La strada per tornare a casa

di Piu_Volto_Che_Maschera
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Angoscia. E’ questa la prima sensazione che sento quando apro gli occhi, quella mattina. Perchè? Perché è il giorno della mietitura. Mi ricordo che non devo essere sorteggiata, qui nel Distretto Due. Per mia sorella. La mia dolce sorellona, lei era la mia metà. Piango, fa male ricordarla.
L’anno scorso  mia sorella maggiore è stata sorteggiata. Ricordo quello che ho sentito, dopo che quella maledetta voce ha urlato “Clove Smith”.
Ho pensato, scappa. Sei in tempo.
Ma non poteva, purtroppo.
Era ormai circondata dagli strateghi.

Io non ho avuto il coraggio di offrirmi volontaria! Sono una codarda.
Le lacrime hanno ormai bagnato il mio cuscino, già fradicio.
Da quando è stata sorteggiata insieme a un ragazzo poco più grande di lei, sapevamo entrambe che non poteva farcela. L’avrebbero fatta fuori, sebbene fosse molto brava con i coltelli, o con qualunque arma. Aveva solo quindici anni. L’avrebbero fatta fuori subito, per togliersela dai piedi. Non potevo sopportarlo. 

Ora toccava a me. Mentre mi preparavo per quel giorno maledetto, speravo di non venire sorteggiata, per lei. Perchè lei non ce l’aveva fatta.
L’ultima cosa che mi aveva detto, prima di essere trascinata via, era: “Non dimenticarmi; io non lo farò." 
Questo pensai quando vidi la sua morte in diretta tv: una morte orribile.
A Clove era stato fracassato il cranio, dal ragazzo dell’undici. Ero scoppiata a piangere, perché ci avevo creduto, nonostante tutto. Forse è proprio questo che frega: il crederci.
Non ero pronta alla sua morte. Ma nemmeno a quel che aveva fatto.
Aveva ucciso molti tributi, ma quello che ha fatto più scalpore è stata tuttavia la morte di Katniss Everdeen, infilzata dalla lancia di mia sorella.
Successivamente è morto anche il suo compagno, ucciso invece da Cato. Si chiamava Peeta Mellark, se non ricordo male.

Dopo quell'accaduto, fui costretta a trasferirmi dai miei vicini, che prima della partenza di Clove avevano promesso che, nel caso peggiore, avrebbero badato a me. 

Mi riscossi da questi pensieri negativi.
Non potevo tornare a pensarci, in fondo lei non lo avrebbe voluto. Lei avrebbe voluto la mia felicità, lo so.
Ora singhiozzavo, non potevo evitarlo, sia per la paura della mietitura, sia per la mia sorellona. 

La fortuna non è mai stata a favore della mia famiglia.
La mia mamma morì cadendo da un dirupo a  mentre raccoglieva bacche nel bosco, come ogni domenica. Era successo quando io avevo quattro anni e Clove sei.
Poi, fu il turno di nostro padre: morì dopo un calvario infinito, si era ammalato di difterite. Nessun medico si era offerto di aiutarlo, con la scusante che era una malattia di mille anni prima, non conoscevano più la cura. Ma io credevo, e credo tutt’ora, che il vero motivo fosse che il mio papà era odiato da tutti, compresi i medici.
Maledetti. Oh, ma gliel’avevo fatta pagare, eccome.
Vi basti sapere che il giorno dopo il medico, o quello che ne restava, fu trovato nel bosco sbranato da un lupo.
Già, un “lupo”. 

***

Di malavoglia (eccome!), notai che ero pronta... e che quindi dovevo andare alla mietitura. Ormai ne ero obbligata; per un attimo pensai che avrei potuto starmene qui, rinchiusa nella stanzetta. Ma no, sarebbe stato peggio... le guardie sarebbero arrivate e mi avrebbero trascinato di forza in piazza. Meglio non rischiare. 

A tutto ciò pensavo, mentre mi facevo uno chignon. Indossavo un vestitino carino, anche l’anno scorso lo avevo indossato. Era azzurrino con le balze. Stavo proprio per uscire dalla stanza dove abitavo da circa un anno, ormai, quando sentii bussare con forza alla porta. Andai ad aprire.
Il figlio del vicino se ne stava in piedi sulla soglia come uno stoccafisso.

“Entra pura, Johnson” -  lui sorrise, e dopo essere entrato si accomodò sul mio lettino.

“Sei bellissima”
“Grazie, Clove avrebbe detto lo stesso” - lui sembrò triste alla mia affermazione.
“Mi dispiace molto, ma ricorda che non sei sola, lo sai vero?”
Mi voltai verso di lui, e sorrisi cercando di essere convicente. “Certo che lo so, ho te”.
Lui annuii con convinzione, poi si avvicinò e mi strinse in un abbraccio, che inizialmente mi lasciò interdetta, ma poi, mi dissi, mi serviva proprio il sostegno di qualcuno.
“Sei spaventata?” - mi chiese mentre continuava a stringermi in quel calore benefico. 
“Come potrei non esserlo...e tu?”
“Ovvio” - si staccò da me, e mi guardò con espressione convinta - “Tu devi stare tranquilla, è la tua terza mietitura, il tuo biglietto appare solo tre volte”. 
“Si, ma il tuo quante volte appare, Johnny?!"
Mi scese una lacrima.
“Ascolta, è la mia ultima mieitura, se mi va bene questa non dovrò più pensarci”.

Johnny mi voleva bene, era come un fratello maggiore per me.
Aveva diciotto anni, quindi era la sua ultima mietitura... ma il suo biglietto compariva troppe volte per i miei gusti... erano molte le probabilità che venisse sorteggiato.
Avevo paura per lui, non potevo perderlo. Era l’unica persona che mi voleva bene ormai. Tutti quelli che amavo sono morti. Se l’avessero sorteggiato, io non so cosa avrei fatto.

Scossi la testa, cercando di scacciare questi pensieri negativi.

“Ora dobbiamo andare, sei pronta?”
Mi guardai un’ultima volta allo specchio, per essere sicura. Poi, con un lungo sospiro esclamai: “Si, sono pronta”.

***

Eravamo quasi arrivati alla piazza, quella del Due era enorme. Prima di lasciare Johnson, che sarebbe andato nel settore dei ragazzi, gli strinsi le mani. Non volevo restare sola.
Lui si accorse della mia paura, e mi strinse ancora di più la mano, per tranquillizzarmi. Poi si abbassò per potermi parlare faccia a faccia
“Ascolta, non verrai sorteggiata, capito? E'  praticamente impossibile”. 
Io annuii con poca convinzione, poi senza dire nient’altro mi diressi verso il mio settore, come un oggetto pronto a essere scelto.

Dopo il solito filmino idiota di presentazione, Ronalda, la capitolina con l’incarico di sorteggiare, si presentò sul palco, con una parrucca rosso fuoco e un trucco troppo esagerato.
La suddetta, dopo poco iniziò  a parlare con l’accento sciocco di Capitol City.

“Benvenuti! Se siamo tutti pronti, possiamo iniziare!”
Come ben ci si poteva aspettare, nessuno esultò. 
“Come ogni anno, si inizia dalle donne!” - aggiunse con un risolino.

Odio, odio profondo. Come poteva ridere di fronte a uno strazio simile?! Strinsi i pugni, cercando di non irrompere sul palco e staccarle la testa. 

Paura, ansia... “E se vengo sorteggiata?! - pensai - “No, non posso, per Clove”.

Era il momento, la capitolina stava dispiegando il bigliettino che aveva afferrato dalla boccia trasparente… corrugò la fronte... perchè corruga la fronte?!
“E la fortunata che parteciperà alla 74esima edizione degli Hunger Games è...”
Guardandomi intorno, notai che tutti erano sudati e tremavano.
“...Giada Smith!”

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


No.
No.

Non poteva essere… me l’ero immaginato… io. 
Stavo per piangere ma non volevo dare soddisfazione a Capitol City.
Mi costrinsi a reprimere le lacrime.

Clove, ti ho deluso. Clove, non ce l’ho fatta. Non l’avresti mai voluto. Perdonami.

“Coraggio, Cara...” mi incoraggiò Ronalda, che doveva aver capito che ero paralizzata dalla paura.
Dovevo andare. Dovevo farlo. Sarebbe stato peggio se fossero arrivate le guardie e mi avesero trascinata di peso.
Piano piano, un passo alla volta, uscii dalla folla di ragazze, che ora sembravano sollevate e sorridenti.
Mi diressi con lo sguardo perso nel vuoto verso il palco. Salii le scale e, senza nemmeno rendermene conto, mi ritrovai davanti a tutta la gente del mio Distretto; alcuni mi guardavano dispiaciuti, altri sollevati. Cercai di individuare Johnny nella folla di ragazzi, ma erano troppi, e lui era piuttosto basso. 

Nella follia del momento, pensai che la mia faccia dovesse essere paragonabile a quella di un cadavere. Non doveva essere un bello spettacolo.
Ronalda mi guardò con un’espressione mista a curiosità e dispiacere “quanti anni hai, cara?”
Non sapevo cosa rispondere… quanti anni avevo? La mia mente era annebbiata, mi sentivo svenire.
“T-tredici”.

