Breve storia del Piccolo Regno

di alessandroago_94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


Breve storia Piccolo 1

BREVE STORIA DEL PICCOLO REGNO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

C’era una volta, nel remoto Nord, una valle che d’estate pullulava di fiori e di vita. Era la valle dei Piccoli Regni, dove tanti re e tante regine governavano in pace e prosperità.

Tra i Piccoli Regni esistevano legami molto forti, e spesso e volentieri i sudditi sceglievano i consorti presso il regname confinante, e così anche i regnanti stessi.

I legami di sangue e il luogo ameno avevano creato un giardino dell’Eden.

Mentre nella fertile valle la vita era scandita dalla raccolta della frutta, dalle risate e dall’amore, su un alto colle che s’affacciava sull’oceano tempestoso, imponente sui Piccoli Regni, un altro Regno solitario proseguiva la sua esistenza.

Gli abitanti dei Regni della valle non sopportavano molto quelli della montagna, in primo luogo per un dato di fatto; era vero che quel poderoso rialzamento del suolo li proteggeva dalla furia dell’oceano, ma di sera esso gettava la sua ombra su tutto ciò che aveva ai suoi piedi, ostruendo l’adorata luce.

Quindi, chi poteva vivere lassù, se non persone dall’istinto almeno di base malevolo? La luce era tutto, e quella montagna con la sua ombra ne privava la vallata diverse ore prima del tramonto.

Ma poco importava, poiché i Piccoli Regni a valle erano pacifici e non possedevano né un esercito né il popolo era in grado di serbare un rancore tale da dichiarare una guerra o una qualche disfida. Tutto finiva lì, in una tolleranza reciproca che andava oltre a ogni possibile tensione.

Nella vallata, d’altronde, l’estate era sempre più lunga e la civiltà fioriva; i bambini correvano lungo le strade a spargere profumati petali di rose, mentre gli adulti si dedicavano alla raccolta dei frutti e degli ortaggi. Gli anziani erano ben disposti a raccontare una storia a chiunque capitasse di fronte a loro, lieti e desiderosi di trasmettere messaggi di pace e prosperità.

Anche lassù, sul Piccolo Regno della montagna ci doveva essere un clima così disteso, ma a valle nessuno poteva affermarlo, poiché non c’erano scambi commerciali o altri contatti. Semplicemente, le esistenze dei Regni di Valle e del Regno di Montagna continuavano in modo pacifico ma indipendente.

Ogni tanto, qualcuno da giù alzava lo sguardo verso i monti, e soprattutto verso quel monte specifico, l’unico abitato e l’unico così imponente, e immaginava la vita lassù.

Mai nessuno però ebbe il coraggio di affrontare la scalata per saperne qualcosa di più, e nemmeno i vecchi avevano racconti da offrire a riguardo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Piccolo esperimento letterario; non ho mai scritto una favola, e ci tenevo a provarci. Questa inoltre è a più capitoli.

Non so se ci sono riuscito, ma spero di aver fatto un lavoro dignitoso.

Cercherò di aggiornare il più rapidamente possibile, magari anche un breve capitolo al giorno.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


Breve storia cap 2

BREVE STORIA DEL PICCOLO REGNO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Venne un giorno in cui l’idilliaco equilibrio vacillò.

Dopo un lungo viaggio, dal remoto Sud giunse un principe dalle vesti sontuose e il modo di fare alquanto superbo; colui era seguito da un grande esercito e le sue insegne raffiguravano un rapace intento a dilaniare un coniglio.

Gli abitanti dei Piccoli Regni restarono interdetti e tanti Re lo invitarono al loro desco, ma egli non era giunto per tergiversare. Le sue spade si fecero valere, imponendosi immediatamente su tutti i sudditi inermi.

Quell’estate non vide gli uomini della valle occuparsi dei frutti, e nemmeno i vecchi ben disposti a raccontare qualche storia sull’uscio di casa; essi erano diventati schiavi del tiranno, che aveva conquistato tutti i Piccoli Regni della valle in meno di tre mesi.

Tutti i pacifici sovrani erano stati catturati, imprigionati e successivamente costretti a diventare i servi del Re del Sud; essi portarono il peso delle pietre con cui fu costruito un nuovo e sfarzoso palazzo imperiale.

