Non possiamo scegliere chi amare di Maqry (/viewuser.php?uid=806154)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quando si prende una vita (AryaxGendry) ***
Capitolo 2: *** Ascolta i suoi occhi (MissandeixJorah) ***
Capitolo 3: *** Ferro di Lupo (RobbxTheon) ***
Capitolo 4: *** Un gioco di nomi (DaenerysxJon) ***
Capitolo 5: *** Partita in quattro mosse (JonxSansa) ***
Capitolo 1 *** Quando si prende una vita (AryaxGendry) ***
Quando
si prende una vita
(AryaxGendry)
Ci sono parti di sé che si perdono, quando si
prende una vita.
È il prezzo che si paga per aver ucciso: via un frammento
d’anima, via un pezzetto di cuore – taglia, recidi, via.
Ogni volta che infilza con
la parte aguzza, ogni
veleno versato è un nuovo squarcio anche in lei, a volte
inferto per necessità, altre per ferina vendetta, altre per
ordine di Jaquen.
È l’equilibrio precario su cui si regge un mondo
in cui i leoni decapitano i lupi, in cui si vince o si muore e non
possono esserci terre di nessuno.
“Esiste
un Unico Dio, e il suo nome è Morte.”
Ci sono parti di sé che si perdono, quando si prende una
vita.
Può essere un sogno a venire reciso, una maschera a
scivolare a terra, un’emozione a dissolversi nel vuoto: devi
dare qualcosa in cambio.
Quello che un assassino impara è come tornare nuovamente un intero pronto
a ghermire un’altra manciata di battiti – e
preparato a spaccarsi ancora e ancora e ancora.
Alla Casa del Bianco e del Nero insegnano come ricucire le fenditure
incise nel proprio spirito, come rattopparle insieme con la cinica
freddezza di chi tiene il conto di ogni uomo morto o ancora da uccidere.
“Joffrey,
Regina Cersei, Walder Frey, Meryn Trant…”
Ci sono parti di sé che si perdono, quando si prende una
vita.
Un bravo assassino sa rammendare le labbra dello strappo ma la stoffa
dilaniata non si può recuperare – ogni volta uno
scampolo in meno.
Forse è un monito per ricordarti chi sei adesso,
forse è la cura per dimenticare chi eri prima.
E allora l’anima si rattrappisce di qui e si altera di
là, in alcuni punti compare un bitorzolo e in altri
l’orlo viene lasciato sbrindellato.
Non è che sia particolarmente brava con ago e filo, lei, era
Sansa a ricevere le lodi compiaciute di septa Mordane.
“I
tuoi punti sono tutti storti, Arya!”
Ci sono parti di sé che si perdono, quando si prende una
vita.
Eppure ogni volta Arya si rialza in piedi, le mani insudiciate di
sangue e l’animo che le va sempre più stretto,
pulisce scrupolosamente Ago e attende il prossimo volto.
Ma cambia sempre più a ogni sospiro che sottrae –
cambia, si adatta, fa la muta.
Si trasfigura in punta di lama nel tempo del lancio di una moneta. Testa
o croce, spada o freccia, viva o morta?
È Arry, una coppiera dei Lannister, Una Ragazza, una
mendicante cieca, Nessuno – Arya Stark di Grande Inverno, di
nuovo.
“Piccola,
vado a nord. Finalmente torno a casa!”
Ci sono cose che non si può più essere, quando si
prende una vita.
Dopo essere stata un lupo tra le pecore, dopo aver cacciato, sbranato,
assaggiato la carne fresca.
Non si può più essere una lady – e
chi lo è mai stata? –,
non si può essere una principessa o un cavaliere che difende
i deboli, una bambina che gioca alla lotta o un’amante.
Non si può tornare ad essere nemmeno Arry, quando pondera la
possibilità di farsi fuorilegge insieme a Gendry o prova a
convincerlo a seguirla a Delta delle Acque.
“E
io non ho mai avuto una famiglia.” “Potrei essere
io la tua famiglia.”
Ci sono cose che non si può più essere, quando si
prende una vita.
Non si può tornare indietro dopo essere salpate su una nave
diretta a levante, dopo aver varcato le gambe dischiuse del Titano e
aver distribuito morte insieme a ostriche e molluschi.
Semplicemente ci sono persone che si smette di essere, pezzi di
sé che sono perduti per sempre – eppure...
Eppure ci sono laghi blu arsi dalle fiamme che le fanno vagheggiare di
essere di nuovo Arry, una servetta, chiunque fosse
la bambina che si accompagnava alla Fratellanza Senza Vessilli.
“Ti
trovo bene, intendo.” “Grazie, anche io.”
Ci sono cose che non si può più essere, quando si
prende una vita.
E cose che Arya non dovrebbe più desiderare: come
riavvolgere il tempo, essere lieve e innocente, perdonare – amare.
Perché è altro ormai,
e forse questo gli altri non
possono capirlo, lui non
può capirlo. E se non può comprendere allora non
può nemmeno amare – amarla.
