La parola di un cavaliere

di Vanessa1995
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ambizioni e gelosie ***
Capitolo 2: *** Approdo del Re ***
Capitolo 3: *** Domande ***
Capitolo 4: *** Grande Inverno 1 parte ***



Capitolo 1
*** Ambizioni e gelosie ***


N.A. Non sono ancora del tutto convinta del titolo che ho dato alla ff. L'intro invece mi convince decisamente di più. In ogni caso ho preferito restare sul vago su quanto è passato dalla nascita dei gemelli al Sacco di Approdo del Re. Elia Martell nella mia ff muore per cause naturali, ma sconosciute e questo negli anni ha provocato dubbi e sospetti in Oberyn e Doran Martell. Dopo queste poche righe vi lascio alla lettura del capitolo. Buona lettura e fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto.

Il cielo era nuvoloso sopra a Castel Granito. Era ormai l’ora di cena, Tywin Lannister mangiava quasi sempre alla stessa ora assieme ai suoi nipoti, i figli illegittimi di suo figlio maggiore Ser Jaime Lannister.
Il Lord di Castel Granito era seduto come di consueto a capotavola; i suoi occhi verdi smeraldo caderò su sua nipote: Joanna non assomigliava per niente alla defunta moglie di Tywin dalla quale aveva preso il nome; aveva infatti lunghi capelli neri, ricci che le arrivavano fino alla vita e pelle olivastra. Jaime diceva che assomigliava alla madre, una donna di origini dorniane. Lord Tywin non aveva mai fatto tante domande sulla madre dei nipoti gemelli, gli importava ben poco di lei.
«Lord Tywin» la voce di suo nipote Damon, gemello di Joanna, lo distolse dai suoi pensieri facendolo voltare verso di lui. Assomigliava parecchio alla sorella, era la sua esatta versione al maschile, proprio come Jaime assomigliava a Cersei. Damon aveva gli stessi capelli neri della sorella sebbene molto più corti, gli stessi occhi scuri e penetranti e la pelle olivastra. Il Leone era dispiaciuto dal fatto che nessuno dei suoi nipoti più grandi assomigliasse a lui o a qualche altro membro della sua famiglia.
«Damon?» disse fissando interrogativo il ragazzo.
« Sei riuscito a convincere il re a legittimarci?» chiese impaziente, quello della legittimazione era un argomento che lo toccava in modo particolare. Suo nipote non aveva mai accettato la sua condizione di bastardo, al contrario della sorella alla quale la cosa non pareva toccare più di tanto. Joanna li fissava in silenzio; si portò lentamente il cucchiaio alla bocca assaporando la zuppa che gli era stata servita . La stanza in cui pranzavano era di modeste dimensioni nonostante la tavola fosse riccamente imbandita; erano presenti solo alcuni servitori, pronti ad esaudire ogni loro desiderio; se ne stavano in disparte con la schiena volta al muro e le mani giunte all’altezza dello stomaco.
«Non ho nessuna novità in merito, ma ti basti sapere che sto facendo pressione su Robert affinché tu e tua sorella diventiate dei Lannister a tutti gli effetti» affermò tranquillamente. Non lo avrebbe mai dato a vedere ma la cosa premeva particolarmente anche a lui: Jaime si era unito anni addietro alla Guardia Reale e credeva che sarebbe rimasto fedele al suo giuramento di non avere figli finché, giunto alla Sala del Trono, poco dopo aver preso Approdo del Re, non lo aveva trovato con in braccio i gemelli. Jaime gli aveva raccontato che erano il frutto di una relazione con una dama di origini dorniane e che quando la donna era rimasta incinta egli aveva nascosto di essere il padre del bambino che doveva nascere, per timore che re Aerys potesse fare del male ai bambini o alla madre. Suo padre gli aveva creduto, e perché non avrebbe dovuto farlo? Quale motivo avrebbe avuto mai di mentirgli?
«Non smetteremo mai di essere dei bastardi» commentò impassibile Joanna. Damon le lanciò un’occhiataccia, chiaramente infastidito da quello che la sorella aveva detto.
«Fammi il piacere di tacere Joanna» esclamò astioso. Lei non rispose e abbassò gli occhi concentrandosi sul liquido caldo nel suo piatto. Joanna e Damon non avevano mai condiviso un bel rapporto: Damon sfogava la sua frustrazione sulla gemella incolpandola per qualunque cosa, anche per il maltempo. Tywin Lannister non aveva mai tollerato quel comportamento da parte del nipote, poteva tollerare uno schiaffo dato alla sorella se lei lo meritava, ma spesso la ragazza non faceva nulla per attirare su di sé l'ira del gemello; bastava una parola detta al momento sbagliato per scatenare l'ira di Damon. Tywin faticava a contenere il nipote e spesso si chiedeva cosa avesse fatto di male per meritarsi nipoti come lui e come Joffrey.
«Ho finito di mangiare posso andare?» disse pochi minuti dopo Joanna.
Suo nonno la congedò con un gesto della mano, la bruna spostò la sedia all’indietro e si drizzò in piedi, si diresse verso la porta infondo alla stanza ed uscì.
«Mia sorella è una vera stupida, non sa mai quando è il caso di tacere» commentò Damon scuotendo la testa con aria contrariata. Si portò alle labbra il proprio calice pieno di vino e ne beve un sorso. Se doveva essere del tutto sincero il leone non pensava che Joanna fosse una stupida, era una ragazza dotata di intelligenza oltre che di bellezza, a volte riteneva che fosse solo troppo buona. La nipote era solita recarsi una volta alla settimana dai bambini dell’orfanotrofio della città per portare loro avanzi dei banchetti o qualcosa con cui giocare. Adorava quei piccoli pieni di pulci figli di chissà chi.
«Può darsi» rispose Tywin bevendo a sua volta un sorso di vino. La verità era che secondo lui Joanna era semplicemente realista: anche se fossero stati legittimati, cosa che il vecchio leone si augurava avvenisse presto, per la gente sarebbero sempre rimasti dei bastardi. Difficilmente avrebbero dimenticato le loro origini.
Finito di cenare, Tywin si diresse verso la sua stanza, era stata una dura giornata nella quale aveva ricevuto un’inimmaginabile numero di persone che sembravano avere bisogno del suo aiuto. Aveva un gran sonno, ma non sarebbe potuto andare subito a letto poiché prima doveva scrivere alcune lettere. Si fermò quando arrivò davanti alla stanza di sua nipote. Fissò a lungo la porta chiusa, indeciso se bussare o continuare il suo tragitto verso la sua camera da letto. A quell’ora il corridoio era immerso nell’oscurità e le torce attaccate ai muri facevano poco per illuminarlo con le loro fiamme. Bussò alla porta colpendola una volta sola con la mano chiusa a pungo. Sentì dei passi e poi l’uscio si aprì mostrando sua nipote con indossò una vestaglia di colore bianco: i capelli sciolti le ricadevano lungo la schiena e una folta ciocca bruna le ricadeva sul petto.
«Stavi dormendo?» chiese calmo. Joanna scosse la testa sistemandosi la ciocca dietro l’orecchio per poi farsi da parte per lasciarlo passare. Tywin varcò la soglia della stanza al cui interno si trovava un letto a baldacchino con tende e coperte color rosso cremisi, il colore della loro Casa. La leonessa dai capelli scuri adorava quel colore. Ai piedi del letto c’era un grosso baule con incisa sul coperchio una grossa J e poggiato contro una delle pareti un tavolo con quattro sedie. Un armadio a due ante ed una toeletta completavano l’arredo della stanza mentre una porta e una finestra davano su un piccolo balcone fiorito.
«Credo che sia ancora presto per andare a dormire» rispose lei sedendosi su una delle sedie del tavolo. Tywin annuì, la ragazza non aveva tutti i torti; si sedette di fronte a lei e posò le mani sulle gambe.
«Tuo fratello ha un pessimo carattere» notò. Lei scrollò le spalle.
«Ci sono abituata» rispose, «Damon mi da la colpa per tutto quello che succede o che non gli piace. Se Re Robert non dovesse legittimarci mi darebbe la colpa anche di questo» aggiunse.
«Questo non accadrà, ormai la vostra legittimazione è cosa fatta» affermò Tywin. Si chiedeva soltanto cosa aspettasse Robert per ufficializzare la cosa; quando tutto sarebbe stato sistemato, quando Damon e Joanna sarebbero stati legittimati, Castel Granito avrebbe avuto finalmente un erede: un DEGNO erede e non un nano deforme come suo figlio minore Tyrion.
«Io desidero soltanto andarmene il più lontano possibile da mio fratello» disse Joanna. Il Lord di Castel Granito non rispose; sapeva bene che sua nipote si era invaghita di Loras Tyrell dopo averlo incontrato circa un anno fa durante una loro visita ad Approdo del Re. Lo aveva visto giostrare durante un torneo e n’era rimasta folgorata; Ser Loras era un giovane affascinante che piaceva a diverse nobili e avrebbe potuto rivelarsi un buon partito per la ragazza. Quando sarebbe diventata una Lannister, magari avrebbe scritto ai Tyrell per vedere che cosa ne pensavano di quella possibile unione.

Il giorno dopo

Il giorno seguente ad Approdo del Re, il cielo era sereno sopra alla capitale e la moglie del re, la regina Cersei, era seduta allo scrittoio nella sua stanza, intenta a scrivere una lettera per suo padre. Lord Tywin ci teneva ad essere regolarmente informato su cosa accadeva nella capitale dei Sette Regni e la figlia e il master Pycelle, che in realtà era fedele ai Lannister e non al re che aveva giurato di servire, lo tenevano periodicamente aggiornato. Cersei stava finendo la lettera parlando di Myrcella. Lord Tywin teneva molto ad essere informato sugli eredi della corona. Qualcuno ad un tratto bussò alla porta e la bionda parlò senza distogliere gli occhi dalla pergamena sul quale stava scrivendo.
«Avanti» disse. La porta si aprì e il suo fratello gemello entrò nella stanza con indossò l'armatura lucida e il mantello bianco immacolato della Guardia Reale. Legata alla cintura portava la sua fedele spada.
«Stai scrivendo una lettera indirizzata a nostro padre?» chiese sedendosi sul bordo del letto. Cersei annuì; indossava un magnifico abito di seta dorata quel giorno.
«Si, lo sai che vuole essere regolarmente informato su quello che succede a corte» rispose continuando a scrivere. Jaime si drizzò in piedi per avvicinarsi alla sorella e poggiarle le mani sulle spalle iniziando a massaggiargliele piano; ma per quanto piacevole, quel massaggio non riuscì a distogliere l'attenzione di Cersei da quello che stava scrivendo, «e dimmi, hai ricevuto qualche lettera di recente da nostro padre? Come stanno i tuoi figli?» chiese freddamente firmando la lettera per poi arrotolarla.
Jaime levò le mani dalle sue spalle.
«Stanno bene. Ieri ho ricevuto una lettera di Joanna» rispose dirigendosi verso il letto e sedendosi nuovamente su di esso. Cersei non l’aveva mai perdonato per il suo tradimento: era andato a letto con un’altra donna che gli aveva dato due gemelli; quando le si presentò la possibilità di sposare Robert accettò anche perché spinta dallo scopo di vendicarsi del gemello. Il giorno del matrimonio, nel Grande Settembre, Robert l’era parso un bell’uomo, alto e muscoloso e si era perfino illusa che con il passare del tempo avrebbe potuto incominciare a provare qualcosa per lui, il suo sogno era stato però di breve durata: durante il banchetto Robert bevve molto e quando giunse il momento di consumare il matrimonio era completamente ubriaco. La cosa peggiore fu che, al culmine dell’amplesso, Cersei si sentì sussurrare all’orecchio il nome di Lyanna Stark, la donna per il quale il suo sposo si era ribellato ai Targaryen. Lei era viva e vegeta, calda e nonostante questo lui pensava ad un cadavere, freddo, tumulato lontano, all’interno delle cripte del Nord.
«E cosa vi ha scritto la vostra adorata Piccola perla?» chiese freddamente drizzandosi in piedi, con la punta delle dita che andarono a sfiorare lo schienale della sedia. Piccola perla era il soprannome che Jaime aveva dato a Joanna. Suo fratello amava i suoi piccoli bastardi, ed era stato uno shock per lei venire a conoscenza della loro esistenza. Jaime aveva nascosto a tutti, lei compresa, che una dama di origini dorniane della corte reale al tempo di Re Aerys II era incinta del suo bastardo, anzi dei suoi bastardi. La madre dei gemelli, Aliandra, l’aveva incontrata una sola volta; era cugina della principessa Elia ed erano piuttosto simili nell’aspetto. Aliandra era la figlia di una nobile dorniana dai particolari occhi viola, e anche se non aveva ereditato la particolarità delle iridi, a parere della leonessa non era lontanamente bella come Elia o come lei. La mente di Cersei tornò indietro nel tempo a diversi anni prima.

