L'anello mancante

di mattmary15
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'apparenza inganna ***
Capitolo 2: *** Strane triangolazioni ***
Capitolo 3: *** Premonizioni ***
Capitolo 4: *** Incidenti ***
Capitolo 5: *** Rivelazioni ***
Capitolo 6: *** Transizioni ***
Capitolo 7: *** Pronti a tutto ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** L'apparenza inganna ***


Prologo

La pace non era mai stata un’opzione per Erik. Eppure, mentre stringeva il corpo di Lena tra le braccia, mentre le vedeva scendere un’ultima lacrima sul viso incapace di sentire l’ultimo flebile alito di vita della fanciulla svaporare dalle sue labbra per colpa del martellare assordante del suo stesso cuore, mentre Charles gli si parava di fronte impugnando un’arma con il viso arrossato dal pianto e dalla rabbia urlando una verità tagliente tanto e più del freddo metallo, Erik si rese conto che se avesse scelto quell’unica opzione che si era rifiutato di considerare, le cose sarebbero andate in modo completamente diverso.

Capitolo I : L’apparenza inganna

Non avrebbe potuto dimenticarlo neppure se l’avesse voluto con tutte le sue forze. Elena strinse con una mano il ciondolo che era stato di sua madre e si asciugò una lacrima. Il dolore che le attraversò la mente mentre alla televisione Kennedy parlava della tensione tra Stati Uniti ed Unione Sovietica, non aveva niente a che fare con il fatto che, per l’ennesima volta, aveva fatto uno zaino ed era pronta a lasciare la città. Si trattava piuttosto di un dolore antico che riaffiorava da sotto la pelle ogni qualvolta sentiva la necessità di ripensare a sua madre. A suo padre invece non pensava mai ed era una cosa buffa poiché la colpa di quel suo eterno girovagare fra grandi città e angoli dimenticati da Dio dipendeva proprio da lui. Un uomo che non aveva mai conosciuto. Morto prima che lei nascesse eppure ugualmente capace di rovinarle la vita, imprimerle nel DNA la sua eredità.
Le aveva lasciato occhi azzurri e capelli biondi, un cuore forte e discrete doti atletiche. Un cervello affinato incline alla furbizia. Tutto questo e qualcosa di più. Qualcosa nel corredo dei suoi cromosomi era speciale al punto che si sarebbe potuto dire su di lei la classica frase sull’apparenza che spesso inganna.
Laddove infatti molti avrebbero visto una fanciulla esile ed indifesa, madre natura aveva messo una creatura con molte risorse. Risorse che Elena aveva scoperto di avere solo nel momento in cui aveva perso sua madre ed era rimasta completamente sola. Eppure c’era un’unica cosa che la ragazza avrebbe preferito non ereditare dal defunto genitore. Il suo nome. Elena infilò nello zaino il suo certificato di nascita, l’unico documento autentico che avesse, l’unico che avrebbe voluto distruggere e da cui non riusciva a separarsi. Guardò il suo passaporto. Nella foto sorrideva. Nome Lena, cognome Pike, nazionalità americana.
Con un cenno del capo richiamò Shila, la femmina di pastore tedesco che viveva insieme a lei, aprì la porta e uscì lasciandosi dietro quel piccolo appartamento di Londra.
Raggiunta la stazione guardò quale fosse il primo treno a partire. Faceva sempre così. Non aveva importanza la destinazione. Contava muoversi in fretta. Il tempo corre veloce quando si fugge e lei lo sapeva bene.
“Un biglietto per Oxford.” Disse all’uomo alla biglietteria.
“Per quando?” rispose l’uomo.
“Ora.” L’uomo prese i soldi e le fece scivolare il biglietto sotto il vetro.
“Grazie” disse allontanandosi.
Quando il treno partì, intravide la figura di un uomo in abito grigio che sembrava cercare qualcosa sulla banchina dalla quale si era appena staccato il suo treno. Giurò di avere notato anche un uomo dalla pelle rossa ma non ne fu certa poiché si era ritratta all’interno del vagone. Una donna al suo fianco , vedendola impallidire, le posò una mano sul braccio e le chiese se avesse bisogno di qualcosa.
Lena sentì la testa girare un attimo e percepì che quella donna era tremendamente in pena per la perdita di un bambino. Una lacrima le si formò alla base dell’occhio destro e la donna le chiese di nuovo se stesse bene.
“Sì, mi scusi, sono solo molto triste.”
“Alcune partenze sono così. Ha detto addio a qualcuno a cui voleva bene?” chiese la donna convinta che fosse la partenza ad addolorare la sua vicina di posto.
“Non oggi.” Rispose Lena staccandosi un po’ dalla signora che prese il gesto come una richiesta di chiudere a quel punto la conversazione. Il resto del viaggio trascorse tranquillo.
Ad Oxford pioveva. Shila non faceva che scrollarsi di dosso l’acqua che il suo pelo non riusciva ad assorbire.
“Vieni bella, troviamo un posto all’asciutto.” Disse al cane che la seguì senza fare storie. Raggiunse un locale dal quale arrivavano risate e musica e sentì la necessità di entrare. Shila trovò immediatamente posto sotto al tavolo vicino ai piedi della padrona.
“Cosa le porto, signorina?” chiese il cameriere.
“Una birra e un club sandwich. Ah, un po’ d’acqua per lei. Grazie.” Il cameriere annuì e si allontanò.
Fu allora che lo vide. Aveva un sorriso splendido e sembrava desideroso di dispensarlo. Era bello. Lena lo trovò bello. Lo vide alzarsi dal tavolo e marciare deciso verso di lei. Chinò lo sguardo e si perse la donna rossa che lo intercettò. Erano talmente vicini al suo tavolo che poté ascoltare l’intera conversazione.
“Mi scusi professore, posso rubarle un minuto? Ero alla sua seduta e ho ascoltato il tema della sua tesi. Vorrei chiederle una cosa?”
Professore? Quel ragazzo così giovane era un professore? Lui sorrise, di nuovo, e deviò la sua rotta iniziale accompagnandola a sedersi al tavolo accanto a quello di Lane.
“Certo che ho un minuto per una ragazza con una mutazione bella come la sua. Voglio dire, i capelli rossi sono una splendida mutazione!” La donna però lo interruppe.
“Professore, mi perdoni ma non è di questo genere di mutazioni che voglio sapere. Io ho bisogno di capire se mutazioni come quelle che lei ha descritto in quell’aula, poco fa, possono essersi già manifestate.”
A Lena non sfuggì il modo in cui l’uomo si passò due dita vicino alla tempia sinistra. Nel frattempo il cameriere le consegnò l’ordinazione e Shila bevve avidamente dalla sua ciotola.
“Credo, mia cara, che lei abbia già la risposta a questa domanda. Mi dica, però, di questo Shaw e io farò tutto ciò che posso per aiutarla.”
La birra di Lena si rovesciò sul tavolo e i suoi due vicini sussultarono al rumore del vetro infranto del bicchiere.
“Perdonatemi, il mio cane spesso non si rende conto delle sue dimensioni. Ha urtato il tavolo. Tutto ok.” Disse Lane sforzandosi di sorridere. Avvertì però lo stesso la mente dell’uomo sfiorare la sua e perciò si alzò, pagò il conto e uscì dal locale.
Aveva udito bene? Shaw? Sebastian Shaw? Chi erano quei due per conoscere Shaw? Rimase sotto la pioggia nel vicolo accanto al locale e aspettò che uscissero anche loro.
“Allora professore a domani.” Sentì dire alla donna “ L’aereo per Washington parte alle dieci.”
“Stia tranquilla, Moira. Ci sarò.”
“Charles?”
“Sì?”
“Sicuro di star bene? Si guarda intorno da un po’, mi sembra distratto. Anche se sono della CIA , le ho detto che non c’è nessun altro oltre me.”
“Mi scusi, deve essere la sindrome da contatto con agente segreto!” disse strizzandole un occhio e allontanandosi.
Lena sorrise nel vicolo. Sapeva abbastanza per quella sera. Vide il professore girarsi ancora nella sua direzione.
“E’ inutile professore,” disse Lena sottovoce “non sono una che puoi leggere, io.”

Charles si alzò di buon ora nonostante l’aereo fosse alle dieci. Non aveva quasi chiuso occhio.
“Mio Dio che brutta faccia che hai!”
“Buongiorno anche a te, mia adorabile Raven!”
“Dormito male?”
“Non ho dormito affatto.”
“Hai pensato al nostro viaggio?” Charles scosse il capo lasciando intendere che si trattava di qualcos’altro.
“Ieri sera, al locale, ho percepito qualcosa.”
“In quella tizia della CIA?”
“Quella tizia si chiama Moira, sii gentile per cortesia!”
“Allora?” chiese Raven sbuffando.
“No, non in lei. Non saprei dirti. Più che vedere qualcosa di strano, non ho visto niente.”
“Charles, tu mi preoccupi. Seriamente.” Charles sorrise e le poggiò un bacio tra i capelli.
“Scusa, hai ragione. E’ che in genere, anche se in modo leggero, quasi latente, percepisco sempre qualcosa dalle persone che mi sono intorno. Ieri, nel locale, c’era qualcuno che era, come dire, vuoto.”
“Peggio per lui! Ora muoviti a fare colazione. C’è un aereo che ci aspetta!” Charles annuì e finì il suo latte.
Quando l’aereo decollò però alcune ore più tardi, Charles avvertì la medesima sensazione del giorno prima. C’era qualcuno, sull’aereo, che lui non riusciva a leggere. Si guardò intorno prima di decidere di provare a dormire un po’ per recuperare il sonno perso durante la notte.
Fu una scelta saggia perché l’incontro con il direttore della CIA, tale McCone, non fu per niente facile e Raven dovette mostrare la sua mutazione per convincerlo che sia lui che lei non fossero dei ciarlatani.
Aveva immaginato che la razza umana sarebbe stata sospettosa nei confronti dei mutanti, tuttavia non avrebbe immaginato di incontrare tanta diffidenza.
Le cose sarebbero migliorate? Non nell’immediato futuro. E soprattutto non durante la loro prima missione per fermare Shaw.
Avevano avuto notizia che il criminale internazionale conosciuto come Sebastian Shaw si trovava in Argentina. Shaw altri non era che Klaus Schmidt, gerarca nazista responsabile di violenti esperimenti di genetica sui prigionieri dei campi di concentramento in Europa.
Si erano diretti laggiù per intercettare lui e i mutanti che erano al suo fianco. Di certo non immaginava che qualcun altro era sulle tracce di Schmidt. Anche se aveva sempre pensato di non essere il solo ad essere ‘diverso’, non immaginava che ci fosse qualcuno come lui. Qualcuno come Erik Lensherr.
Del loro primo incontro ricordò sempre l’oscurità delle acque in cui erano immersi e lo smarrimento negli occhi del signore dei metalli. Sia la prima che la seconda cosa li avrebbe rivisti solo molti, molti anni dopo e per tutto il tempo trascorso in mezzo, pensò che quella notte Erik assunse quell’espressione solo perché non immaginava che ci fossero altri come lui e che non gli sarebbe più capitato di vederlo indifeso.
Di certo Charles non era rimasto indifferente di fronte alle capacità di Erik. Sollevare ancore di metallo pesanti diverse tonnellate non era una cosa che si vedeva ogni giorno. Eppure ciò che l’aveva sconvolto era stata la cieca determinazione con cui Erik aveva cercato di fermare il sottomarino di Shaw. Se non fosse entrato nella sua mente, se non l’avesse placata con la calma che gli era propria, quell’uomo si sarebbe fatto trascinare all’inferno pur di non mollare la presa.
Quella notte Charles imparò anche un’altra grande lezione di vita. Non bisogna sentirsi al sicuro prima di essere a debita distanza da una fonte di pericolo e più è grande questo pericolo, maggiore deve essere la distanza da mettere tra essa e se stessi prima di sentirsi davvero al sicuro.
Fu per questo che lui ed Erik, intenti a fare amabilmente conoscenza nel bel mezzo del nulla sopra decine di metri d’acqua scura, ancora lontani dalla fregata della marina americana, furono improvvisamente risucchiati da un vortice creato sott’acqua da uno dei compagni di Shaw.

Quando Erik si sentì di nuovo trascinare verso gli abissi, inizialmente pensò che fosse un altro dei trucchi di quell’adorabile ragazzino che era entrato nella sua testa e aveva ficcanasato ovunque nei suoi ricordi e nelle sue intenzioni. Quando però si accorse che Charles Xavier stava arrancando peggio di lui sott’acqua, fece uno sforzo sovrumano per usare il suo potere ancora una volta. Tentò di usare il suo magnetismo per farsi attirare dal metallo della nave americana e afferrò un braccio di Charles. Quel ragazzo si era tuffato da una nave senza sapere nulla di lui per salvargli la vita, non lo avrebbe lasciato affogare. Non ora che sapeva che era come lui. Si concentrò e si sforzò più che poteva. L’acqua che continuava a vorticare e il peso di Charles lo fecero tremare. Improvvisamente si sentì di nuovo quel ragazzino di vent’anni prima che non riusciva a spostare una semplice monetina.
Fu in quel momento che qualcosa si mosse vicino a lui e si sentì afferrare la mano. Allora non ebbe più paura e udì la voce.
“Non fare resistenza!”
Stava per consumare l’ultimo respiro, Charles stava già probabilmente affogando. La vide e credette che fosse un’allucinazione. Il volto di un angelo che probabilmente era lì per Charles perché a lui sarebbe di certo toccato l’inferno. Di nuovo la voce.
“Non fare resistenza! Fidati!”
Ebbene fidarsi non era una cosa che Erik era più in grado di fare da tanto tempo. Come avrebbe potuto fidarsi in punto di morte di un’allucinazione? Sorrise in un ghigno lasciando andare l’ultimo respiro. In fondo stava morendo. Poteva anche cedere a quell’illusione. Tirò a sé Charles e abbandonò la presa dello scafo della nave.
In quello stesso istante l’acqua intorno a sé cominciò come a evaporare e si ritrovò insieme a Charles in una sorta di bolla d’aria sott’acqua. Di fronte a loro, con gli occhi chiusi e le braccia distese, stava una ragazza bionda che faceva lentamente risalire la bolla verso la superficie. Doveva costarle molta fatica perché non appena riuscirono a riemergere, la bolla si ruppe e la ragazza cominciò a sprofondare di nuovo. Erik l’afferrò con la mano libera e le tenne la testa fuori dall’acqua fino a che la nave americana non li raccolse.
Charles riprese i sensi per primo e fu lieto che Erik si fosse unito al gruppo della CIA anche se in realtà Erik non aveva mai pensato di farlo.
“Così tu sei un telepate. Entri nella testa delle persone come se fossero stanze di cui hai le chiavi.” Disse Erik afferrando un bicchiere e versandosi del brandy.
“E tu controlli il metallo piegandolo come fosse carta! Stupefacente. Quando ho visto quelle ancore emergere dall’acqua e librarsi in aria come fossero piume, ho capito che doveva essere la capacità di una persona fuori dal comune. La tua mutazione è la più straordinaria che abbia mai visto!”
“Io non credevo che ce ne fossero altre!”
“Davi la caccia a Shaw da solo?”
“Devo risponderti? Non hai già visto tutto? Hai detto di sapere quanto sia importante per me.”
“Allora lei chi è?” chiese Charles ad Erik.
Erik fissò ancora una volta la ragazza priva di sensi che giaceva nel letto accanto a quello di Charles e cercò di ricordare se non l’avesse vista prima. Aveva qualcosa di familiare ma si sarebbe di certo ricordato di lei se si fossero già incontrati. La trovava bellissima. Una mutante bellissima con una mutazione splendida.
Charles schioccò la lingua e sorrise.
“Che hai da sorridere, Xavier?”
“Rido della mia stupidità. Non dovevo chiedere a te. Sono io ad averla già incontrata!”
“Sul serio? Allora chi è?”
“Non lo so, davvero.”
Erik sollevò gli occhi al cielo. Avrebbe imparato presto quanto potesse essere snervante condurre una conversazione con Charles sempre un passo avanti a lui.
“Lo sai chi è questa dannata ragazza o no?”
“Non conosco il suo nome ma era ad Oxford e credo che abbia seguito me o Moira, non so.”
“Se non la conosci come fai a dire che ti ha seguito da Oxford?”
“Vedi Erik, io leggo le persone. E’ così che ti ho trovato. A volte non lo faccio apposta. Non riesco sempre a controllare bene questa capacità. Così mi è sembrato strano ad Oxford sentire che c’era qualcuno nel luogo in cui ho incontrato Moira che non riuscivo a leggere. Poi, sull’aereo che abbiamo preso per venire negli Stati Uniti, ho sentito la stessa sensazione che sto provando anche ora. Per quanto mi sforzi di leggerla, non ci riesco. E’ come se la sua mente fosse vuota.”
“Non comprendo bene quello che stai dicendo tuttavia, se le cose stessero così, perché ci ha aiutati?”
“Non lo so. Forse perché è come noi.” Disse Charles sorridendo.
Erick pensò che il sorriso di Charles era qualcosa che poteva fargli credere che al mondo ci fosse ancora qualcosa di buono e di bello. Qualcosa per cui valesse la pena salvarlo e non bruciarlo fino al nocciolo.
“Shila…”
La voce era della ragazza e i due giovani mutanti furono entrambi ai lati del letto mentre lei tentava di aprire gli occhi finalmente di nuovo cosciente.

Il primo pensiero corse a Shila. Poi si sforzò di aprire gli occhi. Che fine aveva fatto?
All’inizio erano due figure sfocate. Poi presero corpo i visi e alla fine vide i loro occhi. Due zaffiri si incastonavano su un viso chiaro e sorridente. Avrebbe giurato di aver già visto quelle bellissime labbra.
Due perle d’argento invece la fissavano da un viso più corrugato, labbra sottili serrate come in una morsa di preoccupazione.
“Fa piano, non ti agitare. Ci hai salvato la vita. Se possiamo fare qualcosa per ringraziarti non hai che da fare un cenno.” Disse l’uomo dagli occhi azzurri. La sua voce le rammentò che era il professore, la persona che aveva seguito per arrivare a Shaw.
“Se deve riposare, lasciala in pace. Facciamola dormire.” Gli fece eco l’uomo dagli occhi di ghiaccio, quello che aveva fatto resistenza sott’acqua.
“Io, sto… bene… devo andare adesso.” Disse Lena scostando il lenzuolo e scoprendo che indossava solo una camicia cortissima. Si tirò di nuovo subito addosso la coperta. “Dove sono i miei vestiti?”
“A me sembra che stia benissimo!” disse ironico Erik.
“Mia cara, anche se avessi i tuoi vestiti, siamo in mezzo all’oceano. Non potresti lasciare la nave neanche volendo.” Le disse Charles sorridendo.
“Oceano? Diretti dove?” Devo tornare al porto a prendere Shila!”
“Chi è Shila?” chiese Erik.
“E’ il suo pastore tedesco.”
“Non hai detto finora che non riesci a leggere i suoi pensieri?”
“Non l’ho fatto. Il suo cane era con lei ad Oxford.” Lena sorrise di sfida.
“Allora mi hai riconosciuta, professore!”
“Non mi dimentico mai di una bella donna!”
“Quel giorno eri troppo occupato con una rossa per accorgerti di me!”
“Questo non è vero!” Fece Charles “Sono stato ‘distratto’ dalla ragion di stato!”
“Come no!” fece Lena.
“Te lo giuro! O non saremmo su una nave della CIA!” A quelle parole la ragazza fu attraversata da un tremito che non sfuggì ad Erik.
“Come ti chiami?” Chiese.
“E tu come ti chiami?” gli chiese di rimando la donna.
“Erik. Erik Lensherr.”
“Lensherr?” fece la ragazza impallidendo “E’ un cognome tedesco.”
“Sì.” disse Erik indurendo lo sguardo “E allora?”
“Allora non mi piacciono i tedeschi.”
“Tsk. Non hai ancora detto come ti chiami però.” La rimbeccò Erik.
“Lena. Lena Pike.”
“Devi essere americana Lena, che ci facevi ad Oxford?” chiese Charles per ammorbidire il tono che aveva assunto la conversazione.
“Io viaggio molto.” Rispose lei.
“O scappi da qualcosa.” Aggiunse con un ghigno Erik “Non mi sembra che ti abbia fatto piacere sapere che sei su una nave che appartiene al governo americano.”
“Erik, non essere scortese, non dimenticare che ci ha salvato la vita. Lena, hai seguito me e Moira da Oxford?” La ragazza abbassò lo sguardo sulle sue mani che stringevano il lenzuolo.
“Vi ho sentito parlare di Sebastian Shaw.”
“Tu eri sulle tracce di Shaw?” chiese Erik rabbiosamente afferrandola per le spalle prima che Charles potesse fermarlo. Lena non poté evitarlo in alcun modo. Tutta la rabbia e il dolore di Erik fluirono in lei attraverso quel semplice contatto e la ragazza si sentì sopraffare da tanta violenza. Il naso prese a sanguinarle quasi subito.
“Erik, per l’amor di Dio, cosa le stai facendo?” urlò Charles strattonandolo indietro e lasciando che Lena si stringesse nelle spalle per poi correrle vicino con un fazzoletto per asciugarle il sangue. Non appena sfiorò la guancia della ragazza, Charles sentì tutta la preoccupazione fluire fuori dal suo corpo e riceverne in cambio rabbia e dolore. Si staccò subito da lei.
“Mio Dio, è empatica.” Disse.
“Cosa? Che significa?” chiese Erik turbato.
“Significa che la sua capacità è telepatica ma diversamente dalla mia che è diretta verso l’esterno, la sua opera esattamente al contrario. Assorbe i sentimenti altrui e può replicarli sugli altri. E’ fantastico!”
“Fantastico che stia così male?” chiese di nuovo Erik che voleva rimediare a quello slancio di rabbia.
“Oh, scusa. Non intendevo quello. Lena, come ti senti? Va un po’ meglio?”
Lena non rispose. Continuava a sentire il terrore migrato in lei dal contatto con Erik Lensherr. Alzò gli occhi su di lui e pianse.
“Lena, abbandona i ricordi di Erik, pensa a Shila.” A quelle parole la ragazza si scosse e si asciugò gli occhi. Poi lentamente parlò.
“Shaw in realtà si chiama Klaus Schmidt. Ha fatto esperimenti sui geni mutanti durante il periodo nazista. Poi è scampato al crollo del Reich e ha continuato i suoi esperimenti sotto mentite spoglie. Risparmia solo quelli che decidono di asservire i loro poteri alla sua volontà come Janos, l’uomo che ci ha lanciato contro il tornado. Lui ha deciso di unirsi a Shaw.”
“E tu?” chiese Erik “Tu perché ci hai aiutato?”
“Schmidt ha lasciato morire mia madre.” Disse piano Lena.
“Schmidt è un assassino e pagherà per questo.” Disse Erik. A quelle parole Lena lo guardò negli occhi e, per la prima volta, abbassò le sue difese nei confronti di quell’uomo.
“Ti ha fatto molto soffrire vero?” Chiese Lena.
“Non può farmi più nulla adesso.” Disse Erik e Charles gli mise una mano sulla spalla.
“Ora lasciamola riposare Erik. Saremo a terra tra poche ore così potrai recuperare Shila. Poi  torneremo a Washington Lena e vedrai che andrà tutto bene. Prenderemo Shaw e non farà più male a nessuno.”
“Da morto non farà più male a nessuno, Charles.” Disse Erik uscendo dall’infermeria. Lena vide il professore sorriderle e sentì la sua voce nella mente.
“Non dare retta a tutto ciò che dice Erik. Lui ne ha passate troppe.” Lena sorrise di rimando e lo vide sparire oltre l’uscio. Forse Charles aveva ragione eppure anche lei avrebbe voluto vedere Shaw morto. L’unico problema in quella situazione era che, come di solito, l’apparenza li aveva ingannati tutti.
Charles pensava che lei fosse una brava ragazza, lei pensava che Erik avesse diritto di vendicarsi, Erik credeva che Charles non avesse abbastanza polso per affrontare decisioni drammatiche. Presto si sarebbero accorti che erano tutti vittime di quelle apparenze cui si stavano aggrappando.

