Echoes of Infinity Stones

di Miryel
(/viewuser.php?uid=534956)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gemma dello Spazio ***
Capitolo 2: *** Gemma della Mente ***
Capitolo 3: *** Gemma del Tempo ***
Capitolo 4: *** Gemma del Potere ***
Capitolo 5: *** Gemma della Realtà ***
Capitolo 6: *** Gemma dell'Anima ***



Capitolo 1
*** Gemma dello Spazio ***



choes • f •
nfinity • tone





 



«You make me feel like the one Make me feel like the one
The one I don't know where we are going now
So take a look at me now»
• Dakota – Stereophonics

 

 
1. Gemma dello Spazio
 

             A Peter hanno insegnato che lo spazio è il vuoto che esiste tra i corpi celesti. Eppure – lui lo sa bene – definirlo tale è un po’ riduttivo. Lo spazio contiene, al suo interno, una bassa densità di particelle, e dunque niente, ma proprio niente, può essere considerato davvero privo di contenuto. Nemmeno l’anima lo è. Non è un'intercapedine vuoto, ma una fiamma che campeggia tra le pareti della carne e delle ossa. Qualcosa che non si spegne mai, nemmeno quando non la si sente più bruciare. Una fiammella che è lì, debole a volte, ma che non smette mai di scaldarlo. 

Come quando Tony non lo guarda; si sente meno vivo, è vero, ma questo non significa che non lo sia davvero. A volte lo avverte, quel muro che li divide, che divide lo spazio che li circonda ma non lo sono mai davvero. Non lo sono mai, perché quando poi gli occhi di Iron Man si posano sui suoi, c’è sempre un sorriso a solcargli il volto maturo. Come se, in qualche modo, lo ringraziasse involontariamente di qualcosa. Forse di esistere. Forse di far parte di quello spazio – il suo – colmandolo con qualcosa di concreto. Manipolandolo, ma Peter non sa neppure come ci riesce. Sa solo che lo vede, quell’astratto movimento della realtà che si ingarbuglia intorno a loro e apre uno spiraglio; nasconde il resto. Non c’è semplicemente. Si chiede se sia l’amore, a comandare lo spazio. Si chiede se siano quelle farfalle bollenti nella pancia, a sprigionare — dal battito delle loro ali, quella polvere magica che rende tutto dannatamente incantevole. Si posa una mano sul cuore, mentre Tony fa un gesto ai ragazzi dell’Internship dando loro appuntamento a più tardi. Forse non li ha liquidati perché lo ha visto lì, ad aspettarlo sulla soglia, in quella che è una visita inaspettata. Forse semplicemente pensa sia cortese avvicinarsi e salutarlo, nulla più. Eppure Peter ci spera, che ci sia altro, nascosto dietro a quella camminata sicura e a quel sorriso stupito, che gli sta rivolgendo. Come se, all’improvviso, fosse spuntato il sole nel grigiore di quei macchinari e di quelle pareti un po’ spente. 

Deglutisce aria, e ricambia quel distendersi di labbra, quasi meccanicamente. Ha le mani dietro la schiena e dondola sui piedi. Si sente stupido come un bambino che deve consegnare una lettera d’amore, ma non può non ammettere che, quelle sensazioni, gli fanno bene al cuore. Lo strappano, lo tirano, lo pugnalano, lo strizzano come uno straccio pieno di lava incandescente, ma lo stomaco è colmo di note musicali, suonate da un violino struggente che gli fa tremare la pelle. Tony è così vicino che l’odore della sua colonia lo inonda. Vorrebbe chiedergli la sua giacca, per portarla a casa e dormirci abbracciato. Si sente così stupido, eppure non gli importa niente.

«Parker», lo chiama il signor Stark, e lui sbatte le ciglia; lo mette a fuoco, come se non fosse abbastanza nitido, da quella distanza. Come se ogni cellula che compone la sua persona avesse bisogno di attenzione chirurgica, attraverso le sue pupille dilatate dai sentimenti, «È una visita di piacere o qualcuno ti ha mandato a babysittarmi?»

Peter ride appena. Smette di dondolarsi sui piedi e li punta a terra, intenzionato a non dimostrarsi infantile, anche se sa di esserlo. Vorrebbe che il signor Stark la notasse, la sua maturità; che vedesse oltre le cazzate che fa e che dice, continuamente. Come se non ci fossero divergenza d’età, o differenze caratteriali così grandi da dividerli. A volte senza che lo vogliano e Peter sa che anche per l’altro è così. Lo sente. Sono i suoi sensi e quell’empatia che lo caratterizza da sempre.

«Passavo di qui e ho pensato: chissà che combina il signor Stark! E ho anche pensato che magari le facesse piacere, fare due chiacchiere», dice, e quella confidenza gli esce fuori dal cuore. Non è mai così sfacciato – se quella la si vuole chiamare sfacciataggine – ma oggi si sente diverso. Sente che lo spazio gli sta dando dei segnali, e sta agendo solo ed esclusivamente mosso dall’istinto. È uno di quei rari giorni in cui si sente che tutto andrà bene e che, i pianeti, si sono allineati per regalargli qualcosa in cui credere. Ci vuole credere, non sa a cosa, ma vuole farlo. 

Tony sbuffa una risata. Si posa una mano sul mento e lo squadra da capo a piedi. Si sente esposto e protetto dallo sguardo genuino che l’altro gli posa addosso. Sarà che Tony ha sempre quel lato gagliardo e prepotente, addosso, rivolto al resto del mondo – ma mai a lui – che ora è mutato in una morbida tenerezza che sa di premura e che lo fa sentire importante. Troppo. Forse Peter vede cose che non ci sono, in quegli occhi brillanti, che si spengono un po’ quando il sole non gli bacia più la faccia. Forse i pianeti non sono poi così allineati come pensa. Forse lo spazio tra di loro è ancora diviso da un muro costruito da troppe cose lasciate dietro a facciate fasulle. Tipo la sua ammirazione che in realtà è amore. Come la premura paterna di Tony, che magari non è altro che un sentimento specchio del suo. Si sente importante e non dovrebbe. Si sente una cosa a parte, ma forse non lo è. Si sente fluttuare, ma forse cadrà e si farà tanto male da non riprendersi più. Si sente prigioniero dell’amore, rinchiuso in una gabbia aperta dal quale non vuole fuggire. 

«Se mi hai portato un caffé sarà una visita più che gradita.» 

«Ho immaginato che ne avesse già presi abbastanza, siccome sono le sei del pomeriggio. Quanti? Cinque? Sei?» 

Tony alza le sopracciglia. «Ci sei andato vicino. Sono a quota sette, ma sono pronto per l’ottavo», decide.

«Signor Stark…», sospira Peter, ma trattiene sul viso una polvere di argento vivo. Gli sta chiedendo del tempo insieme e lo fa – come sempre –  a modo suo. Gli chiede di condividere il suo spazio, senza mai chiederglielo davvero. I silenzi, i gesti e le figure retoriche sono veli che coprono la verità, che dopotutto alla fine è palese e cristallina. Fa male e bene. Lo fa fluttuare più in alto di così. Difficile sentire il pavimento sotto i piedi, quando accade la magia dei non detti.

«Che c’è? Non mi piacciono i numeri dispari!», si giustifica e, posandogli una mano sulla schiena, lo invita a defilarsi dalla stanza, facendo cenno agli altri che tornerà presto, bofonchiando parole incomprensibili che suscitano l’ilarità generale; anche quella di Peter. Si sente di nuovo importante, e non sa quanto la cosa possa essere positiva o distruttiva.

Si ritrovano sulla terrazza dell’edificio, con bicchieri di carta bollenti tra le mani e il manto scuro e stellato di un cielo privo di nebulosa bianca e soffice, a coprirli. Le stelle sono puntini disegnati da una stilografica intinta in un inchiostro puro e candido. Sono buchi nel cielo che risucchiano via le brutture del mondo. Chiuse all'addiaccio del firmamento, esplodono a milioni di anni luce da lì, e creano la magia di una notte singolare e che sembra essere da sempre attesa. Da una vita intera. Momenti che si sa arriveranno, ma non si sa mai quando. È questo. Il momento è questo. 

«L’internship la impegna un sacco», dice Peter, all’improvviso, quando quel silenzio è troppo familiare per non accorgersi che qualcosa si è distorto, nel loro spazio; non sa se in positivo, o se in negativo. 

«Tutto mi impegna un sacco», controbatte Tony, ridacchiando, con quel suo solito, fastidioso, irresistibile bisogno di lamentarsi di ogni cosa, rimanendo comunque il finto spocchioso di sempre. «Se la mia Internship fosse come la tua, mi divertirei di più.» 

«La mia finta Internship¹», sorride Peter, affogando lo sguardo nel suo cappuccino bollente, con un velo di malinconia sulle labbra. Finge di farne parte, solo per nascondere Spider-Man dietro a una bugia sensata. Eppure vorrebbe parteciparvi davvero, a quel tirocinio; un po’ perché lo ha sempre sognato, un po’ perché vorrebbe che il suo spazio coincidesse con quello del signor Stark, più spesso di quanto gli è concesso. Si sente di nuovo stupido. Ma essere Spider-Man gli piace, dunque va bene così. Non ha nulla di cui lamentarsi. È più fortunato di molte altre persone. Specie ora, che il signor Stark ce l’ha a due battiti di ciglia, e che lo guarda luminoso come quella luna impertinente che si affaccia senza vergogna nel cielo.

Si sente succube del magnetismo lunare; vittima di un elastico che lo tira vicino all’altro, senza che lui possa farci niente. 

Il signor Stark ha appoggiato i gomiti alla ringhiera di ferro. Tiene ancora stretta tra le dita la carta, non più bollente, di quel bicchiere di caffé. Sorride, quando Peter alza la folta corolla di ciglia perché si è sentito osservato. Affusola le labbra, e con un leggero diniego della testa, gli chiede cosa ci sia che non va. Tony si avvicina e gli tocca la spalla con la sua. Niente, non c’è niente che non vada, gli dice con quel gesto, e poi beve il suo caffé, con un sorrisino nascosto dietro al nero più cupo di una bevanda amara. 

Non sono mai stati così vicini come ora. 

«Come siamo assorti! A che pensi?», gli chiede poi Tony, e attira la sua attenzione con una piccola gomitata che lo fa sussultare, e sorridere. 

«All’immensità dello spazio. Alla sua rappresentazione reale, fatta di meteoriti, massi lunari, esplosioni e buio; poi c’è quello che vediamo noi, che sembra quasi una sorta di racconto romanzato della realtà.» 

«Quando vedi le cose da una certa distanza, non le vedi mai come sono davvero. Sembrano prive di difetti. Solo che non è così, sono pallide bugie», gli risponde il signor Stark, quasi prontamente. Poi alza gli occhi al cielo, oscilla la testa e sorride tra sé e sé. «Non sempre, almeno. Io sono perfetto, per esempio. Da lontano e da vicino.» 

«Non sono nessuno per infrangere i suoi sogni, signor Stark», ridacchia Peter e si guadagna un’altra gomitata, poi tornano seri e alzano la testa, tutti e due, verso il cielo. «È assurdo pensare a quanto sia distante, lo spazio.»

«È più vicino di quanto tu possa credere.»

«Lei c’è stato?», chiede, e si gira a guardarlo con gli occhi colmi di ammirazione e stupore, che scemano di fronte alla luce che prima albergava le sue iridi castane, ora velata da qualcosa che a Peter sembra paura. 

«Una volta².» 

«E… com’è stato?» 

«Affascinante e terribile allo stesso tempo. Un incubo ricorrente», ammette, poi gli punta un dito addosso e Peter indietreggia leggermente, preso alla sprovvista, «Però ho salvato il mondo. Ho quasi rischiato di rimanere imprigionato nello spazio ma tutto è bene ciò che finisce bene, sono qui a raccontarlo, no?» 

«Ne parla come se salvare il mondo fosse un lavoro di tutti i giorni!», ridacchia, un po’ per smorzare la tensione, un po' per il nervoso; la paura di aver fatto scattare qualcosa.

«Per uno come me lo è», asserisce, fingendo un tono indignato che un po’ gli appartiene e un po’ no, «Sarà la mia condanna, questa mia dote naturale di mettermi nei guai, salvando comunque sempre la situazione», dice, concludendo con un arrochito sigh.

«Mi vuole rubare il ruolo di combinaguai?»

«Anche volessi, non ci riuscirei, Parker. Tu sei un vero disastro!», esclama, e Peter è contento di vedere che la luce che pulsa di energia, è tornata sul margine acquoso delle sue pupille, e non è più arida come la sabbia. Vorrebbe dirgli che, certi momenti, desidererebbe non finissero mai. Vorrebbe dirgli che si sente importante, quando riesce a risvegliare la fiammella che a volte si affievolisce, nell’intercapedine della sua mole. Vorrebbe dirgli che è tanto innamorato da sentirsi morire, ma che sa fin troppo bene che non è possibile che la cosa sia ricambiata, ma che gli basta questo: parlare su una terrazza, lasciando andare, di tanto in tanto, qualche confidenza che poi torna a nascondersi dentro al pozzo nero del cuore. Vorrebbe dirgli che per lui ci sarà sempre, anche se non ha la pretesa di essere indispensabile, solo vuole esserci. Tutto qui. 

Ha di nuovo abbassato gli occhi sul suo cappuccino. La crema galleggia, e man mano affoga nella bevanda ormai fredda. Quando è con il signor Stark si dimentica persino di mangiare, di bere, di sbattere gli occhi. Se il cuore non fosse un muscolo involontario, si dimenticherebbe persino di farlo battere. Sospira amaramente, ma è convinto di poter sopportare quel dolore, di poterci convivere, perché la preferisce una vita priva di un sentimento ricambiato, a discapito di una dove Tony Stark non ne fa parte. Si sente chiuso in una torre costruita con mattoni di confusione e occasioni perse. Poi sente i suoi occhi addosso – quelli del signor Stark. Si volta lentamente a guardarlo. Gli sta lasciando ammirare un sorriso che sa di tenerezza e di qualcos’altro. Peter sa cos’è, ma non lo dice; nemmeno a se stesso. Si muove leggermente sul posto. Lo spazio intorno a loro si restringe ancora e si riempie. Lo spazio non è mai vuoto, ma ora sta esplodendo di consapevolezze. Trasudano, trasbordano, soverchiano di tanti non detti, sparati via come pallottole dagli occhi, che colpiscono la testa e finiscono con un bacio. 

