Non possiamo scegliere chi amare

di Maqry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quando si prende una vita (AryaxGendry) ***
Capitolo 2: *** Ascolta i suoi occhi (MissandeixJorah) ***
Capitolo 3: *** Ferro di Lupo (RobbxTheon) ***
Capitolo 4: *** Un gioco di nomi (DaenerysxJon) ***
Capitolo 5: *** Partita in quattro mosse (JonxSansa) ***



Capitolo 1
*** Quando si prende una vita (AryaxGendry) ***


Quando si prende una vita

(AryaxGendry) 



 




Ci sono parti di sé che si perdono, quando si prende una vita.
È il prezzo che si paga per aver ucciso: via un frammento d’anima, via un pezzetto di cuore – taglia, recidi, via.
Ogni volta che infilza con la parte aguzza, ogni veleno versato è un nuovo squarcio anche in lei, a volte inferto per necessità, altre per ferina vendetta, altre per ordine di Jaquen.
È l’equilibrio precario su cui si regge un mondo in cui i leoni decapitano i lupi, in cui si vince o si muore e non possono esserci terre di nessuno.
 
“Esiste un Unico Dio, e il suo nome è Morte.”
 
Ci sono parti di sé che si perdono, quando si prende una vita.
Può essere un sogno a venire reciso, una maschera a scivolare a terra, un’emozione a dissolversi nel vuoto: devi dare qualcosa in cambio.
Quello che un assassino impara è come tornare nuovamente un intero pronto a ghermire un’altra manciata di battiti – e preparato a spaccarsi ancora e ancora e ancora.
Alla Casa del Bianco e del Nero insegnano come ricucire le fenditure incise nel proprio spirito, come rattopparle insieme con la cinica freddezza di chi tiene il conto di ogni uomo morto o ancora da uccidere.
 
“Joffrey, Regina Cersei, Walder Frey, Meryn Trant…”
 
Ci sono parti di sé che si perdono, quando si prende una vita.
Un bravo assassino sa rammendare le labbra dello strappo ma la stoffa dilaniata non si può recuperare – ogni volta uno scampolo in meno.
Forse è un monito per ricordarti chi sei adesso, forse è la cura per dimenticare chi eri prima.
E allora l’anima si rattrappisce di qui e si altera di là, in alcuni punti compare un bitorzolo e in altri l’orlo viene lasciato sbrindellato.
Non è che sia particolarmente brava con ago e filo, lei, era Sansa a ricevere le lodi compiaciute di septa Mordane.
 
“I tuoi punti sono tutti storti, Arya!”
 
Ci sono parti di sé che si perdono, quando si prende una vita.
Eppure ogni volta Arya si rialza in piedi, le mani insudiciate di sangue e l’animo che le va sempre più stretto, pulisce scrupolosamente Ago e attende il prossimo volto.
Ma cambia sempre più a ogni sospiro che sottrae – cambia, si adatta, fa la muta.
Si trasfigura in punta di lama nel tempo del lancio di una moneta. Testa o croce, spada o freccia, viva o morta?
È Arry, una coppiera dei Lannister, Una Ragazza, una mendicante cieca, Nessuno – Arya Stark di Grande Inverno, di nuovo.
 
“Piccola, vado a nord. Finalmente torno a casa!”
 
Ci sono cose che non si può più essere, quando si prende una vita.
Dopo essere stata un lupo tra le pecore, dopo aver cacciato, sbranato, assaggiato la carne fresca.
Non si può più essere una lady – e chi lo è mai stata? –, non si può essere una principessa o un cavaliere che difende i deboli, una bambina che gioca alla lotta o un’amante.
Non si può tornare ad essere nemmeno Arry, quando pondera la possibilità di farsi fuorilegge insieme a Gendry o prova a convincerlo a seguirla a Delta delle Acque.
 
“E io non ho mai avuto una famiglia.” “Potrei essere io la tua famiglia.”
 
Ci sono cose che non si può più essere, quando si prende una vita.
Non si può tornare indietro dopo essere salpate su una nave diretta a levante, dopo aver varcato le gambe dischiuse del Titano e aver distribuito morte insieme a ostriche e molluschi.
Semplicemente ci sono persone che si smette di essere, pezzi di sé che sono perduti per sempre – eppure...
Eppure ci sono laghi blu arsi dalle fiamme che le fanno vagheggiare di essere di nuovo Arry, una servetta, chiunque fosse la bambina che si accompagnava alla Fratellanza Senza Vessilli.
 
Ti trovo bene, intendo.” “Grazie, anche io.”
 
