La verità sul caso Patrick O' Donnell

di Star_Rover
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il caso Patrick O' Donnell ***
Capitolo 2: *** La testimonianza del sergente McCarthy ***
Capitolo 3: *** Il giovane ribelle ***
Capitolo 4: *** La città delle ombre ***
Capitolo 5: *** La gabbia di filo spinato ***
Capitolo 6: *** Le Guardie di Dublino ***
Capitolo 7: *** Il Comitato di visita ***
Capitolo 8: *** Memorie di un sopravvissuto ***
Capitolo 9: *** I segreti del Castello ***
Capitolo 10: *** Il prezzo della verità ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Il caso Patrick O' Donnell ***


Nota dell’autrice: il racconto, seppur ampiamente romanzato, è basato su una storia vera. Patrick O’ Donnell è un personaggio di fantasia ispirato in parte al reale protagonista della vicenda, ovvero il generale di divisione Paddy Daly.

 


    

Eric Dalton incontrò per la prima volta Patrick O’ Donnell nella primavera del 1923. Al tempo egli era soltanto un ragazzino di quindici anni, la violenta e sanguinosa guerra civile[1] era appena giunta al termine e le truppe del National Army marciavano orgogliose per le strade di Dublino. 
L’intera città era in fermento, una gran folla aveva invaso le strade per assistere alla parata di vittoria dell’Esercito. Finalmente la guerra si era conclusa, gli oppositori del Trattato erano stati sconfitti, gli assassini di Michael Collins avrebbero pagato per i loro delitti.
Queste erano le opinioni dei sostenitori del nuovo Governo e di tutti coloro che, stremati dalla fame e dalla guerra, avevano riposto nuove speranze in quella pace.
Eric conosceva le motivazioni di quella guerra, ma non aveva idee politiche a riguardo. Alcuni consideravano i repubblicani come eroi, altri come criminali. Nella mente di un ragazzino tutto ciò non aveva molta importanza. Come la maggior parte del popolo irlandese dopo tanti anni di sacrifici e sofferenze anch’egli desiderava soltanto la pace.
I soldati che avevano riportato l’ordine in Irlanda erano stati accolti nella capitale con gioia ed entusiasmo. Bandiere tricolore sventolavano in libertà, la gente si era appostata sui tetti e sulle terrazze per partecipare a quella manifestazione.
Eric cercò di farsi spazio tra la folla, voleva godersi quello spettacolo in prima fila. Quando finalmente riuscì a sbucare di fronte alla strada ciò che si trovò davanti fu uno scenario alquanto caotico e confuso.
Non tutti i militari parevano allegri per quella vittoria. Alcuni di quei soldati riportavano sul volto i segni della fatica e della sofferenza della guerra, certi avanzavano a capo chino, quasi vergognandosi di fronte agli elogi e gli onori ricevuti. Altri invece parevano felici e sereni per la conclusione del conflitto, altri ancora probabilmente avevano già alzato il gomito unendosi ai festeggiamenti. 
In quella anonima massa scura di uomini più o meno entusiasti spiccava una figura distinta. Si trattava di un giovane ufficiale che marciava a passo sicuro. Le decorazioni sulla sua impeccabile divisa brillavano alla luce del sole. Egli avanzava a testa alta con un’espressione soddisfatta sul viso e uno sguardo profondo e impenetrabile.
La folla parve riconoscere la sua identità poiché esplose in applausi e grida di esaltazione. 
«Chi è quell’uomo?» chiese Eric indicandolo.
Il suo vicino, un giovane poco più grande di lui, fu lieto di rispondere: «lui è il maggiore O’ Donnell! I suoi uomini sono appena tornati dal Kerry, egli è un eroe di guerra!»
Eric avrebbe voluto chiedere di più a riguardo, ma la confusione gli impedì di continuare la conversazione.
O’ Donnell parve compiacersi per quella calorosa accoglienza, tanto che non esitò ad avvicinarsi ai cittadini impazienti di mostrargli il loro riconoscimento per il suo onorato servizio alla Patria.
Eric rimase colpito da quella figura, agli occhi del ragazzino quell’ufficiale apparve come l’incarnazione dell’eroe invincibile e incorruttibile.
Il militare si fermò proprio davanti a lui, i suoi profondi occhi verdi incrociarono il suo sguardo. Eric si mostrò timoroso e titubante davanti all’imponente figura del soldato.
L’uomo si chinò leggermente e si rivolse al giovane con tono benevolo: «ascolta ragazzo, non devi mai avere paura di combattere per quello in cui credi. Ricordati che finché il tuo cuore continuerà a battere per Amore e Lealtà il tuo animo rimarrà puro»
Dopo aver pronunciato quelle parole l’ufficiale salutò il giovane con un saluto militare. Eric rispose imitandolo, con lo sguardo seguì la sua figura finché non la vide scomparire tra la folla.
 
***
 
Erano trascorsi tredici anni da quel fatidico incontro, eppure quell’immagine era rimasta impressa nella mente di Eric per tutto quel tempo. Da ragazzo aveva iniziato a provare il desiderio di imitare quel valoroso soldato, tanto da decidere di arruolarsi nella Garda Síochána[2]. Fin dal primo momento era riuscito a mostrare ai suoi superiori la propria dedizione, la sua determinazione lo portò presto a diventare uno dei più rinomati detective di Dublino.
Quando qualcuno gli domandava la ragione per cui aveva deciso di unirsi alle Guardie il giovane rispondeva sempre allo stesso modo. 
«Volevo diventare un eroe come Patrick O’ Donnell!»
Con il tempo aveva avuto modo di informarsi sulle leggendarie imprese compiute da quell’uomo, grazie anche alle testimonianze dei suoi colleghi più anziani. Aveva scoperto che O’ Donnell aveva iniziato a combattere contro gli inglesi insieme alla squadra di Collins e che era rimasto fedele ai suoi compagni anche dopo il Trattato. Aveva comandato i soldati del National Army durante i violenti scontri con i ribelli e aveva continuato a militare nell’Esercito fino alla sua misteriosa scomparsa.
In effetti non c’erano più state sue notizie dopo il 1924, un anno dopo la fine del conflitto quell’uomo sembrava essere svanito nel nulla.
A quel punto i suoi interlocutori abbassavano lo sguardo e si affrettavano a cambiare argomento di conversazione o più semplicemente alzavano le spalle e sospiravano senza dare più alcuna risposta.
Eric non aveva mai prestato troppa attenzione a tutto ciò, in fondo poteva comprendere che un soldato che aveva combattuto due guerre[3] per proteggere la propria Patria avesse deciso di ritirarsi in tempo di pace.


Il detective Dalton sfogliò distrattamente le carte poste sulla sua scrivania. Ormai era da diverso tempo che non gli capitava un caso interessante tra le mani. Per intere settimane era stato relegato al lavoro d’ufficio, senza avere la possibilità di agire sul campo.
Il tenente McGowan notò la sua aria afflitta.
«Io proprio non ti capisco. Dovresti goderti questo periodo di tranquillità, chissà per quanto tempo durerà…» commentò espirando una nuvola di fumo.
Il detective si limitò a sospirare con rassegnazione.
«Se ti annoi così tanto dovresti trasferirti a Belfast, oltre al confine i ribelli continuano a creare problemi» suggerì l’ufficiale osservando la mappa dell’Isola appesa alla parete.
«No, sono cattolico…preferisco evitare certe complicazioni» rispose Dalton mantenendo lo sguardo fisso sui documenti.
McGowan annuì con aria pensierosa: «già, sarebbe una brutta faccenda…allora perché non ti prendi una bella vacanza? Potresti approfittarne per stare un po’ con tua moglie»
Eric scosse la testa: «probabilmente impazzirei senza fare nulla per tutto il giorno»
«Oh, tu non sai proprio goderti la vita. Non sai cosa darei per passare un po’ di tempo con una donna come lei» disse con tono allusivo prima di scomparire in corridoio.
Dalton ignorò quell’ultimo commento, il tenente McGowan era un caro amico, ma a volte non sapeva proprio tenere a freno la lingua.
 
Poco dopo Eric ricevette un’altra visita, questa volta si trattò di una giovane recluta che con aria allegra si affacciò alla porta del suo ufficio.
«Signor detective, posso disturbarla?»
Dalton ripose le carte che aveva in mano e invitò il ragazzo ad entrare.
Il poliziotto gli mostrò con orgoglio il giornale del mattino: «guardi, parlano di lei in prima pagina!»
Egli rimase sorpreso, in realtà altre volte l’Irish Times aveva riportato notizie riguardanti i casi di cui si era occupato, in quel momento però non riteneva che ci fosse nulla di importante da dire sulla sua persona.
«Si tratta del caso Mulligan, pare che gli inglesi siano stati soddisfatti del suo lavoro»
Eric storse il naso: «io non lavoro per gli inglesi»
«Certo signore, ma le autorità britanniche sono grate per ciò che ha fatto poiché è riuscito ad arrestare un criminale che era ricercato anche in territorio inglese»
«Si tratta di una vecchia storia, il Times è un quotidiano unionista, un simile articolo serve per ricordare al popolo irlandese che esistono ancora rapporti di collaborazione con la Gran Bretagna»
La giovane recluta non capì a pieno il suo discorso: «in ogni caso sono buone notizie! Di certo tutto questo sarà positivo per la sua reputazione»
Dalton si sforzò di sorridere: «suppongo che tu abbia ragione»
«Anche tutti noi siamo orgogliosi di lei» concluse il poliziotto con sincera ammirazione.
 
 
Dalton rientrò dal lavoro a tarda serata, al termine di quella lunga e noiosa giornata desiderava soltanto tornare dall’amata moglie.
Appena varcò la soglia di casa Aileen corse a gettarsi tra le sue braccia accogliendo il marito con baci e carezze. Eric la guardò negli occhi e sfiorò i lineamenti delicati del suo viso, osservandola ripensò al periodo in cui si erano conosciuti. Lei era una ragazza di straordinaria bellezza a cui non mancavano di certo i pretendenti, quando egli era riuscito a conquistarla aveva suscitato l’invidia di tutti i giovani del quartiere.
I due parevano la coppia perfetta, non si trattava soltanto di apparenza, il loro era un amore puro e sincero. Era sufficiente osservare la fotografia del loro matrimonio, la quale era stata elegantemente incorniciata e riposta con cura vicino al caminetto. Si poteva intuire dai loro sguardi che dovevano essere davvero innamorati.
Erano sposati da quattro anni, da tempo entrambi attendevano l’arrivo di un figlio, ma quel miracolo non era ancora avvenuto.
Aileen soffriva profondamente a causa di ciò, ogni volta che poggiava le mani sul ventre piatto non riusciva a reprimere quell’intensa sensazione di vuoto e dolore.
Eric non aveva mai esternato la sua delusione, sapeva che la moglie si riteneva in qualche modo colpevole e non voleva provocarle altra sofferenza.
Inoltre la sua priorità era sempre stato il lavoro, era consapevole che una volta diventato padre avrebbe dovuto rinunciare a seguire a pieno la sua ambizione, e una parte di sé non era ancora pronta per questo.
Dalton abbracciò la moglie cingendole i fianchi, la strinse a sé, con lievi baci sul collo assaporò la sua pelle e si inebriò del suo profumo. La ragazza rispose con un intenso bacio sulla bocca, poi lentamente scese sul mento e sul collo.
Egli la lasciò fare mentre lei iniziò a spogliarlo, Aileen gli levò la giacca e gli slacciò i bottoni della camicia. Il giovane ebbe un lieve sussulto quando ella gli sfiorò il petto con il suo tocco delicato.
Eric si abbandonò al desiderio di passione che in modo sempre più prorompente stava esplodendo dentro di sé. Continuando a bramare le dolci labbra della moglie la trascinò sul letto e con foga strappò i lacci del suo vestito, scoprendo la morbida e chiara pelle.
Quel momento di intimità fu bruscamente interrotto dall’improvviso trillo del telefono. Eric tentò di ignorare quel suono acuto e fastidioso, ma Aileen si distaccò leggermente.
«Dovresti rispondere» ansimò.
«Non adesso» replicò lui avventandosi nuovamente sulle sue labbra.
Lei lo allontanò dolcemente: «potrebbe trattarsi di qualcosa di importante»
Il giovane obbedì con disappunto, raggiunse l’apparecchio e rispose freddamente.
Egli percepì una voce maschile flebile e tremante: «detective Dalton, ho assolutamente bisogno di incontrarla. Deve venire adesso, non ho molto tempo…»
«Aspetti, con chi sto parlando?»
Il suo interlocutore continuò a parlare in modo rapido e frenetico: «le dirò tutto, ma non ora. Mi raggiunga al più presto all’Hynes pub, la prego, è davvero importante. Ho un caso per lei»
Dalton tentò di chiedere maggiori informazioni, ma dall’altro capo non rispose più nessuno.
Il giovane riagganciò, per qualche istante rimase immobile, indeciso su cosa fare. Ragionevolmente avrebbe dovuto ignorare quell’assurda chiamata, eppure una parte di sé desiderava scoprire di più. In fondo risolvere misteri era il suo mestiere. Aveva abbastanza esperienza per poter affrontare qualsiasi evenienza.
Inoltre la persona con cui aveva parlato pareva essere seriamente preoccupata, forse qualcuno aveva bisogno di aiuto.
Eric si riprese da quei pensieri e si rivolse alla moglie: «devo andare, si tratta di lavoro»
«E’ successo qualcosa?» chiese lei preoccupata.
Eric si rivestì frettolosamente: «non lo so, in ogni caso lo scoprirò presto»
Aileen osservò con rassegnazione il marito mentre recuperava la sua pistola.
«Cerca di stare attento» disse senza riuscire a nascondere la sua apprensione.
«Tranquilla, tornerò al più presto» promise lui salutandola con un ultimo bacio.
 
 
Il detective Dalton si ritrovò a camminare per i vicoli bui e stretti di Dublino sotto a un diluvio scrosciante. Il percorso era illuminato dalla fioca luce dei lampioni, intorno a sé scorse soltanto ombre furtive che vagavano nella notte.
Sguazzando in una pozzanghera maledisse se stesso per non essere rimasto a casa tra le braccia di sua moglie.
Eric entrò nel locale con gli stivali sporchi di fango e l’impermeabile gocciolante. Si guardò intorno, quel luogo era praticamente deserto, eppure nessuno dei pochi avventori sembrava corrispondere all’uomo che stava cercando. Egli ordinò una birra e si posizionò a un tavolo in disparte. Era certo che colui che stava aspettando si sarebbe fatto vivo. 
Infatti Dalton ebbe soltanto il tempo di accendersi una sigaretta prima di avvertire il rumore di alcuni passi. Immediatamente alzò lo sguardo, davanti a sé comparve un giovanotto alto e smilzo, i capelli arruffati e le lentiggini sul viso gli donavano un aspetto ingenuo e innocente, di certo dimostrava meno anni di quelli che doveva avere in realtà.
Aveva l’aria stanca e con i suoi gesti mostrava un insolito nervosismo. Nonostante l’agitazione iniziale egli parve rassicurarsi in sua presenza, sul suo volto pallido intravide un debole sorriso. Lo sconosciuto sembrava conoscere bene la sua identità, infatti si sistemò di fronte a lui con estrema sicurezza.
«La ringrazio per essere venuto. Mi spiace averla trascinata in questa topaia a quest’ora della notte, ma era l’unico modo per incontrarla in un posto sicuro»
Dalton non capì, ma preferì partire dall’inizio: «a quanto pare conosce un po’ di cose su di me, ma io non so nulla di lei. Questo non mi piace affatto»
«Già…sono stato davvero maleducato. Mi chiamo Robert O’ Neil, sono un poliziotto» disse mostrando il distintivo che teneva nascosto all’interno della giacca.
Eric riconobbe uno strano accento del sud: «suppongo che lei non sia di queste parti»
«Provengo da Fenit»                        
Il detective si stupì: «lei è giunto fin qui dalla contea di Kerry per vedermi?»
Il ragazzo annuì: «mi sono imbattuto in un caso particolare. Ho pensato che lei potesse essere la persona giusta per aiutarmi»
Eric non seppe se sentirsi lusingato per questo: «perché ha pensato proprio a me?»
«Perché lei è uno dei migliori detective d’Irlanda e perché finora ha sempre dimostrato di essere interessato soltanto alla verità»
Dalton non si lasciò adulare da quegli elogi, anche se gli parvero sinceri.
«Dunque, di che si tratta?»
«Be’, ecco…è una lunga storia. Tutto ciò che deve sapere è che sono in possesso di alcuni documenti che potrebbero essere utili per riaprire un vecchio caso risalente alla guerra civile»
«Se si tratta di crimini di guerra dovrebbe essere la corte marziale ad occuparsene»
«L’Esercito si è già occupato del caso più di dieci anni fa, le accuse sono ricadute per mancanza di prove, ma nessuno ha realmente indagato a riguardo!»
Eric rimase perplesso: «dunque, quali sono i documenti?»
Robert porse all’investigatore la preziosa cartella che teneva tra le mani. Dalton esaminò il fascicolo, il primo foglio consisteva in un elenco di una decina di nomi, erano soldati repubblicani morti nelle prigioni di Fenit negli ultimi spasmi della guerra civile.
«E’ la testimonianza di un sottufficiale dell’Esercito, il quale sosteneva che quegli uomini fossero stati assassinati. Il sergente John McCarthy ha poi ritrattato le accuse e si è dimesso subito dopo questi avvenimenti» spiegò il poliziotto.
«Dunque la sua deposizione non ha alcun valore»
O’ Neil sospirò: «io credo che McCarthy sia stato costretto a ritirare le sue dichiarazioni, non penso che abbia deciso di abbandonare l’Esercito senza una valida motivazione»
Dalton rimase dubbioso, non era intenzionato a fidarsi troppo di quel giovane che era comparso come un fantasma nel mezzo della notte portando con sé i pericolosi spettri della guerra civile. Inoltre quel caso era praticamente inesistente, sarebbe stato impossibile lavorare con così poche prove, e in fondo quelle accuse erano soltanto supposizioni.
Era ormai certo di non volere aver a che fare con quella faccenda quando ad un tratto qualcosa attirò la sua attenzione. Un nome in particolare era citato più volte in quelle pagine.
«Il maggiore Patrick O’ Donnell è coinvolto nei fatti?» chiese con aria sconvolta.
«Già, è lui ad essere ritenuto il principale colpevole di quegli omicidi»
Dalton non poté credere a quelle parole. Si indignò di fronte a quelle insinuazioni, l’unico modo per provare la sua innocenza sarebbe stato scoprire la verità.
In quel momento un altro dubbio riaffiorò nella sua mente.
«Per quale ragione è così interessato a questa faccenda?»
Robert abbassò lo sguardo: «uno di quei militanti era mio padre. Voglio scoprire la verità sulla sua morte»
Eric fu sorpreso da quella rivelazione, se fino a quel momento era rimasto alquanto scettico ora aveva trovato ben due validi motivi per accettare quel caso.
 
 
 
 
 
 
 
Note
[1] La Guerra Civile irlandese fu combattuta tra il 1922 e il 1923 tra i ribelli dell’IRA (oppositori del Trattato Anglo-irlandese) e il National Army.
 
[2] Dopo il Trattato del 1922 le forze anglo-irlandesi del RIC (Royal Irish Constabulary) furono sostituite dal corpo di polizia nazionale Garda Síochána (Guardie della Pace).
 
[3] Le due guerre sono appunto la Guerra d’Indipendenza (1919-1921), combattuta dai militanti irlandesi contro le forze britanniche, e la seguente Guerra Civile (1922-1923).
 
Chiedo scusa ai lettori se alcune informazioni dovessero risultare un po’ confuse, sarebbe alquanto difficile spiegare un argomento così complesso come l’Indipendenza irlandese in poche note. Per questo ho deciso di limitarmi a riportare le nozioni fondamentali.
 

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Capitolo 2
*** La testimonianza del sergente McCarthy ***






Quella notte il detective Dalton rimase sveglio fino a tardi per iniziare a leggere con attenzione le pagine di quel misterioso fascicolo.
 
La notte del 5 marzo 1923 ero di guardia alle prigioni di Fenit. Da una settimana erano rinchiusi dieci prigionieri repubblicani, tutti soldati della Second Kerry Brigade. Il maggiore O’ Donnell si occupava spesso degli interrogatori, i suoi metodi erano alquanto discutibili, eppure nessuno osò mai contraddire i suoi ordini.
Egli era convinto che non dovessimo avere pietà per quei criminali.
Assistetti di persona all’interrogatorio di Sean Lehane, egli era l’unico ufficiale che eravamo riusciti a catturare, dunque era anche la nostra risorsa più importante. All’inizio il maggiore O’ Donnell non faceva mai il lavoro sporco, ordinava ai suoi sottoposti cosa fare e si limitava a porgere le domande.
Lehane venne sottoposto a diverse torture, le stesse che O’ Donnell aveva imparato dagli inglesi. Le percosse iniziali furono un semplice sfogo. I soldati atterrarono il prigioniero spingendolo e strattonandolo. Un militare gli salì sulla schiena torcendogli con violenza un braccio all’indietro.
Successivamente Lehane fu legato a una sedia, i militari iniziarono a interrogarlo, per incitarlo a rispondere o per punire il suo silenzio non esitavano a colpirlo con pugni e calci.
O’ Donnell camminava tranquillamente avanti e indietro per la stanza, fumava la sua sigaretta restando impassibile alle atroci urla di dolore del prigioniero. Ogni tanto si fermava davanti a lui, allora un soldato lo costringeva ad alzare la testa per guardare il suo aguzzino negli occhi.
L’ufficiale porgeva la sua domanda, non ottenendo risposta spegneva la sigaretta sulle braccia nude di Lehane per poi ricominciare tutto da capo. Contai dodici bruciature.
Alla fine un soldato liberò il prigioniero, ma soltanto per afferrarlo per i capelli e affondare con violenza il suo viso in una bacinella d’acqua gelida. Il giovane resistette a lungo, finché stremato non perse i sensi. O’ Donnell si assicurò che fosse ancora vivo prima di abbandonarlo nella sua cella.
Il giorno dopo a Lehane fu riservata la tortura delle pinze, ma preferisco non dilungarmi troppo su questa parte. Il prigioniero tornò nella sua cella con le unghie strappate, una mano fratturata e il volto tumefatto. Quella sera durante il turno di guardia incontrai il maggiore O’ Donnell, aveva le mani ancora sporche di sangue, mi rivolse un inquietante sorriso e sparì con aria soddisfatta in fondo al corridoio.

 
Dalton fu costretto ad interrompere la lettura, un’intensa sensazione di nausea e disgusto iniziò a diffondersi nel suo corpo. Non poteva credere che quelle informazioni fossero vere. McCarthy doveva essere un impostore, Patrick O’ Donnell non era un sadico assassino.
Eric richiuse il fascicolo e si distese sul letto, aveva bisogno di riposare dopo i recenti avvenimenti.
Si voltò verso la moglie, la quale era sdraiata sul fianco, dolcemente addormentata.
Il giovane le accarezzò dolcemente il viso sfiorandola con la punta delle dita. Tentò di non pensare agli orrori che aveva appena letto distraendosi davanti alla sua figura così bella e innocente.
Alla fine anch’egli si abbandonò alla stanchezza, cadendo in un sonno agitato e tormentato.
 
***

Il mattino seguente Dalton decise di iniziare le sue indagini dagli archivi militari.
Doveva trovare più informazioni possibili sull’unico testimone, ovvero il sergente John McCarthy.
Il detective si ritrovò a frugare tra cassetti impolverati e fogli ingialliti, dopo un lungo lavoro di ricerca riuscì finalmente a trovare i preziosi documenti.
Dalton sfogliò le pagine in cerca di informazioni interessanti.
McCarthy si era arruolato nell’Esercito nel febbraio del 1922, all’età di vent’anni. Aveva ottenuto la carica di sergente poche settimane prima dello scoppio della guerra civile. Non c’erano particolari note su di lui, McCarthy sembrava il candidato perfetto per una brillante carriera nell’Esercito.
Poi all’improvviso egli aveva deciso di dimettersi dal suo incarico, non c’era alcuna spiegazione, ma le date coincidevano con gli avvenimenti che avevano avuto luogo nel Kerry.
Dalton si ritrovò tra le mani un biglietto scritto a mano, il foglio portava la firma del capitano Fitzgerald.
 
20 marzo 1923.
A proposito del sergente J. McCarthy.
La questione è stata risolta senza problemi, mi auguro che episodi simili non accadano più tra i nostri uomini. L’Esercito non può tollerare simili atti di insubordinazione.
Per ulteriori chiarimenti ritengo opportuno rivolgersi al maggiore O’ Donnell.
Non ho nulla da aggiungere alle precedenti dichiarazioni.

 
Il detective intuì che quella nota dovesse essere riferita al rapporto che includeva le dimissioni del sergente. Ancora una volta il nome di O’ Donnell era citato in quella vicenda.
I documenti riguardanti le dimissioni di McCarthy erano incompleti e confusi, probabilmente i responsabili della questione erano interessati a far sparire in fretta quelle carte.
Ciò insospettì ulteriormente il giovane investigatore.
 
Dalton tornò nel suo ufficio stanco e deluso, aveva lavorato per ore senza scoprire nulla di nuovo.
L’investigatore recuperò la testimonianza di McCarthy, per precauzione aveva deciso di portarla sempre con sé. Non si fidava dei cassetti difettosi del suo studio.
 
Tornando agli eventi del 5 marzo, come ho già detto quella notte ero in servizio. Poco dopo la mezzanotte un gruppo di militari giunse nelle prigioni, indossavano le divise del National Army, ma non avevo mai visto nessuno di loro prima di quel momento. I soldati raggiunsero le celle e prelevarono i prigionieri. Lehane non era nemmeno in grado di reggersi in piedi e fu trasportato dai suoi compagni.
Quando chiesi spiegazioni mi dissero semplicemente che stavano eseguendo gli ordini del maggiore O’ Donnell. Quando provai a protestare fui minacciato con una baionetta, mi dissero che la questione non mi riguardava e mi spinsero con forza contro il muro.
Ancora frastornato seguii i soldati nel cortile della caserma, i prigionieri furono caricati su un Crossley Tender. Fu in quel momento che nell’oscurità riconobbi una figura familiare, il maggiore O’ Donnell scambiò qualche parola con un ufficiale, poi salì anch’egli sul furgone.
La camionetta prese la strada verso la campagna e scomparì nell’oscurità. Non so cosa accadde quella notte, ma quei prigionieri repubblicani tornarono a Fenit dentro a una bara.

 
Dalton poggiò il fascicolo sulla scrivania avvertendo un intenso brivido lungo la schiena. Si prese la testa tra le mani, preoccupato e sconvolto da quella faccenda.
In quel momento qualcuno bussò alla porta del suo ufficio, era il cadetto Harris.
«Che succede?» domandò il detective.
Il giovane poggiò una lettera sulla sua scrivania: «un ragazzo mi ha detto di consegnarla a lei»
Eric gli rivolse un’occhiata confusa: «un ragazzo? Non ti ha detto il suo nome?»
Harris negò scuotendo la testa.
«Era un giovane alto, con i capelli rossi e le lentiggini?»
«A dire il vero non sono riuscito a vederlo bene poiché aveva il volto nascosto dal cappello ed è scappato via quasi subito»
Dalton rimase perplesso, se non si trattava di O’ Neil chi poteva essere il mittente?
La giovane recluta si sporse sulla scrivania e con curiosità sbirciò le pagine del rapporto.
Il detective richiuse rapidamente il fascicolo: «dannazione Harris! Non dovresti ficcare il naso nelle cose che non ti riguardano!»
Egli si ritrasse con aria colpevole: «mi spiace signore, ma è tutto il pomeriggio che è chiuso qua dentro, mi chiedevo a cosa stesse lavorando di così importante»
Dalton si pentì per la sua irruenza, quel ragazzo si era sempre comportato come la sua ombra fin dal primo momento in cui aveva messo piede in quella caserma. In un certo senso poteva ormai consideralo come suo assistente.
«Mi spiace Harris, ma per questo caso non ho bisogno del tuo aiuto. Si tratta di una questione riservata»
La recluta non riuscì a nascondere la propria delusione: «certo signore, mi spiace per averla disturbata»
Con rassegnazione Harris abbandonò la stanza.
Eric attese finché il giovane non scomparì nel corridoio, poi aprì la busta con titubanza. Al suo interno non trovò alcuna lettera, ma soltanto il disegno di un rosa. Il detective riconobbe immediatamente il simbolo repubblicano.
Dalton non rimase particolarmente sorpreso, avrebbe dovuto capirlo fin dall’inizio, l’IRA era coinvolta in quella storia.


Dalton rifletté a lungo su quella situazione, nemmeno tra le tranquille mura domestiche riuscì a liberarsi dalle proprie preoccupazioni. Rimase steso sul letto con lo sguardo al soffitto, i pensieri cominciavano a confondersi nella sua mente.
Aileen notò la sua aria pensierosa, la ragazza si avvicinò rannicchiandosi contro di lui.
«Che ti succede? Stasera sei così silenzioso...» disse sfiorando il suo petto.
Eric la guardò negli occhi e le accarezzò dolcemente il capo passando le dita tra i lunghi capelli castani.
«Scusami, è colpa del lavoro»
«Si tratta del nuovo caso di cui ti stai occupando?»
Egli annuì: «già...non mi era mai capitato nulla del genere prima d’ora»
«Che cosa ti preoccupa?»
Dalton sospirò: «non sono sicuro di voler scavare nel passato della guerra civile, il popolo irlandese ha sofferto a lungo ed ora desidera soltanto dimenticare»
Aileen notò qualcosa di strano in quelle parole, suo marito aveva sempre creduto fortemente nei propri ideali, per lui nulla era più importante della verità.
«Per quale motivo sei così titubante a riguardo di questa storia?»
Egli esitò prima di rispondere: «il principale indiziato è Patrick O’ Donnell»
La giovane si stupì: «stai dicendo che un eroe di guerra potrebbe essere in realtà un criminale?»
«Be’, al momento non so ancora nulla. Una parte di me vorrebbe provare la sua innocenza, ma devo essere obiettivo. Nel caso in cui egli fosse veramente colpevole sarei costretto a condannare uno degli uomini più amati d’Irlanda»
«Faresti semplicemente il tuo lavoro»
Eric strinse la moglie tra le sue braccia: «vorrei avere la certezza di star facendo la cosa giusta»
Lei accarezzò dolcemente il suo viso: «non dovresti preoccuparti per questo, tu hai sempre creduto nella verità»
«Questa volta non è così semplice…» ammise con rammarico.
«Voglio che tu sappia che in ogni caso io rimarrò sempre al tuo fianco» disse Aileen guardandolo negli occhi.
Eric la baciò con passione e dolcezza, lei era sempre stata disposta a incoraggiarlo e sostenerlo.
 
