Nel profondo di me

di Flaesice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo V ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX ***
Capitolo 11: *** Capitolo X ***
Capitolo 12: *** Capitolo XI ***
Capitolo 13: *** Capitolo XII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 15: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XV ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 19: *** Capitolo XVIII - Parte I ***
Capitolo 20: *** Capitolo XVIII - Parte II ***
Capitolo 21: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 22: *** Capitolo XX ***
Capitolo 23: *** Capitolo XXI ***
Capitolo 24: *** Capitolo XXII ***
Capitolo 25: *** Capitolo XXIII ***
Capitolo 26: *** Capitolo XXIV ***
Capitolo 27: *** Capitolo XXV ***
Capitolo 28: *** Capitolo XXVI ***
Capitolo 29: *** Capitolo XXVII ***
Capitolo 30: *** Capitolo XXVIII ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Erano trascorsi già diciotto giorni.
Quattrocentotrentadue ore.
Venticinquemilanovecentoventi minuti.
Un milione cinquecentocinquantacinque mila duecento secondi . 
Diciotto giorni durante i quali avevo portato a termine il lavoro in sospeso, avevo fatto visita alla Sunshine house, avevo cercato di comunicare con Tanya – che mi restava terribilmente ostile – ed ero stata con Nathan.
Ogni istante libero l’avevo trascorso con lui, incurante del tempo che passava in fretta.
Ero consapevole di quanto fossi pazza e masochista, eppure non potevo farne a meno.
Avevo vissuto senza remore, giorno per giorno, godendomi le sue attenzioni, beandomi dei suoi sorrisi, rilassandomi coi suoi teneri baci e rabbrividendo sotto il tocco delle sue abili mani.
Diciotto giorni durante i quali avevo amato con tutta me stessa, per la prima volta nella vita; avevo vissuto ad occhi chiusi, fidandomi totalmente di un uomo, trovando riparo tra le sue forti braccia, placando le mie ansie respirando il suo stesso respiro.
Diciotto giorni in cui avevo scoperto cosa fosse la complicità, la devozione, la fedeltà; e nonostante tutto, la mia compagna di vita – la menzogna – non mi aveva abbandonato.
Avevo mentito a Nathan giorno e notte, facendo l’amore nascondendogli i miei occhi lucidi aiutata dal buio che ci avvolgeva.
Non era stato facile, perché dopo venticinque anni avevo scoperto una nuova emozione: il senso di colpa.
Proprio io che me ne ero sempre fregata di tutto, adesso mi ritrovavo a combattere con un rimorso incessante.
Non sapevo se quella che avevo preso si sarebbe rivelata la scelta giusta, ormai mi sembrava di non sapere più niente e forse questa era la giusta punizione per chi come me aveva sempre ostentato tanta sicurezza.
Forse lo meritavo, per l'ennesima volta mi ritrovavo a pagare il prezzo di qualcosa senza conoscere nemmeno il motivo.
Anni ed anni di autolesionismo pur di costruirmi una corazza che alla fine non era stata in grado di proteggermi; mi ero innamorata di Nathan contro tutte le mie aspettative, e questa non era altro che la conferma di quel che avevo sempre sostenuto: amare significa soffrire, ed io ci ero cascata in pieno.

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


Capitolo I

Spensi il motore della mia auto e guardai fuori dal finestrino: il parcheggio della scuola era gremito di gente. Mi soffermai su ogni dettaglio; guardai il grande edificio di mattoni rossi appena oscurati dal muschio - laddove il sole non batteva quasi mai - l’edificio che mi aveva ospitata per quattro lunghi anni e dove avevo trascorso molti dei miei pazzi momenti.
Cercai di concentrarmi per imprimere ogni più piccolo particolare nella mia mente; dopotutto sarebbe stato l’ultimo anno che avrei trascorso in quell’ambiente ormai familiare, prima di trasferirmi definitivamente per il college, o qualsiasi altra cosa mi sarebbe andata di fare.
Scesi dall’auto ed inforcai i miei occhiali da sole - stranamente Newark, proprio per l’inizio dell’anno scolastico, aveva deciso di regalarci delle calde giornate di sole - ravvivai un po’ la mia folta chioma di capelli lunghi ed ondulati, presi la borsa sistemandola in spalla e con un click attivai la chiusura centralizzata.
Mi avviai verso il cortile quando in lontananza, seduti sulle scalinate della scuola, intravidi tutti gli amici che avevo perso di vista per le vacanze estive.
«Buongiorno ragazzi! » esclamai sorridente avvicinandomi a loro.
«Ehi, Penny! » Liza fu la prima ad alzarsi per venirmi incontro «Tesoro ma sei uno schianto, super abbronzata » mi baciò entrambe le guance con calore.
«Ciao Liz, anche tu stai davvero bene»
«Ma guarda un po’ tu, la mia migliore amica si è finalmente decisa di farsi viva» mi schernì una voce alle mie spalle.
Mi voltai incrociando così lo sguardo della ragazza che era mia amica da quasi tutta la vita.
«Tanya, tesoro!» mi gettai tra le sue braccia e strinsi forte.
Ci eravamo tenute in contatto per tutta l’estate ma, avendo trascorso le vacanze a Miami da mia madre, erano effettivamente tre mesi che non ci vedevamo.
«Come va? »  mi domandò.
«Tutto alla grande» ammiccai lasciandole intendere.
«Bene, bene. Oh, guarda chi sta arrivando, il tuo meraviglioso f i d a n z a t o » disse ridendo e scandendo bene quella parola, indicando un punto alle mie spalle.
Mi voltai di scatto e vidi il meraviglioso ragazzo che avanzava verso di me, il suo fisico scultoreo, spalle larghe, occhi profondi e penetranti, un sorriso mozzafiato.
Si avvicinò seguito dal suo gruppo di amici mentre vedevo gli occhi delle ragazzette del primo anno puntati su di lui, le loro espressioni sognanti, mi ritrovai a ridere.
“Povere illuse” riflettei tra me.
«Ciao bambolina, che piacere rivederti » il suo braccio si posò dietro la mia vita trascinandomi contro il suo petto duro, le sue labbra furono con prepotenza sulle mie.
«Ciao Nick» dissi ricambiando il bacio «Ehi ragazzi! » feci un cenno a Mark, Travis e Mike alle sue spalle.
«Come ti sono andate le vacanze? » domandò curioso.
«Alla grande» dissi sincera «E le tue?»
«Niente di che, il solito» alzò le grandi spalle guadagnate con anni di allenamento per il suo ruolo di quarterback nella squadra di football, gli sorrisi.
“Già, il solito”  pensai, chissà con quante ragazze era stato.
 Non che mi importasse più di tanto, anche io mi ero data il mio bel da fare e di certo non avevo opposto molte resistenze al corteggiamento dei bellissimi ragazzi super abbronzati dell’Arizona.
La campanella suonò segnando l’inizio delle lezioni, entrammo nella scuola percorrendo i corridoi super affollati di ragazzi che si stringevano contenti di ritrovarsi dopo mesi di lontananza, mi divisi da Nick e gli altri per recarmi all’aula di chimica insieme a Tanya e Liza.
Non appena entrammo notai il professore già seduto dietro la sua scrivania, gli spessi occhiali da vista inforcati mentre leggeva delle fotocopie che probabilmente erano dei test di verifica che ci avrebbe consegnato.
“Wow, cominciamo proprio bene ” storsi il naso.
Non adoravo molto studiare, preferivo di gran lunga impiegare i miei pomeriggi in passatempi più interessanti, primo tra tanti lo shopping con le amiche.
Presi posto accanto a Tanya, Liza si sedette nella fila alle nostre spalle con al suo fianco la simpaticissima Scarlett Zoe.
«Stamattina ho notato che Nick era veramente felice di vederti» mi sussurrò mentre il professore iniziò a spiegare il programma che avremmo dovuto seguire durante il corso dell’anno.
«Non dire sciocchezze Tanya, sai bene che tra Nick e me c’è ben poco all’infuori di una grande attrazione fisica » specificai «Certo ci piacciamo, ma la nostra è più una frequentazione senza impegno, non una storia»
«Questo lo so, ma proprio non capisco cosa ti spinge a non impegnarti, hai praticamente una schiera di ragazzi che non aspetta altro che un tuo cenno»
“Ti amo tanto, sai?”
“Anch’io piccola”
«Allora Penny?» Tanya mi scosse appena il braccio, mi ridestai.
«Senti chi parla, smettila di farmi la morale. Non mi risulta che tu faccia coppia fissa con qualcuno» le ricordai.
«Touchè! » esclamò ridendo appena prima di tornare all’ascolto dopo un’occhiataccia da parte del professore.
Tornammo a concentrarci sulla noiosissima lezione, nelle ore successive conoscemmo i nuovi professori di storia dell’arte e lingua straniera, rivedemmo la nostra adorata professoressa di lettere e prima che riuscissi a rendermene conto fu ora di pranzo.
Mi recai in mensa insieme agli altri del gruppo, presi posto nella fila e scorsi lentamente il vassoio lungo il ripiano aspettando che arrivasse il mio turno. Nonostante le alte aspettative per il nuovo anno scolastico le cose erano rimaste esattamente uguali alla stagione precedente. Sbuffai sonoramente attirando l’attenzione di chi era in fila con me, ero stanca di tutto ciò che mi circondava, di Newark e le persone che l’abitavano, del mio ruolo da capo cheerleader e dell’ossequio di tutte le ragazzette che ambivano a diventare come me, non sapendo in realtà come fosse davvero la mia vita.
Mi spinsi più avanti nella fila mentre i pensieri continuavano imperterriti nella mia mente, non appena sarebbe finito l’anno nulla mi avrebbe impedito di andare quanto il più lontano possibile.
Presi la mia solita porzione di insalata di pollo ed andai a sedermi al tavolo, iniziai a mangiare mentre chiacchieravo coi miei amici, gli argomenti erano gli stessi di sempre, andavano dallo sport ai festini notturni ai quali avremmo preso parte.
Involontariamente mi isolai da tutto il resto, lo sguardo perso nel vuoto mentre le voci delle persone intorno a me arrivavano come un’eco lontana.
I miei sensi si risvegliarono soltanto quand’ebbi la sensazione di essere osservata, iniziai a guardarmi intorno nella sala brulicante di gente fino a quando i miei occhi non si scontrarono con un intenso sguardo verde.
Notai la scomposta chioma ramata, il sorriso bianco e splendente stampato su un volto da bravo ragazzo.
“Ma certo, Nathan Wilkeman” gli sorrisi, sollevò timidamente una mano in un gesto di saluto e rimanemmo a fissarci per qualche istante.
Un piacevole formicolio allo stomaco mi portò a guardarlo con occhi diversi, la sua bellezza particolare era un qualcosa che non avevo mai riscontrato negli altri con cui ero stata e mi ritrovai a pensare che non mi sarebbe dispiaciuto giocarci un po’.
«Allora Penny, hai deciso che corso frequenterai quest’anno?» fu Tanya a rivolgermi la parola rompendo la magia di quel momento.
«Un corso? Che palle, devo proprio?» mi lamentai al sol pensiero.
«Sono crediti in più, utili per il diploma» mi ricordò. 
“Già, mi sarebbero proprio d’aiuto”
«Noi non abbiamo problemi, già essere nella squadra di football ci procura i crediti necessari» intervenne Nick con orgoglio, battendo il cinque a Travis, suo compagno di squadra.
«Puoi dirlo forte capitano» rispose quest’ultimo.
Scossi la testa indecisa, poi fui percorsa da un lampo di genio. Mi voltai nuovamente verso Wilkeman che adesso era intento a chiacchierare coi suoi amici, di profilo con quei capelli leggermente lunghi che gli ricadevano sulla fronte era ancora più sexy di quel che poteva sembrare.
“Ma certo!” esclamai tra me, era chiaro cosa avrei dovuto fare.
«Credo che mi iscriverò al corso di recitazione» affermai convinta.
«Recitazione?» chiese Liza storcendo il naso.
«Già bambolina, recitazione?» le fece eco Nick con una nota di disgusto nella voce.
«Beh sì, recitazione. C’è qualcosa che non va?» domandai piccata.
Magari non sarei stata un’ottima attrice, ma avrei avuto di sicuro l’opportunità per avere un contatto ravvicinato con Nathan, lavorarmelo per bene.
«Non c’è niente che non va, contenta tu piccola» mi lasciò un bacio a stampo poco gentile, incurante delle altre persone al tavolo, poi riprese a mangiare il suo pasto.
“Se otterrò quello che voglio, di sicuro non ce ne saranno” pensai soddisfatta mentre la prospettiva di questo nuovo pensiero prese a rendere tutto più interessante.
 
Una settimana dopo
 
Erano le quattro del pomeriggio quando feci il mio ingresso in teatro, la porta si richiuse  pesantemente alle mie spalle lasciando che un tonfo sordo si diffondesse in tutta l’aula, facendo così voltare tutti verso di me.
«Ben arrivata signorina Penthon, con mezz’ora di ritardo» mi rimbeccò la professoressa  Lorley, famosa per l’originalità con cui ogni anno proponeva un’opera classica in una trasposizione in chiave moderna.
«Mi scusi professoressa, ho avuto un imprevisto» cercai di giustificarmi.
“Avere incontri clandestini con Nick negli spogliatoi della palestra non lo definirei proprio un imprevisto” mi ritrovai a sorridere a questo pensiero.
«Bene, prenda posto» disse indicandomi una sedia vuota, fui sorpresa di vedere che quel posto era proprio accanto al mio obiettivo.
Mi sedetti e mi voltai verso ragazzo alla mia destra «Ciao Wilkeman» sfoggiai uno dei miei migliori sorrisi.
Dopotutto, nonostante non frequentassimo lo stesso giro d’amicizie, c’erano state un paio di occasioni che ci avevano portato a conoscerci, un anno avevamo frequentato lo stesso corso di spagnolo.
«Ciao Penelope» anche lui mi sorrise, mi ritrovai ad osservare le sue labbra piene e delineate pensando a quanto sarebbe stato bello poterle imprigionare tra i miei denti.
“Cavolo Wilkeman, cosa non ti farei”
La Lorley prese a spiegare l’opera che avremmo dovuto mettere in scena: Romeo e Giulietta.
Durante tutta l’ora finsi di interessarmi alla spiegazione dei personaggi, dei loro caratteri e di come avremmo dovuto interpretarli.
“Chi è lo stolto che non conosce Romeo e Giulietta?” mi chiesi scocciata, ricordandomi perché lo facevo.
Non mi stupii affatto quando Nathan ottenne il ruolo di Romeo, frequentava teatro fin dal primo anno di liceo, era una sorta di pupillo della professoressa, e non potevo negare che in tutte le recite in cui l’avevo visto all’opera era stato davvero bravo.
La parte di Giulietta, ovviamente, andò a Scarlett, secchiona di prim’ordine, e mi stupii quando ottenni la parte di Rosalina, parente di Giulietta e prima innamorata di Romeo.
Niente male davvero.
A tutti furono consegnati i copioni, la professoressa fece evidenziare ad ognuno le battute che l’avrebbero riguardato prima di chiedere a Scarlett e Nathan di recitare una piccola scena per far rendere conto a noi altri di come sarebbe dovuta avvenire l’interpretazione.
Mi soffermai sulla figura di Nathan, sulle sue movenze eleganti, sulla voce profonda che aveva mentre decantava il suo amore a Giulietta.
Quando la lezione finì ci salutammo dandoci appuntamento per la settimana successiva, tutti uscirono dall’aula mentre ero intenta a sistemare il copione nella mia borsa, quando avvertii una voce dietro di me.
«Allora, come mai quest’anno hai scelto proprio il corso di recitazione?»
Mi voltai e vidi che Nathan era proprio davanti a me. Sorrisi soddisfatta, forse conquistarlo sarebbe stato molto più semplice di quel che credevo.
«Beh, ci tenevo a fare qualcosa di diverso» risposi facendo spallucce e caricandomi la borsa in spalla.
«Quindi non lo fai per i crediti di fine anno?» mi guardò con un’espressione furba ed indagatrice.
«Diciamo che… non lo faccio solo per quello» lo squadrai da capo a piedi mordendomi lievemente il labbro, cercando di provocarlo.
Per un attimo i suoi occhi parvero brillare di una strana luce, poi inclinò la testa guardando verso il basso e si passò una mano tra i capelli, come fosse in imbarazzo «Adesso devo andare, ci... becchiamo in giro»  disse con esitazione.
«Ci puoi giurare» risposi promettendolo più a me stessa che a lui.
 
La settimana trascorse in fretta tra lezioni da seguire, uscite serali con Liza, Tanya ed i ragazzi, gli incontri “clandestini” con Nick.
Tutto procedeva come al solito, mi occupavo della casa e di mio padre, impegnato  quasi perennemente nel suo lavoro al porto, così potevo invitare le mie amiche quando volevo, proprio come in questo momento.
«Allora Penny, hai fatto quella ricerca sulla rivoluzione americana che ci ha assegnato la professoressa Keller?» domandò Tanya mentre era intenta a laccarsi le unghie di un rosso sgargiante.
«In verità non ancora, in questi giorni non ho fatto altro che pensare al corso di recitazione» ammisi sorridendole.
«Sul serio? Vuoi dirmi che davvero ti interessa?» chiese sbalordita dalla mia rivelazione.
«Mi interessa, ed anche molto. Forse non proprio il corso, piuttosto “chi” lo frequenta»
Mi guardò sorpresa e perplessa al tempo stesso, non riusciva a capire a cosa o chi mi riferissi.
«Wilkeman» dissi rispondendo alla sua domanda inespressa, i suoi occhi si allargarono per lo stupore.
«Wilkeman? Nathan Wilkeman?» chiese conferma.
«Proprio lui» asserii.
«In effetti non è niente male, anche se è così riservato, in questi anni non l’ho visto quasi mai con una ragazza» disse quasi fosse un difetto.
«Mi piace, misterioso» dissi alzandomi di scatto sul letto, con fare teatrale «Con quegli occhi verdi, quel sorriso mozzafiato, e le sue labbra poi...» mi portai le mani sul cuore battendo forte le palpebre, poi mi rigettai sul letto abbracciando il cuscino.
Tanya scoppiò a ridere «Il corso di recitazione comincia a farti male » scosse la testa prima di tornare a concentrarsi sulla sua manicure «E Nick?»
«Te l’avrò detto un milione di volte» la rimbeccai «Nick ed io non ci siamo giurati fedeltà eterna» dissi quasi scocciata.
«Contenta tu» fece spallucce.
«Oh lo sarò» sorrisi tra me al pensiero di quel che avevo in mente «Molto presto» aggiunsi sicura.
 
La professoressa Lorley continuava a guardarci con aria attenta e soddisfatta mentre provavamo le nostre parti, ci spiegava come avremmo potuto interpretare al meglio i personaggi, e quando l’ora di andarcene fu arrivata pensai che il tempo non era mai passato così in fretta; in fondo potevo dire di essermi divertita e che la recitazione era un bel passatempo.
Salutai gli altri ragazzi, che tutto sommato non erano poi così sfigati come avevo pensato per anni, e, prima di uscire, mi avvicinai a Nathan.
«Ciao» lo salutai.
Non appena ebbe alzato lo sguardo verso di me sentii il mio corpo irrigidirsi, i suoi erano dei normalissimi occhi verdi come li avevano altri miliardi di persone sulla terra eppure erano capaci di paralizzarmi.
«Ciao Penelope» rispose gentile come sempre.
«Penny» precisai alla svelta «Chiamami Penny»
«D’accordo, Penny» mi sorrise e si passò una mano tra i capelli.
“Sta’ attento Wilkeman, potrei non rispondere delle mie azioni” pensai divertita tra me.
«Senti, io… avrei bisogno di una mano con la mia parte, non ho molta esperienza, invece tu sei bravissimo» cercai una scusa plausibile per trascorrere un po’ di tempo con lui, da sola.
«Ti ringrazio, se vuoi possiamo farlo anche adesso» propose.
«Sarebbe fantastico!» esclamai sorpresa dalla sua disponibilità.
«Dai, prendi il copione e fammi dare uno sguardo»
«Come, qui?» chiesi di getto, poi mi ricomposi «Perché non andiamo in un posto più tranquillo? Potremmo andare da me?» domandai prima che potesse aggiungere altro.
«In verità al momento non ho molto tempo, se vuoi possiamo fare la prossima settimana»
Storsi appena il naso, non mi andava l’idea di aspettare un’altra settimana ma non avevo scelta.
«Certo, nessun problema» ripresi il copione dalla borsa e glielo porsi.
Quando lo prese le nostre dita si sfiorarono appena e mi sorpresi di quanto le sue fossero lisce e delicate, non proprio simili a quelle di Nick, dure e robuste, o a quelle di tutti gli altri ragazzi con cui ero stata.
«Allora, fammi dare uno sguardo» iniziò a sfogliare le pagine e a leggere le righe evidenziate «Bene, tu sai che Rosalina è la cugina di Giulietta vero?»
«Ma certo che lo so, Wilkeman» gli sorrisi, lui ricambiò con un espressione di ovvietà sul bel volto.
«Lei è stata la prima fidanzata di Romeo, quindi quando quest’ultimo si fidanza con Giulietta non la prende tanto bene» spiega.
«Ovviamente»
«Tu sarai gelosa, ma dovrai cercare di celare questa tua gelosia»
«Bene, credo di poterci riuscire» ripresi il copione ed iniziai a leggere «Non sono un personaggio poi così importante, ho pochissime battute» constatai.
«Ti sbagli Penelope, in un opera teatrale tutti sono importanti, anche le comparse che dicono al massimo una battuta o forse addirittura niente. E’ un po’ come nella vita reale, anche la persona con cui scambi due parole sul bus significa qualcosa, ogni incontro può cambiare il corso dei tuoi giorni»
Le parole uscivano dalle sue labbra con una tale intensità e convinzione che ne rimasi ammaliata, quando mi ridestai gli sorrisi ancora «Molto saggio, Wilkeman»
«Ti ringrazio Penny. Adesso però devo proprio andare, se vuoi mi terrò libero per la prossima settimana»
«Sì che lo voglio» dissi con un entusiasmo che di solito non mi apparteneva «Ciao e grazie ancora» mi avvicinai a lasciargli un bacio proprio vicinissimo alle labbra, averlo così vicino mi permise di sentire il suo profumo dannatamente buono e non potei fare a meno di pensare che nel corso della lunga settimana che mi separava dal nostro prossimo incontro non avrei fatto altro che rievocarlo.

 
NdA: Per il banner della storia ringrazio infinitamente Elenri, mia cara lettrice e sostenitrice.  

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***


Capitolo II
 
Aspirai l’ennesima boccata dalla canna che Tanya mi aveva passato, il fumo mi attraversò denso la gola bruciando appena, annebbiando i miei sensi già storditi.
Avevo le mani gelate e arrossate, mi strinsi di più nel cappotto di lana cercando di contrastare il freddo umido della notte di Newark.
Mio padre, come spesso capitava, era di turno quella notte per lo scarico di container presso l’Elizabeth Marine Terminal, quindi non mi sarei dovuta preoccupare di fare presto per tornare a casa.
«Ehi piccola, lasciami un tiro» il tono di voce di Nick era alto come al solito, allungò la mano per prendersi la canna che pendeva dalle mie labbra secche, mi soffermai a guardare le sue dita grosse che mi fecero tornare alla mente quelle di Nathan.
Nathan e Nick erano totalmente ai due poli opposti, caratterialmente e fisicamente, eppure non riuscivo a capire come potessero attrarmi entrambi.
Era un mistero per me capire perché improvvisamente avessi deciso di avere un’avventura con Nathan, dopotutto Nick non mi faceva mancare niente sul piano fisico; eppure, c’era stato qualcosa nel modo in cui Nathan mi aveva fissato a mensa che mi aveva provocato uno strano brivido.
Insolito, ma dannatamente piacevole.
«Tesoro è tutto ok?» la voce di Tanya mi arrivò lontana nonostante si trovasse a pochi centimetri da me, distraendomi.
«Sì, perché me lo chiedi?»
«Ti vedevo persa nei tuoi pensieri» disse sorridendomi, un sorriso a metà tra il comprensivo e lo strafatto.
Inarcai un sopracciglio sorridendo sarcastica «Sei sempre così profonda dopo due tiri di canna?» la beffeggiai.
«Non sviare il discorso Penny, lo riprenderemo quando sarò più lucida» badò bene a puntarmi il suo indice contro in un vano tentativo di risultare minacciosa, poi si portò il palmo alla testa come a volerla sorreggere «Che mal di testa! » esclamò «Credo che tornerò a casa, tu che fai?»
«Vengo con te» mi alzai raccogliendo la mia borsa che misi a tracolla.
«Già vai via piccola?» domandò Nick trattenendomi per un braccio «Non ti va se ti riaccompagno io tra un po’?» mi guardò coi suoi grandi occhi bruni, il suo sguardo carico di promesse su quello che mi avrebbe riservato.
«No grazie, preferisco andare ora»
Vidi un’espressione di pura sorpresa comparire sul suo volto, le risatine dei compagni che cercavano di trattenersi alle sue spalle non erano certo d’aiuto ma per fortuna non aggiunse altro.
Sapevo da cosa dipendesse il suo stupore, non era mai capitato prima che gli dessi buca ma proprio non avevo voglia di andare oltre per quella sera.
Salutai tutti prima di salire in auto con Tanya, in meno di dieci minuti fummo fuori casa mia e augurai una buona notte anche a lei dopo essermi assicurata che fosse abbastanza lucida da tornare a casa da sola.
Entrai in casa e senza curarmi di accendere le luci salii a tentoni fino in camera mia, tirai fuori il pigiama dall’armadio e, dopo averlo indossato, andai a lavare i denti.
Soliti movimenti, stessa routine di sempre, in uno stato mentale di stand by che non sapevo se ricollegare più ai miei pensieri strani o alle canne che avevo fumato.
Sprofondai nel materasso, tirai la trapunta a coprirmi fin sulla testa.
“Sarà speciale?”
“Certo, te lo prometto!”
Scossi bruscamente la testa, nel buio più totale mi apparvero quegli occhi verdi fin troppo dolci, un brivido mi corse lungo la schiena mentre la mia mano scivolava lentamente verso il basso.
Presi a sfiorarmi con delicatezza, la stessa che immaginai solo lui potesse avere. Strinsi di più gli occhi ed aumentai il ritmo quando il suo sorriso si diffuse nella mia mente, l’onda del piacere si impossessò dei miei sensi e mi lasciai cullare dall’incoscienza sussurrando il suo nome che riecheggiò come un’eco nella solitudine della mia stanza.
 
«Penny, svegliati che sei in ritardo»
La voce di mio padre mi rimbombava nelle orecchie come se fosse stata urlata attraverso un megafono, mi rigirai nel letto portando il cuscino a coprirmi la testa mentre dei versi indistinti uscivano dalle labbra in un lamento confuso.
«Penny mi hai sentito?» chiese ancora, perentorio.
«Sì, sono sveglia ma smettila di urlare» mi lamentai mentre provavo ad alzarmi, la testa pesante e le membra intorpidite non aiutavano.
«Hai fatto tardi ieri sera signorinella?»
La figura di mio padre - ancora in divisa da lavoro dopo essere rientrato dal turno di notte - a braccia conserte sotto l’uscio della porta della mia stanza, incuteva quasi terrore, una posa che stava a significare “non mentirmi”.
«Sì, papà» ammisi «Ho studiato per un compito fino a tarda sera, anzi devo anche sbrigarmi»
“Mezza verità”
I suoi occhi scuri mi scrutarono qualche secondo, arricciò il naso poco convinto lasciando che i suoi baffetti seguissero quel buffo movimento «D’accordo, diciamo che ti credo. Adesso sbrigati, io vado a riposare»
Mi alzai e corsi in bagno, la mia immagine riflessa allo specchio era da far paura, gli occhi appena arrossati ed i capelli scomposti senza contare che di lì a poche ore avrei dovuto incontrare Nathan per le prove.
Mi gettai nella doccia lavandomi quanto più in fretta possibile, indossai i miei fidati jeans ultra aderenti ed una felpa rossa abbinata alle mie adorate scarpe da ginnastica, sistemai i capelli come meglio potevo e mi truccai appena.
Arrivai a scuola giusto in tempo per l’inizio delle lezioni, presi a correre per i corridoi quando ad un tratto andai a sbattere contro qualcuno pregando con tutta me stessa che non fosse un professore o, peggio ancora, il preside.
«Mi scusi» sussurrai alzando lo sguardo, mi scontrai con un paio d’occhi luminosi e divertiti.
«Solo per questa volta, ma stia più attenta in seguito»
Sorrisi divertita «Nate, ciao» lo salutai «Anche tu in ritardo?» chiesi.
«In verità il professore mi ha mandato a prendere dei documenti in presidenza» disse agitando un plico di fogli in aria.
“Beh certo, come ho potuto pensare che il perfettino Nathan Wilkeman potesse essere in ritardo?”
«Capisco» annuii «Scusa ma adesso devo proprio andare se non voglio che il professore mi metta una nota»
Feci per andarmene quando la sua voce mi richiamò «Penny, aspetta! Ti ricordi oggi delle prove dopo la lezione in teatro?»
Mi voltai lentamente, lo squadrai da capo a piedi mangiandolo con gli occhi «Come potrei dimenticarmene?» sussurrai mordendo appena le labbra sotto il suo sguardo lievemente imbarazzato, poi andai via.
Quando entrai in classe il professore era già sistemato dietro la cattedra pronto a consegnare i compiti, il suo sguardo sottile da sotto le lenti la diceva lunga.
«Mi scusi per il ritardo» dissi correndo al mio posto accanto a Tanya, sperando non replicasse.
«Come mai così tardi?» mi sussurrò lei all’orecchio.
«Non ho sentito la sveglia»
Annuì sorridendomi, poi ci concentrammo sul compito di chimica dinnanzi a noi.
“Bel modo di iniziare la giornata” pensai.
Il tempo quel giorno pareva non voler passare mai, mentre ad ogni ora non facevo altro che sentirmi più eccitata per l’incontro con Nathan.
Durante la pausa pranzo mi stupii di non vederlo in sala mensa e quasi temetti che qualche imprevisto l’avesse spinto a tornare a casa, ma quando alle quattro in punto varcai la porta del teatro, vidi che fortunatamente era già in prima fila pronto ad iniziare.
Presi posto poco distante da lui, a separarci c’erano come al solito Scarlett Zoe e la sua migliore amica, sfigata almeno quanto lei.
I nostri sguardi si incrociarono e con le labbra mimai un “Ciao” alla quale rispose con un gesto della mano accompagnato da uno dei suoi sensualissimi sorrisi, un atteggiamento che mi fece beccare un’occhiataccia da parte di Scarlett che probabilmente teneva particolarmente a Nathan.
“Povera idiota” pensai tra me.
L’ora trascorse lentamente nella fremente attesa, cercai di concentrarmi il più possibile sulla lezione ma la vicinanza di Nathan e la piacevole sensazione che avvertivo tra le cosce non mi davano tregua.
Non mi spiegavo perché avessi così tanta voglia di fare sesso proprio con lui, se dipendesse da quell’aria di bravo ragazzo o dal suo essere di una bellezza decisamente fuori dai soliti canoni.
La professoressa Lorley finalmente annunciò la fine della lezione ed il formicolio che avvertivo sotto la pelle era chiaro segno della mia impazienza.
«Allora sei pronta per questa lezione privata di arti sceniche?» chiese Nathan avvicinandosi.
«Non ho aspettato altro per una settimana» ammisi senza mezzi termini.
«Nathan andiamo al bar per un frullato, vieni con noi?» venimmo interrotti da Scarlett che si mise con disinvoltura sotto il braccio di Nathan e mi riservò uno sguardo truce.
Sorrisi divertita, per nulla intimorita dal suo stupido atteggiamento da ragazzina.
Voleva sfidarmi? Bene, avrei sfoderato le mie armi.
«Scusa Scilla»
«Mi chiamo Scarlett» disse indispettita.
«Sì, fa lo stesso» la liquidai con un gesto di sufficienza «In qualunque caso Nathan ed io abbiamo un appuntamento, quindi credo che dovrete rimandare il vostro… frullato» la guardai da capo a piedi per ricordarle quanto fosse insignificante la sua bellezza.
Storse il naso e si dileguò dopo un breve saluto rivolto al “suo” Nathan.
«Bene, allora andiamo da te?» chiese passandosi una mano tra i capelli, lievemente in difficoltà.
Forse per chi come Nathan era sempre così gentile non era facile capire i miei modi di fare, ma non ci badai troppo.
«Certo, ho la macchina proprio qui fuori»
Annuì e ci avviammo all’uscita per raggiungere la mia auto.
Presi posto al lato del guidatore, Nathan al mio fianco non sembrava affatto a disagio e subito mi venne da pensare a Nick che al suo posto non avrebbe fatto altro che ripetermi quanto potesse essere da finocchi farsi trasportare da una donna.
Alzai gli occhi al cielo e mi rimproverai mentalmente del fatto che continuassi a fare paragoni tra i due, nonostante fossi consapevole di quanto erano diversi l’uno dall’altro.
Arrivammo a casa in fretta, dopo aver scambiato solo qualche parola in merito alle lezioni e al corso di teatro che stavamo seguendo.
Scoprii quanto Nathan fosse un ragazzo estremamente serio e preparato su ogni sorta di argomento, non che potessi aver dubbi sulla sua intelligenza.
Entrammo in casa, da brava persona ospitale mi premurai di offrirgli qualcosa da bere e di fargli fare un giro completo della piccola villetta di famiglia «E questa è la mia stanza» dissi infine, entrando in camera mia.
Mio padre era nuovamente di turno al porto, nella sua vita non faceva altro che lavorare, e la casa era totalmente a nostra disposizione.
«Molto carina» disse dopo essersi guardato intorno.
«Ti ringrazio, accomodati» gli indicai la sedia accanto alla scrivania, poggiò la cartella su di essa prima di sedersi.
«I tuoi non sono in casa?» domandò di getto e dal suo sguardo capii che forse era a disagio.
«No, mio padre è a lavoro, mia madre vive a Miami col suo compagno» spiegai.
« Scusami, non sapevo fossero separati»
«Tranquillo» gli sorrisi poi andai a sedermi sul letto, incrociai le gambe tra di loro rilassandomi «Allora da dove iniziamo?» chiesi entusiasta perché sapevo già che qualunque fosse stato il punto da dove avremmo cominciato ci sarebbe stata una sola cosa alla quale saremmo andati a finire.
Non poteva essere altrimenti, negli atteggiamenti e nel corpo di Nathan potevo leggere la stessa tensione sessuale che animava me, il modo in cui mi guardava e sorrideva faceva capire che era soltanto la sua timidezza ed il suo essere un ragazzo a posto che lo frenava.
«Potresti iniziare facendomi vedere come reciti le tue battute» mi disse semplicemente, scrollando le spalle.
«Sì, potrei» dissi inclinando lievemente la testa di lato ed annuendo «Oppure…» mi alzai per andargli incontro, mi avvicinai pronta a rompere quel muro di ghiaccio che pareva paralizzarlo «...potrei iniziare facendo questo» dissi calandomi su di lui a sfiorare appena le sue labbra, un tocco fugace che bastò a far reagire ogni più piccola particella del mio corpo.
Quando mi allontanai il suo sguardo confuso fu quel che di più dolce avessi mai visto, non riuscii a spiegarmi il motivo di tanto stupore da parte sua.
«Ehi, cosa c’è?» domandai sfiorandogli appena i capelli, li sentii soffici scivolarmi tra le dita «Forse non ti piaccio?» gli sorrisi appena, consapevole che sicuramente non era quello il problema.
«Penny, non è questo. Tu… sei una bellissima ragazza ma...» si bloccò, indeciso.
«Ma cosa?» lo esortai a continuare decisamente curiosa.
«Beh, tu stai con quel tipo: Nicholas McCarty. Io non sono il tipo di ragazzo che...»
Gli posai un dito sulle labbra invitandolo a non continuare «Nick ed io non stiamo insieme, se è questo che ti preoccupa. Siamo amici, ci frequentiamo, ma senza nessun coinvolgimento emotivo» gli spiegai, sperando che in questo modo si sciogliesse appena.
Dopotutto era la verità.
Se Nick poteva divertirsi con altre ragazze perché non avrei potuto farlo anch’io?
Mi avvicinai nuovamente, presi il suo labbro inferiore tra i denti ma questa volta, quando le nostre labbra si sfiorarono, Nathan posò le sue mani tra i miei capelli per avvicinarmi di più al suo corpo.
Colsi il suo atteggiamento come un invito, ne ebbi conferma quando con la lingua gli sfiorai il labbro inferiore e le sue labbra si schiusero per accogliermi.
Le nostre bocche presero a muoversi all’unisono, le lingue si incrociarono languide mentre le sue mani continuavano a carezzarmi i capelli e la nuca.
“Cavolo, se bacia bene”
Lo invitai ad alzarsi, i suoi occhi verdi erano spalancati e lucidi, lo attirai verso il letto e presi in mano la situazione; lo feci stendere mettendomi a cavalcioni su di lui. Aveva il volto completamente arrossato e le labbra dischiuse, immediatamente avvertii la sua erezione spingere contro la patta dei jeans, sfregare contro la mia eccitazione, ed in un attimo fui in balia dei miei sensi.
Con le dita mi insinuai sotto la sua maglia iniziando a tracciare delle linee immaginarie sulla sua pelle liscia, sentii solleticarmi dalla peluria appena pronunciata, e la sensazione fu di gran lunga migliore di quello che avevo immaginato.
Mi sollevai un istante da lui facendo leva sulle ginocchia, lo guardai steso sotto di me, totalmente vulnerabile, provando una sensazione di invincibilità.
Afferrai i lembi della mia maglia e feci per sollevarla, impaziente, quando una sua mano mi bloccò per il polso.
«Penny, aspetta!» aveva la voce roca e le labbra gonfie per i baci appena dati, troppo irresistibile perché potessi aspettare un solo istante di più.
«Cosa dovrei aspettare?» domandai sorridendogli e spostando il mio peso sul letto, per dargli la possibilità di sollevarsi appena.
Eravamo ora seduti l’uno di fronte all’altra e nel suo sguardo leggevo qualcosa che non riuscivo a decifrare, sembrava quasi… incertezza?
«Non lo so... è solo che…» ancora una volta non terminò la frase,un forte rossore si impossessò del suo viso.
Cercai di capire dove fosse il problema, se avessi sbagliato qualcosa.
«Dai Nate, sembra quasi come se tu non fossi mai stato con una ragazza» dissi ridendo, nel tentativo di alleggerire la situazione.
I suoi occhi dapprima fissi nei miei si abbassarono verso le sue mani, sembrava in imbarazzo e capii che qualcosa non quadrava.
“Possibile non sia mai stato con una ragazza? Un tipo come lui?” pensai enormemente stupita.
«Nathan, allora?» con le dita gli sfiorai il mento esortandolo a guardarmi, il suo sguardo adesso era scuro ed intenso, carico di orgoglio.
«E’ così in verità» disse dopo qualche istante, la sua voce era dura, quasi offesa «Non ho mai fatto sesso prima, e allora? Dov’è il problema?»
La sua confessione mista alla grinta che avvertivo nella sua voce non fece che aumentare il mio desiderio, non era cosa di tutti i giorni avere l’opportunità di stare con un ragazzo senza un minimo di esperienza, essere la sua prima donna, quella che magari avrebbe conservato per tutta la vita in un dolce ricordo adolescenziale.
«Non c’è nessun problema» ammisi, e lo pensavo sul serio, anzi trovavo la situazione alquanto divertente e stimolante «Ti piacerebbe se fossi io la prima?» gli proposi senza alcun pudore.
La sua espressione fu di sincera meraviglia, come se davvero si fosse aspettato che l’avrei mandato via, magari deridendolo, dopo quella rivelazione.
«Mi sei sempre piaciuta, Penny» ammise di getto, mentre i suoi occhi si fecero più lucidi per l’imbarazzo.
Fu una strana sensazione, ma quel momento fu pervaso di una dolcezza che non avevo mai provato prima, le sue parole mi accarezzarono l’anima fin nel profondo.
Gli sorrisi semplicemente, prendendo la sua confessione come un invito a proseguire.
Mi tolsi la maglia e presi una sua mano posizionandola sul mio seno, lo invitai a toccarmi, a esplorarmi, sarei stata ben volentieri la sua cavia per la prima volta in cui avrebbe scoperto cosa significava fare l’amore con una donna.
Cominciò ad accarezzarmi, le sue dita si infilarono sotto la stoffa del reggiseno e mi ritrovai a sospirare.
Chiusi gli occhi per godermi il momento e mi stupii quando le sue labbra cercarono le mie, baciandole con una dolcezza inaudita.
Presi i bordi della sua maglia e la tirai via, cominciai ad accarezzare le sue spalle larghe, la sua schiena liscia, mi avvicinai per baciargli il collo, scendendo poi verso la spalla, la clavicola, inebriandomi pian piano del meraviglioso profumo che emanava la sua pelle.
Decisi che volevo tutto di lui, le sue mani su tutto il mio corpo.
Mi alzai sotto il suo sguardo perplesso, mi sfilai i pantaloni poi passai a lui. Mi occupai di scarpe e calzini, poi sbottonai la chiusura ed abbassai la cerniera dei suoi pantaloni, prima di sfilarglieli definitivamente.
Potevo notare il suo respiro agitato e l’erezione che si ergeva da sotto i boxer, testimone del suo desiderio che ardeva al pari del mio.
Mi tirai indietro sul letto fino a ritrovarmi stesa, presi la sua mano invitandolo ad avvicinarsi, chiusi gli occhi e con una mano tra i capelli lo avvicinai al mio volto ed iniziai a baciarlo con trasporto.
Non avevo mai prediletto i baci durante il sesso, ma sentivo che questa volta era diverso, c’era qualcosa di intenso, magico. Pensai che fosse dovuto ai modi gentili di Nathan, alla sua dolcezza disarmante, al fatto che mi sentivo quasi come se dovessi proteggerlo.
Sentivo il calore del suo corpo accanto al mio, la sua pelle nuda e bollente che mi ricopriva totalmente. Coi piedi gli sfioravo le gambe, con le mani gli toccavo il petto, le braccia, la schiena, ed anche lui faceva lo stesso.
Era come se ci stessimo esplorando, tracciando delle linee calde ed immaginarie sui nostri corpi.
Me la presi con calma perché ne avvertivo il bisogno, perché volevo che per Nathan fosse indimenticabile,  e soprattutto perché per un attimo mi ritrovai a sperare che quel momento così intimo durasse per sempre.
Ad un tratto presi la sua mano e la guidai tra le mie gambe, sotto gli slip. Con dei movimenti lenti gli feci capire come doveva muoversi e le sue dita, seppur inesperte, seppero eccitarmi oltre ogni immaginazione.
Continuando a baciarlo mi sfilai a fatica il reggiseno, feci scivolare i miei slip lungo le gambe, poi passai ai suoi boxer.
Eravamo entrambi nudi, Nathan si fermò un istante per contemplare il mio corpo e potevo vedere con evidenza il tremolio che si era impossessato di lui.
Ci guardammo, ed in quell’attimo non avemmo bisogno di parole perché i nostri corpi parlavano per noi.
Lo feci stendere di schiena per farlo rilassare: iniziai baciandogli le labbra, poi scesi sempre più giù lungo il petto, risucchiai i suoi capezzoli, leccai quell’addome piatto.
Potevo sentire chiaramente il suo respiro pesante, la tensione che pian piano lasciava spazio all’attesa del piacere.
Arrivai fin sopra il suo inguine, con la mano gli sfiorai il membro duro e, proprio quando stavo per accoglierlo tra le mie labbra, Nathan mi fermò.
«No Penny, ti prego, non… resisterei…» la sua voce era affannata, colma di desiderio.
Mi tese una mano per aiutarmi a rialzarmi, lo guardai negli occhi prima di stendermi lasciando che si posizionasse sopra di me, tra le mie cosce.
I suoi occhi erano colmi di passione, aveva le labbra schiuse come le mie, e le sue braccia tremanti cercavano di farsi leva per non gravare col suo peso.
«Non... avremmo bisogno di… una protezione?» mi chiese insicuro.
«Non preoccuparti» sussurrai «Pensiamo soltanto a rendere questo momento perfetto, al resto penserò io»
Annuì. Accarezzai il suo volto dai tratti gentili e delicati, poi con la mano scesi verso il basso, sfiorai la sua eccitazione e la guidai verso la mia entrata.
Nathan spinse appena, inarcai la schiena per aiutarlo ed in pochi istanti lo accolsi completamente dentro di me.
Strinsi spontaneamente gli occhi e sentii un peso formarsi nello stomaco quando cominciò a muoversi, mi sentivo come se non avessi mai fatto sesso prima di allora.
Continuai a guardare le espressioni di puro piacere miste a stupore che si facevano strada sul suo volto mentre si perdeva dentro di me, in quel momento mi sembrò lo spettacolo più affascinante che avessi mai visto in vita mia.
Le sue labbra mi cercarono ancora, così come le sue mani che vollero a tutti i costi stringere le mie, sfiorarmi ed accarezzarmi. Lo assecondai, con le unghie mi aggrappai spasmodicamente alle sue spalle, percorsi la sua schiena lasciando dei solchi profondi nel tentativo di sentirlo più vicino, più mio.
« Oh... Nate...» mi ritrovai a gemere al suo orecchio, meravigliandomi del trasporto con il quale stessi vivendo quest’esperienza.
Aumentò l’intensità delle sue spinte mentre potevo sentire i lievi mugolii del suo piacere perdersi nella mia bocca.
Tutto questo servì a farmi perdere completamente il contatto con la realtà, strinsi le gambe intorno al suo bacino spingendolo fino in fondo e, quando le contrazioni del mio orgasmo l’avvolsero, si spostò in un istante riversando il suo caldo piacere sopra di me.
Durò tutto pochissimi istanti, ma fu più bello di tutte le altre volte che avevo fatto sesso.
Nathan sospirò pesantemente stendendosi al mio fianco, le guance arrossate e la fronte imperlata di sudore, i suoi occhi incatenarono i miei.
«Scusami» disse «Io... non volevo, è solo che... non ho saputo controllarmi» potei notare l’imbarazzo nella sua voce.
«Tranquillo, è tutto ok» allungai una mano verso il comodino per prendere un fazzolettino, mi ripulii e gli sorrisi appena.
Continuava a guardarmi, squadrarmi da capo a piedi, senza dire nulla, potevo sentire solo il rumore del suo respiro, e per un attimo mi sentii imbarazzata e coprii lievemente la mia nudità con le mani.
Nathan parve accorgersene, una sua mano mi accarezzò una guancia ed arrossii, rimanendo di stucco.
“Perché cavolo il mio corpo sta reagendo in questo modo così assurdo?” quasi mi rimproverai.
«Sei stupenda, Penny» mi sorrise con calore, e nonostante quello che era appena successo sentivo che non c’era malizia in quel commento, era un complimento sincero.
«Grazie Nathan, anche tu sei niente male» cercai di scherzarci su, poi guardai l’orario sulla sveglia e mi meravigliai di come il tempo fosse volato «Dovresti andare, mio padre tornerà tra una mezz’ora, non vorrai che ti trovi qui»
«Oh no, assolutamente» si alzò di scatto a recuperare i suoi indumenti, feci lo stesso e, mentre entrambi ci rivestivamo, di tanto in tanto i nostri occhi si incrociavano, ci sorridevamo appena.
Lo accompagnai alla porta «Sicuro che... non vuoi nemmeno qualcosa da bere?» non sapevo cosa dire, era una situazione così inverosimile, come mai ne avevo vissute prima.
«No grazie, meglio che vada. Ciao Penny» si avvicinò a lasciarmi un bacio sulle labbra, la sua lingua si insinuò nella mia bocca e chiusi gli occhi godendomi la semplicità di quel gesto.
Quando si allontanò mi sorrise, poi uscì di casa. Richiusi la porta e mi poggiai contro di essa sospirando, tornai in camera per sistemare e passando dinnanzi la specchiera vidi il mio sorriso riflesso e mi fermai.
“Cosa mi sta succedendo?” mi domandai “Cos’è questo sorriso da ebete e questo nodo allo stomaco che avverto dentro?”
Mi guardai ancora allo specchio, sorpresa.
Perché aver fatto sesso con Nathan mi faceva sentire in questo modo così strano, libera e leggera?
Perché i suoi modi erano stati così gentili e premurosi nei miei confronti?
Scossi la testa.  No, non potevo permettermi di sentirmi così vulnerabile a causa di un ragazzo. Non era previsto e non l’avrei permesso.
Mi gettai immediatamente sotto la doccia, il getto bollente mi sfiorava la pelle ancora sensibile, mi insaponai una, due volte, ma il suo odore pareva non voler andare via.
Quando finii indossai l’accappatoio, attraverso il vapore che si era formato nell’aria riuscii a vedere i miei occhi lucidi allo specchio ed il senso di angoscia che ne derivò mi spinse a prendere il cellulare e comporre un messaggio: “Ci vediamo stasera alle dieci al lago, ho voglia di te” Premetti invio inoltrandolo.
La risposta di Nick fu immediata “Non vedo l’ora, bambina”.
Non ci sarebbe stato più niente con Nathan, quella sera stessa avrei dimenticato lui ed il suo calore tra le braccia di un altro.

***
NdA: Ci tenevo ad avvisare che i fatti si svolgono in sequenze molto veloci perché la vera storia avrà inizio a partire dal quarto capitolo. 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo III ***



Capitolo III
Ferma nel vialetto di casa di Tanya guardavo fuori dal finestrino della mia auto: il cielo era plumbeo, monotonamente cupo, il mio sguardo perso nel vuoto così come la mia testa.
Immagini della sera prima mi tornarono alla mente…
“Ehi piccola, l’altra sera credevo che ti fossi stancata di me. Da quel che vedo, invece, non è affatto così”
La risata soddisfatta di Nick ed i suoi sospiri risuonano nello spazio angusto dell’ auto trapanandomi il cervello, continuo a muovermi sopra di lui incurante del resto. Stringo con forza gli occhi mentre con la testa poggiata nell’incavo del collo conficco i denti nella sua carne, mordendo violentemente la spalla .
“Penny?” lo sento sobbalzare a quest’attacco improvviso, le sue mani dapprima sulla schiena finiscono  sui fianchi a stringerli fino a bloccarmi “Cazzo Penny, fermati”
“Cosa vuoi?” chiedo scocciata fissando i miei occhi nocciola nei suoi, neri come la notte.
“Si può sapere cosa ti prende? Stavi per staccarmi un pezzo di carne e ci stai dando dentro come una matta ”
“Vuoi dire che ti dispiace?” domando stizzita scostandomi da lui, il suo pene lucido ed ancora eretto abbandona la mia intimità.
“No, certo che no” mi sorride sornione “Hai ragione forse ti sto annoiando con le mie fottute chiacchiere”
La sua voce arriva lontana, mi copro appena col giaccone per contrastare il freddo pungente, lo sguardo rivolto fuori dal finestrino verso lo spazio infinito.
“Cosa fai ti copri? Dai vieni qui”
Mi isolo da tutto quello che mi circonda mentre la sua mano si insinua sotto la giacca per sfiorarmi un capezzolo, nella mia mente compaiono  le immagini del pomeriggio trascorso con Nathan, le sue mani che mi toccano in un misto di sorpresa, dolcezza ed inesperienza.
Il mio respiro si fa più affannoso ed irregolare, lascio che le mani di Nick continuino a vagare indisturbate sul mio corpo, le sue labbra si poggiano sul collo e prendono a succhiare e leccare in un continuo alternarsi, i denti graffiano la pelle delicata e, dal calore che avverto in quel punto, sicuramente arrossata.
Una sua piccola vendetta personale.
“Hai sempre un odore meraviglioso” con  le sue braccia muscolose mi attira a se e mi ritrovo nuovamente a cavalcioni su di lui.
Mi penetra senza alcuna accortezza, sento le pareti della mia intimità contrarsi  e bruciare per mancanza di lubrificazione.
Inizio nuovamente a muovermi sopra di lui, incurante del dolore e del senso di vuoto che avverto dentro; a quello mi sono più che abituata negli anni.
Poche spinte e Nick mi solleva dai suoi fianchi riversando il frutto del suo orgasmo nel preservativo, lasciandomi - diversamente dal solito - stranamente insoddisfatta.
Sussultai quando la portiera dell’auto venne aperta, quel rumore mi ridestò dai miei pensieri riportandomi alla realtà «Buongiorno Penny» Tanya si sporse a lasciarmi un bacio prima di allacciarsi la cintura «Grazie per essere passata a prendermi»
«Figurati» risposi sterile ingranando la marcia e partendo.
«Tutto bene? Cosa hai fatto ieri?» mi guardò con sguardo ammiccante e capii all’istante cosa volesse sapere.
Le avevo raccontato delle mie intenzioni con Nathan, sapeva che avevamo un appuntamento ma la strana sensazione che avvertivo dentro mi bloccò dal raccontarle quello che era successo.
Non mi andava di parlarne con nessuno, forse l’avrei tenuto per me conservando l’esperienza come un bel ricordo perché ero certa non si sarebbe più ripetuta.
«Io cosa?» feci finta di non capire.
«Come cosa?» ripeté lei spazientita «Con Wilkeman. Ieri. Al corso?» parlò piano, quasi sillabando le parole come si fa con i bambini.
«Ah Wilkeman! Credo non ci proverò» dissi fingendo indifferenza, facendo spallucce e concentrandomi alla guida.
«Dici sul serio?» domandò sorpresa «A me dava l’impressione che non aspettassi altro» mi guardò perplessa.
“Infatti, non aspettavo altro... ed è stato unico” pensai tra me.
«In verità ho pensato non ne valesse la pena. Sono stata con Nick ieri sera» le dissi in una mezza verità sperando che interrompesse il suo interrogatorio.
«Capisco» disse semplicemente proprio mentre entravo nel parcheggio della scuola.
Scendemmo insieme dall’auto ed entrammo nell’edificio senza aggiungere altro. Camminavo per i corridoi tenendo la testa china, lo sguardo fisso sulle mie converse nere un po’ scolorite.
Quando finalmente arrivai fuori l’aula di chimica fui grata di non aver incontrato nessuno, Nathan o Nick che fosse, durante il tragitto.
Entrai in classe e mi stupii di vedere i miei compagni chiacchierare intorno al mio banco, la loro attenzione attirata da qualcosa di interessante.
Non appena notarono la mia presenza si spostarono e vidi che motivo di tanto interesse erano un girasole ed un biglietto.
Sentii l’ansia assalirmi e la prima cosa che feci fu prendere il biglietto, ignorando volutamente quel fiore e tutto ciò che potesse significare.
 
«Sei fantastica, N.»
 
Continuai a guardare esterrefatta il bigliettino, paralizzata, quasi inorridita.
Sentivo lo stomaco aggrovigliato al punto da provocarmi un senso di nausea per quel gesto così inutile, lo strinsi nella mano stropicciandolo tutto.
«Ehi, chi te lo manda?» Tanya mi strappò il biglietto dalle mani senza che riuscissi ad impedirglielo.
«Tanya aspetta!» cercai di fermarla per evitare che leggesse ma fu un vano tentativo.
«Sei fantastica, N?» disse riportando con fare civettuolo la frase appuntata «Oh bene, allora le cose tra Nick e te si stanno facendo serie» mi sorrise.
«Cosa?» domandai ancora confusa,  poi capii «Oh, Nick» dissi riprendendo il mio biglietto «Non… significa nulla»  tirai un sospiro di sollievo e portai le mani tremanti tra i capelli.
«Penny, ma cos’hai?» mi domandò perplessa, mi resi conto che forse stavo esagerando con le reazioni e se non l’avessi fatta finita al più presto Tanya non ci avrebbe messo molto a fare due più due.
«Nulla tesoro, solo che… stanotte ho dormito male e mi sento fuori fase. Tutto qui» le sorrisi e mi sedetti, ringraziando che proprio in quel momento il professore stesse entrando in classe.
Restai in disparte durante tutto l’orario delle lezioni, fingendo di interessarmi ai discorsi dei professori, cercando il più possibile di non offrire a Tanya degli sbocchi per argomentare qualsiasi cosa mi riguardasse.
La campanella che segnava l’inizio della pausa pranzo suonò e fu una manna dal cielo.
Raccolsi in fretta le cose nel mio zaino e cercai una scusa per restare da sola quando vidi che Tanya era ferma accanto alla porta ad aspettarmi.
«Tesoro avviati in mensa con gli altri, ho bisogno di andare un attimo al bagno»
«Penny sicura sia tutto ok? Mi sembri così assente» mi guardò con aria indagatrice «Se vuoi ti accompagno» propose.
«E’ tutto ok, sul serio. Ho solo bisogno di sciacquarmi un po’ il viso» le sorrisi e mi avviai prima che potesse replicare.
Odiavo il modo in cui mi sentivo, il modo in cui stavo mentendo a Tanya;  non mi era mai successo prima, ed ero decisa a mettere in chiaro le cose con la persona che involontariamente aveva provocato tutto questo.
Uscii in corridoio e guardai tra la folla di ragazzi, non appena intravidi la chioma scomposta di Nathan mi avvicinai a lui.
«Devo parlarti» dissi a bassa voce per evitare che qualcuno potesse sentirci.
«Penny, ciao»
Potei notare l’entusiasmo sul suo volto, gli occhi che brillavano di una luce speciale e quasi mi sentii una stronza per quel che stavo per fare.
«Vieni con me» gli presi la mano e quando le nostre dita si intrecciarono le immagini del pomeriggio precedente – noi due  avvinghiati nel mio letto, lui dentro di me e le sue spinte dolci e cadenzate - tornarono con prepotenza nella mente colpendomi come un pugno allo stomaco.
Lo portai lontano dalla folla che si dirigeva alla mensa, entrai nella prima aula vuota che trovai e richiusi la porta alle nostre spalle, lontana da occhi ed orecchie indiscrete.
Non appena fummo soli mi soffermai a guardarlo e per poco non mi sciolsi.
“Dio, perché è così bello?”
«Ciao» disse nuovamente con calma, avvicinandosi col volto per baciarmi.
Prima che potesse farlo posi una mano tra le nostre labbra «Cosa.stai.facendo?» chiesi dura scandendo ogni parola, guadagnandomi uno sguardo perplesso da parte sua.
«Ti bacio» rispose ovvio.
Se non avessi avuto quel peso opprimente sullo stomaco sicuramente sarei scoppiata a ridere per la sua genuinità.
«Cosa significa questo?» gli chiesi estraendo il biglietto dalla tasca dei jeans e puntandolo davanti ai suoi occhi.
«Mi sentivo di farlo, dov’è il problema?» mi chiese continuando a non capire «Forse non ti piacciono i girasoli?»
“Adoro i girasoli” pensai “Solo che in questo momento il tuo si trova fisicamente sotto il banco dell’aula di chimica ed idealmente nel cassetto del mio cervello riportante la scritta ‘Dimenticatoio’”
Avrei voluto urlargli in faccia quel che pensavo ma più ascoltavo la sua voce, più guardavo il suo volto, e più non riuscivo a capire cosa mi prendesse.
La morsa che mi serrava lo stomaco continuava ad aumentare, così come il mio nervosismo: la voglia di urlare a squarciagola e uscire fuori per permettere al vento gelido di colpirmi in pieno viso e ridarmi un po’ di respiro.
Mi passai una mano tra i capelli, spazientita «Il problema non sono i girasoli, Nathan. Il problema è quello che hai fatto»
Corrucciò la fronte, socchiudendo appena gli occhi «Non vedo cosa abbia fatto di male» mi disse serio, cacciando fuori quel lato duro del carattere che lo rendeva ancora più sexy «Mi sembrava che mi avessi detto che tra McCarty e te non ci fosse nulla»
«Infatti, non c’è nulla...» presi una pausa e sospirai pesantemente, indecisa se proseguire o meno, poi capii che non avevo altra scelta e sganciai la bomba «...ma questo non significa che debba esserci con te» dissi fredda.
Mi maledii all’istante quando il suo sguardo duro ed offeso incrociò il mio.
Come poteva rimanerci così male? Alla fine non c’era stato…niente.
«Perfetto!» esclamò guardando verso l’alto e soffiando forte dalle narici «Sono stato un vero coglione» disse dopo qualche istante.
Abbassai lo sguardo senza dire nulla.
Era strano come i suoi modi di fare riuscissero a rendermi impotente, proprio io che non mi facevo mai scrupoli per niente e nessuno.
Avrei voluto dire qualcosa. Sì ma cosa?
Non c’era niente che potessi fare per alleggerire la situazione; Nathan era indubbiamente un ragazzo adorabile ma nulla poteva cambiare il fatto che non lo volessi tra i piedi, o almeno che non lo volevo con tutto il pacchetto di dolcezza e carineria al suo seguito.
Capii che forse avevo puntato la persona sbagliata per i miei “giochetti”, e il fatto che nell’averlo sentito muoversi dentro di me avessi pensato che non ci fosse nulla di più giusto e perfetto adesso sembrava altamente irrilevante.
«Mi dispiace» dissi semplicemente perché non c’era altro modo di addolcire la pillola.
Non conoscevo un modo carino per dirgli “non fai per me”.
«Sì, certo» rispose lui, le guance rosse e gli occhi verdi che quasi gridavano la sua umiliazione «Adesso devo andare, stammi bene» così dicendo uscì dall’aula.
La porta si richiuse alle sue spalle con un tonfo sordo, sobbalzai.
Nonostante il peso allo stomaco non accennasse ad andare via capii che avevo fatto la cosa giusta ad allontanarlo, solo che l’avevo capito troppo tardi.
Non avrei dovuto andare fino in fondo dopo aver scoperto che fosse vergine, ma purtroppo quella scoperta non aveva fatto altro che rendere il tutto più eccitante agli occhi della stronza che ero.
 
