Age of Epic - 1 - Eresia

di Ghost Writer TNCS
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Destino avverso ***
Capitolo 3: *** 2. Uccidere o venire uccisi ***
Capitolo 4: *** 3. Strumento del Clero ***
Capitolo 5: *** 4. Avrò la mia vendetta ***
Capitolo 6: *** 5. Dolore e umiliazione ***
Capitolo 7: *** 6. Libera ***
Capitolo 8: *** 7. Consapevolezza ***
Capitolo 9: *** 8. Progetti per il futuro ***
Capitolo 10: *** 9. Un salto di qualità ***
Capitolo 11: *** 10. Verso un nuovo domani ***
Capitolo 12: *** 11. Due demoni, due visioni ***
Capitolo 13: *** 12. Un alleato riluttante ***
Capitolo 14: *** 13. Forza interiore ***
Capitolo 15: *** 14. Vecchie amicizie ***
Capitolo 16: *** 15. Una nuova prospettiva ***
Capitolo 17: *** 16. Fase uno ***
Capitolo 18: *** 17. La guardia e l’inquisitrice ***
Capitolo 19: *** 18. Fase due ***
Capitolo 20: *** 19. Il viaggio continua ***
Capitolo 21: *** 20. Sulle tracce degli eretici ***
Capitolo 22: *** 21. Faccia a faccia ***
Capitolo 23: *** 22. Il gelido sud ***
Capitolo 24: *** 23. Onore ferito ***
Capitolo 25: *** 24. Verdetto ***
Capitolo 26: *** 25. Cacciatori e prede ***
Capitolo 27: *** 26. Prove ***
Capitolo 28: *** 27. Il più adatto ***
Capitolo 29: *** 28. Nel cuore di Raémia ***
Capitolo 30: *** 29. Magie e presagi ***
Capitolo 31: *** 30. La verità di Raémia ***
Capitolo 32: *** 31. Resa dei conti ***
Capitolo 33: *** 32. Dubbi e certezze ***
Capitolo 34: *** 33. Punto di non ritorno ***
Capitolo 35: *** 34. Sotto custodia ***
Capitolo 36: *** 35. Condanna ***
Capitolo 37: *** 36. Compagni di cella ***
Capitolo 38: *** 37. Il giorno dell’esecuzione ***
Capitolo 39: *** 38. La Furia Spettro ***
Capitolo 40: *** 39. Qual è il piano? ***
Capitolo 41: *** 40. Legami di famiglia ***
Capitolo 42: *** 41. L’ultimo ostacolo ***
Capitolo 43: *** 42. Volontà divergenti ***
Capitolo 44: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Era una soleggiata mattina di primavera e la carovana del circo si era concessa un giorno di riposo prima di proseguire verso un altro villaggio.

Mentre gli artisti svolgevano i consueti allenamenti, una bambina se ne stava sul tetto della sua carrozza a disegnare. La pelle aveva una colorazione che tendeva all’arancione e i capelli erano fucsia, corti e un po’ disordinati. Di tanto in tanto sollevava gli occhi, le cui iridi rosa risaltavano sulle sclere quasi nere, dopodiché tornava al lavoro sul suo scarto di legno.

Una volta soddisfatta del risultato, scese agilmente dalla carrozza. Dalla schiena le spuntavano due ali, ma erano talmente piccole che non le permettevano nemmeno di planare.

Corse dai suoi genitori per mostrare loro il suo disegno, prima però attese con pazienza che terminassero il loro numero acrobatico. Per le persone comuni si trattava di uno spettacolo incredibile, ma lei sapeva che era frutto del duro lavoro quotidiano e di qualche trucco magico.

Finita l’esercitazione, i suoi genitori approfittarono della breve pausa per andare da lei.

«Mamma, papà, guardate! Ho fatto la mappa di questo posto!»

«Sei stata bravissima, Tenko!» si complimentò sua madre. Aveva gli stessi occhi della figlia, ma non aveva le ali. «È proprio uguale a questa radura!»

«È vero, è proprio bello» confermò suo padre, che invece poteva vantare due vere appendici adatte alla planata. «Su, ora mettilo insieme agli altri, è ora di allenarsi.»

«Ok…»

La bambina tornò alla sua carrozza, aprì un vecchio baule e vi ripose con cura la sua mappa. Ce ne erano molte altre, una per ogni luogo visitato dal circo. Amava viaggiare e da grande voleva diventare una cartografa. Sarebbe stata la prima a disegnare la mappa di tutto il mondo. Ora però doveva allenarsi.

In quella compagnia erano quasi tutti demoni come lei, e tutti dovevano fare la loro parte. Era proprio collaborando a vicenda che riuscivano a dare vita ai loro meravigliosi spettacoli, fonte e di gioia e divertimento per tutti quelli che vi assistevano.

La giovane demone era stesa su un puzzolente letto di paglia, all’interno di una malmessa stanza di legno. Una mano era protesa di lato, e a poca distanza si trovava una boccetta vuota.

Riaprì gli occhi lentamente. La mente era ancora intorpidita e ci mise alcuni secondi per mettere a fuoco ciò che aveva intorno. Da una piccola finestra entrava la luce del giorno: da quanto era lì?

Ben presto il suo sguardo si posò sulla boccetta accanto a lei. La riconobbe subito e si maledisse mentalmente: ci era cascata di nuovo. Aveva fatto di nuovo uso di quella droga, la Memento Gaudia[1]. Perché non riusciva a smettere? Era un’adulta ormai, come poteva farsi fregare ogni volta?

Con un grido rabbioso lanciò la fialetta contro il muro di fronte, ma il fragore del vetro infranto non alleviò minimamente il suo turbinio di emozioni: rabbia, dolore, vergogna.

Con qualche difficoltà si rimise in piedi. Trovato l’equilibrio, si rese conto che le mancava qualcosa. Portò le mani alla cintura, ma la scoprì vuota. Le sue poche monete, la frusta, la spada, la bacchetta: tutto sparito. L’avevano derubata mentre era incosciente. Di nuovo!

Tirò un pugno al muro. “Complimenti, Tenko, sei proprio una cogliona!”

Se non altro questa volta aveva ancora i vestiti.

Afferrò il suo malconcio zaino, vuoto fin dal giorno prima, e poi barcollò fino alla porta. Da quando il Clero aveva attaccato il circo, la sua vita non aveva fatto che peggiorare. Era forse il suo destino continuare a subire gli eventi senza potervisi opporre?

“Si fotta il destino! Quei bastardi la pagheranno, fosse l’ultima cosa che faccio!”

Prima o poi avrebbe avuto la sua vendetta, adesso però doveva trovare la persona che le aveva sottratto soldi e armi.

“Chiunque sia, ha derubato la persona sbagliata.”


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[1] Dal latino: “ricorda le gioie”.

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Capitolo 2
*** 1. Destino avverso ***


1. Destino avverso

Data:  3631,2 d.s.[2]

Luogo: pianeta Raémia, sistema Mytho


Tenko scostò il telo che fungeva da porta e si trovò in un corridoio. Anche lì c’era un odore penetrante, ma si sforzò di andare avanti.

Cercando di non barcollare raggiunse l’omone seduto vicino all’ingresso del malandato edificio. Il suo aspetto era strettamente umanoide, tuttavia possedeva due orecchie bovine e anche un paio di corna: con ogni probabilità era un faunomorfo[3] di tipo toro. La demone aveva ancora la mente annebbiata, ma era abbastanza sicura che fosse stato lui a darle la droga.

«Ehi, hai visto qualcuno uscire dalla mia stanza?»

Lui le lanciò una rapida occhiata. Era seduto, ma in piedi doveva sfiorare i due metri. Aveva un’espressione di sufficienza, ma tentennò per un istante quando i loro sguardi si incrociarono: era molto insolito trovare qualcuno con le sclere nere e le iridi rosa. «Non c’ho fatto caso.»

«Oh, andiamo! Aveva delle armi: una spada, una frusta… Non puoi non averlo visto!»

 Il faunomorfo le rivolse un altro sguardo, e questa volta lasciò trapelare un certo fastidio. «Un tipo con una frusta e altre armi è uscito meno di mezz’ora fa.»

«Visto? Non ci voleva tanto!» Fece per correre fuori, ma si fermò. «Nel caso volessi vendere delle armi, dove dovrei andare?»

L’omone rimase in silenzio per qualche secondo. «Vai a destra fino al mercato. Troverai un vicolo stretto con un’insegna a forma di mestolo capovolto. Da lì potrai entrare in un vecchio magazzino dove contrabbandano armi.»

Tenko annuì.

«E se hai bisogno di altra Memento, posso dartene una dose. Ti faccio un prezzo da amico.»

«Adesso non ho tempo» tagliò corto la demone, e corse fuori dall’edificio. “Col cavolo che ne compro altra!” aggiunse mentalmente, ma quella era una frase che si era già detta almeno un migliaio di volte.

Come suggerito dall’uomo, andò a destra verso il mercato. A giudicare dalle baracche fatiscenti, quella doveva essere la zona più squallida della città. I passanti erano quasi tutti faunomorfi, ma questo non la stupì: in quel territorio costituivano la quasi totalità della popolazione.

Una volta raggiunto il mercato, non ci mise molto a individuare il vicolo con l’insegna a forma di mestolo capovolto. Quasi subito notò un bambino che la fissava da un tetto: con ogni probabilità era una sentinella.

Lei finse di non vederlo e si addentrò nello stretto passaggio. Dopo pochi metri individuò un’apertura nel muro di sinistra. Si guardò rapidamente intorno e poi entrò. Come anticipato, all’interno del magazzino era stato allestito un mercato clandestino abbastanza affollato: molti vendevano armi di vario tipo, ma c’era anche chi contrabbandava pozioni e perfino bacchette magiche.

Le sarebbe piaciuto provare a fare qualche affare, purtroppo però aveva altre priorità. Doveva trovare il ladro, il problema era che non aveva idea di che faccia avesse. Non sapeva nemmeno se era ancora lì.

Senza farsi troppe illusioni, cominciò a guardarsi intorno. La sua spada corta non aveva niente di speciale, quindi doveva concentrarsi sulla bacchetta e sulla frusta.

Ben presto cominciò a pensare che stava solo perdendo tempo, poi però vide due uomini impegnati a contrattare. E l’oggetto della contrattazione sembrava proprio la sua frusta.

«Ehi, voi!» li chiamò.

I due uomini si voltarono.

«Interessa a me quella frusta!»

In quel momento accadde proprio ciò che si aspettava: uno dei due prese l’arma dalle mani dell’altro e cominciò a scappare.

Tenko partì subito all’inseguimento. «Fermati, stronzo!»

Il ladro si arrampicò su alcune casse e si infilò in uno stretto passaggio, ma la demone non ebbe difficoltà a seguirlo. Il malvivente aveva scelto di passare dai tetti, certo di riuscire a seminare la sua inseguitrice, ma si sbagliava di grosso: grazie all’addestramento da circense, Tenko aveva un’agilità impressionante e un equilibrio pressoché perfetto. A questo si aggiungevano le pozioni che fin da piccola aveva assunto: grazie ad esse poteva spingere le sue capacità fisiche ben oltre quelle di una persona normale. Perfino il suo piccolo zaino era fatto apposta per non impicciarla, in particolare vi aveva aggiunto una cintura addominale per tenerlo fermo durante le sue acrobazie.

Il ladro saltò da un tetto a un altro, ma alla demone bastò un balzo per acciuffarlo. I due persero l’equilibrio, rotolarono sul rivestimento di legno e paglia, e alla fine caddero a terra.

Tenko fu la prima a rialzarsi. Si avvicinò all’uomo e gli prese la frusta. Era lei, non aveva dubbi.

Colpì l’uomo con forza, facendolo urlare di dolore. Sì, era proprio la sua frusta.

Allacciò l’arma alla cintura e poi tastò il ladro per cercare il resto. Ma trovò solo il borsello con le monete.

Lo mise supino e lo afferrò per il bavero. «Ehi, dov’è il resto? Dov’è la mia bacchetta?!»

«L’ho venduta! L’ho già venduta!»

Lei lo sbatté a terra con rabbia. Le bacchette erano artefatti molto costosi che aiutavano i maghi a eseguire incantesimi. Solo il Clero però aveva il permesso di usare la magia, di conseguenza le bacchette erano merce rara e illegale. Tenko aveva alcune abilità magiche, tuttavia senza una bacchetta riusciva solo ad aumentare le sue performance fisiche.

«Se vuoi posso farti avere una nuova bacchetta» le propose il ladro. «Ti faccio avere un buo-»

Tenko lo colpì ancora, questa volta dritto sul naso. Il faunomorfo urlò di dolore e si dimenò, ma lei lo colpì ancora: un colpo secco che gli fece perdere i sensi. Si accorse di avergli rotto il naso, e questo le regalò un attimo di subdola soddisfazione.

Prese il pugnale del malvivente e poi si allontanò, prima che arrivassero le guardie. Non che ce ne fosse anche solo l’ombra in giro.

Raggiunto un punto più appartato, contò le monete. Erano di più di quello che le era stato rubato inizialmente, ma non abbastanza da comprare una nuova bacchetta.

Con rassegnazione si diresse verso la locanda più vicina nella speranza di trovare qualche incarico. Non c’erano bacheche con gli annunci, infatti alla popolazione era vietato imparare a leggere e scrivere. Solo i chierici ne avevano il diritto, questo perché spettava a loro lo studio e la diffusione dei testi sacri.

Purtroppo il gestore non seppe indicarle nessun lavoro ben remunerato, ma doveva arrangiarsi. Stava per uscire dalla locanda quando un uomo la avvicinò. «Ehi, cerchi un lavoro?»

Tenko si voltò verso di lui, il viso che era un ringhio sprezzante. «Che tipo di lavoro?»

Il faunomorfo ebbe un attimo di esitazione davanti ai suoi occhi e preferì concentrarsi sul resto del corpo. La demone indossava un top che le lasciava scoperto l’ombelico e dei pantaloncini corti e aderenti, quindi non era la prima volta che gente simile ci provava con lei. Ma questa volta lui non le fece la solita proposta indecente: «Stiamo cercando gente per un lavoro. Ti ho vista atterrare quel ladro, prima: sei forte. Ti interessa?»

«Che tipo di lavoro?» ripeté Tenko, leggermente più interessata.

«Questa notte il Clero farà arrivare in città una nuova scorta di bacchette. Il carro sarà scortato, per questo abbiamo bisogno di parecchi uomini. Una volta finito, ci divideremo il bottino in parti uguali.»

A Tenko sarebbe bastato sapere che c’era di mezzo il Clero per accettare: il suo obiettivo era distruggerlo, ma per il momento le sarebbe bastato danneggiarlo. Se poi c’era una prospettiva di guadagno, tanto meglio.

«D’accordo, ci sto. Dove ci troviamo?»

«Fuori dalla porta est, dove la strada entra nella foresta.»

«Ci sarò» gli assicurò la demone, e senza aggiungere altro se ne andò.

Per una volta aveva avuto fortuna: quel colpo le avrebbe permesso di rifarsi dei soldi perduti. Certo non si aspettava un lavoro facile: la scorta avrebbe lottato fino alla morte, e a quel punto avrebbe dovuto vedersela con gli altri assalitori. Secondo la sua esperienza “dividere il bottino in parti uguali” voleva dire “prendi tutto quello che riesci e scappa prima che qualcuno ti uccida”.

Controllò la posizione del sole. Non era ancora mezzogiorno, quindi aveva tutto il tempo per comprare una nuova spada, e magari anche qualche pozione.

Non c’era niente di meglio dell’aroma della vendetta per risollevare un pessimo inizio di giornata.

***

Il chierico bussò rispettosamente sul grande portone di legno massiccio, quindi attese in silenzio di venire ricevuto. Le due guardie l’avevano riconosciuto subito, infatti non lo degnarono di uno sguardo.

«Avanti» chiamò una voce dall’interno.

Le guardie aprirono i pesanti battenti e il chierico entrò nella stanza del priore. Quest’ultimo era il sacerdote incaricato di guidare spiritualmente la piccola città, ma la sua autorità era tale da influenzare anche la sfera temporale.

«Eccellenza, porto importanti novità» affermò il chierico inchinandosi. «Le guardie sono riuscite a far parlare l’eretico catturato ieri notte. Come sospettavamo, stanno organizzando un attacco al carro di bacchette in arrivo in città.»

«Molto bene, proprio come pensavo.» Il priore era un faunomorfo di tipo lince, riconoscibile per via dei ciuffi di pelo sulle punte delle orecchie.

«Eccellenza, devo inviare un messaggero per rimandare la consegna?»

Il sacerdote rifletté un attimo in silenzio. «No, questo rimanderebbe solo i piani degli eretici. Di’ alle guardie di prepararsi per questa notte: tenderemo una trappola agli eretici, così da catturarli una volta per tutte.»

«Sarà fatto, Eccellenza.»

«Puoi andare» lo congedò il capo religioso, e solo allora il chierico si permise di uscire dalla stanza.

Le guardie chiusero il pesante portone, a quel punto il sacerdote si alzò dalla massiccia scrivania per raggiungere il suo altarino privato. Al suo interno era presente una piccola statua magistralmente dipinta: raffigurava un essere umanoide con testa di falco e braccia piumate.

L’uomo si inginocchiò fino a terra. «Horus[4], Signore del cielo, gli eretici che minacciano Voi e tutti gli dei presto saranno in mano nostra.» Sollevò il capo. Il suo sguardo era una supplica piena di fiducia. «Vi prego, guidate i miei uomini, così che possano adempiere alla Vostra volontà.»

Un solenne silenzio calò sulla stanza. E la statua rispose.


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Grazie per aver iniziato a leggere questa mia nuova storia :)

Questo racconto è il primo della nuova cronologia, quindi potete leggerlo senza bisogno di conoscere le altre saghe.


Parlando un po’ di questo inizio, direi che Tenko ha già fatto capire che tipo di persona è: arrabbiata, sfortunata, mai doma. Spero avrete voglia di conoscerla meglio nei prossimi capitoli, intanto vi propongo il disegno che ho fatto in versione chibi:

Tenko Br’rado (AoE-1)


Per quanto riguarda il mondo, gli dei e il Clero, ci sarà ampio spazio nei prossimi capitoli, quindi non spoilero niente XD


Il secondo capitolo uscirà tra due settimane, non mancate.

A presto :D


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[2] La sigla d.s. indica la datazione standard. Le cifre decimali indicano il periodo dell’anno, quindi inserire una sola cifra decimale è come indicare un mese senza specificare il giorno.
L’anno standard ha una durata di circa 1,12 anni terrestri. Le età vengono comunque indicate secondo la durata dell’anno terrestre.
Per maggiori informazioni: tncs.altervista.org/terminologia/#Datazione standard (d.s.)

[3] Da fauna (l’insieme delle specie animali) e -morfo (che ha forma di). I faunomorfi hanno corpo umanoide e tratti animali come orecchie e coda.
Per maggiori informazioni: tncs.altervista.org/bestiario.

[4] Dio egizio rappresentato come un falco o come un uomo con la testa di falco. Viene associato al cielo.

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Capitolo 3
*** 2. Uccidere o venire uccisi ***


2. Uccidere o venire uccisi

Era notte fonda e la foresta sembrava un luogo spettrale. Solo di tanto in tanto si udiva qualche rumore: il fruscio delle foglie, il verso di un animale, oppure l’imprecazione di un criminale.

Anche Tenko era decisamente stufa di quell’attesa. Erano lì da almeno due ore, eppure del carro con le bacchette non si era vista nemmeno l’ombra. Qualcuno se n’era già andato, tuttavia – stando agli uomini che li avevano riuniti – erano ancora abbastanza numerosi da portare a termine il furto.

«Aspettiamo ancora un po’, sarà qui tra pochi minuti» continuavano a ripetere, ma la loro stava diventando una filastrocca oltremodo fastidiosa.

Poi, finalmente: «Vedo delle luci!»

«È il carro!»

«Silenzio! Ci farete scoprire!»

«Fatelo arrivare nel punto stabilito!»

Tenko sguainò la spada e impugnò la frusta, pronta a reclamare il sangue di qualche servo del Clero. Aveva nascosto il suo zaino su un albero, abbastanza lontano dalla battaglia, ma anche abbastanza vicino da ritrovarlo subito dopo lo scontro. Era impaziente di mettere le mani sul bottino, e non era certo l’unica. L’accozzaglia di fuorilegge lì riunita non spiccava certo per disciplina: molti di loro stavano facendo troppo rumore, e questo non poté non allertare gli uomini della scorta.

«Fermi!» ordinò una delle guardie con un marcato accento del nord. «C’è qualcuno qui.»

Il carro si fermò, e subito dopo partì un grido: «All’attacco!»

I malviventi non aspettavano altro. Molti si gettarono alla carica urlando, avventandosi sui militari. In breve anche gli altri si fecero avanti, e la stessa Tenko si gettò nella mischia.

Individuò una guardia a qualche metro di distanza e la colpì con la frusta. Uno zampillo di sangue sprizzò dal viso dell’uomo, che lanciò un grido di dolore. Lei lo raggiunse e lo finì senza difficoltà con la spada.

Un’altra guardia la attaccò, ma lei riuscì a parare il fendente. Fece un salto indietro e roteò la frusta. Con un movimento del braccio fece scattare la robusta corda verso la spada dell’uomo e allo stesso tempo vi infuse un po’ della sua energia magica. La punta della frusta si avvolse saldamente intorno alla lama dell’uomo, che la tirò indietro per cercare liberarsi. Tenko non aspettava altro: con un balzo felino gli fu addosso e lo trafisse al cuore.

I criminali avevano già ucciso la maggior parte delle guardie, ma proprio in quel momento un rombo scosse la foresta: una delle guardie aveva suonato un corno. Il rumore profondo scosse gli animi dei fuorilegge, mettendo in dubbio la loro sicurezza.

«Presto, finiamoli!» gridò qualcuno.

Alcuni criminali urlarono, e tutti quanti parvero ritrovare l’impeto.

Tenko fece scattare la sua frusta contro una guardia di spalle, avvolgendogli il collo. Tirò con forza e il malcapitato cadde all’indietro, soffocato dalla stretta improvvisa. D’istinto lasciò la spada per liberarsi, ma la demone fu più svelta e lo trafisse senza pietà.

Era da tanto che non uccideva degli uomini del Clero, e la cosa la galvanizzò. Il fragore della battaglia, il cozzare delle armi, le grida dei feriti: tutto questo la costringeva a dimenticare il passato, a concentrarsi sull’uccidere o il venire uccisa. Ormai era questa la sua vita.

Dei sibili destarono le sue orecchie a punta.

La prima freccia si conficcò nel terreno a meno di un metro da lei. La seconda centrò un fuorilegge, che urlò di dolore. Poi arrivarono le altre: decine di frecce che colpirono chiunque, dalle guardie ai criminali. Tenko cercò riparo dietro un tronco, ma non fu abbastanza rapida: un dardo le perforò un’ala, e un altro la centrò a una gamba.

Strinse i denti: non si sarebbe arresa senza combattere.

Lanciò una rapida occhiata oltre il tronco per capire con quanti nemici avessero a che fare. E di colpo tutta la sua risolutezza svanì.

«Di là, non fateli scappare!»

«Ce n’è uno da quella parte!»

«Catturateli tutti!»

Nella foresta erano apparse decine e decine di fiaccole. Non c’erano dubbi: il Clero sapeva del loro attacco e aveva teso loro una trappola. Affrontarli sarebbe stato un suicidio: doveva fuggire.

Tenko cercò di muoversi nell’ombra, attenta a non fare rumore. Ma doveva anche sbrigarsi.

«Da quella parte!»

Una freccia la ferì all’orecchio destro, strappandole un gemito. Cominciò a correre, ma dentro di sé sapeva che sarebbe stato inutile. La vista si fece annebbiata, e solo in quel momento capì che le frecce erano intrise di veleno.

Incapace di controllare il suo stesso corpo, cadde a terra.

Era finita. Il Clero l’aveva catturata e sicuramente l’avrebbero giustiziata.

“Mamma, papà, fratelli miei… presto saremo di nuovo insieme.”

In un momento del genere, con la mente offuscata e a un passo dalla morte, si rese conto di quanto fosse stata insignificante la sua vita. Da quando la sua famiglia era stata uccisa, si era concentrata solo sul sopravvivere, usando la vendetta come scusa per giustificare le sue azioni più spregevoli.

Ne era valsa la pena?

Non ebbe tempo di trovare una risposta: la tossina completò la sua azione e tutto divenne nero.

***

La prima cosa che avvertì fu l’odore di sangue. E poi delle voci: parlavano la sua lingua, ma era così stordita da non riuscire a comprendere le parole.

Una secchiata d’acqua gelida la fece urlare di spavento. Si guardò intorno. Provò a muoversi, ma era incatenata.

Capì di essere in una cella. No: a giudicare dal sangue a terra, quella doveva essere una stanza delle torture.

Solo allora si accorse degli uomini davanti a lei. Erano in tre, e quello al centro indossava la tipica veste sacerdotale.

«Ben svegliata» la salutò l’ecclesiastico in tono melenso. «Dormito bene?»

Tenko gli sputò in faccia. O meglio ci provò: la saliva riuscì appena a macchiare l’abito giallo ocra.

Il faunomorfo di tipo lince schioccò alcune volte la lingua e scosse il capo. «È così che mi ringrazi per averti risparmiata?»

Lei continuò a guardarlo in cagnesco. Non avrebbe abboccato alle sue provocazioni. Non gli avrebbe dato quella soddisfazione.

«Sai, quando ti ho vista, ho pensato che sarebbe stato un peccato ucciderti» proseguì il priore. «Certo, sarebbe quello che ti meriti. Hai ucciso le guardie e disonorato gli dei. E poi, ma guardati: il tuo modo di vestire è oltremodo indecoroso.»

Ancora la demone non rispose.

Lui le si avvicinò. Le accarezzò la guancia con un dito. «In effetti però non stai così male…»

Lei rimase impassibile. All’improvviso si mosse e gli azzannò il dito. Il sacerdote si ritrasse di scatto, spaventato. Guardò la ferita sanguinante e le tirò un violento ceffone.

Lei non batté ciglio e continuò a fissarlo dritto negli occhi. Se pensava che bastasse così poco a spaventarla, si sbagliava di grosso.

«Ho deciso di essere magnanimo e di risparmiarti la vita, ma devi comunque pagare per i tuoi crimini contro gli dei.» Il priore la guardò dall’alto in basso come un predatore che pregusta il suo pasto. «Tagliatele le ali.»

Questa volta Tenko ebbe uno scatto istintivo, ma le catene le bloccavano mani e piedi. I due uomini che erano col sacerdote fecero un cenno d’assenso e andarono dietro di lei.

«No! Fermi! Non potete farlo!» Provò a girarsi, ma riusciva a malapena a intravederli con la coda dell’occhio.

Incuranti delle sue grida, gli uomini cominciarono a disporre i loro strumenti, producendo dei terrificanti tintinnii metallici.

«No!» La demone si dimenò con più forza, ma non servì a nulla. «Non mi toccate! Non provate a toccarmi!»

«Quando avete finito, sbattetela in cella» ordinò il sacerdote, dopodiché le volto le spalle e si diresse verso l’uscita.

«Bastardo, dove credi di andare?! Te la farò pagare! Te la…» Un grido atroce spezzò le sue minacce. Sentiva le forbici che tagliavano le sue membrane alari, vicinissimo alla schiena: era un dolore terribile, così forte che cominciò a piangere.

Ma il peggio doveva ancora venire. Sentì il primo colpo di sega, poi il secondo. Resistere era inutile, e ormai non riusciva quasi più nemmeno a urlare. Capì che la coscienza la stava abbandonando, e non fece niente per opporvisi.

Non era mai stata così felice di perdere i sensi.

***

Una nuova secchiata d’acqua gelida la svegliò di colpo. Arretrò d’istinto, e solo dopo alcuni istanti si rese conto che non era più incatenata.

Era seduta, eppure ebbe la sensazione di perdere l’equilibrio. Mise le mani a terra, e un dolore acuto le fece ricordare.

Si trovava nelle segrete, e non si stupì minimamente nel trovare il sacerdote che la guardava da oltre le sbarre. Sembrava compiaciuto del suo dolore.

«Pagherete per ciò che avete fatto» gemette, ma il suo era più un piagnucolio che una minaccia.

«Suvvia, non essere così scontrosa. Ti ho salvato la vita, ricordi?» Il capo religioso le sorrise mellifluo. «D’altra parte, devi ancora espiare i tuoi peccati. D’ora in avanti farai tutto ciò che ti dirò. E, se farai la brava, potrei anche pensare di ricompensarti.»

Lei rimase in silenzio, rannicchiata in un angolo, tremante per il dolore.

«Oh, tranquilla: non devi accettare subito. Ti abbiamo avvelenata: se non prendi ogni giorno l’antidoto, proverai un dolore atroce e poi, dopo una lunga agonia, morirai.» Le sventolò davanti una fialetta piena di un liquido giallino. «Sentiti libera di chiamare la guardia quando avrai deciso di collaborare.»

Per sottolineare il concetto, il priore lasciò la fialetta nelle mani dell’uomo che era con lui, dopodiché se ne andò con aria soddisfatta.

Poco dopo anche la guardia si allontanò, lasciandola sola con il suo dolore.

Solo in quel momento Tenko lasciò finalmente scorrere le lacrime. Le ferite alla schiena le facevano malissimo, ma il suo era anche e soprattutto un dolore interiore. Il Clero aveva ucciso la sua famiglia, aveva cancellato i suoi sogni, e ora le aveva anche strappato una parte del corpo. Come se non bastasse, quel sacerdote voleva trasformarla nella sua schiava, negandole così perfino la libertà.

Forse era meglio lasciare che il veleno la uccidesse.

Continuò a piangere sommessamente in un angolo della cella, decisa ad abbracciare la morte, certa che nessun dolore sarebbe stato peggiore di ciò che provava in quel momento. Ma poi la sua risolutezza mutò: lasciarsi morire sarebbe stato solo un altro modo per arrendersi. Per darla vinta al Clero. E lei non poteva accettarlo.

Serrò i pugni. Doveva continuare a lottare. Aveva fatto cose orribili per sopravvivere: diventare la schiava del priore sarebbe stata solo l’ennesima umiliazione. Ma poteva sopportarlo. Poteva farlo, perché prima o poi sarebbe riuscita a fuggire. Non prima di aver ucciso il sacerdote, ovviamente.

La sua guerra non era ancora finita.


Note dell’autore

Ben ritrovati!


Che dire, le cose si sono messe proprio male per Tenko. Mi spiace di tutto quello che ha passato, ma data la sua situazione, era praticamente inevitabile che venisse catturata prima o poi. Il Clero è un nemico troppo forte, e ancora una volta lei l’ha provato sulla sua pelle.

Dunque è finita? Certo che no, al contrario: questo è solo l’inizio. Dovrà stringere i denti, ma lei è una che non si arrende. Possono piegarla, ma non spezzarla.


Il prossimo capitolo arriverò il primo weekend di giugno.

A presto!


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Capitolo 4
*** 3. Strumento del Clero ***


3. Strumento del Clero

Il carro procedeva spedito in mezzo alla città, sobbalzando di tanto in tanto a causa delle irregolarità della strada. A trainarlo erano due ippolafi[5] dal manto bruno, animali simili a robusti cervi senza corna. Altri uomini con le medesime cavalcature accompagnavano il mezzo: due in testa al gruppo e altri due al seguito.

Tenko viaggiava nel carro, incatenata e sorvegliata da due guardie. Non era lì per essere giustiziata, al contrario: indossava anche lei i robusti abiti dei militari, e presto sarebbe stata costretta a combattere in nome degli dei. La sola idea le faceva venire il voltastomaco. Ma meglio il voltastomaco dell’atroce dolore inflitto dal veleno.

Quando era ancora in cella, aveva atteso deliberatamente che la tossina cominciasse a fare effetto, così da valutarne gli effetti. Era stato devastante: ogni fibra del suo corpo aveva cominciato a urlare di dolore, al punto che non era stata più in grado di muoversi. Aveva perfino temuto di non riuscire a chiamare aiuto. Per fortuna il carceriere era arrivato quasi subito e le aveva fatto bere l’antidoto. Ma il sollievo sarebbe durato solo un giorno: doveva pianificare bene la sua fuga.

D’un tratto il carro si fermò. Tenko provò a guardare all’esterno, ma dalle piccole feritoie per la luce riusciva a scorgere solo tracce di edifici. Non aveva idea di dove fossero.

Qualcuno aprì la porta dall’esterno, la liberarono dalle catene e la fecero scendere.

Ad accoglierla trovò il comandante del gruppo, un muscoloso faunomorfo con due orecchie feline, un felidiano[6] dunque. Aveva la pelle ambrata e gli occhi risoluti, in cui si vedeva la fierezza di un leone. «Allora, eretica, sei pronta a espiare i tuoi peccati?»

La demone avrebbe voluto sputargli in faccia, ma si sforzò di trattenersi. «Sì, capitano.»

Fin dal primo momento quel tipo non le era piaciuto. Del resto era un uomo del Clero. Poi però aveva capito quanto facesse bene a disprezzarlo.

Ancora in cella, Tenko finì di indossare l’uniforme da guardia, operazione svolta interamente sotto lo sguardo fin troppo attento di due militari. Una volta pronta, gli uomini sbloccarono la serratura e, senza proferire parola, la scortarono fuori dalle segrete.

Rivedere il cielo fu una piccola conquista per la demone, ma durò poco: ad attenderla nel cortile della canonica c’erano altre quattro guardie.

Il Clero era di fatto la principale autorità giudiziaria, quindi non era strano che le prigioni si trovassero nei sotterranei della loro dimora. Oltretutto la casa degli ecclesiastici era costruita in mattoni e poteva vantare diverse guardie armate, quindi era uno dei luoghi più sicuri in cui rinchiudere i fuorilegge.

Uno dei militari le andò incontro. «Sono il capitano Leonidas Cardea. Tu devi essere l’eretica. Sei pronta a espiare i tuoi peccati?»

Lei lo fissò senza proferire parola.

Il felidiano non si scompose. Prese la sua bacchetta e lanciò un incantesimo. Tenko venne investita in pieno dalla scarica elettrica, lanciò un grido acuto e cadde a terra, scossa da spasmi, incapace anche solo di pensare.

Il capitano si chinò su di lei. «Eretica, sei pronta a espiare i tuoi peccati?» ripeté, impassibile.

Di nuovo lei lo guardò in cagnesco, decisa a non cedere. E di nuovo lui la colpì con una scarica elettrica.

Così come gli ecclesiastici, quasi tutte le guardie facevano voto a un dio o a una dea in particolare, ricevendo in cambio determinati poteri. Più il rango era alto, maggiore era la benedizione della divinità.

Per i non maghi poteva essere difficile convogliare al meglio i poteri ricevuti dagli dei, infatti proprio per loro erano state create le bacchette.

«Se preferisci morire, ti faccio riportare in cella» le disse Leonidas, inflessibile.

«No.»

Un’altra scarica la fece urlare di dolore.

«È “no, capitano” oppure “sì, capitano”. Hai capito, eretica?»

Tenko si sforzò di ricacciare indietro le lacrime, «Sì, capitano.»

«Visto? Non è stato difficile.» Il felidiano si alzò e si rivolse alle guardie: «Mettetela sul carro e incatenatela. Abbiamo perso fin troppo tempo.»

«Il tuo compito è entrare in quell’edificio e sbloccare la porta» le spiegò il capitano. «Abbiamo stimato una dozzina di persone all’interno: puoi uccidere chiunque provi a fermarti.»

Tenko valutò rapidamente il palazzo in questione. Era di due piani, costruito in solidi mattoni. Le finestre erano abbastanza grandi da permettere il passaggio di una persona, tuttavia gli uomini sotto assedio avevano provveduto a sbarrarle con delle assi di legno. Dai sottili pertugi rimasti partivano di tanto in tanto delle frecce, segno che i fuorilegge erano decisi a resistere fino alla morte. Il portone riportava delle vistose bruciature, ma ancora le guardie non erano riuscite a fare irruzione.

«Sono un’eretica, non un fantasma» brontolò la demone. «Come dovrei fare a entrare?»

«Sfonderemo una finestra, a quel punto Tharasios ti aiuterà ad arrivarci.»

Tenko squadrò nuovamente l’edificio. «Sembra tanto un suicidio.»

«Sei qui per espiare i tuoi peccati, non per premio. Se gli dei lo vorranno, sopravvivrai.»

“Si fottano i tuoi dei” pensò Tenko, ma per sua fortuna ebbe l’accortezza di non dirlo ad alta voce.

«La spada» le disse una guardia porgendole l’arma standard dei militari. Era molto simile a un gladio, tranne per la guardia più pronunciata.

Lei la prese. «La mia frusta?»

«Fatti bastare la spada» tagliò corto Leonidas. «In posizione» ordinò a tutti i presenti.

Subito un’imponente guardia si piazzò sotto una finestra, si piegò leggermente in avanti e incrociò le dita, pronta a fare da trampolino. Nel frattempo un’altra guardia si preparò a scagliare un incantesimo: aprì le mani e, senza bisogno di una bacchetta, evocò una palla di fuoco.

«Pronta?»

Tenko cercò di rilassare le spalle. Le ferite sulla schiena le causavano ancora un leggero fastidio, ma sarebbe riuscita a combattere. Se non altro i guaritori avevano saputo fare il loro dovere.

Girò la spada per avere la lama verso l’esterno e annuì in direzione del capitano.

«Fuoco!»

Il mago scagliò il globo fiammeggiante, che colpì con assoluta precisione. Un gorgo scarlatto bruciò le assi di legno e dall’interno partirono delle urla di dolore.

Tenko non perse tempo e corse verso l’imponente guardia. Mise un piede sulle mani dell’omone e questi la scagliò verso l’alto. La mancanza delle ali minò leggermente il suo equilibrio, ma riuscì ugualmente a tuffarsi nella finestra.

 L’interno era avvolto nella penombra, ma riuscì a individuare quasi subito i nemici. Ruotò la spada e infilzò il primo, agonizzante a terra con il viso pieno di ustioni, a quel punto altri tre la aggredirono. Schivò, parò e scattò di lato per cercare una posizione favorevole.

Colpì un uomo al volto, si abbassò fulminea ed eseguì un perfetto affondo contro il suo aggressore. Usò il cadavere come scudo, dopodiché con un calcio lo gettò contro un nemico.

Adesso era circondata da sei uomini armati e furiosi. Le mancavano la frusta e la bacchetta, ma poteva farcela.

I sei l’aggredirono all’unisono, menando fendenti potenti ma imprecisi. Lei riuscì a pararne un paio, ne schivò altrettanti, i restanti due vennero attutiti dai robusti abiti da guardia. Suo malgrado, dovette ringraziare quell’uniforme simbolo del potere ecclesiastico.

In un attimo contrattaccò, veloce come non mai. Colpi rapidi e precisi, volti a ferire più che a uccidere. Riuscì a disarmare tre nemici, tagliò la gola al quarto e ferì gli altri due. Doveva finirli, ma altri quattro uomini arrivarono dal piano di sotto.

Individuò un arco e con un balzo lo raggiunse. Scoccò una freccia e il primo nemico cadde a terra urlando. Ne scoccò un’altra, ma questa volta senza fortuna.

Scagliò l’arco contro gli aggressori per guadagnare qualche istante e riprese la spada.

Provò qualche fendente, ma i suoi nuovi avversari potevano vantare delle robuste protezioni. Indietreggiò, cercando di elaborare una strategia.

Gli uomini rimasti non partirono all’attacco, al contrario sembravano voler temporeggiare: la stavano studiando prima di fare la loro mossa, e nel frattempo gli altri si stavano rialzando.

Se avesse avuto la frusta e la bacchetta probabilmente sarebbe riuscita a eliminarli, ma in quella situazione era in netto svantaggio.

Senza pensarci due volte corse verso la finestra sfondata e saltò sul parapetto. Si aggrappò con una mano e poi si lasciò cadere, attutendo la caduta con una precisa capriola.

«Spara!» gridò al mago. «Spara, cazzo!»

La guardia cercò conferma negli occhi del capitano, che subito annuì. Ricevuto il consenso, caricò una veloce palla di fuoco e la scagliò contro l’apertura.

Gli uomini nell’edificio fecero l’errore di affacciarsi per cercare la loro avversaria, ma tutto ciò che videro fu un globo fiammeggiante. L’incantesimo li centrò in pieno, scaraventandoli a terra e bruciandoli insieme alle loro protezioni di cuoio rinforzato.

Tenko rinfoderò la spada con un gesto plateale. «Prego, non ringraziatemi.»

«Ti ringrazieremo quando avrai aperto a porta» ribatté Leonidas, impassibile.

La demone accennò una smorfia ringhiante, ma lui la zittì: «Non mettere alla prova la mia pazienza, eretica.»

Lei ingoiò amaro. Quell’uomo sapeva far valere la sua autorità.

Di malavoglia, corse di nuovo verso l’omone e questi la fece arrivare alla finestra. Una volta all’interno, controllò che gli uomini ancora in vita fossero effettivamente inoffensivi, dopodiché scese al piano inferiore.

Le dispiaceva di aver dovuto eliminare dei nemici del Clero, ma non aveva avuto scelta. In ogni caso non avrebbe dimenticato quel giorno: il priore avrebbe pagato anche per quelle vite.

Aiutandosi con la spada, smantellò la barricata eretta davanti all’entrata, a quel punto aprì l’ingresso. Le guardie entrarono senza nemmeno guardarla in faccia, il capitano invece si fermò di fronte a lei.

«Ottimo lavoro» le disse in tono formale ma sincero. «Gli dei apprezzeranno il tuo impegno per redimerti.»

 Quelle parole, pronunciate in modo così convinto, la lasciarono interdetta. Lei disprezzava gli dei, allo stesso tempo però capì che il felidiano voleva in qualche modo incoraggiarla. Se non fosse stato un servo del Clero, avrebbe quasi potuto trovarlo interessante.

Fece un mugugno di assenso e restituì la spada.

Il capitano prese l’arma, quindi fece un cenno a due guardie. Gli uomini affiancarono la demone e in silenzio la ricondussero al carro.

Leonidas entrò nell’edificio per ispezionarlo insieme ai suoi subordinati, Tenko però non ne approfittò per cercare di fuggire. Mettere fuori gioco i due militari non era un ostacolo insormontabile, tuttavia restava il problema del veleno. Finché non capiva come neutralizzarlo, non poteva scappare.

A questo proposito, forse il capitano poteva rivelarsi un alleato prezioso. Se riusciva a convincerlo che si era pentita dei suoi crimini, magari lui avrebbe convinto il priore a liberarla.

Non voleva farsi illusioni, in ogni caso era fondamentale tenere aperta ogni possibilità: anche la più piccola occasione poteva rivelarsi decisiva.


Note dell’autore

Ciao a tutti!

In questo terzo capitolo Tenko ha dovuto mettere da parte la sua vendetta per riuscire a sopravvivere. Anche senza la sua frusta è riuscita a tenere testa ai nemici, e alla fine il comandante Leonidas ha riconosciuto il suo buon lavoro: forse la sua situazione è destinata a migliorare?

Non voglio spoilerare nulla, quindi vi saluto e vi do appuntamento per il prossimo capitolo, che uscirà come sempre tra due settimane.

A presto! ^.^


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[5] Specie originale di Project Crossover. Il nome deriva dalle parole greche ippos (cavallo) ed elafos (cervo).

[6] Sottospecie originale di Project Crossover, appartenente alla specie dei faunomorfi (da “fauna”, ossia l’insieme delle specie animali). Il termine deriva dalla famiglia dei Felidae, che nella classificazione scientifica raggruppa i felini.
Per maggiori informazioni: tncs.altervista.org/bestiario.

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Capitolo 5
*** 4. Avrò la mia vendetta ***


4. Avrò la mia vendetta

Chiusa nella sua cella, Tenko fissava con aria torva il sudicio muro di fronte a lei. Le segrete erano fredde e umide, per non parlare degli animali che vi passeggiavano tranquillamente alla ricerca di cibo. Le era già capitato di trovare una di quelle bestiacce sul suo letto di paglia, ma il piccolo animale era riuscito a schivare il suo calcio e a sgattaiolare via tra le sbarre.

Per ingannare l’attesa decise di fare un po’ di stretching. Era una pratica che teneva viva fin dal tempo del circo per mantenere agile e flessibile il suo corpo.

Gli abiti che indossava di solito erano molto comodi sotto questo aspetto: il top e i pantaloncini corti seguivano senza sforzo ogni suo movimento, permettendole di compiere qualsiasi acrobazia. Certo, in battaglia non offrivano quasi nessuna protezione, in compenso le garantivano un utile “vantaggio tattico” attirando gli sguardi dei suoi avversari.

Provò a piegarsi in avanti, ma la ruvida veste che indossava sfregò contro i tagli sulla schiena. Non voleva rischiare di riaprire le ferite, così decise di cambiare esercizio.

L’amputazione delle ali era stato un duro colpo, ma doveva farsene una ragione. Come sempre. Per sua fortuna, dal punto di vista fisico stava recuperando in fretta. E il merito era anche di una guarigione accelerata alimentata dalla magia.

Sia la sua forza mentale che i poteri magici le erano stati dati dai suoi genitori per renderla una persona e una circense migliore: di certo non pensavano che le sarebbero stati d’aiuto anche in quella cella.

Pensare a loro era doloroso, ma a volte sentiva il bisogno di tornare bambina e riabbracciarli. Era questo il motivo che l’aveva spinta a usare la Memento Gaudia. Tale sostanza risvegliava i ricordi sopiti, permettendo di rivivere momenti passati e di risvegliarne le emozioni positive. Ma aveva anche un effetto collaterale: più la si usava, più diventava difficile rammentare quegli stessi momenti. Ormai le restavano quasi solo ricordi dolorosi della sua famiglia: alcune sgridate, delle esercitazioni in cui si era ferita, gli attacchi di banditi alla carovana.

In quel momento le venne da pensare a quando per la prima volta aveva bevuto una pozione per sviluppare la magia. Non lo considerava un ricordo felice, ma di sicuro era meno spaventoso di altri…

Finito l’esercizio di equilibrismo, Tenko scese dalla trave per riposarsi insieme ai suoi fratelli e sorella maggiori. Aveva anche un fratello minore, ma era troppo piccolo per quel tipo di allenamento.

«Tenko, vieni qui» la chiamò sua madre.

La bambina fece un mugugno di assenso e, seppur stanca, la raggiunse.

«Io e papà ti abbiamo detto molte volte di non rivelare i segreti agli estranei, giusto?»

La piccola demone annuì.

«Ecco, questo è il segreto più importante di tutti. Prometti di non rivelarlo mai a nessuno fuori dal circo, ok?»

«Ok. Che segreto è, mamma?»

La donna le mostrò una boccetta di vetro. Il liquido all’interno era denso ed emanava un leggero bagliore azzurro. «Grazie a questo liquido potrai sviluppare dei poteri magici. Piccoli poteri, ma col tempo potrai svilupparli, proprio come e me e papà. Anche i tuoi fratelli più grandi l’hanno bevuto.»

«Ma perché devo berlo?»

«Vedrai, ti aiuterà a fare tutti i numeri. E guarirai anche più in fretta.»

«Ma mamma, io non voglio fare spettacoli. Io voglio fare le mappe!»

«Tenko, il tuo posto è qui con noi, con il circo. Quindi, da brava, bevi la pozione.»

«Ma…»

«Niente ma» la interruppe la madre. «Coraggio, ti farà bene.»

La bambina era titubante, così la demone aprì la fiala e la portò alla bocca della figlia. Solo allora Tenko si rassegnò a mandarla giù. Il liquido le bruciò la gola e il sapore la fece storcere il naso.

«È cattiva» piagnucolò con una smorfia.

«Lo so, ma devi fare un piccolo sforzo e berla tutta. Lo sai che non bisogna sprecare le cose.»

La piccola guardò con disgusto il contenuto rimasto nella boccetta, alla fine però si lasciò convincere e bevve fino all’ultima goccia.

«Ecco, bravissima. Ora ti sentirai un po’ strana, ma è normale.» La donna potrò l’indice davanti alle labbra. «E mi raccomando: non dire niente a nessuno.»

Tenko annuì. «Promesso.»

Quello delle pozioni era il più grande segreto del loro circo, nonché la causa della sua fine. Dal momento che la magia era riservata al Clero, le pozioni erano proibite, e produrre pozioni per sviluppare la magia era uno dei crimini più gravi.

Nel loro circo c’era una famiglia in particolare che si era specializzata nello studio della magia: la famiglia Biisto. Ufficialmente erano dei semplici guaritori e domatori, ma in realtà si occupavano soprattutto di creare pozioni.

Quando il circo visitava un villaggio, le offerte non erano sempre generose – anche per via delle ristrettezze dei paesani – così si erano dovuti arrangiare, dando vita a un rischioso ma anche molto redditizio commercio di pozioni.

Alla fine il Clero era venuto a sapere delle loro pratiche illecite, e così aveva attaccato il circo e aveva giustiziato tutti quanti. Per pura fortuna Tenko era riuscita a scampare al massacro, ma da allora era stata costretta a sopravvivere da sola, rubando e lottando con le unghie e con i denti solo per vedere un altro giorno.

La brama di vendetta non l’aveva mai abbandonata, così come i sensi di colpa per essere l’unica superstite. La prima la spronava a combattere sempre e comunque, la seconda invece la attanagliava nei momenti di solitudine, o magari dopo un successo. Si sentiva indegna di provare gioia, e in effetti non ricordava nemmeno l’ultima volta in cui era stata davvero felice.

Aveva commesso moltissimi errori della sua vita, e per molti di questi ne pagava ancora le conseguenze. Eppure doveva andare avanti, doveva farlo per la sua famiglia e per tutte le altre famiglie del circo. Non le importava di quello che dicevano i sacerdoti: lei era l’unica in grado di dare pace alle loro anime.

Un rumore di passi la distolse dai suoi pensieri. Guardò verso le sbarre e vide arrivare i secondini con la cena. Prima diedero il rancio agli altri detenuti – le persone che lei stessa aveva aiutato a catturare quella mattina – dopodiché arrivarono dalla demone.

Le diedero la ciotola con il pasto, un bicchiere con dell’acqua e anche una piccola boccetta contenente un liquido verde smorto. Doveva trattarsi dell’antidoto, anche se in realtà lo ricordava di un colore diverso.

«Bevila» le ordinò uno dei due con fare burbero.

La demone avrebbe voluto cominciare dal rancio per il puro gusto di fargli un dispetto, ma la poltiglia aveva un’aria talmente disgustosa che decise di cominciare dalla fiala. Avrebbe preferito mettere da parte un po’ di liquido per la fuga, ma i secondini la stavano fissando, e in ogni caso non aveva nessun contenitore in cui conservarla.

Bevve il liquido tutto in un sorso, dopodiché si concentrò sul pastone puzzolente.

Avvertì un capogiro. Le venne da pensare che fosse dovuto all’odore della sua cena, ma poi la vertigine aumentò.

Prima ancora di rendersene conto, era stesa a terra. Non aveva perso del tutto i sensi, ma ogni cosa le appariva confusa, e soprattutto non riusciva a muovere il suo corpo. Uno sgradevole déjà-vu.

Uno dei carcerieri aprì la cella, dopodiché la presero e la trascinarono fuori dalle segrete. Seppur stordita, Tenko cercò di guardarsi intorno. Non riconosceva gli angusti corridoi e le scale strette, ma intuì che si trovavano nella canonica.

Imboccarono un corridoio, probabilmente al primo piano, fino a raggiungere una porta priva di segni distintivi.

Una delle guardie bussò.

«Avanti.»

Alla demone parve di riconoscere la voce dall’altra parte, e i suoi sospetti trovarono conferma quando il battente si aprì.

«Mettetela lì» ordinò il priore indicando il letto.

Pur stordita, Tenko non ebbe difficoltà a capire quello che sarebbe successo da lì a poco.

«Potete andare» affermò il faunomorfo di tipo lince, e le due guardie lasciarono la stanza chiudendosi la porta alle spalle.

L’ecclesiastico girò la serratura, quindi tornò da Tenko.

La demone fece tutto ciò che era in suo potere per cercare di tornare lucida. Implorò il suo corpo di muoversi, ma non servì a nulla.

«Rilassati» le disse il sacerdote con quel suo tono odiosamente conciliante. «Vedrai, andrà tutto bene.»

Tenko lo fulminò con lo sguardo. Lo avrebbe sgozzato a mani nude se solo non fosse stata paralizzata.

Lui le sfilò la veste da prigioniera e poi la mise prona.

«Sai, mi spiace per l’altro ieri» proseguì. Le accarezzò la pelle vicino alle ferite, ma lei riuscì a malapena a percepirlo. «Credimi, a me non piace la violenza. Purtroppo però è necessaria per il bene superiore.» Fece una breve pausa. «Se vuoi, puoi considerare questo come il mio modo per farmi perdonare. Ah, e quando avremo finito, avrai il tuo antidoto.»

Tenko non sapeva che fare. Dentro di sé avvertiva un’eruzione di rabbia, ma non aveva modo di sfogarla. Sentiva che stava per impazzire, poi improvvisamente un pensiero le rimbalzò nella mente: era così che sarebbe fuggita. Se fosse riuscita a eludere la droga, sarebbe stata in grado di uccidere il priore e poi sarebbe scappata. Con ogni probabilità era al primo piano, quindi sarebbe stato facile per lei saltare dalla finestra.

Poteva farcela. Doveva farcela. Ora però doveva resistere, e per farlo si focalizzò su un unico, saldo pensiero: “Lo ucciderò. Lo ucciderò, e poi avrò la mia vendetta sul Clero. Costi quel che costi, avrò la mia vendetta.”


Note dell’autore

Ben ritrovati!

In questo capitolo abbiamo scoperto qualche dettaglio in più sul passato di Tenko, sul perché usa la Memento Gaudia e quali sono le conseguenze della droga.

Purtroppo è ancora prigioniera, e la sua situazione è peggiorata ulteriormente. Molte persone si sarebbero rassegnate alla disperazione, ma lei no. Anche quando non c’è speranza, lei non si dà per vinta.

In realtà avevo qualche dubbio sul mantenere quest’ultimo pezzo, ma se l’avessi tolto non sarebbe stata più la stessa storia. Sono il dolore e l’ingiustizia che plasmeranno la futura Tenko, e la sua evoluzione ne sarà la prova.

Dunque cosa succederà? Non voglio spoilerare, ma ci tengo a dire che Eresia non diventerà uno sword and sex o robe del genere. Una cosa è certa: la storia di Tenko è solo all’inizio e lei combatterà fino alla fine.

Grazie per aver letto e appuntamento al prossimo capitolo!


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Capitolo 6
*** 5. Dolore e umiliazione ***


5. Dolore e umiliazione

Era tarda mattina e Tenko se ne stava nella sua cella, scura in volto. Era passato un giorno intero, eppure non riusciva a togliersi dalla mente la notte passata con il sacerdote. La rabbia che aveva provato, ma soprattutto l’impotenza e l’umiliazione.

Udì un rumore di passi. Si voltò e nel vedere il secondino con l’uniforme da guardia in mano, dentro di sé fece un salto di gioia: uscire a massacrare gente le sembrava l’unico modo per gettarsi alle spalle quegli orribili ricordi.

Una volta sul carro, la sua risolutezza cominciò a vacillare. Il suo compito era di fare il lavoro sporco per il Clero, strozzando i focolai di ribellione che invece avrebbe tanto voluto alimentare. Ogni persona che uccideva era un ostacolo in meno alla supremazia di uomini come il priore, e questa consapevolezza la gettò di nuovo nello sconforto.

Quando il carro si fermò e la fecero scendere, si sentiva quasi peggio che in prigione.

Anche questa volta fu Leonidas Cardea a spiegarle il suo incarico: doveva mettere fuori gioco una sentinella, dopodiché avrebbe fatto irruzione insieme agli altri militari in un mercato illegale.

«L’altra volta hai fatto un buon lavoro, sono convinto che gli dei ti accompagneranno anche questa volta» concluse il felidiano con la consueta aria marziale.

Tenko fece uno svogliato mugugno d’assenso, poi si ricordò di usare la formula corretta: «Sì, capitano.»

Le diedero una spada e poi le indicarono un punto da cui sarebbe stata in grado di salire sul tetto. Per una persona normale sarebbe stato problematico arrampicarsi, ma lei ci riuscì con una naturalezza istintiva. Avanzò con disinvoltura sulla sommità del tetto, agile e silenziosa.

La sentinella era appostata su una piccola balconata coperta: da lì poteva osservare la strada, ma non sarebbe stata in grado di vedere arrivare la demone dall’alto.

Tenko prese un profondo respiro e poi saltò giù. Il suo movimento a pendolo le permise di colpire la sentinella con un vigoroso calcio al petto, abbastanza forte da scaraventarla indietro.

Quasi subito si rese conto di aver usato troppa forza: la sentinella era solo un bambino, e ora giaceva immobile ai suoi piedi.

Con fare incerto gli controllò il battito. Tirò un sospiro di sollievo: non avrebbe avuto quel piccolo faunomorfo sulla coscienza.

Come da programma, si arrampicò nuovamente sulla tettoia e tornò indietro per dare il via libera alle guardie. I militari, divisi in tre gruppi, attaccarono contemporaneamente tutte le entrate, così da bloccare le principali vie di fuga e cogliere di sorpresa i contrabbandieri.

Tenko era insieme al primo gruppo e in un attimo si trovò nel pieno dello scontro. Le guardie non facevano distinzione fra clienti e mercanti, fra uomini armati e disarmati; il loro compito era semplice: uccidere tutti i peccatori e sequestrare la merce.

Ben presto il caos prese il sopravvento: quello spazio era troppo angusto e c’era troppa gente accalcata che spingeva per cercare una via di fuga.

Tenko non era abituata a combattere in spazi così stretti, e quasi subito ricevette il primo fendente. Poi un altro, e un altro ancora. La confusione era tale che non riusciva a distinguere amici e nemici.

Un uomo le si parò avanti, urlante e coperto di sangue. Lei provò a indietreggiare, ma qualcuno la spinse e lei venne colpita di striscio dall’ascia del nemico. Il suo avversario si muoveva senza razionalità, menando colpi a caso. Avrebbe potuto sconfiggerlo facilmente, ma di nuovo qualcuno la urtò alle spalle. Parò d’istinto, riuscendo a bloccare il tondo d’ascia prima di venire sgozzata.

Eseguì un affondo nel petto del suo nemico, poi si girò. Voleva proprio vedere in faccia l’uomo che l’aveva quasi fatta uccidere. Non si stupì nel riconoscere l’uniforme di una guardia.

«Ehi, idiota! Fai attenzione!»

Ma non poteva distrarsi. Sentì un rumore alla sua destra. Il telo di una bancarella stava per crollarle addosso, così si affrettò a spostarsi. Non avvertì però il militare, il quale venne coperto dal tessuto colorato e trascinato a terra. Un paio di fuorilegge ne approfittarono per infilzarlo, e Tenko li osservò con subdolo godimento.

Eliminato il nemico, gli sguardi dei due uomini si concentrarono su di lei. La demone ci mise alcuni istanti per ricordarsi che indossava l’uniforme da guardia, e tanto bastò ai suoi avversari per avventarsi su di lei.

Superato il momento di indecisione, la demone ritrovò il suo istinto guerriero e diede sfogo alla sua rabbia. Riuscirono a ferirla, ma alla fine fu lei ad avere la meglio.

Per sua sfortuna, la battaglia non era ancora finita. Altri fuorilegge la aggredirono, e lei cominciò a vacillare. I tagli non erano profondi, ma la sua resistenza cominciava a venire meno: non era abituata agli scontri prolungati. Quando la situazione diventava problematica, in genere si limitava a fuggire, sfruttando la sua agilità per seminare i nemici. Ora però non aveva vie di scampo.

Parò un fendente e schivò un tondo. Si lanciò in avanti e trafisse un nemico, ma qualcuno le tirò una bastonata al fianco. Lanciò un grido e cadde di lato, addosso a una bancarella.

Provò a rialzarsi, ma i suoi aggressori furono più rapidi e la colpirono con calci e bastoni. Provò a difendersi, ma era del tutto impotente.

Stordita dalle percosse, le venne da pensare alla guardia che aveva lasciato morire poco prima: forse lui sarebbe stato in grado di aiutarla. Ma ormai era tardi per i ripensamenti: ancora una volta aveva ceduto ai suoi istinti peggiori, e questa volta l’avrebbe pagata con la vita.

Quello che accadde dopo fu tutto molto confuso. D’un tratto i colpi finirono, sentì delle voci, poi qualcuno la sollevò. Non riuscì a capire chi fosse, né dove la stessero portando. Perse i sensi prima di arrivare a destinazione.

***

Si risvegliò in maniera lenta e graduale. Prima l’udito: voci e rumori di passi. Poi il tatto: una sensazione di fresco in vari punti del corpo. Solo alla fine si attivò anche la vista: si trovava in una piccola tenda, stesa su una spessa coperta. Aveva diverse fasciature là dove era stata ferita, ma non sentiva più dolore. Anche la testa non le rimbombava più.

«Ti sei svegliata.»

Lei si voltò verso l’entrata. Leonidas era sulla soglia, come per entrare, ma esitava. Solo dopo qualche istante Tenko si accorse che a coprirle il seno c’erano solo delle bende messe presumibilmente dal suo guaritore. Le scappò un sorrisetto malizioso: forse il capitano era imbarazzato?

«Stai… bene?» le chiese il felidiano, indeciso se guardarla o meno.

«Sto bene» confermò lei. «Puoi entrare, non sono nuda.»

 Quell’ultima parola sembrò mettere ancora più in difficoltà il militare. «Pregherò Susanoo[7] affinché tu ti rimetta preso. Ora è meglio che vada.»

Tenko non aveva nulla da obiettare, poi però le venne in mente una cosa. «Aspetta.»

Leonidas si fermò.

«Devo parlarti di una cosa… in privato.»

Il felidiano ebbe un attimo di esitazione, poi si girò e andò da lei.

Tenko serrò i pugni. «L’altra notte… le guardie mi… mi hanno drogata… e poi… e poi mi…» Non pensava sarebbe stato così difficile parlarne. «Mi hanno portata… dal sacerdote… e lui… e lui…» Sentì le lacrime sulle guance, e questo la mise ancora più in difficoltà. «Lui mi ha violentata! L’ha fatto, senza che io potessi reagire.» Il peso dei ricordi le impedì di sollevare lo sguardo. «Ti prego… non voglio tornare in cella. Lui… Non voglio che lo faccia di nuovo…»

Improvvisamente calò il silenzio. I rumori dall’esterno divennero improvvisamente più forti, e i singhiozzi della demone parvero amplificati.

«Ti prego…» ripeté con un filo di voce.

Leonidas ci mise alcuni secondi per rispondere, ma sembrarono un’eternità: «Mi spiace, ma non posso farlo.»

Solo allora Tenko riuscì a sollevare il capo. Provò a guardarlo negli occhi, ma lui distolse lo sguardo.

«Padre Palladios è un uomo saggio e influente. È grazie a lui se sono capitano. Non posso venire meno ai suoi ordini.»

Tenko sbarrò gli occhi, incredula. «Hai capito quello che ti ho detto? Lui mi ha…» Non riuscì a ripetere la parola. «Quello che mi ha fatto!»

Leonidas esitò. «Ho sentito che vogliono nominare Padre Palladios gran sacerdote. Sei fortunata a piacergli. Se lo compiaci, sicuramente sarà generoso con te.»

Sentire quelle parole fu come rivivere quei momenti. Avvertì lo stesso disgusto, la stessa umiliazione.

Strinse i pugni. «Vattene.»

Il capitano esitò.

«Vattene!» gli gridò. «Mi fai schifo! Tu e tuoi cazzo di dei! Siete la vergogna del mondo!»

Un simile affronto minò l’autocontrollo di Leonidas, che la colpì con un violento schiaffo. Tenko rimase un attimo immobile, poi gli sputò ai piedi un misto di saliva e sangue.

Il felidiano rimose immobile, ma nei suoi occhi c’era una tempesta. «Abbiamo finito.»

Lasciò la tenda, e Tenko si augurò di non incontrarlo mai più. Si era illusa che fosse un uomo d’onore, invece era solo l’ennesimo leccapiedi del Clero.

La riportarono in cella, e per una volta il suo desiderio venne esaudito: passarono i giorni, ma non le assegnarono più nessuna missione. Evidentemente il capitano non voleva più saperne di lei. In compenso il priore la fece portare ancora nella sua camera, e poi ancora.

Ovviamente si ribellò: la prima volta, invece di bere la tossina, gettò la fiala contro le sbarre. Non servì a nulla: le guardie ne portarono un’altra e la costrinsero a mandarla giù con la forza. La seconda volta provò a fingere di bere, ma la scoprirono subito, e di nuovo ricevette una cospicua dose di pugni.

Si sentiva completamente svuotata. Passava le giornate in cella, e le notti nel terrore: quando non era tra le grinfie dell’ecclesiastico, erano gli incubi a tormentarla.

Pensava che la sua agonia sarebbe durata per sempre – o per lo meno fino a quando il sacerdote non si fosse stufato di lei – ma la terza volta avvenne qualcosa di diverso: le guardie le portarono la consueta fiala con la droga e questa volta lei la bevve con rassegnazione, come un automa. Attese che la tossina facesse effetto, ma così non fu. I sintomi erano appena percettibili.

Non sapeva cosa stesse succedendo, ma capì che era la sua occasione: non avrebbe avuto un’altra opportunità del genere. Si accasciò a terra come al solito, e le guardie non parvero sospettare nulla. Aprirono la cella e la tirarono su, trascinandola per quella strada che ormai conosceva a memoria.

Tenko rimase immobile, ma ogni cellula del suo corpo fremeva: quella notte avrebbe ucciso il priore e avrebbe riconquistato la sua libertà.


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Ancora una volta Tenko ha visto tradite le sue speranze: ha cercato l’aiuto di Leonidas, ma lui si è rifiutato. Non c’è da stupirsi se l’odio verso il Clero è così radicato dentro di lei.

Il suo unico barlume di speranza sembrava svanito, ma ecco finalmente un’occasione: per qualche motivo la droga non ha fatto effetto, e lei non si farà certo sfuggire questa possibilità.

È tempo che la sua storia riprenda.

Grazie per essere passati e a presto! ^.^


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[7] Dio giapponese delle tempeste e degli uragani.

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Capitolo 7
*** 6. Libera ***


6. Libera

Per la prima volta venire portata nella stanza del priore fu per Tenko motivo di assoluto piacere. Per tutto il tragitto pregustò il momento in cui avrebbe ucciso il suo carnefice, chiedendosi quale sarebbe stato il modo migliore per restituirgli tutto il dolore che le aveva inflitto.

Come sempre le guardie la lasciarono sul letto, dopodiché uscirono e l’ecclesiastico andò a chiudere la porta.

«Allora, mia cara, oggi come vuoi farlo?» le domandò il sacerdote mentre girava la chiave nella serratura.

Si voltò, ma la sua espressione libidinosa sfumò nel trovarsi davanti la demone, in piedi e perfettamente lucida. Ebbe un attimo di esitazione e lei gli tirò un pugno alla gola. L’uomo cadde a terra e subito lei gli portò le mani al collo per strangolarlo.

«Ti piace così?» gli chiese, un sorriso perverso stampato sul viso.

Lui provò a dimenarsi, ma lei non demorse. La rabbia e la disperazione avevano reso la sua stretta d’acciaio.

Il volto del priore cominciò a cambiare colore e i suoi movimenti si fecero convulsi. Stava per morire, ma Tenko non provò piacere. Avrebbe voluto torturarlo, tagliargli le mani e magari anche gli attributi, e poi torturarlo ancora, per settimane, come lui aveva fatto con lei. Ma non poteva. Se lui fosse riuscito a chiamare aiuto, ogni speranza di fuga sarebbe svanita. Per quanto insoddisfacente, doveva ucciderlo in fretta.

Finalmente il sacerdote smise di contorcersi, ma Tenko non allentò la presa. La sua mente era completamente assuefatta dalla lotta, e poi voleva essere del tutto certa della morte del suo aguzzino.

Dopo un tempo imprecisato si alzò. Uccidere quel mostro era stato il primo passo, ora però doveva fuggire dalla canonica.

Innanzitutto andò a prendere la fiala con l’antidoto. Ormai sapeva che il sacerdote la teneva sulla credenza: gliela faceva bere ogni volta prima di farla riportare in cella. Provò a cercare altre dosi, ma senza fortuna.

Appoggiò la boccetta vicino alla finestra: dal momento che aveva solo quella, doveva cercare di farla durare il più possibile.

Fatto ciò, tornò dal priore e cominciò a spogliarlo. Quella era la sua stanza privata, quindi non indossava la tunica gialla, ma camicia, pantaloni e stivali.

Tenko si sfilò la ruvida veste da prigioniera e indossò gli abiti dell’ecclesiastico. Le andavano larghi, ma tanto erano solo provvisori: essendo di pregevole fattura, avrebbe potuto scambiarli e ricavarci qualche soldo.

Una volta pronta, riprese la boccetta con l’antidoto e guardò fuori dalla finestra. Non vedeva nessuno, e comunque l’oscurità avrebbe coperto la sua fuga.

Salì sul davanzale e poi saltò giù. Era un po’ fuori allenamento, ma riuscì comunque ad attutire l’impatto con una capriola.

Senza allontanarsi dal muro della canonica raggiunse la cancellata che circondava il cortile, si arrampicò sulle sbarre e in un attimo fu dall’altra parte.

Una volta a terra si concesse un attimo per assaporare l’aria frizzante della notte. Finalmente era libera. Finalmente poteva ricominciare a vivere.

No, non era ancora finita. Nel giro di qualche ora il veleno avrebbe cominciato a fare effetto, e lei aveva solo una pozione giornaliera: doveva trovare l’antidoto permanente.

Magari un guaritore avrebbe avuto ciò che le serviva, ma purtroppo in quella città tutti i guaritori erano dei chierici. O per lo meno tutti quelli ufficiali: doveva andare nelle zone di periferia, dove probabilmente avrebbe trovato qualcuno in grado di aiutarla.

Infilò la fiala in una tasca, pronta a correre via, ma una voce la chiamò: «Ehi, ho quello che ti serve»

Lei si voltò e vide un uomo completamente coperto da una mantella col cappuccio.

«Tieni, è l’antidoto che ti serve» proseguì il misterioso figuro porgendole una piccola borraccia. «Prima di berlo, vai alla locanda il Cinghiale Arrosto, si trova nella zona nord. Di’ che ti manda Zabar e prendi una stanza. Ecco i soldi.»

Tenko, decisamente stupita, prese il contenitore pieno di liquido giallo ocra e le monete di bronzo.

«Non mangiare e non bere nulla. Vai nella stanza e bevi tutto l’antidoto. Ti raggiungerò domattina.» Detto ciò, l’uomo le voltò le spalle e cominciò ad allontanarsi.

«Ehi, aspetta! Chi sei? Perché dovrei fidarmi?»