La risposta a tutto, quando non si ha il coraggio di ammettere al proprio cuore e a quello dell’amato, che lo spazio è elastico e che a volte ha posto solo per due. Il bacio che nasconde cose, e ne rivela altre. Il bacio che è un solo, delicato, tocco di labbra, che sa di caffé amaro e di bugie raccontate sempre a fin di bene. Peter arriccia la bocca e registra i sapori dell’altro. Tony gli appoggia la fronte alla sua e gli lascia un altro bacio sulla guancia. Poi, come se non fosse successo nulla – o come se, invece, fosse sempre successo e non fosse una novità – tornano a guardare le stelle, in tacito silenzio. Peter poggia la tempia sulla sua spalla e sospira, ringraziando l’allineamento dei pianeti, che sembra aver reso le cose più facili. Naturali. Come se le cose non sarebbero potuto andare diversamente. L’amore è complicato. È convinto che non lo capirà mai davvero, e allora ridacchia. 

Poi lo spazio si ferma, e accostarlo al vuoto diventa una sinestesia, una metafora, una poesia, una figura retorica; forse la realtà per qualcun altro, ma non per loro. 

«Va bene?», chiede, ad un tratto e Tony si volta a guardarlo e alza entrambe le sopracciglia. Pare non aver capito, poi invece sorride. Ti vado bene? E la vera domanda che si nasconde dietro all'ennesimo non detto.

Tony esplode in una risata e poi gli bacia la fronte. «Va bene, va bene!» 

 

Fine

 
 

¹ la finta Internship di Peter, che racconta di frequentare per nascondere in realtà le sue attività da Spider-Man (per esempio in Homecoming) 

² non so se serve che lo citi, ma lo dirò comunque: parlo di "Avengers", quando Tony entra nello spazio per deviare il missile spedito per uccidere i nemici – ma che attenta alla vita di civili – e lo usa per colpire la nave dei Chitauri, rischia di rimanerne imprigionato, quasi accettando  quel suo destino, ma riesce inaspettatamente a tornare e a oltrepassare il portale, prima che si chiuda. Un trauma che ha causato un bel po' di turbe, nella mente di Tony.

 




 


 

♥ Note Autore ♥


 
Salve a tutti! Questo progetto non era tra quelli già in lavorazione e, a differenza del solito, questo verrà pubblicato in corso d'opera – cosa che mi rende anche un po' più libera dalle scadenze, siccome si tratta di una raccolta di One Shot scollegate tra loro. 
Ebbene di cosa si tratta? Lo so, ho inserito le Gemme Dell'Infinito, gli ho dato un titolo un po' austero, ma le Gemme servono pretamente per analizzare, ancora e ancora, il rapporto tra questi due maledettissimi stronzi che mi stanno rovinando ancora la vita. E dunque perché non rovinare anche la vostra, scrivendo altro senza sosta e appestandovi la vita? Lo vedo un buon compromesso u.u In sostanza, a parte le cazzate, ogni capitolo prenderà il nome di una Gemma e, come avete potuto constatare da questo qui, siamo partiti dallo Spazio. Non vi dirò l'ordine che userò, siccome sta tutto alla mia ispirazione del momento e, gli argomenti...? Qui si parla di spazio in chiave reale e metaforica, più o meno farò lo stesso con Tempo, Realtà, Anima, Mente e Potere. Vedremo cosa ne verrà fuori!
Ringrazio tutti per essere arrivati fin qui, sperando che il progetto abbia stuzzicato il vostro gusto, vi invito a lasciarmi un commentino o mipiacciarla tutta, questa piccola storia ♥
Poi volevo ringraziare la mia Guascosa _Lightning_ per avermi dato le tre parole che hanno generato tutto questo e la canzone che mi ha passato ♥ Grazie Guascosa ♥
Alla prossima, dunque,
La vostra amichevole Miryel di quartiere.

 



 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Gemma della Mente ***



choes • f •
nfinity • tone





 



«You want the greatest thing The greatest thing since bread came sliced
You've got it all You've got it sized Like a Friday fashion show
Teenager cruising in the corner Trying to look like you don't try.»
Imitation Of Life - R.E.M.
 

 
2. Gemma della Mente
 

             

              Dottor Strange è troppo impegnato a meditare, su quel cumulo di macerie e massi, per calcolare quanto tempo ci vorrà prima di scoprire cosa riserverà loro il futuro. Così, mentre Tony fa la conoscenza di quelli che si sono presentati come i Guardiani della Galassia – un tipo strano ma dalle fattezze umane e altri due decisamente alieni, specie la ragazza con le antenne – Peter si guarda intorno, e non ha ancora metabolizzato il fatto che si trova su un pianeta che non è la Terra. Il viaggio più lontano che ha intrapreso è quello per andare in Germania, dove il signor Stark lo ha portato per combattere contro Capitan America. Non era mai uscito dal Queens prima di allora, e se già l’Europa gli sembrava un viaggio assurdo, quello su Titano è di certo insano, per quanto non calcolato. Eppure è lì, a guardarsi intorno, ammaliato e terrorizzato all’idea che, al di fuori del suo pianeta, ce ne sia uno tanto arido, spento, in procinto di morire. Un brivido gli percorre la schiena, così fa istintivamente un passo verso il gruppetto che si è creato, dove Tony e gli altri hanno preso posto su dei massi, per riposarsi e attendere il resoconto del Dottore, poco più lontano. 

Il signor Stark gli lancia un sorriso, forse notando il suo stato d’angoscia e lui lo prende al volo, tentando di ricambiare. «Siediti», dice, e Peter obbedisce, annuendo debolmente e prendendo posto accanto alla ragazza con le antenne, che subito gli rivolge tutta la sua attenzione.

«Ciao!», esplode lei, raggiante. Il suo sorriso esplode come una supernova e lo destabilizza per un attimo. «Mi chiamo Mantis. E quella cosa che hai detto prima, riguardo alle uova¹, ti assicuro che io non…», esordisce, ma lui la interrompe subito, ridendo nervoso.

«No, ero… sai, quel vecchio film dove ci sono gli alieni e… no, okay, immagino tu non sappia nemmeno cos’è, un film», ridacchia, nervoso, poi sente il signor Stark trattenere una risata e vorrebbe sprofondare nel terreno rosso di Titano. «Sono Peter, Peter Parker – o Spider-Man, insomma. Chiamatemi come preferite», conclude. 

«Ti chiami come lui!», esclama Mantis, e indica il ragazzo normale, che indossa una giacca rossa. 

«Star-Lord. Lo preferisco al nome terrestre.»  

«Ma tu sei un terrestre», risponde l’altro, quello grosso, e Peter poggia le mani sulle ginocchia, senza sapere cosa dire; li guarda, incuriosito e il signor Stark pare avvolto dallo stesso stato d’interesse. 

Star-Lord fa roteare gli occhi al cielo. «Non del tutto. Sono metà umano e metà un dio! Te lo sei dimenticato?»

«No, ma ricordo quella conversazione sul come sei stato concepito; quella me la ricordo bene.»

«Argomento di cui preferirei non ne fosse fatta menzione!», replica Star-Lord e, mentre il signor Stark mette su un'espressione tra l'esasperato e il divertito – che sa perfettamente celare dietro alle labbra stirate in una smorfia ambigua, Peter dimentica subito quel dettaglio del concepimento e si rizza sulla schiena.

«Sei figlio di un dio? Un dio tipo Thor o Odino?», domanda, ammirato, e non riesce a nascondere la sua curiosità a tratti infantile, di fronte a quella prospettiva. 

«Un pianeta. Suo padre era un pianeta!», spiega Drax, interrompendo Star-Lord prima ancora che apra bocca per spiegare. 

«Preferirei che la smettessi di parlarmi sopra!» 

«A me la faccenda del concepimento interessa parecchio!», ironizza il signor Stark e Peter si ritrova a trattenere una risata tra i denti, mordendosi il labbro inferiore, quando l’altro Peter sospira in direzione di Tony, frustato; assottiglia le labbra e tace, come se fosse ovvio. «Oh, capito, non ne vuoi parlare, eh? Hai pensato a cambiare nome in Star-God?», continua e quando quello apre bocca, di certo intenzionato a vomitargli addosso una quantità ingente di insulti, lui continua. «Di cosa vi occupate, comunque? Dal nome del gruppo sembrate coinvolti in un grosso sistema di protezione dell’universo», continua, ed è impossibile non notare quella punta di ironia nella voce, ma da come si è impettito Star-Lord, pare che non sia così scontato che gli altri lo abbiano capito. Forse è perché lui, il signor Stark, lo conosce così bene da carpire ogni sfumatura della sua voce. E le sue intenzioni. 

«Ah, niente di particolare. Il nome parla da sé, comunque. Proteggiamo la galassia, salviamo persone in difficoltà, cose così.» 

«Saccheggiamo anche navi», interviene ancora quello grosso. 

«Drax, non c’era bisogno di specificarlo. E comunque non le saccheggiamo per davvero», sbuffa quello, in una mezza risata amara, «Prendiamo… in prestito cose che a loro non servono più», si giustifica, offeso e Tony sbuffa divertito.

«Questo è saccheggiare.» 

Mantis ride leggermente; la sua risata è genuina e pura, così tanto che alleggerisce un po’ quella situazione che si è andata a creare, specie ora che il signor Stark ha deciso di dire la sua senza alcun freno inibitore, mettendoli in difficoltà, con una certa soddisfazione negli occhi. Peter vorrebbe dirgli di smetterla, ma sembra non ce ne sia più bisogno. Tutti guardano la ragazza e, sorridendo, le si rivolge.

«Tu saccheggi navi con loro? Non sembri il tipo.»

Lei abbassa lo sguardo, e il suo sorriso si spegne un po’, pulsando di malinconia sulle guance. Le sue antenne si afflosciano. Sembra triste. «Oh, no. Io sono parte del gruppo, ma ho altre mansioni. Sono stata salvata da loro e mi rendo utile come posso.»  

«Con quelle antenne non mi stupirei se tu avessi qualche strano potere sopranaturale!», esclama Tony, simulando le sue antenne con gli indici sulla fronte e sembra decisamente interessato, ora, a quello strano personaggio seduto accanto a loro. Gli occhi grandi di Mantis si posano sui suoi, poi Peter li avverte addosso. Sembra che si senta a suo agio con lui più che con chiunque altro. Forse un po’ si somigliano; forse per la purezza, per la gentilezza, per quel senso di inadeguatezza che le legge sulla faccia e che è specchio del suo. Peter ha paura di chi lo reputa diverso, ma più di tutto ha paura di chi è simile a lui; chi condivide, nell’anima, il suo stesso dolore e lo stesso terrore di essere abbandonato da chi lo ha salvato. 

«Mantis sa leggere la mente», dice Drax, quello grosso, e lei si muove sul posto, imitando la posa di Peter, stringendosi le dita intorno alle ginocchia. 

«No, oh no!», esclama, stridula. «Non so leggere la mente – non proprio, almeno, ma se tocco qualcuno percepisco le sue emozioni. Ognuna di essa. Peter l’ha definita empatia. È una bella parola, mi piace usarla, anche se non so se è la giusta definizione», spiega, e alza di nuovo gli occhi neri e grandi sui suoi. 

«Fagli vedere, Mantis! Prova con lui», la incita Star-Lord, indicando Peter che sente quel dito come se fosse una pistola puntata sulla tempia. Indietreggia sul posto e si guarda intorno, sperando che non stia parlando di lui. «Sembra uno che nasconde bene le emozioni.» 

«Parker?», sbotta Tony, e poi scoppia a ridere. Peter si sente morire. «È un libro aperto. Non vedrebbe nulla di nuovo», decide, sicuro di sé. Troppo sicuro di sé, ma Peter di segreti ne nasconde anche troppi. Segreti che non vuole si conoscano. Segreti che sono ben lontani dalla paura o dalla rabbia o dalla cattiveria, ma altro. Qualcosa che tiene nascosto dentro di sé da qualche tempo e che sta cercando di autoconvincersi che non sia reale. Non gli conviene. Perché ammetterlo è più doloroso di qualsiasi altra cosa.

«Be’, vediamo quanto è vero! Toccalo e proviamo. Quello non sembra ancora aver finito, con quella cosa che sta facendo, dunque passiamo il tempo come possiamo», commenta Drax, indicando Dottor Strange, ancora preso dalla sua meditazione. Peter apre la bocca, cercando di fermare quell’assurdo intento di rovinargli la vita e la reputazione. 

«N-no, io preferirei che non lo facessi!», dice, e indietreggia ancora, tentando di sfuggire alla mano della ragazza che, lenta, si avvicina sempre di più al suo viso. «Davvero, non ho segreti reconditi! Sono come dice il signor Stark: cristallino. Noioso, direi. Niente più di questo, perciò ti scongiuro, per favore, ti pr-» Si blocca. Le parole gli muoiono in gola, quando la mano di Mantis si posa gentilmente sulla sua fronte. Sente caldo. La maglietta sotto l’Iron Spider gli stringe il collo; si sente soffocare, e allo stesso tempo, una bolla d’aria gli si forma intorno allo stomaco e avverte il vuoto totale. Nella testa e nel corpo. 

Non è una brutta sensazione; per un attimo ogni pensiero, qualsiasi pensiero, gli scivola via dalla mente e, immobile con le spalle contratte, guarda gli occhi di Mantis chiudersi e la sua testa oscillare di qua e di là. Come avvolta da un manto caldissimo; come se una coperta tiepida le avesse appena dato un po’ di conforto. Se quello è lo specchio dei suoi pensieri e del suo stato d’animo, Peter pensa che sia una mera menzogna. Non è così spensierato e in pace con se stesso, ma tutt’altro. Ha aggrovigliati nella testa una massa infuocata di paure e insicurezze. Non pensa che la spensieratezza sia al primo posto tra le sue emozioni, eppure da quello che vede, non è così. Quando poi lei allontana lentamente la mano dalla sua fronte – e apre gli occhi, infilandoli nei suoi, sorride. Sorride in quel modo materno con cui lo fa zia May, quando lo vede tornare a casa da scuola, stanco morto ma soddisfatto dei propri risultati. Si sente a casa, per un solo, misero attimo. Una sensazione che, sul quel terribile pianeta, non credeva avrebbe mai potuto provare.

«Dunque?», chiede Star-Lord, a braccia incrociate e Mantis gli rivolge un’occhiata frizzante, prima di posare di nuovo lo sguardo su quello di Peter, che ora si sente in gabbia; prigioniero di un fatto: quello che forse non si conosce poi così tanto; la realtà palese che è capace di mentire così bene persino a se stesso, per colpa dell’insicurezza.

«È innamorato. Molto innamorato!»

Il tempo si freeza, intorno a Titano, che sparisce e lascia spazio a un nido vuoto, colmo di gas, pronto ad esplodere con una sola, misera scintilla di fuoco: quella che molto probabilmente, la faccia bollente di Peter, genererà tra esattamente cinque secondi. 