A queste parole Ronalda assunse un’espressione piena di senso di colpa.
Mi sussurrò a fior di labbra “mi spiace” per poi assumere l’espressione felice e falsa di sempre.
“Che ipocrita”, pensai. 

“E ora, passiamo agli uomini!”
Mi riscossi improvvisamente dal mio stato di coma provvisorio, e riuscii solamente a pregare che non fosse Jhonny.
“Il fortunato è Kevin Hole!”
Tirai un sospiro di sollievo, almeno Johnson era salvo. Poi la mia faccia sollevata si sostituì con un’altra piena di preoccupazione “Fa che non sia grande e grosso, ti prego”.
Mai una volta la fortuna è a mio favore. 
Dalla mischia uscii un ragazzo che doveva avere almeno diciotto anni. Merda, che sfiga.
A differenza mia, sembrava per niente preoccupato, anzi quasi felice di essere stato chiamato.
Magari fossi io come lui, in questo momento. 

Mi sentii svenire, ancora non ci potevo credere.
Avrei dovuto partecipare agli Hunger Games, nessuno si era offerto volontario per me, e ormai ero spacciata. 

***

Corro verso il palco, cercando di raggiungere mia sorella. Ci provo almeno.
Ma non ci riesco.
Sento qualcuno afferrarmi da dietro e riportarmi al mio posto tra le ragazze.
E’ Kevin, il ragazzo che cammina per le strade buie del Distretto, di notte.
Lo fisso con sguardo omicida, ma lui mi fa segno di stare immobile. Lo ascolto.
Ma Clove viene portata via.
E io non mi sono offerta.
Io ho condannato a morte mia sorella.
Io, Giada Smith, sono una codarda
.

***

Mi voltai di scatto verso il compagno, lui recepì il mio sguardo gelido e capii, forse si ricordò della ragazzina a cui aveva impedito di salvare la sorella.
Una sua occhiata me lo confermò.
Il nostro scambio di sguardi venne bruscamente interrotto dalla parlantina di Ronalda
“Forza ragazzi, stringetevi la mano!”
Ci stringemmo la mano.

Dalla porta posta dietro di noi uscirono due guardie vestite di bianco, pacificatori.
Ci afferrarono e ci portarono dentro al grosso edificio, strappandomi dalla mia vita e dalla persona a cui volevo più bene, probabilmente per sempre.

***

Tutto nero, la vista appannata, il respiro spezzato e il cuore a mille.
Così mi sentivo mentre aspettavo Johnny nella piccola stanzetta delle visite. Il volto imprigionato tra le mani, gli occhi chiusi.

Li riaprii di scatto quando sentii qualcuno entrare nella stanza.
C’era Johnny, ma, con mio grande piacere, notai che c’erano anche i suoi genitori.
Subito mi buttai tra le braccia di quel ragazzo che ormai consideravo come un fratello.
Lui mi strinse, finché non sentii il mio pianto calmarsi. Mi staccai da lui e guardai i suoi genitori, che mi avevano accolto nella loro famiglia, sebbene non avessero mai avuto buoni rapporti con i miei genitori
“Apprezzo molto che siate venuti, davvero. Grazie per tutto quel che avete fatto quest’anno."
Loro annuirono in silenzio, avevano capito, ma Johnny si era adirato.
“Non parlare come se non tornassi più!"
Mi voltai a fissarlo. Lo sapeva che non avevo speranze, era inutile che adesso facesse l’eroe.
“Lo sai anche tu che non tornerò. Questo è un addio, lo sai.”
Mi afferrò per le spalle e mi scosse: “NON DIRLO!  Puoi vincere!”
Mi staccai violentemente, anche troppo bruscamente di come avrei voluto.
”Smettila, Johnny. Ormai sono già morta, saranno tutti più grandi e grossi e… insomma, non ho speranze!”
Detto questo, il ragazzo sembrò rendersi conto ora che effettivamente non avrei mai potuto vincere, poiché scoppiò anche lui a piangere e mi travolse in un abbraccio.
“Qualunque cosa accada, ricorda che ti voglio tanto bene. Sei come la sorellina che non ho mai avuto.”
Io mi commossì a quelle parole, ma sapevo che ormai il tempo era quasi scaduto, i pacificatori sarebbero arrivati a momenti a portar via le uniche persone che mi volevano bene a questo mondo.
Infatti, nemmeno il tempo di pensarlo che la porta si spalancò e due guardie bianche irruppero nella stanzettta e trascinarono via i tre.
Ebbi solo il tempo di urlare “TI VOGLIO BENE!”, che rimasi sola nella stanza, in mezzo all’eco di parole non dette. 

***

Scatto furioso.

Cominciai a scalciare e piangere e a urlare.

MALEDETTA PANEM.
MALEDETTO SNOW.
CLOVE, PERDONAMI.

Di nuovo quelle due maledette guardie irruppero e mi trascinarono via, insieme a Kevin, sul treno che ci avrebbe condotto a Capitol City, o meglio, nelle fauci del diavolo.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Il treno aveva lasciato il mio Distretto da ormai quasi venti minuti. Il viaggio sarebbe stato lungo. Avremmo avuto più tempo per soffrire, nell’angoscia dell’ignoto. Maledizione.
Per il viaggio a me e Kevin avevano assegnato una cabina da condividere.
Di bene in meglio, insomma.
Mi stava andando tutto male, mi sentivo distrutta.

Alle spalle mi ero lasciata tutto. Era come se avessi abbandonato tutte le mie convinzioni, le mie certezze, per dirigermi verso l’ignoto.
Ulisse ne sarebbe stato contento.
Sembrava infinito il tempo che stavo passando a fissare il paesaggio fuori dal finestrino. Tutto che scorreva così velocemente. Chissà se avevo ormai le ore contate. Una settimana. Una settimana e sarei stata nell’arena, e lì non ci sarebbe stato più niente da fare, lo sapevo.
Probabilmente sarei morta all’inizio nel Bagno di Sangue, se mi andava bene.
Senza contare che prima dell’arena avrei dovuto superare la tortura degli allenamenti, della prova di valutazione e dell’intervista con Ceaser.
Intrattenimento pubblico.
Mi toccai il volto, e mi resi conto con sorpresa che era bagnato. Avevo pianto senza rendermene conto. In fondo era inevitabile. Mi auguravo solo di riuscire a trattenere le lacrime di fronte agli altri tributi. Non volevo apparire debole.
Non volevo apparire ai loro occhi come una ragazzina debole coinvolta in una cosa troppo grande per lei.
Anche se, pensai con un risolino, lo ero. Non c’era altro modo per definirmi.

Ricordai come era morta Rue.
Probabile che facessi la sua stessa fine.
Nessuno al di sotto dei quindici anni aveva mai vinto.
Nessuno, in tutte le 73 edizioni precedenti.

Il flusso dei miei pensieri venne bruscamente interrotto da una voce profonda, alle mie spalle.
“Non parli?”- mi voltai sorpresa che il mio compagno di Distretto avesse aperto bocca.
Anzi, mi ero quasi dimenticata della sua presenza; risposi a tono, ricordando che dovevo essere forte.
“Sono forse obbligata?”
Sii forte. Forza.
Lui mi guardò con sufficienza - “certo che no, ma pensavo volessi fare conversazione.”
“Cosa te lo fa pensare?”
“Il terrore che ti leggo negli occhi da quando ti hanno sorteggiata”
“Si vede così tanto?”
“Si.”
Mi voltai nuovamente verso il finestrino, decisa a ignorarlo, ma il ragazzo era molto insistente.
“Mi spiace per Clove. Era una ragazza meravigliosa.”
Lo fulminai con uno sguardo di fuoco.
“Già. Era. Il tuo mi spiace non servirà a riportare indietro le cose.” - a questo punto Kevin si alzò e mi si parò alle spalle.
“Mi spieghi perché ce l’hai con me!?”- chiese tutto d’un fiato.
Stringeva i pugni. Era arrabbiato.
Sorpresa della sua reazione, mi alzai dalla poltroncina sulla quale ero seduta e mi avvicinai a lui.
“Forse ricordi cosa successe l’anno scorso, o te ne sai già dimenticato?”
“L’ho fatto per voi due, sciocca. I pacificatori ti avrebbero picchiato. Era questo che volevi? Era questo che voleva Clove, Giada?!”
Scioccata dalla sua poca sensibiltà, senza degnarmi di rispondere, uscii dalla stanza, lasciandolo solo, ancora con i pugni stretti in una morsa gelida.

Subito dopo essere uscita me ne pentii amaramente.
In fondo, Kevin voleva solo essere gentile e io, accecata dalla paura, l’avevo trattato come un cane.
E poi aveva ragione. Mi aveva praticamente salvato. Ero stata una stupida.
Feci retromarcia con l’intenzione di andare a scusarmi con lui.
Spalancai la porta.