«Non ho tempo, parleremo domani. Sappi solo che sono stato io a diluire la droga.»

La demone guardò la borraccia, poi di nuovo l’uomo incappucciato, che continuava ad allontanarsi. Non aveva idea di chi fosse o del perché l’avesse aiutata a fuggire, ma d’altro canto non aveva ragione di dubitare di lui.

Seppur confusa, legò la borraccia alla cintura e si affrettò ad allontanarsi dalla canonica, diretta verso nord. Allontanarsi dal luogo della sua prigionia era la priorità, e adesso aveva anche una meta. Il nome “Cinghiale Arrosto” non le suonava nuovo: se non ricordava male, era una squallida locanda dove spesso si radunava gente con poca simpatia per il Clero. In effetti questa era una cosa piuttosto comune per le squallide locande di periferia.

Il tipo le aveva detto un nome: Zabar. Probabilmente non era il suo vero nome, ma si sforzò di memorizzarlo.

Attraversò di corsa i primi isolati, poi la stanchezza cominciò a farsi sentire. Era fuori allenamento, e per di più aveva lo stomaco vuoto. Come se non bastasse, l’idea di andare in una locanda chiamata “Cinghiale Arrosto” le faceva venire ancora più fame.

Si sforzò di andare avanti, decisa a raggiungere la sua meta prima che il veleno cominciasse a fare effetto.

Non era la prima volta che attraversava un centro abitato di notte, ma questa volta diverse prostitute provarono ad attirare la sua attenzione. In effetti lei non aveva un seno molto prosperoso, portava i capelli corti e per di più stava indossando abiti maschili, quindi non era così strano che la scambiassero per un ragazzo.

Di solito la irritava il fatto di venire presa per un maschio – questo era uno dei motivi per cui indossava abitualmente abiti molto succinti – in quel momento però la libertà ritrovata era una gioia pressoché inscalfibile.

Trovare la locanda non fu difficile: in pratica le bastò seguire il profumo. Le sembrava una vita che non mangiava qualcosa di decente, e l’acquolina in bocca la guidò fino al banco.

«Benvenuto, amico» la accolse l’oste. «Cosa ti… porto?»

Aveva esitato un attimo, probabilmente a causa delle sclere nere, e in qualche modo questo fece piacere a Tenko: era una sensazione familiare. Per il resto era così affamata da non accorgersi nemmeno che l’aveva scambiata anche lui per un maschio. «Il piatto più economico che hai.»

«Birra?»

Lei stava per dire di sì, poi però si ricordò delle parole di Zabar: non doveva mangiare o bere nulla. Decise di rinunciare alla birra, ma non alla cena: che male poteva fare un po’ di cibo nello stomaco?

Il piatto che ricevette fu una misera zuppa vegetale, ma in confronto al rancio della prigione le parve una cena regale. Ogni ortaggio sprigionava un sapore nuovo, così limpido e succulento che avrebbe potuto piangere di gioia.

«Ah, vorrei anche una stanza» aggiunse dopo aver trangugiato mezzo piatto. «Mi manda Zabar.»

«Oh, ma certo. E vuoi anche compagnia?»

Lei si bloccò con il cucchiaio a metà strada fra il piatto e la bocca. «Non voglio nessuno» ribatté, lapidaria. Dopo quanto subito dal priore, il sesso era l’ultimo dei suoi pensieri.

Il grasso faunomorfo, intimorito, cercò di ricomporsi. Si schiarì la voce. «Le stanze sono al piano di sopra.»

Lei fece un mugugno d’assenso e continuò a mangiare.

Finita la cena, salì le scale e cercò un locale libero. Più che una stanza era un buco con un letto imbottito di paglia e foglie, ma almeno avrebbe avuto un po’ di intimità.

Si sedette sul rudimentale materasso, quasi confortevole in confronto a quello della prigione. Slacciò la borraccia e osservò il liquido all’interno. Aveva un colore più intenso rispetto all’antidoto giornaliero, e questo le sembrava un buon segno. Una parte di lei temeva fosse una qualche altra tossina, ma i suoi sospetti sembravano irragionevoli: che senso aveva aiutarla a fuggire per poi avvelenarla?

Decise di mettere da parte la diffidenza, levò il tappo e bevve tutto il liquido giallo ocra in un unico, lungo sorso. Subito interrogò il suo corpo alla ricerca di cambiamenti, ma si sentiva normale. Con ogni probabilità ci sarebbe voluto un po’ affinché facesse effetto.

Decise di stendersi e cercare di dormire. La consapevolezza di essere di nuovo libera la cullò dolcemente nel mondo dei sogni, permettendole di assaporare fino in fondo ciò che prima credeva normale.

Sarebbe potuta essere la notte più bella sua vita, se non fosse che dopo neanche un’ora si svegliò, grondante di sudore e con un doloroso mal di testa. Avvertì un conato di vomito e si piegò di lato per buttare fuori la cena.

 Stordita, ripensò confusamente alle parole dell’incappucciato, di cui per altro non ricordava più il nome: ecco perché le aveva detto di non mangiare nulla.

Alla fine fu una notte terribile, passata in un caotico dormiveglia in cui non riusciva a distinguere il sogno dalla realtà. Quando si svegliò, il sole era già alto, e una puzza nauseante aveva appestato la stanza.

Si affrettò a uscire e, nonostante la testa pesante, scese al piano di sotto. Non aveva soldi per la colazione, ma tanto non sarebbe riuscita a mangiare nulla.

Decise di sedersi al tavolo più appartato possibile, sperando che il suo corpo si riprendesse. Una ragazza – forse la figlia dell’oste – andò da lei per chiederle l’ordinazione.

«Sto aspettando una persona» le spiegò Tenko. «Si chiama… emh… Zabar.»

«Oh, certo. Chiama pure se vuoi qualcosa.»

La demone incrociò le braccia sul tavolo e poi vi abbandonò sopra la testa. Si sentiva stremata, ma sperava ne fosse valsa la pena. Se non altro il veleno non l’aveva uccisa: era un buon segno.

«Tenko Br’rado?»

Sentire il suo nome le fece drizzare le orecchie, soprattutto perché era stato pronunciato correttamente: di solito la gente lo storpiava in “Brado”, dimenticandosi completamente della doppia “r”. Sollevò lo sguardo e davanti a sé trovò un uomo incappucciato, con ogni probabilità lo stesso che l’aveva avvicinata la notte prima.

«Sei tu?» gli chiese. «Sei quello di ieri?»

«Sono io» confermò il misterioso figuro sedendosi davanti a lei. Si tolse il cappuccio, rivelando dei capelli arancioni e la carnagione blu. Era piuttosto giovane: doveva avere all’incirca la stessa età di Tenko, e come lei era un demone. Le sue orecchie erano piuttosto grandi e somigliavano a quelle di un pipistrello. «Ti ricordi di me? Sono Zabar Biisto.»

Lei lo guardò attentamente, cercando di riconoscere il viso scarno e gli occhi rosso scuro. In effetti aveva un’aria vagamente familiare, e il nome Biisto la riportava alla sua infanzia. «Ci siamo già visti?»

Lui parve un po’ deluso. «Certo che ci siamo già visti! Siamo gli ultimi superstiti del nostro circo!»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Finalmente Tenko è libera, sia dal priore che dal veleno. E chi è stato ad aiutarla? Un superstite del suo stesso circo, ovviamente. Forse l’unica persona al mondo in grado di capirla davvero (e di pronunciare correttamente il suo cognome XD).

E adesso? Beh, Tenko non è una persona facile, ma forse Zabar saprà far breccia nella sua scorza da sopravvissuta.

Il prossimo capitolo uscirà il primo weekend di agosto (TNCS non va mai in vacanza :P), non mancate ^.^


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Capitolo 8
*** 7. Consapevolezza ***


7. Consapevolezza

Forse era per via della pessima nottata, o forse a causa dello stomaco vuoto, di fatto Tenko ci mise diversi secondi per elaborare le parole del suo interlocutore.

“Siamo gli ultimi superstiti del nostro circo.”

Due settimane prima sarebbe saltata sulla sedia dopo una frase del genere, ma in quel momento era solo… In realtà non lo sapeva nemmeno lei come si sentiva. Avrebbe voluto fargli dozzine di domande, ma non sapeva da quali cominciare.

«Hai preso l’antidoto?» le chiese Zabar. «A quest’ora gli effetti collaterali dovrebbero essere passati.»

Tenko, ancora confusa, si limitò ad annuire.

«Quindi? Come ti senti?»

«Sto… bene. Credo. In realtà è stata una nottata orribile. Fuga a parte, ovviamente.»

«Lo immagino. Hai già mangiato? Posso offrirti qualcosa?»

Lei annuì. Dopo un attimo si rese conto che era il caso di usare le buone maniere: «Grazie. E grazie per avermi aiutato a fuggire.»

«Non potevo lasciarti lì. A proposito, ti ho portato una cosa.» Aprì l’ampio mantello, e a Tenko bastò un’occhiata per capire cosa stesse prendendo.

«La mia frusta» esalò, felice e stupita.

«Non è stato facile recuperarla, ma ho pensato ti sarebbe piaciuto riaverla.»

«Sì. Ti ringrazio» confermò lei rimirandosela tra le mani. In realtà non era una semplice frusta, infatti la corda era intrecciata con un materiale speciale che reagiva alla magia: le bastava infondervi un po’ di energia e la punta si avvolgeva saldamente a qualsiasi cosa. Ne aveva sentito la mancanza.

La demone portò la frusta alla cintura, ma le sue dita non trovarono il consueto laccio, ovviamente: quelli non erano i suoi vestiti.

La figlia dell’oste passò a prendere la loro ordinazione e la demone attese che il suo interlocutore finisse di parlare.

«Come hai fatto?» gli chiese poi. «A diluire la droga e tutto il resto.»

Zabar si guardò un attimo intorno, attento che nessuno li stesse ascoltando. «Beh, io in realtà faccio parte del Clero. Sono un chierico.»

Questa volta il cervello di Tenko reagì in un lampo, e altrettanto fece il suo corpo: sbatté le mani sul tavolo e scattò in piedi, così in fretta da far ribaltare lo sgabello. «Che cosa?!»

«Calmati, non urlare. Adesso ti spiego.»

«Non c’è niente da spiegare!» ribatté lei.

Fece per andare, ma lui la prese per un braccio. «Ti ho salvato la vita! Ascoltami per cinque minuti!»

La demone serrò i pugni. In una qualsiasi altra situazione sarebbe andata via sbattendo la porta, ma lui aveva ragione: senza il suo aiuto sarebbe ancora prigioniera.

Raccolse lo sgabello e tornò a sedersi. «Cinque minuti.»

Zabar annuì. «Cercherò di andare dritto al punto. Quando il Clero ha attaccato la carovana, i miei genitori mi hanno dato il grimorio tramandato nella mia famiglia e mi hanno detto di andare via, di nascondermi. Forse pensavano di poter fermare gli inquisitori, non lo so, comunque hanno deciso di restare con gli altri e di combattere fino alla fine. Quando ho capito che non sarebbero più tornati, mi sono sentito perduto. Ho passato anni per le strade, sfruttando la magia per sopravvivere, e – come immagino avrai fatto anche tu – ho cercato un modo per vendicarmi.»

Fece una pausa per permettere alla figlia dell’oste di servire loro la colazione: latte, pane e una ciotola con piccoli frutti rossi e arancioni.

«Pensavo che nel grimorio ci fosse la risposta» proseguì il demone, «ma non esiste un incantesimo così potente da spazzare via una forza come il Clero. È per questo che sono diventato un chierico: per studiare il Clero dall’interno. Volevo scoprirne i segreti per sfruttarli a mio vantaggio, ma è stato più difficile di quanto pensassi. Ci sono segreti che solo ai grandi sacerdoti è permesso conoscere, e forse nemmeno a loro.»

Tenko finì di inzuppare un pezzo di pane e lo mise in bocca. Sapeva che gli ecclesiastici erano persone discutibili, ma non pensava ci fossero verità custodite così gelosamente.

Zabar mangiò un paio di frutti, poi riprese a parlare: «Una cosa è certa: finché il popolo crederà ciecamente negli dei, il Clero non potrà essere sconfitto. Ho un piano, ma da solo non posso farcela: ho bisogno del tuo aiuto.» La guardò dritto negli occhi. «Mi aiuterai?»

La demone smise di mangiare. Guardò l’uomo davanti a sé, poi la ciotola con il poco latte rimasto. «Io… Io non ti capisco. Come puoi lavorare per quelli che hanno massacrato le nostre famiglie?»

«Ma te l’ho appena spiegato. È l’unico modo.»

Lei scosse il capo. «No! Non è vero. Deve esserci un altro modo. Dobbiamo solo trovare altra gente disposta ad aiutarci. Il mondo è pieno di persone che vogliono combattere il Clero, dobbiamo solo trovarle e unire le forze.»

«Non essere stupida! È impossibile sconfiggere il Clero con le armi.»

Tenko gli lanciò un’occhiataccia. «Pensi di sapere tutto? Ma certo: questo spiega perché ti sei unito al Clero. Sei proprio come loro: pensi di avere la verità in tasca, e chi non ti ascolta è solo un idiota.»

«Non è quello che ho detto» ribatté Zabar cercando di trattenere il disappunto.

«Ma è quello che pensi. Pensi che io sia una stupida. Quando mi hai visto in cella avrai pensato: oh, che fortuna, finalmente ho trovato qualcuno a cui far fare il lavoro sporco. Sai che ti dico? Trovati qualcun altro da comandare a bacchetta.» Si alzò. «I cinque minuti sono finiti. Ti ringrazio per avermi liberata, ma non lavorerò mai più per qualcuno del Clero. Addio.»

Zabar provò a fermarla, ma lei non gli diede ascolto. Si diresse decisa verso l’uscita, varcò la soglia e si allontanò dalla locanda. Girò un angolo, quindi si fermò per controllare che lui non la stesse seguendo. Voleva davvero andarsene? Voleva davvero voltare le spalle all’unica persona in grado di capire il suo dolore?

Era confusa: avrebbe voluto fidarsi di lui, ma non poteva tollerare il fatto che si fosse unito al Clero. Si sentiva un’ingrata, ma ormai sapeva che i chierici sono tutti i uguali. I fatti recenti glielo avevano insegnato fin troppo chiaramente.

Strinse la presa sulla frusta e riprese a camminare. Doveva allontanarsi il prima possibile dalla città: di sicuro le guardie la stavano cercando, e in più voleva mettere più distanza possibile fra lei e Zabar. Non voleva correre il rischio di cambiare idea su di lui.

Il sole aveva già staccato l’orizzonte, quindi le strade erano piuttosto affollate. Non vedeva guardie nei paraggi, ma era meglio affrettarsi a cambiare vestiti. Soprattutto doveva trovare un mantello col cappuccio: per quanto apprezzasse i suoi capelli fucsia, in situazioni come quella erano peggio di un segnale di fumo.

Individuò una bancarella che faceva al caso suo e cominciò a guardare la merce esposta. Non aveva gli abiti succinti a cui era abituata, ma del resto i suoi vecchi top e pantaloncini li aveva realizzati lei stessa partendo da indumenti simili a quelli esposti.

«Ti va uno scambio?» propose alla mercante, una vecchia faunomorfa quasi senza denti. «Posso darti la camicia e i pantaloni in cambio di una camicia, un paio di pantaloni, un mantello, un borsello e un po’ di monete. Ah, e anche un laccio: va bene uno qualsiasi.»

La donna studiò attentamente gli abiti della demone, e alla fine parve interessata. «Posso darti questi e dieci monete di bronzo» propose mostrando alcuni dei suoi pezzi più economici.

«Non mi pigliare per il culo!» imprecò Tenko, ma quasi subito si sforzò di ricomporsi: era inutile sfogare sulla mercante la sua rabbia. «Questi sono vestiti di pregio» disse cercando di usare un tono meno brusco. «Quaranta monete.»

«Trenta monete» propose la faunomorfa, forse intimorita dallo scatto d’ira della sua cliente.

«Trenta monete» concesse la demone.

«Siamo d’accordo. Puoi cambiarti sul retro.»

Tenko non se lo fece ripetere e con grande soddisfazione si liberò degli abiti del priore. Fino a quel momento non ci aveva fatto caso, ma era la prima volta che poteva indossare una camicia normale senza dover praticare dei buchi per le ali. Questo pensiero le regalò una sensazione strana, un misto di rammarico e sollievo: se il sacerdote avesse deciso di tagliarle le mani, ad esempio, sarebbe stata condannata. Di sicuro però non l’aveva fatto per clemenza: lui voleva solo sfruttarla, e l’amputazione delle mani avrebbe svalutato il suo “strumento”.

Una volta cambiata, la demone prese il borsello e le monete, legò la frusta alla cintura e tirò su il cappuccio. Aveva tenuto la cintura e gli stivali, ma questi ultimi contava di scambiarli con un paio della sua misura in una bottega.

Usò parte dei soldi guadagnati per comprare un lungo pugnale, quindi si diresse verso le mura. Conosceva abbastanza bene quella cittadina, quindi sapeva quali fossero i punti migliori per uscire senza essere vista.

Scelse un edificio a ridosso della cinta muraria: era alto due piani, ma soprattutto c’erano alcune casse che le avrebbero permesso di arrampicarsi senza troppi problemi. Una volta sul tetto controllò rapidamente che non ci fossero guardie per le strade, quindi slacciò la frusta. Con un movimento fluido la fece scattare verso le mura e allo stesso tempo vi infuse un po’ di magia: la punta della corda oltrepassò la barriera di mattoni e vi si agganciò come un uncino. Tenko saltò nel vuoto senza timore, le mani strette alla frusta. Senza smettere di infondervi energia, si arrampicò fino in cima, quindi si calò dalla parte opposta usando lo stesso stratagemma.

Una volta a terra inspirò profondamente, riempiendosi i polmoni. Ora era davvero libera, libera di andare dove voleva e di cercare vendetta nel modo che riteneva più giusto.

Le venne da chiedersi se il suo zaino era ancora dove l’aveva lasciato. Non ricordava alla perfezione su quale albero l’avesse nascosto, ma più o meno aveva in mente la zona di foresta. Tra l’altro infilarsi tra gli alberi era un buon modo per far perdere le sue tracce, così non ci pensò due volte e si diresse là dove la guidavano i ricordi. Fin da piccola aveva sempre avuto un ottimo senso dell’orientamento e un’ottima memoria visiva – le piaceva pensare che erano le sue abilità da cartografa – per questo non ci mise molto a ritrovare la zona desiderata.

Cominciò a scrutare le chiome degli alberi, ma quasi subito dei rumori la misero in allerta. Forse le guardie l’avevano seguita? Improbabile. Magari erano dei fuorilegge. Non si sentiva pronta ad affrontarli – il suo corpo era ancora provato dalla lunga prigionia – quindi doveva essere pronta a fuggire. Prima però doveva capire dove fossero i nemici.

Di nuovo un rumore di foglie smosse: leggero, ma molto vicino.

Slacciò la frusta e prese il pugnale.

«Vieni fuori. Lo so che sei lì.»

I secondi parvero dilatarsi all’infinito, poi eccolo: non era una persona, bensì un animale simile a un grosso gatto striato. Il predatore si avventò su di lei con gli artigli spiegati, ma Tenko schivò di lato.

L’animale soffiò minaccioso e le sue strisce si accesero di piccole fiamme. Invece di spaventarla, questo strappò alla demone un subdolo sorrisetto: le parti di animali con poteri magici potevano essere vendute a caro prezzo perché venivano usate per realizzare bacchette e altri artefatti. Per giunta quell’esemplare non era ancora adulto: poteva farcela.

«Vieni, avanti» lo stuzzicò. «Ti farò arrosto.»

Il felino scattò e Tenko rispose con la frusta: un colpo deciso dritto sul muso. L’animale guaì di dolore e indietreggiò spaventato. Ma non aveva intenzione di arrendersi.

Il predatore si caricò di energia e scagliò una palla di fuoco. Tenko si gettò di lato e con la frusta lo prese per una zampa. Tirò con forza e l’animale cadde a terra spaventato. Tenko si avventò fulminea sulla sua preda e la pugnalò al costato. Il felino si dibatté per qualche istante, poi esalò l’ultimo respiro e i suoi muscoli smisero di contrarsi.

Vittoriosa, la demone tirò un sospiro di sollievo. Il suo corpo non aveva dimenticato il ritmo della battaglia, e adesso aveva anche un’utile fonte di materie prime: carne, pelliccia, ossa.

Poco dopo trovò anche il suo zaino: era dove lo aveva lasciato, purtroppo però qualche animale aveva pensato di assaggiarlo, lasciando così alcuni fastidiosi buchi. Non poteva ripararlo senza ago e filo, ma doveva arrangiarsi: infilò i resti del felino nello zaino e se lo mise in spalla.

Dunque era pronta a riprendere la sua vita, e nelle stesse condizioni di quando l’aveva interrotta: con pochi soldi, nessuna meta e una perpetua brama di vendetta. Allo stesso tempo però si sentiva profondamente cambiata: ali a parte, ora sapeva che c’era un altro superstite. Forse in futuro avrebbe riconsiderato la sua offerta? In realtà non ne aveva la minima idea: ne aveva passate così tante ultimamente che le risultava difficile anche solo prevedere il giorno seguente.

Mentre era in cella aveva avuto molto tempo per riflettere, e aveva capito che il suo modo di fare non l’avrebbe portata da nessuna parte. Fino a quel momento aveva vissuto alla giornata, sperando che all’improvviso le capitasse un’occasione per distruggere il Clero. Ma quell’occasione poteva non arrivare mai. O, se arrivava, poteva rivelarsi inaccettabile come quella di Zabar. Doveva creare lei stessa quell’occasione.

Guardò un’ultima volta la città dove era stata prigioniera, poi si incamminò nella foresta. Era tempo di mettersi all’opera.


Note dell’autore

Ciao a tutti!

A quanto pare la “rimpatriata” dei superstiti del circo non è andata molto bene. Forse Zabar non ha saputo toccare le corde giuste, e da parte sua Tenko non è mai stata particolarmente aperta verso il prossimo, figuriamoci verso un chierico. Anche se alla fine pure lei è rimasta male per avergli voltato le spalle.

In ogni caso la demone ha deciso di andare per la sua strada, armata solo della sua fedele frusta e di un pugnale. Ha avuto fortuna a riuscire a scappare dalla prigionia, ma non intende più fare affidamento sul caso.

Nel finale sono finalmente riuscito a introdurre un mostro, un elemento piuttosto importante per Raémia. Quello dei mostri è un tema secondario per Eresia, ma forse in futuro avrò modo di approfondirlo (magari in un’altra saga XD).

Come sempre grazie a tutti e a presto! ^.^


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Capitolo 9
*** 8. Progetti per il futuro ***


8. Progetti per il futuro

Era da poco calata la notte e Tenko stava cenando in una vecchia bettola malandata, seduta in disparte. Aveva trascorso il pomeriggio a studiare la piccola armeria, cercando un modo per introdursi all’interno senza dover affrontare tutte le guardie del villaggio. Il suo obiettivo era rubare un’uniforme e magari qualche arma: si trattava di prodotti di buona fattura e – per quanto le costasse ammetterlo – non poteva muovere guerra al Clero in top e pantaloncini.

«È uno schifo! Un vero schifo, vi dico!» gridò all’improvviso qualcuno. «Quelle fottute guardie ci guardano dall’alto in basso! Ma chi si credono di essere?! Ah, ma la prossima volta li concerò per le feste!»

Tenko in un primo momento aveva cercato di ignorare quelle imprecazioni da ubriaco, ora però si fece più attenta: un po’ di aiuto le avrebbe fatto comodo.

«Vogliono mandarci via solo perché siamo dei demoni! Fottuti stronzi! Perché nessun dio è dalla parte di noi demoni?! Si può sapere?!»

«Gli dei non stanno dalla parte di nessuno: pensano solo ai loro comodi» intervenne Tenko.

Il robusto demone e i suoi compagni si voltarono verso di lei.

«Sì, ben detto! Fottuti bastardi!»

Tenko appoggiò le mani sul loro tavolo. «Che ne dite di restituirgli il favore?»

I sette uomini, forse intontiti dall’alcol, la guardarono senza capire.

«Che intendi?» domandò quello che prima stava urlando: un demone alto e muscoloso dalla pelle rosso mattone.

Tenko sorrise malignamente. «Attacchiamo l’armeria. Prendiamo armi e uniformi, diamo una lezione alle guardie e poi ce ne andiamo.»

«Ah… Ah, ah, ah!» L’omone proruppe in una fragorosa risata. «Ma sei una donna! Molto divertente, donna. Ehi, ma sei pure una demone! Beh, se cerchi compagnia, l’hai trovata!»

La giovane si mosse fulminea: impugnò la frusta e la serrò intorno alla gola dell’uomo, piegandolo all’indietro. «Non mi serve compagnia. Saccheggerò l’armeria, e lo farò questa notte. Siete con me?»

Forse colpiti dal suo impeto, dalla sua freddezza, o forse semplicemente perché erano mezzi sbronzi, gli altri sei demoni proruppero in un grido di assenso.

Tenko allentò la presa, e finalmente il leader del gruppo poté massaggiarsi la gola.

«Allora, donna, qual è il piano?» chiese dopo essersi ripreso.

«Semplice: andiamo e facciamo a pezzi chiunque provi a fermarci. E comunque mi chiamo Tenko, non “donna”. Cerca di tenerlo a mente.»

Il demone rosso si alzò, dimostrando di essere almeno il doppio della giovane. «Altrimenti?»

In un attimo la spada di Tenko era puntata al cavallo dei pantaloni dell’omone. «Altrimenti faccio diventare una donna anche te.» Lo studiò dalla testa ai piedi. «Una donna particolarmente brutta.»

Lui rimase in silenzio, colpito dalla prontezza di spirito della giovane.

Tenko rinfoderò l’arma e si avviò verso la porta. «Beh? Che state aspettando?»

Il demone rosso proruppe in una fragorosa risata. «Lei mi piace!» sentenziò, e insieme ai suoi compagni si accodò alla sua nuova condottiera.

In breve attraversarono il modesto villaggio, ma non raggiunsero l’armeria.

«Ehi, che ci facciamo qui?»

«Ci serve la chiave, la tiene il capitano nel suo alloggio» rispose Tenko. «Aspettate qui.»

L’omone osservò il balconcino del secondo piano. «E come pensi di arrivarci lassù?»

Lei gli sorrise, tirò fuori la frusta e in un attimo fu a destinazione. I sette demoni parvero molto colpiti, e questo per un attimo la riportò al passato: era così che si sentivano gli spettatori del suo circo. Lei però non era lì per intrattenere il pubblico.

Entrò nella stanza da letto del capitano, il quale dormiva beatamente nel suo letto. Tirò fuori il pugnale e si avvicinò silenziosamente. Era entrata con l’obiettivo di uccidere, ma ebbe un attimo di esitazione. Aveva tolto molte vite, ma mai nessuna in quel modo.

Imprecò mentalmente: non aveva tempo per esitare! Tagliò la gola all’uomo e si mise a cercare la chiave. Per sua fortuna era in bella vista su un mobile, accanto all’uniforme e a una spada. L’uniforme era decisamente grande per lei, così prese la chiave e l’arma, e tornò dagli altri demoni.

«Questa vi tornerà utile» disse consegnando la spada. «Andiamo.»

Da lì in un attimo arrivarono all’armeria. Date le dimensioni del centro abitato, era piuttosto piccola: giusto il necessario per rifornire una ventina di guardie. L’edificio era fatto in mattoni, con minuscole finestre e un massiccio portone rinforzato in metallo. L’ingresso era piantonato da un paio di uomini, e un terzo osservava la situazione da una torretta sopraelevata, pronto a suonare l’allarme.

«Io mi occupo di quello lì, voi aspettate il mio segnale» ordinò Tenko.

Con l’aiuto della frusta scalò agilmente la parete e colse di sorpresa la vedetta, sgozzandola senza esitazione. I sette demoni scattarono al suo segnale, sbaragliando in un attimo le due guardie.

«Prendete tutto ciò che vi serve e poi andiamocene» ordinò Tenko.

«E le altre guardie?!» sbottò uno dei demoni.

«Dobbiamo fargliela pagare!» aggiunse un altro.

«Fate come vi pare» affermò la giovane, intenta a valutare le taglie delle uniformi disponibili. «Io prima voglio mettermi una di queste.»

I sei uomini guardarono il loro capo, desiderosi di ordini.

«La donna…» Un’occhiataccia lo indusse a correggersi: «Emh, volevo dire Tenko ha ragione. Gli daremo una lezione quando saremo pronti.»

Alla fine presero tutto ciò che riuscivano a trasportare e si dileguarono silenziosamente.

«A proposito, io mi chiamo Vorallath» si presentò il demone rosso. «Sei una tipa tosta, mi piaci. Che progetti hai per il futuro?»

Tenko rimase un attimo sorpresa: non si aspettava una domanda del genere, eppure le fece piacere sentirla. Gli sorrise. «Aspetta e vedrai.»

***

«Vorallath!» chiamò Tenko. «Sbrigati, apri la porta!»

«Sissignora!» esclamò il demone. Combattevano fianco a fianco da una settimana, ma era come se si conoscessero da sempre.

L’omone diede il colpo di grazia alla guardie che aveva davanti e poi corse verso di lei. Sollevò la sua possente ascia e la abbatté con forza sul portone. Il secondo colpo aprì una crepa nella spessa lastra di legno, e il terzo sbaragliò finalmente l’ostacolo.

I due demoni corsero all’interno, seguiti da un paio di loro compagni. Quella era la zona delle prigioni, dove speravano di trovare altre persone disposte ad abbracciare la loro causa.

Tenko prese le chiavi e cominciò ad aprire le celle.

«Se volete combattere, è giunto il momento di farlo!» tuonò Vorallath con il suo vocione.

Un grido improvviso li allertò: «La pagherete, eretici!»

La demone ebbe giusto il tempo di vedere un uomo sulla soglia, le mani fiammeggianti, e subito si mise al riparo in una cella. La guardia cominciò a scagliare palle di fuoco, riuscendo a colpire uno dei loro compagni. Vorallath venne preso a un fianco, ma riuscì anche lui a mettersi al riparo.

«Cosa non darei per una bacchetta!» esclamò Tenko. Nell’ultima settimana avevano saccheggiato due armerie e altrettante canoniche, ma ancora non erano riusciti a procurarsi nemmeno uno di quei preziosi artefatti.

«Non essere stupida, e poi dov’è il divertimento?» ribatté Vorallath, che preferiva di gran lunga basarsi solo sulla forza bruta.

«Ehi, io so dove tengono la scorta di bacchette» intervenne il prigioniero della cella accanto. Era un faunomorfo di tipo cervo, riconoscibile per via delle orecchie e delle corna.

«Mi ci puoi portare?» gli chiese la demone.

Lui annuì.

Tenko gli porse le chiavi. «Come fai a sapere dove le tengono?»

Lui cominciò ad armeggiare sulla serratura. «Semplice: ero una guardia.»

Lei lo trafisse con lo sguardo.

«Rilassati: non provo più molta simpatia per i chierici.» Sollevò il braccio destro, rivelando che la mano gli era stata mozzata.

«Vi ucciderò tutti, eretici!» gridò l’uomo all’ingresso senza smettere di lanciare palle di fuoco.

Tenko capì che era meglio sistemarlo in fretta. Calcolò i tempi e al momento giusto fece scattare la sua frusta. La corda colpì il bersaglio al viso, strappandogli un grido di dolore. Lei ne approfittò per raggiungerlo e lo finì con la spada.

«Ben fatto, Tenko!» si congratulò Vorallath.

«Vi faccio strada?» chiese l’ex guardia.

La demone gli fece un cenno d’assenso.

«Verso dove?» volle sapere l’omone rosso.

«La scorta di bacchette. Ci penso io, tu occupati del resto.»

Vorallath annuì. «Come vuoi.»

Tenko si accodò alla sua inaspettata guida, attenta a ogni svolta e ogni corridoio. Una parte di lei temeva fosse una trappola, anche se ormai restavano ben poche guardie in grado di tenderle un’imboscata. Avevano già distrutto l’armeria, e presto anche il tempio e la canonica avrebbero fatto la stessa fine.

Recuperarono una chiave, quindi proseguirono nella loro marcia.

«Ehi, perché ti hanno arrestato?»

Il faunomorfo esitò un attimo. «Divergenze.»

La risposta non soddisfò la demone. «Che tipo di divergenze?»

Lui fece un sospiro di rassegnazione. «Anche se non possono sposarsi, ai sacerdoti piace circondarsi di donne giovani e attraenti. Me ne sono stato zitto finché ho potuto, poi però uno di loro ha messo gli occhi su una delle mie sorelle. Ho provato a dissuaderlo, ma come avrai intuito, le mie parole non sono state gradite.»

Tenko sapeva fin troppo bene di cosa fossero capaci gli ecclesiastici, per questo si sentì subito vicina all’uomo e a sua sorella. «Mi dispiace.»

«Dispiace anche a me» tagliò corto il faunomorfo.

Si fermò davanti a una porta e infilò la chiave nella serratura. La porta si aprì cigolando leggermente e la demone sbarrò gli occhi: non pensava di trovare così tante bacchette.

«Quelle sono rotte, prendi quelle» le suggerì l’ex guardia. «Là sotto dovrebbe esserci un contenitore.»

Tenko fece come suggerito e cominciò ad arraffare più bacchette possibile. «Ti ringrazio, sei stato di grande aiuto. Vuoi unirti a noi?»

Lui si strinse nelle spalle. «Per fare cosa? Attaccare canoniche e uccidere chierici? Dubito che questo mi restituirà mia sorella. O la mano.»

«Beh, ma se li uccidiamo, poi nessuna ragazza dovrà subire quello che è successo a lei. E nessun fratello verrà imprigionato.»

Lui la guardò con rassegnazione. «Ci credi davvero? Puoi anche massacrare tutti gli ecclesiastici del villaggio, ma tanto tra una settimana ne arriveranno altri.»

La demone incassò il colpo, però non demorse: «E allora sentiamo, cosa dovremmo fare? Stare zitti e subire?»

«Io… Io non lo so. Comunque mi hai salvato, e voglio ricambiare il favore.» Prese una delle bacchette rimaste. «Ti guarderò le spalle, hai la mia parola.»

Lei lo guardò dritto negli occhi, e capì che non mentiva.

«Mi chiamo Euandros. Euandros Panagos.»

«Tenko Br’rado.»

«Da questa parte, Tenko Br’rado» fece strada il faunomorfo.

Lei prese meglio la scatola e gli si accodò.

Mettere le mani su tutte quelle bacchette era stato un grande colpo di fortuna, ma Euandros aveva ragione. La loro guerriglia si era rivelata utile per trovare uomini e risorse, ma dovevano fare un salto di qualità. E spettava a lei stabilire i termini di quel salto.

Adesso quali erano i suoi progetti per il futuro?


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Finalmente Tenko è riuscita a trovare qualcuno disposto a impugnare le armi contro il Clero. Questo è senza dubbio un grosso passo avanti, soprattutto perché la demone ha deciso di impegnarsi davvero per realizzare il suo obiettivo. Allo stesso tempo però sta correndo un enorme rischio: una persona normale avrebbe cercato di sparire, di nascondersi dal Clero, tuttavia Tenko non è una persona normale e farà tutto ciò che è in suo potere per seguire i suoi ideali, anche mettere a repentaglio la sua stessa vita.

In poco tempo lei, Vorallath e gli altri sono riusciti a diventare una buona squadra, ma di sicuro non è abbastanza. Anche l’arrivo di Euandros, per quanto valido, non può bastare. E ovviamente spetterà a Tenko far crescere in quantità e qualità la sua improbabile truppa.

Riusciranno lei e i suoi a rendere possibile l’impossibile? Appuntamento per il primo weekend di settembre per scoprirlo ;)

A presto! ^.^


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Capitolo 10
*** 9. Un salto di qualità ***


9. Un salto di qualità

In piedi sulle mura esterne della città, Tenko era impegnata a disegnare su un grande foglio. I mattoni della merlatura non erano perfettamente regolari, ma ormai ci aveva fatto l’abitudine: la sua mano si muoveva attenta, riportando con precisione ogni dettaglio della città.

Disegnare mappe non era più solo un passatempo, ma anche una fonte di denaro e informazioni. Era stato uno dei suoi compagni a darle l’idea, e lei stessa si era stupita di quanto la gente fosse disposta a pagare per avere una sua cartina. Del resto ci metteva moltissima cura: ogni mappa doveva essere precisa e dettagliata, e ormai poteva dire di essere piuttosto brava. In realtà la parte più difficile era trovare carta e inchiostro: dato che la scrittura era riservata al Clero, erano pochi gli artigiani laici, e ancora meno quelli disposti a venderle tali prodotti.

Mise giù il pennino e osservò con occhio critico il risultato. Confrontò più volte la città reale con quella riprodotta su carta, sistemando alcuni punti che non la soddisfacevano. Purtroppo c’era qualche piccola sbavatura, ma si trattava di problemi estetici che non avrebbero minato l’utilità della mappa.

Mentre l’inchiostro finiva di asciugare, decise di fare un po’ di stretching. Il giorno prima aveva apportato gli ennesimi ultimi ritocchi al suo completo, e voleva assicurarsi che le nuove cuciture reggessero. Nella struttura di base si riconosceva chiaramente l’uniforme delle guardie, lei però aveva modificato alcune parti per avere più libertà di movimento. Aveva aggiunto delle protezioni in metallo, ma allo stesso tempo si era impegnata a renderlo il più aderente possibile, così che fossero evidenti le sue forme di donna.

Soddisfatta della tenuta del completo, cominciò ad arrotolare la mappa. Stava per infilarla nell’apposito tubo di legno, quando delle voci la raggiunsero: sembravano grida, e in sottofondo riuscì a distinguere i rumori di una battaglia.

Si affrettò a riporre la mappa e mise in spalla lo zaino: dove c’era una battaglia, potevano esserci dei nuovi alleati.

Controllò i dintorni, quindi prese la frusta e come d’abitudine la usò per scendere dalle mura. Indossò un lacero mantello col cappuccio e poi si avviò, rapida e sicura, lasciandosi guidare dai rumori.

Non ci volle molto a raggiungere la meta. Lo scontro vedeva da una parte un manipolo di guardie e dall’altro un gruppo di persone comuni: non ebbe dubbi sul da farsi. Appoggiò lo zaino in un angolo, lo coprì col mantello e impugnò le armi.

Scagliò una frustata contro una guardia di spalle. L’uomo urlò di dolore, e subito venne ucciso dai ribelli che aveva davanti.

Tenko passò al nemico successivo: un robusto faunomorfo di tipo bovino. Questi riuscì a bloccare la sua frusta e calò la sua mazza. La demone schivò agilmente, eseguì una capriola e lo colpì a una gamba. L’omone indietreggiò dolorante, e in tre provarono ad approfittarne. La guardia lanciò un grido furioso e li spazzò via tutti in un colpo solo. Tenko non si fece scoraggiare, anzi ne approfittò: lo prese alle spalle e lo infilzò con decisione, dritto al cuore.

Le poche guardie rimaste, impaurite, preferirono tagliare la corda.

«Grazie, ci sei stata d’aiuto» affermò un faunomorfo di tipo roditore, probabilmente il capo della banda. Doveva aver superato i quarant’anni, eppure aveva ancora la forza di combattere.

«Non ho molta simpatia per il Clero. Perché vi hanno attaccati?»

L’uomo parve divertito. «Attaccati? Cavolo, no! Siamo stati noi a iniziare! I sacerdoti hanno passato il limite: bisogna fare qualcosa!»

Tenko, che inizialmente li aveva scambiati per semplici fuorilegge, venne sorpresa dalla schiettezza del suo interlocutore. «Io e alcuni amici vorremmo attaccare l’armeria e la canonica questa notte. Potremmo darci una mano.»

«Davvero? Beh, non vedo perché no!»

«Siete tutti qui o ce ne sono altri?»

«Tutti i minatori della città si sono ribellati!» esclamò l’uomo, fiero. «Ma come? Non sai che è successo?»

La demone allargò le braccia. «Forestiera.»

«Beh, te lo spiego subito! Due giorni fa abbiamo perso altre sei persone! Il mio figlio più grande era tra loro, e tutti gli altri erano miei amici. Abbiamo chiesto al priore di farci usare la magia, solo per proteggerci, ma lo sai cos’ha detto? “La magia è per il Clero, non per il popolo”» citò, scimmiottando una vocetta odiosa. «Beh, se non vogliono darci la magia, allora ce la prenderemo! Non sei d’accordo?»

Tenko rimase molto colpita: non aveva mai considerato l’eventualità di dare la magia al popolo. Lei l’aveva sempre usata solo per combattere, ma in realtà i suoi usi erano infiniti. E la promessa della magia avrebbe convinto le masse a rivoltarsi contro il Clero una volta per tutte. Geniale!

«Che c’è, donna? Ti sei incantata?»

Lei annuì, entusiasta. «Hai ragione. Hai proprio ragione! Vado subito a informare i miei compagni: avrete tutto il nostro supporto!»

«Incontriamoci alla canonica: siamo diretti lì.»

«Ci saremo!» gli assicurò Tenko, e si affrettò ad andare. Era così entusiasta che quasi si dimenticò di riprendere il suo zaino.

Uscì da una delle porte della città, sguarnita per via della rivolta, e di corsa raggiunse l’accampamento dove i suoi si erano fermati.

Spiegò loro la situazione, e tutti accolsero la notizia con grande euforia. Vorallath ovviamente era sempre contento di combattere, e questa volta pure Euandros impugnò la bacchetta con decisione: anche lui aveva capito che quello poteva essere il salto di qualità che cercavano.

Tutti insieme si diressero alla canonica, e come previsto non incontrarono nessuna ostruzione: le guardie ancora in piedi si erano rifugiate nella dimora dei chierici, e gli abitanti si erano chiusi in casa.

I ribelli erano certi che la loro sarebbe stata una vittoria facile, ma buona parte dell’entusiasmo scemò appena raggiunsero la loro meta. La canonica era circondata dai minatori, ma non riuscivano a entrare. Le guardie nel cortile li stavano bloccando, o meglio la guardia: con ogni probabilità si trattava di un capitano.

«Sei tu» affermò il capo dei minatori andando loro incontro.

«Non riuscite a passare?» gli chiese Tenko.

«Mi sembra evidente. Quel bastardo sta usando i suoi poteri divini. Non possiamo batterlo, ma forse voi sì.»

«Lasciatelo a me!» esclamò Vorallath battendosi un pugno sul petto.

«Non sottovalutarlo, lo attaccheremo insieme» ribatté la demone. «Tutti quelli che sanno usare una bacchetta ci copriranno le spalle. Cerchiamo di non fare brutta figura.»

I suoi compagni annuirono, e anche l’omone rosso dovette mettere da parte i bollenti spiriti. Una simile reazione stupì i minatori presenti: probabilmente era la prima volta che vedevano una donna dare ordini a degli uomini senza che fosse la loro madre o una sacerdotessa.

Tenko e i suoi si fecero largo fino al cortile, dove li attendeva il loro avversario. Era più giovane di quanto si aspettassero, aveva delle corte corna verso l’alto e le spalle larghe: probabilmente era un faunomorfo di tipo bisonte. Intorno a lui giacevano i corpi di almeno una dozzina di minatori.

«Alora?!» gridò il militare con un marcato accento del sud. «Nesun altro? Nesun altro osa sfidare l’ira di Maahes[8]?!»

Tenko sguainò la spada e fece schioccare la frusta. «Vorallath, tu vai a destra. Io lo prendo da sinistra. Aspetta il mio segnale.»

Il robusto demone fece un grugnito d’assenso. Avrebbe preferito affrontare da solo la guardia, ma non poteva gettare al vento quell’opportunità.

«Ma come? Fate fare a una dona un lavoro da uomini?» Il militare era palesemente disgustato. «Avete venduto le pale per caso?!»

Tenko non intendeva ascoltare oltre. Lei e Vorallath erano ai lati opposti dell’avversario: era tempo di agire. Roteò la frusta e la lanciò in avanti, mirando al martello della guardia. La corda si avvolse saldamente intorno alla lunga impugnatura, a quel punto la demone tirò e puntò i piedi, bloccando l’arma del nemico.

«Ora!»

Il demone rosso lanciò un grido di guerra e scattò, l’ascia in alto, pronto a fracassare il cranio cornuto della guardia. Questi però non era minimamente intimorito, anzi spirò con sufficienza dalle narici. Con un solo braccio scaraventò a terra Tenko e respinse l’ascia di Vorallath, gettandola a metri di distanza. Il demone rosso venne sbilanciato, ma riuscì a stare in piedi.

«Patetico» sputò il faunomorfo. «È così che pensate di batermi?! Nesuno può batere un gueriero di Maahes!»

Tenko finalmente riuscì a riprendersi dalla botta e capì subito la gravità della situazione. «Bacchette!» gridò, più forte che poteva.

I suoi uomini si riscossero e una raffica di incantesimi si riversò sulla guardia. Sembrava un attacco devastante, ma l’uomo si riparò con le braccia, neutralizzando qualsiasi attacco. Alla fine esplose in un grido furioso, così prorompente da raggelare tutti i maghi.

«Metete giù quele cazo di bachete e afrontatemi da uomini, se ne avete il coragio!» La sua voce sembrava tanto forte da far tremare il suolo. I suoi muscoli erano tesi allo spasimo e la sua pelle pareva d’acciaio. «Questa è la benedizione di Maahes! Servite gli dei, o morite soto il mio mar-»

Tenko lo prese alle spalle, gli ficcò la bacchetta in bocca e sparò una scarica elettrica. L’uomo rimase stordito e lei continuò con gli incantesimi elettrici. La guardia provò a reagire, ma il suo corpo si rifiutava di muoversi. Dopo un tempo interminabile, il faunomorfo cadde in ginocchio. La demone, esausta, lo lasciò andare e lui si accasciò a terra.

Nel silenzio più totale, l’ansimare di Tenko era l’unico suono udibile. La giovane provò a smuovere con la spada il corpo della guardia, diffidente, ma questi non reagì. Sembrava morto.

«Sei proprio una gran bastarda, lo sai?» commentò Vorallath, il cui tono suggeriva si stesse congratulando.

Lei si strinse nelle spalle. «Ha funzionato, no?»

Forse troppo stupiti per reagire, nessuno aveva ancora osato mettere piede nel cortile. Allo stesso tempo dalle finestre della canonica spuntavano sempre più numerosi i volti impauriti di chierici e guardie: il loro più forte difensore era davvero sconfitto?

Alla fine fu Euandros a farsi avanti e con circospezione andò a controllare il cadavere.

Dopo alcuni lunghissimi secondi diede il suo lapidario responso: «È morto.»

Il capo dei minatori, che non aspettava altro, sollevò il suo piccone. «Il comandante è morto! Ora uccidiamo tutti gli altri!»

La folla proruppe in un grido fragoroso e si riversò nel cortile, bramosa di sangue.

«Tenko, devi fermarli» le chiese Euandros.

Lei lo guardò stupita. «Perché dovrei farlo? Siamo venuti per ucciderli.»

«Sì, ma ora è diverso: se vogliamo che il popolo ci veda come liberatori, dobbiamo dimostrare clemenza. Almeno nei confronti delle guardie che si arrenderanno.»

La demone serrò le labbra, indecisa. I minatori stavano cercando di sfondare l’entrata della canonica: era ancora in tempo per fermarli.

Il faunomorfo le mise la mano sulla spalla. «Dicevi di voler fare un salto di qualità: ora dimostralo.»

Per Tenko i colpi sul portone erano come un conto alla rovescia. Doveva prendere una decisione, e qualsiasi essa fosse, avrebbe dovuto conviverci per il resto dei suoi giorni.

Con un gesto quasi rassegnato scostò la mano di Euandros. «Mi spiace, non li priverò della loro vendetta.»

L’ex guardia avrebbe voluto farle cambiare idea, ma rimase in silenzio. Lei aveva fatto la sua scelta.

Tenko recuperò la sua frusta e poi si allontanò. Avevano vinto, eppure si sentiva quasi sconfitta.

Una vigorosa pacca sulle spalle la fece trasalire.

«Andiamo, è ora di festeggiare!» esclamò Vorallath. «Mi scolerò un barile intero!»

Lei si sforzò di mostrare un sorriso d’assenso: ubriacarsi era proprio ciò di cui aveva bisogno.

***

I primi raggi di sole filtravano da oltre le mura, ma ancora le strade erano pressoché deserte: era dal giorno prima che gli abitanti restavano barricati in casa. Solo in pochi avevano accettato di scendere nelle piazze per provare a usare una bacchetta, per lo più giovani o persone senza famiglia.

Come sempre Euandros si era alzato presto, e si era concesso un po’ di tempo per osservarli in silenzio dalla terrazza della locanda, pensieroso.

«Sei arrabbiato con me?»

Lui non ebbe bisogno di voltarsi: aveva riconosciuto la voce di Tenko.

«No, non sono arrabbiato.»

La demone lo affiancò. Doveva essersi appena svegliata, infatti indossava ancora una camicia da notte presa in prestito dalla locanda. O forse dal bordello, considerato quanto era corta e scollata.

«Davvero?» gli chiese, quasi preoccupata.

«Davvero» confermò lui. «Non ne parli mai, ma sono sicuro che hai le tue ragioni per disprezzare il Clero.»

Lei non rispose, e tra i due calò un imbarazzato silenzio.

Alla fine fu Euandros a riprendere il discorso: «Tenko, c’è una cosa che vorrei dirti.»

Lei si voltò verso di lui.

«Tu… Tu sei la donna più forte che abbia mai conosciuto. Ecco. E sei una condottiera. Tu puoi vincere le battaglie, come hai dimostrato oggi.» Con uno sforzo di volontà la guardò negli occhi. «Ma devi decidere cosa vuoi davvero. Fino ad ora abbiamo combattuto… beh, “a caso”. Abbiamo saccheggiato e ucciso, ma non possiamo continuare così per sempre. Con la magia possiamo convincere il popolo a ribellarsi, ma, te lo ripeto: se vogliamo che ci vedano come liberatori, dobbiamo comportarci come tali.»

Di nuovo Tenko rimase in silenzio.

«Poi c’è una cosa che ancora non ho capito» proseguì Euandros. «Tu vuoi distruggere il Clero o gli dei?»

Lei lo guardò senza capire. «Che differenza fa?»

«Il Clero è fatto di persone, brave persone e cattive persone, mentre gli dei… Beh, sono gli dei.»

La demone non seppe come rispondere. «Io… Boh, credo… Oh, non farmi queste domande la mattina dopo una sbronza!»

Euandros però non si fece contagiare dalla battuta. «Scusa, non volevo metterti in difficoltà. Però dovresti pensarci: distruggere il Clero e uccidere gli dei sono due cose ben diverse.»

«Beh, gli dei non li ho mai visti. Non so neanche se si possono uccidere.»

«Credimi: è possibile» affermò il faunomorfo, e il suo tono era troppo serio per essere una battuta.

«Dici sul serio?»

«Non conosco i dettagli, ma ho sentito un paio di sacerdoti che ne parlavano: tempo fa una dea è stata uccisa, mi sembra si chiamasse Hel[9]

«Hel? Mai sentita.»

«Da quel che ho capito, l’hanno uccisa più di venti anni fa. E altri dei hanno preso il suo posto.»

Tenko si concesse un mezzo sorriso. «Cos’è? Anche loro si spartiscono gli incarichi?»

«Temo sia più complicato di così. Non ne so molto, ma da quello che ho sentito dai sacerdoti, credo ci siano delle faide fra gruppi di dei.» Guardò verso l’orizzonte, un’espressione rassegnata sul viso. «È anche per questo che mi sono ribellato.»

L’ilarità di Tenko si tramutò in disprezzo. «E noi dovremmo venerare divinità del genere? Ora sì che li voglio ammazzare tutti!»

Non ricevendo risposta, lanciò un’occhiata al faunomorfo. «Ho detto qualcosa di così strano?»

«Aspetta» ribatté lui. Indicò un punto davanti a sé, in cielo. «Guarda.»

La demone seguì la direzione del braccio di Euandros. «Cosa sono? Grifoni? Non dovrebbero avvicinarsi così tanto.»

Ogni secondo che passava i tre animali erano sempre più grandi: non c’erano dubbi, si stavano dirigendo proprio verso di loro.

«Non sono grifoni selvatici…» realizzò l’ex guardia con un filo di voce. «Ma come fanno a essere già qui?»

Ben presto i grossi volatili atterrarono sulle mura, e solo allora Tenko riuscì a intravedere delle persone sulle loro groppe.

«Dobbiamo andarcene» affermò il faunomorfo, spingendola all’interno. «Vestiti, subito! Dobbiamo fuggire.»

«Perché?» provò a protestare la demone. «Chi sono?»  Non aveva mai visto Euandros così spaventato.

«Inquisitori. E se sono qui, è solo per ucciderci tutti.»


Note dell’autore

E rieccoci con un nuovo capitolo!

Tenko ha recuperato e dato nuovo valore alla sua passione di cartografa, in più ha avuto modo di migliorare il suo equipaggiamento. In passato indossare gli stessi abiti delle guardie le avrebbe fatto venire l’orticaria, adesso però è in grado di mettere l’efficienza davanti ai sentimenti :)


Da brava cerca guai, si è tuffata nella prima battaglia disponibile, e questa volta si è rivelata una decisione vincente. Ha trovato nuovi alleati, ma anche un modo per provare a smuovere il popolo contro gli dei.

Durante lo scontro con la guardia devota ad Ares ha dimostrato leadership, tecnica e opportunismo, alla fine però non ha saputo (o voluto) evitare il massacro degli ecclesiastici.


Nel finale sono finalmente riuscito a svelare un tema centrale, ossia quello degli dèi e dei loro scontri per il potere. Tenko è sempre più convinta a volerli distruggere, ma deve ancora capire come farlo.

Nel frattempo c’è solo un “piccolo” problema: sono arrivati gli inquisitori.


Cosa resterà della ribellione dopo il passaggio dei più forti guerrieri del Clero? Lo scoprirete nel prossimo capitolo.

A presto! ^.^


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[8] Dio egizio della guerra.

[9] Dea norrena dell’oltretomba.

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Capitolo 11
*** 10. Verso un nuovo domani ***


10. Verso un nuovo domani

Un rumore di campane invase la città: uno degli uomini di guardia aveva dato l’allarme, e ora l’intera città si stava risvegliando. Molti si affacciarono alle finestre per capire cosa stesse succedendo, e la vista dei tre grifoni alimentò reazioni opposte: per i ribelli erano una minaccia temibile e imprevista, i fedeli al Clero invece li acclamarono come salvatori.

Euandros, di solito calmo e riflessivo, in quel momento tremava come un bambino. Prese Tenko per un braccio e la tirò verso le scale che portavano al piano di sotto.

«Sbrigati!» ordinò. «Non devono vederci!»

«Ehi, calmati!» protestò Tenko, attenta a non cadere dai gradini. «Ma che ti succede?»

«Non mi hai sentito?! Quelli sono inquisitori!»

La demone non capiva. «E allora? Abbiamo sconfitto la guardia nel cortile, possiamo uccidere anche loro.»

«No, è impossibile! Gli inquisitori non sono come le guardie.» Il faunomorfo aprì la porta della stanza di Tenko. «Gli dei hanno dato loro poteri enormi: è impossibile sconfiggerli.»

«E allora cosa dovremmo fare?! Fuggire? Proprio ora che abbiamo preso una città?!»

«Sì, dobbiamo fuggire!»

Un colpo fragoroso li fece trasalire. Tenko guardò dalla finestra della sua stanza e vide uno dei grifoni. Era atterrato proprio davanti alla locanda e ora stava facendo scendere il suo cavaliere. Era un faunomorfo e indossava un’armatura metallica. Sembrava di ottima fattura, ben diversa dalle uniformi di cuoio rinforzato delle guardie. Portava anche un maestoso mantello, simile a quello dei grandi sacerdoti.

«Cambiati, ti aspetto qui fuori» ordinò Euandros prima di chiudere la porta.

Tenko, seppur contrariata, fece come richiesto. Quanto potevano essere forti gli inquisitori? E poi erano solo in tre!

Una voce conosciuta arrivò dalla strada dove si trovava l’inquisitore. Guardò dalla finestra e vide Vorallath e i suoi, decisi a fronteggiare il nuovo nemico. Lei continuò a cambiarsi, ma allo stesso tempo non smise di osservare la situazione dall’alto: i sette demoni erano forti, sarebbero riusciti a tenere testa a un inquisitore?

La risposta fu pressoché istantanea: al guerriero del Clero bastò aprire la mano e un’enorme fiammata proruppe dal suo palmo, travolgendo Vorallath e gli altri.

Il cuore di Tenko perse un colpo: in pochi secondi l’inquisitore aveva tramutato i suoi compagni in scheletri anneriti. Euandros aveva ragione: non avevano nessuna speranza.

Seppur scossa, sapeva di non avere tempo per piangere la morte dei suoi amici. Si affrettò a sistemare le ultime fibbie, prese le armi e si mise lo zaino in spalla.

Uscì dalla stanza, ma proprio in quel momento una scossa fece tremare l’edificio. L’inquisitore aveva scagliato un getto di fiamme verso la locanda e i primi aliti di fumo cominciarono a sollevarsi dal piano inferiore.

«Dobbiamo uscire dalle finestre!» gridò Euandros a tutti i presenti.

 Confusi e spaventati, i ribelli si ammucchiarono nelle stanze sul retro, costretti a uscire dalle finestre. Tenko e il faunomorfo seguirono gli altri, ma erano troppo lenti. Un’altra fiammata investì il secondo piano, e tutti quelli nel corridoio vennero carbonizzati. La locanda cominciò a scricchiolare: stava per crollare.

La demone riuscì a buttarsi fuori della finestra, ma cadde addosso ai suoi compagni a terra. Lei stessa venne travolta, ma strinse i denti. Con uno sforzo di volontà si rimise in piedi e corse via, appena in tempo per non venire schiacciata dalla locanda in fiamme.

Cercò di aiutare i suoi compagni, ma non riusciva a vedere Euandros. Era rimasto schiacciato nel crollo?

Una mano la fece trasalire. «Che fai? Devi andare via!»

Lei si voltò di scatto. «Sei vivo.»

«Non per molto» ribatté Euandros, i vestiti bruciacchiati. «Devi andartene subito! Io proverò a trattenere l’inquisitore, ma non durerò molto.»

«Smettila! Non è il momento di fare gli eroi!» lo sgridò Tenko.

Lui la prese con forza per il bavero dell’uniforme. «Io sono rimpiazzabile, tu no! Vattene finché sei in tempo!»

Un’esplosione di fuoco aprì in due i resti della locanda.

«Vai, e cambia il mondo» le disse l’ex guardia raccogliendo un pezzo di legno. «Io… Tutti noi crediamo in te.»

Tra le fiamme già si vedeva la sagoma dell’inquisitore: non c’era tempo per discutere. Tenko guardò un’ultima volta Euandros, poi corse via, incapace di trovare le parole giuste.

Lo sapeva, non avrebbe mai più rivisto il faunomorfo. Si conoscevano da poco, ma non l’avrebbe mai dimenticato. Così come Vorallath e tutti gli altri.

Ancora una volta il Clero le aveva strappato tutte le persone care.

Corse verso le mura, sperando di non incrociare nessun altro inquisitore. Adesso tutte le finestre erano aperte, e il popolo stava acclamando a gran voce i guerrieri del Clero. Erano sinceramente entusiasti del massacro che si stava compiendo, e Tenko non poté non provare un profondo disgusto.

La demone usò la frusta come un rampino per saltare su un tetto, superò le mura e poi continuò la sua fuga in direzione della vicina foresta. Una volta nascosta tra gli alberi, si voltò verso la città. Vedeva diverse colonne di fumo, sentiva le grida, ma nessun rumore di battaglia: la disparità tra le forze in gioco era troppo grande.

Dopo tutto quello che aveva fatto, era ancora impotente nei confronti del Clero. Tirò un pugno a un albero. Era stato tutto inutile, e adesso si trovava di nuovo al punto di partenza.

Si appoggiò al tronco, psicologicamente esausta. No, in realtà non si sentiva affatto come prima. Aveva riscoperto il significato di avere dei compagni, aveva combattuto e vinto al loro fianco, li aveva guidati. E ora non c’erano più.

Una vocina seducente echeggiò nella sua mente: “Non ti preoccupare, anche se sono morti, puoi ancora rivederli…”

Scacciò con rabbia quel pensiero. Non sarebbe caduta di nuovo nel vortice della Memento Gaudia. Non voleva perdere i ricordi dell’ultimo mese.

Trasse un profondo respiro. Non era il momento di perdere la testa. Gli inquisitori erano vicini, doveva andarsene.

Vide delle nubi scure che cominciavano ad addensarsi sulla città, e le venne da pensare che forse il mondo era triste per lei. Ma dentro di sé sapeva che era un pensiero stupido: erano gli dei a mandare pioggia e temporali.

Riprese a camminare per la foresta, il passo svelto e le orecchie tese. Sentì dei tuoni in lontananza, il vento cominciò a spirare più forte, e questo la spinse ad affrettare ulteriormente il passo.

Non voleva rinunciare al suo progetto di distruggere il Clero, non finché aveva ancora fiato in corpo. Ma non avrebbe potuto coinvolgere altre persone, non ora che aveva visto all’opera la vera forza del suo nemico. Doveva saperne di più sugli inquisitori, ma soprattutto doveva capire come batterli. E sapeva esattamente dove iniziare a cercare.

***

Zabar stava camminando sicuro per la città, diretto verso la canonica. Come di consueto si era occupato di dare consigli al popolo, aveva risolto una piccola contesa fra due commercianti, e aveva curato un bambino che si era tagliato giocando con gli amichetti. Non essendo un sacerdote, non poteva amministrare le funzioni religiose, ma in quanto chierico godeva comunque di grande rispetto.

Girò un angolo, ma qualcuno gli andò addosso.

«Perdonatemi, mio signore» disse la persona che lo aveva urtato. Indossava un cappuccio lacero e doveva essere una donna.

«Tranquilla, non fa niente» la rassicurò il demone mostrando un sorriso gentile.

L’incappucciata sollevò leggermente il capo, e Zabar riconobbe subito quegli occhi rosa su sclere nere.

«Ti aspetto al posto dell’altra volta» gli disse Tenko, e senza aggiungere altro si allontanò.

Il demone non provò a fermarla, anzi proseguì sulla sua strada come nulla fosse. Era atteso alla mensa per il pranzo, e non avrebbe rotto l’abitudine, rischiando così di attirare l’attenzione.

Nel primo pomeriggio uscì come di consueto per svolgere le sue faccende, ma invece di occuparsi del popolo, indossò un mantello col cappuccio e andò alla locanda il Cinghiale Arrosto. Come promesso, Tenko lo stava aspettando a uno dei tavoli più appartati. Il suo viso era inconfondibile, ma a sorprenderlo furono innanzitutto i suoi vestiti: non era il top senza maniche di quando era stata catturata, né gli abiti fuori misura dell’ultima volta che l’aveva vista. Indossava un’uniforme da guardia, e ora che ci faceva caso, anche il suo sguardo aveva qualcosa di diverso.

Si sedette di fronte a lei. Non sapeva cosa dire, così provò con un banale “buongiorno”.

«Sei venuto» rispose Tenko. Non era stupita, ma non sembrava nemmeno felice.

Lui annuì. «Non potevo non farlo.» Si schiarì la voce. «Sei… cambiata.»

«Sono successe molte cose» confermò la demone. Dopo un attimo di silenzio, si piegò in avanti e gli raccontò brevemente ciò che aveva fatto nell’ultimo mese, di come aveva portato avanti il suo progetto di vendetta, e delle persone che aveva conosciuto. Gli spiegò anche dell’idea di attrarre il popolo sfruttando la liberalizzazione della magia.

Sull’ultimo argomento Zabar dimostrò un certo scetticismo: «Beh, la magia non è così semplice. E devi tenere presente che può essere molto pericolosa nelle mani sbagliate…»

«Vuoi aiutarmi o me ne vado?»

«No, no, no, no. Resta, ti prego. Magari… ne riparleremo un’altra volta. Piuttosto, hai deciso di aiutarmi?»

«In realtà sono io a volere il tuo aiuto. Prima però voglio farti una domanda: tu cosa pensi del Clero e degli dei?»

Zabar parve stupito da una simile domanda, ma la sua espressione mutò quasi subito. «Sì, immagino sia lecito chiedere.» Si piegò in avanti, così da poter parlare più a bassa voce. «Per farla breve, gli dèi sono dei megalomani egoisti; pensano più a farsi i dispetti a vicenda e a raccogliere nuovi fedeli, piuttosto che ad ascoltare le preghiere del popolo. Per quanto riguarda il Clero, ci sono brave persone che vogliono davvero aiutare il prossimo, ma purtroppo quasi tutte le cariche importanti sono nelle mani di gente che fa solo i propri interessi. Il loro principale obiettivo è scalare la gerarchia e ottenere sempre maggior potere, e per farlo sono disposti a fare il lavoro sporco per il dio di turno. A tutto questo si aggiunge la ferma volontà di lasciare il popolo nella più totale ignoranza: non è un caso che tutti i mestieri intellettuali siano riservati ai chierici, da leggere e scrivere fino allo studio della magia. Del resto è facile controllare una massa di ignoranti indottrinati fin dalla nascita.»

Questa volta fu Tenko a rimanere senza parole. Dopo un’analisi così schietta e precisa, qualsiasi osservazione le sembrava stupida o insignificante.

«Tu invece? Cosa pensi del Clero e degli dei?»

La demone si strinse nelle spalle e guardò altrove, come per controllare che nessuno stesse origliando. «Più o meno uguale.»

«Oh, bene: qualcosa su cui siamo d’accordo. Tornando a prima, dicevi che volevi il mio aiuto.»

Lei parve riscuotersi e ritrovò la sua risolutezza. «Infatti. Ho visto all’opera gli inquisitori, e devo capire come sconfiggerli. Puoi aiutarmi?»

Zabar si concesse qualche momento per riflettere. «Beh, non ho in tasca un’arma magica, se è quello che intendi. In compenso credo di sapere dove potremo scoprire la verità sugli dei e sul nostro mondo. Probabilmente lì troveremo anche indizi su come sconfiggere il Clero.»

«Perfetto. Dove devo andare?»

«Temo non sia così facile. Dovremo andare a sud, molto a sud, in una terra desolata e fuori dall’influenza del Clero. Ci sarei andato da solo, ma è un viaggio lungo e pericoloso, per questo ho bisogno del tuo aiuto. Sei con me?»

Tenko si concesse un tenue sorriso. «Quando partiamo?»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Come preannunciato da Euandros, gli inquisitori si sono rivelati nemici troppo potenti. I ribelli non hanno potuto fare niente per combatterli, e Tenko è stata costretta a fuggire.

Per la demone questa è l’ennesima sconfitta, una nuova ferita che il Clero ha aperto dentro di lei. Ma allo stesso tempo è un nuovo punto di svolta, un altro passo verso la sua dolorosa crescita. Prima si era convinta ad attaccare a testa bassa, decisa a uccidere tutte le guardie che le si fossero parate davanti, ora invece è pronta a mettere da parte la sua furia per ascoltare il piano di Zabar.

Adesso si presuppone un lungo viaggio, la famosa “cerca” delle storie fantasy, ma per una volta non andranno dietro a qualche potente arma del passato, al contrario il loro scopo è svelare l’origine del mondo. Una missione tutt’altro che facile.


Intanto, come da tradizione, ora che Zabar ha assunto un ruolo importante per la storia, vi propongo il suo disegno.

Zabar Biisto (AoE-1)


Grazie per essere passati e ci vediamo il primo weekend di ottobre.

A presto! ^.^


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Capitolo 12
*** 11. Due demoni, due visioni ***


11. Due demoni, due visioni

Tenko e Zabar, ciascuno su un ippolafo, si erano ormai lasciati alle spalle la città e stavano attraversando al piccolo trotto un sentiero nella foresta.

La giovane portava con sé solo il suo zaino e le armi, e anche il chierico aveva deciso di viaggiare leggero: il loro sarebbe stato un lungo viaggio, ma strada facendo avrebbero potuto trovare provviste e altre risorse utili alla loro missione. Del resto il demone aveva pianificato tutto da tempo, quindi sapeva esattamente cosa portare e dove andare. Per giustificare la sua partenza improvvisa, aveva detto al priore che un messaggero gli aveva riferito del padre malato, lo aveva supplicato di lasciarlo andare per dargli l’ultimo saluto, e il sacerdote non aveva obiettato. Anzi, gli aveva assicurato le sue preghiere e lo aveva invitato a partire immediatamente.

Avevano lasciato la città all’alba, e da allora non si erano scambiati molte parole. Tenko guardava davanti a sé, di tanto in tanto scrutava la foresta per controllare che non ci fossero pericoli in arrivo, ma in realtà stava aspettando che il suo compagno di viaggio dicesse qualcosa. Avendo vissuto da sola per anni, non era molto brava a iniziare discorsi; non a caso nell’ultimo mese erano stati quasi sempre gli altri a rivolgerle la parola. Per di più Zabar era uno studioso più che un guerriero, quindi lo sentiva… distante. Era strano, eppure si era trovata più in sintonia con il burbero Vorallath e l’ex guardia Euandros, piuttosto che con l’unico superstite del suo circo.

Da parte sua, anche Zabar non sapeva cosa dire. Desiderava instaurare un legame con Tenko, ma aveva paura di dire qualcosa di sbagliato. Non voleva essere invadente chiedendole qualcosa di lei, e allo stesso tempo temeva che spiegarle qualcosa l’avrebbe fatto sembrare un tipo saccente e presuntuoso.

«Allora, cosa stiamo cercando?» chiese la demone, riuscendo finalmente a sbloccare la situazione.

 Zabar ringraziò mentalmente per quell’occasione. «Sarò sincero, in realtà non lo so. O meglio: mi aspetto di trovare qualche prova, magari dei testi, ma non so se saranno pergamene, tavolette incise o pittogrammi in una caverna.»

«Davvero confortante…»

«Però sono quasi sicuro che troveremo qualcosa!» si affrettò ad aggiungere. «Durante il mio apprendistato da chierico, ho potuto visitare la biblioteca di Theopolis, e lì ci sono moltissimi testi antichi. Alcuni parlano di popolazioni che si sono ribellate ai Primi Dei e che per questo sono state sterminate. Secondo i testi più importanti, ogni prova della loro esistenza è stata distrutta, ma ho trovato delle lettere secondo cui alcuni superstiti si sono rifugiati all’estremo sud, in territori impervi dove hanno fatto perdere le loro tracce. So che non è molto, ma se riuscissimo a trovare qualcosa, sarebbe una scoperta rivoluzionaria. Potremmo addirittura incontrare i discendenti di quelle popolazioni!»

Tenko, interessata più a distruggere il Clero che a scovare reperti, non parve molto entusiasta. «Spero tu abbia ragione. Ma questo come ci aiuta?»

