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Buongiorno a
tutti! Eccomi qui a pubblicare una nuova storia, la prima che scrivo di questa
categoria… Ha partecipato al concorso ‘La Primavera e il Morto’ indetto da
Eylis sul forum di Efp, arrivando nona.
Per quanto
riguarda i credits, citazioni pari pari non ce ne sono, e i personaggi sono
tutti di mia invenzione. Ho preso però l’ispirazione dal telefilm ‘Ghost
Whisperer’, soltanto per il fatto che il protagonista vede i morti e
interagisce con essi per aiutarli a passare oltre. Tutto qui.
Che altro dire?
Non è il massimo come storia, me ne rendo conto, eppure ci tengo e mi è
piaciuto scriverla. Claudio, con tutti i suoi pregi, i suoi difetti, ma
soprattutto con la sua capacità, è un personaggio che avevo inventato
precedentemente all’emissione del bando di questo concorso, così come sua
sorella Rebecca. Peccato che poi avessi dovuto lasciare da parte la loro
storia, in cui era Rebecca la protagonista principale. Il motivo? Mancanza
d’ispirazione, come sempre.
Non mi è andato
molto giù, soprattutto perché mi ero affezionata molto a questi due personaggi,
a Claudio in particolar modo. Così, quando mi sono iscritta al concorso, ecco
l’illuminazione: perché non utilizzare Claudio, come protagonista?
Spero di aver
fatto la scelta giusta e di far piacere ai lettori questo personaggio, almeno
in minima
parte di come
questi piace a me.
Ah, infine… La
storia è suddivisa in tre capitoli, più prologo ed epilogo. Dato che parto
sabato, entro venerdì pubblicherò tutto, così che la storia sarà completa.
Buona lettura!^^
Pikky91
Prologo
Claudio non era
un ragazzo come tutti gli altri.
Era strano, per quanto cercasse di non darlo
a vedere e di integrarsi con gli altri, anche se comunque gli riusciva
difficile. Non tutti erano come lui, dopotutto, ma cercava di non pensarci.
Ormai per lui era diventato tutto normale, con la forza dell’abitudine aveva
finito per non farci neanche più caso.
Tutto era
iniziato quando aveva compiuto sedici anni, e da allora erano passati tre anni;
un bell’arco di tempo per abituarsi a quel dono, dopotutto.
Claudio, però,
non lo definiva con quel termine; preferiva piuttosto utilizzare la parola
‘maledizione’. Tale considerava infatti la sua capacità di poter vedere i
morti. Nemmeno lui sapeva perché ciò accadesse, ma non si era posto inutili
domande a cui non avrebbe trovato risposta.
Li vedeva e
basta, dovunque si trovasse, e non era una bella sensazione, soprattutto quando
essi si accorgevano di essere visti e quindi gli si rivolgevano in cerca di
aiuto. Aveva avuto paura, i primi tempi, aveva creduto addirittura di essere
diventato pazzo.
Aveva sempre
creduto che capacità del genere esistessero solo nei libri o nei film, quindi
le aveva catalogate nella categoria delle assurdità. Pian piano però si era
dovuto ricredere, specie dopo aver parlato con lo spirito di sua nonna, che gli
aveva rivelato di possedere anche lei quella capacità, quando era ancora viva.
A quella
rivelazione, Claudio era rimasto decisamente sorpreso: non l’avrebbe mai
immaginato, poichéla nonna non ne aveva
mai fatto parola con nessuno. Egli, a quel punto, aveva deciso di fare
altrettanto e di tenersi per sé quel pesante fardello, dato che non voleva
essere preso per pazzo.
Si era
ripromesso di custodire quel segreto e di non rivelarlo mai a nessuno.
Rebecca irruppe
in camera del fratello senza bussare, esultante.
- Mi hanno dato
il foglio rosa! – esclamò, sventolandogli davanti agli occhi il suddetto pezzo
di carta.
- Santo cielo,
si salvi chi può! D’ora in poi mi barrico in casa, appena prendi in mano una
macchina, sappilo. – la prese in giro Claudio, distogliendo lo sguardo dal
computer. Rebecca gli lanciò un’occhiataccia, borbottando un insulto a mezza
voce, dopodiché si avvicinò alla scrivania, guardandolo con fare implorante.
- Che c’è? –
chiese Claudio, con un sospiro.
- Mi porti a
fare un giro? – propose quindi Rebecca, speranzosa, facendogli gli occhi dolci.
- Non posso, lo
sai. – rispose il fratello, scuotendo la testa.
- Ti prego! – lo
implorò Rebecca, giungendo le mani in segno di preghiera.
- No. Leggi bene
cosa c’è scritto dietro al foglio rosa. – negò nuovamente Claudio, che stava
iniziando a spazientirsi.
- Lo so cosa c’è
scritto. – sbottò Rebecca. – Però non intendevo certo che tu mi facessi fare un
giro sulla statale o in paese.
- E dove dovrei
farti guidare, sentiamo? – chiese il ragazzo esasperato. Proprio non capiva
dove la sorella volesse andare a parare.
- Nei boschi. –
rispose Rebecca, in tono ovvio.
- Tu sei pazza.
– la rimproverò Claudio, scuotendo la testa sconsolato.
- No, voglio
solo guidare. – ribatté la sorella.
- E allora
perché non chiedi a mamma o a papà, così magari guidi anche in strada? –
domandò Claudio, sbuffando.
- Perché adesso
non sono a casa, genio! E poi non mi porterebbero a fare un giro neanche se
piangessi in cinese! Lo sai che vogliono che prima faccia qualche guida con
l’istruttore. – spiegò Rebecca, roteando gli occhi.
- Io non sono
l’istruttore, infatti. – borbottò Claudio, sarcastico.
- Dettagli. –
commentò la ragazza, agitando una mano. – Allora mi porti a fare questo giro o
no?
Il ragazzo
acconsentì, arrendendosi. Quando Rebecca si metteva in testa una cosa,
dissuaderla dai suoi propositi era difficile, se non addirittura inutile ed
impossibile. Sperò almeno che Virginia, l’altra sorella minore, non sarebbe
stata tanto insistente quando avesse compiuto i diciotto, di lì a tre anni.
Qualche minuto
dopo, quindi, lui e la sorella si trovavano in macchina, diretti alla periferia
del paese, dove vi erano i boschi e la campagna. Virginia aveva gentilmente
declinato l’invito della sorella a venire con loro, poiché non voleva morire
giovane. Non appena aveva preso posto sul veicolo, seppure come passeggera,
Rebecca si era letteralmente illuminata, e sul suo viso si era dipinto un ampio
sorriso.
- Contenta, ora?
– le chiese Claudio, mentre imboccava una strada sterrata.
- Certo! –
rispose la sorella, trionfante.
Poco più in là,
Claudio si fermò e spense la macchina, dopodiché scese dal veicolo e sedette al
posto del passeggero, mentre Rebecca si metteva al posto di guida.
- E ora? – gli
chiese, titubante.
- Schiaccia la
frizione e gira la chiave. – le ordinò il fratello, pazientemente.
Rebecca eseguì
le indicazioni, sentendo che la macchina si metteva in moto.
- Perfetto. –
commentò Claudio. – Ora lascia andare lentamente
la frizione, mentre contemporaneamente premi leggermente sull’acceleratore.
La ragazza mollò
immediatamente la presa sul pedale, dopodiché il motore dell’auto si spense.