***

All’ora prestabilita Dalton si presentò all’incontro con Robert, per precauzione avevano scelto un altro locale situato nei bassifondi della città.
Parlare in modo formale con quel ragazzo era alquanto strano, così Eric aveva naturalmente deciso di rivolgersi a lui in toni più amichevoli. O’ Neil invece mostrava sempre un certo rispetto nei suoi confronti.  
«Purtroppo non ho trovato molto negli archivi, ma ora ho la certezza che McCarthy abbia deciso di abbandonare l’Esercito proprio a causa della sua testimonianza»
«Dunque adesso è disposto a credermi?»
Eric rimase diffidente: «prima voglio sapere tutta la storia di questo fascicolo. Come è finito nelle tue mani?»
Robert esitò: «non ha importanza, i documenti sono autentici»
Dalton insistette: «non ho dubbi a riguardo, per questo voglio sapere da dove provengono!»
O’ Neil rimase in silenzio.
Il detective sfiorò l’arma senza esitazione: «so che i repubblicani sono coinvolti, potrei arrestarti con l’accusa di essere un collaborazionista dell’IRA! Non costringermi a minacciarti e dimmi la verità!»
Robert osservò il suo interlocutore con aria spaventata, alla fine cedette e si decise a confessare.
«Sono stati i repubblicani di Fenit a rubare quel dossier. Un ufficiale dell’IRA mi ha proposto di indagare a riguardo, ma da solo non avrei mai potuto scoprire la verità» ammise.
Dalton faticò a credere a quella storia: «tu sei un militante dell’IRA?»
Il giovane negò: «no, io…sono davvero un poliziotto e voglio solo scoprire la verità sulla morte di mio padre»
Il detective rifletté qualche istante, quella storia stava diventando sempre più pericolosa.
«D’accordo, voglio crederti. Domani riprenderemo le indagini e proveremo a rintracciare il signor McCarthy»
Robert alzò lo sguardo mostrandosi riconoscente: «la ringrazio per aver deciso di aiutarmi, le prometto che farò il possibile per rendermi utile»
Eric decise di riporre in lui la sua fiducia, quel ragazzo era confuso e spaventato, ma sembrava sincero.
 
***

L’indirizzo trovato da Dalton corrispondeva a una nota via del Liberties, ovvero il quartiere operaio di Dublino. Il detective e il giovane poliziotto passeggiarono lungo le rive del Liffey e attraversarono Grattan Bridge. Passarono davanti al Municipio e al Castello per attraversare il parco.
Si soffermarono ad ammirare la facciata della cattedrale di San Patrizio, poi si inoltrarono nel Liberties. Vagando per le strade si trovarono davanti a un paesaggio triste e monotono, le costruzioni in mattone erano avvolte dall’intenso fumo nero.
I lavoratori discutevano a bassa voce e camminavano a capo chino con lo sguardo fisso a terra.
Fortunatamente l’indirizzo risultò esatto, Dalton bussò con decisione alla porta dell’appartamento.
Aprì una donna con un bimbo in braccio, il detective si presentò e chiese di poter parlare con il signor McCarthy. Lei lasciò entrare i due giovani e indicò una porta chiusa in fondo al corridoio.
Eric bussò nuovamente, una voce gli diede il permesso di entrare.
Robert seguì il detective nel piccolo salotto. Davanti a loro comparve un uomo poco più che trentenne, il quale aveva già il volto segnato dalle rughe del tempo e della fatica. Aveva il viso coperto di cenere e i capelli scuri stavano ingrigendo precocemente. 
«Lei è John McCarthy?» domandò Eric.
L’uomo annuì.
«Scusi per il disturbo, sono il detective Dalton e lui è l’agente O’ Neil» disse indicando il suo compagno.
McCarthy parve irrigidirsi davanti ai distintivi.  
«Per quale motivo siete qui?»
«Vorremmo parlare con lei di ciò che accadde a Fenit nel marzo del 1923»
John rispose con un'amara risata: «siete un po’ in ritardo…»
«Abbiamo ritrovato la sua testimonianza, pensiamo che lei sia stato costretto a ritirare le sue accuse»
McCarthy parve realmente sorpreso: «credevo che quei documenti fossero stati distrutti»
«Forse lei non era l’unico a credere che quei repubblicani fossero stati assassinati dall’Esercito» ipotizzò Dalton.
John alzò le spalle: «in ogni caso ormai è troppo tardi, il passato è passato, non c’è più nulla da dire a riguardo»
Il detective insistette: «signor McCarthy, il ragazzo che ha davanti è il figlio di uno di quei prigionieri, è giunto fin qui per scoprire la verità»
John osservò con attenzione il giovane poliziotto, in quel momento capì perché quello sconosciuto avesse per lui un’aria così familiare.
«Come si chiamava tuo padre?»
Robert rispose con voce tremante: «Damien O’ Neil»
McCarthy continuò ad analizzare il viso del ragazzo: «sì, mi ricordo di lui...mi capitò di conversare con tuo padre durante la sua prigionia. Egli non provava rancore per i connazionali che si erano schierati sul fronte opposto. Era un soldato convinto dei propri ideali, ma era anche un uomo buono e onesto. Tu gli assomigli davvero tanto»
Il giovane avvertì gli occhi umidi, a stento trattenne un singhiozzo.
«La prego signor McCarthy, abbiamo davvero bisogno del suo aiuto. Vogliamo scoprire la verità per donare giustizia alle famiglie delle vittime»
Dalton rimase sorpreso da quelle parole, inizialmente aveva pensato che il coinvolgimento emotivo di O’ Neil avrebbe creato problemi, invece in quel caso ciò ebbe un effetto positivo.
McCarthy si lasciò commuovere dalle parole del giovane abbandonando così il suo comportamento freddo e ostile.
«Purtroppo non c’è molto altro che possa fare, tutto ciò che so a riguardo è scritto in quel fascicolo»
«Per quale ragione ha deciso di ritirare le accuse?» chiese Dalton.
John sospirò: «a quel tempo la legge era alquanto arbitraria, ma durante la guerra era stata istituita la legge marziale. Io non avevo le prove per dimostrare che quei prigionieri fossero stati uccisi ingiustamente»
«Sappiamo che ci furono delle indagini a riguardo»
«Già, ma non furono mai concluse, il caso venne archiviato per mancanza di prove»
«Per quale motivo decise di abbandonare l’Esercito?»
«Ero giovane e idealista, dentro di me sapevo che i miei commilitoni stavano nascondendo la verità sulla morte di quei prigionieri, quindi decisi di abbandonare un Esercito falso e corrotto»
«Fu una sorta di protesta?»
«Se vuole vederla in questo modo…»
«Dunque non fu costretto a ritirare la sua dichiarazione»
McCarthy deglutì a vuoto: «O’ Donnell sapeva che ero stato io a rivelare certe informazioni, ma non arrivò mai a minacciarmi direttamente. Mi chiamò nel suo ufficio, quando fu certo che non sapessi nulla di compromettente mi disse semplicemente che avrei fatto meglio a dimenticare tutta quella faccenda»
«Ed è quello che ha fatto?»
John rivolse con rammarico lo sguardo verso Robert: «da allora quei fantasmi non hanno mai smesso di perseguitarmi. Credetemi, se avessi avuto modo di scoprire la verità non avrei esitato a rendere giustizia a quei repubblicani»
 
Dalton e O’ Neil si ritrovarono nuovamente per le strade sporche e polverose del Liberties.
«Dunque? Lei crede che sia stato sincero?» domandò Robert con aria perplessa.
Eric si portò la sigaretta alle labbra: «non vedo per quale ragione potrebbe mentire»
«E le sue accuse contro Patrick O’ Donnell?»
«Non lo so, ci sono ancora troppe parti oscure in questa vicenda» disse il detective espirando una nuvola di fumo.
O’ Neil si limitò ad annuire con aria pensierosa.
«Devo congratularmi con te, ti sei comportato bene, grazie alla storia di tuo padre McCarthy ha deciso di collaborare» ammise il Dalton.
Robert abbassò lo sguardo: «non ho raccontato tutto ciò soltanto per convincerlo»
Eric lo notò intristirsi, si sentì in colpa per aver trascurato il suo dolore.
«Lo so, mi dispiace» disse il detective poggiando una mano sulla sua spalla.
Il ragazzo si asciugò una lacrima: «non siamo riusciti a ricavare molto da tutto questo. Che cosa faremo adesso?»
Dalton rifletté qualche istante: «la nostra unica possibilità per riuscire a trovare qualche indizio è scavare nel passato di O’ Donnell, a quanto pare egli non è stato l’eroe che l’Irlanda ha onorato in tutti questi anni»
«Lei crede che sia davvero colpevole?»
Il detective gettò a terra il mozzicone: «tutti sono innocenti fino a prova contraria, al momento noi abbiamo soltanto supposizioni»
 
***

Eric si lasciò cadere sulla poltrona davanti al camino, nel silenzio restò ad ammirare i giochi di luci e ombre creati delle fiamme ardenti.
Inevitabilmente si ritrovò a pensare al suo passato, non poteva credere che tutta la sua vita si fosse basata su una menzogna. Il maggiore Patrick O’ Donnell era l’uomo che aveva sempre stimato e ammirato. 
Il popolo irlandese lo ricordava ancora come un eroe, ma anch’egli nascondeva un lato oscuro.
Per un istante Dalton provò il desiderio di gettare quel dannato fascicolo nel fuoco e dimenticare per sempre quella storia. Sarebbe stato semplice e liberatorio, eppure non poteva tradire se stesso e la propria integrità. Da quel momento Patrick O’ Donnell non era più l’eroe di una Nazione, ma un comune sospettato.
 
Dalton si riprese da quei pensieri accorgendosi della presenza della moglie, la ragazza scivolò tra le sue braccia. Eric l’accolse stringendola a sé, rimase ad osservarla nella penombra della sala e le scostò delicatamente una ciocca castana dal viso.
«Sei bellissima» le sussurrò dolcemente all’orecchio.
Aileen arrossì come una ragazzina.
Dalton parve divertito dalla sua reazione e decise di stare al gioco e continuando la sua sceneggiata romantica.
«The very soul within my breast is wasted for you, love! The heart in my bosom faints to think of you, my Queen»
Lei sorrise: «da quando sei diventato un amante della poesia?»
Eric si accorse di non aver scelto a caso quelle parole, improvvisamente tornò serio e pensieroso. 
«Roisin Dubh, è antico un poema patriottico mascherato dietro a un sonetto d’amore. La donna a cui è dedicata la poesia in realtà è l’Irlanda, per questo la Rosa è diventata un simbolo repubblicano» spiegò il detective.
La moglie intuì che ci fosse di più dietro alle sue parole: «che cosa vuoi dirmi in realtà?»
Eric sospirò, non poteva nascondere la verità alla donna che amava.
«L’altro giorno ho ricevuto una lettera che conteneva il disegno di una rosa nera, il simbolo dell’IRA»
«I repubblicani ti hanno mandato un messaggio?»
«Già, a quanto pare anche loro sono interessati a scoprire la verità sul caso O’ Donnell»
Aileen si preoccupò: «che cosa vogliono da te?»
Suo marito cercò di calmarla: «per il momento vogliono solo farmi sapere che ci sono loro dietro a questa storia. Probabilmente credono che io possa condannare O’ Donnell per vendicare la morte dei loro compagni»
«Hai intenzione di collaborare con i repubblicani?»
Dalton scosse la testa: «questa faccenda rischia di diventare molto pericolosa. Non sono un sostenitore dell’IRA, ma quei soldati sono morti in nome dei propri ideali, rispetto la loro dedizione e il loro coraggio. Devo loro giustizia, anche se questo potrebbe portare a gravi conseguenze»
Aileen si strinse al marito, non poteva impedirgli di fare ciò che riteneva giusto, ma temeva che questa volta la questione fosse molto più seria e pericolosa.
Eric percepì la sua preoccupazione, ma non poté fare nulla per rassicurarla, ormai aveva preso la sua decisione. 

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Capitolo 3
*** Il giovane ribelle ***





Il tenente Colbert McGowan era il figlio di un noto ufficiale che si era creato un’ottima reputazione durante la Grande Guerra. Così la sua famiglia aveva ottenuto un ruolo rilevante nella società ed egli poteva vantare diverse conoscenze importanti nei ranghi dell’Esercito.
Dalton era stato invitato più volte dall’amico a diversi eventi mondani, anche se aveva presenziato soltanto ad un’elegante cena di Natale per accontentare sua moglie, la quale aveva dovuto insistere per convincerlo. Generalmente preferiva evitare quegli ambienti.
In quel momento però il detective pensò che sarebbe stato utile sfruttare la posizione del suo collega.
«Tu conosci il colonnello Murtagh?»
L’ufficiale rispose con orgoglio: «sì, certo. E’ un vecchio amico di mio padre»
Dalton giunse subito al punto: «avrei bisogno di parlare con lui»
«E’ per il tuo caso riguardante la guerra civile?»
Eric annuì.
«Non so se posso aiutarti. Di cosa si tratta esattamente?»
Il detective esitò, ma alla fine decise di fidarsi dell’amico.
«Voglio interrogarlo sul passato di Patrick O’ Donnell»
McGowan s’irrigidì: «sarebbe lui il tuo indiziato?»
Dalton si limitò a confermare con un cenno del capo: «ho scoperto che Murtagh e O’ Donnell hanno combattuto insieme per molti anni. Probabilmente il colonnello può aiutarmi più di chiunque altro»
Colbert scosse la testa ed incrociò le braccia con disappunto: «questa storia non mi piace affatto. La guerra civile ha già causato abbastanza disgrazie a questo Paese»
«In un certo senso hai ragione, ma ho il dovere di riportare alla luce la verità»
Il tenente l’ammonì: «questa faccenda potrebbe essere pericolosa»
Eric ripensò al messaggio dell’IRA: «ne sono consapevole»
McGowan cedette: «d’accordo, vedrò cosa posso fare. Però sono tuo amico e voglio essere sincero nei tuoi confronti, nessuno vuole ricordare gli orrori e i dolori della guerra. Forse questa verità è stata sepolta e dimenticata per una buona ragione»
Dalton rimase sorpreso da quelle parole, normalmente avrebbe sostenuto che nulla era più importante della verità, ma guardando l’amico negli occhi avvertì la sua reale apprensione.
«Cercherò di agire con dovuta prudenza» disse Eric per rassicurarlo.
 
 
McGowan rispettò la sua parola e riuscì a organizzare un incontro per quell’interrogatorio.
Quel pomeriggio Dalton si presentò nell’ufficio del colonnello sempre accompagnato dall’agente O’ Neil.
Gerald Murtagh era un uomo di cinquant’anni, il suo fisico da soldato e il suo sguardo austero contribuivano a renderlo ancora più severo e autoritario
«Mi hanno già avvertito del motivo della sua visita» disse il colonnello rivolgendosi all’investigatore.
«Bene, la ringrazio per la disponibilità»
L’ufficiale si sistemò sulla sedia: «è trascorso molto tempo, ma ricordo bene Patrick O’ Donnell. Quando ci siamo conosciuti era soltanto un ragazzo»
«E’ ancora in contatto con lui?» domandò Dalton.
«Oh, no. Dopo la guerra non ci siamo più rivisti»
«Capisco, suppongo che lei conosca già il motivo delle nostre indagini»
«A dire il vero non so perché la polizia sia interessata a un caso archiviato più di dieci anni fa, ma se posso essere utile farò il possibile per aiutarvi»
O’ Neil rimase in silenzio, dovette trattenersi per nascondere il suo nervosismo.
«Che cosa volete sapere a riguardo di O’ Donnell?» domandò il colonnello.
«Siamo interessati al suo passato, in particolare al suo ruolo negli ambienti repubblicani. Se non sbaglio partecipò alla Rivolta del 1916 sotto al suo comando»
Murtagh annuì: «sì, certo. Ma è meglio partire dall’inizio…»
 
***

Nel 1915 Patrick O’ Donnell era un diciassettenne che tentava di sopravvivere in uno dei quartieri più poveri di Dublino. Suo padre era partito per la guerra, sua madre era una modesta lavandaia mentre i suoi fratelli lavoravano in fabbrica giorno e notte.
Patrick, nonostante la giovane età, aveva già avuto problemi con la legge a causa del suo carattere irruento e ribelle. Era stato arrestato due volte dagli agenti della Metropolitan[1], la prima per aver partecipato ad una manifestazione socialista e la seconda per aver fatto a pugni con un poliziotto durante uno sciopero.
Patrick era stato costretto a trovare un altro impiego, finendo così a lavorare come garzone in un vecchio pub nascosto in un polveroso scantinato. Il giovane scoprì in fretta che quel locale era in realtà un covo di repubblicani. Il ragazzo fu preso in simpatia dai militanti, i quali gli proponevano sempre più spesso di eseguire compiti per conto dell’IRB[2]. Doveva controllare persone, origliare discorsi, ma soprattutto portare messaggi.
Il giovane inizialmente aveva accettato quelle commissioni solo per la generosa ricompensa, ma ben presto aveva creato rapporti di fiducia e amicizia con quei giovani ribelli.
Fu così che Patrick conobbe Gerald Murtagh, il quale era un noto rappresentante dell’IRB, nonché comandante del 2° Battaglione degli Irish Volunteers[3]. Il ragazzo rimase particolarmente colpito da quell’incontro, Murtagh era un uomo intrigante e carismatico. Fu lui ad avvicinare il giovane agli ambienti rivoluzionari dei Feniani e alla politica del Sinn Féin[4]. Da allora Patrick iniziò a frequentare abitudinariamente le riunioni del partito e pian piano si avvicinò sempre di più agli ideali di Indipendenza.
Ben presto anch’egli cominciò a credere in tutto ciò, insieme ai suoi compagni sognava un’Irlanda libera dal dominio britannico.
Nell’estate del 1915 Patrick O’ Donnell pronunciò il suo giuramento, promise di dedicare la sua vita alla lotta per la Libertà e divenne ufficialmente un militante degli Irish Volunteers.
 
Nell’aprile del 1916, quando a Dublino scoppiò la Rivolta, Patrick non esitò ad unirsi ai suoi compagni per combattere.
I militanti del 2° Battaglione marciarono lungo Blackhall Street e raggiunsero le postazioni a nord-ovest della città. Il piano prevedeva l’occupazione del Tribunale e delle aree circostanti per preparare una difesa contro i prevedibili attacchi che sarebbero giunti dalle Royal Barracks e dalle caserme di Marlborough. Gli uomini della D Company invece ricevettero l’ordine di appostarsi sul lato opposto del Liffey per rallentare l’avanzata nemica, così il capitano Sean Heuston occupò l’edificio della Mendicity Institution.
O’ Donnell fu coinvolto nel primo vero combattimento avvenuto durante l’Easter Rising. Egli seguì i suoi compagni a Phoenix Park, il loro obiettivo era piazzare bombe ed esplosivi.
Il Fortino di Phoenix Park, realizzato nel XVIII secolo, era un’imponente costruzione militare in stile italiano situata a St Thomas’ Hill. Aveva una struttura a stella pentagonale, caratterizzata da alte mura e rivellini. Le truppe britanniche utilizzavano il forte come magazzino per armi e munizioni.
I militanti prepararono un piano per poter entrare nell’edificio, poiché Patrick era uno dei più giovani e determinati fu scelto per un ruolo particolare.
Verso mezzogiorno un piccolo gruppo di militanti giunse fuori dalle mura, erano tutti ragazzi ed indossavano abiti civili. I giovani cominciarono a giocare a calcio, correndo per il campo esplorarono la zona accanto alle fortificazioni. O’ Donnell sapeva di dover rendere credibile quella sceneggiata, ciò non fu difficile, in fondo erano davvero dei semplici ragazzi impegnati in una partita. Durante il gioco i militanti si avvicinarono sempre di più alla sentinella che era di guardia all’entrata del deposito. Patrick attese pazientemente, poi al momento giusto diede il segnale. I ragazzi abbandonarono la partita e all’improvviso corsero ad avventarsi contro l’inglese. O’ Donnell gettò l’uomo a terra mentre un suo compagno tentò di strappargli l’arma dalle mani.
Nel frattempo l’altro gruppo più consistente di militanti armati approfittò della situazione per entrare all’interno.
Patrick abbandonò la sentinella ormai inerme nelle mani dei suoi compagni, il ferito fu trascinato insieme agli altri ostaggi. 
Il giovane seguì il resto dei Volunteers, il deposito delle guardie fu depredato dai militanti, i quali sequestrarono armi, munizioni ed esplosivi.
In poco tempo i ribelli conquistarono il forte, altri soldati britannici presi in ostaggio furono radunati all’interno del deposito. O’ Donnell ritrovò la sentinella che aveva aggredito, l’inglese aveva il volto coperto di sangue, durante la lotta per disarmarlo l’irlandese l’aveva colpito più volte in pieno volto. La guardia britannica aveva il volto tumefatto, il naso rotto e un labbro spaccato, ma la ferita più preoccupante era quella alla testa.  O’ Donnell in preda alla foga dello scontro si era accanito con eccessiva violenza contro il suo avversario. 
Patrick ignorò i suoi lamenti, in quel momento il comandante Murtagh entrò nella stanza con altri prigionieri.
«Tutto sta andando secondo i piani. I nostri hanno già piazzato gli esplosivi» disse l’ufficiale con orgoglio.
O’ Donnell rispose con un sorriso compiaciuto.
«Forza, dobbiamo andarcene da qui o salteremo tutti in aria!»
Quelle parole allarmarono gli inglesi, i quali iniziarono ad agitarsi. Gli irlandesi puntarono le armi ordinando loro di calmarsi.
Dopo aver riportato l’ordine Murtagh parlò chiaramente: «quando l’ultimo dei nostri uomini avrà lasciato questa stanza sarete liberi di andare. Ah, non dimenticate di prendervi cura del ferito»
Detto ciò il comandante ordinò ai militanti di abbandonare l’edificio.
Patrick diede un ultimo sguardo ai nemici, poi corse via insieme ai suoi compagni.
Purtroppo le cose non andarono come previsto, non tutte le mine detonarono e l’esplosione non fu abbastanza potente per distruggere il Fortino.
Ciò dipese dal fatto che nel deposito erano rimasti solo pochi esplosivi poiché quasi tutti gli armamenti erano stati prelevati per essere utilizzati oltre la Manica nella Grande Guerra.
 
***

Il colonnello Murtagh sospese il suo racconto, abbassò lo sguardo e sospirò con aria pensierosa.
«Patrick era un buon soldato, ma aveva un carattere irruento e irascibile. A volte era pericoloso, non potevi mai sapere cosa aspettarti da lui»
«Si sta riferendo a qualcosa in particolare?» domandò il detective Dalton.
«Ricordo ancora la sentinella di Phoenix Park, era ridotta davvero male. O’ Donnell non era stato in grado di controllarsi e aveva agito d’istinto accanendosi contro il nemico con eccessiva violenza»
«Al tempo però la cosa non sembrò preoccuparla»
«Eravamo in guerra, ognuno di noi aveva le proprie ragioni per odiare gli inglesi» replicò freddamente.
Dalton non poté contraddirlo, ormai erano trascorsi vent’anni, ma lo spettro dell’egemonia britannica spaventava ancora il popolo irlandese.
«Dunque O’ Donnell era abituato alla violenza?»
Murtagh alzò le spalle: «a quei tempi tutti noi conoscevamo bene il sapore del sangue»
Il detective rimase perplesso, ma preferì attendere la fine di quella storia prima di trarre le sue conclusioni.
Il colonnello ricominciò a parlare.
 
***

La Rivolta si rivelò un fallimento, i ribelli combatterono con tenacia e determinazione, ma lo scontro con le forze britanniche era imparziale e insostenibile.
Alla fine i repubblicani vennero sconfitti, tutto ciò portò a gravi conseguenze. I leader furono condannati e giustiziati, mentre i militanti catturati furono imprigionati.
Patrick O’ Donnell, all’età di diciotto anni, venne schedato dagli inglesi come nemico della Corona pericoloso e sovversivo. Egli fu portato nelle caserme di Richmond dove conobbe Martin Savage, un altro giovane militante, nonché suo coetaneo. Condivisero la stessa cella solo per pochi giorni, ognuno in attesa della propria condanna. Savage era un giovane timido e riservato, il suo volto era ancora quello pulito e innocente di un ragazzino. Nonostante ciò anch’egli era determinato e disposto a tutto per liberare l’Irlanda dall’egemonia britannica.
Molti dei militanti rinchiusi a Richmond erano destinati ad essere giustiziati nelle prigioni di Kilmainham. Sia O’ Donnell che Savage furono risparmiati per la loro giovane età. Entrambi furono condannati a scontare la loro pena in Gran Bretagna.
Quando i soldati giunsero a prelevarlo Savage non oppose resistenza, era consapevole del suo imminente destino. 
Patrick avrebbe desiderato seguire il suo compagno, mentre egli veniva trascinato via si aggrappò alle sbarre gridando il suo nome.
I due si scambiarono un ultimo sguardo, probabilmente erano certi che loro strade si sarebbero riunite. 
Patrick dovette attendere ancora una settimana prima del suo trasferimento. Egli fu destinato al campo di internamento di Frongoch, nel Galles. Si trattava di una vecchia distilleria abbandonata dove erano stati rinchiusi i prigionieri tedeschi catturati durante la guerra.
Dopo la Rivolta i tedeschi furono trasferiti altrove per far spazio a quasi duemila prigionieri irlandesi. I militanti repubblicani affrontarono la situazione con estrema dignità ed insistettero per essere trattati a tutti gli effetti come prigionieri di guerra.
Fu qui che O’ Donnell ritrovò il comandante Murtagh, insieme ad altri vecchi compagni e numerose figure rilevanti nello scenario repubblicano.
Nel cortile della prigione Patrick assistette per la prima volta a un discorso di Michael Collins, anch’egli catturato dagli inglesi durante la Rivolta.
Con il tempo il campo divenne noto negli ambienti repubblicani come ollscoil na réabhlóide, ovvero l’Università della Rivoluzione.
Così O’ Donnell trascorse la sua prigionia imparando a diventare un vero soldato repubblicano, apprendendo nozioni militari e strategie di combattimento dai compagni più esperti.
La situazione al campo era instabile e imprevedibile, si alternavano momenti di pace e tranquillità ad inspiegabili e improvvise esplosioni di violenza.
Tra sacrifici e ingiustizie O’ Donnell rimase rinchiuso nel campo di Frongoch per quasi due anni.
 
***

A causa del poco tempo a disposizione il colonnello fu costretto ad interrompere il suo resoconto.
Le sue rivelazioni erano state interessanti, ma alla fine egli non aveva fornito molte informazioni utili.
Robert era rimasto impressionato da un particolare: «adesso sappiamo che O’ Donnell durante la Rivolta ha quasi picchiato un uomo a morte»
«Non possiamo trarre conclusioni affrettate. Già dalla testimonianza di McCarthy conoscevamo il fatto che egli ricorreva spesso alla violenza» replicò il detective.
«Per lei questa non è una prova?»
«Non è una prova decisiva» specificò Dalton.
Robert sbuffò: «dunque siamo sempre al punto di partenza?»
«Purtroppo siamo ancora all’inizio»
«Il colonnello Murtagh era un amico di O’ Donnell, forse sta cercando di proteggerlo»
«Murtagh è un uomo d’onore, non ci avrebbe raccontato certe cose se avesse voluto mentire sul passato di O’ Donnell»
O’ Neil non credette pienamente a quelle parole.
«Forse gli inglesi non avrebbero sbagliato a condannarlo…»
Dalton lo rimproverò: «dovresti avere più rispetto, O’ Donnell ha combattuto per la Libertà del nostro Paese»
«Ciò non esclude il fatto che possa essere un assassino» concluse il poliziotto.
 
***

Aileen si svegliò nel mezzo della notte. Nell’oscurità cercò la presenza del marito, ma ben presto si accorse di essere sola. La ragazza si preoccupò nel trovare il posto accanto a lei freddo e vuoto.
Immediatamente uscì dalla stanza accorgendosi che la luce del piccolo studio era ancora accesa.
Fermandosi sulla porta notò la sagoma del marito chinato sulla sua scrivania.
«Eric…»
Egli alzò lo sguardo, era talmente immerso nel suo lavoro da non essersi nemmeno accorto della sua presenza.
«Come mai sei ancora sveglio? Dovresti riposare»
Il detective osservò l’orologio: «non credevo fosse così tardi, devo aver perso la nozione del tempo»
«Questo caso ti sta facendo impazzire, ho paura che non ci sia nulla di buono in questa faccenda»
Dalton tentò di tranquillizzarla: «sto bene, non preoccuparti»
Aileen osservò i documenti sparsi sul piano della scrivania, la sua attenzione ricadde su una fotografia, era un ritratto in divisa di O’ Donnell. L’ufficiale era in posa, aveva le braccia incrociate sul petto e lo sguardo fisso davanti a sé. Il volto serio e inespressivo e il suo sguardo impenetrabile gli donavano un’aria autorevole. I capelli biondi erano pettinati e perfettamente curati.
«Non posso credere che egli sia davvero un criminale» commentò tristemente Aileen.
«Già…al momento anche io ho dei dubbi…» ammise Dalton.
«E’ assurdo, ricordo che sognavo un marito come lui quando ero una ragazzina»
«Tu avresti voluto sposare un uomo come O’ Donnell?»
«Era un giovane affascinante» confessò con lieve imbarazzo.
Eric si impensierì, non poté contraddirla, in fondo anch’egli era rimasto ammaliato dalla sua figura, anche se per altre ragioni.
Sua moglie sorrise: «che hai? Per caso sei geloso?»
Lui negò con finta indifferenza, ma non riuscì a nascondere il fatto che in qualche modo quella rivelazione l’aveva infastidito.
Aileen lo guardò negli occhi e sfiorò il suo viso.
«Adesso basta, vieni a letto» disse tentandolo con lascivi baci sul collo e tenere carezze.
Eric socchiuse gli occhi e si abbandonò qualche istante alle attenzioni sempre più insistenti della moglie. Avrebbe ceduto volentieri, ma fu costretto a tornare alla realtà.
A fatica si distaccò dal suo abbraccio.
«Devo finire di sistemare questo rapporto, è importante» replicò tornando al suo lavoro. 
Aileen si rassegnò, salutò il marito con un ultimo bacio e abbandonò la stanza.
Rimasto solo Dalton osservò nuovamente il ritratto di O’ Donnell. In quell’istante bloccato nel tempo egli era rimasto un eroe dall’animo puro, eppure dietro a quell’apparenza si nascondevano oscure verità.
 