Sa che ha ucciso – Jon le ha raccontato della spedizione
oltre la Barriera e dell’apprendista fabbro che è
voluto andare con loro – ma una cosa è farlo per
autodifesa, un’altra essere stata membro della cerchia degli
Uomini senza Volto. Una cosa sono i Non Morti, un’altra
l’intera casata Frey – non tutte le morti hanno lo
stesso peso.
E se non sa, se non coglie, allora non può nemmeno guardarla
veramente. Non può amarla.
Ma se riuscisse a vedere… oh, se ci riuscisse!
“Conosco
la morte,” primo centro. “La morte ha molti
volti,” secondo centro. “Sono ansiosa di vedere
questo,” terzo centro.
Ci sono cose che non si può più essere, quando si
prende una vita.
Cose che non dovrebbe desiderare e aneliti che non dovrebbero
infiammarla fin dentro le ossa, perché lei è
stata lupo, è stata Nessuno, è stata Morte.
Ma Gendry annuisce e sorride – ammirato, ammaliato, stupito?
–, annuisce e sorride e viene a cercarla prima della
battaglia. Ha guardato, compreso, accettato – può
amarla, forse.
Può farlo anche lei per una sola notte, l’ultima
prima di danzare sul ciglio che divide vittime e predatori –
silenziosa come un’ombra, leggera come una piuma, veloce come
una vipera.
Domani tornerà impenetrabile e irriducibile, forte come un
orso e feroce come un furetto, metalupo pronto a dilaniare le pecore.
Stanotte può concedersi il lusso di riesumare il vecchio
abito da ragazzino in marcia verso la Barriera, in fuga da Harrenhal.
E Gendry è di nuovo il suo branco.
“Voglio
sapere cosa si prova, prima di andarmene.”
Ci sono brame che possono divampare nella notte e si può
amare per una notte – almeno provarci.
Si possono sciogliere i lacci della camicia e fingere di non essere
un’anima stretta e rappezzata da assassina, finché
il desiderio scivola ustionante tra le loro carni e i gemiti si
infrangono sulle labbra dell’altro.
Poi cala la Lunga Notte e inizia la guardia – si uccide.
E, di nuovo, ci sono cose che non si può più
essere quando si prende una vita, nemmeno a volerlo.
“Ma
io non sono una lady. Non lo sono mai stata: non fa per me.”
NdA
Non
so bene cosa io ci faccia qui a pubblicare sul fandom di Game of
Thrones, mai mi sarei sognata di scrivere qualcosa a riguardo
decisamente ben oltre il mio confortevole angolino di Harry Potter. Ma
ho iniziato a leggere la saga dopo il finale dell’ottava
stagione (urgh!) e i personaggi hanno iniziato ad avere per me una
consistenza vera,
poi ho scoperto la “Challenge
delle sei coppie” di
LadyPalma e niente, frittata fatta (in realtà dovevo
studiare filologia d’autore e cercavo un motivo per non
farlo).
Questa
breve sciocchezzuola partecipa quindi alla challenge come coppia OTP e
non ha niente a che vedere con l’idea iniziale di un finale
felice che mi ero proposta di regalare a Gendry e Arya, e che spero
possa esserci almeno nei libri (?). Bisogna anche dire che non sarebbe
stato molto coerente farlo avvenire nella serie, dato come hanno reso
Arya nelle ultime stagioni. Per cui il mio è un mezzo
tentativo di giustificare il canon della serie e lasciarmi comunque uno
spiraglio di speranza che qualcosa ci
fosse sotto sotto.
Unica
cosa: la terza stagione l’ho vista mezza vita fa, non ricordo
se Arya valuti la possibilità di entrare nella Fratellanza
come Gendry, nel caso prendetela come una piccola licenza. I dialoghi
sono ovviamente tratti dalla serie (tranne quello della septa che la
sgrida per il cucito, ricordo la scena vagamente ma non sono riuscita a
ritrovarla per trascriverla esattamente).
Direi
che è tutto, grazie mille per aver letto fin qui!
A
presto (spero)!
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Capitolo 2 *** Ascolta i suoi occhi (MissandeixJorah) ***
Ascolta i suoi occhi
(MissandeixJorah)
“Ascolta
il tuo
Padrone.”
La voce secca del
maestro impartisce a oltranza quella lezione scandendo le sillabe con
vigore,
quasi voglia imprimerle a fondo, nelle ossa, nel cervello – nell’anima.
Questa sarà la sua
essenza d’ora in avanti – è perentorio
non lo scordi mai – e umilia più di
qualsiasi marchio da schiava che avrebbe potuto deturparle la pelle: le
hanno
piegato l’intelletto ad apprendere i loro insegnamenti, hanno
deciso come lo terrà
occupato per ogni giorno che l’aspetta. Giorni di parole
vuote e discorsi
sterili, anni a parlare per loro.
“Devi
capire
anche quello che non dice, non avrà tempo da sprecare
spiegando a una stupida
schiava.”
Missandei
è una
bambina dai grandi occhi liquidi e una mente sorprendentemente
elastica,
plasmata ora dopo ora per espandersi a inglobare il sapere scelto per
lei,
quanto più possibile, sempre più.