“Basta, devo andare via da questa casa”
“Bene fai pure, nessuno ti obbliga a restare”
 
“Cosa dici, tu... Per me è stato importante”
“Hai detto bene, piccola, per te. Per me non è stato niente più e niente meno di quel che già conoscevo”
 
Vari pensieri di momenti della mia vita si sovrapposero tra loro, parole urlate a squarciagola ed altre sussurrate subdolamente.
Strinsi gli occhi ed i pugni delle mani con forza per contrastare il dolore, un paio di profondi respiri e tutto sarebbe passato, come sempre.
Pochi minuti e riuscii a riassumere la mia solita calma, la stessa calma che - avevo giurato a me stessa - non mi sarei più fatta portare via da niente e nessuno, qualunque fosse stato l’evento o la tragedia che mi avesse colpito.
Ferrea, rigida nella mia posizione, sarei andata avanti sempre e comunque.
Pensai quanto fossi stata debole e stupida a lasciarmi stravolgere da una cazzata del genere, sfoderai il mio solito sorriso perfetto ed uscii dall’aula pronta ad andare avanti a testa alta.
Come avevo sempre fatto, non sarebbe cambiato nulla.

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Capitolo 5
*** Capitolo IV ***



Capitolo IV

Cinque anni dopo...

  Aprii la porta del mio ufficio situato al 24esimo piano di un grattacielo nel pieno centro di Los Angeles, vi entrai e – come sempre - mi avvicinai alla finestra.
Lo skyline mozzafiato che si parava dinnanzi ai miei occhi comprendeva una serie di edifici di pari dimensioni di quello in cui mi trovavo, un cielo azzurro ed un sole lucente che faceva risplendere i suoi raggi lungo le foglie delle enormi palme che invadevano tutta la città.
L’aria condizionata era già a temperatura perfetta per contrastare il caldo asfissiante della California, mi accomodai sulla grande poltrona dietro la mia ampia scrivania e feci un mezzo giro sorridendo soddisfatta.
Diedi avvio al computer, inserii la password e con la pen drive per trasferire sull’hard disk i file a cui avevo lavorato la sera precedente a casa.
Ero una graphic design di successo e adoravo il mio lavoro.
Subito dopo la fine del liceo avevo deciso di trasferirmi a Miami da mia madre per seguire un corso di formazione ma soprattutto per fuggire da Newark, dal clima umido e dal tempo perennemente cupo.
In appena due anni ero riuscita ad ottenere la specializzazione ed avevo subito trovato un impiego nella meravigliosa Los Angeles.
Il mio lavoro consisteva nell’occuparmi di marchi pubblicitari o di inserti giornalistici, oltre che gestire un sito di web design.
Il mio capo, Bill Rooter, non mancava mai di farmi notare che fossi la più creativa e brillante tra i miei colleghi, insieme ad altre due figure che non mancavano certo di originalità: Caroline e Josh.
Colleghi, miei amici, oltre che fidanzati tra loro.
Improvvisamente un tocco alla porta mi fece sussultare, senza attendere una risposta vidi entrare proprio il mio principale.
«Buongiorno Mr. Rooter» mi alzai e gli porsi la mano sorridente.
Bill mi sorrise a sua volta. Nel suo metro e settantacinque e con il fisico asciutto ottenuto grazie ad una serie di allenamenti giornalieri, dovevo ammettere che era veramente un bell’uomo.
«Buongiorno a te, Penelope. E’ tutto ok?» domandò cordiale.
Se c’era una cosa di cui non potevo lamentarmi era proprio il clima di tranquillità che regnava negli uffici dove lavoravo, una pace rotta solo da piccoli disguidi con alcuni colleghi a causa della loro invidia e competizione nei miei confronti; persone che ignoravo totalmente e che nonostante tutto erano tenuti a portarmi rispetto essendo la prediletta del capo.
Da ragazzina ero una tipa competitiva, pronta a tutto e abituata a primeggiare; negli anni le cose non erano di certo cambiate, soprattutto sul lavoro.
Tutto sommato potevo ritenermi più che soddisfatta della mia vita.
Avevo ventitré anni, un lavoro che mi piaceva e che mi fruttava un buono stipendio, convivevo con la mia migliore amica di sempre, passavo le mie serate tra locali vari e di tanto in tanto frequentavo qualche bel ragazzo senza alcun impegno.
Sì, potevo davvero dire di avere la situazione sotto mano.
Ad un tratto mi ricordai di Mr. Rooter che era ancora lì, in attesa di una mia risposta. «Sì Signore, tutto bene. Spero altrettanto a lei»
«Alla grande Miss Penthon» mi sorrise ancora e non potei fare a meno di pensare che nonostante i suoi quarantacinque anni di età non avesse proprio nulla da invidiare ad un ragazzo della mia età.
L’unico segno tangibile che potesse dimostrare il fatto che non fosse più un giovincello erano i suoi capelli lievemente brizzolati, che tra l’altro lo rendevano più affascinante.
Nei suoi completi su misura di alta sartoria e con lo charme che lo contraddistingueva non c’era da stupirsi che fosse rimasto scapolo.
Dopotutto perché prendere un impegno con un’unica donna quando ogni sera poteva divertirsi con una diversa?
Lo stimavo. Oltre che il suo successo sul lavoro era la sua filosofia di vita ciò che davvero mi attraeva.
Potevo dire che eravamo davvero simili, e forse era questo il motivo delle particolari attenzioni che mi riservava.
Non potevo nascondere di aver creduto che - qualche volta - il suo interesse nei miei confronti andasse oltre un semplice rapporto lavorativo, però non ne avevo conferma dato che in quasi tre anni di collaborazione non si era mai spinto oltre qualche battutina allusiva e qualche occhiata provocatrice.
«Volevo ricordarti che oggi arriverà quel nuovo graphic design di cui ti ho parlato, quello che si occuperà della gestione dei siti web»
«Sì, lo ricordo Mr. Rooter»
«Bill, Penelope. Ti avrò detto un miliardo di volte che puoi tranquillamente chiamarmi Bill»
Già, un miliardo di volte. Eppure chissà perché pensavo che Bill fosse troppo confidenziale, diversamente dal solito ci tenevo a mantenere la giusta distanza.
Anche se la mia vita era improntata al divertimento più sfrenato, sul lavoro avevo un comportamento integerrimo. Era l’unica cosa a cui tenessi sul serio.
«D’accordo Mr. Ro...Bill» mi corressi.
«Bene» sorrise soddisfatto poi guardò il suo orologio «Arriverà tra una mezz’ora circa. Voglio che tu gli faccia fare il giro degli uffici e gli presenti un po’ i colleghi. Gli farai vedere quale sarà la sua postazione e di cosa si dovrà occupare» spiegò in tono estremamente professionale.
«Certamente Bill, ne sarò lieta»
«Perfetto!» Rooter fece per uscire dalla stanza, poi si voltò un’ultima volta «Ah, Penelope?»
«Sì?»
«L’ho affidato a te perché so che sei una tosta, ma anche lui è un tipo in gamba» mi puntò un dito contro come a voler intensificare il significato del suo avvertimento.
La porta si richiuse alle sue spalle, mi soffermai a pensare sulle ultime parole di Bill: “E’ un tipo in gamba”.
Mi ritrovai a sorridere, di sicuro Bill non si era mai sbagliato sulle impressioni e quindi sarebbe stato bello avere un rivale con cui avere un po’ di sana competizione.
Ripresi il mio lavoro, concentrandomi a tal punto che quando il telefono del mio ufficio squillò sobbalzai e dovetti aspettare qualche secondo prima che il ritmo del mio cuore tornasse regolare.
«Penthon» risposi.
«Penelope, sono Johanna»
“Già, chi altri potrebbe avere una voce così irritante?” dissi tra me.
«C’è qui il graphic design che aspettavi» m’informò.
«Oh certo. Arrivo subito» chiusi la comunicazione.
Mi alzai ed indossai la giacca del mio tailleur, attivai la password al pc ed uscii.
Presi l’ascensore e, mentre attendevo che lentamente arrivasse al primo piano, iniziai a guardarmi nel grande specchio che occupava gran parte della parete frontale all’entrata: mi ravvivai i capelli e con le dita corressi uno sbaffo di matita sull’occhio.
L’ascensore si riaprì qualche minuto dopo, attraversai il corridoio che conduceva alla hall fino a quando di spalle non intravidi la figura del mio futuro collega.
Era alto, le spalle larghe erano evidenti al di sotto della giacca del completo blu che indossava, i capelli che ricadevano sulla nuca fino al colletto della camicia erano biondicci e spettinati.
Vidi il volto estasiato e civettuolo di Johanna che cercava di intrattenerlo, e conoscendo il carattere della mia “amica” capii che doveva essere più bello di quello che potevo immaginare per scuoterla fino a quel punto.
Quando fui alle sue spalle riuscii a sentire la sua risata, allo stesso tempo profonda e leggera, senza spiegarmi il motivo avvertii una strana sensazione, che ignorai.
Mi schiarii appena la voce per attirare la loro attenzione senza però interrompere maleducatamente la conversazione che aveva tutta l’aria di essere davvero divertente.
«Eccomi» dissi rivolgendomi a Johanna.
L’uomo che mi dava le spalle si voltò educatamente e quando lo vidi quasi rimasi impietrita.
NON.PUO’.ESSERE.
«Oh Penny, ti presento Nathan Wilkeman» disse Johanna sorridendo ed indicandolo con un gesto della mano.
Wilkeman.
Nathan Wilkeman.
Proprio quel Nathan Wilkeman? No, era impossibile.
Quello doveva essere uno strano scherzo del destino, o forse una candid camera.
«Nathan lei è Penelope, la nostra migliore graphic design» nella sua voce una punta di invidia mentre mi presentava.
“Sei fortunata che io sia così sorpresa per quest’incontro, altrimenti avrei trovato certamente il modo di metterti in imbarazzo, ochetta” riflettei.
Continuai a fissarlo come un ebete.
Dio quant’era bello. Cioè, lo era sempre stato, ma adesso…
Adesso era un uomo con la ‘u’ maiuscola.
I tratti gentili del bel ragazzo diciottenne che ricordavo erano stati sostituiti da altri più marcati, virili.
Tutto in quel corpo sembrava gridare ‘sesso’, e nonostante fossi abituata a rapportarmi con ragazzi estremamente belli non potevo negare che in lui ci fosse un qualcosa in più; un qualcosa per cui avrei volentieri mandato a puttane l’ultimo briciolo di pudore rimastomi per scoparmelo seduta stante.
L’espressione che vidi sul suo volto parve farmi capire che si ricordasse di me invece, proprio mentre stavo per salutarlo informalmente, con un movimento disinvolto mi porse la mano «Piacere. Nathan Wilkeman»
Gli stinsi la mano poco convinta, possibile che non si ricordasse di me?
Cavolo, avevamo frequentato la stessa scuola per tanto tempo, soltanto cinque anni prima eravamo stati…avevamo fatto...
Oddio che situazione imbarazzante, persino per una come me.
«Piacere Nathan. Chiamami pure Penelope» gli dissi pensando quanto tutto questo fosse ridicolo «Prego, se vuoi seguirmi» gli indicai l’ascensore e salutai Johanna che ancora guardava Nathan estasiata.
Se non si fosse data un contegno al più presto magari si sarebbe trovata con due rivoli di bava ai lati della bocca.
Idiota!
Premetti il tasto di chiamata dell’ascensore, entrammo entrambi e stemmo in silenzio fino a quando le porte non si richiusero. Finalmente soli.
«Insomma Nathan, proprio non ti ricordi di me?» chiesi senza troppi giri di parole.
Meglio chiarire tutto alla svelta, dopotutto che male c’era?
Data la sua reazione iniziale credevo si fosse ricordato, invece poi aveva fatto finta di nulla. Qualcosa non mi quadrava.
«Dovrei?» mi chiese assottigliando lo sguardo, quasi soffocai alla vista di quegli occhi verdi.
Sempre così intensi, così diversi da quelli di altri milioni di persone.
Proprio non mi spiegavo cosa avessero di tanto speciale, ora come allora.
«Beh...noi due...»
Abbiamo fatto sesso qualche anno fa, sono io che ti ho tolto la verginità, ‘Do you remember?’ pensai sarcastica tra me.
«Abbiamo frequentato la stessa scuola a Newark. Penelope Penthon, l’ultimo anno abbiamo seguito il corso di recitazione insieme» mi limitai a dire.
Ci pensò su qualche secondo, poi mi sorrise  «Ma certo, Penelope. Perdonami, ma proprio non ti avevo riconosciuta. Quant’è piccolo il mondo» le sue parole sembravano cordiali, quelle che si dicono due amici quando si rincontrano dopo tanti anni, eppure i suoi occhi sembravano tradire qualcosa di diverso.
Già, dopotutto noi non eravamo mai stati veri e propri amici. Potevo dire che c’era stata una breve, brevissima liaison. Nulla più.
«Già, veramente piccolo. Quindi anche tu hai deciso di diventare un graphic design» dissi pur di intrattenere una qualche sorta di conversazione.
Senza capirne il motivo mi sembrava che la situazione fosse alquanto imbarazzante e, dato che l’imbarazzo era un’emozione che provavo di rado, non sapevo bene come gestirla.
Arrivati al piano feci fare a Nathan il giro degli uffici, gli presentai i colleghi con cui avrebbe collaborato, ognuno dei quali si occupava di un settore diverso di grafica.
Per tutto il tempo non feci altro che osservarlo, curiosa.
Mi incantai a guardarlo mentre dispensava a tutti i suoi sorrisi mozzafiato, scambiava battute intelligenti e qualche commento professionale.
Non potei fare a meno di notare il fascino che esercitava su tutte le donne, anche su quelle di una certa età, sposate e con tanto di figli a carico.
Gli mostrai la sua postazione di lavoro e quando gli ebbi spiegato i punti base da osservare lo invitai a seguirmi nel mio ufficio.
«Prego accomodati» dissi indicandogli una sedia, mi poggiai coi fianchi alla grande scrivania in legno chiaro - che era la mia postazione di lavoro - e portai le braccia incrociate al petto.
«Grazie» nel prendere posto alzò lievemente il pantalone sulle cosce.
Notai le gambe muscolose, per qualche istante indugiai sul rigonfiamento dell’inguine messo in evidenza dal tessuto tirato in quel punto ed immaginai quanto sarebbe stato bello sentire quel fisico – adesso più maschio e possente - sopra e dentro di me.
La sua voce mi strappò ai miei porno-pensieri.
«Allora a quanto ho potuto capire sei una sorta di pupillo del capo» chinò lievemente la testa di lato per scrutarmi, un mezzo sorriso gli aleggiava sul volto.
«Ah si? E cosa te l’avrebbe fatto credere?» inarcai un sopracciglio.
Non sei arrivato nemmeno da mezz’ora e già supponi,Wilkeman. Sta al tuo posto.
«Il fatto che sei stata incaricata di mostrarmi gli uffici, presentarmi i colleghi, e quell’aria di riverenza con cui gli altri ti trattano» disse in tono sveglio e un po’ saccente mentre nello spiegare la sua mano tracciava cerchi nell’aria.
Dio quelle mani, le sue dita lunghe… Cazzo però, ci aveva preso.
«Diciamo solo che il ruolo che ricopro me lo sono meritato» una punta di arroganza incrinò la mia voce «Adesso se vuoi scusarmi ho da lavorare, e anche tu puoi cominciare a fare il tuo lavoro. Per qualsiasi problema non esitare a chiamarmi» lo congedai.
Si alzò sovrastandomi col suo metro e novanta di altezza, mi porse ancora una volta la mano mentre quel sorriso furbo che si ripercuoteva nei suoi occhi non intendeva lasciarmi tregua.
«A presto, Penny»
Marcò volutamente sul mio nome, e nel sentirlo provai una fitta allo stomaco.
Sapevo cosa volesse significare, ricordavo perfettamente quando cinque anni prima gli avevo chiesto di chiamarmi in quel modo.
Questo significava che lui ricordava perfettamente quel che era successo, e dal modo in cui mi guardava probabilmente gli avrebbe fatto piacere rinnovare l’esperienza.
Beh di certo non mi sarei tirata indietro perché stavolta le cose erano cambiate; Nathan era evidentemente cambiato.
Mi sedetti sulla poltrona in pelle bianca dietro la scrivania ed accavallai le gambe in cerca di un po’ di sollievo, cercando di non farmi distrarre dal mio lavoro.
Ripresi ad esaminare alcuni dei miei progetti anche se mi sentivo inevitabilmente esaltata, mi poggiai pesantemente allo schienale e risi tra me pensando al bel regalino che il destino mi aveva fatto.
Bene Wilkeman, a cinque anni di distanza cominceremo il secondo round.



***
Buonasera ragazze, volevo spendere due parole su questo capitolo. I primi tre sono stati più una introduzione alla storia vera e propria che inizia adesso e spero di farvene vedere delle belle.
Inoltre mi hanno fatto notare che l'immagine del banner non si apre, volevo sapere se anche voi avevate problemi a visualizzarla. Grazie, Ice :*
 

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Capitolo 6
*** Capitolo V ***



Capitolo V

Posteggiai l’auto nel parcheggio privato della agenzia: scesi ed attivai la chiusura centralizzata.
Il sole mi colpì in pieno viso accecandomi un istante, sistemai la giacca sbottonandola sul davanti e ravvivai i capelli con una mano.
L’appuntamento che avevo fissato, dopo il colloquio avuto la settimana precedente con Bill Rooter, era per le dieci in punto; quello sarebbe stato il mio primo giorno di lavoro per la ‘BR Design’ la cui sede centrale si trovava nella meravigliosa Los Angeles.
Ero arrivato fin qui grazie ad un susseguirsi di eventi. Dopo la fine del liceo avevo deciso di iscrivermi al college per studiare architettura, ma circa un anno dopo avevo capito che non era quella la mia aspirazione. Così avevo lasciato tutto per seguire un corso di grafica a New York ed in meno di un anno e mezzo ero riuscito ad ottenere la specializzazione; subito dopo ho iniziato a lavorare per una piccola agenzia e con un paio di occasioni fortunate ero approdato a Los Angeles.
Mi recai all’interno dell’edificio fermandomi dinnanzi la postazione di segreteria attirando l’attenzione di una moretta tutta curve intenta a battere al computer.
«Buongiorno Miss...» presi una pausa per leggere il nome sulla targhetta «...Mozby, sono Nathan Wilkeman» mi presentai.
«Oh, Mr. Wilkeman» disse scrutandomi qualche istante, le sorrisi nel mio solito modo e soltanto dopo poco parve ridestarsi «Miss Penthon la sta aspettando, la chiamo subito»
La guardai perplesso ma rimasi ugualmente in silenzio. Miss Penthon. Penthon.
Quel nome non mi suonava del tutto nuovo.
«Penelope, sono Johanna. C’è qui il graphic design che aspettavi» disse in tono professionale, mentre i motori del mio cervello si azionarono tutti insieme simultaneamente.
Penelope Penthon.
Possibile si trattasse proprio di lei? Sarebbe stato proprio un bello scherzo del destino.
Cercai di non pensarci troppo, tornando a rivolgere la parola a Johanna e scambiando qualche battuta alla quale rise con un po’ di entusiasmo più del necessario.
Tipico delle donne.
Ad un tratto sentii qualcuno schiarirsi la voce alle mie spalle e sussurrare un “Eccomi”.
Quella voce.
Johanna prese la parola «Oh Penny, ti presento Nathan Wilkeman»
Mi voltai ed il sorriso che avevo sul volto si spense per lasciare spazio allo stupore, il mio cuore accelerò appena il suo battito nel vedere la persona che era dinnanzi a me;
la stessa persona con cui cinque anni prima avevo perso la mia verginità oltre che la testa, la stessa persona che mi aveva preso solo come un gioco, lo sfizio di una giornata.
La sua bellezza ancora più marcata dal tempo trascorso, straordinariamente sensuale con quel sorriso furbo che ricordavo perfettamente.
Cercai di ricompormi e nascondere il turbine di emozioni che mi vorticava dentro, sorrisi spontaneamente fingendo di aver dimenticato «Piacere» dissi semplicemente «Nathan Wilkeman»
Forse era stupido da parte mia fingere di non averla riconosciuta, ma in quel momento sembra la cosa più giusta da fare.
 Penelope Penthon. Quella Penelope Penthon; sorrisi tra me.
Non riuscivo a crederci, era davvero una cosa incredibile.
La ragazza che in passato avevo sempre ammirato da lontano, troppo discreto per avvicinarla; lei sempre così desiderata e al centro dell’attenzione.
Colei che cinque anni prima si era trasformata nella mia ossessione dopo quel pomeriggio insieme quando avevo finalmente scoperto la gioia di poter stare con una donna. Era stato un momento magico, lei aveva preso in mano la situazione per aiutarmi con la mia inesperienza ed io ne ero rimasto irrimediabilmente affascinato.
Nonostante tutto ero riuscito a superare l’enorme delusione derivata dalla sua reazione il giorno dopo, ero andato avanti con la mia vita come avrebbe fatto qualsiasi ragazzo della mia età, ma ora, riaverla dinnanzi a me più bella che mai, poter  guardare i suoi occhi vispi ed intensi, il suo sguardo furbo, le sue labbra morbide e carnose aperte in un sorriso sorpreso, era comunque qualcosa che inevitabilmente mi faceva un certo effetto.
«Piacere Nathan. Chiamami pure Penelope» disse dopo un attimo di smarrimento, recuperando come sempre la sua lucidità.
Era sempre stata così: forte e tenace, addirittura calcolatrice.
Quasi impossibile coglierla impreparata.
Quello che più mi era piaciuto di lei erano la spigliatezza e la naturalezza con cui riusciva a districarsi anche nelle situazioni in cui le altre persone si sarebbero trovate in enorme imbarazzo.
Come quando mi aveva scaricato senza troppi preamboli, rammentai.
«Prego, se vuoi seguirmi» aggiunse indicandomi l’ascensore, entrambi salutammo Johanna prima di allontanarci.
Non appena fummo soli i suoi occhi nocciola mi inchiodarono, dal modo in cui mi fissava sapevo che di lì a poco avrebbe tirato in ballo l’argomento; era tipico del suo carattere affrontare tutto e alla svelta.
Per quel poco che l’avevo conosciuta, per tutte le voci che per anni erano girate tra i corridoi della scuola e per il suo modo di porsi, non era difficile capire il perché Penelope fosse sempre in grado di tenere in mano la situazione.
«Insomma Nathan, proprio non ti ricordi di me?» chiese.
Come previsto.
Proseguii con la mia recita, se potevo prendermi anche solo una piccola soddisfazione sarebbe stata quella di non darle a vedere come fosse rimasta impressa nei miei pensieri.
Le sorrisi appena, aggrottando la fronte «Dovrei?»
Ma certo che mi ricordo.
Come avrei potuto dimenticare quel concentrato di bellezza ed intelligenza?
Il pensiero di quella pelle liscia e vellutata che avevo sentito scivolare sotto i palmi, delle sue labbra incandescenti che avevano leccato ogni centimetro di corpo, di quegli occhi allo stesso tempo espressivi e misteriosi mi avevano fatto compagnia per molte notti.
All’epoca Penelope era soltanto una ragazza con un’esperienza tale da far invidia a parecchie altre donne, mentre io ero un giovane serio e riservato con un vuoto totale per tutto ciò che riguardasse la “questione donne” .
«Beh...noi due...» temporeggiò.
 Dal guizzo nei suoi occhi capii che stavamo pensando entrambi la stessa cosa, quell’unica volta in cui avevamo fatto sesso.
«Abbiamo frequentato la stessa scuola a Newark. Penelope Penthon, l’ultimo anno abbiamo seguito il corso di recitazione insieme» disse spiegandosi meglio.
Allargai il mio sorriso fingendo stupore «Ma certo, Penelope. Perdonami, ma proprio non ti avevo riconosciuta. Quant’è piccolo il mondo»
“Fottuto bugiardo con un futuro da attore” mi dissi.
«Già, veramente piccolo. Quindi anche tu hai deciso di diventare un graphic design»
Non era una domanda, ma un’affermazione. Per un istante mi parve si sentisse a disagio, ma probabilmente era solo una mia impressione.
Se Penelope era sicura di se a diciotto anni, questi cinque anni che erano trascorsi non potevano aver fatto altro che ingigantire il suo ego.
Ci scambiammo un paio di battute di cortesia mentre la nostra salita proseguiva lenta verso i piani alti. Continuai a guardarla per tutto il tempo, il meraviglioso fisico fasciato da un sensualissimo tailleur non aveva abbandonato le sue forme tonde e sode, i vaporosi capelli d’ebano che le incorniciavano il volto ed il solito sorriso scaltro erano una tentazione irresistibile.
Arrivati al piano si premurò di farmi fare un giro completo degli uffici, presentandomi ai vari colleghi.
Notai subito il modo in cui la guardavano e come le si rivolgevano; era rispettata da tutti, da qualcuno anche odiata, e questo non faceva altro che confermare i miei sospetti.
Penelope non era affatto cambiata, forse peggiorata negli anni con la sua aria di superiorità.
Nonostante io stesso in passato fossi stato soggiogato dal suo carattere ritrovandomi poi offeso ed umiliato, non potevo fare a meno di ammirarla.
Così caparbia e sicura di sé, se esisteva uno stereotipo di donna con i cosiddetti attributi sicuramente portava il suo nome: Penelope Penthon.
Terminato il tour, dopo avermi mostrato anche la mia postazione di lavoro, mi invitò a seguirla nel suo ufficio.
Non mi meravigliai nel vedere che fosse più grande di tutti gli altri, ben arredato anche se un po’ spoglio. Niente quadri o foto di famiglia in bella mostra, soltanto una grande scrivania di legno massiccio, due poltrone di pelle, una pianta finta nell’angolo ed ovviamente un computer ultima generazione.
L’ambiente poteva rispecchiare perfettamente la sua personalità: elegante, curato, ma ermetico e inattaccabile.
Tutto intorno a lei pareva gridare libertà. Non era una tipa da sentimentalismi, lo sapevo bene, e le cose con cui si circondava non facevano altro che confermare tutto ciò che pensavo.
Mi invitò ad accomodarmi e quando presi posto lei si poggiò coi fianchi alla grande scrivania, standomi a pochi centimetri di distanza.
Nell’incrociare le gambe tra loro la gonna del tailleur si sollevò appena, per un attimo pensai a quanto sarebbe stato bello poter sollevare quell’indecente lembo di stoffa per  perdermi tra le sue cosce.
Magari avrei potuto ripagarla con la stessa moneta, seducendola ed abbandonandola in un batter d’occhio, non prima però di averle regalato il miglior orgasmo di sempre.
“La generosità prima di tutto” era il mio motto.
Soppressi i miei pensieri prima che l’amichetto che avevo nei pantaloni decidesse di dare spettacolo di se, esibendosi in tutta la sua fierezza. Non era il caso dare scandalo nel mio primo giorno di lavoro.
«Allora a quanto ho potuto capire sei una sorta di pupillo del capo» ipotizzai con un mezzo sorriso cercando di cambiare il corso dei pensieri.
Nella sua espressione cordiale notai un lampo di sfida, quasi cercasse di marcare il suo territorio.
«Ah si? E cosa te l’avrebbe fatto credere?»
“Colpita nell’intimo”pensai.
«Il fatto che sei stata incaricata di mostrarmi gli uffici, presentarmi i colleghi, e quell’aria di riverenza con cui gli altri ti trattano» spiegai semplicemente.
«Diciamo solo che il ruolo che ricopro me lo sono meritato. Adesso se vuoi scusarmi ho da lavorare, e anche tu puoi cominciare a fare il tuo lavoro. Per qualsiasi problema non esitare a chiamarmi»
Cavolo, proprio nervosetta la ragazza.
Mi alzai e lei alzò lo sguardo sprezzante verso di me; nonostante la sovrastassi con la mia statura non riuscivo ad avvertire nessuna distanza tra noi.
Penelope  sapeva come tener testa ad un uomo, in tutti i sensi, ed il fatto che fosse una vincente le conferiva ancora più fascino.
«A presto, Penny»
Marcai volutamente il suo soprannome ed il mio ego si gonfiò appena nel vedere i suoi occhi sgranarsi appena.
Forse quella grande donna con le palle non era del tutto immune al mio fascino, doveva esserci una falla in quella corazze e se l’avessi trovata forse avrei potuto togliermi qualche piccolo sfizio.
Ero proprio pazzo a pensare di vendicarmi dopo tutti gli anni passati, dopotutto non poteva essere colpa di Penelope  se all’epoca  mi ero sentito tanto umiliato; lei era stata solo se stessa, il problema vero ero io con il mio ideale dell’amore puro e incondizionato.
La mia, però, non sarebbe stata una vera e propria vendetta. Mi piaceva più  considerarla una piccola lezione alla stronza che era dentro di lei per farle capire che non poteva  sempre scegliere di fare il bello ed il cattivo tempo.
Sicuramente ci sarebbe stato da divertirsi e potevo dire che il gioco valeva la candela, quindi…Perché no?
La guardai un’ultima volta prima di uscire dall’ufficio, il suo sguardo non vacillò nemmeno per un secondo. Quando richiusi la porta alle mie spalle nella testa avevo un unico pensiero: il mio nuovo lavoro si sarebbe rivelato piuttosto gratificante.

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Capitolo 7
*** Capitolo VI ***



Capitolo VI

Rientrai in casa alle sei del pomeriggio, le luci spente e le imposte chiuse erano un chiaro segno che Tanya non fosse in casa.
Gettai giacca e borsa sul divano, tolsi le decolté camminando a piedi scalzi fino al bagno dove indossai una tuta comoda e presi un elastico per legare i capelli.
Andai in cucina a prendere il laptop posato sul tavolo e, mentre attendevo che la schermata principale prendesse avvio, presi una fetta di pane bianco da sgranocchiare.
Tornai in soggiorno e mi lasciai sprofondare sul divano col PC in grembo, aprii la cartella della posta elettronica personale dove trovai pubblicità, offerte e...oh, un e-mail di Jack che recitava: “Stasera allo Shine. Passo a prenderti alle nove?”
Sorrisi spontaneamente allo schermo, sapevo già dove voleva andare a parare quell’invito.
Frequentavo Jack da un paio di mesi, non era una cosa seria però mi piaceva stare con lui; era un tipo che andava sempre diritto al punto, un uomo che sapeva bene quel che voleva e come prenderselo senza troppi giri di parole.
A dirla tutta eravamo molto simili.
Apprezzavo i suo modi di fare schietti, erano l’unico motivo per il quale ancora decidevo di incontrarlo.
Ovviamente non che gli concedessi l’esclusiva, anche se era difficile per me trovare qualcuno di interessante con cui trascorrere qualche ora in allegria dato che non  riuscivo a tollerare tutti quegli imbecilli che cercavano di conquistare una donna con menate romantiche quando era chiaro come il sole che tutti ambissero ad un unico scopo.
Stupidi palloni gonfiati, senza palle.
Presi a digitare poche semplici parole come risposta: “A più tardi”
Mi stava bene così, non cercavo quel “di più” a cui ambivano le altre ragazze.
Avevo ventitré anni, un lavoro che adoravo ed un’ampia scelta di uomini con cui potermi divertire.
Richiusi lo schermo e portai alla bocca l’ultimo pezzo di pane bianco.
Lo scatto della serratura attirò la mia attenzione, mi voltai e sull’uscio della porta intravidi la figura della mia amica - alta e slanciata, con la lunga chioma di capelli biondi - a dominare lo scenario.
«Ehi bellezza» mi sorrise cordiale.
Era bellissima anche solo con indosso jeans,  tshirt e scarpe sportive.
«Buonasera tesoro, tornata dalla lezione di yoga?» mi alzai seguendola in cucina, la vidi prendere una mela dal cesto della frutta e mordere la polpa senza nemmeno sbucciarla.
«Ehm, sì. Molto rilassante» poggiò i fianchi sul ripiano dell’isola «Tu, novità?»
Ripensai alla mia giornata di lavoro, eccome se avevo delle novità.
 «Sì, in effetti sì» annuii.
«Oh davvero? Sputa il rospo» morse ancora la mela, il rosso delle sue labbra contrastava con l’interno bianco del frutto.
«Oggi ho conosciuto il nuovo graphic design che ha assunto Bill» mi fermai un istante.
«Allora? E’ carino?» mi sorrise complice, negli occhi la solita luce maliziosa.
«E’ Wilkeman. Nathan Wilkeman» allargò lo sguardo stupita «Già, proprio lui» risposi alla sua domanda inespressa.
«Ma chi? Lo sfigato?» gettò il torsolo della mela nella pattumiera, portò le braccia al petto perplessa.
«Dovresti vederlo adesso, non credo che sfigato sia proprio l’appellativo adatto» Ripensai al suo fisico, alle spalle larghe, la mascella squadrata e mascolina, quegli occhi e quelle labbra marcati…Dio!
«Cosa c’è, mica ti piace?»
«Diciamo che non mi dispiacerebbe farlo lavorare tra le mie cosce» scoppiai in una grossa risata, Tanya mi seguì a ruota.
«Sei la solita, Penthon» mi rimproverò scuotendo la testa.
«Il fatto che tu abbia messo la testa a posto negli ultimi mesi non può concederti il lusso di farmi la predica» corrucciai la fronte, un sopracciglio alzato nel guardarla di sottecchi.
«Certo che l’ho messa a posto. Ho ventitré anni, non più diciassette»
«Appunto, ventitré. Ho tempo per pensare al futuro, stasera mi vedo con Jack»
«Oh, il bel Jack» roteò gli occhi al cielo «Beh divertiti, io starò con Marc»
«Certo, il tuo Marc» la beffeggiai «Adesso vado a prepararmi, a  dopo» le lasciai un bacio sulla guancia e salii in camera ignorando il suo disappunto.
Prima di uscire mi chiusi in camera per fare la mia solita telefonata quotidiana.
“Pronto?”
«Ehi, ciao»
“Penny, ciao. E’ tutto ok?”
«Tutto perfetto, lì piuttosto come va?»
La risata cristallina di Beth mi arrivò alle orecchie in tutta la sua dolcezza.
“Va come ieri, come l’altro ieri, e come andrà domani” disse rispondendo alla stessa domanda di sempre.
«Già, hai ragione» sorrisi a mia volta «Domani passerò a trovarvi»
“Come ogni giovedì da un anno a questa parte” mi fece notare.
«Giusto, anche questo già lo sai» sospirai.
“Penny smettila di preoccuparti, qui stanno tutti bene”
«Hai ragione, come potrebbe essere altrimenti con Thomas e te. Adesso devo andare, ma ci vediamo domani»
“Ti aspettiamo”
Riagganciai, presi la mia pochette e salutai Tanya, intenta a prepararsi per una cenetta col suo Marc.
Arrivai allo Shine con qualche minuto di ritardo, le luci fluorescenti delle insegne fucsia e la fila spropositata di ragazzi e ragazze in attesa di poter entrare la dicevano lunga sull’esclusività del locale.
Individuai Jack tra la folla e mi avvicinai per salutarlo «Buonasera» dissi cogliendolo alla sprovvista.
Si girò riservandomi un sorriso che risaltava sulla carnagione dorata, gli occhi di un grigio intenso ed i capelli biondi un po’ lunghi sulle spalle completavano quel quadro di quasi perfezione disturbato soltanto da una piccola cicatrice sul sopracciglio.
«Buonasera bellezza» col braccio mi cinse la vita «Allora, vogliamo entrare?»
«Ma non dobbiamo fare la fila?» chiesi perplessa indicando tutte le persone in attesa.
«Non quando sei con me» ammiccò e si avvicinò ad un buttafuori, si scambiarono due parole ed in meno di un minuto fummo dentro.
«Wow tu si che sei una persona importante» scherzai.
«La tua ironia è davvero pungente. Inizia ad accomodarti, vado a prendere qualcosa da bere» lo vidi sparire tra la folla e mi avviai verso il privè che mi aveva indicato.
Mi sedetti sul divanetto, poggiai la pochette sul tavolino ed accavallai le gambe tra di loro. La musica risuonava alta ma non assordante, le luci soffuse sulle tonalità del blu donavano al luogo un’aria sofisticata e ricercata.
Nell’attesa mi soffermai ad osservare gruppi di ragazzi coi loro drink tra le mani, uomini con i loro completi costosi ed eleganti che intrattenevano conversazioni con donne altrettanto chic sedute al bancone bar.
«Ecco il tuo Martini Royale» Jack mi porse il drink poggiandolo sul tavolino poi prese posto al mio fianco «Cin cin» avvicinò il suo bicchiere al mio.
«Cin cin» dissi facendo tintinnare i bicchieri poi iniziai a sorseggiare la mia bibita che scese fresca e pungente lungo la gola.
«Allora, come vanno le cose sul lavoro?» domandò mentre mi osservava col suo solito sguardo furbo, il braccio poggiato lungo la spalliera della seduta.
«Sempre alla grande, oggi è arrivato un nuovo collega che conosco dai tempi in cui frequentavo il liceo di Newark»
«Ma dai...» il suo sorriso era ancora impresso sul bel viso dai tratti marcati, prese a giocare con una ciocca dei miei capelli e capii esattamente che le domande di cortesia erano finite, in realtà non gli interessava sapere davvero del mio lavoro.
La sua mano si insinuò dietro la nuca tra i miei capelli attirandomi verso di se, mi imprigionò le labbra tra le sue e le nostre lingue si incontrarono in un bacio lento e sensuale, il sapore dell’alcool si miscelò nelle nostre bocche.
Ci staccammo un istante rimanendo pur sempre vicinissimi, notai la sua mano che indugiava sulla mia gamba proprio al bordo del mio abitino, sorrisi appena mordendomi le labbra.
«Cosa vuoi Jack?» chiesi retorica.
Sapevo perfettamente ciò che voleva, lo volevo anch’io, ma adoravo giocarci un po’.
«Sai bene cosa voglio, Penny. Sei fantastica» sussurrò roco, le sue labbra stavano per tornare all’attacco quando venimmo interrotti.
«Penelope?» mi sentii richiamare tra il caos del locale, mi voltai.
Dinnanzi al mio tavolo c’era Nathan, il suo corpo fasciato da una camicia bianca inamidata, dei jeans neri che aderivano alle gambe lunghe e robuste, al suo fianco una bellissima ragazza bionda dal fisico mozzafiato.
«Nathan!» esclamai sorpresa «Ciao»  mi alzai, Jack fece lo stesso «Jack ti presento Nathan, il mio nuovo collega»
«Piacere, Jack» disse porgendogli la mano «Lui è il ragazzo di cui mi parlavi?»
«Oh, parlavi di me» Nathan mi riservò il suo odioso sorriso, inarcò lievemente un sopracciglio.
«Parlavo di lavoro, non di te» risposi piccata «In qualunque caso, non ci presenti la tua amica? Piacere, Penelope» dissi porgendo la mano alla bionda al suo fianco.
«Piacere mio, Linda» mi porse la mano dalle lunghe dita eleganti, le unghie laccate di un nero lucido.
Jack fece lo stesso e quando questa “simpatica ” parentesi di cordialità fu finita rimanemmo tutti in silenzio, lo sguardo di Nathan incatenato al mio col suo sorriso indecifrabile a fare da padrone.
«Ok, credo sia ora di andare» disse infine «Ci vediamo domani a lavoro. Ciao Jack, è stato un...piacere»
Con un cenno del capo congedai lui e la bionda su cui gli occhi di Jack indugiarono qualche istante più del dovuto anche quando si fu voltata.
«Allora, dove eravamo rimasti?» le sue mani furono nuovamente sui miei fianchi per attirarmi verso di se, quando le sue labbra si posarono in un delicato bacio sul collo tutti i pensieri si annullarono lasciando spazio solo al desiderio.
Un rumore sommesso arrivava imperterrito alle mie orecchie, infastidendomi.
Aprii gli occhi e puntai lo sguardo verso la mia pochette posata sul comodino, allungai la mano e alla ceca vi cercai all’interno fino a trovare il cellulare e disattivare la sveglia.
“Cazzo, è tardissimo”
Con entrambe le mani mi stropicciai il viso, mi voltai verso Jack che dormiva beatamente al mio fianco, la sua nudità coperta a malapena dal lenzuolo che gli nascondeva le parti intime.
Mi alzai in fretta constatando di non avere tempo per tornare a casa a prepararmi.
Andai in bagno per fare una doccia veloce, sciacquai il volto per eliminare i residui di trucco della sera prima, l’eye liner ed il gloss che portavo sempre con me vennero in mio soccorso per darmi un’aria semplice ma curata.
Raccolsi i miei indumenti sparpagliati per la stanza, indossai l’intimo e le autoreggenti, cercai di calare quanto più possibile l’abito sulle gambe per raggiungere una lunghezza quantomeno adatta ad un luogo di lavoro.
Uscii di casa con ancora le decolté in una mano e la borsa nell’altra, le infilai velocemente mentre aspettavo l’ascensore.
Non appena fuori cercai un taxi e con soli pochi minuti di ritardo fui a lavoro.
«Buongiorno Johanna» dissi entrando alla svelta, diretta al mio ufficio.
«Ciao Penny» sentii la sua voce raggiungermi in lontananza quando ero già all’ascensore.
Arrivata al piano salutai alla svelta alcuni colleghi prima di rintanarmi nel mio ufficio, sprofondare nella comoda poltrona di pelle e tirare un sospiro di sollievo.
Diedi avvio al PC pronta a mettermi a lavoro quando diversi avvisi sonori mi segnalarono l’arrivo di più sms.
Lessi il primo, era di Tanya: “All’inizio mi avvisavi quando passavi la notte fuori, ultimamente mi lasci in dubbio. E’ tutto ok?”
Sorrisi per la sua premura e digitai subito una risposta: “Tranquilla, sono viva. Ci vediamo nel pomeriggio xo”
Il secondo era di Jack: “Brava Penthon, sei scappata come al solito. Sei adorabile, a presto”
Scossi la testa, probabilmente Jack, diversamente dal solito, era solo in vena di sentimentalismi.
“Avevo da lavorare, grazie per l’accappatoio e lo spazzolino in prestito” risposi liquidandolo alla svelta.
Stavo nuovamente per mettermi a lavoro quando fui interrotta da un tocco alla porta.
Mi alzai convinta fosse Bill, cercai nuovamente di sistemare la lunghezza del mio “poco casto” tubino e sussurrai un frettoloso “Avanti”.
La porta si aprì e vidi entrare Nathan con alcuni fogli tra le mani.
“Se il buongiorno si vede dal mattino”pensai tra me.
«Buongiorno Nathan» gli sorrisi cordiale.
«’Giorno Penelope. Come va?»
«Bene, grazie» risposi alla sua domanda di routine senza preoccuparmi di contraccambiare il favore «Avevi qualcosa da mostrarmi?» domandai andando dritta al sodo.
«Sì. È la bozza di un lavoro che Rooter mi ha assegnato» disse porgendomi i fogli «Ho saputo che il capo apprezza molto il tuo lavoro, quindi volevo un parere»
Li presi ed iniziai a sfogliarli assumendo la mia aria professionale.
Dopo qualche istante sentenziai: «Trovo che siano buoni. Se vuoi posso chiedere un parere a Bill»
«Bill?» chiese lui, perplesso.
«Beh, sì...Mr. Rooter» dissi gesticolando con le mani.
«Oh, capisco!» annuì, il suo sguardo carico di sottintesi «Comunque non ce n’è bisogno, mi basta il tuo di parere»
Annuii volgendo lo sguardo altrove, cercando di sfuggire alla vista di Nathan, del suo fisico prestante, dei suoi occhi chiarissimi e le sue labbra invitanti. Era assurdo che di primo mattino, dopo aver passato una notte decisamente movimentata, avessi ancora voglia di stare con un uomo.
Evidentemente l’alcool in circolo continuava a fare un certo effetto.
«Puoi continuare col tuo lavoro, anche subito» lo congedai con queste parole per liberarmi alla svelta.
C’era un che di estremamente inquietante e sensuale nel modo in cui mi osservava ed i miei appetiti sessuali dovevano essere messi a tacere alla svelta.
«Certo, ti ringrazio» mi riservò ancora una volta il suo sorriso attentatore, si  voltò ed appena prima che uscisse si fermò ad osservarmi da sopra la spalla «Bel vestito, Penny»
Il tono della sua voce lasciava trasparire molte cose, prima fra tutte il fatto che si fosse reso conto che avevo trascorso la notte fuori.
“Infastidito, Nathan?” pensai.
«Ti  ringrazio, non sei l’unico a pensarlo» lo provocai.
Lo vidi scuotere la testa e sorridere «Già» disse semplicemente «Buon lavoro» così dicendo uscì dalla stanza lasciandomi sola.
Bevvi un sorso d’acqua fresca e mangiai l’ultimo boccone di sandwich mentre ero intenta a segnare alcune idee sul mio tablet, improvvisamente sentii una sedia accanto a me spostarsi.
«Ciao Penny»
«Ehi Caroline, tutto bene?» sorrisi alla ragazza con la coda di cavallo e gli occhiali, quella che conoscevo da qualche anno ma che subito avevo imparato ad apprezzare per la sua semplicità e schiettezza.
«Alla grande, te?» riposi il tablet in borsa per dedicarle tutta la mia attenzione.
«Bene, ti ringrazio. Volevo dirti che sabato darò una festa e ci tenevo ad invitare tutti voi colleghi»
«Tutti? Allora deve essere un evento davvero importante da festeggiare» le sorrisi vedendo le sue gote colorarsi appena.
Dolce, timida Caroline.
«Allora?» la esortai «Di che si tratta?»
«E’ una festa di fidanzamento. Josh mi ha chiesto di sposarlo» disse torturandosi le dita tra loro.
«Ma è meraviglioso, auguri»
“Beh, forse non propriamente meraviglioso per me. Ma Caroline e Josh sono perfetti insieme ” riflettei.
«Ti ringrazio» mi sorrise «Allora posso contare sulla tua presenza?»
«Ma certo. Fammi pervenire soltanto posto ed ora e mi troverai lì»
«Perfetto, ti manderò una mail. Ah, ovviamente puoi portare qualcuno se vuoi»
«Certo, grazie. Ci vediamo allora» la salutai.
«Si, torno a lavoro. A presto»
Mi alzai pronta per recarmi in ufficio ed immersa nel lavoro le ore passarono veloci e tranquille.
Alle sei in punto uscii dagli uffici, il sole stava quasi per tramontare ma l’aria era piacevolmente fresca. Trafficavo sull’agenda del mio cellulare programmando impegni ed appuntamenti mentre aspettavo le diverse fermate della metro, la busta che avevo tra le mani pesava appena.
Arrivata alla mia fermata scesi, camminai tra la folla di persone che rientravano a casa dalle loro famiglie fino a quando non intravidi in lontananza la struttura grande e lineare, circondata da un enorme giardino, di quella che oramai era diventata la mia seconda casa.
Bussai e trovai Beth ad accogliermi alla porta.
«Tesoro, bentornata» mi abbracciò e ricambiai la sua stretta materna.
«Ciao» dissi semplicemente, perché non potevo fare a meno di perdere le parole ogni qual volta mi trovassi in quel posto.
«Ma guarda, la nostra bambolina è tornata a trovarci» mi voltai verso l’altra voce così familiare.
Il bel trentacinquenne con l’aria da ragazzino mi venne incontro col suo sorriso stampato in volto, gli occhi azzurri più splendenti che mai sulla carnagione abbronzata.
«Tom, ma ciao» gli sorrisi.
«Sei sempre meravigliosa» disse abbracciandomi vigorosamente, oltre le sue spalle larghe vidi Beth abbassare gli occhi in imbarazzo.
«Tu sei il solito marpione» lo allontanai giocosa «Sai che non sono qui per te»
«Peccato» rispose ammiccando «Scusate ma devo sbrigare alcune cose» salutò prima di scomparire nel suo ufficio.
«E’ sempre il solito» dissi rivolgendomi a Beth.
«Già» la sentii sospirare appena e un po’ mi si strinse il cuore.
Thomas ed Elisabeth erano due persone meravigliose; amici fin da bambini avevano seguito negli anni un identico percorso di studi e dopo il conseguimento della laurea avevano deciso di aprire una casa famiglia per bambini orfani o abbandonati dai genitori al loro destino, troppo impegnati in altre cose per prendersi cura dei loro figli.
La prima volta che li avevo incontrati era a malapena un anno che mi ero trasferita a Los Angeles. Erano venuti alla BR design per pubblicizzare il loro primo evento di beneficenza e Bill aveva preso a cuore il loro progetto trasferendo un ingente somma sul conto della Sunshine house, mentre io mi ero preoccupata di sponsorizzare la serata.
«Allora come è andata la tua giornata?» chiese Beth mentre ci dirigevamo verso la sala relax.
«Tutto bene come sempre» risposi sovrappensiero.
«Vedo che hai portato qualcosa» disse indicando la busta che avevo tra le mani «Sai che non devi» mi sorrise ed i suoi occhi nocciola mi infusero un calore nel profondo.
«Sai che mi fa piacere» le feci notare.
Era impossibile non adorare Beth, una donna dolcissima ed estremamente materna, colta ed intelligente oltre che decisamente bella.
Adorava i bambini ed in tanti si chiedevano come mai non fosse ancora sposata e non avesse figli suoi, io una risposta me l’ero data invece.
«Sai ieri sera sono uscita con Thomas?» pronunciai quelle parole attirando subito l’attenzione di Beth al mio fianco.
«Oh, davvero?»
«Sì, noi siamo andati a cena, abbiamo parlato della situazione che c’è qui e…» mi bloccai improvvisamente alla vista della reazione di Beth.
Lo sguardo basso ed imbarazzato, quando tornò a guardarmi i suoi occhi erano impercettibilmente lucidi «E poi?»
La situazione si fece improvvisamente chiara: era innamorata di Tom.
Fu allora che mi spiegai i sorrisi che gli riservava ed il modo in cui si prendeva cura di lui.
«E poi...» siamo finiti a letto «Niente. Mi ha riaccompagnata a casa»
Mentii, più per lei che per me stessa. Beth non meritava di soffrire, era una delle poche persone per cui valeva la pena di rinunciare a qualcosa, anche se in quel qualcosa era ricompresa una notte di sesso sfrenato con un magnifico ed affascinante trentaquattrenne.
Il suo sorriso sollevato mi spezzò il cuore, mi sentii tremendamente in colpa per non essermi accorta prima dei suoi sentimenti.
«Sei pronta all’assalto?» disse  con la mano già sulla maniglia dell’aula, riportandomi bruscamente alla realtà.
«Vai»
Non appena entrai in stanza gli sguardi di circa venti bambini furono su di me, i loro occhietti curiosi e vispi si animarono.
«Penny» gridarono all’unisono correndomi incontro.
Mi accovacciai ed allargai le braccia pronta ad accogliere quell’assalto di dolcezza e, prima che me ne rendessi conto, mi ritrovai in terra circondata da visini paffuti che cercavano di salutarmi.
«Calmi piccini, calmatevi» ridevo radiosa mentre ognuno cercava di raggiungermi per darmi un bacino «Così non respiro»
«Suvvia bambini, lasciatela andare» intervenne Beth in mio aiuto, mentre tutti quegli angioletti si allontanavano tra lamenti vari.
Riuscii a tirarmi su e mi lisciai la gonna del vestito, il mio sguardo ricadde su una figura triste e solitaria in un angolo, il volto in gran parte nascosto dal cappuccio della felpa dalla quale fuoriuscivano i fili delle auricolari.
Lo stomaco si restrinse su se stesso, la mano di Beth si poggiò sul mio braccio e quando i nostri sguardi si incrociarono la sua compassione si scontrò con la mia rabbia mista a tristezza.
«Non possiamo farci nulla» disse con rammarico.
«No, non è così» le risposi amareggiata, avvicinandomi a quella figura rannicchiata su se stessa come a volersi proteggere da tutto il mondo.
«Ciao» dissi sedendomi di fronte la fragile ragazzina di quindici anni che sin dall’infanzia si era ritrovata a pagare per gli sbagli commessi dai suoi genitori «Come va?»
Come al solito non ottenni risposta, così riprovai «Cosa ascolti? Dev’essere  roba forte»
Uno sguardo privo di vita si posò su di me, gelandomi nel profondo, il piercing al labbro a donare un grugno duro alla smorfia del suo viso.
«Senti Lily, io...»
«Cosa cazzo vuoi?» disse improvvisamente strappando via le cuffie dalle orecchie.
«Volevo solo fare due chiacchiere» risposi sincera a quella ragazzina troppo incazzata col mondo per godersi la vita.
«A me non va, adesso...»
«Ti ho portato un regalo» dissi interrompendola, mostrandole la busta che avevo tra le mani.
Catturai per un istante il suo sguardo curioso, ma prima che potessi illudermi di essere riuscita ad aprirmi un varco nella sua corazza tornò sulla difensiva .
«Non voglio niente da te, né da nessun altro» 
Le auricolari tornarono al proprio posto a creare un muro nella barriera comunicativa, mi alzai sconfitta tornando da Beth.
«Allora com’è andata?» mi chiese cupa.
«Come al solito» risposi affranta «Senti questo è per lei. E’ una camicetta come quella che indossavo la settimana scorsa. Avevo notato che la fissava, forse le piace» dissi porgendole la busta che portavo con me fin dalla mattina.
«Ti ringrazio, proverò a dargliela» disse sorridendomi.
«Adesso devo andare, ma prima prendi questo» aprii la borsa ed estrassi un assegno, come facevo ogni mese.
«Penny sai che non voglio»
«Ti prego, spendo la maggior parte del mio stipendio in abiti, scarpe e borse firmate. Questa è l’unica cosa che mi fa sentire un minimo utile, da un senso al mio lavoro»
«D’accordo, grazie» disse prendendo l’assegno e ripiegandolo.
«Non dirlo nemmeno per scherzo» l’abbracciai forte «Adesso vado, salutami Tom»
«Certo che lo farò, ci sentiamo domani»
«Come sempre» le sorrisi.
«Già, come sempre»
Uscii dall’aula e mi recai all’uscita fino a quando non sentii qualcuno chiamarmi.
Mi voltai di scatto trovandomi davanti il sedicenne più bello che avessi mai visto, con il suo metro e settanta d’altezza, la carnagione scura, gli occhi e i capelli neri come la pece ed il sorriso luminoso.
«Ciao Daniel, dov’eri finito?» dissi abbracciandolo.
«Ero in aula studio»
«Ah molto bene. Volevi qualcosa?» chiesi vedendolo arrossire improvvisamente.
«Sì, io…in verità…»
«Ti piace Lily, giusto?» a queste parole il suo sguardo sbalordito si posò su di me.
«Come…?»
«Come ho fatto? Ho quasi otto anni più di te, e decisamente tanta esperienza alle spalle. Hai bisogno di qualche consiglio?»
Lo vidi sospirare pesantemente «Credo proprio di sì. Volevo parlarne con te perché mi sento in imbarazzo a farlo con Beth o Tom, nonostante loro siano molto buoni»
«Ma certo, lo capisco» dissi posando una mano sulla sua spalla «Vieni sediamoci, ho giusto cinque minuti»
Prendemmo posto su una panchina fuori in cortile, il sole oramai era quasi tramontato del tutto e l’aria della sera iniziava ad essere più fresca.
«Allora Dan, qual è il problema?»
«Beh, credo che tu lo sappia. Lily sta praticamente sempre per conto suo e non si lascia avvicinare»
Ripensai alla figura di quella ragazzina bionda con gli occhi chiari ma gelidi, lo sguardo triste e perso, senza alcun punto di riferimento nella vita.
Capivo perfettamente la sua rabbia, più di quanto avessi realmente voluto.
«Già questo è un bel guaio. Tu hai mai provato a parlarle?»
«Certo, qualche volta chiacchieriamo di musica, o di qualche libro che abbiamo letto. E’ molto chiusa, però una volta mi ha sorriso, ed è stata la cosa più bella che avessi mai visto» disse con gli occhi che gli brillavano.
Mi incantai a guardare l’espressione sognante sul volto di Daniel, per un attimo quasi fui invidiosa della sua gioia.
Non avevo mai provato emozioni del genere, il batticuore dei primi amori e la gioia di poterli vivere.
La mia vita era sempre andata veloce come un treno, con me a fare da capostazione decisa a prendere tutte le strade più tortuose e sbagliate.
«Se ti ha sorriso vuol dire che hai qualche speranza» dissi incoraggiandolo, e lo pensavo sul serio «Tu continua a comportarti come sempre, falla sentire amata, protetta, io ti aiuterò come posso»
«Grazie Penny, sei un angelo» si alzò abbracciandomi di slancio, un abbraccio carico di calore e gratitudine.
Chiusi gli occhi godendomi quel momento da “angelo” perché sapevo che sarebbe durato ben poco.

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Capitolo 8
*** Capitolo VII ***


Capitolo VII

Aprii la porta di casa ed entrai tirando un sospiro di sollievo. La giornata non era stata particolarmente dura, eppure mi sentivo ugualmente sfinita.
«Giornata pesante?»
Mi voltai verso le scale, Tanya era in cima ad esse con un’aderente tuta grigia ed i lunghi capelli biondi raccolti di lato in una treccia, scendeva lentamente verso di me.
«Non proprio» tolsi le scarpe e mi sedetti sul divano.
«E allora cos’è che ti fa sospirare?» domandò sedendosi al mio fianco.
«Nulla in particolare. Sono stata da Tom e Beth»
«Lo so» disse guardandomi grave, consapevole di quanto ogni volta quegli incontri potessero turbarmi «Cambiamo argomento, com’è andata la serata con Jack?» gli occhi azzurri furono attraversati da un lampo di malizia, mi morsi le labbra per trattenere un sorriso.
«Quel fottuto bastardo è incredibilmente bravo a letto» ammisi, lei annuì sempre col sorrisetto stampato in viso.
«Non credi che questa cosa tra di voi vada avanti già da un po’?» inarcò un sopracciglio inclinando lievemente la testa di lato.
Di conseguenza assottigliai il mio sguardo, il suo non prometteva nulla di buono.
«Cosa vorresti dire, di preciso?»
«Beh, forse gli piaci per davvero. Poi tu da quando lo frequenti non ti vedi con nessun altro» fece spallucce, buttando la cosa lì con finta noncuranza.
«Non lo faccio per il semplice motivo che mi trovo bene con lui. E’ un mago del sesso, brillante, divertente, e cosa più importante» mi premurai di puntarle bene l’indice al volto «Lui non vuole una storia con me, tantomeno io con lui» precisai.
«Non ne sarei così convinta. Ultimamente ti vuole vedere spesso» mi fece notare.
«Sì, è vero. Probabilmente lo stressano sul lavoro ed ha bisogno di un po’ di svago» mi alzai e presi a salire le scale.
«Dove vai?»
«A fare una doccia»
«Io non ho finito» mi rimproverò.
«Io si, invece. Sono troppo giovane per avere una relazione seria»
«Sempre la stessa risposta» sbuffò lei.
«Sì, per cui smettila di chiedermelo di continuo» le feci una linguaccia poi andai in camera mia, certa che Tanya si sarebbe arresa a metà scalinata.
Mi spogliai e gettai vestito e biancheria nel cesto per i panni sporchi, entrai nella doccia rimanendovi più del dovuto.
Lasciare che l’acqua calda mi colasse lungo il corpo come una dolce carezza era un buon modo per rilassarmi, e riflettere.
Quando uscii presi ad asciugare i capelli che si gonfiarono in un inestricabile groviglio, mi guardai allo specchio con una smorfia di disappunto ed armata di pettine cercai di porre rimedio, invano.
Improvvisamente sentii un tocco alla porta «Penny?» Tanya entrò trafilata col telefono tra le mani «E’ Jack» disse porgendomelo.
«Jack?» le domandai sussurrando, lei alzò le mani e mi passò la chiamata «Jack, ciao» riposi.
“Ciao bambolina, è tutto ok?”
«Sì, bene grazie. Te?»
“Anche a me. Senti volevo chiederti se sabato ti andava di uscire”
Storsi la bocca perplessa, da quando Jack chiedeva un appuntamento senza pretenderlo?
«Sabato? Ehm…mi piacerebbe ma sono stata invitata ad una festa»
“D’accordo , nessun problema”
«Se ti va puoi venire con me» proposi «E’ una festa di fidanzamento e avrò decisamente bisogno di compagnia se non mi va di tagliarmi le vene» risi, Jack seguì la mia risata.
“Direi che hai bisogno anche di alcool” aggiunse ilare.
«Soprattutto di alcool. Allora ci stai?»
“Certo piccola. A sabato”
«A sabato» riagganciai e rimasi a fissare il mio riflesso allo specchio.
Perché avevo invitato Jack? Beh, era molto semplice, probabilmente le parole di Tanya avevano fatto centro, forse dovevo provare a conoscere un uomo non solo per divertimento.
Scossi involontariamente la testa, se proprio volevo frequentare seriamente qualcuno Jack non era la persona più adatta. Ripresi a prepararmi decisa a passare una serata di svago e a scacciare i fastidiosi tarli che Tanya si ostinava ad insinuarmi a piccole dosi nel cervello.
 
