Recollections of Love

di fantaysytrash
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Philia ***
Capitolo 2: *** Eros ***
Capitolo 3: *** Agape ***



Capitolo 1
*** Philia ***


Note dell’Autrice

Questa storia è stata un po’ parto, con decine di idee diverse che continuavano a cambiare, ma alla fine sono riuscita a produrre un qualcosa di cui posso dirmi relativamente soddisfatta. Si tratta di una raccolta/mini-long – ancora non so bene come definirla – che segue Bucky e il suo processo di guarigione mentre riordina i suoi ricordi e capisce dove appartiene veramente.

In questo primo capitolo, ci si concentra sul primo incontro tra Bucky e Steve al campo militare Lehigh, per poi spostarsi, nei capitoli successivi, sul rapporto tra il Soldato d’Inverno e Natasha mentre erano nella Stanza Rossa e, infine, uno stralcio di vita dopo che Bucky viene integrato nel gruppo degli Avengers.

Sebbene nel secondo capitolo sia presente la coppia Bucky/Natasha, la fic in generale vuole sottolineare il rapporto tra Bucky e Steve e come il loro amore abbia mantenuto in vita in più occasioni Bucky, anche quando questi non ricordasse per che cosa, esattamente, stesse lottando.

I titoli dei capitoli sono costituiti da diverse tipologie d’amore (philia – amore sentimentale; eros – amore carnale; agape – amore universale), che vogliono essere anche le tematiche principali degli stessi.

Inoltre, parte del prompt per il contest era l’inserimento di elementi in riferimento ad altre trasposizioni (in questo caso, i fumetti), quindi se non vi tornano certi eventi con il Marvel Cinematic Universe è per questo motivo.

Buona lettura,

Federica ♛



Disclaimer: Tutti i personaggi di questa storia non appartengono a me, bensì a Stan Lee e alla Marvel. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, ma solo per puro divertimento.

 

 

 

 

RECOLLECTIONS OF LOVE

#1 – P H I L I A

 

Quando Bucky non è ancora un sergente degno di nota ma un semplice orfano, semi-abbandonato al campo militare Lehigh, pensa che non ci sia onore più grande che combattere per il proprio paese.

Non è completamente estraneo agli orrori della guerra, ma conosce abbastanza per sapere che è questa la vita giusta per lui; esser diventato una sorta di mascotte dei militari nel tempo trascorso con l’ormai defunto padre lo facilita a convincere il colonnello Applegate in persona a impartirgli un addestramento completo.

Sebbene sia ancora troppo giovane per prender parte a una vera e propria operazione militare, fa del suo meglio per esser visto di buon occhio dai suoi superiori, convinto che il suo momento non tarderà a presentarsi.

Gli allenamenti giornalieri sono tutto fuorché leggeri, ma l’aria complice che si crea attorno ai cadetti e quel senso di appartenenza che Bucky non ha mai provato prima di allora sono segnali sufficienti per confermare le proprie già profonde convinzioni.

Quando la guerra scoppia definitivamente, non perde tempo prima di richiedere una missione sul campo, determinato a non essere lasciato indietro, e rimane piuttosto sorpreso quando gliene viene affidata una solamente dopo qualche giorno.

E affiancare un soldato semplice è proprio l’esercizio utile per acquisire l’esperienza di cui ha così disperatamente bisogno.


Bucky non si considera affatto una persona stupida – non per nulla è riuscito a guadagnarsi un futuro con le sue sole abilità persuasive – ma non appena posa gli occhi sul volto che nelle settimane precedenti ha guardato solo tramite una fotografia polverosa, perde momentaneamente il filo del discorso che si era preparato.

Il soldato semplice Rogers è allo stesso tempo uno stereotipo e una sorprendente rivelazione; muscoloso e agile come ogni militare dovrebbe essere, ma con una schiena troppo dritta, troppo orgogliosa per un milite qualunque.

Ciò che blocca Bucky a pochi metri dal campo, tuttavia, non è la sua forma imponente, ma il sergente che dondola a qualche centimetro dal suolo, tenuto sospeso dalle braccia possenti di quello che è chiaramente un suo sottoposto.

“Perché non te la prendi con qualcuno della tua stessa taglia?”