«Innamorato?», chiede Star-Lord, in uno sbuffo divertito. «Oh, che carino! Chi è la fortunata?» 

«Lui!», esclama Mantis, indicando senza alcun rimorso il signor Stark – Tony, appena dietro di lui. Ha quasi l’impulso di zittire quella specie di formica dalle fattezze di donna, premendole due mani contro la bocca, ma non lo fa. No, non lo fa, perché lo sguardo di Iron Man, seduto dietro di lui, gli apre in due la schiena, intenso e, chissà, contornato da un sorriso di scherno; solo perché è troppo stronzo e superficiale, certe volte, per capire quanto quella confessione non voluta gli abbia fatto male. Incapace forse di capire quanto sia scomodo e difficile, ora, fingere che non sia la verità; che non lo ami.

Si copre il viso con le mani, e si esibisce in un frustrato, distrutto, spezzato sospiro, che è specchio del suo cuore. Vorrebbe solo sparire e nulla più. Non sono lì per una gita al mare, ma per combattere Thanos e riscattarsi, tutti loro. Eppure quel fatto lo ha turbato a tal punto da confondergli le idee, perché Peter vorrebbe imporsi di prendere la cosa con filosofia e accantonarla, da una parte, finché quella storia su Titano non si sarà risolta, ma ha il cuore spezzato, ora. La cosa peggiore è che non può mentire.  Non può e non è in grado di farlo. Non è capace. 

È sceso il silenzio, rotto solo dal vento che fischia tra lo spiraglio di mura infrante delle costruzioni arroccate di quel pianeta. Peter sa di avere tutti gli occhi puntati addosso, ma sono solo quelli di Tony Stark a turbarlo più degli altri. Non voleva che sapesse, e avrebbe voluto tenersi dentro quel segreto per tutta la vita. O almeno finché non gli sarebbe passata. 

«Stai bene, Peter?», chiede Mantis, come se non avesse appena rivelato quello che prova per il signor Stark. Tenta di posargli una mano sulla spalla, che Peter sa essere solo un tentativo di confortarlo, ma si scansa. È istintivo. Non vuole più esporsi — non vuole che gli altri lo costringano a farlo. 

«Be', la mia dignità si è appena spaccata in mille pezzi. Mi vergogno come un ladro e non so come comportarmi, ma ehi… Sto bene, finché c'è la salute, no?», ironizza, cercando di abbozzare un sorriso, anche se poi la sua bocca palesa l'ennesimo sospiro agitato. E non lo guarda. Non lo vuole guardare. Continua a sentire i suoi occhi sulla schiena e a chiedersi perché non gli abbia ancora rifilato una delle sue battute sarcastiche ad effetto. Così, giusto per assaporare il gusto di un colpo di grazie. Spera sarà letale. Spera lo ucciderà, per quanto si vergogna. «Gesù, qualcuno mi sotterri vivo…» 

«Non dici niente, uomo di ferro?», chiede Star-Lord, con una vena di stupore nella voce. 

«Oh, no. Avete già fatto abbastanza voi. Preferisco non infierire. In più», esordisce il signor Stark, e Peter, imperterrito, non si volta. Non vuole incontrare il suo sguardo che lo mette di certo sotto processo, «Se mi azzardo a dire qualcosa, rischio la vita. Non sembra, ma se ti colpisce, questo qui, ti cambia i connotati», ridacchia, e sembra un tentativo di alleggerire la tensione; ne ha la conferma quando continua, «Ci lasciate un attimo soli?» 

Drax, Mantis e Star-Lord si guardano e, quest’ultimo, alza le spalle. «Sì, certo.» Se ne vanno, allontanandosi di qualche passo e quando Peter rimane solo con il signor Stark, ci mette tutta l’energia che ha, per voltarsi verso di lui. Incontra un sorriso indefinibile, che un po’ lo rassicura e un po’ lo spaventa, perché anche se non si sta prendendo gioco di lui, è consapevole che gli sta per spezzare gentilmente il cuore, con un rifiuto prevedibile. E, siccome lo ha sempre saputo, che loro due, insieme, non potranno mai essere niente, avrebbe preferito semplicemente lasciar scorrere il tempo e dimenticare, fingendo di non sentire niente di niente, per lui.

«È vero?» 

Peter apre la bocca, e abbassa subito la folta corolla di ciglia sulle proprie mani, e solo in quel momento si accorge che tremano, strette tra loro, guantate dalla tuta di ferro che scintilla e riflette il rosso infuocato di quel pianeta arido. 

«Che cosa vuole che le dica? Di no? Di sì? In ogni caso qualcosa si è spezzato, no?» 

«Senti, Peter…»

Lui alza la testa e lo blocca. «No, davvero, signor Stark. Non possiamo semplicemente fingere che non sia mai successo e che lei non sappia nulla? Prima o poi me ne dimenticherò, sul serio. Mi dia solo tempo! Dopotutto è… tipo una sbandata, niente di più. Se ne andrà come è arrivata ma, la prego, lei… finga solo di non saperlo. Per favore», lo prega, e abbassa di nuovo la testa, «È già abbastanza difficile così e siamo qui per un altro motivo, non di certo per parlare dei miei sentimenti», conclude, aspro, soppesando quella parola come se fosse la più brutta mai coniata. Si sente spezzato e stupido. Si sente solo al mondo.

«Tu nemmeno dovresti essere qui, in realtà», lo redarguisce Tony, e lui gli riserva uno sbuffo scocciato, ma che nasconde una piccola risata, che ha così poco di felice… poi sente il cuore in gola, quando l’altro gli arruffa i capelli e continua a sorridergli a quel modo, come se volesse, con tutto se stesso, tirargli su il morale. Proprio lui, l’uomo di cui è innamorato e che gli sta strizzando l’anima. «Hai ragione. Non è questa la sede, né il momento per parlarne. Lo faremo non appena torneremo sulla terra, quando tutta questa scocciatura sarà finita.» 

«Di cosa dovremmo parlare? Di qualcosa che sappiamo già essere a senso unico? Non è meglio che lo faccia ora?» 

«Cosa? Dirti cosa penso?»

Spezzarmi il cuore, vorrebbe dirgli, ma annuisce e basta, con la mascella contratta e gli occhi che saettano ovunque, a parte in quelli di Iron Man. 

«Tu non ci pensare e basta. Ne parleremo con calma e non cominciare a girarti tutti quei film mentali, con tanto di trailer, di cui sei avvezzo. Se ti dico che ne parleremo, ne parleremo. Sono un uomo di parola, lo sai», asserisce Tony, e per quanto sembri non dargli modo di ribattere, quel sorriso rassicurante fa un po’ il suo dovere: tranquillizzarlo, nei limiti del possibile e, erroneamente, dargli ancora una speranza che forse – forse, una possibilità di essere ricambiato ce l’ha. Assurdo. Utopia pura, ma l’amore è anche questo. Aspettative fragili.

«Un uomo di parola?», ridacchia  e si becca uno scappellotto dietro la testa, «Ho solo paura che, parlarne, non risolverà niente. Anzi… ho paura che la cosa ci possa dividere. Signor Stark, io non pretendo niente da lei; come le dicevo è una cosa passeggera, ma mi dispiacerebbe se la cosa alzasse un muro gelato tra di noi. Per quello non volevo lo sapesse, specie in questo modo. Specie non da me.»  

«Be’, ora lo so. Puoi cambiare le cose? No! Puoi affrontarle? Sì, ma non adesso. Come promesso ne riparleremo, ma ora mi servi concentrato, per quanto non ti volessi qui. Ormai sei in ballo. Vuoi ballare?» 

Peter lo guarda per un attimo, e capisce, attraverso i loro famosi non detti, che quello dei sentimenti è un problema di dopo, che ora ha importanza pari a zero, ma questo non significa che non ne abbia. Solo che quando ci sono grandi responsabilità lui non può fare a meno di rendersi utile con i suoi grandi poteri e lì, dimenticare per un attimo un cuore infranto, sembra quasi semplice. Sorride. «Spider-Man non si tira mai indietro!», esclama e si guadagna una pacca sulla schiena, da parte del signor Stark, che poi si alza in piedi e lo fronteggia.

«Forza, andiamo a vedere a che punto è il dottore», gli dice, ammiccando e Peter, sorridendo, annuisce e lo affianca.

 

Poco più lontano, i Guardiani della Galassia osservano la scena, in silenzio. Star-Lord ha cercato di leggere, dal loro labiale, quello che si sono detti ma non è mai stato bravo a farlo. Così ci ha semplicemente rinunciato e, con le mani incrociate al petto, si volta verso Mantis, alla ricerca di qualche risposta.

«Gli ha dato il due di picche?», chiede, e quando Drax e lei lo guardano interrogativo, si affretta a correggersi. È ovvio che non abbiano capito. «Intendo… ricambia o no, quello vecchio?» 

Mantis osserva Iron Man e Spider-Man che parlano ancora tra loro, ma si sorridono, con un filo fragile e quasi invisibile che li lega da cuore a cuore. Ridacchia leggermente e, inglobando aria tra le dita strette tra loro, sorride. «L’ho sfiorato, poco fa. L’uomo d’acciaio, intendo. Peter non ha nulla di cui preoccuparsi.»  

«Intendi che…», esordisce Star-Lord, e la fissa incredulo, insieme a Drax.

Allora lei annuisce, e inclina la testa di lato. «Lo ama anche lui.» 

 

Peter guarda Tony. Non gli importa cosa accadrà, almeno non adesso. Lo vuole concentrato e lui così sarà. Rimandare non significa necessariamente che non lo affronteranno, anche se ha paura delle conseguenze, di cui è fin troppo convinto. Si diranno la verità, prima o poi, magari sotto un cielo color cobalto e non uno come quello, rosso come il sangue, doloroso come una spina nel cuore. 

Si sorridono, e la mente è già a domani.

 
 

Fine

 
 

¹ parlo del pezzo di Infinity War, dove Peter dice a Matis una cosa tipo "Ti prego, non deporre le uova dentro di me!" 


 




 


 

♥ Note Autore ♥


Salve a tutti! Come va?
Lo so a cosa state pensando: Miry si butta sempre sull'angst! No, non è vero, stavolta avete toppato! Ho notato solo dopo che l'ha letta una mia amica, che pensare al dopo è abbastanza triste, ma non l'avevo scritta con l'intento di ricordare cosa sta per succedere dopo e che, come dice lei, un domani non c'è. Come sapete non disdegno i whatif? e nulla toglie alla mia e alla vostra immaginazione, di pensare che quella cosa che aspetta Peter e Tony dopo, non avverrà stavolta. Dunque vi chiedo di concentrarvi su questo, sul fatto che si amano, è reciproco, ma ancora non lo sanno. O almeno Peter non lo sa ancora, quel buontempone di Tony, invece... lo possino acciaccallo!
Dunque, spero che anche questa seconda shot vi sia piaciuta! Era molto che mi frullava per la testa questa cosa di Mantis che legge la mente e, ancora, spero di aver reso bene i Guardiani ♥ ci tengo a un vostro parere. 
Poi volevo ringraziare ancora la mia Guascosa _Lightning_ per avermi dato altre tre parole che hanno generato tutto questo e un'altra canzone che mi ha passato ♥ Grazie Guascosa ♥
Alla prossima, dunque,
La vostra amichevole Miryel di quartiere.

 



 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Gemma del Tempo ***


 
choes • f •
nfinity • tone





 



«Ma questa sera ho solo voglia di ballare. Di perdere la testa e non pensare
più che la mia vita non è niente di speciale. E che forse alla fine c'hai ragione tu.
In un mondo di John e di Paul, io sono Ringo Starr.»
Ringo Starr - Pinguini Tattici Nucleari
 
 

 
3. Gemma del Tempo          

             

             
              Il tempo è una prigione, dalla quale non si può sfuggire ma che lascia, al suo interno, tanto spazio libero per vivere. Per esistere. Per permettere all’essere umano di spenderlo al massimo delle potenzialità, ma rincorso comunque da un unico, inesorabile epilogo: la morte. Il percorso è assai arduo, però, per arrivarci. Si nasce, si cresce, si ha la sensazione, da bambini, che il tempo non passi abbastanza in fretta e poi ci si ritrova a cinquantatré anni come se niente fosse. Come se in realtà quel passato abbia compiuto il suo corso alla velocità della luce. Tony, questo, lo sa meglio di chiunque altro e da quando Peter è entrato a far parte della sua vita, il concetto di tempo ha subito una piega ancora diversa, nella sua testa. Vede che vive la sua adolescenza e la sua spensieratezza come se ne avesse paura, e quello che vorrebbe dirgli è di non sprecare occasioni e di vivere alla giornata. Ma Peter non è lui, che ha sempre percepito quell’esistenza ai margini delle possibilità; vivendo ogni giorno come se fosse l’ultimo e accantonando le paura nei meandri del cuore, solo per non rallentare quel flusso e rischiare di perdere pezzi per strada. E perdere tempo.

Ma Peter è Peter. Ha paura di non piacere a nessuno e invece piace a tutti. Ma vaglielo a dire, a un ragazzo di diciassette anni – sparito per cinque, che gli riesce tutto e che non ha bisogno di sforzarsi per farlo. A volte si chiede cosa pretenda, Spider-Man, da se stesso. A volte si chiede se non sia troppo duro, anche se mettersi in dubbio aiuta a crescere, certe volte. Qualcosa che lui stesso ha fatto sempre di rado, ma ci ha pensato suo padre, per lui, a farlo sentire inadeguato e un fallimento. Mai all’altezza. E allora forse Peter non è tanto diverso da lui, solo non ha avuto nessuno che lo ha spronato a darsi da fare per contare qualcosa, ma per la sofferenza che questo ha generato in Tony, forse è meglio così. Due pesi, due misure. Sono loro, uguali e diversi. Le due facce della stessa medaglia. La vibrazione di due corde di strumenti diversi, che emettono lo stesso, medesimo suono, quando vengono pizzicate.
 

Le sue feste del cazzo danno prova di quanto questo sia vero. Organizza party esageratamente divertenti, dove alla fine nemmeno lui si diverte. Solo che Tony Stark, in qualche modo, deve dimostrarsi un uomo di mondo. Lo è, per carità, ma forse non come lo era un tempo. Banner ha schioccato le dita e metà dell’universo è tornato – anche metà del suo universo, lo ha fatto; anche lui ha schioccato le dita, e con Thanos e i suoi seguaci, se n’è andata anche un pezzo della sua parte arrogante, quella più burbera. Ora ricerca altro, dalla vita: il riposo e godersi altri lati dell’esistenza, come quelli semplici, nascosti in serate a guardare la tv e mangiare schifezze, sempre e solo insieme a chi vuole accanto – insieme a Peter, per lo più.