Al quartier generale della CIA Shila aveva un giardino splendido tutto per sé.
Erik passava la maggior parte del tempo a leggere ma Lena sapeva che era come una bomba ad orologeria pronta ad esplodere. Ogni tanto si fermava a spiegare a Raven, la sorellastra di Charles, quali fossero le sue idee sul rapporto tra homo sapiens ed homo superior. Lei rideva e le trovava affascinanti. In quei momenti, Lena se ne stava per conto suo perché aveva percepito una certa ostilità di Raven nei suoi confronti che aumentava a dismisura se era nel raggio d’azione di Charles, Erik o Hank.
Quest’ultimo era entrato subito in sintonia con Lane. La ragazza aveva confidato a tutti che era in grado di comunicare mentalmente con gli animali. Erik l’aveva presa in giro dicendo che era una telepate di serie b dato che Charles poteva invece comunicare mentalmente con le persone.
Tuttavia Lena aveva scoperto di riuscire a comunicare telepaticamente con Hank grazie alla mutazione ‘bestiale’ dello scienziato. Non era insolito che i due approfondissero le capacità della mutazione di Lena che diventavano sempre di più.
Oltre ad essere empatica e a comunicare con gli animali, Lena era in grado di usare la sua forza psichica come un vero e proprio scudo. Così era riuscita a salvare Erik e Charles in mare.
Fu proprio approfondendo il suo rapporto con Hank che venne fuori forse il potere più sconvolgente di Lena.
Erano in giardino tutti insieme. Charles ed Erik giocavano a scacchi. Raven ascoltava Hank che stava leggendo un passo della ‘Critica della ragion pura’ di Kant sbadigliando di tanto in tanto.
Lena lanciava oggetti che Shila si divertiva a riportarle.
“Non puoi leggere qualcosa di meno noioso, Hank?” disse Raven sbuffando.
“Pazienta, Raven!” esclamò Erik “Il nostro Hank vuole diventare ancora più dotto!”
A quelle parole Lena sentì Hank pensare una malignità su Erik riguardo al fatto che se non avesse avuto quel fisico da dio greco nessuna donna si sarebbe filata il suo cervello da troglodita. Lena rise insieme a Charles che aveva ugualmente ‘ascoltato’ la rabbia del ragazzo più giovane.
“Che avete da ridere voi due? Io dico solo che dovrebbe dedicarsi a qualche attività meno teorica e più pratica data la sua età o diventerà un vecchio barboso in men che non si dica!”
Lena, che ancora guardava Hank con comprensione,  fu allora come attraversata da un brivido e i suoi occhi si fecero liquidi. Camminò fino a fronteggiare Hank. Lui alzò lo sguardo e si accorse subito che qualcosa non era normale in lei.
“Lena stai bene?”
“Tu diventerai importante Hank McCoy. Forse il più importante di tutti noi!” Charles scattò sulla sedia e le fu accanto in un attimo insieme ad Erik.
“Che cosa sta dicendo?” chiese il signore dei metalli.
“Hank, tu sarai il portavoce di tutti noi mutanti nel mondo che verrà. Tu sarai uno dei più grandi statisti che questo mondo in evoluzione vedrà.” Charles sorrise e si portò una mano alla bocca.
“Sta guardando il futuro! Vi rendete conto?”
La ragazza, così come era stata presa dalla visione, fu lasciata da quella forza sovrumana e cadde tra le braccia di Erik che, ancora incredulo, la tenne.
Lena rinvenne dopo pochi minuti.
“Lena hai guardato davvero il futuro?” chiese Hank.
La ragazza, cui Shila continuava a leccare una mano, scosse la testa.
“Non è così. Io posso solo intuire il futuro di una persona se la sua determinazione a realizzarsi è molto forte ma il futuro cambia in continuazione. Le variabili che lo determinano sono troppe. Mio padre” disse fermandosi un attimo pronunciando quell’ultima parola “poteva vedere il futuro prossimo. Non eventi oltre pochi mesi comunque. Io sono in grado solo di vedere quello che potreste definire il ‘destino’ di particolari individui. Questo non significa che si realizzerà, credo.”
“Sono offeso!” disse Erik scherzando e allargando le braccia “Così Hank sarebbe più motivato di me a raggiungere il suo obiettivo?” Charles sorrise sornione.
“E bravo il nostro Hank! Allora i mutanti non avranno bisogno di un professore, avranno uno statista!” Raven rise e abbracciò Hank.
“Io non voglio che diventi un barboso statista, rimani il mio Hank!”
Il ragazzo divenne rosso e Lena approfittò di quel momento di generale distrazione e distensione per raggiungere Shila e defilarsi.

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Capitolo 2
*** Strane triangolazioni ***


Capitolo II : Strane triangolazioni
 

Erik cominciava a capire quali intenzioni avesse avuto Shaw quando aveva cercato di prendere Lena tra le sue fila. Una ragazza scudo, con il potere di trasferire le emozioni sugli altri e vedere il futuro. Se mai un giorno avesse dato davvero corpo alla fratellanza dei mutanti che aveva in mente da quando aveva scoperto di non essere il solo uomo ad essere mutato, una creatura come Lena sarebbe stata davvero preziosa.
Ad ogni modo non era solo questo il motivo del suo interesse per lei perché ormai Erik doveva ammetterlo. Lena lo interessava. Indubbiamente la trovava bellissima. Ne era attratto fisicamente come un’ape dal miele. Inoltre il fatto che non avesse più potuto soddisfare ‘certe’ voglie da quando si era unito a Charles e alla divisione X come il professore amava chiamarla, aumentava il desiderio di avvicinare la ragazza in ogni modo possibile. Il problema con lei era che, al minimo tocco, Lena assorbiva le sensazioni delle persone con cui entrava in contatto ed Erik non voleva farle conoscere la natura delle sue emozioni come era accaduto sulla nave militare.
La vide allontanarsi dal gruppo ed entrare in casa con il suo pastore tedesco al fianco. Quel maledetto cane era la sua ombra, un altro ostacolo alla possibilità di rimanere solo con lei.
La seguì fino alla cucina dove la ragazza si stava versando un bicchiere d’acqua ghiacciata.
“Mi passi una birra?” le disse fingendo di essere lì per soddisfare la sete.
La ragazza gli allungò la bottiglia portandosi il bicchiere alle labbra.
“Grazie.” Disse Erik allungando un dito verso il tappo di metallo che si staccò dal collo della bottiglia per finire nel lavandino.
“Certo che le tue capacità hanno molteplici applicazioni!” disse Lena sorridendo.
“Sono a disposizione per qualunque applicazione tu voglia fare del mio potere!” rispose Erik sollevando la bottiglia come a voler brindare simbolicamente.
“A volte mi chiedo come tu e Charles facciate ad essere amici!”
“Devo ritenermi di nuovo offeso?”
“Mi riferisco al fatto che lui parla della sua mutazione definendola capacità e tu della tua definendola potere.”
“Tu quale delle due versioni preferisci?” chiese Erik azzerando la distanza tra loro e guardandola negli occhi.
“Non so ancora.”
Erik rise della risposta e preferì abbandonare quella posizione per scivolare al suo fianco. Shila ringhiò.
“Sta buona tesoro, va tutto bene.” Fece Lena carezzando il muso del cane.
“Non le sono simpatico.”
“Ma va’? Non credo che tu sia il tipo che va a genio alla gente Erik. Sarà per il tuo ‘potere’?” chiese la ragazza con fare allusivo. Erik rise di nuovo, questa volta di gusto.
“Sono abituato ad essere trattato da ‘diverso’.” Disse mostrando l’avambraccio sinistro su cui era tatuata una serie di numeri. Erik notò che Lena ne fu turbata. “Sulla nave hai detto che non ti piacciono i tedeschi.”
Lena carezzò di nuovo il pelo morbido di Shila.
“Ho sbagliato. Non tutti i tedeschi. Solo i nazisti.”
“Tu non eri neanche nata quando la guerra è finita. Come hai avuto a che fare con i nazisti?”
“Alcuni di loro sono scampati al crollo del Reich. Hanno continuato a fare cose orribili.”
“Schmidt ha ucciso tua madre?”
“Non personalmente ma sono state le sue azioni a condurla a morte. Quel giorno si è manifestato il mio potere. La prima persona di cui ho assorbito le emozioni è stata mia madre. Ho assorbito il suo dolore e la sua paura di morire.”
Erik posò la birra sul tavolo e le spostò una ciocca di capelli biondi dal viso facendo attenzione a non toccarle la pelle.
“Deve essere stato terribile.”
“Sì, anche se il sentimento più forte che ho assorbito è stato l’amore che provava per me. Non ha pensato ad altro che a mettermi in salvo.”
“Schmidt ha sparato a mia madre. Per tutto il tempo in cui lui le ha puntato la pistola addosso ha continuato a ripetermi che sarebbe andato tutto bene. E’ stato allora che ho imparato che il mio potere è alimentato dalla rabbia e che la vita è bugiarda.” Concluse Erik carezzandole i capelli.
“La vita non è bugiarda, Erik. Sono le persone ad esserlo.” Disse Lena posandogli una mano sul petto dove la stoffa le impediva di entrare in contatto con la pelle dell’altro.
“Io sono tutto tranne che bugiardo, Lena. Non avrai da me altro che verità. Anche quando non ti piacerà ascoltarla.” Disse Erik chinandosi quasi a respirare la stessa aria della ragazza. Allora sentì la mano di lei spingere sul suo petto.
“Erik, non posso. Non ora. Non sono capace di controllarmi. Le nostre menti si fonderebbero.”
“Possiamo lasciare che accada? Magari possiamo fondere anche i nostri corpi!” sussurrò Erik all’orecchio di Lena facendola arrossire. Un colpo di tosse li costrinse entrambi a voltarsi. Charles se ne stava gambe e braccia incrociate poggiato allo stipite della porta.
“Scusate, non volevo essere inopportuno.” Disse raggiungendo poi mentalmente Erik. “Che diavolo stai facendo?”
La risposta di Erik non tardò a formarsi nella sua mente.
“Niente di cui tu non sia già al corrente, amico mio!”
“Non è ancora in grado di controllare le sue capacità. Non potresti frenare i tuoi più bassi istinti fino a  quando sarà in grado di farlo?” gli chiese ancora mentalmente il telepate. Il suo sguardo divenne però duro e la cosa colpì Lena che capì che i due stavano comunicando senza parlare.
“Charles perché non dici apertamente quello che pensi?” disse lei allontanandosi da Erik e rimanendo equidistante fra i due.
“Non volevo essere scortese, Lena. Ho detto ad Erik che credo sia necessario che impari a governare le tue capacità prima che qualcuno si faccia male. Un attacco psichico può uccidere quanto un proiettile, anzi può essere anche peggio.”
“E chi le insegnerà? Tu professore?” fece Erik divertito riprendendo la bottiglia di birra.
“Smettetela voi due. Mi insegnerai, Charles?”
“Se lo vorrai, sì.”
“E tu Erik, mi insegneresti a controllare lo scudo? Sott’acqua vi ho quasi persi. Dovrebbe funzionare come il tuo magnetismo.”
Erik annuì.
“Allora è deciso. Vieni Shila, ti do da mangiare.” Disse Lena armeggiando con alcuni tiretti della cucina.
Erik guardò Charles negli occhi indicandogli che aveva ancora qualcosa da dire solo a lui.
“Guarda che ho capito che ti piace, sai. La cotta per Moira è già passata?”
“Non dire sciocchezze. Voglio solo aiutarla a superare i suoi problemi. Questo è quanto. Tu piuttosto, non stavi corteggiando Raven?”
“Ma per favore! Tua sorella non ha occhi che per Hank!”
“E Lena cos’è? Un ripiego?”
Gli occhi di Erik si strinsero a due fessure. Quelli di Charles ressero il confronto per un attimo poi si  allentarono in un’espressione più distesa.
“Amico mio, perdonami. Cercavo solo di proteggere entrambi. Proteggere te dal potere di Lena e Lena dalle tue emozioni forti. Fa ciò che ritieni opportuno, non mi metterò più in mezzo.”
Erik percepì la mente di Charles allontanarsi dalla sua.

Charles si chiuse la porta della sua camera alle spalle e sospirò. Era stanco. Anche se non lo dava a vedere. Da giorni Hank stava utilizzando le sue doti per attivare Cerebro la macchina in grado di trovare altri mutanti come loro. La cosa lo sfiniva ma non voleva fare preoccupare Moira, Raven o Hank. Inoltre non voleva darlo a vedere ad Erik che più volte lo aveva esortato a non sottoporsi a quegli esperimenti.
“Riconosco una cavia quando ne vedo una!” gli aveva detto la prima volta che Charles aveva usato Cerebro.
Si buttò sul letto ma le voci degli altri nella sua testa non lo lasciavano riposare. Lui sapeva quale fosse il motivo di quella invadenza incontrollata. Lena.
Se la ragazza si trovava in un certo raggio d’azione da lui, Charles percepiva sempre quella specie di strana sensazione che ultimamente gli dava un leggero mal di testa permanente. Charles sapeva che Lena non lo faceva di proposito. Semplicemente lui, che era più sensibile di tutti gli altri, entrava costantemente in risonanza con l’empatia della ragazza. E la ragazza era come uno specchio. Era inconsistente e gli rifletteva contro il suo stato d’animo. Così Charles si ritrovava in testa non solo le presenze di tutti coloro che erano nei paraggi ma non riusciva a tenerle fuori a causa della capacità di Lena. Sarebbe impazzito di li a breve.
Sentì bussare alla porta. Non aveva bisogno di aprire per sapere che si trattava di Moira. Di nuovo pensò alle parole di Erik.
“La cotta per Moira è già passata?”
Si alzò dal letto e andò ad aprire.
“Scusa il disturbo Charles, Hank ha bisogno di te. Ha convinto Lena a sottoporsi a Cerebro.”
A quelle parole lo sguardo del telepate si fece preoccupato e la seguì.
All’interno della macchina trovò Hank, Lena che fissava l’apparecchiatura ed Erik che lo guardò torvo in viso. Gli lesse i pensieri.
“Falle cambiare idea. Non mi va che le metta quel coso in testa. Ho visto l’effetto che fa su di te! E non mi piace!”
“Hank, Lena, fermatevi per cortesia. Cos’è questa storia?”
“Ah, Charles. Pensavo che se Lena riesce a proiettare lo scudo a qualche metro da se stessa, usando Cerebro che amplifica le sue capacità, potrebbe proiettarlo a kilometri da lei. Pensa, in caso di un’eventuale attacco di Shaw potrebbe difenderci tutti!”
“O ucciderci tutti! O comunicare al nemico la nostra posizione.”
Lena si fece scura in volto e Charles si affrettò a carezzarle i capelli.
“Credo che tu non sia ancora pronta. Non potremmo posticipare questa cosa a quando sarai più forte?”
Lena annui e lasciò il casco nelle mani di Charles sfiorandogli involontariamente le dita. A quel contatto Charles sentì i sentimenti di preoccupazione per Lena scuoterlo e fluire verso di lei. Provò a fare resistenza ma lei glieli assorbì tutti lasciandolo nudo ai suoi occhi che si fecero improvvisamente lucidi. Le loro mani si staccarono e Charles si sentì cadere all’indietro. Erik fu subito alle sue spalle per afferrarlo.
“Charles scusa!”
“Non è niente. Non sei stata tu. Sono solo un po’ stanco.”
“Invece è colpa mia! La mia sola presenza ti affatica!”
“Di che diavolo sta parlando?” chiese allora Moira che era evidentemente in pena per Charles.
“Di niente!” intervenne di nuovo Charles “Si preoccupa troppo, è la sua capacità a farle dire queste cose. Sto bene.” Erik lo issò sulle sue gambe e guardò di nuovo Lena. La ragazza ricambiò un istante il suo sguardo e corse via.
“Non lasciare che vada via!” L’esclamazione di Charles arrivò dritta nella testa di Erik che gli rispose nello stesso modo.
“Sei sicuro di star bene?”
“Vai, ti dico. Riportala indietro.” Erik si voltò e corse dietro a Lena. La raggiunse che era quasi al cancello dell’edificio.
“Lena,” urlò “fermati! Charles sta bene e non vuole che tu vada via!” La ragazza non si fermò. Erik mosse una mano e il pesante cancello della divisione mutanti della CIA si mosse in avanti e si chiuse. Lena ne afferrò un lato e provò a tirare verso di lei. In tutta risposta il chiavistello scattò sigillando l’apertura.
“Lasciami andare Erik! Tu non capisci!”
“Allora spiegami ma sappi che sono duro di comprendonio.”
“Charles è un telepate, io sono empatica. Siamo incompatibili!”
“Buon per me!” esclamò l’uomo. Lena sorrise nervosamente.
“Hai visto che è successo di là?” chiese indicando con una mano l’edificio alle spalle di Erik.
“Sei stata tu a far stare male Charles?”
“Sì. L’ho a malapena sfiorato e gli ho rimbalzato addosso tutti i pensieri che lui poteva percepire in quel momento. Su di lui funziono come uno specchio. In genere non mi succede. Voglio dire, riesco a gestire questa cosa, le mie emozioni. Quando però sono con Charles, il mio potere si amplifica. E lui si indebolisce.”
“Non mi sembra niente di irreparabile,” disse Erik incrociando le braccia “ Charles pensa che si possa gestire e credimi, lui ne sa di certo più di te. Ora fammi la cortesia di tornare dentro.” Lo sguardo di Lena si fece triste.
“Erik, davvero, non posso.” L’uomo fece qualche passo verso di lei.
“Cosa c’è che non vuoi dire?” Lena sollevò il viso, gli occhi peni di lacrime.
“Lui non può vedere dentro di me ma io posso assorbire i suoi sentimenti. Charles è troppo buono.”
“Questo lo so anche io che non sono un telepate. Cos’è che non dici?”
“Se resto qui, Charles morirà.” Erik perse il suo sorriso sfacciato.
“E’ una tua paura o hai visto il futuro?”
“L’ho visto.”  Erik s’incupì mosse due dita e il chiavistello del cancello scattò lasciando che lo stesso si aprisse un poco.
“Forse stai mentendo, forse vuoi semplicemente scappare da quello che provi per Charles ma io non rischierò la sua vita per trattenerti.” Lena sgranò gli occhi.
“Non sto mentendo e non provo niente per Charles!”
“Sbaglio o ci eravamo intesi sul fatto di non dire bugie?”
“L’ho appena conosciuto!” esclamò lei allargando le braccia.
“Anche io ti ho appena conosciuta ma questo non mi impedisce di provare qualcosa per te.”  Erik allungò una mano verso di lei. Lena fece un passo indietro.
“Non posso, Erik.”
“Non te lo chiederò di nuovo”, fece lui rimanendo immobile. Lei sollevò un braccio fino a che le dita della sua mano non sfiorarono quelle di Erik. In quel momento tutte le emozioni del tedesco confluirono in lei e Lena percepì qualcosa di diverso da quello che aveva sentito in Charles.
Se le emozioni di quest’ultimo erano un turbinio di preoccupazione, desiderio di protezione e dolcezza, da Erik le giunsero passione, complicità e un intenso senso di malinconia per un sentimento di affetto che non era più stato in grado di provare da molto tempo. In fondo a tutte quelle emozioni, ebbe una visione di Erik solo e disperato. Allontanò immediatamente la mano da lui.
“Hai un quadro più ampio ora?” disse lui sorridendo di nuovo.
“Mi stai chiedendo di scegliere tra te e Charles?”
“Hai appena detto di non provare niente per lui.”
“Se è per questo non provo niente neppure per te!” disse lei nervosamente.
“Allora resta. Pensa a te stessa. Là fuori sarai di nuovo sola. Che farai? Ti rimetterai alla ricerca di Shaw? Una volta Charles mi ha detto che lui ha degli amici e che anche a me avrebbe fatto comodo averne. A te no?”
“Disperatamente, ma non voglio che ciò accada a discapito di Charles.”
“Difenderò io Charles, te lo prometto.”
“Anche da me?”
“Soprattutto da te!” disse lui ridendo.
“E’ una promessa?”
“E’ una promessa.”
Lena camminò verso di lui e lo superò tornando verso la casa. Erik si voltò a guardarla e sospirò. Si era esposto più di quanto avesse mai fatto prima. Era riuscito a trattenerla ma, in cuor proprio, sapeva che Lena era rimasta per Charles. La vide sparire dentro l’edificio e decise di tornare dal suo migliore amico.

Charles aprì gli occhi e vide Moira appisolata sulla poltrona accanto al suo letto. Evidentemente, dopo averlo accompagnato nella sua camera, non era più andata via.
Si mosse appena e lei si svegliò.
“Come ti senti, professore?” chiese lei usando quell’appellativo per prenderlo teneramente in giro.
“Bene e non avresti dovuto restare qui. Perché non vai a riposare? E’ ancora buio.”
“Magari hai bisogno di qualcosa. Resto.”
I pensieri di Erik che erano dietro alla sua porta lo raggiunsero in quel momento.
“Mandala via, ho bisogno di parlare con te.” Charles avvicinò due dita alla tempia destra e si concentrò su Moira.
“Lo vedi da te che non ho bisogno di nulla. Tu invece sei stanca e vuoi dormire un po’. Domani hai una lunga giornata in ufficio.” Per un momento, gli occhi di Moira si fecero vacui poi la donna si allontanò da lui e si alzò.
“In fondo non credo che tu abbia bisogno di qualcos’altro per stanotte. In effetti mi sento un po’ stanca e domani ho una giornata difficile ad attendermi. Credo che andrò a dormire.”
“Buonanotte, Moira.”
“Buonanotte, Charles” disse lei lasciando la stanza. Erik vi entro qualche istante dopo.
“Un potere splendido il tuo! Faresti a cambio col mio?”
“Non dici sul serio,” rispose Charles che aveva letto i pensieri dell’amico.
“Devo parlare o hai già letto tutti i miei pensieri?”
“Mi sono solo assicurato che Lena non sia andata via.”
“No, non è andata via.”
“Perché tu le hai rivelato i tuoi sentimenti!” esclamò Charles sorpreso e contrariato.
“Non direi. Piuttosto ho fatto leva su quelli che prova per te.”
“Non essere ridicolo!” esclamò ancora Charles “Siete attratti l’uno dall’altra come le api col miele!”
“Non è per questo che sono venuto a parlare con te”, fece Erik cambiando argomento.
“Lo so. Vuoi sapere se è vero che può uccidermi con le sue facoltà.”
“Odio quando fai così! Non possiamo avere una conversazione normale?”
“Vuoi avere una conversazione normale con uno che legge nel pensiero più velocemente di quanto non apra bocca?”
“Sforzati perlomeno!” Charles rise.
“D’accordo. Chiedi pure.”
“Può davvero ucciderti?”
“L’empatia di Lena non è fatta per uccidere. Tuttavia, se sollecitata improvvisamente, se le emozioni che la raggiungono sono molto forti, probabilmente potrebbe trasformare la sua capacità in una specie di attacco psichico. Non credo che sia in grado di indirizzarlo in modo tanto preciso da uccidere.”
“Lei ne è convinta. Evidentemente le emozioni che le hai trasmesso quando vi siete toccati erano molto, come dire, intense!” rispose seccato Erik. Charles sorrise.
“Non fare l’offeso. Al massimo siamo pari!”
“Credevo ti piacesse Moira!”
“Credevo ti piacesse Raven!” Erik mise le mani sui fianchi.
“Abbiamo già avuto questa conversazione. Voglio solo sapere se può ucciderti.”
“Amico mio, in questo momento io percepisco i pensieri di tutte le persone presenti nell’edificio. Ora controllo gli effetti che questo ha sulla mia mente. Riesco a tenerle separate da me. Tuttavia se, come accaduto oggi, Lena li assorbisse da me e me li rimbalzasse contro, non sarei in grado di proteggere la mia mente. Oggi non mi ha ucciso e non credo potrà farlo finché ci troviamo in un ambiente protetto ma non so cosa accadrebbe se succedesse in una piazza affollata o ad una fiera. Non so ancora quanta energia psichica posso controllare. Non ho mai provato a farlo.” Erik sospirò.
“Capisco. Voglio farti un’ultima domanda.”
“Chiedi pure.”
“Shaw è come lei? E’ per questo potere che non riesci a sentire i suoi pensieri?” Charles scosse il capo.
“No. C’è una telepate con lui che mi blocca.”
“Pensi che riusciremo a trovare un modo per farti coesistere con Lena?”
“Penso che non mi ucciderà, se è questo che vuoi sapere. Non sto leggendo i tuoi pensieri quindi domanda.” Erik rise e parlò.
“Se i tuoi sentimenti per lei sono forti, come farai a proteggerti da essi?”
“Non credo che rinchiudere il proprio cuore nel freddo metallo sia la soluzione per non perderlo, Erik. Non saranno i miei sentimenti per lei ad uccidermi. E c’è un’altra cosa. Non mi farò avanti perché lei ti piace molto.”
“Continuerai a ficcanasare dove non devi per il resto della mia vita?”
“Se me lo permetterai.”
“Non te l’ho mai permesso, Charles.” Disse il tedesco ghignando e voltandosi per lasciare la camera.
“Buonanotte, Erik.”
“Buonanotte, Charles.”
Erik lasciò la stanza dell’amico sapendo che aveva ragione. Aveva permesso a Charles dal primo momento in cui lo aveva conosciuto, di entrare nella sua mente e di parlare al suo cuore. Lo aveva accettato sin da quel momento in cui sott’acqua aveva accettato il suo consiglio di lasciare andare il sottomarino di Shaw. Era confortante sapere che qualcuno conosceva il suo dolore, la linea dei suoi pensieri. Sorrise pensando che Charles probabilmente stava apprendendo anche quello di lui. Sorrise e gli augurò di andare all’inferno.