I Regni divennero parte di un Impero, e i sudditi divennero schiavi.

Nessuno sapeva però che il superbo e spietato Re proveniente dal Sud aveva nelle vene l’indole bellica, essendo discendente dei cosiddetti Conquistatori, giunti nel meridione da terre ancora più meridionali mettendole in ginocchio e rendendole schiave. Egli, che adesso si faceva chiamare semplicemente Imperatore, aveva quella mentalità e niente e nessuno poteva mutarla.

Suo padre l’aveva cresciuto combattendo e non voleva rinunciare alla guerra.

La sete di potere l’aveva portato a lasciare le terre paterne per portare avanti un’avventura nuova, come avevano fatto i suoi antenati diverso tempo addietro. Era acciecato da questa rabbia primordiale e quelle persone inadatte alle armi lo facevano ridere forte.

Li trattò da guitti, facendoli schernire dai suoi fedeli soldati, alcuni dei quali erano anche imparentati con lui. Infatti, nella sua guardia personale erano inclusi i quattro spietati fratelli minori che l’avevano seguito alla ricerca di gloria e di fama. Essi erano ancora più bigotti del maggiore e non avevano rimorsi nella loro ferocia.

Durante quella misera estate, diressero tutti i loro sforzi nel distruggere i ricchi frutteti dei Piccoli Regni, e ciò in vista dell’inverno, senza ascoltare le suppliche degli inermi sudditi, che invece si erano sempre scaldati con i resti delle potature autunnali e non con i tronchi.

I Conquistatori non vollero ascoltare, mentre il loro fratello maggiore già si crogiolava tra immense ricchezze.

E così venne il primo inverno da trascorrere in schiavitù per i popoli della valle, e quell’inverno fu lunghissimo, fatto di fame e di freddo.

Quando tornò l’estate, gli uomini ormai senza diritti furono impiegati nello scavare pozzi per fornire acqua corrente alla reggia imperiale, così non ci fu raccolto se non quel poco di radici che le donne riuscirono a far essiccare.

L’inverno successivo fu ancora peggiore e la gente morì a frotte, soprattutto i bambini e gli anziani.

Immerso nei suoi agi, l’Imperatore lo trascorse tuttavia molto bene, senza importarsi degli schiavi. I suoi fratelli l’attorniavano e si divertivano più di lui, scaldati dai tronchi degli alberi da frutto, che continuamente crepitavano nei grandi camini in pietra. Mai la loro esistenza era stata così facile.

Il terzo inverno dopo la conquista fu però rovinoso anche per la corte imperiale, giacché gli alberi da frutto erano finiti e non c’era più un solo albero da abbattere per scaldarsi.

Gli schiavi superstiti avevano lavorato all’estrazione di minerali utili alla forgiatura di nuove armi, e non c’era stato tempo per mandarli tra i boschi delle montagne a raccogliere legname.

Ci provarono l’estate successiva, ma quei boschi erano così lontani e gli schiavi così provati, magri e stanchi che fu tutto inutile.

Solo allora la sua attenzione si focalizzò sull’unico Regno vicino con cui finora non aveva mai avuto contatti; quello della Montagna.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


Breve storia del Piccolo Regno III

BREVE STORIA DEL PICCOLO REGNO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non che quel Piccolo Regno avesse fatto di tutto per continuare a passare inosservato.

Giunsero infatti tra gli schiavi alcuni messaggeri che sparsero la voce di come si stesse bene lassù; là ancora gli uomini erano liberi e vivevano di frutta e di castagne. I bambini erano sani e grassi e i vecchi desiderosi di raccontare storie.

Questi messaggeri pare fossero uomini che venivano proprio dalla Montagna, desiderosi di intervenire di fronte alla disfatta dei loro fratelli della Valle, ormai decimati da freddo e carestie.

Gli schiavi così iniziarono a disertare e fuggivano di notte, utilizzando tutte le loro ultime forze per raggiungere la Montagna e la successiva salvezza.

Di fronte alla fuga dei sottomessi e alla catastrofe del suo Impero, l’ormai magro Conquistatore si innervosì e impose ai suoi soldati di controllare i confini, ma la fuga proseguiva lo stesso.

