarono tre dame elfiche, con tre mantelli di morbido tessuto verde scuro.

"Questi sono per te, la ragazza e il Nano. Proteggono dal freddo, e hanno la notevole qualità di rendere quasi invisibile chi li indossa. Vi saranno utili." annunció Elrond. "Vi servirà protezione da molte cose, e questi mantelli faranno la loro parte."

Eradan chinó il capo. Farin, un po' controvoglia, fece altrettanto, imitato da Helli.
"Un regalo prezioso, Lord Elrond."

"Non vi daremo altre armi, per non caricarvi di peso eccessivo. In quanto al cibo, ne troverete in abbondanza a Bosco Atro, Thranduil fortunatamente non ha emanato leggi che vietino di cibarsi dei frutti del bosco. Ma potrebbe farlo presto." disse Elrond, con una punta di sarcasmo. "I Valar solo sanno quanto sia attaccato alla sua foresta."

"A proposito... cosa dovremmo dire se gli Elfi Silvani ci trovassero? Non vorrei passare dei guai. Di fatto, entreremo di nascosto nei loro confini." chiese Eradan.

"Non avrete tempo di dare giustificazioni se vi scoprissero. Tollerano la presenza di Radagast perché é uno stregone e tiene alla larga Orchi ed energie negative, ma voi quattro non sarete ben accolti, specie Andriel, che appartiene alla nostra comunità. Fra me e Thranduil i rapporti non sono...ehm... distesi." confessó Elrond. "Posso solo consigliarvi di essere discreti. E veloci."

"Ci proveremo." promise Eradan. "Grazie di tutto."

"Sbrigatevi ora. Gandalf starà imprecando in tutte le lingue che conosce, non vedendovi arrivare." sorrise Elrond.

Notó che Heloise stava osservando un punto lontano, e si giró per capire cosa avesse attirato la sua attenzione.

Sua sorella Isadora stava in piedi vicino a una fontana, triste, pallida.

"Vi siete salutate?" chiese Elrond.

"Sì...più o meno. Non le piace questa situazione. Non vuole separarsi da me e..." guardó Eradan, che giró il viso, imbarazzato. "... ha paura."

"Come ne hai tu. Io credo che vi rivedrete. Eru non puó essere stato così severo con voi, senza uno scopo. Il futuro puó riservarvi ancora qualcosa di meraviglioso. Ricordatelo." le disse bonariamente l'Elfo. "Comunque, se vuoi andare a parlarle ancora qualche minuto, questo é il momento."

Helli si giró a osservarlo. "No. É il momento solo di andare dove dobbiamo andare. E fare in modo che questa storia finisca una volte per tutte." Poi, dopo essersi girata un'ultima volta verso la sorella, si allontanó a passo deciso.

"Beh, ha carattere. Deve essere dura separarsi da chi si ama." commentó Elrond.

"Già." convenne Eradan. "E in questo é più brava di me."

"Un Dunedain si mette in grande pericolo se si lascia trascinare dai sentimenti." rispose Elrond. "Offuscano la mente."

"Lo so molto bene." annuì Eradan. "Stavo per cascarci con lei."

"Le ragazze Foley sono giovani, e immature. Entrambe. Non hanno ancora davvero lasciato il nido d'infanzia. Tu sì. E da un pezzo." gli disse Elrond. "Non pensarci più. Un'umana non vivrebbe felice con un Dunedain, e nemmeno con un Elfo. Sai a cosa mi riferisco."

"Già. Vi prego solo di avere cura di lei. Di fare in modo che non si metta su una strada pericolosa, se lasciasse Gran Burrone. Troppi uomini possono approfittarsi di lei. È orgogliosa, ma anche ingenua." si raccomandó Eradan.

"Puoi stare tranquillo. E tu, veglia sulla più giovane. Ma che non se ne accorga." gli rispose l'Elfo. "Non lasciare che faccia di nuovo male a se stessa. Purtroppo Heloise ha una grave carenza di fiducia nelle sue capacità. E ben poca considerazione del suo autentico valore. Ma sbaglia."

Eradan lo guardó. "Voi e Galadriel siete davvero convinti che sia in gamba?"

Elrond lo guardó negli occhi. "Sai, prima di Heloise, quante creature al mondo sono riuscite a resistere a Melthotiel? Quante, hanno trovato la forza di non cedere al suo potere mentale?"

"Andriel..." rispose l'Uomo.

"Andriel ha usato una magia difensiva, nulla più." rispose Elrond.

Il ramingo scosse il capo. "Allora...no. Non lo so."

"Nessuno." rispose Elrond. "Solo Heloise. Ma non se ne rende conto. Crede di non valere nulla. Aiutala in questo. Insegnale a volersi bene. Io credo che quella ragazza abbia iniziato a incolpare se stessa di tutto, a partire dalla morte di suo padre. E perció ha iniziato fantasticare sui maghi e la scuola di Isengard. Per trovare un rimedio ai suoi tormenti."

"Cosa c'entra suo padre? É morto in battaglia, da quel che so. Perché dovrebbe sentirsi in colpa?!" chiese perplesso Eradan.

"Questo é ció che ti ha raccontato lei. Deve aver rimosso la faccenda. Ma so la verità. Sua sorella me l'ha detto, dopo cena." ribattè Elrond. "Il loro padre non é morto in un'azione di guerra. É morto mentre stava andando a chiamare un medico, nel villaggio di Brea. Cavalcando attraverso la Valle Rossa, il cavallo mise una zampa in una buca nascosta e perse l'equilibrio. Norman Foley cadde e si spezzó la schiena. Lo trovarono e lo riportarono a casa, alcuni suoi compaesani, già cadavere. Ci fosse stato uno speziale a Midlothian, sarebbe vivo oggi. Forse. Anche se temo che Melthotiel l'avrebbe trovato a Midlothian e ucciso, come vendetta per non aver mantenuto il patto con lei."

Eradan era basito. "Isa non mi ha detto niente...ma perché un medico? Cos'era successo?"

"Per Heloise. Stava male. Una banale febbre, che passó qualche giorno dopo. Ma era salita molto ed Helli venne colta dal delirio. I suoi genitori si spaventarono, e il signor Foley prese il cavallo per andare a cercare aiuto. Fu una scelta tragica." raccontó Elrond.

"Oh accidenti...ecco perché vuole studiare la Medicina. Da ció la sua ossessione." comprese Eradan. "Si sente responsabile."

Il ramingo immaginó che, forse, la radice di tutta quella tensione fra lei e sua sorella poteva anche essere l'incidente occorso al padre. Forse Isa, in cuor suo, non perdonava a Helli di essere stata la causa involontaria della disgrazia. Fu come colto da un'improvvisa consapevolezza. 

"Già. La mente umana é contorta e oscura anche per me, a volte." ammise Elrond. "Quella ragazza ha vissuto nel senso di colpa tutti questi anni. Ma non è detto che non trovi la sua felicità. Tu aiutala solo a rimanere viva nelle prossime settimane. Al resto, ci penserá il nostro grande Padre."

L'uomo chinó il capo.

Si sentì un verso acutissimo, come lo stridere di un falco, ma tre volte più intenso. "Ecco, Gandalf deve aver perso la sua proverbiale pazienza." commentó Elrond. "Va' Eradan."




_______

Ho inserito un riferimento all'episodio in cui Gandalf va a Dol Guldur e incontra Thrain e lo spirito di Sauron.  Inoltre, ho aggiunto un particolare fino a questo momento segreto sul padre delle ragazze. Per dare continuità logica al tutto, ho modificato alcuni precedenti capitoli, come "La sconosciuta" e "Il risveglio del Re Stregone". 


 

.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 47
*** In volo ***


Gandalf attendeva impaziente, seduto su una panca in pietra. Fumava da una un lunghissima pipa, l'aroma acre e vagamente dolciastro si avvertiva fin da lontano. Helli si chiese se fosse stata proprio tabacco, quella sostanza, e concluse che non era affar suo. Se c'era una cosa che aveva imparato nelle settimane precedenti, era quella di farsi gli affari propri. Non chiedere troppo, e non dire troppo.

Non potè tuttavia trattenere un'esclamazione di meraviglia, quando vide Landroval e Gwaihir.
Le due maestose Aquile si erano posate all'interno della rotonda del Bianco Consiglio, e sembravano nervose. Di tanto in tanto sollevavano le teste e guardavano all'aria, forse per accertarsi delle condizione del tempo, che pareva sereno.
Helli provó eccitazione mista a paura: mai aveva visto animali di quelle dimensioni. Tranne naturalmente Urgost, ma faticava ancora a definirlo un semplice animale.

Erano aquile in tutto e per tutto, ma grandi tanto da elevarsi in altezza quasi quanto un piccolo palazzo. Mentre si avvicinava, Heloise osservó gli artigli, lunghissimi e forti come sciabole. Avrebbero potuto dilaniare un bue. Vide i becchi potenti e uncinati, che davano agli esseri un'espressione severa. Gli occhi enormi, neri e penetranti, come quelli di tutti i rapaci.

E vide un dettaglio curioso. Una aveva un piumaggio particolare: sul petto aveva qualche piuma dai riflessi giallastri, che sotto i raggi del sole brillava come l'oro. Era anche più grande dell'altra, e più irrequieta.

"Finalmente!" esclamó lo Stregone. "Non avrebbero atteso oltre, sapete?"

"Scusaci." rispose Eradan. Lui, Farin, Andriel ed Helli procedevano con timore.

Elrond dietro di loro, se ne accorse e rise.
"Non abbiate paura. Non vi faranno del male." li esortó. "Vero, Mithrandir?"

"No, certo. Ma solo se avrete rispetto di loro. Sono creature nobili, ricordatelo, e molto orgogliose."

"S-s-sei sicuro?" mormoró Helli. Quei becchi le parevano molto pericolosi.

"Fidati di me. E di loro. Ho già dato istruzioni, sanno dove portarvi. Ci metterete mezza giornata in volo. Avvolgetevi nei mantelli, poiché raggiungerete altitudini elevatissime." disse Gandalf.

Andriel si sorprese. "Non vieni con noi, allora."

Gandalf osservó Farin. "No. Sono atteso altrove. Devo raggiungere Thorin e gli altri. Temo incontreranno un grave pericolo."

Farin si agitó. "Che vuoi dire?!"

"Attraverseranno anche loro le Montagne Nebbiose, ma passeranno dalle caverne all'interno. E lì vivono i Goblin. Potrebbero cadere nelle loro grinfie." spiegó lo Stregone. "Il vostro viaggio é più sicuro. Non c'é motivo che io vi accompagni. E una volta giunti a Bosco Atro, troverete Radagast. Allora, il suo potere vi proteggerà."

"Cosa intendevi quando mi hai detto che la nostra missione é più pericolosa di quella verso Erebor?" indagó Farin.

"Non mi preoccupa la vostra permanenza nella Foresta degli Elfi, ma il vostro viaggio verso Angmar. Dovrete sorpassare la roccaforte di Gundabad, una volta lì, e sperare che gli Orchi non vi vedano. Allevano in quel luogo i loro Mannari. E anche se riusciste a sgattaiolare sotto i loro musi, dovrete trovare Agandaûr, un guerriero formidabile. Eliminarlo, e portare prova della sua morte ad Urgost, che vive in qualche sperduto anfratto fra i monti ghiacciati del Nord. Oh, se é pericolosa, Farin! Infinitamente pericolosa." spiegó Gandalf. "Thorin, Balin e gli altri hanno le loro grane da affrontare, ma sono in tredici, e sono guerrieri provetti, incluso il loro principe. Voi...beh... siete in pochi e contro una quantità di nemici che non si puó prevedere."

Helli tremó di nuovo. Elrond le mise una mano sulla spalla. "Coraggio."

"Non perdiamo tempo, allora. Abbiamo molto da fare." commentó Eradan. Osservó le due Aquile, poi si avvicinó a quella più scura, che abbassó il capo per lasciarsi accarezzare.

"Gwaihir porterà Eradan, mi pare siano già in sintonia. E tu, Helli? A te l'onore di scegliere." disse Elrond.

La ragazza si avvicinó a Landroval, attratta dal suo piumaggio dorato. "Vorrei montare lui, se mi é concesso."

L'Aquila sembró comprendere, e si accovacciò a terra per permettere alla donna di arrampicarsi sul suo enorme dorso. Con fatica e aggrappandosi alle penne, Helli riuscì a salire sulla schiena della creatura e starnutì sonoramente quando una piuma le pizzicó il naso. Si stupì della morbidezza di quell'animale.

Andriel intervenne. "Andró con Helli." e saltó senza fatica sulla parte posteriore del dorso dell'aquila.

Farin venne aiutato da Eradan a salire su Gwaihir e i quattro afferrarono saldamente le piume degli esseri.

"Come faremo a comunicare con loro?" chiese Helli.

"Andriel conosce il loro linguaggio. Comunque, sanno dove lasciarvi. In cielo non ci sono pericoli." commentó Elrond.

"Tranne i Draghi." rispose Farin. "Dicono che vivano Draghi dei ghiacciai fra le Montagne. Non sono meno pericolosi di quelli del fuoco."

"E anche contro di loro avete una protezione. Il Mil Naur. Non perderlo, Helli, ti é stato ripetuto mille volte, lo so, ma ricorda che per voi possederlo puó fare la differenza fra vivere, e morire." disse Gandalf. "Buona fortuna, amici miei."

"Ci rivedremo, vero?" chiese ansiosamente la ragazza. "....vero?!"

"Se così vorrà Eru. Andate." rispose Elrond.

A quelle parole, le due Aquile distesero le ali. Con forza le alzarono e abbassarono, ed Helli urló quando si accorse che si erano staccati dal suolo. Guardó in basso, e vide Gandalf ed Elrond diventare sempre più piccoli, man mano che Landroval saliva in altitudine.

"Mia sorella!!!!" gridó ai due. "Pensate a lei!!"

Elrond alzó una mano per rassicurarla. E poi, le due Aquile sparirono fra le nuvole.

L'Elfo si giró verso lo Stregone. Sospiró.

"Credevo di averle viste tutte. Ma questa, proprio no." commentó.

"Già. Il destino del nostro mondo in mano a una ragazza umana di venti anni." disse Gandalf. "E Sauron nascosto a Dol Guldur."

Elrond chiuse gli occhi. "Ne sei certo?"

"Sì. Era lui. Quello che ho visto era lui. Inoltre, ha frantumato il mio bastone con il suo potere. Sai che niente al mondo può disarmare uno Stregone. Niente di ció che conosciamo, cioé." confessó il Vecchio.

Elrond si giró, costernato. "Cosa?!"

"Mi ha disarmato e ha incenerito il mio bastone. Un Negromante, un mago umano, e perfino un Nazgûl ... nessuno avrebbe potuto farlo." disse Gandalf. "Era lui."

"Perché non l'hai detto a Galadriel e Saruman?!" chiese Elrond.

"Voglio lasciare Saruman fuori da questo, quanto più possibile. Che torni pure alla Torre d'Orthanc e lì pensi ai suoi affari. Non mi fido di lui, purtroppo." continuó Gandalf. "Galadriel ha intuito tutto. E' lei l'unica che puó ricacciare Sauron nel Vuoto ed a lei ci rivolgeremo, molto presto."

"Dobbiamo andare lì subito. E Saruman ci serve!" protestó Elrond. "Non condivido la tua volontà di escluderlo. È uno Stregone di grande potere."

"E di grande ambizione. Lo conosco, Elrond." disse Gandalf. "E hai visto con quanto disprezzo ha trattato la ragazza. Non le ha dato nemmeno un po' di fiducia."

"Già... e tu ne hai?" chiese l'Elfo.
"Credi che ce la farà?"

"Delle volte, gli esseri più improbabili sono capaci delle più grandi imprese. Secoli fa, eravate voi Elfi i protagonisti delle gesta eroiche e delle saghe e delle leggende. Molti della tua razza hanno fatto la storia della Terra di Mezzo. Ma ho la sensazione che i tempi siano cambiati, sai? Ora le grandi imprese verranno compiute dagli abitanti più discreti del nostro mondo. Donne umane e Hobbit, perfino." ragionó Gandalf.

"Sei un sognatore Mithrandir. E' un lato di te che apprezzo. La ragazza ha un suo valore, non lo metto in dubbio, ma dobbiamo soprattutto augurarci che Eradan e Andriel  le stiano vicini. Forse con il loro aiuto puó davvero farcela." rispose Elrond.

"E Farin?" chiese Gandalf.

"Un vecchio Nano? Quale contributo credi possa davvero dare?" ribatté Elrond.

"Non sottovalutarlo. Non sottovalutare mai i Nani." furono le parole di Gandalf, che con un sorriso ammiró il cielo azzurro di quella primavera appena giunta.

🌺🌺🌺

Helli aveva quasi perso la sensibilità agli arti, a causa del gelo.

Volare fu un'esperienza straordinaria per lei e per gli altri. Lo splendore di quel magnifico orizzonte, sopra le creste delle montagne, l'aveva fatta commuovere. Nonostante le esortazioni di Andriel, non si era azzardata a guardare in basso, per non farsi cogliere dalle vertigini e anche dalla paura.

Ma il gelo era insopportabile. I mantelli di Elrond proteggevano la schiena e la base del collo, ma le gambe e le braccia e il viso erano esposti a quelle temperature estreme, al punto che sentiva le guance quasi paralizzate. Andriel le aveva chiesto qualcosa e non era riuscita a rispondere. Perfino la mandibola era bloccata e gli occhi lacrimavano per il freddo pungente.

Inoltre, a furia di tenere i pugni serrati per reggersi alle piume spesse di Landroval, le articolazioni delle mani le dolevano.
Dopo tre ore di volo, l'emozione aveva lasciato il posto al desiderio disperato di atterrare.

Si era girata a guardare l'Elfa, e aveva voluto dirle qualcosa come non credo di resistere, ma le era uscito solo un mugugno strozzato. Andriel aveva comunque capito.

"Guarda, la Foresta. Ci siamo. Ancora pochi minuti!" le aveva detto. Evidentemente, non soffriva il gelo come la sua amica umana.

Gwaihir, con Eradan e Farin, volava sotto di loro. Andriel rise vedendo il Nano che goffamente si era aggrappato alle brune piume dell'Aquila, e scalciava tentando di rimanere in equilibrio. Si stupì che non fosse ancora caduto.

Eradan fece un cenno, indicando il bosco dei Verdifoglia, e poi mostró il pollice verso, come dire ci prepariamo alla discesa.

L'Elfa allora toccó un piede di Helli.
"Reggiti forte! E quando ci abbassiamo verso gli alberi, chiudi gli occhi!"

La ragazza mortale avrebbe voluto chiedere perché? ma l'improvvisa virata verso il basso di Landroval le fece saltare il cuore in gola. Strinse forte a sè la sacca da viaggio, che aveva sistemato sotto il ventre per paura che cadesse giù durante il viaggio alato.

Il terrore di quel volo in picchiata verso il basso fu totale, ma duró poco. Senza che l'umana nemmeno se ne fosse accorta, l'Aquila era atterrata. Alcuni rami di pino accarezzarono il corpo di Helli, che comprese perché l'Elfa le aveva detto di chiudere le palpebre. L'avrebbero accecata quasi sicuramente con i loro aghi lunghissimi se non fosse stata attenta.

"Ci siamo. Hey!" la chiamó Andriel. "Tutto a posto? Puoi aprire gli occhi. Siamo fermi."

Helli allora aprì un occhio, poi un altro.
Vide moltissima vegetazione, erano circondati da alberi secolari di varie specie,  ma soprattutto sempreverdi: abeti e pini.

Gwaihir arrivó con gli altri due qualche secondo dopo. Farin saltó giù all'istante. "Non faró mai più una cosa del genere!" sbraitó. "Ho avuto una fifa blu!!!"

Gwaihir emise un verso infastidito, che Helli interpretó come bel ringraziamento, amico!

Eradan scese dall'Aquila e accarezzó il possente collo. "Senza di loro sarebbe stata durissima arrivare fin qui." poi chinó la testa. "È stato un onore cavalcarti!"

"Bah, quante smancerie. Mi si sono gelati i piedi e non riusciró a piegare la schiena per almeno un giorno, sono pronto a scommetterci!" continuó l'altro, tentando di flettere le ginocchia.

"Perché, prima ci riuscivi?!" commentó sarcasticamente Andriel, aiutando Helli a scendere.

"Fa' poco la spiritosa, tu! Comunque...dall'alto ho visto la Montagna Solitaria, il suo profilo!" commentó emozionato Farin. "È bello sapere di essere così vicino ad Erebor. Dopo tutti questi anni..."

Landroval e Gwaihir presero di nuovo il volo, improvvisamente, sollevando una nuvola di polvere con i loro poderosi battiti d'ali.

"Ecco che se ne vanno..." commentó Helli, ancora incredula di aver volato. "Che creature favolose."

Dopo aver contemplato le Aquile che sparivano nel blu del cielo, i quattro si misero subito in cammino nel fitto della Foresta.

"Eradan. Aspetta, ti prego. Sono tutta intirizzita. Concedimi un secondo per scaldarmi!" implorò Helli, con una smorfia di dolore. Le spalle e braccia le facevano male, e sentì uno schiocco preoccupante alla schiena, quando tentó di incurvarla.

"Ci scalderemo camminando. Non fermiamoci, o sarà peggio. Muoviamo i muscoli, è la cosa migliore." rispose l'Uomo, allungando il passo.

"Ma..." osó dire la donna, e Andriel la sorresse per un braccio.

"Forza, ti aiuto. Eradan ha ragione. Inoltre, forse nel bosco troveremo dei frutti. Non hai fame?" chiese.

"Da morire! E sete, anche." rispose Helli. "Era così bello stare a Rivendell...mi manca già!"

"Ci tornerai, lo so. Sono certa che ti manca anche Nohmus!" la prese in giro l'Elfa.

Ma Helli non cedette alla provocazione. "Cambiamo argomento, se permetti."

"Hey, concentratevi. Ora abbiamo un primo compito: trovare quello Stregone. Occhi aperti. Dovrebbe vivere nei paraggi." le interruppe Eradan.

In silenzio, disorientati da quel luogo che non conoscevano, per diversi minuti procedettero su una specie di sentiero che conduceva sempre di più al centro del bosco. C'era Radagast da trovare e Gandalf si era raccomandato di seguire degli indizi del suo passaggio. Un sentiero poteva essere un buon segnale. Se lo Stregone viveva lì, aveva certamente costruito la sua rete di stradine e percorsi.

Per interrompere quel silenzio teso, Eradan andó contro i suoi stessi ordini e inizió a parlare. "Beh, non male la tua avventura fino ad oggi, Helli. Hai incontrato Nani, Hobbit, Stregoni, Streghe, Draghi, Spettri, Elfi e ora le grandi Aquile. Hai già una solida esperienza in fatto di creature magiche, vero?" disse, fra il serio e il faceto. "Dubito che a Isengard avresti raccolto le stesse soddisfazioni. Non ti immagino chiusa in una polverosa biblioteca, china sui libri."

"Ne dubito anch'io, ormai." rispose Helli. "Ho scoperto che mi piace di più la conoscenza diretta."

"Ottimo. Allora preparati ad ampliare ancora un po' la tua conoscenza. Guardate lassù." disse Andriel, indicando verso l'alto.

Sopra di loro, distesa e morbida come un velo bianco, comparve quella che sulle prime Helli non riuscì a riconoscere. Fu la presenza di un corvo morto e stretto fra le maglie di quella specie di rete a farle comprendere.

"Una ragnatela!" disse, impressionata. "Una ragnatela enorme! Ma come puó essere così grande?!"

"Me lo chiedo anch'io, giovane." rispose una voce.

Tutti si girarono.
Dietro un cespuglio di more, apparve un omino che ad Helli ricordó uno di quei mendicanti che ogni tanto entravano a Midlothian e si sedevano agli angoli delle strade a chiedere la carità di un tozzo di pane e qualche mela.

Avvolto da un mantello lurido e pieno di strappi, un vecchio bastone nodoso impugnato nella mano destra, un cappello di telaccia marrone calcato su lunghi capelli grigi e arruffati, l'ometto fece un passo in avanti, tenendo gli occhi azzurri puntati verso la ragnatela.

"... e la cosa non mi piace per niente, se lo vuoi sapere."

 

Ritorna all'indice


Capitolo 48
*** Nel mezzo del bosco ***


"Credo che potrei vivere per sempre qui." commentò estasiata Heloise, una volta entrata nella casupola di Radagast, proprio nel mezzo del bosco.

Lo Stregone aveva voluto sapere i loro nomi, e la loro provenienza, ma sul perché si fossero spinti fino alla Foresta dei Verdifoglia, Eradan aveva mantenuto il riserbo. Aveva ritenuto opportuno parlarne con calma, e al sicuro da orecchie indiscrete. Nel bosco non pareva esserci anima viva, a parte loro, ma il Male aveva spie ovunque, che potevano assumere le forme di corvi, pipistrelli, grilli, rospi. Melthotiel aveva in passato dato loro una bella lezione su come poteva usare gli elementi naturali a suo vantaggio e il Ramingo era stanco di rischiare inutilmente. Aveva chiesto allo Stregone di rimandare tutte le spiegazioni all'interno della sua abitazione e Radagast aveva acconsentito.

