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Tu che sei la forza e il coraggio
La meta in un viaggio
Il senso dei giorni miei
Io ci sarò da ora e per sempre…
Tu che sei davvero importante
In ogni mio istante
Sei la melodia
E non passerai, mai…
Non siamo un soffio di vento
Non siamo un momento
Lo sai che il tuo posto è per sempre qui…
Siamo musica vera che resta…
(“Musica che resta” – Il Volo)
Giovanni degli Uberti
stava passando davvero delle brutte giornate.
Si era illuso davvero
che, vivendo a Palazzo Medici e cercando di non pensare più nemmeno per un
secondo a Rinaldo, avrebbe trovato pace e avrebbe dimenticato quell’uomo, ma
non era affatto così. Erano trascorse tre settimane e il dolore per la
lontananza da lui, unito alla rabbia per essersi sentito “tradito”, non
accennava nemmeno a diminuire, anzi, forse perfino aumentava.
E, tra l’altro, le
cose andavano tutt’altro che bene anche a Palazzo Medici…
Cosimo non aveva
dimenticato il suo impegno per scoprire chi avesse ordinato l’attentato a
Rinaldo e Ormanno Albizzi ma, nel frattempo, aveva scoperto da Marco Bello
qualcosa che non avrebbe mai voluto sentirsi dire. Il suo uomo di fiducia aveva
trovato il pugnale con il quale era stato ucciso lo speziale che aveva venduto
il veleno usato per eliminare il padre di Cosimo e lo aveva trovato… nella
stanza di Lorenzo!
Possibile che fosse
stato proprio suo fratello a uccidere il padre?
Certo, Giovanni de’
Medici non era mai stato quello che si dice un simpaticone, né un uomo che si
facesse benvolere dai figli, oltre alla carognata che aveva commesso ai danni
di Rinaldo e della sua famiglia vent’anni prima. Diciamocelo, aveva fatto di
tutto per rovinare anche la vita dei suoi figli… Cosimo avrebbe desiderato
diventare un artista, vivere a Roma e sposare la giovane Bianca e suo padre
aveva allontanato la ragazza e costretto il figlio ad affiancarlo prima e a
prendere il suo posto poi sia alla Banca Medici che nella Signoria; Lorenzo si
era innamorato di una giovane di nome Rosa che il padre, tanto per non fare
favoritismi con i due figli, aveva fatto sparire.
Insomma, non sarebbe
mai stato eletto Padre dell’anno.
Ma da qui a pensare
che Lorenzo potesse averlo ucciso ce ne correva!
Eppure Cosimo, per
non sbagliare, aveva fatto rinchiudere il fratello nella sua stanza e rifiutava
di parlargli. E Lorenzo, da parte sua, aveva sì protestato la propria
innocenza, ma poi aveva nuovamente irritato Cosimo accusandolo di preferire
Marco Bello a lui e di essersi sempre fidato di un servitore invece che di suo
fratello!
Giovanni si trovava
proprio in mezzo a tutto questo bel casino, il clima a Palazzo Medici era
sempre più teso e cupo e non era di certo il contesto migliore per cercare di
distrarsi e dimenticare i suoi problemi con Rinaldo.
A dirla tutta, la
situazione era piuttosto critica anche a Firenze e, soprattutto, nella
Signoria.
Andrea Pazzi era
sempre più inviperito per il fatto che fosse stato eletto Mastro Bredani (il
mercante di olio) invece di lui per sostituire Albizzi e non perdeva occasione
per dimostrare al mondo intero quanto si sentisse oltraggiato da quel fatto. Aveva
presentato alla Signoria una mozione perché tutti i beni della famiglia Albizzi
fossero confiscati e il Gonfaloniere aveva dovuto convocare una riunione
appositamente per discuterne.
Giovanni… beh, Giovanni
continuava ad avercela a morte con Rinaldo, ma ce l’aveva con lui proprio
perché era geloso, perché non sopportava l’idea che l’uomo fosse andato a letto
con sua moglie nel periodo in cui si trovavano tutti nella loro villa di
campagna per il fidanzamento e il matrimonio di Ormanno e Beatrice. E poi
detestava Andrea Pazzi più di qualsiasi altro sulla faccia della terra.
Pertanto, quando si
tenne la riunione per decidere riguardo ai beni della famiglia Albizzi, il
ragazzo era presente e agguerrito, al fianco di Cosimo e Piero (Lorenzo,
naturalmente, era ancora segregato nella sua stanza…).
“Messer Pazzi ha
richiesto che, come impone la legge della Repubblica, i beni della famiglia
Albizzi siano confiscati, poiché Rinaldo Albizzi ha dimostrato di essere un
nemico di Firenze” esordì il Gonfaloniere.
Pazzi, molto
compiaciuto, si alzò dal suo posto e guardò tutti i membri presenti alla
seduta.
Finse di non vedere
nemmeno Mastro Bredani.
“E’ la legge che lo
impone, è vero, ma è anche la giustizia” proclamò, tronfio. Almeno quella
soddisfazione pensava di potersela togliere… “Rinaldo Albizzi è un traditore,
ha cospirato per rovesciare la Signoria e conquistare Firenze con la forza. E’
stato esiliato, ma adesso la pena è stata sospesa in attesa di sapere chi abbia
attentato alla sua vita mentre lui e suo figlio si recavano ad Ancona. Io
ritengo che i beni della sua famiglia debbano essere confiscati e restituiti
alla Repubblica, così come si fa con i traditori.”
I presenti nel salone
sembravano assentire e mormoravano tra loro. Pazzi vide il momento favorevole e
tentò l’affondo.
“Inoltre, non
dimentichiamo che Albizzi ha dimostrato più volte di essere un pericolo per
Firenze. Potrebbe usare i beni che possiede per assoldare un altro esercito o
allearsi con una potenza straniera, tentando ancora una volta di conquistare la
città!” esclamò, facendo leva sulla paura.
Il Gonfaloniere
sembrava esitare, ma a quel punto intervenne Giovanni.
“Dite bene, Messer
Pazzi, Rinaldo Albizzi ha tentato di rovesciare la Signoria e per questo è
stato punito” disse, fissando uno sguardo torvo sull’uomo. “Tuttavia sappiamo
anche che, come voi stesso avete rammentato, Messer Albizzi è stato aggredito
sulla strada per Ancona e lui e suo figlio hanno rischiato la vita. Inoltre
permettetemi di ricordarvi che, se Messer Albizzi è stato scoperto nel suo
piano, è perché è venuto a chiedere il vostro appoggio. Perché proprio a voi?
Qualcuno se lo è mai chiesto?”
Pazzi divenne livido
di rabbia, soprattutto quando notò alcuni sguardi sospettosi posarsi su di lui.
“Io ero d’accordo con
Messer Guadagni!” reagì. “Gli avevo detto di venire al mio palazzo e
nascondersi con le guardie della Repubblica nella stanza attigua al mio studio,
per poter ascoltare Albizzi che si incriminava con le sue stesse parole. Io ho
agito per salvare Firenze!”
“Sono commosso dal
vostro amor di patria” commentò ironico Giovanni che, nonostante tutto, non
sembrava aver perso la sua vena polemica e battagliera, “eppure mi chiedo,
ancora una volta, perché Messer Albizzi è venuto a parlare del suo piano
proprio con voi? Perché? Avrebbe potuto fare tutto da solo, oppure chiedere
appoggio a uno qualsiasi dei nobili signori di Firenze, eppure è venuto da voi
senza il minimo sospetto. La cosa sembra strana solo a me?”
Eh, già. Forse
nessuno fino a quel momento si era mai posto quella domanda da un milione di
fiorini, compreso il Gonfaloniere; adesso, però, il dubbio di Giovanni si stava
estendendo anche a molti dei presenti, che ripresero a mormorare tra sé e a
guardare Andrea Pazzi con un’aria che non prometteva nulla di buono.
“L’ho già detto e
ripetuto!” replicò l’uomo, sempre più nervoso. “Ero d’accordo con il
Gonfaloniere e ho finto di voler appoggiare Albizzi, affinché venisse da me e
si tradisse!”
“Ma certo, tutta Firenze
conosce la vostra parte in questa storia, quella della spia” riprese il giovane Uberti, inesorabile. “Eppure… tutta
Firenze conosce bene anche Messer Albizzi e sa che è sempre stato un uomo molto
chiuso, diffidente. Perché avrebbe dovuto svelare i suoi piani proprio a voi,
lui che non si è mai fidato di nessuno? Forse perché, in realtà, voi e Messer
Albizzi eravate d’accordo già da molto tempo, cospiravate assieme e voi vi
siete fatto da parte quando avete capito che il piano non avrebbe funzionato.
Allora avete scelto di tradire il vostro complice e consegnarlo alla giustizia
per salvare voi stesso, non certo la
Signoria.”
“Queste sono solo
calunnie ingiustificate! Messer Guadagni, come potete permettere che…”
s’infuriò Pazzi, ma Giovanni non aveva ancora finito.
“Lo so, non ho prove
di ciò che dico, ma lasciate almeno che finisca” incalzò il ragazzo. “Voi
eravate d’accordo con Messer Albizzi ma poi vi siete tirato indietro e avete
scelto di tradirlo. C’era però il rischio che lui parlasse e rivelasse alla
Signoria il vostro ruolo nella faccenda. Allora avete insistito affinché la
Signoria lo condannasse a morte. Avete fallito ancora una volta e Messer
Albizzi è stato condannato all’esilio, ma a voi non bastava, dovevate
chiudergli la bocca una volta per tutte e, tanto per stare sul sicuro,
eliminare anche suo figlio, caso mai fosse stato a conoscenza degli intrighi
del padre… e del nome del suo complice. Ecco che avete assoldato i mercenari,
che erano a Firenze in cerca di un guadagno facile, perché tendessero
un’imboscata agli Albizzi nel bosco e li uccidessero. Il delitto perfetto.
Nessuno avrebbe mai potuto sospettare di voi.”
Andrea Pazzi era
paonazzo per la rabbia.
“Come osi, piccolo
screanzato? Uno come te non dovrebbe neanche poter parlare alla Signoria! Come
ti permetti di oltraggiare un nobile come me, tu che provieni da una famiglia
di traditori di Firenze? Messer Guadagni, abbiamo oltrepassato il segno!
Permettiamo a mercanti e plebei di diventare membri della Signoria e a un
discendente di traditori di infamare una famiglia rispettabile e integerrima
come la mia!” protestò con veemenza e, già che c’era, se la prese anche con
Mastro Bredani, la cui sola presenza nel salone gli urtava i nervi.
Il Gonfaloniere,
però, stava facendo due più due e gli pareva che le accuse di Giovanni, seppure
senza prove, ricomponessero alla perfezione tutto il quadro della faccenda. E,
come lui, la pensavano sempre più membri della Signoria.
Tuttavia, Guadagni
doveva restare fedele al suo ruolo e mantenere l’equilibrio.
“Messer Uberti,
quanto dite è molto interessante ma, senza le prove, restano solo accuse
infondate o, ancor peggio, calunnie” disse. “Inoltre non siamo qui per parlare
di Messer Pazzi, bensì per decidere se sia legittimo confiscare i beni della
famiglia Albizzi ed è su questo che la Signoria dovrà votare. Prego tutti i
presenti di non tenere conto delle parole di Messer Uberti.”
Giovanni annuì e si
rimise a sedere accanto a Piero. Era comunque soddisfatto.
I
membri della Signoria e tutti i presenti hanno sentito benissimo quello che ho
detto e anche Messer Pazzi che insultava la mia famiglia e Mastro Bredani. Ne
terranno conto di sicuro e molti di loro iniziano già a sospettare che potrei
aver ragione!
Pur essendo ancora
arrabbiato con Rinaldo, il ragazzino lo era molto di più con Andrea Pazzi e non
solo per ciò che stava cercando di fare agli Albizzi, ma anche per quanto il
suo tentativo fosse simile a quello che, tanti anni prima, i Pazzi e i Donati
avevano messo in atto contro gli Uberti. Allora avevano avuto successo: gli
Uberti erano stati cacciati da Firenze e i loro beni confiscati.
Questa volta, però,
Giovanni non lo avrebbe permesso!
“Torniamo quindi alla
questione per cui ho convocato questa riunione” riprese il Gonfaloniere, che
adesso guardava anche lui con sospetto Pazzi. “Dobbiamo confiscare i beni degli
Albizzi?”
“Io ritengo che non
dovremmo farlo” intervenne Cosimo, con voce ferma e alzandosi in piedi. “E’
vero che la legge lo consente, ma chiediamoci se, in questo caso, la legge sia giusta. E’ vero, Rinaldo Albizzi ha
tentato di rovesciare la Signoria e prendere il potere, ma per questo è stato
già giudicato e condannato all’esilio. E, durante il viaggio, è stato attaccato
dai mercenari e lui e suo figlio hanno rischiato la vita. Vogliamo togliere a
questa famiglia anche ogni mezzo per sostentarsi?”
Come sempre, le
parole calme e pacate di Cosimo erano le più efficaci.
“La famiglia Albizzi
non ha alcuna colpa per le scelte sbagliate compiute da Rinaldo, perciò ritengo
che non debba pagare per questo” dichiarò il Medici. “Il figlio, Ormanno, si è
appena sposato e Madonna Alessandra Albizzi è in attesa di un secondo figlio.
Vogliamo gettare queste persone innocenti sulla strada? Saremo così tanto
insensibili e crudeli? Inoltre non dimentichiamo che il bargello e anche molti
dei miei uomini stanno indagando per scoprire chi abbia organizzato l’attentato
agli Albizzi. E se fosse stato un complice di Rinaldo, come ha suggerito il
giovane Uberti? Non dico che debba essere stato necessariamente Messer Pazzi, ma ritengo che prima dovremo scoprire
chi ha tentato di eliminare gli Albizzi e solo dopo potremo decidere se e
quanto punire Rinaldo e, eventualmente, la sua famiglia. In realtà gli Albizzi
potrebbero essere solo una parte della cospirazione contro la Repubblica ed è
nostro dovere fare chiarezza, per poi punire i veri responsabili.”
Giovanni si rese
conto, ancora una volta, che Cosimo aveva sostenuto più o meno le sue stesse
ragioni, ma in modo molto più convincente e meno colorito e aveva acquistato il
favore di tutta la Signoria (eccetto Andrea Pazzi…). Solo… doveva proprio
ricordare quella cosa di Madonna Albizzi che aspettava un figlio? Quel dolore
sordo che non lo abbandonava mai si riacutizzò e la rabbia e la disperazione lo
inondarono, tanto che il ragazzo non si accorse nemmeno del fatto che la
Signoria aveva votato e che gli Albizzi non avrebbero perduto i loro beni.
La riunione era
finita bene, dunque, e anzi sia le accuse di Giovanni che le parole convincenti
di Cosimo avevano instillato nel Gonfaloniere e nei membri della Signoria il ragionevole dubbio contro Andrea Pazzi.
Mentre tornava a
Palazzo Medici con Piero e Cosimo, tuttavia, il ragazzino non riusciva a
sentirsi felice, nonostante la vittoria.
Sentiva terribilmente
la mancanza di Rinaldo, ma non voleva perdonarlo. Si era sentito usato e ingannato
da lui, non voleva più vederlo…
E allo stesso tempo
si sentiva morire ogni giorno di più che passava lontano da lui!
Now
I'm dancing with a broken heart Ain't no doctor who can make it start Singing these are the words that I'm never gonna
say again 'Cause I've given till I've given up One more casualty of easy love Singing these are the words that I'm never gonna
say again…
(“These
are the words” – James Blunt)
Chissà se all’epoca di
Cosimo de’ Medici esisteva già il detto Piove
sempre sul bagnato? Ad ogni modo fu proprio quello che successe a Firenze
in quel periodo. Erano ormai trascorsi più di due mesi dal furibondo litigio di
Giovanni con Rinaldo e il ragazzino stava sempre peggio, sebbene non volesse
ammetterlo. Dormiva poco, mangiava ancora meno e, per buona misura, si spendeva
anima e corpo per appoggiare i Medici alla Signoria, contro gli intrighi di
Andrea Pazzi. Era ridotto come uno straccio, ma Cosimo non aveva avuto modo di
accorgersene perché anche lui, proprio in quei giorni terribili, stava
affrontando un incubo: Marco Bello sembrava aver trovato le prove che
accusavano Lorenzo di aver ucciso il loro padre e lui lo aveva fatto
rinchiudere nella sua stanza senza nemmeno consentirgli di discolparsi. In
fondo al cuore, però, soffriva per ciò che aveva fatto al fratello e quindi non
riusciva più a concentrarsi sui propri doveri, che non erano pochi.
E, ovviamente, le disgrazie
non vengono mai da sole e quindi le cose peggiorarono ancora!
Qualche mattina dopo, Cosimo
e Giovanni arrivarono in ritardo alla riunione della Signoria. Giovanni aveva
dormito male quella notte (continuava ad avere incubi che riguardavano tutto ciò
che poteva esserci stato tra Rinaldo e sua moglie…), ma anche Cosimo non era
stato da meno: aveva deciso di andare a parlare con Lorenzo, ma poi gli era
mancato il coraggio e, quando si era coricato, aveva sognato il fratello che
avvelenava il padre… dopo di che, non era più riuscito a chiudere occhio.
Insomma, l’insonnia la faceva da padrona in quelle notti a Palazzo Medici!
Il risultato di tutto ciò
era stato che, appunto, tanto Cosimo quanto Giovanni non erano riusciti ad
alzarsi all’ora consueta e per questo erano giunti in ritardo al Palazzo della
Signoria.
E la sorpresa che li
aspettava era brutta quanto i loro incubi, solo che quella era la realtà…
“Padre, Giovanni, perché
siete arrivati in ritardo proprio oggi?” li accolse Piero, agitatissimo,
uscendo dal salone. “E’ successa una cosa terribile: Mastro Bredani è stato
aggredito e ucciso sulla porta di casa sua la scorsa notte.”
E così era finita, in modo
molto poco glorioso, l’avventura del mercante di olio come membro della
Signoria…
“Povero Bredani! Si sa già
chi è stato?” chiese Cosimo.
“Non credo che ci siano
dubbi sul mandante” replicò Piero, “infatti il suo seggio è stato assegnato
proprio questa mattina a Messer Andrea Pazzi.”
Tanto Cosimo quanto Giovanni
trasecolarono.
“Ma com’è possibile che il
Gonfaloniere abbia accettato di dare la sua approvazione alla candidatura di
quel serpente là?” reagì il ragazzo, guardando con sincero schifo Pazzi che,
tutto tronfio al centro del salone, si godeva le congratulazioni dei suoi fans.
“E’ proprio per questo che
dicevo… Padre, Messer Guadagni ha ricevuto una lettera in cui voi dicevate di appoggiare la
candidatura di Messer Pazzi” gemette Piero. “Ho cercato di spiegargli che
quella lettera era falsa, ma voi non c’eravate e io…”
“Va bene, Piero, non
preoccuparti, non è colpa tua” lo tranquillizzò Cosimo. “Il problema è che
Pazzi ha raggiunto il suo scopo…”
“Sì, ma a nessuno è venuto
in mente quanto sia sospetto che Mastro Bredani sia stato assassinato e subito dopo Pazzi abbia avuto il seggio?
Possibile che il Gonfaloniere non abbia fatto due più due?” protestò Giovanni,
che poteva anche essere stanco e provato ma, quando si trattava di attaccare
Andrea Pazzi, ritrovava tutta la sua energia. “Se non ci ha pensato lui, vado a
spiegarglielo io!”
E alle parole avrebbe fatto
seguire immediatamente l’azione, se Cosimo non lo avesse afferrato e portato
fuori per evitare il peggio! Intanto Pazzi, con il suo corteo di aficionados, stava anche lui uscendo dal
Palazzo della Signoria…
Nella piazza antistante il
palazzo, ci fu l’incontro al vertice
tra quel disgraziato, un disperato Piero de’ Medici, un Cosimo alquanto
indignato e un Giovanni che era fuori dalla grazia di Dio al pensiero che il
piano di quel bastardo, alla fine, avesse avuto successo!
Andrea Pazzi si avvicinò ai
Medici con il sorriso più falso e untuoso che poteva spiaccicarsi in viso.
“Messer Cosimo, Messer
Piero, siete venuti a congratularvi con me per la mia vittoria?” domandò, con
la più invidiabile faccia da schiaffi dell’intero pianeta.
“Naturalmente, Messer Pazzi,
vi facciamo le nostre congratulazioni” rispose Piero, il primo a ritrovare la
parola, “e auspichiamo una lunga e fruttuosa collaborazione tra le nostre
famiglie.”
“E voi, Messer Cosimo?”
insisté Pazzi, talmente tronfio per ciò che aveva ottenuto da rischiare di
esagerare.
E come no?
“Io… sì, certo, anch’io vi
porgo le mie congratulazioni” mormorò Cosimo, con l’espressione di chi aveva
appena pestato qualcosa di disgustoso.
Giovanni lanciava fulmini
dagli occhi e il suo volto lasciava trasparire tutto l’odio e la rabbia che
provava verso quell’uomo, e ovviamente non poté trattenere quello che pensava.
“Oh, ma anch’io vi faccio le
mie congratulazioni, Messer Pazzi” esclamò, con un sorriso maligno. “Devo dire
che quel seggio sembra davvero maledetto: Messer Albizzi è stato esiliato ed ha
rischiato di cadere in un’imboscata con suo figlio, Mastro Bredani è stato
ucciso… Beh, auguro anche a voi di godere pienamente di tutto ciò che quel
seggio potrà offrirvi!”
Andrea Pazzi divenne di
tutti i colori e avrebbe con gioia accoltellato Giovanni sulla pubblica piazza…
ma naturalmente non poteva! Sfoderò un ghigno e ribatté inviperito.
“D’ora in poi non potrai più
permetterti tanta insolenza con me” sibilò. “Adesso sono un membro della Signoria
e sono intoccabile!”
“Certo… come lo erano Messer
Albizzi e Mastro Bredani prima di voi” rincarò Giovanni. “Non vi sembra assai
singolare che entrambi abbiano perduto il seggio… e anche di più… in
circostanze ancora da chiarire, e che siate stato voi a guadagnarci?”
“Maledetto piccolo bastardo,
se non chiudi immediatamente quella boccaccia te la farò chiudere io,
denunciandoti al Gonfaloniere in persona!” reagì Pazzi, esasperato.
Cosimo, allora, afferrò il
ragazzo e lo allontanò dal suo nemico.
“Perdonatelo, Messer Pazzi,
purtroppo questi sono giorni molto difficili per lui” disse, “vi porgo le
nostre scuse, adesso sarà meglio che torniamo a palazzo.”
Ci vollero sia Cosimo che
Piero per portare via Giovanni, che avrebbe voluto avventarsi alla giugulare di
Pazzi, altro che porgere le sue scuse! Si allontanarono da un lato della piazza
mentre Andrea Pazzi e i suoi fans se
ne andavano dall’altro.
Il caso volle che Rinaldo
Albizzi, da lontano e non visto, avesse assistito a tutta la scena. Se da una
parte aver perso il seggio alla Signoria per colpa di Pazzi gli bruciava,
dall’altra la reazione di Giovanni lo aveva divertito molto… e gli aveva anche
fatto capire quanto quel ragazzino tenesse ancora a lui, sebbene facesse di
tutto per evitare di vederlo e parlargli.
Si avvicinò al terzetto che
stava facendo ritorno a Palazzo Medici.
“Buongiorno, Messeri”
esordì. “Dunque alla fine Andrea Pazzi ha ottenuto ciò che voleva, ma né voi né
io ne siamo soddisfatti, non è forse così?”
“Buongiorno a te, Rinaldo.
Beh, per una volta la pensiamo allo stesso modo, pare. Non è un bene per
Firenze che Andrea Pazzi abbia ottenuto quel seggio” rispose Cosimo.
Giovanni ostentò
un’espressione oltraggiata e non disse niente.
Cosimo, però, non era uno
sciocco e adesso vedeva bene anche il viso sciupato e stanco di Giovanni, così
prese la sua decisione.
“Bene, ti lascio parlare con
Giovanni, immagino abbiate molte cose da dirvi” disse il Medici, prendendo il
figlio Piero sottobraccio. “Io e mio figlio torniamo a Palazzo Medici, dobbiamo
pensare a un modo per impedire che Pazzi ci danneggi con la sua elezione.”
Rinaldo non chiedeva di
meglio. Prima che Giovanni potesse reagire in qualsiasi modo, lo afferrò e lo
portò sotto i portici, accanto alla piazza, in un luogo dove non potevano essere
visti né disturbati.
Il ragazzino gli era mancato
moltissimo e, per di più, adesso poteva vedere quanto quella lontananza forzata
avesse fatto del male anche a lui: Giovanni era pallidissimo, dimagrito, gli
occhi cerchiati di nero apparivano immensi sul suo volto.
“Mi fa piacere vederti,
Giovanni” esordì l’uomo, avvicinandosi a lui.
“Il piacere non è
ricambiato” tagliò corto il ragazzo, che però, sentendo Rinaldo così vicino a
lui, non riusciva ad essere scostante come al solito… e questo Albizzi lo sapeva
fin troppo bene!