 
Quella sera Robert rimase fino a tardi all’Hynes pub solo con i suoi pensieri e una bottiglia di whiskey scadente. Il locale era ormai vuoto, coloro che erano rimasti erano soltanto operai ubriaconi. Il giovane si rialzò da tavolo avvertendo un leggero giramento di testa, non era abituato all’alcol.
O’ Neil lasciò il denaro sul bancone e si avviò verso l’uscita. All’improvviso avvertì qualcuno strattonarlo per la giacca, il giovane rabbrividì avvertendo il metallo gelido di una pistola.
Due uomini si affiancarono a lui, il primo l’aveva bloccato puntandogli l’arma alla schiena, il secondo invece si era posizionato davanti alla porta per impedirgli la fuga.
Gli sconosciuti lo intimarono a restare in silenzio e lo trascinarono fuori dal salone.
Robert fu portato in una stanza sul retro, venne spinto violentemente contro al muro e gli fu ordinato di alzare le mani.
Egli obbedì senza capire che cosa stesse accadendo. Con sua sorpresa dopo averlo disarmato i due abbassarono le pistole.
Robert osservò i due sconosciuti, nell’oscurità non riuscì a identificare i loro volti.
Colui che l’aveva disarmato si accomodò su una sedia e con calma si accese una sigaretta: «mi spiace per questa brutale accoglienza, ma è stato necessario renderti inoffensivo. Siamo qui solo per parlare»
Il giovane sussultò: «che cosa volete da me?»
«Credevo che il comandante O’ Ryan fosse stato chiaro. Davvero credevi che ti avremmo lasciato andare liberamente dopo averti fornito quei documenti?»
«E’ stato lui a mandarvi qui? Volete controllarmi?»
«Tu hai un compito molto importante in questa missione, vogliamo essere certi che tutto vada secondo i piani»
Robert sbuffò: «io non sono una pedina dell’IRA, sto soltanto portando avanti il mio lavoro!»
Lo sconosciuto accennò un sorriso sghembo: «puoi credere quello che vuoi, a noi importa soltanto di O’ Donnell»
«Se siete convinti della sua colpevolezza perché avete voluto coinvolgere la legge?»
«Perché tutta l’Irlanda deve sapere la verità, il governo deve confessare e ammettere le sue colpe»
O’ Neil si mostrò alquanto riluttante.
«Che succede? Non vuoi condannare il responsabile della morte di tuo padre?»
Robert trasalì: «io…voglio soltanto giustizia»
«Davvero? Da quando hai accettato di collaborare con noi non hai mai pensato alla vendetta?» chiese il militante con tono cupo.
«Non potrei rendere giustizia a mio padre e ai suoi compagni versando altro sangue»
«E’ così che funziona: una vita per una vita. Sulla coscienza di O’ Donnell ci sono almeno dieci cadaveri!»
O’ Neil trovò abbastanza coraggio per rispondere: «voi non siete migliori di lui!»
L’uomo rimase serio e inespressivo: «i repubblicani hanno combattuto per questo Paese, tuo padre è morto in nome dei propri ideali»
«Egli aveva buone intenzioni, ma non è stato in grado di capire che aveva superato il limite»
«Noi non siamo spietati criminali»
«Eppure non esitate a ricorrere alla violenza…»
Egli alzò le spalle: «solo quando è necessario. Per il bene dell’Irlanda siamo disposti ad uccidere, ma anche a morire»
Robert rimase colpito da quelle parole, aveva sempre ripudiato i metodi dell’IRA, ma in quel momento provò rispetto nei confronti di quei militanti, coraggiosi e determinati, disposti a tutto in nome della Libertà.
Lo sconosciuto si rialzò in piedi: «dunque, come proseguono le indagini?»
«Al momento non abbiamo ancora trovato nulla di rilevante»
L’altro s’innervosì: «il comandante non sarà affatto contento di ciò»
«Il detective Dalton ha intenzione di scavare a fondo in questa faccenda per trovare la verità»
L’uomo assunse un’aria pensierosa: «già…il detective Dalton. Quel bastardo ha arrestato alcuni nostri compagni, come puoi fidarti di lui?»
«Egli vuole soltanto scoprire la verità»
«Spero che tu abbia ragione…in ogni caso abbiamo già provveduto ad avvertirlo. Ormai dovrebbe essere consapevole delle nostre intenzioni. Spero che non deluda le nostre aspettative»
«Dalton è un uomo onesto e leale, potete fidarvi di lui»
Il militante strinse la pistola: «d’accordo, abbiamo ancora tempo. Alla fine O’ Donnell avrà la sua condanna, in un modo o nell’altro…»
 
 
 
 
 


Note
[1] Dublin Metropolitan Police, forza di polizia anglo-irlandese attiva a Dublino dal 1836 al 1925. Successivamente la Metropolitan venne unita alla Garda Síochána.
 
[2] Irish Republican Brotherhood, organizzazione segreta nata dal movimento dei Feniani, il cui scopo era quello di istituire in Irlanda una Repubblica Democratica Indipendente.
 

[3] Organizzazione militare attiva dal 1913 costituita da volontari repubblicani.
 
[4] Partito repubblicano irlandese fondato nel 1905.
 
 

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Capitolo 4
*** La città delle ombre ***






Le informazioni rivelate dal colonnello Murtagh sembravano corrispondere alla realtà. O’ Donnell era stato arrestato il 29 aprile 1916 quando il comandante Pearse aveva ordinato al 2° Battaglione di arrendersi al nemico. Era stato prigioniero nelle caserme di Richmond e aveva condiviso la cella con Martin Savage.
Il detective ritrovò facilmente il rapporto del loro arresto, entrambi erano stati schedati come nemici della Corona. Quei documenti affermavano che O’ Donnell si era rifiutato di rispondere alle domande durante gli interrogatori e che si era dimostrato poco collaborativo, schernendo e irridendo i soldati britannici.
Era presente anche una fotografia segnaletica del giovane, sul suo volto pallido erano evidenti i segni di lividi e percosse, di certo gli inglesi non erano stati clementi nei suoi confronti.
Patrick O’ Donnell era stato rinchiuso a Richmond dal 29 aprile al 10 maggio, l’ultimo documento che portava la firma di un ufficiale britannico riguardava la sua deportazione al campo di Frongoch.
 
Era trascorsa ormai una settimana dall’inizio delle indagini e ancora non c’era stato alcun progresso. Dalton stava iniziando a dubitare che quelle ricerche avrebbero potuto portare a buoni risultati.
Era ancora immerso in questi pensieri quando il cadetto Harris bussò alla porta.
«Signore, questo è il resoconto che aveva chiesto. Purtroppo non sono riuscito a trovare molto…»
Eric prese il foglio tra le mani ed iniziò a leggere.
 
Martin Savage, nato a Ballisodare (County Sligo) il 12 ottobre 1897.
Il padre, Michael Savage, era un noto esponente del movimento Feniano.
Sono stati ritrovati documenti che testimoniano una fitta corrispondenza tra Martin Savage e alcuni rappresentanti repubblicani, tra cui Dan Breen e Sean Hogan.
Savage partecipò all’Easter Rising nella primavera del 1916, 1° Battaglione della Dublin Brigade, coinvolto negli scontri per l’occupazione del Tribunale. Fu catturato e arrestato dall’Esercito britannico il 29 aprile.
Il 30 aprile venne trasferito nelle prigioni di Knutsford (Cheshire, Inghilterra). Egli fu rilasciato nel 1918 a seguito dell’amnistia che la Gran Bretagna concesse ai prigionieri irlandesi.
Martin Savage si riunì ai militanti dell’IRA ottenendo la carica di tenente nel 2° Battaglione della Dublin Brigade. 
Fu ucciso il 19 dicembre 1919 a Dublino durante una sparatoria nel quartiere di Ashtown.
I documenti riguardanti i dettagli dell’attentato risultano irreperibili.

 
Dalton alzò lo sguardo: «che significa che i documenti risultano irreperibili?»
«Signore, erano conservati negli archivi dell’Intelligence britannica, probabilmente sono stati persi o distrutti dopo la fine della guerra»
Eric ringraziò la recluta, poi con rassegnazione e delusione tornò al suo lavoro.
 
Tutto ciò che il detective Dalton riuscì a trovare a riguardo degli eventi del 19 dicembre 1919 fu un vecchio articolo dell’Irish Independent.
Un gruppo di militanti dell’IRA aveva organizzato un attentato al convoglio di Lord French, il quale al tempo investiva la carica di Comandante Supremo dell’Esercito britannico in Irlanda.
L’attentato fallì e i militanti furono costretti a ritirarsi e fuggire, ci furono dei feriti tra i soldati britannici, ma l’unica vittima fu Martin Savage.
Dalton rimase particolarmente colpito dai toni utilizzati dal giornalista nei confronti dei ribelli, i quali erano descritti come crudeli assassini che avevano commesso un atto criminale e oltraggioso.
Il detective si indignò nel leggere quelle insinuazioni unioniste, inoltre ritenne che quelle parole non serbassero il minimo rispetto per la morte di Savage. Pur non approvando i metodi violenti dell’IRA comprendeva che al tempo lo scontro armato era inevitabile, il popolo irlandese aveva combattuto una guerra di Liberazione con determinazione e coraggio.
Martin Savage meritava di essere ricordato come un martire e non come un criminale.
 
Il detective rifletté a lungo sulla questione, il testimone che sperava di interrogare in realtà era morto all’inizio della guerra. Dalle parole del colonnello sembrava che Savage fosse stato un buon amico di O’ Donnell, probabilmente anch’egli era presente a quell’attentato.
Dalton si accigliò, forse quella faccenda non lo riguardava, eppure era certo che avrebbe potuto ricavare informazioni importanti.
L’investigatore decise di condividere i suoi dubbi con il tenente McGowan. I due amici discussero della questione in un pub durante la pausa pranzo.
«Credevo che fossi interessato al caso di Fenit» disse Colbert tra un boccone e l’altro.
«Prima voglio avere le idee chiare sul ruolo di O’ Donnell in quella guerra, per questo sto cercando più informazioni possibili sul suo passato»
«Mi spiace, ma il colonnello Murtagh è parecchio occupato al momento, non credo che sarà disposto a sottoporsi a un secondo interrogatorio»
Eric scosse la testa: «dopo la prigionia in Gran Bretagna O’ Donnell è stato reclutato dagli uomini di Collins…dovrei rintracciare uno di loro»
Il tenente McGowan bevve l’ultimo sorso di birra: «non sarà facile, ma suppongo che tu sia convinto ad andare fino in fondo a questa storia»
«Credevo che fossi contrario alle mie ricerche»
«Ti conosco abbastanza bene da sapere che non ti arrenderai tanto facilmente»
Nonostante tutto Dalton sorrise, in fondo il suo amico aveva ragione.
 
Quella sera il detective rientrò a casa con aria afflitta, quel caso era diventato un vero tormento.
L’unico modo per distrarsi dalle preoccupazioni e liberarsi da quella terribile sensazione di frustrazione fu abbandonarsi tra le braccia di Aileen, la quale l’accolse sempre con calore e affetto nel letto matrimoniale.
Eric dimenticò gli spettri del passato, strinse a sé il corpo caldo e nudo della moglie, sfiorò i lineamenti del suo viso e tornò a baciarla con passione. Si soffermò ad ammirare la donna sdraiata sotto di lui, aveva il viso leggermente arrossato, gli occhi socchiusi in uno spasmo di piacere e i lunghi capelli castani sparsi sul cuscino. Poteva avvertire il battito accelerato del suo cuore e il respiro affannato, la ragazza fremeva e gemeva al suo tocco. Si avventò nuovamente su di lei, non era ancora sazio del suo amore.
Restarono abbracciati nell’oscurità, Aileen si rannicchiò accanto al marito, consapevole che alle prime luci dell’alba tutto ciò sarebbe svanito.
 
***

Robert seguì il detective per le strade affollate del centro, per tutto il tragitto era rimasto silenzioso mantenendo un’espressione preoccupata sul viso. Il suo ultimo incontro con i militanti dell’IRA l’aveva lasciato pieno di dubbi e incertezze.
Il giovane si strinse nella giacca per ripararsi dal vento: «signore, di preciso dove stiamo andando?»
«Stiamo cercando Thomas Cadwell, un militante del 1° Battaglione della Dublin Brigade. Fu arrestato dagli inglesi durante la Bloody Sunday[1], ci sono prove del suo coinvolgimento nelle azioni organizzate dalla squadra di Collins» spiegò Dalton.
«Crede che quell’uomo abbia avuto a che fare con O’ Donnell?»
«Ovviamente Cadwell non ha mai rivelato i nomi dei suoi compagni alle autorità britanniche, ma O’ Donnell compare più volte nelle liste dei sospettati, dunque abbiamo qualche possibilità a nostro favore»
All’indirizzo di casa non trovarono nessuno. Thomas Cadwell era un noto politico del Sinn Féin, dunque l’idea più semplice fu cercarlo alla sede del partito.
Dalton e O’ Neil entrarono nel locale mostrando i distintivi.  
«Oh, due poliziotti! Qui qualcuno è nei guai!» commentò con ironia l’uomo dietro al bancone.
«Stiamo cercando Thomas Cadwell» disse il detective con tono serio.
«Il vecchio Tommy ha avuto dei problemi?»
«No, vorremmo solo porgli qualche domanda»
«In questo caso è seduto là in fondo, ma non credo che sarà felice di vedervi»
«Per quale motivo?» si incuriosì Dalton.
«Be’, voi siete agenti della Garda Síochána, suppongo siate amici di Eoin O' Duffy[2]. Cadwell è un vero repubblicano, non sopporta i fascisti delle Blueshirts»
«Noi non rappresentiamo un partito politico»
«Certo, voi due siete molto diplomatici e sembrate più tranquilli rispetto ai vostri colleghi, ma per voi ogni scusa è sempre buona per arrestare cittadini onesti e innocenti!»
Dalton cercò di restare calmo: «il nostro unico interesse è far rispettare la legge»
L’uomo rispose con una smorfia ed indicò ai due il tavolo di Cadwell.
Robert rimase sorpreso, era la prima volta che si trovava ad affrontare una situazione del genere. Il giovane si guardò intorno, chiunque in quel luogo stava osservando i due poliziotti con aria sospetta.
Thomas Cadwell era un uomo di quarant’anni, ben vestito, ma dall’aspetto non troppo curato. Era seduto solo al tavolo con un bicchiere di whiskey e una copia dell’An Phoblacht[3].
Si presentò in modo educato pur mostrando una certa avversità nei confronti della loro autorità.
Quando Dalton rivelò il reale motivo della loro visita Cadwell cambiò completamente atteggiamento, dimostrandosi disposto a collaborare.
«O’ Donnell è stato un vile traditore, ha voltato le spalle al bene della Repubblica decidendo di abbandonare l’IRA!» esclamò con estremo disprezzo.
«Noi siamo interessati al suo ruolo nell’ambiente repubblicano, vogliamo capire quali rapporti avesse con i suoi rappresentanti»
«Prima del Trattato O’ Donnell era uno degli ufficiali dell’IRA più stimati di Dublino, fu davvero un peccato perdere un compagno come lui»
«Sappiamo che entrambi eravate membri della squadra di Collins»
Cadwell annuì: «Michael Collins aveva bisogno di un gruppo di militanti fidati e soprattutto determinati ad agire anche nelle missioni più pericolose. All’inizio gli uomini scelti dal comandante dell’IRA erano solo dodici, per questo erano chiamati gli Apostoli. Successivamente si aggiunsero anche altri componenti. Io e O’ Donnell fummo contattati da Dick McKee, un caro amico di Collins. Ci trovammo subito bene insieme, egli era un giovane scaltro e intelligente, al tempo credeva fortemente negli ideali repubblicani. I comandanti ci assegnavano spesso le stesse missioni, quasi tutte sono state concluse con successo»
«In cosa consistevano queste missioni?»
Cadwell mostrò un amaro sorriso: «eravamo in guerra, detective. Secondo lei di che cosa potevamo occuparci?»
Dalton esitò: «si trattava quindi di…omicidi?»
«Abbiamo ucciso rappresentanti di ogni organizzazione britannica: Esercito, Metropolitan, Intelligence, Cairo Gang…ma la nostra preferita era assolutamente la G Division. Non abbiamo lasciato scampo a quei bastardi!»
O’ Neil rabbrividì nel sentire quell’uomo che parlava in modo così freddo e distaccato delle sue vittime.
Eric si mostrò titubante, ma poté comprendere la mentalità di quell’ex militante.
«E’ vero, eravamo assassini, ma il nostro compito era rendere giustizia e vendetta ai nostri compagni che venivano impiccati ogni giorno nelle prigioni britanniche. I nostri obiettivi erano spie e informatori, non abbiamo mai fatto del male a degli innocenti»
Dalton non disse nulla a riguardo, non poteva né giudicare né condannare le scelte di un popolo in lotta per la Libertà.
«Siamo qui solo per conoscere la storia di Patrick O’ Donnell»
Thomas annuì: «certamente, tutto iniziò con l’omicidio dell’agente Brewer…»
 
***

Dopo il suo ritorno a Dublino Patrick O’ Donnell si riunì ai militanti dell’IRA. Egli partecipò a diverse missioni per recuperare armi e munizioni dalle caserme britanniche. Ebbe l’opportunità di mettere in atto tutto ciò che aveva imparato nelle prigioni di Frongoch. Così in breve ottenne la carica di tenente, all’età di vent’anni divenne il più giovane ufficiale del 1° Battaglione della Dublin Brigade.   
Nell’estate del 1919 si unì alla squadra di Collins, fu durante quelle riunioni che ebbe modo di conoscere Thomas Cadwell. Egli era un giovane del sud, un militante del Cork che aveva raggiunto la capitale per seguire il suo comandante.
I militanti si ritrovavano ogni settimana in un sicuro appartamento di Crow Street, dove il comandante Tobin decifrava i messaggi degli informatori, creava profili dettagliati e progettava ogni azione in modo preciso e meticoloso.
Durante la loro prima missione Cadwell e O’ Donnell ebbero il compito di occuparsi dell’agente Brewer, il quale era un informatore dell’Intelligence.
 
Una pioggia leggera bagnava le strade deserte del centro, l’unica illuminazione proveniva dalla fioca luce dei lampioni. Patrick si intrufolò nell’ennesimo vicolo del quartiere unionista, finalmente erano giunti alla loro meta. I due irlandesi si appostarono all’angolo e rimasero in attesa della loro vittima.
Cadwell si rannicchiò contro al muro, respirava piano, ascoltando il regolare battito della pioggia sopra ai tetti. La città dormiva nella quiete della notte.
O’ Donnell strinse la Webley tra le dita, ormai era troppo tardi per dubbi incertezze. Aveva rinunciato ad ogni cosa per quella guerra, sacrificando tutto ciò che aveva, compreso se stesso. Stava per commettere un omicidio, era pronto ad agire per il bene dell’Irlanda.
Patrick si riprese da quei pensieri avvertendo l’eco di alcuni passi, poco dopo un’ombra comparve sul fondo della strada. Egli scambiò uno sguardo d’intesa con Thomas, il quale si preparò ad entrare in azione. Appena il loro obiettivo fu abbastanza vicino entrambi uscirono allo scoperto puntando le pistole. L’uomo fu colto di sorpresa e non oppose resistenza quando Patrick lo spinse bruscamente contro la parete per perquisirlo. Cadwell aveva già notato la pistola nella tasca della giacca, quando iniziò a interrogarlo non ebbe più dubbi sulla sua identità, anche se egli si dimostrò più titubante nel rispondere alle domande.
Dopo la sua confessione O’ Donnell non indugiò oltre, il botto dello sparo irruppe nel silenzio, l'inglese si accasciò a terra portandosi una mano al petto.
L’irlandese puntò la pistola alla sua tempia, era intenzionato a premere definitivamente il grilletto quando all’improvviso udì dei rumori sospetti, probabilmente il colpo precedente aveva allertato una squadra di ricognizione.
I militanti dell’IRA non persero tempo, immediatamente fuggirono abbandonando l’inglese agonizzante sul marciapiede.
Cadwell continuò a correre avvertendo le grida delle guardie e i botti degli spari sempre più vicini. Il suo compagno si riparò contro a un muro e rispose al fuoco.
I due tentarono di distaccare i loro inseguitori attraversando caoticamente i vicoli stretti e bui del centro. Non si sentirono al sicuro finché non rimasero soli nelle tenebre.
 
Nel dicembre del 1919 Cadwell e O’ Donnell si ritrovarono coinvolti nell’attentato di Ashtown. Inizialmente la missione era destinata soltanto ai comandanti più esperti, ma per una serie di casualità anche loro presero parte all’azione. Con il suo ritorno in Irlanda Patrick aveva avuto modo di rafforzare la sua amicizia con Savage, anch’egli ufficiale della Dublin Brigade. Fu lui a trascinarlo in quella pericolosa impresa e di conseguenza anche Cadwell li seguì.
Il comandante Breen non ebbe tempo di spiegare ai tre i dettagli del piano, così poche ore prima dell’azione si limitò a dare ordini generali.
«Noi ci occuperemo di Lord French, per voi la questione sarà semplice. Appena avvertirete il segnale dovrete sparare a chiunque indossi una divisa britannica!»
Le sue parole, seppur poco professionali, furono chiare e precise.
Patrick e i suoi compagni giunsero puntuali sul luogo dell’imboscata, i militanti dell’IRA attraversarono Cabra Road e si appostarono all’incrocio di Ashtown Road.
La sentinella avvertì i repubblicani appena scorse il convoglio britannico, quando il bersaglio fu abbastanza vicino il comandante sparò il primo colpo.
Gli eventi che seguirono furono rapidi e confusi, gli irlandesi lanciarono un paio di bombe Mills contro le camionette nemiche, la strada fu avvolta da un’intensa nube di fumo e polvere.
O’ Donnell si ritrovò nel mezzo della sparatoria, era ancora frastornato dall’ultima detonazione quando all’improvviso vide Savage cadere a terra. Il giovane ufficiale si accasciò al suolo, trafitto da un proiettile.
Patrick non esitò nemmeno un istante, incurante del pericolo si affrettò ad attraversare la strada bersagliata dalle pallottole per raggiungere il suo compagno. Subito si chinò su di lui, gli prese il viso tra le mani e gli sussurrò qualche parola per calmarlo. L’amico gli afferrò una manica stringendola con le ultime forze che gli erano rimaste, l’espressione sul suo volto era un misto di dolore e paura.
Consapevole della sorte imminente Savage biascicò le sue ultime parole tra le braccia del fedele compagno.
«Per me è giunta la fine, ma voi dovete continuare a lottare…»
Patrick tentò disperatamente di fermare l’emorragia pur sapendo che ormai era troppo tardi.
Pian piano Savage allentò la presa e il suo sguardo si spense lentamente.
O’ Donnell continuò a premere sulla ferita finché Cadwell non lo allontanò di peso da quel corpo inanime.
«Adesso basta! Non c'è più nulla che tu possa fare»
Il giovane rimase immobile, tremante e con gli abiti macchiati di sangue.
Cadwell lo riportò bruscamente alla realtà: «forza, dobbiamo andare via da qui»
Patrick raccolse da terra la sua pistola singhiozzando e si rialzò con le lacrime agli occhi, Thomas fu costretto a trascinarlo via per allontanarlo. La missione era fallita, i militanti poterono soltanto darsi alla fuga prima dell’arrivo dei rinforzi.
 
Quel tragico evento non placò affatto la sete di sangue di O’ Donnell, al contrario, contribuì ancor di più ad alimentare il suo desiderio di vendetta. Egli continuò a partecipare alle missioni dell’IRA, ovviamente sempre in compagnia di Cadwell.
Il comandante Tobin fu soddisfatto del loro lavoro, tanto che decise di coinvolgere i due giovani in una missione di elevata importanza. Infatti il loro obiettivo fu l’ispettore della G Division William Redmond.
Le informazioni a suo riguardo erano state raccolte da una spia dell’IRA che si era infiltrata tra gli ufficiali del RIC.
In una fredda nottata di gennaio la squadra dell’IRA si appostò agli angoli di Harcourt Street, attendendo pazientemente il ritorno dell’ispettore allo Standard Hotel.
L’informatore era stato particolarmente attento a fornire ogni minimo particolare, aveva riportato ogni dettaglio, anche il fatto che l’ispettore indossava sempre un giubbotto antiproiettile.
Patrick rimase perplesso nel ricevere quella notizia: «esistono giubbe che ti proteggono davvero dalle pallottole?»
Cadwell alzò le spalle: «be’, non sempre sono una protezione sufficiente. Per essere sicuri dovremo mirare alla testa»
O’ Donnell si limitò ad annuire. I militanti non dovettero attendere a lungo, le informazioni risultarono estremamente precise.
Quella volta non ci furono complicazioni, la missione fu portata a termine senza problemi. Un solo e fatale colpo echeggiò nella notte, un altro nemico dell’Irlanda fu sconfitto, un’altra vittima dell’IRA cadde inerme al suolo e la neve di Dublino si macchiò di sangue.
 
***

Cadwell raccontò tutto con estrema tranquillità, terminò il suo racconto con aria triste e malinconica.
«La morte di Martin Savage colpì tutti noi, era un ragazzo timido e introverso, ma tutti sapevano che aveva un buon cuore. Patrick soffrì molto per la sua perdita»
Dalton terminò di scrivere le ultime parole sul suo taccuino.
«Dunque lei e O’ Donnell non avete più avuto rapporti dopo lo scoppio della guerra civile?»
Cadwell scosse la testa: «no, per me Patrick è morto il giorno in cui ha deciso di arruolarsi nel National Army tradendo gli ideali repubblicani»
«Durante la sua militanza nell’IRA O’ Donnell ha mai disubbidito agli ordini dei suoi superiori?»
Il politico negò con estrema fermezza: «Patrick era un giovane impulsivo, ma era anche un ufficiale onesto. Era consapevole di avere delle responsabilità, per lui la guerra era una questione d'onore. Non si sarebbe mai permesso di disobbedire agli ordini dei nostri comandanti»
Il detective apprezzò la sua obiettività, nonostante il rancore che ancora provava nei confronti del vecchio compagno il testimone era stato onesto. Probabilmente il legame che si era creato tra i due militanti durante la Guerra d’Indipendenza era stato più intenso e profondo di quanto Cadwell fosse disposto ad ammettere.  
 
Sulla strada del ritorno Robert non esitò ad esprimere la sua opinione: «O’ Donnell non era soltanto un militante, era un vero assassino!»
«Non possiamo condannare gli uomini che hanno lottato per la Libertà del nostro Paese, stiamo indagando sul passato soltanto per comprendere meglio ciò che accadde a Fenit»
O’ Neil sospirò: «spero che lei sia riuscito a trovare qualcosa di utile, per me queste ricerche sono soltanto una perdita di tempo»
«Devi avere pazienza, quando avremo il quadro completo sarà tutto più semplice»
Robert fu costretto a fidarsi del detective, credeva ancora in lui, anche se i suoi metodi erano alquanto complessi.
 
 
Dalton tornò in commissariato ormai sfinito da quella giornata estenuante.
Il cadetto Harris lo fermò in corridoio: «c’è una persona che ha chiesto di lei, la sta attendendo nel suo ufficio»
Eric sbuffò: «chi è questa persona? Non poteva attendere fino a domani?»
«E’ un agente, ha detto che si tratta di una questione urgente»
Lo sguardo di Dalton si incupì, era certo che quell’incontro avrebbe causato altri problemi. Egli scansò bruscamente il poliziotto e si affrettò a raggiungere la porta del suo studio.
Quando entrò nel suo ufficio trovò un uomo tranquillamente seduto alla sua scrivania con una sigaretta tra le labbra.
«Detective Dalton! E’ davvero un onore conoscerla!»
Eric restò immobile sulla soglia.
«Oh, che maleducato che sono, non mi sono nemmeno presentato. Sono James Beckett, agente del Special Branch»
Egli rimase perplesso, il giovane che si era presentato in modo così esuberante e spavaldo non sembrava affatto un agente segreto.
«Mi hanno detto che voleva parlarmi di una questione urgente» disse con diffidenza.
«Già…si tratta del caso di cui si sta occupando»
«Chi l’ha informata a riguardo?»
Beckett sorrise: «noi del G2[4] sappiamo tutto, ma non sono qui per parlare dei nostri metodi di informazione. Siamo a conoscenza del fatto che sta indagando sul caso O’ Donnell, una faccenda che risulta archiviata dall’estate del 1923»
«Il caso fu abbandonato per mancanza di prove» specificò Dalton.
«Dunque lei ha in mano qualcosa di interessante?»
«Per il momento no, ma ho i miei motivi per continuare le indagini»
L’agente sospirò: «sa una cosa detective? Io credevo che lei fosse molto più intelligente. Insomma, al momento gode di un’ottima reputazione, perché vuole rovinarsi la carriera in questo modo?»
«A me interessa soltanto la verità»
«L’Irlanda vuole dimenticare la guerra, non troverà facilmente testimoni disposti a collaborare»
«Non sono l’unico a volere giustizia in questo Paese»
Beckett guardò il suo interlocutore negli occhi: «voglio essere sincero con lei, signor detective. Non si tratta solo del maggiore O’ Donnell o di chiunque altro sia coinvolto in questa faccenda, questa rischia di diventare una questione di sicurezza Nazionale»
«Io non ho alcun interesse politico»
«Le credo, ma sarà comunque semplice associare la sua ricerca di verità agli interessi repubblicani»
Dalton iniziò a infastidirsi: «il suo capo l’ha mandata qui soltanto per minacciarmi?»
La spia spense il mozzicone nel posacenere: «no, egli è un uomo di classe. Queste non sono minacce, ma consigli. Noi vogliamo aiutarla, dunque è mio dovere avvertirla delle insidie che potrebbe incontrare lungo il suo percorso»
«La ringrazio agente Beckett, ma sono consapevole delle possibili conseguenze»
Egli si rialzò in piedi con evidente disprezzo: «lei non ha idea di quel che sta facendo. Mi creda, farebbe meglio a lasciar perdere questa storia finché è ancora in tempo»
Detto ciò l’agente Beckett si avviò verso l’uscita, prima di oltrepassare la porta si fermò davanti al detective.
«Si ricordi, noi sappiamo sempre tutto» concluse con aria di sfida.
Dalton non si lasciò impressionare dalle parole di quell’uomo, non era intenzionato a lasciarsi intimorire. Nonostante ciò alcuni dubbi iniziarono a riaffiorare nella sua mente.
Inevitabilmente ripensò al coinvolgimento dell’IRA, per i militanti quella era l’occasione perfetta per tornare sul piede di guerra.
E se McGowan avesse avuto ragione? Forse trovare la verità in quel caso non significava fare la cosa giusta.
 
 


 
Note
[1] Il 21 novembre 1920 a Croke Park si disputò una partita di calcio tra le squadre di Dublino e Tipperary. Durante questo evento l’esercito britannico irruppe nello stadio sparando sulla folla come spedizione punitiva contro le azioni dell’IRA. Questa giornata di violenza viene ricordata ancora oggi come Bloody Sunday.
 
[2] Eoin O' Duffy dopo il Trattato anglo-irlandese (1922) divenne commissario della Garda Síochána. Nel 1933 abbandonò il suo incarico e fondò le Blueshirts, un’organizzazione paramilitare che emulava le Camicie Nere italiane e le Camicie Brune tedesche. Negli anni ’30 fu uno dei principali sostenitori del movimento fascista in Irlanda. 
 
[3] Giornale repubblicano pubblicato dal Sinn Féin.

 
[4] Servizi segreti militari.

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Capitolo 5
*** La gabbia di filo spinato ***





Già da tempo Aileen aveva dei sospetti, quando scoprì di essere incinta non seppe come comportarsi. Ovviamente era contenta di portare in grembo quel figlio tanto atteso, ma allo stesso tempo temeva che la lieta notizia fosse giunta nel momento sbagliato.
In quel periodo suo marito era quasi sempre assente, lavorava giorno e notte, spesso usciva di casa lasciando soltanto un biglietto per rassicurarla. Gli istanti trascorsi insieme erano sempre più rari e fugaci. 
Aileen sapeva che quel caso era davvero importante per Eric, non voleva causargli altre preoccupazioni e nemmeno gravarlo con altre responsabilità. Per queste ragioni decise di non rivelare subito la verità, voleva attendere il momento giusto.
La giovane era tormentata da questi dubbi quando ad un tratto avvertì dei battiti alla porta. Immediatamente si riprese da quei pensieri e si affrettò ad aprire. Davanti alla soglia comparve la figura di un ufficiale in divisa.
«Tenente McGowan, è un piacere vederla» disse Aileen con sincerità.
L’uomo sorrise: «ormai ci conosciamo da tanto tempo, non c’è bisogno di essere formali»
Lei lo lasciò entrare: «sì, certamente. Purtroppo al momento mio marito non è in casa»
«A dire il vero sono venuto apposta per parlarti di Eric. Ad essere sincero sono preoccupato per lui»
Aileen invitò l’ospite ad accomodarsi sul piccolo divano.
«Lo so, da quando ha deciso di dedicarsi a questo caso mio marito non è più lo stesso»
L’ufficiale constatò che anche lei era davvero preoccupata, non poté far a meno di notare che l’espressione afflitta sul suo volto non sminuiva affatto la sua bellezza. Il giovane tenente lasciò scorrere lo sguardo sui lineamenti delicati del suo viso, sulle labbra invitanti e il collo sottile…
Colbert cercò di allontanare simili distrazioni, fantasticare era piacevole, ma alla fine fu costretto a tornare alla realtà: la bella donna davanti a lui non era una delle sue possibili conquiste, ma la moglie di un suo stimato collega e lui era giunto in quella casa per un motivo serio e importante.
«Non voglio allarmarti, ma credo che questa faccenda potrebbe diventare davvero pericolosa»
Aileen prese la sua mano: «per favore, Eric ha bisogno di qualcuno che gli stia vicino. Tu sei l’unico vero amico al suo fianco, devi pensare a proteggerlo»
Colbert si sentì onorato nel sentire quelle parole.
«Certo, farò il possibile per tenerlo lontano dai guai» disse ricambiando la sua stretta.
Aileen si rassicurò con quella promessa, il tenente McGowan era un uomo di parola, così decise di fidarsi di lui.
 