Mi venne quasi un infarto.
Il sangue si gelò nelle vene.
Perchè quello che vidi mi terrorizzò.

La stanza era irriconoscibile.
Le poltroncine erano rovesciate a terra, capovolte, e Kevin... non era più Kevin.
Sembrava posseduto, seduto al tavolo con la testa tra le mani, che singhiozzava.
Sconvolta, cercai di avvicinarmi.
“Ferma. Stai lontana. E’ un ordine.”
Nessuno ha mai ordinato a me cosa fare. MAI.
Non lo ascoltai, e procedetti.
“Ti prego.”
Ora mi stava quasi pregando - “Non voglio farti del male” disse tra innumerevoli singhiozzi.
“Perchè mi dovresti fare del male? C’è tempo nell’arena per quello.” - risposi impassibile.
Ormai ero a pochi centimetri di distanza.
Impauriita, decisi di rischiare, e gli misi una mano sulla spalla.

Lui sembrò quasi calmarsi, poi, d’improvviso, si alzò di scatto facendomi ritrarre impaurita la mano.
Mi guardò dall’alto in basso con sguardo indecifrabile.
Poi, senza aggiungere nient’altro, uscì dalla stanza.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Ma cosa era successo?!
Questo continuavo a chiedermi mentre aspettavo nella sala adiacente alla nostra cabina.
Infatti, dopo lo scatto del mio compagno, avevo deciso di seguirlo e lo avevo raggiunto.
Ma non ero riuscita a scambiarci nemmeno una parola, poiché mi ero trovata la strada bloccata da Ronalda che, tutta agitata, stava giusto per venirmi a chiamare, in quanto avrei dovuto aspettare il mentore insieme a Kevin.

Il mentore.
Non avevo idea di chi fosse.

Mentre aspettavo curiosa, rotevavo lo sguardo verso tutti gli angoli della stanza.
Era splendida. Se questa era la carrozza di un treno, chissà come sarebbe stata la stanza del palazzo in cui avremmo alloggiato.
C’era un grandissimo lampadario appeso al soffitto, che illuminava l’intera carrozza. Un tavolo di fronte a noi era ricco di ogni ben di Dio.
Tuttavia, sebbene fossi affamata, non osavo toccare le pietanze per paura che il mentore entrando mi cogliesse con le mani nel sacco.
Kevin, dal canto suo, sembrava di un'altra idea.
Si avvicinò furtivo al tavolo mentre Ronalda non guardava e rubò un pasticcino, ficcandoselo in bocca tutto intero.
Mi feci sfuggire un risolino che, però, non passò ignorato alle orecchie della capitolina.
Voltandosi di scatto, Ronalda ci guardò male.
Quando scocciata lasciò la stanza, io e Kevin ci guardammo.
E scoppiammo a ridere.
“Che antipatica!”- cercò di dire Kevin tra le risate.
Allora io iniziai ad imitarla con la tipica parlantina di Capitol. “Che la fortuna sia sempre a vostro favore”- dichiarai, con vocetta stridula, mentre Kevin non riusciva a trattenere le risate.
Ero nel bel mezzo della mia performance quando venni interrotta da una voce brusca e anche fin troppo familiare.
“Non ti hanno mai detto che è da maleducati scimmiottare le persone, ragazzina?”
Io e Kevin facemmo un salto di quasi tre metri, io addirittura caddi dal divano.
Velocemente mi rimisi seduta, cercando di nascondere il rossore violento che iniziava ad imporporami le guance.
Un ragazzo muscoloso entrò nella carrozza e, senza troppe cerimonie, si lanciò letteralmente sul divano di fronte a noi. Prese una fetta di torta sul tavolo e la addentò, per poi mettersi le mani dietro la testa.

Io quel ragazzo l’avevo già visto, ma non ricordavo dove...

Poi, improvvisamente, mentre io ero intenta a squadrarlo da capo a piedi, fu il mio compagno di viaggio a rompere il ghiaccio.
“Scusa, ma non sei troppo giovane per fare il mentore?”
L'altro sembrò offeso, anzi, addirittura arrabbiato. Si avvicinò con fare minaccioso a Kevin, infilandosi in bocca una gomma da masticare e incrociando le braccia al petto. Poi, sbuffando, ribattè: “Prima di tutto, devi darmi del lei, sono il tuo capo ora. Secondo, ho diciannove anni, sono maggiorenne, quindi ho diritto a questo lavoro” - concluse, con una risata agghiacciante. “Ti è chiaro?!”- urlò, mentre si avvicinava ancora di più a Kevin che, tuttavia, rimase impassibile.
Poi vidi la sua mano scattare e, di riflesso, allungai un braccio fra i due.
Intravidi lo sguardo allarmato di Kevin voltarsi verso di me.
Il mentore sembrò rendersi conto ora della mia presenza e, in uno scatto improvviso, mi fulminò con occhi di ghiaccio. Mi gelai sul posto.
Poi si avvicinò a me e mi alitò in faccia. “Alzatevi in piedi, tutti e due”, disse.
Ubbidimmo senza fiatare.

Mi squadrò lentamente da capo a piedi.
Poi, scoppiò in una risata che di divertente non aveva nulla.
“Ahahahaa! E tu dovresti rappresentare il Distretto Due?! Come puoi vincere gli Hunger Games, ragazzina? Sembri un mostriciattolo”.
Quanto avrei voluto ammazzarlo.
Strinsi i pugni ma non bastò questo a contenermi e nemmeno la presa di Kevin sul mio braccio, che mi intimava di non fare nulla di sciocco.
“Non sei degna di tua sorella...”
Bastò questa frase a farmi diventare una furia cieca.
Non ero più Giada, ero una bestia.
Aveva detto troppo.
Senza badare più niente gli saltai addosso, cercando di tirargli calci e pugni.
Ero davvero violenta, ci stavo mettendo tutta la mia forza in quei colpi, ma lui li parava tutti ridendo, mentre Kevin cercava di staccarmi da lui inutilmente.
Finchè un ultimo pugno mi fu fatale. Me lo bloccò con il dorso della mano, mi afferrò il braccio, e mi sbattè in terra, sovrastandomi e tenendo ferme le mie braccia dietro la testa. Sempre masticando quella dannata gomma, disse: “Vedi, ragazzina, in questo caso nell’Arena saresti già morta. Se vuoi un consiglio, non tentare mai più un combattimento corpo a corpo. Tuttavia utilizza conserva questa furia per l’Arena, ti sarà utile”.
Si alzò e mi porse la mano.
Io rifiutai e mi alzai da sola.
Kevin mi guardava con rimprovero, scuotendo la testa.

Ma che si facesse gli affari suoi, quello lì.

Il mentore non mollava, il suo obbiettivo era quello di farmi arrabbiare.
Voleva per far esplodere la mia rabbia. E farmi diventare più forte.
Sospirando, si sdraiò sul divano.
“Non mi avete ancora detto come vi chiamate e quanti anni avete” disse poi.
Fu Kevin ad aprire bocca.
“Io sono Kevin Hole e ho diciotto anni mentre lei è Giada Smith e ne ha tredici.”
“Quindi avevo ragione. Sei la sorellina di Clove.” - disse il mentore, posando nuovamente lo sguardo su di me.
“Si” - mi scese una lacrima.

Dovevo piangere persino davanti a lui? Era orribile.

Purtroppo quella lacrima non gli sfuggì.
Si avvicinò deciso e mi afferrò il mento. Cerca di divincolarmi, ma mi facevo solo del male.
“Oh, povera… la brava bambina piange?! Sii forte!” sbraitò “Non soppravvivrai un giorno nell’Arena, di questo passo!” concluse, lasciandomi il mento.
Poi riuscii a ricordare dove avevo già visto quel volto.

Lui era il vincitore dei 73esimi Hunger Games.
Lui era la persona che non aveva soccorso mia sorella.
Lui era Cato Hadley.

Quando me ne resi conto, poco ci mancò che gli saltassi addosso nuovamente.
Kevin mi afferrò e mi sollevò impedendomi di fare qualsiasi cosa.
E mentre io mi dimenavo cercando di liberarmi, lui se la rideva.
“Ahahah siete ridicoli voi due!” si piegava in due dalle risate, mentre io ero cieca dalla rabbia.

Era colpa sua se mia sorella era morta.

“Stronzo!” urlai, ma Kevin mi stava facendo male e l'urlo mi uscì strozzato.
“Dai, ragazzina, hai paura?” stava battendo le mani. “Non sarai mai alla pari di Clove”.
“LASCIAMI ANDARE! IO LO AMMAZZO!”
“SMETTILA. SEI RIDICOLA!” urlò Kevin, che non accennava a lasciarmi andare.
Il mentore si alzò, schiarendosi la gola.
“Considerate questa piccola sceneggiata come la prima lezione da parte mia. Nell’Arena non dovrete controllare la rabbia. Lasciatevi andare, è fondamentale.”
“Da domani iniziano le lezioni individuali. Kevin, domani mattina. Invece tu...” indicò me “... ho più da lavorare con te, quindi pomeriggio. Chiaro a tutti e due?”
Kevin annuì per entrambi così Cato, dopo un breve cenno di saluto, si diresse alla sua carrozza, lasciandoci soli.
Solo allora Kevin mi lasciò andare.
“Si può sapere cosa ti è...”
Non lo lasciai finire.
Corsi piangendo nella mia cabina, lasciandolo solo ad imprecare nella carrozza ormai vuota.