La voce di Rogers è bassa, sulla difensiva, e quasi ringhia le parole in faccia all’ufficiale, che da parte sua non si comporta in modo degno del suo rango, abbassando la testa e pronunciando qualche parola che Bucky non riesce a cogliere.

Di fianco ai due si trova un terzo uomo – un ragazzino, in realtà – con un occhio nero e i pantaloni strappati che cerca di nascondersi il più possibile dagli sguardi sempre più numerosi degli altri militari.

Quando il sergente viene lasciato andare, camminando tanto velocemente quanto sia concesso prima che si debba definire una vera e propria corsa, i due si voltano verso Bucky, il quale si limita a porgere le scartoffie che segnalano il motivo della sua presenza.

Il soldato Rogers cambia velocemente espressione, la postura si fa più rilassata e gli occhi diventano più cristallini, mentre dà una scorsa alle parole scritte sugli ordini ufficiali che gli sono stati consegnati.

“Io sono Steve,” si presenta infine il ragazzo – non ci può essere molta differenza d’età tra i due, Bucky conclude –, allungando la mano in saluto.

Bucky la guarda per un attimo, ancora stordito dalla situazione, e passano alcuni secondi prima che replichi il gesto.

“Bucky,” afferma stupidamente, dimenticandosi delle raccomandazioni di presentarsi ufficialmente e non scompostamente. Steve alza un sopracciglio come a voler indicare l’assurdità di tale nome, ma si trattiene dal commentare.

Bucky decide che affiancare Steve Rogers si rivelerà più interessante del previsto.


I giorni passati con Steve donano un’atmosfera piacevole che si contrappone al clima opprimente della guerra, e Bucky non può fare a meno di sentirsi in colpa; non dovrebbe provare alcuna piacevole emozione mentre centinaia di uomini muoiono ogni giorno, spesso a pochi passi di distanza da lui.

Ma Steve ha il sorriso facile, una risata genuina e non permette a nessun altro cadetto di prendersela con i più deboli, rivelandosi fin da subito un’anima gentile a dispetto del suo aspetto imponente; se solo Bucky fosse nelle condizioni di poter essere onesto con se stesso, ammetterebbe che si sta lentamente innamorando di quello che è ormai diventato il suo miglior amico.

Quando in seguito scopre che quel teppistello è in realtà Capitan America, in fondo non è poi così sorpreso; ha il carisma, il coraggio e la tenacia che si addice a un supereroe, e Bucky non vuole far altro che seguirlo in capo al mondo.

“Fidati, li convincerò a farmi venire con te,” promette solenne il giorno successivo, mentre i due stanno facendo una pausa dal solito allenamento giornaliero.

“Non devi farlo, sai. Se ti succedesse qualcosa…”

Bucky lo interrompe subito. “Siamo in guerra, Steve, succederà sicuramente qualcosa.”

E quando qualcosa succede veramente e Bucky cade nel vuoto, l’espressione distrutta di Steve per sempre stampata all’interno delle sue palpebre, non rimpiange un solo momento della sua vita; per quanto lo riguarda, ne è valsa la pena.

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Capitolo 2
*** Eros ***


Disclaimer: Tutti i personaggi di questa storia non appartengono a me, bensì a Stan Lee e alla Marvel. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, ma solo per puro divertimento.

 

 

 

 

RECOLLECTIONS OF LOVE

#2 – E R O S

 

Quando Bucky non è più Bucky, l’unica cosa di cui è veramente certo nei momenti di estrema lucidità è che avrebbe preferito morire.

All’inizio, durante i brevi attimi di ribellione, ha provato a portare a compimento l’azione lui stesso, senza successo. Ma ora, svariati decenni dopo la sua cattura, non ha più la forza mentale nemmeno per considerarsi un essere umano. Trascina il suo corpo missione dopo missione come fosse un guscio vuoto in attesa di rompersi definitivamente, incurante della maggior parte degli eventi che accadono intorno a lui.

L’unica cosa di cui deve preoccuparsi è portare a termine le missioni affidatogli dai suoi superiori, da uomini come Pierce e Rumlow, criminali spietati disposti a tutto pur di raggiungere i propri loschi obiettivi.

