Parallel Hearts

di MaikoxMilo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atto I - 4 giugno 2011 ***
Capitolo 2: *** Atto II - 11 giugno 2011 ***
Capitolo 3: *** Atto III - In un luogo e in un tempo indefinito (prima parte) ***
Capitolo 4: *** Atto III - In un luogo e in un tempo indefinito (seconda parte) ***



Capitolo 1
*** Atto I - 4 giugno 2011 ***


PARALLEL HEARTS

 

Noi abbiamo il potere di cambiare il futuro

l’ho visto nei miei sogni...

In mezzo al rumore, ho sentito il tuo grido,

ciò metteva a nudo la mia debolezza,

come se stessi sorridendo

La strada che stai seguendo è nota solo a te,

così insegui un cielo diverso e lontano dal mio.

Pur smarriti nel passato,

desideriamo il coraggio di affrontare il futuro,

e ora voglio tornare al vero presente,

dove tu continui a sorridermi

 

 

 

...Hyoga...”

Il Cavaliere del Cigno si riscosse al suono di quel richiamo strozzato, affannato, tornando a concentrarsi sull’amico steso tra le sue braccia che, nonostante tutto, gli sorrideva, sebbene da quelle labbra il respiro fosse sempre più stentato, sostituto da una emorragia sempre più letale.

I-Isaac, non parlare, ti prego, ti fa male! Resisti! Ora io...”

Sciocco… sai che non puoi più fare nulla, l’Aurora Execution non perdona… hai imparato bene dal Maestro Camus” rantolò, allo stremo delle forze, sputando nuovamente sangue, che cadde sul dorso della mano di Hyoga.

La battaglia era appena conclusa e si erano infine ritrovati, ma… a quale prezzo?! Il Cavaliere del Cigno incassò la testa tra le spalle, singhiozzando sommessamente. Non una lacrima. Non più. Ma il dolore non era mai stato così vivo in lui.

La battaglia era appena conclusa e ciò che rimaneva a lui era un nome, fautore di tutto quello sfacelo, che voleva i Cavalieri di Atena morti: Kanon di Gemini, il fratello di Saga, l’usurpatore. Nient’altro…

Il sangue versato, quello del suo amico più prezioso, le lacrime soffocate nel petto, e un gelo spietato che lo stava acciuffando, procurandogli una lenta, ma intensa, agonia.

La stessa che Hyoga aveva riservato al suo adorato maestro.

La stessa che aveva subito sua madre, per salvarlo.

Cos’altro gli restava?! Continuare a vivere un’esistenza maledetta che portava tutti i suoi cari a morire per lui?!? Sarebbe stato più facile assecondare i desideri di morte che lo avevano accompagnato fin dalla più tenera età, eppure non poteva, aveva promesso che avrebbe continuato a vivere. Non per sé. Per gli altri, come un vero Cavaliere.

 

Il cavaliere che non hai potuto essere, Isaac…

 

Hy-Hyoga...” lo richiamò di nuovo l’amico, sforzandosi di mantenere l’occhio aperto, sebbene il gelo annichilisse tutto il resto, a partire dal profondo. Il suo sguardo non era più il suo, troppo distorto, troppo rotto dal dolore. Sempre più spento. Era un processo irreversibile.

Hyoga trattenne l’ennesimo gemito dentro di sé, sistemò meglio la nuca del compagno sulle sue gambe, sforzandosi di rimanere in posizione dritta, malgrado la ferita al collo si fosse di nuovo aperta e il sangue sgorgasse da essa, passandogli sulla schiena per poi colare al suolo, a formare una pozza in continua espansione.

Di-dimmi, Isaac, sono qui!” gli sussurrò, con fatica. Articolare le parole non era affatto semplice, gli affogavano nel petto cavo, ma non voleva lasciarlo solo, non in quel momento, pertanto gli prese una mano per fargli coraggio a proseguire.

Posso… posso ancora considerarmi un allievo di Camus?” gli chiese l’altro, quasi supplichevole, una smorfia di dolore sul viso. Tossì e sputò sangue per la quarta volta consecutiva. La fine era ormai imminente.

A quel punto persino la sua volontà di non piangere vacillò, ma ancora il Cigno resistette strenuamente.

Lo sarai sempre, Isaac… il Maestro ed io non ti abbiamo mai dimenticato, mai! Sarai sempre un figlio per lui e… e un fratello per me.”

Neanche io vi ho mai dimenticati… nei momenti più bui, nonostante la rabbia crescente, nonostante l’odio, richiamavo i vostri visi a me. Siete sempre stati il mio unico conforto, ma… vi ho traditi. P-prima, lo percepivo il cosmo di Camus… era al tuo fianco e… e furioso… con me. Potrete mai… perdonarmi?”

Non c’è mai stato nulla da perdonarti… tu eri il degno possessore di Cygnus, Camus aveva scelto te, ma… ma...”

Camus aveva scelto me… ma sei tu il suo vero successore, non dimenticarlo mai, amico mio...”

Hyoga fremette, non reggendo più il peso della sua esistenza. Isaac aveva lentamente chiuso l’occhio rimastogli, ma respirava ancora, anche se sempre più irregolarmente e a scatti.

Il successore del Maestro Camus… come poteva reputarsi degno di quel titolo, degno anche solo di sfiorarlo, quando…. quando era stato lui a privarlo del calore della vita?! Natassia, Camus, Isaac… avevano tutti creduto in lui, indicandogli la via, mostrandogli il percorso, il suo ringraziamento era stato ucciderli. Non viveva più per sé stesso, né per la madre, ma per loro, per i morti che si portava dietro, quella era l’unica sua ragione di vita, fare quello che avrebbero fatto loro. Il resto era un vuoto insopportabile.

Vorrei… oh, come vorrei… poter tornare ai giorni dell’allenamento all’isba, quando noi due eravamo bambini ed eravamo sotto la tutela del Maestro Camus. E’ stato… il periodo più felice della mia vita, mi sembra quasi di rivedervi...”

I-Isaac?!” lo richiamò, stringendo la presa su di lui, ma capì con orrore che l’amico non poteva più percepirlo.

Ci sei tu, c’è il Maestro Camus… mi sorridete, indicandomi di entrare all’isba a prendere una tazza di tè bollente per scaldarmi… non sento quasi più freddo, ci siete solo… voi...” ansimò ancora, prima di reclinare la testa di lato e spirare. Il tumulto del suo cuore si fermò, ma in viso aveva ancora quel leggero sorriso che aveva accompagnato i suoi ultimi pensieri. Sembrava sereno.

Le lacrime alla fine ebbero la meglio, solcando il viso del giovane Hyoga poco prima che cadessero tra i capelli dell’amico, ormai involucro vuoto.

Singhiozzò, accasciandosi al suo fianco, l’emorragia sempre più intensa, che quasi si miscelava al dolore. Repentino. Insostenibile.

In quell’istante un ragazzo moriva, un altro perdeva un altro pezzo insostituibile della propria anima. L’ennesimo. Cosa era rimasto di lui?!

A-addio, Isaac… addio… fratello mio!”

 

Il freddo aveva avvolto anche lui, chiudendo i suoi occhi. Si era così ritrovato nuovamente nelle lande desolate della Siberia orientale. Da solo. In mezzo alla tempesta di neve. Si guardò intorno, riconoscendo il posto. Il suo cuore sussultò: era sopra il ghiaccio che celava la nave contenente il corpo di sua madre, come non distinguerlo. Per un solo istante ebbe l’impulso di sfondarlo, ormai era diventati forte, e rivedere quel viso a lui tanto caro. Ma si bloccò. Si trattenne. Rimanendo invece con il pugno chiuso.

Non impari mai, Hyoga… quante morti vuoi ancora causare?!”

Una voce sibillina lo aveva raggiunto, poco dopo dal ghiaccio si formò una figura dalle fattezze femminili fino all’addome, da lì in giù invece era un blocco di ghiaccio: uno spirito della neve, come li chiamava Camus, lo sciamano.

Il Cavaliere del Cigno fece per ribattere, ma si accorse che non poteva esprimere alcunché, nulla che potesse dargli delle attenuanti, né spiegazioni… era semplicemente condannabile, senza possibilità di appello.

Isaac… scomparso per recuperare te, che ti sei ostinato a rivedere un morto...”

Alla sua destra si formò un altro spirito in tutto e per tutto simile al primo.

Camus, maestro grande e nobile, nonché sciamano dei ghiacci… prematuramente scomparso per mano del suo stesso allievo” gli fece eco la seconda.

Una terza figura si materializzò, tale e quale alla prime due. E poi una quarta. Una quinta, e così via, fino a circondarlo completamente. Ognuno di loro professava il suo capo d’accusa, il Cigno era totalmente impotente.

Dimmi, la tua vita vale un tale dispendio di altre vite?!”

Ci hai privato di Isaac, stella brillante e densa di potenziale per assurgere al ruolo di Cavaliere di Atena...”

Di Camus, unico, vero, sciamano dei ghiacci, che ha salvato molte vite in queste lande abbandonate...”

Di’… tu invece cosa hai fatto?!”

Se avesse potuto, il Cigno avrebbe risposto che aveva combattuto contro Poseidone e Hades al fianco della dea Atena, che aveva creduto nei suoi ideali, diventando un difensore della giustizia. Ma quello, si disse, avrebbero potuto farlo anche Isaac e Camus, se lui non li avesse privati della vita con le sue mani sudice.

Un fratello...”

...e un padre...”

Massacrati!”

Continuavano le voci, sempre più ridondanti. Insistenti. Scroscianti.

Hyoga si tappò disperatamente le orecchie, serrando gli occhi, ma quelle continuavano a parlare, sempre più forte, sempre più sardoniche.

No… no… basta… bastaaaaa!!!

Di’… chi potrebbe perpetrare un simile abominio?!”

Tu… tuuuuuu...”

Nessun altro, se non tu!”

Non dovresti esistere...”

“… sei pernicioso!”

Non avresti mai dovuto essere nato!”

Hyoga cadde a terra, urlando a squarciagola, del tutto rattrappito. Voci e rumori vorticavano dentro di lui, trafiggendolo ripetutamente come un puntaspilli, dall’interno verso l’esterno.

Hanno ragione, Hyoga...”

Mi-Milo?!?

Gli sembrò di scorgere l’espressione amara dell’amico, che lo squadrava con sdegno, le labbra piegate in una espressione di disgusto.

Persino tu, amico mio…

Hanno ragione loro… - ripeté lui, alzando il braccio e l’indice della mano destra, una nuova accusa, lui ne era l’esecutore – Ed io avrei dovuto farti fuori prima che tu potessi fare ulteriori danni. Rimedierò ora: ANTARES!!!”

Non ebbe il tempo di reagire, che l’unghia lo trafisse in prossimità dello sterno. Gridò ancora una volta. Poi le tenebre implosero.

 

 

* * *

 

 

4 giugno 2011, nel cuore della notte

 

 

Un urlo intenso e prolungato investì le pareti dell’undicesima casa dello zodiaco, riecheggiando nei dintorni fino a scoppiare in un vero e proprio pianto inconsolabile. Una figura stesa sul letto si mise immediatamente sull’allerta, precipitandosi poi in direzione degli ululati di lutto dell’allievo.

Hyoga, come era facilmente intuibile, piangeva e si dimenava nel sonno, producendo movimenti del tutto violenti e involontari. Non esitò un attimo. Raggiunse il letto e provò a scrollarlo, per ridestarlo dall’incubo.

“Hyoga! Forza, sono qui! Sono qui!” gli ripeté più volte, tentando di tenerlo fermo, che si sarebbe fatto male altrimenti.

“...mia… c-colpa… i-io non… non sono degno di...” delirava intanto il ragazzo, fuori di sé dal dolore.

A quel punto Camus gli mise una mano sotto alla nuca, sollevandolo un poco, mentre l’altra la posò sulla guancia, come faceva quando era piccolo per strapparlo dagli incubi che spesso lo dilaniavano; per strapparlo dal passato impietoso, che lo torturava fin dalla più tenera età.

“Hyoga, ragazzo, forza, svegliati, è solo un brutto sogno!” lo provò a rassicurare, ottenendo finalmente l’effetto sperato.

Lentamente l’allievo aprì gli occhi, anzi, l’occhio destro, perché il sinistro era ancora bendato. Lo guardò spaurito, come quando era un bambino e i mostri, sotto forma di ricordi, lo afferravano spietati. Era sempre un’impresa riportarlo alla calma, ma Camus aveva ormai una certa dimestichezza per quella situazione, pertanto sapeva come agire.

“M-maestro...” farfugliò, mano a mano sempre più vigile.

“Va tutto bene, Hyoga, è passato...” lo rassicurò con voce dolce, poco prima di riadagiarlo sul letto e rimanere comunque al suo fianco, seduto sulla sponda del suddetto.

Il giovane Cigno prese tempo a raccapezzarsi. Buttò un occhio fuori dalla finestra, scorgendone solo il buio, poi di nuovo alla stanza, avvolta dalla luce fioca della lampada, e infine al corpo del suo mentore. Non aveva niente addosso se non la propria pelle e un asciugamano stretto in vita. Per forza, si disse, Camus dormiva spesso nudo persino in Siberia durante i loro allenamenti, figurarsi in una terra calda e assolata come la Grecia di inizio giugno! Non rammentava tuttavia cosa ci facesse lì, su quel letto. Ricordava di esserlo venuto a trovare, questo sì, salvo poi essere finiti a medicare il suo occhio ancora dolorante, piuttosto che trattare dello stato di salute del maestro, da poco neo-risorto. Il resto era un buco, per non dire una voragine.

“Cosa… cosa ci faccio qui?” chiese, ancora stordito.

“Sei tu ad essermi venuto a trovare ieri, Hyoga. Dopo la medicazione, ti sei addormentato ed io ti ho messo a letto.” gli spiegò, sorridendo appena. Non gli disse, no, che la sua visita gli aveva riempito il cuore di gioia, né che era felice di averlo di nuovo lì con sé, come quando erano all’isba.

A quelle parole il Cigno si riscosse del tutto, alzandosi a sedere di scatto e arrossendo a dismisura.

“Perdonatemi! Vi ho importunato così tanto! Ora prendo le mie cose e...”

“Hyoga! - lo fermò rapido lui, afferrandolo per le spalle – Va tutto bene, è piena notte, non mi dai fastidio. Avrai tempo domani mattina per andartene, riposa pure qui per il momento, senza remore. La casa è piuttosto grande e...” ma non finì la frase, le parole gli mancavano. Come sempre.

 

La Casa è grande ed io mi sento solo, ecco tutto! Da quando mi sono ripreso, non reggo più il gelo intorno a me, né quello dentro di me, ma da quello non c’è scampo, ahimè! Mio amato Hyoga, se io riuscissi a spiegarti il bisogno che sento di averti al mio fianco, probabilmente rideresti di me, a buon diritto, perché sarei il solito a predicare bene e razzolare male.

 

Hyoga rimase in silenzio, tranquillizzandosi un poco a quelle parole sincere. Era sempre convinto di essere un fastidio per il suo giovane maestro, ma sembrava che Camus avesse piacere ad avercelo lì, al suo fianco, cosa però che il Cavaliere del Cigno non si poteva permettere, sebbene lo volesse con tutto il cuore.

 

Mi riaccettate sempre, qualsiasi cosa faccia, perché il vostro cuore è grande e, nonostante tutto, c’è sempre spazio per me, ma io… come posso camminare al vostro fianco? Come posso essere degno di voi, quando vi ho privato di tutto? Vi ho tolto la vita e ho ucciso il vostro migliore allievo, non una, ma due volte, impedendogli di diventare il Cavaliere che meritava di essere. Non sarei degno neanche di guardarvi, figurarsi rimanervi accanto… non lo merito… e voi non meritate di avere come discepolo uno come me.

 

“Perdonatemi, ero venuto a trovarvi per vedere come stavate dopo la resurrezione insperata, ed è finita che mi avete medicato voi l’occhio sinistro.” farfugliò, posando la man sopra esso, ancora dolorante.

Erano passati mesi dalla fine della guerra contro Hades, Seiya era ancora in coma, mentre gli altri Cavalieri di Bronzo, suoi amici, erano tornati agli allenamenti. Shiryu con Dohko, lo vedeva al Tempio spesso, Shun con June, Ikky per gli affari suoi come al solito, l’unico pulcino smarrito era lui, sebbene avesse anche lui i propri punti di riferimento. Bastava volerlo!

Era successo che, una decina di giorni prima, o forse una settimana, il tempo scorreva strambo, avevano percepito un cosmo colossale abbracciare il Santuario. Atena non avrebbe potuto essere, perché si stava prendendo cura di Seiya, ferito gravemente dalla spada di Hades, occorreva quindi indagare, pertanto lui, i suoi amici, e tutti i superstiti del Santuario, si erano recati lì, trovandovi, proprio all’interno del tredicesimo tempio, tutti i Cavalieri d’Oro morti al Muro del Lamento, più Kanon, fratello di Saga, e Shion, il Grande Sacerdote. Erano resuscitati. Il come non si sapeva. Ma erano loro, e tanto bastava. Era immediatamente corso in direzione di Camus, steso prono completamente nudo, al pari degli altri, chiedendosi febbrilmente se quella volta sarebbe riuscito a riabbracciarlo, o se gli sarebbe sparito, ancora, sotto forma di polvere di luce. Aveva una paura atroce che potesse essere un inganno, dopo Lymnades, ma ci era riuscito, lo aveva raggiunto, toccato, stretto a sé... ed era scoppiato in un vero e proprio pianto disperato, affondando il suo volto nella chioma del maestro, svenuto tra le sue braccia. Camus era visibilmente incosciente, pallido in volto, ma dalle sue labbra comunque era sfuggito un debole spasimo, che si era poi identificato con un nome, il suo: “Hyo-Hyoga, mio...”

Lo aveva percepito, tanto bastava per stringerlo ancora di più a sé, bagnandolo con le lacrime che doveva bandire ma che, in quella circostanza, sgorgavano senza freno, inumidendogli il volto. Non era più solo, non lo sarebbe stato più...

I giorni seguenti erano stati di buio completo, per tutti i Cavalieri d’Oro, erano rimasti privi di coscienza per giorni interi, deboli, indifesi tra le coperte del letto, mentre i curatori e gli specialisti più bravi si prodigavano per loro.

Hyoga era rimasto al fianco del maestro, per quel periodo, più facile farlo con lui in quelle condizioni che non sveglio, poiché era del tutto incapace a sorreggere il suo sguardo. Camus non aveva ferite visibili sul corpo, era intatto, come lo ricordava, ma la sua temperatura corporea era molto più bassa della norma, causandogli uno stato di letargia cronica, che non lo faceva riprendere. Per Milo, Aiolia, Mu ed altri era stato molto più facile invece, erano feriti, stanchi, ma si erano svegliati quasi subito. Discorso diverso per Cavalieri come Shura, o Saga, che erano rimasti in condizioni critiche per un bel po’.

Un giorno di quelli, Hyoga stava vegliando sul suo maestro, ancora profondamente addormentato. Il curatore se ne era andato, dichiarando parole ottimistiche sul fatto che presto si sarebbe svegliato. Nonostante ciò, il giovane Cigno aveva paura: Camus continuava a soffrire degli effetti dell’Aurora Execution che aveva subito. In parole povere, stava male per lui, perché era stato lui ad ucciderlo.

 

-Sono tornati con gli effetti corporei di quando avevano perso la vita.

Aveva giustamente notato Shun, intento a prendersi cura di Aphrodite, per il quale si sentiva responsabile.

-E’ così, non è un caso che a riprendersi siano stati prima i sopravvissuti alla Battaglia delle 12 Case!

Aveva aggiunto Shiryu, non sbilanciandosi più di tanto, come sempre.

-Sono comunque Cavalieri d’Oro, si riprenderanno presto, vedrete!

Li aveva incoraggiati Ikky, burbero, facendo sentire la sua vicinanza a suo modo.

Hyoga aveva solo abbassato lo sguardo, non aggiungendo più nulla.

 

Si sarebbero ripresi perché erano Cavalieri d’Oro… ma Camus seguitava ad essere privo di coscienza, il respiro mozzo, stentato. Hyoga, una notte, lo aveva scoperto fino al basso ventre, permettendosi di toccare quella pelle che, in circostanze normali, avrebbe irradiato calore, ma che, sotto le sue dita, in quel momento, appariva semplicemente come il permafrost, sebbene ben più morbida. Il suo maestro aveva sempre avuto la pelle chiara, delicata, come piume di cigno, ma in quel frangente emanava un pallore mortale, da spaventarlo a morte.

Fosse stato Shun, avrebbe potuto riscaldarlo con il suo cosmo, ma il suo era portatore di gelo, non di tepore…

Fosse stato Ikky avrebbe usato il suo potere per farlo stare meglio, ma il suo lo avrebbe solo ghiacciato di più, procurandogli altro dolore…

Fosse stato Shiryu, infine, il più saggio del gruppo, avrebbe trovato una soluzione, invece di piangersi addosso, ma era Hyoga, e la sua esistenza era maledetta, poteva solo portare il male, come aveva già fatto…

“Maestro...” gli aveva infine sussurrato, soffermandosi sul suo ampio petto che manifestava il respiro tramite movimenti brevi ma sempre più regolari, e sui suoi muscoli, ben delineati e giustamente proporzionati, che ricordavano delle tiepide colline assolate.

Si era infine messo nel letto con lui, recuperando le coperte e abbracciandolo nel tentativo di cedergli un po’ di calore corporeo, perché esso era la vita, la discrepante tra morire di ipotermia o aggrapparsi all’esistenza con tutto sé stesso. Lo era in Siberia. Lo era anche lì, in quelle terre baciate dal sole.

“Maestro, per favore, svegliatevi...” gli aveva infine sussurrato, addormentandosi poco dopo. Al suo risveglio, le sue preghiere erano state accolte, perché la prima cosa che scorse, sebbene piegata dalla stanchezza, era stato lo sguardo del suo maestro, che, utilizzando tutte le forze difficoltosamente recuperate, gli sorrideva con affetto, accarezzandogli teneramente una guancia.

“Hyo-Hyoga, s-sei... qui.” aveva biascicato, scostandogli uno dei ciuffi dalla fronte con gesto lento ma delicato. I suoi occhi lo abbracciavano con quella forza e intensità che le sue stesse braccia, ancora pesanti, non potevano utilizzare, ma Hyoga lo poteva percepire, l’amore che provava per lui, perché Camus sosteneva di essere freddo, ma era capace di amare come nessun altro, di proteggere i suoi affetti più di quanto gli concedessero le sue reali forze. Era un essere speciale.

Quella avrebbe dovuto essere una rinascita, un ricominciare daccapo, per loro due, ma i problemi erano iniziati da lì, da parte del Cigno. La coscienza gli mordeva peggio di un cane inselvatichito, spingendolo ad allontanarsi proprio da colui con cui invece avrebbe voluto ricostruire tutto.

“La ferita all’occhio sinistro ti fa ancora male?”

Il Cavaliere del Cigno si riscosse dal viale dei ricordi, tornando in sé, al presente, e a Camus, che era lì accanto a lui e si stava piano piano ristabilendo. Affogò gli ultimi pensieri nel suo inconscio.

“Sì, Maestro, ma il dolore si è molto attenuato nell’ultimo periodo, soprattutto dopo ieri sera, penso che presto potrò nuovamente aprirlo!” lo rassicurò, sentendosi sempre a disagio, ma recuperando un po’ di sicurezza nella voce.

Camus annuì, alzandosi in piedi e scrutandolo fin dal profondo, l’espressione come sempre fiera, con quella luce brillante negli occhi che riservava solo alle persone del suo mondo.

“Sdraiati, Hyoga… vado a prendere i medicinali e poi torno a medicartela ancora una volta, vedrai che nel giro di poco la vista sarà completamente ristabilita!” gli disse, dirigendosi all’esterno della stanza.

Hyoga fece quanto chiesto, sospirando sonoramente. Le erbe medicinali e gli unguenti portati direttamente dalla taiga siberiana, avevano sempre avuto del miracoloso, non per niente il suo maestro era sciamano dei ghiacci, conosceva dei rimedi, sconosciuti alla medicina tradizionale, che erano prodigiosi. Sorrise tra sé e sé nel ricordare il saporaccio di alcuni intrugli che aveva fatto bere a lui e Isaac per farli guarire dalla polmonite che avevano contratto nel primo, per Isaac secondo, anno di allenamento. Gli mancava quel periodo… gli mancava terribilmente!

Camus tornò poco dopo, vestito con una canottiera e dei pantaloni leggeri, recando con sé l’occorrente. Hyoga era sempre sdraiato sul letto, le braccia leggermente aperte, gli occhi chiusi. Iniziò il suo operato.

Avvertì il suo maestro togliere le bende, girandogli poi il volto per osservare meglio la vecchia ferita, ancora visibile nella parte alta della palpebra. Poco dopo un batuffolo imbevuto di qualcosa che non era disinfettante, gli veniva passato sopra con estrema cura, sempre in religioso silenzio, il loro miglior modo di comunicare.

Hyoga avrebbe potuto aprire l’altro occhio per vedere l’espressione assunta da Camus, ma provò invece ipotizzarsela, ben consapevole di quello che stava passando il suo maestro in quel periodo. Si immaginò così le sue labbra mentre si inclinavano in giù, in una smorfia di assoluto contegno che però celava la sua reale tristezza e malinconia. Era stato sempre un tipo malinconico, lui, di una tristezza ben tangibile e che avrebbe voluto trattare in qualche maniera. Il tutto era peggiorato dopo la morte di Isaac, allievo caro e mai dimenticato e, ancora di più, dopo la rinascita, esacerbandosi fino all’inverosimile.

 

Maestro, eravate al mio fianco quando Isaac me la procurò… siete sempre stato al mio fianco da quel giorno che le nostre Aurora Execution si scontrarono l’una contro l’altra, strappandovi il calore di questa vita. Vi ho sempre percepito, in me, sempre, anche quando, durante lo scontro con Poseidone mi avete dato ausilio dell’armatura d’oro, ma, mi chiedo… cosa rammentate di quei momenti? Ricordate le cose come sono successe? Oppure, con la vostra rinascita, tutto si è annichilito nelle tenebre della morte?

So così poche cose di voi, Maestro… si possono contare sulla punta delle dita e, ancora meno, sono quelle che mi avete raccontato voi di vostra spontanea volontà. Mi domando… Isaac invece le sapeva? Sapeva tutto di voi? E Milo?! Avete un cuore immenso, maestro Camus, e la fierezza di un Cavaliere tra i più puri, siete sempre stato il mio punto di riferimento, ma io, per voi? Cosa sono stato?! Non ho mai avuto un ruolo mio dentro il vostro cuore, già gremito delle persone per voi importanti: Isaac… Milo… vostra sorella che avete dovuto abbandonare in fasce…

Ecco, non avrei mai saputo di vostra sorella, non avrei mai saputo che, il vostro più sincero sorriso era stato per lei, fuoriuscito come un bucaneve solo nel parlare di lei, malgrado la distanza, malgrado le memorie che vacillavano. Non lo avrei mai saputo, se Milo non me lo avesse raccontato, di quel giorno di marzo del 1995 dove diventaste amici e decideste di sostenervi a vicenda. Sempre.

So così poco di voi, eppure vi vorrei parlare con tutto me stesso, ma siete irraggiungibile, almeno per me. I nostri cuori sono paralleli, vanno in un’unica direzione, ma non si intersecheranno mai, ormai l’ho capito.

 

“Sapete… chi mi ha procurato questa?” gli chiese ad un certo punto, serrando immediatamente la mascella per evitare uno spasmo. Aveva infine deciso di provare a parlare, voleva sapere cosa effettivamente si ricordasse di quella battaglia.

Camus assottigliò a sua volta le labbra e affilò lo sguardo immobilizzandosi per una serie di secondi, prima di riprendere a fare quello che faceva.

“Avevo promesso che il mio spirito sarebbe rimasto al tuo fianco per sempre.” asserì solo, fremendo visibilmente, prima di tornare alla calma.

Dunque lo sapeva. Una parte della sua coscienza era rimasta in lui, permettendogli di proteggerlo e sorreggerlo con il suo cosmo anche da morto.

“E… ce l’avete con me per quello che ho fatto?”

Camus non sapeva se ce l’avesse con lui. Non lo capiva. Una parte della sua coscienza aveva indugiato, rimanendo al fianco di Hyoga, vedendo con gli occhi del suo pupillo e, con quegli occhi, aveva rivisto Isaac, non più il suo, il piccolo e coraggioso Isaac, bensì un Kraken, un mostro marino, che si era allontanato da tutti i suoi precetti per schierarsi con Poseidone e assecondare il suo piano malvagio. Il suo Isaac era morto quel giorno in Siberia nel recuperare Hyoga, carpito dalle correnti del gelido mare, e lui lo aveva abbandonato, pessimo esempio non solo di padre, ma anche di maestro. Tuttavia… era arrabbiato, furioso, lo percepiva, ma con chi in modo particolare?! Con il suo Hyoga, ormai cresciuto? O con Isaac, che si era smarrito, o ancora… con sé stesso?

“Hai fatto ciò che un vero Cavaliere di Atena avrebbe dovuto fare! Non hai nulla di cui pentirti!” affermò solo, cupo.

Non aveva risposto alla domanda, Hyoga comprendeva pienamente la verità dietro quell’apparente silenzio. E sospirò, affranto. Non avrebbe ottenuto il suo perdono, non lo avrebbe mai ottenuto…

“Maestro, la mia domanda era un’altra, la morte di Isaac...”

“NON VOGLIO PARLARE DI ISAAC, HYOGA!”

Tacque, sgomento, e sentì il bisogno di piangere, un po’ come, la prima volta che si erano incontrati, aveva avuto l’impellente bisogno di sfogarsi in quella maniera, al solo udire le parole di quello che sarebbe stato il suo maestro. Camus gli aveva detto, senza mezzi termini, che inseguendo quel sogno insulso di rivedere la madre deceduta, sarebbe morto lui a sua volta. Non si diventava Cavaliere per coloro che non c’erano più, ma per i vivi, anche Isaac glielo aveva sempre, sempre, ripetuto.

Gli si inumidirono gli occhi, ma si trattenne, stringendo comunque la mano destra nel tentativo di sfiatare, almeno un minimo, quell’immenso peso che lo schiacciava. Tremò vistosamente.

“Scusami, Hyoga… - si riprese dopo poco Camus, visibilmente sofferente, come di consueto quando veniva tirato in ballo l’altro allievo – Lasciami… lasciami medicare la ferita ora, solo questo conta.”

“D’accordo, Maestro.” acconsentì lui, chiudendo anche l’altro occhi e aspettando di addormentarsi un’altra volta, sperando di trovare un minimo di conforto in un sonno privo di incubi.

 

 

* * *

 

 

Il giorno seguente Hyoga si svegliò tardi, nonostante un raggio di sole penetrasse dalla finestra in camera sua già da un paio di ore. Si alzò a sedere e si stiracchiò, notando che il maestro aveva bendato nuovamente con cura l’occhio ferito. Gli ci sarebbe voluto ancora un po’, per recuperarlo, ma non aveva dubbi che ci sarebbe riuscito, soprattutto in quel momento che era sotto le cure quasi miracolose di Camus. Scese lentamente le scale e lo trovò in cucina, una tazza di latte color marroncino pronta ad aspettarlo sul tavolo (a Hyoga piaceva con il cacao!). Il maestro conosceva bene i suoi gusti, doveva averla appena messa lì nell'avvertire, rapido, i suoi passi, perché era ancora deliziosamente fumante. Gliene fu grato.

“Maestro, non dovevate disturbarvi per questa!” gli disse, sorridendo e prendendo posto sulla sedia. Camus non rispose verbalmente ma ricambiò il sorriso, tornando a concentrarsi sul lavaggio del pentolino. Hyoga si permise di guardarlo. Indossava dei vestiti nuovi, rispetto alla sera precedente, ma il suo outfit era sempre stato abbastanza ordinario, composto da una maglietta, o una canottiera, come quella mattina, e dei pantaloni, soprattutto jeans di colore blu. Non aveva gli scaldamuscoli, troppo calda Atene, ma per un solo istante il giovane allievo fu proiettato ai tempi dell’addestramento, e di nuovo gli si dipinse un sorriso malinconico sul volto.

Terminò il contenuto della tazza, andandolo poi a posare nel lavabo, poco prima di guardare il suo venerato mentore.

“Era di tuo gradimento?” gli chiese Camus, riferendosi al latte. Il Cigno annuì, ricercando le parole per accomiatarsi, perché già aveva pesato abbastanza su di lui.

“Maestro, mi attendono gli allenamenti. Io… io andrei...” accennò, un poco insicuro. Gli occhi di Camus si rabbuiano, ma non disse niente, non fino a quando non udì i passi del suo allievo allontanarsi da lui e dirigersi verso l’uscita.

“To-tornerai?” gli chiese ad un certo punto di getto e un pizzico d’urgenza, voltandosi nella sua direzione. Hyoga si fermò, scoccandogli una occhiata indecifrabile, quasi incredula. Guardò Camus. Camus guardò lui. E cadde il silenzio tra loro. Il Cavaliere del Cigno sbatté le palpebre, inclinando leggermente la testa di lato.

“Sì, certo, verrò a trovarvi uno dei prossimi giorni, se vorrete.” farfugliò, confuso.

Camus sospirò. Non era quello che intendeva. Socchiuse gli occhi, dandogli nuovamente la schiena.

“Va bene. Quando vuoi!”

Hyoga rimase perplesso sullo stipite della porta, confuso da quella nuova freddezza. Era così difficile da capire Camus, a volte. Eppure gli voleva un bene dell’anima.

Un po’ deluso, fece per andarsene, ma alcune voci risuonarono dal corridoio del tempio, chiamando il custode della casa, il quale, posando quanto era intento a fare e facendo un segno a Hyoga, si diresse verso il vociare.

Usciti dagli appartamenti privati, vi trovarono altri quattro Cavalieri d’Oro privi delle rispettive armature dorate: Shaka, Dohko, Aiolia, che sorreggeva…

“Aiolos!” esclamò Camus, colpito nel rivederlo dopo tanto tempo. Anni. Quindici, per esattezza.

“Camus… - gli sorrise di rimando l’altro, evidentemente stremato, non mascherando però la solita dolcezza nella voce – Da quanto tempo! Sei… sei così cresciuto!” si complimentò poi, socchiudendo gli occhi sfiniti.

Erano rinati tutti i Cavalieri d’Oro, Hyoga glielo aveva detto, appena risvegliatosi, mentre ancora tremava tra le coperte del letto, scosso dai brividi, però… vi era stato un prezzo per ognuno di loro e, per alcuni di loro, era stato ingente: gli anni persi non sarebbero più tornati indietro, per nessuna ragione. Per Aiolos, quegli anni, corrispondevano a 15. Un’eternità. Si era spento da ragazzo, si era risvegliato già uomo, quasi trentenne. Eppure sorrideva in quella maniera limpida e serena, così come se lo ricordava. Fiero e puro. Non era in grado di reggersi da solo, complice la lunga immobilità a cui il suo corpo era stato costretto, ci pensava Aiolia a fargli sa sostegno, gli occhi brillanti nel sentire quel corpo contro di sé.

“Camus, è bello rivederti! Sembra che tu ti sia ripreso, sono contento per te!” lo salutò affabile Shaka, aprendo i suoi occhi celesti, genuinamente felice di poter tornare a discorrere con lui non come nemico.

Il Cavaliere dell’Acquario non resse a lungo quello sguardo, abbassandolo subito dopo. I ricordi della battaglia avuta con la Vergine, in cui lui, Shura e Saga furono costretti ad usare l’Atena Exclamation, lo investirono con prepotenza, facendolo vergognare del suo stato. Si erano già chiariti prima di scomparire al Muro del Lamento, va bene, ma lui non aveva ancora smesso di fare a pugni con i suoi demoni.

“Penso tu sappia, perché devono essere passati i soldati semplici i giorni scorsi ad avvertirti, che oggi si è indetta una riunione importante al tredicesimo tempio a cui dobbiamo partecipare tutti. Gli altri sono già là!” passò alle spiegazioni Dokho, accennando un passo nella sua direzione.

Camus strinse i pugni e mantenne lo sguardo basso, non sapendo bene come agire. Non aveva idea che si fosse indetta una riunione. Non aveva più aperto a nessuno dopo essersi ripreso dagli effetti dell’Aurora Execution, preferendo rimanere isolato da tutto e tutti. Solo il suo allievo era stata un’eccezione, per lui la porta era sempre aperta. Non aveva più visto nessuno, non aveva più parlato con nessuno, ad eccezione del suo amato Hyoga. In quel momento trovarsi lì era come stare in mezzo alla folla che, del tutto indifferente, passava al suo fianco, non vedendolo neppure. Non si sentiva più degno di niente e nessuno, solo la solitudine aveva bisogno di ricercare. Limpidamente.

“Ecco, io… non ne sapevo niente!” ammise alla fine, trovando interessante guardare la colonna accanto a lui. Dohko strabuzzò gli occhi, sinceramente sconvolto da quella rivelazione.

“Come?! Un uomo attento e meticoloso come te?!”

Camus ringhiò sommessamente tra sé e sé.

 

Un uomo attento e meticoloso come me… che ne volete sapere, vecchio Maestro?! Non è rimasto nulla, in me, di ciò che ero, è tutto finito a pezzi. Non so più chi sono, non so nemmeno se sono mai stato qualcuno, a dire il vero, tutto ciò che mi rimane di ciò che ho fatto di buono è in Hyoga, nient’altro! Non so nemmeno perché sono di nuovo vivo, non lo riesco a capire… Perché proprio io?! Come posso meritarlo???

 

Shaka parve capire il turbamento interiore del suo vecchio amico, pertanto, appoggiando una mano sul polso di Dohko, con l’ovvio intento di fermarlo da parlare, si rivolse poi all’Acquario.

“Camus, va tutto bene, sei ancora scombussolato, è più che normale! - lo tranquillizzò con voce delicata, per fargli capire che intuiva ardentemente il suo turbamento, che era più che umano – La riunione verterà sulle armature, immagino tu sappia...”

“L’armatura dell’Acquario, e le vostre, sono state distrutte nella battaglia dell’Elisio, non hanno più un’utilità!” ribatté solo, apparentemente freddo, mentre Hyoga, sentendosi in colpa, abbassò lo sguardo. Effettivamente erano arrivati lì tutti con l’uniforme da combattimento, cinque segni dell’eclittica avevano rimediato gravi danni nella guerra contro Hades, era impossibile poter riutilizzare quelle corazze che erano corse in aiuto dei Cavalieri di Bronzo.

“...Allo stato attuale è corretto. Ma forse non sai che il Grande Mu, il Nobile Shion e gli amici Cavalieri d’Oro sono già tredicesimo tempio per farle rinascere!” gli sorrise Shaka, accennando un passo.

“Co-cosa?”

“E’ così, amico mio, inoltre, ora che siamo finalmente riuniti, un nuovo patto sorgerà tra noi, potremo davvero combattere come un tutt’uno, come non c’è stato possibile fare in tutti questi anni!” lo incitò Aiolia che, dopo aver ritrovato il fratello, sembrava aver recuperato pienamente l’ottimismo che lo contraddistingueva da piccolo. Tutto l’esatto contrario di Camus, che invece continuava a guardarli con la solita alterigia che celava un grosso turbamento interiore. Per un istante gli parve di ritornare il bambino di 5 anni attraverso il quale era giunto lì, straniero tra i futuri Cavalieri, non comprendendo nemmeno la loro lingua.

Il gruppetto si appropinquò a lui, sorridendogli raggiante, felici di poter tornare a parlare insieme. Di tutta quella gioia Camus percepì solo uno sconforto crescente in lui. Nient’altro.

“Porta anche il giovane Hyoga con te, già che è qui, ha meritato di indossare l’armatura dell’Acquario e, insieme agli altri Cavalieri di Bronzo, ha compiuto imprese sovrumane!” lo stimò Dohko, sorridendo raggiante e dandogli grosse pacche sulla schiena come a volersi complimentare di una impresa magnifica.

 

Per forza… li avete lasciati soli ad affrontare Poseidone, non è che avessero molte alternative! Dei semplici Cavalieri di Bronzo… avrebbero dovuto essere protetti da noi Dorati Custodi, invece è andato tutto a catafascio, a cosa è quindi servita la nostra esistenza?!

 

Camus non disse niente di quei pensieri, limitandosi ad annuire e a seguirli, giacché non c’erano alternative, a quanto pareva. Non aveva nessuna voglia di raggiungere gli altri, ma doveva, era un ordine dello stesso Shion.

Giunti al tredicesimo tempio, si meravigliarono che il procedimento fosse già ampiamente iniziato, gli altri Cavalieri d’Oro erano intenti a offrire il loro sangue per le armature da riparare, tutti, nessuno escluso, persino Mu che, insieme a Shion, doveva far tornare le vestigia al loro antico splendore. Sussultarono tutti e cinque, mentre Hyoga fissava ammirato il procedimento; lo sguardo di Camus navigò alla ricerca di quello dell’amico Milo, lo vide, il suo cuore perse un battito e, per un solo istante, ebbe l’impulso di precipitarsi a vederlo per osservare se in lui ci fosse stato qualche cambiamento in quell’anno abbondante in cui era morto, ma il Cavaliere di Scorpio era concentrato a non perdere il controllo, ciò permise all’Acquario di recuperare il contegno che era stato spazzato via dal suo viso famigliare al solo incrociare ancora una volta la sua figura.

“Shura! Saga! - Aiolos, li chiamò, in evidente apprensione nel vederli perdere sangue dai polsi – Non dovreste fare sforzi di questo tipo! Eravate in condizioni pessime, quando siete tornati alla vita, Aiolia me lo ha riferito, così rischiate la vostra vita per me!”

“Aiolos… - la voce di Saga era rotta, manteneva il suo sguardo basso, del tutto incapace di guardare colui che aveva tradito – Tu hai perso 15 anni della tua vita a causa della mia smania, qualsiasi cosa faccia ora, non posso più rimediare al male che ti ho causato... questo, però, permettimi di farlo: aiutare a riparare l’armatura del più glorioso tra i Cavalieri d’Oro!” disse solenne, gli occhi ricolmi di ammirazione.

“Sa-Saga...”

“Aiolos, i nostri peccati non saranno mai cancellati: tu avevi visto molto più in là di me, che mi basavo solo sulla forza che pensavo equivalesse alla giustizia… sono stato un folle, assolutamente non degno di essere il sacro custode della spada Excalibur, né… di essere tuo amico… - si aggiunse anche Shura, carico di rimorso – Permettimi… permettimi di essere almeno questo per te: uno strumento per riportare in vita la tua sacra vestigia!”

“Oh, Shura… - biascicò ancora Aiolos, incassando la testa tra le spalle e lasciandosi andare ad un silente pianto, poco dopo rialzò il viso, rischiarato dalle calde lacrime che lo rendevano più luminoso – Grazie, siete degli amici...”

Annuirono teneramente, prima di tornare a concentrarsi sul da farsi. Il processo era quasi ultimato, i cinque Cavalieri d’Oro capirono che avevano iniziato già da un po’ per non farli preoccupare ancora di più sulle loro condizioni. Aiolia guardava, con un pizzico d’attesa, Milo e Mu, che sembravano abbastanza provati per quello che stavano facendo alle armature dorate di Leo e Aquarius, e si chiese se lo sforzo, per uomini appena risorti, non fosse troppo.

Prese parola Shion, neo-risorto nel suo corpo giovanile, alzando le braccia sopra le spalle. La tunica del Grande Sacerdote sventolò alla brezza leggera, mentre, cinque bagliori dorati, le armature appena ricostruite, si sollevarono di un paio di metri dal pavimento.

“Cavalieri, con oggi, 4 giugno del 2011, non rinascono, e non si rinnovano, solo le armature che hanno coraggiosamente difeso Seiya e i suoi compagni ai Campi Elisi, finendo distrutte, ma anche il patto fraterno tra noi, imperituro, che però non ci è stato possibile assolvere fino ad ora. Io prometto, come Grande Sacerdote designato dalla Nobile Atena, di essere al vostro fianco nelle prossime battaglie, di sostenervi, e di farvi da guida con tutte le forze che ho ritrovato in corpo, cercando il più possibile di garantire la vostra sicurezza. Voi promettete di perseguire sempre e comunque la giustizia, difendere i più deboli e dare tutti voi stessi nelle lotte che saranno a venire?”

“CERTAMENTE!” esclamò Milo, in tono possente, cercando di non mostrare la debolezza che avvertiva nel tremore delle gambe.

“Con tutti noi stessi, Nobile Shion!” affermò a sua volta Mu, determinato.

“E promettete, Cavalieri, che stavolta combatterete uniti, consci del legame fraterno tra voi e nella fiducia del prossimo, esattamente come i leali e coraggiosi Cavalieri di Bronzo ci hanno dimostrato?”

“CERTO!” urlarono tutti i Dorati, entusiasti, tranne Camus, il quale rimaneva corrucciato e chiuso in sé stesso.

“Stavolta… stavolta non perderò più la via, sarò davvero come un dio benevolo, non smarrirò più la giustizia!” ripeté con sempre più convinzione Saga, stringendo i pugni con foga innaturale.

“Bene, miei Cavalieri, se siete pronti alla lotta… che le armature smarrite tornino ai loro sacri custodi!” ordinò Shion, alzando un dito, prima di dirigerlo verso coloro che le armature non le avevano.

Cinque fasci di luce si recarono su di loro, avvolgendoli interamente. Hyoga spalancò le iridi cristalline, del tutto affascinato da quell’evento. Le armature d’oro erano rinate a nuova, e palpitante, vita, sfavillavano quasi, contente di tornare ao loro legittimi custodi.

Sagitter su Aiolos.

Leo su Aiolia.

Libra su Dohko.

Virgo su Shaka.

Aquarius…

Hyoga sbatté più volte le palpebre, incredulo. L’armatura di Aquarius era completamente ricostruita, stava, ben formata ad anfora, ai piedi di Camus, che però non l’aveva indossata. Il suo maestro sorrise appena, socchiudendo gli occhi.

“C-Camus, hai interrotto la risonanza con la tua armatura, perché?” gli chiese Shion, facendo ricadere le braccia lungo i fianchi, inerti. Nel sagrato del tempio si diffusero esclamazioni di sorpresa mista all’incredulità, prima di diventare dei veri e propri schiamazzi e interrogativi.

“Camus, perché?!?” volle sapere Milo, stringendo la mano sana fino a farsela sbiancare. Quelle erano le prime parole che gli rivolgeva dopo tanto tempo, dopo che le sue dita si erano mosse nel desiderio di strozzarlo, ricordo ancora tangibile in entrambi.

“Perché non sono più io… il Cavaliere dell’Acquario!” lo accontentò placido Camus, riaprendo gli occhi e fissando intensamente Hyoga.

“Ma-Maestro...”

 

Credete forse che lo possa essere io, Maestro? No, l’armatura è vostra, io l’ho solo presa in prestito per vostro stesso volere, non ho alcun diritto di indossarla! Voi ne siete il legittimo custode!

 

“Sommo Shion, il ragazzo è ben più degno di me di indossare Aquarius, lo ha dimostrato più volte, inoltre padroneggia lo Zero Assoluto, a me ancora precluso, se qualcuno merita quella carica, quello è lui...”

Shion si massaggiò le tempie, sospirando affranto, prima di apprestarsi a parlare.

“Camus...”

“CAMUS, COSA CAZZO STAI DICENDO?!?” tuonò invece Milo, imbestialito, sovrastando tutti, limpidamente furioso come non mai.

“Nobile Shion… - riprese l’Acquario, facendo come se nessuno avesse parlato, poiché Milo era un amico sincero, lo era sempre stato, ma alcune scelte spettavano a lui solo – Concedete al ragazzo di diventare Cavaliere d’Oro, vi supplico!”

“L’ARMATURA HA SCELTO TE, PORCA MISERIA, NE SEI TU IL CUSTODE, NESSUN ALTRO!” gridò ancora Milo, esagitato come non mai, alzando i pugni nella sua direzione. Se avesse potuto avrebbe stretto le sue dita, ancora una volta, su quel niveo collo da quanto era fuori di sé, ma un vistoso capogiro lo privò dell’equilibrio. Se Mu non lo avesse sorretto, sarebbe finito a terra.

“Milo, ora calmati, sei ancora molto debole, non ti fa bene reagire così!” lo avvertì pacatamente l’amico, accucciandosi al suo fianco per sorreggerlo.

“Io… io ho dato il sangue per lui, affinché avesse una seconda possibilità, non posso accettare che lui la rifiuti, solo perché si reputa un fallito! - tentò di fargli capire il suo stato, snervato – SEI PROPRIO UN COGLIONE, CAMUS!” inveì ancora, prima di prendere un profondo respiro e tentare di calmarsi. Tentare, visto che non era facile.

“Non posso accettare la tua richiesta, Camus, non perché non conosca il valore del ragazzo, ma bensì perché tu sottovaluti il tuo, ed è un vero peccato!”

“Ma…! Hyoga...”

“Maestro – intervenne allora l’allievo, sorridendo teneramente al mentore, sebbene imbarazzato – Vi ringrazio per reputarmi pronto ad assumere un simile onere e onore, ma… io sono già il custode di Cygnus, e poi… non vi è nessuno più degno di voi, per quel ruolo!”

“Hyoga...” fece per opporsi ancora Camus, ma l’armatura, producendo un bagliore luminoso più intenso del normale, si scompose, per poi posarsi naturalmente sulle sue membra.

Camus percepiva Aquarius pulsare intensamente in lui, la sentiva carica di un nuovo potere caldo e rassicurante. Ne riconobbe il cosmo di Milo, e gli si spezzò il fiato nel petto. Era incredulo, sembrava quasi spaventato, mentre, con intensità crescente, si guardava le braccia, il busto e le gambe, ammirando di nuovo quell’armatura sul suo corpo così fragile, come una seconda corazza, oltre a quella che già utilizzava, composta da uno spesso strato di gelo, tra sé e il mondo.

Hyoga si permise di spalancare la bocca ammirato nel vedere l’imbarazzo e la sorpresa del suo maestro, sembravano fatti uno per l’altro, lui e Aquarius, che si posava con così tanta naturalezza su quel corpo così delicato, L’armatura era composta da linee eleganti e dotata di motivi, sulla foggia, altrettanto meravigliosi e austeri; quei due zaffiri blu poi, dello stesso colore degli occhi di Camus, sembravano brillare di luce propria, un po’ come le sue iridi.

“E’ l’armatura che sceglie, dovresti ben saperlo! - gli sorrise Shion, felice di rivederlo nel pieno del suo fulgore – Sembra che questa, in particolare, strepitasse dalla voglia di riaverti con sé… Camus...”

L’interpellato non disse niente, ancora troppo scioccato per riuscire a parlare. Non era più abituato a vedersi ammantato d’oro, era una sensazione più che straordinaria.

“Lo avevo detto: nessuno si confà a quel ruolo più di voi, Maestro! L’armatura sembra fatta apposta per coprire il vostro corpo, quasi come se ci foste nato dentro – mormorò Hyoga, del tutto sincero, anche se con un pizzico di tristezza – Aquarius è degna della meravigliosa persona che siete!”

Camus lo fissò, ancora preso dal procedere degli eventi, poi gli sorrise, di quei sorrisi ampi e sinceri che riservata solo alle persone che amava profondamente, per un istante tutto svanì, c’erano solo lui e il suo pupillo, nessun altro.

“Grazie… mio degno successore!” gli disse, franco, un poco più sereno nello spirito.

 

 

* * *

 

 

4 giugno 2011, pomeriggio

 

 

Hyoga se ne era andato come aveva detto, tornando agli allenamenti per diventare sempre più forte e fiero del ruolo che possedeva come Cavaliere di Atena, Camus non ne era contrario, affatto. Era un bene per il ragazzo avere un obiettivo da perseguire, a differenza sua, che si trovava lì, perso, nel vuoto. Una vita che non aveva chiesto, ma che aveva riottenuto. Una vita cui obiettivo gli sfuggiva. Non c’era nessuna via per il marinaio che non sapeva dove andare.

Quello stesso pomeriggio si era ricordato che doveva chiedere alcune cose al Sommo Shion, dubitava di poter ottenere delle risposte, ma allo stesso tempo nutriva il forte desiderio di parlare con qualcuno. Non Milo, che non poteva osare neanche sfiorare con una fugace occhiata; non Aiolos, non ancora ristabilito; non Hyoga, che aveva già tanti problemi da affrontare e meritava un po’ di quiete, pertanto la scelta era caduta sul Grande Sacerdote. E così Camus dell’Acquario, con indosso le vestigia che lo avevano riaccolto e avvolto come in un abbraccio, si stava recando al tredicesimo tempio, la testa affollata di pensieri, i passi decisi e le orecchie concentrate sul suono lontano di un temporale in avvicinamento e che, da lì a poco, si sarebbe riversato sul marmo candido. Poco male, presto le precipitazioni sarebbero diventate sempre più rare, meglio accogliere la pioggia finché sarebbe scesa, dono degli dei.

La testa era altrove, mentre lentamente incedeva lungo le scalinate tra l’undicesimo e il dodicesimo tempio, ma un rumore di passi in discesa lo mise immediatamente sul chi vive, facendogli raddrizzare la schiena e alzare il capo. E lo vide. Colui che non avrebbe mai più voluto vedere. Camus dell’Acquario si pietrificò, prima di nascondere tutto nella sua, solita, rigida compostezza.

Kanon, il fratello di Saga, neo-risorto al pari degli altri, stava andando nella direzione contraria, scendendo i templi invece di salire. Non indossava altro che la propria tenuta di allenamento, l’armatura era tornata da Saga, degno proprietario malgrado tutto, ma la rivalità tra loro sembrava scemata. Sembrava.

Non erano comunque fatti di Camus, né i rapporti tra i due fratelli, né dove pensasse di andare ora che era risorto. Che andasse al diavolo e tanti saluti, pensava, mentre, senza degnarlo di uno sguardo, lo oltrepassava senza proferire parola. Purtroppo Kanon non era della stessa opinione.