La casa dello Stregone era stata costruita in un punto ove gli alberi erano più radi, e sembrava ricavata direttamente da un tronco d'albero. Paglia e rami erano stati intrecciati per formare un tetto sufficientemente solido da resistere alle intemperie, benché Helli avesse notato qualche buco sullo sommità, forse conseguenza di un temporale intenso. Intorno, aiuole tenute con cura, e un orticello che ricordava quello di Cora e Alice, ma più piccolo.

La casa di Radagast rappresentava tutto ciò che erano stati i sogni della ragazza: un'abitazione immersa nella natura, piena di volumi scientifici e saggi sulla magia, in cui condurre esperimenti di alchimia, chimica, biologia.
"È straordinario!" continuó Helli, ammirando i vecchi scaffali stracolmi di libri e strani aggeggi, e le numerose ampolle di vetro messe su un tavolaccio di legno scuro, proprio al centro della casa. In quei contenitori c'erano tre liquidi diversi, uno verdastro, uno roseo e uno blu indaco. La donna si avvicinó per guardare meglio, ma Radagast di colpo gettó un ampio canovaccio sulle ampolle, coprendole.

"Eh no, cara, questo non posso lasciartelo fare, scusa tanto, sai!" disse subito.

Helli arretró, imbarazzata.

"... è un esperimento, capisci. Non é bene che tu inali l'aroma che fuoriesce da questi contenitori. Cioé... non so ancora che effetti possa dare." si giustificó Radagast. "... dunque, ora che siamo al sicuro, mi usate la cortesia di spiegarmi che ci fanno una donna, un'Elfa, un Dunedain e un Nano qui, in questo territorio? Specie tu..." disse, rivolto ad Andriel. "Quei simboli sulla tua tunica possono cacciarti in un bel guaio, sai?"

"Non temo gli arcieri di Thranduil." rispose Andriel, asciutta.

"Beh, dovresti invece. Gli Elfi Silvani non sono mica come voi di Gran Burrone. Sono intolleranti e poco concilianti." ribatté Radagast.

"Non c'é motivo per cui ci attacchino, comunque. Non portiamo nulla di pericoloso con noi. Cioé... pericoloso per loro." intervenne Eradan.

Radagast corrugó la fronte. "Questa tua frase suggerisce qualcosa. Continua, per favore."

"Stiamo andando ad Angmar. Dobbiamo trovare un Nazgûl, Agandâur é il suo nome. Ucciderlo, la nostra missione. E poi, dobbiamo portare evidenze della sua morte ad Urgost, un Drago di cui avrai certamente sentito parlare. Ma non sappiamo dove si trova la sua tana. Tu, invece, lo sai. Così si dice. E siamo qui per chiederti di disegnarci una mappa." spiegó Eradan.  

Helli lo guardó: non le era parsa una chiarificazione troppo esaustiva, e immaginó che Eradan fosse ormai stremato da quella storia. E lei lo capiva, poiché si sentiva allo stesso modo.

Radagast li osservó con tanto d'occhi per alcuni secondi, poi scoppió in una risata. "Sì certo, come no. Ora, siate seri. Ditemi la verità. Sono troppo vecchio per le burle."

"É questa la verità." borbottó Farin, guardandosi intorno alla ricerca di qualcosa da mettere sotto ai denti.

Radagast deglutì, e guardó prima il Nano, poi Eradan, poi Helli. "Scusate... ma di che mi state parlando?"

"Di una missione. Di un patto. Di una maledizione legata a un gioiello, un diamante proveniente dal regno di Angmar." disse allora Helli. "Io..."

"Il Mil Naur?!" esclamó Radagast. "Che ne sapete voi di quella gemma?!"

"É in mio possesso, ora. É finita in mano mia in circostanze terribili. Mia madre é stata uccisa per questo gioiello. Ed ora il Mil Naur é nella mia sacca. Su quella pietra, ho promesso a Urgost di permettergli la conquista di Angmar, e lui in cambio ha garantito di rimanere neutrale durante la guerra che Sauron scatenerà contro i popoli di questa Terra. E se mi chiederai di ripetere questa versione, sappi che non lo faró. Sono stanca, affamata e stufa e arcistufa di tutto questo!" sbottó Helli, lasciandosi andare su una sedia. "Voglio che finisca. Voglio liberarmi dall'incubo. Voglio tornare alla mia vita, e stare vicina a mia sorella, che ora é con gli Elfi. Per favore, ti prego, aiutami. Dimmi dove vive quel Drago."

Radagast indietreggió di qualche passo e inciampó in uno sgabello. Cadde all'indietro. Andriel si precipitó ad aiutarlo.

"Tutto bene?" gli chiese l'Elfa.

"...tu hai fatto una promessa del genere ad un Drago rosso?! A Urgost!!! Grande Eru..." disse lo Stregone, impallidito. "Tu non hai idea..."

"Lo so benissimo in cosa mi sono cacciata!!" gridó Helli. "Piantatela di ricordarmelo!"

"Ragazza, io posso disegnarti una mappa per arrivare alla sua tana. Ma essa si trova nel punto più gelido delle Montagne del Nord. In mezzo a due crostoni scoscesi e coperti di ghiaccio. Non c'é modo che una creatura con sangue caldo nelle vene ci arrivi. Nemmeno volando sulle Aquile, morirebbero congelate se si avvicinassero a quel punto." disse allora lo Stregone, con tutta la calma che gli fu possibile trovare. "Dovrai arrampicarti su una montagna di ghiaccio, interamente fatta di ghiaccio. E non ci sono appigli."

Helli chiuse gli occhi e si appoggió allo schienale della sedia. "Allora é impossibile, questo vuoi dire?"

"Lo é. Mi dispiace, cara." rispose Radagast. "Non capisco perché Urgost abbia preteso questo da te. I Draghi sono intelligentissimi. Sapeva di certo che non avresti potuto farcela."

"Gliel'ho chiesto io." mormoró Helli. "Volevo entrare nella sua tana. Vederla. Scoprire cosa contiene."

"Coooosa?!" rispose Radagast. "E perché?"

"Non me lo chiedere. Ti prego, non me lo chiedere." rispose Helli, portandosi una mano al viso.
Andriel le toccó una spalla, in un gesto di conforto.

"Allora é inutile." disse Farin. "È inutile andare ad Angmar! É inutile trovare quel Nazgûl!"

"No. Bisogna andare avanti. Se non lo facciamo, Urgost porterà la distruzione fra gli Uomini per trovare Helli e vendicarsi. La cercherà in tutte le comunità umane e farà terra bruciata se non la troverà." disse il ramingo. "La promessa non si puó infrangere."

"Bontà divina... che situazione. E che sapete di Sauron? Cosa vi ha detto il Drago?" indagó Radagast.

"Non molto. É convinto che presto l'Oscuro farà la sua mossa. Ma non ha rivelato quando, esattamente." disse Eradan.

"Certo, é tutto plausibile... é vero, i Draghi adorano il potere, e i tesori. Smaug si é impossessato di Erebor, Urgost vuole addirittura Angmar. Sono bestie avide e feroci. Ma fortunatamente, per ora nessuno dei due si é unito ai seguaci di Sauron. Vogliono rimanere indipendenti, e schiavi di nessuno. In questo senso, se Urgost si rintanasse lassù e assumesse il controllo di quel vecchio regno maledetto, un grosso scacco matto verrebbe dato all'Oscuro Signore.  Angmar è un importantissimo punto di partenze per gli attacchi degli Orchi. Da lì sono partite molte aggressioni ad altri regni. Che un Drago ne prenda possesso non é sbagliata come idea. Gli Orchi verrebbero sterminati dalla Bestia, che certo non dividerebbe il regno con loro." ragionó Radagast. "Ma tutto dipende da te, figliola. E, perdona se lo ribadisco, ma é un'avventura oltre le tue capacità questa. Io davvero fatico a credere che una ragazza umana abbia passato tutto questo. Hai nientemeno che il Mil Naur con te, quella gemma leggendaria. Molti studi ho compiuto su di esso, ma non ti chiederó di mostrarmelo. So bene qual'é il suo veleno. É carico di energie malefiche, come malefica é la Regina Strega per cui fu concepito. Melthotiel."

Eradan, Andriel, Helli e Farin si scambiarono un'occhiata, ma nessuno fiató. Lo Stregone se ne accorse.

"Che c'é... ora non mi direte che avete incontrato anche lei?" poi ci pensó un po' su. "...ma che stupido, certo che dovete averla incontrata!! Il gioiello era suo!"

"Senti, quella creatura demoniaca non é più nei nostri pensieri. L'abbiamo incrociata sul nostro cammino, sì, ma il problema non é più lei. Il problema qui é come aiutare Heloise." intervenne Eradan. "Tu puoi farlo? Dicci solo questo."

Radagast si giró e andó verso una credenza. Ne estrasse un lunga pipa, simile a quella di Gandalf e maneggió la sua estremità per qualche secondo. Poi andó verso una finestra e aprì le ante.  Il lento fumo di quella misteriosa sostanza nella pipa si elevó nell'ambiente. Ad Helli giró la testa e fu a quel punto certa che non fosse tabacco.

"Come ho detto, signori, io posso tracciarvi un percorso per arrivare all'Antro di Urgost. Ma null'altro é in mio potere. Mi dispiace." rispose, intristito.

"Ed é per questo che siamo qui." concluse Eradan.

"Un'altra domanda. Che mi dite di Dol Guldur?" chiese Radagast. "La Fortezza che si erge qui vicino. Elrond vi ha informati di qualcosa, in merito?"

Eradan annuì. "Sì. Gira una voce inquietante. Ma l'Elfo non ha confermato che sia vera. Un Negromante si nasconde fra le sue rovine. L'identità di quest'essere é da dimostrare. Ci ha detto di starne alla larga."

"Il saggio Elrond non si é sbagliato, nemmeno questa volta. Anch'io ho un sospetto su quel luogo, ma la mia ipotesi é talmente spaventosa che preferisco non pensarci. Vi dico solo di aver rinvenuto un oggetto lassù, che ho consegnato a Gandalf. É..." disse l'ometto.

"...una spada antica. Una lama morgul. Forgiata proprio ad Angmar. L'ho vista." terminó Helli. "E ho visto anche Gandalf. Lui ci ha dato indicazioni di cercarti."

"Lo immaginavo. Gandalf ha una straordinaria capacità di scovare grattacapi. Ma questo li batte tutti." disse Radagast. "Io e lui abbiamo condiviso tante di quelle avventure... se sapeste..."

Helli giró lo sguardo intorno, contemplando con tristezza quella casa da Stregone. Contemplando quella che avrebbe dovuto essere anche la sua vita. Pensó a suo padre e a sua madre e ad Isa. La sua famiglia perduta, o quasi. Tutto era capitato nell'arco di poche settimane e ancora non riusciva a mettere a fuoco la situazione. Non pienamente, cioé. L'aroma della pipa di Radagast le stava dando il capogiro.

"Ho bisogno di una boccata d'aria. Scusate." disse d'improvviso, levandosi in piedi.

"Non ti allontanare da questa casa. Ho visto altre ragnatele come quella di prima, e questa cosa mi fa una paura dell'accidente. C'é un nido di Ragni Giganti, temo. Qui, nelle vicinanze." l'ammonì lo Stregone.

"Non ho intenzione di perdermi nel bosco, non sono una scolaretta. So badare a me stessa." mormoró Helli, e uscì, chiudendo la porta dietro di lei.

"Ahhhh... povera ragazza." sospiró Radagast. "Davvero un destino incredibile le é toccato."

"Sta cedendo." disse Farin.

"Non dobbiamo permetterlo. Helli deve andare fino in fondo." ribatté Eradan.

"Hai sentito cos'ha detto lo Stregone? Come potete pensare che trovi la forza di gettarsi in una missione priva di ogni minima speranza?!" sbottó Andriel. "Stiamo tutti pretendendo troppo da lei!"

"Beh, deve almeno provarci! Preferiresti forse che un Drago faccia strage di uomini, donne e bambini?!" rispose Eradan. "Meglio sacrificare una vita che milioni di vite."

"Quello che hai detto é di un cinismo incredibile." commentó Andriel, indignata.

"No, é solo realismo. Mi dispiace per Heloise, come dispiace a te. Ma dobbiamo guardare i fatti." rispose Eradan.

"E se fallisse?? Se Helli cadesse in un burrone, o venisse uccisa dal Nazgûl? Che farebbe il Drago a quel punto?" chiese Farin.

"A quel punto, con la morte del portatore del
Mil Naur, il patto sarebbe decaduto. Fine della storia." spiegó Radagast.

"Dunque, o porta a termine la faccenda...o... morirà. Non ci sono mezze misure." disse Farin, scuotendo il capo.

"Ma bravo!! Solo adesso l'hai capito?" reagì ancora Andriel. "Quella ragazza ha perso la sua famiglia. E sta andando incontro alla sua fine. E a nessuno importa niente!!" esclamó. "Ma non provate pietá?"

"L' ha voluto lei. C'eri anche tu, quando ha parlato col Drago. Ha fatto tutto da sola, Andriel, e tu puoi infuriarti finché vuoi, ma questo non cancella la realtà!" rispose Eradan.

"Va' all'inferno." sibiló l'Elfa e poi aprì la porta e uscì.

"Donne elfiche o umane, hanno tutte in comune una cosa: sono sempre isteriche!" commentó Farin. "Io l'avevo detto, dovevamo uscire prima da questa cosa. Non é stato più in nostro problema da quando quella si é messa a chiacchierare con la Bestia. Dovevamo lasciarla allora!"

"Smettila, adesso." lo zittì Eradan.

Radagast inaló un'altra intensa boccata di fumo. "Ma perché l'ha fatto? Cioé... quell'accordo assurdo?"

"Perché vuole diventare una maga. Vuole unirsi ai sapienti delle Terra di Mezzo... te, Gandalf, Saruman... e per farlo, intendeva andare alla scuola di Isengard." spiegó Eradan, sedendosi sullo sgabello.

"Ah si... é vero, quest'anno Saruman accoglierà altri nuovi studenti. Cinque in tutto. E che voleva fare? Scrivere il saggio d'ammissione su Urgost?!" intuì lo Stregone. "Beh, certo visitare la tana di un Drago é un'impresa mai tentata da alcuno. Avrebbe presentato un fior di ricerca."

"Ha già incontrato Saruman, a Gran Burrone, e le ha detto che non c'é posto per lei nella Torre d'Orthanc." spiegó Farin, curiosando in una dispensa.

"Lo so. Il Capo del mio Ordine non sopporta le donne, infatti. Se la ragazza l'avesse saputo prima..." ribatté Radagast.

"Lo sapeva giá. Ma ha voluto provarci lo stesso." aggiunse Eradan. "Un po' la invidio. Ha un sogno, un obiettivo... per quanto difficilissimo da ottenere. Deve essere bello, lottare per qualcosa." terminó Eradan, mentre osservava Helli, dalla finestra, appoggiata a un tronco a guardare il cielo.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 49
*** Il principe degli elfi ***


"Sei stanca, vero?" chiese Andriel, avvicinandosi ad Helli. "Sei stanca di tutto. E lo comprendo."

Le due si erano allontanate un po' dalla casupola di Radagast, e avevano raggiunto un punto fresco del bosco, con un ruscelletto grazioso che attraversava i tronchi e si perdeva chissà dove.

"Sono rassegnata alla fine, Andriel. Credevo di poter avere almeno una minima possibilità. Specie dopo gli incoraggiamenti di Elrond. Ma Radagast ha dato il colpo finale al mio morale. È finita." commentó mestamente la ragazza. "Accidenti a me.  Accidenti a  quando ho lasciato casa mia. Accidenti a quel diamante!!" 

L'Elfa la contempló per qualche istante. "Non fai che ripetere questo. Eppure credevo avessi capito. Melthotiel ti avrebbe raggiunta lo stesso a Midlothian. Avrebbe ucciso anche te e Isadora, per il Mil Naur. Questa storia è iniziata da prima che tu nascessi, da prima che i tuoi nascessero. Ma... finché c'è vita c'è speranza, dice un motto umano. L'ho sentito spesso. E benché io non consideri voi mortali troppo saggi, riconosco che questa frase è bellissima."

Helli sorrise, ma non era una smorfia di contentezza. "Beh allora mi sa che voi Elfi dovrete prestarmi un po' della vostra magia, perché a meno che io non riesca a smaterializzarmi e ricomparire nella tana del Drago, non vedo proprio come riuscire nell'impresa."

"Non conosco incantesimi simili. Ma ci dovrà pur essere un modo. Lo dobbiamo escogitare. Lasciarsi andare al pessimismo non risolverà nulla, purtroppo." ribatté l'Elfa. "Ci vorrebbe l'aiuto di Galadriel, o di qualcuno dotato di un grande potere simile al suo."

"Già, facile a dirsi. Ma chi?" chiese Helli. "Ho idea che non ci siano tante creature come lei, in questo mondo."

"Qualcuno che abbia un risposta. Una grande mente illuminata, che abbia un'idea che noi ancora non possiamo concepire." continuó l'Elfa. "Ma chi...chi?"

"Saruman dà per scontato che falliró, ed è uno Stregone di enorme sapienza, benché corrotto. Se neppure il suo cervello ha avuto una pensata, a chi andremo a chiedere? Gandalf e Radagast in sostanza mi hanno detto buona fortuna, ma neppure loro han suggerito qualcosa. E così anche Elrond. Se tu hai altri nomi da fare, ascolto. Io ho esaurito le opzioni." rispose Heloise. "Ci vorrebbe un maledetto genio."

"Maledetto...già. Hai proprio ragione." mormoró Andriel.

"Eh?" chiese Helli, guardandola. "Che vuoi dire..?"

Andriel fece per rispondere, ma un movimento colse la sua attenzione. Fissó lo sguardo verso l'intrico del bosco, e assunse un'aria tesa. "Oh no."

Helli si spaventó. "Cosa c'é?!" gridó. "Cosa!!"

"Ora sì che siamo nei guai." rispose l'Elfa, incoccando subito una freccia nell'arco e puntandola verso un misterioso nemico. "Mettiti dietro di me, subito!" le ordinó.

In un lampo, Helli si portó dietro le spalle di Andriel e provó a sua volta a incoccate un dardo nell'arco che le avevano dato. La sacca con il Mil Naur le impediva i movimenti, così le risultó complicato.

"Lascia fare a me." disse l'Elfa. "E corri verso la casa dello Stregone, se le cose si mettono male."

"Ma cosa c'è, me lo dici?! Andriel!" balbettó Helli, terrorizzata.

La risposta arrivó presto.

Dalla sommità di un albero, una grossa massa scura si fece largo fra le fronde. Helli vide piccoli frammenti dell'essere, perché il verde fogliame primaverile lo copriva. Fu quando un'orrenda zampa marrone e irsuta fece capolino, che la ragazza mise a fuoco. "Non mi dire che..."

"Uno lo posso abbattere. Prega che non ce ne siano altri." disse Andriel, cercando con gli occhi un punto vitale da colpire, sul corpo di quel Ragno mostruoso.

"Dobbiamo avvisare Radagast!" gridó Helli.

"E lo faremo. Ma dobbiamo ucciderlo prima. Sta' buona." le intimó Andriel, arretrando un po' perché il Ragno nel frattempo aveva raggiunto il suolo e stava dando brutale mostra di sé.

Helli, nella sua passione per formiche e insetti vari, aveva studiato anche gli aracnidi e si trovó a pensare che quelle creaturine innocue che costruivano ragnatele in camera sua d'improvviso le sembravano perfette macchine di morte. Certo non aveva mai notate le ganasce nei ragnetti di casa, né la sostanza collosa che perdevano dalla bocca, né la complessa struttura oculare. O le zampe lunghe e acuminate abbastanza da trafiggere lo sterno di un
Umano.

Del resto non le era mai capitato di incontrare un ragno grande abbastanza da staccare le teste a morsi, non le facevano paura. A parte quella volta che una velenosa vedova nera aveva scelto di costruirsi il nido in camera sua e di Isa, che aveva urlato come una pazza quando l'aveva vista e le era venuta la mania di controllare le lenzuola ogni notte per due mesi. A niente era servito uccidere l'insetto davanti ai suoi occhi, Isa era convinta che avesse depositato uova ovunque e non c'era stato verso di farle cambiare idea.

Ma qui la faccenda era più complicata. Qui non sarebbe bastata una scarpata per mandare la mostruosità all'altro mondo. Davanti a loro c'era un Ragno grande come un armadio e piuttosto affamato, a una veloce occhiata.

"Guarda le cime degli alberi!! Guarda se ce ne sono altri!! le comandó Andriel. E poi scaglió la freccia, che colpì l'essere proprio nella bocca. Il Ragno inizió a contorcersi e ad emettere suoni terribili, che parevano quasi un grido. Una seconda freccia gli trapassó il ventre rigonfio e una terza lo finì del tutto. Giacque immobile, mentre un ributtante liquido giallo usciva a fiotti dal corpo.

"Bleah. Che schifo." commentó Andriel. Poi si voltó verso Helli. "Allora, cosa..."

Vide Helli girata di schiena, e vide che aveva le mani alzate come in segno di resa. Sacca e arco erano a terra.

Lo sguardo dell'Elfa sorpassó il corpo della ragazza e andó oltre.

"Giù le armi, soldato di Elrond." disse una voce in elfico. "Non sei benvenuta, qui."

🌺🌺🌺

Quattro Elfi Silvani puntavano le loro frecce contro le ragazze.

Due arcieri maschi e due femmine. Vestiti con tuniche verde bosco, avevano tutti capelli castani e fieri occhi scuri. Helli notó che sembravano più bassi rispetto agli Elfi di Gran Burrone, e avevano orecchie più appuntite e leggermente più lunghe. I loro corpi erano anche più esili e c'era poca differenza fra maschi e femmine, in termine di muscolatura.

Uno degli Elfi avanzó di un passo e ripeté la frase nel loro idioma, a voce più alta. Ma Andriel non pareva intenzionata a cedere e a sua volta rispose qualcosa.

Indispettito, l'Elfo disse qualcos'altro, e dallo sguardo pieno di tensione, Helli immaginó che non si stessero scambiando complimenti.

Si giró verso la sua amica, che dopo un lungo sospiro, abbassó la freccia. Ma non la gettó a terra, solo la tolse dall'arco e la sollevó, per mostrare la sua resa.

A quel punto, gli altri tre Elfi si avvicinarono e una delle femmine raccattó da terra le proprietà di Helli. "Abbassa le mani." le disse, nel linguaggio comune.

L'altra femmina strappó arco e faretra dalle mani di Andriel e la costrinse a incrociare i polsi dietro la schiena, e poi la legó. Andriel lasció fare, ma dai suoi occhi traspariva una rabbia senza fine. Helli capì che si era arresa per evitare che gli Elfi se la prendessero anche con lei. Per proteggerla.

"Non c'é motivo di legarla! Lei é un Elfo come voi! Ma che modi avete, dovreste vergognarvi!!" protestó con vigore.

"Fa' silenzio!" intimó uno degli arcieri maschi. "Siete entrate nel territorio di Re Thranduil, senza permesso. Avete oltrepassato i confini di un regno, e dovrete risponderne. Siete in arresto."

"Hail Lor!" gridó uno dei soldati, all'improvviso.

Tutti e quattro si misero sull'attenti e in linea.

Helli giró lo sguardo alla sua destra e vide un quinto Elfo, molto diverso dagli altri. Più alto, biondo, e in uniforme. Il suo volto aveva un colorito anche più candido degli altri e gli occhi erano azzurro ghiaccio. Avanzó lentamente, e senza parlare.

Anch'egli bellissimo, tanto per cambiare.

Andriel chinó il capo. "Principe Legolas, sono Andriel di Gran Burrone. I miei rispetti. Io e questa ragazza non intendevamo invadere il vostro regno né offendere voi o vostro padre. Chiediamo umilmente udienza con Re Thranduil."

Helli si giró a guardarla, esterrefatta. Poi si voltó ancora verso l'Elfo appena giunto. "P-p-principe?!" 

L'Elfo parló. "Coraggioso da parte tua, venire qui. Non é mai successo che uno della vostra gente si sia mosso fino a Eryn Galen. Prima di parlare a mio padre, parlerai a me."

Helli deglutì, sopraffatta dalla paura. Si accorse che non l'avevano legata, come avevano fatto con Andriel. Forse non la ritenevano un pericolo. Del resto, non lo era. Non era stata neanche in grado di maneggiare un archetto per bambini.

"Abbiamo visto da lontano due Grandi Aquile atterrare nel nostro bosco. Siamo giunti qui a controllare la situazione. Suppongo vi abbiano trasportate loro." continuó Legolas.

"Sì, principe." confermó Andriel.

"Questo è già bizzarro. Le Aquile non si fanno cavalcare, a meno che un grande potere non glielo comandi. Siete sole? O ci sono altri con voi?" indagó l'Elfo biondo.