“Tuttavia ho assistito alla
scena con Andrea Pazzi e sono lieto di vedere che, nonostante tu sia in collera
con me, continui a darti da fare per difendermi” riprese l’uomo. Adesso aveva
messo Giovanni con le spalle al muro e si avvicinava a lui sempre di più.
“Certo! Io mi sto impegnando
molto per smascherare quel perfido intrigante” ribatté il ragazzo, cercando di
sfuggire lo sguardo penetrante di Albizzi. “Ho sempre fatto tutto ciò che
potevo per aiutarvi, vi ho perfino salvato la vita… e voi mi avete tradito con quella là che non è nemmeno
mai venuta a trovarvi quando eravate in carcere!”
Suo malgrado, a Rinaldo
scappò un sorriso intenerito… quelle parole facevano proprio capire quanto
Giovanni fosse solo un adolescente innamorato e geloso!
“Non ti ho tradito,
ragazzino impertinente” disse, bloccandolo con il suo corpo e accarezzandogli
il viso. “E’ vero, ho avuto dei rapporti con mia moglie, ma solo per darle il
figlio che desiderava. Te l’ho già detto e ridetto: non mi importa nulla di lei
e, anzi, volevo che avesse questo figlio per liberarmi da ogni altra
responsabilità verso di lei e poter stare con te. Io ti voglio a Palazzo
Albizzi, voglio che tu viva insieme a me come se fossimo sposati.”
Giovanni si sentiva invadere
da un calore che non provava più da troppo tempo, ma non voleva cedere, era
ancora arrabbiato.
“Non posso più fidarmi di
voi, non vi crederò più!” cercò di protestare. “Continuerò a darmi da fare per
smascherare Andrea Pazzi per ciò che ha fatto a voi e a vostro figlio, e adesso
anche a Mastro Bredani, a quanto pare. Ma non metterò mai più piede nel vostro
palazzo!”
“Giovanni, lo so che questa
tua ostinazione sta facendo del male anche a te” insisté Rinaldo, stringendo il
ragazzino tra le sue forti braccia e impedendogli di muoversi. “Sei pallido,
stanco, sembra che non mangi e non dorma da settimane… Nel frattempo, io ho
fatto benedire le fedi nuziali dei miei genitori da Papa Eugenio, come ti avevo
promesso. Non ti ho mentito, io ti voglio veramente nel mio palazzo, al mio
fianco, con l’anello di mia madre al dito. Voglio che tu appartenga a me, per
sempre.”
“E Madonna Albizzi cosa ne
pensa?”
“A Madonna Albizzi non
interessa affatto” sorrise Rinaldo. “Lei voleva un altro figlio e adesso potrà
averlo. Non vuole me e io non voglio lei. Sei tu l’unico che conta davvero per
me, anche se ci ho messo tanto tempo per comprenderlo.”
Detto ciò, l’uomo si chinò e
baciò Giovanni con tutta l’intensità e il desiderio che si era tenuto dentro
per settimane. Voleva disperatamente sentire di nuovo quelle labbra morbide,
quel corpo giovane e caldo tra le sue braccia, la serenità che provava ogni
volta che stava con quel ragazzino. Giovanni avrebbe voluto respingere quel
bacio, ma non riuscì a fare niente. Anche lui aveva desiderato con tutto se
stesso l’uomo che adesso gli divorava la bocca con passione, non gli sembrava
nemmeno vero essere di nuovo tra le sue braccia, si sentiva perdere
completamente, le gambe gli tremavano, non aveva più il controllo del proprio
corpo. Solo Rinaldo esisteva, e quel bacio infinito…
L’uomo si staccò appena da
lui, ma continuò a tenerlo stretto.
“Adesso ti porto a Palazzo
Albizzi” mormorò. “Quello è il tuo posto. Per fortuna Ormanno è da sua madre in
campagna, in questi giorni, insieme alla sua sposa… è meglio che tua sorella
non ti veda in queste condizioni, si preoccuperebbe per la tua salute. Ma
adesso starai meglio, staremo insieme e tu ti riprenderai completamente.”
Giovanni non riusciva più
nemmeno a ragionare lucidamente, era confuso e travolto. Si lasciò portare a
Palazzo Albizzi e, senza sapere come, si ritrovò nella camera di Rinaldo, nel
suo letto, l’uomo sopra di lui che non si stancava di baciarlo e accarezzarlo. Si
perse totalmente nei suoi baci, nel contatto con il suo corpo; e quando,
finalmente, si fusero assieme, Giovanni si sentì prima andare in mille pezzi,
polverizzare e sciogliere tutta la rabbia che aveva accumulato in quei mesi e
poi… e poi sentì che la sua anima e il suo corpo si ritrovavano, era di nuovo
se stesso, era completo. Tra le braccia di Rinaldo, abbandonato totalmente a
lui, alla sua passione intensa e ardente, il ragazzino dimenticava tutte le
sofferenze e si sentiva nuovamente a casa.
Certo i problemi non erano
finiti lì. C’era ancora da fermare Andrea Pazzi, da provare l’innocenza di
Lorenzo e riconciliarlo con Cosimo. Ci sarebbero state ancora lotte e battaglie
e anche incomprensioni e litigi tra lui e Rinaldo… ma in quel momento erano
insieme, spazio e tempo non esistevano più.
You
thought we didn't know You thought we were in the dark But boy your cover's blown 'Cause we both know now, oh no You thought you had us both At your beckon call But now who's the joke And look who's laughing now…
(“You
thought wrong” – Kelly Clarkson ft. TamyraGray)
E così Rinaldo era riuscito
in qualche modo a riportarsi Giovanni nel suo palazzo, ma il ragazzo non era
ancora del tutto convinto e l’idea che l’uomo avesse avuto dei rapporti con la
moglie lo faceva sempre infuriare ogni volta che ci pensava.
Solo che…
Solo che il problema adesso
era diventato un altro: Andrea Pazzi era riuscito a ottenere il seggio alla Signoria
che tanto desiderava e chi poteva sapere cosa avrebbe fatto grazie al suo nuovo
potere? Avrebbe anche potuto cercare di eliminare nuovamente Rinaldo, come
aveva già fatto una volta con l’imboscata dei mercenari. Sì, certo, non c’erano
prove che fosse stato Pazzi ad ordinarla, ma Giovanni era certissimo che fosse
andata proprio così.
Doveva a tutti i costi
trovare il modo di provare che il colpevole fosse Andrea Pazzi, altrimenti la
vita di Rinaldo sarebbe stata sempre in pericolo, e poi quel bastardo avrebbe
finito sicuramente per rivolgere la sua malvagità anche contro la famiglia
Medici. No, Giovanni non poteva permetterlo, doveva inventarsi qualcosa!
E un’idea gli venne, anche
se sapeva che sarebbe stato molto difficile farla accettare a Messer Cosimo e
anche ad Albizzi… Ancora più difficile sarebbe stato trovare il
modo di mettere Cosimo e Rinaldo nella stessa stanza affinché ascoltassero
quello che lui aveva da dire.
Tuttavia Giovanni non mancava certo di
iniziativa e, tra l’altro, riteneva anche che Albizzi fosse in debito con lui perché lo aveva
tradito… con sua moglie!
Le circostanze, inoltre, lo favorirono: era
infatti venuto a conoscenza del fatto che Cosimo, in quei giorni, aveva
cacciato di casa il suo fidatissimo servitore Marco Bello. Perché, non era dato
sapere, ma il giovane Uberti voleva scoprirlo a tutti i costi. Quale migliore
occasione, dunque, per recarsi a Palazzo Medici e, in aggiunta, trascinarvi
anche Rinaldo per esporre ad entrambi il suo piano contro Andrea Pazzi?
“Messer Albizzi, dobbiamo andare
immediatamente a Palazzo Medici e parlare con Messer Cosimo” gli disse quindi
il ragazzo un bel mattino.
Rinaldo restò al contempo sorpreso e
divertito dall’insolenza di Giovanni.
“Da quando in qua ti permetti di dire a me che cosa dovrei fare?” replicò.
Giovanni finse di pensarci su un istante.
“Da quando? Beh, vediamo un po’: magari da
quando vi ho salvato la vita e voi mi avete ripagato ingannandomi e
spassandovela con vostra moglie. Oppure da quando voi a Firenze non siete più
nessuno e rischiate ogni giorno l’esilio, mentre io sono pur sempre Giovanni degli
Uberti. O magari da quando Messer Cosimo ha buttato fuori di casa il suo
servitore Marco Bello…”
“Basta così, mi hai convinto” lo interruppe
Albizzi, sia perché era pure lui interessato al fatto della misteriosa caduta
in disgrazia dell’uomo di fiducia di Cosimo, sia perché il modo di fare
insolente del ragazzino lo eccitava in modo particolare e, se avesse continuato
ancora per molto, avrebbe finito per possederlo sul tavolo del suo studio senza
tanti complimenti!
Così, ben presto, Giovanni e Rinaldo si
presentarono al cospetto di Cosimo de’ Medici e si trovarono di fronte tutta la
famiglia riunita: con Cosimo c’erano il figlio Piero e la nuora Lucrezia, la
moglie Contessina e perfino Lorenzo che, a quanto pareva, non era più tenuto
imprigionato nella sua stanza.
I due fratelli Medici sembravano parecchio
alterati e ben poco felici di vedersi Albizzi in casa, tuttavia Giovanni non si
lasciò intimidire e si piazzò davanti a Cosimo con la solita faccia tosta.
“Buongiorno, Messer Cosimo. Sono venuto qui
insieme a Messer Albizzi perché ho pensato ad un modo per smascherare Andrea
Pazzi e vorrei parlarne con voi e vostro fratello” disse.
“Forse non è proprio il momento migliore…”
provò a dire Piero, ma Giovanni era deciso a non soprassedere.
“Fra l’altro, sono venuto a sapere che avete
mandato via il vostro uomo di fiducia, Marco Bello. Forse Pazzi è responsabile
anche di questo? Magari ha tentato di corromperlo, sapendo quanto vi è devoto?”
Le parole di Giovanni portarono ancora più
nubi temporalesche sul viso di Cosimo, tanto che Contessina ebbe la brillante idea
di lasciare la stanza, incoraggiando Lucrezia ad accompagnarla. Entrambe erano
in disaccordo con Cosimo per ciò che aveva fatto, sospettando ingiustamente
prima Lorenzo e adesso Marco Bello… ci provasse Giovanni a farlo ragionare!
Il Medici, non potendo fare altro, invitò il
giovane Uberti e Albizzi ad accomodarsi. Lui stesso prese posto al suo
scrittoio, mentre anche Piero e Lorenzo andarono a sedersi, curiosi di sapere
come sarebbe andata a finire la faccenda.
“Ho ragione di credere che sia stato proprio
Marco Bello ad avvelenare mio padre” rispose Cosimo, in tono duro. “Lui aveva
la ricevuta dello speziale da cui è stato acquistato il veleno e sembra perfino
che abbia tentato di incolpare mio fratello. Non potevo fare altro che
cacciarlo.”
Giovanni crollò il capo. Non era per niente
contento della piega che stavano prendendo le cose e, tanto per cambiare,
sospettava che Andrea Pazzi c’entrasse qualcosa. Marco Bello aveva salvato Cosimo
e i suoi familiari più di una volta, non sarebbe stato geniale farlo
allontanare dai Medici con un inganno?
“Messer Cosimo, non vorrei sembrarvi
scortese, ma a me pare che voi siate piuttosto incline a credere alla
colpevolezza di chicchessia quando si parla dell’assassinio di vostro padre”
affermò. In effetti non aveva tutti i torti, ma perfino Lorenzo sgranò gli
occhi di fronte a tanta audacia! “Insomma, qualche mese fa eravate disposto a credere
che il colpevole fosse Messer Albizzi, perché lui aveva avuto la geniale idea
di farsi sospettare da voi; fino a qualche giorno fa, invece, tenevate
prigioniero vostro fratello per lo stesso motivo e adesso tocca a Marco Bello.
Accidenti, meno male che io non ero a Firenze, a quel tempo, altrimenti prima o
poi avreste sospettato anche di me!”
Piero guardò l’amico come se fosse impazzito,
mentre Rinaldo soffocò una mezza risata. Era vero, quello era proprio un tasto
dolente per Cosimo e lui lo sapeva bene, proprio su quello aveva giocato per
tormentarlo!
Inoltre, a dirla tutta, questo modo di fare
di Giovanni gli faceva venire voglia di afferrarlo, schiacciarlo contro la
parete e prenderlo con passione sotto gli occhi dell’intera famiglia Medici…
Però la sfacciataggine del ragazzino era tale
da disarmare perfino Cosimo, che avrebbe voluto arrabbiarsi con lui ma non poté:
in fondo Giovanni era l’unico che dicesse sempre quello che pensava, in faccia
a chiunque.
“Le prove contro Marco Bello non lasciano
dubbi e lui stesso non ha protestato la propria innocenza. Chi altri potrebbe
essere stato?” ribatté il Medici.
“Non lo so, ma avete mai pensato a Andrea
Pazzi? Voglio dire, bene o male avete sospettato di mezza Firenze e lui non vi
è venuto in mente?”
Beh, ultimamente pareva che Andrea Pazzi
fosse colpevole più o meno di tutti i mali dell’universo, però poi si scopriva
che, in qualche modo, lui c’entrava davvero. Forse quella di Giovanni era solo
una provocazione, ma se, non volendo, avesse detto la verità? Cosimo e Lorenzo
si scambiarono uno sguardo interrogativo.
“Potrebbe essere stato davvero Pazzi?”
domandò Lorenzo.
Cosimo non disse niente, rifletteva e il suo
sguardo era cupo.
“Perché no?” insisté Giovanni. “Ricapitoliamo
quello che sappiamo di lui fino ad ora. Era d’accordo con Messer Albizzi per
mandare in rovina la vostra famiglia e, quando siete stato esiliato, ha tramato
anche lui per rovesciare la Repubblica e prendere il potere. E’ chiaramente
schierato contro i Medici, perciò non avrebbe potuto far assassinare vostro padre
per indebolire la famiglia?”
Il ragionamento di Giovanni era sensato,
Cosimo e Lorenzo dovettero convenirne.
“Se guardiamo bene, tutto quello che è
accaduto finora è andato a vantaggio di Andrea Pazzi: Messer Albizzi ha perso i
suoi privilegi per essersi alleato con lui che poi lo ha tradito, Mastro
Bredani è stato opportunamente eliminato e Pazzi ha avuto quel seggio alla
Signoria che desiderava tanto” riprese il ragazzo. “E’ possibile che siano
tutte coincidenze? Tra l’altro, a Firenze girano voci secondo le quali sareste
stato voi a ordinare l’attentato a Messer Albizzi, per vendicarvi della morte
di vostro padre. E chi pensate che sia a mettere in giro queste voci?”
Cosimo dovette assentire, mentre i suoi occhi
mandavano lampi.
“E’ vero. Anche il Papa ha preferito lasciare
la nostra casa e rifugiarsi in un monastero per non essere più coinvolto con me…
e ho visto Pazzi parlare con lui proprio ieri!”
“Giovanni ha ragione” mormorò Lorenzo,
indignato. “E’ chiaro che Pazzi è lo stratega oscuro dietro tutti questi
intrighi. Manovra le persone per non sporcarsi le mani, ma c’è sempre lui
dietro calunnie, omicidi e attentati!”
Rinaldo, dal canto suo, cominciava a sentirsi
vagamente un imbecille di prima categoria per essersi fatto manipolare da
quella serpe che si fingeva suo amico… proprio lui che non si fidava mai di
nessuno era caduto nella rete di Pazzi! Non l’avrebbe mai ammesso, ovviamente,
ma capiva di aver fatto davvero la figura del fesso. E per poco non ci aveva
rimesso la pelle.
“Il mistero dietro la morte di vostro padre,
oltretutto, è andato ancora una volta a vantaggio di Andrea Pazzi, e per più di
un motivo” continuò Giovanni. “A Firenze credono che voi abbiate tentato di
assassinare Messer Albizzi per vendetta e non vi vedono di buon occhio; nel
frattempo voi avete sospettato di vostro fratello, allontanandovi da lui, e per
finire avete cacciato via Marco Bello credendolo colpevole. Senza Marco Bello
al vostro fianco, voi siete più vulnerabile, Messer Cosimo, potreste cadere
anche voi in un’imboscata… e chi ci guadagnerebbe? Diciamo un nome a caso?”
Più Giovanni parlava e più il volto di Cosimo
si oscurava, ma non perché il ragazzo lo facesse arrabbiare. Al contrario, si
rendeva conto di quanto tutto tornasse alla perfezione. Rinaldo era ormai fuori
gioco, Pazzi aveva ottenuto il suo seggio alla Signoria e adesso spargeva
veleno a Firenze per mettere la città contro i Medici. Lui aveva cacciato via
Marco Bello e adesso non avrebbe più potuto godere della sua protezione.
Sembrava un piano diabolico e ben congegnato…
Davvero poteva essere stato concepito
interamente e fin dal principio da Andrea Pazzi?
Dopo una lunga riflessione, il Medici
finalmente parlò.
“Tutto quello che dici è sensato, Giovanni,
ma come al solito non ci sono prove” disse. “Pazzi è stato tanto astuto da
lasciare che fossero sempre altri a sporcarsi le mani per suo conto. Come
potremmo smascherarlo?”
“Ecco, era proprio di questo che volevo
parlare a tutti voi: io ho un piano!” dichiarò il ragazzo, trionfante.
Beh, l’ultima volta che Giovanni aveva avuto
un piano si era fatto ridere dietro da tutta la Signoria proponendosi come
nuovo Gonfaloniere… ma, forse, questa volta valeva la pena starlo a sentire.
“Per metterlo in atto dovremmo avere la
collaborazione del Gonfaloniere, Messer Guadagni, ma credo che potremo
ottenerla. In fondo è un amico della vostra famiglia, non è così?”
“Lo è sempre stato” rispose Cosimo, pensando
che, in realtà, dopo le calunnie di Pazzi, poteva anche darsi che perfino
Guadagni lo considerasse responsabile dell’imboscata agli Albizzi…
“Ad ogni modo, Pazzi ha ottenuto il seggio
alla Signoria grazie a una vostra lettera al Gonfaloniere e sappiamo tutti
molto bene che quella lettera è falsa. Messer Guadagni dovrebbe dire che ha
scoperto la falsificazione e che, pertanto, Andrea Pazzi non deve avere quel
seggio” spiegò il ragazzo.
“Guadagni potrebbe anche accettare, ma allora
io dovrei proporre un altro candidato” obiettò Cosimo.
“Candidate me, padre” si offrì Piero,
entusiasta. “Avreste dovuto propormi per quel seggio fin dal principio, senza
coinvolgere Mastro Bredani. Potete farlo ora, dunque.”
Giovanni guardò l’amico con tristezza.
“Mi dispiace, Piero, ma non era questa la mia
idea” disse. “Tu meriti quel seggio e sono sicuro che prima o poi lo otterrai,
ma non in questo modo… altrimenti saresti in pericolo.”
“E allora chi dovrei candidare?” domandò
Cosimo, turbato.
“Dovreste candidare me, Messer Cosimo”
replicò Giovanni, serio. “Oh, non per davvero, a me non interessa avere un seggio
alla Signoria e credo che dovrebbe essere Piero ad averlo. Ma, nel frattempo,
fingere che il seggio sia assegnato a me potrebbe spingere Pazzi a scoprirsi, a
commettere un’imprudenza. Finora gli è sempre andata bene, ma non continuerà
così all’infinito, no?”
A quel punto intervenne Rinaldo, brusco.
“Stai dicendo che intendi fare da esca per Andrea Pazzi? Ti ha dato di
volta il cervello, Giovanni? Tu stesso hai detto che quell’uomo non ha
scrupoli, farebbe uccidere anche te!” protestò.
“Non sarà così facile” ribatté il ragazzino,
con l’ottimismo e l’incoscienza di un adolescente. “Le vostre guardie mi
terranno sotto sorveglianza, Messer Cosimo, e se Pazzi dovesse tentare di farmi
eliminare da uno dei suoi…”
“Non se ne parla nemmeno, io non lo permetto!”
esclamò Rinaldo, fuori di sé. Andò da Giovanni e lo afferrò per un polso,
stringendolo a sé. “Non lascerò che ti esponga in questo modo, per niente al
mondo.”
“Voi non potete impedirmi niente, Messer
Albizzi, non avete diritti su di me, questo è l’unico modo per smascherare
Andrea Pazzi e io…”
“Assolutamente no, e questa è la mia ultima
parola” dichiarò Albizzi. “Mi dispiace, messeri, ma dovrete trovare un altro
modo per incastrare quel serpente. Giovanni non rischierà la sua vita.”
E, sotto gli occhi allibiti di Cosimo, Lorenzo
e Piero, Rinaldo prese Giovanni e lo trascinò fuori dalla stanza prima e da
Palazzo Medici poi, nonostante le proteste vibranti e accalorate del ragazzino.
“Ma che vi è preso? Non volete che Pazzi
paghi per i suoi crimini? Questo è l’unico modo, e poi voi non potete comandarmi,
chi vi credete di essere? Tanto che v’importa se Pazzi mi ammazza? Voi avete la
vostra signora e un altro figlio in
arrivo…”
Rinaldo sospinse Giovanni in un vicolo e lo
imprigionò contro un muro, schiacciandolo con il suo corpo.
“Piantala di dire stupidaggini. I Medici
dovranno inventarsi qualcos’altro per mandare in rovina Pazzi. E smettila con
questa assurda gelosia, una volta per tutte. Io voglio te, voglio te soltanto,
sei tu l’unico che conta per me e non lascerò che ti metta in pericolo, non
rischierò di perderti, né ora né mai” dichiarò.
E, per impedire a Giovanni di protestare o di
proporre altre brillanti idee, lo
avvolse in un abbraccio appassionato e lo baciò con tutta l’intensità e la
passione che si era tenuto dentro fino a quel momento, divorando la sua bocca,
togliendogli il respiro, fiaccando ogni sua resistenza ed energia.
Sì, avrebbero dovuto trovare un altro modo
per liberarsi di Andrea Pazzi… in quel momento Giovanni non sapeva più nemmeno
chi e dove fosse e di sicuro non pensava a lui!
And I don't need someone who makes me feel so bad
And I've just enough left to help me pack my bags
Yes I have found something I thought I lost
I found me, I found faith, I found trust
You can't take this from me Can't you see I won't take this lying down? And I can hear you when you speak your poison
Bitter words can't hurt me now, I won't take it lying down…
(“Lying down” – Celine Dion ft. Sia)
Il piano di Giovanni
non era piaciuto per niente a Rinaldo e probabilmente nemmeno a Cosimo.
Tuttavia, nei giorni successivi, il Medici dovette rendersi conto che Andrea
Pazzi era veramente un grande
problema, che niente lo avrebbe fermato, che era pericoloso quanto e più di
come lo ritenesse il giovane Uberti e che, insomma, qualsiasi cosa sarebbe
andata bene pur di metterlo fuori gioco.
Era trascorsa più di
una settimana quando Cosimo, livido in volto, si presentò a Palazzo Albizzi,
con grande disappunto di Rinaldo.
“Cosimo, non sei il
benvenuto in casa mia” gli disse, tanto per mostrarsi subito ospitale e gentile.
L’uomo, però, non si
fece scrupolo di scansare il rivale e di entrare comunque nel palazzo.
“Non è proprio il
momento per le tue sciocche e insensate rivendicazioni, Rinaldo” tagliò corto.
“Dobbiamo parlare immediatamente di un vero nemico, che potrebbe distruggere la
mia famiglia, la tua e tutta Firenze!”
Rinaldo esitava
ancora, i modi di Cosimo lo innervosivano più di quanto già non fosse.
“Insomma, devo forse
ricordarti che se sei qui nel tuo palazzo è solo per merito mio?” Sì, beh,
anche Cosimo sapeva essere parecchio antipatico quando voleva… “Ti ho
risparmiato io la vita ed ho ottenuto dalla Signoria che i tuoi beni non
fossero confiscati. Posso entrare in casa tua quando e come voglio.”
“Certo, il solito
Cosimo de’ Medici che pensa di poter avere tutto quello che desidera” sibilò
Rinaldo, ancora più deciso a non farlo accomodare.
“Adesso basta!”
intervenne Giovanni, che aveva assistito all’ultima parte della sceneggiata e
ne aveva già avuto abbastanza di quei due che si divertivano a prendersi a
cornate. “Se Messer Cosimo è venuto fin qui è senza dubbio per un motivo molto
grave e certo non per il piacere della
compagnia. Sono convinto che c’entri Andrea Pazzi… per cui, Messer Albizzi,
fate accomodare il vostro ospite nello studio e ascoltiamo cosa ha da dire.”
Infuriato per essersi
dovuto piegare ai voleri di Cosimo e a quelli di un diciottenne impertinente,
Albizzi non disse altro, inalberò un’espressione da Sua Maestà offesa e condusse Cosimo e Giovanni nel suo studio in un
silenzio gelido.
Non appena furono
soli nella stanza, Cosimo iniziò a raccontare gli eventi di quegli ultimi
giorni.