“Piacere di rivederti con la tua armatura, degno possessore di Aquarius!” lo salutò, nel tono più cordiale che gli riusciva, sebbene non riuscisse a mascherare quel sorriso irriverente che gli solcava le guance. Non ottenne risposta, inutile dire che quello, per lui, fu un motivo più che sostanziale per continuare a parlare. Non era tipo da far cadere i discorsi.

“Suvvia, Camus… un saluto non si nega a nessuno, sebbene ben sappia che non ti vada a genio. Il che è strano, hai accettato Saga, alla fine, potresti farlo anche con me. Il tuo migliore amico Milo lo ha fatto, è grazie a lui se ho potuto cominciare il mio percorso di redenzione!” tentò di attirare la sua attenzione, fermandosi e voltandosi nella sua direzione, che già Camus era andato bene avanti, di 5 o 6 scalini. A quell’ultima frase si bloccò, ma non si girò, gli dava la schiena con sdegno, la postura rigida.

“Non mi sembra che io e te abbiamo qualcosa in comune, Kanon, fratello di Saga. - volutamente non gli diede l’appellativo ‘di Gemini’, in fondo non lo era, non lo era mai stato – Quindi spiegami perché dovrei perdere tempo con te quando ho faccende più urgenti alle quali dedicarmi...” lo freddò, acido, palesando il suo fastidio crescente.

Kanon sbuffò, quasi ilare, aspettandosi una reazione così dal Cavaliere d’Oro prossimo allo Zero Assoluto, tuttavia neanche quello lo fermò, trovandovi invece l’espediente per continuare il discorso.

“Sbagli, Cavaliere, a dire che non abbiamo nulla in comune, io e te, abbiamo una persona… - lo corresse, gli occhi puntati nella sua direzione. Gli dava ancora le spalle per il momento – ...Isaac di Kraken!” soffiò di getto.

Neanche il tempo di finire il nome per intero, che una folata di vento gelido gli sferzò la faccia, le scalinate sulla sua sinistra si ghiacciarono istantaneamente, mentre il colpo, non diretto a lui ma lanciato per avvertimento, andò a cozzare contro una colonna, distruggendola in mille frammenti. Si era infine voltato a guardarlo, le pupille blu che emanavano bagliori affatto rassicuranti.

“Tu quel nome non lo devi neanche nominare, soprattutto non accostato a quell’abominio! Fallo ancora una volta e il prossimo colpo te lo do dritto in faccia, congelando il respiro che hai difficoltosamente riacquistato con questa patetica vita!” gli sibilò contro, in tono basso; paurosamente basso, non per questo più rassicurante, anzi!

Kanon rimase sostenuto nella sua posizione, leggermente impietrito da quei due occhi blu che, in quel momento, emanavano una violenza senza pari. Quei due occhi… era come se tutta la rabbia inespressa per anni potesse sgorgare da lì, irriducibile. Nessuno avrebbe potuto niente contro di lui, non in uno stato simile.

“Temo dovrò farlo… era un argomento di cui volevo parlarti da un po’ e ora che si è presentata l’occasione...”

“Non si è presentata alcuna occasione! Sparisci dalla mia vista, Kanon, e vai dove vuoi, ma non starmi intorno, o non posso garantire le mie azioni, né la tua sicurezza!”

“Cosa ti brucia così tanto, Camus? Il fatto che il ragazzo abbia scelto da solo da quale parte schierarsi?! O il fatto che pensi di non essere stato un degno maestro per lui?!?”

“ISAAC NON HA SCELTO CONSAPEVOLMENTE, TU LO HAI INGANNATO! - era totalmente fuori di sé, impossibile calmarlo – Per cui non raccontarmi storie, non doveva finire così, NON DOVEVA! Isaac sarebbe dovuto diventare Cavaliere di Atena, come aveva sempre voluto, non finire nelle volgari schiere di Poseidone!” aggiunse, stringendo i pugni e serrando le palpebre, preda di un dolore ben vivido e mai dimenticato.

Inganno. Kanon sorrise amaramente a quella parola. Già, molti lo definivano tale, il raggiratore di dei, cosa che in effetti aveva fatto, piegando il dio dei Mari al suo controllo e tramando alle sue spalle, ma non era quello il momento di pensarci.

“Ho ingannato Poseidone, è vero… ma Isaac ha scelto consapevolmente di schierarsi dalla parte del dio dei Mari!” ripeté, più serafico possibile.

“MENZOGNE!”

Camus non voleva, e forse neanche poteva, accettarlo, ma era l’amara verità, questa, una parte di lui ne era consapevole, perché era lampante, dagli occhi esperti di Kanon, il suo pallido tentativo di rifiutare e rigettare quella tesi, senza però averne i mezzi per farlo.

“Pensi che il tuo pupillo si sia schierato subito con Poseidone?! Pensi che abbia ottenuto l’armatura appena giunto ad Atlantide?! - gli chiese retoricamente lui, portandolo ad un ragionamento diverso – Non è così, Camus! E’ stato scelto subito dal Kraken, è vero, ma era conciato male, quando è arrivato, gli ho dovuto estirpare l’occhio, altrimenti si sarebbe infettato, e ho atteso… atteso che guarisse, atteso che prendesse una decisione… fosse stato chiunque altro lo avrei costretto con la forza, sai che ne sono capace, al pari di Saga, ma lui no, venivamo dalla stessa condizione, entrambi dovevamo essere in un altro schieramento, avevo rispetto per lui!”

Camus a quelle parole, non ribatté nulla, pareva quasi tornato alla calma, ma Kanon sapeva che, quell’apparente tranquillità, era data dal semplice fatto che Camus, dentro di sé, soffriva. Soffriva nel sentire le condizioni dell’allievo quando era giunto negli abissi. Soffriva nello sforzarsi di comprendere le ragioni che avessero spinto Isaac a cambiare strada. Soffriva per la sua perdita. Soffriva.

Kanon sorrise amaramente. Per lui, che leggeva bene il cuore umano, e poteva anche manipolarlo all’occorrenza, quelli come Camus erano una preda facile, poiché non c’era nulla di più fragile di una solida montagna di ghiaccio che, credendosi invincibile, aveva dimenticato che gli sarebbe bastata della semplice acqua, più fluida e più adattabile, per farla sciogliere e franare inevitabilmente. Ma Kanon era cambiato, era in cerca di redenzione, e quest’ultima passava anche per Isaac, per la loro storia… e quindi per lo stesso Camus.

“Era un ragazzo molto sveglio, immagino tu lo sappia, visto che lo hai fatto crescere. Da quando ci siamo conosciuti, ha sempre nutrito dubbi su di me, il suo ideale di giustizia era incrollabile, era degno di essere tuo allievo! - lo elogiò, franco – Poco prima che iniziasse la guerra contro i Cavalieri di Bronzo, scoprì il mio segreto. Mi disse che ‘odoravo’ di Cavaliere, non uno qualsiasi, ma un Dorato Custode, e che era facile per lui saper discernere un cosmo d’oro, avendo avuto come mentore l’uomo più puro e giusto che avesse mai conosciuto: tu! Avrei potuto ucciderlo, allora, ma non lo feci, quindi mi limitai ad usare la Galaxian Explosion con intensità limitata, alla quale lui mi rispose con il suo colpo, pareggiando. Rivelai la mia identità e, credo che, nella sua testa, a quel punto fu chiaro cosa avessi fatto, ma combatté comunque con tutte le sue forze!”

“Ha sempre dato il massimo, il mio Isaac, era nella sua natura farlo. Lo hai ingannato, Kanon, questo non può cambiare, sia che mi racconti tutta la storiella, sia se non lo fai… hai finito ora? O devo stare qua ancora ad ascoltarti?” gli domandò aspramente, torvo come non mai. Non c’era verso di fargli cambiare idea.

“Proprio non ti va giù che, il tuo Isaac, come lo chiami tu, abbia scelto consapevolmente la propria strada, secondo il suo ideale di giustizia. Eppure credo che ti abbia parlato del Kraken già prima di finire ad Atlantide, ma tu non vuoi capire, preferisci essere cieco, raccontandoti la favoletta che, a quanto pare, non era capace di intendere e volere ed è stato plagiato. Il tuo Isaac è cresciuto, ficcatelo bene in testa, crescendo è cambiato, tutto qui! Questo non è un tuo fallimento.”

“Cosa ne vuoi sapere tu, di fallimenti?!?” gli soffiò, sinistro, nuovamente sul punto di saltargli addosso, ormai non era rimasto più nulla della sua apparente compostezza.

“La mia vita è stata un fallimento, fino alla redenzione di Milo, direi che ne so abbastanza, Mago dell’Acqua e del Ghiaccio!” ribatté, pronto, occhieggiandolo.

Camus strinse ancora i pugni, sempre più iracondo, non riusciva a calmarsi, non riusciva a darsi pace, colpa di quel demone che continuava a sussurrargli all’orecchio. Atena, Milo, Saga, e gli altri Cavalieri d’Oro lo avevano perdonato, lui no, non avrebbe mai potuto.

“Kanon… - decise di rompere il silenzio, alla fine, faticando non poco a pronunciare quello che gli era venuto in mente – Dov’è il corpo di Isaac?”

“Non lo so.”

Gli tremò un sopracciglio. Stizzito. E, ancora una volta, lo guardò astioso.

“Ti sentiresti meglio se ti dicessi che è stato portato via dalla corrente oceanica dopo la caduta delle sette colonne?!”

“No.”

“Ecco, e allora accontentati di quello che ti ho detto prima!”

“E perché tu sei qui, invece?”

“Io non sono morto ad Atlantide.”

“Ma sei morto dopo… come molti Cavalieri d’Oro. – gli disse, poco prima di prendere un profondo respiro e continuare – Io sono morto prima di lui, perché io sono qui, e lui no?”

“Camus, non sappiamo chi ci ha riportato in vita e per quale scopo, i progetti divini, o delle forze sovrumane, non si possono controllare, questo l’ho imparato a mia spese. Goditi questa nuova possibilità senza porti domande senza risposta!”

“E Isaac non meritava una seconda possibilità?!” si lasciò sfuggire ancora Camus, in preda ad uno sconforto crescente.

“Come ti ho detto… i piani sovrumani non sono intelligibili, ma sapremo il motivo della nostra rinascita presto, vedrai...”

 

Sei un abile oratore Kanon, questo è sicuro, potresti raggirare persino un dio, non mi meraviglia che Poseidone sia caduto nella tua seduzione, ma io non riesco, davvero non riesco a vivere senza avere una risposta alle domande che mi ronzano in testa. Perché sono rinato? Perché io sì, ed altri no? Perché tu hai ancora diritto di percepire il calore sulla tua pelle, il vento tra i capelli, quando al mio Isaac, questa possibilità è stata preclusa?! Non meritava, lui, una seconda possibilità?! Non la meritava, forse?! Tu hai ingannato un dio e sei qui, lui è… perso… neanche il suo corpo mi è possibile ritrovare. Oh, Isaac…

 

A quel punto l’allegro confronto avrebbe anche potuto esaurirsi così, Kanon aveva da fare, Camus probabilmente pure, ma il Cavaliere di Gemini aveva da dire ancora una cosa.

“Sai che cosa spinse Isaac, infine, a schierarsi con Poseidone?” gli chiese, ancora più serio di prima.

“No, e le tue parole, per me, valgono zero, Kanon! Ho già le mie teorie a riguardo, mi...”

“E’ stata la battaglia intestina delle 12 Case e… - prese una breve pausa, chiudendo e riaprendo gli occhi – La tua morte, Camus!”

“Co-cosa?!”

“Credeva sinceramente negli ideali che professavi anche tu, nella tua idea di giustizia, Camus dell’Acquario… eri la persona che ammirava di più, il suo punto di riferimento, il suo esempio da seguire con tutte le sue forze. Tuttavia quando combatteste contro i Cavalieri di Bronzo, la sua natura cambiò, si disse che non era concepibile quello, non era concepibile che uno schieramento, che avrebbe dovuto essere unito e fare fronte comune per inseguire la giustizia, finisse per consumarsi in una lotta intestina capace solo di dimezzarne le schiere, e ciò accadeva perché Atena era debole.”

Camus taceva, il suo cuore aveva perso un battito, poi un altro, e un altro ancora. Gli sembrò di morire un’altra volta nell’udire del suo Isaac, mentre immagini diverse affollavano la sua mente, come una visione…

“Più ancora era inaudito che Hyoga avesse ucciso il proprio maestro, e che quest’ultimo si fosse fatto uccidere dall’amico, e fratello, di un tempo.”

Gli occhi di Camus erano ciechi a ciò che aveva davanti, non vedeva altri che Isaac, al suo posto, con Kanon, vestito da Dragone Marino, che gli parlava. Era tutto vero. Ne ebbe la certezza.

 

...Le schiere dei Cavalieri di Atena si sono assottigliate, dopo questa battaglia, il momento è propizio per attaccare. Hai preso la tua decisione, Isaac?”

Il ragazzo segnato dalla profonda cicatrice sulla parte sinistra del viso se ne stava seduto per terra, le mani tremanti in grembo, lo sguardo basso, perso. Si sentiva vuoto. Privo di radici. Tutto ciò che aveva pensato di essere era stato spazzato via. Da una delle persone per lui più importanti.

...Si è fatto uccidere, io non… non è possibile!” biascicava, ancora scioccato. Non c’era altra spiegazione, se non quello. Camus era più forte di chiunque, lui lo sapeva bene.

Come, prego?” chiese Dragone Marino, fingendo di non capire.

Il Maestro… no, anzi, Camus… Camus e basta, si è fatto uccidere da Hyoga, colui che avevo salvato, colui per il quale ho rinunciato alla mia vita e a diventare Cavaliere di Atena.”

A quanto pare… le cose non possono essere andate che così, vedi che succede a sacrificarsi per gli altri? Avresti potuto esserci tu, al suo posto, le qualifiche ce le avevi, la forza pure, ben più sviluppata dell’altro ragazzo, ma, quel giorno, scegliesti di salvarlo, e lui, per tutta risposta, ha ammazzato, oggi stesso, colui che consideravi sacro più di chiunque altro… devi sentirti proprio uno straccio!”

La mano destra, tremante di Isaac si posò sulla fronte, nascondendone il viso in un impeto di prostrazione. No, no, no… era tutto sbagliato, Hyoga avrebbe dovuto combattere al fianco di Camus, fronte comune contro i nemici della dea, un tutt’uno, come padre e figlio… e invece… invece Atena era debole, non costituiva una garanzia per difendere la pace su quella bella Terra, altrimenti non avrebbe permesso uno scontro fratricida. No, Atena era una dea sbagliata, una dea debole, incurante dei suoi Cavalieri, inadatta al comando.

Isaac si alzò in piedi di scatto, centrando la colonna lì vicina con un pugno. Non contento di quell’unico assalto, gliene diede altri 5, sfondandola completamente. Non doveva finire così, NON DOVEVA!

Uhmpf, dite di mantenere il sangue freddo, voi guerrieri dei ghiacci, condensate tutto dentro di voi, non è forse così? Poi però esplodete e, quando succede, assumete connotati simili alle bestie feroci. Cosa ti aveva fatto quella povera colonna?! Fortuna che non è uno dei Pilastri Centrali del regno di Poseidone, altrimenti tu, da solo, con questa rabbia, potresti farli crollare tutti quanti, ragazzo, ed essere così un nemico per noi!” lo canzonò tiepidamente, ridendo a quella manifestazione di ira che non gli aveva mai visto. Il giovane Isaac era sempre stato soggetto alla rabbia, questo Kanon lo percepiva, probabilmente ciò affondava le sue radici nel passato del ragazzo, visto che la famiglia gli era stata trucidata, ma Camus, il Cavaliere dell’Acquario, aveva ricondotto tutto sotto il vessillo della temperanza. Ora Camus non c’era più, più nulla avrebbe fermato la sua foga. Ed era un bene per loro. Per lui. Tacque, aspettando che fosse il ragazzo a calmarsi, cosa che di fatto avvenne dopo pochi minuti.

Dragone Marino… se… se il piano del Sommo Poseidone dovesse avere successo, davvero lui ricostruirà un mondo privo di tutto questo?! Un mondo simile all’era dei miti, dove regneranno la pace la concordia fra tutte le creature?” gli chiese, recuperando parzialmente la calma, il suo respiro però era ancora accelerato, quasi strozzato.

Lo farà di certo, è un dio nobile e potente sopra ogni dire, è fratello di Zeus e Hades, del resto, le divinità maggiori!”

E… e questo passaggio deve passare per forza dalla distruzione del mondo come ora lo conosciamo?” chiese ancora Isaac, non ancora sicuro di tali misure eccessive. Camus gli aveva insegnato il controllo, la temperanza, la giustizia e, cosa non meno importante, l’equilibrio tra i due estremi, come lui, Sciamano dei Ghiacci, che poteva essere sia una benedizione che una maledizione, ma sempre con controllo e rigore, come la Natura medesima, che non era mai o una o l’altra, ma un insieme tra le due forme, miscelato sapientemente senza eccedere. Tuttavia, Isaac aveva da maestro anche il Kraken, che lo aveva scelto, e lui gli aveva insegnato che non c’era nulla di male nello sprofondare nelle tenebre, se era per una giusta causa, se era… per proteggere i propri cari, o le persone che lo meritavano!

Per forza! - gli rispose Dragone Marino, sorridendo appena – La rinascita completa è possibile solo ove si sia disintegrato tutto. Non si ottiene nulla, né si cambia, a rattoppare le pezze, è necessario morire totalmente per rivivere ancora.”

Isaac sospirò, Dragone Marino aveva ragione, le sue parole avevano confermato in pieno ciò che già saggiava da molto più tempo, ciò che già, da quel giorno in cui erano morti i suoi genitori, aveva accettato dentro di sé, come verità: non si poteva distruggere niente, non si potevano dissipare le tenebre, se non si aveva il coraggio di calarvisi completamente, quasi da affogarci. La creazione non poteva che passare per la distruzione, e lì solo, non c’erano scelte, se non farsi carico di quell’enorme peso. Qualcuno avrebbe dovuto, non per forza avrebbe dovuto essere un Cavaliere di Atena!

 

Camus, che mi siete stato maestro, guardatemi, da dovunque vi troviate... coniugherò ciò che mi avete insegnato con il fervore del Kraken, che condanna con motivazioni giuste senza provare pietà…

- Non ci sono motivazioni giuste con il Kraken, Isaac! Lui disintegra, non solo condanna, lui non si limita a sconfiggere, annichilisce! Qualunque colpa, se sproporzionata alla pena, non può che diventare un ciclo di devastazione che non avrà mai fine. Un Cavaliere di Atena deve elevarsi sopra tutto questo, non cedere all’ira e alla rabbia! Gli esseri umani hanno bisogno di essere protetti, non di essere vessati dalla paura di essere schiacciati! -

Ma io non sono più, anzi, non sono mai stato un Cavaliere di Atena, Maestro…

 

Ricacciò indietro la voce di Camus, rifiutandosi di accoglierla nuovamente nel suo cuore, già dolorante e straziato da troppi lutti, decise di rivolgersi al nuovo obiettivo, alla sua nuova rinascita.

 

A dire queste cose, Maestro Camus, poi si rimane soli… dite di proteggere gli altri, ma chi protegge voi? Nessuno! Siete morto per eccesso di protezione verso Hyoga?! Per il troppo amore che provavate per lui?! Avete parlato tanto, ma siete solo un ipocrita, come tutti gli altri esseri umani. Siete morto per nulla, non permetterò che si ripeta mai più una cosa del genere!

 

Si voltò determinato verso Dragone Marino, il quale, sussultando a quella emanazione cosmica, ne riconobbe l’aura pienamente sviluppata di un Generale dei Mari. Sorrise. Le schiere di Poseidone, anzi, le sue schiere, erano finalmente piene. Non li avrebbe fermati più nessuno, né i sei cavalieri d’Oro rimanenti né i Bronzini. La dea bendata continuava ad irradiare le sue sorti.

Va bene, Dragone Marino, credo alle tue parole e mi unisco alla causa, da oggi sono Isaac… - affermò, risoluto, una scintilla di distruzione negli occhi – Isaac di Kraken!”

 

Camus accolse tutte quelle immagini sempre più nitide più o meno come si accoglieva un pugno nello stomaco, a velocità inaudita, che non ci si aspettava. Stava per crollare a terra, ma si trattenne, ricordando che Kanon era ancora davanti a lui. Non si sarebbe mai piegato con lui lì, MAI! Neanche con nessun altro, a dire il vero, ma ancora meno con lui!

“Quello che dovevo dirti te l’ho detto, Camus, ora ti saluto, sta cominciando a piovere e ho da fare!” fece per accomiatarsi Kanon, facendogli un cenno e voltandosi.

“Quali… quali progetti hai, ora?” gli chiese l’Acquario, il viso pallido, le parole che si articolavano con difficoltà

“Nulla contro Atena, stanne certo! Tornerò di volta in volta, qui al Santuario, non temere, avete già un valido Cavaliere di Gemini, ma il mio percorso di redenzione non è che all’inizio – affermò, cominciando a scendere le scale con lentezza quasi esasperante – Partirò proprio da Atlantide, la proverò a rimettere apposto, visto che si è distrutta a causa mia. Poseidone, Atena… hanno perso tantissimo a causa mia, ora che sono di nuovo in vita, impiegherò questa esistenza per seguire la luce e rimettere i miei peccati. Ti saluto!”

Camus attese. Attese che Kanon sparisse e, dopo di ciò, attese per altri 10 minuti, volendo essere certo che non ci fosse nessuno nei dintorni e che nessuno lo potesse vedere. Poi le gambe cedettero, facendolo crollare a terra, le ginocchiere picchiarono violentemente contro le scale di marmo, un tintinnio nell’aria, prima di essere seguito dal suono di pugni che cozzavano violentemente contro il marmo, uno di seguito all’altro. Il braccio destro di Camus si sollevava più e più volte per sferrare colpi a quelle gradinate che, per lui, in quel momento erano solo una valvola di sfogo. Un pugno. Due pugni. Tre. Cinque. Nove.

Camus continuò, continuò per quella che pareva una serie illimitata di tempo, sempre con maggiore intensità, ne perse la concezione. Si fermò solo quando avvertì il braccio, pur protetto dall’armatura dell’Acquario, congestionato oltremisura, la netta sensazione di quando i muscoli si addormentano, lo stesso insanabile fastidio.

Rimase quindi lì, ginocchioni per terra, la testa incassata tra le spalle, i capelli più pesanti del solito, perché il temporale era infine arrivato ed era nel mezzo di un acquazzone, ma non gli diede peso, riaprendo invece gli occhi nel fissare i danni che aveva causato.

Singhiozzò, l’aria che a fatica entrava nei polmoni, trasmettendogli una nausea crescente. Probabilmente aveva trattenuto il respiro per tutto il processo, ecco perché ora era lì, al limite. Era crollato, ma rifiutava le lacrime, limitandosi a serbare tutto dentro di sé, in quel tumulto che avvertiva ancora teso nel cuore. Singhiozzò ancora un paio di volte, prima di serrare le palpebre, sofferente. Avvertiva solo lo scrosciare dell’acqua intorno a sé, quello lo fece sentire al sicuro, sebbene fragile.

“Perdonami… perdonami per non essere stato un degno maestro per te… Isaac!”

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Eccomi per una nuova (l’ennesima) nuova storia, ma questa sarà breve, tranquilli, 3 capitoli appena, che vedranno, come da introduzione, il focus su Camus, Hyoga e Isaac. Questa nuova fanfic può essere messa prima di “preludio: la fine dell’inverno” ma è accessibile a tutti, anche per chi non conosce la serie.

Sulle note di Parallel Hearts, l’opening di Pandora Hearts, verranno trattati diversi argomenti che concerneranno Camus e gli allievi e che si intersecheranno anche con la mia serie principale, pur rimanendo fruibile a tutti :)

Questo primo capitolo, che vede principalmente Camus e il suo rapporto con Hyoga e Isaac (anche se sarebbe più corretto chiamarle le pippe dell’Acquario e del Cigno XD), ricalca la prima parte dell’opening, anche se non è di immediata intuizione, ma, credetemi, ha senso, dannatamente senso, almeno per come ho reso io il pg di Camus. I “Cuori paralleli” sono quelli di maestro allievo, quello di Camus, quello di Hyoga che, come accennato dallo stesso Cigno in questo primo capitolo (sarò trattato ancora di più nel prossimo), vanno in una direzione univoca, ma paralleli, ciò gli impedisce di toccarsi e di intersecarsi. Sono due cuori che non si possono nemmeno sfiorare, almeno secondo la percezione di Hyoga, che si sente molto più indietro, rispetto ad Isaac e Milo, che invece hanno, a suo dire, un posto d’onore nel cuore del maestro (lo ha anche Hyoga, si vedrà, ma è lampante che il loro rapporto sia molto più problematico!). Ovviamente la traduzione in italiano della canzone l’ho trovata da diverse parti, diciamo che ognuna era un po’ diversa dall’altra, quindi l’ho resa il più funzionale possibile a questa storia.

Grazie come sempre, spero possiate apprezzare anche questo piccolo esperimento di song-fic :)

P.s: Ah, ancora una cosa, il dialogo tra Camus e Kanon ha preso spunto dal capitolo speciale di dicembre, disegnato da Kurumada medesimo, che certifica come Isaac abbia scoperto l’identità di Dragone Marino. Mi sono chiesta: cosa ne deve pensare Camus, di Kanon? E mi sono data una risposta!

 

 

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Capitolo 2
*** Atto II - 11 giugno 2011 ***


La prima volta che ho voluto conoscere qualcosa su di te,

sono stato scoraggiato dalla distanza dei nostri cuori

che non possono unirsi.

Abbiamo compreso che non potevamo capirci,

quindi, con questa consapevolezza,

possiamo ricominciare.

Io vorrei abbracciare le tue lacrime, il tuo dolore, tutto,

ma sento che più corro,

più mi allontano da te

e questo mi spaventa.

Dove dovrei andare?

 

 

 

 

Mamaaaaaaa!”

Il piccolo Hyoga cadde dal letto, picchiando la guancia destra contro il comodino, rimanendo sul pavimento gelido dell’isba, la coperta sopra di lui, che nascondeva completamente il suo corpicino, rendendolo un batuffolo. Restò fermo lì per un po’, aspettando di calmarsi, ben sapendo che il suo maestro non tollerava quelle lacrime. Anche se non aveva che 9 anni. Anche se aveva fatto un brutto sogno sulla sua Mama. Anche se il destino, fino a quel momento, non aveva riservato quasi nulla di buono al bimbo. Non c’erano scuse per le lacrime. Unica alternativa era diventare forte e rigettarle indietro, come il passato.

Alla fine Hyoga si alzò in piedi, la coperta ancora addosso come protezione, cominciando a vagabondare per la camera. Era ancora rintronato dal sonno, ma si muoveva per cercare conforto dalla persona per lui più importante.

Papà, dove sei?” biascicò, mezzo addormentato, stropicciandosi gli occhi ancora appiccicosi. Anche se il piccolo non era completamente vigile, quell’appellativo era diretto a Camus, non certo al suo vero padre biologico.

Perché il piccolo Hyoga lo aveva conosciuto quel vecchio che avrebbe dovuto chiamare papà, e che invece sembrava un nonno. Perché Hyoga lo aveva conosciuto per volere di Mama, e lui aveva accettato solo per non recare dispiacere alla giovane donna, ma quando si erano incontrati nessuna parola affettuosa c’era stata per lui, nessun tocco, nessun conforto. Semplicemente lo aveva trattato con freddezza, neanche fosse stato un appestato, e il solo pensare che con quel vecchio decrepito ci condivideva il sangue, era stato per lui motivo di orrore e sconcerto. Non avrebbe mai più voluto a che farci con quello. Mai.

Erano infine tornati a casa in Russia, lui e sua madre, ma poi c’era stato quell’incidente, il tentativo disperato di sua madre di salvarlo, a prezzo della sua stessa vita. E tutto si era concluso. Era rimasto solo al mondo, con un vecchio che avrebbe dovuto essere nonno e invece era padre. Era rimasto da solo, lui, un nome, un augurio di diventare più forte per rompere la spessa lastra di ghiaccio che lo teneva separato da sua madre, alla quale voleva ricongiungersi.

 

Dovresti diventare un Cavaliere di Atena, bimbo, per compiere il miracolo che ti sei prefissato…

 

Cavaliere di Atena. Sarebbe diventato Cavaliere di Atena, sì!

E tutto era ricominciato, con Isaac, fratello acquisito. E Camus. Camus…

Camus era sciamano dei ghiacci, malgrado la giovane età. Un prodigio, si diceva. Un miracolo. Era alto, snello e statuario, dagli strani capelli color blu che gli scendevano fino alle scapole, liscissimi, ma che sopra la testa formavano uno strampalato cespuglietto; i muscoli rifiniti, un’altezza considerevole malgrado gli appena 15 anni di età. Tutti gli portavano rispetto, sia grandi che piccini.

Per Hyoga, dal basso della sua statura, era un gigante, così maestoso e di bell’aspetto, così forte e nobile al solo apparire. Era ancora un adolescente, era vero, si erano conosciuti l’anno prima, eppure… eppure ogni tanto, nel sonno, lo chiamava ‘papà’, ma mai personalmente. Lo considerava davvero tale, del resto, nonostante la poca differenza di anni, nonostante suonasse strano. Per Isaac era lo stesso, lo sapeva, perché parlavano molto del maestro durante le notti, o nei momenti di riposo. Isaac, poi, trattava di lui con la massima serietà e devozione: nessuno poteva dire maldicenze sul suo conto, nessuno, farlo sarebbe equivalso al suicidio, perché l’onore di Camus non si toccava, era da scellerati il solo pensare il contrario. Hyoga non poteva che concordare con lui.

Non Mitsumasa Kido era suo padre, non quel vecchio schifoso, ma Camus dell’Acquario ricopriva quel ruolo, lui, nessun altro.

Papà...” lo richiamò, sempre assonnato, essendo sceso al piano di sotto, ma non avendolo trovato nel proprio letto. Ciò lo mise in allerta, risvegliando piano piano tutti i suoi sensi da aspirante Cavaliere.

A quel punto si svegliò completamente, sinceramente preoccupato dalla sua assenza. Il maestro era solito allontanarsi da lì per recarsi al Santuario di Grecia, ma era inusuale che in piena notte non fosse nel suo letto. Il piccolo ingoiò automaticamente a vuoto, dirigendosi verso l’uscita dell’isba con il cuore a mille. La vita lo aveva già privato di tutto, proprio per questo ebbe un timore viscerale, precipitandosi poi fuori, in mezzo al freddo. Ebbe l’istinto di chiamarlo a viva voce, ma compiuti pochi passi sul permafrost, riuscì a individuare una figura a poca distanza da lì, seduta sul ghiaccio, riconoscendola come quella del maestro. Sorrise rassicurato, compiendo i primi movimenti, un poco impacciati, per avvicinarsi a lui, ma in pieno atto si bloccò di nuovo, sentendosi inaspettatamente un intruso: Camus non era da solo.

Maestro, stanotte è il momento giusto per vedere la costellazione dell’Acquario? Per questo mi avete svegliato?” chiedeva a raffica Isaac, nel pieno della sua iperattività, saltando di qua e di là per attirare su di sé lo sguardo dell’amato maestro. Pareva una trottola irrefrenabile da quanto pendeva dalle sue labbra.

Sì, Isaac, ma ora acquietati un attimo, se ti muovi come un furetto non riuscirò a concentrarmi abbastanza per individuarla e mostrartela!” lo avvertì Camus, franco, facendogli poi cenno di sedersi al suo fianco. L’allievo, con l’argento vivo addosso, seguì docile, inginocchiandosi di fianco a lui ma continuando a muoversi persino da fermo. Eccitato.

Camus sorrise tra sé e sé, dirigendo i suoi occhi verso l’orizzonte. Era da quando aveva trattato di Aquarius che Isaac voleva assolutamente vedere la costellazione che li avrebbe protetti, non c’era stato giorno che non glielo avesse chiesto, ma non era mai il momento propizio, per cui aveva rimandato fino a quel momento: l’autunno era ormai iniziato da un pezzo, il cielo era limpido e sgombro da nuvole, difficilmente avrebbero avuto una seconda occasione. La costellazione di Aquarius era un po’ come lui, sfuggente ad occhi umani non sufficientemente esperti, eppure di considerevoli dimensioni. Amava celarsi, soprattutto nell’Emisfero Boreale, occorreva una certa bravura per distinguerla.

Allora, Maestro? L’avete trovata?”

Ancora un attimo, Isaac!”

Ok!”

...”

E adesso l’avete trovata, Maestro?”

Isaac...” sospirò Camus, constatando che l’allievo esuberante non si sarebbe calmato finché non l’avesse trovata.

Potete farcela, Maestro, io credo in voi!” si mise poi a fare il tifo, ciondolando con la testa.

Grazie per l’incoraggiamento, ma...” ridacchiò, disteso.

Ma cosa? Vi sfugge? Credete in voi, Aquarius risponderà al suo degno custode!” continuò ad incoraggiarlo, vivace, sempre più irrefrenabile.

Ecco, mi daresti un grande aiuto, se...”

Sì, Maestro, contate su di me! - trillò, felice dalla richiesta del mentore – Io vi aiuto! Come? Sono tutt’orecchi!”

...se, tanto per cominciare, la smettessi di tirarmi per un braccio!”

Solo a quelle parole il piccolo si rese conto che effettivamente, forse a causa dell’emozione, aveva preso a trarlo a sé, come valvola di sfogo a tutta quell’attesa che gli faceva temere di non riuscire ad individuare la costellazione. Così, mormorando parole di scusa, si rimise composto, trattenendosi da continuare a compiere movimenti. Arrivò al punto di non respirare nemmeno, cosa che gli riusciva bene, visto i frequenti allenamenti in acqua. A Camus non sfuggì quel gesto, pertanto, sciogliendo la muscolatura, poggiò le mani dietro di sé, sorridendo alla volta celeste.

Puoi tornare a respirare, soldo di cacio, l’ho individuata!”

COSA?! Quando, Maestro?”

Già da un po’, al dire il vero...”

Isaac era incredulo, sbigottito, aprì la bocca, protestando.

Ma voi mi avevate detto che...”

Dissimulavo di non averla trovata per insegnarti, ancora una volta, che nella vita, un po’ di attesa è sempre necessaria!”

Oh… - bofonchiò Isaac, arrossendo a dismisura, prima di riprendersi nell’immediato – Mi avete giocato!” esclamò, allegro, buttandosi a capofitto tra le braccia del maestro, gesto che, lo sapeva, lo avrebbe irrigidito, cosa che infatti avvenne, come di consueto.

Ed io sapevo che avreste reagito così, Maestro! - si prese la sua rivincita, ghignando tra sé e sé, gli occhioni rivolti verso il suo profilo sorpreso avvolto dall’oscurità ma rischiarato dalla volta celeste – Ma l’ho fatto comunque, per farvi capire che, ogni tanto, le relazioni interpersonali possono passare anche attraverso il contatto fisico, e che non c’è nulla di male in questo!” gli cantilenò, affondando il suo visetto nella sua giacca. Faceva molto freddo in Siberia, di notte, persino a fine settembre.

I-Isaac… - mormorò Camus, imbarazzato, permettendosi di sfiorargli i capelli con le dita lunghe e sottili, gesto breve, ma sentito, prima di portare l’attenzione del piccolo oltre – Guarda là, vicino all’orizzonte, quella è la costellazione dell’Acquario!”

Isaac si mise comodo sulle ginocchia del maestro, prima di dirigere i suoi occhioni verdi laddove l’indice di Camus puntava. Affinò lo sguardo, prima di individuarla concretamente, così lontana ed eterea, così grossa, anche se scarsamente illuminata. Il maestro gli indicò tacitamente tutte le stelle una ad una, tracciando un percorso che il piccolo seguiva docilmente, ricolmo di speranza. Quella era la costellazione della sua famiglia, sua, di Camus, di Hyoga, il suo destino sarebbe ruotato intorno ad essa, ma, proprio per quel motivo, se la aspettava molto più abbagliante. Si appoggiò infine con la schiena contro il busto del maestro, rilassandosi completamente nel percepire il suo calore corporeo.

E’ bellissima, ma… me la immaginavo più… più… meno...”

Meno anonima?” finì per lui Camus, aspettandosi una reazione simile. Effettivamente Aquarius, per essere uno dei dodici segni zodiacali, era discretamente insulsa, se paragonata alle altre costellazioni, come per esempio quella dello Scorpione, che brillava sgargiante in cielo grazie alla rubina Antares.

Isaac annuì, cupo, ma poi riuscì a trovare di nuovo il buonumore, pensando ad una caratteristica che invece gli piaceva molto.

Sì, me la aspettavo più luminosa, sì, ma non ha importanza… è una costellazione molto grossa, fatta di molte stelle, ben si adatta a voi…” lasciò la frase in sospeso, sorridendo sornione.

Si adatta a me? Perché?” chiese Camus, incuriosito.

Perché si maschera davanti agli altri, risultando poco luminosa, ma in verità è grandissima, come il vostro cuore! - gli confidò, alzando le braccia per mostrare esaustivamente cosa intendesse – Solo una costellazione grande come lei può contenere tutte quelle stelle; solo un cuore immenso come il vostro può considerarsi il più puro e giusto tra gli uomini!” gli disse, felice.

Oh, Isaac… - si raschiò la gola Camus, prima di riprendere il controllo di sé, perché quella frase lo aveva emozionato, ma non poteva darlo a vedere. Non troppo. - Credo che tu mi stia sopravvalutando...”

Isaac non diede peso a quell’ultima frase, rannicchiandosi meglio nel grembo del suo maestro, il quale teneva appoggiate entrambe le mani sulle sue spalle, sebbene fosse molto impacciato.

Maestro, Hyoga ed io siamo una di quelle stelline, per voi? Avete difficoltà a rivelare le vostre emozioni, ma io lo posso ben avvertire che, anche se non fisicamente, ci abbracciate con quella stessa intensità con cui la costellazione dell’Acquario abbraccia le sue stelle...”

Il piccolo cominciava ad avere sonno, le manine erano intirizzite dal freddo, ma non voleva darlo a vedere a Camus, voleva dimostrare quanto era diventato forte, solo quello contava.

Isaac… per me siete molto più che semplici stelle, tu e Hyoga, ma come paragone rende davvero bene...” mormorò, ancora in forte imbarazzo.

Mmhm...”

Camus gli toccò una delle due manine, avvertendola rigida e gelida. I rigori notturni di quel luogo erano ancora un eccessivi per il piccolo, ma ovviamente non lo voleva dare a vedere, sempre intento a dimostrarsi degno del maestro.

Hai freddo?” gli chiese, togliendosi di riflesso la giacca, prima di adagiarla sopra di lui, che si stava addormentando appoggiato alle sue gambe.

Va tutto bene, Maestro, ci siete voi qui con me, percepisco il vostro tepore… - farfugliò, intontito, sempre più addormentato e sempre meno vigile – Ditemi… ditemi il nome della stella più brillante di Aquarius, se la sapete...”

Sì, si chiama Sadalsuud… quasi tutte le stelle dell’Acquario hanno nomi arabi”

Isaac lo trovò divertente e rise, stringendo le manine sul tessuto dei pantaloni del mastro.

Che nome strambo!” commentò, sistemandosi meglio e sprofondando ancora di più il visino nel suo grembo.

Ma non è la mia stella preferita”

E quale… quale sarebbe?” domandò ancora Isaac, con la voce sempre più impastata dal sonno. Non aveva quasi più freddo, merito dello straordinario calore che emanava il maestro, che poteva riscaldarlo ovunque, persino in una gelida landa abbandonata da tutte le divinità, forse persino ad anni luce di distanza. Quel tepore… lo avrebbe rammentato per sempre!

Sadachbia, ‘la stella fortunata delle cose nascoste’, secondo alcuni, ‘la stella fortunata delle case’, secondo altri, ma entrambi i significati sono molto importanti per me...” gli confidò, sorridendo appena, abbassando poi lo sguardo su di lui.

Isaac non rispose, perché si era placidamente addormentato appallottolato come un gatto sulle sue gambe, le braccia piegate naturalmente, a nascondere parte del visetto sereno. A Camus venne un moto di tenerezza, mentre si permise di accarezzargli delicatamente i capelli, prima di prenderlo dolcemente tra le braccia e avvicinarlo al petto, in un gesto molto simile ad un abbraccio, possibile in quel momento solo perché il piccolo dormiva. La testa del bimbo si posò naturalmente sulla spalla del Cavaliere, il quale gli spostò dalla fronte uno dei ciuffi ribelli.

In ogni caso, è una stella fortunata, ti sarà di buon auspicio, mio piccolo Isaac!” gli sussurrò ancora all’orecchio, sereno, prima di alzarsi e apprestarsi a rientrare nell’isba.

Hyoga, rimasto in disparte, ma ben vigile, ad ascoltare il loro dialogo lì dietro, ancora con la coperta addosso, sussultò nel percepire il movimento di Camus e, cercando di fare meno rumore possibile, si voltò, ritornando a tutta fretta dentro casa. Quasi inciampò sulle scale nel risalirle, prima di buttarsi a capofitto nel letto e nascondersi lì sopra, tremante. Non riusciva a controllarsi, ma il maestro sarebbe presto giunto lì, riportando Isaac nel letto, lui non poteva farsi trovare sveglio, né tanto meno con quelle lacrime che gli imperlavano le palpebre e quei singhiozzi che a forza affogava in gola. Camus sarebbe arrivato a breve, e lui era avvinghiato dalle emozioni che avrebbe dovuto far tacere, in un modo o nell’altro. Si portò le gambe al petto, le guance bagnate.

Pochi istanti dopo entrò Camus, accompagnando la porta dietro di sé per non fare rumore. Hyoga si immobilizzò, sperando che lo scambiasse per addormentato. Sentì il maestro adagiare il suo fratellino nell’altro letto, rimboccandogli poi le coperte, il tutto sempre stando ben attento a non fare troppo rumore. Una volta ultimato il processo, avrebbe dovuto andarsene, concedendosi anche lui un po’ di riposo, ma non lo fece, non subito, rimanendo invece a guardare con insistenza il mucchio di coperte che celava il corpicino del piccolo Hyoga. Qualcosa lo tratteneva lì, pensieroso, alla ricerca di un qualsiasi indizio che potesse confermare il suo sentore. Il biondo stette immobile, un brivido lungo la schiena: che lo avesse scoperto? Quasi trattenne il respiro, stava ancora piangendo, se Camus avesse discostato le coperte lo avrebbe visto e sgridato, non voleva. Non voleva con tutte le sue forze. Oppose una strenua resistenza.

Hyo-Hyoga, tu…? - chiese all’oscurità della stanza, compiendo qualche passo in direzione del secondo letto, la mano protratta davanti a sé. Ma si fermò, sospirando – Sarà stato… un abbaglio!” si disse, uscendo poi dalla camera dei due allievi per concedersi un po’ di riposo. Nessuna carezza.

Hyoga stette ancora lì, avvertì i suoi passi sempre più distanti per poi scomparire del tutto. Buttò fuori l’aria, accorgendosi che stava trattenendo il respiro e, insieme a quello, un singhiozzo, poi un altro.

Si sentiva solo, anche se sapeva di non esserlo, rimpiangeva quel tocco che avrebbe tanto desiderato ma che non gli era stato dato, né aveva avuto la forza di esigere, come invece riusciva a fare sempre Isaac, perennemente intento a buttare giù quel muro di apparente ghiaccio. Lui, al contrario, non ne era in grado.

Pianse, soffriva di malinconia, gli mancava Mama, le sue carezze, la sua dolcezza, ma ancora di più soffriva nel percepire la distanza tra sé e il maestro. Insanabile. Incolmabile. Il rapporto tra Camus e Isaac era così forte, così speciale, cosa aveva lui in meno? Cosa aveva per non meritarsi anche lui un po’ di affetto? La testa gli prese a far male, vittima di pensieri che non erano neanche del tutto corretti, lo sapeva, ma non riusciva ad opporsi.

Quella notte si sarebbe conclusa così, in attesa che il giorno portasse via quel malessere insopportabile. Quella notte si sarebbe conclusa così, con le lacrime di Hyoga grandi protagoniste sulle guance del piccolo, come un rio che prendeva vita solo dopo una enorme tempesta.

 

 

* * *

 

 

11 giugno 2011, allo scoccare della Mezzanotte

 

 

A 7734 km di distanza, in un altro tempo lontano 2446 giorni in avanti, anche gli occhi del giovane Hyoga si spalancarono nell’oscurità, gremiti di quel liquido che avrebbe dovuto estirpare da sé già da parecchio tempo, ma che invece continuava ad essere parte integrante della sua stessa essenza. Si asciugò velocemente la faccia, scoprendosi nella stessa identica posizione che aveva quando, quella lontana notte, ancora bambino, si era domandato più volte cosa avesse lui di sbagliato per non riuscire ad entrare nel cuore del maestro, così agevolmente come ci era riuscito invece suo fratello Isaac.

Sospirò, dirigendosi verso la finestra e soffermandosi a guardare la città sotto di lui, inondata da quelle luci artificiali, chiassosa fino all’insopportabile, tutto il contrario della piccola isba siberiana, minuta, confortevole, in mezzo al nulla, ma deliziosamente calda e intima.

Posò la mano sul vetro tiepido, che rifletteva la sua immagine incupita, facendolo sentire ancora più lontano e fuori da sé. La città era tutt’altro che immobile, soprattutto in quella stagione, un sonoro rumoreggiare arrivava persino lì, malgrado lo stesso Hyoga avesse preso in affitto una trilocale vicino all’Acropoli proprio per cercare di ritagliarsi uno spazio intimo e silente. Ma ad Atene era impossibile.

Si strofinò, l’occhio ingiuriato, sentendolo prudere e accorgendosi che, forse per la vecchia ferita, quello continuava a lacrimare, sebbene il cervello avesse dato l’ordine di smetterla con quella sceneggiata. Tutto inutile. La palpebra era, sì, infine guarita, la cicatrice quasi non si vedeva più, ma ancora gli pulsava terribilmente, continuando a rammentargli le ragioni per cui se l’era procurata. Giustamente.

 

Forse non voglio veramente che guarisca, tutto qui. Farlo sarebbe come infangare la memoria di Isaac, andare avanti senza di lui, dopo averlo ucciso non una, ma due volte, e non potrei più perdonarmelo!

 

Pensò tra sé e sé, tornando al letto e coricandosi trasversalmente, una mano sopra la fronte e lo sguardo fisso sul lampadario spento. Si ritrovò di nuovo a tremare, scosso.

Non era più tornato al Santuario, rifiutava di tornarci, dopo i fatti accaduti il 4 giugno, dopo aver visto il Maestro Camus discorrere con Kanon di Gemini e lasciarsi cadere a terra, non opponendo resistenza davanti alle gocce di pioggia che cadevano dal cielo, senza minimamente muoversi da quella posizione, come un meritato castigo per i suoi peccati. Per non essere stato all’altezza di Isaac.

Sospirò un’altra volta, gettando un occhio al cellulare che aveva sul comodino, per lo più inutile, dato che ai messaggi e alle chiamate non rispondeva, isolandosi dal mondo.

Camus aveva provato a chiamarlo, i primi giorni, con una insistenza quasi paterna, ma appurando poi che non avrebbe ottenuto risposta, aveva smesso, abbandonando il cellulare di Hyoga a sé stesso. Ogni tanto si illuminava ancora, quell’affare, ma il Cigno aveva deciso di non considerarlo, relegandolo lì. Ormai non si ricordava neppure quando è che lo avesse ricaricato.

Tornò a fissare il soffitto, il petto cavo, ad immaginarsi nuovamente il Maestro inginocchiato per terra, raso al suolo dal dialogo avuto da Kanon. E si ricordò, si ricordò di come, dalla sua posizione da dietro la colonna, annullando il proprio cosmo, avesse visto l’espressione ricolma di dolore di Camus, scrosciante d’acqua. Il suo profilo, che giungeva alle sue iridi parziale, era tirato in un’espressione sofferente, le labbra dischiuse, i denti stretti, le guance bagnate dalla pioggia, e forse anche dalle lacrime. Hyoga non aveva più retto a quella visione, ed era corso via, non sapendo minimamente cosa fare per alleviargli il dolore. Il cuore di Camus era sfuggente, precluso a tutti, soprattutto a lui. Il Cigno non aveva la benché minima possibilità di afferrarlo. Non poteva. Non avrebbe mai potuto. In più, ne era sicuro, farsi vedere in quella tenuta sarebbe stato uno smacco per il suo maestro, non glielo avrebbe mai perdonato, pertanto, soverchiato dallo stesso senso di colpa, desiderando farsi sommergere a sua volta dallo scrosciare delle pioggia, se ne era andato, tristo, subendo anche su di sé la punizione del cielo senza opporsi.

Da quel giorno non si erano più visti, Hyoga si era reso irrintracciabile, e Camus, alla fine, lo aveva accettato, non provando neanche più a chiamarlo.

La verità era che, se avesse potuto, se solo ne avesse avuto la possibilità, si sarebbe precipitato da lui, supplicandogli in ginocchio di riaccettarlo come allievo. Ma ciò non poteva essere consentito, doveva espiare le colpe di cui si era insozzato, per farlo, non poteva meritare la felicità con il suo maestro, la persona più importante della sua esistenza. Semplicemente vi erano situazioni irrisolvibili, né più né meno. Semplicemente le ferite aperte dovevano essere cauterizzate con dolore; e tale dolore pagava pegno con la sua infelicità.

Hyoga non seppe, con certezza, quanto tempo rimase lì a cogitare, percepì appena gli occhi richiudersi, le palpebre farsi pesanti e cadere finalmente in una sorta di Purgatorio tra la veglia e il sonno. Seppe solo che, quasi all’improvviso, il campanello suonò, facendolo sobbalzare di riflesso, il cuore accelerato. Si stiracchiò le gambe, avvertendole addormentate, poco prima di dirigersi verso la porta nel chiedersi chi fosse a quell’ora. Guardò attraverso lo spioncino, indeciso se non rispondere o mandare direttamente al diavolo il tizio, ma quando, dal foro, riconobbe un viso famigliare, il suo cuore perse un battito. Aprì la porta, le mani tremanti.

“Sh-Shun?” chiese, ancora del tutto incredulo, incrociandosi con l’espressione gentile dell’amico di sempre.

“Ciao, Hyoga! - lo salutò cordialmente il Cavaliere di Andromeda, prima di approcciarsi naturalmente a lui con un abbraccio, perché sembravano passati secoli dall’ultima volta che si erano visti – Perdona l’ora ma… l’aereo diretto qui ad Atene ha avuto un ritardo di 4 ore, non era mia intenzione svegliarti in piena notte, ho provato a chiamarti, a scriverti, ma non rispondevi, hai forse il cellulare rotto?” gli spiegò poi, sorridendogli con dolcezza. Hyoga era ancora stordito dal suo arrivo, ma felice di vederlo, a stento riusciva a mascherare il sorriso.

“Che… che sorpresa! Ti… ti credevo con June in Giappone e… entra pure!” acconsentì, facendogli spazio, aggiungendo poi di fare come se fosse a casa propria.

“Sì, ero con June, ma è da giorni che avverto le increspature del tuo cosmo, non sembri affatto in forma. Per questo, appena sono riuscito a trovare il primo volo disponibile, mi sono precipitato qui. Stai… psicologicamente male, vero? Eppure non dovresti, Camus non è forse…?”

“Vuoi qualcosa da bere?” gli chiese il Cavaliere del Cigno, fermando quel monologo anzitempo, riottoso come sempre a dare spiegazioni.

“Non vorrei darti fastidio, Hyoga, sono qui solo per...”
“Non mi darai mai fastidio, Shun, sei mio fratello… come potresti crearmi problemi?” gli chiese retoricamente, sorridendo appena.

“D’accordo, allora… potrà sembrarti una richiesta strana, visto che siamo nella stagione calda, ma ti andrebbe di farci un tè e due chiacchiere tra amici? E’ da tanto che non succede...” gli propose Shun, in faccia la solita espressione gentile, il tono dolce, esattamente ciò di cui Hyoga aveva bisogno.

Il Cavaliere del Cigno era grato all’amico, in un modo difficile da spiegare a parole, ancora di più era arduo per lui, che di emozioni ne aveva tanti ma incastonati nel petto, restie a liberarsi. Shun era la sua antitesi, a lui era sempre così facile disvelare i propri sentimenti, non importava se fosse passato per debole, non importavano le prediche del fratello maggiore Ikky, lui era così, nutrito di quella forza che a lui era preclusa, munito di quel calore che Hyoga non riusciva a dare.

Un tale marasma di emozioni, lo portava ad essere anche molto sensibile nei confronti del prossimo, l’amico riusciva bene a leggere nel cuore di chi aveva davanti, provando quello strano fenomeno che veniva chiamato empatia, il mettersi nei panni degli altri. Di tutti gli altri, ma di Hyoga soprattutto. C’era un legame profondo tra i due.

Questo pensava il biondino mentre preparava il tè all’amico, ritrovandosi sorprendentemente più leggero nell’animo rispetto a prima, ed era tutto merito della presenza insperata di Shun, che si era recato lì, sobbarcandosi un viaggio estenuante solo perché avvertiva le increspature del suo cosmo. Hyoga si disse fortunato ad avercelo come amico, in una esistenza che per troppi anni aveva creduto maledetta e indegna di essere vissuta.

Tornò poco dopo in soggiorno, dove si era accomodato il Cavaliere di Andromeda, con due tazze fumanti di tè alla liquirizia, che sapeva gli piacesse particolarmente, e dei biscotti adatti allo scopo di essere inzuppati con il liquido e pienamente assaporati. Si sedette davanti a lui, mentre Shun, ringraziandolo calorosamente, prese il vassoio e lo portò sul tavolino.

