Waking up in Teston Rd

di Miky_D_Senpai
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Una famiglia diversa dalle altre ***
Capitolo 2: *** Un fottuto pazzo ***



Capitolo 1
*** Prologo - Una famiglia diversa dalle altre ***


Si svegliò. La tranquillità di quella mattina gli riempì i polmoni. Riemerse dalle coperte purpuree, facendosi avvolgere dalla stuzzicante brezza che entrava, senza pretese, dall’enorme finestra. Si tirò a sedere, portandosi una mano al volto. Gli occhi vagarono, come al solito, sull’arredamento, saltellando da un mobile all’altro, danzando tra le componenti decorative che ne coloravano il cupo legno. Erano troppi per una camera da letto, se l’era sempre detto.
Aveva dormito senza nulla a coprirgli il petto e le braccia, una certa dose di narcisismo lo portava a guardarsi allo specchio. Si controllava ogni volta che poteva farlo. Doveva tenere sotto controllo la sua linea, il suo volto, ma quella mattina era particolarmente in disordine. I capelli biondi sparati in aria portarono alla sua bocca quella smorfia di disappunto che lo distingueva da chiunque altro.
Dovette farsi strada tra i diversi mobili per arrivare al bagno. Studiò dapprima i contorni del suo viso, la barba di un paio di settimane cominciava a donargli un’espressione matura, quasi austera. No, non la voleva. Non avrebbe mai compromesso l’immagine che voleva di sé ed essere come il padre non era nei suoi piani. Per meglio dire, lo era, ma non fisicamente. Aprì il primo cassetto alla sua sinistra e la prima cosa ad augurargli il buongiorno era la sua foto sulla rivista “Attitude”, quella volta che i lettori della stessa gli avevano dato il titolo di “figlio di politico più sexy”. Sorrise nel vedersi, ma il sorriso celava la sua insoddisfazione, sia perché nell’immagine non aveva nemmeno un pelo in volto, sia perché quel titolo (al suo ego) non sarebbe mai bastato.
“Artù” un nome importante lo aveva definito l’intervistatore quella sera. Ma qualunque cosa il ragazzo avesse risposto non era stata ritenuta importante ai fini della pubblicazione dell’articolo.
“Non voglio essere un principe, né tanto meno un re, preferisco seguire la strada che ha già percorso mio padre” Erano quelle le parole che gli erano uscite, ma altre erano finite a contornare i suoi addominali.
Aveva sempre letto tra le righe, ognuna delle cinquantasette volte, che l’intento della testata giornalistica era quello di definirlo il “figlio di papà più sexy”. Avrebbe ricontrollato, per pura paranoia, quella mattina.
Uscì dal bagno con il collo in fiamme, colpa del dopobarba, e con un asciugamano bagnato in mano per tamponare i sottili tagli che si era inferto. Doveva ripercorrere la camera da letto per accedere alle scale, precedute da uno stretto corridoio. Nonostante non rispecchiasse il resto dell’abitazione, aveva deciso lui di lasciare che la sua tana inglobasse lo spazio precedentemente riservato al piano superiore, abbattendo con le sue stesse mani i muri della casa che gli era stata donata in eredità dalla madre. Era un gesto metaforico, ma non velato, perché anche suo padre ebbe modo di accorgersi dei sentimenti che muovevano il figlio. Ma Uther non aveva fatto nulla per fermarlo, un po’ per gli impegni che lo stressavano, un po’ perché non voleva che suo figlio lo guardasse con gli occhi di Morgana.
