Principessa Mononoke

di Wolfirea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Confessioni ***
Capitolo 2: *** Wendy dove sei finita? ***
Capitolo 3: *** Mannaggia a Draco Malfoy ***
Capitolo 4: *** Fiducia quella sconosciuta ***
Capitolo 5: *** Momenti Bui ***
Capitolo 6: *** Tutto passa, soprattutto le persone ***
Capitolo 7: *** Sveglia Principessa ***
Capitolo 8: *** Peter non ama Trilli ***
Capitolo 9: *** Monopoli ***



Capitolo 1
*** Confessioni ***


Ho deciso che ricomincerò a scrivere.
Perché quando la vita fa schifo è l’unico modo per uscirne indenni: digitare digitare digitare, imprimendo sulla fottuta tastiera dello smartphone la frustrazione che non possiamo colmare.
Ma non parlerò in terza persona, voglio esser protagonista di questi ventun anni mai vissuti.
Vuoi per la timidezza e per l’incapacità d’intrattenere relazioni —argomento che approfondirò opportunamente più avanti— vuoi per la mia incredibile fobia della società, e la conseguente diffidenza del genere umano, vuoi per la brillante scelta d’intraprendere uno dei percorsi universitari più difficili che potessi scegliere: ingegneria.
E sottolineo l’importanza della scelta, perché nessuno in famiglia mi ha obbligato a passare la vita sui libri ad imprecare, anzi sono piuttosto ignoranti i miei, ma io, masochista del cavolo ho deciso di mia spontanea volontà di disprezzare e disconoscere qualsivoglia leggerezza della vita.
Tutto è complicato, e mi lamento, ma non potrei vivere senza la drammatica immagine che mi sono costruita.
Fossi una brutta ragazza depressa, senza amici ne passatempi avrei un incentivo a cambiare le circostanze ma purtroppo non è così.
Sono una bella ragazza, ho una fila di morti di figa che vogliono uscire con me —ormai friendzonarli fa parte della quotidianità— e potrei avere un futuro tutto sommato brillante: niente mi aggraderebbe di più che viaggiare per il mondo sviluppando la mia passione per la robotica.
Ma sono irrimediabilmente pigra, malinconica e tremendamente sfigata per quanto concerne le compagnie.
Non ho autostima, nemmeno sotto i piedi, e per questo il merito è tutto di mio padre —anche questo avrò modo di raccontarlo in seguito—- e chissà come riesco a farmi spezzare il cuore dai peggio bastardi esistenti su questo pianeta.
Sono presi all’inizio, mi danno le giuste attenzioni e mi fanno stare bene, poi dopo un mese puuf manco fossero mai esistiti.
Peccato che nei seguenti dieci mesi successivi io continui a rimuginare sui suddetti casi umani —gentil soprannome per non risultare una scaricatrice di porto—.
E penserete, magari la dai subito e fai perdere loro tutto il divertimento.
O ti rendi disponibile troppo in fretta, così che il gioco perda il gusto.
Beh, vi dirò la verità una volta per tutte: ho ventun anni, sono vergine e non sono mai mai mai andata oltre un bacio alla francese —l’ultimo risalente ad almeno un anno fa—.
Forse adesso che finalmente l’ho confessato mi sento meglio, ma in realtà sto solamente agonizzando perché lui non mi risponde.
Credevo che dopo tutte le sventure potessi meritarmi un po’ di pace, ero certa di aver trovato quello giusto.
Forse è per colpa della sessione, o magari si è già stancato di me, non so più cosa pensare in realtà.
Però sono tanto presa, forse più che in passato, e sono terrorizzata all’idea di aver buttato un’altro mese dietro l’ennesimo coglione.
Attualmente devo studiare, ho ancora tanti esami da dare perché purtroppo non sono partita con il piede giusto, sono rimasta indietro di un anno a causa di una scelta sbagliata e se voglio ancora aver riconoscenza della mia stessa persona ho bisogno di recuperare.
Infelice la vita, soprattutto in questi mesi, dove la preparazione degli esami comporta un lento ed inesorabile sotterramento personale.
Non so se esista il termine, in ogni caso si mangia ad ogni ora del giorno, non ci si cura del proprio aspetto, non ci si lava nemmeno e il sabato sera va a finire con “non posso uscire devo studiare” quando l’unica cosa che effettivamente vorrei fare è quella di tracannarmi la bottiglia di gin che ho nel mobile della cucina.
Mi sono dilungata troppo, me, il divano, il cane che non ho ancora portato fuori, e i libri in cameretta che attendono i miei improperi.
Non so se questo diario andrà avanti, ma è stato davvero liberatorio sputare un po’ di parole al vento, condividendo con qualcuno il piccolo disastro che sono.