- Ecco perché ti
avevo detto di lasciarla andare lentamente. – la rimproverò bonariamente il
fratello. – Tranquilla, succedeva anche a me le prime volte. Ora rimetti in
moto, che riproviamo.
Dopo il quinto
tentativo, Rebecca riuscì a non far spegnere la macchina e a farla avanzare
addirittura di qualche metro. Entusiasta di ciò, aveva premuto un po’ più forte
il piede sull’acceleratore, dopodiché la macchina era scattata velocemente in
avanti.
- Rilascia il
pedale! – le ordinò Claudio, in preda al panico, mentre con la mano sinistra
afferrava il freno a mano, in modo da poterlo azionare in caso di necessità.
Rebecca, spaventata, fece quanto le era stato ordinato, così la macchina
riprese un’andatura regolare.
- Ora che
faccio? – chiese, non sapendo bene come muoversi.
- Vai avanti
finché riesci, voglio vedere come te la cavi. Basta che non pigi troppo
l’acceleratore, hai visto gli effetti. – le disse il fratello, osservando con
occhio vigile le sue azioni.
Rebecca annuì,
quindi chiese: - Quando posso passare da una marcia all’altra?
- Quello lo
facciamo la prossima volta, mi dispiace. Per ora accontentati di aver imparato
come mettere in moto una macchina, il resto lo fai con l’istruttore. Nemmeno io
voglio morire giovane. – le rispose Claudio, sperando di cavarsela, almeno per
quella sera. Sapeva che la sorella aveva fretta di imparare, ma preferiva che
lo facesse poco alla volta. E possibilmente non con lui, che aveva la patente
da soli nove mesi.
- Agli ordini. –
acconsentì scherzosamente Rebecca, prima di tornare a concentrarsi su ciò che
stava facendo. Avanzò ancora per qualche minuto, dopodiché premette il pedale
del freno, schiacciò la frizione e spense la macchina, visto che era arrivata
davanti ad un cancello.
- Direi che la
mia lezione finisce qui. – decretò, voltandosi verso il fratello, il cui
sguardo era però fisso sul cancello della villa davanti alla quale erano
giunti.
Era una villa
abbandonata, che in paese non godeva certo di una bella fama, anzi. Tutti la
conoscevano, per sentito dire. Circolavano strane leggende, sul suo conto,
ognuna diversa dall’altra: c’era chi la voleva infestata da spiriti maligni,
chi come teatro di un orribile omicidio e chi come casa delle streghe.
Pochi avevano
l’ardire di avventurarsi fin lì volontariamente. Claudio osservò il cancello
arrugginito, notando, sopra ad una sfasciata cassetta delle lettere, una
targhetta che recava il nome della villa: Primavera.
Non aveva idea
del perché di quel nome, onestamente. Di certo poteva solo stare ad indicare lo
splendore di un tempo, non quell’inquietante casa ricoperta di edera che ormai
si trovava di fronte.
Era la prima
volta che lui e Rebecca capitavano lì, fino a quel momento ne avevano soltanto
sentito parlare con timore dagli anziani del paese, compresi i loro nonni.
Claudio non
aveva mai creduto a quelle stupide leggende, ma da tre anni a quella parte si
era dovuto ricredere su tante cose, per cui non si sarebbe stupito di vedere
qualche spirito aleggiare nei dintorni della casa.
Così fu, infatti.
Vide una ragazza aggirarsi nel giardino pieno di erbacce, in lontananza.
Riconobbe subito la sua natura, ma non tanto per qualche segno particolare; i
morti, dopotutto, non erano poi così diversi dai vivi, l’unica differenza era
che nessuno poteva vederli e che acquisivano delle nuove capacità, come ad
esempio l’essere corporei od incorporei a loro piacimento o il poter scorgere
nel futuro, seppure non con precisione. A dispetto di tutto ciò, però, Claudio
semplicemente sentiva quando uno
spirito si trovava nelle vicinanze, e subito lo individuava.
- Andiamo. –
sancì immediatamente, rivolto alla sorella. Non voleva che quella ragazza si
accorgesse di loro, ma soprattutto che capisse che lui era in grado di vederla.
Purtroppo, era capace di occultare la sua capacità soltanto ai vivi, ma non ai
morti, che subito si rendevano conto con chi avevano a che fare. E Claudio non
voleva farsi scoprire.
Scese quindi
dalla macchina e si sedette nuovamente al posto di guida. Aspettò che la
sorella si sedesse di fianco a lui, dopodiché mise in moto la macchina e
ingranò la retromarcia per poi fare manovra, visto che voleva andarsene da quel
posto al più presto.
Dopo cena, Claudio
si diresse in camera propria, con l’intenzione di guardare un po’ di
televisione, prima di andare a dormire. Avrebbe potuto svagarsi, dato che non
aveva più nulla da studiare.
Da quando due
settimane prima aveva conseguito la maturità, infatti, si sentiva sollevato, ma
soprattutto più libero: finalmente poteva fare ciò che voleva, senza più avere
l’incubo della scuola. Sapeva che la pacchia però sarebbe durata poco, dato che
in autunno avrebbe iniziato l’università, ma voleva godersi almeno l’estate.
Si sdraiò sul
letto, dopodiché prese il telecomando dal comodino. Fece per accendere il
televisore, quando vide apparire sua nonna, all’improvviso. Sussultò, facendo
sì che il telecomando gli scivolasse di mano e cadesse sul pavimento con un
tonfo sordo.
- Quante volte
devo dirti di avvisare, quando arrivi? Mi hai fatto prendere un colpo! – si
lamentò, mentre con una mano cercava a tastoni il telecomando. Non si era
ancora abituato a quelle improvvise apparizioni, infatti. Preferiva di gran
lunga entrare in una stanza e trovare dentro uno spirito.
- Sì, ma questa
volta non me l’aspettavo. – ribatté Claudio, con un’alzata di spalle.
Agnese gli
sorrise teneramente, soffermandosi un momento ad osservare il nipote: ogni
volta si stupiva di quanto crescesse e assumesse man mano le fattezze di un
adulto perdendo quelle fanciullesche dell’adolescenza.
Claudio era un
ragazzo alto, dal fisico asciutto. I ricciuti capelli biondo cenere gli
ricadevano disordinati sulla fronte, nonostante li tenesse abbastanza corti,
mentre gli occhi erano neri, proprio come quelli di Agnese. Il nipote,
dopotutto, le somigliava molto, più di ogni altra cosa caratterialmente. Non
era certo un caso, quindi, se come lei possedeva la capacità di vedere i morti.
Non avrebbe mai augurato a nessuno di possedere un dono del genere, tantomeno a
suo nipote, per cui era rimasta sorpresa quando tre anni prima si era accorta
che il ragazzo era in grado di vederla e aveva quindi deciso di aiutarlo con
ogni mezzo.
- Sono qui per
avvertirti. – esordì la donna, con un sospiro.
- Dovevo
immaginarlo. – borbottò Claudio. Raramente sua nonna gli rivolgeva visite di
piacere: il più delle volte, infatti, andava ad avvertirlo di stare alla larga
da certi spiriti o di fare attenzione a qualcosa che aveva visto sarebbe
accaduto.
- Presto avrai a
che fare con lo spirito della ragazza che hai visto oggi a Primavera. Sta’
attento. – gli spiegò Agnese, restando sul vago. D’altronde nemmeno lei sapeva
come si sarebbero svolti esattamente i fatti, in futuro. Vedeva soltanto degli
elementi, e da essi desumeva tutto.
- Perché? –
chiese Claudio, inarcando un sopracciglio. – Mi sembrava innocua.