«Beh, se riuscissimo a dimostrare le menzogne del Clero, allora la popolazione comincerebbe a dubitare degli dei e alcuni inizierebbero ad appoggiarci. Già adesso ci sono diverse incongruenze riguardo la genesi del mondo, quindi è chiaro che non ci vogliono dire tutta la verità. Potrebbero addirittura essere tutte menzogne! Ma non è tutto: leggendo i testi antichi, risulta evidente quanto gli dei siano ossessionati dall’eliminare gli eretici e assicurarsi quanti più fedeli possibile. E sono sicuro che non si tratta solo di vanità. La mia teoria è che ci sia un rapporto tra un dio e i suoi fedeli: più ne ha, e meglio è per lui. Se no perché un essere onnipotente dovrebbe preoccuparsi di ricevere quotidianamente preghiere e sacrifici?»

La demone, abituata a usare più le mani che il cervello, si limitò a un mugugno d’assenso. Poi le venne un’idea: «È per questo che gli dei si combattono a vicenda? Per avere più fedeli?»

Zabar parve stupito. «Come fai a sapere degli scontri fra gli dei?»

«Me l’ha detto un’ex guardia. Tu ne sai qualcosa?»

«Sono un semplice chierico, ma ho ascoltato i sacerdoti mentre ne parlavano e ho letto varie lettere. Comunque sì, credo sia questo il vero motivo che sta dietro agli scontri fra gli dei. All’inizio, al tempo dei Primi Dei, ogni città aveva un sacerdote per ogni dio, poi però sono arrivati man mano altri dei. Immagino che alcuni fra i Primi Dei abbiano temuto di perdere fedeli, e per questo si sono opposti, mentre altri hanno appoggiato i nuovi arrivati. Alla fine si sono formate delle fazioni che, per farla breve, si sono spartite il mondo.»

«Aspetta, ma questi altri dei da dove sono arrivati?»

Zabar allargò le braccia. «Non lo so. Nemmeno nei testi antichi viene specificato, però dicono che alcuni fra i nuovi dei avevano legami con uno o più fra i Primi Dei. È una delle incongruenze di cui ti parlavo. Magari a sud troveremo qualche informazione anche su questo.»

Tenko, sempre più confusa, sollevò le sopracciglia con aria quasi rassegnata. «Io però volevo capire come sconfiggere un inquisitore.»

«Beh, tieni presente che i poteri degli inquisitori derivano dagli dei, quindi indebolire gli dei equivale a indebolire gli inquisitori.»

La demone fece un poco convinto mugugno d’assenso. «E non hai niente di più… immediato? A proposito: Euandros… l’ex guardia, mi ha detto che una dea è stata uccisa. È vero?»

Zabar, di nuovo colpito, annuì. «Sì, è vero. E mi stupisce che una semplice guardia ne sia a conoscenza.»

«In ogni caso sai come hanno fatto a ucciderla? Se hanno usato una qualche arma, magari possiamo andarla a prendere.»

«Sarò sincero, non ho idea di come abbiano fatto. E in ogni caso ci sarebbero diversi problemi, ad esempio, se anche quest’arma esistesse, potrebbe essere stata distrutta, o potrebbe aver perso i suoi poteri. E poi il fatto è successo ad Artia: sarebbe un viaggio lunghissimo.»

«Artia?»

«L’altro continente» confermò Zabar, stupito dalla domanda della demone. «Il mondo è fatto di due continenti: Artia a nord e Meridia a sud. Noi siamo a Meridia.»

Tenko si voltò dall’altra parte, visibilmente seccata. «Scusa se non ho studiato i libri del Clero!»

Il chierico capì di aver fatto proprio ciò che si era ripromesso di non fare, così provò a rimediare: «No, scusa tu… Io… Insomma, abbiamo seguito strade diverse, ma proprio per questo vorrei… beh, che ci aiutassimo a vicenda. Io non sono bravo a combattere, però posso darti le informazioni che ho raccolto.»

«Mmh…»

«A questo proposito, dicevi che vorresti un modo più veloce per sconfiggere gli inquisitori. Beh, un mio amico sta lavorando a un progetto del genere: vuole replicare la benedizione di un dio su una persona normale. Senza bisogno del dio, ovviamente.»

«E perché non l’hai detto subito?!» lo interruppe Tenko, felice di sentire qualcosa che non implicava ricerche o deduzioni.

«Beh, perché l’ultima volta che mi ha mandato una lettera era ancora molto lontano dalla soluzione. E poi pensaci: se anche la sua ricerca avesse successo, potremmo sconfiggere al massimo qualche inquisitore. Al contrario, se a sud riusciremo a trovare quello che penso, allora potremo sconfiggere tutto il Clero!»

Tenko si concesse qualche momento per riflettere. Lei era abituata a combattere solo i nemici che aveva di fronte, ma probabilmente Zabar aveva ragione. «Comunque non possiamo andare prima da lui? Hai detto che il nostro sarà un lungo viaggio: possiamo fare una deviazione.»

Il chierico fece un sospiro di rassegnazione. «D’accordo, penso si possa fare. Ma non farti troppe illusioni. E in ogni caso la nostra prossima tappa è la stessa.»

«Perché? Dove stiamo andando?»

Zabar capì di essere riuscito a riconquistare la fiducia – o per lo meno l’interesse – di Tenko, così si concesse un po’ di mistero: «Aspetta e vedrai.»

Continuarono a viaggiare fino a quando il sole raggiunse lo zenit, si fermarono per mangiare e far riposare gli ippolafi, dopodiché ripresero la loro marcia, diretti verso un’altura boscosa.

Era tardo pomeriggio quando Zabar scese dalla sua cavalcatura. Controllò i dintorni, quindi chiese a Tenko di seguirlo.

«Lascia qui lo zaino, ma portati le armi.»

«Cosa devo aspettarmi?» chiese la demone.

«Ancora un momento e lo saprai.»

Il chierico fece strada tra la vegetazione, attraversarono uno stretto passaggio a ridosso di una ripida parete di terra e si appostarono dietro un cespuglio.

Tenko si guardò intorno, attese, ma non vedeva nulla di rilevante. «Ebbene?»

«Un momento…» borbottò Zabar, lo sguardo che spaziava tra il cielo e la foresta. «Dovrebbe essere qui…»

Un rumore li raggiunse: sembrava il vento, ma aveva un ritmo troppo netto e regolare. Poco dopo le chiome degli alberi cominciarono a scrosciare, udirono un verso acuto, da rapace, e subito dopo un grifone atterrò davanti a loro. Era distante meno di dieci metri, grande e maestoso, con delle forti ali di penne grigie. Tali animali preferivano stare lontani dai centri abitati, infatti per loro le persone costituivano una minaccia. Non che fossero indifesi: durante la caccia potevano contare su un’ottima vista, un becco aguzzo e quattro zampe dotate di lunghi artigli.

Tenko, stupita, indicò l’animale. «Quello?»

«Esatto. Se usassimo gli ippolafi, ci metteremmo una vita per arrivare a sud. E anche il mio amico dista giorni di viaggio.»

«Ok, ma non mi sembra tanto addomesticato…»

«Per questo ti ho detto di portare le armi.»

Attirato dalle loro voci, il grifone si girò verso di loro.

«Non intendo affrontare quel coso!» imprecò Tenko, sforzandosi di parlare a bassa voce.

«Non ti preoccupare, non voglio combatterlo: userò un incantesimo e lo domerò.»

L’animale aveva cominciato ad avvicinarsi, lo sguardo fisso sul cespuglio dietro cui erano nascosti.

«Sicuro?»

Lui annuì. «Non ricordi? La mia famiglia doma animali da generazioni.»

Tenko guardò un’ultima volta il grifone, sempre più vicino. Impugnò spada e frusta, e si voltò verso Zabar. «Sarà meglio per te che funzioni.»


Note dell’autore

Ben ritrovati!

Per una volta ho deciso di mettere da parte l’azione per concentrarmi sulla lore che sta dietro alle avventure di Tenko. Raémia ha una sua storia, ma gli dei non sembrano interessati a rivelarla. O almeno non prima di averla debitamente “corretta”.

In realtà credo di aver inserito più domande che risposte, ma col tempo (e i capitoli XD) avrò modo di svelare tutti i misteri.


Tornando alla storia, Tenko è riuscita a convincere Zabar a fare una deviazione. Forse l’amico del chierico potrà dare loro qualche nuova arma con cui affrontare gli inquisitori. Prima però bisogna raggiungerlo, e farlo su un ippolafo li rallenterebbe troppo (Meridia è un continente, non un regno). Volare su un grifone sembra la soluzione ai loro problemi, se non fosse che il pennuto in questione deve essere prima addomesticato.

Zabar è convinto di farcela, ma ovviamente la demone ha i suoi dubbi. Come al solito tra un paio di settimane scoprirete chi ha ragione ;)

A presto! ^.^


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Capitolo 13
*** 12. Un alleato riluttante ***


12. Un alleato riluttante

Tenko e Zabar erano ancora nascosti dietro un cespuglio, ma il grifone si stava avvicinando senza distogliere lo sguardo. E date le sue dimensioni, i due demoni sarebbero stati un gradito spuntino.

«Hai un piano, vero?» sussurrò la demone.

«I grifoni sono animali forti e intelligenti, ci vorrà un po’ per domarlo. Il tuo compito è tenerlo impegnato e fare in modo che non mi uccida. Io dovrò concentrarmi sull’incantesimo, quindi non potrò aiutarti.»

«Che schifo di piano!» brontolò Tenko.

«Vedrai, insieme ce la faremo» la rassicurò Zabar. Con un balzo deciso uscì allo scoperto e, senza bisogno di una bacchetta, evocò l’incantesimo.

Il grifone fece un primo passo indietro, colto di sorpresa, poi la magia cominciò a fare effetto. Indietreggiò ancora e scosse il muso, come per scacciarlo dalla sua testa. Lanciò un grido acuto, ma non servì a nulla. Arrabbiato e confuso, il possente animale si preparò ad attaccare, ma Tenko lo colpì con una scarica elettrica.

Nuovamente colto di sorpresa, il grifone indietreggiò di nuovo, forse spaventato dalla forza dei suoi nemici. Tenko non abbassò la guardia e fece qualche passo avanti, pronta a respingere un nuovo attacco.

L’animale adesso aveva il respiro affannato, scosse ancora il capo, ma era tutto inutile. Si voltò per attaccare, ma la pressione mentale di Zabar lo fece tentennare. Si piegò in avanti, ma non aveva intenzione di arrendersi. Fischiò ancora, e questa volta partì all’attacco. Tenko scagliò un fulmine, ma non servì a nulla. Il grifone era a meno di un balzo da Zabar. La demone agì più rapida che poté: roteò la frusta e colpì l’animale sul muso, facendolo urlare di dolore e rabbia.

La maestosa creatura tornò sui suoi passi, poi si voltò di nuovo verso di loro. L’ultimo attacco l’aveva ferito, ma per un animale tanto grande quello era solo un graffietto.

Il grifone si sollevò sulle zampe posteriori e sbatté le grandi ali. Tenko provò a resistere, ma la forza del vento era tale che riusciva a malapena a restare in piedi. Zabar, che già doveva concentrarsi sull’incantesimo, non riuscì a mantenere l’equilibrio e cadde a terra. Il contatto mentale fra il demone e il grifone si ruppe, e subito l’animale ne approfittò per spiccare il volo. In pochi secondi era già lontano.

Il chierico si tirò su, un po’ dolorante. «Cavolo, non credevo sarebbe stato così difficile.»

«Avevi detto di averlo già fatto» gli fece notare Tenko.

Lui si rimise in piedi. «Sì, però mai con un grifone.»

La giovane lo prese per il bavero della tunica. «Credi sia una gioco questo?!» lo aggredì. «Quell’affare poteva ammazzarci entrambi! Questo è il mondo reale, non una cazzo di biblioteca!»

Zabar, mortificato, abbassò lo sguardo. Era sicuro di farcela, ma evidentemente si era sopravvalutato. Aveva messo in pericolo sé stesso, ma anche e soprattutto Tenko. Aveva tradito la sua fiducia.

Lei lo lasciò andare con stizza e gli voltò le spalle. Era arrabbiata, ma ancora più forte era la delusione, per lui e per sé stessa: Zabar era un chierico, doveva aspettarsi che qualcosa sarebbe andato storto. D’altra parte però non intendeva gettare la spugna: aveva bisogno dell’aiuto del demone per portare avanti il suo piano. E poi gli inquisitori cavalcavano proprio dei grifoni, quindi non intendeva essere da meno.

Si voltò e lo guardò dritto in faccia. «Ci prepareremo e riproveremo» sentenziò. «Ci servono corde per legarlo, e magari qualcosa per sedarlo. Conosci qualche incantesimo adatto?»

«Nel grimorio ce n’è qualcuno» confermò il chierico, timidamente. «Posso cercare quello più adatto.»

«Bene, allora la prossima volta lo indeboliremo, lo legheremo e solo dopo potrai provare a domarlo. Chiaro?»

«Chiaro» annuì lui, il capo chino.

Lei fece per tornare dagli ippolafi, ma si fermò. «Un’altra cosa: tu potrai anche sapere molte più cose di me, ma d’ora in avanti sarò io a decidere i piani.» Dopo un attimo proseguì: «E, se non fosse abbastanza chiaro, da adesso comando io. Qualche obiezione?»

«No.»

Una voce lampeggiò nella mente della giovane: “È ‘no, capitano’!”, così le avrebbe detto Leonidas Cardea. Le venne da pensare che forse stava cercando di imitare proprio il suo stile di comando: fermo e autorevole. In effetti come leader le era piaciuto, era stata la persona dentro l’uniforme la vera delusione.

«Andiamo,» ordinò «dobbiamo procurarci abbastanza corde.»

Zabar non osò dire niente e si limitò a seguirla. In realtà si riteneva già fortunato che lei non avesse deciso di abbandonarlo. Erano anni che aspettava di cambiare le cose, e proprio ora che aveva trovato qualcuno disposto ad aiutarlo, aveva rischiato di mandare tutto all’aria. E per cosa? Per la sua stupida presunzione! Aveva passato talmente tanto tempo sui libri che si era dimenticato quanto fosse importante la pratica.

Tenko sapeva come cavarsela, quindi probabilmente era un bene che fosse lei a comandare. In ogni caso non voleva essere un peso per lei. Avrebbe trovato un modo per farsi perdonare.

***

Le due lune, una rossa e una azzurra, brillavano nel cielo, accompagnate da una miriade di stelle. Accovacciato nel suo nido, il grifone dormiva placidamente, confidando che le sue dimensioni avrebbero scoraggiato qualsiasi seccatore. Per sua sfortuna, Tenko e Zabar erano attratti proprio dal suo grande corpo e dalla possibilità di usarlo come cavalcatura.

Il chierico aveva confermato che, come la maggior parte dei suoi simili, quel grifone era un animale prevalentemente diurno. Per la precisione si trattava un serpentario, così chiamato perché il suo piumaggio ignifugo gli permetteva di confrontarsi senza paura con i draghi.

Approfittando delle sue abitudini, Tenko aveva deciso di attaccarlo nel cuore della notte. Come da piano, lo avevano trovato assopito, ed erano pronti a passare all’attacco.

Corde alla mano, la demone fece un cenno d’assenso a Zabar. Il chierico scagliò l’incantesimo stordente, il cui unico scopo era confondere il bersaglio. Il grifone aprì gli occhi, ma complice anche l’improvviso risveglio, non fu nemmeno in grado di alzarsi in piedi.

Il demone non perse tempo ed evocò un incantesimo soporifero. Richiedeva più tempo, ma una volta portato a termine con successo, avrebbe immobilizzato il bersaglio per un po’. Eseguirlo sul grifone addormentato sarebbe stato rischioso: se l’animale si fosse svegliato, avrebbe potuto partire al contrattacco prima del termine della magia. Grazie invece all’incantesimo stordente, il grifone era troppo confuso per muoversi.

Quando furono certi che l’animale era profondamente addormentato, Tenko cominciò a legargli le zampe, nel frattempo Zabar evocò la magia per domarlo. Non potendo opporre resistenza, il chierico non ebbe difficoltà a completare l’incantesimo.

«Già finito?» chiese la demone, quasi delusa. Non era nemmeno riuscita a finire di legare le zampe.

«Su un animale addormentato è più facile.»

«Quindi posso slegarlo?»

«Certamente. Come ti ho spiegato, l’incantesimo continuerà a fare effetto fintanto che gli sto vicino. E comunque lo terrò d’occhio, così se ci sono problemi potrò stordirlo di nuovo.»

Tenko parve compiaciuta da quell’ultima precisazione. «Quindi hai imparato la lezione?»

«Sono sempre pronto a imparare» confermò Zabar, fiero della propria sete di sapere.

«Contento te. Adesso vado a dormire, svegliami quando vuoi il cambio.»

Il chierico in un primo momento si limitò ad annuire, poi però si fece coraggio: «Aspetta.»

«Che c’è?»

«Io… Insomma, volevo dirti che mi dispiace per prima. Hai ragione, io sono uno da biblioteca, qui fuori non è il mio mondo. Però ci tengo davvero molto a collaborare con te. Credimi, anche io voglio vendicarmi del Clero, ma voglio anche scoprire la verità sul nostro mondo. Non ti viene pelle d’oca al solo pensiero?»

L’espressione di Tenko non sembrava altrettanto entusiasta, Zabar però non demorse: «Sono sicuro che potrò imparare molto da te, quindi mi chiedevo se potessi… insomma… ricambiare il favore. Quindi, se c’è qualcosa che vuoi sapere, chiedi pure. Potrei… Potrei insegnarti a leggere, ad esempio.»

La demone fece spallucce. «E cosa dovrei leggere? I libri del Clero?»

«Boh, non lo so. Insomma, era solo un esempio. Ecco, potrei insegnarti la magia!»

«Ho già la mia bacchetta per quello» ribatté Tenko. Non era abituata a ricevere tutte quelle attenzioni, e questo la metteva in difficoltà.

«Da quel che ho capito però usi solo bacchette monovalenti. Quella che hai adesso mi sembra serva solo per lanciare fulmini. Potrei insegnarti a usare una bacchetta polivalente.»

Questa volta Tenko non nascose il proprio interesse. Con una bacchetta polivalente – detta anche multi-magia – sarebbe stata in grado di eseguire una vasta gamma di incantesimi, e questo le avrebbe dato un grande vantaggio contro qualsiasi avversario. «D’accordo, ci penserò.»

Zabar sorrise, felice di potersi rendere utile. Non si aspettava che la sua compagna di viaggio facesse i salti di gioia, ma quel “ci penserò” gli sembrava comunque un buon inizio. Del resto il loro viaggio era appena cominciato.


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Domare il grifone si è rivelato un compito tutt’altro che facile, soprattutto per l’imprudenza di Zabar. Fino ad ora il chierico sembrava la mente del gruppo, la persona saggia che dice agli altri cosa fare e come farlo, quasi il mentore di Tenko. Beh, non è così XD

Zabar è sicuramente molto istruito e ha dei discreti poteri magici, ma è più bravo nella teoria che nella pratica. Al contrario Tenko è un’analfabeta ignorante, inutile girarci intorno, però sa esattamente come sopravvivere nel mondo.

Alla fine credo sia proprio questo equilibrio la chiave della loro collaborazione: entrambi sono sia mentore che allievo. E per riuscire nella loro impresa non potranno fare a meno di aiutarsi a vicenda.

Grazie per aver letto e a presto! ^.^


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Capitolo 14
*** 13. Forza interiore ***


13. Forza interiore

I tiepidi raggi del sole avvolgevano la radura, accompagnati dal delicato fruscio del vento tra le foglie. Zabar, sveglio da circa un quarto d’ora, stava accarezzando il muso del grifone. Non era mai stato così vicino a un animale del genere, e i suoi movimenti erano attenti, quasi riverenti: era ben consapevole della maestosità e dell’intelligenza del grosso volatile.

Lanciò uno sguardo a Tenko, ancora assopita. In realtà avrebbe dovuto chiederle il cambio qualche ora prima, ma il sonno aveva preso il sopravvento e si era addormentato. Temeva che la demone si sarebbe arrabbiata, quindi non aveva ancora deciso se dirglielo o meno.

«Qualche consiglio?» chiese al grifone.

L’animale lo fissò, attento, poi emise un leggero verso di indifferenza e cominciò a pulirsi un’ala.

«Ah, grazie» ironizzò il chierico.

Dei lamenti attirarono la sua attenzione: era Tenko, sembrava stesse parlando nel sonno. Lo faceva in modo confuso, ma aveva tutta l’aria di essere spaventata: forse stava avendo un incubo.

Le si avvicinò. «Ehi, tutto bene?»

«Mmh… No… Basta… No…»

Le scosse leggermente una spalla. «Tenko, va tutto…»

Lei aprì gli occhi di scatto, lo vide e si avventò su di lui, rapida come un felino. Il grifone, colto di sorpresa, indietreggiò. La demone serrò le dita sul collo di Zabar, così forte da bloccargli il respiro.

Il chierico si dimenò d’istinto, provò a liberarsi, ma la giovane era troppo forte, la sua stretta troppo salda. Incapace di parlare, la implorò con lo sguardo. Ma era come se lei non lo vedesse, il suo volto era sfigurato dalla rabbia. Di colpo lei tornò tornare in sé, lo riconobbe e subito lo lasciò andare. Indietreggiò, e Zabar poté piegarsi di lato, tossendo affannosamente.

Tenko non sapeva cosa dire. «Io…» Corse via, evidentemente confusa. Si rifugiò nella foresta, dimenticandosi completamente delle armi e dello zaino.

Appena si fu ripreso, il chierico la seguì. La trovò a poche decine di metri di distanza, rannicchiata contro un albero. Sembrava terrorizzata.

Si fece coraggio e le si avvicinò. «Va… tutto bene?»

«Ti sembra che vada bene?!» ringhiò lei, adesso furiosa.

Lui arretrò istintivamente di un passo. «Scusa… mi sono espresso male.» Deglutì, e questo gli causò un fastidioso dolore alla gola. «Ti posso aiutare in qualche modo?»

Lei lo guardò dritto negli occhi. Nelle sue iridi rosa c’era rabbia, paura, dolore. «Puoi cancellare i miei ricordi?»

Zabar abbassò lo sguardo. «No. Non posso farlo.»

«Allora vattene.»

Il chierico si portò una mano alla nuca, forse alla ricerca delle parole giuste. «Riguarda quello che ti ha fatto il sacerdote?»

«Non voglio parlarne.»

«Mi dispiace, avrei voluto liberarti prima. Ci ho provato, ma…»

Lei si alzò fulminea e lo schiacciò contro il tronco di un albero. «Ho detto che non voglio parlarne!» La sua voce era tagliente, e nei suoi occhi c’era una chiara minaccia. Se il chierico avesse aperto bocca, lo avrebbe fatto tacere per sempre.

L’espressione di Zabar si tinse di paura, ma poi la comprensione prese il sopravvento. Annuì.

Tenko lo fissò ancora per qualche istante, poi lo lasciò andare e si voltò dall’altra parte.

Lui fece qualche passo verso la radura, dove li aspettava il grifone. «Se avrai voglia di parlarne, io ci sarò.»

La demone continuò a dargli le spalle e non rispose.

Zabar rimase immobile ancora qualche secondo, poi si allontanò in silenzio. Ognuno aveva il suo modo di superare le brutte esperienze, e non voleva imporle il suo aiuto. Oltretutto Tenko era una persona solitaria, quindi doveva lasciarle i suoi spazi.

La attese con pazienza, intrattenendosi un po’ con il grifone. Grazie all’incantesimo per domarlo, ora l’animale lo vedeva come il suo capobranco, e avrebbe assecondato ogni sua richiesta.

Quando Tenko emerse dalla foresta, la sua espressione era difficile da interpretare: c’era il consueto fondo di rabbia e desiderio di vendetta, ma anche un po’ di gratitudine e una punta di imbarazzo. Rimase un attimo in silenzio, poi accennò col capo all’animale. «Ha funzionato» disse. «Non ti sbagliavi.»

Zabar le rivolse un mezzo sorriso. «Bello sapere quanto ti fidi di me.» Accarezzò il collo muscoloso del volatile. «Se ti va possiamo mangiare qualcosa, poi possiamo partire.»

La demone annuì e insieme consumarono una rapida colazione a base di latte, pane raffermo e frutti di bosco raccolti lì intorno. Una volta sazi, salirono in groppa al grifone. Ovviamente le selle degli ippolafi non erano adatte a un animale così grosso, quindi si limitarono a portare dietro i loro zaini.

Nonostante il peso aggiuntivo, la maestosa creatura spalancò le grandi ali piumate e con un balzo fu in cielo. In pochi secondi salì verso la distesa azzurra, sfruttando i muscoli potenti e le correnti d’aria ascensionali per raggiungere la quota ideale.

Dall’alto il mondo era completamente diverso: era tutto più piccolo, e sfrecciava a una velocità impressionante. Tenko e Zabar ne rimasero affascinati. Erano talmente ammaliati che non sentirono il bisogno di dire nulla: non servivano parole per descrivere la meraviglia di quel momento.

Solo dopo una decina di minuti Zabar decise di rompere il silenzio: «Sai, tutti i draghidi, quindi anche i grifoni, sfruttano un po’ di magia per volare» spiegò ad alta voce, così da superare i soffi del vento. «Non sappiamo il vero motivo, probabilmente perché sono troppo pesanti per volare solo con le ali.»

Tenko stava per declassare quell’informazione come inutile, poi però si accorse di un aspetto singolare: «Vuoi dire che questo grifone è una specie di mago?»

«In un certo senso sì» confermò il chierico, felice di aver suscitato l’interesse della sua compagna di viaggio. «Non è un caso se i draghidi sono fra gli animali più intelligenti dopo le persone.»

La demone assimilò il fatto con un pizzico di invidia: dunque quel pennuto era un mago migliore di lei?

«Piuttosto, parlami un po’ del tuo amico» proseguì la demone. «È un chierico anche lui?»

«No, è il figlio di alcuni ricchi mercanti, e sta continuando il lavoro di famiglia. Si chiama Icarus Photorikos, l’ho conosciuto quando ero ancora un novizio. Per farla breve, già allora stava studiando un modo per acquisire la magia, e io gli ho dato una pozione come quelle che la mia famiglia preparava al circo. Tutti e due volevamo liberarci dall’oppressione del Clero, quindi siamo diventati subito buoni amici.»

«Quindi studia la magia anche se non è un chierico? Già mi piace.»

«Mi fa piacere. Per sua sfortuna però non è un mago naturale, quindi non ha la mia sensibilità.»

«Vuoi dire che ha le mie stesse abilità?»

«Dipende: tu puoi percepire l’energia magica?»

«No. E senza una bacchetta posso solo potenziare il mio corpo.»

«Beh, lui ha una debole percezione magica, ma non riesce a incanalarla bene, neanche con una bacchetta.»

«Vuoi dire che è più debole di me?»

«Anche se non sei una maga, noi demoni in genere abbiamo una buona predisposizione alla magia. Icarus però è un faunomorfo, quindi quando è nato non aveva alcuna abilità magica.»

Tenko annuì pensierosa.

«Comunque uno degli obiettivi della ricerca di Icarus è proprio di superare questo “limite”, e riuscire a eguagliare o superare un inquisitore. Del resto il nostro mondo è ricchissimo di magia, quindi l’unico problema è riuscire a controllarla.»

La demone fece un mugugno d’assenso. Non pensava che la magia fosse così complicata.

Mentre loro parlavano, il grifone continuava a librarsi rapido nel cielo, macinando terreno a una velocità vertiginosa. Grazie all’animale ci volle poco più di mezza giornata per percorrere una distanza pari ad almeno una settimana di ippolafo.

Era pomeriggio inoltrato quando avvistarono la città dove erano diretti: Chalacyra. Già da lontano Tenko capì che era più grande di quelle a cui era abituata: riuscì a distinguere ben due cinte di mura una dentro l’altra, e all’esterno si allargavano degli enormi campi coltivati.

Zabar decise di fare atterrare il grifone lontano dal centro abitato, così da non allertare le guardie e i contadini. Scelse una zona abbastanza ampia, al di là delle chiome degli alberi, così che nessuno ricollegasse il loro arrivo all’animale.

Da lì raggiunsero un sentiero largo e battuto, già percorso da diverse persone a piedi o su carri. Chalacyra era infatti una fiorente città commerciale, favorita dalla sua posizione strategica e dal fiume navigabile che la attraversava.

L’ingresso della città era pattugliato da alcune guardie, ma non subirono alcun controllo. Del resto c’era talmente tanta gente che sarebbe stato impossibile esaminare tutti.

Superate le mura si trovarono subito circondati da una folla di persone indaffarate e venditori ambulanti; Tenko non era abituata a dover sgomitare per farsi largo tra i passanti, ma in qualche modo questo le diede un senso di sicurezza: in un simile via vai era facile passare inosservati.

Il loro obiettivo era la città alta, la zona riservata alle persone più ricche, così continuarono a camminare spediti verso la zona centrale di Chalacyra. Raggiunta la seconda cerchia di mura, scoprirono che la porta era controllata da un manipolo di guardie. Sfuggire ai controlli sarebbe stato impossibile, e Tenko era una pericolosa ricercata. Anche se indossava il mantello col cappuccio, non potevano rischiare che la catturassero.

«Vado da solo, dirò a Icarus di mandare un carro a prenderti» le disse Zabar. «Aspettalo alle mura esterne, da dove siamo entrati.»

La demone, perfettamente consapevole della situazione, fece un cenno d’assenso e senza dire nulla tornò sui suoi passi.

Il chierico, che si aspettava almeno un rapido “a dopo”, rimase un po’ dispiaciuto per la freddezza della giovane. In ogni caso, se ripensava a quanto successo quella mattina, un saluto in più o in meno era niente più che una sciocchezza.

Fin dall’inizio, quando aveva scoperto che un’eretica era stata catturata, aveva sentito il desiderio di aiutarla, eppure più la conosceva, più si convinceva che Tenko non aveva affatto bisogno di aiuto. Aveva subito violenze e umiliazioni, eppure era ancora lì, forte dei suoi obiettivi, dei suoi ideali e dei suoi principi.

Forse una persona come lei poteva davvero cambiare il mondo.


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Come prevedibile, il doloroso passato di Tenko continua a tormentarla e probabilmente non svanirà mai del tutto. Zabar vorrebbe aiutarla, ma ci sono cose che sono al di là delle sue capacità. In più la stessa Tenko non è una persona facile, ma piano piano stanno imparando a collaborare. Forse tra qualche capitolo lei si prenderà anche la briga di salutarlo XD

Nel prossimo capitolo conoscerete meglio Icarus, l’amico di Zabar che studia clandestinamente magia. Tenko è impaziente di conoscerlo, quindi non mancate.

A presto ;D


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Capitolo 15
*** 14. Vecchie amicizie ***


14. Vecchie amicizie

Zabar osservò Tenko che si allontanava, diretta verso la porta est di Chalacyra. Ben presto la demone venne inghiottita dalla folla e il chierico si voltò: non voleva farla aspettare più del necessario.

Raggiunse l’accesso alla città alta e come previsto una guardia gli chiese di identificarsi. A lui bastò dire di essere un chierico in viaggio, e la sua tunica fece il resto: lo lasciarono passare senza problemi.

Una volta dall’altra parte fu subito evidente il salto di qualità degli edifici, adesso fatti di solidi mattoni ricoperti di intonaco. Quasi tutte le case avevano un piccolo giardino perfettamente curato, arricchito da piante esotiche, statue o piccole fontane.

Purtroppo, arrivato a quel punto, non era più molto sicuro della strada da prendere. Era da tanto che non visitava Chalacyra, quindi non ricordava la posizione esatta della casa di Icarus.

Per sua fortuna, dopo diversi tentativi andati a vuoto una voce salvifica lo raggiunse: «Non ci posso credere! Zabar!»

Il demone si voltò e in un attimo tutta la sua preoccupazione scomparve. «Icarus! Da quanto tempo!»

I due si salutarono con un caloroso abbraccio. L’amico di Zabar era un po’ più basso di lui, ma decisamente più paffuto. Era un faunomorfo di tipo orso, aveva mani grandi e cicciotte, e indossava abiti di pregevole fattura.

«Da quanto non ci vediamo! Quanti anni saranno?»

«Troppi, amico mio. Scusa, ma vorrei subito chiederti un favore: una mia amica sta aspettando vicino alla porta est della città, potresti mandare qualcuno a prenderla?  Sai, ha avuto qualche divergenza col Clero, quindi abbiamo pensato che per lei era meglio non farsi vedere dalle guardie della città alta.»

«Ma certo, mando subito un carro. Ophion, fai mandare un carro alla porta est. Devono prendere una donna senza farla vedere alle guardie. Zab, come la riconoscono?»

«Facile: ha i capelli fucsia, gli occhi rosa e le sclere nere. Indossa un’uniforme simile a quella delle guardie.»

«Sarà fatto» affermò il servitore di Icarus, un faunomorfo dall’aria seria e schiva.

«Andiamo, la tua amica ci raggiungerà presto» disse il mercante facendo strada. «Ci sono così tante cose di cui voglio parlarti!»

Guidato dal suo vecchio amico, Zabar riuscì finalmente a raggiungere la sua meta. Come tutti, Icarus aveva cercato di abbellire la sua casa più dei vicini: aveva una fontanella e varie piante esotiche, in più aveva fatto affrescare una delle pareti. Il motivo scelto era religioso, un mito sulla gloria degli dei, ma l’aveva commissionato più per ingraziarsi il Clero che per vera fede.

Mentre aspettavano Tenko, Icarus fece accomodare il suo ospite in una delle tante sale della villetta, e ne approfittarono per aggiornarsi a vicenda sugli ultimi eventi.

Dopo un po’ qualcuno bussò alla porta. «La signorina Br’rado» annunciò il servitore con voce inespressiva.

Subito Icarus si alzò e le andò incontro. «Benvenuta, mia cara.» Provò un’istintiva inquietudine a causa degli occhi della demone, ma la dissimulò con un abile sorriso.

«Icarus, lei è Tenko Br’rado, siamo amici d’infanzia. Tenko, lui è Icarus Photorikos.»

«È un piacere. Gli amici di Zabar sono anche miei amici.» Le fece un elegante baciamano. «Soprattutto quando sono così affascinanti.» Poi si rivolse al chierico e gli diede una leggera gomitata. «Amica d’infanzia, eh?»

Tenko non si prese nemmeno il disturbo di sorridere. Da come Zabar ne aveva parlato, si era fatta un’idea completamente diversa di Icarus. Si era aspettata un tipo astuto, ambizioso, magari carismatico, invece era solo un riccone abituato a vivere nell’agio, senza preoccuparsi di niente e di nessuno. Eppure si sforzò di reprimere il disprezzo che provava per i ricchi: dopotutto anche lui era nemico del Clero, e il nemico del mio nemico è mio amico.

«Ophion, fai portare del tè anche alla nostra ospite» disse il padrone di casa. Si voltò verso la demone. «È una specialità degli elfi oscuri, sono sicuro che ti piacerà.»

Tenko, poco abituata ai convenevoli, interpretò l’offerta di Icarus come una mera ostentazione di ricchezza. Ma non la rifiutò.

I tre si accomodarono nell’ampia sala, attesero che la servitù versasse il tè alla demone, a quel punto Icarus chiese che nessuno li disturbasse.

«Chiamerò io quando avrò bisogno.»

«Come desidera» annuì Ophion, che prima di andarsene si chiuse la porta alle spalle.

Zabar bevve un piccolo sorso di tè. Ora che c’era anche Tenko, poteva dare voce alla vera conversazione: «Allora, come procedono le tue ricerche?»

Il faunomorfo si strinse nelle spalle. «Come vuoi che procedano? Come al solito: a rilento. Ho fatto qualche progresso, ma comincio ad avere la sensazione di perdere tempo. Se tu mi aiutassi, sono sicuro che andremmo molto più spediti.»

«Te l’ho detto, non posso. Devo scoprire la verità sul nostro mondo. Nel frattempo potrei anche scoprire qualcosa di utile per la tua ricerca.»

Icarus sbuffò. «Sei sempre il solito.» Si voltò verso Tenko. «Sempre concentrato sul passato, non è vero?»

Lei annuì. «Già.» Con un po’ di diffidenza aveva assaggiato il tè, ed effettivamente aveva un sapore molto gradevole. Non che fosse un’esperta.

«Adesso che ci penso, forse potresti darmi una mano in un altro modo» proseguì il faunomorfo tornando a rivolgersi a Zabar. «So che i chierici tengono una scorta di bacchette polivalenti nella canonica. Se riuscissi a farmene avere qualcuna, potrei scoprire qualcosa di nuovo. Credimi, ho provato a procurarmene una, ma le custodiscono in maniera maniacale. Perfino con i miei soldi e i miei contatti è stato tutto inutile. Tu però sei un chierico: potresti entrare e uscire senza problemi.»

Zabar rimuginò in silenzio per qualche momento. «È vero, potrei entrare e uscire, ma dubito che mi daranno volentieri le loro bacchette. Anche per loro sono molto preziose.»

«Se riesci a scoprire dove le tengono, potrei entrare e rubarle» propose Tenko.

Icarus sorrise come un bambino. «Sentito la tua amica? Lo dicevo che mi piaceva!»

«No, è troppo pericoloso» ribatté il chierico. «Se ti catturano, non potrò fare niente per tirarti fuori.»

«Vorrà dire che non mi farò catturare.» Lo guardò dritto negli occhi. «Se questo può servire a farmi sconfiggere gli inquisitori, allora sono pronta a rischiare.»

Il chierico strinse i pugni. Gli sembrava una situazione assurda: perché rischiare tutto, quando ancora non sapevano cosa si nascondeva a sud? D’altra parte sapeva che non sarebbe riuscito a dissuadere Tenko. Fece un sospiro di rassegnazione. «Va bene, farò come dite. Farò il possibile per scoprire dove tengono le bacchette, ma se non dovessi riuscirci, allora rinunceremo. Un conto è rischiare, un conto è suicidarsi.»

La demone fece un mugugno d’assenso.

Icarus sorrise. «Grazie, Zabar, sapevo di poter contare su di te.» Si voltò verso Tenko. «Lo ammetto: mi è mancato. A proposito, mia cara, posso offrirti qualcos’altro? Magari qualcosa da mangiare. O preferisce fare un bagno?»

«Sono a posto così» ribatté Tenko, impassibile. Non ci teneva proprio a spogliarsi in casa di uno sconosciuto.

E poi in quel momento tutti i suoi pensieri erano rivolti a Zabar: sarebbe riuscito a portare a termine il suo difficile e rischioso compito?


Note dell’autore

Ciao a tutti!

E così abbiamo conosciuto Icarus. Tenko se l’aspettava diverso, voi? :)

Per non farci mancare nulla, è saltata fuori una nuova quest per i nostri eroi, la cui potenziale ricompensa è una scorta di preziosissime bacchette polivalenti. Ovviamente Tenko non vuole farsi scappare l’occasione, ma la prima parte della missione sarà in carica a Zabar: riuscirà il chierico nella sua impresa?

Lo scoprirete nel prossimo capitolo. Anzi no, nel prossimo capitolo presenterò un nuovo personaggio :P (che in realtà non è del tutto nuovo, ma non aggiungo altro XD).

Come sempre grazie a tutti per essere passati e a presto! ^.^


PS: per chi avesse già letto AoD - 1 - I Gendarmi dei Re, Donkernacht è la terra d’origine di Giako :)


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Capitolo 16
*** 15. Una nuova prospettiva ***


15. Una nuova prospettiva

Nell’accampamento si respirava un clima teso. Due guardie erano impegnate a piantonare l’ingresso della miniera, i loro colleghi invece erano in attesa, del tutto ignari di quello che sarebbe stato il loro compito.

Quasi tutti i militari di stanza in città erano stati uccisi durante la rivolta dei minatori, così il Clero aveva dovuto mandare tre inquisitori. Grazie ai loro immensi poteri, i tre avevano sbaragliato facilmente gli eretici, dopodiché se n’erano andati, lasciando a un manipolo di guardie appena arrivate il compito di ristabilire l’ordine. L’impresa non sembrava particolarmente ardua: il popolo li aveva accolti come liberatori e sembravano tutti intenzionati a collaborare, ma purtroppo alcuni minatori erano riusciti a scampare alla morte e si erano rifugiati nelle miniere.

Diverse guardie avevano suggerito di far crollare tutto e di seppellirli vivi, ma il capitano si era opposto fermamente: dalla miniera venivano estratti i rari e preziosi materiali necessari per produrre le bacchette magiche, quindi era necessario preservarla. Anzi, dovevano sbrigarsi a intervenire, prima che i minatori decidessero di distruggere tutto in un’ultima, disperata rappresaglia.

D’un tratto una figura minuta si presentò all’ingresso del campo, catturando le attenzioni delle guardie e dissolvendo il loro rassegnato vociare. Subito gli uomini si alzarono e si inchinarono alla nuova arrivata. La donna, una minuta faunomorfa, rispose con un leggero cenno del capo e continuò a camminare. I suoi capelli azzurri erano raccolti in uno chignon e somigliavano più a piume che ai peli dei mammiferi, il che suggeriva fosse una metarpia[10]. La sua uniforme di cuoio e metallo sembrava fatta su misura, era robusta come quella delle guardie di rango più alto, ma aveva anche un mantello giallo ocra come quello dei grandi sacerdoti di Horus. Le pregevoli finiture non lasciavano dubbi: era un’inquisitrice.

Il capo delle guardie le andò incontro e si inchinò a sua volta. «Mia signora, sono il capitano Coridan Callas. È un onore avervi qui.»

«Persephone Sialia» si presentò lei. Aveva una voce leggera e il suo tono era freddo ma garbato. «Qual è la situazione?»

«Alcuni minatori si sono barricati nella miniera insieme alle loro famiglie. Molto probabilmente hanno anche delle bacchette magiche, ma non so dire se le sanno usare. Ieri ho mandato dieci dei miei uomini, ma nessuno di loro ha fatto ritorno.»

«Sapete quanti sono i minatori?»

«Con ogni probabilità sono tre, forse quattro. Gli altri dovrebbero essere donne e bambini.»

«Avete una mappa della miniera?»

«Sì, ma è vecchia e probabilmente ci sono stati dei cambiamenti. Prego, ve la mostro.»

I due raggiunsero un semplice tavolino da campo su cui era stata stesa una mappa. Era più semplice di quanto Persephone si aspettasse: c’era un unico passaggio che scendeva fino a quella che sembrava una grotta sotterranea. Dalla grotta si diramavano vari corridoi, ma tutti quanti erano stati scarabocchiati, come se si trattasse di errori.

«C’è qualcun altro che conosce la miniera?»

«Sono spiacente, ma tutti gli altri minatori sono morti.»

Persephone rimase un attimo in silenzio, gli occhi gialli fissi sulla mappa. «D’accordo, me ne occupo io.»

«Volete che i miei uomini vi accompagnino?»

«No, non serve» affermò l’inquisitrice. «Quando avrò finito farò lampeggiare una luce, a quel punto potrete andare a prendere i ribelli.»

«Molto bene, darò subito istruzioni.»

La metarpia annuì e raggiunse l’ingresso della miniera. Nei primi metri il passaggio era rischiarato da una fiamma, ma poi tutto veniva inghiottito dalle tenebre.

«Mia signora, può prendere una di queste torce» le disse una delle due guardie con tono riverente.

«Grazie, non ne ho bisogno» rispose lei prima di evocare un globo luminoso. Essendo votata a Horus, poteva utilizzare un gran numero di incantesimi collegati alla luce.

Impugnò la sua spada e con passo deciso si addentrò nel sottosuolo, attenta a eventuali imboscate. Quasi subito la pendenza divenne molto pronunciata, al punto che dovette aggrapparsi a una corda piantata nella parete per non perdere l’equilibrio.

L’ambiente era angusto e l’aria pesante: non si stupiva che nessun altro inquisitore avesse accettato quell’incarico. Uomini potenti come loro si sarebbero sentiti umiliati a svolgere un simile compito, così alla fine la seccatura era toccata a lei. Del resto il Clero teneva moltissimo alla miniera e alle ricchezze che custodiva: non potevano permettersi di perderla a causa di un manipolo di rivoltosi.

Persephone continuò a scendere con cautela, attenta a eventuali trappole. Il passaggio era talmente stretto che sarebbe stato difficile tendere un’imboscata, poi però qualcosa catturò la sua attenzione. Dissolse il globo luminoso e i suoi sospetti trovarono conferma: c’era una luce più in basso. Brillava di vari colori tra l’azzurro, il verde chiaro e il viola: quale fuoco poteva produrre una simile fiamma?

Si avvicinò e la luce divenne man mano più nitida. Era prodotta da strane gemme incastonate nelle pareti, il cui numero aumentava man mano che scendeva. Provò a osservarne una più da vicino: la superficie era solida come quella del cristallo, ma la conformazione generale faceva pensare a una specie di muschio. Non aveva mai visto nulla di simile.

Continuò ad avanzare con cautela e ben presto avvistò il passaggio per la grotta indicata sulla mappa. Anch’essa era illuminata dai cristalli-muschio, al punto da rendere superfluo l’uso del globo luminoso.

Era a pochi metri dall’ingresso della grotta quando vide qualcosa di strano a terra. Si chinò e dopo qualche secondo riconobbe la forma di un osso. Ne individuò un altro, e poi un altro ancora. La parte finale del passaggio era cosparsa di ossa annerite appartenenti a numerosi scheletri scomposti, almeno una decina. Riuscì anche a individuare alcuni resti di uniforme, e questo dissolse ogni dubbio: erano le guardie disperse.

Udì un rumore e sollevò lo sguardo. Alcuni uomini balzarono allo scoperto, tutti con delle bacchette in mano: erano sicuramente i minatori.

I quattro aggressori non persero tempo e scatenarono una raffica di incantesimi, incuranti di capire chi avessero di fronte: per loro era di sicuro un nemico, un nemico da uccidere ad ogni costo.

«Abbiamo passato anni a prendere materiale per le vostre cazzo di bacchette!» gridò uno al termine dell’attacco. «Questo è ciò che meritate!»

Per tutta risposta un rumore di passi echeggiò nel silenzio della grotta. Persephone emerse dal cunicolo, del tutto incolume, lo sguardo gelido.

I minatori scatenarono di nuovo le loro bacchette, travolgendo l’inquisitrice con tutta la potenza che avevano a disposizione. Lei non si mosse: una barriera la avvolse, impenetrabile, talmente robusta da deviare o annullare qualsiasi incantesimo.

Incurante degli attacchi, la metarpia si guardò intorno per verificare la presenza di altri minatori. Vide un gruppo di persone, ma erano tutte donne o bambini disarmati: i familiari dei rivoltosi.

«Arrendetevi e non vi ucciderò» affermò.

Gli uomini si prepararono al terzo attacco, ma questa volta Persephone li anticipò: evocò una nuova barriera e la indirizzò verso i ribelli, gettandoli tutti a terra.

Raggiunse il più vicino e lo colpì alla tempia con il pomo della sua spada, abbastanza forte da stordirlo. Allontanò la bacchetta e fece altrettanto con il secondo. Il terzo minatore provò a contrattaccare, ma lei lo colpì a distanza con un fascio di luce condensata.

Udì delle grida provenire dai familiari, ma non ci fece caso.

«Non mi farò uccidere da te, troia!» gridò l’ultimo ribelle.

Si puntò la bacchetta alla gola e attivò l’incantesimo. Le lame di vento non gli lasciarono scampo e il cadavere decapitato cadde a terra. Altre grida, ancora più strazianti, inondarono la grotta, ma di nuovo Persephone rimase impassibile.

Prese tutte le bacchette, quindi imprigionò i minatori rimasti all’interno di una cupola di energia. Un paio di donne provarono ad aggredirla, così imprigionò anche loro all’interno di una barriera.

Evocò un incantesimo di luce lampeggiante e, come da accordi, le guardie non si fecero attendere. I militari cominciarono a portare via i ribelli, e solo allora Persephone si concesse qualche momento per guardarsi intorno. Le pareti della grotta erano tempestate di cristalli-muschio, di cui quelli più grandi nella parte superiore; erano talmente grandi e luminosi da rischiarare l’ambiente quasi a giorno.

Guardandosi intorno notò diversi passaggi che si aprivano in varie direzioni, ma non aveva idea di dove conducessero, né per quanto si estendessero. Di sicuro non era opera dei minatori, ma allora chi – o cosa – poteva averla creati? Una cosa era certa: non avrebbe mai immaginato che sotto i suoi piedi ci fosse un ambiente del genere.

Un rumore in lontananza echeggiò nella grotta, rimbombando tra i vari passaggi. Non era un rumore naturale, sembrava quasi il verso di un animale.

«Cos’è stato?» gemette una delle guardie.

«Sono i mostri» esalò una delle donne. «Hanno divorato due dei miei fratelli e anche uno dei miei figli.» Un sorriso folle le incrinò il viso. «E la colpa è vostra. Volete essere i prossimi?»

La guardia che aveva parlato si voltò verso Persephone, l’espressione intimorita. «Inquisitrice, cosa facciamo?»

La metarpia continuò a fissare la donna che aveva parlato, cercando di capire se fosse sincera. Non trovò menzogna nel suo sguardo afflitto, e questo la preoccupò.

«Abbiamo fatto il nostro dovere» dichiarò. «Andiamocene.»

Le guardie, che non aspettavano altro, si affrettarono a trascinare di sopra gli ultimi rivoltosi, impazienti di rivedere la luce del sole.

Persephone lanciò un ultimo sguardo ai tunnel, a quel mondo sotterraneo di cui quasi tutti ignoravano l’esistenza, dopodiché si incamminò verso la superficie. Aveva portato a termine il suo compito, il resto non era un suo problema.

Raggiunta l’uscita della miniera, Persephone venne raggiunta dal capitano delle guardie. «Mia signora, desiderate fermarvi qui per la notte?»

Il sole stava già tramontando, quindi l’inquisitrice annuì. «Sì, grazie.»

«Molto bene, vi faccio preparare subito una stanza. Preferite dormire nella caserma o nella canonica? O preferite una locanda?»

«La caserma andrà bene» rispose lei, sbrigativa. Non voleva sembrare sgarbata, ma tutte quelle attenzioni la infastidivano.

Consumò la cena nella mensa, incurante degli sguardi ammirati delle guardie, dopodiché andò nella stanza assegnatale. Era ampia, con un letto di piume e una latrina privata. In tutte le caserme c’erano sempre almeno un paio di camere libere appositamente pensate per gli ufficiali di alto rango di passaggio. Lo stesso valeva per la canonica, i cui letti liberi erano però pensati per i sacerdoti in visita. Di fatto gli inquisitori avevano il diritto di scegliere dove riposare, erano infatti sia autorità militari che religiose. In generale non potevano amministrare cerimonie, ma la loro presenza consentiva comunque l’intercessione con il dio che rappresentavano.

Persephone si liberò della sua prestigiosa uniforme e si stese sul letto. Aveva in programma di recarsi al tempio all’indomani per ricevere nuove istruzioni, ma durante il sonno una voce solenne la raggiunse: «Mia leale servitrice, ho un nuovo compito per te.»

L’inquisitrice riusciva a distinguere solo una grande luce, ma capì subito di chi si trattava. «Mio signore, come posso servirvi?»

«Recati al tempio di Denimahos» le ordinò Horus. «Allora ti darò nuove istruzioni.»

«Come desiderate.»

Il dio lasciò fluire un formale senso di soddisfazione nella mente della sua discepola, dopodiché svanì insieme alla sua luce calda e benevola.

Persephone aprì gli occhi. Era notte fonda e la città era tranquilla. Sarebbe partita alle prime luci dell’alba.

Ancora non sapeva quale sarebbe stata la sua missione, ma di una cosa era certa: l’avrebbe portata a termine senza esitare, come sempre.


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Come anticipato la scorsa volta, questo capitolo è stato incentrato su un nuovo personaggio: Persephone, che alcuni di voi già conoscevano da I Gendarmi dei Re. La gelida metarpia è una potente inquisitrice, ma non la più influente a giudicare dalla missione che le hanno affibbiato.

Mi sembra chiaro anche per chi non la conoscesse già che si tratta di una persona seria e inflessibile. La sua specialità sono le barriere difensive, ma in quanto devota a Horus ha dalla sua anche numerosi altri incantesimi. Come prevedibile non ha avuto problemi a completare il suo incarico, ma già deve prepararsi a partire: per un’inquisitrice non c’è tempo per riposare.

Dato che ci sono, aggiungo il disegno di Persephone che avevo fatto per I Gendarmi dei Re (la cui saga, vi ricordo, fa da sequel a Age of Epic):

Persephone Sialia (AoD-1).svg


Oltre a introdurre la metarpia, in questo capitolo sono riuscito anche ad aprire un piccolo scorcio sui dungeon sotterranei: un elemento abbastanza importante per Raémia (soprattutto per un’altra saga).

Nel prossimo capitolo torneremo da Tenko e Zabar, in particolare alla missione di infiltrazione del chierico.

A presto! ^.^


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[10] Sottospecie originale di Project Crossover. Il termine richiama le arpie.
Per maggiori informazioni: tncs.altervista.org/bestiario.

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Capitolo 17
*** 16. Fase uno ***


16. Fase uno

Quando ormai era tardo pomeriggio, Zabar si diresse verso la canonica e varcò il cancello esterno. L’edificio si trovava nella città alta ed era molto più grande rispetto a quello in cui aveva trascorso gli ultimi anni: una città come Chalacyra del resto aveva molti templi, quindi erano necessari molti chierici e molti sacerdoti. Se non ricordava male, il priore era un alto sacerdote.

«Buonasera, fratello. Posso aiutarti?» gli domandò un ecclesiastico andandogli incontro. Era relativamente anziano, ma indossava ancora la tunica da chierico: probabilmente l’idea di fare carriera non era stata fra le sue priorità. Indossava un pendente a forma di spiga di grano, quindi doveva essere devoto alla dea Demetra[11].

«Buonasera a te. Sono in viaggio per andare a trovare la mia famiglia, sono appena arrivato in città» gli spiegò Zabar. «Speravo poteste offrirmi ospitalità per la notte.»

«Ma certo, fratello» annuì il faunomorfo con un sorriso gioviale. «Coraggio, seguimi. A breve verrà servita la cena.»

Il chierico lo condusse alla mensa, un ampio locale illuminato da bracieri. Durante il pasto Zabar raccontò ai suoi vicini di tavolo più o meno la stessa bugia che aveva usato con il suo superiore, ma decise di tralasciare la parte del padre malato. Non usò nemmeno il suo vero nome, ma si presentò come Bartahu, l’identità fittizia che usava fin dal suo ingresso nel Clero. Nessuno ebbe motivo di dubitare delle sue parole e tutti quanti gli assicurarono le loro preghiere per un viaggio tranquillo.

Dopo cena partecipò all’orazione comune e poi andò a dormire. Nella stanza che gli avevano assegnato c’erano una dozzina di brande, di cui un paio libere. Era proprio come nella sua canonica, e questo gli fece provare un po’ di nostalgia. La sua determinazione a svelare le menzogne del Clero era salda, tuttavia non provava astio nei confronti dei suoi confratelli, al contrario: li considerava quasi una seconda famiglia. Anche gli ecclesiastici di Chalacyra si erano dimostrati gentili e ospitali; si sentiva in colpa a tradire la loro fiducia, ma la sua missione aveva la priorità. Tenko e Icarus contavano su di lui.

Sicuro dei propri obiettivi, chiuse gli occhi e cercò di prendere sonno: aveva un piano, e questo non implicava di andare in giro per la canonica a cercare le bacchette. Non senza prima conoscerne la posizione.

Il mattino seguente si alzò insieme agli altri chierici, pregò con loro e fece colazione nella mensa.

Finito di mangiare, andò dal chierico che lo aveva accolto la sera prima.

«Fratello Basileus, permettetemi di accompagnarvi in città. Vorrei aiutare gli abitanti per ricambiare la vostra ospitalità.»

«Sei sicuro, fratello Bartahu? Ma la tua famiglia?»

«Un giorno in più non farà molta differenza» rispose il demone con un sorriso conciliante. Avendo tralasciato la parte del padre malato, la sua permanenza non avrebbe destato sospetti. «Sarei felice di aiutarvi. Il sommo Dían Cécht[12] mi ha fatto dono di incantesimi curativi molto efficaci; se conoscete qualcuno malato o ferito, sarei felice di offrirgli il mio aiuto.»

Il faunomorfo annuì. «Grazie per la tua generosità. In effetti abbiamo un paio di persone bisognose, il tuo aiuto sarà molto prezioso.»

«Grazie a voi. Avrei bisogno solo di una bacchetta. Quando sono partito sono stato così sprovveduto da non portarne una con me. Per caso ne avete qualcuna?»

«Naturalmente. Vado subito a chiedere al priore. Ci vorrà un attimo.»

Il demone sorrise e annuì. Il piano procedeva senza intoppi.

***

«Vuoi provare uno di questi biscotti?» chiese Icarus a Tenko. «Sono ottimi col miele.»

Dopo un attimo di esitazione, la demone seguì il consiglio del faunomorfo e spalmò un po’ di miele profumato sul biscotto croccante. Il sole era già alto, eppure Icarus era ancora nel bel mezzo della colazione. Sembrava che niente potesse impensierirlo.

«Non sei un po’ troppo… tranquillo?» gli chiese la giovane dopo aver finito di masticare. «Zabar potrebbe finire nei guai per colpa tua.»

Icarus smise a sua volta di mangiare e incrociò le dita sul tavolo. «Sai, mia cara, nella mia famiglia siamo mercanti da generazioni. I miei nonni hanno insegnato il mestiere ai miei genitori, e i miei genitori lo hanno insegnato a me. So che per guadagnare bisogna correre dei rischi, e so che la pazienza è una potente alleata. E poi tu e Zabar avete studiato il piano nel dettaglio: perché dovrei essere preoccupato? Sei preoccupata per lui?»

Lei distolse lo sguardo, stizzita e un po’ imbarazzata. «Non sono preoccupata per lui.» Rimase un attimo in silenzio. «È solo che… Insomma, se lo scoprissero, se lo catturassero… sarebbe un bel problema.»

«Questo è vero. Però io mi fido di lui, e dovresti farlo anche tu.» Icarus bevve un breve sorso. «Ho un’idea: hai voglia di vedere i miei laboratori? Ne ho due: uno qui in cantina e uno fuori città. Posso mostrarteli entrambi.»

La notizia fece drizzare le orecchie a Tenko. «Ci puoi scommettere.»

Icarus sorrise compiaciuto. «Bene, seguimi.»

Lasciarono la sala da pranzo, attraversarono un corridoio e poi scesero lungo una stretta scala di pietra. Sottoterra l’aria era fredda e umida, e c’era un odore particolare, di chiuso e muffa.

«Prima era solo un magazzino, ma ho ricavato una stanza nascosta, così nessuno può ficcare il naso.»

In effetti l’ambiente aveva tutta l’aria di essere una banale cantina, c’erano casse e barili impilati un po’ ovunque, ma Icarus si mosse sicuro, infilò una mano in un pertugio e subito dopo qualcosa scattò: una serratura. La porta, perfettamente mimetizzata con il resto della parete, si aprì con un leggerissimo cigolio, rivelando una stanzetta buia.

Icarus accese delle torce magiche e in un attimo Tenko si scoprì circondata di fogli, pergamene, libri, ampolle, bacchette e una miriade di oggetti che non aveva mai visto. Quello era esattamente il laboratorio che si era immaginata, un luogo nascosto e inaccessibile, che custodiva un segreto potente e pericoloso.

«Guarda, queste bacchette le ho modificate io» disse Icarus, orgoglioso. «Sono più potenti di quelle normali, ma gli incantesimi consumano meno energia e posso lanciarne di più uno dopo l’altro.»

Tenko ne prese in mano una. A prima vista sembrava una comune bacchetta monovalente, guardando bene però si accorse che la struttura era più complessa del normale; riconobbe anche delle sottili incisioni, e alcuni materiali sembravano diversi da quelli consueti.

«Guarda questo» proseguì il faunomorfo. In mano aveva un piccolo oggetto di legno di forma cilindrica.

Lei lo prese e lo osservò. «A cosa serve?»

«Semplice: è un generatore automatico di incantesimi. Basta togliere la sicura e si attiva automaticamente. Non devi neanche infonderci la tua magia!»

La demone parve molto colpita.

«A proposito, sei anche tu una maga naturale come Zabar?»

«No, anche io ho bevuto una pozione dei Biisto. Però Zabar mi ha detto che noi demoni abbiamo una maggior affinità con la magia, quindi me la cavo abbastanza con le bacchette.»

«Davvero?» Il faunomorfo si fece di colpo pensieroso. «Interessante…»

Tenko si stupì di quel cambio di atteggiamento. Un attimo prima Icarus sembrava un bambino orgoglioso dei propri giocattoli, ora invece era diventato un uomo serio e concentrato. Sembrava un’altra persona.

«Non lo sapevi?» gli domandò. «Non te l’ha detto?»

«Adesso che ci penso, forse me ne aveva parlato tempo fa. Comunque grazie per avermelo ricordato.»

La demone fece un cenno d’assenso e continuò a guardarsi intorno. Provò a scorrere qualche foglio, ma tutte quelle lettere e simboli erano per lei illeggibili.

«Scusa se mi permetto, ma posso farti una domanda?»

Tenko fece spallucce e annuì distrattamente.

«Cos’hai fatto per inimicarti così il Clero? Intendo, al punto da dover evitare le guardie alle porte della città alta.»

Lei si concesse un sorriso macchiato di emozioni: era amaro, ma anche sprezzante. «Da dove vuoi che comincio?» Smise di guardarsi intorno e si rivolse al faunomorfo. «Intanto sono una sopravvissuta dello stesso circo di Zabar, ma credo che questo se lo siano dimenticato. Se dovessi limitarmi agli ultimi tempi, allora sono evasa e ho ucciso un sacerdote, ho riunito un gruppo di fuorilegge con cui ho saccheggiato varie armerie, e poi ho ammazzato un mucchio di guardie e di ecclesiastici. Ho anche cercato di conquistare una città.» Mentre parlava, si aiutò a tenere il conto con le dita. «Ah, nel frattempo sono anche riuscita a rubare parecchie bacchette, ma purtroppo le ho perse.» Abbassò mestamente lo sguardo. «Ho perso tutto. I miei compagni sono stati uccisi dagli inquisitori, credo di essere l’unica superstite.» Un altro sorriso, questa volta solo amaro. «Ma ci sono abituata: il Clero uccide sempre tutti quelli che mi stanno a cuore.»

«Oh, io… Mi spiace.»

«Non dispiacerti: potresti essere il prossimo.» Subito si pentì di aver pronunciato quella frase, ma ormai era troppo tardi. «No, scusa, io non intendevo… Oh, lascia perdere!»

Icarus, dopo un attimo di sconcerto, dissimulò l’emozione con un sorriso da mercante. «Non ti preoccupare, mia cara: è da una vita che mi guardo le spalle.»

Lei, arrabbiata con sé stessa, si limitò a un’espressione di vago assenso. Icarus magari non era l’uomo che si era immaginata, però li stava aiutando mettendo a rischio la sua vita. La demone sapeva di essere una persona egoista e sgarbata: sarebbe mai riuscita a migliorare in questo?

«Piuttosto, cambiamo discorso: non ho potuto non notare la tua frusta. Per caso ha all’interno una fibra reattiva alla magia?»

Tenko annuì. «Serve per farla avvolgere intorno agli oggetti.»

«Se ti interessa, potrei costruirtene una versione migliorata. Se Zabar riesce a trovare qualche bacchetta polivalente, potrei costruirti una frusta con dentro una bacchetta. Ti permetterebbe di usare vari incantesimi, ad esempio potrebbe essere infuocata, oppure elettrificata, o tutto quello che vuoi.»

La demone sorrise all’idea. La sua frusta era già un’ottima arma, ma con quel miglioramento sarebbe diventata eccezionale. «Sei un mercante, immagino vorrai qualcosa in cambio.»

«Beh, in effetti oltre alla bacchetta polivalente mi servirebbero un po’ di materiali. Se riesci a procurarmeli, ti costruirò una frusta polivalente. Siamo d’accordo?»

Tenko non perse tempo: «Dimmi solo cosa ti serve e dove lo trovo.»

***

Il giorno seguente Zabar si svegliò di buon’ora insieme agli altri chierici, di nuovo pregò e mangiò insieme a loro, dopodiché li salutò calorosamente.

«Grazie ancora per la vostra ospitalità. Pregherò per voi.»

«Grazie a te per il tuo aiuto. Buon viaggio.»

Il demone si sistemò lo zaino in spalla e poi si allontanò con passo tranquillo. Aveva dovuto restituire la bacchetta polivalente, dunque materialmente se ne stava andando a mani vuote, ma anche questo faceva parte del suo piano. Se anche fosse riuscito a convincere il priore a lasciargli l’artefatto, questo non sarebbe stato sufficiente: a lui servivano almeno due bacchette polivalenti, una per gli studi di Icarus e una per Tenko.

Camminò per le strade ampie e tutto sommato pulite della città alta, e questa volta riuscì a raggiungere la casa di Icarus senza perdersi. Lì lo aspettavano Tenko e il padrone di casa.

«Ha funzionato?» gli chiese subito la demone.

«Grazie, anche io sono felice di rivederti» ribatté Zabar. «Comunque sì, riesco ancora a percepire la posizione della bacchetta.»

«Bene, allora possiamo andare avanti col piano» stabilì la giovane.

«Tra poco manderò il carro, lo troverai al punto prestabilito» affermò Icarus.

«Grazie, amico. Allora ci vediamo dopo.»

«A dopo, vecchio mio.»

Zabar lasciò la casa e si incamminò verso la città bassa, deciso a far credere che stava lasciando la città. Aveva applicato un incantesimo di localizzazione alla bacchetta che gli avevano prestato, in questo modo sarebbe stato in grado di trovare la stanza dove era custodita insieme a tutte le altre. Prima di rubarla però avevano deciso di attendere un paio di giorni: non volevano che i chierici lo ricollegassero al furto.

Superò una delle porte della città alta, come sempre piantonata da alcune guardie, e proseguì attraverso la città bassa, mescolandosi tra la folla. Quando, pochi minuti dopo, un carro lo affiancò, nessuno fece caso a loro.

Il demone salì sul retro, Tenko invece fece l’esatto opposto.

«Dove stai andando?» le chiese Zabar.

«A prendere alcune cose per Icarus. Ha detto che può combinare la mia frusta con una bacchetta polivalente.»

«Può farlo? Interessante. Beh, stai attenta.»

Lei gli rivolse un mezzo sorriso. «Così mi offendi.»

Lui ricambiò il sorriso e le rivolse un rapido saluto prima che lei si allontanasse. Non dubitava che la giovane fosse in grado di badare a sé stessa, ma l’idea di saperla là fuori lo faceva stare un po’ in pensiero.

Il carro si mise in movimento e lui ne approfittò per sfilarsi la tunica da chierico. Al suo posto indossò degli abiti semplici e ordinari, forse quelli di uno dei servitori di Icarus. Il faunomorfo gli aveva fatto avere anche una bandana per nascondere i suoi capelli arancioni e dei pezzi di pelliccia per mascherare le sue orecchie da pipistrello.

Il mezzo di trasporto lo fece arrivare sul retro della casa di Icarus, il quale lo accolse con un allegro “Ben tornato!”.

«Tenko mi ha detto che puoi combinare la sua frusta con una bacchetta polivalente. È vero?»

«Ci puoi scommettere! La mia ricerca primaria andrà pure a rilento, ma in compenso mi sono dedicato anche ad altri progetti. Vieni ti faccio vedere. Anzi, se hai voglia potresti darmi una mano intanto che aspettiamo per la seconda parte del piano.»

Zabar annuì. «In effetti sono un po’ curioso.» Sorrise. «Alla fine sei riuscito ad ottenere quello che volevi, eh, vecchio mio?»

Icarus allargò le braccia. «È l’indole del mercante: ho trovato una soluzione in grado di soddisfare entrambe le parti.»

Tutto sommato il faunomorfo aveva ragione: per riuscire a rubare le bacchette senza che i chierici pensassero a Zabar, il modo migliore era far passare un po’ di tempo tra la partenza del demone e il furto. Tempo che poteva essere sfruttato per portare avanti insieme gli studi sulla magia.

Il chierico mise una mano sulla spalla dell’amico. «Mettiamoci al lavoro.»


Note dell’autore

Il piano di Zabar è andato a buon fine e adesso sanno dove andare a prendere le bacchette. Ora non resta che aspettare e prepararsi alla fase due.

Nel frattempo Tenko ha avuto modo di conoscere un po’ meglio Icarus e il faunomorfo le ha promesso un utile power-up per la frusta. L’idea è molto allettante e la demone è stata ben felice di accettare l’accordo.


Nel prossimo capitolo Tenko e Zabar si riposeranno e sarà di nuovo il turno di Persephone.

Non mancate! ;)


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[11] Dea greca dei raccolti.

[12] Dían Cécht è un guaritore divino della mitologia irlandese.

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Capitolo 18
*** 17. La guardia e l’inquisitrice ***


17. La guardia e l’inquisitrice

Il tempio di Horus era grande e maestoso, con due imponenti statue a forma di falco a presidiare l’ingresso. L’area centrale era circondata da un colonnato coperto e terminava con un’enorme statua di Horus, dipinta con assoluta precisione per riflettere la magnificenza del dio falco.

Poco prima di mezzogiorno Persephone si presentò all’ingresso del tempio, minuta ma solenne nella sua uniforme da inquisitrice. Senza esitazione imboccò il colonnato di destra, libero dai fedeli impegnati nella preghiera, e raggiunse un ingresso situato all’estremità opposta. I due uomini di guardia le rivolsero un rispettoso inchino a cui l’inquisitrice rispose con un serio cenno del capo.

Salì una scalinata e con passo sicuro raggiunse una stanza piccola ma ariosa con al centro un altare con un’altra statua di Horus. Un’apertura nel soffitto rendeva l’ambiente estremamente luminoso, enfatizzando i dettagli della scultura e donandole un’aria solenne, mistica.

Persephone si inginocchiò.

«Mio signore, sono qui per servirvi» affermò con la sua voce sottile ma ferma. «Vi prego, mostratevi.»

I raggi di sole sulla statua parvero assumere vita propria e cominciarono a condensarsi in una massa lucente.

«Alza lo sguardo, mia leale servitrice» echeggiò una voce maestosa.

L’inquisitrice sollevò il capo. La statua, alta più di due metri, si staccò da terra e cominciò a muoversi. Ma non era più una semplice statua: era Horus in persona che fluttuava solenne, inondato dalla luce del sole. Del suo sole.

«Mio signore, come posso servirvi?» Anche al cospetto del dio, gli occhi gialli della metarpia erano calmi, freddi, quasi privi di emozione.

«Dimmi, sai cos’è successo a Palladios, priore di Milegos e mio leale servitore?»

«Mi è stato riferito che è morto. Un’eretica l’ha ucciso.»