***

Perchè?! Ma cosa mi aveva preso?!
Avevo aggredito il nostro mentore, l’unica persona che avrebbe potuto aiutarci.
Avevo indirettamente duplicato le possibiltà di morire nell’Arena.
Ma lui mi aveva insultato. E aveva menzionato mia sorella.
Non potevo sopportarlo.
Era uno stronzo montato, su questo non c'erano dubbi.
Ma dovevo mantenere il controllo.

Ahhh... accidenti.

Almeno, però, doveva aver capito di non avere a che fare con una “ragazzina”, come mi chiamava lui.
Mi ero fatta valere.
Improvvisamente, sentii dei rumori fortissimi al di fuori del treno. Mi affacciai al finestrino.
Quello che vidi mi sconvolse.
Gente che esultava, applaudiva, acclamava. Era euforica, sembrava sotto effetto di droghe, ma sapevo che non era così.
Perchè tutto questo era normale per la gente di Capitol City.

Mi asciugai le lacrime velocemente e, senza voler guardare oltre, uscii dalla cabina e corsi verso la porta d'uscita.
Kevin e Cato erano già lì, guardavano al di fuori del finestrino che io, più bassa, non riuscivo a raggiungere.
Ma, in fondo, non me ne importava di vedere gente che acclamava la nostra morte.

Finalmente le porte si aprirono ed io corsi letteralmente giù dal treno.
Subito molte persone ci furono addosso, tentando di toccarci, come se avessero il dubbio che fossimo dei fantocci. Per la prima volta nella mia vita, fui contenta di vedere arrivare i Pacificatori a calmare la situazione.
Tirai un sosopiro di sollievo e mi guardai intorno.
Era enorme. Non ci potevo credere.
Grattacieli altissimi caratterizzavano il paesaggio, mentre vedevo gente tutta impeccabile, truccata a dismisura, con parrucche eccentriche e vestiti pacchiani. Spostai lo sguardo verso una famiglia capitolina. I due bambini correvano giocando con spade giocattolo che sembravano d’oro, incastonate di rubini.
La ricchezza oltre ogni immaginazione. Wow.

“Ehy, Bella Addormentata!”- la voce del mentore mi riscosse dai miei pensieri - “Sbrigati, dobbiamo andare al Scarystars”.
Io lo guardai stranita. Che roba era lo Scarystars?
Lui sbuffò irritato, mi sorpassò e intimò a me e Kevin di seguirlo.
Ci guardammo confusi e gli andammo dietro.
Presto scoprii cos’era lo Scarystars.
Il grattacielo più alto della città si ergeva in tutta la sua imponenza davanti ai nostri occhi sbalorditi
“Wow” - dissi in un soffio - “E’ bellissimo...”
I due ragazzi annuirono.
“Allora, voi siete del Due, quindi alloggierete al secondo piano, chiaro?”
“Chiaro.”
“Perfetto, forza... andiamo.”
Ci condusse dentro senza troppe cerimonie e in un baleno ci trovammo al secondo piano.
Lui e Ronalda ci mostrarono le nostre camere provvisorie, una di fronte all’altra (ma che bello), prima di lasciarci soli e andare chissà dove a confabulare.
Senza degnare di uno sguardo Kevin, con il quale ero ancora arrabbiata, entrai nella mia stanza.

Caspita, stanza era riduttivo come termine. Semmai, avrei dovuto chiamarla Reggia.
Era magnifica, ed enorme. Aveva un bagno personale sulla destra, anche questo enorme.
“Questa è la stanza dove ha alloggiato Clove” pensai improvvisamente.
Non dovevo pensarci.
Ignorando il senso di vuoto che ora mi attanagliava lo stomaco mi diressi verso il bagno, con l’intenzione di farmi una doccia.

“AHHHHHH!”

Il mio urlo di terrore fece accorrere subito Kevin dalla stanza di fronte. “Che succede?! Giada?!” gridò raggiungendomi.
Io ero paralizzata, non riuscivo a parlare.
Un cadavere insaguinato.
Questo vedevo nella doccia.
Il cadavere di Clove, il cranio fracassato.
Ne rimaneva ormai poco di lei, era passato un anno.
Si cominciava ad intravedere lo scheletro.
Senza dire niente, indicai col dito il punto dove c’erano i resti di mia sorella.
Mi aspettavo da Kevin una reazione spaventata e incredula che, invece, non arrivò.
Al contrario, mi guardò come se fossi una pazza (cosa che effettivamente ero), confuso.
“Cosa stai indicando, scusa?”
“N-non lo v-vedi?!”
“Cosa dovrei vedere?”
Non gli risposi, perché ora in cima al cadavere era apparsa una scritta.

TU FARAI LA STESSA FINE

E svenni.
L’ultima cosa che vidi era Kevin che mi guardava spaventato e preoccupato al tempo stesso.
Poi, il buio.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Mi risvegliai in una stanza dove si sentiva il BIP tipico degli ospedali.
No, dai, non potevo essere svenuta davvero.
E invece sì.
Poi mi ricordai del cadavere di Clove e cominciai a muovermi in modo agitato, cercando di strapparmi dal viso la mascherina dell’ossigeno.
Subito un’infermiera accorse, cercando di calmarmi.
“Non muoverti, è pericoloso. Hai avuto solo uno svenimento a causa del livello troppo alto di adrenalina nel tuo sangue”.
Mi calmai, cominciando a sperare che Cato non sapesse niente di quel che era successo. Non mi avrebbe più aiutato a sopravvivere nell’arena e anche l’ultima scintilla di speranza sarebbe scomparsa.
Dopo circa cinque minuti dal mio risveglio, l’infermiera mi levò dal viso la mascherina e finalmente riuscii a parlare.
“Per quanto sono rimasta svenuta?” - chiesi subito alla donna che, senza nemmeno voltarsi, rispose “Circa tre ore”. Scattai seduta sul letto - “TRE ORE?!”.
Lei si voltò, intimandomi di restare sdraiata e così feci, per evitare discussioni. “A proposito, il tuo compagno di Distretto è venuto a chiedermi come stavi e mi ha chiesto di informarti che dovresti raggiungerlo, una volta che ti sarai sentita meglio.”
A queste parole non persi tempo, mi alzai dal letto e corsi letteralmente fuori dalla porta, senza che l’infermiera, impegnata con delle provette, se ne accorgesse.