- Non lo so con
certezza. – rispose Agnese, sinceramente. – Però vedo che se entrerai in
contatto con lei, non ne trarrai certo un vantaggio, anzi. Ti farà del male.
Claudio era
sempre più confuso: perché mai lo spirito di quella ragazza avrebbe dovuto
fargli del male? Non ne vedeva alcun motivo, se doveva essere sincero. Di primo
acchito, gli era sembrata uno spirito come tanti altri, innocuo, probabilmente
ancora legato alla vita terrena, visto che si aggirava nel giardino di quella
casa abbandonata da anni. Non gli era sembrata uno spirito maligno come quelli
con cui sua nonna gli aveva detto di aver avuto a che fare, nel corso della sua
vita. Claudio non ne aveva ancora incontrati di quel genere, fortunatamente.
C’è
sempre una prima volta, però, pensò, dubbioso. Scosse la testa,
preferendo evitare di farsi troppe domande a cui non avrebbe saputo dare una
risposta. Avrebbe ascoltato sua nonna, come sempre.
- Le starò alla
larga, allora. – disse docilmente. – Grazie dell’avvertimento.
- Di nulla,
tesoro. A presto. – si congedò Agnese, sorridendo, prima di sparire.
Claudio accese
la televisione, sospirando: non si sarebbe mai abituato a tutte quelle stranezze,
nonostante fossero passati già tre anni.
Non pensava che
l’avrebbe rivista così presto. Sussultò, non appena la scorse in giardino: di
certo non pensava che l’avrebbe seguito. Fece finta di nulla, quindi si diresse
verso il cancello per deporre il sacchetto della spazzatura al di fuori di
esso, come i genitori gli avevano ordinato, dato che l’indomani mattina sarebbe
passato il netturbino. Stava per rientrare in casa, quando lei parlò.
- Lo so che mi
vedi. – gli disse, decisa.
Claudio si fermò,
indeciso sul da farsi. La nonna lo aveva avvertito, non poteva certo darle
torto e ignorare bellamente il suo consiglio. Se quella ragazza gli avrebbe
fatto del male, era meglio starle alla larga. Continuando a far finta di
niente, rientrò in casa, diretto in camera propria. Vi entrò, e per poco non
cacciò un urlo, ma non si sorprese più di tanto, avendoci ormai fatto il callo:
lei era seduta sul letto, a gambe incrociate, ad aspettarlo.
Si chiuse la
porta alle spalle, attendendo che il respiro tornasse regolare, dopodiché si
voltò verso la ragazza, che ormai non aveva più dubbi sul fatto che lui la
potesse vedere.
La osservò
attentamente. Ad occhio e croce, doveva avere più o meno la sua età, quando era
morta. Era giovane, il viso disteso e privo di rughe lo dimostrava chiaramente.
Gli occhi castani erano velati di malinconia, per quanto cercasse di non darlo
a vedere e di mostrarsi in pace e rilassata. Se però lo fosse stata realmente,
non si sarebbe più trovata nel mondo dei vivi.
- Sì, ti vedo. –
ammise perciò Claudio, rassegnato. Ormai non gli restava altra scelta che
ascoltare quel che aveva da dirgli, dopodiché avrebbe escogitato un piano per
starle alla larga. – Che vuoi? – le chiese quindi. Di solito gli spiriti volevano
da lui qualche aiuto, o anche solo una parola di conforto prima di poter
passare oltre, visto che la loro permanenza nel mondo dei vivi non era eterna.
- Ti aspettavo.
– esordì la ragazza, con un sorriso.
- Eh? – esclamò
Claudio, sorpreso. Quella ragazza era davvero strana! Non capiva perché la
nonna gli avesse intimato di non darle corda. Onestamente, di primo acchito,
non la riteneva uno spirito maligno, anzi.
- Sì, ti
aspettavo. – ripeté la ragazza. – Da un po’, a dirla tutta.
- E perché, di
grazia? – chiese Claudio, che iniziava a capirci sempre meno, in quella
situazione. Tra tutto ciò che gli era capitato in tre anni, non aveva mai
assistito a nulla di simile. Mai.
- Ti ho visto. – rispose la ragazza, con
un’alzata di spalle.
A quel punto,
Claudio si chiarì le idee. Di poco, ma era pur sempre un passo avanti.
Evidentemente quella ragazza doveva averlo visto nel suo futuro, per cui non vi
era nulla di strano. Restava solo a capire perché
l’avesse visto, ma questo probabilmente non lo sapeva nemmeno lei. Era perciò inutile
porle domande a riguardo.
- Ho capito. –
commentò quindi, sedendosi alla sedia della scrivania. – Posso almeno sapere
come ti chiami?
- Beatrice. –
rispose lei, sorridendo di nuovo. – Tu sei Claudio, lo so già. – aggiunse
quindi, non appena vide che lui stava per proferire parola.
- E questo come
fai a saperlo? – chiese il ragazzo, sospettoso, inarcando un sopracciglio.
- È scritto lì.
– ridacchiò Beatrice, indicando una targhetta che si trovava proprio sopra al
letto e su cui era inciso a chiare lettere il nome del ragazzo.
Claudio arrossì,
imbarazzato. – Beh, poteva anche non essere il mio nome, quello. – borbottò,
giustificandosi.
Beatrice
ridacchiò nuovamente, prima di alzarsi dal letto.
- Ora devo
andare. – annunciò. – Dovrai dormire, è tardi.
- Beh, non
troppo. – protestò Claudio, dando un’occhiata all’orologio: erano soltanto le
dieci, e lui non era più un bambino da un pezzo, ormai.
- Fa niente. –
proclamò la ragazza, con un’alzata di spalle. – Vieni a trovarmi domani, a
Primavera. – gli ordinò, prima di dargli le spalle.
Claudio non ebbe
nemmeno il tempo di chiedere spiegazioni, che Beatrice era già sparita. Era
confuso, indubbiamente. Non sapeva sa dare retta alla nonna, o se doveva
fidarsi della ragazza.
Istintivamente,
però, era più propenso verso la seconda opzione.
Forse Claudio
non sarebbe dovuto andare lì, ma in un certo senso non aveva scelta. Beatrice
sapeva come rintracciarlo, dopotutto, e probabilmente non gli avrebbe dato pace
finché non le avesse dato retta. Proprio per questo, però, il ragazzo
continuava a non capire perché gli avesse chiesto di raggiungerla a Primavera e
non fosse andata direttamente da lui. Probabilmente sua nonna aveva ragione a
dirgli che Beatrice gli avrebbe fatto del male, eppure non gli importava.
Sentiva di potersi fidare di lei, nonostante ne sapesse ben poco, sul suo
conto.
Giunse davanti a
Primavera e smontò dalla bici. Aveva preferito usare quella, poiché se avesse
preso la macchina Rebecca avrebbe insistito ad andare con lui per poter
guidare. Appoggiò il veicolo all’alto muro di cinta che circondava la casa,
quindi spinse il cancello arrugginito, che si aprì cigolando sui propri
cardini.
Trovò Beatrice
ad aspettarlo, seduta sui gradini che conducevano alla porta d’ingresso della
villa.
- Ciao. – lo
salutò la ragazza, alzandosi in piedi.
- Ciao. – disse
lui di rimando, abbozzando un sorriso. – Perché mi hai chiesto di venire qui? –
chiese quindi, ansioso di poter avere delle risposte.
- Perché è qui
che sono morta. – rispose Beatrice, tetra, con lo sguardo colmo di tristezza.