“Qualche mattina fa,
mentre ero nel mio studio, Andrea Pazzi si è presentato al mio cospetto senza
essere invitato” esordì, ma fu subito interrotto.
“E così tu hai
pensato bene di fare lo stesso con me quest’oggi” fece ironicamente Rinaldo.
Cosimo, benché
contrariato, decise di lasciarlo perdere, altrimenti non l’avrebbero finita
più.
“E’ venuto per
annunciarmi, trionfante, che Papa Eugenio ha deciso di togliere i suoi conti
dalla mia Banca per spostarli in quella dei Pazzi, e non è finita qui” riprese
l’uomo, ancora incollerito al ricordo. “Non si tratta solo di una questione di
affari, anche se la mia famiglia perderebbe moltissimo senza più i conti
papali… ma la cosa va ben oltre. Pazzi ha detto che il Papa non vuole affidare
i suoi conti a un immorale e un assassino e poi si è permesso apprezzamenti
negativi sulla statua del David che ho nel cortile interno del mio palazzo,
quella di Donatello. Anche lui, esattamente come te, Rinaldo, ha insinuato che
sia una scultura lasciva e che suggerisca pensieri esecrabili nelle menti dei
fiorentini. Quel che è peggio è che pare che il Papa sia d’accordo con lui!”
“Oh, ma che bello, a
quanto pare siete tutti critici d’arte
qui a Firenze!” commentò sardonico Giovanni, che non era riuscito a
trattenersi. “Possibile che nemmeno il Papa conosca la Bibbia? David era un
fanciullo quando sconfisse Golia!”
“Pazzi afferma che
Sua Santità è rimasto perplesso venendo a sapere che David è stato raffigurato
nudo e con i lineamenti femminei” spiegò Cosimo, disgustato dal bigottismo dei
suoi concittadini.
“Allora, mi dispiace
dirlo, ma anche Papa Eugenio è un bigotto e un ignorante. Nei tempi antichi gli
eroi combattevano perlopiù nudi, basti pensare a quanto si racconta della
guerra tra Achei e Troiani nell’ Eccidio
di Troia di Darete Frigio” replicò il ragazzino, dimostrando una grande
conoscenza dei miti classici e una non comune passione per quel tipo di storie…
probabilmente ereditata dalla famiglia Uberti! * “E nella Bibbia David è descritto come un ragazzino, per cui non
c’è nulla di strano che sia raffigurato come tale. Messer Albizzi, ricordate
cosa dissi a voi a questo proposito
quando accusaste Messer Cosimo alla Signoria?”
Rinaldo lo ricordava
fin troppo bene e ripensandoci avrebbe voluto dimostrargli lì, nel suo stesso
studio, quali e quante immagini perverse gli fossero venute alla mente… non per
colpa del David quanto per l’insolenza di Giovanni. Tuttavia decise di rimandare
tutto ad un momento più opportuno, magari quando Cosimo se ne fosse andato.
“Sì, lo rammento”
disse con una strana voce.
“Non volevo credere
alle parole di Pazzi, così mi sono recato io stesso al monastero dove il Papa è
ospite” riprese il Medici, ancora incredulo. “Volevo che mi dicesse lui stesso
di aver deciso di affidare i conti papali alla Banca Pazzi. Ebbene, era proprio
così. Papa Eugenio mi ha accusato di aver ordinato l’attentato contro gli
Albizzi, ha insistito perché lo confessassi dicendo di temere per la mia anima
immortale!”
“E’ chiaro che Andrea
Pazzi gli ha avvelenato la mente con le sue bugie, come ha fatto con tutta
Firenze” disse Giovanni, imbronciato. “Ma il Papa è così ingenuo da credere a
lui invece che a voi?”
“A quanto pare ha
saputo essere molto convincente. Io ho tentato di tutto, mi sono offerto di
finanziare un grande esercito che scacciasse i Visconti da Roma purché
lasciasse i suoi conti nella mia Banca, gli ho spiegato che la Banca Pazzi non
potrebbe allestire un esercito così in fretta… ma non è servito a niente. Sua
Santità ha dichiarato in modo molto chiaro che il banchiere del Papa non può essere un omicida e un immorale.”
“Ma senti questo!
Forse Visconti non ha tutti i torti a voler insediare un altro Papa di suo
gusto a Roma, questo deve essersi rincretinito un bel po’ con l’età se dice una
cosa simile!” esclamò Giovanni, lasciando stupefatti sia Cosimo che Rinaldo per
la sua audacia piuttosto blasfema. Anche se, a dirla tutta, non si sbagliava
affatto… “Non vuole che il banchiere del Papa sia un omicida e un immorale e
pensa di affidare i suoi conti ad Andrea Pazzi… che è appunto un omicida e un
immorale di prima categoria! Ha perso il cervello? Bisogna che qualcuno lo
faccia ragionare, altrimenti vado a dirglielo io e…”
“No, no, non
servirebbe a niente!” lo fermò Cosimo, improvvisamente preoccupato che Giovanni
potesse addirittura peggiorare le cose. Ci mancava solo che andasse dal Papa
accusandolo di essere improvvisamente rincoglionito,
così almeno sarebbe finito giustiziato per eresia e la famiglia Medici, come
amica e protettrice di un eretico, avrebbe fatto la stessa fine! “Ho tentato di
parlargli in tutti i modi, di convincerlo, di fargli capire che si stava
sbagliando sul mio conto e, soprattutto, su quello di Pazzi, ma non mi ha
ascoltato… quell’uomo gli ha davvero avvelenato la mente con le sue calunnie.”
“Quindi voi siete
venuto qui perché adesso il mio piano non vi sembra più tanto assurdo, Messer
Cosimo?” suggerì il giovane Uberti. “Ve l’avevo detto che non esiste altro modo
per fermare Pazzi e che quell’uomo è veramente molto pericoloso. Ha raggirato
perfino Papa Eugenio!”
Cosimo chinò il capo,
rassegnato.
“E’ vero, sono venuto
qui per mettere a punto il piano di Giovanni” ammise. “Non piace nemmeno a me
rischiare la sua vita, ma le cose vanno peggiorando sempre più e non vedo
davvero cos’altro potremmo fare per impedire a quell’uomo di distruggere
Firenze e tutti noi.”
“Come ho già detto
giorni fa, non se ne parla neanche” ribadì deciso Rinaldo. “Giovanni non
metterà a rischio la sua vita, io non lo permetterò.”
“Non c’è altro modo,
Rinaldo” insisté Cosimo. “E fortunatamente sono riuscito almeno a convincere
Messer Guadagni a tentare questa strada, a fingere di voler togliere il seggio
a Pazzi per concederlo a Giovanni. Dopodomani si terrà una riunione della
Signoria durante la quale il Gonfaloniere esporrà la sua decisione, quindi…”
“Possiamo tentare
un’altra strada, prima!” lo interruppe Rinaldo, alzandosi in piedi. “Papa
Eugenio è mio amico da tanti anni, ascolterà me anche se non ha voluto
ascoltare te. Gli racconterò tutto, gli spiegherò che Pazzi appoggiava il mio
tentativo di rovesciare la Repubblica e che poi mi ha venduto al Gonfaloniere
all’ultimo momento. Gli dirò che sospetto che sia stato proprio lui a ordinare
l’attentato contro me e mio figlio, perché non potessi dire la verità sul suo
coinvolgimento. Gli farò capire che razza di uomo è davvero Andrea Pazzi e che
non deve assolutamente sposare la sua causa, che è lui il vero omicida in tutta
questa storia.”
Fu la volta di
Giovanni di restare senza parole… doveva essere più o meno la prima volta in
tutta la sua vita!
Anche Cosimo,
tuttavia, era rimasto molto stupito da quell’offerta così spontanea e generosa
di Rinaldo. Fosse stato ai giorni nostri, avrebbe pensato che il vero Rinaldo
fosse stato rapito dagli alieni e che quello fosse soltanto un clone.
“Rinaldo, sei sicuro
di volerlo fare? Sua Santità è veramente stato plagiato da Pazzi e
probabilmente non ascolterà nemmeno te” disse il Medici, ancora piuttosto
spiazzato.
“Siamo amici da molti
anni, mentre conosce Pazzi da poco. In ogni caso, posso almeno tentare e credo
di avere buone probabilità di riuscita” replicò Albizzi.
“Tuttavia, anche se
riuscissi a convincere il Papa a non concedere i suoi conti a Pazzi, questo non
ci aiuterebbe a dimostrare la sua colpevolezza” sottolineò Cosimo. “Abbiamo
bisogno di prove concrete per smascherare quell’infido.”
“Quindi tu saresti
disposto a mettere in pericolo Giovanni, usandolo come esca e rischiando che
Pazzi possa farlo uccidere? Sapevo che eri un uomo meschino e senza scrupoli,
Cosimo, ma adesso stai superando ogni limite” s’infuriò Rinaldo. “Andrò a
parlare con Sua Santità domani stesso, gli farò comprendere che uomo pericoloso
e malvagio sia Andrea Pazzi e, a quel punto, potremo denunciarlo alla Signoria
con l’appoggio del Papa, senza coinvolgere Giovanni in tutto questo.”
“E sia, facciamo
anche questo tentativo” concesse Cosimo, “ma, se nemmeno le tue parole
riusciranno a far cambiare idea a Papa Eugenio, saremo costretti a tentare
comunque con il piano di Giovanni.”
“Io non ho paura,
sono disposto a rischiare pur di incastrare quel serpente” iniziò a dire il
ragazzo, ma Albizzi non voleva nemmeno sentirlo.
“Tu non rischierai niente,
te l’ho già detto e ripetuto. Non permetterò mai che la tua vita sia messa in
pericolo” esclamò l’uomo.
Cosimo, nonostante
tutto, sembrava placato rispetto a quando era arrivato. Chissà, forse il Papa
avrebbe ascoltato davvero le parole del suo amico di vecchia data Rinaldo
Albizzi e avrebbe deciso di non appoggiare più Pazzi. A quel punto, con il
pontefice dalla loro parte, i Medici avrebbero avuto più facilmente ragione di
lui anche davanti alla Signoria. Valeva la pena tentare.
Il Medici si congedò
da Rinaldo e Giovanni e, quando era ancora sulla soglia del portone d’ingresso,
si rivolse ad Albizzi.
“Per quanto possa
valere, ti ringrazio per quello che ti sei offerto di fare. Sua Santità ha
molto affetto per te e, comunque, ti starà a sentire senza essere prevenuto nei
tuoi confronti” disse.
Un lampo passò negli
occhi di Rinaldo.
“Non illuderti, non
lo faccio né per te né per la tua famiglia” dichiarò. “Lo faccio solo perché
non voglio che Giovanni rischi la vita.”
Allontanandosi da
Palazzo Albizzi, Cosimo pensò che non aveva importanza il motivo, ciò che
contava era che, per la prima volta, Rinaldo avrebbe collaborato con lui
parlando con il Papa. Se lo faceva perché si era addolcito trovandosi accanto
quel ragazzino, tanto meglio, in fondo era stato lui a regalarglielo due anni prima!
“Messer Albizzi, fate
bene a parlare con il Papa e vorrei venire con voi per spiegargli anch’io un
paio di cose…” disse subito Giovanni, quando rimase solo con Rinaldo.
L’uomo lo fissò per
un lungo istante, poi lo afferrò e lo strinse a sé con ardore, baciandolo
profondamente e sollevandolo da terra.
“Credo che sia meglio
che tu non parli con Sua Santità” mormorò, con voce roca e tra un bacio e
l’altro. “Probabilmente finiresti per peggiorare la situazione.”
Sempre continuando a
baciarlo, se lo portò in camera da letto. Il suo modo di fare lo aveva acceso
per tutto il colloquio e, comunque, voleva anche sentirselo tra le braccia,
assicurarsi che non gli sarebbe accaduto niente di male. Ogni giorno di più si
rendeva conto di quanto quel ragazzino insolente fosse importante per lui, era
ormai diventato parte della sua vita, molto più della moglie, del figlio in
arrivo e persino di Ormanno.
Giovanni non voleva
proprio capirlo, ma per lui era diventato la persona più preziosa della sua
intera esistenza.
Una
volta che furono nella stanza da letto di Rinaldo, l’uomo lo strinse ancora più
forte a sé, affondandogli una mano nei capelli e cingendolo con l’altro
braccio, baciandolo sempre più profondamente, con passione e intensità,
esplorando la sua bocca. Lo sospinse delicatamente sul letto e continuò a
baciarlo, mettendosi sopra di lui, premendogli una mano sulla nuca per
attirarlo contro di sé; con l’altra mano iniziò a frugarlo sotto le vesti, a
sfiorare e accarezzare il suo corpo, desiderando soltanto perdersi in lui,
senza interrompere neanche per un istante l’unione delle loro bocche e dei loro
respiri affannati. Si unirono in un impeto appassionato di bisogno e desiderio,
dimenticando intrighi e pericoli, abbandonando il mondo reale per entrare in
una dimensione fatta solo di baci, corpi, sfioramenti, l’uno per l’altro in
quel momento e per l’eternità. Anche Giovanni non riuscì più a ricordare per
quale motivo ce l’avesse tanto con Rinaldo, null’altro esisteva più e lui si
sentiva gonfiare il cuore e tremare i polsi per il sentimento assoluto e totale
che provava per quell’uomo e che lo perdeva completamente.
Alla
fine, i due rimasero stretti, aggrappati l’uno all’altro come a volersi
reciprocamente proteggere. Rinaldo non poté fare a meno di pensare quanto fosse
piacevole sentire il calore e la tenerezza di Giovanni che gli restava
abbracciato e completamente affidato, dopo avergli appagato i sensi e
incendiato il cuore.
Quel
ragazzo gli aveva rivoluzionato la vita, lo aveva salvato in tutti i modi
possibili e immaginabili e adesso toccava a lui occuparsene. Non avrebbe
permesso a niente e a nessuno al mondo di fare del male al suo prezioso e
impertinente ragazzino!
Fine capitolo
quarto
* L’eccidio
di Troia di Darete Frigio era l’opera più conosciuta durante il Medioevo e
il primo Rinascimento riguardante la guerra di Troia poiché era l’unica in
latino. Il poema omerico “Iliade”, invece, sarà tradotto dal greco dagli
umanisti rinascimentali solo nella seconda metà del Quattrocento. Era possibile
che Giovanni avesse ascoltato queste storie, sicuramente molto famose e amate
dalla sua famiglia, poiché gli Uberti erano una famiglia particolarmente
appassionata di opere classiche (per questo furono accusati di essere eretici).
Well, I tell
'em, tell 'em, yeah, you're nothing to me
I tell 'em that you, you're just another
You're just like any other
Well, I try to sell 'em but they ain't buyin' it
Baby they see me start to stutter when they ask if you're my lover
I'm losing
sleep, what's gotten into me
I'm usually never this weak baby
Don't go
ruinin', ruinin' my, my bad reputation
Don't go tellin' 'em, tellin' 'em all the plans we've been makin'
'Cause everyone knows that I don't cry
You never see stars shining in my eyes
Ruinin', ruinin' my my bad reputation oh no…
(“Bad reputation” – Kelly Clarkson)
Rinaldo aveva detto a Giovanni che non
intendeva assolutamente portarlo al monastero per il suo incontro con Papa
Eugenio, prevedeva infatti che il ragazzino avrebbe perso la pazienza e, con la
sua solita sfacciataggine, avrebbe finito per offendere Sua Santità e rovinare
tutto. Quando, tuttavia, il mattino dopo l’uomo si stava preparando a partire
per recarsi in visita dal Papa, Giovanni gli si presentò davanti con aria
decisa e Albizzi comprese che sarebbe stata dura…
“Giovanni, ne abbiamo già parlato e non credo
sia opportuno che tu venga con me al cospetto di Sua Santità” provò a dire.
Lo sguardo del ragazzo si fece più cupo.
“Ma io ci ho pensato bene e non ho alcuna
intenzione di lasciarvi andare da solo” dichiarò. “Vi prometto che non aprirò
bocca e non dirò nulla di inappropriato a Sua Santità, ma io devo venire con voi ad ogni costo.”
Sì, certo, lo immagino già che non aprirai bocca, pensò l’uomo con un sorrisetto.
“Si può almeno sapere perché hai questa
necessità così impellente?” gli chiese divertito.
“Messer Albizzi, devo proprio dirvelo?”
replicò Giovanni con l’aria di chi spiega cose ovvie ad un perfetto deficiente.
“Sapete bene quanto me che il nostro nemico è Andrea Pazzi e quant’è
pericoloso. Ha già tentato una volta di farvi uccidere e se non ci fossi stato io a suggerirvi di farvi proteggere sarebbe
stata la fine per voi e vostro figlio. E adesso voi state per andare da Sua
Santità a rivelare i suoi loschi piani e pensate che Pazzi ve lo lascerà fare
senza tentare di fermarvi? Io non vi
lascio da solo!”
Rinaldo era al contempo intenerito ed
eccitato da quell’insolito atteggiamento: quel ragazzino voleva fare l’offeso
con lui e lo aveva respinto fino a pochi giorni prima per via di ciò che era
successo con sua moglie… ma adesso sembrava che non si accorgesse nemmeno di
rivelargli apertamente i suoi sentimenti in tutta la loro profondità!
“Non sarò solo, ragazzino, se te lo sei
dimenticato” rispose Rinaldo. “Le guardie mi scorteranno ovunque andrò, sono
comunque sotto custodia. Non credo che Pazzi manderebbe qualche suo sicario
contro le guardie della Signoria!”
“Avete già sottovalutato quell’uomo fin
troppe volte. Io vengo con voi” affermò deciso Giovanni, come se la sua
protezione, in fin dei conti, fosse ancora più importante di quella di una
mezza dozzina di guardie armate!
Albizzi circondò le spalle di Giovanni con un
braccio, lo attirò a sé e lo baciò a lungo, inebriandosi del suo profumo, della
morbidezza delle sue labbra e del dolce tepore del suo corpo. In mezzo a tanto
male e a tanti pericoli sentiva di aver bisogno ogni giorno di più della
vicinanza di quel giovane sfacciato e insolente… ma anche tanto capace di amare
e di dimostrare con i fatti i suoi sentimenti.
Così, alla fine, partirono insieme per andare
a parlare con il Papa, scortati dalle guardie della Signoria.
Rinaldo poteva soltanto sperare che Giovanni
tenesse fede alla sua promessa e non si mettesse a dire in faccia a Sua Santità
che era un rincoglionito o cose del
genere perché aveva prestato fede alle parole di un essere infido e malvagio
come Andrea Pazzi!
Le paure di Giovanni, tuttavia, risultarono
infondate, ma solo fino ad un certo punto e lui non poteva saperlo. Ovviamente
Pazzi teneva d’occhio tutti loro e, altrettanto ovviamente, non avrebbe avuto
piacere di sapere che Albizzi voleva parlare con il Papa e raccontare tutta la
storia secondo la sua versione dei fatti… Però, nel frattempo, anche i Medici
avevano deciso di muoversi contro di lui: Cosimo era partito per Roma con il
suo contabile Ugo e la ferma decisione di allestire un esercito che avrebbe
sconfitto le truppe del Duca Visconti e riportato il pontefice al suo posto.
Sperava, così, che Papa Eugenio avrebbe capito le sue buone intenzioni e che
avrebbe lasciato i suoi conti alla Banca Medici invece che spostarli a Pazzi. Lorenzo,
invece, stava setacciando Firenze a caccia di prove che avrebbero dimostrato,
senza ombra di dubbio, che dietro l’attentato agli Albizzi e l’assassinio di
Mastro Bredani c’erano mercenari pagati da Pazzi per fargli ottenere quel
famoso seggio alla Signoria (Lorenzo sperava, già che c’era, di trovare anche
le prove che Pazzi avesse ordinato l’assassinio di suo padre, così avrebbe
risolto tre misteri in una volta sola!).
Andrea Pazzi era tante cose ma, per fortuna,
non aveva il dono dell’ubiquità e
nemmeno abbastanza risorse per fermare contemporaneamente Rinaldo, Cosimo e
Lorenzo. Doveva decidere contro quale dei tre concentrare le proprie forze e,
tra tutti, Albizzi sembrava il meno pericoloso. In fondo, che contava ciò che
avrebbe detto al Papa? Va bene che erano vecchi amici, ma Sua Santità avrebbe
potuto anche non credergli, così come non aveva creduto alle parole del Medici,
che prima ammirava. Le intenzioni di Cosimo e Lorenzo erano molto più dannose
per lui e avrebbe dovuto impegnare i suoi uomini per fermarli… che Rinaldo
parlasse pure con il Papa, dunque. Tanto, come minimo, con lui ci sarebbe stato
anche quell’impertinente chiacchierone del suo
pupillo ed era molto probabile che, con il suo caratterino, quel piccolo
sciocco si sarebbe lasciato sfuggire qualcosa che avrebbe offeso Sua Santità. A
quel punto, la credibilità di Albizzi sarebbe andata letteralmente a farsi benedire!
E così Rinaldo e Giovanni raggiunsero il
monastero in cui si trovava Papa Eugenio senza intoppi e si presentarono al suo
cospetto. Come aveva promesso, Giovanni si mise in disparte per non avere
nemmeno la tentazione di intervenire nella conversazione e lasciò che fosse
Albizzi a raccontare la sua storia al pontefice.
“Santità, sono qui per rivelarvi delle cose
che voi non sapete sull’uomo al quale volete affidare i vostri conti, Andrea
Pazzi” iniziò Rinaldo, dopo aver baciato l’anello del pontefice e avergli
rivolto il suo saluto ossequioso. “So che mi sono macchiato di una grave colpa
contro la Signoria di Firenze, ma so anche che posso contare sulla vostra
lealtà e amicizia e spero davvero che potrete credere alle mie parole.”
Papa Eugenio, che si era mostrato tanto
freddo con Cosimo, sembrava maggiormente bendisposto nei confronti dell’amico
di vecchia data… soprattutto considerato il fatto che Albizzi aveva sempre
fatto di tutto per mettere i Medici in cattiva luce, si era perfino dichiarato
disposto a morire piuttosto che dover essere debitore a Cosimo e adesso veniva
fin qui per difenderlo? La cosa era
talmente incredibile da sembrare vera! Perché mai, altrimenti, Rinaldo avrebbe
parlato in favore dei Medici?
Forse stava per giungere l’Apocalisse…
“Non voglio minimizzare ciò che ho fatto, confesso
di aver tramato per far esiliare Cosimo de’ Medici e, saputo del suo ritorno,
di aver cercato di rovesciare la Signoria e prendere il potere” continuò
Albizzi. “A mia parziale discolpa posso dire che ritenevo che il governo di
Cosimo avrebbe corrotto Firenze e che il mio colpo di Stato sarebbe stato per
il bene della città… ma la cosa più importante è che non ero solo in questo mio
tentativo. Un uomo mi ha appoggiato per tutto il tempo, mi ha concesso i suoi
uomini e le sue risorse, una volta rovesciata la Signoria avrei lasciato che
quest’uomo governasse al mio fianco… ma lui mi ha tradito, mi ha consegnato al
Gonfaloniere quando ha capito che il piano sarebbe fallito ed è così riuscito a
rimanere con le mani pulite. Quest’uomo, Santità, è Messer Andrea Pazzi, che
consideravo un amico e un alleato e che invece ha cercato di farmi uccidere più
di una volta.”
Non avrei potuto dirlo meglio, pensò Giovanni, compiaciuto, si vede che, stando con me, Messer Albizzi ha imparato a farsi
ascoltare!
In effetti sembrava proprio che il Papa fosse
rimasto colpito dalle parole di Albizzi. Lo conosceva bene, sapeva quanto il
suo odio per Cosimo fosse profondo e anche ingiustificato. Se adesso era lì per
accusare un altro dell’imboscata contro di lui non era certo per amicizia nei
confronti del Medici e tanto meno per favorire la sua Banca!
“Non conosco molto bene Messer Pazzi, ma
quando è venuto a parlarmi sembrava sincero ed è stato molto chiaro sul fatto
che l’attentato ai vostri danni è stato ordinato da Cosimo de’ Medici” obiettò
il Papa.
“Ma non vi siete chiesto, Santità, come
facesse a saperlo? Lui non è certo amico e confidente di Cosimo e vi posso
assicurare che, quando i Medici vogliono rovinare qualcuno, sanno farlo
perfettamente e in modi del tutto insospettabili” ah, ecco, sembrava troppo
strano che Rinaldo non infilasse dentro una qualche accusa ai Medici, dopo
tutto! “Se Cosimo avesse pianificato l’inganno per uccidere me e Ormanno,
adesso non sarei qui a raccontarlo, di questo statene certo. Al contrario, devo…
beh… sono costretto ad ammettere che lui ci ha… beh, insomma… ci ha salvato la
vita. Sono state le sue guardie a scortarci durante il viaggio e ad uccidere i
mercenari che ci volevano morti.”
Ammettere questo, per Rinaldo, fu più
faticoso che scalare l’Himalaya!
Tuttavia, proprio per questo motivo il Papa
comprese che l’uomo non stava mentendo.
“E Pazzi avrebbe fatto tutto questo per
ottenere un seggio alla Signoria?” domandò Eugenio IV, assai turbato.