Impara l’Alto
Valyriano e la Lingua Comune, uno e due e diciannove idiomi –
è intelligente
Missandei, lo hanno compreso subito gli schiavisti –, poi
assimila anche la
lezione finale. Osserva, scruta, scava nell’interlocutore per
riferire messaggi
come lo richieda la situazione, spiegando dove necessario, mostrando
quello che
gli altri non sono stati in grado di afferrare.
“Sii
interprete,
non semplice traduttrice: solo allora ti compreranno.”
Diligente, Missandei
esegue gli ordini e affina l’udito della mente –
per questo, poi, fa così male.
*
È nelle notti che si
srotolano placide e molli sulla strada da Astapor a Yunkai che
Missandei si
ritrova sbattuta nei tumulti della vita, quella scoppiettante da donna
libera a
cui è concesso il lusso di amare ma non sempre quello di
essere ricambiata – una
schiava non avrebbe mai potuto, non avrebbe osato.
E così all’inizio vi
si butta a capofitto e dimentica la lezione più importante:
carpire le parole
taciute. Inesperta, si crogiola tra le carezze di ser Jorah e i graffi sulla schiena,
titubante e
infinitamente fragile: è la prima volta che il morso
pungente dell’amore la
pungola e lei vi si abbandona – crede sia così che
debba andare.
Di notte la tenda della
Regina rifulge della seta dei cuscini e delle scintille riverberate
dalle
spade, ed è lì che Missandei sente la
canzone, quella che le
dischiude le orecchie e la fa tornare a udire.
A intonarla è la
voce rauca e profonda di ser Barristan, una voce arrugginita e
grondante malinconia,
da vecchio cavaliere senza più terra che pizzica le note
mentre affila la
propria lama. È una canzone da taverna, dice, di quelle che
accompagnano fiumi
di birra e vino, da popolino eppure tanto cara anche nelle sale da
ballo dei
grandi castelli – una canzone dell’Occidente.
Missandei ricorda
l’eco ovattata della madre che le sussurra sinfonie lontane e
delicate, canti
del Pacifico Popolo di Naath che narrano di alberi alti fino al cielo,
spiagge
candide e tripudi di farfalle: sono rassicuranti, le fanno ricordare
quale sia
il sapore dei frutti della sua isola e il colore degli occhi dei
fratelli – la
fanno stare bene.
Lo stesso non accade
per la canzone di ser Barristan, con i suoi racconti di fiere e orsi
che
salvano fanciulle col miele nei capelli, di capre e sogni di cavalieri
infranti
nell’aria estiva. In un primo momento non dà peso
a tali fantasticherie, ma poi
si volta verso di lui, muto e impassibile sul
proprio sgabello, solo gli
occhi a tradirlo.
Diligente, Missandei
ha eseguito gli ordini e affinato l’udito della mente, e ora
ricomincia a usarlo
– per questo fa così male.
*
Quando la Madre dei
Draghi si ritira per riposare, sogni di fuoco e sangue o di porte rosse
e
alberi di limone, capita ancora che si attardino. Missandei, da quando ha
letto oltre
la cotta, dentro la canzone, ha capito quanto si senta solo, attratto
dal suo
corpo sinuoso e bisognoso di ristoro dopo giornate di polvere e sabbia
– e le
sta bene, ha realizzato, cerca anche lei conforto, solo
vorrebbe…
Lui la sfiora con le
grandi mani callose – mani da cavaliere o da orso?
– e lascia scivolare la
spallina dell’abito impalpabile che la fascia. La ragazza
ricambia il gesto
sbottonando il farsetto di pelle con ricamato lo stemma della sua
casata – un
orso, di nuovo.
Ser Jorah affonda la
mano tra i suoi ricci scuri – niente miele, per lei
–, sciogliendole le treccine,
tirandoli appena mentre cerca la sua nuca per attrarla a sé,
fronte contro
fronte mentre bevono l’uno i respiri dell’altra.
Missandei si chiede,
mentre espone il collo vellutato al suo tocco, se gli orsi possano amare
anche le farfalle, non solo le fanciulle – non serve la salvi
come nella
canzone, lo ha già fatto Daenerys Nata dalla Tempesta.
A volte ci spera e
così socchiude gli occhi per non dover leggere
la chiara risposta
riflessa nel ghiaccio dell’uomo, ma è fin troppo
intelligente per poter credere
alle proprie illusioni a lungo – per quanto si sforzi le
è impossibile non ascoltare,
ora che ha ripreso a farlo.
Gli orsi possono
inseguire le farfalle, rincorrerle per afferrarle e giocarci. Sfregano
il pelo
ruvido contro le loro tremule ali, arricciano un’antenna
attorno agli artigli,
soffiano via la polverina che le fa volare –
null’altro.
L’amore è una
ballata di fanciulle e principesse, riservato alle regine che nei
capelli hanno
intrecci d’argento e d’oro e nelle vene sangue di
drago: è questo che urlano le
dita del cavaliere veloci a riallacciare la cintura, dopo.