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Capitolo 2
*** Wendy dove sei finita? ***


Eccomi di nuovo qui, in realtà dopo cinque minuti aver pubblicato il primo capitolo: sarà che stamattina la voglia di studiare è bella che andata a farsi benedire.
Però sento la necessità di raccontarvi ciò che sono diventata, e soprattutto chiarire che sono una ragazza tutt’altro che superficiale.
Ho stereotipato il genere femminile in due categorie: la bella e la brutta ragazza.
Ebbene, è stato soltanto un modo per lanciare il messaggio, perché credo fermamente —e ne ho la dimostrazione tangibile— che la bellezza non è fatta dell’aspetto, chiaramente l’occhio vuole la sua parte, ma ciò di cui parlo sta nell’animo, nella bontà e nell’amore che una persona è in grado di trasmettere e donare.
La mia mancanza di carattere ha fatto si che negli anni tanti portoni mi fossero sbattuti in faccia, ma al tempo stesso vengo apprezzata come “Scrigno di Pandora” perché se mi viene raccontato un segreto potrei portarmelo nella tomba.
È tra le poche cose di cui posso vantarmi, se ti sono amica hai davvero trovato un tesoro: una persona disposta ad ascoltarti, a supportarti e a consolarti nei periodi peggiori.
Coloro a cui voglio bene sono fortunati, il mio cuore è d’oro, peccato abbia sempre creduto gli altri fossero come me.
Perché quando ho scoperto il perbenismo e la superficialità umana qualcosa nella mia visione del mondo si è incrinata.
Siamo circondati da persone veramente stupide, che basano davvero tutto su stereotipi, ed è così tremendamente triste che si limitino alla superficie senza scavare a fondo.
Costoro guadagnano tutto il mio disprezzo, ogni passo che fanno mi suscita un voltastomaco incredibile.
Non aprirò una parentesi sulla vita degli influencer/YouTuber —-sempre che non ne sentirò la necessità in seguito— ma sappiate che pochi di loro hanno la mia stima.
Il biasimo è un sentimento ricorrente nella mia persona.
Sto ancora sperando che mi risponda, non so se lo farà, in ogni caso dovrei cucinare anziché starmene sul divano a scrivere.
Ma l’altro giorno ho pianto e questo metodo funziona, per cui ho deciso di raccontarvi di Lui, e poi magari degli altri.
Erano otto mesi che non riuscivo a togliermi dalla testa un ragazzo, ero convinta fossimo anime gemelle perché non ho mai incontrato nessuno tanto simile a me, con cui stavo così bene.
Tra di noi chiaramente non è funzionata, siamo usciti solo una volta e ci siamo visti ogni singolo giorno a lezione, ma non ha mai voluto approfondire ciò che sarebbe potuto nascere tra noi.
Eppure, non riuscivo a rassegnarmi perché in un modo o nell’altro non voleva uscire dalla mia vita —testa in realtà, pare ne fossi ossessionata— così non bastò un’estate e nemmeno altri tre mesi di indifferenza totale.
Ci vollero due ragazzi, una friendzone e altri imbarazzanti casini tra compagni di corso.
Il primo era molto carino, si girava a guardami e mi sorrideva spesso, scaldandomi il cuore.
Per un volta decisi di buttarmi, così feci tutto io:  lo invitai a prendere un caffè insieme, gli scrissi se volesse uscire con me, e infine mi presi un bel due di picche, a discapito delle circostanze.
Perché tramite il suo amico sapevo del suo interesse nei miei confronti, ma forse è troppo vigliacco.
A ogni modo, non ci restai troppo male, forse perché Lui continuava ad essere al centro dei miei pensieri nonostante fosse fidanzato.
E bizzarria della sorte poche settimane dopo aver rotto con la ragazza pensò bene di approcciare su Instagram con me.
Like tattico s’intende.
Nonostante il mio interesse non gli diedi considerazione, in fondo non volevo esser un rimpiazzo, così aspettai un mese per ricambiare il suo like.
E da quel momento la mia vita è stata totalmente ed irrimediabilmente stravolta.
Soffro da anni di una sindrome definibile di Peter Pan, io non voglio crescere, voglio continuare ed esser bambina e per questo mi piacciono... i bambini.
Non pensate sia pedofila, semplicemente coetanei —con anche un anno in meno— che hanno l’aspetto di bambini, ovvero visetto lindo senza un misero accenno di barba, non particolarmente muscolosi, con un dolce musino da bimbo delle medie.
Per la bellezza di due mesi ero affascinata da quel ragazzo che faceva astrusissime domande dal fondo dell’aula mandando in crisi i professori, e dicevo alla mie amiche “oddio ma è lui, quanto caspita è bello e intelligente” tormentandole di continuo.
E Dio se lo ammiravo, era Lui, esattamente il ragazzo dei miei sogni.
Quindi, figuratevi il senso di profonda realizzazione quando mi scrisse poco più di un mese fa.
Ero letteralmente innamorata dell’idea che mi ero creata di lui, che dal vivo fu addirittura meglio.
Ci siamo sentiti tutte le vacanze di natale, mi ha fatto degli auguri a capodanno da farmi venire le vertigini, e mi ha riempito così tanto di aspettative da farmi dimenticare la magnifica sessione d’esame che mi attendeva —mi attende, dal girone infernale non sono affatto uscita—.
Appena sono finite la vacanze mi ha chiesto di studiare insieme, a me che non avevo mai condiviso con un ragazzo più di due ore di appuntamento.
Otto ore in aula solo io e lui a flirtare come idioti, a fare esercizi, ma soprattutto a stare dannatamente bene insieme.
Infatti, l’esperienza si è ripetuta.
Per questo sono qua a scrivere e chiedermi cosa diavolo è andato storto questa volta.
Non parliamo più come prima, mi risponde dopo ore, e non intendo quattro, ma ventisei, ma cerca sempre di portarla avanti questa conversazione.
Quasi fosse impossibilitato ad usare il telefono per rispondere ad uno stra maledetto messaggio, e quando gliel’ho fatto notare mi ha detto che lui è tranquillo, che non gli piace chattare, e che mi faccio troppi giri.
Biasimatemi se soffro come un cane nonostante mi abbia raggiunto per studiare tre giorni fa, «Ti va di vederci domani per mettere insieme gli appunti?»
E una cosa vorrei chiarire, lui è un genio, è davvero bravo e non ha assolutamente bisogno del mio aiuto per studiare.
Detto ciò vado a mangiare, perché tutto ciò mi sta distruggendo e continuo a distrarmi.
Se volete raccontarmi di voi sono disponibile a qualsivoglia confronto.
Grazie di essere arrivati fin qui.