Ci sono cose che non si può più essere, quando si prende una vita.
E cose che Arya non dovrebbe più desiderare: come riavvolgere il tempo, essere lieve e innocente, perdonare – amare.
Perché è altro ormai, e forse questo gli altri non possono capirlo, lui non può capirlo. E se non può comprendere allora non può nemmeno amare – amarla.
Sa che ha ucciso – Jon le ha raccontato della spedizione oltre la Barriera e dell’apprendista fabbro che è voluto andare con loro – ma una cosa è farlo per autodifesa, un’altra essere stata membro della cerchia degli Uomini senza Volto. Una cosa sono i Non Morti, un’altra l’intera casata Frey – non tutte le morti hanno lo stesso peso.
E se non sa, se non coglie, allora non può nemmeno guardarla veramente. Non può amarla.
Ma se riuscisse a vedere… oh, se ci riuscisse!
 
“Conosco la morte,” primo centro. “La morte ha molti volti,” secondo centro. “Sono ansiosa di vedere questo,” terzo centro.
 
Ci sono cose che non si può più essere, quando si prende una vita.
Cose che non dovrebbe desiderare e aneliti che non dovrebbero infiammarla fin dentro le ossa, perché lei è stata lupo, è stata Nessuno, è stata Morte.
Ma Gendry annuisce e sorride – ammirato, ammaliato, stupito? –, annuisce e sorride e viene a cercarla prima della battaglia. Ha guardato, compreso, accettato – può amarla, forse.
Può farlo anche lei per una sola notte, l’ultima prima di danzare sul ciglio che divide vittime e predatori – silenziosa come un’ombra, leggera come una piuma, veloce come una vipera.
Domani tornerà impenetrabile e irriducibile, forte come un orso e feroce come un furetto, metalupo pronto a dilaniare le pecore. Stanotte può concedersi il lusso di riesumare il vecchio abito da ragazzino in marcia verso la Barriera, in fuga da Harrenhal.
E Gendry è di nuovo il suo branco.
 
Voglio sapere cosa si prova, prima di andarmene.”
 
Ci sono brame che possono divampare nella notte e si può amare per una notte – almeno provarci.
Si possono sciogliere i lacci della camicia e fingere di non essere un’anima stretta e rappezzata da assassina, finché il desiderio scivola ustionante tra le loro carni e i gemiti si infrangono sulle labbra dell’altro.
Poi cala la Lunga Notte e inizia la guardia – si uccide.
E, di nuovo, ci sono cose che non si può più essere quando si prende una vita, nemmeno a volerlo.
 
Ma io non sono una lady. Non lo sono mai stata: non fa per me.”
 
 
 
 

 
 
NdA
Non so bene cosa io ci faccia qui a pubblicare sul fandom di Game of Thrones, mai mi sarei sognata di scrivere qualcosa a riguardo decisamente ben oltre il mio confortevole angolino di Harry Potter. Ma ho iniziato a leggere la saga dopo il finale dell’ottava stagione (urgh!) e i personaggi hanno iniziato ad avere per me una consistenza vera, poi ho scoperto la “Challenge delle sei coppie” di LadyPalma e niente, frittata fatta (in realtà dovevo studiare filologia d’autore e cercavo un motivo per non farlo).
Questa breve sciocchezzuola partecipa quindi alla challenge come coppia OTP e non ha niente a che vedere con l’idea iniziale di un finale felice che mi ero proposta di regalare a Gendry e Arya, e che spero possa esserci almeno nei libri (?). Bisogna anche dire che non sarebbe stato molto coerente farlo avvenire nella serie, dato come hanno reso Arya nelle ultime stagioni. Per cui il mio è un mezzo tentativo di giustificare il canon della serie e lasciarmi comunque uno spiraglio di speranza che qualcosa ci fosse sotto sotto.
Unica cosa: la terza stagione l’ho vista mezza vita fa, non ricordo se Arya valuti la possibilità di entrare nella Fratellanza come Gendry, nel caso prendetela come una piccola licenza. I dialoghi sono ovviamente tratti dalla serie (tranne quello della septa che la sgrida per il cucito, ricordo la scena vagamente ma non sono riuscita a ritrovarla per trascriverla esattamente).
Direi che è tutto, grazie mille per aver letto fin qui!
A presto (spero)!
 

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Capitolo 2
*** Ascolta i suoi occhi (MissandeixJorah) ***


Ascolta i suoi occhi

Ascolta i suoi occhi

(MissandeixJorah)
 
 
 
 
 
 

“Ascolta il tuo Padrone.” 
La voce secca del maestro impartisce a oltranza quella lezione scandendo le sillabe con vigore, quasi voglia imprimerle a fondo, nelle ossa, nel cervello – nell’anima.
Questa sarà la sua essenza d’ora in avanti – è perentorio non lo scordi mai – e umilia più di qualsiasi marchio da schiava che avrebbe potuto deturparle la pelle: le hanno piegato l’intelletto ad apprendere i loro insegnamenti, hanno deciso come lo terrà occupato per ogni giorno che l’aspetta. Giorni di parole vuote e discorsi sterili, anni a parlare per loro.
“Devi capire anche quello che non dice, non avrà tempo da sprecare spiegando a una stupida schiava.”
 Missandei è una bambina dai grandi occhi liquidi e una mente sorprendentemente elastica, plasmata ora dopo ora per espandersi a inglobare il sapere scelto per lei, quanto più possibile, sempre più.
Impara l’Alto Valyriano e la Lingua Comune, uno e due e diciannove idiomi – è intelligente Missandei, lo hanno compreso subito gli schiavisti –, poi assimila anche la lezione finale. Osserva, scruta, scava nell’interlocutore per riferire messaggi come lo richieda la situazione, spiegando dove necessario, mostrando quello che gli altri non sono stati in grado di afferrare.
“Sii interprete, non semplice traduttrice: solo allora ti compreranno.”