***

Sapevo di trovarmi ancora nel Scarystars, quindi imboccai le scale e mi diressi al secondo piano.
Poi però mi bloccai, controllando l’ora: come temevo. Era l’ora di cena. Sarebbero stati seduti a mangiare tutti e tre, che figura. Cosa avrei detto? Cosa avrei fatto?
Beh, di certo non potevo starmene lì impalata davanti alla porta, quindi in un colpo la varcai, imboccai il corridoio, feci un respiro profondo, e girai l’angolo spaventata.
Appena entrai si scatenò l’inferno.
Ronalda urlò che ero una maleducata.
Kevin si alzò preoccupato e cercò di avvicinarsi ma Cato lo bloccò e con un gesto della mano zittì tutti in sala.
Con le mani in tasca si alzò e si diresse verso di me.
Kevin si mise in mezzo ma Cato lo spinse via con rabbia, facendolo cadere a terra. Di riflesso corsi verso di lui ma Cato mi avvinghiò al braccio.
“Fermo, Cato, non vorrai metterti nei guai.”
Era stata Ronalda a parlare, ma lui non sembrava volerla ascoltare. Mi stava facendo male al braccio. “DOVE CAZZO SEI STATA?” chiese con rabbia.
Dovevano averlo sentito in tutto il grattacielo.
Decisi di non mentire, sarebbe stato peggio. Dissi tutta la verità, del cadavere e dello svenimento.
“Che sciocchezza” - disse Cato, quando ebbi finito di raccontare il tutto.
“Sta dicendo la verità.” intervenne il mio compagno di Distretto, che nel frattempo si era alzato e si stava spolverando la giacca.
Cato lo guardò come si guarda uno stupido. “Non è possibile che ci fosse un cadavere nella sua stanza, Kevin. Credevo fossi abbastanza grande da saperlo.”
Per tutta risposta, Kevin lo guardò con sufficienza. “Non ho detto che ci fosse. Se l’è immaginato, l’infermiera ha detto che un eccessivo livello di adrenalina nel sangue può causare allucinazioni”.
Il mentore sembrava disperato. Mi guardò. “Adrenalina?? Cos’è, avevi paur..”- non lo lasciai finire, con uno scatto mi ero liberata del suo braccio e ora lo guardavo con le braccia incrociate, sfidandolo. “Scusi, signor Mentore, ma mi pare più che giustificato aver paura quando si sa che da qui a pochi giorni si dovrà o uccidere o esser morti. Forse l’anno scorso non era così anche per te?” Lui si era stupito di quello che avevo detto, ma poi sembrò tornare lucido. “Io non avevo paura, ragazzina. Infatti ho vinto, come puoi vedere. Ricorda che è la paura che ti frega nell’Arena. Non farti prendere dal panico e rimani lucida. E tutta la rabbia che hai usato con me stamattina, usala contro i tuoi avversari. Respingi la paura, fatti invadere dalla rabbia. E’ questo che mi ha fatto sopravvivere.”- alla fine si diresse verso il suo posto.
Io ero ancora in piedi con la bocca spalancata. Ma perché poi mi dava consigli, adesso?!
“Beh?” - disse poi - “Non mangi? Sarai affamata, non hai nemmeno pranzato” – aggiunse, alzando un sopracciglio.
Senza fiatare mi sedetti al mio posto e, in silenzio, iniziai a mangiare.
“Prima di andare vi darò alcuni consigli”- disse il mentore, con calma - “Kevin abbiamo notato prima che sei bravo nel combattimento corpo a corpo, non è così?”
Cosa?? Cos’era successo? Si erano picchiati?!
“Ma vi siete picchiati?”- chiesi con sorpresa.
Cato si limitò ad annuire, per poi tornare a rivolgere la sua attenzione a Kevin. “La tattica che posso consigliarti è di stendere il tuo avversario… e poi di infilzarlo con qualcosa. Meglio ancora se lo cogli di sorpresa, hai capito?”- il ragazzo annuii convinto.
“Riguardo a te...”- disse poi, puntando gli occhi nei miei - “…sarà più difficile. Ovviamente scordati il combattimento corpo a corpo, moriresti in un secondo. Ah, stai lontana dal bagno di sangue. Non sopravvivresti, lì, fidati. Sei una furia, ma gli altri tributi ti sottovaluteranno, data la tua età… come avevamo fatto noi l’anno scorso con la bambina dell’11, per intenderci... “- annuii- “Se fossi stato nell’arena quest’anno, probabilmente ti avrei uccisa per prima, per levarti dai piedi. Quindi, l’unico consiglio che ti posso dare è quello di scappare dal bagno di sangue e, soprattutto di trovarti degli alleati. E’ fondamentale. Capito? Ma su questo non dovresti aver problemi, tutto dipende da quelli dell’1 e dal ragazzo qua presente. Se questi tre ti accettano nella loro alleanza, sei a posto. Per il resto discutiamo domani nella lezione individuale. Personalmente ti avrei fatto fuori, ma, diciamolo, non tutti sono come me, modestamente.” - detto questo si alzò e uscii dalla sala. Lo stesso fece Ronalda e stavo per dirigermi anche io nella mia stanza, ma Kevin mi fermò.
“Senti, per me va bene se entri nell’alleanza, il problema sono i ragazzi dell’1. Non li ho ancora visti, ma si sono offerti, quindi saranno assetati di sangue. E…”- lo interruppi, sconvolta da tutto - “Perché sei tanto gentile con me, eh? Tanto c’è un solo vincitore, alla fine. Anche se rimaniamo noi due, dovrai uccidermi.”
“Non posso farlo.”
Come no? l’avrebbe dovuto fare per forza se voleva vivere.
“L’ho promesso.”
Ero confusa, come sempre ormai. “Scusa? A chi l’avresti promesso?” - trasse un profondo respiro prima di rispondere. “Al mio migliore amico… a Jhonny”.
Iniziai a vagare per la stanza andando avanti e indietro, pensando.
Perché Jhonny? Caspita!
Alla fine mi fermai e lo guardai. “Non sei obbligato a mantenere la promessa. Tu pensa a salvarti la pelle, sono abbastanza grande da badare a me stessa.” – lui annuii in silenzio.
Aveva capito, e questo mi bastava.
Mi recai nella mia stanza, lasciandolo solo per la seconda volta quel giorno.
 
***

Non mi era mai piaciuto essere guardata con compassione. Non ero il tipo di ragazza che si faceva compatire. Nella vita bisogna essere forti, qualunque cosa succeda. So che Clove sarebbe d’accordo con me.
Sorrisi gelida al soffitto della stanza: chissà cosa avrebbe detto, se solo avesse saputo che sua sorella sarebbe dovuta andare ad essere uccisa, o, ancora peggio, obbligata a uccidere.
Avrebbe detto che era una cosa troppo grande per una ragazzina. E forse avrebbe avuto ragione.
Perchè io non ero pronta, nessuno lo era. Perchè non si è mai pronti a uccidere. A togliere delle vite. A Capitol sembrava cosa da tutti i giorni.
Il problema è che io vedo diavoli travestiti da angeli.
Vedo umani, ma non umanità.
Per un attimo mi chiesi se anche un tempo era così. Il mio bisnonno mi raccontava sempre di come era una volta. Lui veniva da un Paese chiamato Italia che, dopo la catastrofe, era finito sommerso dagli oceani. L’unico a essersi salvato era l’antico Nord America, che era l’attuale Panem.
Ecco perché mi aveva dato un nome italiano, Giada. Era il nome di sua madre, diceva.
Che ricordi… ricordi che spariranno, una volta morta.
Dicono che non c’è niente dopo la morte.
Una volta invece qualcuno credeva nell’Aldilà, un posto dove andavano le persone dopo la morte. Tutt’ora spero che ci sia.
Perché se è così, la morte non mi sembra più tanto brutta.
Mi appare solo come un passaggio.
Se è così, magari mi sarà concesso di rivedere Clove.
Speranza.
E’ questo che mi serviva. A dir la verità, non sapevo se avrei avuto il coraggio di uccidere, una volta nei giochi. Ma anche se avessi voluto, mi dissi, non ce l’avrei fatta. Se solo fossi stata più grande e più forte, forse ce l’avrei fatta.
Ma a quale prezzo; non mi rimaneva nessuno; sarei stata tormentata dai sensi di colpa tutta la vita. Forse era meglio lasciar vincere qualcuno che aveva uno scopo per cui vivere. Qualcuno da riabbracciare. Io non avevo nessuno. Mia sorella era tutto. C’era Jhonny, certo, e gli volevo un mondo di bene, ma... non potevo vivere con loro in eterno.
Avranno tirato un sospiro di sollievo quando mi sorteggiarono.
Se morivo, era meglio per tutti.
Avevo paura del dolore ma…sarebbe passato subito. Potevo provare dolore, ero pronta, se significava lasciar libere persone.
E se mi fossi lanciata dalla piattaforma prima del conto della rovescia? Le mine mi avrebbero fatto saltare in aria, e in un baleno tutto sarebbe finito.
Forse era la scelta migliore, in fondo.

***

Guardai l’orologio sul mio polso. Le 23:00. Ero stata a pensare per quasi un’ora, dovevo andare a dormire, anche se sapevo già che non avrei chiuso occhio.
Dopo una veloce doccia, mi infilai il pigiama, e mi sigillai letteralmente dentro le coperte.
Che bello se avessi potuto starmene lì all’infinito, cullata dal dolce tepore del sonno, a non pensare a niente.
Ma non potevo.
Perchè il mio destino era un altro.
Da quando ero stata sorteggiata, erano due le cose che sarei potuta diventare: o ragazzina impaurita o assassina.
Non avevo molta scelta.
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


***

Il mattino dopo, mi svegliai di buon’ora.

Svegliata per modo di dire, si intende.
Non avevo chiuso occhio. 

Chissà se Kevin ci era riuscito. 
Mi si imporporano le guance.
Ma perché pensavo a lui... cosa mi stava succedendo?


Erano le 8 in punto.
Io avevo le lezioni individuali con Cato (tremavo al pensiero) alle 2 del pomeriggio, dopo pranzo.
Cosa avrei fatto tutta mattina? Sentivo che avevo dimenticato qualcosa di importante... ma cosa?


Mi scaraventai giù dal letto, e dopo mezz’oretta, uscii dal bagno tutta pronta e vestita anche se non sapevo dove sarei dovuta andare.

Per fortuna risolse il problema Ronalda, che cominciò a bussare fortissimo alla porta... non ero mica sorda!
Andai ad aprire e mi ritrovai la faccia di Ronalda che, appena mi vide, tirò un sospiro di sollievo: “Meno male che sei già sveglia e pronta, temevo di trovarmi davanti un mostriciattolo appena svegliato”.
Cercai con tutte le mie forze di ignorare la frecciatina della capitolina e sorrisi forzatamente.
“Buongiorno, Ronalda. E’ successo qualcosa?” - lei rise sonoramente e fece segno di no con la testa - “Oh no, cara, solo dobbiamo andare. Ricordi che c'è la sfilata sul carro, a mezzogiorno, dove sfilerai davanti a tutta la città?!” - vedendo la mia espressione di sorpresa, ne assunse una contrariata - “Ma non dirmi che te ne si dimenticata!”
Io riuscii solo a stamparmi in faccia un sorriso falso.
Probabilmente interpretando il mio sorriso come una negazione, senza lasciarmi il tempo di controbattere, lei strillò di seguirla e così, dopo aver chiuso la porta, le corsi dietro. Dopo essere scese con l’ascensore, arrivammo a un lungo corridoio, con delle porte ai lati. Avvicinandomi, notai che su ogni porta c’erano scritte che indicavano la funzione della determinata stanza - tipo “sala trucco", oppure “centro di controllo salute”. Tuttavia non varcammo nessuna di quelle porte, ma proseguimmo dritte, Ronalda sculettando.
Dio quanto mi stava antipatica.