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Capitolo 3
*** Mannaggia a Draco Malfoy ***


Tutto ha avuto inizio quando avevo circa dodici anni, ancora trascorrevo i pomeriggi a giocare con la Nintendo, totalmente ignara del mondo là fuori.
Non avevo mai avuto relazioni, soltanto un patetico fidanzamento alle scuole elementari con un compagno di classe che mi faceva più pena che altro.
Di cotte ne avevo avute parecchie, ma non ero mai stata ricambiata, ai tempi di Messenger riuscivo soltanto a rendermi ridicola dietro lo schermo del pc, dimostrandomi dal vivo una totale imbranata.
Ero una ragazza timida, riservata, esageratamente empatica ed ambiziosa.
Se l’empatia mi costringeva a giustificare lo stronzo di turno, l’ambizione mi logorava dall’interno: non potevo accontentarmi e ogni cosa che facevo non era mai abbastanza.
Cresciuta in una famiglia nella quale si dispensava l’odio e la denigrazione non avevo mai imparato ad amare, mi ritenevo un fallimento a causa delle ripetute violenze psicologiche di mio padre, e non riuscivo ad avere un gruppo di amici col quale uscire e divertirmi.
Frequentavo il Russell di Milano, credo uno dei pochi licei scientifici biomedicali presenti in Italia, poiché sognavo un giorno di poter diventare pediatra.
Mi viene da ridere al solo pensare a quante cose son cambiate oggi.
Ad ogni modo, era una mattina come tante altre, l’interrogazione di Latino non era andata affatto bene ma preferivo tenermi il mio tre piuttosto che un nove ottenuto copiando.
Che ragazza stolta! 
I giusti non vincono mai e col tempo ho compreso che la furbizia è fondamentale per farsi spazio tra la gente.
Comunque, la mia totale mancanza di autostima mi permise di non esser scalfita da quell’orribile insufficienza e durante l’intervallo il mio cervello si era già connesso su differenti lunghezze d’onda.
« Non vedo l’ora che sia stasera per guardare Harry Potter sul sei, finalmente lo danno in televisione » 
La mia compagna di classe era euforica mentre pronunciava quelle parole.
Salii le scale al suo fianco, tenendo saldamente in mano la brioche alla nutella che dopo minuti interminabili ero riuscita a comprare.
« Sì è fantastico, sarà la centesima volta che lo guardo ma non mi stanco mai » confessai.
« Caspita non sapevo lo guardassi anche te! Ma a te piacciono Ron ed Hermione?» domandò mentre raggiungevamo l’aula.
« In che senso? »
« Beh, ho sempre pensato che lei meriti un ragazzo un po’ più sveglio, tipo Draco »
La fissai con tanto d’occhi, « È perché mai quel razzista antipatico... come ti è venuta in mente di vedere quei due.. insieme? »
La mia sindrome ebbe inizio in quell’esatto momento: il marcio dell’animo diventò ai miei occhi incomprensione altrui.
Aldilà del fatto che ero soltanto un’ingenua sedicenne, ignorante ed incapace di coniugare un tempo verbale, efp fanfiction divenne il mio luogo di ritiro spirituale.
Mi cimentai nella lettura di storielle che cambiarono completamente la mia visione del mondo, probabilmente ne rimasi traumatizzata, ma in me nacque il desiderio di imparare a scrivere, per poter trasmettere quelle sensazioni di appagamento e soddisfazione personale che solo le parole sono in grado di donare.
E maturò anche qualcos’altro, di tanto simile al voler aiutare, come una crocerossina, il tipico subdolo manipolatore privi di sentimenti, alias lo Stronzo.
Fortunatamente, nel mio circondario di conoscenze non c’era nessun ragazzo che potesse ricoprire il ruolo, per cui trovai rifugio all’interno dell’ormai obsoleto Ask.fm, dove scoprii la vita dei gdr, o giochi di ruolo.
Anziché uscire di casa e conoscere persone in carne ed ossa, mi inglobai ad un personaggio da me creato, con il quale vivevo una vita virtuale piuttosto appagante.
Durò un anno, e qualcosa di buono ne trassi: la conoscenza di persone fantastiche e la capacità di scrivere.
Per cui passai a Wattpad, divenni discretamente famosa e solo allora realizzai la cazzata che stavo facendo.
Avevo fan e persone che supportavano il mio impegno, ma non avevo amici con cui condividere il mio successo.
Stavo sbagliando tutto, e avevo bisogno di riprendere in mano le redini della mia vita.
Mi attesero tre anni infernali ma alla fine del girone ero una ragazza nuova.