"Siamo sole." rispose Andriel, asciutta.

Helli immaginó che volesse evitare di coinvolgere Eradan e Farin, e non mosse un muscolo, per non tradirsi. Doveva reggerle la parte.

"E che siete venute a fare qui?" fu la domanda successiva. "Oltre che ad uccidere ragni."

"Cerchiamo Radagast il Bruno. Dicono viva nel vostro reame." ribatté Andriel.

"La sua dimora è nei nostri confini infatti. Mio padre gliel'ha concesso in cambio di vegliare sul nostro territorio. Cosa volete da lui?" chiese Legolas. 

"Di questo, mi riservo di parlarne a vostro padre. Se avró l'onore, naturalmente." terminó Andriel.

Legolas sorrise, sardonico. "Usi belle parole. Elrond ti ha insegnato la diplomazia, vedo. Ma ció non ti eviterà una punizione, se mio padre riterrà di darvela. Vi condurremo come prigioniere nella fortezza del Re.  Egli deciderà cosa fare di voi." 

Questo detto, comandó in elfico ai suoi soldati di scortare le ragazze. Guardó per un attimo Helli negli occhi, ma non le disse niente. Aveva parlato con Andriel, ma evidentemente un umano non era degno delle sue attenzioni.

Le due femmine soldato afferrarono Helli per le braccia e le intimarono di cominciare a camminare. La ragazza si giró e con la coda dell'occhio vide Andriel fare una cosa strana: era riuscita a spezzare le punta della freccia che aveva in mano e l'aveva lanciata terra. Poi uno degli arcieri la spinse, per farla procedere.

"Hey! Lasciatemi!" sbottó, rivolta alle due Elfe.

"Non reagire, Heloise. O sarà peggio." le consiglió Andriel da dietro.

"Meglio per te se segui il consiglio della tua amica." sibiló una delle due donne elfiche. "Perché se non lo fai, e tenti di scappare, dovremo ucciderti."

"Non potete essere così crudeli. Gli Elfi non sono cattivi!" esclamó.

"E nemmeno stupidi." rispose l'altra, alla sua sinistra. "Non tanto da fidarsi di un umano, almeno."

"Ma Andriel, perché? É un soldato valoroso, come voi!! Perché la trattate così?" chiese Helli.

"Non sono io. Ce l'hanno con il mio signore, lord Elrond. Io rappresento la sua gente. Il Re di questo territorio é diverso da lui. Arrogante, altero, cinico, diffidente verso tutto e tutti. Ha chiuso la sua comunità in un gelido isolamento. Rifiuta di prestare soccorso e aiuto ad altri popoli, al contrario di Elrond." spiegó Andriel, incurante degli strattoni che uno dei soldati le dava.

Legolas sentì, e si avvicinó a lei. "Tu ripeterai queste parole davanti a mio padre, questa sera stessa. Vedremo se ne avrai il coraggio."

Helli sentì un brivido lungo la schiena. Di tutte le creature di Arda, umani compresi, gli Elfi erano in assoluto quelli che le avevano sempre fatto meno paura. In quei momenti, peró, una nuova, spaventosa sensazione si era fatta largo in lei. Un nuovo pericolo, proveniente da un popolo che le era parso sempre accogliente e rassicurante, si era messo sul suo già difficile cammino.

Desideró disperatamente che Nohmus fosse lì.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 50
*** La fortezza del Re ***


Eradan si avvicinó lentamente alla carcassa del ragno. Un conato quasi lo colse, quando vide le interiora dell'insetto sparse sul fogliame del bosco. Tre frecce lo avevano raggiunto nei punti più sensibili di quel corpo mostruoso, e solo un Elfo poteva aver usato una simile precisione.

"Andriel." mormoró. "Lo ha ucciso lei."

"Ma dove sono finite?!" sbraitó Farin, agitato. Poi guardó intorno, alla ricerca di tracce che potessero rivelare la sorte delle due donne. "Heloise!!!" gridó.

"Lo sapevo!" esclamó Radagast. "Lo sapevo!"

Non vedendo tornare Andriel ed Helli, i tre erano usciti dalla casa dello Stregone, per andarle a cercare. "Eppure gliel'avevo detto! Mi avete sentito, quando l'ho avvertita!" continuó il mago, avvicinandosi disgustato al Ragno. "Orrendi esseri... vengono da Dól Guldur, ne sono arcisicuro ormai."

"Potrebbero essere state uccise o punte dai Ragni! Si dice che immobilizzino le loro prede, per poter gustare carne fresca! Forse ora sono imprigionate in una ragnatela!" disse Farin, guardando le cime dei grandi alberi.

"No. Ce n'era solo uno, e l'ha ucciso l'Elfo femmina." replicó Eradan. "É successo qualcos'altro."

"Come lo sai?" chiese Radagast.

"Non ci sono filamenti bianchi sui rami. Se fossero state circondate da un gruppo di Ragni, vedremmo tracce del loro passaggio. Ma qui non c'é niente." spiegó il Ramingo. "Era uno. Uno e basta."

"E allora dove accidente sono?!" gridó il Nano.

Eradan studió i rami degli alberi, il terreno, in cerca di qualche indizio. Poi i suoi occhi scuri vennero attirati da qualcosa. Fece tre passi e si chinó a raccogliere un oggetto da terra. Era una freccia spezzata in due. "Maledizione." gli sfuggì.

"Allora? É un dardo. L'avrà perso Andriel." disse Farin.

"No. É un messaggio. Un segnale lasciato dall'Elfa per dirci cosa è capitato." replicó Eradan, alzandosi. "Per fortuna nostra, Andriel conosce i messaggi in codice dei Dunedain. Sapeva che avrei capito. Una freccia lasciata a terra simboleggia un territorio abitato dagli Elfi, e nello specifico, un incontro con gli Elfi. É un segnale che tutti i Dunedain sanno interpretare, ci mette all'erta quando entriamo in un nuovo territorio. Se la freccia é integra, significa che gli Elfi sono amichevoli, e che il passaggio nel loro territorio é sicuro e consentito. Se é rotta, come questa, vuol dire che gli Elfi sono ostili, e che é meglio lasciare quel posto, e alla svelta."

"In poche parole, sono incappate negli Elfi Silvani. Le avranno tratte in arresto." ragionó Radagast. "Non ci voleva."

"Fatte prigioniere su che basi? Andriel é un Elfo, credevo fossero tutti amiconi fra di loro, questi folletti!" chiese Farin, perplesso.

"Quanto ti sbagli, amico mio. Re Thranduil cova un grave risentimento per Elrond, e quindi per tutti i suoi sottoposti. La vostra amica é già in catene, o io non mi chiamo più Radagast." sospiró il mago. "Forse dovrei andare alla fortezza del Re e parlare in loro favore."

"No." ribatté Eradan. Poi gettó a terra la freccia.

"Come...no?!" sbottó Farin, sorpreso. "Dobbiamo aiutarle, e subito!"

"Perché non sono venuti a cercarci, Farin? Anche noi siamo qui clandestinamente. Helli e Andriel hanno taciuto sulla nostra presenza, capisci? Ci hanno protetti. Non roviniamo il loro gesto consegnandoci agli Elfi. Stiamone fuori, é la cosa migliore." ribatté il Dunedain.

"Ma sei ammattito?! E lasciarle marcire nelle loro prigioni? Non si scappa da quelle carceri, e Thranduil é tutto fuorché clemente!" protestó il Nano.

"Le lasceranno andare. Sono più che certo, anzi, che il Re Elfo le farà portare in fretta fuori dal suo regno." rispose Eradan.

"Non hai torto." commentó il mago, pensieroso.

Farin era confuso. "Scusate... mi dite che state pensando?! Non capisco."

"La ragazza ha il Mil Naur. Gli Elfi rovisteranno nel suo bagaglio, lo troveranno e lo consegneranno a Thranduil. E lui si preoccuperà, vedendolo. Avrà timore che quel gioiello attragga un Drago sul suo territorio. Le stesse paure di Elrond, ricordi? Allora caccerà fuori Helli, e Andriel con lei. Noi non dovremo fare altro che aspettarle e raggiungerle. Thranduil sa certamente che solo il portatore puó toccare il diamante, non si azzarderà a rubarlo, né chiederà ai suoi Elfi di requisirlo. Il Mil salverà le ragazze." spiegó Eradan.

"Tu credi? Ma il Re vorrà sapere dove stanno andando, e perché Heloise ha con sé quella gemma unica al mondo. E che farà quando saprà la verità? Quando saprà che la vostra missione é aiutare un Drago? Questo mi preoccupa." disse Radagast.

"Cioè? Spiegatevi meglio, non ci sto capendo niente." grugnì ancora Farin.

"Thranduil odia i Draghi più di qualsiasi altra creatura al mondo. Durante la battaglia di Dagorlad, nel 3434 della Seconda Era, a cui Thranduil partecipó, Sauron schieró molti dei suoi servi, Lupi, Orchi, Troll... e un Drago. Questo colse tutti di sorpresa, perché si riteneva che i Draghi alati si fossero rifugiati tutti a Nord, dopo la guerra d'Ira, e gettó terrore nelle schiere degli Uomini e degli Elfi. Thranduil fu uno dei pochi a non indietreggiare di fronte a quel mostro, convinto di poterlo centrare con una delle sue frecce dorate. Ma la Bestia era troppo possente, troppo forte il suo battito d'ali... finì per disarcionare Thranduil dalla sua cavalcatura. Il nobile Elfo cadde a terra, e tentó di ripararsi dalle fiamme col suo scudo. Ma il fuoco dei Draghi é come la lava dei vulcani, distrugge ogni cosa. Parte dello scudo di Thranduil venne liquefatto e le fiamme gli lambirono il volto. Perse l'uso dell'occhio sinistro e venne sfigurato. Ora copre quello sfregio con la magia, ma il suo viso è rovinato per sempre. Inoltre, in quella stessa battaglia, suo padre Oropher trovó la morte. Ricordi orribili perseguitano il Re Elfo. Lo hanno reso diffidente, chiuso al resto del mondo... e assolutamente poco propenso a sentir parlare di Draghi." raccontó Radagast. "Non è escluso che impedisca a Heloise di proseguire."

"No. Sono certo che le lascerà andare. E poi, puó darsi che la ragazza riesca a evitare di parlare di Urgost. É furba." aggiunse Eradan. "Dobbiamo augurarcelo."

🌺🌺🌺

I cinque Elfi, con il loro principe in testa, camminavano attraverso il bosco dei Verdifoglia, trascinandosi dietro una donna umana, e un'Elfa Noldor dell'esercito di Gran Burrone.

Helli teneva gli occhi fissi sul figlio del Re, cercando di comprendere come un Elfo di tale lignaggio e nobiltá, potesse essere così freddo e cinico. Certo, erano entrate di nascosto nel loro territorio, avevano infranto il sacro rispetto dei confini, regola non scritta in tutta la Terra di Mezzo. Ma Legolas, o come si chiamava, non aveva mostrato alcun riguardo né per il fatto che fossero due donne, né per il fatto che una di loro fosse un'appartenente alla sua stessa razza.

Insomma, sapeva che la stirpe dei Noldor non era affatto ben vista dai Sindar, ma aveva sempre pensato che fra tutti gli Elfi vi fosse una sorta di fratellanza universale, una specie di legame ancestrale di sangue, un unico grande ceppo da cui discendevano i Primi Figli di Eru.  

Andriel era stata ignominiosamente legata, neanche fosse stata un pericolo. Lei, che aveva salvato la vita a Helli e Isa con coraggio e altruismo, rischiando la sua nel primo scontro con Melthotiel. Bastó questo ricordo a far ribollire il sangue di rabbia alla donna mortale. 

"Possiamo fermarci? Sono stanca!" sbottó, irritata.

"Taci." fu l'ammonimento di una delle Elfe arcieri.

"Ma come vi permettete!" ringhió Helli, dimenandosi.

"Calma, Heloise. Non peggiorare le cose. Ascoltami!" la pregó Andriel.

"Quando Elrond saprà quello che é successo, la pagherete!" protestó ancora l'umana.

"Oh, vuoi dire che il saggio, illuminato Elrond ci muoverebbe guerra? Allora le voci sulla sua infinita sapienza e diplomazia sono false." ribattè Legolas, con evidente sarcasmo. "Davvero, mi sorprende."

"Atteggiamento ben poco nobile, principe." rispose Helli, a denti stretti.

"Heloise..." mormoró Andriel.

"Un'umana petulante. Misura le parole, d'ora in poi. Non sei a Gran Burrone, qui." disse Legolas, senza neanche girarsi.

"No, certo. Me ne sono accorta." ribatté Helli, sempre più stizzita.

Uno degli Elfi maschi diede una spinta ad Andriel. "Fa' star zitta la tua amica, o dovremo imbavagliarla."

L'Elfa si avvicinó a Helli. "Non provocarli. Non credere che noi Elfi siamo creature misericordiose. Se vogliono, possono ucciderti." le bisbiglió.

"È incredibile, Andriel. Non avrei mai pensato che..." sussurró Helli.

"Lo so, lo so. Ascoltami, ora. Davanti a Thranduil, non dire nulla su Urgost. Niente, capito. Neanche un accenno al Drago o alla nostra missione per suo conto. O si metterà davvero male." bisbiglió Andriel. "Troveranno il diamante nella tua sacca, ti chiederanno perché è in tuo possesso. Inventa una frottola qualsiasi, ma non una parola sulla Bestia, né su quel dannato patto. Mi sono spiegata?"

Helli non capì. "Perché?"

"Il Re di questo territorio odia i Draghi. Non ti lascerà mai andare se saprà che devi aiutarne uno. Ti chiuderá in una cella e lì morirai. Inventati qualcosa!" le suggerì Andriel.

"Ma che diavolo dovrei dire?! Questo gioiello è stato creato per domare i Draghi, per quale altro motivo dovrei esserne in possesso e portarlo in giro, per farci una collana?!" protestó Helli, agitata.

"Sì, brava! Tu di' che l'hai trovato e lo stavi portando a...a... Pontelagolungo, dagli Uomini, per farlo in mille pezzi e farci una collana, un bracciale, qualsiasi cosa! Ad Esgaroth ci sono ottimi orafi, è plausibile." disse Andriel.

Heloise contempló l'amica, mentre gli Elfi allungavano le orecchie per capire i loro bisbigli.
"Ma sei pazza?! Ti aspetti che Thranduil si beva una cosa simile?"

"E allora spremiti le meningi e fatti venire un'idea, se non vuoi stare in buco gelido sottoterra, per il resto della tua breve vita. Io verrò lasciata libera comunque, per non rischiare una vera guerra contro Elrond. Non oserà farmi del male sul serio. Ma tu sei umana, e puoi credermi se ti dico che voi umani per Thranduil valete meno di zero." rispose Andriel.

"Sai comincio a essere stufa di rischiare la pelle ogni maledetto giorno!" sbottó Helli.

"Tacete, voi due. O useremo i bavagli." le zittì un Elfo soldato.

"Com'è Thranduil? Descrivimelo. Sa leggere nel pensiero?" sussuró Heloise, dopo qualche minuto di silenzio.

"Sì, purtroppo per te." rispose Andriel. "É un Elfo molto vecchio, ha più di seimila anni. Discende da una nobile famiglia del Doriath, ha sangue da guerriero. Si é fatto onore in molte battaglie. É severo, sospettoso. Non si farà abbindolare."

"Forse dovremo far leva sulla pietá della Regina. Se suo marito é così rigido, forse un cuore di donna saprà essere più benevolo." ragionó Helli.

"Non c' é nessuna Regina, a Boscoverde. É morta, millenni fa, uccisa dagli Orchi. Non la nominare mai davanti a Thranduil." rispose Andriel. "La sua morte gli ha straziato il cuore."

"Accidenti, che razza di vita questo Re...tutte le disgrazie a lui." commentó Helli. "Ci credo che il suo animo é diventato di pietra. Come si chiamava sua moglie?"

"Evrani, mi pare. O un nome simile. Non si sa molto di lei." rispose Andriel. "Ma te lo ripeto, non toccare l'argomento quando saremo davanti a lui."

"E chi vuole parlarne, io spero di dover parlare il meno possibile." poi Helli rifletté un po'. "...dici che ci tortureranno?"

"No, questo no. Sono metodi che non appartengono agli Elfi. Ma potrebbero imprigionarci, per spingerci a confessare tutto. Se succede, mantieni la calma, non cedere." le consiglió Andriel. "Solo ti prego, ascoltami: non-una-parola...su quel Drago."

"Eradan e Farin, saranno preoccupati. Cosa penseranno della nostra scomparsa?" si chiese Helli.

"Ho lasciato un indizio a Eradan. Capirà. Non verranno a cercarci, sappilo. Tutto dipenderà da noi. Perció, fatti forza." disse Andriel.

"Un'altra mezza parola. Solo un'altra." la minacció un soldato alla loro destra.

Le due ragazze infine si zittirono, e si prepararono a entrare nelle famose Sale di Thranduil, a Nord della Foresta.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 51
*** Il Re senza Regina ***


Le ricordó Galadriel.

L'Elfo girato di spalle, perso nella contemplazione del suo sterminato bosco, ad Helli fece tornare in mente l'algida eleganza della dama del Lórien. Anche la straordinaria cascata di capelli biondi che arrivava quasi alla vita, era un tratto in comune con lei.

Legolas e i soldati di Boscoverde avevano condotto le due donne a una lunghissima e ampia terrazza, il posto meno formale per incontrare un Re. Andriel non si era stupita della cosa.

"É perché siamo intruse. Non ci riceve sotto
al suo trono per disprezzo." le aveva sussurrato mentre salivano la scalinata. "Sarà durissima, ora. Lascia parlare me."

"Mi sta già antipatico." aveva commentato Heloise.

"Avrebbe potuto farci incarcerare direttamente. Siamo clandestine nei suoi confini. Ci è andata bene." aveva replicato l'Elfa.

Una volta giunte a pochi metri da Thranduil, i soldati girarono i tacchi e sparirono. Rimase solo il principe.

Helli notó l'altezza del Re, e il tessuto prezioso del caftano che portava. Vide che si poggiava a un lungo scettro, e aveva una mano serrata a pugno dietro la schiena. Vide la brezza muovere in parte la bionda capigliatura, screziata anche da qualche ciocca argentea. Non si era ancora voltato a osservare le due prigioniere.

Legolas disse qualcosa in elfico per introdurre al padre le donne.

"Incontrare un soldato di Elrond qui a Boscoverde è certamente un fatto insolito." disse finalmente Thranduil, ancora voltato verso il panorama. Helli udì per la prima volta la sua voce, e fu come se l'era immaginata: profonda, e solenne, con l'eco dei suoi seimila anni di vita. Un Elfo della Prima Era.

La ragazza, come successo davanti a Elrond, provó soggezione nel realizzare quanta storia avessero sulle spalle quelle creature.

"Sire Thranduil, i miei omaggi. Come detto al principe, vostro figlio, non siamo qui con intenti nocivi. La nostra è solo una visita per trovare Radagast il Bruno. Vive nel vostro territorio. Necessitiamo di confrontarci con lui, e ce ne andremo subito dopo. Chiedo umilmente che ce lo permettiate." esordì allora Andriel.

"Una visita..." ripeté il Re, e si giró a osservarle. "Una visita per la quale non mi risulta abbiate ricevuto invito."

Helli lasció andare un verso di stupore. Legolas, Thranduil e Andriel la guardarono.
Mentre sentiva il viso accendersi e diventare rosso, la ragazza mandó mentalmente al diavolo la sua amica elfica.

Molto .... vecchio?! Molto VECCHIO?! Questa è forse la creatura più bella di questa verde Terra, Andriel, perché non me l'hai detto?! pensó subito.

"Sì, mi dispiace. Siamo entrate nel vostro regno di nascosto, ma abbiamo trovato solo questo modo per fare in fretta. Mandarvi una formale richiesta avrebbe ritardato il nostro procedere. E non abbiamo molto tempo, purtroppo." rispose Andriel, riprendendo il discorso.

"Mi dirai perché avete avuto il privilegio di cavalcare due Grandi Aquile, e perché siete qui. Mi dirai tutto, o non lascerai più questo territorio. Libererò  l'umana, ma tu ed Elrond dovrete rispondere di questa plateale mancanza di rispetto, e mi auguro tu abbia una spiegazione più che esaustiva. Entrare nel mio Regno come fosse accessibile a chiunque...come hai osato." ribatté duramente il Re.

"Ma io non voglio andarmene... per niente!" si intromise Helli. Continuava a guardare Thranduil, rapita. "Vi diró tutto, lo giuro. Se solo potró avere l'onore di rimanere sola con voi."

"Heloise!" sbottó l'Elfa, incredula. La guardava come si guardano i matti.

Legolas giró gli occhi verso il padre e trattenne un sorriso.

"Non è da te che cerco risposte." la geló Thranduil. "Verrai accompagnata subito ai confini del regno, dopo di che... potrai vivere o morire come credi. O cercare Radagast, se riuscirai a trovarlo. Ma l'Elfa di Gran Burrone é mia prigioniera, e se Elrond tiene a riaverla fra le sue fila, dovrà venire a riprendersela. Non ricordo Elrond in visita da noi, da che ho memoria. Pare abbiamo trovato un buon pretesto." aggiunse, con sarcasmo. "Così sia fatto."

"Siete tanto severo quanto affascinante, Sire Thranduil. Non posso credere che un Elfo di tale eleganza abbia un cuore così gelido. Andriel é incaricata di difendermi. Lord Elrond l'ha mandata a cercarmi, tempo fa. Entrambe abbiamo un compito, una missione..." disse Helli.

"...zitta!" esclamó Andriel. "Per carità..."

"...lei non c'entra. Se volete delle risposte, chiedete a me. Solo a me." finì Heloise. "Saró ben felice di darvele in privato."

"Potresti venire incarcerata solo per questa impudenza. Non si parla in questo modo al Re." la rimproveró Legolas.

"Vi degnerete di ascoltare una donna umana?" continuó Helli, incurante, gli occhi fissi in quelli di Thranduil. Sembró che il re abbozzasse un sorriso a quell'evidente dimostrazione di piaggeria.
In quel momento Helli si sentì, forse per la prima volta, davvero la degna sorella di Isadora Foley. Ma la bellezza di quell'Elfo avrebbe schiantato anche una pietra e fece piombare Nohmus dritto in seconda posizione. Non desideró altro che essere sola con quel bellissimo essere, in qualsiasi posto, a parlare di qualsiasi cosa.
"Helli..." disse ancora Andriel, basita. "Ma che..."

"No." fu comunque la regale risposta . "Ascolteró solo ció che mi serve per vederci chiaro. E un'umana non puó dirmi nulla che possa interessarmi. Sei libera di andartene. Legolas!"

Il principe si avvicinó ad Helli e l'afferró per un braccio. "Hai sentito. Cammina!"

"Un attimo, per favore, non puó stare senza la mia protezione! Il mio signore mi ha incaricato di..." provó a dire Andriel, ma un'occhiataccia del Re la zittì.

"Lord Thranduil!!" gridó qualcuno, da lontano. Arrivó un Elfo soldato, trafelato, che reggeva un fagottino nella mano destra. "Sire...ascoltate..."

Helli si divincoló da Legolas e si avvicinó ad Andriel. "L'hanno trovato!"

"Già." rispose l'Elfa. "Ora  prega. Tutto puó succedere."

Il soldato inizió a parlare in elfico, agitato, e col passare dei secondi il viso del Re assunse via via un'aria tesa, incredula e infine preoccupata.

"Cosa gli dice?!" chiese Helli ad Andriel.

"Che il tuo bagaglio é stato perquisito. Che uno dei soldati ha aperto l'involucro e toccato il diamante. É stato preso dalle convulsioni, ora è incosciente. Che hai un oggetto maledetto." tradusse Andriel. "...e che devi essere una serva di Sauron."

"No, un attimo! Hey!" sbottó Helli. "Non sono niente di ció che dice questo qui! Posso spiegare!"

Thranduil osservó la donna, poi Andriel, poi ancora Helli.
Sospiró, e chiuse gli occhi. Si chiese perché non riuscisse a vedere mai una primavera di assoluta e magnifica pace, da quando era al mondo. Era la sua stagione preferita, ma ogni anno capitava qualche problema della malora a rovinargliela. L'anno precedente gli Orchi che avevano distrutto tre dei ponti di collegamento della Foresta, e ora una donna aveva valicato i suoi confini e aveva con sé un vero e proprio richiamo per Draghi. L'avesse usato, avrebbe scatenato un inferno in terra. La faccenda andava affrontata con cautela.

Comandó qualcosa in elfico a Legolas e al soldato, che porse il fagottino ad Helli. Poi il principe intimó ad Andriel di seguirlo. L'elfa annuì e lanció ad Heloise un'occhiata carica di tensione.

"A quanto pare la trama s'infittisce. Ora parlami, giacchè desideri farlo. Perché questo gioiello, che dovrebbe essere sepolto con Melthotiel Nalledhen é in mano tua? Perché hai pensato di portarlo fra la mia gente?" le domandó allora il Re, quando furono soli. "E ti conviene far sparire quello sguardo dal tuo volto. Non ti dimenticare chi c'é davanti a te."