“Hai proprio ragione… è da tanto che non parliamo tra noi, sembra passato un secolo dalla lotta contro Hades, da quando tu… sei stato posseduto dal dio… - riprese il discorso di prima, un brivido lungo la schiena a parlare di quell’argomento – E’ strano come, nella vita di un Cavaliere, i momenti di pace scorrano quasi senza accorgersene, come se ci fossimo fermati anche noi. Siamo stati insieme a lungo, noi Cavalieri di Bronzo, abbiamo compiuto imprese eroiche e, proprio adesso che potremmo comportarci da ragazzi normali, ognuno ha preso la propria strada, come è anche giusto che sia… anche se è un po’ triste...” si confidò, rimpiangendo, in parte, i momenti in cui erano tutti insieme.

“Hai proprio ragione, ma… l’amicizia tra noi non è affatto scemata, anzi! Anche Shiryu dovrebbe venire ad Atene domani o nei prossimi giorni. Voleva venire con me, ma aveva delle incombenze con Shunrei e il Maestro dei 5 Picchi, come puoi immaginare...”

“Shiryu… anche lui verrà qui?”

Shun sorseggiò tiepidamente il tè, prima di riporre la tazza, ancora piena, sul tavolino e scegliere uno dei biscotti. Il sapore intenso della liquirizia gli solleticava il palato, ma non era affatto spiacevole, anzi era la ragione per cui lo amava così tanto.

“Sì… eravamo preoccupati per te, Hyoga, per ciò che avvertivamo provenire da te, sembravi... sconfortato e spaurito, vero? Sappiamo bene che volevi passare del tempo con il tuo Maestro Camus, appena ritrovato, per questo il tuo stato ci ha insospettiti, dovresti essere… felice, non è forse così? E invece… - prese una breve pausa, guardandosi intorno nel controllare se ci fosse qualcuno – Piuttosto, lui dov’è? Mi aspettavo di trovarvi insieme!” chiese poi, non trovandovi nessuno.

“Al Santuario, a presiedere la sua casa… - rispose solo Hyoga, discostando lo sguardo, la tazza fumante era ancora lì, vicino alla sua mano tremante – Shun, tu come stai? Come va con June? E con Ikky?”

“Io sto bene, Hyoga, mi sto godendo la tanto sospirata pace e mi sento felice. June ed io, sai, abbiamo deciso di far crescere qualcosa sull’isola di Andromeda, abbiamo preso una casa, e ci auguriamo che, prima o poi, possa tornare ad essere un luogo ospitale anche per gli altri aspiranti Cavalieri – disse, sempre gentilmente, prima di addentare un biscotto e gustarlo. Attese di finire di masticarlo prima di riprendere il discorso – Con mio fratello Ikky va molto bene, come sai, lui è un solitario, ma viene a trovarmi tutti i week-end, o quasi, non facendomi sentire solo. Sono fortunato… ad avervi tutti quanti!”

“Anche io… lo sono!” si lasciò scappare Hyoga, sorridendo appena, ma non fu che un attimo, perché infatti le sue labbra tornarono a formare una linea retta, i suoi occhi, dopo quel breve fascio luminoso, tornarono scuri, irraggiungibili.

 

Anche io sono stato fortunato a nascere, come vostro fratello, in un’epoca come questa. Sono stato fortunato ad avere una mamma che mi amasse, al punto tale da sacrificare la sua vita per me. Sono stato fortunato ad essere cresciuto con Isaac e con Camus, ad avere avuto proprio loro due a tracciarmi la via. Sono stato fortunato ad essere posto sotto l’ala protettiva di Milo, che aveva mille e più ragioni per odiarmi, e che invece si è preso cura di me quando il Maestro non poteva più. Infine… sono stato fortunato a riavere Camus con me, avere una seconda possibilità con lui, a poter ricominciare daccapo. Eppure… eppure non sto facendo assolutamente nulla per accorciare la distanza tra noi. Sto correndo. Nel vuoto. E non so dove sto andando… ho solo la netta sensazione, come in fanciullezza, che più tento di avvicinarmi a lui, più lui si allontana. Tendo la mano, vorrei trattenerlo, ma non riesco, mi sfugge… mi sfugge sempre di più e… fa male!

 

“E tuttavia non sei felice… Hyoga...”

Il Cavaliere del Cigno si riscosse a quell’ultima frase, pronunciata accoratamente e densa di dispiacere.

“S-Shun...”
“Sai, Hyoga, ti ringrazio per preoccuparti di me, ma non sono qui per questo. Piuttosto vorrei sapere come stai, come stai TU, mi capisci?” gli chiese, prendendogli delicatamente una mano tra le sue e guardandolo con quei due occhi che sembravano quasi dei fanali nella notte, una speranza a cui aggrapparsi.

“Sto male...” bofonchiò Hyoga, che tanto al compagno non aveva senso mentire, lui capiva e percepiva, fin troppo, ma le parole non erano comunque facili da pronunciare.

Shun ridacchiò tiepidamente ma con educazione, approcciandosi ancora di più all'amico.

“Questa è l’unica cosa che so per certo, ma… perché? - gli chiese teneramente, aumentando la stretta sulla sua mano – Dopo quello che avete passato, tu e Camus, meritereste di certo di poter ricominciare, non solo come docente-discente, ma anche e soprattutto come padre e figlio, perché so che il vostro rapporto sfora in quello, ed è una cosa bellissima, ma c’è qualcosa che blocca entrambi...”

“Non è facile da spiegare, Shun...”

“Tu provaci, abbiamo tutta la notte e anche oltre, non me ne andrò finché non starai meglio, perché oltre ad essere mio amico, sei anche mio fratello, sai che non ti abbandonerò mai...”

“Lo so… ma non è facile da spiegare comunque”

Shun a quel punto si rilassò sul divano, attendendo che Hyoga trovasse il coraggio, le forze e le parole per esprimere quanto lo stava soffocando da dentro. Aspettò pazientemente, conoscendo bene le sue difficoltà. L’attesa, infine, ebbe i suoi risultati.

“E’ che… io non mi sento degno di lui e, sebbene lo vorrei con tutte le mie forze, non posso in alcun modo chiedergli di riaccettarmi per quel che sono, non posso, tutto qui...”

“Hyoga… pensi che lui non ti vorrebbe più come...”

“NO! E’ il contrario!” si affrettò a correggersi il Cigno, alzando gli occhi azzurri e lucidi verso l’amico, perché se c’era qualcuno che poteva accogliere quelle lacrime era proprio Shun, lo stesso che gliele aveva scongelate nel petto quel giorno alla Settima Casa.

Shun percepì un fremito percuotere Hyoga nella sua interezza, lo avvertì quasi su di sé, compartecipe, ma non disse niente, ascoltando lo sfogo dell’amico. Se c’era un tempo per le parole dell’amico e il suo silenzio, era quello.

“Il Maestro Camus mi riaccetterebbe sempre, sempre, qualsiasi cosa accada. Ha un cuore immenso, lo pugnalassi anche più e più volte nel petto, lui sarebbe sempre lì ad accogliermi, con quel modo di fare un po’ burbero che però nasconde tutto il calore delle sue splendide emozioni, ma sono io che non lo merito! – biascicò, disperato, lasciandosi sfuggire un singhiozzo – Non merito un simile trattamento, dopo che ho ucciso il suo migliore allievo, dopo averlo privato io stesso della vita… per questa ragione non posso tornare, anche se non immagini quanto mi faccia male questo...”

“Parli di Isaac? Isaac il tuo compagno di addestramento, quello che poi è diventando Generale dell’Oceano Artico?”

Hyoga annuì, coprendosi il viso con le mani nel tentativo di non cedere ai sentimentalismi. Già, suo fratello Isaac…

“Il degno possessore di Cygnus...”

“Hyoga! - per la prima volta il tono di Shun era diventato un poco rude, anche l’espressione si era fatta minacciosa, a seguito di quelle ultime parole – E’ l’armatura che sceglie, infine, se siamo degni, non lo fossi stato, non saresti diventato Cavaliere!”

“L’armatura non ha dovuto scegliere… Isaac si era già sacrificato per me l’anno prima di ultimare il mio addestramento. Non aveva alternative, o me, o nessuno...”

“Sì, che ce l’aveva, poteva non accettarti come suo custode, o abbandonarti, come è successo a Death Mask nella Battaglia delle 12 Case!” si oppose ancora Shun, sempre fermo nei suoi intenti. Era buono come il pane, ma non sarebbe mai indietreggiato nei suoi propositi, in ciò che credeva e, pertanto, non poteva nemmeno accettare che il puro e cdelicato Hyoga, Cavaliere del Cigno, dagli occhi cristallini, si commiserasse così, dopo tutte le imprese eroiche che aveva compiuto in nome di Atena. Camus aveva di che essere fiero del suo pupillo, Shun ne era completamente certo, il problema era proprio Hyoga, come si vedesse lui nella faccenda, reputandosi di certo colpevole e deprecabile.

Nel frattempo il Cigno si era messo la testa fra le mani, stringendosi le tempie e cosi i ciuffi biondi. Come aveva immaginato, parlare gli procurava un dolore atroce, che si acuiva mano a mano che il discorso veniva approfondito. Shun parve capire anche quello, pertanto addolcì il tono.

“Inoltre, Hyoga… il cosmo di Camus ti ha sorretto durante la battaglia contro il tuo amico, no? E’ successo lo stesso contro Poseidone, e contro Hades… sei quindi stato degno non solo di Cygnus, ma anche di Aquarius, che hai indossato con onore, come puoi pensare di non essere all’altezza? Come puoi pensare di non meritare di rimanere al fianco di Camus? - gli chiese in tono morbido, acciuffando il suo sguardo per imprimergli sicurezza tramite il suo, ne aveva davvero bisogno – Sono sicuro che Camus non veda l’ora di averti di nuovo con lui… non vedrà l’ora di poterti riaccogliere nella Casa della Giara del Tesoro, come suo pari…” provò ad incoraggiarlo, trasmettendogli calore.

“Anche lì… Camus non aveva alternative… Isaac era cambiato, non so come, non so come sia stato possibile, ma… aveva colpito anche l’indifeso Kiky, ricordi? Neanche io potevo tollerare un simile comportamento, sebbene fosse mio fratello…” si lasciò sfuggire Hyoga, sempre più sfiduciato.

Shun sospirò, ricercando un nuovo modo per riscuoterlo. La situazione, come aveva intuito, era piuttosto seria, Hyoga sarebbe sparito ben presto in un vortice di depressione, se qualcuno di loro non avesse fatto qualcosa per salvarlo. E non poteva accettarlo, men che meno in quel momento in cui la felicità, pareva, poteva essere appena dietro l’angolo, persino per degli orfani come loro che non avevano mai avuto niente.

“Ogni tanto ci penso… a cosa abbia provato il maestro in quel frangente, durante la battaglia tra me e Isaac… - si lasciò sfuggire ancora, con espressione mesta – Lui… costretto ad uccidere il suo migliore allievo, a conferire la sua armatura a me per combattere contro le divinità… deve aver sofferto moltissimo...”

“Hyoga! Queste cose non le voglio nemmeno sentire, hai parlato direttamente con Camus per pensare una cosa simile?!”

“No… come potrei?”

“E allora smettila di vaneggiare, scusa il termine… ma non posso accettare di vederti ridotto così, non lo meriti, non solo come persona, ma anche come Cavaliere, dopotutto quello che hai fatto per preservare la pace su questa bella Terra!” lo rimproverò ancora, stringendo i pugni. Anche lui, persino lui, si stava cominciando a scaldare.

Hyoga sospirò, affranto, accasciandosi sulla sedia con espressione arrendevole. Le braccia inerti a penzoloni, la testa reclinata all’indietro e gli occhi chiusi, in un’espressione sofferente. La tazza di tè era ancora poggiata sul tavolino, non più fumante. Si stava raffreddando.

“Loro due… Isaac e il Maestro Camus… erano così uniti, durante l’addestramento, dovevi vederli, Shun… - biascicò il Cigno, con non poca fatica nel ricordare quei momenti e, con essi, il senso di inadeguatezza – C’era un legame speciale tra loro...”

“Hyoga… scusami se ti contraddico, ma Camus non mi sembra tipo da fare preferenze, sicuramente vi amava entrambi, non credo che...”

“Non le faceva, infatti… non durante l’addestramento e, se possibile, mai – lo fermò subito Hyoga, sospirando – Ci ha sempre trattato da pari, ma… io riuscivo a percepirli, i piccoli gesti che il Maestro Camus, inconsapevolmente, faceva trapelare fuori da sé con il solo Isaac, e, quei piccoli gesti, facevano sentire me un fratellastro acquisito...”

“Oh, Hyoga...”

Il Cigno riaprì le palpebre, raddrizzandosi sulla sedia. Non era il momento per piangersi addosso, eppure, il solo rammentare quei giorni, una sensazione agrodolce lo investiva, tumefacendogli il cuore. Lui avrebbe voluto essere al primo posto nel cuore del maestro, lo voleva con tutto sé stesso, ma Isaac era già riuscito ad acquisire quella posizione, grazie alla sua esuberanza e determinazione.

“Comunque non c’è da stupirsi, Shun… Isaac è arrivato in Siberia un anno prima di me e ha passato mesi solo con Camus, anche se, entrambi, non sono mai scesi nei particolari nel parlare di quel lasso di tempo, come se fosse successo qualcosa di brutto e non facile da esprimere… io non mi sono mai intromesso, tra loro, ma la verità è che io bramavo quei piccoli gesti che il maestro regalava a lui, bramavo la sua espressione nei confronti del piccolo Isaac, quegli occhi blu, così dolci e luminosi quando il suo viso si soffermava sul mio compagno di addestramento… li bramavo, ma sapevo che non avrei mai potuto averli. Perché sono arrivato dopo… perché io non avevo il temperamento di Isaac...”

 

Il piccolo Hyoga, guizzò agilmente fuori dall’acqua freddissima, rimanendo inginocchiato sulla banchisa con il fiato corto, praticamente sfinito. Aveva volutamente prolungato la sua apnea per concentrarsi sul vascello che custodiva il corpo di sua madre, ma forse aveva esagerato, perché si sentiva le gambe molli, le tempie pulsanti. Era stato un azzardo, ma si era arrischiato a farlo, troppo ghiotta l’occasione che si era posta.

Finalmente anche lui cominciava a percepire il cosmo dentro sé, quello era il tramite per poter superare i limiti umani stessi, e potersi così, con il dovuto allenamento, recare un giorno a rivedere il viso di sua madre. Pensava questo e quasi sorrideva alla sola idea, quando la visuale fu oscurata da un qualcosa di scuro e caldo che lo avvolse, seguito poco dopo da una sonora frullata di due mani abili e capaci, che gli spettinarono tutti i capelli biondi. Socchiuse gli occhi a quel gesto, poco prima di fare capolino con il visetto in uno spiraglio di quel tessuto e vedere così il Maestro Camus, che lo fissava con la sua solita espressione velatamente compiaciuta.

5 minuti e 17 secondi… ottimo, Hyoga! Devi essere particolarmente dotato per riuscire a immergerti e raggiungere già un simile risultato dopo soli alcuni mesi di allenamento, sono davvero soddisfatto!” gli disse, spostandogli di poco la calda coperta per permettergli di sbucare interamente con il visetto giovanile e un poco ingenuo.

Hyoga lo guardò sorpreso, sentendo un tuffo al cuore: il maestro si stava complimentando con lui, a suo modo, la cosa lo emozionò non poco.

Dall’altro lato un corrucciato Isaac, a metà strada tra il sinceramente ammirato per il compagno e il tremendamente infastidito, lo guardava inebetito, avvolto anche lui da una pesante coperta.

Ma come hai fatto?!? Sei già a 5 minuti??? Wow!!! Io ancora non riesco!” trillò, estasiato, ricacciando in fretta il disappunto per tornare alla consueta vivacità. Hyoga era un compagno eccezionale, un continuo stimolo a migliorare e a farsi forza, non avrebbe potuto chiedere di meglio.

Io...” tentennò il biondo, arrossendo a tutte quelle attenzioni. Avrebbe voluto dire la verità, che lo faceva per la sua mama ma si morse le labbra prima, perché farlo avrebbe piegato l’espressione del maestro in una più severa e arrabbiata, e non voleva assolutamente, non in quel momento che sembrava così fiero di lui. Camus non era tipo a lasciarsi andare a complimenti e apprezzamenti, ma l’orgoglio che provava per i suoi alunni si percepiva dallo sguardo, che in quel momento era limpido e sereno, Hyoga non voleva in alcun modo rovinare quel momento.

Boof, solo fortuna...” la buttò lì, arrossendo, ma il compagno e amico era già lì, a premergli le mani sulle spalle, gli occhioni profondi.

No, Hyoga, tu hai del vero e proprio talento! Sembri così piccolo e gracilino però riesci a resistere più di cinque minuti in apnea, io stesso non ci sono mai riuscito. Sei una forza!” si complimentò ancora Isaac, regalandogli un largo sorriso, che il biondo ricambiò, felice a sua volta.

Tuttavia… - era di nuovo la voce di Camus, tornata distante come di consueto, ciò presagiva una ulteriore richiesta – Se vi chiedessi di immergervi di nuovo e di riprovarci, cosa mi rispondereste?”

Che sono già pronto, Maestro, e che farò meglio di prima!” esclamò vivacemente Isaac, compiendo un salto e mettendosi poi le mani dietro alla nuca, sorridendo raggiante. Camus voleva metterli alla prova, lui non chiedeva di meglio, avrebbe superato abbondantemente il test senza alcun dubbio.

Il biondo invece indietreggiò di un passo, le gambe molli, lo sguardo basso. Non si sarebbe aspettato una ulteriore richiesta. Si accorse, con un pizzico di terrore, che non avrebbe potuto accoglierla.

Hyoga?”

La voce del maestro era incalzante e un poco austera, come se sapesse già la risposta ma la volesse udire con le sue stesse orecchie.

Io...”

Pensi di riuscirci?”

Dai, Hyoga, facciamo un altro tentativo, insieme, stavolta ti batterò!” provò a spronarlo Isaac, sempre più emozionato alla sola idea di superare i propri limiti.

N-non credo di...”

Non ne saresti in grado, vero?”

La domanda di Camus pareva quasi spietata, ma in verità era una semplice constatazione, un prendere atto dei limiti dell’allievo.

E-ecco, io n-no… sono… sono quasi senza forze...” ammise il piccolo Hyoga, incrinando la sua voce, le labbra gli tremavano.

Non fa niente, Hyoga, lo avevo già intuito, infatti non ti avrei permesso di buttarti di nuovo in acqua… lo vedo bene che sei stremato! - il tono di Camus era tornato dolce, mentre, con la punta delle dita sfiorava i ciuffi biondi del bambino, ancora zuppi d’acqua – Ma è necessario che tu capisca perché… Isaac?”

Sì, Maestro?”

Tu te la senti di immergerti nuovamente?”

Certo, Maestro Camus, ho ancora energie da vendere!” affermò, gettando sul permafrost la coperta e facendo stretching di riscaldamento per preparare i muscoli al nuovo forzo. Sprizzava energia da tutti i pori. Ancora. Hyoga si chiese come cappero ci riuscisse, eppure la seduta di allenamento era stata ugualmente tosta per entrambi.

Isaac… non strafare, intesi? Questa non è una gara, quando ti senti a corto di fiato, riemergi subito, fosse anche passato poco tempo! Anche se a te non sembrerà, sei parecchio provato, lo si percepisce dal tuo cosmo!”

Isaac sussultò all’avvertimento del maestro, beccato in flagranza prima che potesse fare faville come aveva progettato, la testa concentrata sull’obiettivo che si era prefissato: superare il record di Hyoga, anche solo di un secondo.

Con un sorriso di circostanza quindi, si girò verso il maestro, poco prima di buttarsi di testa, del tutto preso dalla sua impresa. Per avere solo 8 anni, aveva già una mente spiccatamente agonistica, amava primeggiare.

Hyoga intanto si era seduto sul ghiaccio, ancora stremato dalla prova a cui aveva sottoposto il proprio corpo. Tremava tutto, ma per fortuna la testa aveva smesso di girare. Camus prese posto al suo fianco, assai vicino all’allievo, senza però toccarlo.

Hyoga… sai perché sei così stanco? Riesci a renderti conto della ragione per cui non potresti in alcun modo fare quello che ha appena fatto Isaac?” lo interrogò, nelle vesti di insegnante, in tono pacato, ma comunque con un pizzico di durezza.

Non lo so, Maestro...”

Non è perché sei più debole o meno dotato di lui, anzi, hai un grandissimo potenziale, forse non riesci nemmeno a rendertene nitidamente conto, ma ce l’hai, te lo posso assicurare!”

E allora perché, Maestro?”

Perché tendi ad usare subito tutte le tue risorse, come il fuoco che, appena giunto al pino, lo incendia in un abbaglio, riducendolo in cenere dopo pochissimo tempo… - gli spiegò, posando una mano sul ghiaccio sottostante – Sei una fiamma che brucia per le proprie passioni, ciò dipende solo in parte dalla tua inesperienza, in verità ho il sentore che questo sia proprio il tuo temperamento: l’esaurirsi… per i tuoi sogni...”

A Hyoga scappò un singulto a quella rivelazione, capendola in pieno. E così… Camus aveva capito; aveva capito fin da subito che la ragione per cui era stato così tanto sott’acqua, superando i limiti fino allo sfinimento, era stato per il vascello, nient’altro. E avrebbe anche potuto essere fatale, era vero, perché, colto così com’era dalla smania di guardarla, quella nave posta a simulacro di sua madre, non si era affatto accorto che il suo corpo dava segni di cedimento già al passare del terzo minuto, e che l’unica cosa che lo aveva ottusamente fatto resistere, era la sensazione di essere più vicino alla sua mama.

Non disse niente, colpito in fallo, abbassò lo sguardo.

Hyoga, hai un potenziale eccezionale, ma questo non è il modo corretto per diventare un Cavaliere dei Ghiacci, un difensore della giustizia... devo avertelo già detto… - continuò, con un accenno di rimprovero, voltandosi verso di lui con il solito misto di espressioni tra il fastidio e la disapprovazione tipiche di quando usciva fuori quell’argomento – Non posso accettare che la tua vita si sbricioli così, implodendo dall’interno per tua stessa mano...”

Hyoga sussultò ulteriormente a quella frase, mentre le dita di Camus si posavano appena sopra il suo petto, sfiorandoglielo. Guardò il maestro, che aveva assunto un’espressione preoccupata nel proferire quell’ultima frase e lo percepì, il timore sincero che nutriva per le sua sorti.

Voglio credere che, con la crescita, questo istinto autodistruttivo, si dissolva, Hyoga… sei di gran lunga l’allievo con il miglior potenziale che abbia mai avuto, ma anche… quello più difficile da condurre a piena maturazione!” si lasciò scappare una confidenza, staccandosi poi immediatamente da lui e alzandosi così in piedi, come se quel breve contatto fosse stato troppo per lui, non potendoselo concedere.

Il bambino continuava a fissarlo con un misto di ammirazione e dispiacere, probabilmente Camus credeva molto nel suo potenziale, nelle sue doti, più di quanto ci credesse lui stesso, ma non erano comunque cose che gli interessavano. Diventare Cavaliere di Atena non era nei suoi piani, avrebbe lasciato volentieri l’armatura e l’onere della pace nel mondo ad Isaac, assai più bravo e risoluto di lui; a Hyoga solo di una cosa importava: diventare abbastanza forte per riuscire a raggiungere finalmente sua madre, ricongiungendosi così a lei, a quel calore che gli era stato strappato. L’unica ragione di vita, l’unico appiglio.

Così perso in quei pensieri, Hyoga si accorse appena delle increspature che aveva assunto il cosmo di Camus con il passare dei minuti. Alzò lo sguardo, e vide l’espressione carica di timore del maestro, quella piega innaturale che avevano le sue labbra, quegli occhi un poco tremanti nel fissare la distesa marina davanti a lui, nello specifico il punto in cui si era tuffato Isaac.

Non pensi che… ci stia mettendo un po’ troppo?” chiese Camus in tono tremante, pareva quasi smarrito.

Hyoga ebbe appena in tempo di cominciare a preoccuparsi, assodando che il maestro avesse perfettamente ragione, che il cosmo del suo compagno di addestramento, prima sfavillante, si eclissò in un colpo, al punto quasi di spegnersi.

Accade tutto in pochi attimi, Hyoga si rizzò immediatamente a sedere, terrorizzato, nello stesso momento in cui Camus, percependo la gravità della situazione là sotto, urlando un “Isaaac!!!” si gettò immediatamente in acqua con i vestiti addosso. Il piccolo, voleva fare lo stesso, aiutando il maestro a recuperare il compagno di addestramento, ma ricadde a terra, il sedere nella banchisa: era davvero troppo debole, non aveva forze sufficienti per aiutarlo. E capì. Capì quel che Camus avrebbe voluto fargli arguire con il rimprovero di prima.

Tremò. A bruciare tutte le proprie forze per i morti, poi non si potevano salvare i vivi… trasalì.

Furono secondi di paura, panico e smarrimento, dove, per quanto possibile Hyoga cercava, per lo meno, di individuare i cosmi di Camus e Isaac, dovunque essi fossero. Cominciò a temere il peggio, ma poi finalmente uno schizzo d’acqua, il braccio sinistro di Camus che riemergeva dall’acqua, poi i capelli, il volto, infine l’altro braccio, che tratteneva contro di sé un fradicio Isaac completamente svenuto. A Hyoga si annebbiarono gli occhi.

Camus riemerse completamente dalla distesa marina, prima di adagiare Isaac sul permafrost e premergli più volte sul torace con intensità e paura crescente. Il piccolo aveva chiaramente bevuto molta acqua, stava immobile, sembrava quasi che non respirasse nemmeno. A Hyoga scappò un altro fremito, mentre, radunando tutte le sue forze, si alzava in piedi con non poca difficoltà.

ISAAC! Dannazione, Isaac!!!” lo chiamò più volte Camus, continuando le procedure per rianimarlo. Il suo tono era sempre più strozzato e ricolmo di pena. Furono necessari tre cicli completi, senza alcuna reazione da parte del bimbo, poi, finalmente, al quarto, il piccolo Isaac tossì violentemente, sputando tutta l’acqua marina che aveva bevuto, quella stessa acqua marina che gli aveva riempito i polmoni, che ora venivano svuotati del liquido.

Isaac!!! Va bene così, coraggio, sputa… sputa tutta l’acqua che puoi, ci sono io qui con te!”

Le gambine di Hyoga fecero ‘giacomo giacomo’, prima di afflosciarsi e farlo ricadere per terra per l’ennesima volta. Davanti a lui intento la situazione si stava smuovendo, perché Isaac, dopo aver buttato fuori un quantitativo di acqua imprecisato, respirava a scatti, gli occhi serrati.

Coraggio, piccolo, riprenditi! Riprenditi, Isaac!”

Ma-Maestro Camus...” riuscì infine a biascicare l’allievo, ancora affannato, cercando di focalizzare la figura del mentore davanti a sé.

La mano di Camus si era istintivamente portata sulla sua guancia, accarezzandogli il visetto con il pollice, la maglia gocciolante e dismessa, gli scopriva innaturalmente il fondo della schiena e parte dell’addome, tutti i muscoli erano ancora tesi, irrigiditi dalla paura che aveva avuto di perdere l’allievo sconsiderato, ma l’espressione del viso era un poco più serena nel constatare che il piccolo riusciva a parlare e sembrava non aver subito danni.

Sia Isaac che Hyoga percepirono questo dalle loro rispettive posizioni, ma mentre il secondo si ritrovò in tutto e per tutto irrigidito come il maestro, il primo decise di stemperare la tensione. Per farlo, concentrò le restanti forze.

C-cinque minuti e v-venti… avete v-visto, Maestro? Ce l’ho fatta!” gli sorrise Isaac, stremato, tremando tutto. Aveva ancora gli spasmi, ma avvertiva la paura del maestro e voleva farlo sentire meglio, prima di tutto.

Sc-sciocco! - lo riprese subito Camus, non riuscendo però a mascherare una risatina nervosa, di pericolo scampato – Se, nel procedimento, ingurgiti litri d’acqua, rischiando di affogare, non vale!”

Il suo tono era tornato neutro, ma la paura provata era ancora ben visibile in lui. Camus si sforzò di sorridere appena, mentre con il pollice continuava ad accarezzare la guancia fradicia di Isaac.

Oh… quindi non ho superato la prova… mi ero impegnato così tanto...” mormorò Isaac, deluso da quella rivelazione. Effettivamente aveva perso coscienza, mentre Hyoga aveva resistito più di 5 minuti senza svenire. Era stato inequivocabilmente sconfitto ed era la prima volta, con l’amico. Doveva ammettere che un po’ bruciava.

La supererai, testa quadra, non temere! Ma solo quando starai meglio e ascolterai i miei consigli senza strafare! - gli disse ancora Camus, passandogli una mano tra i capelli, prima di prenderlo delicatamente in braccio e accarezzargli la schiena – La supererai… piccolo...” ripeté, lasciandosi finalmente andare, sollevato.

Isaac, ancora mezzo intontito, non lo percepì, abbandonandosi al sonno con un sincero sorriso a solcargli le guance, ma Hyoga, da dove si trovava, se ne accorse nitidamente dell’aumento della stretta sul corpicino del bambino, dell’affondare del viso di Camus nei capelli del piccolo e dello serrare disperato delle sue palpebre. Il maestro si era preoccupato da morire per il gesto sconsiderato dell’allievo, malgrado le sue istruzioni sul non strafare. Il suo corpo tremava a sua volta, e non per il freddo, a cui era avvezzo; stava faticando non poco a recuperare il controllo.

Isaac era fatto così, per non deluderlo, era disposto a superare i propri limiti, incurante di tutto, persino della sua salute, ma quella volta aveva rischiato veramente grosso, non c’era affatto da scherzare. Probabilmente al suo risveglio lo avrebbe aspettato una sonora sgridata.

Hyoga intanto era rimasto lì, a fissare il ghiaccio sotto di lui, il cuore ancora a mille per la disavventura appena trascorsa dall’amico, stette immobile lì per un tempo indefinito, ripensando a ciò che gli aveva detto il suo maestro, la coperta ancora addosso, prima di sentirsi sollevare di peso da sotto le ascelle. Fu tenuto contro il petto di Camus, in quell’istante nuovamente tranquillo, che si permise di sorridergli tiepidamente, prima di parlargli.

Torniamo all’isba, Hyoga! Entrambi necessitate di riposo!”

 

“Hyoga!”

Il Cavaliere del Cigno si riscosse, rendendosi conto di avere il viso incassato tra le braccia e di essersi addormentato sul tavolino. Shun lo guardava con un misto di preoccupazione e dispiacere per il suo stato.

“Sc-scusami, Shun, sono molto stanco...” farfugliò, sfregandosi le palpebre pesanti, esattamente come faceva da bambino. Alcune cose non cambiavano proprio mai, altre, troppo.

“Lo so, me ne sono accorto, per questo mi sono permesso di pulire almeno i piatti. Biascicavi parole nel sonno, hai sognato di Isaac e Camus?”

“Sì, era più un ricordo, mi capita spesso di rivivere momenti dell’addestramento, a maggior ragione in questo periodo che mi sento così smarrito...”

“E’ più che normale Hyoga, il tuo cervello sta cercando di trovare un equilibrio, per questo ricordi passati e speranze nel futuro si intersecano… spero troverai la tua via, amico mio!”

Hyoga non disse niente, non subito, ma sbadigliò, aiutando poi il compagno a riporre in ordine la roba. Alla fine aveva fatto raffreddare il tè e non lo aveva più bevuto, sospirò nel metterlo da parte. La mattina dopo lo avrebbe riscaldato, onde evitare sprechi. Nulla di quello che ci era offerto dalla natura andava sprecato, glielo ricordava sempre anche Camus.

“Shun, è molto tardi, che ne diresti di fermarti a dormire qui?” gli propose, scompigliandosi i capelli e mascherando un nuovo, plateale, sbadiglio. La stanchezza cominciava a farsi sentire.

“Non vorrei disturbare...”

“Nessun disturbo, non preoccuparti! Usa pure il mio letto, io dormo sul divano, intanto sono abituato a dormire persino in posti inospitali, non ho difficoltà a prendere sonno sul divano, né sul tavolo, come hai potuto ben vedere”

“Ma...”

“Mi fa piacere… se rimani… - gli confessò, un poco titubante nell’esprimere i suoi sentimenti, come di consueto – Domani potremmo fare un giro ad Atene, come due amici normali, ne ho bisogno per staccare un po’ la spina, altrimenti il mio cervello impazzirà!”

Shun sorrise gentilmente, poco prima di prendere la propria sacca e acconsentire alla proposta del Cigno, il quale, con un peso in meno sul cuore, lo guardò con gratitudine, stravaccandosi poi sul divano, il petto un po’ più leggero, vero, ma la testa sempre gremita di rimpianti e di sentimenti che non riusciva ad esprimere.

Shun si diresse in bagno per cambiarsi e lavarsi i denti. Anche lui era spossato a causa delle fatiche del viaggio, ma cercava di non darlo a vedere, ben consapevole che la situazione di Hyoga era assai più delicata.

Quando tornò in soggiorno, il compagno era già placidamente addormentato sul fianco destro, le mani piegate a sostegno della testa, i capelli un poco spettinati. Shun sorrise, recuperando una coperta dall’armadio. Sapeva bene che Hyoga non poteva in alcun modo sentire freddo. Non in quella stagione. Mai, a dirla tutta. Ma gliela sistemò comunque sulle spalle, permettendosi di sfiorare quei capelli meravigliosamente dorati, come le spighe di grano nei campi illuminati dal sole.

E si ritrovò anche lui a pensare a ciò che aveva vissuto fino a quel momento, al destino ingiusto a cui era sfuggito, che lo vedeva incarnazione di Hades, proprio lui, che amava così tanto la vita. Tutte le immagini che gli si affollavano in testa, però, lo conducevano sempre lì, al suo amato maestro che, al contrario di Camus, non era tornato alla vita. Non c’era rancore negli occhi gentili di Shun di Andromeda, solo un grande dispiacere per le condizioni che si erano create tra il Cavaliere dell’Acquario e Hyoga, da due persone che avevano dato tutto, e oltre, per l’altro, e che, giunte finalmente a poter godere della vicinanza reciproca, non riuscivano comunque a riconnettersi tra loro, nonostante l’affetto provato, nonostante entrambi sapessero, in fondo al cuore, di aver bisogno uno dell’altro, come si ha necessità dell’ossigeno o dell’acqua. Era un supplizio immeritato e dannatamente spietato!

Le dita di Shun si fermarono tra i biondi ciuffi di Hyoga, mentre la sua espressione triste si imprimeva in quella inconsapevole del Cigno, finalmente addormentato senza apparenti pensieri, vista la bocca semiaperta e il viso non più adombrato.

“Ti auguro ogni bene, Hyoga, davvero… tu e Camus meritereste di passare il tempo che vi è stato strappato insieme, come padre e figlio, ma so bene che non è affatto facile, per voi, manifestare ciò che sentite. Ci vorrà tempo… - disse in tono soave, sorridendo appena – Ma prima o poi si sistemerà tutto, vedrai, voglio crederlo fermamente!”

E, senza aggiungere altro, si diresse verso il letto, concedendosi a sua volta un po’ di riposo.

 

 

* * *

 

 

La florida Atene, patria di buona parte della cultura Mediterranea e vascello della civiltà occidentale, si trovava nella stagione più rosea per il settore terziario. Era esattamente quello il periodo in cui fiotti di turisti si riversavano, più che in altre stagioni, ad ammirare con curiosità le rovine della Acropoli e i numerosi musei. Pochi giorni soltanto e sarebbe stato il momento anche per il mare e per le numerose isole che formavano l’arcipelago delle Cicladi. Bisognava solo aspettare il termine delle scuole di ogni ordine e grado, allora sì che l’atmosfera, già affollata, sarebbe diventata irrespirabile.

Per la verità, Hyoga amava tutto fuorché i luoghi caotici e ricolmi di gente. Se poteva, se ne stava ben alla larga, ricercando la pace e la tranquillità nella sua interiorità, ma Shun aveva rivelato, quella stessa mattina, di non aver mai visto l’Acropoli di Atene, e che gli sarebbe piaciuto ammirarla, avendone sentito parlare tanto.

“Per noi, che siamo abituati al Santuario, non vi è nulla di eccezionale… - lo aveva avvertito Hyoga, scettico, inarcando un sopracciglio – Ciò che tu vuoi vedere, è nient’altro che un Tempio diroccato in tutto e per tutto simile alle Case dello Zodiaco, però con il tetto scoperchiato!” aveva proseguito, sperando che l’amico cambiasse idea, ma Shun sembrava piuttosto interessato, perché, a quanto diceva, suo fratello Ikky, da piccolo, glielo aveva mostrato in una enciclopedia, e a lui sarebbe piaciuto vederlo dal vero, ora che riusciva bene a comprenderne il significato: quella costruzione diruta era stata il risultato, fatiche su fatiche, del concatenarsi di numerose vite, solo per quello meritava di essere conosciuta, con il massimo del rispetto.

Hyoga così, non avendo di che obiettare, si era costretto a fargli da guida, giacché a quella città sovraffollata e inquinata ci si stava lentamente abituando. Era buffo che lui, da sempre stato straniero in qualunque posto si trovasse per via delle sue origini frammiste, facesse da Cicerone ad un suo caro amico, del tutto dedito ad ascoltarlo con sguardo via via sempre più curioso. Suol malgrado, il Cavaliere del Cigno si ritrovò a sorridere tra sé e sé, un poco più disteso.

Avevano così fatto un veloce giro in centro a vedere i numerosi negozi, ma poi si erano recati ben presto nella parte più alta dell’antica Polis, evitando i numerosi turisti che scendevano.

Come Hyoga aveva immaginato, l’Acropoli era gremita di persone intente ad ammirare, chi il reperto storico, chi il panorama, sebbene, con quella densa afa di giugno, e lo smog, non si vedesse poi molto. Shun era tutto trepidante ed emozionato, per cui, presa la macchina fotografica dalla sacca (chissà poi da quando amava fare foto, Hyoga si accorse di non conoscere quel particolare lato dell’amico!), si recò immediatamente a cercare l’angolatura giusta per fare uno scatto diverso dal consueto. Il Cavaliere del Cigno, conoscendo già quella zona, invece si sedette vicino ad un capitello distrutto, massaggiandosi la fronte per tentare di scacciare il caldo che già gli faceva ribollire il cervello. Cercando di non pensarci ulteriormente, che tanto era un fastidio e basta, tornò a concentrarsi su Shun e sugli altri turisti, in tutto e per tutto anonimi. Era più che convinto, infatti, che la maggior parte di loro non guardasse veramente le rovine del tempio, limitandosi a scattare semplicemente foto altrettanto scialbe, che a ritorno sarebbero servite solo come vettore per potersi vantare con gli amici. Non sarebbe rimasto niente di quel luogo in loro, solo un posto in più da appuntare come già visto. L’essere umano era fatto così…

Tuttavia Shun era diverso, Hyoga lo percepiva assai bene, lui sembrava proprio sentire il brivido di quel luogo, inspirarlo nelle narici e quello, quel profumo, avrebbe cambiato qualcosa in lui, irreversibilmente.

Sbuffò, quasi rilassato, mentre, meccanicamente, senza farsi vedere, posava i due indici sulle tempie, facendo bruciare il cosmo allo scopo di raffreddare la sua temperatura corporea, che già a quell’ora del mattino rischiava di prendere una impennata, dato il clima torrido.

Ebbe giusto il tempo di attuare il processo, che avvertì accanto a sé lo svolazzare di un mantello, non ebbe nemmeno il tempo per alzare lo sguardo che una voce virile si palesò vicino a lui. Troppo vicino.

“Non è facile trovarti, Hyoga… in questo sei in tutto e per tutto simile al tuo maestro!”

“CO…?!? - Hyoga sobbalzò dallo spavento, trovandosi quasi spanciato per terra, focalizzò poi chi lo avesse chiamato, individuandolo subito grazie alle punte violacee dei suoi capelli ribelli, sebbene fossero coperti da un mantello – Milo!!!”

“In persona, sono venuto a portarti a casa… Lassie!” lo prese scherzosamente in giro, sorridendo sornione.

Hyoga si riprese, raddrizzandosi e tornando a sedersi prima di negare con la testa.

Casa… quale casa?! Non aveva più un luogo chiamato tale, tutto si era rotto anni prima, irreversibilmente. Di quale casa andava a cianciare il Cavaliere di Scorpio?!

“Milo… non hai caldo, con quel mantello addosso? Sembri quasi un rabbino, questo outfit non è da te, men che meno in questa stagione!” provò a deviare il discorso, sospirando.

“Sto… letteralmente morendo di sudore qua sotto, ma devo farlo, il mio look non è ordinario, attirerei solo l’attenzione, ed io voglio parlare semplicemente con te!” gli spiegò sbrigativo, guardandosi nervosamente intorno.

Non attirare l’attenzione… lo stava comunque facendo male a giudicare dalle occhiate in tralice che qualche passante gli regalava. Il Cavaliere del Cigno buttò un occhio verso Shun, il quale, dopo aver parlato con una guida, probabilmente per sapere informazioni, si apprestava a fare la fila per entrare nell’Acropoli.

“Allora… torniamo a casa, Hyoga?” lo incalzò ancora Milo, schioccando più volte le dita per attirare su di sé lo sguardo del Cigno, che sembrava smarrito.

“Proprio come il suo Maestro...” pensò, ben conscio di avere a che fare con due ostriche. Ma quella volta lì col cappero che gliela avrebbe data vinta, avrebbe portato a termine un dialogo, se non con Camus, chiuso e invalicabile in quel periodo, almeno con l’allievo rimastogli.

“Io non ho una casa, Milo… vivo in affitto in un trilocale diversi isolati da qui, ma non la considero tale, è solo un luogo dove dormire. Ho smarrito il concetto di nido famigliare diverso tempo fa, inoltre...”

“Sciocco! Tu ce l’avrai sempre una casa, sei tu che non te ne accorgi! - lo contradisse Milo, lesto, troncando sul nascere i vaneggiamenti del Cigno – E quella casa è al fianco di Camus!”

“Oh...”

Hyoga non aggiunse nient’altro, limitandosi ad abbassare lo sguardo e rimanere fermo immobile, come una perfetta statua di cera, estranea al calore che l’avrebbe inequivocabilmente sciolta.

Milo si aspettava una reazione del genere. Conosceva Camus, quindi conosceva anche quel frammento di anima che l’Acquario aveva ceduto al giovane discepolo, intessendolo con tutto sé stesso. Hyoga era la sua fotocopia, più piccolo e più impacciato, era vero, ma il frutto più riuscito degli sforzi del migliore amico, che gli aveva donato tutto sé stesso. Così simili… eppure così disconnessi tra loro, a continuare a non capirsi, a fare gli stessi errori...

Occorreva andare dritto al punto prima che il ‘figliol prodigo’ corresse ai ripari in qualche maniera, trovando una scappatoia o, peggio, erigendo un muro impenetrabile.

“Andrò dritto al punto: Camus sta male!”

A quelle parole, gli occhi di Hyoga si spalancarono in un grido di terrore viscerale, il suo corpo scattò in piedi, cominciando a tremare convulsamente, il fiato mozzato.

Ok, forse era andato troppo dritto al punto, si accorse di nuovo Milo, grattandosi la testa e affrettandosi a riparare lui stesso il danno che aveva appena creato.

“Calmati, ragazzo, non in quel senso! Camus è in perfette condizioni fisiche, al momento!”

Solo allora i muscoli, prima rigidi, di Hyoga, si sciolsero, il collo si lasciò cadere quasi inconsciamente, in avanti, i pugni chiusi si aprirono.

“Milo, accidenti!” si lasciò sfuggire, avendo temuto il peggio. Il cuore gli sie era fatto pesante a quelle poche, semplici, parole.

“Però… però non posso dire altrettanto psicologicamente! - aggiunse, non esitando neanche per un attimo – E’ da giorni che ti prova a chiamare al telefono, e tu non rispondi, Hyoga, azzeri il tuo cosmo per non farti abbracciare dal suo, che prova a cercarti. Non la sta prendendo molto bene, ti avverto...”

“M-Milo… ed io cosa ci posso fare? - si lasciò sfuggire Hyoga, prostrato – Ha te, come sostegno, tu riesci sempre a farlo stare meglio, perché ora...”

“Perché gli manchi, idiota, ti è così difficile da capire?!?”

Hyoga stette a guardarlo incredulo, il fiato corto, il cuore aveva accelerato nel petto, incontrollabile. Lui… il maestro sentiva la sua mancanza?! Sua, di lui???

“Io ci posso fare ben poco, Hyoga, la chiave sei tu… l’unica cosa che potrei tentare è prenderti, rapirti, giacché tu sei talmente tonto da non andarci tu di persona, e lasciarti all’undicesima casa, tipo pacco postale, e lo farei anche, se solo potesse aiutarvi! Ma quello là non si esprime, se facessi così, lui starebbe muto, e tu te ne andresti nuovamente via, non capendo di nuovo un cazzo dei sentimenti del tuo maestro!”

Dritto al punto. E faceva male. Ahi, come faceva male!

Che maestro e allievo non si comprendessero non era certo la prima volta, tutto il loro rapporto era ricco di quelle, fatali, incomprensioni, Milo era il solo a riuscire a fare da paciere, perché capiva entrambi. Li aveva compresi durante la Scalata delle 12 Case, spiegando le vere ragioni del feretro di ghiaccio, e li aveva di certo capiti anche post mortem di Camus, sebbene offuscati dalla rabbia atroce che aveva provato.

Tuttavia il Cigno rimase sulle sue… era in un vicolo cieco, lui, quello lo Scorpione non lo aveva compreso.

“Anche a me manca da morire… ma… non posso...”

“Dei! Perché ora questo, perché non puoi? - insistette ancora Milo, passandosi una mano tra i capelli e togliendosi così il cappuccio, i raggi del sole illuminarono la sua chioma violacea – Quel povero diavolo soffre terribilmente la tua lontananza, non parla, sta chiuso in casa… gli manchi per davvero, Hyoga, non immagini quanto, quindi...”

“Pensi che io non voglia andare da lui, Milo?! Lo vorrei con tutto il cuore, con tutta l’anima, ma non posso, non lo merito… Camus non merita uno come me, dopo tutto quello che gli ho fatto!” singhiozzò il Cigno, rifiutandosi di piangere, ma comunque con gli occhi inumiditi.

“E’ solo per questo che tu…?”

“Solo per questo?! L’ho privato di tutto, come posso…?”

“E allora priviamolo anche di te, no? Mi sembra un ragionamento fenomenale!” esclamò Milo, lo sguardo scintillante, le membra rigide per la rabbia crescente, i pugni chiusi.

Hyoga non rispose, si limitò a fissare martoriato i suoi piedi, non sapendo più che cosa dire.

“Dei, mi verrebbe voglia di sbattere la testa contro una colonna fino a fracassarmela, con voi due! - commentò ancora lo Scorpione, esasperato – Tu hai le tare mentali giganti, non mi dovrei stupire visto da chi sei stato cresciuto; l’altro non si esprime neanche sotto tortura, ma dentro di sé prova un male atroce, che sta ben attento a non mostrare, eh, perché figurarsi, lui sta bene, sta SEMPRE bene, anche quando platealmente non è così!”

Hyoga continuò a non fiatare, iniziando però a grattarsi le braccia, come accadeva quando era sotto stress, smarrito, spaventato.

“Davvero… ci uscirò di testa con voi due!” ribadì Milo, massaggiandosi la fronte nello sforzarsi di cercare una nuova soluzione. Se persino dire, al giovane pullo, che al suo maestro gli mancava terribilmente la sua presenza non portava ad alcun risultato sperato, cosa fare?! Cosa fare davanti a due pareti così tanto resistenti? Prenderli a testate nei denti finché non si fracassavano loro?! Assurdo…

“I-io non posso, Milo… anche se lo vorrei tanto. Anche se lo vorrei… con tutto me stesso!” continuava a ripetere il nidiaceo troppo cresciuto, in evidente postura difensiva.

“Aspetta, tu lo vorresti, no? Se quindi fosse Camus a proportelo non avresti più ragioni per rifiutare, dico bene?”

Hyoga non rispose e passarono così diversi minuti di assoluto silenzio, raro anche per uno come Milo, soprattutto per uno come lui. Il caldo si faceva sempre più insopportabile per quell’11 giugno del 2011, si cominciava davvero a sudare, quasi mancava il respiro.

“Hyoga, rispondi: se Camus te lo chiedesse, tu…?”

“N-non lo so...”

“Ho capito… e agirò di conseguenza!”

Hyoga aveva evidentemente bisogno di essere rassicurato, pertanto Milo si permise si azzerare la distanza tra loro, infondendogli un po’ di coraggio e poggiandogli le mani sulle spalle.

“Guardami...”

Il Cigno fece quanto chiesto, esattamente come se a chiederlo fosse stato Camus. Del resto, Milo non era molto diverso da un secondo maestro. Dopo la morte dell’Acquario aveva accettato di continuare a prendersi cura di Hyoga nelle veci di Camus, che tanto aveva dato per quel ragazzino biondo che pure lo aveva privato della vita. Milo, sulle prime, aveva fatto fatica ad accettarlo e, soprattutto, ad accettare la decisione del migliore amico, perché, sì, l’aveva compreso… aveva compreso il messaggio silenzioso dietro quel folle gesto, dietro al suo sacrificio, dietro la sua stessa perdita: a Hyoga, Camus voleva bene come un figlio, per Hyoga, Camus aveva dato tutto, e oltre… lui non poteva far altro che seguire pedissequamente la richiesta disperata dell’amico. E ora che, quei due, avevano una seconda possibilità, non gliela avrebbe più fatta scappare.

 

Voglio che anche tu sia felice, Camus… lo desidero tanto! Dopo Isaac, dopo tutto quello che hai dovuto passare, amico mio… non voglio più vederti soffrire, mai più…

 

“Ascolta, Hyoga… devi entrare nell’ottica che Camus, il tuo maestro, ha bisogno di te, di te, come persona nella sua vita, mi capisci? Di te, e di nessun altro, perché nessuno potrà mai prendere il tuo posto nel suo cuore, nessuno...”

Ce lo aveva? Davvero aveva un posto nel cuore di Camus? Malgrado tutto, malgrado la sua esistenza sciagurata…

“Siete più simili di quanto pensi, Hyoga… entrambi siete convinti di arrecare del male alle persone che vi stanno intorno, ma non è così, quando lo capirete, quando smetterete di tartassarvi da soli, forse sarà il momento in cui potrete spiccare il volo, senza più paura alcuna...” continuò, come a leggergli nella mente. Il giovane allievo non sapeva più cosa dire, le parole mancavano, le emozioni, spietate, gli avvolgevano il petto, incatenandoglielo.

“I-Io...”

“Prenditi ancora del tempo, se ti serve, ma, per favore, non allontanare più Camus, quando prova, con enorme difficoltà, a raggiungerti. Già non è un asso in questi frangenti, se poi tu non lo aiuti… lui non sa più come fare, e allora, pensando di darti fastidio, lascia perdere, soffrendoci da morire, anche se, come sai, cerca di non darlo a vedere, orgoglioso com’è…”

Hyoga avrebbe voluto rassicurarlo, dirgli che sarebbe tornato, che si sarebbero ricongiunti, in un modo o nell’altro, ma continuava ad essere smarrito, spaventato, solo, anche se solo non lo era mai stato veramente. Pertanto tacque, incapace di garantire alcunché. Il sentiero delle parole… era così difficile!

Milo lo trasse istintivamente a sé, come a volerlo abbracciare, e Hyoga si fece carpire, socchiudendo gli occhi e sprofondando nell’incavo della spalla del Cavaliere di Scorpio, come un figlio.

“Voi due, almeno voi due, meritate di poter ricominciare, ed io farò di tutto perché ciò accada!” sospirò, scompigliandogli i capelli che, riflessi dal caldo sole di Atene, parevano fatti di aurei bagliori.

 

 

* * *

 

 

Ancora li rammentava, i suoi occhi freddi rischiarati dalla luce fioca della lampada ad olio. Erano eterei, distanti, gelidi… dannatamente gelidi. Lo scrutavano con un misto di riprovazione e disgusto, mentre il suo corpo, teso come un bacco di scopa, non accennava alcun movimento nella sua direzione, permettendosi il biasimo della ripugnanza.

Ed erano tutti per lui, quegli atroci sentimenti, Hyoga li percepiva fin troppo bene, malgrado la vista fosse offuscata, il corpo scosso dai brividi e raggelato fino al midollo, vene e capillari quasi congelate.

Tutto era ovattato, ma in quella confusione di sensi, cose, e colori, c’erano lui, c’erano i suoi occhi.

Occhi vuoti ma affilati come rasoi.

Occhi lontani, ma che continuavano a fissarlo per imprimergli nella carne tutto il rancore provato. Tutto il peso dell’esistenza che aveva gettato nel fango e, con essa, della vita di chi era corso a salvarlo, rinunciando alla propria.

Persa.

Irrimediabilmente persa.

Per un morto.

Un dannatissimo morto!

Rabbia. Non vi era altro che rabbia.

La rabbia aveva spezzato e portato via il nido famigliare.

No… non la rabbia…

Ma lui.

Lui.

Nessun altro.

M-maestro...”

Hyoga diede un calcio alla coperta in fondo al letto, continuando a muoversi involontariamente. Era sudato, accaldato, piangeva, di nuovo, vinto da un incubo che lo risucchiava come un vortice. Si girò sul fianco sinistro, ma si rivoltò, un piede fuori dal letto.

Supino.

Sul fianco destro.

Supino.

Supino.

Prono. Ad arpionare le coperte.

Di nuovo sul fianco sinistro.

Urlò. Un nome.

Il peso della colpa.

Delle proprie scelte.

“I-Isaac!!!”