Inizio Flashback

La Sala del Trono era piena di persone. Re Aerys II Targaryen aveva indetto un banchetto per festeggiare la nascita del principe Aegon: Il primogenito del principe Rhaegar e della principessa Elia e se le voci sulle condizioni di salute della principessa erano vere, probabilmente sarebbe stato il loro ultimo figlio.
Lord Tywin e i suoi figli avevano avuto l’onore di essere invitati a prendere parte ai festeggiamenti per la nascita dei principe. Jaime era in piedi accanto a Cersei che quel giorno indossava un magnifico abito di seta color rosso cremisi con un’ampia scollatura: il corpetto che le stringeva la vita, le alzava il seno mettendolo ancora più in evidenzia attraverso lo scollo.
«La principessa Elia pare che non stia bene e non prenderà parte ai festeggiamenti» affermò suo padre, la sua voce appena un sussurro per non far trapelare nulla di quello di cui stavano discutendo.
«Il principe Rhaegar non avrebbe dovuto sposare una donna di salute così cagionevole» rispose freddamente Cersei. Suo padre le lanciò un’occhiataccia. L’era stata presentata l’opportunità di sposare Rhaegar, ma alla fine il principe aveva fatto ricadere la sua scelta su Elia anche se, a causa della sua salute cagionevole, iniziarono presto a girare voci che la principessa diventasse più debole ad ogni parto e che un’altra gravidanza avrebbe potuto esserle fatale; in molti la ritenevano indegna di aver sposato il futuro re dei Sette Regni, prima fra tutti la leonessa, convinta che lei sarebbe stata una moglie migliore per il drago e non avrebbe avuto nessuna difficoltà a dargli molti altri figli.
I festeggiamenti per la nascita del principe Aegon promettevano di durare per diverse ore quel giorno. Cersei non era particolarmente di buon umore; si stava annoiando e la giornata era destinata a peggiorare quando, ad un certo punto, vide suo fratello conversare con una nobile dai lunghi capelli neri e ricci. La leonessa era in piedi accanto ad una colonna della sala e Jaime al centro della stanza, ma con pochi passi la donna li raggiunse.
«Jaime»disse contrariata. La dama si voltò verso di lei e gli occhi verde smeraldo di Cersei incontrarono quelli neri della principessa Aliandra Martell, cugina di Elia. La fanciulla assomigliava alla cugina, aveva i suoi stessi capelli e occhi scuri e condividevano la stessa pelle olivastra, nella mano destra stringeva un calice d’argento.
«Lady Cersei. Vostro fratello mi ha parlato di voi: mi aveva detto che eravate molto bella, ma devo ammettere che la sua descrizione non vi rende giustizia» esclamò sorridendo. Cersei avrebbe voluto staccarle la testa dal collo e spegnere nell’immediato quel sorriso irritante; era consapevole di aver appena ricevuto un complimento o almeno quello che pareva tale. Sapeva che Aliandra era una giovane gentile e dal carattere simile a quello di Elia, sembrava infatti che le due cugine non si assomigliassero solo nell’aspetto.
«Grazie» disse con lo stesso tono freddo che aveva usato in precedenza. La bruna non sembrò turbata dal suo atteggiamento scostante.

Fine Flashback

Se qualcuno avesse detto a Cersei che un giorno Aliandra sarebbe diventata la madre dei gemelli bastardi di Jaime, probabilmente in quel frangente non si sarebbe trattenuta dallo staccarle la testa dal collo, era stata una fortuna per Aliandra non sopravvivere al Sacco di Approdo del Re, perché altrimenti sarebbe morta per mano sua, uccisa da lei, con le sue stesse mani. Quella piccola sgualdrina dorniana… Suo fratello era arrivato troppo tardi per salvarla, ma purtroppo il suo assassino non aveva finito il lavoro e i gemelli erano ancora vivi. Pare che la donna si fosse chiusa a chiave in una stanza vicino a quella dei figli della cugina: la povera stupida pensava che una porta chiusa a chiave avrebbe potuto fermare Gregor Clegane. L’idiota l’aveva scambiata per Elia, ignaro che la principessa fosse morta poco tempo prima. Ancora oggi, dopo tutti quei anni, si ignoravano le esatte cause della sua morte. Soltanto quando Jaime era arrivato, aveva potuto spiegare alla Montagna il suo errore. Gregor non si era pentito per aver ucciso la donna e del resto sarebbe stato strano il contrario.
«Il re mi ha chiesto di dirti che più tardi vorrebbe pranzare con te» affermò Jaime distogliendola dai suoi pensieri, dirigendosi verso la porta. Mangiare con suo marito era l'ultima cosa che voleva, desiderava passare meno tempo possibile con lui e il solo pensiero di stare nella stessa stanza in sua compagnia la disgustava.
«Porta questa lettera Pycelle e digli di spedirla a nostro padre» disse prendendo la lettera che aveva lasciato sullo scrittoio porgendola al gemello.
«Ci penso io. A più tardi cara sorella» disse andandosene e lasciandola sola. La bionda si voltò verso la finestra guardando le montagne in lontananza. Pensò all’amante del fratello e per un istante nel cielo le parve di vedere il suo volto. Sbatté le palpebre e il viso scomparve, diede le spalle alla finestra: non avrebbe permesso al fantasma di una sgualdrina di tormentarla per il resto della sua vita.
La regina Cersei più tardi si recò dal marito per pranzare in sua compagnia. Scoprì che suo fratello era uno degli uomini a guardia della camera da letto, pronto ad intervenire se avessero avuto l'impressione che il sovrano fosse stato in pericolo. Entrò nella stanza di suo marito senza salutare le guardie e senza preoccuparsi di bussare. Robert e seduto alla tavola imbandita con in mano un calice sicuramente colmo di vino.
«Marito» disse accomodandosi alla sua destra. Avrebbe preferito di gran lunga mangiare da sola piuttosto che in sua compagnia.
«Moglie, hai dormito bene?» chiese. Questo interesse nei suoi confronti la sorprese: praticamente se ne fregava di lei, era come se non contasse niente per lui e si ricordava di avere una moglie solo quando voleva rivendicare i suoi diritti coniugali.
«Bene, grazie e tu?» sicuramente aveva dormito in compagnia di qualche prostituta. Un servo del quale non si era resa conto della presenza si avvicinò e le riempì il calice di vino rosso. «Grazie» disse con disinteresse. L'uomo in silenzio si allontanò.
«Sarai felice di sapere che presto ho intenzione di legittimare i figli di tuo fratello: Joanna e Damon» annunciò il sovrano. Per poco il vino non le andò di traverso; sapeva che c'era il rischio che lo facesse, ma sperava fervidamente che ciò non accadesse mai. A quanto pare suo padre alla fine era riuscito a convincerlo. La prospettiva che Damon diventasse il Lord di Castel Granito dopo la morte di suo padre le faceva venire il volta stomaco, quel bastardo non era degno di essere chiamato lord come sua sorella non lo era di essere chiamata lady. Bevve un lungo sorso di vino; una parte di lei era fortemente tentata di imprecare ad alta voce contro suo marito, ma lo avrebbe fatto solo dopo, nella sua camera: non intendeva dare la soddisfazione a Robert di farla arrabbiare.
Qualche minuto dopo quando tornò nelle sue stanze, sbatté la porta con forza: era furiosa con suo marito, Lord Tywin, Jaime e Aliandra. Si avvicinò al tavolo e gettò a terra i calici e la brocca che trovò su di esso; Il vino contenuto nella brocca si rovesciò malamente sul pavimento.
«Maledetta Aliandra che tua sia maledetta! Tutto questo è colpa tua!» imprecò contro la madre dei gemelli, colei che aveva sedotto suo fratello anni addietro. La odiava tuttora dopo tutto quel tempo, riteneva fosse lei la vera responsabile di tutto questo non Jaime.

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Capitolo 2
*** Approdo del Re ***


Il sole era sorto da poche ore a illuminare Castel Granito, ma la luce che flirtrava nella camera da letto non sembrava minimamente infastidire la ragazzina coricata sulle lenzuola. Joanna Waters si mosse sotto alle coperte cambiando posizione mettendosi in posizione rannicchiata rivolta verso la finestra della sua camera che dava sul vasto parco del castello.

«Joanna è ora di svegliarsi» la chiamò una voce femminile. Una donna di trent'anni aprì la porta senza attendere una risposta. La Septa teneva i capelli e il capo coperti da un velo di colore grigio chiaro. La donna sorrise alla vista di Joanna che continuava a dormire serena come se niente fosse. Chiuse la porta e si sedette sul letto. Allungò una mano verso il suo viso e le accarezzò i lunghi riccioli scuri. «Joanna, lo sai che tuo nonno vuole che ti svegli alla stessa ora di
tuo fratello» aggiunse. La ragazzina aprì gli occhi e sbatté le palpebre. Si tirò su stiracchiandosi.
«Buongiorno, Davina» la salutò allungando le braccia esili. Sapeva che suo nonno si sarebbe arrabbiato se avesse scoperto che aveva dormito più di suo fratello. Perché fosse importante che si svegliasse alla stessa ora di Damon era un mistero per la bruna. Non aveva la sensazione che suo nonno ci tenesse particolarmente a lei se l’avesse fatto avrebbe dato una bella lezione ha suo fratello facendogli passare la voglia di picchiarla spesso senza motivo.

«Vi consiglio di vestirvi e in fretta. Vostro nonno e vostro fratello vi stanno aspettando per la colazione» annunciò la Septa aprendo l'armadio di legno scuro a due ante, tirandone fuori un vestito di colore verde chiaro che si abbinava perfettamente ai suoi occhi. Lo posò sul letto e poi uscì dalla stanza senza dire altro. Joanna tirò un sospiro e si alzò. Allungò le braccia per stiracchiarsi ancora e con la punta delle dita della mano sfiorò la seta del abito. Si tolse la camicia da notte bianca che indossava. Questa cadde sul pavimento in un cumulo di stoffa. La raccolse e indossò il vestito che aveva scelto per lei la Septa. Le piaceva, aveva fatto lei stessa i piccoli ricami con filo blu sotto e sopra alla gonna  oltre che infondo alle maniche, era brava a ricamare. Non aveva chissà quale talento, ma se la cavava, forse perfino meglio di sua cugina Myrcella. A parte che era da tempo che non la vedeva ed era possibile che fosse migliorata nel ricamo. Indossò il vestito e poi si sedette alla toeletta per spazzolarsi i lunghi riccioli scuri. Pochi minuti dopo si ritrovò a bussare alla porta del solare di suo nonno. Non c'era nessuno a parte lei nel corridoio, era probabile che a quest'ora tutti stessero facendo colazione o si stessero preparando per la giornata che li aspettava; era possibile che i servi fossero già al lavoro intenti a pulire il castello da cima affondo. 

«Avanti» disse Tywin dal dentro la stanza. Suo nonno e suo fratello erano seduti al tavolo apparecchiato. Suo nonno stava sorseggiando da un calice probabilmente acqua: non beveva mai vino al mattino al contrario di suo figlio Tyrion. Damon era seduto alla sua destra al suo solito
posto. La bruna si avvicinò al tavolo e si accomodò sulla sedia a sinistra del leone e davanti al fratello in corrispondenza del terzo piatto, posate e calice che un servo aveva messo sul mobile quando aveva apparecchiata per tre. Al centro c'era un cesto pieno di frutta con vicino tre brocche. Un servo si mise alle spalle di Joanna e ne prese una rovesciandovi il contenuto che si rivelò essere acqua, per poi riposarlo al suo posto. Joanna prese il calice e ne bevete un sorso. «Ti stavamo aspettando per fare colazione che fine avevi fatto? Mi auguro tu non abbia dormito troppo» notò con tono severo l’uomo più anziano. «Sono rimasta addormentata e mi ha svegliato Davina» rispose lei tranquillamente. Non le importava se si sarebbe arrabbiato. Tywin la fissò per qualche secondo in silenzio senza dire una parola. «Per favore portami del té» disse lei rivolgendosi al servo che le aveva servito l’acqua. L’uomo fece un cenno di assenso con la testa. C’erano altri due servi nella stanza che restavano in disparte pronti ad assecondare ogni loro bisogno. Restavano in piedi vicino al muro, apparivano impassibili quasi come fossero statue di pietra. «Più tardi hai lezione con la tua Septa, cerca di non arrivare in ritardo anche lì» si raccomandò Tywin. Joanna si limitò a fare un cenno di assenso con il capo e prese una mela dall’interno del cestino per tagliarsene uno spicchio e portarselo alle labbra.

Suo fratello si sarebbe allenato nell’uso della spada. Normalmente lui passava le sue giornate con il suo addestratore e lei con Davina: in ogni modo era ben felice di stargli lontano per qualche ora. Suo nonno si sarebbe occupato come di consueto dell’amministrazione del castello. Prevedeva che quella sarebbe stata una classica giornata a Castel Granito. 

-***-

Ad Approdo del Re, nella torre riservata ai membri della Guardia Reale, Jaime Lannister era seduto al suo scrittoio intento al redigere una lettera al padre nella quale gli comunicava che il re desiderava che lui e i suoi nipoti si recassero nella capitale.

Gli mancavano i suoi ragazzi; Cersei non l’aveva mai perdonato sul serio per il suo tradimento, e se avesse abbandonato i bambini, se ad esempio li avesse mandati a Lancia del Sole dai loro cugini, adesso la sua vita sarebbe sicuramente stata molto più tranquilla: sua sorella non avrebbe saputo di Aliandra e non lo avrebbe mai odiato, tuttavia in cuor suo sapeva che non avrebbe potuto mai fare una scelta del genere. Non che avesse fosse stato così differenza alla fine, visto che Cersei aveva fatto in modo di tenerli lontano da lui, facendoli vivere a Castel Granito con la scusa che un membro della Guardia Reale non avrebbe dovuto avere figli.

Qualcuno bussò alla porta e il biondo sollevò la testa dalla pergamena sulla quale stava scrivendo, posando la piuma sul tavolo al lato del foglio. «Avanti» disse.

La porta si aprì e Maester Pycelle entrò nella stanza. Il vecchio e grosso maester era fedele ai Lannister invece che al re. Per anni aveva coperto la relazione di Jaime e Cersei e che il gemello della regina era il vero padre dei tre figli della consorte del re. Se si fosse scoperta la verità erano spacciati. Questa volta Jaime dubitava che se la sarebbe cavata dopo che aveva ammazzato Aerys. «Il re mi ha chiesto di mandare una lettera a Castel Granito. Vuole che i vostri figli vengano ad Approdo del Re. Penso che la legittimazione sia vicina» spiegò. Jaime si drizzò in piedi dalla sedia. Non era stupito, sapeva che da tempo suo padre premeva sul sovrano affinché legittimasse i suoi figli. Damon sarebbe diventato il prossimo Lord di Castel Granito e Joanna avrebbe sposato qualche lord. Se suo padre voleva scegliere uno sposo o una sposa per uno dei suoi figli prima avrebbe dovuto fare i conti con lui. Non avrebbe permesso a Tywin di dare Jo ad un uomo di buona famiglia, ma abbastanza vecchio per essere suo padre o peggio suo nonno. «Bene. Damon ne sarà contento» disse. A Jo non era mai importato più di tanto del nome Lannister ma al contrario aveva l’impressione che ha suo figlio desse particolarmente fastidio. 