Se non fosse stata
addestrata a capire, se fosse una
falena… forse Missandei gli
svolazzerebbe sempre più vicino fino a bruciarsi il cuore e
la possibilità di
spiccare il volo. Ma è una farfalla di Naath,
dall’acume tagliente che
scandaglia in profondità, così si avvede in tempo
della fiamma che sfrigola
seducente e si impone di non farsi tarpare le ali –
può ancora volare lontano.
Ben presto la
fiaccola ardente dei suoi baci diviene solo caldo tepore a tenerle
compagnia
nella notte, tra la sabbia che si insinua nelle pieghe della pelle e la
stanchezza
della marcia.
Quando si innamora
di nuovo, a Meereen, ser Jorah è ormai solo un piacevole
ricordo del passato, intessuto
di carne e ringhi d’orso e farfalle nello stomaco. Eppure
quando lo rivede i
suoi occhi cantano la stessa storia di un tempo – non
smetteranno mai di
cantarla fino all’ultimo respiro che esalerà (ma
questo ancora non può saperlo).
Missandei lo sbircia
di soppiatto e sa di averlo spogliato con lo stesso sguardo, per questo
lo
comprende e compatisce – ma ora non fa più male.
NdA
Credo di
essere la più sorpresa,
probabilmente, riguardo al pairing scelto questa volta, il quale
partecipa alla
challenge
come coppia crack perché temo proprio di non riuscire a fare
di
meglio su questo versante. Non so se sia plausibile o se qualcuno possa
trovarlo interessante da leggere (io per prima non credo lo farei
– o forse ora
sì, giusto per sapere come sia stato affrontato altrove), ma
per riuscire a
scrivere qualcosa di decente mi serviva una coppia che si incastrasse
in
terreni a me noti e i primi a venirmi in mente sono stati loro due
uniti a The
bear and the maiden fair (che ser Barristan
effettivamente cita un paio di volte), nonché la scena di
Missandei che fa da interprete
per i Buoni Padroni e Dany, aggiungendo deduzioni e commenti per i
primi (forse
è solo nei libri a farlo, ma, di nuovo, la terza stagione
l’ho vista mezza vita
fa) e “parafrasando” le risposte per la seconda.
Per gli occhi di ser Jorah ho
dato per scontato che siano come quelli di Iain (ho letto la saga una
volta
sola, questi dettagli mi sono sfuggiti e a dire il vero non so nemmeno
se venga
mai citato il colore dei suoi occhi – come sempre mi pongo
problemi forse
irrilevanti).
Devo ammettere
che mi sono
particolarmente divertita a sperimentare scenari così
lontani dalla mia
comfort-zone e spero che il risultato sia stato di vostro gradimento.
Grazie di cuore per aver letto e a presto!
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Capitolo 3 *** Ferro di Lupo (RobbxTheon) ***
Ferro di Lupo
(RobbxTheon)
“Sono
tuo fratello, ora e per sempre?”
Il Re del Nord si
voltò lentamente verso il giovane uomo che aveva sguainato
la spada nella sua
direzione – Theon, l’amico, il compagno di
battaglia, il confidente, il
desiderio di qualcosa di più – e
incrociò gli occhi scuri dell’altro.
Perché faceva così
male quella parola, pronunciata dalle sue labbra sempre irriverenti e
piegate
in un sorriso canzonatorio? Ned Stark li aveva cresciuti entrambi come
propri
figli, come un branco compatto pronto a difendere la propria gente alla
calata
dell’Inverno, e allora fratelli lo dovevano essere
– lo erano sempre stati.
Eppure, no
avrebbe voluto urlargli scuotendolo violentemente, non
fratelli…
*
Robb Stark ha otto
anni, una spada di legno tra le mani e un fantoccio come avversario,
quando la
lady sua madre lo fa schierare nel cortile di Grande Inverno per
accogliere il
lord suo padre, di ritorno dalla guerra.
Impettito e solenne,
come si conviene a un figlio del Nord, posa gli occhi cerulei sul
ragazzino dai
capelli neri, arruffati e troppo lunghi sulla fronte, che avanza accanto al
padre.
L’altro ricambia lo sguardo con un sorrisetto appena accennato, forse macchiato
d’orgoglio ferito o di superiorità, forse per occultare il tremore suscitato dalle imponenti torri di quella che teme
essere
la propria prigione.
La mano di lord
Eddard, dita ruvide di chi ha brandito la spada in troppe guerre e
tocco
amorevole di padre, si posa sulla giovane spalla dell’ultimo
figlio maschio di
Balon Greyjoy, mentre lo sospinge a fare la conoscenza della sua nuova
famiglia
– Questa è lady Catelyn, mia moglie, e
loro i nostri figli: Robb, Sansa,
Arya…
Robb si scosta un
ricciolo ribelle dagli occhi e allunga la mano paffuta per stringere
quella affusolata
e ossuta del nuovo arrivato, il quale risponde nervosamente al saluto
senza però
smettere il ghigno traballante cucito sulle labbra. Il piccolo Stark
non
capisce proprio cosa trovi di tanto divertente in quella situazione, e
un
tremito gli corre lungo la schiena mentre ripensa alle storie della
Vecchia Nan
sugli Uomini di Ferro, nelle cui vene scorre l’acqua del mare
in burrasca e che
danno i nemici in pasto a giganteschi Kraken. Robb non sa quanta
verità ci sia
nelle leggende della rugosa nutrice – molto poca, si augura
–, quello che sa è
che Theon porta con sé l’odore gonfio
dell’aria salmastra.