E Spider-Man è lì, incastrato tra la parete e un paio di persone – una di queste è Steve Rogers, l’altro è Sam Wilson. Pare a disagio, anche se sorride. Si sposta una ciocca di capelli dietro l’orecchio con la mano che non tiene un cocktail tutto annacquato che sembra proprio intenzionato a non bere. Non gli piace l’alcool, così gli ha detto. Pizzica, gli ha detto una volta, con la faccia schifata più adorabile della storia del mondo. Vorrebbe salvarlo, ma anche Tony è incastrato tra le costole della gente che lo cerca in continuazione; persone che si congratulano per le solite cose: la società, la salvezza del mondo, le armature… bla, bla, bla… noia totale. 

«Le ascolti anche, le persone, o aspetti solo il tuo turno per parlare?», ironizza Natasha, e gli dà una gomitata che gli fa distogliere lo sguardo da Peter e la sua insicurezza e il suo visibile bisogno di andare a casa, nella sua comfort zone. Si chiede se abbia accettato quell’invito solo per farlo felice. Tony lo è; lo è sempre quando quel tornado combinaguai gli gira intorno, fresco come la rugiada di montagna. 

«Hai detto qualcosa di significativo? Se lo avessi fatto sarei qui a risponderti!» 

Lei alza le sopracciglia e gli riserva un’occhiata indefinibile, poi stira le labbra rossissime in un sorriso dei suoi, e sospira. «No, non ho detto niente, signor io non perdo tempo con voi miseri mortali

«Questa è una bugia bella e buona. Lo sai che non è così! Dopotutto, per fomentare il mio ego, ho bisogno proprio di voi miseri mortali, no?»

«Da solo non ci riesci? Ma povero te, Stark!», esclama lei, e il cervello di Tony inizia a ossigenare, svegliandolo. Ci sono poche persone, in quella stanza gigante del complesso, che riescono a mantenere viva quella fiamma di interesse che si affievolisce troppo facilmente, siccome perde interesse spessissimo. Una si queste è Natasha. L’unica che lo tratta come dovrebbe: come un perfetto stronzo, ma senza farlo sentire mai né inadeguato né in colpa. Vai bene così, sembra dirgli ogni volta che lo critica e a lui, dopotutto, la cosa fa piacere. 

«Ho provato a farmi un paio di complimenti allo specchio, stamattina, ma tendo a peccare di modestia. Voi invece siete sempre così accorati!» 

«Io non faccio parte di quel mondo, Tony. Sei un egocentrico, arrogante che non sa vedere al di là del proprio naso. L’unica cosa che mi trattiene dal picchiarti è che sei estremamente simpatico, quando vuoi. Almeno con me, dico», ammette lei e ci sono poche persone a cui concede quella sincerità, riuscendo a prenderla sempre con ottimismo e come fossero complimenti. Sentirsi dire che è un genio è di certo piacevole, ma rimane un’osservazione distaccata, che non scava a fondo sulla sua personalità e sulla sua umanità. Sentirsi dire che è simpatico, è la prova che è vivo e umano. Qualcosa che tende a dimenticare, certe volte; una mancanza che a volte va colmata molto più dell’ego, per sopravvivere.

«Potrei smettere di esserlo da un momento all’altro, ti avviso.» 

Natasha sbuffa, divertita. «Non importa. Tanto c’è sempre Parker pronto a ricordarti quanto sei figo, no?» 

A Tony scappa una risatina, a quella riposta. Forse perché è la verità. Peter ha un modo tutto suo di vederlo, e l’ammirazione che mette in ogni complimento che gli fa, lo rende luminoso. Natasha è più brutale e diretta, ma forse è questione di carattere. O di età diverse. O di percezioni. O di chissà quale altra diavoleria che la psiche umana nasconde. 

È sempre il tempo, il problema. Tony cerca di allinearsi alla giovinezza di Peter, ma ogni giorno che passa diventano tutti e due più grandi. Il divario è sempre uguale, non c’è mai speranza che vi sia un punto di incontro. La verità è che Tony vorrebbe fermare il tempo e aspettare che lui lo raggiunga. Il suo ennesimo capriccio, che però gli fa aggrovigliare il colon per il dispiacere. È convinto che, se si fossero conosciuti al college, passandosi pochi anni di età, lui e Peter avrebbero potuto instaurato una meravigliosa amicizia, duratura nel tempo, dove quei «Signor Stark!», sarebbero potuti essere dei genuini «Ehi, Tony!» con pacche sulle spalle e gare ai videogame, appesi entrambi ad una routine che sarebbe stata incantevole. Un tempo che avrebbe amato, sinceramente, ma che ora non può viverlo così. È il suo punto di riferimento e non un suo pari. È qualcuno che Peter vedrà sempre troppe spanne avanti. E quando lui gli dimostra che possono essere equilibrati, Peter si ferma e allunga le distanze. Non lo fa per cattiveria, gli viene naturale. Ricerca un distacco che non vuole nemmeno lui, o almeno questo pensa Tony. E non insiste, solo per paura che quel tentativo di affiancarlo possa pressarlo, o metterlo a disagio. E allora va bene anche così, purché quel ragazzo gli illumini la vita, va bene così.

Vorrebbe dirlo, a Natasha, che dei complimenti di Peter ne fa tesoro, ma che a volte vorrebbe che le cose fossero più semplici, meno reverenziali, con lui. Vorrebbe dirglielo perché lei non è come gli altri. Lei le sue debolezze le ascolta, anche se lui gliele ammette tra giri di parole e metafore strane, che nascondono il vero intento, ma che lei riesce sempre a cogliere. Lo fa sentire capito. Le è sempre grato. 

E poi parte la musica, e le luci si spengono. Faretti colorati iniziano a vorticare per tutta la stanza; flash bianchi a intermittenza illuminano la stanza a tratti. I suoi occhi si piantano di nuovo su Peter, ancora appiccicato al muro, con Steve e Sam che parlano di qualcosa e lui sorride di certo interessato, ma incapace di intromettersi per paura di non dire mai la cosa giusta. Poi tutti sorridono; qualcuno si butta in pista, tipo Shuri e mezzo Wakanda. Come Banner, che si precipita a rapire Natasha, tirandola per un braccio.

«Balla anche tu e dimostrami che sei il migliore anche in questo, Tony!», lo sfida lei, ad alta voce, per sovrastare quella canzone che non è né vecchia, né nuova. È a metà della linea del tempo che separa la sua giovinezza e la nascita di Peter. Un segno a metà sulla linea temporale della sua vita, che sembra più lunga di quanto crede, quando ripensa a tutto ciò che ha fatto in passato. 

Sorride, e poi Natasha sparisce tra la folla. La perde, e non le risponde. No, non ballerà, ma lo soddisfa il fatto che sia ancora il re dei party che organizza, per quanto quel ruolo gli imponga poi la solitudine, in certe situazioni. Portare la corona significa anche questo: rimanere statici a guardare, quando si è gli artefici del benessere altrui, ma si sente il bisogno di non immischiarsi a loro. Inquieto giace il capo che porta la corona. Il re guarda i sudditi felici, e non può far altro che quello; e nessuno lo guarda più. Nessuno se ne ricorda più. Tony Stark sparisce, e il tempo non si ferma. Continua la sua corsa inarrestabile e non gli importa chi si lascia indietro.

Si sente solo, fra centinaia di persone. Intasca le mani e osserva il mondo girare, dove lui è fermo.

Peter ha quel senso di inadeguatezza che gli preme lo stomaco. Non ha mai amato i posti affollati e i party, ma non ha mai piacere nel dire di no al signor Stark. Non perché sia un debole, ma perché gli viene naturale. Si sente a suo agio quando sono nello stesso ambiente – che sia quello superomistico o quello di tutti i giorni, come se si conoscessero da sempre. O come se Peter non avesse aspettato altro che conoscerlo, vivendo quel tempo precedente a Tony in attesa del suo arrivo. Assurdo, pensa, ma è così che si sente e non può nascondere quello che prova, nemmeno dietro la vergogna. 

La musica lo salva da quella conversazione sterile a cui non sta nemmeno partecipando. Ricordi lontani di Steve Rogers, fusi a confidenze di Sam Wilson – che ha sempre pensato lo odiasse a morte e forse è così –, che lui non conosce. Ha sorriso impacciato e nessuno si è accorto del suo disagio. Solo che non riesce ad andare via, quando sembra che le persone lo avvicinino pensando che si senta solo. Ma Peter da solo sta bene, specie in certe situazioni. Osserva, e si diverte molto di più guardando gli altri divertirsi, piuttosto che tentare di farlo, senza successo. 

Tutti si buttano in pista. Qualcuno resta a chiacchierare, e lui sembra l’unica persona immobile in un mondo che si agita e sfoga l’adrenalina con dei passi di danza – alcuni ben studiati, alcuni senza logica. Divertirsi vuol dire anche buttarsi, senza alcuna pretesa. Un po’ come quando indossa la tuta di Spider-Man e vola da un palazzo all’altro, con l’adrenalina che gli pulsa nel petto e lo fa sentire bene, vivo. Adoro quando succede, e un po’ si immedesima in quelle persone che si agitano tra le luci colorate, facendo un gran chiasso. 

E quel muro di persone copre il resto e ciò che Peter cerca, non lo trova. Percorre il perimetro della stanza, accostato al muro, cercando l’unica persona che riesce, anche nel mezzo di un party caotico, a farlo sentire a casa. Lo cerca con gli occhi, che saettano ovunque. In pista non c’è, non lo ha visto e quando infine lo individua, allunga il passo e lo raggiunge. 

Il signor Stark è immobile, che osserva la calca di gente ma sembra non farlo davvero. Chissà dov’è la sua mente? Chissà i suoi occhi cosa vedono, in questo momento… 

«Signor Stark!», lo chiama. Tony sussulta e si spalanca una mano sul petto, che inizia a muoversi su e giù.

«Un giorno o l’altro mi farai venire un infarto, Peter!»  

«Lo dice ogni volta», ridacchia, cercando di sovrastare la musica troppo alta, poi incastra le mani ai fianchi e sospira. «Non sta ballando?» 

«Nemmeno tu.» 

«Non sono bravo. In realtà non l’ho mai fatto prima. Non fa per me, credo.» 

Tony lo squadra da capo a piedi, poi inclina le labbra in un sorrisetto furbastro, che un po’ lo fa sussultare. «Come puoi saperlo, se non lo hai mai fatto?»

Peter fa roteare gli occhi all’insù, ma non riesce a nascondere una lieve risata squillante delle sue. «Istinto. I sensi di ragno non funzionano solo per i pericoli, ma anche per evitare figuracce», decide, e annuisce.

«Non mi pare abbiano mai funzionato, in quello», controbatte il signor Stark e Peter abbandona la sua espressione spensierata per regalargliene una di disappunto; offeso, ma non per davvero. È solo che quel gioco dei ruoli con signor Stark lo diverte sempre moltissimo, specie perché lui gli dà sempre corda. A volte dimentica che si passano così tanti anni. A volte sembra di avere accanto un amico di vecchia data, che ti prende in giro e tocca punti sensibili solo perché sa fin dove spingersi, per non ferire. «Mi importa che funzionino quando te ne vai in giro a fare l’eroe. Alle figuracce si rimedia sempre.»

Lui sbuffa divertito. «Come?» 

«Facendone altre e spostando l’attenzione su quelle più recenti; ad un certo punto la gente si confonde e smette di farci caso.» Tony gli appoggia una mano sulla spalla, come se volesse rassicurarlo che, quello che ha detto, è la sacrosanta verità. E Peter ci vuole credere, un po’, al fatto che non sempre serve nascondersi, per risultare invisibili. A volte bisogna mischiarsi tra la gente e continuare a brillare, con dignità, senza aver paura di deludere nessuno. 

«Le va di ballare?», chiede, ad un tratto, e si stupisce non tanto per la propria sfacciataggine che non gli appartiene, ma per il fatto che non provi vergogna nell’aver posto quella domanda. Che un no non lo spaventa. Non stavolta.

Tony alza le sopracciglia, scettico. 

«Basterà muoversi senza logica, come stanno facendo tutti», continua, e alza le spalle, come se solo quel gesto potesse rendere la cosa meno imbarazzante e problematica. 

«Vuoi proprio che ti faccia sfigurare, Parker?» 

«Nah, ho già perso la mia dignità; non posso andare più a fondo di dove sono! Lo ha detto lei: se ne fai tante, di figuracce, a un certo punto la gente non ci fa più caso!», esclama e, senza pensarci due volte, prende la sua mano sana tra le sue e lo trascina in pista. Si ritrovano l’uno di fronte all’altro, immobili. Si guardano intorno e la musica è assordante. Peter osserva Shuri scatenarsi e, poco più in là, un legnoso Steve Rogers che comunque sorride e si diverte, di fronte alla signorina Romanoff e il dottor Banner. Arriccia le labbra e inizia a muovere i piedi, schioccando le dita a tempo di musica. Guarda Tony, ancora immobile, ma non si ferma. Poi sorride, quando pure il signor Stark prende coraggio e si lascia andare. Sono movimenti lenti, fuori tempo, senza senso… senza logica, eppure quando alla fine vengono coinvolti da quell’atmosfera, tutto pare mutare. Sorrisi divertiti e una complicità negli sguardi, esplodono sui loro visi. Diventa quasi una competizione e, sotto le luci colorate, il tempo improvvisamente si ferma. E Peter vede un altro Tony, che non aveva ancora avuto il piacere di conoscere.

Tony si sente leggero. Non sentiva quella sensazione di spensieratezza da troppo, nemmeno quando il peso dell’universo e delle guerre combattute non erano ancora scritti nel suo destino. Si sente in un altro mondo, anche se sa che durerà poco; troppo poco, ma basta per consapevolizzare che la vita è una e che il tempo passa per tutti, ma a volte lo fa con il corpo, e non con l’anima. 

È sparito il pizzetto  e il completo elegante. Sono spariti i capelli bianchi, le rughe e gli occhiali da vista costosi. Ha indosso una maglietta dei Black Sabbath, un paio di converse nere e jeans rotti sulle ginocchia; sente il peso di una vita scendere dalle spalle e lasciare spazio a un passato che non ritorna; non sempre. Nella sua testa, però, è ancora così vivido che può viverlo e sovrapporlo alla realtà.

Ora ha diciotto anni, e un coetaneo di fronte. Un amico. Ballano come se domani potesse finire il mondo, dimenticando la dignità, la vergogna e le brutture della vita. Tony si sente giovane; si sente come Peter. Forse lo è davvero. Forse sono sempre stati simili, pari, equilibrati, coetanei nell’anima. 

Gli sembra assurdo, ma non gli dispiace pensare che sia così, dopotutto; e allora continua a ballare. 