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Capitolo 4
*** Fiducia quella sconosciuta ***


Ho deciso che ogni mattina farò una cosa, non appena mi sveglio: scrivere.
Perché non vedo l’ora di raccontarvi la magnifica serata di ieri sera.
Spero vi ricordiate la sofferenza che imperversava il mio animo mentre attendevo una sua risposta qualche giorno fa.
Il tempo pareva essersi cristallizzato e nonostante tutto non avevo più un briciolo di fiducia sul fatto che fosse ancora interessato a me.
Eppure, si è dimostrato diverso dagli altri, mi ha persino fatto il regalo di Natale quando ci scrivevamo da solo una settimana!
Per non parlare della cavalleria nell’aprirmi tutte le porte per farmi passare prima.
O dei teatrini comici per impressionarmi.
Insomma si è dato un gran da fare, ma la paura e la paranoia mi dicevano che tutto era troppo bello per esser vero.
La colpa delle esperienze passate.
A ogni modo, alla fine di quella tremenda giornata mi ha chiesto finalmente di uscire, fuori dall’ambito scolastico, e non chiedevo altra conferma.
Vedete, a volte siamo convinti che la vita vada così male che facciamo di tutto affinché il peggio accada: supponiamo che non avessi resistito all’impulso di riscrivergli, tartassandolo arrabbiata per la mancanza di considerazione.
Davanti a me si sarebbero aperti due scenari, da una parte —utopisticamente parlando— le sue più sentite scuse per non riuscire ad utilizzare il cellulare mentre studia —balle, tra parentesi— dall’altra, quella più terribilmente realistica, un «senti ho altre priorità in questo momento, non credo sia il caso di continuarla».
Avrei mandato al diavolo tutto, esami compresi, e mi ci sarebbero voluti mesi per ritrovare la speranza nel genere maschile.
La cosa più buffa è che ieri, quando ci siamo visti, gli è bastato poco più di una mezz’ora  per emettere la giusta sentenza: «Tu non credi in te stessa».
Lo ha capito subito, sono circondata da idioti che non fanno altro che idealizzarmi, mentre Lui mi ha scoperta per ciò che sono, rimproverandomi di ciò.
È stata un’uscita diversa dalle altre: niente tavolini e boccali di birra nel mezzo, nessuna squallida poltrona ed uno schermo —persisto nel considerare spiacevole il cinema al primo appuntamento— e nessuna tecnologia di sorta.
Siamo andati ad arrampicare, ero discretamente brava quando andavo con le mie amiche lo scorso anno, ma con lui ho fatto una figura semplicemente terribile.
Ho avuto paura, non bastava un materasso ad annunciarmi che se fossi caduta non sarebbe successo niente, e non mi è bastato nemmeno Lui con i suoi «puoi farcela, credo in te!» perché avevo già deciso di fallire.
E quando ti pianti in testa un esito negativo non c’è più nulla da poter fare.
Fallisci, perché decidi di fallire.
Io Regina della procrastinazione e del pessimismo mi sono scontrata con l’ottimismo in persona, la stima in persona, e la sicurezza in persona.
E l’ho invidiato, per un momento ho bramato che condividesse con me anche solo un briciolo della sua fede.
«Ma dai, così non credi nemmeno in Newton!» mi ha fatto così bene, che lo avrei ascoltato parlare per altre infinite ore.
Non ci sono stati baci o effusioni di alcun tipo, c’è stata la vera me che non ha più avuto modo di nascondersi e che ha dovuto scoprire le proprie carte.
La paura non mi è passata, temo che adesso lui veda la mia vulnerabilità come motivo per cercare un’altra ragazza da frequentare, e mi odio così tanto per essere così negativa in tutto.
Vorrei potermi godere il momento, prendere tutto da esso, invece analizzo ogni dettaglio della situazione, lo rivivo e infine mi dico: ma caspita che vergogna, mi mancava così poco per chiudere il percorso.
Un dannato slancio di braccia.
Ora sento la necessità di raccontare anche a lui perché sono così, insomma devo darci una possibilità, voglio che mi conosca prima di scappare dalla mia vita.
E lo racconterò anche a voi, perché purtroppo certi traumi infantili rimangono indelebili e l’unico modo di superarli è guardare indietro con un differente paio di occhiali.
Perché le lenti, sono quelle che ci permettono di vedere il mondo, e possiamo inclinarle quanto vogliamo, sceglierne il colore e adattarle quanto più ci piace sul nostro viso.
Perché qualche volta in me ho creduto, e cinque anni fa nella mia vita è entrata la miglior compagnia che potessi desiderare.