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Capitolo 3
*** Premonizioni ***


Capitolo 3: Premonizioni
 

Lena si era addormentata profondamente ed era finita in un luogo buio e angusto. Non fece fatica a riconoscerlo. Era l’armadio in cui sua madre l’aveva rinchiusa un attimo prima che suo padre l’ammazzasse come una bestia. Il sangue le raggiunse i piedi e lei sentì freddo. Provò ad urlare ma la voce era sparita. Si portò entrambe le mani alla gola e allora lo vide. Suo padre che rideva. Suo padre che le diceva che lei era l’anello mancante nella catena dell’evoluzione dell’uomo. Suo padre che le chiedeva di vedere oltre, di scorgere il futuro. Lei, però, non riusciva a vedere niente. Solo il sangue di sua madre che si allargava in una pozza sul pavimento. Gridò e stavolta l’urlo la riportò alla realtà. Il fiato di Shila che l’aveva raggiunta sul letto la rassicurò. Era sudata. Si alzò e raggiunse il bagno. Lo specchio rimandava la sua immagine sconvolta e impaurita. Un istante dopo però, vide una se stessa più pallida. Un rivolo di sangue che le colava dalla bocca, gli occhi che diventavano vitrei.
Si scosse e fece un passo indietro. Sarebbe morta? Era questo che suo padre voleva vedesse? Il suo destino di morte?
Qualcuno bussò alla porta, lei sussultò e Shila ringhiò.
Era convinta che fosse Charles ed esitò ma, quando si decise ad aprire, si ritrovò di fronte un’altra persona.
“Hank?”
“Scusa per l’ora. Volevo solo assicurarmi che stessi bene. La mia stanza è qui di fronte e ti ho sentita urlare.”
“Solo un brutto sogno.”
“In realtà volevo anche scusarmi. Tutto quello che è successo, in fondo è stata colpa mia.”
“Tua?”
“Sì, ti ho spinta io ad usare Cerebro.” Lena rise.
“Cerebro non c’entra nulla. Credimi Hank, io sono nei guai da molto prima di conoscere te.” Hank sorrise.
“Sono certo che Charles troverà un modo per aiutarti. Lui ha un dono per questo.”
“Credo di capire a cosa ti riferisci ma, vedi Hank, non tutti possono essere salvati.”
“Forse gente come Erik non può, ma quelli come te sì.” Lena s’intristì.
“Forse Erik non è come tu pensi dovrebbe essere una brava persona. Sicuramente è diverso da Charles ma Erik non è cattivo. Lui è stato in un campo di concentramento. Se non sei stato reso schiavo, non puoi conoscere quanta forza ci vuole a liberarsi. Quando finalmente le tue catene si spezzano, non è facile smettere di applicare quella forza in ogni cosa che fai, in ogni cosa che sei.” Hank la guardò perplesso.
“Sei stata anche tu in un campo di concentramento oppure sei schiava degli addominali di Magneto?”
Gli occhiali di Hank schizzarono lontano nel corridoio. Hank si voltò di scatto e vide Erik, scalzo con solo i pantaloni della tuta addosso che si guardava la mano destra. Improvvisamente la strinse a pugno e gli occhiali finirono in mille pezzi.
“Erik!” esclamò Lena con disappunto.
“Che c’è? Non lo sai che sono uno stronzo?” chiese mettendo due dita alla tempia imitando Charles e ridendo “Non ho bisogno dei poteri di Charles per sapere che è questo che pensa di me.”
“Non che tu faccia nulla per impressionare positivamente gli altri!” esclamò Hank seccato.
“E perché dovrei farlo? Ho i miei addominali per quello!” Hank strinse un pugno e a Lena sembrò quasi che ringhiasse.
“I tuoi addominali non sono bastati a fermare Shaw!” sputò Hank ma il ragazzo fu attratto per il metallo della cintura dritto di fronte a Erik.
“Ridillo a questa distanza!” fece Erik indossando il suo ghigno peggiore.
“Erik, lascialo andare.” La voce dolce di Charles, come al solito, era solo nella sua testa. Mollò la presa sulla cintura di Hank e alzò entrambe le mani come in segno di resa. Hank lo guardò stranito e Lena parlò.
“Charles, vieni fuori.” Il ragazzo fece capolino dall’angolo del corridoio sorridendo.
“Tieni Hank,” disse porgendo un paio di occhiali al ragazzo “e tu, Erik, per l’amor del cielo, mettiti addosso qualcosa!”
“Scusate i miei modi. Sono abituato a vivere da solo. E poi ero solo andato a prendere un bicchiere d’acqua quando ho sentito Hank che parlava di schiavi e campi di concentramento. Volevo contribuire alla discussioni con fonti di prima mano.”
“Erik, basta”, lo pregò Lena.
“No, lasciagli fare lo stronzo, gli riesce benissimo!” esclamò Hank.
“Ma che diavolo succede qui?” chiese Raven affacciandosi dalla sua camera. Da quella di fronte spuntò fuori la chioma geneticamente mutata di Moira. Lena si mise una mano sugli occhi. Era stanca e sconfortata dalla piega che stava prendendo la questione.
“Senti, ragazzino, datti una calmata o ti faccio male sul serio e non sarà solo l’orgoglio a dolerti!” sputò fuori Erik facendo ondeggiare tutti gli oggetti metallici nel corridoio. Hank strinse i pugni.
“Credi di farmi paura? Coraggio, sottovalutami!”
“Smettetela!” gridò Moira allacciandosi la vestaglia “O chiamo la sicurezza!”
“E adesso che c’entra la sicurezza? Si stanno solo divertendo un po’!” disse Raven tutta entusiasta che i due ragazzi la stessero mettendo sul piano fisico. Lena s’irrigidì.
“Per favore, Raven, non incitarli!”
“E non rovinare sempre tutto, tu!” la rimproverò Raven.
“Non è da persone mature ricorrere alle mani per risolvere le divergenze d’opinione!” fece Lena fronteggiando Raven.
“Vedo che sei andata a scuola dal professore!” fece quest’ultima ridendo.
“Sai Raven, potrei anche finire con l’essere d’accordo con te sull’uso delle mani!” la rimbecco Lena.
In quel momento però accadde una cosa strana. Raven non si muoveva più. Non solo lei. Anche Moira era rimasta immobile a guardare Erik e Hank che si fissavano senza neppure respirare. In quello stesso attimo si voltò e lo vide. Sorrideva con quelle sue splendide labbra che tanto l’avevano colpita la prima volta che l’aveva incontrato. Se ne stava, mani in tasca, appoggiato alla parete del corridoio e sorrideva.
“Sei tu a bloccarli così, vero, Charles?”
“Sì. Credo che fosse il punto di non ritorno per tutti noi.”
“Non per te. Tu sei sempre calmo e sai sempre cosa fare.” Charles rise.
“Sbagli. Io non so sempre cosa fare.  Provo solo a fare del mio meglio.”
“Charles, il mio meglio fa schifo.” Rispose Lena e il professore rise.
“Il tuo meglio andrà benissimo.  E anche quello di Erik!” disse e il tedesco riprese a respirare.
“Ma che diavolo? Charles sei tu a fare questo?”
“E chi altri?” disse l’inglese scuotendo le spalle.
“A quanto pare sei più misterioso di me!”
“Non prendertela amico mio, ci sono cose che neanche io so di poter fare. Credo che Cerebro abbia aperto nuovi spazi della mia mente.”
“E di loro che intendi fare?” chiese Erik indicando Hank e gli altri.
“Avete tutti un sonno tremendo. Andate a dormire”, disse Charles e i presenti sparirono dal corridoio senza dire una parola.
“Incredibile, Charles!” esclamò Lena. Il professore sorrise guardando il pavimento.
“Ed è anche così splendidamente modesto!” rise Erik anche se un istante dopo il silenzio cadde sul terzetto così il tedesco decise di congedarsi “Prima che mandi anche me a letto, ci vado di mia spontanea volontà!”
“Non lo farei mai, Erik, controllarti intendo. Sei mio amico.”
“Per stanotte ne ho abbastanza di amici!” disse Erik svoltando l’angolo. Lena rise.
“Forse ha ragione lui a pensare che sbaglio a preoccuparmi per te, professore!”
“Non anche tu, ti prego! In effetti credo che tu ti sia preoccupata troppo. Andiamo a dormire e domani, se ti va, potremo studiare insieme un modo per integrare le nostre capacità.”
“Ok. Buonanotte.” Charles chiuse la porta per Lena e la ragazza si coricò addormentandosi senza fare altri incubi.

L’indomani mattina la cucina della divisione mutanti della CIA odorava di bacon e uova fritte.
Moira sedeva al tavolo con una tazza di caffè e leggeva l’ordine del giorno delle sue riunioni. Raven ed Hank mangiavano cereali l’uno di fronte all’altro e parlavano del notiziario. Lena entrò assonnata e cercò Charles con lo sguardo.
Il ragazzo sedeva su una sedia vicino alla finestra e leggeva il giornale sorseggiando del tea.
“Buongiorno a tutti.”
“Buongiorno, Lena. Dormito bene?”
“Bene, sì.”
“Vuoi del tea?”
“Caffè grazie ma lo prendo da me.” La ragazza raggiunse la caffettiera ma, mentre stava per afferrarla, questa si sollevò e raggiunse l’altro capo della stanza. Erik, seduto sul divano, leggeva un libro a capo chino. La caffettiera ondeggiò fino al tavolinetto di legno su cui erano posate due tazze e si piegò di lato quel tanto che bastava per riempirle del liquido scuro. Sotto lo sguardo di Lena e Charles che scuoteva il capo sorridendo, la caffettiera tornò sul ripiano cottura. Solo allora Erik alzò lo sguardo e, indicando la tazzina, parlò.
“Scusa, tesoro, ma non controllo la porcellana. Se vuoi il tuo caffè, devi venire a prenderlo!” Lena raggiunse il divano e si accomodò accanto ad Erik.
“Programmi per oggi?” chiese Lena.
“Sì. Partiamo”, rispose Erik e la ragazza rimase un po’ sconcertata.
“Tu e chi altri?”
“Magneto e il professor X andranno in cerca di altri mutanti!” esclamò Raven. Lena si voltò a guardare Charles.
“O noi o la CIA,” chiarì il professore “e penso che Erik abbia ragione sul fatto che tocchi a noi cercare altri rappresentanti della nostra specie.”
“Dovresti venire con noi, Lena”, disse Erik con indifferenza, sorseggiando il caffè.
“Perché lei si e io no?” strillò Raven.
“Perché ci farebbe comodo un mutante che sa entrare in empatia con gli altri. Li convincerebbe più facilmente di noi ad arruolarsi”, le rispose Erik.
“Non dovranno mica decidere di andare in guerra!” lo riprese Charles.
“Puoi mettergliela come ti pare, professore,” lo rimbeccò il tedesco “ma è di fare fronte alle minacce di Shaw che stiamo parlando.”
“Sono certa che potrei essere d’aiuto!” esclamò Lena a cui non andava proprio di rimanere con Raven e Moira. Charles lasciò il giornale e sospirò.
“Allora va bene. Partiamo appena Hank ci darà la lista dei nomi che sono venuti fuori da Cerebro.”
Lena sorrise e tornò nella sua camera per fare lo zaino. Nel riporre alcune cose, le capitò in mano il suo certificato di nascita. Si rattristò. Per la prima volta dopo tanto, tanto tempo, aveva incontrato delle persone con cui sentiva di poter creare un legame, che non pretendevano che i suoi poteri servissero a qualche meschino scopo. Per l’ennesima volta, incapace di liberarsene, rificcò il foglio nella borsa e si chinò ad accarezzare Shila.
“Farai la buona qui con Hank? Ti tratterà bene, vedrai. Io torno presto, promesso.”
Il pastore tedesco si accucciò e chinò il muso tra le zampe provocando un moto di tristezza nella sua padrona. Quando aprì la porta della sua camera per tornare in salotto, il cane la seguì e andò ad accucciarsi ai piedi di Hank.
“Me la guarderai tu?” chiese Lena con fare supplichevole.
“Certo, anche se ho l’impressione che al momento, lei saprebbe badare a me più di quanto io non possa fare con lei.” Lena usò le sue capacità per non fare ascoltare agli altri quello che voleva dirgli.
“Perché lei segue il suo istinto. Perché non ci provi anche tu?” Hank le sorrise provocando di nuovo l’ira di Raven che fingeva d’interessarsi al libro lasciato sul divano da Erik. Lena cambiò argomento.
“Hai la lista?” Hank annuì.
“Diversi nomi. Credo che Charles sappia già chi scegliere.”
“Non esattamente!” esclamò il professore entrando nella stanza con un borsone alla mano “Noi gli diremo che non sono soli. La scelta appartiene a loro.”
“Ma diciamo che non avranno molte alternative!” intervenne Erik con uno zaino in spalla.
“Vedremo!” sbuffò Charles che si soffermò sul fatto che sia Lena che Erik avevano un bagaglio meno ingombrante del suo “Staremo fuori qualche giorno, avete preso tutto?”
“Io viaggio leggera”, disse Lena.
“Che c’è?” chiese Eric scuotendo le spalle “Anche io.”
“So già come finirà questo viaggio!” sospirò Charles.
“Non era Lena che vedeva il futuro?” chiese Eric dandogli una leggera spallata quando Charles lo affiancò per guadagnare l’uscita.
“Infatti, io lo temo solamente.” Lena lo raggiunse e camminò al suo fianco.
“Dove si va, professore?”
“Los Angeles”, rispose Charles uscendo dal palazzo e raggiungendo un’auto. Erik mosse una mano e il portabagagli si aprì.
“Prego,” disse indicando il borsone di Charles “la signorina si può accomodare sui sedili posteriori invece. Guido io.” Charles lanciò il mazzo di chiavi volutamente fuori traiettoria ma esso volò ubbidiente nella mano del tedesco.
Il viaggio fino a Los Angeles prevedeva una sosta e arrivarono in Oklahoma quando era già buio. Charles aveva insistito per dare il cambio a Erik senza fermarsi. Quest’ultimo non volle sentire ragioni e verso le undici di sera parcheggiò in un’area di servizio di un motel della I-40 W.
“Una camera”, disse all’uomo barbuto e trasandato che guardava la tv via cavo della reception.
Charles non aggiunse nulla ma guardò Lena. La ragazza non fece una piega.
“Mi serve un documento”, fece di nuovo il barbuto allungando una chiave enorme sul banco.
“Io non credo”, disse invece Erik allungandogli una banconota da 100 dollari. Questi la ritirò e voltandosi aggiunse solo un mugugno.
Mentre lasciavano la reception e raggiungevano la camera 13 b, Charles sorrise.
“Che hai da ridere?” chiese Erik.
“Non potevi dargli semplicemente la patente?”
“Non ho la patente” rispose candidamente il tedesco. Charles lo bloccò sul posto.
“Non hai la patente?” esclamò e Lena rise.
“Non americana comunque. Non hai viaggiato tranquillo?”
“E se ci avesse fermato la polizia?”
“Gli avresti cortesemente chiesto di lasciarci andare, vero Charles?”
“Dai, Charles! Io sono stanca e affamata. Puoi ipnotizzare qualcuno per portarci del cibo?” chiese Lena divertita mentre Erik faceva scattare la serratura della 13 b senza usare la chiave per cui il portiere aveva fatto tanto il prezioso.
“Per quello basta un telefono e, maledizione Erik, se hai sguanciato un testone per quella cosa che hai in mano, usala. E’ meglio non dare nell’occhio.”
“Non fai onore alla nostra razza, Charles. Dovresti essere fiero di ciò che sei, non nasconderti!” fece Erik buttandosi sul letto sufficiente appena per ospitare due persone.
“So quando usare le mie capacità e mi sento fiero a non farlo per ordinare una pizza!” Lena rise di gusto e si accomodò su una poltrona che sembrava rivestita con una tenda. La ragazza guardò la tenda della finestra e si ricredette. Probabilmente era il tessuto delle poltrone che veniva adoperato come tenda.
“Sono stanca!” disse.
“Ma se hai russato tutto il tempo sul sedile posteriore!” esclamò Erik lanciandole un cuscino.
“Non fate confusione. Potrebbero esserci altri ospiti che dormono!” disse mentre chiamava il numero di un take away trovato sul comodino. “Pronto? Sì, tre hamburger e una porzione di patatine.”
“E una birra!” aggiunse Erik.
“Due birre!” fece Lena rilanciando il cuscino verso Erik.
“Due birre e una bottiglia d’acqua naturale, grazie. Stanza 13 b.”
“Charles! Credevo che gli inglesi fossero grandi consumatori di birra!” lo prese in giro Erik.
“Qualcuno deve rimanere sobrio qui dentro.”
Tutti e tre risero e rimasero a chiacchierare fino alla consegna del cibo. Nonostante le aspettative di Erik che era uscito a prendere altre due birre al distributore automatico, Lena crollò quasi subito. Il tedesco la sollevò dalla poltrona e la mise a letto.
“Stenditi un po’ anche tu, Charles. Sembri a pezzi.”
“Odio stare seduto, non si direbbe vero? Forse perché temo che per il mio lavoro passerò molto tempo costretto su una sedia. Non sono stanco. Tu piuttosto, devi riposare. Hai guidato tutto il giorno.” Erik stappò un’altra bottiglia.
“Non potrei coricarmi su quel letto neanche se stessi svenendo con lei sdraiata lì accanto”, fece indicando il profilo di Lena che si era girata nel sonno. Charles sorrise.
“Ti piace proprio tanto, vero?”
“Non credevo che una simile attrazione esistesse per qualcosa che non fosse di metallo.”
“L’amore è la forma più forte di legame. Più forte di quello tra gli atomi o le cellule, temo,” disse allungando una mano “mi passi una birra?” Erik gliela porse avvicinandosi al divanetto prospicente il letto.
“Ti spaventa?” chiese il tedesco guardando il collo della bottiglia.
“Sì. E a te?”
“Da morire!” confessò Erik lasciando sfuggire una risata nervosa.
“Non dovresti. Non ho mai conosciuto nessuno con una forza d’animo come la tua, Erik. Credo sinceramente che niente potrebbe abbatterti.”
“Allora non mi conosci così bene.”
“O forse ti conosco meglio di quanto tu non immagini.”
“E di lei che idea ti sei fatto? Davvero non riesci a leggere la sua mente?” Charlse scosse il capo e bevve avidamente un sorso di birra.
“Non posso leggerla. E’ uno scudo, ricordi?”
“Ma hai assorbito le sue emozioni.”
“Nel suo caso è difficile sapere se siano realmente sue. Vedi, la sua empatia assorbe i sentimenti altrui e li rilascia. Nel momento in cui vieni in contatto con lei, potrebbe tranquillamente passarti l’emozione dell’ultima persona che ha toccato. Tuttavia credo che si senta molto sola. Non deve essere facile convivere con la sua mutazione. Alla fine, tra i sentimenti degli altri, rischi di perdere le tue.”
“Non ci avevo pensato. Ecco perché tu saresti più adatto di me a stare con una come lei.”
“Amico mio, non ho abbastanza energia per stare con una come lei! Credimi.”
“Ti sottovaluti,” disse Erik alzandosi “Va a letto ora.”
“Tu dove vai?”
“A buttare la spazzatura e prendere un po’ d’aria.”
“Non allontanarti.”
“Sono qua intorno, tranquillo.” Erik lasciò la stanza e Charles permise a se stesso di distendere corpo e nervi accanto a Lena. La fissò per qualche minuto e osò accarezzarle una guancia. Nessun tremito attraversò la donna come le era accaduto quando si erano toccati nella stanza di Cerebro.
Charles sorrise. Forse non era come lui credeva. Forse la sua telepatia e l’empatia di Lena potevano davvero coesistere. Ma il magnetismo di Erik lo avrebbe consentito? Si addormentò prima di trovare la risposta.

Un rumore nel vicolo la svegliò. Quando aprì gli occhi, il suo cuore perse un battito. A pochi centimetri dal suo viso, riposava placidamente quello di Charles. La testa posata su un braccio ripiegato e le labbra socchiuse quasi all’altezza delle sue. Arrossì all’idea di baciarlo senza troppi complimenti poi si ricordò che nella stanza doveva esserci anche Erik. Si sollevò sui gomiti e si voltò a guardare prima verso il divano poi verso la poltrona. Niente. Si ricordò che si era appisolata proprio sulla poltrona e si domandò se fosse stato Charles o portarla di peso sul letto o se magari fosse stato Erik. Si alzò e uscì dalla stanza facendo attenzione a non svegliare il professore.
L’aria della notte era pungente e si strinse nelle spalle.
“Fa freddo qui fuori.” La voce di Erik veniva dalla macchina. L’uomo se ne stava seduto sul tetto della vettura.
“E tu che ci fai lì?”
“Guardo le stelle.” Lena rise. “Non mi credi? Non ti sembro il tipo?”
“In effetti no, Lehnsherr, non mi sembri uno che guarda le stelle!” fece raggiungendo l’auto e scalando il cofano per prendere posto al suo fianco.
“Charles dorme?”
“Come un bambino.”
“Tu invece sei sveglia.”
“Una concatenazione incredibile di concetti acutissimi!” Erik rise. Lena notò che stringeva qualcosa in una mano.
“Cos’hai lì?” Erik aprì il pugno sinistro e mostrò una moneta. Lena riconobbe la svastica sul dorso e il suo sguardo si fece duro. L’uomo se ne accorse.
“Devi davvero odiarli i nazisti.”
“Li odio. E non capisco perché ti porti appresso un oggetto simile se li odi anche tu!” La moneta prese a levitare passando fra le dita della mano aperta di Erik.
“Vedi, Lena, da ragazzo non ero bravo a fare questo gioco. Non sapevo ancora usare i miei poteri. A Scmidth però interessavano. Gli interessavano tanto. Un giorno mi convocò nel suo studio e mi mise davanti questa moneta. La poggiò semplicemente sul tavolo. ‘Sposta la moneta, Erik’ disse. Io sapevo di poterlo fare. Avevo quasi sradicato un cancello intero in un’altra circostanza. Non mi riuscì comunque. Scmidth pensò che mi servisse un incentivo e fece condurre mia madre nella stanza. Poi prese una pistola e mirò alla sua testa. Disse che avrebbe contato fino a tre e che poi le avrebbe sparato se non avessi spostato questa dannata moneta. Provai e riprovai in quei pochi secondi che mi concesse ma la moneta non si mosse neppure di un millimetro.”
“La uccise”, sussurrò Lena.
“Sì. E io impazzito dal dolore scaraventai ovunque ogni singolo oggetto metallico presente nella stanza. Mi premiò con questa moneta. Non me ne separo mai. Quando me lo ritroverò occhi negli occhi, gli dimostrerò che mi ha insegnato bene.”
“Non credo che tu abbia imparato da lui”, disse Lena trovando il coraggio di mettergli una mano sul braccio. La moneta si posò placidamente sul palmo della mano di Erik.
“Più di quanto immagini”, disse l’uomo rattristandosi “ho ucciso molte persone.”
“Probabilmente meritavano di morire.”
“Non lo credi davvero”, disse Erik voltandosi a guardarla negli occhi.
“Se ti hanno ferito, meritavano di morire.” Lena lo disse sinceramente, guardandolo dritto negli occhi. Erik la prese per le spalle e la baciò di scatto.
Lena si ritrovò avvolta dalle sue braccia prima di realizzare l’ondata di emozioni che dal corpo di Erik, dalle sue labbra, fluivano in lei. Gemette nella sua bocca lasciandosi spingere giù sul tettuccio della macchina.
Erik la trovò irresistibilmente arrendevole e osò infilarle una mano sotto la maglietta. In quell’istante però, il potere di Lena lo colpì in pieno. Erik sentì un dolore talmente forte alla testa da costringerlo a staccarsi da lei. La sua mente fu attraversata dall’emozione che Lena aveva provato nello svegliarsi accanto a Charles e dal suo desiderio di baciarlo.
“Erik! Dio mio, Erik, scusami!” fece Lena rialzandosi e cercando di capire quali fossero le condizioni del tedesco.
“Sto bene, Lena, fisicamente almeno. Non so cosa sia peggio. Se scoprire che sei attratta da Charles o sentire il desiderio di baciare lui invece che te!” esclamò l’uomo nervosamente.
“Tu non vuoi davvero baciare Charles. E’ il mio potere a farti provare quella sensazione.”
“Già!” esclamò Erik saltando giù dall’auto “Perché sei tu a provarla!”
“Erik, non so cosa dire, mi dispiace.”
“E’ semplice. Dì che lo ami e facciamola finita.”
“Ti giuro che non è così!”
“Abbiamo detto niente bugie!” gridò Erik. Lena scese dalla macchina e lo rincorse.
“Ti prego, Erik, devi credermi. Sono solo confusa. Non sono abituata ad essere circondata da persone che tengono così tanto a me.” A quelle parole, il tedesco si fermò.
“Hai ragione sul fatto che Charles tiene a te. Forse dovresti stare con lui.” Fece l’uomo stringendo un pugno.
“Non posso stare con nessuno, Erik.” Le parole della donna lo gelarono. Tornò sui suoi passi e la guardò dritto negli occhi. Lei proseguì. “Fino a che non avrò trovato e ucciso Sebastian Shaw io non posso stare con nessuno.”
“Ti ha minacciata?” chiese allora Erik, stavolta con gentilezza.
“Dopo la morte di mia madre, sono scappata da lui e da quelli come lui. Il problema è che non potevo essere accettata neppure da quelli diversi da lui. Sono stata sola per moltissimo tempo. Poi ho capito che non potevo continuare a fuggire, che dovevo essere io a trovarlo e a liberarmi dei miei fantasmi. Ho cominciato ad allenare le mie facoltà, a studiarle e trasformarle in un qualche tipo di arma. Sono diventata più forte, più determinata. Ogni cosa buona della mia vita può venire solo dalla morte di quell’uomo.”
“Io ucciderò Shaw,” disse Erik tendendole la mano con la moneta nel palmo “sono più preparato, ho studiato di più e mi sono allenato di più. Ho trasformato ogni fibra del mio essere in un’arma. Sono più forte di te e più determinato. Controlla tu stessa.” Lena allungò timidamente una mano poi afferrò con decisione quella tesa di Erik. Si aspettava di essere invasa da quella forza fisica e morale di cui Erik aveva parlato ma la vista le si annebbiò e la sua mente slittò velocemente in avanti. La moneta non era più nel palmo di Erik ma si librava nell’aria e velocemente l’attraversava per schizzare nella fronte di Shaw. L’immagine degli occhi sbarrati del carnefice di sua madre le diede un brivido orribile ma ciò che le diede la nausea fu vedere che la persona che ricadeva in terra non era Shaw ma Charles. Si portò entrambe le mani alla bocca per soffocare il grido di disperazione che le era partito dal cuore ma, nel farlo, interruppe il contatto con la mano di Erik e la sua mente fu sbalzata all’indietro nel suo corpo che si afflosciò come un sacco vuoto. La voce allarmata che udì prima di perdere i sensi non fu quella di Erik.