Da adulti si
chiederà
spesso se anche la sua pelle abbia il sapore del sale.
Robb Stark ha quattordici
anni, una spada da torneo tra le mani e Jon come avversario, quando
Theon
interrompe annoiato il loro duello, inchiodando a terra il mantello del
piccolo
Snow con una freccia.
Severo e rigido,
come si conviene all’erede del Nord, rivolge uno sguardo di
rimprovero al
giovane protetto del padre e scrolla infastidito la chioma ramata.
L’altro
ricambia schiudendo le labbra nella consueta smorfia, sprezzante e
beffarda, e
facendo riecheggiare il cortile di Grande Inverno della propria risata
impertinente, quella che invita Robb ad accantonare
l’armatura di ghiaccio da
piccolo lord e rammenta a Jon la sua condizione di bastardo, sempre un
gradino
sotto anche rispetto al figlio prigioniero della grande Casa dei
Greyjoy.
Il maggiore dei cuccioli
Stark sa riconoscere la sofferenza negli occhi del fratellastro, ma
l’ilarità e
l’approvazione di Theon – il più grande,
il più bravo con l’arco, l’unico tra
loro ad essere già uomo – sono un richiamo
più forte del basso uggiolio di Jon.
Così Robb si unisce alle risa del ragazzo e decide di
seguirlo a caccia nella
Foresta del Lupo, dove si sfidano cercando di catturare più
animali dell’altro
e Theon gli racconta della propria terra e del mondo degli adulti. Se
con Jon
può solo giocare alla guerra, dalle memorie ingigantite del
giovane Greyjoy
apprende dell’assedio di Pyke e dell’incendio
dell’intera Flotta di Ferro, di
come lui stesso abbia scagliato frecce e pietre dall’alto
della Torre del Mare.
Robb non sa quanta verità ci sia nei ricordi del tronfio
amico, in particolare
riguardo alle sue millantate imprese – molto poca, sospetta
–, quello che sa è
che Theon porta in sé la rude e fiera spigolosità
delle sue isole.
Da adulti si
chiederà spesso se anche i suoi muscoli abbiano la
compattezza della pietra.
Robb Stark ha diciotto
anni, una spada affilata tra le mani e un soldato Lannister come
avversario,
quando nel cuore della notte attacca l’esercito dello
Sterminatore di Re tra
sussurri e ringhi di lupi affamati.
Glaciale e impavido,
come si conviene al Protettore del Nord, combatte in prima linea
guidando
l’assalto, con Vento Grigio e Theon al proprio fianco a
infondergli sicurezza, mentre
lo sguardo determinato cerca quello amico per calibrare il prossimo
fendente da
sferrare sui nemici. L’altro ricambia increspando le labbra
sottili in un
sorriso esaltato, come se avesse atteso per tutta la vita il cozzare
delle lame
e l’odore del sangue che imbratta le corazze, e sogghigna
complice in direzione
del giovane lord.
Robb, mentre affonda
la lama nel collo di un Lannister, ripensa a tutte le volte in cui si
sono
allenati assieme, sotto lo sguardo vigile del maestro d’armi,
a come abbiano
imparato a guardarsi le spalle l’un l’altro e ad
affrontare uniti gli
avversari. La forza sta nel branco, gli ha insegnato il lord suo padre,
ed è il
branco a sopravvivere al mattatoio dei leoni o al gelo
dell’Inverno: è questa
fede a sostenerlo nella sua prima prova da comandante, questa fede e la
risata
di Theon nelle orecchie.
Dopo aver assaggiato
il vino dolce della vittoria, Theon narra a Catelyn Stark di quella
lunga notte
in cui come Estranei hanno marciato e portato tenebre senza fine,
mentre i
venti gelidi del Nord ululavano nelle Terre dei Fiumi. Robb non sa
quanta
verità ci sia nelle lodi dell’amico per il proprio
valore – molto poca, teme –,
quello che sa è che a udirlo le viscere gli si contraggono
in uno spasmo caldo
e inebriante, come il metallo nella fornace.
Ora che sono
adulti
si chiede spesso se anche la sua bocca sulla propria sia tagliente come
l’acciaio.
*
No, fratelli mai…
Robb aveva rimarcato
più volte, durante gli anni sereni della lunga estate, la
loro appartenenza a
diverse famiglie e diverse lealtà.
Per rimettere ogni
cosa al proprio posto, prima fra tutte la supponenza altrui, si era
convinto a
credere.
Per lasciarsi aperto l’unico spiraglio concesso loro che la parola fratelli
pareva
sprangare irrevocabilmente, aveva infine compreso.
Eppure, fratelli o
meno, ora che sul suo capo gravava la corona di ghiaccio del Nord
– non meno
acuminata del Trono del Sud –, qualsiasi
possibilità ci fosse mai stata era
ormai impraticabile.