***

Il detective Dalton riprese le sue ricerche negli archivi del carcere di Cill Mhaighneann.
L’agente O’ Neil prese dallo scaffale un altro pacco di fascicoli ingialliti e polverosi: «chi stiamo cercando esattamente?»
«Patrick O’ Donnell fu arrestato nel gennaio del 1921 dalle autorità britanniche e scontò una pena di sei mesi nel campo di Ballykinlar. Dobbiamo trovare un testimone…un prigioniero che sia stato internato nello stesso periodo e che abbia avuto modo di conoscere O’ Donnell…» spiegò Eric.
«Tutti questi repubblicani furono deportati nella contea di Down?» chiese Robert osservando i fogli sparsi sulla superficie del tavolo. 
Dalton si limitò ad annuire.
Il giovane poliziotto sospirò, si preannunciava una lunga giornata di duro lavoro.
 
Il ticchettio dell’orologio scandiva il tempo che sembrava scorrere sempre più lentamente. Quello scantinato buio e isolato era inquietante, ogni tanto si manifestava l’ombra di una guardia che passava in corridoio e si avvertiva l’eco dei passi che si avvicinavano e si allontanavano. O’ Neil mascherò uno sbadiglio, avrebbe gradito un’altra pausa per il terzo caffè della giornata, magari allungato con un po’ di buon whiskey. Mentre pensava a ciò il suo sguardo ricadde su alcune informazioni interessanti.
Immediatamente alzò la testa e richiamò l’attenzione del suo compagno.
«Che ne pensa di lui? Sean Higgins, arrestato nel dicembre del 1920 e rilasciato alla fine della guerra. Anch’egli era un soldato della Dublin Brigade, ci sono buone probabilità che si ricordi di O’ Donnell»
Il detective osservò i dati con attenzione: «in effetti è un buon candidato»
O’ Neil parve soddisfatto: «dunque proveremo a interrogarlo?»
«Potrebbe rivelarsi un testimone attendibile» concluse Dalton con aria pensierosa.
 
Colbert era deciso a mantenere la sua parola, Eric era un suo caro amico e sua moglie aveva apertamente richiesto il suo aiuto. Sapeva di non poter convincere Dalton a lasciar perdere quel caso, ma era disposto a fare il possibile per evitare che la situazione peggiorasse ulteriormente.
Il tenente ripensò alla conversazione avuta con Aileen, forse non avrebbe dovuto azzardare una simile promessa, ma in qualche modo si sentiva responsabile per la sorte dell’amico. Quando giunse nel suo ufficio trovò Dalton impegnato nelle sue ricerche.
Eric salutò il tenente con aria distratta senza nemmeno alzare lo sguardo.
«Ho scambiato qualche parola con l’agente O’ Neil, a quanto pare avete un nuovo testimone» disse Colbert avvicinandosi.
«Da quando ti interessa questa faccenda?» chiese Eric.
L’amico alzò le spalle: «si tratta di un caso importante, pensavo di poter dare anche io il mio contributo»
Dalton si insospettì: «non ho bisogno della tua sorveglianza, so gestire da solo questa storia»
«Davvero? Dunque non dovrei preoccuparmi del fatto che questo caso abbia attirato l’attenzione del G2?»
Il detective sussultò: «in questo posto le notizie si diffondono in fretta…»
«L’altro giorno ho visto l’agente Beckett uscire dal tuo ufficio. Lo conosco bene e posso assicurarti che quell’uomo sarebbe disposto a tutto pur di portare a termine una missione. Se ha deciso di ostacolare le tue ricerche troverà il modo di fermarti»
«Dunque che cosa vorresti fare?»
«Probabilmente è una follia, ma ho intenzione di sostenerti in queste indagini, hai bisogno di qualcuno che ti guardi le spalle»
Eric rifletté qualche istante, doveva riconoscere che Colbert fosse realmente esperto ed efficiente sul campo, inoltre il suo aiuto avrebbe potuto rivelarsi nuovamente utile.
«Apprezzo il tuo altruismo, ma sei davvero convinto di questo?»
Il tenente annuì con fermezza, era realmente deciso ad aiutare l’amico a risolvere quel caso, ma la sua priorità restava la promessa fatta ad Aileen.
 
***

Il mattino seguente Eric si preparò al breve viaggio che avrebbe dovuto affrontare, secondo le informazioni in suo possesso il testimone risiedeva a Drogheda, una città situata quaranta chilometri a nord della capitale. Non era un tragitto impegnativo, sarebbe stata sufficiente poco più di un’ora di treno per raggiungere la sua destinazione.
Aileen rimase ad osservarlo in silenzio, era nervosa, non aveva mai mentito a suo marito e non aveva intenzione di iniziare a nascondere la verità. Sapeva di non aver nulla da temere, eppure non riusciva a trovare il coraggio di affrontare quella questione così delicata.
Dalton si avvicinò per abbracciarla, ma lei si liberò rapidamente. Era ancora presto, ma il leggero rigonfiamento del suo ventre iniziava ad essere percepibile.
Eric si sentì in colpa, pensò che il comportamento freddo e distaccato della moglie fosse dovuto alla sua continua assenza.
«Mi dispiace, questo caso sta rubando tutto il mio tempo, non era mia intenzione trascurarti»
Aileen esitò, in quel momento pensò di dirgli la verità, ma il marito si affrettò a concludere quella conversazione.
«Adesso devo andare, ti prometto che mi farò perdonare, d’accordo?»
Lei si limitò ad annuire senza però nascondere la propria rassegnazione. Dalton la salutò con un leggero bacio e rapidamente uscì di casa.
Aileen assistette inerme alla sua partenza. Quando la porta si fu richiusa la giovane poggiò le mani sul grembo, non avrebbe potuto mantenere quel segreto ancora a lungo.
 
 
Il viaggio in treno fu tranquillo, lo scompartimento era quasi deserto. Dalton osservò i suoi due compagni con un sorriso, in effetti erano davvero una strana coppia. Robert era un semplice ragazzo del sud, nervoso e impacciato, mentre Colbert era un rampollo di buona famiglia, esuberante e sfacciato. Facevano uno strano effetto uno vicino all’altro e le loro conversazioni erano davvero esilaranti.
Una volta giunti nella cittadina di Drogheda i tre non persero tempo e si diressero immediatamente alla loro meta. Il detective bussò con esitazione alla porta di una piccola villetta di periferia, una voce atona lo invitò ad entrare, egli attese ancora qualche istante prima di varcare la soglia. Non era certo che fosse stata una buona idea intraprendere quel viaggio, eppure doveva almeno tentare. Era consapevole di star scavando in un passato doloroso e che vecchi rancori non fossero scomparsi, temeva che la sua visita non sarebbe stata gradita. Nonostante ciò Dalton si sentì in dovere di andare fino in fondo a quella storia.
Il giovane entrò in corridoio insieme ai suoi compagni, lentamente il gruppo si avviò verso il salotto. La stanza era fredda e buia poiché le finestre erano sbarrate da spesse assi di legno. La luce del sole filtrava attraverso le fessure illuminando le pareti scrostate e i mobili impolverati. Dalton mosse cautamente qualche passo per raggiungere il tavolo posto al centro della sala, lo squallore del luogo non lo turbò particolarmente, ma avvertì fin dal primo istante una strana inquietudine.
Sean si presentò mostrando una certa diffidenza, la sua figura alta e snella si mosse nella penombra, un fascio di luce illuminò un viso pallido e scarno e un paio di occhi vitrei.
Dalton mostrò il distintivo: «siamo della polizia di Dublino, vogliamo solo porle qualche domanda»
«Non so per quale motivo siate qui, ma suppongo che si tratti di qualcosa di importante» commentò Higgins osservando con discrezione il tenente McGowan.
«Stiamo indagando su un caso riguardante il maggiore Patrick O’ Donnell, stiamo cercando più informazioni possibili sul suo passato. Se non sbaglio avete trascorso lo stesso periodo di prigionia nella contea di Down»
Higgins annuì: «mi ricordo bene di Patrick, a quel tempo egli era noto a tutti noi come il tenente O’ Donnell, comandante del primo battaglione della Dublin Brigade»
«Già, in effetti sono cambiate tante cose dopo il Trattato…»
Sean esitò: «io vorrei davvero rendermi utile, ma non credo di avere le informazioni che state cercando»
McGowan si intromise nel discorso: «se non le dispiace sarà nostro compito valutare l’utilità delle sue parole»
L’uomo si sentì in dovere di assecondare le loro richieste: «d’accordo, farò del mio meglio per ricordare»
Eric iniziò l’interrogatorio: «dunque lei conobbe O’ Donnell nel campo di internamento di Ballykinlar?»
Sean confermò: «per tutti noi quel luogo era noto come “La gabbia di filo spinato”. Io ero il prigioniero di guerra numero 312 della baracca 21»
Dalton rimase impressionato dalla precisione e la vividezza di quei ricordi, era evidente che Higgins rivivesse quell’oscuro passato ogni notte nei suoi incubi.
Ad un tratto Sean si rialzò: «aspettate, ho qualcosa che potrebbe interessarvi»
I tre ospiti rimasero immobili e silenziosi mentre Higgins si avvicinò a un cassetto e recuperò alcuni oggetti. L’uomo tornò con una fotografia e un piccolo quaderno.
«All’interno del campo non potevamo avere molti effetti personali, ma c’era qualche eccezione. Agli inglesi non importava se scrivevamo, anche il gaelico era permesso, nulla poteva uscire dai confini del filo spinato. La fotografia invece ha una storia interessante, un prigioniero era riuscito a procurarsi una macchina fotografica e il chimico dell’ospedale fu un buon collaboratore…quei pochi scatti sono l’unica testimonianza delle condizioni di vita degli internati a Ballykinlar»
Dalton osservò gli uomini in posa davanti a una baracca di legno, in lontananza era visibile la fitta rete di filo spinato. Riconobbe subito il signor Higgins, con più attenzione riuscì ad individuare anche O’ Donnell, il quale era praticamente irriconoscibile. Il suo fisico era provato dai lunghi mesi di prigionia, la sua magrezza era impressionante, aveva il volto scavato e gli occhi infossati. Nonostante ciò mostrava sempre un’espressione fiera e dignitosa, nel suo sguardo brillava ancora il desiderio di rivalsa.
Il detective poggiò la fotografia sul tavolo e aprì il quaderno, era un piccolo diario dove Higgins e altri prigionieri avevano impresso i loro pensieri e le loro memorie. Eric si soffermò a leggere una breve poesia.
 
Just a line dear Comrade
Your memory to recall
The time you spent in prison
With the Boys from Donegal
I want you to remember me
To all the boys from Cork
Who made the name of Erin ring
From Paris to New York
I want to be remembered
To comrades one and all
Who fought to free old Ireland
From Cork to Donegal. [1]

 
Dalton si commosse nel leggere quelle parole, inevitabilmente pensò ai sacrifici e alle sofferenze che i suoi connazionali avevano sopportato per liberare l’Irlanda.
«Sappiamo che la sua fu una tragica esperienza, ma abbiamo bisogno di sapere la verità»
Higgins osservò la fotografia con aria afflitta: «io…vorrei davvero aiutarvi, ma quando conobbi Patrick le cose erano molto diverse…»
«Siamo disposti ad ascoltare la sua versione dei fatti»
Sean sospirò: «d’accordo, suppongo cha sia giunto il momento di affrontare il periodo più oscuro del mio passato. Patrick giunse nel campo di Ballykinlar durante il mio secondo mese di internamento, quando lo vidi per la prima volta credetti che non avrebbe resistito a lungo in quella prigione…»
 
***

Patrick O’ Donnell venne arrestato nel gennaio del 1921 a seguito del fallimento dell’attentato alla caserma di Arbour Hill. I militanti dell’IRA catturati dalle autorità britanniche furono rinchiusi nelle prigioni del carcere di Cill Mhaighneann per essere interrogati e condannati.
O’ Donnell non tradì i suoi compagni, sopportò ogni umiliazione senza mai cedere e senza rivelare alcuna informazione al nemico. Gli inglesi lo sottoposero alle torture più atroci, dai violenti pestaggi passarono poi a metodi più crudeli. Per una settimana Patrick giacque nella sua cella con il volto tumefatto, le unghie strappate, le costole incrinate e il corpo cosparso di lividi. Gli ufficiali si stancarono presto di avere a che fare con un prigioniero così restio a collaborare, così si occuparono in fretta della sua condanna. Appena il ferito si fu ripreso dall’ultimo pestaggio fu destinato al primo convoglio diretto alle caserme di Abercorn.
Patrick O’ Donnell, ancora ignaro del suo destino, venne prelevato dalla sua cella e insieme ad un gruppo di altri suoi compagni si ritrovò su una camionetta diretta alla stazione. I prigionieri irlandesi furono caricati su un treno merci e deportati al nord senza alcuna spiegazione.
Patrick aveva già vissuto la dura esperienza delle prigioni britanniche, ma non in quelle condizioni, ferito e gravemente malnutrito.
Il treno si fermò in una stazione sconosciuta nel mezzo della campagna della contea di Down. Gli irlandesi furono spinti giù dal vagone e strattonati dai soldati, i quali si limitarono a dare ordini ignorando domande e proteste. I prigionieri dovettero marciare per tre miglia, la meta a loro sconosciuta era il campo di internamento di Ballykinlar, situato lungo la costa di Dundrum, non molto distante dai villaggi di Downpatrick e Newcastle.
Patrick a stento riusciva a reggersi in piedi, le gambe tremavano e rischiavano di cedere ad ogni passo. Il giovane aveva anche le mani ammanettate e i polsi doloranti.
A metà strada O’ Donnell inciampò perdendo l’equilibrio, cadde in avanti ritrovandosi in una pozza di melma. Il giovane intravide un paio di stivali ben piantati al suolo, un inglese lo spronò a rialzarsi.
Patrick rimase immobile, era troppo avvilito per muoversi.
«Non mi hai sentito? Avanti, in piedi!» insistette l’ufficiale.
Egli non reagì.
L’inglese iniziò a spazientirsi, così lo colpì ad un fianco con un calcio, l'irlandese gridò contorcendosi per il dolore.
«Alzati!» ripeté con più impeto.
O' Donnell dovette ricorrere a tutte le forze che gli erano rimaste per spingersi sulle ginocchia. Si rialzò barcollando, quando tornò in piedi avvertì nuovamente il fucile premuto contro la sua schiena.
«Bene, e adesso cammina!»
Per il resto del tragitto l’inglese si limitò a ribadire gli ordini, intimandolo a procedere lungo la strada.
Quando finalmente i prigionieri giunsero ai confini del campo si ritrovarono ad attraversare un’ampia area deserta delimitata da fitte reti di filo spinato. Patrick avvertì un brivido, il silenzio in quel luogo era inquietante. Per la prima volta vide altri prigionieri del campo, i quali vagavano come ombre e fantasmi tra le baracche di legno.
Così Patrick O’ Donnell divenne il prigioniero di guerra numero 327, assegnato alla baracca 21. La notte del suo arrivo al campo fu collocato in una stanza fredda a buia, nelle capanne non erano presenti nemmeno le brande, i prigionieri furono costretti a sdraiarsi sulla paglia umida.
Patrick trascorse la sua prima settimana nell’ospedale del campo, dopo l’estenuante marcia e la prima notte al gelo dovette affrontare i deliri della febbre. In quel momento O’ Donnell pensò che fosse giunta la fine e che quelli sarebbero stati davvero i suoi ultimi giorni. Trascorse lunghe notti in preda alle allucinazioni e ai tremori, mentre il suo corpo continuava a soffrire e deperire.
La guerra però non era finita e il suo spirito non si era ancora spezzato, questa forza interiore non lo abbandonò nemmeno in quel terribile periodo di agonia.
Lentamente il giovane si rimise in forze, almeno per quel che bastava agli inglesi per considerarlo idoneo a tornare insieme agli altri prigionieri.
Fu così che avvenne il suo primo incontro con Sean Higgins. Il suo compagno lo vide tornare all’interno della baracca in condizioni pietose ed ebbe il buon cuore di prendersi cura di lui. Da quel momento tra i due si instaurò una sincera amicizia, nata principalmente dalla necessità di sostenersi a vicenda per sopravvivere.
 
Le tensioni all’interno del campo esplosero con il progredire della guerra, il regime britannico raggiunse l’apice della propria brutalità nel marzo del 1921.
Era una piovosa mattina di primavera, O’ Donnell e Higgins stavano trasportando delle casse nel magazzino delle caserme sotto l’attenta sorveglianza dei soldati britannici. Patrick affondava nel fango ad ogni passo, il suo carico era troppo pesante per il suo fisico ormai ridotto allo stremo delle forze. Nonostante ciò il giovane continuò ad avanzare imperterrito, consapevole che se si fosse arreso prima di giungere alla meta i suoi aguzzini non avrebbero perso l’occasione per punirlo.
Stavano attraversando i confini del campo quando all’improvviso avvertirono delle urla. Patrick si fermò, probabilmente stava davvero accadendo qualcosa di insolito poiché anche le guardie si voltarono ad osservare la scena. Un ufficiale stava puntando la sua Webley contro un prigioniero, il quale era inginocchiato a terra, a capo chino, inerme e tremante sotto la pioggia scrosciante.
Patrick e Sean si scambiarono uno sguardo preoccupato, anche gli altri testimoni non osarono muovere un muscolo, restando paralizzati e atterriti.
All’improvviso un botto echeggiò nel silenzio, l'inglese giustiziò il prigioniero con un solo colpo alla testa. L'ufficiale constatò la morte del condannato, poi ripose l’arma e si allontanò senza mai voltarsi. Il corpo senza vita dell'irlandese restò riverso in una pozzanghera sporca di sangue.
O’ Donnell avvertì gli occhi lucidi, aveva ormai imparato a reprimere la rabbia, dentro di sé sentì soltanto un profondo dolore. Quell’episodio turbò anche le guardie, le quali ordinarono agli altri prigionieri di tornare al loro lavoro, affrettandosi ad abbandonare il luogo del delitto.
 
O' Donnell si ritrovò spesso a ripensare all'accaduto, trascorreva intere notti insonni oppure cadeva vittima di incubi e allucinazioni. Ricordava il cadavere del suo compagno, a volte il volto di quello sconosciuto prendeva le sembianze di Martin Savage, risvegliando in lui il dolore e il senso di colpa per la sua perdita. Patrick si risvegliava urlando dal terrore, ormai era convinto che presto anch'egli avrebbe condiviso il loro triste destino.
Higgins tentava di rassicurarlo, la loro unica speranza era confidare nell’imminente fine della guerra.
 
Nonostante le esplosioni di violenza e il rigido regolamento che i condannati erano costretti a rispettare all’interno del campo si era creato anche un rassicurante equilibrio e i prigionieri vivevano quotidianamente nella loro piccola società. Gli irlandesi disponevano di tempo libero e all’interno delle baracche avevano organizzato diverse attività, ovviamente sempre sotto il controllo delle autorità.
Nel campo era presente anche una scuola dove i giovani ribelli provenienti dalle campagne avevano potuto istruirsi, imparando a leggere e scrivere in inglese e gaelico. O’ Donnell si receva spesso in quella baracca per parlare con Seamus O’ Reilly, uno scrittore repubblicano che durante la sua prigionia si era reso disponibile come insegnante in quella scuola improvvisata.
O’ Reilly possedeva alcuni libri e Patrick chiedeva periodicamente in prestito i suoi preziosi volumi per combattere la noia e distrarsi dalla dura realtà. Inoltre apprezzava dialogare con un uomo così colto, pur non comprendendo sempre a fondo i suoi discorsi.
I prigionieri avevano anche istituito un’organizzazione politica all’interno del campo, un vero e proprio Consiglio aveva il compito di negoziare con le autorità britanniche per migliorare le condizioni dei detenuti. Ogni baracca aveva il suo rappresentante, Patrick O’ Donnell fu eletto Capo della numero 21, ben 18 voti a suo favore su 25, egli era riuscito facilmente a conquistare la fiducia e la stima dei suoi compagni.
In questo modo ebbe l'occasione di constatare che non tutti gli ufficiali di guardia al campo erano spietati e brutali. Alcuni inglesi si dimostrarono disponibili al dialogo e accettarono anche di valutare le richieste dei condannati.
I prigionieri ottennero il diritto di scrivere una lettera a settimana, ma dovevano provvedere da soli a procurarsi carta e francobolli. Patrick riusciva sempre a trovare il modo per spedire la sua preziosa busta. Le missive erano tutte destinate a Elizabeth Keating, una giovane attivista del Cumann na mBan[2], nonché fidanzata e promessa sposa di O’ Donnell.  
Tutte le lettere erano censurate dagli inglesi, quindi egli non aveva modo di apprendere nulla di ciò che stava accadendo all’esterno del campo, né di fornire precise informazioni sulla propria condizione.
Ciò non era molto importante, Patrick pensava solo a sopravvivere fino al giorno della sua liberazione e quelle lettere erano il suo unico conforto.
 
Mia adorata Lizzie,
non voglio mentirti, devo ammettere che la situazione è alquanto drammatica e difficile da sopportare.
Tutti i giorni sono uguali in questo dannato inferno. Qui non esiste nulla oltre al filo spinato, non riceviamo alcuna notizia e non vediamo mai nessuno dall’esterno.
Mi rassicurano solo i nuovi detenuti che ci raccontano il progredire della guerra.
“Noi continuiamo a combattere”, queste parole mi riempiono il cuore di orgoglio e speranza.
Non so quando potrò tornare a casa, spero di rivederti al più presto.
Con affetto,
il tuo Paddy.

 
Tra estenuanti giornate di lavoro, settimane di precaria tranquillità e momenti di disperazione Patrick O’ Donnell trascorse nel campo di Ballykinlar sei lunghi mesi di prigionia. I detenuti avrebbero dovuto lasciare il campo dopo la firma del Trattato, ma trovandosi oltre il confine dell’Ulster britannico dovettero attendere ancora qualche settimana prima di poter varcare il filo spinato ed essere caricati su un treno per Dublino, nonostante tutto, come uomini liberi.
 
***

Higgins terminò il suo resoconto con evidente commozione.
«Patrick O’ Donnell è stato l’uomo con cui ho condiviso le atrocità di quell’inferno. Non posso dire nulla di male nei suoi confronti. Era un vero irlandese, un fedele compagno e soprattutto un caro amico»
Robert rimase sorpreso nel sentire quelle parole, fino a quel momento aveva sempre creduto nella colpevolezza di O’ Donnell, ma a quel punto faticava a credere che quel giovane patriota potesse essere la stessa persona che aveva ucciso suo padre.
Dalton parve soddisfatto da quell’interrogatorio: «la ringrazio signor Higgins, il suo contributo è stato davvero importante»
«Sono cambiate tante cose da allora…ma mi creda, per chi è sopravvissuto a Ballykinlar una parte di sé resterà per sempre imprigionata nel filo spinato»
Il detective osservò il suo volto segnato dalla sofferenza e dal dolore.
«Il popolo irlandese è grato per il vostro sacrificio» disse in piena sincerità.
Sean alzò lo sguardo: «ricordo la tragedia di Fenit, sinceramente detective, io non credo che Patrick abbia potuto commettere un crimine così atroce»
Eric tentò di confortarlo: «in ogni caso sono certo che O’ Donnell sia sempre stato onesto nei suoi confronti»
Higgins prese un profondo respiro.
«Se Patrick è davvero colpevole è vostro dovere fare giustizia» ammise con rassegnazione.
Dalton lo guardò negli occhi: «le prometto che faremo il possibile per scoprire la verità»

I tre abbandonarono le strade di Drogheda con aria assorta e pensierosa, ognuno era tormentato dai propri dubbi.
Il primo a parlare fu il tenente McGowan: «a quanto pare il nostro sospettato ha avuto davvero una vita difficile»
Dalton scosse la testa: «a questo punto non so cosa pensare, abbiamo a che fare con un soldato che durante la guerra ha ucciso a sangue freddo e senza rimorso, ma anche ad un uomo che ha saputo affrontare le conseguenze delle proprie azioni. Se ripenso alla testimonianza del sergente McCarthy mi sembra di trovarmi davanti a due persone completamente diverse»
«Erano diverse anche le circostanze, forse O’ Donnell rimase profondamente traumatizzato dagli orrori della guerra, tanto che dopo il Trattato ha perso il senso della realtà e non è più stato in grado di valutare la gravità delle proprie azioni» constatò O’ Neil.
Il detective rimase impassibile: «la tua è una valida considerazione, ma per ora non possiamo ancora giungere ad alcuna conclusione»
Robert si limitò ad annuire, stava iniziando a comprendere i metodi di indagine di Dalton e pian piano stava avvertendo di essere sempre più vicino alla verità.
 


 
 
Note
[1] Nota scritta da John Bonner, prigioniero nel campo di Ballykinlar.
[2] Organizzazione repubblicana femminile.

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Capitolo 6
*** Le Guardie di Dublino ***


 


Il tenente McGowan entrò nell’ufficio del detective e richiuse la porta alle sue spalle. Con tono serio e preoccupato rivelò all’amico le sue constatazioni.
«A Drogheda due uomini ci hanno seguiti, sono stati abbastanza discreti, ma non erano spie del G2. A quanto pare i servizi segreti non sono gli unici ad essere interessati a questa storia…»
Eric tentò di nascondere la propria apprensione: «sei sicuro di quel che stai dicendo?»
«Certo, e ti dirò di più…quella recluta del sud non è stata affatto sincera con noi»
Il detective esitò, ma alla fine scelse di essere onesto nei confronti dell’amico, doveva avvertirlo dei pericoli a cui si stava esponendo.
«L’agente O’ Neil ha dei contatti con l’IRA» ammise con voce atona.
McGowan trasalì: «che cosa? E per quale motivo non l’hai denunciato?»
Dalton abbassò lo sguardo: «perché ho bisogno di lui per risolvere il caso»
«Tu sei pazzo! Quei criminali potrebbero decidere di spararti un colpo in testa da un momento all’altro!»
«Il mio compito è trovare la verità, l’IRA è decisa a condannare O’ Donnell per vendicare la morte di quei militanti mentre i servizi segreti vogliono evitare uno scandalo nazionale…ognuno ha le sue buone ragioni»
«Dannazione Eric, sai che accadrebbe se si scoprisse che il Governo irlandese ha aiutato l’esercito a nascondere i suoi crimini? Non puoi innescare una rivolta per amor della verità!»
«Dunque anche tu hai dei dubbi sull’innocenza di O’ Donnell…»
Il tenente iniziò a perdere la pazienza: «non si tratta del caso O’ Donnell, in gioco c’è la nostra pelle!»
«Nessuno ti obbliga a rimanere invischiato in questa faccenda»
«Di certo non posso abbandonarti in queste condizioni»
Dalton si prese la testa tra le mani: «sinceramente non so più che fare»
Colbert rifletté qualche istante: «per ora continua le tue indagini, ma non fidarti troppo del ragazzo, io penserò a chiarire la questione con l’agente Beckett»
«Davvero faresti questo per me?»
McGowan si limitò ad annuire, in realtà non sapeva esattamente per quale motivo fosse giunto fino a quel punto, forse per amicizia o lealtà…in ogni modo anch’egli era rimasto vittima del caso O’ Donnell.
 
***

Robert accompagnò il detective nel quartier generale di Phoenix Park.
«Ho cercato il fascicolo sul caso O’ Donnell fin dall’inizio delle indagini e ancora non sono riuscito a trovarlo» si lamentò Dalton incamminandosi lungo il sentiero.
«Non le era mai capitato niente di simile prima d’ora?» chiese O’ Neil.
«A volte non è semplice trovare delle vecchie prove, ma in questo caso ogni documento riguardante quelle accuse sembra essere scomparso nel nulla!»
«Crede che ci sia qualcosa di più dietro a tutto questo?»
Eric ripensò alle parole dell’agente Beckett: «purtroppo temo di sì»
I due giunsero all’antico fortino, dopo aver superato i controlli delle guardie poterono raggiungere il vecchio archivio.
«Non credo che tra queste scartoffie possa esserci qualcosa di utile» commentò il sottufficiale che li accompagnò nei sotterranei.
Dalton si occupò subito delle sue ricerche, Robert invece iniziò a vagare per lo scantinato polveroso con aria afflitta. Era consapevole di aver trascinato il detective in una situazione assurda e pericolosa, in parte si sentì responsabile. Dalton aveva fatto il possibile per aiutarlo, aveva deciso di proteggerlo anche quando aveva scoperto dei suoi rapporti con l’IRA. Il poliziotto sapeva che i ribelli non avrebbero esitato ad eliminare un elemento pericoloso nel caso in cui qualcosa non fosse andato secondo i loro piani. Doveva agire in qualche modo, non poteva continuare a lasciarsi manipolare come un’insulsa pedina e soprattutto non poteva permettere che accadesse qualcosa di male all’unica persona che aveva davvero preso a cuore l’omicidio di suo padre.
Era ancora oppresso da questi pensieri quando la voce di Dalton lo riportò alla realtà.
«Dannazione! Non è possibile!»
Il giovane si avvicinò: «che cosa è successo?»
Eric gli mostrò ciò che aveva scoperto, nel fascicolo di O’ Donnell mancavano proprio le pagine riguardanti il suo processo.
«Qualcuno deve essere arrivato qui prima di noi» disse Robert con amarezza.
Il detective sbuffò esternando la propria frustrazione, non aveva dubbi a riguardo, l’agente Beckett non aveva mentito sulle sue intenzioni.
 