 

 
 

Fine

 

 




 


 

♥ Note Autore ♥


Salve a tutti! Come va?
Ma salve a tuttissimi, anche a quelli che sono risultati positivi al Covid-19! No, a parte gli scherzi, spero che stiate tutti bene, e che presto l'Italia possa uscire da questa brutta situazione che ci ha piegati ma non spezzati e, qual è il miglior modo di affrontare una quarantena forzata se non scrivere di loro e lasciare che voi ne leggiate fino ad odiarmi? Nessuno, ovvio! Dunque grazie per essere arrivati fin qui!
Che dire di questa shot? Il tempo. Ah, il tempo, il nemico dell'amore. Un tempo che separa questi due ma che non li separa mai davvero, anzi... e, ammetto di trovare questo esperimento un po' inusuale, e spero che il risultato finale si sia capito ma, il mio intento, era quello di arrivare alla fine immaginando Peter che balla di fronte a uno Young!Tony, perché è così che si sente in quel momento.
Ho parlato di amicizia. In questa shot sentivo la necessità di colmare qualcosa, come un'occasione persa del passato, dove avrebbero di certo instaurato un rapporto del genere. Dunque, diciamo che la ship non è stata pensata, in questo lavoro in particolare (lo sapete, supporto il loro rapporto sia canonicamente che come ship, adorandolo in ogni caso, purché esista). Se la volete vedere, sono contenta, se non la vedete sono felice lo stesso! Vi ringrazio per l'entusiasmo mostrato negli scorsi capitoli!
Poi volevo ringraziare ancora la mia Guascosa _Lightning_ (che è la una buddy in murder, perciò amatela come la amo io!)  per avermi dato altre tre parole che hanno generato tutto questo ♥ Grazie Guascosa ♥ E la canzone, stavolta, l'ho scelta io siccome sto in FISSA TOTALE con "Ringo Starr" dei Pinguini Tattici Nucleari che, non contenti, hanno pure fatto il video stile Ritorno al Futuro e chi mi conosce da un po' sa quanto ami quel film!
Poi vorrei fare della pubblicità a una storia, ovvero il primo capitolo di un racconto scritto a quattro mani con Shilyss (la mia cosa ♥) che si chiama "Dove va l'anima quando moriamo?", che già dal titolo preannuncia del generoso e ilare ANGST! Se vi va di farci una visita, renderete queste dua autrici felicissime! In più, sempre in tema di storie a quattro mani, ricordo al pubblico che io e Lightning abbiamo scritto una storia che presto aggiorneremo! Se vi va, la trovate qui: "The Super Life of Pete&Harl" che è tanto tanto caruccia, e tanto tanto divertente – sul serio, non mento XD
Alla prossima, dunque,
La vostra amichevole Miryel di quartiere.

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Gemma del Potere ***





  choes • f •
nfinity • tone




 
 
«I've been around the world and never in my wildest dreams Would I come running home to you
I've told a million lies but now I tell a single truth There's you in everything I do»
Imagine Dragons - I Bet My Life


 
 
4. Gemma del Potere          

             

                       Oggi gli hanno detto che sta bene, malgrado tutto quello che ha passato – che hanno passato. Gli hanno anche detto che forse sarebbe meglio aspettare, prima di vederlo, perché la ferita che gli ha deturpato metà faccia non è solo un segno indelebile a cui dovrà abituarsi Tony, ma dovranno farlo prima di tutto gli altri; persino lui. Gli hanno detto che metà viso è esattamente come se lo ricorda, l’altra gli è stata quasi cancellata via dalle conseguenze distruttive di quello schiocco.

Uno schiocco, pensa Peter, con un sorrisetto e scuotendo leggermente la testa. Si copre la bocca con le mani, e quasi non ci può credere. Un gesto tanto stupido, quanto distruttivo; o, nel caso di Tony, riparatore. Ha schioccato le dita e ha salvato tutti. Ci ha rimesso tutta la parte destra del corpo, un polmone bruciato, i tendini della mano e chissà cos’altro. La parte sinistra? Illesa. Thanos si era preso metà dell’universo e Tony aveva perso metà di sé per salvare tutti. Chi la metà se la prende e chi la metà se la gioca ad una pericolosa partita a scacchi con la morte. Però hanno vinto. Non gli importa se dovrà abituarsi a vedere l’uomo che ama diviso tra i segni del passato e quelli di una vita ancora da vivere; gli importa solo che sia vivo e sa già che sarà facile abituarsi a vederlo in quello stato; sarà più difficile che sia Tony ad accettarlo, ma supereranno anche quella barriera.

Gli ospedali gli hanno sempre messo addosso un senso di impotenza assoluta, quella che lo fa sentire troppo Peter Parker e poco Spider-Man. Solo che Spider-Man non ha mai avuto niente a che fare con gli ospedali – a meno di qualche visita ai bambini di oncologia, per portare loro un po’ di gioia. Spider-Man non ha mai perso nessuno, Peter sì. Ha un ricordo vago di quando ha perso i suoi genitori, e pensa che quelle memorie sfocate siano solo una proiezione mentale tutta sua, solo perché non vuole credere di non aver conservato nemmeno un ricordo di loro, anche se era troppo piccolo, dunque non può ricordare. Di zio Ben, invece, lo ricorda fin troppo bene. Il Peter di quel tempo era codardo e impaurito, consapevole di ciò che avrebbe perso e per questo incapace di accettarlo sin da subito. Aveva solo undici anni, un sacco di paure oscure aggrovigliate nel cuore e la consapevolezza illusoria che nella vita si può essere felici senza soffrire più. Forse per questo non è mai entrato per salutarlo, quando lo hanno ricoverato; le ultime immagini di zio Ben sono quelle di un uomo morto molto prima di esserlo davvero – viste attraverso un vetro che li ha divisi fino all’ultimo – addormentato e esausto per il dolore ardente che deve aver sentito nelle ossa. Qualcosa che Peter sa di poter solo provare ad immaginare, ma che non saprà mai davvero quanto devastante doveva essere stato. Avrebbe voluto dirgli che non c’era giustizia, né un dio, se una persona come lui se ne stava andando e altri, meno degni, continuavano a vivere senza sapere quanto quel dono potesse essere prezioso. 

Avrebbe voluto, ma non lo ha fatto. Ha ancora paura di perdere le persone. Ha paura di non saperlo accettare ma, soprattutto, di non poter controllare il futuro senza di loro. Non perderà Tony, anche se i primi giorni ha pensato che potesse accadere, che quella fosse una possibilità, perché nessuno gli diceva niente e l’unica risposta che si sentiva dare, a ripetizione, come una nenia, era «Aspettiamo una sua reazione», che nella lingua medica vuol dire non sappiamo se ce la farà, ma stiamo facendo il possibile perché accada. Poi c’è stato quel «È fuori pericolo», che ha riacceso una lanterna attaccata alla spina dorsale, piegata in avanti mentre è seduto in quella sala d’attesa, a chiedersi se dovrebbe entrare oppure no.

«Se non se la sente…», esordisce un’infermiera, accanto al dottore che ha Tony in cura.

«No, vorrei vederlo, in realtà. Ho bisogno di vederlo.» Abbozza un sorriso spento. «Rassicurazione mia», aggiunge, e si morde il labbro inferiore. Lo tira, lo stringe tra i denti e si fa male. Perché vorrebbe dire altro, ma non può. Vorrebbe dire a quel dottore che non ne ha bisogno davvero, perché ha una paura fottuta che, quando avrà davanti quella nuova realtà, non avrà abbastanza coraggio per accettarla. Vorrebbe dirgli che gli si sono ristrette le vie respiratorie e che ha le mani gelide, infilate nelle tasche, e tremano. Tremano di paura; tremano di felicità. Tremano come la sua voce; come le sue labbra. 

Ha paura del potere che hanno le emozioni su di lui, quando non sa nemmeno riconoscerle più, siccome sono aggrovigliate con un gomitolo confuso di fili, in mezzo al petto. I sensi di ragno amplificano così tanto quelle sensazioni che si sente bruciare.

Il medico lo guarda per tre interminabili secondi, in silenzio. Lo squadra da capo a piedi, poi sospira e gli fa cenno che la porta è lì, a un palmo dai suoi piedi e che sì, può entrare, se proprio non può evitarlo. 

Allora Peter fa un cenno di ringraziamento con la testa, incastrandola tra le spalle e, esitando un secondo, supera l’uomo e stringe la mano intorno alla maniglia. Esita, chiedendosi se sia davvero la cosa giusta da fare; chiedendosi se non sia meglio aspettare di vederlo al meglio, senza quella linea di demarcazione allegorica che si è creata tra Tony e la vita; la stessa linea che divide il suo corpo in due linee temporali troppo diverse; una dove è Iron Man e l’altra dove è solo Tony Stark. Gli hanno assicurato che è fuori pericolo e che, anche se la convalescenza sarà lunga, tornerà presto a elargire al mondo  battute pungenti e sue foto in posa da modello. Se lo immagina già, in prima pagina, con un titolo ad effetto tipo Il ritorno di Tony Stark. Peter vorrebbe sorridere, a quel pensiero, ma è un gesto che gli viene meno quando, entrando nella stanza, si sente catapultato di nuovo su Titano; a quel momento in cui Thanos ha pugnalato Iron Man come se, davanti a lui, vi fosse solo un altro insetto da schiacciare. È un ricordo troppo indelebile, siccome quel fatto gli ha aperto gli occhi e ha scacciato via quell’illusione che Iron Man fosse immortale, e che nulla, proprio nulla, poteva portarglielo via. 

Deglutisce e tenta di buttarsi indietro quei ricordi, insieme a Titano e a quel dannato guanto. La stanza, almeno, è una bolla di tranquillità e calore. Le pareti sono azzurre come il cielo di quella mattina e le tende si muovono leggermente quando lui chiude la porta dietro di sé. I macchinari formano un insieme di rumori artificiosi, una novità che non si mischia ai suoni della natura e del traffico urbano a cui è abituato. Si avvicina, un passo avanti all’altro; le mani strette in pugni di rabbia e paura. Il letto immobile che imprigiona Tony è lì, di fronte a lui, eppure quel tragitto per raggiungerlo sembra infinito. Ha paura e non ne ha. 

Si ferma. Pianta i piedi accanto al letto, alla sua sinistra. Muove le dita in tic nervosi, mentre le braccia aderiscono perfettamente ai lati del suo corpo, incapaci di fare altro, mentre lo guarda e la mente, per un secondo, è bianca, poi nera, poi un lampo di colori; infine il grigio.

Dorme. Il viso è rilassato e la mascherina si appanna ogni volta che il suo respiro pesante la colpisce. Il rumore del flussometro attaccato alla parete sembra acqua che bolle in una pentola dimenticata sul fuoco. Parte del lato destro del viso è coperto da bende e medicazioni, ma Peter può vedere le macchie da ustione che gli imbrattano parte della fronte e della guancia. Deglutisce, mentre gli occhi scorrono codardi su di lui, cercando di trovare quei lati positivi che ora Peter non riesce proprio a vedere. Fa troppo male; è troppo ingiusto. Non lui… non Tony. Sembra inerme, esposto e dannatamente umano. Un termine che non riuscirà mai a calzargli addosso, quello.

Resta in piedi accanto al letto, incapace di fare o dire qualsiasi cosa. Non gli è mai successo di affiancare un malato – e ora capisce che con zio Ben avrebbe dovuto almeno provarci, a stargli accanto, anche senza dire niente di niente. Si siede a peso morto su una sedia, che sicuramente hanno già occupato una quantità infinita di persone, prima di lui, meno impaurite dalle conseguenze e dalla visione di una persona come quella, ridotta a un corpo rotto in un letto d’ospedale.

Apre la bocca; vorrebbe dire qualcosa, ma non ci riesce. Gli occhi gli si caricano di lacrime amare, ma le ricaccia subito indietro. Lo guarda; non può fare altro, oltre che quello, anche se riuscire a sostenere quel contatto con quel nuovo Tony è troppo difficile. Quante cose cambieranno ora? Quante cose non torneranno più come prima, adesso? 

Sospira. Sa fare solo questo: sospirare e incanalare paura. Abbassa la testa – non ce la fa più a guardarlo – e gli occhi gli cadono sulla mano dell'altro, rilassata sul materasso; un ago per la flebo infilato nella carne e un saturimetro che gli stringe l’indice, e gli viene voglia di prenderla tra la sua, solo per assicurarsi che sia reale, calda, ruvida come la ricorda. Non sa che fare. Non sa se azzardare quel contatto o lasciar perdere. Non ha coraggio, solo paure, ma non vuole averne più. Mai più. Allora supera quella barriera; gli prende la mano tremando e si sente come se avesse appena superato il test più difficile della sua vita. È un modo per fargli sentire che c’è, per rassicurarlo che non è solo, anche se forse non serve davvero a niente, un gesto del genere. Vorrebbe parlare, ma non sa che dire. Resta zitto e alza lo sguardo verso la finestra, perché ancora non riesce a tenere lo sguardo troppo a lungo su quello rilassato di Tony. Gli stringe solo forte la mano, mentre la mente torna ancora su Titano, al momento in cui lui è sparito e quello in cui Iron Man ha schioccato le dita e gli è quasi morto davanti. Le lacrime tornano a palesarsi e stavolta le lascia scendere, in silenzio. Serra la mascella e si morde le guance. Non mugugna, non rantola, non si lamenta e non si dispera. Piange silenzioso, come un soldato, tutte quelle  ingiustizie, sperando che questa sia l’ultima volta che lo fa, perché Peter Parker non ha poteri, ma è il momento che ne acquisisca uno: l’audacia. A volte ha la sensazione che Spider-Man gliel’abbia risucchiata via tutta, lasciando che sia lui, quello fragile. Non vuole più che sia così. Perché lo sa bene, che Peter Parker non ha poteri. Non li ha mai avuto; quello è Spider-Man, non lui.

Stringe ancora di più le dita tre le sue; no, non sta facendo nulla di goffo, dopotutto. Fa quello che farebbe qualsiasi adulto¹, no? Guarda la flebo che scandisce il tempo; Vorrebbe rimanere lì per sempre, a stringergli la mano, in attesa che succeda qualcosa. Qualunque cosa che non sia quella staticità che lo fa sentire debole e impotente.

Poi però sente una stretta che non è la sua, intorno alla mano. È debole, ma c’è. Apre gli occhi e si volta a guardarlo, Tony – Iron Man. Ha gli occhi aperti e un mezzo sorriso che gli solca il viso, sotto la mascherina. Non è il solito sguardo irriverente e arrogante, ma quello di chi, pur in quelle condizioni, cerca di non dare a vedere che è ancora tutto troppo frangibile, ma che c’è speranza che sia perfettibile, prima o poi. 