E’ morto...” gli aveva detto Camus, imboccandolo a forza sempre con quel misto di ripugnanza e di furia atroce.

Hyoga si era ritrovato costretto ad ingurgitare quanto gli era stato dato con foga, quasi da soffocarlo seduta stante per via della brutalità del gesto, un po’ come le oche che venivano ingozzate per poterne poi ricavare un buon fegato. Allo stesso modo lui veniva ingozzato per aver salva quella vita maledetta.

Sopraggiunse un conato di vomito, ma lo ricacciò giù, continuando a piangere sommessamente.

N-non è p-possibile, maestro, io lo potevo percepire… I-Isaac… e-era f-ferito ma...”

E’ morto, Hyoga, e ora TACI!”

 

...E la colpa è stata tua; tua e della tua insana fissazione di raggiungere un morto… UN MORTO! Che cosa hai fatto, Hyoga?! Che cosa diavolo hai fatto?!? I-il mio Isaac… i-il mio… me lo hai ucciso, Hyoga! Hai distrutto tutto. Hai distrutto ogni cosa che abbiamo faticosamente creato. E sei stato tu… TU! Ti odio! Ti odio per avermi strappato il cuore, ti odio perché sei stato proprio tu a farlo!

I-Isaac… mio piccolo e coraggioso Isaac! Ti ho p-perso, non… non…

 

In quel momento Hyoga tossì e sputò la zuppa mista alla saliva con tutte le forze che gli restavano, annaspò. Il risultato fu che Camus, accorgendosi concretamente di quello che stava facendo, si allontanò come se avesse preso la scossa, facendo così ricadere il corpo esanime dell’allievo sul letto, il petto affannoso, i sensi nuovamente perduti. Così vicino alla morte...

N-no...” riuscì solo a singhiozzare, appoggiandosi al muro per evitare di cadere per terra, le mani tremanti protratte davanti a sé.

Camus dell’Acquario aveva perso totalmente controllo, rischiando, per un soffio, di fare male all’allievo indifeso sul letto. Si morse il labbro inferiore, prima di corrergli nuovamente appresso, terrorizzato. Lo stava perdendo...

Hyo-Hyoga… perdonami… perdonami, ti prego!” singhiozzò disperato, recuperando abbastanza controllo per sentirgli il polso. Le condizioni di Hyoga l’Aurora erano in netto peggioramento, dopo l’iniziale ripresa parziale della coscienza, i battiti erano fiacchi, la temperatura ancora troppo bassa per conciliarsi con la vita.

Hyoga! Hyoga, ti prego… non… non mollare… non mollare! N-non lasciarmi anche tu!” lo implorava, frizionandogli il corpo alla ricerca insperata del calore, che era vita.

Continuava a singhiozzare, mentre faceva di tutto per far recuperare un po’ di calorito a quel corpo ghiacciato. Lo aveva già privato degli abiti e ricoperto con quanto aveva di più caldo in casa, ma le condizioni dell’allievo non miglioravano.

 

Oh, Isaac… Isaac! Ho fatto quanto in mio potere per cercare di localizzarti, ma il tuo cosmo mi sfuggiva, non so… non so perché… non lo so! Ho provato ad andare oltre i miei limiti, ma tu scivolavi via, sei scivolato via in silenzio, mio piccolo e coraggioso Isaac, usando tutte le tue forze per salvare Hyoga, ed ora… io… io… e se avessi perso tempo indispensabile per salvare tuo fratello?! Mi sta sfuggendo anche lui, nonostante i tuoi sforzi, nonostante la tua ferrea volontà di proteggerlo. Come ho potuto permetterlo?!? Non merito di essere il vostro maestro, non merito alcunché!

 

Erano trascorsi minuti, forse ore, Camus non era più in grado di codificarlo, il tempo. C’era solo lui, l’allievo in gravi condizioni, le procedure per mantenerlo in vita e le emozioni, tante, troppe. Lo soverchiavano, occludendogli il respiro sempre più accelerato.

La madre di tutte era la disperazione, tetra profonda… ella conduceva a sé tutto il resto.

Una rabbia viscerale, florida, tenuta ora sotto stretto torchio. Era l’unico modo per mantenere un barlume di controllo per compiere le manovre necessarie per salvare una vita; la vita che Isaac aveva scelto di salvare.

Il senso di impotenza, l’essere sopraffatti, sballottati, a quello non poteva esserci rimedio, invece.

Tristezza, spossatezza… quest’ultima dipendeva dalla prima, ma non poteva ascoltarla, ciò avrebbe ucciso l’allievo.

Senso di fallimento.

Delusione.

Perdita. Questa gli ululava in pieno petto, fratturandolo inequivocabilmente, smembrandolo pezzo per pezzo.

La sua anima ne sarebbe uscita distrutta. Di nuovo. Poteva ben percepirla sgretolarsi.

Senso di colpa. Duro. Spietato.

Passò ancora del tempo, tutto scorreva, dando a Camus sempre più una sensazione di estraneità.

Si riscosse nel percepire il respiro dell’allievo farsi un poco più forte e sicuro. Era ancora in pericolo di vita, ma sembrava quasi dormire, sebbene di un sonno con tutti altri connotati rispetto alla norma.

Camus dell’Acquario provava ancora una velata nausea nel toccare l’allievo, per questo il suo contatto si era limitato allo stretto necessario per mantenerlo in vita, fino a quel momento.

Ma adesso era diverso.

Stremato, solo, nel nido che gli era stato strappato, come il suo stesso cuore, Camus non trovò altro appiglio che appendersi disperatamente a Hyoga, all’allievo rimastogli, con tutte le sue forze, accorgendosi che, ancora più forte della disperazione, della rabbia, del senso di fallimento, vi era un nuovo sentimento che stava riaffiorando in mezzo al marasma degli altri: la paura di perdere il suo Hyoga, che dipendeva strettamente da lui. Un solo gesto in più o in meno e sarebbe morto.

Chi era il reale colpevole, lì? Il suo allievo… o lui? Chi aveva abbandonato Isaac, lasciando che le correnti lo portassero via? Lui, che non aveva fermato Hyoga da intraprendere una strada non consona alla sua persona, lui… singhiozzò.

 

Maestro, so che voi ci sarete sempre per me, siete la mia forza, la mia famiglia, la ragione per cui voglio combattere… perché so che, sotto quella scorza di apparente ghiaccio invalicabile, si cela un minuscolo, fragile, fiorellino, che, nonostante le intemperie, riesce comunque a vivere, regalando, a cielo aperto, la concezione che i miracoli esistano per davvero...

 

Camus dell’Acquario trasalì, nel ricordare le parole del suo piccolo, forte, Isaac. Non era stato così… Camus non c’era stato per lui, il ragazzo sì, ma lui, il maestro, colui che avrebbe dovuto essergli vicino come un padre, no, lo aveva abbandonato, non era stato minimamente in grado di rintracciarlo, il suo cosmo era così sfuggito via. Svanito. Sentì forte e chiara una fitta al petto, spietata, che a confronto il morire sarebbe stato molto più semplice. In un certo senso, era morto per davvero, dall’interno. Avrebbe continuato a muoversi, certo, finché avesse avuto respiro. Ma era finita...

Tremò, incassando la testa tra le spalle e serrando le palpebre, che riaprì però subito dopo. Ancora non poteva crollare, ne andava della vita dell’altro allievo. Una delle mani automaticamente si posò tra i capelli biondi, ancora fradici e incrostati dal ghiaccio, di Hyoga. L’altra mano corse a tenere quella molle e abbandonata a sé stessa dell’allievo, il quale, sempre affannosamente, si sforzava di mantenersi in vita. A Camus gli si strinse il cuore nel vederlo così, a combattere contro la morte, con quella insperata voglia di non arrendersi, di resistere, con quella testardaggine che lo contraddistingueva, e che aveva imparato ad amare.

Camus dell’Acquario era morto dentro, ma non avrebbe permesso all’allievo di fare la stessa inesorabile fine, no, lui, almeno lui, si sarebbe salvato. Così, vinto da quella terribile tempesta che lo aveva colto e che non accennava a calmarsi, appoggiò la mano fredda di Hyoga sulla sua fronte, stringendola poi con le dita di entrambe le mani, in una presa disperata e ricolma di paura.

Hyo-Hyoga… re-resisti, sono qui… non morire… non morire, ti prego, non anche tu, non… - prese un profondo respiro, mentre le lacrime gli rigavano le guance pallide – Ho bisogno di te… ti prego...”

Si sentì il rombo di un tuono.

Hyoga, spalancando le iridi cristalline, si accorse solo dopo una serie di secondi, che il temporale non faceva parte di quel sogno, ma stava infuriando fuori dalla finestra dell’appartamento.

Si alzò immediatamente in piedi, svuotato, mentre meccanicamente si recava davanti alla finestra, a guardare l’avvicinarsi della tempesta di fulmini. Appoggiò le mani sul vetro, stando fisso a rimirare le gocce di pioggia che, lentamente, poi sempre con maggiori insistenza, picchiettavano sul vetro. Le sue, di gocce, invece, dopo aver creato due piccolo rii sulle guance, cadevano a terra, sul parquet.

Vi erano due versioni di Camus, in quei ricordi sfumati dal tempo e dalla malattia, che da sempre popolavano i suoi sogni. Non ricordava molto dei giorni dopo il sacrificio del suo amico Isaac, non rammentava neanche quanto fosse passato per considerarsi fuori pericolo, tutto ciò che aveva erano immagini vaghe e indefinite, frasi spezzate, richieste supplichevoli di non arrendersi.

Vi era il Camus furibondo, che lo imboccava a forza, con severità mista ad odio. Vi era la sua furia cieca, lo sprezzo che il giovane allievo avvertiva su di sé tramite i suoi occhi, i suoi soli occhi… che emanavano odio. Camus lo aveva odiato, lo sapeva.

Odiato per la sua azione sconsiderata.

Odiato per avergli strappato il suo Isaac.

Odiato per essere andato contro i suoi precetti.

Odiato… perché, nonostante tutte quelle consapevolezze, non riusciva totalmente a disprezzarlo. Difettava di avere un cuore troppo grande, il maestro. Da sempre. Difettava di amare troppo. E amava anche il suo Hyoga, come amava Isaac.

La seconda versione di Camus, infatti, era quella tipica di chi, per aver amato troppo, si era disintegrato lui stesso.

Il Camus che amorevolmente si prendeva cura di lui, nei giorni trascorsi tra la vita era morte, supplicandogli di non cedere, di non arrendersi, era quanto di più vicino allo spezzarsi, al crollare, senza però poterlo fare pienamente. Non lo aveva fatto, infatti, cauterizzando con violenza lo squarcio che si era creato nella sua psiche. Non usciva, e non sarebbe più uscito, nulla da lì, ma quell’orrendo segno sarebbe rimasto impresso nella sua anima, intessuto con lui.

La sua anima si era di nuovo rotta in mille frammenti; frammenti che, in precedenza, già qualcuno aveva faticosamente raccolto, pezzo per pezzo, sistemandoli e dandogli una nuova forma.

Ma ora… chi avrebbe assemblato nuovamente quell’anima che, da quel giorno, si era nuovamente fratturata?! Chi?!?

Hyoga si lasciò cadere a terra, le mani corsero lungo il vetro, prima di fargli da appoggio. Serrò le palpebre e le labbra, producendo un suono incorporeo, di singhiozzo affogato nel petto prima che potesse fuoriuscire.

 

Ho bisogno di te… ti prego…

 

Gli aveva sussurrato quella lontana notte, nella disperazione più tangibile.

“Maestro, anche io ho bisogno di voi… tanto… - sussurrò tra sé e sé il Cigno, stringendo con forza le dita – Mi mancate tremendamente… da togliermi il fiato!” bisbigliò ancora, incassando la testa tra le spalle e lasciandosi finalmente andare.

Si sarebbe infine recato al Tempio, alla ricerca di un nuovo inizio per entrambi. Lo avrebbe fatto, malgrado il passato non potesse essere cancellato. Ne aveva bisogno. Entrambi ne avevano bisogno.

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Benvenuti anche in questo nuovo capitolo che vede come protagonista Hyoga del Cigno.

Stavolta procederò con ordine, perché vorrei spiegare un po’ di cose, partiamo quindi dal principio.

Camus e Isaac: chi legge la mia serie principale sa che, per la mia concezione, loro due avevano un rapporto speciale, le ragioni saranno spiegate in una storia a parte, anche se i riferimenti a loro due si sprecano in tutte le serie, ormai. Il rapporto che li lega è molto “fisico” soprattutto per Isaac, che percepisce il calore del corpo del maestro in più occasioni, e ne viene cullato e rassicurato (si vedrà maggiormente nel prossimo capitolo dedicato a lui); anche Camus ha ha un rapporto privilegiato con lui, anche se è piuttosto impacciato con le manifestazioni fisiche (e lo sarà fino all’arrivo delle nuove allieve nella mia serie principale), ma il forte affetto che prova per l’allievo si percepisce in più di una occasione. Soprattutto con Isaac, e solo con lui, usa il termine “piccolo” (lo usa anche con Marta aggiungendoci un “mia”, ma lei è un caso diverso), indice di un suo forte coinvolgimento emotivo. Mi ritaglierò non poche occasioni per descrivere di loro ancora e ancora. :)

Questione Hyoga: l’eterno secondo, sempre secondo la mia idea. Premetto che il personaggio mi piace un sacco, ma lo vedo esattamente così. Hyoga non era la prima scelta di Camus, non poteva esserlo, del resto, sebbene, a detta dello stesso maestro, avesse un potenziale superiore agli altri, ma per come è stato reso il personaggio, almeno all’inizio, non poteva che essere Isaac il degno custode di Cygnus, non lui, desideroso solo di ricongiungersi con la madre. Seconda scelta quindi, anche affettiva, purtroppo, perché Camus, pur sforzandosi di trattarli da pari, determinate cose le fa trasparire solo con il piccolo Isaac, e Hyoga ci soffre, certo, lo abbiamo ben potuto vedere. C’è molto di non detto tra loro, presto i nodi verranno al pettine, almeno nella mia serie.

Mi serviva comunque che Hyoga rivelasse ciò che provava, pur avendo difficoltà ad esprimersi, e quindi la dolcezza di Shun, la sua amicizia, cadeva a fagiolo. Il loro rapporto è molto forte! :)

Milo: poteva non apparire lo Scorpionide? Certo che no! Al solito poche parole ma incisive! Milo è l’intermediario tra Camus e Hyoga (che pazienza che deve avere questo povero diavolo!), si pone lui stesso in mezzo tra i sensi di colpa dell’allievo e i sentimenti inespressi del migliore amico, riuscendo, come sempre, a centrare tutto. Sarebbe davvero bello avere un amico come lui! Ha patito in prima persona la morte di Camus, la sua decisione di sacrificare tutto per l’allievo rimastogli, e l’ha compresa, accettandola, pur non riuscendo completamente a perdonarlo (qui l’approfondimento sarà nella Sonia’s side story), ha accettato di prendersi cura di Hyoga al posto dell’amico, e ora vuole che loro due, dopo tanto soffrire, siano finalmente felici. Ci riusciranno? Sono due testardi!

Reazione post mortem di Isaac: qui è stata davvero dura, lo ammetto senza problemi. Non sapevo come rendere il marasma delle emozioni di Camus, così fitte, così incontrollabili. Erano veramente troppe in una botta unica, ed è successo che, come si poteva pensare, il primo crollo, Camus, ce l’ha proprio qui (il secondo è in Sentimenti che attraversano il tempo), qui lascio la parola a voi, se l’ultimo pezzo vi è piaciuto, oppure no, se poteva essere reso meglio o se va bene così. Anni fa lessi una meravigliosa storia che trattava anche di questo fatto, io non sono paragonabile a quel racconto che mi è rimasto nel cuore, ma ci volevo provare comunque, dato che mi premeva dare la mia versione. Anche questo argomento comunque sarà trattato più approfonditamente a tempo debito.

Vorrei farvi focalizzare su un particolare: Camus ammette di non riuscire a localizzare il cosmo del suo pupillo, smarrito tra i flutti del mare. Può sembrare strano, dato l’ampio potere che possiede, ma anche qui il motivo c’è, solo… sarà rivelato parecchio più in là, ecco! XD

Dov’è Isaac? Che fine ha fatto dopo Atlantide? E’ veramente morto? Il prossimo capitolo sarà dedicato a lui, e recita “in un luogo indefinito, in un tempo imprecisato”, non vi resta che scoprire il reale significato di queste parole! :)

Ah, un’ultima cosa, mi stavo dimenticando: tutto il capitolo avviene l’11 giungo del 2011, tranne l’ultima parte, il sogno/ricordo di Hyoga, quella avviene la stessa notte in cui Camus, nel “Preludio: la fine dell’inverno” prende infine la decisione di proporre (finalmente, dei!!!) a Hyoga di andare ad abitare nella sua Casa… ehehe, anche qui c’è lo zampino del nostro Milo! ;)

Grazie come sempre, spero sarà stata una piacevole, anche se lunga, lettura! Vi ringrazio per il vostro sostegno e alla prossima! :)

 

 

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Capitolo 3
*** Atto III - In un luogo e in un tempo indefinito (prima parte) ***


N.B: questa parte della canzone si collega direttamente alla prima con protagonista Camus. Quindi, sì, maestro e allievo, pur separati, sono uniti! Mi sono presa delle piccole licenze per renderla un po’ più funzionale ai temi trattati. Credo si capisca, ma “amore” è inteso nel significato più ampio del termine.

 

 

Nel mezzo del frastuono, odo il tuo canto,

ora posso vedere la forma che avevo perso.

Per favore, dammi la forza di cambiare il futuro

(quel futuro) che avrei attraversato da solo.

Tu mi sorridi, e proprio grazie a questo

posso volare in alto.

Noi desideriamo il coraggio di (ri)connettere i nostri cuori,

quindi ci perdiamo nell’amore,

fino a quando non ritorno al mio vero me stesso

che sorride con te

 

 

 

 

Quel calore gli era stato infine sottratto.

Quel calore, a lui tanto caro, gli era stato strappato con foga inaudita.

Sradicato.

Estirpato.

Lasciando lui lì, nudo, privo di radici. A brandelli. Totalmente diruto.

Sentiva freddo, come mai prima di allora. Un freddo che penetrava nelle ossa e si irradiava nei muscoli, irrigidendoli.

Non aveva mai provato un gelo simile in vita sua.

Mai.

Non in Finlandia, sua terra di origine.

Non in una landa ghiacciata come la Siberia.

Non nel freddo del Mar Glaciale Artico.

Mai.

Non lo rammentava neanche più il calore, il calore del sorriso del maestro, il calore del suo corpo... assurdo, se si pensava che proprio lui, Camus, detenesse il pieno controllo delle energie fredde.

Il calore dei suoi parchi gesti che lasciava trapelare fuori da sé. Le carezze, quei leggeri contatti che celavano un mondo meraviglioso, tenuto a stretto sotto controllo; quella sua piega delle labbra quando era fiero di lui, i suoi occhi, che lo fissavano orgogliosi. Sempre.

Aveva sempre pensato che fossero qualcosa di imperituro ed eterno dentro di lui, invece...

Li aveva persi per sempre. E ora andava alla deriva, senza più forze in corpo.

Improvvisamente una stilettata all’occhio sinistro, come se qualcosa di rovente lo perforasse da parte a parte, penetrandogli prepotentemente nel cervello. Si sentì di impazzire.

Cacciò un urlo, alzandosi di scatto, piegato in due, gli occhi… l’occhio… sbarrato, che tuttavia non vedeva niente, niente, di quello che gli accadeva intorno. Non vi era altro che il dolore, insopportabile.

Fu accompagnato a forza giù da mani brusche, che lo schiacciarono lì, impedendogli ogni più piccolo altro movimento. Si divincolò, gridò ancora, con tutte le energie che aveva in corpo, prima di strozzarsi. Gli mancava l’aria…

Dragone Marino, non… non c’è un altro modo per… sì, insomma, salvarlo evitando di… di...”

Thetis, vedi altre soluzioni, qui? Pensi che avremo il tempo per cercare e trovare un’alternativa? Si sta dissanguando...”

Vi erano delle voci intorno a lui, un frastuono assordante, insopportabile, da spaccargli il cervello, già pressato da quell’immane dolore.

C’erano delle voci intorno a lui… una maschile, sardonica, possente, quasi spietata; l’altra, di donna, un cinguettio appena accennato, a tratti freddo, che però accennava una sorta di premura nei suoi confronti.

Non… non è che un ragazzo, Dragone Marino, sai cosa possa significare, per lui, risvegliarsi e scoprire di essere guercio? Portarsi dietro quella menomazione per sempre, ben visibile sul suo volto?”

Oh, ma come siamo sensibili, Thetis, devo ammettere che, pur essendo metà pesce, hai sentimenti del tutto umani e femminili!” la canzonò l’altro, quasi ghignando.

Isaac percepiva appena quanto dicessero fra loro, la loro voce trafiggeva da parte a parte i suoi timpani, risultando a tratti ancora più opprimente che il dolore medesimo, che stava cominciando a scemare… come la sua vita.

S-state zitti...”

Credeva di essere stato chiaro, con la sua voce, forse per la sua coscienza, sempre più labile, era stato davvero così, ma non per la realtà degli eventi.

Ha… ha detto qualcosa...” sussultò la voce femminile, sbigottita.

Detto?! Ma se sta solo rantolando come un cane in agonia?! E’ più di là che di qua, Thetis, dobbiamo agire subito, o sarà troppo tardi!”

Qualcosa gli premeva l’occhio sinistro, che non percepiva se non come tizzone ardente, sussultò a quel contatto, dimenandosi nuovamente, trovando nella disperazione le ultime risorse alle sue energie.

Non c’è quindi altro modo che cavare l’occhio… ma questo gli aumenterà di molto l’emorragia...”

L’orbita oculare sinistra è irreversibilmente danneggiata… se non gliela asporto ora e subito morirà tra pochi secondi, non è tempo da farsi prendere da sciocchi sentimentalismi – disse burbera la voce maschile, prima di rivolgersi direttamente al lui, al limite – Ragazzo, l’occhio è irrimediabilmente perso, non hai più speranze di riottenerlo, ma la vita posso ancora salvartela, a te, che sei stato scelto dal Kraken...” lo avvertì, prima di procedere con un pizzico di disumanità, che non guastava mai in quei frangenti. Non c’era, quindi, più speranza?

“C’è ancora speranza, coraggio...”

In quel momento Isaac udì una terza voce aggiungersi alle due precedenti. Avrebbe strabuzzato gli occhi, se solo fosse stato totalmente in sé. Lui, una voce così dolce e comprensiva, in quel ricordo straziante che ogni tanto tornava alla sua mente, non l’aveva mai udita, non c’era mai stata. E di quello era sicuro. Nella scena avevano partecipato solo Dragone Marino, poi riconosciuto come Kanon di Gemini, e Thetis della Sirena. Nessun altro. Allora chi?

Percepì nitidamente una mano accarezzargli il volto, sul lato destro del viso, riuscendo quasi miracolosamente ad acquietarlo, nonostante il dolore sempre più acuto, nonostante il gelo, nonostante… Un secondo! Dove era? Dove si trovava? I ricordi si accavallano, spietati…

“Coraggio… - gli ripeté la voce per infondergli forza e vigore, continuando a lambire la sua pelle con mani calde di velluto, così delicate… - Resisti, c’è ancora speranza di recuperare il tuo occhio, faremo del nostro meglio!”

‘Nostro’? Cosa? Chi? A chi appartenevano quelle dita di piuma che passavano, con gesto gentile sulla sua pelle, non facendolo sentire solo?

Cosa ancora più importante… dov’era?

“D-d...v… s-son...o?”

“Non ti sforzare… tra poco starai meglio… Isaac!”

La voce gentile conosceva il suo nome… perché lui invece, per quanto si sforzasse, al limite della sofferenza, ad un passo dalla voragine del nulla, non riusciva a rammentarla? Eppure sembrava così premurosa, così dolce… gli sovvenne in mente la voce di sua mamma, così lontana nel tempo...

Gli venne da piangere, sebbene avesse abbandonato i ricordi di quella vita, la prima, molto tempo addietro. La sua famiglia, che era stata trucidata da dei volgari assassini, era stata sostituita da Camus e Hyoga, dal calore di loro due. Si era sentito fratturato, ma loro, prima il maestro e poi il compagno di addestramento, lo avevano ricomposto, con cura e dedizione, donandogli una nuova identità, una nuova forma, che credeva incorruttibile.

Ma… l’aveva persa, anche quella, si era smarrito.

Si agitò nell’incoscienza, fremendo, divincolandosi di nuovo.

Lontani.

Irrimediabilmente lontani.

Per sempre.

“N-no… m-stro… Maestro!”

Un’altra mano fu sopra di lui voltandogli garbatamente il volto e premendo sopra la vecchia ferita, che ancora, talvolta, gli faceva male. Per quanto anche quel gesto racchiudesse una gentilezza senza pari, Isaac abbinò quel tocco a quello di un uomo.

“E’ molto agitato...” disse la voce femminile, con una nota melodiosa.

“Ha tutte le ragioni per esserlo...”

“Riusciremo davvero a… recuperarlo, occhio compreso?”

“Farò quanto in mio potere, è una promessa...”

“Maestro...maestro, siete voi? C-Camus!”

Anche quella volta Isaac pensò di essere stato chiaro nell’esprimersi, ma come reazione ottenne solo un sussulto provenire dalla voce maschile, e un sospiro proveniente da quella femminile.

Cosa stava accadendo, là fuori?Era tutto così confuso… Quel cosmo niveo, puro e solenne, lui lo aveva sempre abbinato al suo maestro. Non poteva essere che lui, ma qualcosa non tornava.

“Lo sta invocando...”

“Se gli serve per aggrapparsi a questa vita… che lo continui a chiamare con tutte le sue forze! - affermò la voce maschile, risoluta, prima di tornare a quello che stava facendo – Neanche io esiterò più!”

Sancì, più deciso che mai, posandogli l’indice e il medio sul sopracciglio e il pollice sulla guancia, dopodiché spinse con intensità sempre più crescente, e quell’intensità, quella pressione su di lui, diventarono ben presto insostenibili per il ragazzo.

Isaac urlò, di nuovo, con tutto il fiato ancora contenuto nel suo corpo, la terribile sensazione di essere risucchiato in un vortice scuro e centripete. Si alzò a sedere di scatto, ancora cieco, prima di essere trattenuto da braccia gentili e accompagnato a stendersi.

“Non arrenderti...”

Da qualche parte nella sua mente, anche l’altro Isaac si mise istantaneamente a gridare, sebbene di forze non ne avesse neanche più. Urlò con quanto fiato avesse in corpo, l’ancora più tremenda sensazione di essere stato appena sturato via da una forza infinitamente maggiore di lui. Essa partiva dal cervello, anzi no, direttamente dall’occhio, per poi diffondersi a tutto il corpo, che vibrò pesantemente.

Percepiva un caldo opprimente provenire proprio da quella zona che, proprio come un rubinetto appena liberato dopo essere stato stappato, prendeva a gorgogliare. Una sensazione davvero terribile, unita a quella di un liquido bollente che gli scorreva su tutto il volto, come un gorgo. Credette di morire, ma fortunatamente fu di breve durata. Tutto si eclissò nel soffoco di un respiro, portandogli solo una immane sensazione di stanchezza colossale che faceva defluire, con ancora più velocità, la sua coscienza.

Il rubinetto era stato infine stappato, l’acqua veloce ad essere risucchiata. Lo stesso il suo sangue…

Visto, Thetis? Ha smesso di sanguinare, e… Thetis? - domandò la voce maschile, sardonica, spietata, e con un pizzico di superbia. Attimi di silenzio, Isaac credette di essere completamente svenuto, ma il suono lo raggiunse di nuovo – Per tutti i cavallucci marini… hai sboccato sul pavimento?! Che schifo!”

Un odore acre invase la stanza.

Cose che succedono… quando assisti all’estrazione di un bulbo oculare a mani nude senza anestesia, non trovi?!”

Nonostante l’affanno, la voce femminile aveva dato una risposta pronta; Isaac, in circostanze migliori, l’avrebbe anche ammirata, perché gli avrebbe ricordato un po’ il suo modo di fare ironico, ma era troppo spossato, a stento manteneva un barlume di cosmo per non cedere del tutto. Resistenza vana, perché stava cedendo, sebbene non volesse precipitare. Non voleva, dannazione, non voleva! Non... poteva! Non poteva permettersi di perdere la forma che aveva raggiunto grazie agli allenamenti con il Maestro Camus...

Pulisci tu per terra, non di certo io, e ringrazia che il Sommo Poseidone sia dormiente in questo momento per conservare le energie per la nostra conquista, altrimenti sarebbe indignato da veder insudiciato così il glorioso regno di Atlantide!”

Oh, certo, lo farò… se tu pulirai tutto il sangue del ragazzo sparso dappertutto, a sua volta un tributo oltraggioso per il Sommo Julian Solo, non trovi?”

Lo farò, ma per lui è diverso, era necessario che diventasse interamente parte dei nostri!” sogghignò la voce maschile, toccandolo, con un pizzico di spietatezza sul volto. Isaac sussultò, sempre meno cosciente. Il bruciore stava lentamente calando, avvolto dalle tenebre del sonno. Tuttavia una parte di lui, la sua stessa volontà, rifiutava di cedere… farlo lo avrebbe strappato inevitabilmente da quelle braccia che lo stavano ancora cercando con disperazione sulla banchisa, e non voleva. Soccombere alle tenebre lo avrebbe separato per sempre da loro. Lo percepiva...

Cioé… lo hai fatto dissanguare come tributo?!”

Ma certo che no, sciocca! Ha perso il sangue per le ferite riportate, ma se vogliamo darci una valenza simbolica, questo è un po’ un rito di passaggio, no?”

Un rito… di passaggio?”

Già… - confermò la voce imperiosa di colui che prendeva il nome di Dragone Marino, tornando a toccargli il volto con gesto burbero – Per sancire il passaggio da Camus dell’Acquario alla Bestia Marina chiamata...”

Ca-Camus!”

Isaac era riuscito a pronunciare il nome del maestro in tono strascicato, non sapeva con che forze, non lo sapevano neanche loro. Con ogni probabilità, nel suo lento scivolare verso l’oblio, il suo era un ultimo, disperato, tentativo di resistere.

Avvertì il ghigno sadico su di lui, e capì, poco prima di crollare, che le ultime parole che avrebbe udito, sarebbero state rivolte proprio a lui, come se si conoscessero, o peggio, come se conoscesse, di fama, il maestro.

Chi diavolo sei realmente tu, che ti permetti di pronunciare il nome di Camus in quel tono beffardo? Lo conosci? Ci conosci? Cosa sai di noi?

Molto bene, Isaac, pare che tu sia assai devoto al tuo maestro... - il ragazzo sussultò nell’essere chiamato per nome, fremette, non potendo comunque fare nulla per reagire – Purtroppo però devo dirti che non sei, e non sarai più, suo allievo… qualcun altro ha toccato il tuo corpo con la propria effige, non si può più tornare indietro. Questa sarà una nuova vita per te!”

Isaac non riusciva quasi più a udirlo, mantenere quello stato di sub-coscienza era troppo per la sua fibra di ragazzo, era troppo per essere sopravvissuto alle correnti marine, ed era troppo per tutto il sangue che aveva versato. Infine cedette, ma le ultime parole di Dragone Marino gli si formano nel cervello, come se, al di là della coscienza, lui gliele volesse imprimere a caratteri maiuscoli, decretando così la sua condanna.

“…da ora in poi tu sarai il Kraken, Isaac...”

Kraken… era stato toccato dal Kraken, quello non avrebbe mai potuto essere cambiato.

Mai.

Un tempo si era potuto definire allievo di Camus, lo Sciamano dei Ghiacci, il Cavaliere dell’Acquario, l’uomo più puro e giusto che avesse mai conosciuto; ora c’era solo il Kraken, che aveva compenetrato la sua essenza fino a corromperla del tutto.

Era tardi, tardi per tutto.

“Non è tardi, puoi ancora rinascere...”

Di nuovo quella voce femminile gentile dai toni soavi, melodiosa come non ne aveva mai percepita alcuna.

Era spaventato, ma lei riusciva a tranquillizzarlo.

Ansimava per il dolore fisico, ma il suo tocco era quanto di più simile ad una panacea, che lentamente lo faceva scivolare in un sonno ristoratore.

Aveva freddo, ma la sua voce irradiava talmente tanto calore che era impossibile non esserne coinvolto a sua volta.

Fremette a quel solo pensiero. E si ricordò perché sentiva così tanto freddo fisico, oltre che quello già profondamente radicato nel suo animo.

Rammentò dello scontro avuto con Hyoga, del Regno degli Abissi, dell’Aurora Execution di suo fratello, ereditata dal maestro, che aveva soverchiato in un attimo la sua Aurora Borealis, causandogli un danno mortale… del suo ultimo respiro tra le braccia del compagno e amico di un tempo. Era quindi morto? Eppure era altrettanto sicuro di riuscire a respirare...

Ma, al di sopra di tutti questi frammenti della sua memoria, vi erano loro, gli occhi indispettiti di Camus, la sua ferma presa di posizione, al fianco di Hyoga, la sua delusione, che traboccava dal vaso di luce del suo Colpo Segreto che aveva passato al Cigno come testamento.

Da che Isaac si ricordasse, non aveva mai deluso il suo maestro. Si era sempre adoperato affinché lui potesse essere orgoglioso. Aveva sempre dato il massimo negli allenamenti, poiché voleva renderlo fiero di lui e seguirlo dappertutto. Desiderava ardentemente combattere al suo fianco, dimostrare che il frutto dei suoi insegnamenti, ovvero lui, sarebbe stato un degno Cavaliere di Atena, ben oltre le aspettative, per dimostrare, ancora una volta, che da un maestro eccezionale non poteva che uscire un allievo straordinario. Non in ultimo, forse persino la cosa più importante, avrebbe voluto proteggerlo e prendersi cura di lui, come Camus aveva sempre fatto nei suoi confronti, da quando, all’età di quasi 7 anni, si erano incontrati sulle sponde ghiacciate del Mar della Siberia Orientale.

Invece...

Non era lui. Non era MAI stato lui, quell’allievo eccezionale in grado di compiere imprese eroiche, ben oltre le aspettative.

Gemette, e sentì le lacrime solcargli le guance, in maniera frenetica e del tutto incontrollabile. Quello era senza ombra di dubbio il ricordo più doloroso di quella battaglia che aveva visto due fratelli fronteggiarsi perché appartenenti a due schieramenti diversi. Camus… il suo cosmo, che viveva in Hyoga, il suo sguardo tagliente e amareggiato, l’ostilità dei suoi occhi così impietosi. Non avevano parlato, in quel veloce scambio di occhiate, ma la disapprovazione l’aveva percepita tutta, aveva colpito più a fondo dell’attacco stesso, che gli aveva congelato quasi istantaneamente i polmoni e così il respiro. Lo aveva deluso, e questo, sì, faceva terribilmente male.

“Pe-perdonatemi… n-non… non sono mai stato d-degno di voi...”

Credeva di averlo solo pensato, invece la sua voce, febbricitante, era uscita dalle sue labbra screpolate dal gelo. A stento, ma era uscita.

Subito la mano gentile fu su di lui, carezzandogli i capelli con gesto soffice. Isaac, a quel gesto si sforzò di aprire le palpebre, movimento che gli costò non poca fatica. Ansimò ancora una volta, nello scorgere due iridi azzurre; di un azzurro purissimo, che destava stupore al solo ammirarle, contorniate da dei lunghi capelli argentati che brillavano come neve al chiarore lunare.

Un lago di montagna circondato dal ghiaccio, parevano… e Isaac, mentre la coscienza diventava labile fino a quasi scomparire, se ne meravigliò.

“Non sei una delusione per nessuno, tanto meno per il tuo maestro… - lo rassicurò lei con un ampio sorriso e con le mani di piuma che si ritrovava – A volte capita di fare scelte sbagliate, o di trovarsi schierati in fazioni diverse, capita, è la vita. Ma il bene che ti ha voluto, quello, rimarrà per sempre qui, custodito nel tuo cuore, fino al giorno in cui potrete finalmente riabbracciarvi. Coraggio, Isaac!”

Disse così, posandogli poi le labbra sulla fronte e premendo lì.

Una sensazione di stanchezza colossale lo avvolse, costringendolo a richiudere gli occhi, del tutto stremato, arrendendosi all’oblio che lo stava risucchiando.

L’ultima cosa che riuscì a pensare, prima di perdere i sensi, era che quella misteriosa donna dai tratti nordici, la pelle candita, i capelli del ghiaccio illuminato dalla luna e gli occhi di un azzurro splendente, doveva per forza conoscere Camus, il suo maestro. Si fece cullare da quell’ultimo pensiero; dal pensiero di rivederlo appena riottenute le energie sufficienti. Forse era davvero morto, forse no… ma lo avrebbe rivisto, in un modo o nell’altro. Prima o poi.

Gli mancava troppo…

 

 

* * *

 

 

Aveva smarrito il calore nell’esatto momento in cui, salvando suo fratello Hyoga, le correnti gelide e capricciose della Siberia lo avevano strappato da loro, dalla sua famiglia, facendogli al contempo perdere la forma che aveva difficoltosamente ottenuto. Poi era rinato come lo spietato Kraken per via di Kanon di Gemini, che sembrava orgoglioso di lui, un po’ come un figlioccio da cui ci si aspettava grandi cose. Sotto quella nuova forma contorta aveva vissuto per più di un anno, assumendo così tratti inumani.

Il Kraken, la distruzione primigenia, però giusta. Isaac era ancora fratturato dalla perdita della piccola famigliola siberiana, ma, in fondo, era contento di quell’appellativo, che pure, nell’ultimo periodo, aveva portato lui e il suo maestro a litigare aspramente più volte, mentre Hyoga cercava sempre di fare da paciere tra i due, con scarsi esiti, visto che entrambi, docente e discente, lottavano tra loro per dei principi in cui credevano ciecamente. Il primo vero scontro maestro/allievo...

Camus non aveva mai capito il reale significato intrinseco del Kraken, né tanto meno l’attrattiva che l’allievo provava per quella creatura mitica, per la quale era naturale provare ammirazione. Per lui, i maestro, era semplicemente inconcepibile prenderlo come esempio per assurgere ad un ruolo, quello del Cavaliere di Atena, che era un ideale totalmente agli antipodi.

Il punto era che Isaac non lo vedeva con quella stessa luce, affatto: perché il modo di operare del Kraken doveva essere così diverso da quello di Atena? Per preservare la giustizia sulla Terra, quella giustizia che avrebbe impedito ai deboli di essere sopraffatti dagli spietati, agli innocenti di essere uccisi dai malvagi, come era successo invece alla sua famiglia, non occorreva, forse, il pugno di ferro?! Non occorreva, forse, essere inesorabili a propria volta?! Il male nel mondo non sarebbe stato cancellato solo dalle belle paroline, o da sciocchi ideali privi di pratica, serviva la forza, con quella, solo con quella, si poteva realmente pensare di radiare via tutte le ingiustizie del mondo.

Camus, con il passare degli anni, capiva sempre meno l’allievo, arrivando a pensare che forse non lo aveva mai capito del tutto, sebbene sia per l’uno che per l’altro fossero tutto. Eppure...

Vi era sempre stato un rapporto speciale tra loro, dalla prima volta che si erano visti, come una scintilla, del tutto simile all’infatuazione, poi concretizzatasi in qualcosa di molto più profondo: un legame che non si sarebbe mai spezzato.

Così Isaac credeva.

Ma… quel calore gli era stato tolto, il legame spezzato… e faceva male… dannatamente male! Da togliere il fiato.

Questo era ciò che la mente di Isaac pensava di giorno in giorno, nel coma spietato e denso di vaneggiamenti che lo aveva avvolto dopo aver guardato un’ultima volta quegli occhi incredibilmente azzurri. Le ferite stavano progressivamente guarendo, con esse il male fisico, anche se per quello spirituale non c’erano altri metodi, al di là della tempra e della volontà del ragazzo stesso.

Passarono i giorni, una parte di Isaac ne era consapevole di quell’incedere naturale di cui lui era fuori, perché caduto forzatamente in un altro mondo, quello del suo inconscio. Non partecipava allo scorrere del tempo, ma la sua mente era talmente gremita di cose, persone, sensazioni ed incubi, da non poter essere in alcun modo tollerata da un cervello perfettamente funzionante, ecco quindi il motivo fondamentale del suo non riuscire a riprendersi: non il male fisico, ma quello psichico. Ancora una volta, faceva troppo male.

Il calore gli era stato strappato, eppure… qualcosa ancora c’era, rimanendo intessuto nella sua anima. Un ricordo, una percezione puramente uditiva, un’emozione intensa, una… melodia.

Camus, a onor del vero, non cantava mai, sebbene avesse una voce delicata e cristallina che, all’occorrenza, avrebbe pure potuto intonare i canti angelici, o i suoni della natura, o chissà quale altro prodigio. Tuttavia non cantava mai, farlo lo metteva in forte imbarazzo, lo metteva a nudo, perché esternava la sua stessa anima, scoprendola. E Camus odiava essere scoperto, privo di protezioni.

Così la leggenda della melodia di Camus, che si passavano le genti di Pevek, di Kobotec e della Siberia Orientale, era mutuata in ‘sentito dire’ quasi un mito, come la figura medesima del Cavaliere.

Isaac era giunto in Siberia all’età di quasi 7 anni. In verità ce lo avevano proprio trasportato, dopo l’uccisione dei suoi, ma i ricordi erano sfumati. La cosa più importante però era stata che, sempre all’età di quasi 7 anni, lui aveva conosciuto Camus e, con lui, il rispetto, la devozione che gli abitanti di quelle lande provavano per la sua persona, quasi da tratteggiarla con tratti similmente divini.

Tra tutti quei racconti, di cui il piccolo era stato irrimediabilmente carpito con naturalezza e spontaneità, il più intenso era stato senza ombra di dubbio quello inerente alla voce limpida con cui Camus riusciva ad intonare determinati, sfavillanti, canti sciamanici.

Nessuno poteva vantarsi di averlo udito cantare.

Nessuno. Tranne Isaac.

 

Aveva ancora in testa quella strana melodia ricca di suoni che sembravano onomatopeici e di parole a cui lui non riusciva a trovare un senso, quando il piccolo Isaac, riaprì faticosamente i suoi occhi.

Era confuso, stanco, spossato… si accorse ben presto di non avere neanche le forze sufficienti per sollevare un braccio, né quasi muovere un singolo muscolo. Con l’avanzare del percorso dall’incoscienza, alla veglia, e poi al risveglio, si rese conto di essere adagiato prono su qualcosa di morbido e delicato, che irradiava un tepore del tutto naturale. Ne era cullato, da quel contatto che non riusciva a definire, quasi desiderò ripiombare nelle tenebre del sonno ristoratore, ma qualcosa in lui oppose resistenza. Gli servì diverso tempo ancora per cominciare a catalogare quel giaciglio su cui era stato disteso come qualcos’altro rispetto alle lenzuola del letto che comunque lo avviluppavano per donargli quel calore che gli era stato strappato, anche se non si ricordava ancora nitidamente da chi o da cosa.

Si mosse appena, quasi alla cieca, tastando sotto di sé come meglio concedevano le sue forze, accorgendosi finalmente che quel nido così rassicurante, che irradiava un calore meraviglioso e vitale, era formato dal torace e dalle braccia di Camus, che lo trattenevano a sé con un pizzico di paura. Il segreto, di quel tepore così genuino, era la sua pelle, tenuta nuda proprio per riscaldarlo e scacciare così il gelo che, per un soffio, non se lo stava portando via.

M-maestro...” farfugliò finalmente, notando che tutt’intorno era buio e che la luce naturale di fuori entrava dalla finestra quanto bastava per scorgerne il profilo addormentato, seppur teso.

Al suono della voce del bambino, Camus si riscosse, aprendo a sua volta gli occhi che si incontrarono con quelli nuovamente brillanti dell’allievo, che lo fissavano con stupore. Il piccolo fece per alzarsi, ma lui lo trattenne contro di sé, riadagiandolo sull’ampio petto e avvolgendolo in un nuovo abbraccio.

I-Isaac… rimani sdraiato per il momento, sei ancora molto debole...” biascicò, sospirando appena. Era una manifestazione di sollievo.

Isaac si lasciò condurre nuovamente giù, mentre i ricordi e le domande si accavallavano, non trovando più la sequenza giusta. Cosa era successo? Cosa ci faceva lì, sopra il corpo del maestro, pelle contro pelle? Cos’era quell’arcana sensazione di perdita, di… gelo?

M-maestro… cosa…?” tossì nello sforzarsi di parlare, rannicchiandosi ancora di più contro di lui. Gli mancava l’aria, e non sapeva spiegarsi perché.

Stai tranquillo, è tutto finito ora… sei al sicuro!”

Furono le uniche parole, pronunciate in una tonalità più rassicurante possibile, ma Isaac percepiva la stanchezza dietro quel tono camuffato da conforto, il senso di impotenza dietro le sue premure, la rabbia in mezzo all’apparente tranquillità. Una rabbia non certo rivolta a lui, ma che il piccolo avvertiva pienamente.

Tentò di rilassarsi contro il suo torace glabro, adagiando l’orecchio proprio lì, in modo da avvertirne i battiti del cuore, irregolari e un poco frenetici, malgrado il riposo. Era come se avesse fatto uno sforzo tale, prolungato, da fiaccare l’intero corpo, oltre a quell’organo in questione. Si preoccupò.

Più Isaac recuperava coscienza, più una sensazione di vuoto e di terrore si impadroniva di lui. Tremò, mentre, lentamente, alcuni ricordi tornavano, crudeli.

Camus avvertì il palpito di quel piccolo corpo contro il suo, inesorabile, pertanto si adoperò per scacciarlo via.

Stai tranquillo, piccolo...” ripeté, in tono più affettuoso possibile, quasi come volesse fargli sentire la sua vicinanza anche tramite la voce. Lo strinse, una mano tra i capelli irsuti del bambino, l’altra su quel corpicino ancora sofferente, che aveva già patito fin troppo, per avere solo 7 anni.

Cosa… cosa è s-successo?” riuscì a chiedere Isaac, con un filo di voce, affondando il viso nello sterno del maestro, in cerca di rassicurazioni. Aveva le lacrime agli occhi.

Non ricordi nulla?”

I-io...”

Sgranò gli occhi a quella domanda, e singhiozzò, la mente ormai totalmente vigile per rammentare malauguratamente… tutto! Così le immagini del rapimento del suo compagno di addestramento, della sua rabbia cieca e dell’intervento del maestro, furibondo, gli passarono velocemente in testa, andando infine a cozzare con la consapevolezza di essere quasi morto anche lui. Quel dolore che aveva provato, così vivido, netto, invasivo, prima di accasciarsi sul permafrost a sua volta, in lacrime, senza capirne il motivo, i polmoni che non riuscivano più a trovare l’ossigeno necessario; le ultime immagini del suo compagno di addestramento, in un lago di sangue, l’urlo viscerale di Camus, che teneva quel corpicino straziato tra le braccia, poi rivolto nella sua direzione nel vederselo stramazzare a propria volta sul ghiaccio.

No, Isaac, non anche tu… NO!”

Il nulla che ne era seguito, implacabile.

Rammentò tutto, e di nuovo faticò non poco per tornare a respirare, mentre il suo corpo sussultava, in preda a spasmi incontrollabili, portando Camus ad utilizzare ancora un po’ del suo niveo cosmo per tentare di tranquillizzarlo.

Sono qui, coraggio, respira con calma!” gli sussurrò ancora, sforzandosi di mantenere il controllo nonostante lui stesso fosse scosso dagli ultimi avvenimenti. Inspirò ed espirò diverse volte, trattenendo Isaac contro di sé, in modo che percepisse i movimenti naturali del suo torace per potersi così acquietare tramite quelli. Il piccolo aveva preso a singhiozzare, impiegò diverso tempo per convincersi a lasciarsi cullare dai respiri sempre più profondi del maestro, che lo accompagnava passo per passo, con premura. Alla fine riuscì nel suo intento.

L-Lisakki, lui è...”

Non ho potuto fare nulla per lui."

Gli occhi di Camus erano tristi mentre pronunciava quelle poche, difficoltose, parole, discostando lo sguardo dolente dal corpicino di Isaac, di nuovo intento a guardarlo, sgomento. Fremette a sua volta, in uno spasmo, ma si sforzò di tornare presto alla calma, ne andava della salute del piccolo, che aveva appena ricordato gli avvenimenti e ne era rimasto sconvolto.

Lisakki, omonimo di Isaac, non c’era più… il suo secondo allievo morto… in maniera peggiore del primo, se possibile, anche se, nella sua esperienza, non aveva mai visto qualcuno lasciare il calore della vita in maniera, per così dire, indulgente. Non era davvero come addormentarsi, non lo sarebbe mai stato, erano solo frottole che raccontavano ai bambini per non farli piombare nella più nera disperazione. La morte non era mai dolce, mai… anche quando sembrava assumere connotati più umani, anche quando subentrava dopo una lunga vita… Non poteva esserci nulla di dolce in tutto quello!

Si morse il labbro con intensità, quasi rischiando di farselo sanguinare. Il Grande Tempio di Atene aveva preso ad affidare a lui alcuni sventurati bambini che avrebbero potuto diventare Cavalieri della dea… che idiozia! Per quanto esponente della Cerchia Dorata, la sua età, la sua inesperienza, la sua stessa ingenuità, aveva causato già due dipartite, altri non ci erano nemmeno arrivati in Siberia. Era umanamente intollerabile, non solo come difensore di una presunta giustizia alla quale doveva attenersi, ma anche e soprattutto come essere umano.

Svetlan, Lisakki… c’era mancato poco, davvero poco, che anche il piccolo Isaac non seguitasse la stessa sorte.

Ma era riuscito a salvarlo, pregando in tutte le lingue che conosceva, effettuando riti che aveva visto attuare dal suo maestro e intonando una melodia che sentiva nel suo cuore; una melodia in cui aveva profuso tutta la sua energia, tutto il suo respiro, per salvarlo. Ne era uscito fisicamente e psicologicamente distrutto, spossato, ma alla fine vi era riuscito, la respirazione e i battiti del piccolo si erano regolarizzati, permettendogli così di prenderlo tra le braccia, adagiarselo sul petto e riscaldarlo, perché le gelide dita della morte lo avevano sfiorato, quindi occorreva calore corporeo, la discrepanza tra la vita e la Nera Signora.

E’ stata colpa mia, Maestro...”

Il bambino, tra una lacrima e l’altra era riuscito finalmente a parlare in un tono un po’ più alto, anche se comunque stentato.

Non è colpa tua in alcun modo, Isaac, asciugati quei lacrimoni che inzuppano il tuo volto stremato. Non ha senso piangere, fatti coraggio, le cose non cambieranno...”

Provò a rassicurarlo, avvertendolo agitato e sconvolto. Era ancora febbricitante, non gli faceva bene reagire così, avrebbe solo dovuto dormire per recuperare le forze. Scese con la mano destra lungo i suoi capelli, passandogli poi il dito sulle guance e solleticandogliele, come a voler scacciare via il liquido, la sinistra era ancora posata sulla schiena.

A quel punto Isaac gli acciuffò la mano in movimento, tenendola contro di sé: aveva bisogno di lui, di percepirlo.

Avrei dovuto proteggerlo… proteggere il mio compagno di addestramento. Era più piccolo di me, aveva solo 6 anni… invece non ci sono riuscito!” si colpevolizzò ulteriormente, inconsolabile.

Camus avrebbe dovuto meravigliarsi della frase pronunciata da uno scriccioletto di appena 7 anni, perché sentirsi responsabile di un simile fatto, imprescindibile dalla sua volontà, era troppo per un corpicino così piccolo, ancora non del tutto avvezzo a quel clima e alla rigidità della sorte, ma Isaac era un bambino speciale, se ne era reso conto appena lo aveva guardato negli occhi il primo giorno; occhi del colore dei pascoli di montagna, occhi che racchiudevano una grande determinazione e una spumeggiante voglia di vivere, di farcela ad ogni costo, superando tutte le difficoltà. Isaac gli era entrato nel cuore dal primo scambio di sguardi e, anche se in principio aveva cercato di rimanere il più distaccato possibile, non era riuscito a proibire a sé stesso di volergli bene.

I-Isaac, era una mia responsabilità, non tua. La colpa è stata mia e… - prese un profondo respiro, accorgendosi che aveva ricominciato a tremare più intensamente di prima, come se il trattenersi fosse sempre più impossibile – Sei ancora molto debole, ora r-riposati, avremo tempo di parlare meglio dopo, quando ti sarai ristabilito”

E tacque, chiudendo gli occhi e serrando le labbra, che altrimenti, lo sentiva, avrebbero prodotto a loro volta una sorta di singhiozzo. Strinse ancora di più a sé Isaac, ancora spaventato alla sola idea di perderlo, ma lui era lì, il peggio era passato, ce l’aveva fatta… tremò ulteriormente.

Il bambino intanto era tornato a posare l’orecchio sul torace del maestro, sforzandosi di smettere di piangere come gli era stato raccomandato. Fu allora che lo avvertì, più intenso dei battiti del cuore e dei respiri, più difficilmente sopportabile: il peso della colpa e del fallimento, il suo malessere, tenuto strenuamente ancorato al suo petto, impossibilitato ad uscire per volere stesso della volontà di Camus, che non si perdonava alcuna manifestazione di debolezza.

Isaac le percepì nitidamente, quelle lacrime alla ricerca di uno sbocco, che il suo maestro non voleva far trapelare fuori da sé, probabilmente per non far aggravare l’ansia e la preoccupazione che già provava lui. Rabbrividì, ammirandone la forza psichica. Camus rifiutava le lacrime non perché non fosse in grado di riprodurle, tutt’altro, le rifiutava per non mostrare tutta la sua fragilità interna, tutta la friabilità della montagna che lui si era prefissato di essere per gli altri. Un sostegno sicuro, certo, ma frangibile alle intemperie della vita, questo era… e faceva commuovere al solo pensarlo.