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Capitolo 5
*** Momenti Bui ***


Era da tanto che non stavo così.
Sarà che sono particolarmente stressata per la sessione, e che i due esami che mi attendono questa settimana mi mettono non poca ansia.
Sarà che sto patendo l’inferno per il ragazzo che mi piace.
In ogni caso, sono irritabile, nevrotica e intrattabile.
Non sto uscendo di casa, per cui non ho modo di sfogare le mie frustrazioni, e riverso tutta la mia rabbia contro i miei genitori: basta una frase e li attacco senza pietà.
Figuratevi poi se sto guardando un film e sento il minimo disturbo, o se mi sto facendo gli stramaledetti cazzi miei —alias cercando una distrazione per non dare di matto— e mia madre inizia a parlare di cose di cui non me ne può fregar de meno.
So bene che mi ero ripromessa di dedicare l’inizio della giornata alla scrittura, ma purtroppo sono subentrate forze di causa maggiore.
Quell’unica volta che mi ero illusa le cose stessero andando per il verso giusto.
Mi sento sospesa sull’orlo di un precipizio, incapace di governare le mie emozioni.
E le mie paure si sono rivelate perfettamente fondate: credo che per lui non sia abbastanza.
Si è già stancato.
E adesso purtroppo non riesco a parlare di altro, perché sto male e anziché ripetere le materie d’esame non so più cosa fare.
Perché non riesco a studiare, piango, sto su Instagram, guardo serie tv —attualmente How I Met Your Mother per la centesima volta— e leggo —ho appena finito Miss Peregrine, niente male—.
Che dire, questa volta sono davvero a corto di a parole, incapace di dispensare consigli di vita.
Mi sono chiusa in camera mia con le cuffie, ho tolto le notifiche su whatsapp ma ci rientro almeno ogni trenta secondi.
Sarei voluta nascere vent’anni fa: altro che stupidi apparecchi elettronici, allora si viveva sul serio.
A proposito di questo, forse qualcosa mi è venuto in mente.
Ho una sorella più grande di me di ben quattordici anni, ormai convive con il suo ragazzo, con il quale sta da quasi la stessa quantità di anni —-beati loro—.
Io e lei abbiamo avuto due vite completamente differenti, i nostri caratteri hanno in comune poco e niente: lei è una donna che non si fa mettere i piedi in testa, intelligente, che va a prendersi ciò che vuole e che risponde a tono se necessario.
È una persona determinata che se fissato un obbiettivo fa di tutto per raggiungerlo.
Sostanzialmente il mio esatto contrario.
Eppure siamo cresciute nella stessa famiglia, siamo state schernite e ridicolizzate dallo stesso padre: mentre l’una reagiva assorbendo tutti gli insulti, rimanendo totalmente immune ad essi, l’altra —la sottoscritta— si è sempre ribellata, ha sempre combattuto, facendosi schiacciare dal peso dei propri fallimenti.
Perché se mi dava della sfigata lo ero, una povera deficiente senza amici come diceva lui, una capra ignorante, una ragazza stupida senza cervello.
Ed è sempre stata una sentenza, affondava il coltello nella piaga senza pietà, distruggendo giorno dopo giorno i pezzi di me stessa che cercavo di rimettere insieme.
La cosa più brutta è che nella sua ingenuità non si è mai accorto di avermi rovinato la vita.
Adesso, sono perfettamente consapevole che è fin troppo facile riversare su altri le proprie colpe: è inutile che pensi ancora al passato, ormai quel che è stato non si può cambiare, la responsabile dei miei sbagli sono solamente io.
Arrivata a questa età dovrei aver maturato la capacità di ragionare di testa mia, prendendomi le responsabilità dei miei errori.
Purtroppo il fatto che lo sappia non è sufficiente: posso esser saggia quanto voglio ma finché non metto in pratica i consigli cui mi arrogo il diritto di condividere, è tutto inutile.
«Ma ce l’hai un cervello, rincoglionita? Nemmeno una bambina ragiona così, sei malata fatti curare...» 
«Sei un imbecille e indicappata totale!»
Questa è l’attuale sequela di insulti che mi sono appena meritata per avere la luce della cameretta accesa.
Biasimatemi se non vedo l’ora di andarmene da questo inferno di casa.
Dal libero sfogo che volevo scrivere alla fine son riuscita ad avere una diretta sulla tremenda situazione famigliare che mi circonda.
Per ora non aprirò parentesi su mia madre,  ma vi basti sapere che rappresenta l’anti modello di donna da seguire.
Fortunatamente domani sarà l’ultimo giorno della settimana in cui sarò a casa, per cui dovrò resistere ancora per poco.

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Capitolo 6
*** Tutto passa, soprattutto le persone ***