Alla fine arrivammo a una vasta sala d’aspetto con delle sedie a ferro di cavallo sui lati. A destra c'era una porta, contrassegnata dalla scritta “Centro stilismo per sfilata e intervista”.
Improvvisamente Ronalda si fermò, e dovetti sbilanciarmi all’indietro per non finirle addosso.
Poi, si voltò con un sorriso raggiante in volto, manco stessimo andando al Luna Park... e cominciò con la sua parlentina inarrestabile.
“Questo è il posto che serve per casi irrecuperabili come voi, e...” - casi irrecuperabili? Ma lei si era mai vista allo specchio? -“...verrete qui anche per prepararvi in vista del’intervista con il mio caro amico Ceaser, te e tutti gli altri tributi, si intende” - concluse con un risolino.
Mi chiesi se quella donna fosse capace di formulare una frase che non includesse risatine.
Probabilmente no.

“Allora io ti lascio. Ora siediti e aspetta che la ragazza prima di te esca, dopodichè ti chiameranno ed entrerai" - e se ne andò. Ah, che sollievo. Era insopportabile quella donna.
Mi sedetti, ubbidendo. Chissà chi era la ragazza prima di me. Non mi rimaneva che aspettare.

Non dovetti aspettare molto. Infatti, dopo circa dieci minuti la sudetta ragazza uscii dalla porta.
Cavolo, stava molto bene. Era vestita con un abito abbastanza attillato, rosso fuoco, tutto tempestato da cristalli e pietre preziose. Era un incanto. Ipotizzai che dovesse essere dell’Uno, dato che era il Distretto del lusso.
Ah, quindi era anche la ragazza che forse avrei avuto come alleata. Non mi sembrava male. Di sicuro aveva diciotto anni compiuti.
Mi passò davanti senza degnarmi di uno sguardo, come se non mi avesse notato.
Subito dopo ecco uscire una stilista che, sorridente, disse - “Tu sei la ragazza del Due, vero? Entra pure.” - sorrisi, mi stava simpatica.
Non mi guardava con compassione e questo mi faceva piacere.
Mi fece entrare nella stanza.

Era enorme, circa il doppio della mia stanza, calcolai.
Mi fece accomodare su una poltroncina e mi disse di aspettarla.
Subito dopo ritornò con un pacco di fogli in mano, sul primo dei quali era scritto a grandi lettere “DISTRETTO DUE”.
Immediatamente cominciò con una valanga di domande, del tipo quale colore mi piacesse, la forma dell'abito che avrei voluto indossare, e così via.
Man mano che rispondevo, e indicavo come mi sarebbe piaciuto il vestito, lei cercava veloce tra i fogli.

A un tratto la sua espressione si tramutò da confusa a soddisfatta. Evidentemente aveva trovato qualcosa.
Subitò sventolò in aria un foglio, esultando. Poi, me lo mostrò.
Rimasi a bocca spalancata.
L’abito che mi stava mostrando era semplicemente magnifico.
Era di colore blu elettrico, senza spalline e con un corpetto da urlo. La parte sopra era fatta di tulle bianco, sotto invece sembrava quasi un’armatura, dato che riportava crepe, in memoria del Distretto Due, il distretto delle armi. La gonna invece era ampia, ma non troppo, e scendeva con delle balze molto
armoniose.
La stilista si rese conto della mia reazione e sorrise ancora di più. Era evidentemente soddisfatta.
“Sono contenta che ti piaccia”.
Io in tutta risposta le sorrisi.

“Tra poco lo potrai indossare, ma prima dobbiamo sistemarti”.
Detto questo, mi indicò un lettino, su cui io mi stesi. Dopo avermi fatto la ceretta, che mi aveva fatto anche cacciare qualche urletto, mi stese sulle braccia e sulle gambe una specie di crema, che poi mi rivelò essere un illuminante per il corpo. A detta sua, sarei stata splendida sul carro.
Finito il lavoro, iniziò a truccarmi, impresa piuttosto faticosa.
Ma ne valse la pena.
Infatti, una volta truccata e vestita con quell’abito che si era fatta consegnare dai magazzini, ero bellissima. Il trucco non era esagerato, data la mia giovane età, ma comunque splendido. I miei boccoli neri erano lasciati sciolti sulle spalle e... insomma, non c’erano parole per descrivermi. Ero bellissima.

Soddisfatta salutai la stilista, che mi aveva congedato, e mi recai fuori dalla stanza.

Di certo non mi aspettavo di trovare la ragazza del Tre ad aspettare fuori dalla porta.
Era una ragzza sui sedici anni e sembrava piuttosto spaventata. Mi lanciò uno sguardo fugace per poi ritornare a fissarsi le mani.

Le passai davanti e, ignorando la strana sensazione di pericolo che mi attanagliava lo stomaco, mi recai verso il secondo piano.
Subito venni bloccata da Cato che spuntò fuori all’improvviso da un'angolo.
Ma perché doveva fare il ninja anche in una situazione simile?!

Mi squadrò da capo a piedi.
“Carina." - si limitò a dire. “Grazie” - risposi semplicemente.
Poi, aggiunse - “Seguimi".
Ubbidii e, quasi subito, ci trovammo all’anticamera dei carri. Davanti a noi, il lungo viale dei tributi. Non me l’immaginavo così largo e lungo!

Il mio carro (e quello di Kevin) era il secondo della fila, ovviamente.
“Sali” - mi ordinò Cato.
Salii senza fiatare... era piuttosto traballante.
“Uhm... sei troppo bassa". Io lo guardai con sguardo truce, come a dire grazie, come se non lo sapessi già.
Aveva una mano sul mento, rifletteva. Infine, sembrò arrendersi poiché sospirò e disse “pazienza”.
“Oh, scendi pure”, disse poi. Scendendo, quasi inciampai. Nell’ansia del momento non mi ero accorta che non eravamo soli nell’anticamera. Infatti c’erano già quasi tutti i tributi, che tra l’altro non avevo ancora avuto l’opportunità di vedere.

Spostai subito lo sguardo verso il Carro dell’Uno, curiosa. Beh, la ragazza la conoscevo già, l’avevo vista. Il ragazzo invece no: sembrava forte, se sarebbe stato un mio alleato era un bene, se non lo fosse stato... un male. Non sapevo identificarne l’età.
Volevo continuare a vedere gli altri tributi ma non ne ebbi l’opportunità, perché in un baleno la stanza si era riempita...quindi, doveva essere mezzogiorno. Era ora, sarebbe iniziata la sfilata. Un po’ ero preocccupata, ma non impaurita. Finchè era solo una sfilata…
Cato e Ronalda, che nel frattempo era arrivata, mi ordinarono di salire sul carro. Salii, raggiunta da Kevin, che correva come se fosse in ritardo.
Era vestito con un completo elegante, blu scuro, e con una cravatta nera. Sulla giacca erano riportati ricami di spade e altre armi... interessante. Mi raggiunse sul carro.
Mi guardò, e sorrise - “Stai molto bene” - sorrisi a mia volta - “grazie, anche tu non sei male” lo punzecchiai. Lui fece finta di non aver sentito e volse lo sguardo dritto davanti a sè, sempre mascherando un sorrisetto.

E, prima che ce ne potessimo rendere conto, il carro era partito. Tra pochi secondi saremmo stati davanti agli occhi di tutta Capitol City.

Involontariamente, strinsi la mano di Kevin a fianco di me. Poi arrossii e subito la ritrassi. Lui fece finta di niente, ma sapevo che anche lui era imbarazzato.
Le mie orecchie erano distrutte. I capitolini urlavano e acclamavano, come sempre.
Ad un tratto, a metà strada, Kevin mi afferrò la mano e io, spaventata, la ritrassi nuovamente, ma lui la ripree lanciandomi un'occhiata.
Avevo capito: strinsi la sua e, insieme, alzammo le braccia e le nostre mani incorciate. Il messaggio che volevamo dare era chiaro: eravamo uniti in onore del Distretto Due e contro Capitol City.
A vedere il nostro gesto, la folla acclamò e ci lanciò rose e monete. Proprio come l’anno prima con Katniss e Peeta, che avevano compiuto lo stesso gesto.
Le nostre mani rimasero unite fino a quando il carro non si fermò davanti alla tribuna degli strateghi.
Ad un tratto Snow salutò con la mano, facendo esultare maggiormente la folla.
Poi, come ogni dannato anno, iniziò il suo discorso di benevenuto ai tributi.