Si rannicchiò ancora di più contro di lui, portando faticosamente le braccia davanti come a volerlo abbracciare, fargli sentire che lui era lì, vivo, al suo fianco. Perché il maestro era a sua volta molto agitato, anche se non lo lasciava trasparire. Isaac chiuse istintivamente gli occhi, come a volersi appisolare, ma dalle sue labbra fuoriuscirono, quasi inconsciamente, pochi, semplici suoni che, concatenandosi, formarono la strofa di una melodia.

Ha la la ha se la ha la le lu...”

Cosa stai canticchiando adesso, soldo di cacio?” gli chiese Camus, aumentando la stretta su di lui nell’udire la sua vocina flebile intonare una sorta di ninna nanna.

La vostra canzone, Maestro...”

A quelle parole il corpo di Camus si irrigidì, tremando un poco a quella rivelazione. Avrebbe voluto guardarlo in faccia, ma il piccolo era appoggiato con l’orecchio destro sopra il suo cuore, il viso nascosto tra il braccio e l’avambraccio.

L’hai… udita?” domandò, incredulo, il respiro corto.

Sì, me l’avete cantata quando stavo male, vero? Per dirmi di non arrendermi, per farmi reagire… era calda e accogliente, mi è entrata dentro e non se ne è più voluta andare… - farfugliò il piccolo, assonnato – Avete una voce bellissima, maestro, mi chiedo perché l’adoperiate così poco per cantare...”

Camus tacque per una serie di secondi, buttando uno sguardo fuori dalla finestra, verso l’orizzonte. La luna era bassa, il cielo era limpido, creando un’atmosfera di una bellezza senza pari.

Sì… è una canzone che, non so bene come spiegarlo, è intessuta nella mia anima. Non so nemmeno cosa significhi pienamente, ma… quando mi sento solo, confuso e spaventato la utilizzo per tranquillizzarmi… - cominciò a narrare lui, in tono crescente – Sembravi così debole, Isaac… avevo paura che non riuscissi più a percepire la mia presenza e allora… allora l’ho cantata, mentre mi prendevo cura di te...” gli rivelò, il petto tangibilmente sconquassato, facendo così percepire, ancora una volta, il suo stato al piccolo.

Isaac sorrise tra sé e sé, stringendo le manine sul petto del maestro, poco sotto le due clavicole.

E’ per questo che ora… io la canto a a voi.”

I-Isaac, cosa…?”

Come è che faceva? Si vi bi le shi dhina… oh, non la ricordo interamente, accidenti!”

Isaac, non c’è bisogno di sforzarti in questa maniera, io sto bene… riposati, sei stremato.”

Lo siete anche voi… e triste… e spaventato! Por questo continuerò a canticchiare questo motivetto finché non starete meglio!” rispose pronto il piccolo, tornando a concentrarsi su quella melodia che però gli sfuggiva.

Oh, Isaac...”

Non aggiunse altro, si limitò a sistemarlo meglio sul torace e a regalargli, con dolcezza, carezze durature, che partivano dai folti e ispidi capelli per poi scendere sulla schiena, lì fermarsi, aspettare un attimo, e poi riprendere dalla chioma. Lentamente, con costanza, come a volerlo cullare.

Il bambino intanto si faceva in quattro per recuperare la melodia perduta, gli era sopraggiunta la seconda parte della strofa, pertanto riprese il suo canto.

...how we le la la le la hanezeve caradhina...”

Di nuovo il seguito gli sfuggiva, i ricordi erano labili, sfumati, non la rammentava completamente, ma non si diede per vinto, ripetendo e canticchiando quel pezzo senza stancarsi, con intonazione sempre più dolce, desideroso di far star meglio anche il suo maestro, come quest’ultimo aveva fatto precedentemente con lui.

Il respiro di Camus, così come il suo corpo, a quel contatto e a quella melodia si era di molto rilassato. La respirazione era diventata leggera e perfettamente regolare, probabilmente anticamera del sonno; la mano, con il quale accarezzava il piccolo, si era fatta più pesante, quasi non la percepiva più come parte del corpo. Compì ancora due giri prima di restare, immota, sopra le scapole del bambino.

I-Isaac, i-io ti v-v… - sospirò, affranto, sprofondando nel cuscino – grazie...” riuscì infine a sussurrare, addormentandosi completamente poco dopo.

Anche Isaac era molto stanco, lo avrebbe accompagnato volentieri nel mondo dei sogni, sperando quasi che tutti i fatti avvenuti non fossero altro che un incubo, ma prima si permise di scostarsi un poco per guardare, ancora una volta, il viso del maestro, rischiarato dai raggi lunari.

L’espressione non era del tutto serena, difficile che lo fosse pienamente, la pelle rifletteva quella luce come se fosse acqua, dando la sensazione di qualcosa di etereo e di concreto allo stesso tempo; le labbra erano dischiuse, semiaperte, cosa che accadeva di rado, solo quando Camus era del tutto rilassato, o ancora, quando era particolarmente esausto. Chissà quante energie aveva dovuto adoperare per salvargli la vita, per quanto tempo, una volta messolo fuori pericolo, si era preso cura di lui. Era distrutto, non solo per la perdita subita, ma anche per la perenne tensione che, molto probabilmente lo aveva avvolto fino al suo risveglio.

Isaac si sollevò appena, avvicinandosi ulteriormente al suo volto addormentato, prima di circondargli il collo con le braccine in una sorta di abbraccio, il viso nascosto tra le due clavicole. Finalmente chiuse gli occhi, a sua volta sfinito.

Ho… ho capito il messaggio, Maestro Camus… - sussurrò flebilmente, prendendo un profondo respiro – A-anche io vi voglio bene!”

E si addormentò lì, cullato dal suo respiro, cuore contro cuore.

 

Il calore gli era stato violentemente strappato, le proprie radici perse, così come la forma che era destinato ad acquisire… smarrita anche quella.

Quel calore che per lui era tutto gli era stato estirpato con spietatezza, ma quella canzone accarezzava ancora il suo cuore, non facendolo sentire completamente solo. Quella melodia, la voce cristallina del maestro… poteva percepirle nel frastuono più assordante, lontano anni luce da casa.

Era parte di lui, lo sarebbe stato per sempre, persino lì, al confine tra la vita e la morte, mentre mani gentili, delicate, asciugavano tutto il suo corpo bagnato di sudore.

 

 

* * *

 

 

Al coma erano seguiti giorni di sonno agitato, a metà strada tra la veglia e l’incubo. L’incedere del tempo continuava a scorrere, piano piano le sue forze tornavano, anche se non sufficienti per muoversi. Le ore e i minuti non avevano più un significato per lui, semplicemente trascorrevano, mentre i colori e le forme, prima sfumate, assumevano contorni mano a mano sempre più definiti.

Cominciò a riaprire gli occhi e a mantenersi vigile sempre più spesso, meravigliandosi di aver riacquistato la piena vista, quasi stupefacendosene, perché si era ormai abituato a vedere solo da un’unica parte. Eppure… non si era ancora visto allo specchio, non riusciva ancora ad alzarsi, ma la consapevolezza di riuscire a vedere e di essere vivo prendeva sempre più piede in lui.

Quel giorno si sentiva meno tremante del solito, al punto di reggersi seduto da solo, senza sostegno. Aveva preso a guardarsi ogni più piccola parte di corpo, sorprendendosi ancora di più nel constatare che era stato medicato con erbe medicinali essiccate e poco altro, talmente miracolose che le vecchie ferite subite nello scontro con Hyoga, si erano completamente rimarginate. Non ne sarebbe rimasto neanche più il segno. Forse.

Purtroppo, alla pari con il ritorno alla coscienza e allo sbigottimento, il suo cervello si poneva domande sempre più frequenti; domande per le quali non otteneva che deboli, fugace risposte, unite ad occhiate indicative ad opera della persona che si era preso cura di lui per tutto quel tempo.

Sospirò affranto, scostandosi le coperte e provando a muovere le gambe, che rispondevano bene alle sue direttive, nonostante l’inedia in cui erano state costrette. Isaac non aveva idea se sarebbero state in grado di sorreggerlo, ma se non ci avesse provato non avrebbe potuto mai scoprirlo, pertanto, puntellando le braccia, fece per alzarsi, ma in quel momento qualcuno bussò e una voce da fuori, melodiosa, lo raggiunse.

“Permesso?”

Isaac sussultò, ricomponendosi immediatamente e recuperando le coperte, con il quale si cinse il grembo. Quella giovane donna lo aveva già visto nudo, in quei giorni di incoscienza profonda, ma l’idea di mostrare le proprie grazie anche da sveglio non lo allettava per niente, pertanto si premunì di non lasciar vedere nulla, prima di rispondere.

“Avanti! - disse, in tono più alto del normale, aspettando che lei entrasse, cosa che fece immediatamente – Non dovrebbe chiedermi il permesso, la casa è sua… Signorina Seraphina!” farfugliò, arrossendo nel riconoscere la sua figura sinuosa.

“Oh, per favore, Isaac, dammi pure del tu e chiamami solo Seraphina, mi imbarazza essere appellata così. – lo sgridò bonariamente, con un largo sorriso, prima di posare il vassoio sul comodino – Ti ho portato la cena, piccolo!” gli spiegò poi, arruffandogli dolcemente i capelli con fare protettivo e naturale.

‘Piccolo’ era un soprannome che lo destabilizzava, per tanto Isaac discostò lo sguardo per celare il disagio. Poteva essere chiamato ‘piccolo’ dal Maestro Camus, nei momenti intimi, e soprattutto quando era veramente un soldo di cacio, non certo all’età di 15 anni compiuti, era tremendamente imbarazzante! Tuttavia si sforzò di non darci peso, sporgendosi per afferrare il piatto, che conteneva una minestra di color verde piuttosto densa, e del pane scuro.

“Riesci a mangiare da solo?” gli chiese premurosa Seraphina, sedendosi a bordo letto, temendo di essere troppo invadente.

“S-sì, sono abbastanza in forze!”

E poi anche quello era tremendamente imbarazzante, essere imboccato perché troppo debole per nutrirsi, che vergogna! Anche quella era una cosa tipica da Camus, ma solo quando lui era un marmocchio di sette, otto, o nove anni, non certo dopo!

Rimase in silenzio ad assaporare la zuppa, constatando che, a dispetto di quella del maestro, Seraphina le faceva molto più leggere e molto meno salate, anche se ugualmente piene di nutrienti. La minestra andava giù come l’acqua, riscaldandogli immediatamente lo stomaco e regalandogli nuovo vigore.

“Sei bravo, Isaac… scusami se è tutto quello che possiamo offrirti, non ti sei mai lamentato di nulla, sebbene il menù sia quasi sempre lo stesso, ma… - sospirò, affranta, guardando in direzione delle finestra – Le scorte stanno per finire...”

Si lasciò sfuggire, in tono tremante. Sembrava davvero amareggiata e dispiaciuta. Isaac se ne accorse ma decise di non darci peso, anche se le domande, nella sua testa, stavano cominciando a traboccare. Seraphina si lasciava spesso fuggire frasi, più propriamente mezze frasi, avvolte dal mistero. All’inizio era troppo debole e frastornato per chiedere chiarimenti, poi, mano a mano che il tempo trascorreva e che le forze tornavano, mille e più quesiti, desiderosi di risposta, avevano preso a ronzargli frenetici in testa. Dove si trovava? Quanto tempo era passato? Chi era lei, veramente? Perché quel cosmo niveo e candido, il suo, sembrava nascondere più di quanto manifestava? Ancora una volta, si trattenne su quell’argomento, come se l’intuito lo fermasse dal venire a scoprire una verità dolorosa, come se l’istinto avesse già compreso di trovarsi in una situazione del tutto fuori dall’ordinario.

“Non si… volevo dire, non ti preoccupare! Anche da dove vengo io vi erano periodi di magra e periodi migliori, amo mangiare di tutto, ma sono altresì abituato a resistere ai morsi della fame, e comunque le zuppe sono buone!” provò a tranquillizzarla, buttando a sua volta un occhio fuori dalla finestra: notte, era di nuovo notte, possibile che si svegliasse sempre con il buio?Che iella!

Seraphina non disse niente, indovinò la direzione del suo sguardo e trasse un profondo sospiro, recuperando poi il vassoio con il piatto.

“Riposati ancora un po’, stai recuperando le forze, ma sei ancora debole… è prematuro per te alzarti” gli consigliò prima di accomiatarsi, dirigendosi verso la porta. Isaac però desiderava continuare il dialogo, in un modo o nell’altro. Finalmente riusciva a mantenersi cosciente per più tempo, gli mancava non discorrere con qualcuno.

“Quanto manca all’alba?” chiese, d’istinto.

“E-eh?”

“Quanto manca all’alba? - ripeté Isaac, sistemandosi il cuscino e rimboccandosi le coperte, non aveva fatto che pochi movimenti, ma era già stremato – Pensavo: mi sveglio sempre con il buio fuori, un giorno di questi mi piacerebbe rimanere vigile per assistere al sorgere del sole...”

Le braccia di Seraphina ricaddero molli, pur mantenendo comunque la presa ferrea sul vassoio. Tremò impercettibilmente, ma abbastanza per destare l’interesse di Isaac, che si voltò verso di lei, stranito. Credeva di aver posto un quesito naturale, ma così non sembrava vista la reazione.

“Ma-manca ancora molto… per stanotte ti consiglio di dormire, Isaac, avrai tempo per vedere l’alba quando starai meglio!”

Il suo tono di voce era strano, spingendo così il ragazzo a deviare ancora argomento, su un qualcosa che aveva percepito fin dal primo barlume di coscienza formatasi in quel luogo, ma che non aveva avuto altresì il coraggio di chiedere, un po’ per viltà sua, un po’ perché le increspature di quel cosmo, vicino ma lontano, famigliare ma sconosciuto, lo avevano confuso ancora di più. All’inizio aveva provato lui stesso ad avvicinarsi, con gli occhi della mente, ma l’essenza gli sfuggiva e, del resto, non si era mai palesato davanti ai suoi occhi vigili… perché? Che ancora… che ancora fosse così furibondo con lui?

Se lo meritava, certo, ma… Ingoiò a vuoto, stringendo i pugni. No, quel giorno avrebbe rigettato tutte le sue incertezze e avrebbe trovato il coraggio di porre la domanda. Non esitò più, non poteva più soprassedere sull’argomento.

“Tu… conosci il mio Maestro Camus dell’Acquario, vero?” chiese, tutto d’un fiato. A Seraphina mancò poco di non lasciar cadere tutto per terra. Si appoggiò alla parete, vicino alla porta di uscita, gli occhi ancora sfuggenti, quasi annebbiati.

“Rispondimi, ti prego… tu ti sei presa cura di me per tutti questi giorni, ma non eri sola, vero? Dentro queste mura vive un’altra persona, che si allontana in determinate ore per poi tornare a sera, credo. Io… lo so, l’ho avvertito, sento il suo cosmo e… e...”

Il suo tono era salito fino a strozzarsi. Serrò le palpebre, preda di una sofferenza tangibile e che però non aveva più nulla a che fare con le vecchie ferite. Sbarrò gli occhi davanti alle lacrime, che avvertiva pizzicare tra le ciglia, trattenendo a stento un singhiozzo. Mantenere la calma in qualunque circostanza… non stava affatto adempiendo a quell’insegnamento che gli aveva aveva impartito il suo venerato maestro. Una delusione… continuava a pensare di essere stato una delusione per lui, ma forse Camus era lì con loro, del resto avvertiva un cosmo del tutto simile, anzi, perfettamente calzante con quello che aveva da sempre imparato ad amare e riconoscere.

Forse non era tardi per chiarirsi… anche se la logica di quel posto gli sfuggiva.

Forse non era tardi per riconciliarsi.

Forse, semplicemente, la sua vita era stata prolungata allo scopo di non avere più alcun rimpianto.

Forse…

“Non ti fa bene agitarti così...”

“Tu rispondi solamente… lo conosci?”

“Sì… e no...”

Gli occhi di Isaac, improvvisamente brillanti, si erano nuovamente spenti al suono di quelle ultime due lettere.

“Come sarebbe a dire…?”

“Ascoltami… avrai le risposte che cerchi al momento giusto, ora pensa solo a rimetterti in forze, non sei ancora pronto per affrontare una simile verità...”

“N-non sono così debole, il… il maestro Camus mi ha insegnato a...”

Non terminò la frase, sentendosi nuovamente stremato. Un capogiro lo aveva colto. E capì. Capì che quelle zuppe leggere che scendevano già nello stomaco e nell’esofago con naturalezza, non servivano solo rimetterlo in forze, ma anche per indurlo in un o stato di sonno allo scopo di concentrare tutte le sue energie psico-fisiche verso la guarigione completa, come dei veri e propri narcotizzanti.

Seraphina, capendo che la medicina stava per fare effetto, si avvicinò nuovamente al letto, posando il vassoio sul comodino e permettendosi di accarezzargli i capelli con fare materno, come a volerlo coccolare e accompagnare piano piano verso l’incoscienza. Isaac cedette, accasciandosi sul letto, sempre più intontito. Tuttavia riuscì ancora a parlare un’ultima volta.

“A me… manca tantissimo… sento i-il suo cosmo, qui vicino, così niveo e immenso, ma… ma non si è mai avvicinato a me, tranne quando mi avete curato e… - prese un profondo respiro, chiudendo stancamente le palpebre – E’ ancora così arrabbiato con me?” chiese, in tono supplichevole, abbandonandosi all’oblio.

Seraphina sorrise mestamente, accarezzandolo ancora un po’, fino a quando il suo respiro non diventò regolare e giustamente cadenzato. Si era completamente addormentato.

“Non può essere arrabbiato in alcun modo con te, Isaac. Sei il suo orgoglio, questo non dimenticarlo mai, e… - si sforzò di rendere il suo tono meno tremante – Vedrai che prima o poi potrete riabbracciarvi!” gli ripeté, per fargli forza, rimanendo lì a coccolarlo ancora un po’, come avrebbe fatto con suo figlio.

 

Era difficile comprendere lo scorrere del tempo dentro le nebbie oscure dell’incoscienza. Parevano passati secoli dallo scontro con Hyoga, eppure quelle immagini, quella sensazione di essere soverchiato, quegli occhi che emanavano una delusione profonda, non smettevano di rimbalzargli in testa, dando l’impressione che fosse accaduto appena ieri.

Quando Isaac aprì nuovamente le palpebre, la prima cosa che fece istintivamente fu quella di gettare lo sguardo fuori dalla finestra, scorgendone il buio imperituro.

Notte, era di nuovo notte, assurdo! Quasi soffiò fuori il suo fastidio, mentre, concentrando le sue forze, si alzò a sedere. Seraphina non era nella stanza, le energie però erano quasi pienamente tornate. Si meravigliò nel constatare di riuscire a stringere a pugno le mani più volte senza tremare, come invece accadeva i giorni precedenti. Socchiuse gli occhi, concentrandosi sui cosmi nelle vicinanza. Vi era solo l’aura della Signorina Seraphina, l’altra emanazione non era presente in quelle quattro mura, ma gli era talmente famigliare da riuscire a scorgerla in avvicinamento. Ne provò un tuffo al cuore.

Seraphina gli aveva detto che avrebbe avuto le risposte al momento giusto; Isaac scelse che quel momento giusto era appena arrivato e sarebbe stato quella sera, o notte, stessa.

Puntellò le braccia e mise i piedi fuori, toccando il pavimento nudo con la punta dell’alluce e successivamente con le altre dita. Attese un po’, il tempo per rabbrividire un poco a quella sensazione ritrovata. Anche il pavimento dell’isba della sua famiglia era sempre stato freddo, eppure la casa che li accoglieva era sempre stata piena di calore. Per certi versi, la sensazione provata da quando aveva recuperato quel barlume di coscienza, era la medesima, sebbene un poco più attutita.

Isaac aveva riconosciuto quel cosmo così famigliare, nonostante ai suoi occhi non si fosse mai fatto vedere. Certo, era un poco diverso da quello che rammentava nei tempi dell’addestramento, ma non poteva essere altri che lui, il suo adorato Maestro Camus. Non si sapeva spiegare perché, al dire il vero, neanche gli importava, ad essere onesti. Poteva trattarsi di un nuovo incubo, di una landa misteriosa, di un tempo diverso, ma il suo cosmo era percettibile, lo avrebbe riconosciuto tra mille.

Aveva un bisogno disperato di ricongiungersi a lui, supplicandogli perdono, nella speranza di essere riaccettato come allievo dopo l’ingerenza del Kraken. E Hyoga poi… dov’era? Per quanto si sforzasse, non percepiva il suo cosmo. Occorreva indagare.

Questo pensava il giovane Isaac, la mente ancora febbricitante persa in mille congetture, mentre freneticamente le sue mani andavano a raccogliere le lenzuola per avvolgersi dentro, come una tunica che gli coprisse il corpo e che arrivava fino a sopra le ginocchia. Non c’erano vestiti puliti lì intorno, ma quello non bastava di certo per fermarlo.

Aveva ancora freddo, non stava ancora bene, ma si accorse di avere energie sufficienti per camminare, e così fece. Uscì dalla stanza, socchiudendosi la porta dietro. Le luci soffuse del corridoio, ugualmente distanziate tra loro, le accolsero, dandogli il primo, vero, senso di straniamento. Zampettò incerto a vederle, constatando che si trattava di lampade ad olio vecchissime. Si guardò sbigottito intorno, chiedendosi perché in quella casa non sembravano esserci lampadari. In ogni caso, liquidò la faccenda ad un secondo momento, trovando nel desiderio di rivedere il volto del maestro le forze per continuare.

Era lui, doveva essere assolutamente lui, quell’entità in avvicinamento e in possesso di un cosmo candido e niveo, come i ghiacciai solenni della Siberia dell’Est.

Il cuore perse un battito, la sua testa fu presa d’assolto da un capogiro, ma si trattenne, posando il piede destro sul primo scalino, seguito dal sinistro, un poco più traballante, poi di nuovo il destro, un po’ più sicuro, e così via.

Voleva vederlo… doveva vederlo. Assolutamente.

 

Siete qui, Maestro, vi siete preso cura di me, l’ho percepito nitidamente tra gli spasmi dell’incubo. Non importa se siete ancora arrabbiato con me, non importa se vi ho deluso… se siete qui, da qualche parte, se mi riaccetterete, malgrado tutto… vi dimostrerò che posso ancora essere degno di voi. Lo prometto, C-Camus!

 

La mente del giovane Isaac era affollata di questi pensieri, mentre, perseguendo il suo istinto si recava, sulla scia delle luci soffuse, verso una stanza rischiarata anche da dalle candele. La casa doveva essere bella grande, ma non aveva il tempo per indagare ulteriormente, troppo pressato da scoprire la verità su quel cosmo niveo.

Si affacciò a quella porta socchiusa, vi era un bel profumino di erbe essiccate appena passate al setaccio, e si udiva il bollire di un qualche liquido contenuto in una pentola. Isaac rimase lì in attesa per una serie di minuti, intento a guardare le manovre di Seraphina atte, con ogni probabilità, a preparare la cena. Si chiese che razza di stagione fosse e a che latitudine si trovassero per essere buio così spesso, ma ricacciò indietro quell’ennesimo quesito futile, rimanendo in attesa. E attese. Attese.

Per minuti, che a lui parvero un’eternità.

Con il cuore che gli scoppiava in petto, fuori controllo.

Con il respiro rotto.

Attese per lungo tempo, finché…

La chiave della serratura girò. Il suono secco di una porta che si apriva. Isaac sussultò nel riconoscere, ancora una volta, il cosmo candido del suo maestro nel pieno del suo fulgore. Ingoiò a vuoto, trepidante.

Seraphina intanto, concentrata sui fornelli, si raddrizzò, andando a dare il benvenuto al nuovo arrivato. Il ragazzo quindi si sporse più che poté senza essere visto, stringendo la presa sul legno della porta con foga inaudita. Finalmente… finalmente avrebbe potuto rivederlo! Gli era mancato così tanto...

“E’ andato tutto bene?” chiese titubante la giovane donna alla figura incappucciata che era appena passata dall’ingresso alla cucina con passo leggero.

“Uhm, sì… ho fatto quanto ho potuto.”

Il cuore di Isaac perse un altro battito nel riconoscere una leggera patina francese in quelle poche parole. Quello, unito alle orecchie ancora tappate per via della febbre, gli diede la conferma definitiva che fosse proprio lui, ignorando però, purtroppo, che il tono della voce era nettamente diverso.

Il giovane allievo non avvertiva altro, fuori da sé, solo le gambe, che facevano ‘giacomo giacomo’, come quando era piccolo e attendeva trepidante il ritorno del maestro, poi i battiti irrefrenabili del suo cuore e, in ultimo, la cosa più importante, quei lunghi ciuffi della figura incappucciata, che gli ricadevano davanti. Più nessun dubbio.

Vinto da quella consapevolezza, sovrastato da quell’onda anomala di emozioni, riuscì infine ad aprire completamente la porta, accennando qualche passo all’interno.

I suoi occhi erano lucidi e ricolmi di speranza, che tuttavia declinò in fretta in qualcos’altro quando, scacciata l’ultima bruma della febbre, le iridi verdi di Isaac non riconobbero la figura di chi aveva davanti. Si immobilizzò, il petto nuovamente cavo. Si immobilizzarono anche gli altri due. Sia Seraphina, appena corsa ad abbracciare l’ultimo arrivato con un gentile fronte a fronte, sia l'altro, il quale, avuto appena il tempo di togliersi il cappuccio, forse nel rendersi conto della situazione, aveva mutato l'espressione da serena a sgomenta nell'arco di un solo istante.

Non lo era... non era... Camus. Tuttavia gli occhi erano dello stesso colore, la composizione dei capelli pressoché uguale. Eppure NON... ERA.. LUI... NON LO ERA IN ALCUN MODO!!!

Un impostore?!

Una cieca rabbia invase Isaac, unita alla paura, allo spavento, allo sbigottimento e alla più nera delusione. Tutte queste emozioni in un colpo solo avrebbero spezzato chiunque, ma nel corpo del giovane trovarono sbocco in una manifestazione di ira, incontrollata e incontrollabile. Gli partì un colpo.

“Chi diavolo sei, maledetto, non sei lui, non sei Camus!!!” gli urlò, rabbioso, mentre la Diamond Dust scaturiva istantaneamente dal suo pugno.

“No, Isaac, aspetta!” provò a frapporsi Seraphina, ma l’attacco era già stato ampiamente parato dall’altro individuo con il solo ausilio del palmo della mano.

Isaac cadde a terra per il contraccolpo, la debolezza e lo shock. Il sedere sul pavimento freddo, gli occhi spalancati, le labbra tremanti.

Da qualche altra parte, anche il piccolo Isaac cadde a terra, sul permafrost, massaggiandosi il didietro.

Ahi! Ahi! Ahi!” borbottò, plateale, tornando poi a fissare meravigliato il palmo del maestro che aveva fermato con grazia il suo colpo e che lo stava fissando con un mezzo sorrisetto.

Come siete riuscito a…?”

“Come puoi…?”

“Isaac, hai ragione, non sono Camus, ma il mio cuore, nello scorgerti già la prima volta, ha avuto un sussulto. Lui ti ha riconosciuto.”

“C-Cosa?!?”

“La tua Diamond Dust è molto potente, degna di colui che ti ha fatto da maestro, ma non andrai da nessuna parte così accecato dalla rabbia.”

Isaac, i tuoi colpi sono potenti, ma così in balia di sentimenti nefasti, soprattutto per te stesso, non andrai da nessuna parte!”

Isaac gonfiò le guance, rialzandosi in piedi con slancio. Non era vinto, voleva dimostrarglielo, soprattutto voleva fargli capire i suoi sentimenti, i suoi ideali.

Nella foga dell'attacco penso a lui, a Lisakki, all’ingrata fine in cui è dovuto incorrere, agli aguzzini dei miei genitori e a voi, maestro, alla vostra fragilità, trasformata in forza. Come può essere sbagliato, questo? Come si può non provare rabbia per le ingiustizie della vita? Io... non permetterò che lo stesso capiti a voi! Diventerò forte per proteggervi senza incertezza alcuna!” disse deciso il piccolo, risoluto.

Camus gli sorrise, con tenerezza, permettendosi di avvicinarsi e accarezzargli la testa per poi inginocchiarsi davanti a lui e guardare meglio negli occhi quel piccolo prodigio che stava per compiere 8 anni.

Non è sbagliato, Isaac, se vuoi difendere i più deboli, ma un Cavaliere di Atena deve essere in grado di incanalare quelle pulsioni verso un ideale ancora più alto. Deve sublimare gli istinti ed elevarsi, non servirsi di essi per lanciare un colpo!”

Allora non ce la farò... quei sentimenti, quella rabbia... sono identro il mio stesso spirito!” mormorò il piccolo, triste, ma Camus, alzandogli gentilmente il mento con due dita, gli sorrise.

Ce la farai, perché puoi esserne capace anche tu. Io sarò sempre con te, ti guiderò, per impedirti di essere soggiogato dalle tenebre dell’ira che ti porti dietro.”

“E invece non ci siete più... per questo io mi sento così perso, per questo la rabbia è tornata… e mi mancate tremendamente!”

“Isaac!!!”

Seraphina era corsa ad abbracciarlo nel vederlo così a terra, vinto, sull’orlo delle lacrime, quasi singhiozzante.

“Eri troppo debole per compiere sforzi, figurarsi per questo!”

Isaac era ancora sconvolto e tremante sul pavimento, perso nei recessi dei ricordi. Non riusciva a pensare ad altro che l’unica ragione per cui si era imposto di non morire, era di rivedere Camus, cullandosi nella speranza che, stante il cosmo così simile, lui fosse in qualche modo lì vicino. Invece no, era tutto sfumato nell’aria, anche se stava ancora lì a languire nel suo cuore, procurandogli ancora più male.

“C-cosa sta... succedendo?” ebbe infine il coraggio di chiedere, quasi boccheggiando. Era completamente svuotato.

Seraphina scambiò un’occhiata di circostanza con quell’essenza del tutto simile al Maestro Camus senza però esserlo, che le fece un cenno con il capo. Si capivano senza usare le parole.

“Coraggio, riesci ad alzarti?” gli chiese la giovane donna, prendendolo da sottobraccio. Isaac fece sì con la testa, lasciandosi poi accompagnare sulla sedia del tavolo. Quelle luci soffuse gli cominciavano a dare fastidio, così come tutti quei misteri che avevano celato fino a quel momento. Guardava torvamente la figura davanti a lui, vicina ma lontana, famigliare ma estranea, attendendo che dicesse qualcosa.

“Immagino che ti sentirai parecchio sfasato, smarrito, perso...” ruppe infine il silenzio, togliendosi finalmente il mantello che posò sulla sedia, mostrando così i lineamento fini coronati da una cascata di capelli verdi che gli arrivava fino al sedere. Isaac non poté fare a meno continuare a fissarlo con un pizzico di astio. Aveva dei tratti molto delicati e aggraziati, eleganti, proprio come il maestro, ma la parte in assoluto più simile a lui erano gli occhi; quei dannatissimi occhi dello stesso colore di quelli di Camus, taglienti come i suoi quando era arrabbiato e, ancora di più, resi un poco induriti dall’età, o dall’esperienza, o chissà da cos’altro.

Isaac avrebbe potuto chiedere qualsiasi cosa a quell’essenza che lo ammaliava e lo infastidiva al tempo stesso, ma decise di andare al sodo come suo solito.

“Perchè sei così simile a lui?” gli soffiò contro, in attesa di spiegazioni.

L’uomo sospirò, togliendosi la giacca di dosso e rimanendo così in casacca e pantaloni. Si appoggiò al muro laterale, stanco e spossato, incrociando le braccia al petto. Altro atteggiamento simile, troppo simile, al suo maestro.

“Mi duole doverti dire, ragazzo, che sei partito dall’argomento più difficile e che non può essere trattato senza prima tediarti con mille e a più nozioni che, allo stato attuale, ti sconvolgerebbero dal profondo, più di quanto non sia già successo in questo malaugurato primo pomeriggio.”

“P-primo pomeriggio?! - l’occhiata di Isaac andò verso la finestra, avvolta dal buio, per poi tornare nella stanza, rischiarata dalla tenue luce – A che... a che latitudine siamo? In quale stagione?!”

“...”

“E-ehi, senti un po’, bel damerino, c’è qualcosa che mi puoi raccontare, oppure..?”

La mano di Seraphina fu sopra la sua, Isaac sussultò a quel contatto, mentre la rabbia spariva in un colpo. Gli occhi azzurri della donna erano così tristi e dolci allo stesso tempo, il suo tocco così delicato… avrebbe potuto calmare chiunque con quella voce, con la sua sola vicinanza. Isaac ne era carpito.

“Per favore, Isaac, non avercela con Dègel... lui non ti vorrebbe nascondere niente e... e avrebbe voluto prendersi cura di te, oltre che per quell’occhio, ma la situazione è molto delicata, la sua stessa corporeità ti avrebbe sconvolto, per questo si è tenuto alla larga da te, fino ad oggi.”

Isaac la fissò sconcertato, la bocca semi-aperta, il cuore in gola. E capì. Capì che si stava comportando da poppante, come il suo maestro non avrebbe mai voluto. Deglutì, chinando il capo e stringendo i pugni. Doveva calmarsi. Di nuovo la parola passò all’uomo che aveva davanti.

“Grazie, Sefi, la tua dolcezza riesce sempre a raggiungere il cuore di chiunque. Ti sono veramente grato. - sorrise tiepidamente Dègel, infondendo tutto il suo vecchio sé stesso in quel sorriso stentato – Io... ho perso irreversibilmente questa capacità.”

“Non è affatto vero, è dentro di te, so che la ritroverai, prima o poi.”

Si scambiarono uno sguardo di reciproca intesa e sostegno, mentre Isaac, riemergendo ancora una volta dal labirinto del suo cervello, si sforzò di riprendere la parola.

“Quindi ti chiami... Dègel, giusto?”

“Sì, un tempo ero Cavaliere d’Oro dell’Acquario, ora quella carica non esiste più. Poco esiste del tuo mondo, Isaac...”

Parlava per enigmi, un tono incerto e difficoltoso, quasi il solo parlarne gli procurasse un dolore estenuante. Mille e più domande navigavano nella testa del giovane, ma una cosa era chiara: lì, dovunque si trovasse, la situazione era più che disperata, ma… dove era finito di preciso?

Affogò quella domanda in sé, intuendo che non avrebbe ottenuto risposte nell’immediato, per concentrarsi su domande più concrete.

“Il mio occhio sinistro, io... ci vedo di nuovo, come…?”

“Sono stato io, anche se, purtroppo, non ho potuto fare niente per cancellare la cicatrice che ti porti dietro... mi dispiace.” gli raccontò mentre, con andatura leggera, si avvicinò ad uno dei cassetti della credenza, lo aprì, ne trasse fuori uno specchio e, pur mantenendo le distanze, glielo porse.

Isaac prese l’oggetto con le mani tremanti. Era un poco appannato e di vecchia foggia, sembrava quasi rame, oppure ottone, non sapeva dirlo con certezza. Tuttavia, ciò che lo sorprese più di ogni altra cosa, fu vedere sul vetro la sua espressione allibita e quell’occhio sinistro, in quel momento spalancato al limite dell’umano possibile, in tutto e per tutto funzionante. Si ammutolì, continuando a tastarselo diverse volte, ci guardò dentro, sgomento, tracciò il sopracciglio, per poi scendere sulla cicatrice, rimasta intatta, sì, ma con un occhio in più, che credeva di aver perso per sempre.

“Come... come hai fatto?”

“Temo di non poterti rispondere nemmeno a questo.”

“Uff, c’è qualcosa che mi puoi dire?”

Isaac si era calmato grazie all’intervento di Seraphina, ma era comunque infastidito dal trattamento che stava ricevendo.

“Col tempo ti racconterò tutto, se vorrai, ma al momento ho io un quesito da porti.”

Quella era proprio bella! Era lui a trovarsi in un luogo sconosciuto, a parlare con la controparte in tutto e per tutto simile a Camus senza esserlo per davvero e, come se non fosse bastato, fuori dalle finestre, all'esterno, circondati da un buio imperituro che non aveva presunte spiegazioni, se non che si trovassero in uno dei due poli. In un quadro simile, quello che doveva rispondere alle domande doveva essere lui?! Pazzesco!

“Vedrò di fare quello che posso.” acconsentì, in tono basso, rammentando una frase che Camus diceva spesso quando non era convinto di una richiesta, o di un certo fatto.

“L’argomento è delicato, lo comprendo bene, ma... ricordi qualcosa prima di finire qui?”

“Ricordo... tutto!”

“E’ molto importante, Isaac. - la voce di Dégel aveva assunto un tono grave, il ragazzo ne percepì l’enorme peso – Secondo i miei studi, ci sono alcuni modi per finire qui. Vorrei che confermassi questo mio sentore”

“Sei... uno studioso?” domandò il giovane, con l’intento di alleggerire il carico di tensione su quell’argomento.

“Qualcosa di simile, sì. - sorrise tra sé e sé Dégel, allietato all’idea di essere stato chiamato così, prima di continuare – Tra i modi possibili, ce ne è uno che noi Cavalieri dei Ghiacci conosciamo bene...”

“E sarebbe..?” chiese ancora Isaac, inarcando un sopracciglio, prima di trasalire. Aveva capito dove sarebbe andato a parare il discorso.

“Raggiungere e superare lo Zero Assoluto. Dimmi, ragazzo, ti..?”

Ma si fermò nello scorgere la sua espressione quasi livida, i suoi occhi spalancati verso l’infinito e il tremore del suo corpo palpitante come un pulcino nel nido.

“Va tutto bene, Isaac, con calma...” provarono a tranquillizzarlo sia Dégel che Seraphina, stringendogli le mani.

Il ragazzo era impallidito di colpo, sudava freddo, nel ricordare quei momenti e non fu in grado per diversi minuti di parlare ulteriormente. Quella reazione, da sola, bastava come conferma ai loro sospetti.

“Mi dispiace... - si lasciò sfuggire Dègel, sinceramente pentito – Se non ne vuoi parlare va bene comunque, non voglio costringerti!”

“N-no, va bene così, solo... solo c’è qualcosa da bare? Ho la gola secchissima.” biascicò ancora Isaac, mentre Seraphina si alzava per andare a prendere dell’acqua. Dove non lo sapeva, il giovane non la vide uscire fuori dalla cucina e poi rientrare, così sconquassato com’era da quella affermazione. Seppe solo che, ad un certo punto, la brocca d’acqua gli arrivò e lui ci si tuffò dentro, bevendone quasi la metà prima di trovare le forze per tornare a parlare.

“Il mio compagno di addestramento Hyoga, l-lui ha... ha raggiunto, e superato, lo Zero Assoluto. A-abbiamo dovuto combattere, per-perché eravamo in due schieramenti diversi.” si affrettò a liquidare la faccenda che gli doleva alquanto.

“Hyoga, già... l’altro allievo di Camus. Ha di che essere orgoglioso di voi il vostro maestro.” commentò Dègel con un sorriso malinconico.

A dispetto delle parole usate, la frase non era stata pronunciata ironicamente, tutt’altro, anzi, in un tono confidenziale, come di sincera confessione a vivo cuore.

“E... quando ti sei risvegliato, ti sei trovato inspiegabilmente qui.” finì per lui Seraphina, sinceramente coinvolta nel racconto.

“I-io, s-sì... sono morto? O vivo?” chiese smarrito Isaac, in cerca di un appiglio.

Seraphina lo abbracciò dolcemente, con una intensità tale che chiunque, se fosse stato fratturato dall’interno, si sarebbe rimesso come nuovo, grazie al calore irradiante di lei.

“Ascoltami, Isaac... qui, la tua condizione esistenziale non è determinabile, prima o poi capirai, ma se avverti il tuo cuore, le emozioni, allora sei vivo!”

Un’altra frase enigmatica, il giovane allievo si prese a massaggiarsi la fronte, gli occhi fissi sulla figura di Dègel, simile così tanto a Camus, eppure così diversa. Non aveva più un appiglio, gli sembrava di sprofondare in un mare di incertezza sempre più oscura. Solo… totalmente solo…

Ancora una volta fu il ricordo del sorriso del suo venerato maestro a non farlo precipitare nella più nera disperazione.

“Dégel... conosci anche Hyoga, da quanto hai detto, sembra che tu sappia molto su di noi. - ritentò, gli occhi lucidi, sconfortato – Dimmi, per favore, dimmi quale legame hai tu con Camus, è un mio diritto saperlo!”

Gli era uscito un tono strozzato, distrutto, ma la sua espressione determinata non mutò di una virgola. Che cadesse in sordina tutto, ma quello no, assolutamente no. Chi era realmente Dégel? Che legame aveva con il maestro? E con loro?

“Hai ragione, è un tuo diritto! - annuì cupamente Dègel, alzandosi lentamente in piedi e compiendo un breve giro intorno alla sedia, prima di proseguire – Lui è... qui dentro!”

Così disse, posandosi una mano sopra il cuore e socchiudendo malinconicamente gli occhi.

“C-Come sarebbe? D-dentro?! I-intendi..?”

“Compenetrazione di anime. - rispose per lui Seraphina, gli occhi tristi – Anzi, della stessa anima in due tempi storici diversi, nello specifico!”

“Vo-volete dirmi che l’anima del maestro e quella di Dègel si sono...?”

“Condividevamo la stessa anima, sì, in due epoche e in due corpi diversi. La commistione di entrambi ha prodotto me, che mostro i caratteri distintivi e somatici di Dègel ma che mantengo anche i ricordi del fu Camus, della sua vita, che sarebbe poi stata il mio futuro. - si prese una breve pausa, il suo corpo tremava – Proprio grazie a quest’ultima ti ho riconosciuto quando, circa un mese fa, ti abbiamo trovato ad Est della foresta di Norheim.”

Un’ulteriore pausa, più prolungata, le parole faticavano a fuoriuscire.

Isaac era incredulo, costernato, allibito e… sentiva freddo, un freddo micidiale, da dentro. La tiepida mano di Seraphina, che ancora stringeva la sua, non era più in grado di riscaldarlo.

Era tutto così assurdo, così inconcepibile! Cosa aveva spinto Camus ad affogare sé stesso, profondendo tutto in una nuova essenza che non possedeva più i suoi caratteri distintivi? Per chi, o per cosa, Camus dell’Acquario, suo venerato maestro, aveva dato ogni cosa, annichilendo interamente sé stesso? E poi... quando diavolo era successo? A meno che... Isaac trasalì, mentre la verità fu disvelata ai suoi occhi. Singhiozzò, un’unica volta.

Si mise la testa tra le mani, piegandosi su sé stesso per il dolore dilaniante appena provato.

“Isaac, lui è dentro di me, ti ha riconosciuto perchè alcuni 'nodi' sono comuni a tutti i mondi, anche se, vedi, proprio per questo, non sei propriamente il suo Isaac, bensì...”

“...un altro Isaac proveniente da un altro mondo, perché mi ritrovo in una dimensione differente, vero?! Ho superato l’orizzonte degli eventi per finire qui.” asserì con difficoltà, sull’orlo delle lacrime.

“Conosci quindi la teoria del Multiverso?” domandò Seraphina, genuinamente stupita.

“Me ne parlò il mio Maestro Camus, anche se non avrei mai pensato di finirci per davvero: l’accesso tra i vari mondi dovrebbe essere impossibile!”

“Così è, in circostanze fisiche normali, ma questa dimensione è diversa, non ha più leggi sue, non vi è altro che il caos...”

“Pe-Perché?”

“Perché il pianeta è vicino alla paralisi totale.”

Isaac rabbrividì a quell’ennesima affermazione che significava tutto e niente allo stesso tempo. Percepire la gravità della situazione senza però comprenderla del tutto, quello sembrava il mantra di quel dialogo surreale in un mondo altrettanto kafkiano.

“Che diavolo significa? In che razza di mondo sono finito?!”

Dégel prese un profondo respiro, avvicinandosi alla finestra della cucina e discostando un poco le vecchie tendine erose dal tempo. Isaac lo seguì con lo sguardo. Quella casa sembrava datata sotto ogni particolare, eppure -il ragazzo ne aveva avuto da subito la sensazione- era dotata dei migliori servizi atti alla sopravvivenza su un pianeta che si ribellava al concetto stesso di ‘vita’.

“…in un mondo in cui gli esseri senzienti rimpiangono di non appartenere ai morti.” riuscì infine a biascicare l’ex Cavaliere dell’Acquario, raddrizzando la schiena.

A quel punto Isaac si accasciò sul tavolo, sopraffatto. La testa gli doleva alquanto, come se si volesse rivoltare a tutte quelle affermazioni assurde e prive di senso. Per un solo istante, desiderò lasciarsi andare, morire sarebbe stato più semplice. Che davvero il colpo allo Zero Assoluto di Hyoga lo avesse trasportato lì?! Come era possibile?!

“Io... perché non sono morto? Perché sono finito qua?!” si ripeté più volte, sbattendo la fronte contro il tavolo nel desiderio che tutto quello finisse in fretta, in un modo o nell’altro.

Seraphina era lì con lui, gli accarezzava i capelli, ma neanche le sue mani delicate erano più in grado di riscuoterlo.

“Isaac, guardami...”

Il ragazzo trasalì, trovando le forze di farlo in quella esortazione che il maestro Camus proferiva sempre quando le cose si facevano serie e lui aveva bisogno di tutta l’attenzione del suo allievo per andare avanti. Raccomandazioni, richieste... doveva mantenere il contatto visivo con lui in tutti quei frangenti. E lo stesso Dégel, perché, in fondo, erano la stessa essenza, anzi, di più, visto che ne possedeva anche i ricordi.

“Ascoltami, ragazzo, ora non sei in condizioni di trattare simili argomenti, sei spaventato, sconvolto... ed è perfettamente capibile questo, ma ora ho bisogno della tua parola. Pensi di riuscirci?”

Isaac lo guardò; guardò i suoi occhi blu, brillanti, così simili a quelli di Camus, e trovò la forza ancora una volta di sollevarsi e raddrizzarsi con la schiena e ricambiare quell’occhiata densa di significato. Buttò ancora un occhio fuori dalla finestra, verso quel nero imperituro. E arguì.

“Io credo di sì, ma... prima rispondimi, se puoi: questo mondo non ha alba?” chiese, stringendo i pugni.

Inaspettatamente Dégel sorrise, un poco rasserenato.

“No, ci sarà, tra pochi giorni, ma è proprio questa la ragione della mia richiesta.”

Isaac sussultò, facendosi più attento.

“6 mesi di buio, 6 mesi di luce; una sola alba, un unico tramonto. Noi esistiamo per sperare in un domani migliore, anche se il domani stesso ci sfugge, anche se il domani stesso non esiste più, né il passato. Vi è il solo presente, un eterno attimo che si concatena...” disse, enigmatico, riavvicinandosi al tavolo.

“Le tue parole mi sono oscure, Dègel, se vuoi che ti prometta qualcosa, sforzati di essere un po’ più chiaro.” gli fece notare Isaac, recuperando un poco di sicurezza.

“Promettimi che non uscirai da qui fino al sorgere dell’alba. Loro sono più affamati in questo periodo e... più forti, sotto ogni aspetto!”

“Loro... chi?”

La pupilla di Dègel traballò appena, in un lampo di incertezza.

“Coloro che sono precipitati nel Mondo Inverso.”

Altra frase enigmatica, la misura era colma, ancora una volta. Promettere senza sapere bene che cosa, intuire senza però comprendere perfettamente, tremare dalla paura senza conoscere il motivo. Basta!

“Devo... rimanere chiuso qua dentro in un mondo che sfiora la perdizione? E' questo che mi stai chiedendo?” lo interrogò, per conferma, le dita strette a pugno.

“Perdonaci ma sì, è per il tuo bene!” sussurrò Seraphina, sempre più costernata.

Isaac guardò nuovamente Dègel negli occhi, la sua espressione non era serena, sembrava dispiaciuto e addolorato, sinceramente, ma per un qualche gioco delle carte, ciò lo irritò solo di più. Era così... vinto, sconfitto, rassegnato... Camus non era mai stato così; non il Camus che conosceva lui!

“Puoi dirmi almeno perché, nel vostro mondo, a 6 mesi di buio totale si susseguono altri 6 mesi di luce completa? Siamo forse ai poli?”

“La luce non è completa... noi vediamo il sole solo all’alba e al tramonto, per cui due volte all'anno. Nella stagione propizia, quando l’astro sale interamente sopra l’orizzonte, subito dopo, sparisce in una nebbia di bianco imperituro, come se il cielo fosse perennemente ravvolto da una cappa di umido. Nella stagione avversa, invece, come è ora, quando il sole scende interamente sotto l'orizzonte, tutto viene avvolto dalle tenebre.”

“Ah... sempre meglio! Non sono sicuro di voler sapere cose in più su questa meravigliosa... dimensione... - commentò Isaac, mascherando i suoi veri sentimenti con l’ironia, come gli aveva insegnato Kanon – Ma ancora una domanda mi sorge spontanea: perché tutto questo?”

Seraphina si alzò lentamente dalla sedia, avvicinandosi al compagno, ancora ritto in piedi davanti ad Isaac, che lo continuava a fissare sbigottito. La giovane donna intrecciò le proprie dita nella mano di lui, stretta a pugno, che così si sciolse, ricambiando quel gesto, che al ragazzo non sfuggì. Erano forse... una coppia?

“Sei sempre con me... non so cosa farei senza di te!” sorrise tiepidamente Dégel, in tono arrochito. Aveva difficoltà a parlare.

“Sempre... coraggio!”

Dégel prese un profondo respiro, tornando a guardare il giovane ragazzo davanti a lui, la speranza per un futuro migliore, forse, per entrambe le dimensioni parallele, quella in cui si trovavano e… la Terra, da cui proveniva. Tossicchiò, recuperando due toni nella voce.

“Perché, quindi? Cosa è capitato a questo mondo?” gli richiese Isaac, rabbrividendo con forza. La sua risposta avrebbe cambiato tutto, lo sapeva. Tremò convilsamente nel rendersene conto.

“Perché il moto di rotazione di questo pianeta è stato ridotto al nulla. - un’ulteriore pausa, il petto di Dégel fremette con forza, come a mal celare un singhiozzo – E il responsabile di questo scempio... s-sono io!”

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Lo so, lo so… avevo detto 3 capitoli, per questa storia, e invece saranno 4, ma, a mia discolpa, vi posso dire che, mettendomi dalla parte del lettore qualunque (quindi che non necessariamente conosce le mie long), rendere tutto questo marasma in un unico capitolo era deleterio, cosa che infatti mi ha portato a dividere il capitolo in due.

La prima sensazione nel lettore, sarà comunque un senso di estraniamento, tale e quale ha Isaac in questi due capitoli, che infatti ho “usato” come punto di vista per far immergere meglio nell’atmosfera cupa e illogica. Il lettore si può così immedesimare nel ragazzo, nel suo senso di essere finito in un mondo assurdo, e nella “delusione” di avervi trovato una figura che, pur simile in tutto e per tutto a quella del suo maestro, non è lui.

Spero di aver raggiunto il mio intento…

Il significato della canzone, si ricollega a quella della prima strofa che ha protagonista Camus, e che si può comprendere pienamente solo conoscendo anche questa. Maestro e allievo continuano il loro cammino “sotto due cieli diversi e lontani”, conservando nel proprio cuore i ricordi della vita vissuta insieme… queste vie, così diverse… avranno mai uno sbocco comune?

Per quanto concerne invece questo “nuovo” e disperato mondo, chi segue la mai storia probabilmente ha capito a cosa si riferisca, anche se il nome ufficiale sarà nominato solo nel prossimo capitolo; per tutti gli altri, invece, vi basti sapere che è “un’altra dimensione” parallela e “prossimamente simile” a quella terrestre. E’… disastrata, come avete potuto leggere, ma, di vedrà nel prossimo capitolo, la situazione fuori è fin peggio…

Perché ci sono Dègel e Seraphina in questo mondo? Anzi, è corretto parlare di Dègel? E’ veramente lui? Erk, non proprio… a dirla alla Balto è un’altra essenza che “non è Camus, non è Dègel, sa soltanto quello che non è”. E sarà approfondita in un’altra storia o nel corso della long, non temete.

Ancora una cosa, l’ultima: qui, per la prima volta, escono i nomi dei due primi allievi di Camus, che sono Svetlan e Lisakki (nome finlandese di Isaac, quindi un omonimo, per l’appunto). La (triste) storia di questi due e del rapporto tra Isaac e Lisakki, sarà trattata in una storia a parte (l’ennesima, sì XD).

Dovrei aver finito! Come al solito grazie per chi seguirà, commenterà e tutto… capisco che gli argomenti trattati qui sono molto difficoltosi, se avete dubbi chiedete pure, risponderò per quanto possibile! Alla prossima! :)

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Capitolo 4
*** Atto III - In un luogo e in un tempo indefinito (seconda parte) ***


Quando Isaac si era risvegliato ad Atlantide, diverso tempo indefinito dopo, con un occhio in meno e il dolore netto e profondo alla palpebra sinistra, come se ce l’avesse ancora, vi aveva trovato un Generale dei Mari che si faceva chiamare Dragone Marino. Un nemico. Così avrebbe dovuto essere, essendo lui un futuro Cavaliere di Atena. Avrebbe. Era la parola esatta.

Gli aveva chiesto dove si trovasse, chi era realmente e come mai fosse ancora vivo. E Dragone Marino aveva risposto, con voce sardonica e un sorrisetto irriverente, senza neanche togliersi il pesante elmo che nascondeva gran parte del suo viso, a due domande su tre. Quella inerente alla sua persona l’aveva snobbata con un esaustivo: “Un Generale del Sommo Poseidone non ha passato, solo il presente e il futuro”.

BALLE.