“Andrea Pazzi vuole dominare Firenze, ma
vuole farlo da solo. Tutto ciò che ha fatto finora è stato avvicinarsi passo dopo
passo alla sua meta finale: prima ha fatto cadere in disgrazia me sia per avere
il mio seggio che per mettermi a tacere e solo grazie a… beh, sì, l’ho detto
prima… non è riuscito a eliminarmi” riprese Rinaldo, “e adesso che ha ottenuto
il seggio alla Signoria sta cercando di distruggere anche i Medici, mettendo in
giro voci false su Cosimo e cercando di impadronirsi dei vostri conti. Se gli permetterete
anche questa mossa, cos’altro potrà fermarlo?”
“Se quest’uomo è malvagio e senza scrupoli come
dite voi, troverà un modo per conquistare il potere anche senza avere i conti
della Chiesa di Roma” rilevò il pontefice.
“Ma avete detto voi stesso che il banchiere
del Papa non può essere un uomo infido e immorale” gli rammentò Albizzi, “dunque
come potete accettarlo, adesso che sapete tutto ciò che ha fatto?”
Il Papa sembrava molto colpito dalle parole
di Albizzi, soprattutto perché questa faccenda, a quanto pareva, lo aveva
spinto a intercedere per i Medici, cosa che Eugenio IV era convinto non sarebbe
accaduta nemmeno in mille anni! Che motivi avrebbe avuto per mentire? Aiutare
Cosimo? Quando mai?
“Dovrò rifletterci ancora, Rinaldo, ma vi
prometto che non prenderò decisioni avventate” rispose infine il pontefice. “Non
ho motivi per dubitare delle vostre parole e adesso comprendo che non potrei
mai cedere i miei conti a un uomo come Andrea Pazzi. Tuttavia… nemmeno la
posizione di Cosimo de’ Medici è molto chiara e devo ammettere che sono rimasto
assai deluso dal suo comportamento. Temo che nemmeno lui sia degno di essere il
banchiere del Papa. Dovrò pregare molto e spero che Dio mi illuminerà sulla
decisione da prendere.”
“Vi ringrazio, Santità” disse Rinaldo,
chinandosi a baciare nuovamente l’anello papale prima di congedarsi.
Bene, speriamo che come prima cosa Dio lo illumini tanto
da allontanarsi il più possibile da Pazzi,
disse tra sé Giovanni, che faceva una gran fatica a mantenere la promessa fatta
di non parlare. Per fortuna era ormai ora di lasciare il monastero!
La missione di Rinaldo Albizzi era dunque…
compiuta per metà. Il Papa aveva iniziato a nutrire forti dubbi su Pazzi e non
voleva più concedere i conti alla sua Banca, tuttavia non sembrava ancora
fidarsi nemmeno di Cosimo e, dunque, avrebbe probabilmente mantenuto i conti
della Chiesa presso la Banca Medici finché non avesse trovato un terzo
banchiere di sua fiducia.
In tutta sincerità, ad Albizzi non fregava un
beneamato delle sorti della Banca Medici, anzi! La cosa importante era che Sua
Santità non avrebbe più appoggiato Andrea Pazzi e che, quindi, la Signoria
avrebbe potuto cominciare a indagare seriamente su di lui. Certo, proprio per
quello Lorenzo de’ Medici, nel frattempo, era in cerca di prove…
Rinaldo e Giovanni, sempre scortati dalle
guardie, fecero ritorno a Palazzo Albizzi.
“Non credevo che saresti riuscito a tenere la
bocca chiusa come avevi promesso” commentò divertito l’uomo non appena fu solo
con Giovanni.
“Voi mi sottovalutate, Messer Albizzi, lo
avete sempre fatto” replicò ironico il ragazzo. “Tuttavia, se voi siete
riuscito a difendere Cosimo de’ Medici davanti a Sua Santità, io potevo ben starmene
zitto per qualche ora. Quello sì che è stato un vero e proprio miracolo!”
L’insolenza di Giovanni accendeva sempre
Rinaldo. Lo afferrò e lo strinse tra le braccia, per poi zittirlo ancora una
volta a furia di baci sempre più intimi e profondi.
Era vero, non aveva fatto altro che
sottovalutare Giovanni e per questo aveva anche rischiato di perderlo. Il
ragazzo non voleva ammettere apertamente i suoi sentimenti, ma le sue scenate
di gelosia verso Madonna Albizzi e la volontà di stare accanto a lui sempre, in
ogni momento, per accertarsi che non gli accadesse nulla parlavano chiaro.
Rinaldo non sapeva come sarebbe finita quella
storia, non sapeva se sarebbero riusciti a smascherare Pazzi e, a dirla tutta,
non sapeva nemmeno cosa sarebbe accaduto quando il figlio che sua moglie
aspettava fosse nato… probabilmente Giovanni ne avrebbe fatto di nuovo una
questione di Stato e chissà se questa volta sarebbe riuscito a farsi perdonare?
L’amore del ragazzino era totalizzante, lo
rendeva capace di fare qualsiasi cosa per lui, ma anche di allontanarsi per
sempre, se si fosse sentito trascurato. Non conosceva mezze misure.
Tuttavia non era quello il momento di
pensarci. La visita al Papa era andata bene e adesso Rinaldo voleva soltanto concedersi lunghi
e appassionati istanti per perdersi sulle labbra e nel sapore del suo Giovanni:
qualsiasi altra preoccupazione, ostacolo o turbamento, quindi, venne spazzato
via, sopraffatto dalla forza dell’amore e del desiderio.
I'm surrounded by liars everywhere I turn
I'm surrounded by imposters everywhere I turn
I'm surrounded by identity crisis everywhere I turn
Am I the only one to notice?
I can't be the only one who's learned
I don't want to be anything
Other than what I've been trying to be lately
All I have to do is think of me and I have peace of mind
I'm tired of looking around rooms wondering what I gotta do
Or who I'm supposed to be
I don't want to be anything other than me!
(“I don’t want to be” – Gavin DeGraw)
Il tempo trascorreva
in fretta mentre Giovanni e i due fratelli Medici cercavano il modo di
smascherare Andrea Pazzi e punirlo, finalmente, per quel delinquente che era!
Però, poiché i mesi
passavano, alla fine accadde qualcosa che si rivelò molto bello per qualcuno,
ma altrettanto devastante per altri e soprattutto per una persona in
particolare…
Cosa accadde di tanto
significativo? Beh, è ovvio, nacque il secondo figlio di Rinaldo e Madonna
Albizzi, quello che la donna aveva tanto desiderato. Per la precisione, era una
bambina e fu chiamata Susanna. *
Rinaldo aveva più
volte dichiarato di non avere il minimo interesse per sua moglie ed era
perfettamente sincero quando lo diceva, però… eh, però quando venne a sapere
che Alessandra aveva dato alla luce una bambina non poté rimanere indifferente
alla bella notizia e partì immediatamente per la campagna, con il permesso del
Gonfaloniere, per abbracciare la sua piccola.
Diciamoci la verità,
la risposta di Albizzi all’avvenimento era del tutto giustificata e naturale,
ma Giovanni da quell’orecchio non ci voleva proprio sentire: per lui la
partenza di Rinaldo fu un altro vero e proprio tradimento, come se fosse andato
dalla moglie per rimettersi assieme a lei. Ne fu terribilmente addolorato e
deluso e, come faceva sempre, reagì nascondendo la sofferenza dietro una rabbia
furiosa. L’uomo gli aveva detto che sarebbe tornato presto, che voleva solo
stare un po’ con la figlia appena nata ma che lui era sempre nei suoi pensieri;
gli aveva promesso che sarebbe rimasto in campagna solo pochi giorni e che, se
voleva, poteva anche raggiungerlo. Giovanni, però, non ne volle sapere, non
rispose nemmeno ai saluti affettuosi di Rinaldo e ostentò un’aria gelida e
offesa, da principino oltraggiato. Poi, non appena Albizzi, scortato dalle
guardie della Signoria, si fu allontanato da palazzo a cavallo, il ragazzino,
da vero adolescente geloso e infuriato, si sfogò dapprima facendo a pezzi due o
tre vasi preziosi appartenenti alla famiglia, quindi lasciò il palazzo,
sbattendo la porta, e si diresse verso Palazzo Medici intenzionato a non
rimettere mai più piede a casa di Rinaldo nemmeno se fosse stato l’ultimo
rifugio sulla Terra!
E, in effetti, i vari
casini che si stavano abbattendo anche su Palazzo Medici servirono, almeno per
un po’, a distrarre Giovanni dalla sua rabbia e dal suo dolore.
Sappiamo già che
Marco Bello era stato cacciato da Cosimo, accusato di aver assassinato suo
padre. Nel frattempo, Cosimo si stava preparando per andare a parlare con il
vescovo Vitelleschi, il capo dell’esercito papale:
gli avrebbe offerto il denaro necessario per rafforzare l’esercito e riportare
il pontefice a Roma.
Ma c’era anche una
notizia felice che attendeva Giovanni a Palazzo Medici.
Piero e Lucrezia gli
andarono incontro, molto emozionati, e il giovane amico gli raccontò la bella
novità.
“Giovanni, voglio che
tu sia il primo a saperlo!” disse Piero, con gli occhi che gli brillavano.
“Domattina andrò a parlare alla Signoria per proporre una nuova tassa che serva
a finanziare l’esercito papale… e sarò io a parlare davanti a tutti, mio padre
si fida di me, mi ha detto di sostenere la causa dei Medici! Lui non ci sarà
nemmeno, perché è partito per Roma, quindi sarò io il rappresentante della
famiglia. Voglio che tu sia presente, ti voglio accanto a me quando parlerò ai
membri della Signoria. Purtroppo Lucrezia non potrà presenziare, ma tu devi
esserci, Giovanni!”
“Ma certo, ne sarò
felicissimo” rispose il ragazzo, davvero contento per l’amico che finalmente
aveva la fiducia del padre. “Mi raccomando, non lasciarti intimidire da quelle
persone e, tanto meno, da Andrea Pazzi, che farà di tutto per zittirti.
Ricordati come hai visto parlare me
alla Signoria, io non ho mai avuto soggezione di nessuno.”
“Eh, sì, me lo
ricordo bene” rise Piero. “Mi ispirerò al tuo modo di fare e sono certo che
farò una bella figura!”
“E, se Pazzi dovesse
infastidirti troppo, ci penserò io a rimetterlo a posto…” minacciò Giovanni,
già pronto a saltare alla gola dell’uomo.
“No, no, non ce ne
sarà bisogno!” replicò Piero, ridendo ancora più forte.
“Sono certissima che
Piero parlerà in modo convincente e tu stesso ne rimarrai incantato, Giovanni”
intervenne Lucrezia. Voleva bene al giovane amico, ma sperava anche che non si
mettesse in mezzo con la sua insolenza… avrebbe potuto rovinare ogni cosa!
“Va bene, io non
aprirò bocca, ma tu distruggilo, quell’Andrea Pazzi!”
“Non vedo l’ora!”
esclamò Piero.
Così, il giorno dopo,
Lucrezia accompagnò Piero e Giovanni al Palazzo della Signoria, baciò il marito
facendogli coraggio e attese fuori. I due giovani entrarono e bisogna dire che
Piero, oltre che rifrancato per la fiducia che il padre aveva dimostrato di
nutrire in lui, si sentiva anche particolarmente deciso grazie alle parole
affettuose della moglie e alla presenza di Giovanni accanto a lui. Aveva visto
molte volte l’amico prendere la parola davanti ai membri della Signoria, l’aveva
visto incosciente e sfacciato, l’aveva visto anche osteggiato e minacciato da
Pazzi e dallo stesso Gonfaloniere, eppure lui non si era mai arreso.
Io
non sarò da meno, giurò Piero a se stesso.
Così, sotto lo
sguardo ammirato di Giovanni, il giovane Medici presentò alla Signoria la
proposta della sua famiglia: una nuova tassa per finanziare un esercito che
avrebbe riportato il Papa a Roma. Giovanni era felice di vedere che, nonostante
i mugugni e le risatine della maggior parte dei membri, Piero non era affatto
intimidito e anzi difendeva la sua posizione con calma, decisione e pacatezza,
in un modo molto simile a quello di suo padre Cosimo. Anche il Gonfaloniere,
infatti, rimase favorevolmente colpito da Piero e, quando alcuni cercarono di interromperlo,
protestando che non volevano altre tasse, fu proprio Messer Guadagni a
difenderlo e a zittire chi lo osteggiava, invitandolo a proseguire.
Poi, appunto, si
intromise Andrea Pazzi.
“Perché Cosimo de’
Medici non è qui a presentare la sua proposta personalmente e ha mandato suo
figlio a farsi umiliare?” disse in tono caustico, sorridendo di scherno di
fronte al giovane Medici. “Ve lo dico io il perché: si vergogna. Cosimo non ha
il coraggio di richiedere nuove tasse ai nobili e ai mercanti solo per fare
bella figura davanti a Sua Santità!”
Giovanni avrebbe
voluto azzannare alla giugulare Pazzi: quel modo di fare era proprio ciò che
più metteva in crisi Piero… ma non questa volta. Il giovane si voltò a
guardarlo con un sorriso fiero e poi si rivolse a lui e a tutta la Signoria.
“Mio padre non è qui
perché è già a Roma, a prendere accordi con il vescovo Vitelleschi:
la famiglia Medici ha donato quarantamila fiorini per rafforzare l’esercito
papale” spiegò con orgoglio. “E queste nuove tasse non dovranno essere i nobili
e i mercanti a pagarle.”
“Ah, no? Allora
Cosimo de’ Medici vuole farle pagare ai poveri?” domandò sprezzante Pazzi.
“Questa domanda
rispecchia esattamente tutta la vostra intelligenza” commentò Giovanni, che
proprio non era riuscito a trattenersi. Qualcuno rise, ma Piero aveva la
risposta pronta anche per quello.
“No, affatto: saranno
le Banche di Firenze a pagare questa tassa, saranno le Banche ad aiutare il
Papa a tornare a Roma” dichiarò.
Pazzi non riuscì a
replicare a questa affermazione tanto inaspettata, ma la sua espressione
parlava per lui. I Medici lo avevano raggirato ben bene, non c’era dubbio.
Adesso, se la sua Banca si fosse rifiutata di pagare, avrebbe dimostrato di non
avere a cuore gli interessi del Papa e della Chiesa e addio ai conti papali!
Poteva solo sperare che gli altri banchieri protestassero, visto che lui non
era nella posizione per farlo.
Ma Piero non aveva
ancora finito.
“So bene che chi fa
un mestiere come il nostro è spesso considerato un avido e un usuraio” riprese,
“ma con questa generosa offerta in favore dell’esercito papale noi banchieri
dimostreremo, una volta per tutte, di non essere disonesti e attaccati solo al
denaro.”
Gli altri banchieri
non sembravano intenzionati a protestare, con grande dispetto di Pazzi… e
grande divertimento di Giovanni, ovviamente, che stavolta si godeva lo
spettacolo di vedere il nemico scornato senza nemmeno prendersi la briga di
farlo personalmente. Piero era davvero fenomenale!
E non era ancora
finita!
“La famiglia Medici,
tuttavia, non vuole imporre niente a nessuno. Se le altre Banche di Firenze non
volessero o non potessero accettare la tassa, questa sarà pagata interamente
dalla Banca Medici!” disse, scatenando quindi un grande applauso e
congratulazioni da parte di molti membri della Signoria… beh, chissà se si
complimentavano con lui perché aveva parlato bene o perché si era offerto di
pagare lui tutte le spese? Lasciamo questo piccolo particolare ammantato dal
dubbio…
La tassa per
finanziare l’esercito papale fu dunque approvata tra l’entusiasmo generale.
Piero era raggiante e Giovanni si sentiva molto orgoglioso di lui… che peccato
che il padre non lo avesse visto all’opera! Ma di sicuro quella sarebbe stata
la prima di molte occasioni in cui Piero avrebbe dimostrato le sue capacità
alla Signoria…
Mentre i due amici
uscivano insieme, sottobraccio e ridendo felici, si imbatterono in Andrea
Pazzi, che aveva la tipica faccia di qualcuno che si è trovato a calpestare
sterco fresco con gli stivali buoni.
Giovanni sapeva che
avrebbe dovuto tacere, ma proprio non riuscì a trattenersi.
“Allora, Messer
Pazzi, questa volta vi è andata male, vero? Dovrete pagare voi stesso, se non
volete passare per usuraio… altro che arricchirvi con i conti papali. E non
temete, questo sarà solo l’inizio della vostra disfatta” lo schernì.
L’uomo lo trapassò da
parte a parte con uno sguardo assassino.
“Fossi in te non
canterei vittoria troppo presto, ragazzino. E nemmeno la famiglia Medici…”
sibilò, in un tono minaccioso che raggelò Piero.
“Pensate piuttosto
alla vostra, di famiglia. Credo che il nome dei Pazzi avrà finalmente quello
che si merita, dopo tanti anni” replicò invece Giovanni, che non temeva le
minacce di Andrea Pazzi, benché sapesse ciò che era capace di fare.
“Intendi dire quello
che è capitato al nome della tua
famiglia di eretici, sciocco ragazzo? Non riuscirai mai a riabilitare il nome
degli Uberti, la tua famiglia non conta più niente qui a Firenze, non ricordi
che il loro palazzo è stato raso al suolo e che noi lo stiamo calpestando
proprio adesso?”
Giovanni si sentì
bruciare dentro a quelle parole, quell’insulto lo aveva ferito più di qualsiasi
minaccia Pazzi potesse rivolgere a lui. Eppure il sangue degli Uberti si
risvegliò nelle sue vene e lo fece rispondere con la calma e la dignità che
avrebbe dimostrato Farinata stesso…
“Gli insulti e le
minacce sono le armi dei vigliacchi e di chi è stato ormai sconfitto, come voi”
ribatté. “Il nome della mia famiglia tornerà grande a Firenze proprio grazie ai
Medici, mentre la vostra famiglia sarà ricordata soltanto per disonestà, trame
e inganni.”
E, visto come andò
poi, non aveva neanche tutti i torti! Sembrava proprio che i Pazzi avessero il
complotto e il raggiro inscritti nel DNA…
Festanti e
vittoriosi, Piero e Giovanni tornarono a Palazzo Medici, dimenticando per il
momento Andrea Pazzi e le sue intimidazioni. Piero brillava di luce propria,
corse subito dalla moglie Lucrezia per festeggiare insieme a lei e quella sera,
a cena, ci fu grande gioia mentre il giovane Medici raccontava la sua prodezza
ancora una volta. Lucrezia e Giovanni erano pieni di orgoglio e il trionfo del
figlio fece finalmente sorridere anche Contessina, che in quel periodo aveva
pure lei le sue pene.
Eh, già, perché aveva
scoperto che la serva Maddalena, quella che Cosimo aveva portato da Venezia,
aspettava un figlio… e il figlio era di Cosimo, appunto.
Sì, beh, Cosimo de’
Medici aveva tanti pregi, ma anche i suoi bei difetti, soprattutto nel modo in
cui trattava le donne…
Dopo cena, Piero e
Giovanni si ritrovarono a parlare da soli e a rievocare quella memorabile
giornata.
“Ero sicuro che
saresti stato grande, ma tu hai superato anche le mie aspettative. Sinceramente
ho avuto un po’ paura che Pazzi riuscisse a intimidirti” rivelò Giovanni.
“Beh, l’ho temuto
anch’io, ma solo per un attimo” replicò l’amico, con un gran sorriso. “Mi sono
venute in mente tutte le volte in cui tu lo hai messo in ridicolo e, a quel
punto, mi è sembrato solo un pallone gonfiato. Si può dire che sei stato tu a
ispirarmi!”
“Macché, hai fatto
tutto da solo, sei veramente il degno figlio di Cosimo de’ Medici!” rise
Giovanni.
La parola figlio, però, fece rabbuiare
improvvisamente entrambi i ragazzi.
“Giovanni, vuoi dirmi
perché hai lasciato Palazzo Albizzi?” gli chiese Piero, improvvisamente serio.
Il ragazzo abbassò
gli occhi per nascondere il dolore e la rabbia che, almeno per quella giornata,
era riuscito ad accantonare.
“Messer Albizzi e sua
moglie hanno avuto una bambina. Lui è là, adesso. Mi ha preso in giro, mi ha
ingannato un’altra volta, non metterò mai più piede nel suo stramaledetto
Palazzo!” esclamò, furioso.
Piero sospirò.
“Immaginavo che potesse
essere una cosa del genere, però… dai, non è mica detto, magari Albizzi vuole
solo vedere sua figlia, è normale, no? Un figlio è sempre un figlio, anche
quando… anche quando non ti importa un bel niente della persona con cui lo hai
avuto!”
“Non è così, Messer
Albizzi è un ipocrita e un falso e… ma Piero, tu di chi stai parlando?”
Di fronte all’amico,
il giovane Medici non seppe più trattenersi.
“La serva di mio
padre, Maddalena, aspetta un figlio. Credevamo tutti che fosse di Marco Bello,
ma poi è venuto fuori che è… che è proprio di mio padre. Io sono certo che mio
padre non abbandonerà mai questo figlio, ma sono altrettanto sicuro che non ha
più alcun interesse per Maddalena e che questo bambino non rappresenterà un
legame con lei” disse, accalorandosi.
“Lo penso anch’io, ma
Maddalena è una serva e non… non la sua legittima moglie” obiettò Giovanni. “Per
Messer Albizzi è tutto il contrario, è lui che si è divertito con me come… come
se…”
“Beh, puoi dirlo:
come ha fatto mio padre con Maddalena. Ma non è così, non devi nemmeno
pensarlo. Tu hai fatto tanto per Messer Albizzi, lo hai salvato, hai difeso il
nome della sua famiglia… lui è legato a te, anzi, sono sicuro che già gli
manchi.”
Giovanni aveva un’espressione
truce negli occhi.
“No. Questa volta non
ho intenzione di perdonarlo. Non lo voglio più rivedere!” dichiarò.
Era veramente curioso
come le situazioni degli Albizzi e dei Medici si intrecciassero anche in questo
caso, no? Proprio vero che a Firenze non ci si annoiava certo, a quei tempi, e
chissà come sarebbero finite tutte queste storie tipo soap opera: Contessina avrebbe perdonato Cosimo? E Giovanni avrebbe
perdonato Rinaldo?
In mezzo a intrighi,
pericoli e trame oscure c’era anche qualche scandalo piccante con cui
divertirsi!
Fine capitolo sesto
* Rinaldo e Alessandra Albizzi ebbero davvero numerosi
figli, anche se nella fiction sembra che ne abbiano avuto solo uno, e una delle
loro figlie si chiamava veramente Susanna.
Just 'cause it's part of a plan
That doesn't make it right
If I put my life in your hands
It's still unmistakably mine
Dark its wings across a pitch-black sky
Death will come for me, but not tonight
Let the earth cover me!
Angels will call for me!
But in time
Not tonight!
(“Danse macabre” – Delain)
Quando Rinaldo tornò al suo palazzo, tre
giorni dopo i fatti accaduti alla Signoria e l’umiliazione pubblica di Pazzi,
rimase parecchio male vedendo i vasi infranti sparsi per tutto il salone. Lì
per lì pensò che nel suo palazzo fossero entrati i ladri o che qualcuno dei
mercenari a cui doveva ancora del denaro avesse deciso di servirsi da solo...
poi, però, si accorse che non c’era traccia di Giovanni e comprese che, con
ogni probabilità, era stato proprio lui a distruggere i vasi per la rabbia e
che poi, infuriato, aveva lasciato il palazzo.
Rinaldo non riusciva a capire la sua
reazione: era stato affettuoso con lui e aveva mantenuto la sua parola, aveva
trascorso solo pochi giorni in campagna da sua figlia Susanna ed era tornato da
lui al più presto, come aveva promesso. Perché Giovanni si comportava così? Lui
non voleva tradirlo, non ci pensava neanche, non aveva il benché minimo
interesse per sua moglie Alessandra, anzi non si erano quasi parlati in quei
giorni… Aveva pensato sempre a Giovanni, gli era mancato molto e avrebbe voluto
che lo avesse raggiunto nella villa di campagna, per condividere con lui la
gioia di avere una figlia. Avrebbe voluto che vedesse la sua piccola Susanna,
avrebbe desiderato che fosse felice per lui e poi, chissà, avrebbe anche potuto
mettergli al dito l’anello di sua madre, quello che aveva fatto benedire dal
Papa, per potersi considerare finalmente sposati.
Insomma, Rinaldo stava lentamente imparando a
sue spese cosa volesse dire stare insieme ad un adolescente al suo primo amore,
con tutti i suoi melodrammi e le sue sfuriate!
Tuttavia non aveva nessuna intenzione di
rinunciare a Giovanni. Immaginava che si fosse recato a Palazzo Medici e che si
fosse stabilito là: ebbene, sarebbe andato a riprenderselo, come aveva già
fatto tante volte! Inoltre, ciò gli avrebbe dato occasione di informarsi su
come procedevano le cose a Firenze e se erano stati fatti progressi sulle
indagini riguardanti il mandante dell’imboscata a lui e a suo figlio.