«E-ehi», balbetta Peter, e si asciuga le lacrime con la mano libera, mentre l’altra non ne vuol sapere di lasciare quella di Tony. Gli esplode un sorriso che gli fa male alle guance. «Ciao.» 

«Ciao», biascica Tony, dietro la mascherina dell’ossigeno. Lo dice così piano che Peter non è così sicuro di averlo sentito. È un saluto debole, entrato in mezzo a quel silenzio in punta di piedi ma che, dentro, ha fatto più rumore di un esplosivo. 

«Come ti senti?», gli chiede, e si sporge verso di lui. Quando si rende conto che quella conversazione potrebbe solo affaticarlo di più, scuote la testa, e aggiunge, lapidario, «Bene? Rispondi con la testa, non fare sforzi.» 

Tony lascia andar via una risata leggera, poi muove la testa su e giù. Le spalle di Peter si rilassano. «E tu?», chiede, a voce, in un sibilo rauco che ferisce per quanto lo ha reso vulnerabile ai suoi occhi.

Peter spalanca gli occhi sui suoi. Non sa nemmeno lui, come si sente, sa solo che ha la sensazione di aver appena abbandonato un incubo che sembrava senza fine, abbracciando qualcosa che è più palpabile e reale, anche se non ne è convinto come dovrebbe. «Oh, bene. Bene. Sto cercando di tornare alla vita normale, vado in terapia per risolvere qualche piccolo trauma che mi è rimasto addosso da quando sono tornato e tu non sei morto, dunque bene. A suo modo… bene.»  

Tony alza gli occhi al cielo, ma non cancella via quel sorriso che ha addosso. Gli occhi sono stanchi, appena aperti, ma brillano di vita. Molto più di quanto Peter ricordasse. 

«Poteva andare peggio. Lo dice sempre zia May. Dice che poteva andare peggio», dice e si sente uno stupido ad averlo fatto. Non sa nemmeno perché l’ha fatto. Come al solito si sta lasciando andare a confidenze tutte sue, quando dovrebbe solo rassicurarlo che va tutto bene e che presto uscirà da lì; che la vita tornerà quella di un tempo, che continuerà ad amarlo anche se di certo Tony penserà che nessuno potrebbe amare qualcuno ridotto in quello stato. Gli sembra quasi di sentirlo già, quel «Ora sono un mostro a tutti gli effetti», detto di fronte a uno specchio che di certo vorrebbe spaccare. Abbassa la testa, di fronte a quella prospettiva. 

«Poteva andare peggio»,conferma Tony, lentamente e non smette di sorridere nemmeno per un secondo; e non gli toglie gli occhi di dosso nemmeno per un istante.

«Potevi morire.» 

«Ricordati che io sono Iron Man», risponde lui, la voce un po' più alta ma ruvida, e Peter vorrebbe dirgli che, quella frase, ha troppi significati nascosti, a volte ricordi incantevoli a volte distruttivi. Anche Iron Man è diviso in due tra l’eroe che si presenta al mondo e quello che lo salva. Fa male e bene, e loro sono lì e, anche se le cose fanno davvero schifo, vanno meglio di quanto Peter potessero sperare. La supereranno, questa fase. Torneranno a condividere altri momenti insieme. È felice, però, di aver superato quelle paure e di aver usato quel coraggio per entrare lì e assicurarsi che nulla è andato perduto sul serio; quel coraggio che per Spider-Man è sempre stato un pregio, ma che per lui è un nuovo potere. Un potere così umano da far paura, certe volte, perché apre troppe finestre sull’ignoto. Oscuro, terribile, crudele ignoto. 

«Ho fame», sbotta Tony, e lui sussulta sulle spalle. Si guardano per una manciata di secondi, poi Peter scoppia a ridere e alza la testa verso l’asta per flebo, dove è attaccata la nutrizione parenterale. 

«In effetti la flebo è finita, ma immagino che presto te la cambieranno. Se vuoi posso chiedere loro di darti un menù. Preferisci del pollo o una pizza ai peperoni?», chiede, cercando di ironizzare e di alleggerire quell’atmosfera. Sa di esserci riuscito quando anche Tony sforza una risata e rompe di nuovo il muro della malinconia, stringendogli di più la mano. 

«Non fa ridere», risponde, poi rilassa la testa contro il cuscino e lo guarda ancora. Sbatte le ciglia lunghe tra loro, gli regala troppi sorrisi che pensa di non meritare. Peter si sente la cosa più importante della terra, come se Tony lo stesse ringraziando con un solo, luminoso sguardo, di esistere. Di essere lì per lui, con lui. «La pizza andrà benissimo.» 

I loro occhi si incrociano e adesso, per davvero, Peter non ha idea di quanto tempo sia passato da quando è entrato lì. Sa solo che, ora come ora, vorrebbe che smettesse di scorrere. È felice del suo nuovo potere – il coraggio – in verità. Pensava che fosse una prerogativa destinata solo a Spider-Man, e invece n è degno anche lui,  va bene così e se non fosse così ora non sarebbe lì a sorridere, mentre la persona che ama di più al mondo lo fa sentire come se fosse il suo universo. Chissà, magari lo è davvero.

Andrà tutto bene. Lo sa. Stavolta non ha dubbi.


 

 

 

Fine

 


¹ la frase che ho usato è liberamente ispirata ad uno dei fumetti più belli di Zerocalcare che io abbia mai letto "Dimentica il mio nome". Ovviamente io ci ho pesantemente romanzato sopra, ma lo ringrazio per avermi ispirata non solo la frase, ma l’intera One Shot.


 

 

 

♥ Note Autore ♥


Salve a tutti! Come va?
La situazione è quella che è e, lo so e per quanto abbia iniziato una minilong comica per alleggerire gli animi, ammetto comunque di aver bisogno di tirare fuori anche un po' di tristezza, altrimenti in questa quarantena finisco per impazzire e, dato che la scrittura è uno strumento potente che permette allo scrittore di tirare fuori anche ciò che lo attanaglia, questa è stata l'occasione per alleggerirmi un po' l'anima, anche se il finale – concedetemelo, è ricco di speranza e di allegria. 
Andrà tutto bene, sia a loro che a noi, vedrete ♥
La canzone che ho usato è I Bet My Life degli Imagine Dragons, una delle mie canzoni preferite in assoluto di tutti i tempi e spero che la andiate ad ascoltare e che possa piacervi ♥ 
Poi vorrei fare della pubblicità a una storia, ovvero il primo capitolo di un racconto scritto a quattro mani con Shilyss (la mia cosa ♥) che si chiama "Dove va l'anima quando moriamo?", che già dal titolo preannuncia del generoso e ilare ANGST! Se vi va di farci una visita, renderete queste dua autrici felicissime! In più, sempre in tema di storie a quattro mani, ricordo al pubblico che io e Lightning abbiamo scritto una storia che abbiamo aggiornato qualche giorno fa! Se vi va, la trovate qui: "The Super Life of Pete&Harl" che è tanto tanto caruccia.
Alla prossima, dunque,
La vostra amichevole Miryel in quarantena


 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Gemma della Realtà ***


 
choes • f •
nfinity • tone



 
Reality Stone - Roblox

«E resta qui con me tutta la notte, E ti giuro che ti salverò
Dalla gente che ti pesta i piedi Mentre balla il reggaeton.» 
La Banalità del Mare - Pinguini Tattici Nucleari
 


 
 
5. Gemma Della Realtà            

             

                   «Cosa ci faccio con questi?» 

Tony si gira a guardarlo e se lo ritrova a qualche metro di distanza con una scatola di cartone stretta tra le mani. È colma di cose e ne percepisce il peso da quella distanza, solo che Spider-Man è quello che è – forte, e nelle sue mani tutto sembra leggero, persino il loro rapporto. Non è poco importante, solo poco ostico. Sa che quel pensiero non ha senso, che dopotutto è un uomo cambiato dal corso della vita e degli anni; ma questi ultimi, vissuti affogando in alcune consapevolezze che a quanto pare lo hanno fatto anche crescere un po’, parono ricchi di malinconia ma anche di vittorie. Almeno a livello umano pare così, e Peter è il trofeo migliore che gli sia mai capitato tra le mani. 

Sorride. Lascia sulla scrivania la sua tazza di caffé e un vecchio libro di nanotecnologia, che ha trovato nella libreria del suo laboratorio, che ha finalmente deciso di sistemare. Non ha mai avuto tanta remore nel gettare via oggetti del passato, collegandoli sempre a qualcosa che ormai non c’è più e che non tornerà, ma oggi ha quasi vacillato. Oggi il passato sembra diverso, quasi meno amaro. Quasi una semplice linea del tempo che c’è, e ha capito che non può ignorarla. Non sempre.

«Che c’è lì dentro?»

Peter alza le spalle e accenna ad un sorrisetto. Abbassa la testa e sembra indagare. «Bo’, cose. Album di foto e un annuario studentesco del MIT. Una cornice rotta e delle riviste. Vuoi dargli un’occhiata?» 

«Oddio, il passato in una scatola.» Alza gli occhi al cielo e intasca le mani, senza riuscire comunque a trattenere un sorriso. «Hai sbirciato e devo cavarti gli occhi o ho ancora una dignità? La tua risposta ne va della tua vita.» 

«Ho sbirciato», ammette Peter, e si lascia cadere a gambe incrociate sul pavimento. Porta una salopette di jeans, con una sola bretella allacciata. Sotto indossa una maglietta di Star Wars un po’ scolorita; forse vecchia. Ai piedi un paio di Originals un tempo, forse, perfettamente bianche. Ora sono piene di righe nere e i lacci consumati. Vissute. Come gli oggetti che, accalcati in disordine in quella scatola, si riposano e aspettano di essere ricordati. Tony non vorrebbe farlo, ma da quando è finito l’incubo che gli ha diviso a metà il suo mondo, i ricordi sono riaffiorati e ne fa ogni giorno inconsapevolmente tesoro. Sospira rassegnato al fatto che sta invecchiando – anzi, che sta crescendo, e che la curiosità di rivangare certi vissuti un po’ lo incuriosisce e un po’ lo spaventa a morte.

Si siede anche lui a gambe incrociate di fronte alla scatola, che ora è a terra tra lui e Peter. Il vigilante del Queens lo guarda come se fosse un girasole che ha appena incontrato la luce del sole di mezzogiorno. Esplode di gioia, di una pura curiosità e Tony sa benissimo che non è rivolta al suo passato, ma alla sua reazione nei riguardi dello stesso. Prende un grosso respiro, lo incanala nei polmoni e quasi va in apnea, mentre infila la mano nello scatolone e tira fuori l’annuario del MIT. La copertina è scolorita; la pellicola che la proteggeva si sta staccando da un lato e, le pagine, sono piene di pieghe ai lati e, l’umidità, ha lasciato che la carta si ingiallisse; sembra quasi un papiro e, siccome sono passati troppi anni, vorrebbe fare una battuta sul fatto che probabilmente lo è. O magari Peter ci ha già pensato da solo ma, per rispetto, l’ha tenuto per sé.

«Vediamo», dice, e inizia a sfogliarlo. È un meccanismo automatico, il suo. Ricorda perfettamente dove si trova la sua foto, più o meno e, sfogliando velocemente facendo scorrere le pagine dure tra le dita, infine la trova. «Oh santo cielo. Questo taglio di capelli è invecchiato male», commenta e Peter si sporge verso di lui per guardare. Ha le labbra arricciate e gli occhi puntellati di stelle ricche di troppe emozioni positive. Fa bene e male, perché lui il suo passato non lo ricorda con quell'entusiasmo. Gli occhi non gli brillano a quel modo, quando pensa al se stesso giovane. Vorrebbe con tutto il cuore provare la stessa gioia. 

«Decisamente male. Ma ti donavano. Magari per l’epoca erano belli. Non penso li avresti mai tagliati così, altrimenti.» 

«Epoca, Parker? Non usare parole così forti con me, o ti spedisco a pulire i cessi del mio ufficio per un mese, e sai che sono capace di farlo», lo riprende e, di tutta risposta, Peter alza le mani in segno di resa, ma il velo di una risata fa ombra ai lati della sua bocca. Gli trema il mento, ma si trattiene e Tony vorrebbe che non lo facesse. Gli piace che scherzi così con lui, perché lo fa sentire come se non avessero vincoli. E forse non ne hanno. Forse non così tanti come Tony pensa. 

«Dio solo sa con che coraggio andavo in facoltà conciato così. Immagino che mia madre non mi dicesse niente per non offendermi. Avrebbe dovuto. Poi ti chiedi perché i ragazzini crescono con dei traumi», commenta ancora, e sfoglia velocemente le altre foto, alla ricerca di qualche altro povero studente obbligato a portare un taglio simile. Trova di peggio, e questo lo rassicurò, specie quando Peter ne indica uno, sbottando in una risata che sembra più una pernacchia che altro.

«Questo qui aveva coraggio! Insomma, a quanto pare sua madre non voleva offenderlo, doveva proprio odiarlo!» 

«Ma come siamo giudiziosi. Come mai con me ti sei trattenuto tanto e a questo qui hai distrutto il look? Non me lo sarei mai aspettato da te», domandò Tony, alzando le sopracciglia.

«Il tuo era un taglio quasi normale. Zio Ben ne ha portato uno simile, quando studiava informatica al NYIT. Zia May dice sempre che, se lo avesse conosciuto al tempo, probabilmente non lo avrebbe mai sposato per il suo look discutibile», risponde Peter e, in mezzo alla costellazione luminosa infilata nelle sue pupille, si infila una luce calda e debole permeata di malinconia e ricordi. Tony odia e ama sentirlo parlare di zio Ben; ma sa anche che, almeno Peter, i ricordi non li nasconde da nessuna parte. Li tiene sempre in primo piano, insieme alla realtà e al presente. Ci cammina mano nella mano, con quella vita vissuta; forse per questo, a volte, sembra più maturo della sua età. Forse per questo, certe volte, non sembrano poi troppo lontani. 

«Fortuna che le mode cambiano. Vedrai quando ti capiteranno tra le mani foto di ora, tra qualche anno, e sentirai quel senso di vergogna qui, all’altezza dello stomaco, e ti chiederai come accidenti hai fatto a portare un taglio del genere.» 

«È un normalissimo taglio! Di cosa dovrei vergognarmi?»

«Pensavo anche io, all’epoca, che lo fosse.» 

«Hai usato la parola epoca!», lo deride Peter, e lo indica con l’indice. Tony gli schiaffeggia la mano, indignato, e lui ride di più. Stringe le labbra per impedirsi di farlo, ma il fatto che non ci stia riuscendo è quasi un colpo al cuore. La luce malinconica si spegne e se ne accende un’altra. L’allegria di un momento leggero, che Tony vorrebbe vivere per sempre e, allo stesso tempo, vi vorrebbe porre fine. Solo perché in quello scatolone c’è troppo lui, e non sa dove stanno andando e dove arriveranno, continuando a cercare. 