“Benvenuti, tributi della 74esima edizione degli Hunger Games! Che la fortuna sia sempre a vostro favore!” - applausi riempirono le nostre orecchie.
“Sappiamo tutti il motivo del vostro essere qui, come ogni anno. Per far si che non accada più quel successo nei Giorni Bui è necessario il vosro sacrificio. Nessun crimine può essere impunito. Buoni giochi!” - e con questo concluse il suo discorso, pieno di menzogne, ancora una volta.
Poi i carri ripresero la marcia e si fermarono in un’anticamera sotto le tribune dei capi. Cato e Ronalda erano già lì, sembravano entusiasti.
“Bravi ragazzi, è stato fenomenale, anche se il pubblico l’aveva già visto.” - era stato Cato a parlre. Per la prima volta si stava congratulando con noi.
“Ora andiamo” - disse Ronalda.

Prima di seguirli, volsi lo sguardo verso il ragazzo del Sei.
Mi stava fissando con uno sgaurdo carico di odio: lo  ignorai, e, senza più voltarmi, raggiunsi i tre.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


***
Dopo essermi cambiata, uscii dalla stanza diretta alla sala da pranzo.
Arrivai che non c’era ancora nessuno.
Tanto meglio.
Mi sedetti ad aspettare.
Quasi subito mi raggiunse Kevin. “Ehy, siamo stati fantastici sul carro!"
“Sì, è vero” sorrsi di rimando. Poi, ricordandomi all’improvviso di una cosa, sbuffai e mi starvaccai sul tavolo.
Il ragazzo corrugò la fronte “Che hai adesso?” mi constrinsi a rialzarmi e a rispondergli.
“Oggi ho le lezioni individuali con Cato, tutto il pomeriggio. Ho paura.”
Lui si fece una grossa risata ed io mi offesi. Gli diedi un colpo sul braccio “Piantala, stupido!”
"Dai, non offenderti... solo mi fa ridere che tu abbia paura. E’ solo Cato, mica ti ucciderà.”
Io lo guardai preoccupata. “Non si sa mai. Ti ricordi cosa ha fatto l’anno scorso ai tributi? Rideva quando vedeva scorrere il sangue. Quel ragazzo è malato..."
"In effetti... ma non può farti niente fuori dall’Arena. Non ti devi preoccupare.”
Poi mi fece segno di tacere e indicò la porta che si stava aprendo.
Infatti, un secondo dopo, Cato varcò la porta e si sedette al tavolo.
Ci fissò sospettoso.
"Stavate parlando di me? Vi siete zittiti all'improvviso."
“NO!” urlammo io e Kevin in coro.
“Meglio per voi. Comunque, ti ricordi che oggi devi essere qui alle 2, vero?” disse poi rivolto a me.
“Certo che mi ricordo” confermai.
“Bene."
Detto questo iniziammo a mangiare, senza fiatare.
Una volta finito, Cato, senza nemmeno salutare, se ne andò nella sua stanza.
Una volta che ebbe varcato la porta, gli feci dietro una smorfia.
Kevin mi diede una gomitata. “Che c’è?!” - in tutta risposta lui roteò gli occhi al cielo.

“Beh, io vado” - dissi dopo un po’ - “devo prepararmi alla lezione.”
“Anche io, Ronalda mi ha chiesto di raggiungerla di sotto. Dopo la lezione ci sono gli allenamenti con tutti gli altri tributi.”
“CHE COSA? MA...”
"Fammi indovinare” - mi interruppe il ragazzo - “te ne eri dimenticata.”
“Ehm..si” - sorrisi.
“Ci vediamo dopo...” - mi salutò fintamente esasperato.
Ero rimasta sola. Anche io abbandonai il tavolo, e mi diressi verso la mia stanza, buttandomi sul letto.

Era ormai l'1.30.
Bello, tra poco sarei stata tra le fauci del diavolo.
Poi avrei finalmente conosciuto tutti gli altri tributi. Dovevo solo sperare che non fossero grossi e allenati.

Mi sciaquai il viso, togliendomi il trucco della sfilata. Ora ero più Giada e meno bambolina. Mi legai i capelli in una coda alta ed ero pronta.
Decisi che avrei aspettato Cato direttamente sul posto. Percorsi per la millesima volta il corridoio e andai a sedermi sulla sedia.
Speravo che sarebbe finita presto, non avevo voglia di sorbirmi troppo a lungo le critiche di Cato su di me e su mia sorella.
Chissà se Clove sarebbe stata fiera di me se mi avesse vista sul carro. No, sarebbe solo stata disperata.

Capitol City l’aveva fatta apparire come cattiva e spietata. Ma non era vero. Era stata obbligata perché faceva parte del Due e i favoriti dovevano sempre apparire cattivi, per esaltare il pubblico, assetato di sangue. Chissà se avrei dovuto fare così anche io... speravo di no.

Se dovevo morire, volevo rimanere me stessa.
Io non mi reputavo cattiva e non volevo uccidere.
Ma non ero nemmeno buona.

Perché se avessi dovuto uccidere per soppravvivere l’avrei fatto, su questo non avevo dubbi.
Perché ero una persona cattiva.
Perché mi avevano obbligato a essere cattiva.

Cato arrivò mentre ero persa in questi pensieri.
Mi salutò, trascinò una sedia di fronte a me e si sedette.
La sua faccia era impassibile, come se ci fosse abituato.

“Allora...” cominciò, masticando una gomma alla menta “...sei pronta?”
Io lo guardai cercando di assumere un’espressione di coraggio. “Ovvio."
“Perfetto. Per prima cosa, ricorda che nell’Arena non dovrai mai cominciare tu ad attaccare. Purtroppo saranno gli altri tributi ad attaccare te per primi. Quando li vedi, anche solo in lontananza, non farti assolutamente sentire. Il trucco è mimetizzarsi bene con l’ambiente in cui ci si trova. L’anno scorso eravamo in una foresta, ma non per questo era più facile. Per esempio, la ragazza dell’Undici si nascondeva sugli alberi... e poi è morta per via di un piano andato male. Ma se lei e Everdeen non l’avessero attuato, probabilmente sarebbe arrivata fino alla fine, prima che io la trovassi. Quindi... nasconditi più che puoi. Io se riuscirò ti manderò alcuni sponsor, ma non contare su quelli, mi raccomando. Secondariamente...” - e qui esitò un attimo, come se non fosse convinto di proseguire - “...sei sicura di poterti fidare di Kevin?”
Questa domanda mi lasciò spiazzata completamente.
Non avrei dovuto fidarmi? Cosa voleva dirmi Cato?
Avevo sempre dato per scontato che non mi avrebbe ucciso, ma era effettivamente possibile, anzi probabile, che l’avrebbe fatto senza alcuno scrupolo.
L’Arena faceva venire fuori gli aspetti più istintivi dell’uomo.
Aveva ragione il mentore, non avrei dovuto fidarmi finché non avessi avuto la certezza che sarebbe stato un mio alleato.
Anche se, mi ricordai, aveva detto che aveva promesso... che avrei dovuto fare?
Alla fine parlai.
“Io... credo di sì ma... non dovrei?”
Lui mi guardò sospirando. "Senti, non è che qua sono tutti tuoi amici pronti a proteggerti. Qua le persone ti vogliono far fuori. Sono tutti dei potenziali assassini, capito? Non fidarti di nessuno prima di un’alleanza, ricorrdatelo. So che mi odi, ma neanche io che sono un mostro avrei voglia di vederti morire subito quindi... cerca di soppravvivere per un po’.”
Annuii stupita da quelle parole.
“Ah, oggi ci sono gli allenamenti quindi, nel tuo caso, devi dimostrare subito a tributi e strateghi quello che sai fare. In cosa sei brava?” - mi chiese, senza lasciarmi il tempo di metabolizzare.
Cavolo, non sapevo in cosa ero brava.
Clove qualche volta mi aveva insegnato tirare i coltellini e far centro in un bersaglio, ma riuscivo raramente.
“Un po' con i coltelli…”
"Perfetto. E’ questo che dovrai dimostrare ai favoriti. Non sbagliare."
Non mi aveva lasciato finire! Ero scarsa con tutto il resto!
“Un ultima cosa. Quando vedrai morire un favorito, che sia uno dell’Uno o che sia anche Kevin... e non guardarmi con quella faccia!"
L’avevo guardato male perchè non doveva nemmeno metterlo in conto! Come si permetteva?
“Non devi farti prendere dal panico, dalla pietà, dalla tristezza, da qualunqe cosa. Una cosa dovrai fare: scappare più lontano che puoi, capito? Perchè non gli sevirai più e ti ammazzeranno. Devi farlo, Giada. E' fondamentale.”
Ma a me era venuto in mente un particolare a cui non avevo ancora pensato...
“Come tu hai fatto con Clove, non è cosi?!” - urlai, senza riuscira a contenere la rabbia.
“Smettila. Non paragonarti a me. Qua si sta parlando di te.”
Chiusi la bocca contrariata. Poteva anche ammetterlo che l’aveva lasciata a morire.
"Scappa. Scappa più lontano che puoi. O non soppravvivrai."
“Ho capito." - risposi.
“Per il resto, le tattiche che dovrai utilizzare le vedrai tu adesso nell’allenamento con gli altri. Buona fortuna.”
E si alzò. Era finita.
Dopo che se ne fu andato, corsi nella mia stanza.