Diligente, Missandei esegue gli ordini e affina l’udito della mente – per questo, poi, fa così male.
 
*
 
È nelle notti che si srotolano placide e molli sulla strada da Astapor a Yunkai che Missandei si ritrova sbattuta nei tumulti della vita, quella scoppiettante da donna libera a cui è concesso il lusso di amare ma non sempre quello di essere ricambiata – una schiava non avrebbe mai potuto, non avrebbe osato.
E così all’inizio vi si butta a capofitto e dimentica la lezione più importante: carpire le parole taciute. Inesperta, si crogiola tra le carezze di ser Jorah e i graffi sulla schiena, titubante e infinitamente fragile: è la prima volta che il morso pungente dell’amore la pungola e lei vi si abbandona – crede sia così che debba andare.
Di notte la tenda della Regina rifulge della seta dei cuscini e delle scintille riverberate dalle spade, ed è lì che Missandei sente la canzone, quella che le dischiude le orecchie e la fa tornare a udire.
A intonarla è la voce rauca e profonda di ser Barristan, una voce arrugginita e grondante malinconia, da vecchio cavaliere senza più terra che pizzica le note mentre affila la propria lama. È una canzone da taverna, dice, di quelle che accompagnano fiumi di birra e vino, da popolino eppure tanto cara anche nelle sale da ballo dei grandi castelli – una canzone dell’Occidente.
Missandei ricorda l’eco ovattata della madre che le sussurra sinfonie lontane e delicate, canti del Pacifico Popolo di Naath che narrano di alberi alti fino al cielo, spiagge candide e tripudi di farfalle: sono rassicuranti, le fanno ricordare quale sia il sapore dei frutti della sua isola e il colore degli occhi dei fratelli – la fanno stare bene.
Lo stesso non accade per la canzone di ser Barristan, con i suoi racconti di fiere e orsi che salvano fanciulle col miele nei capelli, di capre e sogni di cavalieri infranti nell’aria estiva. In un primo momento non dà peso a tali fantasticherie, ma poi si volta verso di lui, muto e impassibile sul proprio sgabello, solo gli occhi a tradirlo.
 
Diligente, Missandei ha eseguito gli ordini e affinato l’udito della mente, e ora ricomincia a usarlo – per questo fa così male.
 
*
 
Quando la Madre dei Draghi si ritira per riposare, sogni di fuoco e sangue o di porte rosse e alberi di limone, capita ancora che si attardino. Missandei, da quando ha letto oltre la cotta, dentro la canzone, ha capito quanto si senta solo, attratto dal suo corpo sinuoso e bisognoso di ristoro dopo giornate di polvere e sabbia – e le sta bene, ha realizzato, cerca anche lei conforto, solo vorrebbe…
Lui la sfiora con le grandi mani callose – mani da cavaliere o da orso? – e lascia scivolare la spallina dell’abito impalpabile che la fascia. La ragazza ricambia il gesto sbottonando il farsetto di pelle con ricamato lo stemma della sua casata – un orso, di nuovo.
Ser Jorah affonda la mano tra i suoi ricci scuri – niente miele, per lei –, sciogliendole le treccine, tirandoli appena mentre cerca la sua nuca per attrarla a sé, fronte contro fronte mentre bevono l’uno i respiri dell’altra.
Missandei si chiede, mentre espone il collo vellutato al suo tocco, se gli orsi possano amare anche le farfalle, non solo le fanciulle – non serve la salvi come nella canzone, lo ha già fatto Daenerys Nata dalla Tempesta.
A volte ci spera e così socchiude gli occhi per non dover leggere la chiara risposta riflessa nel ghiaccio dell’uomo, ma è fin troppo intelligente per poter credere alle proprie illusioni a lungo – per quanto si sforzi le è impossibile non ascoltare, ora che ha ripreso a farlo.
Gli orsi possono inseguire le farfalle, rincorrerle per afferrarle e giocarci. Sfregano il pelo ruvido contro le loro tremule ali, arricciano un’antenna attorno agli artigli, soffiano via la polverina che le fa volare – null’altro.
L’amore è una ballata di fanciulle e principesse, riservato alle regine che nei capelli hanno intrecci d’argento e d’oro e nelle vene sangue di drago: è questo che urlano le dita del cavaliere veloci a riallacciare la cintura, dopo.
Se non fosse stata addestrata a capire, se fosse una falena… forse Missandei gli svolazzerebbe sempre più vicino fino a bruciarsi il cuore e la possibilità di spiccare il volo. Ma è una farfalla di Naath, dall’acume tagliente che scandaglia in profondità, così si avvede in tempo della fiamma che sfrigola seducente e si impone di non farsi tarpare le ali – può ancora volare lontano.
Ben presto la fiaccola ardente dei suoi baci diviene solo caldo tepore a tenerle compagnia nella notte, tra la sabbia che si insinua nelle pieghe della pelle e la stanchezza della marcia.
 