Tutto questo cambia quando incontra la ragazzina dai capelli di fuoco capace di impugnare coltelli quasi bene quanto lui. Natalia non dovrebbe essere diversa dagli altri soggetti del progetto Vedova Nera, ma il suo sguardo intenso e i suoi movimenti fluidi attirano l’attenzione del Soldato fin dal loro primo incontro.

Allenarsi con lei diventa presto il momento più significativo della sua esistenza; il combattimento, l’adrenalina che ne deriva, la possibilità di lottare con qualcuno quasi alla sua portata è un aspetto stimolante che si abbatte su di lui all’improvviso, lasciandolo senza fiato.

È un pensiero irrazionale, stupido, che porterà entrambi alla rovina, ma che costituisce l’unico gancio di salvezza nella vita che gli è stata imposta.

Quello con la Vedova Nera – sono molte le ragazze che si identificano con questo termine, ma per il Soldato ce ne sarà sempre e solo una – è un gioco pericoloso, in cui le possibilità di vincere sono pressoché nulle.

Questo non gli impedisce di sgattaiolare via inosservato nel cuore della notte per incontrarsi al buio e carpire un barlume di calore ogni volta che ne ha l’occasione.

La maggior parte delle volte non parlano molto – tutto quello che vorrebbero dire non è traducibile in parole, siano esse in inglese o in russo –, limitandosi a trascorrere notti infuocate, consumati entrambi da un fuoco flebile, sul punto di spegnersi al più lieve soffio d’aria.

Natalia occupa anche la maggior parte delle sue notti, durante le quali non può fare a meno di rivivere le ore passate insieme, analizzando quelli che ha ormai da tempo smesso di considerare sentimenti.

In rare occasioni appare, tuttavia, in un angolo della sua mente, un ricordo estraneo che non riesce a collocare, un particolare sfuggente che occasionalmente si ripresenta indesiderato nella sua memoria danneggiata. Una stretta di mano sul limitare di un campo militare, una risata in un pomeriggio soleggiato, occhi azzurri che lo guardano interessati.

Ma per quanto si sforzi, il Soldato non ottiene ulteriori dettagli dal suo stesso passato; forse è meglio, si ripete quando non riesce a pensare ad altro, perso in mondi tanto lontani da sembrare paralleli, in fondo non ha senso ricordare ciò che non può avere.

Così si concentra su quello che ha, su quello che può migliorare, e si spinge talmente oltre da iniziare a considerare la possibilità di una vita lontana dai suoi carcerieri.

Nel profondo del suo animo sa che questa sua piccola speranza è già morta prima ancora di nascere del tutto, ed è quasi sollevato quando lui e Natalia vengono sorpresi nel mezzo di uno dei loro incontri abituali.

Dopotutto, il Soldato sa di non meritarsi alcun momento di benessere, lui è una macchina, un’arma letale, una risorsa da usare e sfruttare nei modi più svariati. E Natalia è una delle spie più capaci che abbia mai incontrato, e se mai riuscirà a sfuggire alle grinfie del KGB ricorderà per entrambi la loro storia d’amore nata in un luogo impossibile da amare.

Così, quando viene trascinato sulla sedia, legato con pesanti cinte di cuoio, dimenandosi talmente poco che occorrono solo due agenti per tenerlo fermo, non spreca il poco tempo a disposizione tentando di fermare l’inevitabile, ma passa in rassegna tutti i ricordi migliori, l’ultima occasione di cogliere un po’ di serenità: una chioma di capelli rossi, mosse veloci e letali, braccia sempre pronte ad accoglierlo dopo una giornata faticosa, un mezzo sorriso forzato che l’ha aiutato nei momenti peggiori.

Ma, all’ultimo secondo, prima che le scosse elettriche inizino, un paio di occhi azzurro cielo si intrufola tra le altre rimembranze, quasi come a volerlo seguire oltre l’oblio.

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Capitolo 3
*** Agape ***


Disclaimer: Tutti i personaggi di questa storia non appartengono a me, bensì a Stan Lee e alla Marvel. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, ma solo per puro divertimento.