"Maestà, avete tutto il mio rispetto. Perció voglio essere sincera. Questo diamante é capitato in mia mano per puro caso. I miei lo custodivano. Non sapevano nulla della sua natura, lo avevano lasciato in soffitta per anni e anni.  Io ho avuto bisogno di fondi, per realizzare un mio progetto, e sto andando a...a....Pontelagolungo per venderlo. Ci sono artigiani ed orafi, credo che troverei un compratore. Elrond mi ha dato l'idea. E ha voluto che Andriel mi scortasse, per sicurezza. Ero andata a Gran Burrone per offrirlo a lui, ma ha paura che il diamante attiri un Drago sul suo regno. Potete capire, vero?"

Thranduil scosse lievemente la testa. "È persino offensivo che tu stia tentando di convincermi di questo." 

"Null'altro che la verità, vi ho detto. Questo diamante mi serve. Non voglio usarlo per fare del male. Permettetemi di proseguire, ve ne prego." lo implorò Helli.

"No, il diamante non ti serve. Non lo stai portando a Esgaroth, nè vuoi venderlo. O meglio.... non più ormai. Ma ci hai provato, lo vedo nella tua mente." le riveló Thranduil. "In verità, quello che scorgo in te é un destino di morte e dolore per chi ti sta vicino. E sogni privi di ogni logica."

Heloise fece una smorfia. "Siete la ventesima persona che me lo dice. Tuttavia, devo proseguire. Non posso fare altro. Non me lo impedirete, vero?"

"Certo che no. Quell'oggetto maledetto non deve stare qui. Tu e la tua guardiana andatevene pure. Non voglio sapere in cosa siete invischiate, né che direzione prenderete, né perché Elrond ti ha permesso di vagare per la Terra con quell'arma malefica. Fingeró di non avervi viste qui, né di aver scoperto cosa portate. Ma non tornare più, perché se lo fai... conoscerei gli angoli meno piacevoli del mio regno.  Angoli bui, e umidi. Da cui non si esce." le disse Thranduil, con un tono crudele che impressionó Heloise.

"So che avete sofferto. So di vostra moglie." disse allora, mordendosi  la lingua subito dopo.

Thranduil s'irrigidì. "Non ti consento di parlarne."

"Perdonate, davvero. É che ...siete talmente nobile e bello... ma soffrite, è evidente. Voi leggete la mia mente e io riesco a comprendere il vostro stato d'animo. Perdere chi si ama ci trasforma in esseri aridi, vuoti e..." continuó la donna, incapace di tenere a freno le parole.

"...ho detto...va' via." terminó Thranduil per lei. Con un gesto lento della mano, richiamó a sè uno dei numerosi soldati che piantonavano gli angoli della sua reggia dei boschi. La guardia arrivó per scortare Heloise fuori.

La ragazza chinó il capo. "...ma vi auguro di ritrovare l'amore e la felicitá, prima o poi." aggiunse di getto, e poi si lasció condurre lungo un corridoio.

"Mai più." fu il sussurro che scappó dalle labbra del Re, mentre osservava la figura femminile sparire negli anfratti del suo reame.

Era incredibile. Il Mil Naur era nelle mani di una persona che forse non ne comprendeva pienamente il potere. Thranduil aveva visto un Drago nella mente della donna, e una serie di lampi di memoria, da cui avevano fatto capolino un Dunedain, un Nano, Elrond, perfino Saruman. Qualcosa di grosso circondava la missione su cui non aveva voluto, o potuto, indagare il Re.

Il fatto certo era che Melthotiel era stata privata del
suo diamante e con tutta probabilità era alla ricerca della ragazza, per strapparglielo e ucciderla. La ragazza, dal canto suo, niente avrebbe potuto contro la consorte del Re Stregone. Non poteva essere uccisa. Non con alcuna arma umana, almeno.

Esistevano solo tre spade al mondo che potevano uccidere i Nazgûl e gli altri esseri immateriali. Due, erano smarrite chissà dove.
La terza era lì, nel suo regno, custodita in una teca d'argento da millenni.
La spada del grande Oropher, suo padre, che Thranduil aveva estratto dal fango di Dagorlad. Una spada preziosa per lui oltre ogni immaginazione.

Da cui non si sarebbe separato mai.

E che gli fu rubata proprio quel giorno, da un'Elfa soldato di un altro territorio, incautamente lasciata senza sorveglianza nel suo regno.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 52
*** Nel regno della foresta ***


Andriel attendeva che l'incontro fra Thranduil ed Helli terminasse.

Era sicura, era più che convinta, che sarebbe finita bene per loro due: il Re non avrebbe mai lasciato il Mil Naur entro i confini di Boscoverde. Aveva sentito abbastanza storie sulla famiglia reale, e sulla loro incrollabile fermezza nel mantenere i loro territori protetti.

Lord Elrond aveva più di una volta fatto osservazioni sull'isolazionismo di Thranduil, e le aveva confessato che, nonostante l'esercito degli Elfi Silvani fosse imponente per numeri e capacità in battaglia, aveva preferito non chiedere il loro aiuto nella recente lotta contro gli Orchi. Elrond si rivolgeva molto più spesso a Lord Celeborn del Lórien, ed entrambi avevano convenuto che la cosa migliore fosse lasciare gli Elfi di Boscoverde tranquilli nel loro isolamento.

Ma non era stato sempre così.

C'era stato un tempo in cui i tre grandi reami elfici erano profondamente uniti, e sempre solidali fra di loro. Era stata la guerra ad Angmar, condotta da Thranduil e dalla sua Regina, a cambiare per sempre le cose. Gli Elfi Silvani avevano malamente perso quella battaglia, ma non era stato questo il fatto più grave. La tragedia conseguente a quello scontro nei pressi di Gundabad, era stata la morte della moglie di Thranduil, Evrani. Una meravigliosa donna elfo, che aveva da poco dato alla luce Legolas.

Elrond sapeva bene che, nonostante fossero stati gli Orchi a trucidare la Regina con buona parte del suo esercito, un piccola parte dell'anima del Re aveva covato risentimento e forse odio anche verso lui, Celeborn e soprattutto Galadriel.

In effetti, era stata Galadriel a convincere segretamente la Regina di Boscoverde a muovere tutto il loro esercito verso il Regno del Nord. Da troppo tempo quel luogo maledetto riversava orde di Troll e Goblin e Orchi sul resto della Terra di Mezzo. Il focolaio di ogni battaglia nasceva lassù e i tre grandi popoli elfici avevano progettato di spegnerlo per sempre. Galadriel aveva ritenuto che fossero gli Elfi Silvani i primi a dover muovere un attacco al Re Stregone e a tutte le sue creature, perché molto numerosi e particolarmente abili con archi e frecce.

All'insaputa di Thranduil, lei e la sua Regina si erano incontrate e avevano concordato una prima spedizione verso Angmar da parte dell'esercito di Boscoverde, a cui dovevano seguire rinforzi dal Lórien e da Gran Burrone.  La Signora del Lórien aveva usato tutta la sua capacità persuasiva su Evrani, che molta stima e rispetto aveva per lei. Nelle intenzioni di Galadriel, compito di Evrani era quello di convincere lo scettico marito, cosa che era perfettamente riuscita.
Ma era stato il piano a fallire.

Dopo il primo violento scontro, alle porte di Gundabad, i rinforzi attesi non erano arrivati, perché Evrani era caduta molto presto sotto
i colpi di quei mostri, e il Re, sconvolto, aveva deciso un'immediata ritirata.

In cuor suo, Thranduil aveva colpevolizzato Galadriel per aver spinto sua moglie ad andare incontro alla fine. E aveva accusato anche Elrond di non aver mandato aiuti, e di essere rimasto nella valle di Imladris, ad attendere semplicemente notizie. Lo aveva ingiuriato, sostenendo fosse un burattino nelle mani di Galadriel e Celeborn, in un lungo a velenoso messaggio recapitato a Gran Burrone.   Elrond aveva dato alle fiamme la pergamena, offeso da quelle accuse.

Non c'era quasi stato più alcun contatto fra i tre Regni, da quel giorno tragico. E per quel motivo, non solo Elrond ma tutti gli abitanti di Gran Burrone non erano più stati benvenuti a Boscoverde.

Peró, in quel caso la faccenda era più ingarbugliata. Andriel non era sola, perché se lo fosse stata, il suo destino sarebbe stato davvero quello di attendere un intervento del suo Signore per essere liberata. Imprigionata nelle segrete del palazzo nel bosco, per chissà quanto tempo, in attesa che Elrond in persona giungesse fin lì a implorare Thranduil di lasciarla libera. Quasi quasi il Re se lo sarebbe augurato: vedere Elrond in ginocchio a chiedergli un favore sarebbe stata la più alta soddisfazione.

Ma, purtroppo o per fortuna, con lei c'era una ragazza umana. La vera protagonista, insieme al gioiello, di tutta la storia.

Attirare un Drago su Boscoverde era qualcosa che Heloise avrebbe potuto tranquillamente fare, se si fosse affidata al Mil Naur. Magari lo stesso Urgost, o anche Smaug. Sarebbe bastato stringerlo in pugno e visualizzare nella mente l'immagine di una di quelle bestie, perché la portatrice scatenasse un vero inferno su quella foresta.
Helli non aveva imparato a usare il gioiello, a dire il vero, ma questo Thranduil non poteva saperlo. Sapeva solo che il Mil e una donna in grado di toccarlo erano nei suoi confini e che il problema andava risolto alla svelta. Allontanando Helli con il suo diamante, e la sua accompagnatrice.

Per questo, quando il sovrano l'aveva fatta scortare via da Legolas, l'Elfa non si era preoccupata. Nemmeno quando il principe aveva dato ordine ad una delle guardie armate di tenerla sott'occhio e di non lasciare che si muovesse neanche di un metro, mentre lui tornava dal padre. Legolas si era incuriosito sul diamante, e aveva provato a estorcere qualche informazione ad Andriel, che ovviamente non aveva spiccicato parola. Preso dalla smania di sapere di più, l'aveva lasciata sola con uno dei soldati per approfondire la questione con Helli, ed era stato gioco facile per l'Elfa tramortire la guardia con un colpo a tradimento, proprio sotto la base del collo, uno dei trucchi che Eulalie le aveva insegnato.  I guerrieri di Boscoverde erano fenomenali arcieri, ma nel combattimento a mani nude lasciavano alquanto a desiderare.

Le era venuta un'idea improvvisa. Pericolosissima, ma voleva provarci.

C'era una cosa che Andriel sapeva per certo, perché l'aveva letta in un vecchio libro. Poteva essersi confusa sulla ferita al piede di Helli, ma di quella cosa era certissima.

Thranduil conservava la vecchia spada del padre, Oropher.  Una preziosa e antichissima spada, che aveva in sé una straordinaria proprietà: poteva eliminare perfino i Nazgûl. Non si ricordava dove fosse stata forgiata quella lama, ma sapeva che ne esistevano una manciata, in tutta la Terra di Mezzo. Alcune erano conservate nelle Tumulilande, in una delle tombe che Eradan non aveva voluto profanare.

Ma quella era lì. E andava presa, o meglio, rubata.

Era rimasta in sospeso una domanda, che tutti sembravano aver ignorato,  perfino Gandalf ed Elrond.  Heloise aveva l'incarico da Urgost di trovare e uccidere Agandâûr... ma come esattamente?  Era un Nazgûl, uno Spettro, un essere fatto di materia spirituale malefica. Come Melthotiel che peró, essendo anche Strega, aveva usato su se stessa un incantesimo per darsi forma fisica all'occorrenza. 

Ma lui non poteva diventare di carne e sangue e quindi, una normale spada sarebbe stata inutile. Anche se fossero riusciti a stanarlo, una volta di fronte a quel fantasma, come poteva un'umana mandarlo nel suo inferno?  Solo con una lama speciale, e Andriel pensó che fosse stato uno straordinario e paradossale colpo di fortuna che gli Elfi le avessero sorprese nel bosco e catturate.  

Non si era ricordata della spada di Oropher fino a che Thranduil non si era voltato a guardarle. Quel volto pallido, con i penetranti occhi di ghiaccio, a lei avevano ricordato un ritratto di Re Oropher che Elrond aveva nella sua biblioteca, insieme ad altri dipinti dedicati ai grandi Re elfici della storia. Le era venuta quindi in mente anche la vicenda del primo sovrano di stirpe Sindar, la sua morte a Dagorlad, il dolore del successore Thranduil, che aveva conservato come reliquia la sua  spada.  Un'arma che con ogni probabilità era nelle sue stanze private.

E che l'Elfa di Gran Burrone doveva trovare.

🌺🌺🌺

"Dov'è Andriel?" chiese Helli a Legolas, quando il principe si avvicinó a lei.

"Con una delle nostre guardie. So che mio padre vi lascia libere. Considerati incredibilmente fortunata." fu la risposta di Legolas, dopo averla presa in consegna dal soldato. "Ma sono io adesso a volere delle risposte. Tu porti qualcosa con te, giusto? Cos'é, cosa stringi in quel fagotto?"

"Se lo vuoi sapere, chiedi al Re. É al corrente di tutto." rispose Heloise.

"Il Re ed io abbiamo la stessa autorità. Se t'interrogo, devi rispondere." insisté il principe, infastidito.

"Spiacente, ma conosco le gerarchie. Il Re in una monarchia ha il potere assoluto, non il figlio. Non prendermi per un'ignorante. Conosco i miei diritti, e fra essi c'é anche quello di mantenere il segreto sui miei affari, se voglio. A meno che non sia la più alta carica del Regno ad i interrogarmi." ribattè Helli. "E mi risulta che tu non lo sia."

Legolas corrugó la fronte, incredulo di fronte a tanta spavalderia. "Allora non sai che io potrei dare ordine a un soldato di condurti in un luogo isolato del bosco e ucciderti. Ho pieno potere sull'esercito."

"Questi sono discorsi ben poco degni di un Elfo. E ancor meno degni di un Elfo di sangue nobile. Pare che tuo padre non ti abbia trasmesso né il suo fascino, né la sua classe." disse la donna, sottilmente soddisfatta della stoccata appena tirata.

"Non parlare in quel modo di mio padre. É un grande Re, ricordatelo." la rimbeccó Legolas, un po' offeso.

"Ed io rispetto il suo ruolo. Ho sempre ammirato i signori elfici. Guerrieri indomiti, pieni d'onore. Eppure infelici. Anche Elrond ha quel velo di malinconia sul volto. Anch'egli ha perso la moglie, una cosa in comune con Thranduil." rifletté Heloise.

"La morte di mia madre é cosa di cui non puoi parlare. Non davanti a mio padre, ma nemmeno in mia presenza." l'ammonì il principe.

"Lo so. Vedi, tu non hai una madre, io non ho più i miei genitori. Sono orfana. Ho solo mia sorella." sospiró Helli, osservando un bel cespuglio di rose rosse, che si arrampicavano su uno dei colonnati in un punto in cui il sole riusciva a penetrare quell'immenso tetto di rami intrecciati. "Mi sa che l'argomento famiglia non è il nostro preferito, principe."

"Dove intendi andare ora? Da quel mago, Radagast? Ti riuscirà difficile rintracciarlo. Si nasconde come uno di quei scoiattoli che alleva." disse il principe. "E nella nostra Foresta non pochi sono i pericoli. Quel Ragno che l'Elfa di Gran Burrone ha abbattuto non era un solitario. Esiste un'intera colonia, e ne basterebbero due per intrappolarvi e farvi a pezzi."

"Credo che tuo padre ci caccerà via, non vuole che rimaniamo troppo nei vostri confini. Anzi, aspettati che ti dia ordine di scortarci fino a una delle uscite del Regno. Non si fida di noi." disse Helli, che non poteva certo parlare a Legolas di Eradan, Farin e della chiacchierata con Radagast. Era una faticaccia resistere a quel confronto, ma bisognava levarsi da quella situazione in fretta e per farlo, occorreva mantenere i nervi saldi. Anche sulla capacità di raccontare balle.

"Tu hai un oggetto carico di magia nera. So che il Re lo teme. Poche cose al mondo intimoriscono mio padre. Ti chiedo ancora una volta di dirmi cos'é." insisté Legolas, per niente intenzionato a lasciar cadere la faccenda.

Un improvviso trambusto salvó Helli dall'interrogatorio. Legolas venne avvicinato da una guardia, che si stava massaggiando il collo. Pareva sofferente.  E pareva anche tremendamente in imbarazzo. Riferì qualcosa in elfico al principe, che reagì con una smorfia di grande disappunto. L'elfo soldato abbassò lo sguardo, pieno di vergogna.

Legolas si girò verso di lei. "La tua amica ha eluso la sorveglianza. É scappata!"

"Cosa?! E mi ha lasciata qui?!" esclamò Helli, costernata.

Legolas non rispose, ma diede un ordine perentorio alla guardia. Probabilmente gli aveva comandato di sorvegliare lei, adesso, e di stare più attento.

"Bisogna trovarla. Potrebbe essere ancora nel Palazzo, e stavolta ha infranto le nostre leggi. Aggredire un soldato è un atto criminale. Niente ora puó evitarle la reclusione." la informó Legolas, e sparì in un corridoio, forse era andato a consultarsi con il padre.

"Andriel!! Non puó avermi piantata qui!!" sbottó Helli, e presa dal panico fece per scappare. Ma l'Elfo di guardia, che si era fatto mettere al tappeto dalla guerriera di Elrond, stavolta non fu così sprovveduto. Afferrò Helli per un braccio, tanto da farle male.

"Ha!! Lasciami!!" gridó infatti la ragazza.

"Tu sta' ferma qui dove sei." le sibiló il soldato. "Non ti muovi, é un ordine del Principe."

"Ma non posso stare qui! Il vostro Re mi ha liberata! Posso andarmene quando voglio!!" urló rabbiosamente la donna. "...e lasciami, o quanto é vero..."

Non finì la frase, perché il soldato improvvisamente sembró colpito da qualcosa, alle spalle, e perse i sensi. Cadde a terra come un sacco di bietole. Dietro di lui comparve Andriel, che le fece l'occhiolino.

"Questo non vale proprio niente come guardia. Nohmus lo punirebbe terribilmente per la sua incapacità." bisbiglió l'Elfa.

"Dov'eri!!??" urló Helli, incredula. "E che é quell'affare che nascondi lì?!"

Fece per aprire i lembi del mantello verde di Andriel, che peró le scostó la mano. "Sssst. Fa' silenzio. Ce ne dobbiamo andare, Heloise. Ho recuperato il tuo bagaglio. Ho trovato un'uscita nascosta, seguimi!!"

"Ma questo cumulo di stoffa...cos'é? Cosa hai rubato?" chiese Helli abbassando la voce. Era come se Andriel stesse nascondendo un oggetto all'apparenza lungo e appuntito, avvolto in una tela marrone e lurida. Aveva legato il fagotto alla bell'e meglio sulla schiena.

"Te lo diró fuori di qui. Questa volta l’ho fatta grossa, ma era necessario. Ora dobbiamo uscire. Vieni!" sussurró di nuovo l'Elfa, prendendole la mano. "Passeremo dai sotterranei. Hanno costruito un'uscita secondaria, che dalle segrete porta al bosco, all'aperto. Dovremo attraversare un tunnel scavato nella terra." spiegó Andriel. "Non sarà piacevole."

"Hey, il mio sacco, dov'é?" chiese Helli, che non poté non ammirare il grande spirito di iniziativa dell'Elfa. Andriel riusciva sempre a toglierla dai guai. Magari avesse avuto un'amica come lei, a Midlothian.

"L'ho nascosto in un anfratto fra le rocce sotterranee. Recuperiamolo e andiamo." bisbiglió Andriel. "Se ci prendono, Thranduil non avrà alcuno scrupolo stavolta. Ci moriremo, in galera."

"Un secondo…come pensi che potremo farcela! Legolas e i suoi non sono stupidi! Non ce la faremo a uscire!" sussurró spaventata Helli.

A quel punto, Andriel si fermó e la fissó. "E allora? Cosa vorresti fare? Arrenderti, lasciare che questi Elfi ci tengano prigioniere? Rinunciare?"

Heloise scorse rimprovero, e delusione, nello sguardo dell'amica.
"Noi tutti, io, Eradan, Farin, Elrond, Gandalf e perfino dama Galadriel speriamo che tu riesca ad arrivare fino in fondo. Ma sto cominciando a pensare che tu non abbia abbastanza cuore, né fegato." aggiunse Andriel. "Mi sbaglio?"

"No." reagì Helli, punta nell'orgoglio.

"E allora, ce ne andiamo? O vuoi stare qui? Ti assicuro che Thranduil infuriato perde molto del suo fascino. L’ho derubato, e non me lo perdonerà. La sua vendetta cadrà su di me come una mannaia, e potrebbe travolgere anche te. Vuoi per caso metterlo alla prova?" chiese Andriel.

"No. No, andiamo via." rispose allora Helli. "Portami via di qui, ti prego."

 

Ritorna all'indice


Capitolo 53
*** Saenathra ***


"Insomma, non faremo niente? Questo vuoi dire?"
sbottò Farin. "Rimaniamo qui a osservare il sole tramontare e nient'altro? Quelle due sono in pericolo!"

Eradan esaló con calma il fumo appena inspirato da una lunga pipa che Radagast gli aveva prestato. Erano tornati nella sua abitazione, a discutere della situazione.

Andriel ed Helli erano state con tutta probabilità arrestate da un gruppo di Elfi, e da quel momento in poi Re Thranduil era diventato padrone del loro futuro.  Un ennesimo ostacolo a una missione che aveva i giorni contati. Il Ramingo si chiese quanta pazienza avrebbe mostrato Urgost. Si chiese quanto avrebbe potuto attendere, prima di spiccare il volo con l'intento di trovare Heloise ed esigere un risarcimento, per la mancata esecuzione dell'impegno che si era presa.   Rabbrividì.

"Te l'ho spiegato, Farin. Non possiamo andare a cercarle. Ci scaraventerebbero in una delle loro celle, se scoprissero che anche noi siamo clandestini. E Radagast che ci sta nascondendo... forse se la prenderebbero con lui, pure. Non ci resta che aspettare le decisioni di Thranduil. Io dico che le lascerà andare." rispose Eradan. 

"Sì, lo credo anch'io." intervenne il maghetto, armeggiando con penna d'oca e pergamena. "Non permetterà che il Mil Naur rimanga nel suo Palazzo, o nei suoi confini. Le libererà presto. A meno che, certo, quelle due non commettano qualche imprudenza, come irritarlo o cose simili. Thranduil è collerico e vagamente permaloso. Di tutti i Re elfici, è quello col temperamento peggiore. Perfino Elrond è diffidente verso di lui."

"Conoscendo Helli, la cosa mi preoccupa. A volte è petulante e impertinente!" disse Farin. "Eru non voglia che scateni quella sua linguaccia..."

"Che stai scrivendo?" chiese Eradan a Radagast.

"Sto preparando quello che mi avete chiesto, signori. Una mappa per arrivare all'antro di Urgost, sugli Ered Mithrin." spiegó lo Stregone. "I Monti Grigi, cioé."

"Già. Un grande, antico territorio nanico." sospiró Farin. "Ad Occidente della catena montuosa sorge il Monte Gundabad, sacro a noi Nani ed ora... rovinato e impestato dagli Orchi."

"Prima di giungere a quel picco, esiste un'altissima montagna, le cui pareti scoscese sono interamente ricoperte di ghiaccio. Un ghiaccio azzurro, che non si scioglie mai. Ci sono grotte nascoste dalle stalattiti su quella montagna e nella più grande, vive proprio Urgost. Con il suo alito riesce a tenere caldo l'interno della grotta, da cui esce solo per nutrirsi. Ora, guardate questo." continuó Radagast, indicando una grossa X segnata con inchiostro rosso su un punto della pergamena. "L'entrata della sua caverna non è visibile dal basso, poiché, come ho detto, grosse stalattiti esterne la coprono. Ma si trova nel luogo da me indicato,  proprio a metà della montagna. É lì che Heloise dovrebbe andare."

"E come puó scalare una parete che sale in verticale coperta di ghiaccio? E' come arrampicarsi su uno specchio... le ci vorrebbero... che so... degli arpioni per sorreggersi!" esclamó Farin.

"É questo il grosso problema Farin. Deve scalare la parete, non c'é assolutamente altro modo." ragionó Radagast. "Una parete gelida e scivolosissima."

"Non ha abbastanza forza nelle braccia, e il gelo la stordirà. Qualcuno deve portarcela." disse Eradan.

"Nessun essere puó volare fin lì. Neppure le Aquile. Solo Urgost ha tale capacità e dubito che le agevolerà l'impresa andandola a prendere. È già stato incredibilmente magnanimo a lasciarvi tutti vivi. Lo ha fatto perché sa che la donna aveva, ed ha, bisogno di voi." obiettó lo Stregone. "Questo è quanto, amici. Lasciatemi dire, che mi dispiace per la situazione in cui vi trovate."