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Capitolo 4
*** Incidenti ***


Capitolo 4 : Incidenti
 

Quando Lena aprì gli occhi, il suo cuore perse un battito. Per la seconda volta quella notte, a pochi centimetri dal suo viso, il volto di Charles la guardava carico di preoccupazione. Ancora una volta le sue labbra se ne stavano socchiuse quasi all’altezza delle sue. Arrossì e Charles parlò.
“Credevo che avessi deciso di fare pratica con le tue capacità prima di adoperarle”, disse a bassa voce, dolcemente per non dare l’impressione che quello fosse un rimprovero. Lena sapeva perfettamente che Charles la stava rimproverando. Biasimò se stessa per averlo messo in quella situazione.
“Te l’avevo detto che il mio meglio fa schifo.” Charles sorrise e Lena si chiese dove trovasse tutta quella pazienza.
“Cos’hai visto?”
“Non saprei dirlo. Un futuro che mi ha fatto paura comunque.”
“Il futuro è nelle nostre mani, Lena. Sta a noi non fare avverare orribili auspici o riportare il cammino sulla retta via.”
“Erik è determinato a uccidere Shaw. E anche io lo sono. Questa è la via che abbiamo scelto. Sarà quella giusta?”
“Se te lo stai domandando è perché forse non ne sei davvero sicura. Fino a che non avrai tutte le risposte, continua a fare domande” disse passandole una ciocca di capelli dietro un orecchio “non arrenderti e se hai bisogno d’aiuto, io sono qui. Fermeremo Shaw, ne sono fermamente convinto. Ho fiducia in Erik e anche in te.”
“Vorrei avere le tue stesse certezze.”
“Prendile da me”, disse allora Charles porgendole la mano. Lena indietreggiò.
“Non posso, ho fatto del male ad Erik.” Charles sorrise di gusto.
“Oh avanti! Hai ferito solo il suo orgoglio!” Lena piegò la testa di lato senza capire poi, un’idea la fulminò.
“Hai letto i suoi pensieri. Sai cos’è successo! Charles come hai potuto?” strillò arrossendo. Il ragazzo non riusciva a smettere di ridere.
“Volevo solo sapere cosa ti fosse successo. Mi sono svegliato e tu non c’eri. Sono uscito perché pensavo fossi con Erik ma quando ti ho vista svenire, ho pensato che ti fosse accaduto qualcosa. Volevo solo capire.”
“E cos’hai capito?” chiese timidamente Lena.
“Che dobbiamo concentrarci sui giovani mutanti che stiamo cercando.” Lena sorrise.
“Hai ragione. Come al solito, Charles”, disse prendendo la sua mano. La calma e la dolcezza di Charles, la sua fiducia nel prossimo e il suo senso del dovere l’avvolsero e lei sentì le lacrime pungere agli angoli degli occhi.
“Grazie, Charles.”
“Di nulla, mia cara.”
“Avete ancora molto da sussurrarvi voi due?” chiese Erik incrociando le braccia sulla soglia della stanza.
“E tu dove sei stato finora?” chiese l’inglese.
“A saldare il conto. Dobbiamo andare!” Rispose il tedesco.
“Guido io, però!” esclamò Charles.
“Impossibile. Non ho intenzione di passare il resto della mia vita in quell’auto. Muovetevi.” Lena rise e si avviò afferrando il suo zaino al volo.
“Ci farai fare almeno colazione?” chiese Charles con ironia.
“Strada facendo, professore, strada facendo.”
Il secondo giorno di viaggio trascorse più velocemente del primo. L’affiatamento tra i tre si faceva sempre più intenso nonostante non fosse più un mistero per nessuno che sia Charles che Erik provavano interesse per Lena.
Quando raggiunsero Los Angeles, era di nuovo buio. Presero una camera in un albergo e Charles ed Erik indossarono un paio d’abiti eleganti. Sembravano due tipi pieni di soldi in cerca di una bella serata. Lena pensò che sembrassero esattamente ciò che erano. Da quello che aveva appreso sui due, sapeva infatti che Charles era l’ereditiere di una famiglia nobile e ricca del Westchester. Erik invece aveva raccolto tanto di quell’oro da quei fottuti nazisti che il denaro non era lo strumento di cui aveva più bisogno per attuare i suoi scopi. Incrociò le labbra e sbuffò.
“Ripetetemi perché io non posso venire!”
“Perché la mutante che stiamo cercando lavora in uno streap bar e la maniera migliore che abbiamo per avvicinarla è farci passare per dei clienti.” Erik lo disse con tutta la sicurezza che la sua figura emanava.
“Avvicinarla quanto?” chiese Lena un po’ indispettita.
“Quello che serve, mia cara!” esclamò il tedesco facendo il verso a Charles e innervosendo ancora di più Lena.
“Allora che mi avete portata a fare?”
“Pazienta, Lena”, intervenne Charles “arriverà anche il momento in cui serviranno le tue capacità.”
“E quelle di Erik a cosa serviranno stanotte? A far saltare i ganci del corsetto delle signorine che incontrerete?” Erik rise sonoramente.
“Già sperimentato, tesoro!”
“Ma va? Pensavo portassi le tue ragazze a vedere le stelle!”
“Non sono il tipo. Reverendo, andiamo?” chiese a Charles indicando la porta. Il professore guardò Lena quasi con compassione e lasciò la stanza. La ragazza sbuffò mentre Erik se la chiudeva alle spalle continuando a ridere.
Decise di mettersi a letto e dormire ma non riuscì a prendere sonno. Si alzò e raggiunse la finestra.  La strada di sotto era piena di luci colorate e neon dalle forme più disparate. Sentì improvvisamente la mancanza di Shila così infilò il giubbino di pelle e lasciò la stanza.
Anche se non poteva andare con Erik e Charles non significava che doveva starsene rinchiusa in un hotel di sera a Los Angeles. Passò davanti ad un locale e vide un sacco di ragazzi che ridevano e scherzavano. Le donne erano vestite con abiti corti e favolosi. Si sentì fuori luogo e girò l’angolo ritrovandosi in una strada principale piena di vetrine di marchi prestigiosi.
Anche se si era ripromessa di non farlo la volta successiva, in passato Lena aveva rubato ciò che le serviva. Ora le serviva un bel vestito. Fermò la prima ragazza che portava una taglia simile alla sua e le prese il braccio. Doveva convincerla a togliersi l’abito così pensò ad Erik come l’aveva visto qualche sera prima nel corridoio della sede della CIA con solo addosso i pantaloni della tuta e gli addominali che Hank tanto odiava. L’effetto fu pressoché immediato. La donna si tolse vestito e scarpe e si girò per tornarsene a casa con urgenza.
Lena si sfilò i suoi abiti e indossò l’abito corto e i tacchi a spillo. Tenne solo il giubbino di pelle nera e si diresse di nuovo verso il locale in cui aveva visto tutta quella gente.
Un ragazzo che era seduto con due amici e una mora, la notò subito e le propose di bere qualcosa assieme.
Lena gli diede una possibilità e la compagnia di James si rivelò piacevole. Lena sapeva che non era lui a piacergli ma la normalità che quella situazione aveva. Dopo tre martini e due Jack, decise di rientrare. James l’accompagnò sperando che la serata avesse altri sviluppi ma Lena non voleva mostrargli l’albergo in cui era così lo convinse a tornare dai suoi amici. Inebriata dall’effetto che esercitare in quel modo il suo potere le dava e dall’alcol, salì le scale fino al suo piano sorridendo. Quando però aprì la porta, il suo buonumore sparì.
La faccia di Erik era più tesa di una corda di violino e non appena il suo sguardo cadde sull’orlo del suo vestito, chiaramente troppo corto, allargò le braccia e guardò Charles. Il professore aveva una faccia anche peggiore se possibile. Lena era certa che sarebbe partita la ramanzina in meno di tre, due, uno…
“E quest’altra dove l’avete rimediata?” chiese la ragazza dalla pelle color cappuccino vestita in modo ancor più succinto del suo.
“Angel, lei è Lena. Lena, ti presento Angel Salvadore. Erik ha preso un’altra stanza. Vieni Angel, ti accompagno. Partiremo presto domani.” Annunciò Charles facendo strada alla nuova arrivata.
Non appena la porta si chiuse, Lena tornò a fissare Erik che si era voltato a guardare fuori dalla finestra. Gli oggetti metallici nella stanza presero a tremare.
“Si può sapere che c’è?” chiese Lena.
“Dove hai preso quel vestito?”
“Me l’hanno regalato.” Il posacenere cominciò a tremare sul tavolo. “Oh Erik! Che c’è? Tu puoi uccidere la gente e io non posso rubare un vestito?” Il posacenere si piegò in un modo orribile e innaturale.
“Charles ne resterà molto deluso.”
“Non essere vile e non tirare in mezzo Charles!”
“Hai ragione! Io sono deluso! Credevo che fossi determinata e concentrata sui tuoi obiettivi.”
“La tua determinazione non ti ha impedito di passare una serata in uno streap bar!”
“Cercavamo di convincere Angel a venire con noi!”
“E tu come hai cercato di convincerla?” La porta della camera si riaprì e Charles entrò togliendosi la giacca.
“Erik, smettila. E tu, Lena, sappi che eravamo solo tremendamente preoccupati per te. Siamo rientrati e non c’eri. Non hai lasciato un biglietto, la tua roba era qui. Questa è una città pericolosa, soprattutto di notte. Eravamo solo in pena. Potevi avvisarci, sai che non riesco a leggere la tua mente. Tutto qui, ecco.”
Charles sprofondò in una poltrona. Sembrava distrutto.
“E’ successo qualcosa?” chiese Lena inginocchiandosi davanti a lui e mettendogli le mani sulle ginocchia. I suoi occhi erano cerchiati e stanchi.
“Dato che non legge te, ha dovuto concentrarsi per cercare nella mente di tutti quelli che poteva raggiungere, tracce della tua presenza!” sbottò Erik “Meno male che alla fine ha trovato quel tipo e lo ha convinto a tornarsene a casa.”
“Tu cosa?” chiese Lena guardandolo negli occhi.
“Lascia perdere. Andiamo a dormire”, concluse Charles coricandosi sul divano.
“Credevo di essere stata io,” disse la ragazza “Credevo di averlo convinto io a tornarsene a casa. Non so se ringraziarti o arrabbiarmi con te.” Concluse Lena raggiungendo la poltrona e rannicchiandovici sopra.
“Non ringraziarmi. L’ho fatto perché me l’ha chiesto Erik.” A quelle parole Lena non si mosse. Erik prese una coperta e la stese sul corpo del professore carezzandogli appena i capelli. Dopodiché si buttò sul letto e spense la luce.

Lena si risvegliò dolorante. Stavolta nessuno l’aveva messa a letto di peso. Charles le sorrise quando s’accorse che era sveglia e le disse di sbrigarsi a cambiarsi perché dovevano rimettersi in viaggio.  Lena non se lo fece dire due volte. Raggiunse il bagno, tolse il vestito che aveva fatto infuriare Erik e rimise jeans e maglietta. Quando uscì, Angel era lì. La ragazza vide che gettava via quel bel vestito e lo raccolse.
“Lo prendo io, se non ti spiace.”
“Fa pure.” Le rispose Lena seguendo Charles nel corridoio. All’ingresso dell’albergo c’era Moira.
“Buongiorno, Charles. Ragazze!”
“Buongiorno Moira!” la salutò il professore con il suo splendido sorriso. Lena infilò gli occhiali da sole e guardò da un’altra parte.
“Allora lei è Angel! Piacere di conoscerti.” La mutante con il potere di volare come una libellula, alzò una mano e salutò per poi infilarsi in auto. Solo quando una persona chiuse lo sportello, Lena si accorse che quella persona era Erik. Il suo sguardo era duro, quasi cattivo. Lena pensò che forse avrebbe fatto meglio ad infilarsi in macchina con Angel ma tenne duro.
“Grazie per il tuo aiuto. Noi andiamo, Moira. Ti chiamiamo al prossimo aggancio”, disse Charles.
Stavolta il viaggio per raggiungere New York fu meno piacevole e più silenzioso. Charles disse Ad Erik che avrebbero dovuto fare una sosta in Nebraska. C’era un mutante che Hank definiva nomade e che sarebbe stato difficile ritrovare se perso. Quando aveva toccato la sua mente, aveva percepito una forza immensa e particolare. Voleva fare un tentativo con lui prima di proseguire per la prossima destinazione.
Lena ascoltò i loro discorsi. I dubbi di Erik sul fatto che fosse troppo adulto per integrarsi con dei ragazzi e la fiducia di Charles sul fatto che un po’ d’esperienza non avrebbe guastato.
Lena non diede la sua opinione. In qualche modo sentiva che stavano parlando di qualcosa di cui lei non sapeva nulla per estrometterla dalla discussione. Non chiese niente. Non voleva dare soddisfazione a nessuno. Anche se Charles era stato gentile con lei quella mattina, Lena aveva imparato a conoscere il professore e quella gentilezza di circostanza era ancora più pesante del broncio di Erik.
Tuttavia non poté non rimanere stupita dal fatto che si fermarono davanti ad una falegnameria.
“Lascia parlare me”, disse Charles.
“E’ tutto tuo!” rispose Erik e Lena rivide quell’intesa che fino al giorno prima aveva coinvolto anche lei.
“Prendo una bottiglia d’acqua”, disse per avvisare ed evitare altre discussioni.  Si allontanò ed entrò nel bar dall’altro lato della strada. Al bancone stava un uomo robusto che asciugava dei bicchieri.
“Che vuoi?” chiese l’uomo.
“Una bottiglia d’acqua.”
“Sei nel posto sbagliato. Qui vendiamo alcolici.”
“Dove posso trovare dell’acqua?”
“Al supermercato.”
“E dove trovo il supermercato?” chiese Lena un po’ spazientita.
“Ce n’è uno a due miglia da qui.”
“Oh, avanti!” esclamò Lena “Sono certa che avete dell’acqua.”
Quello che sembrava un autotrasportatore si alzò dal tavolo alle sue spalle e si avvicinò.
“Posso darti un passaggio fino al supermercato se sei carina con me!” disse allungando una mano per sfiorarle una ciocca di capelli. Lena indietreggiò più per paura di assorbire le emozioni dell’uomo e restituirgli la rabbia presa da Erik che di quello che l’uomo pensava di farle. L’uomo però sorrise soddisfatto pensando che lei ne avesse timore.
“Avanti, non fare la preziosa! Quelle come te sembrano tutte innocentine ma scommetto di sapere cosa ti piace.” Proseguì l’uomo.
“Mi creda, signore, non sono né preziosa, né innocente. E mi creda, non mi piace niente. In assoluto.” Lena lo disse con sconforto nella voce, posando a terra il suo zaino. Mise solo una mano con un palmo aperto rivolto verso l’uomo che la stava importunando. Lui fece un passo in avanti fino a che la mano della donna non gli toccò il petto dove la camicia lasciava la pelle nuda. Immediatamente fu investito dalle emozioni di Lena e si portò le mani alla testa.
“Puttana, cosa mi hai fatto?” Gridò voltandosi di scatto e colpendo il volto della ragazza con un sonoro mal rovescio. Lena cadde in terra. Sentì il sapore ferroso del sangue nella bocca e gemette per il dolore. Si concentrò sullo scudo mentale simile a quello che aveva creato per salvare Charles ed Erik e allargò le braccia come aveva fatto sott’acqua ma l’uomo attraversò la barriera immaginaria che aveva eretto senza venirne respinto. Fu quando la sollevò da terra per il colletto della maglietta che una voce gli intimò di fermarsi. Sia Lena che l’uomo si voltarono nella direzione da cui proveniva la voce e videro quello che doveva essere un operaio della falegnameria in pausa pranzo che fumava un sigaro.
“Lasciala andare.” Poche lapidarie parole tra una nuvola di fumo e l’altra.
“Fatti gli affari tuoi!” Sputò l’autotrasportatore strattonando ancora Lena. L’uomo col sigaro tra i denti si alzò dal tavolo in fondo alla sala e camminò fino a un metro dai due.
“Cerchi guai, amico?” insistette l’uomo che stringeva il colletto della maglia di Lena.
“Non sono amico tuo”, rispose l’altro sollevando una mano di scatto. Lena avvertì solo un movimento d’aria e poi la gravità che la richiamava verso terra. L’uomo rimase a fissare il suo pugno chiuso intorno ad un lembo della maglia della ragazza mentre tre artigli di osso lo minacciavano da vicino.
“Che diavolo sei tu? Mostro!”
“Non ero tuo amico pochi istanti fa?” disse l’uomo masticando il sigaro.
“Logan, lascialo stare. Mi rovinerai tutta la clientela!” esclamò l’uomo dietro al bancone.
“Se ti rifiuti di vendere persino l’acqua non te ne rimarranno molti comunque!” L’autotrasportatore scappò senza aggiungere altro scivolando anche un paio di volte sulle assi malferme del bar. Quando ebbe guadagnato l’uscita, l’uomo di nome Logan, lunghe bassette ai lati di un volto che definire spigoloso era riduttivo, si girò a guardare la ragazza che era rimasta sul pavimento.
“Stai bene?”
“Grazie per il tuo aiuto”, rispose Lena sistemandosi alla meglio la maglia che ora presentava una generosa scollatura.
“Dovresti andartene. Questo non è posto per una come te”, disse voltandosi e tornando verso il suo tavolo  dove un boccale di birra stava sudando perdendo tutta la schiuma. Lena allargò le braccia sorpresa per l’atteggiamento di quel mutante. Fece per lasciare il bar poi tornò indietro con passi decisi. Si piantò davanti al tavolo e parlò.
“Non è posto per una come me ma è posto per uno a cui spuntano sessanta centimetri di artigli dalle mani?”
“Che vuoi ragazzina?”
“Il mio nome è Lena. Io sono” provò a dire Lena.
“Empatica?”
“Stavo per dire ‘una mutante’ ma anche empatica va bene. Come lo hai capito?”
“Conosco un’altra come te.”
“Non ho mai incontrato qualcuno con le mie stesse capacità. Conosco un telepate però.”
“Non m’importa.”
“E anche un uomo che controlla i metalli.”
“Vediamo un po’, no, neanche di questo m’importa.”
“Perché mi hai aiutata se non t’importa di quelli come te?”
“Nessuno è come me.” Lena batté forte entrambe le mani sul tavolo.
“Io sono come te. Charles ed Erik sono come te.”
“Falla finita!” disse l’uomo alzando la voce. In quel momento però Lena sentì la terra mancarle sotto i piedi. Vide l’uomo davanti a sé cadere in acqua. La visione non era chiara, sembrava un fiume e allo stesso tempo una vasca. Quando ne riemergeva, i suoi artigli non erano più come li aveva visti. Sembravano di metallo.
“Ragazzina!”
La voce la scosse e Lena tornò a vedere il presente.
“Ragazzina, stai bene?” Stavolta la voce dell’uomo sembrava davvero preoccupata.
“Il tuo nome è Logan, giusto?” chiese lei respirando con fatica.
“Sì.”
“Ti succederà qualcosa per cui soffrirai, Logan. Non chiedermi cosa. Non lo so.” Logan rise.
“Mi sono successe talmente tante cose, ragazzina, che una di più o una di meno non farà grossa differenza!” esclamò assicurandosi che si reggesse in piedi da sola.
“Sei una persona gentile, Logan.”
“Non lo sono ma non ho potuto fare a meno di essere solidale con quelli come te.”
“Come me?” chiese la ragazza incuriosita.
“Quelli che non hanno più fiducia in un futuro.” Lena abbassò lo sguardo e si guardò le mani.
“I due ragazzi che sono venuti qui con me. Loro credono in un futuro. Io no.”
“La vita non è sempre come ce l’aspettiamo ma, credimi, non è neppure come la temiamo”, disse Logan prendendo il boccale sul tavolo e facendo un lungo sorso.
“Non fraintendermi. Io ho visto il futuro di tanta gente. Pochi istanti fa ne ho visto un pezzo del tuo. Ma è orribile conoscere in anticipo quello che accadrà,” sospirò Lena sorridendo amaramente “ per esempio capisci che non arriverai ad invecchiare con una persona accanto. E perdi fiducia in un futuro che ci sarà per tutti tranne che per te.”
“Ragazzina, io non vedo il futuro ma ho visto scorrere tanto, tanto tempo davanti a me. Quando ero convinto che certe cose non sarebbero mai successe o altre non sarebbero mai cambiate, ho avuto sorprese incredibili. Dai retta a  uno che ha appena qualche centinaio d’anni più di te!” esclamò Logan e Lena sorrise “dimentica ciò che vedi e goditi la vita.”
“Uno come te farebbe comodo nella nostra squadra!” disse la ragazza con maggiore entusiasmo.
“Squadra? Impossibile, io lavoro da solo.”
“Immagino che tu non sia un tipo che cambia facilmente idea.” Logan scosse il capo e sorrise.
“No, ragazzina. Ho la testa dura.”
“Allora io torno dai miei amici.” Logan la seguì fino alla porta e diede un’occhiata ai due uomini che parlavano col capomastro sul marciapiede di fronte.
“Sono quei due?” Lena annuì e Logan annusò l’aria “Quello a destra è uno stronzo”, disse indicando Erik “scegli quello a sinistra. Anche se non mi piace moltissimo, mi sembra più affidabile.” Lena lo guardò scioccata per un momento poi scoppiò a ridere.
“Mi dispiace tanto che tu sia un lupo solitario, saresti stato bene con noi.”
“Chissà, magari in futuro. Per ora di a quei due di sparire. Addio, ragazzina.”
Lena lasciò il bar e raggiunse la macchina proprio mentre Erik e Charles attraversavano la strada. Abbottonò il giubbino perché non vedessero lo strappo sulla maglietta e aprì lo sportello per infilarsi nella vettura. Prima di chiudere lo sportello sentì la voce di Charles.
“Non hai comprato nulla?”
“Non vendono acqua lì dentro!” esclamò Lena “E neppure pazienza. Se fossi i voi, lascerei perdere!”
Charles ed Erik entrarono nel bar per uscirvi un istante dopo. Salirono in auto ed Erik mise in moto senza dire una parola.
Solo quando erano di nuovo sulla superstrada direzione New York, Charles fece una sola domanda.
“Hai parlato con quel tizio?”
“Non aveva niente di cui parlare.” Rispose Lena che non aveva proprio voglia di dargli informazioni dopo che l’avevano praticamente emarginata da ogni discorso sin dal mattino.
Erik accese la radio nell’auto e nessuno aggiunse altro.