 

 

 

 

RECOLLECTIONS OF LOVE

#3 – A G A P E

 

Quando Bucky sta facendo del suo meglio per tornare a essere Bucky, viene sorpreso dalla gentilezza e dalla comprensione degli Avengers in più di un’occasione. Ne ha la conferma ultima esattamente tre mesi dopo aver ripreso ad andare in ricognizione per conto dello S.H.I.E.L.D.

La missione non sarebbe dovuta essere diversa dal solito e, sotto molteplici punti di vista, non lo è stata. Ma ogni volta che si trova sul campo, ogni volta che salva civili o elimina agenti HYDRA, Bucky non può fare a meno di sentirsi fuori posto.

In cuor suo, nonostante i numerosi e quasi monotoni discorsi di Steve, sa di non meritare davvero l’opportunità di lottare al fianco degli Avengers. Lui non è un eroe, non è un modello da cui prendere esempio, non è più nemmeno quello che tutti considerano Bucky. La maggior parte dei giorni si sente come un estraneo che indossa il suo volto e usa la sua voce, ma che è non è a tutti gli effetti la stessa persona. La dottoressa Cho sostiene che sia normale, che ci vorrà del tempo prima di poter tornare alla normalità, ma Bucky annuisce più per inerzia che per vera convinzione.

Tornato alla Torre insieme agli altri, tutto ciò che desidera è farsi un bagno caldo e dormire fino al prossimo millennio – a volte gli fa paura quanto questo sia vero, nonostante tutto – ma prima che riesca a svignarsela, viene richiamato nell’area comune da Clint.

“Che succede?” chiede. Clint fa un gesto sbrigativo e lo dirige verso il grande tavolo di legno vicino alla cucina, attorno al quale tutti gli altri Avengers sono radunati. La prima cosa che vede è il sorriso di Steve, e non può fare a meno di prendere nota di tutti i particolari che lo contraddistinguono. Da quando è tornato in sé – o almeno, tanto in sé quanto riuscirà mai a essere – trascorre intere giornate con Steve, spesso non interagendo con nessun altro. Ci sono giorni in cui ancora non crede che sia reale, come se all’improvviso potesse svegliarsi e ritrovarsi nelle grinfie dell’HYDRA.

Tony si schiarisce la gola. “Sappiamo che il nostro Capitano è uno spettacolo per gli occhi, ma non è quello che vogliamo mostrarti, Buckaroo.”

Bucky ha perso anni prima l’abilità di arrossire, ma sente ugualmente un certo calore mentre sposta lo sguardo su ciò che Tony sta indicando con fervore.

“Cos’è… quella?”

“Mi pare ovvio, no?” esclama Tony. “È la tua torta di compleanno!”

“La mia… torta di compleanno,” ripete Bucky piano, come se la nozione non avesse alcun senso compiuto.

“Oggi è il tuo compleanno, Buck,” spiega Steve dolcemente.

Bucky non può fare a meno di sbuffare; avrà pure avuto gravi problemi di memoria per… be’, anni, ma dopo mesi di recupero e guarigione, ha conquistato l’arduo obiettivo di sapere identificare i diversi giorni.

“Non capisco,” ammette.

Con la coda dell’occhio nota Clint e Natasha scambiarsi un’occhiata significativa – si chiede se anche lui e Steve appaiano così a uno sguardo esterno –, ma è Sam a rispondere.

“Oggi è il tuo compleanno, quindi ti abbiamo preparato una torta. Non mi sembra un concetto particolarmente difficile.” Nelle ultime settimane i due sono giunti a una particolare sorta di amicizia, inizialmente dettata dal volere comune di rabbonire Steve, ma che si è presto trasformata in un rapporto autentico. Sam comprende meglio di chiunque altro i sentimenti contrastanti che Bucky sta provando – è il suo lavoro, dopotutto – e, a differenza di chiunque altro, non lo tratta come se fosse una delicata scultura di ghiaccio. Bucky lo apprezza più di quanto avrebbe creduto possibile in passato.

Anche Natalia – o Natasha, come si fa chiamare ora – gli sorride, e Bucky sa che non sarà mai in grado di comunicarle quanto sia importante per lui, quanto sia vitale al suo processo di guarigione. Quello che c’è stato tra loro li ha salvati entrambi quando pensavano di essere insalvabili, e hanno deciso di mantenere il loro forte rapporto anche se non rivestono più il ruolo di amanti.