«Non voglio sembrare scortese, ma è passato un mese dall’ultima volta che mi avete dato i miei soldi» disse il Maester con un tono che non gli piacque per niente. Jaime aprì l’armadio si chinò sul fondo e sollevò la lunga tavola di legno che lo componeva, dal sottofondo dell’armadio prese un sacchetto di cuoio. Si sentì un tintinnio di monete. Aprì il sacchetto e tirò fuori alcune monete che diede al Maester. «è sempre un piacere fare affari con voi Ser Jaime» disse l’altro contando le monete. Una parte del leone moriva dalla voglia di strangolare quell’avvoltoio che da anni lo ricattava. «Andatevene!» tuonò aprendogli la porta. L’uomo non se lo fece ripetere due volte e lasciò la stanza. Jaime sbatté la porta e si passò una mano tra i capelli dando le spalle alla porta. Incominciava ad essere stufo di Pycelle, doveva trovare un modo per sbarazzarsi di lui, però ma suo padre ne aveva bisogno, era la sua spia all’interno della Fortezza Rossa. Jaime si risedette al suo scrittoio e finì la lettera che stava scrivendo. Tra qualche giorno i suoi figli sarebbero tornai nel luogo dov’erano nati. 

 

-***-

 

Qualche giorno dopo, i due ragazzi erano ognuno in groppa ad un cavallo. Damon cavalcava davanti alla sorella uno stallone dal manto nero e dal carattere irruento come quello del suo padrone. Melody, la giumenta che aveva in groppa Joanna, era un regalo di suo padre per il suo decimo compleanno. Aveva un manto bianco candido come la neve e una lunga criniera dello stesso colore tutta intrecciata, le cui piccole trecce erano legate da nastri dorati; era stata lei stessa a fargliele, adorava intrecciarle la criniera. I gemelli stavano cavalcando lungo la strada principale di Approdo del Re che conduceva fino al castello. C’erano diverse persone che camminavano lungo la via alcuni si fermavano a guardarli. Dietro di loro c’era una piccola carrozza trainata da un cavallo che portava i loro bagagli e Davina.

«Presto raggiungeremo la Fortezza Rossa. Per favore sorella cerca di non farmi vergognare ed evita di parlare» esclamò il giovane lanciando un’occhiata alla sorella per poi concentrarsi nuovamente sulla strada. La giovane non rispose capendo che era preferibile tenere la bocca chiusa. «Così mi piaci: silenziosa» aggiunse Damon. A quanto pare aveva fatto la scelta giusta decidendo di tenere la bocca chiusa. Cavalcarono fino alla Fortezza Rossa. Davanti al portone trovarono ad aspettarli Jaime che non era solo, con lui c’era pure Lord Tyrion, era da tempo che i gemelli non vedevano lo zio come del resto il padre. Tyrion aveva avuto la sfortuna di nascere nano e il padre l’aveva sempre screditato, non riconoscendogli la sua grande intelligenza.

C’è l’aveva con lui per essere nato affetto da nanismo e per aver “ucciso” la madre venendo al mondo: Lady Joanna Lannister, prima e unica moglie di Tywin dalla quale la nipote prendeva il nome.

«Benvenuti» disse Jaime facendo alcuni passi verso di loro. Indossava l’armatura della Guardia Reale con il suo bianco mantello. Allungò una mano verso la figlia e l’aiutò ha scendere da cavallo. L’adolescente sorrise e lo abbracciò: «Mi sei mancato molto» disse, rompendo l’abbraccio sorridente. Il padre le prese il viso tra le mani sfiorandole la fronte in un tenero bacio per poi stringerle le spalle. 

«Anche tu mi sei mancata Jo» disse, utilizzando il nomignolo che Myrcella le aveva dato anni prima. Sentendosi chiamare così Joanna pensò subito alla cugina: «Come stanno la principessa Myrcella, il principe Tommen e il principe Joffrey?» chiese. L’erano mancati i due cuginetti più piccoli, ma Joffrey per niente, era una persona dal carattere troppo simile a quello di suo fratello per i suoi gusti. Il lato positivo era che, almeno per quanto ne sapeva lei, non picchiava i fratelli minori senza motivo.

«Stanno bene. Anche Cersei» rispose. Non sembrava infastidito dal fatto che non avesse chiesto di sua zia, probabilmente se lo aspettava. Cersei odiava Joanna e Damon e la ragazza non ne aveva mai compreso la ragione, era come se la loro nascita la infastidisse e la bruna pensava che potesse dipendere dal fatto che erano illegittimi e quindi che la loro nascita aveva provocato la vergogna della loro famiglia.

Jaime salutò il suo gemello, Davina scese dalla carrozza e piccola perla si avvicinò a suo zio Tyrion che era rimasto in disparte.

«Zio come stai?» si erano scritti qualche volta e le era mancato, con tutti i suoi difetti. Lord Tyrion amava troppo il vino per i gusti della leonessa, tuttavia era un uomo di straordinaria intelligenza, sebbene Lord Tywin non voleva riconoscerlo. Quando la gente lo guardava riusciva a pensare solo che era un nano, esattamente come quando il loro sguardo si posava su Damon e su di lei: il popolino riusciva solo a pensare che erano bastardi.

«Bene. Mia cara sei più bella ogni anno che passi e dimmi come sta mio padre, Lord Tywin?».

Nonostante la domanda, Joanna aveva la netta impressione che gli importasse poco del padre e che quella, facesse solo parte dei convenevoli dettati dalla buona educazione.

«Sta bene, è molto impegnato a Castel Granito e ha preferito mandare solo me, Damon e Davina» rispose. Suo zio non appariva per niente dispiaciuto all’idea di non vedere il padre, anzi osava perfino dire che ne fosse sollevato.

«Amministrare un castello comporta una miriade di responsabilità. C’è sempre da fare» esclamò il nano per poi rivolgersi a Damon che nel frattempo si era avvicinato a loro: «Nipote come stai. Hai fatto un buon viaggio?» chiese.

«Non è stato male zio» aveva sottolineato l’ultima parola. Damon non manifestava apertamente il suo disprezzo nei confronti di Tyrion al contrario di Joffrey, tuttavia era chiaro che lo disprezzasse altrettanto quanto il cugino e questo non era un mistero per nessuno soprattutto non per il Folletto e la nipote.

«Sono contento che avete fatto un buon viaggio, immagino che sarete stanchi» notò. Soltanto adesso che l’aveva detto Joanna si rese conto di quanto fossero effettivamente veritiere le sue parole, non vedeva l’ora di riposarsi un po’ nella sua nuova camera.

«Tyrion ha ragione avete bisogno di riposarvi e di fare un bel bagno dopo il lungo viaggio che avete dovuto affrontare per venire fin qua» intervenne Jaime. La figlia non si era accorta che gli avesse raggiunti. Insieme a lui c’era Davina che appariva seria e silenziosa, mentre alcuni servi stavano provvedendo a scaricare i loro bagagli. «Vi accompagnerò nelle vostre stanze e poi vi manderò qualcuno che vi aiuti a sistemarvi» propose.

Jo, alla quale la proposta sembrava un’ottima idea, fece un cenno di assenso con la testa. Jaime li accompagnò fino all’ala della Fortezza Rossa destinata agli ospiti, per il momento li avrebbero sistemanti lì a quanto pare. Per prima cosa accompagnò Joanna nella sua camera da letto: la stanza era più o meno delle stesse dimensioni della sua a Castel Granito ed anche se  non c’era nessuna porta che dava sul balcone, alla bruna non sembrò importare. Gli occhi scuri della giovane caderò sulle colonne del letto a baldacchino e avanzando verso di esso, la punta delle dita andò inconsciamente a sfiorarne una. Le coperte e le tende erano di colore rosso come quelle che aveva a casa.

«Questa sarà la tua stanza finché resterai qui» la informò Jaime.

La giovane non rispose e si guardò attorno.

I mobili erano simili a quelli che aveva a casa, mancava solo il baule con inciso sul coperchio l’iniziale del suo nome. Al momento la ragazza indossava degli abiti da uomo: aveva scelto di indossare quelli per essere più comoda quando cavalcava;  la camicia l’aveva infilata nei pantaloni che erano legati da una cintura e ai piedi portava degli alti stivali di cuoio, i lunghi capelli scuri erano legati in un treccia.

«è carina» commentò lei sinceramente colpita; non le dispiaceva davvero in effetti. 

Il biondo fece un cenno di assenso con il capo e aprì la porta: «Vado ad occuparmi di tuo fratello. Appena possibile ti mando una serva che ti aiuti a sistemarti» disse lasciando la stanza chiudendo la porta dietro di se.

Non passò tanto tempo da sola che qualche minuto dopo qualcuno bussò alla porta. Joanna l’aprì. A bussare era stata una donna di mezza età con indossò un abito di colore grigio chiaro che presentava una grossa toppa sulla gonna. Portava i capelli grigi raccolti dietro alla testa.

«Sono Aretha, vostro padre mi ha chiesto di prendervi cura di voi»Jo la lasciò passare e la donna varcò la soglia della porta piazzandosi al centro della stanza. Non fece in tempo a chiudere la porta che un servo arrivò con il suo baule. Gli disse di metterlo ai piedi del letto e l’uomo ubbidì. Una volta eseguito l’ordine si voltò e se ne andò.

«Per favore potresti procurarmi una tinozza e dell’acqua calda per il bagno?» chiese aprendo il baule e tirando fuori un cofanetto. Lo posò sulla toeletta: lo specchio sopra al mobile era appoggiato contro la parete ed era più grosso rispetto a quello che aveva a casa. Si levò gli orecchini d’oro che indossava e li mise insieme agli altri gioielli.

«Vi procurerò subito l’acqua e una vasca dove potrete fare il bagno» disse la serva apprestandosi ad uscire dalla camera.

«Ah, Aretha Procurati anche qualche olio profumato» non aveva alcuna intenzione di mantere addosso l’odore del viaggio e dei cavalli che sembrava attaccarsi così strenuamente alla sua pelle. L’altra annuì ed uscì dalla stanza.

Rimasta sola la leonessa incominciò a sistemare la sua roba all’interno dell’armadio, era più grosso rispetto a quello al quale era abituata e quando ebbe finito di sistemare i suoi vestiti era rimasto un discreto spazio. La cameriera tornò presto con una tinozza che si apprestò a riempire di acqua calda al quale aggiunse l’olio profumato che odorava di rose che Jo aveva scelto.. Quando la vasca fu pronta, la bruna le si avvicinò e si slegò la treccia per poi immergersi nell’acqua fumante.

«Grazie, puoi andare» disse. Aretha aprì la porta e se ne andò lasciandola finalmente sola al suo bagno ristoratore. Piccola perla tirò un profondo sospiro e si sedette sul fondo della tinozza. Doveva tenere le gambe piegate per poterci stare: appoggiò la schiena contro la parte alle sue spalle, chiuse gli occhi e infilò la testa sott’acqua sfregandosi i capelli in modo da poterli lavare meglio. Ne avevano proprio bisogno come il resto del suo corpo.

Tirò fuori la testa dall’acqua e la poggiò contro il bordo cercando di rilassarsi. Lentamente, complice la stanchezza per il viaggio, si assopì. Il suo sonnellino durò circa mezz’ora quando venne destata da un bussare alla porta. L’acqua della vasca ormai era tiepida. Si stiracchiò sollevando le braccia sentendosi stranamente più stanca di prima.

Si sollevò dalla tinozza ed uscì, avvolgendosi attorno al corpo un panno lungo e bianco che aveva recuperato da una sedia sicuramente lasciato da Aretha per potersi asciugare non appena avesse finito.

«Chi è?» domandò indossando un abito di colore blu che aveva trovato disteso sul letto.
«Tuo fratello!» Jo sussultò nel sentire quella voce che le provocò nell’immediato una morsa allo stomaco.

Velocemente allacciò i lacci del vestito, posò il panno sul letto e aprì la porta. Damon non sembrava di buon umore. Le diede una piccola spinta colpendola allo stomaco per spostarla da davanti alla porta. Jo chiuse la porta: come al solito suo fratello era stato fin troppo gentile.
«Cosa vuoi?» chiese freddamente, dimenticandosi che parlargli in quei termini sarebbe stata una pessima idea. Damon infatti le rispose con un’occhiata fulminante, tant’è che Jo avrebbe voluto ritirare ciò che aveva detto, ma non fece in tempo ad aprire bocca per tentare di scusarsi che Damon la aggredì verbalmente.

«Come osi parlarmi con questo tono?» chiese infastidito. Stava incominciando ad innervosirsi ed erano bastate poche parole dette nel modo sbagliato. 

Jo, seppur intimidita non riteneva di essere stata tanto maleducata, ma quando Damon fece un passo verso di lei, istintivamente indietreggiò, arrivando inavvertitamente a trovarsi spalle alla porta. Si spostò di lato e indietreggiò di nuovo volendo mettere più distanza possibile tra lei e suo fratello: col passare del tempo aveva imparato ha riconoscere quando stava per arrivare una delle sue sfuriate.

«Mi dispiace» disse sinceramente mortificata anche se in realtà le dispiaceva più per se stessa in quanto sapeva cosa le sue parole o le sue azioni potevano comportare.

Suo nonno per quanto severo non l’aveva mai picchiata. L’aveva sgridata, rinchiusa nella sua stanza per punizione, però non ricordava una sola volta che avesse alzato le mani.

«Quante volte ti ho detto che devi portarmi rispetto? è  forse rivolgendoti a me con quel tono che pensi di portarmi rispetto?» chiese avanzando pericolosamente verso di lei.

Joanna si trattenne dal dirgli che non le sembrava di avergli mancato di rispetto, ma invece cercò di andargli incontro quietando la sua animosità: «Damon, mi dispiace ti prometto che non lo farò più» disse sollevando le mani come se questo avesse in qualche modo potuto fermarlo.

Il suo gemello sollevò la mano destra e la ragazza sentì riempirsi gli occhi di lacrime: «Damon, ti prego non era mia intenzione te lo giuro» supplicò. Le lacrime minacciavano di sfuggire al suo controllo Jo, d’un tratto intrecciò le dita delle mani come se fosse in preghiera.