Perché il peggio ancora non era arrivato.
Avete presente il ragazzo vanitoso e divertente di cui vi avevo tanto parlato? 
Quello di cui mi stavo innamorando, per quanto dolce e gentile era, lo stesso che mi aveva stravolto la vita?
Un momento prima smaniava dalla voglia di vedermi ma... quello dopo non si è neppure preso la briga di dirmi addio.
Non avevo dubbi sul fatto che sarebbe andata così anche questa volta, e sapete perché? 
Ebbene, sin dall’inizio di questa frequentazione avevo in testa un solo ed unico obbiettivo: volevo a tutti i costi che diventasse il mio ragazzo, poiché avevo disperatamente bisogno di un supporto e di qualcuno che mi capisse, amandomi al posto mio.
È stato un periodo di forte instabilità mentale, piangevo spesso durante il giorno ed ogni mattina mi svegliavo con la speranza che apparisse un suo messaggio sul display del cellulare.
Ero sommersa di esami e non riuscivo nemmeno a rendermi conto che erano la mia sola priorità nella vita: lui al centro dei miei pensieri ogni sacrosanto secondo, io ad analizzare ogni singolo attimo trascorso insieme, alla ricerca di quel cavillo che aveva mandato tutto all’aria.
Mi ha lacerato, è inutile che lo neghi, mi sono ritrovata sommersa nel letame sino al collo incapace di uscirne.
Cambiavo idea ad ogni schiocco di mani e altrettanto giustificavo il suo comportamento.
Forse, dato quel poco che sapete sulle mie esperienze passate, ve lo aspettavate, ma io purtroppo mi ero già lanciata nel dirupo: ci credevo, ogni fibra del mio essere voleva credere che lui fosse quello giusto, lui che mi aveva fatto così bene.
Ma che mi ha distrutto come nessun altro ha fatto in vita mia —- o forse sì, ma la mente a quattordici anni pativa per mancanze diverse —.
Vi avevo lasciato all’arrampicata, a quel «non credi abbastanza in te stessa» e al profondo desiderio di aprimi davvero con lui, per permettergli davvero di conoscermi, senza più maschere a proteggermi.
Mi ero spinta anche più oltre, raccontando del turbolento rapporto con mio padre e dell’inferno in cui credevo d’essere sprofondata dopo solo pochi giorni di silenzio.
Ma a volte va semplicemente così, o forse le persone sono così opportuniste da poter fingere di poterci affiancare  durante il cammino, quando in realtà hanno ben altri cazzi per la testa.
La sto tirando troppo per le lunghe, tornando a quel doloroso passato che ormai non sento più mio.
È sparito per più di un mese, non mi ha più risposto — benché sia stato lui a scrivermi, e la mia dignità mi abbia permesso di non farmi calpestare ancora —e senza troppa fatica da un giorno all’altro non ho più fatto parte della sua vita: ero solo un gigantesco ed insormontabile problema che non aveva le palle, ne la voglia, di affrontare.
All’inizio erano gli esami, era giusto che si dedicasse a quelli piuttosto che star dietro a me, essendo da poco uscito da una relazione, e poi c’è stato quel periodo «massí tra due settimane ricominciano le lezioni, mal che vada avrò modo di rimproverarlo dal vivo»
Ovviamente speravo che tutto tornasse come prima e che lui riconoscesse di esser stato uno stronzo... ma non potevo assolutamente prevedere che nel giro di pochi giorni sarei stata reclusa in casa.
Così la mia attesa si è intensificata sino a diventare insopportabile, insomma, non ero nemmeno degna di una risposta? 
Facevo così schifo da non meritare un briciolo di rispetto?
Settimana scorsa ho pianto, stavo facendo la doccia quando ho sentito un trillo sul cellulare, e... ed era lui, che mi chiedeva come fosse andata la prima lezione online, dopo ben cinque settimane da cui aveva distrutto qualsivoglia ponte.
Mi ha scritto un bel papiro, riconoscendo  il suo comportamento deplorevole, e chiedendomi scusa più volte, dicendo che non è scattata, che non ha sentito un contatto, e ammettendo di aver desistito a conoscere «Te con T maiuscola».
Perché queste parole per quante dolorose le preparava da settimane, per potermene parlare finalmente dal vivo.
E l’ho perdonato, il rancore non mi avrebbe portato da nessuna parte, ma il mio cuore non è guarito e una parte di me, nonostante il male che mi ha fatto, sarebbe ancora disposta ad accoglierlo a braccia aperte.
A ogni modo, questo capitolo non avrà una fine, perché purtroppo sono entrata solo ora nella fase di accettazione, durante la quale ho finalmente compreso quanto sia fondamentale lavorare su me stessa.
E devo dire che se ora sto bene è solo merito di una persona che da poco è entrata a far parte della mia vita, un Amico, e magari di lui vi racconterò più avanti.


 

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Capitolo 7
*** Sveglia Principessa ***