Quando si innamora di nuovo, a Meereen, ser Jorah è ormai solo un piacevole ricordo del passato, intessuto di carne e ringhi d’orso e farfalle nello stomaco. Eppure quando lo rivede i suoi occhi cantano la stessa storia di un tempo – non smetteranno mai di cantarla fino all’ultimo respiro che esalerà (ma questo ancora non può saperlo).
Missandei lo sbircia di soppiatto e sa di averlo spogliato con lo stesso sguardo, per questo lo comprende e compatisce – ma ora non fa più male.
 
 
 
 
 
 
NdA
Credo di essere la più sorpresa, probabilmente, riguardo al pairing scelto questa volta, il quale partecipa alla challenge come coppia crack perché temo proprio di non riuscire a fare di meglio su questo versante. Non so se sia plausibile o se qualcuno possa trovarlo interessante da leggere (io per prima non credo lo farei – o forse ora sì, giusto per sapere come sia stato affrontato altrove), ma per riuscire a scrivere qualcosa di decente mi serviva una coppia che si incastrasse in terreni a me noti e i primi a venirmi in mente sono stati loro due uniti a The bear and the maiden fair (che ser Barristan effettivamente cita un paio di volte), nonché la scena di Missandei che fa da interprete per i Buoni Padroni e Dany, aggiungendo deduzioni e commenti per i primi (forse è solo nei libri a farlo, ma, di nuovo, la terza stagione l’ho vista mezza vita fa) e “parafrasando” le risposte per la seconda. Per gli occhi di ser Jorah ho dato per scontato che siano come quelli di Iain (ho letto la saga una volta sola, questi dettagli mi sono sfuggiti e a dire il vero non so nemmeno se venga mai citato il colore dei suoi occhi – come sempre mi pongo problemi forse irrilevanti).
Devo ammettere che mi sono particolarmente divertita a sperimentare scenari così lontani dalla mia comfort-zone e spero che il risultato sia stato di vostro gradimento.
Grazie di cuore per aver letto e a presto!

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Capitolo 3
*** Ferro di Lupo (RobbxTheon) ***



Ferro di Lupo

(RobbxTheon)
 
 
 
 
 
 
“Sono tuo fratello, ora e per sempre?”
 
Il Re del Nord si voltò lentamente verso il giovane uomo che aveva sguainato la spada nella sua direzione – Theon, l’amico, il compagno di battaglia, il confidente, il desiderio di qualcosa di più – e incrociò gli occhi scuri dell’altro.
Perché faceva così male quella parola, pronunciata dalle sue labbra sempre irriverenti e piegate in un sorriso canzonatorio? Ned Stark li aveva cresciuti entrambi come propri figli, come un branco compatto pronto a difendere la propria gente alla calata dell’Inverno, e allora fratelli lo dovevano essere – lo erano sempre stati.
Eppure, no avrebbe voluto urlargli scuotendolo violentemente, non fratelli…
 

*

 

Robb Stark ha otto anni, una spada di legno tra le mani e un fantoccio come avversario, quando la lady sua madre lo fa schierare nel cortile di Grande Inverno per accogliere il lord suo padre, di ritorno dalla guerra.
Impettito e solenne, come si conviene a un figlio del Nord, posa gli occhi cerulei sul ragazzino dai capelli neri, arruffati e troppo lunghi sulla fronte, che avanza accanto al padre. L’altro ricambia lo sguardo con un sorrisetto appena accennato, forse macchiato d’orgoglio ferito o di superiorità, forse per occultare il tremore suscitato dalle imponenti torri di quella che teme essere la propria prigione.
La mano di lord Eddard, dita ruvide di chi ha brandito la spada in troppe guerre e tocco amorevole di padre, si posa sulla giovane spalla dell’ultimo figlio maschio di Balon Greyjoy, mentre lo sospinge a fare la conoscenza della sua nuova famiglia – Questa è lady Catelyn, mia moglie, e loro i nostri figli: Robb, Sansa, Arya…
Robb si scosta un ricciolo ribelle dagli occhi e allunga la mano paffuta per stringere quella affusolata e ossuta del nuovo arrivato, il quale risponde nervosamente al saluto senza però smettere il ghigno traballante cucito sulle labbra. Il piccolo Stark non capisce proprio cosa trovi di tanto divertente in quella situazione, e un tremito gli corre lungo la schiena mentre ripensa alle storie della Vecchia Nan sugli Uomini di Ferro, nelle cui vene scorre l’acqua del mare in burrasca e che danno i nemici in pasto a giganteschi Kraken. Robb non sa quanta verità ci sia nelle leggende della rugosa nutrice – molto poca, si augura –, quello che sa è che Theon porta con sé l’odore gonfio dell’aria salmastra.
 