«Incomincio ad essere stufo di tutte le promesse che non riesci a mantenere. Si impara dai propri errori» le disse afferrandole il polso destro, stringendoglielo con una tale forza che Joanna già immaginava il segno che  sarebbe rimasto sulla sua pelle. Damon la tirò verso di se: «Devi imparare sorellina che le promesse si mantengono altrimenti si viene puniti! » le disse mentre già aveva una vaga idea su come intendeva punirla. Le lasciò il polso solo per tirarle uno schiaffo. Jo se lo aspettava e non era sorpresa.«Sei una stupida! Non sei capace di imparare dai tuoi errori» imprecò luoi furioso. Joanna indietreggiò, aspettandosi l’arrivo di un altro schiaffo, ma la porta della camera si aprì di colpo. I gemelli si voltarono verso di essa.

Un uomo all’incirca della loro stessa età era in piedi sulla soglia della porta. Aveva i capelli color biondo scuro, mossi che gli arrivavano quasi fino alle spalle: «Scusate, ho sentito urlare» disse.

I suoi occhi caderò su Joanna. Lei si strinse la parte superiore delle braccia con le mani, consapevole che doveva sembrare provata ed era possibile che la sua guancia fosse rossa per via dello schiaffo che aveva appena ricevuto.

«Non penso siano affari vostri…» lo accolse infastidito Damon che guardò interrogativo il nuovo arrivato, il quale aveva probabilmente salvato la sorella dal ricevere un secondo schiaffo.

«Ser Loras Tyrell» si presentò. In quel momento alla ragazza sembrava l’uomo più bello del mondo e si sentiva un po’ come una di quelle dame in pericolo delle canzoni che veniva salvata da un cavaliere e Loras era un cavaliere a tutti gli effetti. Joanna aveva sentito parlare di lui, era al servizio di Lord Renly Baratheon, il fratello minore del re.

«Felice di avere fatto la vostra conoscenza, ma ora, se non vi dispiace, avrei necessità di riprendere in mano la con mia sorella» disse freddamente Damon. Loras aprì la bocca come per ribattere, ma venne preceduto da una persona la cui voce Jo conosceva bene.

«Quale discussione?» chiese Jaime apparendo accanto a Loras. Teneva le braccia intrecciate: «Damon vieni con me »il suo tono non ammetteva repliche. Senza fiatare il leone dai capelli scuri seguì il padre fuori dalla camera.

Loras rimase da solo insieme a Joanna: «Grazie. Mio fratello non ha un bel carattere» disse lei sistemandosi una ciocca dietro all’orecchio. Le veniva istintivo giustificarlo.

«So che siete arrivati oggi dopo un lungo viaggio da Castel Granito immagino che sia stanco» ipotizzò Ser Loras. Lei annuì in conferma.

«Mi auguro che nei prossimi giorni si dimostri una persona più tranquilla. Buona giornata… Joanna, giusto?» continuò incerto.

«Si, Joanna. Siamo i figli illegittimi di Jaime Lannister» confermò.

La gente li guardava perennemente dall’alto in basso per via delle loro origini. Nessuno l’aveva mai trattata come una signora con lo stesso rispetto che si rivolgeva alle persone di alto lignaggio,  e in fin dei conti lei non poteva ritenersi tale, era solo la figlia bastarda di un cavaliere. «Buona giornata» le augurò Loras prima di andarsene come gli altri due. 

Joanna ebbe d’un tratto la disarmante sensazione che avrebbe potuto benissimo perdere la testa per lui e come darle torto? Loras era talmente affascinante e l’aveva salvata dalla furia di un leone arrabbiato. Inaspettatamente si rese conto che non l’aveva neanche ringraziato e corse fuori dalla stanza sperando di trovarlo ancora nel corridoio.

Loras aveva fatto pochi passi.

«Grazie, per prima» esclamò la ragazza. 

Il cavaliere si voltò verso di lei: «Dovere mia Signora, spero piuttosto che in futuro non ci sia più bisogno del mio intervento» rispose.

In quell’istante comparve Lord Renly che quando li vide accelerò il passo fermandosi vicino al cavaliere.
«Va tutto bene?» non stava chiedendo a lei bensì al Tyrell.

«Sì, Joanna, la figlia di Ser Jaime ha avuto una discussione con il fratello e io sono intervenuto» spiegò.

Renly somigliava a suo fratello da giovane, o almeno così girava voce, era di bell’aspetto con i capelli scuri e gli occhi azzurri come quelli del Re. Si diceva che pure Robert un tempo era stato magro e forte come il fratello, mentre adesso era ridotto ad una palla di lardo perennemente ubriaca.

«Oh, voi dovete essere Joanna Waters, la figlia di Jaime Lannister» disse, «Non assomigliate affatto ha vostro padre» aggiunse poi.

Non era il primo che glie lo diceva. Strano che nessuno fino a quel momento non avesse insinuato che lei e Damon non fossero davvero figli di Jaime, o forse l’avevano fatto e lei semplicemente non lo sapeva.

«Io e mio fratello abbiamo preso da nostra madre», rispose ripetendo quello che suo padre diceva in continuazione. Lei e Damon avevano l’aspetto tipico dei dorniani: capelli, occhi scuri e pelle olivastra. Alcuni che le avevano conosciute, dicevano che assomigliavano entrambi alla madre e alla principessa Elia Martell, cugina di Aliandra. In particolare Jo, sembrava assomigliasse ad Elia, anche se perfortuna, non aveva la sua stessa salute cagionevole.

Le sarebbe piaciuto visitare Dorne, peccato che suo padre non sembrava intenzionato a darle il permesso e del resto i principi di Lancia del Sole, che in teoria erano suoi cugini, non le avevano mai scritto in  tutti quegli anni. 

«Si, ho sentito parlare di Aliandra »rispose Renly.

Il tono della sua voce era gentile, le sembrava un tipo apposto.

Poi il fratello del Re si rivolse a Loras: «Andiamo?» chiese.

Il cavaliere annuì; «Spero ti troverai bene qui Joanna» disse rivolgendosi alla bruna che si limitò a fare un cenno di assenso con la testa.

I due uomini si allontanarono.

Poco dopo la leonessa bussava alla porta della camera di una persona che era sicura fosse contenta di vederla. La porta si aprì e le labbra della giovane si curvarono in un sorriso alla vista di Myrcella. La bambina socchiuse le labbra sorpresa di vederla poi sorrise cingendole le braccia attorno al corpo e poggiandole la testa contro la pancia: «Joanna!» disse rompendo l’abbraccio.

La prese per mano e la condusse dentro alla stanza.

L’arredamento era lo stesso di quando c’era stata l’ultima volta. La principessa la condusse fino al letto dove si sedettero e Jo le diede una carezza alla guancia: era cresciuta dall’ultima volta che l’aveva vista, era bella come sua madre ed era uguale a lei. Gli stessi lunghi capelli dorati e gli stessi occhi verdi. Indossava un vestito di colore rosa.

«Mi sei mancata molto. Come stai?» domandò.

La bambina scrollò le spalle, sembrava di buon umore quel giorno: «Sto bene. Stiamo tutti bene. La mia Septa dice che diventò sempre più brava a ricamare e che sono una bambina molto ben educata» affermò e l’altra le accarezzò nuovamente la guancia; da lei non si aspettava niente di diverso. Myrcella era una bambina dolce e buona, le ricordava lei alla sua età.

Non aveva avuto un’infanzia spensierata come quella della cugina principalmente per via del fatto che aveva un fratello pazzo e irascibile che usava ogni scusa per tirarle uno schiaffo o un pugno. Sapeva bene che pure Joffrey aveva un brutto carattere e non riusciva a capire chi dei due fosse peggio.

«Oggi pomeriggio vuoi venire a fare un giro dei giardini insieme a me? Vorrei mostrarti il roseto» propose.

Jo annuì, era difficile dirle di no, le diede una carezza ai capelli chiari e morbidi, le era mancato il suo dolce profumo e non vedeva l’ora di passare più tempo possibile con lei.

Myrcella le sorrise dandole un altro abbraccio caloroso.


-***-

Quel pomeriggio, poco dopo che Myrcella aveva finito la sua lezione con la sua Septa, le due cugine si incontrarono in giardino. Quando Joanna arrivò la bionda era seduta su una delle panchine e con le mani  ne stringeva il bordo. Jo si sedette accanto a lei: «Com’è andata la lezione di ricamo?» chiese; che avessero ricamato era soltanto un ipotesi, in realtà avrebbero potuto avere fatto qualunque altra cosa.

«Veramente abbiamo bevuto tè e ripassato come ci si comporta a tavola» rispose, 

«Alla prossima lezione parteciperai anche tu? Ho chiesto alla mia Septa e per lei va bene» propose. 

Joanna aveva già la sua Septa Davina, sebbene le avesse insegnato più che altro l’indispensabile dato che era una bastarda. «Parteciperò volentieri» accettò. Per lei sarebbe stato un’onore ed era una buona occasione per passare più tempo con sua cugina. Le prese la mano destra stringendogliela piano e si sollevarono dalla panchina nello stesso momento. Le cinse le spalle con un braccio e si incamminarono verso il roseto che era poco distante. Camminarono per pochi metri, Myrcella sapeva bene quanto la cugina adorava le rose, erano il suo fiore preferito e non importava di che colore fossero, a lei piacevano tutte, sebbene avesse una predilezioni per quelle gialle. Il roseto non era cambiato dall’ultima volta che Joanna c’era stata, le piante erano poste a cerchio e al centro c’era una piccola fontana con una statua che raffigurava una bella fanciulla che teneva a braccetto un cestino pieno di rose, dalla cui rosa più grande fuoriusciva l’acqua. Chiunque avesse realizzato quella statua aveva di certo creato un capolavoro. 

«Tieni». Intenta a fissare i tratti delicati del viso della statua e a chiedersi se lo scultore si fosse ispirata ad una donna in particolare, Jo non si era accorta che la principessa si era avvicina ad una delle prime piante di rose cogliendone un fiore. Gli occhi scuri della bruna caderò sul bocciolo bianco che Myrcella le porgeva. Lo prese ammirandolo in tutta la sua semplice bellezza: «Grazie»disse. 

Le piacevano le cose semplici, con la punta del dito indice della mano destra, sfiorò un petalo del bocciolo chiedendosi se e quando sarebbe sbocciato; era curiosa di vederne l’ìnterno.

Raccolse a sua volta una rosa per la bambina di colore giallo e gli è la porse.

Al contrario della sua, questa era già sbocciata.

A Myrcella non piacevano le rose quanto a lei, però poco importava.

Ammirarono il resto dei fiori che erano almeno un centinaio tra sbocciati o no.

Joanna avrebbe presto imparato che la sua “cara” zia Cersei non tollerava il fatto che passasse tanto tempo con uno qualsiasi dei suoi figli.

Dopo tutti quei anni non era ancora riuscita ha comprendere per quale ragione sembrava

odiare tanto lei e suo fratello.

Cosa mai potevano averle fatto?



 

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Capitolo 3
*** Domande ***


Un pianto disperato, era questo il solo suono che Jaime Lannister riusciva ad udire nel corridoio, mentre attorno a lui succedeva il finimondo. Correva a perdifiato più veloce che poteva, con i vestiti sporchi del sangue di Aerys: in quel momento non gli importava.
Gli occhi del cavaliere si riempirono d’orrore quando vide la porta della stanza alla quale era diretto socchiusa.
« No! » un gemito disperato gli sfuggì dalle labbra. Se possibile incominciò a correre più veloce. Arrivato davanti alla porta rimase pietrificato, non avendo il coraggio di aprirla del tutto.
Tirò un sospiro per farsi coraggio e spinse.
Li vide subito: Rhaenys era distesa ai piedi di letto immersa in una pozza di sangue tanto ampia da mutare il colore degli abiti che indossava, pregni di rosso-amaranto.
Suo fratello, il principe Aegon, era per terra, ai piedi del muro. Si avvicinò lentamente al neonato e scoprì con orrore, che qualcuno gli aveva spaccato la testa contro quello stesso muro: il piccolo viso era irriconoscibile. Rimase alcuni secondi dentro alla stanza poi udì un urlo di donna:« Aliandra… » la sua era una supposizione; la donna avrebbe dovuto essere lì ha prendersi cura dei bambini, può darsi fosse in un’altra stanza, forse con...« I gemelli » si precipitò fuori dalla camera da letto alla velocità della luce. Il pianto si faceva sempre più vicino mentre si avvicinava.
Gli bastarono pochi passi per arrivare alla stanza dalla quale proveniva il pianto. Quando aprì la porta gli si parò davanti uno spettacolo spaventoso come il precedenteAliandra distesa sul pavimento svenuta o… morta e Gregor Clegane con una spada in mano che guardava dentro alla culla al centro della stanza, esattamente davanti al letto.
« Allontanati da quella culla » esclamò Jaime.
La Montagna si voltò verso di lui, sorpreso di vederlo lì, lo si capiva dall’espressione sul suo volto: « Questi neonati mi stanno facendo venire il mal di testa, è da prima che uccidessi i principi che piangono » comentò adirato.
A Jaime non piacque il tono della sua voce: Gregor era un uomo dal pessimo carattere , bastava poco per fargli perdere la testa.
Due neonati spaventati che piangevano assieme a lui, nella stessa stanza,  non erano una bella combinazione.
« Non li toccare » intimò facendo alcuni passi verso la culla.
Gregor indietreggiò senza dire una parola, sembrava confuso.
Senza pensarci troppo,  Jaime allungo le braccia nella culla e prese i piccoli stringendoli al petto. Avvertì una strana sensazione a quel gesto, non sembravano avere nessuna intenzione di smettere di piangere, ma non gli importò: « Non toccare i miei figli »asserì senza pensare.
Gregor non replicò, probabilmente perchè troppo sorpreso, mentre Jaime lasciò la stanza.
Camminò lungo i corridoi del castello diretto verso la Sala del Trono, cercando di decidere cosa fare. Si sentiva confuso, suo padre avrebbe potuto pure ammazzarlo quando l’avesse scoperto, per non parlare di Cersei.
Non si rese conto di essere arrivato nella Sala del Trono finché non vide il Trono di Spade.
Il famoso trono che secondo la leggenda,  Aegon I il Conquistatore aveva realizzato usando le spade dei nemici sconfitti in battaglia. Il corpo di Aerys era lì sul pavimento in una pozza di sangue. Non si era mosso di un centimetro. Jaime aveva ucciso il re che aveva giurato di proteggere, ma cosa avrebbe potuto fare? Minacciava di uccidere chissà quante persone innocenti.
Si sedette sul trono con i bambini in braccio continuando a cullarli nel tentativo di farli smettere di piangere. Il trono era tanto scomodo da poter fargli giurare di non essersi mai seduto su qualcosa di altrettanto fastidioso. Quando la porta infondo alla sala si aprì, finalmente i gemelli avevano smesso di piangere. Ned Stark era in piedi sulla soglia della stanza, il Lord di Grande Inverno, circondato dai suoi fedeli uomini.