Sistemai la chioma cotonata passandovi le mani all’interno, il mini dress color pesca aderiva perfettamente alla mia figura mentre la giacca nera, abbinata a scarpe e pochette dello stesso colore, svolgeva a malapena il suo compito di coprirmi l’evidente scollatura.
«PENNY?» la voce di Tanya mi arrivò con prepotenza dall’altra stanza.
«ARRIVO» urlai a mia volta mentre mi recavo in soggiorno «Cosa c’è?»
«E’ Jack al citofono, che faccio?»
«Digli che scendo»
Le sorrisi nel vederla roteare gli occhi al cielo, riagganciò.
«Allora, come sto?» le chiesi facendo una piroette, ignorando il sul disappunto.
«Sei sexy e mozzafiato, come sempre. Ma sei proprio sicura di voler frequentare Jack?» disse storcendo il naso.
«Sei stata tu a farmi una testa così con le tue manfrine. E poi cos’ha che non va? E’ così un bel ragazzo»
«E’ un puttaniere» disse senza mezzi termini.
«Vorrà dire che sarò la sua puttana» ci scherzai su beccandomi un’occhiataccia.
«Sei la solita stronza Penthon, non prendi mai sul serio i miei consigli» bofonchiò afflitta.
«Non prendertela tesoro, ma sai che so badare a me stessa. Sei diventata troppo apprensiva ultimamente» le rimproverai.
Sapevo che Tanya mi voleva bene come a una sorella, ma ciò non toglieva il fatto che nessuno, neppure lei che adoravo, aveva il diritto di dirmi come mi dovevo comportare.
Cavolo, se avessi voluto qualcuno che mi rompesse le scatole da mattina a sera avrei potuto tranquillamente continuare a vivere da mio padre.
«Hai ragione, è solo che mi rivedo in te come ero qualche anno fa.  Poi ho incontrato Marc ed ho capito cosa vuol dire amare e…» si interruppe, mi guardò seria «Sai, se avessi capito prima cosa significa legarsi a qualcuno, forse avrei evitato di fare tante cose»
Mi avvicinai con cautela e le sfiorai la guancia, sapevo esattamente cosa avrebbe evitato in particolare, prima di Marc non aveva vissuto un periodo assai facile e nessuno meglio di me poteva saperlo.
Non mi andava di ferirla, per cui tenni per me i miei pensieri.
«Non devi preoccuparti, non rimarrò scottata. Jack non significa niente, ed io so quel che faccio»
I suoi occhi s’illuminarono di poco «D’accordo Penny, ti credo. Adesso vai altrimenti farai tardi e sarò in ritardo anch’io. Buona serata»
«Ti ringrazio, anche a te» le schioccai un bacio poi aprii la porta di casa prima di voltarmi ancora «Ah Tanya, la casa è libera stanotte?»
La vidi scuotere la testa rassegnata «Resterò da Marc. Non temere, è tutta tua»
«Grazie» le feci una linguaccia ed uscii in fretta.
Jack era in auto ad aspettarmi: la cappotte abbassata ed un braccio posato mollemente sullo sterzo mentre picchiettava le dita a ritmo di un motivetto che davano alla radio.
«Buonasera» dissi attirando così la sua attenzione prima sulle mie cosce scoperte e poi sul mio viso.
«Ciao splendore» mi riservò uno sguardo che la diceva lunga «Avrò mai il piacere di vederti in una mise che non approvo?»
Il mio sorriso fu più una smorfia «Non ci provare Jack, sai che non abbocco»
«Perché sei sempre così prevenuta nei miei confronti?» chiese mettendo su un broncio che non gli si addiceva.
«Chi ti dice che lo sia solo con te?» gli feci notare «Dai parti, altrimenti faremo tardi» lo esortai.
Scuotendo la testa mise in moto, un sorriso estremamente divertito stampato sul volto.
Sapevo perfettamente cosa voleva significare quello sguardo, era lo stesso che negli anni mi avevano riservato già tanti altri uomini.
Eccitazione, divertimento, sfida. Non era solo il mio corpo ad attrarli, era il modo in cui giocavo con loro, il modo in cui gli tenevo testa senza permettere a nessuno di sottomettermi.
Arrivammo fuori la villa che Caroline e Josh avevamo fittato per il ricevimento, gli steward che si premuravano di parcheggiare le auto degli ospiti, gli addobbi in grande stile e la musica suonata dal vivo facevano presumere che per l’evento non avevano badato a spese. Un ulteriore conferma di quanto per loro fosse importante quel momento, di quanto tenessero l’uno all’altra.
Forse da un lato potevo comprendere le parole di Tanya, era evidente quanto tutto cambiasse se si era innamorati, potevo leggerlo nei suoi occhi ed in quelli di Marc, negli occhi degli stessi Josh e Caroline.
Era sicuramente qualcosa di perfetto, idilliaco, ma si trattava pur sempre di un qualcosa che al momento non potevo ne volevo cercare di capire.
Jack mi porse il braccio da perfetto gentiluomo, ci incamminammo verso l’entrata quando in lontananza scorsi la coppia di futuri sposi.
«Buonasera» mi avvicinai a salutare entrambi «Congratulazioni ragazzi, sono davvero felice per voi» dissi porgendo a Caroline il regalo che avevo acquistato.
“Che Tanya ha acquistato su tua richiesta” puntualizzò la mia coscienza.
«Grazie per essere venuta Penelope» disse Josh stringendo a se la sua amata.
«Ragazzi vi presento Jack, un mio amico»
«Congratulazioni ragazzi» disse stringendo la mano ad entrambi.
«Grazie» risposero all’unisono prima di guardarsi e scoppiare in una risatina divertita.
Alzai lievemente gli occhi al cielo, ecco che tornavo a ricredermi. Era proprio questo che odiavo delle coppie innamorate, il loro essere costantemente al settimo cielo.
«Ragazzi scusateci noi andiamo a bere qualcosa» mi congedai.
Mi avvicinai al buffet e presi due calici di champagne porgendone uno a Jack.
«Amici eh?» mi chiese mentre beveva un goccio dalla sua flute.
«Cos’altro avrei dovuto dire?» chiesi stranita bevendo anch’io.
Si avvicinò cingendomi la vita con un braccio, le sue labbra estremamente vicine al mio orecchio «Beh, non saprei. Non hai pensato che forse avresti ferito i miei sentimenti?» un sussurro roco e sensuale.
Sorrisi appena stando al suo gioco «Oh, povero piccino»
Coi denti catturai il suo labbro inferiore, lo risucchiai nella mia bocca, poi la sua lingua mi sfiorò coinvolgendomi in un bacio intenso. Ci staccammo dopo qualche istante, mi morsi appena le labbra sorridendogli ed ero consapevole che entrambi stavamo pensando esattamente la stessa cosa.
Quel momento fu interrotto da qualcuno che si schiarì la voce alle mie spalle. «Buonasera Penelope»  mi voltai ritrovandomi di fronte Nathan «Ci rincontriamo» disse rivolgendosi a Jack.
«A quanto pare» rispose lui porgendogli la mano.
Chissà perché, non sembrava troppo contento.
«Sei solo stasera? Nessuna accompagnatrice?» domandai guardandolo furbescamente.
«Non amo la compagnia di circostanza» disse in un chiaro riferimento provocatorio a Jack «E poi alle feste preferisco andare da solo, non si sa mai se puoi incontrare qualcuno di interessante»
I suoi occhi verdi si puntarono nei miei, con prepotenza.
«Capisco» dissi semplicemente, cercando il modo per non cedere al suo fascino.
«Adesso vado, scusate se vi ho disturbato» alzò il calice a mo’ di saluto.
«Nessun disturbo» intervenne Jack  prima che Nathan si voltasse per andare altrove.
Restai a guardarlo mentre si allontanava, il suo corpo fasciato da un elegante abito grigio scuro, la sua chioma folta e ramata come un tempo.
«Penny?» la voce di Jack mi strappò a quella contemplazione e al familiare formicolio che avvertivo tra stomaco e cosce.
«Dimmi» dissi voltandomi verso di lui.
«Allora, dove eravamo rimasti?» chiese avvicinandosi nuovamente alle mie labbra.
Lo squillo del suo cellulare ci interruppe ancora «Scusami un attimo» disse guardando il display ed allontanandosi.
Rimasta sola continuai a sorseggiare il mio champagne e non potei fare a meno di voltarmi nuovamente verso Nathan, ora intento a parlare con una delle nostre colleghe.
Il suo profilo era bello come un tempo, la mascella soltanto un po’ più marcata e ricoperta di un filo di barba, più mascolina ed estremamente sexy.
«Penny scusami, ho avuto un imprevisto e devo andare» Jack bloccò la mia contemplazione, l’impazienza nella voce.
«Qualcosa di grave?» chiesi perplessa per l’improvviso cambio di umore.
«No, solo scocciature. Ti dispiace se ti lascio sola?»
Involontariamente tornai a voltarmi ed un mezzo sorriso nacque sul mio volto «Nessun problema, vai pure» risposi.
«Ti chiamo in questi giorni» mi lasciò un veloce bacio a stampo prima di andare via.
Iniziai a camminare nel grande giardino dove si teneva il ricevimento, salutai qualche collega, scambiai due chiacchiere con Mr. Rooter che era accompagnato dalla bellona di turno, prima di fermarmi vicino un grande albero più in disparte.
La serata era calda, come sempre a Los Angeles, il cielo limpido e di un blu scuro sul quale risaltavano migliaia di stelle che rimasi a fissare incantata.
«Rimasta da sola?»
Sussultai nel sentire una voce così vicina, mi voltai vedendo Nathan che si avvicinava.
Mi porse una flute di champagne , la presi e la feci tintinnare contro la sua.
«Cin cin» ne bevvi un sorso e lui fece lo stesso.
«Allora dov’è il tuo ragazzo?» chiese avvicinandosi di poco.
«Se ti riferisci a Jack ha avuto un imprevisto, e non è il mio ragazzo» specificai. Bevvi un’altra grande sorsata e continuai a tenere lo sguardo rivolto verso il cielo.
Aveva un che di magico e quella immensa distesa di tenebra sembrava rispecchiare appieno il mio animo.
«Ah no? Sembrate molto affiatati»
Lo guardai dritto negli occhi notando il suo sorriso malizioso, gli sorrisi a mia volta «Già, affiatati è il termine esatto. E’ da qui all’essere innamorati che passa una bella differenza, non trovi?»
Continuò a fissarmi senza dire niente, quel mezzo sorriso sghembo e divertito era quasi un’ombra sul suo volto.
Ressi quello sguardo per istanti che parvero interminabili mentre l’aria intorno a noi prese a caricarsi di tensione, poi si decise a parlare «Non sembri cambiata affatto in questi anni, lo sai?» la sua voce era profonda, quasi cupa.
«Perché, tu lo sei?» gli chiesi di rimando.
«Beh» disse avvicinandosi fino ad imprigionarmi tra le sue braccia ed il tronco dell’albero «Direi decisamente di sì»
«Ah si?» mi morsi le labbra estremamente eccitata da quel gioco, il cuore che pompava sangue in ogni centimetro di pelle.
Effettivamente era cambiato, in quello sguardo non c’era niente del dolce ragazzo impacciato che avevo conosciuto, era lo sguardo di un uomo estremamente attraente che era più che consapevole del suo fascino.
«Se vuoi posso dimostrartelo» sussurrò sensuale.
In un istante le sue labbra furono estremamente vicine, al punto che potei sentire il suo alito caldo mischiarsi col mio e l’odore frizzante dello champagne che mi stuzzicava le narici.
Sorrisi divertita e prima che avesse il tempo di fare qualsiasi cosa avesse in mente, posi un dito tra di noi rompendo quel momento carico di elettricità.
«Cosa ti fa credere che tu abbia il permesso di baciarmi, Wilkeman?» lo apostrofai.
«Ho visto come mi hai guardato per tutta la sera» disse sicuro di se, per niente sorpreso o intimorito dal mio atteggiamento.
«E questo ti autorizzerebbe a fare ciò che vuoi?» gli sorrisi ancora.
Gli passai l’indice sulle labbra semiaperte ed estremamente morbide, lo sentii sospirare.
«A quanto pare io ti osservo, ma tu vorresti fare ben altro» lo provocai.
«Sempre così sfacciata»
«Le cattive abitudini sono dure a morire» ammisi mentre il cuore pompava forsennatamente nel petto «Scusami...»  con  il palmo della mano lo allontanai «Ma adesso devo proprio andare»
Il sorriso che si dipinse sul suo volto era estremamente divertito.
«Posso darti almeno un passaggio, dato che il tuo cavaliere ti ha lasciata sola?»
«So badare a me stessa, grazie lo stesso. Buonanotte Nathan»
Mi voltai lasciandolo lì, solo ed eccitato, a pregustarsi ciò che ben presto gli avrei dato molto volentieri.

***
Buonasera a tutte ragazze, volevo scusarmi per l'enorme attesa ma purtroppo sono davvero molto impegnta. L'unica promessa che posso farvi è quella che la storia la porterò avanti fino alla fine, ci volesse anche un intero anno. Un grande abbraccio, Ice.

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Capitolo 9
*** Capitolo VIII ***


 

Capitolo VIII

«Penny, tesoro? Svegliati»
La voce di Tanya arrivava sommessa alle mie orecchie, le sue mani mi scuotevano appena per le spalle «Hai fatto le ore piccole eh?»
«Non so…di cosa tu stia…parlando» sbadigliai sonoramente prima di voltarmi dall’altro lato sperando demordesse.
«Certo che lo sai. Suvvia svegliati» si lamentò scuotendomi ancora.
«Cavolo Tanya, sei un tormento» mi misi a sedere sul letto, stropicciai gli occhi ancora assonnata.
«Finalmente» disse soddisfatta.
Il sorriso stampato sul volto truccato e rilassato, i capelli perfettamente in ordine e vestita di tutto punto.
E’ ufficiale. La odio.
«Come fai ad avere tutte queste energie di prima mattina?»
«Prima mattina?» chiese di rimando ridendo «E’ mezzogiorno, Penny»
«Wow devo aver dormito un bel po’ » distesi i muscoli e puntai lo sguardo verso la sveglia «Cavolo! » esclamai.
«Jack ti ha tenuta sveglia fino a tardi?» domandò curiosa, nonostante non volesse darmi la soddisfazione di far vedere che le interessava la questione.
«No, lui ha avuto un imprevisto ed è dovuto andare via»
«Oh!» esclamò sorpresa «E tu cosa hai fatto?»
«Nulla, sono rimasta un po’ alla festa. Almeno fino a quando Nathan ha provato a baciarmi» buttai lì senza troppa importanza.
«COSA?» gli occhi quasi le uscirono dalle orbite e non mi spiegavo il motivo di tanto stupore «E tu cosa hai fatto?»
«L’ho rimesso al suo posto» dissi vedendo i suoi lineamenti distendersi «Mi ci è voluta tanta forza di volontà, avrei voluto scoparlo seduta stante» ammisi.
Ripensai a quanto fosse stato bello essere imprigionata dalle sue braccia, col suo corpo a pochi centimetri dal mio.
«Spero tu stia scherzando»
«No, affatto» dissi alzandomi e dirigendomi verso il bagno per risparmiarmi una delle solite ramanzine.
«Penny è un tuo collega» Tanya mi seguì senza arrendersi.
«Lo so tesoro, adesso però vorrei fare una doccia. Sono tutta accaldata» le feci l’occhiolino lanciandogli la t-shirt del mio pigiama e sorridendole.
«Non ti lascerò casa libera» disse indispettita voltandomi le spalle.
«Non ne ho bisogno, tranquilla»
Chiusi l’anta del box doccia e sentii la porta del bagno chiudersi.
Uno a zero per Penelope.
La giornata trascorse decisamente in fretta; dopo pranzo mi dedicai ad alcuni progetti di lavoro e la sera uscii con Marc e Tanya per andare a bere qualcosa in un locale sulla spiaggia.
Un paio di drink, buona musica e la compagnia della mia migliore amica e della sua dolce metà. Cosa potevo chiedere di più?
Quando la sera fui finalmente a letto presi il computer e lo poggiai sulle gambe per salvare il lavoro del pomeriggio su una penna usb che avrei portato in ufficio, diedi un’occhiata alla posta elettronica, poi finalmente mi abbandonai al meritato riposo.
La sveglia suonò imperturbabile alle sette in punto del mattino, mi alzai contro voglia pronta a prepararmi per una nuova giornata di lavoro.
Una doccia veloce ed una passata di spazzola e phon ai capelli, indossai uno dei tanti tubini ed un paio di decolté abbinate. Mi truccai in fretta, un filo di mascara sugli occhi ed un’indelebile rossetto rosso ad incorniciare il mio sorriso.
Scesi in cucina e vi trovai Tanya intenta a fare colazione.
«Buongiorno tesoro, caffè?» disse porgendomi un’enorme tazza.
«Grazie, ne ho proprio bisogno» bevvi un gran sorso di quel liquido fumante riprendendomi appena.
«Sei impegnata oggi?» mi chiese mordendo una fetta del suo pane tostato.
«Perché?» chiesi di rimando.
«Nel pomeriggio ho una commissione da sbrigare, mi faceva piacere un po’ di compagnia»
«Non preoccuparti, cercherò di liberarmi quanto prima» le sorrisi «Scusa adesso devo proprio andare, ci aggiorniamo via sms»
«A più tardi» rispose lei.
Scesi in garage a prendere la mia auto, non appena uscii il sole mi colpì in pieno viso e dovetti inforcare gli occhiali per non rimanere abbagliata. M’immisi nel traffico di LA ed in un quarto d’ora mi ritrovai nel parcheggio del grattacielo dov’erano situati gli uffici della BR design.
Entrai nell’edificio, salutai controvoglia Johanna che era alle prese col solito specchietto da cipria, ed entrai in ascensore dove incontrai Caroline.
«Buongiorno Penny»
«Ehi cara, tutto bene? Sabato è stata davvero una magnifica festa»
«Sono felice ti sia piaciuta. Ah, grazie per il regalo, è un vaso meraviglioso che si abbinerà perfettamente al mio arredamento» disse entusiasta.
“Ah un vaso” pensai tra me  “Non avevo nemmeno chiesto a Tanya di cosa si trattasse”
«Sono felice ti piaccia, è solo un pensiero»
L’ascensore si fermò al piano di Caroline che scese dopo avermi salutata, proseguii la mia corsa fino a due piani più su.
Non appena entrai nel mio ufficio chiusi la porta ed accesi il pc pronta a mettermi a lavoro per la nuova campagna pubblicitaria di una crema per capelli che Bill mi aveva affidato, mancava soltanto uno slogan che colpisse e con le immagini che il giorno prima avevo modificato tutto sarebbe stato perfetto.
Iniziai a buttare giù qualche idea:
“Crema Lift, per la brillantezza dei tuoi capelli”   
Nah, troppo scontato.
“Lift cream for your dream”
Dio, estremamente provinciale.
Mi passai una mano tra i capelli leggermente afflitta, la concentrazione ai minimi livelli, quando ad un tratto sentii un tocco alla porta.
«Avanti» sospirai in preda alla noia.
«Problemi di cuore?» la figura imponente di Nathan si stagliava sulla porta, sembrava rilassato come se non avesse un solo pensiero in testa.
«Di cosa hai bisogno Nathan?» ignorai una delle sue tante provocazioni.
«Ci tenevo a farti vedere queste bozze che più tardi dovrò consegnare a Mr. Rooter dato che sicuramente conoscerai le sue preferenze, almeno meglio di me»
Ignorai volutamente le sue insinuazioni riguardo la mia conoscenza delle preferenze del capo e presi i fogli che mi porgeva.
Li esaminai attentamente per qualche minuto, la grafica era ottima così come l’idea di fondo. Nathan aveva una spiccata intuizione che era essenziale nel nostro lavoro, e dovevo riconoscere di apprezzare oltremodo questo suo lato del carattere.
Quando ebbi finito alzai lo sguardo e sentenziai: «Sono davvero ottimi. Starai mica cercando di rubarmi il posto?» gli sorrisi.
«L’unica cosa che vorrei rubarti…» prese una pausa e mi guardò con la sua solita sfacciataggine «Non è certamente il lavoro»
Scossi la testa davvero divertita. Dovevo ammetterlo, era un fenomeno.
Avrebbe potuto conquistare qualsiasi donna con uno schiocco di dita, ma non me.
Purtroppo, o per fortuna, aveva scelto un cuore duro con cui giocare. Peggio per lui.
«Squallide allusione erotiche sul luogo di lavoro? Non credevo potessi cadere così in basso, Wilkeman. Ti vorrei sempre ricordare che sono una sorta di tua superiore e che il mio parere conta molto per Mr. Rooter» gli sorrisi beffarda.
Lo vidi alare le mani in segno di resa «Non finisce qui, Penthon» aggiunse ilare prima di uscire dall’ufficio col suo lavoro tra le mani.
Mi rimisi a lavoro, contenta di vedere che dopo la pausa con Nathan mi era tornata l’ispirazione. Buttai giù diverse idee valide e quando guardai l’ora in basso allo schermo del pc mi sorpresi nel vedere che erano passate più di due ore.
Mi alzai per andare alla macchinetta a prendere un caffè ristretto, inserii le monete e non appena vidi il getto sottile di liquido scuro tuffarsi all’interno del bicchierino di plastica pensai che sarebbe stata la mia ancora di salvezza.
Sussultai quando sentii qualcuno schiarirsi la voce alle mie spalle ma non ebbi bisogno di voltarmi per capire di chi si trattasse.
Prelevai il mio caffè ed iniziai a girare lo zucchero al suo interno con calma, ignorando la presenza di Nathan, prima di girarmi.
«Di nuovo tu! Ti va un caffè?» mi poggiai lievemente con le spalle contro il muro mentre lo fissavo intensamente. 
«No, ti ringrazio. Ho già avuto la mia dose di adrenalina» disse sorridente «A Bill il lavoro è piaciuto»
«Oh, adesso anche per te è diventato Bill» gli feci notare.
«Eh già. Spero per te non sia un problema» disse poggiando sensualmente un braccio contro la macchinetta lasciando così che giacca e camicia si aprissero appena a mostrare il suo petto ricoperto di una peluria rada.
Molto sexy, c’era da ammetterlo, ma non gliel’avrei mai fatto capire.
«Nessun problema. Vorrà dire che non avrai più bisogno della mia consulenza»
«Oh, ma certo che ne avrò bisogno»
«Beh, vorrà dire che ti arrangerai perché non sarò disponibile» mi misi a braccia conserte in un moto di sfida.
La sua risata fece fallire il mio tentativo di risultare minacciosa e mosse qualcosa nel profondo che non potevo certo dire si trattasse di fastidio.
«Certo che lo sarai» asserì convinto.
«Come fai ad esserne così certo?» lo punzecchiai indispettita.
Fastidioso, presuntuoso e tremendamente sexy. Lo odiavo…o forse no.
«Ti basta sapere soltanto che ottengo sempre ciò che voglio» disse ammiccando, scoppiai a ridere.
«Sentimi bene Nathan» dissi avvicinandomi fino a ritrovarmi faccia a faccia con lui «Te l’ho già detto, ma, nel caso non l’avessi capito, ti ripeto che queste cose, con me, non funzionano» arricciai le labbra mordendone l’interno.
Lui non si mosse di un millimetro, si limitò a sorridermi tentatore e, dopo essersi guardato intorno per accertarsi che fossimo soli, avanzò verso di me fino a schiacciarmi con le spalle al muro «Sei proprio sicura che non funzioni?» mi soffiò in viso.
Il sangue veniva pompato convulsamente nelle vene, lo sentivo bruciare sotto pelle «E’ tua abitudine mettere le donne con le spalle al muro?» chiesi sospirando, non staccando i miei occhi dai suoi.
«Non mi hai risposto» mi fece notare, sorridendo ancora.
“Fottuto,meraviglioso, bastardo” pensai tra me.
«Forse…no» la sincerità prima di tutto.
Prima che me ne rendessi conto le sue labbra imprigionarono le mie, a quel tocco il mio cuore fece una capriola. Stupita, rimasi inerme e quando si allontanò appena dovette leggere qualcosa nei miei occhi sgranati e nel mio respiro agitato, perché il sorrisetto soddisfatto che aveva sul volto scomparve all’istante.
“Ti è piaciuto?”
“Io…io…”
“Dai piccola, so che ti è piaciuto”
«Penny è...tutto ok?» chiese cauto e confuso.
Tirai un altro profondo respiro e mi leccai appena le labbra sentendo il suo sapore.
Avevo lo stomaco contratto in una morsa serrata ma riuscii a riprendere il controllo giusto in tempo.
«Certo che lo è, ma non giocare col fuoco, Wilkeman» dissi guardandolo seria, poi riassunsi il mio solito autocontrollo e gli sorrisi furba «Mi raccomando, evita di andare in giro così» mi voltai per andarmene.
«Così come?» chiese lui, ma continuai a camminare senza rispondergli.
Rientrai in ufficio lievemente più calma, il caffè ormai freddo ancora tra le mie mani, lo buttai giù tutto d’un sorso.
Non avrei permesso a Nathan di avere controllo su di me, ma non mi sarei nemmeno lasciata sfuggire l’occasione di stare con lui, a distanza di anni, ancora una volta. Avrei preso in mano la situazione, come sempre, così presi a digitare una mail:
 
Da: Penelope Penthon
A: Nathan Wilkeman
Data: 18 febbraio 2013 13.35
Oggetto: Questioni personali
 
Se davvero ci tieni così tanto ad ottenere ciò che vuoi, basta chiedere. Stasera sei libero?
 
Penny
 
Inoltrai l’e- mail e la risposta arrivò quasi immediata:
 
Da: Nathan Wilkeman
A:  Penelope Penthon
Data: 18 febbraio 2013 13.42
Oggetto: Questioni molto personali
 
Passo a prenderti alle otto, dammi l’indirizzo. Cena a base di pesce?
Ps: Avresti potuto essere più specifica, non è stato carino da parte tua mettere in imbarazzo Josh.
 
Nathan
 
Lessi in fretta corrucciando la fronte, avevo messo in imbarazzo Josh? Cosa intendeva dire?
 
Subito digitai una risposta:
 
Da: Penelope Penthon
A: Nathan Wilkeman
Data: 18 febbraio 2013 13.45
Oggetto: Questioni molto personali
 
Come avrei messo in imbarazzo Josh?
Comunque risparmiami i convenevoli, ti aspetto al Park Ave 78540 beach street.
Puntuale.
 
Penny
 
Da: Nathan Wilkeman
A: Penelope Penthon
Data: 18 febbraio 2013 13.49
Oggetto: Questioni molto personali
 
Non è stato facile per lui trovare un modo carino per dirmi che avevo uno sbaffo di rossetto rosso fuoco sulle labbra.
Volevo soltanto essere gentile, mi sorprendi ancora Penelope, a stasera.
 
Baci, Nathan
 
Scoppiai a ridere leggendo le sue parole: sia per la questione di Josh che per “l’appuntamento”, se così l’avremmo potuto definire.
Era sorpreso? Per cosa poi…
Sapevamo entrambi cosa volevamo l’uno dall’altra, perché andare a cena e fingere un appuntamento galante quando alla fine saremmo finiti con le membra aggrovigliate a rotolarci tra le lenzuola?
Non ero il tipo da smancerie ed una cena, per quanto potesse sembrare strano, per me era una cosa troppo…intima. Avrebbe comportato parlare, scambiarsi sguardi, magari ridere bevendo del buon vino e raccontando aneddoti divertenti. Tutto questo non rientrava nel mio mondo.
Presi il cellulare e chiamai Tanya, mi rispose dopo due squilli:
“Dimmi che puoi liberarti per il mio impegno”chiese supplichevole.
«Se stasera mi liberi casa sarò a tua più completa disposizione»
“Jack?” chiese in uno sbuffo.
«No, Nathan»
“Penny, cosa…?”
«Ok, grazie. Ci vediamo tra poco» riagganciai prima che potesse aggiungere altro.
Ripresi il mio lavoro ancora più  distratta di prima, ma stavolta sapevo perfettamente a cosa erano ancorati i miei pensieri.

***
Si entra nel vivo della storia. Viviamola insieme.
 

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Capitolo 10
*** Capitolo IX ***



Capitolo IX

Accesi l’ultima candela profumata e con un soffio spensi il fiammifero che avevo tra le mani; mi guardai intorno nell’enorme soggiorno soffusamente illuminato e sorrisi soddisfatta.
L’atmosfera rilassante creata dalla luce dorata delle piccole fiammelle che si agitavano ad ogni alito di vento, creando suggestivi giochi di luce, era proprio quello che cercavo per questa serata.
Guardai l’ora e mi resi conto che Nathan sarebbe arrivato di li a poco, salii in camera per indossare la lunga vestaglia di seta rossa abbinata al completo intimo che avevo scelto per la serata: corpetto di pizzo nero e perizoma abbinato. Semplice ed elegante.
Sorrisi ripensando al pomeriggio passato con Tanya, al suo broncio quando l’avevo costretta ad accompagnarmi ad acquistare qualcosa per la serata e a lasciarmi casa libera, la stizza che le era presa quando si era resa conto che i suoi consigli – o rotture di palle, come le chiamavo io – stavano andando al vento.
Ad un tratto sentii suonare alla porta. Per l’eccitazione il cuore fece una capriola nel petto, scesi in fretta le scale, sistemai i capelli da un lato e chiusi la vestaglia annodando la sottile cinta in vita.
Aprii la porta attirando lo sguardo stupito di Nathan.
«Buona…sera» mi squadrò da capo a piedi senza tralasciare nessun dettaglio, spiazzato da un’accoglienza che probabilmente non si aspettava «Ho pensato di bere qualcosa» disse dopo qualche istante, porgendomi una bottiglia di vino rosso e cercando di riprendere il controllo di se.
«Bell’idea» risposi prendendola «Accomodati»
Non appena entrò lo vidi guardarsi intorno:  la luce delle candele creava delle ombre sul suo viso meraviglioso, battevano su quel cipiglio tra lo stupito e l’eccitato donandogli un’aria misteriosa e sensuale.
«Che dici, l’apriamo?» proposi recandomi in cucina dove mi seguì senza proferir parola.
“Troppo sorpreso?” pensai tra me estremamente soddisfatta.
L’atteggiamento spavaldo che Nathan aveva assunto fin dall’inizio mi aveva intrigata e infastidita al tempo stesso, ed ora l’ averlo stupito mi provocava un insolito piacere.
Mi avvicinai al cassetto della cucina per prendere un apribottiglie quando avvertii la sua presenza alle mie spalle, estremamente vicino.
«Tu sì che sai come accogliere un uomo» disse ritrovando la solita insolenza.
Anche di spalle potevo avvertire il suo sorriso, voltandomi ne ebbi la conferma.
«Beh, mi piace accontentare i miei ospiti. Sono un’ottima padrona di casa, sai?»  dissi con un soffio di voce, guardandolo da sopra la spalla.
«Lo vedo» rispose secco, prima di avvicinarsi per aiutarmi ad aprire il vino.
Nel frattempo presi due calici e li porsi a Nathan che li riempì senza distogliere lo sguardo dal mio.
«Cin cin» feci tintinnare il mio calice col suo e bevvi un sorso.
Nathan invece, restò fermo. Il suo non staccarmi gli occhi di dosso e quello sguardo pensieroso mi fecero torcere lo stomaco, smisi di bere e mi concentrai sul calore che avvertivo nel petto.
Merito di Nathan o del vino?
Era tutto così surreale ed intenso; la febbrile passione che ci stava logorando entrambi era qualcosa di terribilmente meraviglioso, ma troppo difficile da spiegare razionalmente.
«Lascia perdere il vino» sussurrò roco.
Le sue dita si strinsero attorno alla pelle delicata del polso per bloccare il mio movimento, mi strappò il calice dalla mano e lo poggiò sul ripiano con un’irruenza tale da farlo rovesciare e far fuoriuscire quel poco di liquido che ancora c’era dentro.
I suoi occhi emanavano un’eccitazione primordiale, guardarli fu come prendere un pugno nello stomaco. Il mio corpo reagì istantaneo, sentii i muscoli tendersi e il battito furioso del cuore rimbombare nelle vene proprio laddove le dita di Nathan stringevano.
«Come siamo impazienti» dissi quasi ansimando, cercando di non perdere del tutto il controllo della situazione.
Ignorando le mie parole cominciò a sciogliere il nodo alla vestaglia, quando i due lembi si aprirono a rivelare il mio corpo lo vidi trattenere il fiato per rilasciarlo tutto in una sola volta.
«Sei perfetta» disse iniziando a tracciare delle leggere linee immaginarie sulla pelle.
Mi sfiorò il seno costretto nel corpetto, scese lungo l’addome fino al bordo degli slip; potevo sentire il suo calore attraverso il pizzo sottile, strinsi appena gli occhi e sospirai nell’attesa che accadesse qualcosa.
Quando li riaprii nel suo sguardo potevo leggere tutta la sua bramosia, ma il sorriso…quel sorriso che avevo visto spesso comparire sul suo volto nel guardarmi, era ermeticamente indecifrabile.
Cercai di affinare i miei sensi al massimo, mettere in moto la mia solita arguzia per capire cosa si celasse dietro determinati atteggiamenti, ma quando iniziò a baciarmi lungo il collo i miei sforzi furono del tutto vani.
Perdendo il contatto con la realtà che mi circondava potevo solo sentire la sua lingua umida creare delle scie bollenti sulla pelle, risalire fin dietro all’orecchio prima di imprigionare il lobo tra denti.
«Ahh...» ansimai sentendo l’eccitazione concentrarsi tra le cosce, mi aggrappai alle sue spalle forti e lo guardai diritto negli occhi «Credo che il momento dei giochi sia finito, Nathan» dissi impaziente.
«Ah si?»
«Sì»
Le nostre labbra si incontrarono e le lingue iniziarono subito una strenua lotta tra loro; quando ci staccammo sentivo il fiato corto, gli occhi lucidi e le labbra tumide d’eccitazione.
«Dov’è la tua camera?» chiese in affanno.
«Di sopra»  riuscii a dirgli tra un bacio e l’altro.
Le sue robuste braccia mi cinsero la vita per sollevarmi, intrecciai le gambe intorno al suo bacino avvertendo la sua erezione costretta dietro la patta dei pantaloni strusciare contro la mia intimità.
Prese a camminare a tentoni mentre continuavamo a consumarci le labbra, le sue mani stringere le cosce e glutei nel tentativo di salire le scale senza perdere l’equilibrio, la vestaglia aperta svolazzare alle mie spalle.
Arrivati in cima si precipitò verso la stanza sulla sinistra, lo fermai giusto in tempo.
«Aspetta, la mia camera è quella» dissi indicando la porta all’altro lato del corridoio.
«Vivi…con qualcuno?» domandò, l’affanno dovuto alla salita e ai baci scambiati.
«La mia migliore amica» risposi mentre Nathan entrava nella mia camera trovando subito il letto ed adagiandomi sopra.
Si sollevò appena e potei vedere il suo sguardo ardere al pari del mio, i suoi occhi mi guardavano neanche fossi un agnello che ben presto sarebbe finito in pasto al leone.
“Non sai quanto ti sbagli Nathan”
Prima che potesse fare qualsiasi cosa mi inginocchiai sul letto, avvicinandomi al bordo lo afferrai per il colletto della camicia e tirandolo verso di me lo costrinsi a stendersi.
Subito fui a cavalcioni sopra di lui, lo vidi sorridermi divertito come se non avesse aspettato altro che prendessi il gioco in mano.
«Sei consapevole di essere il sogno erotico di ogni uomo, vero?» chiese mentre con movimenti decisi sbottonavo la sua camicia scoprendo l’addome scolpito.
«E tu sei consapevole che ogni donna ti vorrebbe nel suo letto?»
«Sì» rispose sicuro.
«Sì» dissi a mia volta.
“Bene, appurato che siamo molto fortunati possiamo continuare?” tenni questo pensiero per me.
Mi chinai a baciargli il ventre, la peluria rada mi solleticava in viso e quando inserii la lingua nel suo ombelico, Nathan inarcò il bacino confermandomi il suo gradimento.
Continuai a spogliarlo togliendo la camicia, scarpe, calzini e pantaloni; lui gettò via la mia vestaglia con irruenza, lasciando che la seta si adagiasse in una nuvola leggera sul pavimento.
Sempre restando su di lui mi sporsi per baciarlo, il mio petto aderì al suo e potei sentire il battito del suo cuore rimbombare con forza, una sensazione di calore si irradiò in tutto il corpo.
Le sue dita iniziarono ad armeggiare coi lacci del corpetto, quando riuscì a sfilarlo via mi mostrò vittorioso il suo trofeo.
«Notevole» dissi prendendolo in giro.
«Ancora devi vedere il resto» rispose alzandosi di scatto e ribaltando in un secondo le nostre posizioni.
Nathan rimase fermo tra le mie cosce spalancate per dei secondi che pareva non avessero fine, il suo sguardo languido mi faceva fremere nell’attesa che facesse qualcosa. Qualsiasi cosa.
La sua bocca si posò sul mio collo, iniziò ad alternare dolci baci a morsi che mi donavano scariche di brividi, scese lungo la clavicola fino ad arrivare al seno per imprigionare un capezzolo tra i denti.
«Oh...Nate…» gemetti inarcando in busto, in balia delle sensazioni che la sua lingua stava donando al mio punto più erogeno.
Mentre continuava a stuzzicarmi iniziai a sfiorare le sue cosce sode con i piedi, poi incrociai le gambe sui suoi glutei marmorei e lo attirai a me.
Lo sentii sussultare quando presi a dimenarmi facendo sfregare tra loro i nostri bacini, mentre con le cosce avevo creato una prigione da cui difficilmente l’avrei lasciato sfuggire.
«Ok...adesso basta!» esordì perentorio.
Si sollevò per sfilarsi i boxer mostrandomi la sua erezione, poi passò ai miei slip rivelando la pelle totalmente glabra della mia intimità.
Vidi la sua espressione stupita ed eccitata più che mai, la sua mano si avvicinò a sfiorare cauta l’oggetto del suo desiderio, e quando le sue dita raggiunsero il centro del mio piacere strinsi gli occhi gettando la testa all’indietro e godendo di quelle sensazioni.
Ad un tratto la mia mano, come spinta da una volontà propria, agguantò il suo polso per bloccarlo «Ti voglio, ora» dissi afferrando la sua erezione in una manifestazione chiara di quello che reclamavo.
«D’accordo Penelope»
“Dio, il modo in cui pronuncia il mio nome. Da orgasmo istantaneo”
Lo vidi sporgersi e recuperare i pantaloni al bordo del letto, dalla tasca posteriore estrasse un preservativo e proprio mentre stava per aprirlo lo strappai alla sua presa.
«Di questo me ne occupo io» dissi leccandomi il labbro inferiore.
Dopo un attimo di stupore mi sorrise in quel suo modo bellissimo, poi si stese poggiandosi con le spalle contro la testiera del letto, le gambe nerborute appena divaricate e l’erezione che svettava al centro di esse che reclamava prepotente la mia attenzione.
Alla luce fioca dell’abat jour, coi capelli che gli ricadevano scomposti sulla fronte e quell’espressione della serie “fammi ciò che vuoi” sembrava uno di quei modelli usciti dalle riviste patinate di Vogue o Vanity fair.
Anzi, lui era anche meglio; Nathan era reale e la mia attrazione verso di lui non dipendeva soltanto dal suo aspetto fisico, era anche una questione di cervello.
Nel vederlo lì, così sicuro di se, immagini di quasi sei anni addietro si fecero strada nella mia mente; noi nella mia camera, sul mio letto, il suo essere impacciato ed estremamente dolce, il respiro affannoso mentre perdeva la verginità e quelle emozioni che mai avevo provato prima.
A quel pensiero provai una strana fitta allo stomaco che volutamente ignorai, mentre lo guardavo con lo sguardo più provocante che conoscessi iniziai ad aprire la bustina che conteneva il profilattico, lo tirai fuori dal suo involucro e lo feci scivolare lentamente lungo il suo membro.
«Ecco fatto» dissi soddisfatta quando ebbi finito.
«E ora?» chiese lui sornione, quasi si aspettasse che gli annunciassi per filo e per segno quello che volevo facesse.
«Ed ora…facciamo sesso come se non ci fosse un domani» risposi senza remora alcuna.
Prima che potessi rendermene conto mi ritrovai sotto di lui, aveva le braccia tese ai lati del mio volto, la punta del suo sesso a pochi millimetri dalla mia entrata.
«Da qui...non si torna…più indietro» sussurrò serio puntando il suo sguardo nel mio.
Rimasi qualche istante in silenzio ad osservarlo, rapita da lui e lui soltanto, i seni che si alzavano ed abbassavano al ritmo irregolare del respiro sfiorando così il suo petto caldo a pochi millimetri dal mio.
Avvertii uno strano vuoto nello stomaco prima di pronunciare le parole che parvero suonare con un significato molto più profondo rispetto ai sentimenti investiti, che erano pari a zero.
«E’ quello che voglio»
Le sue labbra trovarono le mie nell’istante esatto in cui i nostri corpi diventarono un tutt’uno, lo sentivo muoversi dentro di me a riempirmi completamente, la sua testa nell’incavo nel mio collo, i suoi sospiri al mio orecchio, i brividi irradiarsi lungo la schiena.
Le mie mani furono tra i suoi capelli, li strinsi con forza prima di scendere lungo le grosse scapole tese a causa dallo sforzo, delineare tutta la colonna vertebrale fino ad arrivare ai glutei contratti.
«Oh Dio...» sussurrai mentre sentivo la tensione crescere nel basso ventre, sorpresa nel constatare di essere già così vicina al punto di esplodere.
«Lasciati andare, Penny»
Il mio nome pronunciato dalle sue labbra fu la goccia che fece traboccare il vaso, sentii quel piacevole contrarsi ritmico che mi portò all’oblio mentre aggrappata quasi con disperazione alle spalle di Nathan mi abbandonavo al mio orgasmo.
«Cazzo, Penny...» lo sentii ansimare ed aumentare le sue spinte fino a fermarsi del tutto.
Il respiro corto e lo sguardo incollato al soffitto, completamente prigioniera del corpo di Nathan disteso sopra il mio.
Un'unica parola nella testa: “Wow”
Lo sentii muoversi e poi uscire da me per stendersi al mio fianco, ci girammo l’uno verso l’altra per ritrovarci faccia e faccia, il volto disteso e soddisfatto.
«E’ stato…intenso» disse sorridendomi.
«Già, proprio…intenso» gli feci eco, non riuscendo a trovare un modo migliore per esprimermi.
Allungò una mano verso il mio viso, le dita delinearono la linea del naso scendendo verso le labbra dischiuse. Continuò ad accarezzare il mio labbro inferiore fino a quando non risucchiai il suo dito all’interno della bocca, sentendo il suo sapore meraviglioso.
«Credi che questa “cosa” potrebbe avere un seguito?» domandò cauto, consapevole di essere su un terreno molto instabile.
«Beh credo…»
“Sicura di voler rinunciare a tutto questo?” mi chiese il mio inconscio prima che ponessi fine a tutto.
“Ovviamente no!” fu la risposta scontata.
«In ufficio nessuno dovrà accorgersi di niente» dissi inflessibile, aggirando la sua domanda.
«Ma certo, è logico» mi sorrise beffardo convinto di aver fatto centro «Avrei bisogno del bagno»
«E’ proprio lì» risposi indicandogli la porta di fronte al letto.
«Grazie, faccio in un attimo» si alzò fiero in tutta la sua nudità, a piedi scalzi si diresse verso il bagno chiudendosi la porta alle spalle.
Mi rigirai nel letto stirando i muscoli lievemente intorpiditi, il senso di soddisfazione e leggerezza a fare da padroni.
Improvvisamente sentii un cicaleggio in lontananza, mi alzai ed indossai soltanto la vestaglia prima di uscire dalla camera per prendere il cellulare che avevo lasciato sul tavolino nel corridoio.
Tornai di corsa nella stanza e mi sedetti sul letto rispondendo senza curarmi di vedere chi fosse, troppo presa dall’amplesso appena consumato.
«Pronto?»
“Buonasera dolcezza”
«Jack, ciao» lo salutai e portai le ginocchia al petto per stare più comoda «Tutto bene?»
“Quando ti sento, una meraviglia” rispose sornione “Volevo scusarmi ancora per sabato”
«Oh, non ce n’è bisogno» dissi mentre la porta del bagno si riapriva e lo sguardo perplesso di Nathan si posava su di me.
Continuai a fissarlo, quegli occhi erano peggio di due calamite ed il modo in cui i capelli scompigliati gli ricadevano fin sulle ciglia mi fecero venire una voglia matta di ricominciare.
“Penny, sei ancora lì?” sentii Jack richiamarmi, mi ridestai pronta a rispondergli.
«Sì Jack, scusa»
Non appena feci il suo nome lo sguardo di Nathan si assottigliò ulteriormente, si avvicinò fino a  portarsi sul letto, estremamente vicino, quasi a volermi distrarre dalla telefonata e soprattutto dalla persona con la quale stavo interloquendo.
“Non preoccuparti, volevo solo sapere se domani ti andava di vederci?”
«Domani? Sì, credo di non avere impegni» risposi mentre continuavo a guardare il fantastico uomo al mio fianco, col suo sguardo che adesso sembrava severo.
“Perfetto, ci vediamo alla solita ora?”
«Certo, solita ora. A domani» riagganciai senza aspettare una risposta, troppo rapita dall’espressione di Nathan.
«Così domani esci di nuovo con quel Jack» chiese con una punta di astio nella voce.
«A quanto pare...» risposi vaga, mordendomi il labbro «Non vedo perché non dovrei»
Se la cosa gli diede fastidio non lo diede affatto a vedere «Giusto!» esclamò, poi raccolse i boxer per indossarli, così come la camicia e i calzoni «Credo sia ora di andare» disse quasi si sentisse in dovere di giustificarsi.
«Sì, lo credo anch’io» mi alzai per andargli incontro, afferrai i lembi della camicia ancora aperta ed iniziai ad abbottonarla lentamente, indugiando qualche secondo ad ogni bottone e sfidandolo con lo sguardo.
Capii di aver raggiunto il mio obiettivo quando la sua mano si posò dietro la mia nuca, attirandomi con prepotenza verso di se e baciandomi in un modo che avrebbe dovuto essere dichiarato illegale.
“1 a 0 per me” pensai trionfante.
«Buonanotte Penny» la sua voce roca mi fece eccitare nuovamente, ma non potevo trattenerlo.
Fargli capire quanto lo desiderassi era come scavarmi la fossa da sola.
«Notte…Nathan»
Lo vidi uscire dalla stanza e per un attimo sperai che riaprisse quella maledetta porta e mi scaraventasse sul letto per farmi nuovamente sua, ma quando ciò non accadde mi ripromisi che avrei fatto di tutto per averlo ancora.

***
Buonasera ragazze, vorrei sapere cosa ne pensate di Penelope? Dei suoi modi di sedurre e approcciarsi con gli uomini? Se immaginate da cosa possa dipendere la sua sicurezza, o se ritenete che sia soltanto una facciata. Ho bisogno di risposte per capire se la direzione in cui vado possa è quella giusta. Vostra Ice.

 

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Capitolo 11
*** Capitolo X ***


Capitolo X

Pesantemente poggiato contro la poltrona in pelle nera, una mano sotto il mento a sfiorarmi il labbro inferiore col pollice, lo sguardo perso nel nulla in soprappensiero mentre immagini della sera precedente si susseguivano nella mente.  
Sospirai profondamente ripensando a quei profondi occhi color mogano, il suo fisico formoso e quelle labbra carnose, avvolta in quella vestaglia di seta rossa e fasciata da quel completo intimo di pizzo nero era…
Dio, non c’era un modo per definirla. Era semplicemente fantastica, perfetta, sexy oltre ogni immaginazione.
Ero stato uno stupido a pensare di poterla “usare” a mio piacimento, e nemmeno lo volevo più.
L’errore più grande che avessi potuto commettere sarebbe stato quello di lasciarmi sfuggire la magnifica opportunità che Penelope mi aveva offerto: un rapporto basato su del fantastico sesso senza coinvolgimenti.
“Sono in Paradiso”
Il pesante tocco alla porta mi costrinse a sistemarmi sulla poltrona, e sistemare qualcosa più in basso, nei pantaloni, dove qualcuno aveva preso vita.
«Avanti» dissi.
La porta si aprì e vidi entrare il capo in persona, mi alzai e gli porsi la mano «Buongiorno Mr. Rooter»
«’Giorno Nathan» rispose lui, il sorriso smagliante che risaltava sulla sua costante abbronzatura «Come va?»
«Molto bene, la ringrazio»
Lo vidi accomodarsi ed indicarmi la sedia invitandomi a fare lo stesso «Sono passato per dirti che ho mandato in stampa i tuoi lavori, nel giro di una settimana potrai vederli sui cartelloni pubblicitari di tutta la città»
Lo vidi sorridere per la mia espressione stupita.
«Davvero? Io credevo…» mi interruppi, davvero troppo sorpreso per poter dire qualcosa.
La risata profonda di Bill risuonò per la stanza «So cosa vuoi dirmi. Ti avevo detto che era una campagna pubblicitaria di prova, poi Miss Penthon mi ha convinto che un lavoro così ben fatto non poteva restare in un cassetto» spiegò.
Per un attimo pensai di aver capito male, poi mi ripresi consapevole che con Penelope nulla sarebbe mai stato come lo si aspettava.
«Oh sì, io…avevo chiesto un suo parere. Non credevo che avrebbe insistito per farli pubblicare»
«Ed invece l’ha fatto» disse soddisfatto «Quella ragazza ha una tenacia che…wow»
Tenne per qualche istante lo sguardo perso nel vuoto col sorriso stampato sul volto, come se stesse pensando a qualcosa di piacevole.
Difficile non capire che stesse pensando a Penny; sicuramente la trovava attraente o molto più probabilmente, conoscendola, c’era stato qualcosa tra loro, o magari c’era ancora.
Provai un’immotivata fitta di fastidio, che giustificai col classico istinto animale che si scatenava in ogni uomo dopo che aveva marchiato una donna, anche se non provava nulla per la suddetta.
«Già è molto brava nel suo lavoro» dissi in risposta alla sua affermazione.
«Non solo nel lavoro, Nathan. Penelope è una ragazza in gamba in molte cose, una donna caritatevole»
Ok, non c’erano più dubbi.
Penelope e Bill erano finiti a letto insieme, come prevedibile, ma perché venirmelo a sbattere in faccia con queste squallide allusioni?
Forse Bill aveva capito qualcosa ed agendo anche lui secondo l’istinto più primitivo dell’uomo, stava cercando di difendere ciò che era “suo”? Marcava il territorio?
Sentii il fastidio crescere ulteriormente ma dovetti trattenermi se non volevo rischiare di perdere il posto di lavoro.
«In qualunque caso sono lieto che il lavoro le piaccia, adesso se non le dispiace io tornerei a…»
“Pensare ad Penelope?” suggerì il mio inconscio.
«…lavorare» conclusi.
«Ma certo Nathan, a presto» disse stringendomi la mano prima di uscire dal mio ufficio.
Rimasi a guardare la porta in cagnesco per qualche secondo, molto agitato senza un motivo veramente valido.
Inserii la password al computer e decisi di andare da Penelope, avvertendo uno strano bisogno di vederla.
Arrivai fuori il suo ufficio, bussai con vigore e sentii pronunciare un “avanti” molto distratto.
Non appena entrai la vidi seduta alla sua classica postazione, i capelli vaporosi che le incorniciavano il viso, le lunghe ciglia curvate mentre gli occhi erano fissi sul monitor del pc, la mano dalle dita eleganti e le unghie laccate di rosso era posata sul mouse.
Stava lavorando, aveva due fantastiche fossette al centro della fronte che sicuramente erano dovute alla concentrazione, le donavano un’aria quasi corrucciata.
Richiusi la porta alle mie spalle e in quell’attimo esatto sollevò lo sguardo, i nostri occhi si incrociarono e l’amichetto dei piani bassi si ringalluzzì all’istante.
«Ciao» le sorrisi.
Lei ricambiò con un luccichio speciale negli occhi, quasi sembrava felice di vedermi.
«Ma buongiorno» si alzò e fece il giro della scrivania, si poggiò col sedere sul bordo ed incrociò le caviglie quasi si volesse mettere in mostra «A cosa devo questa visita?»
«E’ venuto a trovarmi Mr. Rooter» dissi semplicemente.
La vidi inarcare le sopracciglia e distogliere lo sguardo «Ops, mi hai beccata» mi sorrise furba, come al solito «Ti dispiace che mi sia intromessa?»
«No, è solo che mi stupisco dell’influenza che sai esercitare sul capo»
«Nessuna influenza, quei lavori erano ottimi» disse sicura, l’aria altamente competente.
«Per me…» provai a controbattere ma mi interruppe.
«Ti ha detto che gli sono piaciuti?» chiese.
«Si, ma…»
«Appunto!» sorrise, interrompendomi ancora.
Cavolo, era praticamente impossibile darle torto. Era così consapevole e sicura di se che non potevi obiettare se avevi una discussione con lei, dovevi soltanto arrenderti all’evidenza.
«Sei andata a letto con Bill?» chiesi senza mezzi termini, senza nemmeno che me ne rendessi conto.
La sua espressione stranita faceva supporre che forse non sapeva di cosa stessi parlando, ma con Penelope non si poteva mai avere una certezza assoluta, faceva sempre qualcosa che d’improvviso sconvolgeva tutti i tuoi piani, spiazzandoti.
«Posso capire il perché di questa domanda?» chiese in un mezzo sorriso, per niente infastidita.
Dopotutto non era il tipo di donna pudica, di quelle che fanno finta di essere delle sante e che si risentono se provi ad insinuare qualcosa sulla loro sessualità.
Penelope non aveva problemi a rapportarsi con gli uomini, e lasciargli credere quel che volessero fregandosene bellamente di quello che gli altri potessero pensare di lei.
«Da come parlava di te sembrava che Bill fosse molto…soddisfatto»
«Ah si?» chiese lei inclinando lievemente il capo ed arricciando le labbra.
«Sì. E non si è risparmiato nemmeno di decantarmi le tue doti di donna “caritatevole”»
Non appena sentì quella parola la vidi trasalire appena, poteva essere una conferma di quello che avevo pensato?
«In qualunque caso, se anche fossi andata a letto con lui, importa qualcosa?» domandò con voce sensuale, avvicinandosi con fare predatorio.
Se voleva distogliere l’attenzione dall’argomento ci stava riuscendo benissimo.
«No, è giusto per sapere con quanti uomini dovrò dividerti»
«Proprio con nessuno» disse sicura, venendomi sotto a muso duro «Perché non sono una proprietà tua, tantomeno di tutti gli altri uomini con cui decido di andare a letto»
Se fino a pochi secondi prima potevo dirmi eccitato, la sua vicinanza e quel suo tono così grintoso furono il colpo di grazia.
Posai le mie labbra sulle sue mordendole con tale veemenza da farla sussultare, un po’ per vendetta e un po’ per piacere quando mi staccai vidi la sua bocca storta in un ghigno minaccioso e divertito.
«Questo non avresti dovuto farlo, Nathan»
Si avvicinò alla porta che chiuse con due mandate, quando si voltò nuovamente  verso di me i suoi occhi erano letteralmente  fuoco vivo.
«Ora tocca a me» disse impugnando la lampo laterale del suo tubino, iniziando a tirarla giù molto lentamente.
Spostò prima una bretella lungo una spalla, poi l’altra, e quando il vestito cadde raccogliendosi ai suoi piedi, rimase col solo completo intimo a coprirla.
 Con ai piedi le eleganti decolté nere scavalcò l’abito per venirmi incontro, quando fu abbastanza vicino posò una mano a coppa sulla mia eccitazione stringendo lievemente.
 «Ti decidi a fare qualcosa, o quel tuo morso era solo il frutto di un attacco di gelosia isolato?» sussurrò.
Preso da una frenesia incontrollata la sollevai per farla sedere sulla scrivania, iniziai a baciarle le labbra, passando più e più volte la lingua laddove i miei denti avevano lasciato un solco nella carne morbida.
Nel frattempo le sue mani armeggiavano coi bottoni della camicia e quando fu aperta, passò ai pantaloni che spinse giù coi piedi lungo le cosce.
Potevo sentire la punta fredda delle sue scarpe di vernice solleticarmi la pelle, le nostre lingue calde giocavano tra loro mentre per i fianchi la tenevo stretta a me con tutta la forza di cui ero capace.
Un sentimento insano e perverso si fece strada nella mia mente, ma lo ricacciai all’istante.
Scesi con la bocca lungo il collo, le baciai i seni costretti nel severo reggiseno a balconcino mentre con le dita le sfioravo i capezzoli al di sopra della stoffa morbida.
«Oh Nathan, Nathan, Nathan…» pronunciò il mio nome all’infinito presa dall’estasi del momento.
Sentii le sue dita delicate allargare l’elastico dei boxer per farli ricadere allo stesso modo dei pantaloni, il mio membro svettava fiero tra le sue cosce divaricate.
«Dimmi…che mi vuoi» le sussurrai all’orecchio.
Le morsi il lobo, inarcò la schiena avvicinandosi ulteriormente «Dillo Penny, dimmelo» chiesi ancora una volta.
«Ti voglio» disse in un gemito strozzato «Ti…voglio»
Con l’adrenalina alle stelle spostai appena la stoffa del suo tanga, misi le mani sotto le sue ginocchia ed attirandola verso di me la penetrai con un colpo secco.
Iniziai a muovermi velocemente, incapace di trattenermi, quando le sue unghie presero a graffiarmi la schiena e le spalle, conficcandosi nella carne, morsi disperatamente la sua clavicola per evitare di urlare.
Eravamo in un ufficio, cazzo. Uno qualunque dei nostri colleghi avrebbe potuto scoprirci, Bill avrebbe potuto bussare da un momento all’altro, o Johanna avrebbe potuto chiamare per una comunicazione qualsiasi, ma non m’importava di nulla.
Nonostante non mi fossi mai trovato prima in una situazione tanto inverosimile, in quel momento l’unica mia preoccupazione era il godimento della donna che stavo scopando.
«Dio Penny…Penny»
Una mia mano si perse tra i suoi capelli, mentre con l’altra ancora la mantenevo. Alzando la testa mi ritrovai a guardarla negli occhi, lucidi e bellissimi, quando la vidi rotearli all’indietro inclinando la testa e spalancando le labbra per respirare meglio, mi tirai fuori dal suo corpo venendo all’istante.
Provai a raccogliere il mio seme con la mano ma inevitabilmente qualche goccia finì sul suo ventre e sulla coscia.
«Ti prendo dei fazzoletti» disse scendendo dalla scrivania, il respiro in affanno.
«Grazie»
Quando me li porse iniziai a pulirmi, vidi che lei faceva lo stesso.
«Mi dispiace»
«Per cosa?» chiese guardandomi perplessa.
«Beh…per quello» le risposi indicando il suo addome «Non ho saputo trattenermi»
«Oh, non è un problema» disse con un sorriso facendo dissolvere tutto il mio inspiegabile imbarazzo.
Finii di ripulirmi e mi ricomposi, Penelope indossò il suo vestito e tolse le mandate alla porta.
Sentivo il mio cuore battere all’impazzata, ma sapevo che non era dovuto solo allo sforzo o all’orgasmo appena avuto. C’era qualcos’altro sotto, qualcosa che aveva a che fare con Penelope e col modo in cui i nostri corpi si attraevano.
Non sapevo spiegarmi se fosse lei, i suoi modi di fare, o chissà quale altro assurdo motivo, ma le sensazioni che provavo quando l’avevo tra le mie braccia erano amplificate all’infinito.
Mi ritrovai a guardarla e sorridere, fino a quando non interruppe la mia contemplazione.
«Allora questo era il tuo modo per ringraziarmi?» chiese compiaciuta.
«Per cosa dovrei ringraziarti?» domandai divertito.
«Per averti fatto fare bella figura col capo» rispose ovvia.
«No, non era assolutamente per quello» dissi serio, squadrandola da capo a piedi, perfettamente in ordine anche dopo tutto quello che avevamo appena fatto.
«Oh…beh credo sia ora che ci rimettiamo a lavoro» tornò a sedersi davanti al computer, chiedendomi implicitamente di andarmene.
«Certo, ci vediamo…»
«Domani a lavoro» disse senza lasciare che finissi la mia frase, gli occhi puntati sullo schermo che cercavano di evitarmi.
«Sì, ok. A domani allora»
«Ciao»
 La guardai un’ultima volta, incapace di comprendere i suoi cambiamenti improvvisi d’umore, poi uscii.
Forse c’era ben poco da spiegare, il sesso era sesso, quello che veniva dopo non aveva importanza.
Non ci saremmo mai scambiati sguardi languidi carichi d’amore, carezze o parole dolci, non era questo che ci importava; non avremmo mai preteso l’uno dall’altra qualcosa in più rispetto a quello che già davamo, ed era questo che avrei dovuto avere chiaro in mente.