Dovevo
immaginarlo,
pensò Claudio, non del tutto sorpreso. – Quando?
Beatrice alzò le
spalle. – Non lo so di preciso. Ho perso la cognizione del tempo, da quando
sono… Da quando sono in questa… condizione. – rispose la ragazza, pronunciando
con disprezzo l’ultima parola. – Potrebbero essere passati giorni, mesi, o
addirittura anni.
Claudio annuì,
prima di proseguire. – Ti va di raccontarmi com’è successo?
Ormai era
abituato a porre quelle domande. Rispondere aiutava lo spirito a razionalizzare
la propria morte, in un certo senso. Era il primo passo da fare per poi procedere
oltre.
Beatrice
sospirò. - È proprio quello che cerco di scoprire da quando sono morta. Speravo
che tu lo sapessi. – esordì quindi.
Beatrice sorrise
amaramente. – Avevo sentito parlare di persone come te, quando ero ancora viva.
Pensavo fossero tutte bazzecole. Ma ieri, quando ti ho visto scendere dalla
macchina… Ho capito che avevi per lo meno percepito la mia presenza, così ti ho
seguito, anche perché sapevo che avresti avuto un ruolo importante, nel mio
futuro.
- Per aiutarti a
ricordare come sei morta? – chiese conferma Claudio, che pian piano iniziava a
capire.
- In un certo senso
sì. – rispose Beatrice, con un’alzata di spalle. – Ma in realtà speravo che lo
sapessi già, come ti ho detto.
- Chiedi troppo,
non sono onnisciente. – ribatté scherzosamente il ragazzo. – Sono sì in grado
di vedere i morti, ma non di scorgere il loro passato. Scelgono loro se
parlarmene o meno.
- Peccato. –
commentò quindi Beatrice, stringendosi nelle spalle. – Ti va di aiutarmi,
allora?
- Certo. –
rispose Claudio, con un sorriso.
Dopotutto
che male c’è? È quello che ho sempre fatto, non c’è nulla di strano, si disse, per
convincersi di stare facendo la cosa giusta, a dispetto di ciò che gli aveva
predetto la nonna.
Claudio si prese
la testa tra le mani, sconsolato. Con un gesto di rabbia, si tolse gli occhiali
che usava per leggere e per stare al computer
e strizzò gli occhi, provati dal troppo tempo trascorso davanti allo schermo.
Era da almeno tre ore che cercava su internet delle notizie riguardanti Beatrice
e Primavera, ma apparentemente non esisteva alcuna relazione tra le due cose,
stando a quello che diceva il motore di ricerca.
- Non hai
trovato nulla, ancora? – gli chiese la ragazza, seduta sul letto a gambe
incrociate.
- No, te l’avrei
detto. – sbottò Claudio, sbuffando. – A quanto pare i casi sono due: o sei
morta decenni fa ed è per questo che su internet non c’è nulla, oppure la tua
morte non è stato un fatto molto rilevante.
Nell’udire
quelle ultime parole, il volto di Beatrice si rabbuiò.
- Scusa, non
volevo. – si giustificò il ragazzo, rendendosi conto della gaffe. – Sono solo
stanco, e straparlo, tutto qui.
- Tranquillo,
hai ragione. – lo scusò Beatrice, agitando una mano come a cacciar via una
mosca fastidiosa. - È da dopo cena che sei stato attaccato a quel coso, è
naturale che tu sia nervoso per via della stanchezza e anche per non aver
trovato nulla.
- Già. –
borbottò Claudio, massaggiandosi le tempie. Gli era venuto perfino mal di
testa. – Internet sarà stata anche una bella invenzione, ma a volte non serve
ad un emerito niente, ed è come cercare un ago in un pagliaio.
- Lo vedo. –
commentò la ragazza, alzandosi dal letto. – Ora ti lascio dormire, possiamo
continuare le nostre ricerche domani. Magari in una vecchia e sana biblioteca.
Buona notte!
- Va bene. Buona
notte anche a te. – assentì Claudio, prima di vederla sparire.
In quel mentre
Rebecca, appena rientrata a casa, irruppe in camera sua, spalancando la porta.
- Con chi
diavolo stavi parlando? – gli chiese, sospetta. Passando per il corridoio,
infatti, le era parso di sentire la voce del fratello.
- Con nessuno. –
rispose Claudio, perfettamente tranquillo. Ormai era abituato a dover
dissimulare tutto, e aveva pronto un bel repertorio di scuse molto convincenti
ogni qualvolta qualcuno lo sentiva parlare ‘da solo’. – Devi avere alzato un
po’ il gomito, hai le allucinazioni. – la rimproverò quindi, rigirando la
frittata e sperando di aver colto nel segno.
- Ho bevuto solo
una birra piccola, per tua informazione. – si difese Rebecca, incrociando le
braccia sul petto. – Semmai sei tu che hai le allucinazioni e parli da solo. –
disse quindi, sul piede di guerra.
- E va bene, lo
ammetto. – borbottò Claudio, roteando gli occhi. – Ero al telefono.
- A quest’ora? –
chiese Rebecca, inarcando un sopracciglio. - È quasi mezzanotte. – lo informò,
in tono acido.
- Appunto, l’hai
detto anche tu che è tardi, per cui vai a letto e non rompere. Ero al telefono
con Sergio, che mi ha telefonato da ubriaco. – inventò quindi al momento,
alzandosi dalla sedia della scrivania e spingendo la sorella fuori dalla
stanza.
- E ci voleva
tanto a dirmelo? – sbottò Rebecca, puntando letteralmente i piedi, nel
tentativo di opporre resistenza.
- Sì, perché mi
ha detto delle cose talmente imbarazzanti che mi sono vergognato io per lui.
Ero ancora allibito, quando mi hai fatto il tuo interrogatorio. Ora, se non ti
dispiace, vai a letto. – le spiegò Claudio, nel tono più convincente possibile,
dopodiché diede una forte spinta alla sorella, che si ritrovò catapultata nel
corridoio, e richiuse la porta.
- Vai al
diavolo! – sibilò Rebecca, a denti stretti, prima di dirigersi in camera
propria.
Le ricerche in
biblioteca si rivelarono proficue, dopotutto.
La
bibliotecaria, una volta saputo ciò che lui intendeva cercare, lo aveva indirizzato
all’archivio di un quotidiano locale. Ci era voluta quasi una settimana, ma
alla fine lì Claudio aveva trovato quello che stava cercando, su un quotidiano
di otto anni prima, risalente al duemila.
Lui e Beatrice
avevano ormai perso le speranze, quando Claudio aveva scorto, tra i necrologi,
una foto che ritraeva la ragazza, così aveva iniziato a sfogliare attentamente
il giornale e aveva trovato un trafiletto, sulla pagina di cronaca locale, dal
titolo “Ragazza trovata morta a Primavera”. Subito l’aveva letto, con Beatrice,
seduta accanto a lui, che sbirciava da sopra la sua spalla.
Non avevano però
scoperto un granché, l’articolo diceva ben poco di nuovo, ovvero che il corpo
era stato rinvenuto per caso da un gruppo di ragazzini che avevano deciso di
fare una prova di coraggio. Poco dopo essere entrati, però, essi avevano visto nell’atrio
il corpo di Beatrice in una pozza di sangue rappreso ed erano fuggiti. In
seguito uno di loro aveva raccontato alla madre ciò che lui e gli amici avevano
scoperto, e la donna era andata alla polizia.