Dalla principessa illusa dalle false speranze, alla presa di coscienza.
Ebbene, non so esattamente cosa possa esser successo durante la dormita di questa notte, niente è diverso dal solito, e ormai le giornate si susseguono con una quotidianità sconcertante, eppure stamattina mi sono svegliata come una persona completamente diversa.
Quasi mi avessero finalmente levato una benda dagli occhi.
Fino a ieri pensavo ancora a lui, per quanto mi sforzassi avevo persino ceduto, scrivendogli per intavolare una conversazione amichevole, e anche a quell’altro, il tipo che l’anno scorso mi aveva rovinato l’esistenza e con il quale ora flirto come se nulla fosse.
(La parentesi qui è da aprire, me ne rendo conto, ma adesso non è il momento).
Ma è esattamente questo il punto, non me ne importa più un cazzo di niente.
Non posso rinnegare il passato o i bei momenti vissuti, ma devo accettare che sono stati soltanto questo: attimi, che peraltro non mi sono neppure goduta per quanto fossi ossessionata dal futuro.
E adesso, con le briciole in mano, sono disillusa.
Perché mi sto rendendo conto che ognuno di noi è la marionetta di se stesso, e se qualcuno osa rubarci i fili dalle mani non dovremmo avere esitazione a riprenderceli, persino con la forza se necessario.
E allora, figuratevi quando di nostra spontanea volontà cediamo le redini a qualcun altro: è tutto così dannatamente sbagliato e nessuno ha pensato nemmeno per un secondo ad inculcarcelo.
Perché sin da piccoli non ci viene insegnato a stare al mondo? 
Tutto viene dato per scontato e ci riempiono la testa di puttanate, niente contro la Disney, ma “quel vissero felici e contenti” non è forse una grandissima  presa per il culo?
E sono incazzata, furiosa, perché si, prima di aprire gli occhi ho sofferto in maniera incalcolabile, e tutt’ora non posso garantire a me stessa che non cambierò idea nei prossimi giorni.
Ultimamente mi è stato detto «Tu hai davvero tanto potenziale, devi soltanto trovare il modo di scoprirlo» inizialmente scettica, probabilmente a causa della profonda insicurezza che mi caratterizza, ho fatto tesoro di queste parole.
Forse le persone mi deludono perché pretendo siano, almeno in piccola parte, come me: rispettosi dei sentimenti altrui, ingenuamente attratti dall’ignoto, altruisti.
E potrei aggiungere un’altra infinità di qualità e difetti, ignorando che talvolta le persone vuote esistono.
Quelle a cui non importa niente di nessuno, che godono nell’umiliare gli altri, quelle che non hanno assolutamente niente da offrire se non il loro narcisismo.
Loro ci circondano ogni giorno, e sono così superficiali che ci calpesterebbero senza nemmeno scusarsi.
E allora perché credere ci sia dell’altro? Perché pretendere che valga la pena lottare per loro?
Le eccezioni ci sono, può darsi che si ostenti un simile atteggiamento per paura d’esser feriti, ma non è compito nostro aiutarli, perché ci faranno soltanto del male.
Concludo così questa pausa pranzo, con un uragano di pensieri scollegati, piena di confusione e di aspettativa, voi cosa ne pensate?

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Capitolo 8
*** Peter non ama Trilli ***



C’è stato un periodo durante il quale le emozioni che provavo erano così effimere che mi ero convinta di non poterne provare più.
Da un lato ero spaventata da questo, continuavo a chiedermi quando avrei ricominciato a sentire la rabbia e il dolore che mi portavo dentro da troppo tempo, ma dall’altro stavo bene, non avevo aspettative per il futuro e cercavo di occupare le giornate al fine di annoiarmi il meno possibile.
Poi c’è stata la sessione d’esame, non ho più avuto un secondo di tregua e la vita pareva esser diventata una corsa contro il tempo.
Ho ricominciato a sentire la paura del fallimento, e mi sono affezionata ad una persona che avevo cancellato dalla mia vita molti mesi prima. 
Era iniziata come un gioco insieme a Peter, l’anno prima non ero abbastanza per lui, e adesso ero l’amica con cui parlava da cinque mesi non avendo nient’altro di meglio da fare. 
Peter Pan era il mio incubo, avevo passato un anno insonne per lui, lo detestavo dal profondo del cuore ma avevo iniziato ad ignorarne l’esistenza, e finalmente avevo accettato che io e lui insieme non ci saremmo mai stati.
Durante la quarantena eravamo persone annoiate, non avevamo nulla da perdere e non sapevano nemmeno quando saremmo usciti di nuovo all’aria aperta, per cui mi concessi il lusso di lasciarmi andare, non indossando più maschere.
Parlare con Peter era piacevole, divertente, e prima che me ne rendessi conto le nostre conversazioni avevano assunto una tensione sessuale tale da non poter più esser ignorata.
Così ci vedemmo, in fondo volevamo soltanto divertirci, e superai un grande scoglio, buttandomi in un precipizio dal quale ero certa di poter risalire senza ripensamenti.
Non provavo sentimenti per lui, si era scusato per l’atteggiamento di un anno prima, e volevo soltanto qualcuno disposto ad aiutarmi “da quel punto di vista”.
Il fatto è che ero certa di sapere ciò che volessi, ovvero un’amicizia con benefici con un ragazzo che in fondo mi voleva bene, perché di avere relazioni, di innamorarmi di nuovo, proprio non ne avevo voglia.
Questa è l’ultima settimana di agosto, sono al lago e sto scrivendo per ricordare a me stessa che sono una bravissima attrice: non solo mi sono ripetuta lo stesso mantra per mesi, certa e sicura delle mie parole, ma sono riuscita persino ad ingannare me stessa, a celare un interesse sempre più profondo per un ragazzo che in fondo si era insinuato nella mia vita a piccoli passi, tra momenti tristi e momenti belli, tra una lezione infinita e un esame andato male.
Peter era sempre lì a sdrammatizzare la situazione, a raccontarmi delle sue pietose giornate, a strapparmi risate nel bel mezzo di una pandemia che pareva aver cancellato la cognizione del tempo. 
Purtroppo anche lui è sparito, mi sono detta che un mesetto estivo senza sentirsi non sarebbe stato una tragedia, eppure è non sentendolo che ho capito di aver perso di nuovo la testa per lui.
Lo stesso stronzo opportunista di sempre, lo stesso che un anno fa ha giocato con i miei sentimenti, illudendomi ripetutamente che tra noi potesse esserci qualcosa. 
Lo stesso a cui di me non è mai importato un fico secco, nonostante gli sguardi, gli agguati, e i mesi persi a studiarci da lontano.
Non credo sia la stesso di allora, ma questa volta mi sono fregata con le mie stesse mani.
Oltre agli infiniti papiri scritti su Pet credo che mi tocchi ricomporre di nuovo i pezzi.
Spero solo di non perderlo.