"Accidenti a me e a quando mi sono offerto di aiutarti! A quest'ora potevo essere nel Bosco Cet a mangiare deliziose lepri arrosto e a bere birra!" sbottó Farin.

"Basta, Farin. Non serve disperarsi. Procediamo per gradi: adesso i Monti Grigi e Urgost sono ancora lontani. Ora, dobbiamo solo ricongiungerci con Andriel ed Heloise. Iniziamo ad affrontare questo." ribatté Eradan, tentando di non spazientirsi.

La verità era che condivideva molta della frustrazione di Farin. Le cose si erano messe male, non solo per Helli. Ma anche per la sua, di vita.

Aveva incontrato una donna di cui si era profondamente innamorato, dopo anni di solitudine, dopo che quasi aveva rinunciato all'idea di trovare un amore degno del suo. Dopo anni di fugaci incontri con ragazze e donne che gli si offrivano nelle taverne per pochi spiccioli. Dopo che quello squallore umano sembrava essere stato spazzato via dalla luce che Isadora emanava, pur col suo caratteraccio. E aveva dovuto lasciarla, per andare verso territori gelidi, Draghi, e un numero non prevedibile di altri nemici.

Una cosa era certa: se non fosse tornato vittorioso insieme ad Helli da quella faccenda, la sua vita, lunghissima, non sarebbe stata mai più la stessa. Avrebbero dovuto tornare trionfatori, o niente. Se la ragazza fosse morta e lui sopravvissuto, non avrebbe mai potuto rivedere Isadora. Non avrebbe mai trovato la forza di guardarla negli occhi, dopo aver fallito nel proteggere la sorella.

"Mi hai sentito? Hey, Eradan, ti sei imbambolato?" la voce roca di Farin lo risveglió dall'oblìo. "Ho detto: dove le aspettiamo? Se quelle due venissero liberate dagli Elfi, dove le andiamo a recuperare?"

"A Nord della Foresta." suggerì Radagast. "Gli Elfi non le riporteranno qui. Siamo a Sud, e il Sud del bosco li intimorisce, per via della vicinanza con Dól Guldur. Quella Fortezza piena di energia malvagia è a poche miglia da qui. D'altro canto, ad Est c'è il confine con Pontelagolungo e per quanto cinico, il Re Elfo non sarà così arido da spingere il Mil verso gli Uomini. Ad Ovest c'è il fiume Anduin, un ostacolo per le ragazze e Thranduil lo sa. Le farà scortare a Nord, vicino agli Ered Mithrin. Esattamente ció che fa al caso nostro. Ed è lì che dovete andare anche voi."

"Sono d'accordo." annuì Eradan.

"Ma dobbiamo uscire dalla Foresta. Non possiamo percorrerla dall'interno o rischiamo che ci vedano." aggiunse Farin. "Quei maledetti folletti hanno spie e guardiani ovunque."

"Andrete voi ad Ovest, costeggiando l'Anduin percorrerete il perimetro esterno della Foresta. Direi che è un tratto piuttosto sicuro. Una volta a Nord, peró, l'impresa sarà trovare le due donne. Incrociare il loro cammino al momento giusto sarà più difficile che trovare un ago in un pagliaio." disse il mago.

"Andriel è un Elfo, dispone di qualche magia. Ad esempio, potrebbe usare il suo legame col mondo animale per rintracciarci. Ho fiducia in lei e non passa giorno senza che ringrazi Eru di averla mandata da noi. Gli Elfi hanno infinite risorse." disse Eradan.

"È vero ció che dici." confermó Radagast, osservando un vecchio carteggio sul suo tavolo. "Sei stato fortunato negli incontri. Hai validissimi aiutanti."

"Heloise è fortunata ad averci dalla sua parte. Non se la merita neanche una tale fortuna!" sbottó il Nano.

"Va bene, allora mettiamoci in moto." disse infine il Ramingo, alzandosi dalla sedia. "Farin, recupera cibo e acqua, frutti del bosco, riempi la bisaccia e prendi le tue cose. Mi auguro tu abbia lo stomaco pieno, perché ora è tempo di andare. E non ci saranno fermate. In quanto a te..." aggiunse, rivolto a Radagast. "... grazie per l'ospitalità, il cibo, la protezione che ci hai dato. Gandalf ci aveva consigliato di cercare il tuo aiuto, ed aveva ragione."

"Gandalf ed io condividiamo una lunga, lunghissima amicizia. Non avrei abbandonato qualcuno inviato da lui. Segui la mia mappa con attenzione, e troverete la montagna del Drago. E poi, che Eru vi aiuti." annuì lo Stregone. "Buona fortuna."

🌺🌺🌺

Eradan procedeva attraverso il bosco nella direzione indicata da Radagast, verso Ovest. Con uno dei suoi coltelli, tagliava nervosamente quell'intrico di vegetazione che sbarrava la strada a lui e a Farin. Sembrava quasi che i rami degli alberi ed i cespugli tentassero in ogni modo di rallentare il loro incedere.

"C'è una maledizione su questa Foresta. Puoi negare fin che vuoi, ma..." borbottó Farin, dietro di lui.

"Non l'ho mai negato, mi pare." rispose Eradan.

Se fosse stato solo, avrebbe raggiunto prima il confine occidentale. Ma un Nano era con lui, e Farin non riusciva a stargli dietro. Le sue corte gambe non reggevano il confronto con le falcate del Dunedain. E ci si era messo anche quel groviglio di arbusti a complicare il gioco.

"Perchè Radagast vive solo? Non teme i Ragni?" chiese Farin.

"È uno Stregone. Puó allontanarli con il suo potere. In verità, ci sono poche cose al mondo che uno Stregone deve temere." rispose l'uomo.

"Dimenticavo... peró non è giusto che non venga con noi. Potrebbe aiutarci!" protestó il Nano.

"Ci ha già aiutati. E la sua vita è qui. Trascinarlo in questa storia sarebbe scorretto. Tocca a noi, e alla ragazza." rispose il Ramingo.

"Ti manca la sorella, vero?" ridacchió Farin.

"Chiudi la bocca, ti avverto." minacció subito Eradan, ma Farin scoppió a ridere.

"Io non so che ci hai trovato in quella rompiscatole. Lagnosa e insopportabile. Non nego che sia bella, ci mancherebbe, ma devi ficcarti tappi di cera nelle orecchie quando le sei vicino! Non fa che lamentarsi, con quel suo modo altezzoso..." continuó il Nano.

"HEY!" lo interruppe bruscamente Eradan, girandosi a guardarlo. Le fiamme negli occhi del Dunedain fecero serrare la labbra di Farin all'istante.

In silenzio, i due si rimisero quindi in marcia.

D'un tratto, sentirono un grido, lontano.

"Chi è? Hai sentito?!" chiese il Nano.

"Sì. Qualcuno è nei guai, pare." ribattè Eradan, che inizió a correre in direzione di quelle urla strazianti.

"Oh no! Dobbiamo andare via di qua!!! Accidenti, Eradan!!" esclamó Farin, ma poi si rassegnó a seguirlo. "Quando la smetterà di fare il salvatore del mondo..."

Dopo diversi minuti di corsa nel bosco, giunsero finalmente al luogo da cui provenivano quei lamenti. Trovarono una ragnatela gigantesca, unita a ben cinque tronchi d'albero con spessi filamenti bianchi. Al centro di essa, come un moscerino, si dimenava impotente un Elfo.

"Aiutatemi!! Da tre ore sono imprigionato qui!! Liberatemi prima che lei arrivi, per pietá!" imploró disperato.

Subito Eradan e Farin si diedero da fare: Farin taglió con l'ascia i cinque cordoni principali che sorreggevano la grande tela, il Ramingo con il suo pugnale riuscì a liberare mani e gambe dell'Elfo. I tre poi si allontanarono da quella trappola mostruosa.

"E' gigantesca!!! Che razza di mostro puó aver costruito una cosa simile?!!" gridó Farin.

"Saenathra." ansimó l'Elfo. "Il mostro si chiama Saenathra. Un ragno femmina, regina dei ragni di questa foresta. Figlia di Shelob. Grazie, amici. Mi avete liberato prima che lei si accorgesse che ero rimasto imbrigliato."

"E tu chi sei?" chiese Farin.

"Glorihin, questo è il mio nome. Re Thranduil mi aveva inviato a Sud del bosco, come esploratore. Voleva vederci chiaro su questi nidi di ragno e ha mandato me." spiegó l'Elfo. Gli occhi azzurri si volsero verso Eradan. "I Ragni non sono qui per caso. Ora lo so. Li hanno mandati di proposito." aggiunse l'Elfo.

"Chi?" chiese Eradan.

"Chi dimora a Dol Guldur. E i suoi aiutanti." rispose l'Elfo. "Vogliono invadere la Foresta. Eliminare il nostro popolo. Si stanno preparando. Lui, si sta preparando."

"Preparando a fare cosa, e di chi parli?" chiese l'uomo, ben consapevole della successiva risposta.

"Sauron. Si prepara ad attaccare il nostro popolo. Manda avanti le sue mostruosità, come i Ragni, per sfiancarci. E poi passerà all'attacco vero e proprio. Re Thranduil non vuole crederci. So che il capitano Feren e gli altri Alti Comandanti lo hanno avvertito. Ma il nostro sovrano non vuole arrendersi all'idea che siamo tutti in pericolo. Lui crede che gli Elfi Silvani siano assolutamente protetti all'interno della foresta, ma non è così. Ma adesso dovrà crederci. Devo informarlo. I Ragni avanzano...avanzano!" disse Glorihin. Poi guardó i due. "...voi chi siete? Cosa fate all'interno dei nostri confini?"

"Ascolta, amico." ribatté Farin. "Noi ti abbiamo salvato da morte orribile, giusto? Credo tu ci debba un favore. E il favore che chiediamo è: non dire al tuo Re che ci hai visti. Credi di poterlo fare?"

L'Elfo guardó prima Farin, poi Eradan. Confuso. "Perché? Chi siete? Siete entrati di nascosto?!"

Eradan annuì. "La nostra entrata nel vostro territorio era inevitabile, purtroppo. Non devi sapere il motivo, ormai è tutto è compiuto. Il tuo Re non sa che ci siamo, perció... sì, si puó dire che siamo intrusi. Ma ce ne stiamo andando. O meglio, ce ne stavamo andando prima di sentire le tue grida. Allora, puoi usarci la cortesia di non dire che siamo passati di qui ai tuoi capitani, visto e considerato che ti abbiamo salvato la pelle?"

"Certo. Ma allontanatevi alla svelta da qui!! Saenathra è nei paraggi. Ed è un'assassina spietata, come l'orrenda madre. Ho solo scorto una parte di lei, ma non esiste nulla di più spaventoso. È gigantesca, e sempre affamata. Ed è veloce. Terribilmente veloce, per un ragno delle sue dimensioni. Andate per la vostra strada, io per la mia. Grazie ancora, chiunque voi siate." detto ció, l'Elfo chinó il capo e letteralmente scappó nella Foresta.

"Io dico che dovremmo imitarlo." disse Farin.

Eradan annuì e guardò le cime degli alberi. "Usciamo da questo inferno, Farin."

 

Ritorna all'indice


Capitolo 54
*** Fuga verso Nord ***


Se c'era una cosa che gli mancava, di sua moglie, era la sua capacità di calmarlo.

Thranduil aveva una carattere collerico. Un tratto singolare, che non aveva affatto ereditato da Oropher, il quale, semmai, in vita aveva sempre peccato di impazienza.

Quando qualcuno o qualcosa lo indispettiva, avvertiva una fulminea fiammata propagarsi dalla schiena al ventre, e non sempre riusciva a tenerla a bada. I suoi occhi si accendevano di colpo e i lineamenti armonici e delicati rivelavano una ferocia inaspettata, per un Elfo di tale eleganza. Era decisamente meglio non trovarsi nei paraggi, quando il Re perdeva la sua solenne compostezza.

Ma Evrani aveva avuto sempre su di lui un'influenza benefica. Bastava il suo sorriso e una lieve carezza, per rimettere a posto ogni cosa. Per riportare la luce nella sua mente.

L'aveva amata molto, in modo totalizzante, come solo gli Elfi sapevano fare. E il motivo per cui aveva accettato di conoscerla e farla entrare nella sua vita, nel Doriath millenni prima, non erano state solo le pressioni di suo padre, che al figlio aveva imposto un'unione con un'altra Elfa di famiglia nobile e Sindar, ma soprattutto la reputazione di Evrani.

Della figlia di Arionh e Jemil era noto il temperamento generoso e mite. Thranduil non avrebbe sopportato una moglie altezzosa o dura di cuore, aveva desiderato una compagna che fosse l'esatto contrario di ció che era lui. Sapeva che gli angoli più spigolosi del suo carattere necessitavano di un contraltare, di qualcuno che ammorbidisse e scaldasse il suo cuore, ogni volta che lo sentiva ghiacciarsi.

Evrani aveva interpretato meravigliosamente la parte di moglie e Regina, finché il tempo gliel'aveva concesso.  Finché un giorno di Ottobre, la Strega Bianca aveva deciso di farsi due chiacchiere con lei, nel Lórien. L'aveva convocata a Caras Galadhon ed Evrani era partita in un batter di ciglia, portando con sè Legolas appena nato, che Galadriel voleva conoscere.

Era andata senza chiedergli il permesso, come sempre, giacché fra il Re e la Regina non esisteva sottomissione, né autorità maritale da rispettare. Ma a Thranduil la cosa non era piaciuta.

Non si fidava di Galadriel e delle sue misteriose arti da fattucchiera, e non si fidava dei Noldor.   Una diffidenza che invece sua moglie non provava, poiché era così nobile da non concepire la cattiveria o la malizia negli altri. Specie fra le genti elfiche.

E poi, dopo il ritorno della Regina a Boscoverde, quella frase sussurrata una notte, mentre la teneva fra le braccia,

(Galadriel chiede il nostro impegno)

che il Re non riusciva a togliersi dalla testa, e lo tormentava come un punteruolo conficcato nelle tempie. L'inizio di tutto, il primo passo verso la fine di sua moglie.

Osservando la teca di cristallo vuota, Thranduil si trovó a pensare che nemmeno l'amore per la sua sposa avrebbe potuto fargli ritrovare la pace interiore in quei minuti.

La spada di Oropher, pesante, antica, immensamente preziosa per lui, non c'era più. Sparita, rubata. I suoi appartamenti reali erano stati violati, quella ladruncola di Gran Burrone aveva chissà come trovato il modo di sgattaiolare nel punto più inaccessibile di Boscoverde e sottrargli l'unico ricordo del suo grande padre. 

La sua prima reazione era stata quella di far rinchiudere nelle celle sotterranee i due soldati che piantonavano l'accesso alle sue camere. A poco erano valse le preghiere dei due Elfi, che aveva giurato su tutto ció che avevano di non aver visto nessuno entrare nei suoi alloggi.
I due si sarebbero fatti cinquanta giorni di reclusione senza acqua né viveri, o lui non si chiamava più Thranduil Oropherion.

Quell'altro buono a nulla che si era fatto tramortire ben due volte da Andriel era stato privato dell'uniforme e del ruolo di soldato, e mandato senza esitazioni a pulire i canali di scolo del palazzo.

Thranduil promise a sè stesso che avrebbe scambiato due parole anche con Feren, per capire come diamine fosse stato possibile che ben tre soldati di Boscoverde fossero stati colpiti improvvisamente da un attacco di idiozia. C'era stata una grave mancanza generale, se era bastata un'Elfa sola e giovane per mettere in scacco la guardia del Re.

Comunque, il fatto grave era che la spada di suo padre gli era stata sottratta. Thranduil intuì perché l'aveva fatto.

(Galadriel chiede il nostro impegno)

Quella frase tornó a bussare alle porte della sua mente. Implacabile.

C'era qualcosa che la ragazza umana non gli aveva detto. E che non era riuscito a cogliere, sebbene avesse provato a spiare nella sua mente.

La donna doveva uccidere qualcosa.

Qualcosa che solo una lama speciale poteva eliminare. Andriel era andata incontro a un enorme pericolo nel derubare proprio lui, il grande Re Elfo, e se l'aveva fatto, era perché un grosso affare bolliva in pentola.

Thranduil si concentró.
La ragazza mortale chissà in che dannato modo era entrata in possesso del Mil Naur, ed era assolutamente certo che Melthotiel la stesse cercando per riprenderselo. Forse la spada di suo padre serviva per affrontare proprio lei, la Regina Strega di Angmar, che in comune con quella del Lothlórien aveva il fatto di essere una Noldor. Poteva essere uccisa con quella spada, e soprattutto, liberata dal veleno di Morgoth. Il suo spirito sarebbe stato di nuovo purificato, e sarebbe andato in pace nelle aule di Mandos.
Il diamante sarebbe rimasto nelle mani di quell'umana e senza più poteri malvagi, dopo la fine di Melthotiel, sarebbe diventato una pietra di enorme valore.

Forse era stato Elrond l'artefice di tutto. Forse stava mandando una sua guerriera e l'umana incontro a un enorme pericolo per la pietra. Per tenere quel grosso diamante per sè in futuro. Forse era in combutta con Galadriel. Del resto non erano esseri perfetti, nonostante l'immensa saggezza e potere, avevano i loro punti deboli. La passione e bramosia per le pietre preziose non erano esclusiva di Thranduil.

Concluse che il fine di tutto fosse mettere mano sul Mil Naur. Ma stavolta il pegno da pagare non era la vita di sua moglie, ma l'unico ricordo che aveva di suo padre. Tutto per il loro sporco interesse.
Di nuovo, sentì il sangue ribollire.

Ipotizzó che l'Elfa e la donna fossero andate di proposito nel reame degli Elfi Silvani per essere arrestate e condotte nel Palazzo, così da entrare in possesso di quell'unica arma davvero efficace contro Melthotiel. Sarebbe stata una gran pensata, molto furba, se fosse stato così.

Ma questa idea non lo convinse del tutto. Intanto, il rischio che lui le potesse fare incarcerare c'era stato, e allora addio piano. E poi, suo figlio gli aveva detto che le donne erano state colte di sprovvista dal gruppo di soldati e gli erano sembrate affrante per essere state scoperte.

Quindi, era forse possibile che l'idea di rubargli la spada fosse venuta in mente all'Elfa dopo il loro arresto. Forse era stata un'iniziativa improvvisa.
Thranduil si portó una mano alla fronte, irritato. Se c'era una cosa che lo faceva innervosire era non riuscire a vederci chiaro.

Il dato di fatto era che quell'arma poteva uccidere creature che una spada ordinaria non poteva scalfire. Melthotiel, un Nazgûl, o magari il Re Stregone in persona? Esseri malefici che dimoravano a Nord.
Comprese all'istante cosa fare.

"Lord Thranduil, perdonate il disturbo. Abbiamo inviato cinque compagini di Elfi a Ovest e ad Est della Foresta. Quelle due non ce la faranno a uscire dal nostro territorio." annunció Feren, il suo Alto Comandante, arrivando a passo spedito.

"E a Nord?" chiese Thranduil, senza spostare lo sguardo dalla teca vuota.

"...a... Nord? In verità...no. Ma non crediamo si spingano fin lassù." rispose Feren, un po' sorpreso. "È più probabile che tentino la fuga verso Esgaroth, dagli Uomini. A Nord ci sono le Montagne Grigie, territorio selvaggio e pericoloso, non avrebbe senso che..."

"MANDATE TUTTO IL NOSTRO ESERCITO A NORD!" tuonó Thranduil, girandosi a guardare il suo comandante, che sobbalzó atterrito.
Poi, senza un fiato, si giró e si allontanò in fretta per passare il nuovo ordine.

"Le voglio vive, Feren!! Mi hai capito? VIVE!" comandó di nuovo Thranduil. "O non vi azzardate a tornare, tutti voi!"

Tornó a guardare il reliquiario d'argento. No, nemmeno la sua adorata moglie sarebbe riuscita a soffocare la sua rabbia, in quei momenti.

Thranduil ne aveva abbastanza.

🌺🌺🌺

"Piomberà su di noi con tutta la sua potenza." disse Andriel ad Heloise, prendendole la mano e tirandola. "Non possiamo rallentare, ora. Muoviti!"

"Potremmo nasconderci in una grotta e riposare un po'! Ti prego, Andriel, sono a pezzi!" imploró Heloise. "Tu forse sei abituata a tutti questi sforzi, non vi stancate voi Elfi...ma ti ricordo che sono umana! E non mangio da stamattina, quel poco di pane raffermo e due uova a casa di Radagast! E' successo tutto così fretta!"

"Sarai un'umana morta, se i soldati ci trovano. A Thranduil non importa di te. Vuole vendicare l'affronto che gli ho fatto!" rispose Andriel, tagliando gli arbusti davanti a lei. "E io non sono agile come gli Elfi Silvani nella foresta. Non ci sono tutte queste sterpaglie a Gran Burrone!"

"Minaccerò di usare il Mil Naur, di chiamare un Drago! Anche se ci arrestano di nuovo, io potrei..." propose la donna.

"Non ci pensare neanche! Se provi a chiamare Urgost col pensiero, potresti attirarne altri. Dicono che lui e Smaug siano gli ultimi rimasti, ma non si sa con certezza. Thranduil, per quanto non goda della mia simpatia, non si merita questo. Il suo territorio verrebbe devastato da quelle bestie. Non sai usare questo diamante!" l'ammonì Andriel. "Ne sei solo la proprietaria, e c'è una bella differenza."

"Va bene, allora cosa vuoi fare? Dobbiamo trovare Eradan e Farin oppure far sapere loro dove stiamo andando! Me lo dici come cribbio si fa?!" si disperó Helli.

"Intanto, serra la bocca! Sono pronta a scommettere che gli Elfi soldato di Boscoverde ci stiano seguendo. Penseranno che andremo a cercare rifugio a Est, a Esgaroth. Da umani come te. Quello è il nostro vantaggio. Non sanno che puntiamo a Nord. Proseguiremo in linea retta, verso settentrione. Le Montagne Grigie non sono lontane, ma il problema sarà in effetti recuperare quei due." rispose l'Elfa. "Mi faró venire un'idea."

"Perchè non mandi loro un messaggio? Potresti legarlo alla coda di uno scoiattolo e farglielo recapitare! Tu parli con le bestie, no?" chiese Helli. Nelle sue intenzioni doveva essere una domanda ironica, ma Andriel si bloccó all'improvviso.

"Sai che hai ragione? Hai assolutamente ragione!" disse l'Elfa, guardando in aria. "Hai pienamente ragione."

Detto questo, fischiettó.
Subito un passero si levó in volo da un ramo e atterró sulle dita della sua mano. "Tu ci puoi aiutare, vero?" gli chiese l'Elfa.

"Guarda che scherzavo!" disse Helli.

"Hai della carta?" chiese Andriel.

"No, Andriel. Siamo nel mezzo di una foresta, dove trovo carta e inchiostro qui?" rispose Helli, incredula.

"Allora, taglia un pezzo del mio mantello, col mio pugnale. Un pezzo piccolo." chiese l'Elfa.

Sempre più confusa, la ragazza mortale taglió un lembo del verde mantello della guerriera.

"Su questo scriveremo il nostro messaggio." aggiunse l'Elfa.

"Su...questo? E in che modo, scusa?" replicó Helli.

Andriel mostró un dito.
"Pungilo."

"Eh?" chiese Helli.

"Pungi il dito, e fa' spillare sangue. Sveglia, Heloise!" esortó Andriel. "Abbiamo i minuti contati prima che quelli ci raggiungano."

Heloise comprese.
Con la punta del coltello, incise il dito dell'amica. Sangue rosso scuro defluì immediatamente, e con esso l'Elfa scrisse una parola sul pezzetto di stoffa. Poi ripiegó il lembo e con attenzione avvolse una zampina del volatile.
"Fa' un nodo. Resistente. Ma non fargli male." 

Helli si sorprese della calma totale dell'uccellino mentre eseguiva l'operazione, non pareva affatto spaventato.

Poi Andriel disse qualcosa in elfico, e l'animale prese il volo. Sparì in un lampo.

"Speriamo bene, è talmente piccolo. Non potevi chiamarne uno più grande? Che so, un falco?" chiese Helli.

"I passeri sono messaggeri dell'aldilà. Dicono accompagnino le anime dei defunti verso il loro ultimo viaggio." spiegó Andriel.

"Non sapevo questo." rispose Heloise, stupita.

"Beh, Elrond ti insegnerà il significato spirituale degli animali, ed altro. La realtà che vedi attorno a te non è unidimensionale." continuó l'Elfa, succhiandosi il dito ferito.

"Uni...cheee?" esclamó Helli. "...speriamo li raggiunga, comunque. Cos'hai scritto nel messaggio?" chiese Heloise.

"L'unica informazione utile per Eradan." rispose la guerriera. La sera stava calando.  "....FIUME." continuó Andriel. "Lì ci incontreremo. Nel punto in cui il fiume che nasce a Nord entra dalla Foresta degli Elfi. Sulle sue sponde, ritroveremo gli altri due."