Isaac questo lo aveva capito fin da subito, che quel tipo nascondesse più verità di quante ne mostrava. Il suo cosmo, del resto, era ampio e… dorato, non poteva sbagliarsi. Si limitò a guardarlo torvamente, fingendo di abboccare a tutte le manfrine che andava dicendo.

Il fatto era che a lui non importava; non importava chi fosse, né il luogo in cui si era insperatamente ritrovato vivo, se non per capirne le coordinate e tentare una fuga.

Attese.

Attese per ore.

Per giorni.

Finché le forze non furono sufficienti per tentare di tornare indietro, dalla sua famiglia, quella che aveva lasciato in Siberia.

Isaac voleva semplicemente tornare a casa, perché il tempo passava troppo alla svelta, Camus e Hyoga probabilmente si erano preoccupati da morire per lui, per la sua scomparsa, forse addirittura da reputarlo morto, ma lui era vivo, era scampato alla Nera Signora, desiderava semplicemente farglielo sapere, ricongiungersi a loro, le persone più importanti della sua vita.

Così provò a fare.

Messe da parte le energie necessarie, tentò l’impresa un giorno che Dragone Marino non lo vegliava nella stanza, non c’era neanche la Signorina Thetis nelle vicinanze, la situazione era propizia.

Raccolse tutte le forze per alzarsi in piedi, coprendosi le nudità con il lenzuolo. Stranamente aveva freddo, un freddo viscerale, si avvolse il busto alla ben meglio, sgattaiolando poi via da quel tempio in stile corinzio con l’ovvio intento di non farci più ritorno.

Isaac, in verità, non aveva la più pallida idea di dove andare, né di come risalire in superficie, ma lo avrebbe fatto anche a nuoto, all’occorrenza, anche se dubitava di avere abbastanza fiato in corpo per portare il suo fisico così al limite. In ogni caso, erano questioni che passavano in secondo piano, un passaggio per arrivare lì c’era stato, era sicuro che ne avrebbe trovato un altro, un’apertura, o perlomeno qualcosa di simile. Assolutamente!

Zampettò per le colonne, svicolando le guardie che facevano la ronda.

Poi camminò, un poco più sicuro: forse aveva trovato una pista, un’impronta, una sensazione… qualcosa di non ben definito che lo attirava, come una calamita.

Alla fine corse, per centinaia e centinaia di metri, fino a sforare nei chilometri. Il fiato cominciava già a mancargli in corpo, ma le palpitazioni acceleravano, trasmettendogli la sicurezza che stava perseguendo il cammino giusto; quel cammino che lo avrebbe fatto ricongiungere ai suoi cari. Le sue iridi si spalancarono in un tumulto nell’immaginarsi i loro visi sorridenti. Calore… forse avrebbe potuto raggiungerlo di nuovo.

Commosso da quella consapevolezza, Isaac si arrestò nello scorgere un grosso edificio sempre rassomigliante ad un tempio greco, ma assai più grosso di quello in cui era stato ospitato. Sussultò, per poi sobbalzare nello scorgere, traboccante da dentro, una immensa struttura di ghiaccio.

In principio ne ebbe timore, indietreggiando di un passo, era stato quell’artefatto ad attirare la sua attenzione, a condurlo lì… ancora emanava un cosmo rassicurante e potente allo stesso tempo, ma come fosse stata possibile quella manifestazione era un mistero. Che quello fosse il passaggio per tornare in superficie?

Si avvicinò, esitante. Quel ghiaccio sembrava vecchio di secoli, incastonando così il tempio, come un insetto nell'ambra. Un moto di delusione avvolse il ragazzo quando, avvicinandosi ulteriormente all’entrata principale, si rese conto che, previa distruzione del ghiaccio medesimo, sarebbe stato impossibile accedervi.

Una nota di tristezza e malinconia lo avvolse, confondendolo ancora di più: non erano del tutto sue, quelle emozioni, lui semplicemente le percepiva sotto pelle, ed era come se quel luogo esacerbasse il tutto.

La sua mano si posò gentilmente proprio sullo spesso strato di permafrost, il contatto gli diede immediatamente una scossa che gli trapassò il cervello, mentre immagini prive di apparente senso, nonché difficili da codificare, gli passavano velocemente come vetri appannati dalla pioggia.

Strinse i denti, allontanandosi bruscamente. Quei frammenti di ricordi… non erano i suoi! Si sentì stordito.

Si massaggiò la fronte, confuso, dove ancora spiccava il bendaggio sulla ferita all’occhio, poco dopo iniziò a soppesare quanto confusamente aveva intravisto in quel veloce susseguirsi di scene lontane nel tempo. Tra tutti, il suo cervello si era soffermato su un’armatura fatta di scaglie, un’armatura che aveva già visto, e che apparteneva a…

Io non violerei quel manufatto… - gli disse una voce pungente dietro alle sue spalle – A meno che tu non sia un profanatore di tombe!”

Dragone Marino! - lo riconobbe Isaac, mettendosi immediatamente in posizione d’attacco – Cosa intendi?”

Né più né meno quello che ho appena detto...”

Questa immensa struttura di ghiaccio… è posta a simulacro di una tomba?!” chiese delucidazioni il ragazzo, ancora sul chi vive, ma rilassandosi impercettibilmente. Quel luogo gli infondeva fiducia, regalandogli un po’ di calore che aveva creduto perso. Non si spiegava la ragione.

Esatto. L’autore, e la sua consorte, sono coloro che riposano tra queste immense pareti di ghiaccio che li separano dal mondo dei vivi. Ghiaccio allo Zero Assoluto… tu sai cosa significa!”

Isaac sussultò nuovamente, impietrito da quell’ultima, spasmodica, dichiarazione, anche se pronunciata in un tono indifferente. Tornò a guardare quell’opera stupefacente: chi lo aveva raggiunto, quel limite invalicabile?

Dragone Marino intanto aveva preso a passeggiare lì intorno, sempre con quel sorriso irriverente che si distingueva appena da sotto l’elmo. Pareva una iena in attesa di colpire al momento propizio la sua preda, che in quel momento stava lì, confusa e smarrita più che mai.

Quale… quale uomo può operare un tale miracolo e, soprattutto, come… come ci è riuscito?” chiese, sbalordito e tremante.

Dragone Marino fermò i suoi passi, permettendosi di osservare il ragazzo impetuoso di sottecchi. Doveva ammettere che era ridicolo, così avvolto dal lenzuolo che aveva utilizzato per avvolgere il suo corpo nudo, con quella ferita nella parte sinistra del volto, ancora non del tutto chiusa, sembrava davvero un mostriciattolo, un diverso, un ‘altro’, uno scarto… esattamente come lui! Sbuffò, prima di schernirlo con le risate. Doveva ammettere, suo malgrado, che ammirava un po’ la sua tempra.

P-piantala, o...”

Isaac aveva capito che si stava facendo beffe di lui e aveva alzato conseguentemente il pugno, minaccioso, anche se era poco credibile, perché la sua debolezza era tale da permettergli a malapena di reggere il suo stesso peso, non di certo per tentare un attacco e porre così termine a quegli sberleffi che lo irritavano alquanto.

Raffredda i bollori, ragazzo irruente, e rispondi tu piuttosto ad una domanda: dove stavi andando?” chiese l’altro, con insolenza, incrociando le braccia al petto e continuando a fissarlo.

Isaac avrebbe voluto rispondergli che non erano affari suoi, di dove andava, che poteva blaterare anche per ore e ore di come lui fosse stato ‘toccato dal Kraken’, ma che la verità era che aveva davanti un futuro Cavaliere di Atena e che, come tale, lo avrebbe presto estirpato come si estirpa la radice del male, ma inaspettatamente raddrizzò la schiena, sostenendo il suo sguardo, dicendogli a chiare lettere la verità con un orgoglio che quasi lo rendeva solenne.

Torno a casa, Dragone Marino, grazie per le cure, ma questo non è posto per me, anzi, se mi indicassi anche la strada per risalire in superficie mi faresti un immenso piacere!”

Dragone Marino non si trattenne più a quelle ennesime, squinternate, parole cariche di pathos, sghignazzò con ancora più forza, le risate riecheggiarono intensamente nei dintorni, dando quasi l’impulso ad Isaac di attaccare per davvero quel folle per farlo tacere, ma si ricordò della temperanza.

Poseidone ti ha salvato, ragazzo… e tu lo ripaghi in questa maniera, allontanandoti da Atlantide?! E’ così che fa un Cavaliere di Atena? E’ così che si sdebita?”

Isaac abbassò lo sguardo. Per la prima volta, da quando si trovava lì, le sue convinzioni vacillarono. Poco dopo avvertì i passi di Dragone Marino avvicinarsi a lui e quello, solo quello, gli diede la spinta a reagire immediatamente.

Stai lontano!” lo minacciò, dirigendo la sua Diamond Dust ai piedi del Generale, come preavviso.

Dragone Marino si fermò, più per contemplare quel sottile strato di bina, del tutto innocuo, se non per scivolare, più perché davvero impressionato. Non lo era affatto, in effetti, sapeva bene che quel ragazzo poteva fare di più, molto di più, ma le forze gli mancavano.

Oh, Isaac… sei anni in Siberia per produrre questo?! Per… sputare per terra un nevischio di così bassa qualità?! Questi sono i frutti dell’allenamento con il tuo maestro? Questo è quello che vi insegna Camus dell’Acquario?! - gli chiese, canzonatorio, riprendendo a muoversi verso di lui – Patetico...”

TU! Tu, non osare...” sibilò ancora Isaac, a denti stretti, alzando nuovamente il pugno per attaccarlo di nuovo, ma le gambe gli cedettero, e cadde ginocchioni per terra, ansimando.

Che poi… dove vuoi andare, conciato così? Neanche ti reggi in piedi, guardati, latri come un cane con la lingua a penzoloni!”

Isaac si sentiva fiacco, pressato, sul punto di svenire totalmente, ciò nonostante, quando rialzò lo sguardo, l’occhio rimastogli era più splendente e solenne che mai.

Dovrai fermarmi con la forza, Dragone Marino! Io voglio tornare a casa, dal mio Maestro Camus e da Hyoga, mio fratello… allontanati!” riprese baldanza, fremendo per la rabbia.

Con la forza? Mi basterebbe un dito per farti ripiombare nel mondo dei sogni, o per causarti abbastanza male da metterti al tappeto per un’altra settimana, ma sei un mio compagno, alla violenza preferisco le...”

Tieni la tua lingua biforcuta per te, ed evita di darmi titoli che non ti competono! Io non sono un tuo compagno, sono un tuo nemico, un Cavaliere di Atena addestrato da Camus dell’Acquario! - stabilì con forza Isaac, rialzandosi faticosamente in piedi e bruciando quel che restava del suo cosmo – ALLONTANATI, ho detto!”

Oho, dove non arriva il tuo fisico, al limite, giungono le tue parole, a quanto vedo, sei sagace, ragazzo… - si ammorbidì un poco, non mascherando comunque il sorrisetto – E’ passato più di un mese dalla tua scomparsa, la famiglia di cui abbisogni, se ne sarà già fatta una ragione!”

No, non il Maestro Camus, e neanche Hyoga, loro… sono così simili! Sembrano uno il riflesso dell’altro, eppure, proprio per questo, non riescono totalmente a capirsi! Conoscendoli, si sentiranno in colpa, non dandosi pace, ed io… io voglio rassicurarli che sto bene, ricongiungendomi con loro. Fatti da parte! Non lo ripeterò un’altra volta!”

Il cosmo di Isaac tornò a brillare, acceso come non mai, portando così il suo fisico ulteriormente al limite. Dragone Marino lo capì; capì che era tutto un bluff per darsi un tono, che non gli avrebbe arrecato danni, ma che, nondimeno, spinto dalle sue convinzioni, avrebbe rischiato di infiammarsi in un lampo, prima di finire in cenere e morire. Non poteva permettesi di perdere il Kraken, gli serviva.

Fortunatamente fu il cosmo stesso del giovane a collassare su sé stesso, finì quindi a terra, il petto sconquassato, il volto sul marmo, mentre, a fatica, provava caparbiamente a rialzarsi. La mano di Dragone Marino fu immediatamente sopra la sua schiena, lo trattenne lì.

Fermati un attimo a ragionare, visto di chi sei discepolo dovrebbe venirti abbastanza bene! - lo fermò, in tono basso, quasi sillabando lettera per lettera – Dove vorresti andare, ti richiedo?”

S-su, in superficie, sei sordo? Non mi hai udito?!” ribatté Isaac, sollevandosi per lo meno sugli avambracci frustrato dalla sua debolezza che non gli permetteva di reagire

Uhmpf, morirai… nel processo!”

Una parte di me è già morta, senza di loro, non mi...”

Per quale ragione, poi? Per vedere il tuo amico Hyoga indossare le vestigia del Cigno? Questo tu vuoi?!”

Isaac si bloccò su quella frase, spalancando l’unico occhio rimasto mentre l’altro a seguito del movimento del sopracciglio, venne scosso da una fitta di dolore. E tacque, sgomento. Aveva promesso al Maestro Camus che sarebbe stato lui ad averla, non perché non conoscesse il valore di Hyoga, anzi, proprio per quello. Il biondo era come un fratello per lui, un rivale, un obiettivo da raggiungere, una ragione in più per rivelarsi degno. Tuttavia… ora che lui era scomparso, l’armatura sarebbe andata a lui, al biondo, senza neanche la possibilità di un raffronto. Isaac non solo aveva perso, era proprio stato eliminato disonorevolmente dalla gara.!

Hyoga… Maestro Camus…

Se… se lui ne è degno, se l’armatura lo riconoscerà… non ha importanza! Io voglio dimostrare di essere ancora di una qualche utilità, v-voglio combattere al fianco di Camus e… non sono finito… - biascicò a denti stretti, mentre un rivolo di lacrime gli usciva dall’occhio e il respiro gli si mozzava in petto – NON SONO FINITO!!!” ripeté, urlando con tutte le forze che gli restavano, incassando il volto tra le braccia, quasi nel volersi nascondere.

Povero scarto… - gli sussurrò all’orecchio Dragone Marino, in tono falsamente dolce, continuando a passare le mani sulla sua schiena. I sensi di Isaac venivano sempre meno, era sempre più sfiancato – Anche tu, nonostante il potenziale inesauribile, sei stato sbalzato via dal tristo fato che, ancora una volta, ha scelto la personalità più scadente. Io so come ci si sente, credimi… so cosa si prova ad essere un rifiuto, la rabbia che ne deriva, la consapevolezza di valere più di ogni altro e di essere bypassato da qualcuno assai meno potente di te, meno determinato, meno… tutto!”

S-STAI Z-ZITTO, NON… non...”

Osare, avrebbe voluto dire, ma stava svenendo, di nuovo, non poteva permetterlo, non…

Una mano tra i suoi capelli, così diversa da quella di Camus, così fredda, quasi meccanica, non recava in sé alcun calore, alcuna rassicurazione, si sentì più solo di prima, più solo che mai.

Non c’è più alcun posto per te, lassù, ma qui qualcuno ha già ampiamente riconosciuto il tuo potenziale e ti ha già toccato, imprimendoti la sua effige. Devi solo accettarla, Isaac… quando succederà, capirai la vera giustizia dove risiede, non da Atena, dea della Saggezza e della Guerra, ma da Poseidone, uno dei tre campioni, il dio dei mari e di tutte le acque, e tu ne sei uno dei suoi Generali!”

Isaac non riuscì ad udire nient’altro per un tempo ulteriormente indefinito… cedette, abbandonandosi nuovamente alle tenebre.

...O almeno così rammentava, perché in quel momento, senza più sapere cosa fosse autentico e cosa no, qualcosa cambiò.

Una luce dorata, potente, calda, in perfetta antitesi con il colpo congelante che scaturì da lì a breve, lo fece immediatamente ridestare, anche se la palpebra, pesante, aveva seguitato a rimanere chiusa.

Percepì appena il balzo di Dragone Marino per evitare quell’attacco, percepì, per la prima volta la sua sorpresa, il suo non aver calcolato un incognita che, invece, molto probabilmente, avrebbe dovuto valutare.

Tu?! Tu qui?!?”

Isaac non capì a chi era rivolta quell’esclamazione, era tanto, troppo stremato. Si accorse infine che un’altra mano si era posata su di lui, più leggera e delicata, tiepida, profumava di frizzante, come la brezza autunnale che precedeva la grande notte artica.

Coraggio, alzati, Isaac...”

Quella voce… possibile?! Il ragazzo fremette, cercando di sollevarsi almeno sui gomiti, di nuovo l’impulso di piangere, anche se abbandonare le lacrime era stato uno dei primi insegnamenti, alzò difficoltosamente la testa, incontrandosi così con due occhi blu, sacri, esattamente come se li ricordava. Si dimenticò di respirare, balbettò lettere sconnesse che, con non poca difficoltà, si sistemarono infine in un ordine logico.

M- m… m-ae-stro!”

Camus dell’Acquario, che diavolo ci fai qua?! E’ territorio di mia pertinenza, questo!” sbraitò Dragone Marino, furibondo come non mai davanti a quell’incognita che non avrebbe mai immaginato potesse manifestarsi.

Camus non lo degnò di uno sguardo, del tutto preso a fissare il volto dell’allievo, che ricambiò, l’occhio lucido, i residui delle lacrime sulla pelle. Aveva una nota dolente Camus, il Cavaliere dell’Acquario, nello sguardo. Si morse il labbro inferiore nel rivedere il volto stremato dell’allievo amato, mentre, con la mano tremante, gli solcava teneramente la guancia martoriata, tracciando la profonda ferita con le dita di velluto.

Senso di colpa. Isaac lo percepì, come quando era piccolo, per questo si sforzò di sorridere, recuperando quell’antica faccia buffa che mostrava da bambino, quando il maestro era troppo impensierito da qualcosa e sembrava assente.

S-sono un combinaguai… ricordate? Prima o poi sarebbe successo comunque!” tentò di alleggerire la tensione, desiderando stringerlo a sé, ma non riuscendoci. Le braccia non si muovevano, Camus sembrava così evanescente, eppure il suo tocco, così delicato, su di lui, lo sentiva distintamente. Perché quindi non riusciva a muoversi, quando avrebbe solo voluto abbracciarlo?!

Isaac… - lo chiamò per nome, emozionato come non mai, terminando di tracciare la ferita, per poi alzarsi quindi in piedi, non prima comunque di avergli regalato una nuova carezza tra i capelli – Perdonami… per tutto!” riuscì infine a sussurrare, sofferente, ergendosi comunque temerario con l’intento di affrontare il nemico con tutte le sue forze.

 

Perdonarvi? Non ho niente da perdonarvi, Maestro! Siete qui, indossando la meravigliosa armatura dell’Acquario, che vi calza a pennello… siete giunto al mio fianco...

Vi voglio bene come ad un padre, mi siete mancato così tanto, e… e…

Riportatemi a casa, vi prego, da voi, da Hyoga… in modo che io possa ritornare alla forma che avevo perso.

Riportatemi a casa… da quel calore che mi è stato strappato, vi supplico.

Voglio tornare da voi, Maestro Camus… e da Hyoga!

 

Camus, quasi lo avesse udito, si voltò tristemente verso di lui, contemplando il più a lungo possibile il suo volto, imprimendoselo meglio con gli occhi, che lo abbracciavano. Lo avevano sempre abbracciato…

Isaac, non posso portarti a casa, anche se lo vorrei con tutte le mie forze, perdonami… - farfugliò, dolente, prima di voltarsi nuovamente verso l’avversario e scattare in avanti, il palmo destro gremito di cristalli danzanti di morte – Devi risvegliarti, coraggio!”

Isaac sbatté le palpebre davanti a quell’ultima affermazione, non capendone il senso. Nello stesso momento Dragone Marino attaccò con i coralli, i quali però vennero istantaneamente congelati da un breve gesto della mano di Camus.

Dovrai fare meglio di così, Kanon di Gemini, se pensi di nutrire speranze di vittoria contro di me!”

Kanon?! Giusto, Dragone Marino si era rivelato essere il fratello gemello di Saga di Gemini, ma questo Isaac lo aveva scoperto assai dopo, poco prima della battaglia mortale contro Hyoga, come era quindi possibile?!

In quel momento Camus, incassando un nuovo colpo, si permise di scoccare una nuova occhiata all’allievo ancora a terra, che seguiva lo scontro a bocca aperta, sempre più confuso.

Coraggio, Isaac, svegliati… devi svegliarti, ragazzo, altrimenti...” non terminò la frase, perché un pugno lo centrò con precisione tra le costole che, seppur coperte dalla sacra armatura dell’Acquario, vibrarono fastidiosamente.

Mai distrarsi sul campo di battaglia… non amavi ripeterlo, Camus? Al solito predichi bene ma razzoli male!”

Maledetto!” esclamò, attaccandolo con la Diamond Dust, che però finì nel vuoto, perché Kanon aprì una breccia nello spazio-tempo, annullando così l’aria congelante.

Golden Triangle… - cantilenò, beffardo, raddrizzandosi e guardandolo trionfalmente – Stai dosando i tuoi poteri perché ci troviamo nella mente del tuo ragazzo e hai paura di danneggiarlo?! Per quanto puoi mantenere quella forma, senza crollare a terra? Mi sembri già parecchio affaticato!”

Aveva ragione, Camus aveva già il fiatone, le gambe gli tremavano e sembrava sul punto di cedere.

Maestro!”

Sto bene, Isaac, non ti agitare per me! - lo tranquillizzò in fretta, ergendosi di nuovo ad affrontare Kanon – Per quanto tempo, mi hai chiesto? Il necessario per strappare Isaac dalle tue grinfie… lo hai insozzato anche fin troppo e pagherai per questo!”

Camus sembrava arrabbiato, come raramente Isaac aveva visto, se non quando discutevano animatamente del Kraken e perdeva le staffe con lui, nello specifico, come con nessun altro.

Si dice che più siamo affezionati ad una persona più i sentimenti e le manifestazioni siano incontrollabili, eppure, dopo tutto quello che era successo, Isaac si chiese perché… perché l’ultimo anno in Siberia non avevano fatto altro che discutere animatamente? Perché avevano perso tempo a quel modo, in una stupida lotta di principi? Se ne pentì amaramente, stringendo i pugni, impotente. Lo aveva perso, per sempre, a saperlo… a saperlo non avrebbe buttato così i momenti preziosi trascorsi con lui. Avvertì una fitta al cuore.

Capisco… - prese parola Kanon, preparandosi a soffiare fuori la verità – Ti ritrovi in una condizioni esistenziale incerta, per questo ti è possibile intervenire, tramite il mondo immoto, nella mente delle persone che ami. Hai… un potere invidiabile, Camus!” disse, apprestandosi a caricare la sua tecnica più potente.

La Galaxian Explosion!” esclamò Isaac, che ormai aveva capito di non trovarsi più in un ricordo ma da un’altra parte, nondimeno non sapeva come uscirne, forse neanche voleva, dopotutto… sapeva che, se si fosse svegliato, non avrebbe potuto più combattere al fianco del suo adorato maestro, e lui era lì, per quanto inspiegabile, era lì, avvertiva il suo potente cosmo, i bagliori dorati che lo abbracciavano, come avrebbero voluto fare le sue braccia e, in ultimo, quel calore che credeva irrimediabilmente perso e che gli irrorava il corpo, trasmettendogli nuova vitalità.

Devi farlo, Isaac, questo è un sogno, non è altro che un sogno… devi risvegliarti!” lo incoraggiò ancora Camus, sentendo i suoi pensieri come propri. L’allievo non se ne meravigliò, del resto, se davvero erano nella sua mente, era più che normale.

Non voglio, Maestro, non voglio abbandonarvi!”

Non l’hai mai fatto Isaac, semmai sono stato io a...” gli sfuggì un singhiozzo, che celò in fretta, non era certo tempo per i sentimentalismi.

Io voglio… voglio combattere al vostro fianco, Maestro, l’ho sempre voluto!” continuò imperterrito Isaac, alzandosi faticosamente in piedi, caparbio.

A quelle ultime parole, sebbene la situazione non lo permettesse, perché il colpo più terribile del Cavaliere di Gemini stava per essere lanciato, l’espressione di Camus si addolcì ulteriormente, regalando all’allievo uno dei sorrisi più sinceri e aperti che gli avesse mai visto.

Anche io, soldo di cacio, anche io… avrei così tanto voluto combattere insieme a te, proteggerti, come era mio dovere fare… - confessò, tremando visibilmente, prima di ricomporsi e assumere una posizione da battaglia che Isaac non gli aveva mai visto – Devi uscire al più presto da qui, le tue energie si stanno notevolmente consumando, là fuori, nel mondo in cui sei caduto… lascia quindi che il tuo maestro ti indichi la via, ancora una volta...”

Mae…!” tentò di opporsi Isaac, mentre il terreno cominciava a tremare, facendolo cadere all’indietro. La luce stava diventando troppo abbagliante, sia quella del colpo, che quella, ancora più intensa, del cosmo dorato del suo mentore.

Ammira la quintessenza del potere congelante, Isaac, e risvegliati… FREEZING SHIELD!”

Il bagliore lo avvolse, in un coacervo di luci psichedeliche che lo confusero ancora di più, serrò le palpebre, precipitando da qualche altra parte.

 

 

* * *

 

 

Luci psichedeliche… come se si fossero stampate nelle sue cornee.

Questa fu la prima sensazione di Isaac al risveglio, avvolto dal buio imperituro, tanto da non capire, di primo acchito, se davvero le sue palpebre fossero nuovamente aperte, o se ancora si trovasse nel sogno, all’interno della sua mente.

Poi un brivido di freddo, che si dilagò ben presto a tutto il corpo, irrigidendo tutti i suoi muscoli. Si rese conto di essere nudo, di nuovo, non c’era più alcun calore a risollevarlo, neanche una semplice coperta. Morto… ancora? No, non poteva esserlo, la stanchezza che lo pressava, impedendogli il più piccolo movimento, era puramente autentica, non c’era margine di errore.

Anche il cosmo era fiacco… troppo, come se lo avesse utilizzato, o peggio, come se gli fosse stato prosciugato fin nei recessi. Era vivo… per miracolo! Ancora un secondo in più e forse, come stava dicendo Camus… CAMUS!

Tentò di rialzarsi nel pensare al suo maestro, ma non riuscì neanche ad inarcare la schiena, che una fitta all’addome stroncò sul nascere i suoi intenti. Respirava a stento, la testa gli pulsava ad intermittenza, ma quelle dannate luci psichedeliche continuavano ad ostruirgli la vista, dolendogli la testa. Avrebbe voluto dormire, ma l’istinto lo metteva in guardia di non cedere, perché la posta in gioco era molto più alta, più che con Kanon, più che in ogni circostanza passata. Da essa dipendeva la vita, o la perdizione eterna.

Cercò di mettere a fuoco l’ambiente circostante, aveva sempre più freddo, da battere i denti, ma quelle luci, ora statiche, ora in movimento, non accennavano a sparire… stava forse impazzendo?

Improvvisamente raggelò, avvertendo una mano rachitica che gli solcava l’addome fino a raggiungere lo sterno e lì soffermarsi, pesando come un macigno sulla sua già stentata respirazione… qualcuno era vicino a lui, troppo, e digrignava i denti in maniera sinistra, trasmettendogli la sensazione di una lama che veniva arrotata, Rabbrividì, impotente: non poteva muoversi, neanche il più piccolo cenno con la testa gli era consentito, quindi non riusciva nemmeno a scorgere l’individuo che aveva così barbaramente invaso il suo spazio vitale. Tentò di gridare, ma dalle sue labbra non uscì nulla di definito. Si ritrovò di nuovo a tossire, ricercando faticosamente l’ossigeno.

Di nuovo uno sbattere di denti, stavolta non suo, sembrava quasi… doppio, c’erano più individui intorno a lui? Che incubo atroce...

Di nuovo si sentì prosciugato dalle energie, come se spirassero via, al di fuori del suo corpo, era sempre più difficile mantenersi vigile, stava nuovamente per cedere.

“Va bene, basta così… è riuscito a risvegliarsi, trattenete la vostra fame ancora per un po’… fatemi parlare con lui!”

Isaac udì una voce metallica da qualche parte, dura, quasi impersonale, prima di avvertire l’ingente peso su petto scemare fino a scomparire e tornare quindi a respirare con meno difficoltà. Non riusciva ancora a muoversi dalla sua posizione, dovette aspettare che l’individuo si mostrasse nel suo campo visivo per scorgerlo, cosa che non si fece attendere, perché il rumore in avvicinamento gli frastornava ulteriormente le orecchie. La superficie su cui quel lento incedere si prolungava fino allo sfinimento sembrava ghiaccio, poteva udire distintamente il lento scricchiolare dei passi sul permafrost, che conosceva bene, il terreno era quindi incrostato? Si trovava in un luogo perennemente congelato? Anche quella, l’ennesima cosa in quel mondo molto più che bizzarro, Isaac non se la spiegò.

Finalmente, in mezzo a quelle luce psichedeliche, ora stabili, ora in movimento, inframezzate da un’oscurità perpetua, il giovane scorse i contorni definiti del volto di un ragazzo dagli occhi spiritati e le pupille dilatate, di un azzurro chiarissimo, tendente al bianco. Isaac sussultò a quella visione, non certo per quello sguardo così vitreo, anche se faceva raggelare il sangue nelle vene al solo incrociarlo, bensì perché quegli occhi, un tempo di un azzurro cangiante, ora vuoti come l’oltretomba, erano rimasti ben vividi nella sua memoria.

“N-non è poss… cough, cough! - tossì di nuovo, mentre l’altro, chinandosi su di lui lo costringeva a girare brutalmente il volto, senza un minimo di premura, quasi desiderasse solo contemplare la sua lenta agonia in prima fila – L-Lisakki!” riuscì infine a chiamarlo, sofferente, non potendo opporre alcuna resistenza.

“Vedo che ricordi ancora il mio nome, nonostante tu mi abbia visto morire senza muovere un dito...”

Ad Isaac fremettero le labbra, il corpo, persino qualcosa dentro di lui che, stante la debolezza, non riuscì a definire che cosa. Avvertì improvvisamente la gola secca, la lingua che si attorcigliava nel ricercare parole che non avrebbe saputo pronunciare. Poi improvvisamente la consapevolezza dentro di lui, dopo quel breve attimo di smarrimento.

“No, non sei lui, non puoi essere lui! Lisakki è morto a 6 anni, e tu… e tu...”

“Può darsi… sono comunque la sua manifestazione veritiera se il buono, ingenuo, e timoroso Lisakki fosse sopravvissuto ancora, mm, diciamo… - lo vide soppesare qualcosa, fare un rapido calcolo con le mani – 8 anni, invece di finire barbaramente ucciso quel giorno…”

“Chi… chi diavolo sei realmente?”

“Lisakki!”

“Stai mentendo!”

Isaac tentò di alzarsi, ma ricadde a terra, ogni fibra del suo corpo ululava di dolore, era in forte deficit cosmico, le articolazioni e i muscoli dolevano alquanto anche se non si sentiva ferito, annaspò, in balia degli eventi, serrando le palpebre.

Quei colori, quelle forme intorno a lui lo confondevano ancora di più, vi era il buio imperituro intorno, ma delle strane conformazioni inspiegabili, rassomiglianti ad alberi, cespugli e poco altro, emanavano luce propria. Davvero inspiegabile.

Lisakki ghignò, accarezzando i capelli di Isaac. Non vi era nulla di tenero in quel gesto, nulla di caloroso, sembrava semplicemente la rivendicazione di un possesso.

“Quell’uomo…. è corso a salvarti, è grazie a lui se ti sei svegliato, ma… a quanto pare, non è stato in grado di restituirti le energie, sei qui, nudo come un verme, pronto a diventare un lauto pasto per loro… - lo canzonò, calcando il disgusto sulle prime parole – Sai, tra poche ore sarà giorno e andranno in letargo, devono rifocillarsi con qualcosa di più… saporito!”

Isaac non capiva nulla di quello che diceva quell’essere dalle sembianze di Lisakki, si ricordò delle parole di Dègel, che aveva parlato di ‘loro’, definendoli come ‘coloro che sono precipitati nel mondo inverso’. Capì di essersi ritrovato all’esterno; in quell’esterno che sia Seraphina che Dégel non volevano che andasse. Il come ci fosse finito, però, era un mistero irrisolto.

Era tuttavia un’altra la cosa che faceva imbestialire Isaac…

“Quell’uomo… è tanto il tuo maestro quanto il mio, portagli rispetto!” ringhiò a denti stretti, furente, ma sussultò, perché la mano di Lisakki si era mossa, veloce a stringergli il collo, premendo malamente sulla carotide. Tossì.

“Camus… - pronunciò il suo nome in tono denigratorio, costringendo Isaac ad aprire gli occhi, che si incontrarono con le sue iridi del color del ghiaccio, che producevano una luce sinistra – quell’uomo fa figli e figliastri, salva i suoi eletti e lascia morire gli altri… ha lasciato morire me, perché dovrei portargli rispetto?!”

“L-lui n-non… cough, cough – Isaac respirava malamente, ma lo fissò con determinazione mista a compatimento, nel senso più ampio del termine, riprese fiato – L-lui non ti ha… lasciato morire… non ha potuto fare niente, è diverso...”

“Non ha potuto fare niente… neanche con te?”

Isaac trasalì a quell’ultima domanda a bruciapelo, fremendo violentemente. Lui, quel Lisakki, come faceva a…?

“Non ha importanza, il succo è lo stesso!”

Che leggesse nella mente? O nei ricordi? Di sicuro era un’ombra, e non bisognava esserne soggiogati. Doveva reagire, come il suo maestro gli aveva insegnato a fare, ma come?

“S-sparisci!” gli sibilò, cercando di sfuggire alla sua morsa con un movimento del collo, che tuttavia non gli riuscì, sfiancandolo ulteriormente.

“A cosa ti riferisci? A me, o alla rabbia che senti sgorgare da me, che, peraltro, è la stessa tua? Andiamo, Isaac, quell’uomo ha abbandonato tanto me quanto te, non dovresti...”

“S-stai zitto!”

“...difenderlo! Lui ha scelto di salvare te, abbandonando me; allo stesso modo, quando è giunto il tempo, ha rianimato Hyoga, lasciando te in balia delle correnti, povero figliastro irrisorio...”

“STAI ZITTO, HO DETTO!”

Il cosmo di Isaac diede un impulso, avvolgendo il corpo del ragazzo di una intensa luce bianca, che ricordava la solennità dei ghiacci siberiani. Tuttavia le forze per ravvivarlo non erano sufficienti e ben presto fu costretto nuovamente a cedere, in affanno.

Ad Isaac pulsava la testa, anche le orecchie cominciarono a sibilare mentre, con gli altri sensi, percepiva altre presenze intorno a loro. Sembravano aleggiare lì intorno, ruotando in cerchio, erano labili, leggere, quasi aeriformi, scure… ne ebbe paura, viscerale, istintiva.

“Dimmi, davvero non ha potuto fare niente per te? Davvero non poteva salvarvi entrambi?”

“I-io, non lo ricordo… perdevo sangue dall’occhio e… ero sfinito, al culmine del...”

“Del dolore, già, e scommetto che avevi paura… Oh, quanto hai pregato affinché quell’uomo che consideri come un padre ti venisse a salvare, riportandoti in superficie, a casa… quanto hai desiderato combattere al suo fianco, al fianco dell’uomo che più stimavi al mondo, ma… proprio come allora, come me, eri tu, quella volta, ad essere sacrificabile!”

“S-stai mentendo, il M-maestro Camus...”

“C-cosa? Vuoi dirmi che ci ha provato, a raggiungerti? Quando?! Stante il cosmo in suo possesso avrebbe potuto percepirti in ogni caso, riesci a sostenere il contrario?!”

“...”

“Ma lui aveva il suo pupillo, il biondino, il suo vero successore, tu avevi poca più importanza di un pugno di formiche… e l’armatura, sotto la sua guida, è andata a lui, a Hyoga che, come se non bastasse, lo ha ucciso e ti ha privato poi della vita, lui che aveva motivi infantili per diventare Cavaliere del...”

“QUELL’ARMATURA AVREBBE DOVUTO ESSERE MIA, IO MERITAVO DI ESSERE CAVALIERE DEL CIGNO E COMBATTERE AL FIANCO DI CAMUS, NON...”

Si fermò a metà strada, spaventato, accorgendosi di non riuscire più a trattenere l’ira. Aveva sollevato un poco il collo, facendo allontanare Lisakki che, in quel momento ghignava. Si accasciò di nuovo al suolo, vittima delle sue stesse emozioni.

No… no! Di nuovo stava cedendo alla rabbia distruttiva, stava succedendo ancora, malgrado gli anni trascorsi, malgrado gli insegnamenti… ancora una volta si stava rivelando indegno.

A quel punto Lisakki si avvicinò di nuovo al suo fianco, quasi serpeggiando, prima di tracciargli la fronte con l’indice e portarselo alla bocca, leccandoselo , quasi a volerlo pregustare.

Isaac era schifato, si sentiva sudato, spossato, stremato e… arrabbiato, ma avrebbe combattuto quella volta, per non cedere a quella manifestazione sovrumana che il Maestro Camus aveva sempre bandito.

“Il fulcro del tuo potere… è la rabbia, Isaac di Kraken, questo ti rende… - lo prese da sotto il mento, avvicinando il suo viso per poi leccargli tutta la guancia vessata dalla cicatrice, nonostante il ragazzo cercasse di opporsi con quanto serbava ancora in corpo - ...appetibile!”

“Argh!” si lasciò sfuggire Isaac, avvertendo con distinzione i denti di quell’essere tirargli la pelle, quasi stesse addentando un frutto saporito.

“Sei appetibile per i miei piccolini… - gli ripeté, allontanandosi di nuovo, dandogli le spalle, che Isaac vedeva tramite una luce ora soffusa, ora accesa, scorgendovi qualcosa che non doveva esserci, una sorta di taglio oscuro e verticale, che emanava materia purulente, credette di aver preso un abbaglio – Ma lo sarai ancora di più se manifesterai, ancora una volta, la rabbia distruttiva che ti porti dietro da quando sono stati uccisi i tuoi genitori… mostramela ora, affinché io possa dichiarare compiuto il tributo!” gli disse, voltandosi nella sua direzione e spalancando le braccia.

Isaac si sentì pervaso da un potere indescrivibile, scuro come il petrolio, una sorta di marasma che avvertiva invincibile, bastava sbrigliarlo e, forse, avrebbe avuto salva la vita. In fondo, aveva ragione Lisakki, quella era la sua vera natura, non aveva senso mascherarla ulteriormente.

Tuttavia si trattenne, la mente ben salda sugli insegnamenti del proprio mentore: non l’avrebbe più deluso, non si sarebbe più allontanato dalla sua forma; la forma che avrebbe dovuto raggiungere con la prima vita, e che invece avrebbe rincorso e perseverato con la terza. Non era mai troppo tardi!

Negò con la testa, rabboccando aria, inspirando ed espirando profondamente, costringendo così il suo corpo, rigido, ad essere riportato alla calma di un laghetto di montagna.

“Conosco il valore di Hyoga, l’ho affrontato in battaglia, lui mi ha vinto lealmente, è cresciuto rispetto ad allora, è degno dell’armatura che indossa, non rimpiango di avergli salvato la vita, come avrei voluto fare anche con te. Sono fiero… di aver perso l’occhio per lui!”

“E Camus allora? Quel vigliacco che ti ha abbandonato, lasciandoti in balia delle correnti oceaniche, se non fosse stato per Poseidone tu...”

“Non so cosa sia successo realmente, in superficie, stavo troppo male per rendermene conto… - si affrettò a dire, guardandolo con determinazione – ma se lui, in quel frangente, non è riuscito a salvarmi, nessun altro essere umano avrebbe potuto!”

“Sei patetico! Vuoi forse dirmi che...”

“Io mi fido del Maestro Camus e sono orgoglioso di essere… - si bloccò un attimo, ingoiando a vuoto, stava per aggiungere uno ‘stato’, ma negò ancora con la testa, sorridendo malinconicamente. No, non era affatto ‘stato’, lui ERA ANCORA, persino in un mondo che sfiorava la perdizione come quello – Sono orgoglioso di essere suo allievo!” esclamò infine, enfatizzando la sua fierezza con un respiro prolungato. Non sarebbe più cambiato, mai! La forma, quella forma ancora misteriosa, lui non l’avrebbe più persa di vista.

A quelle ultime parole l’espressione di “Lisakki” si fece delusa, quasi da cucciolo bastonato, poi triste, poi nuovamente da pazzo psicopatico, infine rise. Rise di gusto.

“Ma bene… sei schizofrenico in questa versione!” commento Isaac, sbuffando, recuperando un po’ di spavalderia che aveva ereditato da Kanon. Non era la migliore situazione per sfoggiarla, lì, nudo, in un mondo che sfuggiva alla logica con quel matto a fiatargli sul collo, ma… sempre meglio di niente!

“No, Isaac, è che mi dispiace per i miei piccolini, eri partito con così tanto smalto, pensavo davvero di offrirgli qualcosa degno di nota, invece… - si appropinquò nuovamente a lui, annusandolo con interesse, il collo, i ciuffi di capelli e, ancora, la cicatrice – sei meno appetitoso se non sfoggi il fulcro del tuo potere… pazienza! Il tempo è giunto!”

“P-prega le tue divinità, se ne hai qualcuna, che io rimanga bloccato qui a terra, a-altrimenti ho più di un modo per fartela pagare per aver osato utilizzare l’ombra di Lisakki, o il suo spirito, o qualsiasi altra cosa… mi hai sentito?!” fremette torvamente Isaac, minacciandolo con lo sguardo, disgustato da quell’ennesimo avvicinamento al suo corpo.

L’essere sorrise sadicamente, alzandosi in piedi e dandogli le spalle, e di nuovo Isaac la vide, l’apertura che aveva dietro alla schiena, come una cerniera aperta. Perse un po’ di baldanza, ma resistette, ripensando all’ennesimo modo per sfuggire a quella situazione, ma… il cervello era sempre più intorpidito, faceva fatica a incatenare una serie di pensieri congiunti dal filo della ragione… tutto sfumava prima di concretizzarsi nella sua mente. Lisakki ghignò una terza volta.

“C-cosa mi stai f-facendo, maledetto?” ebbe la forza di chiedere ancora, i contorni sempre meno definiti e i suoni sempre più ovattati.

“Io niente, sono loro che strepitano. Sai come si dice, no? ‘Prima i bisogni di pancia, poi semmai il resto’ - disse solo prima di dirigere i suoi occhi vitrei verso la direzione in cui avrebbe dovuto esserci il cielo – Lo lascio a voi, abbuffatevi, ma fate un po’ per uno… ghulu...”

Isaac ebbe appena il tempo di tentare di capire l’etimologia e l’origine di quella parola, che intravide, davanti alle sue iridi, uno svolazzio nero non ben definito. Prima di focalizzarlo completamente, però, cacciò un urlo, come di animale ferito, la netta sensazione che qualcosa gli fosse stato strappato con la forza.

Ansimò pesantemente, spalancando gli occhi, quasi vitrei, ebbe l’istinto di accartocciarsi su sé stesso a seguito del dolore immane che lo aveva invaso. Impiegò diverso tempo per capire che, quella stilettata difficile da resistergli, non era causata da danni sul suo corpo, ma, in qualche modo, interni…

Era il suo cosmo ghiacciato ad essere risucchiato e, con esso, la propria anima che, lentamente si disperdeva.

Provò a stringere le mani a pugno, in un ultimo, ardimentoso tentativo di opporsi. Tentò di bruciare il suo cosmo, ancora e ancora, ma più lo faceva, più quegli esseri aeriformi, avvolti da un mantello nero, gli piombavano addosso, facendolo stare ancora più male rispetto a prima.

Rantolò pesantemente, stremato. La sua energia vitale si stava disperdendo, con essa la coscienza. Si sentiva a pezzi, come se quelle ombre lo mordessero in continuazione da dentro, incuranti della sua fisicità.

Era un dolore lancinante tremendo… peggio di Kanon che gli eradicava via l’occhio, persino peggiore dello Zero Assoluto di Hyoga. In un certo senso, era come l’unione di questi due grandi patimenti che aveva provato sulla sua pelle. Si sentì mancare, le palpebre sempre più pesanti.

Quelle ombre indecifrabili, piombavano su di lui con la stessa intensità di un proiettile, provocandogli una fitta netta e invasiva in ogni più parte del corpo. Ad ogni attacco, una piccola parte di lui veniva risucchiata fuori, facendolo sprofondare ulteriormente in un inferno di ghiaccio che lo irrigidiva fin nei recessi.

Si accorse che stava morendo… non avrebbe resistito che a due altri assalti, poi la coscienza sarebbe stata talmente erosa da crollare su sé stessa. Sarebbe quindi sopraggiunta la fine, spietata...

 

Maledizione! Se non faccio qualcosa subito, i-io…

Non voglio morire di nuovo… non voglio, dannazione! Non ho fatto ancora nulla nella mia terza vita, questa, ci deve essere una ragione per cui non sono morto, ci deve essere, non posso… non posso cedere!!!

Rifiuto questo destino per me, lo rifiuto!

Non ci si arrende… questo ci ha insegnato il Maestro Camus, non ci si arrende… IO NON MI ARRENDERO’ MAI!

 

“DIAMOND DUST RAY!!!”

Isaac non vide distintamente quanto accadde nel giro di un secondo, più veloce di un battito di ciglia, le sue iridi vennero semplicemente raggiunte da un intenso bagliore. Le creature sopra di lui, battendo i denti, si allontanarono bruscamente, permettendogli di tornare a respirare con maggior regolarità, ad un passo dallo svenire, stremato quasi del tutto.

Qualcuno lo prese in braccio, lo condusse via da lì, da quella posizione scomoda e scomposta. Quel qualcuno gli continuava a ripetere di non cedere, di non svenire, nella maniera più assoluta, in tono incrinato, apprensivo. Isaac si costrinse così a non perdere coscienza, mentre mani gentili lo avvolgevano con un qualcosa di caldo e protettivo, come quando il Maestro Camus lo raccoglieva sfinito per terra, avendo dato il tutto e per tutto negli allenamenti, e, con una particolare cura paterna, lo conduceva a dormire sul divano o sul letto, al suo fianco, così vicino da poter percepire il suo calore corporeo.

Il solo ricordo fu in grado di inumidirgli le palpebre, mentre una mano altrettanto premurosa si posava sulla sua fronte, trasmettendogli nuove energie. Tornò a respirare con maggior regolarità, aprendo così gli occhi che si incrociarono con due iridi blu che, in mezzo a quelle luci di diversa origine, parevano rispecchiare di aurei bagliori.

“Dé-Dégel – lo riconobbe, cercando di mantenere il contatto visivo, nonostante la vergogna – Pe-perdonami, non sono riuscito a fare n-nulla, s-sono così...”

“No, Isaac, hai fatto molto invece! Non hai ceduto alla rabbia, non hai fatto il gioco di quel Proteiforme, grazie a questo, sono riuscito a rintracciarti e a raggiungerti. Ora riposa!” lo incoraggiò Dégel, accarezzandogli teneramente i capelli.

Isaac si rilassò contro il sostegno dove lo aveva adagiato e si guardò intorno nel cercare di capire dove si trovasse. Era interamente buio lì fuori, ma vi erano fonti di luce naturale, ora psichedeliche, ora statiche che dipendevano da… il ragazzo si ritrovò a sgranare gli occhi davanti a quello spettacolo insolito: inframezzato dalle tenebre imperiture, vi era quanto di più simile all’esoscheletro di un bosco, composto da alberi illuminati, funghi fosforescenti e felci che producevano un liquido brillante color oro… degno dei miglior film fantascientifici.

“D-Dégel, dove…?”

“All’esterno...”

Isaac lo guardò più o meno come si contempla lo scemo del villaggio dopo aver detto l’ennesima ovvietà risaputa da tutti. Dègel ridacchiò tiepidamente, indovinando i pensieri dietro quell’occhiata, quel particolare aggrottare le sopracciglia che il giovane aveva ereditato da Camus, insieme a mille mila altre più cose.

“Perdonami… so che sarai sempre più confuso e che vorrai delle spiegazioni al più presto, ma temo non sia questo il momento adatto. Ancora una volta, ti chiedo di avere pazienza...”

Sembrava teso. Si era alzato e si guardava nervosamente intorno, i muscoli rigidi, le braccia alzate davanti a lui per ripararlo da ipotetici attacchi. Non era quindi il momento di parlare, ma Isaac aveva bisogno di raccapezzarsi un minimo in più, altrimenti non sarebbe stato di nessun aiuto.

“Come… ci sono finito, qua fuori? Ero nel mio letto...”

“Temo di aver sottovalutato il potere di quel Proteiforme… da un po’ aleggiava fuori da casa, attirato da qualcosa, da te! Ho provato a dargli la caccia, dal giorno del tuo primo risveglio, invano, e oggi, quell’essere, è riuscito a manipolare i tuoi sogni in modo da condurti fuori e renderti vulnerabile. Quando Seraphina ed io ce ne siamo accorti, era già troppo tardi, ti abbiamo cercato, ma il tuo cosmo era troppo flebile, temevamo potessi arrenderti prima del nostro arrivo, sopraffatto, ma… - si prese una breve pausa, regalandogli un raro sorriso, genuino – Avevo dimenticato che gli allievi di Camus sono perseveranti sopra ogni dire, non demordono per nulla al mondo!”

Quelle parole rassicurarono e riscaldarono ulteriormente il giovane Isaac, che, più alleggerito nel corpo, si lasciò andare completamente sul sostegno su cui era appoggiata la sua schiena. Dégel lo aveva avvolto con un mantello e, probabilmente, gli aveva restituito parte delle forze, perché si sentiva nettamente meglio. Si chiese come facesse, del tutto ammirato da quella emanazione che ricordava in tutto e per tutto il Maestro Camus, ogni giorno di più, più qualcos’altro di ancora più prezioso, come se l’unione tra la stessa anima in tempi diversi avesse generato un potere inesauribile. Per la prima volta, dopo un tempo che era parso infinito, si sentiva di nuovo al sicuro, come nella piccola isba siberiana.

“Dégel, cosa sono quei… uff, chi mi ha attaccato prima, perché mi sono sentito così… male?” faceva ancora fatica a parlare, ma era ben vigile, non sarebbe più crollato, forse avrebbe anche potuto aiutare Dégel a combattere, perché l’ex Acquario sembrava sempre più teso, come se si aspettasse un nuovo assalto da un momento all’altro.

“Sono Ghulu, gli esseri precipitati nel Mondo Inverso…. Nessun attacco li scalfisce, tranne quelli composti da cristalli congelanti e legati al potere del gelo. Hanno sempre freddo, battono i denti in continuazione; per uno strano gioco del destino, la loro debolezza è anche la loro unica fonte di nutrimento, mangiano solo quello, il ghiaccio, ne sono irrimediabilmente attratti”

Isaac si ricordò che li aveva percepiti vicino a lui, troppo vicini, tanto da toccarlo e risucchiargli gran parte delle energie, lasciando lui con una spiacevolissima sensazione che, al solo rammentarla, lo faceva rabbrividire. Gli sfuggì un singulto, accorgendosi di essere, per la prima volta, atterrito. Tremò.

“Conosco e comprendo ciò che senti, ci sono passato anche io, all’inizio… ma non temere, ora ci sono io qui, ti proteggerò!” lo provò nuovamente a tranquillizzare, sempre in piedi davanti a lui, espandendo il suo cosmo per avvolgere il corpo di Isaac e fargli percepire la sua vicinanza.

“Qu-quei cosi si… si stavano nutrendo di me? O meglio, del mio potere congelante?”

“Sì… ti hanno ‘assaggiato’, e sembra tu gli piaccia parecchio, per questa ragione, siamo diventate noi le prede, presto giungeranno qui, ma non l’avranno vinta, non più! Hanno osato anche fin troppo ad insozzarti con le loro grinfie!”

Isaac sussultò a quell’ultima affermazione, così simile a quella che gli aveva rivolto Camus nel sogno, dove era intervenuto per proteggerlo.

“Allora vi riferivate a questo, Maestro...”

“Come?”

“No, niente, pensavo ad alta voce… - si affrettò a celare le sue emozioni Isaac, tossicchiando un po’ - Di cosa sono composti esattamente quegli esseri? Come possono succhiare il potere congelante e, urgh… n-non ci sono altri esseri umani in vita, oltre a noi, in questo mondo?”

Dègel sospirò, guardandolo intensamente negli occhi. Non sapeva da dove iniziare a spiegare, e quello non era nemmeno il momento adatto, poiché rischiavano di subire un attacco, ma… il ragazzo era visibilmente confuso e spaventato, come fare?

“Isaac, ascoltami attentamente… - la sua faccia si fece seria, lo stesso quella del ragazzo, che era molto intelligente e lesto ad apprendere – Gli esseri umani esistono ancora, sì, anche se sono ridotti a poche centinaia in tutto il globo, mentre i Ghulu...”

“Poche centinaia?!?” trasalì, il cuore gli si accelerò in petto, il respiro si troncò.

Dégel non diede peso a quella reazione più che naturale, socchiuse gli occhi e strinse i pugni, cercando di trattenere la frustrazione. Doveva andare al sodo al più presto, non potevano perdersi in chiacchiere.

“...mentre i Ghulu... un tempo erano esseri umani. Di questo, in effetti, sono composti, ogni Ghulu racchiude un’anima; un’anima che, sotto quella forma, vive ancora. Io mi occupo di sigillare queste essenze in un Sarcofago di Ghiaccio allo Zero Assoluto, in attesa… in attesa di trovare un modo per farli tornare umani”

Isaac era allibito, anzi molto di più, scettico, spaventato, ancora incredulo, stordito. Non c’era menzogna nelle parole di Dègel, la cui bocca si era dischiusa in una smorfia ricca di sensi di colpa, pentimento, e delusione verso sé stesso.

Non c’era menzogna su quel viso candido, solenne come i ghiacciai della Siberia, ma era comunque difficile da credere, se non impossibile.