L’ennesimo inverno si prospettò terribile e solo allora il Conquistatore, con il sostegno dei fratelli, si decise a voler dichiarare guerra al Piccolo Regno rimasto inviolato e isolato fino a ora.

Fu radunato l’esercito per la prima volta dopo quattro anni, ma gli uomini erano così indeboliti da non essere in grado di combattere. Come se non bastasse, una pestilenza si abbatté sulla vasta Valle e sterminò migliaia di uomini, senza alcuna distinzione tra schiavi e padroni.

Impossibilitato a fare la guerra e avvolto dalle nevi dell’ennesimo e rigido inverno, il Conquistatore rabbioso dovette prendere una drastica decisione.

Di tornare indietro nemmeno se ne parlava; già immaginava le risa di suo padre, al cospetto del suo fallimento. Combattere non si poteva, e nemmeno andare avanti così.

Il Regno lassù era ancora ricco e florido, di giorno e di notte in tutto l’Impero si poteva avvertire il leggero odore di fumo e di arrosto di quei montanari, quindi sicuramente erano ricchissimi.

L’imperatore si fece narrare le storie su quella civiltà e apprese che era governata da una Regina, ormai sul trono da tempo immemore. In virtù di ciò, egli decise di compiere una mossa strategica per la prima volta in vita sua; chiedere la mano della ricca signora.

Lui d’altronde non aveva ancora trent’anni, era giovane, e lei doveva essere molto anziana, quindi sarebbe anche vissuta poco. Poi, egli sarebbe stato libero di governare in solitaria anche sulla Montagna, depredandola e aggiogandola.

Allora incaricò un messo di recarsi lassù; si trattava del miglior parlatore tra i suoi uomini, e fu vestito come un sovrano. Gli consegnò una pergamena arrotolata e tante raccomandazioni.

L’uomo si dimostrò risoluto e si mise in viaggio subito.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***


Breve storia piccolo 4

BREVE STORIA DEL PICCOLO REGNO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per giorni interi l’Imperatore attese una risposta.

Quando il suo uomo fece ritorno, l’accolse con un grande sorriso e tante speranze, che furono infrante dall’espressione abbattuta dell’uomo.

“Mio Imperatore, ho fatto tutto il possibile” affermò, allargando le braccia con impotenza, “ma questa Regina proprio non ne vuol sapere di sposarsi”.

Il Conquistatore imprecò malamente, passandosi una mano sulla fronte prima di tornare a parlare.

“L’hai vista? Come ti è sembrata?”

Al cospetto di quella domanda, il messo sbiancò.

“Oh, no! Non l’ho vista, a nessun straniero è concesso incontrarla”.

Il sovrano s’irrigidì ed esplose, al cospetto di tale risposta.

“Come osi rispondermi che non l’hai nemmeno vista? Somaro, ma che razza di ambasciatore sei…! Dovevi parlare con lei e insistere affinché ti concedesse un’udienza”

Di fronte all’ira del proprio signore, l’ambasciatore chinò il capo e rimase smorto e pallido finché lo sfogo non fu concluso.

“Mi spiace, ho fatto tutto il possibile, però le sentinelle non lasciano attraversare a nessuno il confine” provò a scusarsi, ma inasprì soltanto il suo nobile interlocutore.

“Ogni notte, da mesi, frotte di lerci schiavi attraversano quel confine e vengono accolti con calore dentro le mura. E tu cosa sei, più ignorante e incapace di uno schiavo? Vattene, prima che ti faccia punire”.

L’improvvisato ambasciatore non se lo fece ripetere due volte.

Sconsolato, affamato e agghiacciato, il Conquistatore rimase immobile per ore senza sapere più che pesci pigliare. Promise che avrebbe punito ogni affronto e che quella Regina presto sarebbe stata piegata al suo volere. Però avrebbe dovuto attendere la buona stagione, per agire.

E, nonostante i mille e più patimenti, la buona stagione tornò e le giornate ripresero ad allungarsi.

La grande Valle, povera, si risvegliò dal gelo invernale ancora più provata dell’anno precedente.