Da adulti si chiederà spesso se anche la sua pelle abbia il sapore del sale.
 
 
 

Robb Stark ha quattordici anni, una spada da torneo tra le mani e Jon come avversario, quando Theon interrompe annoiato il loro duello, inchiodando a terra il mantello del piccolo Snow con una freccia.
Severo e rigido, come si conviene all’erede del Nord, rivolge uno sguardo di rimprovero al giovane protetto del padre e scrolla infastidito la chioma ramata. L’altro ricambia schiudendo le labbra nella consueta smorfia, sprezzante e beffarda, e facendo riecheggiare il cortile di Grande Inverno della propria risata impertinente, quella che invita Robb ad accantonare l’armatura di ghiaccio da piccolo lord e rammenta a Jon la sua condizione di bastardo, sempre un gradino sotto anche rispetto al figlio prigioniero della grande Casa dei Greyjoy.
Il maggiore dei cuccioli Stark sa riconoscere la sofferenza negli occhi del fratellastro, ma l’ilarità e l’approvazione di Theon – il più grande, il più bravo con l’arco, l’unico tra loro ad essere già uomo – sono un richiamo più forte del basso uggiolio di Jon. Così Robb si unisce alle risa del ragazzo e decide di seguirlo a caccia nella Foresta del Lupo, dove si sfidano cercando di catturare più animali dell’altro e Theon gli racconta della propria terra e del mondo degli adulti. Se con Jon può solo giocare alla guerra, dalle memorie ingigantite del giovane Greyjoy apprende dell’assedio di Pyke e dell’incendio dell’intera Flotta di Ferro, di come lui stesso abbia scagliato frecce e pietre dall’alto della Torre del Mare. Robb non sa quanta verità ci sia nei ricordi del tronfio amico, in particolare riguardo alle sue millantate imprese – molto poca, sospetta –, quello che sa è che Theon porta in sé la rude e fiera spigolosità delle sue isole.
 
Da adulti si chiederà spesso se anche i suoi muscoli abbiano la compattezza della pietra.
 
 

 

Robb Stark ha diciotto anni, una spada affilata tra le mani e un soldato Lannister come avversario, quando nel cuore della notte attacca l’esercito dello Sterminatore di Re tra sussurri e ringhi di lupi affamati.
Glaciale e impavido, come si conviene al Protettore del Nord, combatte in prima linea guidando l’assalto, con Vento Grigio e Theon al proprio fianco a infondergli sicurezza, mentre lo sguardo determinato cerca quello amico per calibrare il prossimo fendente da sferrare sui nemici. L’altro ricambia increspando le labbra sottili in un sorriso esaltato, come se avesse atteso per tutta la vita il cozzare delle lame e l’odore del sangue che imbratta le corazze, e sogghigna complice in direzione del giovane lord.
Robb, mentre affonda la lama nel collo di un Lannister, ripensa a tutte le volte in cui si sono allenati assieme, sotto lo sguardo vigile del maestro d’armi, a come abbiano imparato a guardarsi le spalle l’un l’altro e ad affrontare uniti gli avversari. La forza sta nel branco, gli ha insegnato il lord suo padre, ed è il branco a sopravvivere al mattatoio dei leoni o al gelo dell’Inverno: è questa fede a sostenerlo nella sua prima prova da comandante, questa fede e la risata di Theon nelle orecchie.
Dopo aver assaggiato il vino dolce della vittoria, Theon narra a Catelyn Stark di quella lunga notte in cui come Estranei hanno marciato e portato tenebre senza fine, mentre i venti gelidi del Nord ululavano nelle Terre dei Fiumi. Robb non sa quanta verità ci sia nelle lodi dell’amico per il proprio valore – molto poca, teme –, quello che sa è che a udirlo le viscere gli si contraggono in uno spasmo caldo e inebriante, come il metallo nella fornace.
 
Ora che sono adulti si chiede spesso se anche la sua bocca sulla propria sia tagliente come l’acciaio.
 

*
 
No, fratelli mai…
Robb aveva rimarcato più volte, durante gli anni sereni della lunga estate, la loro appartenenza a diverse famiglie e diverse lealtà.
Per rimettere ogni cosa al proprio posto, prima fra tutte la supponenza altrui, si era convinto a credere.
Per lasciarsi aperto l’unico spiraglio concesso loro che la parola fratelli pareva sprangare irrevocabilmente, aveva infine compreso.
Eppure, fratelli o meno, ora che sul suo capo gravava la corona di ghiaccio del Nord – non meno acuminata del Trono del Sud –, qualsiasi possibilità ci fosse mai stata era ormai impraticabile.
Secondo Eddard Stark, che nel seguire scrupolosamente i propri dettami e rendere onore al proprio ruolo si era imbattuto nel boia reale, un buon lord era sempre onesto e pronto a lottare per la verità, a morire difendendola se necessario. A conti fatti, Robb immaginava che per i re potesse essere diverso, che fosse concesso mentire talvolta – e lui era il Re del Nord, ora, non il lord di Grande Inverno.
Annuì in direzione del giovane Greyjoy, perdendosi in quei pozzi scuri che fiammeggiavano rischiarati dal consueto guizzo divertito – sogghignava anche nei momenti meno opportuni, Theon.
 