Quando, però, Rinaldo arrivò a Palazzo
Medici, trovò un’atmosfera di grande festa e gioia che proprio non si
aspettava. Che avevano da festeggiare tanto i Medici? Oh, beh, un sacco di cose
di cui lui non sapeva ancora niente. Innanzitutto la figuraccia rimediata da
Andrea Pazzi alla Signoria e il trionfo di Piero, che si era dimostrato
veramente deciso e capace in una circostanza difficile; poi il ritorno di
Cosimo, rientrato a Firenze dopo aver parlato con il vescovo Vitelleschi e in
accordo con lui per finanziare l’esercito che avrebbe riportato il Papa a Roma;
inoltre il successo di Lorenzo, che era riuscito a catturare un sicario di
Andrea Pazzi dal quale sperava di ottenere, finalmente, le prove per incastrare
quell’infido individuo.
In realtà i motivi per festeggiare erano
anche altri: nella sua missione alla ricerca del sicario di Pazzi, Lorenzo
aveva rischiato di finire ucciso da lui ed era stato salvato… da Marco Bello,
che lo aveva seguito e, vistolo in difficoltà, era intervenuto. Ancora una
volta pareva proprio che Giovanni avesse avuto ragione: l’allontanamento di
Marco Bello era stato un vantaggio per Andrea Pazzi, perché i Medici, senza di
lui, erano più vulnerabili e per poco Lorenzo non ci aveva rimesso la pelle! Ma
siccome tutto era finito bene, il Medici aveva insistito affinché Marco Bello
tornasse a Firenze con lui e rientrasse al servizio della famiglia.
“Mi dispiace molto di aver sospettato di te per
l’assassinio di nostro padre” aveva detto Lorenzo, “e sono convinto che anche
Cosimo sarebbe davvero lieto di riaverti al suo fianco.”
Marco Bello non pareva troppo convinto.
“La mia strada mi porta lontano da Firenze” era stata la
sua risposta. “Abbiate cura di voi, Messer Lorenzo.”
“Ti sbagli, la tua vita è a Firenze e la famiglia Medici
è la tua famiglia” aveva insistito allora Lorenzo. “So che è stata colpa mia.
Per anni sono stato geloso del legame che avevi con Cosimo, credevo che lui
avrebbe desiderato te come fratello, mi sentivo di troppo, pensavo che Cosimo
non mi capisse e non mi approvasse. Sono stato meschino e, quando quella
ricevuta è parsa una prova della tua colpevolezza, mi sono sentito sollevato e
contento: volevo che Cosimo ti cacciasse e speravo che, senza di te, lui
sarebbe tornato ad essere un vero fratello per me. E invece tu hai continuato a
preoccuparti per la nostra famiglia, mi hai addirittura salvato la vita…”
“Posso capire la vostra reazione, Messer Lorenzo, ma voi
dovete capire che io non mi sentirei più a mio agio a Palazzo Medici” obiettò
Marco Bello.
“E perché? Solo perché io mi sono comportato da idiota”
replicò Lorenzo senza tante cerimonie. “Sappiamo bene che non sei stato tu a
uccidere nostro padre e, anzi, probabilmente questo scagnozzo ci darà le
informazioni che dimostreranno che c’è Pazzi anche dietro quell’assassinio. Io
ero geloso di te perché mi portavi via mio fratello… e invece è proprio il
contrario: tu sei un altro fratello sia per Cosimo che per me. Non ti lascerò
andare via di nuovo e non tornerò a Firenze finché non ti avrò convinto!”
Insomma, tutto questo per spiegare il fatto
che, alla fine, Marco Bello si era lasciato convincere, era tornato a Firenze
con Lorenzo e adesso sedeva a tavola con la famiglia, anche lui a festeggiare
con loro.
Infine, c’era un altro importantissimo motivo
che spiegava il banchetto: dopo aver visto la morte in faccia, Lorenzo aveva riorganizzato
le sue priorità, si era reso conto che poteva accadere qualcosa di terribile in
ogni momento e che era sciocco gettare via la felicità quando si poteva
ottenerla facilmente. Così aveva fatto la proposta di matrimonio alla
nobildonna Ginevra Cavalcanti, che corteggiava da tempo ma senza prendere la
cosa troppo sul serio. Aveva compreso che Rosa non sarebbe mai più tornata, ma
che lui poteva avere comunque una famiglia e dei figli, non era troppo tardi.
Così, in quel banchetto, si celebrava anche
il fidanzamento ufficiale di Lorenzo e Ginevra!
E Rinaldo Albizzi non c’entrava un beneamato
in tutta questa gioia e armonia… Quando si fece annunciare alla famiglia
Medici, tutti rimasero parecchio spiazzati da quell’arrivo inaspettato e, a
dirla tutta, Cosimo non aveva nemmeno tanta voglia di invitarlo a pranzo. Quella
era una festa di famiglia e Albizzi non era proprio quello che si dice un amico intimo.
“Forse, ormai che è venuto qui, sarebbe
gentile estendere l’invito anche a lui” propose cortesemente Lucrezia.
“Ma anche no” reagì Giovanni, ancora in
collera con l’uomo. “Messer Albizzi non è della famiglia e non è nemmeno un
vero amico di Messer Cosimo, sono vent’anni che lo ripete, ha cambiato idea
proprio oggi? Se deve parlare con qualcuno di voi, aspetterà che la festa di
fidanzamento sia conclusa. Non può avere sempre la presunzione di fare tutto
quello che gli pare!”
A quelle parole vibranti di Giovanni, Cosimo
soffocò una risata. Era vero, nemmeno a lui piaceva poi tanto l’idea di
invitare Rinaldo a una festa privata di famiglia, ma ora cominciava a capire il
motivo per cui l’uomo era venuto a Palazzo Medici e, in realtà, riteneva che
sarebbe stato molto meglio anche per lo stesso Giovanni se Albizzi avesse
partecipato. Magari si sarebbero finalmente chiariti!
Così, il Medici ordinò ai suoi servitori di
far accomodare Rinaldo Albizzi e di preparare un posto anche per lui alla loro
tavola.
Giovanni si imbronciò non poco, ma non poté
farci niente…
Il banchetto, dunque, proseguì fino a
pomeriggio inoltrato, in allegria e serenità; poi la famiglia Cavalcanti si
congedò, ringraziando Cosimo per la bella festa organizzata per il
fidanzamento. Lorenzo e Ginevra si salutarono con un bacio e promettendosi di
rivedersi il prima possibile.
Giovanni non sapeva più dove nascondersi per
evitare di parlare con Rinaldo, non voleva nemmeno vederlo, rifiutava di avere
un colloquio con lui… anche perché sapeva benissimo che, se si fosse avvicinato
troppo, non ce l’avrebbe fatta più a tenerlo a distanza, anche a lui era
mancato!
Ma sarebbe morto tra mille patimenti prima di
ammetterlo.
Così il ragazzo si confuse tra i membri della
famiglia Cavalcanti che se ne andavano e ne approfittò per restare celato alla
vista dietro le colonne che conducevano al giardino interno di Palazzo Medici.
In quel luogo, però, ebbe modo di assistere
ad un colloquio molto interessante. Vide che Lorenzo consegnava una lettera a
Cosimo e si preparava a uscire anche lui.
“Questa lettera contiene le prove che
inchioderanno Pazzi” spiegò. “Nel frattempo io voglio andare a interrogare
quello sgherro che abbiamo messo in carcere: voglio scoprire se c’è davvero
Pazzi anche dietro l’omicidio di nostro padre. Ormai non può essere che lui.”
I due fratelli si salutarono e Lorenzo uscì
dal portone, prese il suo cavallo e partì.
A Giovanni, però, la cosa non piacque per
niente: Andrea Pazzi aveva già mandato un sicario ad ammazzare il povero Mastro
Bredani (ve lo ricordate? Il mercante di olio…) e i mercenari a tendere
un’imboscata agli Albizzi. Sapendo che Lorenzo indagava su di lui, non avrebbe
mandato qualcuno a pedinarlo e ad assassinarlo a tradimento? Era in pieno Pazzi Style! Così dimenticò che voleva
nascondersi e raggiunse invece Marco Bello, che stava riponendo le sue cose
negli alloggi della servitù.
“Marco, devo chiederti un favore” gli disse.
“Messer Lorenzo è andato al Palazzo della Signoria per incontrare quel
delinquente che avete catturato, vuole interrogarlo ma io… io non sono
tranquillo quando c’è di mezzo Andrea Pazzi. Potresti seguirlo, senza farti
vedere, e accertarti che non ci siano sicari in giro pronti a ucciderlo? Sono
convinto che Pazzi sia ormai disperato, non ha più niente da perdere e potrebbe
tentare anche di assassinare un Medici!”
“Avete ragione, giovane Uberti, questa storia
non piace nemmeno a me e, da quanto ho capito, potrebbe essere stato proprio
Pazzi a incastrarmi, facendo credere a Messer Cosimo che fossi io l’assassino
di suo padre” replicò l’uomo, in tono grave. “Farò come dite e proteggerò
Messer Lorenzo.”
Non appena l’uomo di fiducia dei Medici fu
partito, Giovanni si sentì immediatamente più tranquillo. Marco Bello sapeva
bene come pedinare qualcuno e come avere la meglio anche su sicari e mercenari
prezzolati. Lorenzo sarebbe stato al sicuro con lui. Si voltò per tornare nel
giardino interno del palazzo, intenzionato a fare due passi per scaricare la
tensione.
Ma si trovò faccia a faccia proprio con chi
non voleva assolutamente incontrare: Rinaldo Albizzi.
Il cuore cominciò a battergli più forte, le
gambe gli tremavano, ma il ragazzino tentò comunque di ostentare una suprema
indifferenza e proseguì come se niente fosse verso il giardino interno.
“Adesso vi intrufolate anche nelle feste che
non vi riguardano e ascoltate i colloqui altrui come se fossero affari vostri?
Complimenti, state migliorando” lo
attaccò, in tono caustico.
“Non era certo questo il benvenuto che mi
aspettavo da te dopo questi giorni di lontananza” replicò Rinaldo, sorridendo intenerito.
Capiva bene che la reazione di Giovanni era dettata dalla gelosia…
“E chi li ha voluti, i giorni di lontananza?
Io no di certo! Siete stato voi a correre da vostra figlia e chissà come vi ha
accolto la vostra signora” sibilò il
giovane, indispettito. “Sono sicuro che è stato tutto un suo piano per
riprendervi!”
Questa volta Rinaldo scoppiò davvero a
ridere. Finalmente la gelosia di Giovanni si era palesata apertamente!
“Ti ripeto che a mia moglie non interessa più
niente di me, fatte salve le apparenze, e che voleva solo un altro figlio o
figlia. Per il resto, adesso è soddisfatta con la piccola Susanna e con Ormanno
che spesso va a trovarla con la moglie” spiegò. “Anzi, sappi che nei giorni che
ho trascorso in campagna ho avuto pochissime occasioni di parlare con
Alessandra e lei non è certo venuta a cercarmi. Non c’è più niente tra noi,
ormai, io pensavo a te continuamente e avrei voluto che fossi con me. Mi
piacerebbe che, la prossima volta che andrò a far visita a mia figlia, tu mi
accompagnassi, perché ormai tu fai parte della mia famiglia… in più di un
senso.”
Quelle parole bloccarono Giovanni e, per un
lungo istante, i due rimasero immobili a guardarsi. Ma non era soltanto per
quello che Rinaldo aveva detto, bensì per tutto ciò che era accaduto fino a
quel momento. Il ragazzo aveva mandato Marco Bello a proteggere Lorenzo, così
come aveva fatto tanti mesi prima per Rinaldo. Tutti gli avvenimenti di più di
un anno prima tornarono a rincorrersi nella mente di Giovanni: la paura,
l’ansia, il desiderio insopprimibile di salvare l’uomo che amava anche a costo
della vita, salvarlo dalla condanna a morte prima e dall’attentato poi. Quelli
erano i veri sentimenti che lui provava per Rinaldo… la gelosia aveva
avvelenato tutto, ma la realtà era quella. Lui lo amava e non poteva fare a
meno di lui.
Ma anche Rinaldo aveva rammentato tutto ciò
che era accaduto e tutto quello che Giovanni aveva fatto per lui. Sì, a vederlo
sembrava solo un adolescente capriccioso e possessivo, ma era stato capace di
muovere mari e monti pur di salvare lui e suo figlio… e quasi era rimasto
ucciso nel tentativo. Rinaldo non dimenticava la freccia che Giovanni si era
preso al posto di Ormanno e sapeva bene, ormai, che tutto quello che aveva
oggi, la vita, la famiglia, la serenità, la doveva a Giovanni e solo a
Giovanni.
Non poté più resistere e, prima che il
ragazzo potesse tentare una qualunque opposizione (sempre che l’avesse voluto
fare!), Rinaldo fece qualche passo verso di lui, lo prese tra le braccia e lo
spinse contro uno dei muri che delimitavano il giardino interno. Incollò le
labbra a quelle di Giovanni e lo strinse appassionatamente a sé, bloccandolo
con il suo corpo. Gli schiuse la bocca con la sua, lo esplorò con la lingua,
rubandogli il respiro e travolgendolo in un bacio lento e pieno di passione.
Ovviamente Rinaldo sapeva di non poter soddisfare il suo desiderio in quel
momento, nel giardino della residenza dei Medici, comunque continuò a baciare
intensamente Giovanni e a far aderire completamente il corpo a quello morbido del
ragazzino. Poi gli avrebbe parlato, si sarebbe scusato con lui e si sarebbe
fatto perdonare, l’avrebbe portato via con sé a Palazzo Albizzi e non si
sarebbe più negato di esplorare e godere quel giovane corpo tenero. Per adesso
doveva accontentarsi di un bacio più intimo, intenso e prolungato possibile.
Dal canto suo, Giovanni non poteva più
nemmeno pensare lucidamente mentre Rinaldo lo baciava e si stringeva sempre più
passionalmente a lui. In quel momento sembrava che tutta la sua rabbia e la sua
gelosia fossero svanite, non solo perché era completamente perduto in Rinaldo,
ma anche per la nuova consapevolezza che lo aveva colpito: Lorenzo era in
pericolo, certo, ma forse anche Rinaldo lo era ancora. Pazzi era diabolico e
avrebbe potuto colpire chiunque. Lui aveva sofferto così tanto in quei pochi
giorni senza l’uomo che amava… perché doveva respingerlo e rischiare di
perderlo per sempre? No, non aveva senso. Aveva fatto di tutto per salvarlo e
adesso lo aveva lì, con lui, contro di lui, ad avvolgerlo nel suo abbraccio e a
soffocarlo in un bacio sempre più profondo e intimo.
Non voleva lasciarlo mai più. Certo, si
sarebbe mostrato ancora offeso, avrebbe cercato di fargli pagare il suo tradimento con la moglie… ma era tutta
scena ed entrambi lo sapevano.
Giovanni e Rinaldo esistevano solo l’uno per
l’altro, lì, in quel momento e per sempre, al di là del tempo, dello spazio e
degli intrighi politici di Andrea Pazzi!
There is darkness ever waiting
I can feel it in the air So I call upon my angels
Are you still there?
When the wind bends the branch to softly touch me
When the band plays your song
I feel strong enough to keep dreaming
Even when I'm all alone
Our love goes on and on…
(“Love goes on and on” – Lindsey Stirling feat. Amy Lee)
Mentre Rinaldo continuava a baciare Giovanni
con tutta la passione possibile nel giardino interno di Villa Medici, e si
tratteneva a stento dal fare qualcosa di più e solo perché non era a casa sua,
il sole era tramontato e le prime ombre della sera calavano su Firenze, ma i
due amanti non se ne erano nemmeno accorti.
Nel frattempo, nello studio di Cosimo si
stava svolgendo un dramma familiare.
Oddio, se avesse saputo cosa stavano
combinando quei due nel suo giardino, forse prima avrebbe sistemato la
situazione… comunque, il fatto era che Contessina aveva deciso di affrontare il
marito riguardo al bambino che Maddalena aspettava da lui.
“Ho davvero pensato di lasciarti, Cosimo,
dopo aver saputo che quella schiava ha in grembo tuo figlio!” aveva detto
Contessina, oltraggiata e addolorata.
“Però non te ne sei andata, alla fine”
sottolineò Cosimo, come se per lui, alla fine, un figlio in più o in meno non
significasse poi molto. Non era innamorato di Maddalena, il figlio era stato un
incidente e adesso si sarebbe occupato di dargli una casa e un’istruzione, dove
stava il problema? Non pensava certo di lasciare Contessina per Maddalena, non
gli era nemmeno mai passato per l’anticamera del cervello!
Sì, alla fine la situazione rispecchiava,
anche se al contrario, quella di Rinaldo e Giovanni e questo era piuttosto
buffo, a ben pensarci.
Contessina, però, non si divertiva per niente
e stava per replicare qualcosa in tono duro quando si udì una gran confusione,
parole concitate dei servitori, rumori, grida e alla fine sulla soglia dello
studio del Medici apparve Marco Bello che sorreggeva Lorenzo.
Cosimo impallidì e anche Contessina dimenticò
Maddalena, il figlio illegittimo e tutta la faccenda.
“Che cosa è successo?” mormorò Cosimo,
avvicinandosi ai due.
“Era una trappola” spiegò Marco Bello, scuro
in volto. “Le guardie che hanno accompagnato vostro fratello dal prigioniero
erano state comprate da Andrea Pazzi e, mentre lui lo interrogava, hanno
cercato di assassinarlo a tradimento. Per fortuna il vostro giovane protetto,
Giovanni Uberti, mi aveva avvertito di non fidarmi di Pazzi e di seguire Messer
Lorenzo per proteggerlo.”
Nel frattempo, incuriositi dalla confusione
che sembrava aver invaso Palazzo Medici, anche Rinaldo e, appunto, Giovanni,
avevano raggiunto gli altri nello studio di Cosimo. Rinaldo sembrava un po’
seccato per l’interruzione, visto che si trovava tanto bene a fare i suoi
comodi in casa d’altri, ma quando vide Lorenzo e Marco Bello feriti e
sanguinanti rimase male pure lui: la situazione gli ricordava parecchio quella
dell’imboscata a lui e a suo figlio e, a quanto pareva, Andrea Pazzi aveva
messo lo zampino anche qui!
Dal canto suo, Giovanni era inorridito. Aveva
chiesto a Marco Bello di seguire e proteggere Lorenzo perché temeva un altro colpo di scena da parte di Pazzi, certo,
ma avere sotto gli occhi i due uomini feriti gli faceva tornare in mente quello
che sarebbe potuto accadere a Rinaldo. Lui e suo figlio non avevano riportato
nemmeno un graffio grazie alle guardie medicee, ma sarebbe potuta andare
peggio, molto peggio… E, se Pazzi aveva avuto l’ardire di cercare di colpire
addirittura un Medici, cosa gli avrebbe impedito di ritentare anche con gli
Albizzi?
Intanto Marco Bello stava continuando il suo
racconto.
“Avevo seguito Messer Lorenzo fino al Palazzo
della Signoria e sono riuscito a confondermi in mezzo alle guardie, perciò,
quando il primo sicario ha sguainato la spada, mi sono gettato su di lui e l’ho
trafitto. Le altre false guardie ci hanno assaliti ma, a quel punto, sia io che
Messer Lorenzo eravamo pronti a difenderci. Nonostante fossimo due contro
quattro, li abbiamo ammazzati, anche a costo di qualche ferita, però, ecco…
purtroppo lo sgherro di Pazzi ha approfittato della confusione per scappare.
Deve aver preso un mantello a una delle guardie uccise e così se n’è andato
indisturbato dal Palazzo della Signoria.”
Questo tanto per sottolineare quanto, anche
allora, la sicurezza nelle carceri non fosse precisamente una priorità…
“Non importa, riusciremo a ritrovarlo, prima
o poi e, comunque, abbiamo la lettera” tagliò corto Cosimo, più preoccupato per
le condizioni del fratello e dell’amico. “In questo momento la cosa più
importante è che siate curati e che possiate riposare. Dove sono i servitori?
Che portino subito acqua, bende e tutto l’occorrente per pulire le ferite.
Contessina, chiama Emilia e mandala di corsa da un dottore.”
“Messer Cosimo, non vi preoccupate, io ho
solo qualche graffio” minimizzò Marco Bello, “e per fortuna anche le ferite di
vostro fratello non sono gravi, il sicario non ha avuto il tempo di colpirlo
come avrebbe voluto.”
Ma Cosimo non volle sentire ragioni. Anzi,
ordinò che Marco Bello fosse accompagnato in una stanza del palazzo per essere
curato, invece di rimanere negli alloggi della servitù. In breve tempo i due
uomini furono sistemati a letto, le loro ferite vennero lavate e bendate in
attesa del dottore, che arrivò presto e tranquillizzò Cosimo e tutta la
famiglia, compresa quella allargata!
Marco Bello era stato colpito ad una gamba e
a una spalla, ma le sue ferite erano veramente poco più che graffi. Insomma, si
erano fatti molto più male i sicari!
Lorenzo, invece, era stato colpito ad un
fianco, la sua ferita era più profonda e aveva perso molto sangue, comunque non
era in pericolo di vita e, con cure adeguate e riposo a letto, si sarebbe
ripreso in una settimana o poco più. Cosimo fu molto sollevato nell’udire le
parole del dottore e dovette ammettere, ancora una volta, che Giovanni ci aveva
visto giusto: allontanare Marco Bello da Palazzo Medici era stato un errore del
quale Pazzi aveva tentato di approfittare… e per poco non ci era riuscito! Non
avrebbe mai dovuto diffidare di Marco Bello che gli era sempre stato fedele.
Cosa ne sarebbe stato di lui se avesse perduto suo fratello? Lui e Lorenzo
erano diversi, certo, ma si erano sempre voluti molto bene e si completavano a
vicenda.
Cosimo dovette anche confessare a se stesso
che, in vita sua, non aveva mai fatto niente per farsi amare dagli altri, anzi
era riuscito a rovinare anche i rapporti con le persone che gli erano più care.
Il figlio Piero, che non si sentiva mai apprezzato da lui; il fratello Lorenzo,
che lui tendeva a giudicare; Marco Bello, accusato ingiustamente; Contessina,
umiliata e trattata con freddezza e che comunque continuava a restargli
accanto; perfino Maddalena, che adesso aspettava un figlio suo, un figlio
concepito non per amore ma per ripicca contro la moglie. Lui aveva rischiato di
rovinare la vita di tante persone…
Adesso, però, l’intervento di Marco Bello gli
stava dando una seconda occasione. Non doveva lasciarsela sfuggire, doveva fare
in modo di sistemare le cose per tutti e di aprire finalmente il suo cuore a
chi gli stava accanto.
Quel giorno avrebbe segnato per lui l’inizio
di una nuova vita, una vita diversa. Avrebbe comunque continuato a fare il suo
dovere per la famiglia Medici, ma senza indurire il cuore.
Le cose sarebbero cambiate, a Palazzo Medici.
Nel frattempo, mentre Cosimo stava vivendo la
sua crisi di coscienza e giungeva a
conclusioni finalmente un po’ più ragionevoli del solito, la vicenda di Lorenzo
e Marco Bello aveva riempito di orrore Giovanni. Certo, era felicissimo che
entrambi fossero sani e salvi e ringraziava Dio e tutti i suoi Santi per aver
avuto l’ispirazione di non fidarsi di Andrea Pazzi e chiedere a Marco Bello di
vegliare sul Medici… però il ferimento dei due uomini gli aveva fatto tornare
in mente l’imboscata agli Albizzi e, cosa ancora più grave, aveva scoperto che
il sicario di Pazzi era riuscito a scappare.
La cosa che temeva di più, in quel momento,
era che il delinquente in questione potesse essere stato pagato per tentare
nuovamente di assassinare Rinaldo… Davanti a quella terribile prospettiva le
sue gelosie e ripicche, chissà come, passavano in secondo piano!
E così, dopo che Rinaldo si fu congedato
rapidamente dai Medici (beh, sì, nonostante la loro cortesia nell’invitarlo al
banchetto lui non voleva perdere troppo tempo a ringraziarli!), Giovanni lo
attese nell’atrio e poi lo bloccò prima che uscisse dal portone.
“Non potete tornare al vostro palazzo
stasera” gli disse, guardandolo fisso negli occhi con espressione cupa, “e
forse nemmeno nei prossimi giorni.”
Albizzi restò spiazzato.
“Adesso sei tu a dirmi cosa posso o non posso
fare? Anzi, dovresti venire anche tu con me, è quello il tuo posto” replicò,
divertito dall’ardire del ragazzino.
Ma Giovanni non aveva alcuna intenzione di
cedere: quella non era una ripicca, non era gelosia, era un sentimento ben
diverso.
“Io non vi lascerò andare finché il sicario
di Pazzi non sarà stato catturato di nuovo. Meglio ancora, fin quando lo stesso
Andrea Pazzi non sarà incarcerato per i suoi crimini e non potrà più fare del
male a nessuno!” dichiarò. E la luce nei suoi occhi fece comprendere a Rinaldo
che ciò che lo spingeva non era la strafottenza, bensì la paura e la
preoccupazione… per lui.
“Giovanni, pensi che Pazzi voglia ancora
tentare di uccidermi?”