Quella buona stagione, tuttavia, non sarebbe stata come quelle prima. Un unico ordine risuonò ovunque; ogni schiavo doveva lavorare ogni lembo di terra disponibile e coltivare tutta la verdura possibile.

Si doveva produrre grano per il pane e i mulini dovevano essere rimessi presto in sesto.

Anche gli uomini del Conquistatore furono messi a lavorar la terra e questi se ne lagnarono molto, per mesi, eppure a fine stagione nonostante i grandi sforzi erano riusciti a riacquistare peso e ad avere la dispensa piena.

A quel punto, giunse il momento di agire.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque ***


Breve piccolo regno 5

BREVE STORIA DEL PICCOLO REGNO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’imperatore si vestì d’oro e di diamanti.

Trasportato su una lettiga, gli schiavi che ne portavano il peso gemevano di tanto in tanto dallo sforzo.

Il suo esercito era tornato a presentarsi splendente come un tempo, anche se non più agguerrito alla medesima maniera, poiché i guerrieri avevano utilizzato più le vanghe che le spade nell’ultimo periodo. Ma tutto questo per il Conquistatore contava ben poco, tanto il Piccolo Regno della Montagna era una realtà come quelle che aveva sottomesso senza nemmeno perdere un sol uomo, quindi di rischi se ne correvano ben pochi.

Le armi erano state curate più della preparazione fisica, poiché dovevano risplendere e incutere timore.

Sicuro di sé, l’Imperatore si fece portare fino alle pendici del monte, per poi iniziare a farlo scalare dai suoi uomini.

Sembrava un luogo desolato, avvolto da un fitto bosco e con un solo sentiero percorribile, di terra battuta. Eppure, ben presto, agli occhi degli uomini affaticati dalla salita apparve una sorta di muraglia di legno, bassa ma rialzata proprio sul sentiero, e in effetti era una vera e propria porta cittadina.

Al di là si intravedeva ancora del bosco, probabilmente era lì che era stato segnato il confine.

A sorvegliare la porta c’erano tre uomini disarmati, vestiti però di lucente velluto rosso.

“Altolà” intimò uno di essi, per nulla intimorito al cospetto di tutti quegli uomini armati.

Mentre i primi giungevano al confine, tantissimi altri ancora marciavano più a valle e il clangore era assordante, ma nulla incupiva quegli strani individui.

Allora l’Imperatore fece cenno agli uomini che aveva di fronte a sé e li fece indietreggiare, per poi farsi portare da solo al cospetto degli apparentemente inermi individui.

“Signori, aprite questa porta. Vengo in pace” sancì il Conquistatore, mollemente adagiato tra gioielli e profumati cuscini. I tre uomini non fecero una piega, solo quello che aveva intimato lo stop si fece avanti di due passi, mettendosi al cospetto del grande sovrano.

“Spiacente, il confine non può essere attraversato da uomini armati” sancì subito con voce squillante, cosicché anche le prime fila dei guerrieri poté udirlo.

“Sapete chi sono io, villici?”

Il Conquistatore chiese con tono provocante, ma non ancora irritato. Tuttavia, il guardiano scosse il capo negativamente.

“Mi dispiace, non importa chi siete. Se avete uomini armati al vostro seguito, non venite in pace e non potete entrare. Deponete ogni arma e scendete dalla lettiga, se volete varcare il confine” affermò con impassibile risolutezza.

Il sovrano deglutì.

Socchiuse gli occhi, in preda all’ira; una parte di sé già suggeriva di spaccare tutto, però non voleva mostrarsi così spietato al cospetto di quelli che sembravano dei sempliciotti.

“Sono qui per parlare con la vostra Regina. Se io non posso entrare, e vi avverto, non spoglierò delle armi i miei uomini, né metterò piede sulla nuda terra, allora che sia lei a mostrare magnanimità e a venire da me”.

Anche l’ultimo intento diplomatico però andò in frantumi, poiché il guardiano scosse di nuovo il capo.

“Spiacente, la nostra Regina non può incontrare nessuno, tantomeno stranieri armati”.

Se il Conquistatore aveva ancora un pizzico di pazienza, i suoi uomini no. I suoi fratelli, che avevano udito tutto, a soli pochi passi dal colloquio, furono assaliti da una così grande rabbia che incitarono i guerrieri a fare del loro peggio.