Si servì una colazione calda, abbondante, degna della giornata che avrebbe dovuto affrontare: un caffè. Era il suo giorno di riposo e non avrebbe fatto nulla di impegnativo se non, forse, una passeggiata. Si voltò, dando le spalle all’angolo cottura, e seduta su una sedia notò la sorellastra. Non fu stupito da quell’apparizione improvvisa, anzi, una parte di lui ne fu quasi compiaciuto e si apprestò a farsi dare un po’ di compagnia.
La prese alle spalle con entrambe le mani «Morgana» la salutò, quasi con calore, sfiorandole la guancia con un bacio. Mentre il profumo fresco e fruttato di quei capelli neri gli appagava le narici, l’odore deciso del caffè stuzzicava prepotentemente l’olfatto della donna.
«Mi chiedo tutt’ora come tu faccia a bere quella roba» commentò la corvina, senza quasi staccare lo sguardo dallo smartphone. Digitava prepotentemente parole pretenziose a qualcuno, evidentemente uno dei suoi ammiratori le aveva fatto un altro torto. La sua pelle pallida non reagiva quasi ai cambiamenti di luminosità del piccolo schermo, troppo impegnata a riflettere la luce solare. Il volto, decorato sapientemente da tocchi di colore nero, accompagnava dolcemente la smorfia superba delle sue labbra, assottigliando leggermente le palpebre e sollevando le gote.
“E io che volevo compagnia”
Non passò molto tempo che, tra i vari convenevoli sul come si sta e il cosa si fa, Artù prese la palla al balzo per chiedere un favore alla sorella. Lei stava elencando i lunghi lavori di ristrutturazione che avrebbe dovuto subire la casa del loro vecchio, ma anche il biondo avrebbe voluto fare un cambiamento.
«Visto che sei qui, potresti restituirmi le chiavi?» Lei gelò, non diede a vedere il motivo, ma lo sguardo mutò in disprezzo. Nei suoi occhi c’era lo stesso odio che lui aveva dimostrato alla richiesta del padre di trasferirsi in quelle quattro mura. Ma Morgana l’aveva sempre guardato così.
«Perché?» domandò, facendo finta di iniziare a cercarle. Ma non poteva trovare una scusa, le aveva, era entrata quella mattina, come faceva da un paio di mesi.
«Perché, oltre a dover rifare la porta e la serratura, mi servono per rivendere la porta direttamente alla ditta a cui mi sono rivolto» Seconda pugnalata. Era come se un castello di carte stesse cadendo in frantumi nella sua mente. Mutò nuovamente, gli stessi fulmini che attanagliavano il suo umore fuoriuscivano dai suoi occhi. Andò via, appena appoggiò le chiavi sul tavolo, congedandosi con due parole, lasciandolo seduto con i suoi addominali.
“Devo andare” quelle due parole sputate con tanta velocità e disprezzo gli frullavano nella testa mentre sciacquava la sua tazza. Si osservò le mani umide e solo in quel momento capì cosa stava facendo, quell’abitudine che il padre tanto gli criticava non era ancora passata. Aveva cominciato a lavarsi da solo le cose, per lasciare meno lavoro alla donna delle pulizie con la quale aveva intrapreso una relazione, per poter passare più tempo in intimità con lei. Ormai era capace di fare molte cose da solo, soprattutto perché da quando, pochi mesi prima, la sua amante era stata licenziata, non aveva accettato nessun altro. Non aveva mai notato la drastica coincidenza dell’inizio delle visite di Morgana con la fine di quella relazione e nemmeno in quel caso ci prestò la degna attenzione.