«È così. Un’eretica ha versato il sangue di un mio adepto, gettando vergogna sul mio nome e su tutti gli dei. Ma non è tutto. Dovunque andasse ha portato morte e disperazione: perfino la rivolta dei minatori di Vorissa, costata la vita a moltissimi innocenti, è esplosa subito dopo il suo arrivo. In questo momento si trova a Chalacyra e sicuramente sta tramando qualcosa: è solo questione di tempo prima che altri innocenti vengano massacrati dalla sua follia cieca. Il tuo compito è catturarla e portarla a Theopolis. Verrà giustiziata nelle arene, come è giusto che sia.»

«Sarà fatto, mio signore.»

«Prendi questa pergamena. Contiene un ritratto dell’eretica.»

Un rotolo si sollevò dall’altare e cominciò a fluttuare verso Persephone. Lei sollevò le mani e con riverenza srotolò il prezioso oggetto. Su di esso era disegnato il viso di una donna, una demone a giudicare dalle sclere nere.

«Questa volta non agirai da sola: ti accompagnerà una guardia, un uomo devoto a Susanoo. Era un amico di Palladios e desidera vendicare il suo mentore. Ha conosciuto l’eretica, quindi ho acconsentito che ti accompagni.»

La metarpia arrotolò la pergamena. «Come desiderate, mio signore.»

«Puoi andare, mia leale servitrice. Confido che non mi deluderai.»

L’inquisitrice chinò il capo. «Renderò onore al vostro nome e alla vostra benedizione, avete la mia parola.»

Il corpo di Horus cominciò a brillare e arretrò, tornando a essere una semplice statua. Persephone si alzò, arretrò di qualche passo e solo allora voltò le spalle alla scultura per poi scendere la scala da cui era venuta.

Uscita dal tempio, la metarpia venne avvicinata da un uomo, un faunomorfo di tipo leone dalla pelle ambrata. Indossava l’uniforme da guardia e, oltre alla consueta spada, portava un arco e una faretra piena di frecce.

«Perdonatemi, siete voi Persephone Sialia?»

Lei si fermò. «Sono io.»

«Sono Leonidas Cardea, capitano delle guardie di Milegos.» Le porse la mano. «Ho chiesto di potervi accompagnare nella vostra missione. È un onore poter lavorare con voi, inquisitrice.»

«L’onore è mio» rispose la donna con voce calma, quasi meccanica.

I due si strinsero gli avambracci.

«Ho portato una cosa che credo ci aiuterà, inquisitrice» affermò il felidiano. Infilò una mano nella scollatura dell’uniforme e ne prese una sottile catenella. La slacciò, rivelando che si trattava di un piccolo pendolo. «Ho chiesto a uno dei sacerdoti di realizzarlo apposta per la missione. Contiene un pezzo di vestito indossato dall’eretica: quando saremo abbastanza vicini, ci permetterà di trovarla più facilmente.»

«Bene, è stata una buona idea.»

«Grazie, inquisitrice. Dove dobbiamo andare?»

«L’eretica si trova a Chalacyra» affermò Persephone mentre si incamminava. «Prenderemo due grifoni e ci dirigeremo subito lì. Dobbiamo catturarla prima che fugga di nuovo.»

«Agl’ordini, inquisitrice.»

La metarpia rimase in silenzio per qualche passo, poi si voltò verso il felidiano. «Emh, una cosa: non serve che mi chiami inquisitrice. Puoi chiamarmi Persephone.»

Leonidas, dopo un attimo di imbarazzo, annuì. «Come desiderate.»

I due continuarono a camminare per le spaziose vie della città, diretti verso la stalla dei grifoni. I grossi volatili avevano bisogno di parecchio spazio, quindi la struttura era stata costruita all’esterno del centro abitato.

Persephone non era una persona particolarmente loquace, infatti continuava ad avanzare in assoluto silenzio, limitandosi a qualche moderato cenno del capo per rispondere agli inchini dei passanti.

Leonidas dal canto suo, abituato più a comandare che a fare il subordinato, preferì non dire nulla. In realtà aveva bisogno di riflettere, e quel silenzio faceva proprio al caso suo. Quando aveva saputo che il Clero avrebbe messo un inquisitore sulle tracce di Tenko Br’rado, aveva subito chiesto al nuovo priore se c’era la possibilità di partecipare alla ricerca. Conosceva Padre Palladios, era stato lui a nominarlo capitano, quindi nessuno si era stupito della sua richiesta. Aveva tutte le ragioni per desiderare la morte dell’eretica. Ma in realtà non era così. Quando Tenko gli aveva raccontato delle violenze subite da Padre Palladios, lui non aveva fatto niente per aiutarla. Forse avrebbe potuto fare qualcosa, forse non sarebbe servito a nulla, questo non aveva importanza: non ci aveva nemmeno provato. Lei gli aveva chiesto aiuto, gli aveva mostrato la sua debolezza, ma lui le aveva voltato le spalle.

Gli avevano insegnato che le donne dovevano ubbidire agli uomini, assecondarli e compiacerli. La prima volta che aveva incontrato Tenko, aveva pensato che la demone era il chiaro esempio di una donna cresciuta senza la guida di un uomo: una ribelle senza onore e pudore. Poi però aveva riflettuto più a fondo, e aveva maturato un’altra ipotesi: e se fosse diventata così a causa del Clero? La sua famiglia era stata uccisa quando era solo una bambina e fin da allora si era dovuta arrangiare per sopravvivere: anche l’uomo più valoroso sarebbe stato corrotto dalle necessità e dalla disperazione.

Erano state le lacrime della demone a instillare in lui il dubbio, a costringerlo a mettere in discussione ciò che aveva sempre dato per certo. Quel giorno lui le aveva detto ciò che doveva, ciò che il suo ruolo gli imponeva, ma ogni notte non faceva che ripensare a quei momenti. Come sarebbero andate le cose se avesse avuto il coraggio di parlare con Padre Palladios? Forse il sacerdote sarebbe ancora vivo? Forse Tenko non sarebbe fuggita?

Per qualche giorno queste riflessioni lo avevano fatto sentire in colpa: si riteneva responsabile per la sorte del suo mentore. Poi però aveva osservato le cose da un’altra prospettiva, e aveva capito che si sbagliava. Il sacerdote era andato ben oltre i suoi limiti, aveva preteso di agire come solo un dio poteva, e alla fine il suo egoismo gli si era ritorto contro.

Dunque perché era lì? Lui, Leonidas Cardea, cosa voleva? In realtà non lo sapeva. Sentiva di dover incontrare Tenko, di chiederle perdono per non averla aiutata quando lei ne aveva bisogno, ma poi?

Da una parte si sentiva ancora legato ai suoi doveri: Tenko era un’eretica e un’assassina, quindi doveva catturarla e assicurarla alla giustizia. Padre Palladios e il Clero in generale le avevano causato indicibili sofferenze, non lo metteva in dubbio, ma questo non doveva giustificare i suoi crimini.

Allo stesso tempo però desiderava anche aiutarla, magari riportarla sulla retta via, convincerla a pentirsi dei suoi peccati. Gli dei erano saggi e caritatevoli, era convinto che avrebbero accolto le sue scuse sincere e che, nella loro infinità bontà, l’avrebbero perdonata. Certo non sarebbe stato facile convincerla a rinnegare i suoi sbagli, ma sentiva il bisogno di provarci. Non l’aveva aiutata in passato, quindi la prossima volta avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per provare a salvarla.

«Siamo arrivati.»

Leonidas si riscosse. «Sì, inquisitrice. Perdonatemi, volevo dire Persephone.»

Giusto, c’era un altro dettaglio da tenere in considerazione, un dettaglio fondamentale: qualunque fosse la sua volontà, alla fine sarebbe stata la metarpia a decidere cosa farne di Tenko. Se davvero desiderava aiutare la demone, prima di tutto doveva portare Persephone dalla sua parte.

«Viaggeremo leggeri» affermò la donna. «Lascia qui tutto il superfluo.»

«Sissignora.»

Il felidiano aveva fatto diverse ipotesi sul tipo di inquisitore con cui avrebbe lavorato, ma non pensava che si sarebbe trattato di una donna, e tantomeno di una persona come la metarpia. Da una parte si sentiva sollevato a non dover cooperare con un guerrafondaio arrogante, dall’altra però era preoccupato: Persephone non mostrava alcuna emozione, gli sembrava il tipo di persona capace di sterminare un’intera famiglia senza battere ciglio.

Preferì scacciare quest’ultimo pensiero: si erano appena incontrati, magari si sbagliava. Lo sperava con tutto il cuore, altrimenti come avrebbe fatto a convincerla a provare empatia per un’eretica e un’assassina?


Note dell’autore

Come promesso, siamo tornati da Persephone. Horus in persona le ha affidato il compito di catturare una pericolosa eretica, e ovviamente non poteva che trattarsi di Tenko.

Questa volta la metarpia non dovrà affrontare la missione da sola: Leonidas ha chiesto e ottenuto di poterla aiutare, ma in realtà è lui il primo a non essere sicuro di cosa vuole davvero. Tenko è senza dubbio una minaccia, ma il Clero è davvero nella posizione di giudicarla?

In ogni caso il primo contatto tra Persephone e Leonidas è stato piuttosto formale e sbrigativo: la missione li attende e l’inquisitrice non è certo una che si perde in chiacchiere. Magari in futuro avranno modo di spendere qualche parola in più… sempre ammesso che la gelida metarpia acconsenta.

Ormai avrete intuito l’alternanza dei personaggi, quindi non vi stupirete se vi dico che il prossimo capitolo sarà di nuovo incentrato su Tenko e Zabar XD

A presto e buon 2019 a tutti ^.^


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Capitolo 19
*** 18. Fase due ***


18. Fase due

Era notte fonda e la città alta di Chalacyra era immersa in una piacevole quiete. I rumori di locande e bordelli erano lontani, al di là delle mura, e i ricchi potevano godersi i loro confortevoli letti in tutta pace.

Anche nel convento la situazione era tranquilla. Un paio di guardie sorvegliavano il cancello esterno: erano annoiati e assonnati, ma il loro sembrava un buon modo per guadagnarsi da vivere: a quell’ora non passava mai nessuno.

All’improvviso qualcosa circondò il collo del primo militare. L’uomo emise un grido strozzato, provò a liberarsi, ma venne tirato a terra. Il secondo faunomorfo si svegliò di soprassalto e si guardò intorno. Un incantesimo lo investì di sorpresa. Sbatté contro la cancellata e cadde a terra, completamente stordito.

Tenko estrasse la spada dal costato della prima guardia e la ripulì dal sangue. «Sbrigati.»

Zabar non se lo fece ripetere. Con un incantesimo sbloccò la serratura e furono nel cortile. Attraversarono di corsa il giardino, stando attenti a non farsi vedere. Indossavano entrambi degli abiti scuri e i loro volti erano celati da cappucci: erano poco più che ombre nella notte.

Raggiunto l’ingresso della canonica, il chierico usò la stessa magia per forzare la serratura; dopo pochi secondi erano già all’interno.

«Da che parte?» sussurrò Tenko, guardinga.

Zabar estese le sue percezioni, focalizzandosi sull’incantesimo di localizzazione applicato alla bacchetta. Si guardò intorno, cercando di capire quale fosse la strada migliore. «Di qua.»

Rapidi e silenziosi, attraversarono l’ingresso e imboccarono una scala. Arrivati in cima, si bloccarono di colpo. Nel corridoio c’era una guardia, ma per loro fortuna era di spalle.

«Ci penso io» disse Tenko.

«No, lascia fare a me» ribatté Zabar. Scagliò un incantesimo stordente e la guardia cadde a terra senza un gemito. Senza perdere tempo corse verso di lui e lo addormentò con la magia soporifera.

«Se lo uccido, faremo prima» protestò la demone con un filo di voce.

«Ne abbiamo già parlato» ribatté il chierico. «Potrai anche essere un’assassina, ma io non lo sono.»

Tenko fece un leggero verso di disappunto e gli si accodò.

Dovevano muoversi rapidi e silenziosi, ma anche con cautela: se una guardia fosse riuscita a dare l’allarme, in poco tempo sarebbero stati circondati.

Raggiunto un angolo, Zabar si fermò contro la parete. «È al piano di sopra, ma credo ci siano anche le stanze dei sacerdoti lì.»

Tenko si sporse leggermente, quanto bastava per vedere altre due guardie ferme davanti alla rampa di scale. «Io prendo quella più lontana» stabilì, la frusta in pugno. «Al mio tre: uno, due, tre!»

Uscirono allo scoperto all’unisono e attaccarono insieme, ognuno il suo bersaglio. L’incantesimo stordente mandò al tappeto la prima guardia, la frusta invece si avvolse intorno al collo della seconda. La demone tirò con forza e il faunomorfo perse l’equilibrio, ma non cadde. Prese la bacchetta, ma Tenko scattò fulminea. Lo colpì al braccio, disarmandolo, poi lo colpì al mento con il pomo della spada. Il malcapitato cadde a terra, stordito.

La giovane sentì l’impulso di finirlo, ma questa volta riuscì a trattenersi.

Zabar si occupò di addormentare anche lui, dopodiché salirono i gradini di pietra.

«Visto? Non ti senti meglio ad averlo risparmiato?»

Lei continuò a guardarsi intorno, pronta a respingere un attacco improvviso. «Chiedimelo quando tornerà per le nostre teste.»

Attraversarono un altro corridoio con diverse porte su entrambi i lati, forse le stanze dei sacerdoti, poi si fermarono.

«È questa» affermò Zabar. Si inginocchiò davanti alla serratura. «Cavolo!»

«“Cavolo” cosa?» ribatté Tenko.

«Ci vorrà un po’ per aprirla.»

«E allora muoviti!»

Il chierico mise le mani sulla serratura e chiuse gli occhi per concentrarsi meglio. Doveva estraniarsi completamente dal mondo circostante, così da riuscire a sbloccare quella complessa serratura. Non si stupiva che i sacerdoti tenessero lì dentro le loro preziosissime bacchette polivalenti.

Tenko intanto non poteva fare altro che guardare ripetutamente il corridoio e Zabar, nella speranza che il chierico riuscisse nel suo intento prima che qualcuno li scoprisse. Non avevano avuto il tempo di nascondere i corpi, quindi era solo questione di tempo prima che qualcuno desse l’allarme.

Perché Zabar ci metteva così tanto?

Uno scatto metallico le fece drizzare le orecchie a punta. Si voltò immediatamente e, con suo grande sollievo, vide che la porta si stava aprendo.

Senza tanti complimenti scostò il chierico ed entrò nella stanza.

«Prego, fa’ pure» brontolò il demone prima di alzarsi.

«Quali sono le multi-magia?»

«Quelle lì» rispose Zabar, un po’ imbronciato, indicando col dito.

Tenko non se lo fece ripetere e cominciò a infilarne il più possibile nel suo zaino.

Il chierico si tolse a sua volta la sacca dalle spalle e cominciò a riempirla.

In realtà non c’erano molte bacchette polivalenti, così presero anche delle bacchette normali: più semplici, ma comunque molto preziose.

«È abbastanza, dobbiamo andare» stabilì Tenko.

«Arrivo, ho finito» annuì Zabar, impegnato a infilare l’ultimo mazzo di bacchette nello zaino.

Uscirono dal magazzino e attraversarono di corsa il corridoio, poi scesero a perdifiato le scale. Tenko aveva memorizzato la strada, ma doveva stare attenta: fintanto che si trovavano in città, erano in grave pericolo.

Scavalcarono i corpi delle guardie addormentate e scesero di corsa i gradini, percorrendo a ritroso lo stesso percorso fatto all’andata. Raggiunsero l’ingresso, attraversarono con cautela il giardino e poi varcarono il cancello esterno. Anche lì le guardie erano ancora a terra, ma non potevano fermarsi, non ancora.

Corsero per le vie della città alta, attenti e guardinghi, sfruttando le ombre degli edifici per passare inosservati. Avevano quasi raggiunto le mura quando una campana si mise a suonare: era l’allarme.

Tenko imprecò, e anche Zabar non nascose il proprio disappunto.

«Sbrighiamoci, prima che abbassino la grata!» ordinò la demone.

Ormai non potevano più nascondersi, dovevano correre più veloci che potevano. Il rumore delle campane si moltiplicava, così come la paura di venire catturati. Al solo pensiero Tenko sentiva una morsa di terrore stringerle lo stomaco, ma questo non la rallentò, al contrario: la spingeva a correre ancora più in fretta.

Voltarono un angolo e videro le mura. La grata metallica era ancora alzata, ma per poco: dai rumori che provenivano dalla sala ingranaggi, probabilmente le guardie si stavano già adoperando per abbassarla.

«Sbrigati!» gridò la demone. «Cazzo, più veloce!»

Tenko poteva contare su un corpo potenziato dalla magia, ma Zabar – benché fosse un mago – non aveva simili abilità.

La grata metallica cominciò a scendere, producendo un raglio metallico e minaccioso.

La demone capì subito che non ce l’avrebbero mai fatta. Forse lei sarebbe riuscita a lanciarsi sotto le punte metalliche per tempo, ma il chierico non aveva speranze. Doveva abbandonarlo? Doveva sopravvivere, ma perdere ancora una volta l’unica persona con cui stava entrando in sintonia?

«Continua a correre!» esclamò Zabar.

Tenko strinse i pugni. No, non voleva più vivere in quel modo. Non voleva più essere condannata alla solitudine. Eppure se solo ripensava a ciò che le aveva fatto il sacerdote, a ciò che aveva subito a causa del Clero…

Un blocco di terra si sollevò dal suolo, andando a bloccare la grata.

«Posso tenerlo alzato per qualche secondo, ma dobbiamo sbrigarci!» affermò il chierico.

Quelle parole riscossero la giovane. Zabar non voleva sacrificarsi per lei, e questo le fece provare uno strano sollievo. Ma non c’era tempo per le emozioni: la barriera metallica si era fermata, ma tremava minacciosamente. E presto le guardie avrebbero trovato un modo per farla abbassare completamente.

I due demoni si gettarono sotto la grata più veloci che potevano, le punte metalliche che incombevano su di loro come zanne affilate. Ce l’avevano fatta: erano nella città bassa. Ma non erano ancora al sicuro.

Le prime frecce piovvero su di loro dalle mura, ma riuscirono entrambi a mettersi al sicuro dietro un edificio. Da lì continuarono la loro corsa verso le mura esterne, fino a quando un manipolo di guardie non sbarrò loro la strada. Erano una decina, e non avevano nessuna intenzione di lasciarli passare.

Tenko prese la bacchetta e scagliò un fulmine. Il colpo centrò in pieno tre guardie, mandandole subito al tappeto. Quella era una delle bacchette potenziate di Icarus, e la differenza di prestazioni era tangibile. La demone continuò a sparare saette, Zabar invece sfruttò gli incantesimi stordenti. Solo un uomo riuscì a proteggersi con una barriera magica e provò ad attaccare il chierico, ma la demone si frappose sulla sua strada. Lo bloccò con la spada, provò a colpirlo con un fendente, ma lui la respinse con un’onda d’urto. Tenko cadde a terra, ma a quel punto intervenne Zabar con una magia stordente.

Il chierico aiutò la sua compagna a rialzarsi e insieme ripresero a correre, più veloci che potevano. Di nuovo delle guardie comparvero davanti a loro, ma questa volta riuscirono a imboccare un’altra strada e a evitarle.

«Chiamalo!» ordinò Tenko.

«Ma non siamo ancora in posizione!» ribatté Zabar.

«Fallo e basta!»

Altre due volte delle guardie provarono a bloccare loro la strada, ma in un modo o nell’altro riuscirono a trovare delle deviazioni: non potevano perdere altro tempo, o sarebbero stati circondati.

«Tu lo sai… dove stiamo andando… vero?» ansimò Zabar, che aveva perso l’orientamento a causa delle continue deviazioni.

«Certo, siamo quasi arrivati» affermò Tenko prima di svoltare a destra.

Corsero per una decina di metri e si trovarono di nuovo sulla strada principale, proprio davanti a una delle porte della città. Ma non erano soli: l’ingresso era piantonato da un gruppo di guardie e la grata metallica era abbassata. Ben presto altri uomini si unirono ai colleghi per impedire loro la ritirata: non avevano vie di fuga.

«Questo… non era previsto…» esalò il chierico, il fiato corto per la lunga corsa.

«Benvenuto nel mio mondo» commentò Tenko.

I militari fecero un passo avanti, armi e bacchette in pugno.

«E adesso?» domandò Zabar.

La demone prese qualcosa da una tasca. «Cerca di non morire.»


Note dell’autore

Tenko e Zabar sono riusciti a prendere le bacchette polivalenti che volevano, purtroppo però la fuga è stata più problematica del previsto e ora sono circondati. L’intero corpo di guardia sembra si sia svegliato per dare loro la caccia.

Il lato positivo è che almeno i due demoni sono ancora insieme. Tenko ha temuto di perdere ancora una volta l’unica persona che le era vicina, e la cosa l’ha spaventata più di quanto sia disposta ad ammettere.

Il prossimo capitolo sarà ancora dedicato a Tenko e Zabar, e scopriremo se il nuovo piano (non morire) avrà successo.

A presto! ^.^


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Capitolo 20
*** 19. Il viaggio continua ***


19. Il viaggio continua

Zabar, terrorizzato dall’assembramento di guardie, cercò istintivamente di nascondersi dietro Tenko. In passato aveva già fatto ricerche pericolose, abbastanza da valergli una condanna a morte se fosse stato scoperto, ma non si era mai trovato in una situazione del genere. Non sapeva cosa fare.

«Gettate le armi!» ordinò il capo dei militari.

Il chierico era quasi tentato di dargli retta, ma la sua compagna non ebbe il minimo tentennamento. Da una tasca della cintura aveva preso una specie di rozzo contenitore di legno, abbastanza piccolo da starle in una mano. Ruotò una delle metà e dopo pochi istanti una barriera di energia avvolse i due demoni, come una cupola diafana.

Alcuni versi di sconcerto si diramarono tra le guardie.

«Wow…» esalò Zabar, chiaramente ammirato. «Che cos’è?»

«Non lo so» fu la schietta risposta di Tenko. «Me l’ha dato Chi-sai-tu: diceva che può creare scudi.»

«Beh, direi che funziona!»

«Ma non durerà per sempre. Tra quanto arriva?»

«Spero a momenti» affermò Zabar, adesso un po’ più fiducioso.

La giovane non si fece contagiare dall’ottimismo del chierico. «La speranza non è il mio forte.»

Nel frattempo i militari, dopo qualche momento di incertezza, vennero riportati all’ordine dal loro leader: «È solo uno scudo!» gridò con voce imperiosa. «Distruggetelo!»

Rinvigoriti dalle parole del capitano, i maghi cominciarono a scagliare incantesimi, mentre gli altri uomini si fecero avanti con le armi in pugno. La barriera incassò i primi colpi, ma ben presto il suo volume cominciò a ridursi. La superficie, dapprima limpida e fluida, si fece man mano più rada, incerta: stava cedendo.

«Arriva o no?!» imprecò Tenko, che già aveva sguainato la spada. Se doveva morire, l’avrebbe fatto combattendo.

«Sta arriva-»

La risposta di Zabar venne interrotta da un verso acuto, seguito da una raffica di vento che sbilanciò diverse guardie.

«Te lo dicevo che stava arrivando!» affermò il chierico, fiero del suo compagno pennuto.

«Alla buon’ora!» ribatté la giovane, molto meno entusiasta di quell’arrivo all’ultimo momento.

Il grifone si fece largo tra le guardie con dei potenti battiti d’ala, così forti da mettere in difficoltà anche gli uomini più robusti e pesantemente armati.

Tenko rinfoderò la spada. «Pronto?»

Zabar cercò di farsi coraggio con un rapido sospiro. «Servirebbe dire di no?»

La giovane ruotò nuovamente la metà del piccolo cilindro e lo scudo svanì di colpo. Il grifone atterrò davanti a loro e i due gli saltarono subito in groppa. In un attimo l’animale spiccò il volo e finalmente superarono le mura, diretti verso il cielo stellato e le sue due lune.

«Ti prego, non facciamolo mai più» ansimò il chierico, improvvisamente esausto. Ora che il terrore si era attenuato, il peso della fatica e della tensione avevano preso il sopravvento.

Tenko, decisamente più abituata a quelle situazioni “spiacevoli”, rimase concentrata sulla foresta. Il giorno prima uno dei servi di Icarus le aveva mostrato la posizione del secondo laboratorio: era situato in una grotta naturale, perfettamente nascosto tra la vegetazione, ma lei era convinta di riuscire a ritrovarlo senza problemi.

Zabar fece atterrare il grifone e i due demoni scesero a terra per proseguire a piedi. Di notte la foresta sembrava tranquilla, ma di tanto in tanto si udiva qualche leggero rumore; quasi sicuramente si trattava di piccoli animali: era improbabile che un grosso predatore vivesse così vicino a una grande città come Chalacyra.

La giovane si muoveva abbastanza sicura nonostante la poca luce, ma non era del tutto concentrata. Continuava a rimuginare su quanto successo in città, e sentiva il bisogno di dare voce ai suoi pensieri.

«Ehi…» iniziò in tono un po’ titubante. «Emh… Grazie.»

Zabar non capì. «Per cosa?»

«Per… beh… non esserti sacrificato… per me.»

«In che senso?» Poi si ricordò di quando, ancora nella città alta, le aveva detto di continuare a correre verso la grata. Lei sarebbe stata in grado di proseguire, ma lui non ce l’avrebbe mai fatta se non avesse usato la magia. «Non ti preoccupare, non ti lascerò. Starò con te fino alla fine.»

Tenko aggrottò la fronte. «Adesso non esagerare…»

Il viso di Zabar, da blu scuro, assunse una tonalità più viva. «No, io non intendevo…»

«Credo sia meglio finirla qui» affermò Tenko, anche lei imbarazzata. «Anzi, dimentica tutto. Dimenticalo.»

«Scusa, davvero, io non volevo…»

«Non farmelo ripetere» lo interruppe la demone in tono perentorio, quasi minaccioso.

Il chierico, intimorito, si zittì subito. A volte era davvero difficile parlare con Tenko.

La demone dal canto suo si chiuse nel silenzio e non aprì bocca fino a quando non raggiunsero la loro meta.

«Siamo arrivati» disse, lapidaria.

Zabar si guardò intorno senza capire. Davanti a loro si estendeva una parete rocciosa coperta di vegetazione, mentre ai lati e alle loro spalle si stagliavano i consueti alberi. «Davvero? Io non vedo niente…»

Tenko avanzò di qualche passo, scostò alcuni rampicanti e all’improvviso apparve uno stretto passaggio, grande appena il necessario a far passare una persona di corporatura robusta.

«Wow! È proprio vero che è nascosto bene!» riconobbe Zabar.

I due attraversarono il passaggio e si trovarono in una spaziosa grotta naturale. Alcune aperture in alto, forse artificiali, facevano passare la debole luce delle lune, rischiarando appena dei tavoli ingombri di fogli e artefatti di ogni forma e dimensione.

«Non ero mai stato qui» ammise il chierico, affascinato da quel luogo così carico di conoscenza, mistero e trasgressione.

Tenko non gli rispose. Mise giù il suo zaino e si sdraiò su uno spartano letto di foglie e pellicce. Si sentiva ancora in imbarazzo per ciò che aveva detto prima, quindi anche volendo non sarebbe riuscita a dire niente.

Zabar sbadigliò sonoramente, si liberò a sua volta della refurtiva e andò a sdraiarsi dalla parte opposta della grotta, sicuro che la giovane avrebbe apprezzato quel distacco. O forse no: ancora faticava a capire cosa le passava per la testa.

Sarebbe mai riuscito a entrare un po’ più in confidenza con lei? Non ebbe modo di rifletterci perché la stanchezza prese il sopravvento e cadde in un sonno calmo e profondo.

***

Quando Zabar aprì gli occhi, la caverna era avvolta da una luce tiepida e delicata. Ci mise qualche secondo per riconoscere il laboratorio di Icarus, e subito ne rimase nuovamente affascinato: la luce che penetrava dalle feritoie dava all’ambiente un’aura di mistero ancora più marcata e ogni congegno sembrava provenire da un mondo sconosciuto.

Dopo qualche secondo si rese conto di essere solo. In effetti l’alba sembrava passata da un pezzo, quindi non era strano che Tenko si fosse già svegliata. Andò verso l’uscita della caverna, scostò i rampicanti che celavano il passaggio, ma non osò andare oltre: sicuramente la demone sarebbe tornata a breve, e poi si erano accordati con Icarus di ritrovarsi lì. Non intendeva uscire e rischiare di perdersi, soprattutto se l’alternativa era poter dare un’occhiata al lavoro del faunomorfo.

Era ancora impegnato a guardarsi in giro quando un rumore di foglie smosse destò le sue orecchie da pipistrello. Subito si girò verso l’entrata e riconobbe Tenko.

Lei gli andò incontro e gli porse qualcosa: alcuni frutti di bosco.

«La colazione» gli disse senza nemmeno guardarlo negli occhi.

Lui li prese. «Ti ringrazio molto» rispose con un sorriso sincero. Probabilmente quello era il modo della giovane per essere gentile: un po’ rozzo, ma comunque apprezzato.

Zabar aveva ormai finito di mangiare quando dei nuovi rumori giunsero dall’esterno: questa volta si trattava di Icarus, che subito si congratulò con loro per il furto e la successiva fuga.

«Siete stati incredibili!» esclamò. «In realtà non vi ho visti, ma lo siete stati sicuramente dato che siete qui! Le avete prese? E il mio congegno ha funzionato? Quante guardie avete affrontato?»

«Una cosa per volta, amico mio» rispose Zabar, divertito dall’entusiasmo del faunomorfo. «Ecco le bacchette polivalenti: dovrebbero essere sufficienti.»

«Più che sufficienti!» confermò Icarus, felice come un bambino. «Come promesso, mi metto subito all’opera sulla frusta. Hai già scelto la bacchetta, mia cara?»

La demone annuì e gli porse l’artefatto: così come le bacchette normali, anche le bacchette polivalenti erano tutte diverse una dall’altra. In base alle caratteristiche del mostro da cui erano presi i materiali, la bacchetta poteva dare accesso a una gamma più o meno vasta di incantesimi. Essendo abituata a usare i fulmini, Tenko aveva scelto le migliori fra quelle che mantenevano questa caratteristica: una l’avrebbe tenuta come bacchetta vera e propria, e l’altra l’avrebbe integrata nella frusta.

«Ottima scelta. Sarà pronta in un attimo.»

Il faunomorfo si mise ad armeggiare con i suoi strumenti, smontò la bacchetta in questione e ne infilò il pezzo centrale all’interno dell’impugnatura della frusta. Sigillò accuratamente il tutto e poi porse l’arma alla legittima proprietaria.

«Ecco a te, mia cara» disse con tutta l’enfasi di cui un abile mercante come lui era capace, «la frusta polivalente

Questa volta Tenko non riuscì a celare la propria emozione e la sua mano tremò leggermente nello stringere la presa sul manico.

«Magari ci vorrà un po’ per prenderci la mano, ma ti assicurò che sentirai subito la differenza.»

La demone mosse l’arma lentamente, attenta a non colpire nulla, ma decisa a trarne le prime sensazioni. Dal punto di vista della mobilità non avvertiva particolari differenze, in compenso quando provò a farvi fluire un po’ di magia, la frusta si accese di un bagliore elettrico e cominciò a sprizzare piccole saette. Non si era mai sentita così estasiata, e la sua espressione ne era prova evidente.

Zabar sorrise davanti a una scena del genere: era bello sapere che, nonostante tutto quello che aveva passato, Tenko era ancora capace di emozionarsi e di provare una gioia sincera e profonda.

«Vorrei che restaste, ma immagino vorrete partire» disse Icarus.

«La verità sul mondo ci aspetta» confermò il chierico, impaziente di scoprire il segreto più importante della Storia.

«Beh, spero tornerete a trovarmi» affermò il faunomorfo. Porse loro una piccola sacca. «Intanto vi ho preparato qualche altro scudo portatile: sono sicuro che vi tornerà utile.»

«Grazie, sei un vero amico» rispose Zabar abbracciandolo. «A presto.»

«A presto. E portatemi qualche oggetto raro.»

«Contaci» annuì il chierico prima di uscire dalla caverna insieme a Tenko.

Raggiunsero una zona libera dagli alberi e chiamarono il grifone, che in poco tempo atterrò davanti a loro.

«Pronta a scoprire la verità sul mondo?» chiese Zabar, che adesso era il più eccitato.

Lei non si scompose: «Sono pronta a cambiarlo.»


Note dell’autore

Tenko e Zabar hanno rischiato grosso, ma grazie a un po’ d’aiuto sono riusciti a scappare dalla città. I congegni inventati da Icarus hanno sorpreso le guardie e perfino Zabar, mentre il fido grifone si è rivelato ancora una volta un alleato decisivo.

Giorno dopo giorno, il rapporto tra i due demoni sta cominciando a migliorare, tuttavia la giovane ha ancora qualche problema ha interagire con gli altri senza usare la frusta XD

A proposito di frusta, grazie alle bacchette polivalenti Tenko ha ottenuto un notevole power-up per la sua arma distintiva, che di sicuro non mancherà di rivelarsi utile.

Per i due demoni è giunto il momento di riprendere il viaggio alla scoperta della verità su Raémia, nel prossimo capitolo però torneremo da Persephone e Leonidas: la loro caccia agli eretici è solo all’inizio.

A presto! ^.^


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Capitolo 21
*** 20. Sulle tracce degli eretici ***


20. Sulle tracce degli eretici

Il cielo si era tinto di arancione e il sole era ormai in procinto di tramontare quando Persephone e Leonidas raggiunsero Chalacyra. I loro grifoni, stremati, atterrarono in uno spazio libero a ridosso delle mura e lasciarono scendere i loro cavalieri. Solo le città più grandi potevano vantare delle stalle adatte ai grossi volatili, quindi i due animali avrebbero riposato all’aperto.

Persephone prese il suo zaino e subito si diresse a passo spedito verso la porta più vicina. Leonidas la seguì in silenzio, l’espressione marziale, ma dentro di sé a regnare era l’indecisione. Ancora non era riuscito a parlare con la metarpia, e l’incontro con Tenko si faceva sempre più vicino. Doveva prendere una decisione, in una direzione o nell’altra.

Raggiunsero la porta e gli uomini di guardia li salutarono con fare un po’ rigido: non erano abituati a ricevere la visita di un’inquisitrice.

«Devo parlare subito con il vostro capo» affermò Persephone.

«Sissignora. Aleksios, fai strada all’inquisitrice» ordinò quello che doveva essere il leader del drappello.

«Sissignore» annuì una delle guardie. «Da questa parte, inquisitrice.»

«Un’altra cosa» proseguì la metarpia, «abbiamo lasciato i nostri grifoni qui vicino: avranno bisogno di cibo e acqua.»

«Sissignora. Provvederemo immediatamente.»

Lei annuì e insieme a Leonidas si accodò alla loro guida. La giovane guardia, forse emozionato dall’importanza del suo incarico, partì a passo spedito, incurante della differenza di altezza tra lui e l’inquisitrice. Persephone non disse nulla, ma data la sua bassa statura, dovette far scattare le sue gambe da uccello per riuscire a stare dietro al ragazzo.

Il lato positivo fu che in un attimo raggiunsero la caserma centrale della città. Date le dimensioni del centro abitato, l’incarico di mantenere l’ordine era stato assegnato a un capitano maggiore, che a sua volta si affidava a vari capitani incaricati di gestire i vari distretti. L’ufficiale, un imponente faunomorfo di tipo ariete, li accolse subito nel suo studio, onorato di ricevere la visita di un’inquisitrice.

«Sappiamo che in questa città si nasconde un’eretica» affermò Persephone. «Questo è il suo ritratto.»

Mostrò la pergamena al faunomorfo, che la prese per osservarla più da vicino.

«Sì, so bene di chi si tratta. Mi spiace, ma devo darvi una brutta notizia: la notte scorsa ha saccheggiato la canonica insieme a un complice. Hanno rubato molte bacchette e poi sono fuggiti su un grifone. Abbiamo fatto il possibile per fermarli, ma hanno usato un qualche congegno per creare una barriera.»

«Intendete una bacchetta?» chiese Leonidas, stupito.

«No. L’ho visto con i miei occhi: non ha evocato un incantesimo, lo ha… fatto e basta. Ha fatto qualcosa con quel congegno e l’incantesimo si è attivato.»

Il felidiano cercò lo sguardo di Persephone, ma anche lei era concentrata sul capire cosa fosse successo. Non si era mai sentito di un congegno capace di evocare automaticamente incantesimi.

«Avete visto dov’è andata?» domandò l’inquisitrice.

«Verso sud, ma li abbiamo persi di vista a causa del buio. In compenso questa mattina le sentinelle hanno visto un grifone che è decollato dalla foresta e si è diretto sempre verso sud. Una sentinella ha detto di aver visto delle persone sul suo dorso, con ogni probabilità si tratta dell’eretica e del suo complice.»

Il primo pensiero di Leonidas fu quello di studiare un piano, poi però si ricordò che non era lui ad avere il comando. «Cosa facciamo, Persephone?»

«L’eretica ha una giornata di vantaggio. Fosse per me partirei immediatamente, ma i nostri grifoni non ce la farebbero. Partiremo domani.»

Il felidiano non ebbe nulla da obiettare: era lo stesso ragionamento che avrebbe seguito lui. «Sissignora.»

«Se lo desiderate, sarò felice di ospitarvi a casa mia» si offrì il maggiore. «Ho un paio di stanze degli ospiti, posso dire a mia moglie di prepararle per voi.»

«Vi ringrazio per la generosità, ma dobbiamo partire prima dell’alba» ribatté la metarpia. «Se possibile, vorrei usare la mensa e un paio di brande della caserma.»

L’uomo cercò di nascondere il proprio dispiacere. «Ma certo, come preferite. Darò disposizioni per farvi avere il vino e le brande migliori. Se volete, vi posso accompagnare alla mensa.»

Persephone annuì. «Certo, vi ringrazio.»

Il faunomorfo di tipo ariete fece strada con passo deciso, approfittando del tempo per spiegare come l’eretica li avesse colti di sorpresa e che, in situazioni normali, sarebbero riusciti a catturarla senza alcun problema. Li informò che i due fuorilegge avevano ucciso una guardia, ma che tutti gli altri uomini erano regolarmente al loro posto per prestare servizio.

«Eccoci» disse infine mostrando uno dei tavoli della mensa, apparentemente il più pulito. «Vi faccio portare subito la cena.»

«Siete molto gentile, grazie» rispose Persephone prima di sedersi.

Appena il maggiore si allontanò, tra Leonidas e la metarpia calò il consueto silenzio. Il felidiano ormai sapeva che la sua compagna di viaggio non avrebbe aperto bocca, così si fece coraggio: «Perdonatemi, posso farvi una domanda?»

«Prego» rispose lei con un leggero cenno del capo.

Lui si schiarì la voce. «Che… idea vi siete fatta dell’eretica?»

L’inquisitrice si concesse qualche istante per riflettere. «Sappiamo che ha un complice e che ha rubato delle bacchette. Dobbiamo sbrigarci a fermarla, o la situazione potrebbe degenerare.»

Leonidas annuì, pensieroso.

«E tu?» proseguì Persephone. «Conosci l’eretica meglio di me: che idea ti sei fatto?»

Il felidiano esitò un attimo. Era la sua occasione per ammorbidire la posizione dell’inquisitrice, ma non poteva forzare la mano. «Posso parlare liberamente?»

L’inquisitrice fece un cenno d’assenso.

«In breve, lei è una persona piena di rabbia. Ha sofferto molto, e in parte per colpa del Clero. Ovviamente non voglio criticare gli dei, ma credo che alcuni sacerdoti non abbiano… svolto il loro compito al meglio. Sono d’accordo con voi che sia una minaccia, ma credo che sia ancora possibile redimerla.»

«Come?» gli chiese lei. La sua risposta era stata gelida, ma il suo sguardo non era accusatorio.

Di nuovo Leonidas tentennò per qualche istante. «Forse potrei provare a parlare con lei. Potrei convincerla a pentirsi dei suoi peccati.»

«Perché? Perché vuoi farlo?»

Il felidiano abbassò lo sguardo. «Quando era prigioniera a Milegos, lei mi ha chiesto aiuto. Non per fuggire, ma per… per evitare le… insomma… le attenzioni eccessive di Padre Palladios. Io mi sono rifiutato, e purtroppo è successo quello che è successo. Mi sento in colpa, inquisitrice.»

«Per Padre Palladios o per l’eretica?»

Leonidas non seppe cosa rispondere. Lo sguardo di Persephone adesso era indecifrabile: qualsiasi risposta avrebbe potuto costargli la vita.

«Per entrambi» disse infine, sperando di non ricevere una condanna a morte immediata. Lei era un’inquisitrice, aveva il potere di giustiziare chiunque ritenesse opportuno.

La metarpia rimase in silenzio. I suoi occhi gialli non lasciavano trasparire la benché minima emozione: stava davvero decidendo se farlo giustiziare? «Ti avevo detto che potevi parlare liberamente» esalò, fredda come una lama. «Non era necessario mentire.»

Il felidiano, ammutolito, non si accorse nemmeno dei servitori che gli stavano servendo la cena.

«Sbrigati a mangiare» gli disse Persephone dopo aver mandato giù il primo boccone. «Voglio partire prima dell’alba.»

Solo allora Leonidas si rese conto di avere davanti un lussuoso pollo arrosto ripieno, un bel pezzo di pane bianco, una ciotola di frutta e un boccale di vino. Con un gesto meccanico strappò un pezzo di carne. «Agl’ordini, inquisitrice.»

***

Il sole non era ancora sorto quando Leonidas e Persephone salirono in groppa ai loro grifoni. I due volatili, adeguatamente rifocillati e riposati, spiccarono subito il volo verso sud, dove presumibilmente si erano diretti anche i loro bersagli. Le probabilità di successo sembravano infinitesime, ma non avevano nessuna alternativa valida e non potevano tornare indietro a mani vuote.

Dopo due giorni di viaggio, Leonidas cominciò a pensare che forse non avrebbero mai raggiunto Tenko e il suo complice. Da una parte questo lo faceva sentire sollevato, dall’altra però era preoccupato: se la loro missione si fosse rivelata un fallimento, gli dei avrebbero potuto mandare più uomini, gente che considerava la demone una minaccia da estirpare quanto prima.

In realtà non sapeva nemmeno cosa Persephone pensasse di Tenko. Dopo la loro discussione nella mensa non avevano più toccato l’argomento, anzi non avevano quasi più parlato. Questo lo preoccupava: forse l’inquisitrice intendeva denunciarlo una volta conclusa la missione?

Verso il tardo pomeriggio la metarpia gli fece segno di atterrare. La cosa lo stupì: fino a quel momento avevano viaggiato a tappe forzate per cercare di ridurre lo svantaggio, dunque perché fermarsi?

Leonidas tirò le redini inferiori per indurre il suo grifone a scendere di quota e, una volta a terra, andò dall’inquisitrice.

«È successo qualcosa, Persephone?»

«Ho avvistato un grifone a sud della nostra posizione; mi è sembrato ci fosse qualcuno sulla sua groppa, in più è atterrato vicino a un villaggio: sono sicura che si tratti dell’eretica e del suo complice. Puoi usare il pendente per controllare?»

Leonidas non aveva visto niente di simile, ma questo non lo stupì: la vista delle metarpie superava di gran lunga quella di tutti gli altri faunomorfi. Secondo i più era addirittura migliore di quella degli elfi. Prese l’artefatto con il frammento di vestito di Tenko e lo studiò con attenzione. Il piccolo oggetto sembrava inerte, poi però ebbe una leggera oscillazione proprio verso sud.

«Avete ragione, siamo vicini.»

«Ottimo. Il villaggio dista poche ore di volo, possiamo raggiungerli. Ora però dobbiamo riposare: se i nostri grifoni sono stanchi e loro fuggono, non avremo modo di inseguirli.»

«Sissignora» annuì il felidiano, serio e marziale come sempre. «Volete che prepari la cena?»

«Sì, grazie.»

La guardia fece un cenno d’assenso e si voltò per andare a prendere le provviste. Il capitano maggiore di Chalacyra aveva fatto avere loro scorte sufficienti per diversi giorni, quindi non dovevano preoccuparsi di cercare cibo per loro o per i grifoni.

«Un’altra cosa» lo chiamò Persephone. «In genere non mi piace usare la violenza, quindi, se l’eretica e il suo complice si arrenderanno, non farò loro alcun male.»

Una simile notizia avrebbe dovuto sollevare il morale a Leonidas, ma lui sapeva che Tenko non si sarebbe arresa. Non dopo ciò che aveva subito. «E se non si arrenderanno?»

Lei non si scompose. «Farò tutto il necessario per catturarli.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Persephone e Leonidas sono arrivati a Chalacyra, ma ormai Tenko e Zabar erano già lontani. Il comandante ha rivelato loro del congegno creato da Icarus, e perfino l’inquisitrice è rimasta colpita. In ogni caso per lei e Leonidas quello è solo un motivo in più per trovare in fretta i due fuggitivi.

Approfittando della pausa, il felidiano ha provato a “sondare il terreno” con Persephone, ma il suo tentativo non è andato particolarmente bene. Se non altro lei non sembrava intenzionata a punirlo per le sue parole… almeno per ora.

Alla fine i due soldati del Clero sono riusciti ad avvistare Tenko e Zabar, segno che ormai il loro incontro è imminente. E di certo non sarà un incontro amichevole.

Il prossimo capitolo uscirà come sempre tra un paio di settimane.

A presto! ^.^


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Capitolo 22
*** 21. Faccia a faccia ***


21. Faccia a faccia

Era quasi l’alba e Zabar stava osservando il piccolo fuoco davanti a lui. Il tepore delle fiamme attenuava il freddo pungente, ma il clima non era più un problema: la sera prima lui e Tenko avevano acquistato dei vestiti pesanti, indispensabili per sopravvivere nel gelido sud.

Il completo del chierico era relativamente semplice, ricavato dalla pelliccia di alcuni animali della zona, quello della sua compagna di viaggio invece era molto più performante. La demone lo aveva costretto a girare tutti i mercanti del vicino villaggio prima di scegliere, e alla fine aveva optato per uno dei prodotti più costosi, ricavato dai resti di un mostro raro. Per fortuna Icarus aveva dato loro un bel po’ di soldi, altrimenti non se lo sarebbero mai potuti permettere. Avevano anche fatto scorta di provviste, così da essere pronti ad affrontare le inevitabili avversità.

Ben presto si sarebbero lasciati alle spalle l’ultima propaggine di civiltà e avrebbero fatto rotta verso l’ignoto. L’idea lo spaventava, ma allo stesso tempo lo eccitava: era impaziente di scoprire quali segreti erano celati in quei territori impervi, dove nessuno osava avventurarsi.

Una strana sensazione, improvvisa, lo destò dalla monotonia della guardia. Qualcuno – o qualcosa – si stava avvicinando: qualcuno dotato di enormi poteri magici.

Con movimenti lenti e guardinghi si avvicinò a Tenko. «Ehi, svegliati.» La scosse leggermente. «Credo ci sia qualcuno.»

Lei aprì subito gli occhi, un lampo ferino ad attraversarle le iridi rosa, ma per fortuna di Zabar riuscì a trattenere la spada. I suoi incubi non avevano smesso di tormentarla – probabilmente non lo avrebbero fatto mai – ma almeno adesso riusciva a confinarli nel mondo dei sogni.

«Dobbiamo andare?» mugugnò, intorpidita e infastidita dai primi raggi del sole.

«Sta arrivando qualcosa» ripeté il chierico, in allerta. «Qualcosa con la magia. Ed è molto potente.»

Tenko preparò spada e bacchetta e si stiracchiò per risvegliare i muscoli. «Da che parte?»

«Di là» rispose Zabar indicando un punto in alto, verso le chiome degli alberi. «Aspetta, credo siano più di uno.»

«Chiama il grifone» ordinò la demone.

Dato l’ambiente ostile che avrebbero incontrato nel proseguo del loro viaggio, i due avevano deciso di lasciare all’animale il tempo di andare a caccia e recuperare le energie: anche la loro cavalcatura doveva essere in forma se volevano sopravvivere.

All’improvviso delle vigorose folate di vento li investirono, mettendo a dura prova la tenuta del loro piccolo fuoco.

«Grifoni selvatici?» chiese Tenko, pronta a combattere.

Zabar scosse il capo, atterrito. «Peggio: inquisitori. Dobbiamo andarcene.»

La demone stava per ribattere, decisa a testare la sua bacchetta polivalente, ma un incantesimo la anticipò: una barriera circondò la piccola radura in cui si trovavano, negando loro ogni possibilità di fuga. Subito dopo un leggero crepitio destò la loro attenzione. Quasi subito individuarono un bagliore nel cielo: una freccia carica di elettricità che si conficcò nel terreno a pochi passi da loro. Una raffica di saette esplose dal proiettile, ma Zabar fu rapido a neutralizzare l’attacco.

Il vorticare del vento si fece più forte e due persone si lasciarono cadere nella radura: un uomo armato di arco e frecce e una donna dai capelli azzurri. Gli abiti del primo suggerivano fosse una guardia, l’uniforme della seconda invece la identificava come un’inquisitrice.

I due demoni indietreggiarono istintivamente, pronti alla battaglia.

La donna, una minuta metarpia, li scrutò con i suoi gelidi occhi gialli, dopodiché fece un cenno con la mano al suo compagno, come a dargli il suo assenso ad agire.

L’uomo, un felidiano di tipo leone, abbassò le armi e fece un passo avanti. «Tenko, mi riconosci?»

Lei, stupita, lo osservò con più attenzione.

«Sono Leonidas Cardea. Ci siamo conosciuti a Milegos.»

Il viso della demone, da confuso, si trasformò in un ringhio furioso.

«Ti prego, aspetta. Capisco che sei arrabbia, ma lasc-»

Il fulmine colpì con potenza inudita. La folgore illuminò l’intera foresta, accompagnata dal roboante fragore di un tuono. Leonidas venne sparato all’indietro e sbatté contro la barriera. Cadde a terra, il corpo e l’uniforme annerite, immobile.

Persephone ruotò a malapena il capo, lanciando uno sguardo impassibile al suo compagno di viaggio. Nonostante il devastante attacco, percepiva ancora vita dentro di lui: si era salvato, probabilmente grazie alla benedizione di Susanoo, dio delle tempeste e dei fulmini.

Tenko andò verso Leonidas, la spada in pugno e lo sguardo assassino. Non aveva potuto ucciderlo in passato: non avrebbe sprecato quell’occasione. Era convinta ad andare fino in fondo, ma un’altra barriera le sbarrò la strada.

«Tenko Br’rado» iniziò la metarpia con voce risoluta, «sono l’inquisitrice Persephone Sialia. Ordino a te e al tuo complice di gettare le armi e arrendervi immediatamente.»

La demone avvertì un certo disappunto per l’errore di pronuncia della donna, che aveva storpiato il suo cognome in “brado”, ma questo era niente in confronto al misto di rabbia e disprezzo che ribolliva dentro di lei. Solo in quel momento si accorse di essere a meno di tre metri dalla metarpia. Non poteva farsi scappare quell’occasione: sollevò la bacchetta e scatenò un altro fulmine. Persephone non si mosse: una barriera la avvolse e l’incantesimo della demone venne completamente neutralizzato.

«Non lo ripeterò un’altra volta» la ammonì l’inquisitrice.

«E allora taci!» le gridò Tenko. «Zabar!»

Il chierico, ancora spaventato, si riscosse di colpo. Doveva aiutare la sua compagna: le loro speranze di vittoria erano quasi nulle, ma forse insieme sarebbero riusciti a crearsi una via di fuga.

Si focalizzò sulla loro avversaria e cercò di sincronizzarsi con la magia difensiva della donna. Scagliò un contro incantesimo e lo scudo dell’inquisitrice si riempì di crepe. Un velo di stupore incrinò l’impassibilità di Persephone. Tenko ne approfittò e colpì con un fendente. La barriera andò in pezzi, costringendo l’inquisitrice a indietreggiare. La metarpia impugnò la sua spada, appena in tempo per bloccare quella della demone. Tenko caricò la bacchetta, ma Persephone riuscì ad anticiparla con un colpo di luce. La demone cadde a terra, abbagliata. Zabar agì subito: lanciò uno dei congegni di Icarus e una cupola avvolse la sua compagna.

Persephone indietreggiò di qualche passo. Capì che quello era il dispositivo usato dagli eretici a Chalacyra, e si trovò ad ammettere che vederlo in azione era sorprendente. Non poteva lasciare una simile tecnologia nelle mani degli eretici.

Fintanto che la cupola era attiva, decise di concentrarsi su Zabar. Evocò una barriera per proteggersi da un incantesimo del chierico e scagliò un raggio di luce compressa. Il demone fu rapido a difendersi, ma accusò comunque il colpo: la parte del corpo esposta gli bruciava per il calore, ma soprattutto era completamente abbagliato.

La cupola che proteggeva Tenko si dissolse e la demone, che aveva recuperato dall’attacco subito, scagliò un nuovo incantesimo. Persephone si aspettava un fulmine ed evocò uno scudo, ma questa volta l’attacco arrivò dal basso: la terra espose sotto i suoi piedi e una raffica di rocce la investì in pieno, scalfendo la sua uniforme e lacerando il suo mantello.

La demone, forte della sua bacchetta polivalente, cominciò a pregustare il sapore della vittoria. Stava tenendo testa a un’inquisitrice, ma voleva di più: voleva la sua vita.

Persephone, che nonostante tutto non aveva accusato ferite gravi, si liberò del mantello. Aveva abbassato la guardia, ma non avrebbe commesso di nuovo lo stesso errore. Caricò l’energia luminosa nella mano sinistra e la scatenò contro Tenko. La demone rispose con un raggio di elettricità. I due attacchi si scontrarono con forza terrificante, inondando di luce l’intera foresta. Un inferno di calore e saette incenerì l’erba, mentre le due magie cercavano di prevalere una sull’altra.

Zabar, recuperata la vista, capì che Tenko stava combattendo egregiamente, ma non avrebbe potuto vincere. Si concentrò, preparando un nuovo incantesimo. Il suo attacco fu improvviso, diretto non al corpo dell’inquisitrice, ma alla sua mente: doveva stordirla, renderla inoffensiva per il tempo necessario a salire sul grifone e darsi alla fuga.

Persephone, già provata per il duello con Tenko, accusò il colpo. Il suo raggio di luce perse potenza e il fulmine della demone cominciò a guadagnare terreno. Strinse i denti: lei era un’inquisitrice, l’incarnazione della potenza di Horus: la sconfitta non era un’opzione. Invocò i poteri del suo dio e la magia esplose dentro di lei. L’attacco mentale venne sbaragliato con forza accecante e il raggio di luce divenne un torrente impetuoso. Il fulmine di Tenko venne divelto e l’incantesimo centrò in pieno la demone: solo i suoi abiti pesanti, ricavati da un raro e potente mostro, le salvarono la vita.

La metarpia rimase immobile per alcuni lunghi secondi, ansimante. L’erba della radura era completamente bruciata, i tronchi anneriti. Nubi scure si stavano addensando in cielo, ma in quel momento era lei stessa a brillare, un bagliore così intenso da rischiarare l’intera zona.

Con passo misurato avanzò verso Tenko, impassibile. Una pioggia leggera cominciò a scendere dal cielo e aliti di vento presero a soffiare per la foresta, sempre più intensi.

Persephone osservò la demone, rannicchiata a carponi per terra. Individuò sia la spada che la bacchetta, entrambe ad alcuni metri di distanza.

«Arrenditi» le ordinò. «È finita.»

Tenko serrò i denti. Si voltò di scatto e la sua frusta elettrificata colpì la mano della metarpia. L’inquisitrice, seppur colta di sorpresa, non lasciò andare la sua arma. La demone colpì ancora, questa volta avvolgendo la frusta intorno alla caviglia dell’avversaria. Tirò con forza, riuscendo a farla cadere. Scattò verso la bacchetta, ma sbatté contro una barriera. Non fece in tempo a voltarsi che un globo di luce esplose contro di lei, scaraventandola a terra. Tutto il corpo le doleva, non riusciva ad alzarsi. Sentiva la pioggia e il vento sempre più forti, poi i passi della metarpia. Era davvero finita?

Le gambe da uccello di Persephone apparvero nel suo campo visivo. «Alzati» le ordinò, ancora avvolta nel suo sontuoso bagliore. Con un calcio aveva allontanato la frusta, lasciando la demone disarmata.

Tenko si mise carponi. Era stordita e dolorante, ma non si sarebbe arresa. Spostò il peso sulle gambe, lentamente, avvicinando la mano destra allo stivale.

Persephone la prese per il bavero. «Muoviti!»

La demone digrignò i denti. «Se mi vuoi, dovrai uccidermi!» Afferrò il pugnale che teneva nascosto e scattò in piedi. Si liberò dalla metarpia e caricò il colpo. Avrebbe voluto mirare al collo, ma era talmente abituata a combattere uomini più grossi di lei che finì per puntare troppo in alto. L’inquisitrice si riparò d’istinto, ma non fu abbastanza rapida: la lama si conficcò nell’occhio sinistro, facendola urlare di dolore. Tenko provò ad affondare il colpo, ma l’altra rispose con un fendente disperato che costrinse la demone a indietreggiare.

Approfittando della situazione, Zabar provò di nuovo l’incantesimo mentale. L’inquisitrice, già provata dal dolore straziante, non riuscì a difendersi dall’attacco improvviso e cadde in ginocchio, la mano ancora premuta sulla ferita. Il suo bagliore non si era attenuato, eppure adesso sembrava quasi impotente.

Tenko capì che quella era la sua occasione: poteva reclamare la testa di un’inquisitrice. Con venefico piacere avanzò verso di lei, pronta a tagliarle la gola con il suo pugnale. L’avrebbe uccisa, avrebbe vendicato i suoi compagni e avrebbe dimostrato a tutti – anche a sé stessa – che la sua non era una battaglia persa in partenza.

Era pronta a colpire, ma qualcosa dentro di lei la fece esitare. Per un attimo le sembrò di rivedere sé stessa, ferita e impotente, e tanto bastò alla metarpia per evocare una nuova barriera. Tenko, incredula, la colpì con il pugnale, ma fu tutto inutile. Quello scudo l’avvolgeva come un bozzolo diafano, un guscio all’apparenza fragilissimo che però nessuno sarebbe riuscito a superare.

La demone gridò di rabbia e sferrò un pugno colmo d’ira. Perché aveva esitato?! Perché non l’aveva uccisa quando ne aveva avuto la possibilità?!

Qualcuno la prese per un braccio. «Dobbiamo andarcene!» le gridò Zabar per superare il fragore del vento. «Sta arrivando una tempesta!»

Lei lo spinse via. «No! Devo ucciderla!»

«Non riusciremo a superare quella barriera!» ribatté Zabar. «Andiamocene, finché possiamo!»

Tenko sentiva la brama di sangue che le gridava di restare, il ricordo dei suoi amici massacrati reclamava vendetta, ma qualcosa dentro di lei la convinse a cedere. «Va bene. Andiamo.»

Recuperò in fretta le sue armi e il chierico chiamò il grifone. In un attimo l’animale li raggiunse, loro gli salirono in groppa e con un balzo furono in cielo. Con le sue ali possenti la creatura combatté contro il vento fortissimo, riuscendo non senza fatica a sfuggire a una tromba d’aria in rapido avvicinamento.

Leonidas, ancora stordito per l’attacco iniziale, riuscì solo a vederli mentre si allontanavano, svanendo nella tempesta. Avevano fallito, lui soprattutto, ma in quel momento la sua unica preoccupazione era Persephone. A fatica si alzò e andò da lei. La metarpia era ancora in ginocchio, immobile, lo sguardo perso sulla mano sinistra sporca di sangue.

«Persephone… state bene?»

L’inquisitrice dissolse la barriera e la pioggia la inondò. Nonostante il dolore atroce, provò ad aprire l’occhio ferito. Si sforzò di dischiudere la palpebra, ma con orrore scoprì che il suo campo visivo era ugualmente dimezzato. Avrebbe perso la vista per sempre?

La paura si fece strada dentro di lei, minacciando di paralizzarla. Le emozioni stavano avendo la meglio, così si sforzò di reprimerle: gli inquisitori non vacillano mai.

Senza dire nulla si alzò in piedi e si voltò dalla parte opposta al felidiano, verso la tromba d’aria sempre più vicina.

Leonidas, confuso, continuò a fissarla. «Persephone? Che succede? Cosa sta succedendo?»

«Non lo so» ammise lei. «Sei tu devoto a Susanoo.»

La metarpia aveva ragione. Quel cataclisma era senza dubbio opera del dio delle tempeste, lui era l’unico dotato di un simile potere. Eppure la guardia non riusciva a percepire la presenza del suo dio. Non lo avvertiva nelle nubi, né nella pioggia, né nel vento. Non capiva.

«Ma voi? Siete ferita. E gli eretici?»

Lei si voltò verso di lui, fissandolo con l’unico occhio rimasto. Il sinistro, chiuso, era attraversato da un profondo taglio da cui ancora colava il sangue. «Li prenderemo» gli assicurò, ancora più glaciale del solito. «Ora però dobbiamo proteggere il villaggio. E comunque i nostri grifoni non possono volare con questo vento.»

Leonidas avvertì un fremito di paura, ma la sua indole marziale lo mantenne dritto e composto. «Sì, Persephone.»

Salvare gli abitanti del vicino villaggio aveva la priorità al momento, tuttavia, passata la tromba d’aria, niente avrebbe trattenuto l’inquisitrice. E la forza con cui stringeva la sua spada lasciava pochi dubbi su ciò che provava realmente.

Tenko e il suo compagno potevano scappare, potevano nascondersi, ma niente poteva più proteggerli. La metarpia li avrebbe trovati e la scure della giustizia si sarebbe abbattuta su di loro.


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Siamo finalmente arrivati all’atteso faccia a faccia tra le due coppie di personaggi.

Tenko e Persephone hanno dato fondo alle loro capacità, ma alla fine nessuna delle due è riuscita a prevalere. Di sicuro Persephone è quella che ne è uscita peggio: non solo non ha tenuto fede ai suoi compiti di inquisitrice, ma ha anche perso l’occhio sinistro.

Nonostante tutto, la metarpia non intende arrendersi. Grazie alla misteriosa tempesta, Tenko e Zabar sono riusciti a fuggire, ma presto o tardi dovranno affrontare di nuovo Persephone. E la prossima volta non ci sarà spazio per gli avvertimenti.

Come d’abitudine, il prossimo capitolo uscirà tra due settimane.

A presto! ^.^


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Capitolo 23
*** 22. Il gelido sud ***


22. Il gelido sud

Il sole splendeva nel cielo terso, ma il vento gelido faceva quasi battere i denti a Tenko e Zabar. Per fortuna il grifone non sembrava accusare troppo quel clima rigido e continuava a librarsi con eleganza sopra la foresta, rapido e silenzioso.

«Vedi niente?» chiese la demone. Stavano volando da ore e il terreno sotto di loro si stava tingendo sempre più del bianco della neve.

«No, niente» rispose il chierico. «Continuiamo a…»

Un terrificante ruggito fece trasalire i due demoni, perfino il grifone ebbe un sussulto. Tutti e tre si voltarono nella medesima direzione: una creatura era spuntata da chissà dove e stava volando dritto verso di loro. Sembrava un grifone, ma invece del becco aveva delle minacciose fauci da mammifero. Era grande almeno quanto l’animale domato da Zabar ed era pronto a combattere per difendere il suo territorio.

Tenko portò subito una mano alla bacchetta. «Lo affrontiamo?»

«No, dobbiamo evitare scontri inutili. Se il nostro grifone viene ferito, siamo spacciati.»

Il chierico fece fare dietrofront alla loro cavalcatura, che con dei possenti battiti d’ala si allontanò dalla minaccia. L’altro animale li inseguì per qualche centinaio di metri, poi lanciò un fragoroso ruggito di vittoria e li lasciò perdere.

Zabar fece allontanare ancora un po’ il loro grifone, dopodiché lo lasciò atterrare su una conformazione rocciosa. Lui e Tenko scesero dall’animale, così da lasciarlo riposare un po’ mentre loro pianificavano le prossime mosse.

«Che facciamo?» iniziò la demone. «Lo aggiriamo o andiamo avanti? Con la bacchetta polivalente dovrei riuscire a tenerlo a distanza.»

«No, cerchiamo di stargli alla larga.» Dopo un attimo proseguì: «In realtà non so quanto sia grande il suo territorio, quindi meglio essere pronti a combattere.»

«Il posto che cerchiamo potrebbe essere nel suo territorio?»

Zabar si strinse nelle spalle. «Forse. Non lo so.» Attese qualche momento. «Secondo me siamo ancora troppo vicini, dobbiamo andare più a sud. Il fatto è che… Te l’ho detto, potrebbero essere ovunque.»

D’istinto abbassò la testa tra le spalle, aspettandosi un’accesa imprecazione da parte di Tenko. Invece la demone non si scompose. «Dobbiamo restringere il campo in qualche modo. E poi da lassù non vedo quasi niente: se si nascondono sotto gli alberi non li troveremo mai.»

Zabar si fece pensieroso. «Lo so, ma è la nostra unica possibilità. Se andassimo a piedi ci vorrebbe una vita.»

Tenko osservò il loro grifone, impegnato a pulirsi le penne. «Se ci dividessimo potremmo guadagnare tempo.»

Il chierico le lanciò uno sguardo di sbieco. «Ho un brutto presentimento…»

«Con due grifoni potremmo perlustrare una zona molto più ampia» ribadì la demone.

«Su questo hai ragione, ma non posso controllarne due contemporaneamente. È impossibile, tanto più se ci allontaniamo.»

«Allora insegnami.»

«Non è questione di imparare. Ci vuole predisposizione, e tu non sei una maga. Mi spiace.»

Tenko non nascose il suo dispiacere. «Sì, lo immaginavo.»

Zabar comprendeva lo stato d’animo della sua compagna: in passato anche lui era stato costretto a rinunciare a molti incantesimi per cui non era portato. Poi però un’altra idea gli risollevò il morale: «Aspetta, su un’altra cosa hai ragione: da lassù noi non vediamo gran che, invece il nostro amico riuscirebbe a distinguere un cinghiale a chilometri di distanza.»

«E quindi?»

«Se riuscissi a condividere il suo campo visivo…» Il chierico tirò fuori il suo grimorio e, senza smettere di parlottare tra sé, cominciò a sfogliare le pagine ingiallite, piene di scritte e simboli.

Tenko lo osservò per un po’, poi sollevò le braccia in segno di resa: quando Zabar faceva così era inutile cercare di distrarlo. «Io vado a pisciare, tu cerca di non farti sbranare.»

Il chierico era totalmente concentrato sul suo tomo che ci mise diversi secondi per riuscire ad elaborare un vago mugugno d’assenso.

Soddisfatti i suoi bisogni fisiologici, la demone tornò sui suoi passi e trovò Zabar accanto al grifone, una mano appoggiata al robusto collo dell’animale. Aveva gli occhi chiusi e sembrava molto concentrato, così la giovane decise di restare in silenzio e di fare un po’ di stretching.

Il suo nuovo completo, sebbene fosse più spesso della sua uniforme modificata, riusciva a seguirla in ogni movimento, e anche le cuciture parevano di ottima fattura. Non a caso le era costato una piccola fortuna.

Ben presto però la sua concentrazione scemò e si ritrovò a pensare a Leonidas e all’inquisitrice. Durante il volo il ricordo della metarpia l’aveva tormentata, riaffacciandosi nella sua mente con fastidiosa insistenza. Non rinnegava le sue azioni, aveva combattuto per la sua libertà, eppure non poteva evitare di sentirsi un po’ in colpa per ciò che le aveva fatto. E lo stesso valeva per Leonidas: come al solito si era fatta accecare dalla rabbia e non gli aveva dato nemmeno il tempo di parlare.

Per l’ennesima volta cercò di scacciare quei pensieri: la pietà per il nemico era l’ultima cosa di cui aveva bisogno. Quei due erano uomini del Clero: non doveva considerarli persone, ma ostacoli da superare con ogni mezzo possibile.

A proposito di ostacoli, l’improvvisa tromba della notte prima restava un totale mistero per lei così come per Zabar. Perché gli dei avrebbero dovuto mandarla? Di sicuro l’ultima cosa che volevano era aiutarli a fuggire.

«Sì!» esclamò il chierico all’improvviso, cogliendola di sorpresa. «Funziona! Visto? Lo dicevo che siamo un’ottima squadra!»

Tenko gli si avvicinò. «Parli con me o col pennuto?»

Il chierico esitò un istante. «Con… tutti e due. Il punto è che avevi ragione: dall’alto non possiamo vedere molto, così ho pensato: “e se riuscissi a condividere il campo visivo del grifone?” Eureka! Ora sarà una passeggiata trovare le popolazioni che vivono quaggiù!»

La notizia fu una ventata di buon umore anche per Tenko, tuttavia la demone sapeva che il suo compagno di viaggio tendeva a entusiasmarsi troppo presto. «Bene. Possiamo ripartire allora.»

«Certo!» confermò Zabar. Poi si corresse: «Anzi no, prima devo pisciare anch’io.»

Una volta che il chierico ebbe liberato la vescica, i due demoni salirono in groppa al grifone e spiccarono il volo. Zabar evocò l’incantesimo scritto nel suo grimorio, chiuse gli occhi e nella sua mente affiorarono le immagini della foresta. La precisione dei dettagli era impressionante, riusciva perfino a distinguere il passaggio degli animali sotto la distesa di conifere. Ora non avrebbe avuto problemi a riconoscere ciò che gli interessava, era solo questione di tempo, ne era convinto. Molto presto avrebbe potuto stringere la mano alle popolazioni che da generazioni si nascondevano in quel luogo gelido e inesplorato!

Tre giorni dopo l’entusiasmo del demone era scemato quasi completamente. Avevano setacciato l’area in lungo e in largo, volando sopra montagne e foreste, incuranti del clima sempre più rigido. Erano scampati all’attacco di almeno cinque draghidi, e un paio di volte erano stati costretti a sfoderare le bacchette per difendersi. Ma delle fantomatiche popolazioni del sud, ancora nessuna traccia.

Tenko, stretta a lui per cercare di trattenere un po’ di calore, non era più tanto convinta di voler continuare quella ricerca.

«Fa sempre più freddo, e gli animali si fanno sempre più aggressivi» gli aveva fatto notare la sera prima. «Anche il pennuto ha freddo. Se non troviamo qualcosa nei prossimi due giorni, torniamo indietro.»

Zabar, suo malgrado, era stato costretto ad accettare. L’inverno era alle porte, non potevano rischiare di rimanere bloccati lì a causa di una nevicata. Aveva visto quali creature si annidavano nella foresta, e non aveva nessuna intenzione di trovarsele davanti.

Dopo quasi un’ora di infruttuosa ricerca, finalmente qualcosa catturò la sua attenzione.