Per il resto della giornata Dalton rimase nel suo ufficio a riflettere sulla situazione. Se i servizi segreti avevano deciso di sabotare le sue indagini significava che c’era davvero qualcosa da nascondere.
All’improvviso il cadetto Harris bussò alla porta: «signore, il maggiore Liam Sheridan è qui per lei»
Dalton sussultò: «come? Per quale motivo?»
«Ha detto solo che è qui per aiutarla»
Eric ordinò al ragazzo di far entrare il nuovo arrivato, ormai quella faccenda stava coinvolgendo l’intero Castello di Dublino. L’ufficiale varcò la soglia a passo sicuro e si presentò formalmente.
«Signor detective, il colonnello Murtagh mi ha riferito delle sue indagini, sono qui per semplificare il suo lavoro»
Dalton sospirò con rassegnazione: «se vuole consigliarmi di lasciar perdere devo avvertirla che altri l’hanno già preceduta»
Liam scosse la testa: «no, affatto! Io sono qui per testimoniare, a quel tempo ero soltanto un caporale del National Army, Patrick O’ Donnell era il comandante della mia brigata. Ora che io stesso ricopro la sua carica voglio difenderlo dalle accuse che gli sono state rivolte ingiustamente»
Il detective ascoltò le sue parole con interesse: «lei era presente a Fenit la notte in cui quei repubblicani persero la vita?»
Il maggiore negò: «no, fui ferito durante gli scontri nel Kerry, ero ancora ricoverato in ospedale durante quegli avvenimenti. Nonostante ciò voglio raccontarle cosa accadde durante la battaglia di Dublino»
Dalton assunse un’aria pensierosa: «in effetti la sua testimonianza potrebbe essermi utile, ma devo chiederle di essere il più obiettivo possibile e di non omettere assolutamente nulla nella sua deposizione»
Sheridan annuì: «certamente, ha la mia parola. Giuro su Dio di non dire altro che la verità!»
Eric prese in mano una penna: «bene, sono pronto ad ascoltarla»
Il maggiore iniziò il suo racconto: «O’ Donnell non era soltanto un mio superiore, eravamo anche buoni compagni, spesso si confidava con me.  Mi raccontava sempre della sua famiglia, per lui nulla era più importante…»
 
***

Patrick O’ Donnell sposò Elizabeth Keating nell’estate del 1921, appena dopo il suo ritorno a Dublino. Durante la Tregua la giovane coppia poté trascorrere un breve periodo di pace e tranquillità. In quei mesi Patrick ebbe la possibilità di riprendersi dalla terribile esperienza della prigionia, la guerra tornava spesso a tormentarlo nei suoi incubi, ma grazie all’amore della moglie riusciva a trovare conforto.
Elizabeth aveva abbandonato gli ambienti repubblicani, credeva sempre nei propri ideali, ma dopo il matrimonio aveva deciso di lasciarsi il passato alle spalle. O’ Donnell invece continuò a seguire le contrattazioni e gli accordi tra il nuovo Governo irlandese e l’Inghilterra attraverso le notizie dei giornali, spesso riceveva anche le visite di alcuni suoi commilitoni della Dublin Brigade.
Un pomeriggio si ritrovò a discutere della problematica situazione politica con il fratello di Elizabeth, ovvero il luogotenente Paul Keating.
Ormai i negoziamenti tra il parlamento e lo Stato britannico erano in corso da mesi e non sembrava che questi incontri stessero portando a buoni risultati. I membri dell’IRA erano divisi tra chi continuava ad avere fiducia nel loro leader e chi invece era stanco di cedere a compromessi. La tregua non era definitiva, in molti erano rimasti contrari agli accordi di pace.
«Non sappiamo ancora nulla di preciso, ma dobbiamo avere fiducia in Michael Collins» disse Keating con estrema fermezza.
Patrick concordò con lui: «sono certo che egli saprà gestire al meglio questa situazione»
«Tu invece che cosa farai? Hai intenzione di tornare nell’esercito?» domandò suo cognato.
O’ Donnell sospirò: «non lo so, la guerra è finita…dopo tutto quello che è successo voglio soltanto godermi un po’ di pace»
«Ti capisco, è solo che i ragazzi mi chiedono spesso di te. Hanno tutti un buon ricordo del tuo comando, per loro sei come un eroe»
Patrick abbassò lo sguardo: «ci sono molti altri ufficiali che meritano questi onori»
«Forse hai ragione, ma tu sei riuscito a conquistare la loro stima e il loro rispetto. Devi ammettere di essere stato un buon comandante, perfino Michael Collins si è congratulato con te!»
Egli sorrise con orgoglio, ma rispose modestamente: «mi ha solo stretto la mano durante un incontro a Crow Street, fu dopo l’assassinio dell’ispettore Redmond»
«Già…i mastini di Belfast non ci hanno più dato fastidio dopo la sua morte»
O’ Donnell ripensò al suo passato, provò una certa nostalgia nel ricordare i momenti trascorsi insieme ai suoi compagni, nonostante tutto non aveva alcun rimpianto.
Quella conversazione terminò tra vecchi ricordi e supposizioni sul futuro, per la prima volta Patrick considerò l’idea di tornare nell’esercito.
 
La firma del Trattato segnò irreversibilmente il destino di Patrick O’ Donnell. Il popolo irlandese si ritrovò diviso. Molti tra i militanti dell’IRA considerarono Collins come un traditore, si rifiutarono di riconoscere il nuovo Governo irlandese e affermarono di essere pronti a combattere.
Patrick si schierò dalla parte dei sostenitori del Trattato, era certo che Collins non avrebbe mai potuto ingannare il suo popolo. Le tensioni giunsero presto al limite, l’Irlanda aveva ancora bisogno di uomini coraggiosi e determinati a difendere la loro Patria, così O’ Donnell decise di tornare nell’esercito. Avendo già una buona esperienza come ufficiale della Dublin Brigade ed essendo un ex-membro della Squadra egli fu promosso a maggiore del neo-istituito National Army. O’ Donnell entrò a far parte delle Guardie, un corpo speciale composto principalmente da ex-militanti.
La prima volta in cui Patrick indossò la divisa da ufficiale del National Army provò una strana sensazione. Con esitazione si abbottonò la giacca verde scuro e si sistemò lo spesso cinturone di pelle in vita. Al primo momento si sentì a disagio, quell’uniforme gli ricordava troppo le figure dei soldati britannici.
Il giovane osservò la sua immagine riflessa, dovette ammettere che in fondo quell’aspetto severo e autoritario non gli dispiaceva. Si sentiva realmente orgoglioso di essere al servizio del nuovo Stato d’Irlanda, aveva intenzione di rispettare il suo giuramento.
In caserma l’integrazione forzata con gli inglesi non fu semplice da gestire, inizialmente O’ Donnell rimase diffidente e non accettò pienamente quella situazione, ma pian piano si dimostrò disposto a collaborare. Gli ufficiali inglesi erano esperti e competenti, così decise di adeguarsi e seguire i loro consigli.
 
Una settimana prima dello scoppio della guerra civile un lieto evento portò gioia e serenità ai coniugi O’ Donnell.
Il 20 giugno 1922 venne alla luce il loro primogenito, un bel maschio forte e in salute. I genitori decisero il nome del piccolo senza alcuna esitazione, egli fu registrato all’anagrafe come Michael O’ Donnell.
La nascita del figlio contribuì ad influenzare l’opinione di Patrick sul destino dell’Irlanda. Le tensioni erano ormai al limite, un’altra guerra avrebbe trascinato il Paese nell’ennesimo periodo di carestie e sofferenze. Avrebbe dovuto mettere fine a quella follia, per il bene dell’Irlanda e per proteggere le nuove generazioni dagli orrori che aveva appena vissuto.
Patrick era determinato a portare avanti la causa di Collins, desiderava sempre una Patria libera e indipendente, ma il momento non era ancora giunto. L’alleanza con gli inglesi era un compromesso difficile, ma tollerabile. Il nuovo Governo meritava sostegno e fiducia.
Quando Patrick prese per la prima volta il figlio tra le braccia promise a se stesso che avrebbe fatto tutto il necessario perché quella creatura così pura e innocente non dovesse mai vivere i dolori e le sofferenze della guerra.
 
Il 28 giugno le truppe dell’IRA guidate da Rory O’ Connor occuparono il Tribunale di Dublino, barricando le strade e appostandosi lungo le rive del Liffey. La guerra civile era iniziata.
I comandanti del National Army erano ancora riluttanti ad entrare in azione, al contrario gli inglesi avevano le idee ben chiare su come intervenire. Collins ricevette insistenti pressioni dal Governo britannico, ormai era giunto il momento di agire, il leader irlandese si decise finalmente a scendere in campo con due cannoni e più di duecento munizioni fornite dagli inglesi. Il comandante sperava ancora di riuscire a convincere i suoi vecchi compagni a rinunciare a quell’azione sconsiderata, ma anche quella volta ogni tentativo di dialogo non portò ad alcun risultato.
I militanti dell’IRA si erano barricati all’interno degli edifici, appostandosi alle finestre e creando una continua linea di difesa intorno al quartier generale. I ribelli erano armati con fucili, mitragliatrici e anche una piccola vettura corrazzata, la quale era stata parcheggiata strategicamente lungo la barriera. L’intera zona era stata disseminata di mine ed esplosivi.
Entrambe le fazioni erano pronte a combattere, il maggiore O’ Donnell ebbe l’ordine di appostarsi con le sue truppe sul lato nord del Tribunale. Dopo le prime incertezze e le trattative fallite gli artiglieri dell’Esercito ricevettero l’ordine di aprire il fuoco, il primo colpo di cannone causò l’esplosione di alcune mine. Un fragoroso boato e un’intensa nube di fumo segnalarono l’inizio della battaglia.
 
Il caporale Sheridan affrontò così il suo battesimo del fuoco, non aveva mai combattuto seriamente prima di quel momento. Il giovane seguì i suoi compagni tentando di mascherare la propria inquietudine. Il Lee–Enfield tremava tra le sue mani, il cuore batteva all’impazzata e la paura spesso prendeva il sopravvento impedendogli di poter agire razionalmente. Il maggiore O’ Donnell notò il suo nervosismo, in modo benevolo poggiò una mano sulla sua spalla e lo incitò con alcune frasi d’incoraggiamento. Sheridan apprezzò il gesto del suo comandante, pian piano riprese coraggio e si preparò all’imminente scontro.
 
Dublino fu avvolta dalle fiamme, ancora una volta la città fu devastata dalla guerra, distrutta dagli stessi irlandesi. In quello scenario di rovine e macerie i due schieramenti continuarono ad affrontarsi tra sparatorie ed esplosioni, la battaglia era soltanto all’inizio.
I combattimenti proseguirono ininterrottamente per tre giorni, i ribelli continuarono a resistere tra le fortificazioni, il filo spinato e le trincee. All’esterno i soldati del National Army non avevano intenzione di placare il fuoco: i fucili scaricavano piogge di proiettili e le mitragliatrici Lewis scoppiettavano incessantemente.
Le risorse dell’Esercito erano nettamente superiori e l’esito della battaglia sembrava scontato, eppure i militanti non sembravano disposti ad arrendersi.
Il caporale Sheridan si rannicchiò contro la barricata, riuscì ad abbassarsi appena in tempo per evitare una raffica di proietti che fendette l’aria sopra la sua testa. La sua unità aveva guadagnato terreno, ma era stata costretta ad affrontare un violento scontro contro le truppe del comandante O’ Malley.
Sheridan cercò riparo dietro a un veicolo abbandonato, strinse saldamente il fucile, dopo qualche istante di esitazione si decise a rispondere al fuoco. Sparò un colpo dopo l’altro finché non fu costretto a fermarsi per ricaricare. Nel momento in cui si sporse nuovamente dal suo nascondiglio qualcosa lo colpì al braccio, il fucile gli cadde dalle mani ed egli si accasciò a terra contorcendosi per il dolore.
Poco distante O’ Donnell si ritrovò coinvolto in un’intensa sparatoria con un cecchino appostato sul tetto dell’edificio. La sfida durò a lungo, tra le nebbia e il fumo era difficile individuare l’esatta posizione dell’avversario. Alla fine l’ufficiale sparò il colpo fatale e riuscì a liberare il passaggio per permettere ai soldati di avvicinarsi al nemico.
Sheridan si riprese nel mezzo della battaglia, al suo fianco giaceva un cadavere. Avrebbe voluto urlare, ma la voce rimase bloccata nella sua gola. Il dolore era insopportabile, calde lacrime iniziarono a scorrere sul suo viso. La vista iniziò ad annebbiarsi, era certo che quelli sarebbero stati i suoi ultimi istanti e che stesse per abbandonare quel mondo. Invece poco dopo qualcuno lo riportò alla realtà, era il maggiore O’ Donnell giunto in suo soccorso. Il giovane si sentì sollevare da terra, due braccia robuste sorressero il suo corpo trascinandolo al riparo. Sheridan si aggrappò al suo soccorritore, altre scene di combattimenti ed esplosioni si susseguirono davanti ai suoi occhi, le immagini però parvero sempre più confuse. Percepì una voce, ma non riuscì a distinguere le parole, dopo aver raggiunto le retrovie egli perse i sensi.
Patrick ordinò di portare al sicuro i soldati e i prigionieri feriti, ma non ebbe il tempo di preoccuparsi per loro, ben presto fu richiamato in prima linea.
 
Il maggiore O’ Donnell continuò a combattere sulla sponda opposta del fiume. Lo scontro proseguiva senza esclusione di colpi, entrambi i fronti resistevano pur essendo ormai stremati. All’improvviso una bomba colpì uno dei depositi, l’esplosione causò il crollo di una delle torri, un’enorme nube di fumo nero si innalzò fino al cielo. Le imponenti mura crollarono frantumandosi in mille pezzi, l’edificio fu avvolto dalle fiamme.
O’ Donnell fu scaraventato al suolo dalla violenta detonazione, quando riprese conoscenza si ritrovò disteso a terra e ricoperto dalla polvere. Non ebbe la forza di muoversi, ma provò un gran sollievo nello scoprire di essere ancora tutto intero. Intorno a lui poteva avvertire le grida dei feriti e il rimbombo delle altre esplosioni. L’aria era invasa dal fumo e dalla cenere, Patrick rimase immobile per un tempo che gli parve interminabile. L’eco degli spari rimbombava incessantemente nella sua testa, respirava a fatica ansimando e tossendo, in bocca sentiva l’amaro sapore del sangue.
Il maggiore venne tratto in salvo dai suoi commilitoni, i quali lo estrassero dalle macerie.
A causa di quella terribile esplosione che aveva causato un gran numero di morti e feriti i ribelli furono costretti ad arrendersi, la bandiera bianca fu esposta alla rossa luce del tramonto.
Al termine della battaglia Patrick si incamminò zoppicando insieme agli altri feriti, quelle dure giornate di combattimento erano state difficili da affrontare anche per un ufficiale esperto come lui. La città di Dublino era crollata davanti ai suoi occhi, polverizzata dai cannoni e inghiottita dalle fiamme.
 
O’ Donnell si riprese in fretta, fortunatamente in battaglia si era procurato soltanto ferite superficiali e lievi ustioni. Dalla contea di Limerick provenivano già nuovi venti di guerra, egli sapeva che presto sarebbe tornato a combattere, per queste ragioni durante gli ultimi giorni di licenza decise di trascorrere più tempo possibile con la sua famiglia.
Era una serata tranquilla, Patrick osservò il piccolo Michael dolcemente addormentato tra le braccia della madre, quella creatura inerme e innocente riuscì a distrarlo dalle sue preoccupazioni.
Elizabeth sistemò il neonato nella sua culla continuando ad intonare una dolce melodia. Il marito socchiuse gli occhi, lasciandosi cullare anche lui come un bambino.
Purtroppo quel momento di serenità fu piuttosto breve e il giovane fu presto riportato alla realtà.
«Dunque è vero che presto dovrai partire?» chiese Elizabeth con tono preoccupato.
Egli annuì: «i repubblicani hanno conquistato le città di Limerick e Waterford, le truppe dell’ovest hanno bisogno di rinforzi»
«Sei davvero sicuro di voler combattere questa guerra?»
Patrick si voltò verso il figlio rivolgendogli uno sguardo colmo d’amore e tenerezza.
«Sono disposto a fare tutto il necessario per riportare la pace nel nostro Paese» rispose con estrema convinzione.
Elizabeth non riuscì a trattenere le lacrime e scoppiò in singhiozzi nascondendosi il viso tra le mani.
O’ Donnell non disse nulla per rassicurarla, era consapevole delle conseguenze di quella scelta, ma era anche convinto di star facendo il suo dovere.
 
***

«Il maggiore O’ Donnell mi ha salvato la vita su quel campo di battaglia, era un ufficiale onesto e leale, non avrebbe mai potuto macchiarsi di un crimine così atroce» affermò Sheridan.
Eric fu costretto ad essere obiettivo: «ho sentito molti racconti sulle imprese eroiche di O’ Donnell, io stesso ho sempre stimato quell’uomo…purtroppo la sua ottima reputazione nell’Esercito non può provare la sua innocenza»
«Le sue indagini sono insensate, lei sta accusando di omicidio l’eroe di una Nazione!»
Dalton sospirò: «mi creda, non sono affatto orgoglioso di ciò, ma è mio dovere trovare la verità»
Il maggiore Sheridan si rialzò con disprezzo: «le sue ricerche si riveleranno soltanto una perdita di tempo, O’ Donnell non è un assassino!»
 
Il detective rimase nel suo ufficio fino a tardi per trascrivere la testimonianza del maggiore Sheridan.
All’improvviso notò qualcosa di strano, avvertì dei passi e sentì bussare alla porta. Poiché nessuno rispose Dalton decise di andare ad aprire, in corridoio non vide nessuno, ma davanti all’entrata trovò un’altra lettera anonima. Eric non si stupì particolarmente, ormai aveva compreso i metodi dell’IRA. A dire il vero non capiva ancora perché i ribelli non si servissero di O’ Neil per i loro messaggi, forse non si fidavano di lui, oppure anch’egli era perlopiù ignaro del suo ruolo in quella faccenda.
All’interno della busta trovò due fogli: la prima pagina di un vecchio giornale e un indirizzo.
Il quotidiano era datato 6 marzo 1923, Dalton lesse il titolo: “L’incidente di Fenit: ieri notte dieci prigionieri repubblicani sono morti a causa di un’esplosione”
Il detective rimase perplesso, né il sergente McCarthy né Robert avevano mai parlato di un’esplosione. Con aria pensierosa prese tra le mani il secondo foglio.
 
Tim Sullivan, Ballymullen Farm, Co. Kerry.
 
Dalton era certo di aver già sentito quel nome, rapidamente recuperò l’elenco delle vittime di Fenit, Sullivan era l’ultimo della lista. Per quale motivo quel nome era così importante?
Il detective fu costretto ad ammettere che la sua alleanza forzata con l’IRA, seppur pericolosa, era anche piuttosto vantaggiosa. A quel punto l’unico modo per proseguire le indagini era recarsi sul luogo dei fatti, ma non prima di aver interrogato per bene O’ Neil.
 
 
Dalton si incamminò verso casa tormentato da quei nuovi dubbi, le strade erano ormai deserte, la fioca luce dei lampioni illuminava la città avvolta nebbia. Eric avvertì una strana inquietudine, ebbe la sensazione di essere seguito, ma quando si voltò non notò nessuno alle sue spalle. L’investigatore accelerò il passo, per precauzione infilò una mano all’interno del cappotto per prendere la sua Browning.
Rapidamente raggiunse l’incrocio e si intrufolò in un vicolo per depistare il suo inseguitore. Decise di prendere una scorciatoia per abbreviare il percorso e quasi correndo raggiunse la via di casa. Quando giunse nel vialetto pensò che probabilmente si era lasciato suggestionare un po’ troppo da quella faccenda, ma non poté affermarlo con certezza.
 
Quella sera Eric percepì qualcosa di insolito, come sempre trovò sua moglie ad aspettarlo, ma questa volta lei non si gettò tra le sue braccia.
Aileen rimase ferma davanti alla porta e si rivolse a lui con estrema serietà: «ho bisogno di parlarti, si tratta di una questione importante»
Dalton rimase perplesso, era la prima volta che sua moglie si comportava in quel modo.
La giovane tremava per l’emozione, era nervosa, temeva di non riuscire a trovare le parole giuste per svelare al marito la verità.
Egli notò la sua agitazione, così tentò di calmarla: «tranquilla, adesso sono qui. Cosa devi dirmi?»
La giovane lo guardò negli occhi: «presto avremo un figlio…aspetto un bambino»
Eric fu sorpreso da quella rivelazione: «sei incinta?»
Aileen annuì: «avrei voluto dirtelo prima, ma tu eri sempre così occupato ed io non riuscivo mai a trovare il momento giusto…»
Dalton abbracciò la moglie mostrando a pieno la sua felicità e il suo entusiasmo.
«E’ davvero una splendida notizia» commentò con sincerità.
Aileen si sentì sollevata, finalmente aveva potuto confidarsi con il marito, nonostante ciò non riuscì a liberarsi dalle proprie preoccupazioni.
«Eric, non ti ho mai chiesto nulla, ma stavolta è davvero importante. Ti prego, lascia perdere questo caso» lo supplicò.
Dalton poté comprendere le ragioni di sua moglie. Per la prima volta considerò realmente l’idea di abbandonare quella sporca faccenda per il bene della sua famiglia, in fondo però sapeva di non poter sfuggire al suo dovere.
«Mi spiace, ma non posso farlo»
Aileen si strinse a lui in cerca di conforto, Eric non osò farle promesse, l’accolse tra le sue braccia e la baciò per rassicurarla.
 
 

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Capitolo 7
*** Il Comitato di visita ***






5 marzo 1923.
L’incidente di Fenit: ieri notte dieci prigionieri repubblicani sono morti a causa di un’esplosione
La notte scorsa dieci prigionieri repubblicani sono morti a causa di un’esplosione nei dintorni del villaggio di Fenit.
I detenuti, sotto la custodia del maggiore Patrick O’ Donnell, avevano il compito di smantellare una barricata repubblicana quando una mina è esplosa accidentalmente.
L’ufficiale ha dichiarato di aver autorizzato l’operazione a seguito dei recenti eventi avvenuti a Knocknagoshel. O’ Donnell ha commentato l’accaduto con le seguenti parole: “i nostri avversari hanno deciso di combattere una guerra spietata e senza regole, è nostro dovere riportare ordine e pace in Irlanda, questo è l’unico motivo per cui abbiamo deciso di adottare metodi più severi nei confronti dei detenuti. Dobbiamo difendere il popolo irlandese e limitare il numero di vittime tra i nostri uomini. La morte dei dieci prigionieri di Fenit è solo una delle tante conseguenze di questa sanguinosa guerra, la quale è stata causata e portata avanti dagli stessi ribelli”.
Il comandante dell’Esercito Richard Mulcahy ha definito la tragedia come un terribile incidente, al più presto saranno condotte delle indagini per accertamenti.



Dalton mostrò all’ex sergente McCarthy l’articolo di giornale: «perché non ha parlato di questo nella sua dichiarazione?»
John non parve particolarmente interessato alla questione.
«Come le ho già detto io non ero presente sul luogo della tragedia. Quella notte in caserma avvertimmo l’eco dell’esplosione, ma in quel periodo cose del genere accadevano molto spesso. Solitamente si trattava di falsi allarmi o semplici errori di distrazione commessi dai nostri uomini di guardia ai depositi…anche io conobbi la notizia dai giornali, in ogni caso non avrei potuto testimoniare a riguardo»
«In questo articolo la morte dei repubblicani è definita come un incidente, è questa la versione ufficiale fornita dall’Esercito?»
«Già, il maggiore O’ Donnell aveva deciso di utilizzare i prigionieri repubblicani per liberare i sentieri dalle mine lasciate dai ribelli dell’IRA. Un metodo crudele, ma lecito in guerra. Il governo aveva già approvato la legge marziale e il comandante Mulcahy appoggiò questa decisione»
«Che cosa può dirmi a riguardo degli eventi di Knocknagoshel?»
McCarthy deglutì a vuoto: «i militanti uccisero quattro soldati del National Army, i loro corpi furono ritrovati in un fosso. Avevano tutti un foro di proiettile nel cranio, ciò significava che i militari erano stati giustiziati dopo la resa»
«Lei crede che O’ Donnell abbia deciso di vendicarsi su quei prigionieri?»
«Purtroppo questi episodi contribuirono ad alimentare l’odio e violenza nei confronti dei repubblicani»
«Lei ha affermato che quella notte il prigioniero Sean Lehane non era nemmeno in grado di camminare»
«E’ vero, il suo interrogatorio fu particolarmente…intenso»
«Inoltre aveva una mano fratturata, dunque per lui sarebbe stato impossibile compiere qualsiasi genere di lavoro»
«Suppongo che le sue deduzioni siano esatte»
Dalton rifletté qualche istante: «ripensando alla sua testimonianza mi è sorto un altro dubbio. Lei ha descritto i soldati del National Army che giunsero a prelevare i prigionieri come degli estranei»
McCarthy annuì.
«Quella caserma era sotto il controllo delle Guardie, insomma…perché avrebbe dovuto definire i suoi commilitoni come sconosciuti?»
«Quei soldati non erano miei commilitoni, venivano da Tralee, forse erano dei servizi segreti…non lo so, ad essere sincero non ricordo. Mi spiace, ma ormai è passato del tempo»
«D’accordo, non si preoccupi. Lei mi sta aiutando molto con la sua testimonianza»
«Purtroppo non mi sono più interessato alla questione dopo il mio ritorno a Dublino, quindi non posso informarla sulle successive indagini»
«Un’ultima cosa, lei ricorda qualcosa di particolare a riguardo del prigioniero Tim Sullivan?»
McCarthy scosse la testa: «no, quel nome non mi dice nulla»
 
 
Dopo esser tornato dall’ex-sergente Dalton si presentò all’Hynes pub, dove lo attendeva il secondo interrogatorio della giornata. Robert era più nervoso del solito, probabilmente aveva già intuito le intenzioni del detective, in fondo sapeva che prima o poi quel momento sarebbe arrivato.
«Suppongo che lei voglia chiarire i miei rapporti con l’IRA»
«In effetti questa è la principale ragione per cui ho voluto incontrarti, ma non sono qui solo per questo»
O’ Neil abbassò lo sguardo: «avrebbe potuto arrestarmi fin dall’inizio, in fondo sapeva la verità già nel momento in cui le ho consegnato il rapporto di McCarthy»
«Ho deciso di fidarmi di te»
«Per quale motivo?»
«Perché entrambi vogliamo la stessa cosa: la verità»
«Quando questa storia sarà finita mi stringerà le manette ai polsi?»
Dalton scosse la testa: «se avessi intenzione di arrestarti non sarei qui a parlartene»
Robert rimase alquanto stranito e confuso dalla situazione.
«Se vuoi puoi considerarlo una sorta di accordo»
«E il tenente McGowan? Anche lui conosce i miei legami con i repubblicani» chiese con apprensione.
«Ti prometto che nemmeno lui ti denuncerà, hai la mia parola. Sei al sicuro, ma d’ora in poi dovrai collaborare con noi, non potrai più avere segreti con l’IRA»
O’ Neil sospirò: «io non sono un militante, i repubblicani mi hanno sfruttato per utilizzarmi come infiltrato durante le indagini»
«Lo immaginavo. Loro non si fidano di te, per questo ti controllano, ma sanno anche che sei indispensabile per la loro missione»
«Il loro obiettivo è condannare O’ Donnell, vogliono che lo Stato ammetta le proprie colpe e riconosca i crimini commessi dai soldati del National Army»
Il detective manifestò la propria frustrazione: «non posso risolvere questo caso collaborando con dei criminali!»
«Ad essere sincero non vedo alternative»
Dalton fu costretto ad accettare quella situazione, al momento la sua priorità era trovare la verità.
«I militanti credono che lei sia dalla loro parte, se per qualche motivo dovessero sospettare un suo tradimento non esiterebbero a…»
«Ad uccidermi?» concluse Eric con amarezza.
Robert si prese la testa tra le mani: «la sua vita è in pericolo e…dannazione, è tutta colpa mia!»
Il detective tentò di calmarlo: «ero consapevole dei rischi che avrei dovuto affrontare accettando questo caso. Inoltre i militanti dell’IRA non sono gli unici a vedermi come una minaccia»
O’ Neil comprese in fretta la situazione: «che cosa dovremmo fare?»
«Per il momento dobbiamo continuare le indagini, senza sapere la verità non possiamo prendere alcuna decisione»
Robert si limitò ad annuire, lasciando però trasparire la sua preoccupazione.
 
Dalton riprese in mano i suoi appunti: «la seconda ragione per cui ho voluto incontrarti è per scoprire qualcosa in più su questa vicenda»
O’ Neil bevve un lungo sorso di birra: «che cosa vuole sapere?»
«Raccontami di tuo padre, in fondo hai detto di essere qui per lui»
Il giovane esitò: «a dire il vero non ricordo molto di mio padre. Egli decise di unirsi ai ribelli del Kerry quando avevo circa tre anni. Era il periodo della guerra d’Indipendenza, trascorreva sempre tanto tempo lontano da casa per combattere al fronte contro gli inglesi o per nascondersi sulle montagne insieme ai suoi compagni. Ovviamente io ero troppo piccolo per comprendere, sapevo solo che mio padre era un soldato e per questo non poteva restare con noi. La storia continuò anche quando scoppiò la guerra civile, una notte i soldati del National Army perquisirono la nostra casa, fu la prima volta in cui sentii dire che mio padre era un criminale. Avevo cinque anni, ai miei occhi egli restava sempre un eroe, ero certo che ci fosse stato un errore. Mia madre cercò di fare del suo meglio per proteggermi, non posso incolparla per avermi mentito. Lei ha sempre difeso mio padre, lo amava davvero, nonostante tutto rimase al suo fianco fino alla fine»
Robert si fermò per una breve pausa prima di riprendere il discorso.
«Quando mio padre fu ucciso io avevo sei anni, i miei ricordi sono nebulosi e frammentati. Nella mia mente è rimasta impressa l’immagine del corteo funebre, c’erano davvero tante persone, molti erano sconosciuti che si erano presentati per manifestare il loro supporto alla causa repubblicana. Quella fu anche la prima volta in cui vidi il comandante O’ Ryan, al tempo era un giovane militante. Soltanto più avanti scoprii che egli era stato un amico di mio padre, fu lui a raccontarmi tutta la verità»
«Dunque è stato O’ Ryan a trascinarti negli ambienti repubblicani?»
«Sì, lui era convinto che volessi unirmi all’IRA come mio padre. Invece delusi le sue aspettative quando gli rivelai di voler diventare un poliziotto»
«Suppongo che tu non sia mai riuscito a chiudere definitivamente i rapporti con il passato»
«Già, quando O’ Ryan mi propose di indagare sulla morte di mio padre fui costretto a scendere a compromessi. Volevo scoprire la verità e l’unico modo per farlo era diventare un infiltrato dell’IRA»
Eric tentò di analizzare la situazione, non poteva incolpare quel giovane per le sue scelte.
Robert estrasse una vecchia busta dalla tasca della giacca e la ripose sul tavolo: «prima di giudicare questa faccenda le chiedo di leggerla»
Dalton prese tra le mani la carta ingiallita e rovinata dal tempo.
«E’ l’ultima lettera scritta da mio padre»
 
Alla mia adorata moglie.
Dovrei scrivere questa lettera per confessare le mie colpe e pentirmi per i miei sbagli, ma anche in questo tragico momento sono convinto di aver fatto il mio dovere. Sognavo un’Irlanda libera senza più guerre e ingiustizie, nonostante tutto continuo a credere che quel giorno prima o poi arriverà.
Voglio che tu sappia che ho fatto tutto questo soltanto per il bene della nostra famiglia.
Quando giungerà il momento dovrai raccontare al piccolo Bobby la verità. E’ un bambino sveglio e intelligente, penso all’uomo che diventerà e non posso che esserne orgoglioso. Il mio unico rimpianto è quello di non essere stato un buon padre per lui, spero che un giorno possa comprendere e perdonarmi.

 
Eric interruppe la lettura e riconsegnò il prezioso foglio nelle mani di Robert: «capisco perché questa storia sia così importante per te, non ho intenzione di biasimarti per le tue scelte»
«Non posso ignorare il fatto che mio padre sia stato un criminale, nonostante tutto non riesco ad odiarlo per quello che ha fatto…»
Dalton tentò di confortarlo: «sono convinto che tuo padre ti abbia sempre voluto bene e che abbia cercato di fare del suo meglio per garantirti un futuro migliore»
Robert non disse nulla, ma apprezzò le sue parole.
 