*** 
Cosa ne pensate di questo punto di vista di Nathan? In che termini collochereste il suo coinvolgimento?

 

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Capitolo 12
*** Capitolo XI ***


Capitolo XI

Continuai a tenere gli occhi fissi sullo schermo del computer fino a quando Nathan non si richiuse la porta alle spalle; il mio respiro era ancora irregolare e l’adorabile formicolio tra le cosce si stava pian piano placando.
«Cazzo, perché?» chiesi passandomi una mano tra i capelli, sconcertata.
Fare sesso con Nathan era stato…fantastico, però il senso di vuoto che avevo avvertito subito dopo mi aveva totalmente spiazzata.
Non era la prima volta che avvertivo quella strana sensazione tra il petto e lo stomaco, quel senso di inquietudine che sapevo non stava a significare nulla di buono.
Succedeva quasi sempre quando andavo a trovare Thomas ed Elizabeth alla Sun House, ma in quel caso era dovuto al rammarico per la situazione in cui si trovavano quei bambini, al senso di impotenza nell’essere consapevole di poter fare ben poco per loro, ma adesso…cosa poteva stare a significare?
Guardando l’orologio mi resi conto che…cazzo, erano passati più di quarantacinque minuti da quando Nathan aveva messo piede nel mio ufficio.
Improvvisamente mi resi conto che eravamo stati molto fortunati che durante quel lasso di tempo nessuno ci avesse cercati, se fossimo stati colti in flagrante sarebbe stata una bella gatta da pelare.
“Cavolo, ma cosa mi è preso?” mi domandai in un lamento.
Era vero che non mi tiravo mai indietro dinnanzi a del buon sesso, ma il lavoro per me era un gradino più in alto e mi ero sempre riguardata dal tenere le due cose scisse per bene.
«In ufficio nessuno dovrà accorgersi di niente»
«Ma certo, è logico»
Già, logico. Ma per chi?
Di certo non per noi tenendo conto di quello che avevamo appena fatto sulla mia scrivania; soprattutto non per me che avevo violato una delle poche regole che mi ero imposta nella vita: Mai mischiare il lavoro con il piacere.
Ecco a cosa era dovuto quel senso di oppressione nel petto, era l’angoscia per essermi lasciata trasportare dalle emozioni perdendo così il mio ineccepibile autocontrollo.
Sbuffai sonoramente, irritata. Fare sesso con Nathan era divino ma se avessi continuato a perdere il controllo in questo modo dubito avrei dato un seguito alla cosa.
Prima che i pensieri mi facessero impazzire presi il cellulare e composi il numero le cui cifre erano impresse a fuoco nella mia mente.
“Pronto?”
«Tom ciao, sono Penny»
“Penny? Wow, deve essere la mia giornata fortunata” disse ridendo appena.
«Sì, uh-uh…come no» lo presi in giro «Fortunatissima»
“Dai, lo sai che scherzo”
«Lo so. Ti volevo soltanto avvisare che più tardi passerò a trovarvi»
“Più tardi? Come mai, giovedì sei impegnata?”
«No affatto, verrò anche giovedì. Ho soltanto voglia di passare a fare un saluto» spiegai.
“Perfetto, l’avevo detto che era la mia giornata fortunata”
Sorrisi divertita «A dopo Tom»
“Un bacio Penny”
Riagganciai e controllai di nuovo l’ora, erano le due passate ed avrei fatto meglio a scendere in mensa se non volevo restare a stomaco vuoto, nonostante non avessi poi tanta voglia di mangiare.
Raccolsi la giacca e la borsa ed uscii dall’ufficio, in ascensore incrociai un paio di colleghi con cui scambiai qualche chiacchiera; quando arrivai in mensa mi guardai intorno circospetta e fui lieta di vedere che fosse già semi vuota, per fortuna Nathan non era lì.
Mangiai un boccone al volo poi decisi di andarmene, dato che di lavorare nel modo in cui mi sentivo non se ne parlava proprio.
Essere la più stimata del capo aveva i suoi lati positivi - tipo potere gestire i tuoi orari in ufficio come meglio credevi - ed era tutto molto bello, almeno fino a quando lo stesso capo non decideva di andare in giro a decantare i tuoi pregi, uno tra i tanti il tuo essere “caritatevole”.
Era ovvio che Nathan avesse pensato che Bill ed io avevamo una relazione, mica poteva sapere che quella frase si riferisse all’ente benefico gestito da Elisabeth e Thomas che entrambi finanziavamo da qualche anno.
Quando uscii il sole brillava alto nel cielo, nonostante fossimo agli inizi di novembre, il caldo a Los Angeles non si risparmiava di certo.
Presi la metro ed in un baleno fui alla Sun House, bussai e ad aprire venne Thomas che mi riservò la solita calorosa accoglienza.
«Buon pomeriggio raggio di sole»
«Buon pomeriggio Tom» lo baciai su entrambe le guancie e mi guardai intorno nel corridoio deserto «Dove sono tutti?»
«Ancora in mensa per il pranzo» spiegò gentilmente «A proposito di cibo» mi cinse le spalle con le braccia possenti sorridendomi ammaliatore «Che ne diresti di una bella cena, soli tu ed io?»
Scossi la testa rassegnata «Tom perché non inviti Beth per cena?» buttai lì con finta noncuranza.
Forse mi si stava presentando l’occasione che aspettavo da qualche mese, poter finalmente fare qualcosa di buono per una donna che si dedicava sempre agli altri e mai a se stessa.
«Beth? Ma se pranziamo insieme praticamente tutti i giorni» rise di gusto.
«Intendo una cena vera Tom. Un appuntamento» inarcai un sopracciglio e trattenni un sorriso che minacciava di uscire.
«Appuntamento? Non essere sciocca Penny, Beth è la mia migliore amica praticamente…da sempre» disse facendo spallucce e ridendo ancora «Questa gliela devo proprio raccontare, la troverà esilarante»
«Io non credo» dissi seria «Pensaci Thomas, avete trentacinque anni e nessuno dei due ha mai trovato la persona con cui sistemarsi, forse è semplicemente perché avete già trovato l’anima gemella ma non riuscite ad ammetterlo»
Il sorriso sul suo volto si spense, divenne improvvisamente pensieroso esortandomi così a continuare «Beth è una donna meravigliosa, bella, intelligente, ama i bambini e condividete le stesse passioni. Non lasciarti intimorire dal fatto che siete amici da sempre, qualunque cosa accada non la perderai» lo rassicurai con un sorriso «Adesso vado di la, questa conversazione rimarrà tra noi» gli feci un occhiolino e mi voltai lasciandolo lì totalmente spiazzato, convinta di aver colto nel segno.
Non appena entrai in mensa udii il brusio di sottofondo, le risate e le urla dei bambini più piccoli, le chiacchiere moderate degli adolescenti che occupavano un tavolo a parte, vidi Elisabeth china su un bimbo in lacrime intenta a consolarlo dopo essersi rovesciato il succo d’arancia addosso.
Sorrisi intenerita avvicinandomi a lei «Serve una mano?» chiesi cogliendola alla sprovvista.
«Penny, tesoro» mi sorrise «Cosa ci fai qui?»
«Nulla, avevo un po’ di tempo libero e avevo piacere a passare»
Vidi la sua espressione poco convinta che cercò di celarmi «Mi fa piacere che tu sia passata»
Voltandomi all’altro lato della stanza vidi Daniel e Lilian seduti l’uno accanto all’altra, lui alzò una mano per salutarmi e sul volto di lei vidi comparire un timido sorriso.
«Fanno coppia fissa?» chiesi ad Elisabeth indicandoli.
«Oh sì» sorrise compiaciuta «E’ quasi una settimana che li vedo sempre insieme e pare che Lilian a poco a poco si stia aprendo»
Annuii sorridendo, forse le cose non erano sempre destinate ad andare male «Ci sono altre novità?» domandai.
«Certo, abbiamo assunto una nuova professoressa di lettere. Vieni che te la presento»
Uscimmo dalla mensa, attraversammo i corridoi passando dinnanzi ai dormitori, fino ad arrivare all’aula insegnanti.
«Noemi?» chiamò Beth avvicinandosi ad una donna minuta e con una folta chioma di capelli biondi e ricci, sembrava giovane ma doveva avere almeno trent’anni.
Non appena si voltò mi scontrai con un paio di occhi verdi brillanti, rimasi per un attimo perplessa dalla familiarità di quello sguardo, scrutandola con attenzione.
«Volevo presentarti una mia cara amica, Penelope Penthon»
«Piacere» dissi porgendole la mano «Chiamami pure Penny»
«Piacere mio Penny. Noemi Wilkeman» disse sorridendomi, radiosa.
«Wilkeman?» domandai sorpresa dalla coincidenza.
«Si, perché?»
«No, niente. E’ solo che conosco un ragazzo…» non mi lasciò terminare.
«Oh, forse conosci mio fratello Nathan?»
«Fratello?» chiesi sconcertata «Cioè sì, conosco un certo Nathan ma non mi pare abbia una sorella»
«Penelope lavora alla BR design» intervenne Beth.
«Bene, allora sì. E’ proprio mio fratello» asserì Noemi «E’ stato assunto lì da poco»
«Oh, guarda quanto è piccolo il mondo» disse ancora Beth «Sedetevi a chiacchierare ragazze, vado a fare un caffè» si allontanò mentre Noemi ed io prendevamo posto.
«Allora Nathan è…tuo fratello?» le chiesi ancora una volta, incredula.
«Già» rispose lei sorridendo.
«Lo conosco da anni eppure non ero a conoscenza di questa cosa. Non ti ho mai vista a Newark»
«Infatti non ho mai abitato a Newark. Quando Nathan si è trasferito lì con la mia famiglia io già frequentavo il college e così sono rimasta a New York. Dopo aver terminato il percorso di studi mi sono trasferita qui a Los Angeles e Nathan ha deciso di seguirmi» spiegò brevemente.
«Ecco svelato l’arcano» le sorrisi.
Ecco cos’era stata quella sensazione di familiarità. Noemi aveva gli stessi, identici, occhi di Nathan, al punto che quasi mi sentivo a disagio a parlare con lei.
“Ovvio che sei a disagio, stai parlando con la sorella del ragazzo che meno di due ore fa hai scopato nel tuo ufficio” mi rimbeccò la mia coscienza.
Elisabeth tornò col caffè, iniziai a sorseggiarlo mentre scambiavo delle chiacchiere con lei e con “la sorella di Nathan”.
Più Noemi parlava, più in lei ritrovavo gli stessi modi di fare del fratello; i sorrisi e la gestualità, e più ancora mi rendevo conto che effettivamente sapevo ben poco di lui, della sua vita privata.
Tra una chiacchiera e l’altra il tempo trascorse in fretta, non mi resi conto che erano passate le cinque e se non mi fossi sbrigata avrei tardato all’appuntamento con Jack.
«Dovete scusarmi» dissi alzandomi «Adesso devo proprio andare»
«Ok tesoro, ti accompagno»
«Ciao Noemi, è stato un vero piacere» dissi allungandole nuovamente la mano, ma prima che me ne rendessi conto mi attirò in un abbraccio e mi baciò entrambe le guancie con calore.
«Piacere tutto mio Penny. Ci vediamo presto»
Uscii dalla sala accompagnata da Beth, quando fummo all’esterno respirai una boccata d’aria fresca «Adesso vado ma ci vediamo giovedì» le rammentai.
«Ti aspettiamo, come sempre. Sicura sia tutto ok?»
«Certo Beth, tutto benissimo. Mi piace Noemi» dissi sorridendole «Sembra una brava persona»
“La sorella segreta del mio amico di letto” pensai molto perplessa.
«Infatti, è qui solo da una settimana ma si prodiga molto per tutto e tutti» disse soddisfatta.
«Abita da tempo qui a Los Angeles? Ha detto che ha studiato a New York» cercai di indagare.
«Saranno almeno un paio d’anni, infatti mi aveva accennato che il fratello si è trasferito qui dato che aveva lei come appoggio»
«Capisco» dissi riflettendo sul fatto che la vita di Nathan per me era un enorme buco nero «Ci sentiamo domani» le sorrisi e le baciai una guancia, poi mi avviai verso casa.
Quando aprii la porta Tanya era seduta sul divano, le gambe sotto i glutei ed un libro tra le mani mentre sgranocchiava dei biscotti.
«Buonasera»
«Ehi tesoro» i suoi occhi blu si illuminarono, il suo sorriso mi fece sentire veramente a casa «Vieni qui» disse battendo il palmo della mano sul divano.
Mi sedetti al suo fianco e tolsi le decolté che ormai indossavo quasi come una divisa. «Come mai sei rincasata prima?» disse mordendo un biscotto e riponendo il libro sul tavolino dopo aver segnato la pagina.
«Sono uscita prima da lavoro per andare alla Sun House»
Attirai il suo sguardo incuriosito «Avevano bisogno di qualcosa?» chiese scrutandomi.
«No, avevo voglia di vedere come andavano le cose» cercai di sembrare quanto più distaccata possibile, ma dal suo sguardo sapevo che non l’avrebbe bevuta.
La vidi annuire poco convinta, poi partì all’attacco.
«Dimmi cosa c’è?»
«Deve esserci necessariamente qualcosa?»
“Dai Penny, non opporre resistenza. So che non desideri altro che Tanya ti tiri fuori quello che non riesci a dire di tua spontanea volontà” mi incoraggiai.
«No, non necessariamente. Ma in questo caso io so che c’è» mi prese una mano e mi sorrise «Dai racconta»
«Oggi ho fatto sesso con Nathan, di nuovo»
«Scusa, ma non siete stati insieme ieri quando vi ho lasciato casa libera?» chiese confusa «A tal proposito, ti ringrazio per aver lasciato cera e candele ovunque» disse imbronciata.
Non potei fare a meno di ridere «Scusa, non ho avuto tempo di toglierle»
«Si, ok. Lasciamo perdere» mi liquidò con un gesto brusco della mano «Allora, dove avete fatto sesso?»
«Nel mio ufficio»
«Nel tuo…COSA?»
Gli occhi quasi le uscirono fuori dalle orbite, mi ritrovai ricoperta dalle briciole dell’ennesimo biscotto che stava masticando e scoppiai in una fragorosa risata «Ti prego…contieniti» le dissi tra i singhiozzi.
«Penny ma tu…»
«Lo so Tanya, lo so» la interruppi «E’ proprio questo che mi ha turbato» ammisi «Nonostante la mia scarsa moralità non ero mai arrivata a tanto» feci spallucce già più rilassata dopo averne parlato.
«Se qualcuno ti avesse scoperto?» mi fece notare.
«Mi ha provocato, meritava una lezione»
«Una lezione? Ma ti senti come parli?»
«Cazzo Tanya, se lo vedessi anche tu mi daresti ragione» mi alzai e passai le mani tra i capelli «Non si può dirgli di no, ma ti assicuro che non accadrà più» presi una pausa «Nel mio ufficio, ovviamente» precisai, con un sorriso furbo.
«Fa un po’ come ti pare» disse rassegnata «Adesso che si fa?»
«Adesso…» dissi guardando l’ora «Devo andare a prepararmi»
«Esci?»
«Sì»
«Nathan?»
«No, Jack»
Mi guardò di sottecchi, lo sguardo truce «Sei impossibile»
«So che mi vuoi bene» le baciai una guancia «Augurami una buona serata»
Per tutta risposta mi beccai un “Fottiti Penthon” accompagnato da un gesto inequivocabile della mano.
Mi concessi un bel bagno rilassante, nell’acqua calda annullai tutti i pensieri e lasciai che i muscoli tesi si distendessero.
Indossai dei semplici jeans e una giacca, lasciai che i capelli umidi ricadessero sulla schiena e mi truccai appena.
Quando scesi in soggiorno trovai un biglietto di Tanya che mi informava di essere uscita a cena con Marc e che non sarebbe rientrata per la notte, recuperai le chiavi di casa e mi diressi al locale dove avrei incontrato Jack.
«Buonasera bambola, scusami se ti ho fatto aspettare»
Mi voltai sul mio sgabello del bar, la cannuccia del drink tra i denti «Ciao Jack»
Guardai i suoi capelli biondi raccolti in un codino, gli occhi chiari ed il sorriso bianchissimo «Cosa bevi?» chiese prendendomi il drink dalle mani per berne un sorso «Buono!» esclamò soddisfatto.
«Creazione del barman» dissi facendo spallucce.
«Bene, prendo lo stesso» disse rivolto al ragazzo del bar.
Si sedette al mio fianco ed iniziammo a chiacchierare, dopo un po’ la sua voce divenne un mormorio che si confuse insieme con le altre voci intorno a noi e alla musica del locale, vedevo le sue labbra muoversi, sorridere, ma con la testa ero completamente altrove.
«Cos’hai bambola, ti sto annoiando per caso?» chiese avvicinandosi e sfiorandomi il collo con la lingua.
«No Jack, è solo che stasera sembri proprio in vena di chiacchiere» gli feci notare.
«Scusa, dimenticavo che preferisci andare al sodo»
Si avvicinò ulteriormente facendo incontrare le nostre labbra, lo baciai a lungo sentendo il sapore dell’alcool fino in gola mentre le nostre lingue giocavano tra loro.
Quando si staccò notai la solita luce eccitata nei suoi occhi ma prima che avessi il tempo di battere le ciglia vidi il suo sorriso dileguarsi dal volto.
«James?» disse una voce alle mie spalle.
Mi voltai incrociando uno sguardo sorpreso «Noemi? Ciao» la salutai, ma quando mi vide i suoi occhi si sgranarono ulteriormente.
«Penny?» chiese guardano Jack e me in un alternarsi nervoso «Ma cosa…?» s’interruppe.
Vidi Jack alzarsi, livido in volto «Noemi…»
Continuai ad osservare la scena mentre pian piano si faceva strada in me uno strano presentimento «Voi due…vi conoscete?» domandai cauta «E perché mai ti chiama James?» dissi rivolta all’uomo che avevo davanti.
«Te lo dico io perché» intervenne Noemi avvicinandosi a Jack che continuava a restare in silenzio «Perché è un bugiardo, come tutti gli uomini» una smorfia di disgusto si dipinse sul suo volto nel guardarlo negli occhi «Ciao Penny» si voltò senza aggiungere altro e la vidi scomparire tra la folla di ragazzi.
 Mi voltai verso Jack, o James, o chi cazzo era e lo guardai truce.
«Spiegami tutto. ADESSO» non potei fare a meno di alzare la voce «Conosci Noemi?»
«Sì, noi…»
«Voi cosa, idiota? State insieme?»
«No, ci stavamo frequentando»
«Frequentando eh?»
«Penelope per favore» disse in un lamento.
«Cosa Jack? O James?» lo guardai con disprezzo «A chi hai mentito sul tuo vero nome. A Noemi, a me, o entrambe?» sussurrai tra i denti avvicinandomi pericolosamente a lui «Sai cosa c’è?» ripresi senza lasciargli il tempo di rispondere alle mie domande «C’è che non mi importa nulla di me, perché di te non me ne frega un cazzo come di tutti gli altri» dissi guardandolo con odio «Ma non posso concepire che tu faccia soffrire qualcun altro per qualche ora di sesso con me. Sarò una ragazza che non si fa scrupoli ma non sono totalmente priva di morale» conclusi inferocita, i nervi a fior di pelle.
Guardai lui, lo sguardo basso e la mascella contratta, continuava a non parlare. Privo di morale e di sentimenti, come la maggior parte della gente.
«Scordati di me e se hai un briciolo di palle cerca di rimediare, anche se sono convinta che una persona come Noemi meriti molto più di uno come te» mi voltai per andar via, mi afferrò per un braccio.
«Aspetta…»
Tornai a guardarlo e con tutta la forza che avevo gli mollai uno schiaffo in pieno viso «Non toccarmi, sei viscido come tutti gli altri»
Gli occhi delle persone intorno a noi si focalizzarono sulla scena, uscii dal locale prima che potessi ripensarci e decidessi di non limitarmi ad un semplice schiaffo.
Iniziai a camminare a passo spedito fino a quando poco distante intravidi Noemi, camminava lentamente con lo sguardo basso, cercai di raggiungerla.
«Noemi?» la chiamai.
Si voltò a guardarmi e fortunatamente decise di fermarsi «Ehi, Penny» la vidi asciugarsi dignitosamente una lacrima e farmi un timido sorriso che mi lasciò spiazzata.
«Mi dispiace Noemi» le dissi sincera «Io davvero non sapevo che…»
«Non devi scusarti di nulla» mi interruppe «James…sempre se è così che si chiama, beh comunque lui, lo frequentavo solo da qualche mese. Non era nulla di importante» disse facendo spallucce.
«Sì ma io…»
Già, io cosa? Io che vado con Jack ferendo Noemi, vado con Thomas facendo del male ad Elisabeth, io che quand’ero solo una ragazzina stavo con Nick, poi con i ragazzi di Miami, poi con Nathan. Io, io, sempre io, che non avevo mai intenzione di ferire nessuno ma puntualmente lo facevo sempre.
«Tu meriti di meglio» dissi semplicemente, vedendola sorridere.
«Come fai a dirlo? Mi conosci appena»
«I tuoi occhi me lo dicono» le risposi «Comunque sappi che ho chiuso con lui»
«Vi frequentavate?» chiese ingenuamente.
«No, noi…» scopavamo all’occasione? «Ci vedevamo molto saltuariamente» mentii.
La vidi annuire, quegli occhi lucidi così maledettamente uguali a quelli del fratello «Adesso devo andare»
«D’accordo, magari un giorno prendiamo un caffè insieme?» proposi.
“Brava Penny, diventa amica della sorella dell’ennesimo ragazzo con cui scopi” mi rimproverai.
«Certo, buona serata» mi sorrise e si voltò per andar via.
Rimasta sola alzai gli occhi verso il cielo, era limpido e si potevano chiaramente vedere le stelle, presi a camminare lungo la strada costeggiata di locali, la brezza soffiava leggera dal mare.
Sovrappensiero tornai lentamente verso casa, entrai ricordandomi che ero sola, che Tanya avrebbe passato la notte da Marc.
Ancora mi chiedevo cosa li trattenesse dall’andare a vivere insieme, oramai la loro storia andava avanti da più di un anno ed era impossibile non vedere quanto fossero pazzi l’uno dell’altra.
Da un lato, però, non potevo nascondere di essere felice che Tanya vivesse ancora con me, lei era l’unico punto fermo nella mia vita, l’unica persona con la quale avevo condiviso tutto fin da ragazza e l’unico legame che mi ero concessa di avere dopo aver lasciato tutti gli altri fuori.
Sospirai e salii in camera pronta a gettarmi tutta la giornata alle spalle: le menzogne, la malinconia, quel maledetto senso di oppressione nel petto che mi accompagnava da tutta una vita e che avevo imparato a gestire come meglio potevo.
Indossai degli shorts ed una canotta quando sentii suonare alla porta.
Guardai l’orario perplessa, erano le undici passate e sicuramente se fosse stata Tanya non avrebbe bussato.
Scesi nuovamente le scale, aprii e la persona che mi ritrovai davanti era l’ultima che mi sarei aspettata di vedere.
«Tu?!»

***
Cosa ne pensate di Noemi? E chi credete sia alla porta? Vi lascio con questo piccolo dubbio. Buon week end.

 

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Capitolo 13
*** Capitolo XII ***



Capitolo XII

«Tu?!»
Vidi Nathan sorridermi e passarsi una mano tra i capelli.
«Sì, io. Disturbo?»
Sì, ho voglia di stare sola.
«No, figurati. Entra» mi spostai per fargli spazio, poi richiusi la porta.
«Sei sola?» domandò guardandosi intorno.
«La mia coinquilina è fuori» spiegai brevemente, mentre continuavo a scrutarlo.
Coi suoi jeans stretti, t-shirt e giubbotto di pelle sembrava davvero un cattivo ragazzo, di quelli belli, dannati e ribelli.
«E’ spesso fuori» constatò.
«Nate sei venuto per un motivo particolare?» chiesi spazientita, dopo la serata appena trascorsa non ero dello spirito adatto per fare conversazione.
«No, è solo che prima ho sentito mia sorella e…»
«Noemi?» lo interruppi, irrigidendomi.
«Sì, Noemi. Così vi siete conosciute» asserì sorridendo ancora.
Dove voleva andare a parare? Forse Noemi gli aveva raccontato l’accaduto con Jack? Sentii la tensione crescere alle stelle, non avevo voglia di discutere con qualcuno, di sentirmi dire che a causa dei miei atteggiamenti avevo ferito una persona che non lo meritava, anche se involontariamente.
«Ti va un goccio di Lagavulin?» proposi.
«Scotch?» domandò sorpreso inarcando un sopracciglio «Hai avuto una giornata pesante?»
«Non immagini quanto» dissi dirigendomi a piedi scalzi verso il mobile bar nell’angolo della stanza.
Mi resi conto che la casa era immersa nel buio così accesi la luce, presi due bicchieri e versai due dita di scotch per entrambi.
«Prego, siediti» dissi prendendo posto a mia volta sul divano.
Eravamo l’uno di fronte all’altra, gli porsi il bicchiere e bevvi un sorso di quel liquido ambrato che sentii scivolare lungo la gola in una scia infuocata.
Nathan continuava a scrutarmi mentre con il pollice ed il medio poggiati sull’orlo del bicchiere faceva girare il liquido all’interno, innervosendomi.
«Non sapevo avessi una sorella» esordii per rompere quel clima di tensione.
«Credo tu non sappia molte cose, Penny» disse ridendo appena.
Nei suoi occhi non c’era traccia di disprezzo, o rabbia, eppure ancora non riuscivo a spiegarmi il motivo della sua visita.
«Cosa ti ha detto Noemi esattamente?» chiesi diretta, stufa di aspettare un minuto di più.
Sul suo volto campeggiava un sorriso divertito, poggiò le labbra sulla superficie liscia e trasparente del vetro, lo vidi ingurgitare il suo scotch tutto d’un sorso per poi tornare a guardarmi.
«Perché non hai negato quando ti ho chiesto di Bill?»
“Cosa c’entra questo adesso?” pensai confusa.
«Come scusa?»
«Sì insomma, perché hai preferito fammi credere che ti scopassi il capo piuttosto che dirmi che finanzi un ente benefico?»
Cazzo, ecco cosa gli aveva detto Noemi. Sicuramente Elisabeth le aveva parlato di me e lei aveva riportato tutto al fratello. Merda.
«Non vedo come la cosa possa interessarti» dissi facendo spallucce, finendo anch’io il mio scotch.
«Infatti non mi interessa sapere perché finanzi quell’ente, per quanto lo trovi ammirevole. Vorrei capire perché mi hai lasciato credere che tra Bill e te ci fosse qualcosa?»
«Tu l’hai voluto credere»
«Ma tu non hai smentito» insistette.
«Giusto Nathan, non l’ho fatto» scossi la testa «Perdonami se non mi preoccupo di smentirti sul fatto che mi reputi una puttana» dissi spazientita alzandomi dal divano.
«Io non ti reputo una puttana» disse alzandosi a sua volta, il tono concitato.
«Ah no? Ciò non toglie il fatto che non hai esitato un istante a trarre delle conclusioni» gli feci notare con una punta di velenosa ironia.
«Scusami se ho pensato che Bill non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione di averti» disse guardandomi fisso negli occhi, serio.
Sentivo il cuore martellare nel petto, i suoi occhi erano così…spettacolari. Lasciavano senza fiato.
La foga con cui mi rispose, poi, il corpo teso come se per lui fosse estremamente importante darmi spiegazioni, come se da questo dipendesse chissà cosa.
Continuammo a guardarci per qualche istante, intorno a noi si udiva soltanto il rumore dei nostri respiri mentre speravo vivamente non avvertisse il martellio del mio cuore che minacciava di uscire dal petto.
Non mi importava se aveva pensato di me che fossi una poco di buono, dopotutto vivevo la mia vita alla giornata senza farmi scrupoli, totalmente priva di legami.
Le persone di me avrebbero potuto pensare quel che più gli faceva comodo e non me ne sarebbe mai importato, ma il fatto che Nathan volesse capire, facesse domande, mi faceva un effetto…strano.
Non ero abituata a questo genere di attenzioni da parte di un uomo, nessuno era mai stato curioso di capire qualcosa di me, gli era sempre bastato quello che ero disposta a dare: qualche ora di sesso spensierato tra persone adulte e consenzienti.
Improvvisamente mi parve di vedere uno sprazzo di quel Nathan diciottenne dall’animo sensibile, capii che sicuramente negli anni era cambiato ma non del tutto.
«Si è fatto tardi, credo che…» provai a liquidarlo, mi interruppe.
«Ti voglio» sussurrò prendendo la mia mano nella sua ed intrecciando le nostre dita tra loro.
Il suo desiderio era facilmente percepibile: potevo sentire il calore della sua mano che stringeva la mia, la melodia del suo respiro irregolare, la determinazione nello sguardo. Tutti richiami a cui sapevo non avrei resistito a lungo.
«Nathan è stata una giornata lunga, e quello che è successo oggi in ufficio…»
«Non accadrà più» mi interruppe ancora «Siamo stati degli incoscienti»
«Bene, almeno su una cosa siamo d’accordo» gli sorrisi, mi sorrise a sua volta.
Restò in silenzio per qualche istante, poi lasciò la mia mano.
«Io…» scosse la testa, un sorriso amaro si dipinse sul volto cupo «Devi scusarmi, non sarei dovuto venire. Non so cosa mi sia preso»
Spalancai gli occhi, incredula. Si scusava soltanto perché aveva detto di volermi?
«Non preoccuparti, è tutto ok» lo rassicurai.
«No, non giustificarmi. Non ho il diritto di presentarmi a casa tua e pretendere qualcosa da te»
Restai spiazzata dalle sue parole.
Nessuno mai si era fatto scrupoli pensando a quel che io avessi voluto o meno, gli altri erano abituati a pretendere, soprattutto da chi, come me, dava senza chiedere nulla in cambio.
Forse mi ero totalmente sbagliata su Nathan; era diventato un uomo più sicuro di se ma non aveva perso di certo la sua galanteria con le donne.
Si voltò per avviarsi alla porta ma questa volta, spinta da una forza misteriosa, fui io ad afferrare la sua mano.
«Aspetta» mi avvicinai ponendomi di fronte a lui, occhi negli occhi.
Mi alzai in punta di piedi e raggiunsi le sue labbra che sfiorai delicatamente in un chiaro invito «Resta» chiesi in un sussurro.
Riuscii a cogliere una scintilla di indecisione nei suoi occhi, un dubbio che non sapevo da cosa potesse essere dettato, poi si chinò su di me per baciarmi ancora e le sue braccia forti mi cinsero la vita.
Iniziammo a muoverci alla ceca, Nathan avanzava ed io arretravo; senza staccarci un istante prendemmo a salire le scale diretti in camera mia, il muro ed il corrimano erano gli unici punti di riferimento che ci permettessero di orientarci.
Durante il tragitto la mia maglia volò via, i miei seni nudi si offrirono al tocco delle sue mani smaniose mentre provvedevo a slacciargli i pantaloni e a sfilare giubbotto e t-shirt.
Quando finalmente arrivammo nella mia stanza  gli slip erano gli unici indumenti rimasti a coprirci. Nathan mi adagiò sul letto, con le braccia tese ai lati del mio volto la sua figura torreggiava su di me.
«Sei fantastica Penelope» sussurrò roco, la sua bocca raggiunse un mio seno che prese a succhiare con foga.
«Oh…» inarcai la schiena sopraffatta da quell’attacco erotico.
Mi sentivo già terribilmente vicina al limite e la frustrazione di non ricevere il piacere agognato cresceva secondo dopo secondo, il mio corpo alle mercé delle sue mani si contorceva in balia dei sensi.
Posai le mani sul petto e lo spinsi via fino a farlo ritrovare disteso sul materasso, sfilai i suoi slip ed i miei, mi sistemai a cavalcioni su di lui ed iniziai a baciargli il collo per poi scendere lungo l’addome.
I suoni rochi che uscivano dalla sua bocca erano un richiamo irresistibile, così mi sporsi per prendere un preservativo dal cassetto del mio comodino.
Nathan mi guardò, colpito.
«Vedo che sei ben organizzata» disse ironico.
«Mai farsi trovare impreparati» risposi mordendomi il labbro mentre facevo scivolare quel sottile strato di lattice sulla sua erezione.
Quand’ebbi terminato mi sistemai meglio su di lui e lasciai che mi penetrasse fino in fondo.
Aprì la bocca in un gemito muto quando iniziai ad agitare i fianchi, giù e su, in un ritmo incessante dettato da una frenesia incontrollabile.
Nathan si sollevò con il busto mettendosi seduto, incrociai le gambe dietro i suoi glutei, i nostri petti erano praticamente incollati e le mie mani vagavano tra quei capelli ribelli.
«Oh Penny, Penny…»
Mi stringeva con forza i fianchi e le cosce mentre continuavo a muovermi sopra di lui; iniziò a baciarmi il petto, le clavicole, la gola, in un alternarsi di morsi e lingua, risalendo fino alle labbra che divorò voracemente.
«Dio Nate…» i miei gemiti si persero nella sua bocca, si confusero col suo respiro.
Il cuore batteva impazzito lasciando fluire il sangue nelle vene, i nostri corpi erano sudati ed accaldati, i capelli ricadevano lungo la fronte e si appiccicavano sulla schiena, i bacini sfregavano tra loro riproducendo degli strani schiocchi.
Ad ogni spinta  sentivo aumentare quella strana sensazione di vuoto nel petto, lo stomaco si strinse in una morsa serrata fino a bruciare in un misto di dolore e piacere intenso che mi ritrovai a sperare non avesse mai fine.
“Cavolo ma è…doloroso” sento le lacrime scivolare involontariamente lungo le  guancie.
“Tranquilla presto sarà tutto…finito” geme roco mentre continua a spingere senza alcuna delicatezza, incurante di me e di quel che sto provando.
Silenzio. Devo soltanto restare in silenzio, aspettando che termini al più presto.
«Nathan…» strinsi gli occhi e sussurrai il suo nome, con disperazione, aggrappandomi a lui come a un’ancora di salvezza per sfuggire ai ricordi.
“Non ce la faccio più, devo andare via da qui”
“Certo, fai come ti pare. Lasciaci qui e pensa alla tua vita”
Le urla. I tremiti. Il pianto. L’angoscia. La disperazione. Il vuoto.
«Non…lasciarmi andare» sussurrai al suo orecchio, stringendomi con forza a lui.
Con i nostri corpi uniti in un tutt’uno aumentai il ritmo dei miei movimenti guidata dalle grandi mani di Nathan ben salde sui fianchi, mentre le sua bocca continuava a consumarmi, instancabile.
Potevo sentire la mia pelle sensibile irritata ed arrossata per i suoi baci, per il contatto con la sua barba rada ed i denti che mordevano voraci, in quel mix di sensazioni mi abbandonai completamente a lui, sentii il mio corpo vibrare ed il suo nome morire sulle mie labbra mentre i tremiti dell’orgasmo mi raggiungevano.
«Aggrappati a me Penny, aggrappati…a me» la voce gli morì in gola, inarcò i fianchi per dar sfogo al suo godimento.
Mi accasciai sulla sua spalla, sfinita. Mentre entrambi riprendevamo fiato, in silenzio, stretti l’una all’altro, mi ritrovai a mordicchiargli la base del collo per poi passarvi la lingua più volte, inebriandomi del sapore della sua pelle, del profumo del suo respiro al mio orecchio mischiato al sudore dei nostri corpi soddisfatti.
Nathan crollò sul letto trascinandomi con se, alzai la testa per guardarlo negli occhi ma subito le sue labbra imprigionarono le mie, in un bacio lento, dolce, arrendevole.
Avvertivo ancora il bruciore alla bocca dello stomaco che quasi mi portò alla nausea, ed ora che il piacere era passato restava soltanto quel fottuto dolore a farmi compagnia.
Istintivamente mi allontanai da lui per stendermi sul letto; rabbrividii per il passaggio dal suo corpo caldo alle lenzuola fredde e prive di vita.
Nathan si alzò, il corpo nudo e possente, l’erezione che ancora non accennava a sgonfiarsi.
Mi incantai ad osservare la curva del suo collo, la muscolatura tonica delle cosce e della schiena, il ventre piatto e scolpito, mentre la voglia ancora non era assopita del tutto.
«Torno subito» disse scomparendo nel bagno.
Mi girai nel letto per stirare i muscoli, sorpresa ancora una volta dal modo in cui i nostri corpi si adattavano l’una all’altro, dalla complicità insita nei nostri gesti e movimenti.
Quando tornò in camera aveva con se un asciugamano, lo guardai perplessa.
«Sarai accaldata» disse a mo’ di spiegazione sedendosi sul bordo del letto.
Iniziò a passare la salvietta umida e fredda sulla mia pelle bollente e delicata, osservai la cura con la quale la passò nell’inguine e tra le cosce, con lentezza e devozione.
Il mio cuore perse un battito per la dolcezza dei suoi gesti.
«Grazie» sussurrai quand’ebbe finito.
«E di cosa?» rise appena e quel suo sorriso radioso parve illuminare tutta la stanza.
Scossi la testa senza rispondere.
Ero infastidita nel constatare che in fondo non mi dispiacevano le sue attenzioni; proprio quelle attenzioni che non avevo mai avuto ed avevo sempre cercato accuratamente di evitare.
Purtroppo con Nathan tutto questo diventava così dannatamente naturale da sembrarmi quasi giusto.
Quando riemersi dai miei pensieri lo trovai intento a fissarmi; nei suoi occhi vidi l’esitazione, come se avesse avuto voglia di dire qualcosa, ma le sue labbra restarono ermeticamente chiuse.
«Dovrei…raccogliere i miei panni sparsi per la casa» fu tutto quello che riuscì a dire, anche se sentivo che c’era dell’altro.
Per un istante avrei voluto esortarlo a parlare, avrei voluto chiedergli cosa si celava dietro quello sguardo profondo e incerto, avrei voluto dirgli che non c’era fretta di raccogliere le sue cose, di stendersi ancora un po’ al mio fianco e magari di ricominciare daccapo, ma restai in silenzio.
Scossi la testa stupita, dandomi mentalmente della stupida mentre ridevo di me stessa e dei miei pensieri.
«Cos’è che ti fa tanto sorridere?» chiese.
«Nulla» mi limitai a dire «Credo andrò a fare una doccia» dissi alzandomi dal letto e ponendomi di fronte a lui, ancora seduto «Ci vediamo domani…in ufficio» mi chinai appena, gli cinsi il volto con le mani e baciai avidamente quelle labbra perfette «Buonanotte Nathan» sussurrai.
«Notte Penny» aveva il respiro corto e non potei fare a meno di notare la sua eccitazione risvegliarsi e reclamare la mia attenzione.
Corsi in bagno senza voltarmi e chiusi la porta a chiave, lasciando che tutte le tentazioni restassero fuori.
Tirai un sospiro di sollievo quando il getto tiepido cominciò a scorrere lungo il mio corpo, sul viso, tra i capelli. Mi insaponai energicamente e risciacquai in fretta, cercando di ignorare il fatto che nell’altra stanza potesse ancora esserci Nathan intento a rivestirsi.
Quando uscii dal bagno mi ritrovai sola, il letto sfatto ed il profumo di sesso che aleggiava nella stanza erano le uniche prove che mi confermavano che quello che era successo non era stato soltanto frutto della mia immaginazione.
Mi stesi tra le lenzuola fresche ancora nuda, tirai il sottile lenzuolo a coprirmi e strinsi il cuscino con una tale forza da sentire le braccia intorpidirsi.
Chiusi gli occhi sfinita e, prima che potessi rendermene conto, lasciai che tutte le mi ansie si dileguassero per abbandonarmi alle braccia di Morfeo.

***
Bene, bene. Cosa ne pensate della reazione di Penelope alle attenzioni di Nathan? Sono curiosa di sapere le vostre impressioni. Baci Ice.

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Capitolo 14
*** Capitolo XIII ***


 
Capitolo XIII

Due settimane dopo...
 
«Sì, ho capito Tanya» dissi esasperata alla mia amica mentre cercavo la mia borsa in giro per la casa.
«Non mi pare tu abbia capito, è la terza volta in questa settimana che te lo dico»
«Beh ti ringrazio per il promemoria, quando avrò tempo la richiamerò» cercai di mettere un punto alla conversazione, ma lei non si arrese.
«E’ pur sempre tua madre, Penny. Avrà qualcosa di importante da dirti»
«Oh, di questo non ne dubito» esordii ironica «Se così non fosse sono certa non si sarebbe sprecata a chiamarmi per tre giorni di seguito» dissi tagliente vedendo la sua espressione farsi grave.
«D’accordo, fa come vuoi» disse in un sospiro rassegnato «Vai alla Sun House?»
«Se solo trovassi la borsa, forse…»
«Tieni è qui»
Mi voltai verso di lei, stingeva la borsa tra le mani.
«Oh finalmente, grazie» le sorrisi, non contraccambiò.
«Ti ho visto un po’ strana nelle ultime settimane, sei sfuggente» si avvicinò e mi poggiò una mano sulla spalla «Sicura sia tutto ok?»
I suoi occhi azzurri erano profondi e carichi di comprensione, le accarezzai la guancia morbida e liscia.
Sapevo di essere stata un po’ strana ma non volevo darle preoccupazioni.
«Ma certo Tanya, va tutto bene» tentai di rassicurarla.
Già, tutto bene.
Il “tutto bene” che comprendeva l’immergersi totalmente nel lavoro, andare a trovare Elizabeth, Thomas ed i bambini, evitare di pensare, evitare Nathan o - molto più semplicemente - evitare di pensare a Nathan.
L’espressione della mia migliore amica era poco convinta, ma sapevo che in questo caso non avrebbe insistito.
Tanya sapeva bene quando insistere o i casi in cui doveva evitare di calcare la mano, anche se ultimamente tendeva a confondere le situazioni.
«Adesso devo andare» le dissi, annuì.
«Stasera esco a cena con Marc e degli amici, ti va di unirti a noi?»
“Vita sociale? Dopo l’episodio di Jack? No, grazie”
«Non saprei, ho una campagna pubblicitaria che devo consegnare tra un paio di giorni e sono ancora in alto mare»
«Come non detto. Se cambi idea fammi sapere»
«D’accordo. A più tardi tesoro»
Uscii di casa, m’incamminai lentamente lungo la strada, la testa completamente nel pallone mentre ripensavo alle due settimane appena trascorse.
«Ciao»
Sollevo lo sguardo dal mio caffè, mi volto «Ciao Nate»
«Come va?»
«Tutto tranquillo, pausa caffè» dico mostrandogli il bicchiere che ho tra le mani.
Mi guarda, mi sorride e gli occhi quasi gli brillano.
«Senti» dice avvicinandosi per non farsi sentire dagli altri colleghi «Quando…ci vediamo?» sussurra dolcemente al mio orecchio.
Chiudo un istante gli occhi sentendo il solito tremolio di eccitazione lungo il corpo; poi eccolo lì, quel fottuto nodo allo stomaco. Non posso.
«Ultimamente sono molto impegnata, ti farò sapere» lo liquido con queste parole.
In due settimane la voglia di lui era aumentata giorno dopo giorno, a dismisura; nel vedere quegli occhi verdi e quelle labbra sensuali sorridermi ogni giorno in ufficio, in mensa, in ascensore, quasi come un ossessione.
Tenermi occupata era l’unica cosa che mi aiutava a non impazzire, a non pensare a quel corpo caldo stretto al mio che sapeva darmi un piacere inimmaginabile, così trascorrevo intere giornate in ufficio e nei momenti di pausa correvo alla Sun House per aiutare con i bambini.
Quando arrivai entrai nel grande giardino, poi bussai ed attesi qualche istante prima che Thomas venisse ad aprirmi.
«Penny, ciao»
Mi attirò a se in un abbraccio, il sorriso che mi riservò non era uno dei soliti. Anche lui nelle ultime settimane era molto cambiato.
«Ciao Tom, ti trovo…bene» dissi sorridendogli.
«Ti ringrazio» ammiccò nella mia direzione «Vieni che ti porto da Beth»
Lo seguii lungo i corridoi, entrammo in ufficio e vidi Beth al computer intenta a lavorare; non appena sollevò lo sguardo non potei fare a meno di notare gli sguardi eloquenti tra di loro.
“Ora si spiega tutto” sorrisi tra me.
Mi schiarii la voce, Beth parve ridestarsi.
«Penelope, cara» si alzò venendomi incontro «Come va?»
«Bene, grazie. Vedo che anche tu sei raggiante» le dissi in tono allusivo.
La vidi arrossire appena, poi mi invitò a sedermi.
«Donne io vado a sbrigare alcune questioni, mi raccomando non sparlate troppo alle mie spalle» Tom lanciò un sorriso divertito, poi uscì.
«Allora, me lo dici tu o ipotizzo io?» chiesi rivolta alla donna al mio fianco.
«Oh, Penny. Non vorrei fosse troppo presto per dirtelo, ma Tom ed io…» si portò le mani al volto, imbarazzata «Sono dieci giorni che noi…ci stiamo frequentando, se così si può dire» i suoi occhi brillavano e al pensiero che le mie parole avessero potuto sortire quell’effetto sentii il mio cuore più leggero.
«Siete una coppia perfetta Beth, mi domando solo perché abbiate impiegato così tanto a capirlo» risi di gusto trascinandola nel mio entusiasmo.
«Me lo chiedo anch’io, credimi. Vieni, andiamo a cercare Noemi, aveva piacere a vederti»
Rimasi stupita, convinta d’aver capito male.
«Lei…vuole vedermi?»
«Certo, negli ultimi giorni non ha fatto altro che ripetermi di chiamarla se venivi a trovarci. Le stai simpatica, le ho detto quanto tu sia una donna in gamba e di gran cuore»
«Beth io…non merito tutto questo»
No, non lo meritavo sul serio.
Lei poteva dirsi una gran donna, Noemi sarebbe stata una persona di buon cuore visto come aveva reagito sulla questione di Jack, ma io…
Io non ero altro che una persona capace di pensare solo a se stessa, una persona che non credeva in niente e nessuno, una persona sospettosa che concedeva la sua fiducia veramente a pochi.
Elisabeth mi liquidò con un gesto della mano ed un sorriso tanto dolce che stava a dimostrare che davvero era convinta della mia bontà. La adoravo.
Uscimmo dall’ufficio dirette verso una delle aule dove Noemi stava dando ripetizioni pomeridiane ai ragazzini con più difficoltà, quando Beth bussò e spalancò la porta tutti i piccoletti si alzarono e ripeterono il coro “Buonasera signora Elisabeth”
«Bravi bambini, seduti» intervenne Noemi, poi si voltò e sorridente venne verso di noi «Ma ciao Penny» mi baciò con calore e mi domandai se meritassi tutta quella comprensione.
«Ciao Noemi, che piacere vederti» ricambiai la sua stretta leggermente a disagio.
«Sono felice sia passata a salutarmi ma al momento non posso prestarti troppa attenzione, questi marmocchi hanno bisogno di me» disse guardandoli con amore «Ti andrebbe se una di queste sere andassimo a cena?» propose «Magari con Beth e Tom, e potremmo invitare anche mio fratello» disse entusiasta.
«Ma sì, mi sembra un ottima idea» intervenne Elisabeth.
Già, lo sarebbe stata se nel pacchetto non fosse stato incluso anche Nathan.
«Certo, sarebbe…fantastico» dissi con un sorriso forzato, presa alla sprovvista.
«Perfetto, allora è andata» disse congiungendo le mani tra loro «Questa sera stessa potrebbe andare?»
Stasera? Ma sì, magari organizzando all’ultimo minuto, se la fortuna avesse deciso di girare in mio favore, Nathan avrebbe avuto già un impegno così da rifiutare l’invito.
«Sì, vada per stasera» via il dente, via il dolore.
«D’accordo, adesso torno al mio lavoro»
Rientrò in aula lasciandomi sola con Beth che mi guardava con apprensione. «Qualcosa non va?»
Ancora quella domanda, quante volte l’avrei dovuta sentire? Era così…evidente?
«No, cosa dovrebbe non andare?» dissi ingenuamente.
«Non saprei, pare che non ti piaccia l’idea di Noemi. Io la trovo fantastica, passare una serata tutti insieme lontano da queste quattro mura» mi sorrise gentile.
«Anch’io lo trovo fantastico, ci sarà da divertirsi» in tutti i sensi «Senti, dove potrei trovare Lilian?» domandai nel disperato tantativo di distogliere l’attenzione da me.
«Oh a quest’ora dovrebbe essere in aula studio, prova a vedere»
«Ok, torno subito»
Mi incamminai lungo i corridoi, spalancai la porta dell’aula studio attirando l’attenzione di diversi ragazzini su di me.
Con un cenno della mano li salutai e mi avviai in fondo alla stanza, dove Lilian sedeva in disparte, la testa bionda china sui libri.
«Disturbo?» chiesi in un sussurro.
Quando sollevò lo sguardo verso di me i suoi occhi sembravano più limpidi, avevano perso quella cupezza che odiavo ed erano di un nocciola brillante.
«No» disse timidamente.
Spostai la sedia e mi sedetti al suo fianco, più rilassata.
«Cosa studi?» domandai per rompere il ghiaccio.
«Sto scrivendo un saggio di storia» fece spallucce, intimidita.
«Lilian io…»
«Lily» mi interruppe «Per favore, chiamami Lily»
Sorrisi intenerita, ripensando a me stessa alla sua età. Adesso come allora avevo l’abitudine di farmi chiamare Penny perché rifiutavo di essere ricordata dalle persone con lo stesso nome che i miei genitori avevano deciso per me.
Da adolescente era una sorta di ribellione personale, ora, invece, era rimasta soltanto una abitudine.
«D’accordo, Lily» le sorrisi «Come vanno le cose con Daniel?»
Vidi i suoi occhi sgranarsi e le gote dipingersi improvvisamente di un rosso acceso. «Tranquilla, non essere timida. Puoi fidarti di me»
La vidi appena storcere il naso. Già, come potevo pretendere che si fidasse quando ero la prima persona che evitava di aprirsi agli altri, che ostentava sicurezza anche quando aveva timore?
«So che magari non è facile per te, ma…»
«Lui…mi piace» m’interruppe ancora, abbassando lo sguardo sulle mani che stava torturando mentre mi faceva quella confessione.
Sentii il mio cuore fare un balzo di gioia, per un attimo tutti i miei pensieri furono offuscati dall’immagine di quella ragazzina che forse finalmente iniziava ad essere in pace con se stessa e col mondo, iniziando ad aprirsi alla vita.
«Bene» dissi con entusiasmo «Perché tu gli piaci davvero tanto» le posai due dita sotto il mento e la invitai a guardarmi, per bearmi ancora della sensazione di purezza di quelle gote rosee e quei sorrisi innocenti.
Quell’innocenza e quella purezza che avevo perso da così tanto tempo che dubitavo di averle mai possedute.
Mi ero sempre caricata di pesi e responsabilità eccessivi rispetto alla mia età, ed ora che stavo crescendo iniziavo ad avvertire il rimpianto per quegli anni andati senza che vivessi la meritata spensieratezza.
«Per qualsiasi consiglio sappi che puoi parlare con me» continuai «Sarà un nostro piccolo segreto»
I suoi occhi si illuminarono «Grazie Penelope»
«Penny» precisai «Solo Penny» le carezzai i capelli dorati in un gesto carico di affetto.
Avrei voluto tirarla a me in un abbraccio, ma sapevo sarebbe stato troppo per lei; un fiore che stava appena sbocciando grazie all’amore, l’amore puro e incondizionato di un ragazzo per bene come Daniel.
Scossi la testa, amareggiata nel rendermi conto di quanto due ragazzini di solo quindici e sedici anni sapessero gestire i loro sentimenti ed emozioni meglio di come avessi fatto io in tutta la mia vita.
«Adesso devo andare, ma ci vediamo presto, ok?»
«Ve bene, Penny»
 
Ferma dinnanzi lo specchio nel corridoio ultimai la mia preparazione con un filo di gloss. Tanya era alle mie spalle appoggiata a braccia conserte contro lo stipite della porta, mi osservava praticamente da tutta la serata.
«Si può sapere cosa vuoi?» le chiesi per la milionesima volta, spazientita.
«Niente, te l’ho già detto. Ti da noia se ti guardo?»
«Sembri un gufo» le dissi facendole una linguaccia attraverso lo specchio «Non hai niente di meglio da fare?»
«Stasera proprio no» disse facendo spallucce, nel suo tono da bambina dispettosa.
«Appunto, allora perché non vuoi venire a cena con noi?»
«Per quanto mi farebbe piacere godermi lo spettacolo, stasera passo»
Sbuffai sonoramente, erano giorni che non mi dava tregua sulla storia di Nathan e da quando nel pomeriggio aveva saputo che probabilmente a cena ci sarebbe stato anche lui non aveva smesso per un secondo di darmi il tormento.
«Da quanto tempo hai detto che non vi vedete?»
«Lo vedo tutti i giorni in ufficio» dissi fingendo noncuranza.
«Sai bene cosa intendevo» rimarcò sorridendomi beffarda.
Le lanciai un’occhiata truce, ciononostante non desistette.
«Ricordo bene, due settimane? Wow complimenti Penthon, il tuo miglior record» continuò a rigirare il coltello nella piaga «Mi hai stupita, non credevo riuscissi a stare per tutto questo tempo senza fare sesso. Da quando ti conosco non era mai successo, complimenti»
«Dio Tanya, sei impossibile. Si può sapere cosa vuoi?» presi a scendere le scale diretta in cucina, ovviamente mi seguì.
«Ammettilo che ti piace»
Ecco dove voleva arrivare. Portarmi allo sfinimento per estorcermi informazioni, non gliel’avrei data vinta.
«Te l’ho già detto. E’ un figo assurdo, è ovvio che mi piaccia»
«Non intendevo in quel senso» insistette.
«Se tanto ci tieni, stasera me lo scopo ok?» dissi allargando le braccia con esasperazione.
«Non ti ho chiesto questo» alzò le mani in segno di resa «Fa un po’ come ti pare» si voltò e con aria indifferente andò a sedersi sul divano col solito libro.
«Esco» dissi uscendo senza aspettare una risposta.
Mi sentivo irritata, camminavo a passo svelto lungo la strada nonostante i tacchi mi impedissero un andamento del tutto fluido; avevo bisogno di sbollire lo stress accumulato, la mia amica quando ci si metteva di impegno era capace di condurti alla pazzia.
“Ammetti che in realtà stai così perché temi che possa avere ragione” mi rimbeccò il mio inconscio.
“TACI!” mi ammonii da sola.
Era assurdo pensare ai tarli mentali che ero riuscita a farmi in solo due settimane. Potevano essere paragonati a quelli che avevo evitato per tutta una vita e che adesso venivano a reclamare il loro momento di gloria alla prima debolezza.
L’unica certezza che sentivo di avere era che il problema non ero io, ma Nathan.
Il modo in cui mi trattava era impossibile da gestire.
Non riuscivo proprio a decifrare cosa si celasse dietro i suoi sguardi e quei sorrisi mozzafiato, ed io, che da sempre programmavo la mia vita in ogni più piccolo dettaglio, perdevo le staffe dinnanzi all’ignoto.
Arrivai al ristorante con qualche minuto di anticipo, ma il destino aveva deciso che non dovessi essere l’unica.
«Ciao Nathan» lo salutai cordiale cercando di non lasciar trasparire il mio stato d’animo.
«Buonasera Penny»
«A quanto pare siamo i primi» buttai lì per intrattenere una conversazione.
«Vogliamo accomodarci? Vorrei evitare di passare qui fuori la prossima mezz’ora» disse sorridendomi.
«Perché la prossima mezz’ora?» domandai perplessa.
«Se me lo chiedi significa che ancora non conosci bene mia sorella» il suo sorriso si allargò fino a diventare una risata genuina «Vieni, entriamo» mi posò una mano dietro la schiena e mi guidò all’interno del locale.
Lo vidi avvicinarsi al maitre di sala e chiedere di un tavolo per cinque che Noemi aveva prenotato a nome Wilkeman.
Nathan spostò la sedia per farmi accomodare, poi si posizionò al mio fianco. Stava per dire qualcosa quando Beth e Tom arrivarono ad interromperci.
Appena in tempo. Sospirai.
«Buonasera ragazzi»
Mi alzai per salutare entrambi «Conoscete già Nathan?»
«Non abbiamo avuto ancora questo piacere» intervenne Thomas.
«Somigli proprio tanto a Noemi» disse sorpresa Beth.
Prendemmo tutti posto iniziando a chiacchierare del più e del meno, ad un occhio esterno saremmo potuti passare come due coppie che avevano deciso di passare una serata in compagnia, senza sapere che la situazione era molto più complessa di quel che appariva. Almeno per me.
Dopo circa dieci minuti arrivò anche Noemi che in meno di un minuto divenne l’anima della serata.
Tra una portata e l’altra iniziò ad intrattenerci con dei racconti divertenti su Nathan da bambino e rimasi stupita nel vedere come fosse il primo a sorridere delle sue disavventure piuttosto che chiedere che la smettesse.
La serata trascorse in un soffio e fu piacevole al punto che per un paio d’ore il nodo allo stomaco mi lasciò una tregua.
«E’ stato davvero divertente» dissi rivolta a Noemi una volta fuori.
«Già, dovremmo farlo più spesso» rispose lei con entusiasmo.
«Penny cerca di stare attenta quando parli con mia sorella, ogni parola potrebbe essere usata contro di te» la prese in giro Nathan.
 Lei lo guardò truce e lui ricambiò lo sguardo con gli occhi di un fratello innamorato.
«Ragazzi si è fatto davvero tardi, noi andiamo» intervenne Beth guardando l’ora «Noemi andiamo?»
«Certo» disse quest’ultima annuendo nella sua direzione «Ciao Penny, a presto» mi baciò entrambe le guancie «Ciao fratellino, fa il bravo» disse dandogli una pacca sulla spalla.
«Penny hai bisogno di un passaggio?» chiese Thomas.
«No tranquillo, faccio due passi»
«Non vi preoccupate, la riaccompagno io» propose Nathan.
Mi voltai nella sua direzione ma il suo sguardo non tradiva alcuna emozione, anche se sentivo che c’era dell’altro.
Tutti andarono via e mi ritrovai sola con Nathan.
«Non è il caso che mi riaccompagni, ho voglia di camminare» dissi.
«Bene, allora facciamo una passeggiata insieme e poi torno a prendere l’auto»
«Non essere sciocco»
«Allora dimmi di si» disse avvicinandosi pericolosamente, le sue labbra a qualche centimetro di distanza dalle mie.
«Va bene» mi allontanai di qualche passo per sfuggire a quel dolce richiamo «Dov’è la tua auto?»
Lo vidi sorridere e scuotere la testa, come se avesse capito che tentavo di sfuggirgli.
«Vieni è da questa parte»
Prima che me ne rendessi conto mi prese la mano trascinandomi con se lungo il marciapiede, lo guardavo sbalordita mentre avanzava con passo sicuro e la mia mano stretta saldamente alla sua.
Quando entrammo in auto quel senso di oppressione al petto si rifece vivo tanto che dovetti aprire il finestrino e tirare una grossa boccata d’aria per respirare.
Ecco perché avevo evitato Nathan nelle ultime settimane; nonostante mi facesse sentire al settimo cielo quando eravamo insieme d’improvviso mi sentivo come sopraffatta da un qualcosa che sapevo non avrei potuto gestire.
«Sai ho cambiato appartamento?» disse di punto in bianco, distraendomi dai miei tarli mentali.
Mi voltai a guardarlo, lui era concentrato alla guida e potevo vedere soltanto il suo profilo.
«Davvero? Credevo abitassi con Noemi»
«Con Noemi?» si voltò un istante e mi sorrise «Ma certo che no, mi sono appoggiato da lei solo all’inizio, per sistemarmi»
«Capisco» gli risposi semplicemente.
Restammo in silenzio per qualche istante, Nathan procedeva ad una velocità pari a quella di un bradipo, quasi volesse temporeggiare.
«Ti andrebbe di venire a vederlo?» chiese d’un tratto.
«Cosa?» chiesi d’impulso, rise appena.
«La mia nuova casa» disse come se fosse una cosa ovvia.
«Nathan davvero, io…»
«Lasciami indovinare» mi interruppe «Sei stanca? Hai del lavoro da finire? Non hai voglia di stare con me?»
Lo guardai non sapendo cosa rispondergli. Era difficile mentire a qualcuno che sapeva che stavi per mentirgli spudoratamente.
«No, non è questo» provai a spiegare.
«Allora cos’è?» chiese ancora, senza perdere per un attimo il sorriso dalle labbra quasi si stesse divertendo «C’è forse qualcun altro? All’inizio sembrava fossi d’accordo a vederci…senza impegno»
«Cosa? Oh, proprio no» dissi sconcertata, ridendo appena «Io…»
Mi passai una mano sul volto e sorrisi, scossi la testa dandomi della stupida. Probabilmente nelle ultime settimane non avevo fatto altro che ingigantire qualcosa che esisteva soltanto nella mia testa. Nathan non sembrava affatto interessato a me sotto altri aspetti, aveva addirittura precisato quello che ci eravamo detti all’inizio sulla nostra frequentazione un po’ “fuori dagli schemi”.
Sentii il dolore allo stomaco affievolirsi appena, tornai a guardare il profilo ed il suo ghigno divertito «Allora?» disse voltandosi un attimo a guardarmi mente proseguiva con l’auto a passo d’uomo.
Ecco, era ufficiale. Sono un’idiota.
Nathan voleva soltanto divertirsi, come me e con me, ed io stavo per mandare tutto all’aria per nulla.
«Allora portami a vedere il tuo covo segreto» lo provocai rispondendo alla sua domanda.
«Risposta esatta Penthon »
Ingranò la marcia e partì a tutta velocità verso quella che si sarebbe davvero rivelata una fantastica serata.

***
La storia, per quel che mi riguarda, sta procedendo a gonfie vele. Spero solo nel tempo di avere un maggior riscontro da parte vostra, mi piacerebbe sentire i vostri pareri ed opinioni (anche discordanti). Alla prossima, Ice.

 

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Capitolo 15
*** Capitolo XIV ***



Capitolo XIV
 
Tirai un profondo respiro mugolando di piacere, con gli occhi ancora chiusi iniziai a tastare il corpo accanto al mio: era caldo e profumato. Ne delineai i contorni sodi, mi beai della sensazione della peluria rada che mi solleticava le dita, partendo dal petto e scendendo verso il basso, sempre più giù…
Aprii gli occhi per guardare il volto di Nathan, le ciglia ricurve gli donavano uno sguardo sereno mentre dormiva con le labbra leggermente dischiuse, il respiro soffiava ad intervalli regolari sul mio viso.
Delineai il profilo dritto del naso, delle labbra morbide, della mascella marcata contornata da un filo di barba; le dita viaggiavano leggerissime sulla sua pelle in un’esplorazione continua.
Mi strinsi di più a lui, ancora nuda dopo aver trascorso quasi tutta la notte a rotolarci nel letto, sul pavimento, in piedi contro le mattonelle fredde della doccia e sul tavolo della cucina dopo la pausa caffè.
Il cuore era sereno, lo stomaco libero e l’oppressione nel petto sparita.
Ero stata una stupida ad affliggermi soltanto perché tra noi avevo notato una complicità che mai avevo trovato in nessun altro, perché Nathan si preoccupava del mio piacere prima che del suo e prestava attenzione alle mie esigenze.
Ad un tratto si mosse appena, aprì gli occhi e mi fissò, travolgendomi in quell’onda verde che era il suo sguardo.
«Buongiorno» sussurrò roco, stirando i muscoli.
«Buongiorno a te» gli sorrisi «Se non ti dispiace vado a fare una doccia»
«Dove vai?» rispose all’istante cingendomi con le braccia, la voce ancora assonnata «Non ti è bastata quella di stanotte?» mi sorrise sornione.
«Forse è a te che…» mi strusciai sensuale contro di lui sentendo la sua erezione già piena «…non è bastato quello che abbiamo fatto stanotte»
Lo sentii ridere al mio orecchio, soffiarmi tra i capelli.
«Và, prima che ci ripensi»
Sgattaiolai fuori dal letto e mi diressi in bagno dove mi lavai velocemente, indossai l’accappatoio di Nathan e decisi di scendere in cucina dove lo trovai coi soli boxer indosso, intento a sistemare la colazione sul tavolo.
«Ho una fame da lupi» dissi attirando la sua attenzione.
Le labbra si allargarono in un sorriso sincero lasciando intravvedere la dentatura bianca e perfetta.
«Ti dona il mio accappatoio»
«Tu dici?» feci un giro su me stessa lasciando volutamente che una manica scivolasse a scoprire la spalla e parte del seno.
Spalancò appena gli occhi ma decise di non darmi corda, si sedette ed iniziò ad imburrare una fetta di pane bianco tostato.
«Caffè?» disse prendendo la brocca e riempiendo due tazze.
«Sì, grazie» presi posto al suo fianco ed iniziai a mangiare anch’io, avevo una fame da lupi.
«Sono già le otto. Come spiegheremo al capo il nostro ritardo?» chiese divertito.
«Ah non saprei» feci spallucce indifferente, morsi la mia fetta di pane con burro e marmellata di fragole «Bill non mi chiede mai spiegazioni»
La faccia che fece era così buffa che per poco non mi ritrovai a ridergli in faccia, rischiando di sputare quel che stavo masticando.
«Ah si? E’ così che funziona quando ci si imbelletta il capo?»
«Sì Nathan, è così. Per cui vedi di sbrigarti» continuai con la mia aria da superiore, adoravo irritarlo.
Mi guardò divertito e si alzò.
«Mi servirebbe l’accappatoio, devo fare una doccia» disse fingendosi indispettito.
«Arrangiati»
Scosse la testa ed uscì dalla cucina; rimasta sola mi ritrovai a ridere di gusto, finii il mio caffè e tornai in camera a prendere i vestiti.
Guardai il letto sfatto e i nostri panni sparsi ovunque, ricordando le scene della notte trascorsa.
Nathan su di me a sfiorarmi, baciarmi ovunque senza fretta né remore; io su di lui a tirargli i capelli e graffiargli la schiena ampia.
Non riuscivo a capire come fosse possibile provare un piacere così grande, nonostante avessi avuto i partner più disparati potevo dire con certezza che Nathan aveva un qualcosa in più, qualcosa che li superava tutti.
Guardai la porta del bagno ed avvertii lo scroscio dell’acqua che scendeva incessante, provai l’irresistibile tentazione di raggiungerlo ma non cedetti.
Mi rivestii e decisi di avviarmi in ufficio.
 