L’arrivo a New York avvenne di primo mattino. Lena si gustò l’alba che si allargava sulla baia dell’Hudson e il rosa dei primi raggi del sole che si specchiava sui vetri dei grattacieli di Manhattan.
Charles riferì ad Erik che cercavano un ragazzo di colore che faceva il tassista così quest’ultimo pensò di parcheggiare l’auto e cercare il taxi del ragazzo mutante.
Dopo un paio d’ore di attesa fuori dalla stazione dei taxi, fu Lena ad individuare la persona che stavano cercando. Erik propose un approcciò diretto e chiuse un paio di volte gli sportelli a degli ignari clienti che non riuscirono a salire sul taxi senza capire come mai. Richiamato da Charles, il tedesco mostrò quanto fosse seccato.
“Non aspetterò che scarrozzi gente qua e la. E’ un’ora che aspettiamo.”
“Non puoi spaventare la gente a quel modo!” esclamò Charles che però portò una mano alla tempia e convinse l’uomo d’affari che stava per montare sul taxi in questione ad andarsene. Lena raggiunse la vettura di corsa e si accomodò sui sedili posteriori. Charles ed Erik la imitarono lasciando a lei il posto di mezzo.
Lena percepiva la tensione di Erik e l’imbarazzo di Charles nello stare stretti sul sedile posteriore del veicolo. Ci pensò il tassista a levarli dall’impasse.
“Dove vi porto?”
“Fairfax, West Virginia”, disse Charles sorridendo bonariamente.
“Aereoporto o stazione?” chiese il ragazzo di colore che ricambiò con un sorriso altrettanto dolce.
“Il mio amico intendeva dire che vorremmo ci portassi tu a Fairfax.” Disse Erik con un sorriso più teso di quello dell’altro.
“Sono 244 miglia, signore!” esclamò il ragazzo.
“Meglio. Così avremo tempo di parlare!” disse Erik facendo scattare il contachilometri e chiudendo la sicura degli sportelli. Lena, a questo punto, sbuffò.
“Io mi chiamo Lena. Sono una mutante con il potere di rubare le emozioni e trasmetterle agli altri. Charles Xavier alla mia sinistra è un telepate. Erik Lehnsherr, alla mia destra, controlla i metalli. Ne hai avuto un piccolo assaggio.”
“Io sono Darwin”, si presentò ancora un p’ spaesato il ragazzo.
“E cosa sai fare, Darwin?” chiese Erik mentre Darwin metteva in moto l’auto.
“Mi adatto per sopravvivere. E’ un po’ difficile da spiegare. Devo portarvi davvero a Fairfax?”
“No!” sorrise Charles “Abbiamo l’auto nel parcheggio a due isolati da qui.”
“Siamo venuti a chiederti se ti va di fare un lavoro per cui non devi nasconderti per sopravvivere.” Chiese Erik. Darwin gli lanciò un’occhiata nello specchietto retrovisore e rise amaramente.
“Non posso pagare le bollette con le mie capacità!” disse ma in quel momento l’auto che veniva dalla direzione opposta scartò bruscamente nella loro corsia. Darwin frenò per evitare la macchina davanti al taxi che si era accartocciata contro quella che gli era arrivata di fronte.
“Darwin sta calmo!” fece Charles direttamente nella testa del ragazzo e lui sentì i suoi nervi rilassarsi immediatamente. Erik invece si voltò di scatto e tese una mano verso la macchina che li seguiva e che si avvicinava pericolosamente mentre allungava l’altro braccio per schiacciare Lena e Charles contro il sedile. La macchina rallentò bruscamente. Quando però il braccio di Erik toccò il collo nudo di Lena, lei percepì la tensione di Erik e capì che l’uomo avrebbe fatto schiantare tutte le auto tra loro pur di tenerli al riparo, si voltò verso Charles e gli toccò il viso con una mano. Charles comprese ciò che Lena voleva trasmettergli ed entrò nella mente di Erik.
“Erik, per favore, no! Si ferirà tantissima gente!”
“O moriremo noi!” gridò Erik. Fu in quel momento che Lena si girò verso Erik e lo guardò fissò negli occhi.
“Fidati di me!” Lo sguardo di Erik era tormentato. “Li bloccherò io!”
Erik quasi ringhiò ma allentò la presa sulle auto che ripresero a correre verso di loro. Lena montò in ginocchio sul sedile e si concentrò. Dal suo corpo si allargò una sorta di aura che avvolse il taxi e che impedì alle auto di scontrarsi. Mano a mano che Darwin rallentava, le auto dietro al taxi rallentavano dolcemente anch'esse sospinte dalla bolla di energia di Lena.
Quando la ragazza comprese che le auto si erano fermate, si lasciò andare. Erik la sostenne e l’adagiò tra le braccia di Charles.
“Che le prende?” chiese Erik evidentemente preoccupato.  Charles le asciugò del sangue che le era uscito dal naso e scosse il capo.
“Deve avere chiesto troppo a se stessa.”
“Vi porto al pronto soccorso?”
“No, Darwin, fammi un favore. Portaci alla nostra auto.” Darwin, preoccupato anche lui per la ragazza, rimise in moto e riuscì ad allontanarsi dal luogo dell’incidente. Lena era diventata pallida come un lenzuolo.
“Non avrei dovuto ascoltarla!” ringhiò Erik.
“Invece ha fatto la cosa giusta. Ha salvato tante persone.” Rispose Charles tenendo la mano di Lena. Darwin fermò l’auto e Charles ripose Lena tra le braccia di Erik, scese dal taxi e tirò fuori il suo borsone dalla loro auto. Prese una busta e dell’ovatta e tornò verso Erik. Asciugò di nuovo delicatamente il sangue dal naso della ragazza e dalla busta tirò fuori uno steto-fonendoscopio .
“Il battito è regolare. Erik stendila sui sedili posteriori. Darwin ci dispiace che tu abbia dovuto assistere ad una cosa del genere. Perdonaci.” Il mutante scosse il capo.
“Quella ragazza ci ha salvati tutti. Verrò con voi se mi volete ancora. Magari potessi dare una mano come ha fatto lei!” esclamò Darwin e Charles gli tese la mano.
“Benvenuto fra noi, allora!” disse il professore.
“Quando avete finito con i convenevoli, possiamo metterci in contatto con Moira? Non sono per niente convinto che Lena stia bene.” Mugugnò Erik e Charles si rabbuiò.

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Capitolo 5
*** Rivelazioni ***


 
Capitolo 5 : Rivelazioni
 
Lena mosse appena la testa senza aprire gli occhi. Sentì una mano stringerle appena l’avambraccio e provò ad aprire le palpebre che sentiva pesanti.
Ci riuscì solo dopo alcuni momenti. Charles era lì al fianco del letto con un’espressione preoccupata.
“Come ti senti Lena?”
“Come se mi fosse passato addosso un trattore,” rispose lei con voce incerta “dove siamo?”
“A Fairfax. Siamo tornati qui non appena sei stata male.”
“Allora ho rovinato tutto!” Charles le sorrise scuotendo il capo.
“Angel, Darwin, Alex e Sean sono tutti qui con noi. Sei stata d’esempio. Darwin ha raccontato a tutti quello che hai fatto. Pensa che Raven ha trovato un nome da battaglia per tutti noi. Persino uno per te!”
“Ho paura di sapere quale.”
“Saltire, è il nome dello scudo con la croce diagonale. Hank dice che ricorda la X di X men.” Rispose Charles.
“Allora tu sei il nostro leader, professor X.” Disse Lena ancora sofferente.
“Erik sarebbe più idoneo al ruolo, credo.”
“Dovresti avere più fiducia in te stesso, Charles.”
“Al gruppo che abbiamo creato serve una guida forte. Un uomo che sappia condurci attraverso una missione rischiosa come quella in cui affronteremo Shaw.” Alle parole di Charles, Lena s’intristì.
“Forse hai ragione, forse Erik è più adatto a questa missione.”
“Non c’è bisogno di leggere i tuoi pensieri adesso per capire che ti stai riferendo al fatto che non mi credi capace di uccidere.” Fece Charles alzandosi e dandole le spalle.
“Charles, per favore, non reagire così. Se tu sapessi cosa mi ha fatto, cosa ha fatto alla mia famiglia, capiresti perché lo desidero morto.” Charles si voltò e la guardò dritta negli occhi. Lena credette che lo scudo che la rendeva tanto fiera sarebbe crollato di fronte a quello sguardo.
“Quando capirete che l’odio genera odio, che la vendetta porta altra vendetta, che dalla morte non nasce vita? Mi dispiace Lena ma finché avrò un respiro, non permetterò a te o ad Erik di proseguire su questa strada.”
“Charles, ti prego, vieni qui!” disse allora Lena allungando una mano. Charles si risedette sul letto. “Ti prego di perdonarmi. Parlo di cose di cui non so nulla. Non ho mai ucciso nessuno. Forse è per questo che sono tanto attratta dalla forza di Erik. In cuor mio però so che tu hai ragione. Non riavrò mia madre anche uccidendo Shaw. Tuttavia so che fintanto che quell’uomo vivrà, io non sarò mai al sicuro e neppure tu o Erik o chiunque io voglia nella mia vita. Devi farmi una promessa.”
“Dimmi”, disse Charles sfiorandole appena una guancia per non innescare l’empatia.
“Non anteporre mai la mia salvezza alla tua. Devi promettermi che se il Professor X dovrà prendere una decisione difficile, avrà la forza di farlo.”
“Perché mi costringi ad una simile promessa? Ormai dovresti averlo capito anche tu che tengo a te in un modo che a parole non posso esprimere.”
“Perché io tengo a te allo stesso modo e ho visto gli effetti che questo nostro legame ti causerà. Io non voglio perderti, Charles, anche se questo significa separarci. Tu sei la persona più gentile che io abbia conosciuto in vita mia.” Charles sentì il vuoto sotto i suoi piedi.
“Ho promesso ad Erik che non mi sarei intromesso tra voi.”
“Caro Charles! Credimi, non sarai tu a separare me ed Erik.” Lo sguardo di Charles si fece interrogativo poi, qualcosa improvvisamente lo spinse a girarsi nella direzione della porta. “Charles che succede?” chiese Lena.  Moira piombò nella stanza.
“Charles, questo devi vederlo.”  Disse indicando un fascicolo. Fu in quel momento che Lena intravide Erik sulla soglia. Charles seguì Moira in salotto e Eric esitò un istante.
“Stai bene?” chiese.
“Mi sento meglio. Starò bene. Grazie per esserti fidato di me a New York.”
“Charles ti ha detto dei ragazzi?” chiese Eric cambiando appositamente discorso. Lena annuì.
“Quanto ho dormito?”
“Cinque giorni.”
“Cinque giorni?”
“Sì. Ad un certo punto credevo che non ti saresti più svegliata.”
“Non credo che vi libererete così facilmente di me!” esclamò lei sorridendo. Erik digrignò i denti.
“Non sei pronta.” Disse piano, con decisione. Lena si guardò entrambe le mani bianche più del lenzuolo.
“Questo non spetta a te deciderlo, Erik.”
“Non permetterò più che ti succeda una cosa simile. Tu puoi essere innamorata di Charles ma questo non cambia i miei sentimenti. Non ti esporrò più ad un simile pericolo.”
“Se tu sapessi davvero chi sono, non parleresti così.” Lena lo disse con calma freddezza. Ci credeva veramente. Erik però sbatté un pugno contro lo stipite della porta e lei sussultò.
“Se tu sapessi chi sono, allora non parleresti così.” Concluse l’uomo lasciando la stanza. Lena si alzò e lo seguì nel corridoio.
“Erik!” L’uomo non dava segno di volersi voltare. “Erik Lehnsherr!” Gridò ancora e stavolta Erik si fermò senza girarsi. “Smettila di credere di essere la persona peggiore dell’universo!” Erik strinse un pugno. “Smettila di pensare che il tuo futuro consista solo nella vendetta!” Non si mosse ancora ma avvertì che Lena era arrivata fino alle sue spalle. “Smettila di credere che nessuno possa amarti!” Qualcosa nel petto di Erik tirò e sussultò quando sentì la mano piccola di Lena sulla sua schiena. “Smettila di allontanare chi ti vuol bene.” Stavolta la voce di Lena era appena un sussurro. Erik sentì che doveva muovere un passo, solo un piccolissimo passo, quello sufficiente a staccare la sua schiena dalla mano della ragazza. In passato lo aveva già fatto. Aveva allontanato chi poteva dargli amore. L’amore era una debolezza per una creatura come lui votata alla più spietata vendetta. Eppure sentì i piedi farsi di piombo, come se il pavimento fosse fatto di quello stesso metallo che lui poteva attrarre con un semplice gesto.
“Non fuggire. Io l’ho fatto. E non sono arrivata da nessuna parte.” L’amarezza con cui disse queste ultime parole fece voltare Erik di scatto.
“Ti ha portata qui. Da me.” Lena sorrise.
“Qui a temere di farti del male. Di fare del male a Charles.” Erik l’afferrò per le spalle.
“Non a me. Accetterò da te qualunque cosa tu voglia darmi, persino il male.”
“Erik!” la voce di Raven era piena d’urgenza e il tedesco si voltò lasciando andare Lena.
“Che succede?”
“Charles dice che ci sono tracce di Shaw. Non vuole portarci!” Erik la seguì a grandi falcate e raggiunse Charles che parlava con Moira.
“Che diavolo è questa storia?” chiese Erik nervoso.
“Moira ha avuto delle informazioni. Sono sicure. Shaw s’incontrerà con il capo di stato maggiore sovietico per convincerlo a piazzare dei missili russi a Cuba.”
“Così farà scoppiare la terza guerra mondiale!” esclamò Lena.
“Allora muoviamoci.” Esclamò Erik.
“Moira sta già organizzando un passaggio sicuro verso la Siberia. L’incontro avverrà lì.”
“E i ragazzi? Perché non vuoi portarli?”
“Andremo solo noi due. Loro non sono pronti.”
“Avanti, Charles! Se non entrano in azione non lo saranno mai!”
“No, Erik. Ti dico che non sono pronti.” Disse il professore a voce alta “E neanche Lena verrà con noi.” Aggiunse nella sua mente. Erik annuì.
“Cara, perché non torni a letto?” fece Charles rivolgendosi a lei “Si tratta solo di una missione di spionaggio. Non ingaggeremo battaglia in territorio ostile. Vero Erik?” Il tedesco annuì.
Per una volta Lena e Raven ebbero la medesima reazione e lasciarono la stanza quasi contemporaneamente.
“Hank, prenditi cura di tutti loro, intesi?” Il ragazzo annuì e Charles seguì Moira ed Erik fuori dall’edificio. Un attimo prima di entrare in auto però si concentrò e parlò solo a Lena.
“Mi hai chiesto di prendere decisioni difficili. Se devo proteggere Erik da se stesso non posso pensare anche alla tua incolumità e se tu venissi con noi, penserei solo a te.” Il professore salì in macchina senza sapere quale fosse stato l’effetto delle sue parole giacché non poteva leggere la mente di Lena. La ragazza però si era nascosta dietro le pesanti tende della sua stanza e guardava l’auto che si allontanava dalla villa.
Si augurò che tornassero sani e salvi e promise a se stessa che, se tutto fosse andato per il meglio, avrebbe chiarito una volta per tutte le cose con entrambi gli uomini per cui provava qualcosa.
 
Erik e Charles si ritrovarono, ventiquattro ore di volo dopo, nel retro di un camion per il trasporto di paglia e foraggio diretto verso la dimora del capo di stato maggiore sovietico. Ovviamente in incognito, ovviamente con la consapevolezza che se qualcosa fosse andato per il verso sbagliato, la CIA li avrebbe abbandonati al loro destino.
Seduto in silenzio, Charles guardava il suo orologio e calcolava che ora fosse a Fairfax.
“Non c’è bisogno di avere i tuoi poteri per sapere che pensi a lei.” Disse Erik.
“Non mi è concesso neppure questo? Ti ho fatto una promessa e non mi sembra di averla infranta.”
“Te ne do atto. Eppure non c’è bisogno che tu faccia nulla per attrarla verso di te. Comunque non ce l’ho con te per questo. Sono amareggiato perché le permetti di esporsi. Sto cercando in tutti i modi di tenerla al sicuro.”
“Amico mio, anche io voglio che stia al sicuro ma occorre che lei impari a controllare le sue capacità. A New York ha salvato moltissime persone. Pensa in quanti modi potrebbe essere d’aiuto a quelli che sono meno fortunati di noi!”
“Questo è il tuo problema. Devi concentrarti su di lei, non su tutti gli altri!” A queste parole Charles si stizzì.
“Tu invece l’aiuti spingendola a vendicarsi di Shaw?”
“Ficchi il naso dappertutto e non sai che le ho detto che penserò io a Shaw?” lo rimbeccò Erik.
“Credimi se ti dico che non basta dirglielo!”
“Non permetterò che le accada qualcosa.”
“Allora non metterti nei guai. Contrariamente a quello che pensi, sono certo che ti seguirebbe ovunque, anche se per questo morissi di crepacuore!” esclamò Charles. A queste parole, Erik s’incupì. “Cosa c’è, adesso?”
“Non dire queste cose. Tengo a te almeno quanto tengo a Lena!”
“Allora non farmi morire tu di crepacuore!” disse Charles ma, proprio in quel momento, il camion fece una brusca frenata. Erik mosse velocemente una mano per impedire che le ante del camion fossero aperte ma Charles lo bloccò.
“Lascia fare a me. Non muoverti però!” disse mentre dei soldati russi ispezionavano il camion senza accorgersi di loro. Quando il pericolo fu scampato, Erik mise una mano sulla spalla dell’amico.
“Certo che i tuoi poteri sono straordinari. C’è ancora qualcosa che sai fare e di cui non so  nulla?” Charles sorrise ma non rispose perché il camion si fermò di nuovo. Stavolta fu Moira ad avvertirli che erano arrivati.
Nonostante le loro attese, ad incontrare il generale sovietico non c’era Shaw. Emma Frost, la mutante anch’ella col dono della telepatia che sempre accompagnava Shaw, si era presentata al posto suo.
Erik, su tutte le furie, si lanciò comunque all’inseguimento della bionda nemica e Moira ammonì Charles dal seguirlo.
“E meno male che non voleva farmi morire di crepacuore!” Esclamò l’inglese. “Mi dispiace Moira, non posso abbandonarlo.”
Charles riuscì a cancellare nei soldati la memoria del passaggio di Erik e arrivò dall’amico giusto in tempo per impedisse che ferisse a morte Emma Frost.
“Posso ritenermi soddisfatto,” disse Erik “è tutta tua! Fatti dire dov’è Shaw!” Charles si concentrò ma la donna sorrise.
“Che hai da ridere?” chiese Erik. Emma ghignò.
“Il professore è preoccupato per Saltire! E’ così che l’avete chiamata, giusto?”
“Saltire?” chiese Erik.
“E’ il nome che Raven ha dato a Lena.” Rispose Charles.
“Lena? Poveri illusi!” rise di nuovo Emma e Erik le fu addosso in un passo.
“Ti toglierò questa voglia di fare la strafottente, signorina di cristallo!” esclamò il tedesco riferendosi all’abilità di Emma di assumere la forma di diamante.
“Fa pure ciò che vuoi ma resti uno stupido Erik Lehnsherr.” L’uomo fece per colpirla ma Charles lo fermò.
“Lasciala parlare, Erik. Cosa sai di Lena?”
“Il suo nome non è Lena. E lei non è vostra amica. Fugge da Sebastian ma verrà il momento in cui dovrà tornare al suo fianco!”
“Che stai dicendo?” chiese Erik.
“Lena non starà mai dalla parte di Shaw” esclamò Charles “e il suo passato non c’interessa!”
“Stupidi. Quello è il suo destino. Può fingere quanto le pare di stare dalla vostra parte ma il sangue chiama il sangue!”
“Ti sbagli! Lei odia Shaw!” disse Charles.
“Questo non cambia il fatto che sia suo padre!” disse Emma e Erik sentì il sangue ribollire al punto che colpì la donna talmente forte da farle perdere i sensi.
“Erik, per l’amor del cielo! Potevi ucciderla!”
“Hai sentito cos’ha detto di Lena?”
“E tu vuoi credere a ciò che dice il braccio destro del nostro peggior nemico?” fece Charles fronteggiandolo “E ora, per favore, andiamo via di qui. Non riuscirò a bloccare tutti a lungo.”
Charles non diede modo ad Erik di dubitare che pensasse davvero ciò che gli aveva detto in quel momento ma la sua mente non riuscì più a smettere di pensare al fatto che Emma Frost avesse detto, indubbiamente, la verità.
 
Non avevano ricevuto alcuna notizia.
Moira non aveva fatto sapere se il contatto con Shaw c’era stato o meno. Leggeva mentre Hank, Raven e i ragazzi ridevano dei loro nomi di battaglia. Improvvisamente le risa furono interrotte da un rumore. Sembrava come un forte vento. Shila ringhiò. Lena scattò in piedi e richiamò Hank.
“Dobbiamo andarcene da qui.”
“Come? E perché?” rispose lo scienziato. Lena non poté rispondere perché la porta che chiudeva la stanza fu divelta e schizzò verso la finestra. Lena si nascose con Hank dietro il bancone della cucina un attimo prima che Shaw entrasse nella stanza.
“Salve a tutti voi!” fece Shaw spalancando le braccia “Probabilmente avete sentito parlare di me. Vi hanno detto che sono il cattivo, che sono un mostro. Ebbene scoprite da soli se è così. Io sono come voi, non come quelle persone qui fuori che vi prendono in giro con l’intenzione di sfruttare i vostri poteri. Loro vi useranno e poi vi sopprimeranno. Sopprimeranno ogni vostro talento! Unitevi a me! Diventate parte dell’inizio di una nuova era. Noi siamo i figli dell’atomo, gli eredi di questo mondo.”
Alex, Sean, Darwin e Raven indietreggiarono ma Angel prese la mano di Shaw.
“Angel, cosa fai?” chiese Darwin.
“Qui mi guardano peggio che al night club. Ci hanno reclutati per combattere, giusto? Bene. Io sto con il più forte.”
“Brava, bambina mia,” disse Shaw “ma c’è un’altra persona che deve venire via con noi. Dove ti sei cacciata, mia cara?” Lena rabbrividì ed Hank le strinse di più la mano. “Se non vieni fuori, mia cara, qualcuno si farà male!” Minacciò Shaw e la sua minaccia non rimase vana. Darwin pagò il conto della collera di Shaw e anche Alex e Raven avrebbero fatto la stessa fine se Lena non fosse corsa fuori dal suo nascondiglio.
“Fermati! Basta!” gridò la ragazza.
“Eccoti!” esultò Shaw battendo le mani come un bambino “sei cresciuta tanto, mia cara!”
“Non chiamarmi ‘mia cara’. Non hai ancora capito che l’unica cosa che desidero è vederti morto?” Shaw rise di gusto.
“Vorrei poter dire che somigli tanto a tua madre ma non è vero. Ho fatto uno splendido lavoro con te!” Alle parole di Shaw, Hank guardò Lena.
“Che significa? Tu lo conosci?”
“Sta indietro Hank!” gridò Lena “E tu,” disse rivolgendosi a Shaw “non nominare mia madre, non ne sei degno!” Una specie di bolla d’aria si espanse dal corpo di Lena e spostò indietro Shaw e i suoi da un lato ed Hank e gli altri ragazzi dall’altro. Approfittando del momento, Alex usò il suo potere per attaccare il mutante dalla pelle rossa e quello che aveva divelto la porta con il potere di creare turbini. Il primo afferrò la mano di Angel e quella del suo compagno e sparì per riapparire, da solo,  un istante dopo accanto a Lena. La ragazza, presa alla sprovvista, tentò di scappare ma finì per essere catturata da Azazel. Shaw si congedò facendo esplodere la struttura in cui Hank stava perfezionando Cerbero.
Raven fu la più veloce a riprendersi dallo shock.
“Questo non piacerà a Charles e anche Erik andrà su tutte le furie.”
“Darwin è morto!” esclamò Sean “Credo che sia abbastanza chiaro che non è stata una buona idea quella di mettersi contro quel tizio. Quello assorbe l’energia nucleare! Io frantumo il vetro con le corde vocali! Non è decisamente un avversario alla mia portata.”
Hank s’accorse che il più demoralizzato era Alex. Era l’energia liberata da lui che Shaw aveva usato per uccidere Darwin.
“Alex, non è colpa tua. Darwin voleva solo proteggere Angel. E’ lei che ha sbagliato.”
“Hank, Sean ha ragione. Lo hai visto anche tu, no? E’ troppo forte.”
“Rammolliti!” urlò Raven “Non possiamo abbatterci per quello che è successo! Angel è una traditrice ed è per colpa sua che abbiamo perso Darwin! Però possiamo andare in aiuto di Lena, no?”
“Davvero, Mystica?” la canzonò Sean.
“Anche se volessimo,” disse Hank cercando di calmare gli animi di tutti, “come faremmo a trovarli? Persino Cerebro è andato distrutto!” Raven sorrise.
“Siamo nel quartier generale della CIA! Da qui possiamo cercare e trovare qualsiasi cosa!”
“Sono d’accordo!” fece Alex.
“Anche se fosse, come entriamo nella sala dei bottoni? Non abbiamo autorizzazione per accedere alle aree riservate del palazzo!” Sbuffò Sean.
“Voi no,” fece Raven cambiando forma “ma io sì!” disse assumendo le sembianze di Moira. Hank sorrise sornione e i ragazzi, nuovamente combattivi, s’incamminarono per i piani superiori.
 