Jaime Lannister si svegliò nel suo letto col viso tutto sudato. Si passò una mano tra i capelli: aveva perso il conto delle volte che aveva fatto quel sogno. Tutte le volte rimaneva sconvolto. A volte si modificava: in alcuni casi, quando raggiungeva Aliandra, lei era ancora viva è in un impetto di follia la vedeva uccidere i gemelli oppure lo faceva Aerys.
Scese dal letto mezzo nudo, con solo i pantaloncini che fungevano da biancheria intima.
« Maledetti incubi. Maledetti ricordi » disse esasperato dirigendosi verso il tavolo.
Prese la brocca piena di vino e versò il contenuto in un calice, che svuotò in un solo sorso portandoselo alle labbra. Aveva un gran bisogno di bere dopo quel sogno.
Si avvicinò alla finestra fissando il cielo scuro: non c’erano stelle quella notte e dal punto in cui si trovava lui non si riusciva a vedere la luna.
Sarebbe mai riuscito ha dimenticare? Sarebbe mai riuscito ha scordare quello che aveva fatto? Avrebbe mai potuto salvare i principini? Se non avesse ucciso Aerys forse sarebbe riuscito ad arrivare prima di Gregor, e darsi che forse sarebbe riuscito ad impedirgli di ammazzare due creature innocenti.
« Perdonatemi » disse con gli occhi che fissavano il cielo nero. Non sapeva a chi stesse riferendo quella sua supplica, forse ad Elia, Rhaegar o Aliandra.
Aveva promesso a tutti e tre di difendere i bambini e aveva fallito.
L’unica cosa che poteva fare era prendersi cura dei gemelli.
Aveva permesso a Cersei di tenerli lontano da lui, la vendetta di lei per averla tradita. Maester Pycelle lo ricattava da anni e lui doveva pagare per proteggere Damon e Joanna. Quando Eddard gli aveva chiesto come si chiamavano gli aveva risposto senza riflettere. Ritornò al tavolo e si verso dell’altro vino.
Finito il secondo calice sentì l’impellente bisogno di vedere una persona. Normalmente quando si sentiva in quel modo sarebbe andato da Cersei, ma era un’altra persona di cui sentiva la necessità.
Si recò nell’ala della Fortezza Rossa destinati agli ospiti e andò dritto verso la camera di sua figlia. Entrò senza bussare per paura di svegliarla.
Lei dormiva serena al centro del letto, rannicchiata con una mano infilata sotto il cuscino.
Si sedette in fondo al letto. Grazie alla candela che aveva portato con se era in grado di vedere i lineamenti delicati del suo viso.

La mattina seguente quando si svegliò, Joanna fu sorpresa nel trovare suo padre addormentato accanto a lei nel letto. Le sue labbra si erano curvate in un tenero sorriso alla vista del viso addormentato del padre. Lo aveva svegliato accarezzandogli una guancia.
« Uhm » gemette Jaime aprendo gli occhi.
« Salve » lo salutò lei.
Lo Sterminatore di Re si sedette, non si era infilato sotto le coperte.
Una parte di Joanna era sorpresa di non essersi accorta di lui.
« Sono venuto per guardarti dormire e poi devo essermi addormentato a mia volta» disse lui passandosi una mano tra i capelli chiari mentre si apprestò a scendere dal letto.
Gli era grata per essersi tolto gli stivali prima di coricarsi,  non le andava che si sporcassero quelle splendide coperte.
« Oggi pomeriggio ho intenzione di andare a cavallo. Ti piacerebbe venire con me? » propose la ragazza: le piaceva andare a cavallo, dopo pranzo e normalmente andava da sola senza qualcuno che l'accompagnasse, tuttavia credeva che avrebbe potuto fare un’eccezione quel giorno e non sarebbe stata una cattiva idea passare del tempo con suo padre.
« Mi dispiace, ma devo stare di guardia davanti alla stanza del re »rispose il padre dispiaciuto. Negli ultimi giorni che aveva passato ad Approdo del Re, aveva imparato a conoscere Robert: un ubriacone che tradiva in continuazione sua zia e ha suo padre a volte toccava addirittura stare nel corridoio a sentire il cognato che… godeva delle compagnia di una o più prostitute. Si era domandata se pure suo padre si recasse al bordello come Tyrion e se poteva avere altri fratelli o sorelle. Non osava fare quella domanda ad alta voce.
Jaime le prese il viso tra le mani e le sfiorò la fronte con le labbra per poi andarsene lasciandola da sola.

-***-

Dopo pranzo Joanna Waters si recò nelle stalle del castello, era quasi arrivata alle scale quando vide il Primo Cavaliere del Re: Jon Arryn, un uomo gentile, avanti con gli anni la cui moglie, Lady Lysa Tully era riuscita a dargli un solo figlio e per giunta cagionevole di salute, il solo ad essere sopravvissuto a diversi bambini nati morti o morti ancora prima di nascere.
I coniugi Arryn erano stati alquanto sfortunati, ma forse un giorno avrebbero avuto un altro figlio o figlia.
« Joanna » si era dimostrato tanto gentile con lei da quando era arrivata: la trattava come qualsiasi nobile dama, nonostante le sue origini. Gli piaceva Lord Arryn era un uomo rispettoso e intelligente.
« Buongiorno, come state Lord Arryn? » chiese gentilmente lei.
L'uomo scrollò le spalle in risposta.
Non sapeva quanti anni avesse, ma a giudicare dall'aspetto doveva avere più o meno l'età di suo nonno. Sapeva che aveva allevato il re e Lord Stark nella Valle anni addietro e che si era preso cura di loro insegnandoli i valori del cavalierato, anche se, a giudicare dal comportamento di suo zio che beveva di continuo, giaceva con anche tre donne contemporaneamente, avendo chissà quanti figli sparsi per il regno, forse con lui aveva miseramente fallito.
« Joanna, mi togliete una curiosità? » Era una delle poche persone a darle del "voi", in pochi lo facevano e di solito erano servi, gli unici ai quali forse poteva considerarsi superiore.
« Chiedete pure » rispose.
L'uomo fece un passo verso di lei avvicinandosi ulteriormente: « Vostra madre, la principessa Aliandra Martell era uguale a voi? Nell’aspetto intendo? » non si aspettava una simile domanda da parte sua e rimase un attimo in silenzio, sorpresa che tra le tante cose che poteva chiedergli aveva scelto proprio quella.
« Non so. Io non l'ho conosciuta, ma mio padre mi dice sempre che aveva i capelli neri, ricci, gli occhi scuri e la pelle olivastra come me e mio fratello » rispose incerta.
Raramente aveva parlato di sua madre con suo padre. Sapeva che Gregor Clegane l’aveva uccisa per errore durante il Sacco di Approdo del Re, giustificandosi nell’averla confusa con la principessa Elia alla quale sua madre assomigliava particolarmente, come del resto Joanna e Damon. Joanna riteneva che neanche l’omicidio di Elia sarebbe stato giustificabile. Nel corso degli anni si era accorta che spesso Clegane la guardava, sebbene non comprendesse la ragione di quegli sguardi; dubitava che si sentisse in colpa per aver ucciso sua madre.
« Andate pure, non voglio rubarvi altro tempo » la congedò e lei prese a scendere le scale un gradino alla volta, con la mano posata sul corrimano, non potendo evitare di chiedersi cosa avesse spinto Jon a farle quella domanda.
Arrivata in fondo alle scale ormai non ci pensava più ed uscì dal castello. Una volta all'aria aperta chiuse gli occhi, quando sentì la calda luce del sole illuminare il volto; rimase pochi secondi con gli occhi chiusi, godendo del calore del sole per poi riprendere il suo camminò verso le stalle.
Tutti i cavalli erano all'interno, ognuno dentro al suo box e la dodicenne con passo spedito si avvicinò a quello che ospitava la sua cavalla, Melody.
« Ti va di andare a fare una cavalcata? » chiese.
La giumenta fece un cenno con la testa che la bambina prese come affermazione; aprì il box e la fece uscire prodigandole una carezza al collo.
« Joanna, vai a fare una cavalcata? » la ragazza sorrise in direzione di suo zio Tyrion, che le si era parato davanti: non lo aveva sentito arrivare, ma non si era spaventata.
« Si, vuoi venire con me zio? » propose lei lasciando Melody alle cura di uno stalliere che si era avvicinato. Il ragazzo di circa sedici anni doveva aver intuito le sue intenzioni e del resto tutti sapevano che aveva l'abitudine di andare a cavalcare; quando il tempo era bello era un'assidua cavalcatrice e sua zia l'aveva criticata per questo, avvertendola del fatto che, se non avesse fatto attenzione, avrebbe rischiato di perdere la verginità com'era capitato ad altre fanciulle; tuttavia a Joanna non interessava granché, del resto a chi vuoi che importasse che la figlia bastarda di Ser Jaime Lannister fosse vergine? Sebbene forse sarebbe importato quando sarebbe stata legittimata, eppure sentiva che in ogni caso non le importava.
« Perché no? Oggi tanto non avevo intenzione di recarmi in città » rispose Tyrion, e le labbra della bruna si curvarono in un sorriso: solitamente andava da sola a cavallo, difficilmente qualcuno andava con lei. A Tommen cavalcare non interessava granché e nemmeno a Myrcella, da quello che aveva potuto dedurre. A suo padre, invece piaceva cavalcare, però quel giorno non aveva tempo; adorava suo padre, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti e lui adorava lei, di questo era sicura sebbene negli ultimi anni non era stato particolarmente presente.
Lo stalliere tornò poco dopo con la sua cavalla sellata e la giovane non perse tempo a montare in sella. Cavalcava da quando aveva memoria e suo padre la prendeva in giro dicendo che era nata in sella ad un cavallo. Lo stalliere si prodigò a sellare anche il cavallo di suo zio e poi lasciarono insieme le stalle. Ben presto fu chiaro che a guidare era la bruna e Tyrion non protestò, attraversarono la via della città e furono velocemente fuori dalle mura.
« Lord Arryn mi ha chiesto di mia madre » disse la ragazza mentre percorrevano la strada che conduceva al bosco; tendeva a fare lo stesso tragitto tutti i giorni quando andava a fare la sua passeggiata quotidiana, ormai conosceva a memoria la foresta che si estendeva vicino ad Approdo del Re.
« Lord Arryn ti ha chiesto di tua madre? » ripeté Tyrion che pareva perplesso quanto lei.
Joanna si voltò e fece un cenno di assenso con la testa poi tornò con lo sguardo verso il folto della foresta: « Andiamo alla cascata? » propose.
Nel bosco c'era una piccola cascata e un lago di medie dimensioni dove alla gente piaceva fare il bagno, compresa Jo; aveva imparato a nuotare in un lago simile che si trovava nelle terre di suo nonno e girando nel bosco in quei giorni, aveva scoperto per caso l’esistenza di un altro lago nella macchia verde e rigogliosa della Capitale.
« Va bene » acconsentì Tyrion, che da quando era arrivata alla Fortezza Rossa tendeva ad accontentarla in tutto. Joanna spronò il cavallo ad andare più veloce e lo stesso fece suo zio pur di starle dietro; erano veloci uguale, sebbene forse la cavalla della fanciulla andasse più veloce.
I due raggiunsero il bosco e il lago dove Joanna intendeva andare: gli alberi circondavano la distesa d'acqua. 
Jo scese per prima da cavallo e diede una carezza alla giumenta in attesa che lo zio facesse lo stesso. Lui scese da cavallo e prese in mano le redini del suo e di quello della nipote. Quest'ultima non protestò e si voltò verso il lago facendo qualche passo diretta verso l'acqua.
« È una splendida giornata. Il giorno ideale per una cavalcata » affermò avvicinandosi ulteriormente all'acqua e infilando una mano dentro di essa avvertendo la sua freschezza.
Il Folletto legò i cavalli ad un albero, poi si avvicinò alla nipote.
Questa si drizzò in piedi e si levò le scarpe e le calze, tirò su la gonna del vestito ed entrò dentro all'acqua. Camminò finché l’acqua non le arrivò alle ginocchia per poi voltarsi verso la riva dove lo zio era rimasto immobile.
« Joanna, non è fredda l'acqua? » chiese il nano che non sembrava intenzionato a raggiungerla, rimanendo sulla battigia a braccia intrecciate.
« No, tanto » rispose la leonessa scrollando le spalle.
Rimase lì ferma in quel punto per alcuni minuti poi tornò indietro da lui. 
Quando fu fuori dall'acqua lasciò andare la stoffa e la gonna ricadde a coprirle le gambe: aveva preferito non bagnare il vestito sebbene, con il tempo che c'era quel giorno, ci sarebbe voluto davvero poco per asciugarne la stoffa.
Si sedette nell'erba e lo zio le si mise accanto.
« Zio, tu hai conosciuto mia madre? » chiese curiosa; suo padre parlava talmente raramente di lei, che Joanna sapeva ben poco della donna che l'aveva messa al mondo e della quale non aveva alcuna memoria.
« Non ho avuto l’onore di conoscere Aliandra. So che era una bella donna con i capelli e gli occhi neri e la pelle olivastra, come te e tuo fratello » raccontò: « Ricordo in compenso l’espressione di Cersei quando Jaime vi portò a Castel Granito, era furiosa » un sorriso divertito gli comparve sul viso.
« Tu e Damon eravate talmente piccoli. Ricordo che la prima volta che ti ho presa in braccio avevi da poco finito di bere il latte della balia e mi hai vomitato addosso » la bruna scoppiò a ridere a quelle parole, dimenticando che voleva parlare di sua madre.
« Oh, no » disse coprendosi la mano con la bocca. Quella storia l’era nuova, non gli è l’aveva mai raccontata. Per quanto poteva ricordare nessuno gli è ne aveva mai accennato.
« Cersei non ha corso lo stesso rischio, non ha mai preso in braccio te o Damon. Si è sempre rifiutata » non era sorpresa di sentirglielo dire: da una donna che la odiava senza apparente motivo si aspettava questo e altro.
« Tornando a tua madre, era una donna amorevole da quello che ho potuto capire e sono certo che sarebbe stata una brava madre e che avrebbe voluto un gran bene sia te che a Damon» affermò suo zio. Le faceva piacere sentirglielo dire, ne aveva proprio bisogno. La gente diceva che sua madre le somigliasse molto, sebbene alcuni la comparassero più a sua cugina, la povera principessa Elia.