"Eradan capirà che ti riferisci a quello?" chiese scettica Helli.

"Ma certo. E' l'unico fiume che attraversa Boscoverde. Andiamo, adesso. Quell'uccello farà la sua parte, ma noi dobbiamo arrivarci. Gambe in spalla, mangeremo durante il cammino. Viene la parte più difficile, ora." terminó Andriel.

"Vorrei sapere qual'è stata la parte facile." rispose Helli.

Andriel rise. "Mi fa piacere che hai conservato il tuo spirito."

"Quello sì. È il mio equilibrio mentale che se ne sta andando." ribatté la ragazza.

"Attenta. La pazzia fu il primo passo di Melthotiel verso l'oscurità." disse Andriel.

"Avrei preferito dimenticarmi di quella strega, sai?" continuó Heloise.

"Io no, invece. Se vuoi la verità, sto pensando parecchio a lei. Mi è venuta un'idea, forse assurda." mormoró Andriel.

"...cioè?" chiese Heloise.

Andriel non rispose per qualche secondo. Poi disse: "Niente. Te lo diró più avanti. Ora muoviamo le gambe, mortale. Sta scendendo la notte e gli Elfi Silvani ci vedono benissimo al buio."

"Dammi la mano, ti prego." chiese Heloise. "Ho paura di inciampare."

"Sì, ma non ti ci abituare. All'occorrenza dovremo correre." rispose Andriel, prendendo la mano della donna. "All'alba, dobbiamo vedere il fiume."

 

Ritorna all'indice


Capitolo 55
*** Invisibilità ***


"...cosa dicevi di Melthotiel, perché pensi a lei?!" chiese Heloise ad Andriel, mentre si dissetava con un po' di acqua piovana, che si era raccolta nell'incavo di una roccia.

"Beh... ti ricordi quando parlammo della tana di Urgost, e di come raggiungerla?" rispose Andriel. "...e, scusa se te lo dico, non dovresti bere acqua sporca. Puó fare male al tuo corpo."

"Questo, o morire di sete. Non ho grandi alternative, ti pare?" ribatté Helli, pulendosi la bocca. "Dicevi?"

"Parlammo di come raggiungere la tana del Drago. Tu dicesti che solo una grande mente come quella di Galadriel avrebbe potuto farsi venire un'idea." continuó Andriel.

"Già. Peccato che Galadriel non si è fatta venire nessuna idea. O comunque, a me non ha dato alcun suggerimento." Rispose Helli, avvilita.

"Ascolta, c'è una carta in più da giocare. Melthotiel, quando viveva nella Luce, prima della corruzione di Morgoth, era una straordinaria conoscitrice della scienza, e di tutte le creature della Natura. Aveva una grande mente." disse Andriel.

Helli parve sorpresa. "Cioè, mi stai dicendo, che dobbiamo chiedere consiglio a lei?"

"Ti sto dicendo che é stata la più grande maga mai esistita, prima...di tramutarsi in strega. E forse potrebbe trovare un modo." insisté Andriel.

"Scusa, scusa tanto...non sei stata tu a dirmi che non avrei dovuto mai tentare un dialogo con lei? E che non puó  essere curata dalla sua malvagità?!" chiese Helli. "Allora che discorsi sono questi? È assurdo."

"Lo confermo. Non puó tornare a ció che era prima. Non in modo permanente, cioé. Ma, se tu riuscissi a colpirla con questa spada che ho sottratto a Thranduil, per alcuni secondi prima di morire tornerebbe alla sua forma originaria, rivedremmo la bella Melthotiel di un tempo. Libera dall'odio, finalmente. Lei potrebbe aiutarti." riveló Andriel. "É solo un'idea, ed é assurda, hai ragione. Ma date le circostanze, non ci resta che tentare qualsiasi strada, non credi?"

Helli roteó gli occhi, sarcastica. "Questo presuppone che io riesca a colpirla e, prima ancora, a trovarla. Dimentichi che é scomparsa dalla nostra vita da tempo. Da poco prima che incontrassimo il Drago. Non sappiamo cosa ne è stato di lei."

"È andata nell'unico posto dove poteva stare, ormai. Carn Dûm. É tornata al suo sposo. Lì la troveremo." spiegó Andriel.

"Insomma, mi esorti a chiedere aiuto a un demone che ha ucciso mia madre? Che ha tentato di eliminare Isa e me?" chiese la ragazza umana.

"Non a quella che é ora. A ció che era prima della caduta." spiegó di nuovo Andriel.

Helli la osservó per qualche istante, e nei suoi occhi castani l'Elfa lesse scetticismo, e forse, irritazione.

"Senti, quanto manca al confine nord della foresta? Quando arriveremo a quel fiume?!" chiese la donna mortale, cambiando argomento.

"Poco. Tra qualche ora vedremo la luce tenue dell'alba. Ritengo che quando il sole sarà alto troveremo l'uscita del bosco. Ma mi preoccupa una cosa." rispose Andriel, guardandosi intorno.

"...cosa?" volle sapere la ragazza umana.

"...questo silenzio. C'é un pace totale stanotte. Non sento nemmeno i grilli frinire. É strano." confessó la guerriera.

Helli si guardó intorno e realizzó, infatti, che non si udiva alcun rumore. Era come se la pace notturna avesse pervaso ogni angolo della foresta. Vide pochi raggi di luna farsi largo fra le fronde e tagliare il buio con la loro luce azzurrognola.

Lei ed Andriel avevano camminato ininterrottamente per almeno cinque ore.  Lungo il tragitto, l'Elfa le aveva concesso solo brevi soste, per cibarsi di qualche frutto strappato dai cespugli e far riposare le gambe. Quella era la quarta sosta, un po' più lunga delle altre. Andriel ne aveva approfittato per accendere una nuova torcia con alcuni rami secchi, dopo che la prima si era lentamente consumata.

"...ma di cosa hai paura? Dimmelo." la esortó l'umana.

"Credevo che i soldati del Re fossero giá vicini a quest'ora. É sicuro che Thranduil abbia ormai realizzato di essere stato derubato, certamente ha visto la sua teca vuota. Sa che sono stata io, nessuno dei suoi Elfi oserebbe anche solo avvicinarsi a questa spada. Sarà furibondo e avrà dato ordine di inseguirci." spiegó la guerriera. "Ma perché non si ode alcun rumore, né vociare di soldati, né suono di rami spezzati? É tutto troppo tranquillo."

"Come hai fatto a prendere quest'arma?" volle sapere Heloise.

"Ricordi cosa disse Elrond quando ci donó questi mantelli? Disse che all'occorrenza ci avrebbero resi invisibili." disse Andriel.

Helli rimase a bocca aperta. "Cioé... danno l'invisibilitá? Ma é una stregoneria!"

"No. Non per davvero, ovviamente. Ma possono acquisire il colore dell'ambiente circostante. Hai presente i camaleonti? Più o meno, così." chiarì Andriel. "Se io mi accovacciassi a terra avvolgendomi con questo tessuto, tu non sapresti riconoscere una roccia da me. É questo il loro segreto. É un tessuto speciale. Mi é bastato sgattaiolare nascosta dal mantello lungo le pareti in pietra, nelle stanze del Re. Nessuno ha notato niente."

"Straordinario!" esclamó Helli, sbalordita.

"Noi Elfi disponiamo di molte arti. Vedi, in tutto ció che facciamo c'é un po' di magia." concluse Andriel. "...ma torno a dire, che questa quiete mi preoccupa."

"Non ci tenderanno una trappola?!" chiese preoccupata la donna.

"Tutto puó essere. Ció che so per certo, é che gli Elfi Silvani sono agili e velocissimi. Mi sembra irreale che ancora non diano segni del loro arrivo. Noi abbiamo camminato a passo spedito, e ho cercato di seguire percorsi intricati, ma conoscono il loro territorio molto meglio di me. Qui la cosa non mi quadra." rispose ancora Andriel, alzando la torcia. Guardó attorno a lei, la luce arancione tremolante illuminó quella porzione di bosco. Vide le nuvolette di vapore uscire dalla bocca di Heloise. Faceva freddo, e le labbra dell'umana erano violacee.

"Perché non ti copri con il tuo mantello? La temperatura è calata stanotte." le disse l'Elfa.

"Sai, sono così tesa che non me ne sono nemmeno accorta." sorrise Helli. "Comunque, mi stai mettendo ancora più paura. Senti, perché non continuiamo a camminare veloci come abbiamo fatto fino a qui? Senza più interruzioni. Posso resistere fino all'alba. Ma ti prego, usciamo da questo bosco!!"

"Mi sembra un'ottima idea." disse una voce, non molto distante. Andriel ed Helli trasalirono, e sollevarono lo sguardo.

Ritti in piedi sui rami più robusti degli alberi circostanti, una decina di Elfi arcieri puntava su di loro i dardi dorati.

Il cuore di Helli perse un battito, e sentì Andriel imprecare in un bisbiglio.
Il loro comandante, piombando a terra, commentó: "Credo che a Gran Burrone non vi abbiano addestrati a saltare da un albero all'altro per evitare di essere visti e sentiti, vero? Un gran peccato. Prendetele!" ordinó ai suoi soldati.

Andriel ghermì la mano di Helli e urló: "CORRI!!"

🌺🌺🌺

Helli non riusciva pensare.

Mentre le sue gambe macinavano di corsa metri e metri di bosco, mentre dietro di lei una decina di Elfi soldato urlavano nella loro lingua, mentre il fischio di una, due, cento frecce rompeva il silenzio di quella notte nera e fredda, mentre Andriel la tirava senza pietà chissà dove, la più giovane delle sorelle Foley non riusciva a formulare un pensiero. 

Sentiva solo una paura incontrollabile, avvertiva la certezza che tutto stesse per finire perché non c'era modo, non c'era assolutamente modo che le due sfuggissero ai guerrieri di Thranduil. Ci sarebbe voluto un autentico miracolo di Eru, e non era detto che al grande creatore del mondo importasse qualcosa di loro.

Eppure, per qualche misterioso motivo, un colpo di fortuna venne in loro aiuto.  Andriel si era involontariamente spinta verso una fossa nascosta, quella che un tempo doveva essere stato un piccolo lago, ormai totalmente prosciugato.

Aveva gettato via la torcia, per correre più agevolmente, e nel buio non si era accorta di essersi diretta proprio verso di essa. Ma se ne accorsero entrambe le donne, quando il terreno franó improvvisamente sotto ai loro piedi. Con un grido, capitombolarono giù dalla piccola scarpata, scivolando su un letto di foglie accartocciate, terriccio e muschio.

Helli avvertì una radice sfregare contro il suo polpaccio sinistro, e immaginó che si fosse aperta una ferita. Resistette alla tentazione di urlare.

Nella caduta, Andriel aveva lasciato la sua mano ed era scivolata sul fondo, sparendo nel buio. Helli si fece forza e tentó di aggrapparsi a una sporgenza rocciosa, a un tronco d'albero, a qualsiasi appiglio che arrestasse il suo veloce discendere. Trovó infine una radice nodosa e grossa, e ad essa si attaccó disperatamente. Finalmente si fermó, restando sdraiata a terra. Gli Elfi erano ancora alle loro calcagna, e se non si fosse fatta venire una pensata l'avrebbero trovata lì, appesa a una radice, con un polpaccio sanguinante.

Ripensó al discorso di Andriel sul mantello, e decise di tentare il tutto per tutto. Con la mano libera, afferró un lembo dell'indumento e si coprì tutta, ripiegando le gambe sotto di esso. Poi, pregó.

Pregó che gli Elfi non la vedessero, e pregó che la sua amica non si fosse fatta male. Pregó che la ferita al polpaccio non fosse troppo grave e pregó di non morire dissanguata.  Soprattutto, pregó che quella radice non la tradisse sul più bello, staccandosi dal terreno e facendola precipitare sul fondo della conca.

Vi fu silenzio.
Per diversi, interminabili minuti, non sentì niente.

Solo il suo affannoso respirare, e i battiti del suo cuore che pulsava furiosamente per la corsa e per la paura.

E dal nulla, un improvviso scalpiccìo vicino  le fece trattenere di colpo il fiato. Qualcuno era a pochi metri da lei, e camminava sul fogliame. Si chiese se fosse un soldato o magari Andriel.

Poi la creatura parló, ed era una voce maschile, che in elfico chiamava i suoi compagni. Helli tentó di non respirare e speró che il buio unito alle proprietà di quel mantello la facesse sfuggire ai sensi acutissimi degli Elfi.

Le stavano cercando.  Era sicura che le avessero viste cadere nella fossa, e ora stavano perlustrando l'area.  L'Elfo gridó di rabbia e scalció il cumulo di foglie accanto a lei, mancandola di qualche centimetro.  Non riuscivano ad individuarla. Questo ridiede un briciolo di speranza alla ragazza.

Allora, i mantelli di Elrond funzionavano davvero.

L'Elfo urló di nuovo una serie di incomprensibili parole, e altre voci, distanti, gli risposero.  Helli ebbe la sensazione che fossero irritati per il fatto di averle perse d'occhio.  

Forza, muoviti...va' via di qui...allontanati...pensó la ragazza, sperando che un improvviso colpo di vento non facesse volare via il mantello, rivelando la sua presenza. Avvertiva un dolore bruciante alla gamba e una tensione fortissima ai polsi, per lo sforzo di reggersi alla radice.    Se quell'Elfo avesse indugiato altri minuti, Helli non ce l'avrebbe fatta.

Ma l'Elfo decise che ne aveva avuto abbastanza di quella cava scivolosa e piena di muschio maleodorante, e si arrampicò da dove era venuto.  Heloise sentì i passi farsi via via più leggeri, lontani, e infine...di nuovo silenzio.  Se ne era andato.

Forse.

Ma poteva essere un trucco. Magari un espediente per ingannare le due donne, facendo loro credere di essere sfuggite alla cattura e portarle ad emergere dai loro nascondigli, per poi arrestarle, cogliendole di sorpresa.

Helli non seppe cosa fare. Sentiva spalle e polsi farle male, e la scomoda posizione sdraiata le causava spasmi alla schiena.  Inoltre, sotto al mantello l'aria era diventata viziata e irrespirabile. Non volle altro che togliersi quella stoffa di dosso e prendere una lunga boccata di aria fresca. E rimettersi in piedi, in qualche modo. Doveva riuscire ad arrampicarsi fino al bordo di quel fosso.

Ma potevano esserci gli Elfi, in attesa solo di legarle i polsi dietro la schiena e riportarla dal loro Re, che di certo non la stava aspettando per un invito a cena.  L' immagine di lei e Thranduil seduti a un tavolo davanti a una candela accesa, le provocò  un attacco di risa isteriche, come succedeva a volte quando era colta dalla tensione e dall'ansia.  Inizió a ridere e a maledirsi per la sua stupiditá. Era al buio, appesa a una radice, con una ferita al polpaccio e a pochi metri dal fondo di una cava boschiva. Questo pensiero, anziché farla tornare in sé, la fece ridere ancora di più.  Ma poi si mise a piangere, perché infine il dolore e la paura presero il sopravvento. 

"Sto perdendo la testa..." mugoló. "...qualcuno mi aiuti, sto perdendo la testa..."

All'improvviso, una mano strappó via il mantello, lasciandola scoperta. Helli urló, e la stessa delicata mano subito le tappó la bocca.

"Ma che hai? Helli! Stai bene! Accidenti, il tuo polpaccio..." bisbiglió Andriel. "...se ne sono andati!! Ottima pensata quella di nasconderti sotto al mantello."

"Come, se ne sono andati?! Ne sei sicura?? E tu dov'eri?!" chiese Helli, con un filo di voce. "Mi sono ferita."

"Sì, hai un taglio. A quello posso rimediare io, ma dobbiamo andarcene. Ero in fondo alla cava, nascosta in una grotta, quei mammalucchi non l'hanno neanche notata. Sai, erano furiosi per averci perse! Li ho sentiti dire che proveranno a cercarci ad ovest, credono che siamo scappate sull'altra sponda del fosso. Comunque, tu devi davvero essere baciata dagli déi, mortale." riveló Andriel.

"Cosa?! Perché?" chiese confusa la donna.

"...questo incidente ha portato a qualcosa di buono." aggiunse Andriel. "Ascolta. Che suono é questo?"

Helli si concentró. Udì un suono liquido, costante, che da sotto al mantello non aveva potuto cogliere.

"É una corrente d'acqua!" comprese.

"No, amica mia." disse Andriel. "Questo é un fiume."

 

Ritorna all'indice


Capitolo 56
*** La figlia di Shelob ***


La sacca da viaggio di Helli si era riempita di foglie e di terriccio nella caduta.

Alla luce di una fiaccola che Andriel aveva prontamente riacceso con l'aiuto di due legnetti secchi, la ragazza ispezionava ansiosamente il bagaglio.

"Non mi dire che l'hai perso, non me lo dire..." mormorò l'Elfa.

"No...eccolo. E' qui." sospirò Helli, stringendo il pezzo di cuoio che Nohmus le aveva dato per custodire il gioiello. Una smorfia del viso tradì un improvviso dolore interiore. La paura e la tensione la stavano sfiancando. Andriel era riuscita a medicarle lo sbrego al polpaccio, ma nulla poteva fare per le ferite del suo spirito.

"Ci siamo, Heloise. Questo è il grande fiume del bosco. Dobbiamo risalirlo, e troveremo l'uscita. Se Eru vuole, Eradan ha ricevuto il mio messaggio e lui e il Nano sono in cammino. Dovremo solo aspettarli presso le sponde." provò a rincuorarla Andriel.

"E chi ti dice che quel passero li abbia raggiunti?" reagì l'umana. "Chi ti dice che non siano già caduti nella trappola di un Ragno, o fatti prigionieri dagli Elfi, o chissà cos'altro?!"

"Ci risiamo col tuo pessimismo. Sai che devi fare? Quando senti di perdere le forze e le speranze, pensa al mio Comandante, pensa che lo rivedrai se sopravvivi." sorrise l'Elfa. "E' un pensiero piacevole, no?"

"Che c'entra il tuo capitano, adesso?" rispose Helli, alzandosi faticosamente in piedi. "Mi hai presa per Isadora?"

"No. Neanche per un momento. Ma tutti hanno capito che Nohmus non ti è indifferente." disse Andriel. "Per quanto io consideri la tua infatuazione pura follia, riconosco che può esserti utile per darti qualche motivazione in più. Perciò pensa a lui se ti senti giù."

"Io penso solo che il tuo Regno e la tua bella gente siano distanti anni luce da me. E penso che non rivedrò più mia sorella né il tuo capitano né la mia casa a Midlothian. Ho tanta voglia di lasciarmi andare, Andriel. Tu non immagini neanche come mi sento." si lamentò Helli.

Le due ripresero il cammino, costeggiando la corrente nera e fredda che attraversava il bosco, nel suo infinito fluire.

"Invece credo di saperlo. Anch'io mi sentii come te quanto rimasi sola. I miei genitori caddero in un'imboscata degli Orchi. Non erano soldati, non erano in grado di combattere. Mio padre era un tessitore, mia madre una brava artigiana del rame. Morirono che io ero piccola, ma fu proprio la mia giovane età a salvarmi. Mio padre mi incoraggiò a salire su un albero, quando avvertì la vicinanza degli Orchi...e quei mostri non mi videro. Mi salvai la pelle grazie alle fitte fronde di una grande quercia. Rimasi lassù finché non udii più alcun rumore. Quando scesi, non ebbi il coraggio di guardarmi intorno, non volli vedere i cadaveri dei miei. Saltai giù dall'albero e pensai solo a correre e correre...oh, se conosco la paura!" raccontò l'Elfa. "La paura è una brutta gatta da pelare...ma non bisogna dargliela vinta!"

"E poi cercasti rifugio da Elrond?" chiese la ragazza.

"Non proprio. Ero scappata senza saperlo nel suo territorio. Lui e i suoi soldati a cavallo passarono nella parte di bosco in cui ero io...e mi trovarono, rannicchiata dietro un cespuglio. Con immensa generosità il mio signore mi accolse nel suo regno. E lì fui salva." rispose l'Elfa.

"Gli devi molto. Lo consideri un padre, immagino." rifletté l'umana.

"No. Ho avuto un padre, e mi ricordo molto bene di lui. Lord Elrond é un grande e carismatico Elfo, a cui devo la mia sopravvivenza. Per me, è il mio capo, colui a cui rispondo. Ma non un padre." negó Andriel. "Io appartengo ai Noldor, e la mia razza è lontana da Gran Burrone."

"Dovresti stare nel Lothlórien. In effetti, lì potresti sentirti a casa." aggiunse Helli.  "Dama Galadriel e Lord Celeborn ti accoglierebbero."

Non si era accorta dell'enorme massa scura che si avvicinava alle loro spalle.

Ma Andriel udì.

Si giró di scatto e alzó la fiaccola.
Non c'era niente alle loro spalle.
Almeno, niente che l'occhio potesse cogliere.

"...cosa c'è adesso?" chiese Helli. Sentì l'ansia risvegliarsi.

"Ho sentito un fruscìo." riveló l'Elfa. "...dietro di noi..."

"Per forza, stiamo camminando sulle foglie." azzardó Helli. "Non puoi allarmarti per ogni..."

"No. C'è qualcosa qui." la zittì Andriel.

"Forse uno degli Elfi? Ci sta seguendo?!" chiese Helli girandosi a destra e a sinistra.

"No." sussurró l'Elfa. Alzó la fiaccola ancora di più e guardó in aria. Una smorfia di orrore si disegnó sul suo viso pallido. Con forza inaló una lunga boccata d'aria fredda, e le sfuggì un mormorìo in elfico.

"Cosa...?" urló Heloise, guardando a sua volta in aria.

Un enorme ragno era sopra di loro. Ancorato con le otto zampe alle rocce che formavano le pareti della conca, mostrava il ventre marrone striato di peluria e cosparso da una strana sostanza viscosa, che colava sul terreno come la cera delle candele.
Era molto, molto più grande di quello che le aveva aggredite vicino alla casa di Radagast.

Un pungiglione acuminato come una falce già fuorusciva dal fondo dell'addome, pronto a infilzare le due donne.

Helli strilló e si portó le mani al viso.

"Saenathra. Si diceva vivesse in questa Foresta. Questa conca è la sua tana!" urló Andriel, spingendo Helli con violenza all'indietro. La ragazza cadde seduta con un tonfo. "Scappa! Corri!" la esortó Andriel.
Ma Helli era agghiacciata, immobile di fronte a quell'insetto impressionante. Ipnotizzata dal movimento delle sue fauci, non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. Fu solo quando un rigagnolo di saliva del ragno le cadde su una guancia, che realizzó. Gridó un'altra volta.

"Scappa!" le comandó di nuovo l'Elfa. Finalmente, l'istinto reattivo di Helli ebbe la meglio e si alzó in piedi, iniziando a correre a più non posso in mezzo al buio. Ma inciampó in una radice e cadde di nuovo.
Saenathra fece per scattare e rincorrerla, ma Andriel alzó le braccia per richiamare la sua attenzione. "No! Non lei! Qui! Qui, prendi me!" le urló.

Il ragno allora giró tutti i suoi occhietti neri verso l'Elfa, e di nuovo aprì le ganasce, come a preparasi a un succulento pasto.
Andriel inizió a correre, ma Saenathra riveló una straordinaria velocità e in un attimo fu a pochi centimetri da lei.

L'Elfa si giró e tentó quanto già sperimentato con Melthotiel: unì le mani e formó un nuovo, luminescente schermo protettivo. La Luce emanata da quella magia elfica spaventó il ragno femmina, che portó le zampe anteriori a protezione degli occhi. Ma poi tentó un contrattacco, scagliandosi con tutta la sua mole sulla bolla iridescente generata da Andriel. Rimbalzó indietro, come se le sue zampe si fossero ustionate al contatto con lo schermo.

Andriel sorrise. "Non puoi farmi del male. Non puoi farmi niente." disse.

Il ragno lasció andare un verso alto e stridulo, di totale frustrazione.

"Torna nell'ombra. Sparisci nella tua grotta." le intimó l'Elfa, avanzando di un passo.

Ma Saenathra aveva tutt'altro piano.

🌺🌺🌺

Una volta compresa l'inutilità dei suoi attacchi contro l'Elfo femmina, il ragno decise di tornare sui suoi passi e rivolgere la sua attenzione ad Heloise, nel frattempo nascostasi sotto a un cespuglio.

Senza fatica, seppur al buio, riuscì a individuarla, e strappó via con una delle zampe il mucchio di sterpaglie sotto al quale la ragazza si era rannicchiata.

Helli gridó e sgattaioló sotto a un altro grande ammasso di rami caduti e foglie rinsecchite. Ma Saenathra la trovó anche lì. Con una nuova zampata, mandó all'aria il nascondiglio della donna, che corse allora dietro a un tronco caduto sul terreno. Si appiattì sul terriccio più che potè, e per qualche secondo ebbe l'impressione che il mostro non riuscisse a vederla.