«Forse ho visto qualcosa!» esclamò a gran voce.

Chiese al grifone di avvicinarsi e intanto continuò a guardare attraverso gli occhi dell’animale, sperando di trovare conferma al suo sospetto. Per alcuni interminabili secondi non vide nulla, solo aghifoglie, poi riconobbe una pelliccia. Era un indizio vago, ma era sicuro che ci fosse dell’altro. Ne vide un’altra, leggermente più scura, e poi altre due. Poi finalmente i suoi sospetti trovarono conferma: una di quelle creature stringeva una lancia. Tutti i membri del gruppo avevano la postura eretta, e anche gli altri sembravano disporre di armi. Riuscì perfino a distinguere un paio di archi.

«Li ho trovati!» esclamò per superare i fischi del vento. «Sono loro! Sono sicuramente loro! È fantastico! Riesci a immaginare le implicazioni di questa scoperta?!»

«Le cosa?» ribatté Tenko.

«Ecco, sono andati di là!» proseguì Zabar, troppo entusiasta per darle retta.

«Va bene, attento a non farteli scappare. Atterriamo?»

«Un momento, voglio capire dove sono diretti.»

Continuò a seguirli con gli occhi del grifone, cercando di intuire i loro pensieri. I membri del gruppo, con ogni probabilità cacciatori, si muovevano lenti e guardinghi: forse stavano seguendo delle tracce.

«Stanno andando di là. Possiamo anticiparli.»

«Ok, muoviamoci.»

Zabar ordinò al grifone di scendere di quota, cercando il luogo adatto a far atterrare l’animale. L’unico punto abbastanza vicino era offerto da un piccolo fiume. Non poteva aspettare, così memorizzò la posizione dei cacciatori e chiese al volatile di raggiungere il corso d’acqua.

Una volta a terra, lui e Tenko si affrettarono nella direzione prevista. Da lì non riuscivano a vederli, ma il chierico era sicuro che fossero sulla strada giusta.

La demone, più brava a orientarsi ma all’oscuro della meta, lo seguì con la spada e la bacchetta in pugno, scrutando i dintorni per respingere un eventuale attacco da parte di un animale selvatico.

I due proseguirono per alcune decine di metri, poi si fermarono. A terra si vedevano delle impronte, forse la traccia che i cacciatori stavano seguendo, ma del gruppo nemmeno l’ombra.

«Beh? Dove sono?» chiese Tenko guardandosi intorno.

«Ero sicuro che fossero qui. Saranno qui vicino… Forse si sono nascosti.»

«Dobbiamo trovarli» sentenziò la demone.

Zabar si guardò intorno, implorando il destino di fargli notare qualche indizio. Estese le sue percezioni magiche, ma nonostante i suoi sforzi non riuscì a distinguere nulla di concreto: forse il gruppo era già lontano, o forse nessuno di loro era un mago, oppure ancora erano in grado di celare la loro aura. Stava per perdere la speranza quando i cacciatori emersero tutti insieme dalla foresta, circondandoli. Erano una dozzina, tutti armati di lance o archi. Indossavano pesanti pellicce e i loro musi ferini non lasciavano dubbi: si trattava di teriantropi[13].

Tenko si mise subito in posizione di difesa. «Ok, li abbiamo trovati. E adesso?»

«Non siamo qui per combattere» disse Zabar in tono lento, scandendo le parole e sollevando le mani in segno di resa.

I teriantropi non abbassarono le armi, ma si scambiarono alcune frasi in una lingua che la demone non aveva mai sentito.

Il chierico al contrario riconobbe parte di quell’idioma e disse qualcosa nella medesima lingua. «Tenko, getta le armi» aggiunse poi.

«Capisci quello che dicono?»

«Un po’. Ora getta le armi, ti prego.»

Seppur scettica, la giovane accettò di deporre la spada, la bacchetta e la frusta. «Non sono felici di vederci, vero?»

Zabar deglutì. «Immagino lo scopriremo molto presto…»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Finalmente i nostri eroi hanno raggiunto il gelido sud, ma l’accoglienza non è stata esattamente… calorosa XD

Come previsto, trovare i teriantropi non è stato facile: c’è un motivo se la loro stessa esistenza era avvolta dal mistero. Dopo giorni di ricerca, alla fine il gioco di squadra si è rivelato vincente e tutto il loro impegno è stato ricompensato. Ora non resta che capire se i teriantropi vorranno e potranno aiutarli.

Il prossimo capitolo uscirà il primo weekend di aprile con Persephone e Leonidas.

A presto! ^.^


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[13] Il nome è una fusione delle parole greche “therion” (bestia) e “anthropos” (uomo).

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Capitolo 24
*** 23. Onore ferito ***


23. Onore ferito

Quando Leonidas si affacciò alla finestra il vento freddo lo costrinse a nascondere le mani sotto le ascelle: lui era originario del nord, non era abituato a quel clima rigido. A giudicare dalla luce ipotizzò che fosse ancora prima mattina, poi però guardò in cielo e capì che era già tardo pomeriggio. Aveva dormito quasi tutto il giorno, ma la cosa non lo stupì: per inseguire Tenko e il suo compagno, lui e Persephone avevano riposato pochissimo gli ultimi giorni.

A proposito dell’inquisitrice, doveva andare da lei. Forse si stava ancora riprendendo, in quel caso non l’avrebbe disturbata. La notte prima la metarpia aveva evocato un’enorme barriera per difendere l’intero villaggio dalla tromba d’aria, uno sforzo notevole anche per un inquisitore: si meritava un po’ di riposo.

Uscito dalla stanza, andò da una delle guardie stanziate nel piccolo centro abitato. L’uomo, un tipo in carne che non aveva nulla di militaresco, lo condusse all’alloggio dell’inquisitrice, dove una ragazza con delle pelose orecchie da gatta gli andò incontro. «Mio signore, desiderate vedere l’inquisitrice?» Come tutti gli abitanti del villaggio, parlava con un accento piuttosto marcato.

«Sì, se possibile. È sveglia?»

«In questo momento sta parlando con il guaritore. Apena avrà finito le domanderò se desidera incontrarvi. Vi prego di comprendere, è ancora provata per la ferita e per lo sforzo di ieri.»

«Naturalmente. Siete molto gentile.»

«Capitano, poso chiedervi se avete già mangiato?» intervenne la guardia. «Il cuoco sarà felice di prepararvi qualcosa di caldo.»

«Vi ringrazio, ne ho proprio bisogno.»

Il latte caldo e la zuppa furono un vero toccasana per il suo corpo infreddolito, ma gli diedero anche il tempo per riflettere con calma su quanto successo la notte precedente. La sua utilità nello scontro era stata pressoché nulla, e se ne vergognava profondamente. Perfino un novellino sarebbe stato in grado di fare meglio.

Questo lo portò a riconsiderare la sua strategia. Si era illuso che Tenko avrebbe accettato di parlare con lui, che sarebbe stata lì ad ascoltarlo dopo quello che lui e Padre Palladios le avevano fatto. Non aveva ancora rinunciato all’idea di riportarla sulla retta via, tuttavia la demone era troppo… irruenta. Per riuscire a portare avanti un qualsiasi discorso, doveva per prima cosa immobilizzarla. Una volta catturati lei e il suo complice, avrebbe avuto tutto il tempo per scusarsi e per provare a farla ragionare.

«Mio signore,» lo chiamò la ragazza di prima, «se lo desiderate, l’inquisitrice ha acetato di incontrarvi.»

Leonidas lasciò immediatamente il pasto e si alzò. «Vi ringrazio molto. Vi prego, fatemi strada.»

La giovane chinò il capo e lo guidò fino alla stanza dove riposava la metarpia. Bussò rispettosamente sulla porta e, una volta ricevuto il permesso, la aprì per far entrare il felidiano.

Persephone era in piedi al centro della stanza, dritta e fiera, lo sguardo freddo e impassibile. Indossava degli abiti pesanti invece della consueta uniforme, ma a catturare l’attenzione di Leonidas fu la vistosa fasciatura che le copriva l’occhio sinistro.

«Se avete bisogno di me, sarò qui fuori» disse la ragazza prima di uscire chiudendo delicatamente la porta.

Nella stanza calò un pesante silenzio, interrotto solamente dal leggero crepitio del camino. In effetti lì la temperatura era molto gradevole, ma la guardia non se ne accorse nemmeno. Sapeva di dover dire qualcosa, ma non riusciva a trovare le parole: voleva scusarsi per essere stato inutile, prima però forse avrebbe dovuto chiederle come stava. Farlo però gli sembrava sconveniente: non voleva sottolineare ancora una volta la menomazione della metarpia.

«Mi sembra che ti sia ripreso» affermò Persephone con la sua voce sottile. «Sei pronto per partire?»

Leonidas rispose in maniera automatica: «Sì, inquisitrice.» Subito però si corresse: «Volevo dire, Persephone.»

Di nuovo calò il silenzio, questa volta però il felidiano si fece coraggio e parlò: «Persephone, volevo scusarmi con voi.» Chinò il capo. «Il mio piano è fallito miseramente e non vi sono stato di alcun aiuto. È colpa mia se…»

«Non essere presuntuoso» lo interruppe la metarpia, e nella sua voce trapelò una leggera sfumatura di rabbia. «Avrei dovuto liberarmi di quei due facilmente. Non sono stata attenta, per questo sono riusciti a fuggire. Ma non ripeterò lo stesso errore.»

«Sì, Persephone» Leonidas chinò il capo, mortificato. «Perdonatemi, non volevo mancarvi di rispetto.»

«Puoi andare. Partiremo domattina all’alba.»

«Sì, Persephone. Vi auguro una buona serata.»

Senza sollevare lo sguardo il felidiano fece qualche passo indietro e poi uscì dalla stanza chiudendo la porta.

Una volta sola, la metarpia abbandonò la posa marziale ed esalò un mesto sospiro. Non avrebbe dovuto prendersela con lui. Lei era un’inquisitrice e la sua sconfitta era solo una sua colpa, di questo era fermamente convinta, tuttavia non avrebbe dovuto trattare in quel modo il felidiano. Era normale che anche Leonidas fosse deluso da sé stesso.

Con fare rassegnato si sedette sul letto imbottito di calde pellicce. Sapeva di essere una persona poco simpatica, teneva sempre un atteggiamento freddo e distaccato, ma non lo faceva per disprezzo verso gli altri o cose del genere.

Al contrario di molti altri inquisitori, la sua non era una famiglia nobile o ricca. Il sacerdote del suo villaggio aveva scoperto quasi per caso che gli dei l’avevano benedetta con la magia, e quindi aveva consigliato ai suoi genitori di mandarla in città per ricevere l’istruzione adeguata. Ovviamente loro avevano accolto la notizia con grande entusiasmo e avevano fatto di tutto pur di pagarle il viaggio e gli studi: avere un chierico in famiglia era un grande onore. Certo non si sarebbero mai immaginati che quella figlia piagnucolona sarebbe diventata addirittura un’inquisitrice.

Già, da piccola era proprio una piagnucolona. Le metarpie sono la sottospecie di faunomorfo più minuta e debole, il cui unico vantaggio era dato dall’ottima vista. Lei in particolare non riusciva mai a combinare nulla da sola e doveva sempre affidarsi ai suoi fratelli e sorelle. Ma era cambiata. L’avevano costretta a farlo, perché la sua vita non era più solo sua.

“Gli inquisitori non piangono mai” continuava a ripeterle il suo tutore. “Gli inquisitori sono la manifestazione degli dei in mezzo a noi. Puoi disonorare te stessa, puoi disonorare sulla tua famiglia, ma non ti permetterò di disonorare gli dei.”

Erano stati anni durissimi, in cui anche gli altri bambini la prendevano di mira perché era la più debole e perché non veniva da una famiglia importante. Alla fine però era riuscita a superare ogni ostacolo, aveva imparato a combattere, ma soprattutto a reprimere le sue emozioni. E da allora non aveva più versato una lacrima.

Grazie a lei la sua famiglia aveva acquisito un grande prestigio, ma tra gli inquisitori era comunque vista come una di quelli meno importanti, quelli che venivano da famiglie umili. Il rampollo di una nobile casata non sarebbe mai stato mandato fin lì a catturare un’eretica.

Accarezzò la morbida pelliccia che rivestiva il suo letto, di sicuro ottenuta da un animale molto ricercato. A prescindere dalle sue origini, lei era un’inquisitrice e avrebbe portato a termine la sua missione.

Strinse i pugni. Niente e nessuno avrebbe potuto impedirle di catturare l’eretica che le aveva cavato un occhio, disonorando lei, la sua famiglia, ma soprattutto gli dei che lei rappresentava.

Era metà mattina e Persephone e Leonidas stavano sfrecciando sui loro grifoni per cercare di recuperare il distacco dagli eretici. Era il secondo giorno che volavano e l’aria si era fatta ancora più gelida, ma per fortuna i loro nuovi abiti erano in grado di proteggerli dalla testa ai piedi. Era stato il priore del villaggio a farglieli avere, assicurando loro che erano i migliori a disposizione. Aveva anche fornito loro cibo e acqua in abbondanza, e insieme all’intero villaggio era andato ad assistere alla partenza per salutarli e ringraziarli ancora una volta di averli salvati. Persephone avrebbe preferito partire senza tutte quelle cerimonie, ma anche quello faceva parte del suo ruolo di inquisitrice.

Quella mattina, così come la precedente, Leonidas aveva controllato il pendolo magico, tuttavia l’artefatto non era stato in grado di rilevare la presenza di Tenko. La demone era ancora fuori dalla sua portata, così si stavano dirigendo a sud alla cieca, nella speranza di avere fortuna e di riuscire a recuperare il distacco.

Un ruggito improvviso li fece trasalire. Persephone e Leonidas si voltarono di colpo: un altro grifone li stava inseguendo. Era più grosso dei loro animali e aveva delle enormi fauci feline.

«Persephone, cosa facciamo?!» gridò il felidiano.

«Andiamo avanti!» rispose lei con quanto fiato aveva in gola. «Non abbiamo tempo!»

I due spronarono le rispettive cavalcature, ma l’inseguitore non voleva saperne di arrendersi. All’improvviso l’inquisitrice avvertì una carica magica alle spalle e si voltò di colpo. Evocò una barriera e la palla di fuoco impattò su di essa. La metarpia accusò il colpo, ma la difesa resse.

Leonidas lanciò una colorita imprecazione. «Quel coso sputa fuoco?!»

L’aggressore lanciò un tonante ruggito e dalle sue fauci esplose un torrente di fiamme, così intenso che i due faunomorfi riuscirono ad avvertirne il calore anche attraverso la barriera.

«Più veloce!» gridò Persephone. «Dobbiamo andarcene!»

I due spronarono i loro animali, che in realtà erano così terrorizzati che già stavano andando alla massima velocità.

Leonidas prese il suo arco e caricò una freccia. «Provo a rallentarlo!»

L’inquisitrice dissolse la barriera e la guardia scoccò. Il dardo elettrificato centrò in pieno il grifone, bloccandolo in uno spasmo di dolore. L’animale cominciò a precipitare, ma nel giro di pochi istanti si riprese e riguadagnò quota. L’inseguimento non era finito.

Persephone creò una nuova barriera e la nuova vampata li avvolse con tutto il suo calore. I due guerrieri del Clero cominciarono a sudare, ma non potevano fare nulla: prima o poi quel grifone si sarebbe stancato e li avrebbe lasciati in pace. Dovevano solo volare più veloci che potevano.

L’inquisitrice avrebbe voluto passare al contrattacco, ma non poteva sprecare energie.  La sua barriera era l’unica cosa in grado di tenerli in vita.

All’improvviso Leonidas lanciò un grido d’allarme. «Persephone, da sotto!»

La metarpia si sporse di lato, lo sguardo sulle chiome degli alberi. Vide il draghide, forse un grifone. Non ebbe il tempo di capirlo con certezza: l’animale li aggredì come un toro, sfondando la barriera. Spalancò le fauci e afferrò l’ala del grifone di Persephone. L’animale gridò di dolore, venne strattonato con forza e l’arto fu strappato di netto. In un attimo stavano precipitando, cielo e terra si alternavano sotto gli occhi dell’inquisitrice. Lei si slacciò dalla sella, più veloce che poteva. Con gli alberi a un passo, evocò una bolla. L’impatto fu violentissimo, fu sballottata da una parte all’altra, poi lo schianto.

Le ci volle qualche secondo per tornare lucida. Il mondo vorticava intorno a lei, ma riuscì a tirarsi su. Vide qualcosa atterrare a poca distanza da lei. Seppur confusa, riuscì a distinguere l’animale di Leonidas. Riconobbe anche il felidiano: stava correndo verso di lei.

Come un fulmine il grifone sputafuoco si abbatté sulla cavalcatura della guardia. L’impatto sordo fece tremare il suolo e Persephone perse l’equilibrio. Il loro inseguitore aprì le fauci e sparò un getto di fiamme contro il suo simile più piccolo, una vampata abbagliante a cui seguì la puzza di carne bruciata.

Leonidas, salvo per un soffio, aiutò l’inquisitrice a rialzarsi, poi insieme corsero il più lontano possibile. Ora che i loro grifoni erano morti, i due animali più grandi si stavano sfidando a vicenda, mostrando le zanne in segno di minaccia.

Gli echi della battaglia si facevano più leggeri man mano che correvano, fino a svanire del tutto. Esausti, i due guerrieri del Clero si fermarono vicino a un grande albero per riprendere fiato. Avevano perso le loro cavalcature e si trovavano in un territorio sconosciuto, pieno di predatori, senza nulla da mangiare.

Il felidiano si guardò intorno per l’ennesima volta, temendo un altro attacco. «Persephone…» ansimò, «cosa facciamo?»

L’inquisitrice non si era ancora ripresa del tutto dallo schianto, ma almeno non sentiva niente di rotto. Aveva ancora la sua arma, e Leonidas aveva sia la spada che arco e frecce. Forse avevano ancora qualche speranza.

«Ce l’hai ancora il pendente?»

Dopo un attimo la guardia annuì. «Sì, certo.» Attese qualche istante. «Volete proseguire?»

«Abbiamo volato per un giorno intero. Potremmo essere più vicini agli eretici che al villaggio.»

«Con tutto il dovuto rispetto, se anche riuscissimo a trovarli, poi come faremmo a riportarli indietro?»

Lei lo fissò con l’unico occhio rimasto. «Controlla, e poi decideremo.»

Lui chinò il capo, consapevole che quel “decideremo” in realtà significava “deciderò”. «Sì, Persephone.»

In silenzio prese il piccolo pendente, distese la catenella con cui lo teneva al collo e attese. Il suo lento ondeggiare sembrava destinato a scemare per via della gravità, invece continuò, seppur in maniera molto lieve.

«Persephone, mi permetto di farvi notare che ci vorranno giorni per trovarla, e non sappiamo a cosa andremo incontro.»

«Tornare indietro è altrettanto pericoloso» ribatté l’inquisitrice con fermezza. «Ora abbiamo una traccia, non me la farò sfuggire.»

Lui non osò ribattere. «Sì, Persephone.»

La metarpia fece per mettersi in marcia, ma si fermò. Sapeva che la sua decisione era in parte dettata dalla rabbia, ma era decisa ad andare fino in fondo questa volta, anche a costo della vita. Non avrebbe voluto mettere in pericolo anche Leonidas, ma non poteva tornare indietro a mani vuote. La cicatrice sul suo viso non poteva restare impunita.

Poteva disonorare sé stessa, poteva disonorare la sua famiglia, ma non poteva disonorare gli dei.


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Persephone e Leonidas non sono usciti bene dallo scontro con i due demoni, ma per loro fortuna gli abitanti del vicino villaggio li hanno accolti e hanno fatto il possibile per aiutarli. Purtroppo questo non è bastato a salvare l’occhio della metarpia, che dunque dovrà rassegnarsi a convivere con questa mutilazione. L’inquisitrice sa di aver fallito, ma non può permettersi di rinunciare: ne va dell’onore degli dei che lei rappresenta.

Dato che le sventure non vengono mai da sole, durante il volo verso sud all’inseguimento degli eretici, dei grifoni selvatici li hanno attaccati. Gli animali dei due soldati del Clero, più piccoli della cavalcatura addomesticata da Zabar, non hanno potuto fare molto e sono stati uccisi.

Persephone e Leonidas sono soli e senza provviste, ma non possono permettersi di tornare indietro. O meglio: Persephone ha deciso che non possono farlo.

Cosa ne sarà di loro? Lo scoprirete nei prossimi capitoli, prima però torneremo da Tenko e Zabar: anche loro non sono messi troppo bene.

A presto! ^.^


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Capitolo 25
*** 24. Verdetto ***


24. Verdetto

Nello sguardo di Tenko si poteva leggere tutta la rabbia e la frustrazione che provava in quel momento. I teriantropi le avevano legato le mani, esattamente come avevano fatto con Zabar, e ora li stavano scortando chissà dove, presumibilmente al loro villaggio. Era quasi certa di potersi liberare da quelle spesse corde, l’istinto le diceva di fuggire, ma non intendeva farlo. Non voleva abbandonare Zabar, e in ogni caso non sarebbe sopravvissuta in quella gelida foresta da sola e disarmata.

Zabar, che camminava pochi passi dietro di lei, era invece spaventato ed eccitato. Aveva paura che i teriantropi decidessero di giustiziare lui e Tenko, una piccola parte di lui temeva addirittura che li avrebbero mangiati per cena, ma era comunque elettrizzato dall’idea di averli incontrati. La presenza di popolazioni in quell’area dimostrava che il Clero si sbagliava su alcune cose, che gli dei non erano onnipotenti, e questo spalancava la porta a una miriade di nuove possibilità. Forse avrebbe trovato davvero qualche indizio sulla vera origine del loro mondo.

All’improvviso il teriantropo in testa si fermò. Il suo aspetto richiamava quello di un imponente leopardo delle nevi e con ogni probabilità era il leader del gruppo. Diede alcuni ordini agli altri cacciatori, che annuirono e cambiarono leggermente disposizione, mettendosi in cerchio intorno ai prigionieri. Dovevano controllare che non fuggissero, ma erano anche all’erta per eventuali attacchi da parte di animali selvatici.

Zabar ne approfittò per avvicinarsi a Tenko. «Credo stia andando al villaggio per parlare con qualcuno, probabilmente gli anziani o comunque qualcuno di più saggio e autorevole di lui.»

La demone non smise di studiare i teriantropi. «Stai pronto. Se decidono di ucciderci, dovremo agire in fretta.»

Il chierico ammirava molto la tenacia di Tenko, ma aveva il fondato timore che, se quei cacciatori alti più di due metri avessero deciso di ucciderli, le loro chance di opporsi sarebbero state pressoché nulle.

L’attesa pareva destinata a durare in eterno e la demone continuava a guardarsi intorno, seria e concentrata. Per quanto difficile, stava cercando di intuire le capacità dei vari cacciatori presenti così da decidere quale fosse il punto migliore verso cui darsi alla fuga.

Quando, pochi minuti dopo, il capo dei cacciatori fece la sua comparsa, Tenko aveva già preparato un rudimentale piano di fuga. In realtà era un mezzo suicidio, ma era comunque meglio che aspettare di venire giustiziati.

Zabar dal canto suo drizzò le sue orecchie da pipistrello per cercare di carpire il benché minimo indizio su ciò che li attendeva. Se davvero i teriantropi intendevano ucciderli, un solo secondo avrebbe potuto fare la differenza.

«Gli anziani vogliono interrogarli» annunciò il leopardo delle nevi nel suo particolare dialetto. «Portateli allo steccato e legateli.»

Tenko, le mani già pronte su uno dei congegni di Icarus, lanciò uno sguardo a Zabar.

Il chierico le fece subito segno di aspettare. «Vogliono interrogarci. Ci legheranno a qualcosa.»

La demone, tesa come una molla, tirò un mezzo sospiro di sollievo. Per una volta la pazienza l’aveva premiata.

I teriantropi li presero per le braccia e senza troppi complimenti li trascinarono verso il loro villaggio. La forza delle loro dita artigliate era impressionante, in confronto a loro i due demoni sembravano dei bambini gracili e indifesi.

Tenko non sapeva come sarebbe stato il villaggio, ma di certo non pensava di trovarlo all’interno della foresta, coperto dalle verdi chiome delle conifere. Gli alberi della zona erano talmente alti e imponenti che i locali ne avevano usati alcuni come torri su cui costruire la loro alta palizzata. La demone aveva già visto difese di legno intorno ai villaggi, ma quella che aveva davanti le ricordava più la cinta di mura di una città.

Come ordinato dal leopardo delle nevi, i cacciatori li legarono saldamente a un robusto steccato, dopodiché rimasero in attesa, sorvegliandoli attentamente. Ben presto altri teriantropi emerso dalle tende: uomini, donne e bambini il cui aspetto richiamava quello di vari animali. Al contrario dei faunomorfi, che in genere avevano solo orecchie e coda di animali, i teriantropi erano più simili a bestie in grado di tenere una postura eretta. Avevano il pollice opponibile e non erano meno intelligenti di tutte le altre specie più evolute. La maggior parte dei teriantropi viveva nella parte occidentale di Meridia, ma quella comunità doveva essersi isolata dal mondo diversi secoli prima, accettando quell’ambiente ostile pur di vivere libera dal controllo del Clero.

Spinti dalla curiosità, alcuni piccoli provarono ad avvicinarsi per vedere più da vicino i due demoni e fiutare meglio il loro odore, ma i cacciatori ordinarono loro di stare alla larga: gli stranieri erano pericolosi.

Nonostante gli ammonimenti, nel giro di pochi minuti una nutrita folla di curiosi si era già radunata intorno ai due prigionieri. Con ogni probabilità non avevano mai visto persone di altre specie, quindi non c’era da stupirsi se erano così interessati a Tenko e Zabar.

D’un tratto la folla cominciò ad aprirsi in due ali e il brusio generale si fece più lieve. Il motivo venne presto svelato quando tre figure vecchie e ingobbite apparvero dinnanzi ai due demoni. In testa c’era una femmina dalla pelliccia bruna e con un paio di corna ricurve, simili a quelle dei buoi muschiati, ai suoi lati procedevano un tarchiato orso dal manto ingrigito e una volpe delle nevi dallo sguardo diffidente.

«Capite la nostra lingua, vero?» iniziò l’anziana al centro. «Perché siete qui?»

Tenko, che del dialetto dei teriantropi non capiva nemmeno una parola, si voltò verso Zabar, cercando di intuire dalla sua espressione se la loro vita sarebbe finita da lì a poco.

«La capisco un po’» rispose il chierico, sforzandosi di usare una pronuncia più chiara possibile. «Ho studiato la lingua dei teriantropi. Vi stavamo cercando, ci serve il vostro aiuto.»

I musi dei tre anziani rimasero cauti, in particolare la volpe sembrava la più sospettosa.

«Aiuto? Aiuto per cosa?» lo incalzò la bovina.

Zabar sapeva che dalla sua risposta sarebbe dipeso il suo destino e quello di Tenko, così fece molta attenzione alla scelta delle parole. «Il Clero sta diventando sempre più pericoloso. Gli dei vogliono sottomettere il mondo intero, e non si fermeranno finché non ci saranno riusciti. Sanno che vi nascondete qui, e presto o tardi vi troveranno. Noi vogliamo sconfiggerli, vogliamo essere liberi, ma non possiamo farcela da soli. In questa zona ci sono indizi che potrebbero esserci utili, oggetti del passato in grado di svelare gli inganni degli dei e le loro debolezze. Vi prego, aiutateci a trovarli. Se non volete farlo per il mondo, almeno fatelo per voi stessi.»

Gli anziani rimasero immobili per alcuni lunghi secondi, muti e solenni, poi gli voltarono le spalle. Zabar provò un brivido di paura: aveva forse scelto le parole sbagliate? Forse nel dialetto locale le sue frasi assumevano un significato diverso. Continuò a fissare i tre teriantropi, che ora parlavano tra loro a bassa voce. Sembravano in disaccordo, ma parlavano troppo piano e troppo in fretta, anche con le sue grandi orecchie non riusciva a capire nulla di ciò che dicevano.

«Allora?» lo incalzò Tenko, lo sguardo che oscillava tra Zabar e gli anziani.

«Non lo so» ammise il chierico. «Non riesco a capire cosa dicono.»

Finalmente i tre teriantropi si voltarono, e questa volta fu la volpe a parlare: «Come possiamo fidarci di voi? Chi ci assicura che non rivelerete la nostra posizione ai servi degli dei?»

«Perché vogliono ucciderci. Siamo venuti qui perché non potevamo andare da nessuna altra parte. Vi prego, faremo qualsiasi cosa per dimostrarvi la nostra lealtà.»

Di nuovo gli anziani li scrutarono con attenzione e poi ricominciarono a confabulare tra loro a bassa voce.

«Allora?» ripeté Tenko, che cominciava ad averne abbastanza.

«Non si fidano di noi. Hanno paura che riveleremo la loro posizione al Clero.»

«È una stronzata! Quelli ci ucciderebbero appena ci vedono!»

«Questo lo so, ma loro non possono saperlo.»

«E allora diglielo! Digli cosa mi hanno fatto! Digli cosa faranno a loro appena li troveranno!» Si voltò verso gli anziani. «Ehi! Ehi, dico a voi!»

I tre teriantropi si voltarono, infastiditi dall’atteggiamento della demone.

«Tenko, calmati» la implorò Zabar. «Non è questo il modo…»

«Digli di guardare la mia schiena» gli ordinò la giovane. «Devono vedere ciò di cui è capace il Clero.»

Il chierico ebbe un attimo di esitazione, poi però fece come richiesto. Non avrebbe voluto arrivare a tanto, ma avevano bisogno di una prova.

Per l’ennesima volta i tre anziani si concessero qualche momento per discutere tra loro, dopodiché ordinarono ai cacciatori di liberare Tenko e di scoprirle la schiena. Nonostante il freddo pungente, la demone si tolse i guanti e lo spesso giaccone di pelliccia. Si sfilò la parte superiore dell’uniforme rinforzata e poi lasciò che uno dei cacciatori le sollevasse la parte posteriore della maglia, limitandosi a trattenere la parte davanti in modo da non restare troppo scoperta.

Tremante per il freddo, si sforzò di reprimere la vergogna e rimase immobile, così che tutti potessero vedere le cicatrici che il Clero le aveva lasciato là dove un tempo c’erano le sue ali.

«I servi degli dei le hanno tagliato le ali per punirla. Punirla di essere sopravvissuta, mentre la sua famiglia e la mia sono state giustiziate. L’hanno tenuta come una schiava, l’hanno costretta a uccidere e hanno abusato di lei. Se non fossi riuscito a liberarla, ora sarebbe morta o incatenata al letto di qualche servo degli dei.»

Un brusio si alzò dalla folla di teriantropi. Zabar cercò gli sguardi dei presenti e in essi riconobbe rammarico, empatia. Perfino l’anziana volpe sembrava colpita dalla vista delle cicatrici e dalla storia della demone.

«Va bene così, può coprirsi» affermò la femmina di bue muschiato.

Il cacciatore che teneva sollevata la maglia lasciò la presa e Tenko sentì il tessuto che scorreva sulla sua schiena gelata, dandole subito un po’ di sollievo.

«Credo abbia funzionato» le disse Zabar mentre lei si infilava la giacca dell’uniforme.

La giovane rimase in silenzio, preferendo voltargli le spalle. Nonostante ciò, il demone riuscì a intravedere le lacrime congelate sulle guance di lei e capì che stava solo cercando di nascondere il proprio dolore. Zabar poteva solo immaginare quanto fosse stato difficile per lei ricordare quei momenti, svelare a tutti le mutilazioni e i soprusi che aveva subito. Sentì l’impulso di provare a consolarla, ma si trattenne: ormai aveva capito che Tenko odiava ammettere con altri il proprio dolore e le proprie debolezze.

Una volta indossati il caldo giaccone e i guanti, la giovane si asciugò rapidamente le lacrime e poi lasciò che uno dei cacciatori la legasse di nuovo alla staccionata.

I tre anziani intanto stavano ancora discutendo fra loro a bassa voce: sembravano in disaccordo. Alla fine fu di nuovo la teriantropa di tipo bue muschiato a rivolgersi ai due demoni: «Se quello che dite è vero, è anche nel nostro interesse supportarvi nella vostra ricerca. Questo però non vuol dire che ci fidiamo di voi. Per il momento vi concederemo di restare nel villaggio, ma non potrete prendere le vostre armi e verrette costantemente sorvegliati. Quando sarà il momento, prenderemo la nostra decisione.»

Fece cenno ai cacciatori, che subito andarono a liberare Tenko e Zabar. La giovane, quasi sorpresa, lanciò uno sguardo al chierico, il quale le spiegò quello che stava succedendo: «Non si fidano ancora di noi, però hanno detto che possiamo restare.»

La demone non fece i salti di gioia, ma parve comunque sollevata. Si guardò intorno: la folla li osservava ancora con curiosità, ma nei loro occhi adesso c’era anche un velo di pietà e commiserazione. Questo infastidì la giovane: non le piaceva essere compatita, ma si sforzò di non darlo a vedere: doveva comportarsi bene, o avrebbe vanificato tutto quanto.

Notò che il leopardo delle nevi che li aveva condotti al villaggio stava parlando con gli anziani, ma al contrario di Zabar, non era in grado di capire cosa si stessero dicendo. Questo la fece riflettere: da quanto il chierico stava progettando quella missione?

Quando il capo dei cacciatori ebbe finito di discutere, si voltò e andò dai due demoni. Ora che Tenko lo guardava da vicino, gli sembrava ancora più imponente, fiero e muscoloso. «Gli anziani vi hanno concesso di restare, quindi dovrete collaborare. Nel villaggio ognuno deve fare la sua parte. Seguitemi.»

Mentre camminavano, la giovane ebbe modo di guardarsi intorno. Gli edifici erano a un solo piano, avevano quasi tutti la stessa forma vagamente circolare ed erano disposti in modo da ottimizzare lo spazio tra un albero e l’altro. Erano più grandi di quelli a cui era abituata – i teriantropi sembravano tutti molto imponenti – ma nessuno si avvicinava ai rami più bassi degli alberi, che si trovavano a diversi metri d’altezza.

D’un tratto il leopardo si fermò e si voltò. Alle sue spalle c’era un edificio più largo degli altri, probabilmente una stalla. All’interno c’erano degli animali che Tenko non aveva mai visto: sembravano grosse mucche, ma avevano una pelliccia lanosa come quella delle pecore e sulle loro schiene facevano bella mostra delle punte cristalline, come di ghiaccio. Anche le loro corna ricurve avevano lo stesso aspetto.

«Per ora date una pulita, quando avrete finito vedremo cos’altro potete fare. Gli attrezzi sono da quella parte.» Detto ciò, il teriantropo si allontanò, lasciando l’onere di sorvegliarli ad altri due cacciatori.

Zabar lanciò uno sguardo agli animali impegnati a prendere cibo da una mangiatoia, poi alle scope, e infine a Tenko, che a sua volta stava osservando quelle bizzarre creature.

«Allora? Cosa dobbiamo fare?» lo incalzò lei vedendolo in difficoltà.

«Ecco… Sì, insomma, ci hanno chiesto di pulire» le spiegò, quasi mortificato. Temendo una reazione contrariata della giovane, si affrettò a continuare: «So che non è il massimo, ma cerca di essere comprensiva. Vedrai che presto troveranno un altro incarico più… interessante.»

«Zabar, rilassati, non è un problema spalare merda in una stalla. Avanti, prima iniziano e prima finiamo.»

Il chierico, sorpreso dalla positività della sua compagna di viaggio, sfoggiò un sincero sorriso. «Sì, cominciamo!» Afferrò un forcone e subito entrò nel recinto.

Un paio di animali, forse il capobranco e il suo vice, si avvicinarono per studiare l’intruso. Sembravano sospettosi, ma Zabar riuscì subito a farsi accettare e si mise al lavoro con energia.

Questa volta fu Tenko a sorprendersi: dopo tutto quello che aveva passato, quell’umile e puzzolente incarico non la turbava minimamente, tuttavia vedere l’entusiasmo sincero e un po’ infantile del chierico le strappò un mezzo sorriso.

Andò a prendere un badile e con cautela entrò nella zona degli animali. I due esemplari di prima si avvicinarono per controllarla e Tenko strinse istintivamente la presa sull’impugnatura. Forse avvertendo la sua tensione, anche gli animali si innervosirono, uno dei due sbuffò leggermente, ma a Zabar bastò posargli una mano sul fianco per tranquillizzarlo.

«Tranquilla, non ti faranno niente» disse il chierico alla demone. «Se sei calma, anche loro si calmeranno.»

La giovane si concentrò sul suo respiro, inspirò ed espirò lentamente, lasciando che gli animali la annusassero. Alla fine i due strani bovini decisero che anche lei era a posto e tornarono alla mangiatoia.

Risolto il problema, Zabar si rimise al lavoro con rinnovato entusiasmo. «Sai, tutto questo mi ricorda un po’ i vecchi tempi, quando mi occupavo degli animali del circo.»

Tenko rimase immobile qualche secondo, assorta nei suoi pensieri, poi si rivolse al chierico: «Ehi, non è che mi insegni la lingua di questi qua? Non mi va di sembrare un’idiota ogni volta che aprono bocca.»

L’espressione del demone divenne, se possibile, ancora più gioiosa. «Con vero piacere!» E poi aggiunse: «È bello vederti sorridere.»

Tenko, che senza nemmeno accorgersene si era lasciata contagiare dall’euforia del demone, si limitò a fare spallucce. «Non venire uccisa mi fa questo effetto.» Lanciò una rapida occhiata alle sue spalle, dove si trovavano i due teriantropi incaricati di sorvegliarli. «Vedi di non esagerare però, o quelli cominceranno a pensare che ci piace spalare merda.»

Zabar lanciò a sua volta uno sguardo ai due imponenti cacciatori e capì che era meglio tornare al lavoro. Le attività manuali non erano mai state il suo forte, ma in quel momento si sentiva al settimo cielo: non solo era riuscito a farsi accettare dalla comunità dei teriantropi, ma anche il suo rapporto con Tenko stava lentamente migliorando.

Dopo tante difficoltà, finalmente il destino sembrava volgere in loro favore.


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Come prevedibile, i teriantropi non si sono dimostrati troppo accoglienti con i due estranei, ma vedere le prove delle sofferenze patite da Tenko li convinti a dare ai due demoni una possibilità.

La strada per ottenere la fiducia degli abitanti del villaggio è ancora lunga, ma Tenko e Zabar sono riusciti a fare un altro passo avanti verso il loro obiettivo. E per una volta non è stato necessario l’uso delle armi.

Grazie come sempre per aver letto il capitolo e alla prossima :D


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Capitolo 26
*** 25. Cacciatori e prede ***


25. Cacciatori e prede

Persephone e Leonidas, stretti nei loro abiti pesanti, avanzavano cauti tra gli imponenti alberi. Ogni rumore li metteva in allerta, ogni scricchiolio poteva tramutarsi in un agguato. Non sapevano cosa aspettarsi, e questo non faceva che aumentare ulteriormente la loro tensione.

Dopo la loro precipitosa fuga dai grifoni selvatici, avevano deciso di tornare indietro per verificare se potevano recuperare qualcosa dai loro bagagli. Non si aspettavano niente, in realtà non erano nemmeno sicuri di trovare qualcosa. Avevano ripercorso a ritroso la strada fatta, riuscendo così ad arrivare nel punto dove le loro cavalcature erano state uccise. Una carcassa era ancora lì, quasi completamente spolpata, l’altra invece era sparita: forse uno dei predatori l’aveva portata via.

Tutto intorno c’erano alcuni dei loro bagagli, molti dei quali strappati via a morsi e poi sputati. Riuscirono a recuperare un paio di sacche ancora integre da tenere in spalla, qualche provvista e soprattutto i collari anti-magia: il complice di Tenko era un mago, portarlo indietro senza quella costrizione sarebbe stato molto più complicato e rischioso.

Ora stavano avanzando verso sud, sempre guidati dal pendolo. Il piccolo oggetto magico riusciva ancora a captare la presenza della demone, segno che i due eretici non si erano allontanati troppo. Questo era un bene, avevano una traccia da seguire, ma lasciava anche spazio a scenari poco graditi: per cominciare il loro grifone poteva essere morto, privando così anche i due militari di un preziosissimo mezzo di trasporto in vista del ritorno a casa. Difficilmente l’eretica era morta: in quel caso il pendente avrebbe dovuto smettere di funzionare, o almeno lo speravano: l’ultima cosa che volevano era camminare per giorni in quella landa gelata solo per finire tra le fauci di un’altra bestia affamata.

Camminarono fino al calar del sole, a quel punto accesero un fuoco e mangiarono qualcosa. Dovevano preservare il più possibile le loro provviste, ma allo stesso tempo dovevano mangiare abbastanza da tenersi in forze: se non si nutrivano a dovere, il clima rigido poteva rivelarsi perfino più letale delle bestie feroci.

«Dobbiamo procurarci altro cibo» constatò Leonidas una volta finita la sua misera cena. «Per caso conoscete qualcuna di queste piante?»

Persephone scosse il capo. «Tu?»

«Purtroppo no. Dovremo trovare qualche animale.»

La metarpia annuì. «Riposati, faccio il primo turno di guardia» disse dopo un momento di silenzio.

«Sì, Persephone» rispose il felidiano, serio e marziale come sempre.

Una simile risposta riuscì a instillare un pizzico di inaspettato buon umore nella mente della metarpia: almeno una cosa non era cambiata. Guardò il cielo stellato, per lo più coperto dai rami degli alberi, dopodiché rivolse la sua attenzione ai dintorni. Con il calare delle tenebre la sua vista avrebbe perso affidabilità, in più – in quanto devota a Horus – durante la notte i suoi poteri sarebbero stati meno efficaci.

Col passare dei minuti l’oscurità divenne sempre più opprimente e i rumori cominciarono a moltiplicarsi: le sembrava che ogni predatore della foresta fosse lì intorno, pronto ad attaccarli. Persephone tremava, ma non per paura. Gli inquisitori non hanno mai paura. La temperatura stava calando e il fuoco faceva sempre più fatica a scaldarla.

Si strinse di più nei suoi abiti pesanti, la mano pronta sulla spada, all’erta. Costi quel che costi, avrebbe portato a termine la sua missione. O sarebbe morta provandoci.

Quando, il mattino seguente, i primi timidi raggi di sole cominciarono a filtrare nella fitta foresta, Persephone e Leonidas avevano già radunato le loro cose e si erano rimessi in cammino. L’inquisitrice sapeva che ogni istante passato in quella foresta era fonte di pericoli, ma per lei era anche motivo di profondo disonore: doveva trovare al più presto gli eretici e assicurarli alla giustizia.

«Persephone, aspettate» disse Leonidas.

Lei, in allerta, portò una mano alla sua spada. «Che succede?»

«Sentite? Rumore di acqua: ci deve essere un fiume qui vicino.»

La metarpia, che non poteva vantare le orecchie feline del capitano, non riuscì a captare nulla di anomalo: solo i consueti rumori della foresta.

Leonidas per un po’ rimase in silenzio, forse aspettando una risposta da parte dell’inquisitrice, poi proseguì: «Abbiamo bisogno di acqua, e se siamo fortunati troveremo anche delle tracce. Le provviste sono quasi finite.»

Persephone, che non aveva considerato la questione, riuscì comunque a mantenere un’espressione fredda e distaccata. «D’accordo. Fai strada.»

«Sì, Persephone. Da questa parte.»

Guidato dal suo fine udito, Leonidas avanzava nella foresta con passo attento ma sicuro. Quando era più giovane andava spesso a caccia, prima con i suoi fratelli, poi con i colleghi, ma anche in solitaria. Era proprio grazie alle battute di caccia in famiglia che aveva scoperto il suo talento nel tiro con l’arco, abilità che negli anni aveva ampiamente sviluppato e affinato.

Pur non conoscendo quella foresta, non gli ci volle molto per trovare il corso d’acqua. Era un fiume di discrete dimensioni, la cui corrente era abbastanza forte da prevenire la formazione di uno strato di ghiaccio sulla superficie.

I due guerrieri del Clero ne approfittarono per riempire i loro otri, dopodiché il felidiano studiò attentamente il terreno alla ricerca di tracce. Ce n’erano diverse, ma doveva concentrarsi su quelle più recenti. Doveva anche stare attento a distinguere i predatori dalle prede: molte delle orme avevano forme inusuali, se non completamente nuove. Non che la cosa lo stupisse: di sicuro in quella landa gelida vivevano molti animali che non aveva mai visto.

Dopo qualche minuto il felidiano fece cenno alla metarpia. «Di qua, ho trovato una pista.»

Persephone si limitò ad accodarsi in silenzio, stando attenta a fare meno rumore possibile. Anche se cercava di non darlo a vedere, dentro di lei era profondamente sollevata dal fatto che Leonidas avesse preso l’iniziativa. Il capitano aveva perfettamente ragione: avevano bisogno di provviste, ma lei si era fatta assorbire dalla missione a tal punto da dimenticarsene. Doveva riprendere il controllo, doveva ritrovare quella freddezza che la contraddistingueva da quando aveva indossato l’uniforme degli inquisitori. Non doveva farsi coinvolgere troppo dalla missione, e soprattutto non doveva farne un fatto personale. L’aver perso un occhio era un duro colpo, ma abbandonarsi al desiderio di vendetta sarebbe stata un’onta ancora peggiore.

La mano di Leonidas si sollevò improvvisamente, facendola immobilizzare. Lui indicò davanti a sé e subito l’inquisitrice individuò ciò che stavano inseguendo: un animale simile a un cervo. Aveva il manto candido con delle piccole macchie più scure e un paio di piccole corna a tre punte.

Senza fare rumore il capitano prese il suo arco e incoccò una freccia. Subito un insieme di sensazioni familiari lo avvolse: il mondo intorno a lui svanì, proiettandolo completamente verso il bersaglio. Doveva percepire ogni cosa, dal ritmo del vento al ritmo del suo respiro.

Non poteva sbagliare: avevano bisogno di cibo. Non avrebbe sbagliato.

Scoccò all’improvviso, quando il suo istinto gli disse che era il momento giusto. La freccia sibilò nell’aria, diretta con precisione verso il cuore del cervo bianco. Sembrava un colpo perfetto, era un colpo perfetto. L’animale ebbe appena il tempo di ruotare il capo, le sue corna si illuminarono e una raffica di vento lo avvolse, scaraventando lontano la freccia.

Leonidas, completamente colto alla sprovvista, rimase immobile con il braccio sollevato. L’animale, più arrabbiato che spaventato, si voltò verso gli aggressori e puntò le zampe, deciso a combattere. Di nuovo le sue corna si illuminarono e un vortice d’aria lo circondò. Partì alla carica in un lampo, agilissimo sulle sue lunghe zampe. Le lingue di vento che lo avvolgevano sembravano lame che scalfivano i tronchi e tranciavano gli arbusti al loro passaggio. Il felidiano si riscosse e scoccò un’altra freccia, ma anche questa venne neutralizzata. Il cervo spiccò l’ultimo balzo, ma Persephone lo bloccò con una barriera. L’animale provò a colpire con le corna, ma lo scudo della metarpia era impenetrabile e lo costrinse a indietreggiare.

L’animale, probabilmente un giovane maschio, aveva fallito la sua carica, ma non intendeva rinunciare.

«Vi prego, Persephone, lasciatelo a me» chiese Leonidas. Preparò una nuova freccia. «Questa volta non sbaglierò.»

L’inquisitrice vide i soffi di vento intorno alla punta metallica e le saette che attraversavano tutta l’asta, e capì che il capitano era determinato a superare lo scudo di vento della sua preda. Dissolse la barriera e subito il cervo ne approfittò per partire alla carica.

Leonidas non si fece impressionare e attese il momento giusto, focalizzandosi sul punto migliore per colpire. Quando lasciò la presa, la freccia partì come un lampo, lasciando dietro di sé una scia di luce. La punta metallica, protetta da un vortice d’aria, perforò le lame di vento del cervo e affondò nel suo petto, scaricando su di esso tutta la sua potenza elettrica. L’animale parve bloccarsi, come paralizzato, inciampò e ruzzolò a terra, fino a immobilizzarsi.

Leonidas e Persephone rimasero un attimo in attesa, guardinghi, poi il felidiano cominciò ad avvicinarsi. Ripose l’arco ed estrasse la spada. La freccia aveva causato danni considerevoli all’animale, sembrava impossibile che fosse ancora vivo, tuttavia quella terra ostile aveva presentato abbastanza brutte sorprese da indurlo a tenere alta la guardia.

Una volta certo che il giovane cervo era morto, il capitano cominciò a scuoiarlo. Non potevano portare via tutta la carcassa, quindi era importante prendere tutte le parti migliori prima che il sangue attirasse qualche predatore.

«Persephone, se potete, avrei bisogno di una mano» si azzardò a dire il felidiano notando che la metarpia era rimasta immobile a fissarlo.

L’inquisitrice esitò. Sembrava a disagio, ma non per la vista della carcassa. «Mi dispiace, non è il mio compito.» Rimase un attimo in silenzio, poi proseguì: «Non ho mai partecipato a una battuta di caccia, né ho mai macellato un animale» ammise. «Non saprei cosa fare.»

Da piccola, quando ancora viveva con la sua famiglia, nessuno si sarebbe mai sognato di farle fare cose del genere, e di certo l’addestramento degli inquisitori non richiedeva tali competenze. Ora che ci rifletteva, sentiva di essere cresciuta fuori dal mondo, proprio come i nobili che la prendevano in giro, o forse ancora più di loro. Si era concentrata a tal punto sull’idea di diventare un’inquisitrice da dimenticare tutto il resto.

Leonidas dal canto suo aveva le orecchie basse, profondamente in imbarazzo. Il Clero gli aveva insegnato che gli inquisitori sono esseri perfetti e capaci di tutto, ma evidentemente non era così. E ora non sapeva cosa dire per uscire da quella situazione.

«Sbrigati, io farò la guardia» affermò Persephone con la consueta freddezza, e senza tante cerimonie gli voltò le spalle.

Il felidiano avvertì un immediato sollievo per la decisione della metarpia, fece per rimettersi al lavoro, ma si bloccò. Una sgradevole sensazione si era fatta strada dentro di lui, alimentando un senso di dubbio e sfiducia nei confronti di Persephone: era davvero una buona idea lasciare a lei il comando? Lei era un’inquisitrice, la sua carica era infinitamente più importante rispetto a quella di capitano delle guardie, ma in quella situazione era davvero il caso che fosse lei a prendere le decisioni?

Fino a quel momento aveva visto solo la messaggera di Horus, la paladina di tutto ciò che è buono e giusto, ma ora vedeva anche la persona dentro l’uniforme: una donna ferita, che non sapeva come sopravvivere in quella gelida foresta, e forse bramosa di vendetta. La notte prima aveva temuto di morire di freddo e, se non fosse stato per lui, entro sera si sarebbero ritrovati senza cibo né acqua.

Ricominciò a scuoiare il cervo, sperando che il lavoro attenuasse i suoi dubbi, ma una domanda continuò ad aleggiare nella sua mente: era davvero la cosa giusta continuare a seguire Persephone?


Note dell’autore

Ben ritrovati!

Persephone e Leonidas sono ancora nei guai, ma almeno sono insieme e sono riusciti a recuperare alcuni dei loro bagagli.

Tra i due, la metarpia è quella più in difficoltà: non sa come comportarsi in quel territorio selvaggio e il peso delle sue responsabilità si fa sempre più schiacciante.

Il felidiano ha sicuramente più esperienza per quanto riguarda la caccia e la sopravvivenza nella natura, ma per uno come lui – serio e rispettoso delle gerarchie – l’idea di dare ordini a un’inquisitrice è inconcepibile.

Chi dei due sarà costretto a cambiare per permettere a entrambi di sopravvivere?

Il prossimo capitolo sarà dedicato a Tenko, Zabar e i teriantropi, a presto! ^.^


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Capitolo 27
*** 26. Prove ***


26. Prove

Tenko e Zabar camminavano in silenzio nella foresta, concentrati a osservare le piante lì attorno. Insieme a loro c’erano una dozzina di teriantropi, uno dei quali incaricato di sorvegliare i due demoni.

Erano passati tre giorni dal loro arrivo nel villaggio e i rapporti con i locali stavano lentamente migliorando. In quel momento stavano dando una mano a raccogliere frutti e piante commestibili, un’attività fondamentale per il sostentamento della comunità. Nonostante le differenze nell’aspetto infatti tutti i teriantropi erano onnivori, quindi avevano bisogno sia di carne che di verdura per mantenersi in buona solute. Poteva sembrare un compito facile, ma uscire dal villaggio era sempre pericoloso e spesso si dovevano percorrere grandi distanze per riuscire a raccogliere abbastanza cibo. Era proprio grazie al lavoro congiunto di coltivatori, raccoglitori, allevatori e cacciatori se il villaggio riusciva a sopravvivere in quel territorio così avverso.

D’un tratto Tenko individuò una pianta che sembrava corrispondere a una di quelle che stavano cercando. «Ehi, questo?» chiese a una dei teriantropi nella lingua dei locali.

«Sì, quella va bene» le rispose la donna, simile a una slanciata tigre ma con delle corna da gazzella.

Tenko, che aveva ancora un vocabolario molto limitato, riuscì a capire solo il “sì”. Trovando conferma nel cenno di assenso della sua interlocutrice, raccolse tutti i frutti maturi e li mise nella cesta che portava in spalla.

In quei giorni si era impegnata molto nello studio, tuttavia per lei non era facile acquisire una grammatica diversa da quella a cui era abituata. I vocaboli poi erano, se possibile, ancora più ostici, ma almeno era riuscita a memorizzare le parole più semplici.

Zabar dal canto suo faceva il possibile per aiutarla, ma anche lui doveva ancora comprendere le particolarità del dialetto dei locali. In realtà questa difficoltà non lo infastidiva, anzi: per lui era interessante osservare come quella comunità aveva sviluppato abitudini linguistiche proprie. Forse, con una base più solida della lingua dei teriantropi, sarebbe anche riuscito a capire da quale zona del continente provenivano.

La demone stava esaminando un’altra pianta quando il chierico le andò incontro. «Ehi, Tenko, assaggia questo» le disse porgendole un frutto rosso vivo, l’espressione entusiasta di quando scopriva qualcosa di nuovo. Ultimamente ce l’aveva molto spesso.

Lei aggrottò leggermente le sopracciglia. «Assaggialo prima tu.»

«Ehi! E comunque ne ho già mangiati due. Dai, provalo.»

Questa volta la giovane si lasciò convincere, prese il frutto e gli diede un piccolo morso. Era particolare, dolce e molto succoso, e la fece sentire subito rinvigorita.

«Mi hanno spiegato che ha un effetto energizzante, per questo i cacciatori lo mangiano spesso prima di andare a caccia» le rivelò Zabar. «Ho percepito una discreta quantità di magia all’interno, e non è l’unico. Molte delle piante che stiamo raccogliendo hanno una concentrazione magica insolita, credo sia dovuto a qualcosa nel suolo. Hai notato che sembra tutto più grande? Sono sicuro che è tutto dovuto alla magia. Mi piacerebbe fare delle ricerche più approfondite nei prossimi giorni.»

Tenko, che nel frattempo si era abbassata per osservare più da vicino una pianta, si tirò su. Diede un altro morso al frutto, e questa volta le parve di sentire il flusso di magia che irradiava il suo corpo, dandole nuova energia. «Adesso che ci penso, qui tutti quanti possono usare la magia.»

Zabar ci rifletté un attimo. «Sì, anche se a un livello molto basilare. Di sicuro il fatto di mangiare frutti e animali ricchi di magia li aiuta in questo.»

«Visto? Dare la magia a tutti è una buona cosa. Possiamo usarla per convincere altri a combattere con noi contro il Clero.»

L’espressione del chierico rimase scettica. «Mmh, sì e no. Qui funziona, è vero, ma come ti ho detto usano una magia molto semplice: aiutano la guarigione, acuiscono i sensi, alimentano le coltivazioni… Una cosa del genere su vasta scala sarebbe molto più complicata.»

«E perché, scusa?»

«Perché di sicuro ci sarà qualcuno che proverà ad approfittarsene. E, come ben saprai, fermare un ladro con una bacchetta è molto più difficile che fermare un ladro con un coltello.»

Lei lo scrutò di sottecchi. «Ho come l’impressione che tu stia parlando di me.»

Lui sollevò le mani. «Ho detto coltello, non frusta.»

«Certo… Comunque ricordati che mi bastano i pugni per menarti, caro il mio topo di biblioteca.»

«Come voi comandate, mia signora» ironizzò Zabar scimmiottando un inchino.

La ricerca di piante e frutti andò avanti per quasi tutto il giorno e solo nel tardo pomeriggio fecero ritorno al villaggio. Tutte le ceste erano piene, al punto che i due demoni si stupirono di quanto cibo erano riusciti a raccogliere.

Come ormai d’abitudine aiutarono a preparare la cena, in particolare sbucciando i frutti, pulendo le verdure o spellando gli animali. I capi del villaggio avevano deciso di farli restare nella casa comune, un grande edificio dove vivevano quelli che, per vari motivi, non avevano una casa propria. Per la maggior parte si trattava di giovani, forse orfani, ma c’era anche qualcuno più avanti con gli anni.

Tenko e Zabar cenavano vicini, soprattutto per le difficoltà linguistiche della demone. In ogni caso la diffidenza iniziale sembrava ormai superata, almeno per alcuni, e adesso non erano più costretti a mangiare isolati, anzi condividevano il tavolo con altri otto teriantropi.

«Ne vuoi ancora un po’?» le chiese il giovane davanti a lei, una mano sul pentolone e l’altra a reggere un grosso mestolo di legno.

«Grazie, sono a posto» rispose la demone. Ormai aveva imparato abbastanza bene quella frase, soprattutto perché i teriantropi continuavano a offrirle altro cibo, non riuscendo a capire come potesse mangiare poco. Evidentemente nessuno di loro si rendeva conto che Tenko pesava meno della metà del più mingherlino dei locali. In ogni caso la cosa non le dava troppo fastidio: era la prima volta che qualcuno si preoccupava di farla mangiare a sazietà.

Un colpo improvviso distrasse la demone dal calore del momento. Tutti i presenti drizzarono le orecchie e un dirompente ruggito li mise in allerta.

Nel giro di pochi secondi un teriantropo fece irruzione nella mensa e gridò qualcosa. Subito tutti quanti abbandonarono i loro piatti e si alzarono, gli sguardi preoccupati.

«Che sta succedendo?»

«Qualcosa ci sta attaccando» le spiegò Zabar. «Non ho capito cosa, credo un animale selvatico.»

Un altro colpo, ancora più violento del precedente, parve far tremare il suolo.

«Andiamo, voglio capire di cosa si tratta» stabilì la demone.

«Aspetta, non possiamo.»

«Se possiamo aiutarli in qualche modo, allora voglio farlo. E poi servirà a dimostrare che siamo dalla loro parte.»

Zabar non sembrava convinto, ma sapeva bene che non sarebbe riuscito a farle cambiare idea. «D’accordo, andiamo.»

Lasciarono la mensa e si accodarono a un gruppo di guerrieri diretti verso la palizzata. Man mano che si avvicinavano i ruggiti si facevano più fragorosi, superando la cacofonia di persone di corsa e i pianti di bambini.

Erano a poche decine di metri dalle mura quando un nuovo impatto rischiò di far perdere loro l’equilibrio. Gli enormi tronchi che costituivano la palizzata tremarono paurosamente e i teriantropi sul cammino di ronda dovettero reggersi per non perdere l’equilibrio.

In mezzo al caos che regnava in quella zona Tenko riuscì a riconoscere Clodius Niveus, il capo dei cacciatori, in piedi sul cammino di ronda insieme ai suoi uomini. Senza pensarci due volte salì agilmente la scala per raggiungerlo, subito seguita da Zabar.

Si sporse attraverso le punte dei tronchi e vide chi, o meglio cosa stava attaccando il villaggio: sembrava un orso, ma era molto più grande e la sua pelle pareva una corazza: le lance dei teriantropi rimbalzavano su di essa senza fare nemmeno un graffio. Come se non bastasse, quel mostro aveva anche una massiccia coda che terminava con una mazza ossea: fu sufficiente un colpo per far tremare nuovamente la palizzata. Le punte messe per tenere alla larga gli animali erano del tutto inutili, quell’enorme orso corazzato le aveva già spazzate via, e se non si sbrigavano a fermarlo sarebbe riuscito ad aprire una breccia.

«Voi due, che ci fate qui?!» gridò Clodius appena li vide. «Andatevene!»

«Noi aiutare» ribatté Tenko con la sua grammatica incerta. «Io guerriera.»

«Aiutare? E come credete di farlo?» ribatté il leopardo delle nevi, irritato dall’arroganza della demone. Le voltò le spalle e diede nuovi ordini ai suoi uomini, che a passo spedito cominciarono a scendere la scala.

Tenko si fece tradurre da Zabar il messaggio, ma non demorse. «Digli che possiamo sconfiggerlo. Posso stordirlo con la bacchetta.»

Mentre il capo dei cacciatori procedeva verso l’ingresso principale del villaggio, Zabar cercò di spiegargli nel modo più chiaro possibile come la loro magia avrebbe potuto far volgere in loro favore l’esito dello scontro. Clodius era dubbioso, ma l’ennesimo colpo di mazza dell’orso lo convinse a concedere ai due stranieri almeno una possibilità.

«D’accordo, faremo un tentativo» stabilì. Mandò uno dei suoi a prendere le armi di Tenko. «E che gli antenati ci assistano.»

L’imponente cancello venne aperto e i teriantropi uscirono all’esterno in formazione serrata, armati di lance e scudi, subito seguiti dai due demoni.

«Spero abbiate un piano» affermò il leopardo delle nevi, «non ho abbastanza uomini per proteggervi.»

«Certo, non sono così stupida» fu la risposta di Tenko. «Non più almeno.»

Dopo aver scagliato l’ennesima mazzata contro la barriera di legno, l’orso corazzato vide arrivare il manipolo di cacciatori e subito si voltò verso di loro, la bava che colava dalle fauci. Era pronto a partire alla carica, ma Tenko fu più rapida: puntò la bacchetta e scagliò un devastante fulmine. La scarica centrò in pieno il bersaglio: non lo ferì, ma almeno riuscì a coglierlo di sorpresa.

«Zabar!» gridò la giovane.

Il chierico non se lo fece ripetere, mise da parte la preoccupazione e scagliò l’incantesimo stordente. Il mostro, già confuso dall’attacco precedente, non riuscì a opporsi e rimase bloccato.

«Clodius, ora!»

«Attacchiamo!» ordinò il leopardo delle nevi, partendo alla carica.

I cacciatori ruggirono e si lanciarono sul nemico più veloci che potevano, decisi a sfruttare al meglio quei preziosi istanti di apertura.

Clodius fu il primo a colpire: la punta della sua lancia venne avvolta da un fascio di energia e si conficcò nel collo del mostro, dove la pelle era meno resistente. La scarica di dolore liberò dall’incantesimo la creatura, che lanciò uno strozzato ruggito e menò una vigorosa artigliata. Un paio di teriantropi vennero colpiti e caddero a terra, ma i loro imponenti scudi caricati di magia riuscirono ad assorbire l’impatto senza rompersi.

Gli altri cacciatori scagliarono con forza le loro lance e poi indietreggiarono trascinando i compagni storditi. Alcuni colpi erano andati a segno, ma il mostro non era ancora sconfitto.

L’orso avanzò furioso, pronto a liberare la potenza della sua mazza ossea, ma questa volta Tenko evocò un incantesimo di terra: il suolo si sollevò sotto le zampe della creatura, che perse l’equilibrio e fu costretta a indietreggiare.

Stremato dal dissanguamento, l’orso corazzato si faceva più lento e impacciato ogni secondo che passava, ma i teriantropi preferivano restare a distanza piuttosto che dargli il colpo di grazia. In un primo momento questo stupì la demone, ma quando il mostro crollò a terra esanime, capì che la strategia dei cacciatori era la più efficace: perché rischiare di venire feriti quando bastava attendere per assicurarsi la vittoria?

Forti della loro esperienza, i teriantropi si avvicinarono con cautela per controllare che l’orso fosse effettivamente morto. Una volta certi che la minaccia era passata, Clodius diede disposizioni ai suoi uomini e poi si diresse con passo deciso verso i due demoni.

«Vi devo ringraziare, il vostro aiuto ha fatto la differenza» riconobbe in tono serio. «Avete reso onore ai vostri antenati. Avete la mia riconoscenza e il mio rispetto.»

«È stato un onore combattere al vostro fianco» rispose Zabar a nome di entrambi. «A proposito, io sono un guaritore, sarei felice di aiutarvi a curare i feriti.»

«Non ti preoccupare, hanno preso solo una brutta botta» lo rassicurò il leopardo. «Andate pure, qui ci pensiamo noi.»

Il chierico annuì e tradusse per Tenko.

«Dunque cosa facciamo?» comandò la demone.

«Per ora torniamo alla casa comune. Direi che abbiamo fatto abbastanza per oggi.»

Per Tenko fu strano ritirarsi nella sua stanza come se nulla fosse, stendersi sul suo morbido letto di pelliccia senza pensare all’enorme carcassa che avevano lasciato fuori dalla palizzata. Certo non si aspettava una cerimonia in suo onore, eppure non le sarebbe dispiaciuto qualche riconoscimento all’infuori delle parole di Clodius, comunque molto gradite.

La mattina dopo gli abitanti del villaggio erano ancora impegnati a macellare la carcassa del mostro, ma ai due demoni non fu richiesto di dare una mano. Al contrario fu uno degli anziani ad andare da loro.

«Avete salvato il nostro villaggio» iniziò il vecchio orso, «avete addirittura rischiato la vita andando là fuori ad affrontare quel mostro. È giusto che riceviate una ricompensa. Seguitemi.»

I due demoni, stupiti ma felici, si accodarono all’anziano teriantropo. Zabar era senza dubbio il più eccitato, e il suo entusiasmo aumentò ulteriormente quando l’orso lo fece entrare in quello che sembrava un piccolo museo. C’erano vecchi abiti di mirabile fattura, armi scheggiate eppure cariche di prestigio, ma anche manufatti ricchissimi di dettagli: piccole statue, bassorilievi e dipinti che raffiguravano eventi cruciali per la storia del villaggio.

«Per quanto ami la mia gente, non sono qui per mostrarvi la nostra storia» affermò il vecchio l’orso. Si fermò davanti a un ripiano dove su un lembo di tessuto candido erano adagiati cinque piccoli oggetti. Sembravano pietre colorate e la loro forma ricordava vagamente quella di una goccia. Nonostante delle leggere differenze nel colore, erano troppo simili per essere naturali, inoltre avevano un buco nella parte più stretta, come se fossero dei ciondoli. «Ecco, guardate. Non li abbiamo fatti noi, li abbiamo trovati. Crediamo risalgano a un popolo antico, che abitava queste zone prima ancora del nostro arrivo.»

Gli occhi di Zabar parvero brillare: era esattamente quello che stava cercando. «Dove li avete trovati? Ce ne sono altri? Posso toccarli? Hanno delle tracce magiche?» Cominciò a fare domande a raffica, e solo dopo un po’ si rese conto che stava parlando la lingua dei faunomorfi e non quella dei teriantropi.

«Vi dirò tutto quello che so a riguardo» gli assicurò l’anziano, «prima però andiamo a sederci: la mia schiena non è più quella di un tempo.»

Tenko e Zabar si scambiarono uno sguardo. Il chierico era senza dubbio il più euforico, ma anche la giovane era curiosa: avrebbe finalmente trovato qualche suggerimento su come sconfiggere il Clero e gli dei?


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Dopo un inizio un po’ problematico, i rapporti tra i demoni e i teriantropi stanno migliorando: ormai Tenko e Zabar sono stati accettati dalla comunità e il loro contributo va oltre lo spalare letame in una stalla XD

L’arrivo del mostro è stata l’occasione giusta per dare prova della loro lealtà, e l’intraprendenza di Tenko è stata premiata. Oltre ad aver contribuito a sgominare la minaccia, uno degli anziani ha deciso di fare un passo avanti e li ha condotti in quello che potremmo definire il “museo” del villaggio.

Cosa svelerà l’anziano teriantropo? Ovviamente lo scopriremo nei prossimi capitoli, prima però è il turno di Persephone e Leonidas, ancora dispersi nella pericolosa foresta ghiacciata.

Grazie per essere passati e a presto ^.^


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Capitolo 28
*** 27. Il più adatto ***


27. Il più adatto

Una volta raccolte tutte le parti migliori dal cervo, Leonidas e Persephone si affrettarono ad allontanarsi prima che l’odore attirasse qualche predatore. La metarpia era in testa, ma il felidiano temeva che non sapesse dove andare. Spesso si fermavano e lei si guardava intorno, indecisa su quale fosse la direzione migliore da seguire.

«Ormai dovremmo essere abbastanza lontani» si azzardò a dire Leonidas. «Lì c’è un po’ di legna caduta, potremmo usarla per accendere un fuoco.»

«Sì, sono d’accordo» annuì Persephone con il consueto tono freddo e distaccato.

Il felidiano appoggiò la sacca piena di carne vicino all’imponente tronco di un albero e poi aiutò l’inquisitrice a raccogliere i rami a terra. Forse erano stati spezzati da qualche animale di passaggio, ma non trovò tracce fresche. La legna non era troppo umida, quindi a Persephone bastò evocare un incantesimo e in poco tempo i rami cominciarono ad ardere.

Leonidas usò qualche altro ramo per fare degli spiedi e poi mise a cuocere la carne. Non avendo modo di conservarla, dovevano cercare di mangiarne il più possibile prima che andasse a male.

Nonostante la situazione ostile, Leonidas si accorse di provare una sensazione piacevole a osservare la carne che cuoceva sul fuoco, carne che lui stesso si era procurato. Gli riportava alla mente i bei momenti trascorsi con la sua famiglia, ma lo faceva anche sentire di nuovo parte della natura: in quel momento la sua vita era solo nelle sue mani, non doveva dipendere da altri che gli procurassero il cibo. Per qualche momento poteva smettere di pensare alle gerarchie, alle formalità, ai suoi doveri: in quel preciso istante poteva concentrarsi sul vivere il momento, pensando solo a sé stesso e al cibo che si era procurato.

Da parte sua, anche Persephone desiderava dimenticarsi degli ordini e del peso della sua carica. Avrebbe voluto lasciarsi tutto alle spalle, ma non poteva: per gli inquisitori il fallimento non era contemplato. Ma allora cosa doveva fare? Abituata a muoversi da una città all’altra, a essere servita e riverita dovunque andasse, non aveva idea di come fare per portare a termine la sua missione. Leonidas invece? Lui sembrava molto più a suo agio nella foresta: forse la scelta migliore era dimenticarsi per un po’ della differenza di grado e lasciare a lui l’onere di prendere le decisioni. In condizioni normali ricevere ordini da un semplice capitano sarebbe stato un disonore per un’inquisitrice come lei, ma che alternative aveva?

«Persephone, per voi.»