Il giorno dopo

Quello che la piccola leonessa non poteva immaginare era che, l’incontro avvenuto il giorno prima con Jon Arryn, sarebbe stato l’ultimo dialogo che avrebbe avuto con il Signore della Valle, infatti successe che l’uomo si ammalò gravemente da un giorno all’altro.
Una malattia misteriosa sembrava decisa a non lasciargli scampo.
Joanna ricevette da suo padre la triste notizia quando questi si era recato da lei per fare colazione insieme, nella sua camera. Damon non c'era.
« Come ammalato? Non è possibile fino a ieri stava benissimo, abbiamo anche parlato» esclamò stupefatta dopo che il cavaliere glielo ebbe detto.
Quella che era iniziata in una giornata normale si stava trasformando in una pessima.
« La malattia lo ha colpito all’improvviso durante la notte a quanto pare. La situazione è grave, temo dovremmo prepararci al peggio » notò Jaime sorseggiando dal proprio calice. La ragazza non voleva che Jon morisse, era un uomo buono che non l’aveva mai guardata dall’alto in basso per via delle sue origini.
«
 Pregherò per lui. Più tardi andrò al Grande Tempio di Baelor » affermò. 
Non sapeva quanto sarebbe servito per la sua salvezza, ma si ritrovò a sperare per lo meno, in una morte veloce e indolore per quanto possibile.
« Chiederò a qualcuno di accompagnarti » rispose Jamie.
Jo non fu sorpresa che non volesse accompagnarla lui stesso, suo padre non era un uomo particolarmente religioso.
Dopo colazione e dopo la sua lezione di ricamo in compagnia della cugina, la principessa Joanna Waters si recò in città; non ne conosceva le vie, almeno non bene come il bosco, anzi se ci pensava bene, forse era strano, ma in ogni modo divideva il suo tempo libero tra il castello, il parco del castello e il bosco.
« Fiori! Comprate i miei fiori! » la voce di una donna che gridava con in mano dei cestini pieni di fiori colorati sul ciglio della strada, attirò la sua attenzione. Insieme a lei c’era Septa Davina che aveva accettato di accompagnarla al tempio.
« Davina posso comprare un mazzolino di fiori? Mi piacerebbe metterlo ai piedi della statua della Madre » propose la fanciulla, confidando che la dea avrebbe vegliato su di lei e sul lord malato.
La donna fece un cenno di assenso con la testa e rimase lì mentre lei si avvicinava alla venditrice di fiori. Per terra c’erano altri due cesti pieni.
« Dammi un mazzo di fiori, per favore » disse educatamente. La donna le sorrise cortesemente: aveva i capelli neri trattenuti in una cuffietta e gli occhi marroni, il vestito che portava era color castagna e legato alla vita portava un ampio grembiule grigio.
« Ecco a voi, giovane lady » disse porgendole un mazzo di fiori, doveva aver intuito le sue origini dagli abiti preziosi che indossava.
« Oh, non sono una lady. Non esattamente » rispose sorridendo mentre le allungava alcune monete, di averle dato più di quanto le doveva.
« Grazie » disse la donna profondamente grata. Jo le sorrise e raggiunse Davina.
Ripresero il cammino e dopo alcuni passi dovettero spostarsi per lasciare passare Lord Renly, il fratello del re, e Ser Loras Tyrell che cavalcavano lungo la via, probabilmente diretti verso il castello.
« Joanna, dove stai andando piccola Waters? » chiese gentilmente Renly fermando il cavallo vicino a loro. Tendeva ad essere gentile con lei, Loras fermò il suo destriero dietro di lui: veniva chiamato il Cavaliere dei Fiori perché aveva l’abitudine di adornare il suo cavallo di fiori, infatti anche quel giorno c’è n’erano alcuni ad adornare la criniera della bestia.
« Io e la mia Septa ci stiamo dirigendo al Grande Tempio. Voi state tornando da una cavalcata?» domandò lei con gli occhi che caddero sul cavallo di Loras.
Non pensandoci troppo prese uno dei fiori dal suo mazzolino: « Non ci sono tanti fiori oggi ad adornare il vostro cavallo » notò infilando il fiorellino in mezzo agli altri che già di trovavano sulla criniera; fece un passo indietro rimirando quel meraviglioso puro sangue e lasciò che le sue labbra si curvassero in un sorriso: « Ecco così va meglio » esclamò.
Il suo fiore era il più piccolo di tutti, ma anche il più grazioso.
« Grazie, Joanna » disse Loras per poi spronare il cavallo verso quello di Renly che aveva già cominciato ad allontanarsi.
Joanna li guardò allontanarsi: Loras era il più affascinante dei due, tuttavia sapeva bene che essendo lei nata da una relazione non vincolata da un unione legittima, non avrebbe potuto aspirare a sposare un nobile del rango di ser Loras, veramente in teoria non poteva aspirare a sposare nessun uomo.
« Joanna, non avreste dovuto » la rimproverò la Septa in tono gentile e non particolarmente severo.
« Era solo un fiore e poi sono consapevole che non posso sposarmi essendo una bastarda, figuriamoci con un nobile» disse con la morte nel cuore.
Davina distolse lo sguardo e per il resto del viaggio non parlò nessuna delle due.

Arrivati al castello, Lord Renly e Ser Loras lasciarono i cavalli nelle stalle, poi si recarono nei giardini. La passeggiata che avevano fatto con i cavalli evidentemente non gli era bastata. I due raggiunsero il labirinto di siepi nel giardino ed entrarono, era uno dei posti più appartati che c’erano, uno dei pochi posti nella Fortezza Rossa dove si poteva avere una qualche forma di riservatezza.
Dopo alcuni passi all’interno del labirinto, Renly girò il capo per fissare Loras.
« La piccola leonessa penso si sia infatuata di te » commentò con un sorriso divertito.
« Mi è solo grata perché l’ho difesa dal fratello » ribatté Loras.
« Non sarebbe la prima ad innamorarsi del suo salvatore. Promette di diventare bella come Cersei e so che mio fratello sta pensando di legittimarla. Suo nonno, Lord Tywin, sembra più propenso a voler lasciare Castel Granito nelle mani di suo fratello che in quelle di Tyrion » osservò distogliendo lo sguardo.
« Joanna una volta legittimata potrebbe sposare suo cugino Lancel o un altro lord » aggiunse, «Comunque Loras, prima o poi noi due dovremo sposarci lo sai » proseguì.
Aveva ragione, ma c’era una sola persona che Loras avrebbe voluto sposare, anche se purtroppo non poteva. Avrebbe potuto sposare Joanna una volta che sarebbe stata legittimata, però il suo amore per Renly, non avrebbe fatto altro che rendere le cose più complicate. 
Se i sospetti del suo amante erano fondati d’altra parte Lord Tiwyn avrebbe potuto darla in sposa a qualunque lord.
Su una cosa Renly aveva ragione: Joanna era molto bella, identica alla madre e alla principessa Elia. Quando sarebbe diventata una Lannister a tutti gli effetti non dubitava, dato pure il prestigio della sua casa, che avrebbe avuto una moltitudine di pretendenti: se Joanna fosse stata legittimata non avrebbe avuto problemi ha trovare un buon partito; augurava solo a quella ragazzina di aspettare qualche anno prima di sposarsi e che suo marito fosse buono e gentile. Nessuna donna del resto meritava un pessimo marito, ad esempio come suo fratello Damon: se picchiava la sorella probabilmente avrebbe picchiato anche la moglie.


 

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Capitolo 4
*** Grande Inverno 1 parte ***


La morte arrivò presto per Jon Arryn e visto come l’uomo soffriva probabilmente era stato meglio così. Joanna era a cavallo da sola quando il Lord della Valle morì, nessuno era andato con lei quella mattina.
Ricevette la notizia della morte di Jon appena rientrata al castello.
Decise immediatamente di recarsi dalla vedova, per esprimerle tutto il suo dispiacere per la dipartita del marito. Raggiunta la porta della stanza e stava per bussare, quando si rese conto che questa era socchiusa: e attraversò la fessura riuscì a distinguere la figura di Lord Petyr, il Maestro del Conio. Quell’uomo non le ispirava la benche minima fiducia: sapeva che gestiva un bordello e aveva sentito dire che alcune di quelle povere ragazze erano della sua età o poco più giovani o più grandi. Le veniva il voltastomaco al pensiero.
« Quali intenzioni avete ora che vostro marito è morto? » chiese Petyr.
Jo sapeva che era sbagliato origliare perciò decise di allontanarsi, sarebbe tornata più tardi sperando di non incappare nuovamente in quell’essere ripugnante qual’era Lord Bealish. Girando l’angolo in un corridoio adiacente al suo, per poco non andò a sbattere contro qualcuno.
« Scusate » disse remissiva, quando nel frattempo, i suoi occhi si spalancarono per l’orrore rendendosi conto che per poco non era andata a sbattere contro il re. 
Robert Baratheon era un uomo grosso e non faceva altro che ingrassare: presto o tardi avrebberò dovuto creargli delle sedie più grosse e resistenti sul quale sedersi.
I suoi capelli erano lunghi e scuri e aveva la barba folta e ispida, la fissava con i suoi occhi azzurri e penetranti. In passato si narrava che era stato un uomo forte e affascinante, Jo conosceva bene la sua storia e le ragioni che lo avevano spinto a ribellarsi contro Re Aerys Targaryen.
Secondo suo padre re Robert non avrebbe mai voluto diventare re, ma dopo l’esilio degli ultimi Targaryen rimasti, egli era risultato la scelta più logica,almeno secondo i nobili del regno.
« Maestà perdonatemi, non vi avevo visto » disse la ragazza mortificata abbassando lo sguardo, non osando guardarlo in faccia.
« Non ti preoccupare » disse tranquillamente l’uomo prodigandole una gentile pacca sulla spalla, sollevando la testa: « sono cose che capitano. Vai ora ». Joanna non se lo lasciò ripetere e si allontanò velocemente. Dopo quella figuraccia aveva ancora più fretta di allontanarsi da lì e mentre camminava, anzi, per essere più precisi correva, si ripromise che avrebbe fatto più attenzione quando si muoveva nei corridoi del castello.
La ragazza si recò nella sua camera da letto; entrata nella stanza si sedette sul letto e si sistemò una ciocca dietro ai capelli, era dispiaciuta per la morte di Jon, uno dei pochi uomini che si era mostrato gentile con lei e che era passato sopra alle condizioni della sua nascita, sua moglie invece non le piaceva, non le aveva mai detto niente, si limitava ad ignorarla guardandola dall’alto in basso come diversi altri.
Ad un tratto, Jo sentì bussare alla porta e si drizzò in piedi asciugando con il dorso della mano gli occhi.
« Avanti » disse sorprendendosi nello scoprire che il suo ospite era la regina.
« Nipote, come stai? » quando sua zia si preoccupava per lei e la chiamava “nipote”, Jo aveva imparato a capire che la donna, il più delle volte, tramava qualcosa ai suoi danni: l’ennesima cattiveria.
« Zia Cersei, cosa posso fare per voi? » chiese la ragazza intrecciando le mani ad altezza del ventre, mostrandosi seria tutto d’un tratto.
La bionda chiuse la porta alle sue spalle.
« Joanna, mi chiedevo se avessi preso in considerazione di diventare Septa? Forse è arrivato il momento di incominciare a pensare al tuo futuro » osservò.
« No, zia non ho mai valutato questa possibilità» Jo sapeva che in teoria non poteva sposarsi, ma non l’era mai passato per la mente di unirsi a quell’ordine.
« Io penso che dovresti. Dopo tutto una bastarda come te non può certo aspirare ad un buon matrimonio. Se sei fortunata finirai per sposare un altro bastardo » notò freddamente la regina.
La prospettiva non sembrava dispiacerle. Nessuna delle due prospettive era particolarmente allettante, ma tra le due la fanciulla pensava che avrebbe preferito il matrimonio.
« Mio padre deciderà per il mio futuro » affermò, confidando che Jaime sapesse cosa  fosse meglio per lei escludendo a prescindere l’ordine monacale Septa ed evitando di costringerla in un matrimonio che andasse contro la sua volontà. Jaime le voleva un gran bene, seppure non fosse stato un padre tanto presente.
« Non sempre i padri sanno cos’è meglio per i loro figli o pensano al loro benessere » disse Cersei, forse con l’intento di spaventarla.
« Valuterò la prospettiva di diventare Septa » affermò con l’intenzione di farelo seriamente, del resto la prospettiva di diventare Septa non le sembrava poi così male. Cersei la fissò a lungo in silenzio poi, senza dire una parola, aprì la porta e se ne andò.
Joanna voltò le spalle alla porta avvicinandosi alla finestra: il cielo si era fatto pieno di nuvole color grigio scuro, minacciava di piovere; forse gli Dei volevano piangere la morte di un buon uomo come Jon Arryn, era una fortuna che fosse andata a cavallo prima che iniziasse a piovigginare.
Tirò un sospiro e posò le mani sul davanzale della finestra quando sentì bussare nuovamente alla porta:« Avanti » questa volta non si voltò finché non sentì l’uscio chiudersi.
Non era Cersei, bensì sua figlia Myrcella, era dolce e buona come la madre non sarebbe stata mai, e benchè le somigliasse parecchio aveva un carattere completamente diverso.
« Joanna, ti ho portato un regalo » disse la più giovane porgendole un fazzoletto.
Qualcuno ci aveva ricamato nel mezzo un leone con del filo rosso e sopra una J.
Non era un ricamo ben fatto ma Joanna sorrise e l’abbracciò posandole una mano sul capo.
La bambina restituì l’abbraccio cingendole la vita sottile.
« Grazie, Myrcella » era stato un pensiero carino da parte sua,« Ma io non sono una Lannister » aggiunse con tono dolce abbassando lo sguardo per incontrare i suoi occhi.
« Presto lo sarai » rispose lei,« Il re sta pensando di legittimarti. Mia madre è furiosa » rivelò con vergogna.
Dopo tutto lei e suo fratello erano venuti a corte per questo in effetti. Non sarebbe diventata una Septa se avesse avuto la possibilità di sposarsi e magari di fare un buon matrimonio.
Era risaputo anche che sua zia non voleva certo la sua felicità, non riusciva a comprendere tutto quell’odio nei suoi confronti. 
Per anni Joanna si era chiesta cosa potesse aver fatto per meritarsi l’odio di Cersei e tuttora non era giunta ad una conclusione.
« Ne sei sicura? » era possibile che avesse capito male ma la bambina annuì.
« Presto sarai una Lannister » disse fiduciosa.
Arresa da tempo al fatto di essere una figlia illegittima e di non aver diritto ad essere chiamata Lannister, Jo si rese conto soltanto in quel preciso istante di non aver mai desiderato di essere un membro della loro famiglia a tutti gli effetti, ed era strano per certi versi.
Si sedette sul letto e lo stesso fece Myrcella.
« Mi chiedo se sarò una brava lady e/o una brava moglie » essendo illegittima con Septa Davina non avevano mai discusso dei doveri di una moglie e/o di una lady, non ne avevano visto la necessità nessuna delle due.
Abbassò gli occhi sul fazzoletto, era carino quel ricamo, proprio per le sue imprecisioni.
« Sarai una brava Lady,una brava moglie e anche una brava madre quando arriverà il momento » esclamò Myrcella fiduciosa. Jo le cinse le spalle con un braccio e le diede un bacio sulla testa.
« Quando verrò legittimata userò questo fazzoletto, però fino ad allora... » si alzò e aprì l’armadio. Ne tirò fuori una scatola dove teneva alcuni oggetti personali che avevano soltanto un valore sentimentale. Piegò il fazzoletto e lo ripose all’interno per poi mettere il bauletto al suo posto sul fondo dell’armadio. Si risedette accanto alla cuginetta e le prese le mani tra le sue « Grazie, hai avuto un così bel pensiero per me... » disse sorridendo mentre la piccola le sorrise a sua volta.
La principessa l’abbracciò e appoggiò la testa contro il suo petto. Joanna le accarezzò i morbidi capelli dorati, talmente diversi dai suoi più neri eppure allo stesso tempo così simili.
« Sono certa che mio padre ti legittimerà presto e quando accadrà chiederò ai cuochi della cucina di farti preparare il tuo dolce preferito » suggerì la bambina.
La prospettiva era allettante, Jo andava matta per i tortini con sopra i pezzetti di frutta, specialmente per quelli alle fragole. Questo Myrcella lo sapeva bene, per ogni suo compleanno e del gemello chiedeva che le venisse preparata una torta piena di fragole rosse.
« Mangeremo dolcetti alla fragola » si staccò da lei, « Tanti dolcetti alla fragola » promise dandole una carezza alla guancia destra. La bionda scese dal letto.
« Devo andare ora, mi dispiace » disse dirigendosi verso la porta, « a dopo » disse, lanciandole un’ultima occhiata e un ultimo sorriso poi prima di uscire dalla camera.
Rimasta sola Joanna guardò l’armadio dove aveva riposto il prezioso dono della cuginetta augurandosi che presto avrebbe potuto utilizzare quel fazzoletto.