Non fu peró sufficiente: Saenathra afferró con le possenti mandibole il tronco e riuscì a spostarlo, scoprendo Helli.

La ragazza a quel punto si trovó senza via d'uscita nè di fuga. Con orrore, vide la sagoma del ragno avvicinarsi a lei, e si aspettó la fine.

Urló fino a svuotarsi i polmoni.

"Ferma, figlia di Shelob." sentì la voce di Andriel comandarle. Una torcia accesa voló quindi sul dorso del ragno, mandandolo in fiamme. La mostruosità si contorse e squittì di dolore.

Il fuoco illuminó la scena.
Heloise vide allora Andriel impugnare una spada massiccia, argentata. La spada di Oropher.
Vide l'Elfa brandirla con entrambe le mani e cercare con gli occhi il punto giusto da colpire. Quando Saenathra inarcó il dorso per togliersi la fiaccola di dosso, Andriel vibró il colpo, con forza, e precisione. La grande spada trapassó il torace del ragno, da una parte all'altra. Liquido verdastro schizzó allora come un geyser, colpendo Andriel che arretrò disgustata.

Helli osservó l'insetto contorcersi e stridere negli spasmi dell'agonia. Si alzó in piedi e corse dietro ad Andriel, che ancora brandiva l'arma rubata a Thranduil. "Sta morendo!!" le disse. "...sei riuscita a ucciderla!"

"Guarda. Guarda adesso." le disse Andriel.

Helli vide il ragno capovolgersi e agitare le grandi zampe irsute all'aria. D'un tratto, persero ogni energia residua, e si abbandonarono sul terreno, inerti. Il corpo del ragno inizió a decomporsi all'istante. Diventó sempre più piccolo, atrofizzato, e infine si trasformó in polvere.

"Incredibile! Si è dissolto!!" esclamó Helli. "Ma com'è possibile?!"

"È la lama di questa spada. Ti ho detto che ha proprietà uniche. I ragni sono creature di Morgoth. Questa spada è letale per loro. Per tutte loro. Ma ora seguimi...voglio vedere una cosa." rispose l'Elfa, avvicinandosi al cumulo di polvere.

"Non é una buona idea!" disse Helli. "Andiamocene!"

"No. Vieni qui. Non c'è pericolo ormai." ribattè la guerriera, affondando le mani nella polvere. Poi trovó qualcosa. "Helli...vieni subito!" gridó.

La ragazza si avvicinó timorosamente all'ammasso di cenere.

L'Elfa stava con le mani scavando in quella montagnola grigia, quando dal nulla apparve...un viso. Un viso di ragazza, sepolto sotto la cenere.

Helli sbottó : "Oh grande Eru!!! Ma chi é?!!"

"Saenathra. La vera Saenathra." rispose con calma Andriel, continuando a scavare. Apparve un corpo femminile perfettamente formato, e nudo. "La maledizione di Morgoth è stata purificata grazie alla spada di Oropher. Ora la sua anima è libera. Lei e sua madre erano due spiriti femminili, imprigionati dal grande demone nei corpi di ragni mostruosi. Shelob vive ancora nella sua maledizione, ma lei ora è libera."

Helli osservó il viso cinereo della ragazza. Le ricordó Alice Huxley. Trasformata in creatura di carne e sangue, le sembró un'adolescente qualsiasi.

D'un tratto, la donna spalancó le palpebre.
Andriel e Helli balzarono in piedi, colte di sorprese.

L'essere femminile mormoró qualcosa. Lo sguardo vitreo fisso verso le stelle, mosse le labbra, come stesse pregando sottovoce.

Andriel si gettó carponi per udire le sue parole. "Saenathra puoi sentirmi? Sei libera, ora. Va' da lui...dal nostro grande Padre."

La ragazza allora scandì chiaramente: "LUCE. PACE. GIOIA." e subito dopo spiró.

Helli si porto le mani alla bocca, commossa. "Che destino orrendo...poverina..." mormoró.

"Ora è salva. Non dispiacerti per lei." le disse Andriel. "L'abbiamo aiutata."

"Dobbiamo seppellirla. Non lasciamola così, ti prego." propose Helli, coprendo il corpo nudo col mantello.

"Non è necessario. Sta' a vedere." le rispose l'Elfa.

Dopo pochi secondi, anche il nuovo corpo di Saenathra inizió a dissolversi. Divenne polvere prima che Helli riuscisse a capacitarsene.

"Vedi cos'è successo? Ha ritrovato la sua vera essenza, dopo essere stata trafitta. Così dovremo fare con Melthotiel. Dobbiamo fare in modo che la lama di quest'arma la colpisca. La libereremo dal veleno di Morgoth, e poco prima che muoia tu le chiederai come raggiungere la tana di Urgost. Lei troverà il modo, ne sono certa. Capisci infine cosa voglio fare?" disse Andriel.

"Usare Melthotiel." rispose Helli.

"Non lei. La sua sapienza." ribatté Andriel. "E noi la libereremo. Mi sembra un equo scambio, no?"

"Se riusciremo a trovarla. Dubito venga da noi come questo Ragno." sospiró Helli.

"Non ho detto che sarà facile. Questo no. Ma io ci credo. Prima peró, pensiamo a come trovare quei due." aggiunse Andriel. "L'istinto mi dice che Eradan e Farin stanno arrivando, e noi dovremo farci trovare nel punto convenuto. L'alba è vicina, Helli. In marcia, ora." la esortó l'Elfa.

Le due, allora, osservarono per un attimo il cumulo di cenere che era stata Saenathra, e mentalmente raccomandarono il suo spirito a Eru. Helli raccattó il mantello e pian piano lo scosse, per levare i residui di polvere.

"Certo, sto vedendo cose che nemmeno immaginavo." disse Heloise. "C'è così tanto da scoprire. Come ho potuto vivere nell'ignoranza per tutti questi anni? Il mondo è molto più di Midlothian."

"Questo è il motivo per cui sei partita da casa tua, mi pare. E molto altro hai da osservare." rispose l'Elfa.

"Andriel...vorrei ringraziarti. Ho perso il conto delle volte in cui mi hai salvato la vita. Sei...ecco, credo di poter dire...che sei la mia migliore amica." disse Helli, guardandola con affetto.

L'Elfa ricambió il sorriso. "Mi fa piacere. Anche tu, sei una buona amica."

"Io sono solo un impiastro. Vi ho trascinati tutti in un enorme pericolo. Credo di non essermi mai scusata per questo." mormoró lei, imbarazzata.

"Anch'io sto imparando molto da questa esperienza. Forse è tutto scritto. Forse c'é un piano di cui ancora non siamo a conoscenza, e di cui certamente non sei tu la responsabile. Tutto va come deve andare...è consolatorio, no?" rispose Andriel.

"Vorrei che fossi tu mia sorella." aggiunse Helli, ma Andriel la guardó con improvvisa durezza.

"Non dire mai più una cosa simile. Mai più." la rimproveró. "Tu devi voler bene a tua sorella. Avete lo stesso sangue. È tutto ció che resta della tua famiglia. Non esiste legame più grande. Non si rinnega la famiglia."

"Volevo dire..." balbettó Helli.

"Basta parlare. Heloise, facciamo questo ultimo sforzo, ora. Con Eradan e Farin di nuovo al nostro fianco ci sentiremo più sicure."
Poi ci pensó un po' su e aggiunse: "... vedi che risvolti incredibili sta avendo questa avventura? Mi tocca sperare di ritrovare un maledetto Nano".

 

Ritorna all'indice


Capitolo 57
*** Dove è il principio ***


"Ahhh...mi venga un accidente!"
brontoló Farin, caracollando dietro Eradan. "Che cos'è questo? Una fogna a cielo aperto o una specie di ruscello?"

"È quello che cercavamo. Ci siamo." rispose il ramingo. "Non ci resta che risalirlo."

"Questa puzza è insopportabile! Ma da dove viene?" chiese il Nano, turandosi il naso.

"Da quella carcassa." rispose Eradan, puntando la spada in una direzione. Farin si giró e vide una mucca, o quel che ne restava, riversa a terra. Doveva essere morta da giorni. Il corpo in decomposizione era assalito da sciami di mosche.

"Andiamo via, mi viene da vomitare!" si lamentó ancora il Nano.

"E' strano. Che ci faceva quell'animale in questo territorio? Qui non ci sono pascoli, nè allevatori di bestiame."  chiese il ramingo, osservando il circondario.

Erano ormai arrivati quasi al confine settentrionale del Bosco dei Verdifoglia, e la presenza di quel ruscello annunciava la presenza del grande fiume nelle vicinanze.

Il Dunedain teneva in un taschino il messaggio di Andriel, quel lembo di tessuto vergato col suo stesso sangue. Lui e Farin inizialmente non avevano capito perchè un uccellino li stesse seguendo con tanta ostinazione. Era stato solo quando il passero aveva iniziato a virare verso il basso sulle loro teste che avevano compreso.  Quell'uccello aveva un messaggio per loro, legato stretto a una delle zampine.

Eradan si era aspettato un'iniziativa del genere dall'Elfa.  Usare la sua capacità comunicativa con le bestie sarebbe stato l'unico modo in effetti rintracciarli. Aveva dato loro appuntamento all'ingresso della Foresta, nel punto in cui il corso d'acqua penetrava nel bosco, e si trattava di arrivare lì il prima possibile. Con tutta probabilità le due erano state intercettate dagli Elfi, che perlustravano incessantemente l'area. Thranduil era famoso per l'attenzione che riservava alla protezione dei suoi confini, e ordinava ai suoi soldati di tenere sotto controllo ogni metro quadro di quel territorio. Eradan speró con tutto il cuore che le due fossero riuscite a trovare il percorso verso il fiume senza troppi impedimenti. Erano in grande ritardo sul prosieguo della missione. E Urgost probabilmente stava già dando segni di impazienza, nella sua grotta gelida.

"...questo è stato il pasto di qualche predatore." ragionó Eradan. "...qualcuno, o qualcosa, ce l'ha portata qui."

"Ragion per cui dobbiamo allontanarci. Siamo in due, non possiamo farci sorprendere da qualche mostro del cavolo. Sono stanco, non ho voglia di combattere!" grugnì il Nano.

"Forse quel muta-pelle, Beorn. La sua tana è qui in zona. Prega che non sia nei dintorni, in forma animale. Non ce la faremmo contro di lui." disse Eradan. "...ci mancherebbe solo questa."

"Cos'è un muta-pelle?" volle sapere Farin. "Qualche altro maledetto servo di Sauron?"

"No. Sono esseri costretti a vivere due vite: una in forma animale, durante la notte, e di giorno ritornano Uomini. E quando sono in forma umana, si puó ragionare con loro. Ma quando sono bestie..." rispose Eradan.

"...meglio stare alla larga. Ho capito. Sai che ti dico? Avremmo dovuto servirci delle Aquile per raggiungere il Nord. Perchè non possiamo chiamarle?" chiese il Nano. L'olezzo nel frattempo era diventato insopportabile. "...e senti che fetore!! Non è solo quella carcassa!!"

Eradan si fermó.
Annusó l'aria. "...no, hai ragione, non lo è."

I due sentirono un rumore fin troppo familiare per entrambi. "...non è possibile. Che ci fanno in questa zona?!" esclamó il Nano.

C'era evidentemente un gruppo di Orchi nelle vicinanze.
Il Nano e il ramingo avvertivano i loro versacci, e il lezzo nauseabondo che emanavano.
"Devono essere dietro quel gruppo di massi..." commentó Eradan. "...hanno osato spingersi fino ai confini del reame degli Elfi. È incredibile."

"Che facciamo?" chiese Farin, brandendo l'ascia. "Non mi dispiacerebbe mandare un po' di quelle bestie all'inferno."

"Hai appena detto che non vuoi combattere". bisbiglió il ramingo. "Peró... anche a me non va che quelli scorrazzino liberamente qua in giro. Potrebbero raggiungere i territori del Sud. Attaccare villaggi umani. O aggredire gli Elfi."

"E allora, forza!" esultó il Nano. "Thranduil non merita il nostro aiuto, e accidenti a me se voglio fargli un favore. Ma odio troppo queste creature immonde! Facciamoli fuori!"

"Calma. Non sappiamo quanti sono, comunque. Rischiamo di rimetterci la pelle, e tempo prezioso. Non dobbiamo perdere di vista il nostro obiettivo. Quelle due ci aspettano." ragionó l'Uomo.

"Fossero anche una ventina di Orchi, non mi preoccupano. Sono mostriciattoli stupidi, facili da uccidere. Sono schifosi parassiti che vanno eliminati! È nostro dovere!" protestó Farin.

"So come ti senti." rispose Eradan, mettendogli una mano sulla spalla. "...ma ci sono priorità. Forse è meglio lasciar perdere. A Gundabad ne vedrai finchè ne vuoi, di Orchi."

Il Nano grugnì indispettito. "Non sono d'accordo...andiamo Eradan! Possiamo farcela!"

Eradan scosse la testa. "No."
Guardó verso l'ammasso di alte formazioni rocciose dietro al quale gli Orchi avevano trovato rifugio. "...ti dico quello che faremo, passeremo in silenzio dall'altra parte. Li lasceremo lì dove sono. Farin, sentimi bene: non farai rumore mentre avanziamo. Intesi?"

"Non è onorevole questo per noi." protestó il Nano.

"Sono d'accordo, non lo è. Ma saggio è colui che non è schiavo degli impulsi, diceva il mio mentore. Dobbiamo arrivare a quel punto indicato da Andriel. Tutto il resto non ha importanza, ora."
ribattè Eradan.

I due, allora, proseguirono con cautela lungo il sentiero polveroso, lasciando l'ammasso di rocce alla loro destra e tentando di fare meno rumore possibile. Sarebbe bastato il suono di un rametto spezzato, per mettere in allerta gli Orchi. Erano esseri grezzi e stupidi, ma avevano un fenomenale udito e un fiuto ancora più infallibile.

Eradan si chiese cosa stessero combinando.
Sentiva un suono incessante di grugniti e ringhi, come se quelle creature stessero litigando fra loro. Non era raro che scoppiassero risse fra gli Orchi, non erano certo esseri dotati di diplomazia o del benchè minimo riguardo gli uni verso gli altri. Aveva addirittura sentito di episodi di cannibalismo fra loro, quando le prede scarseggiavano.

Il ramingo non si era accorto di una vedetta sulla sommità di una delle rocce.

"Hey...guardate un po' qua!" biascicó l'Orco, facendo un ampio movimento col braccio, come a richiamare gli altri. "...abbiamo visitatori!!"

Farin imprecó nella sua lingua.
Eradan estrasse la lunga spada.
"...pare che ci tocchi, amico mio!" esclamó il Nano, non nascondendo un sorriso di soddisfazione. "Questi li sistemo tutti io, se vuoi."

In un baleno, i due si trovarono circondati da una dozzina di creature ributtanti, gobbe, storpie, e del tutto intenzionate a mandare l'Uomo e il Nano all'altro mondo al cospetto di Eru, con tanti saluti da parte di Morgoth.

"Carne fresca bell'e servita!" ringhiò uno dei mostriciattoli, mostrando la lingua nera pregna di veleno. "...certo, il Nano è un po' stagionato per i miei gusti...ma posso fare un'eccezione!"

Subito dopo, con un balzo, l'Orco tentò di saltare addosso a Farin, che con un veloce colpo della sua ascia mandò la testa dell'incauto essere a tre metri di distanza.

"Perché sono così stupidi, tu lo sai?" chiese ironicamente il vecchio guerriero ad Eradan, nel frattempo impegnato a tenere testa a due di quelle creature.

"Voglio dire...ci sarà un ...motivo...per cui...siete tutti così..." grugnì il Nano, tentando di scrollarsi di dosso un Orco che lo aveva afferrato per le spalle. Impugnando il manico dell'ascia a mo' di pugnale, e con un agile movimento del polso, Farin riuscì ad accecarlo per poi trapassarlo con le lame della sua arma. "...deficienti!"

"...non arriverete al fiume." disse quello che doveva essere il loro capo. "Non troverete le due femmine."

Eradan e Farin si bloccarono. Girarono uno sguardo sugli otto Orchi rimasti, che risero di gusto.

"Cosa sapete di loro?" chiese bruscamente l'Uomo.

"Sappiamo tuuuutto." li canzonò l'Orco. "La Regina ce l'ha detto. Ci ha detto che ci avreste provato a raggiungerle. E che noi dobbiamo fermarvi."

Eradan vide l'immagine di Melthotiel nella mente.

L'Orco stava parlando di lei. Non poteva che essere lei.

Ma come sa che siamo qui? Come sa che noi quattro ci siamo separati? Si chiese, disperato.

Allora li stava spiando. Allora non era affatto tornata ad Angmar.

Radagast si era sbagliato.

"..tu non capisci..." continuò l'Orco, la bocca deformata in un terribile sorriso. "...lei è ovunque. Casa sua è dove è il principio."

Farin corrugò le folte sopracciglia. "Il principio di che? Che vai blaterando, bestia maledetta?"

"Lei è più antica di quanto immagini. Più potente di quanto voi crediate. E non ve lo lascerà fare...non vi lascerà usare il Drago contro il Re Stregone. E' pronta a sacrificare tutte le sue legioni perché questo non succeda." sputò ancora l'Orco. "Voi non avete speranza, se non quella di venire annientati."

"Già...ma prima tu!" rispose Eradan, aprendo il due il torace dell'Orco con la sua spada.

"Allora!! C'è qualcun altro che vuole essere fatto a brandelli? Tu?" gridò Farin, rivolto a uno dei mostriciattoli, che arretrò un po' spaventato. "...o magari tu?" ringhiò a un altro, che abbassò lo sguardo e la mazza chiodata che aveva in pugno.

"Se questo è un esempio delle indomite legioni di Melthotiel, non ci fa davvero un grande figura...la vostra Regina!" esclamò il Nano.

Come punti nell'orgoglio da quelle parole, gli Orchi ruggirono e lasciarono partire una serie di ululati di rabbia, per poi scagliarsi tutti insieme sui due amici.

Eradan ne mandò tre all'altro mondo senza troppo sforzo, e poi si girò a contemplare lo spettacolo del vecchio Farin, che ebbe in realtà un bel daffare a sistemare gli altri quattro.

Una volta sterminati gli Orchi, l'Uomo e il Nano si sedettero a terra, fra gli schizzi di sangue nero che avevano impregnato l'erba.

Farin ansimava rumorosamente.

"Accidenti...non sono più quello di una volta...ora mi fa male la schiena!" borbottò.

"Sei stato grande!" sorrise Eradan. "...non ne dubitavo."

"Schifosa vecchia megera... credevo di essermi sbarazzato di lei." grugnì ancora il Nano. "Quella ci sta alle costole... ma dove diavolo è?!" poi si guardò in giro.

"Cosa avrà voluto dire l'Orco: casa sua è dove è il principio?" si chiese Eradan. "Non mi piace quella frase."

"Bah... E' già tanto che quelli sappiano parlare. Non mi preoccuperei di cosa esce dalle loro bocche." rispose Farin, sputando a terra. "Guarda qua...non hanno nemmeno sangue vero nel corpo, ma solo questa melma nera!"

"Il principio...il principio ..." mormorò ancora Eradan.

"Adesso non vorrai farti impressionare da ciò che ha detto questa specie...questa specie di topo di fogna?" lo provocò Farin. "Te l'ho detto: sono sciocchezze, farneticazioni.  Abbiamo fatto fuori una dozzina di Orchi. Chiuso. Ora andiamo dove dobbiamo andare."

Eradan sospirò. Guardò i resti dei servi del male, sparpagliati sul terreno.

Provò disgusto.

Si rimise in piedi. Infilò la lunga spada nella fodera che gli penzolava sulla schiena.

"Sì. Non pensiamoci più. Andiamo allora. Eru non voglia che Meltothiel abbia inviato altre bestie come queste a rintracciare Andriel e Heloise." disse.

"Conoscendo Andriel, la cosa non mi preoccupa. Quella sa combattere, li farà fuori in un baleno! Ha!" ribattè il Nano. Poi ci pensò un po' su. "Hey Eradan...non è da scompisciarsi dal ridere? Ho appena fatto un complimento a un dannato Elfo!"

 

Ritorna all'indice


Capitolo 58
*** Di nuovo insieme ***


Melthotiel era stata un'Elfa straordinaria.

Prima della caduta, prima della corruzione del suo spirito, era stata un'Elfa di fenomenale valore.

Aveva un'abilità che la contraddistingueva rispetto a quelli della sua razza: la capacità di cogliere le emozioni altrui.
Saper leggere nel pensiero era una dote comune fra gli Elfi, ma interpretare e - in certi casi - anticipare i desideri di un'altra anima, era qualità rara e innata.

Melthotiel aveva sempre avuto uno sguardo enigmatico, come quello di un gatto. Perfino Glorfindel, che pure aveva una sua buone dose di carisma, delle volte si era sentito rapito da quegli occhi grigi e intensi.
I suoi capelli argentei erano sempre stati raccolti in due spesse trecce attaccate al capo, un vezzo che aveva mantenuto anche dopo la trasformazione in strega. La pelle candida e priva di qualsiasi imperfezione, poteva competere con l'incarnato della sua principale antagonista, Galadriel.

Prima della sua "morte", almeno.

Il veleno contenuto nell'arma che l'aveva centrata aveva agito all'istante. Colpita da una freccia morgul, la sua mente si era annebbiata, e aveva perso conoscenza quasi subito. Credendola finita, gli altri Elfi soldato l'avevano lasciata sul terreno, e dopo un breve lamento funebre in suo onore, se n'erano andati.

E nel sonno nero, aveva sognato Morgoth.
Aveva sentito la sua voce, e le sue parole. L'antico spirito le aveva offerto una scelta.

Continuare a vivere come sua serva, o perdersi nel Vuoto. Rivedere la luce, il sole, il cielo, risorgere con un nuovo corpo, vecchio, raggrinzito, privo della precedente grazia... ma di nuovo vivo.  Assorbire in sè un nuovo potere, maligno, spaventosamente grande.

Oppure...sparire. Non esistere più, se non come ricordo nel cuore di chi l'aveva conosciuta.

Non ci aveva messo molto a decidersi. Melthotiel amava troppo la vita per lasciare che un misero incidente di percorso (una freccia diretta qualche millimetro più in là, un millimetro sufficiente a colpirla)  la cancellasse dalla Storia. Aveva troppo orgoglio per accettare un fato così ingiusto.

E Morgoth conosceva il suo valore e le sue qualità. Schierata dalla sua parte, poteva essere un asso della manica notevole, viste anche le sue conoscenze magiche. 

Così avevano fatto un patto: lei sarebbe stata di nuovo protagonista delle vicende della Terra di Mezzo, lui avrebbe avuto una nuova guerriera.

Ma nella natura della nuova Melthotiel, era rimasta una caratteristica della vecchia: la capacità di cogliere i desideri altrui.

Così, non era stato per niente difficile capire cosa fare.

Aveva subito una brutta sconfitta: l'umana aveva incontrato Urgost, e aveva stretto un patto con lui. L'aveva fregata sul tempo. Il Mil Naur per lei era dunque inutile, ormai. Tranne che per un motivo, un motivo che quella Heloise non poteva certo supporre.

La pietra connetteva la mente delle due donne. Era un mezzo tramite cui Melthotiel spiava la vita dell'umana, vedeva le due azioni, sentiva le sue paure, sentiva i suoi pensieri.
Il Mil era stato creato per lei, e chiunque fosse il temporaneo possessore, era a sua volta legato alla Strega. Legato mentalmente, e a sua insaputa.

Il Mil Naur era il principio.

L'inizio di tutto, il punto focale della vita terrena di Melthotiel.  Questo era stata la condizione di Morgoth, perché lei tornasse a nuova vita. Uno strumento creato da lui, per controllarla. Per evitare che venisse colta dalla tentazione di tornare a ció che era stata prima.
Finchè il Mil era impregnato del suo potere, Melthotiel era ben salda nel cerchio tracciato dal grande dèmone.

Ma c'era una fatto: la Strega non voleva tornare a ció che era prima.  Il suo corpo aveva perso la bellezza, ma mai Melthotiel si era sentita così forte e potente. L'energia che Morgoth le aveva trasmesso aveva trasformata una brava guerriera e un'eccellente maga in una vera forza della Natura.

Era conosciuta, e temuta. La paura che incuteva agli altri le faceva provare una sensazione di dominio inebriante. Tanto intenso era l'amore che Galadriel attraeva, tanto intensi erano l'odio e la paura che Melthotiel richiamava a sè.

In effetti, questa trasformazione aveva trovato terreno fertile in lei.

C'era sempre stata nel suo intimo una punta di ammirazione per Morgoth, il Vala ribelle che aveva osato cantare fuori dal coro di Eru. Non aveva voluto sottomettersi e in questo, Melthotiel non ci vedeva niente di male.

Morgoth si era auto-determinato, aveva scelto cosa essere. Certo, nel processo aveva creato una serie di mostruosità che avevano reso la Terra un posto meno idilliaco in cui vivere, ma perlomeno era libero.