Le parole del felidiano colsero di sorpresa la metarpia, che impiegò qualche istante per accorgersi dello spiedo fumante che lui le stava porgendo. Lo prese. «Ti ringrazio» aggiunse dopo qualche istante.

La carne era bruciata all’esterno e poco cotta all’interno, ma era così affamata da non accorgersene nemmeno. In quel momento nella sua mente non c’era spazio per i piatti ricercati con cui i cuochi delle grandi città cercavano di impressionarla.

«Persephone, vi prego, prendetene pure quanto ne volete» le disse Leonidas, che già stava mangiando il terzo pezzo di carne.

«Grazie, ma non penso di riuscire a mangiarne ancora» ammise la metarpia, ferma a metà del secondo pezzo. Come si poteva intuire dal suo fisico minuto, non era mai stata una buona forchetta.

Sperando di ritrovare un po’ di appetito, l’inquisitrice si alzò e diede un rapido sguardo ai dintorni. Non vide nulla di anomalo e anche i suoni della foresta parevano nella norma: per il momento nessun predatore li stava inseguendo.

«Il pendolo continua a puntare nella stessa direzione?» chiese a Leonidas.

«Controllo subito, Persephone.» Il felidiano si pulì rapidamente una mano sulla giacca e prese l’artefatto. Lo lasciò dondolare liberamente e questi indicò, seppur debolmente, la direzione in cui si trovava l’eretica. «Non sembra essersi allontanata» constatò.

L’inquisitrice annuì, pensierosa. Effettivamente la distanza tra loro e la demone sembrava diminuita leggermente, ma questo non era un buon motivo per prendersela comoda.

Tornò a mangiare, decisa a finire almeno il secondo pezzo di carne. Mandò giù un paio di bocconi, poi riprese a parlare: «Leonidas. Ci ho riflettuto, e la cosa migliore è che sia tu a prendere il comando. È chiaro che sei più abituato di me a gestire questo tipo di situazioni.»

Il felidiano, che in realtà stava pensando la stessa cosa, non riuscì a nascondere il proprio stupore. «Persephone, siete sicura? Voi siete un’inquisitrice, io…»

«Sono sicura» lo interruppe lei, impassibile. Poteva anche aver rinunciato al comando, ma la risolutezza nel suo occhio giallo non era cambiata.

Leonidas impiegò qualche altro istante a metabolizzare la cosa, poi annuì. «Come desiderate, Persephone. Vi ringrazio per la fiducia.»

Lei prese un altro piccolo boccone. «Cosa suggerisci di fare?»

«Per ora cerchiamo di mangiare il più possibile, poi ci metteremo in marcia. Dobbiamo fare più strada possibile prima che cali il sole.»

La metarpia annuì e si sforzò di continuare a mangiare.

Una volta sazi, infilarono nella sacca la carne avanzata e ripresero a camminare verso sud, guidati dal pendente del felidiano. Adesso che Leonidas era in testa si muovevano molto più spediti, ma non meno cauti. Il capitano era attento a scegliere i percorsi più sicuri, controllando il terreno alla ricerca di tracce, le orecchie tese per captare il minimo rumore. Avrebbe voluto cercare una posizione elevata da cui studiare il territorio circostante, ma gli alberi erano talmente alti che sarebbe stato troppo difficile riuscire a trovare un punto adatto in tempi ragionevoli.

Un rumore leggero, quasi impercettibile, destò le sue orecchie feline. Subito sollevò un braccio e poi fece segno a Persephone di seguirlo vicino al tronco di un albero.

In perfetto silenzio, rimasero acquattati tra le possenti radici, sfruttando alcuni arbusti per nascondersi. La metarpia non capiva quale fosse la minaccia; solo dopo diversi secondi riuscì a udire un diffuso rumore di passi. La cacofonia aumentava progressivamente di secondo in secondo, finché davanti a loro non sfilò un piccolo branco di animali. Avevano la stazza di grosse mucche e una pelliccia lanosa simile a quella delle pecore. Le loro corna parevano di ghiaccio, così come le punte sulle loro schiene. Erano una dozzina in tutto e passarono oltre senza accorgersi di loro, solo un esemplare si soffermò qualche secondo in più per mangiare alcuni frutti da una pianta.

Passato il pericolo, per la verità minimo dato che gli animali avevano tutta l’aria di essere erbivori, i due militari ripresero la loro marcia. Camminarono per tutto il giorno, finché Leonidas non stabilì che era giunto il momento di trovare un riparo.

«Si sta alzando il vento e comincia a fare freddo. Se riuscissimo a trovare un riparo sarebbe meglio.»

Persephone si guardò intorno, cercando un punto adatto. Pur avendo un occhio solo, la sua vista restava migliore di quella del felidiano.

«Di là, potrebbe essere una caverna» disse indicando con un braccio.

Con leggero stupore della metarpia, Leonidas non parve troppo contento della notizia. «Una caverna? Mmh, andiamo a vedere.»

Il vento cominciava a soffiare più forte, così i due ripresero a camminare con passo spedito. Ben presto iniziarono a turbinare anche dei fiocchi candidi, segno che sopra di loro stava nevicando.

In breve tempo il vento e la neve aumentarono d’intensità, tramutandosi in una fastidiosa tormenta. I grossi alberi fornivano un riparo molto limitato, e questo spinse i due ad affrettare il passo.

Ci vollero diversi minuti per coprire l’ultimo tratto, ma alla fine la caverna si stagliò invitante davanti a loro. Non era incassata in una parete rocciosa, ma scendeva nel terreno per una distanza imprecisata. Persephone evocò un globo di luce, ma nemmeno questo bastò a rivelare l’effettiva profondità della caverna.

L’inquisitrice avvertì una strana sensazione di déjà-vu, ma la prospettiva di restare nella tormenta di neve era abbastanza sgradevole da indurla a voler entrare. «Qualcosa non ti convince?» chiese a Leonidas, che pareva perplesso.

Il felidiano stava studiando il terreno, attento a individuare anche la minima traccia della presenza di predatori. Il diametro della caverna era abbastanza ampio da consentire il passaggio di un grande animale, ma non vedeva impronte recenti o altri indizi.

«No, penso vada bene. Accendiamo un fuoco, poi potremo mangiare e riposare.»

Leonidas, previdente, aveva già raccolto alcuni rami, così poterono accendere un piccolo falò con cui scaldarsi. Mangiarono la carne avanzata, dopodiché stabilirono i turni di guardia. Leonidas insistette per fare il primo, così Persephone si concesse qualche ora di sonno. Quando toccò a lei fare il turno di guardia, il vento e la neve si erano attenutati e la foresta si era fatta silenziosa, tuttavia non era l’esterno ad attirare la sua attenzione: la profondità della caverna aveva qualcosa di strano, qualcosa di familiare.

Decise di alzarsi e, dopo aver lanciato un ultimo sguardo verso l’uscita, accese un globo di luce e avanzò verso il cuore della terra. Dopo una ventina di passi capì perché quel luogo era così familiare. Spense la sua sfera luminosa e nel giro di pochi secondi il suo occhio si abituò all’oscurità, permettendole di scorgere un leggero bagliore con sfumature di azzurro, verde chiaro e viola.

Subito le tornò alla mente la miniera dove aveva svolto la sua precedente missione. Ricordò la caverna piena di cristalli luminosi, bellissima e suggestiva, ma anche gli strani versi provenienti dalle gallerie: stando ai familiari dei minatori, molti uomini avevano perso la vita in quei misteriosi cunicoli, divorati dai mostri.

Decise di tornare indietro a scaldarsi vicino al fuoco. L’esterno era senza dubbio pericoloso, ma forse l’interno poteva esserlo anche di più: ora capiva la diffidenza di Leonidas.

Fece la guardia con più attenzione del solito quella notte, andando in allerta per ogni minimo scricchiolio. Passarono le ore e pian piano si accorse della singolare aura magica proveniente dal sottosuolo: era troppo diffusa per essere quella di una creatura, non riusciva a identificarla.

Un rumore improvviso, più forte degli altri, la fece alzare in piedi. Guardò verso il fondo della grotta, sperando di essersi sbagliata, invece il rumore cominciò a farsi più forte: erano passi, e si stavano avvicinando.

Senza pensarci due volte chiamò il felidiano: «Leonidas, svegliati. Dobbiamo andarcene subito.»

Il ritmo dei passi accelerò all’improvviso: l’animale stava correndo e l’intera caverna tremava al ritmo dei suoi balzi.

«Leonidas!» ordinò Persephone scuotendolo con forza.

Finalmente il felidiano aprì gli occhi. «Sì, inquisitrice! No, perdonatemi. Cosa…?»

La metarpia avvertì il respiro gelido della creatura e d’istinto evocò una barriera. Otto artigli impattarono sullo scudo magico, seguiti da un candido muso cornuto. Leonidas, colto di sorpresa, balzò indietro come un gatto spaventato.

«Cosa diavolo è quello?!» imprecò, dimenticandosi completamente delle formalità.

La creatura indietreggiò e scosse il capo. Sembrava stordita, ma in un attimo si riprese. Trafisse i due intrusi con i suoi lucenti occhi azzurri, aprì le fauci irte di zanne e soffiò una raffica di neve contro di loro.

Persephone avvertì la temperatura scendere mentre il suo scudo magico veniva ricoperto di ghiaccio immacolato, nascondendo il mostro dalla loro vista. «Prendi la roba ed esci!»

«Ma, Persephone…»

«Esci e prepara una freccia!»

«Sì, inquisitrice!»

Il felidiano raccolse al volo le sacche, corse fuori dalla grotta e incoccò un dardo. «Pronto!»

La metarpia non perse tempo, dissolse lo scudo e corse fuori a sua volta. L’adrenalina le fece vivere la scena a rallentatore, riusciva perfino a contare i passi che le mancavano per uscire dalla grotta: sette, sei, cinque.

Il mostro sfondò con un balzo la muraglia di ghiaccio che lui stesso aveva creato e in un attimo individuò le sue prede. Si abbassò, pronto ad aggredire la metarpia, ma la freccia di Leonidas lo centrò in pieno. Il dardo rimbalzò sulle robuste scaglie candide, ma la scarica elettrica si rivelò comunque efficace.

«Quanto durerà?» chiese Persephone, finalmente fuori dalla caverna.

Il mostro, intontito, scosse il muso da lupo e di nuovo trafisse i due militari con uno sguardo famelico.

«Non molto» esalò Leonidas. Con un movimento rapido e preciso incoccò un’altra freccia. «Dobbiamo andarcene, ma attenta: sembra affamato.»

Persephone impugnò la sua spada. Il sole non era ancora sorto, quindi non sarebbe stata in grado di sfruttare appieno la benedizione di Horus.

Dovevano resistere, o tutti i loro sforzi per arrivare fin lì sarebbero stati vani.


Note dell’autore

Ben ritrovati!

Persephone ha deciso di cedere il comando a Leonidas, così da garantire a entrambi maggiori chance di sopravvivere nella foresta. Il felidiano, seppur restio a ribaltare la gerarchia, sapeva che quel cambio era la cosa migliore, così ha accettato l’onere di fare da guida.

Per un po’ le cose sono andate bene, ma ovviamente la quiete non poteva che essere momentanea. Un nuovo, temibile mostro ha puntato i suoi occhi su di loro, e questa volta Persephone non potrà fare affidamento sulla sua benedizione per avere la meglio. Non subito per lo meno.

Come d’abitudine, il prossimo capitolo sarà incentrato su Tenko e Zabar, desiderosi di scoprire qualcosa di nuovo sulla storia del mondo.

A presto! ^.^


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Capitolo 29
*** 28. Nel cuore di Raémia ***


28. Nel cuore di Raémia

Entusiasti di avere finalmente qualcosa di concreto su cui lavorare, Tenko e Zabar ascoltarono con totale attenzione le parole dell’anziano teriantropo di tipo orso. Purtroppo l’euforia durò poco: non ci volle molto per capire che il vecchio non ne sapeva tanto più di loro sulla vera origine del mondo.

Stando alle sue parole, gli abitanti del villaggio avevano trovato quegli strani manufatti sottoterra, più precisamente nella misteriosa rete di gallerie che sembrava diramarsi in ogni direzione. Un paio di volte erano riusciti a trovare addirittura delle pitture rupestri: strane raffigurazioni di cui però non erano riusciti a comprendere il significato.

Ovviamente Zabar avrebbe dato qualsiasi cosa per vederle di persona, ma di nuovo l’anziano orso era stato costretto a frenare i suoi entusiasmi: i teriantropi avevano smesso di recarsi sottoterra decenni prima a causa dei mostri che li infestavano, ma c’era anche un altro problema: il labirinto di gallerie sembrava cambiare costantemente, al punto che gli abitanti del villaggio erano riusciti a mappare solamente l’ingresso. Sembrava quasi che il terreno stesso fosse un essere vivente in continuo cambiamento.

Era ormai tarda mattina quando Zabar si alzò. «Dobbiamo andare là sotto» stabilì in tono fermo, risoluto come Tenko non l’aveva mai visto.

«Vi ripeto, è pieno di mostri» provò a ribattere il vecchio teriantropo. «Siete davvero sicuri di voler rischiare?»

«Sì, vi prego. Portateci all’ingresso delle gallerie.»

L’anziano esitò per qualche istante, pensieroso. Alla fine però sospirò con rassegnazione. «Va bene. Prima però dovrete prepararvi. Non vi lascerò andare là sotto senza l’equipaggiamento necessario.»

«Grazie, capovillaggio» affermò il chierico piegando il capo. «Avete tutta la nostra gratitudine.»

Zabar era ovviamente impaziente di partire, e come lui anche Tenko desiderava iniziare quanto prima: «Sono stufa di tutti questi dubbi» dichiarò in tono seccato. «Voglio delle risposte.»

Appena usciti dalla casa dell’anziano orso, la prima cosa che fecero fu di andare al grande magazzino comune a chiedere per l’equipaggiamento, ma purtroppo l’attrezzatura necessaria non era più disponibile.

«Sottoterra? Ma non ci andiamo più da decenni!» esclamò il responsabile, un teriantropo di tipo caribù, visibilmente stupito. «Se volete l’attrezzatura, dovrete costruirvela. Posso farvi la lista dei materiali, ma toccherà a voi procurarveli.»

Tenko ascoltò la traduzione di Zabar e sfoggiò un’espressione eloquente. «La cosa non mi stupisce.»

I due demoni impiegarono quasi due settimane per raccogliere tutto il necessario e costruire i vari pezzi. Nel frattempo continuarono a collaborare con gli abitanti del villaggio, riuscendo così a comprendere meglio il loro stile di vita tranquillo e frugale. Quello era senza dubbio un luogo inospitale, ma la forza dell’aiuto reciproco permetteva ai teriantropi di vivere in pace e armonia. Tenko si stupì molto quando le dissero che non esisteva un corpo di guardia incaricato di mantenere l’ordine: semplicemente non ce n’era bisogno.

«Finalmente ci siamo, domani è il grande giorno» affermò Zabar, steso sul suo letto di pellicce a osservare il soffitto.

«Già» annuì Tenko, anche lei persa a osservare le venature del legno sopra le loro teste.

«Qualcosa ti preoccupa?» le chiese il chierico, notando il velo di malinconia nella sua voce.

«No, niente. È solo che… qui è tranquillo, e soprattutto non devo guardarmi continuamente le spalle.»

«Vorresti restare?»

La demone sospirò. «Non lo so. Da una parte sì, qui sento di essere al sicuro, però… insomma, non è il mio posto. Il mio posto è in giro, voglio poter viaggiare da un villaggio a un altro, e voglio farlo non per scappare dal Clero, ma per… beh, lo sai, siamo nomadi.» Si voltò su un fianco, imbarazzata. «Va be’, lascia perdere. Vediamo di dormire, domani sarà una lunga giornata.»

«No, va bene» ribatté Zabar. «Anche io voglio che tu sia libera di viaggiare dove vuoi. E farò tutto il possibile affinché il tuo sogno si realizzi.»

Approfittando del fatto che stava dando le spalle al chierico, la giovane si lasciò andare a un sorriso riconoscente. «Ti ringrazio.»

Era ancora l’alba quando Tenko e Zabar lasciarono il villaggio guidati da Clodius e un manipolo di cacciatori. I teriantropi li condussero con sicurezza attraverso la foresta, come sempre attenti a evitare i temibili predatori che vi si annidavano.

Dopo più di mezz’ora di cammino, finalmente cominciarono a intravedere quello che stavano cercando: la grande galleria sotterranea si apriva da quello che sembrava un grande cumulo di terra, abbastanza robusto da reggere il peso della neve che si era accumulata. Era così buia e profonda che non si riusciva a vedere la fine, ma i teriantropi avevano spiegato loro che, scendendo in profondità, avrebbero trovato dei cristalli in grado di produrre luce.

«Spero troviate quello che cercate» disse loro il leopardo delle nevi. «Pregherò gli antenati affinché vi proteggano.»

«Grazie. E grazie per l’aiuto» rispose Zabar. «Ci vediamo questa sera.»

Dopo essersi congedati, i teriantropi si incamminarono verso il villaggio: avevano accettato di condurli fin lì, ma per loro era troppo pericoloso addentrarsi nelle gallerie.

Tenko prese uno dei tanti chiodi uncinati che aveva fabbricato negli ultimi giorni e lo usò per assicurare al terreno la lunga corda che portava in spalla: anche con il suo senso dell’orientamento sarebbe stato difficile ritrovare l’uscita, così invece non avrebbero avuto problemi a ripercorrere la loro strada a ritroso.

«Dopo di te» disse a Zabar scimmiottando una riverenza.

Ovviamente il chierico era troppo eccitato per accorgersi della presa in giro e subito cominciò a scendere, attento a non perdere l’equilibrio.

All’inizio il passaggio sembrava destinato a perdersi nell’oscurità, ma in breve cominciarono a distinguere un bagliore in profondità. Quando i teriantropi avevano descritto loro i cristalli luminosi, i due demoni avevano faticato ad immaginarseli, ma ora che potevano vederli di persona ne rimasero estasiati. Era incredibile come quelle conformazioni simili a muschio riuscissero ad emettere una luce così netta e definita, abbastanza forte da rischiarare uno spazio grande come la mensa comune del villaggio, eppure non così intensa da abbagliare.

«Lo senti?» esalò Zabar a bassa voce, come se si trovasse in un luogo mistico, «Qua sotto la magia è già più intensa. Permea la terra… sembra quasi che le gallerie siano vive.»

Tenko, seppur ammirata da quella vista suggestiva, ripensò agli ammonimenti dei teriantropi e tornò vigile. «Andiamo, prima che qualcosa di vivo ci trovi.»

La grande sala sotterranea aveva altre tre aperture oltre a quella da cui erano arrivati: le studiarono tutte per verificare la presenza di possibili minacce, ma non trovando nessun segno di pericolo, decisero di prendere quella al centro.

Di tanto in tanto sentivano dei versi in lontananza, ma per diverse ore riuscirono ad andare avanti senza incontrare nessun mostro. Gli unici ostacoli furono dei punti particolarmente ripidi, ma grazie alle piccozze che si erano costruiti non ebbero difficoltà a superarli.

A intervalli regolari si fermavano per assicurare la corda con un chiodo, studiavano il terreno, ma non era facile trovare indizi utili alla loro ricerca.

D’un tratto qualcosa attirò l’attenzione di Zabar: c’era una sagoma scura che spuntava dalla terra, sembrava un bastone. Si chinò per vedere meglio ed effettivamente tra i cristalli luminosi emergeva proprio la punta di un bastone. Era sporco di terra, come se in precedenza fosse stato all’interno della parete della galleria.

«Dammi una mano a scavare.»

I due demoni cominciarono a colpire con le piccozze, fecero saltare lo strato cristallino e poi continuarono a farsi largo nella solida terra. In realtà era più morbida di quanto si aspettassero, il che sembrava in accordo con i continui cambiamenti nella conformazione delle gallerie.

Dopo aver scavato per neanche un metro, uno spiraglio si aprì nella parete.

Zabar fece segno di aspettare e si avvicinò con cautela per controllare che non ci fossero pericoli. «È una piccola stanza, vedo degli scheletri. Continuiamo a scavare.»

«Spero per te che ne valga la pena» brontolò la demone prima di rimettersi al lavoro.

In breve tempo aprirono un passaggio abbastanza grande e tutti e due entrarono nella piccola camera. Anche dall’altra parte le pareti erano coperte da cristalli luminosi, il che permise loro di osservare i resti di quattro persone. Erano due adulti e due bambini, la struttura dei teschi faceva pensare a dei teriantropi, ma i loro vestiti erano di una foggia che non aveva mai visto.

«Probabilmente sono rimasti bloccati qui dentro e sono morti di fame» ipotizzò Tenko.

Il chierico però aveva visto qualcosa ed era troppo concentrato per dare retta alla sua compagna: vicino alla mano sinistra di uno degli adulti c’era un piccolo frammento colorato la cui forma ricordava quella di una goccia. Lo prese in mano. Era proprio come i manufatti che l’anziano orso gli aveva mostrato.

«Guarda i loro bracciali» disse Tenko osservando il monile che l’altro adulto aveva al polso sinistro. «Forse erano dei nobili.» Senza tanti complimenti prese il bracciale per osservarlo meglio: sembrava di metallo, ma era sottile e flessibile come tessuto. Quanto avrebbe potuto guadagnarci rivendendolo?

Delle venature luminose comparvero sull’oggetto, cogliendola di sorpresa. «Wow… Deve valere una fortuna.»

Zabar osservò a sua volta il bracciale dello scheletro al suo fianco e subito notò le somiglianze con la goccia che aveva in mano: sembrava quasi che a farli fosse stato lo stesso, talentuoso artigiano.

Con cautela prese il monile per studiarlo, e anche in questo caso il manufatto rivelò delle venature luminose, sottili come quelle di un giovane albero. Con sua profonda sorpresa, la goccia nell’altra mano reagì e anche lei venne attraversata da linee azzurrine. Un attimo dopo davanti a lui apparve una collezione di ritratti: stavano sospesi a mezz’aria e raffiguravano tutti le stesse persone, probabilmente proprio i quattro teriantropi morti in quella caverna. Guardandoli bene si accorse che non erano piatti, ma tridimensionali, come se avesse davanti dei fantasmi perfettamente nitidi.

Tenko non riuscì a nascondere il proprio stupore. «Come hai fatto…?»

Il chierico scosse lentamente il capo, come in trance. «Non ne ho idea.»

Completamente assorbito da quell’improvvisa apparizione, allungò una mano verso uno dei volti. In un attimo la sagoma si ingrandì, facendo sparire tutte le altre. E cominciò a parlare.


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Purtroppo l’anziano capovillaggio non si è dimostrato molto utile, ma almeno le sue parole hanno dato ai due demoni una nuova pista da seguire. Una nuova traccia verso quella libertà che ancora pare irraggiungibile.

Una volta raccolto tutto il necessario, Tenko e Zabar sono scesi nel misterioso sottosuolo di Raémia, desiderosi di trovare finalmente delle risposte. E di sicuro hanno trovato qualcosa di inaspettato. Sarà qualcosa di utile? Per il bene di Zabar, è meglio sperare di sì XD

Appuntamento per il primo weekend di luglio con Persephone e Leonidas.

A presto! ^.^


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Capitolo 30
*** 29. Magie e presagi ***


29. Magie e presagi

Il soffio gelido impattò contro la barriera magica, ricoprendola con uno strato di ghiaccio.

Leonidas scattò di lato, l’arco teso. Scoccò la freccia. Di nuovo il dardo rimbalzò sulle scaglie bianche del rettile-lupo, ma la scarica elettrica riuscì ugualmente a stordire la creatura per alcuni preziosi secondi.

«Andiamo!» ordinò il felidiano, indietreggiando a passo svelto. Se si fossero allontanati abbastanza dalla grotta, probabilmente il mostro avrebbe smesso di attaccarli.

Persephone lo imitò in silenzio, anche lei attenta a non perdere di vista il predatore. Lanciò un rapido sguardo attraverso la foresta, dove sapeva che si nascondeva il sole. Mancava poco all’alba: presto la benedizione di Horus le avrebbe donato nuovamente pieni poteri.

Secondo alcune voci, al tempo dei Primi Dei il dio falco regnava anche sul cielo notturno, ma l’arrivo di Tsukuyomi[14] – dio della luna – lo aveva costretto a rinunciare a metà del suo dominio. Parlare di quel periodo non era ben visto dal Clero, quindi le informazioni a riguardo erano vaghe e contraddittorie.

Intanto il lupo si era ormai ripreso e tornò all’attacco con un balzo, ma impattò contro l’ennesima barriera di Persephone. Era una fortuna che i suoi scudi magici non dipendessero dalla presenza del sole.

Il mostro usò gli artigli per cercare di aprire una breccia e Leonidas ne approfittò per scagliare un’altra freccia. La punta metallica, avvolta da un vortice d’aria, questa volta riuscì a scalfire la corazza del lupo, strappandogli uno zampillo di sangue.

La creatura indietreggiò, scoprendo le zanne. Il dardo era riuscito a conficcarsi nella carne, ma per un mostro alto più di tre metri quella era poco più di una fastidiosa scheggia.

«Sto finendo le frecce!» imprecò Leonidas.

Persephone evocò la magia di Horus, ma subito capì che la benedizione era strozzata dalla mancanza del sole. Scagliò ugualmente il raggio luminoso, un bagliore rettilineo che riuscì per lo meno ad abbagliare il lupo.

«Dobbiamo resistere ancora un po’» esalò.

E così fecero: resistettero per un tempo che parve infinito, limitandosi a difendersi, confondere il nemico e poi cercare di guadagnare un po’ di distanza. Questo finché i primi raggi di sole non filtrarono tra i tronchi, scaldando Persephone con il loro mite tepore.

La metarpia avvertì la magia di Horus divampare dentro di lei, la incanalò verso le sue mani e la plasmò in un globo lucente. Il lupo soffiò un getto gelido e l’inquisitrice rispose con il suo raggio di luce. Il fascio incandescente vaporizzò i cristalli di ghiaccio e disegnò un solco nella neve, andando a centrare in pieno il mostro. L’impatto lo scagliò all’indietro, sporcando di nero le sue scaglie candide.

Persephone era convinta che nemmeno quel lupo così ostinato avrebbe avuto l’ardire di opporsi alla potenza di Horus, e invece il mostro si rialzò nuovamente. Doveva essere davvero molto affamato, o forse l’attacco non era stato abbastanza potente.

L’inquisitrice non avrebbe voluto arrivare a tanto, ma ormai era evidente che solo la morte avrebbe fermato il loro aggressore. Richiamò a sé tutta la magia di cui era capace. Sentiva il calore che cresceva dentro di lei, sentiva la forza del suo dio che scorreva in ogni fibra del suo corpo. Cominciò a brillare di luce propria, così come avvenuto durante lo scontro con gli eretici. La neve sotto i suoi piedi iniziò a sciogliersi, impotente al cospetto del calore che riusciva a emanare.

Il drago partì alla carica e Persephone rispose con una raffica di globi luminosi. I piccoli soli si abbatterono con forza contro il mostro, sprigionando contro di lui tutto il loro calore. La creatura incassò i primi attacchi, poi però capì di dover arretrare e cercò rifugio dietro un tronco. Per un attimo i due guerrieri del Clero credettero di avercela fatta, invece il lupo balzò fuori e scatenò l’ennesimo – e ormai inutile – soffio congelante. Evidentemente l’abitudine a combattere altri mostri lo aveva reso particolarmente tenace.

«Odio la gente insistente» esalò la metarpia. Di nuovo fece fluire la sua magia verso le mani, raccogliendola in una sfera di luce.

Aveva eseguito la stessa tecnica poco prima, ma Leonidas capì subito che adesso stava caricando una quantità enormemente maggiore di energia. Riuscì ad avvertire il netto aumento nella temperatura, come se un grande braciere fosse stato appena acceso di fronte a lui. Non c’erano dubbi: quella era la vera potenza di un’inquisitrice.

Una volta caricato l’incantesimo, Persephone non attese che il mostro uscisse allo scoperto. Il raggio di luce partì fulmineo, squarciò l’imponente tronco dell’albero e travolse il lupo, continuando a distruggere e bruciare tutto ciò che si trovava sul suo cammino.

Quando il bagliore si dissolse e Leonidas riuscì a riaprire gli occhi, non fu nemmeno in grado di stabilire fin dove era arrivato l’incantesimo dell’inquisitrice.

Guardò verso il cadavere del mostro. La robusta pelle era stata completamente bruciata, così come la carne, lasciando scoperte le ossa annerite.

Il felidiano fece per aprire bocca per congratularsi con la metarpia, quando il terreno sotto i suoi piedi cominciò a muoversi. Il sollevamento, dapprima appena percettibile, si trasformò in un vero e proprio terremoto. Un pezzo di suolo si sollevò davanti ai suoi occhi, ergendosi come un muro scuro e minaccioso. La stessa Persephone arretrò, avvicinandosi al suo compagno di viaggio.

«Che sta succedendo?» provò a chiedere il felidiano.

La metarpia, altrettanto preoccupata, rimase in silenzio, sforzandosi di celare il proprio turbamento.

La scossa durò appena pochi secondi, ma tanto bastò per trasformare l’aspetto della foresta intorno a loro. Di colpo calò il silenzio, permettendo loro di udire dei rumori in lontananza: animali spaventati che cercavano un rifugio, ma anche enormi alberi che crollavano, scatenando fragorosi boati.

«Persephone… cos’è successo? Cosa facciamo?»

La metarpia attese qualche altro istante, in allerta, poi lasciò spirare via la magia e il suo corpo smise di brillare. «Il mostro è morto, muoviamoci prima che ne arrivino altri.»

Leonidas, ancora scosso, annuì. «Sì, Persephone.» Consegnò all’inquisitrice la sua sacca, dopodiché prese il pendente per controllare la direzione. «Da questa parte.»

All’inizio il felidiano sembrava il più preoccupato, ma ritrovò un po’ di serenità man mano che procedevano: il rettile-lupo si era rivelato un osso duro, ma alla fine erano riusciti a superare sia lui che il terremoto. Forse quest’ultimo era stato mandato dagli dei per aiutarli, impedendo ad altri mostri di mettersi sulle loro tracce.

Persephone al contrario, pur avendo la solita espressione seria, non riusciva a non pensare a quanto successo. Il sisma di prima non poteva essere una coincidenza: era iniziato subito dopo che lei aveva scagliato il suo attacco magico, esattamente come la tromba d’aria era arrivata proprio durante il suo scontro con l’eretica. Non era mai successo che la sua benedizione attivasse simili fenomeni naturali, ma in verità prima di allora non era mai stata costretta a usarla a piena potenza: di norma qualche incantesimo era sufficiente per sbaragliare i ribelli di turno. Se quello era un modo degli dei per comunicare con loro, era davvero un modo strano, ma non doveva essere così arrogante da pretendere di capire i loro piani.

Decise di scacciare quei pensieri dalla mente: doveva restare concentrata sul presente se voleva portare a termine la sua missione.

Continuarono a camminare per giorni, forse settimane, sempre all’erta. Ovviamente evitarono con manicale attenzione qualsiasi anfratto che fosse anche solo vagamente simile a una grotta, girarono al largo da qualsiasi traccia riconducibile a un predatore e si limitarono a cacciare il minimo indispensabile per rimanere in forze: non avevano tempo da perdere e, per quanto affamati, non potevano sapere quali piante fossero commestibili e quali no.

«Ci siamo quasi» affermò Leonidas. Il suo pendente ora si muoveva con grande decisione, segnalando senza ombra dubbio la direzione da seguire.

Il fermento del felidiano era evidente, ma anche la metarpia era impaziente di trovare l’eretica. Una volta catturata, sarebbero finalmente potuti tornare a casa. E avrebbe avuto giustizia per il suo occhio sinistro.

Un leggero rumore fece drizzare le orecchie del felidiano. Sollevò un braccio. «Non siamo soli.»

Persephone portò una mano alla spada e si guardò intorno, pronta a evocare una barriera.

I rumori si moltiplicarono intorno a loro e nel giro di pochi secondi i due guerrieri del Clero videro emergere dalla vegetazione una dozzina di creature. Erano ricoperte di pelliccia, ma avevano la postura eretta e impugnavano vari tipi di armi: lance, scudi, archi.

Uno dei teriantropi disse qualcosa, ma i due faunomorfi non riuscirono a capire le sue parole. Il cacciatore ripeté ciò che aveva appena detto, questa volta facendo gesti verso il basso.

«Credo voglia che deponiamo le armi» affermò Leonidas.

«Facciamo come dice» stabilì Persephone. «Forse hanno preso anche gli eretici.»

I due gettarono a terra spade e arco, dopodiché sollevarono le mani in segno di resa. Un teriantropo si avvicinò per raccogliere le armi, e tanto bastò per sottolineare la differenza di stazza tra lui e i due guerrieri del Clero. A occhio e croce un suo braccio doveva pesare quanto Persephone.

Uno dei cacciatori, probabilmente il capo del gruppo, fece loro segno di seguirlo.

«La direzione è quella giusta» notò il felidiano a bassa voce. I teriantropi si erano disposti in cerchio intorno a loro, così da tenerli d’occhio e prevenire un’eventuale fuga. «Cosa facciamo se hanno catturato gli eretici?»

«Cerchiamo di risolvere la questione in maniera pacifica.»

«E se non funzionasse?»

«La risolveremo in maniera non pacifica. Credimi: anche io non vedo l’ora di tornare a casa. E se proprio non riuscissimo a portare via gli eretici, allora mi assicurerò che siano morti prima di andarcene.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Dopo un’aspra battaglia, il temibile rettile-lupo è stato costretto a riconoscere la superiorità di Persephone e si è arreso. Ciò che ha davvero sorpreso i due soldati del Clero è stato però il terremoto immediatamente successivo: sarà stato un segno divino, o forse è stato l’incantesimo dell’inquisitrice a causarlo in qualche modo?

Se da una parte i misteri non accennano a diminuire, almeno l’estenuante inseguimento sembra ormai volgere al termine. Persephone e Leonidas hanno incontrato un gruppo di teriantropi, il che significa che il nuovo faccia a faccia con Tenko e Zabar è ormai imminente. Chi riuscirà a prevalere questa volta? E quale potrebbe essere il ruolo dei locali in tutto questo?

Nel prossimo capitolo torneremo dai due demoni, alle prese con un importante ritrovamento.

A presto! ^.^


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[14] Dio della luna nella mitologia giapponese.

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Capitolo 31
*** 30. La verità di Raémia ***


30. La verità di Raémia

«Sono passati… emh… undici, no dodici giorni. Siamo riusciti a scappare dal… “villaggio”, ma la vita qua fuori è molto dura.» Il fantasma parlava con voce chiara, autentica: era come se fosse davvero lì davanti a loro. «Abbiamo provato ancora a chiamare aiuto, ma nessuno ha risposto.» Si guardò alle spalle e sospirò con aria mesta. «A questo punto non so se qualcuno verrà.» Di nuovo fece una pausa. «Gli dei hanno rapito centinaia di persone, com’è possibile che nessuno se ne sia accorto?!» esclamò, le lacrime agli occhi. «Contiamo davvero così poco?» gemette, il capo chino. Dopo alcuni lunghi secondi risollevò la testa. «I miei figli mi chiedono quando torneremo a casa. Io… Io non so cosa dirgli. Non so come spiegargli quello che sta succedendo.» Appoggiò la fronte sul palmo della mano, come per cercare di raccogliere i pensieri. «Oggi mio marito è tornato al villaggio per prendere qualche altra provvista. È convinto che abbiano fatto il lavaggio del cervello a tutti, noi invece ci siamo salvati.» Un sorriso mesto affiorò sulle sue labbra. «Alla fine la mia paranoia sulle protezioni mentali si è rivelata fondata.» Sospirò. «Ora però non sono più così convinto che sia stata una buona idea…» Di nuovo lanciò uno sguardo alle sue spalle. «Ok, non so se servirà a qualcosa, ma faccio queste registrazioni perché spero che qualcuno un giorno le trovi e le guardi. Quindi, chiunque voi siate, ascoltatemi molto attentamente: gli dei ci hanno rapiti perché hanno bisogno di noi. Hanno bisogno della nostra fede per alimentare il loro potere. Vogliono farvi credere che sono onnipotenti, che tutto è nelle loro mani, ma è una menzogna. Senza di voi, loro non sono niente. Quindi vi prego: mostrate a tutti questo messaggio. Fate a sapere a tutti la verità, e sarete liberi. Non c’è arma più forte per sconfiggere un dio di mostrare a tutti la sua vera natura.» C’era rabbia nei suoi occhi, ma non abbastanza da celare la sua immensa tristezza. «Gli dei hanno rubato le nostre vite. Non lasciate che facciano lo stesso con le vostre.»

Il fantasma rimase immobile alcuni lunghi istanti, poi si dissolse e al suo posto tornò la collezione di ritratti tridimensionali. Ora era chiaro che i quattro scheletri appartenevano all’uomo e alla sua famiglia.

«È… È tutto vero…» esalò Zabar, estasiato dal ritrovamento. «È… È fantastico! Questo cambierà tutto! Tenko, lo capisci, vero? Questo cambierà tutti!»

Il chierico era così entusiasta che ci mise diversi secondi per accorgersi dell’espressione cupa della sua compagna.

«Tenko… Tutto bene?»

Lei serrò le dita sulla sua piccozza. «Fantastico? Cambiare tutto?» Scagliò l’attrezzo contro la parete. La punta aguzza si conficcò nella terra, raggelando l’atmosfera. «Mi spieghi come questo dovrebbe aiutarci?!» gridò, furiosa. «Cazzo, che differenza farà quando dovremo affrontare gli inquisitori?!»

Zabar rimase come paralizzato, spaventato dalla reazione della demone. Poi però si fece coraggio: «Capisco che questo non è quello che ti aspettavi. Magari non potremo usarlo per sconfiggere un inquisitore, ma può cambiare il mondo. Questa è la prova che gli dei ci hanno mentito! Ora abbiamo una speranza di riuscire a mostrare a tutti la verità!»

«No, non ce l’abbiamo» ribatté Tenko, ora fredda e distaccata. «Non finché esisterà il Clero.»

«Credevo non ti interessasse più distruggere il Clero. Credevo che il tuo obiettivo fosse cambiare il mondo.»

La giovane andò a riprendere la sua piccozza e la estrasse dalla terra. «Lo è, ma non possiamo farlo se prima non distruggiamo il Clero.» Raggiunse il buco attraverso cui erano passati. «Tu continua pure a cercare qui dentro. Io farò la guardia di fuori.»

Il chierico non seppe cosa rispondere e rimase in silenzio. Riusciva a immaginare il disappunto della sua compagna, ma era anche consapevole della straordinaria importanza della sua scoperta. Forse col tempo sarebbe riuscito a far capire anche a lei la portata di quel ritrovamento, ora però era meglio lasciarle il tempo di metabolizzare la cosa.

Setacciò con attenzione l’intera camera, ma non trovò nient’altro di davvero utile. Non poteva portare all’esterno gli scheletri, così si limitò a prendere la goccia e il bracciale.

Uscì dalla piccola stanza e trovò Tenko appoggiata alla parete della galleria. «Ho finito» affermò il chierico. «Possiamo andare.»

La demone gli rivolse un rapido sguardo, freddo, ostile, e si incamminò sulla via del ritorno. Grazie alla corda che avevano preparato all’andata non sarebbe stato un problema ritrovare l’uscita, ma dovevano restare all’erta: un mostro poteva comparire in ogni momento.

All’improvviso Tenko si bloccò. «Fermo.»

Zabar si immobilizzò.

La demone gli fece segno di aspettare, sguainò spada e bacchetta e avanzò lentamente, attenta a non fare rumore. Sbirciò oltre la parete coperta di cristalli luminosi e riuscì a intravedere una strana creatura. Sembrava un grosso rospo dalla pelle scura, aveva quattro occhi e un’enorme bocca, abbastanza grande da inghiottire una persona intera. Il mostro era impegnato a studiare la loro corda e per il momento non sembrava averli notati. Aprì l’ampia bocca e passò la sua massiccia lingua sulla corda, come a volerne saggiare il sapore.

Rimase immobile alcuni lunghi secondi, forse pensieroso, poi si voltò e si allontanò attraverso un altro cunicolo: evidentemente il materiale fibroso della corda non era stato di suo gradimento.

Tenko, disgustata dall’idea di toccare la saliva del mostro, indietreggiò cautamente per tornare da Zabar.

«Cos’hai visto?» le chiese il chierico a bassa voce.

«Un altro mostro, ma se n’è andato. Andiamo, prima che torni.»

I due si rimisero in marcia e questa volta riuscirono a raggiungere l’uscita senza ulteriori intoppi. Era ancora pomeriggio, quindi c’era abbastanza luce per muoversi in relativa sicurezza.

Tenko, forte del suo naturale senso dell’orientamento, guidò Zabar verso il villaggio senza proferire parola. Era chiaramente arrabbiata, ma il chierico confidava nel fatto che nel giro di qualche giorno le sarebbe passato. E poi magari le altre gocce racchiudevano altre memorie più utili per le future battaglie.

Avevano quasi raggiunto il villaggio quando incrociarono un gruppo di raccoglitori di ritorno verso casa.

«Buon pomeriggio, amici» li salutò Zabar in tono cordiale.

«Buon pomeriggio a voi» risposero i teriantropi.

Tenko e Zabar si bloccarono improvvisamente. Si scambiarono uno sguardo.

«Ho sentito bene?» esalò la demone.

«Ho sentito anche io» annuì il chierico.

«Da quando parli così bene la nostra lingua?» sorrise una delle donne, la slanciata tigre con le corna da gazzella con cui erano già andati a raccogliere frutti.

«Io… non sto parlando la vostra lingua» ammise Tenko, confusa. «Siete voi che parlate la mia lingua.» Si voltò verso Zabar. «Ehi, che sta succedendo?»

«Non ne ho idea. Questa mattina non riuscivi a capirli, giusto?»

«Che domande, certo che no!»

Ora tutti quanti, anche i teriantropi, sembravano parecchio confusi: com’era possibile che di punto in bianco la barriera linguistica fosse stata superata?

«Meglio tornare al villaggio» stabilì Zabar. «Forse gli anziani sapranno dirci qualcosa in più.»

Si rimisero in marcia e per la prima volta Tenko riuscì a capire i borbottii dei teriantropi davanti a lei. Si era talmente abituata a sentire dei versi incomprensibili che faticava ad attribuire quelle parole alle persone che erano lì con lei.

Raggiunto il villaggio, Tenko e Zabar andarono subito dall’anziano orso cercando di non attirare troppo l’attenzione.

«Allora, mei giovani amici, avete trovato quello che cercavate?» li accolse il capovillaggio con la consueta aria benevola.

«Sì, ma c’è dell’altro» rispose Zabar. Lanciò uno sguardo a Tenko. «Ora riusciamo a capirci. È come se parlassimo tutti la stessa lingua.»

L’anziano sgranò gli occhi scuri. «La stessa lingua? Impossibile…»

«A quanto pare no» ribatté Tenko.

Sentire la giovane che parlava in maniera così chiara e precisa la sua lingua madre stupì a tal punto il vecchio teriantropo che dovette adagiarsi sulla sua morbida seduta fatta di pellicce. «È come nelle leggende» esalò, quasi in trance, «quando gli antichi popoli parlavano tutti la stessa lingua.»

Zabar prese il bracciale che aveva in tasca. «Forse so di chi stai parlando» dichiarò. «L’abbiamo trovato sottoterra, vicino agli scheletri di una famiglia di teriantropi. C’era anche un’altra goccia.» Prese l’altro artefatto, e di nuovo apparvero i fantasmi che avevano visto nella piccola stanza sotterranea. «Abbiamo visto un… non so come chiamarlo, era come un ricordo: un uomo ci ha parlato, parlava degli dei, diceva che ci hanno rapito e ingannato. In ogni caso credo sia questo bracciale che ci permette di comunicare. Non ho mai visto una magia simile, nemmeno nei testi sacri.»

Zabar, preso dall’eccitazione, continuò a spiegare del suo ritrovamento all’anziano orso, che sembrava altrettanto rapito dalla questione.

Tenko dal canto suo non era molto interessata alla storia del mondo, in compenso la capacità di poter parlare con i teriantropi era anche per lei una gradita sorpresa. Forse poteva chiedere a Clodius e ai suoi guerrieri di spiegarle come usare la magia per potenziare le sue armi. Una simile risorsa, unita alla sua bacchetta polivalente, le avrebbe fatto comodo contro gli inquisitori.

Prese il bracciale che aveva in tasca, molto simile a quello di Zabar, e questa volta sulle sue labbra affiorò un sorriso. Forse tutto l’impegno e la fatica non erano stati vani.

Assorta nei suoi pensieri, passarono diversi secondi prima che la demone si accorgesse del brusio che si stava sollevando fuori dall’edificio. Si avvicinò alla porta e sbirciò all’esterno. Sembrava quasi che tutti gli abitanti del villaggio si stessero radunando in quel punto, presumibilmente attirati dalla voce che voleva i due stranieri in grado di parlare la loro lingua.

Vide una teriantropa farsi avanti: era una degli anziani, per la precisione quella di tipo volpe. Fin dall’inizio era stata molto diffidente verso i due demoni, ma ora il suo sguardo era diverso: era colmo di incredulità e… speranza?

L’anziana aprì lentamente la porta e fissò Tenko negli occhi. «Davvero capisci la nostra lingua?»

La demone, che non provava molta simpatia per la teriantropa, si limitò ad annuire.

L’anziana si avvicinò ulteriormente, fin quasi a sfiorarla con il muso da volpe. «Fammi sentire la tua voce.»

Zabar e l’orso si zittirono e anche loro si voltarono, come in soggezione rispetto al tono della donna.

«Io… vi capisco» esalò Tenko, imbarazzata da tutte quelle attenzioni.

La volpe spalancò gli occhi marroni, incapace di trattenere il proprio sgomento.

Istintivamente la demone portò una mano alla spada, intimorita, invece l’anziana le voltò le spalle e si rivolse agli abitanti del villaggio: «Il tempo è giunto!» esclamò, gioiosa e solenne. «Come narrato nelle storie, i messaggeri degli Antichi si sono infine rivelati!»

Zabar raggiunse Tenko sul ciglio della porta, così da poter ascoltare anche lui l’annuncio della volpe.

«Come gli Antichi, questi due stranieri hanno il dono delle Lingue! Presto saremo liberi! Liberi dalla paura che gli stranieri ci trovino! Liberi dalla minaccia degli dei!» La donna allungò una delle sue esili braccia verso i due demoni. «Inchiniamoci dinnanzi ai nostri Liberatori.»

Esortati dalle parole dell’anziana, uno dopo l’altro i teriantropi si inginocchiarono, così da mostrare ai due demoni tutto il loro rispetto.

Zabar, stupito da quella reazione, provò ad obiettare: «No, fermi, non dovete inginocchiarvi.» Si voltò verso la giovane. «Tenko, diglielo anche…» Non riuscì a finire la frase perché l’espressione della demone gli fece morire le parole in bocca. Non era stupita, era terrorizzata. «Tenko… tutto a posto?»

Lei lo guardò, atterrita, poi si nascose dietro la parete, come se quella folla adorante fosse invece una letale minaccia. Come in trance, cominciò a ripetere le stesse parole all’infinito: «Io non sono come loro. Non sono come loro. Non sono come loro.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Oh, finalmente abbiamo fatto un po’ di chiarezza sulle origini di Raémia… ma non troppa XD E per ogni risposta, ecco saltare fuori una nuova domanda.

Come al solito Tenko non ha fatto i salti di gioia per il ritrovamento dei bracciali (probabilmente avrebbe preferito un’armatura alla Iron Man), però il fatto di poter capire i teriantropi è una più che gradita consolazione.

Le cose sembravano poter volgere per il meglio, ma l’inaspettato comportamento degli abitanti del villaggio ha gettato la demone nel panico.

Come si evolverà la situazione? Lo scoprirete a inizio agosto nel prossimo capitolo, che sarà ancora incentrato su Tenko e Zabar.

Fino ad ora me ne sono dimenticato, quindi prima di salutarvi ringrazio Hesper, la mia infaticabile beta :D

Ora è davvero tutto, a presto ^.^


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Capitolo 32
*** 31. Resa dei conti ***


31. Resa dei conti

Clodius fece roteare la sua imponente lancia e la abbatté con forza contro Tenko. La demone scattò di lato, più agile che mai nonostante lo scudo di legno che le copriva l’avambraccio sinistro. Il leopardo delle nevi menò un colpo laterale, ma la giovane si abbassò fulminea, sfruttando la differenza di stazza per evitare la spazzata.

«Cosa credi di ottenere fuggendo?!» imprecò il capo dei cacciatori. «Sei qui per combattere o per giocare?!»

Tenko fece una smorfia di stizza e si mise in posizione di guardia. Di nuovo Clodius sollevò la lancia e la abbatté su di lei. Questa volta la demone strinse i denti e non si mosse, focalizzò la magia nello scudo e lo sollevò con decisione. Il colpo arrivò, forte e deciso, ma la lunga arma del teriantropo venne rimbalzata via, quasi inoffensiva.

La demone, inizialmente stupita, abbassò lo scudo e sorrise con aria saccente. «Stavi dicendo?»

«Non montarti la testa» ribatté il cacciatore poggiando a terra la base della lancia, «non stavo facendo sul serio. Continua ad allenarti con gli altri.»

La giovane fece un mugugno d’assenso e raggiunse un manipolo di giovani teriantropi, in quel momento impegnati a difendersi da una pioggia di pietre avvolte nella stoffa. Era un addestramento duro, ma era necessario che i futuri cacciatori imparassero a difendersi dai mostri che infestavano la foresta. Là fuori lo scudo era molto più importante della lancia.

L’allenamento proseguì per quasi mezz’ora, dopodiché Tenko e gli altri giovani teriantropi si divisero per tornare alle rispettive mansioni. Nessuno di loro aveva grande esperienza nell’uso di armi caricate con la magia, quindi dovevano prendersi il tempo necessario per recuperare le forze.

In passato Tenko non aveva mai fatto troppo affidamento sugli scudi, preferendo concentrarsi sulla sua agilità nelle schivate. Del resto i suoi avversari erano tipicamente molto più grandi e forti di lei, quindi bloccare i colpi sarebbe stato un problema. Con la tecnica dei teriantropi però le cose erano diverse: anche l’attacco più devastante poteva essere ribattuto o quantomeno indebolito.

Dopo aver restituito il suo scudo, la demone si incamminò verso la zona degli artigiani. Ora che la barriera linguistica era superata, poteva apprendere moltissime cose dai teriantropi, dal combattimento alla costruzione di armi e abiti rinforzati. Essendo costretti ad affrontare bestie estremamente pericolose, gli abitanti del villaggio avevano escogitato numerosi stratagemmi per aumentare le loro chance di vittoria. Stratagemmi che lei avrebbe potuto sfruttare contro gli inquisitori.

All’inizio aveva temuto che i teriantropi si sarebbero rifiutati di insegnarle: pensava volessero custodire i segreti del villaggio così come facevano gli artisti del suo vecchio circo, invece Clodius e gli artigiani avevano accettato quasi subito di condividere il loro sapere. Il vero problema era stato un altro: Zabar aveva impiegato ore per far capire al villaggio che loro non erano i Liberatori che aspettavano. Loro non c’entravano nulla con gli Antichi delle leggende, il loro unico merito era stato di avere la fortuna di trovare i bracciali.

A Tenko bastò rievocare quei momenti per avvertire un brivido lungo la schiena. Non voleva che qualcuno la trattasse come una dea. Non voleva avere niente in comune con quegli esseri arroganti e bugiardi. Ma c’era dell’altro: le parole dell’anziana volpe le avevano ricordato i suoi vecchi compagni, la banda di fuorilegge con cui aveva saccheggiato armerie e ucciso chierici. Quei momenti sembravano appartenere a una vita passata, eppure le faceva ancora male ricordarli. Non riusciva a darsi pace per essere l’unica sopravvissuta.

«Ehi, Tenko!»

La demone si voltò e Zabar la raggiunse. «Guarda, ho scoperto un’altra cosa.» Il chierico era diventato abbastanza bravo con il bracciale e riusciva a passare da un ricordo all’altro con relativa semplicità. Aveva riguardato più volte tutte le sequenze, ma sentiva che c’era ancora molto da scoprire sul mondo – o forse i mondi? – da cui provenivano quei fantasmi. In quel momento però c’era un frammento in particolare che voleva mostrare alla sua compagna. Selezionò uno dei ricordi e con un rapido gesto andò direttamente al momento che gli interessava.

«… non funzionano, ma ci sono armi magiche in grado di ferirli» stava dicendo il fantasma. «Nelle mani giuste, anche un comune mortale può uccidere un dio. Non sono facili da trovare, ma provate a cercarle: quando ci sono di mezzo gli dei, prima o poi saltano sempre fuori. Oppure potete usare la magia di questo mondo. Non ne ho mai percepita una così intensa, sembra quasi che il pianeta stesso sia vivo. Imparate a dominarla, e saranno gli dei stessi a cominciare a temervi.»

Zabar fermò il ricordo e fece dissolvere la figura diafana. «Hai sentito? Ci sono tanti modi per sconfiggere un dio. Ancora non comprendiamo davvero la magia di questo mondo, ma forse un’arma magica è stata usata per uccidere la dea Hel. Certo, non sarà facile trovarla dato che il fatto risale a più di vent’anni fa, ma è comunque un’altra pista da seguire.» Il chierico rimase un attimo in silenzio. «Cosa ne pensi?»

Tenko si concesse qualche istante prima di rispondere. «Penso che ti stai impegnando davvero tanto. E hai ragione: quello che abbiamo trovato cambierà il mondo. Non so se basterà a sconfiggere gli dei, però… beh, se ripenso a qualche mese fa, mi sembra che adesso tutto sia possibile.» Rimase un attimo in silenzio. «A proposito, non mi sono ancora scusata per quello che ti ho detto nelle grotte.»

«Dai, non ti preoccupare…»

«E poi volevo anche ringraziarti» lo interruppe lei. «Se abbiamo qualche speranza di vittoria, è solo merito tuo.»

Il viso di Zabar, da blu, si tinse di viola. Era così imbarazzato che non sapeva cosa dire.

Una voce improvvisa li interruppe: «Ehi, voi due!»

I demoni si voltarono e videro sopraggiungere Clodius.

«Abbiamo trovato altri due stranieri» affermò il capo dei cacciatori. «Voi venite da fuori, forse potete aiutarci a capire cosa vogliono.»

A Tenko e Zabar bastò scambiarsi uno sguardo: entrambi avevano già in mente chi si sarebbero trovati davanti.

«D’accordo, ma fate attenzione» affermò la giovane, «potrebbero essere i tirapiedi degli dei che ci davano la caccia. Sono molto potenti, quindi portate le armi migliori che avete. E mi servirà uno scudo.»

Clodius annuì. «Seguitemi.»

Dopo averli fatti camminare per alcuni minuti, i teriantropi si erano fermati e ora si limitavano a tenere d’occhio Persephone e Leonidas nella consueta formazione circolare.

«Probabilmente sono andati a riferire della nostra presenza al loro villaggio» affermò il felidiano. «Credo sia un buon segno: vuol dire che sono disposti a ragionare.»

La metarpia fece un cenno d’assenso, lo sguardo vigile davanti a sé. Le imponenti piante le coprivano gran parte della visuale, ma la sua vista acuta le avrebbe comunque permesso di scorgere in anticipo l’arrivo di un eventuale messaggero.

Era ancora pomeriggio, quindi avrebbe potuto fare affidamento sulla benedizione di Horus almeno per un’altra ora, forse due. Se le cose si fossero messe male, avrebbe potuto combattere al pieno della sua potenza.

L’attesa durò ancora qualche minuto, poi finalmente avvistò delle macchie di colore in movimento. Non le ci volle molto per distinguere le sagome di altri teriantropi, ma non erano soli: avrebbe riconosciuto quei capelli fucsia tra mille.

Poco dopo anche i cacciatori presenti si accorsero dell’arrivo dei loro compagni: «Stanno arrivando» annunciò uno di loro.

In un primo momento quelle parole non destarono alcuno stupore nei due faunomorfi, poi però Persephone realizzò di averne compreso il significato. «Ehi, hai sentito anche tu?»

«Sì, stanno arrivando. Perché?» Bastarono pochi istanti al felidiano per realizzare: «Adesso riusciamo a capirli… Ma non ha senso.»

«Questo semplificherà le cose» tagliò corto la metarpia.

In breve il manipolo di cacciatori li raggiunse e con loro c’erano anche i due eretici.

«Riuscite a capirci?» domandò uno dei nuovi arrivati, simile a un leopardo delle nevi.

«Adesso sì» confermò Persephone.

«Bene. Chi siete, e cosa ci fate qui?»

L’occhio della metarpia si piantò su Tenko. «Siamo qui per loro. Avete dato asilo a dei criminali, dovete consegnarceli. Fatelo, e ce ne andremo subito.»

«Sono servi degli dei. Se li lasciate andare, diranno a tutti del vostro villaggio» affermò la demone. «Torneranno a uccidervi tutti.»

«Non lo faremo» ribatté l’inquisitrice. «Avete la mia parola.» Il suo corpo cominciò a brillare. «Non ho intenzione di combattervi. Consegnateceli, e nessuno si farà male.»

«Taci!» gridò Tenko. «Gli dei che servi sono dei bugiardi, e ora ne abbiamo le prove! Sei tu quella che deve arrendersi!»

Persephone agì d’istinto, fulminea: il raggio di luce esplose dalla sua mano, veloce e abbagliante. La demone sollevò lo scudo e vi infuse la magia. L’attacco venne deviato verso l’alto e incenerì alcuni rami. La giovane provò a resistere, ma alla fine la potenza fu tale da scaraventarla indietro.

Allarmati dall’attacco improvviso, i cacciatori sollevarono gli scudi e puntarono le lance.

«Ve lo ripeto, non intendo combattere con voi. Dovete solo consegnarci quei due criminali.»

Gli sguardi dei cacciatori passavano dalla metarpia a Clodius, incerti. Il capo dei cacciatori non avrebbe voluto consegnare i due demoni, ma l’attacco di prima lo aveva intimorito: per quanto piccola, quella donna aveva dalla sua una potenza straordinaria.

Seppur dolorante, Tenko si rimise in piedi. Il suo scudo di legno era quasi incenerito, di sicuro non avrebbe resistito senza la carica magica. Se non altro i suoi vestiti erano più affidabili. Si sfilò la protezione e raggiunse Zabar. «Mostraglielo. Fagli vedere le prove delle menzogne degli dei.»

Il chierico esitò. «Tenko, non penso sia una buona idea…»

Lei lo prese per il bavero della giaccia, riuscendo quasi a sollevarlo. «Fallo.»

Zabar deglutì. «D… D’accordo.»

«Ehi, idioti!» gridò Tenko in direzione dei faunomorfi. «Guardate questo e poi ditemi se ancora credete negli dei.»

Il chierico passò una mano sul bracciale per attivarlo, selezionò uno dei ricordi e saltò al punto più significativo.

«… non so se servirà a qualcosa, ma faccio queste registrazioni perché spero che qualcuno un giorno le trovi e le guardi. Quindi, chiunque voi siate, ascoltatemi molto attentamente: gli dei ci hanno rapiti perché hanno bisogno di noi. Hanno bisogno della nostra fede per alimentare il loro potere. Vogliono farvi credere che sono onnipotenti, che tutto è nelle loro mani, ma è una menzogna. Senza di voi, loro non sono niente. Quindi vi prego: mostrate a tutti questo messaggio. Fate a sapere a tutti la verità, e sarete liberi. Non c’è arma più forte per sconfiggere un dio di mostrare a tutti la sua vera natura. Gli dei hanno rubato le nostre vite. Non lasciate che facciano lo stesso con le vostre.»

Zabar fece svanire il fantasma e improvvisamente calò il silenzio. L’intera foresta sembrava essersi ammutolita.

Mentre fuori tutto pareva essersi fermato, nella mente di Persephone regnava il caos. Quella visione quasi mistica aveva minato le sue convinzioni, ma non poteva tradire gli dei. Lei era un’inquisitrice, non poteva deluderli. Anche se era tutta una menzogna, doveva fare il suo dovere, giusto?

D’un tratto la risata di Tenko si levò, denigratoria, insopportabile. «Avete sentito? Gli dei vi hanno mentito! Siete solo le loro stupide pedine! Siete voi i veri criminali, non noi!»

La calma glaciale della metarpia venne incrinata da quelle parole e la sua magia esplose. Evocò una barriera e tutti i presenti vennero schiacciati a terra da una forza inarrestabile, solo lei e Leonidas rimasero in piedi.

«Leonidas, occupati di quei due. Ce ne andiamo.»

Dopo un attimo di incertezza, il felidiano si affrettò ad eseguire l’ordine: mise ai due demoni il collare anti-magia, li perquisì per sequestrare ogni arma e legò entrambi.

«Sei un’idiota!» gridò Tenko. «Come fai a credere ancora agli dei?! Non riesci a capire che ti stanno usando?! Sei solo la loro fottuta pedina!»

«Leonidas, falla tacere!» esclamò Persephone, che nel frattempo era andata da Zabar. «Come hai fatto a far comparire quel fantasma?»

Il demone si voltò dall’altra parte.

L’inquisitrice strinse i pugni, sforzandosi di mantenere la calma nonostante i versi di Tenko, decisa a insultarla attraverso il bavaglio.

«Puoi dirmelo adesso o dopo che avrò tagliato la lingua alla tua amica.»

Di nuovo Zabar rimase in silenzio.

«Come vuoi.» Persephone si alzò ed estrasse lo stiletto con cui Tenko le aveva cavato l’occhio sinistro.

«Aspetta!»

L’inquisitrice si voltò verso di lui.

«Il ricordo è nella goccia nella mia tasca destra, ma per vederlo devi usare il bracciale che ho al polso.»

Persephone si abbassò su di lui e prese gli artefatti. «Saranno gli dei a decidere cosa fare di voi due» affermò in direzione degli eretici. «Per quanto riguarda voi,» proseguì rivolta ai cacciatori, «non ho motivo di combattervi, quindi non seguiteci. Non diremo a nessuno di voi, avete la mia parola.» Si avvicinò a Tenko. «Ora rilascerò la barriera che ti tiene bloccata. Giusto per essere chiari: se non fai quello che dico, il tuo amico ne pagherà le conseguenze.»

La demone la fissò con tutto l’odio di cui era capace, ma non osò ribattere.

Come anticipato, la forza che schiacciava Tenko e Zabar svanì, permettendo loro di rimettersi in piedi.

«Muovetevi» ordinò Leonidas spingendoli in avanti.

Incapace di usare la propria magia, il chierico non poté fare nulla se non mettersi a camminare a capo chino. Tenko non si era ancora arresa, ma lui si sentiva sconfitto, svuotato, deluso. Dunque era così che moriva il loro sogno?


Note dell’autore

Ciao a tutti!

In questo capitolo sono emersi nuovi dettagli sugli dei e su un possibile modo per sconfiggerli, Tenko ha trovato nuovi modi per far fruttare la collaborazione con i teriantropi, ma soprattutto è arrivato il tanto atteso nuovo faccia a faccia tra i due demoni e i due soldati del Clero.

L'incontro/scontro non è finito bene per Tenko e Zabar, e l'idea della giovane di mostrare i ricordi contenuti nella goccia non ha avuto l'esito sperato.

Ora i due demoni sono prigionieri, ma anche per Persephone e Leonidas non si prospetta una situazione facile: riusciranno i due soldati del Clero a riportare indietro i due eretici, o saranno Tenko e Zabar ad avere la meglio, magari grazie a un piccolo aiuto?

Lo scoprirete nel prossimo capitolo, in arrivo tra due settimane.

A presto!


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Capitolo 33
*** 32. Dubbi e certezze ***


32. Dubbi e certezze

I quattro si muovevano verso nord a passo moderato, in perenne allerta. Leonidas era in testa al gruppo: il suo compito era decidere quale fosse la strada migliore per evitare le innumerevoli insidie della foresta. Dietro di lui, a pochi passi di distanza, c’erano Tenko e Zabar. I due militari avevano imposto loro il silenzio, ma in ogni caso nessuno dei due sembrava in vena di parlare. Per ultima c’era Persephone, che con il suo occhio destro aveva il compito di sorvegliare i due prigionieri così come i dintorni. In caso di attacco, le sue barriere erano l’unica speranza di salvezza per i due demoni.

Quando si erano lasciati alle spalle il villaggio dei teriantropi era già tarda mattina, quindi dovevano sfruttare la luce per allontanarsi il più possibile prima che calasse la notte. In quel momento i locali erano una minaccia perfino più temibile dei mostri giganti.

All’improvviso le orecchie feline di Leonidas captarono un rumore insolito. Lui si fermò e si voltò, una mano pronta sulla faretra. Persephone si girò a sua volta, così come i due demoni. Per alcuni lunghi secondi rimasero tutti immobili, poi videro una sagoma muoversi dietro un cespuglio. L’animale, simile a un cinghiale ricoperto di muschio, scavò con il grugno nel terreno, forse in cerca di radici, dopodiché si allontanò tranquillamente senza degnarli di uno sguardo.

«Muoviamoci» disse Leonidas a bassa voce, visibilmente teso. Si rimise in marcia e gli altri si accodarono.

Tenko lanciò un rapido sguardo dietro di sé per valutare la distanza di Persephone. «Verranno a salvarci, vedrai» esalò in direzione di Zabar.

Il chierico rimase in silenzio, preferendo concentrarsi su dove mettere i piedi per non cadere.

«Ehi, hai capito? Sono sicura che…»

«Smettila» ribatté lui con un filo di voce. «Non peggiorare le cose.»

La giovane lo sguardò stranita. «Che vuoi dire? Non è certo colpa mia se ci hanno catturato!»

«Voi due, fate silenzio!» li sgridò Leonidas.

Tenko abbassò lo sguardo e tacque: non era il momento di fare l’arrogante.

Appena il felidiano si voltò, lei rivolse di nuovo la sua attenzione a Zabar. «Ne ho viste di peggio, vedrai, riusciremo a fuggire.»

«Non è questo il punto!» ribatté il chierico, visibilmente arrabbiato.

«Ehi! Ho detto silenzio!» ribadì Leonidas, severo e marziale.

Di nuovo la giovane attese che il capitano si voltasse, poi guardò Zabar e scosse il capo, in attesa di spiegazioni.

«Come ti è saltato in mente di far vedere il ricordo a questi due?» proseguì il chierico, attento a tenere basso il tono di voce. «Cosa pensavi di ottenere? Credevi forse che si sarebbero arresi?»

La demone abbassò lo sguardo. «No, io…»

«Quei ricordi erano la nostra migliore opportunità di…» Si zittì e guardò alle sue spalle, preoccupato che l’inquisitrice potesse sentirlo. «Se distruggono la goccia, quei ricordi saranno persi per sempre. E preferisco morire piuttosto che farlo succedere!»

Tenko mantenne il capo chino. Quando aveva visto i due militari, si era lasciata trasportare dalla rabbia e aveva perso lucidità. Zabar aveva ragione: aveva combinato un casino, come sempre.

«Vedrai, Clodius e gli altri verranno a salvarci e ci riprenderemo la goccia.»

Zabar guardò davanti a sé. «Lo spero. Non è che abbiamo altre possibilità.»

***

Dopo la cattura dei due demoni, i teriantropi erano stati costretti ad aspettare che la barriera evocata da Persephone svanisse: solo allora poterono rialzarsi e radunarsi intorno a Clodius.

«Che cosa facciamo?» chiese subito uno dei cacciatori.

«Dobbiamo andare a salvarli» affermò un altro.

«No, è troppo pericoloso.»

«Ma non possiamo lasciarli andare così.»

«Il nostro compito è proteggere il villaggio.»

«E se quelli dicono a tutti dove siamo?»

«Silenzio!» esclamò il leopardo delle nevi. Lui era il capo dei cacciatori, ma non se la sentiva di prendere una decisione così importante da solo. «Torniamo a villaggio. Decideranno gli anziani cosa fare.»

Questa volta nessuno osò ribattere e tutti insieme si affrettarono a tornare indietro. I militari non sembravano intenzionati a uccidere i due demoni, quindi avevano ancora un po’ di tempo per decidere cosa fare.

«Aspettate a raccontare agli altri quanto successo, dobbiamo dare modo agli anziani di decidere» affermò Clodius prima che il gruppo attraversasse il portone.

Fu lo stesso capo dei cacciatori a dirigersi direttamente dai tre capi del villaggio per spiegare loro la situazione.

«Per quanto mi riguarda, sono pronto a guidare un gruppo di cacciatori per andare a salvare i due stranieri» concluse il leopardo delle nevi. «Ci hanno aiutati numerose volte, a mio parere è la cosa giusta andare a salvarli.»

«Grazie, Clodius» annuì l’anziana di tipo bue muschiato. «Terremo in considerazione le tue parole. Ora vai, dobbiamo discutere in privato.»

Il teriantropo annuì e lasciò la stanza.

Una volta soli, l’anziana prese un profondo respiro. «Allora, cosa ne pensate?»

«Quei due stranieri si sono dimostrati degni della nostra fiducia e della nostra riconoscenza» affermò l’orso polare. «Dobbiamo andare a salvarli.»

«Mi dispiace, ma non posso essere d’accordo» ribatté la volpe. «È vero, i due stranieri si sono impegnati per guadagnare la nostra amicizia, ma la nostra priorità deve essere difendere il villaggio. Hai sentito Clodius: i due guerrieri degli dei sono estremamente potenti, non possiamo mettere a repentaglio la vita dei nostri cacciatori.»

«Questo è vero, ma lasciarli andare sarebbe comunque rischioso. Quella donna può anche aver promesso di non rivelare a nessuno la nostra posizione, ma possiamo davvero fidarci della sua parola?»

La volpe non ribatté alle parole dell’anziano, ma non aveva intenzione di arrendersi. «Terentia, tu cosa ne pensi?»

La teriantropa di tipo bue muschiato si concesse qualche lungo secondo per riflettere prima di parlare. «Sono combattuta. Avete ragione entrambi, ma dobbiamo prendere una decisione.» Guardò attraverso la piccola finestra della stanza, attraverso cui filtrava la luce del giorno. «È una scelta difficile, dobbiamo prenderci tutto il tempo necessario per decidere saggiamente. Se al tramonto non saremo tutti concordi, voteremo per maggioranza.»

La volpe e l’orso si scambiarono uno sguardo, consapevoli di quanto sarebbe stato difficile far cambiare idea all’altro. Dovevano convincere la terza anziana della bontà della loro posizione: solo così avrebbero fatto prevalere quella che per loro era la scelta migliore.

***

Era ormai calata la notte quando i due militari decisero di fermarsi per riposare. Cercarono un punto non troppo esposto e accesero un fuoco per riscaldarsi. Come sempre avrebbero fatto dei turni di guardia, adesso però, oltre a doversi guardare dall’arrivo di eventuali predatori, dovevano anche controllare i due prigionieri.