L’Imperatore poté solo vedere le frecce incendiarie che si conficcavano sulle assi di legno della porta, e udire il fragore di migliaia di spade che venivano sguainate dai foderi.

I tre guardiani vestiti di lucente velluto furono costretti a fuggire al cospetto di così tanta ira generale e collettiva.

Dopo qualche minuto la porta cedeva e svelava il largo sentiero ghiaioso che conduceva direttamente al nucleo del Piccolo Regno di Montagna.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo sei ***


Breve storia 6

BREVE STORIA DEL PICCOLO REGNO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Piccolo Regno superstite era una roccaforte in vetta a un monte sempre più aguzzo. Le alte mura in pietra arenaria erano invalicabili, si prospettava un assedio.

Il Conquistatore permise ai suoi uomini di sistemarsi comodamente, tanto le guardie sulle mura apparivano disarmate e per nulla intenzionate a nuocere agli aggressori.

Nessuno tra i guerrieri sapeva capacitarsi di quanti abitanti potesse avere quel nucleo abitato isolato, e nemmeno di quanto fosse grande; le mura nascondevano tutto, e la parte più alta della città era avvolta dalla fitta nebbia tipica delle alte quote.

I suoi fratelli giunsero nervosi al suo cospetto e gli chiesero il permesso di scagliare altre frecce, ma egli non acconsentì.

“Avete già preso l’iniziativa, in precedenza. Questo concepitelo come una gentile concessione che vi ho fatto” rispose con finta magnanimità, “adesso obbedite e mettetevi comodi; inizia l’assedio”.

Per quanto tempo quei montanari inermi potevano fare la parte del topo in trappola? Qualche giorno, al massimo.

Mentre l’Imperatore faceva montare la sua grande tenda, un forte vocio percorse i suoi uomini; infatti la grande porta della città si era aperta giusto di uno spiraglio, per lasciar uscire un’ambasciata composta da un sol uomo a cavallo, che sventolava una pacifica bandiera bianca.

Sorrise il sovrano, credendo che già stesse giungendo la resa.

“Fatelo passare, e che non gli venga torto un capello” ordinò, perentorio.

Così l’ambasciatore giunse indenne fino alla lettiga imperiale, con il Conquistatore che aveva di nuovo preso posizione su di essa.

Attorno a loro si raccolse una fittissima e silenziosa folla.

“Arrendetevi subito e non vi sarà fatto alcun male” esordì l’Imperatore, cercando di mostrarsi risoluto e impassibile anche quando il suo cuore già era pieno di gioia per la vittoria facile.

L’ambasciatore discese dal cavallo, un baio abbastanza vecchio e mezzo azzoppato, e si rivelò un nanerottolo. Bassissimo di statura, anche se agile.

Quando si tolse il cappuccio che copriva parte del volto, mostrò tutto il suo strabismo.

“I… io… non qui… per una… re… re… resa” disse, balbettando in modo fastidiosissimo.

Il Conquistatore si ritrovò a provare un profondo fastidio.

“Non ho capito, nano. Puoi ripetere?”

“Io… non… qui… per…”.

“In ginocchio. Subito! Riconosci il tuo nuovo sovrano e fai aprire le porte della città, che non vedo l’ora di conoscere la tua Regina” ordinò allora l’Imperatore, ormai rabbioso di fronte al balbuziente deforme.

L’ambasciatore strabico però scosse la testa e sorrise, mostrando una bocca di denti giallastri e marci.

“La… mia… Regina… mi… man… da… a… dir… vi… di… andarvene!”

Un Oh! generale si alzò dai soldati, colpiti dal messaggio appena recepito con grande fatica. Poi, i fratelli del Conquistatore iniziarono a sghignazzare e a prendere in giro l’uomo, rivolgendogli tutte le peggiori offese del mondo.

L’Imperatore alzò la mano destra e impose il silenzio, mentre si mordeva nervosamente il labbro inferiore. Anche a lui era bruciata quella stoccata.