Si coprì, per un minimo di pudore, con una maglia da lavoro per uscire nel piccolo giardino. I passi giapponesi che accompagnavano l’ingresso seguivano una lieve curva per circondare il piccolo albero a cui avrebbe dato tante attenzioni. Fece in tempo solamente ad aprire l’acqua: davanti al piccolo cancello si presentò una figura immensa. Lo squadrò un momento, per poi riconoscere la guardia del corpo del padre.
Sbuffò, non voleva altre visite quel giorno. «Cosa c’è?» Non fece caso alla mancanza di rispetto che volava insieme alle sue parole, si avvicinò semplicemente all’uomo.
«Mi manda il signor Pendragon» rispose pacatamente il suo interlocutore. Uscì sul marciapiede, accolto dal silenzio di quella domenica, tenuto all’ombra dalla testa di quel colosso. Appoggiò le mani sui fianchi mentre ascoltava quella voce fin troppo calma.
«Abbiamo ricevuto una soffiata, potrebbe essere in pericolo, signor Pendragon» Il biondo sorrise beffardo, continuando a cambiare punto dove concentrare la sua attenzione, stava per dire una parola, solo una, ma venne colto dal dubbio nel vedere una macchina nera avvicinarsi contromano nel viale. Gli occhi per primi reagirono al pericolo, allargandosi appena. Un uomo sbucò dal finestrino, il volto coperto da un passamontagna non prometteva altro che morte.
«A terra!» urlò il biondo. L’altro però non fece in tempo ad abbassarsi, né tanto meno ad estrarre la pistola che aveva con sé. Il fucile automatico scaricò una scia di colpi lungo tutto il marciapiede. Una perfetta linea di morte forò in tre punti diversi la testa del bodyguard. Le ruote sgommarono durante l’accelerazione che portò la macchina a svanire alla prima curva.
Sentiva solamente un lungo fischio, l’adrenalina che gli dilatava i vasi sanguigni tanto da fargli tremare le mani. Era sporco di sangue e per un momento pensò al peggio. Studiò la scena, l’uomo che non si muoveva, il formicolio alle punte dei piedi, era vivo. “Alzati” era una voce dentro la sua testa, ma seguì il consiglio, facendo peso sul cemento bagnato di sangue, tirandosi a quattro zampe. Doveva muoversi velocemente, se la verità giaceva nelle ultime parole di quel cadavere, sarebbero tornati. “Vieni qui” la sua immaginazione era davvero loquace in quegli istanti della sua vita, ma non aveva calcolato di specificare dove fosse il qui.
«Ehi, dico a te!» Non erano frutto di una fantasia post traumatica quelle parole, senza dubbio. Guardò di fronte a sé il ragazzo che lo stava chiamando. Era di poco più piccolo di lui, con una corporatura molto più esile, ma non fu questo a smuoverlo.
Aveva cominciato a mimare i suoi ordini di prima, nascosto dietro una vettura. Alzava le mani per incitarlo a fare lo stesso con il suo fondoschiena, avvicinava il palmo della mano al suo petto per indicargli la posizione da raggiungere. Aveva addirittura stretto i pugni mimando il movimento delle braccia di chi sta facendo jogging per fargli capire di sbrigarsi e si era passato il pollice lungo l’arco del collo per spiegare il destino che lo attendeva se non l’avesse fatto. Aveva una marea di domande nella testa, ma forse quella strada era la migliore da prendere in quel momento. Si voltò e un’altra persona si stava avvicinando pericolosamente alla sua posizione. Fu un attimo e scattò.
 