Il telefono squillò mentre ero intenta ad apportare le ultime modifiche di grafica ad una locandina, risposi controvoglia perché odiavo perdere la concentrazione.
«Penelope Penthon»
“Ho una telefonata per te sulla linea”
L’irritante voce di Johanna contribuiva ad infastidirmi ma evitai di farglielo capire.
«Passamela» le dissi senza chiedere di cosa si trattasse.
La concentrazione oramai era andata a farsi benedire.
Sentii il bip del telefono poi ascoltai la voce dall’altro lato con attenzione.
«Sì, salve. New York? Questo fine settimana?» strabuzzai gli occhi, sorpresa.
“Miss Penthon è ancora in linea?”
«Sì… uh-uh, mi scusi. D’accordo, ci sarò» riagganciai incuriosita ma pronta a rimettermi a lavoro.
 
«Quindi non sai ancora cosa vogliono?» chiese Tanya bevendo un sorso di coca.
La serata era tranquilla, entrambe prive di impegni avevamo deciso di prepararci un panino e fare due chiacchiere tra amiche come non accadeva da un po’.
«Sinceramente non lo so» morsi il mio sandwich con tonno e pomodori, bevvi un goccio di birra «E’ una delle agenzie pubblicitarie più importanti di New York» dissi incredula ma al tempo stesso non eccessivamente impressionata.
Sapevo di essere molto brava nel mio lavoro ed era quasi scontato che prima o poi si sarebbe presentata una buona occasione; anche se non pensavo accadesse così presto.
«Hai avvertito Rooter della tua partenza?»
«Certo»
«Cosa ne pensa?»
«Non sappiamo ancora cosa vogliono, Tanya. In qualunque caso, vuole il meglio per me»
«Capisco. E Nathan?» chiese.
«Perché dovrei avvertire Nathan?» chiesi sorridendo.
«Stanotte non sei tornata a casa» disse eludendo la mia domanda.
Ecco dove voleva andare a parare, era più furba di una volpe.
«Sì, ho dormito da lui» feci spallucce continuando a mangiare.
«Lui chi?»
«Non fare l’idiota» risi di gusto «Di chi stavamo parlando?»
«Oh, “Lui”» disse con enfasi, prendendomi in giro.
Le feci una linguaccia, indispettita. Era bello poter essere di nuovo spensierata, libera da quel peso opprimente e dai pensieri continui. La vecchia me ere tornata e sarebbe rimasta per molto, molto tempo.
«Allora le cose vanno bene?» domandò cauta, distogliendo lo sguardo.
«Quali cose Tanya? E’ sesso» allargai le braccia esasperata «E se proprio vuoi saperlo, sì, il sesso va alla grande»
Sollevò gli occhi al cielo senza rispondere. Sapevo quanto la irritasse sentirmi parlare in questi termini ed era proprio il motivo per cui continuavo a farlo; se Tanya aveva molti modi per sfinirmi volevo almeno prendermi una piccola rivincita di tanto in tanto.
Un po’ stronza, in effetti.
«Ti serve una mano a preparare la valigia?» domandò cambiando argomento.
«Sì, a New York farà più freddo» riflettei.
Ci alzammo da tavola e, dopo aver rassettato, ci dirigemmo nella mia stanza.
In un piccolo trolley inserii due tailleur - uno con gonna e l’altro con pantalone - una camicia e alcuni top, della biancheria intima, un pigiama ed un cappottino.
«Quanti giorni sarai via?» domandò Tanya con ironia mentre era intenta a ripiegare alcuni abiti.
«Solo due, non piangere troppo per la mia assenza»  le lanciai un foulard che le finì dritto in faccia.
«Oh, non preoccuparti. Starò più tranquilla» mi beccai un cuscino in pieno viso e ci ritrovammo a ridere.
Adoravo la mia amica, con lei avevo condiviso quasi tutta la vita ed era da sempre stata la mia famiglia. Non avrei mai permesso a niente e nessuno di farle del male.
Aveva sacrificato tutto per me, per starmi accanto; mi era stata vicina negli anni bui trascorsi a Newark, poi mi aveva seguita a Phoenix ed infine a Los Angeles, senza mai pensare a quello che poteva essere meglio per lei, adattandosi e ripetendomi di continuo: “Mica lo faccio per te, mi piace cambiare aria”.
Ma questo era prima; adesso c’era Marc nella sua vita e, semmai avessi deciso di spostarmi ancora, non le avrei mai permesso di seguirmi.
Sicuramente una vita senza Tanya non sarebbe poi stata il massimo, ma prima o poi sapevo che avrebbe preso la sua strada, avrebbe creato una sua famiglia.
«Adesso mi metto a letto, ho l’aereo domattina presto» dissi guardandola con amore, accantonando quegli strani pensieri.
«Certo, buonanotte» mi diede un bacio sulla guancia e andò alla porta.
«Notte tesoro»
Mi misi a letto pronta ad affrontare il viaggio che mi avrebbe aspettato l’indomani, pensando a quello che magari mi avrebbe portato.
 
Non appena uscii dall’aeroporto mi imbattei nell’aria più fredda di New York, alzai gli occhi verso il cielo nuvoloso e inspirai a pieni polmoni l’aria intrisa di smog e vita.
Trascinai il mio trolley fino al marciapiede ed attesi che un taxi si fermasse. Ne persi due – o meglio, me li fregarono – e al terzo non mi lasciai ingannare; salii prima che chiunque altro avesse il tempo di intrufolarsi o anche solo di prendere un respiro.
Arrivai in albergo in perfetto orario e dato che l’incontro con Mr. Dumpton si sarebbe tenuto solo nel pomeriggio, decisi di prendermela comoda.
Feci una doccia ed uscii per andare a mangiare un boccone prima di essere praticamente inghiottita dal caos che regnava sovrano nella grande mela.
Alle quattro in punto arrivai alla sede principale della Custom advertising S.p.A, un enorme edificio in vetro e acciaio che incuteva timore; nell’osservarlo un brivido di eccitazione mi percorse tutta la schiena.
Tirai un profondo respiro ed entrai nell’enorme atrio gremito di gente che nei loro abiti eleganti erano pronti ad investirti pur di arrivare puntuali ai loro appuntamenti.
Mi avvicinai ad una delle tante ragazze posizionate dietro l’enorme scrivania che fungeva da postazione informativa e mi schiarii la voce.
«Scusi, avrei un appuntamento con Mr. Dumpton della Custom advertising S.p.A»
La donna sulla quarantina alzò a malapena lo sguardo su di me, poi iniziò a battere con una innata maestria sulla tastiera, nella sua posa rigida e professionale.
«Miss Penelope Penthon?» chiese.
«Sì, proprio io»
Annuì e mi parve di scorgere un lieve sorriso sul suo volto, o forse era soltanto una smorfia non ben identificata.
La vidi prendere il telefono, digitare alcuni tasti e pronunciare poche parole a cui non prestai molta attenzione.
«Prego» disse poi indicandomi uno dei tanti ascensori «87esimo piano»
Cavolo.
«La ringrazio»
Mi avviai verso l’ascensore e riuscii ad entrare prima che le porte si chiudessero, l’abitacolo già pieno di gente.
Mentre attendevo con calma di arrivare al piano notai un ragazzo che mi osservava. Era alto, capelli biondi e occhi di un nocciola caldo e confortante. Improvvisamente mi sorrise e senza un perché mi ritrovai a ricambiare.
Le porte dell’ascensore si aprirono molte volte lasciando che pian piano si svuotasse, provai quasi una fitta di dispiacere quando il biondino uscì riservandomi un altro dei suoi sorrisi, pochi piani prima di me.
Quando finalmente arrivai a destinazione mi ritrovai in un altro atrio immenso dove tutto era di un bianco accecante; i divani in pelle, il lucido marmo dei pavimenti su cui picchiettavano le mie decolté, i vasi di cristallo contenevano delle magnifiche peonie glicine che erano l’unica nota di colore in quella distesa di purezza.
Sistemai la giacca del mio tailleur e portai una ciocca di capelli dietro l’orecchio, poi mi avvicinai a quella che probabilmente doveva essere la segretaria personale di Mr. Dumpton.
«Salve» dissi semplicemente ed il suo sguardo vigile fu subito su di me.
«Oh, lei deve essere Miss Penthon. Venga che Mr. Dumpton la sta aspettando»
Uscì dalla sua postazione e  mi condusse in un gigantesco ufficio; dietro un’enorme scrivania dal design moderno e raffinato sedeva un uomo sui sessant’anni, indossava dei semplici jeans ed un dolcevita di cachemire con quell’eleganza tipica che contraddistingue le persone di potere.
«Mr. Dumpton , Miss Penthon è qui»
«La ringrazio Catherine. Vada pure»
Congedò la ragazza con un sorriso gentile, una serie di piccole rughe si crearono intorno ai suoi occhi donandogli un’aria affidabile.
«Salve Mr. Dumpton. E’ un vero piacere conoscerla» dissi porgendogli la mano.
«Il piacere è tutto mio» ricambiò con una stretta decisa «Prego si accomodi»
 
Uscii dagli uffici della “C. A. S.p.A” dopo un’ora esatta, la chiacchierata con Mr. Dumpton era stata interessante, oltre che educativa.
Come previsto, avevo ricevuto la proposta del secolo: un posto come direttore creativo.
In un primo momento avevo pensato fosse uno scherzo; chi avrebbe mai offerto un posto di tale prestigio senza nemmeno richiedere un periodo di prova  o testare la serietà e le capacità di una persona?
Poi avevo capito che la proposta di Mr. Dumpton era più seria di quanto potessi immaginare.
Aveva visto i miei lavori, li aveva trovati – letteralmente – “geniali” e non gli era bastato altro.
Voleva me, e se non avesse ottenuto i risultati sperati mi avrebbe semplicemente rispedita a casa.
Chiaro. Diretto. Potente.
Ventiquattro anni e avrei dovuto gestire una intera squadra di copywriter, illustratori, art director e grafici. Avrei dovuto…se solo avessi accettato.
Nonostante mi ci fosse voluto tutto il mio coraggio per dire: “Grazie, ma ci devo pensare”, Mr. Dumpton non mi era sembrato più di tanto stupito.
«Immaginavo non sarebbe stato semplice» aveva detto con un sorriso serafico «Soltanto una persona in gamba come lei non si sarebbe lasciata andare all’euforia del momento» si era alzato per fare il giro della scrivania e venirmi accanto «Sicura. Metodica. Calcolatrice. Ecco la persona che ho visto nei suoi lavori. Non sono un pazzo Miss Penthon, ho così tanta esperienza alle spalle che mi rende sicuro che lei sia la persona giusta. Giovane, un po’ sprovveduta e…geniale» ribadì sorridendomi «Voglio lei. E l’avrò» aveva asserito convinto prima di congedarmi.
Adesso camminavo per le vie affollate  di New York, stretta nel mio cappotto, incapace di venirne a capo.
Era l’occasione della mia vita, eppure questa proposta mi aveva aperto un modo.
Non ero così libertina come volevo credere; i miei pensieri adesso volavano a Tanya, Elisabeth, Thomas, i bambini della Sunshine house, e mi impedivano di prendere una decisione.
Pensaci bene, Penny. Mi dissi, poi mi lasciai rapire dal frenetico via vai per godermi le poche ore che ancora avrei trascorso nella meravigliosa grande mela.

***
Gli aggiornamenti saranno lenti, ma vi assicuro che la storia sarà portata a termine. Grazie per la vostra pazienza, Ice.

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Capitolo 16
*** Capitolo XV ***



Capitolo XV

Era una serata come tante, me ne stavo comodamente sul divano coi  piedi poggiati sul tavolino ed  il cartone della pizza in grembo.
Nonostante Russell, un collega che si occupava di web design, mi avesse invitato a bere qualcosa con un suo gruppo di amici, avevo preferito restare a casa; ed ora me ne stavo a guardare annoiato un telefilm poliziesco alla tv.
Due sere prima la serata era trascorsa meglio. Decisamente meglio.
Avevo trovato il modo per convincere Penelope a stare con me - dopo settimane che continuava ad ignorarmi –  per “inaugurare ” il mio nuovo appartamento in ogni angolo.
In effetti, fatta eccezione di alcune impraticabili zone, avevamo fatto sesso su qualsiasi superficie piana ci capitasse a tiro.
Penelope era instancabile quando si trattava di donare il suo corpo perfetto, con una sensualità ed audacia disarmanti; peccato non potessi sperare di essere l’unico a godere di queste sue – come dire – “qualità”.
Accantonai quei pensieri prima che i nervi si tendessero sotto pelle, mangiai un altro boccone di pizza e bevvi un sorso di birra.
Improvvisamente il cellulare prese a squillare, sorrisi al display nel vedere il nome di chi mi cercava.
«Buonasera sorellona» risposi.
“Nathan caro, come stai?”
«Benone, mi godo la mia vita da scapolo»
“Scapolo?” rise appena “Hai solo ventiquattro anni, io ne ho trenta. Tra poco mi definiranno zitella” disse in un lamento, questa volta fui io a ridere.
«La mia bellissima e sexy sorellona una zitella? Non scherzare nemmeno»
“Ok” sospirò “A proposito, mio caro scapolone incallito” disse in tono beffeggiante “Penelope?”
Ecco che ci risiamo, pensai afflitto.
«Penelope cosa, Noemi?»
“Oh ti prego, Nathan…”
«Ok, fermati. Hai vinto»
La interruppi prima ancora che potesse iniziare uno dei suoi soliti sproloqui in cui, dopo un giro inverosimile di parole, ti faceva capire per logica -  o molto più probabilmente per sfinimento - che lei aveva ragione.
«Sì, mi piace» ammisi.
“Lo sapevo” disse con aria di vittoria “Wow, devo assolutamente…”
«No, no, no Noemi. Metti un freno al tuo entusiasmo,  stanne fuori» le intimai serio.
“Ma io…Perché mai?” domandò stranita.
“Già Nate, perché mai?” mi rimbeccò la coscienza.
Se solo fosse stato facile spiegarlo.
«Non devi necessariamente sapere il motivo» aggirai la sua domanda «Potresti fare finta che questa conversazione non sia mai avvenuta, per favore?»
“D’accordo, se ci tieni tanto” disse in un tono che conoscevo benissimo.
«Non farmi il muso» dissi con dolcezza, sorridendo.
“Io non sto facendo il muso”
«Oh sì invece»
“Sei insopportabile”
«Anche io ti voglio bene. Notte Noemi»
“Notte fratellino”
Riagganciai restando ancora col telefono tra le mani.
La voglia di chiamare Penelope era pazzesca.
Volevo vederla, portarla in giro per locali per ballare fino a tardi, magari un po’ brilli, e infine concludere la serata da me a rotolarci tra le lenzuola.
Placai il mio istinto e cercai di resistere.
Sapevo di non doverla pressare, se c’era qualcuno che aveva bisogno dei suoi tempi quel qualcuno portava il nome di Penelope Penthon, ed io come un idiota ci ero ricascato.
Erano passati a malapena due mesi da quando l’avevo rincontrata, più bella di sempre nel suo essere donna, spigliata, arguta, interessante ed estremamente sexy; non era stato difficile convincerla a venire a letto con me, dopotutto lei era sempre stata una persona abbastanza…disponibile.
Purtroppo quella che era iniziata come una frequentazione basata sul sesso stava diventando qualcosa di più intenso, almeno per me.
Fin dal liceo avevo sempre avuto un debole per lei e come un idiota avevo creduto di averlo superato; invece avevo solo capito che nessuno poteva ignorare quel fascino, quegli occhi scuri e profondi, il modo in cui il suo corpo ti parlava, in cui ti sfidava incurante delle conseguenze, e poi c’era quel suo animo misterioso da mettere a nudo.
Al sol pensiero sentii l’eccitazione prendere il sopravvento: il cellulare ancora stretto tra le mani nel disperato tentativo di controllarmi, dovevo resistere.
Decisi di fare una doccia fredda - decisamente fredda - poi mi misi a letto cercando di pensare ad altro, magari all’indomani mattina quando finalmente avrei potuto vederla in ufficio.
 
Guardai disperatamente l’orario per la millesima volta: le dieci e mezzo in punto.
Misi il computer in stand by e mi avviai verso il corridoio dove ogni giorno incontravo Penelope e gli altri colleghi durante la sua pausa caffè; ad esclusione di Bob della contabilità che puntualmente era lì soltanto per sbavare dietro Penelope senza alcun ritegno.
Lasciai la giacca sullo schienale della mia poltrona, arrotolai fino al gomito le maniche della camicia ed aggiustai il colletto stando ben attento a lasciare scoperta una porzione di petto, come avevo capito che a lei faceva impazzire.
Ravvivai i capelli con una mano e percorsi in fretta quei pochi metri che ci separavano, impaziente di sentire la sua risata cristallina e il suo profumo dolce.
In lontananza scorsi gli innamoratissimi Josh e Caroline, Mary - segretaria personale di Bill - e il solito Bob, con l’aria corrucciata. Di Penelope nemmeno l’ombra.
Inserii i soldi nella macchinetta e selezionai un caffè ristretto, rivolsi un cenno di saluto ai presenti e mi misi in disparte, in attesa.
Trascorsero dieci minuti mentre a poco a poco tutti tornavano al proprio lavoro; Penelope non si fece viva.
Non mi arresi. Probabilmente stava lavorando, così finii il caffè ed andai nel suo ufficio.
Bussai una volta senza ottenere risposta  così provai ad aprire, ma la porta era chiusa a chiave.
«Penelope?» la richiamai, continuando ad insistere con la mano sulla maniglia «Ci sei?»
Sentivo il palmo sudato ed uno strano senso di nervosismo, posai l’orecchio sulla porta ma da dentro non proveniva alcun rumore.
Cercai di darmi una calmata, presi l’ascensore diretto dall’unica persona che avrebbe potuto sapere qualcosa.
«Johanna, ciao» salutai la ragazza dagli occhi vispi ed il sorriso da ebete stampato sul viso «Come va?»
«Oh…ciao, Nathan…» si portò nervosamente le mani tra i capelli, sfoderai il mio miglior sorriso e la vidi vacillare «Tu…tutto bene, te?» chiese.
«Adesso alla grande» ammiccai nella sua direzione, la vidi arrossire fino alla punta dei capelli «Senti volevo domandarti una cosa»
«Tutto quello che vuoi» rispose prontamente, protendendosi lungo il bancone nella mia direzione.
«Penelope Penthon. Sai perché non è nel suo ufficio?»
«Penelope? » pronunciò il suo nome con un’espressione tutt’altro che cordiale «Oh sì, oggi l’ha presa di festa. Tornerà direttamente lunedì»
«Ah, sai il motivo?» chiesi confuso.
«No, mi spiace»
«Ok, sei stata gentilissima» le sorrisi ancora.
«Di niente» rispose mostrandomi il suo sguardo da cerbiatta «Ci vediamo presto?» domandò timida.
«Sicuramente»
Mi allontanai, più sollevato da un lato ma afflitto dall’altro. Ancora una volta avevo dubitato di lei, senza pensarci due volte.
Cazzo, forse era vero che avevo dei pregiudizi nei suoi confronti.
Avevo temuto si trovasse in “compagnia” nonostante fossi consapevole che il lavoro per Penelope fosse sacro, come lei stessa aveva tenuto a precisare dopo quello che era accaduto nel suo ufficio.
Scossi la testa amareggiato.
Incazzato con me stesso per la poca fiducia che riponevo in lei; incazzato con lei perché mi dava un milione di motivi per dubitare.
Continuai il mio lavoro sovrappensiero, con le ore che trascorrevano con una infinita e sfiancante lentezza.
Purtroppo il pensiero di Penelope era diventato un’ossessione, il suo sfuggirmi non faceva altro che mandare a puttane i miei piani.
Era lei che avrebbe dovuto desiderarmi. Lei che sarebbe dovuta impazzire di gelosia. Continuavo a ripetermi che lo meritava per il modo in cui mi aveva trattato in passato, eppure non potevo non pensare a quanto mi sentissi ancora più coglione di allora.
A diciotto anni è l’inesperienza a guidarti; ma a quasi ventiquattro qualcosa avresti pur dovuto imparare stupido Wilkeman.
Quando uscii dall’ufficio decisi di andare alla Sunshine House, nella speranza di trovarla lì. Presi la metro e per tutto il tragitto non pensai ad altro che a un modo per convincerla a passare la serata con me, sembravo un patetico uomo costretto ad implorare per un po’ di sesso.
Beth venne ad aprirmi, sorridente come al solito.
«Buonasera» le sorrisi.
«Nathan, ciao» mi baciò entrambe le guancie con calore «Cerchi tua sorella?»
«No. In verità vorrei sapere se Penelope è qui»
«Penelope?» chiese in un momento d’esitazione, poi i suoi occhi brillarono «Oh, Penny…No, lei non è qui, mi spiace»
«Ah…ok» sospirai pesantemente.
«E’ successo qualcosa?»
I suoi occhi mi scrutarono attenti e potei scorgere l’apprensione nella voce. Era chiaro quanto le volessero bene.
«No, è tutto ok. Adesso devo andare, saluta Noemi e Thomas»
«Lo farò» sorrise ancora, poi richiuse la porta.
Nonostante non volessi arrivare a tanto – per evitare tutta la questione della pressione e quant’altro -  mi decisi a comporre il suo numero, il telefono risultava staccato.
“Cazzo Penny, dove sei finita?”
Degno della qualifica di miglior stalker del secolo, mi diressi verso casa sua e posteggiai l’auto nel piccolo viale d’ingresso.
Bussai alla porta - lievemente a disagio ma consapevole che non avrei desistito – ed attesi qualche istante senza ottenere risposta.
Iniziai a battere nervosamente un piede sul legno del porticato producendo un ticchettio fastidioso perfino alle mie orecchie, poi provai ancora sperando che almeno la sua coinquilina fosse in casa.
Dopo un po’ una bellissima ragazza alta e bionda venne ad aprirmi, i suoi occhi chiari mi guardarono quasi con stupore.
«Nathan?» chiese.
“Come faceva a sapere chi fossi?”
«Ehm, sì…ciao…»
Non mi pareva molto carino rivolgermi a quella ragazza nei termini: “Scusa ma ci conosciamo?”. Fortunatamente lei intuì la mia perplessità e mi venne in aiuto.
«Tanya. Tanya Humpry» chiarì.
Strabuzzai anch’io gli occhi.
«Tanya? Scusa io…non ti avevo riconosciuta»
La scrutai per bene. Ricordavo che già da ragazzina fosse bella ma adesso era uno splendore, l’amica da cui Penelope non si staccava mai.
«Non credevo fossi tu la sua coinquilina, che foste ancora amiche»
I suoi occhi quasi mi fulminarono per un istante.
«Non dire mai più una cosa del genere se non vuoi morire» disse ironica «Dai entra» mi diede le spalle e si avviò all’interno «Non credo ci sia bisogno che ti faccia strada» mi sorrise beffarda.
Sorrisi tra me ripensando a quello che era successo in quello stesso appartamento più di una volta, e ringraziando Tanya per essere una ragazza che passava spesso la notte fuori.
«Già» dissi semplicemente.
«Vuoi un caffè?» si diresse verso la cucina, la seguii.
«Sì, grazie»
Presi posto e la guardai mentre lo preparava, non sembrava stupita dalla mia visita, quasi si aspettasse che prima o poi sarei arrivato.
«Cerchi Penny, vero?» si voltò a guardarmi da sopra la spalla «Le avevo detto di avvisarti»
«Avvisarmi di cosa?» domandai sospettoso.
«E’ partita » mi porse la tazza fumante, la presi ma non bevvi.
«Partita per dove?» la mia voce doveva essere agitata al punto che la vidi guardarmi con dolcezza.
«Tranquillo, domani sera sarà qui»
«Oh bene» espirai sollevato, ma conscio di quanto potessi sembrare patetico.
Tanya si avvicinò e prese posto al mio fianco, puntò i suoi occhi seri nei miei.
«Senti Nathan…» s’interruppe e sospirò, come se fosse incerta sul da farsi.
Continuai a guardarla senza parlare, sperando che il mio silenzio e la sincerità del mio sguardo potessero esortarla a parlare.
«Penny, lei…» si fermò ancora.
«Tanya, ascoltami, non c’è bisogno che tu dica necessariamente qualcosa» dissi vedendo la sua difficoltà.
«Lei ti piace»
Era un’affermazione, non una domanda. Restai in silenzio, la mascella contratta, senza sapere cosa dire.
«Noi abbiamo…un certo feeling» aggirai il discorso.
La vidi annuire, sovrappensiero.
«Non devo intromettermi, Penny non me lo perdonerebbe»
«Scusa ma…non riesco a capirti»
“Cos’è tutto questo mistero?”
«Non c’è nulla da capire, lei tornerà domani. Adesso scusa ma avrei da fare» un modo gentile per dirmi di andare via.
«D’accordo, ti ringrazio»
Uscii di casa, la confusione più totale nella testa.
Non mi stupiva che Penelope non mi avesse avvertito della sua partenza, sapevo di non poter vantare nessuna pretesa nei suoi confronti - come lei nei miei - eppure non potevo fare a meno di pensarci.
Ero teso, nervoso, la sensazione di essermi impelagato in qualcosa che non avrei saputo gestire mi opprimeva il petto rendendomi irritabile.
“Cazzo Nathan, controllati” mi ammonii.
Perché doveva essere così difficile desiderare una persona e volerla tutta per se?
Non pretendevo l’amore, soltanto una persona “normale” con la quale relazionarmi. Penelope, invece, era la complicatezza fatta persona ed io le stavo permettendo di mandarmi fuori di testa.
M’incamminai verso casa riflettendo sul fatto che Tanya avesse impiegato soltanto pochi secondi a capire il mio reale interesse, e preoccupandomi di cosa sarebbe accaduto se anche Penelope l’avesse capito.
Decisi di non rimuginarci troppo su e di non lasciarmi impressionare dall’apprensione che avevo visto trapelare da ogni poro di Tanya.
Avrei continuato per la mia strada, la mia strategia non avrebbe fallito. Non stavolta. 

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Capitolo 17
*** Capitolo XVI ***


Capitolo XVI
 


Uscii dall’aeroporto e respirai una boccata d’aria fresca dopo ben cinque ore di volo; trascinandomi dietro il piccolo trolley mi guardai in giro tra la folla, alla ricerca di un taxi.
Dovetti attendere circa dieci minuti che trascorsi trafficando sul mio tablet.
Durante il lungo tragitto verso casa, con la testa poggiata pesantemente contro il finestrino, non staccai per un attimo lo sguardo dal paesaggio che si prestava ai miei occhi. Era quasi il crepuscolo, ed il sole che rifletteva i suoi raggi caldi ovunque quasi mi accecava.
Cominciai a ripensare al week end appena trascorso: ricevere un offerta di lavoro dalla Custom advertising service S.p.A era una delle poche cose capaci di farti sentire soddisfatta ed appagata del tuo lavoro.
Qualsiasi altra persona avrebbe accettato all’istante, ma non io. Un’ennesima conferma di quanto fossi strana, o – per meglio dire – pazza.
Purtroppo mi ero resa conto che all’idea di lasciare Los Angeles, Tanya ed i miei amici, avvertivo una strana sensazione, quasi un fastidio; per una come me, che da sempre rifuggiva qualsiasi legame, non era facile da mandar giù.
Non appena arrivai a casa bussai alla porta, certa che a quell’ora Tanya ci sarebbe stata; infatti, dopo pochi istanti, mi accolse col suo sorriso radioso.
«Penny!» esclamò abbracciandomi di slancio «Perché non mi hai chiamata, sarei venuta a prenderti»
«Ho preso un taxi» entrai in casa e richiusi la porta.
«Sì, questo l’avevo intuito» rispose ironica «Allora, com’è andata?» domandò curiosa, senza darmi nemmeno il tempo di sistemarmi.
«Come avevamo previsto. Mi hanno offerto un lavoro»
«Oh» fece una strana smorfia che cercò di celarmi con un sorriso abbozzato «E tu?»
«Ed io…» mi fermai tenendola un po’ sulle spine.
In verità non sapevo cosa dirle, così decisi di restare sul vago.
«Allora Penny?» mi esortò, impaziente.
«Ho deciso di prendermi del tempo. Ci penserò»
Andai verso la cucina cercando di far cadere il discorso, ma il suo sguardo attento stava già indagando.
«Tutto qui?» chiese incredula «Credi di liquidarmi con un: “Ci penserò”?»
Si sedette su uno degli sgabelli e prese ad osservarmi mentre ero intenta a prepararmi un sandwich.
«Non sto cercando di liquidarti» le dissi, consapevole di mentire.
«Penny, sai che ti appoggerò qualsiasi cosa tu decida di fare» di slancio prese la mia mano e la strinse.
Puntai il mio sguardo nel suo e ricambiai la stretta.
«Lo so» sospirai «E’ un ottima offerta, l’agenzia è una delle più importanti sul mercato e New York è fantastica» dissi elencando tutte le cose positive.
«Ma?» mi fece eco Tanya.
Già, c’era un ‘ma’. Non mi andava di dire a Tanya quello che si agitava dentro di me, avevo soltanto bisogno di un po’ di tempo per pensare.
«Ma a New York non ci saresti tu, ad esempio» le sorrisi, cercando di stemperare la tensione. 
«Beh io...Sai che potrei…»
Sgranai gli occhi e prima che potesse continuare la interruppi.
«Tanya, ti prego. Non dirlo nemmeno»
«Penny almeno fammi finire di parlare» protestò indispettita.
«Per sentire cosa? Che, semmai accettassi quella fottuta proposta di lavoro, tu verrai con me? Non se ne parla» dissi irremovibile.
«Ma…» provò a ribattere.
Puntai i miei occhi scuri nei suoi di acquamarina, dolci e sinceri come sempre.
«Hai fatto troppo per me, da tutta la vita» dissi sincera «Adesso hai la tua vita qui, a Los Angeles»
«Oh Penny…» si lamentò, esasperata.
Sapevo che era pronta a ripetermi la solita solfa del “non è vero, lo faccio anche per me”, e non ero disposta a darle corda.
«No, fammi finire» dissi perentoria «Credi che non sappia che è tutta la vita che cerchi di proteggermi? Credi non mi senta abbastanza in colpa del fatto che non ti lascio vivere la tua vita con Marc come vorresti?»
«Ma no, Penny» la sua mano mi carezzò la guancia «Non dire sciocchezze» mi sorrise ma non poteva nascondere ai miei occhi attenti il fatto che fosse sull’orlo delle lacrime.
«Suvvia Tanya, abbiamo fatto le migliori cazzate insieme quand’eravamo adolescenti. Le feste fino a notte fonda, i pigiama party quando mio padre era di turno a lavoro, le canne fumate con Nick e gli altri» sorrisi ripensando a quei momenti dolceamari.
Tanya si portò le mani a coprirsi il viso, imbarazzata per quei ricordi.
«Sì, lo so. Non eravamo affatto due ragazze perbene ma…beh, chi se ne frega»
Scoppiammo entrambe in una sonora risata.
«Almeno ho messo la testa a posto con Marc»
«Già. Ed io non sono più la quindicenne incasinata di un tempo» l’attirai a me in un abbraccio e continuai sussurrandole all’orecchio «Sono felice di averti avuta sempre al mio fianco, ma adesso sono in grado di badare a me stessa»
Sentii il suo petto tremare tra le mie braccia, le accarezzai la schiena con movimenti lenti per tranquillizzarla. Tanya mi voleva bene come una sorella, e la cosa era reciproca.
«Smettila sciocca, sai che è vero quel che sto dicendo»
Si allontanò appena per guardarmi, indecisa.
«D’accordo, se lo dici tu, ti credo» tirò su col naso facendo una strana smorfia, simile ad una bambina.
«Devi per forza, non hai scelta» la spinsi appena, scherzosa, allentando così la tensione.
L’ultima cosa che volevo era vedere Tanya triste. Mi faceva sentire vulnerabile ed io non potevo sopportarlo.
Nonostante l’accusassi di difendermi, come un’ipocrita facevo lo stesso nei suoi confronti.
«Parlando di cose importanti» riprese più rilassata «Nathan ieri è venuto qui»
«Davvero?» chiesi stranita «Che voleva?»
«Ti cercava, ovvio»
«Non poteva semplicemente fare una telefonata?»
«Credo l’avrebbe fatto se avessi avuto la decenza di lasciare acceso il telefono» mi guardò in cagnesco «A tal proposito ti ringrazio per non esserti fatta sentire durante tutto il week end, e per avermi avvisata di essere arrivata a New York sana e salva»
Roteai gli occhi al cielo e diedi un morso alla mia merenda.
«Se l’aereo fosse caduto l’avresti sentito al telegiornale» feci spallucce.
«Oh ti ringrazio, questo si che mi rincuora» mi lanciò lo strofinaccio che mi colpì in pieno viso.
«Ehi, dacci un taglio» bevvi un sorso di cola «Comunque sai perché mi cercava?»
La vidi distogliere immediatamente lo sguardo con aria vaga.
«No, non ne ho idea»
«Tanya? C’è qualcosa che dovresti dirmi?» smisi di mangiare e la fissai.
«No Penny. Adesso devo prepararmi perché a breve arriverà Marc. Andiamo a vedere la mostra di un suo caro amico, vuoi venire?»
«No grazie, preferisco riposare»
La vidi annuire e scomparire dietro la porta della cucina come un fulmine.
Non era molto furbo da parte sua cercare di sviare il discorso con una che aveva fatto della vaghezza il suo credo di vita, ma la lasciai andare ugualmente.
Finii l’ultimo morso di quella che sarebbe stata la mia cena ed andai a prendere il cellulare dalla valigia; lo accesi ed in pochi secondi l’insistente cicaleggio mi avvertì dell’arrivo di diversi messaggi: alcuni riportavano le chiamate di Nathan, altri erano di una Tanya leggermente arrabbiata per la mia - testuali parole - strafottenza.
Disfeci la valigia e mi concessi un bagno rilassante. Quando finii mi sedetti sul letto, ancora in accappatoio, indecisa se andare a bere qualcosa o restare a casa a leggere un buon libro.
Erano appena le nove e trenta, Tanya era uscita già da un po’ e con ogni probabilità avrebbe trascorso la notte fuori, così decisi che un po’ di svago mi avrebbe fatto bene. Le mandai un messaggio per evitare di essere definita “strafottente”, poi indossai uno dei primi abiti che mi capitò a tiro ed uscii diretta ad un bar del centro.
L’atmosfera era tranquilla, musica soft ed ambiente ricercato. Mi sedetti dinnanzi al bancone bar ed ordinai un drink alla frutta.
Il barman - alto, muscoloso e super abbronzato - mi porse il bicchiere lasciando scivolare nella mia mano un biglietto su cui vidi annotato un numero di telefono, ovviamente il suo.
Gli sorrisi ma senza alcun interesse.
Passarono soltanto pochi minuti prima che l’idiota di turno si avvicinasse per approcciarsi.
«Buonasera bellezza»
Classico tipo californiano: carnagione abbronzata, occhi chiari, denti bianchissimi, gran fico palestrato. L’ennesimo pallone gonfiato.
«Ciao» dissi più per educazione che altro.
Ripresi a bere, cercando di ignorarlo.
«Aspetti qualcuno?» continuò imperterrito.
«Sì» risposi senza nemmeno guardarlo negli occhi.
Volevo evitare di imbattermi nel suo sguardo da ‘bello e impossibile’. Mi sorpresi nel constatare che, diversamente dal solito, mi stavo annoiando.
Senza un particolare motivo mi venne in mente Nathan, così decisi di chiamarlo per rendere la serata più interessante.
«Penelope?» rispose al terzo squillo.
«Ciao» sorrisi al telefono vedendo finalmente il tizio dileguarsi in cerca di un’altra ragazza da agganciare «Tutto ok?»
«Sì, bene. A cosa devo questa telefonata?» potevo cogliere il suo sorriso attraverso il telefono.
Già, a cosa la doveva?
«Ho visto che mi hai cercata» dissi facendo riferimento alle sue chiamate.
«Oh, non era nulla di importante. Una cosa di lavoro»
«Capisco» dissi annuendo tra me «Una cosa così priva di importanza da venire a cercarmi fino a casa?»
Rimase in silenzio per qualche istante.
“Touché” pensai divertita.
«Dove sei? Ti va di raggiungermi al Wave?» chiesi senza aspettare una risposta.
«Dammi mezz’ora e sarò da te»
Riagganciai soddisfatta. Nathan arrivò prima di quanto potessi immaginare e non appena lo vidi n lontananza sentii il mio respiro accelerare senza motivo.
Erano passati soltanto due giorni da quando l’avevo visto l’ultima volta al lavoro, eppure sembrava ancora più bello se possibile.
La camicia bianca inamidata spiccava sulla carnagione che, dal suo arrivo a Los Angeles, era passata da un rosa pallido e delicato ad un attraente dorato che risaltava il colore dei suoi occhi.
«Ehi» disse quando mi fu vicino, risvegliandomi dai miei pensieri.
Rimasi sorpresa di me stessa quando avvertii il cuore battere più forte.
«Ehi» sussurrai appena.
La sua bocca fu subito sulla mia, come se non avesse aspettato altro. Fui shoccata nel constatare che lo stesso valeva per me, desideravo davvero il contatto con le sue labbra.
Provai una strana fitta di dolore allo stomaco ma la ignorai; oramai ero destinata a conviverci.
«Ti va un drink?» proposi, nel tentativo di nascondere la mia inquietudine.
«Certo» mi sorrise e prese posto al mio fianco.
Ordinai altri due drink al barman che adesso aveva perso il suo sorriso sornione e mi guardava con un cipiglio deluso.
Iniziammo a bene e chiacchierare di lavoro, anche se nei modi di fare di entrambi si poteva benissimo leggere la trepidazione.
La mano di Nathan continuava ad accarezzare con disinvoltura la mia gamba, come un gesto automatico, come se tutto in non ci fosse nient’altro che noi.
Nel suo sguardo c’era un desiderio che andava ben oltre la smania sessuale; ed io mi sentivo inebriata e spaventata al tempo stesso, da questo suo lato che non riuscivo appieno a comprendere.
«Passi la notte con me?» mi sussurrò all’orecchio.
La voce bassa e roca, a malapena udibile tra il caos del locale.
«Andiamo da me» dissi alzandomi e trascinandolo per una mano, senza pensarci oltre.
Come previsto Tanya non era rientrata, avrebbe passato la notte a casa di Marc come era giusto che fosse; erano una coppia e avrebbero dovuto iniziare a vivere come tale, senza la mia interferenza.
«Ti va una birra?» proposi.
Stavo cercando di essere una buona padrona di casa, anche se nella testa avevo tutt’altri pensieri.
«Basta bere. Non vorrei non reggessi l’alcool, ti voglio lucida in questo momento» mi prese in giro.
Gli sorrisi. Nathan sapeva rendere leggero qualsiasi momento, senza mai risultare stupido o fuori luogo.
Mi attirò a se ed iniziò a baciarmi senza alcuna fretta; la lingua che giocava con le mie labbra.
«Dove sei stata ieri?» chiese ad un tratto.
Non volevo parlargli di quello che era successo a New York, ero già abbastanza confusa e Nathan dopotutto non faceva parte della mia vita.
«Davvero hai voglia di parlare in questo momento?» aggirai volutamente la domanda.
«No, non credo»
Riprese a baciarmi, potevo sentire il suo corpo premuto contro il mio, caldo ed eccitato.
Salimmo in camera, la stanza era completamente immersa nel buio. Nathan iniziò a spogliarmi baciando ogni centimetro di pelle nuda che incontrasse nel suo cammino. Mi adagiai sul letto beandomi delle sue carezze; le dita vagavano leggere sul mio corpo donandomi i brividi ed il cuore batteva impazzito.
Il modo in cui Nathan mi toccava, quasi fosse in adorazione, mi fece assumere una strana consapevolezza nel profondo.
La dolcezza, la devozione, la brama, erano tutte cose che poteva nascondermi fino a quando non era vulnerabile come adesso.
Il modo in cui mi guardava, e parlava, ed i suoi gesti, erano inconfutabili.
Non potevo continuare ad essere totalmente cieca.
«Nathan» gemetti sotto il suo tocco.
Il mio un lamento che derivava da un mix di desiderio e frustrazione.
Lo attirai verso di me e lasciai che mi penetrasse.
«Dio, Penelope»
Sentii il suo corpo tremare per lo sforzo e lo strinsi ancora di più a me.
Era assurdo. Mi sentivo in trappola e oppressa; con una parte di me stessa che desiderava ardentemente fosse così, mentre l’altra voleva soltanto scappare e urlare a squarciagola.
Strinsi le lenzuola tra i pugni serrati evitando di pensare ancora; le sue spinte lente e cadenzate mi avevano già portato sull’orlo del precipizio e delle mie labbra continuavano ad uscire gemiti. «»
«Shhh, lasciati andare» sussurrò soffiando sulla mia bocca.
Il mio corpo iniziò ad essere scosso dagli spasmi del piacere e pensai che nessuno mai, prima di Nathan, fosse riuscito ad arrivare così in fondo.
Avevo concesso a tanti uomini di toccare il mio corpo, mai la mia anima.
Ma Nathan, invece, era andato oltre. Senza che io lo volessi o me ne rendessi conto.
Lui era sopra di me e riuscivo a sentirlo; lo sentivo in un modo che mi faceva paura.
«Sei unica» sussurrò nell’incavo del mio corpo.
Iniziai a tremare e ringraziai il buio che ci avvolgeva, mi consentiva di mantenere un certo contegno.
Nathan prese a muoversi velocemente, sentivo il letto cigolare appena mentre i miei gemiti risuonavano incontrollati per tutta la casa.
Passarono alcuni minuti in totale silenzio; potevo avvertire soltanto il suo respiro al mio orecchi e le carezze cadenzate lungo la schiena. 
La situazione stava diventando insostenibile, così indossai una maschera di indifferenza ed accesi il lume sul comodino di fianco al letto.
La prima cosa che scorsi fu il suo profilo incantevole, i capelli arruffati appiccicati lungo la fronte umida di sudore. Era bello da far male.
«Ehi» mi soffiò sul viso,
Si avvicinò e con naturalezza mi cinse tra le sue braccia.
Come reazione involontaria il mio corpo si irrigidì totalmente, non ero abituata a delle manifestazioni d’affetto così evidenti; a meno che non si trattasse di Tanya, ma lei rappresentava un mondo a parte.
«La mamma ti vuole bene, però devo andare via. Lo capisci, vero piccola?»
«No» singhiozzo, ferma sull’uscio della porta.
«Dai Penny, non fare così. Ci vedremo presto, lo prometto» mi lascia un ultimo bacio.
Con le sue valigie tra le mani la vedo salire sul taxi e sparire all’orizzonte, lasciandomi sola.
 Sola.
Iniziai a tremare, spaventata. Feci forza su tutta la mia volontà per trattenere le lacrime.
«Cosa c’è, hai freddo?»
Nathan mi stinse ancora più forte, mi sentii in trappola.
«No, sto bene» sussurrai.
Rimasi ancora qualche secondo con la testa sul suo petto; inspirai a fondo il profumo della sua pelle mentre i battiti del cuore mi risuonavano nelle orecchie, come una nenia in grado di tranquillizzarmi.
Ad un tratto Nathan si mise a sedere sul letto e mi guardò.
«Adesso…devo andare» disse incerto.
Era chiaro che quello fosse il suo modo per darmi la facoltà di scegliere cosa fare; eravamo fin da subito stati d’accordo sul fatto che il nostro rapporto si sarebbe limitato al sesso, eppure al momento sembrava non esserne tanto convinto.
Stava per alzarsi a raccogliere le sue cose quando gli dissi di aspettare.
La voce mi tremò appena. Avevo perso la mia solita aria da sfacciata, e non perché mi sentissi debole, ma semplicemente perché sentivo di non averne bisogno.
«Resta» gli chiesi.
Avevo passato anni a fare del sesso un’arma; avevo dormito con decine di uomini, ma mai a nessuno avevo permesso di restare da me, nel mio letto.
Nathan parve accorgersi del mio stato, sussurrò un timido: «Sei sicura?»
Bene, mi stava offrendo l’opportunità di tirarmi indietro.
Sarebbe servito a qualcosa? Ovviamente no.
Oramai nella mia testa era già tutto chiaro, sarebbe stato inutile rovinare anche un momento così bello.
«Sicurissima» dissi sorridendogli.
Lo attirai nuovamente a me, per dimenticare.
Ora che l’inevitabile era accaduto non avevo più motivo di fingere con me stessa, o con lui.
Continuammo a fare l’amore per ore, finché non ci addormentammo esausti, i corpi intrecciati.
Quando riaprii gli occhi erano le otto passate, Nathan mi cingeva la vita da dietro in un gesto carico di intimità. Sentivo il cuore pesante e leggero al tempo stesso, lo stomaco in subbuglio e la testa piena di pensieri cupi e gioiosi che si scontravano tra loro.
Avevo sempre rifuggito ogni forma d’affetto, ma adesso - arrivata alla soglia dei ventiquattro anni - mi era chiaro che per quanto avessi provato a fuggire, non ci sarei più riuscita.
Non con Nathan.
Mi lavai e vestii in fretta per il lavoro; poi preparai la colazione che lasciai accanto al letto per Nathan, con un biglietto che lo informasse della mia assenza.
Non appena arrivai in ufficio mi barricai al suo interno, quasi a voler evitare che qualsiasi agente esterno potesse farmi cambiare idea su quello che stavo per fare.
Col respiro corto ed il cuore gonfio di rammarico presi il telefono e composi le cifre che avrebbero cambiato radicalmente la mia vita, ancora una volta.
Attesi qualche istante prima che una voce mi raggiungesse dall’altro capo «Mr. Dumpton? Buongiorno sono Penelope Penthon»
Sentii la voce cordiale e soddisfatta del mio interlocutore.
«Sì, ha indovinato» dissi sentendo una parte di me che lentamente moriva «Accetto la sua offerta»
***
Oramai siamo ad un punto cruciale. Penelope ha capito che in fondo Nathan prova dei sentimenti per lei, ed ha deciso di andare via. Cosa pensate l'abbia spinta a prendere questa decisione?
Aspetto le vostre impressioni. Alla prossima, Ice.

 

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Capitolo 18
*** Capitolo XVII ***


Capitolo XVII


Quando Mr. Dumpton riagganciò rimasi qualche istante col telefono stretto nella mano, lo sguardo immobile perso nel vuoto ed il fiato corto.
Era fatta.
r Ancora una volta nella vita stavo andando avanti come un treno, prendevo decisioni sapendo di non poter avere ripensamenti.
Avevo sempre preferito prendere decisioni dalla quale non si poteva tornare indietro, per ricordare sempre a me stessa che non serviva a nulla essere indecisi o piangersi addosso; ma questa volta, per la prima volta, sentivo che mente e cuore erano in disaccordo ed impossibili da conciliare.
Vagai con lo sguardo nel mio ufficio, spoglio e ridotto all’essenziale.
Sembrava proprio che quel luogo rispecchiasse la mia anima e la mia intera esistenza: vuota.
Ero sempre stata incapace di volere qualcosa tutto per me, di circondarmi di persone da amare; convinta di non meritarlo, di non saperlo gestire o custodire come meritava.
Sbuffai sonoramente e ripresi il telefono per chiamare Erin – la segretaria di Bill – e dirle che sarei salita di li a poco.
Non ero pronta psicologicamente ad affrontare il mio capo, ma siccome la decisione era stata improvvisa non potevo permettermi il lusso di temporeggiare.
Andai all’ascensore diretta all’ultimo piano, le porte si aprirono su un ampio spazio contornato  totalmente da vetrate che offrivano una meravigliosa veduta sullo skyline di Los Angeles; l’arredamento moderno ed elegante, numerosi dipinti astratti abbellivano le pareti e grandi piante ad ogni angolo rendevano l’ambiente fresco e arioso.
«Ciao Erin» salutai la ragazza con la quale avevo parlato qualche istante prima.
«Salve Penelope, Bill la sta aspettando» disse mantenendo la sua aria rigida e professionale.
«Grazie»
Bussai contro il vetro intagliato della porta dell’ufficio di Bill, quando sentii la sua voce imperiosa pronunciare un “avanti” deciso, entrai.
Era di spalle, lo sguardo rivolto al paesaggio soleggiato, la figura imponente posizionata contro luce metteva ancora più in evidenza l’alta statura e le spalle larghe.
«Buongiorno Bill» lo chiamai per nome, come sempre mi aveva suggerito di fare. Speravo di rendere il tutto un po’ meno complicato, ma sapevo che in fondo non lo sarebbe stato.
«Non me lo dica, Penelope» disse senza neanche voltarsi.
Aveva le mani incrociate dietro la schiena, la posa rigida.
Sospirai, rammaricata.
Quello per la B. R design era stato il primo impegno serio nella mia carriera, nei due anni trascorsi avevo fatto molta esperienza grazie alla fiducia che fin da subito Bill aveva riposto nelle mie doti, e lasciare a causa delle mie questioni irrisolte non faceva altro che aumentare la rabbia che fin da sempre nutrivo nei miei confronti.
«Sono spiacente» dissi seria, facendo un passo in avanti.
«Non si rammarichi, sapevo che prima o poi sarebbe successo. Da tempo giravano voci» si voltò ed i suoi occhi seri mi inchiodarono.
«Oh, le assicuro che soltanto oggi ho accettato» provai a giustificarmi, anche se questo non alleviava il senso di colpa.
«Le sue campagne pubblicitarie sono quelle che hanno più riscontri. Non sono uno stupido, chiunque la vorrebbe» mi sorrise sfoderando tutto il suo fascino.
Sorrisi appena anch’io, pensierosa.
«Sapeva che sarebbe successo, ma non ha fatto nulla per impedirlo?» domandai dubbiosa.
«Con lei non è mai stata una questione di soldi, Penelope. So che nulla l’avrebbe fermata»
Cavolo, era proprio vero. Quanto dovevo essere sfacciata per non lasciare dubbi su quello che avrei fatto?
«La ringrazio, Bill. Per tutto»
«Non lo faccia, il successo è soltanto merito suo» scostò la sua grande poltrona in pelle nera e mogano scuro «Sarà dura sostituirla» aggiunse, mentre si accomodava.
«Non poi così tanto»
La buttai lì, sperando abboccasse.
«A chi sta pensando?» chiese prontamente, conscio del fatto che mi riferissi a qualcuno in particolare.
«Wilkeman»
Si portò la mano al mento, con due dita si sfiorò appena le labbra piegate in un ghigno serafico.
«Lo immaginavo» rispose tranquillo «Devo ammettere che ha del potenziale»
“Oh, eccome se ne ha” pensai tra me.
«Già, è proprio così» annuii appena «Adesso se non le spiace, tornerei al mio lavoro» mi alzai e gli porsi la mano che rimase sospesa a mezz’aria.
«Tra quanto sarà?» chiese prima di ricambiare il saluto «Una settima, un mese?»
«Tre settimane. L’ho avvisata non appena ho deciso di accettare»
«Bene» annuì e mi strinse con forza la mano «Non serve che le auguri buona fortuna»
“Oh non sa come si sbaglia, mi servirebbe eccome”
«E’ stato un piacere» un sorriso tirato fu tutto ciò che mi uscì.
Lasciai l’ufficio del mio quasi ex capo più afflitta di quando ci avevo messo piede.
In ascensore esaminai il mio riflesso allo specchio che mi rimandava l’immagine di un’avvenente ventitreenne in abiti firmati, con un’ottima posizione lavorativa e nulla da invidiare nella vita.
Mi soffermai sui miei bei lineamenti: le labbra carnose rese brillanti dal gloss, gli zigomi alti e rosei, il naso piccolo e perfetto.
Quando arrivai agli occhi dovetti distogliere lo sguardo dal mio stesso riflesso; erano freddi e privi di vita.
In un modo o nell’altro gli occhi non mentivano mai, nemmeno quelli di una persona che da sempre era abituata a celare le proprie emozioni a chiunque – persino a se stessa.
Rimasi tutto il giorno barricata nel mio ufficio, per evitare incontri spiacevoli, ma le ore sembrava non passassero mai.
Continuai a rimuginare su anni ed anni della mia vita e, quando fu l’ora di tornare a casa, la situazione peggiorò ulteriormente.
«Ehi buonasera»
Tanya mi accolse con il solito entusiasmo che durò fino a quando i suoi occhi non incrociarono i miei.
«E’…successo qualcosa?» chiese cauta, il volto corrucciato come se già avesse capito tutto.
«Ho accettato il lavoro a New York» le dissi senza indugi.
 Diretta, come sempre. Conscia che temporeggiare era per i deboli e gli indecisi, categorie nelle quali non mi classificavo.
«Oh» fu tutto ciò che disse.
 Mi voltò le spalle diretta in cucina, la seguii.
«E’ tutto ciò che hai da dirmi?» le chiesi parandomi davanti «Nemmeno un congratulazioni?»
I suoi occhi mi fulminarono, al loro interno non vi era tristezza ma rabbia, tantissima rabbia.
«Vuoi che ti faccia i miei migliori auguri?» chiese ironica «Perché lo fai?»
«Come perché ?» dissi sgranando gli occhi «E’ un’ottima opportunità»
«Piantala!» tuonò perentoria, rivolgendosi come mai prima «Da chi stai scappando?»
Capii immediatamente che la sua era una domanda retorica, in pochi istanti aveva già capito tutto, o probabilmente ci era addirittura arrivata prima di me.
«Da nessuno» provai lo stesso a mentirle, invano.
«Cazzate Penny» mi venne sotto a muso duro «Perché non lo ammetti? Forza, dillo»
«Tanya, per favore» sospirai pesantemente.
Uscii dalla cucina ed imboccai le scale diretta nella mia stanza, non volevo che Tanya mi facesse fare i conti con la mia coscienza.
Nonostante tutto, mi seguì.
«Ammettilo Penny, per una volta sii coraggiosa fino in fondo. Avanti» mi esortò.
«Cristo Tanya, cosa ti prende?» mi voltai di scatto, urlandole contro esasperata.
«COSA MI PRENDE?» la sua voce si alzò di parecchi toni «Mi prende che solo ieri, e ribadisco solo ieri, mi hai assicurato di non essere più la ragazzina incasinata di un tempo. Ed io ci avevo creduto Penny» mi urlò contro tutta la sua rabbia «Come una stupida, ci avevo creduto» sussurrò più lentamente.
«Non sei stata stupida a credermi, è la verità» provai a rassicurarla.
“Come puoi?” mi domandò la mia coscienza “Come puoi mentire così spudoratamente all’unica persona che si è sempre presa cura di te?”
Passai una mano sul volto, afflitta. Dovevo già combattere contro me stessa, non avevo la forza di combattere anche con Tanya.
«A te piace Nathan, cazzo» passò una mano tra i capelli d’oro con stizza «Perché hai così paura di innamorarti?» chiese con sguardo greve.
«Io non ho paura» le risposi incerta, cercando di convincere più me stessa che lei.
Il suo sorriso fu più una smorfia di rassegnazione; scosse la testa, lo sguardo basso. «Ti prego, risparmiami la solita solfa» mi diede le spalle e prese ad allontanarsi.
«Dove vai?»
«Ti ho sempre appoggiato Penelope, ma credo sia arrivato il momento che tu prenda definitivamente in mano la tua vita. Questa volta non sarò tua complice» si chiuse nella sua stanza senza darmi modo di controbattere, dopotutto non avrei saputo nemmeno cosa dirle.
Entrai in camera e mi buttai pesantemente sul letto, lo sguardo rivolto al soffitto, le mani unite poggiate sullo stomaco a pezzi.
Le parole di Tanya risuonavano nella mente, torturandomi.
«Non posso farci…niente» sussurrai impercettibilmente tra me «Niente»
«Penny devi smetterla di essere così ribelle. Mi dici dove hai intenzione di arrivare se a sedici anni sei già così fuori controllo?» mi rimprovera mia madre.
«Beh forse se ci fosse stato qualcuno che mi avesse insegnato come si sta al mondo, non sarei stata così incasinata. Non trovi, mamma?» le domando retorica, guardandola con astio.
«Ti prego, non fare così. Sai bene che non volevo lasciarti sola, restare a Newark con tuo padre era la scelta migliore per te» mi viene vicino e prova ad accarezzarmi, mi scanso «Lì avevi la scuola, gli amici, che futuro ti avrei dato portandoti con me quando in quel periodo non riuscivo nemmeno a tenere in mano la mia di vita? L’ho fatto per il tuo bene, per amore» i suoi occhi lucidi mi guardano afflitti, impossibile provare pietà.
«Amore?» chiedo in una smorfia schifata «Beh, allora se questo è l’amore farò bene a tenerlo alla larga. Tanto ho già avuto modo di vedere che ai ragazzi piace solo fottere e basta»
«PENELOPE!» mi rimprovera sgranando gli occhi «Cosa dici? Tu…sei solo una bambina» il volto terreo.
«Una bambina? » sorrido divertita «Quel periodo è finito, mamma. Ci ha pensato la vita a darmi una lezione» le volto le spalle richiudendo con forza la porta dietro di me, richiudendo me stessa nella corazza che mi sono costruita negli anni.
Strinsi con forza gli occhi a quei ricordi ma nemmeno una lacrima volle saperne di uscire. Il cellulare vibrò per avvisarmi dell’arrivo di un messaggio, lo lessi: “Ci vediamo stasera? N.”
Il cuore rimbombò nel petto, era il momento di prendere una decisione definitiva.
Troncare da subito o vivermi le tre settimane che mi restavano godendomi appieno ogni istante?
Per una sola volta la scelta non fu difficile come mi aspettavo, digitai in fretta una risposta: “Verrò da te. A dopo, P.” 
Presi a prepararmi per l’appuntamento, gesti lenti e calcolati; mentre mi insaponavo, mentre indossavo i soliti abiti, mentre con precisione maniacale continuavo a ripassare il rimmel sulle ciglia ormai perfettamente definite.
Quando scesi da basso vidi Tanya che distogliendo lo sguardo decise di ignorarmi.
«Mi dispiace» le dissi prima di uscire e richiudermi la porta alle spalle.
Iniziai a camminare lungo le strade affollate della sera, orde di ragazzini e coppiette camminavano schiamazzando, mentre la brezza leggera mi sfiorava la pelle. Ripercorsi mentalmente gli ultimi anni della mia vita, ripensai a tutto quello che avrei perso lasciando Los Angeles: Tanya, l’amicizia consolidata con Elisabeth e Thomas, il rapporto che stava nascendo con Noemi, l’affetto incondizionato dei bambini della Sunshine House e poi…Nathan.
Era così maledettamente difficile per me pensare di essere serena, lo dimostrava il fatto che nonostante fossi conscia di tutto quello che stavo lasciando decidendo di partire, non avevo la forza di restare per scoprire dove mi avrebbero portato i sentimenti che iniziavo a nutrire.
Arrivai sotto il portone di casa Nathan e bussai. Venne ad aprirmi subito ed il suo sorriso mi accolse come un caldo abbraccio che sapevo di non meritare.
«Ciao» lo salutai.
«Ben arrivata» disse facendomi spazio per entrare.
Il mio sguardo fu subito attirato dal piccolo tavolo imbandito al centro della stanza, le luci soffuse ed una musica leggera in sottofondo rendevano l’atmosfera molto intima; non quel tipo di intimità che prometteva sesso, ma quell’intimità che prometteva passione ed una complicità sconfinata.
«Ho pensato che per una volta avremmo potuto mangiare qualcosa insieme» disse alle mie spalle, non nascondendo l’ilarità nelle sue parole.
“Perché Nathan? Perché mi fai questo?” strinsi gli occhi e mi voltai forzando un sorriso.
«Sì, è una buona idea» finsi, come ero abituata da sempre a fare.
Mi scostò la sedia per farmi accomodare, dinnanzi avevo un piatto con degli antipasti di mare.
«Ti piace?» chiese aprendo il vino e versandone prima a me poi a lui.
«Vorresti farmi credere che hai cucinato tu queste cose?» domandai divertita mentre iniziavo a mangiare.
«Cos’hai da sorridere?»
«Dai Nathan» lo guardai di sottecchi ma il suo sguardo passò da divertito a estremamente intenso «Cosa c’è?»
Sentii il mio cuore battere all’impazzata, lo stomaco era serrato, l’unica cosa che ero conscia di voler mettere sotto i denti era lui e lui soltanto.
«C’è che se mi guardi così non arriveremo al dessert» la sua voce era calda e profonda, impossibile resistergli.
«E se…ti dicessi che potrei già fermarmi all’antipasto?» sussurrai col fiato sospeso.
«Ti direi…finalmente!»
Si sporse verso di me e le sue labbra incontrarono subito le mie.
«Ma…» aggiunse poi «Sono un gentiluomo e voglio che tu finisca la tua cena, prima»
Gli sorrisi, intenerita. Riprendemmo a mangiare e dopo diverse portate, tutte eccezionalmente buone, lo convinsi a confessare che in realtà si era fatto recapitare la cena da un ristorante.
«Saremmo potuti andare a mangiare direttamente lì» gli feci notare.
La sua mano si posò sulla mia, poi la tirò a se per baciarne le nocche.
«Volevo che nulla potesse distrarci» sussurrò.
Mi alzai per andare a sedermi sulle sue gambe. Dapprima gli accarezzai il viso, poi poggiai le labbra sulle sue dando avvio ad un bacio dolce e intenso.
Incapace di contenere la mia eccitazione lo attirai a me, stringendolo con una forza possessiva e passando le mani tra i suoi meravigliosi capelli.
Lo sentii mugolare sulle mie labbra ed il fuoco che avvertivo fin dentro le viscere fu un chiaro allarme di quanto già fossi pronta per lui.
«Io…non ti…resisto» soffiò al mio orecchio.
 Con le dita abili tirò giù la cerniera del mio abito ed io mi alzai così che questo potesse scivolare lungo il corpo, raccogliendosi scompostamente ai miei piedi.
Inarcai la testa all’indietro mentre la sua lingua calda percorreva la curva del collo, brividi intensi si irradiarono lungo la schiena mentre con le mani tremanti provavo a sbottonare la sua camicia che sentivo come un ostacolo di troppo.
Le sue mani grandi e decise corsero in mio aiuto ed in pochi istanti potei finalmente passare i palmi sulla sua schiena nuda e sul petto ampio, tra la peluria bionda e rada che mi solleticava le dita.
Tra una carezza e l’altra mi sospinse verso il divano invitandomi a sedermi.
Lo guardai mentre dall’alto la sua figura torreggiava su di me; i suoi occhi erano limpidi, sinceri, e - per la prima volta in tutta la mia vita - ebbi paura.
Paura di un uomo.
Avevo paura dell’adorazione che riuscivo a leggere in quegli occhi di smeraldo, della delicatezza con cui le sue mani mi sfioravano, del modo in cui il suo corpo mi donava piacere, e di me stessa che oramai ero consapevole di amare tutto ciò.
Paura di soffrire e di non riuscire a farne a meno.
Lo vidi inginocchiarsi dinnanzi a me, le sue mani afferrarono le mie caviglie sottili e lentamente mi divaricò le gambe posizionandosi tra di esse.
Aveva lo sguardo incollato al mio, creando un legame che andava ben oltre quello fisico.
Deglutii per poi tirare un rumoroso sospiro, le sue labbra si poggiarono sul mio collo mentre le dita iniziarono a stuzzicare i seni sensibili. Strinsi gli occhi mentre tentavo di mantenere il respiro regolare, di non perdere totalmente il controllo.
Avrei voluto piangere, fuggire, urlare a squarciagola, ma ero totalmente paralizzata. Stavo donando il mio corpo ad un uomo che sapevo nutrire dei sentimenti nei miei confronti, sentimenti che per la prima volta sentivo di ricambiare.
Il mio cuore mi urlava di restare, di combattere il mio passato; la mentre, invece, mi costringeva a mentire a Nathan, ed anche a me stessa.
«Cosa c’è Penelope? Rilassati»
Nathan parve accorgersi del mio disagio. Lentamente prese a baciarmi il ventre, con la lingua creava delle linee irregolari sulla mia pelle, nel tentativo di farmi distendere.
“Non puoi farlo!” mi urlò la mia coscienza, rendendomi ancora più nervosa.
“Fermalo, adesso. FERMALO!”
«NO!»
Urlai a me stessa, alla mia coscienza, alla confusione che mi vorticava dentro.
«Cosa no?»
Nathan si bloccò all’istante guardandomi preoccupato.
Forza diglielo, sii sincera almeno con lui.
Digli che partirai.
Digli che hai capito cosa prova per te.
Digli che ricambi i suoi sentimenti.
Digli che gli mentirai in queste settimane.
Digli che infrangerai le sue speranze.
Digli che lo farai soffrire.
Coraggio Penelope, dimostra per una volta di non essere una fottuta bastarda. Vai.
Portai le mani tra i capelli mentre il senso di colpa mi tormentava.
«Basta, ti prego. Basta!» dissi in un sussurro tra me.
«Penny, cos’hai? Guardami ti prego»
Le sue mani imprigionarono il mio viso, mi costrinse a guardarlo, a leggere la preoccupazione nei suoi occhi e a sentire quella nella sua voce; mi costrinse ad un bivio con me stessa, col mio cuore: sii sincera o menti spudoratamente.
Consapevole del fatto che se gli avessi detto la verità avrei dovuto troncare fin da subito mentre continuare a mentire mi avrebbe permesso di vivermi le ultime settimane che mi restavano fino in fondo, presi la mia decisione.
«E’…tutto ok» lo guardai diritto negli occhi e mi avvicinai per baciare le sue labbra sincere.
Ancora una volta,  avevo pensato solo a me stessa.
Ancora una volta, prevalse la parte peggiore di me.