Il volo di ritorno dalla Siberia fu tremendamente silenzioso.
Moira era di pessimo umore. Avrebbe dovuto dare più di una spiegazione al suo capo e si augurava che la cattura di Emma Frost fosse elemento sufficiente ad evitare almeno il licenziamento.
Erik aveva messo su l’espressione peggiore che aveva in repertorio e non aveva proferito parola perso com’era nei suoi pensieri.
L’unico che manteneva un briciolo di ottimismo su come si sarebbero evolute le cose era Charles. Quella flebile speranza, tuttavia, mantenuta fino all’atterraggio e per tutto il tragitto che dall’aeroporto conduceva a Fairfax, si spense non appena fu in grado di vedere la sagoma dell’edificio della CIA in lontananza.
“E’ successo qualcosa!” si agitò ed Erik si sporse dal finestrino per dare un’occhiata. Un’intera ala del palazzo era in frantumi. Alla macchina fu impedito l’accesso all’area dell’incidente e Moira dovette mostrare il suo tesserino per farsi strada fino ad alcuni dei suoi colleghi.
“Cos’è successo qui?” chiese.
“Dovresti saperlo!” le fu detto di getto “Hai organizzato tu il primo soccorso.” Prima che Moira potesse obiettare che era appena rientrata dalla Siberia, Charles la prese per un braccio e la tirò indietro.
“Ho visto la sua mente. Hai coordinato tu i soccorsi. Dice la verità.”
“Ma io ero con voi!”
“Lo so,” disse Charles “è stata Raven, ha assunto il tuo aspetto.”
“E perché mai?”
“Perché così ha potuto portare fuori i ragazzi!” sputò Erik che si era allontanato per dare un’occhiata intorno “Non erano al sicuro qui! Noi cercavamo Shaw dall’altra parte del mondo e lui è venuto in casa nostra a farci questo!” disse gridando e gli oggetti di metallo nel giro di una ventina di metri cominciarono a tremare attirando l’attenzione di tutti i presenti.
“Calmati Erik. Moira, devono esserci delle riprese dell’accaduto. Fattele consegnare. Dobbiamo capire cosa è accaduto.”
Moira si diede da fare e dopo una ventina di minuti erano in una stanza dell’ala ancora in piedi dell’edificio a guardare le riprese degli avvenimenti.
“Ha ucciso Darwin! Ha preso Lena!” gridò Erik “Dannazione, Charles! Avremmo dovuto fare a modo mio sin dal principio!” fece uscendo e sbattendo la porta.
“Mi dispiace tanto, Charles.” Disse Moira mettendo una mano sulla sua. Charles si sforzò di sorriderle ma ciò che riuscì a tirare fuori fu una smorfia che sapeva di dolore.
“Scusami Moira, seguo Erik. Non vorrei che facesse qualche sciocchezza.”
Appena fu fuori dalla stanza, si lasciò andare contro una parete. Erik aveva ragione? Aveva sbagliato a raccogliere quei ragazzi, ad esporli al rischio. Aveva voluto lasciare Lena lì per non farle correre rischi e Shaw l’aveva rapita. Dal video non c’era alcun dubbio che la ragazza avesse fatto resistenza. Per non parlare di Raven. Era come una sorella per lui e l’aveva persa. A quel pensiero, tuttavia, si rianimò. Il video si concludeva con Raven che assumeva l’identità di Moira. Per quale ragione? Provò a ragionare come lei e si rialzò.  Con il suo potere, cercò Erik e lo individuò nell’ala rasa al suolo da Shaw.
Quando lo raggiunse lo trovò in piedi in quella che era stata la stanza di Lena.
“Erik, ho avuto un’idea. Credo di sapere dove sono andati i ragazzi. Se conosco bene mia sorella, sono certo che siano andati a cercare Lena ed Angel.” Erik non si voltò. “Erik, cosa c’è? Mi hai sentito?” A quelle parole, il tedesco si voltò. In una mano teneva uno zainetto, nell’altra un foglio che allungò a Charles senza dire una parola. Il professore lo prese e lesse. I suoi occhi blu si fecero, se possibile, più grandi ed intensi poi, si sollevarono fino a fissarsi sul viso di Erik.
“E’ tutto vero, Charles. Non si chiama Lena Pike. Il suo nome è Elena Schmidt. E’ figlia di Shaw.”
Charles avrebbe voluto dirgli che questo cambiava ogni cosa, che dovevano dimenticare i sentimenti che provavano per lei perché frutto di un mucchio di menzogne e che avrebbero dovuto pensare solo a Raven e ai ragazzi perché quelli sì, erano una loro responsabilità.
Camminò fino a fronteggiarlo e parlò.
“Amico mio, la prima volta che l’abbiamo incontrata ha pianto per il tuo dolore, ricordi?”
“E questo cosa c’entra?” quasi ringhiò Erik.
“Ha mentito sulla sua identità perché lei stessa soffre per essere la figlia di Shaw. Ha mai fatto niente di male nei nostri confronti? Quando le è stato possibile, ci ha aiutati. Per me, lei è Lena. Non ho intenzione di giudicarla per qualcosa di cui non ha colpa.”
“Se non ha colpa, perché ha mentito?” Charles si spazientì.
“Perché tu sei stato sincero?”
“Lo sono stato fin dal primo momento!” sputò fuori Erik accorciando la distanza fra loro.
“Non è vero, amico mio. Tu hai deciso fin dal principio di uccidere Shaw che io fossi d’accordo o meno. Dio solo sa se la pensiamo diversamente su un mare di cose ma io ho deciso che per me non avrebbe avuto importanza perché ho fiducia in te.” 
Erik abbassò lo sguardo e accartocciò il certificato di nascita di Lena. La rabbia che provava, in cuor suo lo sapeva, non dipendeva dalla menzogna che gli aveva raccontato Lena ma dalla sua incapacità di concepire che qualcosa che aveva a che fare con Shaw non meritasse di venire spazzato via dalla faccia della Terra. La voce di Charles tornò conciliante.
“Erik, ti prego, prova a ragionare. Lo hai visto tu stesso nel video. L’ha portata via con la forza. E come se ciò non fosse sufficiente, Shaw ha ucciso Darwin. Ora Raven e gli altri si sono messi sulle sue tracce. Non sanno niente dei rapporti tra Lena e Shaw. Dobbiamo trovarli prima che accada qualcosa di ancora peggiore.” Erik annuì.
“Ti aiuterò. Solo per i ragazzi. Loro sono una nostra responsabilità.” Charles si voltò e gli fece strada ma si fermò dove un tempo c’era la porta della stanza della ragazza.
“Lei lo sapeva.” Erik capì che si riferiva a Lena.
“Cosa?”
“Che vi sareste separati.” 
“Io non so perdonare, Charles.”
“Però l’ami.”
“Non al punto di perdonarla e se per proteggerla ti metterai contro di me, Charles, non perdonerò neanche te.”
Erik rimase immobile aspettando la reazione del suo migliore amico. Non accadde nulla. Charles s’incamminò come se le parole di Erik non gli avessero fatto male come fossero lame infilate nella schiena.
 
Lena si asciugò le lacrime col dorso della mano. L’avevano rinchiusa nel sotterraneo di una vecchia cementeria. Tutti i tubi di metallo e i macchinari che dovevano aver trovato posto laggiù erano stati smontati. Certamente Shaw temeva il potere di Erik. Di questo era certa. L’accesso al piano era rappresentato da una botola chiusa con assi di legno. Il suo potere psichico era inutile.
Il rumore di passi che percepì annunciò la visita. Shaw era solo. Poggiò un bicchiere pieno d’acqua su uno scalino e sorrise.
“Per te.” Lei non rispose. “Intendi mantenere il silenzio? Va bene. Parlo io, mia cara. Ti conviene valutare bene la tua posizione. Sei sola nella tana del lupo e credimi, per quanto apprezzi i tuoi poteri, sono del tutto inutili contro di me. Se credi che qualcuno verrà in tuo soccorso, ti sbagli grossolanamente. In Russia ho fatto in modo che la mia adorabile Emma informasse i tuoi amici del nostro rapporto di parentela.” A quelle parole, Lena non riuscì a nascondere la sorpresa. Strinse una mano nell’altra. “Ora che lo sai, puoi decidere con maggiore cognizione di causa. Per loro sei una traditrice. Lo sei anche per me, ma io sono tuo padre e, se sarai gentile e obbediente, io ti perdonerò.” Disse l’uomo allargando le braccia simulando misericordia. 
Lena agitò un braccio in modo violento e il bicchiere d’acqua s’infranse contro la parete.
“Come credi, figliola. Io sono un padre paziente. Ho aspettato finora, aspetterò ancora.” Shaw se ne andò come era arrivato. 
Lena si alzò e tirò un pugno contro il muro. Sapeva che sarebbe successo. Sapeva che prima o poi Charles ed Erik avrebbero scoperto la verità ma mai avrebbe voluto che accadesse in quel modo. Avrebbe voluto avere il coraggio di farlo lei stessa. L’avevano scoperto nel modo peggiore. Mentre non riuscì più a trattenere le lacrime, le venne da ridere. Poteva prendere in giro se stessa ma sapeva qual era la verità. 
Charles l’avrebbe biasimata per la menzogna, ne sarebbe stato deluso, ma avrebbe compreso. Lui avrebbe saputo perdonare. 
Erik no. Se mai c’era stato qualcosa tra loro, era tutto finito. Se mai l’avesse reincontrata, l’avrebbe uccisa. Forse le avrebbe dato la caccia come aveva fatto con tutti gli altri compari di Shaw. Si lasciò ricadere contro la parete. Sarebbe stato un buon modo di morire.
 
Il piano di Raven aveva funzionato alla perfezione. 
Nei panni di Moira aveva coordinato il primo soccorso alla sede della CIA e poi era riuscita a sfruttare la sfiducia che gli agenti avevano per i mutanti usando il rilevatore che avevano messo nell’uniforme di ognuno di loro per rintracciare Angel.
Il segnale li aveva condotti fino ad una vecchia cementeria non lontano da Fairfax. Hank le aveva confessato che non credeva affatto che quella potesse essere la base operativa di Sebastian Shaw e che probabilmente si era fermato lì solo per tendere una trappola ad eventuali inseguitori.
Alex e Sean non si erano tirati indietro neppure di fronte a questa possibilità e avevano convinto Raven che, se erano arrivati fin lì, dovevano fare un tentativo di salvare Lena.
“I ragazzi hanno ragione, Hank, siamo arrivati fino a qui. Siamo gli X men, no?”
“Saremmo gli X men se il professor X fosse qui con noi.” Ironizzò Hank dimostrando di voler andare dritto al punto. Anche Raven sapeva che con Charles ed Erik sarebbe stata tutta un’altra storia, però rifiutava l’idea di arrendersi.
“Lo so. Non voglio commettere imprudenze. Tu e Sean restate qui e vedete se riuscite a usare la radio di una di quelle jeep per contattare gli agenti di Moira. Se Shaw è qui, probabilmente anche gli altri sono rientrati alla base.” Sean provò a lanciare un’idea.
“Potresti amplificare una delle mie onde sonore verso quella mega antenna che hai costruito per il professore?”
“Cerebro è stato compromesso ma forse funziona ancora come ricevitore di onde radio. Possiamo tentare. Purtroppo i rilevatori delle nostre uniformi sono a corto raggio. Non ci troveranno a questa distanza da Fairfax. Vale la pena fare un tentativo. E voi cosa avete intenzione di fare?”
“Prenderò le sembianze di uno degli sgherri di Shaw. Cercherò Lena mentre Alex mi coprirà le spalle dall’alto. Cerchiamo di non farci scoprire.”
“E Angel?” Chiese Sean.
“Me ne occupo io, se ce ne sarà bisogno.” Rispose con determinazione Raven.
I ragazzi si divisero fiduciosi che sarebbe andato tutto per il meglio. 
Hank e Sean riuscirono a lanciare il loro sos mentre Raven assunse le sembianze di Azazel per entrare nella cementeria senza dare nell’occhio. Alex si nascose sul tetto e cercò di non perderla di vista nemmeno per un istante.
Raven fu davvero in gamba ad assumere di volta in volta le sembianze giuste per scoprire che Lena era nel sotterraneo. Vide Shaw in persona scender nella prigione di Lena e si nascose aspettando il momento giusto per intervenire. 
Aspettando il momento giusto però, ascoltò tutto il discorso di Shaw. Raven fu attraversata da un mare di emozioni. Lena non le piaceva. Sapeva esattamente per quale motivo. Era entrata nel cuore di Charles. Come se non bastasse, aveva conquistato anche Erik.
Lo aveva fatto giocando sporco. Perché era la figlia di Shaw. 
Tuttavia mentre stava per voltare le spalle a quella maledetta bugiarda, la vide piangere. 
Lena non era blu. Non aveva dovuto nascondere le sue sembianze per evitare di sembrare un mostro agli occhi della gente. Eppure si nascondeva esattamente come lei. Soffriva per ciò che era esattamente come lei. Decise che l’avrebbe tirata fuori da lì. Ci avrebbero pensato Charles ed Erik a farle pesare tutte le sue bugie. Uscì dal suo nascondiglio assumendo l’aspetto di Angel.
“Tu non mi sei mai piaciuta.” Disse guardando la sagoma rannicchiata contro la parete opposta.
“La cosa è reciproca.”
“Ammetto che sei stata brava ad ingannare tutti. Credevano davvero che fossi loro amica. Soprattutto il professore.”
“Sono loro amica.”
“Sei la figlia di Shaw.”
“Non l’ho scelto io.”
“Lui ti vuole al suo fianco. Sei la sua famiglia.” Lena rise.
“Non vuole me. Vuole le mie capacità.”
“Lo scudo?” Lena si alzò e guardò la sua interlocutrice dritta negli occhi.
“E tu che ne sai? Non mi hai mai visto adoperare lo scudo.” Angel rise mentre il suo aspetto cambiava. “Raven! Che ci fai qui?”
“Pensavo di dover andare in aiuto di un’amica. A quanto pare non è così.” Lena annuì.
“Dovresti andartene. Tra le fila di Shaw c’è una telepate.”
“Ho dato un’occhiata in giro. Ci sono solo quelli che hanno attaccato Fairfax. Adesso dimmi cosa vuole quell’uomo da te.”
“La mia capacità di prevedere gli eventi.” Raven lo trovò logico.
“Allora dobbiamo andarcene il prima possibile.”
“Mi aiuterai ugualmente?”
“Non mi piaci, lo sai, ma se non vuoi aiutare Shaw per me va bene. Ti farò uscire di qui ad una condizione.”
“Dimmi.”
“Te ne devi andare.”
“Come?”
“Hai capito. Te ne devi andare. Devi sparire dalla vita di Charles. Lui non si merita questo.” Lena annuì.
“Lo capisco.” 
Raven prese le sembianze di una guardia e guidò Lena fuori dal sotterraneo. Si sentì al sicuro quando riconobbe di nuovo la sagoma di Alex. Commise un’errore perché un vortice di aria violenta le colpì entrambe. La voce di Shaw invitò Raven a rivelarsi.
“Non avrete un’altra possibilità. Unitevi a me o morirete qui e ora. Sappi, Lena, che preferisco ucciderti piuttosto che dare il tuo dono a qualcun altro.”
“Lei non è una tua proprietà!” Urlò Raven riprendendo il suo aspetto.
“Di più, invero! Lei è una mia creazione.” Raven stava per reagire quando sentì la mano della ragazza al suo fianco stringere sul braccio.
“Ad ogni modo preferisco morire che passare dalla tua parte.”
“E sei disposta a sacrificare la vita della tua amica?” Lena guardò Raven e poi suo padre. Scosse il capo.
“Brava bambina.”
“Devi lasciarla andare. Lasciala andare e avrai ciò che vuoi.”
Shaw avanzò verso le due donne e Lena fece un passo avanti come a voler fare da scudo a Raven. Shaw allungò una mano verso di lei ma, in quel momento, una serie di pali di ferro che erano accatastati sul tetto dell’edificio piombarono intorno all’uomo, bloccandolo.
Lena e Raven alzarono lo sguardo all’unisono e videro, in cima alla scala di cemento nudo che scendeva nello spiazzo in cui erano, Erik e Charles. 
Il mutante che controllava il tornado tentò di mandarli al tappeto con uno dei suoi vortici ma  Sean che era sopraggiunto con Hank, lanciò contro di lui uno dei suoi urli disumani e lo stese.
Azazel, valutando una palese inferiorità numerica, sparì e ricomparì alle spalle di Shaw e lo liberò.
“Non ce ne andremo senza Lena.” Ordinò Shaw e Azazel sparì di nuovo. Lena però fu più lesta e prese a correre in mezzo alle colonne di cemento armato per nascondersi.
Charles tuttavia, fu più rapido di tutti e bloccò chiunque fu in grado di controllare evitando di coinvolgere Lena ed Erik.
“Erik non riuscirò a fermare Shaw a lungo. E’ molto potente. Trova Lena!” Erik invece che dargli ascolto, raggiunse Shaw e lo colpì sbattendolo a terra. Questo ebbe l’effetto di liberare il mutante dal controllo di Charles.
“Erik!” Gridò il professore per cercare di fermare la rabbia dell’amico.
“E’ inutile, mio straordinario telepate! Erik non conosce niente altro che rabbia e rancore. Lo so perché è opera mia. Quello che non ha ancora capito è che rabbia e rancore mi rendono più forte.” Disse con calma Shaw schioccando le dita. Un specie di bomba esplose tra le colonne della cementeria scaraventando Lena di nuovo nello spiazzo. La ragazza si lamentò. Charles nel vederla dolorante a terra, perse il controllo del suo potere su Azazel e Riptide. Azazel raggiunse Lena e la sollevò stringendola per il collo.
“No!” Urlò Charles liberando anche i suoi compagni e temendo il peggio. 
Erik invece ne approfittò per portare un pezzo di metallo affilato alla gola di Shaw. L’uomo rise nonostante il metallo gli stesse lacerando la pelle.
“Facciamo uno scambio. Tu mi lasci vivere e io lascio vivere Lena.”
“Dovrebbe importarmi?” Chiese sprezzante Erik.
“Decidilo tu. Fai in fretta perché non le resta molta aria nei polmoni.” Erik non si voltò a guardare la ragazza. Spinse ancora un po’ il metallo nel collo di Shaw. La voce di Charles fu subito nella sua testa.
‘Ti ha portato via tua madre. Vuoi che ti porti via anche lei?’ La mano di Erik, quella che controllava l’arma improvvisata alla gola di Shaw, tremò appena. Rispose mentalmente a Charles.
‘Non la ucciderà. E’ sua figlia.’ 
In quel momento però percepì l’angoscia che Charles stava provando. 
“Oggi è il tuo giorno fortunato.” Disse a Shaw allentando appena la pressione della lama. Shaw fece un cenno ad Azazel e lui lasciò andare Lena che ricadde in terra.
Erik mollò definitivamente la presa sull’arma e Azazel si affrettò a farli sparire tutti. 
Charles corse da Lena che respirava a fatica.
“Come stai?” Chiese con un’espressione carica di apprensione e con un tono di voce calmo e dolce. La ragazza non rispose. Sollevò lo sguardo e, quando incrociò quello di Raven, si ricordò della promessa che le aveva fatto.
“Sto bene.” Charles l’aiutò ad alzarsi.
“Ce la fai a camminare?” Chiese ancora ma Raven rispose al suo posto seccata.
“Ce la fa! Sta bene. Lo vedi da te, no? E comunque ce l’avete fatta ad arrivare. Voi siete andati a cercare Shaw e noi lo abbiamo trovato!”
“Non è un cosa su cui scherzare, Raven. Non avreste dovuto avventurarvi in una cosa simile senza di noi!” Raven scosse le spalle e si girò prendendo a camminare verso l’uscita.
“Raven! Dove vai? Non abbiamo ancora finito.” Esplose Charles seguendola. Anche Sean, Alex ed Hank fecero lo stesso.
Lena rimase immobile a guardarsi i piedi. Erik la superò senza dire niente. Lei sentì il suo cuore fermarsi un attimo. Guardò le spalle dell’uomo che si allontanava mentre le lacrime cominciavano a pungerle gli occhi e la vista si faceva liquida. Quando lo vide girare l’angolo, trovò la forza di voltarsi a propria volta e prendere la direzione opposta.
Si nascose dietro una colonna appena in tempo. Charles era tornato indietro a cercarla.
“Lena! Lena dove sei?” Nell’udire la sua voce Lena non riuscì più a trattenere le lacrime. Si coprì la bocca con una mano per evitare che lui la sentisse singhiozzare.
‘Mi dispiace professore, non sono una che puoi leggere io.’ Pensò. Lo vide camminare avanti e indietro per qualche attimo poi fermarsi e mettere le mani sui fianchi. Guardò in terra e poi in cielo. Quando lei si convinse che sarebbe andato via, parlò.
“Lo so che sei ancora qui. Lo so. Lo sento. Anche se non posso leggere la tua mente. Perché non vuoi venire via con noi? Pensi che essere la figlia di Shaw sia una colpa? Nessuno nasce buono o cattivo, Lena. Io non posso leggere la tua mente. Potrei sentire le tue emozioni se venissi fuori e mi sfiorassi. Tu potresti sentire le mie. Sapresti. Non andartene senza una parola.” 
Lena piangeva soffocando i singhiozzi. Non poteva. Anche se lo desiderava con tutta se stessa. Poi percepì la presenza di Erik.
“Se n’è andata perché sa che sappiamo la verità. Me lo ha detto Raven. Se mai tu ti sei fidato di lei, lei non si è fidata di te.”
“Però l’hai salvata. Hai lasciato andare Shaw.”
“L’ho fatto per te. Perché tu l’ami. Ora andiamo.” Lena sentì le gambe cedere e si lasciò scivolare contro il cemento armato. Entrambe le mani sulla bocca.
Charles infilò entrambe le mani in tasca e si diresse verso l’uscita senza aggiungere altro.
Lena si asciugò gli occhi con il dorso di una mano e si decise ad andare via. 
Eppure non si muoveva. Fu quando si rese conto che non riusciva a mettere un passo che capì che era il metallo nella sua cintura che la tratteneva. Non si voltò. La voce di Erik la trafisse.
“Credevo fossi coraggiosa. Credevo fossi sincera. Credevo fossi determinata. Invece sei una smidollata, vigliacca, bugiarda e patetica ragazzina. Fai bene a sparire senza lasciare traccia. Non meriti la bontà di Charles.” 
Fu allora che Lena si voltò, gli occhi pieni di lacrime.
“Non la merito. Per questo vado via. Tu hai ragione su tutto. Hai sempre avuto ragione. Non ti dirò che i miei sentimenti per voi sono stati sempre sinceri e non ti chiederò perdono per i miei sbagli. Tu sai, meglio di chiunque altro, che siamo il frutto di ciò che abbiamo vissuto. Io non posso essere migliore di così. Quindi ora lasciami andare.”
Le lacrime sul viso di Lena cadevano senza sosta. Erik sentì qualcosa tirare dentro.
“Lui ti ama.” Udendo quelle poche parole, Lena gridò.
“Smettila di ripeterlo! A te che diavolo importa?” Erik strinse un pugno e Lena fu tirata fra le sue braccia. Lui la strinse e Lena sentì i sentimenti di Erik entrarle dentro con prepotenza. Lui le prese il viso bagnato tra le mani e la baciò incurante di quali emozioni sarebbero rimbalzate da Lena fino alla sua mente.
Lei si lasciò andare, stanca di resistere ai suoi stessi desideri. Quando le loro bocche si separarono, Erik mollò la presa sul metallo della sua cintura.
“Il dolore che ti porti dentro è il mio stesso dolore. Non andartene. Io ti amo. Non voglio perderti.” Lena rimase attaccata al petto di lui come se fosse fatta anche lei di metallo e non riuscisse a staccarsene.
“Se resto uno di voi due soffrirà.” Disse sottovoce ma con fermezza.
“Sia io che Charles ne siamo consapevoli.”
“E le mie visioni? Ti sei dimenticato le mie visioni di morte?”
“Ti ho già detto che lo proteggerò. Vi proteggerò entrambi.”
“Ho promesso a Raven che se mi avesse liberato da Shaw, sarei sparita.”
“Capirà.”
“Non lo farà.”
“Non è una bambina.”
Lena trovò la forza di lasciare il caldo abbraccio di Erik e lo guardò negli occhi.
“Andiamo allora.”
Quando raggiunsero gli altri, Lena andò subito con lo sguardo a Charles. Lo sguardo di lui era caduto subito sulla mano di Lena stretta in quella di Erik. Lei ebbe la tentazione di ritirarla ma non lo fece. La forza di Erik l’attraversava ed era l’unica cosa che la teneva in piedi. Charles la guardò e le sorrise con dolcezza. Dopodiché si voltò e raggiunse Moira e Raven.

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Capitolo 6
*** Transizioni ***


Capitolo 6 : Transizioni


Gli eventi di quella giornata avevano fatto dimenticare a tutti per un momento che Darwin era morto durante l’attacco di Shaw alla CIA.

Charles aveva condotto tutti a Westchester. Per lui non era solo una casa. Nella sua mente era un rifugio per mutanti. Aveva maturato quell’idea nei lunghi anni in cui lui e Raven erano cresciuti tra quelle mura da soli.

Lena era rimasta affascinata dall’immenso palazzo. Se n’era andata in giro tra i corridoi bui per un po’. La stanchezza l’aveva colta mentre si era raggomitolata sul divano della biblioteca a leggere la tesi di laurea di Charles. 

Lasciò il pesante volume e sentì la mancanza di Shila. Il suo pastore tedesco era un’altra delle vittime dell’attacco di suo padre a Fairfax. Pianse. Aveva condiviso con lei la sua vita com’era stata prima di incontrare quelle persone e si sentiva in colpa per non aver tentato di salvarla o di ritrovare il suo corpo per darle sepoltura.

Si alzò con l’intento di raggiungere la sua camera quando si accorse della sagoma di Charles sulla porta.

“Sei ancora sveglia?”