***

Il detective era appena tornato nel suo ufficio quando qualcuno bussò alla porta. Si trattava del tenente McGowan appena tornato dal quartier generale della Garda.
«Allora, ci sono novità?» chiese Eric con impazienza.
L’ufficiale rispose in modo poco rassicurante: «ho una notizia buona e una cattiva»
«Mi chiedo come le cose possano peggiorare più di così…»
Colbert si avvicinò: «purtroppo non sono riuscito a parlare con l’agente Beckett, quindi non ho idea di quali possano essere le sue intenzioni. Per la buona notizia invece devo ringraziare un amico di mio padre, egli era un agente di polizia che partecipò alle indagini nel Kerry. Ho parlato con lui e mi ha rivelato che al tempo la Garda aveva trovato delle discordanze nelle testimonianze di alcuni ufficiali»
«Di certo quei documenti sono nelle mani dei servizi segreti»
«Già, ma noi abbiamo la possibilità di interrogare nuovamente uno dei testimoni»
«Quel poliziotto ti ha rivelato il suo nome?»
McGowan sorrise con aria soddisfatta: «per una volta sono riuscito a sfruttare le amicizie di mio padre per una buona ragione»
Dalton fu piacevolmente sorpreso dalle doti investigative del suo amico.
«C’è anche dell’altro. Vuoi sapere chi fu il responsabile del caso O’ Donnell?» continuò McGowan.
Eric si limitò ad annuire, pur sospettando di conoscere già la risposta.
«Il Generale Richard Mulcahy»
«Dunque fu lui a insabbiare questa faccenda?»
«L’Esercito ebbe modo di sabotare le indagini, per questo non furono trovate prove»
Il detective decise di progredire con prudenza: «forse stiamo formulando con troppa facilità queste accuse»
«Se O’ Donnell fosse davvero innocente allora perché nascondere la verità?»
Eric non rispose, preferì tornare a discutere del caso.
«Dunque chi sarebbe il nuovo testimone?»
«William Kavanagh, ex-tenente del National Army. Dopo aver lasciato l’esercito ha avuto numerosi problemi con la legge, a quanto pare è un tipo piuttosto violento. Nel 1934 è stato arrestato per aggressione e tentato omicidio, al momento sta scontando la sua pena nel carcere di Cill Mhaighneann»
«La questione è interessante»
«Credi che quell’uomo potrebbe essere disposto a parlare?»
«Be’, di certo dovremo patteggiare per un interrogatorio»
«I detenuti di Cill Mhaighneann non hanno vita semplice, sono sicuro che sarà più che disposto a parlare in cambio di qualche favore in prigione»
«Spero che tu abbia ragione»
 
Eric si sentì a disagio nell’attraversare il lungo corridoio della prigione, un brivido di gelo e inquietudine attraversò il suo corpo. McGowan invece era più tranquillo, l’idea di trovarsi faccia a faccia con un pericoloso criminale non pareva turbarlo particolarmente.
I due entrarono nella stanza degli interrogatori accompagnati da una guardia, il detenuto era ammanettato al tavolo.
Dalton non rimase sorpreso da quell’incontro, Kavanagh aveva proprio l’aspetto di un avanzo di galera. Egli aveva conservato quell’atteggiamento rigido e severo tipico dei soldati. Il volto inespressivo era sfregiato da una profonda cicatrice, l’uomo guardava fisso davanti a sé con lo sguardo vacuo e spento.
Il carcerato si decise a parlare con i poliziotti soltanto dopo aver chiarito i termini del loro accordo.
Eric iniziò l’interrogatorio con una certa titubanza.
«Dunque lei conosceva il maggiore O’ Donnell?»
Kavanagh annuì: «sì, era il comandante della mia unità a Tralee»
Dalton rimase perplesso: «O’ Donnell era stato assegnato alle caserme di Fenit»
William sorrise: «non mi sto riferendo al suo incarico ufficiale, ma al suo ruolo nel Comitato di visita»
Il detective scambiò uno sguardo con il suo compagno, anch’egli parve colto alla sprovvista da quella rivelazione.
«In che cosa consisteva questo Comitato?» domandò McGowan.
«Era un’unità speciale del National Army, i soldati che ne facevano parte erano addestrati con lo scopo di rintracciare i militanti dell’IRA e i collaborazionisti repubblicani. Durante la guerra collaboravamo con i servizi segreti per rintracciare i sospettati»
«E’ noto che l’Esercito abbia condannato anche dei sospettati che non erano colpevoli»
William alzò le spalle: «se i loro nomi erano finiti sulla nostra lista un motivo doveva esserci. La legge marziale permetteva all’Esercito di giustiziare anche i collaborazionisti»
Il detective poté constatare che il suo interlocutore non provava alcun rimorso per ciò che aveva fatto. Dalton prese un profondo respiro prima di continuare il suo interrogatorio.
 
***

Co. Kerry, febbraio 1923.
Nel mezzo della notte un convoglio di militari giunse in una fattoria nelle campagne di Bahaghs. Dopo aver dato una rapida occhiata nei dintorni i soldati si avvicinarono all’abitazione fermandosi sulla soglia.
Il maggiore O’ Donnell bussò con insistenza, poiché nessuno rispose ordinò ai suoi uomini di irrompere nell’edificio. I due fratelli Dwyer furono svegliati dal rumore dei passi sulle scale, nel momento in cui si resero conto di ciò che stava accadendo i militari sfondarono la porta.
I due giovani obbedirono agli ordini dei soldati, i quali li strattonarono con forza trascinandoli fuori dalla cascina, dove trovarono O’ Donnell ad attenderli.
L’ufficiale ordinò ad entrambi di schierarsi contro il muro, dopo un’accurata perquisizione iniziò con le domande. Nel frattempo i soldati pensarono a perquisire la casa, stavano cercando un militante della 3° Kerry Brigade che, secondo i loro informatori, si era nascosto in quella fattoria.
Le risposte dei fratelli furono alquanto vaghe e poco convincenti. Immediatamente il maggiore fu certo del loro coinvolgimento. Nonostante la sua insistenza però non riuscì ad estorcere alcuna confessione.
Poco dopo il tenente Kavanagh uscì dall’abitazione confermando che avevano trovato tracce di una terza persona.
A quel punto O’ Donnell non esitò a puntare la pistola alla testa di uno dei due sospettati: «non ho tempo da perdere, se vi rifiuterete di collaborare sarete giustiziati all’istante!»
Il ragazzo impallidì nell’udire quelle parole, tremava dal terrore, eppure era ancora deciso a tenere la bocca chiusa.
Il fratello però non esitò a protestare: «non avete il diritto di trattarci in questo modo!»
O’ Donnell rispose con estrema calma: «in realtà vorrei aiutarvi, tutti coloro che sono accusati di aver collaborato con i repubblicani sono destinati ad essere condannati a morte. Sono disposto a fare un’eccezione, se voi confesserete avrete salva la vita. Mi sembra un buon compromesso»
Il giovane avvertì il cuore battere all’impazzata nel suo petto, doveva prendere una decisione in fretta. Il fratello invece rimase impassibile, avrebbe preferito morire piuttosto che tradire la sua promessa.
Il maggiore iniziò a perdere la pazienza: «d’accordo, allora non mi lasciate altra scelta»
L’ufficiale ordinò al giovane di inginocchiarsi. In quel momento l'altro abbandonò ogni sua convinzione, la sua unica preoccupazione fu salvare la vita del fratello. Così si decise a parlare.
«Aspettate, non sparate! E’ vero, quell’uomo è stato qui…è fuggito in direzione di Cahirciveen» confessò tra i singhiozzi.
L’ufficiale gettò a terra il suo ostaggio, ripose l’arma e con una smorfia di disprezzo tornò sui suoi passi. I suoi uomini lo seguirono in silenzio.
 
Sulla strada di Cahirciveen i soldati del National Army riuscirono a catturare tre militanti in fuga, tra di loro c’era anche il loro principale indiziato.
Dopo esser stati perquisiti e interrogati i repubblicani furono radunati davanti a un furgone.
Kavanagh mostrò un sorriso deforme: «avanti ragazzi, andiamo a fare un giro!»
Dopo aver detto ciò ordinò ai prigionieri di salire sulla camionetta.
Il furgone prese la strada verso Tralee procedendo lentamente nell’oscurità, la quiete della campagna era interrotta soltanto dai botti del motore e qualche breve sussurro.
All’improvviso la camionetta dell’Esercito si fermò a lato del sentiero, i militari costrinsero i prigionieri a scendere in strada. O’ Donnell ordinò ai militanti di schierarsi con ordine, si accese una sigaretta e con calma camminò davanti ad ogni prigioniero.
Quando arrivò in fondo alla fila prese la sua decisione: «sono un uomo onesto, dunque ho scelto di giocare rispettando le vostre regole. Quando ero un militante dell’IRA seguivamo una legge fondamentale: una vita per una vita. Dunque, voi avete ucciso tre dei miei uomini a Bahaghs, quindi siete in debito di tre vite»
I repubblicani rimasero impassibili, pronti ad affrontare il loro destino.
O’ Donnell ordinò ai giovani di inginocchiarsi, due di loro obbedirono, il terzo fu spinto a terra dal tenente Kavanagh.
Il maggiore ignorò le loro ultime preghiere, aveva smesso di provare pietà ormai da molto tempo.
I soldati erano pronti a giustiziare i militanti, l’ufficiale rimase impassibile davanti a quella scena.
Tre, due, uno…e tutto finì all’istante.
O’ Donnell si chinò accanto ad uno dei cadaveri, il sangue macchiò la punta dei suoi stivali.
Per qualche istante rimase ad osservare quel corpo inerme, poi si rialzò e senza dire nulla tornò all’interno del veicolo. I soldati gettarono i cadaveri in un fosso e ripresero il loro viaggio verso la città.
 
***

Dalton rimase particolarmente colpito da quel racconto, scrisse le ultime parole con le mani tremanti.
Kavanagh diede il suo ultimo giudizio.
«Il maggiore O’ Donnell era disposto a uccidere a sangue freddo, eppure non ci avrebbe mai permesso di premere il grilletto senza un valido motivo»
 
Tornando al commissariato Dalton rimase in silenzio per tutto il tragitto.
«Mi dispiace che le tue convinzioni sul maggiore O’ Donnell siano state distrutte, ma è meglio scoprire la verità piuttosto che credere in una menzogna» constatò McGowan.
«Già, hai ragione. Eppure non riesco a credere che O’ Donnell abbia ucciso quei militanti soltanto per vendetta»
«Perché no?» chiese il tenente.
«Perché i conti non tornano»
McGowan gli rivolse uno sguardo perplesso.
«I repubblicani uccisero a Knocknagoshel quattro soldati, mentre i militanti nelle prigioni di Fenit erano dieci»
«Forse O’ Donnell ha deciso di non seguire più le regole»
Dalton fu costretto a considerare anche quell’eventualità.
 
 
Quella sera il detective rientrò nel suo appartamento trovando la porta aperta, appena varcò la soglia notò le ante e i cassetti aperti e gli oggetti sparsi a terra in disordine.
Egli prosegui cautamente lungo il corridoio: «Aileen, sono a casa!»
Sua moglie era seduta sul letto, appena lo vide corse tra le sue braccia.
Eric si accorse che la giovane stava tremando: «tesoro, stai bene?»
Lei annuì: «temevo che non saresti tornato»
«Che è successo?»
«Sono stati loro, cercavano qualcosa…hanno messo a soqquadro il tuo studio e hanno portato via tutti i documenti…»
«Loro chi? I repubblicani?» chiese con apprensione.
«No, erano agenti del G2, erano in divisa e mi hanno mostrato i distintivi»
Dalton parve tranquillizzarsi, non si preoccupò per quelle scartoffie, i veri fascicoli erano nascosti al sicuro in una stanza dell’Hynes pub.
«Che cosa volevano da te?»
«Mi hanno solo posto delle domande su di te e sul tuo caso, io…non so che cosa volessero veramente»
Eric prese il suo volto tra le mani e la guardò negli occhi: «mi dispiace che ti abbiano coinvolta in tutto questo. In ogni caso non devi preoccuparti, l’agente Beckett vuole soltanto spaventarmi per indurmi ad abbandonare le indagini»
«Hanno detto che potrebbero accusarti di essere un collaborazionista dell’IRA» disse Aileen tra i singhiozzi.
Dalton tentò di mascherare la sua preoccupazione: «se avessero potuto arrestarmi probabilmente l’avrebbero già fatto»
«Non puoi continuare ad occuparti di questa faccenda!»
«Non ho altra scelta»
«Credi davvero di poterti opporre al volere del governo?»
«E’ il mio lavoro, ho il dovere di trovare la verità»
«Hai sempre posto la verità prima di ogni altra cosa e io ti ho sempre ammirato per questo, ma questa volta è diverso. Non pensi alla tua famiglia?»
«E’ anche per questo che lo sto facendo. Non potrei mai crescere mio figlio con la consapevolezza di aver tradito i miei ideali»
Lei poggiò la testa sul suo petto: «io sarò sempre disposta a sostenerti, ma ti prego, stai attento»
Eric la strinse a sé: «ti chiedo solo un po’ di tempo, presto questa storia sarà finita»
Aileen non era certa di poter credere alle sue promesse, ma nonostante tutto in quell’istante si sentì al sicuro, così si abbandonò a quell’abbraccio in cerca di speranza e conforto.
 
 

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Capitolo 8
*** Memorie di un sopravvissuto ***


 


Colbert scese nei sotterranei freddi e umidi del Castello, oltrepassò le prigioni e a passo incerto raggiunse un lungo corridoio. Si fermò davanti all’ultima stanza e prese un lungo respiro prima di bussare al portone di legno. Una voce forte e decisa lo invitò ad entrare, egli varcò la soglia con titubanza.
L’agente Beckett si rialzò dalla sua sedia e l’accolse con una vigorosa stretta di mano.
«Buonasera tenente! La stavo aspettando, prego, si accomodi!»
McGowan obbedì posizionandosi davanti alla scrivania.
«Gradisce del buon whiskey?» chiese Beckett riempiendo il suo bicchiere.
Egli negò scuotendo la testa.
L’agente scosse le spalle e bevve un lungo sorso.
«Suppongo che lei conosca il motivo per cui ho chiesto quest’incontro…» disse poi avvicinandosi al suo ospite.
Colbert annuì: «si tratta del mio ruolo nelle indagini del caso O’ Donnell»
«Già, lei è sempre stato oscurato dal nome di suo padre, devo ammettere di non aver mai provato molto interesse nei suoi confronti. Ad essere sincero sono alquanto irritato dal fatto che un rampollo annoiato sia qui a crearmi problemi»
McGowan rimase in silenzio, le parole di Beckett, così fredde e taglienti, avevano avuto l’effetto desiderato.
«Avanti tenente, avrà altre occasioni per farsi valere, ma questa questione non la riguarda»
«La morte di quei repubblicani riguarda lo Stato d’Irlanda, dunque è anche mio dovere scoprire la verità»
«Il problema è che queste indagini rischiano di minacciare la sicurezza di Stato. Il detective Dalton potrebbe essere condannato per tradimento»
«Il suo unico scopo è quello di ottenere giustizia»
«Capisco…a dire il vero mi spiacerebbe dover ricorrere a metodi più drastici per risolvere questa situazione»
«Mi sta chiedendo di compromettere le indagini come fece il Generale Mulcahy tredici anni fa?»
L’agente Beckett lo guardò dritto negli occhi: «la sto aiutando a trovare un modo per uscire pulito da questa faccenda, e anche per salvare la pelle al suo amico. Visto che l’IRA è coinvolta è nostro dovere intervenire»
Colbert rifletté sulla situazione: «credo di non avere molta scelta»
Beckett mostrò un’espressione compiaciuta: «non sia così drammatico. In fondo noi dovremmo sempre collaborare per il bene della Nazione»
«Anche nascondere la verità al popolo irlandese e lasciare in libertà un criminale di guerra è per il bene della Nazione?»
«Lei non conosce la verità, e in ogni caso ci sono situazioni in cui è necessario sacrificare parte della nostra integrità per qualcosa di più importante, non crede?»
«Non si tratta solo del caso O’ Donnell, vero? Chi è che sta proteggendo veramente? Il Generale Mulcahy? Oppure il suo misterioso superiore da cui prende questi ordini assurdi?»
L’agente Beckett s’irrigidì: «ascolti signor tenente, è fortunato ad avere la protezione di suo padre, ma le consiglio di non continuare a giocare con il fuoco»
McGowan sbuffò esternando la propria frustrazione.
«Ricordi il nostro accordo, quando il detective Dalton tornerà a Dublino lei dovrà convincerlo a collaborare. In caso contrario non posso più garantirle nulla»
Il tenente si rialzò con sdegno, prima di abbandonare la stanza rivolse un ultimo sguardo all’agente Beckett, il quale si congedò con un amaro sorriso.
«Prenda la giusta decisione tenente, e non provi a fare il furbo. Come ha avuto modo di constatare: noi sappiamo sempre tutto»
 
***

Robert osservò la campagna irlandese dal finestrino del treno, era stato contento di abbandonare la capitale per tornare nel Kerry, iniziava a sentire nostalgia di casa.
Il detective Dalton invece aveva un’aria cupa, rimase a lungo in silenzio con lo sguardo perso nel vuoto. Ripensò a tutta quella vicenda, una parte di sé non riusciva ancora a credere che Patrick O’ Donnell fosse realmente colpevole, ma allo stesso tempo provò un intenso dolore per quella sorta di tradimento.
L’uccisione dei tre repubblicani di Cahirciveen era stato di certo un atto violento, ma non si trattava di un crimine. La legge marziale era in vigore in quegli anni, dunque i prigionieri potevano essere giustiziati anche senza un regolare processo.  
Ciò che non giustificava il massacro di Fenit erano le torture e il crudele metodo di uccisione dei prigionieri. Se ciò fosse stato vero il detective si sarebbe trovato davanti a un vero crimine di guerra.
«L’interrogatorio dell’ex tenente Kavanagh non ha portato ad alcun risultato?» domandò Robert con curiosità.
Il detective scosse la testa: «no, erano presenti alcune discordanze nelle sue testimonianze e quelle di un suo commilitone, ma nulla di così importante da poter essere utilizzato come prova»
«Per quale motivo il prigioniero Tim Sullivan è così importante?»
«Non lo so, suppongo che dovremo scoprirlo»
Robert esitò prima di continuare la conversazione: «io…volevo ringraziarla per tutto quello che sta facendo»
Dalton si limitò ad una frase di circostanza: «sto soltanto facendo il mio dovere. Adesso pensa a riposare un po’, il viaggio è ancora lungo»
 
***

La loro prima tappa nel Kerry fu la centrale di polizia di Tralee, dove poterono chiedere informazioni a riguardo del vecchio caso.
Il commissario Seamus Delaney non parve particolarmente sorpreso dalla loro visita e rispose alle domande in modo alquanto vago, senza mai rivelare più del necessario. Dalton ebbe la sensazione che stesse nascondendo qualcosa, ma non poté affermarlo con certezza.
«Se non sbaglio i referti medici dovrebbero essere ancora conservati nei vostri archivi»
Delaney esitò, ma alla fine decise di fidarsi del detective, così accompagnò i nuovi arrivati nello scantinato polveroso. Il commissario trovò i documenti con rapidità, era evidente che sapesse già dove cercare.
Dalton aprì il primo fascicolo ed iniziò a leggere, le informazioni erano sintetiche e frammentate. Ustioni, lividi, arti recisi, ferite più o meno profonde procurate da schegge e detriti…tutte osservazioni plausibili, ma mai descritte nel dettaglio. Dopo aver appurato la causa del decesso non c’erano state ulteriori indagini.
Robert preferì non conoscere a fondo quei particolari, il detective poté comprendere le sue ragioni. Eric però rimase scettico sull’autenticità di quei referti. Come aveva previsto non c’erano tracce di ferite da arma da fuoco, eppure al tempo i testimoni avevano udito degli spari nella notte.
«Ha bisogno di altro signor detective?» chiese Delaney con diffidenza.
Egli richiuse i fascicoli con rassegnazione: «a dire il vero sì. Mi servirebbero tutte le informazioni riguardanti una delle vittime, il suo nome è Timothy Sullivan»
Il commissario alzò lo sguardo: «si sta riferendo al sopravvissuto di Tralee?»
Dalton rimase stranito, anche Robert parve ignaro a riguardo.
Delaney iniziò a cercare nei cassetti: «Tim Sullivan fu dichiarato morto dall’Esercito la notte dell’incidente, ma in realtà egli riuscì a sopravvivere. La verità fu scoperta solo mesi dopo, poco prima del processo al maggiore O’ Donnell. Sullivan decise di testimoniare, ma la sua versione non fu considerata poiché il medico lo dichiarò affetto da nevrosi da guerra. Davvero una brutta storia…»
Eric si ritrovò frastornato da tutte queste informazioni che a Dublino non erano mai trapelate. Probabilmente questa era una delle ragioni per cui il G2 custodiva gelosamente il rapporto sul caso O’ Donnell.
In quel momento Dalton non si domandò per quale motivo Delaney fosse così ben informato sulla faccenda, era più interessato a scoprire perché nessun altro, oltre alla polizia del luogo e al comandante O’ Ryan, fosse a conoscenza di quella storia.
«Dopo la guerra in molti preferirono dimenticare, le ingiustizie avvenute nel Kerry furono considerate come un prezzo da pagare in cambio della pace. Dopo il processo al maggiore O’ Donnell nessuno credette alla versione di Sullivan, egli stesso non parlò mai più della vicenda. Per questo nessuno ricorda più il sopravvissuto di Tralee, per alcuni non è mai esistito» spiegò il commissario.
«Per quale motivo quest’uomo è rimasto in silenzio per tutto questo tempo?»
«Forse era davvero un infermo mentale, oppure ha semplicemente inventato tutto»
«E se la versione di Sullivan corrispondesse alla realtà?»
Delaney alzò le spalle: «se Sullivan si dimostrasse un testimone affidabile e se ci fossero prove a suo favore il caso O’ Donnell potrebbe essere riaperto»
Dopo aver detto ciò il commissario riaccompagnò gli intrusi verso l’uscita congedandosi in modo formale.
Quando Dalton e O’ Neil abbandonarono la centrale Delaney si rivolse a un poliziotto: «agente Reynolds, non perda di vista quei due e mi tenga informato a riguardo»
Egli annuì con un cenno, prontamente si riunì ai suoi colleghi per adempire al suo incarico.
 
Passeggiando lungo le rive del Lee il detective interrogò nuovamente Robert su quegli eventi. 
«Fu l’Esercito a organizzare i funerali delle vittime di Fenit, i cadaveri furono seppelliti nel cimitero di un paesino sulle colline di Tralee» spiegò il giovane.
«Dunque i corpi non furono mai consegnati alle famiglie?»
Robert scosse la testa: «no, le bare erano già state chiuse quando furono riportate a Tralee»
Dalton sbuffò: «l’esplosione ha avuto due ruoli in questo spietato massacro, non solo ha ucciso i prigionieri, ma ha anche cancellato le prove delle violenze subite dalle vittime»
Robert abbassò lo sguardo, Eric continuò a camminare in silenzio, ammirando le acque limpide che riflettevano la luce rossastra del tramonto. 
 
Quella sera sostarono in una locanda vicino al porto, dopo cena Robert rimase al pub con un boccale di birra, Dalton invece si allontanò in cerca di un telefono.
Sua moglie rispose immediatamente, probabilmente attendeva con ansia la sua chiamata.
Egli si rassicurò nel sentire la sua voce.
«Mi spiace per essere partito così all’improvviso, purtroppo non avevo altro modo per continuare le indagini»
«Questo caso è diventato una vera ossessione per te» disse lei con tono preoccupato.
«Ti prometto che quando questa storia sarà finita cambierà tutto. Presto mi prenderò una lunga pausa dal lavoro e avrò tempo solo per te e per il bambino»
«Vorrei davvero crederti»
«Non ho intenzione di illuderti, lo sai che non ti ho mai mentito»
«Promettimi solamente che tornerai a casa presto»
«Certo tesoro, tra pochi giorni sarò lì con te»
Aileen rispose con voce tremante: «ti amo»
«Anche io ti amo»
Eric riagganciò con rammarico, era certo di averla sentita piangere.
 
***

Il mattino seguente il detective decise di presentarsi all’indirizzo fornito dall’IRA. La fattoria era situata in un luogo tranquillo e isolato, i proprietari dovevano apprezzare la solitudine.
Dalton e O’ Neil si incamminarono lungo il sentiero, ben presto furono raggiunti da un giovane bracciante.
«State cercando qualcuno?» chiese il ragazzo incuriosito e insospettito dalla divisa di Robert.
«Siamo stati informati che questa dovrebbe essere la residenza della famiglia Sullivan» disse Eric restando sul vago.
Egli annuì: «sì, io sono Jack Sullivan»
«E’ parente di Tim Sullivan?»
«Certo, egli è mio padre…che cosa volete da lui?»
Dalton mostrò il distintivo: «stiamo indagando sull’incidente di Fenit, la testimonianza di un sopravvissuto potrebbe essere fondamentale per il caso»
Il giovane scosse la testa: «state perdendo il vostro tempo, mio padre non ha mai parlato con nessuno dell’accaduto»
In quel momento intervenne Robert: «noi siamo qui soltanto per conoscere la verità»
Jack esitò, ma alla fine decise di dar loro una possibilità. I due lo seguirono all’interno della piccola abitazione in pietra.
Si ritrovarono in un salotto semplice e spoglio, la stanza era intrisa di un intenso odore di legna bruciata. Un uomo era seduto sulla poltrona davanti al camino.
Tim Sullivan era ancora giovane, doveva avere circa trentotto anni, ma sul suo volto erano evidenti i segni del dolore e della sofferenza. Egli osservò i nuovi arrivati con il suo sguardo vitreo e spento.
«Piacere di conoscerla signor Sullivan. Io sono il detective Dalton e lui è l’agente O’ Neil. Siamo della polizia di Dublino»
L’uomo rispose educatamente, ma non si mostrò particolarmente interessato a quell’incontro.
«Siamo qui per scoprire la verità sull’incidente di Fenit» continuò Eric.
Sullivan rimase impassibile: «non ho nulla da dire a riguardo»
Jack cercò di spiegare al genitore la situazione, ma lui non parve intenzionato a cambiare idea.
A quel punto si fece avanti Robert: «signor Sullivan, si ricorda di mio padre? Damien O’ Neil, era un militante della West Kerry Brigade insieme al comandante O’ Ryan»
Tim sussultò nel sentire quel nome: «mi dispiace per suo padre, ma io non posso fare nulla per aiutarla»
Dalton si sistemò al suo fianco: «perché non vuole parlare? Lei merita giustizia»
«L’odio della guerra civile non deve essere responsabile di altre vittime, l’Irlanda non può vivere nel rancore»
«Ma…non vuole che i colpevoli siano condannati per quello che hanno fatto a lei e ai suoi compagni?»
Sullivan non riuscì a trattenere le lacrime: «non sono in cerca di vendetta, la guerra è finita da tanto tempo…»
«Eppure ci sono persone che ancora desiderano conoscere la verità» disse Dalton indicando Robert con lo sguardo.
Tim non osò guardare il giovane in viso: «mi dispiace, tante volte mi sono chiesto per quale motivo Dio decise di salvare me e non qualcun altro. Suppongo che convivere con questo dolore sia la mia condanna»
«Non dovrebbe sentirsi in colpa per questo. Gli unici colpevoli sono i veri responsabili, so che è difficile, ma deve raccontare la verità. E’ l’unica cosa che può fare per i suoi compagni»
Robert pronunciò quelle parole con estrema fermezza.
Dopo qualche istante di incertezza il signor Sullivan si decise a parlare: «d’accordo, vi racconterò la mia versione dei fatti, ma lo farò solamente per onorare la memoria dei miei compagni»
 
***

5 marzo 1923.
Quella notte i prigionieri furono svegliati dalle grida dei soldati del Comitato. I militari trascinarono i repubblicani fuori dalle loro celle, Sullivan e un suo compagno trasportarono il povero Lehane, il quale era stato torturato nelle ore precedenti e non aveva nemmeno la forza di reggersi in piedi.
I prigionieri furono caricati su un furgone, Tim fu scaraventato con forza sul retro, batté la testa contro la parete metallica e rimase incosciente per la maggior parte del viaggio.
La vettura si allontanò dalle prigioni di Fenit vagando per più di un’ora nell’oscurità. Il veicolo si fermò sul bordo di un sentiero di campagna, a quel punto i repubblicani furono spinti giù dal Crossley Tender.
Il tenente Kavanagh afferrò Sullivan per le spalle e lo gettò a terra, il giovane si ritrovò steso nella polvere, a fatica riuscì a rialzarsi avvertendo le urla e gli insulti dell’ufficiale.
Fu in quel momento che vide il profilo del maggiore O’ Donnell, al contrario degli altri soldati egli era calmo e tranquillo. Controllava la situazione da una certa distanza, limitandosi a fornire ordini ai soldati e ammirando il panorama notturno.
I prigionieri, ammanettati e sotto il controllo dei militari, furono costretti a camminare nell’oscurità fino a raggiungere uno spiazzo deserto nel mezzo di un campo. Tim e i suoi compagni attesero tremanti, erano ormai consapevoli del loro imminente destino.
I soldati del National Army li sorvegliarono dal sentiero, per alcuni minuti chiacchierarono tra loro, non sembravano avere fretta.
Ad un tratto il maggiore O’ Donnell si avvicinò ai repubblicani, si portò la sigaretta alle labbra, espirò una nuvola di fumo ed alzò lo sguardo al cielo stellato.
«E’ davvero una notte splendida» commentò rivolgendosi ai condannati.
Per un istante Sullivan notò un velo di tristezza nel suo sguardo, ma ben presto l’ufficiale tornò cupo e inespressivo. Si allontanò nuovamente e ordinò ai suoi uomini di mettersi al lavoro.
Poco dopo i suoi commilitoni si occuparono di legare i repubblicani con spesse corde riunendoli in cerchio, i detenuti trasalirono quando notarono l’ordigno posto al centro. 
Tim era deciso ad affrontare con onore la sua condanna, ma anche il suo sguardo era colmo di paura e disperazione come quello dei suoi compagni. Pregò in silenzio per il destino della sua Nazione, per la quale presto avrebbe sacrificato la sua vita.
I soldati circondarono i prigionieri con il filo, poi si allontanarono per mettersi al riparo, ormai era solo una questione di istanti.
Tim osservò un’ultima volta i suoi compagni, sentì gli adii e le loro ultime preghiere. Nessuno di loro rimpianse le proprie scelte nemmeno a pochi attimi dalla fine. Nonostante tutto erano orgogliosi di se stessi, avevano mantenuto fede alla loro promessa, sarebbero morti con onore in nome dei propri ideali.
Sullivan pensò a questo prima di chiudere gli occhi, avvertì un grido in lontananza, poi all’improvviso il botto dell’esplosione irruppe nella quiete della notte.
 
Tim riprese conoscenza ritrovandosi riverso nel fango, a stento riuscì a sollevare il volto dalla melma per poter respirare. La detonazione l'aveva scaraventato in un fosso abbastanza lontano dalla strada, incredibilmente era sopravvissuto. Il dolore era insopportabile, aveva il corpo cosparso da ustioni, schegge metalliche si erano conficcate nella schiena lacerando la pelle.
Appena tentò di spostarsi scoprì che le corde si erano allentate, era libero di muoversi, nel limite delle proprie capacità. In quell’istante avvertì una raffica di spari, erano i soldati del National Army che stavano sterminando i sopravvissuti a colpi di mitragliatrice.
Tim rimase nel suo nascondiglio, tremando dalla paura con il viso rigato dalle lacrime.
Soltanto quando fu certo di essere rimasto solo decise di strisciare fuori dal fosso, appena giunse in superficie si ritrovò davanti ad uno scenario infernale. La strada era cosparsa di resti ormai irriconoscibili, Tim rimase paralizzato, terrorizzato da quell’orrida e macabra visione. Quell’ammasso di frattaglie umane era tutto ciò che rimaneva dei suoi cari e fedeli compagni.
Il giovane tornò alla realtà appena udì le voci dei soldati in lontananza. Egli non perse tempo e con le ultime forze rimaste si rialzò in piedi, fuggì via zoppicando e inciampando, allontanandosi lentamente nel buio.
 