 
 
 
 
Angolo dell’Autore
 
*si prepara il caffè delle 22*
Salve!
Sto variando su diversi fandom ultimamente e, finalmente direi, eccomi qui! Vedo che le due persone che sono arrivate qui giù sono molto interessate… ah no, una se n’è appena andata ^^”
Bene, confido nell’ultima… no, sta uscendo anche lei :’)
Spero che la storia in qualche modo sia piaciuta ai grilli che stanno cantando in questa solitudine :D
(Mi sento un po’ Leopardi, ma giusto un filino)
Comunque non durerà tanto come storia e spero di finire di pubblicarla entro ottobre ^^” (il me del 2017 mi picchierebbe in questo momento)
Ci vediamo nei commenti (sto parlando sempre con le cicale)
Miky ^^

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Capitolo 2
*** Un fottuto pazzo ***


Scivolò sui sedili posteriori. Gli sembrò di essere uno spettatore, di guardare quella scena su uno schermo piatto, di leggerla tra le parole di una storia. La persona che lo aveva quasi raggiunto non aveva un’arma da fuoco con sé, bensì una bottiglia. Solamente quando l’oggetto fu lanciato in aria riuscì a riconoscere la Molotov, pronta ad esplodere nella sua finestra. Si irrigidì nel vedere le fiamme interessarsi del fusto della sua pianta tanto amata, unico simbolo tangibile dell’amore che aveva provato. Deglutì.
Restò immobile per pochi attimi, avrebbe reagito, sarebbe sceso e l’avrebbe preso. Ma poi? Cos’avrebbe fatto? Senza accorgersene si stava già muovendo, tornando sui suoi passi per combattere, per difendere la sua proprietà. Ma lo sportello gli venne chiuso in faccia.
Guardò soltanto quell’omino mettere mano al volante, tirando un sospiro di sollievo.
Stava per controbattere, per fare uscire l’odio che aveva accumulato (e gran parte della sua paura), ma venne schiacciato contro i sedili da una brusca accelerazione. Tutte le informazioni che arrivavano ai suoi sensi facevano a cazzotti per essere elaborate da un cervello che si trovava in blackout.
Quella Mini aveva un odore strano, come se qualcuno l’avesse utilizzata come letto per settimane, senza mai lavarsi. Ma forse quell’odore non proveniva dai sedili posteriori.
Le case si muovevano troppo velocemente per un’andatura cittadina, ma non era sicuramente la cosa più preoccupante in quel momento. Artù si voltò, erano seguiti da un convoglio di vetture nere, ma al suo salvatore questo sembrava non importare. O forse era dovuta a questo la sua espressione seria.
«Abbassa la testa» gli consigliò, o meglio, glielo urlò. Il biondo si mosse fulmineo, i rumori dei proiettili che lo stavano braccando alla cieca, sibilando fuori dalla carrozzeria, prese il trono delle sue preoccupazioni.
Poteva finalmente vederlo in faccia, i lineamenti incavati, gli occhi neri e fissi, la mano tremante. Da questa prospettiva non sembrava più tanto affidabile, anzi, sembrava mal nutrito e leggermente schizofrenico. I loro occhi si incrociarono, per la seconda volta in quella mattina e Artù capì chi aveva davanti. Muoveva ancora il volante nonostante fosse girato da tutt’altra parte, gli sorrise, nella totale incuranza di chi fosse, di dove fossero e di cosa stesse accadendo. Svoltò in un’altra strada, molto più trafficata delle vie che avevano percorso fino a quel punto, ma il suo sguardo era sempre puntato su di lui. Aveva capito chi aveva davanti.
“Questo tizio è un fottuto pazzo” distolse lo sguardo, provando almeno lui a fare la cosa più sensata: guardare la strada. «Attento!» gli gridò quasi in faccia il Pendragon, mentre una vecchietta stava attraversando la strada. La immaginò già sul parabrezza, senza vita in un’esplosione di sangue, chiuse gli occhi un istante per scacciare via quella foto dalla sua mente, ma la signora era già lontana dietro di loro.
Gli stava dando una dimostrazione, voleva solo fargli capire che poteva fidarsi, in un modo troppo pericoloso per tranquillizzarlo,  ma senza dubbio ci stava riuscendo, notando quanto avessero distaccato le vetture dietro di loro.
Un’altra curva, il biondo venne catapultato da una parte all’altra dei sedili, risistemandosi la chioma dorata con un leggero movimento del capo riuscì a notare solo quanto stretto fosse quel vicolo. Così stretto che la  gli sembrava di grattarsi la testa sui mattoni di quegli edifici, una sensazione a dir poco sgradevole. «Dobbiamo per forza passare qui?!» ancora nessuna risposta da parte del suo interlocutore, ma dall’ultimo scambio di sguardi aveva stranamente stampato uno stupido sorriso da ebete sulle labbra. Mentre lui lo guardava ancora con quella sua smorfia contornata da regale disappunto, il corvino ricevette una chiamata. Prese il telefono con un gesto rapido, rispondendo con un tono che non si addiceva all’espressione da scemo «Pronto signor Pendragon?» sembrava così professionale e stravagante che Artù tentennò prima di riconoscere il suo cognome.
“Papà?” con quel pensiero fisso si tuffo tra i sedili anteriori tentando di afferrare il telefono. Si incastrò con le spalle, agitava le braccia di fronte a sé tentando di raggiungere il cellulare e intanto tastava la faccia dell’altro.
«Il pacchetto è stato ritirato» Gli infilò prima un dito nell’occhio e poi nel naso cercando di portare a termine quello che sentiva più come un salvataggio che un furto. Non voleva essere definito come un oggetto e pretendeva altre mille spiegazioni.
Il suo nuovo autista cambiò semplicemente orecchio per allontanarlo sempre di più dal suo obiettivo e, tornando a fissarlo, gli lanciò prima un’occhiata infastidita, poi un ampio sorriso «Sì, il cucciolotto sta bene»
Si fermò quel millisecondo necessario a reclutare i muscoli delle gambe, prima di scattare in avanti «Eh no! Cucciolotto no!» Cadde rovinosamente di faccia sulle gambe dell’altro, lasciando il culo all’aria per un istante prima di rotolare sul sedile del passeggero. Appena riuscì a muovere il corpo decentemente notò con sincera delusione che la chiamata era terminata. Suo padre l’aveva sentito definire “Cucciolotto” e lui stava per morire a causa di uomini misteriosi o per mano di… si soffermò sul suo fare tranquillo e i sacchetti del McDonald sotto i pedali…“un pazzo”.
 