-***-

Uno dei lati positivi di essere un membro della Guardia Reale, era che potevi aggirarti tranquillamente per il castello senza dare troppo nell'occhio e nessuno si sarebbe insospettito, nel vedere un fratello bussare alla porta della stanza della sorella di sera ed entrare. Come altre sere Jaime era andato a visitare la gemella, ma quella sera Cersei non era di buon umore.
« Cosa ha combinato sta volta tuo marito da renderti di pessimo umore? » chiese convinto che ci fosse di mezzo il cognato dietro al comportamento algido di Cersei. La leonessa era seduta in fondo al letto, così Jaime si accomodò accanto a lei.
« Vuole legittimare i tuoi figli » strillò con sdegno drizzandosi in piedi,« i tuoi maledetti piccoli bastardi » aggiunse contrariata passandosi una mano tra i capelli.« L'unica richiesta di nostro padre che non deve soddisfare la vuole soddisfare » continuò.
Il cavaliere rimase in silenzio. L’astio di sua sorella nei confronti dei gemelli era dovuto solo al fatto che erano i figli di un’altra donna, una donna che non fosse lei.
Damon aveva un pessimo carattere, ma Joanna era dolce e gentile, se fossero stati entrambi dei disastri forse lui non li avrebbe amati tanto, ma in ogni modo, Cersei non si fidava più di lui come un tempo dalla nascita dei gemelli.
« Potrebbe essere una buona cosa. Joanna potrebbe sposare un lord e andare a vivere lontano da qui» suggerì Jaime.
A lui sarebbe dispiaciuto se fosse andata a vivere lontana, però da un lato si rendeva conto che sarebbe stato meglio: Cersei sarebbe stata più serena senza lei in giro e lui desiderava soltanto il suo bene e la sua felicità.
La regina consorte parve rilassarsi a quella prospettiva. Il cavaliere si sollevò dal letto e le prese il viso tra le mani, « Potrebbe andare lontano, tipo il Nord » insistette.
Dorne no, nessuno dei suoi figli sarebbe andato a Dorne, riteneva che era meglio che stessero lontani dalle terre d’origine  di Aliandra, e soprattutto, lontani dai parenti della madre.
« Sarebbe meraviglioso » esclamò baciandolo con passione.
Stranamente ebbe difficoltà a lasciarsi andare tra le sue braccia.
Non molto tempo dopo Jaime lasciò la stanza di Cersei diretto alla propria. Non dormivano insieme, secondo lei era troppo rischioso, anche se Jamie avrebbe dato qualunque cosa per passare la notte con lei anche solo per una volta e stringerla tra le braccia.
Passò davanti alla stanza del re dal quale provenivano versi inconfutabili di quello che accadeva all’interno. Fece un cenno agli uomini di guardia. Provava pena per loro che sarebberò stati costretti ad ascoltare quello che succedeva nella stanza del re, sebbene da un lato potevano ritenersi fortunati: quando c’era lui di guardia, e Robert lo sapeva, era particolarmente rumoroso e di solito invitava più donne. Gli piaceva fargli sentire come umiliava sua sorella.
In cima alle scale il primogenito di Lord Tywin incontrò sua figlia. Si fermò alla sua vista. La ragazza indossava una camicia da notte bianca che le arrivava fino ai piedi, i lunghi capelli le ricadevano lungo la schiena in morbidi riccioli neri come l'ala di un corvo.
« Joanna che cosa fai in piedi a quest'ora? Non dovresti essere a letto? » chiese senza alcuna intenzione di rimproverarla.
« Non riuscivo a dormire » rispose la fanciulla voltandosi verso di lui.
Quando lo guardava a volte aveva la terribile sensazione che lo guardasse Elia: avevano entrambe gli stessi occhi neri e con quella camicia da notte bianca le ricordava un fantasma, un fantasma che lo perseguitava, senza contare che la dorniana aveva sofferto di insonnia.
« A tutti capita di non riuscire a dormire » rispose cercando di fuggire da quegli oscuri pensieri.
Egli stesso non riusciva a prendere sonno quando i brutti pensieri lo tormentavano. Gli capitava spesso di sognare il Re Folle o Elia e i suoi figli, i loro fantasmi lo perseguitavano e capitava qualche volta che sognasse anche la povera regina Rhaella. Quando era un giovane membro della Guardia Reale riteneva che avrebbe dovuto difendere anche la regina, nonostante questo significasse anche proteggerla dal re, ma il suo confratello al quale l’aveva fatto notare, gli aveva detto che si sbagliava. Eppure a distanza di anni, nutriva ancora il rimorso di non aver seguito quell’istinto.
« Vieni, ti accompagno in camera » disse porgendole la mano.
Lei l’afferrò senza protestare e insieme si allontanarono verso la sua stanza.
Gli ci vollero pochi minuti per arrivare.
« Non ho sonno » esclamò dopo che lui ebbe aperto la porta.
« Vai dentro, mettiti a letto, chiudi gli occhi e vedrai che ti addormenterai velocemente » disse incoraggiante. 
Lei si mise sulla soglia, esitando ad entrare
« Se non ci provi non ti addormenterai mai» notò Jaiee.
« Buona notte padre » augurò quindi lei, entrando nella stanza prima di chiudere la porta.
Era riuscito ha convincerla ad andare a letto a quanto pare. Lui si sarebbe recato a dormire nella torre della Guardia Reale dove era situata la sua stanza.
Mentre si allontanava non poté evitare di chiedersi se quella notte sarebbe riuscito a dormire, senza che chissà quale fantasma del suo passato giungesse a perseguitarlo. Si augurò che almeno quella notte, fosse priva di incubi.

Alcune settimane dopo

Il corteo reale era in viaggio verso Grande Inverno, dimora di Casa Stark. 
Il Lord di Grande Inverno era un vecchio amico del re e tutti pensavano che avrebbe presto ricoperto il ruolo di Primo Cavaliere del Re, ora che il predecessore era morto.
« Presto saremo arrivati, vero padre? » chiese Joanna avvicinandosi con la sua cavalla a Jaime. 
La ragazza stava dritta sulla sella, i capelli scuri raccolti in cima alla testa, era stata Davina ad aiutarla con i capelli acconciandoglieli quella mattina.
Suo fratello Damon era con loro, anche se cavalcava più indietro.
« Sì, manca poco » confermò il cavaliete voltandosi verso di lei. Joanna indossava dei pantaloni di colore nero e una casacca dello stesso tono, infilata dentro ai pantaloni; le stava un po’ grande a dire il vero, forse avrebbe dovuto indossarne una più piccola. 
Jaime si ritrovò a pensare che il problema dei ragazzini della sua età era che crescevano troppo in fretta: gli sembrava ieri che era solo una bimba di un anno o poco più, che con passi incerti incedeva barcollante verso di lui. Ricordava che una volta era caduta rimanendo a terra solo per poco prima di rialzarsi, lui l’aveva presa in braccio sorridendole quando alla fine l’aveva raggiunto.
« Sono curiosa di vedere com’è Grande Inverno » disse precedendolo. 
Presto lo avrebbe scoperto, avrebbe soltanto dovuto attendere un’ora se non di meno.
Joanna durante tutto il tragitto, ebbe cura di tenersi ben lontana da Joffrey e Damon, Jaime  e non poteva darle torto, quei ragazzi non perdevano occasione per infastidirla e conoscendoli, sarebbero perfino stati capace di farla cadere da cavallo o farle del male facendo passare tutto per un incidente. Ne sarebbe stato capaci e lo sapevano bene sia lui che Joanna. A volte si chiedeva quando suo nipote e suo figlio avessero iniziato il processo di trasformazione fino a diventare delle sottospecie di mostri sadici, che adoravano vedere gli altri soffrire.
Anche Joffrey era suo figlio, ma quando se lo ricordava scacciava subito quel pensiero dalla testa.
Cersei non non li avrebbe certo rimproverati se avessero fatto cadere Jo da cavallo, anzi era addirittura possibile che avrebbe fatto i complimenti al figlio dicendogli che era stato bravo.

Proseguirono il loro viaggio con Joanna che stava ben attenta a stare il più lontano possibile dal principe e dal fratello, facendo il possibile per non farli arrabbiare.
Peccato che ogni suo tentativo risultasse vano: bastava che lei guardasse un po’ più del necessario Joffrey, ad esempio, e lui gli è l’avrebbe fatta pagare cara. Spesso se la prendevano con lei senza motivo. Le avrebbero dato la colpa per qualunque disgrazia, sebbene lei non avesse nessuna responsabilità. 
Per Joffrey, Jaime non poteva fare niente, ma Damon… era un altro discorso.

