Gli elefanti non possono saltare

di Amonster
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Down, down, down, down, down, down ***
Capitolo 2: *** Lividi ***



Capitolo 1
*** Down, down, down, down, down, down ***


Mi scorre nelle vene: non mi stanco mai e raramente mi troverai senza un bicchiere in mano. E sì, ne ho voglia quasi sempre.
Faccio favoritismi se voglio infilarmi fra le gambe di qualcuno. Funziona anche. Da quando ho capito com’è il mio corpo mi sembra sciocco sprecarlo: sai cosa può fare? Sai in quanti modi posso agitarti il sangue? Se ci stai pensando, ho già vinto io.

Tu hai le mani più grandi, le misuro sulle gambe e sullo stomaco, più tardi anche sul collo. Eppure sono più delicate delle mie. Potresti osare anche di più, te lo sto facendo capire un po’ alla volta.
Compra il caffè, le tue mattine mi distruggono.

Devo imparare un po’ di autentica dolcezza.
Non significa che non ti troverai di nuovo le unghie addosso.

Puoi avere chi vuoi, puoi bere quanto vuoi, puoi scopare quanto vuoi, puoi anche drogarti. A questo punto dovresti chiederti a che scopo, dovresti chiederti perché farsi stupidamente del male. Ti rallenta?
La verità è che non sei mai stata felice prima e non hai motivo di fermarti. Non ti interessa avere stabilità.

Posso morire anche fra due anni, se riesco a viverli tutti così. Non mi importa, davvero.

Quanto profonda è la tua ferita perché valga la pena morire per non sentirla più bruciare?

Quanto è profonda la mia gola?
La sua saliva in bocca, il suo cazzo in bocca, le sue dita, le sue palle, tutto: non mi ha fatto mai schifo, non è stato mai abbastanza. È che io ne ho voglia almeno due volte al giorno. Ma di sera è stanco lui, di mattina lo sono io.
Ci si alterna alle redini, ci si alterna a sfoggiarne i segni.

Con me la sfida è persa in partenza, so già di essere più forte, di avere più stomaco. Se mi guarda negli occhi mentre ho metà delle sue dita in fondo alla gola e l’altra metà da qualche parte in fondo alle gambe, lo fisserò finché non sarà lui a dover distogliere lo sguardo.

Mi sono allenata ad intimidire per altri motivi, ma ora si rivela un’arma contro cui nessuno sembra avere alcuna difesa.
Quasi troppo facile.

Tu provochi - dici.

Lo sai il perché.
Sei ancora troppo delicato.
Io la vostra calma la pago in lividi, vino, mal di testa. La mia gola sarà profonda, ma per la vergogna non c’è spazio.

È domenica: non ci è neanche venuto in mente di controllare che ore siano, basta sapere che siamo entrambi abbastanza svegli e che la luce che entra dalle tapparelle è abbastanza forte da suggerire che sia almeno mattina. Ho ancora gli incubi che scorrono in testa. Hai già le mani sotto la mia maglietta. Sono assonnata, ma questo non significa che cederò terreno nella nostra solita lotta. Non più di un paio di centimetri, comunque. La tua perversione si intreccia bene alla mia.
Si fanno altre prove di resistenza, vediamo quanto forte puoi buttarmelo prima che io svenga, vediamo quanto forte posso stringere prima che tu mi fermi.
La lotta la vinco prima io, poi tu: un trionfo.
Quando tutto è finito sei sdraiato sulla schiena e mi attiri addosso. Fai scivolare le dita fino in fondo alla mia schiena, quindi la risali piano, ripeti, ripeti, ripeti la strada.
Palesemente non peso nulla su di te, ma non riesco comunque ad appoggiare la testa sul tuo petto, mi sentirei fuori posto (e paradossalmente fino a qualche minuto fa ero perfettamente a mio agio fra le tue gambe).

"Cazzo ridi?"
Pensavo che ieri sera ti ho detto di no"
"Te l'ho detto che sei scemo"
"E hai ragione"
"È l'età, vecchio"
Non te la prendi, stavolta, alzi soltanto gli occhi al cielo, ma con ironia.
Va che ti tocca sopportare, eh.

“Beh, lo comprerò il caffè visto che serve”
Sarebbe quindi cambiare qualcosa di questa casa in funzione delle mie mattine distruttive. Come quelle cazzo di patatine al lime dell’altra sera. (Forse ho solo standard decisamente bassi).

Ho sentito dire che la tenerezza è contemplata nelle pratiche BDSM. Viene considerata come un istinto puramente animale: dopo un momento molto intenso è bene concedersi quello in cui assicurarsi della salute fisica e psicologica dell'altra persona (o delle altre persone). Si tratta di un prendersi cura perfettamente comprensibile. Eppure.
Eppure la tenerezza è un linguaggio che io continuo a non comprendere e per questo mi confonde.
Eppure non sembra che tu voglia smettere di accarezzarmi - e non lo volevo scrivere, ma devo, è innegabilmente quello che stai facendo.

Cosa stai facendo?

 

Non l’ho detto perché con me è concesso tutto.
Da un estremo fino all’altro.

 

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Capitolo 2
*** Lividi ***


Voglio solo scomparire nella vita di qualcun altro.
Ne voglio un altro. Stanno andando via.
Ho dei limiti, ma se li tocchi si sfaldano. Puoi toccare, è tutto vero.
Ne voglio altri, mi danno il senso dei giorni. È successo qualcosa, c’è stato un passato.
Sul momento, per un attimo, sono sveglia. Vibrano sottili, acuti.
Non sento niente, vai tranquillo.
Io non sono mai stanca – spostando le gambe sulle tue.
Pensavo che tu me ne avresti dati almeno un po’. È più il contrario, ancora una volta.
Ti stanno bene intorno al collo.
Anche a me piace un po’ tutto. Certo. Io lo intendo davvero.
Ti ho sotto le unghie stamattina. Sei già andato via. Almeno so che è successo.
Mi serve che la realtà mi corrisponda.
Mordi. Stringi. Sfogati.
Questo corpo è quello di un’annegata. Toglimi un po’ di acqua dai polmoni.
Quando pensi che sarà abbastanza? Penso che ci sia sempre lo spazio per un altro passo. Un altro centimetro.
Ne voglio un altro. Stanno andando via. Ci spingo le dita contro per qualche secondo, non sento quasi nulla se non lo spessore innaturale. Guardali bene, sono belli, sono diventati scuri e ramificati. Senti quasi il sapore del vino.
Si tratta di riconoscere il momento in cui il corpo ti dice basta e spingerlo ogni volta un po’ più in là.
Non mi fa schifo niente. Io lo intendo davvero. Puoi andare un po’ più in là. Vuoi sentire che sapore hai? Chiedi. Vuoi contare le costole? Strappare le braccia? Spingere più giù, tirare i capelli, togliere l’aria? Stai giocando con una linea che ho già lasciato indietro.
Sono passi di lucida follia su una strada sospesa nel vuoto. Sarebbe così terribile cadere?
C’è sempre il secondo dopo, è già passato tutto. Restano solo loro, alla fine. Spariscono anche loro, alla fine.
Cadere significa concedersi l’impatto. La botta.
Sottopelle.
Domani ti esce.
Sta uscendo.
Sta andando via.
È guarito.

Ne voglio un altro.

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