Cercò forzatamente di ricondursi alla calma, sebbene quelle ultime parole gli avessero fatto raggelare le vene, quasi raggrumando il sangue. Boccheggiò per una serie di secondi, prima di respirare profondamente e parlare. Non era tempo per le spiegazioni, né per gli stordimenti.

“Dégel, insieme a quei… quei cosi incappucciati che tu chiami Ghulu, c’era un’altra entità sotto le sembianze di Lisakki, tu dovresti conoscerlo bene!”

“L-Lisakki?” chiese inaspettatamente lui, non capendone il filo conduttore, pareva che non lo rammentasse, ma era impossibile, aveva già dimostrato di conoscere Hyoga, sebbene non lo avesse mai visto di persona, e quello grazie ai ricordi di Camus.

Isaac annuì, sforzandosi di alzarsi in piedi, la schiena ancora in contatto con l’appoggio su cui era stato adagiato e che, a ben vedere, era un tronco di un albero che si illuminava di un verde smeraldino. Dentro la sua struttura, delle sottili linee rosse, come delle vene, partivano dalle radici per salire sulla fronda, ghiacciata come il resto. Per quanto annichilente, era uno spettacolo che catturava lo sguardo.

“Sì, Lisakki comandava quei… quegli esseri, si sono fermati quando lui glielo ha ordinato e...”

“Penso tu ti stia riferendo al Proteiforme, dalla tua descrizione, la… - ma si interruppe, sussultando e voltandosi dall’altra parte. Anche Isaac sobbalzò nel percepire l’arrivo di alcune presenze. Li avevano raggiunti – Temo di non avere più tempo per parlarti, stai indietro, Isaac!” lo avvisò, mettendosi in posizione d’attacco e facendogli cenno di rimanere fermo sul posto.

Dalle fronde boscose poco oltre il loro sguardo, uscirono tre Ghulu e la manifestazione di Lisakki. Isaac si mise in guardia, preparandosi attaccarli, ma Dégel di nuovo con un cenno della mano e un diniego gli raccomandò nuovamente la calma. Il ragazzo era scalpitante, ora che aveva riacquistato parte delle energie voleva combattere, dimostrando finalmente di cosa era capace, ma l’ex Acquario sembrava intenzionato a tenerlo protetto dietro di sé, cosa che, un poco, lo infastidì.

Osservò attentamente quegli esseri, effettivamente avevano sembianze aeriformi, come aveva presagito, ed erano avvolti da un mantello scuro, che celava la loro essenza anche tramite un cappuccio. Cosa ci fosse sotto era un mistero, come mangiassero anche, ma Isaac notò che solo uno dei tre teneva una sorta di falcetta tra le mani, gli altri ne erano privi, le dita rachitiche che possedevano si intravedevano da sotto. Sussultò di nuovo, accorgendosi che, con esse, lo avevano toccato impunemente, ne provò il triplo del disgusto.

“Non va bene… hai privato i miei piccolini del loro nutrimento!” disse “Lisakki”, sibilando sinistramente.

Dégel non rispose, dirigendo il suo sguardo verso Isaac.

“Ragazzo, avverto la tua irrequietezza, concepisco che tu voglia combattere, ma ti chiedo di rimanere in disparte. E’ troppo prematuro per te affrontarli, inoltre, da quanto ho capito, quel Proteiforme là ha le sembianze di una persona a te cara, saresti troppo coinvolto...”

“COSA? Non lo riconosci, Dégel? E’ un tuo allievo!” gli fece notare Isaac, sinceramente allibito.

Dégel gli scambiò uno sguardo, sembrava sinceramente sbalordito. Rimase fermo a picchiettarsi sulla fronte, come nel tentativo di reperire informazioni importanti che così, di primo acchito, non rammentava minimamente. Infine negò con la testa, sconfortato.

“Mi dispiace… anche riportando alla luce le memorie di Camus, continua a non suggerirmi niente questo nome!”

Isaac era ancora più sconvolto, voleva chiedergli come fosse possibile, ma in quell’esatto momento quegli esseri incappucciati, sotto esortazione di Lisakki, partirono all’attacco con lui come obiettivo. Piegò quindi le ginocchia, pronto a combattere con le unghie e con i denti, ma Dègel fu più lesto, balzando sulla destra, diresse un attacco congelante ai piedi di un albero. Il colpo cristallizzò l’aria, formando una struttura che emanava luce propria. I Ghulu ci si fiondarono contro, battendo i denti, cominciando a mangiarla in un clangore che faceva vibrare i timpani.

“Quegli affari mangiano davvero il ghiaccio!” commentò Isaac, ancora incredulo davanti a quella scena. Non provavano più interesse né per lui né per Dégel, il quale, raddrizzando la schiena, lentamente, si mise ad incedere verso “Lisakki”.

“Devi fare meglio di così, se nutri speranze di vittoria!” lo minacciò, con un cosmo altamente offensivo, che non aveva manifestato con gli incappucciati.

Il Proteiforme sibilò di nuovo sinistramente, intimorito dal cosmo glaciale di Dégel, indietreggiò di un passo, prima di chiamare all’ordine i Ghulu.

“Brutti idioti inutili, non prestate attenzione a quell’insulsa costruzione, attaccate lui, piuttosto, il nucleo del potere che andate cercando!” gli urlò, mentre quegli esseri, sollevando il capo, tornarono all’attacco. Quella volta il loro obiettivo non era più Isaac, perché si diressero contro Dégel.

Si avventarono contro di lui con foga inaudita, tutti insieme, ma l’ex Acquario, tutto fuorché impressionato, scansò la falcetta del primo con un gesto del capo, saltò il secondo e, concentrandosi sul terzo, lo richiuse istantaneamente nella Bara di Ghiaccio. Tutto si bloccò per una serie di secondi e prima che tutti potessero rendersene conto, il primo Ghulu era sigillato.

Isaac lo fissò ammirato, del tutto carpito dalle sue movenze leggere che gli ricordavano in tutto e per tutto Camus. Una tale eleganza nel muoversi, come ali di farfalla, come se si trattasse più di un ballo, anziché di uno scontro, unita a delle movenze leggere, sopraffine, non un solo gesto sprecato… Un tale prodigio, lui lo aveva visto compiere solo dal suo maestro.

Anche l’attenzione di Dégel non era più rivolta ai due Ghulu rimanenti, la sua mano si era mossa ad accarezzare quel sarcofago di ghiaccio con gesto inaspettatamente gentile, mentre i suoi occhi, lucidi, pieni più che mai, traballarono appena.

“Riposa qui dentro, fino a quanto non riuscirò a trovare un modo per salvarvi...” gli disse, rammaricato.

“ATTACCATELO!!!”

Gli esseri del Mondo Inverso, come erano appellati, si buttarono a capofitto su di lui, con l’ovvio intento di colpirlo. Isaac fremette, ebbe l’impulso di urlare a Dégel di scansarsi, ma quest’ultimo inclinò semplicemente la testa di lato, una nuova espressione determinata nelle sue iridi, le sopracciglia piegate in una manifestazione di fastidio.

“Certo che… di buone maniere, non sei certo padrone! - gli soffiò quasi contro, balzando nuovamente di lato – Attaccare così un uomo girato di spalle è oltremodo sgarbato!”

Atterrò poco più in là, piegando le gambe per darsi maggior spinta, era diretto contro il secondo Ghulu senza falcetta, l’altro invece, attaccandolo, era sbandato e finito contro la costruzione ghiacciata, che tuttavia aveva attraversato da parte a parte, come se fosse inconsistente, come se non la vedesse nemmeno… e forse era davvero così.

Isaac non se lo spiegava, vedeva ben nitida davanti a sé la Bara di Ghiaccio, ma era come se non la percepisse, come se non facesse parte di quel mondo fermo, eppure…

“FREEZING SHIELD!” urlò di nuovo Dégel, e anche il secondo essere fece la fine del primo, venendo sigillato.

L’ex Acquario atterrò di nuovo a terra, stavolta però piegato in avanti e un poco affannato, il respiro aritmico. Sembrava sfibrato, ben oltre la spossatezza, Isaac non ne capiva il motivo, giacché aveva usato solo due attacchi, oltre a cedergli energie, d’accordo, ma…

Trasalì, finalmente cominciando a venire a capo di quello strano sfinimento: Dégel aveva detto che per sigillarli occorreva lo Zero Assoluto, confine fisico invalicabile in natura, per raggiungerlo serviva energia infinita e già due volte lui l’aveva utilizzata, senza contare che, molto probabilmente, per venire lì, aveva di certo combattuto. Era più che giustamente stremato!

“Dégel!!!” lo chiamò, facendogli per correre incontro, ma “Lisakki” prese parola, arrestando il suo moto.

“Sciocco e insolente! Stai usando lo Zero Assoluto per suggellare i miei piccolini… per questo che non riesco più a percepirne l’impulso distruttivo, dei tre che ti ho mandato ne è rimasto uno, il più forte, ma io ne posso chiamare quanti ne voglio e tu ti stai stancando per niente! - lo canzonò, infuriato, pestando i piedi per terra – Stai sprecando le tue energie, ti basterebbe molto meno per distruggerli, usando aria congelante molto meno fredda, perché dibatterti così, rischiando di morire nel processo?!”

“Perché… non li voglio distruggere, ma salvare! - lo accontentò placido Dégel, voltandosi e camminando nella sua direzione, mentre il terzo Ghulu piombava famelico su di lui – FREEZING COFFIN!” disse semplicemente, alzando il braccio destro e rinchiudendo così l’ultimo incappucciato in un sarcofago di ghiaccio.

Non fermò il suo moto, non più, era diretto verso “Lisakki” con l’intento di concludere lì la faccenda, il suo sguardo non lasciava trasparire alcuna emozione, vi era solo… il gelo. L’essere cominciava a provare paura, Isaac lo percepì dalla scintilla nei suoi occhi che, pur sempre vitrei, cominciavano a manifestare qualcos’altro, la pupilla si dilatò ulteriormente. Lo vide cercare di aprire la bocca e cacciare così un urlo per motivi sconosciuti, ma Dégel fu, ancora una volta, più veloce. Alzando il dito indice della mano sinistra, sferrò un colpo che Isaac non aveva mai visto prima.

“GRAN KOLISO!”

Il corpo di “Lisakki” si contorse, mentre degli Anelli di Ghiaccio di dimensioni maggiori gli circondarono il corpo e altri, più piccoli, il collo con movimenti concentrici. Il grido gli morì in gola prima di poter essere esternato. Cadde in ginocchio, quasi singhiozzando, gli occhi sempre più dilatati, i muscoli contratti, Isaac faceva fatica a vedere quella scena, perché, pur essendo un nemico, aveva comunque le sembianze del suo compagno di addestramento.

“...Ma con te sarà molto più facile! - lo avvertì in maniera spietata Dégel abbassando il braccio e apprestandosi a caricare la Polvere di Diamanti, che subito scaturì dal suo palmo semi-aperto – Con te non ho bisogno di usare lo Zero Assoluto per salvarti, il tuo destino è già scritto, preparati”

Isaac rimase ad osservare la scena, l’impulso di intervenire parzialmente soffocato dalla fiducia che riponeva in lui. Tuttavia… qualcosa non quadrava, qualcosa per cui lui non riusciva a darsi pace: Dégel aveva usato gran parte delle sue forze per sigillare i Ghulu a rischio della vita, perché invece lui lo voleva uccidere? Perché?!

Tremò, stringendo i pugni e abbassando lo sguardo, un sussulto nel cuore. Non sapeva più che cosa sarebbe stato giusto fare.

“Aiu...to...”

Isaac spalancò le palpebre, sconvolto al suono di quel mormorio sommesso che era la voce autentica di Lisakki, non della sua trasfigurazione, no, di lui bambino. Volse lo sguardo nella sua direzione e vi scorse gli occhi vitrei, spalancati dal terrore di stare per morire.

Come quel dannato giorno.

“D-Dègel!”

“Non dargli peso, ragazzo, è tutto un trucco, lasciami concludere il lavoro, poi ti spiegherò tutto ogni cosa!”lo freddò immediatamente Dégel, con tono perentorio, mentre, nello stesso momento, stringeva il pugno destro per aumentare l’intensità di quegli anelli di ghiaccio che schiacciarono ancora di più Lisakki a terra, facendolo ansimare.

“N-no, io...”

“F-Fa male… tanto male… - rantolò ancora Lisakki, piegandosi in due sul terreno, come attraversato da scosse fortissime. Ad Isaac si spezzò qualcosa dentro, ancora una volta – S-stringe… m-mi fa mal-e… I-Isaac, aiutami...”

Rabbrividì a quella richiesta d’aiuto, scattando istintivamente in avanti con l’intento di frapporsi tra Dègel e lui, giusto in tempo per parare la Diamond Dust di Dégel, il quale, per la sorpresa, fece un passo indietro nella paura di averlo ferito.

“ISAAC!”

Effettivamente la mano utilizzata per intercettare il colpo era tutta arrossata e intorpidita, ma il ragazzo non ci fece quasi caso.

“Dégel, fermati, voglio capire...”

“Non c’è tempo, Isaac, spostati!”

“NO! Prima mi spieghi perché gli altri li hai salvati e lui vuoi ucciderlo!”

“Non capisci, ragazzo, spostati, o sarà troppo tardi!”

“No, sei tu a non capire, lui… lui...” non terminò la frase perché Lisakki si mise a latrare inconsolabile, con quanto fiato aveva in corpo, mentre grossi lacrimoni fuoriuscivano dalle palpebre.

“M-mi stringe così tanto… a-aiutami I-Isaac, non voglio… non voglio morir...”

Non disse nient’altro, accasciandosi al suolo, come quella dannatissima volta in cui era accaduto lo stesso. Non aveva più parlato neanche allora, perché... il collo gli era stato spezzato di netto. Isaac rivisse quell’istante, gli occhi spalancati come allora, verso il vuoto. Un freddo pungente nelle vene...

Anche Dégel esitò, scorgendo l’espressione lucida e sconvolta di Isaac nel rimembrare quei momenti. Il pugno gli si abbassò d’istinto, fiacco.

“L-lui sta usando le parole che ha usato allora… le stesse… se non è Lisakki… come può farlo, Dégel?! Come può?!?” lo incalzò Isaac, del tutto traumatizzato, non trovando una valida spiegazione.

L’ex Acquario intuì che ciò che lo rendeva così sconvolto era veramente successo nel suo mondo, sospirò, chiudendo gli occhi e riaprendoli poco dopo, più luminosi che mai.

“Isaac… i Proteiformi non hanno più forma propria, assumono quella dei ricordi più angoscianti della persona che hanno davanti e di cui si vogliono nutrire...”

“Co-Cosa?!”

“Non ti mentirò: sono, o meglio, erano anime umane come i Ghulu, sono la loro forma evoluta, in effetti, per questo li governano. Sono dotati anche di intelligenza, ma… non possono essere più salvati!”

“Mi stai dicendo che i Ghulu diventano… questi?”

“Se non vengono sigillati, né bloccati, sì… l’anima umana è molto delicata, Isaac, quando un uomo cade nel Mondo Inverso, diventa l’ombra di sé stesso e vaga, vaga ininterrottamente per tempo immemore. Quando sono ancora così, aeriformi, il processo è reversibile, l’ho imparato a mie spese studiandoli, perché… beh, all’inizio li uccidevo… - si prese una breve pausa, addolorato, stringendo di nuovo i pugni – Se però tale condizione permane, essi si trasformano ulteriormente, diventando Proteiformi, questi ultimi vengono chiamati anche Mutaforma. Come ti suggerisce il nome, è un essere profondamente instabile, che può trasmutare in continuazione, è composto da una densa sostanza corruttibile...”

Isaac era, se possibile, ancora più sconcertato, guardò prima Dègel, poi il corpo di “Lisakki” accasciato al suolo, completamente immobile, sembrava privo di vita. Non sapeva più cosa dire.

Dégel buttò fuori aria, tornando a guardarlo, un reale sentimento di compatimento nei suoi occhi che ora lo fissavano intensamente.

“Ti capisco, ragazzo, tenevi a questa persona che ti è stata strappata in maniera violenta, ma… - si bloccò, scorgendo un movimento dietro Isaac, il quale, quasi istintivamente, si girò subito e sussultò nel vedere quanto stava accadendo davanti ai suoi occhi – Spostati da lì!!!”

Nonostante il clangore, il suono giunse alle sue orecchie ovattato, poiché tutta la sua persona era carpita dai movimenti improvvisi del corpo di “Lisakki” che aveva cominciato ad avere le convulsioni. Isaac vide con orrore la schiena piegarsi innaturalmente, inarcandosi ed estendendosi come se avesse vita propria. Era come inorridito da tutto quello, peggio di prima, quando lo aveva leccato e poi morso, ma le gambe non si muovevano, sembravano inchiodate al suolo. Boccheggiò con orrore nel vedere la fessura già presente sul suo dorso aprirsi all’improvviso, mentre delle zampe lunghe e nere fuoriuscivano, insieme ad una sostanza densa, dello stesso colore, che schizzò con violenza, come vulcano in eruzione.

“ISAAC!!!” l’urlo di Dégel gli frastornò le orecchie, avvertì appena la sua presa su di lui, urgente, chiuse gli occhi, pensando che quell’immagine mentale non gli sarebbe mai più sfuggita di mente: Lisakki, anche se non era lui, che veniva squartato dall’interno, più o meno come alcuni funghi parassiti facevano con le formiche o altri tipi di insetti, possedendoli e facendo fuoriuscire il corpo fruttifero al momento propizio. Ne fu sconvolto fin dal profondo, tanto da perdere contatto con la realtà...

 

Poco tempo prima di conoscere Hyoga, colui che, più di ogni altro, sarebbe diventato un fratello per lui, Isaac, che da poco aveva compiuto 8 anni, aveva preso l’abitudine di allontanarsi dall’isba per allenarsi da solo, il suo giovane cuore gremito del desiderio di diventare forte per proteggere, da quel momento in avanti, le persone a lui care per… impedire che altri condividessero la stessa sorte di Lisakki.

Il Maestro Camus, che lo osservava sempre con attenzione, e gli abitanti del villaggio di Kobotec, lo chiamavano simpaticamente Isaac il combinaguai, per la sua immane attitudine a finire nei casini o a compiere qualche marachella, che tuttavia gli era presto perdonata, perché nessuno poteva veramente prendersela con lui, così vivace, determinato, e di indole genuinamente buona, con quel senso della giustizia che aveva ereditato da Camus. E Camus era rispettato da tutti, nessuno escluso, e tutti si erano sinceramente affezionati ad Isaac, in maniera del tutto naturale.

Quel giorno, però, il piccolo, spinto dalla curiosità, si era allontanato un po’ troppo dal rifugio e, del tutto concentrato sugli allenamenti legati alla corsa per migliorare così la sua resistenza fisica, era incappato, senza accorgersene, vicino ad un tana di un orso polare femmina, che aveva da poco partorito due piccini. Disturbata probabilmente dai pugni che il bambino tirava contro il ghiaccio, si ridestò, finendo per attaccarlo per difendere i due cuccioli.

Ciò che seguì, per Isaac, furono un insieme confusionario di suoni e colori, uniti ai suoi battiti cardiaci sempre più accelerati, una vampata di bianco, le vertigini, la paura… ma in tutto quel frastuono spiccava un’immagine, più intensa delle altre, quella del suo maestro che, senza che il piccolo potesse capire né come né quando (un mago, era davvero un mago dell’acqua e del ghiaccio!!!) era intervenuto per fermare l’orsa, con parole delicate e intonazione leggera, quasi melodiosa, come se stesse pregando.

E’ tutto finito ora, stai tranquilla, i tuoi piccoli non sono in pericolo, perdona l’irruenza di Isaac, è ancora molto ingenuo, ma non aveva cattive intenzioni!” così gli aveva detto, accarezzandole (il maestro poteva accarezzare persino gli orsi, con le sue dita delicate, era davvero incredibile!!!) la testa per calmarla.

Isaac non seppe mai, con distinzione, come era riuscito a tranquillizzarla, ma quando si risvegliò poco dopo, sano e salvo tra le braccia di Camus, che lo stava stringendo a sé, un’intensa ondata di sollievo l’aveva avvolto, spingendolo a rannicchiarsi ancora di più contro il suo petto. Aveva avuto paura.

La tua esuberanza ha travalicato il limite questa volta, Isaac! – lo sgridò bonariamente lui, accarezzandogli i capelli con gesto un poco burbero – Capisco che sei nel fiore dell’età, ma non devi calpestare gli altri con il tuo impeto, ognuno necessità dei suoi spazi, dei suoi bisogni, non solo tu, ma anche gli altri esseri umani e persino gli animali. Devi ricordati la temperanza, ragazzo!”

Isaac gli aveva sorriso, ancora più ammirato ed emozionato del giorno precedente, era sempre così con Camus, più tempo passava con lui più aspirava ad emularlo, in tutto e per tutto. Poco dopo si era addormentato fino a sera, in un sonno di piomba.

A sera però, il piccolo, si ara accorto che il maestro, al di là di comportarsi sempre come di consueto, preparandogli la cena e compiendo le incombenze domestiche, sembrava più affaticato del solito. Oltretutto non gli mostrava mai la schiena, come se nascondesse qualcosa.

Isaac andò a dormire con quei pensieri per la testa, corrucciato, non riuscendo più a prendere sonno. Dopo più di un anno insieme, il bambino aveva cominciato a comprendere l’indole del maestro, la delicatezza dietro la sua espressione distante, il profondo affetto nei parchi gesti che gli regalava, il dolore mascherato dietro la naturalezza, per non farlo preoccupare. A quell’ultimo pensiero si riscosse, mettendo i piedini fuori dal letto e scendendo le scale. La camera di Camus era al piano di sotto, illuminata da una luce soffusa, cosa insolita, perché il maestro era solito spegnerla per dormire. Con un pizzico di esitazione, ne varcò timidamente la soglia, individuando subito la figura del maestro stesa sul letto.

Camus era sdraiato in posizione prona, anche questo insolito, come il fatto di essere ancora vestito con gli abiti del giorno, il viso era nascosto in uno degli avambracci, la sua espressione non era perfettamente serena, sembrava provare dolore. Il bimbo si avvicinò ulteriormente a lui, salendo sul letto e accarezzandogli con la manina la fronte, che era sudata, gli scostò alcuni ciuffi, chiamandolo per nome, ma non ottenne risposta.

Era lampante che qualcosa lo facesse soffrire, ma cosa…?

In quel momento il piccolo la notò, la macchia purpurea presente in fondo alla canottiera, appena sopra i pantaloni. Non era molto estesa ma indicava un sanguinamento recente. Gattonò quindi fino a lì, allungando le mani tremanti in quella direzione, scostandogli così la canottiera che indossava e sollevandogliela un po’. Ne scoprì dei tagli arrossati dati da un morso, o forse dagli artigli dell’orsa, non molto estesi e neanche profondi, ma avevano comunque l’aria di dolere alquanto. Il bambino avvicinò timidamente la mano alla schiena del maestro per sincerarsi ulteriormente delle sue condizioni.

Mmh, Isaac… credevo dormissi” farfugliò ad un certo punto Camus, ridestatosi a seguito del tocco del piccolo.

Maestro, siete ferito...”

Camus a quelle parole tentò di alzarsi in piedi, non volendo farsi vedere in quelle condizioni dal piccolo dopo che per tutto il giorno aveva fatto del suo meglio per mascherarlo, ma il bambino, premendogli un poco più forte sulla parte alta della schiena, lo spinse a calmarsi.

State giù, vado a prendere il disinfettante e delle garze”

No, Isaac, non è una ferita grave, non devi angustiarti per questa sciocchezza, sono solo tagli superficiali...”

Ma il piccolo era un cocciuto, esattamente come lui, pertanto negò con la testa, scendendo giù dal letto in un balzo, imprimendo la sua espressione negli occhi un poco stanchi del maestro.

Grave o non grave è stata causata dai denti dell’orsa, o dai suoi artigli, mentre cercavate di proteggermi, prima che riusciste a calmarla; la ferita è sporca, si rischia un infezione così, me lo avete insegnato voi, per cui ora andrò, prenderò l’occorrente e voi ve ne starete tranquillo qui!” stabilì, impedendogli di opporsi, svicolando via come un lampo, del tutto sordo ai richiami dell’insegnante.

Che testardo...”

Camus sbuffò, arrossendo un poco. Non voleva che il bambino perdesse tempo così, per una inezia, quando invece avrebbe dovuto riposare per gli allenamenti del giorno dopo, ma Isaac era una trottola irremovibile, nell’arco di pochissimo tempo era già tornato e balzato sul letto con tutto l’occorrente.

Senza troppi giri di parole, gli sollevò ancora un poco la canottiera, piegandogliela in alto, attorcigliando poi i pantaloni un poco in basso, lasciando così completamente scoperta la ferita, che presto venne pulita e disinfettata per poi essere coperta da una garza sufficientemente grossa.

Camus sussultò una sola volta, la prima, a causa del bruciore del disinfettante, poi tornò ad affondare nel cuscino, socchiudendo gli occhi. Non era compito del piccolo prendersi cura di lui, quello era un suo dovere, ma provava comunque calore lì, su quel letto, con le manine di Isaac che lo pulivano con premura e la bufera di neve fuori che impazzava. Era una sensazione piacevole, che lo spingeva a cedere al sonno, in quel nido lì, al di fuori del mondo, che pure significava tutto per lui.

I-Isaac...”

Vi sto facendo male?” chiese il bambino, intento a disinfettare la pelle lì intorno e premere la garza per incollarla meglio sopra la ferita.

A quel punto Camus si girò sul fianco sinistro, facendo spostare il piccolo di lato.

No, certo che no, soldo di cacio… - gli sorrise, con occhi brillanti, incrociandoli con quelli del bimbo. Poi, a sorpresa, lo avvolse in un abbraccio, portandoselo dietro sul letto, al suo fianco – Vieni qui!” gli disse solo in un soffio, affondando il viso nei suoi capelli irsuti. Isaac si ritrovò, suo malgrado, ad arrossire.

Maestro, mi avete giocato!” finse di ribellarsi un po’, giusto per non dargliela vinta fin da subito, poi, sorridendo, si sistemò meglio al suo fianco, abbracciandolo a sua volta.

Lo sguardo di Camus era sereno mentre stringeva il bimbo contro di sé, gli occhi chiusi e un leggero sorriso a solcargli le guance. Isaac lo credette addormentato, ma poco dopo gli occhi del maestro si riaprirono, guardandolo con intensità crescente.

Isaac...” lo chiamò, come a richiedere la sua totale attenzione.

Sì, Maestro?”

Ebbe appena il tempo di chiedere, prima che un segno strano gli venisse tracciato delicatamente sulla fronte e poi sul petto dal pollice del maestro. Quel motivo, Isaac lo percepiva a forma onde, ricalcate poi da una linea retta, più incisiva e profonda, come a sottolineare l’importanza di quel movimento, il suo stesso significato.

Si tastò confusamente la testa e poi il torace, avvertendo calore, mentre le braccia del maestro tornavano a circondarlo, azzerando le distanze.

Maestro, cosa… cosa significa il vostro gesto? Mi sento al sicuro e protetto, ma… non capisco...”

Camus produsse una sorta di sbuffo, richiudendo gli occhi e inspirando a piedi polmoni il profumo e selvatico del suo allievo, indomabile come la sua stessa essenza.

Capirai, Isaac… capirai… quando sarai un po’ più grande!”

 

“ISAAC!”

Il richiamo di Dégel lo riscosse, facendolo sussultare. Si rese conto di avere gli occhi spalancati nel vuoto e di essere profondamente scosso, cosa che, di per sé, su un campo di battaglia, era il primo sbaglio da non compiere. I suoi occhi tornarono lentamente a vedere.

“Dégel...”

L’ex Acquario annuì, affrettandosi però ad alzarsi in piedi e a nascondere il suo viso nell’oscurità. Gli dava le spalle e Isaac seppe immediatamente perché. Nonostante il movimento lesto, infatti, non gli era affatto sfuggito ciò che invece Dégel cercava in ogni modo di celare.

“Isaac, devo chiederti, ora come non mai, di non intervenire, quel...”

Ma Isaac lo aveva bloccato, prendendolo per il polso e stringendolo, forse con più intensità rispetto a quanto avrebbe voluto.

“Girati!” ordinò perentorio, con un pizzico di rabbia. Dégel gli mostrava solo la parte destra del bel volto, osservandolo con severità quanto bastava.

“Non mi sembra questo il momento per...”

“Ho detto girati e mostrami i danni che hai subito proteggendomi da quell’essere!”

“Isaac...”

“Non sono più un moccioso! E tu tu sei uguale a lui, celi il tuo dolore per non far preoccupare gli altri, ma questo bellissimo stratagemma funziona solo se la persona ti conosce poco e non bene! - esclamò, quasi secco, nonostante la sfumatura della sua voce aveva assunto un tono denso di preoccupazione – Ve lo ripeterò: non sono più un bambino, sono cresciuto, posso combattere al vostro fianco!”

Dégel a quelle parole sospirò, girandosi frontalmente a lui, il quale, vedendo nitidamente quanto già i suoi occhi esperti avevano scorto precedentemente, trasalì.

“Santi numi, cosa…?!”

“E’ solo un po’ di corruzione...”

“Solo?!? Come cazzo ragionate, voi?!?”

“Posso resistere, fintanto che è così limitata, l’importante è aver preservato te...”

Limitata?! Isaac lo fissò ancora più sconvolto, mentre, di nuovo, gli dava le spalle, espandendo il proprio cosmo. Il ragazzo non aveva mai visto una cosa lontanamente simile a quella. Dègel non sembrava ferito, eppure, sulla spalla sinistra, il collo e parte del braccio, nonché schizzata sulla guancia esposta, vi era una spessa sostanza nera che lo appesantiva, come il petrolio sulle ali dei gabbiani e che dava l’idea di essere quanto di più simile ad un veleno.

“Dègel, che diavolo è quella cosa?! Deve farti un male atroce...”

“E’ ciò che compone i Proteiformi… materiale organico unito ad una miscela di marasma che gli da una colorazione tendente al nero, corrode quando viene a contatto con gli oggetti"

“S-SANTI DI QUEI...”

“Calmati! Come dicevo prima, posso resistere, fintanto che è così limitata! Stai indietro piuttosto… sta… tornando!”

Isaac ebbe appena il tempo di sentirsi accapponare la pelle che, dall’oscurità delle fronte, sbucò di nuovo quel Proteiforme che prima aveva le sembianze di Lisakki e che in quel momento era altro. Una sensazione di disgusto lo avvolse nel distinguere la sagoma di una sottospecie di ragno a quattro lunghe zampe, con il corpo centrale a forma di pera, ovvero con il ‘capo’ se così si poteva definire stretto e la pancia a forma ovale; di dimensioni assai maggiori rispetto alla fisicità di un essere umano, vi era la stessa differenza di grandezza, tra loro e quel mostro, che poteva tranquillamente esserci tra un grosso aracnide e un piccolo insetto. Tuttavia il particolare più inquietante e nauseabondo di quella creatura assurda, non era neanche quello, bensì…

“HaI RuBaTo Il NoStRo PaStO, mAleDeTtO...” disse, fermandosi a poca distanza da loro, in tono acuto e stridulo allo stesso tempo, attraverso quella… quella bocca a forma umana che si ritrovava, provvista con tanto di denti e dalla quale, al posto della bava, fuoriusciva una sostanza nera, densa, la stessa che aveva colpito Dégel.

“Oh, santi numi...” si lasciò sfuggire Isaac, indietreggiando suo malgrado, nauseato e atterrito.

Dégel si frappose esaustivamente tra lui e quella creatura che, in uno scatto, era già piombata contro di loro con movimenti innaturali, finendo però per essere ricacciata indietro con un calcio.

“Isaac, qualunque cosa succeda tu stai in disparte, non intervenire per nessuna ragione, chiaro?!” si raccomandò lui, scambiandogli un’occhiata, prima di scattare per attaccarlo.

Il ragazzo non ebbe tempo di rispondere, ma si accorse, in un fremito, che il cosmo di Dègel, non solo le sue gambe, vacillavano: era allo stremo delle forze, le energie, molto probabilmente non gli sarebbero bastate per vincere, eppure non demordeva, continuando a combattere fintanto che avesse fiato in corpo. Come Camus.

 

E’ questo che sono io?! Dopo 6 anni passati in Siberia ad allenarmi grazie al Maestro, dopo più di un anno ad Atlantide, sotto la guida di Kanon, dopo essere stato toccato dal Kraken, ancora non sono in grado di proteggere chi voglio?! E’ questa la mia insulsa forma?! Sono… ancora ad un livello così basso?!

 

Fuori dalle sue cogitazioni, intanto, stava infuriando la battaglia, l’essere era troppo veloce per i movimenti sempre più appesantiti di Dègel, che bruciava il cosmo con disperazione, ormai allo stremo delle forze. I suoi attacchi non riuscivano neanche a sfiorarlo, il nemico svicolava via, ridendo come un forsennato, era inconcepibile! I Cavalieri d’Oro si muovevano alla velocità della luce, come poteva, quell’essere, essere ancora più rapido?! Un secondo, ma in un mondo che sfuggiva alle leggi fisiche, aveva ancora senso parlare di ‘velocità luminare’?!

“Uuuuargh!”Dègel urlò, facendo accapponare di nuovo la pelle ad Isaac. Il mostro lo aveva fatto cadere a terra, la solennità della libellula che, dopo una vana resistenza, si arrende al veleno del ragno che l’ha imprigionata sotto di sé con le oblunghe zampe.

“EhEhE, oRa Ho FaMe Di Te!” così disse, alzando l’altra zampa anteriore per poi trapassare da parte a parte la spalla di Dégel, quella già danneggiata.

Il suo urlo inefficacemente trattenuto, diede la spinta ad Isaac ad intervenire, caricando quell’essere spietato che aveva osato ferirlo e lodarlo con quella materia che produceva. Non ragionò, semplicemente si precipitò, furibondo, dando finalmente sfogo al fulcro del suo potere: la rabbia.

“EhEhE, sAnGuE!”

“Maledetto bastardo, ora lo saggerei sulla tua orrenda corporeità il sangue, sempre che tu ce l’abbia!” lo minacciò Isaac, pronto, ormai vicinissimo all’obiettivo, ma prima di raggiungerlo, un proiettile fatto di luce, spezzò di netto la zampa con cui il mostro aveva trafitto Dégel, la quale immediatamente si volatilizzò, portando l’essere a balzare via, in preda alla convulsioni, come un ragno vittima del suo stesso veleno.

“NoOoOoOoOo!!! lA lUcE nOoOoO, fA mAlEeEeE!!!” latrò, tornando a battere i denti.

Isaac fu subito da Dégel, lo prese tra le braccia, in tempo per vedere l’arrivo di una terza forza che, con eleganza, balzò davanti a loro, ammantata dei colori dell’aurora.

“La prossima volta che oserai toccarlo… la morte sarà l’ultimo dei tuoi problemi!” asserì, minacciosa. Gli occhi, di solito gentili, di quel colore azzurro lago di ghiacciaio, non avevano più nulla di quell’antica clemenza e dolcezza, solo…

Isaac non seppe spiegarlo con chiarezza, provava solo un brivido davanti a quella manifestazione sovrumana di forza e solennità. Gli ricordò, per qualche oscura ragione, lo stesso sguardo di quell’orsa che lo aveva attaccato quel giorno, difendendo ciò che aveva di più prezioso; allo stesso modo lei. Faceva quasi paura.

“S-Sera...”

“S-Sefi… mi ero raccomandato di tornare a casa...” biascicò Dégel, con un filo di voce, abbandonandosi ancora di più tra le braccia di Isaac.

“E lasciare te, voi, qui? - gli occhi di Seraphina erano tornati per un istante dolci e premurosi come li aveva sempre scorti – No, mi dispiace, mio caro Dégel, non intendo più abbandonarti. Perdonate il ritardo, ho incontrato dei Ghulu per strada...”

“E’ pericoloso per te, qui...” si oppose ancora Dègel, arrochito.

“Più pericoloso di perderti? Più pericoloso di ciò che hai rischiato tu? No, affatto...” continuò testardamente lei, avanzando di un passo ed espandendo il cosmo, che rispecchiava di vari colori. Isaac la fissava a bocca aperta. Quella manifestazione, quei colori così conoscibili, quel verde sgargiante che si rifletteva sulla pelle candida… non c’era alcun dubbio, era una vera e propria aurora!

Il Proteiforme sembrò in difficoltà, per un istante ebbe l’impulso di fuggire, la luce gli dava fastidio più di ogni altra cosa, la luce gli era fatale, ma, forse accorgendosi di essere praticamente impossibilitato a ritrarsi, da quanto era immobilizzato, decise di attaccare.

Isaac stava per avvertire Seraphina di stare attenta alla velocità dei suoi movimenti, ma pareva che il mostro si fosse fiaccato perché, sebbene intento ad attaccare, era come se fosse rallentato, le tre zampe che gli rimanevano lo sostenevano a stento, rendendolo goffo.

“Non sfiorerai mai più né Isaac né Dégel con le tue orrende estremità, il tuo viaggio termina qui… ORA! - lo minacciò ancora la giovane donna, implacabile, quasi… spietata, come la Siberia stessa, che dava, o privava, della vita in un battito di ciglia – BLUE IMPULSE!” urlò poi, protraendo il braccio in uno scatto in direzione del mostro. Dal palmo della mano fuoriuscì un getto di aria congelante molto potente che brillava dei colori dell’aurora, esattamente come la sorprendente manifestazione del suo cosmo, che Isaac, fino ad allora, non era riuscito correttamente a percepire, quasi fosse un potere latente che Seraphina non amava mostrare. Il colpo centrò irrimediabilmente l’obiettivo, proiettandolo indietro mentre orrendamente latrava. Sbatté contro una delle costruzioni di cristallo, accasciandosi poi al suolo, immobile.

Tuttavia non era neanche quella insperata manifestazione di forza a scombussolare il giovane Isaac, il quale, ancora frastornato da quello che aveva appena visto, con Dégel ferito e tra le braccia, si ritrovò a sussurrare parole dense di sbigottimento.

Non era… semplicemente possibile quanto aveva assistito! Il Maestro Camus gli aveva parlato di quella popolazione, che si diceva facesse parte delle schiere di Atena e che, dopo la mitologica battaglia contro Poseidone, in cui Atlantide era sprofondata, si era stabilita a Nord, molto a Nord, per controllare il sigillo del dio medesimo, ma…

“Q-quella stirpe, i Blue Warriors, dovrebbe essere stata… spezzata… - si lasciò sfuggire, continuando a guardare prima Seraphina, ritta davanti a loro, ancora sul chi vive e poi l’ex Cavaliere d’Oro dell’Acquario – D-Dégel, come…?”

Non ottenne risposta, il giovane uomo era intento a guardare la consorte con occhi profondi e un pizzico di tristezza, che traboccava dalle iridi blu illuminate dalle luci, ora psichedeliche, ora statiche, che avevano tutt’intorno.

“Non è… non è ancora finita, Isaac, urgh...”

“Dégel!!!”

Dégel non stava bene, respirava a fatica, sfinito, perdeva sangue dalla spalla; sangue purpureo, che si mischiava al materiale nero, corrotto, che aveva la densità della lava e che, proprio come la suddetta, tendeva a farsi mano a mano sempre più solida, appesantendolo ulteriormente.

Isaac gli fece appoggiare il viso sulla sua, di spalla, tramante e spaventato alla sola idea di perderlo, di nuovo, perché non era il Maestro Camus, era vero, ancora di più, non era il suo Camus, ma affatto dissimile da lui. Avevano molte analogie e, del resto, condividevano la stessa anima.

Non era Camus, non lo sarebbe mai stato, perché nessuno avrebbe potuto occupare il posto nel suo cuore, ma ne era avvinghiato, sentiva di essersi genuinamente affezionato a lui in poco tempo e, il solo pensare di perdere una persona cara, l’ennesima, lo mandava in tribolazione.

“Isaac! - la voce di Seraphina lo fece quasi scattare in piedi, ma si trattenne al suolo, aumentando la stretta su Dégel, semi-svenuto tra le sue braccia – Te lo affido, abbi cura di lui, tra poco sarà tutto finito...” disse, avvicinandosi, un poco esitante alla creatura, ancora collassata per terra, del tutto immobile. Pareva morta.

“E tu… e tu cosa farai?” le chiese, fremendo notevolmente, frustrato dal senso di impotenza che continuava spietatamente ad avvolgerlo. Le cose accadevano al di fuori di lui, come se fosse stato uno spettatore, più che un soggetto in campo. Di nuovo si sentì inadeguato, stringendo la presa su Dégel, il quale, stancamente, riaprì gli occhi.

“Il rito… del trapasso!”

Fu la sola risposta della donna, mentre la vide avanzare ancora di un po’, l’andatura un poco incerta, le increspature del suo cosmo, che ora avvertiva nitidamente, sempre più inquiete.

Isaac non ebbe il tempo di chiedere ulteriori delucidazioni, la vide avvicinarsi ulteriormente a quell’essere dai tratti mostruosi con passo sinuoso e leggero, malgrado i tentennamenti.

“Stai attenta!!!” la avvertì, affatto tranquillo, accorgendosi che Seraphina procedeva a piedi nudi. Come facesse, dato il freddo che emanava il terreno incrostato di ghiaccio del colore dell’opale nero, era un mistero.

Isaac lo fissava sempre più sbalordito e ammirato, mentre Dégel, ripresosi parzialmente, seguiva, almeno con lo sguardo, non potendo fare altro, la donna amata, tremando distintamente. Sotto gli occhi di ambedue, stava accadendo un vero e proprio prodigio ammantato dai colori dell’aurora, per mano dello sfavillante cosmo di Seraphina. Sembrava davvero…

“In un mondo immoto che sfiora la perdizione… non vi è più alcuna luce del Nord a ravvivare i nostri animi con la sua presenza quasi sempre costante nella notte artica. Nessuna luce, la speranza languisce, ma… cough, cough…” si sforzò di biascicare Dègel, guardandola con occhi profondi e innamorati, ma un netto colpo di tosse lo costrinse a fermarsi per rifiatare. Sentì l’aumento della stretta di Isaac sul suo corpo, cercò di recuperare vigore.

Il ragazzo intanto non riusciva a parlare, da quanto fosse lo sbigottimento davanti a quello spettacolo più che insolito, mirabolante. Rimase lì, fermo immobile, catturato dal movimento delle braccia di Seraphina, che si sollevarono sopra le spalle, in una muta preghiera. Poi il braccio destro venne piegato di quarantacinque gradi, come a formare un angolo acuto con l’altro braccio, che invece era teso sopra di lei. I colori e l’emanazione cosmica aumentarono d’intensità.

Vi era un’unica categoria di persone capace di compiere simili miracoli, rimanendo indissolubilmente legati alla natura, senza sopraffarla… Isaac li conosceva bene, il suo Maestro ne faceva parte, poiché era un Guaritore… uno Sciamano capace di curare i malesseri fisici degli altri per mezzo del tocco.

“In un mondo dove la luce languisce e sperare in un domani migliore richiede troppa forza per aggrapparcisi… - riprese Dégel dopo un po’, appena recuperato il fiato, in tono evocativo e denso di ammirazione – Si è fatta ella stessa aurora, anf, sotto la benedizione della creatura che custodisce tale, sfavillante, fenomeno. I-il suo nome è...”

“Zima Siyaniye… - finì per lui Isaac, serissimo in volto, del tutto carpito dallo spettacolo che aveva davanti – lo Splendore Invernale!”

Nel frattempo Seraphina, con voce melodiosa simile ad un canto, aveva innalzato una preghiera verso il cielo buio. Era una Invocatrice, una… Sciamana, esattamente come Camus, anche se di tipologia diversa.

“Zima, amica mia, ti prego, ascoltami… ho bisogno, ancora una volta di te per...”

Non ebbe però il tempo di finire, il movimento improvviso della creatura, erroneamente creduta allo stremo, sorprese non poco tutti i presenti. Il Proteiforme si lanciò contro di lei, nel tentativo di trafiggerla, Seraphina fu lesta a creare uno scudo di ghiaccio per difendersi, ma l’urto la spinse indietro, facendola cadere malamente a terra.

“MaLeDeTtAaAaAaAa!!!” sibilò l’essere, furente, che sembrava comunque aver esaurito totalmente la carica, perché prima ancora che Isaac, o Dègel, potessero intervenire, si contorse terribilmente su sé stesso, come un ragno moribondo, poco prima di sussultare un’ultima volta e ricadere al suolo, accartocciandosi su sé stesso.

Isaac, per un solo secondo, credette che fosse finita lì, si sporse impercettibilmente verso di lui, i nervi a fior di pelle, i sensi da guerriero pienamente attivi e pronti a tutto… a tutto, meno che a ciò che effettivamente accadde.

Il mostro, pur perfettamente immobile, si mise improvvisamente ad urlare, non era un grido normale, no, sembravano tanti latrati che si congiungevano in uno solo, tanti rumori, più che fastidiosi, ben oltre ciò che l’udito umano potesse sopportare. I timpani sembravano vibrare, sul punto di rompersi, un dolore che faceva impazzire, e che costrinse Isaac a piegarsi per terra, rannicchiandosi su sé stesso per evitare di soccombere.

Tempo indefinito dopo, quel clangore insostenibile cessò, al suo posto un sibilo prolungato e fitto prese il suo posto, stordendolo ancora di più. Per un istante si credette sordo, prima di percepire di essere scrollato di essere raggiunto da una voce molto vicina.

“I-Isaac… allontanati da questo luogo insieme a Seraphina, il più distante possibile, presto ci sarà solo terra bruciata qui...”

“C-Cosa?”

Dégel era riuscito a strisciare fino a lui e a scrollarlo, pur tremendamente indebolito, al punto da non riuscire a reggersi in piedi da solo. Isaac non capì a cosa si riferisse, non vedeva altro che la sua espressione tremendamente stremata.

“A-andate via da qui… quel Proteiforme ha gridato, prima di spirare, attirando tutti i Ghulu della zona, quando quegli esseri si uniscono generano un attacco altamente distruttivo a cui è difficile, se non impossibile, opporsi. Salvatevi almeno voi...” gli disse, riuscendo a mettersi quanto meno seduto.

“D-Dégel, cosa stai…?” provò a chiedere, prima che i suoi occhi venissero catturati da movimenti repentini e fluttuanti sopra di loro. Si ritrovò, suo malgrado, a tremare a quell’ennesima manifestazione soprannaturale.

“No, Dègel! - obiettò Seraphina avvicinandosi a loro in un tono che non ammetteva repliche – Sei troppo debole, amore mio…” si lasciò infine sfuggire, tutta tremante per paura di perderlo.

“Sefi, non c’è tempo, lo sai meglio di me, porta il ragazzo con te, lui è… la speranza per il futuro, persino in un mondo al limite del collasso come questo!” tentò di convincerla, cercando di alzarsi in piedi, non riuscendoci.

“No… sono stata io ad esitare, è per colpa mia che sta succedendo questo, li fermerò questa volta, dandovi il tempo per fuggire!”

“Non se ne parla neanche, è fuori discussione!”

Dégel e Seraphina avevano preso a battibeccare su chi, dei due, fosse la pedina più sacrificabile in quel frangente, il tutto mentre Isaac, continuava a fissare sempre più sconcertato, quasi pietrificato, lo svolazzare sopra le loro teste, che diventava sempre più fitto, come una nuvola di locuste.

I Ghulu, così li chiamavano, dopo l’urlo di quell’essere, ormai definitivamente morto, avevano preso a riunirsi sopra di loro, frenetici, volando in circolo come se fossero guidati da qualcosa, formando così, con i loro movimenti sempre più veloci, una sfera di energia fucsia che si ingrandiva a vista d’occhio. Se ne percepiva il già immenso potere distruttivo, mentre, intorno a loro, l’aria si faceva sempre più pesante e rarefatta, come vinta da una insolita pressione. Isaac si rese nitidamente conto che, se solo avessero lanciato quell’ammasso di energia, loro sarebbero stati spazzati via in un un soffio. Palpitò.

“...Ho esitato io, Dégel… - continuava ottusamente Seraphina, dietro di lui, in tono paurosamente incrinato – e l’ho fatto perché… perché ho visto la sua vera essenza...”

“La sua vera… essenza?”

“Sì… non era altro che un bambino, Dégel, di 6 anni, prima di diventare quel mostro e… ho tentennato. Ci troviamo in questa situazione per colpa mia!”

“CO-COSA?! Un bambino di… 6 anni?!” esclamò all’improvviso Isaac, voltandosi verso di loro con occhi increduli. La stessa età di Lisakki quando era morto, ma Dègel aveva detto che i Proteiformi, pur essendo state, un tempo, anime umane, non avevano forma propria, non poteva quindi essere lui, nella maniera più assoluta, oppure… sì?

Seraphina annuì, gli occhi umidi, tornando su Dégel e guardandolo supplichevolmente, toccandogli e stringendogli la mano.

“E’ stata colpa mia, io ho esitato, perciò lasciatemi...” cercò di convincerli, determinata, ma venne interrotta dalle dolci labbra di Dégel, che si posarono sulle sue, baciandola teneramente. I suoi occhi azzurri si spalancarono per la sorpresa.

Arrossì Isaac per lei davanti a quel gesto. Avrebbe voluto dire che non era il momento adatto per amoreggiare come due ragazzini alla prima cotta, visto che stavano per essere spazzati via dall’attacco di quegli esseri, ma capì, dal gesto disperato di Dègel, che quel bacio, probabilmente l’ultimo nella sua ottica, era denso di significato.

Poco dopo infatti l’ex Acquario, consapevole della situazione, si staccò a malincuore da lei, alzandosi a fatica in piedi dopo averle sorriso un’ultima volta.

“Ti amo, con tutto me stesso! Proprio per questo non… non ti permetterò di sacrificarti, mia piccola rondine!” biascicò stentatamente, allontanandosi poi da lei per avvicinarsi a fatica ad Isaac e superarlo, espandendo un’ultima volta il cosmo. Seraphina incassò la testa tra le spalle, vinta, stringendo le dita sul terreno incrostato di ghiaccio, il ragazzo invece seguiva i movimenti in silenzio, fino a quando Dègel, appena superatolo, si rivolse direttamente a lui.

“Isaac, conduci in salvo Seraphina, oltre il limitare del bosco. Tra poco dovrebbe albeggiare e i Ghulu cadere in letargo per i prossimi sei mesi. Ti supplico di… avere cura di lei!”

“Dégel...” lo fermò il ragazzo, afferrandolo per il polso e aumentando convulsamente la presa.

“Non desisterò dai miei propositi, se mi vuoi dire questo! Io devo prot...” si bloccò, il fiato spezzato in gola. Prima di rendersi conto di quanto era effettivamente successo, la vista gli si annebbiò e cadde in avanti. Isaac lo sorresse, le labbra un poco piegate all’ingiù.

“Lo so… devi proteggerci ad ogni costo, come avrebbe fatto il Maestro Camus, siete… così simili! - sospirò il ragazzo, il pugno destro ancora ben piantato tra le sue costole – E’ proprio per questo che io ti impedirò di compiere simili cazzate… con qualunque mezzo in mio possesso!” concluse, facendolo appoggiare sulla sua spalla.

“Isaac!” le mani di Seraphina si erano mosse a coprirle la bocca rosea, mentre le gambe erano scattate in avanti, portandola ad avvicinarsi ai due.

Il giovane allievo di Camus, senza troppi rigiri di parole, accompagnò il corpo svenuto di Dègel tra le braccia della donna amata, la quale lo fece adagiare per terra, la nuca sul suo grembo.

“Te lo affido, mi auguro che… possiate essere felici!”

“Isaac, cosa hai in mente? D-dove..?”

Le braccia del ragazzo si erano già aperte nell’atto di caricare al massimo la tecnica che aveva imparato da autodidatta, in onore dell’Aurora Execution del maestro. Un fremito nel corpo, più nessuna esitazione.

“Non aspetterò che quegli esseri ci attacchino, tenterò il tutto per tutto per fermarli! - asserì solo prima di scattare in avanti – Ora so perché sono ancora vivo, dopo lo scontro con Hyoga!”

Le sue gambe si mossero automaticamente, incurante dei richiami di Seraphina che, in apprensione, tentava di fermarlo a parole, avvertendolo che non bastava un gelo qualsiasi ad abbatterli, che era follia mettere a repentaglio così la vita, e che stava rischiando di buttare via tutte le speranze che la sua giovane età recava con sé.

Seraphina aveva pienamente ragione su tutto, se ne rendeva conto anche lui, ma… la verità era che già due volte aveva gettato quelle speranze, quei sogni che lui si portava dietro dalla più tenera età, non era quindi nulla di nuovo, era tutto già visto e, probabilmente, tutto sarebbe sfumato, ancora una volta come un sogno irrealizzabile. Isaac sorrise malinconicamente tra sé e sé, prima di rendersi conto di esserci allontanato sufficientemente da loro, quanto bastava per non coinvolgerli nel rinculo del suo colpo segreto. Alzò il capo temerario, in direzione dei Ghulu che continuavano a muoversi frenetici.

“Maestro, datemi voi la forza, ne ho bisogno come non mai! Ora… AURORA BOREALIS!” urlò a squarciagola, quasi fendendo il cielo al suo grido.

Lanciò il colpo con tutta la potenza di cui era provvisto, infondendo tutto sé stesso, la sua vita, gli insegnamenti ricevuti, in un ultimo, sfavillante luccichio. Gli esseri ammantati dal nero mantello, quasi percependo l’arrivo del colpo, non tardarono a reagire, scagliando a loro volta la sfera cosmica che, sebbene non ancora pronta, aveva già dimensioni considerevoli.