La strada che portava  Grande Inverno era cosparsa di neve e faceva decisamente più freddo rispetto alla Capitale. Tutti loro avevano indossato pellicce e abiti pensati per proteggersi dalle rigidità del Nord. Avevano incrociato alcuni contadini durante il loro viaggio, i quali avevano fermato il loro lavoro per guardarli e salutarli, leti di vedere il loro re. Se avessero saputo che razza di persona era veramente il sovrano, forse non sarebbero stati così felici.
Come Jaime aveva previsto, nel giro di un’ora erano arrivati a Grande Inverno.
Nella piccola città vicino al castello, le strade erano piene di persone, pronti ad accoglierli con grande entusiasmo come avevano fatto contadini incontrati lungo il tragitto. Tutti gli abitanti di quella regione sembravano contenti di vederli.
Arrivarono ben presto a Grande Inverno, arrestandosi nel giardino interno del castello. 
Gli Stark si erano radunati ai piedi delle mura nelle loro pesanti pellicce.
Jaime fermò il cavallo vicino alla carrozza di Cersei e si levò l’elmo a forma di testa di leone che indossava, scoprendo i suoi capelli dorati che gli arrivavano fino alle spalle.
Smontò da cavallo e aiutò sua sorella a scendere dalla carrozza: sua figlia non aveva certo bisogno di aiuto, abituata com’era.
« Grande Inverno è vostro vostra grazia » sentì pronunciare Lord Stark. 
Lui e Robert si scambiarono un caloroso abbraccio, lieti di rivedersi dopo tutto quello tempo: erano anni che non si vedevano dalla fine della guerra.
Eddard era un uomo dai capelli scuri, gli occhi grigi e la pelle olivastra tipica degli uomini del Nord. Sua moglie invece, con la sua pelle chiara, i capelli ramati e gli occhi azzurri, era una tipica bellezza Tully, tanto luminosa da apparire quasi fuori posto in quelle remote terre del Nord. I loro figli a partire da Robb, fino ad arrivare al piccolo Rickon, avevano preso più da lei che dal marito e in particolare la figlia più grande: Lady Sansa che sorrise timidamente quando Robert si complimentò con lei per la sua bellezza.
« Poteva evitare di viaggiare vestita da uomo » concentrato sul re a Jaime ci volle un secondo per capire a cosa, o meglio a chi si stesse riferendo la sorella.
Il suo sguardo cadde poi su Joanna, le cui gambe magre erano sottolineate dai pantaloni.
Quando era a casa spesso andava a cavalcare vestita da uomo e in alcuni casi addirittura senza sella. Cavalcare le dava un forte senso di libertà e questo Jaime e Tyrion lo capivano,  ma non certo Cersei, che del resto, nemmeno si sforzava di comprenderla.
Tyrion era sparito e Jaime immaginò di sapere esattamente dove fosse; dopo essersi preso cura della sorella e aver sistemato le sue cose, decise infatti di andare in cerca del fratello minore.
Il primo ed unico posto dove gli venne in mente di cercarlo, fu il bordello che si trovava a Città dell’Inverno.
Quando lo Sterminatore di Re varcò la soglia dell'edificio a due piani, un senso di calore lo invase. Faceva parecchio caldo lì dentro, all'interno della stanza erano stati sistemati dei divani e dei tavolini; donne mezze nude erano sedute sui divani o per terra, sui tapetti colorati o sulle pellicce che ricoprivano il pavimento. 
Due fanciulle, una bruna e l'altra dai capelli rossi, coperte solo da veli trasparenti, si diressero verso di lui. Una gli mise una mano sul petto.
« Sei venuto in cerca di compagnia bel cavaliere? » chiese con voce calda e sensuale. 
I suoi capelli rossi erano di una tonalità più chiara rispetto a quelli di Lady Stark; l'altra gli ricordò Aliandra, la madre di Joanna e Damon, ma aveva l’impressione che fosse decisamente più giovane rispetto alla dorniana se fosse stata ancora viva.
Non aveva sofferto per la morte di Aliandra: avevano avuto una relazione, ma la triste verità era che non l’aveva mai amata.
« Mi dispiace, ma sono qui per cercare mio fratello. Un nano » rispose prendendole il polso e allontanando la mano cercando di essere gentile.
L'entusiasmo negli occhi della prostituta sparì.
« Io l'ho visto » intervenne quella che gli ricordava Aliandra.
Guardandola meglio si rese conto che la sua pelle olivastra era più scura rispetto a quella della madre di Joanna.
« È nella stanza infondo al corridoio. Ha chiesto la più bella tra noi, però adesso immagino sia molto impegnato» affermò sorridendo maliziosa. 
Jaime tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un sacchetto di monete, lo aprì e ne diede qualcuna a ciascuna di loro, le ragazze lo ringraziarono entusiaste e il biondo si incamminò lungo il corridoio a destra dell'ingresso. C'erano diverse porte dai quali provenivano versi e rumori inconfondibili. 
Il corridoio era stretto con dei candelabri appesi alle pareti e il pavimento era ricoperto da pellicce di colore scuro. 
Lo Sterminatore di Re, arrivato in fondo, entrò senza preoccuparsi di bussare.
« Jaime! » strillò Tyrion, seduto nudo sul letto assieme ad una donna anche lei decisamente svestita, che come se niente fosse, si coricò accanto a lui sul letto.
La stanza era grande con delle belle finestre che lasciavano filtrare la luce fino ad illuminare il letto a baldacchino. A vederla sembrava davvero la camera più bella.
« Cersei ti vuole a Grande Inverno  e pure Joanna» annunciò il fratello.
Se gli avesse detto che solo la sorella lo cercava, Tyrion certamente non sarebbe venuto subito, ma aggiungendo che anche la nipote lo voleva, cosa tra l'altrovera, contava che si sarebbe dato una mossa.
Jaime si avvicinò al tavolo posizionato al centro della stanza; sopra c'era una caraffa piena di vino e dei bicchieri, quindi prese la caraffa per rovesciarsi il contenuto in un bicchiere e da cui bevve una lunga sorsata.
« Oh, la tua Piccola Perla se la caverà benissimo da sola. Più che altro ha bisogno della compagnia del padre » disse tranquillo il Folletto per poi rivolgersi alla prostituta che gli sorrise.« La chiami così perché lei è pura e innocente come una perla » affermò.
Jo conosceva bene suo zio, se le avesse chiesto dov'era sicuramente anche lei avrebbe dato la risposta corretta: nel bordello più vicino. 
Tyrion aveva ragione sul fatto che fosse intelligente, qualcosa da lui lo aveva preso.
« Fossi in te mi sbrigherei prima che nostra sorella si arrabbi sul serio » rispose Jaime finendo il contenuto nel suo bicchiere,  era possibile che non l'avrebbe fatto o almeno non appena arrivati, tuttavia era bene che Tyrion si sbrigasse.
« Ci sei tu ha controllarla » esclamò Tyrion, « dì pure alla tua perla che presto sarò lì. Ora vai che ho da fare » aggiunse prima di inabissarsi in un bacio passionale con la donna. Il fratello aprì la porta e attraversò nuovamente il corridoio; era insolito il comportamento di Tyrion, sembrava che non gli importasse della nipote eppure non era affatto così, adorava Joanna, era il suo tesoro, la sua Leonessa Nera; probabilmente il suo comportamento era dovuto al vino, che a giudicare dal suo tono, aveva sicuramente bevuto. Ritornato all'ingresso il biondo venne raggiunto da una donna, non era una prostituta, era anzi molto vestita, al contrario delle ragazze che si trovavano lì, doveva avere si è no l'età di suo padre e l’espressione severa sul viso glielo ricordò decisamente.
« Mi avevano detto che avevamo come cliente un Lannister e ora suo fratello ci onora della sua visita? » chiese incurvando  le sue labbra in un sorriso sdentato.
Il cavaliere non si scompose, « mi dispiace, sono venuto qui solo ha dare un messaggio a mio fratello, ma se i miei compagni di viaggio si dimostreranno in cerca di divertimento, state pur certa che li manderò qui » lui non era il tipo da frequentare quei posti, quando ci andava era solo per cercare Tyrion. Anche quando sua figlia aveva avuto sei anni e si era ammalata di febbre, Jaime era dovuto andare in un posto come quello, per stanare suo fratello Tyrion e partire alla volta di Castel Granito partendo da Approdo del Re, quando giunsero al promontorio roccioso dove era situata la fortezza Lannister, Joanna era ormai quasi guarita. Jaime era corso al capezzale della bambina, rimanendole accanto finché non si rimise del tutto; era stata una delle pochissime volte in cui aveva pregato. 
Per quanto  riguardava Cersei invece, temeva che avesse pregato, ma non certo per chiedere agli dei di salvare la nipote. Prima che lui partisse avevano litigato di brutto, la prima e ultima volta, ma quando si era augurata che la piccola morisse, per settimane non si erano rivolti la parola.
La camera da letto che fu assegnata a Joanna era grande più o meno come quella che aveva ad Approdo del Re, le avevano detto che si trovava vicino a quelle di suo padre e suo fratello; era stato un servitore a scortarla fino alla sua stanza, era stato molto gentile dicendole anche di chiedere di lui, in caso avesse avuto bisogno di aiuto. 
Joanna lo aveva congedato gentilmente e ora stava finendo di sistemare le sue cose, poichè, al contrario di Cersei o Myrcella, non aveva una serva che l’aiutasse.
Qualcuno bussò alla porta e la ragazza chiuse l’armadio dentro al quale stava riponendo i vestiti, nonostante non avesse finito.
« Chi è? »chiese.  La porta si aprì e il ragazzo dai capelli neri che aveva notato nel cortile del castello, entrò nella stanza. Assomigliava a Ned Stark come lei assomigliava a sua madre. Intuì che doveva essere il figlio illegittimo di Eddard: le avevano parlato di lui come un uomo d’onore, ma a quanto pare non abbastanza dal tradire la moglie, fresca di matrimonio, durante la guerra, quel ragazzo era l’evidenterisultato di quell’infedeltà
Bisognava tuttavia riconoscere a Lord Stark che si era comportato bene come pochi altri avrebbero fatto a suo posto: aveva preso il bambino e l’aveva portato a casa crescendolo insieme agli altri suoi figli legittimi, sebbene questa si potesse considerare una mancanza di rispetto nei confronti della moglie.
« Joanna, perdonatemi. Lady Stark mi ha mandato a chiedervi se è tutto a posto » disse gentilmente seppur sembrasse imbarazzato dal fatto di essere lì.
Teneva le mani dietro alla schiena in attesa di una sua risposta.
« Sì, la stanza è perfetta, ringraziate Lady Stark da parte mia »rispose, « voi siete Jon Snow? » chiese, sebbene le parve una domanda inutile, vista la sua palese somiglianza con Eddard. 
Jon sollevò gli occhi grigi verso di lei; quel ragazzo non era per niente male, aveva l’aria di essere forte e robusto e sicuramente piaceva a molte ragazze.
Joanna pensò a Ser Loras e ai suoi occhi, ai suoi capelli ricci, talmente morbidi da sembrare perennemente mossi dal vento. Purtroppo era rimasto nella capitale insieme a Lord Renly.
Aveva senso che le mancasse, nonostante in pratica non si erano mai rivolti la parola? 
Si sentiva stupida, la sua infatuazione nei suoi confronti non aveva alcun senso.
E soprattutto come mai le era tornato in mente proprio in quel momento.
« Sì, sono Jon Snow e voi, se non vado errando, dovete essere Joanna Waters la figlia di ser Jaime » osservò. 
Jo annuì in conferma, « assomigliate molto a vostro padre » notò lei, chiedendosi se fossero simili anche nel carattere.« Perdonami, ti sto frose mettendo a disagio? » chiese mentre valutava nei gesti il ragazzo di fronte a lei: teneva gli occhi bassi o guardava da qualche altra parte, senza il coraggio di guardarla e non ne comprendeva la ragione.
Tutti le dicevano che era bellissima come Cersei perciò dubitava di non piacergli, o forse si?
« Vi ho offeso? »continuò lei incerta.
Non vedeva come, ma era possibile che l’avesse fatto involontariamente.
« No, cerco solo di essere rispettoso » rispose lui.
Ne conosceva davvero pochi di uomini rispettosi.
« Non dovrei nemmeno essere nella stanza di una signora a dir la verità » continuò.
« Non sono una signora » lo corresse lei, « ma siete un ragazzo rispettoso, è vero e ne conosco davvero pochi » forse era anche troppo rispettoso, sicuramente si faceva troppo problemi.
Pensò a suo padre che in quel momento era probabilmente impegnato con qualche donna di malaffare; non le giudicava, alcune di loro non avevano scelta e magari avevano una famiglia numerosa con tanti fratelli e sorelle da mantenere, fare quel lavoro era un buon modo per procurarsi i soldi e dargli da mangiare.
« Lady Stark, vuole che stasera vi accompagni al banchetto, mangeremo ad un tavolo diverso da quello della famiglia reale » spiegò Jon, ridestandola dai suoi pensieri. Il ragazzo sembrava dispiaciuto, ma d'altronde la cosa non era certo colpa sua.
« Non siamo degni di mangiare al tavolo del re e della regina, ma del resto non l’ho mai fatto » rispose Joanna cercando di risollevare l’umore di Jon; negli ultimi giorni aveva sempre e solo mangiato in compagnia di suo padre e suo fratello, qualche volta capitava che i suoi cuginetti o Tyrion le portassero dei dolcetti o altre pietanze da mangiavare insieme.
« Voi siete la nipote della regina » ribatté Jon sorpreso.
« A mia zia non piaccio » rispose semplicemente la ragazza.
Non le andava di entrare nei dettagli e Jon era un figlio illegittimo proprio come lei, e più di tutti avrebbe dovuto comprenderla.
« Anche io non piaccio a Lady Stark » replicò lui: erano nella stessa situazione a quanto pare. Jo fece un passo verso di lui e lo guardò dritto negli occhi non sapendo cosa dire.
« Noi siamo innocenti. Non abbiamo fatto male a nessuno » esclamò alla fine.
Jon rimase in silenzio a fissarla.
« Immagino di no. Più tardi, all’ora di cena, vi aspetterò davanti al portone della sala » disse.
« Devo andare; mio fratello Robb mi aspetta per allenarsi » aggiunse poi, lasciando la stanza. Fratello non fratellastro, pensò Joanna. Guardando quel ragazzo allontanrsi, si chiese come sarebbe stato crescere con dei fratelli amorevoli, magari più tardi glielo avrebbe chiesto.
Poche ore dopo, con indossò un abito di colore azzurro adornato da una pelliccia nera, Jo percorreva uno dei numerosi corridoi di Grande Inverno, diretta verso la sala dove si sarebbe tenuto il banchetto; era stato un servo a spiegarle dove si trovava e più si avvicinava, più sentiva brusii frementi nell’aria, tanto da confermarle che stava andando nella direzione giusta. La conferma finale l’ebbe quando vide Jon che l’aspettava vicino al grande portone.
« Sono in ritardo? » chiese preoccupata, non volendo che per colpa sua venisse sgridato.
« No, state tranquilla » rispose lui gentilmente porgendole il braccio. 
Joanna lo accettò volentieri ed entrarono nella sala a braccetto.
Diverse persone erano sedute lungo i tavoli e c’era una gran confusione; suo zio non era seduto al tavolo reale e mentre Jo incedeva, scortata dal suo cavaliere, verso una delle numerosi tavolate in forndo alla sala, si chiese dove fosse finito. Possibile fosse tuttora al bordello?
Lei e Jon si accomodarono su due sedie libere, fortunatamente lontano da Damon.
« Ti prego però: chiamami Joanna. Solo Joanna e non darmi del voi » disse con tono quasi supplichevole.
« Va bene Joanna »acconsentì lui.
Lei gli sorrise, ignara che la zia e Lady Stark li stessero guardavando.

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