***

«I soldati del National Army non si accorsero della mia fuga e mi considerarono morto come tutti gli altri. Scoprirono la verità soltanto dopo parecchio tempo. Allora ero intenzionato a lottare per rendere giustizia ai miei compagni, così testimoniai al processo del maggiore O’ Donnell. Nessuno però credette alla mia versione, O’ Donnell riuscì a convincere tutti che ero diventato pazzo a causa della guerra e che le mie memorie erano soltanto i deliri di un folle. Quando la guerra terminò e la pace tornò in Irlanda mi resi conto di non poter fare nulla per cambiare il passato. Non provo rancore verso i soldati del National Army, quella fu una guerra crudele e spietata, entrambe le parti si resero colpevoli di crimini e atrocità indicibili»
Jack poggiò una mano sulla spalla del padre in segno di conforto e sostegno.
Dalton avvertì un’intensa sensazione di nausea e disgusto, ancora non poteva credere che il maggiore O’ Donnell fosse in realtà un crudele assassino. Nonostante ciò si sentì soddisfatto per essere finalmente giunto al termine di quelle travagliate indagini.
Anche Robert si ritrovò travolto da emozioni contrastanti, ovviamente era contento di aver scoperto la verità, ma allo stesso tempo non era certo di poter gestire tutto quel dolore. All’improvviso capì le motivazioni di O’ Ryan, percepì la stessa rabbia e la stessa frustrazione, per un istante provò anch’egli il desiderio di vendicare la morte del padre. Quando tornò in sé si accorse di star tremando.
Dalton pose la domanda decisiva: «lei sarebbe disposto a testimoniare contro il maggiore O’ Donnell?»
Tim si mostrò riluttante: «fino ad ora il mio silenzio ha mantenuto la pace»
Jack s’intromise nel discorso: «mio padre è molto stanco ed evidentemente sconvolto per tutto questo. Signor detective, le dispiacerebbe riprendere questa conversazione un’altra volta?»
Eric fu costretto a cedere: «d’accordo, torneremo domani per avere una risposta»
Prima di andarsene O’ Neil si fermò davanti al signor Sullivan: «per quanto dolorosa possa essere la verità è sempre la scelta migliore»
 
***

Dalton si sentì in dovere di trascorrere quel tempo insieme a Robert per non lasciarlo solo con i propri pensieri. Il ragazzo aveva appena scoperto un’atroce verità sulla morte del padre, aveva bisogno di qualcuno con cui condividere quel dolore. Eric non sapeva se la sua presenza avrebbe potuto in qualche modo alleviare la sua sofferenza, ma cercò di fare del suo meglio.
I due si recarono al cimitero per far visita alle tombe dei repubblicani, uno spazio vuoto dimostrava il fatto che al tempo l’Esercito aveva preparato una decima bara per Tim Sullivan.
Un piccolo monumento in pietra era stato eretto per ricordare le vittime.
Robert ricordava poco del padre, ma sapeva che egli era un uomo giusto e onesto, in molti l’avevano sempre considerato come un eroe. O’ Ryan gli aveva spesso narrato aneddoti sulla guerra rappresentando Damien O’ Neil come un compagno fedele e leale. Sua madre invece ricordava con commozione i momenti che avevano vissuto insieme prima della guerra.
Così il piccolo Robert aveva iniziato a provare affetto e rispetto per il genitore prematuramente scomparso, ai suoi occhi di infante il padre era stato semplicemente un valoroso soldato morto in battaglia. Poi con il tempo le cose erano cambiate, l’eroe che aveva combattuto in nome della Libertà era diventato un pericoloso criminale, e tutte le illusioni erano svanite.
Robert non aveva mai giudicato severamente il padre per le sue scelte, in fondo sapeva che egli aveva agito solamente per il bene della sua famiglia.
Il ragazzo si lasciò trasportare dai ricordi abbandonandosi a quella profonda sensazione di dolore.
Dalton poggiò una mano sulla sua spalla, provò sincera compassione nei suoi confronti.
«Sono certo che se tuo padre potesse vederti adesso sarebbe orgoglioso di te»
Robert si voltò mostrando il suo sguardo colmo di rabbia e frustrazione.
«Ho sempre considerato le motivazioni di O’ Ryan come folli e assurde, ma in questo momento io stesso non esiterei a sparare al maggiore O’ Donnell!»
Eric strinse il giovane a sé nel tentativo di calmarlo: «in questo momento sei ancora sconvolto per ciò che è successo, hai solo bisogno di un po’ di tempo per riprenderti»
Il ragazzo scoppiò in lacrime tra le sue braccia: «per tutto questo tempo mi sono fidato di lei, non può deludermi proprio adesso!»
Il detective sentì tutto il peso delle sue responsabilità: «sono disposto a fare il possibile per rispettare la mia promessa»
Robert credette alle sue parole, ma nemmeno ciò riuscì a rassicurarlo. Ormai aveva iniziato a perdere fiducia nella legge, l’Esercito aveva già insabbiato la faccenda, di certo non avrebbe esitato a nascondere nuovamente quella scomoda verità. Il detective Dalton era un uomo onesto, ma la sua buona volontà non sarebbe stata sufficiente a portare giustizia.

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Capitolo 9
*** I segreti del Castello ***




 

Un’automobile era ferma sul lato della strada, proprio davanti alla locanda. Dalton non prestò attenzione al veicolo, mentre camminava a testa bassa rimuginava sui suoi problemi. Sullivan aveva deciso di non testimoniare, egli non aveva intenzione di parlare nuovamente in pubblico di quella faccenda.
Il detective poteva comprendere le sue ragioni, ma ciò avrebbe reso il suo lavoro ancora più difficile. Poi c’era anche la questione di Robert, dopo aver scoperto la triste verità su suo padre il giovane aveva deciso di tornare a Fenit. Così i due si erano separati, Dalton era certo che per quel ragazzo sarebbe stato meglio restare per un po’ lontano dalle indagini.
Eric era ancora immerso in questi pensieri quando la portiera si aprì e un poliziotto in uniforme uscì dall’auto. L’uomo si posizionò davanti all’investigatore mostrando il distintivo.
«Detective Dalton, deve venire con noi»
Eric rimase qualche istante interdetto, indeciso su cosa fare. Non conoscendo i motivi di quel fermo e notando le pistole ben in vista decise di non opporsi.
Prima di farlo salire sul retro della vettura un secondo agente pensò a perquisirlo requisendogli la Browning.
«Non si preoccupi, è il protocollo, non possiamo fare eccezioni»
Eric restò impassibile sistemandosi sul sedile e studiò con attenzione l’aspetto dei suoi compagni di viaggio. Poté constatare che essi erano davvero agenti di polizia, dunque poteva considerarsi in mani sicure. Guardando fuori dal finestrino riconobbe la strada che portava verso il centro della città.
«Per quale motivo mi trovo qui?»
Il poliziotto seduto al suo fianco rispose con calma: «il commissario vuole parlare con lei, è per una questione importante»
«Suppongo che non si tratti solamente di una semplice chiacchierata…»
L’agente si limitò ad alzare le spalle: «purtroppo non posso dirle altro signor detective»
 
L’automobile si fermò davanti al commissariato, Dalton fu scortato dai poliziotti fino all’entrata. Il detective iniziò a innervosirsi, percorrendo il lungo corridoio avvertì gli sguardi sospettosi degli altri agenti, quella situazione non gli piaceva affatto.
Finalmente giunse davanti all’ufficio del commissario, l’agente Reynolds bussò con decisione, dopo aver atteso la risposta aprì la porta e spinse Eric all’interno.
Egli si ritrovò solo davanti al commissario Delaney, il quale si rialzò dalla sua scrivania per accoglierlo.
«La prego di accettare le mie scuse, mi spiace di averla trascinata qui in questo modo, ma è tutto per la sua sicurezza»
«La mia sicurezza?» domandò Eric restando diffidente.
«Certo, suppongo che preferisca trovarsi in una centrale della Garda piuttosto che in un rifugio di ribelli con una pistola alla tempia»
Egli si stupì: «lei come fa a sapere...»
Delaney interruppe la sua domanda: «anche noi abbiamo i nostri informatori nell’IRA, eravamo già a conoscenza del loro piano, ma non pensavamo che ci saremmo trovati ad aver a che fare con un detective di Dublino»
Dalton parve confuso: «la polizia di Tralee era a conoscenza delle mie indagini?»
«Oh, no…le nostre spie sapevano che i militanti avevano intenzione di organizzare un attentato al maggiore O’ Donnell, ma a quanto pare qualcuno deve aver cambiato i piani. Così l’IRA ha deciso di collaborare con la polizia…è davvero una storia assurda, non crede?»
«Non capisco, per quale motivo mi avete portato qui?»
«Per prima cosa per tenerla sotto controllo e al sicuro, e poi per convincerla ad abbandonare questa folle impresa. Mi spiace, ma io stesso mi sono ritrovato nella sua situazione e sono stato costretto a rinunciare alla verità»
«Di che sta parlando?»
«Mi occupai del maggiore O’ Donnell tredici anni fa, quando ero ancora un giovane ufficiale pieno di ideali e speranze»
«Fu lei ad archiviare il caso?»
Il commissario annuì: «sì, ma non per mia scelta»
L’uomo aprì un cassetto che era chiuso a chiave ed estrasse alcuni documenti.
«Questa lettera mi fu mandata dal Generale Mulcahy in persona, al tempo non potei far altro che rispettare i suoi ordini»
Dalton iniziò a leggere con morbosa curiosità.
 
Comdt. Delaney,
non posso che esserle grato per il suo impegno e la competenza dimostrata durante l’inchiesta sul caso O’ Donnell. Nonostante ciò sono costretto a revocarla dal suo incarico. Come avrà modo di constatare il processo avvenuto il 16 settembre ha scagionato da ogni accusa il maggiore O’ Donnell. La corte militare non ha avuto dubbi nel considerare l’imputato non colpevole. Dunque continuare queste indagini sarebbe un inutile spreco di energie e di risorse.
Al fine dei recenti sviluppi le indagini saranno sospese, il caso O’ Donnell può considerarsi archiviato.

 
«Insieme alla lettera era presente una copia dell’interrogatorio al maggiore O’ Donnell» disse Delaney porgendo al detective un altro foglio.
 
D: Dunque, che cosa accadde quella notte?
R: Dopo aver radunato i prigionieri li informai sulle conseguenze delle loro azioni. Ammetto di aver mentito, per convincerli a portare a termine il compito dissi loro che alcuni soldati del National Army erano stati uccisi mentre tentavano di disinnescare le loro mine. Ciò non è mai accaduto, ma si trattava solo di una questione di tempo e probabilità. Così ordinai ai prigionieri di rimuovere la barricata, avvertendoli che avrebbero dovuto prestare attenzione considerando l’eventuale presenza di mine o esplosivi. Io stesso mi presi la responsabilità di esaminare la barricata, in quel caso non notai alcuna mina, probabilmente era nascosta dai detriti e dall’oscurità.
D: Che cosa ha da dire a riguardo delle accuse di maltrattamento dei prigionieri?
R: I repubblicani non si opposero in alcun modo, ovviamente erano nervosi, ma non furono affatto costretti o maltrattati. I miei soldati avevano solo il compito di controllare che essi non tentassero la fuga.
D: Alcuni testimoni affermano di aver udito degli spari quella notte…
R: E’ una menzogna insinuare che dei sopravvissuti siano stati abbattuti a colpi di arma da fuoco, tutti rimasero uccisi nell’esplosione. Non ci fu alcun fuggitivo.
D: Quindi come dovremmo considerare il testimone T. Sullivan?
R: Suppongo che egli sia un impostore, probabilmente ha perso la testa in prigione. Per errore il suo nome deve essere stato riportato tra i detenuti coinvolti nell’incidente, ma egli non lasciò mai le prigioni di Fenit. Ho letto il rapporto del dottor J., egli è convinto che quell’uomo sia rimasto traumatizzato dalla guerra, se non sbaglio dovrebbe trattarsi di un grave caso di nevrosi.
D: Lasceremo a chi di dovere le considerazioni mediche del caso. Altre testimonianze dichiarano di aver visto alcuni dei suoi uomini in un locale di Tralee quella stessa notte, poco dopo il terribile incidente. Può spiegarci il motivo?
R: E’ vero, i miei uomini tornarono in città, ma di certo non per festeggiare in un pub. Alcuni di loro furono coinvolti nell’esplosione, quella notte cinque o sei soldati furono trasportati con urgenza nell’ospedale di Tralee. Anche io venni ferito, un taglio alla mano e uno alla testa, entrambi causati dalle schegge e dai detriti.

 
Il detective Dalton rimase perplesso nel leggere il verdetto finale.
 
Nessuna responsabilità può essere imputata ad alcun ufficiale o soldato coinvolto nelle operazioni effettuate nella notte del 5 marzo 1923, durante la quale dieci prigionieri repubblicani hanno perso la vita in un terribile incidente.
In conclusione, considerando le particolari condizioni dell’area in cui si sono svolti questi fatti e le stringenti esigenze della guerra, la corte dichiara che il maggiore O’ Donnell ha agito nel massimo delle sue possibilità per mantenere disciplina e rigore all’interno dell’Esercito, il suo unico scopo è stato quello di riportare ordine e pace nella nostra Nazione.

 
«Alla fine O’ Donnell ha ricostruito un’accurata versione dei fatti fornendo anche un alibi perfetto» commentò Eric.
«Già, al tempo non fui l’unico a sospettare che questo processo fosse in realtà una sceneggiata dell’Esercito»
«Che ne pensa di tutto questo?» domandò il detective con indignazione.
Delaney sorrise amaramente: «direi che alla fine il Generale Mulcahy ha trovato il modo di insabbiare la faccenda accontentando tutti quanti»
«Tutti tranne le famiglie delle vittime» precisò Dalton.
Il commissario rimase impassibile: «l’unico testimone non era affidabile, in mancanza di prove nessuno avrebbe potuto opporsi»
«Adesso però è diverso»
«Lei è un grande idealista signor detective, ma deve essere obiettivo…nessuno è disposto a lottare per una verità ormai sepolta e dimenticata»
«L’IRA vuole giustizia per le famiglie che hanno sofferto»
«No, l’IRA vuole riportare in superficie il dolore della guerra per scatenare nuove insurrezioni»
Eric fu costretto ad accettare anche quella verità.
«Dunque è tutto vero? Patrick O’ Donnell è stato al comando di uno squadrone di assassini?»
Delaney prese un profondo respiro: «il Comitato di visita era irregolare, anche se l’Esercito conosceva perfettamente l’esistenza di questa organizzazione. O’ Donnell è stato considerato innocente dalle stesse persone che gli avevano ordinato di commettere quei crimini. Sinceramente è difficile trovare un reale colpevole in tutto questo»
«Non possiamo dimenticare che il maggiore O’ Donnell torturò e condannò ingiustamente quei prigionieri»
Il commissario non poté contraddirlo, ma ciò non lo preoccupò particolarmente.
«Al momento condannare O’ Donnell non è una nostra priorità, anzi, paradossalmente il nostro compito è proteggerlo»
 
***

Robert aveva deciso di tornare a Fenit per un motivo ben preciso. Aveva detto al detective di voler trascorrere un po’ di tempo con la sua famiglia, ma in realtà le sue intenzioni erano differenti.
Ormai aveva preso la sua decisione, ora che finalmente aveva scoperto la verità era intenzionato ad andare fino in fondo a quella storia. Sapeva anche che la legge non avrebbe potuto aiutarlo ad ottenere giustizia. In quel momento poté comprendere a pieno le motivazioni che avevano spinto suo padre ad unirsi ai ribelli dell’IRA.
Così decise di raggiungere il suo villaggio per incontrare il comandante O’ Ryan.
Robert entrò in un pub e con discrezione raggiunse il retro del locale, si fermò davanti ad una porta e bussò scandendo con precisione ogni colpo. Dopo pochi attimi di attesa la serratura scattò. O’ Neil entrò in quel luogo buio e polveroso, appena i suoi occhi si abituarono all’oscurità riconobbe una figura in piedi accanto alla finestra sbarrata, la prima cosa che vide fu la pistola che sporgeva dalla cinta dei suoi pantaloni.
«Il piccolo Bobby è tornato!» esordì O’ Ryan accogliendo il ragazzo con un abbraccio.
Quella volta Robert non protestò nel sentirsi chiamare in quel modo, apprezzò quell’affettuoso benvenuto.
«Sono felice di vederti, mi hanno riferito che a Dublino tutto è andato secondo i piani»
O’ Neil si limitò ad annuire.
«Dunque, come mai hai deciso di tornare?» chiese il comandante.
«Lei aveva ragione, furono i soldati del National Army a uccidere mio padre e i suoi compagni»
O’ Ryan non fu sorpreso da quella rivelazione, in fondo conosceva la verità da molto tempo.
«Quindi le indagini sono concluse?»
Robert sospirò: «temo che il detective Dalton non possa più fare nulla a riguardo»
Il militante assunse un’aria pensierosa: «già, avevamo considerato anche questa eventualità…»
«Questa storia non può finire così! La verità è rimasta nascosta per troppo tempo e O’ Donnell deve pagare per quello che ha fatto!»
O’ Ryan fu colpito da quelle parole: «ciò significa che hai finalmente deciso di sostenere la nostra causa?»
Il ragazzo annuì con decisione.
Il comandante si avvicinò mostrando la sua espressione soddisfatta: «sapevo di potermi fidare di te, ero certo che il figlio di O’ Neil non mi avrebbe deluso!»
«Sono disposto a portare avanti la missione dell’IRA, ma solamente ad una condizione»
«E quale sarebbe questa condizione?» domandò O’ Ryan con diffidenza.
«Il detective Dalton deve restare fuori da questa storia»
«Per quale ragione?»
«Quando egli ha scoperto che ero in contatto con l’IRA ha scelto di non denunciarmi, non posso tradire la sua lealtà»
Dopo qualche istante di riflessione O’ Ryan acconsentì: «Dalton può considerarsi al sicuro se non interferirà con i nostri piani»
«Dunque ha intenzione di assegnarmi questa missione?» chiese il ragazzo con tono speranzoso.
Il comandante sorrise: «ovviamente, tu sei la persona perfetta per quest’incarico. Il popolo irlandese vuole ottenere giustizia, ma per te si tratta di una questione privata. Presto potrai avere la tua vendetta»
 
***

Il detective Dalton tornò a Dublino con due obiettivi ben chiari in mente: contattare qualcuno di importante al Castello e trovare Patrick O’ Donnell.
Per quel che riguardava le indagini era ormai rassegnato, l’unica cosa che poteva fare era scrivere un rapporto che probabilmente sarebbe stato distrutto o nascosto insieme agli altri documenti ufficiali.
L’idea di incontrare O’ Donnell invece gli procurava sensazioni contrastanti, ovviamente disprezzava quell’uomo per ciò che aveva fatto, ma allo stesso tempo non riusciva a rinunciare all’ideale che si era creato di lui, e che era rimasto come suo esempio di vita per tutto quel tempo.
Dalton cercò di distrarsi da quella dolorosa delusione. Pensò ad Aileen, aveva intenzione di mantenere le sue promesse, ma temeva che non sarebbe stato semplice. Sapeva che sua moglie aveva cercato in ogni modo di aiutarlo in quel momento difficile, egli invece non aveva fatto nulla per lei. Quel caso l’aveva costretto a stare lontano dalla sua famiglia, aveva lasciato sola la persona più importante della sua vita quando ella aveva più bisogno del suo sostegno. Eric poggiò la testa sul sedile e socchiuse gli occhi, si sentì in colpa per aver trascurato la donna che amava, in quel momento desiderò soltanto stringerla nuovamente tra le braccia.
Credeva di poter cambiare le cose, invece era stato costretto a fare i conti con la dura realtà. Ora che i suoi ideali erano stati distrutti non gli restava altro che fare il suo dovere e rinunciare per sempre al caso O’ Donnell.
 
Il treno si fermò alla stazione, era ormai tardi, dal finestrino Eric scorse le luci della capitale che brillavano nell’oscurità. Appena scese dal vagone trovò una pattuglia di polizia sui binari, inizialmente non rimase particolarmente sorpreso, i controlli erano sempre più frequenti. All’improvviso due agenti lo fermarono afferrandolo bruscamente per le braccia.
«Signor detective, la stavamo aspettando»
Egli non ebbe il tempo di reagire, stanco e frastornato per il lungo viaggio non riuscì a realizzare ciò che stava accadendo. In quel momento si avvicinò un ufficiale, Eric riconobbe la sua figura illuminata dalla fioca luce di un lampione.
«Colbert!»
Il tenente si fermò davanti a lui: «avrei preferito accoglierti in modo differente»
Dalton non capì, un poliziotto strinse le manette intorno ai suoi polsi.
Eric si rivolse all’amico: «che diamine sta succedendo?»
Il tenente si sforzò di guardarlo negli occhi: «non avrei voluto arrivare a tanto, ma i servizi segreti sono stati chiari a riguardo»
«Non puoi farmi questo! Credevo che tu fossi mio amico!»
«Mi dispiace, so che non mi crederai, ma sto cercando di aiutarti»
Dalton tentò di protestare mentre gli agenti lo trascinarono lungo la strada.
 
Eric si ritrovò nuovamente in un'automobile della polizia, stavolta in viaggio verso il Castello.
Il tenente McGowan rimase in silenzio per tutto il tempo, non era ancora certo di aver fatto la scelta giusta, ma in fondo aveva agito solamente per il bene del suo amico. Sapeva che i servizi segreti avrebbero cercato di corromperlo e di indurlo a rinunciare alla verità, ma Colbert preferiva essere considerato un traditore piuttosto che ritenersi responsabile di una prevedibile tragedia.
L’automobile della polizia si fermò davanti al Castello, Eric fu spinto con forza fuori dalla vettura.
McGowan rimproverò gli agenti: «lasciatelo! Non cercherà di scappare, il detective Dalton non è un criminale!»
Eric fu accompagnato nell’ufficio dell’agente Beckett, il quale si mostrò particolarmente soddisfatto nel vedere il detective in manette.
«Bene, finalmente tutto è tornato al suo posto» commentò con un amaro sorriso.
Dalton non esitò a protestare: «non avete il diritto di arrestarmi, non potete condannarmi per aver svolto il mio dovere!»
«Non sia così riluttante, in fondo non conosce ancora il motivo per cui si trova qui» replicò Beckett.
Eric rimase perplesso, un’altra ombra comparve sulla soglia. Un uomo vestito di grigio entrò nella stanza, doveva avere circa quarant’anni, avanzava a passo sicuro con un’espressione seria e altezzosa sul viso.
«Piacere di conoscerla detective. Io sono il sovrintendente David Neligan, ma suppongo che le presentazioni non siano necessarie»
«Lei è il comandante della Garda» esclamò Dalton con sincero stupore.
«Ad essere precisi sono anche il fondatore del Special Branch» rispose il nuovo arrivato.
«Devo dedurre che ci sia lei dietro a questa storia» continuò Dalton con una certa avversità.
Neligan annuì: «al tempo il caso O’ Donnell era una bomba pronta a scoppiare, il mio compito è stato quello di spegnere la miccia prima dell’esplosione»
«Al momento non sono interessato alle vostre menzogne! La vita di O’ Donnell è in pericolo»
Il comandante si accese con calma una sigaretta: «questo è il motivo per cui l’abbiamo portata qui»
Eric gli rivolse uno sguardo interrogativo.
«Lei è il miglior detective della città, ha scoperto tutta la verità su questa storia e soprattutto ha già avuto a che fare con l’IRA. Ho sentito parlare molto bene di lei, signor Dalton, ho anche seguito le sue avvincenti indagini sui giornali. Il caso Mulligan era sulla prima pagina del Times, lei ha arrestato uno dei terroristi più ricercati d’Irlanda…»
«Crede di potermi adulare in questo modo?»
«Oh, no. Le mie sono sincere congratulazioni, voglio che lei lavori per me. Dovrebbe sentirsi onorato per questo»
«Che cosa volete esattamente da me?»
«Le sto chiedendo di collaborare con i miei agenti per sventare l’attentato all’ex maggiore O’ Donnell e per catturare quei criminali repubblicani»
Dalton rifletté qualche istante: «per quale motivo avete bisogno di me?»
Neligan rispose con estrema serietà: «perché non abbiamo più molto tempo, e lei è l’uomo giusto per noi»
«Ciò significa che sono sacrificabile?»
Il comandante sorrise: «lei mi piace signor Dalton, spero davvero che non le accada nulla di male»
Dopo aver detto ciò Neligan uscì dalla stanza affidando il detective nelle mani di Beckett.
Eric si mostrò irritato e spazientito: «direi che lei si è divertito abbastanza, adesso potrebbe togliermi queste dannate manette?»
 
Dalton non era a suo agio in quella situazione, non avrebbe mai pensato che per svolgere il suo dovere avrebbe dovuto salvare la vita a un criminale di guerra.
Egli osservò l’agente Beckett, il quale stava leggendo con attenzione i rapporti del commissario Delaney.
«Dunque che ne è stato di O’ Donnell?» chiese il detective con curiosità.
Beckett rispose senza alzare lo sguardo dal foglio: «si è dimesso dal suo incarico nell’esercito nel 1924, un anno dopo la fine della guerra. E’ stato assegnato a un impiego d’ufficio a Wicklow, vive ancora lì con la sua famiglia»
Eric non riuscì a nascondere la sua delusione, di certo immaginava un’esistenza più fantasiosa per l’eroe della sua infanzia.
«Non sappiamo quando l’IRA colpirà, ma di certo agirà al più presto possibile. Dovremo sorvegliare O’ Donnell con estrema attenzione» continuò Beckett.
«Il commissario Delaney ha detto che i repubblicani erano intenzionati a mettere in atto quest’attentato già da tempo. Di certo conoscono bene il loro obiettivo»
«Non dovremo farci notare, se i militanti scoprissero che siamo a conoscenza dei loro piani sicuramente annullerebbero la missione e non avremo più l’occasione di arrestarli»
«Nemmeno O’ Donnell dovrà sapere di noi, anche lui potrebbe tradirsi»
«Però qualcuno dovrà avvicinarsi a lui senza destare sospetti»
Dalton non aspettava altro.
«Potrei continuare le mie indagini, l’IRA si fida ancora di me, non sospetterà della mia presenza»
Beckett rispose con una smorfia: «lei non ha proprio intenzione di arrendersi»
«Quale sarebbe l’alternativa? Utilizzare un ridicolo travestimento?»
L’agente sospirò: «in effetti la sua idea potrebbe anche funzionare…»
 
***

Wicklow era una tranquilla cittadina di mare situata sulla costa orientale, poco più a sud della capitale. Dalton camminò verso il porto e continuò la sua passeggiata lungo la Murrough, da un lato si estendevano ampie aree verdi, dall’altro invece poteva ammirare le spiagge deserte e le scogliere frastagliate. Davanti a sé, in lontananza, intravide le cime delle Wicklow Mountains.
Eric avvertì il tiepido calore del sole primaverile sulla pelle, l’aria fresca era intrisa di un intenso odore di salsedine. Per un breve istante il detective dimenticò la ragione del suo viaggio e si abbandonò alla contemplazione di quello splendido paesaggio naturale.
Tornò in sé quando individuò la sua meta: una casetta bianca situata vicino al promontorio. Si trattava di un’abitazione isolata e tranquilla, con un ampio giardino e la staccionata in legno appena verniciato.
Dalton sentì delle risate, tre ragazzini stavano giocando rincorrendosi nel prato fiorito. Il più grande doveva avere circa tredici anni, Eric suppose che si trattasse di Michael O’ Donnell. Gli altri due dovevano essere i suoi fratelli: un ragazzino allegro e vivace e una graziosa bambina dalle trecce bionde.
Dalton esitò prima di varcare il cancello e avvicinarsi alla porta. Prese un profondo respiro e bussò con decisione.  
Poco dopo una donna comparve sulla soglia, aveva un viso dolce e un sorriso cordiale.
Eric la identificò facilmente come Elizabeth Keating, la moglie di O’ Donnell.
«Salve, posso aiutarla?» chiese lei con gentilezza.  
Egli mostrò il distintivo: «detective Dalton, polizia di Dublino. Dovrei parlare con il signor Patrick O’ Donnell»
Elizabeth lo lasciò entrare, ma non riuscì a nascondere la sua preoccupazione.
«Le chiamo subito mio marito» disse spostandosi nell’altra stanza.
Eric mosse qualche passo nel salotto, la casa era ampia e confortevole, arredata in stile borghese e raffinato.
Il detective osservò le foto incorniciate poste sui mobili, una ritraeva i due coniugi nel giorno delle nozze, Patrick indossava la divisa repubblicana.
La seconda immagine raffigurava O’ Donnell in posa con l’uniforme da ufficiale del National Army, il suo petto era decorato con la medaglia dei Volunteers che avevano combattuto durante la Rivolta del 1916.
Nelle altre cornici invece erano presenti i volti sorridenti dei bambini. Eric sospirò, la vita di Patrick O’ Donnell sembrava quella di un perfetto padre di famiglia, nulla riconduceva più al suo tormentato passato.
Il detective era ancora immerso in quei pensieri quando avvertì l’eco di alcuni passi.
Eric sussultò, per un istante rimase immobile, quel momento gli parve surreale.  
Si voltò lentamente, il suo sguardo incrociò due profondi occhi verdi.