“La tua Regina ha mandato a parlamentare con me un balbuziente, invece di uno dei suoi uomini migliori. Ha inoltre rifiutato ogni mia richiesta di matrimonio e di collaborazione, impedendo ai miei uomini più volte di varcare il confine. Quindi per me quest’ultima burla è una chiara dichiarazione di guerra” sancì.

Un urlo di gioia si levò da tutto l’esercito, e i guerrieri iniziarono a battere le spade contro gli scudi, generando un rumore assordante.

“Torna dentro a quelle mura e riferisci che presto del Piccolo Regno della Montagna resterà solo un mucchio di cenere. Se la tua Regina vuole salvare almeno la dignità, faccia uscire il suo esercito e ci combatta senza pietà, anche se noi alla fine l’avremo vinta. Faccia in fretta, però; noi inizieremo oggi stesso a costruire lunghe scale, e presto saremo dentro le mura”.

L’ambasciatore fece allora un piccolo inchino di cortesia e tornò in sella al suo cavallo, allontanandosi tra gli sberleffi e le urla di un esercito rabbioso. Il Conquistatore controllò che non gli fosse fatto alcun male, poiché egli doveva riferire ciò che aveva udito alla Regina.

Solo quando l’uomo fu tornato dentro le mura tornò a far tacere i suoi guerrieri, ordinando loro di iniziare a tagliare alberi, giacché le scale dovevano essere fabbricate al più presto, al massimo entro la sera del giorno successivo.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo sette ***


Breve storia 7

BREVE STORIA DEL PICCOLO REGNO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Già nel primo pomeriggio del giorno successivo erano pronte le scale.

Dall’alto delle mura, nessuno aveva ancora mostrato qualche capacità bellica o anche solo di difesa. Il nulla.

Ghignando, convinto di averla vinta a breve, il Conquistatore si affrettò ad organizzare le prime squadre che sarebbero entrate in città, scegliendo i migliori scalatori tra i più rapidi dei suoi uomini. Era tutto pronto, entro sera l’ultimo dei Piccoli Regni sarebbe stato suo, e assieme a esso anche tutte le sue ricchezze. E pure la sua riottosa Regina.

Già l’Imperatore immaginava di costringerla a sposarlo, o addirittura di mandarla da suo padre affinché la prendesse come concubina, umiliandola per la sua età.

Quando i guerrieri caricarono sulle spalle le scale e iniziarono a muoversi verso le mura, tuttavia, accadde qualcosa che frenò nuovamente le mosse degli assedianti.

Tutti si fermarono a guardare la grande porta cittadina che si apriva, e di nuovo si pensò alla resa. E invece uscirono frotte di persone, che iniziarono a schierarsi davanti alla città come un esercito.

Con crescente nervosismo, il Conquistatore notò che c’erano anche numerose donne, e pure vecchi e tanti bambini in quella sorta di esercito improvvisato.

Rimase ancora più perplesso quando la folla mostrò di stringere tra le mani dei mazzettini di fiori freschi, al posto delle spade e degli archi.

Una figura piccina si staccò dalla massa e si diresse a passo svelto verso l’immobile esercito armato, che era rimasto a fissare la scena come se fosse rimasto sospeso nel tempo.

Si trattava di una bellissima bambina bionda, che avanzò senza alcuna paura fino ai guerrieri che ancora portavano le lunghe scale sulle spalle, e li oltrepassò.

Quando finalmente vide l’Imperatore, gli andò incontro festosa. Il sovrano fermò con un gesto delle mani i suoi fratelli, che già temendo un qualche inganno avevano proteso le spade.

“Cosa vuoi, bambina?” domandò il Conquistatore, con una smorfia di rabbia impressa sul viso.

“Tieni” disse la piccola, con voce infantile.

Allungò all’uomo sulla lettiga un mazzettino di fiori del tutto identico a quello che avevano in mano gli uomini del Piccolo Regno di Montagna.

“Non lo voglio” affermò, gettandolo in terra con un solo manrovescio. Temeva anche che fosse avvelenato.

“Fai male a non volerlo” mormorò la bambina, chinandosi a raccoglierlo dal fango.

A quel punto, il sovrano fece cenno agli schiavi di portarlo davanti a tutti i suoi guerrieri, in modo che lo schieramento avversario potesse udire le sue parole, e il suo desiderio fu immediatamente esaudito.