“Perché no? Ha già cercato di farlo una
volta, no?”
“Nel mio palazzo sono al sicuro: ci sono le guardie
della Signoria a sorvegliarmi perché non mi venga in mente di fuggire chissà
dove” gli rammentò l’uomo. “Per loro sono ancora sotto custodia, la mia
condanna all’esilio è stata solo rimandata.”
“Le guardie della Signoria, che
consolazione!” esclamò il giovane, esasperato. “Peccato che Pazzi abbia
corrotto proprio alcune di quelle guardie per tentare di assassinare Messer
Lorenzo. No, non vi lascerò uscire di qui finché Pazzi non sarà ridotto
all’impotenza!”
Rinaldo allora sorrise.
“Dunque ci tieni davvero a me, ragazzino,
nonostante tutto quello che mi hai detto” disse piano, mettendogli un braccio
attorno alla vita e attirandolo a sé. Lo avrebbe anche baciato se proprio in
quel momento non fosse intervenuto Cosimo.
Sì, vabbè, aveva deciso di essere più aperto
e comprensivo con tutti e lo avrebbe fatto, ma non intendeva cominciare proprio
guardando Rinaldo sbaciucchiarsi quel ragazzino! Si schiarì la voce e parlò in
tono sostenuto.
“Ritengo che Giovanni abbia ragione, il tuo
palazzo al momento potrebbe non essere sicuro” disse. “Puoi rimanere qui per
qualche notte, Rinaldo, farò preparare una stanza per te. Qui ci sono le
guardie fedeli alla mia famiglia e nessuno di loro è pagato da Andrea Pazzi.”
Albizzi parve innervosirsi: non aveva nessuna
voglia di farsi ospitare dal Medici per poi doversi sentire riconoscente, se fosse stato per lui
avrebbe preferito rischiare di affrontare i sicari di Pazzi al suo palazzo. Sì,
Rinaldo Albizzi era sempre il solito arrogante, orgoglioso e testardo!
Però poi gli venne in mente che, se fosse
rimasto a Palazzo Medici, avrebbe potuto tentare di riavvicinarsi a Giovanni,
che non aveva nessuna intenzione di seguirlo a Palazzo Albizzi. La
preoccupazione per lui sembrava averlo reso più malleabile, poteva essere la
volta buona per farsi perdonare e far accettare a quel ragazzino impertinente
il fatto che lui avesse una figlia e tutto il diritto di vederla.
“Va bene, resterò qui per qualche notte, ti…
beh, ti ringrazio, Cosimo” disse quel
grazie come se fosse stata una bestemmia…
“Spero comunque che Andrea Pazzi sarà presto incriminato e che non dovrò più
approfittare dell’ospitalità della tua famiglia.”
“Pazzi ha i giorni contati” affermò Cosimo,
consapevole dell’importanza di quella lettera che Lorenzo gli aveva dato e che,
nella confusione degli eventi che si erano succeduti, non aveva ancora letto.
Così anche Rinaldo rimase a dormire a Palazzo
Medici che ormai, a quanto pareva, era divenuto un porto di mare!
Quella stessa notte, però, Giovanni, turbato
e sconvolto dagli avvenimenti della giornata appena trascorsa, ebbe un
terribile incubo: sognò di trovarsi ancora in quella foresta, con Rinaldo e
Ormanno, accerchiati dai mercenari ma senza le guardie medicee a proteggerli.
Lui non poteva fare niente, era bloccato, era come se non fosse davvero
presente e vedesse la scena davanti ai suoi occhi come un macabro e orrendo
spettacolo. Vide gli Albizzi cadere sotto le frecce e i colpi di spada dei
mercenari e tentò di muoversi, di gridare, ma non poteva. Poi la scena cambiò:
Giovanni si trovava lungo una strada di Firenze, sentiva tante persone muoversi
attorno a lui, ma non riusciva a vederle, vedeva soltanto un carro trainato da
due cavalli… e sopra quel carro c’erano i cadaveri ormai freddi di Ormanno e
Rinaldo.
Quella vista atroce fu troppo per il ragazzo,
che lanciò un grido e si svegliò di soprassalto, con il cuore che gli
martellava nel petto e un’angoscia indicibile che lo soffocava. Pallido e
tremante, si alzò lentamente dal letto, guardandosi intorno e riacquistando, a
poco a poco, lucidità. Non era successo niente, era stato solo un incubo,
quella era la sua stanza a Palazzo Medici e Rinaldo stava bene, anzi,
probabilmente era tranquillamente addormentato nella stanza in fondo al
corridoio… e anche Messer Lorenzo e Marco Bello sarebbero presto guariti.
Sì, ma le riflessioni non bastavano a
calmarlo davvero. Giovanni doveva
vedere Rinaldo, doveva constatare con i suoi stessi occhi che era sano e salvo,
che nessuno gli aveva fatto del male. Uscì silenziosamente dalla stanza e
attraversò il corridoio, tenero e buffo in quel camicione da notte che gli
arrivava ai polpacci e i piedi nudi, ma non gli sarebbe importato nemmeno se
qualcuno lo avesse visto. Giunse alla camera di Albizzi e, pian piano, per non
fare rumore, aprì la porta, scivolò dentro la stanza e la richiuse.
Si avvicinò al letto di Rinaldo senza quasi
respirare. Stava davvero bene? Era abbandonato sui cuscini e sotto le coperte e
somigliava fin troppo a quell’orribile scena che aveva visto, a quell’uomo
morto sopra un carro… Solo che l’uomo sul letto aprì gli occhi e lo guardò,
sulle prime sorpreso, ma poi intenerito da ciò che aveva davanti, un ragazzino
scalzo e smarrito in una camicia troppo grande per lui.
“Cosa c’è, Giovanni? Non riesci a dormire?”
gli chiese, in un tono insolitamente affettuoso.
E quella fu la goccia che fece traboccare il
vaso. Giovanni scoppiò a piangere disperato, tutta la paura, la rabbia, la
tristezza, la preoccupazione di quei giorni lo travolsero e lo portarono ad un
pianto dirotto. Rinaldo riuscì appena a capire qualche parola spezzata tra i
singhiozzi.
“Ho sognato… voi… non riuscivo a salvarvi nel
bosco… e poi vi vedevo… vedevo il vostro corpo… io… volevo sapere che stavate
bene… io…”
Giovanni non piangeva spesso ma, quando succedeva,
non era in grado di gestire le sue emozioni e non riusciva a frenarsi. Rinaldo,
però, comprese lo stesso e, sentendosi scaldare il cuore per l’affetto che quel
ragazzo così imprevedibile gli dimostrava, lo prese tra le braccia e lo portò
nel letto con sé.
“Giovanni, io sto bene, è stato solo un
incubo” gli disse con dolcezza, accarezzandogli il viso, asciugandogli le
lacrime e baciandolo sulla fronte e sulle guance morbide. “Non è successo
niente, tu mi hai salvato… e ora sei mio e staremo sempre insieme. Non mi
perderai mai, hai capito, sciocco ragazzino insolente?”
Mentre il pianto di Giovanni si calmava, la
tenerezza lasciò il posto alla passione. I baci si fecero più appassionati e
intensi, Rinaldo lo accarezzò con desiderio su tutto il corpo, incollandosi a
lui, volendo esplorare ogni centimetro della sua pelle per sentire che era
davvero lì, che non gli sarebbe più scappato. E, del resto, il ragazzino non
voleva andare più da nessuna parte, anzi si perdeva tra le braccia di Rinaldo e
nei suoi baci, pensando che il suo uomo stava bene, che non lo avrebbe mai
perduto. Si rendeva sempre più conto che non avrebbe potuto sopportare di
essere separato da lui, che ormai il suo destino era legato per l’eternità a
quello dell’uomo, nonostante i dissidi e le litigate per via di sua moglie e
della figlia neonata. Nulla era paragonabile a ciò che provava quando lo aveva
con sé e Giovanni capiva che i suoi erano solo stupidi capricci se paragonati
al dolore assoluto che avrebbe provato se Rinaldo fosse morto davvero. Intanto
l’uomo continuava ad accarezzarlo, a percorrere tutto il suo corpo con mani
avide, mentre lo baciava ancora e ancora, con sempre maggior desiderio, senza
riuscire a saziarsi di lui. Poi lo possedette, senza staccare le labbra dalle
sue, con ardore e intensità, sentendo che Giovanni lo assecondava e soffocava i
gemiti di piacere contro la sua bocca. Portò il ragazzo al culmine della
passione e ancora oltre per poi esplodere con lui nell’estasi totale che lasciò
entrambi sfiniti e ansimanti.
Alla fine, tuttavia, Rinaldo non si
accontentò dell’amplesso e sentì il bisogno di tenere ancora stretto tra le
braccia Giovanni anche dopo aver soddisfatto l’urgenza del desiderio. Il corpo
caldo e tenero del ragazzino si avvinghiò a lui disperatamente, avvertendo
ancora la necessità di perdersi tra le sue braccia, di smarrirsi completamente
nel suo abbraccio avvolgente e dimenticare le terribili immagini che aveva
visto in sogno. Doveva sentire che Rinaldo era lì, che non gli sarebbe accaduto
mai nulla, che sarebbero rimasti insieme per sempre.
Non lo avrebbe lasciato solo mai più, pensò,
spaventato all’idea che Pazzi avrebbe potuto farlo aggredire dai suoi sicari
anche quando si trovava in campagna per vedere la figlia, mentre lui, a
Firenze, faceva il principino offeso.
No, non poteva rischiare una simile perdita. Da quel momento in poi, avrebbe
seguito Rinaldo dovunque fosse andato.
We are the dreamers We rather die so we're alive
We'll always be
Masters of destiny
Like a deer pretty pole
Flesh bitten by trolls
All of this has begun
All of this is ending Is ending…
(“Masters
of Destiny” – Delain)
Cosimo, a dirla tutta, non era poi così
entusiasta di tenersi Rinaldo in casa, pur sapendo che lo faceva per
proteggerlo, ad essere sinceri avrebbe preferito concedergli una nutrita scorta
delle guardie medicee e rimandarlo a Palazzo Albizzi… però non lo faceva.
Troppe volte aveva preso decisioni sbagliate nella sua vita, decisioni dettate
dal suo egoismo che poi avevano portato dolore e sofferenza ad altre persone:
pensava soprattutto al fatto che i suoi sospetti verso Lorenzo prima e Marco
Bello poi avevano messo in grave pericolo la vita di suo fratello. Non si
sarebbe mai potuto perdonare se Lorenzo fosse morto.
E non si sarebbe mai perdonato nemmeno se, a
causa della sua negligenza, Pazzi fosse riuscito a uccidere Rinaldo.
Per cui si faceva forza e dava fondo a tutte
le sue scorte di pazienza e tolleranza quando vedeva Albizzi gironzolare a
Palazzo Medici come se fosse il padrone, lanciando sguardi di disprezzo alle
opere d’arte che Cosimo teneva nella sua dimora e brontolando che i soldi dei cittadini vengono sprecati in
queste immagini perverse e licenziose… Sì, Rinaldo Albizzi era rimasto il simpaticone di sempre, non è che la
compagnia di Giovanni e l’aver rischiato la vita lo avessero cambiato più di
tanto!
Tuttavia, c’era qualcosa che Cosimo poteva
fare per risolvere più velocemente quella faccenda ed era denunciare Andrea
Pazzi una volta per tutte, così nessuno di loro avrebbe corso più pericoli… e
Rinaldo se ne sarebbe finalmente tornato a casa sua!
Nei giorni seguenti, si recò al monastero in
cui era ospitato Papa Eugenio e portò con sé la lettera che Lorenzo gli aveva
consegnato: era una missiva inviata al Duca Visconti, con il quale Pazzi era in
combutta. In essa Andrea Pazzi confermava l’accordo che aveva con il Duca di
Milano, ossia che avrebbe continuato ad appoggiare la guerra a Roma fino a che
Papa Eugenio IV non avesse acconsentito a farlo suo banchiere. Era stato
talmente tronfio e arrogante da vantarsi di aver mandato in rovina gli Albizzi
e di aver cercato di assassinarli per avere il seggio di Rinaldo alla Signoria
e, una volta che questo era stato concesso al mercante di olio Mastro Bredani,
di aver fatto ammazzare pure lui! Tra le righe lasciava allegramente intendere
che non si sarebbe fatto scrupoli di far uccidere anche il Papa attuale se
avesse insistito a non volerlo come banchiere, e che in quel caso il Duca
Visconti avrebbe potuto far nominare un Papa a sua scelta.
Leggendo quelle righe, Papa Eugenio era
impallidito, consapevole di essersi fidato di una persona malvagia e priva di
qualsiasi senso morale. Aveva fatto uccidere un uomo e tentato di eliminarne
altri, tra cui il suo caro amico Rinaldo Albizzi e il fratello di Cosimo. Era
pronto a consegnare Roma al Duca di Milano, mettendo sul soglio pontificio un
Papa che sarebbe stato un burattino nelle mani di Visconti…
“Dunque, Santità” concluse Cosimo, non
potendo trattenere un certo sarcasmo, “avevate affermato che il banchiere del
Papa non poteva essere un immorale e un assassino. Credete ancora di poter
affidare i conti papali ad Andrea Pazzi?”
“Certo che no” mormorò il pontefice, “anzi,
vi chiedo perdono, Cosimo, per aver dubitato di voi. Io posso solo esservi
grato per aver impegnato il vostro denaro e il vostro prestigio per finanziare
l’esercito che sconfiggerà i Visconti e che mi riporterà a Roma. I conti papali
resteranno nella Banca Medici, l’unica che ne sia degna.”
Cosimo era soddisfatto, ma aveva ancora un
favore da chiedere al Papa.
“Santità, se volete dimostrare la vostra
gratitudine non solo a me, ma a tutta Firenze, c’è un’altra cosa che potreste
fare…”
Al momento vi lascio nella suspence, saprete
presto quale favore aveva chiesto il Medici al Pontefice!
L’esercito del cardinale Vitelleschi,
finanziato e rinforzato dal denaro dei Medici, diede inizio ai combattimenti
contro l’esercito milanese, facendosi largo con la forza fino a Roma.
Nel frattempo, a Firenze fu convocata una
nuova riunione della Signoria, ufficialmente per dare notizie della guerra in
corso… ma alla seduta erano presenti, con grandissimo scorno di Pazzi, anche
Rinaldo e Ormanno Albizzi e Lorenzo de’ Medici, che si era ristabilito quasi
completamente in pochi giorni. E, per sommo spregio, c’era persino Marco Bello!
Il Gonfaloniere Guadagni cercava di mantenere
il solito contegno, ma si vedeva che si divertiva un sacco e che non vedeva
l’ora di tirar fuori il colpo di scena!
Come avevo già scritto tempo fa, negli ultimi tempi le riunioni della Signoria
si erano fatte oltremodo interessanti per lui…
“Messeri” esordì, “siamo qui oggi riuniti al
Palazzo della Signoria per condividere le buone notizie che ci ha portato
Messer Medici. L’esercito che le Banche fiorentine hanno organizzato in
appoggio a quello del cardinale Vitelleschi sta ottenendo vittorie su vittorie
e siamo certi che, molto presto, Sua Santità Eugenio IV potrà rientrare
trionfalmente a Roma.”
Tutti i presenti applaudirono e inneggiarono
a Cosimo. Tutti, ovviamente, tranne Andrea Pazzi che era livido di rabbia e
lanciava sguardi di fuoco tutto intorno a sé.
“Tuttavia” riprese il Gonfaloniere, con un
mezzo sorrisetto, “ho convocato questa riunione oggi anche per portare alla
vostra attenzione un documento di grande importanza e gravità che mi è stato
consegnato da Cosimo de’ Medici.”
Il salone fu percorso da un mormorio e Pazzi,
in particolare, s’innervosì alquanto, anche se cercò di non darlo a vedere
intervenendo con la solita spocchia.
“Se è un documento prodotto dai Medici, sarà
senz’altro un falso” dichiarò. “Dovremmo rifiutarci di prenderlo in
considerazione.”
“E’ curioso che siate proprio voi a dirlo,
Messer Pazzi, visto che è una lettera che avete scritto voi stesso!” esclamò
trionfante Giovanni, che si era trattenuto fino a quel momento ma adesso non ce
la faceva più.
“Volevate una prova che il documento è un
falso? Eccovela” ribatté Pazzi, fulminando Giovanni con gli occhi. “E’ un
complotto ordito ai miei danni dai Medici, con la complicità di quel perfido
ragazzino che mi accusa della rovina della sua famiglia e di quei traditori
degli Albizzi!”
“E perché mai io avrei dovuto complottare qualcosa
insieme ai Medici, mio caro amico?” intervenne Rinaldo,
caustico. “I Medici non sono certo miei alleati e io non ho ancora perdonato
Cosimo per ciò che suo padre ha fatto alla mia famiglia. Non avrei alcun motivo
di falsificare prove in favore di un Medici.”
Andrea Pazzi restò spiazzato a queste parole.
In effetti quello che Rinaldo diceva era vero, lui non era e non sarebbe mai
stato un amico dei Medici!
“Cosimo vi sta comunque proteggendo, vi ha
concesso le sue guardie per difendervi dall’imboscata e adesso vi ospita nel
suo Palazzo, sono sicuro che c’è sotto qualcosa!” replicò Pazzi, senza
accorgersi di aver parlato troppo.
“Messer Pazzi, non eravate voi quello che
accusava Cosimo de’ Medici di aver ordinato
l’agguato agli Albizzi? Ora dite invece che li protegge e che cospira con loro.
Non potreste prendere una decisione? Messer Medici è un assassino o trama a
vostro danno con gli Albizzi?” gli domandò il Gonfaloniere, sempre più
compiaciuto.
“Io… veramente… Messer Guadagni, vi posso
assicurare che…” Pazzi pareva non avere nulla da dire, per la prima volta.
“Messer Cosimo ha ricevuto questa lettera da
suo fratello Lorenzo, che l’ha prelevata a un vostro sicario, Messer Pazzi”
riprese il Gonfaloniere, implacabile. “Per avere questa lettera ha rischiato la
vita. La missiva è stata letta anche da Sua Santità, che vi ha apposto la sua
firma per garantirne l’autenticità. Vorreste mettere in dubbio anche la buona
fede del Papa? Magari accuserete anche lui di congiurare con i Medici e gli
Albizzi?”
Andrea Pazzi cercò di arrampicarsi sugli
specchi.
“Certo che no, la buona fede di Sua Santità
non è in discussione” rispose. “Ma Cosimo de’ Medici lo ha ingannato, con
l’aiuto di Albizzi, che è amico di Papa Eugenio da anni. Cosimo non può
rinunciare ai conti papali, sarebbe la rovina per la sua famiglia, ed è per
questo che ha raggirato Sua Santità!”
“Ripeto la domanda: per quale motivo io avrei
dovuto usare la mia amicizia con Papa Eugenio per aiutare i Medici a mantenere
i conti papali? A me non importa un bel niente se la loro famiglia va in
rovina!” ribatté di nuovo Rinaldo, con un accento particolarmente sincero nella
voce. O era un bravissimo attore o stava dicendo la pura verità!
“Adesso basta, Messer Pazzi, le vostre accuse
sono ridicole a dir poco e perfino offensive per il nostro Santo Padre!” intervenne
il Gonfaloniere in tono tagliente. “La lettera è autentica, porta la vostra
firma e il vostro sigillo, e vi accusa di tutte le nefandezze di cui voi avete accusato finora le famiglie
Medici e Albizzi. Ne ho abbastanza delle vostre menzogne e adesso leggerò a
tutti i presenti questa missiva, in cui voi stesso vi vantate dei vostri
crimini e del vostro tradimento!”
Nel salone cadde un silenzio di tomba e
nemmeno Pazzi riuscì più a proferire parola. Sapeva di essere stato sconfitto,
non avrebbe mai dovuto affidare quella lettera a un sicario qualsiasi, era
stato uno sciocco e adesso…
Nessuno osò fiatare mentre il Gonfaloniere
leggeva la lettera di Andrea Pazzi, ma gli sguardi dei presenti si posavano
sull’uomo, sempre più gelidi mano a mano che i suoi sporchi intrighi venivano
alla luce: Pazzi aveva complottato con Albizzi per rovesciare la Signoria e
prendere il potere, ma era d’accordo con il Duca Visconti di Milano, del quale
invece Rinaldo non voleva sentir parlare, avendolo combattuto anni prima per il
predominio su Lucca; perciò Albizzi era stato fatto passare per l’unico
traditore di Firenze, mentre Pazzi era apparso come colui che aveva salvato la
Repubblica, denunciandolo. L’uomo si vantava di aver ottenuto addirittura il
seggio alla Signoria facendo uccidere Mastro Bredani e mettendo Albizzi fuori
gioco, pur non riuscendo a eliminarlo per colpa delle guardie medicee, ma si
era vendicato facendo ricadere il sospetto dell’attentato sui Medici. Infine,
continuava la sua lettera riferendo che avrebbe sostenuto le armate di Visconti
a Roma finché Papa Eugenio non si fosse deciso a nominarlo suo banchiere
personale.
“Messer Pazzi, avete ancora qualcosa da dire
dopo quanto abbiamo appena sentito? Forse volete sostenere di non aver mai
scritto questa lettera?” lo provocò il Gonfaloniere.
“Mi fate schifo!” reagì Albizzi, dopo essere
venuto a conoscenza anche della parte di storia che ignorava. “Avete fatto
passare me per traditore quando voi
avreste voluto andare al potere con l’aiuto del Duca Visconti! In quel modo
avreste reso Firenze una città satellite di Milano… vergognatevi!”
“Per una volta che vi siete fidato di
qualcuno, Messer Albizzi, avete scelto la persona più sbagliata del mondo, io
ve l’avevo detto” non poté evitare di dire Giovanni. “Messer Pazzi ha cercato
di eliminare tutti quelli che si mettevano tra lui e i suoi loschi scopi, ma
finalmente lo abbiamo smascherato!”
“La Signoria dovrà adesso decidere il destino
di un simile traditore della patria e cospiratore” dichiarò il Gonfaloniere.
“Che cosa propongono i membri?”
Come al solito, nel salone si scatenarono
(doveva essere uno dei pochi divertimenti del tempo, quello di proporre
condanne esemplari per chiunque capitasse a tiro…): chi urlava che Pazzi
meritava la morte, chi proponeva di confiscare i beni a tutta la famiglia e
mandare tutti quanti in esilio, chi insisteva per la fustigazione del colpevole
nella pubblica piazza, chi gridava in favore del carcere a vita… insomma, ce
n’era per tutti i gusti.
Quando si fu abbastanza divertito a sentirli
sbraitare, il Gonfaloniere li zittì.
“Vi ringrazio, Messeri, per aver dato il
vostro parere sulla questione e vi confesso che anch’io sarei favorevole
all’esilio di Andrea Pazzi, la stessa condanna di Rinaldo Albizzi, che,
comunque, si è dimostrato meno colpevole di lui” disse, facendo illuminare di
soddisfazione Giovanni con le sue parole. “Tuttavia Messer Cosimo mi ha
consegnato anche un’altra lettera, questa volta scritta da Sua Santità. Il
pontefice chiede espressamente che sia Cosimo de’ Medici a decidere la condanna
di Andrea Pazzi, poiché è stato lui ad essere maggiormente danneggiato dalle
sue turpi azioni.”
Con buona pace di Mastro Bredani, che forse
era stato danneggiato anche più di Cosimo… comunque, ecco qual era il favore
speciale che il Medici aveva chiesto a Eugenio IV!
Con un certo disappunto per non poter sfogare
i loro istinti sanguinari, i membri della Signoria tacquero e si disposero ad
ascoltare la decisione di Cosimo. L’uomo scambiò un’occhiata con Giovanni e
fece qualche passo avanti prima di iniziare a parlare.
“Messeri, sono consapevole del fatto che
Andrea Pazzi meriterebbe una punizione esemplare” disse in tono deciso, “ma in
questi ultimi tempi mi sono reso conto che, alla fine, nessuno di noi può
dichiararsi del tutto innocente. Io stesso ho commesso molti atti sbagliati e
ho messo a rischio la vita delle persone a me care. Ho voluto prendere esempio
dalla clemenza e dalla bontà di Sua Santità e questa è la mia decisione.”
Cosimo fece una pausa ad effetto, da attore
consumato, per guadagnarsi ancora di più l’attenzione di tutti i presenti.
“Andrea Pazzi è colpevole, ma non così la sua
famiglia. Pertanto, i suoi beni non saranno confiscati, ma resteranno sotto la
tutela di un amministratore scelto dalla mia famiglia: i suoi figli, Antonio,
Jacopo e Piero*, potranno disporne
liberamente una volta raggiunta la maggiore età” riprese. “Ovviamente, perderà
il suo seggio alla Signoria, ma questo potrà andare ad uno dei suoi figli, se
questo dimostrerà di meritarlo. Sarà tenuto sotto sorveglianza dalle guardie
della Repubblica, non gli sarà consentito avere corrispondenza con chicchessia
e non potrà mai lasciare Firenze.”