Secondo Eddard
Stark, che nel seguire scrupolosamente i propri dettami e rendere onore
al
proprio ruolo si era imbattuto nel boia reale, un buon lord era sempre
onesto e
pronto a lottare per la verità, a morire difendendola se
necessario. A conti
fatti, Robb immaginava che per i re potesse essere diverso, che fosse
concesso
mentire talvolta – e lui era il Re del Nord, ora, non il lord
di Grande
Inverno.
Annuì in direzione
del giovane Greyjoy, perdendosi in quei pozzi scuri che fiammeggiavano rischiarati
dal
consueto guizzo divertito – sogghignava anche nei momenti
meno opportuni,
Theon.
“Ora
e
per sempre.”
NdA
Questa
volta non sono particolarmente soddisfatta del risultato finale, ma se
la
riscrivevo ancora una volta non avrei mai pubblicato nulla e sarebbe
finita nel
dimenticatoio insieme ai tentativi di una LorasxRenly (l’idea
iniziale per
questa storia). Il pairing, temo un po’ banale, partecipa
alla challenge
come
coppia slash e come sempre un lieto fine non sono riuscita a concederlo
nemmeno
a loro due (considerate le coppie che ho in mente per le restanti
categorie temo
non vi sarà in nessuna), anche se, a ben pensarci, nel caso
in cui davvero Robb
fosse stato innamorato di Theon ci saremmo forse risparmiati il Red
Wedding,
quantomeno nella serie tv, e un lato positivo ci sarebbe bene o male
stato.
Mie
divagazioni a parte, la scena iniziale e quella finale si collocano
nell’episodio 1x10 (da cui sono tratte anche le due battute che aprono e chiudono la storia), quando Robb viene acclamato Re del Nord,
e per la sua età
mi sono attenuta alla serie. Non ricordo se specifichino mai
quella
di Theon, ma l’ho sempre pensato più grande di
Robb e Jon, come è nei libri (da
cui ho ripreso i tratti somatici dei due). L’uso di sale,
pietra
e acciaio alla fine dei tre flashback riprende il
rito dell’Annegamento del
Dio Abissale, mostrato nella seconda stagione (“benedicilo
con sale,
benedicilo con la pietra, benedicilo con l'acciaio”). Ho
non poche
titubanze per il titolo, palesemente modellato
sull’espressione “vetro di drago”,
che con un gran brutto gioco di parole richiama le casate dei due
personaggi e
la doppia “natura” di Theon, tanto Greyjoy quanto
Stark (l’unica alternativa a
cui sia riuscita a pensare è un ancor più banale
“Fratelli”, forse un pochino
meno azzardato – immagino passerò i prossimi
giorni combattuta se cambiarlo o
meno).
Vi
ringrazio per aver dedicato un po’ del vostro tempo a leggere
questa storia,
che spero essere stata di vostro gradimento.
A
presto con le prossime coppie!
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Capitolo 4 *** Un gioco di nomi (DaenerysxJon) ***
Un
gioco di nomi
(DaenerysxJon)
“Siete
alla presenza di Daenerys Nata dalla Tempesta di Casa Targaryen,
legittima
erede al Trono di Spade, Regina degli Andali e dei Primi Uomini,
Protettrice
dei Sette Regni, Madre dei Draghi, Khaleesi del Grande Mare
d’Erba, La Non
Bruciata, La Distruttrice di Catene.”
*
Ci sono nomi che
sono nati per essere, che sono stati forgiati da
secoli di splendori e
guerre e titoli magniloquenti. Sono marce trionfali composte una
sillaba alla
volta, incastrando con perizia ogni singolo suono nella melodia e
fondendoli
assieme con fuoco, sangue e follia.
Sono pensati per
infiammare popoli e imperare su continenti interi, per travalicare
qualsiasi
ostacolo insormontabile – deserto, mare, la
Barriera…
E poi ci sono gli
altri, i nomi nati per non essere che scavano
fosse in cui la creanza
vorrebbe ci si nascondesse, nomi uguali a tanti altri per dissimulare e
confondere e celare. Sono macchie d’unto sull’onore
che nemmeno il candore splendente
della neve può scolorire, figurarsi cancellare.
Sono pensati per
rendere nessuno, per provare a camuffare
l’evidenza con un elemento
tanto comune ai Sette Regni – neve, roccia,
sabbia…
I nomi sono anche
dei fili, dei fili rossi intessuti di ossa, lombi e antenati che
congiungono
con chi c’era, con chi è stato, con chi ha scelto
per te prima che tu potessi
farlo. E che ti ha dannato. I nomi ti uniscono a quel padre
sconosciuto, a quel
padre solo a metà, sempre e comunque. Questo vede la gente:
un padre davanti a
un figlio – peccati, colpe, torture…
–
La
figlia del Re Folle e il bastardo di Ned Stark –
Daenerys, assisa
sull’alto scranno di Roccia del Drago, li assapora uno dopo
l’altro i propri
nomi, bevendo avida come acqua nel deserto la regalità che
stillano.
Rappresentano l’essenza di ciò in cui crede,
l’unica vera fede che riconosce: se
stessa. Sono il simbolo di quel che ha saputo conquistare con
le proprie
forze a Oriente e il retaggio che le spetta per diritto divino di
nascita – è
l’ultima Targaryen.