“Sto andando a dormire. Sono molto stanca.”

“Certo.” Disse lui facendosi da parte per lasciarla passare.

“Non hai niente da dirmi?” Fece lei fermandosi ad un passo da lui e guardandolo negli occhi. Lui scosse il capo.

“Ti ho sentito. Alla cementeria. Quando mi hai chiesto di non sparire senza una parola.” Charles abbassò lo sguardo.

“Però lo hai fatto.”

“Sono rimasta.”

“Lo hai fatto per Erik.”

“Lui non ha paura di toccarmi.” Charles sorrise nervosamente.

“E io ho promesso che non mi sarei messo fra voi.”

“Quindi Erik si sbaglia. Tu non provi niente per me.”

“Ti sono affezionato. Mi preoccupo per te.”

“Affezionato?” Chiese Lena con voce alterata. “Shila era il mio cane e l’amavo. Cosa sono? Un animaletto da compagnia? L’ennesimo da collezionare?”

E accadde. Lena lo percepì un istante prima. Il cristallo del pesante lampadario della biblioteca prima tintinnò, poi tremò vistosamente e, infine, esplose. Charles entrò nella biblioteca e si inginocchiò vicino ad alcuni frammenti.

“Non fare l’errore di credere che io sia in grado di controllare ogni cosa, Lena. Siamo qui per allenarci a fronteggiare la minaccia di Shaw. Ti aiuterò col tuo potere se lo vorrai. Sarò sempre qui per te. Non giudicherò né ostacolerò le tue scelte. Per quanto mi riguarda, non hai sbagliato a scegliere Erik. Lui sa meglio di me di cosa hai bisogno. Buonanotte.”

Lena tornò nella sua stanza ma non riuscì a chiudere occhio per tutta la notte.




L’indomani l’addestramento della divisone G della CIA cominciò con i fuochi d’artificio. Letteralmente.

Alex non sembrava in grado di controllare le sue capacità ed Hank si offrì di costruire un meccanismo che lo aiutasse ad indirizzare l’energia scaturita dal suo corpo.

Sean e Moira si concentravano negli esercizi vocali del primo mentre Erik aveva chiesto aiuto a Charles per trovare nuove applicazioni del suo potere. 

Raven e Lena rimasero sole in palestra. Era solo una questione di tempo prima che arrivassero al confronto. Lo sapevano entrambe.

“Tu non dovevi sparire?”

“Lo so. Mi dispiace, non ne sono stata capace. Ad ogni modo sappi che mi sono allontanata da Charles.” Raven riprese il suo aspetto blu e le si parò di fronte minacciosa.

“Ti sei allontanata da Charles e ti sei avvicinata ad Erik. Forse non sono stata chiara. Devo toccarti per farti sentire come mi sento al riguardo?” Lena sostenne lo sguardo.

“No. Semplicemente credevo che i tuoi fossero i sentimenti di una sorella. Credevo che ti piacesse Hank.”

“E io credevo che ad Hank piacessi io ma ad Hank piace la Raven bionda non la vera me.”

“Mi dispiace.” Disse sinceramente Lena.

“Ad Erik piaccio come sono.” Precisò Raven.

“Quindi vuoi che stia fuori dai piedi di entrambi.”

“Esatto.”

“E se non fossi d’accordo?”

Non ci fu bisogno di attendere una risposta. Un calcio la raggiunse al torace e la scaraventò a terra. 

“Devo aggiungere altro?” Chiese Raven mentre Lena si toccava il petto dolorante. La mutante si girò per andarsene ma qualcosa glielo impedì. Si voltò e vide Lena in piedi, sguardo carico d’astio, pugni chiusi. Una specie di bolla di energia aveva bloccato Raven al centro della stanza. Provò a fare resistenza ma, più ci provava, più la stretta si faceva pesante. Poi arrivò la paura. Raven non capì inizialmente cosa fosse perché lei non aveva mai provato paura di Lena. Realizzò che era la sua stessa paura di perdere Charles, di non essere all’altezza delle aspettative di Erik, di essere tagliata fuori dalla vita di entrambi che stava provando. Si sentì soffocare e, mentalmente, invocò l’aiuto di Charles.




Charles era a disagio. Lo era con le armi in generale ma ora, con un’arma in pugno puntata alla testa di Erik, lo era ancora di più.

L’altro rideva.

“Avanti, spara!”

“Lo faccio.”

“Fallo.” Lo incitò l’amico. Charles strinse meglio la mano intorno al calcio della pistola ma, dopo un istante in cui aveva davvero pensato di poter premere il grilletto, abbassò la mano.

“Non spareresti neppure al tuo peggior nemico, vero? Eppure sai perfettamente che posso fermare il proiettile.”

“Se sai che puoi farlo non è una vera sfida. Vieni con me.” Disse Charles per nascondere quanta verità si nascondeva nelle parole di Erik. Questi lo seguì fino al confine della casa con l’ampia proprietà della famiglia Xavier. “Vedi quella grande antenna laggiù? Ruotala verso di noi.”

“E’ gigantesca. Non l’ho mai fatto.”

“Avanti!” Lo canzonò Charles. “Che fine ha fatto l’uomo che voleva sollevare un sottomarino?” Erik fece una smorfia ma non si tirò indietro.

Provò e riprovò ripetute volte ma la grossa parabola di metallo non si mosse di un millimetro. La voce di Charles arrivò ad allentare la frustrazione.

“Posso?” Disse muovendo due dita accanto alla tempia, chiedendo così ad Erik il permesso di sondare la sua mente. “Sono convinto che la tua forza non sia nella rabbia ma tra essa e la serenità. Proprio lì, nel mezzo.” Erik annuì e Charles si addentrò nei pensieri più reconditi della mente dell’amico.

Vide il ricordo di sua madre che gli insegnava una canzone nella loro lingua. Erik sentì una stretta al cuore. Una lacrima gli cadde dal viso. Charles si commosse a propria volta. Avrebbe voluto lasciare la mente di Erik ma la sua fu attratta dall’immagine di Lena. Erik la stringeva tra le braccia e le confessava il suo amore. Si staccò da lui. Erik lo guardò con un’espressione confusa.

“Cosa c’è?” Gli chiese.

“Nulla,” rispose Charles asciugandosi una lacrima, “il ricordo di tua madre mi ha commosso.”

“Grazie per avermelo reso. Non pensavo che ci fosse ancora.”

“Prova ora.”

Erik si concentrò. Concentrò i suoi pensieri sul ricordo di quella canzone e qualcosa dentro di lui reagì. Come se un fiume in piena fosse riuscito a romperne gli argini, il potere di Erik traboccò dalle sue mani e l’enorme antenna ubbidì ai suoi comandi e roteò nella loro direzione. Erik si voltò a guardare Charles pieno di gioia. Lo sguardo dell’amico tuttavia non sembrava condividere quel sentimento.

“Charles, che c’è? Qualcosa non va?” Il professore avrebbe voluto rispondere che andava tutto bene, che era fiero dei suoi progressi, che il ricordo in cui lui confessava a Lena i suoi sentimenti non lo aveva ferito. Stava per aprire bocca per rassicurare Erik quando la voce di Raven raggiunse la sua mente.

“Raven è in pericolo.” Disse e corse via correndo. 




Lena non riusciva a controllarsi. Avrebbe voluto allentare la presa sulla compagna ma una rabbia incontenibile e un dolore fortissimo la possedevano.

Era come se si trovasse in un luogo buio e silenzioso dove i rumori, le voci, ogni cosa, arrivavano ovattate. 

A malapena sentì la voce di Charles.

“Lena! Lasciala andare! Lena, per l’amor del cielo, smetti!” 

La ragazza si sforzò di ascoltarlo ma non riusciva a smettere di tenere i pugni stretti. Sentì, sempre come fosse lontanissimo, anche la voce di Erik.

“Lena! Smetti, stai sanguinando!” Erik fece per prenderla per un braccio ma Charles lo fermò.

“Non farlo. Sommerai le tue emozioni alle sue. Lascia fare a me.” Erik fece un passo indietro. “Lena, calmati. Non sono le tue emozioni. Mi hai sentito? Non provi alcuna rabbia, non provi alcuna paura. Non sono le tue emozioni.” Charles parlò sottovoce, lentamente, e Lena parve comprendere le sue parole. Lasciò andare i pugni e Raven fu liberata dallo scudo che la teneva intrappolata.

Lena cadde sulle ginocchia e si rese conto che le sanguinava il naso. Erik fece per aiutarla ma lei sollevò il viso in lacrime e lui non ebbe cuore di dire nulla. Lei corse fuori dalla stanza. Erik la seguì e la fermò fuori dalla casa.

“Lena, fermati, non hai fatto nulla di sbagliato!” Lei si voltò ed era furiosa.

“Nulla di sbagliato? Nulla di sbagliato! Ho quasi ucciso Raven!”

“Siamo qui per imparare a gestire i nostri poteri. Può succedere di perdere il controllo. Poteva succedere ad ognuno di noi.”

A Lena venne in mente, per un momento, il lampadario della biblioteca che Charles aveva mandato in frantumi con la forza del pensiero. Lo scacciò.

“Erik, io sono pericolosa.”

“No,” rispose lui “tu sei potente. Devi solo accettarlo e imparare a usare il tuo dono.”

“Non è un dono, è una maledizione!” Gridò lei.

“Non lo è.” La voce che pronunciò queste parole era di Charles. Il professore camminò fino a sopravanzare Erik. “Nessuno nasce buono o cattivo, ricordi? Lascia che ti insegni a controllare le tue emozioni. Erik t’insegnerà a governare lo scudo. Ce lo avevi chiesto a Fairfax. Manteniamo tutti le nostre promesse. Raven ha capito che non è stata tutta colpa tua. Ti ha provocata e, quando ti ha colpita, le sue emozioni sono entrate in te. Tu gliele hai ribaltate contro. Se imparerai a controllare le tue emozioni, non accadrà più.”

Charles ci credeva e Lena si convinse a fare altrettanto.




Gli addestramenti continuavano nel palazzo. Tutti si impegnavano con lo scopo di migliorare e potersi rendere utili nella missione di fermare Sebastian Shaw. Moira portava informazioni di una crescente tensione tra Stati Uniti e Russia che rischiava di far scoppiare una guerra nucleare. Di Shaw però non c’erano tracce. Era come se l’uomo fosse scomparso.

Hank, Sean, Alex e persino Raven avevano fatto progressi. L’unica ancora bloccata dopo un’intera settimana era Lena.

Era riuscita ad imparare da Charles a controllare le sue emozioni ma era ancora ad un punto morto con il controllo dello scudo. Senza quello non era Saltire, senza quello era inutile alla squadra.

Erik la richiamò all’ordine.

“Lena, concentrati. Di nuovo. Allunga il tuo scudo fino a me.” La ragazza provò di nuovo a proiettare la sua bolla di energia psichica fuori da se stessa ma non riusciva ad allungarla oltre qualche metro.

Charles se ne stava appoggiato ad un albero con le braccia conserte a guardare gli sforzi dei due. Erik si avvicinò.

“Forse ti serve un incentivo. Charles, usa il tuo potere su di me e convincimi che sto soffocando.”

“Erik, non è il modo migliore. Non credi?”

“Fallo ti dico.” Lena sbottò.

“Shaw ha usato tua madre per convincerti a muovere quella maledetta moneta che ti porti dietro, non è servito.” 

“Vediamo se a te andrà meglio.” Disse Erik prima di cadere in ginocchio. Sembrava che stesse davvero soffocando. Lena si voltò a guardare Charles. Aveva due dita premute contro la tempia.

“Charles, no!” Gridò Lena e tornò a guardare Erik. Il desiderio di proteggerlo fu più forte di qualunque altra emozione lei percepisse intorno al suo corpo.

Sollevò una mano e lo scudo si allungò fino ad Erik poi sollevò l’altra mano ed esso si allungò fino a Charles.

Erik si alzò e applaudì. Se Lena provò orgoglio, durò un attimo. Il tempo che ci volle a percepire le emozioni dei due uomini e scoprire che l’avevano ingannata. Charles non aveva mai usato il suo potere su Erik.

Invece che gioirne, si sentì offesa. Trattata come una bambina. Corse via e raggiunse la sua stanza. Si chiuse a chiave ma era un’illusa a pensare che tanto servisse a tenere fuori Erik.

L’uomo fece scattare la serratura e aprì la porta.

“Lena, non arrabbiarti.” Tentò con modi gentili del tutto inusuali per Erik.

“Avevi detto che non mi avresti mai mentito.”

“Lo so. Chiedo venia. E’ stata una bugia a fin di bene. Ne hai dette anche tu, no?”

“Ho pensato che stessi soffocando per davvero e ho avuto paura.” Erik le carezzò il viso.

“Non sono così fragile. Sono il signore dei metalli, ricordi? E poi non hai avuto paura. Se avessi avuto paura ti saresti paralizzata. Hai fatto del tuo meglio. E’ diverso.”

Lena percepì, nel contatto pelle contro pelle, l’orgoglio di Erik, il suo desiderio. Si mischiò all’adrenalina che ancora le circolava in corpo e quelle emozioni rimbalzarono su Erik.

Lui, incapace di trattenersi oltre, azzerò lo spazio tra loro e affondò la bocca in quella di Lena che gemette tra le sue mani che le tenevano il viso.

Per la prima volta si lasciò andare. Ricambiò quel bacio e portò le mani tra i capelli di Erik.

Sentì la sorpresa e il piacere di lui e lo tirò ancora di più a sé. Erik la spinse sul letto e infilò una delle mani sotto la sua canotta mentre l’altra rimaneva attaccata al suo viso.

Fu a quel tocco che Lena si perse. Il desiderio di Erik era troppo forte per poter essere controllato. Lei lo sentì scendere sotto ogni centimetro della sua pelle e, attraverso la sua bocca, restituì ogni singolo brivido all’uomo.

Erik le strappò via i bottoni dei jeans ormai incapace di fermarsi. Non lo avrebbe fatto. 

Se non avesse sentito la voce di Charles nella sua testa.

‘Erik, Erik, fermati. E’ lei che ti vuole o sei tu che la confondi? Parlale.”

Erik si staccò da Lena con una fatica tremenda. Quando le loro labbra si staccarono, Erik si accorse che le pupille di Lena si strinsero e il suo sguardo tornò normale.

“Dimmi che non ero da solo in tutto questo.” Fece lui mettendosi a sedere e passandosi le mani in faccia. Lei sorrise.

“No, ma ti confesso di essermi persa quando hai infilato le mani sotto alla maglia.” Disse lei sistemandosela.

“Perfetto. Allora è meglio che calmi i miei bollenti spiriti. Devo bere.”

“Erik, scusa.”

“Non chiedere mai scusa per questo.”

Lui le posò un leggerissimo bacio tra i capelli e lasciò la stanza. Lena sentì che parlava con qualcuno nel corridoio. Si affacciò e vide Charles che si allontanava. Sul viso aveva un’espressione preoccupata.

“Che succede?”

“Moira ha saputo che i russi stanno portando una nave carica di missili nelle acque di Cuba. Se lo faranno, scoppierà davvero una guerra. Vorrei poter fare qualcosa.” Lena gli toccò un gomito. Voleva consolarlo ma la sua mente fu trascinata in avanti in una visione. C’era una spiaggia, c’erano Erik e Charles. C’era lei e c’era Shaw. Charles capì che qualcosa non andava.

“Lena, cosa stai guardando?” La ragazza si riebbe.

“Una spiaggia. La squadra che abbiamo formato e Shaw.” Charles trovò tutto molto logico.

“Shaw è a Cuba. Sta orchestrando lui tutto questo. Devo parlare con Erik e Moira.”

Lena lo vide prendere la via per il piano inferiore.

“Sei stato tu a fermarlo?” Chiese a bruciapelo. Charles si bloccò come le persone che lui metteva in stand by con le sue capacità. 

“Non avrei dovuto?” Lena lo vide infilare le mani in tasca e far dondolare il suo peso da un piede all’altro. Si avvicinò camminando lentamente, un piede davanti all’altro come se lo stesse facendo su un filo invisibile. Le mani dietro la schiena.

“Eravamo fuori controllo. Grazie. A volte, però, vorrei che tu esprimessi i tuoi sentimenti come fa Erik.”

“A volte vorrei anche io.” Disse lui voltandosi e raggiungendo la scala.




Quando Charles rivelò a Moira ed Erik le informazioni contenute nella visione di Lena, Erik espose con semplicità la sua opinione. Bisognava andare a Cuba e fermare Shaw.

Con fermare, Erik intendeva uccidere e, quando Moira lasciò la stanza per sentire i suoi superiori alla CIA, Charles disse la sua prendendo una scacchiera e invitando l’amico a giocare.

“Quante mosse mancano alla fine della partita?” Chiese guardando Erik. Lui fissò la scacchiera, accavallò le gambe e rispose.

“Davvero poche, amico mio.”

“E intendi perseguire i tuoi scopi iniziali?”

“Se per scopi iniziali intendi uccidere Shaw, sì.”

“Tutto il tempo passato assieme non ti ha mostrato la verità?”

“Oh sì, me l’ha mostrata. Mi ha fatto comprendere che Shaw è la più grande e primaria minaccia da sventare. Questo ci unirà per meglio affrontare le altre battaglie che dovremo combattere.”

“Se fermiamo Shaw, avremo pace.”

“Sei un illuso, Charles. Sia che vinciamo, sia che perdiamo, domani l’umanità saprà dell’esistenza dei mutanti. Cosa credi che accadrà allora? O pensi di poter cambiare i pensieri di tutti gli esseri umani che ci vorranno vedere identificati, imprigionati, annullati?”

“Una coesistenza è possibile. L’uomo può essere migliore.”

“Lo è già. Lo siamo già.”

“E Lena?” Chiese Charles muovendo la sua regina.

“Avrà la sua vendetta.”

“Credi che sarà davvero felice di vedere morire suo padre? Erik, la morte di Shaw non ti darà pace.”

“La pace non è mai stata un’opzione.” Concluse Erik muovendo il re e lasciando la stanza.




Camminò fino alla stanza di Lena ma non entrò. Poggiò la testa contro il legno della porta mentre le parole di Charles gli rimbombavano nella mente.

Lena poteva davvero provare qualcosa per un mostro come Shaw? Gli avrebbe chiesto di fermarsi? Lui poteva farlo? 

Poche ore prima, nel turbinio della passione, era riuscito a fermarsi solo grazie alla voce calma e conciliante di Charles.

Erik si girò e tornò nella sua camera. Non era vuota.

Raven era nel suo letto, completamente nuda.

“Va a dormire, Raven.” Lei assunse la sua forma blu.

“Hai detto che la vera me ti piace.”

“Ho detto la verità.” Disse lui versandosi da bere.

“E allora?”

“Non sai niente del mondo, non sai niente di me.”

“So che hai la forza di prenderti quello che vuoi. Tu puoi essere un vero leader per noi.”

“Noi?”

“I mutanti.”

“Avete Charles.”

“Lui non vuole quel ruolo, non vuole quel potere. E neppure Lena.” Erik si sentì turbato dalle sue parole. Quella ragazzina era in gamba. Una splendida mutazione in una meravigliosa creatura. Si chinò su di lei.

“Tu vuoi risvegliare i miei demoni. Forse un giorno te lo lascerò fare. Non stanotte però.”

Raven se ne andò sorridendo ed Erik si chiese se qualcuno di quei demoni non si fosse già risvegliato.




Lena aprì gli occhi di soprassalto. 

Aveva avuto un altro incubo. Andò in bagno e si sciacquò il viso. Anche stavolta aveva visto se stessa livida e sanguinante.

Stava per tornare a letto quando ebbe la sensazione che qualcuno fosse fuori dalla sua porta.

La raggiunse e posò la fronte contro il legno intarsiato. Non sentì niente. Fece per voltarsi ma, invece, decise di aprire. 

Lo sguardo carico di meraviglia di Charles incrociò il suo.

“Charles, che succede? Come mai sei qui?”

“Sei ancora sveglia?”

“Eri venuto a controllare se dormivo?” Charles sorrise ammettendo la sconfitta.

“Volevo sapere cosa stavi sognando.” Stavolta fu Lena a ridere.

“Non te lo consiglio. Solo incubi.”

“Vuoi che faccia la mia magia?” Chiese lui muovendo le dita della mano destra. Lei scosse le spalle.

“Tanto poi tornano.”

“Un giorno se ne andranno per sempre.”

“Lo credi davvero?” Lui annuì e lei si commosse.

“Certo che noi due siamo ridicoli. Tu puoi conoscere i pensieri di tutti ma non puoi leggere i miei. Io posso sentire quello che prova chiunque ma tu ti rifiuti persino di sfiorarmi.” Charles sorrise poi allungò una mano verso di lei e le passò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

“Domani ci batteremo per fermare Shaw. Abbiamo altro a cui pensare. Dopo, qualunque cosa accada, ti prenderò per mano e saprai ogni cosa.” Charles si voltò e fece per tornare verso la sua stanza quando sentì il peso di Lena contro la sua schiena.

“Prima di incontrare te ed Erik io non sapevo chi fossi o cosa fossi. Ero sempre talmente invasa dalle emozioni altrui da aver smesso di provare le mie. Ero come un contenitore vuoto che si riempiva solo di sensazioni rubate ad altri. Da quando vi ho incontrati, da quando ti ho incontrato, non è più così. E te ne sono così grata. Non posso buttarmi in questa missione dall’esito incerto senza che tu conosca i miei sentimenti, Charles. Non importa cosa accadrà domani, non importa quali promesse abbiamo fatto, non importa cosa sarà della mia vita. Posso lasciare che Erik vada in missione credendo che lo amo. Ma tu, tu lo devi sapere.” Charles si voltò, gli occhi umidi.

“Non serve.”

“Forse non serve a te ma serve a me. Io ti amo, Charles Xavier. Amo i tuoi silenzi e i tuoi sorrisi senza malizia. Amo la tua cieca fiducia nell’umanità. Amo la tua capacità di trovare il buono in chiunque ti circonda. Amo il tuo modo di rimanere in disparte e di tenere il peso di ogni cosa sulle spalle. Io ti amo.”

Charles strinse un pugno a mezz’aria.

“Me lo rendi davvero difficile, Lena.”

“Cosa?”

“Rimanere la persona che ami. La mia mente si è riempita di te, giorno dopo giorno. Al punto che resto di notte fuori dalla tua porta ad ascoltare il tuo respiro. Ti renderò tutte queste emozioni. Una per una. Te lo prometto.” Lena rise. Per la prima volta nella sua vita in pace con se stessa.

“Buonanotte Charles.”

“Sogni d’oro, Lena.” 

Charles rimase nel corridoio fino a che vide la luce della camera sparire da sotto la porta.

“Sogni d’oro, mia amata Lena."

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Capitolo 7
*** Pronti a tutto ***


Piccole note dell'autrice:
Siamo arrivati alla fine. Dopo questo capitolo c'è solo l'epilogo.
Grazie per avermi seguita fin qui.
So che ce ne ho messo di tempo a completare questa storia, ma lasciare andare Charles ed Erik non è mai facile.
Buona lettura e grazie.
Mary.


Capitolo 7 : Pronti a tutto

 

Vederli tutti in fila nelle loro uniformi fece sorridere Charles.

Per fortuna nessuno poteva leggere i suoi pensieri. Salirono a bordo del jet della CIA e presero posto.

Moira ed Hank ai posti di guida, Charles, Raven, Alex da un lato dell’hangar, Erik, Lena e Sean dall’altro.

Il jet raggiunse l’area sopra Cuba in meno tempo di quello che i ragazzi pensavano.

“Nessuna traccia di Shaw?” Chiese Erik. Charles fece una perlustrazione veloce delle menti di tutti gli occupanti delle navi sovietiche e americane che riempivano l’area. 

“L’equipaggio della nave che trasporta i missili è stato ucciso. Azazel la comanda.” Disse. “Nessuna traccia di Shaw.”

“Se la nave mercantile attraversa la linea delle navi americane, sarà guerra!” Gridò Moira.

“Posso provare a fermarla.” Asserì Erik alzandosi.

“Non farai in tempo!” Rispose Hank. “Ormai stanno per sconfinare.” 

Charles si concentrò e prese il controllo della mente di un ufficiale sovietico. Lo condusse fino alla plancia del controllo missili e lo costrinse a fare fuoco contro la nave mercantile che saltò in aria.

Erik guardò l’amico con un’espressione che era tutta un programma.

“E bravo il nostro Charles. Ottima intuizione.”

“Grazie ma se Shaw non è sulle navi allora è sott’acqua.”

“Noi non abbiamo un sonar subacqueo.” Asserì Hank.

“Invece sì.” Lo corresse Sean. “Lasciate fare a me e poi tu,” disse rivolgendosi ad Erik “fa quello che devi fare.”

Erik non se lo fece ripetere. Quando Sean indicò dove fosse il sottomarino nemico, Erik concentrò tutto se stesso nel palmo della sua mano e fece forza per attrarre il metallo del natante. Charles lo sorresse con la sua mente.

“Ricordati, tra la rabbia e la serenità. E’ lì la tua forza.” Disse ed Erik tirò su il sottomarino gigantesco di Shaw.