***
Penelope ha molte questioni irrisolte, che vive con esasperazione. 
Comprendete o condannate i suoi atteggiamenti?
Spero di essere riuscita a rendere al meglio i suoi stati d'animo. Alla prossima, Ice.

 

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Capitolo 19
*** Capitolo XVIII - Parte I ***



Capitolo XVIIII - Parte I
Penelope Pov.

«E così vai via?»
Lilian mi guardò coi suoi grandi occhi nocciola, la voce incrinata da una nota di tristezza.
«Purtroppo devo, per lavoro. Ma ti prometto che verrò a trovarvi non appena avrò il tempo di venire a Los Angeles» le sorrisi, nonostante dentro mi sentissi morire.
Erano trascorsi già diciotto giorni.
Quattrocentotrentadue ore.
Venticinquemilanovecentoventi minuti.
Un milione cinquecentocinquantacinque mila duecento secondi .
Diciotto giorni durante i quali avevo portato a termine il lavoro in sospeso, avevo fatto visita alla Sunshine house, avevo cercato di comunicare con Tanya – che mi restava terribilmente ostile – ed ero stata con Nathan.
Ogni istante libero l’avevo trascorso con lui, incurante del tempo che passava in fretta.
Ero consapevole di quanto fossi pazza e masochista, eppure non potevo farne a meno.
Avevo vissuto senza remore, giorno per giorno, godendomi le sue attenzioni, beandomi dei suoi sorrisi, rilassandomi coi suoi teneri baci e rabbrividendo sotto il tocco delle sue abili mani.
Diciotto giorni durante i quali avevo amato con tutta me stessa, per la prima volta nella vita; avevo vissuto ad occhi chiusi, fidandomi totalmente di un uomo, trovando riparo tra le sue forti braccia, placando le mie ansie respirando il suo stesso respiro.
Diciotto giorni in cui avevo scoperto cosa fosse la complicità, la devozione, la fedeltà, e nonostante tutto, la mia compagna di vita – la menzogna – non mi aveva abbandonato.
Avevo mentito a Nathan giorno e notte, facendo l’amore nascondendogli i miei occhi lucidi aiutata dal buio che ci avvolgeva.
Non era stato facile, perché dopo venticinque anni avevo scoperto una nuova emozione: il senso di colpa.
Proprio io che me ne ero sempre fregata di tutto, adesso mi ritrovavo a combattere con un rimorso incessante.
Non sapevo se quella che avevo preso si sarebbe rivelata la scelta giusta, ormai mi sembrava di non sapere più niente e forse questa era la giusta punizione per chi come me aveva sempre ostentato tanta sicurezza.
Forse lo meritavo, per l'ennesima volta mi ritrovavo a pagare il prezzo di qualcosa senza conoscere nemmeno il motivo.
Anni ed anni di autolesionismo pur di costruirmi una corazza che alla fine non era stata in grado di proteggermi; mi ero innamorata di Nathan contro tutte le mie aspettative, e questa non era altro che la conferma di quel che avevo sempre sostenuto: amare significa soffrire, ed io ci ero cascata in pieno.
«Ehi voi due, cosa confabulate?» la voce di Beth mi fece sussultare, mi voltai a guardarla dopo aver lanciato uno sguardo d’intesa a Lily.
«Io credo tornerò a studiare, Daniel ha bisogno di una mano» inventò una scusa per dileguarsi e lasciarci sole.
Elisabeth sorrise con amore materno nel guardarla.
«E’ rifiorita, è davvero un incanto»
«Già, è proprio così»
Fui lieta di constatare i grandi miglioramenti di Lilian, nel cuore un barlume di speranza mi faceva credere di essere stata promotrice di quel cambiamento.
«Allora Penny» riprese Beth «Si può sapere cosa mi nascondi? Qual è il motivo per il quale sei venuta a farci visita tutti in giorni in queste settimane?» mi guardò con aria sospettosa «Non che mi dispiaccia, sia chiaro. Però sono curiosa»
Guardai con calma colei che potevo definire con orgoglio una mia amica, mi passai nervosamente una mano tra i capelli conscia che fosse arrivato il momento della verità.
«Beth io…» abbassai lo sguardo, tentennando, cercando di trattenere la tristezza nella mia voce «Tra qualche giorno partirò. Ho ricevuto una buona offerta di lavoro e mi trasferisco a New York» dissi espirando pesantemente.
«Oh…congratulazioni» mi sorrise, non uno dei suoi soliti sorrisi radiosi «Sai che mi dispiacerà non vederti tutte le settimane, ma se è meglio per te…»
«Sì, lo è» dissi più per convincere me stessa.
«Cavolo Penny, mi mancherai» mi trasse a se in un abbraccio affettuoso «Sei un’ottima persona, ti devo tutto» disse stringendomi ancora più forte.
«Non dire così, tu non mi devi niente»  ricambiai la sua stretta, beandomi del calore e dell’affetto capace di infondermi.
«So tutto, Penny. Tutto»                                                                                        
«In che senso…tutto?» le domandai irrigidendomi totalmente tra le sue braccia.
Si allontanò quel tanto che bastava per guardarmi in viso, il suo sorriso era dolce, rassicurante.
«Beh, tutto…di Tom e te»
«Oh Dio Beth, io…perdonami, tu…» annaspai al pensiero che Elisabeth sapesse tutto, estremamente a disagio.
«Ehi calmati, tesoro» le sue mani si posarono sulle mie spalle «All’epoca tu non potevi saperlo, non avevi mica colpa se Tom mi vedeva soltanto come una amica»
«Credimi Beth, non appena io…»
«Quando ho detto tutto, intendevo davvero tutto, Penny» disse interrompendomi e ridendo appena.
«Vuoi dire che…?»
«Voglio dire che so che sei stata tu ad aprire gli occhi a Thomas, me l’ha confidato lui stesso»
«Oh!» esclamai sorpresa «Beh questo non giustifica…»
«Smettila, per favore» mi interruppe ancora «Volevo soltanto ringraziarti, tutto qui»
«Io devo ringraziare voi, per quello che fate qui, per aver messo su questo posto che riesce sempre a ridarmi la speranza»
Vidi i suoi occhi leggermente lucidi, si passò le mani sulle guance cercando di nascondere il rossore.
«Ok, basta così»
«Adesso devo andare, posso chiederti soltanto un favore?»
«Certo, cosa?»
«Potresti evitare di dire a Noemi della mia partenza?» chiesi «Sai com’è, vorrei dirglielo io» precisai, vedendo la sua espressione perplessa.
«Ma certo, senza problemi»
«Grazie, ci vediamo domani allora» le diedi un altro bacio, recuperai la mia borsa e mi avviai verso l’uscita.
Presi a camminare lungo la strada affollata, diretta verso casa. Avevo ancora alcune cose da mettere in valigia, altre da inscatolare e spedire all’appartamento che avevo preso in fitto a New York tramite agenzia.
Girai la chiave nella toppa ed entrai: la casa era vuota ma la cosa non mi meravigliava; Tanya mi evitava come la peste e ne aveva tutte le ragioni.
Il mio modo di comportarmi era riprovevole. Fuggire ai miei sentimenti e vedere Nathan fingendo di non avere pensieri, ingannarlo, illuderlo.
Mi disprezzavo già abbastanza da sola, non riuscivo a sopportare anche la sua di rabbia.
Con una lentezza estrema iniziai ad imballare alcuni oggetti: i miei adorati libri, le decine di paia di scarpe, i miei CD preferiti, avvolgendoli lentamente nella pellicola.
Avevo lo sguardo perso nel vuoto, la mente annebbiata, mentre insieme ai pacchetti mi pareva di riporre anche il mio cuore con sentimenti annessi.
Non mi accorsi del tempo che scorreva incessante fino a quando il cellulare non prese a squillare, ricordandomi del mio appuntamento.
Mi feci strada tra gli scatoloni fino a raggiungere la borsa posata sul divano, cercai alla ceca il cellulare che continuava a trillare fino a quando non lo trovai.
«Sì?»
“Dimmi che non devo aspettarti ancora per molto” la sua voce calda mi raggiunse tramite il ricevitore, un balsamo in grado di alleviare le mie pene.
«No, sto solo…» imballando la mia vita per portarla via da te «Mezz’ora e sarò da te» dissi semplicemente.
“Facciamo che passo a prenderti io, cambio di programma”
«Oh, di cosa si tratta?» domandai curiosa e divertita allo stesso tempo.
“Mi avvalgo della facoltà di non rispondere. A tra poco” riattaccò prima che potessi aggiungere altro.
Cercai di accantonare la tristezza, corsi a prepararmi. Feci una doccia in fretta ed indossai un paio di jeans scuri, una fascia bianca ed una giacca di pelle con delle borchie.
L’eye liner nero delineò i miei occhi, la terra mi imporporò le guancie, con un rossetto scarlatto dipinsi le labbra e lasciai che i capelli ricadessero in onde scomposte e spettinate sulla mia schiena.
Indossai gli anfibi e qualche istante dopo sentii suonare alla porta.
«Ciao» dissi non appena aprii, sentendo il solito vuoto allo stomaco.
Uscii alla svelta per evitare che Nathan vedesse tutto il caos che invadeva il soggiorno, non avrei saputo come spiegarglielo.
«Ciao bellezza» si chinò per sfiorarmi le labbra, mi scansai appena.
«Ehi, ti sporcherai tutto» dissi sorridendogli.
«Ah, ora ti interessa? In passato non hai avuto tutte queste premure» mi fece presente.
Tornai coi ricordi qualche mese addietro, quando tutto sembrava più semplice.
«Ok, come preferisci» alzandomi appena sulle punte raggiunsi le sue labbra e lasciai che le nostre lingue si incontrassero come entrambi desideravamo.
«Allora, dove siamo diretti?»
«Ti va di fare quattro passi?» domandò.
«Guarda caso, stasera mi sono messa comoda» dissi facendogli notare la mia mise.
«Comoda, ma pur sempre sexy» si chinò nuovamente sulle mie labbra, ma questa volta le morse senza alcuna premura.
«Smettila» gli intimai.
Mi sorrise, poi con molta naturalezza mi prese la mano e ci incamminammo.
L’aria della sera era fresca, una leggera brezza soffiava dal mare portando con se il profumo salino ed il cielo era limpido con qualche stella che si intravvedeva qua e la.
«Sei pronta a divertirti?» domandò mentre la sua mano si intrecciava con noncuranza alla mia.
Mi soffermai sulla naturalezza dei suoi gesti, così intimi e complici, sentendo il mio cuore farsi piccolo piccolo.
Camminando mano nella mano con Nathan mi resi conto che dopo mesi questo era il nostro primo appuntamento, l’unico che ci eravamo concessi dopo aver precedentemente soddisfatto tutti i piaceri della carne.
Era come se, placatasi la passione iniziale, non restava altro che godersi la complicità conquistata, come due…fidanzati.
«Allora, Penny?» richiamò la mia attenzione.
«Sì, scusa. Certo che voglio divertirmi, perché andiamo verso la spiaggia?» domandai cercando di ignorare il suo pollice che aveva preso a sfiorare con insistenza il dorso della mia mano in un circolare continuo.
«Aspetta un poco e lo vedrai coi tuoi occhi» disse evasivo.
Percorremmo un lungo tratto di strada in silenzio, mentre Nathan camminava con passo svelto, trascinandomi eccitato.
Ad un tratto intravidi in lontananza migliaia di lucine colorate, una musica allegra arrivava alle mie orecchie ed orde di ragazzi si dirigevano nella nostra stessa direzione.
«Non ci credo, Luna Park?» chiesi guardandolo con gli occhi di una bambina.

To be continued...
***
Serata decisiva, giorno prima della partenza di Penelope. Cosa accadrà? 
Sono curiosa di leggere cosa partorirà la vostra fantasia. Alla prossima, Ice :*

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Capitolo 20
*** Capitolo XVIII - Parte II ***



Capitolo XVIII - Parte II
Nathan Pov.

 

«Non ci credo, Luna Park?»
Guardai il suo sorriso divertito, gli occhi che le brillavano.
«Sì piccola. Luna Park» le strinsi ulteriormente la mano «Forza, andiamo»
Accelerammo la nostra andatura, anche se adesso era Penelope a guidare me, a trascinarmi verso quel mondo di balocchi.
Nel seguirla mi soffermai a guardare i suoi capelli, quei boccoli morbidi che danzavano leggeri mossi dal vento; il contrasto tra il suo look aggressivo e l’espressione del suo volto che sembrava così ingenua e priva di malizia, come mai l’avevo vista prima.
In effetti erano quasi dieci anni che la conoscevo, eppure nemmeno quando aveva solo quattordici anni – ed io mi limitavo ad ammirare da lontano il suo essere così matura, spigliata e sicura di se – aveva mai avuto un’espressione così dolce com’era stata nelle ultime settimane.
Col tempo stavo scoprendo un lato del suo carattere che mai avrei immaginato.
Penelope non era solo tutto controllo di sé e carica sessuale; lei era anche dolce, divertente, leale, e tante altre qualità positive.
Nelle ultime settimane avevamo trascorso insieme la maggior parte del tempo senza mai stancarci, ed iniziavo a pensare che quello che stavo facendo fosse giusto.
Forse concedendole i suoi tempi finalmente aveva deciso di darmi un’opportunità, anche se ancora non avevamo ufficializzato la cosa.
Non riuscivo a credere stesse accadendo sul serio, sembrava che le cose finalmente si stessero mettendo al posto giusto; Penelope mi sembrava molto cambiata, sicuramente pensierosa ma anche meno rigida del solito.
Potevo capire i suoi dubbi e le sue paure, per questo motivo avevo evitato di dare troppo peso alla questione.
Dopotutto conoscevo il punto di vista di Penelope al punto da poter rendermi conto di quanto avessimo fatto dei progressi nel nostro rapporto, veri e propri passi da gigante.
Arrivati all’entrata del parco giochi pagai i biglietti d’ingesso e decisi di porre fine alle mie riflessioni per godermi la serata.
«Nate, guarda» disse indicando le autoscontro «Possiamo andarci?»
«Possiamo fare ciò che vuoi» le risposi ridendo appena.
«Bene, allora iniziamo da quelle»
Mi tirò con se per metterci in fila, nell’attesa continuò a battere i piedi in un ritmo alternato, irrequieto.
«Nathan sbrigati»
Mi strattonò quando arrivò il nostro turno e decise che avrebbe guidato lei perché – testuali parole – “mi farai invecchiare prima di scontrarci con qualcuno”.
Mi costrinse a fare il giro di tutte le giostre più terribili e, mentre tutti gridavano disperati, Penelope rideva senza paura. Tipico di lei.
«Adesso cosa facciamo?» chiesi col fiatone dopo esser sceso dal secondo giro sulle montagne russe.
«Adesso…» disse guardandosi intorno «Voglio andare lì»
Indicò la ruota panoramica e tirai un sospiro di sollievo.
«Oh, finalmente qualcosa di più calmo»
Entrammo nella piccola cabina per prendere posto e, non appena la ruota iniziò a muoversi, Penelope lanciò un gridolino eccitato.
«Nate guarda» indicò la spiaggia ed il mare che si vedevano poco distanti «E’ meraviglioso»
«Sì, lo è» dissi senza distogliere per un istante lo sguardo dal suo profilo.
Per me era meraviglioso stare con lei, sentirla finalmente più vicina, più…mia.
Per qualche assurdo motivo ero sempre stato terribilmente attratto da Penelope – un’attrazione che andava ben oltre il semplice piacere fisico – ed ora mi ritrovavo ad un bivio cruciale: dirle tutto o attendere ancora.
Era terribilmente difficile rapportarsi con lei; la sua maggiore aspirazione sembrava fosse fuggire da chiunque cercasse di capire qualcosa in più sul suo modo di essere, per questo ancora stentavo a renderle noti i miei sentimenti.
L’avevo capito già tanti anni prima, quando per la mente mi era balenata la folle idea di farle trovare quel fottuto girasole sul banco.
Trascorsi mesi a tormentarmi cercando di capire perché avesse reagito in quel modo, ed oggi – col senno di poi – immagino l’avesse fatto solo per me. Per quanto potesse passare per una persona immorale in fondo non voleva far soffrire uno stupido ragazzino che si era preso una bella sbandata.
Mi avvicinai a lei e la cabina ondeggiò appena.
Penelope si voltò di scatto ritrovando il mio viso a pochi centimetri dal suo ed iniziai a baciarla mentre la ruota continuava il suo lento giro.
Adoravo perdermi tra le sue labbra. Adoravo il modo in cui le sue mani stringevano i capelli alla base del collo. Adoravo soprattutto la l’arrendevolezza che mi stava riservando dopo essere stata tanto sfuggente.
Non ci accorgemmo che il giro fosse finito fino a quando il giostraio non sbloccò l’apertura.
«Ehi piccioncini, il giro è finito» disse in tono beffardo.
«Ci scusi» scendemmo dalla ruota cercando di trattenere una risata.
«E’ imbarazzante, essere richiamati come due ragazzini»
«Ma noi siamo due ragazzini» le spostai una ciocca di capelli dietro l’orecchio «Vieni, andiamo» le presi la mano.
«Dove?» chiese curiosa.
«Sulla spiaggia»
Camminammo per qualche minuto in silenzio, Penelope sembrava improvvisamente pensierosa.
Arrivati mi sedetti vicino la riva e divaricai le gambe per accoglierla; lei prese posto e poggiò la schiena contro il mio petto, d’un tratto sembrava aver perso tutta l’allegria di poco prima.
Questi repentini cambi d’umore sembravano far parte del suo essere, col tempo avevo imparato a non farmi troppe domande. Penelope aveva i suoi tempi su tutto, ed io li rispettavo.
«Cosa c’è?» le sussurrai tra i capelli, la testa poggiata sulla sua spalla.
«Niente, è stata davvero una…bella serata»
Il tono era appena malinconico, prese le mie mani poggiate sul suo grembo ed iniziò a giocherellarci.
I suoi gesti erano semplici, ma intimi. Sembrava irrequieta e lo ero anch’io.
Respirai a pieni polmoni l’aria profumata di mare mentre il cuore batteva all’impazzata perché sentivo di stringere tra le braccia tutto quel che avevo sempre desiderato, non volevo perdere un secondo di più.
«Penny?» la richiamai, voltò la testa per guardarmi e mi persi nei suoi occhi grandi.
Con la mano le sfiorai la guancia setosa poi la baciai, avvertendo il bisogno di sentire che era tutto ok.
«Nathan senti io…»
«Ti amo» dissi di getto, interrompendola.
Doveva saperlo, non aveva più senso fingere.
Guardai il suo volto trasformarsi in una maschera di incredulità e stupore; il mio cuore continuava a perdere battiti mentre finalmente davo libero sfogo ai miei sentimenti.
«Tu…cosa?» il suo respiro era corto, almeno quanto il mio.
«Io ti amo» ripetei più lentamente.
Guardai fisso i suoi occhi: dapprima scossi e poi incredibilmente lucidi.
***
Piccolo spaccato dal punto di vista di Nathan. Cosa ne pensate dei suoi sentimenti? E come credete che reagirà Penelope a questa rivelazione?
Alla prossima, Ice ;)

 

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Capitolo 21
*** Capitolo XIX ***


Capitolo XIX
Penelope Pov.

 

«Io ti amo»
Sentii tutto il mio corpo tremare, il cuore infrangersi in centinaia di minuscoli pezzi mentre guardavo le labbra di Nathan pronunciare quelle parole.
«Dio, Penny. Perché stai piangendo?» la sua mano si posò sulla mia guancia per raccogliere una lacrima che nemmeno mi ero accorta di aver versato.
Non meritavo quel gesto, tantomeno la sua premura.
“Perché proprio questa sera? Perché proprio adesso?” mi chiesi disperata.
Mi sentivo un milione di volte peggio rispetto a come avevo immaginato: sporca, una traditrice.
“Cosa ti aspettavi, dopo tutto quello che avete condiviso in queste settimane?” mi rimbeccò la mia coscienza.
«Tra due giorni…dovrò partire» dissi senza indugi.
«Partire? Per dove?»
Nathan si scostò lievemente sulla sabbia per potermi guardare negli occhi ma io continuavo a tenere lo sguardo fisso dinnanzi a me, perso nel vuoto.
«Mi…trasferisco a New York»
Abbassai la testa e lasciai che le lacrime mi offuscassero la vista in modo da celarmi la reazione di Nathan; sapevo che quel che avrei visto non mi sarebbe piaciuto.
Passò qualche minuto – o forse semplicemente degli interminabili secondi – accompagnato da un silenzio assordante, poi mi convinsi ad alzare il volto ed affrontare la situazione.
Quando vidi l’espressione atterrita di Nathan fu come se i miei peggiori incubi si fossero realizzati, trascinandomi fino in fondo al baratro che per anni avevo cercato di risalire; quel baratro attraverso il quale soltanto da poche settimane riuscivo ad intravvedere finalmente un barlume di luce che puntualmente mi impedivo di raggiungere.
Si alzò scrollandosi la sabbia dagli abiti, feci lo stesso.
«Nathan ascolta…»
«Cosa?» mi interruppe guardandomi severo «Cosa dovrei ascoltare Penelope?»
Sentii le mie gambe cedere sotto la durezza del suo sguardo, era chiaro che avesse già capito tutto.
«Cristo santo, perché stai fuggendo da me? Credevo che qualcosa fosse cambiato tra noi, io…» si passò una mano tra i capelli camminando nervosamente in tondo «’Fanculo» scagliò un calcio nel vuoto sollevando un po’ di sabbia.
«Non sto fuggendo. Ho ricevuto un’offerta di lavoro e…»
Provai a giustificarmi, risultando ridicola alle mie stesse orecchie.
«Oh ma ti prego, raccontalo a qualcun altro» mi schernì con un sorriso tirato.
Continuai ad osservarlo, in silenzio, mentre andava da un punto all’altro della spiaggia lasciando le impronte dei suoi passi nervosi sulla sabbia umida; sembrava un leone in gabbia col corpo teso e slanciato pronto a scattare.
«Non sono più il ragazzino di un tempo Penny» proruppe all’improvviso «Sapevo esattamente a cosa andavo incontro quando giorno dopo giorno mi rendevo conto di provare qualcosa per te» mi sorrise, ma non era affatto diverito.
«Credevo di essere stato bravo a gestire la situazione stavolta, ma evidentemente mi sbagliavo»
Avrei voluto dire qualcosa – qualsiasi cosa – ma mi sentivo talmente in difetto da aver perso la mia solita spigliatezza. Tuttavia ero pronta a parlare, Nathan meritava una spiegazione, ma proprio mentre stavo per aprire bocca riprese la parola.
«Adesso capisco perché eri così tranquilla nelle ultime settimane» rise appena scuotendo la testa.
Osservavo il suo modo di porsi, tutto in lui – dalla tensione del corpo al sorriso tirato – mi faceva capire quanto fosse teso e nervoso.
«Non sono riuscito a nasconderti quello che sentivo così ci hai pensato tu a porre rimedio, vero? Sapevi che saresti partita eppure non hai esitato a prendermi in giro»
Sussultai nel sentire la verità nelle sue parole, per il modo in cui era riuscito a leggermi dentro e a carpire le mie intenzioni.
«Nathan no. Non ti ho preso in giro, io…» provai a parlargli, invano.
«Tu hai continuato a vedermi come se nulla fosse, Penelope» tuonò irritato «Meritavo almeno di saperlo. Che stupido sono stato a lasciarmi abbindolare da te»
Iniziò ad allontanarsi, ma lo fermai.
«Per favore, aspetta»
Si voltò, ancora una volta il suo sguardo tagliente mi ferì. Più provavo a parlargli, più il nodo che avvertivo in gola mi impediva di farlo.
Non volevo ferire Nathan, ma sapevo che oramai non c’era più nulla che potessi fare per impedirlo; questo mi faceva impazzire così come la delusione che leggevo nei suoi occhi.
«Ti prego, dimmi che le ultime settimane non sono state una menzogna. Dimmi che questa sera, non è stata una menzogna»
Si avvicinò pericolosamente, mi bloccò il volto in una stretta ferrea per costringermi a guardarlo diritto negli occhi.
«No…non lo è stata» ammisi.
«Allora tu…mi ami?»
Mi guardò serio, lo sguardo incredibilmente profondo ed attento come se da una mia eventuale risposta potesse dipendere il nostro intero futuro.
Dopo anni passati a credere il contrario mi scoprii codarda; cercai di abbassare il volto per scappare dalla verità ma le sue mani mi strinsero ulteriormente –  fino a farmi male – pur di impedirmelo.
«No Penelope, non sfuggirmi. Non…adesso» la voce era imperiosa, un comando al quale non avrei potuto sottrarmi.
«Oh Nathan» mi allontanai, con stizza.
Sapevo di dovergli delle spiegazioni ma mi sentivo come schiacciata dal peso della responsabilità e delle menzogne; non ero in grado di ammettere neppure con me stessa quello che provavo, figuriamoci dirlo ad alta voce.
«Proprio non capisci?» domandai esasperata «Il problema è che io…io non sono in grado di amare»
Mi avvicinai alla riva per allontanarmi da lui; il vento soffiava forte e le onde del mare raggiungevano agitate le punte dei miei anfibi in un perpetuo andirivieni.
«Non dire stronzate» ringhiò, avvertii la sua imponente presenza alle mie spalle «Certo che ne sei in grado, io l’ho visto» mi lanciò contro le sue parole  come un’accusa.
«Cosa?» chiesi voltandomi di scatto.
Sembrava mi avessero schiaffeggiato, aveva sortito l’effetto voluto.
«Hai capito bene»
Si avvicinò ancora, l’andatura quasi minacciosa.
«L’ho provato sulla mia stessa pelle» disse con durezza, scandendo nitidamente ogni parola.
Le sue mani si poggiarono sulle mie spalle e mi costrinse ad indietreggiare, i piedi ormai totalmente immersi nell’acqua.
«Ti prego, Nathan»
Non volevo continuasse, non volevo sentire ciò che oramai era evidente. Le lacrime provavano disperatamente di fuggire al mio controllo – nel vano tentativo di scaricare un po’ di tensione – ma le trattenni.
«Perché non vuoi sentirtelo dire? L’ho letto nei tuoi occhi, Penelope»
«No» sussurrai singhiozzando.
«Oh, sì invece» disse spingendomi ancora più lontano.
L’acqua ormai alle caviglie, ma entrambi sembravamo non accorgercene.
«E’ palese nei tuoi gesti, nei tuoi baci, nelle tue carezze quando facciamo l’amore»
«No, Nathan. Smettila»
Scossi la testa come a voler respingere le sue parole. Una lacrima sfuggì al mio controllo mentre acquisivo la consapevolezza di tutto quello che stavo lasciando andare a causa dei miei fottuti problemi.
«Invece sì» mi strattonò con forza per le spalle «Sì, sì, sì. Cazzo sì» insistette.
Indietreggiai per sottrarmi a quella tortura ed inciampai nei miei stessi piedi; caddi in mare trascinando rovinosamente Nathan con me.
«Penny!» lo sentii urlare.
Le onde impetuose ci travolsero bagnandoci completamente, ma questo era l’ultimo dei nostri mali.
Mi prese per le braccia e mi sollevò, il respiro corto.
«Come stai? Vieni, usciamo dall’acqua» disse in apprensione.
Tornammo  a riva, il vento contribuiva a fare in modo che gli abiti aderissero al corpo come una seconda pelle.
Avevo i brividi ma non era per il freddo; mi allontanai appena da Nathan stringendomi tra le braccia, in pochi secondi mi raggiunse posando la sua giacca sulle mie spalle.
«Non è necessario» feci per restituirgliela, mi bloccò.
«No, anche se è un po’ bagnata ti proteggerà dal vento. Tienila» disse perentorio.
Era tipico di Nathan preoccuparsi per gli altri, anche per chi – come me – non meritava alcuna premura dopo il modo in cui si era comportato.
Trattenni le ulteriori obiezioni e la indossai.
Poi mi soffermai a guardare i capelli bagnati che gli ricadevano sul volto adirato e la camicia bianca perfettamente incollata al suo addome, era bellissimo anche se stravolto.
Iniziai a camminare nervosa, rimuginando sulle mie decisioni mentre lo sciabordio delle onde cullava la mia anima in pena.
Nathan era fermo come una statua ma sentivo che i suoi occhi mi seguivano irrequieti.
«Possiamo tenerci dentro i nostri sentimenti, Penelope…» ansimò improvvisamente, in affanno «Ma ciò non vuol dire che non esistano» concluse guardandomi severo.
Touchè.
Come faceva ad avere sempre dannatamente ragione? Come faceva ad essere così giudizioso e riflessivo in un momento dove io, invece, stavo dando di matto?
Tirai la giacca a coprirmi –  visibilmente troppo grande per me – poi trovai il coraggio di parlargli.
«Te l’ho già detto Nate, io non sono capace di amare»
Mi sedetti nuovamente sulla sabbia incurante del fatto che si sarebbe appiccicata ai vestiti zuppi, le ginocchia al petto come a volermi proteggere.
Era troppo, perfino per me.
Non mi andava di combattere, e discutere, e stare male, non quando già combattevo contro il mio spirito autodistruttivo da tutta una vita.
Il fatto che Nathan mi amasse ed io ricambiassi non bastava; come non bastavano le sue premure, i suoi gesti e i suoi occhi sinceri con il quale mi faceva capire che mi sarei potuta fidare di lui, sempre.
Nulla sarebbe bastato a convincermi a restare. Per quanto tutti continuassero a rinfacciarmi di fuggire, nessuno sapeva che realmente cercavo di farlo solo da me stessa.
«Non sei in grado, vero?» la sua risata amara mi ridestò «Quindi mi stai dicendo che tu non sei quella persona che da anni è legata alla sua amica Tanya, vero?» si avvicinò appena «Non sei colei che tiene a cuore il futuro di tutti quei ragazzini senza casa, colei che ogni mese firma un assegno affinché possano avere quello di cui hanno bisogno» si accovacciò per guardarmi dritto in faccia «Non sei nemmeno tu quella persona che si è scusata con mia sorella per qualcosa di cui non aveva colpa?» domandò ancora.
«Di cosa stai parlando?» lo guardai shoccata, il dubbio che si insinuava nella mia mente.
«Parlo di quel fottuto bastardo di Jack, Penny. Quell’animale al quale gliene hai dette quattro per aver ferito una persona che a malapena conoscevi»
«Io…credevo che tu non sapessi nulla. Perché non me l’hai detto prima?»
«Che importanza aveva?» si strinse nelle spalle «Non mi importava un cazzo di quell’idiota perché io volevo te. Nonostante sapessi quanto sarebbe stato difficile conquistarti, l’ho fatto» prese le mie mani tra le sue, calde e rassicuranti «L’ho fatto, Penelope, perché ci tenevo. Perché ti amo praticamente da sempre. E forse tu già lo sapevi, da sempre»
«Dio…»
Incapace di trattenermi oltre scoppiai in un pianto liberatorio, la testa posata sulle ginocchia mentre i singhiozzi mi scuotevano il petto.
Perché era vero, tutto quel che Nathan diceva corrispondeva alla fottuta realtà ed io non riuscivo a sopportare il fatto che qualcuno riuscisse a leggermi così nel profondo; significava che avrebbe potuto ferirmi, in qualsiasi momento, dandomi così il colpo di grazia.
«Shhh, non fare così»
Le sue braccia forti mi cinsero in un abbraccio dove si poteva avvertire tutto il suo amore, quell’amore che non meritavo affatto.
«Nate, ti prego. Lasciami andare» sussurrai allo stremo delle forze.
«No, sono io a pregare te. Se vuoi che mi arrenda dammi una buona ragione per cui non dovremmo stare insieme, soltanto una»
«Ti farò soffrire» gli feci notare «Lo farò Nathan, lo so»
«Lo stai già facendo, quindi non dirmi che lo fai per me» si alzò di scatto, allontanandosi nuovamente verso la riva.
Il suo corpo era rigido, gli avambracci tesi allo stremo mentre stringeva i pugni, lo sguardo perso nel vuoto.
«Tu non puoi capire» gli gridai contro.
La mia un’accusa che rimbalzò come un’eco nel silenzio della notte. Mi alzai in un moto di stizza, scrollai la sabbia dai vestiti ed avanzai verso Nathan che mi dava le spalle.
«Vieni qui a dirmi che mi ami, a dirmi che sai quello che provo e a sparare sentenze senza sapere nulla di me»
Gli puntai un dito contro anche se non poteva vedermi, anche se il mio voler risultare minacciosa era ridicolo a guardare il tremolio del corpo che si irradiava fin nella voce.
Nathan continuava a non voltarsi, aumentando così la mia frustrazione.
«Avevo soltanto nove anni quando i miei genitori si sono separati, dopo anni di litigi…»
Presi un profondo respiro e con estrema forza di volontà iniziai il mio racconto, attirando finalmente la sua attenzione.
***
Cosa racconterà Penelope a Nathan? Sbizzarrite la vostra fantasia.

 

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Capitolo 22
*** Capitolo XX ***


Capitolo XX
 
Nathan si voltò a guardarmi, ed anche se non disse nulla decisi di proseguire.
«Mia madre dopo il divorzio è andata via, si è trasferita in Arizona lasciandomi a Newark con mio padre» mi fermai un istante per non cedere sotto il peso di quei ricordi.
«Lui…non prestava molta attenzione a me; era burbero, scostante, nonostante materialmente non mi facesse mancare nulla. Preso dal suo dolore non riusciva a capire che ero soltanto una bambina che aveva bisogno di un po’ di affetto» mi avvicinai di un passo mentre Nathan restava rigido nella sua postura, gli occhi puntati fissi su di me «Ho dovuto crescere in fretta, imparare a badare a me stessa. Probabilmente se non avessi avuto l’aiuto di Tanya e della sua famiglia non avrei fatto molta strada»
Feci spallucce sorridendo appena al ricordo, mentre il volto di Nathan si tramutava in una maschera di tristezza e disgusto.
«Non ho passato dei bei periodi. Ero solo una ragazzina e mi sentivo sola e…abbandonata, però non avevo perso del tutto le speranze»
Un altro passo nella sua direzione – cercando di accorciare il più possibile le distanze – mi strinsi nella sua giacca e temporeggiai qualche istante prima di trovare il coraggio di proseguire.
«Avevo solo quattordici anni quando presi la mia prima cotta, si chiamava Ryan. Abitava nel mio stesso quartiere e nonostante avesse quattro anni più di me per  qualche strano motivo sembrava ricambiare il mio interesse» strinsi gli occhi, alcune lacrime amare scivolarono lungo le guancie.
«Lui aveva mille premure, era gentile, accorto, e finalmente mi sembrava di avere qualcuno che si curasse di me. Ero una stupida ragazzina che credeva di essere innamorata, ma la verità era che Ryan voleva soltanto fottermi Nate» dissi con durezza, asciugando una lacrima che non meritava d’esser versata.
«E mi ha fottuta, oh eccome se l’ha fatto» proruppi in una risatina isterica, ignorando il suo volto pallido e lo sguardo vitreo proseguii imperterrita «Ryan era soltanto l’ennesima persona incappata sul mio cammino alla quale non importava niente di me, e per mia sfortuna all’epoca ero ancora troppo ingenua per capirlo»
Sentivo la bile accumularsi in gola mentre la rabbia cresceva al ricordo.
«Dopo l’episodio con Ryan ho buttato via l’ultimo briciolo di speranza rimastomi. Mi ha costretta a diventare una donna prima del tempo, convincendomi ulteriormente che l’amore non portava a nulla di buono» urlai fuori di me.
«Diamine, Penny io…»
Nathan si avvicinò pronto a stringermi, lo respinsi.
«No, non voglio la tua compassione né quella di nessun altro» dissi asciugandomi gli occhi con caparbietà.
«Come puoi pensare che sia la pietà a spingermi a fare questo?» chiese offeso, inorridito «Io ti amo Penelope. Per quello che sei, non per quello che hai passato. Ti prego, guardami» le sue mani calde imprigionarono il mio volto, i suoi occhi verdi brillavano al buio.
«Io…»
Avevo il cuore gonfio di dolore ed i singhiozzi mi scuotevano il petto dopo aver vomitato tutto quello che mi ero tenuta dentro per anni; mi ritrovai a dire quel che mai avrei creduto.
«Ti amo anch’io, Nathan»
Il suo bacio fu inatteso, meraviglioso, carico di strazio e possesso. Il corpo possente incollato al mio, fusi in un tutt’uno, per la prima volta veramente nudi e privi di difese.
«Non meritavi tutto questo» la sua voce tremava appena, segno di quanto fosse scosso «Però lo capisci che non è servito a niente, vero? Negarti la possibilità di amare, usare il tuo corpo ed il sesso come un’arma…Cristo Penelope, non hai fatto altro che farti del male in questi anni. Hai espiato delle colpe per dei peccati che nemmeno avevi commesso»
La mano sul mio viso trasmetteva un calore rassicurante, il suo pollice scivolava sulle guancie umide mentre compiva dei movimenti capaci di incendiarmi il sangue nelle vene.
«Io non vado bene per te, Nate. Sono troppo incasinata. Dopo aver vissuto per anni nel buio non posso espormi alla luce, lo capisci questo, vero? Mi accecherei, brucerei»
«Non capisci che la luce ce l’hai dentro, Penelope e non potrai sfuggirvi. Non esiste persona più buona e pura di te, con dei valori così importanti quali l’amicizia, la carità, la solidarietà» scostò una ciocca di capelli dal viso, poi proseguì «Pensaci bene, in tutta la tua vita non hai mai fatto del male a nessuno all’infuori di te stessa»
Tirai su col naso, riflettendo sull’importanza delle sue parole.
«Ho fatto del male a te Nathan» gli feci notare.
«Solo indirettamente» mi riservò un sorriso dolcissimo «Mi hai fatto del male soltanto per la smania di punirti. Ma adesso sai che non puoi farti del male senza che ne faccia anche a me quindi ti prego smettila di soffrire, smettila di punirti»
Mi strinse forte a se, trovai riparo sul suo petto ampio dove piansi tutte le lacrime rimaste, fino a non averne più.
«Mi dispiace…» singhiozzai contro il suo torace all’altezza del cuore che batteva forte, i pugni serrati.
«Per cosa, amore mio?» le sue labbra si posarono tra i capelli con delicatezza, ma stavolta nemmeno i suoi sussurri sarebbero riusciti a placare il mio dolore.
«Non posso farlo, io…devo andare Nathan» 
«Perché? Perché non riesco a farti cambiare idea?» domandò disperato «Lasciati amare, Penny. Lascia che il mio amore sia la cura per tutte le tue sofferenze. Ti lascerò i tuoi spazi io…non pretenderò nulla che tu non sia in grado di darmi, ma almeno proviamoci»
La collera nelle sue parole, il modo in cui combatteva per quello in cui credeva mi fece rendere conto di quanto fossi fragile ed insicura.
Gli carezzai il volto e lui si poggiò contro la mia mano sospirando, chiuse gli occhi per godersi al meglio quel piccolo contatto e trovare un po’ di sollievo da quel mare di inquietudine che ci circondava.
«Non posso condividere la mia vita con qualcuno se prima non sconfiggo i miei demoni» scesi lungo il collo e passai a rigirarmi tra le dita i capelli scomposti che gli ricadevano sulla nuca «Da sola» precisai, irremovibile.
Lo vidi annuire, risoluto.
«Capisco, non ho altra scelta» la mascella contratta, i muscoli del collo tesi allo stremo mentre faceva leva su tutto il suo autocontrollo per non perdere la calma.
Guardai l’ora, l’una di notte passata, segno che mi restava un ultimo giorno da vivere a Los Angeles; solo ventiquattro ore prima di ripartire da zero.
«Adesso devo andare» dissi mordendomi l’interno del labbro, fino a farlo sanguinare.
Le sue dita mi liberarono da quell’ennesima tortura che mi stavo auto infliggendo, poi poggiò delicatamente le labbra sulle mie. Non fu un bacio, soltanto un tocco impercettibile e fugace; un saluto carico di rimorso e malinconia.
Quando si allontanò mi lasciò sola con il mio vuoto, quel vuoto che sarebbe aumentato nei mesi di distanza e che avrei dovuto imparare a colmare, leccando da sola le mie ferite come un gatto randagio.
«Non sarà un addio» disse serio.
“Lo vorrei tanto” pensai tra me.
«Arrivederci allora, Nathan»
Mi voltai ed iniziai ad allontanarmi, la sua voce mi arrivò forte e chiara come il boato di una bomba appena esplosa.
«Ti aspetterò, per tutto il tempo che sarà necessario»
Tornai a guardarlo in tutta la sua magnificenza, gli sorrisi consapevole che la sua promessa – dettata dall’enfasi del momento – sarebbe stata vanificata dalla prima donna che avesse deciso di non lasciarselo fuggire; una donna sicuramente più furba di me.
Mi incamminai a passo svelto cercando di non perdere l’equilibrio mentre i piedi affondavano nella sabbia; sentii lo sguardo di Nathan fisso su di me fino a quando non fui abbastanza lontana.
Decisi di non prendere un taxi nonostante la brezza notturna soffiasse forte tra i capelli umidi e sugli abiti bagnati, mi strinsi d’impulso nella giacca rendendomi conto di non averla restituita.
Tirai il colletto al naso annusandone il magnifico profumo, l’odore della sua pelle misto alla salinità del mare, mentre gli occhi pizzicavano per le lacrime che minacciavano di uscire.
Avevo superato un ostacolo, l’ennesimo, ma questa volta sentivo che sarebbe stata più difficile delle altre.
Non appena varcai la soglia di casa vidi Tanya comoda sul divano, un libro tra le mani. Si voltò appena col solito sguardo di rimprovero, ma non appena mi guardò negli occhi il suo viso si trasformò in una maschera di tristezza e pietà.
«Oh Penny»
Senza pensarci su due volte mi venne incontro mettendo da parte tutto il rancore riservatomi nelle ultime settimane e mi strinse forte tra le sue braccia.
In quell’abbraccio caloroso mi lasciai andare, i singhiozzi presero a scuotermi con violenza il petto mentre le mani di Tanya facevano su e giù sulla mia schiena in un moto continuo.
«Shhh tesoro, calmati. Ci sono io qui con te»
Tenendomi sempre stretta si avvicinò al divano e mi fece sedere.
«Aspettami qui, ti preparo una camomilla»
Annuii appena deglutendo a fatica, tolsi le scarpe e mi rannicchiai nel tentativo di trovare un po’ di calore, ma compresi che il gelo che avvertivo l’avevo dentro di me.
Tanya tornò dopo qualche minuto con una tazza fumante tra le mani.
«Bevi, ti farà bene»
Iniziai a sorseggiare lentamente, chiusa nel mio mutismo, mentre Tanya continuava a fissarmi con uno sguardo estremamente grave.
«Cos’hai combinato? Sei tutta bagnata e…sporca di sabbia» disse indicando i miei abiti «Porti la giacca di Nathan?» domandò ancora.
Guardai nuovamente quell’indumento che avrei portato con me a New York per consolarmi nei momenti di solitudine, poi volsi lo sguardo alla mia amica che impaziente attendeva delle spiegazioni.
«E’ stata una serata magnifica» dissi in un lamento tirando su col naso «Nate mi ha portata al Luna Park, noi…ci siamo divertiti tanto» sorrisi appena ed asciugai le lacrime col palmo della mano, Tanya mi porse una scatola di fazzolettini che si era premurata di recuperare.
Ce ne sarebbero voluti, eccome. Questa era una di quelle notti; quelle notti dove due amiche che condividono tutto avrebbero trovato conforto l’una nelle parole dell’altra, quelle notti strazianti dove piangi tutte le tue lacrime per aver perso qualcosa di molto caro. Ce n’erano state altre in passato e Tanya puntualmente era stata al mio fianco.
Forse la vita non si era accanita troppo nei miei confronti; conoscere Tanya era stato provvidenziale, più di quanto avessi potuto anche solo desiderare.
«Dopo mi ha portato sulla spiaggia, mi ha stretto tra le braccia e ha detto di…amarmi» dissi in un filo di voce.
Tanya strinse gli occhi, addolorata. Le fui grata per la sua delicatezza nel tenersi per se un “Te l’avevo detto” che avrei meritato tutto.
«Scommetto che gli hai detto che partirai e non l’ha presa bene» ipotizzò.
«Gli ho detto molto di più» abbassai lo sguardo, fisso nel vuoto al ricordo dei suoi occhi innamorati «Gli ho detto che…anch’io lo amo ma…ho troppe questioni irrisolte» scossi la testa, amareggiata, stanca anche di versare altre inutili lacrime.
«Quindi…partirai ugualmente?» tentennò.
«Sì, devo» dissi irremovibile, conscia che piangermi addosso sarebbe stato inutile.
Non mi ero mai lasciata sopraffare o abbattere dalle mie emozioni, mai mi ero concessa il lusso di qualificarmi come vittima per crogiolarmi nel dolore senza opporre resistenza.
Tutto era iniziato quand’ero solo una bambina costretta a chiudersi in camera per sfuggire ai litigi dei suoi genitori, senza però mai versare una lacrima. Il tremore era l’unica manifestazione di paura che il mio corpo conoscesse, e per anni non avevo fatto altro che andare avanti così, reprimendo le mie paure ed utilizzando la mia aggressività come uno scudo.
«Quindi con Nathan come andrà a finire?»
«Esattamente come è iniziata» risposi dura, mi alzai dal divano incapace di restare inerme.
«Ma tu…hai detto di amarlo» asserì confusa, non potevo biasimarla.
«Ti sembro in grado di avere una relazione?» le chiesi con calma fermandomi per guardarla diritta negli occhi.
«Beh, magari non in queste condizioni» disse indicandomi e sorridendo appena per smorzare il clima di tensione che aleggiava nella stanza «Ma sappi che non ti ho mai vista così felice come nelle ultime settimane con Nate. Cavolo Penny, tu eri serena, rilassata e…»
«Soltanto perché sapevo che non sarebbe durato» la interruppi, scuotendo la testa «Stasera Nathan mi ha detto delle cose molto importanti, mi hanno fatto riflettere»
«Posso sapere cosa di preciso?» domandò cauta.
Temporeggiai un istante, ricordando le sue parole sincere, la sua capacità di leggermi dentro come nessun altro – neppure Tanya – era mai riuscito.
«Mi ha fatto capire che…riesco ad amare tutti, tranne che me stessa» feci spallucce «Non è facile per me lasciarmi andare, non sentimentalmente almeno. Ma ho capito che devo stare sola per un po’ e ritrovare me stessa»
«Oh tesoro» Tanya mi raggiunse per stringermi ancora, con la testa poggiata sulla mia spalla la sentii singhiozzare appena «Forse non hai tutti i torti ma…mi mancherai»
«Lo so, anche voi mi mancherete. Ma non muoio mica, sai? Ci sentiremo tutti i giorni e vi verrò a trovare ogni volta che potrò» le promisi sincera.
«Come farò senza di te? A saperti lontana, senza poterti consolare quando qualcosa potrà turbarti?» tirò su col naso puntando quelle due gocce di mare lievemente arrossate nei miei occhi scuri.
«Non ce ne sarà bisogno. Io me la caverò, come sempre. Tu piuttosto, promettimi di viverti finalmente la tua storia con Marc come dovresti»
«Oh, ti prego…»
«Sono seria, Tanya. Prometti!»
«D’accordo rompipalle, te lo prometto»
Questa volta fui io a stringere lei, il peso nel cuore a malapena più leggero nel sapere che almeno qualcosa di buono lo stavo facendo.
Una promessa la feci anche a me stessa, non avrei sacrificato invano il mio amore per Nathan; sarei riuscita ad uscire dal tunnel oscuro della mia vita e finalmente sarei stata pronta a vivere, per davvero.

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Capitolo 23
*** Capitolo XXI ***



Otto mesi dopo…
 
Apportai le ultime modifiche al mio progetto, finalmente soddisfatta. Erano settimane che lavoravo alacremente su questo lavoro che Mr. Dumpton mi aveva affidato personalmente; si trattava di pubblicizzare un nuovo prodotto che sarebbe uscito sul mercato del marchio di un’importante azienda a livello mondiale.
Dopo ore ed ore di ricerche, meeting con la squadra dei creativi e consultazioni  col mio collega copywriter – Simon – che si occupava della parte scritta dei miei lavori di elaborazione grafica, finalmente ne ero venuta a capo.
Mi sorpresi ad avere sul volto una smorfia di puro godimento nel vedere l’immagine che si parava davanti ai miei occhi: mi soffermai sulla qualità dei colori, l’essenzialità d’impatto del font.
Nei mesi trascorsi alla ‘custom advertising service s.p.a’ potevo dire di aver fatto più esperienza che in tutta la mia vita. Mister Dumpton mi dava spesso la possibilità di prendere parte ad eventi come rappresentante della C.A.S e conoscere così personaggi di spicco nel mio campo. Un’esperienza unica che mi stava dando davvero tanto.
Sicuramente dal mio arrivo a New York avevo dovuto fare non pochi sforzi per abituarmi ad una portata di lavoro più ampia e complessa, ad un ambiente differente –  ad una vita differente – però potevo dirmi relativamente serena. Il lavoro procedeva alla grande, avevo dei colleghi simpatici ed ero riuscita a crearmi una cerchia di “amici” sufficientemente carini e sinceri.
La mia attenzione venne attirata dalla foto che avevo in bella mostra sulla scrivania; ritraeva Tanya, Noemi, Tom, Beth e me con tutti i bambini della Sunshine house. Mi mancavano tutti terribilmente, ma almeno potevo dire di aver “perso” loro per ritrovare me stessa.
Dopotutto era una buona ragione, no?
Spensi il pc e decisi che la mia giornata di lavoro poteva dirsi conclusa. Erano le sette passate ed io oramai trascorrevo più tempo nel mio ufficio che a casa.
Recuperai le mie cose e mi diressi in ascensore dove incontrai Simon.
«Ehi» gli sorrisi «Anche tu fino a tardi in ufficio?»
«Il lavoro è lavoro» scrollò le spalle.
Simon mi piaceva molto. Caparbio, intelligente, e sempre dedito al lavoro.
Adoravo lavorarci insieme ed ero grata di non ritrovarmi a collaborare con un’idiota.
«Sai, ho ultimato il progetto alla quale stavamo lavorando. Credo sia meglio fissare la riunione per presentarlo all’ufficio creativo»
«Credevo ci avresti impiegato di più. Sei una continua scoperta Penthon» mi batté scherzosamente il cinque «Dobbiamo parlarne con Dumpton. Gliel’hai già fatto vedere?»
«Non ancora, ma sono sicura gli piacerà»
«Modesta» disse sorridendo.
L’ascensore si riaprì nella hall che era quasi deserta.
«Ci vediamo domani Simon» dissi avviandomi all’uscita.
«Aspetta Penelope» mi raggiunse «Ti va un drink prima di tornare a casa?»
Guardai l’ora, erano le sette passate ed io ero già in ritardo per il mio appuntamento.
«Mi dispiace Simon ma ho un appuntamento. Facciamo un'altra volta»
«Ci conto» ammiccò sornione.
Uscii alla svelta diretta alla metro, lo studio della dottoressa Bennett distava solo un paio di fermate dal mio ufficio e questa era una piccola consolazione per i miei continui ritardi. 
Mi fermai dinnanzi l’enorme portone e bussai, la voce di Suzan – la segretaria – era tutto un dire.
«Studio della Dottoressa Bennett»
«Suzan sono Penelope. Penthon» specificai.
Non appena entrai la trovai già con la borsa in spalla, un plico di fogli sotto il braccio e un’espressione tutt’altro che amichevole.
«Ciao Suzan» la salutai.
Per tutta risposta lei guardò verso Darla che era sulla soglia della porta del suo studio «Dottoressa Bennett siccome è l’ultimo appuntamento io…»
«Vada pure Suzan» proruppe Darla «Penelope, se vuoi entrare»
La mia espressione era un po’ mortificata ma questo non bastò ad addolcirla; Suzan uscì dallo studio ticchettando furiosamente sul pavimento.
Guardai Darla e vidi la sua espressione divertita.
«Smetterà mai di odiarmi?»
«Domandati se io smetterò mai di farlo per tutti gli straordinari che mi costringi a pagarle» sorrise gentile e con un cenno mi invitò ad entrare.
Mi accomodai sul divano di pelle nera e guardai Darla prender posto sulla sua poltrona  col solito block notes in mano. Non appena mi guardò mi riservò il classico sguardo interrogativo e arreso.
«Sai che non amo stendermi sulla chaise longue, mi fa sembrare le cose più complesse di quanto siano realmente»
Darla si limitò a guardarmi senza replicare; forse era questo l’aspetto che più mi inquietava di un psicoterapeuta, qualsiasi cosa dicessi mi sembrava sempre che da un momento all’altro sarei stata etichettata come “pazza irrecuperabile”.
«Allora Penelope, come stai?» mi domandò come di routine.
Erano circa cinque mesi ormai che frequentavo lo studio della dottoressa Bennett, dopo il mio arrivo a New York ero piuttosto disorientata, mi sentivo come se mi mancasse la terra sotto i piedi. Il distacco da Tanya, dalla Sunshine house che era diventata un luogo dove rifugiarmi, e poi c’era tutta la questione irrisolta con Nathan…lui era quello che mi mancava più di tutti.
Come al solito avevo pensato di poter risolvere tutto da sola, poi dopo tre mesi di tristezza e sofferenza avevo capito che dovevo chiedere un aiuto concreto, altrimenti tutti i sacrifici che mi ero imposta sarebbero stati vani.
Con un paio di ricerche su internet era stato facile trovare una psicanalista, il fatto che si trovasse a pochi isolati dal mio ufficio era un valore aggiunto (considerando che il 90% delle volte ero in ritardo).
«Devo dire molto bene, Darla»
Colsi subito il suo sguardo di disappunto e mi apprestai a giustificarmi.
«Lo so, lo so» dissi alzando le mani in aria «Quando siamo in seduta tu per me sei la dottoressa Bennett, ma proprio non ci riesco a mantenere questo distacco»
Darla sbuffò, evidentemente esasperata ma divertita.
«Penelope con te ho infranto una delle più grandi regole che mi sono imposta: mai avere dei rapporti d’amicizia coi propri pazienti. Non costringermi a pentirmene»
Mi feci scappare una risatina nervosa, ma Darla mi guardava con affetto.
«Hai fatto enormi progressi in questi mesi, ben presto potresti anche non avere più bisogno di me come medico, ma soltanto come amica»
In effetti adesso potevo dirmi realmente in pace con me stessa, grazie all’aiuto di Darla ero riuscita ad elaborare tutte le mie questioni irrisolte e a chiudere in modo quasi definitivo col passato.
Non avvertivo più quel senso di vuoto ed incompletezza, adesso bastavo a me stessa in modo diverso; per volontà non per necessità.
«Devo dire che ho avuto una buona guida per questo. E poi ho capito che i miei problemi non erano gravi quanto pensassi, ci sono persone che se la passano davvero brutta»
«Penelope non ci sono problemi più o meno gravi di altri. I problemi sono tali senza eccezione alcuna, perché in qualunque caso provocano una sofferenza per chi li vive»
«Sì, però…» tentai di replicare, invano.
«Senza se e senza ma, Penelope. In questo percorso abbiamo scavato nel tuo “io” più profondo, e la tua sofferenza era palese. Il fatto che tu già sia in una fase di recupero non deve stupirti cosi come a me non stupisce, dopo averti conosciuta bene, il fatto che tu per tutti questi anni sia riuscita a tirare avanti senza crollare»
Sorrido amaramente.
«Ho voluto illudermi di non essere crollata, ma in fondo non vivevo sul serio»
«Vivevi, già questo è molto importante. Esserti resa conto di aver bisogno di aiuto è importante, così come il fatto che tu non abbia mai perso la speranza» ribatté Darla.
Sì, pensai tra me, questa è una interpretazione che posso accettare.
Mi rilassai maggiormente sul divano ed iniziai la mia seduta.
Poche ore dopo ero nel mio appartamento intenta a preparare qualcosa per cena, non appena mi misi ai fornelli fui interrotta da qualcuno che bussava alla porta.
Andai ad aprire.
«Jamie, non ti aspettavo» sorrisi al bel ragazzo alto e biondo sul ciglio della porta.
«Lo so amore, volevo farti una sorpresa» mi sfiorò le labbra per salutarmi, lo lasciai entrare.
«Stavo per prepararmi qualcosa, faccio per due?»
«Spaghetti all’italiana?» mi chiese con entusiasmo, guardandomi coi suoi grandi occhi bruni.
«Vada per gli spaghetti al sugo» gli sorrisi lanciandogli uno strofinaccio «Lavati le mani, devi aiutarmi»
«Agli ordini capo» si portò la mano alla testa ed assunse una posa rigida in un saluto militare «Preparo la salsa»
«Oh no, ti prego» risi allontanandolo dalle pentole «Al massimo metti l’acqua sul fuoco, al resto penso io. Non vorrei morire intossicata»
Gli lasciai un bacio sulla guancia per mandare via la sua espressione corrucciata e mi misi all’opera dopo aver indossato un grembiule.
«Sembri una vera donna di casa» mi prese in giro.
«Jamie, un’altra parola e ti sbatto fuori a calci» dissi puntandogli un mestolo contro.
«Calma leonessa, scherzavo» alzò le mani in segno di resa e sogghignò divertito «Ah, quasi dimenticavo» esordì «Ho trovato questa nella cassetta della posta»
Si avvicinò alla giacca che aveva poggiato sul divano e dalla tasca interna estrasse una busta color avorio.
Incuriosita mi avvicinai e la presi tra le mani. Corrucciai la fronte perplessa nello sfiorare la superficie lievemente increspata da decori, cercai il mittente senza successo.
«Di che si tratta?» domandai a Jamie.
«Non saprei. Avanti, aprila!» mi incitò.
La aprii mi ritrovai dinnanzi agli occhi un cartoncino che recitava:
 
Elisabeth Anne Platt
&
Thomas Wilson
 
Insieme con amici e familiari
sono lieti di invitarvi alla celebrazione del loro matrimonio
che si terrà Sabato 10 ottobre 2017 alle ore 10 a.m.
 