Jon, avanzando nel
salone adombrato, fatica invece a digerire il suono che generano i
propri, i
quali stridono alle sue orecchie in un incastro malriuscito.
Rappresentano
tutto ciò che non ha mai cercato, che ha fuggito con tutto
se stesso: potere.
Costituiscono una dissonanza quasi dissacrante, la vergogna del primo
forzata a
incastonarsi in una corona glaciale che si è ritrovato sul
capo contro ogni
volere – è l’ultimo maschio
Stark.
Ghiaccio e fuoco,
ecco cosa sono quei due nomi: ghiaccio e fuoco promessi da secoli di
profezie e
ombre nelle fiamme – alleati insperati, disperati; amanti
inevitabili.
Chiedono di non
essere giudicati per il passato e guardare al presente, ricordano
ginocchia
piegate e spade consegnate, paventano nemici atavici in marcia.
Cozzano, liquefanno,
si spengono l’un l’altro, ma alla fine trovano un
equilibrio: lo stesso, sempre
quello, ma magari con loro potrà durare.
Lo rinsaldano nel ghiaccio
di un disperato salvataggio e nel fuoco della passione. Si piega, Jon,
e pone
tra le mani della sua Regina le fredde lande affidategli dai lord, come
pegno
d’amore. Per sempre, giura.
–
La
Regina dei Sette Regni e il Protettore del Nord –
C’è una legge di cui
non hanno però tenuto conto.
Il gioco del torno è
una ruota da distruggere, ma il mondo intero si regge sopra
un gioco
ancora più insidioso, ancora più sottile: quello
dei nomi.
Ci sono nomi
dimenticati e che mai sarebbero dovuti venire a galla, nomi
che
portati dalla persona giusta – uomo guerriero re
– possono far svanire
castelli di fumo costruiti da quella sbagliata – donna
straniera folle.
Si tratta di nomi al
sapore di bile che brucia la gola, nomi in grado di spegnere le fiamme
dell’amore e ridurle a cenere che soffoca il respiro.
Daenerys lo ha
chiamato con desiderio, un tempo, e suonava tanto dolce alle sue
orecchie. Un
tempo. Ora è solo l’ennesimo ostacolo a fermarla a
un passo dall’unica
ambizione che abbia mai avuto, quella che l’ha resa grande,
degna della propria
stirpe – la loro stirpe.
Allo stesso tempo ci
sono nomi che gravano come fardelli e si vanno ad accumulare a pesi
portati per
una vita intera, macigni che non sono stati richiesti e che non sono
voluti,
per quanto ammantati di gloria e fama.
Si tratta di nomi al
sapore di menzogna che lasciano disorientati, nomi che accollano
ulteriori
responsabilità e richiedono di fare la cosa giusta, non per
sé ma per tutti gli
altri.
Jon l’ha chiamata
con devozione e amore, un tempo, e suonava tanto perfetta alle sue
orecchie. Lo
sarebbe ancora se non fosse per... No, ora è solo
l’ennesima tiranna da privare
del potere per salvare il Regno che ha giurato di proteggere in quanto
scudo
del popolo – il loro popolo.
La Sala del Trono ha
risuonato per secoli di nomi di re, incoronati dalle spade dei nemici
sconfitti
di Aegon, e ha rimbombato per le suppliche dei condannati a morte. La
sfida è tra
chi sentirà il proprio squillare tra quei brandelli di mura
e chi languirà sul
pavimento di pietra sussurrando le ultime preghiere.
Un bacio, l’ultimo
che sa di ineluttabilità, due pugnali e due cuori che
smettono di battere – era
la cosa giust…
*
“Lui
è
Jon Snow. Il Re del Nord.”
NdA
Questa storia
partecipa alla challenge
come coppia NOTP, e quantomeno ho avuto la fortuna di
un pairing dove uno dei due era di per sé tanto geniale
da rovinarli da
solo XD. Non saprei dirvi i motivi per cui non sia mai riuscita a
vederli
assieme (probabilmente il mio leggerissimo odio per
Jon ha notevolmente
influito, insieme alla prevedibilità quasi banale della
coppia), posso però dirvi
che ho sperato tantissimo, guardando la 8x06, che finisse esattamente
così tra
loro: una doppia pugnalata durante quel bacio. Hanno insistito
così tanto su
Dany che si sentiva tradita da Jon, che avrebbe voluto eliminarlo, che
ci
contavo in quella doppia morte e me la sono scritta io. Le due battute
che
aprono e chiudono la storia sono tratte dal primo incontro tra i
personaggi
nell’episodio 7x03 (perdonatemi ma non posso che ridere ogni
volta davanti a
quella scena, Jon messo anche involontariamente in ridicolo mi rallegra
sempre).
Sempre durante quell’episodio (e più in generale
nella settima stagione) è
ambientata la seconda parte della storia, nell’ottava dopo la
rivelazione dell'identità di Jon la terza, mentre la prima
nel periodo che precede il loro incontro.
Grazie di cuore per aver letto, spero che anche questo
breve scorcio sia stato di vostro gradimento (nel caso fossero la
vostra coppia
preferita perdonatemi per la fine).