Successivamente
la salma era stata riconosciuta dai genitori, che la settimana prima avevano
denunciato la scomparsa della ragazza. Infine, l’autopsia aveva rivelato che
Beatrice era morta in seguito ad un forte colpo alla testa, probabilmente
dovuto ad una caduta violenta.
- Resta solo da
scoprire perché eri a Primavera. – sussurrò
Claudio, dopo aver letto l’articolo.
- Già… Nemmeno
ora che ho scoperto quando e come sono morta mi viene in mente nulla… Ho un
vuoto totale. – sospirò Beatrice, in preda allo sconforto.
- Magari ora che
abbiamo scoperto queste cose, potrebbe esserti d’aiuto una visita a Primavera…
- suggerì Claudio, con un’alzata di spalle. Non era sicuro che Beatrice in quel
modo avrebbe ricordato tutto, ma tanto valeva tentare.
- Beh, è una
buona idea. – convenne la ragazza. – Ma forse è meglio che lo faccia da sola.
Scusa. – aggiunse, poco prima di sparire dalla sua vista.
Claudio scosse
la testa, sconsolato: non si sarebbe mai abituato alle improvvise apparizioni e
sparizioni dei fantasmi.
Giunta a
Primavera, Beatrice si sedette sui gradini dell’ingresso e si prese la testa
fra le mani, come se ciò potesse aiutarla ricordare. Da quando era morta, non
aveva fatto altro che chiedersi come era successo, quando, ma soprattutto
perché.
Scosse la testa,
spazientita: più ci pensava, più la sua mente formulava ipotesi, nessuna delle
quali però corrispondeva a ciò che era realmente successo. Ciò che la faceva
più imbestialire era il fatto che rammentava perfettamente tutta la propria
vita, eccetto quel piccolo particolare che ne aveva rappresentato la fine:
l’ultimo giorno.
Ricordava
benissimo di aver vissuto in quel paese fin da quando era bambina e ascoltava i
racconti della nonna riguardo a Primavera. Già allora ne era rimasta spaventata
ed insieme affascinata, tanto che si era ripromessa di andare là, un giorno,
solo per vederla. Non sapeva però che le sarebbe stato fatale, non lo avrebbe
mai immaginato.
Ricordava
altrettanto bene i propri genitori, a cui ogni tanto andava a fare visita,
nonostante questi si fossero trasferiti in un altro paese, poco dopo la sua
morte. I primi tempi le sue visite erano state abbastanza rade, poiché ogni
volta ne usciva emotivamente distrutta nel vedere come i genitori sentivano la
sua mancanza. Per questo aveva deciso fin da subito di non manifestarsi loro
per evitare ulteriori sofferenze, e la sua decisione era stata rafforzata poco
dopo, quando sembravano aver accettato e superato la sua morte.
Beatrice sorrise
amaramente. Quando sarebbe stata in grado di fare altrettanto, lei?
Non ne aveva la
più pallida idea, ad essere onesta. C’era un motivo per cui lei era
profondamente attaccata a quella dimensione, dopotutto.
Quel motivo era
il suo ormai ex ragazzo, Simone. L’aveva conosciuto a scuola, tramite un amico
in comune. Non era stato esattamente il classico colpo di fulmine, ci era
voluto un po’ di tempo prima che iniziassero a frequentarsi e poi si mettessero
insieme. Tra loro le cose andavano molto bene, e così era stato fino alla sua
morte.
In seguito ad
essa Beatrice aveva continuato a fargli visita, decidendo però di non
manifestarsi a lui, così come non lo faceva con i genitori. Con il tempo, aveva
dovuto persino accettare il fatto che frequentasse altre ragazze, anche perché
non poteva farci molto, a riguardo. Aveva provato a farne fuggire una, il cui
nome era Giulia, a gambe levate, spaventandola con quelli che avrebbe definito
‘trucchetti da fantasma’, ma non aveva prodotto un risultato soddisfacente.
Sorrise al ricordo.
Non appena
Simone aveva riaccompagnato Giulia a casa, Beatrice l’aveva seguita fino in
camera, dove aveva aperto la finestra e aveva fatto levitare degli oggetti
intorno alla ragazza, che aveva iniziato ad urlare ed era uscita immediatamente
dalla stanza. Era stata innegabilmente un’esperienza spassosa, ma non era
servita a tenere Giulia alla larga da Simone.
Certo, se fosse
avesse accompagnato a quei trucchetti una voce tonante che le intimava di non
avvicinarsi più al ragazzo…
Beatrice aveva
però scacciato quell’idea immediatamente dalla propria testa. Non poteva certo
fare così con ogni ragazza che Simone frequentava. Erano stati sì insieme,
avevano trascorso dei bei momenti, lungo quel periodo, ma era giusto che lui si
rifacesse una vita. Era un suo diritto, dopo che aveva sofferto così tanto per
la sua morte.
A ciò si era
aggiunto anche il fatto che Beatrice non aveva la minima intenzione di
diventare uno spirito vendicatore, come quelli che aveva avuto modo di vedere
in azione, dopo essere morta. non ne vedeva alcuna utilità, se non quella di
infastidire e spaventare i vivi. E non era suo intento comportarsi così con
Simone, non dopo tutto quello che c’era stato tra loro.
Da quel punto di
vista, per cui, era in pace, bene o male. Il punto critico che la teneva
disperatamente attaccata al mondo terreno era il giorno della sua morte.
Tuttavia, da
quando Beatrice aveva conosciuto Claudio, aveva iniziato a temere il giorno in
cui avrebbe compiuto quella scoperta. Dopo otto anni aveva finalmente trovato
qualcuno con cui parlare, ma soprattutto che fosse in grado di aiutarla e
capirla. Aveva chiesto aiuto a degli altri spiriti che aveva incontrato nel
corso del tempo, ma questi si erano mostrati abbastanza egoisti, adducendo come
scusa il fatto che volevano risolvere le proprie ‘questioni irrisolte’ per
poter passare oltre, e per cui erano poco interessati a quelle altrui.
Con Claudio,
invece, era diverso. Sapeva che per lui quello di aiutare i morti era una sorta
di lavoro, quando questi si manifestavano a lui e accettava la cosa
passivamente. Beatrice immaginava che quello non era un facile fardello da
portare, capiva bene che il ragazzo non poteva parlarne con nessuno per paura
di essere creduto pazzo.
In quella
settimana trascorsa con lui a sfogliare giornali nell’archivio, aveva imparato
un po’ a conoscerlo, nonostante avessero parlato ben poco di se stessi. La
giornata solitamente trascorreva silenziosa, con loro due seduti ai piedi dello
scaffale che intendevano esaminare. Eppure in quel silenzio, in quello stare
fianco a fianco, vi era qualcosa che li univa. Beatrice non capiva cosa fosse,
ma nemmeno lo voleva capire.
Gli indizi
raccolti erano più che sufficienti a formare una prova e quindi dei sospetti,
ma preferiva mentire a se stessa: un conto era ritrovarsi a pensare a Claudio
più del dovuto, un altro era ammettere la verità.
Beatrice scosse
la testa, con una smorfia velata di triste ironia. Era lo stesso discorso che valeva
per Simone: Claudio non era sepolto sottoterra come lei, aveva una vita da
vivere e aveva tutto il diritto di farlo, per quanto poco gli fosse permesso a
causa di quel suo dono.
Era semplice,
dopotutto: lei era morta, lui era vivo.
Il giorno dopo,
Claudio decise di raggiungere Beatrice a Primavera, dato che non l’aveva più
vista da quando aveva lasciato l’archivio e gli aveva detto di voler restare
sola. Il ragazzo, tuttavia, pensava che avesse avuto abbastanza tempo per stare
da sola con i propri pensieri e per tentare di ricordare.