Ora e per sempre.”
 
 

 
 
 
 
NdA
Questa volta non sono particolarmente soddisfatta del risultato finale, ma se la riscrivevo ancora una volta non avrei mai pubblicato nulla e sarebbe finita nel dimenticatoio insieme ai tentativi di una LorasxRenly (l’idea iniziale per questa storia). Il pairing, temo un po’ banale, partecipa alla challenge come coppia slash e come sempre un lieto fine non sono riuscita a concederlo nemmeno a loro due (considerate le coppie che ho in mente per le restanti categorie temo non vi sarà in nessuna), anche se, a ben pensarci, nel caso in cui davvero Robb fosse stato innamorato di Theon ci saremmo forse risparmiati il Red Wedding, quantomeno nella serie tv, e un lato positivo ci sarebbe bene o male stato.
Mie divagazioni a parte, la scena iniziale e quella finale si collocano nell’episodio 1x10 (da cui sono tratte anche le due battute che aprono e chiudono la storia), quando Robb viene acclamato Re del Nord, e per la sua età mi sono attenuta alla serie. Non ricordo se specifichino mai quella di Theon, ma l’ho sempre pensato più grande di Robb e Jon, come è nei libri (da cui ho ripreso i tratti somatici dei due). L’uso di sale, pietra e acciaio alla fine dei tre flashback riprende il rito dell’Annegamento del Dio Abissale, mostrato nella seconda stagione (“benedicilo con sale, benedicilo con la pietra, benedicilo con l'acciaio”). Ho non poche titubanze per il titolo, palesemente modellato sull’espressione “vetro di drago”, che con un gran brutto gioco di parole richiama le casate dei due personaggi e la doppia “natura” di Theon, tanto Greyjoy quanto Stark (l’unica alternativa a cui sia riuscita a pensare è un ancor più banale “Fratelli”, forse un pochino meno azzardato – immagino passerò i prossimi giorni combattuta se cambiarlo o meno).
Vi ringrazio per aver dedicato un po’ del vostro tempo a leggere questa storia, che spero essere stata di vostro gradimento.
A presto con le prossime coppie!

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Capitolo 4
*** Un gioco di nomi (DaenerysxJon) ***


Un gioco di nomi
(DaenerysxJon)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Siete alla presenza di Daenerys Nata dalla Tempesta di Casa Targaryen, legittima erede al Trono di Spade, Regina degli Andali e dei Primi Uomini, Protettrice dei Sette Regni, Madre dei Draghi, Khaleesi del Grande Mare d’Erba, La Non Bruciata, La Distruttrice di Catene.”
 


 
 
*


 

 
Ci sono nomi che sono nati per essere, che sono stati forgiati da secoli di splendori e guerre e titoli magniloquenti. Sono marce trionfali composte una sillaba alla volta, incastrando con perizia ogni singolo suono nella melodia e fondendoli assieme con fuoco, sangue e follia.
Sono pensati per infiammare popoli e imperare su continenti interi, per travalicare qualsiasi ostacolo insormontabile – deserto, mare, la Barriera…
 
E poi ci sono gli altri, i nomi nati per non essere che scavano fosse in cui la creanza vorrebbe ci si nascondesse, nomi uguali a tanti altri per dissimulare e confondere e celare. Sono macchie d’unto sull’onore che nemmeno il candore splendente della neve può scolorire, figurarsi cancellare.
Sono pensati per rendere nessuno, per provare a camuffare l’evidenza con un elemento tanto comune ai Sette Regni – neve, roccia, sabbia…
 
I nomi sono anche dei fili, dei fili rossi intessuti di ossa, lombi e antenati che congiungono con chi c’era, con chi è stato, con chi ha scelto per te prima che tu potessi farlo. E che ti ha dannato. I nomi ti uniscono a quel padre sconosciuto, a quel padre solo a metà, sempre e comunque. Questo vede la gente: un padre davanti a un figlio – peccati, colpe, torture
 
 
– La figlia del Re Folle e il bastardo di Ned Stark –
 
 
 
 
 


Daenerys, assisa sull’alto scranno di Roccia del Drago, li assapora uno dopo l’altro i propri nomi, bevendo avida come acqua nel deserto la regalità che stillano. Rappresentano l’essenza di ciò in cui crede, l’unica vera fede che riconosce: se stessa. Sono il simbolo di quel che ha saputo conquistare con le proprie forze a Oriente e il retaggio che le spetta per diritto divino di nascita – è l’ultima Targaryen.
 