A presto,
Maqry
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Capitolo 5 *** Partita in quattro mosse (JonxSansa) ***
Partita in
quattro mosse
(JonxSansa)
A Nirvana
Sansa
detestava il gioco del
cyvasse. Non c’era tempo per draghi e catapulta nelle favole
da piccola regina
dell’Estate che si raccontava, solo per cavalieri da torneo a
cui donare
fazzoletti ricamati.
Anche
Jon lo odiava, mentre le
pedine di Robb abbattevano il suo re. Gli ricordava quale fosse il suo
posto:
un soldato nella mischia, migliore con la spada che nella tenda dei
comandanti
a filosofeggiare di strategia.
«Ti
va una partita?»
«No.»
«Nostro
padre dice che devo allenarmi, se voglio battere Robb.»
Non
voglio perdere ancora.
«E
va bene, ma solo per questa volta.»
***
Dicono che
Oltre la Barriera si congelino pure i pensieri. Eppure Jon di rado ha
sentito
tanto calore come sotto quelle vecchie pelli, le gambe forti e nervose
di
Ygritte avvinghiate attorno alle sue, mentre le sussurra piani per
aggirare i
castelli dei Guardiani della Notte – no, soltanto
Corvi. Ed è facile,
per qualche istante, immaginare un’altra ragazza baciata dal
fuoco e una
scacchiera da gioco.
«Mi
sembra un piano stupido, finiremmo per essere schiacciati sul
fianco.»
«Ne
sai, di strategia, per essere…»
«Donna?
Hai mai ascoltato una ragazza a riguardo?»
«Mia
sorella, qualche volta.»
Sorelle.
Non solo Arya, anche Sansa.
«E
allora non sai niente, Jon Snow.»
***
«Non
hai occhio, chi ti ha insegnato a giocare?»
«Mio
fratello.»
«Beh,
sappiamo che fine ha fatto…»
Non
Robb, Jon.
«Ascolta
me: non concentrarti su un forte o un battaglione,
combatti
nella tua testa, sempre, su ogni casella della scacchiera.»
L’aria
pungente
e rarefatta a Nido dell’Aquila spacca la pelle più
del freddo di tutto il Nord.
Solo il camino delle stanze private di Lord Baelish aiuta a scaldare le
dita
intirizzite di Sansa – no, Alayne Stone
–, mentre spostano elefanti e
cavalieri ad accerchiare il forte nemico. Ed è facile, per
qualche istante,
socchiudere gli occhi per ponderare la prossima mossa e sentirsi a
Grande
Inverno.
***
«Potremmo
posizionare gli arcieri sul fianco sinistro…»
«No!
Devi
anticipare Ramsay, batterlo d’astuzia. E non ci sono
abbastanza uomini!»
Non
puoi perdere.
«Lo
so, ma è quello che abbiamo.»
È
la tattica di Sansa che fa cadere
la moneta dal lato giusto. A Jon sembra ancora di vederla sbuffare
mentre siede
al tavolo, lui che si sente grande a spiegarle le mosse. Ha imparato,
di certo
non da lui.
Ditocorto
aveva
ragione, pensa Sansa, le sue lezioni le sono servite, eppure non teneva
conto
degli insignificanti. A salvarli è stato Jon, solo un
soldato che affronta
un’orda con spada e la disperazione dei lupi, trascinando
uomini a dare la
vita.
***
«Prometti
che tornerai a Grande Inverno, un giorno.»
«Mi
aspetterai per una partita a cyvasse, mia regina?»
Per
tutte le partite che vorrai, Jon.
Note
alla storia: i dialoghi
sono inventati/rielaborati grossomodo a partire
da quelli effettivamente presenti nella serie per questioni di trama
(specie
quando Jon e Sansa discutono prima della Battaglia dei Bastardi). Per
quanto riguarda l'uso di fratello/sorella, è stato scelto per sottolineare il legame
più "profondo" tra i due considerati i sentimenti che qui si
presuppone provino l'uno per l'altra, quasi scappi per errore invece di
sorellastra/bastardo (e
da qui gli eventuali fraintendimenti). Si scusino i
velati cenni alle scarse abilità strategiche di
GiovanninoNeve, ho provato a
non inserirli ma nella vita bisogna essere sinceri. Per ogni
colpa riguardo a
me che rovino definitivamente questi due, ritenete responsabile Nirvana_04
che non
solo mi ha fatto scoprire la coppia, ma lo ha fatto facendomi leggere
una
storia tanto bella che non ho potuto che apprezzarli nonostante sia
coinvolto
Jon, per di più vivo. Come è giusto che sia,
quindi, ora che ne ho scritto a
mia volta senza far tragicamente morire il suddetto – e
amatissimo –
personaggio, la ff è dedicata a lei (guarda che fortune che
ti capitano! Sono dimostrazioni
di affetto anche queste 💙).
E
già che mi son ricordata di avere una raccolta su GoT,
questa storia partecipa
alla challenge
come coppia het.
Grazie
a chiunque abbia dedicato tempo a questa lettura, spero sia stata
piacevole!
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