“Non so a cosa sia dovuta quest’ultima farsa, ma sappiate che avete oltrepassato ogni limite” gridò con tutta la voce che possedeva. “Non avete nemmeno avuto il coraggio di mostravi armati, e avete mandato prima un balbuziente e poi una bambina a parlamentare con me. Siete un branco di codardi! Solamente dei codardi” rimarcò il concetto.

Iroso, notando che nessuno faceva una piega, decise di insistere.

“Sappiate che i miei uomini non combatteranno contro donne, vecchi e bambini disarmati. Per noi, la guerra è già vinta. Fate uscire la vostra Regina dalle mura, in modo che possa inchinarsi a me e giurarmi fedeltà eterna!”

Ma nessuno ancora si mosse.

Scuotendo il capo con ira, il Conquistatore urlò ancora più forte.

“Cosa credete di fare, eh? Di provocarmi? Io sarò il fuoco che divorerà il vostro minuscolo Regno…”. Le urla colleriche si interruppero quando le mani della bambina sfiorarono le sue.

La piccola, che aveva finito di raccogliere i fiorellini sparsi a terra dal manone del sovrano, era tornata a suo fianco e aveva stretto le sue piccole dita calde su quelle callose del guerriero. Egli era rimasto senza parole.

Distrutto dall’impotenza e avendo perso all’improvviso il filo del discorso, abbassò lo sguardo sulla piccola, deciso a punirla con forza. Ma quando incontrò il suo sguardo puro e benevolo, non ne ebbe il coraggio.

“Vieni con me, Imperatore. Ti farò conoscere la mia Regina” gli sussurrò, quasi fosse un infantile segreto.

L’uomo, come sopraffatto da qualche magia, strinse la mano della piccola nella sua e scese dalla lettiga, incuriosito. Poi, s’incamminò da solo, seguendola.

Quando giunse al cospetto degli abitanti del Piccolo Regno di Montagna, convinto che a quel punto sarebbe apparsa la Regina, il sovrano cercò di stare al gioco. Eppure, si ritrovò sommerso da una pioggia di petali di fiori, buttati giù dalle mura.

Anche gli abitanti gliene lanciarono.

Sotto quella pioggia profumata, il Conquistatore percorse il varco che si era aperto tra la folla e, lasciandosi alle spalle il suo esercito, entrò disarmato e solo in città.

A quel punto, i suoi fratelli pensarono che fosse tutto perduto.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo otto ***


Breve storia cap 8

BREVE STORIA DEL PICCOLO REGNO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ordinarono la carica, i fratelli del Conquistatore, e gli uomini risposero urlando, interrompendo quel silenzio innaturale che li aveva avvolti per un poco.

I grandi guerrieri mulinarono le spade, gli arcieri tesero gli archi; ma poi i petali profumati e leggiadri di migliaia di fiori li avvolsero tutti, trasportati da un venticello tiepido di fine estate, cosicché i loro cuori si sciolsero.

Ben presto, su un tappeto di petali dai molteplici colori, furono abbandonate le spade e le armi. I nemici divennero amici, mentre una musica leggiadra riempiva l’aria, trasportata dal tiepido venticello, che alla terra aveva già donato ogni petalo rimasto.

Così gli abitanti del pacifico Piccolo Regno di Montagna vinsero una guerra persa in partenza; con l’orgoglio fino alla fine, rispondendo con fiori e musica alla barbara violenza. E i guerrieri del Conquistatore, che in vita loro avevano solo distrutto, rimasero estasiati dall’atmosfera di pace e dal piacere della musica, suonata da sapienti bardi, che pizzicavano le loro chitarrine e tanti altri strumenti.

Il Conquistatore stesso, entrato in città, restò immerso nella medesima atmosfera, avvolto da musica e da benessere pacifico.

L’ambasciatore balbuziente non gli risultò più inopportuno o fastidioso, quando tornò ad avvicinarlo per fargli visitare il Piccolo Regno racchiuso tra quelle mura. E godette del contatto puro di quella bambina, che l’accompagnò a sua volta.

Per la prima volta in vita sua si sentì un uomo benevolo, con il cuore pieno d’amore e di voglia di vivere e di rispettare.