Forse vi era
finalmente riuscita, e proprio per questo non si era più mostrata a lui dal giorno
prima. E se fosse addirittura passata oltre, dopo aver ricordato? In cuor suo,
Claudio temeva questa eventualità, più di quanto volesse ammettere.
In quel lasso di
tempo trascorso insieme, aveva instaurato con Beatrice una sorta di amicizia,
per quanto poco sapessero l’uno dell’altra. Passavano però gran parte del loro
tempo insieme, e ciò era bastato per dare avvio a quel rapporto tra loro. La
ragazza era il primo spirito della sua età con cui aveva a che fare, e ciò la
faceva sentire molto vicino a lui.
Giunto davanti
al cancello di Primavera, Claudio frenò la bici e sbirciò attraverso la grata,
per vedere se scorgeva Beatrice. Il giardino, però, era vuoto, così il ragazzo
appoggiò il veicolo al muro di cinta ed oltrepassò il cancello. Si chiese se fosse
vero che Primavera era così infestata dagli spiriti come tutti dicevano, in
paese. Probabilmente, però, si trattava di una diceria popolare, perché quando
la volta precedente era andato là ad incontrare Beatrice, non aveva visto
l’ombra di uno spettro.
Arrivò
all’ingresso della casa e si sedette sugli scalini. Non voleva entrare nella
casa, sapeva che là dentro non avrebbe trovato la ragazza. Una volta, in
archivio, gli aveva detto che preferiva stare nel giardino, c’era qualcosa che
non la convinceva, all’interno della dimora e preferiva starne alla larga: il massimo
che faceva era sedersi sugli scalini. Dopo aver letto l’articolo riguardante la
sua morte, aveva capito bene il perché di quella scelta; era morta là dentro,
dopotutto.
Beatrice
comparve dopo qualche minuto e appena vide Claudio seduto sugli scalini sgranò
gli occhi per la sorpresa.
- Che ci fai
qui? – gli chiese, sulla difensiva. Pensava che avesse scoperto qualcos’altro,
e non era proprio certa di voler sapere di cosa si trattasse.
- Niente. Ero
solo venuto a sapere come stavi, dopo che ieri sei letteralmente sparita. –
rispose Claudio con un’alzata di spalle.
- Ah, ho capito…
Beh, non ho ricordato nulla, se è questo che vuoi sapere, per cui sto come al
solito. – disse la ragazza, sedendosi accanto a lui.
- Proprio
niente? – indagò Claudio, al che Beatrice scosse la testa in segno di diniego.
– Suppongo ti ci vorrà altro tempo. – aggiunse quindi.
- Già. – sospirò
la ragazza, riavviandosi una ciocca di capelli castani dietro le orecchie.
- Se magari
entrassimo? – propose Claudio, poco dopo. Aveva avuto modo di maturare
quell’idea mentre aveva atteso l’arrivo di Beatrice, e gli era parsa abbastanza
buona. Andare sul luogo esatto della propria morte l’avrebbe aiutata a
ricordare, magari.
- No! – esclamò
immediatamente la ragazza, voltandosi verso Claudio e fulminandolo con lo
sguardo. Come diavolo gli venivano in mente delle idee così assurde? Non voleva
entrare in quella casa, aveva paura. Ne aveva sempre avuto paura, fin da
piccola, e non vedeva perché dovesse superare quella sua debolezza proprio ora
che era morta, per lo più all’interno di quel maledetto edificio. Una volta
quella casa esercitava su di lei una sorta di fascino, ma da quando era morta
l’aveva perso completamente.
- Perché? – chiese
Claudio, pacato. Quella reazione era abbastanza comprensibile, dopotutto. Era
l’estrema negazione della propria morte, l’ultimo barlume di speranza di
rimanere attaccati alla vita terrena, prima di ricordare e passare oltre. Solo,
non capiva perché Beatrice avesse chiesto il suo aiuto, se davvero le cose
stavano così.
A quella
domanda, la ragazza non sapeva esattamente cosa rispondere. Sapeva che non era
solo per paura che si rifiutava di entrare in quella casa: se poi avesse
ricordato tutto avrebbe dovuto lasciare per sempre quella dimensione, e ciò
avrebbe comportato lasciare anche Claudio. Solo in quel momento si era resa
conto che era l’ultima cosa voleva fare. Dopo anni di solitudine, aveva
finalmente trovato qualcuno con cui parlare, qualcuno che la capiva… E non
voleva che tutto ciò finisse.
- Semplicemente non
voglio. Non sono poi così sicura di voler ricordare tutto. – rispose Beatrice,
per non esporre troppo i propri sentimenti. Quella era una mezza verità,
dopotutto.
- Allora perché
ti sei rivolta a me? – chiese Claudio, inarcando un sopracciglio. Più quella
conversazione andava avanti, più diventava confuso.
- Perché
all’inizio volevo ricordare! Poi…
- Poi cosa? – la
incalzò il ragazzo.
- Non lo so. Ora
ricordare la mia morte non mi importa più così tanto. Non sono ancora pronta
per lasciare questo mondo. – ammise Beatrice, evitando di scendere nei
particolari. Non voleva rovinare tutto con qualche parola di troppo. Non voleva
esporsi, temeva la reazione di Claudio.
Il ragazzo
sospirò, esasperato. Di certo non poteva più aiutarla, giunti a quel punto. Il
suo compito era finito, per quanto gli dispiacesse ammetterlo.
- Allora non hai
più bisogno di me. – sentenziò, alzandosi. Doveva andarsene, per quanto gli
dispiacesse, ma molto probabilmente Beatrice preferiva restare sola.– Se cambi idea, sai dove trovarmi. –
aggiunse, prima di incamminarsi verso il cancello.
- No! – esclamò
Beatrice, in preda al panico, alzandosi a sua volta in piedi. Non voleva che se
ne andasse, sarebbe equivalso a perderlo. Lo bloccò quindi per un braccio,
costringendolo a fermarsi.
Claudio si
arrestò, sorpreso, e si voltò verso la ragazza. Notò che aveva gli occhi lucidi
e, d’istinto, l’abbracciò. Beatrice gli restituì l’abbraccio, aggrappandosi a
lui con la forza della disperazione e abbandonandosi alle lacrime. Appoggiò la
testa nell’incavo della sua spalla e si lasciò andare ai singhiozzi. Non
l’avrebbe lasciato andare.
Il ragazzo si
limitò a stringerla fra le proprie braccia, non sapendo esattamente cosa dire
per consolarla. Aspettò semplicemente che si calmasse, accarezzandole i capelli
di tanto in tanto.
- Non voglio che
tu te ne vada… - disse flebilmente Beatrice, una volta che le lacrime e i
singhiozzi furono cessati.
- Non lo farò,
tranquilla. – la rassicurò Claudio, sincero. Non voleva separarsi da lei, ora
che aveva realizzato che quella sensazione era reciproca.
A quelle parole,
Beatrice alzò lo sguardo fino ad incontrare quello del ragazzo. – Grazie. – gli
sussurrò, sorridendo.
Claudio ricambiò
il sorriso, sentendosi leggermente in imbarazzo. Era la prima volta che
consolava una ragazza in lacrime e non sapeva esattamente come comportarsi in
una situazione del genere, tanto più che la fanciulla in questione era un fantasma
per cui pensava di provare qualcosa che andava ben oltre i ‘rapporti
professionali’. Ancora non se ne capacitava, ma era così. Si limitò perciò a
riavviarle goffamente una ciocca di capelli dietro le orecchie.