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Capitolo 9
*** Monopoli ***


Buonasera, come state? Mi rendo conto di esser tornata all’improvviso con la vita di un’altra persona.
Mi spiego meglio, il lockdown mi ha cambiato, ho iniziato ad andare dalla psicologa, conscia di aver realmente bisogno di un aiuto esterno, e ciò che a febbraio mi vedeva fragile e debole ormai non lo comprendo più: rivedo la mia sofferenza solo nelle parole scritte, perchè quella ragazza non la riconosco più, e non riesco neppure a capacitarmi di quanto abbia permesso ad un ragazzino — perché di fatto per esser uomo ci vuole ben altro — di farmi del male, permettendogli di sfruttare le mie attenzioni dopo esser rimasto single, giusto per tornare in carreggiata, più sicuro di se, con l’ego a mille.
Perché insieme di certo non potevamo funzionare, non avevamo nulla in comune e i nostri caratteri cozzavano a tal punto che ci rendevamo incompatibili a priori.
Con Peter invece è andata molto diversamente: lo avevo conosciuto ad aprile 2019, era quel compagno di corso che stava sempre sulle sue, con quell’aria un po’ da stronzetto, un po’ da menefreghista.
Mi incuriosiva e allora gli piacevo, eravamo usciti una sera e fu la prima volta che ci rivolgemmo parola: rimasi letteralmente sconvolta da quanto in realtà fossimo simili, dagli interessi ad alcuni aspetti caratteriali.
Di me non gli raccontai nulla, e non ne ebbi neppure l’opportunità.
Dopo quell’uscita ci furono le vacanze di pasqua e continuammo a sentirci, ma prima che ricominciassero le lezioni preferì troncare tutto.
Ci rimasi molto male ma in fondo il tempo avrebbe guarito quella breve e tranquilla uscita, se non fosse che Peter non ebbe nessuna intenzione di lasciarmi in pace. 
Non capii mai il suo atteggiamento, ma iniziò a seguirmi al supermercato, a sedersi dietro di me, a lanciarmi frecciatine di tanto in tanto, di fatto divenne il mio incubo personale.
Io cercavo di levarmelo dalla testa e lui mi passava davanti con un “buongiorno” tutto sorridente. Non aveva il minimo senso ciò che stava facendo, ma avevamo creato un gioco malato di frecciatine e fraintendimenti dal quale non avevo più voglia di uscire.
Per quanto mi facesse male era diventato divertente provocarlo, e avere i suoi occhi addosso durante le lezioni mi dava una carica che non ero, e non sono, in grado di descrivere.
Il gioco continuava poi su Instagram dove postava continuamente canzoni che in un modo o nell’altro creavano un insano collegamento con ciò che postavo io.
Ma se non mi voleva, che senso aveva tutto ciò?
Le lezioni finirono a giugno, e con quelle smisi di osservare i suoi glaciali occhi verdi: mi mancavano ma era il momento di andare avanti. 
Così a piccoli passi mi ripresi, pensavo a lui ma l’arrivo dell’estate rappresentava una concreta possibilità di distrarsi e andare avanti.
Invece ad agosto mi scrisse, mi illusi che avesse finalmente compreso che in fondo un briciolo di interesse lo provasse ancora, ma in realtà era solo ferito, e voleva divertirsi.
Quando gli proposi di vederci lo feci con la consapevolezza che sarebbe stato un salto nel vuoto, lui aveva le messo le mani avanti, e io in fondo desideravo soltanto affrontarlo una volta per tutte.
Non ero mai riuscita a reagire alle sue provocazioni, avevo troppa paura di lui, non so esattamente di cosa ma quando mi guardava dal suo metro e novanta avevo la sensazione di poter esser schiacciata come un misero insetto. Non avevo più parlato con lui da quell’uscita, e solo perché ero timida e incapace di affrontare uno Stronzo con la S maiuscola.
Ovviamente quell’estate non avevamo le stesse intenzioni, forse mi illudevo che mi potesse esser indifferente, ma in realtà mi piaceva ancora, e quando lo capì prima di me ancora una volta decise che «scusa ma non credo sia il caso di vederci» senza confrontarmi.
Lo superai, Peter era quello che non riuscivo a levarmi dalla testa da otto mesi a quella parte, colui di cui accennai al secondo capitolo di questo diario, e colui che nel 2020 è tornato lentamente nella mia vita: non avrei dovuto permetterglielo, ma di fatto ero debole e le sue scuse mi infragilirono ancora di più.
Un anno fa mi trovavo nella stessa identica situazione di adesso, mi faceva letteralmente schifo come persona, non riuscivo neppure a guardarlo a lezione e se mi salutava mi giravo dalla parte opposta.
Ora invece per il Covid non ho modo di vederlo, e ogni tanto mi fa male non capire perché le persone tornano se non poi non hanno alcuna intenzione di restare.

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