Riptide decise però di fare quanta più resistenza possibile e creò un turbine che investì in pieno il jet ed Erik.

“Dammi la mano!” Gridò Charles ma Erik non voleva perdere la presa sul nascondiglio di Shaw. Il jet fu colpito dalla turbolenza e perse un’ala. Erik perse contemporaneamente la presa del sottomarino e del carrello del jet a cui era aggrappato. Charles tese la mano e lo afferrò ma capì subito che non sarebbe riuscito a tenerlo. 

Fu allora che la calda aura di Lena li avvolse e li tirò nell’aereo. Li mise tutti al sicuro evitando che il jet si schiantasse sulla spiaggia.

La battaglia tuttavia doveva ancora cominciare.

Sean, Alex ed Hank ingaggiarono lo scontro con Angel, Riptide e Azazel.

“Dove diavolo è Shaw?” Chiese di nuovo Erik.

“C’è come uno spazio che non posso penetrare nel centro del sottomarino.” Rispose Charles. “Deve essere lì.”

“Deve essere il nucleo del reattore. Il contatore geiger sta impazzendo.” Intervenne Moira. “Vuole trasformare il reattore del sottomarino in una bomba.”

“Chiudiamo questa storia. Guidami Charles.”

“Aspetta, vengo con te.” Disse Lena con risolutezza. Erik la bloccò.

“No. Tu devi proteggere Charles e gli altri come hai fatto prima.”

“Qui non sono di nessuna utilità. Se Shaw userà il suo potere per far esplodere il reattore, sono l’unica in grado di contenere l’esplosione.”

Lena guardò Charles ma lui stava ascoltando i pensieri di Erik.

‘No. Tienila qui con te, al sicuro. Non voglio che veda morire suo padre.’

‘Vorrei tanto tenerla al sicuro qui con me. Ma se Shaw fa esplodere il reattore, sarà la fine. Proteggila tu.’ Rispose mentalmente il professore e annuì nella direzione di Lena che prese quel gesto come un via libera.

Erik e Lena raggiunsero il sottomarino e Charles rimase in contatto mentale con loro per tutto il tragitto.

Li guidò fino al reattore e gli indicò come metterlo fuori uso. Fu quando Erik stava perdendo le speranze di trovare Shaw che una porta di metallo si aprì rivelando il nucleo del reattore e Shaw stesso. Erik corse dentro chiudendo fuori Lena. La voce di Charles raggiunse la donna.

‘Non vedo più Erik.’ Lei però non poteva rispondere. Per Charles era come se anche lei fosse finita in quello spazio vuoto con Erik e Shaw.

 

Erik era finalmente di fronte all’oggetto di tutte le sue ossessioni.

“E’ stato gentile da parte tua unirti alla festa, ragazzo mio.”

“Sono qui per rovinartela.”

“Ti ringrazio anche per avermi riportato Lena.”

“Siamo qui per ucciderti. Tutti e due.”

“Nessuno di voi due può uccidermi, figli miei. Siete entrambi mie creazioni.”

“Vogliamo scommettere?”

“Non ce n’è bisogno.” Disse schioccando le dita e scatenando un’energia tale da schiantare Erik contro la parete e fargli perdere i sensi. L’urto però infranse la barriera che impediva a Charles di sentire Erik.

‘Erik, che succede? Lena, Erik ha perso i sensi.’

Lena lo percepì e prese a battere contro la porta che però reggeva anche alla proiezione del suo scudo. La voce di Charles tornò a parlarle.

‘Lena, se puoi sentirmi, fai il giro della paratia. C’è una frattura nella barriera. Proietta lo scudo da lì, sveglia Erik o Shaw lo ucciderà.’

Lena non se lo fece ripetere. Lasciò la stanza e fece il giro intorno alla camera dentro ad uno stretto corridoio. Si mise in cerca della frattura e la trovò facilmente. Infilò una mano all’interno della spaccatura e scoprì che la schiena di Erik aderiva esattamente alla parete. La voce di Shaw era tutta un programma.

“Se non vuoi unirti a me, devo eliminarti.” Lei non attese oltre. Si sfilò un guanto e toccò la schiena di Erik. Usò il suo potere e avvolse Erik con lo scudo. Quando Shaw usò la sua energia per tentare di ucciderlo, fallì.

“Lena, sei là fuori, tesoro?” Urlò Shaw colpendo la parete. Non ferì né Lena, né Erik ma la barriera che impediva ad Erik di vedere Shaw, crollò definitivamente.

Erik riprese i sensi proprio mentre Lena si preparava a fronteggiare suo padre.

“Sei bellissima, figlia mia. Finalmente hai deciso di usare il tuo potere. E stai grattando solo la superficie. Cosa diventerai mai quando abbraccerai completamente il tuo destino?”

“Un’assassina probabilmente.” Shaw rise.

“Bisogna rompere qualche uovo per fare una frittata.”

“Posso cominciare con te!” Disse lei ma si rese conto che non poteva arrivare a lui. La sua mente era schermata per lei quanto lo era per Charles. 

Erik contattò Charles.

‘Ascoltami Charles, Shaw è fuori dalla tua portata perché indossa un elmo protettivo. Proverò a sfilarglielo. Dì a Lena che deve provocarlo. Al resto penserò io.’

Charles ascoltò e riferì. Lena reagì di conseguenza.

“Allora, posso cominciare con te?”

“Provaci, bambina!” Fece lui allargando le braccia.

Lena allargò il suo scudo con violenza e ostilità ma Shaw rispose con un’onda di energia altrettanto potente. Lo scontro tra i due che all’inizio sembrava alla pari, voltò subito a favore di Shaw.

‘Resisti Lena.’ La esortò Charles e la ragazza mise tutta se stessa per impegnare suo padre. Lo fece al punto che Erik ebbe il tempo di sfilargli l’elmo.

‘Lo vedo!’ Urlò Charles e lo bloccò sul posto.

“Sei stata bravissima, Lena.” Fece Erik aiutandola ad alzarsi. “Ora tocca a me.”

‘Erik che vuoi fare?’ 

“La partita è finita, Charles.” Disse Erik tirando fuori la sua moneta. “Ora conterò fino a tre e poi muoverò la moneta. E’ quello che merita.”

‘No, Erik, non farlo ti prego. Lena è lì, vicino a te. Non devi farlo. Lo rinchiuderemo, pagherà, non farà più male a nessuno.”

“Quando andremo via da qui, non dipenderà più da te o da me. Mi dispiace, Charles, ma lo sapevi che saremmo arrivati qui. E’ un viaggio che abbiamo fatto assieme e sapevi dove stavamo andando.”

‘No. Erik, non farlo. Da una cosa simile indietro non si torna. Lena, fermalo!’ A quelle parole Erik guardò la ragazza. Lei gli sorrise ed Erik pensò che Lena fosse dalla sua parte. Così doveva essere. 

Invece sentì la mano di lei sul viso e le emozioni di Lena entrargli dentro e confonderlo.

“Non farmi questo Lena!” 

“Voglio proteggerti, Erik.”

“No, io voglio proteggerti. Tu non sarai mai al sicuro fintanto che lui sarà vivo!”

Lena percepì l’odio e l’amore di Erik passarle attraverso. E poi una voce. Non era quella di Charles. Era la sua stessa voce.

‘Sai che ha ragione. Sai che è così. Ha sempre avuto ragione su Shaw e ha ragione anche sui mutanti e sull’odio che gli uomini proveranno per loro. Tu lo sai. Devi accettare il tuo destino. Accetta il tuo destino. Certe persone possono essere buone soltanto se altre sono capaci di essere cattive.’ 

“Chi sei tu?”

‘Io sono te. Accetta il tuo destino. Diventa chi devi essere.’ Lena chiuse gli occhi e lo vide. Vide il futuro che suo padre avrebbe voluto che lei vedesse per lui. Vide e capì che Shaw non poteva essere salvato. Se lo avessero fatto le conseguenze sarebbero state terribili per il futuro dell’umanità. Ritirò la mano dal viso di Erik.

Stavolta fu la voce di Charles a raggiungerla. 

‘Lena, perché?’ La ragazza però non gli rispose. Guardò Erik che era tornato padrone di se stesso.

“Fallo. Uccidilo. Charles non ti fermerà. Ti proteggerò con il mio scudo.”

Erik contò come aveva promesso. Al tre, la moneta trapassò il cranio di Sebastian Shaw, uccidendolo. 

Quello che Lena non aveva considerato era che la mente di Shaw era ancora bloccata da quella di Charles. Si rese conto di questo quando udì l’urlo straziante del telepate. Lasciò che lo scudo svanisse e corse fuori.

Charles giaceva privo di forze tra le braccia di Moira che la guardava con disprezzo.

“Charles perché non l’hai lasciato andare?” Chiese lei disperata. La voce dell’uomo le arrivò carica di sofferenza.

“Non sapevo se sareste stati al sicuro.”

Lena non sapeva cosa dire. Nonostante il suo comportamento, nonostante quello di Erik, Charles aveva pensato prima a loro che a se stesso.

“Ora saremo al sicuro, Charles.” Erik li raggiunse portando il corpo di Shaw. Lo mostrò a tutti i mutanti. “Ora non c’è più bisogno di lottare tra noi. Ora possiamo essere uniti contro il vero nemico.”

“Erik, non farlo.” Provò a dire Charles.

“Avanti, Charles, accetta la realtà. Guarda tu stesso. Sento il metallo delle loro armi che si preparano ad attaccare. Dimmi che mi sbaglio.” Disse indicando le navi americane e russe che fronteggiavano la baia.

Charles lesse le menti dei comandanti dei due schieramenti. Guardò e fece cenno a Moira che Erik non si sbagliava. Le navi avevano ricevuto l’ordine di fare fuoco contro di loro. La donna corse verso la radio per tentare un ultimo e risolutivo contatto con il suo quartier generale. Non ebbe risposta. 

Le navi invece aprirono il fuoco. Erik concentrò di nuovo il suo potere nel palmo delle mani e fermò i missili. Lentamente, come gli aveva insegnato proprio Charles, invertì la loro direzione e si preparò a rispedirli al mittente.

“Erik, no! Siamo migliori. Lo hai detto tu.” Gridò Charles. Non poteva controllarlo, anche volendo. Erik si era appropriato dell’elmo di Shaw. “Non farlo!”

“Scacco matto.” Disse Erik spingendo in avanti i missili.

Charles, in un gesto disperato gli si lanciò addosso. Sapeva di non poter competere fisicamente con Erik ma doveva solo togliergli l’elmo. Dopo avrebbe potuto usare la sua mente per fermarlo. I due rotolarono a terra e i missili, non più sotto l’influenza del signore dei metalli, cominciarono ad esplodere. Charles, schiacciato dal peso del corpo di Erik, pensò che era stato tutto inutile. Le radiazioni avrebbero ucciso tutti. 

Invece i fumi tossici delle esplosioni furono come assorbiti da una bolla. Lena aveva usato il suo potere psichico per contenere le esplosioni. La ragazza si librava ad un metro da terra emettendo un’aura perlescente. Era semplicemente bellissima. Quando lo scudo di Lena si contrasse fino a sparire, del miasma atomico non restava nulla. Lena toccò terra e riaprì gli occhi.

“Basta così, Erik. Non ci macchieremo le mani di sangue innocente. Non saremo come mio padre.” 

Erik lasciò andare Charles e le si parò innanzi.

“Su una cosa non sbagliava tuo padre. Gli umani non avranno per noi la stessa pietà che noi mostriamo per loro. Io ho difeso tutti. Le mie decisioni hanno difeso tutti.”

“No.” La voce di Charles arrivò limpida e calma. “Tu hai preteso la tua vendetta. Io non ti ho voltato le spalle. Ora tu non voltarle a me.” Disse e quando Erik si girò a guardarlo, quello che vide non era quello che si aspettava. Charles gli puntava una pistola al petto. 

Erik rise.

“Sul serio? Non sei riuscito a spararmi quando volevo che lo facessi, credi di poterlo fare ora? Sai che posso fermare i proiettili.” Charles pure rise, anche se di un riso amaro.

“Io non voglio ucciderti. Però se io premo il grilletto, Erik, tu resterai solo.”

Erik avrebbe voluto urlargli che aveva Lena ma la ragazza guardava la sabbia e non diceva nulla come se avesse paura ad incrociare il suo sguardo.

“Sei dalla sua parte?” Le chiese con voce carica di rabbia. Lei sollevò lo sguardo senza parlare. Lui gridò ancora. “Sei dalla sua parte!” E non era più una domanda.

“Non costringermi a scegliere, Erik.” Disse Lena alla fine.

“Invece devi scegliere adesso.” Rispose lui. 

“Non deve scegliere. Non c’è motivo di separarci. Abbiamo condiviso così tanto noi tre.” Lo implorò Charles.

“Falla finita, Charles. Spara o ti salterà in aria tra le mani quella maledetta pistola.” Charles esitò ancora ma Lena fu attraversata come da un tremito e i suoi occhi si fecero liquidi segno che stava vedendo qualcosa. 

Il suo viso si deformò in una maschera di dolore e gridò sporgendosi verso Charles.

Due colpi di pistola lacerarono l’aria.

Ad aver sparato, alla fine, era stata Moira che credeva di poter sfruttare quel momento di generale distrazione per fermare Erik. L’uomo sollevò una mano e scagliò lontano il primo proiettile. Fece altrettanto con l’altro ma la traiettoria che prese puntò invece verso Charles.

Lena, che si era mossa per prima, lo intercettò col proprio corpo.

Charles la vide cadere e si tese verso di lei per afferrarla. Erik però la tirò a sé e la prese tra le braccia. Vide il suo corpo attraversato dagli spasmi di dolore provocati dalla ferita al petto e impazzì di dolore. Gli sembrò di essere tornato al giorno in cui aveva perso sua madre. 

Dalle labbra di Lena, quelle stesse che lui aveva baciato con passione solo la sera prima, scese un rivolo di sangue. Lei si stava sforzando di dirgli qualcosa. Avvicinò il viso al suo.

“Pace.” Fu l’unica parola che afferrò.

La pace non era mai stata un’opzione per Erik. Eppure, mentre stringeva il corpo di Lena tra le braccia, mentre le vedeva scendere un’ultima lacrima sul viso incapace di sentire l’ultimo flebile alito di vita della fanciulla svaporare dalle sue labbra per colpa del martellare assordante del suo stesso cuore, mentre Charles gli si parava di fronte impugnando un’arma con il viso arrossato dal pianto e dalla rabbia urlando una verità tagliente tanto e più del freddo metallo, Erik si rese conto che se avesse scelto quell’unica opzione che si era rifiutato di considerare, le cose sarebbero andate in modo completamente diverso.

Invece Lena era lì, inerme, a dimostrare che lui aveva tenuto fede ai suoi propositi fino alla fine. Si sfilò l’elmo che ora lo soffocava.

La voce di Charles lo colpì peggio di un proiettile.

“Lasciala.” Disse solo.

“Charles, mi dispiace. E’ stata lei.” Fece indicando Moira. L’agente delle CIA indietreggiò.

“Lasciala.” Ripeté il professore.

“Sì, è stata lei. L’ha sempre odiata.” Allora Charles, dando sfogo alle ultime lacrime, sollevò il grilletto e aggiustò la presa sul calcio dell’arma.

“No, Erik, sei stato tu. Tu l’hai uccisa.” Per Erik fu come se Charles avesse già sparato. Strinse ancora un po’ Lena.

Charles fece un passo in avanti e si decise a premere il grilletto. In quel momento però accadde una cosa che lui non credeva possibile.

Sentì Lena, la vide, riuscì a leggerla. Abbassò lo sguardo su di lei e vide che aveva allungato una mano e gli aveva sfiorato la gamba. 

Probabilmente, poiché stava morendo, lo scudo si stava gradualmente spegnendo e lei perdendo le sue facoltà.

‘Non sparare. In futuro te ne pentiresti. Lui è tuo fratello e sempre lo sarà. Se lo proteggi, un giorno lui proteggerà te. Fallo per me, amore mio.’ Charles scoppiò in un pianto muto e cadde in ginocchio.

Avvicinò lentamente una mano al volto di Lena e la poggiò su una delle sue guance.

“Ti avevo promesso che ti avrei reso tutte le mie emozioni.” Erik vide Lena sgranare gli occhi poi, sorrise. Il sorriso più bello che lui le avesse mai visto fare. Il suo ultimo respiro le sgonfiò il petto ferito e Charles si chinò sul suo corpo stringendo una delle sue mani bianche.

Erik gliela lasciò tra le braccia e si alzò.

“Non mi aspetto che mi perdoni e io andrò comunque avanti per la mia strada.” Raven, che fino a quel momento era rimasta in disparte, si avvicinò ad Erik. Charles sollevò lo sguardo e annuì.

“Non posso fermarti. Non più. Ho fatto molte promesse Raven, anche a te. Le ho mancate quasi tutte. Va con lui. Sii libera Raven.”

“Abbi cura di te, Charles.” Rispose lei mentre Azazel portava via la nuova squadra di Erik.

Charles strinse forte il corpo di Lena. Moira si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla.

Hank, Alex e Sean lo guardavano avviliti. Avevano vinto eppure avevano perso tutto. Charles capì che, nonostante il suo dolore, doveva dire qualcosa.

“So che siete feriti. So che quello che é accaduto qui non è quello che vi aspettavate. Ci sarà tempo per riflettere e capire. Ora dobbiamo solo trovare la forza di fare un’ultima cosa.”

Hank lo guardò con occhi supplici. 

“Cosa?”

“Tornare a casa.” Disse Charles sollevando il corpo di Lena tra le braccia. I lunghi capelli biondi di lei caddero all’indietro rivelando il volto della ragazza ancora sorridente.

 

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Capitolo 8
*** Epilogo ***


Epilogo

 

Passarono tre lunghi giorni prima che Charles lasciasse la sua camera.

Aveva salutato Moira con un unico bacio che le aveva cancellato ogni memoria di quello che era accaduto negli ultimi giorni.

Aveva deciso di utilizzare la sua casa come un rifugio per tutti i mutanti che ne avessero avuto bisogno. 

Nella sua mente c’era Lena con lo zaino in spalla che viaggiava solitaria per il mondo fuggendo da uno dei tanti Sebastian Shaw bramosi di potere.

L’idea che la sua casa potesse accogliere giovani dotati in cerca di qualcuno che li aiutasse a capire le loro capacità, una scuola insomma, gli dava speranza per il futuro.

Hank lo accolse con un sorriso quando entrò nella sala da pranzo dove era pronta la colazione.

Alex aveva chiesto il permesso di andare a trovare i suoi genitori e Sean si era deciso a studiare alcune altre applicazioni della sua voce. Hank aveva passato gli ultimi giorni in un mesto silenzio che gridava la mancanza di Raven.

“Buongiorno, é bello vederti in piedi.”

“Buongiorno, Hank. Scusami per come mi sono comportato ultimamente.”

“Non dirlo neppure. Hai perso una persona cara.” Charles avrebbe voluto ribattere che ne aveva perse tre considerando anche Raven ed Erick ma si versò una tazza di tea.

“Anche tu devi esserti sentito molto solo.” L’allusione a Raven non cascò nel vuoto. “Forse mi biasimi per averle dato il permesso di andare con lui.” Non osò pronunciare il nome di Erick. Hank scosse il capo.

“Non ti biasimo. Ho imparato a conoscere Raven. Sarebbe andata con lui che tu le avessi dato il permesso o meno. Quello da biasimare sono io. Se non avessi trasferito su di lei la mia incapacità di accettare la mia mutazione, lei non si sarebbe fissata con quella faccenda del ‘mutante e fiera’.” Charles sorrise.

“Quella faccenda é colpa mia in realtà.”

“Ho fiducia che un giorno capirà.”

“Alcune cose non torneranno mai più come prima, Hank.” Charles posò la tazza e raggiunse la finestra. Hank capì che si riferiva a Lena ma anche al suo rapporto con Erik.

“Non ti abbattere. Tu sei sempre stato nel giusto. Noi siamo qui per te. C’é tanta gente là fuori che ha bisogno del professor X.” Charles si voltò a guardarlo negli occhi e sorrise.

“Io non mi tirerò indietro Hank, non più.” Disse camminando fino alla porta e lasciando la stanza.

Uscì sotto al porticato della casa e guardò l’enorme antenna che era riuscito a far muovere ad Erik. Fece il giro della casa seguendo il sentiero su cui si era allenato con Hank e si fermò a guardare la finestra di Raven. Le tende erano tirate.

Camminò ancora e raggiunse un grande albero piantato dal nonno di suo nonno. Si chinò e si sedette sotto le sue fronde. C’era una targa di marmo bianco con incisa una sola parola: Saltire.

Accarezzò la superficie perlescente e fredda e si sentì stringere il cuore. 

“Mi mancherai sempre Lena. Alla fine riposi senza fare brutti sogni. Io, però, non l’avevo immaginato così. Pensavo che saremmo tornati insieme e che ti avrei stretta fino a quando i nostri pensieri sarebbero stati lo stesso pensiero. Ci saremmo addormentati insieme e risvegliati nello stesso sogno. Mi sarebbe stato bene anche il tuo incubo. Invece di te non mi resta che il tuo ultimo sorriso. Non mi basterà mai. Ti giurò che vivrò come avresti voluto tu. Però continui a rendermi difficile essere l’uomo che amavi. So che dovrei vivere per mille altre persone e mille altri motivi ma è strano. Non potevo sentire i tuoi pensieri, la tua presenza nella mia testa, eppure è come se la tua assenza si sia gradualmente mutata in una presenza di cui non riesco a fare a meno. Ho paura che lentamente il ricordo della tua voce, del tuo modo di mettere il broncio, quella tua incapacità di accettare l’amore degli altri perché pensavi di non meritarlo, svaniscano nella routine della vita che ho scelto per me. Non ho neanche una tua foto, sai? Mi resta solo una cassetta con la tua voce di quando ci allenavamo insieme. Hank dice che potrebbe usarla per Cerebro. Non lo so. Potrei essere tanto egoista e masochista allo stesso tempo? Quando la luce del sole colpisce questa lapide, brilla come brillavi tu su quella spiaggia. Ti ho mai detto quanto eri bella?” 

Una lacrima scese dagli occhi di Charles e lui tirò su col naso. Stava scendendo a patti con la realtà ed era un processo lento e doloroso. Poi sorrise.

“La notte prima della missione mi hai detto una cosa che mi ha fatto sorridere. Mi hai detto che eravamo una coppia assortita male. Quanto era vero. Eppure ci siamo legati lo stesso. In un modo che non credevo possibile. Erik aveva ragione quando diceva che difetto di modestia. Pensavo di essere intoccabile. Non invincibile, no. Intoccabile. Nulla avrebbe potuto scalfire le mie convinzioni. Poi tu sei entrata in quel pub. Quel leggero fastidio di percepire qualcuno che non potevo capire, ingannare probabilmente, è stata la prima crepa sulla mia corazza. Da oggi dovrò vivere senza difese, esponendomi al mondo come facevi tu. Non ho più una corazza e non ho più il mio scudo. Tu saresti stata il mio scudo, Saltire. Se è rimasto qualcosa di te, non abbandonarmi mai.” 

Charles accarezzò di nuovo la lapide e si alzò. Esitò qualche minuto dondolando il proprio peso da una gamba all’altra con le mani in tasca come faceva sempre quando era combattuto tra ciò che doveva fare e ciò che voleva fare. Diede le spalle al grande albero e s’incamminò verso casa.

 

Erik uscì allo scoperto solo quando vide il pesante portone del palazzo Xavier chiudersi.

Vedere Charles piangere in quel modo gli aveva fatto male. 

Camminò fino alla lapide e s’inginocchiò posando una calla. 

“Non ho il diritto di dire nulla. Lo so. Sono venuto a rassicurarti che non sarà così. Avrà sempre uno scudo. Non bello e luminoso come quello che avresti potuto offrirgli tu, certo. Il mio sarà di freddo e impenetrabile metallo. E comunque nessuno gli farà del male. Lo proteggerò come tu volevi. Io so che non ci sei più. Non resta nulla di te se non quello che tu hai messo nei nostri cuori. Per questo sarò io ciò che resta di te per Charles. E non lo abbandonerò mai.”

Erik si alzò e si allontanò non visto da alcuno. Sotto a quell’elmo capace di schermare tutti i suoi pensieri, lui davvero credeva che alla fine ciò che contava più di ogni altra cosa sia per lui che per Charles era proteggere i mutanti. Questo, un giorno, li avrebbe riuniti.

Fu tentato di sfilare l’elmo per salutare ciò che rimaneva della sua famiglia, ma gli sembrò sbagliato e ingiusto per Charles.

Era arrivato dal nulla e sparì nel nulla.

‘Un giorno, in futuro, Charles. Nel futuro che ci ha donato Lena, l’anello mancante nelle nostre vite.’


NdA
Che posso dire?
È finita e mi dispiace. Forse non è il finale che vi aspettavate ma era quello inevitabile per me.
Lena ha rappresentato una parte di me che ho perso.
Era empatica ma condannata a non poter esprimere le sue emozioni. 
Spero che, ad ogni modo,  non siate rimasti troppo delusi.
Le avventure di Charles ed Erik non finiscono qui comunque.
A presto!
Mary.
 

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