275 Ocean Ave
Los Angeles
 
 Strabuzzai gli occhi attirando la curiosità di Jamie.
«Allora? » chiese impaziente.
«Beth e Tom si sposano» dissi stupita «Tra un mese»
«Non mi dire» mi guardò entusiasta.
Da quando avevo conosciuto Jamie gli avevo raccontato tanto della mia vita, quindi conosceva anche quelli che erano i miei amici e le loro storie.
Li avevo fatti conoscere via Skype ed anche a loro Jamie aveva subito conquistato il cuore, non avrebbe potuto essere altrimenti.
Corsi a prendere il telefono, composi velocemente i numeri sulla tastiera e ad ogni squillo corrispondeva un battito del mio cuore.
“Pronto?”
«Oh mio Dio, dimmi che non è uno scherzo»
Dall’altro lato avvertii una risata carica di gioia “Oh, allora finalmente ti è arrivato l’invito”
«Aaaah» lanciai un gridolino eccitato «Non ci posso credere Beth, è una notizia fantastica. Vorrei stritolarti»
“Sapevo che saresti stata felice”
«Felice? Oh no, non rende affatto l’idea di come mi sento. Ma è soltanto tra un mese, come farai…»
“E’ già tutto pronto” mi interruppe.
«Tutto eh? Da quanti mesi è che mi nascondete la cosa?» le chiesi in un finto rimprovero «Scommetto che Tanya sapeva tutto»
“E chi credi che mi abbia aiutata se non lei e Noemi?”
«Piccole traditrici» sussurrai tra i denti.
“Non volercene, non sai quanto ci sia costato tenerti all’oscuro di tutto ma sapevamo bene quanto fossi impegnata col lavoro”
«Tranquilla, siete perdonate. Meglio averlo saputo adesso, sarei rimasta malissimo al pensiero di non poter essere d’aiuto» la tranquillizzai.
“Sai, da quando sei andata via Tanya cerca di sostituirti come meglio può. Anche se i bambini chiedono sempre di te”sospirò appena.
Abbassai lo sguardo e la mia attenzione fu attirata dalla fotografia che avevo sulla mensola in soggiorno; ritraeva Beth, Tom, Noemi e me con tutti i bambini della Sunshine House, scattata il giorno prima della mia partenza. Con le dita sfiorai la superficie liscia del vetro sorridendo alla riproduzione di me stessa circondata dagli abbracci di quelle piccole pesti, l’espressione sul volto al tempo stesso triste e commossa, la stessa di chi è consapevole che sta per intraprendere un viaggio che spera gli cambierà la vita.
Dio, quanto mi mancano tutti.
Almeno Lilian e Daniel si facevano sentire spesso con le loro e-mail spassose, soprattutto quando litigavano tra loro ed erano alla ricerca disperata di consigli su come comportarsi.
Sorrisi all’idea.
«Beh, presto potrò riabbracciarvi tutti» dissi asciugandomi una piccola lacrima di commozione «Questi otto mesi sono stati duri sul lavoro, ma adesso merito una pausa e quale migliore occasione se non il matrimonio dei miei adorati amici?» ripresi mettendo da parte la nostalgia.
“Non vediamo l’ora, Penny. Adesso devo andare, ti mandano tutti un grande bacio”
«Grazie Beth, abbraccia tutti da parte mia»
Riagganciai col sorriso ancora stampato sulle labbra, Jamie mi guardava scuotendo la testa rassegnato dalla mia emotività.
«Che meraviglia» corse ad abbracciarmi «Questo significa che tornerai a Los Angeles»
«Per qualche giorno, sì» annuii sorridendo mesta al pensiero.
Tornai di fretta in cucina, attirata dall'odore del sugo sui fornelli che minacciava di bruciarsi.
«Quindi rivedrai i tuoi amici» il tono di Jamie alle mie spalle era un po’ meno entusiasta.
«Si…» risposi con cautela, sapevo dove voleva andare a parare.
«E ci sarà anche Nathan»
Bingo.
Continuai a girare il sugo evitando il suo sguardo «Credo di si» dissi evasiva.
«Penny guardami» mi voltai ed incrociai i suoi occhi preoccupati «Dobbiamo parlarne»
«Oh Jamie, ti prego. Non c’è niente da aggiungere»
Mi spostai nervosa, presi la pasta e la pesai sulla bilancia intenta a lasciar cadere il discorso ma Jamie non mollò la presa, mi raggiunse alle spalle e mi cinse i fianchi per costringermi a voltarmi.
«Sai che tengo molto a te» disse serio.
«Certo, anche io tengo a te»
«Voglio accompagnarti»
Sgranai gli occhi, sorpresa.
«Non è il caso, sul serio. Avrai impegni di lavoro e…»
«Tranquilla dolcezza» mi interruppe «Lascia decidere a me se è il caso o meno» mi sorrise mesto poi mi strinse a se.
Mi persi in quell’abbraccio consolatorio mentre il pensiero di Nathan si insinuava nella mia mente rattristandomi.
Non avevo sue notizie da mesi; fin dall’inizio aveva rispettato il mio volere di stare sola, non avevo mai ricevuto una telefonata o un suo messaggio.
Con Tanya era diventato un argomento tabù, peggio ancora con Noemi che lo evitava come la peste.
Il suo numero era impresso a fuoco nella mia mente, l’avevo composto ogni notte per mesi senza mai trovare il coraggio di dare avvio alla chiamata, fino a quando non era sopraggiunta la rassegnazione. Avevo rinunciato definitivamente a lui, concedendomi soltanto il ricordo del tempo trascorso insieme, della nostra passione e dell’infinito amore che per la prima volta avevo provato.
Dio, erano già trascorsi otto mesi e se non fosse stato per tutte le novità che mi ero ritrovata ad affrontare dubito sarei sopravvissuta.
Chissà come sta. Se è felice. Se ha trovato una…donna.
Avevo mille interrogativi ma cercai di accantonare i pensieri tristi e mi costrinsi a godermi la serata in modo spensierato. Cenai con Jamie chiacchierando del più e del meno, e poi uscimmo per recarci al Blu Wave dove avevo appuntamento con alcuni colleghi di lavoro con cui avevo stretto amicizia nell’ultimo periodo, tutti abbastanza simpatici e socievoli. Stavo ricominciando a darmi alla vita mondana, a riconquistare lentamente parti di me, ricostruendo la mia vita in modo sano e senza particolari trasgressioni.
In fondo era questo il principale motivo per cui mi ero trasferita a New York, avevo bisogno di respirare aria nuova e distaccarmi da tutto e tutti.
Jamie mi riaccompagnò a casa verso le due del mattino dopo essermi stato addosso tutta la sera, in apprensione. Capivo le sue ragioni, sapevo che nonostante non ci conoscessimo da molto Jamie voleva soltanto il mio bene e per questo cercavo di lasciar correre senza lasciarmi allontanare dal senso di oppressione che a volte ancora si presentava con prepotenza.
Sfinita mi misi a letto e in pochi istanti mi addormentai fantasticando sul mio ritorno a Los Angeles.
“Sul tuo incontro con Nathan” suggerì malevolo il mio inconscio, tra la veglia ed il sonno.

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Capitolo 24
*** Capitolo XXII ***


 
Capitolo XXII

Alzai gli occhi al cielo limpido e soleggiato della meravigliosa Los Angeles, respirai l’aria satura del profumo di mare, quell’aria che mi era così familiare, di casa.
«Wow» esclamò Jamie alle mie spalle «C’è da ammetterlo, se questa è Los Angeles mi chiedo cosa ci faccio ancora a New York» disse guardandosi intorno tra la folla di ragazzi e ragazze in shorts e canottiere striminziti.
«Su andiamo»
Liquidai il suo sex radar perennemente attivo, scossi la testa divertita e, trascinando il mio trolley, mi misi in attesa alla fermata dei taxi.
«Sei sicura non sarà un problema il fatto che siamo arrivati con qualche giorno di anticipo?»
«Tranquillo, non lo sarà. Possiamo appoggiarci da Tanya e Marc, non desiderano altro» lo rassicurai.
«Vivono da molto insieme?»
«Da quando sono andata via» spiegai.
«Oh capisco» tacque, lasciandomi un secondo di tregua, poi tornò all’attacco col suo interrogatorio «Sapevano saremmo arrivati oggi?»
Jamie era così: attraente, simpatico, dolce, esasperatamente logorroico e…gay. L’averlo incontrato a poche settimane dal mio arrivo a New York era stata come una manna dal cielo, mi aveva aiutato a sistemarmi ed ambientarmi, mi era stato vicino come un buon amico nei momenti più tristi quando la nostalgia si faceva viva, opprimente, e mi aveva spinto ad andare avanti con la mia vita.
«No, voglio fargli una sorpresa» risposi sorridendogli mesta.
«Oh, d’accordo» si passò una mano nella folta chioma biondiccia attirando gli sguardi di alcune ragazze che, ahimè, non avrebbero avuto alcuna chance.
«Hai detto loro che ci sarei stato anche io?»
«Jamie rilassati, ho organizzato tutto. Oggi sembri un po’ isterico» lo presi in giro guadagnandomi un’occhiataccia da parte sua.
«Sai cos’è, bambina? Non mi convince il tuo essere così tranquilla» mi fece notare, pungente.
Roteai gli occhi al cielo ignorando le sue provocazioni, fermai un taxi e, dopo aver caricato le valige nel bagagliaio, diedi al tassista l’indirizzo di casa di Marc.
Arrivammo sotto il palazzo quasi alle sette, Jamie pagò la corsa e si fece carico del mio bagaglio oltre che del suo.
Mi soffermai a guardare l’alta facciata del grattacielo e tirai un lungo sospiro, emozionata. Non era facile per me, nonostante a New York avessi trovato un equilibrio tutto mio mi sembrava sempre di vivere nell’ombra, come se il vero sole si trovasse altrove ed io non dovessi far altro che raggiungerlo.
Jamie si portò dietro di me e mi posò le mani su entrambe le spalle «Sei pronta?»
«Mi… manca così tanto» mi morsi appena il labbro per controllare il tremore della voce «Tanya, i miei amici, la mia vita qui» sorrisi appena, ricomponendomi «Sono pronta, andiamo»
Lo vidi scuotere il capo, impressionato dai miei repentini sbalzi d’umore.
«Sei una forza amore» mi stampò un piccolo bacio sulle labbra, come eravamo soliti fare per salutarci, poi si avviò all’interno.
Attesi qualche altro istante all’esterno poi mi precipitai di corsa verso l’ascensore che stava per chiudere le sue porte «Ehi» dissi al mio amico «Dove credi di andare se non conosci nemmeno il piano?» lo guardai di sbieco.
Per tutta risposta fece spallucce, indifferente.
«Sei impossibile» premetti il pulsante ed attesi con calma, contando i battiti del mio cuore che scandivano il ritmo dei secondi.
Non appena mi ritrovai sul pianerottolo mi avviai a quello che ricordavo essere l’appartamento di Marc, bussai il campanello e presi a mordermi il labbro agitata.
La porta si aprì mostrando Tanya ancora in tenuta da lavoro, coi suoi leggins al ginocchio, top che lasciava scoperto il ventre marmoreo e i lunghi capelli biondi raccolti in una coda scompigliata a causa dell’attività fisica.
Appena mi vide i suoi occhi blu brillarono di sincera felicità.
«Penny!» esclamò sorpresa prima di attirarmi a se in un forte abbraccio.
Restammo in quella posizione per un tempo indefinito, fino a mettere a dura prova la già scarsa pazienza di Jamie che si schiarì la voce alle nostre spalle.
«Cavolo perdonami» disse la mia amica allontanandosi appena «Io sono Tanya, piacere. Tu devi essere Jamie, Penny mi parla sempre di te» disse porgendogli la mano con un gran sorriso.
«In persona» rispose quest’ultimo raddrizzando la schiena per pavoneggiarsi alla luce delle ultime dichiarazioni.
«Non fargli montare la testa, è già abbastanza insopportabile senza che si ritenga indispensabile» dissi scherzando.
«Prego accomodatevi» Tanya ci fece spazio per entrare «Non ti aspettavo oggi, che bella sorpresa» mi abbracciò nuovamente, incapace di starmi lontana.
«Mi sei mancata tanto » le sussurrai all’orecchio.
«Anche tu»
Tirai su col naso e mi passai le mani sul volto accaldato. Mi guardai intorno e sorrisi divertita «Wow, non la ricordavo proprio così» dissi indicando la stanza con un ampio gesto della mano.
«Beh, da quando mi sono trasferita qui ho apportato alcune modifiche all’arredamento»
«Alcune?» chiesi retoricamente «Marc deve essere proprio un santo per assecondarti in tutto»
«Certo, come no» Tanya roteò gli occhi al cielo e mi fece una linguaccia, indispettita, poi si rivolse a Jamie «Perdonami, sono una padrona di casa davvero maleducata. Posso offrirti qualcosa da bere?»
«Oh no, tranquilla» liquidò le sue preoccupazioni con un gesto della mano «Capisco la situazione, Penny nelle ultime settimane non era nei panni all’idea di tornare»
«Venite, vi mostro la stanza degli ospiti così potrete sistemarvi»
«In verità io…» tentennai «So di essere appena arrivata ma vorrei passare a far visita alla Sunshine house. Jamie ti spiacerebbe se ti lasciassi qui con Tanya? Magari potresti anche… sistemare le mie cose?» proposi con aria innocente, sperando non mi sbranasse.
«Tu» disse lui puntandomi un dito contro «Sei molto furba, bambina. Vai pure, ci penso io qui se per Tanya non è un problema»
«Affatto, nessun problema»
«Sì, grazie. Grazie, grazie mille» corsi ad abbracciare entrambi poi mi precipitai verso la porta «Ci vediamo tra un paio d’ore, forse meno. Fatevi trovare pronti e avvisate anche Marc, stasera andiamo a cena fuori. Offro io, ovviamente» uscii prima che potessero sollevare qualsiasi tipo di obiezione.
Fortunatamente la Sunshine House distava soltanto pochi isolati da casa di Tanya e Marc, una sola fermata di metro ed in pochi minuti fui fuori l’ingresso, con lo stesso groppo in gola che avevo avvertito solo poco prima.
Bussai con decisione e, quando la porta si aprì, mi trovai dinnanzi una persona che non conoscevo, probabilmente una nuova collaboratrice di cui Elisabeth non mi aveva parlato, che mi sorrise cordiale chiedendomi cosa desiderassi.
«Sono Penelope Penthon. Beth e Tom ci sono?»
«Ma certo, si accomodi»
«Grazie» non appena entrai fui assalita dal un profumo familiare, un misto di deodoranti alle erbe e cera per pavimenti al limone, e dalla nostalgia dei ricordi, nonostante fossero trascorsi soltanto otto mesi dall’ultima volta che vi avevo messo piede.
«Sono nel loro ufficio, venga che l’accompagno»
«Oh, non ce n’è bisogno…» tentennai.
«Emily» mi disse vedendomi in difficoltà.
«Emily» ripetei sorridendole «So dove si trova»
«D’accordo, vorrà dire che andrò a sbrigare altre faccende» mi sorrise a sua volta prima di allontanarsi lungo il corridoio.
Rimasta sola mi soffermai sulle fotografie affisse ai muri che ritraevano i vari bambini passati all’istituto e quelli che c’erano ancora, alcune foto non le avevo mai viste, erano le più recenti ed alcuni visini mi erano sconosciuti.
Con un sospiro percorsi i pochi passi che mi separavano dall’ufficio delle due persone le cui azioni erano il mio esempio di vita, svoltai l’angolo e mi ritrovai a bussare alla porta.
«Avanti» la voce forte e concentrata di Thomas mi raggiunse subito, abbassai la maniglia e spalancai l’uscio.
Entrambi alzarono simultaneamente gli occhi dalle loro scartoffie e mi guardarono come fossi un miraggio «Penny?» chiese Beth.
«Disturbo?» chiesi stringendomi nelle spalle e sorridendole.
«Cavolo, non ti aspettavamo» aggiunse Thomas «Questa sì che è una sorpresa»
In un secondo mi ritrovai in un groviglio di braccia ed espressioni di stupore nonché di gioia.
«Ma guardati, sei uno splendore» Tom mi allontanò appena per scrutarmi «Solo un po’ troppo pallida. Dov’è finita la tua adorabile abbronzatura?» mi prese in giro.
«Oh Tom, dacci un taglio» l’ammonì Beth bonaria «New York non è Los Angeles, lì non puoi sperare in una tintarella tutto l’anno»
«Allora, come stanno i futuri sposi?»
«Fosse per me, ti direi benissimo. Ma parla con la tua amica, sta perdendo la testa per organizzare ogni più piccolo dettaglio» Beth lanciò un’occhiataccia – non poi così spaventosa – verso il suo futuro marito.
«Perdonami se voglio che tutto sia perfetto» lo rimbeccò, offesa.
«Ma sarà perfetto in ogni caso amore, perché ci sarai tu» la strinse per la vita e le lasciò un bacio sul collo dimostrando la sua solita aria da adulatore, ma anche il tanto amore che provava per quella meravigliosa donna.
«Dileguati, prima che ci ripensi» lo minacciò scherzosamente, senza lasciarsi abbindolare.
Mi ritrovai a ridere per il loro essere così buffi e adorabili, complici.
«Attento Thomas, potrebbe fare sul serio» lo rimbeccai «Manca soltanto una settimana»
«Quanto ti fermerai?» chiese Beth cambiando argomento.
«Dieci giorni» dissi, la vidi annuire.
«Sei arrivata giusto in tempo, questi pochi giorni di anticipo saranno come l’oro» gli occhi le brillavano, eccitata.
«Per cosa?» domandai perplessa.
La vidi osservare il suo orologio da polso e sorridere soddisfatta «Dammi un minuto»
Si avvicinò al telefono poggiato sulla scrivania e digitò un numero «Sarah? Ciao, Beth. Potete ritardare di una mezz’oretta la chiusura dell’atelier? Oh, grazie. A tra poco» riagganciò.
«Atelier?» domandai guardandola di sottecchi mentre Thomas sghignazzava divertito mimandomi un silenzioso “povera te”.
«Vieni andiamo» prese la sua borsa e mi tirò per la mano.
«Ehi, un attimo. Dove andiamo?» mi bloccai «Io… voglio salutare i bambini, Noemi…» mi interruppe.
«Purtroppo Noemi è già a casa, i bambini stanno cenando. Non possiamo rimandare a domani?» chiese con occhi imploranti «E’ importante, per me…»
Guardai quegli occhi materni e pensai che in fondo non potevo negarle qualche ora del mio tempo, soprattutto perché Elisabeth non era il tipo di persona da chiederti qualcosa se non era davvero importante.
 «Ma certo, avrò tutto il tempo per salutarli» le sorrisi «Andiamo»
 
Uscii dalla doccia e mi avvolsi l’asciugamano intorno al corpo prima di portarmi dinnanzi allo specchio. Guardai la mia immagine riflessa, il volto sereno, gli occhi felici e spensierati, il sorriso stampato sulle labbra, ma quanto sarebbe durato?
Dopo essere stata all’atelier con Beth a provare quello che si era rivelato essere il mio abito da damigella - un fantastico abito color lavanda, dalle linee semplici ed impreziosito soltanto da qualche pietra sul corpetto - eravamo andati a cenare tutti insieme come previsto.
Avevo chiesto anche a Thomas, Beth e Noemi di aggiungersi a Tanya, Marc, Jamie e me, la serata era trascorsa per il meglio, leggera tra le battute dei miei matti amici, e all’arrivo del conto, i tre uomini si erano categoricamente rifiutati di farmi pagare il conto e ci avevano pensato loro.
Jamie era risultato simpaticissimo a tutti, dopotutto era inevitabile non trovare irresistibile quella sua aria “dispettosa” e “piccata” e quel suo fascino innato.
Avvertii un nodo allo stomaco al pensiero di aver lasciato la mia vecchia vita nella speranza di riuscire a riprenderla in mano in un modo migliore, per sconfiggere i demoni passati ed accantonare i miei sbagli.
Ci ero riuscita del tutto, o quasi, eppure non potevo tornare indietro perché la mia vita si era ormai spostata altrove.
Mi imposi di non pensare ad Nathan,  avevo notato come tutti evitassero l’argomento ma questo non poteva accadere per sempre.
Un tocco alla porta mi distrasse, andai ad aprire convinta fosse Jamie che reclamasse l’uso del bagno ma mi ritrovai dinnanzi Tanya.
«Disturbo?» chiese con un sorriso.
«Niente affatto. Ho fatto una doccia» dissi facendo cadere l’asciugamano che mi copriva per indossare il pigiama «Ti serve qualcosa?»
«Nulla di particolare» fece spallucce «Voglio soltanto fare due chiacchiere con la mia amica che mi è mancata tanto in questi mesi, da sola» precisò facendo un occhiolino in direzione della camera dov’ero sistemata con Jamie.
Scossi la testa divertita «Mi pare giusto» raccolsi gli indumenti sporchi e li posai nel cesto della biancheria «Andiamo?»
Uscimmo dal bagno sottobraccio ridacchiando, bussai alla porta della mia camera e Jamie mi disse di entrare.
«Il bagno è libero» lo informai.
«Mi pareva ora» ribatté prendendo dei boxer, un paio di calzoncini ed una t-shirt «Se permettete, vado a fare una doccia»
«Fai come se fossi a casa tua. Gli asciugamani sono nel mobiletto accanto al lavabo»
Jamie annuì «Grazie Tanya»
Non appena uscì dalla stanza la mia amica ed io prendemmo posto sul letto, pronte a godere di alcuni attimi di intimità.
«Te l’ho già detto che mi sei mancata?» domandò incrociando le gambe tra loro.
«Almeno un milione di volte» la fissai con affetto «Anche tu mi sei mancata, questi otto mesi lontana sono stati…»
«Difficili?»
«Strani» dissi riflettendoci un istante «Una parte di me forse si illude ancora sia una sistemazione temporanea, magari è un meccanismo di difesa per impedirmi di perdere la testa»
La sua mano strinse la mia per darmi conforto «Non deve essere necessariamente una collocazione definitiva» disse con apprensione guardandomi con cautela, conscia di quanto si stesse avvicinando ad  un terreno instabile.
«Magari non sarà per sempre, ma al momento la mia vita è lì perché il mio lavoro è lì» feci spallucce senza rimuginarci troppo su.
«Il lavoro non è tutto» ribatté offesa «Allora io? Gli altri? Non contiamo nulla?»
«Non essere sciocca Tanya, voi siete tutto ma il lavoro è l’unica cosa concreta che ho» fu il mio turno di stringerle la mano per consolarla «Devi capirmi»
«Certo che lo faccio. Ti capisco, ma non approvo»
«Lo posso accettare» le dissi con un sorriso.
«Che programmi hai per domani?» domandò spostando l’attenzione su un argomento più leggero.
«Andrò alla Sun house a salutare i ragazzi, poi accompagnerò Beth a ritirare le bomboniere per il ricevimento»
«Beth ha organizzato ogni piccolo dettaglio in uno stile semplice e raffinato, sarà un matrimonio meraviglioso»
«Lo sarà, si amano così tanto»
«Ed è tutto merito tuo» mi sorrise soddisfatta.
«Non è affatto merito mio»
Non volevo che mi venissero attribuiti meriti che non avevo; forse era vero che avevo contribuito ad aprire gli occhi a Thomas, ma il suo amore per Beth era qualcosa di molto più puro e profondo, un sentimento cresciuto negli anni e radicatosi nel tempo, un qualcosa con cui io centravo ben poco.
Tanya mi liquidò con un gesto della mano, come per zittirmi, poi tirò un sospiro ed assunse un’aria assorta, lo sguardo perso nel vuoto.
«Cosa c’è che non va?» le chiesi attirando la sua attenzione.
«Nulla di importante»
«Tanya? Sai che puoi dirmi qualsiasi cosa» insistetti, incuriosita dal suo atteggiamento.
«Penny io… non voglio ferirti»
A quella premessa lo stomaco si contorse su se stesso, capii all’istante dove volesse andare a parare ed istintivamente mi irrigidii mettendomi sulla difensiva.
«Si tratta di Nathan, giusto?» il sorriso sulle labbra era sparito, il mio tono di voce era basso ma non per questo meno duro e deciso «Puoi dirmi qualsiasi cosa, Tanya. Sono stata io  a porre fine alla nostra…» esitai un istante senza saper dare una definizione a quello che c’era stato tra noi «relazione» sentenziai infine «Me ne prendo tutte le conseguenze»
La mia amica annuì, poco convinta.
«Potresti incontrarlo alla Sun house, da quando sei andata via si è recato lì spesso. So anche che si è fatto carico di molti finanziamenti»
«Bene, è una buona cosa» se c’era una cosa che non potevo mettere in dubbio era la sua bontà.
“Beh, oltre al suo fascino, la sua eleganza, la sua dolcezza, la sua intelligenza, l’infinito savoir faire…” contro la mia volontà iniziai a fare una lista che decantasse le infinite qualità di Nathan.
Era incredibile l’effetto che il suo pensiero ancora esercitava su di me, dopotutto ora che avevo imparato ad essere più sincera con me stessa – grazie alle sedute con Darla – potevo ammettere che Nathan era il mio primo amore; il primo uomo a cui avevo concesso la mia fiducia e con cui mi ero aperta totalmente.
«Già» la vidi annuire, incerta.
«Ma c’è dell’altro» la mia un’esclamazione, non una domanda.
«Beh lui… sta con qualcuna. Volevo dirtelo prima che lo incontrassi perché…»
«Basta così» la interruppi brusca, ignorando la strana sensazione di vuoto che avvertivo nel petto «Quello che Nathan fa tra le lenzuola o fuori da esse non è affar mio. Sono la sola responsabile di tutta questa situazione quindi non voglio che stiate in pena per me o che evitiate di pronunciare il suo nome per paura di ferirmi» dissi irremovibile «Non sono la vittima, piuttosto il carnefice»
Vidi la sua espressione contrariata perché, per quanto ci provassi con tutta me stessa, ancora non riuscivo a reprimere quel lato orgoglioso e testardo del mio carattere. Ancora incapace di esternare appieno le mie emozioni ed angosce – cosa che oramai ero convinta di non poter più imparare a fare – finsi di star bene e posi fine a quella conversazione nonostante il gelo nel cuore.
Jamie fece la sua entrata ad effetto prima che Tanya potesse dire altro «Ho interrotto qualcosa?» il suo sguardo si spostò varie volte dall’una all’altra.
«No, semplici chiacchiere tra amiche» rivolsi lo sguardo a Tanya ma il suo volto era ancora una maschera di cera, Jamie se ne accorse.
«Volete stare ancora qualche minuto da sole? Dopotutto è tanto che non vi vedete»
Guardai ancora la mia amica per esortarla a reagire, a dire qualcosa «Non ce n’è bisogno» si riscosse «Abbiamo altri nove giorni a nostra disposizione» sorrise a Jamie, poi a me, addolcendosi di poco «Buonanotte» si protese sul letto a sfiorarmi una guancia poi uscì dalla stanza.
L’espressione interdetta di Jamie era tutto un programma ma la mia doveva essere ben peggiore dato che, diversamente dal solito, decise di tenersi per se il suo solito umorismo pungente.
«Allora dormiamo?» chiese cogliendo al volo la situazione «Domani ci aspetta una lunga giornata e tu dovrai essere la mia guida turistica» mi riservò un sorriso smagliante che mise in mostra la sua dentatura perfetta.
«Vieni qui» battei il palmo sul letto, divertita.
«Qui fa davvero troppo caldo, ti spiace?» chiese togliendosi la t-shirt e restando in pantaloncini.
«No, figurati»
Si gettò sul letto pesantemente, le braccia muscolose dietro la testa gli allargavano ulteriormente il petto già ampio e palestrato. Mi morsi le labbra e con uno scatto mi misi a cavalcioni su di lui, lasciai che le mani scivolassero sui suoi addominali scolpiti.
«Wow Jamie, ti ho mai detto quanto sei bello?» sussurrai maliziosa.
«Lo so bambola, purtroppo per te non hai speranze» sospirò teatralmente prima di scaraventarmi all’altra parte di letto tra le mie risate.
Iniziò a farmi il solletico sui fianchi, il mio punto più sensibile, fino a quando non mi sentì implorarlo di smettere senza più fiato nei polmoni.
«Mi piace sentire la tua risata gioiosa, dovresti farlo più spesso» mi guardò con occhi sinceri e amorevoli «Buonanotte bambina» mi stampò un bacio sulle labbra ancora distese e spense le luci rigirandosi su un fianco.
«Buonanotte Jamie» mi rigirai dal lato opposto ma prima di addormentarmi, in uno stato di semi coscienza, mi accucciai alle sue spalle e l’abbracciai in cerca di un po’ di calore umano. 

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Capitolo 25
*** Capitolo XXIII ***



Capitolo XXIII

Un lieve formicolio al naso mi ridestò dal tepore del sonno, liberai la mano incastrata sotto il cuscino per scacciare il fastidio che tornò qualche secondo dopo, più insistente, a solleticarmi la punta del naso.
Mi mossi appena, lamentandomi, fino a sentire uno strano suono simile ad una risata soffocata.
Aprii gli occhi irritata ritrovando il volto di Jamie a pochi centimetri dal mio, tra le mani una ciocca dei miei capelli con la quale mi stava solleticando.
«Tu» dissi come un’accusa, lo sguardo minaccioso per quanto gli occhi assonnati mi permettessero.
«Buongiorno splendore» mi sorrise.
Il sonno era così tanto che anche il bianco dei suoi denti contribuiva ad accecarmi, oltre ai raggi del sole che filtravano dalle imposte.
«Perché mi hai svegliata?» il mio tono era lamentoso, laconico.
Posai una mano sul suo bel viso sorridente per allontanare sia lui che il suo buon umore, per tutta risposta il suo sorriso si trasformò in una risata divertita.
«Sei sempre così intrattabile appena sveglia?» domandò accarezzandomi i capelli dietro la nuca.
«Solo quando sono in ferie ed ho la possibilità di dormire fino a tardi»
Le parole erano biascicate, distorte a causa della bocca appiattita sul morbido cuscino.
«Dai alzati, ho voglia di uscire»
Non desistette, il suo palmo si posò in un sonoro schiaffo sul mio sedere; fu talmente forte che sussultai per il dolore, finalmente del tutto sveglia.
«Cazzo Jamie. Se ti prendo sei morto»
Mi alzai di scatto al centro del letto facendolo allontanare da me, il suo volto riposato incrementava ancor di più la mia rabbia omicida. Jamie era un tipo estramamente “fastidioso”, o lo amavi o lo odiavi, ma dubito sarei mai riuscita a trovare qualcuno che davvero non lo sopportasse.
«Suvvia, quante storie. Ti aspetto di là, sbrigati»
Uscì dalla stanza e, nonostante avessi tutta la voglia di tornare ad imbrigliarmi tra le lenzuola, mi alzai e presi a prepararmi.
Quando entrai in soggiorno trovai Jamie e Tanya a fare colazione chiacchierando amorevolmente, non appena avvertirono la mia presenza si voltarono nella mia direzione.
«Buongiorno Penny» Tanya mi sorrise, anche lei già sveglia e radiosa «Tieni. Ne hai bisogno, credimi» disse porgendomi una mega tazza di caffè.
Guardai di sbieco la mia amica e poi Jamie la cui risata gli morì in gola non appena lo fulminai con lo sguardo.
«Grazie» dissi iniziando a bere avidamente la mia dose di caffeina «Programma della giornata?» presi posto ed iniziai a mangiare le uova con bacon che Tanya aveva preparato.
«Parlavamo giusto di questo» irruppe Jamie «Tanya ha preso una mattinata libera in palestra così potremo andare a fare un giro per Los Angeles, mentre nel pomeriggio tu ed io andremo alla Sun House ed accompagneremo Beth a ritirare le bomboniere»
«Wow» dissi ammirata guardando il mio pazzo amico «Sei qui da meno di ventiquattro ore e già parli come se conoscessi tutti da una vita. Non mi sorprenderei se fossi tu a fare da guida turistica a me»
Presi una briciola dal piatto e gliela lanciai, osservai mentre compiva un perfetto arco nell’aria per poi atterrare sugli adorati capelli di un Jamie quasi in preda ad una crisi isterica.
«Penny se mi hai sporcato i capelli giuro che io…»
«Tu cosa, amore?» lo cantilenai, addentando un pezzo di pane tostato e guardandolo con aria di sfida.
Tanya soffocò discretamente una risata fingendo di bere il suo caffè «Allora» disse per stemperare la tensione «Siete pronti per uscire?» si alzò e posò i piatti nella lavastoviglie.
«Prontissimo» Jamie si raddrizzò in tutto il suo metro e novanta d’altezza e, come sempre, si passò le dita tra i capelli d’oro.
«Pronta» dissi a mia volta, preparandomi ad una mattinata – letteralmente – di fuoco.
 
«Adesso andiamo da Beth e Tom?»
Dopo cinque ore in giro per le strade di Los Angeles e per i vari negozi, dopo aver perso mezza giornata ad asciugare la bava di Jamie nel vedere i ragazzi super palestrati ed abbronzati andare in giro in calzoncini e canottiera, finalmente ci eravamo fermati ad un bar per un panino al volo, Tanya era andata via per il turno di lavoro in palestra ed io cercavo di placare l’iperattività del mio amico.
«Jamie dammi cinque minuti di tregua» sospirai, rassegnata.
«Dai Penny, hai finito il tuo sandwich già da dieci minuti che senso ha rimanere seduti qui?»
«Mai sentito l’espressione “riprendere fiato”? Eh?»
«Ok, però domani andiamo al mare»
Lo guardai con occhi vitrei e mi beccai un suo sguardo divertito e perplesso.
«Hai le tue cose?» domandò ridacchiando e mordicchiando un grissino.
«Cosa te lo fa credere?» ringhiai irascibile.
«Uh-uh tasto dolente»
«Sì, ok, stamattina mi è venuto il ciclo» dissi imbronciata.
Posai pesantemente le mani sui braccioli della sedia per darmi lo slancio necessario ad alzarmi, il clima di Los Angeles era sempre afoso ed io un po’ ci avevo perso l’abitudine.
«Adesso andiamo, le uniche persone che possono risollevarmi il morale sono quelle piccole pesti» lasciai una manciata di banconote sul tavolo ed esortai Jamie a seguirmi.
Prendemmo il bus che data l’ora era strapieno, trovammo un unico posto a sedere così decisi di mettermi comoda sul suo grembo. Dagli sguardi delle persone intorno a noi capii che potevamo tranquillamente sembrare una coppia di fidanzati, giovani e complici, anche perché effettivamente Jamie aveva un vero e proprio istinto protettivo nei miei confronti.
“Se solo sapessero” pensai divertita.
Ricordo ancora la prima volta che l’avevo incrociato nello studio di Darla, subito mi era saltata all’occhio quella sua aria spigliata e simpatica. Io, invece, dovevo essergli sembrata una povera disperata dato il modo in cui mi aveva sorriso e aveva cercato di convincermi ad andare a prendere un caffè con lui.
Non so dire di preciso perché avessi accettato subito di buon grado, forse era soltanto dovuto a quel feeling che subito si era instaurato tra di noi.
Mi ritrovai a pensare che qualcosa di buono nella vita dovevo averlo fatto per essere circondata da così tante persone speciali, come Jamie o Tanya.
Quando arrivammo alla Sunshine house fu nuovamente Emily a venire ad accoglierci, mi soffermai a chiacchierare qualche istante con lei, colsi l’occasione per presentarle Jamie e quando la salutammo non potei fare a meno di notare le sue guancie arrossate e lo sguardo languido alla volta di quest’ultimo.
«Non dovresti essere così bello, le ragazze ci mettono il pensiero» gli sussurrai all’orecchio.
«C’est la vie» rispose facendo spallucce mentre ci avviavamo verso l’ufficio.
Bussai alla porta ma entrai senza aspettare una risposta.
«Eccomi qui» esclamai entusiasta.
Quattro sguardi curiosi si puntarono su Jamie e me, e non appena mi resi conto della situazione rimasi come paralizzata. Elisabeth e Thomas erano seduti dietro le loro scrivanie e chiacchieravano tranquillamente con Noemi e… Nathan.
Nessuno disse una parola, Jamie si portò al mio fianco e dopo avermi riservato uno sguardo fugace cercò di rompere il ghiaccio.
«Ciao, sono Jamie. Piacere» porse la mano a Nathan che gliela strinse continuando a guardarmi.
«Nathan Wilkeman» disse semplicemente «Ciao» disse poi rivolto a me.
«Ciao Nathan» gli sorrisi e mi avvicinai a salutare gli altri.
«Credevo arrivassi più tardi» mi disse Beth all’orecchio, poi si alzò e si diresse verso la porta «Caffè per tutti?» chiese prima di uscire, evidentemente a disagio.
«Aspetta che ti aiuto a portarli» Thomas la seguì a ruota.
Nathan ed io continuammo a guardarci come se nella stanza non ci fosse nessun altro oltre noi, Jamie fece un colpetto di tosse imbarazzato poi si rivolse a Noemi.
«Che ne dici di farmi fare un giro?» le propose.
«Bella idea» esordì lei «A dopo» disse rivolta al fratello, poi mi sorrise.
«A dopo tesoro» Jamie mi baciò una guancia prima di uscire.
Scossi la testa sorridendo appena alla volta di Nathan.
«Dici si sentano a disagio?»
«Ma dai, cosa te lo fa credere?» rispose ironico anche se era evidente che non fosse per nulla divertito.
Era strano riaverlo davanti dopo tutti i mesi trascrorsi; i suoi occhi sembravano più verdi di sempre, i capelli un po’ più corti rispetto a come li ricordavo, le labbra invitanti, era come se il tempo non fosse mai trascorso e, al tempo stesso, come se fosse passato un secolo.
«Come stai?» gli chiesi avvicinandomi.
La sua postura era rigida, lo sguardo sospettoso, distaccato.
«Bene, grazie. Anche tu mi pare che non te la passi male»
«No, infatti» infilai le mani nelle tasche degli shorts, lievemente in difficoltà.
Lo vidi annuire, sovrappensiero.
«Ho saputo che vieni spesso qui» dissi per parlare, incapace di sostenere il suo silenzio.
Mi sembrava tutto così surreale, Nathan era estremamente riflessivo e non contribuiva a mettermi a mio agio; una forte tensione aleggiava tra noi, al punto che quasi sembrava potesse tagliarsi col coltello.
«Questo posto mi aiuta, mi mette di buon umore»
Annuii, sapevo esattamente cosa volesse significare, era sempre stato lo stesso anche per me. Fare del bene a quei bambini che mi ricordavano un po’ me stessa era un modo per espiare le mie colpe, per mantenere il contatto con quel pizzico di umanità che avvertivo nel profondo.
«Come va il lavoro?»
«Da quando sei andata via non ho più rivali, Bill mi ha detto che sei stata tu a proporgli di darmi il tuo posto»
«Credevo che nessuno lo meritasse più di te» dissi sincera.
«Già» esclamò amareggiato, come se ci fosse dell’altro ma non volesse dirlo.
Mi appoggiai lievemente contro il bordo della scrivania mentre Nathan restava rigido nella sua posa, le spalle diritte, la mascella contratta come se fosse stato in collera. «E’ strano vederti» esordì un paio di respiri profondi più tardi.
«Sì… anche per me» ammisi.
Dio se era strano. Gli otto mesi di distanza non avevano placato la voglia e la passione che avvertivo nei suoi confronti, tantomeno la marea di sentimenti che mi suscitava il solo vederlo o parlargli.
«Lui… sembra simpatico»
«Chi Jamie? Eccome se lo è»
«Da quanto tempo state insieme?» chiese.
«Insieme? Oh no, noi…»
«Ecco i caffè»
Beth e Tom fecero irruzione nella stanza, interrompendoci.
Nathan mi guardò intensamente, in fondo ai suoi occhi pareva vi fosse una scintilla di rabbia.
«Scusate» si diresse svelto verso la porta «Devo andare, ho un appuntamento»
Mi lanciò un ultimo, intenso sguardo prima di andare via.
Restai a fissare l’uscio della porta dietro la quale era appena scomparso, il cuore martellava nel petto e fin nella gola, sentii una mano posarsi delicatamente sulla mia spalla.
«Ho interrotto qualcosa?»
La voce di Elisabeth era quasi un sussurro, sul volto corrucciato potevo avvertire tutta la sua preoccupazione. Dopotutto lei sapeva, tutti sapevano.
«Tranquilla, nulla di importante» le sorrisi.
Noemi e Jamie ci raggiunsero subito dopo, anche i loro sguardi erano gravi.
Roteai gli occhi al cielo spazientita dalla loro apprensione, non avrei potuto sopportare diceci giorni in queste condizioni; ero tornata a Los Angeles con l’entusiasmo di rivedere i miei amici, ma se avessero continuato a trattarmi come una persona a cui restavano pochi mesi di vita avrebbero reso il mio soggiorno un inferno.
«Dove sono i bambini?» domandai nella speranza di evadere.
«In giardino» rispose Tom.
«Bene, li raggiungo»
Mi avviai all’uscita in fretta, come se nella stanza improvvisamente fosse stata tirata via tutta l’aria.
«Vuoi compagnia?»
Jamie mi raggiunse mentre gli altri restavano chiusi in un pesante silenzio.
«Come preferisci» feci spallucce.
Iniziai a camminare lungo il corridoio, Jamie alle mie spalle mi seguiva come un’ombra silenziosa, mi voltai di scatto così all’improvviso che ci scontrammo rovinosamente.
«Ti prego dì qualcosa» sbottai esasperata.
«Io… cavolo Penny, io…» si passò una mano tra i capelli, sbuffando «E’ strano che uno come me non abbia niente da dire, ma questa è una di quelle rare volte in cui anch’io mi sento inopportuno»
Inaspettatamente mi attirò a se in un abbraccio, mi sentivo minuscola tra le sue braccia grandi ma anche protetta, poggiai la testa sul suo petto ampio e lui mi posò un bacio sulla testa.
«Come stai?» mi sussurrò tra i capelli.
«Sono stata anche peggio, sopravvivrò»
«Come fai ad essere sempre così forte?» domandò allontanandomi per guardarmi negli occhi.
Già, come? Non volevo fingere coi miei amici, fargli credere di stare bene quando in verità sentivo che qualcosa nella mia vita mancava; eppure sapevo quanto sarebbe stato inutile farli stare in pena più di quanto fossero per un male che mi ero procurata con le mie stesse mani.
«Anni ed anni di allenamento» risposi semplicemente sorridendo appena «Vieni, ti presento quelle piccole gioie»
Arrivammo al giardino sul retro dove i bambini più piccoli giocavano sorvegliati da alcuni assistenti, chi si lanciava dall’alto scivolo, chi era in attesa di salire sull’altalena o, ancora, chi si divertiva a seguire un pallone di pezza.
In lontananza scorsi Daniel e Lilian seduti sotto un albero concentrati a leggere su un unico libro, li guardai intenerita avvicinandomi a loro.
«Posso disturbare la vostra lettura?» mi accovacciai per raggiungere la loro altezza.
«Penny?»
Lily mi guardò coi suoi grandi occhi scuri e per la prima volta da quando la conoscevo vidi nascere un sorriso radioso e spontaneo sul suo volto.
«Ciao tesoro» le dissi abbracciandola.
Negli otto mesi trascorsi era estremamente cambiata, iniziava a somigliare ad una donna: i capelli lunghi, il seno più grande e lo sguardo, privato dell’ingenuità e del dolore che l’avevano da sempre contraddistinta, era diventato più arguto e malizioso.
«Ehi campione, non mi saluti?» chiesi poi rivolta a Daniel che non esitò un istante a mandare alle ortiche la sua aria da duro per stringermi in un abbraccio.
«Ciao Penny, ci sei mancata tanto»
Presi posto accanto a loro, così come anche Jamie, ed iniziammo a chiacchierare alla fresca ombra dell’albero. Ascoltai rapita i sogni e i progetti di Daniel per quando sarebbe uscito dall’istituto, voleva lavorare e crearsi una solida posizione per poter accogliere al meglioLilian quando anche lei sarebbe stata finalmente grande abbastanza da andar via.
Mi godetti quei pochi istanti di tranquillità e spensieratezza come se fossi l’adolescente che non ero mai stata in vita mia, assicurai ad entrambi che per qualsiasi problema si sarebbero potuti sempre rivolgere a me e li avrei aiutati senza esitazione.
Dopo circa un’ora Elisabeth venne a reclutarmi per andare a ritirare le bomboniere, passai il resto del pomeriggio cercando di evitare di restare sola con Jamie le cui occhiate lasciavano presagire che non aspettava altro che il momento adatto per riprendere il “discorso Nathan”.
Quando finalmente tornammo a casa ero sfinita; Marc ci accolse con una bottiglia di buon vino rosso e Tanya preparò degli sfiziosi antipasti da sgranocchiare prima della cena.
Prendemmo posto sui divani nel soggiorno chiacchierando del più e del meno, poi ci spostammo al tavolo per mangiare un magnifico arrosto in crosta di pane con salsa di funghi, patate al forno aromatizzate al rosmarino e pannocchie grigliate.
«Tanya sei una vera maga della cucina» disse Jamie con la bocca ancora piena.
«Lo puoi dire forte» irruppe Marc «Penny, non mi trovi ingrassato? La tua amica mi vizia» disse indicandosi buffamente la pancia.
Scoppiai a ridere, divertita «Beh, in effetti…»
«Dai Penny, non mettergli strane idee in testa. E’ in gran forma»
«Tanya non ti vorrei come mia personal trainer, sai?» le disse Jamie.
«Perché mai?»
«Perché non sei obiettiva»
Nella stanza ci fu uno scoppio di ilarità mentre Marc guardava il mio amico di sottecchi accusandolo di avergli dato del grassone.
Poco più tardi, mentre i due uomini erano nel soggiorno a parlare di football, Tanya ed io eravamo occupate a sistemare la cucina quando iniziò il suo discorso.
«Sai Penny…»
«Nessun bel discorso inizia con un misterioso “Sai Penny”» la interruppi prima che continuasse.
La mia amica roteò gli occhi al cielo, poi riprese.
«Mi hai chiesto di non compatirti e non lo sto facendo, però non posso far finta di nulla per non irritarti» disse spazientita «Ho sentito Noemi ed ho saputo che oggi Nathan era alla Sun House»
«Le belle notizie girano in fretta» dissi pungente mentre asciugavo una pentola.
«Non essere sciocca, sai che non è facile per noi»
«Oh ma davvero?» mi portai una mano al fianco ridendo amaramente «Invece per me è una passeggiata, sai?» dissi ironica pentendomene all’istante.
Parlare di Nathan mi rendeva nervosa e di conseguenza non riuscivo a mantenere il controllo, sentivo il bisogno di scacciare il peso che avvertivo nel petto ed il più delle volte lo facevo diventando aggressiva.
«Non è facendo la stronza che le cose cambieranno» Tanya mi inchiodò col suo sguardo di ghiaccio ed io mi sentii infinitamente piccola per il mio comportamento.
«Scusami, vorrei dirti che non so perché reagisco in questo modo ma la verità è che…» feci spallucce «Lo so fin troppo bene»
Alzai lo sguardo sulla mia amica sentendo che era arrivato il momento di lasciarmi andare «E’ che… tornare qui mi provoca delle forti emozioni» mi poggiai coi fianchi contro il lavello come per sorreggermi «Voi mi mancate terribilmente, e Nathan… non ero pronta a vederlo così»
«Dubito ci sarebbe stato un momento in cui ti saresti sentita pronta»
«Probabile» riflettei qualche istante prima di tornare a parlarle «Quando ho deciso di andare via è perché avevo paura, mi sentivo estremamente vulnerabile dopo aver capito di essermi innamorata di Nate. Ma poi... quando il momento di partire è arrivato non ne ero più così sicura, ma era troppo tardi per tirarmi indietro» sentii gli occhi pizzicarmi appena ma mi rifiutai di versare delle inutili lacrime.
Tanya si avvicinò con cautela e mi prese le mani.
«Adesso non è tardi, potresti tornare e…»
«No, non sono ancora pronta» dissi categorica «Ancora non riesco a fidarmi cecamente di qualcuno, ancora cerco di reprimere le mie emozioni e credimi se ti dico che… mi costa una gran fatica mostrarmi così debole, in questo momento»
«Ehi tu non sei affatto debole» le sue mani strinsero la presa sulle mie «Devi smetterla di voler tenere sempre tutto sotto controllo»
«Infatti è quello che sto cercando di fare» le risposi sicura «Cerco di lasciare andare le mie emozioni e di non sfruttare il mio corpo come protezione, come ho fatto per anni»
«Vuoi dire che…?» Tanya mi guardò sorpresa «Insomma in questi mesi non mi è sembrato opportuno chiedertelo, ma…»
«Sì Tanya, voglio dire che dopo di Nathan non sono più stata con nessun uomo. Cavolo se ci fosse stato qualcuno te l’avrei detto» le dissi offesa guardandola di sbieco.
«Scusa Penny io… io credevo…» iniziò a balbettare in difficoltà.
«Io credevo. Io pensavo» le feci il verso roteando le mani in aria con disinvoltura «Sai cosa credo io?»
«Cosa?» chiese con timore.
«Che ho una amica zuccona, ecco cosa credo» le diedi un lieve buffetto dietro la testa «Adesso perdonami, ma vorrei proprio andare a letto. Sono sfinita»
«Và pure, finisco io qui» disse prendendomi lo strofinaccio dalle mani.
«Grazie mille, per tutto» le baciai una guancia e mi diressi stanca e pensosa verso la mia camera.

***
NdA: Buonasera a tutti, era tanto tempo che a fine capitolo non spendevo due parole. Ho ripreso a scrivere dopo un lungo tempo, ho passato dei momenti davvero brutti e questo mi ha allontanato da quello che amo di più: leggere e scrivere.
Volevo ringraziare tutti i lettori, ed in particolar modo Marienne_love e 6asi98 per l'entusiasmo che mi hanno dimostrato nelle ultime recensioni facendomi ricordare perché ho sempre amato tanto scrivere. Spero di continuare a farvi sognare insieme a me, con affetto Ice.

 

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Capitolo 26
*** Capitolo XXIV ***




Capitolo XXIV

I primi quattro giorni a Los Angeles trascorsero in fretta – decisamente troppo – nella frenesia delle giornate che scorrevano tra i mille impegni. Beth era sempre più emozionata in vista delle nozze, la sua ansia difficile da placare mentre Thomas cercava di nascondere l’agitazione che gli trapelava dallo sguardo; Jamie e Marc oramai erano diventati un duo comico indivisibile ed ogni sera era impossibile cenare tranquillamente, senza rischiare almeno un paio di volte di soffocare con cibo o vino di traverso per le troppe risate.
Tanya continuava a starmi addosso in una maniera quasi morbosa, ma a mio parere adorabile, ed anche io mi resi conto che nonostante ci fossimo tenute in contatto costantemente nell’arco dei mesi viversi era tutt’altra storia.
Noemi, invece, restava lievemente in disparte chiusa nel suo disagio, non potevo biasimare il suo atteggiamento dato che si trovava in un conflitto di interessi tra la mia amicizia e la felicità di suo fratello.
Finii di prepararmi per l’addio al nubilato di Beth che si sarebbe tenuto quella sera stessa, in concomitanza con l’addio al celibato di Tom che si sarebbe festeggiato nello stesso locale ma in due sale separate.
Indossai un mini dress color oro e degli altissimi sandali gioiello, quando vidi Jamie uscire dal bagno con la camicia bianca che spiccava sulla pelle dorata dai pomeriggi trascorsi in spiaggia, le maniche arrotolate lungo gli avambracci che lasciavano intravvedere la misteriosa scritta tatuata sulla pelle di cui ancora non avevo scoperto il significato, i capelli biondissimi le cui punte gli si arricciavano lievemente sulla nuca, emisi un sonoro fischio di apprezzamento.
«Cavolo, sei uno schianto»
Mi sorrise sornione mettendosi una mano nella tasca dei pantaloni ed improvvisando un’improbabile sfilata.
Risi di gusto e non appena fu sotto tiro gli mollai un pugno sul pettorale sodo. «Smettila, vanitoso»
«Sai» esordì squadrandomi da capo a piedi «Non me ne intendo, ma sei davvero bellissima»
Mi morsi l’interno del labbro e gli sorrisi scoprendo una timidezza che non mi apparteneva.
«Grazie»
Il problema, in verità, era uno soltanto. Sapevo che con molta probabilità avrei incrociato Nathan e, come se non bastasse, sarebbe arrivato con la sua nuova ragazza, o forse semplicemente la sua ragazza.
Notai che Jamie mi osservava mentre ero assorta nei miei pensieri, capii all’istante che aveva compreso già tutto per questo assunsi un’aria indifferente fingendo di sistemarmi i capelli vaporosi dinnanzi allo specchio.
«Io sono pronto, tu?» chiese cercando di togliermi dall’imbarazzo.
«Certo, andiamo»
Nel soggiorno trovammo Marc e Tanya già ad attenderci, lui con uno sportivo jeans scuro e una leggera giacca blu, lei con un abitino nero che lasciava la schiena totalmente nuda coperta soltanto dalla lunga treccia bionda la cui punta quasi sfiorava il fondoschiena.
«Wow che coppia» esclamai.
«Potremmo dire lo stesso» disse Tanya guardandoci sorridente.
«Non ci pensare nemmeno» rispose Jamie prendendomi per mano e fingendosi scocciato «Forza è tardi, muoio proprio dalla voglia di vedere un paio di spogliarelliste infoiate» disse con malcelata ironia «Non posso venire nella vostra sala a vedere quei bei maschioni?» chiese implorante.
«No, spiacente. È una serata per sole donne» rise Tanya.
«E poi non ci saranno spogliarellisti» dissi con aria furba.
«Si, come no. Raccontalo a un altro» si intromise Marc prendendo per mano la sua morosa «Andiamo prima che si faccia tardi»
Non appena arrivammo al locale mostrammo i nostri inviti al bodyguard alla porta, poi un ragazzo dal fisico prestante e vestito di tutto punto prese noi donne per scortarci nella nostra sala, così come una ragazza dalle gambe chilometriche prese sottobraccio un Marc divertito ed un Jamie a dir poco annoiato.
La sala era abbastanza grande, le luci stroboscopiche creavano vari giochi di luce tra il blu e il magenta sulle pareti, la postazione bar era già piena di persone tra cui riconobbi qualche faccia amica.
«Ci sarà da divertirsi» urlò Tanya al mio orecchio per farsi sentire.
«Già» urlai anch’io.
“Lo spero proprio” sussurrai tra me.
Scovammo Beth tra la folla e ci avvicinammo per salutarla e lasciarle una serie di regalini a luci rosse che le avevamo comprato, poi ci dirigemmo verso il bar.
«Stasera voglio ubriacarmi» dissi alla mia amica.
La vidi ridere divertita mentre guardava i vari camerieri che giravano per la sala coi soli pantaloni neri e papillon rosso al collo a coprirli.
«E perché mai? Io voglio rimanere totalmente lucida» disse indicandomi con lo sguardo un moretto dal sorriso mozzafiato che si era avvicinato con un vassoio pieno di flûte di champagne.
«Grazie» dissi prendendone due.
«Grazie a voi dolcezze» ci fece un occhiolino prima di riprendere il suo giro.
Mentre sorseggiavo quelle invitanti bollicine scorsi Noemi seduta ad uno sgabello al bar con un drink tra le mani, al suo fianco c’era Emily e con loro una appariscente ragazza dai capelli rossi.
«C’è Noemi, andiamo?» chiesi a Tanya indicando il punto.
La vidi guardare in direzione del mio dito e dirmi qualcosa, ma ormai stavo già camminando e la musica era troppo alta per sentirla.
«Ehi tesoro, ciao Emily»
Noemi mi guardò e per un nano secondo perse il sorriso che le aleggiava sul volto, fu così veloce che addirittura pensai di averlo immaginato.
«Ciao Penny» si alzò e mi strinse in un fugace abbraccio.
C’era qualcosa di strano in lei, sembrava improvvisamente agitata.
«Ciao Penelope, stai benissimo» disse Emily.
«Ti ringrazio» le sorrisi.
Mi voltai poi verso la loro amica, era impossibile non notare la sua bellezza. Un fisico dalle forme generose avvolto in un elegante tubino nero, occhi color ghiaccio e un viso chiaro incorniciato da una cascata di capelli ramati.
«Sono Penelope Penthon, piacere» le porsi la mano per presentarmi.
«Oh Penny, che scortese io…» si intromise Noemi «Lei è… è…»
«Piacere Blake» disse quest’ultima stringendomi la mano «Quello che forse voleva dire Noemi, è che sono la ragazza di suo fratello Nathan»
Sentii all’istante il sangue raggelarsi nelle vene, ritrassi la mano dalla sua come se il solo contatto provocasse un dolore fisico. Sperai che le luci soffuse ed il caos che aleggiava tutto intorno fossero bastati a nasconderle la mia reazione, le sorrisi appena.
«Oh Nathan» dissi fingendo disinteresse «Abbiamo lavorato insieme per un periodo»
«Ma davvero? Non lo sapevo»
Blake mi fissava e non riuscivo a capire se quel suo sguardo intenso fosse di semplice curiosità oppure era a conoscenza di quello che era successo con Nathan. In ogni caso mi sentii terribilmente a disagio, come sotto accusa.
«Già» fu tutto quello che riuscii a dire prima che sentissi Tanya richiamarmi alle mie spalle «Ehi» dissi voltandomi prima verso la mia amica, poi di nuovo verso Blake «Lei è…»
«Ciao Tanya» irruppe lei, interrompendomi.
Il volto della mia amica era leggermente tirato, le labbra erano una linea diritta e dura che voleva somigliare ad un sorriso.
«Ciao Blake»
«Oh ma certo» dissi ridendo nervosa «Voi già vi conoscete, ovvio»
Noemi osservava la scena in silenzio, evidentemente tesa; Emily al suo fianco pareva fiutasse qualcosa di strano, la sua espressione era interdetta ma evitava di intromettersi.
«Ragazze scusatemi, vado a salutare un’amica» Blake si congedò «Emily, Noemi, venite anche voi?»
«Certo» rispose Emily «Ci vediamo dopo» disse a mo’ di saluto a Tanya e me.
Noemi si limitò ad annuire e, continuando a guardarmi con uno sguardo carico di rammarico, si allontanò con loro tra la folla.
Mi sedetti su uno sgabello e poggiai i gomiti sul bancone bar prendendomi la testa tra le mani, Tanya al mio fianco restava in silenzio mentre la musica mi perforava i timpani.
Ero partita super carica per la serata, pronta a non lasciarmi cogliere di sorpresa ed invece? Ero rimasta come una sorta di ebete incapace di formulare una frase di senso compiuto davanti alla ragazza di Nathan.
«È bellissima» dissi alzando lo sguardo verso la mia amica.
«Anche tu lo sei» mi urlò all’orecchio per farsi sentire.
«Sì… certo»
Ero sempre stata una persona forte e testarda, e ancora lo ero, soltanto che adesso che mi sentivo nuda nell’anima mi risultava più difficile ricordarmelo. Mi sentivo fragile, ero innamorata persa di Nate, e incontrare Blake – algida e bellissima – era stato un duro colpo per la mia autostima.
In ogni caso sorrisi a Tanya poi alzai una mano per richiamare l’attenzione del barman «Due Bloody mary, grazie»
«Ehi, non ti ho chiesto un drink» protestò Tanya prendendo posto al mio fianco.
«Ed infatti l’altro non è per te»
Evitavo di guardarla, già avvertivo il peso del suo disappunto senza che nemmeno avessi il bisogno di voltarmi.
«Penny per favore, hai lavorato tanto su te stessa in questi mesi, non buttare tutto all’aria» la sua mano si poggiò sulla spalla nuda, potei avvertirne il rassicurante calore.
«Tranquilla, siamo in una sala di sole donne all’infuori dei ragazzi che ci lavorano, cosa vuoi che succeda?» la rassicurai.
Non volevo fare una scenata, volevo soltanto dimenticare per un paio di ore, entrare in quello stato di semi coscienza dove non mi sarei posta mille domande come accadeva da otto mesi a questa parte. Volevo diventare per poco la Penelope spensierata che ero un tempo, anche se dentro adesso mi sentivo tanto vuota.
«D’accordo» disse lei con un sorriso «Poi ci sono io qui a controllarti, no?»
«Sì, mamma» presi i drink che il barman mi aveva allungato sul tavolo e diedi il via alla mia serata.
Un’ora più tardi e con tre drink in più in corpo ero seduta a godermi lo spettacolo di Elisabeth legata ad una sedia ed ultra imbarazzata mentre un ballerino le dedicava un sexy spogliarello. Tutte battevano le mani ed urlavano degli incoraggiamenti ridendo divertite, mentre io avvertivo soltanto una smisurata confusione, fuori e dentro di me.
Approfittai del momento di distrazione ed uscii della sala per prendere una boccata di aria fresca, mi diressi al bagno e sciacquai lievemente il volto accaldato e arrossato a causa dell’alcool.
Fissai la mia immagine riflessa allo specchio e lo stomaco si contorse su sé stesso.
Com’era possibile che avessi combinato un tale casino? Com’era possibile provare un amore tale da togliere il fiato e rinunciarvi a causa dei brutti ricordi e di una vita passata a distruggersi?
Tanya mi aveva avvertita, sapevo che Nathan aveva intrapreso una nuova relazione e che stasera avrei incontrato la sua ragazza, ma averlo provato sulla pelle era un’altra storia. Sentivo che l’equilibrio che stavo cercando di recuperare con tutte le mie forze rischiava di nuovo di sfuggire al mio controllo, ed io questo non potevo né volevo permetterlo.
Dalla pochette estrassi il correttore e lo passai sotto gli occhi segnati dalla tristezza, cercando di eliminare le linee violacee che mi solcavano lo sguardo, poi uscii dal bagno per nulla intenzionata a tornare alla festa.
«Penelope?»
Sussultai sentendomi chiamare, mi voltai di scatto per la sorpresa.
«Oh Nathan… sei tu» dissi meravigliata sentendo il cuore che era già partito a mille.