Appoggia accanto a lui l’annuario e, infilando la mano nello scatolone, tira fuori un album di fotografie. Sopra alla copertina c’è una donna con lunghi capelli castani e un paio di occhi verdi incantevoli. Tony scoppia a ridere.

«Mi ero completamente dimenticato di questa cosa!», esclama, e passa una mano sopra all’album per liberarlo dalla polvere. 

«Chi è questa ragazza?», chiede Peter, curioso.

«Nessuno che io conosca. Mia madre era fissata con i fotoromanzi; comprava decine e decine di riviste per leggerli. Un giorno comprò questo album e, siccome non le piaceva la copertina originale, ci appiccicò sopra la fotografia di questa attrice. Doveva essere famosa, al tempo, almeno per chi bazzicava quella roba smielata. Io, personalmente, non ricordo nemmeno il suo nome», spiega Tony, e gli si accende una lanterna calda in mezzo al petto, mentre lo racconta. Pensava di non aver conservato troppi ricordi, del passato, ma quel dettaglio è talmente insignificante, che gli sembra assurdo averlo ricordato così, all’improvviso, dopo anni e anni che aveva vissuto quel fatto. Ricordava solo sua madre che, seduta ad un tavolo rotondo, ritagliava con cura la foto e poi la appiccicava là sopra. E quando lui le aveva chiesto cosa stesse facendo, lei aveva solo risposto «Abbellisco una cosa brutta con una cosa bella. Sposane una così, un giorno.» 

«Oh, e non ricordi cosa c’è sotto?» 

«Nel modo più assoluto. Credo di non saperlo affatto. E credo che non ci sia nemmeno bisogno di aprirlo. Sono solo vecchie foto.» 

«Solo?», chiede Peter, e ha inclinato la testa di lato e lo ha guardato come se fosse un alieno che ha appena parcheggiato la sua astronave in giardino, mentre lo faceva. 

«Ti darei troppo materiale per prendermi in giro e per tirar fuori tutte quelle parole che mi fanno sentire dannatamente vecchio. Dunque sì, non lo apriremo», gli risponde, e sa di aver usato un tono un po’ ostico, un po’ stronzo, perché Peter ha solo aperto la bocca per ribattere e poi l’ha chiusa. Non lo fa sempre. Quando deve dirgli qualcosa se ne frega delle sue reazioni, ma forse ha capito che quelle non sono solo foto, sono frammenti di memoria che distorcono la realtà, la frammentano, la spezzano, e quando la ricompongono gli si infilano nel cuore come pugnali avvelenati. Fanno così male che non riuscirebbe nemmeno a fingersi per nulla toccato, da quel passato. Anche se Tony sa perfettamente che non può sfuggirgli in eterno e che, ora che ha risolto il suo presente, ed è diventato una persona accettabile – non migliore, ma accettabile – dovrebbe affrontarlo. Solo che è difficile da credere che ci riuscirà. 

Preferisce tenere chiuso quel cassetto e gettare la chiave, senza tornarci mai più, ma sapere che quei ricordi sono lì, comunque vicino a lui, in lui, rendono il suo obiettivo di ignorarli, quasi vano.

Prende l’album e lo appoggia sopra all’annuario del MIT. 

«Lo guarderai dopo?»

«No.» 

«Perché no?»

«Perché dovrei? È il passato! Perché tutti pensate che sfogliare un album di vecchie foto sia così entusiasmante? Sono solo immagini stampate di cose che non torneranno mai più!», commenta, e non ha nemmeno il coraggio di guardarlo, mentre lo fa. Si gira verso la scrivania, «Dove accidenti ho lasciato il mio caffé?» 

«Esatto, non torneranno più! Per quello è giusto che ci si rinfreschi un po’ la memoria», controbatte Peter, e quando Tony si gira di nuovo a guardarlo, scopre che ha messo su un broncio invidiabile. 

«E a cosa serve? Il presente è qui, e ora. Non ha senso vagare in uno scenario immaginario, pieno di persone e situazioni che ricordo a malapena. La vita è proiettata al futuro. Il resto è solo tempo perso, persino questi… sentimentalismi legati a degli oggetti stampati che rappresentano qualcuno che non sei più.» Prende di nuovo l’album tra le mani e lo getta nella scatola. «Ecco, puoi buttare tutto.»

«No, non credo che lo farò», ride Peter, senza alcun entusiasmo. Tony si alza in piedi e recupera la tazza di caffé. Ne prende un sorso e gli brucia lo stomaco. Parlare del passato contamina tutto ciò che lo circonda in cicuta letale; il caffé, le foto chiuse in un album; persino Peter è veleno, con quella fastidiosa determinazione che ora gli esplode nello sguardo. 

«Ricordami perché ti ho chiesto di aiutarmi a dare una pulita al mio studio», reagisce. Lo indica con la tazza di caffé e Peter prende di nuovo in mano l’album. Si alza in piedi e lo fronteggia. Con la mano libera si tira su la spallina della salopette che gli è scesa su una spalla. 

«Perché ti serviva qualcuno che ti dicesse di non dimenticare. Sono cose tue, rigorosamente tue. Per come sei fatto, era un lavoro che potevi fare da solo. Invece no, hai voluto che ti aiutassi, dunque non vuoi sbagliare e rischiare di pentirti di esserti sbarazzato di qualcosa a cui tieni.» 

«L’unica cosa di cui sono pentito è di averti chiesto una mano», bofonchia, e Peter lo guarda con quello sguardo che, senza una parola, dice “Oh, ma quanto sei figo quando ti fingi così insensibile!”

Poi alza le spalle, e tutto diventa più difficile. «Come vuoi. Lo porto via, magari un giorno ti viene voglia di sfogliarlo.» È più facile discutere e lasciar andare concetti che non pensa. Lo ha chiamato perché vuole il suo aiuto e più di tutto la sua compagnia e quell’entusiasmo che sostituisce la sua melanconia. Un equilibrio perfetto che è stato di nuovo capace di spezzare. Tace, anche se vorrebbe chiedergli solo scusa, ma non è capace. Peter lo sa. E così gli lascia il tempo di metabolizzare e di rimediare con altro. Un gesto, un sorriso, o fingere che quella discussione non sia mai avvenuta.

«Non succederà», dice laconico, perché non ne avrò mai il coraggio.

«Che c’è qui dentro che ti terrorizza tanto? Cosa c’è di così spaventoso che non vuoi vedere? Avanti, sono solo fotografie. L’hai detto tu!», sbotta Peter, e sembra aver messo da parte quella finta indifferenza che però ha sempre il potere di ferirlo e distruggerlo. Gli è quasi grato, che non abbia chiuso lì il discorso.

«D’accordo! Aprilo! Non ti fermerò, se è questo che vuoi!», esclama, e poi sospira. Si gira verso il tavolo e si versa altro caffé – altro veleno che va a sommarsi a tutto quello che ha ingoiato fino a quel momento. Rimane di schiena. Sente solo il rumore della carta che si separa e la carta lucida che protegge il suo passato stridere a contatto con le dita di Peter. Sente il suo respiro calmo – a differenza del suo, e poi un singulto a cui non sa attribuire un motivo. Delusione? Tristezza? Pena?

Abbandona la tazza sul tavolo e vi poggia sopra i palmi aperti. Piega la schiena e ha solo voglia di urlare. Si è aperto e poi ha di nuovo chiuso il cuore, come sempre. Gli fa così rabbia, averne uno come tutti gli altri. 

«Dunque?», chiede, quando quel silenzio rotto solo dalle pagine che vengono sfogliate, diventa quasi insostenibile. 

«Sono… solo foto. Foto di una famiglia, di un bambino che gioca, che ride e che ti somiglia. Foto di una vita.» 

«Foto della realtà», ammette, e piega di più la schiena, e anche le ginocchia. Tremano e la rabbia diventa rancore, poi tristezza, poi malinconia, poi troppe cose che non sa spiegare e che non sentiva da troppo.

«Non c’è niente di spaventoso, no? Le abbiamo tutti, foto così.» 

«E allora cosa dovrei fare?» 

«Accettarle e non rinnegarle. Sono l’unica prova che hai.» 

«Prova? Prova di cosa?», chiede, e non vorrebbe averlo detto con quella rabbia a bucargli il diaframma. 

«Che sei vivo e che esisti. Di questi tempi non è così scontato. C’è chi ha smesso di farlo per cinque anni.» La voce di Peter è un sorriso che non può vedere, girato di spalle. È un lieve canto di tranquillità, che smuove però un universo. A volte scorda che il tempo è relativo, e che qualcuno lo ha perduto nel vuoto e qualcun altro nell’attesa del ritorno di altri. Come loro due. Che Tony lo ha aspettato e Peter poi è tornato. 

E, a rendere questa realtà possibile, non è forse stata una foto¹

Si gira. I loro occhi si incrociano in una lenta, ondulata linea stabile. Una connessione silente che parla per loro. Tony prende l’album tra le mani e gli trema la sinistra – sempre la sinistra, la più fragile. Impatta contro il passato e scopre con sollievo che non fa poi così male. Spezza un po’, ma non piega. Calcia nello stomaco e lo ferisce, ma poi scoppia una sensazione dentro che non sa spiegare. Le foto ingiallite sono la prova di una realtà che non torna, certo, ma che è pur sempre reale. Passa la mano su una foto scattata al mare. Ha qualcosa come cinque anni, un cappello da pescatore, un costume rosso e i piedi infilati nella sabbia. Un sorriso sdentato, mentre sua madre lo tiene seduto sulle sue gambe incrociate e, sorridente, ha i rossi di un’estate passata a prendere il sole e raccontargli del mare. Suo padre ha messo un dito sull’obiettivo, mentre la scattava, comparendo inconsapevolmente in un angolo della foto e in un momento felice, estraneo al futuro che li attende. Sono felici e basta, tutto qui. Immortalati in un’immagine che è solo una foto, ma che ha catturato cose che Tony aveva dimenticato. 

Forse sarebbe stato meglio aprirlo da solo, con un bicchiere di whiskey tra le mani e la libertà di soffermarsi di più, in preda ai ricordi. Ma forse, se non fosse stato per Peter, non l’avrebbe nemmeno mai aperto, quell’album. 

Lo chiude con un tonfo sordo e glielo cede. Spider-Man lo guarda confuso, ma ha un sorriso nascosto oltre la folta corolla di ciglia. Vorrebbe dirgli che aspetta solo che si palesi, ma non ha il coraggio di farlo. 

«Mettilo lì, poi si vedrà», dice e non può non notare l’espressione trionfante dell'altro che, quasi saltellando, ripone l’album nello scatolone e poi torna a gambe incrociate davanti allo stesso. 

«Hai altre foto imbarazzanti da mostrarmi?», chiede, e sembra solo un tentativo di fingere che non abbiano mai discusso e che, non può nasconderlo, Tony lo apprezza. 

«Calma la curiosità, Spider-Man. La foto dell’annuario te la fai bastare, almeno per oggi. Non mi metterò ancora in ridicolo di fronte a te; non te lo meriti un tale privilegio», commenta, e in totale contrasto con le sue parole, si siede di nuovo anche lui di fronte allo scatolone e tira fuori la cornice rotta di cui parlavano poco prima. Sorride. La gira e gliela mostra.

Peter la studia con un sopracciglio alzato, per cinque interminabili secondi, poi scoppia a ridere e si butta per terra, quasi rotolando. Tony lo guarda e sente che il cuore sta per esplodergli. Gira la foto e si sente leggero come una piuma.

È solo lui, vestito di blu, alla sua cerimonia di laurea. Il berretto universitario che lo fa sembrare… lo fa sembrare… 

«Sembri il tubetto di un dentifricio!», riesce a dire Peter, mentre si tiene la pancia e ride come non ha mai fatto davanti a lui. Sì, decisamente, sembra il tubetto di un dentifricio, con tanto di tappo.

Scoppia a ridere anche lui, a quel pensiero; di gioia e di malinconia, e sente dentro la sensazione di pura accettazione verso una realtà da cui non può sfuggire ma che, ora come ora, la ricorda con una consapevolezza che sa di felicità.

 

Fine
 


¹ Ovviamente qui parlo della foto di Tony e Peter; quella che ha convinto Tony a lavorare sui viaggi nel tempo, in End Game.




 


 

♥ Note Autore ♥


Salve a tutti! Come va?
so che manco da molto ma tra una quarantena incasinata e altre cose, ho finito per perdere l'ispirazione legata a questa raccolta – e ad altre cose, lo ammetto. Invece, per fortuna, l'altro giorno ho avuto questo lampo di genio e, ritornare a scrivere, è stata una liberazione assoluta. Mi sono sentita decisamente meglio, e spero di poterlo fare ancora ♥
Un momento che ripercorre il passato, attraverso le fotografie di un'epoca; foto che Tony non avrebbe mai sfogliato da solo, ma ha avuto bisogno di Peter per farlo (a cui ho messo la salopette siccome volevo fargliela indossare da tempo ♥ Piccolo, sexy, Spider-Man).
Oggi, poi, ci tenevo particolarmente a pubblicare siccome sono 12 anni che Iron Man ha fatto il suo esordio al cinema (e, per fortuna, è stata Shilyss a farmelo notare o non me ne sarei mai resa conto da sola ♥)
Ringrazio ancora una volta i 
Pinguini Tattici Nucleari che mi hanno di nuovo accompagnato nella scrittura di questa Shottina, e sono sempre di grande ispirazione ♥ Mi è piaciuto molto scriverla e, sperando vi sia piaciuta, vi invito a lasciarmi un commentino, se vi va e grazie a chi l'ha listata e chi deciderà di farlo in futuro. E ora ne manca solo una, l'anima, e qui vi voglio ♥
Spero che stiate tutti bene, vi mando un abbraccio fortissimo ♥ a presto!
La vostra amichevole Miryel di quartiere.

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Gemma dell'Anima ***


 
choes • f •
nfinity • tone



 
Reality Stone - Roblox

«Sometimes you gotta bleed to know That you're alive and have a soul
But it takes someone to come around To show you how»
Twenty One Pilot - Tears in my Heart

 
 
6. Gemma Dell'Anima         

                         

              L'anima è un insieme concatenato di esperienze inesorabilmente vissute; che queste facciano parte della vita attuale o di una trascorsa in un momento diverso, non ha importanza. L’anima è un concetto, una nebulosa di sentimenti. L’anima è vita, ma è anche morte, che lo si voglia o no. L’anima è invisibile agli occhi, ma ruvida al tatto, se la si tocca con amore. O con odio. O con la mera tristezza e malinconia di chi la vita non l’ha ancora capita del tutto; ma, in fondo, chi davvero lo ha fatto? Chi davvero ha chiuso gli occhi per sempre, con l'onniscienza e la consapevolezza di ciò che è stato viverla?