Come era lei.
E tale voleva restare. 

E per restare libera, occorreva mantenere un suo posto dove vivere e regnare. Lei e suo marito, il Re Stregone, dovevano restare ad Angmar.  E Angmar era in grave pericolo.

Se il Drago ne avesse preso possesso sarebbero stati tutti quanti costretti a sloggiare, e in fretta. Lei, suo marito, gli Orchi, i Mannari. Non si poteva dividere un regno con un Drago, che non rispondeva più ad alcuno, che non voleva padroni, che non ubbidiva ad altri che alla sua avidità.

Non c'erano in effetti grandi possibilità che Heloise uccidesse Agandâur, almeno non da sola, ma con un Dunedain e un'Elfa in gamba al suo fianco qualche flebile opportunità poteva presentarsi. Del resto, avevano battuto lei per ben due volte.

Bisognava risolvere il problema.  Era a quel punto necessario cambiare i piani. Quei quattro non dovevano arrivare fino a Gundabad. Dovevano essere fermati prima.

Aveva inviato un gruppo di Orchi a annientare il Nano e il ramingo, ed erano stati fatti a brandelli.

Aveva inviato Saenathra a uccidere le due femmine, ed era stata sconfitta.
Quel che era peggio, la sua anima era stata restituita ad Eru, e Morgoth aveva perso un'altra creatura. Andriel aveva ipotizzato di fare lo stesso con lei, e Melthotiel aveva udito quelle parole tramite le orecchie di Helli.

Si era fatta una risata.

Un equo scambio.
Beh, quell'Elfa soldato doveva avere una gran presunzione se pensava che sarebbe stato facile.

Comunque, i quattro guastafeste andavano respinti, in qualche maniera.
Aveva fallito nel colpirli alla mente e nel corpo, e non le restava che colpirli al cuore.

Si giró a guardare i due Elfi incatenati alle pareti di roccia della grotta in cui si era accampata.

Due fratelli. Un maschio e una femmina. Due soldati di Elrond, incautamente spintisi troppo oltre i loro confini.

La femmina, Eulalie, era ferita. Melthotiel aveva dovuto usare le maniere forti con entrambi, che erano guerrieri provetti,  e ne erano usciti un po' malconci. L'Elfa aveva due costole rotte e varie ecchimosi sul corpo e sul viso.

Tramortiti, ma non morti.

Poi gli occhi si girarono verso il maschio, la sua carta più preziosa.  L'Elfo di cui si era innamorata l'umana.

Un vero splendore, con profondi occhi che traboccavano odio per lei, e lunghi capelli neri.

Durante il primo incontro con la figlia di Norman Foley, aveva tentato di ricattarla con la vita di sua sorella, in cambio della pietra.

Ora avrebbe minacciato di fare a pezzi il tizio dei suoi sogni, davanti a lei, se la ragazza non avesse girato i tacchi insieme alla sua combriccola e si fosse tenuta lontano da Angmar. Ci avrebbe pensato lei, nel tempo, ad andarli a trovare uno ad uno per esigere le loro vite. Per punirli dell'impudenza di averla sfidata. Oppure l'avrebbe fatto Urgost. Non le importava. Ma intanto dovevano andarsene. Uniti, erano un problema.

E se la bionda Elfa  avesse osato anche solo muovere un muscolo per aggredirla, una brutta sorte sarebbe toccata alla sua amica dai capelli neri, che ora gemeva dal dolore al costato.

Si avvicinó al maschio.

Allungó una mano per accarezzargli una guancia, ma lui giró il viso, disgustato. Uno straccio era stato legato attorno alla mandibola di entrambi, per costringerli al silenzio.

"Non preoccuparti, dolci guance. Tra poco sarai libero. Ho intenzione di proporre alla tua amica un accordo coi fiocchi stavolta. Un...equo scambio."

🌺🌺🌺

"Non riesco, ti dico! Mi fa male il gomito!" protestó Helli, mentre faticosamente tentava di tendere in grosso arco di Andriel.

"Mi hai chiesto tu di insegnarti a usare un vero arco, o no?" rispose l'Elfa, intagliando una nuova freccia.

"Si ma... possiamo andare per gradi? La corda è tesissima, non riesco!!" fu l'ulteriore protesta della ragazza.

"Perché non provi a cambiare impugnatura? Reggi l'arco con la destra e tira il flettente con la sinistra." propose Andriel.

Helli sospiró e provó a fare come suggerito. Passó l'arco nella mano destra, e con due dita, inizió a tirare la spessa corda. Fu molto più semplice così. Dopo un'iniziale resistenza, il flettente si lasció tirare.

"Come mai così mi riesce?!" chiese la donna, meravigliata.

"Perché sei una Nord-Ovest." disse Andriel. "È raro, ma capita. Per gli arcieri è una grande fortuna."

"...una... nord ovest?!" chiese la ragazza. "...cioè?"

"Mancina." replicó Andriel. "Sei una donna arciere mancina."

"No che non lo sono! Io scrivo con la destra." Obiettó Helli.

"Non c'entra. Gli archi elfici hanno una loro magia. Sanno riconoscere qual'è il tipo di impostazione giusta per il loro possessore. La mano importante è quella che tira la corda. Tu sei mancina in quest'arte. Ed è un privilegio, credimi. Puoi mirare con molta più precisione. Gli arcieri mancini sono pochi e più letali dei destrorsi. Li mandiamo in prima linea, infatti!" riveló Andriel. "Ora prova con un bersaglio. Quel tronco ad esempio."

L'Elfa indicó un albero di fichi, ancora immaturi. "Cerca di colpire quel nodo là, nel legno."

Helli si concentró e assunse la posizione insegnatale. Un piede davanti all'altro, bacino immobile, schiena dritta. Chiuse un occhio per mettere a fuoco il punto giusto da colpire.

"Ora respira." disse Andriel. "Prima di espirare, rilascia la freccia."

Helli fece quanto detto. Tiró la coda della freccia nel flettente più che potè, e quando sentì che il momento era arrivato, lasció partire il dardo.

Fu un centro pressoché perfetto.

Andriel era sbalordita. "Eccezionale, Helli!"

La ragazza era incredula. Stava lì, con l'arco abbassato, la bocca semi-aperta in una smorfia di assoluto stupore.

"E al primo tentativo!" commentó ancora Andriel. "Forse abbiamo trovato qualcosa che sai fare veramente bene!"

"Ho fatto centro?! Vuoi dire...che ho fatto centro?" esclamó lei. "Ma se fino a stamattina non riuscivo neanche a tenere l'arco in mano!"

"Te l'ho detto, i nostri si adattano al possessore. Ma devi usarlo da mancina." rispose Andriel. "Mi fa piacere sapere di poter contare su di te, in caso di bisogno. Ora sai usare un'arma."

Le due avevano trovato il ramo di fiume che doveva essere il luogo d'incontro con Farin ed Eradan. Solo che, di questi ultimi due non c'era nemmeno l'ombra.

Andriel era aggrappata alla speranza che il suo amico volatile li avesse trovati e che l'Uomo avesse letto il messaggio. Tuttavia, tre ore erano già passate dal loro arrivo, e ancora i due non davano segni di presenza.

Per passare il tempo, e per risolvere il problema della fame di Helli, divenuta lancinante e fonte di interminabili lamentele, Andriel si era messa a pescare a mani nude.
Quel punto del fiume era ricco di trote, e l'Elfa senza sforzo ne aveva acchiappate due.

"Che faremmo se Eradan e Farin fossero morti?" chiese Helli.

Quella domanda colpì Andriel al cuore. "Non lo dire. Non puó essere successo. Eradan è forte." rispose, comunque.

"Già...ma se..." continuó Helli.

"Non... lo ... dire. Mi hai capito bene? Arriveranno." taglió corto l'Elfa.

Helli si zittì.

"...beh dovremo darci un limite di tempo. Non possiamo aspettarli fino a domani." osó solo aggiungere.

"Partiremo all'alba domattina, se non dovessero arrivare entro stanotte." ribattè Andriel. "Ma devono raggiungerci. In due non ne usciremo vive."

"Grazie per avermelo ricordato." commentó Helli. Poi sospiró, e impugnó di nuovo l'arco. Incoccó una freccia e stavoltà miró a una susina violacea che penzolava da un alberello.

"Hey non sprecare le frecce. Farle richiede tempo." disse Andriel, contrariata.

Helli non le badó, e fece partire il dardo. Anche stavolta andó a segno. Sorrise.

"Ha! Non puó essere vero!" esclamó una voce roca e burbera. "Non credo ai miei occhi! Allora Heloise sa fare qualcosa di utile!"

Eradan e Farin comparvero sull'altra sponda del fiume, sbucando da dietro una serie di rocce. Evidentemente stanchi e provati, non nascondevano la felicità di averle trovate.

Helli cacció un urlo alla loro vista, e si buttó nel fiume per raggiungerli, visto che l'acqua era piuttosto bassa e la corrente debole. Anche Andriel si lasció andare un moto di entusiasmo. Agitó entrambe le braccia in saluto.

"Eradan!!! Finalmente!" gridó la ragazza.

"Sei un arciere adesso, vedo." la prese in giro il ramingo, lasciandosi travolgere dal suo abbraccio. I due finirono a terra. Helli prese a baciargli il viso freneticamente, come non lo avesse visto da decenni.

"Se ti vedesse tua sorella..." commentó divertito il Nano. "Ci sono anch'io, ti ricordo."

"Farin!! Ho avuto tanta paura di non incontrarvi più!!" ribattè lei, abbracciandolo, mentre Eradan si rimetteva faticosamente in piedi. Era sollevato dall'averle ritrovate, e averle trovate vive e in salute.

"Sapeste cosa ci è successo!! Abbiamo incontrato Thranduil, e Andriel ha preso la spada e...e poi i soldati ci hanno inseguite...e c'era quel ragno...oh signore mio grazie di avervi riportati da noi!" scoppió a piangere Helli, e solo allora Andriel realizzó quanto fosse scossa da tutta la faccenda. Era solo una ragazza di vent'anni. Aveva dimostrato già più forza di molte sue coetanee. Ma non poteva aspettarsi troppo da lei.

"Cosa è questa storia? Quale spada?" volle sapere il ramingo. Poi strinse affettuosamente il braccio ad Andriel, che li aveva raggiunti, in segno di saluto. "Ottimo lavoro, soldato. Hai protetto Heloise. Elrond te ne sarà riconoscente, quando lo saprà."

"Ma non è stato facile. Molto ho da raccontarti. Ora sedetevi, dovete rifocillarvi. C'è ancora del pesce, posso pescarne altro. Poi peró dobbiamo andarcene. Entro sera, saremo raggiunte dall'esercito del Re, temo." spiegó l'Elfa.

"Thranduil vi dà la caccia? E per quale motivo? L'avete offeso?" chiese Eradan.

"No, amico. Peggio." rispose l'Elfa. "L'ho derubato."

 

Ritorna all'indice


Capitolo 59
*** L'Aquila dorata ***


"Quello che avete fatto va oltre ogni giustificazione." sbottó Eradan, una volta ascoltati tutti gli ultimi avvenimenti della vita di Heloise e Andriel. "Derubare Thranduil è stato un atto pericoloso e disonesto. Non avreste dovuto! Andriel!" disse, girandosi verso l'Elfa. "...sono sconcertato."

"Non avevamo scelta. Era un'occasione unica. Questa spada puó riuscire dove una normale lama fallirebbe. Lo sai benissimo. Abbiamo un Nazgûl da affrontare, e quegli esseri non sono Orchi. Non sono creature di questo mondo, non possono essere eliminati con i tuoi metodi." ribattè l'Elfa, vagamente offesa. "Non trattarmi come una sprovveduta, so bene quello che faccio!"

"Certo che non lo sei! Sei talmente furba da aver compiuto un atto che potrebbe portare la guerra fra Boscoverde e Gran Burrone! Tra Elrond e Thranduil non corre buon sangue. Hai insultato lui e il suo popolo sottraendo questa reliquia, e hai commesso un crimine nei suoi confini! A chi credi che chiederà conto, adesso?!" sbottó il ramingo. Era incredulo di fronte alla superficialità di Andriel, che di solito era così fine d'intelletto. "Se tu gliel'avessi chiesta in prestito, forse..."

"Adesso chi è l'ingenuo?! Chiedere un prestito a Lord Thranduil, ma ti senti quando parli?!" ribattè lei. "Mi avrebbe fatta fustigare se solo avessi menzionato la spada di suo padre. Non esisteva alternativa, Eradan, questa lama ci serviva disperatamente. L'altro modo sarebbe stato quello di tornare nelle Tumulilande e metterci a scavare ogni tomba, ti sarebbe piaciuto di più forse? No, io non credo!"

Heloise, che per tutto il tempo aveva tenuto lo sguardo basso, s'intromise. "Basta, non litigate vi prego! Quello che è fatto, è fatto. Eradan, io mi fido di Andriel. Mi fido ciecamente. Non prenderebbe mai una decisione sciocca. E poi, ho avuto modo di vedere il potere di questa spada, e ti assicuro che è impressionante."

Eradan la squadró. "Vedo che non comprendi. Esistono regole d'onore fra i reami elfici. La prima, la più importante, è quella di non tradirsi. La tua amichetta bionda, qui, rappresenta la comunità di Lord Elrond. Ci siamo introdotti senza permesso nel territorio di un altro popolo e di questo siamo responsabili tutti. Potevamo uscirne senza troppi danni, una volta incontrato Radagast, potevamo andarcene senza nemmeno palesare il nostro passaggio. Ma Andriel ha fatto la cosa più imperdonabile. Ora Thranduil è alle nostre calcagna e quel che è peggio si sente oltraggiato dagli Elfi di Gran Burrone. Stavolta si vendicherà, quanto è vero il suolo su cui cammino!"

Farin intervenne. "Scusa peró, non è colpa delle due ragazze se Legolas e i suoi soldati le hanno sorprese nel bosco..."

"Certo, perchè si sono allontanate dalla casa dello Stregone. O devo ricordare a tutti anche questo?!" rispose l'Uomo. "...ma perchè nessuno si rende contro della gravità della faccenda? E cos'è quest'altra sciocchezza di liberare Melthotiel dalla maledizione di Morgoth? Chi vi credete di essere, dei Valar, forse? Non siete alti spiriti!"

"No, un attimo. Questo l'ho visto succedere a Saenathra. Te lo giuro su tutto quello che ho. Dopo essere stata colpita dalla spada di Oropher, è tornata in forma umana, ed era.... bellissima. Era di nuovo innocente, e da innocente è morta. Ora il suo spirito è in pace." raccontó Helli. "Credo anch'io che con Melthotiel potrebbe funzionare."

"Esattamente come vorresti fare? Andare a stanarla in qualche anfratto del Forodwaith? E chi ti dice che sia lì? Chi ti dice che adesso non sia seduta sul trono di Carn Dûm col suo sposo a farsi quattro risate? Ma perchè vedete tutto così facile!" si animó Eradan.

"Perchè siamo in gioco e dobbiamo giocare! Ma cos'è questo livore, non sembri nemmeno tu! Credevo che voi Dunedain foste duri come rocce e pieni di coraggio! Sei un codardo!" urló Andriel. "Ho rischiato la mia vita per proteggere Heloise, non te lo dimenticare!"

"Già, e nel farlo ci hai messo in un mare di guai!" ribattè il ramingo.

"Non parlarle così! Eradan! Se non fosse stato per lei..." esclamó Helli.

"Silenziooo!!!" grugnì Farin, piantando con un poderoso colpo l'ascia nel terreno. "Ne ho abbastanza di questo berciare inutile! Dobbiamo raccogliere armi e bagagli e rimetterci in marcia! Abbiamo il Nord da raggiungere e quello che sarà, sarà! Mi dite a che diavolo serve continuare a discutere! A perdere energie, ecco a cosa serve!"

Ci fu un lunghissimo minuto di silenzio pesante, rotto solo dal suono lieve dell'acqua corrente nel fiume.

"...raggiungere il Nord...se i soldati del Re Elfo non ci raggiungono prima." mormoró l'Uomo.

"Senti, conosco abbastanza le usanze militari elfiche per dirti questo: gli Elfi non si muovono mai in modo scoordinato. E non lasciano mai i loro territori se non è strettamente necessario. Dubito che Thranduil ci mandi dietro tutta la sua armata, lasciando i confini senza protezione. E' invece probabile che lanci al nostro inseguimento una decina di guerrieri scelti, l'ha già fatto e ci hanno mancate per un pelo. Visto che gli è stato sottratto un oggetto di famiglia, il principe Legolas ora potrebbe essere incaricato del suo recupero, alla guida dei soldati."

"Grandioso." disse il ramingo.

"Già. Legolas è un osso duro. Ha un'abilità come arciere fuori dal comune. È letale anche con la spada, è coraggioso, veloce. Se dovessimo avere anche lui alle costole, sarebbe un problema innegabile. Ma io credo, che il gioco sia valso la candela." si avvicinó al ramingo. "Credimi, il possesso di quest'arma fará la differenza fra la vittoria e il fallimento."

"Lo penso anch'io. Per quel vale la mia opinione, lo penso anch'io." aggiunse Helli.

"Ottimo! Allora siamo a cavallo!" esultó sarcasticamente Eradan. "Te lo giuro, ragazzina, se usciremo da questo maledetto garbuglio, ti porteró io stesso alla Torre d'Orthanc e ti lasceró lì. Che Saruman sia d'accordo o no!"

Dopo qualche attimo, gli altri tre scoppiarono a ridere.
Eradan si guardó attorno, contrariato. "Non era una battuta."

"Lasciaci ridere, dai, almeno proviamo e vedere un lato divertente in tutto questo." disse Helli.

"Beata te che ci riesci." rispose Eradan.

Un improvviso verso come di un falco, ma dieci volte più forte, squarció quel silenzio serale. Tutti, tranne Andriel, sobbalzarono e guardarono in alto.

Le inconfondibili piume dorate, colpite dal riverbero del crepuscolo, brillarono ad annunciare l'arrivo di una delle più grandi Aquile della Terra di Mezzo.

Sul viso dell'umana si aprì allora un enorme sorriso. "Landrovaaal!!!" urló al cielo.

"Non ci posso credere!" esultó anche Eradan. "È qui per noi?"

"Ci puoi scommettere." sorrise Andriel. "...sorpresaaa!"

"Cosa?! ...tu?! Ma come...come l'hai chiamata?" chiese Farin.

"Ricordate quel passero che vi ho mandato incontro?" chiese l'Elfa, ed Eradan capì
al volo. Si pentì subito dell'alterco con lei. "...beh gli chiesi anche di provare a rintracciare le Aquile, oltre a voi due. Non credevo ce l'avrebbe fatta, ma evidentemente Landroval era rimasto nei paraggi. È più grande e saggio di suo fratello Gwaihir, aveva intuito che avremmo potuto avere bisogno di lui. Gandalf fa uso delle falene notturne per richiamare le Aquile, mi sono detta perché non provare con un uccellino?"

"Eccezionale, Andriel. Ti chiedo scusa per prima. Ti ho dato della sprovveduta, ma... in verità non deludi mai con la tua sagacia." le disse Eradan. Le poggió una mano su una spalla. "Volando sul suo dorso potremo seminare i soldati di Thranduil e raggiungere il Nord in un batter d'occhio."

L'Elfa sorrise. "Scuse accettate. Ma non illudiamoci. Purtroppo hai ragione sul fatto che Thranduil vorrà recuperare quest'oggetto a tutti i costi, e come lui Legolas. Possiamo aumentare velocemente la distanza fra noi e loro, ma non seminarli del tutto."

L'Aquila atterrò con un pesante tonfo sul terreno erboso. Helli, nell'entusiasmo verso quell'insperato salvatore alato, corse nella sua direzione, ma si arrestó quando si rese conto che stava correndo ad abbracciare un'Aquila gigante, benchè benevola. Quel becco enorme, lo sguardo acuto e severo e gli artigli portentosi continuavano a metterla in soggezione.

"Ma ci staremo tutti sul suo dorso?" chiese.

"Credo di no. Qualcuno dovrà farsi trasportare dai suoi artigli. E so anche chi." rispose Eradan. Guardó Helli.

Lei trasalì. "No...dico... non ti aspetterai che faccia tutto il viaggio fra le sue zampe?"

"Mi sa proprio di sì." confermó l'Uomo. "Vorrei anche ricordarti che tu sei la causa di tutta questa maledetta storia, nella quale tre persone, oltre a te, stanno rischiando la pelle. Quindi io direi che i disagi tocchino a chi ha voluto tutto ció. Scusa."

"Ma...cadró! Scivoleró giù e mi schianteró al suolo!" si disperó lei.

"Landroval non ti lascerá mai andare." disse Andriel. "Fidati."

"Anche tu sei d'accordo?!" chiese disperata. "Ragazzi, non scherziamo. Io..."

"Guardate!" gridó Eradan, indicando le punte degli alberi della Foresta dietro di loro.

Si muovevano in modo irregolare, ma non era il vento. Qualcosa si stava facendo largo nel bosco, e con veemenza.

"Arrivano!" esclamó Andriel. "Landroval!"

Immediatamente l'Aquila si accucció per permettere ad Eradan, Andriel e Farin di salirle in groppa. Subito dopo, si alzó in volo.

Helli gridó. "Hey!! Heyyyy! Mi lasciate qui! Eradan!!"

"Chiudi gli occhi, e avvolgiti col mantello! Non aver paura!!" le urló l'Uomo.

Heloise vide l'Aquila calare su di lei una zampa gigantesca e serró le palpebre, aspettandosi un dolore acuto e lancinate all'altezza dello sterno, in cui s'immaginó si sarebbe conficcata una delle unghie affilate di quell'essere.  Ma con una grandissima delicatezza, l'Aquila riuscì ad afferrarla per intero e a sollevarla dal suolo. Helli aprì gli occhi ed ebbe la sensazione di essere in gabbia.
Una gabbia fatta di pelle coriacea e rugosa, unghie nere e forti come l'ebano.

Peró, ebbe anche l'impressione di essere perfettamente al sicuro. La presa di Landroval era salda ma non eccessiva. Poteva addirittura muovere le braccia,  e così riuscì almeno a coprirsi il viso col cappuccio del mantello.

Helli aveva già volato, e sapeva che il problema maggiore era rappresentato dal gelo. Avrebbe resistito alle temperature dell'estremo Nord? E dove sarebbe atterrata l'Aquila? Su qualche monte innevato?

Mentre pensava a tutto ció, con la coda dell'occhio vide un movimento all'uscita della Foresta. Ormai si erano allontanati abbastanza in altezza da essere fuori portata di qualsiasi freccia.   Lo stesso riuscì a vedere un gruppo di soldati emergere come formichine da quell'intrico di vegetazione. Li immaginó disperarsi per averle perse una terza volta. Immaginó la rabbia di Thranduil alla notizia.

E così, Heloise Foley, sospesa fra le nuvole negli artigli di un'Aquila gigante, scoppió a ridere.

🌺🌺🌺

"Erano qui." annunció uno dei soldati. Osservó i resti dei pasti consumati da quei tre, le spine di pesce di fiume, i frutti sgranocchiati. "C'erano tutti. Anche le due femmine."

"Già, ma adesso non ci sono più!" sbottó il loro Principe, gettando a terra l'arco, in un gesto di frustrazione. "Come è potuto succedere!"

Uno dei suoi attendenti indicó il cielo.
"Ho visto qualcosa! Là! Fra le nubi!"

Legolas e gli altri scrutarono il cielo arancio della tarda serata. Non vide nulla.

Poi una macchia scura, dalla sagoma inconfondibile, emerse da una grande nuvola. Si stava allontanando.

"Una delle Grandi Aquile!" esclamó un Elfo, sbalordito.

"Lo vedo anch'io." mormoró Legolas.
Avevano richiamato le Aquile per fuggire.

"Principe, li seguiamo?" chiese un arciere.

"Vorresti lanciarti dietro una grande Aquila? Esattamente come, soldato?" chiese Legolas, infastidito. "Disponi forse di ali?"

L'Elfo si zittì, imbarazzato.

"Dobbiamo informare il Re." aggiunse Feren, che aveva seguito il Principe nella missione.

"Lo farai tu." ribattè Legolas. La prospettiva di confessare al sovrano il secondo fallimento nella caccia alle ladre non gli piaceva affatto. "Non saró io a dire a mio padre di averle perse di nuovo."

"Ma, principe..." obiettó Feren.

"Questo è un giorno di vergogna per noi. Un soldato di Elrond ce l'ha fatta sotto al naso. No, non saró io a dire a mio padre che il nostro esercito è stato umiliato. Torniamo indietro. Lasciamo le decisioni a lui." E scrutó di nuovo il cielo.

Doveva esserci un grande potere dietro quella ragazza mortale, se poteva chiedere l'aiuto di esseri solenni come le Aquile ogni volta che voleva.
Legolas inizió a pensare a quel fagottino custodito con ostinazione dall'umana.
Non fu un pensiero piacevole.



-----

Mi scuso per il grande ritardo nell'aggiunta di questo capitolo.

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3878221