«Faccio il primo turno, riposatevi pure» si offrì Leonidas.

L’inquisitrice annuì. Sebbene cercasse di non darlo a vedere, le settimane di marcia l’avevano molto provata, in più l’udito del felidiano sarebbe stato molto più utile della sua vista. Se i teriantropi li stavano seguendo, il suo compagno aveva più possibilità di lei di avvertirne la presenza.

I due militari avevano mangiato qualcosa mentre camminavano, così la metarpia si preparò subito per dormire. Non avevano dato nulla ai due demoni, questo perché non avevano abbastanza provviste nemmeno per saziare loro stessi. Per il momento la priorità era allontanarsi il più in fretta possibile dal villaggio, l’indomani avrebbero cercato qualche preda.

Leonidas si mise a sedere su una grossa radice, l’arco in mano e la faretra a fianco, pronto a rispondere a eventuali minacce. Anche lui era dimagrito molto nelle ultime settimane, ma il suo orgoglio marziale lo spingeva a resistere e a fare del suo meglio. Finalmente avevano catturato gli eretici, ora non dovevano fare altro che riportarli indietro, poi gli dei avrebbero espresso il loro giudizio.

Era così che doveva finire, no? Con gli dei che stabilivano cosa fosse giusto e cosa sbagliato. Chi meritava di vivere e chi di morire.

La magia dell’amico di Tenko era stata molto scenografica, ma era convinto che fosse un falso. Gli dei sono… beh, gli dei: l’avere ragione è un elemento intrinseco del loro essere. Come possono dei comuni mortali controbattere alle loro parole?

Da una parte era deluso, non pensava che la demone sarebbe stata capace di un simile sotterfugio, dall’altra però non riusciva a non considerare l’eventualità che avessero ragione. Ma se per assurdo avesse ammesso che gli dei fossero davvero dei bugiardi, allora per cosa aveva combattuto fino a quel momento? A cosa erano serviti tutti i suoi sforzi? Ad alimentare la menzogna? No, si rifiutava di crederlo.

Le sue orecchie da leone captarono dei leggeri rumori nella foresta, costringendolo a rimandare le sue riflessioni. Riuscì a distinguere varie presenze, ma per il momento era impossibile capire di cosa si trattava. Andò subito a svegliare Persephone.

«Abbiamo compagnia» le disse. «Sento diverse presenze.»

«Teriantropi?»

Lui scosse il capo. «Non lo so.»

Svegliata dal rumore, anche Tenko aprì gli occhi. Subito riconobbe la tensione sui volti emaciati dei due militari: sembravano più vulnerabili che mai, eppure non era riuscita a sconfiggerli.

Quasi subito udì anche lei i rumori che si susseguivano intorno a loro. Di sicuro si trattava dei teriantropi: erano venuti a salvarli. Una volta tornati al villaggio, si sarebbe allenata con impegno ancora maggiore, così che al prossimo scontro con un inquisitore avrebbe mantenuto la calma e l’avrebbe sconfitto.

Mentre la demone già si preparava a ciò che sarebbe successo dopo lo scontro, Persephone e Leonidas si guardavano intorno, pronti a combattere fino all’ultimo respiro per impedire a chiunque di mandare a monte la loro missione.

Finalmente riuscirono a distinguere delle ombre tra i cespugli: erano circondati. I loro cuori battevano all’impazzata, i nemici erano sempre più vicini, sempre più numerosi. E tutti insieme partirono all’attacco.

***

Il sole stava ancora tramontando quando i tre anziani lasciarono la loro stanza per comunicare a tutti la loro decisione.

I cacciatori, le armi in pugno e pronti a partire, li avevano attesi schierati alle spalle di Clodius, impazienti di ricevere ordini.

«Abbiamo discusso a lungo, e alla fine abbiamo preso una decisione» esordì la femmina di bue muschiato. «Tale decisione è definitiva, non verrà cambiata in nessuna circostanza.» Guardò con aria grave i cacciatori, uno ad uno, fino a rivolgersi a Clodius. «Non salveremo i due demoni.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Le cose non si mettono bene per i nostri eroi. Da una parte Tenko e Zabar sono stati catturati e il loro rapporto si è improvvisamente incrinato, dall’altra Leonidas e Persephone ora devono pensare a proteggere sia loro stessi che i due prigionieri, con in più il fardello del dubbio instillato dal ricordo nella goccia.

In mezzo a tutti questi interrogativi, spicca una singola certezza: i teriantropi hanno deciso di non salvare i due demoni. Per i due militari è un bene, ma come la prenderà Tenko? E soprattutto: se non sono i teriantropi, allora chi è che li sta attaccando?

Ovviamente lo scoprirete nel prossimo capitolo.

A presto ^.^


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Capitolo 34
*** 33. Punto di non ritorno ***


33. Punto di non ritorno

Persephone e Leonidas avevano incontrato diversi tipi di mostri nelle ultime settimane, ma era la prima volta che si trovavano ad affrontare quelle creature. Non erano imponenti come gli altri predatori della foresta – la loro stazza era appena superiore a quella di un grosso cane – ma dalla loro avevano la forza del numero: il branco che li stava attaccando contava almeno una dozzina di esemplari, e potevano essercene altri, celati tra le ombre della notte.

I due militari stavano con le armi in pugno, pronti a coprirsi le spalle a vicenda, ma attenti anche a non lasciare troppo allo scoperto i due demoni: dopo tutta la fatica che avevano fatto per raggiungerli, non avevano intenzione di farseli fregare da sotto il naso.

Il primo attacco di quegli strani cani era stato bloccato da una barriera di Persephone, così il branco aveva ripreso a girare in tondo, in cerca di un’apertura. La caratteristica più evidente di quei predatori erano le grandi orecchie da pipistrello, simili a quelle di Zabar, ma anche gli artigli e le zanne aguzze non passavano inosservate. Ora che avevano rivelato la loro presenza, gli esemplari avevano rinunciato al silenzio e avevano cominciato a scambiarsi rapidi versi, a dimostrazione della loro capacità di lavorare in gruppo.

D’un tratto uno degli animali emise un suono più forte degli altri e tutti quanti si immobilizzarono. Perfettamente coordinati, abbassarono all’indietro le orecchie e spalancarono le fauci. Un frastuono improvviso esplose dalle loro gole, come una sirena impazzita. I quattro vennero investiti in pieno dall’attacco, provarono a coprirsi le orecchie, ma il rumore era talmente forte che le loro teste sembravano sul punto di scoppiare. Persephone perse la concentrazione e la sua cupola magica si dissolse. Gli animali ne approfittarono e alcuni smisero di urlare per passare all’attacco. I due militari si difesero come poterono usando le spade, riuscirono a respingere i loro aggressori, ma altri puntarono ai due demoni. Si avventarono su di loro cercando di farli cadere per azzannarli al collo, approfittando del fatto che avevano le mani legate.

Nonostante il frastuono, Persephone riuscì ad accorgersene e li colpì con un raggio di luce: la sua potenza era limitata, ma quei cani non erano particolarmente resistenti e si ritirarono guaendo.

Fallito l’attacco, gli altri animali smisero di urlare e ripresero a girare loro intorno, in attesa di una nuova occasione. La metarpia evocò subito un’altra barriera e finalmente lei e Leonidas poterono riprendere un attimo fiato. Le orecchie facevano ancora male, in particolare quelle del felidiano, ma dovevano resistere.

«Ehi!» Il primo richiamo di Tenko si perse nel nulla, ma dopo un po’ di tentativi finalmente i due le lanciarono uno sguardo.

«Lasciate che vi aiuti, insieme possiamo respingerli!» urlò per coprire il torpore alle orecchie.

«E darti modo di fuggire?» ribatté l’inquisitrice. «Non se ne parla!»

Di nuovo il branco attaccò: prima li stordirono con gli urli, poi – appena la barriera svanì – alcuni esemplari si avventarono su di loro, adesso più numerosi di prima.

I due militari strinsero i denti e si difesero con decisione. Persephone riuscì a ferire gravemente un paio di animali e Leonidas ne uccise addirittura uno con un fendente alla nuca, ma erano ancora troppi.

Tenko respinse un cane con un calcio, ma altri due le afferrarono il vestito e cominciarono a strattonarla. Gridò per chiamare aiuto, ma il frastuono era troppo forte e i due militari erano troppo impegnati a difendere loro stessi.

La demone perse l’equilibrio e cadde a terra, vide le fauci aprirsi su di lei, ma un raggio di luce colpì in pieno i due cani, facendoli indietreggiare. Una sagoma apparve su di lei: era Leonidas, che con un colpo deciso uccise uno dei predatori e ferì l’altro.

Tenko guardò verso Zabar e vide che Persephone era andata a salvarlo, scacciando gli ultimi aggressori.

Appena le grida dei cani si attenuarono, Persephone evocò un’altra barriera e Tenko ne approfittò per afferrare Leonidas per un braccio. «Ti prego, ci ammazzeranno tutti se non vi aiuto.»

Leonidas esitò, e dal suo sguardo era chiaro che la pensava come lei. Si voltò verso Persephone. «Dobbiamo fare qualcosa. Non possiamo resistere tutta la notte.»

La metarpia passò in rassegna un’ultima volta i predatori che si muovevano intorno a loro. Ne restavano meno di una decina, ma purtroppo aveva perso di vista il capobranco.

«Quando ve lo dico, copritevi gli occhi.»

L’inquisitrice cominciò a caricare la magia di Horus sulla mano sinistra, creando un piccolo globo luminoso.

«Ora!»

Dissolse la barriera, sollevò il braccio e rilasciò l’incantesimo. I raggi accecanti esplosero in ogni direzione, mandando in confusione i mostri. Approfittando del momento, Persephone li colpì uno dopo l’altro con i suoi raggi di luce, abbastanza forti da bruciare la loro pelliccia ispida e scoprire la carne. I cani guairono di dolore, per alcuni secondi rimasero fermi, confusi e spaventati, poi il capobranco lanciò un verso acuto e tutti insieme corsero via.

I quattro osservarono il branco perdersi tra le ombre, quasi trattenendo il respiro, poi finalmente si concessero di allentare la tensione.

«Credo ci lasceranno in pace per un po’» affermò Leonidas.

«Voi due, siete tutti interi?» chiese Persephone.

I demoni annuirono.

«Grazie» aggiunse Zabar, quasi tra sé e sé.

L’inquisitrice osservò i cadaveri dei cani che avevano ucciso, tre in tutto.

«Te ne occupi tu?» chiese a Leonidas.

Il felidiano annuì e, senza smettere di tenere d’occhio i dintorni, cominciò a macellare gli animali.

Una volta cotta la carne, i quattro poterono finalmente mangiare a sazietà, e rimase anche qualcosa da mettere da parte.

I due militari rimasero in allerta per tutto il tempo, Tenko invece aveva altri pensieri per la mente. La determinazione di Leonidas e Persephone nel proteggerli l’aveva sorpresa, ma dentro di sé continuava ad aspettare l’arrivo di teriantropi. Era sicura che si sarebbero fatti vivi quella notte stessa, ma forse qualcosa li aveva costretti a rimandare il salvataggio, magari proprio l’attacco dei cani.

Come se non bastasse, a farla stare in pensiero era anche la freddezza di Zabar nei suoi confronti. Poteva immaginare come si sentiva, ma una volta tornati al villaggio si sarebbe fatta perdonare. Il chierico aveva ragione a essere arrabbiato con lei, però non era il tipo di persona in grado di tenere il broncio troppo a lungo. Per fortuna in questo erano diversi.

Passarono i giorni, il freddo divenne se possibile ancora più pungente, ma l’abilità di Leonidas nel destreggiarsi nella foresta riuscì almeno a tenerli al sicuro da nuovi attacchi. Ogni sera Tenko si guardava indietro, sperando di distinguere ombre familiari, ma ogni mattina le sue attese venivano puntualmente deluse.

Dopo una settimana, la sua fiducia nei teriantropi era scemata quasi del tutto. Si sentiva tradita, un sentimento che non credeva di poter provare di nuovo. Probabilmente si era fatta l’idea sbagliata di loro: li avevano aiutati, d’accordo, ma lei e Zabar restavano comunque degli estranei.

Dunque toccava di nuovo a lei trovare un modo per tirarsi fuori dai guai, come sempre. Era disarmata e denutrita, tuttavia anche i due militari non se la passavano molto bene. L’inquisitrice era un avversario fuori dalla sua portata, ma forse poteva cogliere di sorpresa Leonidas.

«Questa notte ce ne andremo» sussurrò a Zabar. «Stai pronto.»

«Fa’ come vuoi» mugugnò il chierico, ancora ostile nei suoi confronti.

La demone marciò tutto il giorno senza fiatare, in attesa che calassero le tenebre. Mangiò la sua misera parte di avanzi e si coricò, le orecchie tese per carpire cosa facevano i due militari.

«Faccio io il primo turno, tu riposati pure» disse l’inquisitrice.

La demone continuò ad attendere con pazienza, cercando di riposare il corpo e allo stesso tempo di non farsi sommergere dai pensieri. Doveva fuggire a qualsiasi costo: una volta usciti dalla foresta sarebbe stata condannata.

Finalmente i due militari si diedero il cambio, ma lei attese ancora: doveva essere sicura che l’inquisitrice si fosse addormentata.

Continuò ad aspettare e aspettare, al punto che ormai le sembrava di essere immobile da giorni. A un certo punto udì dei rumori provenire dalla foresta: sembrava un branco di animali di passaggio. Aprì leggermente un occhio, quando bastava per vedere Leonidas che si alzava per controllare: era la sua occasione.

Liberò le mani dalla corda, allentata pazientemente nel corso della giornata, dopodiché si tirò su molto lentamente, cercando di non fare rumore. Il felidiano era ancora di spalle, l’arco in mano, concentrato a osservare la foresta.

La demone si mosse di soppiatto, un passo dopo l’altro. Ovviamente non poteva perdere tempo a recuperare le sue armi, così raccolse un ramo dall’aria robusta: non era il massimo, ma grazie alla tecnica appresa dai teriantropi era convinta di riuscire a renderlo abbastanza resistente.

Ormai a un passo dal felidiano, era pronta colpire. Lui la sentì e si voltò di scatto. Tenko colpì con tutta la forza che le era rimasta, ma Leonidas si difese con le braccia. Il soldato cadde a terra, dolorante e sorpreso dalla potenza dell’impatto. La demone sollevò il ramo, ma lui fu più rapido: «Persephone!» chiamò, «Vogliono scappare!»

Il bastone impattò sulle braccia del felidiano, riuscendo solo a strappargli un grugnito di dolore.

Nel frattempo l’inquisitrice si era svegliata, vide i due che lottavano e ci mise un istante a bloccare la demone con una delle sue barriere.

Guardò verso Zabar, anche lui sveglio, ma seduto e immobile, come se quello che stava accadendo non lo riguardasse minimamente.

Persephone prese la sua spada e si piazzò davanti a Tenko, ora disarmata e inoffensiva. «Ti avevo detto cosa sarebbe successo se provavi a scappare.»

La demone cercò di mantenere un’espressione decisa, ma dentro di sé stava tremando. Aveva paura che questa volta la metarpia le avrebbe davvero cavato un occhio, o peggio, poi però rammentò quello che le aveva detto l’inquisitrice dopo averla catturata.

“Se non fai quello che dico, il tuo amico ne pagherà le conseguenze.”

«Leonidas, prendi il prigioniero.»

«No, aspetta» implorò Tenko. «È stata una mia idea, lui non c’entra!»

«Ti credo, ma non mi interessa» ribatté la metarpia, gelida.

«Persephone, cosa volete che faccia?» chiese il felidiano.

«Ti prego, non farlo!» implorò Tenko. «Fammi ciò che vuoi, ma lui non c’entra.»

«Avresti dovuto pensarci prima!» la zittì Persephone. Detto ciò le voltò le spalle e smise di ascoltarla, preferendo concentrarsi su Zabar. Una parte di lei avrebbe voluto dargli una punizione esemplare, qualcosa che avrebbe spezzato per sempre la resistenza della demone, dall’altra però sapeva che quello che stava facendo era sbagliato: quel chierico era un eretico, ma per quello avrebbe pagato una volta al cospetto degli dei. Qualsiasi punizione stava per infliggergli, sarebbe stata del tutto immeritata. Come se non bastasse, l’aria rassegnata del demone non faceva che farglielo apparire ancora più innocente.

Fece appello a tutta la sua freddezza e poi agì. Gli prese l’orecchio sinistro e tagliò la metà superiore, rapida, così da non farlo soffrire più del necessario. Il malcapitato venne ugualmente sopraffatto dal dolore e lanciò un urlo strozzato, andando a coprire la ferita con le mani.

Anche Tenko urlò, di rabbia e dispiacere. Provò a liberarsi dalla barriera, ma era tutto inutile.

«Leonidas, fai qualcosa per quella ferita.»

Mentre il felidiano si preoccupava di cauterizzare il taglio, Persephone tornò a fissare la demone.

«Te la farò pagare! Ti giuro che te la farò pagare!» gridò Tenko, gli occhi lucidi.

«Cosa credi, che mi faccia piacere tutto questo?! Credi che mi diverta a far soffrire il tuo amico?!» Serrò i pugni. «Ogni volta che ti guardo devo sforzarmi per non cavarti un occhio, ma tu cerchi sempre un modo per farmi infuriare! Sarebbe molto più facile per noi se ti tagliassi le mani, ma non lo faccio, e lo sai perché? Perché ho degli ordini, delle regole: qualcosa che evidentemente tu non riesci a capire.»

«Quello che non capisco è perché tu ti ostini a seguirle, quelle cazzo di regole! Gli dei vi stanno ingannando! Stai solo facendo il loro gioco!»

«Smettila!»

«Se noi collaborassimo, potremmo vivere liberi! Tutti quanti! Non abbiamo bisogno degli dei!»

«Ho detto smettila!» Il corpo di Persephone si accese di un rapido bagliore. «Un’altra parola, e ti taglio la lingua.»

Tenko capì che l’inquisitrice non stava dicendo tanto per dire e si sforzò di tacere.

«Questo era l’ultimo avvertimento» affermò Persephone. «La prossima volta te le taglio davvero le mani, e lo stesso vale per il tuo amico.»

I due militari legarono nuovamente la demone e la lasciarono insieme al chierico.

Tenko avrebbe voluto scusarsi con Zabar, ma non sapeva cosa dirgli.

«Ti prego, smettila» esalò il demone. «Peggiori solo le cose.»

La giovane non ribatté. Sapeva che lui aveva ragione, ma ciò che la ferì davvero fu ciò che il chierico aggiunse poco dopo, a bassa voce, tra sé e sé: «Avrei fatto meglio a cercare qualcun altro.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Lo scontro con il branco di mostri è stato duro, ma in un modo nell’altro se la sono cavata. I due militari avrebbero potuto pensare solo a loro stessi, ma hanno messo a rischio le loro vite per tenere al sicuro i demoni (e avere così la possibilità di assicurarli alla giustizia).

Nonostante ciò, Tenko ha deciso di provare ugualmente a scappare. Doveva farlo: non poteva starsene buona mentre la portavano a morire, ma purtroppo il suo velleitario tentativo è andato male. E quel che è peggio è che Zabar ne ha dovuto pagare le conseguenze. Cosa ne sarà adesso del rapporto tra i due demoni? E Tenko avrà ancora la forza per cercare di salvare la sua vita e quella del chierico?

A presto ^.^

PS: ringrazio la mia beta Hesper che ha lavorato anche d’estate per rileggere i miei capitoli :D TNCS non va mai in vacanza XD


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Capitolo 35
*** 34. Sotto custodia ***


34. Sotto custodia

Erano settimane che camminavano, combattendo contro la fatica e il freddo. Ogni giorno sembrava identico al precedente: marciavano, marciavano e poi marciavano ancora, con la perenne minaccia dei mostri in agguato.

Tenko non era più in grado di dire da quanto tempo erano stati catturati, né quanto tempo ci sarebbe voluto per raggiungere il villaggio più vicino. O quanto le restava da vivere.

Dopo quello che l’inquisitrice aveva fatto a Zabar, qualcosa sembrava essersi rotto dentro di lei: non aveva più la forza e la determinazione per provare a fuggire. Sapeva che se non faceva qualcosa il suo destino era segnato, eppure non aveva più il coraggio di tentare una fuga disperata. Aveva paura: non tanto di quello che avrebbero fatto a lei, ma di quello che avrebbero fatto a Zabar. Il chierico non le aveva più rivolto la parola, eppure lei preferiva rinunciare a combattere piuttosto che farlo soffrire ulteriormente. Era forse questo che significava essere compagni?

Una notte i suoi tormenti interiori sembravano particolarmente intenzionati a non farle chiudere occhio, così si alzò e si avvicinò al fuoco.

«Ti spiace se mi siedo?»

Leonidas le fece cenno di accomodarsi. Cercava di dimostrarsi serio e concentrato, ma anche lui era al limite.

Rimasero in silenzio a lungo, fissando il fuoco o scrutando la foresta, ascoltando i rumori intorno a loro. Era una notte molto tranquilla.

«Perché sei diventato un soldato?»

Il felidiano si prese qualche secondo prima di rispondere. «Volevo proteggere la mia famiglia. I miei amici. Quelli che non potevano proteggersi da soli. Lo so, è un motivo banale, ma è così.»

«È un bel motivo» rispose la demone.

Per un po’ non dissero nulla, poi Leonidas riprese a parlare: «Posso chiederti perché sei diventata una fuorilegge?»

Questa volta fu la demone a concedersi qualche momento per riflettere. «La mia famiglia faceva parte di un circo itinerante. Sarei diventata una circense anche io, ma il Clero ha scoperto che facevamo pozioni e quindi ha ucciso tutti quanti. Ero ancora una bambina, ero arrabbiata e spaventata, e dovevo trovare un modo per cavarmela da sola. Non è stato facile, ma sono sopravvissuta.»

«Mi dispiace. Per la tua famiglia, e per quello che hai dovuto passare.»

Un sorriso mesto ma sincero affiorò sulle labbra di Tenko. «Grazie.»

«Ora capisco perché ce l’hai con il Clero, ma non sono tutti cattivi. Ci sono anche molte brave persone. Persone che dedicano la vita ad aiutare gli altri.»

La demone continuò a fissare il fuoco per alcuni lunghi istanti. «Probabilmente hai ragione. Ma non è così per tutti. Non è così per gli dei.»

«Perché ti ostini a diffidare degli dei?» Il tono di Leonidas era calmo: voleva davvero capire le ragioni della giovane.

«All’inizio era solo rabbia, vendetta, grazie a Zabar però ho cominciato a capire meglio come stanno davvero le cose. Mi ha mostrato le incongruenze, le menzogne, e ora abbiamo trovato la goccia con i ricordi. È chiaro che ci stanno ingannando.»

«Anche ammettendo che l’abbiano fatto, e non sto dicendo che è così, sono sicuro che avrebbero avuto le loro ragioni. In fondo noi esistiamo grazie agli dei. Se non fosse per loro, non ci sarebbe nulla.»

Tenko scosse il capo. «Questa è solo una delle menzogne degli dei, forse la più grande di tutte. Gli dei non hanno creato un bel niente, hanno solo preso quello che c’era e ci hanno detto che l’avevano fatto loro.»

«E allora come lo spieghi il sole? La terra, il cielo, tutto quanto. Come spieghi la magia, se non sono stati gli dei a crearla?»

«Questo non lo so. Ma questo non vuol dire che gli dei abbiano ragione. Magari una spiegazione c’è, solo non la conosciamo. Non ancora per lo meno.»

Tra i due calò un lungo silenzio, interrotto solo dal verso di qualche uccello in lontananza.

«Non c’è possibilità che tu ti penta e chieda una grazia agli dei, vero?»

Lei scosse il capo. «No. E non c’è possibilità che tu riconosca le menzogne degli dei e decida di combattere con noi, vero?»

Questa volta fu lui a scuotere il capo. «No.»

Di nuovo silenzio.

La demone si alzò. «Meglio che vada a dormire, domani sarà una giornata faticosa.»

Leonidas continuò a fissare il fuoco per un momento, poi le lanciò uno sguardo. «Sai, è strano, ma forse in un’altra vita saremmo potuti essere amici.»

Lei si coricò. «Hai ragione: è strano. Ma forse è proprio così.»

Era dalla sera prima che la foresta aveva cominciato a diradarsi. Gli alberi si erano fatti man mano meno imponenti, tornando gradualmente alla stazza a cui i quattro erano abituati.

Persephone fu la prima ad avvistare il villaggio, così lontano che era solo un puntino fra i tronchi, ma non diede subito la notizia: una parte di lei temeva ancora che i due demoni avrebbero provato a scappare. Un ultimo disperato tentativo prima di venire sbattuti in cella. In realtà non credeva ne sarebbero stati in grado, ma non voleva rischiare.

Fu Leonidas a dare l’annuncio, e a quel punto il cuore di Tenko cominciò a battere all’impazzata. Aveva paura, una paura folle: tra poco le sue ultime chance di salvezza sarebbero svanite per sempre.

Guardò Zabar, che invece aveva ancora la sua aria mesta, rassegnata. Provò ad avvicinarglisi. «Se vogliamo scappare, dobbiamo farlo adesso.»

«Abbiamo perso, Tenko, fattene una ragione. Ma se proprio ci tieni, vai pure. Tanto sono morto comunque.»

La demone deglutì. Non era sicura che lui le avrebbe risposto, ma di certo non si aspettava quelle parole. Non sapeva cosa fare. Se non provava a scappare, avrebbe perso tutto, anche quella minuscola possibilità di mostrare a tutti le menzogne degli dei. Se lei si arrendeva, nessun altro avrebbe portato avanti la loro battaglia. E poi Zabar aveva ragione: lo avrebbero ucciso in ogni caso.

Cosa doveva fare?

Guardò Leonidas, che camminava pochi passi più avanti, poi Persephone, qualche metro alle loro spalle. Era un tentativo disperato, ma era meglio di niente, no? Morire per morire, tanto valeva farlo combattendo.

Guardò un’ultima volta verso Zabar. «Questa volta no. Tanto non riuscirei a combinare nulla di buono senza di te.»

Lui si sforzò di trattenere una punta di ilarità. «Non è da te arrenderti.»

«Non mi sto arrendendo. Troveremo un altro modo per fuggire.»

Il chierico non disse nulla, ma la sua espressione non era più così abbattuta.

Quando raggiunsero il villaggio, ad attenderli c’era già un nutrito numero di persone, incluso il priore. Sembravano intenzionati a festeggiarli, ma quando videro quanto fossero stanchi ed emaciati, il loro entusiasmo si smorzò.

«Miei signori, è un onore e un piacere riavervi qui con noi» affermò il capo religioso mascherando lo stupore con un profondo inchino. «Vedo che avete caturato gli eretici, ero sicuro che ci sareste riusciti.» Fece avvicinare alcune guardie. «Avanti, portateli subito in cela. Intanto voi seguitemi, vi prego, vi facio preparare subito un pasto caldo.»

I due militari, stanchi e affamati, lasciarono ai colleghi il compito di occuparsi dei due demoni e si fecero guidare dal priore verso la caserma. Era un sollievo essere finalmente tornati alla civiltà: avere un tetto sopra la testa, un pasto caldo sulla tavola, avere una tavola.

«Mandate un messaggero, ci servono dei grifoni per portare i prigionieri a Theopolis» ordinò Persephone dopo aver mangiato e bevuto. I cuochi avevano preparato della costosa carne, ma in quel momento era interessata soprattutto al più umile contorno di frutta e verdura.

«Come desiderate, inquisitrice» annuì il priore. Batté le mani per chiamare un inserviente e passò subito l’ordine. «Sono certo che vorete riposare, vi facio preparare subito delle camere» proseguì il religioso con il consueto tono ossequioso.

Una volta soli nelle rispettive stanze, la prima cosa che fecero i due militari fu sdraiarsi sui morbidi letti di pellicce. Avevano quasi dimenticato cosa significava avere un letto, quanto fosse piacevole abbandonarsi alla sua avvolgente morbidezza.

Persephone si concesse qualche momento per assaporare fino in fondo la ritrovata comodità, dopodiché infilò le mani in una delle tasche interne del vestito e ne tirò fuori il bracciale e la goccia che aveva sequestrato all’eretico.

Aveva pensato a quegli oggetti per tutto il viaggio, desiderava controllare in maniera più approfondita la misteriosa visione, ma non si era azzardata a farlo: non voleva che altri la vedessero mentre lo faceva. Ora però era sola: poteva studiare quegli artefatti senza preoccuparsi di nessuno.

Le ci volle un po’ per capire come farli funzionare, ma alla fine riuscì a far apparire la collezione di ritratti e a vedere un ricordo. Lo studiò con attenzione, analizzandone ogni dettaglio, cercando di trovare anche il minimo indizio per dimostrare che fosse un falso. Ma non trovò nulla di sospetto. Per di più non sembrava esserci magia in quegli artefatti: come facevano a funzionare?

Quei ricordi erano autentici, non poteva negarlo, ma non poteva nemmeno ammetterlo: farlo avrebbe fatto crollare tutte le sue certezze. Avrebbe significato dare ragione agli eretici. Diventare lei stessa un’eretica.

Fece dissolvere le figure diafane e ripose i due artefatti nella tasca della giacca, prima che qualcuno entrasse e li vedesse.

Era strano: aveva assicurato alla giustizia i due fuggitivi, eppure in quel momento si sentiva più in trappola di loro. Doveva pensare bene a cosa fare: qualsiasi decisione avesse preso, non avrebbe avuto la possibilità di tornare indietro.

A pochi metri di distanza, anche Leonidas era immerso nei suoi pensieri, gli occhi fissi sul soffitto. Era ancora convinto che gli dei fossero dalla parte del giusto, ma in quel momento aveva anche lui qualcosa da nascondere.

Infilò una mano in tasca e prese un bracciale molto simile a quello di Persephone. Era l’artefatto di Tenko, ma non era stato lui a sequestrarlo: era stata lei stessa ad affidarglielo un paio di sere prima.

“Ti prego, prendilo tu. E tienilo al sicuro. Non voglio che lo prendano gli altri.”

Il felidiano sapeva di doverlo consegnare ai suoi superiori, magari alla stessa inquisitrice, ma non ne aveva avuto il coraggio. Quella era una prova della colpevolezza dei due demoni: se lo scoprivano avrebbero potuto accusarlo di essere loro complice, eppure qualcosa lo tratteneva dal fare il suo dovere.

Ripose l’artefatto e chiuse gli occhi. Magari una sana dormita gli avrebbe portato consiglio.

Era passata più di una settimana dal loro arrivo quando nel villaggio si sparse la notizia di alcuni grifoni in avvicinamento.

I due militari si aspettavano di ricevere come rinforzo dei semplici soldati, magari guidati da un altro capitano, per questo rimasero molto stupiti quando le sentinelle riportarono la presenza di un inquisitore.

Nel villaggio crebbe rapidamente il fermento: non si erano mai visti due inquisitori contemporaneamente in un centro abitato così sperduto.

Il priore diede disposizioni a tutto il villaggio, anche i bambini vennero coinvolti nei preparativi per dare ai nuovi arrivati la migliore delle accoglienze.

Persephone non sapeva chi si sarebbe trovata davanti, ma in realtà non le importava più di tanto: tutti gli inquisitori che conosceva la disprezzavano o per lo meno la consideravano inferiore a loro. Mentre i volatili si avvicinavano, osservò le pregiate finiture del grifone in testa – un pellegrino particolarmente grande – e, grazie alla sua vista acuta, riuscì a distinguere anche il volto dell’uomo in sella. Nonostante il disappunto, la sua espressione rimase impassibile.

La maestosa creatura atterrò e l’inquisitore scese con un movimento elegante. Era un metarpia di tipo falco particolarmente alto per la sua sottospecie, aveva la pelle scura e dei tratti molto virili. Le piume del capo erano dritte a formare una cresta piuttosto scenografica, e nonostante il clima non portava abiti particolarmente pesanti, anzi attraverso la scollatura si potevano vedere i suoi muscoli scolpiti.

«Nobile inquisitore, è un onore avervi nel nostro umile vilagio» affermò il priore sprofondando in un inchino. «Se avesimo saputo del vostro arivo, avremo preparato un’acoglienza più consona.»

«No, non preoccupatevi» rispose lui con un sorriso affabile. «Ero nei paraggi e ho pensato di dare una mano. Purtroppo non posso trattenermi.»

Osservò rapidamente gli abitanti del villaggio, tutti intenti a osservarlo con profonda ammirazione.

«Lasciate che mi presenti. Sono Ramses, figlio del divino Horus, semidio del sole. Mio padre è molto compiaciuto per l’aiuto che avete dato nell’assicurare alla giustizia questi due eretici.»

Colti di sorpresa, gli abitanti si lasciarono andare ad applausi e preghiere, euforici: al mondo non esisteva onore più grande di ricevere la visita di un semidio.

«Nobile Ramses, è un onore incontrarvi» disse Persephone, inespressiva, facendo un inchino.

«Sai, quando mi hanno detto che la missione era stata affidata a te, ho temuto che ci avresti fatto fare brutta figura.» Squadrò i due demoni con i suoi intensi occhi scuri. «E invece eccoti qua con le due persone più ricercate al mondo. Non male per una plebea. A proposito, quella benda ti dona. Sono stati gli eretici o sei inciampata?»

La metarpia, impassibile, ignorò completamente la domanda. «Quando volete, noi siamo pronti a partire.»

«Ottimo, partiamo subito» affermò Ramses. Fece un cenno ai suoi uomini e quelli andarono a prendere i due demoni. «Non vedo l’ora di arrivare a Theopolis. Mi aspettavo qualcuno di più robusto, ma sono curioso di vedere come se la caveranno nelle arene. È sempre bello quando arrivano dei nuovi gladiatori.»


Note dell’autore

Ben ritrovati!

Dopo tanti scontri, questa volta il confronto tra Tenko e Leonidas è stato sorprendentemente pacifico. Per la prima volta si sono aperti una con l’altro in maniera sincera, entrambi hanno esposto le loro ragioni, ed entrambi hanno chiarito che non intendono cambiare idea.

Alla fine i due militari sono riusciti a portare a termine la loro missione e ora i due demoni sono sotto custodia. La giovane avrebbe potuto provare a scappare, ma per una volta ha preferito pensare agli altri prima che a se stessa.

Nel finale sono riuscito a presentare il primo semidio del racconto: Ramses, figlio di Horus. Ora che c’è lui, di certo Tenko e Zabar non avranno molto margine per tentare la fuga.

Cosa ne sarà adesso dei due demoni? Riusciranno a sopravvivere nelle arene?

Lo scopriremo il primo weekend di ottobre.

Non mancate!


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Capitolo 36
*** 35. Condanna ***


35. Condanna

Rispetto all’interminabile marcia nella gelida foresta, il viaggio verso Theopolis fu talmente rapido che Persephone si sentì completamente spiazzata quando avvistarono la Città degli Dei, una delle più grandi e ricche metropoli al mondo. Aveva portato a termine la sua missione, ma aveva ancora troppi pensieri per la mente, troppi dubbi: come poteva fare rapporto al suo dio in quelle condizioni?

I grifoni atterrarono in un apposito cortile, grande abbastanza da consentire l’arrivo e la partenza di almeno una dozzina di draghidi in contemporanea.

Ad attenderli c’era un nutrito gruppo di guardie che prese subito in carico i due demoni. Di sicuro il Clero non aveva voluto correre rischi: con così tanti uomini a sorvegliarli, era impossibile per i due eretici anche solo pensare di poter fuggire.

Una volta che la scorta si fu allontanata, Ramses si avvicinò a Persephone. «Andiamo, mio padre è impaziente di vederti.»

Al solo sentire quelle parole, la metarpia venne attraversata da un brivido. «Intendete di persona?»

Lui sorrise, ma era difficile capire se fosse un sorriso sincero. «Esatto. Hai catturato le due persone più ricercate al mondo, te lo meriti.»

L’inquisitrice si sforzò di mantenere la calma. Di sicuro Ramses sapeva fin dall’inizio che Horus l’avrebbe incontrata di persona, eppure non aveva detto nulla in proposito: come al solito si divertiva a prendersi gioco di lei.

«Sarà un onore» affermò la metarpia una volta ritrovata la compostezza.

Il semidio la condusse alla villa dove risiedeva il padre, un edificio tanto grande quanto sfarzoso. C’era oro ovunque e le rifiniture dovevano essere opera dei migliori artisti al mondo. Era davvero una residenza degna di un dio.

I due inquisitori entrarono in una stanza dal soffitto altissimo e lì trovarono Horus in persona, circondato da servitori e da donne bellissime pronte a soddisfare ogni suo capriccio. L’intero spazio era inondato di luce grazie alle ampie finestre, così da sottolineare la maestosità del dio sole.

«Padre, è un onore e un piacere incontrarvi» affermò Ramses piegandosi in un inchino.

Persephone, ammutolita, si affrettò a inginocchiarsi, il capo verso terra.

Horus si alzò dal suo ampio divano, posto alcuni gradini sopra il resto della stanza. Era più alto della maggior parte degli uomini, aveva un fisico scolpito e la caratteristica testa da falco pellegrino. Tutto il suo corpo sembrava emanare un’aura di mistica magnificenza, come se brillasse di luce propria.

«Figlio mio, hai fatto presto.» Il dio si rivolse poi ai suoi servitori: «Lasciateci.»

In un attimo tutti quanti svanirono nei corridoi laterali; nella maestosa stanza rimasero solo Horus e i due inquisitori.

«Mio signore, è un onore troppo grande essere in vostra presenza» affermò Persephone, lo sguardo incollato al pavimento di marmo.

«Ci hai messo più tempo del previsto, ma hai compiuto la tua missione» le disse la divinità.

«So di avervi deluso, non ci sono scuse per la mia inefficienza.»

Mentre parlavano, Ramses si avvicinò al padre, fermandosi subito prima dei gradini.

«Se non altro sei riuscita a catturare gli eretici. Mi assicurerò che abbiano una punizione esemplare. Pagheranno anche per ciò che ti hanno fatto, mia leale servitrice. Ciò non toglie che la tua ferita sia un disonore. Un inquisitore non dovrebbe lasciarsi ferire da dei volgari criminali.»

«Sono mortificata, mio signore. Ho commesso un errore, ma non accadrà più.»

«Ne sono convinto. Se dovessero ferirti di nuovo, non perdere tempo a tornare.»

Persephone si sforzò di mantenere la calma. Nonostante tutto, la vergogna di aver deluso Horus la stava schiacciando. Sentiva i suoi occhi su di sé, il suo giudizio severo, e faticava a non tremare. Serrò le palpebre, sforzandosi di reprimere le lacrime.

«Hai trovato altri ribelli a sud?» le chiese Horus.

La metarpia esitò. Sapeva di dover dire la verità: che senso aveva mentire a un dio? D’altra parte aveva promesso ai teriantropi che non avrebbe rivelato a nessuno della loro esistenza. Cosa sarebbe successo se avesse parlato? Horus si sarebbe infuriato con lei per non averli uccisi subito e poi avrebbe mandato una squadra a sterminali, ne era certa. I teriantropi vivevano fuori dall’influenza del Clero, questo era vero, però non facevano del male a nessuno. Era davvero sbagliato volerli lasciare in pace?

«Ebbene?» Il dio si stava spazientendo.

«No, nessuno» esalò Persephone. Pregò Horus che lo stesso Horus non si accorgesse della sua menzogna, talmente spaventata da non rendersi conto dell’assurdità del suo pensiero.

Dopo un lungo silenzio, il dio falco riprese a parlare: «Bene. C’è nient’altro che vuoi dirmi?»

Subito la metarpia pensò ai misteriosi artefatti e al ricordo contenuto nella goccia, ma qualcosa dentro di lei la indusse a mentire ancora: «No, niente, mio signore.»

«Allora puoi andare. È tutto.»

«Grazie, mio signore.»

Sempre a capo chino, Persephone si alzò, fece qualche passo indietro e poi si voltò, diretta verso l’uscita. Era così spaventata che lasciò la villa quasi di corsa, senza guardare in faccia nessuno, senza rispondere agli ossequiosi saluti che riceveva.

L’aveva fatto: aveva mentito al suo dio. Horus non sembrava essersene accorto, eppure sentiva un nodo allo stomaco che la faceva sudare freddo. Ne era sicura, sicura come non lo era mai stata in vita sua: si era appena scavata la fossa da sola.

Una volta che la metarpia si fu allontanata, Ramses si voltò verso Horus, l’espressione stranita: «Ma, padre…»

«Non ora, figlio mio» lo interruppe il dio. «Non ora che indossa quell’uniforme.»

***

Essendo una delle più grandi città al mondo, Theopolis poteva vantare ogni tipo edificio, incluse delle possenti e impenetrabili prigioni. Quella dove stavano conducendo Tenko e Zabar era a due piani ed era fatta interamente di pietra; aveva addirittura una cinta muraria propria, con tanto di guardie sul cammino di ronda.

Appena i due demoni la videro, si sentirono subito persi. Era la prima volta dalla loro cattura che non erano più sotto la sorveglianza di un inquisitore, tuttavia la dozzina di uomini armati e i pesanti ceppi alle mani erano sufficienti a dissuaderli da ogni velleità di fuga. La giovane in particolare aveva il cuore che batteva all’impazzata: l’istinto le diceva di fare qualcosa, ma cosa?

Superato il portone esterno e il piccolo cortile, le guardie li condussero attraverso degli angusti corridoi quasi privi di finestre. Già lì l’odore era molto forte: un misto di sudore ed escrementi che fece venire la nausea a entrambi.

I militari li spinsero in una cella libera, un cubicolo angusto con una minuscola finestra sbarrata, e il comandante di turno si premurò di chiudere a chiave. «Mettetevi comodi» aggiunse, «gli dei hanno in mente qualcosa di speciale per voi.»

Appena le guardie si furono allontanate, Tenko prese le sbarre e provò a strattonarle, ma ovviamente quelle non si mossero di un millimetro. Si guardò intorno, cercando un modo per uscire, ma era più facile a dirsi che a farsi. Come se non bastasse, il fatto di essere di nuovo in cella stava facendo riaffiorare il ricordo degli abusi subiti, e questo non faceva che gettarla ancora di più nella disperazione.

Guardò Zabar, e per un attimo si pentì di non aver provato a fuggire da sola quando ancora ne aveva la possibilità.

«Mi dispiace di averti trascinato in tutto questo.» La voce del chierico era triste, ma soprattutto rassegnata. «Se non fosse stato per le mie idee, ora non saresti qui.»

Lei gli si sedette accanto. «Probabilmente hai ragione. Forse sarei in giro da qualche parte, ancora accecata dalla vendetta, o magari due metri sottoterra. O… O peggio…» Un singhiozzo le ruppe la voce. Sentì le lacrime sulle guance, ma si affrettò ad asciugarle con la mano. «Scusami, è solo che… io… io non voglio morire.»

Zabar appoggiò la propria spalla contro la sua, così da farle sentire la propria vicinanza. «Neanche io voglio morire.»

***

Stesa sul suo confortevole letto, Persephone osservava con occhio spento il bracciale che aveva sequestrato all’eretico. Dopo il suo arrivo in caserma, un servitore si era premurato di portarle dei vestiti puliti, ma per il resto non aveva avuto contatti con altri. Questo in realtà era stato un sollievo: in quel momento non voleva vedere nessuno.

D’un tratto qualcuno bussò alla porta. «Persephone Sialia, siete in camera? Aprite subito.»

La metarpia si affrettò a riporre il bracciale in un cassetto e poi andò ad aprire. Fuori dalla sua stanza c’erano delle guardie, ma non erano soli: con sua grande sorpresa, c’era anche Ramses.

«Persephone Sialia, siete in arresto per eresia.» La voce del capitano delle guardie era seria, marziale. «Non opponete resistenza, la benedizione del divino Horus non può più assistervi.»

Come paralizzata, l’ormai ex inquisitrice non oppose resistenza quando i militari le misero un collare anti-magia e le bloccarono le mani con un ceppo.

«Perquisite la stanza» ordinò il capitano. «Portate le sue cose nel deposito con tutto il resto.»

Prima che le guardie la portassero via, la metarpia rimase un momento davanti a Ramses. Probabilmente era venuto per deriderla un’ultima volta.

«Mio padre ti ha dato così tanto. Come hai potuto tradirlo così?» Il semidio sembrava sinceramente stupito e disgustato. «E per cosa? Non ti bastava ciò che ti ha dato? Sei una plebea, eppure ti ha resa un’inquisitrice! Cosa volevi di più?»

Persephone si era ripromessa di rimanere in silenzio – in genere era la cosa che le riusciva meglio – eppure in quel momento sentì il bisogno di parlare: «Non l’ho fatto perché volevo di più. La mia unica colpa è stata dubitare della sua onnipotenza.» Alzò lo sguardo e fissò Ramses con il suo occhio giallo. «A questo punto comincio a pensare che gli eretici abbiano ragione.»

Lo schiaffo arrivò fulmineo, pieno di rabbia e sdegno. «Prendete l’altro e portateli via.» Prima che le guardie eseguissero l’ordine, Ramses lanciò un’ultima occhiata stizzita alla metarpia. «Dato che sei così amica di quegli eretici, sarai felice di sapere che verrete giustiziati insieme.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Persephone ha finalmente portato a termine la sua missione, ma qualcosa è andato irrimediabilmente storto. Sarà stata la ferita all’occhio? Il ritardo nel catturare gli eretici? O più probabilmente il fatto che ha mentito a Horus in persona? L’unica certezza è che il dio ha deciso di punirla in maniera esemplare.

Tenko e Zabar sono già in cella, tormentati dalla consapevolezza della loro fine imminente, ma la metarpia li raggiungerà presto.

Cosa ne sarà adesso dei nostri eroi?

A presto con il prossimo capitolo!


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Capitolo 37
*** 36. Compagni di cella ***


36. Compagni di cella

Appena udì il rumore di passi, Tenko scattò in piedi e si avvicinò alle sbarre. Vide il manipolo di guardie e capì che stavano portando degli altri prigionieri. Pensò che in una città grande come Theopolis ci fossero anche molti criminali, poi però riconobbe i due prigionieri e rimase senza parole.

Uno dei militari aprì la cella davanti a quella dei due demoni e gli altri spinsero dentro Persephone e Leonidas. Prima di andarsene, un paio di guardie sputarono per terra in direzione degli ex colleghi, dopodiché tutti quanti si allontanarono, ignorando completamente i due eretici.

Solo allora Tenko si concesse un sorriso di scherno. «Ma guarda, sentivate la nostra mancanza?»

Persephone si appoggiò allo spesso muro di pietra e incrociò le braccia, Leonidas invece rimase immobile al centro della cella, ancora troppo scosso per fare qualsiasi qualcosa.

Zabar si avvicinò alle sbarre. «Perché vi hanno arrestato?» Al contrario di Tenko, il suo tono non conteneva né scherno, né disprezzo. «Avete portato a termine la vostra missione.»

«È colpa mia» ammise Persephone dopo un momento di silenzio. «Ho mentito a Horus, e ovviamente lui se n’è accorto. Sono stata una stupida. Mi dispiace, Leonidas. Non pensavo avrebbero accusato anche te.»

«Aspetta, ti hanno sbattuto dentro per aver detto una bugia?» La demone era genuinamente incredula. «Ah! Almeno noi verremo giustiziati per un buon motivo! A proposito: verrete giustiziati o vi hanno solo messo dentro per un po’?»

«Tenko, smettila» la sgridò Zabar.

«Ho mentito a Horus in persona» esalò l’ex inquisitrice. «È un motivo più che valido per giustiziare una persona.»

La giovane spirò con disprezzo. «E allora buona esecuzione!»

Le due donne sembravano intenzionate a non rivolgersi più la parola, ma anche l’ex capitano pareva troppo turbato per aprire bocca: scoprire che Persephone aveva mentito a Horus era stata una sorpresa, eppure non si sentiva davvero sconcertato, non così tanto come avrebbe dovuto. Fin dalla nascita lo avevano educato a seguire ciecamente i dettami degli dei, in quel momento però non riusciva ad accettare la condanna del dio del sole.

L’ex chierico era probabilmente l’unico che vedeva in quella situazione un’opportunità: ora che erano in quattro, forse tutti insieme avrebbero avuto una minima possibilità di scampare alla morte. Unire le forze era la loro ultima possibilità, ma quello non sembrava il momento migliore per parlarne.

Dopo quasi un’ora, un rumore di passi in avvicinamento mise in allerta i quattro prigionieri. Ben presto si resero conto che erano solo due guardie che facevano un giro di controllo, ma in quella situazione era difficile tirare un sospiro di sollievo.

I due uomini si allontanarono senza dire nulla e i quattro furono di nuovo soli. In effetti la sorveglianza non era molto stringente, ma del resto le sbarre e le pareti erano talmente massicce che nessuno, senza la benedizione di un dio, avrebbe potuto penetrarle.

Nel tardo pomeriggio ricevettero l’unico pasto della giornata – una poltiglia informe e puzzolente che fece loro rimpiangere i digiuni nella gelida foresta –, poi venne la notte.

Quando i due demoni erano ormai addormentati, Persephone si fece coraggio e mosse delicatamente il suo compagno di cella. «Leonidas, sei ancora sveglio?»

Lui, sdraiato a terra, si voltò verso di lei. Aveva il volto stanco e lo sguardo abbattuto.

«Volevo scusarmi con te» disse la metarpia a bassa voce. «Ho agito senza riflettere, e ora dovrai pagarne le conseguenze.» Rimase un attimo in silenzio. «Vorrei ci fosse un modo per farti uscire da qui.»

«Perdonatemi, ma non credo sia possibile» ammise il felidiano. Il suo sguardo si spostò verso la cella di fronte alla loro. «Non mi sarei mai aspettato di finire in questa situazione.»

«Nemmeno io» esalò Persephone, anche lei con lo sguardo rivolto alla cella di fronte. «Ci siamo quasi uccisi a vicenda, ma ora quei due sono i nostri unici possibili alleati. Tu saresti disposto a collaborare con loro?»

Leonidas impiegò qualche secondo prima di rispondere. «In realtà avrei voluto collaborare con loro già da tempo. Avrei voluto convincerli a pentirsi, ad abbracciare gli dei, ma comincio a pensare che potrei essere io nel torto. Gli dei potrebbero essere nel torto.» Si coprì il volto con un braccio. «Non so neanche più cosa sto dicendo.»

«Sai, non credo che Horus ci abbia condannati per cattiveria. Credo l’abbia fatto per paura.»

Il felidiano si mise seduto. «Che volete dire?»

«Se quello che ha detto il fantasma è vero, per gli dei il pericolo più grande è quello di perdere i propri fedeli. Pensa cosa succederebbe se il popolo cominciasse a dubitare degli dei.»

Lui scosse il capo. «Cosa? Perderebbero i loro poteri?»

«No. Non lo permetterebbero. Ucciderebbero chiunque metta in dubbio la loro onnipotenza, proprio come stanno facendo con noi. Se ci ribelliamo, se diamo ascolto a loro,» proseguì accennando ai due demoni, «se incitiamo la gente a cercare la verità, non finirà bene. Sarà un massacro.»

«Pensate sia meglio accettare le cose come stanno? Dovremmo lasciare che ci uccidano senza opporre resistenza?» Il felidiano stava cercando di restare calmo e razionale, ma la sua voce era incrinata.

L’espressione della metarpia era più fredda che mai. «Penso che dobbiamo riflettere bene prima di prendere una decisione. Anche se, onestamente, non credo avremo modo di vederne le conseguenze.»

Il giorno seguente, verso metà mattina, un nutrito rumore di passi mise in allerta i prigionieri. Non poteva trattarsi delle solite guardie di ronda, quindi era chiaro che stavano venendo per loro.

Quando i militari si fermarono nel corridoio tra le loro celle, i quattro stavano praticamente trattenendo il respiro. Ma cosa aspettavano ad aprire le porte? Cosa aspettavano a incatenarli e portarli al patibolo?

Solo dopo alcuni secondi si accorsero dell’uomo con la tunica che era insieme a loro: un faunomorfo di tipo cane, avanti con gli anni ma ancora in salute. Teneva un fazzoletto a coprire il naso e la bocca: più per proteggersi dal tanfo che non per celare la sua identità.

«Se sei venuto per darci l’ultima benedizione, hai sprecato il tuo tempo» lo denigrò Tenko una volta ritrovato il coraggio.

L’ecclesiastico non si degnò nemmeno di rispondere, sollevò la mano libera e la passò aperta davanti alla cella dei due demoni, lento e solenne, come a voler tracciare un arco di fronte a loro. Apparentemente l’unico risultato del suo gesto fu che alcuni capelli si sollevarono dal pavimento della cella e fluttuarono verso il suo palmo, sparendo poi nel suo pugno chiuso.

Ripeté il medesimo gesto davanti a Persephone e Leonidas, dopodiché se ne andò senza proferire una sola parola, senza quasi degnarli di uno sguardo.

Tenko si avvicinò alle sbarre per cercare di tenerlo d’occhio, ma ben presto l’uomo e la sua scorta sparirono dalla sua vista. Guardò i due militari, quindi Zabar. «Che ha fatto?»

L’ex chierico aveva un’espressione pensierosa. «Non ne ho idea.» Si rivolse all’ex inquisitrice e all’ex capitano, ma anche loro non poterono fare altro che scuotere la testa e allargare le braccia, altrettanto stupiti.

I giorni passarono, lenti, estenuanti, e ben presto Zabar rimase l’unico a pensare all’uomo misterioso. Leonidas faceva flessioni e piegamenti, Persephone se ne stava in silenzio in un angolo della cella mentre Tenko faceva avanti e indietro, alla disperata ricerca di un modo per uscire.

La demone stava patendo a tal punto la detenzione che anche nei suoi sogni – o meglio incubi – non faceva che finire in trappola. A volte erano i rovi che si chiudevano su di lei, altre volte una marea di fango la sommergeva, altre ancora delle mani sporche di sangue si alzavano dal suolo per ghermirla e trascinarla nelle profondità della terra.

Una notte però fece un sogno diverso: si trovava in una landa desolata, buia, silenziosa. Il cielo era completamente nero ed era sola. Poteva andare dove voleva, ma si sentiva comunque in trappola.

«Sei arrabbiata, piccolina?» Era stata una voce femminile a parlare, subdola, malvagia. Era difficile attribuirle un’età.

«Fai bene a esserlo.» Un’altra voce, anch’essa di donna, anch’essa carica di scherno e cattiveria.

«Dovrebbero pagare per ciò che ti hanno fatto.» La terza voce femminile era altrettanto perfida.

Tenko si guardò intorno, e per un attimo le parve di distinguere delle ombre in movimento. «Chi siete? Cosa volete?»

«Chi siamo?»

«Siamo come te.»

«E vogliamo aiutarti.»

Adesso le ombre erano più vicine.

«Perché dovreste aiutarmi?»

«Perché ci piaci.»

Qualcosa la sfiorò, facendola girare di scatto.

«Sentiamo una certa… affinità

Qualcuno le accarezzò una spalla, ma quando si voltò non vide nulla.

«Le tue cicatrici dimostrano che puoi essere una di noi.»

Due paia di mani le salirono la schiena, facendole bruciare le cicatrici dove un tempo c’erano le sue ali. Tenko dovette stringere i denti per non venire sopraffatta dal dolore.

«Fatevi vedere» ordinò appena si fu ripresa. «Oppure lasciatemi in pace.»

Qualcuno le prese una mano. Era una donna dai lunghi capelli scuri, aveva il volto pallido e scarno e fluttuava a mezz’aria, il corpo avvolto da una veste diafana. Sembrava più uno spettro che una persona. «Abbraccia la vendetta.»

Una seconda figura, simile alla prima, le prese l’altra mano. «Trasformala nella tua forza.»

La terza donna apparve davanti a lei, così vicina da poter sentire il suo respiro sul viso, inspiegabilmente spaventosa. «Gli dei. Devono. Pagare!»

Tenko, intimorita, provò a indietreggiare, ma le altre due donne la tenevano bloccata. Solo che ora non erano più nemmeno delle donne: tutte e tre erano diventate spettri pallidi, i loro occhi erano orbite vuote e le grandi bocche sorridevano malignamente.

«Lasciatemi! Non voglio niente da voi!»

Le tre donne si misero a ridere all’unisono: un coro acuto e carico di denigrazione.

«Che tenera, pensa di avere una scelta.»

«Tu hai già scelto, mia cara.»

«L’hai fatto molto tempo fa.»

La demone, terrorizzata, cercò in tutti i modi di liberarsi, ma la presa degli spettri era salda e i suoi piedi non si muovevano.

Senza smettere di ridere, i tre spiriti cominciarono a sciogliersi. Il fluido vaporoso delle due che la tenevano bloccata cominciò a salire lungo le braccia della giovane, penetrando la pelle, insinuandosi nelle sue cicatrici e facendole bruciare.

«La vendetta è la tua forza!»

«Devi fare giustizia!»

Lo spettro di fronte a lei le prese il volto con le mani, fissandola con le sue orbite vuote. «Gli dei. Devono. Pagare!» Ormai irriconoscibile, si tuffò nella sua bocca, sparendo giù per la gola.

Tenko si svegliò tossendo, preda della paura. Sentì un conato di vomito e si piegò di lato, continuando a tossire. Tremava ancora e si sentiva come se stesse per sputare fuori l’anima. Non c’era una sola cicatrice che non le facesse male, quelle sulla schiena poi sembravano sul punto di riaprirsi.

Zabar, svegliato dal rumore, le si avvicinò con cautela. «Ehi, tutto bene?»

Lei sollevò il capo, rassicurata dalla presenza del compagno. Annuì. «Un brutto sogno, niente di nuovo.»

Ma non ci credeva nemmeno un po’.


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Come anticipato dallo scorso capitolo, Persephone è stata sbattuta in cella, e con lei è stato arrestato anche Leonidas. Il felidiano era chiaramente scosso da quanto successo, ma parlare con la metarpia l’ha forse aiutato a confrontarsi con i suoi stessi dubbi. Paradossalmente, ormai i due demoni sono i loro unici possibili alleati, ma cosa decideranno di fare?

Come se non bastassero i misteri, un sacerdote si è presentato davanti alle loro celle e ha fatto qualcosa di non meglio precisato. Nemmeno i due militari hanno saputo fare ipotesi a riguardo.

Per concludere abbiamo il misterioso incubo di Tenko. Sarà stato davvero solo un sogno, o c’era qualcosa di più?

Appuntamento per il prossimo capito, dove (forse) avremo qualche risposta XD


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Capitolo 38
*** 37. Il giorno dell’esecuzione ***


37. Il giorno dell’esecuzione

Era passata almeno una settimana dal loro arrivo in prigione quando un manipolo di guardie si presentò davanti alle celle dei quattro prigionieri. Portavano dei robusti ceppi per le mani e avevano tutti un’espressione soddisfatta.

«In piedi, feccia!» ordinò il capitano di turno. «È arrivato il giorno dell’esecuzione!»

I quattro fecero come ordinato e si mantennero a qualche passo di distanza dalle sbarre, lo sguardo serio.

Due militari infilarono le chiavi nelle toppe delle due celle e cominciarono a ruotare. Gli scatti avvennero quasi all’unisono, come un conto alla rovescia mal sincronizzato. All’ultimo schiocco, le porte vennero aperte emettendo un cigolio sinistro che echeggiò in tutta la prigione. Era il momento: i quattro scattarono come molle, avventandosi sulle guardie. Tenko sferrò un pugno e Leonidas caricò con una spallata. Persephone sferrò un calcio e Zabar si fece da parte, cercando con gli occhi le chiavi dei collari. Le guardie indietreggiarono, sorprese dalla veemenza dei prigionieri.

«Fermateli!» gridò il capitano. «Fermateli, idioti!»

Spinti anche fisicamente dal loro superiore, i militari si riversarono sui prigionieri. Li afferrarono per le braccia e li schiacciarono a terra. Tenko e Leonidas opposero maggiore resistenza, ma proprio per questo vennero colpiti con maggiore forza. Storditi dalle percosse, anche loro finirono per capitolare e i pesanti ceppi di legno e metallo si chiusero intorno ai loro polsi.

«Siete degli imbecilli!» imprecò il capitano. «Cosa cazzo pensavate di fare? Pensavate di fuggire?! Eh?! Muovetevi, figli di puttana!»

Nuovamente sconfitti, i quattro vennero messi in riga e costretti a camminare. Sapevano fin dall’inizio che sarebbe finita così, ma avevano voluto ugualmente tentare. Cos’avevano da perdere?

Usciti dalla prigione, vennero fatti salire su un robusto carro trainato da quattro ippolafi. Pensavano di venire giustiziati in qualche piazza, invece il cocchiere e la scorta si diressero con decisione verso il maestoso anfiteatro di Theopolis, famoso per essere uno dei più grandi al mondo. Si diceva che nella sua ampia arena combattevano i migliori gladiatori di tutto il continente, alcuni dei quali si erano addirittura guadagnati il favore di un dio grazie alle loro gesta.

Entrarono da uno degli ingressi secondari, abbastanza grande da consentire il passaggio del carro e della scorta, e in breve si ritrovarono nei sotterranei dell’anfiteatro. Videro molti animali esotici chiusi in celle piccole e sporche, ma anche grandi montacarichi pronti per essere messi in moto da gruppi di manovali. Era all’incirca mezzogiorno e sopra di loro si sentiva un gran fragore: evidentemente c’era già uno spettacolo in corso.

Le guardie li trascinarono fuori dal carro e poi li chiusero in un’altra cella, in attesa che venisse il loro turno.

Appena ricevettero il segnale che lo spettacolo precedente si era concluso, le guardie li liberarono dai ceppi e consegnarono loro delle armi: spade e scudi di scarsa fattura.

«Che gentili, non è che avete anche una frusta?» li schernì Tenko.

Le guardie si limitarono a sogghignare tra loro e si allontanarono.

Poco dopo la cella in cui erano rinchiusi cominciò a salire con un leggero cigolio. Arrivò fino in cima, appena sotto l’arena, e poi si arrestò. Davanti a loro c’era una rampa, ma la cella era ancora sbarrata, così come l’apertura in alto.

Dovettero attendere ancora qualche minuto, poi una voce potente li raggiunse dall’arena sopra di loro: «Popolo di Theopolis! Quella di oggi non sarà una semplice esecuzione! Oggi la giustizia colpirà i criminali più pericolosi che il nostro amato mondo conosca.»

Il passaggio si aprì davanti a loro e i quattro vennero inondati dalla luce del sole.

«La minaccia più grande alla pace e alla libertà di tutti voi!»

Alcuni addetti li spinsero con dei bastoni, costringendoli a salire la rampa. In un attimo si ritrovarono nel bel mezzo dell’arena, circondati da una nuvola di polvere. Gli spalti erano immensi, sembrava quasi che l’intera città si fosse ammassata sulle tribune per assistere alla loro morte.

«Questi eretici hanno compiuto massacri! Razzie! Hanno profanato i nostri templi! Non si è mai visto un tale disprezzo verso la società e verso di noi!»

I quattro guardarono verso l’origine della voce. Proveniva da una tribuna in prima fila, ampia e lussuosa. Persephone l’aveva già riconosciuta: era Horus in persona che stava decantando le loro colpe. Insieme a lui, seduto su un altro dei maestosi troni, c’era Maahes, dio della guerra dalla testa di leone. Entrambi gli dei erano scortati da un inquisitore: due uomini dall’aria marziale completamente devoti al loro scopo.

«Una semplice esecuzione non sarebbe stata sufficiente!» proseguì il dio del sole. «Questi eretici dovranno affrontare le loro colpe, e soccomberanno sotto il peso della giustizia!»

Un’altra botola si aprì dalla parte opposta dell’arena, sollevando anch’essa una nuvola di polvere. In un istante gli sguardi degli spettatori vennero catturati dalle quattro figure al suo interno e l’intero anfiteatro esplose in un boato di approvazione. I quattro gladiatori indossavano delle armature molto scenografiche, ma il dettaglio più importante era un altro.

«Siamo… noi» realizzò Zabar, poco abituato a vedere altre persone con la sua carnagione blu e i capelli arancioni.

Tenko osservò la sua copia, che al contrario di lei aveva ancora le ali. La falsa Persephone indossava un’armatura troppo grande – evidentemente non avevano trovato niente della sua misura – Leonidas in versione gladiatore invece calzava a pennello e aveva l’aria più minacciosa dei quattro.

Horus allungò un braccio verso l’arena, soddisfatto e risoluto. «Questa è la nostra volontà. Che l’esecuzione abbia inizio!»

L’anfiteatro esplose in un’altra ovazione, deciso ad accompagnare l’avanzata dei quattro fantocci degli dei.

«Sono solo delle cazzo di copie, possiamo farcela!» esclamò Tenko, decisa più che mai a sgozzare la sua replica. Vedere l’altra sé stessa con ancora le ali le aveva suscitato un misto di rabbia e tristezza, ma non intendeva mostrarlo: non voleva dare peso a quell’ennesima denigrazione.

Aveva appena finito di parlare che la copia di Persephone cominciò a brillare, proprio come accadeva all’originale quando invocava la benedizione di Horus. La replica di Zabar evocò delle fiamme con la sua bacchetta mentre l’arco del falso Leonidas venne avvolto da minacciosi fulmini.

«Merda, così non vale!» imprecò Tenko.

«Pensavi avrebbero giocato pulito?» ribatté Persephone.

La demone, presa in controtempo, si limitò a un ringhio sommesso. Quando tornò a concentrarsi sulla sua copia, si accorse che i suoi muscoli sembravano diventati improvvisamente più evidenti. La falsa demone si abbassò sulle gambe e spiccò un balzo. Increduli, i quattro prigionieri videro la replica schizzare verso il cielo. Troppo tardi capirono che dovevano spostarsi: provarono a correre, ma la copia si schiantò proprio in mezzo a loro, facendo tremare il suolo. Una nuvola di polvere si sollevò in ogni direzione e sbalzò a terra i quattro malcapitati.

Tenko si rialzò tossendo. Sollevò lo sguardo, ma la sua copia era già davanti a lei. La giovane arretrò di un passo, vide che l’altra era disarmata e allora scattò subito al contrattacco. Mirò all’incavo del collo, lasciato scoperto dall’armatura. Riuscì a colpirla, fece forza con tutto il corpo, ma la lama non riuscì a bucare la pelle. La sua avversaria non si era nemmeno mossa: la osservava con aria soddisfatta, forte della sua invulnerabilità. Con ogni probabilità era stato il dio Maahes a donarle quell’incredibile resistenza.

Tenko capì che i suoi sforzi erano inutili e allora si affrettò a prendere le distanze. La sua spada era del tutto inutile, o forse no? Forse se sfruttava gli insegnamenti dei teriantropi aveva ancora una chance.

Provò a raccogliere la concentrazione, a infondere la sua magia nella lama, ma il collare vanificò tutti i suoi sforzi. Tempo di rendersene conto, la sua avversaria le era già addosso. La copia la colpì con un pugno allo stomaco, l’afferrò per i capelli e la scaraventò a terra.

La demone, sopraffatta dal dolore, rimase a terra tremante. Non aveva mai subito un colpo così devastante, nemmeno dagli uomini più grandi e robusti che aveva affrontato.

Se Tenko era in difficoltà, gli altri tre non erano certi messi meglio. Le loro copie disponevano tutte di attacchi a distanza, quindi per loro era impossibile anche solo avvicinarsi.

Zabar, che più di tutti si sentiva perso, stava facendo del suo meglio per schivare gli attacchi di fuoco del suo avversario. Il misero scudo che gli avevano dato era già mezzo carbonizzato e anche i suoi vestiti non erano privi di bruciature. A causa del collare non poteva usare nessun incantesimo, quindi sapeva che era solo questione di tempo. Gli dei volevano vederli correre nell’arena, impotenti. Si stavano prendendo gioco di loro per affermare una volta di più che nessuno poteva mettere in discussione la loro autorità.

«Persephone, vorrei provare a farli colpire tra di loro, se siete d’accordo» affermò Leonidas, il cui addestramento lo spingeva a cercare comunque una soluzione per sopravvivere.

«D’accordo» annuì Persephone, che per quanto scettica sul buon esito del piano non aveva idee migliori. «E ti ho già detto di non darmi più del “voi”. Non sono più un’inquisitrice.»

 I due ex militari si mossero per cercare di dividere le loro copie, dopodiché corsero uno verso l’altro, ponendosi proprio in mezzo alle due repliche.

La falsa Persephone, che come la copia di Tenko non riportava le mutilazioni dell’originale, attaccò per prima con un poderoso raggio di luce. I due ex militari schivarono per un soffio, ma altrettanto fece il falso Leonidas.

Quelle copie potevano anche essere delle mere imitazioni, tuttavia non erano così stupide da colpirsi da sole.

Tenko avrebbe voluto riunirsi agli altri, magari aiutare Zabar, ma la falsa lei era troppo rapida: era impossibile sfuggirle. Dopo l’ennesimo attacco andato a vuoto, la copia la colpì al polso, facendole perdere la spada. La sollevò come fosse un fuscello e poi la scaraventò contro il muro che circondava l’arena, così forte da farle mancare il respiro.

Ancora stordita dal colpo, la demone vide i suoi compagni che subivano gli attacchi delle rispettive repliche, impotenti. Tutto ciò serviva solo per far credere alla folla urlante che gli dei erano onnipotenti, e questa consapevolezza non poté non farle montare la rabbia.

Come attratte dalla sua ira, delle voci cominciarono a echeggiare nella sua mente: “Sei arrabbiata, piccolina?”

“Fai bene a esserlo.”

“Dovrebbero pagare per ciò che stanno facendo.”

«Smettetela di blaterare» rantolò la demone, sforzandosi di mettersi carponi. «Se volete aiutarmi fatelo, se no lasciatemi in pace!»

Le tre voci parvero colte di sorpresa, poi scoppiarono in una risata corale e fastidiosamente malevola.

“Così si parla, mia cara!”

“Questo è lo spirito di una Furia!”

“Alzati, e scatena la tua vendetta!”

Così com’erano comparse, le tre voci si dissolsero, e insieme a loro svanì anche il dolore che fino a quel momento l’aveva costretta in ginocchio.

Tenko sentì un rumore metallico e subito dopo il suo collare cadde a terra, misteriosamente aperto. Si rialzò, improvvisamente rinvigorita. Osservò il suo corpo e si accorse che le sue cicatrici sembravano emanare una tiepida luce fucsia.

Avvertì una strana sensazione alle sue spalle: guardò dietro di sé e, con sua profonda sorpresa, vide che le sue ali erano tornate. Solo che non erano più le sue ali: erano delle emanazioni di energia fucsia che delineavano la forma delle ossa e, molto lievemente, delle membrane alari.

Serrò i pugni. Aveva perso la spada, ma in quel momento sentiva di non averne più bisogno. Guardò la sua copia dritto negli occhi, lo sguardo che riluceva di vendicativa determinazione.

Non sapeva perché quelle tre donne la stessero aiutando, ma non le importava. L’unica cosa importante era che adesso poteva vincere.


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Come prevedibile, il tentativo di fuga è stato un fallimento e i quattro sono stati condotti all’arena di Theopolis per essere giustiziati.