“Sono d’accordo con la decisione di Messer
Medici” disse il Gonfaloniere, mentre molti tra i presenti apparivano delusi,
perché avrebbero voluto una bella impiccagione o una fustigazione degna di
questo nome! “Andrea Pazzi, da oggi in poi non siete più un membro della
Signoria, né vi sarà consentito qualsiasi tipo di carriera politica. Dovrete
inoltre essere molto grato a Messer Cosimo che vi ha risparmiato la vita, i
beni e ha mantenuto l’onore della vostra famiglia: io non sarei stato così clemente
e generoso, lo ammetto.”
Il volto livido di Pazzi dimostrava che era
tutt’altro che grato a Cosimo de’ Medici, anzi, comprendeva fin troppo bene che
la sua vera punizione era restare a Firenze vedendo i Medici prosperare e
sapendo perfettamente che tutto ciò che gli restava lo doveva a loro. Peggio di
così…
E non era nemmeno finita, quella giornata,
che sarebbe rimasta nei ricordi di Andrea Pazzi come la peggiore di tutta la
sua esistenza. Giovanni, molto soddisfatto e con un sorrisetto sfrontato
dipinto in viso, gli si parò davanti e volle dire la sua.
“Credevo che sarei rimasto deluso da questa
punizione, che avrei voluto vedervi morto o comunque scacciato e umiliato, così
come fecero i vostri antenati ai miei. Invece ho capito che così è molto
meglio” rivelò in tono compiaciuto. “La vostra famiglia non subirà alcun torto,
ma voi ne sarete la vergogna. Non sarete condannato per il vostro tradimento,
ma dovrete vedere il trionfo dei Medici e la riabilitazione del nome degli
Uberti. Credo che anche il mio avo, il grande Farinata, avrebbe voluto questo
per voi.”
Ciò detto, gli voltò le spalle e tornò
accanto a Rinaldo e alla famiglia Medici.
“Ci sono ancora due questioni da risolvere.
La prima è questa: avendo ottenuto le prove che Rinaldo Albizzi aveva sì tentato
di rovesciare la Signoria per mettersi a capo di Firenze, ma che non ha mai
accettato di svendere la città a un dominatore straniero e che, anzi, proprio
per questo è stato ingannato dal vero traditore, propongo che Messer Albizzi
non debba più subire l’esilio e che la sua condanna sia revocata. Come si
esprime la Signoria in proposito?” chiese il Gonfaloniere.
I membri della Signoria, com’è noto, andavano
dove li portava il vento. In quel momento il nemico era Andrea Pazzi, pertanto
a nessuno importava più di tanto il destino di Albizzi. La Signoria votò
all’unanimità per revocare la condanna all’esilio di Rinaldo: l’uomo sarebbe
potuto restare a Firenze e vivere la sua vita come meglio credeva, anche se non
avrebbe più potuto ricoprire incarichi politici.
“La seconda questione è: chi prenderà il
seggio alla Signoria che è stato tolto a Pazzi?” domandò ancora il Gonfaloniere
Guadagni. “Qualcuno ha un candidato da proporre?”
Ancora una volta fu Cosimo a chiedere la
parola.
“Se Messer Guadagni me lo permette, vorrei
proporre la candidatura di mio figlio Piero” disse, provocando grande stupore
in tutti e ancora di più nel giovane Piero, che tutto si sarebbe aspettato meno
che quel colpo di scena! “Ho osservato quanto ha fatto per la famiglia in questi
ultimi mesi e sono fiero di lui, è ormai pronto per prendere il suo posto al
mio fianco. Tuttavia qualcuno potrebbe obiettare che ci sono già io a
rappresentare i Medici alla Signoria e che Piero potrà prendere il mio posto
quando io mi ritirerò. Se è questo che pensate, allora l’altro mio candidato è
Giovanni degli Uberti. Credo che sia giunta l’ora che gli Uberti riprendano il
posto che spetta loro a Firenze.”
Forse per la prima volta in vita sua,
Giovanni restò senza parole. Lui un membro della Signoria? Il rappresentante
della gloriosa eredità degli Uberti nella città che tanto amava? Il ragazzino
sfacciato e insolente che tante volte aveva osato interrompere e offendere
uomini più potenti e importanti di lui adesso sembrava piccolo e indifeso, le
gambe gli tremavano alla prospettiva di prendere su di sé una simile
responsabilità.
“Messer Cosimo…” riuscì appena a mormorare,
“io non credo che… penso che Piero dovrebbe avere quel seggio, io non… non sono
in grado…”
Ma anche Piero scoppiò a ridere. Per lui era
sufficiente che il padre lo avesse elogiato davanti a tutta la Signoria, il
seggio poteva aspettare, nel frattempo avrebbe partecipato alla vita politica
di Firenze seguendo Cosimo e imparando da lui. Era felice che l’amico potesse
ricevere un incarico così prestigioso e che fosse lui a riportare in alto il
nome degli Uberti.
“Se non ci sono voti contrari, appoggio la
candidatura di Giovanni degli Uberti” proclamò il Gonfaloniere e, com’era
ovvio, la Signoria approvò all’unanimità (un po’ come si fa al Collegio dei
Docenti quando a nessuno frega un accidenti della delibera da approvare…).
“Messer Uberti, immagino che, d’ora in poi, dovrete imparare a tenere a freno
la lingua e a mostrarvi maggiormente rispettoso: adesso siete un membro della
Signoria di Firenze.”
Giovanni era stordito. Tutto era successo
così in fretta e… cosa avrebbe dovuto fare d’ora in poi? Come si doveva
comportare un membro della Signoria?
Sapeva però che sia Cosimo sia Rinaldo lo
avrebbero aiutato a muoversi nell’infido mondo della politica…
Per Andrea Pazzi non poteva andare peggio:
smascherato, sbeffeggiato, umiliato, adesso doveva vedere i suoi più acerrimi
rivali, i Medici, spadroneggiare su Firenze (e magari mostrarglisi anche
riconoscente… MAI!) e, a coronamento di una perfetta giornata di m****,
ritrovare il suo seggio usurpato da quell’insopportabile
ragazzino, al quale avrebbe così volentieri torto il collo!
Ma non poteva farci niente, quello era il
giorno della sua più totale sconfitta e il momento più mortificante e drammatico
in tutta la storia della famiglia Pazzi… sì, almeno per quanto riguardava
passato e presente!
Con grande soddisfazione di tutti (meno che
di uno, ovvio), la riunione della Signoria si concluse.
Fine capitolo nono
* Andrea Pazzi ebbe quattro figli maschi (uno morto
bambino) e tre femmine, che però al tempo non potevano ereditare. Antonio, il
maggiore, sarà il padre di Guglielmo e Francesco e morirà nel 1458; Jacopo è il
nostro vecchio amico Jacopo Pazzi,
quello di cui scriverò ancora molto. Del terzo figlio, Piero, non ho trovato
notizia… XD
Prendi la mano e rialzati
Tu puoi fidarti di me
Io sono uno qualunque
Uno dei tanti, uguale a te
Ma che splendore che sei
Nella tua fragilità
E ti ricordo che non siamo soli
A combattere questa realtà
Credo negli esseri umani
Credo negli esseri umani
Credo negli esseri umani che hanno coraggio
Coraggio di essere umani…
(“Esseri umani” –Marco Mengoni)
I giorni che vennero
furono più sereni. La minaccia rappresentata da Andrea Pazzi non esisteva più e
ognuno poteva tornare alla sua vita. Soprattutto, con grande sollievo di
Cosimo, Rinaldo poteva tornare al suo palazzo e smetterla di stargli sempre tra
i piedi con quello sguardo di aperta disapprovazione!
Anche Ormanno era
rientrato a Firenze dalla campagna con la moglie Beatrice e adesso anche loro
si sarebbero stabiliti a Palazzo Albizzi. Dopo tutto ciò che era successo,
Giovanni si risolse infine a passare sopra alla sua gelosia e al dolore che
provava quando Rinaldo andava a trovare sua figlia… e decise di tornare a
vivere con lui a Palazzo Albizzi.
A Palazzo Medici,
intanto, le cose andavano sempre meglio: Lorenzo aveva voluto fissare al più
presto le sue nozze con Ginevra Cavalcanti e la coppia si sarebbe sposata due
settimane dopo. Si stavano già organizzando i festeggiamenti, che sarebbero
stati sontuosi e pieni di allegria per dimenticare i periodi tristi e i
pericoli passati. Perfino la costruzione della Cupola stava procedendo bene e
velocemente, con grande soddisfazione di Cosimo. Rinaldo, al contrario,
continuava a non sopportare quella povera Cupola che non gli aveva fatto niente
e, anzi, era lieto di essere tornato al suo palazzo anche perché dalle sue
finestre non la vedeva e poteva illudersi che non esistesse!
Rimanevano un paio di
questioni che non permettevano a Cosimo di rilassarsi ed essere completamente
felice, tuttavia anch’esse erano destinate a risolversi felicemente in poco
tempo.
Le due questioni
riguardavano il figlio che Maddalena aspettava e l’avvelenamento di suo padre:
Cosimo ormai sapeva per certo che non era stato Lorenzo e nemmeno Rinaldo, però
dalla lettera di Pazzi non era saltata fuori alcuna novità che riguardasse quel
fatto e questo poteva solo significare che, purtroppo, non era possibile
addossare ad Andrea Pazzi anche quell’ennesimo delitto. Ma allora chi aveva
ucciso suo padre? Possibile che fosse stato davvero Marco Bello? Se fosse stato
lui lo avrebbe fatto a fin di bene, certo, per proteggere Cosimo e Lorenzo
dalle ingerenze di un padre troppo tirannico… ma lui sarebbe riuscito a perdonarlo
davvero e ad accettarlo di nuovo come membro della sua famiglia?
Quella sera, Cosimo
era nel salone insieme alla moglie Contessina e a suo fratello Lorenzo e
parlava con loro del prossimo matrimonio, di chi avrebbero dovuto invitare (Lorenzo
avrebbe tanto desiderato non trovarsi
Rinaldo Albizzi tra i piedi almeno per quel giorno, ma se non lo avessero
invitato si sarebbe creato nuovamente dell’attrito tra le famiglie e poi come
l’avrebbe presa Giovanni?), di come si sarebbe svolta la cerimonia… Cosimo
aveva pensato di chiedere a Sua Santità in persona di sposare Lorenzo e
Ginevra, per consacrare ancora di più il legame tra gli sposi e anche quello
tra il pontefice e la famiglia Medici!
Vabbè, Cosimo de’
Medici era sempre un filino opportunista…
“Ho capito che
sarebbe una scortesia non invitare Rinaldo Albizzi, ma non ti pare che anche
invitarlo creerebbe dei problemi non indifferenti?” obiettò Lorenzo, cercando
di convincere il fratello. “Se invitiamo lui, ovviamente verranno anche suo
figlio Ormanno e Beatrice, oltre a Giovanni, e questo va bene, ma come la
mettiamo con sua moglie e la piccola? In un’occasione come questa, Rinaldo
dovrebbe presentarsi con la sua legittima sposa… e allora come pensi che la
prenderebbe Giovanni?”
In effetti il
problema esisteva e Lorenzo non aveva tutti i torti.
Cosimo rifletté
qualche istante prima di rispondere.
“Sua moglie
Alessandra ha avuto la bambina da pochi mesi e sta ancora riprendendosi dal
parto. Nessuno avrà da ridire se non si presenterà ad una festa durante la
quale rischierebbe di affaticarsi” replicò, salvando capra e cavoli come era
solito fare!
Sembrava che la
questione fosse risolta, ma l’accenno a parti e neonati fece calare una cappa
di disagio tra i tre. Tuttavia, inaspettatamente, la prima a riprendersi fu proprio
Contessina.
“Cosimo, in questi
giorni ho pensato molto al bambino che Maddalena avrà tra qualche mese” disse.
“So cosa avevo detto tempo fa, ma quello che è accaduto, la paura di perdere
Lorenzo e tutta la nostra famiglia, mi ha fatto capire che non sarebbe stato
giusto. Quel bambino è tuo figlio e dovrai occupartene e crescerlo come tale.”
“Contessina, io…”
mormorò Cosimo, per la prima volta sopraffatto dall’emozione. La moglie gli
prese la mano e gli sorrise.
“Tutti possiamo
commettere degli errori e anch’io ne ho commessi. La nascita di un bambino,
però, è un avvenimento lieto e sono certa che porterà fortuna e felicità alla
nostra famiglia” affermò convinta, con un dolce sorriso.
In quel momento si
udì bussare alla porta, che era accostata. Sulla soglia stavano Marco Bello e
Maddalena, che si tenevano per mano e apparivano piuttosto turbati.
“Messeri, Madonna, vi
chiedo perdono se, non volendo, ho ascoltato la vostra conversazione” disse
l’uomo, con un’aria imbarazzata che di certo non era da lui! “La mia intenzione
era chiedere il vostro permesso per… beh, ecco… volevo… insomma, io e Maddalena
vorremmo sposarci! Non mi importa se il bambino non è figlio mio, io gli vorrò
bene come se lo fosse e voi, Messer Cosimo, potrete educarlo e crescerlo come meglio
crederete. Voglio solo… sposare Maddalena e restare accanto a lei per il resto
della mia vita.”
Eh sì, anche lui in
quei giorni aveva rischiato la pellaccia e aveva rivisto le priorità della sua
esistenza!
Cosimo restò allibito
e dovette riflettere un po’ per rispondere alla domanda di Marco. Sapeva bene
che l’uomo aveva manifestato da tempo un interesse particolare per la bella
serva e che lei iniziava a ricambiarlo e, del resto, lui non nutriva più alcun
interesse per lei, da tempo ormai non visitava più il suo letto. No, non era
quello il problema. Semmai l’unico tarlo che lo rodeva era il solito: non era
sicuro al cento per cento che non fosse stato Marco Bello a avvelenare suo
padre. Adesso che era stato chiarito che non era stato nemmeno Pazzi a farlo
uccidere, chi restava? Di certo il Medici senior
non si era suicidato!
“Hai il mio permesso,
Marco” disse alla fine, decidendo di dare fiducia ancora una volta all’uomo che
aveva salvato più volte la sua vita e quella della sua famiglia. No, Marco Bello
non poteva essere un assassino.
Felici e sollevati,
Marco e Maddalena si scambiarono un sorriso e, dopo aver salutato e
ringraziato, uscirono dalla stanza. Lorenzo, però, aveva notato l’esitazione
del fratello e poco dopo, quando anche Contessina se ne andò, gli pose una
domanda ben precisa.
“Cosimo, ho notato
che non hai risposto subito alla richiesta di Marco Bello” disse. “Credo che
dovresti essere onesto e sincero con Contessina: provi ancora qualcosa per
Maddalena? Oppure è il fatto che aspetti un figlio tuo a farti esitare?”
L’uomo sembrò molto
sorpreso da quella domanda e sembrò cadere dalle nuvole.
“E’ questo che pensi,
Lorenzo? Non potresti essere più lontano dalla verità” replicò, davvero stupito
che il fratello potesse credere una cosa simile. “No, l’unica cosa che mi ha
frenato è che… beh, noi non sappiamo ancora chi ha davvero avvelenato nostro
padre. La lettera di Pazzi non dice niente al riguardo e io… per un momento ho
pensato che Marco Bello non era stato ancora scagionato. Però no, non posso
credere che sia stato lui, ti ha salvato la vita, mettendo a rischio la sua e
dopo che era stato cacciato dalla nostra casa. No, voglio fidarmi di lui, come
prima. Eppure temo che quest’ombra resterà sempre…”
Lorenzo, un tempo il
primo ad avversare Marco Bello, questa volta fu invece il primo a difenderlo.
“La lettera di Pazzi
non prova niente, l’omicidio di nostro padre risale ormai a qualche anno fa e
Pazzi potrebbe benissimo essere colpevole e non avere motivo di raccontarlo al
Duca Visconti, non è qualcosa che lo riguardi. Per parte mia, io sono certo che
è stato Andrea Pazzi, anche se non ne avremo mai le prove. Ha fatto uccidere
Mastro Bredani, ha organizzato l’imboscata contro gli Albizzi e ha tentato di
far uccidere anche me, non credo che si sarebbe fatto scrupoli a far avvelenare
nostro padre.”
“Sì, forse hai
ragione tu” mormorò Cosimo, ma si capiva che avrebbe voluto avere la certezza
dell’innocenza di Marco Bello.
In quel momento
un’altra persona si presentò discretamente alla porta: era Ugo, il vecchio
contabile della famiglia Medici. Teneva lo sguardo basso e appariva molto
turbato.
“Messer Cosimo,
Messer Lorenzo, vi chiedo perdono se, non volendo, ho udito la vostra
conversazione e… e credo sia giunto il momento di essere totalmente sincero con
voi. Troppe persone in questa casa hanno sofferto e sia voi sia Marco Bello sia
Maddalena meritate di vivere felici e in pace” disse.
Così, sempre tenendo
il capo chino e con occhi pieni di lacrime e voce tremante, l’anziano contabile
raccontò tutto: spiegò che il Medici senior,
da vero padrino, gli aveva fatto
un’offerta che non poteva rifiutare, ossia liberarsi di Rosa, l’innamorata di
Lorenzo, e del bambino che aspettava. Lui aveva accompagnato la ragazza in un
convento, ma in quel posto era stata trattata in modo orribile, subendo
percosse e privazioni e, alla fine, era morta dando alla luce il bambino di
Lorenzo, anche lui morto. Ugo, che aveva sempre cercato di aiutarla, ne era
rimasto sconvolto e aveva affrontato il suo padrone, rimproverandolo di essere
stato un bastardo dentro (non con queste
parole, ma il senso era quello).
“Credetemi, se Messer
Medici si fosse mostrato dispiaciuto o, perlomeno, avesse detto qualche parola
di compassione per quella povera giovane e suo figlio… ma lui… lui fece un
sorriso compiaciuto e rispose che, per lui, gente come Rosa era poco più che
una bestia e che non avrebbe mai dovuto osare avvicinarsi alla famiglia Medici”
raccontò Ugo, ancora sconvolto al ricordo. “Fu per quello… non avevo potuto
salvare quei due poveri innocenti, ma potevo vendicarli, così fui io a compare
la cicuta e a metterla sull’uva che vostro padre avrebbe assaggiato il giorno
dopo.”
Cosimo e Lorenzo si
scambiarono uno sguardo, entrambi molto turbati. Adesso sapevano chi aveva
assassinato il loro padre, ma potevano veramente condannarlo per ciò che aveva
fatto?
“Quando avete
accusato Marco Bello ho creduto di essere salvo, ma adesso le cose sono
cambiate, lui vuole sposare Maddalena e lei aspetta il figlio di Messer Cosimo…
ho pensato che fosse una seconda occasione per salvare la famiglia Medici dal
peccato di ciò che era stato fatto a Rosa” continuò, sempre più convinto. “Se
adesso vorrete cacciare me da questa casa, lo capirò. Sono colpevole, non solo
per l’avvelenamento di Messer Medici, ma anche per non aver protetto Rosa e il
bambino e per aver lasciato condannare un innocente al mio posto. Non merito
alcun riguardo.”
Fu Lorenzo il primo a
ritrovare la parola.
“Io non ti condanno”
dichiarò con voce spezzata. “Non sapevi cosa sarebbe successo a Rosa e a… a mio
figlio e, quando lo hai scoperto, hai fatto ciò che ritenevi giusto. Nostro
padre ha commesso tanti errori, non giustifico il suo omicidio ma credo che,
alla fine, abbia ottenuto quello che si è cercato con la sua condotta. Per
quanto mi riguarda, io continuerò a credere che sia stato eliminato da Andrea
Pazzi.”
Beh, tanto Pazzi ne
aveva ammazzati, o cercato di ammazzare, così tanti che uno in più non avrebbe
fatto differenza!
Cosimo sembrava meno
convinto. Ugo gli aveva mentito per anni e lui si era torturato la mente
domandandosi chi avesse ucciso suo padre. Aveva accusato Rinaldo, aveva
addirittura punito Lorenzo, credendolo colpevole, e aveva cacciato di casa
Marco Bello. Cosa doveva fare, ora?
In realtà la risposta
era più semplice di ciò che pensava: doveva fare l’esatto contrario di ciò che
avrebbe fatto suo padre, ossia perdonare.
Il padre era stato un uomo duro, severo, ambizioso e senza scrupoli, che non
aveva concesso mai una seconda possibilità a nessuno, nemmeno ai suoi figli. Rosa
e il suo bambino erano morti per la sua freddezza e crudeltà. Lui voleva
davvero essere come il padre?
Assolutamente no.
“Non dovrai lasciare
questa casa, Ugo. Non posso davvero perdonarti per aver ucciso nostro padre, ma
posso comprendere perché tu lo abbia fatto e io non voglio mostrarmi spietato
come lui” disse. “Questo sarà un nuovo inizio per la famiglia Medici, senza più
segreti, rancori o vendette. Siamo una famiglia, abbiamo affrontato tanto
dolore insieme e adesso meritiamo tutti di vivere un periodo di pace e gioia,
con i matrimoni che si celebreranno presto e i figli che nasceranno. Anch’io
scelgo di credere che sia stato Andrea Pazzi ad avvelenare nostro padre e lui
sta già scontando la sua giusta pena, privato del seggio alla Signoria, dei
suoi beni e di tutto il suo potere. La cosa finisce qui e non ne parleremo mai
più.”
Ugo era talmente
commosso da non riuscire nemmeno a trovare le parole per ringraziare; ma anche
Lorenzo era favorevolmente stupito: quel nuovo Cosimo, più disponibile,
generoso, desideroso di dimostrare il suo affetto alla famiglia gli piaceva
molto. Ora capiva che, in tutti quegli anni, suo fratello aveva sofferto e
aveva represso i suoi veri sentimenti per recitare la parte che il padre gli
aveva imposto. Adesso anche Cosimo era libero.
Cominciava una nuova
era per la famiglia Medici.
E a Palazzo Albizzi
come andavano le cose, vi chiederete (almeno spero!)?
Ormanno e Beatrice
erano stati felicissimi di rientrare a Firenze e di sapere che il vero
colpevole di tutto, Andrea Pazzi, avrebbe pagato. Beatrice era contenta che suo
fratello vivesse a palazzo con lei, anche se non aveva ben capito quale
rapporto lo legasse a Rinaldo Albizzi… ma, a dirla tutta, ancora non lo aveva
capito nemmeno Giovanni! Comunque, in qualche modo tutto particolare, anche
quella adesso era una famiglia, una famiglia
allargata con molto anticipo sui tempi!
Quella sera,
tuttavia, Giovanni appariva nervoso e turbato. Il giorno seguente ci sarebbe
stata una riunione della Signoria, la prima alla quale lui avrebbe partecipato
come membro effettivo, e la cosa lo metteva in crisi.
“Giovanni, cosa c’è
che ti angoscia tanto?” gli domandò Rinaldo quando furono soli nella stanza
dell’uomo. “Sei stato silenzioso tutta la sera, in genere questo significa che
non stai bene!”
Il ragazzo esitava. A
dire il vero, non si era mai confidato con Rinaldo, non aveva mai parlato
apertamente con lui. Si erano scontrati, si erano cercati, amati, lasciati e
ripresi, ma non gli era mai venuto spontaneo confidarsi con quell’uomo: se
aveva un problema, solitamente ne parlava con Cosimo o Lorenzo… Però quella
sera tutto sembrava diverso e, quasi senza accorgersene, Giovanni cominciò a
spiegare il suo malessere.
“Io… credo di non
sentirmi degno di essere un membro della Signoria!” ammise.
Rinaldo rimase
stupefatto.
“Cosa? Proprio tu
vieni a dire questo? Ma se hai parlato davanti a tutta la Signoria ogni volta
che ne hai avuta l’occasione e ti sei messo contro chiunque fin dal primo
giorno in cui ci siamo conosciuti! Ora mi diventi timido?” esclamò.
“Ma è proprio per
questo!” protestò Giovanni. “Finora io mi sentivo libero di dire quello che mi
pareva, tanto non contavo niente per il Gonfaloniere e gli altri membri e poi
interveniva Messer Cosimo e salvava la situazione. Ora… ora sono io che devo
prendermi queste responsabilità e non credo… non ne sono all’altezza.”
Rinaldo non aveva mai
visto questo lato più insicuro e dolce di Giovanni e la cosa lo intenerì e lo
eccitò enormemente. Adesso capiva molte cose, anche le sue reazioni violente di
gelosia: in fondo al cuore, il giovane Uberti era insicuro e pensava di non meritare
la sua attenzione, così come pensava di non meritare il seggio alla Signoria.
Si mostrava
aggressivo e impertinente per nascondere le sue paure!
L’uomo si sedette sul
letto accanto a Giovanni e lo strinse a sé.
“Sei un Uberti,
ragazzino, certo che sarai all’altezza” gli disse, con un tono tenero che usava
molto raramente.
“Io temo… di non
essere all’altezza della mia famiglia e del mio nome, ho paura di disonorarli
ancora, io non sono il grande Farinata” mormorò il ragazzo, sperduto tra le
braccia di Rinaldo.
“Certo che non sei
lui, ma sarai capace di renderlo fiero di te, ne sono sicuro” affermò l’uomo,
convinto. “Lo hai dimostrato in più di un’occasione e saprai farlo ancora. E
anch’io sono e sarò sempre fiero di te.”