Non rimase quindi molto sorpreso quando gli fu spiegato, tra un balbettio e un altro, che quel Piccolo Regno non aveva una Regina in carne e ossa, ma che era governato da un’Idea resa realtà dalla lealtà dei suoi cittadini; la Democrazia.

Tutti potevano esprimere il loro parere in libertà e non esisteva la sottomissione né la schiavitù. Si parlava di diritti e doveri, e non di obblighi. Nessuno veniva cresciuto con una mentalità militare, o schernendo gli altri, bensì con l’insegnamento ad amare e a rispettare la Natura e il prossimo.

Il Conquistatore rimase così colpito da quella visita da sentire dentro di sé il rimorso per tutto quello che aveva combinato in vita sua.

Eppure, al di là delle mura, i suoi fratelli erano gli unici a non gioire. Si erano messi in disparte, dopo aver tentato in tutti i modi di far redimere i loro uomini e di costringerli a riprendere le armi in mano, ma niente da fare.

La situazione era rimasta così festosa e immutata.

“Sono un popolo di stregoni” affermò uno di essi.

“Siano maledetti. Chissà cosa stanno inculcando a nostro fratello” disse un altro.

“E i nostri compagni d’arme? Avete visto come li hanno ridotti?”

“I più grandi guerrieri ora sono pecorelle e si dedicano a balli e festeggiamenti con il nemico, invece di sottometterlo” concluse l’ultimo.

Rimasero così torvi e lontani dagli altri finché il loro fratello maggiore, sul giungere della sera, tornò dai suoi uomini.

Gli andarono subito incontro, ma egli parve che fosse illuminato da un’aura nuova; non indossava più gioielli e diamanti, né esigeva la lettiga. Era vestito come un comune servitore e donava sorrisi a chiunque.

A quella vista, capirono che anche lui era irreparabilmente cambiato.

Molto scossi, si diedero alla fuga e tornarono a valle, decisi più che mai ad abbandonare quelle terre a loro dire ormai maledette. E fosse mai che quel maleficio cambiasse anche loro…

 

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Capitolo 9
*** Epilogo ***


Epilogo

EPILOGO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fu così che l’Impero fu sciolto. La Democrazia prese il suo posto.

Il Piccolo Regno di Montagna aveva reso grande la sua Idea di giustizia e libertà.

Il Conquistatore visse in pace il resto dei suoi giorni tra i suoi sudditi, ormai cittadini al suo pari, e li aiutò a ricostruire tutto ciò che egli aveva distrutto. Presto tornarono i fiori anche a valle, assieme agli alberi e a tanta frutta matura, e vissero tutti felici e contenti.

Molto più a Sud, i fratelli fuggiti erano tornati dal loro padre ed erano stati sbeffeggiati dalla corte intera; trattati da falliti e miserabili, provarono a conquistare un Regno tutto loro mettendosi alla testa di un esercito di mercenari, ma perdettero ogni guerra e anche i soldati, quando ebbero finito i soldi per pagarli.

Morirono lontani dal fratello maggiore, eppure all’ultimo furono costretti a riconoscere che forse quella che loro avevano considerato una stregoneria forse era una benedizione.

Era molto meglio la pace e la dignità che una guerra continua fatta di vinti e di vincitori. E stare dalla parte dei vinti li aveva molto provati.

Ma più a Nord, sì, là si continuò a vivere felici e contenti fino ai giorni nostri, e così sarà per tutto il tempo che verrà.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ringrazio le pazienti lettrici giunte fin qui.

Ho scritto questo testo in un paio di giorni, spinto da una forte ispirazione. Non so se è una favola vera o se si può considerare tale, però ho cercato anche di offrirvela poco alla volta, come si fa ai bambini per mandarli a dormire. Ogni sera, un frammento di favola.

Vi chiedo scusa, nel senso che non volevo trattarvi da bambini piccoli, ma il mio intento era solo quello di dare più forma da fiaba al testo.

Ripeto; non so se è una cosa decente, questo me lo direte voi se vi andrà e vi prego di essere sinceri, per me è stata una sorta di prova, essendo nuovo del genere.

Grazie di cuore per tutto!

 

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