Quel gesto fu la
molla che fece scattare tutto. Senza rendersene nemmeno conto sentì le proprie
labbra che si posavano su quelle di Beatrice e fu travolto da un turbinio di
sensazioni che non aveva mai provato prima di allora. Si sentì pervadere da una calore che partiva
dal proprio petto e giungeva fino alla punta delle dita, e strinse ancora più
forte la ragazza a sé. Era confuso, soprattutto perché la ragazza stava
ricambiando il bacio e quindi significava che anche lei provava qualcosa per
lui, ma non poteva negare di essere dannatamente felice. Restarono così per
quella che parve loro un’eternità, sperando che quei momenti non finissero mai.
- Ora capisci
perché non voglio passare oltre? – gli chiese Beatrice, poco dopo, quando si
furono seduti sui gradini di Primavera, abbracciati.
- Certo. – le
rispose Claudio, con un sorriso. – Ora che lo capisco non voglio nemmeno
aiutarti a farlo.
Trascorsero due
settimane indimenticabili, nelle quali si conobbero meglio e fecero tutte
quelle cose che due ragazzi normali della loro età avrebbero fatto, per quanto
la situazione lo permettesse. Una volta, Beatrice aveva espresso il desiderio
di voler provare a guidare una macchina, così Claudio l’aveva portata nei
dintorni di Primavera e, armato di pazienza come quella volta che aveva fatto
da istruttore alla sorella, l’aveva fatta sedere al posto di guida e le aveva
dato tutte le istruzioni necessarie. Appena fermi, poi, erano scoppiati a
ridere all’idea che se qualcuno li avesse visti si sarebbe spaventato nel
notare una macchina che praticamente guidava da sola e che trasportava un
passeggero.
In un occasione
erano perfino andati al cinema e Beatrice, ovviamente, non aveva pagato il
biglietto. Quello fu lo spunto per elencare tutti i vantaggi dell’essere
fantasma, una volta usciti dal cinema e arrivati a casa di Claudio.
Furono
quattordici giorni felici, ma entrambi sapevano che quello era tempo rubato e
che prima o poi tutto sarebbe finito. Non potevano continuare a vivere nella
speranza che la loro storia potesse durare, perché era totalmente vana. Beatrice
capiva bene che prima o poi avrebbe dovuto affrontare i fantasmi del proprio
passato, per quanto ironico potesse suonare.
Fu così che
all’alba del quindicesimo giorno si materializzò in camera di Claudio, che
ancora dormiva. Si sedette sul bordo del letto e lo osservò, accarezzandogli i
capelli. Sentì le lacrime pungerle agli angoli degli occhi, tuttavia non fece
nulla per fermarle.
Sapeva fin
dall’inizio che sarebbe andata a finire così, d’altronde. Aveva voluto
buttarsi, senza pensare troppo né alle conseguenze, né al futuro. Aveva vissuto
alla giornata, provando emozioni che la sua morte prematura le aveva negato.
Vedendola a quel modo, era stata anche privilegiata.
Era però giunto
il momento di fare i conti con la realtà, per quanto non volesse. Avrebbe
protratto quella situazione ancora per lungo tempo, ma sapeva che più andava
avanti, più sarebbe stato difficile trovare la forza per passare oltre. Claudio
aveva il diritto di avere una vita normale, per quanto il suo dono glielo
potesse concedere.
Si fece forza
con quei pensieri, mentre aspettava il risveglio del ragazzo, che avvenne poco
dopo l’alba.
Claudio fu
sorpreso di trovare Beatrice seduta sul suo letto, non appena ebbe aperto gli
occhi. Fu solo un attimo, però, perché poi capì il motivo di quella visita.
Doveva
aspettarselo, dopotutto, ma aveva preferito non pensarci per non guastare quel
poco tempo che avevano avuto a disposizione. Era la cosa più giusta da fare, lo
sapevano entrambi. Per quanto fosse doloroso, prima poi avrebbero dovuto
separarsi.
- Hai deciso, alla
fine… - mormorò il ragazzo, la voce ancora arrochita dal sonno. Si mise a
sedere sul letto, cercando di non guardarla in faccia, altrimenti non l’avrebbe
più lasciata andare.
- Già. –
sussurrò Beatrice, fra le lacrime. – Ti prego, guardami… - aggiunse poi,
avvicinandosi a lui e prendendogli la testa tra le mani.
Claudio alzò lo
sguardo fino ad incontrare quello di Beatrice, e quest’ultima si accorse che
aveva gli occhi leggermente lucidi.
- Sono venuta
per dirti addio. Non rendere le cose più difficili di così, per favore. – lo
implorò, passandogli una mano tra i capelli.
Claudio sospirò,
prima di rispondere. – Sapevo che prima o poi sarebbe successo, ma speravo che
questo momento non arrivasse mai. Rendiamolo rapido, perché altrimenti non
riuscirei più a lasciarti andare.
- Anche io
speravo che non arrivare mai… Ma devo farlo. Tu hai il diritto, anzi il dovere,
di vivere la tua vita, di avere una ragazza… viva. Non posso legarti a me per sempre, e prima o poi me lo
rinfacceresti anche tu. È meglio finirla qui, prima che uno dei due si faccia
davvero male. Ed è già abbastanza difficile così, lo sappiamo entrambi. – gli
disse Beatrice, tra i singhiozzi. Le costava pronunciare quelle parole, ma
erano la sacrosanta verità.
- Lo so… E hai
ragione. Ma non potremmo almeno provarci? Vedere come vanno le cose… A me non
importa delle altre, davvero. Voglio stare con te, al diavolo una vita normale!
Non ne avrò mai una, con questa maledizione. – la supplicò Claudio,
abbracciandola.
- Ci abbiamo già
provato, Claudio. Lo abbiamo fatto in queste fantastiche due settimane, lo sai.
Ora però devo passare oltre e dobbiamo lasciarci tutto alle spalle. – gli
sussurrò la ragazza, liberandosi dalla stretta di Claudio per asciugarsi le
lacrime. Doveva essere forte, e piangere di certo non aiutava.
- Devo andare,
ora. – aggiunse quindi, cercando di mantenere un tono di voce fermo.
- Vuoi che venga
con te? – le chiese Claudio, ormai rassegnato. Gli costava fatica separarsi da
lei, ma l’avrebbe accompagnata in quell’ultimo viaggio, se lei lo avesse
voluto.
- È meglio di
no. – rispose Beatrice. – Devo andare a Primavera da sola e devo essere io a
trovare il coraggio necessario. Se ci fossi tu, sarebbe tutto più difficile. E
maledettamente più doloroso.
Aveva ragione,
dopotutto. Il teatro del loro addio sarebbe stata la camera di Claudio, dove
avevano parlato per la prima volta, dove tutto era iniziato, dove avevano
passato dei momenti stupendi e provato delle sensazioni altrettanto magnifiche.
E quello sarebbe
stato il luogo dove tutto sarebbe finito.
Beatrice salì i
gradini di Primavera molto lentamente. Una volta giunta davanti alla porta
sospirò, prima di appoggiare la mano sul pomello e spingerla in avanti per aprirla,
dopodiché mosse un passo e si ritrovò all’interno della casa. Capì subito che
entrare era stata la scelta giusta, la chiave per risolvere l’enigma della
propria morte, poiché in un attimo tutto le tornò alla mente.