Jon, avanzando nel salone adombrato, fatica invece a digerire il suono che generano i propri, i quali stridono alle sue orecchie in un incastro malriuscito. Rappresentano tutto ciò che non ha mai cercato, che ha fuggito con tutto se stesso: potere. Costituiscono una dissonanza quasi dissacrante, la vergogna del primo forzata a incastonarsi in una corona glaciale che si è ritrovato sul capo contro ogni volere – è l’ultimo maschio Stark.
 
Ghiaccio e fuoco, ecco cosa sono quei due nomi: ghiaccio e fuoco promessi da secoli di profezie e ombre nelle fiamme – alleati insperati, disperati; amanti inevitabili.
Chiedono di non essere giudicati per il passato e guardare al presente, ricordano ginocchia piegate e spade consegnate, paventano nemici atavici in marcia.
Cozzano, liquefanno, si spengono l’un l’altro, ma alla fine trovano un equilibrio: lo stesso, sempre quello, ma magari con loro potrà durare.
Lo rinsaldano nel ghiaccio di un disperato salvataggio e nel fuoco della passione. Si piega, Jon, e pone tra le mani della sua Regina le fredde lande affidategli dai lord, come pegno d’amore. Per sempre, giura.
   
 
– La Regina dei Sette Regni e il Protettore del Nord –
 
 
 
 



C’è una legge di cui non hanno però tenuto conto.
Il gioco del torno è una ruota da distruggere, ma il mondo intero si regge sopra un gioco ancora più insidioso, ancora più sottile: quello dei nomi.
 
Ci sono nomi dimenticati e che mai sarebbero dovuti venire a galla, nomi che portati dalla persona giusta – uomo guerriero re – possono far svanire castelli di fumo costruiti da quella sbagliata – donna straniera folle.
Si tratta di nomi al sapore di bile che brucia la gola, nomi in grado di spegnere le fiamme dell’amore e ridurle a cenere che soffoca il respiro.
Daenerys lo ha chiamato con desiderio, un tempo, e suonava tanto dolce alle sue orecchie. Un tempo. Ora è solo l’ennesimo ostacolo a fermarla a un passo dall’unica ambizione che abbia mai avuto, quella che l’ha resa grande, degna della propria stirpe – la loro stirpe.
 
Allo stesso tempo ci sono nomi che gravano come fardelli e si vanno ad accumulare a pesi portati per una vita intera, macigni che non sono stati richiesti e che non sono voluti, per quanto ammantati di gloria e fama.
Si tratta di nomi al sapore di menzogna che lasciano disorientati, nomi che accollano ulteriori responsabilità e richiedono di fare la cosa giusta, non per sé ma per tutti gli altri.
Jon l’ha chiamata con devozione e amore, un tempo, e suonava tanto perfetta alle sue orecchie. Lo sarebbe ancora se non fosse per... No, ora è solo l’ennesima tiranna da privare del potere per salvare il Regno che ha giurato di proteggere in quanto scudo del popolo – il loro popolo.
 
La Sala del Trono ha risuonato per secoli di nomi di re, incoronati dalle spade dei nemici sconfitti di Aegon, e ha rimbombato per le suppliche dei condannati a morte. La sfida è tra chi sentirà il proprio squillare tra quei brandelli di mura e chi languirà sul pavimento di pietra sussurrando le ultime preghiere.
Un bacio, l’ultimo che sa di ineluttabilità, due pugnali e due cuori che smettono di battere – era la cosa giust…
 
 

 


*
 

 


“Lui è Jon Snow. Il Re del Nord.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
NdA
Questa storia partecipa alla challenge come coppia NOTP, e quantomeno ho avuto la fortuna di un pairing dove uno dei due era di per sé tanto geniale da rovinarli da solo XD. Non saprei dirvi i motivi per cui non sia mai riuscita a vederli assieme (probabilmente il mio leggerissimo odio per Jon ha notevolmente influito, insieme alla prevedibilità quasi banale della coppia), posso però dirvi che ho sperato tantissimo, guardando la 8x06, che finisse esattamente così tra loro: una doppia pugnalata durante quel bacio. Hanno insistito così tanto su Dany che si sentiva tradita da Jon, che avrebbe voluto eliminarlo, che ci contavo in quella doppia morte e me la sono scritta io. Le due battute che aprono e chiudono la storia sono tratte dal primo incontro tra i personaggi nell’episodio 7x03 (perdonatemi ma non posso che ridere ogni volta davanti a quella scena, Jon messo anche involontariamente in ridicolo mi rallegra sempre). Sempre durante quell’episodio (e più in generale nella settima stagione) è ambientata la seconda parte della storia, nell’ottava dopo la rivelazione dell'identità di Jon la terza, mentre la prima nel periodo che precede il loro incontro.
Grazie di cuore per aver letto, spero che anche questo breve scorcio sia stato di vostro gradimento (nel caso fossero la vostra coppia preferita perdonatemi per la fine).
A presto,
Maqry

 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Partita in quattro mosse (JonxSansa) ***


Partita in quattro mosse
(JonxSansa)
 
 
 
A Nirvana
 
 
 
 
 
Sansa detestava il gioco del cyvasse. Non c’era tempo per draghi e catapulta nelle favole da piccola regina dell’Estate che si raccontava, solo per cavalieri da torneo a cui donare fazzoletti ricamati.