Nota dell'autrice
Questo capitolo in teoria doveva essere il penultimo della storia, ma alla fine per non affrettare troppo le vicende ho scelto di realizzare 10 capitoli + epilogo. 
Ringrazio tutti coloro che stanno continuando a leggere e seguire questo racconto. 
Un ringraziamento speciale ad alessandroago_94 e mystery_koopa per le recensioni e il sostegno^^

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Capitolo 10
*** Il prezzo della verità ***


 


Eric rimase paralizzato, per qualche istante il suo sguardo restò fisso sull’uomo che aveva appena varcato la soglia. Faticava ancora a credere di trovarsi realmente di fronte a Patrick O’ Donnell.
Egli non era cambiato molto dal loro primo incontro. Il suo aspetto era rimasto prevalentemente immutato nel tempo, solo qualche ruga in più gli solcava il viso mentre i primi riflessi argentei risaltavano tra la chioma bionda.
Dalton avvertì una strana sensazione, non poté evitare di provare una certa emozione, in fondo si trovava sempre davanti all’uomo che aveva condizionato in modo irreversibile la sua intera esistenza.
«Buongiorno, signor detective» esordì il padrone di casa con estrema tranquillità.
Dalton esitò prima di stringere la sua mano.
Patrick non sembrava particolarmente turbato da quella situazione, il suo viso non manifestava alcun segno di preoccupazione.
«Credo che lei mi debba almeno una spiegazione, per quale motivo la polizia di Dublino è venuta a cercarmi?»
Eric era certo che O’ Donnell conoscesse perfettamente la risposta a quella domanda, ma decise comunque di assecondarlo.
«E’ una lunga storia, se mi concede il tempo vorrei spiegarle tutto con calma»
O’ Donnell si posizionò comodamente sulla poltrona ed invitò l’ospite ad accomodarsi. Eric prese una sedia e la posizionò di fronte all’indiziato.
«Probabilmente non si ricorda di me, ma noi ci siamo già incontrati»
Patrick squadrò il detective con maggior attenzione: «penso proprio di non riconoscerla»
«Be’, in effetti è passato un po’ di tempo. Allora avevo solo quindici anni, ero semplicemente un ragazzino, ma quell’incontro ha veramente cambiato la mia vita»
O’ Donnell sorrise: «deve essere stato davvero un momento importante per lei»
«Fu durante i festeggiamenti per la fine della guerra. La ricordo marciare nella sua bella uniforme da ufficiale»
Egli abbassò lo sguardo: «fu tanto tempo fa…sono cambiate tante cose da allora»
«Già, ma il passato non dimentica. E’ per questo che sono qui»
Patrick gli rivolse un’occhiata perplessa.
«Si tratta di un vecchio caso, una questione rimasta in sospeso...»
Il suo interlocutore non lasciò trasparire alcuna emozione: «temo ancora di non capire»
Dalton dovette riconoscere che O’ Donnell era diventato davvero bravo a recitare la sua parte.
«Si ricorda di Damien O’ Neil?»
Patrick finse di riflettere con aria pensierosa, alla fine scosse la testa.
«No, mi dispiace. Quel nome non mi dice assolutamente nulla»
Il detective iniziò a spazientirsi: «davvero? Non si ricorda nemmeno del sergente McCarthy?»
A quel punto O’ Donnell reagì con un lieve sussulto.
«Egli decise di ritirare la sua denuncia, ma qualcuno ha conservato la sua testimonianza per tutto questo tempo. Il fascicolo è giunto nelle mie mani ed è per questo che il caso O’ Donnell è stato riaperto…»
«Lei sta soltanto perdendo il suo tempo, il sovrintendente Neligan non le permetterà di diffondere certe informazioni»
Eric sospirò: «ne sono consapevole, ma non importa. Ho il dovere concludere il mio lavoro»
«Che cosa ha intenzione di fare?»
Dalton prese in mano il suo taccuino: «iniziare l’interrogatorio»
«Questa situazione è assurda…»
«Voglio solo conoscere la sua versione dei fatti per porre fine alle mie indagini»
«Per quale motivo è così ostinato a portare a termine la sua inchiesta?»
«Perché un giorno qualcuno mi disse di non aver mai paura di lottare per ciò in cui credevo. Ed io ho sempre creduto nella verità»
Patrick parve riconoscere le sue stesse parole.
«Ammiro la sua determinazione, ma ho già rivelato tutto alla corte marziale, non ho altro da dire a riguardo»
«Adesso basta con questa farsa, io sono a conoscenza di tutto signor O’ Donnell. Sto indagando su di lei da diverso tempo, so che uccise un uomo per la prima volta durante la Rivolta del 1916, si trattò di una guardia britannica a Phoenix Park che venne picchiata a morte da lei e i suoi compagni. Sono a conoscenza del suo ruolo nella Squadra di Collins e della sua prigionia nel campo di internamento di Ballykinlar. Mi hanno riferito dei suoi atti di eroismo durante la battaglia di Dublino, poi ho scoperto l’esistenza del Comitato di visita, un’organizzazione segreta del National Army il cui scopo era arrestare e torturare informatori e repubblicani. So che lei era al comando di uno squadrone di assassini: una vita per una vita. Mi hanno raccontato di ciò che ha fatto al comandante Sean Lehane, infine so che lei fu responsabile per la morte dei prigionieri di Fenit, tra cui anche Damien O’ Neil. Ora che le ho rinfrescato la memoria si ricorda di lui?»
O’ Donnell non si scompose minimamente di fronte a quelle accuse.
«Complimenti signor detective, non deve essere stato semplice trovare prove e testimoni dopo tutto questo tempo»
Eric cominciò ad irritarsi: «lei mi deve delle risposte signor O’ Donnell»
Patrick si rialzò avvicinandosi con calma alla finestra, rimase qualche istante in silenzio ad osservare i bambini che giocavano nel giardino.
«Lei ha figli signor detective?»
Eric rimase sorpreso da quella domanda inaspettata.
«Diventerò padre tra pochi mesi»
«Con i bambini cambiano tante cose…anche le certezze non rimangono più le stesse, l’unica priorità per un genitore è proteggere la prole e pensare al suo bene. Per questo quando scoppiò la guerra civile decisi di tornare a combattere, desideravo soltanto la pace per poter garantire un futuro migliore a mio figlio»
«Posso comprendere le motivazioni che la portarono ad arruolarsi nel National Army»
«Da quel momento in poi non ho fatto altro che eseguire il mio dovere»
«Lei aveva un’ottima reputazione, era tornato dalle prigioni di Ballykinlar come un eroe. Durante la battaglia di Dublino diede prova di essere un ufficiale competente, i suoi uomini la rispettavano. Fino a quel momento era rimasto un uomo leale e onesto, che cosa è cambiato nel Kerry?»
Patrick prese un profondo respiro: «la guerra è la guerra, nelle campagne del Kerry si combatteva senza regole e senza pietà»
Dalton aveva già sentito quelle parole, in ogni caso apprezzò la sincerità.
«Come nacque il Comitato di visita
«L’agente Neligan e il Generale Mulcahy decisero di instaurare una collaborazione tra l’esercito e i servizi segreti per sconfiggere i ribelli»
«E a quel punto entrò in gioco lei: un ufficiale con esperienza e che conosceva bene l’IRA, era l’uomo giusto per prendere il comando della squadra»
«Per me fu un onore accettare quell’incarico. Ero disposto a fare tutto il necessario per porre fine alla guerra»
«Anche sparare a sangue freddo ai tre militanti di Cahirciveen fu necessario?» domandò Eric con tono accusatorio.
«La legge marziale permetteva all’esercito di giustiziare chiunque fosse coinvolto con l’IRA»
«Nonostante ciò molte di quelle esecuzioni furono irregolari»
«Le dirò una triste verità signor detective. In guerra non ci sono regole, sono i vincitori a dettare la legge»
Dalton si sforzò di guardare il suo interlocutore negli occhi, non c’era traccia di pentimento nel suo sguardo severo.
«Ho letto attentamente la testimonianza di McCarthy. Dopo il suo interrogatorio il prigioniero Lehane non era nemmeno in grado di camminare, aveva il volto tumefatto, il corpo cosparso di lividi, le unghie strappate e una mano fratturata» continuò il detective.
«Durante il conflitto gli inglesi divennero nostri alleati, per noi fu semplice decidere di adottare i loro metodi. Io stesso provai tutte quelle atrocità sulla mia pelle durante la mia prigionia»
«Così ebbe l’occasione di passare da vittima a carnefice»
«Se vuole vederla in questo modo…»
Eric avvertì un’intensa sensazione di nausea, fu sempre più difficile nascondere il suo disprezzo.
«Davvero non si ritiene colpevole per quel che ha fatto?»
«Il mio processo si è concluso tredici anni fa e la corte marziale non ha esitato a riconoscere la mia innocenza»
«Lo so, il commissario Delaney mi ha raccontato tutto. L’unico testimone venne considerato come un menomato mentale, il che fu davvero conveniente per la sua condizione»
O’ Donnell si spazientì: «questa chiacchierata è durata anche troppo a lungo, non crede?»
Il detective non insistette oltre, era deluso e indignato, ma aveva trovato le risposte a tutte le sue domande.
Prima di abbandonare la stanza si fermò davanti a O’ Donnell, ripensò al momento in cui quell’uomo si era chinato accanto a un ragazzino intimorito per incoraggiarlo a credere nei propri ideali.
«Io la stimavo davvero molto, lei è sempre stato il mio eroe» ammise tristemente.
Patrick rispose freddamente: «suppongo che da ora non sarà più così»
Il detective riprese il suo discorso: «non ho dimenticato ciò che mi disse tredici anni fa: ricordati che finché il tuo cuore continuerà a battere per Amore e Lealtà il tuo animo rimarrà puro. Al tempo non compresi a pieno il valore di quelle frasi, ma ora che conosco la verità tutto è più chiaro. Aveva bisogno di qualcosa in cui credere per giustificare le crudeltà della guerra»
«Probabilmente si aspetta una mia redenzione, ma la verità è che non sono pentito per quello che ho fatto. Ho svolto il mio dovere, in una guerra così crudele e spietata non c’erano regole da rispettare. Dovevamo vincere ad ogni costo, ed è ciò che abbiamo fatto per riportare la pace nel nostro Paese»
Dalton percepì un profondo dolore in quelle parole ormai vuote e prive di significato.
«Già, lei ha vinto signor O’ Donnell. E’ riuscito a sfuggire alla sua condanna e a salvare la sua reputazione» concluse Eric con amarezza.
 
***

Il tenente McGowan si accese una sigaretta e si poggiò al muretto del molo.  In abiti civili era quasi irriconoscibile, i vestiti laceri del suo travestimento sembravano rappresentare a pieno il suo umore mesto.
Dopo un lungo silenzio si decise finalmente ad esprimere il proprio pentimento.
«Mi dispiace per averti tradito, ma se ti avessi lasciato agire di testa tua ti saresti ritrovato sicuramente con una pallottola nel cranio»
Eric si limitò ad accettare le sue scuse: «probabilmente hai ragione, il caso O’ Donnell mi ha davvero fatto perdere il senno»
«Ho dovuto fermarti in tempo, avevo promesso ad Aileen di proteggerti»
Il detective fu sorpreso da quella rivelazione: «davvero mia moglie ti ha chiesto questo?»
«Lei si è sempre preoccupata per te»
Dalton esternò la propria frustrazione: «avrei dovuto pensare al bene della mia famiglia, invece guarda in che casino sono finito!»
«In effetti ti sei comportato in modo alquanto irresponsabile, ma tutto questo può servirti da lezione»
«Ammetto di aver commesso i miei errori, spero solo che non sia troppo tardi per rimediare»
«Aileen ti ama davvero, sono certo che potrà perdonarti»
I due ripresero a camminare lungo il porto, Colbert osservò l’espressione affranta sul viso del suo compagno: «devo dedurre che il tuo incontro con l’indiziato non sia andato molto bene…»
«O’ Donnell è da sempre stato un rifermento nella mia vita, è stato difficile accettare la realtà»
«Be’, quell’uomo non è un vero eroe, ma gli ideali che ti ha trasmesso non sono menzogne»
«Suppongo che per l’Irlanda sia finito il tempo degli eroi»
McGowan poggiò una mano sulla sua spalla: «dovresti vedere il lato positivo, alla fine sei comunque riuscito a scoprire la verità sul caso O’ Donnell»
«Già, ma presto sarò costretto a rinunciare alla giustizia»
«A volte è necessario sacrificare la nostra integrità per qualcosa di più grande»
Eric rispose con una smorfia: «mi sembra di sentir parlare l’agente Beckett…»
«In effetti è stato lui a dirmi questa frase, ma suppongo che in parte abbia ragione. Non tutti possono cambiare il mondo. Quando questa storia sarà finita potrai tornare a casa con la consapevolezza di aver fatto il tuo dovere»
Dalton si rassegnò, con aria afflitta si voltò verso la costa. Il mare era calmo, l’immensa distesa d’acqua rifletteva gli ultimi raggi del giorno. Egli ammirò il tramonto provando una piacevole sensazione di pace e tranquillità.
 
***

Quella sera O’ Donnell osservò la fotografia che lo ritraeva in divisa da ufficiale. Aveva cercato di dimenticare il passato, ma in realtà i suoi demoni non l’avevano mai abbandonato. Pur essendo convinto di aver sempre agito per il bene della sua Nazione non poté evitare di pensare agli orrori della guerra. Le accuse del detective non l’avevano lasciato indifferente, ma ormai da tempo aveva scelto consapevolmente di non provare pietà o rimorso per ciò che aveva fatto. Aveva combattuto ardentemente per la pace e alla fine del conflitto aveva semplicemente voltato pagina. Aveva lasciato alle sue spalle le sofferenze, i dolori e i peccati...o almeno così credeva di aver fatto.
In quel momento avvertì l’eco di alcuni passi, sua moglie lo raggiunse mostrandosi particolarmente apprensiva.
«Che cosa voleva quel detective?» chiese con titubanza.
Patrick tentò di rassicurarla: «nulla di importante, si trattava solo di una vecchia storia»
Elizabeth non credette a quelle parole.
«Riguarda ancora il tuo processo, vero?»
«Non dovresti preoccuparti, ormai la questione è stata risolta da molto tempo»
La donna rimase in silenzio, suo marito non aveva mai voluto parlare della guerra e lei non aveva mai voluto conoscere la verità. Si era innamorata di Patrick quando entrambi erano poco più che ragazzi, e da allora quel sentimento non era mai cambiato. Aveva atteso il suo ritorno durante il conflitto, e quando tutto era tornato alla normalità aveva deciso di dimenticare quel dolore. Patrick non era stato più lo stesso dopo la guerra, ma aveva sempre cercato di fare del suo meglio come marito e come padre.
Elizabeth prese il viso del coniuge tra le mani accarezzandolo con dolcezza.
«Hai sempre fatto tutto il necessario per il bene della tua famiglia. In ogni caso voglio che tu sappia che ti amo»
O’ Donnell la strinse a sé, si domandò come avrebbe reagito se avesse conosciuto la verità. In quel caso avrebbe smesso di amarlo?
Ripensò alle parole del detective, era vero: egli aveva vinto, a costo di ridurre la sua vita ad una miserabile menzogna.
 
***

Robert e i suoi compagni si rifugiarono in una vecchia locanda ritenuta un nascondiglio sicuro.
In realtà O’ Neil non conosceva molto a riguardo degli altri due militanti, Dan era un giovane ribelle del Cork mentre Eddie aveva una buona esperienza come spia.
Robert caricò la pistola, la maneggiò con cura facendola scivolare tra le dita, poi la poggiò sul comodino e si avvicinò alla finestra. Il molo era illuminato dalla tenue luce del crepuscolo, all’orizzonte si intravedevano le sagome delle imbarcazioni a largo della costa.
Dan notò la sua preoccupazione: «qualcosa non va?»
Egli scosse la testa: «no, sono pronto a fare il mio dovere»
L’altro gli rivolse uno sguardo severo: «ricordi bene ogni fase del piano?»
Robert annuì: «certo, attenderemo O’ Donnell all’uscita del commissariato e lo seguiremo fino al passaggio sul fiume Vartry. Agiremo sul ponte, tu resterai indietro mentre Eddie controllerà il lato opposto, nel caso in cui dovessi fallire il nostro obiettivo non avrà scampo»
Il compagno parve soddisfatto: «bene, siamo certi che non fallirai, ma dobbiamo essere pronti ad ogni evenienza»
A quel punto anche Eddie si avvicinò: «ricordati, se mostrerò il segnale la missione verrà abortita all’istante. Se uno di noi commetterà un errore saremo tutti in pericolo, quindi cerca di non rovinare tutto!»
Robert deglutì a vuoto provando a nascondere il nervosismo.
Dan tentò di rassicurarlo: «Eddie fatica ancora a fidarsi di un poliziotto, ma O’ Ryan ci ha assicurato che sei affidabile. Non preoccuparti, se seguirai il piano andrà tutto bene»
Il giovane strinse l’arma tra le mani, inevitabilmente pensò a suo padre. Doveva portare a termine quella missione ad ogni costo, per ottenere la sua vendetta e rispettare la sua promessa.
 
***

Per tre giorni i pedinamenti per sorvegliare O’ Donnell non portarono ad alcun risultato.
Dalton iniziò a pensare che i militanti avessero scoperto qualcosa, forse avevano intuito il pericolo decidendo di annullare la missione. Quello sarebbe stato un brutto fallimento.
Il detective era certo di non aver commesso errori, dunque decise di persistere ancora per un po’.
Le sue supposizioni si rivelarono esatte, il quarto giorno McGowan notò qualcosa di strano.
«Ei, hai visto quel tizio?»
Dalton gli rivolse un’occhiata interrogativa.
«Quell’uomo vestito di nero ha già attraversato il ponte tre volte…ricordo di averlo visto anche ieri»
«Forse sta solamente passeggiando» commentò Beckett con aria annoiata.
Eric controllò meglio il sospettato notando il rigonfiamento della giacca: «credo che McGowan abbia ragione, quell’uomo ha una pistola»
«Dovremmo andare a controllare…» disse Colbert con impazienza.
Dalton lo trattenne: «no, attendiamo ancora un po’, probabilmente non è solo»
 
Alla solita ora O’ Donnell uscì dalla centrale di polizia e si avviò verso la strada di casa.
Eric lo seguì camminando con discrezione a qualche passo di distanza, troppo lontano per essere notato e abbastanza vicino per poter controllare la situazione. Il tenente McGowan passeggiava accanto all’ex-maggiore, l’agente Beckett e altri due uomini invece erano appostati dall’altra parte del ponte e tenevano d’occhio il sospettato.
La strada era affollata, Dalton era certo che i militanti avrebbero agito a breve, probabilmente l’uomo sotto il controllo di Beckett era la sentinella, dunque qualcuno intorno a lui doveva essere il presunto assassino.
Il detective aveva intuito che i ribelli avevano intenzione di sparare a O’ Donnell sul ponte, per questo aveva ordinato al tenente di interferire con i loro piani. Infatti in quel momento McGowan si avvicinò a O’ Donnell, finse di chiedergli un fiammifero e scambiò qualche frase con lui. Poco dopo i due cambiarono direzione, abbandonarono la strada del ponte incamminandosi verso Main Street.
Eric non diede ancora il segnale a Beckett, prima di arrestare quell’uomo voleva provare a prendere anche i suoi compagni.
Proprio in quel momento qualcosa attirò la sua attenzione, una bicicletta sfrecciò a tutta rapidità lungo la strada per poi fermarsi con un acuto stridio di freni. Il ciclista abbandonò il veicolo accanto al ponte ed iniziò a correre tra la folla. Rapidamente Dalton si lanciò al suo inseguimento, poiché egli si trovava sulla sua traiettoria non fu particolarmente difficile raggiungerlo. Si fece strada tra i passanti e senza esitazione si gettò su di lui, il ragazzo tentò di divincolarsi, nella mano destra stringeva una Webley d’ordinanza.
Quando si voltò Eric sbiancò riconoscendo il suo viso: «Robert!»
O’ Neil guardò il detective dritto negli occhi, per un breve istante esitò, ma poi la rabbia e la frustrazione presero il sopravvento. Nonostante tutto anche Dalton era diventato un traditore, in quel momento nessuno poteva impedirgli di realizzare la sua vendetta, nemmeno l’unica persona che aveva davvero tentato di aiutarlo. 
Così sparò un colpo a bruciapelo, Eric avvertì un intenso bruciore al fianco destro. La sua presa si allentò, il giovane si liberò da quella stretta e si rialzò in piedi.
Steso a terra, ferito e sofferente, Dalton tentò un’ultima volta di fermarlo.
«Robert, no! Non farlo!»
Ormai era troppo tardi, il ragazzo ignorò le sue grida e scattò in avanti puntando la pistola di fronte a sé. Era determinato a portare a termine la sua missione, ma un altro sparo fu più rapido. Il proiettile raggiunse il petto di O’ Neil ed egli si accasciò agonizzante al suolo.
 
 

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Capitolo 11
*** Epilogo ***




 


Eric riprese conoscenza in una fredda stanza d’ospedale. Aveva ancora la vista offuscata, in quegli istanti confusi avvertì il suono di una voce dolce e familiare.
«Tesoro, non agitarti, ci sono io qui con te»
Lentamente i suoi occhi si abituarono alla luce, non si trattava né di un sogno né di un’allucinazione, davanti a sé riconobbe il volto di Aileen. La moglie strinse la sua mano e sfiorò il suo viso con una tenera carezza.
«Oh, amore mio…ero così preoccupata...» disse con tono apprensivo.
Dalton si sforzò di parlare: «mi dispiace»
Aileen tentò di rassicurarlo: «l’importante ora è che tu stia bene»
Eric la guardò negli occhi: «ti prego, perdonami»
«Sì, certo che ti perdono, ma adesso non pensare più a nulla, devi riposare»
Dalton aveva ancora tante cose da dire e altrettante domande a cui doveva trovare risposta, ma in quel momento non poté far altro che abbandonarsi alla stanchezza, si lasciò calmare dalla presenza dell’amata moglie e lentamente si riaddormentò.
 
 
Dalton si risvegliò udendo il rumore alcuni passi, poco dopo il tenente McGowan si avvicinò al suo giaciglio.
«Eric, sono così felice di rivederti! Ero passato anche prima, ma non volevo disturbarti»
«Ti ringrazio per essere venuto, adesso mi sento un po’ meglio»
«Avrai bisogno di tempo per riprenderti, si tratta di una brutta ferita, hai perso molto sangue. Per fortuna il proiettile non è penetrato in profondità»
«Io…non ricordo molto dell’accaduto, credo di essere svenuto»
«Abbiamo arrestato la sentinella del ponte, durante l’interrogatorio ha confessato rivelando il piano dell’IRA. Purtroppo un terzo uomo è riuscito a fuggire»
Eric sussultò, pian piano i ricordi riaffiorarono nella sua mente.
«Che ne è stato di Robert?» domandò con sincera preoccupazione.
«Il ragazzo ha un polmone perforato, ma i medici hanno detto che sopravvivrà»
Dalton si rassicurò nel sentire quelle parole.
«E’…una buona notizia»
Colbert rimase perplesso.
«Come puoi provare ancora pietà per lui? Quel criminale ti ha tradito e poi ha anche tentato di ucciderti!» rispose con disprezzo.
Eric scosse la testa: «non posso giustificare le sue azioni, ma posso comprendere le sue motivazioni»
«In ogni caso O’ Neil non rivedrà la luce del sole per molto tempo, al più presto sarà trasferito nel carcere di Mountjoy»
Dalton era consapevole che la giustizia stesse semplicemente facendo il suo corso, eppure si rattristò nel pensare alla sorte di quel giovane.
Colbert riprese il suo discorso: «la vicenda è finita sui giornali, anche se la maggior parte del merito è stato attribuito all’agente Beckett. In compenso il sovrintendente Neligan ti ha inviato i suoi ringraziamenti»
Eric rispose con una smorfia: «alla fine il G2 ha ottenuto quel che voleva»
McGowan scosse le spalle: «l’importante è che questa storia sia finita»
Il detective notò una certa delusione nel suo atteggiamento.
«Colbert…»
Il tenente si avvicinò al letto: «che cosa c’è?»
«Grazie per avermi aiutato»
«Dopo tutto quello che ho fatto mi consideri ancora un buon amico?»
Egli annuì: «probabilmente sei il mio unico vero amico»
McGowan sorrise, poi si rialzò dalla sedia: «adesso è tardi, è meglio che ti lasci riposare»
Eric non rispose, poggiò nuovamente la testa sul cuscino avvertendo le palpebre pesanti. Pian piano la stanchezza tornò a prendere il sopravvento.
 
***

Il detective tornò a percorrere le strade affollate di Wicklow. La sua convalescenza era ormai terminata e finalmente poteva uscire da quel tetro ospedale per respirare nuovamente l’aria di mare. Faticava ancora a camminare, dunque doveva muoversi lentamente e con cautela, soprattutto nelle occasioni in cui era solo.
Eric aveva da poco varcato i cancelli quando ad un tratto sentì tirare la manica della giacca.
«Signor detective»
Dalton si voltò ritrovandosi di fronte a un ragazzino biondo dal viso coperto di lentiggini e lo sguardo vispo.
«Tu sei Michael, il figlio di O’ Donnell» disse dopo averlo osservato attentamente.
«Sì, signore»
Egli si stupì: «che cosa ci fai qui?»
«Io…la stavo cercando»
Eric assunse un’espressione perplessa: «per quale ragione?»
Il ragazzo rispose esternando la propria emozione: «volevo ringraziarla per aver salvato la vita a mio padre»
Dalton restò impassibile: «ho solamente svolto il mio dovere»
«Papà mi ha raccontato tutto, lei è davvero un eroe»
Il detective provò una strana sensazione nel sentire quelle parole, per un istante rivide se stesso in quel giovane ancora infatuato di sogni e speranze.
«Sai, a volte non è semplice distinguere il bene dal male, e anche gli eroi possono commettere errori. Purtroppo non sempre è possibile fare la cosa giusta, in certi casi è anche necessario saper accettare compromessi. L’importante, ragazzo mio, è la consapevolezza di aver fatto del proprio meglio, e di essere rimasti fedeli a se stessi»
Michael annuì in silenzio.
Eric poggiò una mano sulla sua spalla e lo incoraggiò con un benevolo sorriso.
Il giovane gli rivolse uno sguardo colmo di ammirazione.
«Adesso torna a casa, i tuoi genitori ti staranno aspettando» replicò il detective con tono severo.
«Certo signore. Non mi dimenticherò mai le sue parole»
«Di questo ne sono sicuro» concluse Eric con un sussurro quasi impercettibile.
Il ragazzino corse via, Dalton rimase ad osservare la sua figura confondersi e scomparire tra la folla.
 
***

Eric rivolse un ultimo sguardo alle campagne di Wicklow, il paesaggio scorreva attraverso il finestrino del treno.
Il detective sospirò, inevitabilmente ripensò a Robert avvertendo una profonda tristezza. Quel giovane aveva cercato in ogni modo di ottenere giustizia per il brutale assassinio del padre, decidendo anche di infrangere la legge e mettere in pericolo la sua stessa vita.
Non poteva considerare Robert come un pericoloso assassino, aveva pur sempre tentato di uccidere un uomo, ma non riusciva ad incolparlo per la sua disperazione.
Dalton si rassegnò, O’ Neil avrebbe pagato caro quel suo errore. La giustizia che non aveva accusato O’ Donnell per i suoi crimini avrebbe rinchiuso Robert in una cella per molto tempo.
Il detective tornò alla realtà avvertendo la voce di Aileen.
«Stai ancora pensando al caso?» chiese notando la sua aria afflitta.
Egli distolse lo sguardo dal panorama per incrociare gli occhi dolci della moglie.
«Già, credo di aver davvero perso la testa per questa storia…» ammise.
Aileen si rannicchiò contro il suo petto: «mi sei mancato in questi mesi, ho davvero avuto paura di perderti»
Eric l’accolse in un abbraccio: «sono contento di tornare a casa, voglio solo stare con te…e non vedo l’ora di stringere nostro figlio tra le braccia»
Lei poggiò le mani sul ventre ormai prominente: «sono certa che sia una femmina»
Egli sorrise: «allora sono sicuro che sarà bellissima come te»
Aileen rispose con un tenero bacio.
Eric la strinse a sé, nonostante tutto il suo amore fu in grado di donargli conforto e speranza. Ora che quella storia era giunta al termine poteva finalmente rispettare la sua promessa.
 
***

Al Castello di Dublino tutto tornò presto alla normalità. L’agente James Beckett ottenne una promozione e un nuovo ufficio per aver risolto la questione O’ Donnell e aver sventato il pericoloso attentato. Egli fu felice di non dover più lavorare nei sotterranei umidi e polverosi, ora poteva anche godere di una piacevole vista sul giardino.
Beckett stava contemplando la sua nuova postazione quando ad un tratto la porta si spalancò. Il sovrintendente Neligan entrò nella stanza e ripose alcuni fascicoli sulla sua scrivania.
«Abbiamo ritrovato tutti i documenti. Adesso è suo compito eliminare le prove, non dovrà rimanere più nulla a riguardo di queste indagini»
Il comandante del G2 si assicurò di aver ben chiarito i suoi ordini, poi abbandonò l’ufficio.
Beckett rimase ad osservare la cartella chiusa, solo dopo qualche istante si decise a sfogliare quelle pagine.
La denuncia di McCarthy, la testimonianza di Sullivan, i documenti del processo…tutto ciò che riguardava il caso O’ Donnell era contenuto in quei fascicoli che il suo capo aveva ordinato di distruggere.
Beckett prese un profondo respiro, si rialzò dalla sedia e uscì in corridoio. Sarebbe stato semplice gettare quelle scartoffie in un vecchio camino e accendere un bel falò estivo. Quella storia sarebbe scomparsa nel fumo e nella cenere insieme a tutti i suoi problemi.
Nonostante ciò James avvertì una strana sensazione, quella volta la sua coscienza gli impedì di agire senza sensi di colpa.
A passo incerto raggiunse il vecchio archivio. Scese le scale illuminando il percorso con una lampada elettrica, attraversò lo stretto passaggio tra scatoloni e scaffali impolverati, infine giunse davanti ad una porta chiusa.
Beckett aveva già provveduto a procurarsi la chiave, la sua recente promozione gli aveva permesso di ottenerla facilmente. Egli esitò prima varcare la soglia, per la prima volta nella sua brillante carriera di agente segreto stava per disobbedire agli ordini di un suo superiore.
Ormai aveva deciso, in quel caso la sua integrità non era sacrificabile. Così iniziò ad archiviare i documenti con cura e attenzione, con le giuste precauzioni e un po’ di fortuna nessuno avrebbe scoperto il suo tradimento, quelle carte sarebbero rimaste al sicuro e sotto il suo controllo.
Beckett si allontanò con la consapevolezza di aver fatto la scelta giusta, quella sporca faccenda sarebbe stata dimenticata, ma non per sempre. Forse quella menzogna avrebbe potuto proteggere il precario equilibrio di una Nazione ancora debole e frammentata, ma un giorno l’Irlanda sarebbe diventata forte e unita, e allora sarebbe stata pronta per scoprire la verità sul caso Patrick O’ Donnell.
 
 
 
 
Appendice storica
“Il caso Paddy Daly”
 
Questo racconto è ispirato ad una storia vera. Nell’aprile del 1923 si conclusero le indagini riguardanti il Generale di Divisione Paddy Daly. L’ufficiale del National Army, noto al popolo come eroe della Guerra d’Indipendenza, fu accusato di essere responsabile per la morte di otto prigionieri repubblicani, evento tristemente noto nella Storia irlandese come il massacro di Ballyseedy.
Le indagini della Garda furono fortemente ostacolate dall’Esercito e dai servizi segreti, nella storia i fatti riguardanti i personaggi del Generale Richard Mulcahy e del sovrintendente David Neligan corrispondono alla realtà.
La polizia riuscì a trovare discordanze nelle testimonianze, ma le prove non furono sufficienti.
Due sottufficiali tentarono di denunciare l’accaduto, ma le loro testimonianze al tempo vennero semplicemente archiviate. Come il fittizio sergente McCarthy i militari per protesta abbandonarono il loro incarico nell’Esercito.
Anche la fondamentale testimonianza di Stephen Fuller, il nono prigioniero sopravvissuto al massacro, non fu mai considerata durante il processo. Fu Daly stesso a sostenere le tesi che egli fosse affetto da nevrosi, e dunque che non potesse essere considerato un testimone affidabile.
Fuller non parlò mai pubblicamente della sua esperienza e più volte dichiarò di non provare odio o rancore nei confronti dei soldati del National Army. Egli si dedicò alla politica sostenendo di non voler trasmettere alle future generazioni le ostilità della Guerra civile.
Paddy Daly venne dichiarato innocente e nel 1924 si ritirò dall’Esercito.
Alla sua morte, avvenuta nel 1957, ricevette gli onori militari.
 
Nel corso del tempo storici e giornalisti raccolsero numerose prove e testimonianze sul massacro di Ballyseedy arrivando anche a scoprire la verità, ma i documenti ufficiali riguardanti il caso Paddy Daly furono resi pubblici solamente nel 2008.
 
 
 

 
Nota dell’autrice
Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno letto e seguito questo racconto.
Un ringraziamento speciale ad alessandroago_94 e mystery_koopa.
 
 

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