Riportato alla realtà da una leggera spinta da parte di Steve, Bucky riporta la sua attenzione sul problema attuale, ed è quasi tentato di chiedere per quale assurda ragione gli Avengers vogliano festeggiare il suo compleanno, ma già riesce a sentire le loro rassicurazioni su come tutti l’abbiano perdonato, e non crede di esserne pronto in quel particolare momento.

Così si limita ad annuire e lascia che gli altri si divertano per qualche ora, senza soffermarsi troppo sui suoi sentimenti contrastanti di gratitudine e colpevolezza.

“C’è un’altra sorpresa per te,” una voce famigliare gli sussurra all’orecchio. Quando si volta verso di lui, Steve sta sorridendo – ormai è difficile vedergli sul volto un’espressione diversa – e, quando gli rivolge uno sguardo interrogativo, l’altro lo conduce sul tetto della Torre.

“Forza, il Quinjet ci sta aspettando.”

 

Quando ore dopo si ritrovano davanti all’enorme gola rocciosa, nemmeno le sue insicurezze riescono a impedirgli di irrompere in un sorriso sincero che, di conseguenza, fa triplicare quello di Steve.

“Ho sempre desiderato vedere il Grand Canyon.”

“Lo so,” conferma Steve. “Una volta sono venuto da solo… Ricordo di aver disegnato il tuo volto e averlo mostrato alla luna, come se bastasse per realizzare il tuo desiderio.”

“Steve―”

“Scusa, questo è un giorno felice, non dovrei parlare del passato…”

Bucky lo guarda, pensieroso. “Grazie,” afferma poi. “Ma ora sono qui, niente più atti melodrammatici, va bene?”

Steve gli stringe la mano, ed entrambi traggono conforto nel massiccio corpo caldo dell’altro, prima di avvinarsi alla piattaforma di veduta sospesa nel vuoto.

Il tramonto illumina il profilo di Steve, e Bucky è colto dall’improvviso desiderio di baciarlo. Passano alcuni istanti prima che si ricordi che non c’è assolutamente niente che gli impedisca di fare esattamente ciò.

Ma quando si sporge verso l’altro, viene prontamente fermato da una presa decisa.

“Sei sicuro?” Lo sguardo sul suo volto potrebbe quasi essere considerato tenero, se solo non fosse avvolto da un’ala di malinconia e rassegnazione.

“Non ti devi sentire in debito con me, non vorrei mai costringerti a fare qualcosa contro la tua volontà.” Prima che Bucky possa intervenire, prosegue di fretta: “Voglio dire, so che le cose sono cambiate e so che potresti avere… altri interessi, non voglio dare niente per scontato.”

“Steve,” inizia calmo. “Sono letteralmente sopravvissuto a numerose torture e lavaggi del cervello, sfidando ogni legge fisica e temporale, solo per poterti raggiungere. Puoi chiedere al dottore magico, se preferisci, ma non credo esista un universo in cui io non scelga te.”

Bucky si avvicina nuovamente e questa volta Steve è troppo scosso per fermarlo. A un soffio di distanza, strofina leggermente i loro nasi e quando riprende a parlare sa che Steve può percepire il suo fiato sulla pelle.

“Steve Rogers, non credo tu sappia quanto tu significhi per me. Ti ho amato ancor prima di sapere cosa fosse l’amore, ti ho amato anche quando non ricordavo nemmeno il mio nome, ti amo ora, anche se so di non meritarti, perché tu mi fai sentire di poter essere egoista. Ti amo perché nessuno mi guarderà mai come fai tu, e nessuno mai mi convincerà di essere degno del tuo amore come fai tu ogni giorno.”

Steve sorride anche se alcune lacrime stanno minacciando di cadere sulle sue guance arrossate. Bucky le cattura prima che possano iniziare la loro discesa e posa un bacio leggero sulle labbra del compagno.

E sotto il cielo crepuscolare dell’Arizona, Bucky Barnes può dire di essere finalmente, inevitabilmente, irrevocabilmente a casa.

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