Per rendere più spettacolare l’esecuzione, gli dei hanno schierato delle copie dei prigionieri, adeguatamente pompate per essere sicuri del risultato finale.

L’impegno e la determinazione dei quattro si sono rivelati inutili contro la magia degli dei, ma forse hanno ancora una possibilità: basterà il nuovo potere di Tenko ha salvarli da morte certa? O finiranno in guai ancora peggiori?

Alla prossima! :D


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Capitolo 39
*** 38. La Furia Spettro ***


38. La Furia Spettro

«E così Susanoo ha deciso di non venire» commentò Maahes, impegnato a osservare la copia di Tenko che malmenava l’originale. Aveva dato a quel clone la sua benedizione, quindi era chiaro che la sfida era già vinta in partenza.

Horus spirò con aria di sufficienza. «Quell’idiota è talmente impegnato a litigare con Enki[15] che non si interessa più di niente. Quando avremo finito qua ci conviene chiamare gli altri e convincerli a darsi una calmata: con quello che sta succedendo ad Artia, non è un buon momento per farci i dispetti a vicenda.» Il dio falco osservò la sua ex inquisitrice che schivava per un pelo il raggio di luce della sua replica. «Piuttosto, grazie per essere venuto. Con due benedizioni diverse è tutto più spettacolare.»

«Quei figli di puttana hanno ucciso molti miei devoti, è un piacere vederli morire. Però perché hai deciso di buttare dentro anche quei due? Del devoto a Susanoo non me ne frega niente, la metarpia però è un Pilastro. Gli altri non saranno felici quando sapranno che l’hai fatta ammazzare.»

«I Pilastri tornano sempre, dovremo solo trovare il prossimo» minimizzò Horus.

Il dio leone non era convinto. «E se questa volta nascesse ad Artia?»

«Poco male. Quell’ingrata mi ha mentito, presto o tardi ci avrebbe tradito comunque. Preferisco lasciare il Pilastro a quegli altri piuttosto che avere un traditore tra i miei inquisitori.»

Maahes osservò distrattamente il clone di Tenko che sollevava la demone e la scagliava senza sforzo contro il muro che circondava l’arena. «Che mi dici invece di tuo figlio? Avevo sentito che era qui a Theopolis.»

«Era qui, ma l’ho mandato a sud per eliminare le popolazioni che si nascondono nella foresta oltre il confine. È bene che quello scansafatiche si dia una mossa, ne ho avuti fin troppi di figli perditempo.»

Il volto da leone di Maahes si aprì in un sorriso. «Ti capisco fin troppo bene. Stavo giusto…» Il dio si interruppe e, quasi in contemporanea con Horus, si voltò verso Tenko. In qualche modo la demone si era liberata dal collare e adesso il suo corpo emanava un’aura nuova e carica di infausto potere.

«Ha ricevuto una benedizione divina» intuì il dio falco, incredulo.

«Chi può essere stato? Dovremmo esserci solo noi qui!»

«Non importa! Se ne occuperanno i cloni.»

Il dio della guerra annuì e inviò l’ordine alla falsa demone, che subito si mise in posizione di guardia. Tenko, forte del suo nuovo potere, non si fece intimorire e partì all’attacco. Rapida come il vento la raggiunse e sferrò un pugno al volto. La copia parò con un avambraccio e rispose. Il destro investì in pieno la giovane, che venne catapultata via. Questa volta almeno il dolore non fu così insopportabile e Tenko riuscì ad attutire l’impatto con una capriola. Furiosa più che dolorante, tirò un pugno a terra.

«È tutto qui?!» imprecò, convinta che quell’inaspettato potere l’avrebbe portata in vantaggio.

Individuò la sua spada e subito scattò in quella direzione. La copia intuì la sua mossa e provò a intercettarla, ma Tenko schivò con un balzo da circense. Raccolse l’arma e vi infuse la sua magia. La lama si accese di energia fucsia, pronta a colpire. La replica si avventò su di lei, ma la giovane descrisse un tondo in aria, più veloce del vento, così rapida da lasciare dietro di sé una scia colorata. Il corpo della falsa demone era ancora in piedi quando la testa cadde a terra, seguita da zampilli di sangue caldo.

Dopo alcuni interminabili secondi, il cadavere cadde a terra. La pozza di sangue si allargava a vista d’occhio mentre l’intera arena piombava nel silenzio.

Tenko, sporca del sangue del suo clone, avrebbe voluto urlare tutte le sue emozioni, ma sapeva di non averne il tempo. Individuò il falso Zabar e corse verso di lui. Era parecchio distante, ma i suoi passi si erano fatti incredibilmente leggeri e tutto intorno a lei sembrava sparito, inghiottito dalle ombre: c’erano solo lei e la sua preda.

La copia non la vide nemmeno arrivare: solo all’ultimo istante si accorse della sua presenza, ma ormai era troppo tardi. Tenko la decapitò in un lampo e schizzò via, verso gli ultimi due cloni.

Di nuovo il mondo si fece oscuro intorno a lei mentre correva verso il falso Leonidas. Il clone guardava nella sua direzione, ma era come se non la vedesse.

Poteva essere un bluff, ma che senso aveva fingere di non vederla? Troppo stanca per riflettere, si lanciò su di lui in un affondo. Appena le ombre si dissolsero, il falso Leonidas si rese conto della sua presenza, ma anche per lui era troppo tardi. Il cadavere della copia stramazzò al suolo e Tenko rimase ferma alcuni istanti, ansimante. Quell’inaspettato potere stava rapidamente consumando le sue energie, ma non poteva riposarsi.

Guardò verso la falsa Persephone e si rese conto che stava già caricando un raggio di luce. D’istinto sollevò lo scudo, provò a spostarsi, ma era troppo tardi: l’incantesimo la centrò in pieno e la sollevò in aria. Gli occhi serrati, avvertì il calore sprigionato dalla benedizione di Horus, poi l’impatto col terreno.

Rimase a terra alcuni istanti, dolorante, ma poi strinse i denti e si rialzò. Non poteva perdere, non adesso, non davanti a tutte quelle persone. Avrebbe dimostrato a tutti che la sua forza di volontà era più forte della benedizione di qualsiasi dio!

La falsa Persephone caricò di nuovo la sua magia, ma questa volta qualcosa roteò davanti a lei: una spada. L’arma la mancò, ma la distrazione fu sufficiente a dissolvere il suo globo di luce.

Tenko capì che era la sua occasione e partì all’attacco, avvolta dalle ombre. Riapparve all’ultimo istante, proprio davanti alla falsa Persephone, e la trafisse senza pietà.

Lo sguardo del clone era diverso da quello della vera metarpia, ma vedendola cadere a terra senza vita non riuscì a non ripensare agli scontri che avevano avuto. A cosa erano serviti? Alla fine anche l’inquisitrice era diventata l’ennesima vittima del Clero e degli dei.

Ora che la battaglia si era conclusa si rese conto che l’atmosfera nell’arena era cambiata: il pubblico non urlava più, ma non era nemmeno muto. C’era un fastidioso brusio di fondo in cui si respiravano preoccupazione e incredulità.

La demone era stremata, molto più di quanto si aspettasse, ma non poteva fermarsi. Doveva liberare i suoi compagni dai collari, e poi doveva trovare un modo per andarsene da lì.

Per prima cosa andò da Zabar. Si fermò davanti a lui, ansimante, e ben presto capì che l’ex chierico era spaventato da lei. Era disarmato – probabilmente era stato lui a distrarre il clone con la sua spada – e tutto il suo corpo era scosso da leggeri tremiti. La demone piantò a terra la spada e lui sobbalzò. Quando la giovane avvicinò le mani al collare, Zabar si ritrasse istintivamente.

«Va tutto bene» gli disse la demone, cercando di dimostrarsi gentile nonostante il sangue sulle mani e sul volto. «Non perderò la testa. Non questa volta.»

Seppur spaventato, Zabar si sforzò di annuire. Lei afferrò il collare e con uno strattone riuscì a romperlo. In effetti quei nuovi poteri non erano così male.

Si voltò verso Persephone e Leonidas, che nel frattempo li avevano raggiunti. Il felidiano aveva recuperato l’arco della sua copia e qualche freccia, ma non sembrava intenzionato a usarli contro di lei.

«Posso immaginare cosa stai pensando, ma per favore, libera anche noi» le chiese Persephone. «Insieme avremo più possibilità di farcela.»

La demone le mise le mani al collo. E con un colpo secco aprì il collare. «Avevo già in mente di farlo.»

Liberò anche Leonidas, dopodiché raccolse la spada e fece qualche passo in direzione della tribuna riservata agli dei, lo sguardo truce. Si guardò intorno, passando in rassegna la folla sugli spalti.

«Siete venuti per vederci morire!» gridò con tutto il fiato che aveva in gola. «Per vedere la giustizia degli dei!» Adesso il pubblico era ammutolito e la voce della demone spiccava chiara e potente. «Ma vi hanno ingannato! Avrò anche commesso crimini orribili, ma gli dei non sono da meno! Loro non vi amano! Loro hanno bisogno di voi! Loro vogliono solo le vostre preghiere!»

«Taci, eretica! Non sai cosa stai dicendo!» ribatté Horus. «Falla tacere!» ordinò al suo inquisitore.

Il faunomorfo non se lo fece ripetere: caricò un globo di luce e scatenò un devastante raggio contro la demone. Tenko vide il bagliore accecante sfrecciare verso di lei, ma non ebbe il tempo di sollevare lo scudo che una barriera magica bloccò l’attacco.

Subito riconobbe quell’incantesimo e si voltò.

«Continua» le disse semplicemente Persephone, impegnata a neutralizzare l’offensiva dell’inquisitore.

Dopo un attimo di stupore, la demone ritrovò la grinta e tornò a rivolgersi al pubblico: non avrebbe avuto un’altra occasione per smascherare gli dei. «Gli dei non sono onnipotenti!» gridò. «Non hanno creato questo mondo! Non hanno creato noi! Hanno solo rapito i nostri antenati perché avevano bisogno delle loro preghiere! E abbiamo le prove di tutto questo! Possiamo dimostrarlo! Possiamo dimostrare ogni loro menzogna! E lo faremo!»

«Sei una pazza oltre che un’eretica!» tuonò Horus. «Uccideteli!»

«Ci penso io a quelo scudo» affermò l’inquisitore di Maahes con il tipico accento del sud. Evocò la benedizione del suo dio e senza sforzò sollevò il suo imponente martello da guerra. Con un solo salto si fiondò sull’arena, abbattendo la sua arma sullo scudo di Persephone. La barriera andò in pezzi e il faunomorfo atterrò maestosamente davanti agli eretici. La sua uniforme era di fatto una ricercata armatura che enfatizzava le sue spalle larghe e le braccia possenti. Aveva un paio di corna che curvavano verso l’alto, il che suggeriva fosse un faunomorfo di tipo bisonte.

«Tu hai uciso mio fratelo!» esclamò l’inquisitore puntando il suo martello contro Tenko. «Sarà un piacere uciderti!»

La demone cercò di non mostrarsi impressionata e si mise in posizione di guardia. Il suo scudo era praticamente carbonizzato, ma la magia scorreva ancora in lei: poteva farcela.

Il faunomorfo partì all’attacco e la giovane fece fluire l’energia nelle armi. Era pronta a schivare il martello, lui invece pestò un piede a terra e in attimo lei si ritrovò a mezz’aria. L’inquisitore la colpì una potenza terrificante, così forte da frantumare lo scudo della giovane e schiacciarla al suolo. Tenko urlò di dolore: il braccio le faceva malissimo, così da tanto da farle temere che si fosse rotto.

«Questa è la vera forza di Maahes!» esclamò l’inquisitore, i muscoli gonfi.

Una palla di fuoco lo colpì: era stato Zabar con la bacchetta della sua copia, ma l’attacco non aveva sortito alcun effetto.

«Tu sarai il prosimo» lo ammonì il faunomorfo.

Con il corpo che sprigionava flussi di magia rossa, sollevò di nuovo il martello, pronto a dare il colpo di grazia alla demone, ma il terreno cominciò a muoversi sotto i suoi piedi. Si sentirono delle grida dagli spalti: l’intera arena aveva tremato, come scossa da un leggero terremoto.

Tenko, ancora dolorante, ne approfittò per rimettersi in piedi e riunirsi ai suoi compagni.

L’inquisitore di Horus raggiunse il collega. «Sei stato tu?»

«No, ma non importa. Tu pensa agli altri, capeli-rosa è mia.»

L’altro faunomorfo evocò due globi di luce incandescenti, pronto ad attaccare, ma di nuovo il terreno cominciò a tremare. Questa volta la scossa crebbe subito d’intensità, e con essa si moltiplicarono le grida. L’arena stessa si riempì di crepe e dei botti fragorosi si susseguirono da ogni direzione: l’intera città stava tremando.

La folla terrorizzata cominciò a spingere verso le uscite, ma la scossa era così violenta che le tribune collassarono e molte persone caddero nell’arena.

«Dobbiamo andare!» affermò Persephone.

Approfittando della confusione, i quattro eretici si mescolarono con la folla terrorizzata, sperando così di riuscire a fuggire.

«Stano scapando!» imprecò l’inquisitore di Maahes.

«Fermo! Dobbiamo proteggere gli dei!» ribatté il devoto a Horus.

L’altro faunomorfo digrignò i denti, ma non poteva obiettare e così voltò le spalle ai fuggitivi.

La seconda scossa finalmente si arrestò, ma la confusione era ancora al suo apice. In qualche modo i quattro eretici riuscirono a uscire dall’arena, ma all’esterno la situazione non era migliore. Videro persone che correvano in ogni direzione, alla disperata ricerca di un posto sicuro. Molti edifici erano crollati e anche quelli in piedi erano pieni di minacciose crepe.

«E adesso che facciamo?» chiese Leonidas, visibilmente spiazzato.

Tenko si guardò intorno, cercando di intuire quale fosse la strada migliore. «Adesso scappiamo.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

In questo capitolo sono successe moltissime cose, a partire dal discorso fra Horus e Maahes, passando per i nuovi poteri acquisiti da Tenko, fino all’inaspettato terremoto che ha permesso ai quattro di fuggire.

Le domande non fanno che moltiplicarsi, ma in questo momento c’è poco da parlare: Tenko e gli altri devono sbrigarsi a lasciare la città, prima che gli inquisitori tornino sulle loro tracce.

Ammesso che riescano a fuggire da Theopolis, cosa potranno fare adesso i nostri eroi? E che effetto avranno le parole della demone? Qualcuno crederà alla sua denuncia, o l’influenza degli dei è ancora troppo forte?

A presto! :D


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[15] Dio sumero dell’acqua.

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Capitolo 40
*** 39. Qual è il piano? ***


39. Qual è il piano?

I quattro fuggitivi temevano che muoversi per la città sarebbe stato un problema, ma la gente era troppo impegnata a cercare un luogo sicuro per badare a loro. L’improvviso terremoto aveva gettato il panico anche tra le guardie, che quindi non avevano il tempo per occuparsi di rintracciarli.

«Cosa facciamo? Volete rubare degli ippolafi?» chiese Leonidas.

«Sarebbe meglio dei grifoni: dobbiamo allontanarci in fretta» ribatté Tenko. Il braccio le faceva ancora male, ma il dolore non era più così insopportabile.

«Aspettate, dobbiamo prima recuperare le nostre cose!» affermò Zabar. «Vi prego, è troppo importante!»

«Credo abbiano portato tutto al deposito della caserma» disse Persephone. «Di norma sarebbe un suicidio entrare, ma forse adesso avremo qualche possibilità.»

Tenko sapeva di non avere molto tempo per riflettere, così diede subito il suo responso: «Facciamolo.»

Leonidas non sembrava entusiasta, ma annuì con fare rassegnato. «D’accordo. La caserma dovrebbe essere da questa parte.»

Guidati dai due ex militari, i fuggitivi attraversarono di corsa le strade della città, cercando quantomeno di non passare davanti ai gruppi di guardie che incrociavano: per quanto la situazione fosse caotica, era meglio non sfidare troppo la sorte.

Raggiunta la caserma, si stupirono nel vedere che davanti all’ingresso non era rimasto nemmeno un soldato. Il massiccio edificio non sembrava aver risentito troppo delle scosse, ma lo stesso non si poteva dire di quelli adiacenti. Riconobbero un paio di soldati impegnati a soccorrere dei civili: forse erano quelli incaricati del turno di guardia.

«Dovremmo aiutarli» esalò Leonidas.

«Hai ragione, ma non possiamo» ribatté Persephone.

«Muoviamoci, prima che ci vedano» tagliò corto Tenko.

I quattro si infilarono nell’ingresso, armi in pugno e pronti a combattere. Ma non c’era nessuno ad attenderli.

«Zabar, da che parte?» chiese la demone.

Lui estese le sue percezioni, sforzandosi di captare la traccia magica che aveva lasciato sugli artefatti trovati sottoterra. «Riesco a sentirli!» esclamò. «Di qua!»

Tenko riconobbe una scintilla di genuino entusiasmo nella voce dell’ex chierico, ma per quanto le facesse piacere, si premurò di ammonirlo: «Non abbassare la guardia, siamo pur sempre in una caserma.»

«Tranquilla, non…» Zabar si interruppe di colpo. «Arriva qualcuno.» Senza aggiungere altro si affrettò verso la porta più vicina, subito seguito dagli altri tre. Socchiuse silenziosamente il battente, giusto in tempo prima che passasse un manipolo di guardie.

«Via libera» dichiarò il demone prima di rimettersi in marcia, ora più quatto e attento a non fare rumore.

Grazie alle percezioni dell’ex chierico non fu difficile raggiungere il deposito, anche quello completamente sguarnito.

«È chiusa!» imprecò Zabar dopo aver tentato inutilmente di aprire la porta.

«Aspetta, ci provo io» dichiarò Tenko. Il potere delle tre donne misteriose le aveva permesso di sconfiggere i quattro cloni: una serratura non l’avrebbe certo fermata.

Provò a invocare la magia, ma non accadde nulla. Provò di nuovo, ma la verità era che non sapeva come fare.

«Non funziona?» le chiese l’ex chierico, ma non era chiaro se fosse preoccupato per lei o per il fatto di non poter recuperare gli artefatti.

«Non… Non lo so. Era la prima volta che lo usavo, magari…»

«Ehi, prova queste» le disse Persephone.

Tenko si voltò, sperando che la metarpia le desse qualche oggetto da inquisitrice per aiutarla a controllare i suoi poteri, invece aveva solo un mazzo di chiavi.

Nel vedere la demone imbambolata, l’ex militare gliele fece tintinnare davanti. «Chiave? Serratura?»

La giovane, irritata, gliele strappò di mano. «Non sono un’idiota!»

Una volta aperta la porta, Zabar si fiondò dentro come se ne andasse della sua vita. Cercò forsennatamente tra gli oggetti ammassati senza criterio e poi, finalmente, sollevò gli antichi artefatti al cielo, quasi fossero degli idoli da adorare.

«Sono loro! Li ho trovati!» esclamò, sinceramente commosso. «Non sono sopravvissuto in vano…»

«Muoviamoci, potrebbero tornare da un momento all’altro» affermò Persephone.

Tenko ritrovò la sua uniforme modificata, ma quello non le sembrava il momento migliore per indossarla, così la ripose in una sacca e se la mise in spalla. Una volta riprese le sue armi, lanciò un’occhiata agli altri per capire a che punto fossero. Zabar aveva già recuperato le sue cose e stava controllando che le gocce e i bracciali funzionassero ancora, Leonidas stava indossando gli ultimi pezzi di armatura, Persephone invece era ferma a fissare la sua uniforme da inquisitrice.

La demone lanciò uno sguardo al corridoio da cui erano venuti per controllare che non stesse arrivando nessuno, quindi si avvicinò alla metarpia. «Fossi in te la prenderei.»

Persephone rimase in silenzio per qualche istante. «Hai ragione. È un’ottima armatura. Però non so se voglio farlo. Non voglio indossarla di nuovo.»

«Dobbiamo andare» affermò Leonidas, che aveva deciso di tenere l’arco magico del suo clone piuttosto che il suo vecchio arco.

«Infilala in una sacca e poi ci penserai con calma» le disse Tenko. Dopo un attimo proseguì: «Magari il mantello puoi anche lasciarlo.»

Questa volta la metarpia si limitò a un mugugno d’assenso e fece come suggerito dalla demone.

«Ehi, voi!» La voce arrivava dal corridoio. «Che state facendo?!»

I quattro si voltarono quasi all’unisono e trovarono una guardia nel mezzo del corridoio. A Tenko bastò un secondo per impugnare la bacchetta e colpirla con un fulmine.

«L’hai ucciso?» esalò Leonidas, preoccupato.

«No» rispose la demone. «Credo.»

«Meno chiacchiere, andiamo» tagliò corto Persephone.

Ora che avevano di nuovo le loro cose, i quattro si concessero di avanzare con andatura più spedita. Uscire dalla caserma non fu un problema, quindi si diressero verso le scuderie dei grifoni.

«Quanti ne volete prendere?» chiese Leonidas.

«L’ideale sarebbe uno a testa, così ne resterebbero meno per inseguirci» rispose Persephone.

Al sentire quelle parole, Tenko si avvicinò a Zabar. «Ehi, io non ho mai volato da sola. Non so come si fa.»

«Non preoccuparti, posso usare uno dei miei incantesimi per aiutarti. E comunque sono tutti grifoni ammaestrati, sarà facile guidarli.»

 Come nel resto della città, anche nelle scuderie regnava il caos. Anzi: se possibile la confusione era ancora maggiore per via degli animali imbizzarriti.

Superarono facilmente alcune guardie di passaggio, quindi si diressero verso gli animali. L’ampio e spazioso edificio, costruito per lo più in legno, aveva subito diversi danni: alcune porzioni del tetto erano crollate e degli animali erano rimasti feriti. Gli stallieri stavano facendo il possibile per aiutarli e per calmare gli esemplari spaventati, ma la loro sembrava una battaglia persa in partenza.

«Di là» fece strada Persephone. Entrare nella scuderia le aveva ricordato il suo grifone, che per anni l’aveva accompagnata fedelmente nei suoi viaggi, ma non poteva abbandonarsi alle emozioni: questa era l’unica cosa rimasta invariata rispetto a quando era un’inquisitrice.

Raggiunsero i box che si erano salvati dai crolli e studiarono rapidamente le condizioni dei grifoni. Ce n’erano solo un paio già sellati, ma era meglio di niente.

«Io e Tenko prendiamo questi due, voi prendete quelli già sellati» stabilì Zabar.

La demone, che fino a quel momento sembrava pronta a tutto, avvertì un fremito di paura quando si trovò davanti al suo grifone.

«Sicuro di quello che fai?» esalò in direzione di Zabar.

«Ehi! L’arena è il tuo settore, questo è il mio» le ricordò l’ex chierico, che da quando aveva recuperato gli artefatti sembrava aver ritrovato anche sé stesso.

Il demone sfruttò uno dei suoi incantesimi per collegare la sua mente a quella del volatile, quindi fece segno a Tenko di salire. Nonostante la situazione in cui si trovavano, la giovane si sentì molto emozionata nell’essere da sola in groppa a quel maestoso animale.

«Seguitemi» ordinò Persephone, e con grande naturalezza guidò il suo robusto sparviere verso l’esterno.

Uno degli scudieri si accorse di loro e provò a raggiungerli. «Ehi! Nessuno è autorizzato a partire!»

All’ultimo una delle barriere della metarpia gli sbarrò la strada e per poco non ci andò a sbattere. L’ex inquisitrice aveva perso la benedizione di Horus, ma per fortuna riusciva ancora ad usare i suoi scudi. Aveva sempre pensato che anche quell’abilità fosse un dono degli dei – o almeno così le avevano detto – ma evidentemente era solo una bugia.

Seppur con qualche difficoltà, anche gli altri tre riuscirono a guidare i loro grifoni fuori dai rispettivi box e uno dopo l’altro spiccarono il volo. Dall’alto la portata dei danni era ancora più evidente: in tutta Theopolis c’erano macerie per le strade e persone che correvano di qua e di là. Se non altro la confusione permise loro di allontanarsi facilmente e nessun grifone si librò in aria per inseguirli.

Una volta raggiunta una distanza di relativa sicurezza, scesero a terra per stabilire il da farsi.

«Zabar, qual è il piano?» chiese Tenko.

«Andarcene» fu la schietta risposta dell’ex chierico. «I nostri manifesti sono già in ogni città, credo che la cosa migliore sia andare ad Artia: lì gli dei non potranno seguirci.»

La demone, che in realtà sapeva poco o nulla di Artia, si limitò ad annuire. «Voi invece cosa farete? Siete ricercati anche voi adesso. Sarà strano, ma forse la cosa migliore è venire con noi.»

«Mi dispiace, ma non posso farlo» rispose Persephone.

All’improvviso fu come se la temperatura si fosse abbassata di qualche grado.

La metarpia vide la mano di Tenko avvicinarsi alla bacchetta, così si spiegò meglio: «Credo che Ramses, il figlio di Horus, sia andato a sud per uccidere i teriantropi che si nascondono nella foresta. Gli avevo assicurato che sarebbero stati al sicuro, quindi devo andare a controllare.»

«Ne sei proprio sicura?» chiese Zabar. «Non credo ti accoglieranno a braccia aperte.»

«Lo so, ma devo farlo lo stesso.»

L’ex chierico rimase un attimo in silenzio, pensieroso. Infilò una mano in tasca e si avvicinò alla metarpia. «Prendi questo. Ti permetterà di parlare con loro.»

Persephone osservò il bracciale, lo stesso che aveva sequestrato proprio al demone. «Ne sei sicuro?»

«Credimi, vorrei tanto tenerlo, ma ne avrai bisogno. Solo… non perderlo.»

La metarpia annuì. «Hai la mia parola.» Avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma non sapeva cosa dire.

«Il capo dei cacciatori è un leopardo delle nevi, si chiama Clodius Niveus» affermò Tenko. «Digli che la prossima volta che ci incontriamo proverò la carne di orso corazzato con le spezie che mi aveva suggerito. Forse così non ti uccideranno.»

«Grazie» rispose Persephone.

Fece per andare, ma Tenko la fermò: «E un’altra cosa: per quel che vale, volevo scusarmi con te per quello che ti ho fatto all’occhio.»

La metarpia rimase un attimo in silenzio. «Cercate di non morire» disse prima di salire in groppa al suo sparviere. Il grifone spiccò il volo verso sud e gli altri tre tornarono a fissarsi a vicenda.

«Tu vieni con noi?» chiese Tenko a Leonidas.

«Sì, verrò con voi. Prima però vorrei andare dalla mia famiglia, a Milegos: non posso andarmene senza dirgli nulla.»

«D’accordo» annuì Zabar. «Noi dovremo andare prima a Chalacyra: forse un nostro amico può farci avere un passaggio fino ad Artia.»

«Dove ci incontriamo?» chiese Tenko.

«Potrei raggiungervi a Chalacyra. Una volta arrivati lì, aspettatemi per tre giorni: se non dovessi farmi vivo, partite senza di me.»

«D’accordo» annuì la demone.

Così come Persephone, anche Leonidas salì in groppa al suo grifone e spiccò il volo.

«E così siamo di nuovo noi due» esalò Tenko.

«Ma non per molto» rispose Zabar. «Chissà come procedono gli esperimenti di Icarus. E poi vorrei tanto capire perché c’è stato quel terremoto prima. Non credo sia stato un caso. Praticamente ogni volta che ci scontriamo con degli inquisitori succede qualcosa di strano! A proposito, cos’era quella cosa che hai fatto nell’arena? Sembrava la benedizione di un dio.»

«Mmh, credo di sì. Spero solo di non averla consumata tutta.»

«No, non credo. Dovrai solo imparare a usarla. Magari posso darti una mano. Quella cosa dell’invisibilità è davvero utile.»

Lei annuì, felice per la disponibilità dell’ex chierico, e anche per aver avuto conferma del tipo di abilità che aveva acquisito. «Già, ora però andiamo, prima che qualcuno ci trovi.»

I due demoni montarono i rispettivi grifoni e si lasciarono alle spalle Theopolis, decisi a compiere quell’ultima tappa prima di lasciare Meridia.

Entrambi erano così proiettati verso il futuro da non accorgersi che un altro imponente volatile si era appena sollevato dalla città ed era partito al loro inseguimento.


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Dopo aver recuperato le loro cose, i nostri eroi sono riusciti a fuggire da Theopolis, ma non a far perdere le loro tracce: chi sarà il loro misterioso inseguitore? Molto probabilmente sarà un emissario degli dei, ma saranno ancora in grado di affrontarlo ora che si sono divisi?

Un altro tema caldo è la benedizione (o presunta tale) di Tenko: di sicuro la demone ci metterà un po’ per capire di cosa si tratta e come sfruttarla al meglio, sempre ammesso che il prezzo da pagare non sia troppo alto.

Direi che anche per oggi è tutto, concludo dicendo che io e la mia beta Hesper abbiamo finito di sistemare il finale del racconto, quindi posso già pensare a quello che verrà dopo (ma niente spoiler per ora :P).

A presto ^.^


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Capitolo 41
*** 40. Legami di famiglia ***


40. Legami di famiglia

Era passato almeno un quarto d’ora da quando Tenko e Zabar si erano accorti che qualcuno li stava seguendo. Il grosso grifone stava guadagnando terreno, ma era comunque da solo: avevano fatto bene a prendere quattro cavalcature.

Man mano che passavano i minuti, i due demoni si resero conto che il loro inseguitore aveva un animale nettamente più grande dei loro. Sicuramente si trattava di un grifone felino, ma non ne avevano visti nella scuderia. In realtà non dovevano esserne troppo stupiti: non era strano che una città grande come Theopolis avesse più di un punto dedicato al ricovero dei grifoni.

Arrivato a meno di trenta metri di distanza, l’animale spalancò le fauci feline e scagliò un getto di fiamme. Terrorizzati, i grifoni dei due demoni si affrettarono a schivare, e con dei possenti battiti d’ala cercarono di guadagnare un po’ di distacco.

Tenko capì subito che doveva affrettarsi a reagire, così afferrò la sua bacchetta e scagliò un fulmine. La scarica elettrica centrò in pieno l’inseguitore, che lanciò un poderoso ruggito. La demone non si era trattenuta, ma il possente grifone felino non ci mise molto per riprendersi dall’attacco.

Zabar provò a scagliare una palla di fuoco con la bacchetta sottratta alla sua copia, ma l’inseguitore incassò il colpo senza che la sua pelliccia striata ne risentisse minimamente.

La demone provò con un altro fulmine, ma questa volta il grifone schivò l’attacco. Nonostante la stazza era molto agile e ormai aveva capito che quelle saette facevano male: non si sarebbe fatto colpire nuovamente.

Tenko sapeva che non poteva sprecare energie, così rimase in attesa, lo sguardo attento. D’un tratto si accorse che il cavaliere si stava muovendo: vide che aveva una lancia in mano e capì subito quello che aveva in mente. Afferrò le piume del collo del suo grifone e lo strattonò di lato. L’animale lanciò un acuto verso di protesta e virò violentemente. Un istante dopo la lancia sfrecciò a meno di un metro dalla sua ala, perdendosi in lontananza.

La demone, sorpresa dalla potenza del lancio, si voltò di nuovo, ma tutto ciò che vide fu un torrente di fiamme. Questa volta il suo animale schivò da solo, ma il flusso di aria bollente riuscì comunque a scottarle la pelle del viso.

Non c’erano dubbi: quel tipo era intenzionato a fare fuori prima lei. Non che fosse il primo a volerla morta. Guardò verso il cavaliere e questa volta riuscì a riconoscere la sua ricercata armatura e le corna da bisonte: era sicuramente l’inquisitore di Maahes.

Forte della benedizione del dio della guerra, il faunomorfo scagliò un’altra lancia. Tenko provò a far virare il suo animale, ma il tiro era troppo veloce e preciso e la punta aguzza si conficcò nell’ala destra. Il grifone urlò di dolore e si dibatté con forza. La demone, sballottata su e giù, si strinse alle piume del collo dell’animale, terrorizzata dall’idea di precipitare.

L’inquisitore scagliò un altro giavellotto, ma questa volta Zabar intervenne e lo deviò con un incantesimo.

Dopo l’ennesimo scossone, il grifone di Tenko riuscì finalmente a liberarsi della lancia conficcata nell’ala e ritrovò un assetto di volo normale. Nonostante la ferita sembrava in grado di proseguire.

La demone ebbe finalmente modo di guardare indietro, e solo in quel momento si accorse che il loro inseguitore aveva preso quota e ora si trovava parecchi metri più in alto. Il nemico si lanciò in picchiata e lei rispose con un poderoso fulmine. Questa volta il grifone felino non riuscì a schivare e venne preso in pieno. La cavalcatura di Tenko si spostò di lato e l’aggressore le sfrecciò accanto.

La giovane guardò verso la sella, ma troppo tardi si accorse che era vuota. Cercò verso l’alto, ma l’inquisitore le era già addosso. Il grifone della demone lanciò un grido quando il pesante faunomorfo cadde sulla sua schiena, il martello già in pugno. Tenko si alzò di scatto e impugnò anche la spada.

«Questo è per mio fratelo!» gridò l’inquisitore.

Sollevò il martello e la demone capì che era spacciata: se anche l’avesse schivato, il suo grifone sarebbe stato colpito in pieno e sarebbe precipitato. D’istinto si preparò a saltare di lato, ma qualcosa investì la cavalcatura. Tenko e il faunomorfo vennero sbalzati nel vuoto e solo in quel momento la giovane si rese conto che era stato il grifone di Zabar ad andare loro addosso.

Attenta a non farsi sfuggire le sue armi o la sacca che aveva in spalla, la demone cercò di rallentare le sue capriole aeree e allo stesso tempo di mantenere una distanza di sicurezza dall’inquisitore.

La pressione dell’aria si faceva più soffocante man mano che prendeva velocità, ma alla fine Zabar riuscì comunque a recuperarla portando il suo grifone sotto di lei per darle la possibilità di montare alle sue spalle.

Tenko guardò subito in basso, sperando che l’inquisitore non fosse altrettanto fortunato, ma anche lui venne preso al volo dalla sua cavalcatura e subito ripartì all’inseguimento, ancora più determinato di prima.

«Dobbiamo farlo precipitare!» gridò a Zabar. «Puoi usare la tua magia?!»

«Ci provo, tu tienimi!» rispose l’ex chierico, cercando di sovrastare la pressione del vento.

Mentre la demone si assicurava di non farlo cadere, Zabar cercò di isolarsi dal resto del mondo per focalizzarsi sulla mente del grifone felino. Non era facile concentrarsi in quella situazione, ma in qualche modo riuscì a stabilire un contatto. Provò a indurre l’animale a desistere, ma la creatura si ribellò con decisione.

Spronato dall’inquisitore, il grifone si liberò dall’influenza del chierico e tornò all’attacco con un getto di fiamme. Forte della sua rincorsa, il grosso volatile provò anche un attacco dal basso, ma il rapace dei due demoni riuscì a schivarlo.

«Tenko, riesci a usare la magia come nell’arena?» le chiese Zabar.

«Non lo so. Come devo fare?»

«Prova a ricordare come ti sei sentita. Ricorda quello che provavi.»

La demone non ebbe difficoltà a riportare alla mente la rabbia e la frustrazione che aveva provato in quei momenti. Il disprezzo del pubblico, l’ostentata superiorità degli dei, il suo clone con ancora le ali. Sentì il sangue ribollire e le sue cicatrici cominciarono a emanare una debole luce fucsia.

Si alzò in piedi sulla schiena del grifone e infuse la sua magia nella spada. Non aveva idea di chi fosse quell’inquisitore o il fratello di cui parlava, ma non si sarebbe fatta catturare di nuovo. Non avrebbe permesso a un servo degli dei di farle ancora del male. Né a lei, né a Zabar.

L’inseguitore si era portato di nuovo sopra di loro e per la seconda volta si lanciò in picchiata. Sparò un getto di fiamme, ma Zabar lo contrastò con un incantesimo. Ormai vicinissimo, il felino spalancò le fauci, ma la sua preda virò violentemente. Tenko non si preoccupò di restare al suo posto, anzi spiccò un salto verso l’assalitore. Schivò le sue zanne e colpì l’ala con tutta la forza che aveva. La lama intrisa di magia superò l’ispida pelliccia e scalfì l’osso, facendo urlare il volatile.

Mentre Tenko cadeva nel vuoto, vide il grifone che cercava disperatamente di restare in cielo. A ogni violento battito lanciava un verso di dolore, finché non si udì uno schiocco secco. L’ala si piegò in maniera innaturale e il grifone cominciò a precipitare.

Zabar recuperò per la seconda volta la sua compagna e insieme a lei osservò l’animale che precipitava inesorabilmente verso terra, urlando disperato. Lo schianto fu violentissimo e anche dall’alto riuscirono a udire il fragore dell’impatto.

«Sarà morto?» esalò l’ex chierico, visibilmente scosso.

«Il grifone forse sì, l’inquisitore di sicuro no» rispose Tenko, che già aveva capito di che pasta era fatto il suo avversario. «Muoviamoci, prima che trovi un modo per tirarci giù.»

«Va bene. Richiamo l’altro grifone e andiamo.»

***

Era già tardo pomeriggio quando Leonidas avvistò Milegos. Non sapeva se la notizia del suo arresto e della sua successiva fuga era già arrivata nella piccola città, così decise di atterrare nella foresta, sperando di non attirare troppo l’attenzione.

Lasciò il grifone da solo nella speranza che non si allontanasse troppo – non che avesse molte alternative – e si diresse verso il centro abitato.

Le guardie all’ingresso lo riconobbero subito, ma invece di fermarlo lo salutarono amichevolmente. Leonidas, sollevato, rispose con il medesimo tono. Conosceva entrambi i militari – uno dei due lo aveva addestrato lui stesso – ma non si trattenne più del necessario: voleva rivedere al più presto la sua famiglia.

Lui era un capitano, tuttavia la sua casa non era poi così diversa da quelle vicine: un’abitazione a due piani di modeste dimensioni costruita in legno e mattoni, ben lontana dalle lussuose ville che aveva visto in altre città come Chalacyra e Theopolis.

Una volta arrivato, si fermò davanti all’ingresso. Riusciva a sentire le voci dei suoi figli e dalle finestre si diffondeva il profumo della cena. Gli sembrava fosse passata un’eternità da quando era partito.

Aprì la porta. «Tesoro, bambini, sono tornato.»

Appena lo videro, i suoi figli gli corsero subito incontro per inondarlo di domande. Erano due maschietti, uno era molto simile a lui, l’altro invece aveva ereditato i tratti caprini della madre.

Sua moglie smise per un momento di badare alla cena e lo accolse con un lungo bacio. Lo osservò con le sue pupille orizzontali e subito capì quanto il marito fosse provato. «È stata dura, vero? Cosa vuoi da mangiare? Dobbiamo festeggiare il tuo ritorno. Bambini! Fate i bravi, vostro padre deve riposarsi!»

Nonostante tutta la stanchezza accumulata, a Leonidas bastarono quei semplici momenti di quotidianità per sentirsi subito bene. Mangiare tutti insieme, sentire le ultime marachelle dei suoi figli, stringere la mano di sua moglie: non aveva bisogno d’altro.

Non riuscì a trovare il modo di dire loro della sua imminente partenza e alla fine si ritrovò nel suo letto a rimuginare. Era davvero pronto a lasciarli di nuovo?

Incapace di prendere sonno, decise di fare un giro per cercare di schiarirsi le idee. Camminò senza meta per le strade della città e, senza rendersene conto, si ritrovò davanti al tempio di Susanoo. In quel momento non c’era nessuno, così entrò e raggiunse la statua del dio delle tempeste. La osservò, come in attesa di un segno.

«Cerchi risposte, figlio mio?»

La voce risuonò nella sua mente, facendolo sobbalzare. Si guardò intorno, ma era solo. C’erano solo lui e la statua.

«So cos’è successo a Theopolis, ma non preoccuparti: sono qui per te, figlio mio» proseguì la voce. Non c’erano dubbi: era Susanoo che gli stava parlando. «Lascia che ti spieghi come stanno davvero le cose.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Dopo un intenso combattimento, Tenko e Zabar sono riusciti a liberarsi dell’inquisitore di Maahes. La demone è stata in grado di evocare nuovamente il suo misterioso potere, che per il momento sembra legato alle sue emozioni peggiori. Sarà davvero così?

Mentre i due continuano il loro viaggio verso Chalacyra, Leonidas è finalmente giunto a casa dalla sua famiglia. Riabbracciare la moglie e i figli era ciò di cui aveva più bisogno, ma proprio per questo è restio a lasciarli. Per di più Susanoo in persona gli ha parlato e gli ha promesso di rivelargli tutto quanto. Cosa farà adesso il felidiano? Terrà fede al suo giuramento verso gli dei? Rispetterà la promessa fatta a Tenko e Zabar? O rinuncerà a entrambi per restare con la sua famiglia?

Il prossimo capitolo uscirà il primo sabato dell’anno prossimo, quindi buon Natale a tutti e buon anno! ^.^

Natale 2019

PS: l’immagine non è un bel vettoriale pulito ma, come si dice, è il pensiero che conta XD


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Capitolo 42
*** 41. L’ultimo ostacolo ***


41. L’ultimo ostacolo

Dopo essere atterrati in una radura nella foresta, Tenko e Zabar si guardarono intorno per controllare che non ci fosse nessuno. Erano a distanza di sicurezza dalle mura di Chalacyra, ma in ogni caso non intendevano entrare in città: dato il loro status di ricercati, era meglio se non si facevano vedere. Raggiungere il laboratorio di Icarus era la cosa più saggia da fare, e Tenko era sicura che il suo senso dell’orientamento le avrebbe permesso di trovarlo nel giro di qualche ora.

Prima di lasciare i grifoni, Zabar controllò un’ultima volta le loro condizioni. Erano entrambi provati, ma qualche giorno di riposo e del cibo fresco sarebbero stati sufficienti per rimetterli in sesto. Anche la ferita all’ala dell’animale di Tenko era meno grave del previsto e l’ex chierico aveva già provveduto a usare qualche incantesimo di guarigione. Se avesse avuto il grimorio della sua famiglia probabilmente sarebbe riuscito a fare di più, ma purtroppo il libro era rimasto al villaggio dei teriantropi: prima o poi sarebbe dovuto andare a recuperarlo.

«Dovrebbe essere di qua» disse Tenko incamminandosi tra gli alberi.

Zabar diede un’ultima affettuosa pacca al suo grifone e poi si accodò alla sua compagna.

«Sai, stavo ripensando alla battaglia in cielo con l’inquisitore» disse dopo una decina di passi. «Quella volta non è successo niente di strano, quindi forse non basta la presenza di un inquisitore.»

«Forse succede solo quando combattiamo con Persephone, anche se non ha molto senso» ipotizzò Tenko.

«Mmh, non è da escludere. La mia ipotesi è che serva tanta magia per scatenare quegli eventi eccezionali: quando combattevamo contro Persephone abbiamo sempre usato moltissima magia, e anche nell’arena, quando sono arrivati i due inquisitori, il livello si è subito impennato. In cielo invece abbiamo usato solo qualche incantesimo oltre alla magia usata dai grifoni per volare.»

«Sì, hai ragione.» La demone lanciò qualche rapido sguardo a destra e sinistra. «In ogni caso credo che Icarus potrà aiutarti più di me a risolvere il mistero.»

Lui sorrise. «Di sicuro non si tirerà indietro quando gliene parlerò.»

Per un po’ rimasero in silenzio e l’ex chierico ebbe modo di notare l’espressione pensierosa della demone.

«Qualcosa non va?»

«Adesso mi leggi nel pensiero?» ribatté lei con un mezzo sorriso.

«Viaggiamo da quanto? Qualche mese? Non ho bisogno di leggerti nel pensiero!»

Lei annuì. «Già. In ogni caso non è niente. Diciamo che è più un capriccio. Pensavo di essermi lasciata alle spalle tutta la questione della rabbia, dell’odio, della vendetta… invece a quanto pare il potere delle tre donne deriva proprio dai miei istinti peggiori. Speravo di essere diventata migliore di così.»

«Tu sei diventata migliore di così» le assicurò Zabar. «E a proposito del tuo potere, non è detto che sia vincolato alle tue emozioni negative. Per ora sappiamo solo che ti permette di diventare invisibile, ma potrebbe esserci dell’altro. Ancora non abbiamo capito nemmeno chi siano quelle tre donne che ti hanno dato la benedizione.»

«Già, e questo non mi piace» ammise la demone. «Non mi fido di loro. Ho la sensazione che usando il loro potere potrei finire in guai ancora peggiori.»

L’ex chierico impiegò alcuni istanti per trovare una risposta. «Non posso negarlo, e non voglio forzarti a scegliere di usarli o meno. In ogni caso sappi che qualsiasi cosa deciderai di fare, io sarò dalla tua parte.»

Lei gli sorrise. «Ti ringrazio.»

Continuarono a camminare per diversi minuti, finché la demone non si fermò davanti a una parete rocciosa coperta di vegetazione. «Siamo arrivati.»

Questa volta Zabar riuscì a riconoscere il luogo, ma come in precedenza non poté non rimanere molto colpito dall’eccezionale senso dell’orientamento della sua compagna.

«Avverto una strana concentrazione magica.» Fece qualche passo verso il punto dove gli sembrava ci fosse l’accesso. «Provo a chiamarlo. Icarus? Icarus, sei qui dentro? Sono Zabar.»

I due demoni sentirono dei rumori e poco dopo un viso paffuto fece capolino tra la coperta di foglie.

«Zab! Vecchio mio!» esclamò Icarus. «Da quanto tempo!»

Il faunomorfo di tipo orso abbracciò calorosamente l’ex chierico, quindi si inchinò davanti a Tenko e le fece un elegante baciamano. «Signorina Br’rado, è sempre un piacere.»

«Piacere mio» rispose la demone in tono cordiale.

In un primo momento Icarus parve stupito, ma ben presto il suo largo sorriso prese il sopravvento. «Sicura di essere la stessa Tenko Br’rado? Sei cambiata.»

«Spero in meglio.»

«Oh, sicuramente! Sembri più felice.»

La demone, stupita, non trovò nulla da dire e si limitò a un mugugno d’assenso.

«Allora, cosa mi raccontate? Siete arrivati a sud? Cos’avete trovato? C’era davvero qualcuno?» Il faunomorfo li sommerse di domande, al punto che Zabar dovette chiedergli di rallentare.

«Ti racconterò tutto, prima però c’è una cosa importante di cui vorrei parlarti. In breve, io e Tenko vogliamo andare ad Artia. Siamo ricercati, e di recente le cose si sono fatte parecchio complicate. Mi chiedevo se magari potessi farci avere un passaggio.»

Icarus si prese un attimo per riflettere. «Sì, certo, posso organizzare qualcosa.» Rimase un attimo in silenzio. «In tutta onestà, anche per me le cose si stanno facendo complicate. Le mie ricerche vanno bene, talmente bene che il Clero sta cominciando a insospettirsi. È da un po’ che sto pensando di cambiare aria; se per voi non è un problema, quasi quasi partirei con voi.»

Zabar, che non si aspettava una simile proposta, annuì immediatamente. «Certo, mi farebbe molto piacere. Tu sei d’accordo?»

Tenko fece spallucce. «Perché no? Il tuo aiuto potrebbe farci comodo.»

«Grazie! Grazie davvero!» esclamò il faunomorfo. «A proposito di aiuto: voglio mostrarvi una cosa.» Fece un passo indietro e cominciò a intonare: «Oh, Grande Madre, rispondi al tuo umile figlio. Dammi il potere di fluttuare nel cielo. Il mio guadagno è il tuo guadagno, io sono il Mercante!»

Appena Icarus ebbe finito quella che sembrava una preghiera, il suo corpo si sollevò da terra e cominciò a levitare.

Il faunomorfo stava chiaramente usando la magia, eppure non brandiva nessuna bacchetta. La sua energia proveniva dall’ambiente circostante, come se fossero l’aria, gli alberi e la terra ad alimentarlo.

«Come hai fatto?» esalò Zabar appena il suo amico toccò terra.

Icarus sorrise. «Ho usato la magia del mondo!»

«Ma… come? Tu non sei un mago naturale.»

«Vero, ma poi ho trovato un libro: il diario di Sokrates il Sapiente. Tra le varie cose spiega come sfruttare il potere delle fate per controllare la magia del mondo. È a dir poco rivoluzionario!»

Zabar era senza parole.

«E non è tutto!» proseguì il faunomorfo. «Secondo il diario, il terreno sotto i nostri piedi è vivo! Tutta la terra su cui camminiamo è viva! E non intendo viva come un… un albero: intendo viva come un gigantesco animale addormentato! Secondo il diario l’enorme quantità di magia che permea il terreno gli ha dato un’anima, o forse il contrario, in realtà non ho ancora capito bene. So che sembra assurdo, ma sto cominciando davvero a crederci.»

Nel sentire quelle parole, l’ex chierico non poté non ripensare agli strani fenomeni che si erano susseguiti in concomitanza con i loro scontri con gli inquisitori. E se fosse stato il mondo che reagiva alla magia degli dei? Magari era il suo modo di difendersi da quella forza estranea.

«Fidati: dopo tutto quello che ho visto, non mi sembra più così strano.»

Erano passati due giorni dal loro arrivo a Chalacyra, era tarda mattinata e Tenko si stava allenando con la benedizione delle tre donne. Ancora non era convinta che fosse una buona idea usarla, tuttavia non poteva permettersi di fare la schizzinosa: riuscire a padroneggiare quel potere avrebbe potuto fare la differenza tra la vita e la morte.

Riportò alla mente rabbia, frustrazione e sete di vendetta, tutti sentimenti con cui aveva convissuto fin da piccola, e in pochi istanti le sue cicatrici cominciarono a emanare una debole luce fucsia.

Senza perdere la concentrazione infuse la sua magia nella spada. Doveva imparare a farlo in pochi istanti: un solo secondo di ritardo avrebbe significato morte certa contro un inquisitore.

Identificò un albero come bersaglio e scattò verso di lui. Voleva essere rapida, silenziosa, invisibile, e il potere delle tre donne la accontentò: divenne l’ombra di sé stessa, uno spettro inarrestabile e letale. Mentre era così il mondo intorno a lei si faceva tetro e distorto, come se fosse entrata in un’altra dimensione.

In un istante riapparve alle spalle dell’albero. Menò un fendente e la lama squarciò il legno, scavando un profondo solco. Non riuscì a tagliare l’intero tronco, ma il danno fu sufficiente a far crollare la malcapitata pianta.

Doveva continuare ad allenarsi, doveva diventare molto più forte di così, prima però lanciò l’ennesima occhiata al cielo. Secondo gli accordi, Leonidas si sarebbe dovuto presentare entro sera, altrimenti sarebbero partiti senza di lui. Per sicurezza controllò in ogni direzione e questa volta riuscì ad avvistare un grifone. Si stava dirigendo proprio verso Chalacyra, quindi era improbabile che si trattasse di un animale selvatico.

Dissolse la benedizione, rinfoderò la spada e andò a chiamare Zabar, che in quel momento si trovava nel laboratorio di Icarus. Anche il faunomorfo volle andare con loro, così tutti e tre si diressero verso il punto di atterraggio del grifone.

Appena arrivati, riconobbero subito Leonidas, in piedi davanti alla sua cavalcatura. Si era cambiato, ma non indossava l’uniforme delle guardie: portava una ricercata armatura decorata di fulmini e un solenne mantello.

Icarus capì subito che non era quello che i due demoni si aspettavano.

Tenko fece un passo avanti, la mano sulla spada. «È quello che penso?»

Leonidas la guardò con espressione grave. «Mi dispiace, ma non posso lasciarvi partire.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

E così siamo arrivati alla resa dei conti. Ho pensato a vari possibili “boss finali”, ma credo che questo sia il più adatto per concludere questa prima fase del viaggio dei nostri eroi.

Anche se siamo verso la fine, le faccende in sospeso non mancano: gli strani fenomeni naturali sono davvero collegati a ciò che ha detto Icarus? Quali sono le implicazioni della benedizione di Tenko? Ma soprattutto: cosa deciderà di fare la demone ora che deve di nuovo affrontare Leonidas?

Tra due settimane pubblicherò l’ultimo capitolo più epilogo di Eresia: non mancate! ^.^


PS: come ho segnalato sul mio sito, ho deciso di cambiare nome alla mia raccolta di saghe, che non sarà più TNCS ma Project Crossover. Per maggiori info, vi lascio il link https://tncs.altervista.org/articoli/tncs-diventa-project-crossover/


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Capitolo 43
*** 42. Volontà divergenti ***


42. Volontà divergenti

«Cos’è cambiato?» volle sapere Tenko, sforzandosi di mantenere la calma. «Come puoi tornare al servizio degli dei dopo quello che abbiamo passato?»

«Mi è apparso Susanoo» rispose Leonidas. «Susanoo in persona si è manifestato e mi ha parlato. Mi ha spiegato-»

«Un dio ti è apparso e tu gli hai dato ascolto?!» imprecò la demone, la cui pazienza si era già esaurita. «Dov’era mentre i suoi amici ci guardavano morire?! Dov’era?!»

«Credimi, non è stato facile per me prendere questa decisione. Ora, lasciami spiegare-»

«Spiegare?!» lo interruppe di nuovo la demone. «Non c’è niente da spiegare!»

«Lasciami parlare!» la zittì il faunomorfo. «Qui non si tratta solo di me e te! Qui si tratta del mondo intero! Anche ammettendo che tu riesca a uccidere gli dei, ti sei fermata solo un momento a pensare a cosa succederebbe?! Al caos che verrebbe dopo?! Tu vuoi una guerra, Tenko, una guerra! Nessuno di noi ha mai visto una vera guerra, ma gli dei sì! Susanoo mi ha mostrato cosa accadrebbe senza gli dei a guidarci! Quello che hai passato è niente in confronto alla devastazione che scoppierebbe se non ci fossero gli dei!»

Tenko serrò i pugni, incapace di ribattere.

«Non voglio dire che questo mondo sia perfetto» proseguì Leonidas. «Forse hai ragione, gli dei non sono perfetti, ma noi abbiamo bisogno di loro, almeno quanto loro ne hanno di noi. È solo grazie agli dei se possiamo vivere in pace! E non mi riferisco a una pace mistica o roba del genere! Mi riferisco alla cattura dei criminali! Al controllo degli animali selvatici! Alla crescita dei raccolti! Senza gli dei, tutto ciò che diamo per scontato sparirebbe! Sei davvero sicura di voler distruggere tutto questo?»

La demone rimase immobile alcuni istanti, in silenzio, poi scosse il capo. «Ti sbagli. Noi possiamo vivere senza gli dei, e il villaggio dei teriantropi nella foresta a sud ne è la dimostrazione.» Sguainò la spada. «Ho smesso di fidarmi degli dei quando la mia famiglia è stata uccisa, uccisa perché aveva rifiutato di sottomettersi, quindi stai sprecando il fiato. Non voglio ucciderti, quindi ti prego, fatti da parte.»

Leonidas prese l’arco del suo clone e incoccò una freccia. «Neanche io voglio ucciderti, ma non mi lasci altra scelta.»

Tenko provò a evocare la benedizione delle tre donne, ma non accadde nulla. Fece appello ai suoi istinti peggiori, tuttavia c’era qualcosa che la teneva bloccata.

Il faunomorfo scoccò e il dardo si conficcò nel terreno, proprio ai piedi della demone. La scarica elettrica travolse la giovane, che urlò di dolore. Cadde a terra, tremante per la paralisi.

«Questo era l’ultimo avvertimento. Arrendetevi, tutti e tre.»

Zabar e Icarus non sapevano cosa fare, erano quasi tentati di rinunciare, ma poi videro Tenko che a fatica si rimetteva in piedi.

«Ci siamo già passati» gli fece notare la demone. «Sai che non mi arrenderò. E preferisco morire subito piuttosto che diventare di nuovo un giocattolo degli dei.»

Serrò i pugni, invocò tutto l’odio che provava nei confronti dei suoi nemici, ma di nuovo la benedizione non rispose.

«Così non va, piccolina.»

Tenko riconobbe subito l’irridente voce femminile direttamente nella sua testa.

«Non ti abbiamo dato la nostra benedizione perché tu ti trattenga.»

«Devi punire gli dei e i loro servitori!»

«La tua giustizia deve essere spietata!»

«Quell’uomo è tuo nemico.»

«Ricorda il dolore che ti ha inferto!»

«Ricorda la sua omertà!»

«È tuo nemico, e lo sarà sempre!»

«Uccidilo!»

«Uccidilo!»

«Uccidilo!!!»

La benedizione divampò nel corpo della demone insieme al suo urlo furioso. Ebbra di potere, Tenko infuse la sua magia nella spada e si lanciò all’attacco.

Leonidas aveva già visto l’abilità della demone, così appena lei divenne invisibile evocò la benedizione di Susanoo e proiettò una ragnatela di fulmini in ogni direzione.

La demone vide la mossa dell’avversario, vide il suo incantesimo che si allargava rapidissimo, impossibile da schivare, ma non se ne preoccupò: ormai sapeva che il suo potere non era semplice invisibilità, ma piuttosto intangibilità. Quella versione oscura e distorta del mondo non ospitava solo la sua mente, ma anche il suo corpo, rendendola di fatto uno spettro immune a qualsiasi attacco. Certo, non poteva restare nascosta a lungo, ma una manciata di secondi erano sufficienti per aggirare qualsiasi avversario e attaccarlo alle spalle nel modo più vile possibile.

Superò Leonidas e caricò l’affondo, pronta a trafiggerlo al cuore. L’avrebbe ucciso così, senza nemmeno guardarlo negli occhi, perché lei era questo: un’assassina senza onore a cui importava solo della sua vendetta.

Il faunomorfo era sicuro che Tenko sarebbe tornata visibile una volta colpita dalla sua magia, eppure continuava a non vederla. Dedusse che in qualche modo lei era riuscita a schivare il suo attacco, così annullò l’incantesimo e rimase in attesa, attento a captare la minima variazione nel campo elettrico.

Avvertì una presenza: era alle sue spalle. Si voltò di scatto, pronto a bloccare la spada, invece fu la frusta a ghermirlo: si avvolse intorno a lui e gli bloccò le braccia. Approfittando dell’effetto sorpresa, Tenko fece appello a tutta la sua forza e lo scagliò contro un albero.

«Fermatelo!» gridò la demone ai suoi compagni, la voce incrinata.

I due parvero come svegliati da un sogno. Zabar lanciò un attacco mentale per impedire al felidiano di reagire, Icarus invece intonò una preghiera: «Oh, Grande Madre, rispondi al tuo umile figlio. Blocca il mio nemico in una prigione di terra. Il mio guadagno è il tuo guadagno, io sono il Mercante!»

Leonidas, stordito dal colpo e confuso dall’attacco psichico, non ebbe la forza di reagire e il terreno si avviluppò facilmente intorno a lui, lasciando libera solo la testa.

«Presto! Andiamo!» ordinò Tenko indicando il grifone del felidiano.

Zabar si fece avanti e in pochi secondi prese il controllo dell’animale, così da permettere anche agli altri due di salire.

Una volta in cielo, i tre poterono finalmente tirare un sospiro di sollievo. Leonidas ci avrebbe messo un po’ per liberarsi, e in ogni caso senza il grifone non avrebbe potuto inseguirli.

Nonostante la vittoria, l’ex chierico si rese conto che la demone era ancora molto scossa. «Ha fatto la sua scelta, non saremmo riusciti a fargli cambiare idea.»

Lei scosse il capo. «Non è questo» esalò lei, la voce rotta. «Io non volevo ucciderlo, ma le tre donne hanno cercato di costringermi a farlo. E stavo per farlo, Zabar. Anche se non volevo, stavo per ucciderlo.»

«Alla fine però non l’hai ucciso, è questo che conta. Hai dimostrato che sei diventata migliore di come eri in passato.»

«Non lo so se sono davvero migliore» ammise la demone, scura in volto. «Quello che ha detto Leonidas sul mondo, sul caos che scoppierebbe senza gli dei… Mi sono sempre concentrata sulla mia vendetta e non ho mai pensato davvero alle conseguenze.» Strinse i pugni. «Non voglio che altri debbano subire quello che è successo a me, non per colpa mia.»

L’ex chierico sospirò. «Mi spiace dirlo, ma è vero che senza il Clero e gli dei a mantenere l’ordine, un periodo di caos è quasi inevitabile. Tu però non vuoi rinunciare, vero?»

«Rinunciare? No, mai. Ucciderò gli dei e spazzerò via il Clero… ma non posso limitarmi a questo. Pensi che esista qualcuno in grado di rimettere in piedi il mondo quando tutto questo sarà finito? Anche ammettendo di sopravvivere, io non potrei mai farcela.»

Questa volta fu Zabar a scuotere il capo. «Questo non lo so.»

«Emh, scusate se mi intrometto» intervenne Icarus, «ma ho sentito parlare di un tipo, ad Artia. Mi sono arrivate voci contrastanti: alcuni lo dipingono come un sovrano illuminato, altri come un dittatore sanguinario, in ogni caso sono tutti concordi sul fatto che stia radunando un gran numero di persone: pare voglia muovere guerra contro gli dei.»

«… ma…?» lo esortò Tenko, intuendo la frase in sospeso.

«Ma a quanto pare è un semidio» rivelò il faunomorfo. «Dicono sia il figlio di una dea uccisa circa vent’anni fa.»

Fra i tre calò un lungo silenzio, che proseguì finché il grifone non completò l’atterraggio vicino ai due esemplari dei demoni. Ad attenderli c’erano i servitori di Icarus, che nel frattempo avevano provveduto a sistemare i loro bagagli.

«Saresti disposta ad allearti con un semidio?» chiese Zabar una volta scesi a terra.

«Se questo tipo è davvero in grado di costruire un mondo libero dagli dei, allora temo che il problema non sarà lui, ma io» ammise Tenko. «Oggi ho quasi perso il controllo, e anche senza la benedizione so di non essere una brava subordinata. Non fraintendermi, mi piacerebbe conoscerlo e capire se davvero può aiutarci, ma non voglio farmi illusioni.»

«I miei bagagli sono pronti, quando volete possiamo partire» affermò Icarus, che nel frattempo si era premurato di salutare un’ultima volta i suoi servitori.

«Beh, avremo tutto il tempo per pensare, ora andiamo» disse Zabar.

Tenko salì in sella al suo grifone e, mentre la cavalcatura spiccava il volo verso nord, lei ripensò a tutto quello che le era successo negli ultimi mesi: ai pericoli che aveva corso, alle sofferenze che aveva patito e alle cose che aveva imparato.

Nonostante tutti i suoi sforzi, non aveva ancora raggiunto la sua meta. Non ci era nemmeno vicina. Aveva fatto dei progressi, aveva ottenuto qualche sporadica vittoria, tuttavia le probabilità di successo erano ancora minime.

Ne era valsa la pena?

Ripensò alla vecchia sé stessa, una randagia sola e senza prospettive per il futuro, poi guardò Zabar e Icarus che volavano davanti a lei, e oltre, verso il lungo viaggio che l’attendeva.

Sì, ne era valsa la pena.


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Capitolo 44
*** Epilogo ***


Epilogo

Appena si fu ripreso dalla botta e dall’attacco mentale, Leonidas invocò la benedizione di Susanoo e si liberò dalla prigione di terra.

Gli eretici avevano deciso di risparmiarlo, ma non sapeva se esserne felice o triste: ora doveva fare rapporto del suo fallimento, ma soprattutto con ogni probabilità gli avrebbero ordinato di rimettersi all’inseguimento dei due demoni.

Non voleva dare loro la caccia. Il caos che avrebbe seguito la morte degli dei lo spaventava davvero – aveva una famiglia da proteggere – allo stesso tempo però avrebbe preferito lasciare perdere quella che ormai gli sembrava una faida priva di senso.

Gli mancavano sua moglie, i suoi figli, la sua vecchia vita: avrebbe rinunciato a tutto pur di tornare a essere il capitano delle guardie di Milegos.

Non avendo più il grifone, si avviò a piedi verso Chalacyra, lentamente, come a voler rimandare il momento della verità: gli serviva del tempo per riflettere.

Susanoo gli aveva garantito dei poteri da inquisitore, lui però non aveva saputo sfruttarli a dovere. Dentro di sé sapeva che quella carica non faceva per lui: doveva chiedere al dio di riprendersi il suo dono, in cambio si sarebbe offerto di tornare a Milegos, dove si sarebbe impegnato a garantire pace e tranquillità come semplice guardia.

Finché la sua famiglia era al sicuro, sarebbe stato felice.

***

Tenko sapeva di essere in un sogno. Tutto intorno a lei era nero e silenzioso, e presto loro si sarebbero mostrate.

«Perché non l’hai ucciso?» le chiese la prima donna.

«Lui è un servo degli dei.»

«Meritava di morire!»

«No, non lo meritava» ribatté la demone. «Io e Leonidas non siamo d’accordo su molte cose, ma è una brava persona: non merita di morire.»

«Non spetta-»

«Silenzio!» la interruppe la giovane. «Non intendo più dare retta ai vostri stupidi giochetti! Perché mi avete dato questi poteri? Volete che uccida gli dei? Perché? Cosa ci guadagnate?»

«Molte persone hanno subito un destino atroce a causa degli dei.»

«Abbiamo percepito la loro rabbia e la loro disperazione.»

«Di ognuno di loro!»

«Noi siamo spiriti di vendetta.»

«E lo sei anche tu!»

«Sai che è così.»

«Sì, è vero. La vendetta mi ha permesso di sopravvivere fino ad ora. In un modo o nell’altro riuscirò a uccidere gli dei, quindi non osate intralciarmi di nuovo.»

«Ci stai minacciando forse?»

«Non sei nella posizione di dare ordini, piccolina.»

Tenko abbassò lo sguardo, consapevole di aver sbagliato atteggiamento. «Tempo fa mi facevo guidare dai miei istinti peggiori, ma ora non più. Vendetta, rabbia, disperazione: adesso sono io a controllarle, sono la mia forza, ma devo essere lucida se voglio usarle appieno.» Con uno sforzo di volontà represse tutto ciò in cui credeva e si inginocchiò. «Vi prego, lasciatemi sfruttare la vostra benedizione a modo mio, e nessuno potrà fermarmi.»

Le tre donne parvero colpite, ma era difficile dire se lo fossero in senso positivo o negativo.

«D’accordo, piccolina.»

«Ti lasceremo combattere come meglio credi.»

«Ma sappi che continueremo a osservarti.»

«Ricorda: tutto ciò che ti abbiamo dato…»

«… noi possiamo riprendercelo.»

«Non deluderci, Furia Spettro.»

Tenko riaprì gli occhi e trasse un profondo respiro. Aveva rischiato molto, ma forse adesso le cose si sarebbero fatte un po’ più semplici.

Uscì dalla sua branda e, senza fare rumore, raggiunse il ponte della nave. Il lungo mercantile solcava il mare senza apparente sforzo, scivolando tra le onde sotto un magnifico cielo stellato.

Tenko si appoggiò al parapetto e guardò davanti a sé. Artia era ancora lontana, doveva approfittarne per allenarsi: unendo il suo istinto di sopravvivenza, le armi magiche di Icarus, la tecnica dei teriantropi e la sua nuova benedizione sarebbe diventata un’avversaria temibile per chiunque.

Il tempo delle fughe era finito: una volta raggiunto il continente settentrionale non sarebbe più stata una preda.

***

Era una tranquilla giornata di sole e alcuni animali stavano brucando nella pianura erbosa che circondava il villaggio fortificato. Tutto intorno alla palizzata di legno era stato allestito un accampamento militare, dove si muovevano numerosi orchi indaffarati.

D’un tratto un insolito vento smosse l’erba e allarmò gli animali, che corsero via in formazione compatta. Così com’era arrivato, il flusso d’aria si dissolse e pochi istanti dopo tre figure apparvero dal nulla.

«Siete sicuri che potranno aiutarci?» chiese il più basso, probabilmente un goblin. Aveva degli strani congegni metallici al posto delle orecchie e una piccola fata gli fluttuava intorno.

«Lo scopriremo presto, bombarolo» affermò la donna, forse un’umana. Aveva la carnagione olivastra e un portamento fiero, regale.

«Preferisco artificiere, maestà» ribatté il goblin, il cui tono non aveva la minima traccia di riverenza. «Stiamo solo perdendo tempo: andiamo a prendere quello che ci serve. Abbiamo le mie bombe, la tua magia e l’ammazza-draghi: questi primitivi non possono mica fermarci.»

«Non possiamo andare in giro per il pianeta affrontando chiunque ci si pari davanti» gli fece notare il terzo, che al contrario degli altri due portava una spada nera al fianco. «Noi non dovremmo nemmeno essere qui.»

«Neanche lei dovrebbe essere qui!» imprecò il goblin, spaventando con il suo scatto di rabbia la piccola fata.

«Smettila di fare i capricci e segui il piano!» lo sgridò la donna, autoritaria. «Salvare la tua amica e recuperare l’arma ammazza-dei è tutta roba secondaria. Noi siamo qui per un solo motivo: evitare che questo fottuto pianeta esploda.»



Note dell’autore

Ciao a tutti!

E così siamo arrivati alla fine di questo lungo viaggio. Ho iniziato a pubblicare Eresia a maggio 2018, questo vuol dire che ci ho lavorato per almeno un anno e mezzo O.O

Ovviamente questa non è la fine-fine: la storia di Tenko e soci continuerà. La partenza verso il continente settentrionale è solo l’inizio di un’altra grande avventura per cambiare (in meglio o in peggio, si vedrà) il futuro di Raémia.

Il mio prossimo racconto però non sarà Age of Epic 2. La scena finale è una piccola anticipazione della saga sci-fi che sta per iniziare, e alcuni di voi potrebbero già conoscere almeno uno dei tre personaggi (o dei quattro, se contiamo anche la fata XD).

A questo proposito, il primo capitolo di questa nuova storia uscirà a inizio febbraio (il secondo weekend perché il primo sarò alla Global Game Jam ^.^") e si chiamerà HoJ - 1 - La frontiera perduta (sempre che non mi venga in mente un titolo migliore nel frattempo :P).

Prima di salutarvi, ci tenevo a ringraziare ancora una volta la mia beta, che mi ha aiutato a correggere e migliorare Eresia, oltre che essere già al lavoro su La frontiera perduta (ciao Hesper!). E ovviamente ringrazio anche tutti i miei lettori, che hanno seguito passo dopo passo la crescita di Tenko e di tutti gli altri personaggi (ciao alessandroago_94! Ciao devilboy98!).

Bene, direi che è tutto, almeno per ora. Mi raccomando non perdete il secondo racconto del primo arco narrativo di Project Crossover!

A presto! ^.^

PS: ringrazio anche tutti i lettori anonimi, spero abbiate apprezzato anche voi le peripezie dei miei (anti)eroi ^.^ (tra l’altro sono io il primo che non lascia recensioni, quindi vi capisco XD).


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