 

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Capitolo 27
*** Capitolo XXV ***


Buonasera a tutti, non so da quanto tempo è che non scrivo qualcosa all'inizio di un capitolo. Nelle prime storie che ho scritto (anni fa ormai) ero solita "chiacchierare" coi lettori prima di pubblicare, poi tante cose della mia vita sono cambiate - io sono cambiata - e così mi sono ritrovata a pubblicare questa storia solo perché l'avevo iniziata ed era giusto per chi la stesse leggendo che io la portassi a compimento. Questa storia non ha mai riscosso molto successo, o forse semplicemente viene letta ma poco commentata, in ogni caso io mi sono resa conto di amare ancora tanto questi personaggi e di emozionarmi quando scrivo di loro. Per questo motivo stasera ho deciso di parlare con voi, i miei lettori, sperando di riuscire a trasmettervi le stesse emozioni che provo io. Siamo arrivati ad un punto cruciale della storia, questo sarà l'inizio o la fine definitiva di tutto. Vi auguro una buona lettura e se vi fa piacere fatemi sapere cosa ne pensate di Penny e Nate.

Capitolo XXV
«Scusa, non volevo spaventarti»
Avanzò verso di me con passo rigido, le labbra tese in una linea dura, le deboli luci della saletta che fungeva da anticamera per i bagni marcavano i lineamenti spigolosi del suo viso donandogli un’aria quasi cattiva.
«Non preoccuparti, è che credevo di essere sola quindi…» lasciai la frase in sospeso, troppo occupata ad osservarlo «Come mai non sei con gli altri?» domandai curiosa.
«E tu?» chiese lui, prendendomi in contropiede.
Sentii il mio corpo irrigidirsi, la punta delle dita iniziò a pizzicarmi ed il palmo sudato per poco non mi fece perdere la presa sulla pochette. Mi sentivo agitata ed estremamente vulnerabile al solo pensiero di essere in un ambiente chiuso, sola con lui.
«Ho conosciuto Blake»
Elusi la sua domanda, sperando di spostare l’argomento altrove e di recuperare un minimo di vantaggio.
La sua mascella si contrasse, come in un moto nervoso, ma per il resto restò perfettamente immobile; limitandosi ad osservarmi senza muovere un muscolo, se non fosse stato per il respiro che gli faceva gonfiare e sgonfiare ritmicamente il petto sarebbe sembrato una statua di marmo.
«Ho bisogno di parlarti» disse ignorando il mio tentativo di metterlo in difficoltà.
«Adesso?» chiesi confusa «Nathan non mi sembra il momento…»
«Perché no?» domandò interrompendomi.
«Beh perché…» mi strinsi nelle spalle come se la risposta fosse ovvia «Siamo ad una festa, di là c’è della gente che…»
«Nessuno si accorgerà della nostra assenza»
«Tu credi?» chiesi retorica «Io invece dico che Jamie già se n’è accorto e presto verrà a cercarmi» la tensione che avvertivo si riversava nella voce al punto di farmi dire cose senza senso.
“Come mi è venuto in mente di tirare Jamie in ballo se non è nemmeno nella mia stessa sala?” mi chiesi afflitta, anelando disperatamente un pizzico di quella scaltrezza che un tempo mi contraddistingueva e che adesso sembrava avermi abbandonata.
Mi sorrise beffardo avvicinandosi appena.
«Jamie non sa nemmeno che sei qui, si sta tanto divertendo con Marc e Thomas sai?»
Divertendo? Lo guardai di sbieco soffocando una risata nervosa, se il suo era un tentativo di farmi ingelosire cascava decisamente male.
«E poi il tuo ragazzo non può essere geloso di me» proseguì «Sono solo un amico» disse con un pizzico di velenosa ironia.
«Piantala Nathan, Jamie non è il mio ragazzo»
«Oh scusa, dimenticavo che tu non vuoi legami sentimentali» disse alzando le mani come per pararsi da un colpo invisibile «Mi correggo. Il ragazzo che ti scopi non può essere geloso del ragazzo che ti scopavi» mi sorrise ma era palese che non fosse affatto divertito.
Nonostante le sue parole fossero dure non persi la calma, era chiaro come il sole quanto si sentisse ferito e non stava facendo altro che cercare di vendicarsi, ferirmi e magari umiliarmi. Non potevo biasimarlo, comprendevo la sua rabbia, così gli risposi pacata anche se dalle mie parole trapelava un pizzico di esasperazione.
«Lui è gay, Nate»
La gettai lì con finta noncuranza e non potei evitare di notare la sua espressione di sorpresa mista a qualcosa che sembrava… sollievo?
La fronte che per tutto il tempo era stata aggrottata si distese appena, anche se la mascella restava contratta in una smorfia dura.
Dato che non si decideva a dire qualcosa, cominciai io.
«Nate io… capisco che tu possa avercela con me, è lecito ma…»
«Certo che è lecito» mi interruppe per la millesima volta e data la situazione glielo lasciai fare «Cristo Penny tu…»
Vidi la sua mano stringersi in un pugno, premuta saldamente contro il fianco fino a farne diventare le nocche bianche, capii che era arrivato il momento della verità, del confronto al quale non potevo sottrarmi.
«Tu… sei andata via, mi hai lasciato qui come un completo idiota fregandotene di quello che provavo»
Le ultime parole mi colpirono più di tutti i peggiori insulti che potesse rivolgermi, accusarmi di essermene fregata di lui come se per me non contasse nulla fu un vero colpo al cuore, lo stomaco si strinse in una morsa dolorosa.
Come potevo biasimarlo se pensava questo di me? Come potevo fargli cambiare idea, e soprattutto, per quale motivo avrei dovuto provare a fargliela cambiare?
«Non è così Nathan, sapevi esattamente quali erano i miei problemi, io… mi sono aperta a te come a nessun altro mai e tu non puoi venire qui a dirmi che di te non mi importa nulla»
«Perché non è la verità?» mi rinfacciò duro «Perché se non è così il tuo è un bel modo del cazzo di dimostrare interesse» la sua voce era quasi un ringhio rabbioso.
Lo comprendevo, ma non potevo sostenere oltre la tensione. Dopotutto andando via avevo fatto del male soprattutto a me stessa, e stavo lavorando tanto per cercare di risolvere i miei problemi. Lui invece, cosa aveva fatto se non mettersi con una figa da paura alla prima occasione? Esplosi.
«Cazzo Nathan, io con te sono stata chiara»
Gli urlai contro furibonda, aiutata anche dai fumi dell’alcool che mi conferivano un’aria più spavalda.
«Chiara, eh? Abbiamo un modo un po’ diverso di vedere la trasparenza Penny. Tu mi hai preso in giro per settimane, ti sei aperta con me soltanto quando ti sei sentita alle strette. La sera prima che partissi tra l’altro»
Scosse la testa sorridendo nervosamente. Sapevo di aver sbagliato e di aver ferito i suoi sentimenti, ma ero sempre stata abituata a rapportarmi con gli uomini senza coinvolgimenti sentimentali e quello che avevo provato per Nathan mi aveva reso completamente priva di ragione, per la prima volta in vita mia non ero stata in grado di condurre il gioco.
Iniziai a sentire le mie gambe nude come raggelate, paralizzate a causa della tensione. «Di questo ne abbiamo già parlato a suo tempo, sapevi che dovevo andar via per ritrovare me stessa»
«Certo che lo sapevo, ma ti ho anche implorato di non farlo. Ero disposto ad aiutarti a superare tutto, ti avrei dato i tuoi spazi» si passò nervosamente una mano tra i capelli ansimando appena «Ma tu no, sei una fottuta cocciuta e non ci hai pensato su due volte a sacrificare la nostra storia» si fermò un istante e sbottò in una fragorosa risata mentre osservavo perplessa i suoi repentini cambi d’umore «Storia? Perdonami per quel che dico. Forse è meglio dire che non ci hai pensato su due volte a sacrificare le nostre magnifiche scopate, va meglio così per te?»
Una rabbia furibonda mi offuscò la vista, ci mancò poco che gli tirassi uno schiaffo in pieno viso e fui grata che fossimo lontano dagli altri, in un luogo dove le nostre urla non avrebbero attirato l’attenzione di nessuno. Per anni non mi ero mai interessata al giudizio altrui, avrebbero potuto pensare qualunque cosa su di me tanto mi sarebbe scivolato addosso senza problemi. Ma adesso no, non era più così. Quello che Nathan pensava di me era importante, perché lui­ era importante.
«Oh ma certo» mi limitai invece a dire scuotendo la testa «Dimenticavo che io sono la troia che si è approfittata del tuo amore, quella arida e senza sentimenti. Eppure, a otto mesi di distanza non sono io quella che ha una storia con un altro» sputai velenosa, guardandolo con occhi di puro odio, riversando tutto il mio dolore represso verso di lui «Tu sei innocente vero? Tu che millantavi così tanto il tuo amore, tu che sei tanto migliore di me, dimmi un po’ che fine ha fatto la tua promessa?» vidi il suo sguardo confuso e continuai «“Ti aspetterò Penny, per tutto il tempo che sarà necessario”» feci scimmiottando la sua voce «Cosa ne è stato di quelle parole, le ha portate via il vento?»
Gli urlai contro, la voce incrinata dal nodo alla gola creato dalle lacrime che mi rifiutavo di versare.
Il suo volto perse un po’ di colore, i suoi occhi ardevano ma avevano perso la durezza di poco prima. Una smorfia gli si dipinse sul viso, come se il solo respirare gli procurasse un forte dolore.
«Non puoi dirmi questo, Penny. Non a me»
Abbassò lo sguardo e scosse la testa, la sua voce adesso era un sussurro come se non credesse alle sue stesse parole e a quello che stava accadendo. Ci stavamo ferendo a vicenda e dopo ogni accusa, ogni parola tirata fuori con rancore, eravamo sempre più deboli, la rabbia stava lasciando il posto ad un’immensa tristezza.
«Perché non posso Nathan? Non… non è la verità?»
La mia era quasi una preghiera, desideravo soltanto che mi dicesse che mi stavo sbagliando e che lui mi amava ancora e che forse per noi ci sarebbe stata ancora una speranza, ma questa era soltanto un’illusione.
«No, non lo è» disse puntando lo sguardo nel mio, sicuro di sé «Mi avevi chiesto di lasciarti andare e l’ho fatto, eccome se l’ho fatto… ma solo perché pensavo che stare un po’ da sola ti avrebbe aiutato a schiarire le idee per farti tornare da me. Ti ho aspettata i primi mesi, ma sai cosa significa vivere ogni giorno ed ogni notte nella speranza e nell’attesa di una telefonata, un messaggio o qualsiasi altro cenno che mi facesse capire che tu mi pensavi, che ti mancavo?» si fermò un istante, furente.
Il mio respiro era agitato, mi sentivo come se uno squarcio nel petto mi impedisse di prendere aria a sufficienza.
Se lo sapevo? Pensai amaramente tra me. Certo che lo sapevo, avevo vissuto un’intera vita nell’attesa che mi venisse dimostrato un po’ di affetto, nella speranza che qualcuno mi tirasse fuori dal buio facendomi capire che l’amore era tutt’altro che sofferenza. Nathan c’era riuscito, senza che nemmeno me ne rendessi conto. Ma il suo amore era arrivato troppo forte ed improvviso, come l’onda di un inaspettato tsunami che ti travolge e distrugge costringendoti a ripartire da zero. Il suo amore mi aveva colta impreparata, ed accidenti a me proprio non ero riuscita a gestirlo.
«Mi mancavi. Volevo rivedere il tuo sorriso, sognavo le tue labbra, il tuo corpo stretto contro il mio, è stato un inferno» continuò poco più calmo.
Mi morsi le labbra con rabbia, sentirlo parlare della sofferenza che gli avevo inflitto e che mi ero auto imposta non faceva altro che aumentare l’odio che nutrivo verso me stessa, verso la mia infanzia traumatica e l’adolescenza difficile che avevo vissuto.
«E tu… credi lo sia stato solo per te?» gli domandai «Per me credi sia stato facile?»
«Sei tu che mi hai totalmente cancellato dalla tua vita» mi accusò.
«Non è vero. Avevo bisogno di tagliare un po’ i ponti Nathan, te l’ho già detto» provai a difendermi per quel che potevo, non credendoci realmente nemmeno io.
«Queste sono scuse, Penny. Non lo capisci?» la sua voce riprese vigore «Tu non hai dato un taglio alla tua vita, tu hai tagliato fuori me» disse severo.
Sussultai per la crudezza delle sue parole che contribuiva ad alimentare ed accrescere i sensi di colpa che da sempre sembravano essere il mio pane quotidiano.
«Così sei ingiusto»
Sospirai forte, afflitta dalla consapevolezza che per quanto volessi convincermi del contrario sapevo perfettamente che la colpa di tutto quello che stava accadendo era soltanto mia.
«No, non lo sono. Hai continuato a sentire tutti: Tanya, Beth e Tom, persino mia sorella» mi inchiodò coi suoi occhi di smeraldo «E’ con me che hai chiuso»
«Forse perché sei stato l’unico in tutta la mia vita a farmi sentire…»
«Amata, forse?»  mi fece notare ironico.
«VULNERABILE» gridai allo stremo delle forze, il corpo in preda ai tremori.
Indietreggiò appena, come se la mia risposta fosse l’ultima cosa che si aspettasse di sentire, come se dalla mia voce si fosse sprigionata tutta la forza che avevo in corpo e questa l’avesse colpito.
Aveva le labbra semi aperte ed alcune ciocche di capelli gli ricadevano sul viso straziato, sembrava un angelo vendicatore accorso per essere la mia salvezza e la mia condanna allo stesso tempo.
«Quindi tu…» si fermò puntando i suoi occhi lucidi nei miei «…mi stai dicendo che è colpa mia se sei andata via? Perché io ti rendevo… vulnerabile?»
«No Nathan»
Mi avvicinai appena, desideravo così tanto abbracciarlo, toccarlo, e far sparire quell’espressione sconvolta dal suo volto. Avrei voluto lenire tutte le sue ferite e nel farlo avrei curato anche le mie.
«Ti sto dicendo che sei il primo uomo che è riuscito ad entrarmi nel profondo. L’unico che mi ha fatta sentire amata e l’unico di cui mi sia mai innamorata davvero» Inalai una grossa boccata d’aria, necessaria per proseguire.
«Non credevo nell’amore, non concepivo l’idea che la mia felicità potesse dipendere da quella di qualcun altro. L’idea di fidarmi ciecamente di qualcuno e lasciarmi andare mi terrorizzava, ho sempre avvertito il bisogno di avere il controllo su tutto e…» sospirai passandomi una mano tra i capelli, mi poggiai con le spalle contro il muro freddo provando uno spiacevole brivido lungo la schiena «Dio, magari non ci crederai a quello che sto per dire, ma con te, stretta tra le tue braccia mentre facevamo l’amore, io mi sentivo realmente protetta e mi abbandonavo al tuo volere» confessai, agitata ma sincera «Non potevo restare, avevo paura di quello che provavo e dovevo prima imparare a gestire la situazione senza sentirmi schiacciata dal peso delle emozioni, se davvero volevo sperare di avere una storia con te»
Ecco, l’avevo detto. Era fatta.
«Non credi che la mia vicinanza avrebbe potuto aiutarti a superare le tue paure?» chiese avvicinandosi cauto, dopo qualche minuto di silenzio presosi per assimilare le mie ultime parole.
«Sì Nathan, ed è proprio questo il punto. Se lo penso è soltanto perché adesso sono cambiata, sono più consapevole di quello che voglio e di come lo voglio» gli feci notare seria «La Penelope di adesso resterebbe e si affiderebbe a te nella speranza di ricevere un aiuto. La Penelope di otto mesi fa non accettava l’idea di non risolvere tutto da sola e per lei scappare era l’unica soluzione possibile» terminai nella speranza che, se non voleva perdonarmi, almeno potesse comprendere le mie ragioni.
I suoi occhi si sgranarono, increduli, come se non avesse mai preso in considerazione l’idea che potessi mettere in discussione le mie scelte. Ed era proprio questo che era cambiato in me, dopo aver lavorato per mesi sulla mia persona non ostentavo più una sicurezza fittizia, ero pronta a ragionare sulle mie scelte e ad ammettere i miei sbagli.
«Se allora sono questi i motivi che ti hanno spinto ad allontanarti, vuol dire che… i tuoi sentimenti per me non sono cambiati?» si avvicinò fino a quasi sfiorarmi, avrei voluto indietreggiare ma oramai ero già completamente incollata al muro.
«Nathan ti prego…» mi lamentai, mi sentivo come intrappolata tra i miei sentimenti e la cosa giusta da fare.
«No Penny, tu devi dirmelo» la sua fronte si posò sulla mia, mi schiacciò tra la parete e il suo corpo e potei avvertirne il rassicurante calore.
«Perché dobbiamo farci del male? Tu stai con Blake ed io…»
«Rispondimi Penny»
La sua grande mano si posò sul mio collo nel punto dove il mio cuore pulsava violentemente, il tono imperioso della sua voce non ammetteva repliche.
Le labbra si portarono un soffio dalle mie, potevo avvertire il profumo della sua pelle e l’alito caldo che mi procurava bollenti brividi lungo la schiena, era tutto troppo intenso e non riuscivo a sopportarlo.
Girai il volto per schivare il suo tocco.
«Nate tu sei impegnato, non avrei mai fatto una cosa del genere prima men che meno adesso» protestai nonostante morissi dalla voglia di baciarlo.
Con le mani cercai di spingerlo via ma la sua mano si spostò dal collo al mento, strinse con forza per costringermi a guardarlo, poi puntò i suoi occhi angosciati nei miei «Quanto avrei voluto essere più forte» sussurrò roco scandendo lentamente ogni parola, mentre col suo corpo incombeva su di me «Sono incazzato nero Penny, perché sento che tutto questo è anche colpa mia»
Era terribilmente angosciato, avrei voluto smentire le sue parole ma prima che potessi aprire bocca lui mi baciò. Avrei voluto oppormi a quell’invasione, ma il suo profumo, il suo calore, erano dei richiami troppo forti per i miei sensi annebbiati,
La sua lingua mi sfiorava languidamente ed io sentivo il sangue scorrermi bollente nelle vene, come miele fuso che si irradiava lungo tutto il corpo in un piacevole brivido caldo.
Quando si fermò il mio respiro era agitato, la vista offuscata al punto che a malapena riuscivo a distinguere i suoi tratti nonostante fosse terribilmente vicino. Quando sbattei le palpebre delle gocce calde mi rigarono le guance e solo allora mi resi conto che le lacrime a lungo trattenute avevano trovato una via d’uscita, riversandosi lente e copiose lungo il mio volto.
Nathan posò pesantemente la fronte sulla mia, le sue mani mi strinsero spasmodicamente mentre continuava a ripetere come una nenia «Perché? Perché? Perché?»
Piccoli spasmi involontari continuavano a far sussultare il mio petto, avrei voluto urlare e fuggire, baciarlo e respingerlo, picchiarlo e amarlo in un mix di emozioni micidialmente contrastanti. Mi sentivo annientata.
«Non… dovevi farmi questo» sussurrai sconvolta «Che senso ha questo bacio, Nathan?»
Con le dita mi sfiorai le labbra laddove i suoi denti avevano lasciato un piccolo segno ed in un angolo del mio cuore desiderai ardentemente che quella piccola cicatrice rimanesse lì per sempre, indelebile, cosicché un giorno avrei potuto risentirla sotto le dita a ricordarmi tutto l’amore che avevo provato.
«Io…» mi lasciò andare, allontanandosi appena «Lo volevo» disse semplicemente.
«E adesso? Cos’è cambiato, dimmi» dissi dura, perché dopo tutto quello che gli avevo detto non poteva cavarsela con un semplice ‘lo volevo’.
Per quanto fossi consapevole di non meritarlo, la mia parte irrazionale non desiderava altro che sentirgli dire che avrebbe lasciato Blake per stare con me, mentre quella razionale continuava a ripetermi quanto fossi fuori di testa.
 «Non sarò io a trasformarti nel peggiore degli uomini, mantieni il tuo impegno con quella ragazza oppure lasciala andare» gli dissi lasciando prevalere la ragione «Non prenderla in giro come…»
«Come tu hai fatto con me?» irruppe.
«No Nate, piantala» sbottai esasperata «Non ti ho preso in giro e tu lo sai bene. Fai pure finta di non capire cosa significa tutto quello che ti ho detto. Vuoi farmela pagare? Bene, mi prenderò le mie responsabilità ma ti prego, con tutta me stessa, smettila di fare lo stronzo»
Feci per allontanarmi ma la sua mano mi bloccò. Mi voltai intenzionata a dirgli di lasciarmi andare ma i suoi occhi, belli come il mare illuminati da un caldo sole estivo, mandarono in fumo i miei propositi.
«Mi dispiace Penny»
‘Cosa voleva dire? Gli dispiaceva di avermi baciata, o di tutto quello che era successo?’   
Non dissi nulla, prima che potessi ripensarci mi sistemai ed uscii dalla saletta e dal locale. Mi ritrovai per la strada scontrandomi con l’aria umida della calda notte di Los Angeles, camminai fino alla spiaggia dove la prima volta Nathan aveva detto di amarmi. Il rumore dei tacchi sull’asfalto riecheggiava nelle orecchie, gli occhi pieni di lacrime erano rivolti verso l’orizzonte infinito, verso il cielo ed il mare che si univano in un unico pozzo nero, lasciai libero sfogo alla testa e al cuore pieni di interrogativi.
Come fin da bambina avevo capito l’amore poteva trasformarsi in sofferenza, ma stavolta era davvero troppo persino per una come me.

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Capitolo 28
*** Capitolo XXVI ***


Buonasera a tutti, eccomi qui con un nuovo capitolo. Finalmente Penelope e Nathan si sono detti tutto quello che avevano dentro, ma essere stati sinceri l'uno con l'altra non può bastare a farli riavvicinare perché c'è ancora troppo dolore e la fiducia è difficile da recuperare. Ci stiamo avviando verso la fine di questa avventura, come credete che andranno le cose? Vi lascio con questa domanda, buona lettura. 
 
Capitolo XXVI


Restai seduta sulla sabbia umida, in riva al mare, per un tempo che mi parve infinito. Mentre il vento mi scompigliava i capelli, sfiorandomi la pelle ed insinuandosi fin nelle ossa a procurarmi una serie di spiacevoli brividi, mi strinsi tra le braccia.
Non si trattava di brividi di freddo, di eccitazione o di paura; erano piuttosto brividi che identificavano l’acquisizione di una triste consapevolezza mentre nella testa continuavano a vorticare incessanti pensieri e parole.
«Tu sei andata via, mi hai lasciato qui come un completo idiota fregandotene di quello che provavo»
Passai nervosamente le mani tra i capelli, disperata. Sapevo di avere le mie ragioni, di aver agito nel modo migliore possibile e confacente alle mie esigenze, ma le esigenze di Nathan?
A mente più lucida mi resi conto di non aver pensato ad altro che a me stessa, e l’unica consolazione che potevo concedermi era quella di sapere che avevo agito assolutamente in buona fede. D’altronde come avrei potuto pensare a cosa provavano gli altri quando a malapena riuscivo a capire cosa provassi io?
«Tu mi hai preso in giro per settimane»
Le sue parole continuavano ad aleggiare nella testa, insieme al ricordo dei suoi occhi duri e dell’espressione affranta.
Dovevo ammetterlo, l’avevo realmente preso in giro lasciando prevalere il mio lato egoistico ed ora non c’era niente che mi affliggesse di più.
Amavo Nathan alla follia, eppure non avevo avuto scrupoli ad approfittare dei suoi sentimenti nella speranza di salvare i miei, e potevo soltanto ringraziare Dio se avevo trovato la mia strada ed ora ero finalmente capace di distinguere tra quello che mi faceva bene e quello che invece non me ne faceva affatto.
Era tutto così strano, ritrovarsi a venticinque anni a ripartire da zero, a rivalutare e capovolgere la tua visione del mondo, e poi c’era quell’emozione nuova, mai provata prima: L’amore.
Ora capivo quello che provavano gli altri quando si donavano totalmente ad una persona correndo il rischio di essere feriti, avevo sempre creduto che amare fosse una prerogativa delle persone deboli ed invece mi sbagliavo di grosso. Per amare ci voleva davvero tanta forza e tanto coraggio; forza per fidarsi, coraggio per abbandonarsi, per sostenere i periodi di crisi, le gelosie. Per amare bisognava essere forti abbastanza da potersi rimettere in piedi in caso di fallimento totale, ed io soltanto adesso riuscivo a capire di cosa si trattasse.
Con un dito iniziai distrattamente a disegnare delle linee sulla sabbia e solo dopo qualche istante emersero le iniziali mie e di Nathan, senza che me ne rendessi nemmeno conto.
Improvvisamente il cellulare iniziò a suonare squarciando il silenzio della notte, lo estrassi dalla pochette e risposi: «Sì?»
“Penny, dove diavolo sei?” la voce di Tanya era alta e preoccupata.
«Tanya io…» sospirai, mi sentivo come svuotata e priva di forze «Sono sulla spiaggia poco più avanti»
“Spiaggia?” chiese confusa “Aspettami lì che ti raggiungo”
«Oh no, non…» mi interruppi, aveva già staccato la chiamata.
Mi sollevai scrollandomi la sabbia umida dal vestito, raccolsi le scarpe e presi a camminare in direzione del locale, andando incontro alla mia amica.
Passarono a malapena cinque minuti prima che intravedessi la sua figura avanzare verso di me, mi avvicinai ad un muretto e mi issai su di esso mentre aspettavo che mi raggiungesse.
Non appena mi fu vicina notai la sua espressione indagatrice, mi scrutava con occhi curiosi e attenti e capii che stava cercando le parole giuste da dire.
«Cos’è successo?» domandò.
La guardai da sotto le lunghe ciglia, dondolavo i piedi incrociati tra loro cercando di prendere tempo e coraggio, sospirai.
«Durante lo spettacolo sono andata al bagno, ed uscendo ho incontrato Nathan»
«Oh» disse appoggiandosi anche lei al muretto, non sembrava affatto sorpresa ma piuttosto incuriosita.
«Abbiamo parlato, anzi…» dissi sorridendo nervosa al ricordo «Più che altro ci siamo urlati contro» con le dita ripercorrevo gli spazi vuoti tra i mattoncini del muretto laddove risiedevano piccoli cumuli di fine sabbiolina.
Tanya continuava a fissarmi senza dire una parola, dopotutto cosa avrebbe potuto dire in una situazione del genere?
«Insomma Tanya, non voglio portarla per le lunghe» sbottai nervosa  «Nate ce l’ha a morte con me per come sono andata via, ed io sono consapevole che ha dannatamente ragione» mi morsi il labbro fino a scorticarlo «Purtroppo gli ho spiegato che era inevitabile per me agire in quel modo, gli ho chiaramente detto che il problema non è lui ma il mio fottuto passato; gli ho anche detto che adesso sono cambiata e che mi sento più in pace con me stessa, e questo lo devo unicamente a lui» mi fermai un istante per riprendere fiato «Nonostante tutto, però, lui adesso sta con Blake ed io devo farmi da parte»
«Penny ma Nathan…»
«Cosa?» la interruppi prima che mi ribadisse l’ovvio «Lui mi ama? E’ questo che vuoi dirmi?» le sorrisi, vagamente divertita «Ti sembrerà strano Tanya, ma lo so già»
Vidi i suoi occhi chiari sgranarsi, stupiti. Sembrava che sorprendere le persone fosse diventato il mio secondo mestiere, ed acquisii un’altra triste consapevolezza nell’arco di un’ora o poco più. Se le persone che tenevano a me si stupivano per così poco significava che in passato non gli avevo mai dato modo di aspettarsi chissà poi quanto da me, consapevoli del fatto che non avrei mai oltrepassato dei limiti emotivi come invece facevo adesso.
«Come? Io pensavo…»
«Se lo lascio andare è solo perché è impegnato. E poi adesso io vivo a New York mentre la sua vita è qui a Los Angeles, è complicato»
«Complicato? Ah» rise amaramente, sollevando le spalle «Cosa non lo è?»
‘Già, cosa?’ pensai con un triste divertimento.
«Non posso chiedergli di lasciare Blake per me»
«Su questo sono d’accordo, ma lui non la ama Penny. Quindi perché continuare a prenderla in giro?»
La sua domanda mi avrebbe colto alla sprovvista se non fosse stato per il fatto che nell’ultima mezz’ora non avevo fatto altro che porgermela ininterrottamente, fino a quando non ero arrivata ad una plausibile conclusione.
«Nathan è un bravo ragazzo, sono sicura che non la sta prendendo in giro» dissi a lei ma anche a me stessa «Credo che la loro storia si basi più su un tacito accordo: Blake è consapevole che Nathan non è innamorato di lei ma continua nella speranza che lui un giorno possa amarla» ipotizzai stringendomi nelle spalle «Purtroppo sta soltanto a lui decidere se vale la pena o meno lasciarla per stare con me, è ancora troppo scottato da quello che è successo ed io non posso biasimarlo»
«Magari se sapesse che tu lo ami…» ipotizzò cauta «Avrebbe un motivo in più per rischiare, no?»
Sorrisi ancora e Tanya parve accorgersene «Cos’hai da ridere?» chiese offesa pensando che ridessi di lei.
«Sa perfettamente cosa provo, ma adesso è lui ad essere confuso credimi» scossi la testa, rattristata al pensiero che proprio io ero la causa dei problemi dell’uomo che amavo «Stasera ci siamo detti davvero tante cose, e non solo con le parole»
Anche nel buio potei notare l’espressione perplessa della mia amica, il sopracciglio sinistro inarcato in una muta domanda «Voi… avete fatto sesso?»
«Sesso? Ma certo, non aspettavamo altro» dissi ironica, sorridendole  «Non parlavo di sesso Tanya, però Nate mi ha… baciata»
Ripensai alle sue mani bollenti sulla pelle, alle labbra morbide che lambivano le mie e quegli occhi… così intensi e brillanti, così espressivi.
D’istinto mi portai un dito alle labbra per risentire il segno lasciato dai suoi denti sulla pelle morbida, ma ormai non restavano altro che le escoriazioni che mi ero procurata da sola, di quel bacio soltanto un ricordo.
«Oh» fece lei, ma prima che potesse aggiungere altro il suo cellulare prese a squillare «Si?» rispose «Ah- ah arriviamo» ripose il telefono e mi fissò.
«E’ Marc, dice che la festa è finita. Ci aspettano fuori il locale»
Annuii e scesi dal muretto dove mi ero sistemata «Andiamo»
Iniziammo a camminare lentamente, continuai a restare scalza mantenendo i sandali con una mano e la pochette con l’altra, Tanya stava al mio fianco in un religioso silenzio. Dopo pochi minuti di cammino intravidi le insegne colorate del locale e una piccola folla fuori di esso, scorsi Nathan mano nella mano con Blake mentre erano intenti a chiacchierare con Thomas ed Elisabeth, i nostri sguardi si incrociarono un istante ma proseguii dritto alla volta di Jamie.
«Tesoro» disse quest’ultimo non appena mi vide, mi poggiò le mani sulle spalle «Cavolo, sei gelata» si tolse in fretta la giacca costringendomi ad indossarla, poi mi cinse la vita con un braccio e mi diede un dolce bacio sulla tempia, in un gesto carico di amore fraterno.
Nathan che era proprio di fronte a noi rivolse uno sguardo di fuoco a Jamie, nella sua espressione vi era un misto di rabbia e malcelata invidia, nonostante avesse la certezza che con Jamie non avrebbe potuto esserci altro che una splendida amicizia.
Il mio amico notò tutta la scena ed iniziò a guardare prima Nathan poi me, in un alternarsi perplesso e frenetico di sguardi «Dobbiamo parlare» aggiunse infine in un sussurro al mio orecchio.
«Non adesso» poggiai la testa sul suo petto e socchiusi gli occhi, esausta, alla ricerca di un po’ di sostegno e calore.
Riuscii comunque a scorgere Nathan che si voltava verso Blake che richiamava la sua attenzione, le sorrise, un sorriso triste e spento, ed io mi sentii sprofondare quando lei gli si avvicinò ulteriormente e lo baciò.
Fortunatamente Tanya e Marc arrivarono giusto in tempo con l’auto, Jamie mi aprì la portiera e, dopo aver rivolto un cenno di saluto generale, andammo via.
Durante il  tragitto fino a casa accantonai per un istante i pensieri che ronzavano per la testa, mi divertii ad ascoltare Marc prendere in giro Tanya cercando di farla ingelosire e Jamie che gli dava man forte.
«Beh devo dire che nemmeno quel moretto in sala era niente male, com’è che si chiamava? Ah si, Mike» dissi accorrendo in aiuto della mia amica «Non ti staccava gli occhi di dosso, vero Taty?» le feci un occhiolino complice che lei ricambiò di nascosto.
Marc mi lanciò un’occhiataccia attraverso lo specchietto retrovisore «Bel tentativo, Penny, ma non ci casco»
«Ma infatti non ti sto tendendo un tranello, dico solo la verità» feci spallucce e Jamie soffocò una risata.
«Che stronza» sussurrò al mio orecchio, per tutta risposta si beccò una lieve gomitata nello stomaco.
«Taci» gli dissi.
Marc, dopo averci rimuginato su qualche istante, si voltò verso Tanya «E così ti lasci corteggiare da degli spogliarellisti, eh?»
Tutti scoppiammo a ridere, mentre Marc continuava a guidare col broncio stampato sul viso.
Non appena arrivammo salii in camera, sfilai l’abito e andai a fare una doccia in fretta prima di indossare il pigiama, per eliminare le eventuali tracce di sabbia.
Quando finii trovai Jamie già a letto, il portatile sulle gambe e gli occhiali sulla punta del naso che gli conferivano un’aria decisamente sexy ed intellettuale.
Mi stesi al suo fianco e poggiai la testa sulla sua spalla «Cosa fai?» chiesi.
«Controllo delle mail di lavoro» rispose allargando un braccio per accogliermi meglio.
«Altri pochi giorni e torneremo alla solita routine» dissi non a qualcuno in particolare.
«Mi mancherà Los Angeles, anche tutti i tuoi amici. Come farò senza Marc?» mise il broncio, gli sorrisi.
«Vi terrete in contatto, faremo videochiamate multiple su skype»
Lui annuì, abbastanza soddisfatto della soluzione proposta, poi ripose il computer sul comodino accanto al letto per dedicarmi tutta la sua attenzione «Hai voglia di parlarne?» chiese senza specificare l’argomento in questione, non che ce ne fosse bisogno.
«Non stasera, ti spiace?» mi strinsi nelle spalle quasi per scusarmi, lui mi attirò ulteriormente a se stritolandomi in un abbraccio.
«Nessun problema, quando vuoi» spense la lampada e ci stendemmo insieme al buio.
«Jamie?» lo richiamai dopo qualche istante di silenzio.
«Mh mh, cosa?»
«Ti voglio bene» dissi semplicemente.
Nel buio lo sentii sospirare, poi dopo qualche attimo aggiunse «Non me l’avevi mai detto prima» mi fece notare.
«Lo so, perché credo che tu lo sappia già senza che io sia qui a ribadirtelo» chiarii «Però da oggi in poi non voglio dare più niente per scontato»
Nonostante non potessi vederlo, lo sentii sorridere soddisfatto ed anche io lo ero.
Essere cambiata dopotutto non era così male, forse potevo dirmi addirittura più forte di prima adesso che ero consapevole di riuscire a controllare le mie emozioni senza reprimerle.
«Brava bambina» mi posò un bacio tra i capelli «Anch’io te ne voglio» disse. Stringendo il mio amico immaginai di poter essere finalmente serena, il volto di Nathan balenò nei miei pensieri ma prima che potessi tornare a rimuginare sulle stesse cose il buio e l’incoscienza del sonno mi avvolsero.

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Capitolo 29
*** Capitolo XXVII ***



Capitolo XXVII
 
Presi i bouquet dal tavolino e mi avvicinai a Tanya e Noemi occupate a sistemare accuratamente  il velo sulla semplice acconciatura di Beth. Entrambe mi sorrisero e si spostarono così che potei finalmente vedere il volto della mia amica riflesso allo specchio, mi portai alle sue spalle e la osservai attentamente.
Gli occhi lucidi, le labbra curvate in un sorriso emozionato e le guance lievemente arrossate, le passai il bouquet che prese in una mano sfiorando i petali dei fiori con l’altra.
«Sei bellissima» le dissi.
«Davvero? Cavolo a trentasei anni non dovrei essere così agitata»
«Stai forse dicendo che esiste un’età per essere emozionate?» chiese Tanya ridendo di gusto.
«Oh, hai ragione. Sto dando di matto» con le dita si sfiorò appena le guance stando bene attenta a non rovinare il trucco «E’ che non mi sembra vero»
Noemi che era in un angolo a parlare al cellulare si avvicinò dopo aver riattaccato «Se può consolarti Tom non sta meglio di te» le sorrise mentre a me si strinse il cuore.
Solo una persona avrebbe potuto darle quell’informazione al momento, qualcuno che già si trovava in chiesa con tutti gli altri invitati: Nathan.
Guardandomi allo specchio mi sistemai un riccio ribelle e mi ripetei mentalmente i miei buoni propositi: “Sorridi e non pensare”
«Allora» dissi prendendo la palla al balzo «Pronta?»
«Sì» Elisabeth si alzò mostrando l’abito da sposa in tutta la sua magnificenza.
Era un abito bianco che aderiva perfettamente al suo corpo, evidenziando le morbide curve del seno e dei fianchi. Lo scollo lasciava le spalle nude, coperte solo dal lungo velo che ricadeva fino ai piedi sovrapponendosi al piccolo strascico orlato di pizzo.
«Bene, allora direi che è il momento di andare» Tanya aprì la porta invitando tutte a darci una mossa.
Sotto casa trovammo l’auto, con tanto di autista, ad aspettarci. Tanya prese posto davanti mentre Noemi ed io ci accomodammo sui sedili posteriori, lasciando che Beth si sistemasse per prima col lungo strascico e col velo.
«Cavolo mi sento impacciatissima» si lamentò, evidentemente agitata.
Noemi roteò gli occhi al cielo e si sporse verso di me «Penny mi tieni il bouquet che le sistemo meglio il velo?» disse in tono canzonatorio.
«Certo» sorrisi divertita mentre Beth ci riservava un timido sorriso.
«Sono una lagna, scusate»
«Figurati, faresti lo stesso per noi» feci spallucce stando ben attenta a non rovinare i delicati petali dei bouquet che avevo tra le mani.
Prima che ce ne rendessimo conto ci ritrovammo fuori la chiesa, l’autista aprì lo sportello per aiutarci a scendere.
«Vado ad avvertire che è tutto pronto» Tanya entrò per prima in chiesa lasciando Noemi e me che eravamo le damigelle ad aspettare la sposa .
Sentii la marcia nuziale partire e non potei fare a meno di emozionarmi e provare dei leggeri brividi sulla pelle.
Ero la prima ad entrare, con Noemi dietro di me ed infine Elisabeth.
Iniziai a percorrere la lunga navata, potevo sentire la morbidezza del tappeto bianco sotto le suole dei sandali, il profumo dei fiori che addobbavano le panche e l’altare aleggiava fresco nell’aria.
Vidi Thomas imbalsamato in una posa rigida, gli occhi di tutti gli invitati erano puntati sulla sposa tranne quelli di due persone.
Notai un ragazzone moro che mi guardava con una strana espressione sul volto, sembrava confuso e sorpreso allo stesso tempo, provai una strana sensazione di déjà vu ma proseguii la mia camminata.
Tra le file scorsi Jamie che mi sorrise, poi i miei occhi incontrarono quelli di Nathan.
Dalla sera dell’addio al nubilato non l’avevo più visto, Blake era naturalmente al suo fianco, indossava un abito color oro che dava risalto ai suoi capelli di fuoco, era a dir poco bellissima.
Lui mi guardò con occhi profondi da sotto le ciglia lunghe, indugiando su ogni centimetro del mio corpo,l’espressione corrucciata.
Continuai col mio incedere lento, nonostante il cuore minacciasse di scoppiare, distolsi lo sguardo e tornai a guardare fisso dinnanzi a me prima che rischiassi di perdere il controllo.
Quando finalmente arrivai all’altare mi spostai per prendere posto in prima fila accanto agli altri invitati, Noemi si sedette al lato opposto mentre Beth venne accolta da Tom che l’aspettava con un sorriso raggiante.
Il prete iniziò a pronunciare le parole di rito e quando arrivò il momento dello scambio delle promesse non potei fare a meno di commuovermi nel vedere il loro sogno d’amore che dopo anni finalmente si coronava.
Non appena gli sposi pronunciarono i loro “Sì” nella chiesa si sollevò un coro di giubilo e applausi, uscimmo tutti fuori per accogliere la nuova coppia col tradizionale lancio del riso.
«Penny?»
Mi voltai ritrovandomi faccia a faccia col ragazzo moro di prima, la sua espressione era estremamente divertita e quando mi sorrise fu come se una mano invisibile mi avesse preso di peso per trascinarmi indietro nel tempo.
«Nick?» domandai sconvolta.
«Allora ti ricordi» affermò soddisfatto «Che piacere» si avvicinò a cingermi in un abbraccio che ricambiai incerta, ancora stordita.
«Cavolo non posso crederci» aggiunse allontanandosi ma continuando a tenere le sue grandi mani sulle mie spalle «Chi l’avrebbe mai detto che al matrimonio di mio cugino avrei trovato una sorpresa del genere»
«Tom è tuo cugino?» chiesi sempre più sbigottita.
«Proprio così» asserì raggiante.
«Penny, scusami un attimo» disse Jamie sopraggiungendo alle mie spalle.
«Jamie» lo invitai ad avvicinarsi «Ti presento Nicholas, un mio amico della Newark High School»
“Beh amico non proprio, direi” mi rimbeccò mentalmente la mia coscienza.
«Molto piacere» disse stringendogli la mano con uno strano luccichio di malizia negli occhi che non potei fare a meno di notare «Senti Penny, Tanya e Marc ci aspettano in auto. Gli invitati sono già tutti diretti al ristorante»
«Vieni con me» s’intromise Nick prima che potessi rispondere «Sono in auto da solo» mi sorrise e Jamie mi guardò in attesa di una mia risposta.
«D’accordo. Andate pure, io verrò con Nick»
Il mio amico annuì e, dopo aver rivolto un cenno di saluto ad entrambi, andò via.
«Vieni, ho la macchina proprio qui dietro» disse Nick posando una mano sulla mia schiena per invitarmi a seguirlo.
Lo osservai in silenzio mentre mi apriva la portiera per farmi entrare nella sua auto costosa, prima di fare il giro per salire al lato del guidatore.
Fisicamente era sempre lo stesso, di corporatura massiccia e palestrato al punto giusto, il sorriso ammaliatore era esattamente come lo ricordavo, ma il Nicholas di un tempo non avrebbe aperto la portiera ad una ragazza mostrando tanta galanteria.
Entrambi allacciamo le cinture, poi ingranò la marcia e partì mentre continuavo ad osservarlo incredula.
«Cosa c’è?» chiese sorridendo ma senza staccare gli occhi dalla strada.
«Niente, è solo che…» scossi la testa e risi appena «Cosa fai adesso?»
«Sono contabile per un’impresa di import export. Vivo a New York, ho un appartamento tutto mio ed ho sempre l’hobby del football»
«Ma dai, non posso crederci. Anche io vivo nella grande mela»
«Sul serio?» chiese ancor più stupito, puntando per un attimo i suoi grandi occhi scuri nei miei.
«Soltanto da otto mesi. Lavoro per la Custom advertising service S.p.A»
Nick fece un fischio di apprezzamento «Sei sempre stata una tipa tosta» disse a mo’ di complimento probabilmente essendo a conoscenza del fatto che l’azienda per la quale lavoravo era una delle migliori nel mio settore.
«Già» mi limitai a dire.
Mi sembrava di vivere una situazione inverosimile, ritrovarmi in auto proprio con Nick, la persona che aveva fatto parte di un periodo della mia vita che adesso non mi apparteneva più.
Gli anni vissuti a Newark erano stati i più bui, dopo la fine della scuola mi ero lasciata volentieri alle spalle un’adolescenza vissuta tra un casino e un altro.
Arrivammo al ristorante e salutai Nick per accomodarmi al posto che mi era stato assegnato, mi ritrovai al tavolo con Tanya e Marc, Noemi, Jamie e, per chiudere in bellezza, Blake e Nathan.
«Ehi dov’eri finita?» chiese Tanya attirando l’attenzione di tutti su di me.
«Non crederai mai chi ho incontrato» dissi prendendo posto tra lei e Jamie.
«Prova a dirmelo» disse addentando uno stuzzichino.
«Nicholas McCarty»
Per poco non si strozzò e Marc la guardò incuriosito mentre vidi Nathan sgranare gli occhi e guardarmi fisso.
«Chi è questo Nick, una tua vecchia fiamma?» chiese Marc manifestando la sua gelosia.
«Oh no» fece Tanya alzando le mani «Mia non di certo»
Le lanciai un’occhiataccia per la poca delicatezza, Blake ignara di tutto intervenne «Oh, allora è una tua vecchia fiamma Penelope» sorrise divertita.
«Perché deve essere necessariamente la fiamma di qualcuno?» irruppe Nathan in un tono che lasciò tutti perplessi.
Jamie mi strinse la mano sotto il tavolo e cercò di portare l’attenzione su un altro argomento «Non trovate che la messa sia stata emozionante? Tom e Beth erano raggianti, voglio proprio vedere tra un paio d’anni se sarà ancora tutto così perfetto» rise nervosamente, ma fortunatamente sembrò far tornare un’atmosfera serena.
Iniziammo a parlare del più e del meno, Marc e Jamie non poterono fare a meno di intrattenerci con qualche loro simpatico sketch mentre le varie portate del menù ci venivano servite.
Evitai accuratamente di voltarmi verso Nathan e quelle poche volte che lo feci me ne pentii all’istante nel vedere Blake che lo stringeva a se o gli sussurrava qualcosa all’orecchio.
Per quanto cercasse di nasconderlo era impossibile non notare la freddezza dei suoi gesti e dei suoi sorrisi, proprio come per me era impossibile cercare di placare l’insistente bruciore che avvertivo alla bocca dello stomaco.
Ad un certo punto della serata arrivò il momento del ballo, gli sposi aprirono le danze mentre pian piano dal tavolo si alzarono le coppie, prima Marc e Tanya poi Blake e Nathan.
Continuai a parlare con Noemi cercando di ignorare tutto il resto, Jamie ci interruppe «Scusa Noemi, ti spiace se invito a ballare Penny?»
«Andate pure ragazzi, vado a salutare delle colleghe» si allontanò.
Jamie mi porse la mano che accettai con piacere, mi portò al centro della sala prima di cingermi la vita attirandomi stretto a se.
«Se non sapessi che preferisci gli uomini penserei che ci stai provando» portai le mani dietro il collo, stringendo forte il mio amico.
«Chi era quel figo che mi hai presentato prima?»
Già, chi era Penelope? Vallo a spiegare.
«Uno dei tanti che alle superiori mi scopavo senza pietà» dissi sincera e Jamie bloccò per un istante il suo volteggiare.
«Cavolo Penny, da quando usi questo vocabolario?»
Scossi la testa «Lascia perdere, se solo mi avessi conosciuta all’epoca non so cosa avresti pensato di me» ripresi a muovermi a ritmo del lento.
«Saresti sempre stata una persona straordinaria» asserì convinto.
Decisi di non protestare, poggiai la testa sulla sua spalla e non volendo vidi Blake e Nathan che ballavano stretti a pochi passi da noi. Mi irrigidii all’istante e Jamie si voltò per capire cosa avesse provocato questa mia reazione.
Prima che me ne rendessi conto Jamie annullò le distanze e si avvicinò a Nathan «Permetti che ti rubi la dama?» chiese con fare simpatico porgendo la mano a Blake che restava ignara di tutto.
Guardai sconvolta il mio amico ma era tardi per dire qualcosa. Nathan fece finta di niente e lasciò che Blake iniziasse a danzare con Jamie che – solo io sapevo che l’aveva fatto volutamente – la trascinò il più lontano possibile.
Feci per tornare a posto ma inaspettatamente Nathan mi prese la mano e mi cinse la vita «Dove vai?» chiese.
«Credevo…» mi zittii, sentivo il cuore rimbombare nelle fin orecchie «Lascia perdere» dissi lasciandomi trascinare sulle note di una dolce canzone.
Mi sentivo completamente rigida, a disagio a danzare tra le braccia dell’uomo che amavo ma sapevo non essere mio. Potevo sentire le sue mani sulla schiena, grandi e bollenti, nel modo in cui il suo corpo aderiva al mio ed in cui potevo sentire il suo respiro soffiare sul viso non c’era nulla lasciato al caso.
Sapevo che sarebbe stato giusto stare insieme, mi resi conto che sarebbe stato possibile se solo avessi risolto prima i miei problemi, se solo Nathan fosse arrivato in un altro periodo della mia vita.
“Sarebbe stato uguale, è grazie a lui se è cambiato qualcosa” Tuonò fastidioso in mio inconscio. Era così vero.
«Visto la vita cosa ti ha riservato?» irruppe di colpo, strappandomi ai miei pensieri.
Lo guardai interrogativa e lui proseguì «Dopo anni hai rincontrato Nick, pare che il destino voglia mandarti un messaggio»
Colsi una punta di gelosia nel suo modo di porsi e, nonostante fossi conscia di quanto fosse inutile e stupido da parte mia, nel profondo di me ne gioii.
«Nick fa parte di quel passato che ho cercato di cancellare con tanti sforzi, credi davvero ci ricadrei?» gli domandai.
«Beh, sembra cambiato» rifletté.
«Anche io lo sono» dissi convinta attirando la sua attenzione, lo sentii sciogliersi appena.
Finalmente abbassò lo sguardo verso di me, eravamo occhi negli occhi, cioccolato fuso e smeraldo brillante che si scontravano.
Gli sorrisi nonostante la tristezza ed il rimorso che sentivo dentro «Non ho mai voluto ferirti» dissi di slancio «Sei una delle poche persone per cui ho provato qualcosa di vero in tutta la mia vita, devi credermi»
Nonostante la commozione non persi il controllo, lui invece sembrava sul punto di una crisi di nervi.
«Ti credo» disse dopo un po’, la sua mano strinse più forte la mia in un gesto carico di comprensione.
Continuammo a volteggiare, l’uno tra le braccia dell’altro.
«Non volevo reagire così l’altra sera» sussurrò piano.
Deglutii e presi un profondo respiro, sembrava che l’aria mi mancasse, era tutto troppo straziante.
«Non ce l’ho con te Nathan» precisai «E’ vero, in questi mesi sono cambiata ma non in tutto. Ho cercato di migliorare, di togliermi dalla testa la malata concezione secondo la quale ero convinta di non poter dare o ricevere amore, ma resto pur sempre la ragazza forte e caparbia che hai conosciuto» dissi tenendo a bada il tremore della voce.
Le sue labbra si incurvarono ai lati, un sorriso più rassegnato che divertito «Non avevo dubbi» disse ed io sorrisi con gli occhi lucidi.
«Purtroppo è andata come è andata, non è colpa tua ma neppure mia. Non era certo mia intenzione arrivare a questo punto, è soltanto… successo» lui sospirò ed io continuai «Andremo avanti per la nostra strada, tanto… passerà, prima o poi, giusto?» cercai conferma, un cenno da parte sua, ma continuava a guardarmi con occhi sgranati mentre la nostra danza era diventata più un ondeggiare sul posto.
«Blake in fondo mi fa stare bene, io… voglio provarci» mise in chiaro le cose e nonostante me l’aspettassi non potei evitare che il mio cuore tornasse ad infrangersi.
«E’ giusto che sia così, non pretendo niente da te come non ho mai preteso nulla da nessun altro»
Lui annuì, poggiai la testa sulla sua spalla e mi lasciai sfuggire un gemito di dolore ma mi ricomposi prima che qualcuno intorno a noi potesse accorgersi di quel che stava accadendo.
Sapevo che era arrivato il momento, ci stavamo perdonando a vicenda per tutto quello che era successo, per le nostre colpe, prima di dirci definitivamente addio.
Con la mano mi sfiorò la guancia, poi scese col pollice sulle labbra dove indugiò giusto un millesimo di secondo «Spero di rivederti presto»
«Domani partirò» gli stinsi le mani dietro il collo e sfiorai le punte dei soffici capelli reprimendo l’impulso di stringerli tra le dita.
«Prenditi cura di te»
«Semmai non lo facessi ci sarà sempre Jamie ad occuparsene» cercai di stemperare il clima di tensione che aleggiava tra noi, gli sorrisi.
«Sii felice» dissi semplicemente, poi mi voltai per allontanarmi da lui lasciandolo da solo al centro della pista da ballo.
Sii felice, Nathan, anche se non sarà con me.

*** 

Finalmente è arrivato il tanto atteso giorno del matrimonio, Elisabeth e Thomas coronano il loro sogno d'amore mentre Penelope vede il suo sgretolarsi.
Nathan e Penny si sono chiariti del tutto, lei l'indomani partirà nuovamente per New York ed intanto il passato è tornato a bussare alla sua porta con Nick. Cosa ne pensate di tutto questo? Come credete si evolveranno le cose?
Spero di continuare a stupirvi e di non dare mai nulla per scontato. Vi abbraccio, Ice.

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Capitolo 30
*** Capitolo XXVIII ***


Buonasera a tutti, so che avete aspettato tanto per questo capitolo e anche se magari questa storia non avrà più il seguito di un tempo mi dico "meglio tardi che mai". Spero pian piano di portarla a termine, manca davvero poco. Buona lettura.

Capitolo XXVIII

Con uno strattone tirai la zip a chiudere la valigia stracolma, con un pugno ben assestato ultimai l’opera asciugandomi una goccia di sudore lungo la tempia.
«Fottuta valigia» commentai tra me.
«Ehi calmati tigre»
Sentii Jamie ridere di gusto, gli rivolsi uno sguardo truce «Attento, potrei azzannarti» lo minacciai.
Alzò le mani in segno di resa e sghignazzando prese la sua valigia perfetta e la mise in bella mostra sul letto, la aprì per riporre una maglia e la richiuse senza alcuno sforzo, quasi volesse prendersi gioco di me.
«Sei nervosa?» chiese.
«Si nota?» domandai retorica.
Lui fece spallucce ed io mi gettai sul letto ed espirai fino a raggrinzirmi come un palloncino sgonfio.
«Fa male andare via» col braccio mi coprii gli occhi certa che di li a poco mi sarei lasciata prendere da una crisi di nervi se non mi fossi controllata.
«Mesi fa non ti sei fatta tanti scrupoli» esordì Tanya entrando nella stanza, il tono a metà tra lo scherzo e la ripicca.
«Oh grazie per il sostegno» mi sollevai sui gomiti e la fissai.
Anche lei era visibilmente nervosa, sapevo che dopo anni passati praticamente sempre insieme le risultava difficile abituarsi alla mia assenza ma, in qualunque caso, le ero grata perché cercava di non farmelo pesare.
«Dai Penny, datti una mossa altrimenti perderai l’aereo»
«Vuoi liberarti di me, vero?» scherzai.
Mi sembrava così strano dover tornare a New York, a una vita che sentivo non appartenermi completamente. Il mio posto era a Los Angeles, tra il sole e le spiagge affollate, accanto ai miei amici e alle persone che amavo, eppure non potevo piangermi addosso tantomeno incolpare qualcuno all’infuori di me stessa.
Mi alzai dal letto e corsi ad abbracciare la mia amica, la sua risata gioiosa funse da balsamo per la mia anima rattristata.
«Dopotutto non è una tragedia abitare distanti, ci teniamo sempre in contatto» dissi per convincere più me stessa che lei.
«Esatto tesoro, quindi niente addii melodrammatici» rispose abbracciandomi a sua volta.
Tanya era il mio punto fermo, una presenza costante su cui poter contare, ed era così bello e rassicurante sapere che in ogni caso lei sarebbe stata sempre lì, per me.
Jamie si avvicinò e cinse entrambe tra le sue grandi braccia «Suvvia ragazze, niente malumori. Abbiamo trascorso dieci giorni meravigliosi»
Storsi la bocca alla parola “meravigliosi”.
Effettivamente avevamo trascorso delle belle giornate, eppure ogni mio giorno era stato accompagnato dall’angoscia della consapevolezza che sarebbe tutto finito, senza contare lo scontro che avevo avuto con Nathan che aveva contribuito a riaprire vecchie ferite.
Sicuramente le avrei definite delle giornate intense.
“Sì” asserii tra me “Intense è proprio la definizione adatta”
Mi tornarono alla mente gli occhi lucidi di Nathan, il modo in cui mi aveva accusata e urlato contro, quel bacio carico di angoscia e disperazione, al modo in cui mi aveva chiesto se l’amassi ancora e al calore delle sue mani che mi tenevano strette, possessive, durante il ballo.
Avevamo messo in chiaro la situazione, ci eravamo detti pacificamente addio ed ora il peso che mi aveva oppresso il petto per mesi era scivolato via lasciando soltanto un incolmabile senso di vuoto.
«Beh credo sia proprio arrivato il momento di andare» dissi sciogliendomi dall’abbraccio, presi il mio trolley e la giacca «Verrete a trovarci presto?» chiesi a Tanya «Non facciamo passare altri otto mesi, per favore»
Lei mi sorrise radiosa e mi spostò una ciocca di capelli dalla fronte «Tranquilla, non appena Marc avrà qualche giorno di ferie saremo da voi» fece un occhiolino alla volta di Jamie, irrimediabilmente pazzo del ragazzo della mia amica.
«Ci contiamo» rispose lui radioso.
Le diedi un ultimo bacio poi uscimmo di casa dove un taxi era già ad aspettarci.
Arrivammo in aeroporto con un’abbondante ora di anticipo, effettuammo con calma il check in e quando avemmo finito ci accomodammo ai gates in attesa di poterci imbarcare.
Per ingannare l’attesa iniziai a trafficare col cellulare, controllai alcune mail, passai in rassegna le canzoni che avevo nella play list e ne ascoltai qualcuna, poi presi a rispondere a dei messaggi.
«Con chi parli?» domandò Jamie.
«Con Nick, rientrerà a New York tra qualche giorno e vuole vedermi»
«Bene. Lo incontrerai?»
«Beh… magari come amico» feci spallucce, incerta.
Non sapevo fino a che punto avessi piacere a frequentarlo, per quanto potesse essere cambiato continuava a ricordarmi il periodo più oscuro della mia adolescenza, quando vivevo nel caos più totale.
Lui annuì poco convinto, poi tornò all’attacco «Cosa ti sei detta ieri con Nate?»
Mi voltai a guardarlo, non volevo toccare quell’argomento, ma a che pro ignorare la realtà dei fatti?
«Nulla di particolare, ci siamo semplicemente… salutati»
Lo vidi mordersi le labbra, perplesso, quasi mi parve di sentire gli ingranaggi del suo cervellino girare vorticosamente prima di parlare.
«Perdonami se te lo dico, ma sembrava vi mangiaste con gli occhi. Per un istante ho temuto che se vi avessi perso un attimo di vista vi avrei trovati fusi l’uno nell’altra, non sai che fatica ho dovuto fare per distrarre Blake» sollevò gli occhi al cielo e gettò il suo ciuffo biondo all’indietro, enfatizzando il racconto.
Gli sorrisi mesta ed ignorai la commozione suscitata dalle sue parole. Un conto era provare un’emozione talmente forte da toglierti il respiro, un altro era sapere che i tuoi sentimenti erano così grandi da risultare evidenti a chiunque ti stesse intorno.
Nonostante non avessimo avuto il nostro lieto fine ero davvero contenta di aver incontrato Nathan e di aver provato determinate sensazioni con lui; grazie a lui avevo capito cosa significasse amare un uomo con corpo ed anima, con la sua dolcezza aveva sciolto il gelo intorno al mio cuore, mi aveva fatto capire che non dovevo temere di provare dei sentimenti o di fidarmi di qualcuno, era grazie al suo amore che potevo dirmi finalmente libera e pronta ad affrontare la vita serenamente.
«Adesso cosa farai?»
«Adesso…» mi strinsi nelle spalle, non avevo ancora realmente pensato al futuro.
“Forse non vuoi pensare ad un futuro senza Nathan al tuo fianco” mi rimbeccò la mia coscienza, la zittii all’istante.
«Non lo so, sinceramente. Credo di avere ancora tanto da lavorare su me stessa» asserii convinta.
«C’è tempo Penny. Io mi auguro che adesso inizierai a goderti la vita come una ragazza della tua età, con una leggerezza di spirito che non hai mai avuto prima» mi prese la mano «Ti sei fatta sempre mille problemi, ti sei posta un miliardo di freni» storse la bocca a questa affermazione «Non parlo del piano sessuale» rise di gusto e lo feci anch’io «Adesso è arrivato il momento che tu sia più spensierata»
Quanta verità c’era in queste parole.
«Sono d’accordo. Mi chiedo a cosa serva pagare Darla se ci sei tu che sai analizzarmi così bene» gli feci un occhiolino, mi sorrise complice.
Adesso potevo dire di essere più in pace con me stessa, fare terapia con Darla mi aveva aperto gli occhi facendomi vedere le cose da una prospettiva totalmente diversa.
Stavo cercando di riallacciare un rapporto con mia madre, iniziavo a comprendere le ragioni delle sue scelte, ed ora che la rabbia nei suoi confronti era sparita tutto iniziava ad apparire più semplice.
Non mi restava che superare la delusione per il rapporto con Nathan, era una nuova sfida che la vita mi aveva mandato e sicuramente non mi sarei arresa o lasciata sopraffare dalle emozioni.
Avevo imparato a saper disinnescare i miei malumori e, per quanto provassi a convincermi del contrario, sapevo che tutto questo lo dovevo a Nathan e questa consapevolezza conferiva a tutto un gusto un po’ più amaro.

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