Voleva
starsene un po’ da sola, ne sentiva un bisogno quasi fisico. Appena uscita da
casa di Simone per cui, si mise a camminare senza meta, la vista offuscata
dalle lacrime.
Che
sciocca, sembrava lei quella che era appena stata lasciata, talmente piangeva.
Lui tutto sommato l’aveva presa bene, non aveva fatto scenate e aveva accettato
la sua scelta. Certo, non aveva fatto i salti di gioia, ma d’altronde le aveva
detto che se voleva starsene un po’ da sola le avrebbe lasciato del tempo, e
poi avrebbero deciso insieme sul da farsi.
Non
c’era un motivo preciso per il quale Beatrice sentisse quel bisogno, in
quell’ultimo periodo, da quando aveva compiuto i diciotto anni, aveva iniziato
a sentirsi pervasa da una strana malinconia a cui non riusciva a trovare alcuna
spiegazione. Aveva provato a parlarne con Simone, con i propri genitori e con
gli amici, ma le era parso che nessuno la potesse capire fino in fondo, né
tantomeno aiutare.
Alla
fine era giunta alla conclusione che quelle era una tappa della propria vita
che doveva affrontare da sola, così aveva deciso di lasciare Simone e di
prendersi del tempo per se stessa. Sperava che stare un po’ da sola con i
propri pensieri l’avrebbe aiutata.
Senza
rendersene conto si trovò nella periferia del paese. Decise di proseguire,
addentrandosi nei boschi. Dopo qualche minuto giunse davanti al cancello di
Primavera. Rimase estasiata, alla vista di quella stupenda villa abbandonata di
cui tanto aveva sentito parlare. Ne era sempre stata affascinata, per cui in un
impeto di coraggio volle varcare il cancello, per dare un’occhiata. Ricordava
bene i racconti della nonna che l’avevano spaventata fin da piccola, ma ormai
era cresciuta, per cui si disse che era inutile credere a quelle fandonie.
Probabilmente era solo una vecchia villa abbandonata, dall’aspetto un po’
sinistro, per cui era normale che la gente, specialmente le persone anziane, ci
avesse ricamato sopra qualche storia macabra, giusto per avere qualcosa di cui
parlare la domenica dopo la messa.
Il
giardino era immenso, e assomigliava di più ad una giungla, visto che nessuno
lo curava più da anni. Beatrice si fece strada tra l’erba alta, fino a che
giunse davanti alla porta della villa. Salì i gradini dell’ingresso con un
misto di paura ed eccitazione, quindi afferrò la maniglia della porta e spinse
verso il basso, senza incontrare nessuna resistenza.
Un
volta entrata, si trovò di fronte ad un grande atrio, dal cui centro partiva
una scalinata che conduceva al piano superiore. Esitante, Beatrice giunse fin
lì ed iniziò a salire i gradini, che cigolarono uno ad uno. L’atmosfera era
abbastanza sinistra, tanto che quasi si pentì di essere andata fin lì da sola e
per un attimo fu tentata di tornare sui propri passi. Tuttavia non lo fece
poiché pensava che quell’esperienza l’avrebbe aiutata a distrarsi e a non
pensare al malessere interiore che la pervadeva.
Giunse
quindi in cima alle scale e si appoggiò alla ringhiera per poter vedere l’atrio
dall’alto. Sentì un movimento dietro di sé e sussultò, voltandosi
immediatamente. Due occhi gialli la stavano osservando, e con sollievo Beatrice
si accorse che appartenevano ad un gatto. Si accovacciò per poterlo
accarezzare, dato che adorava i gatti, ma questo scappò. Con un’alzata di
spalle si voltò nuovamente verso la ringhiera e vi si appoggiò, questa volta
con più decisione.
Fu
un attimo.
Sotto
la forza di quella spinta, la ringhiera cedette, e Beatrice cadde al piano di
sotto. La sorpresa fu tale che non ebbe nemmeno il tempo né di urlare, né di
rendersi conto di ciò che stava cadendo, perché nel giro di un attimo l’impatto
con il suolo si fece sentire.
Morì
sul colpo.
- Dio, che morte
stupida! – esclamò Beatrice tra le lacrime, sollevata. Non si stupiva certo di
averla rimossa dalla propria mente, visto le circostanze in cui era avvenuta.
Uno
stupido, maledettissimo incidente, pensò, sorridendo amaramente. Senza il quale però non sarei morta e non
avrei conosciuto Claudio. Era così che doveva andare, dopotutto. Ora lo so con
certezza.
Si sentì pervasa
da una grandiosa sensazione di pace, dalla consapevolezza di aver compreso un
destino che non avrebbe mai immaginato. Nel giro di pochi secondi venne
circondata da una luminosa luce bianca, da cui si fece volentieri avvolgere.
È
tutto a posto. Finalmente.
Camera
di Claudio
Da quando
Beatrice era scomparsa per sempre dalla sua stanza, quella mattina presto,
Claudio non si era alzato dal letto. Era rimasto sdraiato a contemplare il
soffitto, incurante delle lacrime che gli scorrevano lungo le guance. Fin da
piccolo gli avevano detto che piangere era da femminuccia, ma al diavolo! Per
una volta tanto avrebbe dato libero sfogo alle proprie emozioni, fregandosene
di quella stupida castrazione culturale.
Qualsiasi cosa
pur di stare meglio.
Non si accorse dell’apparizione
di sua nonna fin quando non la vide sedersi sul lettoe guardarlo con tenerezza mista a
compassione. Vedere il nipote in quello stato le straziava il cuore.
- Se sei venuta
per farmi la predica puoi anche tornare nella terra in cui voi spiriti siete
allegri e felici. E magari salutami anche Beatrice, già che ci sei. – borbottò
il ragazzo, sulla difensiva, con amara ironia. Sentirsi rimproverato era
l’ultima cosa di cui aveva bisogno.
- Mi dispiace,
Claudio. – gli sorrise amaramente Agnese, prendendogli la mano. – Non
immaginavo che saresti stato male in questo senso. Pensavo che la tua vita
fosse in pericolo, quando sono venuta ad avvertirti. Se avessi saputo tutto con
più precisione… - lasciò cadere la frase, non sapendo bene come poterla completare.
– Perdonami.
- No, nonna. –
si rifiutò Claudio, alzandosi a sedere e circondandole la mano che aveva posato
sulla propria con l’altra. – Non ti devo perdonare nulla. È mia la colpa, tu
hai fatto quello che potevi, sono io che non ti ho dato ascolto. E non mi pento
di averlo fatto, non mi dispiace per niente di averti disobbedito. Non ho nulla
da rimpiangere, anche se ora sto da schifo. Ma passerà, come passa tutto, del
resto. Ne ho passate di peggio, supererò anche questa. Ora però ho bisogno di
stare solo, per digerire bene la cosa. Scusa.
- No, non devi
scusarti. – sorrise Agnese con dolcezza, dandogli un buffetto sulla guancia. –
A presto, gioia mia. – lo salutò, prima di svanire nel nulla.
Claudio si prese
la testa fra le mani, ripensando a quello che aveva appena detto alla nonna.
Era la verità, dopotutto. Lo pensava sul serio, per quanto in quel momento si
sentisse uno straccio. Tuttavia sapeva che nel giro di qualche tempo sarebbe
tornato tutto alla normalità, doveva solo avere pazienza. Pian piano sarebbe
stato di nuovo bene, senza però dimenticare Beatrice.
Avrebbe serbato
per sempre il ricordo di lei, seppure con malinconia.