Gli prese la mano e
gli mise all’anulare sinistro un anello piccolo, ma elegante, con una pietra
azzurra.
“Ti avevo detto che
avrei fatto benedire dal Papa gli anelli nuziali dei miei genitori e che poi
avrei messo quello di mio padre e dato a te quello di mia madre” gli ricordò.
“Ecco, adesso è come se fossimo sposati, certo non agli occhi del mondo, ma noi
lo sapremo ed è questo che conta. Ora sei veramente mio, quindi sei un Albizzi oltre che un
Uberti: dovrai sicuramente farti onore davanti alla Signoria.”
Giovanni era commosso
e emozionato e, come al solito, cercò di stemperare il tutto con una battuta.
“Oh, beh, per fare onore
alla famiglia Albizzi non ci vorrà poi tanto, mi basterà evitare di fare tutto quello che avete fatto voi!”
commentò, con un sorrisetto ironico.
“Ah, è così che mi ringrazi, ragazzino impertinente?”
replicò Rinaldo, buttandolo sul letto e saltandogli addosso, ma si capiva che
era ormai un gioco tra loro e che non era davvero offeso. L’uomo bloccò
Giovanni con il peso del suo corpo e iniziò a baciarlo profondamente, fino a
unire e confondere i loro respiri e il loro sapore. Fu su di lui e continuò a
divorarlo con i suoi baci,
dapprima con lentezza e poi con sempre maggior intensità. Voleva perdersi
completamente in quel ragazzino, prolungare al massimo il piacere e godere di
ogni singolo istante, mentre Giovanni, smarrito, dimenticava ogni
preoccupazione nell’abbraccio avvolgente di Rinaldo e lo accoglieva con amore e
spontaneità. Per molto tempo ogni altra cosa scomparve, spazio e tempo si
confusero in un crescendo di passione e estasi, mentre il cielo intero li
inondava di stelle.
Alla
fine, appagati e sazi l’uno dell’altro, i due poterono stringersi in un
abbraccio caldo e confortevole e lasciarsi vincere dalla dolcezza del sonno. Perché
solo stretti l’uno all’altro, nel calore e nella tenerezza del ritrovarsi
ancora una volta, Rinaldo e Giovanni potevano riavere la pace e la serenità
perdute e riposare, finalmente liberi da ostacoli, turbamenti e brutti
pensieri. Non lo avevano ancora compreso fino in fondo, ma stavano lentamente
imparando che erano nati l’uno per l’altro e che soltanto insieme potevano
completarsi ed essere felici.
I am
here for all to see In my bones there's dignity I will fight them I can say that I can change the world But if you let me I can change the world for us Come with me and Make this vision all brand new We can fight them I can say that I can win it
all Come with me and I will make my worst untold Let me do this…
(“Renaissance” – Skin)
Trascorsi tre mesi circa, la
famiglia Medici era tutta riunita nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore,
finalmente ornata dalla bella Cupola che avrebbe suscitato ammirazione in tutto
il mondo (tranne che in Rinaldo degli Albizzi, però quel giorno anche lui
doveva stare lì e fare finta di non vederla…) e alla quale mancavano solo
alcuni ritocchi per essere completata. Con loro, come ho detto, c’erano Rinaldo
Albizzi con il figlio Ormanno e sua moglie Beatrice, incinta di cinque mesi del
loro primo figlio, Alessandra Albizzi con la piccola Susanna e Papa Eugenio IV
che, una settimana prima, aveva unito in matrimonio Lorenzo e Ginevra
Cavalcanti e Marco Bello e Maddalena, tutti ovviamente presenti in quella luminosa
domenica del giugno 1436. E, ovviamente, c’era Giovanni, che però si teneva il
più lontano possibile da Rinaldo, indispettito per il fatto che l’uomo avesse
osato portare la moglie ad un’occasione così importante per lui!
C’era anche tutta la
famiglia Uberti venuta da Mantova: la madre Caterina, il fratello maggiore Lapo
con la moglie Lucrezia e i gemelli Isabella e Ranieri. Anche Francesco degli
Uberti aveva lasciato per qualche giorno Verona e le sue attività militari per
celebrare insieme ai suoi familiari quel momento tanto atteso.
Sì, perché il motivo per cui
tutti erano riuniti nella splendida Cattedrale di Firenze era ciò che Giovanni
aveva sognato per tanto tempo: la riabilitazione postuma del suo antenato
Farinata. Cosimo, in segno di gratitudine per l’aiuto ricevuto dal ragazzo e
consapevole di quanto fosse stata ingiusta, al tempo, la condanna dell’intera
casata, si era impegnato il più possibile per organizzare quella celebrazione
che, pur se soltanto simbolica, riportava il nome degli Uberti al posto che gli
spettava in Firenze.
Vabbè, magari Cosimo lo
aveva fatto anche per esorcizzare una certa inquietudine: gli Uberti, infatti,
erano stati per tanti anni signori di Firenze e poi, una volta sconfitti,
avevano subito le peggiori condanne e umiliazioni e lui comprendeva che sarebbe
potuto accadere anche alla sua, di famiglia. A quanto pareva le simpatie dei
fiorentini erano alquanto volubili… e forse, onorando in quel modo una nobile e
sfortunata famiglia, il Medici sperava di ottenere che alla sua stirpe non toccasse
lo stesso triste destino!
Giovanni avrebbe desiderato
tantissimo che le spoglie mortali di Farinata e della moglie Adaleta potessero
essere traslate nella Cattedrale, che era stata consacrata e benedetta dal Papa
proprio il 25 marzo di quello stesso anno… purtroppo, però, nemmeno Cosimo de’
Medici, con tutto il suo potere e le sue conoscenze
in alto loco, aveva potuto ritrovare i resti degli antenati di Giovanni.
Nel 1282, infatti, i cadaveri di Farinata, di Adaleta e di molti altri
esponenti della famiglia Uberti, erano stati dissepolti dalle chiese e dalle
cripte in cui si trovavano per subire un processo tanto assurdo quanto atroce.
Le ossa di Farinata e Adaleta, sepolte nella chiesa di Santa Reparata (che,
guarda la combinazione, era stata abbattuta e sostituita a fine Duecento
proprio dalla Cattedrale di Santa Maria del Fiore), avevano subito una condanna
postuma per eresia (una scusa come un’altra per disfarsi di un nemico politico
e di tutta la sua stirpe…) e quindi erano state dissotterrate e bruciate e le
ceneri gettate in Arno. *
Quel giorno, dunque, non
c’erano veramente i resti mortali di Farinata e Adaleta sotto la lapide che il
Papa aveva benedetto, tuttavia i loro nomi e lo stemma scolpito sembravano
brillare sotto la luce del sole che attraversava la Cupola (sempre lei!) e li
illuminava, quasi volesse accarezzarli e rendere loro omaggio. E, sebbene non
vi fossero le spoglie mortali dell’illustre antenato di Giovanni, quella
cerimonia, alla presenza dei Medici, del Gonfaloniere e di tutte le più nobili
e potenti famiglie di Firenze (e no, ovviamente Andrea Pazzi non era stato
invitato!), era l’atto che testimoniava la riabilitazione della sfortunata
casata e sia Giovanni che i suoi familiari erano emozionati e commossi nel
vedere, finalmente, la città che riconosceva e omaggiava gli Uberti. **
Papa Eugenio celebrò la
Messa solenne, benedisse la lapide e parlò degli Uberti, e in particolare di
Manente detto Farinata, sottolineando quanto avessero fatto di buono per
Firenze e quanto invece Firenze si fosse mostrata ingrata e ostile verso di
loro. Ricordò le tante volte in cui Farinata e i suoi fratelli avevano
combattuto per Firenze, quante volte avevano salvato la città e quanto la
Firenze di ora doveva al loro valore e ai loro sacrifici. Naturalmente, il Papa
non sapeva poi molto degli Uberti e della loro storia, ma questa particolare
omelia gli era stata caldamente suggerita da Cosimo stesso e Papa Eugenio
doveva molto a Cosimo: era grazie a lui e ai soldi della sua famiglia se
l’esercito di Vitelleschi aveva sconfitto gli usurpatori e se era finalmente
possibile per il legittimo pontefice rientrare a Roma da vincitore! Giovanni,
che per buona parte della cerimonia era rimasto vicino alla famiglia Medici, ad
un certo punto dell’omelia decise di raggiungere invece la propria famiglia e
si strinse con affetto al braccio della madre, visibilmente commossa. Perfino i
fratelli maggiori di Giovanni guardavano con ammirazione quello scapestrato del
loro fratellino che, nonostante le previsioni, era riuscito davvero ad ottenere
quello che voleva e aveva riportato in alto il nome degli Uberti a Firenze,
proprio come loro stavano facendo a Mantova e a Verona.
L’unico neo in quella
giornata perfetta per Giovanni era la presenza di Madonna Albizzi. Il ragazzino
aveva saputo solo quella mattina che anche lei avrebbe partecipato alla
celebrazione, portando con sé la figlioletta. Rinaldo glielo aveva detto,
spiegandogli che era un’occasione ufficiale e che non poteva certo impedire
alla moglie di parteciparvi. Gli aveva detto anche di vedere il lato positivo:
la presenza di Madonna Alessandra testimoniava ancora di più quanto la Firenze che contava ci tenesse ad essere
presente per omaggiare la memoria degli Uberti… ma Giovanni si era sentito
oltraggiato e preso in giro, aveva urlato cose irripetibili a Rinaldo ed era
scappato dal suo palazzo senza pensarci due volte, per poi riapparire in Duomo
insieme alla sua famiglia e ai Medici. E, per tutta la durata della cerimonia,
non aveva degnato Rinaldo nemmeno di uno sguardo!
Al termine della
celebrazione solenne, tutte le famiglie vollero rendere omaggio alla lapide in
memoria degli Uberti e anche salutare con calore i rappresentanti della casata,
come in una sorta di pacificazione.
Sicuramente tra i persecutori degli Uberti, a fine Duecento, c’erano stati i
loro avi e adesso, in un simbolico abbraccio, le famiglie riconoscevano
l’errore commesso e sembravano chiedere perdono. Ovviamente anche gli Albizzi
fecero lo stesso, ma nemmeno in quel momento Giovanni si raddolcì e continuò a
ignorare allegramente Rinaldo, trattandolo con lo stesso gentile distacco con
cui aveva accolto i saluti degli altri nobili e potenti di Firenze.
Tutta la famiglia Uberti,
poi, si trasferì a Palazzo Medici dove Cosimo aveva organizzato un sontuoso
banchetto per loro. Poiché Beatrice era la moglie di Ormanno, Cosimo aveva
dovuto invitare anche gli Albizzi, sebbene la prospettiva non lo entusiasmasse.
Ma non fu un piacere nemmeno per Rinaldo partecipare a quel pranzo, perché
Giovanni si sedette il più lontano possibile da lui e per tutto il tempo fece
finta che non esistesse nemmeno, mostrando invece tutta la sua allegria e il
suo affetto per i familiari che non vedeva da tanto e per i fratelli Medici che
avevano reso possibile la realizzazione di quel sogno.
Fu molto dura, per Rinaldo,
guardare Giovanni che rideva e scherzava con tutti meno che con lui e non
potergli parlare, non poter spiegare le sue ragioni… non poterlo, magari,
portare in una stanza con qualche scusa e riappacificarsi
con lui a modo suo! Possibile che Giovanni si ostinasse a non capire? Eppure
gli aveva anche regalato l’anello, ormai doveva sapere che apparteneva a lui e
che lui lo considerava il suo vero e unico compagno! La moglie era solo di facciata, come accadeva anche in
altre famiglie, e non aveva più alcun interesse per lei così come lei non lo
aveva per lui. Ma Giovanni pareva offeso anche solo per il fatto di vederla lì…
Rinaldo non vedeva l’ora che
quel pranzo interminabile avesse fine, voleva solo avere l’occasione di
afferrare Giovanni e parlargli a quattr’occhi, saltargli un po’ addosso in qualche modo e sfogare il desiderio
represso che si era dovuto portare dietro per tutta la giornata!
La famiglia Uberti doveva
lasciare Firenze quello stesso pomeriggio, poiché gli impegni di Lapo e di
Francesco erano molto importanti e i due non potevano certo permettersi le ferie: era già tanto che avessero
potuto assentarsi dalle loro nuove città per tre giorni per partecipare
all’importante cerimonia della riabilitazione dei loro antenati. Così, subito
dopo il banchetto, Giovanni dovette nuovamente congedarsi dalla madre e dai fratelli.
“Sono veramente fiero di te,
fratellino” gli disse Lapo. “Non avrei mai creduto che saresti riuscito e,
anzi, ero anche irritato con te quando rifiutasti di seguirci a Mantova… ma
oggi comprendo che tu avevi ragione e io torto. Adesso gli Uberti sono di nuovo
un nome rispettato a Firenze!”
“In realtà è tutto merito di
Messer Cosimo” si schermì Giovanni, tanto insolente e sfacciato con i suoi
avversari quanto intimidito quando riceveva degli elogi. “E’ solo grazie alla
sua generosità se ho ottenuto tutto questo…”
“Non mentire, ragazzino” lo
interruppe Francesco. “E’ vero che Messer Medici ha organizzato la cerimonia e
il banchetto, facendo erigere la lapide e ottenendo la benedizione speciale di
Sua Santità… ma lo ha fatto soltanto perché anche tu lo hai aiutato contro i
suoi rivali. E’ inutile che cerchi di nasconderti, sei un Uberti e, come noi,
non sai tenerti lontano dalla politica e dalle lotte!”
Il tono del fratello era a
metà tra lo scherzoso e l’orgoglioso. Giovanni abbracciò i fratelli, baciò la
mano della cognata Lucrezia e accarezzò i nipotini Isabella e Ranieri, poi fu
il momento di salutare la madre, che aveva le lacrime agli occhi.
“Oggi avrei voluto che tuo
padre Ranieri fosse ancora vivo… sarebbe stato molto orgoglioso di te e
immensamente felice nel vedere una cerimonia così grandiosa in memoria dei suoi
antenati” mormorò, commossa, stringendo le mani del figlio. “Teneva tanto al
nome e al prestigio degli Uberti!”
“Anch’io avrei voluto che
fosse qui con noi, lui e anche il nonno” replicò Giovanni. “E’ grazie a loro se
questo giorno è arrivato. Sono stati loro a raccontarmi le gesta di Farinata e
Neri degli Uberti tante e tante volte, io sono cresciuto desiderando soltanto
che Firenze riconoscesse la loro grandezza e, nei momenti più difficili, era il
loro pensiero e il loro ricordo a darmi il coraggio di andare avanti.”
“Sei veramente figlio di tuo
padre… e un degno discendente di Farinata e Neri” affermò Caterina Uberti,
abbracciando stretto Giovanni con commozione e orgoglio.
Era giunto il momento della
partenza, la carrozza attendeva gli Uberti.
“Comunque ci rivedremo
presto” disse Giovanni, sorridendo affettuosamente alla madre e ai fratelli.
Accanto a lui c’era la sorella Beatrice, anche lei sopraffatta dalle emozioni
di quella giornata. “Quando il bambino di Beatrice sarà nato, dovrete tornare
tutti a conoscerlo!”
La separazione causava in
tutti una sottile malinconia, ma era stemperata dal lieto evento che li
attendeva qualche mese dopo e che li avrebbe nuovamente riuniti tutti insieme.
Beatrice raggiunse Ormanno,
che la strinse tra le braccia, mentre Giovanni rimase a guardare la carrozza
della sua famiglia che partiva finché non riuscì più a scorgerla.
A quel punto non sapeva bene
cosa fare: rimanere ospite, ancora una volta, a Palazzo Medici? Non aveva avuto
il tempo di spiegare la situazione né a Cosimo né a Piero, quella mattina, poi
erano stati tutti coinvolti nella cerimonia… forse doveva andare a parlarci ora
e chiedere se poteva dormire da loro per quella notte e, magari, anche per le
seguenti?
Mentre era intento a
pensare, indeciso sul da farsi, Rinaldo vide l’occasione che aveva tanto
aspettato. Era il momento perfetto: Madonna Albizzi era ripartita con la
bambina per la campagna e Ormanno stava tornando a Palazzo Albizzi con
Beatrice. Lì, nel cortile di Palazzo Medici, c’erano solo lui e Giovanni… e
Rinaldo aveva già dimostrato, recentemente, di non avere alcun problema a farsi
i comodi suoi in casa d’altri!
Prima di capire cosa stesse
succedendo, Giovanni si sentì afferrare per un braccio e trascinare sotto un
porticato del palazzo, vicino al giardino interno. Rinaldo lo imprigionò contro
il muro, avvinghiandosi a lui in un abbraccio focoso.
“Mi sei sfuggito per tutto
il giorno, ragazzino, ma adesso non scappi più, eh?” mormorò con voce roca.
“Sei veramente testardo, oltre che sfacciato. Non capisci che mia moglie non
conta niente e che la sua presenza è solo di facciata? Non capisci che sei tu quello
che voglio? Sei geloso, eppure ti
dimostro in ogni occasione che mi importa solo di te, che sei la persona più
importante della mia vita, anche se mi fai impazzire con i tuoi capricci e con
le tue assurde ripicche!”
Rinaldo sollevò Giovanni, sempre premendolo
contro il muro, incollò le labbra alle sue e lo strinse appassionatamente tra
le braccia. Gli schiuse la bocca con la sua, unendosi a lui in un bacio profondo
e pieno di ardore, più intimo, intenso e prolungato possibile. Quel briciolo di
decenza che gli restava gli impediva di sfogare tutto il suo desiderio in quel
momento e, soprattutto, sotto il porticato del palazzo di Cosimo… Tuttavia
continuò a baciare intensamente Giovanni e a confondere il respiro con quello
di lui, facendo aderire completamente il corpo a quello morbido del giovane e
strofinandoglisi contro. Voleva fargli sentire che era solo lui che amava e che
voleva, sebbene a quel punto il ragazzo non riuscisse a capire più niente,
travolto dalla passionalità di Rinaldo e completamente sperduto tra le sue
braccia, soffocato dai suoi baci.
“E adesso tornerai a Palazzo Albizzi con me”
gli disse alla fine, riuscendo a staccarsi da lui solo al pensiero che stava
per portarselo via, che quell’indisponente ragazzino non avrebbe più avuto la
forza di opporsi e che sarebbe stato soltanto suo, indifeso e smarrito nel suo
letto.
Giovanni, ancora stordito dalle emozioni di
quell’indimenticabile giornata e stravolto per gli abbracci appassionati di
Rinaldo, non riuscì nemmeno a rispondere. Forse avrebbe voluto fare ancora
l’offeso, ma gli tremavano le gambe e i polsi. Si lasciò guidare da Rinaldo
fino al suo palazzo, fino alla sua camera da letto, dove l’uomo lo travolse
come un fiume in piena, spingendolo sul letto e mettendosi sopra di lui. Lo
baciò con prepotenza, come per fargli capire che era suo e che non doveva più
permettersi di sfuggirgli, divorandogli la bocca e seppellendosi in lui mentre
Giovanni, completamente sperduto, lo accoglieva spontaneamente e con amore,
fondendosi con il suo corpo.
Quella
era stata una giornata speciale, in cui il nome degli Uberti e la memoria di
Farinata avevano ritrovato il prestigio che spettava loro… e adesso c’erano
emozioni ben diverse che sopraffacevano ogni fibra dell’essere di Giovanni, che
era totalmente in balìa di Rinaldo e pareva aver dimenticato di averlo
volutamente ignorato per tutto il giorno. Non gli importava più di Madonna
Albizzi, non sentiva più la gelosia, per lui ora contava solo che Rinaldo era
lì e che lo voleva, così si perse totalmente
nel suo abbraccio, desiderando che non finisse mai.
Alla fine Giovanni era sfinito e disfatto…
ma, almeno per questa volta, Rinaldo non si accontentò di essersi
riappacificato con lui nel solito modo.
No, il linguaggio dei corpi non era stato sufficiente per dirgli tutto quello
che voleva, questa volta avrebbe dovuto farlo anche con le parole, perché quel
ragazzo speciale lo meritava ed era giusto che sapesse, finalmente, quanto
davvero contava per lui.
Lo strinse a sé con un fare tenero che non
gli era abituale e gli accarezzò dolcemente i capelli sudati e scarmigliati.
“Giovanni, mi dispiace che questa giornata,
che per te sarebbe dovuta essere perfetta, sia stata rovinata dalla presenza di
mia moglie, ma lo capisci, vero, che non potevo evitare di mostrarmi ai
fiorentini al suo fianco, come suo legittimo sposo e padre della nostra
Susanna?” gli disse, in tono affettuoso. “Questa è la nostra società, legami
come il nostro possono essere tollerati solo se restano segreti e se salviamo
le apparenze, ma lei non conta niente per me e questo dimostra chi è che
considero il mio vero compagno, l’unico con cui voglio passare ogni giorno
della mia vita.”
Dicendo queste parole, l’uomo prese la mano
di Giovanni in cui risplendeva l’anello che li univa.
“Ti ho già detto una volta che tu mi hai
salvato in tutti i modi in cui una persona può essere salvata, ma oggi mi sono
reso conto che hai fatto anche un altro miracolo per me e per la mia famiglia”
riprese Rinaldo, e questa volta pareva addirittura commosso. Chi lo avrebbe mai
detto che quell’orgoglioso egoista sapesse mostrare così i suoi sentimenti?
Anche Giovanni, ormai placato, lo guardò con stupore, senza capire a cosa si
riferisse.
“La notte che credevo sarebbe stata l’ultima
della mia vita, in cella, aspettando la condanna a morte, Ormanno venne a
salutarmi prima che arrivassi tu” ricordò l’uomo, incatenando gli occhi di
Giovanni con uno sguardo intenso e appassionato e continuando a stringergli
teneramente la mano. “Mio figlio era disperato, non poteva sopportare che io
accettassi di morire e mi disse che avrebbe voluto soltanto vedermi invecchiare
e vedermi stringere tra le braccia il mio primo nipote. Ebbene, tu hai salvato
non solo la mia vita e quella di Ormanno, più e più volte, ma hai anche trovato
una sposa meravigliosa per lui… e tra qualche mese il desiderio di mio figlio
si avvererà e io abbraccerò orgoglioso il mio primo nipote!”
Giovanni non aveva pensato a questo e di
certo non si aspettava che Rinaldo si mostrasse così sentimentale… era frastornato, confuso e alla fine non riuscì a
fare altro che scoppiare a piangere, sopraffatto dalle mille emozioni. Rinaldo,
allora, lo abbracciò ancora più teneramente e lo baciò sui capelli. Anche i
suoi occhi erano inumiditi…
“Tu sei tutto per me, la mia vita, la mia
famiglia e la realizzazione di tutti i miei desideri. Non te l’ho mai detto, ma
è così. E, se non posso prometterti che non dovrai rivedere mia moglie… ti ho
già spiegato cosa significano le apparenze… posso però giurarti che farò di
tutto per renderti felice in tutto quello che potrò. In ogni caso non sarò mai
in grado di fare per te tutto quello che tu hai fatto per me e per mio figlio,
vorrei solo che…”
“A me basta stare con voi, non voglio altro”
ammise a voce bassissima Giovanni, anche lui abitualmente molto restio a
esprimere ciò che provava. “Sono felice se voi state bene e se state con me…”
Quella
dunque era proprio una serata di rivelazioni
per entrambi! Rinaldo lo baciò di nuovo, un bacio profondo,
intimo, infinito ma anche incredibilmente dolce e tenero, non passionale come
al solito. E, dopo quel bacio, l’uomo lo avvolse nel suo abbraccio per
addormentarsi insieme a lui, due
persone che si amavano e che si erano trovate per completarsi.
A quanto pareva, almeno per loro era vera l’affermazione
di Paulo Coelho: Tutto l’universo cospira affinché chi lo desidera con tutto se stesso
possa riuscire a realizzare i propri sogni!
Gli Uberti erano tornati a Firenze con tutti
gli onori e riposavano felicemente nella loro città.
A Palazzo Albizzi, tra le braccia del suo
uomo, Giovanni sapeva di essere a casa.
Rinaldo Albizzi aveva ottenuto tutto ciò che
desiderava e anche ciò che non aveva mai osato sperare.
Non era forse perfetto?
FINE
* Tutto questo è tristemente vero. La memoria
di Farinata degli Uberti fu riabilitata a metà Quattrocento e lo stesso
Granduca Cosimo I de’ Medici, in seguito, contribuì a omaggiarne e rispettarne
la figura, ma non ci fu modo di dare una vera sepoltura ai suoi resti… L
** Se capitaste a Firenze, non vi venga
in mente di cercare questa lapide con lo stemma degli Uberti da qualche parte
nel Duomo, perché questa cerimonia e anche la lapide esistono soltanto nella
mia fantasia. Si può tuttavia vedere lo stemma degli Uberti nel primo cortile
sotto il porticato del Palazzo della Signoria e Farinata
si è anche meritato, verso la metà del XIX secolo, una statua tra i notabili fiorentini
che fanno bella mostra di sé sotto le logge degli Uffizi!