Volevo arrivare in anticipo, non mi andava di avere gli occhi di tutti puntati addosso.
Dopo aver indossato la tuta che ci avevano ordinato di mettere per gli allenamenti, con ricamato sopra il numero 2, mi catapultai letteralmente giù per le scale diretta alla sala degli allenamenti. Per la stada incrociai Kevin.
“Già pronta?” mi chiese alzando un soppracciglio.
“Si, voglio arrivare prima” e continuai la corsa.
Finalmente ero arrivata alla porta della stanza.
La varcai e mi ritorvai nell’enorme sala degli allenamenti.

La sala era vuota, proprio come avevo sperato.
Rincuorata, mi diressi decisa verso la postazione delle armi.
Avrei provato subito con i coltelli, come mi aveva consigliato Cato.
Ma una voce mi bloccò all’improvviso.
Evidentemente non ero sola come avevo immaginato.


“Ferma! Non devi fare così con i coltelli, li stai impugnando nella maniera sbagliata.”
Voltai la testa di scatto, sorpresa. Seduto con la schiena contro la parete si trovava un ragazzo di circa la mia età, con un’espressione impassibile sul volto. Poi si alzò e si avvicinò. Di riflesso, arretrai. Lui, a vedere tale gesto sorrise e mise le mani davanti a sè.
“Non ti voglio fare del male” - sentii che avrei potuto fidarmi di quel ragazzino, che non sembrava volermi uccidere.
Aprii bocca, con coraggio. “Chi sei?”
“Mi chiamo Mettwe e vengo dal distretto Quattro, quello della pesca."
"Io mi chiamo Giada e vengo dal Due."
Lui sorrise. “Lo so... senti, hai già conosciuto gli altri tributi?”
Lo guardai corrugando la fronte. "No, tu si?”
“Alla sfilata dei carri... se vuoi ti posso parlare di loro prima che arrivino.”
Io ero imbarazzata. “Ehm... va bene.”
A queste parole lui sorrise vittorioso.
"Allora, immagino che ti alleerai con quelli dell’Uno. La ragazza ha diciotto anni, è forte e decisa a vincere a qualunque costo. Insomma, meglio averla alleata piuttosto che averla nemica. Riguardo invece al ragazzo, mi sembra che abbia sedici anni ma anche lui è determinato a uccidere, infatti si è offerto volontario.”
“Cosa?!”
“Già. La mia compagna di Distretto, invece, ha quindici anni come me, però, tranquilla, non vuole ucciderti, e nemmeno io. A proposito vorremmo essere tuoi alleati anche noi, se per te va bene."
Sembrò aspettare una mia risposta, che non mancò ad arrivare. Più alleati avevo meglio era.
"Certo, per me va bene. Come si chiama la tua compagna?”
“Katrine."
Annuii. Mi voltai e scoprii che mentre parlavamo la stanza si era man mano riempita, forse non mancava più nessuno nella sala.
Ad un tratto, mi venne in mente lo sguardo di odio che mi aveva lanciato il ragazzo del Sei ai carri. Veloce lo cercai con lo sguardo nella sala. Lo individuai impegnato a trafiggere con la lancia una serie di manichini. Sembrava cattivissimo, ci metteva una forza incredibile.
Ad un tratto, come evocato dai miei pensieri, alzò gli occhi e li puntò dritti nei miei. Sorrise cattivo, poi buttò in terra il manichino e con un coltello cominciò a sfregiarli il volto. Prese una lancia e gliela puntò nello stomaco Per finire gli diede un calcio sulla faccia. Finita l’opera si alzò, mi guardò e mi indicò il manichino: il messaggio era chiaro.
Quel manichino sarei stata io nell’Arena se mi avesse trovato.
Avrei fatto la stessa fine.
Mi vennero i conati ma mi trattenni, per non apparire debole.
Con un coraggio che non mi apparteneva lo guardai fisso negli occhi, finché non fu costretto ad abbassare lo sguardo.
Soddisfatta, mi voltai di nuovo vero Mettwe, che nel frattempo aveva guardato la scena confuso.
“Che mi dici del Sei?”
Sembrò svegliarsi, e mi rispose. "Si chiama Brian, diciassette anni. E ti odia. E’ bravo con qualsiasi arma,”
“Aspetta... mi odia?"
“Purtroppo sì"
Stavo quasi per piangere. “Ma ti ha detto perché?”
“No, ma lo posso immaginare... lui è il fratello della tributa dell'anno scorso. Quella che è stata uccisa da Clove, tua sorella."
“Ma... ma... cazzo, non l’ho voluto io!”
“Lo so, ma vuole vendicare sua sorella."
Mi sedetti vicino a lui rassegnata e senza quasi rendermene conto mi imprigionai il volto tra le mani
Una lacrima, fugace e silenziosa, scese lungo la mia guancia.
Mi ricordai che non dovevo mostrarmi debole, quindi mi asciugai in un lampo il viso e mi alzai.
Seguita dal mio nuovo alleato mi diressi a passo veloce verso i coltelli. Impugnai l’unico rimasto e lo scagliai quasi con rabbia verso il bersaglio... fece centro.
Come era possibile, al primo colpo?!
Adesso capivo il ragionamento di Cato: dovevo farmi invadere dalla rabbia, in questo modo avrei ottenuto maggiori successi.
Ne presi subito un altro e lo scagliai convinta del successo.
Ma questa volta la fortuna non era a mio favore.
Lo mancò completamente. Mi voltai... sembrava che nessuno in particolare se ne fosse accorto... a
nche se pochi erano concentrati sull’allenamento.
La maggior parte dei tributi osservava gli altri, come stavo facendo io ora.
Notai un ragazzo muscoloso, dell’Undici. Ad un tratto incrociò il mio sguardo: non sembrò calcolarmi, come se fossi invisibile o come se fossi già spacciata.
Questo mi fece salire una rabbia incalcolabile.
Mi avvicinai a lui con passo spedito, impugnai un coltello abbandonato lì vicino e, dopo essermi assicurata di aver attirato la sua attenzione, lo scagliai verso un manichino.
Lo centrai in fronte. Sorrisi soddisfatta e me ne andai.
Il ragazzo dell’Undici era rimasto impalato come uno stoccafisso, ma lo ignorai.
Peccato che l’Undici non fosse l’unico ad avermi notata. Anche un altro ragazzo mi osservava, da lontano, da dietro un angolo. Sul viso portava un’espressione indagatoria, come se non avesse ancora capito cosa avessi fatto.

Senza notarlo, passai avanti e andai a parlare con Mettwe, che nel frattempo si era recato alla postazione delle sciabole.
“Ehy” lo chiamai. Lui voltò lo sguardo stupito nella mia direzione.
“Che c’è?!” decisi di andare direttamente al sodo, senza troppi giri di parole. “Dobbiamo formare un’alleanza di circa sette persone, secondo me. Non riusciremo ad arruolarne di più. Per primo dobbiamo andare da Kevin, e...”
"Frena” - mi bloccò lui deciso - “Intendi il tuo compagno di distretto?”
“Si, lui”
Lui sembrò imbarazzato, poi improvvisamente mi indicò di seguirlo verso un angolo della stanza, dove mi sedetti e lui fece lo stesso.
"Non ti dovresti fidare di lui al primo colpo, lo sai vero?”
Mi adirai. "Come vedi ho fatto lo stesso con te e forse non avrei dovuto farlo” risposi tagliente.
“Senti, ti sto solo chiedendo il tuo parere... è una persona affidabile?” - mi chiese sempre più imbarazzato - "Io lo dico per te...”
“Si, è una persona molo affidabile, ne sono convinta!”
"Okay, okay... comunque, dopo di lui, dovremmo andare da quelli dell’Uno.”
“Esatto, poi dalla tua compagna di Distretto... se riusciamo a convincerli tutti e quattro siamo già in sei... manca una persona, ma chi?”
Mettwe sembrò pensarci su, dopo un po' disse: "Il ragazzo dell’Undici?”
"No” - risposi decisa - “Non mi ha nemmeno calcolata. E’ evidente che pensa che sia già spacciata.”
“Lo so, ma tutti lo pensano, Giada”
“Grazie di avermelo ricordato... ma puntaimo l’attenzione sugli altri tributi... tu hai notato qualcuno di particolare?”
"Per la verità no, ma so che la ragazza del Dodici è particolarmente brava con il tiro con l’arco. Potremmo chiedere a lei.”
“Okey, ma come si chiama?”
“Se non ricordo male si dovrebbe chiamare Primrose Everdeen."

 

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