Usciti fuori da un dedalo di intricate viuzze e presa l’A20 in direzione est (per uscire da Londra) finalmente i due ebbero modo di condividere qualche istante sano silenzio, rotto subito da una leggera e infantile risata del magrolino.
«Merlino»
“Oh no, anche lui inizia con quelle stupide battute” fu il primo pensiero che passò nella sua mente sconvolta dai recenti eventi.
«Senti, mi hanno preso in giro abbastanza e tutt’ora c’è qualche comico che se ne esce con la “letteratura cavalleresca ai giorni nostri”, non ti ci mettere anche tu»
L’altro, che ai suoi occhi sembrava volesse sottolineare ancora l’ilarità del suo nome, ripeté, stavolta indicandosi «Merlino»
Sbuffando e visibilmente irritato, Artù constatò controllando il tono di voce al fine di non sembrare più arrabbiato di quando fosse «Senti, hanno appena dato fuoco alla casa che mi ha lasciato mia madre, mi hanno quasi sparato e sono costretto a stare con te per non so quanto tempo, puoi smetterla di fare il pagliaccio?»
Merlino sospirò, arrendendosi ai due neuroni che si dimostravano più storditi di quanto avesse immaginato «Il mio nome» scandiva lentamente ogni parola come se stesse parlando ad un bambino e premeva l’indice contro il proprio petto «Merlino».
Oltre ad essere un pazzo, era anche la presa in giro che il destino non si era fatto scrupoli ad inviargli. Nella sua testa contornata da ciocche bionde, annebbiata dall’odio profondo verso quel ragazzo, cominciarono a zampillare insulti. «Non mi interessa come ti chiami o se sei rimasto fuori da casa mia per una settimana»
Sbuffò, tornando a guardare fuori dal finestrino, cedendo alla stanchezza. Prima che il suo compagno di viaggio potesse correggerlo sull’effettiva durata del suo soggiorno in quella macchina, aggiunse: «Ah e un'altra cosa, puzzi»
 
 
 
 
 
Angolo dell’autore
 
Sì, lo so che aspettare tre anni per mezzo capitolo, l’avvertenza “incompleta” e una longevità di, (faccio una stima inadeguata) credo, quattro capitoli per una trama che potrebbe dare un po’ di più, è quasi un insulto. Ma è quello che riesco a fare tra università e tutto il resto ^^”
Un benvenuto a chi fosse capitato per la prima volta su questa storia e spero sia di vostro gradimento :)
Alla prossima ^^
Miky.

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