Nella mente di Isaac, il suo attacco avrebbe dovuto, quantomeno, sparpagliare tutti quei Ghulu che, attirati dall’emanazione del suo cosmo ghiacciato, avrebbero così attaccato direttamente lui, facendo quindi perdere vigore alla sfera medesima. Dégel aveva detto che quegli esseri erano attirati dal ghiaccio, pensava quindi di fare da esca e prendere tempo, detonando poi quell’attacco in cielo, senza coinvolgere altri. Il punto era che i Ghulu non avevano abboccato, come invece avevano fatto prima con il colpo a vuoto di Dégel. Era come se, in quel caso lì, fossero guidati non dalla fame ma da qualcosa di più forte, come un ordine al quale era impossibile sottrarsi.

Isaac si ritrovò quindi, ben presto, a opporre tutte le sue forze nella difesa, anziché nell’attacco, il tutto mentre la sfera cosmica, quasi neanche sentisse l’Aurora Borealis, incombeva sempre più su di loro. Si ritrovò a ringhiare tra i denti, sforzandosi di imprimere ancora più forza nell’attacco, che lo stava schiacciando a terra. Le braccia avevano preso a fargli male, vinte da quella insanabile pressione, si ritrovò ben presto a piegare un ginocchio per terra, pur mantenendo ben alzate le mani, che gli formicolavano per lo sforzo. Buttò fuori l’aria, ritrovandosi a corto di fiato.

Per quanto si opponesse, per quanto intesseva tutto sé stesso nel colpo, quegli esseri stavano avendo la meglio su tutti i fronti, la sfera cosmica era sempre più vicina, quasi ineluttabile. Stava soccombendo… se avesse spezzato la posizione necessaria per quella tecnica, non ci sarebbe stato più nient’altro a proteggere Dègel e Seraphina, sarebbero morti con lui e non voleva… dannazione, non voleva!

Serrò disperatamente le palpebre alla insperata ricerca di una soluzione alternativa, che non trovava. Fischi di vento intorno a lui, quella pressione innaturale che lo tramortiva, il dolore sempre più intenso alle braccia, le gambe molli, il cuore che pompava disperatamente quanto aveva ancora in riserva, perché la mancanza di ossigeno cominciava ad avere conseguenze sul suo corpo già fiaccato. N-no, sarebbe morto inutilmente, di nuovo, senza riuscire a proteggere chi voleva. Assurdo! Perché il destino si prendeva beffe così di lui?! Quale il senso delle sue tre vite, se in nessuna di esse era mai riuscito a cavare un ragno dal buco?!

 

Sono… semplicemente patetico! Anni e anni di addestramento, tre vite, per giungere qui e non riuscire neanche a fermare una stupida palla cosmica creata da esseri che non hanno neanche più una forma loro! Che ne hai fatto della determinazione, Isaac?! Delle tue promesse, di proteggere i tuoi compagni, dopo Lisakki, di perseguire la forza e la giustizia, la MIA, giustizia, perché, ormai l’ho capito, non ne può esistere solo una, insindacabile, né per Atena, né, tanto meno per Poseidone, in questo avevo ragione ad oppormi al vostro pensiero, Maestro, fin troppo innaturale, sebbene, in fin dei conti, anche voi perseguivate un ideale aleatorio e utopistico, irraggiungibile persino da voi. Ho persino accettato di essere stato toccato dal Kraken, imparando quindi a muovermi nelle tenebre dentro di me, ma… a cosa è giovato tutto questo, se, intanto, il mio epilogo è sempre lo stesso?!

Maestro Camus… io, davvero, non sono degno di voi, né di essere vostro allievo, ho sempre creduto di valere qualcosa, di potermi meritare il titolo di Cavaliere, di avere quindi il diritto di combattere al vostro fianco, ma... è di nuovo Hyoga ad avermi superato, ad essere stato superlativo, per voi, e di essere stato degno dei vostri insegnamenti, lui… è lui che merita di risplendere al vostro fianco, perché conosce il dolore e la sofferenza e, attraverso un travaglio difficilmente sopportabile, è riuscito ad elevarsi, invece di precipitare nel buio, come invece ho fatto io...

Io… vi prego, perdonatemi, sono… un tale rifiuto! Kanon… Kanon aveva ragione, non riesco neanche a… non sono degno di…

 

“Isaac! Queste parole io… non le voglio neanche sentire!”

Isaac si ritrovò ben presto a sussultare al suono di quella voce, riconoscendo il timbro cristallino che aveva imparato ad amare. Aveva ancora gli occhi chiusi e l’espressione sofferente a seguito dello sforzo profuso nel colpo, ma, lentamente, la pressione andava scemando, permettendogli così di rialzarsi faticosamente in piedi, irradiato da una nuova, misteriosa, energia.

Qualcuno, o meglio, qualcosa di caldo, gli cingeva entrambe le mani, ravvivandolo di un nuovo, dorato, cosmo. Il respiro si fece più regolare, mentre l’intensità del suo attacco aumentava, a scapito della sfera fucsia.

“Sei il mio orgoglio, mio piccolo e coraggioso Isaac, non dimenticarlo mai!”

A quel punto Isaac riaprì gli occhi e ciò che scorse, al di fuori delle sue palpebre, lo lasciò di stucco.

“Maestro… Camus!” riuscì appena a sussurrare, totalmente incredulo, gli occhi sgranati. Sentì forte e chiaro il desiderio di piangere, di nuovo, come nel sogno, come ogni volta che il viso gentile del maestro faceva capolino tra i suoi pensieri. Si trattenne, tremando convulsamente. Era il suo orgoglio, gli aveva detto, doveva dimostrarlo.

“Perdona il ritardo… non è facilissimo muoversi nella tua testa dura come il marmo, o forse, dovrei dire spessa come il permafrost siberiano!” gli sorrise, avvolgendolo ulteriormente con il suo cosmo.

Isaac era incredulo, non riusciva a non guardarlo, quel suo profilo così famigliare e a lui tanto caro, il cuore gli si ara accelerato nuovamente in petto. Camus era ammantato d’oro, indossava la sacra armatura dell’Acquario, la pelle un po’ più chiara del solito. Era nuovamente apparso nella forma in cui si era fatto vedere durante la lotta contro Kanon di Gemini, che fosse spirito o emanazione cosmica, non era fisicamente lì, eppure lo sosteneva con tutto l’ardore possibile, mentre le sue mani stringevano quelle di Isaac e la sua aria congelante si aggiungeva a quella del ragazzo.

“Isaac, non c’è molto tempo, ascolta bene quanto segue… - gli disse ad un certo punto, facendosi serio, l’allievo si raddrizzò ulteriormente, attento, tornando a concentrarsi sull’attacco – Quando te lo dirò, lascia questa tecnica e usa il Freezing Shield!”

“I-il Freezing Shield, Maestro, io non… non lo so usare!”

“Fosti tu, da piccolo, a dire che nulla è impossibile, se lo si vuole realmente!”

“Da piccolo ero scemo, Maestro Camus… come quella volta che per spirito di competizione verso Hyoga per poco non annegavo!”

Un’inaspettata risatina divertita, anche se breve, gli riempì il cuore di gioia. Era raro che Camus ridacchiasse, ma accadeva e, per lui, era sempre fonte di orgoglio, tanto da profilarsi, come missione quotidiana, quella di far sorridere il maestro almeno una volta al giorno.

“Da piccolo eri esattamente come ora, Isaac, caparbio e un poco incosciente, ma determinato in quello che facevi, sempre!”

“D’accordo, ma… ho visto quella tecnica un’unica volta, pensate davvero che io possa… riprodurla correttamente?”

“Ne sono sicuro e… ti chiedo di attaccare con me, insieme, per sigillare quegli esseri. So quanto vali, Isaac, l’ho sempre saputo!” asserì, inorgoglito, tanto da instillare fiducia anche nell’allievo, che si fece caparbio e determinato come non mai.

“D’accordo, Maestro, sono pronto!” esclamò, con foga.

“Non adesso, Isaac, ancora… ancora una manciata di secondi!”

Isaac stette in attesa, l’adrenalina a mille e il respiro sempre più accelerato. Camus era solo uno spirito in quella forma, ma stavano combattendo insieme, resistendo strenuamente, la sola idea… la sola idea lo galvanizzava totalmente, come un sogno che si avverava.

La pressione dell’attacco dei nemici stava scemando piano piano, quello era, di sicuro, il momento per agire, dando tutto sé stesso, ma una vocina dentro di lui gli sussurrava invece di affievolire a sua volta il colpo, perché altrimenti non sarebbe stato capace di ricreare la tecnica dopo, che sarebbe stata decisiva. Ingoiò a vuoto, pronto ad agire al via del maestro.

Camus attese ancora una serie di secondi, la sua presa sulle mani del discepolo si fece più salda, il tempo era quasi giunto, sorrise tra sé e sé.

“Adesso, Isaac, abbandona la tecnica e concentrati sul Freezing Shield!” lo avvertì e l’allievo eseguì senza esitare, del tutto fiducioso.

L’Aurora Borealis svanì in un istante, la sfera cosmica aveva quindi il totale via libera, ma era proprio quello il segreto per fermarla: non opporsi alla corrente del fiume ma farsi trascinare da essa, senza venirne però travolti. Isaac lo capì. Scoccò un’occhiata d’intesa a Camus, il quale annuì, a sua volta pronto. Sorrise. Sorrisero entrambi, complici.

“FREEZING SHIELD!!!” urlarono in completa sinergia, quasi fossero un’unica voce. Il resto fu un concentrato di luci varie, cristalli di ghiaccio, che danzavano aggraziati, e di colori arcobaleno, scintillanti.

 

 

* * *

 

 

Isaac ci mise un po’ a recuperare coscienza, le palpebre erano ancora chiuse mentre i sensi, lentamente, tornavano a galla. Era allo stremo delle forze, ma felice.

Qualcuno lo stava stringendo, avvolgendolo di un intenso cosmo dorato, che lo riportava alle memorie della sua infanzia. Era appoggiato al petto di qualcuno, che lo tratteneva contro di sé, come da bambino. Desiderò non separarsi più da quella stretta, ma con l’avviarsi dei sensi, l’avrebbe persa, ancora una volta, lo sentiva e non lo riusciva ad accettare.

“Sei stato… bravissimo, Isaac!”

Sentì la voce di Camus vicino a lui, quasi soffiargli tra i capelli, ciò lo spinse ad aprire finalmente le iridi, che si incontrarono con le sue, serene e fiere, esattamente come Isaac le aveva sempre riconosciute.

“Maestro! Avete… avete raggiunto lo Zero Assoluto!” esclamò, del tutto ammirato, poiché quello sfavillante potere, che travalicava i confini fisici, lui lo aveva avvertito nel lanciare quel colpo, ed il merito non poteva essere altri che di Camus, il quale però sempre sorridendo, scosse la testa, prima di staccarsi leggermente da lui.

“No, Isaac, sei tu ad averlo raggiunto!”

“C-cosa?! No, Maestro, voi...”

“Io ti ho solo mostrato il percorso, sei tu ad averlo perseguito fino alla fine, con ottimi risultati, aggiungerei!”

“Senza il vostro intervento, io non credo che sarei riuscito a...”

“Isaac, io non posso fisicamente raggiungere lo Zero Assoluto, sei stato tu, te lo assicuro!”

Isaac avrebbe voluto chiedergli perché, come fosse possibile che lui, il più puro e giusto tra i Cavalieri d’Oro e, forse, tra gli uomini, non potesse superare tale limite a cui invece aveva condotto Hyoga a prezzo della vita e poi, lui, apparendo come uno spirito. Si accorse, Isaac, che aveva ancora tante domande da fargli, tante cose da apprendere e molte emozioni da vivere, ma la luce che avvolgeva la figura del suo maestro si era fatta più accecante, mentre la sua stessa conformità andava svanendo. Ebbe un sussulto.

“N-no, Camus!” si lasciò sfuggire, protraendo la mano nella sua direzione nel tentativo di afferrarlo, ma ritrovandosi a stringere solo una piccola sferetta di luce, delle dimensioni di una lucciola, che pulsò con forza.

“Isaac… purtroppo non ho più energie per mantenermi visibile a te, per… stare qui. Io… me ne devo andare!”

“N-no, Maestro, perché? Non ora… ora che vi ho rivisto, non...”

Camus gli sorrise con dolcezza, alzando il braccio per scompigliargli i capelli affettuosamente, lui riusciva a raggiungerlo, a toccarlo, anche se il tocco rassomigliava ad una brezza leggera sulla pelle, perché invece ad Isaac non era possibile?! Perché più si incaponiva a stringerlo a sé, più lo vedeva scomparire, diventando sempre più evanescente?!

“Ti ho accompagnato fin qui e… sono fiero di averlo fatto! Ora però le nostre strade devono dividersi, è giusto… che tu prosegua per la tua via a tuo modo, sotto un altro cielo, diverso e distante dal mio. Sei grande a sufficienza per… camminare sulle tue gambe” la voce gli si era incrinata nel parlare di quello, la separazione era imminente, entrambi lo sapevano, entrambi ne soffrivano.

“E se non lo volessi? Non voglio più separarmi da voi, siete… tutto!”

Ma Camus non rispondeva verbalmente alle domande, si limitava a sorridere tristemente e a scuotere la testa. Isaac capì che neanche lui avrebbe voluto farlo, non voleva separarsi, non voleva lasciarlo lì da solo, semplicemente alcune cose accadevano senza possibilità che la volontà umana, la volontà del maestro, potesse opporsi. Il giovane allievo si ritrovò a stringere con forza i pugni, la testa incassata fra le spalle, il respiro spezzato nel petto.

“Ricorderai… i miei insegnamenti?”

“Sempre, Maestro, fino… fino alla fine del tempo!”

Si ritrovò ben presto a tirare su con il naso, le lacrime a fior di palpebre, che chiedevano di uscire, si trattenne, incrinandosi paurosamente, ma non avrebbe pianto in presenza di Camus, non sarebbe crollato, sebbene la tristezza non gli permettesse quasi di respirare regolarmente.

“Guardami ancora un secondo, Isaac...”

La voce di Camus era gentile e triste allo stesso tempo, l’allievo alzò il capo, trattenendo a stento i singhiozzi e, nel farlo, si accorse anche anche il suo maestro era al limite, gli occhi lucidi e inumiditi, il petto sconquassato ma l’espressione fiera, come meglio gli si adattava.

Lentamente sollevò la mano destra, chiusa a pugno ad eccezione del pollice, nella sua direzione, con quella ricalcò, prima sulla fronte e poi sul petto il consueto movimento ad onde inframezzato da una linea retta al centro. Gli occhi di Isaac si spalancarono per la sorpresa, mentre una famigliare sensazione di calore e di beatitudine lo invase, facendolo sentire protetto, malgrado il distacco imminente.

“Questo simbolo lo conosci bene, mio piccolo Isaac, ora… ora sei sufficientemente grande per capirne il significato intrinseco...”

“Sì… - annuì, gli occhi luminosi, sfiorandosi con la mano prima la fronte e poi il petto, prima di respirare a pieni polmoni, trepidante – Sei nella mia mente e nel mio cuore, in altre parole: ti voglio bene e sei parte di me, lo...”

“...lo sarai sempre, sì!”

Quella volta, fu Camus a cedere, Isaac lo vide bene, perché una lacrima, una sola, gli solcò la guancia che sembrava fatta di pura luce. Avrebbe voluto, con tutte le sue forze, abbracciarlo, non poterlo fare era straziante.

“Vale… vale anche per me, Maestro… sempre!” riuscì a dire, stentatamente, in un singulto che non riuscì più a trattenere.

Camus sorrise, un’ultima volta, intorno era pura luce, il suo viso oramai abbagliante, tanto che era difficile distinguerne i contorni definiti, Isaac fu costretto a serrare le palpebre, ferite da quella emanazione troppo potente. Tutto stava scomparendo intorno a lui, non poteva più opporsi, si coprì il viso con le mani, prima di percepire un’ultima carezza sulla testa.

“Isaac, sono felice... e orgoglioso... di essere stato tuo maestro! Ora va’, continua a vivere con determinazione, senza arrenderti mai. Termina qui il nostro percorso insieme, non il sentiero che sceglierai con le tue forze da questo momento in avanti. Va’, ti affido al vento e confido nel futuro che traccerai per te stesso e per gli altri. Non ho paura né rimpianti, so quanto sei forte, mio coraggiosissimo allievo!”

Furono le sue ultime parole, prima che tutto si fece sgargiante e buio nell’arco di un solo istante.

E poi...

...Silenzio...

 

Il cielo andava tingendosi di un azzurrino chiaro che allontanava le tenebre della notte…

Fu questa la prima cosa che gli occhi di Isaac distinsero, dopo quella luce che lo aveva accecato. Rimase fermo e immobile senza muovere un dito, catturato da quel colore che si faceva sempre più chiaro. Era così bello…

Per certi versi ricordava il cielo, che era mare, in verità, di Atlantide, per altri, il ritorno della luce dopo i mesi di buio quando ancora si trovava in Siberia.

Ad Isaac quel momento; il momento di passaggio di testimone dall’oscurità alla luce lo aveva sempre affascinato, rappresentava la speranza, il non volersi arrendere del sole che, lentamente, tornava sempre a riscaldare quelle lande congelate e inospitali.

Il cielo aveva esattamente quel colore, pareva irraggiungibile e, al contempo, vicino, tangibile, quasi immanente.

I suoi occhi non videro altro che quello per una serie interminabile di tempo, ma, infine, alle sue orecchie giunse un suono limpido e cristallino.

“Isaac!”

Il ragazzo si riscosse e, come se le sue iridi si fossero aperte solo in quel momento, nel suo campo visivo si distinse la figura famigliare di una giovane donna dai capelli argentati, la stessa che lo aveva accolto quando era precipitato in quel mondo che sfiorava la perdizione.

“Nobile Seraphina...” la riconobbe, convinto di parlare a viva voce, ma dalle sue labbra uscì solo un suono sommesso a stento riconoscibile, si accorse di essere allo stremo delle forze.

“Bevi questo, coraggio...”

Un’altra voce gentile, stavolta maschile, sopraggiunse finemente al suo udito, nello stesso momento percepì il palmo di una mano sotto la sua nuca, che venne sollevata appena. Un contenitore venne avvicinato alla sua bocca. Isaac non si chiese cosa contenesse, si fidò e basta, e bevve con ingordigia, accorgendosi di essere vicino allo sfinimento.

Una volta finito di ingurgitare il liquido, che non era né acqua né nessun’altra bibita mai provata, si rese conto di stare meglio, le forze stavano lentamente tornando. Si guardò intorno, spaesato, gli occhi spalancati, dita gentili, quelle di Seraphina, che gli accarezzavano i capelli e il sorriso, quello di Dégel, dolce come non mai. Si accorse nitidamente di essere adagiato sul grembo della giovane donna e che Dègel era al suo fianco, nuovamente vigile.

“Che cosa… cosa è successo?” gracchiò a fatica, la voce stava tornando, ma ci voleva del tempo.

“Sei stato… incredibile, Isaac! Li hai fermati e… sigillati… davvero superlativo!” si congratulò Dègel, permettendosi di sfiorargli la guancia destra con le dita lunghe e affusolate.

Isaac ricordò quanto avvenuto, sussultò, alzandosi a sedere di scatto, gli occhi sbarrati, il cuore a mille. Si accorse di non essere più nello stesso luogo di prima, i contorni del paesaggio stavano cominciando a prendere forma, irrorati dalla luce incalzante. Non c’era più la foresta con le strane luci intermittenti, solo rocce, pendenze e monti.

“Lo sforzo però è stato troppo per te, sei svenuto e stavi per cadere nel vuoto, ma siamo riusciti a raggiungerti in tempo!” continuò Seraphina, alla sua stessa altezza, sorridendo amabilmente.

Lo sguardo di Isaac navigò spaurito e scioccato nei dintorni ancora per un tempo indefinito. Non lo disse, ma stava cercando Camus, sebbene sapesse che, con ogni probabilità, era uno sforzo vano, perché il maestro era svanito insieme a quell’aurora di colori. Per sempre.

Incassò la testa tra le spalle, le mani si strinsero a pugno e gli occhi si chiusero disperatamente. Ci mise un po’ per calmarsi, gli altri due parvero capire il suo stato. Attesero.

“Non ero solo… per questo ci sono riuscito” farfugliò, rotto.

“Lo so...”

Fu l’inaspettata risposta di Dégel, che ora lo fissava con fierezza mista a serietà. Isaac lo osservò, a metà strada tra la speranza e il senso di impotenza.

L’ex Acquario si alzò lentamente in piedi, era ancora ferito alla spalla, che però aveva smesso di sanguinare, quel marasma di color pece sembrava essersi completamente solidificato sul braccio, che effettivamente si muoveva inerte, solo per effetto secondario. Doveva fargli un male difficilmente sopportabile, ma ne era incurante.

Isaac seguì docilmente Dègel, Seraphina era poco dietro di loro, gli occhi tristi.

“Guarda, Isaac… non è meravigliosa la vista da quassù?” lo invitò, indicando l’orizzonte con il braccio sano. Il ragazzo si sporse appena sul dirupo, le sue iridi si spalancarono, quasi inglobando quell’azzurro che si faceva sempre più chiaro, vertendo sul bianco: la luce stava scacciando le tenebre.

Sotto di loro, appena illuminata, vi era la foresta che aveva visto il loro scontro, Isaac non si meravigliò a vederla riflessa in mille e più luminosità differenti, ognuna con la propria intonazione: era una foresta di cristallo che, con l’avanzare del giorno, brillava sempre di più, ricreando uno spettacolo senza pari, che mozzava il respiro.

“Avverto i tuoi dubbi e la domanda che non hai il coraggio di porre, Isaac, e… ti posso dire che il tuo sentore è corretto” disse ad un certo punto Dégel, in tono tranquillo e calmo, ma procedendo con cautela.

“Il Maestro Camus… è davvero intervenuto per darmi manforte? Non è accaduto tutto nella mia testa?” chiese conferma Isaac, voltandosi verso di lui, gli occhi lucidi.

“Sì, Isaac, era il Camus della tua dimensione, il tuo… maestro!”

“Urgh… - avrebbe dovuto essere una lieta notizia, la verità è che il giovane allievo si era sentito, a quella rivelazione, come se qualcuno gli avesse perforato un polmone da parte a parte. L’ossigeno mancava, il petto era sconquassato – Come… come è riuscito a…?”

“Questo non lo so, me ne rammarico… ma, di sicuro, ciò che è riuscito a fare è stato grazie al profondo affetto che nutre per te e… e deve essere un uomo straordinario, il tuo maestro, si è spinto fino a qua per proteggerti, per sostenerti nello scontro e… per dirti addio...”

A quel punto Isaac scattò nella sua direzione, furente, andandogli appresso, come a volergli dire di smettere di dire cazzate, ma si arrestò immediatamente, riportando il controllo sulla rabbia crescente. Rabbia… senso di impotenza… tristezza infinita.

“Se… se lo ha fatto una volta, non è stato un addio, può rifarlo e, quando succederà, io...”

“Non lo può più fare, Isaac… mi spiace...”

“Che ne sai tu?!? Dimmelo!”

A quel punto Dégel sospirò, scrollando il capo, davvero affranto. Chiuse e riaprì gli occhi in pochi secondi e, in quei pochi secondi, l’espressione di Isaac era mutata da iraconda ad arrendevole in un battito di ciglia. Aveva capito fin da subito, ma arguire quella verità era tutto un altro paio di maniche.

“Alcuni uomini speciali possono spingersi oltre l’orizzonte degli eventi del loro mondo e varcare così i confini fisici della loro dimensione. Tu immaginati uno specchio d’acqua dove vedi il tuo riflesso, se provi a toccarlo, esso tremolerà fino a scomparire, per poi ricomparire poco dopo. Tu lo guardi, il riflesso guarda te, siete due facce di una stessa medaglia ma… intoccabili. E’ così anche per i mondi paralleli. Paralleli, appunto, non caso ho usato questo etimo, perché, pur essendo incommensurabilmente vicini, non si possono intersecare mai, tanto meno...”

Isaac guardava Dègel con attenzione, aveva capito, ma non era da lui arrendersi.

“Ti stai contraddicendo da solo, Dègel, se non si possono intersecare, allora Camus non avrebbe avuto facoltà di intervenire, io non dovrei essere qui, dopo il colpo di Hyoga e...”

“Ti ho detto poc’anzi che alcuni uomini speciali ci possono riuscire, ma… ad un prezzo...”

“E sarebbe?”

“Nel loro mondo devono trovarsi in condizioni esistenziali incerte, o… travalicare i confini fisici, ma occorre un’energia inesauribile che difficilmente può essere mantenuta per un tempo prolungato… tu sei finito qui accidentalmente, a causa dello Zero Assoluto del tuo amico, ma… dubito che lui sappia di questa peculiarità, nessuno, dell’altro mondo, può saperlo, nessuno dell’altro mondo può sapere che sei qui, neanche Camus. Ha profuso tutto sé stesso per raggiungerti e avrà pagato il suo prezzo, non può ricordare in nessuna maniera di averlo fatto!”

Isaac sussultò a quella rivelazione, tornando a osservare, con sguardo spento, l’orizzonte davanti a lui. Il sole non lo aveva ancora varcato, ma la luce era sempre più forte e accecante.

“Camus ha detto che lui non può raggiungere lo Zero Assoluto… anche se mi sembra francamente impossibile...” barbugliò, prostrato. Avvertì un sospiro prolungato dietro di sé e seppe trattarsi di Dégel.

“…Allora significa che il tuo maestro era in fin di vita e che, con le ultime forze rimaste, si è spinto verso di te, come una sorta di proiezione cosmica. Non lo rammenterà più, Isaac, la sua coscienza è svanita dopo quest’ultimo sussulto” ribadì, enormemente dispiaciuto. Utilizzava un tono gentile, ma asseriva quella verità con naturalezza, senza mezzi termini: Camus era morto, non avrebbe più rammentato di essersi ricongiunto con l’allievo, anche se per un solo attimo.

Isaac incassò malamente il colpo, stentatamente si mantenne in piedi, anche se le gambe gli urlavano di cedere, di crollare lì, ma non lo avrebbe fatto davanti agli altri, mai. Il punto era che, tutte quelle parole pronunciate da Dègel in tono dolce, lui le aveva percepite già dall’espressione rattristata di Camus, solo che non le voleva accettare, non poteva… accettarle!

L’orizzonte si fece annebbiato, come cielo gonfio di pioggia che si apprestava a manifestare il suo pianto, come vetro appannato che rendeva tutto ovattato. Non percepì quasi più il suo cuore, le sue braccia, le sue gambe… non percepiva più niente, solo… il frastuono dentro di sé, che era arrivato ad impedirgli di udire quella melodia, quel canto a lui tanto caro.

Non era la prima volta che diceva addio a Camus, ma quella, se possibile, era stata la più devastante, perché fino a pochi istanti prima, con il maestro, durante il loro ultimo assalto, sentiva quasi di aver raggiunto finalmente la forma per la quale era nato. Ed ora invece, non aveva che un pugno di mosche in mano, e un percorso ancora più oscuro rispetto a quelli già intrapresi. Qualsiasi cosa sarebbe successa, Casa si era fatta ancora più distante, irraggiungibile. La speranza languì nel suo giovane cuore.

“Isaac… il tuo maestro ti voleva molto bene, sii fiero di quanto hai imparato da lui, non dimenticare mai i suoi insegnamenti. Ora il tuo cuore è comprensibilmente spezzato, ma, una volta che sarà passato questo attimo d’intenso smarrimento, ti renderai conto che non sarete mai separati per davvero: lui vive in te, il suo spirito sarà… sempre… al tuo fianco, anche se ti sembrerà di non riuscire più a percepirlo”

Isaac tacque per una serie di secondi, le labbra assottigliate, la gola secca, bruciante, dolente, il bisogno di singhiozzare sempre più impellente. Alla fine, rabboccando un po’ d’aria, trovò la forza di biascicare qualcosa.

“Lasciatemi… lasciatemi da solo, per favore...”

Si accorse che il suo tono era allo stremo, che sarebbe crollato da lì a breve, e che non voleva farlo davanti a loro, nella maniera più assoluta.

Dègel parve capire, acconsentì, compiendo qualche passo, prima di aggiungere ancora una cosa.

“Il tuo percorso, dovrai sceglierlo da te, da ora in poi, ma, se permetti un consiglio, quella rupe là, sopra le nostre teste, offre una bellissima postazione per contemplare la nascita del nuovo giorno. Da lì l’alba si vede molto meglio che di qua, permettendoci così di godere di uno spettacolo incommensurabile, di una bellezza senza pari… - mormorò in tono basso, ma sufficientemente alto per farsi udire dal ragazzo, che aveva cominciato a tremare. Sospirò, sentendosi di aggiungere altro – Se non hai un posto dove andare, se vorrai seguirmi… sai dove trovarmi, in caso contrario, se preferirai arrenderti alle tenebre, non ti biasimerò di certo” disse ancora, prima di allontanarsi da lì, seguito da una ammutolita Seraphina.

Isaac lo udì appena, le palpebre ormai pizzicavano fastidiosamente, stava cedendo...

Gli occhi verdi di Isaac si costrinsero a guardare verso il sole, che, proprio in quel momento, irradiava il primo raggio sopra l’orizzonte, che accarezzò dolcemente la cima della montagna, come a volerla amabilmente salutare dopo essere mancato per così tanto tempo.

Isaac guardava il sole, incurante del rischio di danneggiare la vista; guardava il sole, in verità i suoi occhi vedevano altro. Verso l’orizzonte, infatti, illuminati da una luce calda, vi erano il Maestro Camus e il piccolo Hyoga che, in quella manifestazione, aveva, probabilmente circa 8 anni, l’età in cui lo aveva conosciuto. Entrambi lo osservavano a loro volta, sorridendo, un poco distanti ed eterei, ma concreti come non mai. Camus aveva le braccia conserte, l’espressione fiera e composta, gli occhi ben piantati nei suoi, Isaac ne percepì l’immenso orgoglio che provava per lui, ne ebbe un fremito; il piccolo Hyoga, invece, era vivace, come raramente gli era capitato di essere, muoveva la mano nella sua direzione e gli regalava dei larghi sorrisi, come a proporgli di unirsi a lui e giocare, come facevano quando erano piccoli.

Isaac sorrise malinconicamente nella sua direzione, un nodo in gola, un altro sul petto, mentre la loro effige andava svanendo per imprimersi meglio in lui. Faceva male, ma era così che doveva essere. Faceva male, ma loro… erano parte di lui.

Qualcosa di bagnato sul viso… le lacrime avevano finalmente trovato la loro strada, come sorgente che, ravvivata dalla pioggia, traboccava dal terreno per dirigersi poi verso valle. La cosa più bizzarra, in quel mondo ancora più bizzarro, era che piangeva, sì, ma da un’unica parte del viso, la destra. Che cosa buffa… aveva riacquistato la completa vista, ma perso la capacità di piangere dall’occhio precedentemente ingiuriato. Il lavoro doppio toccava quindi al destro, che aveva deciso di rompere arbitrariamente gli argini e riversare all’esterno tutta la tristezza che si era incancrenita nel suo petto.

Le figure del maestro e del fratello andavano dissolvendosi, ne rimanevano ancora i contorni del viso, ancora sorridenti. Lo volevano incoraggiare, con tutte le loro forze, mentre la loro effige, la loro essenza si intrecciava con la sua, creando così un qualcosa di eterno: un legame indistruttibile.

 

Siamo nella tua mente e nel tuo cuore, così sarà per sempre, non importa la distanza fisica tra noi, questo non potrà mai strappartelo nessuno, coraggio, Isaac!

 

Isaac annuì, sentendo forti e chiare, dentro di sé, le parole del maestro. Strinse i pugni, le nocche sbiancarono, Si sbilanciò in avanti, ma non crollò, non ancora. Aveva ancora una cosa da dire, prima che loro compenetrassero completamente in lui.

“Maestro Camus, Hyoga, fratello mio… vi voglio bene, siete le persone più importanti della mia vita e… la mia famiglia… sono fiero di essere cresciuto con voi, mia avete insegnato tanto e, anche se non ci vedremo più, vi custodirò nel mio cuore… per sempre!” biascicò, prima di permettere finalmente alle sue ginocchia di cedere, facendolo accasciare a terra in una manifestazione di dolore che non riusciva più a controllare. E forse non era neanche il caso di tenerla sotto torchio, non quella volta.

Strinse con foga le dita sul terreno ancora incrostato dal ghiaccio, prima di prendere tutta l’aria possibile e gettare fuori dalla bocca un ampio e prolungato urlo, pregno di tutti i sentimenti e della disperazione che lo avevano condotto fino a lì, nel bivio dove la sua vita si sarebbe divisa irreparabilmente dalla loro.

Dall’alto della rupe, intanto, Dègel, udendo il grido del ragazzo, fissava il sole nascente con espressione mesta, tenendosi la spalla martoriata con la mano destra. Non sentiva quasi più dolore corporeo, era molto di più ciò che si muoveva in lui per il giovane Isaac, a metà strada tra l’empatia, per quel ragazzo coraggioso e la paura di smarrirlo irreversibilmente.

Seraphina si muoveva nervosamente a poca distanza, tesa come non mai, preoccupata dalla scelta di Dègel di aver lasciato Isaac poco più sotto, libero di decidere ciò che voleva della propria vita.

“Dégel… Isaac ha appena realizzato di aver perso per sempre le persone più importanti della sua vita, non… non dovremmo lasciarlo giù da solo, è molto fragile adesso...”

“Lo so...”

“Lo sai… ma non hai fatto nulla per convincerlo a rimanere con noi, là fuori è pericoloso, se si allontana rischia di perdere la vita, se non per i Ghulu, che in questo periodo cadono in letargo, di stenti… la tua anima si è unita a quella di Camus, anche se non è il suo Isaac, lui non accetterebbe mai di vederlo smarrirsi così, lo so, fermalo, ti prego!”

“Lo biasimeresti… se scegliesse la morte? Se scegliesse di arrendersi? - chiese Dègel a bruciapelo, non guardando la consorte in faccia, rattristato come non mai – Ha appena saggiato la disperazione di questo mondo, perso le sue radici e le persone che amava… di’, sarebbe sbagliato desiderare di morire, in una simile situazione?”

“Proprio per questo noi dobbiamo salvarlo, non possiamo permettere che si arrenda alla morte, non… - Seraphina prese una breve pausa, accorgendosi di star tremando – Non voglio che si ripeta quello che è successo a-a...”

“Lo so bene, Sefi… - tagliò il discorso Dègel, non volendo proseguire in un dialogo che avrebbe riportato alla luce un dolore ben tangibile per entrambi e mai del tutto sopito – Ma il suo maestro gli ha dato facoltà di scelta, reputandolo sufficientemente forte per tracciare il suo futuro consapevolmente, qualsiasi sentiero imboccherà. E’ stata una ferma decisione di Camus, io non posso oppormi!”

“Ma…!”

Seraphina non trovava parole per opporsi a Dègel, eppure non poteva accettare un simile epilogo per il ragazzo, cui era già affezionata. Non poteva, era così ingiusto! Eppure, le sovvenne poco dopo, era ingiusto anche calpestare il testamento di Camus, il suo ultimo volere. Si sentì fratturata…

Ad un certo punto udì uno sbuffo provenire da Dègel, il quale aveva spostato lo sguardo dal sole a sotto di sé, alla parete rocciosa che lo separava dall’anfratto sottostante. Seraphina non capì subito il senso di quel mormorio, seguito, a breve distanza, da una tiepida risata, non finché non fu nuovamente l’ex Acquario a parlare.

“Sefi, ricordi quando ti dissi che non è nel vocabolario degli allievi di Camus la parola ‘arrendersi’, e che la loro testa può essere più dura del diamante?” le chiese, rasserenato.

“S-sì...” rispose lei, incerta, non capendo pienamente.

“Vieni a vedere tu stessa...”

Seraphina si affiancò a lui e si sporse verso il dirupo, sussultando nello scorgere la figura di Isaac intenta ad arrampicarsi per raggiungerli. Il suo cuore traboccò di gioia, mentre sul suo niveo volto si dipinse un sorriso.

“E’ un ragazzo… estremamente determinato!” lo elogiò Dègel, franco, attendendolo, trepidante.

Isaac stava utilizzando quanto era rimasto delle sue forze per scalare quel dirupo. Procedeva un poco incerto, il corpo tremante per lo sforzo prolungato, ma spedito, senza un minimo di esitazione. I muscoli gli dolevano, gli occhi erano ancora arrossati e la guancia destra umida, ma… proseguiva, con fatica, senza esitazione alcuna.

Una mano davanti, seguita dal piede opposto, l’altra mano, seguita dall’altro piede, e così via… ad ogni passo, un ricordo si fissava nella sua mente, facendolo quasi singhiozzare, ma, allo stesso tempo, regalandogli le forze sufficienti per perseguire il suo obiettivo.

La mano destra stringeva saldamente la presa sulla sua roccia e intanto nella sua mente, un piccolo Hyoga, giocando, si era imbernoccolato la fronte, essendo andato a picchiare contro lo scatolone dei giochi ed essendone riemerso con un bel segno sulla pelle. Isaac, o meglio, la sua versione mignon, aveva riso di gusto a quello spettacolo.

La gamba sinistra si piegava per dare più appoggio alla struttura del suo corpo, mentre il Maestro Camus, nella sua mente, di ritorno dal Santuario di Grecia, aveva portato dei graziosi cavallini di legno, uno per lui, l’altro per Hyoga. Adele e Freccia li avevano chiamati… il suo si era reso distinguibile perché, cadendo, un pezzo di zampa si era scheggiata.

Ora la mano sinistra si protraeva sulla roccia ancora più su, ed Isaac, o meglio, ancora una volta, la sua immagine bambinesca fu avvolta da una coperta calda e sollevato dalle mani esperte di Camus, che lo condussero a letto,a dormire su un giaciglio caldo, un bene più che prezioso.

Gamba destra… e c’erano lui e Hyoga, sempre bambini, a fare le corse sul permafrost per vedere chi sarebbe arrivato prima all’isba. Vinceva sempre Isaac, in quello, ma il biondo compensava con gli allenamenti in acqua, eccome! Lui e l’acqua sembravano un’unica cosa, Isaac lo ammirava, per quello.

Era il turno di nuovo della mano destra che, abbandonando la presa sicura sulla roccia, era atta ad aggrapparsi ad una altro sostegno, ma gli occhi gli si appannarono improvvisamente, mentre la parola ‘Kraken’ gli rimbalzava nelle orecchie, riportandogli alla mente la notte in cui aveva litigato aspramente con Camus per la solita, assurda, lotta di principi, e si era così allontanato dall’isba, arrabbiato come non mai. Esitò un secondo, e quella esitazione si ripercosse sui piedi di appoggio, i quali, malfermi, persero contatto con la parete. Si ritrovò così ben presto con le gambe a penzoli nel vuoto, gli occhi socchiusi, stremato. Le forze che gli venivano meno.

“Isaac!!!”

Seraphina ebbe l’impulso di intervenire, ma fu prontamente fermata da Dègel, il quale, scuotendo la testa, impresse il suo sguardo in quello della donna amata.

“Deve farcela da solo, so che che può riuscirci! - le disse, fermo, tornando a concentrarsi sul ragazzo, momentaneamente bloccato – Coraggio, Isaac!”

 

Coraggio, Isaac!

 

La voce del maestro… il ragazzo riprese fiato, coniugando tutte le forze rimaste per muovere le gambe e farle nuovamente appoggiare alla parete rocciosa. Attese un poco, il tempo di scacciare il tremore in lui. Poi riprese.

Insieme ai suoi movimenti, riprese anche il viale dei ricordi in cui la sua mente era ingabbiata, immagine nitide, immagini distanti nel tempo, ma che facevano parte di lui… così sarebbe stato per sempre. Si accorse altresì che i momenti a cui era più legato racchiudevano situazioni del tutto ordinarie, piccoli gesti, non imprese titaniche come spaccare il ghiaccio o resistere a -34 gradi con l’ausilio dei soli pantaloni e della canottiera.

Sorrise, tra sé, ormai mancava davvero poco al traguardo: erano le piccole cose che contavano, erano quelle a mancargli terribilmente.

Il fiato aveva ricominciato a mancargli, un ultimo sforzo e ce l’avrebbe fatta, decise di dare il tutto e per tutto. Con le ultime energie corporee giunse alla sommità, un unico passo e ci sarebbe riuscito, ma, inaspettatamente, non riusciva più a muovere un solo muscolo: era giunto al limite? Non ebbe comunque il tempo per pensarci, perché una mano si porse nella sua direzione, a breve distanza dal suo viso. Isaac alzò lo sguardo, che si incontrò con quello cristallino di Dègel, ritto in piedi sopra di lui, con un leggero sorriso sulla nivea pelle. Nello stesso momento, una brezza leggera smosse i suoi capelli, meravigliandolo non poco. Il vento… esisteva ancora il vento in un mondo pressoché fermo?!

Un solo passo… solo quello lo separava dalla sua nuova vita, e sentiva che non sarebbe riuscito a compierlo da solo. Stranamente la cosa non gli diede fastidio, anzi, era significativa, del resto… in nessuna delle altre vite aveva raggiunto i suoi obiettivi in solitaria, era sempre stato guidato da qualcuno.

E, quel qualcuno, per la sua terza vita, sarebbe stato Dègel.

Esitò per un solo istante, il braccio protratto verso di lui, le loro dita quasi si toccavano. Era giunto il tempo per intrecciare nuovamente la mano, era giunto il tempo per non sentirsi più da solo, era giunto il tempo… di rinascere!

Non esitò più, afferrò e strinse la mano di Dègel, il quale, annuendo nel regalargli un nuovo sorriso, radunò tutte le sue forze per sollevarlo di peso e stringerselo così al petto, in una specie di abbraccio che infondeva vigore.

Isaac socchiuse gli occhi a quella stretta, il respiro irregolare che andava calmandosi, un venticello leggero a solleticargli i capelli. Aveva scelto la sua via da quel momento in avanti, la forma che avrebbe raggiunto era ancora misteriosa, ma non si sarebbe arreso per nessuna ragione al mondo, perché non ci si arrendeva mai, così gli era stato insegnato, con orgoglio e fierezza.

Il braccio di Dègel, che gli cingeva il busto, era di conforto, così come la voce melodiosa di Seraphina, che era corsa ad abbracciarlo a sua volta, e poi quel vento… la dimostrazione che quel mondo non era del tutto morto, respirava ancora, non era irrimediabilmente perduto.

“Che magnifica brezza… sembra che Ipsias voglia accoglierti con tutta sé stessa! Non è molto, ma… questa mondo è ancora vivo, lo senti respirare, Isaac, percepiscilo sulla tua pelle, tra i capelli… c’è ancora speranza!” gli mormorò Dègel, staccandosi un poco da lui per guardarlo in volto.

“I-Ipsias?”

“Il mondo parallelo e vicinissimo alla Terra, sorella gemella del luogo da dove vieni tu, la sua ombra, il suo riflesso, lo specchio delle cose di là… Ipsias! - spiegò brevemente Seraphina, sorridendogli dolcemente – Benvenuto tra noi, Isaac!”

Isaac non capiva, molte cose gli sfuggivano, molte altre le avrebbe imparate durante il percorso che aveva scelto. Guardò Dègel con ammirazione e, oltre a lui, il sole nascente in tutto il suo fulgore. La foresta sotto di loro scintillava ad intermittenza, quasi inneggiando un canto melodioso per l’arrivo della tanto sospirata luce, che abbracciava tutto con mille e più fasci luminosi.

“Ipsias… sono ad Ipsias… sarà questa la mia casa, da ora in poi...” affermò Isaac, ripeterlo a voce alta lo confortava e, insieme, lo faceva sentire più sicuro.

“Ti racconterò tutto, promesso, passo per passo… per il momento, ciò che ti posso offrire, è una zuppa calda per rifocillarti, non è granché, ma è già qualcosa...” gli promise Dègel, gli occhi brillanti, permettendosi di scompigliargli i capelli.

Isaac annuì, sorridendo a sua volta. Oltre l’orizzonte vi era ancora il sole che, sapeva, sarebbe poi scomparso dietro una nebbia di bianco sgargiante per i 6 mesi ad avvenire.

Non era granché, ma era già qualcosa, era vivo, sentiva il cuore pulsare in lui, il calore irradiare il corpo e la brezza solleticargli la pelle.

Insomma, poteva respirare, sentire le sensazioni sottopelle… era ampiamente qualcosa!

La sua vera forma era ancora oscura, ma l’avrebbe perseguita con coraggio…

Ciò che era stato non poteva cambiare in alcun modo, poteva solo trarne esperienza…

Coloro che aveva perso sarebbero sempre stati al suo fianco, vivendo in lui, tramite lui, finché non fossero stati abbastanza forti per tracciare, tutti insieme, quel mondo, quel... “vero presente”, dove tutti avrebbero potuto finalmente sorridere.

 

 

La strada che stai seguendo è nota solo a te,

così insegui un cielo diverso, lontano dal mio.

Per favore, dammi la forza di cambiare il futuro

(quel futuro) che avrei attraversato da solo.

Tu mi sorridi e, proprio grazie a questo,

posso volare in alto.

Desideriamo il coraggio di affrontare il futuro,

e ora voglio tornare al vero presente,

dove tu continui a sorridermi

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Ed eccoci infine giunti alla fine di questa storia. Perdonate il ritardo, le idee si sommavano senza fine, ho dovuto tagliarle, altrimenti diventava un poema. Avevo molti argomenti di cui trattare, alla fine me la sono risolta focalizzando l’attenzione sul rapporto che lega Isaac a Camus che permea tutto il capitolo. Non preoccupatevi, la storia di Isaac, la sua terza vita, non termina qui, avremo altre occasioni di leggere di lui, questo non è che un incipit.

Essendo un capitolo parecchio lungo, ho molte cose da approfondire in questo mio angolo, quindi perdonate se sarà un po’ prolissa ma ci tengo veramente tanto a questa storia e vorrei spiegarvi alcune cose passo per passo. Ma andiamo con ordine.

Atlantide: non so voi, ma io mi sono sempre chiesta se Isaac avesse mai provato, una volta parzialmente ripresosi, a tornare in superficie in Siberia, e mi sono data una risposta! Il luogo che il ragazzo raggiunge, è facilmente intuibile, per chi ha letto Lost Canvas. Secondo la conformazione della mia storia, il Dègel e la Seraphina terrestri, quelli della serie principale, per intenderci, non questi di Parallel hearts, dopo la Guerra del 1743 sono tutt’ora lì, nel sarcofago di ghiaccio che racchiude l’ultimo gesto nel quale si sono stretti. Isaac non li vede direttamente, quando raggiunge il luogo, ma ne percepisce parte dei ricordi e delle emozioni, che lo frastornano. Va invece da sé che Kanon, visto anche quanto dice al giovane, li ha visti, del resto l’armatura indossata da Unity è Dragone Marino e lui è Dragone Marino, non potevo non collegare questi due fatti. Per chi segue tutte le mie storie, avrete di sicuro visto che, proprio da Parallel hearts, sto puntando molto su Kanon, è perché avrà un ruolo molto importante nella “Melodia della Neve” non vi resta che scoprire quale. :)

Lisakki: il già citato secondo allievo di Camus, che è giunto in Siberia insieme ad Isaac e che è morto prematuramente. Questo testo ci offre qualcosa in più su di lui, sul suo violento trapasso, ma il frangente in cui è avvenuto sarà chiarito in un’altra storia. Qui ha le sembianze di un ragazzo di 14 anni, ma, sappiamo, è morto a 6. Dégel di dice che è un Proteiforme, ma Seraphina sostiene di aver visto la sua vera essenza, che era proprio quella di un bimbo di 6 anni… quindi rimane il dubbio: era davvero lui, o meglio, il Lisakki di quel mondo, giacché alcune cose sono contingenti nelle due dimensioni, o solo un Proteiforme? Dégel non ha ricordi di lui… chissà…

Ghulu e Proteiformi: come scritto, sono anime umane smarrite, quindi uccidendo loro, perde la vita anche l’essere umano precipitato nel cosiddetto “Mondo Inverso”. Mi rivolgo a chi segue anche la mia storia principale e vi chiedo: vi dice forse qualcosa la loro conformazione? I Ghulu non sono forse simili a quelli che appaiono nei capitoli 2 e 3 della “Melodia della Neve”? Ebbene sì… sapete, questo, cosa può significare? Avete teorie a riguardo? In caso contrario, sarà chiarito maggiormente durante la storia, non preoccupatevi :)

Camus e Isaac: il loro rapporto permea tutto il capitolo, sia laddove il “nostro” Camus interviene, sia nei ricordi, sia quando Isaac ripensa a lui. Prima di tutto, il simbolo che Camus ricrea sulla fronte e sul petto dell’allievo è già apparso nei miei scritti. Appare la prima volta nella Sonia’s side story, nel capitolo 8 ed è utilizzato dal Maestro solo e soltanto con Isaac. E’ un po’ il loro simbolo, la testimonianza del profondo affetto che li lega, nel significato che qui ho scritto… trovo sia una cosa molto dolce.

Camus interviene direttamente per Isaac due volte: nel sogno (che ha una base di verità, nel senso, è successo davvero) e nell’ultimo assalto di Isaac, dove, congiungendo le loro forze, utilizzano il Freezing Shield. Di base, è un addio, come dice lo stesso Dègel. Camus si trova in “condizioni esistenziali incerte”, detta in maniera spicciola, è più di là che di qua, ma riesce a raggiungere l’allievo e a sostenerlo, la domanda è: quando accade questo? Dopo lo scontro contro Hyoga, o… in un’altra circostanza? Anche qui vi lascio il dubbio. Camus dice di non poter attingere allo Zero Assoluto, ma ci fa arrivare il secondo allievo, questo non è demerito suo, è che il Potere della Creazione, che Camus possiede nella mia storia, è talmente agli antipodi, talmente oltre (oltre persino i confini fisici) da non permettergli di raggiungerlo, anche qui sarà spiegato più in là nella mia serie principale.

Ho pensato, inoltre, che Isaac avesse concepito l’Aurora Borealis proprio in onore dell’Aurora Execution del maestro.

La via, il percorso di Isaac: desidero spendere altre parole sull’ultima parte del capitolo, quella più densa di significati simbolici che, probabilmente, avrete già intuito ma che tengo particolarmente a sottolineare.

Al sopraggiungere della tanto sospirata alba, assistiamo al momento, spero, più emozionante dell’intero capitolo. Il sole sorge e Isaac, Dègel e Seraphina si ritrovano su un monte, a contemplare il ritorno della luce. Qui è molto esaustivo che Isaac, guardando il sole, veda in verità le figure di Camus e Hyoga… è il momento di passaggio dalla seconda alla terza vita. Lui li vede, li rimpiange, prima di abbandonarsi ad una manifestazione di dolore. Volendo, Camus gli ha dato facoltà di scelta, fidandosi completamente di lui, Isaac avrebbe anche potuto chiuderla lì, dopo che tutto, e dico tutto, gli è crollato addosso. Dègel segue il desiderio di Camus, del Camus maestro del ragazzo, sebbene ciò gli costi, ed è qui la piena simbologia, il pieno significato delle azioni di Isaac da questo momento in avanti.

Il ragazzo trova il coraggio di lasciare la luce, il sole, dietro di sé, con essi Camus e Hyoga, per apprestarsi a raggiungere Dégel e Seraphina, accettando così ciò che non può più cambiare. Anche qui, l’ex Acquario, malgrado i pareri di Seraphina, che vorrebbe intervenire, fidandosi completamente di Isaac, lo lascia fare. Il momento in cui il giovane si arrampica faticosamente verso di lui costituisce, come già detto, un vero e proprio rito di passaggio. I ricordi si susseguono, le emozioni anche, ma Isaac continua il suo percorso con determinazione. Sa che il sentiero che imboccherà lo porterà lontano da Casa, dalle persone per lui più importanti, sa che continuare a vivere gli costerà fatica, sofferenza, infatti, nell’arrampicarsi è incerto, ogni tanto rischia di cadere, finché, finalmente non raggiunge la sommità. Qui è a sua volta esaustivo che non riesca comunque a compiere l’ultimo passo, non può farlo, è stremato, non può compiere l’ultimo balzo, non da solo, ed è qui che Dègel interviene, dandogli la mano e prendendolo di peso. Una volta giunto sulla rupe, il passaggio è fatto: Isaac è entrato pienamente nella sua terza vita, non sa cosa lo aspetterà, ma sa che sarà insieme a Dégel e Seraphina e che le persone che ama saranno dentro di lui, vivendo tramite lui medesimo. Separazione irreversibile? Mmmh, sì, per un bel po’ di tempo, poi, chissà, del resto c’è sempre questo presunto mondo dove tutti sorridono!

Ipisas: qui il riferimento è, ancora una volta, sulla mia serie principale, Ipsias è il nome di questa dimensione, vicinissima, gemella della Terra, chi ha letto Sentimenti che attraversano il tempo sa anche altro, su questo nome, che qui non dirò. Ora sapete dunque dov’è Isaac, anche nella mia serie principale e sapete perché non lo possono raggiungere, almeno per il momento...

Parallel hearts: questa opening, presa come detto all’inizio, dall’anime di Pandora Hearts, calza a pennello con tutta la mia storia, in una maniera che mi emoziona al solo pensarlo. Non sono solo i cuori, qui, ad essere paralleli, ma anche i due mondi. Sono davvero contenta di aver avuto questa intuizione!

Lo avrete certamente capito, ma l’ultimo pezzo della canzone, è una miscela tra la prima parte (quella di Camus) e l’ultima, di Isaac, le ho accorpate per darci pienamente il senso che volevo infondere in quest’opera, spero si esserci riuscita, ma me lo direte voi.

 

Dovrei (finalmente, direte voi!) aver finito, perdonate lo spiegone lunghissimo ma ci tenevo davvero a dirvi, con maggiori dettagli possibili, come la mia mente sia arrivata a questo. Sono molto fiera di questa mia storia, a mio parere una delle più belle scritte da me, spero possa piacere anche a voi. Vi ringrazio per avermi seguito anche qui, resto a disposizione per domande, congetture e teorie varie.

Vi saluto e vi ringrazio infinitamente! :)

 

 

 

 

 

 

 

 

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