Anche Jon lo odiava, mentre le pedine di Robb abbattevano il suo re. Gli ricordava quale fosse il suo posto: un soldato nella mischia, migliore con la spada che nella tenda dei comandanti a filosofeggiare di strategia. 

 
«Ti va una partita?»
«No.»
«Nostro padre dice che devo allenarmi, se voglio battere Robb.»
Non voglio perdere ancora.
«E va bene, ma solo per questa volta.»
  

***
 

Dicono che Oltre la Barriera si congelino pure i pensieri. Eppure Jon di rado ha sentito tanto calore come sotto quelle vecchie pelli, le gambe forti e nervose di Ygritte avvinghiate attorno alle sue, mentre le sussurra piani per aggirare i castelli dei Guardiani della Notte – no, soltanto Corvi. Ed è facile, per qualche istante, immaginare un’altra ragazza baciata dal fuoco e una scacchiera da gioco.
 
 
«Mi sembra un piano stupido, finiremmo per essere schiacciati sul fianco.»
«Ne sai, di strategia, per essere…»
«Donna? Hai mai ascoltato una ragazza a riguardo?»
«Mia sorella, qualche volta.»
Sorelle. Non solo Arya, anche Sansa.
«E allora non sai niente, Jon Snow.»
 
 
***

 
 «Non hai occhio, chi ti ha insegnato a giocare?»
«Mio fratello.»
«Beh, sappiamo che fine ha fatto…»
Non Robb, Jon.
«Ascolta me: non concentrarti su un forte o un battaglione,
combatti nella tua testa, sempre, su ogni casella della scacchiera.»

 
L’aria pungente e rarefatta a Nido dell’Aquila spacca la pelle più del freddo di tutto il Nord. Solo il camino delle stanze private di Lord Baelish aiuta a scaldare le dita intirizzite di Sansa – no, Alayne Stone –, mentre spostano elefanti e cavalieri ad accerchiare il forte nemico. Ed è facile, per qualche istante, socchiudere gli occhi per ponderare la prossima mossa e sentirsi a Grande Inverno.  
 


***
 
 
«Potremmo posizionare gli arcieri sul fianco sinistro…»
«No! Devi anticipare Ramsay, batterlo d’astuzia. E non ci sono abbastanza uomini!»
Non puoi perdere.
«Lo so, ma è quello che abbiamo.»
 
 
È la tattica di Sansa che fa cadere la moneta dal lato giusto. A Jon sembra ancora di vederla sbuffare mentre siede al tavolo, lui che si sente grande a spiegarle le mosse. Ha imparato, di certo non da lui.

Ditocorto aveva ragione, pensa Sansa, le sue lezioni le sono servite, eppure non teneva conto degli insignificanti. A salvarli è stato Jon, solo un soldato che affronta un’orda con spada e la disperazione dei lupi, trascinando uomini a dare la vita.  
 


***
 

«Prometti che tornerai a Grande Inverno, un giorno.»

«Mi aspetterai per una partita a cyvasse, mia regina?»
 

Per tutte le partite che vorrai, Jon.
 
 
 
 
Note alla storia: i dialoghi sono inventati/rielaborati grossomodo a partire da quelli effettivamente presenti nella serie per questioni di trama (specie quando Jon e Sansa discutono prima della Battaglia dei Bastardi). Per quanto riguarda l'uso di fratello/sorella, è stato scelto per sottolineare il legame più "profondo" tra i due considerati i sentimenti che qui si presuppone provino l'uno per l'altra, quasi scappi per errore invece di sorellastra/bastardo (e da qui gli eventuali fraintendimenti). Si scusino i velati cenni alle scarse abilità strategiche di GiovanninoNeve, ho provato a non inserirli ma nella vita bisogna essere sinceri. Per ogni colpa riguardo a me che rovino definitivamente questi due, ritenete responsabile Nirvana_04 che non solo mi ha fatto scoprire la coppia, ma lo ha fatto facendomi leggere una storia tanto bella che non ho potuto che apprezzarli nonostante sia coinvolto Jon, per di più vivo. Come è giusto che sia, quindi, ora che ne ho scritto a mia volta senza far tragicamente morire il suddetto – e amatissimo – personaggio, la ff è dedicata a lei (guarda che fortune che ti capitano! Sono dimostrazioni di affetto anche queste 💙).
E già che mi son ricordata di avere una raccolta su GoT, questa storia partecipa alla challenge come coppia het.

Grazie a chiunque abbia dedicato tempo a questa lettura, spero sia stata piacevole!

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