L’anima è tutto. Spazio, mente, tempo, potere e realtà. L’anima è un’ampolla di molto e di poco, ma ha pareti spesse fatte di nervi sensibili e muri atti a proteggere dalle brutture del mondo. L’anima è la vita, la morte. L’anima fa paura. 

Tony se lo ricorda ancora, il momento in cui non l’ha più sentita al di fuori di sé. Era in una caverna in Afghanistan, mosso dalla disperazione di voler vivere ancora, troppo sicuro di non aver avuto il tempo di fare abbastanza, o di non averla mai sfruttato al meglio, la vita, facendo ciò per cui sapeva di essere nato, ma che ha scoperto solo lì, una volta entrato in quell’armatura molto brutta. Migliorabile. Poi migliorata, poi divenuta un pezzo di sé. Poi divenuta sé, poi scissa ancora, creando due entità. L’eroe e l’uomo. Chi sia uno e chi sia l’altro, Tony non lo ha ancora capito, ma è un dubbio al quale non vuole dar risposta; o meglio, non è la sua priorità trovarla. Non adesso. Forse mai. Chi se ne frega, va bene così. Tutto va bene così, quando si guarda indietro e si vede migliore di ciò che è stato. 

Va bene così.

Chissà se l’anima è frammentabile in pezzi di sé…? A volte se lo chiede, e si domanda se in effetti anche Iron Man ne abbia un brandello della sua infilato tra la ragnatela di componenti elettriche che gli dà vita. Tony poi si chiede se l’anima sia un dono da dare e poi da ricevere; se così fosse, sa che pochi hanno il privilegio di averne ricevuto uno strappo dalla sua; le stesse persona al quale ne ha rubata un’oncia minuscola e ne ha fatto tesoro, senza mai dirlo a nessuno, che quelle persone sono preziose come lo sarebbe una vita felice e un passato migliore. Non da dimenticare, ma da raccontare con la testa alta, senza sentirsi annichilito, in dovere di giustificare i suoi trascorsi con placida arroganza e velenosa ironia, solo per nascondere la delusione che sente, ricordando che uomo è stato e perché. 

Preferisce sorvolare, e guardare avanti, ma lo sa che l’anima brucia di whiskey bevuto in un sorso e una vita all’estremo, che lo ha portato ad un margine troppo pericoloso: quello del non ritorno.

Tony però è tornato. Ha visto riaccendersi nel cuore una luce che non ricordava nemmeno gli appartenesse. L’ha sentita bruciare un istante di più, ogni volta che la vita ha deciso di ricordargli che non ha più nulla da dimostrare, ma solo da insegnare. E, se c’è qualcuno che lo ha convinto che vale qualcosa e che può condividere quel calore che ha infilato dentro – nella pelle, quella persone è Peter. 

I casi della vita sorprendono quando, senza che qualcuno lo possa prevedere, sconvolgono una routine infernale e noiosa, e la trasformano in una novità alla quale comunque ci si abituerà presto – ed è questa, la paura più grande: trovare ordinario qualcosa che si credeva incredibile. A Peter, però, Tony non riesce ad abituarsi, perché non è possibile che ciò accada. È stata l’esplosione di vita più forte che gli sia mai capitata addosso. Un’onda di calore, freschezza e valore, racchiusi in un corpo che è il recipiente di insicurezza, senso di inadeguatezza e timore. L’inconsapevolezza della propria grandezza, del proprio rilievo, annichilita da una vita vissuta a non sentirsi niente di niente per sé, ma che per Tony è diventato il suo tutto. 

Non ha mai ricercato nessuno, nella vita, tanto quanto ha bramato la presenza di Peter e della sua ineguagliabile personalità. Ha bisogno di proteggerlo e di essere protetto. Vuole insegnargli molte cose e impararne altrettante da lui. Vorrebbe aiutarlo a crescere e farsi aiutare a tornare giovane. Vorrebbe solo che fossero pari e allo stesso tempo vorrebbe essere suo mentore e allievo, suo amico e suo conoscente, il suo amante e il suo amato. 

Sfiorargli l’anima e sentire le sue dita lambire la propria.

Perché Tony lo sa – oh, se lo sa! – che a parlare col cuore non è mai stato bravo, ma l’anima è lo specchio dei suoi sentimenti e se Peter può vederli – ed è certo che possa farlo – allora è già a buon punto. Decisamente è a buon punto. 

«Tony?»

Sorride. Lo fa sempre quando il suo nome viene via dalle sue labbra come se non avesse vergogna nel pronunciarlo. Sembra un concetto stupido, ma non lo è poi così tanto. È più abituato a sentirlo tra stridule vibrazioni pregne di disappunto, piuttosto che con quel disincanto frizzante che sa di innocenza. Lo fa sentire pulito. Pulito dentro. 

«Mi auguro che seduto dietro di me ci sia un altro Tony, bimbo ragno

Peter scoppia a ridere in una risata senza entusiasmo. Lui continua a procrastinare su quel divanetto, con una gamba piegata sull’altra e una mano serrata intorno alla caviglia. Mette in pausa Grey’s Anatomy, e sorride sornione.

«Ah, per favore! Non puoi restare seduto su quel divano tutto il giorno, è… controproducente.» 

«Non posso? Ah! E invece lo sto proprio facendo! E ti dirò di più: rimarrò fermo qui, a non fare niente, almeno finché non avrò un bisogno smodato di fare pipì. Il che non esclude che io non decida di ignorare lo stimolo e di farla qui. Dopotutto è la mia sala hobby e quando dico mia intendo che l’ho pagata io e dunque… dunque niente! Posso fare quello che voglio, come voglio, dove voglio e se voglio. Oggi non voglio.» Rilassa la testa contro lo schienale del divanetto di Ikea, comprato a caso quando ha deciso di arredare quella sala tutta sua, progettata sin dal principio, prima ancora che il complesso venisse costruito. È il suo regno. 

«Dici sul serio?» 

«Dico sul serio. Oggi considerami… in pensione. Oggi sono un pensionato. Magari più tardi vado a guardare un cantiere con le mani incrociate dietro la schiena, mentre impartisco ordini agli operai – dico ai professionisti cosa devono fare. Ma oggi sono mister nessuno che, indovina un po’, non vuole vedere…» Lo indica, attendendo che sia lui a finire la frase. 

Peter alza gli occhi al cielo. «Nessuno?» 

«Arguto! Dieci punti a Grifondoro, Parker.» 

Si guadagna un sopracciglio alzato, e le mani ai fianchi, di un giovane Spider-Man, troppo concentrato a nascondere la sua ilarità dietro a uno finto sguardo di ostentato disappunto. 

«Comunque», inizia, poi, fa un passo verso di lui e gli si siede accanto, con una noncurante e irriverente disinvoltura. Tony è così colto di sorpresa che sussulta. «Resto con te. Se tu non mi dai nuovi progetti io non posso lavorare. Se me ne dai di nuovi, dovresti seguirmi ma, visto che non hai voglia di fare niente, immagino che non esista la possibilità che la mia possa trasformarsi in una giornata produttiva.» 

«Resti con me? Oh, no, no! Non se ne parla!» 

«Guarda che sono abituato a guardare serie tv di quarta categoria! Zia May è l’esperta numero uno di Grey's Anatomy; abbiamo visto tutte le stagioni insieme! Vuoi che mi spaventi rivederle? Sono immune al vostro bisogno smodato di compiacervi con prodotti che strappano lacrime in modo tanto qualunquista», lo rassicura, mettendosi più comodo sul divano. Affonda la schiena al cuscino e, con le mani sulle ginocchia, sembra per nulla intenzionato ad andarsene da lì. Tony trattiene un sorriso, solo perché non vuole dargli a vedere che gli è grato, che sia lì con lui. Solo perché non vuole che sappia quanto è felice che stia combattendo così tanto, per passare del tempo insieme. Lo fa sentire più importante di quanto dovrebbe.

«Vostri bisogni?», ripete, e gli scocca un’occhiata sardonica. «Di chi parli? Vostri bisogni, di chi?»

«Di voi millenials, di chi altri!», esclama Peter e, di tutta risposta, si guadagna un cuscino in faccia, che gli soffoca una risata sguaiata e fa quasi male al cuore. Peter gli riempie la vita e non si sforza nemmeno, quando lo fa; non ne è nemmeno cosciente, ci riesce con un’impudente purezza, che gli scivola via dagli occhi pregni di tante di quelle cose da non saperle contare. Dal calore di un caminetto d’inverno, alla fresca brezza estiva in un soleggiato mattino di giugno. Un’esplosione di stelle nel cielo e una carezza tra i capelli dopo un risveglio, in una giornata proiettata all’ozio. Peter è la domenica mattina, e il sabato sera. Peter è la gioia e il dolore che rendono la vita degna di essere vissuta al pieno delle proprie facoltà. Peter è l’obiettivo finale e un inizio mai sperato. Peter è tutto. Peter è l’anima. La sua.

Riemerge dai cuscino con la faccia rossa e una risata che sfuma ancora da quelle labbra incantevoli. Trasmette con un solo battito della folta corolla di ciglia, un motivo da dare a un’esistenza che prima ne era sprovvista. 

Peter è il sole e Tony sarà per sempre il suo girasole. Anche se non volesse esserlo, ma per fortuna vuole. Lo ha aspettato per una vita, lo sentiva nell’anima, e poi è arrivato. 

«Dunque rimarrai qui anche se ti ho fatto capire in ogni modo che voglio procrastinare da solo senza nessuno che mi ronzi intorno?» 

«Rimango qui perché vuoi. Mi avresti già cacciato, se avessi voluto farlo. Ti conosco. Non le mandi mica a dire, tu!» 

«Da dove ti esce tutta questa sicurezza? Dov’è finito il Peter che ha sempre paura di essere di troppo?», lo punzecchia e Peter alza le spalle, con un sorrisetto laterale e gli occhi che brillano di una luce che sa di insicurezza e paure, ma anche di prese di coscienza. Ma anche di altro. Tony non può metterci la mano sul fuoco, ma forse ha capito cos’è. Inclina la testa mentre aspetta che risponda, anche solo per lasciare che quella voce gli riempia di nuovo le orecchie e il cuore. E l’anima. Tutta.

«È che ho imparato a conoscere le sfumature dei tuoi non detti. Non è stato facile, ma ce l’ho fatta. So quando non mi vuoi. Non è questo il caso… credo

È adorabile. Non nel modo melenso e romantico con cui lo sarebbe un ragazzo della sua età. È una dolcezza che sa di consapevolezza e maturità, ma anche di paura. Quella di dire sempre la cosa sbagliata, solo che… solo che Peter il coraggio ce l’ha nel cuore e, quando mette da parte quel senso di inadeguatezza, e prova a parlare con l’intento di essere ascoltato, pronto a ricevere i suoi rifiuti e dunque crescere, sorprende se stesso e gli altri. E Tony. 

Prende il telecomando e cambia canale. Non gli piace Grey's Anatomy, ma lo trova piacevole quando non ha nulla di meglio da fare che perdere tempo fino al momento in cui avrà di nuovo bisogno di diventare inarrestabile. A volte vuole solo essere normale, come tutti e, guardare un programma alla tv, che non ha la pretesa di colpire nel segno persone del suo livello, un po’ ce lo fa sentire. 

Trova un film da vedere insieme, dopo che ha rivolto a Peter un sorriso che è un sì, stiamo qui insieme a non fare niente. Mi va. Si mettono comodi sul divano, e la leggerezza di quel momento ha il sapore dell’infinito, e l’unica pecca è che non lo è. No, non è infinito, ma fingerà che lo sia.

Fa scivolare la mano nella sua e la stringe con delicatezza. Un nuovo non detto che è un passo al futuro. Peter non lo scansa, ma ricambia la stretta. Non lo guarda, ma sorride appena, e Tony ora la vede, la sua anima sussultare, come le sue spalle e le sue ginocchia, che hanno tremato per un attimo e poi si sono fermate su un terreno stabile: quello di una risposta che aspettava da tempo. 

Magari per il resto ci vorrà tempo; la mente dovrà evolvere, grazie al potere della realtà che muove tutto, in uno spazio immenso, racchiuso però in due entità che sono ormai fuse, saldate tra loro, formandone una sola.

Un’unica anima. La loro.


Fine
 

Reality Stone - Roblox



 


 

♥ Note Autore ♥


Salve a tutti! Come va?
Ebbene eccoci qui giunti alla fine di questa raccolta, con ovviamente la Gemma dell'Animadelimortaccisua. Dire che questa shot non mi abbia causato svariati sfasamenti delle sinapsi è dire una bugia; più o meno, quando ho iniziato a pubblicare, avevo già in mente cosa volevo scrivere con le altre gemme, per questa... NO. Inizialmente c'era questo alone di ANGST che mi portava a scrivere cose tristi, cose tremende, cose dove gente muore – poi mi sono ricordata che era una storia verde, con l'intento di voler salvare le cose un'altra volta e... e be', è nata anche quest'ultima shot sulla gemma dell'anima di cui, dopotutto, sono quasi soddisfatta. Dico quasi perché avrei voluto spolpare ancora questo concetto di Anima, ma avrei finito per sbattervi in faccia una cosa come 10k parole, e non è carino. No, non lo è.
Che altro dirvi? Vi ringrazio moltissimo per averla seguita con entusiasmo, sono davvero felice del riscontro che ho ricevuto e delle parole che mi avete dedicato nel corso di questi mesi. E' sempre difficile mettere la parola fine ad una storia, anche se è una raccolta di Shot ma... sono felice di averla finita, perché ho così tanti progetti in cantiere, tipo la storia delle due coscienze (che trovate qui), o il seguito della Young che ho quasi finito di scrivere. O una soulmate young che ho quasi concluso (anche se sono mesi che ci sono sopra... sigh), o altre shot canoniche pronte per essere infornate... e una long che sto plottando, un po' diversa dal solito. Insomma, tante nuove cosette e no, non smetterò di scrivere su di loro. Mi dispiace, non succederà mai (vedo la delusione nei vostri occhietti, ma vi toccherà sopportarmi ancora, vi avverto...) u.u
La canzone è un bellissimo inno all'amore dei Twenty One Pilots, che ultimamente sono tornati a tormentarmi. Vi lascio il link nel caso voleste ascoltarla TEAR IN MY HEART.
Grazie a tutti ancora per il continuo sostegno, e vi do appuntamento a presto con nuove storie ♥ 
Spero che stiate bene,
La vostra amichevole Miryel di quartiere.

 
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3888858